Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ranzoli: “going through
the dictionary” – “Non il Little Oxford Dictionary, come volleva Austin, ma il
Ranzoli! -- la scuola di Roma -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I think I
prefer Stefanoni!” -- DIZIONARIO DI FILOSOFIA MANUALI HOEPLI, DIZIONARIO di
FILOSOFIA, LIBRAIO DELLA REAL CASA MILANO Pat. RS Tipografia L’Arlo della
Stampa, Successori Landi Firenze. Via Santa Caterina. Il dizionario di
filosofia di R. è stato accolto dal pubblico in modo estremamente lusinghiero.
Di ciò attribuisco una minima parte ai pregi dell’opera di R. Il resto, il più,
all'essere UNICA del genere IN ITALIA e al promettente risveglio filosofico.
Ma, appunto per questo, R. sente più vivo il dovere di ri-esaminarla con la più
scrupolosa attenzione, per eliminarne quei difetti e apportarvi quei
miglioramenti, che la rendessero meglio adatta al suo scopo. R. supprime tutti
gl’argomenti che non riguardano davvicino la filosofia o le sue parti. R. Mette
accanto ad ogni vocabolo il corrispondente gallico – o ‘francese’, tedesco, ed
inglese, talvolta anche LATINO e greco. R. pone in fine alla maggior parte delle
voci le opportune indicazioni bibliografiche. R. Aggiunge gran numero di
termini, sia nuovi sia previamente dimenticati, e da più ampio svolgimento a
quelli che lui pare richiederlo. Che in tal modo essa raggiunge il suo assetto
definitivo, sono ben lungi dal pensarlo. Un dizionario come questo di R.,
specie se lavoro di uno solo, ha il poco invidiabile privilegio di non essere
mai compiute. Mende, sproporzioni, ripetizioni, lacune sone inevitabili.
Bisogna accontentarsi di ridurle via via al minor numero possibile, Il
dizionaro di R. s’ispira ai varii criteri. Tenersi al di sopra e al di fuori
d’ogni pre-concetto di scuola, presentando obbiettivamente le questioni e le
idee che ai vocaboli sono legate e i vari atteggiamenti da esse assunti nella
storia della filosofia. Sapere riuscire chiaro ed accessibile ad ogni media
cultura, senza falsare per questo i problemi e ridurre al semplice ciò che di
natura e di origine è complesso. Enumerare i diversi significati attribuiti ad
ogni termine, senza pretendere di imporne uno per conto proprio. Tracciare, fin
dove è possibile, la storia della parola e indicare, quando è opportuno, quale
dei suoi significati è il più legittimo, o il più accettato, o il più
accettabile. Ricordare, tra le espressioni proprie soltanto di un sistema o di
un periodo filosofico, quelle che, pur conservando un valore storico e fisso,
ricorrono con qualche frequenza nei saggi filosofici. Fare un’abile scelta,
nelle terminologie delle scienze più affini, delle voci la cui conoscenza può
essere utile e necessaria per lo studio della filosofia. Accogliere, senza
pregiudizi puristici, tutti quei termini nuovi che hanno acquistato un certo
diritto di cittadinanza, da qualunque parte essi vengano e qualunque sia la
loro composizione, perchè è specialmente delle voci nuove – come l’
‘implicatura’ di H. P. Grice -che si viene a chieder notizia al dizionario ed è
alle voci nuove che la registrazione nel dizionario può riuscir utile per
fissarne în modo definitivo il significato, pertanto stravagante. Ispirarsi
infine ad un certo criterio che direi della convenienza, per il quale,
svincolandosi dalle strettoie d’una geometrica proporzionalità, si sappia a
volta a volta e secondo l’importanza delle questioni trascorrer rapido o essere
diffuso, limitarsi a una frase concisa ο esaurire sufficientemente una
discussione. L’a designa nella logica la proposizione universale affermativa,
secondo i versi mnemonici classici, asserit a, negat e, verum GENERALITER ambo asserit
i, negat o, sed PARTICULARITER ambo, È anche adoperata nei trattati di logica
per esprimere simbolicamente il soggetto della proposizione. Hamilton se ne
vale per indicare la proposizione toto-parziale affermativa. Con la formola a =
a si suol esprimere il principio d’identità, e con la formula a = non-a il
principio di contraddizione. Colla prima formula s’afferma l’identico
dell’identico; con la seconda si significa che un giudizio che afferma quello
stesso che nega è uguale a zero, cioe falso e nullo. Prantl, Geschichte d. Logik;
Hamilton, Lectures on logic, -- quantificasione del predicato. Grice uses ‘a’
in ‘Vacuous Names’ – SYSTEM Q. Formation rules. Un’ABBITUDINE -- habitus, consuetudo; gowoknheit; habitude,
habit -- è una manifestazione d’una legge generale, che la forza tende a
dirigersi secondo la linea della minor resistenza, e si può definire come
l'attitudine a conservare e riprodurre più facilmente le modificazioni
anteriormente acquisite. Intesa in questo senso, l'ABITUDINE comprende sia i
fenomeni d’ adattamento fisico e biologico, sia la facoltà, acquistata
coscientemente coll’esercizio, di sopportare o di fare cid che non si poteva
sopportare o fare da principio, o anche di far meglio ciò che si faceva male e
con difficoltà. Stewart la definisce in facilità che la coscienza acquista,
mediante la pratica, in tutte sue esercitazioni, sia animali che intellettuali.
Si formano così le abitudini psichiche, le abitudini mentali e le abitudini
moral. Il vizio e la virtà, in ultima analisi, non sono altro che abitudini
morali; e il modo particolare che ogni individuo ha di considerare le cose,
dipende spesso dall’ordine di associazioni mentali in lui prevalenti,
Trattandosi di sensazioni cho accompagnano un atto, l'abitudine, diminuendo
l’attività necessaria alla loro produzione, le rende a poco a poco inavvertite;
nello stesso tempo però diventano più precise e distinte, se non più intense,
quelle che costituiscono il fine dell’atto. Si suol distinguere, da Biran in
poi, l’abitudini passive dall’abitudini attire. Le prime sono quelle delle
sensazioni, caratterizzate da diminuzione della coscienza, adattamento,
sviluppo del bisoguo corrispondente. Le seconde sono le abitudini dell’operazioni,
caratterizzato dalla facilità, dalla perfezione, dalla tendenza alla
riproduzione involontaria. Egger distingue l’abitudini particolari ο speciali,
che non concernono che un atto interamente determinato, sempre il medesimo, e l’abitudini
generali, in cui l’atto è variato, ma sempre di un medesimo genere. Questa
distinzione corrisponde alla distinzione fatta da Hòffding e Bergson tra le due
specie di memoria, la memoria libera e la memoria automatica. Ad es.,
l'abitudine di risolvere dei problemi, e l’abitudine di calcolare. Si suol
distinguere anche l’abitudine dall’abilità, che è l'abitudine diretta alla
produzione d'un lavoro e implica la variazione e il perfezionamento, e dall’attitudine, che è la semplice
possibilità di prestarsi a fare. Non si dà abilità senza abitudine, nè
abitudine senza attitudine. L’abitudine ha molta affinità coll’istinto, che si
può considerare come un’ abitudine ereditaria protettiva pell’individuo o per
la speci tuttavia alcuni filosofi moderni, ad es. Murphy, intendono per
abitudine la legge per la quale l’azioni ed i caratteri degl’esseri viventi
tendono o ripetersi non solo nell’individno ma anche ne’suoi discendenti. Nella
lingua scolastica habitudo significa attitudine, relazione, riguardo, capacità
a qualche cosa. Da qui l’espressioni quo ad habitudinem e quo ad entitatem.
Quando in una cosa si considera l’essenza, la quiddità, questa allora si
considera quo ad entitatem. Quando invece si considera la potenza o capacità di
fare che è nella cosa, si considera quo ad habitudinem. Così fra il divino e
l’uomo non ο) ὃ proporzione d’entità ma d’abitudine, perchè la distanza
dall’uno all’altro è infinita e non hanno fra loro proporzione d’entità, ma
l'uomo può giungere al divino mediante la conoscenza, e può aver relazione con
lui, e quindi si dice che ha con lui proportionem habitudinis. Biran, Influence de l’hab.
sur la faculté de penser; Stewart, Works, ed. Hamilton; Egger, La parole
intérieure; Dumont, De l’habitude, Revue phil.; Bourdon, L’habitude, Année
paychol. -- memoria organica, inclinazione, automatismo, csusalità. Nella lingua scolastica ‘ABSOLUTE’ equivale
talvolta a simpliciter, e si adopera quando una cosa è denominata assolutamente
come tale, senza aggiunte o limitazioni. cesi anche che una cosa è absolute
tale, quando ha natura e secidenti che richiedono quella e non altra
denominazione. Ad es.: la neve è bianca. Dicesi invece che è respective tale,
quando è tale non per natura sua e in sò, ma in confronto a un’altra. Ad es., un
macigno dicesi respective piccolo se lo si confronta con una montagna. CORNOLDI
(vedasi), Thesaurus philos. L’ABULIA -- ABouAla; abulie, willenslosigkeit ; I
His: aboulie -- è il sindrome di molte malattie mentali che consiste in un
indebolimento del volere e sembra dovuta all’atrofia dei centri motori.
L’ammalate vorrebbe, ma sente di non poter eseguire la propria volontà; senza
presentare alcuna impossibilità organica di movimento, ogli è incapace di
decidersi a compiere qualsiasi atto, come mangiare, vestirsi, camminare, ecc.
sebbene lo creda opportuno, desiderabile, persino necessario. Si parla di molte
forme d’abulia, non ancora ben definite, come 1’abulia motrice, che è quella di
cui ora abbiamo parlato, l’abulia intellettuale, che si manifesta con l’
indebolimento dell’attenzione, l’abulia sistematizzata, che riguarda solo uns
categoria di atti, ecc. Janet chiamato abulia delirante una speciale
ossessione, riguardante gl’atti stessi del soggetto, la quale, rispetto al suo
contenuto, si distingue in cinque classi: ossessione del sacrilegio, del
delitto, della vergogna di se stessi, della vergogna del proprio corpo, della
malattia. Dicesi infine abulia morale quella debolezza della volontà morale,
per cui 1’individuo, pur conoscendo il bene e desiderando seguirlo, non sa
resistere agl’appotiti e alle tendenze malsane; appartiene alla categoria delle
pazzie morali, e tingue dalla cecità morale in cui manca affatto la coscienza
morale, e dall’anestesia morale in cui il sentimento morale è torpido ο perciò
incapace d’influire sulla condotta. Quanto alla interpretazione psicologica
dell’abulie in genere, secondo Ribot esse sono dovute a un indebolimento della sensibilità,
legato alla depressione delle funzioni vitali; se gli ammalati sono incapaci di
volere ciò succede perchè tutti i proponimenti che essi fanno non risvegliano
in loro che impulsi deboli, insufficienti per spingerli ad agire. Secondo Janet
l’abulia è dovuta piuttosto ad una debolezza intellettuale. Perchè la mente
voglia un atto e lo eseguisca decisa, deve avere l’idea chiara e completa dell’azioni
richieste dal compimento dell’atto stesso. Ora, tale capacità sarebbe diminuita
negl’individui affetti da abulia, donde la difficoltà di compiere certi atti,
benchè l'intelligenza ne abbia una nozione generale. Ribot, Les maladies de la volonté;
Janet, Névroses dica fires; Étude sur un cas d’aboulie, Aca-Acc Revue philos.;
Rivière, Contribution à l’étude des aboulies, Those de Paris -- acedia,
aprosechia, aprassia, agorafobia. L’acatalessia
– axataXntia -- è l’incomprensibilità del vero. È una delle tre parole che
contengono le risposte ai problemi che si propone lo scetticismo pirronisno.
Possiamo noi comprendere che cosa siano le cose? Noi, risponde Pirrone, non
possiamo comprenderlo nè per mezzo dei sensi, md per mezzo della ragione,
perchè i sensi ce le mostrano come appaiono a noi, non come sono, e la ragione
#’ acquieta in ciò che le par conveniente. Nel medesimo senso Bacone
contrappone ln catalessia o dubbio scettico, alla eu-catalessia, o dubbio
metodico. Nos vero non acatalepsiam, sed eu-catalepsis meditamur. Richter, Der
Skeptisirmus în d. Philos.; Brochard, Les sceptiques grecs; Bacone, Nov. Org. --
epoca, atarransia. Platone insegna negl’orti d’Academo, o accademia, i quali
rimasero poi la sede della sua scuola, detta perciò. Essa si divide in tre
periodi : la vecchia accademia, ingolfatasi, con Speusippo, Xenocrate,
Crantore, nella metafisica pitagoreggiante e in un astruso dommatismo; la
media, enduta nello scetticismo con Carneade e Arcesilao; la nuova, tornata al
primitivo dommatismo con Filone ed Antioco. Credaro, Lo scetticismo degl’accademici.
Usato sostantivamente, l’accadere -- Ereignen, Geschehen; happen --,
contrapposto all’essere, indi l’insieme dei fenomeni, dei caugiamenti che si
verificano nella realtà. Nella storia del pensiero filosofico il problema
dell’essere e il problema dell’accadere si svolgono parallelamente; ma il primo
ad imporsi è quello dell’accadere, giacchè la meraviglia suscitata dal mutare
incessanto delle cose fa il primo stimolo all’indagine filosofica. Cir.
Aristotele, Metaph. Nella logica, ACCESSORIO -- Nebonstohliok; accessory;
Acosswire – s’oppone a essensiale, fondamentale, neceesario e designa ciò che,
pur avendo una qualsisai relazione col soggetto di cui si tratta, non è nè
essenziale alla maniera attuale di considerare il soggetto stesso, nö
necessario alla intelligenza di ciò che se ne dice, cosicchè si può anche
lasciar da parte senza che per questo ne rimanga alterata l’idea ο diminuita la
chiarezza del discorso che deve spiegarlo. Per ciò nella discussione o nella
esposizione di nn argomento si deve far in modo che 1’accessorio non nasconda o
faccia dimenticare 1’essenziale. Accidente -- Acoidenz; Accident; Accident – è
un vocabolo usato nella filosofia aristotelica e scolastica. Si oppone a
essenza e a sostanza, e desìgna una qualità o modificazione che non appartiene
all’essenza della cosa, che non è l’espressione de’suoi attributi fondamentali.
Aristotele lo definì come ciò che aderisce ad un soggetto, ma non sempre nd
necessriamento; Goolenio, traducendo la definizione di Porfirio, in uso poi
presso tutti gli scolastioi peripatetici dell’eta di mezzo, determina l’accidente
come quod adent οἱ abest prate# subieoti corruptionem. In altre parole, l’accidente
è ciò che arriva alla cosa, quod accidit, ciò che in essa si riscontra, ouu$eBrxéç,
senza essere necessariamente legato alla sua idea. Così, si può concepire una
roccia senza concepirla arrotondata: essere arrotondata, uguzza, ecc. è,
rispetto alla roccia, un accidente. Alcuni filosofi distinguono due sorta di
legami tra la sostanza ο l accidente: l'uno, detto prioologico, è quello che interoedo
tra l'idea d’accidente e quella di sostanza, 1’altro, detto ontologico, è la
connessione che intercede tra In sostanza stessa ο l’accidente, cioè a parte
sui. Nella lingua scolastica si sogliono anche distinguere : l’aocidens
physicum, che ha entità distinta d’ogni sostanza, e può essere absolutum, cho
si riduco alla quantità ο allo qualità, e modale, che non può mai trovarsi
fuori di un soggetto; l’a. sepa-Ἱ -Acc rabile, che si può facilmente separare
dal soggetto, come il calore dal ferro, ο l’a. inseparabile, che non si può
separare, o almeno difficilmente, come il verde dalla foglia; l'a. artrineecum
che denomina un soggetto solo estrinsecamente, come l’azione, e l’a. intrinsecum,
che è inerente alla cosa di cui si chiama ncoidente, come il freddo della neve;
Pa. logieum o predicabile, che è una qualità inerente al soggetto in modo
contingente e non necessario, 6 l’a. metaphysicum ο pradicamentale, che è
quello che deve inerire al soggetto per esistere, ma nel concetto fa astrazione
dal modo di inerenza, se cioè sia necessario o contingente. Aristotele,
Metapk.; Porfirio, Isagoge; Goclenio, Lexicon philos. -- caso, essenza,
sostanza. Dicesi sofisma d’accidente quello che trae la sus origine da una
proposizione difettosa nel nesso tra il predicato e îl soggetto, il primo dei
quali non si congiunge a tutto il secondo nella sua unità, ma soltanto ad una
parte non costituente la sua unità, cioè ad un accidente d’esso soggetto. Es.:
L’arte oratoria ha spesso servito a trarre in inganno i popoli ο i giudici;
dunque, l’eloquenza è riprovevole. Dicesi comversione per accidente quella
operazione logica colla quale un giudizio universale affermativo, il cui
soggetto è meno steso dél predicato, si converte in un giudizio particolare
affermativo. Es.: ogni uomo è mortale; conv. per e., alcuni mortali sono
uomini. Port-Royal, Logique; Masci, Logica, . Si chiama accomodamento -- Accomodation;
Accomodation: Accomodation – o accomodazione l'atto fisiologico mediante il
quale i muscoletti ciliari dell'occhio dànno alla faccia posteriore del
cristallino la curvatura neeeesaria affinchè l’immagini degli oggetti, posti a
maggiore ο minore distanza, si proiettino sulla retina e siano così dormalmente
percepite. Quando la convessità del eristallino aumenta, l’occhio à accomodato
alla visione degli oggetti vicini, e viceversa quando scema, Un tempo si
credeva che l’accomodazione dell’ occhio avvenisso per uno spostamento della
retina in avanti e indietro, conforme alle diverse distanzo degl’oggetti;
Cartesio è il primo ad emettere il concetto che la nostra capacità di vedere
distintamente gl’oggetti collocati a distanza dipenda dall’attitudine insita
nell’occhio di poter modificare la lente cristallina. La dimostrazione di
questa veduta teorica si ha due secoli dopo con Langenbeck, Cramer e Helmholtz.
Si dice dottrina dell’ accomodamento quella di molti teologi protestanti, i
quali, basandosi sulla constatazione che il cristianesimo dove, giunto in
contatto coi vari popoli, modificarsi in parte secondo le loro tradizioni,
costumi, credenze, rigettano tutto ciò che nei documenti evangelici non
concordi colle loro vedute. Helmholtz, Handbuch d. phyeiol. Optik; Wundt,
Grundzüge d. physiol, Psychol., Techernig, Optique physiol. -- miopia, ipermetropia, punto prossimo, ecc.. Acedia
-- animi remissio, mentis enervatio -- così designavasi, nella teologia
medievale, quella specio di depressione malinconica, di torpore dello spirito,
che impedisce l’azione volitiva e coglie specialmente chi conduce vita
solitaria e di meditazione. Tale disposizione d’animo è afinovorata tra i
peccati cardinali, per opposizione alla SPERANZA posta tra le VIRTÙ CARDINALI.
Nella psicologia moderna è considerata come una semplice anomalia della
volontà. Höffding, Psychologie -- abulia. ACERVVS, mucchio, si dice così un
antico sofisma, che Aristotele fa risalire a Zenone di VELIA, e che consiste in
questa argomentazione. Un mucchio di frumento, cadendo, non può produrre nessun
rumore, perchè in tal caso si dovrebbe sentire il rumore d’ogni grano, e delle
particelle d'ogni grano, il che non accade. Ma il mucchio non è che la somma
dei singoli grani, che cadono senza produr rumore. Dunque, il mucchio di grano
cadendo non produce in realtà alcun rumore, il quale è soltanto una parvenza
sensibile. Codesto sofisma ha poi assunto varie forme, delle quali la più
comune è la seguente. Se a un mucchio di grano si leva un grano, resta ancora
un mucchio. Se se ne levano due, ugualmente, fino a conchiudere che CON UN SOLO
GRANO si ha un mucchio di grano. Se si osserva che un grano non basta a far un
mucchio, si risponde che neppur due, tre, quattro, fino a conchiudere che
cento, mille, ecc. grani. non fanno un mucchio di grano. Aristotele, Physica.
Il sofisma d’Achille è uno degli argomenti di Zenone di VELIA contro la realtà
del movimento. Aristotele lo espone così. Un mobile più lento non può essere
raggiunto da uno più rapido; giacchè quello che segue deve arrivare al punto che
occupava quello che è seguito ο dove questo non è più (quando il secondo
arriva); in tal modo il primo conserva sempre un vantaggio sul secondo. Zenone
assume come esempio il piè veloce Achille inseguente una tartaruga; da ciò il
nome dato all’ argomento. Esso è poi formulato matematicamente nel seguente
modo. Siano i punti A ο B distanti tra loro d’ una lunghezza 1, ο
mocontemporaneamente nella stessa direzione con velocità disugaali, il oni
rapporto sia 9. Supponiamo che il punto
B, più vicino alla meta, sia il meno veloce; dico che la distanza che li separa
docrescerà sempre, ma non diventerà mai
0. Infatti mentre il punto A in un primo movimento percorre la lunghezza
1, il punto B, che è 9 volte meno veloce, percorrerà una lunghezza =; ; così
puro mentre il punto A in un secondo movimento percorre la lun1 ghezza il punto
B ne percorre la ga parte, cioè è Dopo un numero qualunque di movimenti, la
distanza fra i due Aco 10 mobili non sarà mai = 0, ma sarà sempre
espresss dalla frazione En Questo argomento, insieme agli altri coi quali
Zenone nega la pluralità e il movimento, ba appassionato vivamente i filosofi,
da Aristotele a Horbat. Bergson lo confuta, dimostrando come esso abbia origine
dalla confusione tra il movimento e lo spazio percorso dal mobile, poichè
1’intervallo che separa due punti è divisibile infiuitamente, e s’il movimento
fosse composto di parti come quelle dell’ intervallo stesso, esso non sarebbe
mai sorpassato. Ma la verità è che ciascuno dei passi d’Achille è un atto
semplice, indivisibile, ο che dopo un numero dato di codesti atti, Achille
sorpassa la tartaruga. Aristotele, Phys.; Bergeon, Essai sur les données imm. de la conscience. A contrario, nella logica si designa così un
ragionamento nel quale, in luogo di conchiudere per analogia semplice, a pars,
si conchiude da contrario a contrario. Per es.: se lo stesse cause, nelle
stesse condizioni producono gli stessi effetti, è naturale aspettarsi che cause
contrarie produrranno effetti contrari. L’acosmismo. T. Akoemiemus; I. Aoosmism;
F. Aoosmiame è il trmine applicato da Hegel al sistema di Spinoza, in
opposizione ad a-teismo, perchè il sistema spinoziano non nega l’esistenza del
divino ma piuttosto fa ri-entrare il mondo in essa. Il termine è rimasto
nell’uso per indicare il pan-teismo, e, in generale, quei sistemi filosofici,
come ad es. quelli di Malebranche, Berkeley, Fichte ecc., che negano
l’esistenza del mondo come realtà indipendente. Secondo Windelband anche la
filosofia di VELIA è un a-cosmismo, in quanto essi nega la realtà delle cose,
che l’esperienza offro in co-esistenza e successione, per non affermare che la
realtà dell’essere uno ed unitario; AMORE per i fisio-psicologi moderni ogni
manifestazione più squisita del sentimento d’amore non è altro che la
manifestazione complessa d’un fatto semplicissimo 1’attrazione di due elementi
vitali, di due cellule, che tendono 8 completarsi e ringiovanirsi
vicendevolmente. Spencer analizza molto scutamente l’amore sessuale, cercandone
gl’elementi costitutivi. Egli dimostra come l’amore è il più irresistibilo dei
nostri sentimenti perchè è il più complesso, essendo un aggregato immenso di
quasi tutte le eccitazioni di cui siamo capaci. Infatti, oltre alle sensazioni
© ni sentimenti strettamente egoistici, entrano a costituirlo le impressioni
complesse prodotte dulla bellezza, la stima di sè, il piacere del possesso, l’amore
dell’ approvazione, la simpatia, l’ammirazione, la venerazione, l’affezione, il
rispetto, il sentimento della libertà d’azione. Già fin do ORAZIO Flacco si sono
distinti cinque gradi o fasi psicologiche dell’amore sessuale: rise, auditus,
taotus, osculum, concubitue, I due primi gradi sono i più degni dell’uomo, i
più adeguati alla raffinatezza del suo senso estetico; i tre ultimi, nei quali
In voluttà raggiunge successivamente le forme più intense, gl’uomini hanno iu
comune coi bruti. Nel primo grado l’uomo subisce per vin degli occhi il fascino
delle forme e delle movenze femminili; come esprime il nostro poeta nei due
noti versi: E vien dagl’occhi una dolcezza al core che intender non la può chi
non la prova. TI senso uditivo opera nella seconda fase, e con tanto maggiore
intensità quanto più l’uomo à civile e artisticamente colto. E par che dalle
sue labbia οἱ mova uno spirto gentile pien d'amore che va dicendo all'anima:
sospira. La fisiologia considera queste fari anecessive come prodotte dal
progres Amo sivo diffondersi dell’eccitamento afrodisiaco nelle diverse sfere
sensoriali; dai lobi posteriori del cervello, centri visivo e nditivo, esso s’avanza
ai lobi anteriori, centri sensitivo-motori, si sprofonda nei lobi inferiori, centri
olfattivi, e si diffonde infine a tutto l’asse encofulo-spinale durante la
consumazione dell'atto riproduttivo. In senso teologico l'amore è il godimento
che il credente prova nell’intuizione di Dio; già per Platone l’amore, ἔρος, è
l'entusiasmo puro, libero da ogni sensibilità, verso la conoscenza dell’idee, e
particolarmente per la più alta di tutte, il bene divino. Per Plotino, l’amore
pel divino è la felicità massima dell’uomo. Agostino definisce lo stato dei
beati come la più sublime delle virtù, 1’amore, charitas. Nella beatitudine
eterna, in cui non ο) ὃ da superare la resistenza del mondo e della volontà
peccatrice, e in cui l’amore non ha più bisogno di acquietarsi, quest’amore è
una contemplazione ebra di Dio, Per AQUINO la mèta suprema d'ogni sforzo umano
è la visio divine essentie, da cui segue eo ipso l’amore del divino; concetto
che trova il suo poeta in ALIGHIERI, che lo porta a somma espressione di
bellezza. Per il Cusano invece l’anima, se vuol conoscer il divino, deve
cessare d’essere sè stessa, deve rinunciare a sè stessa; tale à lo stato del
conoscere sopra-razionale, dell’ immedesimarsi dell’uomo nel divino, stato di
eni il Cusano dice: esso è l’amore eterno, charitas, che vien conosciuto per
mezzo dell’ amore, amor, ed amato per mezzo della conoscenza. Per Spinoza
l’amor dei intellectualis è il risultato della conoscenza delle cose sub specie
wernitatis; poichè da codesta specie di conoscenza nasce una gioia accompagnata
dall’idea del divino come causa, cioè l'amore del divino, non nella misura
nella quale ci imaginiamo il divino come presente, ma nella misura nella quale
comprendiamo ch’il divino è eterno: è ciò che io chiamo: amore intellettuale del
divino. Codesto amore è eterno, poichè tale è la natura della conoscenza da cui
nasce, 9 quantunque non abbia avuto cominciamento ha tutte le perfezioni
dell’amore. Esso è infino una parte dell’amore infinito con cui il divino ama
sè stesso. Il divino ama sè stesso d’un amore intellettuale infinito. L’ amore
intellettuale dell’ anima riguardo al divino è l’amore del divino stesso, amore
di cui ama sè stesso, non in quanto è infinito, ma in quanto può essere
spiegato dalla essenza dell’anima umana considerata dal punto di vista
dell’eternità: ossia 1’amore intellettuale dell’anima riguardo al divino è una
parte dell’amore infinito di cui il divino ama sò stesso. Per Malebranche ogni
conoscenza umana è una partecipazione alla ragione infinita, tutte l’idee delle
cose finite non sono che determinazioni dell’ idea del divino, tutti i desideri
rivolti all’ individuale non sono che partecipazioni all’amore, inerente
necessariamente nello spirito finito, del divino come principio del suo essere
e della sua vita. Amore ο odio sono la personificazione delle due forze
cosmiche con cui Empedocle di GIRGENTI spiega la formazione e In dissoluzione
del mondo: l’amore è la causa per oni i quattro elementi originari, terra,
aria, acqua ο fuoco, si mescolnno insieme ο dànno luogo alle cose particolari,
l’odio la causa per cui gli elementi si separano ο le cose spariscono. Platone,
Simp.; Rep.; Agostino, De trin.; Spinoza, Ethica; Leibnitz, Nour. Eee,; LUCIANI
(vedasi) Fisiologia dell’uomo; SFUMENI (vedasi), Arch. di fisiologia, Firenze;
Höffding, Psychologie; Volkmann, Lehrbuch d. Peychol. Amorfo -- T. morph; I.
Amorphous; F. Amorphe – è ciò che non ha forma sistematica, ordinata. I biologi
dicono amorfa una sostanza organica ma non organizzata in cellule. I sociologi,
per analogia, chiamano amorfe lo società costituite da un insieme di individui
senza organizzazione nè differenziazione, o gli etologi amori quegli individui
che mancano di nn temperamento determinato (sensitivo, volitivo o apatico) per
mancanza di nnità nelle tendenze, negl’istinti, nei desideri. L’smusin. T.
Amusio; I. Amusia; F. .imusie – è una forma assai rara di amnesia parziale, che
si verifica nei musicisti, e consiste o nella impossibilità di leggere la
musica (a. vieira) pur rimanendo ln capacità di leggere i caratteri
tipografici; o nella impossibilità di cantare, ο di sonare il proprio stromento
(a. motrice); o nella impossibilità di comprendere con l'orecchio le nrie
musienli (a. uditira). Brissaud,
Malattie dell'encefalo. Nella religione greca anagogia designa la festa per la
partenza e il ritorno di un divino. Nella lingua teologica indica quei processi
che hanno per scopo di δυvreccitare il sentimento dei fedeli, intensificandone
le mistiche aspirazioni. Tali sarebbero i metodi per raggiungere lo stato d’estasi
religiosa. Leibnitz adopera il vocabolo anagoge come sinonimo di induzione, ἀναγωγή.
Dicesi anagogico quello tra i quattro sensi della scrittura che è considerato
come il più profondo e che consiste in un simbolo di cose costituenti il mondo
divino. L’analgesia -- analgesic, Analgie; I. -tnalgesia, Analgia; F. Analgésie
– è un sintomo frequente nelle malattie del sistema nervoso; è sinonimo di
algoanestesia, e consiste nella completa ο incompleta insensibilità al dolore,
co-esistente colla conservazione d’altre sensazioni o di parte di ease. Essa
può essere procurata anche per ipnotismo, in seguito a comando dell’operatore.
Non va confusa coll’anestesia. La sua importanza, dal punto di vista
psico-fisiologico, sta in ciò ch’essa può verificarsi anche quando rimangano
integri gli altri sensi cutanei (di contatto, di pressione, di caldo, di
freddo), comprovando con ciò la tesi di Brown-Sequard, Funke, Mtinsterberg, che
cioò esistano nella cute terminazioni nerveo speciali e nel sistema nerveo
centrale apparati sensitivi distinti per le sensazioni del dolore, contro la
tesi opposta, sostenuta da Latye, Wundt, Richet, ecc., che gl’organi periferici
ο centrali pelle sensazioni dolorifiche siano gli stessi che funzionano per le
sensazioni tattili e termiche. GRICE VERSUS PITCHER: Would I be happy to accept a pain sense in the way
in which sight or smell is a sense? I think not. For to do so would involve
regarding the fact that we do not externalize our pains as a mere linguistic
accident. Kiesow, Aroh. it. de
Biol., Zeitsohr. für Peychol.; Alrutz, Atti del Congr. di Psicologia, Roma -- dolore,
modalità, tono. Il significato della parola “Analisi. Τ. .inalyse; I. Analysis;
F. Analyse -- è molto vago molto vario. Ad ogni modo, ricorrendo alla sua
etimologia, analisi significa scomposizione di un tutto ne’suoi clementi, ἀνα-λύειν
-~ decomporre, sintesi composizione di un tutto per mezzo de’suoi elementi, 3uy-tidy1t
= comporre insieme. Trasportate nel pensiero, si dice analitica ogui funzione
che distingue in un tutto una o più parti, sintetica quella che combina parti
diverse e ricostruisce un tutto risoluto, ο di unità preesistenti forma un
tutto nuovo. Nella logica il procedimento 0 metodo analitico consiste nel
partire dai fatti particolari per nasorgere ad una legge, prima ignorata, che
tutti li abbracci e li spieghi; il procedimento sintetico consiste nel partire
da nn principio generale noto per trarne le conseguenze. Il primo procedimento,
in cui si va dal meno al più, costituisce ’ indusione ; il secondo, in cui si
va dal più al meno, la deduzione. Pure nella logica, dicesi analitica’ la prova
che va dagli effetti alle cause, sintetica © progressiva quella che va dallo
cause agli effetti; analitico il concetto le cui note sono sciolte dal loro
logamo logico, sintetico se sono pensate secondo quel legame. Nelle matematiche
la parola Analisi fu un tempo sinonimo di Algebra, la quale, in quanto metodo,
consiste infatti nel supporre il problema risolto per dedurre Je condizioni
della soluzione, cioè risalire dalla conseguenza cercata alle sue premesse;
oggi l’Analisi designa specialmente il calcolo infinitesimale, per opposizione
alla teoria delle funzioni. Wundt, Logik; Masci, Logica, Grice/Strawson, In defense of a dogma, in
Studies in the way of words. Per Aristotele l’analitica è l’arte dello
scomporre il pensioro nelle se porti; perciò dal si dice Analitica quella parto
dell'Organo di Aristotele che tratta dell’arte di ridurre il sillogismo nelle
sue diverse figuro (Prime analitiche) e dà le regole della dimostrazione in
generale (Ultime analitiche). Per Kant l’analiticn è la scienza delle forme
dell’intendimento ; essa decompone tutta l'opera formale dell’ intendimento e
della ragione nei suoi elementi e li presenta come i priueipt di ogni
apprezzamento logico della conoscenza, ed è quindi, almeno negativamente, la
pietra di paragone della verità, poichi bisogna secondo lo regole di essa
controllare e gindicare la forma di ogni conoscenza. L’analitica trascendentale
è una delle due parti in cui è divisa la logica del Kant. Essa ha per oggetto di
scomporre la nostra facoltà totale di conoscere a priori nei concetti
elementari della scienza pura »; si distingue in Analitica dei concetti dell’
intendimento puro e Analitica dei principî dell’ intendimento puro: questa è la
dottrina del giudizio, quella l’analisi delle facoltà dell’ intendimento, che
ha per scopo di spiegnre In possibilità di concetti a priori, ricercandoli
unicamente nell’ intendimento stesso come in loro fonte vera e naturale.
Aristotele, Rhetor.; Kant, Krit. d. reinen Fera., ed. Kehrbach. Analitici,
sintetici, giudizi, Kant, seguendo l’antica distinzione, chiama analitici quei
giudizi il cui predicato è necessariamente contenuto nel pensiero del soggetto
– That child is not an audlt – Grice/Strawson --, e che quindi si rica con una
semplice analisi del soggetto medesimo; sintetici quelli il cui predicato è
preso fuori del soggetto – That child understands Russell’s theory of types.
Es. g. sint. Il triangolo ha tre lati; g. an. Napoleone morì a S. Elena. I
giudizi sintetici possono, secondo Kant, essere a priori o a posteriori. Sono
sintetici a posterioni quei giudizi nei quali il fondamento del rapporto tra
predicato e soggetto è l'atto stesso della percezione; invec nei sintetici a
priori, cioè nei principi universali che danno la spiegazione dell’ esperienza,
il fondamento è qualcos’ altro, che dev’ essere cercato. Ma per Kant
l’apriorità è questo un punto essenzialissimo della sua dottrina non significa
qualche cosa che precede nel tempo I’esperienza, bensì l’universalità di valore
dei principi razioni universalità che trascende ogni esperienza e non si può in
alcun modo fondare sul’ esperienza. Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach; Proleg.;
Ewald, Kante methodologie, Grice: Nothing can be green and red all over no
stripes allowed. Nel suo
significato commune, l’Analogie. T. Analogie; I. Analogy; F. Analogie -- è la
somiglianza più ο meno lontana esistente tra due o più cose o fatti ; nel senso
primitivo è ugnaglianza di rapporti o proporzione matematica; nella logica
l’analogia ο ragionamento analogico è un razioeinio col quale, date due coso
aventi un certo numero di caratteri comuni, un nuovo carattere che si riconosca
appartenere all’una di esse, viene attribuito ancho all’ altra. In altre
parole, l’analogia, a differenza dell’ induzione, conclude da particolare n
particolare, inferendo da alcune somiglianze note altre che non sono note. Il
tipo dell’analogia è il seguente: A (che è πι, n, 4) ὃ P Sèm,n,4 sıP. La
conelusiono dell’ analogia è dunquo soltanto probabile; giacchè, per esser
certa, bisognerebbe che il termine maggiore fosso convertibile semplicemente
(ciò che è m, n, q è A) Il suo grado di probabilità cresce col diminnire dei
punti di differeriza e del numero delle proprietà sconosciute. L’analogia può
essere di identità o di coordinarione. La prima ha luogo quando fra due coppie
di concetti esiste identità di rapporto ο di sostanza; ad es. l'estensione
della legge della gravità terrestre a legge della gravitazione universale. La
seconda quando fra i due concetti esiste solo una identità di rapporto; ad cs.
le analogie tra lo spazio visivo e il tattile, tra la propagazione del calore e
quella del suono. E celebre 1’analogia d’ identità con la quale Franklin,
movendo da alcune somiglianze fra il fulmine e l'elettricità, argomentd che
anche quello, come questa, doveva essere attirato dalle punte metalliche.
Analogie dell'esperienza chiama Kant le regole secondo le quali dalle
percezioni deve uscire l’unità della esperienza. Esse si appoggiano su questo
principio generale. L’esperienza non è possibile che per la rappresentazione di
un logame necessario delle percezioni. Tre sono i modi secondo i quali i
fenomeni esistono nel tempo, e ciod durata, successione, e simaltaneità ; tre
sono quindi le analogie dell’ esperienza. Prima anslogis : principio della
permanenza della sostanza: la sostanza persiste nel cambiamento di tutti i
fenomeni ela sus quantità non aumenta nè diminuisce nella natura. Seconda:
principio della causalità: Tutti i cangiamenti avvengono secondo In connessione
degli effetti e delle cause. Terza: principio di simultaneità secondo la legge
d’azione reciproca: tutte lo sostanze in tanto cho possono esser percepite come
simultanee nello spazio, sono in una azione reciproca generale. Nella lingua scolastica analoga sono quelle
cose delle quali il nome è identico, mentre la ragione significata dal nome è
in parte identica in parte no, come il divino e la creatura rispetto all’ arte.
Analoga attributionia sono quelle cose a cui conviene un nome comuno nel senso
medesimo, ma per titolo diverso; analoga proportionalitatis quelle cose a cui
conviene un nome comune con significato simile e con proporzione, come al mare,
al cielo e all’animo dell’uomo la serenità. Aristotele, Anal. prior.; Kant,
Krit. d. reinen Vern., ed. Kohrbach; Wundt, Logik, PAGUINI (vedasi), Le
analogie, Cult. filosofica; CHIDE, La logique de l’analogie, Rev. phil., Sageret,
L’analogie scientifique. Grice, analogia come parte dell’escatologia. Analogismo
-- T. Analogiemus, Analogiererfahren; I. Analogiem; F. Analogieme – è, in
generale, ogni indirizzo che si vale del ragionamento analogico per giungere
alla conoscenza di qualsiasi categorin di fenomeni. E quindi analogismo
quell’ndirizzo sociologico, che concepisce la società come un organismo
vivente, in cui gli individui rappresentano le cellule, e ricava lo leggi
dell'organismo sociale dallo studio delle leggi dell’organiamo biologico. In
senso più ristretto analogismo equivale a idealismo realistico, monismo
spiritualistico, antropomorfismo, ecc.; ossia quell’indirizzo filosofico cho
concepisce ln realtà esterna per analogia con la realtà interna, cioè con la
coscienza umana. Nella sua forma riflessa esso comincia con Leibnitz. per il
quale appunto la natura delle monadi ci è resa intelligibile per via dell’
analogia con i nostri stati interni; la legge dell’analogia ci impone di
professare ovunque il principio tout comme oi (simile ul tout comme chez nous
di Holberg). Leibnitz, Nour. Essaie, Erdmann; Hiffding, Hist. de la phil. moderne. Nella dottrina platonica, l’anamnesi. – Ανάμνησις
-- è la reminiscenza, ossia quel movimento per il quale lo spirito
dall’opinione si innalza alla scienza. Esso infatti si produce spontaneamente
alla vista dei vestigi della verità, della bellezza, dell'uguaglianza,
dell’unità dell'essere, che si riscontrano negli oggetti dell'opinione; sembra
quindi che codesti attributi ci siano conosciuti primitivamente e che noi non
facciamo che riconoscerli. Da ciò viene che per Platone la filosofia non è che
una reminiscenza. Con 1’esempio del teorema di Pitagora, egli mostra che la
conoscenza matematica non proviene dalla percezione sensibile, ma che questa
fornisce soltanto l'uccisione per cui l’anima richiama alla memoria la
conoscenza preesistente in essa, cioò avente un valore puramente razionale.
Ora, se le idee preesistono nell’ anima alla percezione, l’ anima deve averle
ricevute prima; e infatti le anime, prima della vita terrena, hanno, secondo
Platone, veduto nel mondo incorporeo le puro forme della realtà, © la
percezione di cose corporee simili richiama (secondo le leggi generali dell’
associazione e della riproduzione) il ricordo di quelle imagini, dimenticate
durante la vita corporea terrena; da ciò nasce l’ impulso filosofico, l’amore
per le idee (dpwg), con cni l’anima #'innalza di nuovo alla conoscenza di
quella vera realtà. Cfr. Platone, Men., 80 segg.; Fedro, 246 segg.; Fedone, 72
segg. Anarchia. T. Anarchismus; I. Anarchy; F. Anarchie. Secondo l'etimologia
greca (& priv. ἀρχή --comando) significa assenza di ogni autorità, di ogni
legge, di ogni capo. Nella sociologia ai distingue 1’ anarchiemo politico, che
ebbe per maestro Proudhon, e propugna l’ assoluta eguaglianza fra gli uomini,
l'abolizione di ogni proprietà e autorità, meno la familiare, e la spartizione
dei prodotti, ealcolati secondo le ore di lavoro; il comunismo anarchico,
fondato da A. Herzen, M. Bakunin, ecc., che vuol tutto abbattere, famiglia,
proprietà, stato, religione, per raggiungere V’ amorfismo politico; il
collettiriemo anarchico, che ammette un potere pubblico per la ripartizione dei
prodotti derivanti dallo sfruttamento delle terre e delle macchine, per opera
di associazioni di operai e d’agricoltori. Pietro Kropotkin tentò per ultimo di
unificare le varie dottrine anarchiche ; il suo armonismo sociologico, sia che
cerchi di fissare una presunta posizione scientifica dell’anarchia, o tenti una
valutazione critica dell’ ordinamento rociale e politico presente, 0 si
avventuri in previsioni sulla società avvenire, ha qualche parentela
formalistica ed estrinseca col sistema evoluzionistico dello Spencer, l’unico
filosofo che abbia posizione nel corso normale della acienza da cui gli
anarchici mntuino qualche detrito frammentario ANA-ANE li 46 di
pensiero. Tuttavia l’armonismo sociologico del Kropotkin ha, dimostra lo
Zoccoli, un carattere di troppo palese provvisorietà empirica per poter
assorbire ed acquietare le tendense di autonomia dottrinale, che si manifestano
anche tra gli anarobici; nn esempio tipico lo offre la dottrina dell'americano
Tucker, che giunge bensì allo stesso conseguenze estreme del comunismo del
Kropotkin, ma attraverso premesse aspramente individualistiche in politica, in
economia e in morale. Cfr. E. Zoccoli, L’anarekia: gli agitatori, le idee, i
fatti, 1907. Anatomia e fisiologia comparate. Scienze fondate dal Cuvier, ma
già intravvedute con precisione da Aristotele. Esse, fondandosi sullo studio
comparativo delle vario forme organiche, cercano stabilire le leggi generali di
parentela fra i diversi gruppi © i modi probabili di evoluziono dei vari
apparecchi dell’ organismo animale. Sebbene la natura delle due scienze sia
molto nffine, cosicchè spesso si confondono, tuttavia scopo specifico della
seconda è lo studio dello analogie esistenti tra i vari organi degli animali,
della prima è invece lo studio delle omologie. Si dicono analoghi quegli organi
che, sebbene djversi anatomicamonte fra loro, sono nei vari animali impiegati
agli stessi usi, ul es., le branchie dei pesci, le trachee degli insetti, i
polmoni dei mammiferi; si dicono omologhi quegli organi che, quantunque
morfologicamente uguali, compiono nei diversi animali funzioni diverse, ad es.
le autonne degli insetti, gli aculei dell’ istriee, le penne dogli uccelli.
Cfr. R. Besta, Anatomia ο fisiologia comparata, 23 cd., Hoepli. Anatreptica
(évatpénw = abbutto). L’ arte di rovesciare le proposizioni di un avversario.
Fa parte dell’agoniatica, che è quella parte della dialettica che consiste in
veri e propri certami o dispute (v. dialettica, erintica, maieutiva, ece.).
Anestesia. l. Anisthesie; I. Anaesthesia; F. Anesthésie. Insensibilità a
qualsiasi eccitazione, che pnd essere deter 47
ANF minata da una lesione degli organi periferici (pelle) o dei centri
nervosi (enogfalo, midollo spinale). Nel primo caso si ha l’a. periferica, nel
secondo caso Va, centrale; è speciale se limitata ad una sola regione del
corpo. Si dicono poi sistematiche quelle anestesie in cni il soggetto, pure
avendo tutti i suoi sensi intatti, non percepisco che le sensazioni cho
riguardano un dato oggetto, oppure è incapace di percepiro quelle cho si
riferiscono a un dato oggetto. Anestesimetro è lo strumento con cui si misura
il grado della anestesia. In senso
figurato dicesi anestesia del senso morale (ethische Farbenheit dei tedeschi)
la mancanza di senso morale, che si riscontra in alcuni individui i quali pure
non ignorano le leggi della moralità, ma sono impotenti a seguirle appunto
perchè la loro coscienza morale non è sorretta e guidata da alcuna di quelle
tendenze emotive, che spingono 1 uomo verso il bene; essi appartengono alla
entegoria dei folli morali, © si distinguono dai ciechi morali (ethische
Blindheit dei tedeschi), che mancano affatto di coscienza morale, © dagli
abnliei morali, nei quali le tendonze emotive verso il bono esistono, ma sono
troppo. deboli per lottare contro quelle che spingono I’ individuo al
soddisfacimento dei suoi appetiti e delle suc passioni. Cfr. Kraft-Ebing, Die
Lehre ton mor. Wahnsinn, 1871; Dagonet, Folie morale, 1878; Bonvecchiato, Il
senso morale e la pazzia morale, 1883 (v. analgesia), Anfibolia. T. {mphibolie;
I. Amphibolia; F. Amphibolie. Vocabolo greco, col quale si designa, nella
logica, l'eq voco di senso risultante dalla costruzione di una frase, © dall’
nso di termini di doppio significato. Kant chiamava anfbolia dei concetti della
ragion pura la possibilità di nostitnire all’uso empirico dei principi dell’
intelligenza che non hanno valore se non per rapporto agli oggetti
dell’esperienza un uso trascendentale illegittimo; percio egli la chiama
amfbolia trascendentale o fa una critica della monadologia leibnitziana, che
considera come riposante au ANF-ANI
48 tale anfibolia. Cfr.
Aristotele, Le soph. elench.; Kant, Krit. d. reinen Pern., ed. Kehrbach, p.
245. Anfibologia. T. Amphibologie; I. Amphibology ; F. Amphibologie. E una
forma di sofisma molto simile all’ anfibolis, ma si usa specialmente per
indicare l’ ambiguità risultante dall’ uso di certe forme sintattiche. Es. la
frase latina dico lupum mordere canem » è un’ anfibologia, perchè può
significare tanto io dico che il lupo morde il cane » quanto io dico che il
cane morde il lupo ». Anima. T. Seele; I. Soul; F. Ame, Prima che comineinsse
la speculazione filosofica, l’uomo s'era già volto ad esaminare quale fosse il
substratum dei fenomeni dell’esperienza interna, e per prima cosa separò questo
dal corpo, spintovi forse dai sogni, poi l’identificò col soffio dolla
respirazione; tale infatti è il significato etimologico del latino animus, del
sanscrito dtman, dal greco φυχή. Sorta la filosofia, il concetto di anima
assunse via via vari ed opposti significati, che si possono tuttavia ridurre a
quattro fondamentali: 1° L’ anima è concepita come sostanza spi rituale,
semplice, inestesa, immortale, indipendente e distinta dal corpo; ciò
costituisce lo spiritualismo, detto anche dualismo perchè pone la dualità
fondamentale del corpo e dell’ anima, della materia ο dello spirito. 2° L'anima
è considerata non come esistente per sè, ma come una semplice funzione
dell'organismo; ciò costituisce il materialiemo, che è monistico quando ammette
la sola sostanza materiale e fa dello spirito una attività di ossa, dualistico
quando considera 1’ anima come una sostanza materiale simile alla corporea. 3°
L’ anima è considerata come I’ unica realtà, mentre tutte le altre cose non
sono che una parvenza o una derivazione di essa; tale è la dottrina sostenuta
dall’ idealismo o moniemo spiritualistico. 4° Infine l’ anima è identificata
col corpo, i fenomeni psichici coi fisici, considerandosi però gli uni e gli
altri come manifestazione di un principio auperiore che li contiene e li
domina, di un prinei 49 ANT pio che è la
sola roaltà; questa è I' ipotesi fondamentale di due sistemi, che, del resto,
differiscono molto nel fondo: il panteirmo e il moniemo. A queste quattro
vedute fondamentali si può aggiungere lu dottrina fenomenistica moderna, che
trae le origini dallo scetticismo di Hume e dal criticismo di Kant. Essa
abbandona alla metafisica ogni specalazione astratta sull'anima, limitandosi a
studiarne scientificamente le manifestazioni. Non afferma che l’anima esista o
non esista, ma soltanto che essu è un qualche cosa di sconosciuto, di
inconoscibilo forse; e che, in ogni caso, il problems non potrà essere risolto
con le ipotesi ο le congetture, ma con le ricerche minute, pazienti, positive
dei Senomeni peichici. Affine al fenomenismo è l’attualiemo, ılottrina
contemporanea che nega nella coscienza qualunque sostrato permanente,
affermando che i fatti psichici sono reali solo quando e in quanto sono
attuali, e che questi essendo in continua successione, la realtà della
concienza si risolve nella attualità dei suoi stati. Ad ogni modo la parola
anima implica, sia dal punto di vista empirico o fenomenico che dal metafisico,
una opposizione con I’ idea di corpo, e si distingue tanto dallo spirito quanto
dal me: da quello in quanto contiene P idea d’ una sostanza individnale ed ha
una estensione maggiore, applicandosi la parola spirito specialmente alle
operazioni intellettuali ; dal me in quanto questo non è di essa che una parte.
Aristotele chiama anima regetatica quella che produce la nutri zione,
l'accrescimento, la riproduzione degli esseri viventi ; a. pensante quella che
è il principio del pensiero, sin puro che discorsivo: a. sensitiea quella che è
il principio della sensibilità, anche negli esseri irragionevoli. Bacone chiama
a. sensibile uno sostanza puramente materiale, costituita dagli epiriti animali
e propria tanto dell’uomo che dei bruti. Cfr. Platone, Filebo, cap. 30; Fedone,
cap. 2: stotele, Je an., I, 2; Cicerone, De nat. deorum, III, 14, 3 Plotino,
Enneades, V, 5; Bacone, De augm., IV, 3; Carte» 4 Raxcout, Dirion. di scienze flosofiche. ANI 50
Principia philos., IV, 196; Holbach, System de la nature, 1770, vol. I,
p. 118; Kant, Arit. dor reinen Tern., ed. Kirchm., p. 324-337; Lotze,
Microkoemus, 1879, vol. I, p. 101170; Vogt, Physiol. Briefe, 1845; Lange,
Gesohichte d. Materialismus, 1874; Wundt, Grundsüge d. pysiol. Psychologie,
1880, vol. I, p. 8 segg.; II, p. 453-463; Ferri, La psychol. d. l'association,
1883, p. 286-293; Mausdley, La physiol. de Veaprit, 1878, p. 75 segg.;
Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900,
p. 8-23; Hamilton, Lectures on metaph., 1882, vol. I, p. 138 segg.; Spencer,
Princ. of. peyohol., 1874, P. 11, $ 58, 59, 63; F. Bonatelli, Disoussioni
gnoseologiche e note critiche, 1885; G. Sergi, L'origine dei fenomeni psichici,
1885; Ardigò, Opere ΠΙ., I, p. 189 segg.; VII, 17 segg.; G. Villa, La psiool.
contemporanea, 2* ed. 1911 (v. parallelismo, idealismo, priohe, io,
immortalità, semplicità, unità, identità). Anima del mondo. Gr. Ἡ τοῦ παντὸς
φυχή; Lat. Anima mundi; T. Weltseele, Wellgeiat; I. Soul of the world; F. Ame
du monde. Dottrina propria specialmente di Platone e degli stoici. Secondo
Platone, il mondo è opera della ragione; ina la ragione non può stare
senz'anima; di qui l’anima del mondo che fu creata da Dio per prima, ο serve da
mediatrice fra I’ indivisibile o il divisibile, fra le ideo ο le cose
sensibili. Per gli stoici, invece, il mondo è un immenso corpo organizzato,
fornito di un’ anima come gli organismi individuali: quest’ anima, costituita
da un fuoco etereo purissimo, è, nello stesso tempo, la ragion seminale del
mondo, il principio di universale attività, la provvidenza che sn tutto vigila,
in una parola Dio stesso. Cfr. Platone, Timeo, 34 b segg.; Aristotele, De
anima, 407 a; Cicorone, De nat. deorum, II, 8 (v. demiurgo). Animali (spiriti).
Lat. Spiritus animales; T. Tiergeister, Nercengeister ; F. Esprits animaur. Secondo
un’ antica dottrina, durata lunghi secoli ma da tempo abbandonata, I’ attività
sensoriale e motrice dell’ anima sarebbe determinata dagli spiriti animali,
sostanza gassosn prodotta dal sangue 51 ANI e scorrente attraverso i nervi al
cervello. Erasitrato, nipote di Aristotele, considerava gli spiriti snimali
come provenienti dal cervello, gli spiriti vitali dal cuore; secondo Galeno gli
spiriti animali derivano da una mescolanza dell’aria aspirata dalle narici con
gli spiriti vitali condotti dal cuore ai ventricoli laterali del cervello
mediante le arterie, ed erano trasmessi dal cervello ai nervi per determinare
il movimento e la sensazione. Tale dottrina, più o meno modificata, fu accolta
da S. Agostino, 8. Tommaso, Telesio, Bacone e Descartes, per il quale gli
spiriti animali sono secreti dal cervello attraverso dei pori cho s’aprono nei
ventricoli, e, sccumulandosi in queste cavità, eccitano I anima situata nella
glaudola pineale; la volontà, a sus volta, muove gli spiriti animali dei
ventricoli per mezzo della glandola pineale, e li distribuisce per la via dei
nervi a tutte le parti del corpo: Notum eat, omnen hos motus musculorum, ut
omnes sensus, pendere a nervis, qui sun! instar tenuium filamentorum aut instar
parvorum tuborum, qui er corebro oriuntur; et continent, ut et iprum cerebrum,
certum quendam aërem aut ventum subiilissimum, qui apirituum animalium nomine
ezprimitur. Lunghe discussioni seguirono poi tra gli scienziati intorno alla
natura, all’ origine, alla sede degli spiriti animali; ma solo verso la fine
dell’ ottocento si cominciò a sostituirli con I’ ipotesi della vis nervosa, o
corrente meurilica, che propagandosi lungo il cilindrasse delle fibro trasporta
le eccitazioni sensorie dalla periferia all’ encefalo ο le motorie dall’ encefalo
alla periferia. Cfr. Telesio, De rer. nat., V. 5; Bacone, Nov. Org., Il, 7; Hobbes, De
Corp., C. 25; Descartes, Pass. an., 1, 7; Vulpian, Leçons sur la physiol. du
syst. nerreuz, 1868: Bastian, Le cerveau org. de la penade, trad. franc. 1888, II, Ρ. 111 segg. Animismo. T. Animiemus; I. Animiem; F.
Animisme. Nella storia delle
religioni, dicesi animismo la credenza nell'esistenza degli spiriti, da cui
ogni cosa è animata: à ANN una delle forme della religiosità primitiva. Si
distingue dal fetieismo, che consiste nell’ adorazione degli oggetti materiali
in oui si crede dimori uno spirito. Una forma affine di animismo consiste nella
credenza che tutta la natura sia animata, senza che ciò implichi l’esistenza di
agenti distinti dai corpi. Nella filosofia, designa quella dottrina che spiega
tutti i fenomeni della vita ponendo a causa originaria di essi l’anima,
principio ad un tempo della vita e del pensiero. L’ animismo filosofico 6’
oppone all’organicismo, al meccaniciemo ο al vitaliemo, obbiettando al primo
che la forza direttrice e creatrice, ch’ esso pure ammette negli organi, se
distinta dalla materia vivonte è una pura concezione metafisica, se
identificata colla materia stessa, è, in fondo, l’anima; al secondo, che in
ogni essero vivente esiste un’ idea direttrice e creatrice inesplicabilo colla
semplice trasformazione del movimento ; al terzo, cho I’ esistenza di due
anime, la vitale e la ponsante, Puna accanto all’ altra © ignorantisi a
vicenda, è incomprens bile e, ad ogni modo, più difficile a spiegare che non
l’esistenza di un’ anima sola. Si distinguono due specie di animismo
filosofico: 1’ nna considera il corpo come prodotto © organizzato dall’anima,
l’altra, più consona αἱ risultati della scienza moderna, e contraddistinta col
nome di ani. miamo polizoista, considera ogni elemento anatomico vi vente
(cellule), come un piccolo animale, cosicchè il corpo sarebbe prodotto dal
consonso di tutte queste anime elementari. Cfr. Tylor, La première
civilisation, 1875; H. Spencer, Principî di sociologia, trad. it. Bibliotoca
dell’ economista, p. 145 sogg.; Hans Driesch, Il vitaliemo, atoria e dottrina,
trad. it. 1911; Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1904, p. 264 segg.
(v. cellulare pricologia, vita, duodinamismo). Annientamento. T. Vernichtung;
I. Annihilation; F. Annihilation. Si distingue dal semplice cangiamento ©
designa il passaggio dall’ Essere al non-Essere; è quindi il contrario di
oreazione, che è il passaggio dal non-Essere
53 ANO-ANT all’ Essere. Non
sempre però il vocabolo è preso in senso assoluto (v. ecpirosi). Anoetico e
dianoetico. Aristotele distingue le virtù in dianoetiche ed etiche, cioè virtù
dell’ intelletto ο virtà del sentimento (4806): il loro carattere comune sta
nel diventare qualità stabili della persona, ma mentre le prime provengono
dall’ esperienza e dalla educazione, le seconde devono nascere dall’abitudine
pratica dell’azione, che loro corrisponde. Due sole sono, in fondo, le virtù
dianoetiche, cioè prodotte specialmente dall’intelletto: la sapienza (σοφία) ©
la prudenza (φρόνησις), secondo che l’operare normale dipende più dall
intelligenza filosofica o da esperienza ο pratica. Il Rosmini, risuseitando con
diverso significato i vocaboli già usati da Platone e da Aristotele, chiama
modo anoetico il modo di pensar I’ essere prescindendo da ogni sua relazione
con la mente, ed essere anoetico l’ essere così pensato; chiama invece essere
dianoetioo ο modo dianoetico quando 1’ essere è pensato colla sua relazione
essenziale alla mente, per mezzo della riflessione colla quale l’uomo s’accorge
che I’ essere è essenzialmente intelligibile. Cfr. Aristotele, Eth. Nio., I,
18, 1103 a, 5; II, 1, 1103 a, 15 segg.; Rosmini, Nuovo saggio, 1890. Anomalia.
T. Abnormität, Anomalie; I. Anomaly; F. Anomalie. Vocabolo ormai fuori d’ uso,
preferendosi ad esso V altro di anormalità. Esso significa eccezione alla legge
(a priv. ο vipog= legge); ma le leggi naturali non soffrono eccezioni, e quelle
che si dicono tali nou sono, in fondo, che leggi particolari esse medesime,
avverantesi sia pure in un numero ristrettissimo di casi, ma sempre logate al
determinismo causale. In generale per anomalia si intende ogni fenomeno che si
allontana dal tipo ordinario; in an senso particolare designa le deviazioni
gravi d’un organo o di una funzione. Antagonismo. T. Antagoniemus ; I.
Antagonism ; lagonieme. Si dicono antagonistiche due rappresentazioni che, nel
momento della deliberazione volontaria, si manifestano alla coscienza con forza
l’ una impulsiva l’altra inibitoria. Si dicono antagonistici due muscoli che,
contraendosi, danno luogo a movimenti inversi. Sono antagonistiche due forze
quando il momento della risultante è uguale alla differenza dei momenti dei
loro componenti; sono invece sinergiohe quando il momento della risultante è
uguale alla somma dei momenti dei loro componenti. Antecedente. T.
Vorhergehend, Antecedens ; I. Antecedent; F. 4ntéoédent. In un rapporto
qualsiasi, logico o metafisico, dicesi antecedente il primo termine,
conseguente il secondo. Così lo 8. Mill ha definito la causa come l’antecedente
invariabile e incondizionale di un fenomeno »; l’effetto in tal caso è il
conseguente. Nel giudizio ipotetico dicesi antecedente lu prima parte, che
enuncia la condizione, conseguente la seconda che enuncia il condizionato; nel
giudizio se S è vero, P ὁ vero, 8 è l’antecedente, P il conseguente. Nella
psicologia e nella teoria della conoscenza cesi antecedente d’un fatto ο d’uno
stato di coscienza, ogni fenomeno che li precede nel tempo. Nella medicina
diconsi antecedenti gli avvenimenti individuali o ereditari che possono
spiegare certe anomalie attuali in un dato soggetto. Antecritico. Si suol
designare così quel periodo della vita del Kant, che è anteriore alla
pubblicazione della dissertaziono latina sul mondo sensibile e intelligibile, e
alla libri pubblicati dal grande filosofo nel periodo antecritico, è manifesta
l’iutluenza della filosolia wolfiana ο inglese. Ante rem. Che preesiste alla
cosa. Alcuni scolastici realisti, che ammettevano cioè la realtà degli
nniversali, dicevano, conformandosi alla dottrina platonica, che codesti
universali sono ante rem, preesistono alle cose individuali idealismo,
realismo, terminismo). Anteriore. T. Früher; I. Anterior, prior; F. ‘intérieur.
In generale ciò che precede, che vien prima. Tuttavia occorre distinguere I’
anteriore aronologico, con cui si designa ciò che precede nell’ ordine del
tempo, dall’anteriore logico, che indica il termine da eni un altro dipende.
Es. nella formazione geologica il periodo eolitico è cronolo; camente anteriore
al paleolitico; nel ragionamento sillogi stico la maggiore è logicamente
anteriore alla conclusione. Antesubietto. In generale, ciò che precede
cronologicamente o logicamente il soggetto. Il Rosmini chiama così l'essere,
che è il soggetto dei soggetti, e distingue un antesubietto dialettico e un
antesubietto ontologico. Il primo è quello che la mente prepone, nell’ atto del
concepirle, a entità che sono supposte tali mentre non sono, come al nulla e
all’ assurdo; ο, in altre parole, quell’antesubietto di cui la mente abbisogna
per concepire le cose. Il secondo è invece quello che la mente prepone ai veri
atti successivi o ai termini dell’ essere. La mente concepisce poi le cose per
I’ atto dell’ essere, e questo le appariace come assolutamente essente ©, ad un
tempo, come per sò intelligibile; dunque esso costituisce un antesoggetto ad un
tempo ontologico ο dialettico. Cfr. A. Rosmini, Nuovo saggio, 1830.
Anticipasione. T. Anticipation; I. Anticipation; F. Anticipation. È il greco
πρὀληψις, che Seneos tradusse con presumptiones. Secondo gli stoici, non
esistono in resltà che i singoli, mentre gli universali non sono che concetti
soggettivi, formati per astrazione. Alcuni di questi concetti, nati dalla
percezione, sono comuni a tutti e perciò essi li chiamavano anticipazioni, non
perchè li credessero innati come a torto si interpreta da molti ma per contrap
porli a quelli la cui formazione richiede le norme della dialettica. Gli
epicurei, che adottarono pure questa dottrina, la intesero in modo alquanto
diverso: secondo essi la conoscenza si fonda semplicemente sulle percezioni
sensibili © sulla rappresentazione di più percezioni simili che rimangono nella
memoria; le prime chiamavano sensazioni, le secondo anticipazioni. Il Gassendi
ha ugualmente definita l’anticipazione oomprehensionem animi, opinionemve
quandam congruam, sive mavis intelligentiam menti defizam,existentemque quasi
memoriam monumentumve cius rei, qua extroreum sapius apparuerit. Anticipazioni dell'esperienza si soglion dire
quelle congetture provvisorie, concepite a priori, che dovranno più tardi
essere confermate o distrutte dai fatti e che servono intanto come idea
direttiva, come punto di partenza delle esperienze. L'ipotesi sarebbe appunto
un’ anticipazione sull’ esperienza. Kant
chiamava anticipazione della percezione îl secondo dei principi delintelletto
puro », che si formula coeì : ogni fenomeno ha una quantità intensiva, vale a
dire una gradazione. Nella fisica codesta quantità intensiva costituisce lu
forza; dunque tale proposizione è il principio a priori della dinamica. Cfr.
Diogene Laer., VII, 154; Cicerone, De nat. deorum, I, 16; Kant, Krit. d. reinen
Vern., ed. Kehrbach, p. 162, 169 (v. ipotesi, senso comune). Antiegoismo v.
Altruismo. Antilogia. Gr. “Avtoyia; T. Antilogie; I. Antilology ; F. Antilogie.
Artificio del linguaggio, mediante cui si riuniscono due parole di opposto
significato, o due giudizi che si escludono. L’ antilogia è uno dei tropi degli
antichi filosoti scettici: tra le due proposizioni contradditorie e di ugual
valore, che si possono sempre profferire d’ogni cosa, essi non affermavano nè
l'una nd l’altra. Tale dottrina era riassunta nella seguente formola: Παντὶ
λόγῳ λόγος ἀντιχεῖται. Alcuni
psicologici moderni designano con 1’ espressione antilogia della volontà il
fatto per cui, anche negli individui normali, la volontà cosciente e razionale
è spesso turbata da impulsi oscuri, da tendenze inesplicabili, che, quantunque
ordinariamente represse, spingono talvolta ad azioni irragionevoli e di cui non
si aa dare spiegazione. Il fatto è spiegato mediante I’ azione che l’
incosciente esercita sulla deliberazione volontaria. Cfr. Spitta, 57 ANT
Die Willenbestimmungen und ihr Verhältnisse su dom impulsicen Handlungen, 1881;
Höffding, Peychologie, trad. frane. 1900, p. 447 (v. inooscionte). Antinomi.
Setta di eretici cristiani, non molto diversa dal quietismo francese del secolo
XVIII, la quale sosteneva che per salvarsi non è necessaria l’ osservanza della
legge, ma basta la fede. Cfr. Dorner, Syst. of. christ. doctrine, 1. IV, p. 24 segg. Antinomia. Gr. Αντινομία; T. Antinomie; I.
Antinomy; F. Antinomie. Vocabolo usuto originariamente nella teologin e nelle
scienze giuridiche, per indicare In contraddizione tra due leggi ο principi
nella loro applicazione pratica a un caso particolare. Goclenio la dice
adoperata pro pugnantia seu contrarietate quarumlibet sententiarum sew
propositionum. Kant adoperò per primo questo vocabolo, per designare le
opposizioni contradditorie in cui incorre necessariamente la ragione quando si
esercita sopra certi concetti (&vri contro, vépog regola). L’ antinomia è
composta di due proposizioni (tesi ο antitesi), le quali, sebbene siano
contradditorie, possono essere giustificato da argomenti d'ugual forza. Quattro
sono le antinomie della ragion pura, nelle quali cioè nrta V idea cosmologica,
l’iden del mondo considerato come ultima condizione dei singoli fenomeni; le
prime due sono dette dal Kant antinomie matematiche, le altre antinomie
dinamiche: 13 tesi, il mondo ha un cominciamento nel tempo e un limite nello
spazio antitesi, il mondo è infinito nel
tempo e nello spazio; 2° t., In materia è composta di parti semplici a., nessuna sostanza è assolntamente
semplice; 3° {., si dà la libertà, cioè un’attività che non suppone alcuna
causa anteriore, ο che determina tutta la serio degli effetti che κ’
intrecciano nel mondo a., non vi è
libertà nel mondo, ma tutto avviene secondo le leggi naturali; 4* t., vi è nel
mondo un essere assolutamente necessario, sia como parto sin come causa di
esso a., nulla esiste di assolutamente
necesANT 58 sario, nd nel mondo na fuori di esso come sus
causa. Oltre queste quattro, vi è un’ antinomia della ragion pratica, che
consiste in cid: noi consideriamo come necessario l’ a0cordo tra il bene e la
felicità, ma questo accordo è irrealizzabile nelle condizioni della vita
presente. Questa antinomia si risolve facilmente con la credenza in un mondo
futuro, ove 1’ accordo potrà realizzarsi, mentre le antinomie della ragion pura
sono insolvibili dalla ragione o dalla esperienza, essendo proprie di quel
mondo metafisico dei noumeni, in cni c'è vietato entrare. Cfr. Eucken,
Geschichte d. philos. Terminologie, 1878; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
Dialettica trascend., parte 2°; Krit. d. Urthetlekraft, $ 54 segg.; F. Evelin,
La raison puro et les antinomies, 1906 (v. antitesi, critiolemo, dialettica).
Antipatia. T. bneigung, Antipathio; I. Antipathy; F. Antipathie. Opposto a
simpatia; come dice la derivazione etimologica (ἀντί-οοπίτο, πάθος-οπιοσἰοπο)
significa una repulsione istintiva e cieca che allontana certi individui da
certi altri individui o cose. Secondo Spinoza essa è un prodotto dell’
associazione delle idee, come la simpatia; egli spiega il loro carattere
irrazionale, ammettendo che quando l’anima è eccitata da uno stimolo doloroso o
piacevole dopo averne provato uno indifferente, il ripresentarsi di questo è
seguito da dolore o piacere per pura contiguità nel tempo: Da ciò comprendiamo
come può accadere che noi amiamo 0 odiamo certe cose, senza alcuna cagione »
noi nota, ma semplicemente, come si suol dire, per sil patin ο per antipatia ».
Cfr. Spinoza, Ethica, teur. IX, seolio. | Antitesi. T. Antitheso; I.
Antithesie; F. Antithèec. Nella retorica si dice così quella figura che
consiste nella opposizione non solo di due parole, ma anche di due pensieri; è
un’ antitesi il detto di Socrate: tutti gli uomini vivono per mangiare, io
mangio per vivere. Quindi, più che un ornamento retorico, I’ antitesi è un vero
© proprio stro 59 ANT mento di prova, di
cni molto si valsero i filosofi. Così, le antinomie kantiane constano ciascuna
di una tesi e di un’ antitesi, la prima che afferma un dato principio, la
seconda che, con argomenti d’ ugual forza, lo nega. Nella filosofia di Fichte,
l’antitesi è il non-Io, che si contrappone all’ Io fenomenico, tesi, e che |’
Io assoluto, vale a dire la sintesi, identifica con I’ Io fenomenico. Nel
sistema Hegel }’ antitesi è il secondo momento del divenire. La sintesi, come
si vede, è la proposizione che concilia la tesi e l’antitesi. Cfr. Aristotele,
Phys., V, 1, 225 a, 11: Kant, Erit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 349;
Hegel, Enoykl., $ 48; Fichte, Grund. d. gesamiem Wissonachaftslehre, 1802, pag.
35. Antitipia. T. Antitypia; I. Antitypia; F. Antitypie. Indica la proprietà
della materia di essere impenetrabile e resistente. La parola, ricavata dal
greco, fu dapprima usata dal Gassendi, per provare, contro Cartesio, che
l'essenza dei corpi non è soltanto l'estensione, ma anche l’impenetrabilità.
Anche il Leibnitz adopera, in senso più largo, questo vocabolo, che per lui significa
quell’ attributo della materia per il quale essa esiste nello spazio, rimane
immobile senza un intervento esterno, © oppone una resistenza passiva. Codesta
antitipia costituisce la forza passiva della monade; in ciò il Leibnits fa
consistere la materia prima: materia est quod consistit in antitypia, sen quod
penetrandi resistit ». Cfr. Leibnitz, Op. fil., ed. Erdmnann, 1840, p. 466,
691. Antropismo. T. Anthropismus; I. Anthropism; F. Anthropieme. Con questo
nome l’ Haeckel designa quel complesso di idee erronee, con cui l’uomo si
contrappone 4 tutto il resto della natura e considera sò stesso come il fine
voluto della creazione organica e cume un essere perfettamente diverso da
quella e simile a Dio. L’antropismo comprende l’antropocentrismo, la credenza
cioè che I’ umanità sia il centro e la causa finale dell'universo; l’antroANT
pomorfismo, © la credenza in un Dio creatore del mondo, perfettamente uguale,
nel pensiero e nell’ opera, all’ uomo ; © Vantropolatria, o |’ adorazione
divina dell’ organismo umano. Cfr. E. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad.
it. 1902, p. 17 segg. Antropocentrico. Τ. Anthropocentrisoh; I.
Anthropocentrio; F. Anthropocentrique. È quasi sinonimo di teleologico, e si
applica a tutti quei sistemi che fanno dell’ uomo il centro dell’ universo,
vale a dire il fine per il quale ogni cosa è stata creata e al quale ogni cosa
è subordinata, Quindi, secondo l’antropocentrismo, gli occhi sarebbero stati
dati alV uomo per vedere, il sole la luna © le stelle per illuminarlo di giorno
e di notte, i minerali e i vegetali per nutrirlo, ece. In un senso più
filosofico e più moderno è antropocentrico il pragmatismo o umanismo, il quale,
subordinando la verità delle conoscenze al loro valore pratico, alla loro
utilità, fa della natura umana e dei suoi bisogni fondsmentali il centro
dell'universo; il Troiano lo definisce infatti come un sistema antropocentrico
del sapere filosofico, sul fondamento d’una teoria delle attività, delle
reazioni e dei prodotti dello spirito, studiato nella sua realtà di fatto,
immediata ο storica ». Cfr. F. Ο. 8. Schiller, Humanism, 1903; P. R. Troiano,
Le basi dell’ umanismo, 1906 (v. fine, geocentrismo, teleologia). Antropoidi.
T. Menschenaffen, menschenähnliche Affen : I. Anthropoid; F. Anthropoides. Nel
suo senso più generale indica l'ordine dei primati, che comprende l’uomo; in un
senso più stretto, soltanto la famiglia delle scimmie somiglianti all’ uomo. È
il vocabolo dato dal Broca alla famiglia delle scimmie più vicine all’ nomo,
preferito all’ altro di antropomorfe. Secondo le classificazioni dei
naturalisti moderni, questa famiglia appartiene alla classe dei mammiferi e
all’ ordine dei primati, a capo della quale sta l’uomo. Il Cuvier invece fa
dell’ nomo un ordine a parte, © così pure il Canestrini, il quale colloca l’
nomo nell’ordine dei bimani. Alla famiglia degli antropoidi appartengono i
generi: Gorilla, Chimpanzé, Orango e Gibbon. Cfr. Broca, Sur Pordre des
primates, 1869; P. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 24, 43 © sogg.;
Canestrini, Antropologia, 1898, Ρ. 112 segg.; Morselli, Antropologia generale,
1888-1900. Antropolatria. T. Anthropolatrie; I. Anthropolatry: F.
inthropolatrie. Fenomeno religioso assai raro, che con siste nell'attribuire
onori e potenza divina a nomini viventi. Un esempio ci è dato dalle antiche
tribù dell’ Asin, che veneravano pubblicamente i microcefali, collocandoli
sugli altari e facendoveli rimanere lungamente immobili. Il voenbolo si usa
anche per designare |’ adorazione cieca delle folle per certi uomini politici,
agitatori, conquistatori, 900. (v. antropismo). Antropologia. T. Anthropologie;
I. Anthropology; F. Anthropologie. Per antropologia s'intende oggi la storia
naturale dell’ uomo, ossia una monografia zoologica del genere umano. Essa
appartiene dunque allo scienze naturali. 1! Topinard dice: La parola
antropologia è di vecchin data ed ha sempre significato lo studio dell’ uomo;
all'origine dell’ uomo morale, più tardi dell’ uomo fisico. Oggi essa li
comprende entrambi ». Il Broca la definisce: la scienza che ha per oggetto lo
studio del gruppo umano, considerato nel suo insieme, nei suoi dettagli e nei
suoi rapporti col resto della natura ». Il De Quatrefages: In storia naturale
dell’ nomo fatta monograficamente, come Vintenderebbe un zoologo studiante un
animale ». Il Bertillon: una scienza pura e concreta avente per fine la
conoscenza completa del gruppo umano considerato : 1° in ciascuno delle quattro
divisioni tipiche, confrontate fra loro e con gli ambienti rispettivi, 2° nel
suo insieme © nei suoi rapporti col resto della natura ». Secondo il Morselli,
l’antropologia come scienza naturale comprende quattro gruppi distinti di
scienze: 1° scienze aventi per oggetto L’umana natura (antropologia
propriamente detta); 2° scienze aventi ANT
62 per oggetto le ranze
(etnologia); 3° scienze aventi per oggetto i tipi ο gli individui nmanf
(antropografia) ; 4° scienze aventi per oggetto i popoli (stnografia). Al terso
gruppo appartiene anche l'antropologia criminale, che è la storia naturale
dell’uomo delinquente, di cui studia la costituzione organica e psichica e la
vita sociale o di relazione, confrontandolo coi caratteri offerti dall’uomo
normale e dall’ uomo alienato. Essa quindi comprende una craniometria, una
sociologia e una psicologis criminali. Nella speculazione antica e nella
filosofia tedesca, specie dopo Kant, la parola antropologia ha un significato
ancora più largo e metafisico, designando tutte le scienze che studiano una
parte qualsiasi della natura umana, l’anima o il corpo, gli individui o la
specie, l'umanità presente o la passata, Nella teologia designa quella parte
della teologis dogmatica che ha per oggetto l’uomo nelle sue attuali e ideali
relazioni con Dio, o l’uomo come soggetto del regno di Dio. Cfr. Kant,
Anthropologie, 1872, Vorrede ; P. Topinard, L'anthropologis, 1884; A. Rosmiui,
Antropologia in servisio della scienza morale, 1857; E. Morselli, Antropologia
generale, 1888-1900; G. Canestrini, Antropologia, 1898; F. Del Greco, Vecohia e
nuova antr. criminale, 1908; A. G. Haddon, Lo studio dell’ uomo, trad. it. 1910
(v. Antroposooiologia, biologia). Antropometria. T. AntAropometrie; I.
Anthropometry ; F. Anthropométrie. Fa parte dell’ antropologia e designa V
insieme dei processi di misurazione del corpo umano ο delle sue parti. Essa non
si restringe però a studiare i caratteri morfologici esteriori, ma entra anche
nel campo psicologico, misurando la forza muscolare, le asimmetrie sensorie, la
capacità respiratoria, ecc. L’ antropometria moderna, dice il Livi, studia
metodicamente le misure del corpo dell’ nomo per metterle in rapporto colle
varie facoltà umane, per ricercare le leggi del suo sviluppo e le modificazioni
di questo a seconda della razza, dell'ambiente, dello stato di sainte o di
malattia, e per trarne deduzioni seientifiche le quali, oltre a giovare alla
scienza speculativo, possano pur portare un indiretto contributo al migliora.
mento sociale, mostrando in quali condizioni lo sviluppo del corpo è meglio
favorito, ed aver poi anche qualche applicazione pratica nel campo della
medicina legale ο dell'amministrazione della ginstizia ». La denominazione è
dovuto al Quetelet. Cfr. Charles Roberts, Manual of anthropometry, 1878; R.
Livi, Antropometria, 1900. Antropometrismo. T. Anthropometrismus ; I.
Anthropometrism; F. Antropométrieme. Si adopera talvolta per indicare quella forma
estrema di soggettivismo, ο scetticismo, che consiste nel fare dell’ uomo la
misura di tutte le cose; F uomo non conosce le cose come sono, ma le conosce
come sono per lui, e solo per lui, nel momento della percezione: in questo
momento esse sono per lui quali egli se le rappresenta. L'espressione ha
origine dalla sentenza di Protagora: l’uomo è la misura (μάτρον) di tutte le
cose, sin di quelle che sono per quanto riguarda il conoscere come sono, sia di
quelle che non sono per quanto riguarda il sapero come non sono ». Però non
tutti gli storici della filosofia greca concordano nell’ attribuire a questa
sentenza un significato scettico. ‘lutte il suo valore filosofico consiste
infatti nell’estensione che si dà al concetto di uomo: se si assume come massima,
la proposizione ha un significato generico, abbracciando tutti gli nomini in
quanto tali, se si assume come minima ha significato individuale e si riferisce
a ciascun uomo per sò stesso; col primo ci troviamo innanzi ad una dottrina
relativistica che, esoludendo la possibilità della conoscenza all'infuori delle
nostre facoltà di conoscere, non nega la possibilità di raggiungere il vero ο
quindi la legittimità della scienza; col secondo il vero è ridotto ad una
mutevole apparenza individuale ed abolita effettivamente la conoscenza ο la
scienza. Questa seconds interpretazione è siata fino ad oggi accolta quasi ANT
universalmente; ma contro di essa sono sorti in questi ultimi tempi il Peipers,
il Lans, il Gomperz, ece., che fondandosi in parte sopra l’esame dei frammenti
protagorei, in parte sopra una critica del Testeto platonico, credono invece di
poter dimostrare rigorosamente la legittimità della prima. Tutto ciò prova, in
ogni modo, che I’ uso di questo vocabolo può dar luogo ad equivoci se non accompagnato
dalla dichiarazione del valore che ad esso si attribuisce. Cfr. Lans, Idealismus und
positirismus, 1879-94, vol. I, p. 188 seg.; Grote, Aristotle, 1872, vol. II, p.
148 seg.; Gomperz, Les penseurs de la Grece, 1904, vol. I, p. 477 segg.; A. Levi, Contributo ad una
interpretazione del pensiero di Protagora, 1906; C. Ranzoli, Sul preteso
agnosticismo dei presocratici, Rendic. del R. Ist. lomb. di scienze e lettero
», vol. XLVII, fase. 19, p. 1068 segg. Antropomorfismo. T. Anthropomorphiemue;
I. Anthropomorphism ; F. Anthropomorphisme. È, come indica I’ etimologia
(ἄνθρωπος uomo, µορφή forma) la dottrina che concepisce e rappresenta la
divinità colla forma e gli attributi umani. Esso succede al naturalismo, e
designa uno stadio già abbastanza evoluto della religiosità, giacchè il
concepire Dio sotto forma umana è qualche con di superiore al concepirlo sotto
forma di una rozza forza naturale. Dicesi antropopatia quel modo o fase
dell’antropomorfismo, che consiste nell’ attribuire alla divinità affezioni e passioni
umane, © antropopoieri l’uttribuirle azioni umane, Nel cristianesimismo
primitivo la concezione della divinità è ancora antropomorfica; i Padri e i
Dottori della Chiesa si sforzarono di purificarla spiritualmente, con
l’applicazione dell’ interpretazione allegorica alle Scritture e del metodo
negativo, o ria eminentiae, nella doterminazione degli attributi divini.
Tuttavia, non sempre la teologia cattolien ha saputo evitare lo scoglio dell’
antropomortismo, pur facendo di Dio l’ essere invisibile, inconoscibile,
incomprensibile, ineffabile; I’ nome non può in fine rappresen 65 AST tarsi Die che con forme simili alle
proprie, od è per questo che alcuni teologi, per evitare lo scoglio dell’
agnosticismo, ammettono la legittimità di un prudente e limitato
antropomorfismo. Nella filosofa la
parola antropomortismo si adopera talvolta, con valore nettamente polemico, per
indicare tutte quelle forme di monismo spiritualistico ο idealismo realistico,
che, in quanto tali, interpretano il mondo per analogia con lo spirito umano; a
ciò si suol rispondere che, ove non si voglia rinunziare a conoscere, non si
può far di meno di concepire la realtà in termini di coscienza, e che quindi
sono antropomorfici tutti i sistemi filosofici, con l'aggravante in alcuni (materialismo,
naturalismo, ecc.) di easer tali senza saperlo.
Il Rosmini chiama sofiema antropomorfita quel falso ragionamento con en
gli epieurei e i pagani in genere attribuivano agli dei forma umana; gli dei
sono beatissimi e non potrebbero essere senza aver la virtà; nd potrebbero aver
la virtù senza la ragione; ma la ragione non si trova che in quell’ onte che ha
forma umana, dunque gli dèi hanno forma umana. Il Rosmini considera tale
ragionamento un sofisma, in quanto si fonda sopra la cognizione erronea e
confusa del soggetto, traendo da esso delle conclusioni che ne sorpassano il
valore. Cfr. T. Caird, Evolution of religion, vol. I, p. 289 segg., 367 segg.:
Guelpe, Apologie den anthropomorphischen u. anthropopathischen Darstellung
Gottes, 1842; R. Eucken, Geistige Strömungen der Gegenwart, 1909, p. 347 segg.;
Ronouvier, Le personalisme, 1903, p. 49 e segg.; Rosmini, Logica, $ 714 segg...
1853; A. Aliotta, L'aocusa di antropomorfismo, Cult. filonofica », nov. 1907
(v. analogiemo, ignoratio elenchi, infinito). Antroposociologia. T.
Antkroposooiologie; I.Anthroposociology; F. Anthroposouiologis. Nome col qualo
oggi ni indien lo studio dell’uomo, in quanto tale studio comprende © forma il
punto di partenza di tutte le scienze morali, della psicologia, dell’ etica,
dell'estetica, della sociologia, dell'etnografis, della demografia, della
storia, della politica. Si distingue dall’ antropologia, scienza puramente
zoologica, ed è affine all’ antropologia filosofica quale era concepita nella
speculazione antica. L’antroposociologia è sorta da principio con carattere
prevalentemente storico, che appare in particolar modo nelle opere del Gobineau
sull’ ineguaglianza delle razze umane; attraversò poi una fase biologica,
corrispondente ai grandi lavori di Darwin, che pose innanzi il principio della
lotta per la vita e della selezione naturale, facendone la prima applicazione
alle razze umane; in una terza fase bio-peioologioa, inizinta dal Broca, la
legge della selezione sociale » è assunta come principio esplicativo di tutti i
fenomeni che si svolgono nella società e tra lo società umane; nella sna fuse
attuale essa ha carattere antropometrioo, è rappresentata specialmente dal
Lapouge, dall’Ammon, dal Muffang, dal Livi, e tende con le misurazioni e le
statistiche a dare base sperimentale alle leggi » dell’antroposociologia, che
sono soprattutto la selezione naturale applicata all’ uomo nella sua modalità
di selezione sociale, e la superiorità etnica intellettuale e morale
delVelemento dolico-biondo. Cfr. Ammon, L’ordre social ei ses bases naturelles, 1900;
Lapouge Vaoter, L’aryen, son rôle social, 1899; D. Folkmar, Loçons
d'anthropologie philosophique, 1900; Enrico Morselli, 1, antroposociologia, Riv.
di fil. e scienze affini », ott. 1900. Apagogia. In Aristotole l’äraywyr non significa che la riduzione di un
problema ad un altro. Tuttavia comunemente designa una forma di ragionamento,
che consiste nel provare la falsità delle proposizioni che si vogliono
confutare, deducendone delle conseguenze assurde e necessarie. Si dice anche
deductio ad impossibile o ad absurdum in quanto doriva la verità della tesi da
provare dalla impossibilità della sua negazione, Il Wundt ammette tre forme di
prova npagogica, la disgiuntiva, la contraria, la contradditoria; la seconda
però non è che una specie della prima, consistendo in uua diagiunzione che
ammette due sole possibilità, le quali in quanto contrarie si escludono, mentre
la terza è quella che suol dirsi riduzione all’ assurdo. Il Masci mette pure
una prova apagogica disgiuntiva, la quale consiste nell’ esaminare tutte le
possibilità diverse da quella che si vuol dimostrare, e dagli assurdi che ne
derivano conchiude alla loro falsità, e da questa alla verità delln tesi. Cfr.
Aristotele, Anal. pr., II, 25, 698, 20 © segg.; Wundt, Logik, 1893, vol. II, p.
68; Masci, Logica, 1899, p. 345 segg. A pari v. a fortiori. A parte ante, post
rei. Termini propri della scolastica, che si applicano all'infinito, all’
eternità. L’ eteruità non ha limiti nel passato, ed è I’ eternità a parte ante;
non ha limite nel futuro, ed è l’ eternità a parte post. Dio contiene ambedue
queste parti dell'eternità, l’anima umana soltanto la seconda. Pure nella
scolastica dicevansi a parte rei quegli universali che vengono dalla natura
della cosa © non dalla natura dello spirito che la conosce (v. aerum,
idealirmo, realismo). Apatia. (ἀπάθεια). Significa, come dice |’ etimologia,
mancanza di sentimento, d’attività mentale e morale, indolenza. Ha qualche cosa
del quistismo. Per Epicuro essa vale assenza di dolore, ed è sinonimo di
starassia da lui più frequentemente usato: si distingue solo dall’ atarassin in
quanto indica specificamente quella imperturbabilità, che il sapiente raggiunge
liberandosi dai sentimenti e dalle passioni (πάθη, affectus), che la vita ed il
mondo suscitano nell'uomo. Anche per gli stoici la virtù coincide con l’apatia,
con l’ essere scevro da affetti; se l'uomo non può impedire che la sorte gli
procuri un piacere o un dolore, può però impedire che questi sentimenti
diventino affetti, cioè passioni, negando loro il consenso con la forza della
ragione, non reputando il primo come un bene e il secondo come nn male. Seneca
determina così la differenza tra P apatia stoica e quella megarica: Noster
sapiens vinci! quidem incommodum omne, sed sentit; illorum ne sentit quidem.
Clemente Alessandrino adopera questo vocabolo per indicare la mortificazione
della carne, la rinunzia ottenuta dopo le lotte contro i sensi. Cfr. Diogene Laer., V, 1,
8; Se neca, Ep. mor., I, 9,104. Apodittioa. T. Apodiktik; I. Apodiotio; F.
Apodiotique. Quella parte della
dialettica, che insegna il modo di dimostrare la verità di un priucipio per
mezzo del semplice ragionamento, senza ricorrere a prove di fatto. Secondo il
Bouterwek l’apodittica è la scionza dei fondamenti ultimi del sapere 6 in
generale delle convinzioni assolute ». Le altre due parti della dialettica sono
l’elenctioa, che ha l’officio di confutare le affermazioni dell’ avversario, ο
l’apologetica che ha lo scopo di difendere la verità contro le negazioni dell’
avversario. Cfr. Bouterwek, Ides einer Apodiktik, 1799 (v. maioutioa, ironia,
anatreptioa, agonistica). Apodittici (gindisi). Vocabolo già usato da
Aristotele (Ἀποδεικτικός) e di nuovo introdotto nel linguaggio filo sofico da
Kant, per contraddistinguere quoi giudizi che sono al disopra d'ogni
contraddizione ed esprimono una verità di diritto, in essi pensandosi il
predicato come necessariamente pertinente al soggetto. Insieme agli assertori ©
ai problematici appartengono alla categoria della modalità, od hanno la
formola: A deve esser B. Possono anche essere negativi, nel qual caso hanno la
formola: A non può esser B, mentre i problematici negativi hanno per formola: A
può non esser B. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 1, 24a, 30; Kant, Krit. d.
reinen. Vern., ed. Kehrbach, pag. 54. Apologetica. T. -{pologetik ; 1.
Apologetics; F. Apologétique. Quella parte della teologia che ha per cémpito di
provare la perfezione e la verità della religione cristiana, contro le
religioni e le dottrine avversarie. Gli scrittori dei primi secoli della Chiesa
essendosi per la maggior parto ocenpati di cid, son detti appunto apologetici.
Essi compaiono già nel secondo secolo, nel qual tempo la pubblica 69
APo-APP opinione veniva eccitata contro i cristiani da ogni sorta di
calunnie, e lo Stato romano, strettamente unito alla religione pagana,
cominciava a procedere giudizialmente contro la nuova religione: gli apologeti
respingono le accuse dei pagani, mostrano l’iniquità ο l’immoralità dei miti
degli dèi, difendono il monoteismo e il dogma della resurrezione, provano la
verità della dottrina cristiana mettendone in rilievo gli alti effetti morali.
Si dice anche spologetica quella parte della dialettica che ha lo scopo di
difendere la verità, di qualunque ordine essa sia, contro le negazioni
dell’avversario. Cfr. Bardenhewer, Patrologie, 1901; Harnack, Geschichte d.
altohristlichen Literatur, 1898-1897; A. Rosmini, Apologetica, 1845. Aporema.
Gr. Απόρημα, Una delle quattro specie in cui Aristotele distinse il sillogismo,
considerando il fine logico che si propone chi lo adopera, L’ aporema è il
sillogismo dubitativo (ἀπο-ρέω = dubito), quello cio’ che mostra 1 ugual valore
di due ragionamenti contrari. Cfr, Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a, 17.
Aporetica v. Zetetica. Appercezione. T. Apperception; I. Apperoeption; F.
Apperception. Parola di senso molto vario e molto vago. Cartesio la adoperò per
indicare l'ufficio della volontà nel rendere distinti e precisi gli stati della
coscienza: Rien qu'en regard de notre âme ce soit une aotion do vouloir quelque
chose, om pout dire, que c'est aussi en elle une passion @apperceroir co
qu'elle veut ». Ma la parola fu veramonto introdotta nel linguaggio filosofico
dal Leibnitz, ο usata poi, nel suo primitivo significato di un aocorgersi
interno, immediato, da Kant, Herbart, Maine de Biran. Por Leibnitz, infatti, le
appercezioni sono percezioni chiare, caratterizzato dalla riflessione © proprie
soltanto dell’ uomo; come tali si distinguono così dalle percezioni
propriamente dette, che noi proviamo senza riflettere ο che ci possono essere
ripresentate dalla memoria, come dalle percezioni Ave πο oscure, quali possiamo provarle nel sogno. L’
appercozione non è, per il Leibnitz, il prodotto di una facoltà speciale, bensì
la percezione stessa allo stato più perfetto, rischiarante ad un tempo I’ Io ο
gli oggetti esteriori. Per Kant invece essa è completamente distinta dalla
sensibilità, è l'atto fondamentale del pensiero e non rappresenta che sò
stessa. La validità obbiottiva del rapporto temporale ο spaziale non può
fondarsi, per Kant, che sulla sua determinazione mediante una regola dell’
intelletto; ma la coscienza individuale non sa nulla di questo concorso delle
categorie nella esperienza, o non assume cho il risultato di questa funzione
come la necessità obbiettiva della sua concezione della sintesi spaziale ο
temporale delle sensazioni. Quindi la produzione dell’ oggetto non avviene
nella coscienza individuale, ma si trova in questa como sua base; ogni
oggettività che l’ individuo sperimenta ha radico in un nesso che lo trasconde,
e che, determinato dalla forma pura dell’ intuizione e del pensiero, pone ogni
prodotte immodiato dello spirito in un complesso di relazioni determinate;
quosta attività sopraindividuale della vita rappresentativa è chiamata da Kant
nei Prolegomeni coscienza in generale » (das Bewusstsein überhaupt), © nella
Critica . Agire su qualche coss è volere che qualche cosa sia, nel senso che la
volontà se ne serve come mezzo per realizzare sò stessa, per penetrare nell’
intimità chiusa d’altri soggetti © interesearli a sè; la scienza del renlo è du
que la scienza del soggetto dell’azione. Ma agendo n AzI-BAM 128
estraiamo da noi stessi il principio della nostra azione, e questo principio
oltrepassa le esperienze nostre passate ; V operare genera la riflessione, ma
questa non rimane sterile, bensì fa dell’azione una volontà libera: il nostro
pensiero attuale non è dunque che l’effetto e il mezzo dell’azione. Da queste
premesse il Blondel ricava importanti applicazioni di natura sia filosofica che
religiosa. Cfr. Blondel, L’Aotion, 1893; Id., Annales do la phil. chrétienne,
giugno 1906; Cesca, La fil. dell’asione, ed. Sandron; Lamanna, La fil.
dell’azione, in Cultura filosofica », luglio 1913. BB. Nella logica formale
questa lettera si dà per iniziale ai nomi mnemonici dei modi delle varie figure
del sillogiamo, che devono modellarsi sul modo Barbara, quando si vogliono
ricondurre alla prima. E anche ussta nelle argomentazioni logiche per indicare
il predicato della proposizione. Bamalip o Bramalip. Termine mnemonico di
convenzione, con cui nella logica si designa un modo della uarta figura del
sillogismo, in cui la maggiore e la minore sono universali affermative, la
conclusione particolare affermativa, come indicano le tre prime vocali. Es. le
rondini sono uccelli migratori gli uccelli migratori tornano la primavera
dunque qualche rondine torna di primavera. Come si vede, la conclusione è
falsa; ma la lettera B indica che, per esser provato, questo modo deve essere
ricondotto a un Barbara della prima figura; e la lettera p che questa
operazione si dovrà fare convertendo per accidente la conclusione. Questo modo
può anche essere designato col termine Baralipton; in tal caso I’ ultima
sillaba ton non ha alcun senso, essendo stata aggiunta per la misura del verso
mnemonico. Corrisponde al γράµµασιν dei greci (v. conversione). Barbara.
Termine di convensione maemenies, con eni i lo, designavano un modo della prima
figura del sillogismo, nel quale la maggiore, la minore e la conelusione sono
proposizioni universali affermative, come indicano le tre vocali. Per es. tutti
i corpi sono soggetti alla legge di gravità tutte le stelle sono corpi dunque
tutte le stelle song soggette alla leggo di gravità. Corrisponde al vpénnata
dei greci ο rappresenta il tipo perfetto del sillogismo categorico. Barbari.
Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica si designa un modo della
quarta figura del sil logismo. Come indicano le tre vocali, la maggiore e la
minore sono universali affermative, la conclusione particolare affermativa. È
un modo analogo a Bamalip, colla differenza che non può essere ridotto al
Barbara della prima figura. Baroco. Termine di convenzione mnemonica, che
desigua un modo della seconds figura del sillogismo, nel quale la maggiore è
universale affermativa, la minore ο In conclusione particolari negative. La
lettera B indica cho, per provare questo modo, bisogna ridurlo a un Barbara
della prima figura, la lettera ο che questa operazione si deve fare convertendo
la minore per contrapposizione; r è eufonica. Es. Tutte le esagerazioni sono
riprovevoli vi sono delle passioni che non sono riprovevoli dunqne vi sono
delle passioni che non sono esagerazioni. Corrisponde all’ ἄχολον dei greci.
Baroestesia. (βάρος = peso, αἴσθησις := sensazione). Il senso della pressione,
che è dato dagli organi del sono tattile, di cui fa parte. Su questo senso il
Weber aperimentò la legge psico-fisica, che fa poi verificate anche negli altri
sensi e che suona così: il rapporto in cui devono trovarsi due stimoli della
sensibilità tattile di pressione perchè abbia luogo la distinzione intensiva è
di 1 a 14/5. Per ottenere una sensazione di pressione sul palmo della mano
occorre almeno il peso di cinque cen9
RaszoLi, Dizion, di scienze filosofiche. tigrammi ; per poter percepire
distintamente due sensazioni suocessive di pressione, queste devono suocedersi
con un intervallo di tempo, che non sia minore di una data quantità, variabile
negli individui ο nelle località della pelle. Cfr. Fechner, Elements der
Paychophysk, 2° ed. 1889. Bastoncini. T. Stibohen; F. Bätonnet. Corpuscoli
cilindrici che rivestono la parete esterna della retina, ove sono disposti nel
senso dei raggi della efera oculare. Non sono altro che le terminazioni dei
nervi ottici, ed è solamente da essi che, secondo il Wundt, è ricevuta e
trasmessa l’ eccitazione della luce, mediante un processo chimico analogo #
quello onde rimane impressionata la lastra fotografica. Questo processo dicesi
asione fotochimica. La maggior parte dei psico-fisiologi condivide questa
dottrina, considerando il complesso dei bastoncini della retina come P
apparecchio recettore che funziona durante la visions crepuscolare, e il
complesso dei coni come 1’ apparecchio che funziona durante la visione diurna.
Cfr. Wundt, Grundsüge d. physiol. Ῥοψολοῖοθίο, vol. II, 1902; Horing, Zur Lehre
vom Liohtsian, 1878. Bentitudine. Gr. Maxapiéing; L. Beatitudo; T. Seligkeit; I. Blossednose;
F. Béatitude. Stato di godimento
continuo ed uguale, che alcuni filosofi ripongono nella contomplazione delle
verità eterne, altri nel pieno possesso di sò stessi, altri nell’esser liberi
da passioni e da dolori. Così gli stoici consideravano la beatitudine come
stato caratteristico del saggio, che racchiude tutti i boni nell'animo,
disprezza le cose che gli altri desiderano, non si turba nè si piega per mutar
di fortuna, segue la natura come maestra, conformandosi alle sue leggi, vivendo
come essa preserive ». Per Spinoza la beatitudo seu felicita» è il riposo doll’
anima, riposo che nasce dalla conoscenza intuitiva di Dio ». Por la teologia
cattolica la beatitudine à il premio che gli eletti ottongono nella vita
celeste, e consiste nella visiono intuitiva, immediata di Dio uno e trino
(risio beaBer tifica), del Padre nella sua stessa natura e sostanza: vident divinam
oesontiam visions intuitiva et etiam facials, nulla medianto oreatura in
rations obiecti visi 8ο habente, sed divina essontia immediate se, nude, olare
et aperte eis ostendente; quodque sio videntes, cadem divina essentia
perfruuntur, neonon quod ex tali visione.... sunt vere beata, ci habent vitam
et requiem cternam. Però, la determinazione dello stato futuro di beatitudine
ha subito ‘delle oscillasioni nella filosofia cattolica; così 8. Agostino,
malgrado il suo volontarismo, lo faceva consistere nella visio divina cosentie,
seguito in ciò da Alberto Magno e da 8. Tommaso, ma Ugo di 8. Vittore aveva già
definito il supremo coro degli angeli mediante l’amore; ο S. Bonaventura aveva
identificato la intuizione eterna con l’amore; Duns Scoto, procedendo oltre,
insegnò che la beatitudine è uno stato della volontà, e precisamente della
volontà tutta rivolta a Dio, cosiechè l’ultima trasfigurazione dell’ uomo non
ènella intuizione, nella contemplazione, ma nell’ amore. Si distingue da
feHoità in quanto designa uno stato di gioia spirituale ottenuto mediante uno
sforzo, e implica 1’ idea della divinità © della vita futura. Alcuni psichiatri
lo adoperano anche per indicare certi stati di intima contentezza, che si
accompagnano talora all’ estasi, alla catalessia © alla ma Cfr. Spinoza,
Ethica, I, teor. 49, scolio; IV, cap. 4; L. Billot, De Deo uno ot trino, 1845,
t. I, thesis XV, art. 11; H. Siebeok, Die Willensichre bei D. Scotus u. seinen
Naohfolgern, in Zeiteobr. f. Philos. u. philos. Krit. », vol, 112, P. 179 segg.
(v. amore, euforia). Bellezza. T. Schônkoit; I. Beauly; F. Beauté. Si suol
distinguere la bellezza fisica, che è una riunione di forme, di contorni e di
colori che piace all’ occhio, dalla bellezza morale, che è propria dell’ anima,
dei sentimenti © dello azioni; e la bellezza statica, che risulta dalle lince,
dalle forme, dalle proporzioni, dalla bellezza dinamica, che risulta dai
movimenti © dalla forza. Bri. "= 182
Bello. T. Schön : I. Beautiful; F. Beau. Si può definire, formalmente,
come ciò che suscita negli uomini quel particolare sentimento che dicesi
emozione estetica; oppure, ciò che piace universalmente. Infinite fnrono le
definizioni del bello, che forma l’ oggetto di tutta una parte delle filosofia,
l'estetica. Tuttavia queste definizioni si possono tutte ridurre sotto due
grandi categorie: lo une pongono il bello come esistente in sè, e lo
considerano come una proprietà dell’ oggetto; le altre invece lo considerano
come un semplice prodotto della nostra attività mentale, che non esiste in sì
stesso ma in noi. Per le prime il bello è dunque uni: versale, assoluto, per le
seconde è relativo e mutabile coi tempi, coi luoghi e cogli individui. In
Platone l’idea del bello 9 quella del bene sono strettamente congiunte; se ciò
che attira da principio 1’ ammirazione dell’ anima è il hello fisico, le forme,
i suoni, i colori, è perchè il bello risveglia in noi la reminiscenza d’un bene
perduto, un bene che lo nostre anime possedevano quando, mescolate al coro dei
beati, contemplavano il magnifico spettacolo delle Idee o essenze eterne, tra
le quali brilla la Bellezza: Caduti in questo mondo, noi 1) abbiamo
riconosciuta più distintamente di tutte le altre, per mezzo del più luminoso
dei nostri sensi. La vista è infatti il più sottile degli organi del corpo, e
tnttavia non percepisce la saggezsa! ». Di quale ineffabile amore la suggezza
empirebbe le anime nostre se la sua imagine si presentasse ai nostri occhi
distintamente come quella della bellezza! ma la bellezza soltanto ha ricevuto
in sorte d’ essere al tempo stesso la cosa più manifesta ο la più amabile »
(Fedro, 58, 250, a, b, ο). Aristotele non trattò del bello che incidentalmente,
mentre vece penetrò con mirabile acume nell’ essenza dell’ arte; ma dal poco
che egli lasciò seritto in proposito, sembra al Siebeck di poter dedurre che si
può già scoprire in Aristotele, come condizione essenziale del bello artistico
(ed alla fine d'ogni bello in generale) quella proprietà, che 133
BEL cored poi d’esprimere Kant con la formola finalità sonza scopo, 9
che Schiller espresse chioramente nella sua dottrina, secondo la quale il segno
distintivo e il carattere formale del bello consiste nell’ impressione della
libertà det fenomeno ». Per Plotino il bello è il tralucere dell’ essenza
spirituale, ideale, attraverso la sia apparenza sensibile, © grazie appunto a
questo irradiarsi della luco spirituale nella materia è bello tutto il mondo
sensibile, ed è bello in esso l'individuo rappresentato ‘secondo il suo
modello:, 1889. Catalettico (καταληπτικὀν). Secondo gli stoici, il eriterio
della verità è la rappresentazione che coglie con pienezza e con chiarezza
l'oggetto, ο risiede nel catalettico, cio nella forza di convinzione immediata,
ed insita ad una data rappresentazione. Cosi per Crisippo la rappresen-,
tazione vera 0 concopibile, φαντασία καταληπική, non si manifesta soltanto essa
stessa, ma manifesta anche il suo oggetto; essa non è altro, egli dice, che la
rappresentuzione prodotta da un oggetto reale ο in una maniera anuloga alla
natura di codesto oggetto. Cfr. Plutarco, De plac. phil, IV, 12; Diogene
Laerzio, VII, 46 ο 50; Zeller, Philos, der Griechen, IID, p. 85. Cataplessia
(xaté οπλἑσσω colpisco). T. Kataple. F.
Cataplerio. Scomparsa repentina e violenta della sensibilità e del movimonto in
qualche parte del corpo, in se 157 Car
"guito a qualche emozione intensa, specialmente la paura. Designs anche lo
stato di torpore prodotto negli animali con processi analoghi a quelli dell’
ipnosi, quando codesto torpore determina nello membra degli animali dei
fenomeni catalettici (v. analgesia, anostoria). Catari (x&tapo; --puro).
Setta di eretici oristiani, che si proclamavano gli unici depositari della pura
dottrina. Secondo il Tocco le dottrine del catarismo, una delle eresie più
infeste al cattolicismo, avrebbero avuto origine dall’antico manicheismo,
diffuso in gran parte d’ Europa, fornendo alla lor volta i materiali a tutte le
successive eresie dell’ evo medio. Il catarismo si fonda essenzialmente sul
dualismo religioso: il mondo è opera di due divinità, una buona e una cattiva;
il bene deriva dal primo, il male dal secondo; nell’ uomo il corpo © l’anima
sono prodotti dal primo e peroiò mortali, lo spirito dal secondo, quindi
immortale. Cristo non è che puro spirito, quindi non ha corpo umano, nè soffrì
passione © morte; egli è un arcangelo, mandato dal principio del bene a
disperdere le menzogne del vocchio Testamento, opera del dio cattivo, e ad
insegnare agli uomini la schietta verità. Cfr. F. Tocco, L'ereria nel medio-evo,
1884 (v. manichelemo). Catarsi (κάθαρσις --pargazione). Grecismo col quale
talvolta si designa il periodo di purgazione a cui, secondo V orfiemo, il
pitagorismo e la filosofia platonica, erano sottomesse le anime dei defanti
prima di essere ammesse alle sedi dei besti, o prima di dar vita a un nuovo
corpo. Secondo Platone la cntarsi durava mille anni, perchè di quante mai
ingiurie ogni anima e a chiunque le abbi fatte, di tutte partitamente (deve)
scontare la pena; ciò fare che cisscuna pena duri cent’ anni, tale essendo la
misura della vita umana affinchè scontino decupla la pena del loro peccato ».
Virgilio ha seguito in questo, come in altri concetti, il filosofo greco,
stabilendo così In durata della vita oltremondana: Has omnes, ubi mille rotam
rolCat 158 vere per annos Lethaoum ad fluvium deus svocat agmine magno
Soilioat immemores, supera ut convera revisant
Rurews, et incipiant in corpora velle reverti. Aristotele usa la stessa
parola in un particolare significato, prendendolo dalla medicina, dove per
catarsi s’intendeva la cura di certi stati di eccitazione psichica col suono di
melodie orgiastiche, ciod di melodie che producevano un maggiore eccitamento ;
applicando questo concetto alla influenza della tragedia sull’ animo, egli dice
che l’opera tragica mira, col modo onde rappresenta i suoi soggetti, a
raggiungere con la paura © la compassione la catarsi di codesti effetti ». E
ciò deve intendersi nel senso, che l'efficacia psicologica della tragedia
consiste nel risolvere i suddetti affetti in un gradevole fluire, che ingenera
il sentimento di una depurazione progressiva dal dolore, di una liberazione
crescente di ciò che in esso è di opprimente, senza perciò eliminare |’ affetto
stesso: quindi la tragedia non suscita soltanto la paura e la compassione, ma
le purifica anche in modo ds far loro perdere il carattere di emozioni dolorose
per convertirle in piacevoli. Cfr. Platone, Fedone, 67 C, D, Rep., XIII, 615;
Aristotele, Poet., VI; Bernays, Ueb. die arist. Theorie des Drama, 1880; Siebeok,
Zur Katharsis-frage, in Unters. z. Philos. d. Griechen, 1888, p. 163 segg.; C.
Ranzoli, La religione e la filosofia di Virgilio, 1900, p. 185 seg. Catatonia.
‘I. Katatonic; I. Catatony; F. Catatonie. Nome creato dal Kahlbaum per indicare
una malattia mentale, caratterizzata specialmente da disturbi psicomotori. Si
verifica più frequentemente nelle donne che negli uomini, tra il quindicesimo o
il trentesimo anno. Più che una malattia a si i moderni psichiatri la
considerano, insieme alla cbefrenia, come una forma della demenza precoce. Si
inizi con accessi di esaltamento e di depressione, cui segnono stadi di
stupore, di catalessia, stereotipia, ecolulia, negativismo: il malato rimane
lungamente immobile 159 Cat in posizioni trane ed incomode, i suoi
muscoli sono rigidi e di un caratteristico color cereo, i suoi movimenti sono
lenti, incerti, legati, come se ad ogni istante una folla di rappresentazioni
antagonistiche si facessero equilibrio nella sua mente, così da allontanare il
periodo della determinazione. L'intelligenza può restare lucida ο sveglia, ma
di tratto in tratto vengono a intorbidarla idee deliranti, stadi di stupore,
atti impulsivi e violenti. Cfr. Kahlbaum, Die Katatonie, 1874; J. Finzi,
Compendio di psichiatria, 1899, p. 57, 121. Categoria. Lat. Predicamentum; T.
Kategorie; I. Category; F. Catégorie. Nel senso primitivo, usato da Aristotele,
le categorie sono i predicati delle proposizioni. In senso generale sono le
classi più alte in cui sono distribuite le idee o gli esseri reali, in seguito
a un certo ordine di subordinazione e a certe vedute sistematiche. I primi
filosofi che abbiano ammesse delle categorie, furono, per non parlare dei
filosofi indiani, i pitagorici, i quali ne contavano dieci, procedenti per
opposizione: il determinato e l’ indeterminato, il pari e il dispari, l’unità e
la pluralità, il diritto e il sinistro, il maschio e la femmina, la quiete e il
moto, ritto e il enrvo, la luce © le tenebre, il bene e il male, il quadrato ο
le figure dai lati disuguali. Aristotele, ponendosi dal punto di vista
grammaticale, distingue pure dieci categorie: la sostanza, la qualità, la
quantità, la relazione, il luogo, il tempo, la situnzione, In possessione,
l’azione, la passione. Gli stoici non ne ammettevano che due: la sostanza e la
qualità. Plotino cinque nel mondo sensibil la sostanza, la relazione, la
quantità, la qualità, il movimento; cinque nel mondo intelligibile: la
sostanza, la quiete, il moto, I’ identità e la differenza. Tra i filosofi
moderni, che hanno formulato delle categorie, tralasciando quelle del
Descartes, di Porto Reale, eco., ricorderemo Kant, Jo Stuart Mill ο il
Renonvier. Per il Kant le categorie sono Cat
160 dodici e rappresentano non le
classi più generali nelle quali si distribuiscono le nostre idee, ma i modi più
generali secondo i quali la ragione costituisce i suoi giudizi; esse
costitaiscono i concetti fondamentali dell’ intendimento puro, le forme a
priori della nostra conoscenza, rappresentanti tutto le funzioni essenziali del
pensiero discorsivo. Ora quattro sono lo classi generali dei giudizi, quindi
quattro le categorie principali: 13 qualità, 2* quantità, 83 relazione, 43
modalità; ognuna di queste contiene tre categorie subordinate: 1° l’unità, la
moltiplicità, la totalità; 2* la realtà, la negazione, la privazione; 83 la
sostanza, la cansalità, la reciprocità; 4° la possibilità, l’esistenza, la
necessità. Il Mill riduce tutte le cose nominabili a quattro classi, che
propone di sostituire alle categorie aristoteliche; sentimenti o stati psichici;
la mente o anima che li esperimenta; i corpi esterni con le loro proprietà che
eccitano tali sentimenti; le succession e cocsistenze, le 80miglianze e
dissomiglianze tra i sentimenti stessi. Il Renouvier, che le definisce come le
leggi prime e irreducibili della conoscenza, distingue nove categorie:
relazione, numero, posizione, suocessione, qualità, divenire, causalità,
finalità, personalità. Ogni categoris esprime, secondo il Renouvier, una
relazione nella quale si può trovare una tesi, un’ antitesi e una sintesi: ad
es. nella successione In tesi è l'istante, l’antitesi il tempo, la sintesi la
durata. Secondo l’Ardigò le categorie sono idealità strumentali, di origine
empirica al pari delle altre idee, com’ è dimostrato dal fatto che esse pure
variano da individuo a individuo, © nella storia della cultura, per vari
rispetti; sembrano a priori perchè si vengono formando con processo inavvertito
nei primordi della vita psichica individuale, cosicchè al cominciare della
riflessiono, lo troviamo già costituite in noi stessi. Secondo lo Schuppe le
categorie, senza lo quali nulla può essere pensato, non sono una creazione
dell? io, non vengono applicate ai dati dell’ intuizione, como credo 161
Kant, ma sono fin da principio esistenti nella nostra coscienza come
determinazione dei dati, che non potrebbero divenire contenuti di coscienza
senza essere distinti e connessi causalmente; si può dire dunque che le
categorie sono a priori, in quanto non abbiamo bisogno di aspettare questo o
quel dato particolare per dire che deve conformarsi alle leggi universali del
nostro pensiero, ma ci sono date a posteriori, perchè non abbiamo altro modo di
ricavarle se non dalla riflessione sul contenuto della nostra coscienza.
Secondo il Cohen, il pensiero è spontanea produzione di sè stesso, perchè il
pensiero e l’essere sono identici; quindi è erroneo sostenere che la conoscenza
si produca col plasmarsi di una materia empirica nella forma delle categorie,
ma si deve riconoscere che il pensiero, non potendo aver nulla prima di sd da
cui prends le mosse, produce con la sua stessa attività il suo indivisibile
contenuto: questo è l’ unità attiva del gindizio, il cui contenuto non è la
cosa (Ding) ma l'oggetto (Gegenstand), e che produce, con le sue diverse
specie, le diverse formo di conoscenze e di oggetti. A questo tentativo di
deduzione trascendentale delle categorie, la nuova scuola del Fries sostituisce
l’analisi e l’osservazione dell’ intellotto umano, nella sua struttura comune n
tutti gli individui; con essa risale dai comuni giudizi ai principî
fondamentali che in essi sono impliciti (categorie), e la cui unità e
complessità prova il loro essere conoscenze immediate di natura non empirica.
Cfr. Aristotele, Categ., 4, 1 b, 25; Top., I, 9; Simplicio, In cat., 16;
Plotino, Fam. VI, 1, 25 segg.; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 95
segg.; J. 8. Syst. of logio., 1865, vol. I, 83; Renouvior, Kesaie de crit.
générale, Logique, I, 184; Trendelenburg, Geschichte d. Kategorienlehre, 1841;
Schuppe, Grundriss d. Erkenninistheorie, 1894, p. 36 segg.; Cohen, System d.
philosophie, 1902, p. 14 segg., 79-100: Nelson, Die kritische Methode, 1906,
vol. I; Ardigd, Op. AV, p. 7 segg. 11
Rawzout, Dizion. di scienze filosofiche. Cat 162
Categorioo. 'T. Kategorisoh ; I. Categorical ; F. Catégorique. Nella
metafisica si dice categorico un giudizio che non dipende da alcun altro
giudizio esteriore. Nella logica il gindizio categorico appartiene alla
categoria dei giudizi di relazione ed esprime il rapporto di sostanza ed
inerenza ; esso rappresenta la forma più generale di analisi e di sintesi del
pensiero. Alla categoria dei giudizi di relazione appartengono inoltre il
giudizio ipotetico e il disgiuntivo (v. imporatico). Categorumeni. Aristotele
distingueva, oltre le dieci categorie, che sono i predicati, anche cinque
categorumeni, ossia i predicabili, i predicati dei predicati. Sono: genere
(Ὑένος), specie (εἴδος), differenza (διαφορά), proprio (Ἴδιον), acoidente
(συμβεβηκός). Gli scoliasti greci li chiamavano generalmente le cingue vooi (rèvte
φωνάς), appunto per indicare che sono epiteti cho si possono dare allo dieci
categorie, le quali invece sono le cose stesse che si predicano. Ciascuna di
queste cose, se si considera iu relazione con le idee esprimenti la sua divorsa
catensione, può essere specie, differenza, genere, proprio, accidente o tutto
questo insieme; così la quantità può essere un proprio di quantità, come del
corpo è propria una quantità figurata, o un accidente, come è un accidente la
quantità determinata di materia componente il corpo di un uomo, il quale può
essere più o meno grande. Il Rosmini ammette invece sette predicabili, divisi
in due classi, di cui la prima ha per base l’ estensione, la seconda la
comprensione : alla prima classe appartengono l'onsenza universalissima, essere
ideale indeterminato, idea dell’ essere (che è non solo fuori di tutti i
generi, in quanto si predica di tutti, ma è anche a tutti superiore, 9 come per
#2 esente dà una differenza mussima da essi), l’essensa generica, idea
generica, genere, e l'essenza specifica, idea specitica, spocie; alla seconda
la differenza specifica, che è ciò che la specie comprendo più del genere, il
proprio, che è ciò che l'individuo comprendo di necessario più della
specie, 163 Cau l’aocidente, che è ciò che di non
necessario 1) individuo comprende più della specie, il reale, che esce dal
novero delle idee, ed è il massimo comprensivo come 1’ essere ideale è il
massimo estensivo. Cfr. Simplicio, In Arist. Categ., 1534; Prantl, Gesohichle
d. Logik, 1885, I, 395; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 97;
Rosmini, Logica, 1853, § 413-416. Causa. T. Ursache; 1. Cause; F. Cause. La
parola causa è adoperata comunemente per designare ciò che produce una cosa o
un fatto, le loro condizioni necessarie, ciò, insomma, senza di cui cosu e
fatto non sarebbero. Boezio la definisce: causa est, quam de necessitate
sequitur aliquid, seilicet oausatum. Guglielmo di Occam: causa sunt quibus
positis sequitur effectus. Cartesio: Jam vero lumine naturali manifestum est
tantumdem ad minimum esse debere in causa efficiente et totali, quantum in
eiusdem causa effectu. Hobbes: una causa è la somma o l’aggregato di tutti
quegli accidenti, sia nell’ agente che nel paziente, i quali concorrono alla
produzione dell’ effetto ». Malebranche: La vera causa è quella tra la quale e
il suo effetto lo spirito percepisce un legame necessario ». ('. Wolff: oausa
est principium, a quo eristentia sive actualilas entis alterius ab ipso diversi
dependet tum quatenua existit, tum quatenue tale existit. James Mill: Una
causa, o il potere di una causa, non sono due cose, ma due nomi per la stessa
cosa; I’ idea di causa come esistente è seguìta irresistibilmente dall’ idea di
effetto come esistente ». Kant: una particolar specie di sintesi,... per cui da
un 4 vien posto un Β da esso totalmente diverso secondo una regola generale
>; egli considera la nozione di causa e di effetto come una delle forme
dell’ intendimento, una delle condizioni sotto cui dobbiamo pensare; noi siamo
costretti da una legge della nostra mente a disporre le impressioni della
esperienza secondo ‘questa forma. Ora codesta idea comune di causa è costituita
da altre idee, di oni la critica filosofica, cominciando Cav dal Hume, ha
esaminato il valore, La prima idea è quella di produzione: dicendosi che il
fatto 4 è causa del fatto B, si intendo che il fatto 4 abbin prodotto il fatto
B; così nel fatto del riscaldarsi di un pezzo di ferro (effetto) in seguito a
colpi ripetuti di martello (causa), il primo di codesti fatti sarebbe prodotto
dal secondo. Ora questa iden è errones : essa ha le sue radici nel sentimento
dello sforzo volontario, mediante il quale sentiamo in noi la capacità di
produrre un fatto nuovo che altrimenti non si produrrebbe. Codesta capacità,
codesta attitudine soggettiva noi la obbiettiviamo ponendola nelle cose. La
nozione di causa, dice Maine de Biran, ha origine dalla coscienza del potere
della nostra volontà, che riconosce la volontà come causa delle nostre azioni;
e con nna specie di analogia trasportiamo questo potere personale a tutte le
operazioni della natura». Ma un'attività produttiva nelle cose è affatto
inintelligibile: i colpi del martello e il riscaldamento del pezzo di ferro
sono due fatti eterogenei, cosicchè per ammettere che il primo abbia prodotto
il secondo, bisognerebbe ammettere che questo fosse contenuto in quello o ne
facesse parte; il che è nssurdo. La seconda idea è quella di necessità, ed essa
pure è illegittima, in quanto non fucciamo che collocare nelle cose ciò che non
è che un puro prodotto logico della nostra attività mentale. Fuori di noi non
esiste necessità, ma soltanto qualche cosa di analogo da cui quell’ idea
deriva; 6 ciod la costanza nella successione dei fatti. Dacchè due avvenimenti
d’ una certa specie, dice Hume, sono stati sempre ο in tutti i casi percepiti
insieme, noi non ci facciamo più il minimo riguardo di presagire l’uno alla
vista dell’altro allora chiamando I’ uno di essi causa e l’altro effetto, li supponiamo
in uno stato di connessione: diamo al primo un potere per eni il secondo è
infallibilmente prodotto, una forza che opera con la maggior certezza 9 con In
più inevitnbile necessità ». La terza idea che entra a costituire 165
Cau il concetto di causa è appunto l’idea di successione. Essn è
perfettamente legittima, e senza di essa non sarebbe nemmeno concepibile la
nozione di causa, che è ciò per cui un’altra cosa è: se B precedesse 4, non
potrebbe in nessun modo esser concepito come effetto. Da ciò la definizione
dello Stuart Mill, che la causa non è altro che l’antocedonte invariabile e
incondizionato di un fenomeno. Che 1’ antecedente debba essere invariabile, è
implicito nella nozione stessa di causa, perchè se la causa è quella che pone
l’effetto, non può esser causa un antecedente al quale non sempre segue
l’effetto, quando una causa negativa non intervenga; che debba poi essero
incondiziunato lo prova il fatto che due fenomeni possono succedersi
invariabilmente, come il giorno e la notte, quando siano effetti collaterali di
un altro fenomeno: nel qual caso, se v’ ha successione invariabile, non v’ ha
però causalità. Aristotele distingueva quattro sorta di cause: la formalo o
essenza, la materiale o sostrato, la efficiente o movente e la final; lo prime
due furon anche dette talora intrinseche. Queste quattro cause si trovano
attuate in ogni cosa, perchè esse costituiscono, secondo Aristotele, i quattro
prineipt fondamentali ed universali delle cose. Si abbia una statua: essa è
fatta d’una certa materia, sia marino ο bronzo; è secondo un certo modello ο
idea, giacchè lu statna non sarebbe statua senza una forma; © per mezzo della
mano, ossia di uno stromento operante, efticiente; © dietro un dato scopo,
giacchò non vi sarebbe la statua se lo scultore non si fosse proposto un
qualche scopo. In Iti casi la causa efficiente, la finale la formale si
medesimano; infatti l’idea può costituire ad un tempo lo scopo, la forma e la
causa efficiente d’ un essere. Quando la parola causa è adoperata senza
qualificativo, essa designa sempre la causa efficiente, che Aristotele chinma
la cansa nel senso primo e principale della parola. Si dice causa prima quella
che non è, alla sua volta, eftetto d’ un'altra causn antecedente; cause seconde
quelle invece che sono effetti di cause anteriori. La causa prima è Dio. La
causa si dice prossima o immediata quando fra essa e il proprio effetto non
v’ha termine o serie di termini intermedi; se questi termini vi sono la causa
si dice lontana o mediata. Causa strumentale si disse il mezzo, lo stromento di
cui si serve una causa intelligente per raggiungere il proprio fine. Causa
esemplare si disse invece il modello, il tipo che I’ artista cerca di imitare:
nell’ idealismo platonico la causa esemplare à l’Idea. Causa univoca è quella
che produce un effetto della medesima specie o natura, come il calore che riscalda;
causa eguivoca, quella che produce un effetto di natura diversa, come
l’alcoolismo che è causa di pazzia; cnusa estrinseca quella che si distingue
realmente e adeguatamente dall’ effetto, causa intrinseca le parti di cui un
composto risulta, come l’anima e il corpo rispetto all’ uomo. Cfr. Aristotele,
Meth., V, 2, 1013 a, 24 segg.; Sesto Emp., Ade, Math., IX, 228; Goclenio,
Lezioon phil., 1618, p. 355; Cartesio, Mod., III, 18; Bossuet, Traité des
causes, 1875; Chr. Wolff,
Ontologia, 1736, $ 881; James Mill, Analysis of the phen. of mind., 1829, ο. 24; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 108; Hume, Essais philos., 1790, 1,
129 segg.; J. S. Mill, Syst. of logie, 1865, 1. III, ο. V (v. composizione
delle cause, condizione, sofiemi di falsa causa, causa finale, causa
occasionale, causalità, determinismo, ecc.). Causa finale. Lut. Causa finalis;
T. Zweckursache ; I. Final cause: F. Cause finale. Lo scopo, la ragione per cui
una coms è compiuta, per cui un fatto avviene. Lo scopo è il termine iniziale;
ma siccome esso determina, come cuusa efticiente, la serie dei fatti che deve
condurre al termino finale, così il termine iniziale diviene la causa finale.
Finis ext prior in intentione sed posterior in ezocutione, dicevano gli
scolastici. Si oppone a causa meccanica o naturale, che è quella che si
realizza inconsciamente, senza la concezione del fine: nella causa finale si ha
un 167
Cav rapporto di mezzo a fine, nella naturale un rapporto di causa ad
effetto. Dicesi teleologico ο finalistico il metodo che consiste nello spiegare
le cose mediante il fine per cui furono create, e teleologia la dottrina delle
cause finali. Nella storia della filosofia le cause finali furono intese
principalmente in tre modi; da principio I’ uomo considera sò stesso come centro
dell’ universo, e crede che tutte le cose siano state create per servire di
mezzo ai suoi fini; poi consi dera la natura come creata in vista di un fine,
che non è l’uomo, che anzi trascende l'intelligenza umana, ma che si rivela
nell’ ordine ο nelle leggi dell'universo; infine la finalità à ristretta agli
organismi nei quali tanto gli organi che le funzioni tenderebbero alla
conservazione della vita. La scienza moderna respinge come dannosa la ricerca
delle cause finali, e dimostra che l'illusione teleologica trae origine
dall'azione volontaria, nella quale realmente si ha la rappresentazione di un
fine che diventa a sua volta causa, La nostra meraviglia alla vista della
perfezione infinita e della finalità delle opere della natura, dice lo
Schopenhauer, . deriva dal fatto che noi Ja consideriamo come consideriamo le
nostre proprie opere. In queste la volontà ο l'opera sono di due specie
differenti: poi, tra queste due cose, ce ne sono ancora due altre: 1°
l'intelligenza, straniera alla volontà in sò stessa, e che è un mezzo che
questa tuttavia deve attraversare prima di realizzarsi; 2° una materia
straniera alla volontà 9 che deve ricevere da essa una forma e riceverla per
forza, perchè codesta volontà lotta contro un’altra che è la natura stessa di tale
materia. Tutto diversamente accade nelle opere della natura;... qui la materia,
quando la si separa dalla forma, come nell’ opera d’arte, è una pura
astrazione, un essere di ragione del quale non v’ ha alcuna esperienza
possibile. La materia dell’opera d’arte è, al contrario, empirica. L’ identità
della materia e della forma è il carattere del prodotto naturale; la loro
diversità del prodotto dell’ arte >. E assai prima aveva seritto lo Spinoza:
Cau 168 Tutte le cause finali non sono altro che pure
finzioni imaginate dagli uomini. Il primo difetto di codesta dottrina è di
considerare come causa ciò che è effetto, e viceversa; in secondo luogo, ciò
che per sua natura possiede l’anteriorità, essa gli assegna un luogo posteriore
; infine essa abbassa all’ ultimo gradino della imperfezione cid che v’ ha di
più elevato e di più perfetto ». Cfr. Platone, Filebo, 54 0; Aristotele,
Metaph., V, 2, 1013 u, 29 segg.; Cicerone, De nat. deorum, |. 2; Spinoza,
Ethica, I, appendice; P. Janet, Final causes, trad. ingl. 1883; Sully
Pradhomme, I! problema delle cause finali, trad. it. 1903; E. Regalia, Contro
una teleologia fisiologica, Archivio per l’Antropologia », 1897, XXVII, fasc.
3; Ardigò, Op. fil., II, 254 segg.; III, 288 segg.; IV, 244 segg. (v.
antropooentriemo, geocentrismo, teleologia, finalità, fine). Causale. T.
Causal, ursächlioh; I. Causal; F. Causal. ‘Tutto ciò che si riferisce alla
causa: così ai dice legame causale, necessità causale, rapporto causale, eco.
Con 1’ espressione complessità causale si indica che molte sono le cause che
contribuiscono a determinare un fenomeno, cosicchè duto nu effetto non è data
assolutamente la sua causa; n determinare la causa vera di un fenomeno vale I’
eliminazione delle accessorio. Causalità. Lat. Causalitas ; T. Cansalitàt; I.
Causality, Causation ; F. Causalité. Esprime il rapporto della causa all’
effetto. Dicesi causalità immanente quella di uns sostanza o di un essere che
produce, per propria azione, le proprie qualità ο modi; dicesi transitiva
quella in cui l’azione enusatrice è concepita come passante da una sostanza ad
un’altra. Dicesi causalità empirica quella in cui In causa è l’insiomo delle
circostanze o dei fatti mediante i quali un fenomeno avviene sempre, e senza
dei quali non avviene mai; dicesi invece metafisica quella in cui la causa non
è già nu fenomeno, ma una sostanza attiva come Dio, un potere spontaneo come la
volontà. Il principio o legge 169 Cau di causalità è uno dei postulati
fondamentali del pensiero, ο può enunciarsi semplicemente così: ogni fenomeno
ha una causa; oppure: nulla vi ha senza causa. Lo Spinoza lo formula così: Essendo
data una determinata causa, ne risulta necessariamente un effetto; al
contrario, se non è data alcuna causa determinata, è impossibile che un effetto
si produca ». Leibnitz: Nulla accade senza uns causa 0 almeno una ragione
determinante, cioè qualche cosa che possa servire a render ragione a priori del
porchè ciò è esistente invece che inesistente © del perchè ciò è così piuttosto
che in tutt'altro modo ». Kant lo formula in due modi differenti: 1° Principio
della produzione (Erzewgung): tutto ciò che accade, o comincia ad essere,
suppone prima di lui qualche cosa da cui risulta secondo uua regola »; 2° Principio
della successione nel tempo (Zeitfolge) secondo la legge di causalità: tutti i
cangiamenti succedono secondo la legge del legame tra la causa ο l’effetto ».
Schopenhauer lo chiama principio della ragion sufficiente del divenire,
principium rationis suficientie flendi, e lo enuncis così: Quando si produce un
nuovo stato d’ uno 0 oggetti reali, è necessario che sia stato preceduto da un
altro stato, da cui risulta regolarmente, vale » dire tutto le volte che il
primo ha Inogo ». Anche per il Lippe il principio di causalità è un caso speciale
del principio di ragion sufficiente, ο si formula così: Ogni cangiamento nel
contenuto di una rappresentazione imposta, suppone un cangiamento nelle
condizioni della rappresentazione stessa ». Il Wundt fa originare il principio
di cansalità da un'azione reciproca (Weokseltoirkwng) tra il nostro pensiero e
l’esperienza, e lo considera egli pure come una spplicazione del principio di
ragion sufficiente al contenuto dell’ esperienza: La leggo di causalità non è
una legge d’ esperienza nel senso, che sin ottenuta mediante l’esperienza, ma
soltanto nel senso che vale a priori per ogni esperienza, poichè il nostro
pensiero può riunire e ordinare le esperienze solamente in quanto Cav 170 le
raccoglie secondo il principio di ragion sufficiente. Percid il principio di
causalità porta in sò il doppio carattere d’una legge e di un postulato >.
Il principio di causalità, comunque enunciato, importa dunque due fondamentali
conseguenze. Primo: negazione della possibilità di un comineiamento assoluto ;
tutto ciò che incomineia ad essere ho la propria ragion d’ essere in qualche
cosa d’ anteriore: nessun cangiamento si può produrre nel vuoto ο nel riposo
ussoluto. Secondo: gli avvenimenti non derivano gli uni dagli altri senza
regola © senza ragione, ma con universale costanza ed uniformità; la causa A
che ha prodotto un effetto 8, lo produrrà sempre, qualora, #’ intende, non
intervenga l’azione d’una causa negativa; oid per l'assioma fondamentale, che
cause simili, in circostanze simili, producono effetti simili. Il principio
della uniformità della natura, come pure quello della continuità naturale e
dell’ inerzia, non sono dunque che oorollari del principio di cuusalità, il
quale trova la sua più profonda espressione nella legge della conservazione
della forsa. Accanto alla causalità
fisica ο obbiettiva alcuni filosofi pongono la causalità psichica ο soggettiva
: Noi possiamo, dice il Wandt,. esaminare le nostre rappresentazioni, per un
canto in rapporto al significato obbiettivo che loro attribuiamo: allora le
portiamo nella connessione della causalità naturale; ma noi possiamo anche
ricercare le condizioni soggettive dei loro rapporti di simultaneità ο di
successione ; allora entriamo nella sfera della causalità psichica, che procede
sompre parallelamente alla causalità naturale ». La causalità psichica si
distinguo dalla naturale o fisica in quanto non si risolve in un rapporto
invariabilo di mutazioni, ma si rivela come nn principio di azione tendente
sempre al conseguimento di un fine, e per di più è suscettibile di
accrescimento e di sviluppo: gli atti e le funzioni psichiche appaiono come una
vera © propria creazione del soggetto ο non hanno realtà fuori della sfera
della coscienza indivi 171 Cau duale. La
causalità psichica si distingue dalla causalità psivofisica, che intercede
reciprocamente tra psiche e organismo : secondo le dottrine materialistiche
tale causalità è una vera trasformazione o continuità di nzione tra luna e
l’altro, secondo le altre dottrine è un puro rapporto di corrispondenza, o di
successione, ο di fanzione (nel senso matematico della parola) tra atti
appartenenti a due realità eterogenee, la peichica e l’organies. La causalità
psichica si distingue infine dall’ interpsiohica che è la risonanza o il
consenso tra lo varie coscienze individnali, per cni nella coscienza di
ciaseuno si riflette lo stato mentale della totalità, Cfr. Spinoza, Ethica, 1.
I, ase. 3; Leibnitz, Teodioca, $ 44; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam,
p. 108 seg.; Schopenhauer, l'eber die vierf. Wurzel d. Satzes v. e. Grund.,
cap. IV, $ 20; Hamilton, Lectures on metaph., 1859, vol. II, p. 376; J.
Petersen, Kausalität, Doterminiemus und Fataliemus, 1909; Lipps,
Grendthatsachen d. Soolenlebons, 1873-94, p. 443; Wandt, Logik, 1893, I, p.
549-565; De Sarlo, La causalità psichica, Coltura filosofica >, luglio 1909;
B. Baglioni, 1 principio di causalità e' la causa, 1909. Causa occasionale. Lat.
Causa oocasionalis; T. Gelegenheitsursache ; I. Oocasional cause; F. Cause
ocoasionelle. E la dottrina con eni la scuola cartesia spiega i rapporti tra
Dio e il mondo, e tra l’ anima, sostanza puramente pensante, e il corpo, la cui
essenza consiste nell’ estensione. Data l’opposizione assoluta esistente fra
queste entità, tali rapporti non sono spiegabili se non ammettendo che Dio,
cioè la causa prima, all’ occasione dei movimenti dell’anima eccita nel nostro
corpo i movimenti che a loro corrispondono, e all’occasione dei movimenti del
corpo fa nascere nell’ anima le idee che li rappresentano © le passioni di cui
essi sono l'oggetto. Dice Malebranche: Non v’ ha aleuff rapporto di causalità
tra un corpo ο uno spirito. Che dico! non ve n’ha alcuno da uno spirito a un
corpo. Dico ancora più, non ve n’ha alcuno da corpo a corpo, nè du Cau 172
uno spirito ad un altro apirito.... Non v'ha dunque cho un solo vero
Dio, e uns sola vera causa, che sia veramonte causa, 6 non si deve imaginare
che ciò che precede un effetto sia la vera causa ». L'importanza di questa
dottrina sta in ciò, che essa prepara la sostituzione del concetto critico di
causalità sl concetto volgare, che cousiste nel pensare la causalità nella
natura in base a quella del volere, e credere che tanto negli effetti del
nostro volere quanto in quelli delle cause fisiche, noi cogliamo propriamente
una connessione necessaria ; 1’ occasionalismo pone invece in evidenza la
mancanza di un tale nesso, o l’incomprensibilità di esso, o meglio la pura
effettività d’ ogni relazione causale tra fenomeni; il parallelismo tra anima ©
corpo; la costanza e uniférmità effettiva o sperimentale delle leggi naturali.
I due maggiori rappresentanti dell’occasionalismo furono Geulinex e
Malebranche. Cfr. Land, rn. Geulincr und seine Philosophie, 1895; Malebranche, De la
rech. de la verité, 1678, part. II,
8; Id., Pensieri metaAsici, trad. it. Novaro, 1911, pag. 40-48; M. Novaro, La
teoria della causalità in Malebranche, 1893. Causa sui. T. Selbetursache; I.
First cause; F. Cause première. Nel
linguaggio scolastico è la causa prima, la causa che non è essa pure un
effetto. Concepito 1’ universo come uns catena di cause ed effetti, retrocedendo
ο si va all'infinito, ο si deve arrestarsi ad una causa che non è causata, la
causa prima dalla quale discendo tatta lu serie degli effetti, Dio. Ogni
fenomeno deve avere unn causa, dice il Jevone, e questa causa di nuovo uns
causa, finch? noi siamo perduti nella infinità del pussato e costretti a
credere In una causa prima, da cui sia stato de_ terminato il corso della
natura ». A ciò si obbietta, che in primo luogo è per noi incomprensibile che
una cosa sin causa ed effetto di sè medesima, e che secondariamente la nostra
esperienza non ci dà che fenomeni, dei quali vedinmo soltanto il orescere, lo
svilupparsi, il trasformarsi, 178 Cau-Crc non mai il nascere, e quindi il
parlare di causa o origine prima è illegittimo e illusorio. ‘Nella dottrina del
libero arbitrio anche la volontà umans è concepita come causa sui, Cfr.
Alfarabins, Fontes quastionum, cap. III; Jevons, The principles of science,
1879, p. 221. Causazione. Vocabolo improprio, che designa l’azione per mezzo
della quale una causa produce un determinato effetto; se la causa è mediata o
lontana, si usa anche l’espressione di proceso causativo. Cecità. T. Blindheit;
I. Blindness; F. Cécité. Può ensore totale, e cioè assenza congenita o
acquisita del senso della vista. Può essere parziale, e in tal caso può essere
limitata alla metà verticale degli oggetti, emianopsia, ο riguardare soltanto
il color rosso, daltonismo, o alcuni colori, disoromatopsia, o tutti i colori,
acromatismo. Il Munk chiama cecità psichica e lo Charchot cecità mentale lo
stato degli animali in seguito alla distruzione o alla lesione grave dei lobi
cerebrali; per effetto di tale distruzione l’ animale non comprende più il
senso di ciò che intende e vede, non si spaventa se minacciato, non ascolta
quando lo si chiama, mangia anche il cadavere d’un individuo della sua razza,
ecc. Il Munk spiega tali fenomeni con la perdita delle imagini della memoria,
che permettono di riconoscere e comprendere le nuove eceitasioni. Dicesi ocoità
verbale 0 alessia. uns forma di amnesia verbale che consiste nella perdita
della memoria visiva della parola in quanto scritta, e dipende da lesione o
atrofia dei centri visivi superiori. 11 soggetto può parlare ma non leggere,
queutunque le parole siano scritte sotto i suoi occhi ed egli ne comprenda
perfettamente il significato. La cecità verbale si distingue dalla ceoità
letterale, che consiste nella pordita della memoria delle lettere soritte, ©
dalla cooità peichica delle parole, che consiste in ciò che l’ammalato può
leggere le lettere e le parole, senza però capirne il significato. In senno
fignrato naasi anche l’espressione ceità morale, per CEL designare V’assenza ο
la degenerazione del senso morale, che si osserva in individui mentalmente
deboli; i ciechi morali si distinguono dagli anestetici del senso morale che,
al contrario dei primi, possiedono una coscienza morale, ma sono incapaci di
obbedirla, perchè mancano delle tendense emotivo necessarie, e dagli abulioi
morali che, pure possedendo tali tendenze, sono troppo deboli per lottare contro
quelle che li spingono invece al soddisfacimento dei loro appetiti e delle loro
passioni. Cfr.
Ribot, Les maladies dela memoire, 1909; Id., Payohol. des sentiments, p. 298,
349; E. Brissaud, Malattie dell’ enogfalo, trad. it. 1906, p. 107 seg Celantes.
Termine di convenzione mnemonica
con cui si designa nella logica formale uno dei modi indiretti della prima
delle tre figure del sillogismo, riconosciute da Aristotele. Come indicano le
tro vocali, questo modo ha In maggiore e la conclusione universali negative, la
minore universale affermativa. Questo modo è lo stesso del Calentes della
quarta figura, ma è ricondotto alla prima per la conversione della conclusione
ο la trasposizione delle premesse. Celarent. Termine mnemonico di convenzione,
che desigua un modo della prima figura del sillogismo, in cui, como indicano le
tre vocali, la maggiore ¢ la conclusione sono proposizioni universali negative,
la minore universale negativa. Es. Nessun essere mortale à infallibile -tutti
gli uomini sono esseri mortali dunque nessun nomo è infallibile. Corrisponde
all’&ypaye dei greci. Cellula. T. Zelle; 1. Cell; F. Cellule. È
Vindividualita organica elementare; fu detta anche otricolo, granulo, ece.;
Virchow la denominò focolare di rita. La parte essenziale della cellula è il
protoplasma, sostanza granulosa, semifinida, elastica, in cui si verificano la
maggior parte dei fenomeni vitali della cellula, cioè le funzioni della vita
vegetativa ο le funzioni della vita di relazione. Tali funzioni sono
considerate dalla biologia moderna come ensen 175 το ὅσν zialmente chimiche: la costituzione
chimica della collula è determinata ma variabile, poichè allo stato normale
eusa subisce delle continue diegregazioni e riparazioni; tra i molteplici
fenomeni chimici che in essa si notano, il principale è una grandissima
affinità per l'ossigeno, sia libero sia debolmente combinato. In seguito a
questa instabilità chimica, ogni cangiamento di stato della cellula determina
una eccitazione, e per conseguenza una risposta della cellula stessa alla
irritazione, di temperatura, di elettricità e di pressione, secondo le quali
possono operarsi le reazioni chimiche in cui consiste la vita della cellula.
Tale è il punto di partenza di tutte le azioni di cui gli esseri viventi sono i
produttori. La forza vi è condensata sotto la forma di energia chimica, e si
manifesta al di fuori sia per nn movimento, sia per la luce, sia per
l'elettricità, sia per il calore, sia per il pensiero. Ogni essere vivente è
costituito ο da una cellula (unicellulari) o da un aggregato di cellule
(pluricellulari); negli individui pluricellulari l’unità è data
all’aggregazione del sistema nervoso, che generalizza le irritazioni e
raccoglie in un centro le ecoitazioni sensibili e da esso tramanda le
eccitazioni motri Cfr. Henneguy, Leçons sur la morphologie et la reproduotion
de la cellule, 1896; Année peychologique, tomo II, 1896; Werworn, Fisiologia
generale, trad. it. 1897, p. 50 segg. (v. animismo, rita, vitaliemo). :
Cellulare (pricologia). I. Collular psychology; F. Paychologie cellulaire. La
psicologia delle cellule, di cui specialmente si ocenparono I’ Haeckol, il
Werworn, il Binet. Secondo questa teoria, ogni cellula, sia vegetale che
animale, sia isolata che facente parte d’un organismo pluricellulare, ha una
vita psichica, ciod la fucoltà di sentire le eccitazioni di varia natura e di
reagire a questi eccitamenti con determinati movimenti. La tesi fondamentale su
cui la psicologia colInlare si fonda è: siccome la psiche dell’ animale è la
risultante di tutto 1’ organismo in funzione del quale si Cer ~ 176
svolge e si complica, così necessariamente tutti gli elementi dell’
organismo, che concorrono a formare questo prodotto, parteciperanno della sua
proprietà generale, che è di essere cosciente, 9 le cellule di tutti i corpi
avranno perciò la coscienza dei loro atti. A questa tesi perd fu opposto che un
prodotto qualsiasi non è dato dalla semplice somma delle sue unità elementari,
e le qualità che lo accompagnano non corrispondono all’addizione delle qualità
per cui si distinguono i suoi elementi ; ogui fenomeno, dice il Lewes, è un
fatto emergente non semplicemente risultante, emerge cioè dalle unità combinate
come un nuovo fenomeno con caratteri propri e specifici e irreducibili ; perciò
è falso cavare dal fatto che la coscienza è il prodotto dell’ intero organismo,
la conseguenza che anche lo parti di questo organismo saranno coscienti. Cfr. Werworn,
Psycho-pAysiologischen Protisten, 1889; Haeckl, Essai de payohol. cellulaire,
trad. frano. 1880; Binet, La vie
peychique des micro-organiames, in Lo félioleme dans Vamour, 1891; Lewes,
Problems of Life and mind, 1879, cap. II; A. Groppali, Sociologia e psicologia,
1902, p. 103-180; G. Bilancioni, Za psicologia cellulare, 1903. Cellulari
(teorie). Le teorio con le quali si è cercato di spiegare sia l’origine delle
cellule, e quindi della vita, sin la formazione cellulare degli orgaui.
Rispetto al primo problema, i moderni biologi propendono in geueralo a ritenere
che la prima formazione cellulare non sia stata che rina semplice combinazione
chimica; ciò sarebbe comprovato dai tentativi fatti da alcuni fisiologi
(Mantegazza, Monnier, Virchow), tentativi in parte riusci nere artificialmente,
modiante combinazioni chimiche, una sostanza analoga al protoplasma e cupace di
movimento. La vita si originerebbe per tal modo dalla materia inorganica.
Quanto alla seconda questione, due sono le teorie principali: quella della
Hibera formazione cellulare e quella della moltiplicazione cellulare. Secondo
la prima, da un liqnido formativo dotto Mastema, si forma liberamente ogni 177
CEN cellula, © cioè prima il nucleolo, poi il nucleo, poi la membrana,
infine il liquido che riempie la cellula. Questa teoria è combattuta dalla
maggior parte dei moderni biologi, perchè la smentiscono vari fatti, fra cui
quello che molte cellule giovani mancano di nucleo, e che nelle formazioni
morbose molte cellule si formano per moltiplicazione di ‘altre preesistenti ; è
quindi preferita l’altra teoria, che cioè ogni cellula non può originarsi che
per moltiplicazione da un’altra cellula ad essa preesistente: omnis cellula ο
cellula (Virchow). Così questo secondo problema si riconnette al primo. Cfr.
Delage, La structure du protoplasme et les théories sur Vhérédité, 1895;
Werworn, Fisiologia generale, trad. it. 1897, p. 50 segg. (v. cellula,
duodinamiemo, meccanismo, protoplaema, vitalismo, vita). Conestesi (xoivi comune; αἴσθησις = sensazione). Lat.
Coenassthesis; T. Gemeinempfindung, Gemeingefühl; I. Com: mon sensibility ; F.
Sensations internes, Coencathéoie. Si adopera per designare tanto la
sensibilità generale, sia interna che esterna, quanto l'insieme delle
sensazioni interne ο della vita organica. Questo secondo è il significato più
in uso. La cenestesi è quindi la totalità delle sensazioni prodotte nel
cervello dagli stimoli che provengono da tutte le parti © da tutti gli organi
del corpo. Il Wundt la definisco il sentimonto complessivo nel quale ’ esprime
lo stato generale della nostra buona o cattiva disposizione sensibile ».
Solitamente infatti codeste sensazioni non sono che gli elementi di an
sentimento generale di benessere 0 di malessere, che corrisponde allo stato
degli organi medesimi ο la cui tonalità è in rapporto diretto con la
composizione e la circolazione del sangue, con la secrezione maggiore ο minore
delle glandule, con la rapidità o difficoltà della respirazione e della
digestione, col rilassamento ο contrazione dei mnscoli volontari ο involontari.
Questi fattori agiscono tutti contemporaneamente, ed è perciò che il senso
generale che ne risulta ci appare come semplice ed omogeneo, mentre 12 Raxzots, Dirion. di scienze filosoficlie.
CEN 178
in realtà è molteplico e quindi in sò medesimo vario. Le sensazioni
cenestesiche sono le più oscure ed indeterminate, anche perchè, a differenza
dello sensazioni esterne, non sono distinguibili nettamente nd allo stato
normale, perchè troppo deboli, nd allo stato anormale, perchè troppo forti.
Ordinariamente il senso generale è intonato dall’ azione predominante di questo
o quell’ organo, senza però che ciò appaia alla coscienza. Cfr. Sully, Outlines of
peychol., 1885, p109 sogg.; Wundt, Grundrise d. Peychol., 1896, p. 55, 189;
Beaunis, Les sensations internen, 1889; Ardigd, Op. All, I, 423 segg.; IV, 378 segg. Cenogenesi. La teoria
che ammette anche nell’ embrione 1’ aduttamento a nuove condizioni di vita, che
dà luogo a nuove forme mancanti nella figura originaria, trasmessa dalla
eredità, della forma stipite. Per tal modo i fenomeni dell’ ontogenesi, ο
evoluzione individuale, si dividono in due gruppi: il primo, detto palingenesi,
ci presenta dinanzi quelle antichissime condizioni di struttura che sono state
trasmesse per eredità dalle forme-stipiti primitive; il secondo, detto
conogenesi, altera l’ aspetto originario del processo evolutivo con l'introduzione
di nuovi caratteri, mancanti nelle forme stipiti, e acquistati dalle forme
embrionali per adattamento alle condizioni speciali del loro sviluppo
individuale. Tali caratteri nuovi diconsi cenogenie. Cfr. Haeckel,
Antropogenia, trad. it. 1895, p. 621. Centrale. 1. Central; I. Central; F.
Central. Si dice, per opposizione a periferico, di tutto ciò che è o avviene
nel cervello, nel cervelletto, nel midollo allungato e spinale. Così per la
visione si hanno degli organi periferici (occhio © sue parti, nervi ottici,
ecc.) e degli organi centrali (i tubercoli quadrigemini del cervello, ecc.); lo
stimolo che agisce sulla retina e determina, nel nervo ottico, una cortento
nervosa centripeta, è un fenomeno periferico; la coscienza di questo stimolo
(sensazione), che si desta nel cervello, è un fenomeno centrale. |
Centralissasione (legge di). Una delle leggi di progresso nel mondo organico:
nell'evoluzione degli organismi, accanto al differenziamento, si verifica una
subordinazione sempre maggiore delle parti e una crescente centralizzazione
delle fanzioni e degli organi. Centripeto e centrifugo. Dicesi centripeta una
forza diretta verso il centro di curvatura della traiettoria d’un punto
materiale, e che mantiene il mobile su questa traicttoria; e forza centrifuga
la reazione che un mobile assoggettato a descrivere una curva fissa, esercita
contro questa curva. Dicesi corrente nervosa centrifuga, ο, semplicemente,
fenomeno centrifugo, quello che #’inizia in un centro nervoso e si trasmette
attraverso il cilindro assile d’ una fibra fino ad on muscolo o ad una
glandola. La corrente centripeta è invece quella che s’ inizia in un qualsiasi
organo posto alla periforia del corpo e di IA si trasmette ad un ganglio ο ad
una muses di sostanza grigia. Centro. T. Centrum; I. Centre; F. Centre. Nella
psicologia fisiologica diconsi centri ideatiti, per opposizione ai motori, quei
centri della parte anteriore del cervello ove si fissano le imagini, e da cui
partono le correnti intercerebrali per i centri motori; e centri percettivi,
quelle areo della superficio corticale del cervello in cui si raggruppa un
maggior numero di cellule, e quindi di fibre nervone, legate ad un determinato
organo di senso, dal quale rice. vono le eccitazioni. L'estensione di codeste
zone è naturalmente in rapporto coll’ importanza del senso cui presiedono, ciod
maggiore per il tatto, la vista, l'udito, minore per il gusto e l'olfatto. La
loro costituziono non esclude che esistano in altre regioni del cervello altre
cellule ed altre fibre collegate col senso medesimo. Dai centri percettivi
sarebbero separati i centri motori, dai quali soltanto partono gli impulsi ai
movimenti e in cui si fissano le imagini dei movimenti stessi. Nella meccanica
razionale dicesi centro dei momenti il punto per rapporto al quale si prendono
CEN-CER 180 i momenti d’ un sistema di forze situate in
uno stesso piano, ϱ centro delle forse parallele il punto per il quale passa
costantemente la risultante di un sistema di forze parallele, quando si fa
variare la loro direzione comune senza far variare la loro intensità o
facendole variare proporzionalmente. Cfr. Bastian, Le cerveau organe de la pensée, trad.
franc. 1888; G. Sergi, La
peychologie physiologique, 1888, 1. II (v. ciraonvoluzioni, localiszazione
cerebrale). Centro di creazione, Alcuni segunci della dottrina del trasformismo
biologico, tra cui il Darwin e l’ Haeckel, ritengono che ogni specie animale e
vegetale non sia nata che una sola volta nel corso del tempo (origine omocrona)
e in un solo punto del globo, detto perciò il sno centro di creazione. A questa
legge si sottrarrebbero però, secondo V Haeckel, gli ibridi e gli individui di
struttura semplice. Cfr. De Quatrefages, La specie umana, trad. it. 1871;
Haeckel, I problomi dell’ unteereo, trad. it. 1903, p. 340 (v. monogenismo).
Cerebraxione. L’insiemo dei processi fisiologici del cervello che corrispondono
alla attività psichica, Si dicono fatti di corebrazione incosciente, quei
processi fisiologici del cervello che si svolgono senza dar luogo ni fenomeni
psichici relativi, i quali appaiono improvvisamente solo alla fine dei processi
medesimi @ come risultato di essi. Il problema della cerebrazione incosciente,
aftacciato da principio dal fisiologo Carpenter, è oggi assai discusso dai
psicologi e dai fisiologi, e può formalarsi così: dobbiamo ritenere che alcuni
stati del sistema nervoso, normali ο patologici, rappresentino vere
interruzioni dei processi mentali, oppure che i detti processi, pur subendo
grandi oscillazioni d’intensità ο di lucidezza, da un massimo ad un minimo, non
subiscano mai durante la vita alcuna interruzione assoluta? La prima dottrina è
sostenuta oggi du autorevoli psicologi come il Mtinsterberg e il Ribot; la
seconda specialmente da coloro che adottano l'ipotesi del parallelismo 181
Cen psico-fisico, estendendolo a tutti i processi specificamente vitali,
o almeno a quelli del sistema nervoso, e in special modo alla parte del sistema
impegnata nelle funzioni della vita animale o di relazione. Cfr. Max Dessoir,
Das Unbewussten, 1910; Boris Sidis, Studies in mental dissociation, 1905; B.
Hart, The conception of the subconscious, Journal of abnormal psych. », IV,
1909-910; Aljotta, Atti del V Congr. int. di peicol. a Roma, 1906. Certezza. T.
Gewissheit; I. Cortitude, Certainty ; F. Certitudo. Sia positiva che negativa,
è sempre uno stato mentale, e quindi soggettivo, che consiste nella persuasione
assoluta della verità cui l'intelligenza aderisce. 8. ‘Tommaso dice: Cortitudo
nihil aliud ost quam determinatio intellectus ad unum. Essa ha per condizioni:
la presenza di due o più mentalità dotate di un certo grado d’intensità; il
legame di una mentalità, o d’un gruppo di esse, a un’altra; la coscienza di un
legame energico, associativo, tra le due mentalità considerate. Si può avere
anche la certezza della falsità di un giudizio o di una idea: si cognoscimus,
dice Cr. Wolff, propositionem esse veram vel faleam, propositio nobis dioitur
esse certam. Si suole distinguere; sebbene impropriamente, la certezza
soggettica dalla oggettiva : quella è data dalla testimonianza della nostra
coscienza, irrecusabile per ciascuno di noi, ma che non può essere comunicata
agli altri, non essendo fondata su ragioni valide per tutte le coscienze;
questa, che è la certezza scientifica, e dicesi piuttosto eridenza, non dipende
da circostanze soggettive e può quindi essere condivisa da tutti. La
distinzione tra certezza cd evidenza è posta talvolta in modo diverso, ad es.
dul D’Alembert: L’ evidenza appartiene propriamente alle idee di oui lo spirito
percepisce immediatamente il legame; la certezza a quelle il cui legame non può
essere conosciuto che con l’aiuto d’un certo numero d’idee intermedie, o, che è
lo stesso, alle proposizioni la cui identità non può essere scoperta che con un
circolo più o meno Ces 182 lungo ». Si distinguono ancora varie specie
di certezza: 1° quella logica ο metafisica, che riguarda l’ ordino immutabile
dell’ ideale, dei supremi principi, ο si divide in intuitiva, quando 1’ idea
uppare immediatamente come evidente, e in razionale o discorsiva quando non
diviene evidente che in seguito ad altre idee, cioè mediante un raziocinio; 2°
quella fisica, che riguarda le coso sensibili, e può essa pure essere razionale
se si ricava indirettamente dalla percerione, peroettita se si ha
immediatamente; questa poi è psicologica quando la percezione si riferisce ad
un fatto interno o psichico, eetefica quando si riferisce ad un fatto esterno;
3° quella didascalica, che si fonda sopra la testimonianza ο autorità altrui, e
pnd essere dottrinale 0 storica a seconda che riguarda fatti attestati da
persone o dottrine tramandate da un maestro; 4° quella morale, che non bn un
significato preciso, cosicchè per alcuni logici antichi designa ciò che
solitamente dicesi certezza dottrinale e storica, per altri è la certezza
subbiettiva ο psicologica, per altri ancora quella che aderisce agli impulsi
del sentimento e dell’ istinto, ο, per i più, la certezza con cni si aderisce
alla verità dell'ordine morale. Cfr. S. Tommaso, In Hb. sent., III, dist. 23, qu. 2, 2; Cr. Wolff,
Philos. rationalis, 1732, $ 564; D'Alembert, Disc. prélim. de 0 Enciolopédie, §
51; Joh. Volket, Die Quellen der menschlichen Gewissheit, 1906; Rosmini,
Logioa, 1853, $ 217-220; A. Farges, La orisi della certezza, trad. it. 1911 (v.
criterio). Cesare. ‘Termine
mnemonico di convenzione, corrispondente all’&ypape dei Greci, con eni si
designa, nella logica formale, quel modo della seconda figura del sillogismo,
che lia la premessa maggiore universale negativa, la minore uni versale
affermativa, ὁ la conclusione universale negativa. Es.: Nessun uccello è
mammifero, I pipistrelli sono mammiferi. Dunque i pipistrelli non sono uccelli.
Si riconduce al Celarent della prima figura mediante la conversione della
premessa maggiore. 188 Cat Chiaro. T. Klar, deutlioh; I. Clear,
evident; F. Clair. Nella
terminologia cartesiana è chiara l’idea che è presente e manifesta allo
spirito, è distinta l’idea che è precisa ο ci fa differenziare l'oggetto a cui
si riferisce da tutti gli altri di cui abbiamo conoscenza; tutto ciò di eni si
ha una idea chiara e distinta è vero. Perciò la verità fondamentale è nel cogito
ergo sum »; esso infatti ha entrambi i caratteri della chiarezza, perchè |’ Io
è immediatamente presente et sò stesso, della distinzione perchè 1’ Io è
pensante e il pensiero costituisce la nota per la quale si distingue da tutte
le altre conoscenze. Alle idee chiare si oppongono le oscure, alle distinte le
confuse. Il Leibnitz ha adottato la stessa differenza, spostando un poco il
significato delle espressioni: per chiara egli intende la rappresentazione che,
diversa dalle altre, è atta al riconoscimento del suo oggetto; per distinta
quella che è chiara fino nei suoi eingoli elementi e fino alla conoscenza del
loro rapporto. Le verità @ priori geometriche o metafisiche sono chiare e
distinte, quelle a posteriori invece, ossia le verità di fatto, sono chisre ma
non distinte: le prime sono quindi perfettamente trasparenti, congiunte con la
convinzione dell’ impossibilità del contrario; nelle seconde si può ancora
pensare il contrario. Cfr. Cartesio, Prino. phil., I, 45; Med., III, p. 15;
Leibnitz, De cogn., Erdm. p. 19; E. Grimm, Das Lehre von den angeborenen Ideen,
1873. Chimici (consi). Si dicono tali, per distinguerli dui meccanici, quei
sensi sopra i quali gli stimoli esercitano una asione chimica: tali sono la
vista, il gusto © l'olfatto. Chirognomia. Gr. χείρ--mano; Ύνῶμα = contrassogno,
cognizione. La pretesa di predire il futuro relativamente a una persona e
indovinarne il carattere e le attitudini, coll’esame della mano e delle linee
di essa. La psichiatria © l'antropologia hanno soltanto stabilito che
Pirregolarit& dei solchi palmari, le dita in soprannumero © in numero minore,
e la torsione o l’atrofia delle dita, Cix
184 specie il mignolo,
rappresentano una stigmata degenerativa, e sono frequenti negli idioti, nei
pazzi e nei criminali. L’arte della chirognomia si crede tniziata dal filosofo
Anassagora, Cinematica. (Gr. Κίνημα = movimento); T. Kinematik ; I. Kinematios;
F. Cinématique. Vocabolo introdotto nell’ uso dall’ Ampère, in luogo
dell’antico di foronomia, per designare lo stadio del movimento considerato
astrattamente, prescindendo dalle cause e dalle circostanze nelle quali si
produce. Essa si occupa di tutte le considerazioni che riguardano gli spasi
percorsi nei differenti moti, i tempi impiegati a percorrerli, la velocità,
eco. Fa parte della meccanica. Cfr. Ampère, Essai sur la philosophie des
sciences, 1834. Cinestetiche (sensazioni). (Gr. Κίνησις movimento;
αἴσθησις sensazione); T.
Bewegungsempfindungen ; I. Kinaesthetio; F. Sensations kinesthésiques. Le
sensazioni provocate dai movimenti, e specialmente dalla contrazione dei muscoli
volontari. Alcuni psicologi ammettono che noi sentiamo non lo sforzo delle
contrazioni muscolari, ma il grado di innervazione che comunichiamo ai muscoli
per produrre una data contrazione. Che esista questo senso dell’innervazione è
provato dal fatto che noi comunichiumo ai muscoli l’innervazione necessaria per
produrre lo sforzo muscolare corrispondente alla resistenza che deve essere
superata. D’ altro canto la psicologia sperimentale ha provato 1) esistenza del
senso muscolare, con la scoperta di fibre muscolari sensitive e della sensibilità
dei tendini, i quali, stimolati, danno movimenti riflessi. Cfr. Kreibig, Die
fünf Sinne, 1907, p. 21 seg.; E. Mach, Grundlinien der Lehre von den
Bewegungsempfindungen, 1875; H. C. Bastian, Le cerveau organe de la pensée,
1888, p. 279 segg.; Beaunis, Les sens. internes, 1889 (v. articolare,
muscolare). Cinici. T. Cyniker ; I. Cyniques; F. Cyniques. Una delle scuole
soeratiche minori, fondata da Antistene al Cino 185 IR sarge. I cinici esngerarono le dottrine di
Socrate, avondo per sola mira di affrancarsi dalla schiavitù esteriore ;
infatti la loro dottrina si compendia tutta in una sola massima: vivere secondo
natura, Essi sostenevano che la virtù basta per sè atesss a rendere felici, in
quanto è appunto quella norma di vita che rende l’uomo indipendente fino al
possibile dalle vicende del mondo esterno, insegnandogli a sopprimere i
desideri ο a limitare fino all’ estremo i bisogni. I cinici si possono
riguardare come i precursori degli stoici. Nel linguaggio comune le parole
cinico e cintemo sono rimaste per designare il disprezzo delle convenzioni
sociali, dell’ opinione pubblica e anche della morale, sia negli atti sin
nell'espressione delle opinioni; e ciò per il fatto che i filosofi cinici
ponevano una radicale opposizione tra la natura e la legge o convenzione,
conformendosi s quella nella condotta pratica. Cfr. Diogene L., VI, 2; K. W.
Gôttling, Diogenes der Kyniker, Ges. Abhandl. », I, 125 segg.; Zuccante,
Diogene, Cultura filos. », gennaio 1914; Windelband, Storia della filosofia,
trad. it., vol. I, p. 101 segg. (v. autarohia). Circoli tattili. T. Tasteirkel.
Il Weber chiamò così quelle superfici della pelle ove le due punto del
compasso, più o meno divaricate, si sentono come una punta sola; la distanza
fra le due punte rappresenta il diametro del circolo tattile. Quanto maggiore è
il grado d’acutenza della sensibilità tattile, tanto minore è il dismetro del
circolo tattile. Il punto più sensibile del corpo è l’ apice della lingua, il
cui il circolo hu il diametro di nn mm.; poi vengono le punte delle dita della
mano che sentono le due punte dell’ estesiometro quando sono divaricate poco
più di dne millimetri; seguono poi le labbra, la punta del naso, le guance,
eoc., fino a che si arriva alla coscia e al braccio, ove il circolo tattile ba,
secondo il Wundt, un diametro di 68 mm. Cfr. E. H. Weber, Annotationen anat. ot
phys., 1834; Fechner, Elem. d. Poychophyeik, 1860; Wundt, GrundCir 186
silgo d. phys. Psychologie, 3* ed., I, 391, II, 10 segg.; Kreibig, Die
fünf Sinne, 1907, p. 32-34 (v. esteriometro). Ciroolo solido. Lat. Ciroulus
materialis. Nella logica dicesi così quella operazione mentale, che consiste
nel passare dalla cognizione virtuale o implicita del tutto, alla cognizione e
all’ essme delle parti, per poi risalire alla cognizione attuale ed esplicita
del tutto medesimo. Così lo zoologo al al quale si presenta un animale
sconosciuto, prima lo conosce in modo implicito e indistinto, poi ne studia
distintamente i caratteri, gli organi, le funzioni, ecc., infine raccoglie i
risultati di questi suoi studi, in modo da avere dell’ animale una conoscenza
più compiuta e sicura. Il circolo solido è detto anche regresso. Cfr. Rosmini,
Logioa, 1853, pag. 242 segg. Circolo vizioso. Lat. Ciroulus vitiosus ; T.
Zirkel, Zirkelbeweis; I. Cirole; F. Cercle ricieur. È un sofisma di
ragionamento, il quale consiste nel provare una proposizione, appoggiandosi
sopra una seconda, la quale non può provarsi se non appoggiandosi sulla prima.
Ad es. : alcune idee sono innate perchè anteriori dell’ esperienza, e sono
anteriori all’esperienza perchd innate. Oggi lo si denomina più comunemente
petizione di principio, appunto perchè consisto nel postulare fin da principio
quello stesso che si vuol dimostrare; nel linguaggio scolastico il circolo
vizioso dicevasi anche oiroulus logious, Dicevasi poi ciroulus materialis ©
regressus demonstrationis il ragionamento con cui si prova la causa per gli
effetti, e poi si provano gli effetti stessi mediante la causa, considerata più
attentamente e meglio conosciuta, Cfr. Aristotele, Anal. pr., II, 5, 576, 18;
Masci, Logica, 1899, p. 374 seg. (v. diallelo). Circonvoluzioni cerebrali. F.
Circonvolutione cérebrales. Rilievi a forma di pieghe che rivestono la
superficie del cervello, o mantello cerebrale, determinato da solchi corrispondenti
ο solssure. Si distinguono in cire. profonde, limitate dalle scissure primarie
e secondarie, e circ. di pasCir raggio, che risultano da ramificazioni delle
prime. Sembra esistere un certo rapporto tra lo sviluppo della intelligenza e
la profondità e quantità dello scissure e circonvoluzioni cerebrali. La loro
origine fu spiegata varismente : 1° per l’azione vascolare, cioè per l’azione
meccanica esercitata dui rami arteriosi corrispondenti alle scissure; 2° per I’
ineguale accrescimento della superficie cerebrale, crescendo la superficie nel
foto più presto in direzione sagittale, ο determinando in tal modo una maggior
tensione trasversale (Wundt); 3° per la sproporzione di acorescimento
filogenetico tra oranio e cervello, poichè crescendo di più il cervello (specie
nella corteccia grigia, in cui si esplica l’attività psichica) della scatola
cranica che lo contiene, il primo è costretto a pieghettarsi dovendo rimaner
compreso nella seconda. Questa ultima è forse la spiegazione più attendibile.
Cfr. L. Clarke, Notes of researches on the intimate struoture of the Brain, Proceed
of the R. Society », 1863; Bastian, Le cerveau organo de la pensée, 1888, vol.
II, p. 14 segg. Cirenaici. T. Kyrenaiker; F. Cyrénaiques. Una delle scuole
socratiche minori, fondata da Aristippo di Cirene. Essi ponevano come bene
incondizionato, come fino n sè stesso, il piacere attuale ο presente; fra i
piaceri del corpo © quelli dello spirito preferivano i primi, come più intensi
e più vivi, non trascurando però l'educazione dei secondi. Fondatore della
scuola fu Aristippo, nato à rene intorno al 435 a. C., da famiglia ricchissima,
e vissuto qualche tempo ad Atene, dove divenne.scoluro ed amico di Socrate. Per
quanto possa parer strano, egli non fece con la sua dottrina che svolgere nn
elemento già contenuto nella filosofia del maestro. Per il quale, com’ et noto,
non c’è contraddizione tra virtà ο felicità, anzi la virtù è il più delle volte
indicata come il mezzo più sicuro per arrivare alla felicità; in un luogo dei
Memorabili, Socrate dimostra, ad esempio, che la tempeCLa 188
ranza ci fa godere molto più della intemperanza, e che perciò quella,
anche sotto il rispetto del piacere, è da preferirsi a questa: a seguire la
virtù piuttosto che il vizio si trova sempre da ultimo, se non da principio, il
tornaconto. Aristippo prese dalla dottrina socratica questo concetto, che
conveniva alla sua natura ο al suo temperamento, ~ portandolo alle estreme
conseguenze. Egli però, se riteneva che ogni piacere, in generale, è buono per
sò stesso © merita di essere cercato, insegnava anche che certi piaceri devono
essere fuggiti per i dolori che arrecano, che non conviene violare le leggi per
non incorrere nelle leggi penali e nella disistima pubblica, e sovrattutto che
l’uomo deve essere il signore del piacere non lo schiavo: È siguor del piacere
non colui che se ne astiene e lo fugge, ma colui che ne usa senza lasciarsi
trasportare, come è signore della nave o del cavallo non già colui che rifagge
dall’adoperarli ma colui che li conduce dove vuole ». Morto Aristippo, la
scuola continuò col nipote, poi con Teodoro l’ateo, con Anniceride e finì circa
due secoli dopo con Egesia: ma l’insegnamento primitivo subì trasformazioni
radicali, tantochd Teodoro pose come scopo dell’ uomo non più il piacere ma la
gioia e la serenità dell’ anima, Egesia giudicò la felicità come
irraggiungibile © descrisse con tanta officacia i mali della vita, che molti
furon tratti dal suo insegnamento al suicidio, ond’ egli ebbe il soprannome di
avvocato della morte, Πεισιθάνατος, e le autorità di Alessandria ebbero a
proibirgli per questa ragione di tenere scuola, I cirenaici possono
considerarsi i precursori dogli epienrei. Cfr. Cicerone, Aoadem., IV, 24; A.
Wendt, De philosophia Cyrenaioa, 1841; G. Zuccante, I Cirenaici, Riv. di fil.
», marzo 1912 (v. edonismo, morale). Clan. T. Sippe; I. Clan; F. Clan. Nella
sociologia si dà questo nome a tutte quello forme primitive di società, che
ripossno sopra la parentela ed hanno costituzione guerriera © proprietà comune;
in senso più ristretto, che è anche
189 Cia il primitivo, designs le
tribù delle isole britanniche, e particolarmente gli Irlandesi e gli Higlanders
di Scozia, viventi sotto il regime patriarcale. Cfr.. Durkheim, Année
sociologique, I, 9 e 31; Powell, ibid., IV, 125. Classificazione. T.
Classification; I. Classification; F. Classification. È un'operazione logica,
che consiste nel distinguere più oggetti o fatti in classi o gruppi, secondo i
rapporti di somiglianza ο differenza. La classificazione dicesi sintetica quando
parte da un oggetto complesso per discendere 9 oggetti meno complessi e agli
elementi primi componenti; analitica se inverssmente; artificiale quando le
completa conoscenza degli esseri che si classificano, si fonda sopra un numero
ristretto di caratteri, scelti non secondo la loro importanza ma secondo la
facilità di conoscerli; naturale quando è fondata sopra la cognizione dei
caratteri più importanti, palesi o occulti, permanenti ο evolutivi. Il concetto
di evoluzione, divenuto fondamentale nella scienza moderna, ha dato luogo ad
una nuova forma di classificazione, detta genetica, che è la più perfetta in
quanto considera le classi come il prodotto più o meno stabile, ma non
assolutamente invariabile, delle variazioni causali delle proprietà ; perciò
tutte le scienze tendono a costruire sul tipo genetico le proprie
classificazioni, che hanno però diverso valore nelle scienze teoriche
costrattive e nelle sperimentali: in quelle la genesi delle forme è una
costruzione nostra e quindi può essere varia, in queste la genesi non è una
costruzione nostra, ed è una, 9 quindi è una anche la classificazione genetica
possibile. Cfr. Wundt, Logik, 1898, II, 40. Classificazione delle scienze. Per
Aristotele, che fu il primo ad occuparsi del problema scientifico, tutte le
scienze sono subordinate alla filosofia prima (φιλοσοτία πρώτη) detta poi
metafisica, 9 queste scienze sono: la ieoretica di cui fanno parte la
matematica, la fisica, la atorin naturale; la pratica ciod la morale; In
poetica cioè 1’ enteCia tica. Per gli stoici invece tutte le scienze si
riducono a tre fondamentali: fisica, etica e logioa. La classificazione di
Aristotele rimase in vigore fino a che durò incontrastata l'autorità della sua
filosofia, vale a dire fino al Rinascimento. Bacone, primo nell’ evo moderno,
volle tentare una classificazione diversa, fondata sopra le tre grandi facoltà
in oui egli divideva lo spirito : memoria, imaginazione, ragione. Opers della
prima è la storia, della seconda la poesia, della terza la filosofia ; quest’ ultima
ha un triplice oggetto: Dio (teologia), l’uomo considerato sia genericamente
che nel corpo e nello spirito, e la natura, onde abbraccia lo matematiche, la
filosofia naturale e la meta‘ fisica. Per Cartesio lo spirito nmano è come un
albero, di cui la fisica è il tronco, la metafisica le radici, i rami le altre
scienze, che si riducono a tre più importanti, ciod la medicina, la meccanica ©
la morale; la filosofia è tutto l’ albero. Notevole poi fu il tentativo di
classificazione fatto dal Diderot, nel I° vol. dell’ Enciclopedia; genialissimo
e compiuto quello dell’Ampère, che qui sarebbe troppo lungo ricordare, giucchè
di suddivisiono in snddivisione egli giunge ad enumerare 128 scienze. Augusto
Comte classificò le scienze a seconda del loro grado di complessità e la
rispettiva subordinazione, stabilendo la serio seguente: matematica,
astronomia, fisica, chimica, biologia, sociologia. La matematica vien prima,
perchè Ja più generale ο più semplico e meno subordinata; la sociologia ultima
perchè più particolare, più complessa, © richiede la conoscenza di tutte le
altre. Lo Spencer, tenendo conto delVoggetto delle scienze, le distingue in
astratte, che studiano i rapporti indipendentemente dai fenomeni e dagli
esseri, come la logica e la matematica; conorste, che studiano gli stessi
esseri naturali, come l'astronomia, la biologia, la psicologia, la sociologia;
astratte-conorete, che studiano i fenomeni indipendentemente dagli esseri, como
la mecca nica, la fisica © la chimioa. Tra i molti tentativi dei filosofi 191
CLa-CLE contemporanei per risolvere 1’ arduo problema, ricorderemo
ancora quello del Naville, che divide tutto il sapere in tre grandi gruppi: 1°
la teorematica, che comprende tutte le scienze delle leggi, e ciod la
nomologia, le scienze matematiche, fisiche e psicologiche, fra oui è la
sociologia; 2° la storia umana; 3° la canonica, che comprende tutte le scienze
delle regie ideali d’azione, e cioè le teorie dei mezzi ο delle arti, le
scienze morali e l'etica propriamente detta. Ad ogni modp, la olassificazione
più comune e praticamente usata, benchè poco scientifica, è la seguente: 1°
sciense matematiche (aritmetica, geometria, algebra, meccanica, astronomia); 2°
soiense fisiche (fisica e chimica); 3° acienze naturali (mineralogia, geologia,
botanica, zoologia, antropologia, anatomia, fisiologia, etnologia, patologia,
nosologia); 4° scienze morali (scienze sociali, politiche, storiche e
psicologiche). Claustrofobia. T. Alaustrophobic; 1. Claustrophoby ; F.
Claustrophobie. Con questo nome, introdotto nella terminologia scientifica dal
Ball, si denomina quello stato patologico che consiste nell’ orrore per i
luoghi chiusi. Gli ammalati non possono sopportare d’essere chiusi in una
stanza, e certe volte nemmeno passare sotto una galleria o per una via stretta:
essi dicono di soffocare, di non poter respirare, di sentirsi opprimere. La
cluustrofobia è l'inverso dell’ agorafobia, ο l'una ο l’altra non sono che casi
particolari della fobia dei luoghi, o topofobia. Cfr. A. Verga, La
Claustrofobia, Rend. Ist. lombardo », 1878. Cleptomania. T. Kleptomanie,
Stehltrieb; I. Cleptomany; F. Cleptomanie. Fenomeno patologico, che consiste
nell’ impulso irresistibile a impossessarri di oggetti appartenenti ad altri,
anche se di nessun valore e pur essendo nell’ ammalato la coscienza dell’ atto
delittuoso che commette. In ciò sta la differenza tra il cleptomane e il pazzo
morale: questi ruba seguendo i suoi istinti perversi, obbedendo volontieri ad
nna volontà viziata per abitudine; quegli CLi-Con 192
invece cede ad un bisogno morboso intermittente, contro il quale cerca
di lottare ο al quale non cede che a mnalincuore, come costretto da una forza
più potente della sua volontà. Cfr. Tamburini, Riv. oliniea, 1876; E. Brissaud,
Malattie del? enogfalo, trad. it. 1906, p. 108 segg. Clinanem. Con questo nome
Lucrezio designa quella deolinazione degli atomi, che è I’ ipotesi fondamentale
del sistema epicureo. Secondo Epicuro, nello spazio infinito sono diffusi in
numero infinito gli atomi, che, essendo dotati di peso, cadono verticalmente
con la stessa velocità. Ma come si spiega allora la formazione delle cose e del
mondo? In questa eterna pioggia di atomi bisogna ammettere che alcuni, in
momenti © posti non determinati, deviino spontaneamente dalla linea verticale e
per quel tanto che basti a nrtare contro altri atomi vicini; questi, alla lor
volta, producono per rimbalzo altri urti, e così via via finchè si producono
degli addensamenti atomici, che, nell’infinita varietà delle combinazioni
possibili, dànno luogo ai mondi e alle cose. Su questa infrazione della legge
di causalità fisico, Epicuro fondava il libero arbitrio del volere, che egli
riteneva indispensabile alla felicità : I’ atto volontario è in relazione coi
motivi; così il primo come i secondi si riducono a moti atomici interni; mia
siccome nei moti atomici c'è la libertà, così il passaggio dai secondi ai primi
non è una trasformazione meccanica di movimento, bensì i primi si determinano
spontaneamente, come spontanea è la declinazione atomica. Cfr. Diogene L., X, 184;
Lucrezio, De rer. nat., II, 251-293; Brieger, Urbewogung der Atome, 1884;
Giussani, Studi luoreziani, 1896, p. 124-169; Ranzoli, Il caso nel pensiero e
nella rita, 1913, p. 26-33 (v. atomo, atomismo, coniunota). Codivisione.
Quando, nella divisione logica, il concotto dividente viene diviso
successivamente sotto più d’un rispetto, l'insieme di tali divisioni
costituisce una codivisione. La qualo per tal modo non è possibile, se non
quando 193 Cox-Coa ciascan termine dividente sia atto ad
essere suddiviso sotto il medesimo rispetto ο fondamento (v. divisione).
Coesione psichica. Il legame maggiore o minore che unisee gli elementi da cui
risultano le formazioni psichiche. Secondo 1’ Ardigd, la coesione massima à la
percettiva, e specialmente quella che si forma tra una idea e la parola che
l’esprime; è media la coesione che si ha nelle formazioni ideali, come è
provato dalla varia significazione che una stessa parola riceve nell’ ideazione
degli individui; minima è la coesione logica, che si avvera nel sogno, nella
riflessione, nel ragionamento. La legge fondamentale è che la coesione sta in
rapporto inverso con la complessità del lavoro mentale. Cfr. Ardigò, Op. fil,
VII, 40 e segg. Cogito, ergo sum (penso, dunque esisto). È il principio dal
quale prende le mosse la filosofia di Cartesio. Dopo aver rigettato come dubbie
tutte le verità accettate o per autorità o per testimonianza del senso, trovò
che una cosn sola era fuori d’ogni dubbio e poteva quindi servir di base
inconcusss su cui fondare tutte le altre cognizioni: il dubbio medesimo, vale a
dire il pensiero, e quindi anche In certezza della nostra esistenza. Di tutto
possiamo dubitare, egli diceva, ma non dubitare di dubitare, nè dubitare di
esistere noi che dubitiamo. Lo stesso principio era stato altre volte affermato
prima di Cartesio, ad es. da Β. Agostino, per il quale pure la conoscenza che
I’ essere pensante ha del proprio esistere è immediata: Quando quidem, etiam si
dubita, vivit, si dubitat, cogitat. Ugualmente 8. Tommaso: Nullus potest cogitare
se non esse cum assensu in hoc enim, quod cogitat, percipit se esse.
Campanella: Si nogas et divis me falli, plane confiteria, quod ego sum; non
enim possum falli, si non sum.... Ergo nos esse et posse scire et volle est certissimum
principium, deinde secundario, nos case aliquid et non omnia. Però, mentre per S. Agostino, 8. Tommaso e
Campanella la certezza che |’ anima ha di sò à In più sicura di tutte le
esperienze, il carattere fondamentale 13
RaxzoLt, Dision. di scienze filosofiche. CoL 194
della percezione interna, per cui questa ha il sopravvento gnoseologico
sopra la percezione esterna, per Cartesio invece la proposizione oogito sum ha
il significato di prima fondamentale verità di ragione più che di esperienza;
la sua evidenza non è nemmeno quella di un sillogismo, ma quella di una
immediata certezza intuitiva: prima quaedam notio quae ex nullo eyllogismo
concluditur. La formula cartesiana fu spesso modificata in sdguito, dandole
maggiore impersonalità ed estensione: Cogito, ergo est (Schopenhauer); Cogito,
ergo sum αἱ est (Richl); Cogito, ergo res sunt (Boutroux). Cfr. 8. Agostino, De
Trin., X, 14; 8. Tommaso, Quaest. disp. de ver., 10; Campanella, Universalis
philos., 1688, I, 3, 3; Cartesio, Med., II, 10, 11; Resp. ad. Obj., Il;
Schopenhauer, Die Welt als. W. und Vorat., suppl. cap. IV; Riehl, Die philos.
Kritioiemus, 1887, II, 2, p. 147; Boutroux, Rerue des Cours, 1894-95, II, 370. Collettivismo. Kollektivismus; I. Collectiviem;
F. Coliectivieme. Termine creato al Congresso di Bâle, nel 1869, per opporre al
socialismo di Stato, rappresentato dai marxisti, il socialismo non
centralizzatoro. Oggi perd il termine ha assunto un significato più largo, e
indica la dottrina sociale e politica, che propugna l’avvento di una società
nella quale sia abolita la proprietà privata, sia seso comune lo stromento del
lavoro, ed ogni individuo abbia una ricompensa proporzionata così alla sua
capacità come all’opera sua, ma in maniera che ognuno abbia il sufficiente, in
modo degno della umanità. La propriotà è amministrata direttamente dallo Stato,
il quale ne distribuisce il frutto tra i suoi membri. Cfr. Schwflle, Bau und
Leben d. socialen ‚Körpers, 1874; Y. Guyot, Le oolleotivieme futur et le
sooialisme présent, 1906; F. E. Restivo, Il socialismo di Stato, ed. Sanron;
Ant. Labriola, Discorrendo di filosofia ο socialismo, 1898. Collettivo. T.
Gesammnt, kollektir ; I. Collective; F. Colleotif. Si oppone a distributivo e
si distingue da generale. È collettivo ciò che è comune ad un numero
determinato 195 Com di individui ed è una proprietà dell’
insieme ; è generale ciò che è comune ad un numero indeterminato di individui e
appartiene a ciasouno d’essi. Perciò nella logica dicesi collettivo il termine
che abbraccia una moltitudine d’individui senza riferirsi a ciascuno di essi
(es. il 19 reggimento), generale il termine che abbraccia una moltitudine
indefinita di individui a ciascano dei quali si riferisce (es. soldato). Quindi
il termine collettivo è individuale, perchè, sebbene poses esser detto d’una
moltitndine individuale presa insieme, non pud esserlo di ciascuno degli
individui presi n parte. Combinatoria (ars). Quella parte della matematica, che
ha per oggetto di formare per ordine tutte le combinazioni possibili di un
numero dato di oggetti, di numerarle e studiarne le proprietà ο le relazioni.
Con la stessa espressione il Leibnitz designava la medesima scienza, applicata
ad ogni categoria di conoetti, costituendo così la parte sintetica della logica
(v. probabilità). Comico. T. Komische (das); I. Comical; F. Comique. Termine
generico in cui si comprendono tutti quei sentimenti che, nella ricca varietà
delle loro sfumature, ai presentano a volta a volta come umoristico, ridicolo,
ironico, grottesco, satirico, arguto, scherzoso, ecc., ed hanno quasi sempre per
linguaggio emozionale il riso o il sorriso. Secondo In teoria di Platone,
svolta poi da Hobbes e da Lamennais, e accettata fra noi dal Troiano, il
sentimento del comico si risolve nell'orgoglio prodotto dalla percezione
improvvisa della nostra superiorità; così chi ride alla commedia si crede privo
del difetto di cui ride e si sente superiore al personaggio che ne è macchiato.
Invece per Aristotele il comico è un difetto che nd fa soffrire nà nuoce;
questa definizione fu poi modificata da Cartesio ο svolta recentemente dall’
Ueberhorst, che risolve il comico nel segno @ una caftiva qualità d’una
persona, se abbiamo In coscienza di non possedere un difetto della steran perio
e Com 196 non sono provocati in noi sentimenti
fortemente sgradevoli ». Analoga a questa è la definizione del Bergson, per il
quale le oomique est 06 oôté de la personne par lequel elle ressemble à une
chose, ost aspeot des événements humaine qu'imite, par sa raideur d'un genre
tout partioulier, lo mécanieme pur et simple, Vautomatieme, enfin le mouvement
sans la vie; esso sorge infatti quando negli atti che non sono essenziali per
Is vita manca quella vigile agilità di corpo, di spirito e di carattere che la
società richiede; ossia quando l’automatismo imita la vita. Secondo un’altra
dottrina, accennata prima ds Cicerone e da Quintiliano, svolta oggi dal Penjon,
il comico è la libertà, ciò che rompe la regolarità e l'uniformità della vita,
sense spaventarci nd danneggiare noi ο altri; » questo tipo si possono
ricondurre molte dottrine, come quella di Kant, che fa originare il comico
dall’improvviso risolversi in nulla di una grande aspettazione; quella dello
Schopenhaner, che lo riconduce ad un disaccordo subitamente avvertito tra un
concetto ¢ gli oggetti reali che esso ha suggerito; quella di Giampaolo, cho lo
risolve nell’ assurdo roso sensibile perchè manifesta una contraddizione;
quella dello Spencer, che lo riconduce ad un contrasto tra oggetti grandi ©
piccoli; quella del Lipps, che lo fa originare da un contrasto tra la cosa
attesa © quella che si presenta. Invece per il Sully il comico non è che il
giuoco, cioè il considerare quel che si presenta davanti al? anima nostra como
un oggetto di divertimento, un oggetto che non si deve prendere sul serio; per
il Bain è l’accrescimento di energia prodotto dalla liberazione di una gravità
forzata; per il Philbert è un errore subito rettificato, nascendo quando noi
siamo ad un tempo ingannati e disingannati, quando con un solo sguardo vediamo
I’ errore, tutte le sue cause © il vizio di queste cause >. Tra le dottrine
più recenti ricorderemo infine quella di A. Momigliano, che, dopo aver
esaminato con nentezza le forme fondamentali dol comico o lo definizioni fino
ad ora proposte, conclude 197 Com che il sentimento del comico nasce dal
compiacimento estetico col quale si rileva inaspettatamente il lato debole di
un oggetto o nn contrasto che rende manifesti un’ imperfezione © un malanno
imputabili all’ uomo o alla sorte ». Cfr. Franz Jahn, Das Problem des
Komischen, 1905; Ueberhorst, Das Komische, 1896-1900; Lipps, Payohol. d. Komik,
Philos. Monatshefte
», 1888, XXIV; Dugas, Peyohol. du rire, 1902; Sully, Essai sur le rire, 1904;
Bergson, Le rire, 1904; Bénard, La théorie du comique dans l’esthétique
allemande, Revue philos. », 1880-81, vol. X, XII; C. Hanau, Del riso e del sorriso, Riv. di fil.
scientitica », 1889, vol. VIII; F. Masci, Psicol. del comico, Atti della R.
Acc. di s. 11. e p.», 1889; A. Momigliano, L'origine del comico, Cultura
filosofica », luglio ο sett. 1909; Giulio A. Levi, Il comico, 1912 (v. ironia,
umorismo). Comparazione. T. Vergleichung ; 1. Comparison; F. Comparaison.
Alcuni psicologi, tra oui 1’ Höffding, considerano la comparazione come la
forma fondamentale dell’ atto di conoscere, il carattere che distingue il
pensiero dagli altri fatti di coscienza; pensare è comparnre, cioò trovare
della diversità o della somiglianza. È una comparazione di differenza la
sensazione, una comparazione di somiglianza 1’ atto del riconoscimento, una
comparazione di somiglianza © differenza’) associazione, ecc. Nella logica
diconsi comparative quella specie di proposizioni implicite o complesse, che
costituiscono un paragone ed equivalgono 8 due proposizioni. Ad es.:
l’altruismo è il più nobile dei sentimenti (l’altruismo è un sentimento nobile
questo sentimento è più nobile di ogni altro). Cfr. Haffding, Psychologie, trad.
franc. 1900, p. 61, 148 (v. pensiero). Complesso. T. Zusammengesetzt, complex;
I. Compler; F. Complexe. Nella
logica si dice complesso un termine quando designs due o più idee, e complesss
una proposizione quando consta di due o più membri. Un sillogismo è complesso,
quando uno almeno dei termini della concluCom
198 sione essendo complesso, le
parti componenti questo termine si trovano separate nelle premesse. Complicazione.
T. Complication ; I. Complication ; F. Complication. Il Wundt, seguendo 1’
Herbart, chiama complicazione quella forma di associazione simultanea che
avvieno fra imagini di specie differenti. Nella scolastica il termine
complicazione era adoperato nel senso di implicito; perciò dicevasi che Dio è
la complicazione del mondo e il mondo l’esplicazione di Dio. Cfr. Nicola
Cusano, Docta ign., 11, 3; Herbart, Lehrbuch s. Peychol., 1850, ο. 3, p. 22;
Wundt, Grundriss d. Psyohol., 1896, p. 275. Composizione delle cause. Principio
logico, analogo al principio fisico della composizione delle forze. Esso si
formula in questo modo: I’ effetto totale di più cause riunite insieme è
identico alla somma dei loro effetti separati. Sarebbe però arbitrario dare a
questa legge la stessa estensione della legge fisica sopra accennata, e
applicare a tutti i fatti, specie a quelli d’ordine fisiologico e psicologico,
il concetto della composizione puramente meccanica delle cause (v. p. es. legge
di Weber). Compossibile. T. Compossibel; 1. Compossible; F. Compossible. La
relazione tra due esseri possibili simultaneamente e di fatto. Due esseri
separatamente possibili non sono sempre e necessariamente compossibili, in
quanto la possibilità di fatto di ciascuno d’ essi può distruggere la loro
compossibilità logica, Il termine, giù conosciuto dagli scolastici, fu
adoperato specialmente dal Leibnitz. Cfr. Goclenius, Lexicon philos., 1613, p.
425 a; Leibnitz, Op. phil., Erdmann, p. 718 segg. Composto. Lut. Compositum ;
T. Zusammengesetst ; I. Compound; F. Composé. Ciò che risulta di più parti.
Nella logica diconsi composti quei giudizi che esprimono una relazione di
giudizi e si possono perciò risolvere in due o più giudizi semplici senza
alterarne il valore. Quindi i giudizi composti si suddividono soltanto secondo
le forme della relazione, cioè 199 Com la categories e l’ipotetica, ο secondo la
composizione di ciascuna di queste due forme con l’altra. Si avranno dunque due
classi di giudizi composti: quelli a relazione semplice © quelli a relazione
composta ; più una terza di giudizi contratti. La prima classe contiene i
gindizi : categorico-congiuntivi, categorico-copulativi, categorico-divisivi,
ipotetico-congiuntivi, ipotetico-copulativi, ipotetico-divisivi; la seconda i
giudizi: categorico-ipotetici, categorico-disgiuntivi, ipotetico-disgiuntivi ;
la terra i giudizi: entimematici © tetici. La forma disgiuntiva non dà luogo a
forme composte, se non congiungendosi alle altre due, dalle quali differisce
soltanto per la natura del predicato.
Gli scolastici dicevano compositum physioum quello che risulta da parti
reali tra loro realmente distints; compositum metaphysicum quello che risulta
di parti reali, distinte soltanto razionalmente ; substantiale compositum
naturale quello che risulta di sostanze, le quali per intenzione di natura sono
ordinate a costituire qualche cosa, ad es. P uomo, che consta di snima e di
corpo; substantiale compositum supernaturale quello che risulta di sostanze le
quali, benchè non ordinate per natura loro a costituire qualche cosa, hanno
però attitudine ad essere innalzate da Dio a questo, ad es. l’unione delle due
nature, umana e divina, in Cristo. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 186 segg.;
Goclenio, Lericon phil., 1613 (v. giudizio). Comprensione. Lat. Comprehensio;
T. Inhalt; I. Intension ; F. Comprekension. Dicesi comprensione, 0 tenore, o
contenuto di una idea l'insieme dei caratteri ο delle qualità che essa designa;
vale a dire, in altre parole, l’insieme delle determinazioni o degli elementi
da cui quelV idea risulta. Così la comprensione dell’ idea triangolo è data
dalle determinazioni di figura, estensione, tre angoli, ecc., che entrano a
costituirla. Siccome ciascuna di queste determinazioni può determinare tutte le
altre, così i logioi significarono Il rapporto che lega tra loro le parti della
Com 200
comprensione col simbolo algebrico della moltiplicazione, nella quale
ogni fattore moltiplica tutti gli altri. Quindi: comprensione di A = a x LX c,
ossia abc. L'operazione con cui si aggiunge qualche nota ad una idea,
accrescendono la comprensione, dicesi determinazione; V oporazione inversa
dicesi astrazione. Cfr. Aristotelo, Anal. post., I, 4, 738, 35; Drobisch, Neue
Darst. d. Logik, 1887, $ 25 (v. estensione). Comune, T. Gemein; I. Common ; F.
Commun. Ciò che appartiene contemporancamente a più oggetti; si appono al
proprio, che è il carattere che appartiene a un individuo e non si riscontra in
nessun altro. Si distingue il comune reale o fisico (ad es. il sole è il centro
comune del sistema solare) dall’ ideale o logico (ad es. le leggi biologiche
sono comuni a tutti gli esseri viventi). Il nome comune è quello che denota un
insieme di qualità; si oppone al nome proprio, che non indica alcuna proprietà,
ma soltanto designa. Per idea o nozione comune si intende tanto quella che può
essere attribuita ad un numero indefinito di oggetti differenti, quanto quella
che si trova in tutti gli spiriti. Gli scolastici distinguevano i sensibili
comuni dai sensibili propri: i primi sono i fenomeni che possono essere percepiti
da più sensi, come la forma, 1’ estensione, il movimento, ecc., i secondi i
fenomeni che non possono essere percepiti che da un solo senso, come il suono,
il sapore, il colore, l'odore (v. senso comune). Comunismo. T. Kommunismus; I.
Communiem ; F. Communirme. Quella dottrina politica od economica, che ripeto le
sue origini dal Morus, Campanella, Morelly e propugna un ordinamento sociale in
cui siano comuni tanto lo strumento del lavoro come la ricchezza prodotta,
cosicchè ciascun uomo lavori per quanto può © consumi secondo i suoi bisogni.
Secondo alcuni Platone sarebbe il padre del comunismo, avendone esposto il
disegno nella Repubblica; mu, in realtà, l’idosle platonico dello Stato si
fonda sul prin 201 Com cipio dell’
aristoorazia della oultura, che appare specialmente in questo: per la gran
massa del terzo stato non si pretende se non l'abilità ordinaria della vits
pratica, mentre 1) educazione che lo Stato ha il diritto e il dovere di avere
nelle suo mani per formare i cittadini socondo i suoi fini, si volge soltanto
alle altro due classi, degli insegnanti ο dei militari. Questi debbono avere
comunanza di vita e di beni, affinchè nessun interesse personale faccia
ostacolo all’ adempimento dei propri doveri a profitto della collettività. Vero
padre del comunismo può invece considerarsi il Morelly, che a sua volta ο)
ispirò alle utopie di Moro e Campanella, 8 il cui sistema può riassumersi così
: proprietà comune dei terroni, del domieilio, degli strumenti di lavoro © di
produzione; educazione accessibile a tutti; distribuziono del lavoro secondo le
forze © dei prodotti secondo i bisogni, senza tener conto alcuno della capacità
ο dell’ ingegno; riunione degli individui in numero di mille almeno, affinchè,
lavorando ciascuno socondo le proprie forze e consumando secondo i propri
bisogni, si stabilisca una media di consumo cho non sorpassi le risorse comuni,
© una risultante di lavoro che le renda sufficientemente abbondanti ;
abolizione delle ricompense pecuniarie; istituzione di un codice pubblico di tutte
le scienze, nel quale non αἱ uggiungerà nulla alla metafisica © alla morale
oltre i limiti prescritti dalle leggi; l'istruzione dei fanciulli è fatta in
comune, in un vasto ginnasio, è impartita dai padri e dalle madri, comincia si
cinque e termina ai dieci anni, dopo di che i giovani passano nelle officine
ove ricevono I’ istruzione professionale, Il comunismo si distingue in
comunismo autoritario e comunismo anarokioo. Non va confuso col collettivismo.
Cfr. Pöhlmann, Geschiohte des antiken Sozialismue und Kommunismus, 1901; A.
Sudre, Histoire du communieme, 1850; Marx © Engel, Man. dei comunisti, 1847 (v.
anarchia, rocialiemo). Comunità v. reciprocità. Con 202
bile. ‘T. Begreiflich; I. Conoerable ; F. Conoevable. Tutto ciò di cui
lo spirito può formarsi la nozione, quindi tutto ciò che non racchiude
contraddizione. Il campo del concepibile è illimitato, entrando in esso tanto
l’éntelligibile, vale a dire ciò che è oggetto soltanto del pensiero astratto,
quanto il sensibile, vale a dire ciò che è oggetto della sensazione. Nella
possibilità logica si ha la concepibilità dei contradditorii, ma soltanto
perchè manca la ragione di decidere quale dei due sia vero, non perchè siano
veri entrambi. Secondo alcuni filosofi la concepibilità è testimonio di verità,
ad es. Cartesio: Avendo notato che in questa proposizione: io penso, dunque
esisto, non vi è nulla che mi assicuri che io dica la verità, se non il vedere
chiarissimamente che per pensare bisogna essere, gindioai di poter prendere
come regola generale, che lo cose che noi concepiamo in modo chiarissimo ο
distintissimo, sono tutte vere, ma che vi è solo qualche difficoltà nel Len
discernere quali siano quelle che noi concepiamo distintamente >. Anche per
Hume è una massima stabilita nella metafisica, che tuttocid che la mente
concepisce, include l’idea dell’ esistenza possibile, ο, in altre parole, che
nulla noi imaginiamo che sia assolutamente impossibile ». Cfr. Cartesio,
/iscorao al metodo, trad. it. 1912, p. 73-74; Hamilton, Discussions ou philosophy,
1852, p. 596 (v. inconcepibile, incomprensibile, inconosoibile). Conospire. T.
Hegreifen; I. Conceive; F. Concevoir. Alcuni logioi distinguono I’ atto del
ragionare e del giudicare dall’ atto del concepire, che sarebbe il semplice
pensare una data cosa senza nd negare nd affermare. Altri obbiettano che nella
coscienza non può essere separato 1’ atto del concepire da quello del
giudicare, perchè concepire una qualsiasi cosa è un rappresentarsela, e quindi
affermare qualche cons che le uppartieno. Il Baldwin propone di restringere il
significato del vocabolo, usandolo solo per designare la conoscenza del
generale in quanto distinto dagli oggetti
203 Cox particolari cui si
applica. Cfr.
Logique de Port-Royal, ed. Charles, p. 37; Taine, De U Intelligenoe, 1870, II,
76 (v. concezione). Concetto. T.
Begriff; I. Conception, Concept ; F. Concept. È la tradnzione latina del
σύλληψις greco (συν = con, λαμβάνω =: prendo), con cui si volle indicare che
mediante il concetto apprendiamo il significato della cosa. Ordinariamente per
concetto si intende la sintesi ideale o tipica di una cosa ο d’un fatto,
ottenuta mediante il confronto delle rappresentazioni ο |’ astrazione delle
note identiche. Secondo altri, il concetto, essendo l’unità delle note
essenziali dell'oggetto, ottenuta mediante l’astrazione e la determinazione,
presuppone il giudizio e si definisce appunto come il sistema dei giudizi, che
su quell’ oggetto si son fatti ο si possono fare, Il principio unificatore del
concetto può essere intrinseoo, cioò l’unità fisica ο ideale della cosa stessa,
od estrinseoo, cioè una rappresentazione schematica o una parola o una
espressione composta di più parole. Gli elementi del concetto si dicono rote ο
determinazioni. Bisogna però distinguere il concetto logico dal psicologico;
questo è per lo più costituito da imagini frammentarie, da aspetti dell’
oggetto che più interessano un dato individuo, per la sus cultura, il sno
temperamento, le sue abitudini mentali, la sua educazione, e varia perciò da
individuo a dividuo ο durante la vita dello stesso individuo; invece il
concetto logico, sintesi di tutto le note dell’ oggetto, è uguale per tutti i
pensanti, ossia obbiettivo ο universale, 1] concetto logico esprime l’essenza
della cosa; secondo lo Stuart Mill quella che noi diciamo l’ essenza della cosa
è 1’ insiemo delle note del concetto; secondo altri l’ essenza è data soltanto
dalle note permanenti dell'oggetto; per altri ancora V essenza è il complesso
delle qualità primarie della cosa, che indica quello che la cosa è nell’ ordine
delle altre cose © in relazione ad esse. I caratteri fondamentali del concetto
logico sono tre: 1° di essere costituito non tanto da conCox 204
tenuti qualificativi che stanno da sò, quanto da indi relazione, cioè di
somiglianze e differenze, di essere insomma un sistema di rapporti; 2° di
essere universale, sia soggettivamente in quanto non si ha che un solo concetto
d’una cosa, sia oggettivamente in quanto vale per tutti gli oggetti che denota;
3° di essere neoessario soggettivamente, appunto perchè non si può avere che un
solo concotto d’una cosa, oggettivamente in quanto esprime la legge intima
della cosa. Kant distingue il conostto, che è ogni relazione generale senza
essere assoluta, dalle idee ο dati assoluti della ragione, e dalle intwisioni,
che sono le nozioni particolari dovute ai nostri sensi. Egli li distribuisce in
tre classi: ο. puri, che non tolgono nulla dalla esperienza (es. la nozione di
causa); ο. empirici, che sono formati esclusivamente coi dati dell’ esperienza
(es. la nozione generale di colore); ο. misti, formati in parte sui dati dell’
intelletto puro, in parte su quelli dell’ esperienza. Come le intuizioni sono
impossibili senza una forma sensibile, così le cognizioni vere e proprie sono
impossibili senza una forma intellettuale, cioè senza i concetti : perciò, egli
dice, le intuizioni senza i concetti sono cieche, i concetti senza le
intuizioni sono vuoti. Nel pensiero filosofico il concetto cominciò ad assumere
grande importanza con Socrate. Opponendosi al relativismo dei sofisti, egli
cercò un sapere che dovesse valere per norma ugualmente per tutti, un elemento
costante ed unitario che ognuno deve riconoscere, e lo trovò nel concetto
(λόγος); la scienza è quindi pensare per concetti, e il fine di ogni lavoro scientifico
la determinazione dei concetti, la definizione. Per Platone l'oggetto della
scienza è l’idea, 1’ essere incorporeo che viene conosciuto mediante i
concetti; poichè i concetti, in cui Socrate aveva trovato l'essenza della
scienza, non sono dati come tali nella realtà percepibile, essi devono formare
una seconda realtà, una realtà inmateriale, e la conoscenza loro non può essere
che una remi 205 Cox niscenza, onde l’
anima richiama alla memoria conoscenze preesistenti in essa. Per Aristotele
invece ogni concetto si forma analiticamente da un concetto superiore, 0 genere
prossimo, mediante l’aggiunta di una nota speciale, © differenza specifica:
questa deduzione del concetto è la definizione; naturalmente, la definizione
dei concetti inferiori si riferisce a concetti generalissimi, che si
sottraggono ad ogni deduzione e spiegazione. Gli stoici cercarono di analizzare
psicologioamente il concetto, che per essi ha origine dalla percezione, o per
sè stesso o mediante parlari motivi psicologici, aut wen, aut coniunotione aut
similitudine aut collatione; solo i concetti più generali, κοtiones communes,
sono innati. Nel sistema dell’ Herbart il concetto ha una grande importanza :
egli infatti, opponendosi agli idealisti che sostenevano esser compito della filosofia
di derivare la realtà da un principio unico, attribmì alla filosofia uno scopo
essenzialmente oritico, e cioè l'esame © l'elaborazione dei concetti su cui è
fondata la scienza rperimentale, per ripulirli da quelle contraddizioni che
falsano la giusta rappresentazione della natura; i concetti stessi sono per lui
delle idealità logiohe, che non esistono che nella nostra astrazione, non
essendo che rappresentazioni nelle quali astraiamo dal modo come
psicologicamente si sono prodotte. Per Hegel invece il concetto non è
semplicemente una rappresentazione soggettiva, ma |’ essenza storsa della cosa,
il suo in sò;... le forme logiche del concetto sono il vivente spirito della
realtà »; egli lo definisce come la libertà e la verità della sostanza », l’
assolutamente concreto >, l’universale in cui ogni momento è il tutto,
perchè esso è il per sò ed in sò determinato ». Per Schopenhauer il concetto è
la rappresentazione di una rappresentazione, in quanto non è nessuna
rappresentazione data, ma ha In sna natura nel rapporto con le rappresentazioni
; esso costituisre classe particolare, diversa toto genere dallo
rappresentazioni sensibili ed esistente solo nello spirito nmano. Per il
Con 206
Wundt il concetto è la fusione di una singola rappresentazione dominante
con una serie di rappresentazioni omogenee, fusione compiuta mediante 1’
appercezione attiva »; osso infatti sorge © si sviluppa mediante il prevalere
di elomenti, che sono percepiti con la maggiore chiarezza, la scelta delle
rappresentasioni da sostituire, 1’ oscuramento degli elementi rappresentativi
mescolati con gli elementi dominanti, l’oscuramento degli elementi stessi e la
loro sostituzione con segni verbali esteriori. Per l’Avenarius anche il
concetto ha un valore psicologico, non essendo che un caso particolare del
principio dell’ inerzia dominante nella vita psichica; esso infatti rappresenta
un risparmio di energia, rendendo possibile alla coscienza di abbracciare con
un minimo sforzo un gran numero di oggetti, e di condensare economicamente concetti
© leggi particolari in concetti e leggi più universali. Per lo Schuppe è
concetto tuttociò che 1’ uomo pensa come significato di una parola, in quanto
vengono pensati come unità molteplici predicati realmente conosciuti »; esso
esiste obiettivamente perchè contenuto nella percezione, nella quale lo
cogliamo come un elemento di essa; la realtà concreta è la qualità sensoriale
in un punto determinato dello spazio ο del tempo; ciascuno di questi elementi
(qualità, spazio, tempo), isolato dagli altri è un concetto astratto. Secondo
il Croce il concetto puro deve distinguersi dai paeudoconoetti ο finzioni
concettuali: queste hanno per contennto o un gruppo di rapprosentazioni (es.
gatto, casa, rosa) o nessuna rappresentazione (es. triangolo, moto libero); di
quello invece è da dire n volta a volta che ogni imagine 6 nessuna imagine è
simbolo di easo »; il carattere fondamentale del concetto puro è la
conoreterza; il concetto è universale-concreto; chè se è trascendente rispetto
alla singola rappresentazione, è, poi, immanente nella singola, ο perciò in
tutte le rappresentazioni. Cfr. Platone, Terteto, 201 D e sogg.; Aristotele, De
an., IT, 1, 412 b, 16 © segg.; Cicerone, De fin.. TIT, 381 207
Cox Acad., U, 7; Kant, Krit. d. reinen Vorn., ed. Reolam, p. 77, 88;
Herbart, Psychologie als Wissenschaft, 1887, 1; J. Stuart Mill, Examination of
Hamilton, 1867, p. 274 segg.; Hegel, Enoyol., 6105, 108, 154, 157-164;
Schopenhauer, Die Welt ala W. und V., 1. 1, 69; Wundt, Logik, 1893, 1. I, p. 46 segg.; Aven: Philosophie ale
Denken, 1903, p. 24 segg.; Schuppe, frrundriss d. Erkenntnistheorie, 1894, p.
81 segg.; B. Croce, Logica come soiensa del concetto puro, 1909, p. 15-84; A.
Marueci, Di aloune moderne teorie del concetto, Riv. di fil. », maggio 1914 (v.
idealismo, nominalismo, realismo, sermonismo). Conoettualismo. T.
Conceptualiemus ; I. Conceptualiem ; F. Conceptualisme. Dottrina della
scolastica, che sta fra il realismo e il nominalismo, e fu creata da Abelardo.
Conciliando la teoria dei nominalisti, che sostenevano essere gli universali e
le qualità astratte dei corpi un puro nome, un semplice flatus rocis, e quella
dei realisti, che consideravano gli universali come le sole e vere realtà,
Abelardo sostenne che codesti universali, sebbene non posseggano nna realtà a
sè, indipendente dal nostro spirito, hanno tuttavia, in quanto concetti o
nozioni astratte, una esistenza logica e psicologica, Ogni individuo, dice
Abelardo, è composto di forma e di materia. Socrate ha per materia l’uomo 9 per
forma la socratità. Platone è composto d’ una materia simile che è l’uomo ο
d’una forma differente che è la platonità, e così degli altri uomini. E come la
socratità, che costituisce formalmente Soorato, non è in nessuna parte fuori di
Socrate, ngualmente codesta essenza d’uomo che, in Socrate, è il sostrato della
socratità, non è in nessuna parte altrove che in Socrate, e così degli altri
individui. Per specie io dunque intendo, non codesta sola essonza d’ uomo che è
in Socrate o in qualche altro individuo, ma tutta la collezione formata da
tutti gli individui di codesta natura ». L’ universale esistente nella natura è
appunto, per Abelardo, codesta collezione, codesta molteplicità identienmente
determinata, che diventa concetto unico solo nella Cox concezione del pensiero
umano; ο poichè tale molteplicità degli individui si spiega col fatto che Dio
ha creato il mondo secondo imagini preesistenti nel suo spirito, così nel
concettualismo abelardiano gli universali esistono anzitutto in Dio come
conoeptus mentis prima delle cose, poi nelle cose stesse come identità dei
caratteri essenziali degli individui, infine nell’ intelletto umano quali suoi
concetti. Alcuni considerano anche la dottrina di Kant come un vero © proprio
concettualismo. Concettualisti nel vero senso della parola furono, oltre
Abelardo e Durand de St. Pourgain, Locke, Reid, Brown. Dice il Reid: Quella
universalità che i realisti considerano essere nelle cose stesse, e i
nominalisti nel solo nome, i concettualisti considerano essere nd nelle cose nè
nel nome soltanto, ma bensì nelle nostre concezioni >. Cfr. Abelardo, Opera, colleg.
Cousin, p. 542; Reid, Works, 1863, p. 406; Windelband, Storia della fil., trad.
it, 1913, p. 349. Concezione. T.
Konoeptior, Begriffebildung; I. Conception: F. Conception. Non ha un
significato ben definito nella paicologia. Alcune volte si adopera in
opposisione a giudizio, per indicare l’atto con cui pensiamo o ci
rappresentiamo un oggetto senza nd affermare nd negare. Altre volte è ussta in
opposizione a percezione, per significare l’atto con cui ei rappresentiamo un
dato oggetto che non è presente; in tal caso sarebbe analoga »
rappresentazione. Codesta opposizione è adottata specialmente nel realismo
razionalistico, secondo il quale noi non percepiamo che fenomeni e qualità, sia
fuori che dentro di noi, ma, eccitata da essi, la mente concepisce la sostanza;
tale concezione, del tutto irreducibile ai fatti che ce la suggeriscono, è la
condizione della nostra conoscenza delle cose, è una delle leggi necessarie del
pensiero, per cui non possiamo pensare al fenomeno Renza riferirlo all’ essere.
Altre volte ancora il termine concezione à nento per designare le idee astratte
e i concetti, per opposizione a sensazione e rappresentazione sensibile.
Diconsi 209 Cox talvolta concezioni comuni i principi del
ragionamento, in quanto tutti gli uomini li concepiscono e li seguono. Cfr. Boirac, L'idée de
phénomène, 1894, p. 294 (v. concepire). Concesionismo. T. Konceptioniemus ; I.
Conoeptioniem ; F. Conceptionisme. Designa
tutte quelle dottrine che, come le intermediariste, considerano il mondo
esteriore non come percepito immediatamente tal quale, ma come concepito dal
nostro spirito mediante processi particolari. Si adopera quindi per opposizione
al peroesionismo, dottrina sostenuta specialmente dagli scozzesi e dagli
eolettici francesi, i quali consideravano come irreducibile il sentimento di
obbiettività contenuto nella sensazione, e a codesta oredenza accordavano un
valore rappresentativo. Cfr. Mac Cosh, The intuitions of the mind, 1882. Conclusione. Lat.
Conclusio; T. Schluss, Sohlussate, Conclusion; I. Conclusion ; F. Conclusion. O illasione; à la terza proposizione di un
sillogismo, tratta dalle premesse in cui è contenuta. Perchè il raziocinio sia
giusto, la conelusione deve derivare, e necessariamente, dallo premesse, nè
deve enunciare cosa diversa da quella che nelle premesse è enunciata. Da
premesse entrambe particolari ο entrambe negative, non si pnd ricavare alcuna
conclusione, nè si può ricavare una conclusione negativa da premesse
affermative. La conclusione è negativa quando una delle premesse è negativa,
particolare quando nna delle premesse è particolare. Cfr. Wandt, Logik, 1893,
vol. I, p. 270 segg. (5. conseguenza, sillogiemo). Concomitansa. T.
Konkomitanz; I. Concomitance; F. Concomitance. Quando due circostanze si
sccompagnano "uns l’altra, e sono ο simultanee ο immediatamente
successive, diconsi concomitanti. La concomitanza può essere diretta o inversa:
p. es. |’ altezza della colonna di mercurio nel barometro è in ragione diretta
del calore; il volume dei gas è in ragione inversa della pressione. l’ud ossere
ancora accidentale, p. es. il crescere dei matrimoni ο della 14 Raxzorı, Dizion, di scienze filosofiche. Cox 210
criminalità, e necessaria p. es. il crescere del tono del suono e il
crescere del numero delle vibrazioni nell’ unita di tempo. Cfr. C. Ranzoli, Il
caso nel pensiero e nella vita, 1913, p. 80 © segg. Concordanza (metodo di). T.
Methode der Uobereinatimmung: I. Method of agreement; F. Méthode de
concordance. Uno dei quattro metodi di ricerca induttiva proposti dallo Stuart
Mill. Esso consiste nel paragonare tra loro difforenti casi in cui il fenomeno
che si studia avviene, © si fonda su questo canone logico: se due o più casi di
un dato fenomeno hanno comune soltanto una circostanza, questa circostanza,
nella quale soltanto tutti i casi concordano, è la causa o l'effetto di quel
fenomeno. Ad es. dovendosi cercare la causa della combustione dei corpi, si
vede che alcuni bruciano neil’ aria, altri nel cloro, come il fosforo ©
l’arsenico, altri nei vapori di zolfo, come il rame e il ferro, ma hanno in
comune una circostanza : la viva combinazione chimica della sostanza che brucia
con quella nella quale brucia; essa sarà dunque la causa della combustione.
Questo metodo serve specialmente nei casi in oni l'esperimento è impossibile,
ma non da il criterio decisivo della causalità, perchè la semplice concordanza
di due fenomoni non basta per autorizzarci a porre il primo come causa © il
secondo come effetto: essi potrebbero essere entrambi semplici effetti
collaterali di due altri fenomeni, oppure il secondo potrebbe essere effetto di
una causa rimasta occulta, per quanto presente in tutte le osservazioni. Cfr.
J. 8. Mill, System of Logic, 1865, 1. III, o. 8, $ 1. Concordanza nella
differenza (metodo di). I. Joint method of agreement and differenco. Detto
anche dell'accordo nella differenza, di differenza indiretta, di concordanza
negatira, della concordanza ο della differenza riunite. È un metodo
complementare di ricerca induttiva, suggerito dal Mill, consistente nella
riunione del metodo di concordanza e di quello di differenza. Esso si fonda su
questo canone 311 Con logico: se due o più casi in cui il fenomeno
avvione hanno soltanto una circostanza comune, mentre due ο più casi in cui
quello non avviene nulla hanno di comune tranne |’ assenza di questa
circostanza, la circostanza nelln quale soltanto le due serie di casi
differiscono è l’effetto © la causa o parte essenziale della causa di quel
fenomeno. Ad es. strofinando in un ambiente asciutto con un panno di lana della
ceralacca, della resina, dell’ ambra, del vetro, essi attirano i perzetti di
carta essendo cattivi conduttori dell’ elettricità; strofinando nelle stesse
circostanze un metallo, che è buon conduttore della elettricità, la carta non
resta attirata; dunque, I’ essere cattivi conduttori dell’elet. tricità è la
cansa per cui quei corpi attraggono i pezzetti di carta. Cfr. J. S. Mill, System of
Logic, 1865, 1, III, ο. 8, ϕ 4. Concorrensa vitale. Ha
lo stesso valore della espressione lotta per l’esistenza » più frequentemente
usata, Concreto. T. Concret; I. Concrete; F. Conoret. Secondo il Trendelenburg,
questa parola à d’origine latina ο significò da principio denso, spesso. Si
adopera infatti in opposizione di astratto, per designare un soggetto che è
rivestito di tutte le sue qualità, ed ha una esistenza reale indipendente e non
quella che spetta ad un puro prodotto del pensiero quale è l’astratto. Nella
terminologia scolastica dicevasi coneretum il composto di sostanza ο forma, da
cui si attribuisce al soggetto una qualche denomina zione; concretum
metaphysicum quello in cui la forma non si distingue realmente dal soggetto;
concretum physicum quello in cui si distingue veramente, ma pure gli è
inerente; conorelum logioum quello in cui non gli è inerente. Per Schopenhauer
il termine ha un significato speciali I concetti che non si applicano alla
conoscenza intuitiva in modo immediato, ma solamente con I’ intermediario di
uno ο più altri concetti, furono chiamati astratti per eccellonza, mentre al
contrario quelli che hanno il loro fondaCox
212 mento immediato nel mondo
dell’intuizione sono stati chiamati conoreti ». Cfr. Trendelenburg, Logische Untersuchungen,
1862; Schopenhauer, Die Welt als eoe., ed. Reclam, I, ὁ 9. Condizionale. T. Bedingt; I.
Conditional; F. Conditionnel. Una proposizione ο giudizio è condisionale quando
la posizione del predicato è condizionata ο dipendente dalln posizione del
soggetto; la sua formula è: se A à B, C à D. Un sillogismo è condizionale ο
ipotetico quando ha per premessa maggiore una proposizione condizionale; esso è
soggetto alle seguenti regole: se la minore afferma la condizione, la
conclusione afferma il condizionato, ma se la minore nega la condizione non ne
segue necessariamente che la conclusione neghi il condizionato ; se la minore
nega il condizionato, la conclusione nega la condizione, ma se la minore
afferma il condizionato, non ne segue che la conclusione affermi la condizione.
Kant chiama imperativo condizionale ο ipotetico quello che enuncia che un atto
è un mezzo relativamente a un certo fine. Condizione. T. Bedingung; I.
Condition; F. Condition. Si suol distinguere condisione da causa: questa è la
potenza attiva che produce l’effetto, mentre la condisione è ciò senza di cui
la causa non agirebbe. Es. il crescere della temperatura è la cansa del
crescere della colonna di meronrio nel termometro: 1’ essere il termometro
stesso esposto alla temperatara, la condizione del crescere del mercurio. Ma
questa distinzione vale soltanto quando si consideri la causa come un quid che
produca I’ effetto; se invece, secondo il concetto fenomenistico, la causa è
riguardata come il semplice antecedente invariabile e incondizionato di un
fenomeno, la causn del fenomeno stesso non è che l'insieme delle sue
condizioni. Altri intendono la condizione negativamente, e cioò come quella che
non produce l’effetto, mn modifica o anche elimina |’ azione di una causa: p.
es. l'umidità rispetto all’ esplosività della polvere. Ma la distinzione, in
questo caso, è puramente soggettiva, dipen 218
Con dendo dal fissarsi dell’ osservazione sopra l’azione di una
piuttosto che di un’altra causa: così volendosi studiere, invece che
l’esplosività delle polveri, l’ azione della umidità sopra I’ esplosività di
esse, la medesima umidità che prima appariva semplice condizione appare come
causa. In un senso più preciso dicesi condizione la circostanza mancando la
quale un fatto non può prodursi. In questo senso usaai l’espressione conditio
sine qua non, abbreviazione del1’ antica formula dello Zabarella: conditio
necessaria sine qua non Zabarelle est causa αυοταλική, sine qua res esse non
potest. In senso kantiano, spazio e tempo sono condizioni dell'esperienza,
perchè soltanto per esse noi possiamo rappresentare la varietà delle sensazioni
con unità sintetica: tempus non esi objectioum.... sed subjectiva conditio per
naturam montis humana necessaria qualibet sensibili certa lege sibi
coordinandi. Nel linguaggio matematico le condizioni di un problema sono
tuttociò che particolarizza una soluzione generale; si suppone quindi che il
problema, rimanendo il medesimo nella sua essenza, potrebbe essere ristretto
nelle sue soluzioni mediante altre proposizioni limitative. Cfr. Goolenius, Lezioon
phil., 1613, p. 435 a; Kant, De mundi sonsibilis, III, 14, § 5. Conflitto dei doveri. Widerstreit; I. Confliot;
F. Conflict. Bi verifica quando alla scelta dell’ individuo si presentano due o
più doveri fra loro inconciliabili; il confitto dei doveri è quindi un
conflitto di motivi, ossia un conflitto di rappresentazioni (v. deliberazione).
Confasione mentale. T. Hallucinatorisohe Verwirrtheit ; I. Hallucinatory
confusion; F. Confusion mentale. Sindrome di varie malattie mentali,
caratterizzata da disordini sensori, disorientamento rispetto al luogo, al
tempo, alle persone, turbamento nel decorso delle rappresentazioni, incoerenza
nel linguaggio, annebbiamento del pensiero. Secondo alcuni storici della
psichiatria, essa è ciò che Ippocrate chiamava frenite, Sauvage paraphrosyne,
Ploquet paracope. Con Si distinguono tre forme-di confusione mentale: una
allucinatoria, caratterizzata dall’insorgere di gran numero di allucinazioni
che dominano il malato; una astenioa, che ri presenta prevalentemente con l’
esaurimento; e una logorroica o maniaca, caratterizzata da fuga d’ ideo, e
quindi di parole, senza aleun ordine o nesso logico. Cfr. Dagonet, Nouv. traité des
maladies mentales, 1894, p. 328-347; Chaslin, La confusion mentale, 1895. Congenito. T. Angeboren ; I. Congenital ; F.
Congenital. Per opposizione ad aoguisiti, diconsi così quei caratteri che
l'individuo porta con sè dalla nascita, e che ha ereditato dai genitori o
acquistato accidentalmente nel corso della sua esistenza embrionaria.
Congettura. T. Vermuthung; I. Conjecture; F. Conjecture. Ha molte affinità con
l'ipotesi e consiste in una conelusione che si cava da dati incerti, ο che per
sò stessa, pur essondo certi i dati, non è nd legittima nd sicura. La
congettura ha un grado minore di probabilità dell'ipotesi, della quale è una anticipazione.
Si dicono razionali quelle congetture che dipendono da principi logici ο
outologici. Secondo il Cusano, il pensiero dell’uomo, non conoscendo se non ciò
che ha in st, non possiede per la conoscenza del mondo se non congetture, ossia
i soli modi di rappresentazione che scaturiscono dalla sus propria natura; 8 la
conoscenza di questa relatività di tutte le affermazioni posilive, il sapere
del non sapere, come primo gradino della dotta ignoranza, è |’ unica via per
arrivare, oltre la scionza razionale, alla comnnione conoscitiva inesprimibile,
immedinta, con la divinità. Cfr. Cusano, De doota ignorantia, 1884; F.
Fiorentino, ZI rinaacimento filonofico nel quattrocento, 1885, cap. IL
Congiuntivi (giudizi). Diconsi tali, per opposizione a copulatiri, quei giudizi
che sono composti nel predicato, che hanno cioè più predicati i quali possono
tutti convenire, per quanto disparati, allo stesso soggetto. Possono 215
Cox essere affermativi ο negativi, categorici ο ipotetici; la lore
formula è: A è tanto B che C e D (v. composti). Coni. T. Kegel; I. Cone; F.
Cône. Corpuscoli di forma conica che, insieme ai bastoncini, formano lo strato
superficiale della retina; sì gli uni come gli altri non sarebbero che un
prodotto di secrezione, una formazione eutioulare delle cellule visive. Sono in
numero minore dei bastoncini e servono alla sensaziene del colore; quella della
luce ha luogo nei bastonoini. Questi costituiscono 1) apparecchio che funziona
durante la risione orepuscolare, quelli 1’ apparecchio che fanziona durante la
risione diurna ed ha la capacità di destare le sensazioni cromatiche quando è
stimolata da raggi di media intensità, e di produrre la sensazione del bianco
quando è stimolata da determinate miscele di raggi luminosi o da raggi
monocromatici di eccessiva ο di debole intensità. Cfr. Wundt, Grundzüge der
physiol. Psychol., vol. II, 1902; Hering, Zur Lehre vom Lichtsinn, 1878.
Connotativo. T. Connotativ, mitbezeichnend; I. Connotative; F. Connotatif (da
notare cum, cioò notare una cosa con ο più un’altra cosa). Lo Stuart Mill,
risuscitando una vecchia © opportuna distinzione scolastica, disse connotativi
quei nomi che designano un soggetto ed implicano un attributo, non-connotatiri
quelli che significano un soggetto solamente o un attributo solamente. Quindi
non sono connotativi i nomi propri (America, Napoleone...) perchè designano un
soggetto solamente, e i termini comuni astratti (bianchezza, virtù...) perchè
designano un attributo aulamente. Sono invece connotativi tutti i nomi conoreti
generali (bianco, virtuoso...) perchè designano una intera classe per mezzo di
uns qualità comune. Così bianco designa tutte le cose bianche e implica ο
connota I’ attribute bianohesza ; il termine bianco non è affermato dell’
attribato, bensì delle cose bianche; ma quando noi |’ affermiamo di questi
soggetti (le cose bianche) implichiamo o connoCox 216
tiumo che l'attributo bianchezza loro appartiene. In altro parole il
nome connotativo esprime il soggetto direttamente, gli attributi
indirettamente, esso denota i soggetti © connota gli attributi. Cfr. Prantl, Geschichte d.
Logik, 1. III, Ρ. 364; J. 8. Mill, Syetem of
logic, 1865, 1. I, 3, § 5.
Conoscenza. T. Erkenninise, Konninisa; I. Knowledge; F. Connaissance. Per
quanto in sd stessa indefinibile, si può dire che la conoscenza esprime un
peculiare rapporto tra la mente © qualsiasi oggetto, per eni quest’ultimo,
oltre ud esistere per sò, esiste per una coscienza. Essa è dunque una
operazione attiva dello spirito, che si' compie sotto determinate condizioni e
suppone tre termini: un soggetto che conosce, un oggetto conosciuto e una
determinate relazione tra l’uno ο l’altro. La conoscenza dicesi: a poatoriori,
se acquistata mediante l’esperienza; a priori, ο pura, o trascendentale se
consiste di cognizioni innate; intuitiva, se ottenuta direttamente ο per sè
stessa; discorsiva, o razionale, ο inferenziale se ottenuta mediante altre
conoscenze. Il problema della conoscenza, il problema cioè del rapporto tra V
essere e il pensiero, 1’ oggetto e il soggetto, la cosa conosciuta e ciò che
conosce, fa sempre oggetto delle ricerche dei filosofi, ma andò sempre più
allargandosi col progredire del pensiero ed è divenuto fondamentale nella
filosofis moderna specialmente dopo Kant. I primissimi filosofi della Grecia
non gli diedero molta importanza; essi infatti lo risolsero nel modo più ovvio,
dicendo che lo spirito riceve l’ imagine o l'impronta delle cose come uno
specchio o un pezzo di cera; per tal modo le sensazioni non sono che copie
fedeli delle cose sensibili. Mn prima ancora di Socrate, i sofisti #’avvidero
della differenza tra le nostre sensazioni © lo cose esterne, e, dirigendo la
speculazione dei filosofi sopra il soggetto che sente, spostarono il centro di
gravità del pensiero umano, facendolo convergere dalla natura, intorno alla
quale fino a quel tempo s'era affaticato, sopra di sè. L'importanza della
riforma 217 Con socratica sta nell’ aver essa determinato
I’ essenza della conoscenze in maniera chiara e decisiva. I sofisti insegnavano
che vi sono soltanto opinioni, che valgono solo per ogni individuo; Socrate
cercò un sapere che, di fronte al mutamento ed alla moltiplicità delle
rappresentazioni individuali, dovesse valere come norma ugualmente per tutti, e
lo trovò nel concetto. Anche gli antichi pensatori avevano avuto un senso vago
del fatto che il pensiero razionale, cui dovevano la loro conoscenza, fosse
qualche cosa di essenzialmente diverso dall’ ordinaria rappresentezione
sensibile del mondo e dall’ opinione tradizionale; ma non avevano potuto
elaborare questa differenza di valore nè psicologicamente nd logicamente.
Socrate intuì chiaramente che, se dev’ esservi un sapere, bisogna trovarlo
soltanto in ciò in cui coincidono tutte le rappresentazioni individuali. Da
allora comincia ad impostarai il vero ο proprio problema della conoscenza, da
allora si costituisce, se non di nome, di fatto, quel ramo importantissimo del
supere filosofico detto gnossologia 0 toria della conoscenza. La gnoseologia ha
appunto per oggetto la ricerca dell’origine, della natura, del valore e dei
limiti della nostra facoltà di conoscere; si distingue quindi dalla peicologia
propriamente detta, che si limita a descrivere i fatti psichioi nel loro
sviluppo e nel loro intreccio, senza ceroarne il valore in rapporto alla
realtà, ο dallo logica, che non fa che determinare le norme dell’applicazione
dei principi gnoseologici senza cercarne l’origine. Dalla scuola dei sofisti
venendo sino αἱ criticismo lantisno, sl fenomenismo dello Stuart Mill, al
realismo trasfigurato dello Spencer, al realismo psicologistico dell’Ardigò, al
solipsismo degli idealisti contemporanei, il problema della conoscenza ebbe
soluzioni ed orientasioni infinitamente diverse, che qui aurebbeimpossibile
risasumere. Ci limitiamo quindi ad esporre, seguendo una chiara e sintetica
classificazione del Musci, i prineipali sistemi gnoseologiei. Questi si
distinguono inCon 218 nanzi tutto secondochè ripongono la verità
nella sensazione © nel?’ intelligenza, © considerano lu sostauza ultima del
reale come materiale o spirituale; secondo il primo rapporto i sistemi si
distinguono in sensisti o empiristi ο in razionalisti, secondo il secondo in
materialisti e idealisti. Se l’oggetto è considerato come trascendente, il
razionalismo e V idealismo prendono la forma del teiemo, se è considerato come
immanente prendono la forma del panteismo ο del naturalismo. 1 idealismo può
essere a sua volta o particolarista 0 universalista, secondo che ammette, come
Platone, idee reali ο distinte ο archetipi, o ammette un processo logico, uno
sviluppo o sistema ideale uno e continuo; © può essere spiritualismo, se ripone
la realtà ultima in una forma di coscienza, 9 considera tutte le relazioni
esteriori, e il mondo naturale in generale, come fenomeno di realtà, che sono
coscienze elementari. All’ idealismo si oppone il realismo, che ripone l’
essonza della realtà nell’ individuale assoluto, che non può essere oggetto di
nessuna percezione, nella monade, nell’ ente semplice, nell’ atomo inetafisico.
A tutti questi sistemi, che possiam dire positivi, si possono aggiungere quelli
negativi, i cui tipi principali sono: la sofiatioa, che afferma la potenza
della ragione indifferente alla verità, lo soetticismo, che considera la
ragione incapace della verità, 6 il misticismo, che, negando alla ragione il
potere di raggiungere le verità ultime, lo attribuisce al sentimento o alla
rivelazione soprannaturale. Cfr. Nutorp, Forschungen sur Geschichte des
Erkenntnieproblom bei den Alten, 1884; Β. Muene, Die keime der
Erkenninistheorie in der vorsophistisohen Periode der griechischen Philosophie,
1880; Freitag, Die Entrioklung der griechischen Erkenntniathoorie bir
Aristoteles, 1905; De Wulf, Histoire de la phil. médierale, 1905; H. Höffding,
Histoire de la phil. moderne, trad. franc. 1906; A. Franck, Pilosophes modernes
étranger ot francais, 1893; I. E. Merz, History of europ. thougt in the 19
century, 1904; Masci, Logica, 1899, p. 17
219 Con negg. ; C. Guastella,
Saggi sulla teoria della conoscenza, 1905 ; B. Varisco, La conoscensa, 1904;
Ardigò, Op. ΛΙ., V, 15 segg.; VII, 26 segg.; IX, 237 segg. (oltre ai vocaboli
citati, v. ancora: assoluto, agnosticiemo, eoomomioa teoria, percesioniemo,
conoazionismo, intermediariste, nativiemo, solipsiemo, critioismo, dogmatismo,
pluralismo, soggettivismo, parallelismo, pampeichismo, fonomenismo, soggetto,
oggetto, noumeno, ecc., ecc.). Conoscibile. T. Erkenndar; F. Connaissable.
Tutto ciò che realizza le condizioni necessarie per essere conosciuto, sia
mediante la ragione, sia mediante la sensazione e l’immaginazione. La sfera del
conoscibile è uguale a quella del concepibile, ma molto più vasta di quella
dell’ intelligibile, che è ciò che può essere conosciuto soltanto dalla
ragione, dall’ intelletto puro. Conseontiva (imagine). T. Nachempfindung, Naokbild : I. Afterimage,
after sensation; F. Image conséoutive. Con V espressione imaginé ο sensazioni consecutive si suol designure la
persistenza allucinatoria d’una sensazione, dopo l'arresto della eccitazione
che l’ha provocata. Il fenomeno si verifica specialmente nel senso della vista,
ove si distinguono imagini consecutive positive © negatice. Le prime sono
quelle che presentano una pura e semplice continuazione della sensazione
provocata dallo stimolo luminoso; così, movendo rapidemente un tizzone ardente,
si ha la sensazione di una linea luminosa, che è dovuta al prolungamento della
sensazione che il tizzone provoca nei diversi punti della retina. Le negative
si distinguono dalle positive, perchè gli oggetti luminosi che hanno provocata
la sensazione paiono oseuri, e gli oggetti colorati paiono del colore
complementare; così se si chiudono gli occhi dopo aver gnardato una finestra,
dopo un certo tempo essa pare oscura; se si chiudono gli occhi dopo aver
fisssto un oggetto rosso, esso pare di color verde azzurro. Questi fatti si spiegano
per mezzo della stancherza della retina. Cfr. Kreibig, Die fünf Sinne des
Mensohen, 1907, p. 121 segg. Cox
220 Consecuzione. T. Consecution;
I. Consecution ; F. Consécution, Termine usato dal Leibnitz per designare’ |’
associazione delle idee, che è fornita dalla memoria e imita la ragione, dalla
quale però deve essere ben distinta. Nella consecuzione, infatti, una imagine
richiama automatica mente un’altra imagine, ma tra le due non v’ha alcun legame
logico. La memoria fornisce una specie di conseouzione alle anime, che imita la
ragione, ma che vuol esserne distinta. Noi vediamo che gli animali, avendo la
percezione di qualche cosa che li colpisce e di cui hanno avuto la percezione
simile in precedenza, s’ attendono per la rappresentazione della loro memoria
ciò che vi è stato unito in codesta precedente percezione, e sono portati a
sentimenti simili a quelli che avevano allora, Ad es.: quando si mostra il
bastone ai cani, ‘ai ricordano del dolore che ha loro causato 9 guaiscono e
fuggono ». Nel suo significato somune, la consecuzione è la successione
immediata di due fatti. Cfr. Leibnitz, Monadologie, $ 46. Conseguente. Lat. Consequens; T.
Konsequent, folgend: I. Consequent; F. Conséquent. Un atto qualsiasi dicesi conseguento quando sta in
rapporto con altri che lo precedono; un ragionamento è conseguente quando le
idee che lo costituiscono derivano logicamente l’una dall’ altra e tutte
insieme da un principio comune. Nella logica si dice conseguente il secondo
termine d’un rapporto, ο antecedente il primo. Conseguenza. Lat. Consequentia;
T. Folgerung, Consequenz; I. Inference, Consequence; F. Conséquence. Una
proposizione che risulta logicamente da un’ altra proposizione © du più
proposizioni, ed è così strettamente legata ad esse, che non si può affermare o
negare quella senza accettare o respingere questa. Una conseguenza è sempre
formalmente vera, purchè, s'intende, sia stata dedotta conforme alle norme
logiche; ma può essere materialmente falsa, se tali sono le premesse. La
conseguenza si distingue 221 Cox dalla conclusione perchè questa risulta
necessariamente, la conseguenza risulta semplicemente; tuttavia, perchè un
atto, una ides, una cosa possano dirsi la conseguenza di un antecedente, non
basta che esse lo seguano accidentalmente e casualmente, ma bisogna che
risultino da quello, e che quindi a lui siano legate ds una relazione costante,
vale a dire da una legge. Consenso. Lat. Consensus, Consensio; Τ. Übereinstimmung; I. Consent; F. Conséntement, Agrément.
Molte volte, come prova della
verità di determinate dottrine, libero arbitrio, immortalità dell’ anima,
realtà del mondo esterno, ecc., ai invoca il consenso universale, cioò il
convenire della maggior parte degli uomini in quella credenza. In omni re consensio
generis humani pro veritate habenda est, dico Cicerone. Ciò però non basta per
provare la loro verità; il consenso dei più è accordato solitamente alle idee
tradizionali e alle attestazioni immediate, spesso illusorie, del senso; tutte
le verità nuove debbono infatti combattere contro il consenso del maggior
numero. Alcune volte consenso 0
oonsensue si adopera figuratamente, e vale armonia, solidarietà delle parti
d’un tutto, degli organi d’un organismo. Cfr. Aristotele, Eth. Nioom., X, 2,
1173 a; Cicerone, Tusoulano, I, 15 (v. senso comune). Conservazione. T.
Erhaltung; I. Conservation ; F. Conservation. Con questo vocabolo si designa il
problema della conservazione del mondo dopo la oreazione, problema molto
discusso nella teologia e nella vecchia metafisica, e che si riassume tutto nello
spiegare in che cosa consists l’azione di Dio nella conservazione. Secondo gli
uni (cartesiani) In conservazione non è che una creazione continuata, Omnia qua
exiatunt, a sola vi Dei conservantur, dice Cartesio; vi ha la sola differenza,
che mentre colla creazione Dio ha prodotto la nostra esistenza dal nulla, colla
conservazione rostiene in ogni istante codesta esistenza affinchè non rientri
nel nulla. Secondo gli altri, invece, Dio ha conferito ml Cox ogni essere,
dalla creazione, la facoltà di continuare la propria esistenza; il mondo è
quindi un orologio che, una volta caricato, continua a camminare per tutto quel
tempo che Dio s'è proposto di lasciarlo andare. La prima soluzione è conforme
alla dottrina ortodossa, già sostenuta da,8. Tommaso, per il quale,tutte le
cose create sono così strettamente congiunte al creatore, che se per poco egli
si restasse dal conservarle, cesserebbero di esistere rientrando nel nulla
donde uscirono: dependent esse oujuslibet orealurae a Deo ita quod nec ad
momentum subsistere possent, sed in nihilum redigerentur, nisi operatione
divinae virtulis conservarentur in esso. Come lu trasparenza Inminosa dell’aria
scompare appena che i raggi del sole cessano d’illuminarla, così, dice Β.
Tommaso, ogni cosa creata si dileguerebbe se la potenza divina si ristasse
dall’ animarla. Cfr. S. Tommaso, Sum. theol., I, qu. CIV, srt. I; De Potentia,
qu. V, art, I; Cartesio, Prino. phil., I, ΧΙΙ (v. oreazione). Conservazione
dell'energia. T. Erhaltung der Energio: I. Conservation of energy: F.
Conservation de l'énergie. Uno dei principî fondamentali della scienza moderna,
detto anche delln persistenza della forza. Siccome però il vocabolo forsa ha
nella meccanica un significato preciso, indicando la massa moltiplicata per 1’
accelerazione, si suol preferire la prima espressione. Fsso afferma che in
tatti i fenomeni la somma delle forze vive e delle energie potenziali è
costante >. Questo principio, che è } espressione più profonda della legge
di causalità, e la base della teoria dell'evoluzione, fu in origine constatato
dal Mayer soltanto nell'equivalenza tra il movimento meccanico e il calore;
poscia fu esteso a tntte le altre forme di energia, che costituiscono la luce,
il calore, 1’ elettricità, il magnetismo, eco. Non bisogna tuttavia scordare,
che ciò non autorizza a considerare l’ energia cinetica come il fondamento di
tutte le altre, perchè con ugual diritto si potrebbe conchiudere che calore,
Ince, 600, non sono che manifestazioni diverse della 223
Cox stessa energia elettrica; l’equivalensa di tutte le forme di
energia, nota l’Ostwald, lungi dall’autorizzarei a ridurre una di queste forme
all'altra, le pone tutte sullo stesso piano. Di più, il principio della
conservazione dell’ energia, per quanto serva a rendere concepibile la natara,
in sè stesso è una ipotesi indimostrabile, in quanto non è applicabile che ai
sistemi chiusi, a quei sistemi cioè che non ricevono alcuna azione dal di
fuori, nd agiscono al di fuori; ora la nostra esperienza non ci offre nè potrà
mai offrirci delle totalità assolutamente chiuse ed isolate. In secondo Inogo,
per essere una esplicazione generale dei fenomeni naturali, dovrebbe aver avuto
una conferma sperimentale in tutte le forze della natura, mentre noi non
conosciamo nè conosceremo mai il contenuto totale della natura. Cfr. A. E.
Haas, Die Entwickelungsgeschichte des Satz von der Erhaltung der Kraft, 1909;
W. Ostwald, L'énergie, trad. franc. 1910, p. 87 segg.; E. Naville, La physique
moderne, 1890, p. 14 segg.; B. Varisco, Scienza e opinioni, 1901, p. 205 segg.
Consoggetto. Ciò che è percepito unitamente al soggetto. Secondo il Rosmini,
nella percezione che noi abbiamo del nostro corpo come consoggetto, si sente il
paziente, 08sia il paziente sente sò stesso in esso © con esso; invece uella
percezione di un ente come straniero al soggetto si sente l’agente. L'ente
estraneo al soggetto dicesi esérasoggetto; come tale, © quindi come agente, può
essere percepito da noi il nostro corpo, quando cioò determina come ogni altro
corpo esteriore un’ azione su qualcuno.dei nostri cinque sensi. Cfr. Rosmini,
Pricologia, 1846, vol.I, p.97 segg. Contatto. Lat. Contactus ; T. Berührung,
Kontact ; I. Contact; F. Contact. Posizione relativa di due corpi la cui stanza
è la più piccola possibile. Il problema se vi siano azioni a distanza, o se
tutte avvengano per contatto, fu dn principio un problema metafisico e
religioso, in quanto si connetteva con l’altro dell’azione di Dio sul mondo: se
si considera quale condizione del movimento il contatto Con 224
del motore col mosso, come può conciliarsi la pura spiritualità, che
costituisce l’ essenza dell’ essere divino, con la materializzazione dell’
azione sua, οἱοὸ col movimento della materia? Nei tempi moderni esso è divenuto
un problema essenzialmente scientifico, la cui difficoltà sta in ciò, che un
contatto geometrico rigoroso non è osservabile, perchè non potrebbe aver luogo
che tra due corpi continui senza parti distinte, mentre è noto che tutti i
corpi percettibili, senza eccezione, constano di particelle separate; mentre,
d’ altro lato, per accertare un’ azione veramente a distanza bisognerebbe
sperimentare nel vuoto assoluto, ο assicnrarsi che all’ azione il mezzo non
prenda alcuna parte essenziale, due cose del pari impossibili. Le sensazioni di coutatto appartengono al
senso tattile, come pure quelle di temperatnra e di pressione: per mezzo di
esse si apprezza la natura dello stimolo, cioè dell’ oggetto, il duro, il
molle, il gnssoso, il liquido, il levigato, l’aspro, l’appuntito. Nella terminologia scolastica si distinguono
due specie di contatto: 1) contactus suppositi ο immediatio suppositi, che si
verifica quando colui che opera è immediatamente, per l'entità sua, congiunto a
chi riceve l’azione, quale è Dio a qualsiasi cosa su cui operi; 2) contactus
virtutis ο immediatio tirtutis, quando l’ agente, mediante la sua virtà, arriva
a chi riceve |’ azione, come il sole all’ aria mediante la luce. Cfr. 8.
Tommaso, Summa theol., I. qu. 75, 1; Avenarius, Philosophie ala Denken der
Welt, 1908, 2* ed., pag. 3 segg.; Wundt, Logik, vol. II, p. 268; Windelband,
Storia della fllorofia, trad. it. 1918, I, p. 302 segg.; R. Varisco, Scienza ο
opinioni, 1901, p. 182-145. Contemperasione. È la dottrina, detta anche della
soarità vittoriosa, con la quale alcuni teologi hanno cercato di conciliare la
libertà del volere umano con la provvidenza © la prescienza divina. Le nostre
azioni sono libere; ma Dio, nella ana infinita bontà, riesco a farci compiere
certe azioni determinato ο ponendoci in circostanze tali da ren 225 Cox dere quelle azioni necessarie, ο
suseltando in noi pensieri ο sentimenti che a quelle azioni ci spingono. E
dunque una suggestione, o, meglio, uns seduzione che Dio esercita su di noi, e
dalla quale ci lasciamo docilmente condurre per la soavità © l'abilità onde è
esercitato. Cfr. C. Jourdain, La filosofia di δ. Tommaso, trad. it. 1860, p.
132 segg.; L. Friso, Filosofia morale, 1898, p. 210. Contemplazione. Lat.
Contemplatio; T. Contemplation : I. Contemplation ; F. Contemplation. Termine
proprio del misticismo, che designa quello stato nel quale } anima, libera da
ogni tarbamento dei sensi, esercitata da lunghe meditazioni, si assorbe tutta
nella visione serena e bentifica del mondo spirituale, della sorgente d’ogni
verità. Per Ugo di 8. Vittore i tro gradi dell'attività intellettuale sono
cogitatio, meditatio, contemplatio, e corrispondono ai tre occhi dati all’
uomo: il corporeo, per conoscere il mondo materiale; il razionale, per
conoscere sè stesso nella propria intimità; il contemplativo, per conoscere il
mondo spiritusle ο la divinità. Anche la contemplazione è una risio
intellectualis, un vedere spirituale, che solo comprende direttamente la verità
suprema, mentre il pensiero a tanto non arriva. La contemplazione si distingue
dall’ estasi e dalla riflessione ; dall’estasi perchè non annienta, come
questa, ogni attività dell’anima, dalla riflessione perchè, mentre questa
implica la ricerea di una verità non ancora interamente conosciuta, quella
invece à la visione della verità già posseduta ο splendente in tutto il suo
fulgore dinanzi agli occhi. Cfr. Plotino, Enn., VI, 9, 3; R. di 8. Vittore, De
cont., V, 2 ο 14. Contiguità. I. Contiguität, Berührung; I. Contiguity; F.
Contiguité, Nol linguaggio comune designa la vicinanza di due oggetti nello
spazio. Per analogia, nella logica In contignità indica la relazione tra due
concetti, compresi sotto un terzo comune e tra i quali passa la minima
difforenza possibile: ad es. tra il violetto e 1’ indaco nei sette 15 RaxzoLi, Dizion. di scienze filosofiche.
colori dello spettro solare. La relazione di contiguità (che alcuni dicono con
minor precisione di contingenza) è quindi possibile soltanto in una serie
discreta, potendosi sempre, in una serie continua, concepire tra i due termini
uno intermedio. Pure per analogia, nella psicologia la contiguità di due fatti
di coscienza è la loro simultaneità o il loro succedersi immediatamente. Quando
i due fatti sono simultanei, cioò contigui nello spazio, ciascuno dei due tende
poi a richiamare I’ altro; quando sono successivi, cioè congiunti nel tempo, il
primo tende n richiamare il secondo; ciò costituisce appunto In legge di
contiguità, che è una delle leggi dell’ associazione, già descritta da
Aristotele ο elevata poi a grande importanza da Hume e dalla scuola scozzese. Cfr. Aristotele, Je memoria,
II, 451; Hume, Essay on human understanding, sez. III; Bain, Mental and moral
science, 1884, p. 150 sogy.; Höffding, Paychologie, trad. frane. 1900, p. 205 segg. Contingenza. T. Contingenz,
Zufälligkeit: I. Contingency; F. Contingence. Si oppone a necessità; questa si
applica a tutti gli esseri o agli avvenimenti che non possono non essere,
quella agli esseri o avvenimenti che potrebbero anche non essere: quod potest
non esse. Un avvenimento futuro è contingente quando, allo stato presente delle
cose, ln sus realizzazione o non realizzazione sono ugualmente compossibili. Un
fatto si considera, per rispetto ad una legge generale, contingente, quando
consiste non nell’ applicazione di questa legge, ma in qualche circostanza
particolare a questo ο quell’ oggetto individuale a cui si applica. La
contingenza è dunque, in generale, la possibilità della esistenza. Possibile
quidem et contingens idem prorsus sonant, dice Abelardo. Si tratta però di nna
possibilità pura ο indeterminata, cio di una vera e propria indifferenza tra l’
essere e il non essere, ben distinta quindi dalla possibilità concreta, la
quale si oppone non alla necessità ma alla attualità, ο conduce, in assenza
di 227
Cox fattori negativi, alla compiutezza finale dell’ essere. Tale
possibilità pura, come capacità di ricevere determinazioni contradditorie, fu
aramessa da Aristotele nella materia; come la forma priva della materia è
l'atto puro, l'essere che permane identico a sè stesso, così la materin priva
della forma è la para possibilità del? essere © del non essere, che nulla vieta
si determini in tm modo o in un altro. Quindi per Aristotelo nella materia è la
vera causa dell’ accidente, del fortuito; in essa stanno lo altime differenze
che separano individuo da individuo, poichè discendendo dai generi alle specie
via vin più particolari, scompaiono le differenze essenziali 9 nou restano
infine che ‘nelle accidentali di colore, grandezza, cor. Andando anin là, Duns
Sooto definisce P’individualitä come il contingente, ossia quello che non si
deve derivare da una ragione generale, ma solo constatare come attuale; lo
forma particolare è per lui qualche cosa di originariamente reale, di cui non
si deve chiedere il perchè. Come contingenza assolnta è concepito l’atto
volontario nella dottrina tradizionale del libero arbitrio di indifferenza ;
dice ad es. Pietro Lombardo: arbitrium quia sine coactione et necensitate valet
appetere rel eligere, quod ex ratione deorererit. E Goclenio : roluntan ut
fertur sine coactione in aliqua re; nam roluntar potent relle vel non velle. E Malebranche: la
puissance de rouloir ou de ne par vouloir, ou bien de vouloir le contraire. Secondo il Leibnitz vi sono due sorta di
verità: le verità di ragionamento, che dipendono dal principio di
contraddizione e sono necessario; lo verità di fatto, che dipendono dal
principio di ragione sufficiente e sono contingenti. Secondo il Mill questa
distinzione non si può faro perchè tutte le verità, in quanto tali, sono
necessario; se nelle verità di ragionamento il contrario sembra inconcepibile,
mentre è concepibile nelle verità sperimentali, ciò dipendo dal’ essere lo
prime effetto di una forte associazione stabilitari fra due {deo in forza dell’
abitudine, mentre per lo cora Cox 228 seconde quest’ abitudine non si è ancora
formata. Infatti le verità razionali, ad es. gli assiomi matematici, sono le
generalizzazioni più facili e più semplici, la cui esperienza non fu mai
contraddetta, e che perciò hanno in sè tutta la forza di cui la nostra credenza
istintiva è capace. Del resto, la storia del pensiero umano dimostra che ciò
che è inconcepibile in un’ epoca è concepibile in altra epoca, ©
viceversa. Dicesi dottrina della
contingenza dei futuri quella secondo la quale gli atti e gli avvenimenti, che
dipendono dal libero arbitrio dell’uomo ο dall’ intervento della Provvidenza,
non sono necessari, perchè nè sono retti da leggi naturali, nè hanno la loro
ragion d’essere in atti antecedenti. Quindi possono realizzarsi ο non
realizzarsi. Cfr. Aristotele, Meth., IX, 7, 5; VI, 2, 2; Trendelenburg,
Logische Untersuchungen, 1862, vol. II, p. 198 segg.; J. S. Mill, Examination
of Hamilton, 1867, p. 560 segg.; Ο. Ranzoli, IL caso nel pensiero e nella vita,
1913, p. 31 segg., 114 segg. (v. causalità, necessità, ragione). Contingenza (filosofia
della). F. Philosophie de la contingence. O anche contingentismo, 0 idealismo
conténgentiata : quell’ indirizzo della filosofia francese contemporanea, che
nega la necessità delle leggi della natura, sostituendo la spontaneità, la
creazione libera, lu contingenza al determinismo meccanico. Essa si riconnette
per un lato con la filosofia della libertà, per l’altro con la nuova critica
della scienza: dalla prima, iniziatasi con la dottrina kantiana del primato
della ragion pratica e svolta in Francia da Paul Janet, Secrétan, Ravaisson,
accetta la concezione morale ed estetica dell’ universo; dalla seconda,
promossa in special modo dal Mach, trae gli argomenti contro la necessità della
legge. Secondo il Boutroux, il più tipico rappresentante di questo indirizzo, i
principj superiori delle cose anrehbero ancora delle leggi; ma delle leggi
morali ed ostetiche, espressioni più o meno immediato della perfezione di Dio,
preesistenti ai fenomeni e anpponenti degli agenti 229
Cox dotati di spontaneità »; codeste leggi non hanno in sò nulla di
assoluto e di eterno, non sono che abitudini provvisorio contratte dall’
essere, il quale tende a persistervi riconoscendo in esse l’impronta dell’
ideale; ma il trionfo completo del Bene ο del Bello farà scomparire queste
imagini artificiosamente fisse di un modello vivente e mobile, soatituendo alla
legge necessaria il libero sforzo della volontà verso la perfezione con la
libera gerarchia delle anime. La scienza, con la rigidità delle sue formule,
non hw valore obbiettivo; essa è soltanto lo sforzo per adattare le cose alla
legge d’identità del pensiero e per renderle docili al compimento della nostra
volontà. Codesto adattamento appare già nella logica, Il pensiero porta in sò
le leggi della logica pura, ma poichè la materia che gli è offerta non si
conforma ad esso adattamento, cerca di adattare la logic alle cose creando un
insieme di procedimenti e di simboli che rendano intelligibile la realtà. Le
leggi della logi pura, ed eme sole, sono necessarie ed obiettivamente valide;
però lasciano indeterminata la natura delle cose a cui si applicano. La
sillogistics invece non ha in sò alcuna garanzia di validità obbiettiva, ma il
fatto che i nostri ragionamenti riescono, ci prova che, nel fondo delle cose,
c'è un che di analogo all'intelligenza umana; e come in noi, accanto alla
intelligenza, v’ ha un complesso di facoltà attive, così possiamo pensare nelle
cose un principio di attività ο di spontaneità. Salendo poi dalle scienze
astratte verso le più concrete, ci allontaniamo sempre più dalla nocessità ed
evidenza logica. Dalle leggi matematiche allo leggi della meccanica ο da queste
alle leggi della fisica, della chimica, della biologia, della psicologia, della
soci logia, ecc., crescono la complicazione ο il grado di conti genza. Il che
prova dunque che la realtà viva ο conoreta non può esser racobiusa nei nostri
quadri mentali; che la necessità della legge vale solo per i principj logici,
mentre nei processi della natura dominano la libertà ὁ la spontaCox 230 à;
che In scienza, se soddisfa il nostro bisogno d'eviο d universalità logica, è
condannata a lasciar fuori che v ha di più reale nelle cose, ossia il loro
aspetto qualitativo, la loro trasformazione incessante, U atto di creazione che
è nella loro essenza come nel fondo dell’ anima umano. Tra gli altri maggiori
rappresentanti del contingentismo, il Poincaré ha cercato in special modo di
mostraro il carattere puramente convenzionale, economico, delle leggi e dei
concetti scientifici; il Milband di porre in luce il valore soggettivo della
certezza logica, che non può estendersi al dominio della realtà perchè, senza
il contributo dell’esperionza, i principj logici non possono darci
deduttivamente il contenuto di nessuna conoscenza; il Bergson, portando all’
estreme conseguenze lu reazione contro l’intellettualismo, risolve la realtà in
un flusso cessante di forme nuove senza direzione determinata, flusso che la
nostra intelligenza ba, per i suoi bisogni pratici, immobilizzato, e che noi
non potromo quindi conoscere se non spogliandoci il più possibile d’ ogni forma
intellettuale, ritirandoci nella nostra aninia profonda per innuedesimarci con
la stessa attività creatrice. Cfr. P. Janet, Lex causes finales, 1874;
Ravuisson, La fil. en Franco au XIX siècle, 1889; Boutroux, De la contingenoe
des lois de la nature, 1899; Id., De l’idée de loi naturelle, 1901; Milhaud,
Exsai sur les conditions et len limites de la certitude logique, 1894; Bergson,
L'érolution créatrice, 1907; F. Masci, L’idealirmo indeterminiata, Atti della
R. Acc. di s. mor. e pol. di Napoli », 1898; A. Levi, L'indeterminismo nella
fil. franc. contemporanea, 1904; Petrone, 1 limiti del determinismo
scientifico, 1900; Tarozzi, Della necesnità nel fatto naturale ed umano, 1896;
©. Rauzoli, Sulle origini del moderno idealiemo. Riv. di fil. e scienze affini
», maggio 1906; A. Aliotta, La reazione idealistica contro la scienza, 19 p.
133-196 (v. economica teoria, empirinmo, esperienza, idealinmo, intuizione,
tempo, vitaliamo). 231 Cox Continuità (principio di). T. Stetigkeit;
I. Continuity; F. Continuité. La gloria di aver primo intuito ed esposto questo
principio è universalmente atiribuita al Leibnitz (di cui è celebre il detto in
natura non datur saltus), che considerava la natura come una serie continua di
mona quali sono in numero determinato, ed h loro, e tutte insiome costituiscono
una serie continua di differenze infinitamente piccole: ogni monade tiene il
suo luogo, nessuna nasce di nuovo, nessuna perisce ; due mouadi identiche non
si possono trovare; quindi levata una inonade, tutta la cutena si rompe. Questa
bella legge della continuità, come il Leibnitz stesso la chiamò, importa dunque
che nel mutamento non vi hanno salti fra i due stati, il vecchio e il nuovo,
perehè 1’ intervallo tra l’uno e l’altro è riempito da un numero infinito di
stati intermedi; e che non esiste una dirersità senza che esista pure una
intinità di intermediari. Fra le applicazioni particolari più importanti che il
Leibnitz fece di questa legge, vi ha la scoperta del calcolo, differenziale, in
virtù di cui la disuguaglianza è come una infinitamente piccola uguaglianza, la
parabola un’ ellissi, di cui un foco sia infinitamente lontano dall'altro.
Applicata alla meccanica, la quiete nou è più I’ opposto del moto, ma non è che
un movimento infinitamente piccolo, e la forza morta non è che un ris
elementaris, una forza viva sul cominciare. Applicata alla natura, il Leibnitz
ammette non solo una connessione graduale tra le varie specie d’animali, ma
anche una gradazione intermedia tra il vegetale ο l’animale. Nella scienza contemporanea, il principio
della continuità dinamica, uni: versale, dei fatti, è il fondamento del
concetto del della natura, in cui il fatto biologico continua il fatto tisico,
ο il fatto psichico il biologico, e il fatto sociale il psichico, così nel
rispetto doll’attualità come in quello della potenzialità. Integrazioni di
questo principio sono la logge di causilità, di evoluzione, dell’unità della
materia, della persistenza, unità Con
232 trasformazione, equivalenza e
unità della forza. Cfr. Loibnitz, Nour. Ess., ed. Gerhardt, IV, 398; V, 49;
Monad., 61; Kant, Krit. d. reinen Vernunft, ed. Reclam, p. 165 segg.; Dithring, Logik und
Wissenschaftstheorie, 1878, pag. 198. Continuo. Lat. Continuum; T. Stetig; I. Continuous; F. Continue. Si
dice continuo un oggetto le cui parti ο elementi costitutivi sono legati tra
loro in modo che non rimanga tra essi alcun vnoto. Essendo gli oggetti
materiali © ideali, così si distingue il continuo corporale e il coftinuo
ideale. Sono continui lo spazio e il tempo, la materia e la forza; discontinui
il numero e la quantità. Nel linguaggio scolastico distingnevasi il continuum
permanens dal ο. successioni : il primo è quello le cui parti esistono insieme,
come un bastone; il secondo quello le cai parti passano senza interruzione, ed
hanno la continuità nel senso di non interrotta, successione, come il creato.
Secondo 1’ Herbart, è continuo soltanto lo spazio fenomenale, quello ciod dove
sono rappresentate le nostre sensazioni e che è in noi; è invece discreto lo
spazio intelligibile, nel quale esistono i reali, e che è quindi reale. Cfr.
Herbart, Lohruch sur Peychol., 1850, p. 67 segg.; Varisco, Scienza e opinioni,
1901, p. 136 segg.; E. Borel, Le continu mathém. et lo cont. physique, Scientia
», 1909, VI. pp. 21-85 (v. quantità). Contradditorio. Lat. Contradictorius; T.
Widersprechend, oontraditorisch ; I. Contraditory; F. Contradictoire. Due
proposizioni si dicono contradditorie quando, avendo entrambe lo stesso
soggetto e lo stesso predicato, differiscono in qualità ο quantità; tutti gli A
sono B, qualche A non è B, oppure: nessun A è B, qualche À è B. Non possono
essere entrambe vere, nd entrambe false; quindi se luna è vera l’altra è falsa,
se luna à falsa l’altra è vera. ‘Trattandosi di due proposizioni singolari,
basta che difteriscano nella qualità per essere contradditorie: A è B, 4 non è
B (v. contrario). 233 Cox Contraddisione. Gr. ‘Avtipuotc; Lat.
Contradiotio; T. Widerspruch, Contradiction ; 1. Contradiotion; ¥. Contradiction. Quell’ atto dello spirito
mediante il quale si afferma ο si nega la stessa cosa; il suo schema è dunque
il seguente 4 = non A. La contraddizione può essere formale, implicita e in
adjeoto. La contraddizione è formale, ο in terminis, quando i due giudizi ο le
due nozioni contradditorie sono espresse ; implicita quando uno dei due giudizi
o nozioni, pure non comparendo, deve essere supposto come priucipio o come
conseguenza di ciò che si enuncia; in adjeoto quando attribuisce al soggetto
una qualità che ne è esclusa per la sua stessa definizione. La contraddizione
tipica è la formale; ma il pensiero non vi incorre mai, quando trovasi in
condizioni normali; può bensì incorrervi per la complessità dell'argomento, che
non gli permette di avvertire la contraddizione. L’ antinomia è una forma di
contraddizione in adjeoto, dipendente dall’ essero una proprietà, che si
attribuisce a un soggetto, inconcilinbile con esso per altra proprietà che gli
è essensiale, u che è affermata nel suo concetto. Cfr. Aristotele, De
interprot., C. 6; Herbart, Hawpipunkte der Metaphysik, 1806, p. 6-14 (v.
assurdo). Contraddizione (principio di). Aristotele, che lo considerava come il
principio più certo di tutti, lo formulò in questo modo: non è possibile che la
stessa cosa inerisca e non inerisca nella stessa cosa, simultaneamente ο sotto
il medesimo rispetto. In altre parole, questo principio esprime che due
proposizioni, di cui l’una afferma ciò che I’ altra nega, non possono essere
considerate come vere entrambe, e che quindi in tal caso il pensiero è nullo:
A= non À = sero. Il Leibnitz formulò diversamente il principio di
contraddizione in questo modo: À non è non A. Come si vede, mentre questa
formula concerne il rapporto tra soggetto e predicato contradditori d’uno stesso
gindizio, quella aristotelica concerne il rapporto tra due giu 234 contradditori d’identico contenuto; perciò la
formula leibnitziana integra 1’ aristotelica, estendendo il valore del detto
principio non al solo giudizio ma a tutto il campo della conoscenza. Secondo
alenni filosofi, ad es. gli elentici, il principio di contraddizione, come
quello di identità, non ha un solo valore formale e soggettivo, ma anche uno
realo ed oggettivo; vale a dira che esso non sarebbe un semplice canone cui il
pensiero si deve conformare, ma un principio obbiettivo con cui si può
determinare la natura del reale. Invece gli eraclitei negarono loro ogni
valore, sia logico che obbiettivo, e l’antien disputa, spontasi col prevalere
della logica aristotelica, fa rinnovata nei tempi moderni dall’ Hegel e dall’
Herbart. Per Eraclito l'unica cosa permanente nel diveniro incessante delle
cose è l'armonia degli opposti; nella sau retorica poetica il flutto delle cose
è una lotta incessante dei contrari, e questa lotta è la madre delle cose;
tutto ciò che sembra essere è il prodotto di movimenti ο di forze opposte, che
mercà In loro azione mantengono |’ equilibrio ; così I’ nniverso è ad ogni
momento un’ unità, che si suddivide e poi ritorna in xè, una lotta che trova la
sun conciliazione, un difetto che trova la sua compensazione. Nei tempi
moderni, questo concetto della coincidentia oppositorum fu ripreso da Giordano
Bruno e dalla metafisica idealisticn succeduta n Kant. Così per Fichte, se il
mondo deve esser concepito come ragione, il suo sistema deve essere sviluppato
da un problema originario, da una esigenza che ciascuno deve essere nello stato
di adempiere : questa esigenza è l’autocoscienza. ossia pensa te stesso. Questo
principio può svilupparsi solo fino al punto, in cui si mostra che fra ciò che
deve avvenire e ciò che avviene c'è ancora una contraddizione, da cui nasce un
nuovo problema, ¢ così di sèguito : il metodo dialettico è così un sistema in
cui ogni problema ne produce uno nuovo; di fronte a ciò che la ragione vuol
fornire, sta in essa stessa un ostacolo, © per superarlo essa 235
Cox sviluppa una nuova fanzione; questi tre momonti sono detti fesi,
antitesi © sintesi. Così il mondo della ragione diventa l’infinità dell’
ontogenesi, e la contraddizione tra il dovere e il fare viene spiegata come 1’
ensenza realo della ragione stessa; tale contraddizione è necéssaria ed
inevitabile, appartenendo alln natura della ragione; e poichè soltanto la
ragione è reale, la contraddizione viene cost spiegata come reale. In tal modo
il metodo dialettico, trasformazione metafisica della dialettica trascendentale
di Kant, si mette in opposizione con la logica formale; le regole dell’
intelletto, che hanno il loro fondamento nel principio di contraddizione, sono
sufficienti per l’ elaborazione ordinaria delle percezioni in concetti, gindizi
ο sillogismi, ma insufficienti per la costruzione speculativa. Il metodo
dialettico fu perfezionato da Hegel, per il quale l’ essenza dello spirito è di
sdoppiarsi in sè stesso e di ritornare da questa separazione alla sua unità
originaria; la ragione è non solo in sè come semplice realtà idenle, ma anche
per sè: essa manifesta 6 stessa come qualche cosa di altro, diventa un oggetto
diverso dal soggetto, e questo esser altro è il principio della negazione. Il
cancellare questa diversi il negare la negazione, è la sintesi di questi due
momenti: così ogni concetto si converte nel suo opposto, ὁ dalla contraddizione
di ambedue deriva il concetto più elevato, che ha poi la stessa sorte di
trovare uu’ antitesi, che richiede una sintesi ancora più alta, e così di
sèguito. Per I’ Herbart, tutto al contrario, il principio più alto di og sare
è, che ciò che è contradditorio non può essere verumente reale. Ora, poichè i
concetti con cui pensiamo l’esperienza sono in sè contradditori, ne viene che
la filosofia, la quale ha per compito di rintracciare il reale vero, assoluto,
dovrà essere una elaborazione dei concetti dell’ esperienza; ossa deve
trasformarli secondo lo rogole della logica formale (ο non v’ha altra logica
che quella formale) finchi sia conosciuta la realtà scevra di contraddizioni.
Cfr. AristoCon tele, Metaph., III, 2, 996 b, 28 ο segg.; Leibnitz, Monadologie,
31; Theod., I, § 44; Kant, Krit. d. reinen Vern., od. Reclam, p. 151 segg.;
Herbart, Hauptpunkte d. Motaph., 1806; Id., Einleitung in die Philos., 1813, p.
72-82; Hartmann, Ueber did dialektische Methode, 1868; F. Paulhan, La logique
de la contradiction, 1909; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913,
I, p. 176, 108, 173; II, 69 segg. (v. essere, nulla, realtà). Contrapposizione.
Lat. Contrapositio; 'T. Kontraposition; I. Contraposition ; F. Contraporition.
Quell’ operazione logica per cui si converte una proposizione, aggiungendo il
segno della negazione ai due termini. La contrapposizione della proposizione
particolare negativa è poco utile © poco usata; maggiore importanza ha invece
la conversione delle universali affermative, perchè dà modo di controllare se
I’ attributo è legato necessariamente al soggetto, vale a dire se l’ universale
affermativo enuncia una verità. Così, convertendo per contrapposizione la
proposizione: tutti i pesci sono muniti di branchie, si ha tutti gli animali
non muniti di branchie sono non pesci, da cui si vede che l'essere muniti di
branchie è un carattere essenziale dei pesci. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik,
1855, vol. I, p. 584; Masci, Logica, 1899, p. 225. Contrario. Gr. 'Evavriov;
Lat. Contrarius; T. Conträr: I. Contrary; F. Contraire. Si dicono contrarie due
proposizioni che, avendo uguali soggetto © attributo ed essendo entrambe
universali, differiscono nella qualità, vale a dire l'una è negativa l’altra è
affermativa; tutti gli 4 nono B, nessun A è B. Possono essere entrambe false,
non entrambe vere; dato dunque che sia falsa una, non si può iuferirne che
l’altra è vera; ma dato che sia vera una si deve inferirne che l’altra è falsa.
Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 107-109 (v. contradditorio). Contrasto. T.
Kontrast ; I. Contrast ; F. Contraste. Nella psicologia designa quel fenomeno
ottico, che il Chevreul 287 Cox ha espresso nella legge seguente: quando
I’ occhio vede contemporanesmente due colori contigui, li vede nel modo più
dissomigliante possibile quanto alla loro composizione ottica ο quanto alla
altezza del loro tono. Infatti, se si pongono vicine delle striscie di carta
coperte d’ una tinta uniforme di grigio di diverse intensità, ogni striscia
sembra più chiara dal lato ove essa tocca una striscia più scura, e più scura
dal lato ove tocca una striscia. più chiara; se si metto una riga bianca su nn
fondo nero, questo fondo pare più nero in prossimità della riga. Ciò per
l'intensità; quanto alle sfumature, se noi collochiamo una striscia di carta
verde sopra un fondo grigio, questo fondo sembra rosso, essendo il rosso il
colore complementare del verde; le nubi bianche in cielo azzurro sembrano
giallognole; le ombre degli oggetti al momento del tramouto sembrano turchine,
perchè la Ince inviata in tal momento dal sole è aranciata, Tutti questi
fenomeni di contrasto si spiegano colla teoria di Joung e Helmholtz, che cioè
nella retina si trovino tre specie di fibre, ognunn delle quali viene stimolata
a preferenza da uno dei tre colori fondamentali (rosso, verde, violetto), e che
quindi tutte le possibili sensazioni di colore risultino dalla combinazione
delle tre sensazioni fondamentali.
L'associazione per oontrasto è uno dei tre casi fondamentali d’
associazione delle idee descritti da Aristotele. Nella psicologia moderna non
la si considera che un modo subordinato dell’ associazione per rassomiglianza ο
per contiguità ; infatti i contrasti rientrano sotto una medesima idea comune,
ad es. fl nano e il gigante sotto quella della statura media; di più, il corso
della vita implica dei contrari che si succedono, si toccano rasformano l’nno
nell’ altro, come il giorno succede alla notte, la gioia alla tristezza.
Secondo I’ Hüffding, nello associazioni per contrasto avrebbe parto prevalente
il sentimento, determinato sempre dall’ importante contrasto del Pincere ο del
dolore; a una forte tensione succede or: Cox
238 riamente un periodo di
stanchezza e tendenza a dirigere il nostro interesse in senso opposto: Così
potrebbe spiegarsi il bisogno che si prova di passare. dall’ imagine della luce
a quella della oscurità, dall’imagine del grande a quella del piccolo ». Cfr. Wundt, Grundriss d.
Psychol., 1896, p. 302 seg.; Kreibig, Die fünf Sinne des Menschen, 1907, p.
113-115; James Mill, Analysis of the phenomena of the human mind, 1869, I, p.
113 segg.; Höffding, Paychologie, trad. franc. 1900, p. 213 segg. Contratti (giudizi). Quelle forme di
giudizio in cui è taciuto il predicato o il soggetto, o in cui il soggetto è
puramente indientivo, o in cui tutto il giudizio è contratto in un nome. Bi
distinguono in entimematici © tetici (v. composti). Contratto sociale. F.
Contrat social. Espressione entrata nel linguaggio filosofico dopo la
pubblicazione dell’opora del Rousseau, Del contratto sociale, ο principio di
diritto politico (Amsterdam, 1762). Il contratto sociale è il tacito patto che
gli uomini primitivi fecero tra di loro, rinnnziando ai propri diritti, per
affidare ad un potere pnbblico e supremo la tutela degli individui ο il
mantenimento della pace sociale. Secondo il Rousseau, il problema fondamentale
che s'impone agli uomini, quando lo stato primitivo di natura non può più
sussistere, è il seguente: Trovare una forma d’associazione, che difenda ο
protegga con tutta la forza comune la persona o i beni di ogni associato, e
mediante la quale ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a sè
stesso e resti libero come pri Tale è il problema fondamentale di cui il
contratto sociale dà la soluzione. Le clausole di questo contratto sono
talmente determinate dalla natura dell'atto, che la più piccola modificazione
le renderebbe vane e di nessun offetto; per guisa che, sebbene non siano forse
mai state formalmente enunciate, sono dovunque le stesse, dovnnque tacitamente
ammesse e riconosciute, finchè, essendo il patto sociale violato, ognuno
rientri nei suoi primitivi 239 Cox riprenda la propria libertà naturale ».
Questa dottrina era giù stata svolta precedentemente da Epicuro, dal (irozio,
dal? Hobbes. Il contrario del contratto è lo statuto sociale, cioè i rapporti
legali che si stabiliscono tra gli nomini per il solo fatto che essi
appartengono a una determinata classe sociale, oppure si trovano in una data
situazione alla quale la loro volontà non può nulla mutare. Cfr. Rousseau, Du contrat
social ou principes du droit politique, 1762 (v. contrattualiemo, società). Contrattualismo. ‘I. Kontraktualismue; I.
Contractualism ; F. Contraotualisme. Sotto questo nome si raccolgono tutte le
dottrine che fanno originare la società, e quindi la morale, il diritto, lo
Stato, da un generale contratto ο da primitivi accordi contrattuali. Questa
idea trovasi già esplicitamente formulata in Epicuro, per il quale la società
politica non è una formazione naturale, ma è creata a ragion veduta dagli uo!
in base ad un contratto, συνθήκη, che essi fanno per non danneggiarsi
scambievolmente; perciò le leggi sono derivate in ogni singolo caso da un
accordo rispetto alle comuni utilità; in sò non v'è niente di giusto ο
d’ingiusto, e poichè è evidente che nel contratto fa prevalere il proprio
vantaggio chi ha intelligonza maggiore, così sono in generale i vantaggi del
sapiente che si presentano come i motivi della legislazione. ‘Tale concetto fu
poi ripreso da Occam, da Marsilio, da Hobbes, che gli diede il massimo
sviluppo: egli pone l’egoimo come fondamentale nell’ uomo, e considera lo stato
naturale come il bellum omnium contra omnes, nel quale si dice bene ciò che
soddisfa il proprio egoismo, male ciò che lo contrasta; ma poichè una
condizione simile offendo lo stesso egoismo, recando morte e danno, gli nomini
s' accordano tacitamente di trasferire il proprio diritto naturale ad un terzo,
che rappresenti, la forza di tutti: questo è lo Stato, che fa la zione, non più
relativa ma nssolnta, tra bene © male, tra lecito e illecito, tra religione Cox
e superstizione: il bene à l’ azione legale, il male l’azione illegale; la
religione è l'adorazione legale di Dio, la superstizione |’ adorazione illegale
; entrambe le autorità, civile e religiosa, sono incarnate nel sovrano. Mentre
Hobbes giunge così alla giustificazione dell’ assolutismo, Rousseau ricava
dalle stesse premesse delle conseguenze democratiche e liberali: per lui l’
uomo è originariamente buono e dominato da sentimenti sociali, quindi il
principio della traslazione e della rappresentanza deve essere limitato fino al
possibile, mentre a tutto il popolo si deve riconoscere direttamente |’
esercizio della sovranità. Dopo la rivoluzione francese il contrattualismo
decadde, ma per risorgere ai giorni nostri sotto diversa forma, Oggi non si
ammette più, in generale, un contratto alle origini della società, ma alla
fine, cioè come mata da raggiungere non come punto di partenza; la storia dell’
incivilimento dimostra infatti che all’origine non sono gli individui arbitri
dei propri destini, ma certi gruppi complessi tenuti saldi dall’ autorità di un
capo, e che l’ autonomia individuale si viene mano mano attuando col
perfezionarsi della vita sociale fino a rendere I’ individuo artefice
consapevole delle proprie situazioni giuridiche e delle stesse forme vincolanti
del vivere civile. Questa nuova concezione è dovuta specialmente al Summer
Maine, che, a conelusione dello sue ricerche sulle società primitive, fa
consistere il movimento delle società progressive nel trapasso da un primiero
regime di status ad un regime di contratto; ed è svolta poi in varie forme
dallo Spencer, dal Fouillée, dal De Greef, dal Bourgeois, occ, Cfr. Diogene L.,
X, 150 segg.; Jellinek, Allgemeine Staatalehre, 1905; G. Del Vecchio, Su la
teoria del contratto sociale, 1906; G. Dallari, I! nuoro contrattualismo nella
filosofia sociale e politica, 1911; P. Gentile, Sulla dottrina del “contratto
sociale, 1913 (v. contratto sociale). Controprova. T. Gegenbeweis; I.
Counterproof; F. Contre-éprenve. Una delle applienzioni del metodo di
differenza, A1 Cox che Bacone chiamò inrersio erperimenti.
Consiste nel ripetere inversamente una esperienza per confermarne i risultati.
Es.: per determinare la funzione dei nervi periferici, si fa agiro uno stimolo
sui nervi periferici di un animale, ed è facile accorgersi che detto stimolo ha
dato luogo alla sensazione. Controprova: ai recide la fibra stessa ο si fa
agire ancora lo stimolo; in tal caso non si ha più la sensazione. Si conchiude
che la continuità della fibra è necessaria per avere la sensazione. Cfr.
Bacone, Nuovo organo, 1810, p. 66 segg. Controversisti. I Padri del secondo
periodo della Patristica, così designati perchè non si limitano, come quelli
del primo periodo, a difender la religione cristiana dagli assalti del
paganesimo, ma attaccano anche le dottrine avversarie ο specialmente il
gnosticismo. I principali controversisti farono Ireneo e Tertulliano (v.
Patristica). Convenienza. T. Ubereinstimmung, Angemessenheit, Conrenione ; I.
Propriety; F. Convenance. Significa, in generale, accordo o armonia tra due ο
più termini. Nella morale ln convenienza è ciò che non ha un carattere di
obbligatorietà costante, ma conviene soltanto a certe circostanze în virtù
d’una regola normativa. Così gli stoici dicevano azione conceniente In giusta
scelta e il retto uso che il saggio sa fare di quelle cose che stanno fra il
bene e il male, che non possono nè giovare nè nuocere, che non meritano di
essere cercate nè fuggite, come la vita, le ricchezze, ecc. Leibnitz chiama
prinotpio della convenienza, la saggezza divina rivelantesi specialmente nelle
leggi del movimento : E meraviglioso che, con la sola considerazione delle
cause efficienti o della materia, non si potrebbe dar ragione di tali leggi del
movimento. Poichè io ho trovato che bisogna ricorrere alle oause finali e che
codeste leggi non dipendono dal principio della necessità, come le verità
logiche, aritmetiche e morali, ma dal principio della conreniensa, vale a dire
dalla scelta della saggezza ». Kant chiama principia con16 Raxzom, Dirion. di scienze filosofiche, Cox 242
venientiæ quelle proposizioni, che non trovauo la loro giustificazione
nè nell'esperienza, nè in deduzioni a priori, ma si raccomandano per la loro
opportunità, facilitando ed estendendo V uso empirico dell’ intelletto; tali
principî, da lui esposti nella Dissertazione, divengono poi nella Critica della
r. pura i principî dell’intelletto puro, come quelli della regolarità del
divenire e della permanenza della sostanza.
Il Rosmini chiama convenienza metafisioa gli argomenti, per lo più
morali, sui quali si fondano le persuasioni delle verità dell’ ordine etico ;
la convenienza metafisica non riguarda in fatti P uno ο l'altro ente, ma
l'essere universale stesso, ο Dio. Sebbene tali argomenti si fondino
sull’idealità della cosa, importano una necessità e servono di fondamento alla
fede. Cfr. Diogene L., VII, 130; Stobeo, Kel., 11, 158; Cicerone, De fin., III,
6; Leibnitz, Prino. de la nat. οἱ de la grace, 1714; Rosmini, Logica, 1853, $
1124-26; L. Nelson, Unters. üb. die Entwickelungsgeschichte d. kantischen
Erkenntniatheorie, in Aband. d. Fries'schen Schule », 1909, fuse. I.
Convergenza. T. Conrergenz. Zusammenlaufen ; I. Convergency; F. Convergence.
Una delle leggi dell’ evoluzione del mondo organico, che si contrappone alla
legge della divergenza. Mentre per questa da forme uguali si vengono svolgendo
forme differenti, come adattamento a differenti fanzioni ο condizioni
biologiche, per la logge della conrergenza du forme originariamente (lifforenti
si svolgono gradatamente forme somiglianti, in seguito all’ adattamento a
fanzioni © condizioni di vita uguali. Aleuni biologi, col vocabolo convergenza
indicano invece le rassomiglianze non ereditarie tra gli esseri organizzati,
che hanno una ragione nell’ adattamento ad analoghe condizioni di
ambiente. Nolla matematica dicesi
convergente una serie la cni somma tende verso un limite finito, quando il
numero dei suoi termini aumenta indefinitamente. Conversione. Gr. Αντιστροφή:
Lat. Conversio; T. Conversion, Umkehrung; 1. Conversion; F. Conversion.
Quell’opo 243 Cor razione logica con cui
da una proposizione 8ο ne forma una seconda, la quale ha per soggetto il
predicato della prima, e a predicato il soggetto della stessa. Es.: qualche A è
B, qualche B è A. Dicesi conversione semplico quella che ni fu conservando la
quantità stessa del soggetto, il quale ha la medesima estensione del predicato;
conversione per accidente quella in cui la quantità del nuovo soggetto muta,
avendo esso maggiore estensione del soggetto della prima propojone; conversions
per contrapposizione quella che si fa nggiungendo il segno della negazione si
due termini. Es.: 1° tutti gli organismi respirano; tuiti gli esseri che
respirano sono organismi; 33 tutti gli uomini sono mortali; alcuni mortali sono
uomini; 33 tutti i pesci hanno branchie; tutti quelli che non hanno branchie
son sono pesci. Si convertono sempre semplicemente le proposizioni universali
negative, non si convertono le particolari negative. Gli scolastici hanno
espresso le leggi della conversione nei due seguenti versi innemonici: F E I
Simpliciter conrertitur, E v A per accid.
Alto por Contrap. Sio fit converaio tota. Cfr. Kant, Logik, 1800, p184
vegg.; l'oberweg, Logik, 1874, $ 80; Masci, Logica, 1909, p. 215 segg.
Coprolalia. T. Koprolalie; 1. Coprolalia ; F. Coprolalie. Stato patologico, che
appare in varie malattie mentali, talvolta anche nella pubertà, ο si manifesta
con nn impulso continuo e irresistibile a pronunciare bestemmie ο a tener
discorsi osceni. L’impulso a diro bestemmie si suol anche denominare
teoblasfemia. Cfr. G. Pontiggia, Osservazioni pricologiohe intorno alla
coprolalia, Riv. di filorofia ο acienze affini », maggio 1901. Copula. T.
Copula; I. Copula; F. Copule. Quella parte del giudizio che unisce il predicato
al soggetto. Spesso In copula è compresa nell’ attributo, quando questo è
eapreaso da un verbo attributivo; ad es. : l'umanità progrediace l'umanità è
progrediente. Alcuni logici sostennero che non può esservi una copula negntiva,
perchè In negnzione è il Cop-Cor
244 toglimento della copula non
una copula, e perchè officio suo è di unire il predicato al soggetto non di
disgiungerli. A ciò altri logici risposero che la unità domandata dal giudizio
non è un amalgama materiale di più cose, ma la semplice relazione di due o più
elementi concettaali, che il pensiero può abbracciare in un solo atto; ora tale
unità si ha tanto con l'affermazione quanto con la negazione. La copals,
espressa dal verbo essere, è detta dai logici terzo elemento del giudizio,
essendosi essa formata dopo il predicato © il soggetto; infatti, nel periodo
intuitivo delle lingue, il concetto del predicato è verbale, esprime cioè tanto
la qualità come l’attività; in seguito i due concetti si staccarono, e
l’attività astratta, separata da ogni qualità, costituì fl terzo elemento del
giudizio. Cfr. B. Erdmann, Logik, 1892, vol. I, p. 860; Ch. Sigwart, Logik,
1873, vol. 1, P. 119 (v. grammatica, linguaggio). Copulativi (giudizi). Per
opposizione ai oongiuntivi, diconsi tali quei giudizi che sono composti nel
soggetto, in cui cioè un solo predicato è affermato ο negato di più soggetti.
Il suo tipo è: tanto 4 che B che C sono D. Il giudizio copulativo negativo è
detto anche remotivo. Oltre la forma affermativa e negativa, può assumere anche
quella categorica 6 ipotetica (v. composti). Corollario. Lat. Corollarium ; T.
Corollar; 1. Corollary: F. Corollaire. Verità che risulta naturalmente da una
proposizione già dimostrata, e non ha bisogno di appoggiarsi su una
dimostrazione particolare. Si adopera anche per indicare una proposizione di
minore importanza ο di minore estensione dedotta da una proposizione
principale. Corpo. Lat. Corpus; T. Körper; I. Body: F. Corps. Per corpo si
intende un reale che ha una data forma, una data massa ed occupa un dato posto
nello spazio. Gli elementi costitutivi del corpo sono dunque: estensione,
massa, imponetrabilità. Riguardo ai suoi rapporti con noi, i metafisici
oggettivisti definiscono il corpo come In causa este 245 Cor riore alla quale attribuiamo le nostre
sensazioni ; in altre parole, nn dato corpo è da me conosciuto per il numero
delle sensazioni che da esso ho avuto, ma codeste sensazioni le considero come
prodotte da qualche cosa che non solo esiste indipendentemente affatto dalla
mia volontà, ma che è anche esterno ai miei organi e alla mia coscienza; ora,
codesto qualche cosa di esteriore, codesto qualche cosa che permane anche collo
scomparire delle mie sensazioni e che determina le leggi secondo cui le
sensazioni stesse sono legate, è il corpo. La spazialità o estensione è
generalmente considerata come l'attributo fondamentale dei corpi; così I’ Hobbes
definisce il corpo: quioquid non depondens a nostra cogitatione cum spatii
parte aliqua coincidit vel ceztenditur. Per Cartesio il concetto di corpo
coincide con quello d’ una grandezza spaziale, ogni corpo è un frammento dello
spazio; per Spinoza il corpo è un modo che esprime in‘ maniera certa ©
determinata 1’ essenza di Dio, in quanto questi è considerato come la cosa
estesa ». Per altri invece il corpo non è che un gruppo di sensazioni, o
pinttosto di possibilità di sensazioni, riunite insieme secondo una legge
costante; non v’ ha quindi in esso alcun substratum che serva di sostegno agli
attributi. Secondo il Berkeley il corpo è ciò che vien percepito, ciò che si
vede, si tocca, si odora; il suo ose coincide col suo peroipi, con la somma
delle sue proprietà, dietro le quali non esiste una sostanza che in esse
appaia; la realtä dei corpi consiste nol fatto che le loro idee sono comunicate
da Dio agli spiriti finiti, © la serie in cui Dio suol far questo è da noi
detta legge naturale; la differenza tra i corpi reali e i corpi imaginarii o
sognati sta in ciò, che questi ultimi vengono rappresentati solo în uno spirito
singolo, in seguito a una imaginazione, sia meccanica sia volontaria, senza che
essa gli sin comunicata da Dio. Secondo il Condillao un corpo è uno collection de
qualités que vous touchez, toyes, etc. quand l'objet est présent: quand l'objet
est Cor 246 absent, c'est le souvenir des qualités que
vous aver touchées, rues, eto. Secondo
Kant i corpi sono un’ unione, una sintesi di forme intellettuali e di
sensazioni, le prime delle quali vengono dal nostro intendimento, le seconde
dalla suscettività del nostro senso. Il Rosmini definisce il corpo una sostanza
che produce in noi un’ azione, ch’ è un sentimento di piacere o di dolore,
avente nn modo costante, che chiamiamo ostensione ». Gli Scolastici
distinguevano : il corpus organioum, o corpo istramentale, cioè il corpo che
consta di parti, di cui l’anima sensitiva si serve come di strumento; il corpus
mathematioum, nns quantità che consta di tre dimensioni, lunghezza, larghezza ο
profondità; corpus naturale, nna sostanza composta di materia prima e forma
sostanziale, naturalmente esigente lo tre dimensioni. Cfr. Aristotele, Phys., III, 5,
204 b, 20; Goclenius, Lex. philosophicum, 1613, p.481; Hobbes, De corp... 8, 1; Cartesio, Princ. phil, I, 4; Spinoza,
Ethica, II, def. I; Locke; Ess., III, cap. 10, $ 15; Berkeley, Princ.. XVIII;
Condillse, Extrait raisonné, 1886, p. 50; Kant, Proleg., $ 49; Rosmini, Nuoro
saggio, 1830, IT, p. 366 (v. atlante, conoscenza, essenza, 80stanza, materia,
attualismo, fenomenismo, realismo, idealismo, dinamismo, energismo, ecc.).
Corporale. Si oppone generalmente a spirituale, per dosignare tntto ciò che
partecipa della natura dei corpi, che ha una estensione, che occupa nno spazio
determinato e che può esser causa di sensazioni. Si nppone anche a morale per
indicare 1’ insieme dei bisogni, dei sentimenti, dei desideri, degli appotiti
provenienti dal nostro organismo, inerenti alla nostra natura materiale e
contrastanti colla nostra natura spirituale. Corpuscolo. T. Corpuskel,
Körperlein; 1. Corpuscle; F. Corpusoule. Termine assai vago, con cui si
designavano, per il passato, le porzioni minime del mondo corporeo. Così per
Descartes i corpuscoli sono gli elementi del mondo muteriale, ossia lo parti
dello spazio non più realiter divisi 247
Con bili, ma anch'esse, matematicamente, divisibili all'infinito; quindi
non esistono atomi. Oggi si adopera per desiguare alcuni piccoli elementi corporei,
anche visibili, come: i corpuscoli tattili, che si trovano in alenne papille
della cute, contengono la terminazione d’unn fibra nervosa, e sono considerati
come organi del tatto: e i corpuncoli del Paoini, visibili anche ad occhio
nudo, cho contengono le ramificazioni d’ una fibra nervosa sensitiva, © sono
consideruti come organi di sensibilità generale. Dicesi dottrina ο filosofia corpuscolare la
teoria cho spiega i fenomeni fisici complessi mediante particolari
aggruppamenti o posizioni di particelle invisibili per la loro piccolezza.
Correlazione delle forze. Questa espressione è analoga all’ altra di
trasformazione dei movimenti, adoperata più frequentemente. Col nome di forza
si designa infatti lu causa di un movimento; ma una causa di movimento non può
essere determinata altro che per i suoi effetti, che sono movimenti, e per la
leggo della sua azione, che non è che lu legge del movimento. Corrispondenze
(ἰοογία delle). Lat. ('orrespondentia : T. Entaprochung, Übereinstimmung; 1.
Correspondence; F. Correspondance. La teoria che considera l’ universo come
composto d’un certo numero di regni analoghi, i cui clementi rispettivi si
corrispondono, e possono quindi servirsi reciprocamente di simboli, rivelare le
loro proprietà, o anche agire l’ uno sull'altro per simputia. Cfr. Swedenborg,
(lavia héerographica aroanorum per riam representationum el correspondentiarum,
1784. Corruzione.
Gr. Bsopd: Lat. Corruptio; T. Vergehen : 1. Corruption; F. Corruption. In seuso tisico indica comunemente
l'alterazione delle sostanze, in senso morale la degenerazione del costume.
Nella filosofia si usa specialmente per indicare la dottrina greca della
distruzione opposta alla generazione (γένεσις). Secondo Aristotele, la
corruzione, che è l'avvenimento per cui una cosa cessa di Con 248
esser tale che si possa ancora chiamarla con lo stesso uome, avviene in
tutte le cose terrestri, mentre i cieli soltanto sono incorruttibili; infatti i
corpi materiali sono tutti costituiti di due specie di elémenti, di cui gli uni
sono dotati di movimento rettilineo all'insù, gli altri di movimento rettilineo
all’ ingitt; la sostanza dei cieli è inveco dotata del solo movimento
circolare; essendo i due movimenti dei corpi terrestri contrari, e la
contrarietà implicando corruzione, i corpi terrestri sono corrattibili, mentre i
corpi celesti sono incorruttibili perchè ove à un movimento solo non può
esistere contrarietà. Però tanto Aristotele quanto gli altri filosofi greci
intendevano per corruzione non ls sparizione della materia, ma soltanto la sus
dissoluzione e disgregazione; gli elementi delle cose non nascono nò
spariscono. Cfr. Aristotele, De generatione et corruptione, trad. franc. 1866.
Corsi e ricorsi. La celebre dottrina sullo svolgimento della storia, esposta
dal Vico nella Scienza nuova, specialmente nella seconda edizione (1735).
Socondo il filosofo napoletano, il peccato originale ο la caduta spinsero gli
uomini ad un primitivo stato innaturale di abbrutimento, © stato ferino; ma la
divina Provvidenza, valendosi di certi sensi naturali radicati nel loro animo,
come il senso religioso e il pudore, © mediante gli stimoli dell’ utilità ο del
bisogno, li guidò alla vita sociale, e quindi, gradatamento, all’
incivilimento. Tre sono i gradi e le età uttraverso cui passa ogni popolo per
giungere alla civiltà; lu prima è l'età degli dei ο patriarcale, in cui, non
essendovi un potere sociale, i deboli sono perseguitati dai forti empi © si
rifugiano sotto la protezione dei forti pii, i quali riuniscono tra loro, dando
così luogo ai primi stati; la seconda è l'età degli eroi, ed è caratterizzata
da lotte continuo tra i nobili discendenti dei forti, e i plebei, discendenti
dei deboli; la terza è degli womini, ed è iniziata dalla vittoria dei plebei,
che ottengono I’ eguaglianza ciCorvile e politica, è retta a governo popolare o
monarchia civile e governato da leggi dinanzi alle quali tutti i cittadini sono
uguali. Ora, non solo ogni popolo è passato attraverso questi tre periodi, ma
siccome la loro civiltà va soggetta a dissolvimento, così ogni popolo deve
ripercorrere gli stessi stadi. La storia non è dunque che un avvicendarsi di
queste tre età, con un ciclo fatale di οογ e ricorsi. Va notato però che questa
periodicità di ripetizioni non ha nulla, nel pensiero del Vico, di quella
rigidezza matematica che venne ad essi obbiettata, ο che si trova invece in
sociologi modernissimi, ad es. nel Gumplowicz : Identità in sostanza d’
intendere, dice il Vico a tal riguardo, diversità nei modi di spiegarsi ». Cfr.
Vico, Prinoipî di rienza nuova, 1735, 1. I; R. Flint, G. B. Vico, trad. it.
1888; B. Croce, La filosofia di G. B. Vico, 1911; Gumplowiez,= La lutte des
races, 1893 (v. palingenesi). Corteccia ο strato: grigio, 0 sostanza corticale
ο grigia, è una sostanza di colore grigiastro, costituita specialmente di
cellule, la quale riveste la superficie del mantello cerebrale e nell’ interno
ne forma i gangli. Il suo spessore varia tra i 22 © i 28 mm.; il massimo si ha
in quel tratto che è attorno alla scissura di Rolando (ivi sarebbero i centri
peico-motori), il minimo nel lobo occipitale; ha più spessore nel maschio che
nella femmina e diminuisce con l'avvicinarsi della veochiaia. E costituita di
vari strati sovrapposti, diverai per I’ aspetto delle cellule ο per la
disposizione delle fibre nervose che fra quello si intromottono: lo strato più
superficiale dicesi molecolare, quello sottoposto dicesi delle piccole cellule
piramidal delle grandi cellule piramidali, l’ultimo delle cellule simorfe. Cfr. Bastian, Le oerveau
organe de la pensée, 1888, vol. II, Ρ. 4 segg. Corticale. Dicesi di tutto ciò che avviene
nella corteccia grigia del cervello, nella quale sembrano localizzarsi le
funzioni psichiche superiori. Cosa. T. Ding; I. Thing; F. Chose. Questo termine
ha un significato latissimo, indicando tutto cid che può essere penssto,
supposto, affermato o negato. Nella dottrina della conoscenza si adopera tanto
in apposizione a fatto per designare una realtà statica, costituita da un
sistema supposto fisso di qualità e di proprietà coesistenti, quanto in
opposizione a pensiero per designare il reale esteriore in genere, sia statico
sia dinamico, coesistente ο successivo. Può significare tanto il reale esterno
quale apparisce alla nostra esperienza sensibile, quanto ciò che riesce
inaccessibile al nostro ponsiero ed è quindi fuori d’ogni esporienza. In questo
secondo caso si usa, specialmente dal Kant in poi, I’ espressione di cosa in #2
0 noumeno. La cosa in sè si oppone alla cosa per noî, alla cosa in quanto ci
appare, cioë al fenomeno: esen à quindi il sostrato assolutamente fisso delle
qualità, il soggetto che permane sotto il mutare dei fenomeni, il reale,
insomma, di cui noi non cogliamo che le apparenze. Perciò metafisicamente la
cosa in sè è sinonimo di sostanza; ne differisce solo in quanto questa può
essere applicata anche allo spirito (sostanza spirituale), quella invece
importa sempre una certa idox di obiettività. Il concetto della cosa in sè è
molto antico nella storia della filosofia; così già Pitagora parla di ciò che
esiste per sè stesso, καθ΄ αὐτὸ; Democrito ascrive agli atomi una esistenza per
sè stessi, ἑτεῖ ; Aristotelo distingue l'essenza concettnale della cosa da ciò
che è in sò stestia; uguale opposizione è posta poi dagli scolastici tra ese in
ro è in intelleotu; Gregorio di Nissa nega che noi possiamo conoscere 1 essero
in sè stesso delle cose esteriori: guardando le cose cho ci appaiono, non
dnbitiamo che esistano per ciò che vediamo, ina siamo tanto lontani dal
comprendere 1’ essenza di ciascuna di esse, quanto se non conoscessimo col
senso il principio che ci appare ». Cartesio afferma che le impressioni
sensibili non si riferiscono alle coso come sono in è stesse: Satis erit, ai
advertamus, sen 251 Cos euum
percoptiones non referri, nisi ad istam corporis humani cum mento
coniunctionem, et nobis quidem ordinarie exhibere, quid ad illam externa
corpora prodesso possint, aut nooere; non autem, nisi interdum et ex accidenti,
nos docere, qualia in seipeis existant. Condillac afferma ugualmente che noi
non vediamo lo cose in sè stesse. Forse esse sono estese e provviste di sapore,
suono, colore, odore, forse anche non hanno nulla di tuttocid. Io non affermo
nè I’ una cosa nè l’altra, e attendo la prova che siano come ci appaiono © che
siano invece totalmente diverse ». Ma la differenza tra cosa in sè © cosa per
noi o fenomeno diviene fondamentale nella filosofia di Kant; dato cho l’ unico
oggetto della conoscenza umana è l’esperienza, il fonomeno, data cio la natura
delle forme dell’ intaizione © del pensiero, ne segue che nulla in generale di
ciò che è intuito nello spazio è una cosa in sè, e che nemmeno lo spazio è una
forma della cosn,... bensì che gli oggetti non sono da noi conosciuti in sè
stessi e che ciò che noi conosciamo non sono che pure rappresentazioni (Forstellungen)
della nostra sensibilità, la cui forma è quella dello spazio e il cui vero
correlato, ossia la stessa cosa in sè, non è perciò da noi nè conosciuta nè
conoscibile ». Tuttavia, dice Kant, non ο) è contraddizione a pensare la cosa
in sì; se si pensi una intuizione di specie non ricettiva, una intuizione produttiva
non solo delle forme ma anche del contenuto, i suoi oggetti dovrebbero essere
non più fenomeni ma cose in sè; la possibilità di questa facoltà non si può
negare più di quel che se ne possa affermare la realtà, Le cose in si sono
dunque pensabili in senso negativo © quali oggetti di una intuizione non
sensibile, come concetto-limite dell’euperienza. Ma la dottrina kantiana della
cosa in sè, intorno alla quale si sviluppa poi tutta la filosofia tedesca, fu
variamente intesa, daalcuni accolta, da inolti combattuta. Cfr. Aristotele,
Metaph., I, 5; V, 18, 1022 a, 26; Gregorio Niss., Contra Eun., XII, 740;
Cartesio, Prino. phil., Il, 3; Cos
252 Condillac, Traité des
sensations, 1866, IV, 5, § 1; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reolam, p. 57 segg.; A. Tumarkin,
Kante Lehre vom Ding an sich, Archiv fur Gesch. d. Phil. », aprile 1909; Th.
Loewy, Die Vorsellung des Dinges auf Grund der Erfahrung, 1887; O. Liebmann,
Kant und die Epigonen, 1865; Ardigd, Z’ inoomosoibile di H. Spencer ο il noumeno di E. Kant, 1901 (v. agnostioismo,
conoscenza, corpo, limite, orilicismo, neo-oriticismo, realismo). Coscienza. T. Bewusstsein, Gewissen; I.
Consciousness, Conscience; F. Conscience. È questo uno dei vocaboli di
signifloato più vario e incerto nella terminologia filosotica, Etimologicamente
(consoientia da consoire = conoscere insieme) non designa altro che un accordo
tra diversi individui nel conoscere le stesse cose o fatti; poi, per analogia,
V’ accordo, l’unità che si rivela in uno stesso individuo tra i suoi stati attuali
e quelli che non lo sono più, tra il presente e il passato. Noi possiamo
distinguere tre significati fondamentali che si attribuiscono alla parola
coscienza: quello volgare, quello morale © quello peicologico. Va notato, però,
che la coscienza non è propriamente definibile, essendo la radice di ogni
conoscenza, il dato fondamentale del pensiero, irreducibile in elementi più
semplici. Volgarmente, si usano le espressioni avere coscienza dei propri atti,
del proprio valore », coscienza di scienziuto >, coscienza nazionale,
popolare, umana, storica», ece., per indicare ln consapevolezza piena che un
individuo o un gruppo di individui può avere di qualche cosa, Ancora più comune
è l’uso della parola coscienza nel significato morale, espresso nei modi di dire
lo speochio della propria coscienza » il testimonio della coscienza » la voce
della coscienza » mancanza di coscienza », ecc. Ora, la coscienza morale, che i
tedeschi distinguono col nome di Gewissen, si rivela principalmente nell’
individuo col compiacimento per le buone azioni compiute, col rimorso per lo
cattive, e col giudizio interno sopra un conflitto di 253
Cos motivi. Essa dunque accompagna le azioni morali, e non ci dà
soltanto il criterio per giudicare gli atti nostri, ma è pure la base del nostro
giudizio intorno alle azioni sltrai, in quanto sono buone o cattive; questo
giudizio, riferendosi sempre all’antore dell’ ato, dicesi imputasione. La
coscienza morale è quindi concepita come il tribunale davanti a oni sono
giudicati affetti, pensieri ed azioni: non bisogna però credere che essa sia
qualche cosa di stabile, esistente in sò e indipendente dai sentimenti e dai
giudizi pei quali si avverte il carattere morale degli affetti, ecc. ; al
contrario, essa ei identifica cogli stessi fatti psichioi nei quali si
manifesta e con essi è varia © mutahile. La coscienza psicologica, che i
tedeschi chiamano Bewusstsein, non è altro che la nota caratteristica dei
fenomeni interni o psichici, per cui essi si distinguono da quelli esterni o
fisici : ad un grado assolutamente inferiore, essa consiste nel pnro fatto di
avvertire una data modificarione avvenuta in sò stesso; ad nn grado superiore
implica la distinzione dell’ oggetto modificante; nel suo massimo aviluppo è la
contrapposizione dell’ oggetto sentito al soggetto senziente. Quest’ ultimo
grado di coscienza non esiste nell’ animale ed è proprio soltanto dell’ uomo
adulto normale: esso dicesi anche autocoscienza, 0 suicosciena, 0 coscionsa
personale, 0 coscienza dell’ Io. Riguardo alla sua natura, le ipotesi
principali possono ridursi a tre: quella apiritualiatioa, secondo cui la
coscienza è la sostanza stessa dello spirito, che è tale in quanto ha coscienza
di sè; oppure una facoltà originari dello spirito, un’ entità metafisica
spirituale, unica, semplice, identica, esistente in sè © per sè; quella
materialistios, secondo cui la coscienza non è che un fenomeno secondario
(epifenomeno) nel meccaniamo della vita psichica, la quale invece è costituita
essenzialmente dall’ attività nervosa, dal fenomeno fisiologico ; quella
positfvistica, che, opponendosi sia allo spiritualismo che al materialismo, la
considera come un fatto nuovo e Cos
254 distinto di cui si devono
studiare i rapporti, senza confonderlo coi fatti materiali, che l’ esperienza
ci rivela come opposti agli spiritnali, ο senza trascendere l’esperienza, che
non ci può far conoscere nd la sostanza dello spirito nè una facoltà originaria
di esso. Quanto alla genesi della coscienza, secondo l'ilosoiemo primitivo
tutto il mondo è animato, e tutto quanto è fornito di movimento è pure fornito
di coscienza. A questa dottrina dei primi filosofi greci, si accosta il
pampsichiemo moderno di Ernesto Hiickel, secondo il quale ogni atomo materiale,
‘come centro di forza, è dotato di un’ anima costante, di movimento ο di
sensibilità, cosicchè la coscienza o anima dell’uomo non è che la somma delle
anime elementari delle sue cellule, composte appunto di protoplasmi molecolari
ο queste di atomi. All’opposto il cartesianismo o automatismo attribuisce In
coscienza soltanto all'uomo, negandola anche agli animali, che debbono essere
considerati come macchino ο automi. Per altri invece, la coscienza non è una
proprietà esclusiva dell’uomo, ma si estende a tutti gli animali e persino alle
piante. Secondo altri ancora, la materia inanimata possiede nna vita psichica
latente, potenziale, che diviene attuale per effetto dell’ organizzazione
biologica. Infine nell’ evoluzionismo dello Spencer, la coscienza sorge da una
differenziazione dell’ energia universale, fondamentalmente unica, e fa la sua
prima apparizione nell’ atto riflesso, considerato como il crepuscolo della
vita psichica. Quanto poi alle dottrine psicofisiologiche sulla sode della
coscienza, possiamo ridurle a due: quella che la pone soltanto nel cervello, e quella
che la considera come proprietà di tutto il sistema nervoso, e cioò anche del
midollo spinale ο dei centri inferiori. Cfr. Malebranche, De la rech. de la
verité, 1712, III, 2, 7; James Mill, Analysis of human mind, 1869, I, p. 224:
Kant, Κε. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 76 segg., 127 segg.; Fechner, Über
die Seelenfrage, 1861, p. 199 segg.; Hneckel, Der Monismus, 1898, p. 23
segg.; 255 Cos Wundt, Grundrim d. Psychol., 1896, p. 238
segg.; Joël, Lehrbuch d. Peychol., 1896, p. 111 segg.; Sergi, La peyool.
physiologique, trad. franc. 1881, p. 223 segg.; Bonatelli, La coscienza e il
mocoanesimo interiore, 1870; Ardigo, L'unità della coscienza, 1898; Id., Op.
fil., III, p. 68 segg.; IV, p. 373 segg. (v. cellulare psicologia, anima,
autocoscienza, psiche, spirito, io, dualismo, monismo, parallelismo, ecc.).
Cosmogonia. T. Kosmogonie; I. Cormogony ; F. Cormogonie. Dottrina scientifica,
filosofica o religiosa che spiega l'origine e la formazione del mondo. Tatte le
religioni antiche, specie le orientali, hanno fatto larga parte alla
cosmogonia. La scienza moderna ha sostituito alle poetiche immaginazioni
primitive 1’ ipotesi di Kant, Herschel e Lapiace, la quale, sebbene non possa
ritenersi definitiva, esclude ogni intervento sovrannaturale © spiega la formazione
del mondo con le leggi puramente meccaniche. Secondo questa ipotesi, lo spazio
nel quale si muove il sistem solare era occupato da una materia cosmica
gassosa, ugualmente tesa © indifferenziata, la quale, irraggiando continuamente
calore, si condensò a poco a poco intorno a un punto centrale destinato a
diventare il sole. Per virtù della condensazione le molecole dei gas erano
attratto con velocità sempre maggiore in un immenso giro Întorno all'asse del
sistema; ma, nello stesso tempo, lu forza centripeta eresceva in proporzione,
cosicchè bilanciandosi le due forze, si venne a costitnire intorno al nucleo
centrale un primo anello rotante, poi un secondo, poi un terzo... i quali erano
destinati a divonire i futuri pianeti del sistema solare. In virtù di qualche
perturbazione astronomica, alcuno dei segmenti di codesti corpi anulari
diventava più denso degli altri, esercitando una forza di attrazione sempre
crescente, finchè rompeva a suo profitto la zona d materia gassosa © la
condensava intorno 4 sd sotto forma di atmosfera concentrica. Nel nuovo
pianeta, per la forza d’impalsione primitiva delle sue molecole, il moto era
diCos 256 venuto doppio: il pianeta continuava a girare
intorno al sole e incominciava nello stesso tempo a rotare intorno al proprio asse.
Così l’intero sistema planetario avrebbe in tempi remotissimi fatto parte del
sole. Alla dottrina 00smogonica del Laplace furono rivolte molte obiezioni, che
giustificano i numerosi tentativi sia di perfezionarla sia di sostituirle
ipotesi più soddisfacenti. Così secondo il Faye V universo si riduceva in
origine a un caos generale, estremamente rado, formato da tutti gli elementi
della chimica terrestre; questi materiali, sottomessi alle loro mutue
attrazioni, erano da principio animati da movimenti diversi, che hanno
determinato la sua separazione in brandelli o nuvoloni, i quali hanno
conservato uns traslazione rapida © rotazioni intestine più o meno lente: da
tali miriadi di brandelli caotici sarebbero nati per progressiva condensazione
i diversi mondi dell’universo. Secondo il Du Ligondòs, al principio esiste un
vero e proprio caos costituito da un gran numero di masse moventesi a caso e
che per caso vengono ad urtarsi tra di loro; essendo tali urti inevitabili, ne
risulta una concentrazione della nebulosa con la tendenza alla formazione di un
nucleo centrale, e un appiattimento dello sferoide, che è la nebulosa caotica
iniziale: dal nucleo centrale avrà origine il sole, e i materiali esterni
formeranno intorno ad esso una specie di disco lenticolare equatoriale che,
appiattendosi sempre più, diverrà anch’ esso instabile e potrà finalmente
trasformarsi in anelli donde nasceranno poi i pianeti. Invece secondo il See i
pianeti non sono stati formati da frammenti della nebulosa solare, ma sono di
origine esterna, ossia corpi estranei che, venendo a passare vicino al sole,
sono stati da esso catturati per effetto della resistenza della vasta atmosfera
di cui un tempo era circondato ; allo stesso modo la Inna non proverrebbe da un
frammento della nebulosa terrestre, ma ad una certa epoca sarebbe stata
catturata dalla terra. Secondo PArrhenius gli astri si scambiano Ince, 257
Cor elettricità, materia e persino germi viventi; la pressione di
radiazione che emana dai corpi luminosi ο che ha la proprietà di respingere i
corpi leggeri, caccerebbe dal sole piccolissime particelle, spingendole fino
alla terra, ai pi neti e alle più lontane nebulose ; queste particelle
finirebbero per agglomerarsi formando le meteoriti, le quali, penetrando nella
massa delle nebulose, diverrebbero centri di condensazione intorno ai quali la
materia comincerebbe a concentrarsi: donde I’ evoluzione stellare, che va dn
una prima fase di oscurità quasi completa attraverso un periodo di splendore a
una fase di decadenza, che si chinde con an inorostamento finale. Cfr. Kant,
Allgemeine Natur gesohiohte u. Theorie des Himmels, 1755; Laplace, Exposition
du système du mondo, in Œuvres, 1884, t. VI, p. 498 segg.; H. Faye, Sur
l'origine du monde, 1896; Du Ligondèe, Formation mécanique du système du monde,
1897; Seo, Rescarohes on the erolution of the stellar system, 1910; Arrheniua,
L'évolution den monde, 1910: Ardigd, La form. nat. nel fatto del sint. solare,
1876; A. Aliotta, Le nuove teorie v0amogoniche, Cultura filosofica >, maggio
1912. Cosmologia. T. Kosmologie; I. Cosmology ; F. Comologie. Termine entrato
nel linguaggio filosofico e scientifico specialmente dopo Kant; significa
dottrina del mondo considerato come un tutto armonico. Nel Wolff designa lo
studio delle leggi generali dell’ universo e della sua costitazione
complessiva, sia dal punto di vista metafisico che da quello scientifico:
cosmologia generalia eat soientia mundi neu universi in gonere, qualenus
soilicet ona idquo comporitum atquo modificabile est. Per Kant la cosmologia razionale
» è la scienza dell'oggetto, vale a dire il Invoro della ragione per cogliere
nella sna unità ’ insieme di tutti i fenomeni; invece In psicologia razionale »
è ln scienza del soggetto pensante. La cosmologia ha per oggetto l’iden
razionale del mondo, come la psicologia l’idea del Me. Nella lingua filosofien
classicn 1’ espressione cosmologia razionale designa 17 Ἠλκκοια, Dision. di scienze filosofiche.
Cosla parte della metafisica che tratta della natura fondamentale ©
dell’origine delle cose sensibili. Cfr. Wolff Chr., Coamologia generalis, 1737, $ 1;
Kant, Metapk. Anfangagrunde d. Nat., 1876, Vor. Cosmologico (argomento). È uno degli argomenti a
posteriori dell’ esistenza di Dio, che dalla caducità e contingenzu del mondo
conclude alla esistenza di un Essere assoluto come creatore 0 primo motore
dell’ universo. Si può anche formulare nel modo seguente: il mondo è un sistema
di mezzi e di fini, come dimostrano |’ ordine ο l'armonia che vi regnano; ogni
sistema di mezzi e di fini è l’effetto di una causa, e d’una causa intelligente
che sappia disporre i mezzi a quei fini, e che sappia concopire il fine quando
non esiste ancora in realtà; dunque il mondo è l’effetto d’una Causa
intelligente, Dio. Esso fn formulato la prima volta da Aristotele, il quale
afferma la necessità di un primo motore immobile, πρῶτος κινοῦν ἀκίνητος, che
muova il mondo, non per una specie di impulso meccanico che ad esso comunichi
-nel qual caso sarebbe insieme movente © mosso ma per l’ irresistibile
attrattiva della sua bellezza, per l’inestinguibile desiderio che suscita di sè
nelle cose. Da allora I’ argomento fu formulato in modi diversi, e il suo
valore spesso combattuto. Kant lo respinge perchè trova in esso questi due
principali errori: 1° Ἡ principio trascendentalo che conchiude dal contingente
a una causa, principio che non ha valore che nel mondo sensibile, ¢ che non ha
più nemmeno significato Suori di questo mondo. Infatti, il concetto puramente
intellettuale di contingenza non può produrre alcuna proposizione sintetica
come quella di causalità, il principio della quale non ha valore oi neo che nel
mondo sensibile; vece bisognerebbe che sorvisse appunto a uscire da questo
mondo. 2° Il ragionamento che consiste nel conchiudere dal’ impossibilita d’
una serie infinita di cause date le une sopra le altre nel mondo sensibile, ad
uns cansa prima; i principi d’ uso razionale non οἱ antorizzauo a conchiudere
così, nemmeno nell’ esperienza, là ove codesta catena non può essere prolungata
». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 6 6 segg. ; Cartesio, Prino. phil., I, 14,
20, 21; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 476 seg. (v. oause finali,
storico, fisico, ideologico, ontologico). Cosmopolitismo. T. Kormopolitismus ;
1. Cormopolitiem ; F. Conmopolitieme. La dottriua della fratellanza universale,
che respinge ogni distinzione di nazioni e di razze, considerando tutti gli
uomini come cittadini d'una sola città, come appartenenti ad una sola
patria,.il mondo. Il casmopolitismo, prima che dal oristianesimo, fu bandito
nella società pagana dalla scuola stoica, che di fronte allo smembramento
politico dell’ umanità, insegnò che lo Stato ideale non conosce limiti di
nazionalità o di Stato storico, ma è ina comunità razionale della vita di tutti
gli uomini, alla quale appartiene ogni uomo, purchè saggio, sin esso barbaro,
ro, ο schiavo, perchè tutti gli uomini sono fratelli. Cfr. Sencen, Ep., 95, 52; Ogereau,
Le ayntème phil. den Stoioiens, 1885, cap. VIII. Cosmos (κόσμος == nniverso). L'univers
considerato come un tutto armonico e ben ordinato. L'espressione, che in
origine significava ordine, fu attribuita per la prima volta al mondo dai
pitngoriei, per i quali U’ armonia, simholeggiats dall’ ottava musicale,
risultava dall'unificazione del molteplice e dall’accordo dei dissenzienti. Cfr. Plutarco, Plas., II,
1; Renouvier, Manuel de phil. ano., 1, 200. Cosmotetico (ideulismo). I. Cosmothetic idealism. Termine creato dall’
Hamilton, per designare la dottrina che si rifiuta di ammettere una coscienza
immediata di qualche cosa fuori dello spirito, civ’ In conoscenza del non-io.
Gili idealisti cosmotetici si distinguono, alla lor volta, in due classi:
quelli che ammettono una entità rappresentativa presente allo spirito, ma non
nua semplice modificazione mentale, come Democrito, gli scolastici,
Malebranche, Newton; © quelli che non riconoscono altro oggetto immediato della
percezione che uno stato dello spirito, come Leibnitz, Condillac, Kant. Cfr. Hamilton, Lectures on
metaph., 1859, I, p. 295 (v. idegliemo). Costume. T. Sitte, Sittlichkeit ; I.
Custom; F. Coutume. Una
ripetizione regolare di atti, comune ad una intera collettività ed alla quale
nessuno degli appartenenti alla collottività stessa può sottrarsi, senza
incorrere nel biasimo degli altri o nella punizione inflitta dal Potere. L’
importanza del costume appare dal fatto che du esso deriva, per graduale
evoluzione, la moralità e che ad esso si conforma V ideale etico. Il costume si
distinguo dall’ abitudine, in quanto questa è puramente individuale, © dall’
uso, che, ‘pur essendo comune a tutta una società, manca tuttavia di quel
carattere di imperatività che è proprio del costume. Cfr. Kunt, Krit. d. pr.
Vern., ed. Reclam, p. 37; Wundt, Grundries d. Peyohol., 1896, p. 359 segg.
Creazione, T. Schöpfung, Schafen; I. Creation; F. Création. Termine teologico e
metafisico, col quale si designa Vatto per cui la Divinità ha prodotto il mondo
e gli esseri che in esso si trovano, senza l’aiuto di alcuna materin
preesistente. Quanto al modo di questa creazione, secondo il racconto mosaico
essa fu successiva, avendo richiesto sei giorni; secondo altri invece fu
istantanea, non compor‘tando la potenza di Dio il bisogno del tempo: quindi
tutto avrebbe ricevuto in un medesimo momento la vita e 1’ esistenza, ο i sei
giorni non dovrebbero intendersi che come lo sei mutazioni attraverso le quali
passò la materia, per formare l’ universo quale oggi lo vediamo. Ad ogni modo,
nella filosofia cristiana la derivazione del mondo da Dio è posta non come
necessità fisica 0 logica dello sviluppo dell'essere, ma come un atto di libera
volontà, e quindi la ereazione del mondo non è per essa un processo eterno, ma
un fatto isolato, temporaneo. Il concotto di libertà del volere aveva
significato da prima, con Aristotela, In capa 261 Cre cità di una decisione fra diverse
possibilità date, indipendentemente da ogni costrizione esteriore; con Epicuro
aveva pot assnnto il significato metafisico di una attività acausale
dell'individuo; applicato all’assolnto ο considerato come proprietà di Dio,
divieno nella filosofia cristiana il concetto della orcasione dal nulla,
trasformato nella dottrina di una generazione acausale del mondo dalla volontà
di Dio. Mentre per la maggior parte dei filosofi anteriori al cristianesimo, In
materia preesiate alla Divinità, la quale non fa che ordinarla e plasmarla come
un artista (Demiurgo); per i tilosofi cristiani creare vuol dire trarre qualche
cosa dal nalla, non in maniera da fare che il nulla sia la materia la causa
dell’ essere, ma facendo che l’essere succeda al nulla, fit post nikilum, come
il giorno succede all’ aurora, viout post mane fit meridice. Alls massima,
comune nel mondo pagano, che er nihilo nihil fit, essi oppongono che la onnes
prima, universale ed infinita, si distingue appunto dalle cause seconde per
codesta potenza, che esclusivamonte le appartiene, di trarre le cose dal nulla.
Tra le molte prove dirette a dimostrare la potenza creatrice della divinità,
basti ricordare questo due: 13 gli esseri finiti non esistono per forza propria
e spontenes; essi dunque ricevono I cnistenza da un essere infinito, che la
possiede per eccellenza ; ora, essendo Dio il solo essere esistente per sò,
tutti altri esseri hanno ricevuto da lui l’esistenza ; 2° gli effetti sono
proporzionati alle loro cause; il primo di tutti gli effetti à l'essere, sia
perchè è il più generale sin perel procede tutti gli altri; dunque, como gli
effetti particolari dipendono da cause seconde, la partecipazione dell'essere
rimonta fino alla causa prima, e come un re, signore supremo nei suoi Stati,
sovrasta a tutti i depositari della sua autorità, così Dio vince tutte le cause
inferiori, ο mentre questi danno origine ad accidenti fugaci, In sua potenza
giunge fino u dare esistenza al nulla. La scienza moderna considera la dottrina
della creazione come assurda e contradditoria e lo oppone V evolusione, che
implica lo sviluppo dell'essere per cause © leggi proprio. Tuttavia alcuni
teologi cercano conciliare il dogma della creazione con la dottrina dell’
evoluzione, distinguendo una oreatio prima, detta anche creazione vera, cioè la
creazione diretta della sola materia informe, la quale, essendo dotata di certe
ragioni causali, diede luogo alla oreatio secunda, detta anche creazione
derivatica, cioè allo sviluppo delle innumerevoli forme esistenti, per cui le
creature multiformi farono create indirettamente e mediatamente per opera di
cause occasionali. Con I’ espressione
oreatio continua gli scoluatici e i cartesiani designavano l’azione con cui Dio
conserva il mondo nell’ esistenza, azione che è ugualo a quella con cui
primitivamente 1’ ha prodotto dal nulla: Dal fatto che nel momento precedente
esistevo, dico Cartesio, non segue in nessun modo che io debba esistero anche
nel momento attualo, cosicchè una qualche causa deve avermi creato di nuovo
pure per questo secondo momento, cioè deve avermi conservato ». Ugualmente
Spinoza: Da ciò segue che Dio non è soltanto la causa per cui le cose
cominciano ad esistere, ma anche quella per oni perseverano nell’ esistenza,
ossia, per servirmi del termine scolastico, Dio è la causa essendi delle cose
». Dicesi teoria delle creazioni
periodiche la dottrina con cui l'Agussiz spiega l'origine e la diversità delle
specie: ogni specie è stata crenta da Dio e ne rappresenta un particolare
concetto; ma poichè sulla superficie terrestre vi sono rapporti di continua
convivenza fra specie ο specie, fra piante ed animali, fra i viventi e le
condizioni di vita, il suo intervento si effettua ad intervalli di tempo e in
deminati punti della terra, cosicchè si hanno creazioni pejodiche in differenti
centri di creazione, Cfr. Alberto Maguo, Sum. de creat., I; S., settembre 1910
(v. agnosticimo, cononcenza, corpo, 0088, noumeno, neo-oriticirmo, dommatismo).
Cromatiche (sensazioni). Si dicono tali le sensazioni visive date dai sette
colori dello spettro solare : rosso, arancisto, giallo, verde, turchino,
indaco, violetto. Al rosso, corrisponderebbero cirea 450 bilioni di vibrazioni
al m”, della lunghezza di 688 milionesimi di mm. ciascnna; al violetto 790
bilioni della lunghezza di 393 milionesimi di mm. Da Aristotele fino ai giorni
nostri sono state formulate molte ipotesi per spiegare la percezione dei colori
; lo più accreditate sono quella di ‘I. Joung, perfezionata da Helmboltz,
quella del Wundt e quella di Hering. Secondo la teoria Joung-Helmholts,
esistono nella retina tre distinte fibre nervose recettrici, © nei centri
differenti elementi percettori, quelli pel rosso, pel verde e pel violetto ;
ciascun colore fondamentale sarebbe capace di eccitare i tre elementi
recettori, ma in grado differente secondo la diversa * lunghezza d'onda. 11
Wundt ammette invece che ogni qual volta la retina è eccitata da uno stimolo
esterno, ai può eccitare sia un processo cromatico, in funzione specialmente
della lunghezza d'onda, sin un processo acromatico, in fimCro-DaB 272
zione specialmente dell’ ampiezza delle vibrazioni} l’eccitamento
cromatico sarebbe un multiforme fenomeno fotochimico, gradualmente varinbile
colla lunghezza d’ onda delle vibrazioni e provocato da stimolazioni di media
intensità. Secondo Hering esistono negli elementi sensibili della retina tre
diverse sostanze fotochimiche visive, sede di due opposti processi
contemporanei, uno assimilativo, l’altro dissimilativo: quando prevale quello
si hanno le sensazioni del nero, del verde, dell’aszurro, quando prevale questo
le sensazioni del bianco, del rosso, del giallo; quando i due opposti processi
si fanno equilibrio, si ha In sensazione del grigio ο del bianco, Cfr. Wundt,
Grundeüge dor phys. Paychologio, 1903, vol. II; Hering, Zur Lehre vom
Lichtsinn, 1878; Schenck, Pflügers Arch., 1907, vol. 118 (v. aoromatiche,
acromatopsia, bastoncini, coni). Cronotopo (xpévor --tempo τόπος spazio). Questo termine si adopera qualche
volta per indicate I’ unità dello spazio e del tempo ideali. Cruciale v.
erperimentum orucia. D Dabitis. ‘Termine mnemonico di convenzione, col quale
nella logica formale si indica quel modo indiretto della prima figura del
sillogismo, in cui, come indicano le vocali, ls maggiore è universale
affermativa, In minore © In conclusione particolari affermative. A questo modo
pnd ossere ricondotto il Dibatis della quarta figura, mediante la conversione
della conclusione e la trasposizione delle premesse. Es. Dabitis : i
delinquenti nati sono individui anormali qualche uomo d’ingegno è delinquento
nato dunque qualcho nomo d’ingegno è individuo anormale. Es. Dibati: qualche
uomo d’ingegno è delinquente nato tutti i delinquonti nati sono individui
anormali dunquo qualche individuo anormale è uomo d’ ingegno. 273
Dar-DaR Daltonismo. T. Daltonismus: I. Daltonism; F. Daltonieme. Una
delle forme più comuni della discromatopsia. Consiste nella cecità per il color
rosso, o nella difficoltà di distinguerlo dal verde. È così chiamata dal
chimico inglese Dalton, che ne fu affetto © per primo la desorisso o la definì.
L’ Helmholtz lo chiamò aneritropsia. In
senso figurato dicesi daltonirmo morale (ethische Farbenblindheit dei tedeschi)
quella forma di pazzia morale, in ui I’ individuo non ignora ciò che la probità
impone e la moralità proibisce, ma è incapace di tradurre le sue conoscenze
teoriche nella condotta pratica, perchè non sorretto da quelle tendenze emotive
che spingono l’uomo verso il bene. In
senso pure figurato e polemico usasi talvolta 1’ espressione daltonismo
intellettuale per indicare l'incapacità di comprendere certe idee, di valutare
la gravità e I’ catensione di problemi, che altri giudica invece importanti.
Cfr. J. Dalton, Res. della soo. fil. di Manchester, t. I, ottobre 1794;
Dagonet, Folie morale, 1878; Mendel, Die moralische Wahnsinn, 1876. Darapti
Termine mnemonico di convenzione, col quale si designa quel modo della terza
figura del sillogismo in cui la maggiore e la minore sono proposizioni
universali affermative, la conelusione particolare affermativa, Fs, Tutti i pesci
sono vertebrati. Tutti i pesci sono animali acquatici. Dunque alcuni animali
acquatici sono vertebrati. Si riconduce al Darii della prima figura mediante la
conversione parziale della premessa minore; corrisponde all’&rast dei
logici greci. Darii. Termine mnemonico di convenzione, col quale si designa
quel modo della prima figura del sillogismo, in cui la maggiore è una
proposizione universale affermati la minore e la conclusione particolari
affermativo. Es. Tutte le azioni automatiche sono incoscienti. Qualcheazione
umana è automatica. Dunque qualche azione umana è incosciente, A questo modo
vengono ricondotti tutti { modi delle altre 18
Ranzots, Dizion. di scienze filosofiche. Dar 274
tre figure comincianti per In lettera D; corrisponde al γραφίδι dei
logici greci. Darwinismo. Τ. Darwiniemus; I. Dariciniom; F. Darwinieme. Non
dovrebbe mai usarsi in luogo di trasformismo cd evolusionismo ; esso infatti
indica la teoria del trasformismo biologico come fu inteso ed esposto da Carlo
Darwin, il quale spiegò l’origine comuno di tutte le specio di animali o piante
da semplici forme stipiti primitive, mediante il principio della selezione
nuturalo 0 sopravvivenza del più adatto, necessaria conseguenza della rapida
riproduzione degli organismi ο della concorrenza per la vita: tra gli organismi
sopravvivono soltanto quelli che, nella lotta che devono sostenere per la
sproporzione completa tra il loro accrescimento e la misura del mezzo di
nutrizione disponibile, possono variare in modo ad essi favorevole, cioè conformo
allo scopo. Il presupposto della teoria è quindi, accanto al principio della
eredità, quello della variabilità : a ciò κ) aggiunge la concezione, che oggi è
modificata dalla dottrina delle variazioni improrvise del De Vries, di
grandissimi spazi di tempo per l’accumularsi delle variazioni infinitamente
piccole. Il Lamarck invece, esponendo prima del Darwin la teoria della
discendenza, poneva come fattore principale lo condizioni esterne di vita e 1’
uso e nonuso degli organi. L'importanza filosofica del darwinismo consiste
nell’ aver dato una spiegaziono puramente meceanien dello finalità, che formano
il problema della vita organica; così il concetto della soleziono fu applicato
poi alla sociologia, alla psicologia, alla storia ο da molti è con#iderato come
il solo metodo scientifico. La dottrina darwiniana ha molti precursori fino
dall’antichità. Anassimandro ammetteva la trasformazione degli organismi per
adattamento alle mutate condizioni di vita; Empedocle insegnava che gli animali
hanno avuto origine qua ο là senza regola, in formo strane ο grottesche, ¢ che
poi sopravvissero solo gli adatti alla vita; Aristotele riconosceva il
principio della 275 Dar lotta dell’esistenza, scrivendo che gli
animali sono in guerra tra loro, quando abitano gli stessi luoghi ο si cibano
dello stesso nutrimento, ο se il nutrimento non è sufficiente, essi si battono,
anche tra quelli della stessa specie »; Lucrezio ebbe chiaro il concetto della
variabilità della specie e descrisse con grande esattezza lo sviluppo intellettuale
progressivo dell’ uomo; Francesco Bacone intui la possibilità di trasformazione
delle specie vegetali, ο propose anzi 1’ esperienza di variare le specie per
vodere come esse si siano moltiplicate ο diversificate; Cesaro Vanini riconobbe
la variabilità delle piante domestiche, suppose perciò che anche gli animali
possono tramutarsi, intuì il parallelismo tra embriologia ed evoluzione e
dichiarò esplicitamente che 1’ uomo deriva dalla scimmin per la graduale
trasformazione dell’ atteggiamento quadrupede di questa nella stazione bipede
di quello; Giordano Bruno lasciò scritto l’ aforisma che compendia tutta In
dottrina, una epecio alterins est principium, © affermò persino il parallelismo
tra lo sviluppo della specie ο quello dell’ indi duo. Tra i precursori più
immediati basti ricordare il Buffon, che segnalò nettamento In verosimiglianza
delle variazioni lente e progressive per gradi sfumati, spesso imperce bili
> e fu un trasformista convinto; Diderot, Goethe, Erasmo Darwin, che
sostenne prima del nipote Carlo il princi pio del trasformismo, accennando
all’origine di tutte le specie da forme-stipiti primitive, estremamente
semplici € analoghe al filamento embrionale », cio all’ovolo e allo
spermatozoo. Ἡ massimo rappresentante del darwinismo classico è, oggi, Ernesto
Haeckel. Cfr. Darwin, Origin of speciea by means of natural selection, 1859;
Id., The deacent of man, 1883: G. Novicow, Critica del darwinismo rociale,
trad. it. 1910: C. Fenizia, Storia ο bibliografia evoluzioniatica, ediz. Hoepli
(v. neo-daricintemo, neo-lamarckismo, traaformirmo, ecc.). Datisi. Termine
mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa quel modo
della terza figura DAT-Drc 276 del sillogismo, in cui la maggiore è una
proposizione universale affermativa, la minore e la conclusione proposizioni
particolari affermative. Es.: ogni azione umana è determinata dallo stato
psico-organico dell’ agente qualche azione umana sfugge all’imputabilità dunque
qualche cosa che sfugge all’ imputabilità è determinato dallo stato
psico-organico dell’ agente. Questo modo corrisponde al} ἁσπίδι dei logici
greci, e può essere ricondotto al Darii della prima figura mediante la
conversione semplice della premessa minore. Dato. T. Gegeben; I. Given: F.
Donné. Indica in generale ciò che è immediatamente presente alla coscienza,
prima che lo spirito lo elabori; nella scienza i dati sono i fatti ο i principi
indiseutibili che servono come punto di partenza. Dicesi dato della sensazione
il contenuto della sonanzione stessa, prodotto dal funzionamento dei centri”
nervosi in seguito all’azione di uno stimolo centripeto, interno o esterno. I
daf della conoscenza sono, alla lor volta, i dati delle sensazioni stesse, cioò
i materiali sui quali opera l’attività sintotica dello spirito. In un problema
diconsi dati gli elementi cogniti, mediante i quali si debbono determinare gli
elementi incogniti. Decisione. T. Entscheidung; I. Decision; F. Ireision. Quel
momento della volizione, ossia dell'atto singolo di volere, che segue alla
deliberazione © risolve il conflitto dei motivi mediante il definitivo
prevalere di una idea-fine. Solo determinate rappresentazioni hanno in un dato
individuo potenza impulsiva all'atto, e nello stesso individuo l’impulsività di
tali rappresentazioni può variare colla disposizione sua del momento. In
generale la massima impulsività è propria delle idee fisse, la minima delle
idee astratte; ma per essere normalmente impulsiva, un’ idea dove essere
organizzata nolla psiche dell’ individuo. La deeisione, detta anche scelta ο
risoluzione. è preceduta dalla deliberazione 0 seguita dalla esecuzione. 277 -Dec-bkb Deolinazione. La deviazione
degli atomi dalla loro linca verticale, secondo la dottrina di Epicuro. Bacone
chiama tarola di declinazione, oppure tarola d’ assenza, quel metodo che
consiste nel confrontare i casi in cui il fenomeno nvviene, con altri, simili
nel rimanente, in cui quello non avviene. Corrisponde al metodo della
differenza di Stuart Mill (v. caso, olinamen, differenza). Deduzione. T.
Deduction, Ableitung; I. Deduotion; F. Deduction. Forma di ragionamento, che
consiste nel partire da un principio generale noto per trarne delle conseguenze
particolari; si oppone all’ inducione, che consiste invece nel partire dai
fatti particolari per ascendere a un principio, prima ignorato. La deduzione
rappresenta dunque il procedimento sintetico, Ι’ induzione V’ analitico. Si
κυgliono tuttavia distinguere due forme di deduzione, la sintetica © V’
analitica; la prima procedo da principi semplici e trae dalle loro combinazioni
conseguenze complesse, la seconda consiste nella risoluzione di un concetto
complesso nei suoi elementi, o nella trasformazione di un concetto mediante una
diversa disposizione o combinazione dei suoi elementi (nd es. la risoluzione
delle equazioni), ο nella soatituzione di un elemento del concetto complesso
dal quale dipende la verità che si vnol dimostrare. La deduzione analitica à
usata specialmente nelle matematiche, gin essa si applica a quelle verità cho
possono essere dimostrato con semplici operazioni logiche sopra altre verità in
cui sono contenute. La forma della deduzione, sia ossa analitica o sintetica, è
il sillogismo. La deduzione, come metodo di ricerca, occupa un posto centrale
nella logien aristotelica, posto cho essa ha conservato finchè durò, να]
pensiero filosofico e scientifico, il dominio di Aristotele. Accogliendo la
dottrina socratico-platonica delle idee, Aristotele ammette che il vero essere
è I’ elemento universale, ϱ la sua conoscenza è il concetto; mn laddove Platone
aveva fatto dell’ universale, che il concetto conosce, a del Der 278
particolare, che viene percepito, due mondi totalmente diversi, senza
rapporto tm di loro, Aristotele pone invece come ufficio fondamentale della
scienza di cercare quel rapporto di derivazione del particolare dall’
universale, che renda capace la conoscenza concettuale di comprendere o
apiegare l'oggetto della percezione e al tempo stesso di dimostrarlo o
provarlo. Lo spiegare e il provare sono, per Aristotelo, la stessa cosa e si
esprimono con la stessa parola deduzione », ossia «derivazione: infatti 1’
universale che, in quanto vero ente, è la causa dell’ accadere, quello da cui
il particolare, oggetto della percezione, deve essere spiogato, è nel pensiero
la ragione da cui il particolare deve essere provato; per tal modo la deduzione
dol dato della percezione dal suo principio universale costituiaco tanto la
spiegazione scientifica dei fenomeni del mondo reale quanto il processo logico
della loro dimostrazione. Du cid si comprende l'importanza data da Aristotele
al sillogismo, che è la deduzione di un giudizio da due altri; ο come egli non
#bbia rivolto la sua attenzione se non a quella forma di sillogismo, che
esprime la subordinazione del particolare all’ universale, e come infine abbin
considerata più valida di tutte ed originaria la prima figura del sillogismo,
nella quale il principio della subordinazione è espresso puramente ©
chiaramente. Kant chiama deduzione
trascendentale la giustiticazione del fatto, che dei concetti a priori sono applicati
agli oggetti della esperienza; tale one dicesi trascendentale per opposizione
alla empirica, che consisterebbe nello scoprire tali concetti mediante
riflessione fatta sull’ esperienza stessa. Ufr. Aristotele, anal. pr., II, 25,
69 a, 20; Wundt, Logik, 1893, II, p. 29 segg.; Kant, ΑΗ. d. reinen Fern., ed.
Reclam, p. 103-104; H. Majer, De Syllogistik des Aristoteles, 1900; Rosmini,
Logica, 1853, p. 170 seg., 270; Masci, Logica, 1899, p. 423 segg. Definito.
Come contrario di indefinito, è ciò a cui possono essere © sono dati dei
limiti, essendo indetinito ciò 279 Der che non ha dei limiti assegnabili. Si
distingue dal finito, che è ciò che ha dei limiti assegnati. Nella definizione
dicesi definito ο definiendo il concetto da definire, cho funge da soggetto nel
giudizio con cui è formulate la definizione. Definizione. T. Definition,
Begriffabestimmung; I. Definition; F. Définition. E l’ analisi o la
determinazione del contenuto di un concetto, espressa in un giudizio il cui
soggetto è il concetto da definire (definito ο definiendo), ο il predicato
(definiente) quel gruppo di note mediante le quali il primo vien definito. ‘Tra
queste note basta scegliere quelle che sono sufficienti a distinguere il
concetto sia dai concetti congeneri sia da quelli che fanno parte di altri
generi; a tal uopo servono il genere prossimo, cioè quel genere che più
s'avvicina, come tale, alla comprensione del definiendo, e la differenza
specifica, cioè l’ insieme delle qualità che lo distinguono dai concetti
coordinati. Codesta determinazione risale ad Aristotele, per il quale la
definizione è la formula che esprime l’ essenza della cosa, essenza che si
compone appunto di genere e di differenza. Il metodo della definizione può
essere positivo ο negativo ; il primo consiste nel riunire nella definizione
l’intero gruppo di note che il definiendo abbraccia, il secondo nel determinare
i caratteri che devono da esso escludersi. I logici chiamano nominale la
definizione che spiega il significato di una parola, che determina soltanto ciò
che si deve intendere con una data espressione; reale quella che si riferisco
invece al valore intrinseco del definiondo ; analitica ο determinativa quella
che espone gli elementi costitutivi del detiniendo in quanto sono per sò stessi
determinativi ; genetica quella che espone il processo con cui la cosa definita
si forma, © può essere genetica indicativa ao la formazione della coss è da noi
indipendente, genetica costruttiva se noi stessi possiamo formarla, Però il
significato di questi termini è ben lungi dall’ essere fisso; così per Leibnitz
le definizioni nominali sono quelle che permettono solamente di distinguere
Der 380
un oggetto dagli altri, le reali o causali quelle che mostrano la
possibilità del definito, cioè la sua assenza da contraddizione. Kant distingue
ancora le definizioni analitiche, che anaizzano un concetto anteriormente
formato, e le definizioni sintetiche che servono Α formare primitivamente un
concetto ; egli chiama poi reali le definizioni che non solo rendono chisro un
concetto, ma anche nello stesso tempo la sua obbiottiva realità ». Nella logica
algoritinica si distinguono due specie di definizioni indirette; l’ una per
astrazione, che cousiste nell’ indicare a quali condizioni si ha l’uguaglianza
d’una funzione logica, come quando si defigisce la massa ο la temperatura
indicando le condizioni d’ uguaglianza di tali grandezze ; l’altra per
postulati, che consiste nel definire un insieme di nozioni enunciando, come
assiomi ο postulati, le relazioni fondamentali che questi termini verificano ©
che costituiscono i fondamenti necessari e sufficienti della loro teoria. Il
Liard distingue due gruppi di detinizioni : le une geometriche, o formali, ο
sintetiche, vervono a costituire la materia d’una scienza ὁ ne rappresentano
quindi il punto di partenza; le altre empiriche, o materiali, o analitiche,
servono u riassumere le conoscenze ottenute induttivamente e costituiscono
perciò un punto d’urrivo. Gli errori più comuni della definizione sono
l’angustia, che consiste in ciò, che il definiente contiene qualche nota che
non appartiene a tutta I’ estensione del definito ; V ampiezza nell’ inverso ;
la sovrabbondanza, nell’ aggiungere note superflue rispetto al fine di
distinguere il concetto dato da tutti gli altri. Cfr. Aristotele, Top., VII, 5;
Anal. post, 11, 3, 7, 10; Leibnitz, Nour. Eusais, 1. III, cap. 3, $ 19; Kant,
Krit. d. reinen Vern., ed. Roclam, p. 225, 55%; G. Burali-Forti, Congrès de
philos., 1900, III, 289; L. Liard, Des défin. géometriques οἱ dea déf.
empiriques, 1903; G. Vailati, La teoria aristotelioa della definizione, Riv. di
fil. ο scienze aftini », novembre 1903 (v. tautologia, diallelo, indefinibile).
Degenerasione. T. Entartung; 1. Degeneration; F. IXgénérescence. Indica in
generale l'alterazione d’un organo © d’un orggnismo, per oni esso è condotto ad
uns forma giudicata inferiore. In modo più preciso si può definire: un’
alterazione organica e funzionale, che degrada dal tipo normale ed è
trasmissibile per eredità; o anche: l’indebolimento dei caratteri iniziali
della specie a cui un essere appartiene. Il merito di aver introdotto nella
psicologia il concetto della degenerazione è dello psichiatra francese B.
Morel, che ne trattò in un libro rimasto celebre. Tuttavia il significato della
parola non è ancora molto preciso, dandole alenni, come il Max Nordon, una
grande estensione, ed usandola altri per indicare così il processo come gli
effetti della deviazione di uns specie o di un organo dal suo tipo normale.
Secondo il Sergi, la degenerazione consiste nel fatto di individui e di loro
discendenti, i quali, nella lotta per 1’ esistenza non cssendo periti,
sopravvivono in condizioni inferiori e sono poco atti a tutti i fenomeni della
lotta susseguente. La degenerazione è un fatto essenzialmente ereditario ; l’
ereditarietà morbosa indebolisce a lungo andare il potere di una famiglia,
cosicchd il decadimento fisico ο mentale si trasmette nei discendenti finchè la
famiglia scompare. Ma è anche un fenomeno acqui potendo derivare dall’ambiente,
da uno stato patologico costituzionale, dall’ arresto o deviazione di sviluppo,
dalV alterazione di un viscere più o meno importante alla vitalità
dell'individuo; è merito del Morel di aver dimostrato appunto come vi siano
delle cause deyencratrici della specie © della famiglia, quali le
intossicazioni con a capo I’ alcolica, U ambiente sociale, lu miseria, certe
professioni industriali insalubri, certi climi, con a capo il palustre, ecc. La
degenerazione si imprime con stimmate somatiche, fisiologiche e psicologiche.
Tra le prime sono più appariscenti la microcefalia, le deformazioni del cranio,
1’ asimmetria facciale, le orecchie ad ansa, la dentatura irregolare, il
Deo 282
progenoismo, il prognatismo; tra lo seconde In balbuzie, lo strabismo,
il mancinismo, l’analgesia, il ritardo di sviluppo nelle varie funzioni, |’
esagerazione dei riflessi, speciali idiosinerasie del gusto e dell’ odorato, la
gracilità, V idrocefulo, i sogni spaventosi, il sonnambulismo. Tra le note
psichiche, 1’ onicofagia, l’onanismo, la mancanza d’armonia tra le tendenze, il
difetto di attenzione, la mancanza di volontà, la tendenza alla menzogna, I’
egotismo, la criminalità, la scarsezza di senso morale, l'avidità del
meraviglioso. Il Sergi distinguo una piccola e una grande degenerazione del
carattere : nella prima 1’ individuo si mostra indeciso nelle sue azioni, cade
spesso nel turpe e tutto urrischia per coprire lo sconvenienze della propria
condotta ; nellu seconda rimane annullata la personalità morale e l’individuo
si trascina nel più completo servilismo. Dal punto di vista dello sviluppo
intellettuale i degenerati si sogliono distinguere in due categorie: i
degenerati inferiori (idioti, imbecilli, futui) e degenerati superiori
(squilibrati, mutidi). I degenerati superiori non presentano, a differenza dei
primi, insufficienza di sviluppo mentale, chè anzi non à raro rilevare in ossi
una notevole attitudine alle arti, ad es. alla letteratura, alla pocaia, più
eccezionalmente alla scienza; ciò che li caratterizza è invece lo sviluppo
ineguale delle diverse facoltà, per cui, a lato di alcune eminenti, altre sono
rimaste allo stato embrionale, cosicchè nella loro mente si originano con somma
facilità dello idee morboso di grandezza, alimentato dal vivo sentimento di
vanità che è in tutti i deboli. Cfr. B. J. Morel, Traité des dégénérencenes de V'expèce
humaine, 1857; Moreau de Tours, La psychologie morbide dane ses rapports aveo
la philos. de Vhistoire, 1860; E. Reich, Veber Entartung des Menschen, 1868;
Dallemagne, Dégénéré et déséquilibrés, 1895; Maguan et Debove, Les dégénérés,
1895; G. Sergi, Le degenerazioni umane, 1888; F. Mugri, La degenerazione
oonsiderata nella sua ouusa, 1891; Max Norduu, Degenerazione, trad. it. 1894
(v. atariemo, reversion’). 283
Dei-Det Deismo. T. Deirmun; I. Deiem; F. Deine. 1 vocaboli deismo è
teismo, derivanti il primo dal latino, il secondo dal greco, hauno
etimologicamente lo stesso significato. ‘Tuttavia, benchè entrambi indichino la
credenza nell’ esistenza di una Divinità personale, intelligente, distinta dal
mondo, col primo, usato la prima volta dal Toland, si suol più propriamente
designare una credenza filosofica che non poggia sulla rivelazione e non
riconosce vincoli di dogmi. In modo diverso lo intendeva il Kant; egli infatti
chiama teismo la credenza in una Divinità libera, creatrice dol mondo sul quale
esercita la sun Provvidenza, e deismo la semplice credenza in una forza
infinita e cieca, inerente alla mutoria © causa di tutti i fonomeni che in essa
avvengono, Il Clarke stabilisce invece quattro spocie di doisti: quelli cho
ammettono puramente I’ esistonza di una Divinità, negandole ogni azione sul
mondo e sull’uomo; quelli che ammettono anche la Provvidenza divina, ma pongono
l'indipendenza della moralità dalla religione; quelli che ammettono l’idea del
duvere © della Provvidenza divina, ma nogano ogui sanzione oltremondana; quelli
che ammettono tutte le verità della religione naturale, rigettando il principio
di autorità e lu rivelazione. Quest’ ultimo è forse il significato oggi più in
uso. Cfr.
Clarke, Traité de Vertstence et des attribute de Dieu. 1828, 6. II, p. 21
segg.; Kant, Arit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 494-495; Eucken, Geschiote
d. philos. Terminologie, 1879, p. 94; Ueberwog, Die Neue Zeit., 1896, I, p.
153. Deliberazione. I.
Ueberlegung; 1. Deliberation : F. I liberation. Il primo dei momenti dell’ atto
volontario. oppone in generale a impulsione. Esso è costituito dal pe riodo di
esitazione tra la rappresentazione dell’ atto pensato come fine, o tra l'eccitazione,
e il suo compimento. Le rappresentazioni che in questo periodo di tempo entrano
fra loro in conflitto diconsi motiri: i sentimenti, le tendenze, gli istinti
che a quelle si uniscono, prendendo parte al conflitto medesimo, diconsi
mobili. 11 prevalere di Den 284 uno ο di un gruppo di motivi ο mobili dà poi
Inogo alla decixione, cui consegue 1’ esecuzione. Cfr. Jodl, Lehrbuch d.
Paychologie, 1896, p. 742. Delirio. T. Delirium; 1. Delirium; F. Délire. Sotto
il me di stati deliranti si comprendono quei disturbi psichici, che si
manifestano nello malattie infettivo, negli avvelonamenti acuti, negli stati di
profondo esanrimento, e i cui sintomi principali sono : ottuudimento della
coscienza, vovitazione motoria, confusione mentale, allucinazioni, spevie
visive e uditive. Possono durare poche ore come alcune settimane. Quando questi
sintomi hauno' intensità maggiore e sono accompagnati da febbre più ο meno
alta, insonnia nssoluta, contrazioni fibrillari, rifinto di cibo, oce si ha il
così detto delirio acuto. Quando poi lo ideo deliranti non sono fugaci ©
sconnesse, ma formano un tutto organizzato in serio logica, si hanno i delirii
sistematizzati, i cui tipi principali sono: delirio di negazione, delirio di
persecuzione, delirio ipocondrinco, delirio di grandezza, delirio di
antorimprovero, ece. Si distingne infine un delirio di gelosia, che apparisce
nella paranoia alcolica. Cfr. Kraepelin, Peyohiatrie, 4* ed. 1893, p. 254
segg.; Ziehen, Paychiatrie, 1894, p. 352 segg. Delitto. T. Verbrechen; I.
Crime; F. Crime. Designa in generale ogni infrazione alla legge penale, ed
implica u utto che tendo in qualsiasi modo a nuocere alla vita sociale. I
criminalisti però sono ben langi dall’intendersi circa la dofinizione del
dolitto, la sun natura ei suoi ratteri costanti. Così per il Franck è dolitto
qualunque uttucco alla sienrezza ο alla libertà sia della società sia degli
individui; per il Carrara il delitto si definisce la infrazione della leggo
dello Stato promulgata per proteggere la sicurezza dei cittadini, risultante da
un atto esterno dell’uomo, positivo o negativo, moralmente imputabile ; per il
Garofalo è delitto ogni offesa ai sentimenti della pietà e della probità; per
Ferri il delitto è un attacco alle condizioni naturali d’esistenza dell’
individuo e della società; per il Colajanni e il Berenini sono delitti le
azioni determinate da motivi individuali e antisociali, che turbano le
condizioni @ esistenza e offendono la moralità media d’un popolo a un momento
determinato ; per il Tarde I’ idea del delitto implica essenzialmente,
naturalmente, quella d’un diritto ο d’un dovere violato; il Durokheim definisce
il delitto ogni atto che, et un grado qualunque, determina contro il suo autore
quella reazione caratteristica che chiamasi pena, ecc. Tutte queste definizioni
si bassno su caratteri variabili, come i sentimenti, i diritti, i doveri, le
leggi penali, le forme sociali, mentre, per servire di base sicura alla scienza
penale, dovrebbero dare della nozione in discorso 1) elemento fisso ο valido in
qualunque luogo e a qualsiasi epoca. Sembra percid preferibile a tutte la
definizione dell’ Hamon : ogni atto cosciente che lede la libertà d’agire d’ un
individuo della stessa specie dell’ autore dell’ atto è un delitto. Cfr. F.
Carrara, Programma del corso di diritto criminale, 1871; A. Marucci, La nuova
filosofia del diritto criminale, 1904; E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto
ο della procedura penale, 1884; R. Garofalo, Il delitto come fenomeno sociale,
nel vol. Per lo onoranze a F. Carrara, 1899, p. 321 segg.; Colajanni,
Sociologia oriminale, 1889; A. Hamon, Déterminiame et responsabilità, 1898.
Demagogia (δῆμος -= popolo &ywyé =
che conduce). T. Demagogie; I. Demagogy; F. Démagogie. Etimologienmente designa
quella forma di governo in cui il potere è in mano della moltitudine; ma si
adopera quasi sempre in senso cattivo per indicare la tirannia esercitata dalla
Plebe, giunta al potere, sopra le altre classi sociali. Demenza. T. Psychische
Schicdchezustinde, Blödsinn, Schwachsinn; 1. Mental weakness, dementia; F.
I)tmence. Termine molto generale, con cui si indies l’indebolimento ©
Vottundimento acquisito e irrimediabile delle facoltà intellettnali. Si
presento come sindrome di diverse malattie Dem
286 mentali, e può essere generale
e parziale, permanente e progressiva. Va notato però che l’ indebolimento
caratteristico della demenza colpisce quasi sempre contemporaneamente le tre
grandi funzioni psichiche, l'intelligenza, il sentimento, la volontà. I
disturbi della intelligenza si manifestano col diagregarsi del legame
associativo delle idee, con P incoerenza del lingnaggio ο della scrittura, con
In perdita della capacità di fissare e rievocare i ricordi; i disturbi dell’
affettività con 1’ indebolimento di tutti i sentimenti ideali o
rappresentativi, e col distraggersi progressivo degli affetti familiari ο del
senso morale; i disturbi della volontà con } apatia ο l’indifferentismo che
caratterizza gli stati dissociativi della personalità. Le forme principali di
essa sono: la d. precoce, cho si presenta nella gioventà e si può esplicare con
stadi di esaltamento di depressione ο di delirio; la d. senile, caratteristica
della tarda otà e che si accompagna naturalmente agli altri fenomeni d’
involuzione fisiologica della vecchiaia; In d. paralitica, che è la più ricca e
la più varia di fenonieni psicologici. Infine la demenza si può presentare come
stato terminale dell’ alcoolismo, dell’ epilessia, dell’ antenza, © della
frenosi circolare. Cfr. Ziehen, Paychiatrie, 1894, p. 335 segg. Demiurgo. Nel
sistema di Plutone, il demiurgo (3nwovpy4¢ = operaio) è Dio, la ragione divina,
che guardando alla idea del Bene dà forma al mondo, ordina la materia che già
prima esisteva, gli impone il movimento cireolare, gli infonde l’anima e, per
renderlo rompre più simile all’esemplare suo eterno, lo dota infine del tempo:
«Quella cosa di cui il demiurgo effettua la forma e la funzione, guardando
sempre, per servirsene come di modello, a ciò che è allo stesso modo, è
necessario che riesen per questo sempre bella. Se dnnque questo mondo è bello ©
il demiurgo è buono, è evidente che questi ha gnaraato l'esemplare eterno....
Ma questi era per sna natura eterno,
287 Dex e ciò non poteva
adattarsi in alcun modo a chi aveva avuto nascimento. Egli escogita quindi di
fare una imagine mobile dell’ eternità, e mentre ordina il cielo, fa dell’
eternità, che resta sempre nell’ uno, una imagine dell’ eternità (αἰώνιον
εἰκόνα), che si muove secondo il numero, quello che noi abbiamo chiamato il
tempo ». Anche gli gnostici adottarono la dottrina del demiurgo, il quale anche
per essi è il mediatore tra lo spirito © la materia, che trovansi in originario
contrasto. Tale ufficio è a lui attribuito in quanto è l’ultimo degli eoni,
quello cioè che è più vicino alla materia e perciò in immediato contatto con
ébsa. Cfr. Platone, Timeo, 37 d, 41 A; Senofonte, Mem., IV, 11, 13; Fraccaroli,
I! Timeo. 1906, p. 220, n. 3 (v. Dio, esemplare. creazione). Democrazia. T.
/emocratie: I. Democracy; F. Démoeratie. Per Aristotele è quella forma di
governo in oui i liberi e i non ricchi costituiscono la maggioranza e occupano
il potere supremo; l’oligarchia è, all'opposto, quella forma di costituzione
politica in cui il potere è nelle mani dei pochi © dei ricchi. Oggi designa lo
stato politico, nel quale la sovranità appartieno alla totalità dei cittadini,
senza distinzione di nascita, di fortuna o di capacità. Aristotele è favorevole
al governo popolare, specialmente per la ragione che esso utilizza In maggior
somma di attitudini individuali; anche in ciò egli si pone contro a Platone,
che considerava lo Stato democratico come peggiore d’ogni altro, la libertà ο
1’ uguaglianza como origine perenne di turbamenti, d’ingiustizia, di
corruzione, persino nel seno delle famiglie: Io voglio dire che il padre
#’abitus n trattare il figlio come uguale, e persino a temerlo; che questi s’
nguaglia al padre e non ha rispotto nd paura per gli autori dei suoi giorni,
perchè altrimenti la sua libertà ne soffrirebbe; che i cittadini e i semplici
abitanti o gli stessi stranieri aspirano agli stessi diritti. Sotto un tale
governo il maestro tome e tratta con riguardo i suoi diDem 288
scepoli: questi si ridono doi loro maestri ο dei loro sorveglianti. In
generale, i giovani voglion essere pari ai vecchi e lottare con essi in
propositi e in azioni. Ma I’ ultimo eccesso della libertà in uno Stato popolare
è quando gli schiavi dell’ uno e dell’ altro sesso non sono meno liberi di
quelli che li hanno comperati ». Nei tempi moderni Montesquieu, ponetrando il
vero spirito del governo popolare, dice che nella democrazia il popolo è, sotto
un certo riguardo, il monarca, sotto certi altri il suddito; esso non può
essere monarca che per i suoi suffragi, che sono le sue volontà; la volontà del
sovrano à il sovrano stesso »; perciò mentre non occorre molta probità nel
governo monarchico e nel dispotico, perchè la forza delle leggi nell'uno, il
braccio del principe nell’ altro, reggono tutto, nella democrazia è necessaria
la virtù. Cfr.
Platone, Rep., Ve VI; Aristotele, Polit., 1. III, c. 5, 6; Montesquieu, Esprit
des lois, 1748, 1. II, 11 © 111
(v. aristocrazia). Demone, demoniaco. Nel linguaggio filosotico la parola
demone è usata talvolta per indicare il genio familiare da cui Socrate dicevasi
ispirato e che egli stesso chiamava, con parola da lui creata, δαιμόνιον. Sulla
sua precisa natura molto si è disputato e si disputa ancora; secondo alcuni
essa ha in Senofonte, il più diretto discepolo di Socrate, lo stesso
significato di Θεός, come la parola Baluov in Omero, laddove in Esiodo i
δαιµόνες sono geni intermediari tra l’uomo e la divinità; altri invece,
fondandosi sopra i dialoghi platonici, sostengono doversi ammettere cho Socrate
credesse davvero all'esistenza di geni familiari; altri ritiene che Socrate
usasse questo neologismo per significare 1’ analogia esistente tra i suoi
presentimenti interni, ispiratigli dalla divinità, e i demoni della mitologin
greca; altri, specialmente psichiatri e fisiologi, upinano che Socrate
softrisse di allucinazioni visive ο uditive ϱ #’imaginarso di parlare con uno
spirito; altri infine, fondandosi sui della psicologia, risolvo le 385
Dew ispirazioni demoniache avvertite da Socrate nelle suggestioni del
subcosciente, che in tutti i mistiei assumono una speciale vivacità e si
presentano all’ introspesione nella forma di un fantasma, di una individualità
estrinseca, di cui essi sentono continuamente la presenza negli strati profondi
della loro anima. In un senso analogo a
quello . sonofonteo, Goethe chiama demonisco (das Zimonische) la rivelazione
del divino nel mondo, I’ inaccessibile che ci circonda e del quale’ sentiamo
dovunque l’affiato misterioso; esso si manifesta nei modi più diversi in tutta
la natura visibile e invisibile, nella pittura, nella poesia e più ancora nella
musica perchè essa sta così in alto cho nessuna intelligenza le si può
avvicinare, e gli effetti che produce dominano ciascuno senza che nessuno sin
in grado di rendersene ragione ». Cfr. Senofonte, Mem., I, 1v; Platone, 4pol.,
31 D; Cicerone, De dirin., I, 54, 122; Fouillée, Hist. de la phil., 1884, p.
74; Luciani, Fisiologia dell'uomo, 1913, vol. IV, p. 499; Eckermann, Gesprioke
mit Goethe, ed. Reclam, 1, 207 segg.; II, 166; C. Ranzoli, 1 agnosticiemo nella
fil. religiosa, 1913, p. 48 segg. Demoniaci. Setta di erotici cristiani, i
quali ritenevano che alla fine del mondo sarebbero stati salvi ancho i demoni,
cioè gli angeli ribelli a Dio. Demonismo. M. Dimonismus; I. Demoniem ; F.
Démonisme. Con questo nome si designa quello stadio della ev luzione religiosa,
in cui i fenomeni naturali sono spiegati come effetto della lotta continua di
spiriti, alcuni buoni ed altri cattivi, di cui è popolato il mondo. Il
domonismo è anteriore al politeismo; in esso gli spiriti non hanno nome, non
hanno forma umana, non hanno storia personale, sono adorati negli alberi, nel
vento, nelle nubi. Quando, sotto In spinta del bisogno religioso, egsi
acquistano un nome, forma umana e storia personale, il demonismo si trasforma
in politeismo e in mitologia. Cfr. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie
religieuse, 1912; F. B. Jevons, L'idea di 19
RANZOLI, Dizion. di seienze filosofiche. DEM-DEO 290 Dio nelle religion’ primi dualiemo).
Demonstratio quo, dem. quid. Termini della scolastica, con cui si desigus
quell’ argomentazione nella quale si va dall’ effetto conosciuto ancora
imperfettamente alin causa, © si trova l’ esistenza della causa ma non la ana
natura (demonstratio quo, cioè quod est). La natara della causa si scopre per
mezzo delle considerazioni della mente, che la confronta con tutte le parti e condizioni
dell’ effetto. Dalla causa di cui così si conosce In natura, si argomenta poi
all'effetto (demonstratio quid o propter quid) cosicchè tanto nell’ una quanto
nell’ altra argomentazione si va dal più al meno noto. Cfr. Goclenius, Le.
phil., 1618, p. 504; Rosmini, Logica, 1853, $ 708. Denotazione. I. Denotation;
F. Dénotation. Lo Stuart Mill, facendo rivivere una abbandonata distinzione
scolastica, chiama connotativi quei nomi che servono a denotare un soggetto o
una classe di soggetti, e nello stesso tompo implicano, οοπποίαπο un attributo.
Sono connotativi tutti i nomi comuni astratti ο i nomi propri. Cfr. Stuart Mill, System of
logic, 1865, vol. I, cap. II, § 5 (v. connotatiri). Deontologia (τὸ δέον --ciò che si deve fare). T.
Ixontologie, Pflichtenlehre; 1. Deontology; F. Déontologie. O trattato dei
doveri, è il titolo dell’opera postama del Bentham, nella quale è esposto il
suo sistema di morale. Exsondo fine della vita il piacere, cho chiamasi utilità
in quanto diventa regola delle nostre azioni, la misura del valore morale di
una azione si dove basare sul valore effettivo che essa ha di promuovero il
piacere ο la folicità. Un piacere © un dolore, dice il Bontham, possono essere
produttivi o sterili. Un piscere può essero produttivo di piaceri o di dolori,
o di entrambi: per contro, un dolore può esser proluttive di piaceri, di
dolori, ο di entrambi. Il compito de contologin consiste nel pesarli ο nel
tracciare, in, 1914, p. 19 segg. (v. religione.
291 Drr-Drs base al resultato, la
linea di condotta che bisogna tenere ». In tal modo la scienza morale si riduce
tutta al calcolo deontologioo. Oggi la parola deontologia è adoperata per
designare la teoria dei doveri, e di quelli specialmente relativi ad una data
situazione sociale. Cfr.
Bentham, /eontology or the mience of morality, 1834 (v. intoresne). Depersonalissasione. F. /)épersonalisation.
Fenomeno di sdoppiamento della personalità, che si presenta in vario malattie
mentali © in cui il soggetto ha l'illusione di divenire un altro, pure
sentendosi rimanere lo stesso divenendo due. Il vocabolo è anche usato per
designare quella speciale ossessione, in cui V individuo sente come sparire la
propria personalità, perdersi il proprio io. Cfr. Dugas, Un cas de
depersonalisation, Revue philos. », maggio 1898; Bernard-Leroy, Sur Pillusion
dite dépersonalisation, Tbid., agosto 1898. Descrittivi (giudizi). Alcuni logici chiaman tali quei
giudizi in cui il predicato è una proprietà del soggetto ο snole essere
espresso grammaticalmente da un aggettivo. Descrizione. T. Beschreibung; I.
Description: F. Description. Nella logica designa quella operazione per cui si
definisce una cosa dai segni apparenti che sono propri di essa. La descrizione
non è una vera e propria definizione, ma una indicazione definiente, ο si uen
appunto per quelle nozioni che, o in sè stesse o perchè imperfettamente
conosciute, non si possono definiro. Minus acourata definitio, descriptio
dicta, ea est, secondo i logici di Porto Reale, quae rem facit notam per aocidentia,
propria, atque ita determinat, ut nobis possimua illius ideam formare, quae
illam ab omni alia re distinguat. Le definizioni della storia naturale sono per
la maggior parte indicazioni definienti per carattori estrinseci. Cfr. Logique du
Port-Royal, ed. Charles, II, 12; Hamilton, Lectures on logic, 1860, lez. XXIV, pp. 12, 20 (v. definizione, locazione,
distinzione, indefinibile, cavatteristica). Des
292 Desiderio. T. Begehren,
Begehrung ; I. Desire; F. Désir. La rappresentazione effettiva di un atto
sperimentato direttamente o indirettamente come piacevole, il quale tende per
conseguenza a rinnovarsi. Il desiderio è quindi qualche cosa di meno generale e
di più specifico della tendenza; il desiderio, dice I’ Höffding, non è che una
tendenza comandata da rappresentazioni chiare. Del resto esso fu variamente
inteso dai filosofi; per Leibnitz è la tendenza a’ una rappresentazione all’
altra, per Condillac una attività dell’ anima rivolta alla soddisfazione di un
bisogno, per Cr. Wolff una inclinazione dello spirito verso un oggetto
percepito come un bene. Secondo Kant, la facoltà di desiderare sarebbe la facoltà
di esser causa, mediante le proprie rappresentazioni, della realtà delle
rappresentazioni stesse ». Per Hobbes è un movimento che si compie nella
sostanza cerebrale, «tale movimento si chiama appetito ο desiderio quando l’
oggetto è gradevole, avversione quando è naturalmento spiacevole, timore
rispetto al dolore che se ne attende »; per Locke il desiderio è il disagio che
si prova per l’assenza di qualche cosa il cui presente possesso reca con sè
l'idea di un piacere »; per Bain è uno stato mentale costituito da un motivo di
agire, sia esso un piacere o nn dolore, attuale o ideale, senza averne la
capacità; esso è quindi uno stato di intervallo ο sospensione tra motivo ed
esecuzione »; per lo Spencer è un sentimento ideale, che si manifesta quando il
sentimento reale, a cui corrisponde, non è stato per lungo tempo sperimentato
». Il desiderio si distingue dall’ appetito, il quale non è che la tendenza
fondamentale a cercare il piacere © fuggire il dolore; e dalla volontà, perchè
mentre questa implica l'attuazione del fine, quello è semplicemente la tendenza
all’ atto e non ne implica I’ effettuazione. In altre parole, mentre il
desiderio è passivo la volontà è attiva; perciò il primo è per il Kant una
eteronomia, la seconda una autonomia. Cfr, Leibnitz, Op. phil., Erdmann, p. 714
a; 293
Des-beT Condillac, Traité des sens., 1886, I, 3, 1; Wolff, Pryohol.
empirica, 1738, 6579; Kant, Krit. d. prakt. Vern., ed. Reclam, p. 67; Hobbes, Human nature, 1650,
cap. XI, $3; Locke, Human understanding, 1877, II, xx, 6; Bain, Mental and mor.
science, 1884, p. 368; Spencer, Princ. of peychol., 1881, 1,$51; Höffding,
Psyohologie, trad. frano. 1900, p.
312, 422. Desitive (proposisioni). Si oppongono alle incettire, ed esprimono
che una cosa ha finito di essere, o di possedere una dats proprietä,.ad un dato
momento. Contengono perciò due proposizioni, che possono essere contestate
sepsratamente, e di cui una riguarda lo stato anteriore, I’ altra lo stato
posteriore. Determinativo. T. Bestimmend; 1. Determinative; F. Déterminatif.
Diconsi determinative quelle proposizioni incidentali © composte, implicite o
esplicite, le quali contengono un inciso che ne determina il significato e cho
non si può togliere: ad es. l’uomo, che ha commesso delle colpe, merita
punizione. Se l’inciso non fa che spiegaro il significato, e può esser tolto,
lu proposizione dicesi esornativa. Pure nella logica, dicesi determinative 1’
addizione che sumenta la comprensione di un termine semplice, e, quindi, ne
restringe l'estensione. Cfr. Logique du PortRoyal, ed. Charles, II, cap. vi. Determinazione. T.
Bestimmung; I. Determination: F. Détermination. Indica in generale la specificazione dei caratteri che
distinguono un concetto da altri concetti del medesimo genere. Si oppone ad
astrazione rerticale, © designa 1’ operazione logica con cui si aumenta la
comprensione di an concetto, dimiauendone I’ estensione. Consiste nell’
aggiungere una nota al concetto; ma questa aggiunta non è affatto arbitraria,
dovendo tale nota essere compatibile colla sostanza logica del concetto. Ad es.
al concetto governo si potrà aggiungere la nota costituzionale o assoluto, ma
non la nota verde ο salato. Dicesi
ancora determinazione o decisione quel momento dell’ atto volontario, Der 294 in
cui si risolve il conflitto dei motivi per il definitivo provalere d’ una ides
fine. Determinismo. T. Determiniemue; I. Determiniom; F. Déterminieme. Termine
di uso recente nel linguaggio filosofico, nel quale fa introdotto
primitivamente dalla filosofia tedesca. Si oppone 4 indeterminiemo ο
libertiemo, e designa la dottrina secondo la quale ogni fenomeno, compreso
quello della volontà, è determinato dalle circostanze nelle quali si produce, è
l’effetto necessario di una causa, per modo che, dati quegli antecedenti, ne
risultano necessariamente quei conseguenti. 11 determinismo non è dunque altra
cosa che il principio di causalità : le stesse cause nelle stesso circostanze
producono gli stessi effetti. Si suol distinguere il determinismo cosmico o
fisico, dal determinismo psicologico o volontario; il primo riguarda i fenomeni
fisici © del mondo esterno, il secondo i fenomeni psichici ο del mondo interno.
I] primo è il postulato di tutte le scienze della natura: esse infatti non
hanno altro oggetto che In ricerca delle leggi; ora la legge, cioè il rapporto
invariabile tra due fenomeni, può essere ricercata solo a condi zione che si
creda che ogni fenomeno è invariabilmente preceduto, © invariabilmente seguito,
da altri fenomeni; ο tale appunto è la formula del determinismo. Nella sua
espressione più rigorosa, esso porta a considerare il passato ο l'avvenire come
valutabili in funzione del presente, cosicchè, per usare l’ esempio dell’ Huxley,
una intelligenza sufticionto conoscendo le proprietà delle molecole di cui ora
composta la nebulosa primitiva, avrebbe potuto predire lo stato della fauna
dell’ Inghilterra nel 1868, con pari certezza di quando si predice ciò che
accadrà al vaporo della respirazione durante una fredda giornata d’ inverno »;
ο, secondo l’esempio non meno celebre del Du Bois-Reymond, si potrebbe dallo
stato attuale del mondo conchiudere sia in qual momento I’ Inghilterra brucerà
il sno ultimo pezzo di carbone », sin chi ora la maschera di ferro », sia
tutt'e 295 Der duo le cose. Il determinismo volontario
non è che nn caso 0 una specie del determinismo universale: esso onuncia che
tutte le azioni dell’ numo sono determinate dai suoi stati anteriori, senza che
la sus volontà possa cambiare nulla à questa determinazione; l’uomo dunque non
ha li bitrio, e, se egli crede di possederlo, non ne possiede che V apparenza.
Gli atti volontari sono determinati dal potere impulsivo e inibitorio dalle
rappresentazioni : la scelta dipende dalla rappresentazione che ha impulsività
maggiore. Se si potessero conoscero, disse Kant, tutti gli impulsi che muovono
la volontà di un uomo, anche i più leggeri, ο prevedere tutte le occasioni
esterne che agiranno su lui, si potrebbe calcolare la condotta faturn di questo
uomo con quella stessa esattezza con cui si calcola un eclissi di sole o di
luna. Si distinguono varie forme di determinismo volontario : il d. teologico,
per cui i nostri atti sono un prodotto dell’azione divina, della predestinazione,
della grazia, della provvidenza; il d. intellettualistico, detto anche
peicologico, che ripone l’asione determinativa nell’ intelligenza, facendo di
ogni atto la pura conseguenza di un giudizio, cosicchè l'atto è buono o cattivo
a seconda che il giudizio è logicamente retto o errato; il d. sensistico 0
sensualistico. che fa delle sensazioni |’ unica causa necessaria degli atti; il
d. idealistico, nel quale |’ idea in sè, nssoluta, agisce liberamente e
determina gli atti umani senza vincolo alcuno con la resltà materiale. Molte
volte si è confuso e si confonde il determinismo col fataliemo : ma mentre in
questo gli avvenimenti sono predeterminati ab eterno in mod nocessario da un
agente esteriore, in quello il potere è collocato nell’ agente medesimo; in
altre parole meutre nel fatalismo la nutura è sottomessa ad una necessità
trascendente, nel doterminismo la necessità è immanente e si confonde con la
natura stessa. Oltre al determinismo per il quale il conseguente è determinato
dai suvi antecedenti ο } insieme dalle sue parti, che è il determinismo
meoeamico, το ar-Der-Dia 296 Claudio Bernard ha mostrato che per spiegare
gli organiemi viventi bisogna faro appello a un’ altra specie di determinismo,
ove l’ insieme determina le suo parti e il conseguente i suoi antecedenti;
questo determinismo nuovo, che il Bernard chiama un determinismo superiore, si
può anche chiamare un determinismo finalista. Cfr. Kant, rit. d. reinen Vern.,
ed. Rechun, p. 481 segg.; Laplace, Introd. à la théorie dea probabilités, 1886 ;
CI. Bernard, Introduotion à Pt. de la physiol., 1865; Fouillée, La liberté οἱ le déterminisme, 1873; A. Hamon, Déterminieme et
responsabilité, 1898; A. Lalaudo, Note sur Vindétermination, Revue de métaph.
», 1900, p. 94; Petrone, I limiti del determiniamo scientifico, 1900; Ardigò,
La morale dei positiviati, 1892, p. 118 segg. (v. autonomia, contingenza, equazione, indeterminismo,
predeterminismo, libero arbitrio). Determinismo economico v. materialismo
storico. Dialettica (διά attraverso,
λέγω raccolgo). T. Dialektik; I.
Dialectic; F. Dialeotique. Per gli antichi era |’ arto di raggiungere ©
cogliere il vero mediante la discussione delle opinioni. Infatti Platone, nel
Cratilo, dice: colui che sa interrogare e rispondere, come lo chiameremo, se
non dialettico » E Aristotele, nella metafisica: la dialettica tasta, dovo la
filosofi conosce ». Non va dunque confasa con la Logica (quantunque nel medio
evo designasse appunto la logica formale per opposizione alla retorica) che è
una scienza vera e propria, la scienza del ragionare. La dialettica non è che
un’ arte polemics, con la quale si apre la via alla scienza; essa muovo dalle
opinioni comuni intorno ad un dato oggetto, le prova sl martello della critica,
ne mostra lo lacnne, le difficoltà, gli errori, in modo da apparecchiare il
terreno alla indagine scientifica. Nell’
emanatismo di Proclo il principio dialettico è quello in base al quale si
altera In derivazione logien del particolare dall’ nniversale, della pluralità
dall'unità; tale derivazione implica da un Into la somiglianza 297
Dia del particolare all’ universale e quindi la permanenza dell'effetto
nella causa, dall’ altro la contrapposizione di questo prodotto come qualche
cosa di nuovo e indipendente, € infine, per questo rapporto antitetico, la
tendenza del particolare alla sua origine; i tre mumenti del processo
dialettico sono dnnque il persistere, il derivare, il ritornare, ossia unità,
differenza © unità del differente. Nel
razionalismo di Abelardo la dialettica ha per compito di distinguere il vero
dal falso; quindi, mentre per Anselmo la dialettica si limita a rendere
comprensibile all’ intelletto il contenuto della fede, per Abelardo essa ha
anche il diritto critico di decidere, nei casi dubbi, secondo le sue regole:
così nel suo seritto Sic et mon egli oppone luna l’altra le opinioni dei Padri,
per distraggerle a forza di dialettica e per trovare infine ciò che è «degno di
fede in ciò che è dimostrabile. Per
Pietro Ramo la vera dinlettica ha anzitutto per compito di scoprire ciò che può
la natura 6 come essa procede nell’ impiego della ragione, poscia di insegnare
ad esporre con ordine, metodo ed eloganza il proprio pensiero: In tal modo la
dinlettica, dopo esser stata allieva della natura, ne diventerà per così dire
la maestra; poichè non v’ha natura così energica © forte, che non lo diventi
ancora più medianto In conoscenza di sè ο la descrizione delle proprio forze; ο
non v’ha natura così debole e Innguente che non possa, col soccorso dell’ arte,
acquistare maggior forza ed ardore ». Kant,
nella terza parte della Critica della ragion pura, che egli chiama Dialettica
trascendentale, esamina l'illusione naturale che ci spinge alla metafisica,
cioè a cercare l’Assoluto e penetrare nel regno dei noumoni; la fncoltà che ci
spinge a ciò è la Ragione, la quale può mantenersi entro i limiti dell’
esperienza, ridncendo alla maggiore unità possibile In molteplicità delle
cognizioni, ma può anche pretendere di trarre da concetti puri delle cognizioni
sintetiche, indipendentemente du ogni intuiDia zione; è in questo modo che
sorge la dialettica, cioè la metafisica dogmatica, ed è in questo modo che la
ragione diventa trascendente. Quindi per Kant la parola dialettica significa
non solo |’ illusiono della ragione, ma anche lo studio e la critica di codesta
illusione. Per Schleiermacher la
dialettica è la dottrina del sapere in quanto diviene, la filosofia. Ogni
sapere è volto a rilevare l’identità del pensiero e dell’essere; ma nella
coscienza umana essi procedono separati come fattore ideale ο fattore reale di
essa, come concetto ¢ come intuizione, come funzione organica e funzione
intellettuale; solo il loro piono accordo darebbe la conoscenza, perciò tale
accordo, non mai pienamente raggiunto, rappresenta lo scopo assoluto,
incondizionato, remotissimo, del pensiero, il cui sapere vuol diventare, ma non
mai diventa, completo. La dialettica, come dottrina del sapere che diviene,
suppone però In realtà di tale scopo irraggiungibile dal nostro pensiero :
questa realtà, identificazione del pensiero con l'essere, Dio. Per 1’ Hegel la dialettica è I’ applicazione
scientifica della logica inerente alla natura umans »; siccome poi le forme del
pensiero sono le forme del reale, così la dialettica è la vera e propria natura
delle determinazioni dell’intelletto, delle cose e, in modo generale, di tutto
il finito »; 0488 consiste essenzialmente nel riconoscere |’ inseparabilità dei
contradditori e nello scoprire il principio di codesta unione in una categoria
superiore. Egli chiama momento dialettico sia la contraddizione stessa, sia il
passaggio da un termine all’altro di codesta contraddizione. ll Balnsen chiama dialetticg reale la
contraddizione posta nella stessa essenza delle volontà individuali (nelle
quali la realtà si risolve) per cui uns è sdoppiata in sè stessa, essendo con
ciò irrazionale e infelice; tale contraddizione è inaccessibile al pensiero
logico, il quale per tal guisa è incapace di abbracciare un moudo che consiste
nella volontà contradditoria di sè; ciò rende impossibile anche la liberazione
parziale 299 Dia ammessa da Schopenhauer, e quindi la
volontà in indistruttibile dovrà soffrire indefinitamente in esistenze sempre
nuove il tormento di questa autolacerazione.
Il Gourd chiama dialettica la serie delle fasi successive percorse dallo
spirito che, allontananilosi per gradi dalla coscienza primitiva, costruisce
progressivamente il mondo della scienza, quello della morale e quello della
religione. Il Rosmini distingne il dianoetioo dal dialettico: quello è ciò che
la mente suppono nelle sue operazioni, e che non è tale in sè stesso, cioè
prescindendo dall’ operazione della mente; questo è ciò che Ia mente produce
nolle cose in sé essenti, per modo che la mente stessa concorre colle sue
operazioni a fare che la cosa sia tale in sè stessa com'è. Quindi, mentre il
dialettico è il prodotto di una mera finzione mentale, il dianoetico è il
prodotto vero di una causazione. Cfr. Senofonte, Memor., IV, 5, 12; Platone,
Sof., 258, C, D; Republ., 598 E, 534 B; Aristotele, Anal., I, ıv, 468; I, v, 77
a; Metaph., Il, 1, 995b; H. Kirchner, / Prooli metaphysica, 1846; Abelardo,
Dialeotica, ed. Cousin: P. Ramus, Institutionen dialeoticae, 1549;
Sobleiermacher, Dialektik, 1908; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 88
segg.; Hegel, Enoycl., $ 10, 81; Hartmann, Ueber die dialektische Methodo,
1868; Jal. Bahnsen, Der Widerpruch im Wisson und Wesen der Welt, 1881; J.
Gourd, Les trois dialeotiques, Revue de metaph. », 1897, p. 1-9; Rosmini,
Idcologia, 1858, t. IV, pag. 313 segg.; F. De Sarlo, Un ritorno alla dialettica,
Cultura fil. », febbraio 1907 (v. contraddizione, divenire, oriatica, ironia,
maieutica). Diallelo (ἀλλήλων ’uno per l’altro, mutunmente). Ha due significati
un poco diversi; nel linguaggio degli scettici antichi esso è uno dei tropi ο
motivi di dubbio, ο consiste in ciò che non è possibile la dimostrazione di
alcun prin: cipio, di alcuna verità, perchè In dimostrazione deve foudarsi
sopra un criterio, e il criterio ha esso pure bisogno di essere dimostrato. Più
tardi il significato della parola Dis-Dic
300 8’ à venuto generalizzando,
cosicchè con essa si intende ora qualsiasi circolo vizioso, qualsiasi
definizione d’ una cosa per sò stessa. Cfr. Prantl, Geschichte der Logik, 1855,
I, 494. Dibatis. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale
si designa uno dei modi della quarta figura del sillogismo, che ba la maggiore
e la conclusione particolari affermative, la minore universale affermativa.
Esso si riconduce al Dabitis della prima figura. Dicotomia. T. Dichotomie: I.
Dicotomy; F. Dichotomie. E l'argomento attribuito a Zenone di Elea, e col quale
egli voleva dimostrare che se |’ essere è multiplo, deve cesere infinitamente
grande e composto di un numero infinito di parti. Infatti ciascuna delle parti
dell’ essere deve avere una grandezza ed essere separata dalle altre; ora,
siccome lo spazio è il luogo dei corpi, e il vuoto non può quindi esistere, è
necessario che tra codeste parti separate altre ne esistano per separarle; e
tra queste altre ancora, ο così via via all’ infinito. Egli perciò concludeva
che la pluralità è impossibile e che non esiste che I’ unità. Nella logica dicesi dicotomia la divisione
che consta di due soli membri dividenti. Ogni divisione può essere ridotta a
una dicotomia per opposizione logica, ponendo come primo membro il genere con
l’ aggiunta di una differenza specifica e contrapponendo a questo il genere
stesso più la negazione di quella; ad es., gli animali sono vertebrati o non
vertebrati. La dicotomia si può fare ancora per distinzione, quando il fondamento
della divisione non consente che due modalità: ad es. gli orgunismi sono piante
o animali. Cfr. Aristotele, Physica, V, 9; Plutone, Polit., 262 A; Masci,
Logica, 1899, p. 304 seg. Dictum de omni aut de nullo. E la formola con cui gli
scolastici esprimevano il principio fondamentale del sillogismo, traducendo l’
espressione aristotelica: κατὰ πάντος À μηδενὸς κατηγοραῖσθαι. Esso significa
che: ciò che si afferma di un tutto molteplice, si afferma pure dei Dip-Drr
singoli, e ciò che di un tutto molteplice si nega, si nega anche dei singoli.
Cristiano Wolff lo formula più esplicitamente così: Quicquid de genere vel
specie omni afirmari potest, illud etiam afirmatur de quovis sub illo genere
rel illa specie contento: quioguid de genere vel specie omni negatur, illud
etiam de quovis sub illo genere vel illa specie contento negari debet. A questo
principio altri preferiscono quollo proposto dal Kant: nota note est nota rei
ipsins; questo principio però è la stessa cosa di quello aristotelico, che
cioè: ciò che si afferma si nega del predicato si affermerà o negherà pure del
soggetto. Gli stessi scolastici, con
l’espressione: a dicto simpliciter ad dictum secundum quid, e viceversa,
designavano quella specie di sofisma di ragionamento, che consiste nel passare
dul senso assoluto di un termine al relativo, e dal relativo all’ assoluto; ad
es. una piccola dose di stricnina può essere salutare (a dioto secundum quid)
ina non ne deriva che la stricnina, in qualunque dose, sia una sostanza
benefica (ad dictum simp! citer). Cfr. Aristotelo, Topie., I, 3; Reth., I, 2,
3, II, 1, 22; Cr. Wolff, Philos, rationalis sive logica, 1732, $ 346 segg.;
Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 253; Rosmini, Logica, 1853, p. 166
segg. (v. rillogismo). Didattica. 1. Didaktik ; I. Didaotios; F. Didactique. 1
signa propriamente la scienza dell’ insegnamento; stingue dunque dalla
pedagogia, che è vocabolo assai più recente e il cui significato odierno fu
espresso in passato con In parola diduttica. La didattica si divide in due parti:
una generale, che tratta della scuola, dei suoi fini, del suo ordinamento, dei
suoi metodi ; l’altra particolare, che riguarda le singole materie
d'insegnamento (v. pedagogia, pedologia). Differente. T. Perschieden; I.
Different; F. Different. Si dice di un'entità che possiede qualche cona di
comune con un’altra, ma che ha pure qualche cos di proprio, per cui si
distingue dall’ altra: questo proprio è la difere Dir 302 Il
differente si distingue dal diverso, che si adopera per distinguere due entità senza
però indicare che differiscono in qualche cosa ο in tutto tra esse. A designare
poi la più generale varietà che possa notarsi tra lo entità, fu adoperato nella
terminologia scolastica il termine altro, che signified il fatto di entità che
non variano punto di essere, ma variano di semplice relazione. Cfr. Aristotele, Met., V, 10,
1018 b, 1 segg.; Hume, Treatiee on human nature, 1874, I, seg. 5, p. 27 (v.
alterità). Differenza. Gr.
Διαφορά; T. Unterschied, Liferenc ; I. Difference ; F. Différence. Tutto ciò
che serve a distinguere una cosa da un'altra, un concetto da un altro. Si suol
distinguere in formale e materiale: quella è il più che risulta dal paragone di
un concetto meno astratto con un altro più astratto, questa il più che risulta
dal paragone di due quantità. Gili scolastici distinguovano ancora la
difietonza in: oostitutica, che è quella onde un dato genero si costituisco;
dibisiva, quella per la quale un genere si divide; communis, la semplice
differenza di luogo ο di tempo, per cui una cosa differisce da sò ο dalle
altre; propria, 1’ ncoidente inseparabile dal soggetto, per il quale differisce
dal resto; propriissima o maxime propria, quella per la quale un essore è
essenzialmente distinto dagli altri. 11
metodo della differenza è uno dei quattro metodi di riceren induttiva sugxeriti
dal Mill. Esso consiste nel paragonaro i casi in cui un fenomeno avviene con
altri, simili nel resto, in cui quello non avviene, e si fonda su questo canone
logico: se un caso nel quale il fenomeno da osaminarsi s' avvera e un caso in
coi il medesimo non si verifica, hanno comuni tutte le circostanze ad eccezione
d’una sola € questa s’ incontra soltanto nel primo caso, questa circostanza per
In quale soltanto i due casi differiscono è l'effetto o la causa ο una parte
nocessaria della cansa del fenomeno. Eeso riposa sul principio, che tutto che
non può essere eliminato è collegato al fenomeno 1 rapporto di enusalità, ed è
molto utile quando con l'esperimento si può riprodurre, modificondola, una
serie di fenonieni. Così, nelle esperienze fisiologiche, il taglio della fibra
essendo seguito dall’ assenza della sensazione nonostante In presenza dello
stimolo, prova che la continuità della fibra è parte essenziale della causa
della scnsazione. Ma quando la produzione e la soppressione della causa non è
in nostro potere, o quando la soppressione della cansa trae con sò
necessariamente il subentrare d’una causa nuova, al metodo di differenza si
deve sostituire quello di concordanza, o quello di concordanza e differenza riunite. Dicesi differenza specifica quell’ insieme di
qualità per cui una specie ai distingue da un’ altra, appartenente allo stesso
genere. Essa perciò riguarda la connotazione delle idee: ciò che alla
connotazione del genere si deve aggiungere per avere la specie, costituisce la
differenza specifica. Nell’ idea di uomo, che è connotata dall’ idea di animale
(genere), la differenza specifica à data dalle qualità di ragionevole, a
posizione eretta, ecc. Cfr. Stuart Mill, System of logic, 1865, III, cap. 8; Masci,
Logica, 1899, p. 284 segg. Differenza personale v. equazione personale.
Differensiamento. T. Diferenzierung; I. Differentiation; F. Différenciation.
Una delle leggi che reggono I evoluzione stories del mondo organico. Essa
esprime tanto la tendenza comune a tutti gli esseri del mondo organico di
avolgersi differentemente in grado sempre più elevato, e di ullontanarsi perciò
dal tipo comune primitivo, quanto il risultato di tale operazione. Il
differenziamento è tanto fisiologico, ossia divisione di lavoro, quanto
morfologico, ossia divisione di forma. Secondo il Darwin tale tendenza ha la
sua causa nella lotta per In vita. Cfr. Spencer, Firat principlos, 1884, cap.
XV. Dilemma (31ç due volte, λήµµαproposizione). T. Dilemma; I. Dilemma ; F.
Dilemme. Forma di argomentazione, che consiste nel porre l'avversario tra due
alternative dalle quali si cava una conelnaiono medesima e contraria
all'avDim 304 versario stesso, che per ciò non ha più via
d’ uscita. Dicesi anche argomento cornuto, e le due proposizioni corna del
dilemma; se invece di duo le proposizioni sono tre si ha il trilemma, se
quattro il quadrilemma, ecc. Ha due forme fondamentali: nella prima, detta modo
ponente ο dilemma di costruzione, la premessa maggiore ipotetico-congiuntiva
stabilisce una conseguenza unica per tutti i casi possibili dell’ ipotesi, la
minore mostra che non sono possibili altri casi fuori di quelli considerati, la
illazione afferma la necessità della conseguenza ; nella seconda, detta modo
tollente ο dilemma di distruzione, la maggiore è ipotetico-diegiuntiva ο
determina tutte le conseguenze possiLili dell ipotesi, la minore è remotiva e
mostro che nessuna di esse è possibile, la conclusione nega quindi la validità
dell’ ipotesi. Schema della prima: tanto se è «4, quanto se è Bo C.... à M; ma
à 4 0 Bo C; dunque à M. Schema della seconda: se M è, d0 4 0 BoC; ma non è A,
nè B, nè C; dunque non è M. Perchè il dilemma sia valido occorre che la
disgiunzione sia completa e siano considerati tutti i casi possibili; ο che il
rapporto di condizione a condizionato sia vero © necessario, cosicchè la
conclusione non si possa ritorcere. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik, 1885, I,
110: Masci, Logica, 1899, p. 266 segg. Dimaris o Dimatis. Termine di
convenzione mnemonica, con cni nella logica formale si designa quel modo della
quarta figura del sillogismo, nel quale la maggiore © la conclusione sono
proposizioni particolari affermative, la minore universale affermativa. Es.
Qualche azione virtuosa resta senza premio.
Tutte le azioni virtuose sono lodevoli.
Dunque qualche cosa che è lodovole rimane senza premio. Si riconduce al
modo Dari della prima figura mediante la trasposizione delle premesse e la
conversione semplice della conclusione. Dimensione. T. Dimension: I. Dimension;
F. Dimension. Nella geometria designa nna grandezza renlo che, si 305 i
Dim-Dix sola sia con altre, determina la grandezza d’una figura misurabile. Nell’
aritmetiea generale designa un numero reale, che è uno degli elementi
costitutivi d'un numero complesso. Dimostrazione. ‘I. Demonstration, Boweis ;
I. Demonatration: F. Démonstration. 11 ragionamento mediante il quale si
verifica quali conseguenze dipendono da certe premesse, © da premesse vere si
deduce la verità di una conclusione : le premesse diconsi argomenti, la verità
da dimostrarsi tesi 0 teorema. A seconda del modo di derivazione può essere
diretta ο indiretta : nel primo caso la derivasione è dai principi e dalle
cause reali, nel secondo dalla impossibilità del contradditorio. La diretta pnd
essere deduttiva, induttiva, entimematica, analogica ; la indiretta può avere
la forms contradditoria e la disgiuntiva. La indiretta dicesi anche apagogioa ©
riduzione all’ assurdo. Si dice dimostrazione ad hominem quell’ artifizio della
discussione per cui si parte da un principio, non in quanto sia vero in sè, ma
in quanto è ritenuto vero dall’ avversario, cosicchè questo è costretto ad
accettaro la tesi se non vnol cadere in contraddizione con sè stesso. Cfr.
Lotze, Logik, 33 od. 1881, p. 271; Rosmini, Logica, 1853, $ 539 segg. (v.
demonatratio, entimema, analogia, apagogia, prora). Dinamica. T. Dynamik; I.
Dynamics; F. Dynamique. Quella parte della meccanica razionale che studia la
composisione dei moti a cui danno luogo le forze motri l’altra parte è la
sfatioa, che stadia invece la composizione delle forze (indipendentemente dai
moti che sono capaci di produrre) considerate come grandezze e riferite ad una
unità di misura della medesima specie. La dinamica si distingue alla sua volta
in cinetica, che studia la composizione dei moti relativamente alla
traiettoria, che essi determinano nello spazio, ed in energetica, che studia la
composizione dei moti delle masse, che nel loro cammino sono capaci di produrre
lavoro. Metaforicamente 1’ }ler20
RanzoLI, Dirion. di scienze filosofiche. Dix . 306
bart chiama dinamica degli stati di coscienza il loro rapporto allo
stato di trasformazione © di movimento, © il Comte dinamica sociale il
progresso delle società umsne. Dinamismo. T. Dynamismus; I. Dynamism; F.
Dynamisme. Ogni sistema filosofico che pone come sola realtà le la forza,
riducendo la materia a un semplice centro inesteso di forza, © spiegando la
diversità ο l’ armonia del mondo mediante le leggi della forza. Si oppone al
meccanismo, che pone come distinti l'essere e In forza,, considerando il primo
come passivo rispetto alla seconda, la quale agisce su di esso dal di fuori; il
meccanismo riduco quindi tutti i fenomeni naturali al movimento della materia
ponderabile ed eterea. È nn dinamismo il sistema del Leibnitz, che considera |’
estensione come una pura astrazione ο riduce la materia alla monade, forza
semplice, originaria, differenziata in sò stessa, considerando pure l’anima
come una monade o una forza. Una moderna forma del dinamismo è 1’ energismo
(Ostwald) che considera l’energin come una vora e propria sostanza, come |’
unica resltà, © si distingue dal dinamismo perchè al concetto antropologico di
forza sostituisce quello scientifico di energia, e dal meccanismo perchè nega
la realtà della materia e la riduce all'energia. Cfr. W. Ostwald, Chemische
energie, 1893 ; Die Überwindung d. wissenschaft. Materialiemue, 1895 (v.
attiviemo, attualismo, mobilismo, meccanismo). Dinamogenesi. T. Dynamogenetisch
; I. Dynamogenetio ; Dynamogène. Generazione della forza. Deve intendersi senso
relativo, cioò il passaggio dell’ energia dallo stato potenziale allo stato
attuale; unn generazione di forza dal nulla contrasterebbe col principio della
conservazione delVonergia. Nella
psicologia dicesi logge della dinamogenesi, quella per cui ogni stato di
coscienza tende a continuarsi in un movimento. Questa legge costituisce il
fondamento dello moderno dottrine fisio-psicologiche sulla volontà, la quale si
considera come il risultato di due forze antagoDix-Dro nistiche; un movimento è
eccitato ο inibito per l'azione dinamogenetica del piacere ο inibitoria dol
dolore, secondo comporta l’esperienza per la quale l’individuo distinguo il
danno dall’ntile. Cfr. Ardigd, Opere fil., V, p. 503 segg.; VI, 213 sogg. (v.
ideeforze). Dinamometro. Strumento destinato a misurare le forze, 6 quindi il
lavoro che producono. Si conoscono varie specie di dinamometri, che si fondano
però tutti sullo stesso principio. La parte essenziale di essi è costituita da
una molla di cui si può notare la flessione; ogni forza che, applicata allo
strumento,. produce la stessa flessiono di un peso di n chilogrammi è detta una
forza di » chilogrammi. Applicando all’ apparecchio stesso un grafografo, si ha
il dinamografo, il quale traccia schematicamente il gra di forza © di tonicità
muscolare e indica il grado di perfezione del senso muscolare. Cfr. Année psyohologique,
1899, p. 337 segg. Dio. T. Gott; I. God; F. Dieu. La natura di Dio, la sua esistenza, i suoi rapporti col
mondo, i suoi attributi, farono e sono concepiti in modi infinitamente diversi
nelle varie religioni e nei sistemi filosofici. Quasi tutti, è vero, lo
considerano come 1’ Ente supremo, del quale è impossibile pensare il maggiore ;
ma quest’ Ente pnd essere concepito come creatore del mondo (creazioniemo,
emanatismo) © come un semplice ordinatore della materia, osistente ab eterno
come lui, © per il cui ordinamento si vale d’un intermediario (demiurgo); può
essere concepito come immanente al mondo, con la cui sostanza è identificato
(panteiemo), e come trascendente il mondo, du cui è sostanzialmente distinto;
si può negargli ogni azione sul mondo e sull’ uomo (deismo, epioureismo), 9 si
può farne un'entità personale, intelligente, che interviene incessantemente
negli avvenimenti naturali ed umani (teismo, proveidenca) ; si può credero in
una divinità unica e soln (monoteismo), o in vu’ unien divinità in tre persone
(triploteismo, mistero della trinità), o in dno divinità di cui una rappresenta
il prinDio 308 cipia del bene, l’altra quello del male
(dualismo, manioheiemo) ο in più divinità fornite di diversi attributi ο
gerarchicamente disposte (politeiemo); si può oredere che la sua esistenza non
abbia alcun bisogno di essere in alcun modo provata, in quanto I’ intuizione di
Dio è conereata alla nature intelligente, così da essere il fondamento e
Pinisio di ogni altra cognizione (ontologismo), ο si può soatenere I’
incapacità della ragione umana a dimostrare tale verità, che essa deve ricevere
dalla rivelazione ὁ dalla tradizione che la trasmette (rivelacioniemo,
tradisionalismo), ο si può invece dimostrarne l’esistenza sia con argomenti a
priori (ontologico, ideologico, morale) sia con argomenti a posteriori
(metafisico, teleologico ο cosmologico). Quanto al modo come Dio fu concepito
dai principali filosofi, per Socrate esso è uno, immenso, eterno, presente nel
mondo come l’ anima è presente nel corpo: esso vede nello stesso tempo tutte le
cose, comprende tutto, è presente ovunque e voglia sopra ogni cosa ». Per
Platone è l’idea del Bene, l’iden più elevata a cui tutte le altre αἱ
subordinano come mezzo © quindi la causa finale di ogni accadere. Per Aristotele
è il primo motore immobile, la forma più alta © il fine più alto, che muove
ogni cosa non per impulso meccanico ma per 1’ irresistibile attrattiva della
sua bellezza; esso è una attività che risiede puramente in sò stessa, ossia il
pensiero puro, che non richiede niente altro come oggetto ma che ha sè stesso
per contenuto sempre uguale, dunque il pensiero del pensiero; con ciò
Aristotele pone lo basi del monoteismo spiritualistico, giacchè Dio è posto
come Essore antocosciente distinto dal mondo e come I’ elemento immateriale.
Per gli stoici è la forza originaria universale, in cui sono contenute
parimente la causalità e la finalità di tutte lo cose e di tutto I’ accadere;
come forza proAuttrice © formatrice Dio è la ragione seminale, il principio
della vita cho si svolge nella molteplicità dei fenomeni, e in questa funzione
organica Dio è anche In ragione cho 309 Div crea e guida secondo uno scopo e quindi,
rispetto a tutti i processi particolari, è la provvidenza sovrana. Nel
neoplatonismo è 1’ essere primitivo assolutamente trascendente, l’unità
perfetta snperiore anche allo spirito, intinito, incomprensibile,
inesprimibile. Per S. Agostino è 1’ unità assoluta, la verità che tutto
abbraccia, 1’ Essere supremo, la suprema bellezza, il supremo bene: Prendete
questo ο quel bene particolare, 9 vedete lo stesso Bene se potete; così voi
vedrete Dio, che non è buono per un altro bene, ma che è il Bene di tutto cid
che è buono ». Per Scoto Erigena è l'essenza sostanziale di tutte le cose, i
quanto possiede in sò stesso le vere condizioni dell’ essere: Nulla di ciò che
è, è veramente in sò stesso; Dio solo, che solo è veramento in sè stesso,
dividendosi in tutte le cose, comunica ad esse tutto ciò che in esse risponde
alla vera nozione dell’ essere ». Per Nicolò Cusano è I unità di tutti gli
opposti, la coincidentia oppositorum, 1’ aseoluta realtà in cui le possibilità
sono realiszate come tali, mentro ognuno dei molti finiti è solamente possibile
in sè, ο reale solamente per lui; in ognuna delle sue manifestazioni il Deus
implicitus unico è insieme il Deus explicitus diffuso nella molteplicità, il
finito ο l’infinito, il massimo e il minimo. Per Boehme è il primo principio e
la causa del mondo, il quale non è che l’essenzialità di Dio stesso fatta
creatura; ugualmente per Giordano Bruno, Dio è la causa formale, efficiente ο
finale dell’ universo, l'artista che agisce senza interazione e trasforma il
suo interno in vita rigogliosa. Per Cartesio è 1’ ens perfeotisnimum, 1’ essere
i finito che lo spirito umuno comprende con certezza intu tiva nel suo proprio
essere imperfetto ο finito. Por Spinoza è l'essenza universale delle cose
finite, 1’ ens realissimum che consta di infiniti attributi, ma che non esiste
se non nelle cose, come loro essenza generale, e nel quale tutte le cose
esistono, come modi della sua realtà. Per Malebranche Dio è il ἔκορο degli
spiriti, come lo spazio è il Inogo Dir
310 dei corpi ; ogni conoscenza
umana à una partecipazione alla ragione infinita, tutte le idee delle cose
finite non sono che determinazioni dell’ iden di Dio, tutti i desideri rivolti
all’individusle non sono che partecipazioni all’ amore di Dio come principio
dell’ essere e della vita. Per Leibnitz è lu monade centrale, la monde suprema
nella serie ininterrotta che va dalle più semplici fino agli spiriti, e che
pere rappresenta 1’ universo in tutta la chiarezza e la distinzione. Per Fichte
è I’ Io universale assolutamente libero, l'ordinamento morale del mondo; per
Scheiermacher è l'identità del pensiero con Vessere, che, in quanto tale, non
può ossere oggetto nè della ragione teoretica nd della ragione pratica, ma che
tuttavia costituisce lo scopo ussoluto del pensiero ; per Schelling è la
ragione assoluta 0 l'indifferenza di natura e di spirito, di oggetto e
soggetto, perchè il principio più alto non può essere determinato nè realmente
nd idealmente e in esso debbono cessare tutti i contrasti; per Hegel è lo
spirito ussoluto, 1’ Idea, delle oui determinazioni il mondo è uno svolgimento.
Cfr. 8. Reinach, Der Ursprung des Gottesidee, 1912; Allen, Grant, Theevolution
of the idea of God, 1897; F. B. Jevons, L'idea di Dio nelle religioni
primitive, trad. it. 1914; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913,
passim (v. assoluto, ateismo, agnosticismo, creazione, essere, fede, fideismo,
panteismo, teismo, ecc.). Diplopia. T. Doppelsehen ; I. Diplopia; F. Diplopie.
Anomalia della visione, che consiste nel vedero gli oggetti doppi. Ciò deriva
dal mancato parallelismo degli assi visuali, per cui l’iminagine dei due
oggetti, che si produce sul centro della macchia gialla, non è quella di uno
stesso punto dell'oggetto. Dicesi unche ἀΠίοροία. Dicesi diplopia monoculare la
visione doppia degli oggetti con un solo occhio in determinate condizioni ;
secondo G. Miiller essa dipende dai diversi campi di fibre di cui si compone
ciascuno strato del cristallino; secondo Brücke dalla aberrazione di 311
Dir sfericità dello superfici dell’ apparecchio diottrico ; secondo
Verhöff dalla aberrazione stessa associata a un certo grado di astigmatismo,
Cfr. Helmholtz, Handbuch d. physiol. Optik, 2° ed. 1886-96 ; Techering, Optique
physiologique, 1898. Diritto. T. Recht; I. Right; F. Droit. In generale è tutto
ciò che è permesso, sis moralmente, sia dalle leggi scritte ο dai regolamenti
riguardanti gli atti considerati, virtà di una espressa dichiarazione o anche
del principio che ciò che non è proibito è permesso. Già l’Alighieri lo definì
come realie ot personalis hominis ad hominem proportio, quae servata hominum
sorvat socictatem, et corrupta corrumpit. Positivamente αἱ può definire come
quelY insieme di norme irrefragabilmente obbligatorie, le quali, munite di
sanzione e fatte valere dall’ autorità dello Stato, regolano le azioni degli
individui e dei gruppi sociali, allo scopo di assicurare il rispetto, la
retribuzione, il soccorso reciproco e la subordinazione delle persone nei
rapporti più importanti della vita sociale; più brevemente, il diritto è una
facoltà o pretesa cut la legge ο la consuetudine assicurano un carattere
ooattivo, per il caso che venga disconosciuta. Il diritto presuppone il dovere
e viceversa: ad ogni dovere in una persona corrisponde un diritto, il diritto
necessario per il compimento di questo dovere. Carattere essenziale di entrambi
è che implichino la responsabilità. Dicesi diritto naturale quello
assolutamente intrinseco alla natura umana, e che quindi non può esser tolto in
nessun modo; diritto positivo quello che risulta da una convenzione e non
esiste se non in forza di questa. Per diritto naturale s'intende anche il
diritto virtuale, e por diritto positivo quello riconosciuto fissato e
garantito. Il problema del diritto naturale sorge con la sofistica greca,
quando 1’ esperienza della vita pubblica e la conoscenza delle differenti
legislazioni dei diversi popoli, spinse u ricercare se esiste qualche cosa di
valido sempre ὁ dovunque; © poichè i filosofi anteriori avevano chiamato
natura, Dir 312 φὺσις, l'essenza delle cose eternamente
uguale sotto tutti i cangiamenti, così si argu) che da questa. natara sia
determinata anche una legge superiore ad ogni cangiamento © differenza, ben
distinta dai precetti fondati per convenzione umana © validi solo
temporaneamente © in un ambito ristretto. Nel diritto romano questa legge
naturale è poi definita quod natura omnia animalia doouit, e il diritto delle
genti quod naturalie ratio inter omnes homines constiinit. Per 8. Tommaso il
principio fondamentale del diritto naturale è il bisogno della socialità,
essendo l’uomo maturaliter animal sociale; lo stesso principio vale, più tardi,
anche per il Grozio, che fa consistere il jus mafurale in ciò che la ragione
conosce come in un armonia con la natura socievole dell’uomo e che quindi è deducibile
da essa. Per Hobbes il diritto naturale è la libertà che cisseuno possiede di
adoperare ad arbitrio la propria potenza per la conservazione della propria
natura, e quindi di faro tutto quelle cose, che sembrano condurre a tale scopo
: Nello stato di natura è permesso di fare a ciascuno ciò che @ lui piace;
nulla di ciò che l’uomo può fare è in sè stesso ingiusto ; 4ο una persona
danneggia un’altra, non esistendo tra esse alcun patto, si potrà dire che
quella fa torto a questa, ma non che le faccia un’ ingiustizia ». Analogamente,
per Spinoza il diritto naturale è In stessa potenza della natura: Ezistit
unuaguisque summo naturae jure, et consequenter summo naturae iure unuaquisque
oa agit, quae ex suae naturae necessitate sequuniur; atque adeo summo naturae
iure unusquisque iudicat, quid bonum, quid malum sit, suacque utilitate ex suo
ingenio consulit, seseque vindioat, et id, quod amat conservare, et id, quod
odio habet, destruero conatur. Per Locke il diritto è una potenza morale; il
diritto naturale ha tre gradazioni : ins strictum, che si esprime col comando
neminem ledere; probitas ο equità, col comando suum ouiquo tribuere; pistas col
comando honeste vitere. Per Kant e per Fichte il principio del diritto naturale
è 313
Dir la reciproca limitazione delle sfero di libertà nella vita esteriore
degli individui, cosicchè, per usare lo parole di Fichte io debbo riconoscere
in ogni caso fuori di me l'essere libero come tale, debbo cioè limitare la
libertà mia mediante il concetto della possibilità della libertà sua ».
L’Herbart fonda il diritto sopra l’iden pratica della disapprovazione che
consegue alla perturbazione dei rapporti armonici tra la propria volontà e
l’altrai; il diritto è perciò l’ unanimità di più voleri, pensato come regola
che evita i conflitti ». Per il Wundt il diritto, al pari del linguaggio, del
mito e del costume, coi quali da principio è strettamente connesso, non è il
risultato di un accordo arbitrario, ma un prodotto naturale della coscienza,
che lia la sus fonte perenne nei sentimenti © nelle tendenze suscitato dalla
convivenza degli uomini »; esso si sviluppa in tro stadi auccessivi, dei quali
il primo è quello delle intuizioni giuridiche naturali, il secondo della
codificazione, il terzo della sistematizzazione dei diritti. Secondo l’Ardigò
il diritto naturale è la stessa giustizia potenziale astratta, da cui deriva la
giustizia legale, è lo stesso ideale del diritto, solo imperfettamente
realizzato nelle singole formazioni storiche della società; il diritto naturale
corrisponde quindi alle idealità sociali universe, ossia tanto avverate già
nella coscienza umana, quanto a quello che potranno avverarsi in sèguito. Da
ciò deriva: 1° che il diritto positivo è determinato ο giustificato dal
natnrale ; 2° che il diritto naturale è imperscrivibile ed ba un valore
truscendente assoluto, corrispondendo al ralore trascendente axsoluto della
natura di cui è il prodotto; 3° che il diritto naturale è universale al pari
della natura umano, con In quale si svolge parallelamente ; 4° che il diritto
naturalo è infinito, essendo una potenzialità inesauribile nella serie e nelle
forme dei suoi svolgimenti. Esistono
varie specie di diritti: quello pubblico, che è il diritto garantito dalla
minsecia d’ una pena ο ogni sna infrazione è colpita di314 rettamente dal
Potere; quello privato, per il quale il Potere non ha azione diretta, ma che è
interesse stesso dei cittadini osservare e fare osservare; quello
costituzionale, che determina la forma politica dello Stato e i rapporti
giuridici tra i governanti ο i governati per l'esercizio della sovranità;
quello ecclesiastico, che regola materie riguardanti la Chiesa; quello
internazionale 0 diritto delle genti, che può essere pubblico o privato, a
seconda che regola i rapporti tra i vari Stati, o tra i cittadini di uno Stato
estero © lo Stato nel quale essi dimorano. Cfr. Puffendorf, De jure nature et
gentium, 1672; Lasson, Syst. d. Rechtsphilosophie, 1882; B. Brugi, Introd.
enciclopedica alle scienze giuridi. che, 1907, p. 66-194; Ardigò, Opere fil., vol.
III, p. 181-257 ; vol. IV, 173 segg.; G. Delveochio, I! concetto del diritto,
2° ed. 1912. Disamis. Termine di convenzione mnemonica, con cui nella logica
formale si designa quel modo della terza figura del sillogismo, nel quale la
maggiore e la conelusione sono proposizioni particolari affermative, la minore
universale affermativa. Es. Qualche fibra nervosa trasmette delle onde
centrifughe. Tutte le fibre nervose provengono dalle cellule. Dunque qualche
cosa che deriva dalle cellule trasmotto delle onde centrifughe. Corrisponde
all’ioéxig dei logici greci, e può essere ricondotto al Dari della prima figura
mediante la trasposizione delle premesse e la conversione semplice della
maggiore e della conclusione. Disattensione. T. Unachtsamkeit ; I. Inattention;
F. Inattention. È un complemento necessario dell’uttenzione alla quale non
possono pervenire tutti gli stimoli. Si suole distinguere la disattenzione
primitira, che è la semplice assenza d'attenzione, e la secondaria. che è
determinata dall’ essere l’attenzione concentrata sn un oggetto, ed à tanto più
forte quanto più intensa è la concentrazione dell’attenzione. Quando la
disattenzione diviene persistente © si presenta come effetto di esaurimento
nervoso assume 315 Dis carattere patologico e dicesi aprovessi 0
aprosechia; in essa I’ attonzione non può mantenersi anche per poco, e, se
forzata volontariamente, determina nel soggetto capogiri, cefaleo, vomiti, ecc.
Nei casi di demenza, come nell’idiotismo, imbecillità, ebefrenia, ece.,
l’attenzione è totalmente soppressa. Cfr. Ziehen, Leitfaden der physiol. Paychologie, 2%
ed. 1893, p. 166 seg.; Ribot, Prychologie de l'attention, 1889. Discorsivo. T. Discursir; I. Disoursive; F.
Disoursif. Si oppone a fntuitivo, per designare In conoscenza o il ragionamento
mediato, mentre la conoscenza intuitiva è quella che avviene per un atto
immediato, subitaneo, di cui il processo sfugge. Nel ragionamento discorsivo,
il pensiero passa dal principio alla conseguenza, dalle premesse alla
conolusione; nel ragionamento intuitivo, invece, il pensiero non formula alcuna
dimostrazione, © la conclusione appare immediatamente nella sua evidenza. Gli
scolastici avevano già distinto queste due forme di procedimento mentale; essi
chiamavano cognitio disoursira, paragonandola ad un movimento, quella che
trascorre da idee note a idee meno note; cognitio intuilira sia quella fatta
per la specie propria, ossia per l’imagine propria dell'oggetto stesso, sia
quella riferenteni all’ oggetto realmente presente; così è intuitica la
cognizione del sole mentre lo vediamo, e quella che i beati banno di Dio. Cfr.
Cr. Wolf, Philosofia rationalis, 1732, § 51; Wundt, Logik, 1898, vol. I, pag.
139. Discreto. T. Diskret; I. Discrete; F. Discret. Latinismo che significa
diviso, separato, e αἱ applica tanto allo spazio come alla quantità dei numeri;
in questo caso ha il valore di discontinuo. Dal punto di vista filosofico, una
grandezza è discontinua se è composta di elementi dati, mediante i quali essa è
costruita nel pensiero. Nella logien diconsi discretire quelle proposizioni
composte ed esplicite, appartenenti al tipo delle congiuntire, che esprimono
una Dis 316 distinzione avversativa; ad es. non è nuvolo
ma sereno. Diconsi anche avversative. Cfr. Logique de Port-Royal, ed. Charles,
II, 9 (v. continuo, numero, quantità). Discriminazione. T. Unterscheidung; I.
Disorimination; F.' Discrimination. Termine d’origine inglese, che indica V
atto con cni si distinguono l’uno dall’ altro due oggetti del pensiero
concreto. Si adopera specialmente nella psicologia per significare il
differente grado di intennità avvertito in due momenti di una medesima
sensazione. Per mezzo di opportuni esperimenti, la psicologia fisiologica cerca
appunto di determinare quali sieno le più piccole differenze percepibili di
sapore, di temperatura, di peso, d’ intensità luminosa, di altezza o intensità
di suono. Secondo il Bain, la discriminazione è una proprietà delle sensuzioni
muscolari, per mezzo della quale ha origine la coscienza. Essendo la coscienza
unità e differenza insieme, noi mancheremmo delle sue condizioni se avessimo
una sensazione sola o due sensazioni con un intervallo in mezzo. Cir. Bain, The senses and the
intellect, 1890; Wundt, Grundzüge d. physiol. Psychologie, 1893, I, p. 348.
Discromatopsia. T. Dyschromatopsie; I. Dyschromatopsia; F. Dyschromatopsis. Acromatopsia parziale, 0 cecità per alcuni
colori (specie il rosso, il verde ο il violetto) mentre gli altri sono
normalmente percepiti. La forma più comune della diseromatopsia è il
daltonismo, o cecità per il color rosso (v. cromatiche). Disgiunzione. T.
Disjunction ; I. Disjunction ; F. Disjonction. Carattere d’ una alternativa i
cui termini si eseludono reciprocamente. Il giudizio disgiuntivo è una forma
dei giudizi di reciproca dipendenza; la sun formola è: 4 è Bo Co D; oppure,
nella forma negativa: 4 non è nv B, nè €, nd D, Per essere valido, è necessario
che non vi siano altro possibilità oltre quelle espresse nella disgiunzione, ο,
in altre parole, che l'enumerazione disgiuntiva sia completa; e che le parti
disgiunte si escludano, cioè siano
817 Dis coordinate e non
subordinate. I sillogismi disgiuntivi sono quelli nei quali la maggiore è una
proposizione disgiuntiva ; se è categorico-dingiuntiva (A è ο Bo Co D) il
sillogismo ‘esi oategorico-diagiuntivo; ne In maggiore è ipotetico diegiuntiva
(se A è ΗΒ, oC è D, 0 E è F) dicesi ipoteticodisgivntivo. Regola comune a tutte
le forme dei sillogiemi disgiuntivi è che se la minore nega tutti i membri
disgiunti della maggiore, la conclusione nega l’antecedente della maggiore. Il
dilemma non è che un sillogismo disgiuntivo, in cui la minore negando tutti i
dne membri disgiunti della maggiore, la conelusione nega il soggetto della
maggiore. Cfr. Wandt, Logik, 1898, vol. I, p. 154 segg.; Rosmini, Logioa, 1858,
$ 445 (v. remotiro). Disgrafia. T. Dyegraphie; I. Dyographia; F. Dyagraphte.
Una delle forme dell’ amnesia verbale, che si vorifien nella demenza, nell’
alcolismo, nella paralisi. 1’ ammalate non è più capace di tracciare che una
serie di lineo incerte ed inintelligibili, oppure la sua scrittura vien
nasumendo una forma elementare, inzaccherata da continui agorbi, come nei
bambini. Dicesi disgrafia emozionale quella che non dipende da alterazioni
centrali, ma da sentimenti, come timore, soggezione, ecc., ed è transitoria al
pari di questi. Cfr. Séglas, Les troubles du langage, 1892; Lombroso, Grafologia, 1895, p.
111 segg. (v. agrafia). Dismnesia.
T. Dysmnesie: I. Dysmnesia ; F. Dyemnesic. Anomalia dolla memoria che consisto
nell’ abolizione di particolari categorie di ricordi, come i nomi propri, i
segni, i numeri, le figure e così via via. Nella paralisi progressiva essa si
verifica sempre, attuandosi secondo le leggi psicologiche illustrate dal Ribot:
1° i ricordi più recenti scompaiono prima degli antichi; 2° i ricordi più
complicati si disgregano prima dei più semplici, e quindi gli astratti prima
dei concreti; 3° le ideo scompaiono prima dei sentimenti; 4° i ricordi che più
resistono sono quolli organizzati fin dalle primo fasi dello aviluppo mentale. Dis Cfr. Sollior, Les
troubles de la memoire, 1894; Ribot, Les maladies de la memoire, 9* ed. 1904. Disparato. Lat. Disparatus; T. Disparat; F.
Disparate. Nella logica diconsi disparati due tormini, fra i quali non esiste
alcuna relazione. Però la disparatezza non si'può mai dire assoluta, potendosi
sempre trovare un qualche rispetto, sotto il quale i due concetti cessano di
essere tra loro disparati. Per Boezio i termini disparati sono quelli diversi
ma non contrari. Per Leibnitz due concetti sono disparati quando nessuno dei
due contiene 1’ altro, quando cioè non sono nella relazione di genero a specio.
Cfr. Prantl, Gesohichte à. Logik, 1855, t. 1, 686; Leibnitz, Inédita, ed.
Conturat, p. 53 ο 62. Dissociazione. T. Dissoziation ; I. Dissociation; F.
Dissociation. Alcuni psicologi distinguono dissociazione da astrazione; la
prima consiste nell’ analizzare o separare gli elementi che compongono la
percezione o la rappresentazione senza alterarne il valore; la seconda invece
nel ricavare dagli elementi stessi una nozione generale, che non può più essere
un oggetto di percezione o di rappresentazione. Si suole anche opporla alla
associazione per designare l’operazione negativa e preparatoria della
immaginazione creatrice, mentre l’ associazione è l'operazione positiva e
costruttiva. La dissociazione trovasi già in germe nella sensazione 6 nella
percezione, come prova il fatto, dimostrato dell’ Helmholtz, che nell’ atto
della visione molti particolari non vengono perccpiti, essendo indifferenti ai
bisogni della vita; ma nell’immagine tale lavoro si intensifica, ed è soltanto
dopo un’ opera incessante stinzioni, soppressioni e corrosioni, che gli elementi
dissociati di un tutto possono entrare in molte combinazioni a alla
dissociazione succede l'associazione. 11 Renda distingue tre forme principali
di dissociazione: la d. conoscitira, cho, smussando le imagini, decomponendo
l’integralità dello serio rappresentative, permette che la reviviscenza 319
Dis degli stati passati sia, in parte, una nuova creazione, e che
sintesi novelle rinnovino incessantemente il contenuto dello spirito,
elevandolo dall’angusta percezione dell’individuo alle idee astratte; la d.
effettiva, che, rompendo ‘ l'equilibrio dei sentimenti, pone alla nostra
attività nuovi valori ed imprime ad essa nuove direzioni; la d. conatira, che,
agendo sulle coordinazioni motorie, dovute ad annociazioni anatomo-fisiologiche
tra centri del sistema neuromotorio e centri del sistema neurosensorio,
permette nuovi adattamenti e nuovo serie sinergiche. Nella psicologia
patologica dicesi dissociazione il disgregarsi degli elementi della personalità
unitaria, per cui la coscienza si soinde in due coscienze separate, che
coesistono o si succedono alternativamente. L’ espressione è usata specialmente
da quei psicologi e psichiatri che considerano la nostra attività psichica
complessiva come risultante dalla continua collaborazione coordinata del
cosciente col subcosciente, dell’ io supraliminale con l'io subliminale; in tal
caso gli edoppiamenti della personalità risulterebbero dalla dissociazione
ubnorme dei processi psico-fisici coscienti dai subcoscienti, ο
dall’esaltamento funzionale di questi ultimi, in modo da costituire un nuovo
centro psichico cosciente, vale a dire una nuova personalità distinta. Altri
psicologi, fondandosi sopra la dottrina segmentale, considerano la
dissociazione della personalità come primitiva e propria di tutti gli nomini
anche in condizioni normali; essa si rivelerebbe nel dissenso che talvolta si
produce in noi tra l’io cosciente che ragiona e il subcosciente che si esprime
in forma di vaghi sentimenti, nelle ineguaglianze di carattere e di condotta
proprie specialmente dei giovani, nel fatto, illustrato da W.James, del senso
di presenza che continuamente avvertono le persone dotate di sentimento mistico
religioso. Cfr. Boris Sidis, Studies in mental dissociation, 1902 ; Myere, The
human personality, 1902; Morton Princo, The dissociation of a personality,
1906; J. Sully, Les illusione der senses Dis
320 et de l'esprit, 1889; W. James, Prinoipî di psicologia, trad. it.
1901; A. Renda, La dissociazione peicologioa, 1905. Distanza (percezione o
giudizio di). T. Abatand: I. Distance; F. Distance. Secondo la dottrina
nativista, le nostre sensazioni ci fanno apparire fin dal principio l'oggetto ©
della percezione sensibile come situato ad una certa distanza. Secondo la
dottrina genetica ο empirica, primitivamente enunciata dal Berkeley, la
percezione della distanza deriva da un'associazione che si stabilisce tra le
sensazioni e le rappresentazioni della vista, del tatto e del senso
cinestetico, associazione cho diviene poi abituale e indissolubile. Ciò è
provato dal fatto che 1’ apprezzamento della distanza rimane imperfetto nel
bambino fino al secondo o terzo anno, e che i ciechi nati, sppena operati, non
sono assolutamente capaci di apprezzarla. In codesta valutazione la base è nel
senso tattile e nelle sensazioni muscolari che vi si accompagnano: la distanza
è data per noi dalla serio più o meno grande di sensazioni cinestetiohe che noi
proviamo quando moviamo le nostre mani ο il nostro corpo intero verso un
oggetto. À queste poi si associano le sensazioni del movimento che gli occhi devono
fare per accomodarsi agli oggetti più ο meno lontani. Cfr. Bérkeley, Theory of
vision, 1709; W. James, Perception of space, Mind », 1887; Höffling,
Peyohologie, trad. franc, 1900, p. 254 segg. Disteleologia. T. Dysteleologie. Significa in generale
mancanza di finalità. L’ Haeckel chiama così la dottrina darwiniana degli
organi rudimentali, perchè essa, dimoatrando I’ esistenza di organi che si sono
atrofizzati perchè non compiono più alcuna funzione, prova che gli organi
stessi ‚non esistono per un fine predeterminato, ma sono creati dall’ esercizio
ο che quindi la dottrina delle cause finali (feleologia) è insussistente. Cfr.
Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 359 segg. Distinto. T.
Verschioden, Deutlich; I. Distinot; F. Diatinot. Intrinseenmente è distinto ciò
di eni lo spirito vedo 321 Dis nettamente tutti gli elementi
costitutivi, e in senso proprio si dico della visione ὁ delle imagini visuali.
Nella terminologia cartesiana è chiara una conoscenza che è presente e
manifesta a chi la considera con attenzione; è distinta invece la conoscenza
che non contiene nulla più di ciò che è chiaro, che è quindi precisa e
differente da tutte le altre. Peroid a chiaro si oppone osewro, a distinto
confuso; unn idea è confusa quando può essere scambiata con altre, come avviene
delle idee complesso; ma l'essere confusa non esclude che possa essere chiara,
mentre non può mai essere distinta senza essere chiara. Cfr. Descartes, Princ.
phil., I, 43. Distinzione. T. l’atersohoidung, Verschiedenheit; I. Distinction;
F. Distinotion. Questo termine ha, nella logica, vari significati. Innanzi
tutto designa quella forma di definiziono approssimativa esplicativa, che si
adopera per quei concetti che sono, per qualsivoglia ragione, propriamente
indefinibili, e dei quali, quindi, non si può far altro che distinguerli dai
concetti affini. Il modo migliore della dizione è l'opposizione coi simili,
purchè il concetto negativo ο il positivo abbiano lo stesso genere prossimo ο
Puno sia determinato dalla negazione della diferensa dell'altro, Es.: le
parallele sono rette, che giacciono sullo stesso piano e prolungate
indefinitamente dai due lati, non # incontrano mai. In senso analogo
intendevano In distinzione gli scolastici, per i quali però essa aveva un uso
essenzialmente dialettico: essi infatti chiamavano distii zione l’ operazione
per cui, prima di rispondere ad un dato argomento nel quale si era adoperata
una parola in doppio senso, si distinguono questi due sensi e si definiscono
esattamente, e poi si mostra come la conclusione, vera per un senso, non
conviene per l’altro, o come è falaa per entrambi i sensi e non sembrava vera
che a motivo della confusione. Per ricordare questo genere di risposta, gli
scolastici avevano fatto questo verso: Diride, defini, con21 Ranzoti, Dizion, di scienze filosofiche.
Dis 322
cede, negato, probato. Descartes,
e prima di lui gli scolastiei, ennmeravano due forme di distinzione: la
distinzione di ragione, cioè quell’ operazione mentale per cui si considerano
separatamente cose che nella realtà sono unite ed inseparabili; la distinzione
reale, che è quella che si fa negando uns cosa di un’altra, ed esiste nelle
cose stesso, indipendentemente cioè da ogni operazione mentale; questa seconda
distinzione aveva tre specie; da oosa a coda, come da Dio all’ uomo, da modo a
modo, come da bianco à nero, da modo a cosa come da corpo a movimento. Nel sistema filosofico dell’ Ardigò la legge
della distinzione è la legge suprema di ogni formazione naturale. Tanto nella
psiche come nel cosmo, l'evoluzione formativa consiste in un passaggio
incessante da un indistinto a un distinto, che in quello era contenuto; quindi
ogni momento della fase evolutiva è un «distinto verso la precedente e un
indistinto verso la susseguente; e risalendo indietro per le diverse fasi che
si sono succedute, si trova sempre che l’ ultimo è una distinzione sul
precedente, all’ infinito. Così tutte le formazioni distinte dell’attuale
sistema solare sono ottenute mediante la distinzione da un unico indistinto
primitivo (nebulosa) donde a poco a poco emersero e nel cui seno giacevano; e
tutta la ricchezza del contenuto psichico della coscienza individuale è un
distinto operatosi a poco a poco coll’ esperienza del primitivo indistinto, con
cui s’ inizia la vita psichica di ogni individuo. Ma questi indistinti
primitivi non sono tali che relativamente; infatti la stessa nebulosa solare
apparisce formatasi da un tutto immensamente più grande, }’ universo, ed è un
distinto rispetto ad un indistinto che le sta sopra, dal quale procode: 1’
indistinto supremo dato dall’ assoluta uniformità fondamentale della materia e
della forza, che è quindi medesimezza e continuità; 1’ indistinto, in un altro
senso, della continuità dello spazio e del tempo, in quanto la mutazione della
materia implica la continnità dello spazio, e lo sviluppo della forza
rappresenta Ja con 323 Dis-Div tinuità
del tempo. Da ciò consegue che ogni cosa ο fatto, compresa la rappresentazione
psicologica, è contenuta nel continuo dello spazio e del tempo, ed è rappresentata
dal punto d’intersecazione di due linee infinite, la linea dello spazio e la
linea del tempo. Cfr. Descartes, Princ. phil.,I, 60; Goolenio, Lezicon phil.,
1613, p. 595; Ardigò, Opere fil., IT, 81 segg.; III, 437 segg.; IV, 43 segg.;
VI, 190 segg.; Espinas, La phil. expérimentale en Italie, 1880, p. 81 segg. ;
Hòffding, Philosophes contemp., trad. franc. 1908, p. 37 segg. Distributivo.
Lat. Distributéous; T. Distributin; I. Distributico; F. Distributif. Si oppone
a collettivo ed indica ciò che è comune ad una pluralità di individui ed
appartiene a ciascuno di essi, mentre collettivo indica ciò che è comune ad un
insieme determinato di individui ed è una proprietà del gruppo. Dicesi perciò
giustizia distributiva quella che riguarda i rapporti fra i singoli cittadini
di uno Stato e la distribuzione dei beni comuni da condividere, che si debbono
distribuire proporzionatamente ai meriti. Diteismo. Sistema religioso che
consiste nell’ ammettere l’esistenza di due divinità, rappresentante I’ una il
principio del bene, l'altra il principio del male, ugnalmente primitivi ed
eterni. La lotta continua tra queste due divinità, e il prevalere dell’ una o
dell’ altra, spiega I’ esistenza del bene e del male nel mondo: Secondo
l’Ardigò, il diteismo rappresenterebbe il secondo periodo dell’ evoluzione
religiosa. Cfr. Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 73 (v. catari,
dualiemo). . Divenire. Lat. Fieri; T. Werden; I. Becoming: F. Devenir. Si
contrappone ad Essere inteso come ciò che permane immutato, e designa lu
mutazione, il cangiamento, la serie dei passaggi da uno stato all’altro. Il
problema se la realtà consista nel rimanere o nel mutarsi, nell’ Essere o nel
Divenire, fu già posto dai primi filosofi greci. Secondo Parmenide ο In senola
elentica, soltanto I’ Eanore Div 824 _ è
reale, quindi il non-Essere non è possibile, come non è possibile il diventare;
I’ Essero è unico, eterno, infinito, semplice, immutabile, indivisibile; esso è
il sostrato del cangismento, la sostanza che rimane mentre le qualità mutano.
Secondo Eraclito, invece, il reale consiste nel mutarsi, nel trasformarsi
continuamente, nel Divenire ; la permanenza dell’ Essere non è che pura
illusione; la realtà è come un fiume che sempre scorre. L’ antica disputa tra
eleati e eraclitei fu rinnovata nei tempi moderni dall’ Hegel © dall’ Herbart:
questi negò il Divenire in quanto credette implicasse la realtà del nulla;
quello negò l’ Essere, ponendo l’ equazione: Essere affatto indeterminato ==
non-Essero. Si prenda il divenire, dice Hegel, ciascuno può rappresentarselo.
Si accorderà che, quando lo si analizza, vi si trova la determinazione
dell'essere, come anche del suo contrario, il nulla; si accorderà infine che
queste due determinazioni si trovano riunite in una sola e medesima
rappresentazione. Il divenire è, quindi, l’unità dell’essere e del nulla». Il
divenire sarebbe soppresso se si ammettesse la verità del principio che nulla
può renire dal nulla; ma Hegel considera tale proposizione come fondata
sull'identità astratta dell'intelletto: Non sarebbe difficile provare che
l’unità dell’ essere © del nulla si trova in tutti gli avvenimenti, in tutti
gli ogguiti 9 in tutti i pensieri. Bi deve dire, dell'essere e del nulla....
che non v’ha nessuna cosa nel cielo e sulla terra che non li contenga entrambi.
Quando si parla d’una cosa reale, queste due determinazioni, essere ο nulla, vi
si tradncono mediante l'elemento positivo ο l'elemento negatiro ». Cfr.
Platone, Cratyl., 1402 A; Aristotele, Metaph., IV, 5, 1010 a, 12 segg.; Hegel,
Encicl., § 88 segg.; Logik, $ 88, 89 (v. cangiamento, mobilismo, essere, nulla,
ente). Divergenza (legge della). 'T. Divergenz; 1. Divergence; F. Divergence.
Una delle leggi che ai verificano nell’ evoluzione del mondo organico, per In
quale In molteplicità Div e la varietà
delle forme viventi s’ à venuta costantemento aumentando dai tempi più remoti
sino al presente. Dicesi divergenza personale quella che intercede tra gli
organismi © conduce alla formazione di nuove apecie ; essa ha origine dalla
divergensa dei tessuti, per cui da cellnle primitivamente uguali si sviluppano
tessuti disuguali; e la divergenza dei tessuti si basa a sua volta sulla
divergenza cellulare, che ha origine dal fatto fisiologico della divisione di
lavoro delle cellule stesso (v. convergenza). Diverso. Gr. “Etepoc; Lat.
/τεγονο; T. Versohioden ; I. Divers; F. Divers. Nel senno aristotelico il
diverso è tutto ciò che, essendo reale, non è identico. Gli scolastici dicevano
primo-dirersa quelle cose che non convengono in nessun genere, tranne in quello
universalissimo dell’ essere; diversa © differentia solo numero le cose che
hanno entità diverso in una specie medesima, come gallo e gallinn; diversa ο
differentia εροοίο le cose che hanno diverse definizioni essenziali nello
stesso genere, come, nel genere animale, l’uomo e il bruto; diversa o
differentia genere quelle che si classificano in predicamenti diversi, come il
coraggio e la pietra. Distinguevano poi la diversitas physica, che nei termini
delle proposizioni negative, in quanto dire con verità che l’una cosa non è
l’altra, dalla diversitas logica, che si ha in quei termini delle proposizioni
affermative i quali, sebbene non differiscano da parte della cosa indicata,
pure vengono intesi sotto nn concetto differente. Alcuni distinguono il diverso dal differente,
ii quanto, pure implicando una differenza intrinseca ο qualitativa fra due
oggetti, non determina lu specie o il grado della differenza stessa. Cfr.
Aristotele, Mefaph., V, 10, 1010 b, 1 seg.; Crist. Wolff, Ontologia, 1736, $
188 (v. alterità, altro, differente, indiscernibili). Divinità. T. Gottàeit; I.
Dirinity; F. livinitd. Si adopera quasi sempre come sinonimo di Dio; tuttavia
alcuni distinsero il significato dei due vocaboli, intendendo col Divprimo 1)
essenza divina e col secondo Dio in quanto essere personale. Tale distinzione
trovasi ad es. in Eckhart, per il quale la Divinità, causa prima di tutte le
cose, trascende V esistenza ο la conosgenza, manca di ogni determinazione, è il
niente; essa si rivela nel Dio unitrino, e il Dio esistente e conoscente crea
dal nulla le creature, le cni idee egli conosce in sè, perchè questo conoscere
è il suo creare. Questo processo di autorivelazione appartiene all’ essenza
della Divinità, la quale, come essenza creatrice, non è reale se non in quanto
conosce sè stessa in Dio e il mondo come realtà creata. Cfr. Stöokl, Geschichte
d. Phil. des Mittelalters, 1864-66, vol. II, p. 1098; Leibnitz, Monadologie,
47. Divisibilità. T. Theilbarkeit; I. Dirinibility; F. Divi sibilité. La
proprietà di un essere di poter venire scomposto in un certo numero di parti.
Si suol distinguere la divisibilità fisica dalla matemation: questa, essendo
una pura operazione mentale, non ha limiti assegnabili ed è quindi indefinita;
quella invece è definita, ciod può avere dei limiti, arrivando un punto in cui
non è più praticabile. Secondo l’atomismo la divisibilità dei corpi è
concretamente limitata, in quanto essi consistono di parti ultime indivisibili,
atomi. Per Cartesio, dalla incapacità del nostro intelletto a rappresentarsi
una divisibilità i finito, non segue che essa non debba realmente darsi.
Secondo Spinoza la sostanza infinita è indivisibile, e non si può concepire con
verità nessun attributo della sostanza, dul quale risulti che la sostanza possa
essere divisa »; infatti, la sostanza così concepita sarebbe divisa in parti,
che © conserveranno la natura della sostanza, 0 non la conserveranno: nel primo
caso ogni parte dovrebbe essere infinita, e causa di ad, ο costituita da un
attributo speciale, cosicchè da una sola sostanza si potrebbero costituirne
molte, il che è assurdo, e di più le parti così ottenute non avrebbero nulla di
comune col tutto da cui provengono, e il tutto potrebbe esistere secondo lo suo
parti; nel 827 Div socondo caso ne risulterebbe che,
dividendo tutta In sostanza in parti uguali o disuguali, essa perderebbe la
natnra della sostanza ο cesserebbe di esistere. Secondo Hobbes lo spazio e il
tempo non sono divisi all’ infinito, ma si dà soltanto un minimum divisibile.
Secondo Leibnitz il continuo è divisibile all’ infinito, cosioch® non esistono
atomi ma monadi spirituali inestese. Berkeley combatte l’idea della
divisibilità infinita, perchè è una palese contraddizione dire che una
estensione o una grandezza finita constino di infinite parti »; quando noi
diciamo che una lines è divisibile all'infinito, intendiamo solo una linea di
lunghezza infinita. Kant rappresenta il dibattito sotto forma di antinomis, la
seconda delle antinomie della ragione: tesi: ogni sostanza composta consta di
parti semplici, ο non esiste nel mondo che il semplice 0 ciò che di esso si
compone; antitesi: non esiste alcuna cosa semplice nel mondo. Kant risolve
questa, al pari della precedente antinomia, affermando che spazio, tempo,
semplicità, complessità sono soltanto determinazioni che hanno valore per la
cosa in quanto fenomeno, cosicchè il principio del terzo escluso perde il suo
valore quando si faccia oggetto della conoscenza qualche cosa che non può mai
diventar tale, come 1’ universo. Cfr. Aristotele, Phye., III, 7, 207 b;
Spinoza, Ethios, 1. I, teor. ΧΙΙ, x11; Hobbes, De corp., ο. 7, 13; Berkeley,
Prinoipl., ΟΧΧΙΝ segg.; Kant, Krit. d. reinne Fern., ed. Reolam, p. 360 seg.,
411 segg. . Divisione. Gr. Ataigesig; Lat. Divisio; T. Hinteilung : 1.
Division; F. Division. L'operazione logica per mezzo della quale si determina
l’ estensione di un concetto, enumerando gli oggetti a cui si riferisce. Essa
consiste in una proposizione in cui il soggetto (dividendo) è il genere, e il
predicato 1’ enumerazione delle specie contenute sotto quel genere. Perchè
l'operazione sia perfetta, occorre che i membri dividenti esauriscano tutta
l'estensione del diviso e che il concetto da dividersi possegga una nota, detta
funDiv-Doc 328 damentum divisionis, la quale sia
suscettibile di varietà. So questo fondamento è preso tra le note essenziali
del concotto, la divisione dicesi naturale, so è preso tra le accidentali
artificiale. Dicesi divisione del lavoro
1’ organizzazione economica in cui il lavoro totale da compiere è ripartito tra
i cooperatori, in modo che ciascuno compin sempre uno stesso genere di lavoro,
per il quale acquista così una abilità particolare. Il Rosmini chiama sofisma dell’ assurda
divisione quello in cni cadde Zenone quando sostenne che, se un moggio di
miglio cadendo in terra manda rumore, dove mandarlo anche ogni granello di
miglio; ed il Leibnitz. quando pretese che, se peroepiamo il fragore del mare,
dobbiamo percepire anche quello d’ ogni goccia d’acqua che lo compone. Cfr. Hamilton,
Lectures on logic, 1860, 11, 32 segg.; Wundt, Logik, 1898, II, p. 40; Rosmini,
Logica, 1853, pe 384 κ. (v. sorito, nota, dicotomia, tricotomia, suddivisione,
codivisione). Divisivi (giudizi). Forma di giudizio composto, che esprime la
risoluzione completa del concetto del soggetto nelle sue parti; ad es. i
lingnaggi sono parte monosillabici, parte agglutinanti, parte a flessione.
Possono essere divisivi anche i giudizi ipotetici, e tanto nell’ ipotesi come
nella tesi, indicando nel primo modo in quanti casi la tesi è vera, nel secondo
a quale condizione è sottoposto nn certo numero di cose o di eventi: es. 1° se
un uomo sente rimorso per il male e compiacimento per il bene fatto, è
responsabile delle proprie azioni; 2° se un animale è vertebrato, possiede uno
scheletro interno cartilaginco od osseo, una colonna vertebralo, un tubo
intestinale complesso, sangue rosso che circola entro vasi e simmetria
bilaterale evidente. Docta ignorantia. Espressione resa celebre da Nicola
Cusano, per il quale l’uomo, di fronte alla vera essenza delle cose non
possiede che congetture, cioè solo i modi di rappresentazione che scaturiscono
dalla sua propria natura; 329 Dor la conoscenza di questa relatività di
tutte le affermazioni positive, il sapere del non sapere, come primo gradino
della dotta ignoransa, è l’unica via per arrivare alla comunione conoscitiva
inesprimibile, indesignabile, immediata con I’ Essere vero, cioè con la
divinità. Dio infatti, mancando di attributi positivi, non può essere
conoscinto che in questo modo: 44 hoc ductus sum, ut inoomprohensibilia
incomprehensibiliter amplooterer in doota ignorantia.... Supra igitur nostram
apprehensionem in quadam ignorantia nos doctos case convenit. Perciò la doota
ignorantia è la perfoota soientia. L'espressione era già stata adoperata da 8.
Agostino, 8. Bonaventura e in genere da tutti i teologi che, nella
determinazione dell'essenza divina, adottavano la teologia negativa. Cfr. N.
Cusano, De doota ignorantia, ed. P. Rotta, 1913, 1, 26; II pref.; III, peror.;
P. Rotta, Il pensiero di Niccolò da Cusa nei suoi rapporti storici, 1911 (v.
agmostiolemo, Dio, teologia). Dolore. T. Schmerz; I. Pain; F. Douleur, Uno dei
due poli opposti del sentimento, il quale si manifesta sempre sotto forma di
piscere o di dolore e nel numero infinito degli stati intermedi che li
ricongiungono. 11 dolore’ e il piacere, essendo dati immediati della coscienza,
sono per sè stessi indefinibili; soltanto se ne possono stabilire le cause 6 le
condizioni. In generale, il dolore dipende dalla intensità degli stimoli;
quando l’ eccitazione è troppo intensa, cosicchè essa passa il limite di
adattamento dell’ dividno, si ha uno stato di dolore determinato dall’
alterazione dei tessuti. Oltre che da eccesso di funzione, il dolore può essere
anche determinato da innzione di un organo, cioò da mancanza di funzione ; lo
Spencer ha chiumato questo dolore negativo, il primo dolore positivo. Va notato
però che, mentre per alcuni psico-fisiologi, Lotze, Wundt, Richet, ecc., gli
stessi nervi ed organi di senso che servono per le sensazioni cutanee sono
capaci di destare sensazioni di dolore, per ultri, come Milnsterberg, Frey,
KieDor. 330 sow, esistono invece nella cute terminazioni
nervee speciali, © nel sistema nervoso centrale apparati sensitivi distinti per
le sensazioni di dolore. Gli studi più recenti tendono à far prevalere quest’
ultima dottrina, che si bass specialmente su queste constatazioni : a) nell’
uomo può scomparire per cause anormali la sensibilità dolorifica, restando
integre le altro modalità specifiche del senso cutaneo ; d) alcune regioni
della cute mancano del tutto di punti dolorifici, tantochè non reagiscono con
sensazioni di dolore neanche con l'applicazione di stimoli meccanici od
elettrici assai intensi; ο) la soglia della sensibilità per gli stimoli
dolorifici è diversa, ossia più alta o più bassa, di quella per gli stimoli
meccanici. La sede anatomica del dolore sarebbe, secondo alcuni, il midollo
allungato, secondo altri il midollo spinale: ad ogni modo, per avere una
sensazione di dolore è necessario che l’ eccitazione sia trasmessa nd un centro
nervoso da una fibra afforente; ove queste fibre mancano (cervello, polmoni,
ecc.) si può avere qualsiasi alterazione senza che ossa sia avvertita come
dolore. In gonerale, i tessuti organici interni posseggono una sentà al dolore
minore degli esterni. Il dolore suscitato du uno stimolo lungo il decorso di
una fibra, viene riferito alla periferia, e non solamente allo parti malate ma
anche alle vicine; questa proprietà di érradiarei del dolore, ne rende
difficile la localizzazione. Diconsi appunto dolori riflessi quelli
erroneamente proiettati alla superficie corporea dagli organi interni malati;
questo fatto, già osservato dal Lange, fu ampinmente studiato dallo Head, che
formulò la legge seguente: Quando uno stimolo doloritieu viene applicato ad un
punto poco sensibile, il quale sia in intima connessione centrale con un altro
punto più sensibile, il dolore che si desta è sentito più intensamente nella
sede di maggiore sensibilità, invece che là ove la sensibilità è minore © in cui
lo stimolo fu effettivamente applicato ». Le principali modificazioni
fisiologiche accompa 331 Dom guanti il
dolore sono: diminuzione delle fanzioni vitali, rallentamento dei battiti del
cuore, turbamento delle funzioni digestive, brevità delle inspirazioni, arresto
dei movimenti v agitazione motoria. Però la sensibilità dolorifien non è uguale
in tutti gli animali; alcuni negano che essa esista negli infimi, mentre è
certo che aumenta proporzionalmente all’ elevarsi della loro struttnra fino a
raggiungere il suo massimo nell’ uomo; perciò il dolore è considerato come una
funzione della intelligenza, una sovrapposizione psichica ai riflessi
protettivi subcoscienti. La distinzione comune tra dolore fisico e dolore
morale si considera illegittima, essendo entrambi da un lato fatti fisici e
organici (in quauto anche il dolore morale implica un processo fisiologico
corrispondente) e dall’ altro fatti psichici, in quanto non sono conosciuti che
come stati di coscienza. La sola differenza è nella complessità: il primo
infatti è semplice ο risulta da sensazioni immediate (ad es. il dolore dei
denti), il secondo è inveoe indiretto e accompagnato da un certo numero di
rappresentazioni e di ricordi (sd es. il rimorso). Cfr. Wundt, Grundries d.
Psyohol., 1896, p. 55; Killpe, Grundriss d. Peyohol., 1893, p. 93; Kiesow e
Penzo, trchi für Payohologie, vol. XVI, 1910; Höffäing, Peyohologie, trad.
franc. 1900, p. 294 segg.; Penzo, Atti della R. Aco, delle Scienze di Torino,
vol. LXV, 1911; I. Ioteyko, Peycho-physiologie de la douleur, 1908 (v. piacere,
male, sentimento). Domma (da δόγμα, che significava da principio semplicemente
opinione plausibile e poscia le decisioni politiche dei re o delle assemblee
popolari). T. Dogma; I. Dogma; F. Dogme. Nel suo significato comune questa
parola designe una opinione imposta da un'autorità collocata al di fuori © al
di sopra d’ogni critica e d'ogni esame. Nella religione cristiana il domma è
una verità rivelata ds Dio © come tale direttamente proposta dalla Chiesa alla
nostra credenza. La rivelazione, sorgente del domma, è sia quella Dom 332
completamente esplicita, manifestante la verità divina nel suo proprio
concetto, sie quella parzialmente esplicita ο implicita, che contiene οἱοὺ le
verità stesse come parti costitutive ina non le fa conoscere formalmente.
Perchè una verità rivelata sin un domma, deve essere proposta direttamente da
una definizione solenne della Chiesa o dall’insegnamento del sno magistero
ordinario 6 universale; suo carattere fondamentale è l’immufabilità, per cui
deve ri. manere fino alla fine dei tempi senza subire nel suo contenuto alcuna
modificazione sostanziale. Essendo comunicato al? uomo da Dio stesso. il domma
fornisce una conoscenza obbiettiva delle verità divine. Contro questo carattere
di obbiettività, lo Schleiermacher prima, poi il Ritschl, il Sabatier, ece.,
sostennero che la rivelazione divina è in ogni uomo un fatto di esperienza
intima, e il domma un’ imagine ο un simbolo che traduce approssimativamente i
sentimenti dell’ individuo ο esprime, In via media, le impressioni degli
individui formanti una comunità, ed è quindi essenzialmente mutabile. Tra i
cattolici, il Loisy considera i dormi como una semplice interpretazione dei
fatti religiosi e la riveluzione come la coscienza acquisita dall’ uomo dei
suoi rapporti con Dio; il Laberthonnière ammette l’esperienza religiosa come
sorgente prima di tutte le verità religiose e considera la rivelazione come una
conoscenza di Dio nella nostra stessa realtà vivente; il Le Roy attribuisce al
domma un puro senso negativo, in quanto esso esclude © condanna certi errori
piuttosto che non determini certe verità, e un valore essenzialmente pratico,
in «quanto enunoia delle prescrizioni di condotta. Cfr. G. Goyan, L'Allemagne
religieuse, 1898, p. 96 segg.; Loisy, Autour Wun petit livre, 1903, p. 195
segg. ; Id., Quelques lettres den questione actuelle, 1908, p. 162;
Laberthonnière, Essai de phil, religieuse, 1908, p. 120; Le Roy, Dogme et
critique, 1907, p. 6-15; Ch. Guignebert,
L’érolution dee dogmes, 1910 (v. fideimno, immanentiemo, modernismo,
ecc.). 338 Dom Dommatica oristiana. È 1’ insieme dei
dommi su cui poggia la religione cristiana, e che vennero preparati, definiti ο
sviluppati dai Padri della Chiesa, dai Concili o dai Papi. Essi si possono
ridurre a tre fondamentali: Gesù è uomo e Dio; Dio è uno e trino; l’uomo,
caduto per effetto del peccato, è redento per mezzo della grazia. Gli altri
dommi non hanno che una importanza secondaria ο sono semplici corollari di
questi tre. Dommatismo. T. Dogmatismus; I. Dogmatiem ; F. Dogmatisme. Nel
linguaggio comune indica la tendensa a considerare come assolutamente vere le
proprie opinioni, a non accettare su di esse alcuna discussione, rigettando a
priori come false tutte le opinioni opposte.
Inteso come metodo, il dommatismo consiste nel partire da principii
aprioristiei, sui quali non si ammette dubbio nd discussione, e ricavarne delle
conseguenze senza curarsi se sono 0 no d’accordo coi fatti e con l’esperienza.
Questo metodo fu in onore specialmente nella filosofia scolastica. Nella dottrina della conoscenza si adopera il
termine dommatiemo in opposizione a sosttioismo © misticismo ; il primo, cioè
il dommatismo, ammette la possibilità della scienza, vale a dire la possibilità
di conoscere la realtà qualo essa è; il secondo la pone in dubbio e crede
quindi che l’ uomo debba astenersi da qualsiasi affermazione; il terzo afferma
che la verità è bensì conseguibile dall’ uomo, ma purchè egli, abbandonato I’
uso della ragione, sappia assorbirsi tutto nella contemplazione della divinità
(cioè della verità suprema) perdendo il sentimento della propria esistenza. Il
oriticismo, sorto con Emanuele Kant, ruppresenta un’ attitudine intermedia tra
il dogmatismo ο lo scetticismo : la critica, dice Kant, non è opposta al
procedimento dogmatico della ragione nella conoscenza pura in quanto
scienza.... ma al dogmatismo, cioè alla pretesa di avanzarsi in una conoscenza
pura ricavata da semplici conoetti (la conoscenza filosofica) appoggiandosi su
principî che In ragione impiega Dor 334 da lungo tempo, senza ricercare in qual modo
e con quale diritto essa è arrivata ad affermarli ». Alonni distinguono il dogmatismo propriamente
detto, positivo, dal dogmatismo negativo, ο scetticismo; la filosofia antica è
sempre dogmatica, in un senso © nell’ altro, © in ciò si distinguo dalla
filosofia moderna. Dicesi dogmatismo
morale quella forma di prammatismo sentimentalistico, la quale afferma che:
tutte le nostre conoscenze spontanee sono l’ espressione dei nostri desideri,
delle nostre azioni ; tali conoscenze servono a proporre alla nostra attività
morale dei problemi che, secondo la solazione volontariamente scelta,
determinano dei nuovi stati, una nuova attitudine intellettuale; il valore
metafisico o realistico della nostra conoscenza è dunque legato alla maniera
morale con cui noi ci comportiamo riguardo ad esseri, che non subordiniamo al
nostro egoismo, ma trattiamo come fini in sò atessi. Cfr. Ch. Wolff, Philos.
rationalis, 1732, § 40; Kant, Arit. d. reinen Vern., ed, Reclam, p. 46 segg. ;
Laberthonnière, Le dogmatieme moral, in Essais de phil. religieuse », 1908, p.
76 (v. oriticismo, neooritioiemo, realismo, idealismo, solipeiemo, conoscenza,
ecc.). Dottrina. T. Lehre; I. Dootrino; F. Doctrine. Nel suo significato più
generale designa il complesso degli insegnamenti d’ uno scienziato, d’ un
filosofo ο d’ una scuola acientifica o filosofica, Si distingue perd da
sistema, che è un organismo ideale in cui le parti sono logicamente coordinato
fra loro 9 subordinate ad un principio generale, e da teoria, che ha valore
propriamente speculativo mentre la dottrina può averne anche uno pratico. Kant distingue In dottrina dalla critica:
questa ha per oggetto di determinare il valore e la portata delle nostre conoscenze
a priori, ossia puramente razionali; quella le raccoglie in un sol tutto e le
coordina in un sistema. La dottrina si distingue alla sua volta in metafisica
della natura, che considera i principi della ragione nella loro applicazione al
mondo esteriore, © metafisica dei costumi, cho li considera mella loro
applicazione alle nostre azioni. Nella dialettica trascendentale Kant dimostra
che nè la psicologia razionale, nd la teologia razionale, nè la cosmologia
razionale sono possi bili come dottrine ma soltanto come discipline, poichè sin
V idea psicologica, che la teologica e la cosmologica sono principi regolativi,
non mai costitutivi. Nella teologia per
dottrina s'intende: a) oltre l’ insieme delle verità dogmatiche, anche 1’
insegnamento non rivelato, oggetto non di un atto di fede ma di assentimento
fermo, che la Chiesa definisce come necessario per la difesa ο 1’ esplicazione
delle verità rivelate; 5) ciò che la Chiesa non definisce esprersamente, ma
solo loda o raccomanda come utile per la proposizione dell’ insegnamento
rivelato. Cfr.
Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 18 segg. Dovere (τὸ dioy= l’obbligatorio). T. Pflioht ; I. Duty; F.
Devoir. Non è altra cosa che
l'obbligazione morale, ο, come tale, è implicito nell’ idea di giustizia, in
quanto questa ha una efficacia diretta sul soggetto. In senso concreto un
dovere è una regola determinata d'azione, una obbligazione definita. Nella
storia della filosofia il concetto del «dovere comincia ad essere determinato
con gli stoici; esso si presentò loro necessariamente, in quanto riconducevano
l’attività particolare alla legge generale della natura e quindi l’attività
appariva prescritta dalla legge. Essi distinguevano due specie di doveri,
assoluti © medi, corrispondenti alle due specie di beni: quantunque solo il
bene sia comandato incondizionatamente, tuttavia può essere moralmente’
consigliabile anche ciò che è desiderabile. Dico Cicerone: Porfeotum ofleium
rectum, opinor, vocemus, quoniam Grasci κατόρθωμα, hoc autem commune officium
vocant. Atque ea sic definiunt, ut rectum quod sit, id officium perfeotum esse
definiunt; medium autem officium id ease dicunt, quod cur faotum sit, ratio
probabilis reddi posit. La più comune ed antica classificazione dei doveri è
quella fatta a seconda dei loro oggetti: verso noi stessi, verso i nostri
simili, verso Dio. Fra i primi sono quelli verso la nostra integrità fisica ο
psichica, verso la nostra costituzione organica, intellettuale, morale; fra i
secondi, quelli verso la famiglia, verso la società, verso lo Stato, o di
fratellanza morale verso le altre nazioni, cioè doveri internazionali. Altra
classificazione importante è quella in doveri atretti ο perfetti, © doveri
larghi ο imperfetti; i primi sono quelli che non lasciano alcuna libertà nella
applicazione, i secondi quelli la cui applicazione è lasciata invece all’
apprezzamento dell’ individuo. Si distinguono anche i doveri positivi, che
consistono in azioni che si devono compiere, dai negativi, azioni da cui si
deve astenersi. Ricordiamo infine la distinzione fondamentale fra doveri giuridici,
che sono imposti dalle leggi, si appoggiano sulla forza, ed hanno una sanzione
definita nelle leggi punitive, e doveri morali, che hanno una sanzione
indefinita nella pubblica opinione © nella coscienza dell’ individuo. Dicesi
materia 0 contenuto del dovere l’atto che si deve compiere, e forma il
carattere di necessità pratica che tale atto riveste nella nostra coscienza.
Per Kant la materia del dovere si deduce dalla sua forma; il dovere è infatti
la necessità di faro un'azione per rispetto alla legge, ο dn qui sgorga la
suprema legge morale, ossia 1’ imperativo categorico, cho si formula così:
agisci in modo che la massima della tua azione possa diventare una norma
universale di condotta. Ma perchè siavi una legge che comandi senza eccezione,
occorre che siavi in natura qualche cosa di valore assoluto, che cioè si
imponga sempre come fino; tale è l’uomo, unico essere ragionevole della natura;
perciò l'imperativo categorico si modifica così: agisci in maniera da trattar
sempre I’ umanità come fine, sis nella tua che nell’ altrui persona, © dn non
servirtene mai come mezzo, Occorre ancora che la volontà dia la legge a sò, sia
autonoma, perchè solo a tal patto accetterà la legge senza alcun altro
interesso; da ciò la terza formola doll’ imperativo categorico : opera in
modo 337
Dua che la tua volontà possa considerare sè stessa come dettante, con le
sue massime, leggi universali. Per Fichte V’Io è la volontà morale e il mondo è
il materiale sensibile del dovere, ossia tale che in esso noi possiamo essere
attivi; quindi non l'essere è la causa dell’ agire, ma per l'agire 1’ essere è
sorto, ο tatto ciò che è non pnd concepirsi se non per ciò che dere essere: L'unico
sicuro e definitivo fondamento di tutte le mie conoscenze è il mio dovere.
Questo è l'in #è intelligibile, che, mediante la legge della rappresentazione
sensibile, si converte nel mondo dei sensi ». L’urto (Anstoss) che ci obbliga a
porre il mondo esterno, non è altro che il nostro dovere, o il mondo stesso il
materiale per l’attività della ragione pratica. Per l'Ardigò l’imperativit del
dovere ha la sun ine naturale nella impulsività delle idealità sociali,
mediante un processo formativo di cui non s’accorge l’individuo, il quale solo
avverte la formazione già compiuta ed è perciò indotto a credere nella
primitivita del sno rentimento del dovere; in breve, l'obbligatorietà del
dovere non è che la ricordanza assommata e indistinta, ma inevitabile, del
dolore incontrato eseguendo atti che riescono di danno ai consoci; il dovere
morale nasce quindi dal dovere giuridico, fino a diventare una forma
contitutiva della psiche dell’ individuo, avverandosi così il fatto, che sembra
paradossale, del convertirsi dell'attività volontaria da fondamentalmente
egoistica, qual'è da principio, in virtà disinteressata. Cfr. Diogene L., VI,
1, 107-109; Cicerone, De ofleis, I, 3, $ 8; Kant, Arit. d. prakt. Vern., ed.
Reolam, p. 103 segg.; Fichte, Syst. d. Sittenlehre, 1798, p. 224; G.
Marchesini, La dottrina positiva delle idealità, 1913, p. 93 segg.; Ardigò, Op.
/l., III, p. 132 segg. (v. autocoscienza, autonomia, dialettica, etico,
idealismo, moralismo, realtà). Dualismo. T. Dualiemus; I. Dualism; F. Dualisme.
Si oppone a monimo, e designa qualsiasi dottrina, sia filo22 RaxzoLi, Dision. di scienze filosofiche.
Dua 338
sofica che religiosa, che spiega o un dato ordino di cose © di fatti, o
tutto l'insieme delle cose © dei fatti, I’ universo, come la risultante di due
principi, di due tendenze, di due canse distinte ed opposte, ο perciò
irredueibili 1’ una all’ altra. Un dualismo religioso è la religione di
Zoroastro, che attribuisce tutti gli avvenimenti del mondo alla lotta di dne
potenze contrarie, primitive, eterne, indipendenti l'una dall'altra, di cui
l’una, Ormurd, è l’autore del bene, l’altra, Abrimane, del male. Il dualismo
filosofico, qnale fu inteso dai filosofi greci, da Pitagora a Platone, da
Aristotelo agli stoici, consiste nel considerare l’origine ο la natura dell’
universo mediante due principi ο sostanze affatto opposte: la materia,
assolutamente amorfa e passiva, © lo epirito, potenza attiva ed animatrice.
Dicesi dualismo spiritualistico la dottrina, posta sotto forma precisa da
Cartesio, che considera l’anima ο il corpo come due sostanze etorogenee, agenti
reciprocamente l’ una sull’ altra, Questa dottrina, detta anche dell’ influsso
fisico, si oppone alle vario forme di monismo, sia spiritualislico : il corpo
non è che uns forma ο un prodotto d’ uno ο più esseri psichici ; sia
malerialietico : l’anima non è che una forma ο un prodotto del corpo; sia
pricofisico : l’ anima © il corpo non sono che due aspetti differenti di un
solo e medesimo essere. Nella teoria della conoscenza dicesi dualismo ogni
dottrina che faccia originare le nostre conoscenzo da due fonti; ad es. quella
del Locke, che dalla sensazione fa derivare la conoscenza del mondo corporeo,
dalla riflessione In conoscenza dolle attività dello spirito. Spesso il términe
dualismo è adoperato in opposizione a naturaliemo © a panteismo, per indicare
la dottrina che pone due ordini distinti di realtà : una spirituale,
trascendente, eterna, senza causa, l'altra, che della prima è un riflesso,
materiale, temporanea, creata. Cfr. Th. Hyde, Historia rel. ret. Pers, 1700, ο.
9; Cartesio, Princ, phil., I, 60; L. Stein, Dualiemus oder Moniamua, 1909 (v. anima,
coscienza, manicheiemo, parallelirmo).
339 Dus Dubbio. T. Zweifel; I.
Doubt; F. Douts. Lo stato di perplessità in cui trovasi l'intelligenza quando
rimane sospesa senza negare nè affermare. Il dubbio presuppone l’esistenza di
due gindisi contradditori, considerati entrambi come possibili, tali cioè che
nessuno dei due porsegga ragioni sufficienti per essere aocettato ο respinto.
Il dubbio si oppone alla certessa, che è una persnasione ferma conforme alla
verità, © ni distingue dalla probabilità, che è una specie di avviamento alla
certezza. Si distinguono due sorta di dubbio: quello assoluto ο definitivo, che
è il vero e proprio dubbio scettico, e non ammette possibilità di conoscenza e
di soienza; quello provvisorio, o metodtoo, © filosofico, che, da Cartesio in
poi, è divenuto il ‘principio fondamentale del metodo scientifico, e consiste
nel respingere qualsiasi opinione anteriormente accettata, 80spendendo ogni
giudizio fino che la verità non siasi imposta allo spirito con evidenza
assolata. I! dubbio metodico trovasi già in Socrate: opponendosi al dubbio
scettico dei sofisti, che riguardava la possibilità della scienza e la realtà
delle cose, egli proolama la necessità di sottoporro a revisione ogni opinione,
per antica ed antorevole che sia, per eliminarne le contraddizioni,
correggerla, completarla: così il dubbio, che nella sofistica era stromento di
distruzione dell’ antica filosofia, diventa con Socrate il punto di partenza
della filosofia nnova. Più tardi, anche 8. Agostino cerca la via della certezza
attraverso il dubbio, e le stesse teorie scettiche gliene aprono la via;
dubitando, egli dice, io dubitante so di esistere, di ricordare, di conoscere,
di volere, perchè il dubbio contiene gid in sè la preziosa verità della realtà
doll’ essere cosciente, e le ragioni del dubbio si fondano sulle nostre
rappresentazioni anteriori, ο nella valutazione dei motivi del dubbio si
sviluppa il nostro sapere, il nostro pensare, il nostro giudicare, Analogamente
per Cartesio, la ricerca è figlia del dubbio © generatrice della conoscenza e
delle convinzioni salde © coDus 340 scienti. Nel Discorso sul metodo ogli dice
come dal dubbio gli sia derivato il primo impulso alle sue meditazioni : tot
enim mo dubiis totque erroribus implicatum coso animadverti, ut omnes diacendi
conatus nihil aliud miki profuisse judicarem, quam quod ignorantiam meam magis
magisque detezisse. L'unica via di liberazione dal pregiudizio ο dall’ errore,
che ingenerano il dubbio, è questa: non aliter videmus posse liberari, quam si
semel in vita, de ite omnibus studeamus dubitare, in quibus vol minimam
inoortitudinia euspicionem reporiomus. Il dubbio deve in primo luogo attaccare
le cose sensibili © la loro esistenza, invadere le dimostrazioni matematiche e
i loro principî, non risparmiare alcuna delle nostre conoscenze, finchè non
incontri un limite insuperabile in sè stesso, il dubbio, dellaycui esistenza
non è possibile dubitare; e da questo punto fermo cominois in Cartesio, col
cogito ergo sum, tutta la fase ricostrattiva delle conoscenze chiare ο distinte
non più attaccabili dal dubbio. Si suol
distinguere anche il dubbio normale dal patologico, il quale a sua volta è
distinto dal Ribot in dubbio drammatico ο Sollia del dubbio. Il dubbio drammatico
è quello che precede le grandi conversioni (S. Paolo, Renan, ecc.) ed è
costituito da un lavono intellettuale lungo e da principio latente, che scoppia
alla fine col crollo delle credenze antiche © il costituirsi delle nuove. Cfr.
ΒΑ. Agostino, De vita beata, 7; Solil., II, 1 segg.; De rer. rel., 72 segg.;
Cartesio, Specimen philos. seu dissertatio de methodo, 1764, p. 3; Princ.
philos., IV-V; P. Sollier, Le doute, 1909; G. Zuccante, Intorno al principio
informatore e al metodo della filosofia in Soorate, Riv. di fil. », febbr. 1904
; Alemanni, Intorno a una psicologia del dubbio, Ibid., maggio 1908; R.
Mondolfo, Il dubbio metodico e la storia della filosofia, 1905 (v. acatalesnia,
autocoscienza, ironia, epooa, testimonianza, achepsi, dommatiamo, diallelo,
dicotomia, tropi). Dubbio (follia del). T. Zweifelsuoht, Grübelsucht ; I.
Doubting mania; F. Folie du doute. Stato morboso di perplessità Duocontinua,
che ha tro gradazioni diverse; nel primo il malato si sente continuamente
irresoluto, non sa giungere ad alcun risultato definitivo, è sempre tormentato
dal bisogno di corcare il perchè di tutto, di rivolgersi domande senza fine
(mania del perchè); questa ruminazione psicologica, come la chiamò il Legrand
du Saulle, si traduce poi negli atti, cosicchè il malato non osa far nulla
senza timori, ansie © precanzioni infinite; da ultimo questi fenomeni possono
assumere carattere ipocondriaco, che si rivela con il dubbio eterno di non
poter far nulla, di essere affetti da una malattia cronica, di aver mancato al
proprio dovere, di essere male edncati, importuni, indisoreti. A seconda poi
del contenuto dei problemi, che l’ammalato si propone, si hanno casi: di dubbio
metafisico, quando riguardano l’ essenza delle cose, l’origine ο il perchè
della creazione, οσο. di dubbio realista, quando le questioni mentali più
comuni si riferiscono alla ragion d’ essere di certi organi, perchè l’acqua
bagni, perchè la terra non sia assorbita dal more, ecc.; di sorupolo, in cui 1
dividuo è nella continna preoceupazione di non aver adempiuto bene ai propri
doveri, o di non aver fatto bene ciò che ha fatto, ο d’ essere responsabile di
qualche sciagura tocestn alla propria fantiglia, Cfr. Legrand du Saulle, La
Jolie du doute, 1875; Ribot, Les maladies de la volonté, 1883, γ. 60 segg.
Duodinamismo. Quel sistema vitalistico, che spiega il fenomeno della vita come
il prodotto di an principio o anima distinta dagli organi corporei non solo, ma
anche dal!’ anima pensante. Esso si trova per la prima volta in Platone. Le
dottrine sue furono poi riprodotte da Galeno, e, più tardi, da Bacone,
Gassendi, Buffon. Tra i filosofi moderni il duodinamiemo, variamente
modificato, fu wguito specialmente da Maine de Biran, Jouffroy, Ahrena (v.
animismo, archeismo, meccanismo, elettrovilaliemo, vita, protoplasma,
vitaliemo). Der 342 Durata. T. Dauer; I. Duration; F. Durée. Di
solito indica il tempo in cui avviene un fenomeno senza interruzione, ossia una
lunghezza determinata, costituita dai mutamenti continui della successione; |’
interruzione della durata di un fenomeno dicesi intervallo. Invece gli
scolaatici, ispirandosi al concetto comune, secondo il quale una coss che dura
non cambia e non ha quindi, in quanto dura, nè prima nè poi, intendevano la
durata come un permanere in ezistentia. Essi distinguevano la duratio
intrinseca, che è In permanenza della coss nell’ esistenza sua, ossia
l’esistenza perseverante, dalla duratio extrinseoa, che à il movimento del
primo mobile, da cui sono regolate le durate intrinseche. Per Spinoza è la
continuazione indefinita dell’esistenza » ; per Locke è l’ intervallo tra l’
apparire di due rapprosentazioni nella coscienza ». Per Cartesio la durata si
distingue dal tempo, in quanto questo non sarebbe altro che la misura della
durata di un fonomeno, o la parte della duruta, durante la quale un fenomeno avviene:
quindi il tempo sarebbe una cosa soggettiva, la durata avrebbe uno realtà
oggettiva, in quanto le cose realmento durano. Leibnitz oppono il tempo alla
durata come lo spazio alla estensione: la durata è l’ordine di successione tra
percezioni reali, come la massa estesa è ens per aggregationem, sed ex
unitatibue infinitis; il tempo è invece un continuum quoddam, sed ideale, in
cui possono essere prese frazioni pro arbitrio. La genesi delle due nozioni è
inversa: in aotualibus nimplicia aunt anteriora aggregatis, in idealibue totum
est prius parle. Per Clarke il tempo è una durata senza principio ο senza fine
nella quale si succedono i fenomeni »; da cui seguo che la anecesione è il
rapporto delle durate finite comprese nella durata infinita del tempo, e che il
tempo è metatisicumente anteriore alle durate successive che lo riempiono. Per
Cristiano Wolff è la eristentia. qua rebus pluribus nuocemivis quid cœnietit,
veu eristontia rimultanea cum rebus pluribus xuccesiris ». Per Berkeley la
durata di uno spirito 343 Dur finito deve essere valutata secondo il
numero delle idee 0 delle attività che in esso si succedono |’ una all’ altra
». Anche per Hume la rappresentazione della durata discende sempre dalla
successione di oggetti matabili e non può mai essere introdotta ‘nello spirito
da qualche cosa di uniforme © di immutabile >. Per Kant il permanente (das
Beharrliche) è il sostrato della rappresentazione empirica dello spazio; mediante
il permanente soltanto 1’ essere ricevo quella grandezza costituite dalle diverse
parti della serie temporale, che si chiama durata ». Per il Boirno la durata in
abetraoto è la concezione della possibilità di successioni nelle cose, perchè,
senza un rapporto con la successione, la durata non sarebbe misurabile e xi
confonderebbe con l’esistenza; la durata concreta involge, di più, un rapporto
di simultaneità col successivo, ossia il permanere identico della cosa, mentre
le altre cose mutano. Per il Bergson la durata si oppone al tempo in quanto la
prima è il carattere stesso della successione, quale è immediatamente appresa
dalla coscienza, mentre il secondo è l’idea matematica che noi ce ne facciamo
per ragionare e comunicare coi nostri simili, traducendola in imagini spaziali
; quindi In durata è per lui il tempo concreto, il tempo reale, costituito da
una pura successione di cangiamenti qualitativi senza alcuna tendenza ad
esteriorizzarsi gli uni rispetto agli altri, senza alcuna parentela col numero,
l'hétérogeneité pure sane aucune parenté aveo le nombre. Cir. Suarez, Metaph.
disputationes, 1751, 50, 1,1; Spinoza, Cog. metaph., I, 4; Ethica, 1. II, def.
5; Locke, Ese., II, cap. 14, $ 3; Cartesio, Princ. philos., I, 57; Leibnitz,
Nouv. Een,
II, cap. 14; Letiren de Leibnitz οἱ de Clarke, ed. Janet, t.
II, p. 647; Ch. Wolf. Philosophia prima, 1736, $ 578; Berkeley, Prino., XCVIIL;
Hume, Treat., Il, ser. 3; Kant, Krit. d. reinen Vern., p. 176: Boirac, L'idée
du phénomène, 1894, p. 128 segg.; Bergson, Essai sur lee données imm. de la
conscience, 1904, p. 74-78 (v. aevum, cangiamento, istante, mobiliemo. tempo). Ebk-Ecc
344 E. Nollu logica formale si
adopera per designare la proposizione universale negativa (nessun 4 è B), e,
nelle proposizioni complesse e modali, 1’ affermazione del modo e la negazione
della proposizione. Nella dottrina dell’ Hamilton sulla quantificazione del
predicato, designa la proposizione toto-totale negativa (nosrun 1 è nessun B). Cfr. Hnmilton, Lectures on
logic, 1860, app. II, p. 288. Ebefrenia. T. Hebephrenie; I. Hébéphrénie. Una dello forme sotto cui si manifesta la
demenza precoce. Compare soltanto nell’ età giovanilo e più frequentemente
nell’ nomo che nella donna. Ha gradazioni che vanno da disturbi insignificanti
dell’ intelligenza ο dell’ affettività alle alterazioni più profonde della
psiche, manifestantesi con allucinazioni e idee deliranti malinconicho,
esaltamenti improvvisi, movimenti senza scopo e sonza ordine, logorrea. Il
curattere più tipico dell’ ebofrenia è 1’ indifferenza assoluta per l’ambiente,
verso il quale il malato uon reagisce che debolmente e lentamente. Cfr.
Daraszkiewiez, Ueber Hobephrenic, 1892 (v. demenza, oretinismo, idiotiamo,
imbecillità). Bcoeità. T. Diesheit; I. This-nes; F. Eoceité. Giovanni Dune
Scoto opponendosi a 8. Tommaso, che poneva la forma intellettiva come base della
individualità, sostenne che la sorgento vera della individuazione non consiste
in determinazioni accidentali ed esteriori, ma nel profondo stesso della
ossenza, in una ultima realitas, che nella persona umana è la volontà. Questa
ultima e profonda nota differenziule, che si può solo constatare come attuale
ma non derivare da una ragione universale, che trascende la conoscenza οἱ è
peroiò indefinibile, fu detta dagli scolari dello Scoto haccoeitas, o anche
ecocitas : exsu è la traduzione del τὸ τοδέ τι di Aristotele, e, per quanto sia
intraducibile, come indefinibile è la realtà, si potrebbe tradurre come: 345
Ecc questa cosa qui, il qui. L’ecceità degli Scotisti si contrappone alla
quidditä dei Tomisti, che è perfettamente traducibile. Cfr. Prantl, Gesohiohte
d. Logik, 1855-70, III, 219, 280; Goclenius, Lex. philos., 1613, pag. 626.
Bocettuative (proposizioni). T. Auenchmend; I. Ezceptive; F. Ezoeptice, Quelle
proposizioni implicite 9 composte, che di un soggetto generale affermano
universalmente un predicato, ad eccezione d’ nna ο più specie d’ individui. La
sua formula è: tutti gli 4, fuorchè a, sono B. Eccitazione, T. Reis, Erregung;
I. Ezoitation ; F. Ezcitation. In generale significa risvegliare, mettere in
azione una forza, ma si usa specialmente per designare quello stato
caratteristico delle cellule nervose, che consiste in particolari modificazioni
di natura ancora ignota, determinate dall’ azione di speciali agenti che si
dicono stimoli. La modificazione costituisce lo stato di eccitazione; I’ attitudine
a subirla costituisce 1) eccitabilita. L’ estremità delle fibre eccitate dicesi
estremità di eccitazione, l’altra estremità cui l'eccitazione viene trasmessa
dicesi estremità d'azione. Il limite minimo di intensità dello stimolo, che è
necessario varcare per ottenere I’ eccitazione, dicesi soglia della ecoiaumento
minimo dello stimolo al di sopra della soglia, capace di produrre un aumento
della eccitazione, dicesi soglia della differenza. L’ eccitazione nervosa,
entro certi limiti, cresce col crescere dell’ intensità degli stimoli L’
occitazione di una celluls ο di una fibra nervosa non si può arguire che dai
fenomeni da essa provoesti nei centri nervosi © negli organi periferici
(sensazione, contrazione muscolare, secrezione delle glandole, ecc.) non
essendo note le condizioni fisiche e chimiche che costituiscono lo stato di
eccitazione. Il grado di eccitabilità si desume dal grado della eccitazione
prodotta da uno stimolo di intensità inferiore a quella necessaria per produrre
una eccitazione di grado massimo: il grado di eccitazione xi desume dagli
μοι, 946
effetti della medesima. L’ eccitazione si trasmette lungo le fibre,
purchè in esse non sis avvenuta alcuna discontinuità anatomica; tale
trasmissione si fa tanto in via centripeta che in via centrifuga. L’
eccitazione delle cellule nervose può essere di tre forme: riflessa, prodotta
dalla eccitazione d’una fibra centripeta ; automatica, prodotta dall'azione dei
liquidi che bagnano i centri nervosi; prichica, emozione, volontà, ecc. Cfr.
Wundt, Grundriss d. Peychol., 1896, p. 299; Höffding, Peyohologie, trad. frane.
1900, p. 140 segg.; Richet, Reckerches sur la sensibilità, p. 42 segg., 168
segg. (v. irritabilità, quantità, atimolo). Eolettiamo. T. Eklekticismus; 1.
Eolecticism ; F. Eoleotime. Sistema che risulta da un insieme di dottrine
sparse nei differenti sistemi e coordinate armonicamente tra loro; quando la
coordinazione manca non si ha più I’ eclettismo ma il sinoretismo. Nella storia
della filosofia 1’ eclettismo comincia a manifestarsi verso la fine del II
secolo d. C.; col diffondersi delle scuole nei grandi rapporti della vita dell’
impero romano, svanì lo spirito scolastico, venne meno la polemica e sottentrò
invece il bisogno dell’ adattamento © della fusione: platonismo, aristoteliamo e
stoicismo presero a base comune la concezione teleologica del mondo per
combattere l’epicureismo. Minore importanza filosotica, ma maggiore importanza
storica ebbe 1’ eclettismo a Roma: accogliendo la filosotia greca i Romani, con
criterio essenrialmente pratico, dedussero 1’ una dopo I’ altra dai sistemi
delle vario scuole le dottrine da loro accettato: così avvenue in Cicerone, in
Varrone ο in parte nel gruppo dei Sestii. Nel pensiero moderno l’eclettismo
risorge, oltrechè nei seguaci del Leibnitz, nella scuola psicologica francese
restaurata da Vittorio Cousin (1791-1867) col nome di eclettica, consolidata
dai seguaci di lui col nome di spiritualiatica: essa ha avuto un dominio quasi
incontrastato in Francia per gran parte del secolo XIX, costituendo la
filosofia ufficiale delle accademie ed avendo a rappresentanti 347
Eco uomini illustri come Jul. Simon, E. Vacherot, C. Secrétan, Ad.
Franck, E. Caro, ecc. Il suo punto di partenza è il seguente: ogni uomo
possiede un senso del vero, che si suol chiamaro senso comune, ragione,
coscienza, spirito umano, ecc. ; esso è competente ο infallibile rispetto alle
verità eterne, che giacciono inconscie ‘e latenti in ciascuno di noi; i sistemi
filosofici non sono che frammenti di codesta verità, portati alla piena
coscienza dalla riflessione; dato il grande numero e la grande varietà dei
sistemi filosofici fino ad ora succedntiei, si può conchiudere che, frammento
per frammento, essi hinno portato alla luce tutta la verità filosofica, la
quale dunque esiste oggi sia inconscia nel nostro senso comune, sia chiara ma
dispersa nella storia della filosofia; per scoprirla non può esserci che un
metodo: la storia, unn volta giudicata dal senso comune, lascerà un residuo che
sarà lo stesso senso comune, la verità allo stato di coscienza piena e chiara.
Eclettica quanto alla sua formazione, per le fonti svariate cui ha attinto, ms
esclusiva ο dommatica pel sno fine, di rinnovare col metodo psicologico la
tradizione spirituali stica interrotta dsl predominio del sensualismo, la
scuola eclettica francese ha potuto, in grazia al suo metodo, frazionarsi in
tanti centri minori, senza perdere una costante intonazione spiritualistica e
senza ricorrero ad altra rivelazione che a quella psicologica. Cfr. Windelband,
Geschichte d. Philos., trad. it, 1913, vol. I, p. 203 seg.; Saphary, L'école
colootique et V éoole française, 1844; A. Fresnean, L'éclootisme, 1847;
Jouffroy, De l’éolectisme on morale, 1825; P. Junet, Victor Cousin et son
œuvre, 1885, cap. XVII; De
Ruggero, L'eoletiismo francese, Riv. di filosotia », aprile 1910. Boolalis. T.
Echolalie, Echonprache; I. Echolalia, Echophasia; F. Hoholalie. Fenomeno
psicologico che si verifica in alcune malattie mentali, specialmente nella
catatonia, nel? afasio, disfasia, ecc. Consiste in ciò che 1’ ammalato neynists
una tale suggestibilità, du ripetero fedelmente ogni parola che in sua presenza
è pronunciata, ο, in luogo di rispondere alle domande rivoltegli, ripete le
domande stesse. Aleune volte, poi, si dà il caso curiosissimo che Vammalato,
sentendo pronunziare dei numeri in somma, moltiplicazione, oce., non ripeta i
numeri stessi, ma il risultato della operazione. Cfr. Séglus, Les troubles du
langage, 1893; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 369 segg. Economia. T. Ökonomie; I. Economy; F. Économie.
Nel suo significato più generale, si può definire come la disposizione delle
parti di un tutto necessaria n far sì che, con i minimi mezzi, il tutto
medesimo raggiunga una determinata finalità. In questo senso si può quindi
parlare tanto di economia della famiglia, dello Stato, della società, quanto di
economia doll’ universo, del corpo umano, di un sistema filosofico, di un’opera
scientifica ο letteraria. Per coonomia politica intendesi la scienza dei
fenomeni e la determinazione delle leggi che concernono la distribuzione delle
riochezze, nonchò la loro circolazione e consumazione in quanto questi fenomeni
sono lognti a quello della distribuzione; ο, più brevemente, la scienza dell’
ordine sociale della ricchezza. Nelle
grandi controversie, sorte prima e dopo la tissazione del dogma cristiano della
Trinità, si designava con questo vocabolo l'uguaglianza delle tre persone in
una sola natura divina. Economica (concezione della scienza). Con 1’
espressione concezione economica ο biologioa della scienza o della conoscenza,
si indicano tutte quelle dottrine contemporanee, sostenute specialmente da
scienziati come Maxwell, Hertz, Mach, Avenarins, Dubem, Poincaré, eco., che
muovono dal concotto che l’origine e quindi anche l’essenza dell’attività conoscitiva,
come di qualsiasi altra attività e funzione organica, ha il suo fondamento nel
grado d’utilita per l’ organismo, nella rispondenza ad un bisogno vitale;
cosicchè le idee, i principi, lo ipotesi, ecc. non sono se non convenzioni,
stro-* menti il cui valore sta soltanto nel loro grado di utilità 349
Eco © di comodità, non nella loro correlazione con una realtà per sè
stante. E le varie forme di conoscenza, mentre sono in relazione con i nostri
bisogni, rappresentano le vie per agire in modo più efficace e proficno; noi
arriviamo a costrnire i vari oggetti dell’ universo e ne determiniamo le
qualità, le proprietà, le attitudini, riferendoci sempre alle maniere în cui
riescono a farci operare in un modo piuttostooh® in un altro, considerandoli
come occasioni ο motivi della nostra condotta. L’Avenarius, ad esempio, riduce
tutto lo sviluppo della conoscenza al principio delP inerzia ο del minimo
consumo d'energia: l’anima non impiega in una percesione più forza di quella
che necessaria e, quando si trova innanzi a una pluralità di appercezioni, dà
la preferenza a quella che con uno sforzo minore produce lo stesso effetto o
con uno aforeo uguale prodnce un effetto maggiore. Il Mach assegna alla scienza
un solo ufficio biologico, quello ciod di daro all’uomo un orientamento
completo in mezzo al complicato intreccio dei fatti naturali; così i concetti
non sono che schemi suggestivi di azioni adatte, il valore delle ipotesi delle
definizioni ο degli assiomi scientifici sta tntto nel modo semplice ed economico
di ordinare le leggi ricnvato dall’esperienza, il principio di causalità non è
che un inolamento arbitrario delle circostanze che più ci interessano per i
nostri fini pratici, il tempo scientifico o astratto è una semplice parola con
cni ci risparmiamo la fatica d’una serie complessa di relazioni. Per il Duhem
la scienza fisica non altro si propone che di darci un sistema di proposi zioni
matematiche, dedotto da un piccolo numero di principi, che hanno per fine di
rappresentare più semplicemente, più completamente e più esattamente che sia
possibile 1’ insieme delle leggi sperimentali. Il principio comune da ‘ni
muovono i sostenitori di questa dottrina, è che la conoscenza emerga da quel
fondo di esperienza diretta, in cni propriamente consiste la realtà e in cui,
non essendoci dintinEoo-Ecr 350 zione tra jo e non-io, non è nemmeno da
parlare di conoscenza © di realtà: quest’ultima è appresa nell’ atto stesso che
è vissuta. La conoscenza vers ο propria, in quanto si pone di faccia alla
realtà, all’ esperienza genuina, non è che una sovrastruttura, che diviene più
artificiale a misura che ¢’ allontana dal dato immediato (sensazione), e quindi
anche più convenzionale, più simbolica, più astratta, Cfr. Mach, Erkenninis und
Irrthum, 1905, p. 162 segg.; Id., Dio Mechanick in ihrer Entwickolung, 1901, p.
6 segg., 80 segg.; Avenarius, Philosophie als Denken der Welt, 1903, p. 3
segg.; Duhem, L'évolution de la mécanique, 1908 1 A. Aliotta, La reazione
idealistioa contro ia scienza, 1912, p. 68-110; H. Höffding, Philosophes
contemporaine, trad. franc. 1908, p. 93 segg.; F. De Sarlo, I problemi
gnoseologici nella fil. contemp., Cultura filosofica », nov. 1910; Masci,
Scienza e conoscenza, 1911. Economismo storico v. materialismo storico.
Eopirosi (ἐκ-πυρόω abbrucio). È la dottrina dell’ imbraciamento universale, che
gli stoici tolsero da Eraclito, facendone unn purte essenziale del loro
sistema. Secondo gli stoici, Dio è ad un tempo fuoco, anima del mondo, e
ragione seminale: all’ origine delle cose, la materia universale assorbita nel
fuoco divino, è uniformemente tesa © occupa un immenso spazio nel vuoto
infinito; ma poi, per via di graduale raffreddamento e condensazione, da
codesto fuoco vengono formandosi i diversi elementi, la terra ο gli astri, gli
uomini © le coso; costituito così il mondo, esso attraversa tutte le età e
tutti gli avvenimenti possibili, dopo di che ritorna di nuovo nel seno del
fuoco divino, che tutto invade e tutto penetra. Dio allora regna solo ο si
concentra nella contemplazione di sò stesso; ma Len presto egli si accinge alla
formazione di un nuovo mondo, che si risolverà esso pure nel fuoco, e poi ad un
altro, ο così via via all'infinito: ο ogni nuovo mondo corrisponde esattamente
a quelli che l'hanno preceduto e a quelli che lo seguiranno, perchè l’esenza
divina è sempre la medesima. Cfr. F. Ogereau, Le syst. philosophique des Stoiciens,
1885, cap. III (v. πιοπίηπιο, cosmogonia, palingenesi,
panteismo, stoioimho). Edonismo.
T. Hedoniemus; I. Hedoniem ; ¥. Hédonisme. Dottrina morale che identifica la
virtù col piacere (ἡδονή) © sostiene non esistere altro bene che il piacere e
ultro male che il dolore. Nella storia della filosotis 1’ edonismo è
rappresentato specialmente dalla dottrina di Aristippo di Cirene, secondo il
quale unico bene per I’ uomo è il piacere attuale ο presente, il piacere più
vivo e immediato; è indifferente quale sia l’oggetto del piacere, tntto dipende
solo dal grado del piacere, dalla forza del sentimento di soddisfazione, che si
trova per lo più nel godimento sensuale dell’ immediato presente; la speranza
d’ an bene futuro è sempre unita all’ ingnietudine dovuta all’ incertezza del
destino, © perciò non è un vero bene. L’ edonismo non va confuso nd con I’
atilitariemo, nè con l’ eudemoniemo, poichè il primo al piacere immediato
sostituisce l'interesse ο P utile, il secondo pone come fine ultimo la
felicità, che consiste in un piacere il cui valore deve essere giudicato dalla
ragione (v. Cirenaioi). Educazione. T. Ersichung; I. Education; F. Education.
Fu variamente intesa e definita. Secondo Kant, è lo s luppo nell’ uomo di tutta
la perfeziono che comporta la sua natura; per lo Spencer è la preparazione alla
vita completa; per lo Stein è I’ evoluzione armonica ed uguale dello facoltà
umane; per il Joly è la totalità degli sforzi che hanno per scopo di dare all’
uomo il possesso compiuto ed il buon uso delle sue facoltà, ecc. Come è facile
vedere, si confonde bene spesso il fatto della educazione con In scienza della
educazione ; questa è la serie delle operazioni con le quali si educa, quella
il risultato di tali operazioni. In questo secondo senso, che è il solo
legittimo, si può dire che l'educazione non è altro che un’ abitudine buona
EFR-EFF e perfezionatrice, sia negativa che positiva: negativa in quanto
contrasta con le tendenze riprovevoli, positiva in quanto crea delle speciali
attitudini ed abilità fisiche, intollettuali e morali già possedute dalla
società in genere. Si distingue perciò un'educazione fisica ο del corpo, una
educaziono éntellettuale ο dell’intelligenza, e una educazione morale ο del
carattere. All’ efficacia dell’ educazione possono contrastare I’ eredità ο V
ambiente; tuttavia so codesti fattori spesso si rivelano con forza
irresistibile (specie nelle nature estreme, idioti, geni, degenerati), più spesso
ancora l'educazione riesce a modificarli radicalmente. Dicostruite mediante le sensazioni si
trasformano, si precisano, si completano e ϐ) organizzano con gli altri
fenomeni psichici ; con la stessa espressione si indicano anche i mezzi con cui
s' insegna a correggere gli errori (illusioni) che derivano dalla costituzione
stessa degli organi sensori, a distinguere lu diversa qualità e intensità delle
sensazioni, a conoscere le sensazioni simili, ad apprezzare le distanze, ecc. Nol linguaggio teologico dicesi eduoazione
dirina quella che l’uomo riceve da Dio, per effetto della rivelazione; essa
coincide con l’origine del mondo, à data e continuata parte con parole parte
con fatti; ha quattro fasi, Poriginaria, la patriarcale, la mossica e la
cristiana; quantunquo queste fasi si debbano riguardare come un solo tutto
strettamente connesso, poichè attraverso esse si svolge il piano divino
dell'educazione, tuttavia le prime tre si considerano come fasi preparatorie
dell'ultima, la più perfetta di tutte, perchè manifestazione diretta di Dio (v.
pedologia, didattica, pedagogia). Efettici (épextixot). Con questo nome furono
designati qualche volta gli scettici (v. zetética). Effetto. T. Wirkung,
Effekt; I. Effect; F. Effet. Ciò che è prodotto da una causa. Un avvonimento
qualainai ai co cepisce come effetto quando lo si considera come cominciante ad
esistere, ossia quando si pensa la sus nuova esistenza come una mutazione o
come una operazione: L'effetto i distingue dall’ accidente perchè, mentre
questo si considera come una cosa sola colla sostanza e ls determina, l’effetto
si concepisce invece come separato dalla causa cd appartenente ad altro essere.
Gli scolastici chiamavano effectus primarius o intrinsecue il composto concreto
0 In denominazione, che risulta dalla forma unita ad un soggetto capace: ad es.
l’effetto primario del calore, per cui l’acqua si riscalda, è l’acqua calda
stessa; effectua secondarius © extrinscous qualsiasi effetto positivo ο
negativo, che risulta dall’ unione della forma nel soggetto, in modo da essere
adeguatamente distinto dalla forma o da restarle estrinseco, ad es.
l'allontanamento del freddo dall’ acqua. Efficace. T. Firksam; I. Efficace; F.
Efficace. Usato come sostantivo, designa il potere che ha la causa’ di produrre
l'effetto; non è dunque che I’ obbiettivazione dello sforzo che proviamo nell’
agire, la virtualità dell’ effetto nella causa, costituita dall’ aspettazione
di B che abbiamo visto segnire costantemente ad A. Si suol opporre l’ efficace
alla condizione, che è ciò senza di cui la causa non agirebbe, e alla
occasione, che è il semplice concorso delle circostanze in presenza delle quali
la causa agisce (v. causa). Efficiente. T. Bewirkende; I. Efficient; F.
Eficiente. Du Aristotele in poi dicesi causa efficiente, per opposizione alla
finale © alla oocasionale, il fenomeno che ne produce un altro, o l’ essere che
produce un’ azione. Alcuni distinguono la causa efficiente dalla efficace:
questa produce I’ effetto senza nulla perdere o cedere della propria natura, o
della propria efficacia d’agire ulteriormente, quella produce I’ effetto
trasformandosi in esso parziahnente ο totalmente. Gli scolastici dicevano concorrere eficienter
ο effeclire ad alcunchè, l’operare immediatamente I’ azione; concorrere
directive, dare le norme dell’azione; concorrere finaliter dare la ragione
finale dell’azione. 2A RarzoLi, Dizion,
di scienze filosofiche Eco 354 Egoismo. T. Egoiemus, Selbatliebe,
Selbateucht ; I. Egoiem, Selfishness} F. Égoïsme. Nel suo senso più proprio
designa V amore di sb stessi, che è naturale ed inevitabile, che nocompagna
l'individuo dalla culla alla tomba e che, se può dar luogo a sentimenti bassi e
volgari, è anche 1’ unico fondamento delle azioni 6 dei sentimenti più
generosi. Nel suo significato più comune, per egoismo si intendo invece l'umore
assoluto ed esclusivo di sè, onde I’ individuo non cura che sd stesso anche a
prezzo del danno altrui. All’ egoismo si oppone l’alfruismo o antiogoismo, che
consiste nel} esercizio dell'attività propria al benessere altrui, ed è pure,
come l’egoismo inteso in senso proprio, fondamentale, primordiale ed essenziale
nella condotta umana, avendo la sua origine nell'organismo stesso, in quanto
comincia con la propagazione della specie. Secondo Hobbes l'egoismo è l'impulso
fondamentale dell’uomo, ognuno tendendo a conservare sè stesso o ad estendere
In propria forza fin dove può; nello stato di natura esso domina sfrenato, e
cià che lo soddisfa si chiama hene, ciò che lo contrasta si chiama male; ma
poichè da ciò ne deriva la lotta di ciasenno contro tutti, che offende lo
stesso egoismo indivi duale, è stato fondato lo Stato come contratto per la
mutua garanzia dell’ anto-conservazione. Lo Spinoza accettò questa teoria, ma
introducendola nella sua metafisica le diede una importanza più ideale: anche
per Ini P essonza «ogni volere è il suum esse conservare, ma poichè ogni modo
finito appartiene ugualmente ai due attributi, spirito e corpo, così il suo
istinto di conservazione αἱ rivolge tanto alla sua attività cosciente, ossia al
sto sapere, come alla sus affermazione nel mondo corporeo, ossia al sno potere:
per tal modo Pimpulso fondamentale di ogni vita volitiva individuale vien
riferito all'identità baconiana di sapere e potere. Nella filosofia sociale
dell'illuminismo 1? egoismo è assunto pure come fondamentale; per il
Mandeville, ad es., la vitalità del sistema sociale si fonda tutta sopra In
lotta dl interessi degli 355 Eco individui, e la forza impulsiva nella
civilizzazione è solo l'egoismo; non è quindi da meravigliare se la cultura si
manifesta non mediante nn elevamento delle qualità morali, ma solo con un
raffinamento dell’ egoismo; la felieità dell'individuo non »' accresce per
effetto della civiltà, perchè se ciò accadesse, l'egoismo ne rimarrebbe
indebolito, mentre su questo punto si fonda il suo progresso. La morale
evoluzionistica dello Spencer è basata tutta sopra il gioco di questi tre
sentimenti: Pegoismo, cheha per oggetto l’ interesse individuale; 0 allrujemo,
che ha invece per oggetto il benessere degli altri e della società:
l'ego-altruiemo, che rappresenta una via di merzo tra il primo e il secondo ο
mediante il quale si produce 1 armonia tra l’ individuo e il suo ambiente. Ora
la evoluzione morale non tende a sacrificare l’egoiamo all’altruismo, bensì a
contemperare le due forme tra loro: e cioè I’ individuo si modifica per
adattarsi sempre meglio all’ ambiente rociale, e questo si modifica a sua volta
per soddisfare sempre meglio alle necessità dell’ individno. E tanto immorale
l’assoluto altruismo come I’ egoismo esclusivo: l'individuo non deve vivere
soltanto per sè, ma neppure soltanto per gli altri, poichè neppure agli altri
può essere debitamente ntile se non cerca nella cura di sè stesso le condizioni
adatte a tal fine. Dall’ egoismo pratico o morale, del quale abbiamo ora
parlato, si distingue l'egoismo teoretico 0 aolipsiamo, dottrinn gnoseologica
secondo la quale ogni singolo apirito non è certo che della sun propria
esistenza, non può atfermare che sè stesso; lu realtà di tutto il resto è
problematica, nè pnd essere affermata: Un egoista, dice Ch. Wolft, è nello
stesso tempo un idealista, e non considera il mondo colloeato in altro spazio
che nel proprio pensiero ». Però questo significato della puroln egoismo,
comune nel secolo 18°, oggi non à più in nao, ndoperandosi invece le
espressioni solipsismo, idealismo soggettivo, nihiliamo, eve. Cfr. Ch. Wolff, Fernünflige
Gedanken, 1725; Sidywi EGo-ELa 366 Methods of elhios, 1877, p. 88, 116, 194;
Bain, Mental and moral soience, 1884, p. 598 seg.; Spencer, The data of ethice,
1879; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 323 segg.; Ardigò, Opere fil., vol. III, p.
11-14, 204 segg. (v. odoniemo, egotismo, idealismo, illuminiemo, unioismo,
utilitarismo, intorease). Egotismo. I. Egotism; F. Égotisme. Gli inglesi
chinmano così il grado più profondo dell’ egoismo in cui, per una specie di
ipertrofia dell’ io, ogni sentimento nobile, ogni tendenga altruistica è
distrutta, I’ affettività è quasi annientata e predominano soltanto le passioni
più basse. I’ egotiamo è una delle stimmate psicologiche della degenerazione,
anzi la fondamentale secondomolti psichiatri, i quali riconducono ad essa tutti
i caratteri propri della condotta dei degenerati, come lo sviluppo eccessivo
della sensibilità morale, la smania di richiamare su sò stessi l’attonzione
altrui, la misantropia e la diffidenza che ri‘sultano dal non trovare nei
rapporti sociali le desiderate soddisfazioni dell’ amor proprio. In un altro senso, più letterario che
filosofico, per egotismo s’ intende l’analisi particolareggiata fatta da uno
scrittore della propria individualità fisica e mentale. Quest’ uso risale allo
Stendhal: «Se questo libro non annoia... si vedrà che I’ egotismo è un modo di
dipingere questo cuore umano, nella conoscenza del quale abbiamo fatto dei
passi da gigante dal 1721 in poi, ecc. ». Cf. Stendhal, Souvenirs d’ égotieme,
p. 81; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 480 segg. ; Lombroso, Pazzi ο
anomali, 2° ed. 1889. . Eguaglianza v. uguaglianza. Elaborazione. T.
Ferarbeitung ; I. Elaboration; F. Elahoration. Le attività ο facoltà di
elaborazione della conoscenza si distinguono da quelle di acquisizione: queste
sono costituite dall’ esperienza, sia interna che esterna, mediante cui si
acquistano i materiali della conoscenza, quelle dall'astrazione,
dall’immaginazione costruttiva ο ELE riproduttiva, dall’ associazione, ecc.,
che trasformano e organizzano i materiali stessi. Bleatismo. T. Eleatirmua; I.
Hleatiom: F. Eloatiome. Senola filosofica greca, iniziata da Senofane (569 a.
Cr.) © proseguita da Parmenide, Zenone e Melisso. 11 problema che essa cerca
risolvere è quollo del cangiamento. Opponendosi ad Eraclito, per il quale la
realtà è lo stesso cangiamento, il moto, il puro diventare, gli eleati
sostengopo che il vero Resle è uno ed immutabile e che lo cose molteplici ο
variabili non sono se non illusioni del nostro senso. Per Senofane codesto Uno
immutabile, eterno, perfottissimo è Dio, 1’ nnico Dio e l’ unico reale ad un
tempo; per Parmenide invece è 1’ Essere assolutamente intelligibile, che
riempie lo spazio: Bisogna ammettere in maniera axsoluta, egli dice, o l'essere
o il non-essere; la decisione su questo soggetto è tutt’ intera in queste
parole: è 0 non è. Ora, non si può conoscere il non-essere, poichè è
imporsibile, nd euprimerlo con parole; non resta dunque che una cons: porre l’
essere © dire esso è, ἔστι. In questa via, molti sogni si presentano per
mostrare che I? essere è senza nuscita © senza distrazione; che è un tutto d’
una sola specie, senziî limiti, immobile, che non era nd sarà, poichè frattanto
è tutto intero ad un tempo, e che è nno, senza discontinnità ». Melisso e
Zenone, discepoli di Parmenide, ne svolsero lo dottrine, il primo in modo
diretto e positivo, con rigoroso ordine scientifico, il secondo in modo
indiretto, corcando di dimostrare gli assardi nei quali si cade inevitabilmente
se si ammette la pluralità del reale e la possibilità dol moto. Cfr. Ritter,
Geschichte d. jonischen Philosophie, 1821: G. Fraccaroli, I lirici greci, 1910,
p. 139 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1918, vol. I, p. 42
segg. ‘Elemento. T. Element; I. Element; F. Élément. Deriva, secondo il
Trendelenburg, dalla corrnzione del latino olomentum, che il Vossio fa venire
da una antica voce cleo per oleo= cresco; secondo altri deriverehbe invece dal
EL 358
greco Όλημα (Όλη = materia) ο da ἄλημα
pulviscolo di farina. Nel suo significato proprio designa le parti
ultime, costitutive della materia, che non sono passibili di ulteriore
decomposizione, e in questo senso è adoperato dai fisici. Nel suo significato
astratto si adopera per designare le parti più semplici ed essenziali di
qualunque scienza ο dottrina. I filosofi antichi chiamavano elementi le
sostanze ogiginarie da cui ogni cosa deriva e in cui ogni cosa si corrompe ;
per Empedocle tali sostanzo erano quattro: aria, acqua, terra © fuoco, ὁ questa
dottrina fu seguita fino al Lavoisier. Con la parola elemento alcuni intendono,
nella psicologia, una faccia o una particolaro qualità di un fenomeno © di uno
stato di coscienza; i sonsisti e gli empiristi intendono invece la sensazione
pura e semplice ; altri infine, come l’Ardigò, intendono per elemento psichico
la sensazione minima (protoestema). Ad ogni modo, è chiaro che anche nella
psicologia, come nella nostra conoscenza presa nel sno insieme, la nozione di
elemento è aftatto relativa, perchè il limite dinanzi al quale ci arrestiamo
non è un limite se non per noi, che può essere sorpassato dugli altri
osservatori e nelle epoche successive. Cfr. Goclenius, Lexicon philosophicum,
1613, p. 145; Trendelemburg, Élementa logioes aristoteleæ, 1878; H6fding, Psychologie,
trad. franc. 1900, p. 24, 112; Wundt, Grundriss d. Paychol., 1896, p. 3336; V.
Alemanni, L'elemento peichico, 1903; Ardigò, Op. fil. vol. VII, p. 34 segg. (v.
protoestema). Elenoo (ἔλεγχος
confutazione). È l’esume contradditorio col quale Socrate confuta gli
errori © distrugge la falsa sapienza. La parola è rimasta appunto per indicare
il ragionamento refutativo ; dicesi anche redarguizione. Por ignoratio elenchi
intendesi quella specie di sofisma, che consiste nel dimostrare ο refutaro una
cosa diversa da quella che è in questione. Cfr. Aristotele, Anal, pr., II,
20, 66 L, 11; Logique du Port-Royal, parte III, cap. XIX (v. elenotica, ironia). 359
Elenctica. Una delle tre arti speciali della dialettica, intendendo per
dialettica l’arte del ragionamento. Essu ha l'ufficio di confatare le
proposizioni false, ed ha per antecedente opposto l’ affermazione dell’
avversario, che si deve abbattere. Si distingue dall’ apodittica, altra parte
della dialettios, in quanto suppone un avversario, fauso di sillogismi
puramente formali in cui le premesse, o una di esse, sono tolte all'avversario,
e può risalire ai pri principi. Essa si vale dell’ spioherema e dell’ elenco:
il primo obbliga l'avversario a cadere nella contraddizione, il secondo lo
convince d’ esservi caduto. Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 841 (v. maieutica,
ironia, anatreptica, agonistica, apologetica). ‘Eliminazione. T. Elimination;
I. Elimination; F. Élimination. L'operazione logica che si compie nella ricerca
scientifica, per fissare i rapporti di causalità tra i fenoineni, sceverando le
circostanze essenziali dalle non essenziali alla produzione del fenomeno
stesso. Consiste nel moltiplicare il più che sia possibile le ‘osservazioni ©
gli esperimenti, in modo da ottenere la separazione degli elumenti causali da
quelli che non lo sono, cioè dalle circostanze accessorie e dai concomitanti
casuali. L’ eliminazione ha il suo fondamento logico sopra questi tre assiomi
della causalità: ogni antecedente, che non può essere eliminato senza che
l’effetto scompaia, è causa ο fa parte di essa; ogni antecedente, che può
essere eliminato senza che l’effetto scompaia, non è causa nd fa parte di essa;
un antecedente e un conseguente, che variano correlativamente in qualità e
quantità, sono in rapporto causale tra di loro. I quattro metodi induttivi
dello Stuart Mill, si basano cssenzialmente sopra l'eliminazione: il metodo di
concordanza ha il suo fondamento sopra il secondo nssioma della causalità; il
metodo di differenza sul primo; il metodo delle variazioni concomitanti sul
terzo; il metodo dei residui è il risultato della applicazione di tutti tre. Cfr. Hncone, NoELi-Ema 360 vum organum, II, 18; Stuart Mill, System
of logic, 1865, III, 8, $ 3 (v. causa). Eliocentrico. (#Atoç = sole). È detto così il sistema astronomico di
Copernico e Galileo, che pone nel centro del nostro sistema planetario il sole,
e della terra fa un pianeta che gira intorno a sò stesso © al sole. Geocentrico
era invece il sistema astronomico degli antichi, che poneva la terra come
centro dell’ universo. Elioteismo. T. Eliotheismus; I. Eliotheism; F. Eliova di
monoteismo naturalistico, che riconosce nel sole l’incarnazione di Dio; forma
analoga, ma meno importante, è il selenoteismo ο culto della luna. La scienza
moderna riconosce, secondo alcuni, il fondamento dell’elioteismo, in quanto la
vita umana, come ogni altra forma di vita organica, si deve ricondurre in
ultima analisi al sole raggiante: 1’ astrogenia dimostra che ogni corpo
celeste, compresa la terra, è una parte staccata dal sole; e la fisiologia
insegna che l’origine della vita organica sulla terra è la formazione del
plasma, e che questa sintesi da semplici combinazioni inorganiche avviene
soltanto sotto l’azione della luce solare. Cfr. Haeckel, I problemi dell’
universo, trad. it. 1902, p. 885 seg. (v. vita). Emanatismo o emanazionismo v.
emanazione. Emanazione. T. Emanation; I. Hmanation; F. Emanation. Dottrina
filosofica e religiosa dell’ Oriente, secondo la quale da Dio sortirono e
sortono tutti gli esseri che costituiscono l’ universo, senza che per questo la
sostanza divina diminuises o si esaurisca mai. L’ emanatiswo si trova nella
religione di Zoroastro, nella Cabbala e nella mitologia ebraica. Esso assume
formu veramente filosofica nel neoplatonismo di Plotino, secondo il quale il
Tutto nasce per l'irraggiamento intorno a sò (nepidapdtc) delP Uno immobile,
cioè dell’ Unità suprema incomprensibile e ineffabile. L’immediata produzione
dell’ Uno è il Noo (9οῦς), cioè I’ intelligonza, che emana da quella come la 361
Ens-Enı luce dal sole; dal Noo emana l’anima del mondo, ο da questa
emanano le anime individuali. Qui si ferma il graduale irraggiamento dell’ Uno
; perchè se è vero che l’ anima produce il corpo, la materia, che ne è il
sostrato, non è più Ince ma ombra. Distingnendo emanazione dell’ essenza ed
emanazione della forza, la filosofia di Plotino è definita come un emanatiemo
dinamico. Cfr. Plotino, Enn., II, 4,10 segg.; V, 1, 3 segg. (v. oreasionismo,
cabbala, logos, x00, demiurgo). Embriologia. I. Embryologie; I. Embryology; F.
Embryologie. Quella parte della biologia che studio il modo di generazione e
sviluppo degli esseri. Con questo termine si designa aucora lu formaziono
embrionale © lo sviluppo dell’ essere medesimo, che consisterebbe nella
ripetizione compendiata delle vicende storiche attraversate dalla specie, dal
genere, dalla famiglia, dall’ ordine o dalla clusse rispettiva, durante la sus
evoluzione diflerenziativa: in altre parole l’ embriologia, ossia la
morfogenesi individuale, non sarebbe che il risssunto della genealogia, ossia
della morfogenesl atavica. Cfr. Bergh, Vorles. üb. allgemoine Embryologie,
1895; (i. Cattaneo, Embriologia e morfologia generale. od. Hoepli (v.
filogenesi). Emianopsia o emiopia. T. Hémianoprie, Cecità parziale, in cui il
soggetto non vede che In metà destra ο In meta sinistro degli oggetti che
guarda; resta abolita per tal modo metà del campo visuale. Dipende da una
lesione delle fibre del nervo ottico, nel tratto che va dal chiasma alla
corteccia cerebrale. La lesione determina |’ aboliziono della visione nella
parte corrispondente del campo vinivo, ο cioè destra se la lesione è a destra,
sinistra se è n sinistra. Cfr. Techernig, Optique physiol.. 1498 (v.
aocomodamento, binooulare, diplopia). Eminente. T. i/berragend, Hervorragend:
I. Eminent; F. Éminent. Nella teologia dicesi ria eminentiæ, per opposizione
alla via remotionis o negationix, la determinazione Emo 362
della natura © degli attributi divini mediante 1’ aflermazione in grado
sommo di tutto I’ essere e di tutte le perfezioni che esistono nelle creature.
Nella Scolastica unn causa è detta contenere eminenter I’ effetto quando è
molto più perfetta di esso, non contenendone i difetti e le imperfezioni; lo
contiene invece formaliter quando ha la stessa natura dell’ effotto. Nel
linguaggio di Cartesio, 1’ esistenza ominente è l’esistonza in tutta la sun
realtà; I’ esistenza ‚formale è V esistenza in sè; l’esistenza obbiettira è
l’esistenza per il pensiero e nel pensiero, cioè come oggetto doll’ iden.
L'esistenza eminente possiede quindi tutta In renltà o perfezione che è nell’
esistenza formale, e oltre. Siccome tutto ciò che vi ha di resle nel mondo
vieno da Dio, così il mondo esiste eminentemente in Dio. Il Berkeloy, dopo aver
negata I’ esistenza dei corpi, pone, ispirandosi a Cartesio, una causa eminente
delle idee che loro corrispondono; questa cansa è Dio, cosicchè le idee del
mondo esterno non sono che il linguaggio col quale Dio parla agli spiriti
finiti, per regolarli nella loro vita pratica. Cr. Heinrich, Dogm. theol., 1879, t. III, $ 166;
Goclenius, Lexioon phil.. 1613, p. 146; Descartes, Troirième meditation, $ 17 ©
18; Berkeley, Treat. on the prino., 5 segg.; Ch. Wolf, Philos. prima site ontologia, 1736, $ 845.
Emozionale (linguaggio). T. Ansdruoksbewegungen; 1. Expression of emotion; F.
Expression de l'émotion. Quell’ insieme di modificazioni organiche e di
movimenti istiutivi, cho costituiscono l’aspetto fisico delle emozioni, ο, in
quanto appaiono esteriormente, servono a indicare le corrispondenti emozioni,
per l'esperienza che ne abbinmo. ‘Tali modificazioni e movimenti, appunto
perchè possono richiamare per wwociuzione negli altri individui lo stato
psicologico corrispondente, diconsi segni emozionali, o patognomici, v
eapressiri. Il Darwin ha spiegato I’ espressione delle emozioni con questi tre
principi: 1° associazione delle abitudini utili: le azioni che sono utili a
soddisfare certi desideri ο Emo bisogui, si associano cou questi in modo che,
riprodu dosi questi anche in circostanze diverse, quelle pure si riproducono;
2° azione diretta del sistema nerroso: quando un centro nervoso è fortemente
cccitato, la sua energia o ribocca in certe determinate direzioni v è
apparentemente sonpesa; 3° l’antitesi: quando si hanno stati opposti ni
precedenti, tendono a prodursi movimenti opposti ni precedenti, benchè inutili.
Questi princip non sono da tutti accettati, ed il Wundt ha ad essi sostituito i
tre seguenti: dell’ associazione delle sensazioni analoghe, dell’ innervazione
diretta e del rapporto del movimento colle rappresentazioni sensoriali. Ad ogni
modo, le espressioni organiche delle emozioni hanno una ragione protettiva,
anzitutto perchè servono di deviazione alla forte eccitazione nervosa,
secondariamente perchè, specio nelle popolazioni primitive, esse avevano lo
scopo della difesa, orano l’inizio della lotta. Questo fatto si riferisco alla
legge seguente: un sentimento represso e quindi non troppo intenso, dà luogo al
principio di quell’ atto u cui darebbe luogo il sentimento stesso qualora
raggiungesse un certo limite d’ intensità, e non forse frenuto. Cfr. Darwin, The expression of
the emotions, 1865, cap. 1; Spencer, Principles of psychology, 1881, vol. II,
p. 545 segg.; Wundt, Grundzüge der physiol. Peyohol., 1893, vol. II, Pp. 504
segg.; Hiffding, Psychologie, trad. frane. 1900, Ρ. 126 segg. Emosione (e che vien da, motio
movimento). T. Affekt, Gemiithabewegung ; I. Emotion; F. Emotion. Dosigna,
nella psicologia moderna, uno stato della medesima natura del sentimento, ma
molto più forte di esso in quanto sorge d'improvviso e durante un certo periodo
di tempo κ’ impone allo spirito, arrestando l'associazione libera e naturale
delle rappresentazioni. La passione non à che una emozione divenuta
irresistibile 6 persistente. Secondo alcuni psicologi moderni (Lange, James,
Ribot, Mosso) l'origine dell’ emozione si ricondurrebbe a movimenti organici;
l’cleEmo 364 mento affettivo, che fa parte di esse, non
sarebbe così attribuito al pensiero, ma si ridurrebbe alla sensazione, alla
cenestesi, in altre parole al riecheggiare nella coscienza di più o meno
profonde alterazioni somatiche. Per tal nudo l'emozione risulterebbe di questi
tre momenti : rappresentazione della cansa; movimenti puramente riflessi del
corpo, modificazioni vasomotrici, contrazioni muscolari; coscienza dei
movimenti organici. Ad appoggio di questa teoria si osserva che, se di
un'emozione qualsiasi, ad es. la gioia, si tolgono le sensazioni organiche, 1’
emozione svanisce e non rimane che un'idea pura; ο che, d’altro canto, se si
producono artificialmente i concomitanti fisiologici dell’emozione stessa, non
solo si vedrà apparire l'emozione medesima, ma essa cercherà e troverà una
causa immaginaria, come avviene negli ubriachi ο nei malinconici. Tra questa
teoria somatica della ernozione e la teoria tradizionale ο intellettualieta
(secondo la quale lo stato mentale sarebbe la oansa delle modificazioni
organiche) sta la dottrina intermedia, secondo la quale l’emozione sarebbe la
sintesi complessiva di un particolare stato organico e di un particolare stato
psichico, agenti reciproca mente l’uno su l’altro. Le emozioni farono
classificate in depressive e diesaltamento, che sono le due forme principali
sotto cui si manifesta il loro carattere fisiologico ; Kant chiamò le prime
steniohe, lo seconde asteniche. Si dicono emozii potiori quei piaceri ο dolori
intellettuali, che si godono per la sola superiorità della intelligenza: tali
sono Ve. logica, che è esaltativa quando è costituita dal piacere della ricerca
e della scoperta del vero, depressiva quando risulta dalle pene dol dubbio e
dall’ avversione dell’errore: Pe. entetica, che risulta dalla contemplazione
del bello naturale ed artistico (esalt.) e del sublime (depres.); Pe. morale,
che sorge dalle azioni conformi (esalt.) o non conformi (depres.) all’ ideale
del bene; l’e. religiosa, che ha origine dal sentimento del legame che unisce
il nostro allo spirito misterioso, di cui riconosciamo la dominazione sul mondo
¢ sn noi stessi. Cfr. Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, p. 130; Anthropologie,
1872, § 71, 72, 74; Wundt, Grundzüge d. physiol. Payohol., 1893, II, p. 405 segg. ; Grundriss d.
Paychol., 1896, p. 199 ; Jodl, Lehrbuch d. Payohol., 1896, p. 692; Bain, The
emotions and the will, 1865; Spencer, Prino. of peyohol., 1881, II, p. 514
seg.; Sully, Outlines of peychol., 1885, p. 454; W. James, La théorie des
émotions, 1908; Lange, Les émotions, trad. franc. 1895; Th. Ribot, La Φεγολοὶ. des sentiments, 6* ed. 1906; Sergi, Lee émotions,
trad. franc. 1901; Mosso, La peur,
trad. franc. 1886; Ardigd, Op. fil., V, p. 506 segg.; F. B. Jevons, L'idea di
Dio nelle rel. primitive, 1914, p. 24-27 (v. emosionale, sentimento, passione).
Empirioo. Gr. Ἐμπειρικός: T. Empivisch; I. Empi cal; F. Empirique. Vocabolo
usato nei primi secoli dell'era nostra per indicare nna scuola di medici, che
si dicevano ἐμπειρικοί per opposizione ad altri detti λογικοί. Entrò poscia nel
linguaggio filosofico, per designare ciò che nppartiene all'esperienza, sia
esterna che interna; si oppone quindi a innato, rasionale, a priori. Talvolta si
oppone anche @ sistematico per indicare ciò che è un risultato immediato
dell'esperienza e non si deduce da alonna altra legge ο proprietà conosciuta,
Nell’ uso kantiano empirico si contrappone a puro, © indica ciò che
nell'esperienza totale non deriva dalle forme o dalle leggi dello spirito
stesso, ma allo spirito è imposto dal di fuori. Cfr. Sesto Empirico, Aypot.
pyrr., I, cap. 34; Ade. Logiooa, II, $ 191, 327; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
od. Reclam, p. 49. Empiriooritieismo. T. Empiriokritioiemus; I.
Empirioeritieism ; F. Empiriocriticieme. Il sistema filosofico dell’Avenarius,
detto anche filosofia dell'esperienza pura, in quanto si propone di ristabilire
l’esperienza pura con un processo di eliminazione di tuttocid che è un'aggiunta
arbitraria del pensiero, di spiegare psicologienmonte e fisiologicamente la
genesi dell’ illusione metafisica. Secondo Emp esso, tutto lo sviluppo della
filosofia © della conoscenza si riduce al principio dell’ inerzia, del minimo
consnmo di forza, che in rapporto alla vita psichica si esprime corì: il
contenuto delle nostre rappresentazioni dopo una nuova appercezione, ha la
massima somiglianza possibile col contenuto anteriore. In quanto poi l’aninia è
soggetta alle condizioni dell’esistenza organica e ai bisogni dell’adattam
questo principio diviene una legge di sviluppo: Pani non impiega in una
percezione più forza di quella che sin necessaria, e, quando si trova innanzi a
una pluralità di apporcezioni, dà la preferenza a quella che con nuo sforzo
minoro produce lo stesso effetto, o con uno sforzo uguale produce nn effetto
maggiore. Questa tendenza dell'anima al risparmio di forza, spiega la legge di
assimilazione, per cni il nuovo è ricondotto all’antico, il noto all’ignoto; e
spiega la creazione dei concetti, che con un unico sforro di coscienza ci
rendono possibile di abbracciare nn grande numero di oggetti. In tutte le
scienze agisce questo principio, facendo sì che i concetti e lo leggi
particolari siano condensati in concetti e leggi più universali; la filosofia,
che vuol darei un concetto universale del mondo, è In meta ultima a cui conduce
il bisogno di risparmiare l'energia della coscienza. Man mano che si procede
innanzi, si minano le aggiunte inutili all'esperienza, aggiunte che sono di tre
specie: le mitologiche, che pongono nel dato reale In forma di tutto il nostro
essere; le antropopatiche, che attribuiscono agli oggetti i nostri sentimenti;
le intellettnali o formali, che aggiungono all'esperienza certe forme proprie
dell’ intelletto umano (causa, sostanza, ece.), La pnrificazione delle due
prime è oggi quasi completa per effetto dell’evoluzione scientifica; purificare
l’esperienza anche dalle terze, ecco il cémpito della critica dell’esperienza
pura, la quale «i contrappone quindi alla critica della ragion pura di Kant,
che ha affermato invece la nedi tali forme por la spiegazione dei fenomeni, Que
867 Emp sti tre momenti della
conoscenza, al pari d’ogni altra forma di attività psichica, anche rudimentale,
si riducono a tre fasi successivo della serie vitale, cui corrispondono tre
fasi della serie psichica. Le tre fasi vitali sono : 1° turbamento
dell'equilibrio organico normale ; 2° processi intermedi per ristabilirlo ; 3°
ristabilimento di esso e delle condizioni favorevoli alla conservazione
dell'organismo. Le tre fasi paichiche corrispondenti sono: 1° momento di
insoddisfazione, per il presentarsi di valori psichici, che, in contrapposto n
ciò che tinora si è caratterizzato reale, vero, abituale, ecc., hanno il
carattore dell’ inaspettato, del nuovo, del problematico, ecc.; 2° ricerca di
ciò che è reale, evidente, noto, sicuro; 3° chiusura della ricerca col
raggiungimento del vero. Cfr, Avenarius, Kritik d. reinen Erfahrung, 1888-90;
Der menschliche Weltbegrif, 1891; Philosophie ale Denken der Welt gemass dem
Princip des Kleinston Krafimasses, 1908 ; Petzold, Einführungn in die Philos.
d, reinen Erfahrung, 1904; Hôtiding, Philosophes contemporains, 1908, p.
119-122; Aliotta, Riccardo Avenarius, Cultura filosofica », maggio 1908; Id.,
La reazione idealistira contro la sciensa, 1912, p. 68-110 (v. economica
concezione). Empirismo. T. Empirimus; 1. Empiriciem; F. Empirisme. Dottrina
psicologica, che fa derivare tutte le nostre conoscenze dall'esperienza sia
esterna che interna (riflessione). Bi dice quindi empirismo, o anche
sperimentalirmo «_positiviemo, quell’ indirizzo scientifico e filorofico che
considera come solo oggetto di conoscenza il fenomeno, ο come solo metodo di
ricerca l'osservazione, l'esperimento © induzione. L’empirismo psicologico si
oppone all'innatiemo e nl razionalismo, che considerano alenne idee
fondamentali ο i principi supremi della ragione, como anteriori all'esperienza
e ad essa irreducibili. Si distinguo anche dal sensiemo, che pone la sensazione
esteriore come la fonte unica di tutte le nostre conoscanze, mentre l'empirismo
propriamente detto lo fa derivare dn due sorgenti: END 368
l’esperienza esterna, ciod le sensasioni, © l’esperienza interna, cioè
la riflessione. Il massimo rappresentante dell’empirismo fu Giovanni Locke, del
seusismo il Condillac. Dicesi empirismo radicale la dottrina che, considerando
i principi, le leggi, ο le forme della conoscenza come convenzionali, o come
aventi un puro valore economico di comodità, d’uso, vuol liberarne la
conoscenza stessa per risalire all’esperienza pura, al fatto bruto che solo La
valore reale, ossia alla sensazione; per essu infatti l'universo è ito di
clementi sensoriali, i quali, secondo che si uns ο in altra maniera, ci danno
le determinazioni più diverse della realtà, quali l’io, da una parte, © il
non-io dall'altra, nelle sue varie forme ο specificazioni (v. economica,
empiriocriticiemo, innatismo, prammatismo, sensazionalismo). Endictioa. Quella
parte della dialettica che ha per scopo di stabilire le proposizioni
(ἐνδαικτική) ; appartiene all’agonistica, cioè l’arte dei certami dialettici.
Oggi è vocabolo poco usato. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 841. Endofasia. T.
Endophasie; I. Endophasy; F. Endophasie. E la successione delle immagini
verbali, con le quali si suole esprimere una successione di pensieri, ma che
rimangono allo stato psicologico, senza dar luogo si movimenti vocali, quando
tali movimenti importerebbero nna perdita di tempo e di forza. Dicesi anche
linguaggio interiore ed ha nei vari individui tipi fissi, a seconda che caso è
costruito su imagini acustiche, visive, motorie, ece. In alcune malattio
mentali codesto linguaggio interno si intensifica a poco n poco, finchè,
estendendosi I’ eccitazione all’ elemento psico-motore, l’individno, pensando,
dovo articolsre intensamente nel suo interno le parole; se l’irritaziono cresce
ancora, si ha la formazione di un impulso prico-motore che va agli organi
esterni della favelia, a l'infermo ha delle vere allucinazioni verbali
paico-motrici: da ultimo la stimolazione si scarica per le vie mo 369 END-Exr trici, © si ha l’articolazione
completa © la pronunzia distinta delle parole. Cfr. Ballet, Le langage intérieur
et lee formes do l'aphasie, 1886; Saint-Paul, Finde sur le langage intérieur,
1892; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 438 segg. Endogamia. T. Endogamie; I. Endogamy: F. Endogamie.
Forma di costituzione famigliare, in cui più nomini ai uniscono con la stessa
donna scelta nel seno della tribù. Secondo Mac Lennan l’endogamia rappresenta
una delle primissime fasi dell’ evolnzione della famiglia: essa narebbe infatti
snoceduta immediatamente alla promiscuità, perchè, praticandosi nelle tribù 1’
infanticidio ed essendo più frequente il sacrificio delle femmine, più deboli,
ne segni che, per rimediare a questa deficienza di donne, si dovette ricorrere
ο al matrimonio poliandrico nell’ interno della stessa tribù, o al rapimento di
donne a tribit nemiche. Cfr. Mac Lennan, Studies in ancient history, 1878 ;
Starke, La famille primitive, 1891 (v. emgamia, elerimo, lerirato, matriarcato,
poliandria, famiglia). Endolinfa. T. Endolymphe; I. Endolymph; F. Endolymphe.
Liquido trasparente, che riempie le cavità del labirinto membranoso dell’
orecchio interno. È più denso della perilinfa, contenuta nel labirinto osseo,
in cni stanno lo terminazioni nervose del nervo acustico. Secondo molti
psicofisiologi, Cyon, Mach, Ewald, essa avrebbe una grande importanza nel
produrre le sensazioni di equilibrio e della orientazione nello spazio. Cfr.
Cyon, Recherches our ler fonctions des canaux nemi-circulatres, 1878; Mach,
Grundlinien der Lehre von den Bewegunsenpfindungen, 1874; R. Ewald, Pflügers
Arch, vol. LV, 1895. Energia. T. Energie: I. Energy: F. Énergie. Por Aristotele
la materia è la potenza (ὀύναμις) © ad essa si contrappone l’onergia, che è
l’atto, l’effetto realizzato nell'opera (νέργεια): questa si distingne alla sus
volta dalla entelechia (ἐντελέχεια), che accenna propriamente allo tato di
perfezione in cai la sostanza si trova nituata, mentre 24 RanzoLI, Dizion. di acienze filosofiche. Ένα 370
Penergia accenna alla reale attività che essa esercita. Nella scienza moderna dicesi energia la forza
capace di lavoro; ed è attuale o cinetica quando il punto materiale cui è
applicata trovasi in moto effettivo; potenziale 8e il punto materiale non è in
moto, ma può effettivamente imprenderlo ; Venergia totale di un sistema
materiale ad un momento dato è la somma delle sue energie potenziali.
Energetica dicesi perciò quella parte della dinamica, che studia la
composiziono dei moti delle masse, che nel loro cammino sono capaci di produrre
lavoro. Cfr. Aristotele, Metaph., IX, 6; Phys., VIII, 5; De an., II, 5; Georg
Helm, Dio Energetik nach ihrer geschichtlichen Entwickelung, 1898 (v.
energiemo, forsa, morimento, laroro). Energie specifiche (legge delle). T.
Specifische Sinnesenergie; I. Specific energy; F. Énergie xpeeifique des sens. Sotto
la denominazione di legge delle energie specifiche degli organi di senso » si
intende la dottrina svolta primitivamente da Giovanni Müller nel 1840, secondo
la quale le diverse modalità delle sensazioni non dipendono dalla differenza
degli stimoli esterni che le eccitano, bensì dalla natura specifica degli
orguni. Essa è sinteticamente riassanta nello seguenti proposizioni : a) Per
effetto di canse esterne noi non possiamo avere alcuna specie di sensazione,
che non possiamo ugualmente avere senza dette canse per la sensazione degli
stati dei nostri nervi (ad es. nella allucinazione, nel sogno, nelle sensazioni
soggettive); 5) La medesima causa interna, 0 la medesima causa esterna, produce
sensazioni differenti nei diversi sensi in ragione della loro propria natura o
delln sensibilità specifica di essi (nd es. l’iperemia produce fosfeni agli
occhi, tintinnio agli orecchi, ece.); 0) Le sensazioni proprie a ciascun nervo
sensoriale possono essere provocate da molteplici influenze sin interne sia
esterne; la sensazione è la trasmissione alla coscienza non di ana qualità o di
uno stato dei corpi esterni, ma di una qualità, di uno stato del nervo
sensoriale, determinato da una causa esterna, o queste qualità sono differenti
nei differenti nervi sensoriali (la sensazione del suono, ad esempio, è
Venergia o qualità del nervo acustico, e non ha nalla di comparabile con le
vibrazioni dell’aria); d) È ignoto se le cause delle energio diverse dei nervi
sensoriali abbiano sede in loro stessi ο nelle parti del cervello o del midollo
spinale in cui terminano; ma è indubitato che le parti centrali dei nervi di
senso nel cervello sono capaci di provocare le sensazioni proprie di ciascun
senso, indipendentemente dai cordoni nervosi. Questa dottrina, svoltasi sotto
1’ influenza della teoria kantiana delle forme a priori della sensazione, ha
suscitato molte discussioni ο ancor oggi è assai dibattuta sin dai psicologi
che dai fisiologi. Cfr. J. Müller, Manuel de phyeiologie, trad. franc. Jourdan
et Littré, I, 711; Goldscheider, Die Lehre ron den spezifischen Energien, 1881:
Weismann, Die Lehre v. d. per, Sinnesenergien, 1895; Jodl, Lehruch d. Payohol.,
1896, p. 182 segg. Energismo. Ί. Energismus; F. Energieme. Nella filosofia
morale si oppone a edoniemo, e designa quella dottrin che pone come fine della
volontà l’attività della vita; tale dottrina è specialmente sostenuta dal
Paulsen. Nella metafisica o filosofia
generale, designa quella dottrina che tutta la realtà ridnco all’ energia,
considerata come una vera e propria sostanza (intendendo por sostanza ciò che
v'ha di permanente nel mondo esterno). Si contrappone tanto al mecoaniemo, in
quanto nega la realtà della materia, che si riduce alla energia, quanto al
dinamismo, in quanto al concetto soggettivo di forza sostituisce quello
obbiettivo e scientifico di energia. Tale dottrina è sostenuta oggi
specialmente dall’Ostwald, che la fonds su queste considerazioni: la sola cosa
conosciuta e conoscibile è l'energia, nella quale si esaurisce lo stesso
concetto di materia; infatti ogni nostra conoscenza del mondo esterno non è
dovuta che all’azione sui nostri sensi delle energie; poichè non solo noi
ENE 372
abbiamo dell’energia una esperienza diretta nello sensazioni dello
sforzo muscolare, ma ciò che noi vediamo non è che un lavoro chimio, prodotto
dall'energia luminosa, ciò che noi udiamo è il lavoro che le oscillazioni
dell’aria compiono nell’orecchio interno, se tocchiamo un corpo fermo sentiamo
il lavoro meccanico che è impiegato nella compressione della punta del nostro
dito ο dell'oggetto; mentre gli altri concetti fisici, massa, quantità di moto,
ece., la cui grandezza sottostà alla legge della conservazione, si applicano
solo a un determinato campo di fenomeni naturali, tutto ciò che noi ssppiamo
del mondo esterno lo possiamo esprimere in termini d’energia, la quale ci
apparisce dunque come il concetto più generale che la scienza abbia finora
formato ; esistono delle energie specificamente diverse, oltre le quali non è
necessario andare per cercare il sostrato della materia nella forza o nella
cosa in sè, essendo tali energie la realtà ultima e unica. Queste energie
specifiche sono di forma, di volume, di distansa, di movimento: nd es. si può
diminuire il volume di un corpo con una compressione fatta in modo da
consorvarne la forma, spendendo dell’ energia, che sarà restituita dal corpo,
quando esso riprenderà il volume di prima, e che possiamo chiamare energia di
volume. Ma il concetto di energia offre ancora il mezzo di sistemare sia i
fenomeni biologici, che si riducono à trasformazioni di energie le quali, a
differenza di ciò che accade nel mondo organico, hanno la proprietà di
conservare il sistema; sia i fenomeni psichici, i quali non devono già
considerarsi come concomitanti dei processi energetici del cervello, socondo la
teoria del parallelismo psico-fisico, ma comeun’energia dovnta alla
trasformazione dell’ energia chimica del corvello, e che sottostà alle stesse
leggi delle altre forme. Il fatto che tutti i processi Bsici si possono
rappresentare come trasformazioni d'energia, si spiega appunto ammettendo che
In coscienza è esan stessa energia la
forma 373 ENO-ENT più alta e più rara che ci sia nota e
comunica questa sua proprietà all'esperienza esterna. Cfr. F. Paulsen, Ein leitung in
die Philos., 2° ed. p. 482; W. Ostwald, Chemische Energie, 1893; Die
Uberwindung d. wissenschaftl. Materialismus,
1895; Aliotta, La reasione idealiation contro la scienza, 1913, p. 468 sogg.;
R. Nasini, La chimica fisica, 1907, p. 31 (v. attivismo, materia, meccanismo,
dinamismo). Enoteismo. T. Henotoinnue. Max Müller .chiama così quello stadio
primitivo della religione, in cui si adorano oggetti diversi presi a volta a
volta isolatamente come rappresentazioni di un Dio (alç-évéç). Si distingue
quindi tanto dal monoteiemo, che è la credenza in un Dio unico © solo (μόνος),
quanto dal politeiemo che è ls credenza in più divinità gerarchicamente
disposte a seconda della loro potenza e dei loro attributi. Cfr. Max Müller,
Forlesunyen κ. d. Entw. d. Rel., p. 158 sogg., 291 segg. Ente. Lat. Æns; T. Sein; Dasein;
Woson; I. Boing; F. Être. Tutto
ciò che è. Ha quindi lo stesso significato di essere, col quale è sempre usato
promiscuamente, sebbene alcuni filosofi, tra cui il Rosmini, credano debbano
distinguersi. Gli scolastici chiamavano ene per se quello che ha una essenza
sola, ad es. l’uomo; one por acoidens quello che consta di più enti in atto, o
di enti di diversi predicamenti, ο di un predicamento solo ma ordinati fra loro
naturalmente, ad es. un bosco di alberi; ene rationis logioum quello che si
finge col pensiero pur avendo qualche fondamento nelle cose; ene rationis pure
obiectum una chimera impossibile a realizzarsi.
Lente crea I’ esistente è la formula fondamentale dell’ ontologismo
giobertiano, necondo il quale oggetto dell’ intuito intellettuale è lo stesso
Ente (Dio), che crea le cose particolari. Infatti Dio solo 3, perch’ egli solo
ha in sè stesso la ragione del suo essere; il mondo non è, ma esiste, perchè la
ragione del sno essere non l’ha in sò, ma fuori di sè, cio in Dio, che produce
il mondo per creazione. Per tal modo l’origine della conoENT 814
scenza si connette all’ origine delle cose, e l'atto creativo, quale ci
vien fornito dall’ intuito, è ad un tempo la radice da cui germogliano tutte le
conoscenze ¢ tutte le esistenze. Mentre
il soggetto della formula giobortiana è l'Ente reale, il soggetto di quella del
Rosmini è l'Ente possibile indeterminatissimo, vale à dire l'essere spogliato
di qualsi determinazione. L’ idea di quest’ Ente risplendo di coni nuo nella
nostra mente, e per mezzo dei giudizi primitivi (giudizi percettivi) noi la
riconosciamo attnata negli oggetti particolari; per tal modo 1’ Ente cessa di
essere puramente possibile o ideale e diventa reale ed attuale. L’ idea
dell'Ente non è dunque soggettiva, ma oggettiva, in quanto il suo oggetto si
identifica da ultimo col Reale assoluto. Cfr. Gioberti, Introd. allo studio
della filonofia, 1840; Protologia, 1857; B. Spaventa, La filosofia di Gioberti,
1863; B. Labanca, La mente di Ῥ. Gioberti, 1871; Rosmini, Nuoro saggio
sull'origine delle idee, 1855; A. Paoli, Esposizione r gionata della filosofia
di A. Rosmini, 1789; Th. Davidson, The philosophical xyatem of 4. Rosmini, 1882. Entelechia. Lat.
Entelechia: T. Enteleohie; 1. Entelechy:
F. Entéléchie. Aristotele distingue. nel riguardo delVoperare, la materia, che
chinma potenza (δύναμις), forma che chiama entelechin (ἐντελέχεια). e l'energin
(2vépyeta). L’entelechia si distingue dall'energia, in quanto quella ncconna
propriamente allo stato di perfezione in cui la sostanza si trova attuata,
questa alla reale attività che exsa esercita. Però Aristotele adopera la parola
entelechia in due significati: 1° come atto compiuto in opposizione ad atto che
sta per compiersi, ὁ come perfezione che risulto da codesto compimento; 2° come
forma o ragione che determina l'attualità d’una potenza. Perciò chiama l’anima
ora la forma, ora l'entelechia di ogni corpo naturale organizzato, avente in sè
la vita in potenza. Il Leibnitz diede il
nome di entelechie alle monadi, perchè esse non agiscono una sull'altra, mu
bastano a sè stesse, 375 ENT avendo in sò la sorgente delle loro
azioni interne. Si potrebbe dare il nome di Entelechie a tutte le sostauzo
semplici ο monadi create, perchè esse hanno in sò una certa perfezione (ἔκουσι
τὸ ἐντελές); c'è una sufficienza (αὑτάρχεια) che le rende sorgenti delle loro
azioni interne, © per così dire degli automi incorporei ». Come si vede,
Leibnitz usa la parola entelechia nel significato di potenza prossima. Cfr.
Aristotele, Metaph., II, 4, 415 b; IX, &, 1058 a; Leibnitz, Theodicea, I, $
89; Monadologie, $ 18. Entimema (ἐνθυμέομαι
ripensare). T. Enthymem ; I. Enthymeme; F. Enthymème. Aristotele chiamò
così una brevissima argomentazione sillogistica in cui, da un verosimile ο da
un segno, si ricava una conclusione non ussoIntamente certa. Siccome in queste
forma di argomentazione era tacinta une premessa, supposta come nota, così i
logici posteriori, cominciando, paro, da Quintiliano, che enumerò i vari
significati della parola, chiamarono e chinmano entimema quella qualunque forma
di sillogismo euntratto in cui sia sottintesa una delle due premesse. Quando In
premessa taciuta è la maggiore, l’entimema dicesi di primo grado, quando è la
minore di secondo grado. Es. 1° grado: Anche gli animali sono di carne e
d’ossa dunque soffrono se maltrattati;
qui è taciuta la maggiore: tutti gli esseri di carne e d’ossa soffrono se maltrattati.
Es. 2° grado: Tutti i fenomeni naturali sono soggetti alla emusalità dunque anche la volontà; qui è taciuta la
minore: la rolontà è un fenomeno naturale. Aristotele chi poi sentenza
entimematica quella in cui le due proposizioni dell’entimema sono contratte in
una, e reca fra gli altri questo esempio: mortale, non serbare odio immortale.
Diconsi infine giudizi entimematici quei giudizi categorici contratti, che
mancano di soggetto o che hanno un soggetto puramente indicativo (questo,
quello); altre volte tutto il giudizio è concentrato nel verbo, il cui soggetto
è indeterminato nella mente (piove, lampeggia). Cfr. AriExr 376
stotele, Anal. pr., II, 27, 70 a, 10; Quintiliano, Inst, or., cup. X, $
1; Masci, Logica, 1899, p. 258 seg. Entimematica (prora). Aristotele chiama
così la prova dal probabile e dai segni: per probabile intende una proposizione
ritenuta vera dall’opinione comune, ma non vera assolutamente, per segno
intende una proposizione o necessaria o probabile, che ha la proprietà di
dimostrarne un’ altra. E necessario il segno che à effetto necessario o causa
unica della cosa significata, in modo che solo posto il segno sia la cosa, e
posta la cosa sia il segno; in tal caso la prova è certa: ad es. lo psichiatra,
dalla presenza in un individuo di deliri organizzati, che durano lungamente e
non terminano in demenza, trae la prova che l’individuo è un paranoico. È
probabile il segno quando non indica necessariamente una cosa sola, sia perchè
è un particolare cui si dà un valore generale, sia perchè è un generale che si
assume per provare l’esistenza di un individuale: la prova basata su questi
segni può quindi condurre in errore, come, ud es. se dall'essere stato il
Cellini grande artista e rompicollo si conchiudesse che tutti i grandi artisti
sono rompicolli, ο se dall’uver scoperto un'arma indosso a un imputato si
conchiudesse senz'altro che è colpevole. Ad ogni modo, la prova dai segni ha
uso larghissimo nella scienza ed è assai utile: tutta una parte della medicina,
la semiotica, prende nome da essi. Cfr. Aristotele, Top., I, 1, 100 a, 27;
Anal. pont., II, 24, 85 b, 23 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 333 seg. Entità. Lat. Entitas; T.
Wesenheit, Entität; I. Entity: F. Entité. Vocabolo proprio della filosofia scolastica, ricavato
dal participio del verbo esse (il τὸ ὃν dei greci). Vale essenza o forma. Gli
scolastici lo usavano infatti per designare il genere, il modello supremo
immutabile di cui gli individui non sono che le copie imperfette ο pusseggere,
la natura indeterminata che rivesto tutto le forme senza esaurirsi mai. Così
l'umanità era l'entità dell’uomo.
377 ENT-ENU D vocabolo è usato
oggi in un senso ben diverso: ussu designa un essere sostanzialmente distinto e
indipendente, per opposizione alla qualità, alla proprietà, all’ attributo,
all’aceidente, che non possono esistere che in un essere 0 per un essere.
Entoptiche (imagini) v. imagine. Entusiasmo. T. Enthusiarmus, Begeisterung ; I.
Enthusiam; F. Enthowsiasme. In Platone e Aristotele significa ispirazione o
esaltazione divina dell’ anima. Per Shaftesbury l'entusiasmo per tutto ciò che
è vero buono e bello, l'elevazione dell’anima ai valori più universali, la
rinunzia alla vita egoistica dell'individuo, costituisce la sorgente prima
della religione naturale; la quale è così una vita superiore della personalità,
un sapersi una cosa sola coi grandi nessi della realtà. Locke oppone
l’entusiasmo, ossia l’impeto dell imaginazione, alla ragione, che è la
rivelazione di quella parte di verità che Dio ha messo alla portata delle
facoltà naturali dell’ nomo: voler scoprire il vero con l’entusiamo, vorrebbe
dire perciò distruggere la ragione ο la rivelazione, sostituendo ad esse le
vane ombre della fantasia umana. Barthelemy Saint Hilaire distingue
l'entusiasmo dalla spontaneità: questa è la potenza interiore a cui l’anima s’abbandona
ciecamente, ed è un fatto generale che appartiene a tutti gli uomini: quello ne
è uns particolarità ed avviene solo in alcuni uomini. Cfr. Kant, W. W., V, 280;
Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, II, 179. Enumerazione. T.
4ufedhlung ; I. Enumeration; F. Enumération. L'induzione non è che un
sillogismo in cui in luogo del termine medio è data l’enumerazione incompleto ο
completa delle sue specie. Quando l’enumerazione dei concetti specifici del
genere non ne esaurisce l’estensione, l’ induzione è imperfetta e la
conclusione è soltanto probabile. La probabilità aumenta quando l’ enumerazione
nou è dei concetti specifici, ma degli esemplari di un'unica Eon-Epı specie.
Secondo alcuni, le prime nostro induzioni, non potendo fondarsi sopra un
principio che non è ancor dato, si sostengono semplicemente sul numero dei
casi, che presentano la proprietà che si attribuisce al genere; porciò tali
induzioni furono dette per enumerationem simplicem. Cfr. Bacone, Noe. org., I,
$ 105; De Dignitato, V, cap. II; J. 8. Mill, Syst. of logio, 1865, 1. III, cap.
3, § 2; Rosmini, Logica, 1853, $ 726 (v. induzione). Boni (aiöveg -le
eternità). Lat. derum; T. don. Gli gnostici chiamavano così, a causa della loro
eternità, le emanazioni ο proiezioni che, secondo la loro dottrina, colmavano
l'intervallo tra la materia e lo spirito, mettendo in contatto questi due
principi, da essi concepiti come opposti ϱ irredueibili. Gli eoni si
combinavano in sisigie ο in pleromi. Cfr. Eusebio, Praep. ev., XI, 18;
Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, I, p. 313 weg., 330 seg.
Epagoge, epagogico. 'T. Epagogik ; I. Fpagogio; F. Épagogique. Con questo
termine, ancora in uso, Aristotele designava il procedimento induttivo; la
parola induzione (induotio), fa, secondo Quintiliano, introdotta nel linguaggio
filosofico da Cicerone, come corrispondente alla greca ἐπαγωγή (da ἐπί = verso,
ἄγω = conduco). Tuttavia, il significato primitivo del termine non è sicuro;
secondo alcuni designava quel modo di ragionare nel quale si sostiene una tesi
con più ragioni ed esempi; secondo altri (Buddeo, ‘Trendelenburg) fu tolto
dalla lingua militare, nella quale indicava il procedere d'una schiera di
soldati in fila serrata. Ad ogni modo, oggi essa indica I’ induzione formale o
aristotelica, che va dalle leggi particolari alle generali, e si distingue
dall’induzione baconiana che va dui fatti alle leggi. Cfr. Aristotele, Top., I,
12, 105 a; Anal. pr., Il, 25; Cicerone, De intent., I; Trendelenburg, Elementa
logicer aristoteleae, 8" cd. 1878. Epicherema. Gr. Ἐπιχείρημα: T.
Epicherem; I. Epicheirema: F. Épiohéràme. Come dice la radice etimologica, 379
Epi è un sillogismo nel quale è aggiunta la prova di una ο di entrambe
le promesse. Es. I pesci sono vertebrati (perchè hanno una colonna spinale). La
triglia è un pesce. Dunque la triglia è un vertebrato. È detto anche dai logici
sillogismo catafratto ; Aristotele, che lo considerava come una forma di
ragionamento sul verosimile, lo disse sillogismo dialettico. Il Rosmini
distingue due specie di epicherema, il probabile ο il dimostrativo, il primo
ooncludente a probabilità, il secondo a necessità; entrambi sono usati dall’
arte di confutare ο elenotica, ed hanno per scopo di obbligare l'avversario a
cadere nella contraddizione. Cfr. Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a, 15;
Rosmini, Logica, 1853, p. 314 segg. Epicureismo. T. Epikureismus; I.
Epiowreanism ; F. Epicureisme. Scuola filosofica fondata da Epicuro in Atene
tre secoli a. C., e durata fino sl quarto secolo dell’ era nostra. 1 suoi
seguaci più noti sono Metrodoro, Ermarco, Polistrato, Apollodoro, Diogene di
Tarso. Fedro; in Roma Amafinio, Pomponio Attico e T. Lucrezio Caro, che ne
espone le dottrine del suo insuperabile poema De rerum natura. L’epicureismo,
come quello che fu 1’ unica filosofia irreligiosa dell’antichità, fu oggetto
d’ogni sorta di acense © d’una guerra accanita prima da parte delle altre
scuole filosofiche, poi della Chiesa cristiana, cosicchè ancor oggi epicureo è
sinomino di eretico, crapulone, gaudente. Lu critica ha dimostrato non solo
infondato codeste accuse, ina ha fatto risaltare come nell’epicureismo aleggi
lo spirito scientifico proprio dei tempi moderni. Esso infatti oselude ogni
intervento divino e ogni finalità nella natura, nella quale non imperano che
cause naturali; pone il criterio del vero nella certezza data dalla sensaziono,
e il fine supremo della condotta fa consistere non già nel piacere grossolano e
immediato dei sensi, ma nella felicità, che è data, per ciò che riguarda il
corpo, dall’ assenza del dolore (ἀπονία), per ciò che concerne l’ animo
Epi 880
dalla tranquillità (&tapafia). Per questi suoi caratteri, quando
l’ascetismo cristiano comincia a declinare coll’aprirsi dell’ età moderna, la
dottrina d’ Epicuro risorge : essa fa capolino prima in Montaigne, poi
apertamente è diffusa in Francia dal Gassendi ; ricostratte in Inghilterra
dall’ Hobbes, rinasce più tardi in Helvetius, D’ Holbach, Saint-Lambert e
ispira infine gli utilitaristi inglesi da Bentham a Stuart Mill. Delle varie
dottrine epicuree è fatta esposizione in questo vocabolario alle parole
anticipazioni, alarassia, canonica, caso, coniunola, eventa, olinamen,
oacumina, Dio, eudemonismo, intermundia, inane, idoli, atomi amo, ecc. La
parola epicureismo è anche adoperata per designare, in opposizione et stoicismo,
tutti quei sistemi di morale che pongono come norma suprema dell’operare il
piacere o l'interesse. Cfr. Gizycki, Ueber das Leben und die Moralphilosophis
des Epikur, 1879; W. Wallace Epiouroanimm, 1880; Guyau, La morale d’Epioure,
1878; Giussani, Studi luoreziani, 1896. Epifenomeno. T. Begleiterserscheinung;
1. Epipkenomenon: F. Epiphénoméne. Dato un insieme di fenomeni, costituenti una
specialità fenomenica distinta, se a questi s’aggiungo un fenomeno nuovo, che
può anche mancare © che, colla sua presenza ο colla sua assenza, non muta il
carattere precedente dell’ insieme, codesto fenomeno dicesi più propriamente
epifenomeno ossia fenomeno sovreggiunto. Quindi nella medicina si dà questo
nome ad un sintomo, che si manifesta in una malattia già riconosciuta © si
aggiunge agli altri sintomi presentatisi prima. Nella psicologia si chiama
epifenomeno il fatto di coscienza, la coscienza, quando si crede che essa non
sia costitutiva della attività psichica, ma semplicemente un fenomeno addizionale,
aggiunto al fisiologico, e che può anche non comparire senza che per questo ln
funzione psicologica sia distrutta. I segusci del materialismo psico-fisico,
considerando il fatto psicologico e il fatto fisiologico cioè lu funzione del
si 381 Err stema nervoso centrale come
due diversi aspetti, il primo interno e il secondo esterno di una medesima
attività, considerano i fatti di coscienza come semplici epifenomeni. Per i
seguaci della dottrina somatica dell’emozione, questa, risolvendosi
essenzialmente in una alterazione organica, in una reazione vasomotoria, lo
stato di coscienza emotiva è un semplice epifenomeno. Cfr. Ribot, Les maladies de la
personalité, 163 ed., 1899, Introd.; Les maladies de la mémoire, 313 ed., 1909,
cap. I, 1; W. James, La théorie de l'émotion, trad. franc. Dumas, 1903, Introd.
Epigenesi. T. Epigencse; I.
Fpigenesis; F. Épigénène. Dottrina che sostiene essere ogni nuovo individuo
l’effetto di un progressivo e regolare sviluppo del corpo organico, che fu
formato dalla fecondazione nel seno dell'organismo generatore; in contrasto
colla dottrina detta della preformazione dei germi, secondo la quale il germe
sarebbe un individuo estremamente piccolo, ma già completamento formato,
esistente attualmente nel generatore, e contenente alla sua volta una serie
indefinita di altri germi sempre più piccoli, gli uni involti negli altri, di
modo che ogni individuo conterrebbe in sè stesso tutte le generazioni cho da
lui possono sortire. Per la dottrina dell’epigenesi, dovata a G. F. Wolff, lo aviluppo
embrionale non consiste in uno svolgersi di organi preformati, ma in una catena
di neoformazioni, in cui ciascuna parte si forma dopo l’altra e tntte compaiono
in una forma semplice, che è affatto diversa da quella ulteriormente evoluta.
Cfr. (i. F. Wolff, Theoria generationis, 1759; E. Haeckel, Anthropogenie, 4°
ed. 1891, p. 28 segg. Episillogismo. T. Epieyllogiemus; I. Episyllogiem; F.
Episyllogisme. Sillogismo aggiunto, che ha per premessa maggiore o minore Ia
conclusione d’un sillogismo (v. poLisillogismo). Epistematico (ἐπιστήμη
--scienza). Qualche volta si adopera per designare il procedimento deduttivo,
che dai Eri-Ero 382 principi generali ricava delle conseguenze
particolari; in opposizione ad epagogico, che è il procedimento inverso, © induttivo,
per cui dai fatti o dalle leggi particolari si sale ai principi © alle leggi
generali. Quindi dicesi epistematica quella scienza che procede per deduzioni e
per sillogismi, in opposizione 8 scienza sperimentalo ο induttiva.
Epistemologia. T. Wissemschaftslehre ; I. Epistemology; F. Épistémologie. La
filosofia delle scienze. Essa stabilisco gli oggetti d’ogni scienza,
determinandone i caratteri differenziali, ne fissa i rapporti e i principt
comuni, le leggi di sviluppo e il metodo particolare. Si distingue dalla teoria
della conoscenza ο gnoseologia, in quanto questa studia la conoscenza nell’
unità dello spirito, nelle forme universali © nel meccanismo interiore, mentre
I’ epistemologin unalizza le conoscenze a posteriori, nella diversità dello scienze
© degli oggetti. La distinzione però non è sempre osservata, specie dai
filosofi inglesi. Cfr. R. Flint, Agnoaticiem, 1903, p. 10, 13. Epoca (da
ἐπόχειν sospendere, tacere). Gr. Ἐποχή:
T. Epoche. La famosa dottrina dello scetticismo pirroniano; significa
sospensione ο astensione dall’affermare ο dal negare intorno all'essenza di
qualsiasi cosa, In altro parole l’epoca è il dubbio scettico. Constatato le
antinomie della ragione e la disparità delle opinioni umane, Pirroneconsiglia
l’uomo a sospendere il suo assenso circa la natura delle cose in sè stesse, le
leggi e i rapporti invisibili degli esseri; egli deve aooontentarsi di
considerare le cose semplicemente secondo la diversa impressione che gli
arrecano. L'epoca ha una portata teorica © pratica; teorica perchè preserva
l'intelligenza dalle contraddizioni; pratica perchè l'assenza della
contraddizione significa la pace © la serenità dello spirito. Cfr. Sesto
Empirico, Pyrrà. Hypot., I, 188 segg.; Galluppi, Lezioni di logioa e met.,
1854, II, p. 250-55 (v. aoatalesia, afasia, diallelo, dicotomia, dommatiemo,
tropi). 383 Epo-Equ Epoptico. Si adopera talvolta in
significato di esoterico. Infatti nella scuola di Pitagora gli epopti erano
quelli fra gli allievi che, avendo sostenuto le prove stabilite ο possedendo in
modo completo la dottrina del maestro, fucevano parte della società stessa; gli
altri erano considerati come esterni alla scuola, come semplici aspiranti ad :
entrarvi. Così dicesi epoptioa quella parte del sistema filosofico di Platone e
anche di Aristotele, che era destinata soltanto agli scolari più fedeli e più
intelligenti (v. aoroamatioo, esoterico, ezoterico). Equabilità. Con questo
vocabolo, riferito al tempo, il Rosmini designa ls medesima quantità d’ azione
ottenuta con un grado costante di intensità. Infatti la durata successiva è da
noi concepita come lu possibilità, che mediante un grado dato di intensità, si
ottenga una data quantità di azione; in altre parole, dentro una durata
qualsiasi, la quantità di azione sarà proporzionata alla intensità dell’azione.
Questo rapporto costante può essere espresso Zi cui 1° desigi @ la quantità
d’azione, 8 la durata successiva. Cfr. Rosmini, Nuovo raggio sull'origine delle
idee, sez. V, par. V, ο. VI; Id., Peioologia, 1848, vol. II, parte II, p. 189-205
(v. durata, momento). Equazione. T. Gleichung ; I. Equation; F. Equation. Nella
matematica si chiama uguaglianza l’espressione algoritmica composta di due
membri, in cui il valore dell’uno è il risultato delle operazioni eseguite
nell’altro. Si chiama poi equazione quella uguaglianza, specialmente letterale,
nella quale in uno dei due membri si ha una lettera il oui valore non è
conosciuto (incognita) e lo si vuol determinare a mezzo della espressa
uguaglianza. Equazione del mondo. T. Weligleichung; F. Equation du monde. La
formula del determinismo rigoroso, che concepisce l’accadere così definito in
ogni ana fase, da consinella seguento formola: T= il tempo, Equ 384
derare il passato e l’avvenire come esattamente valutabili in fanzione
del presente. Il Laplace la esprime così : Una intelligenza che, in un istante
dato, conoscesse tutte le forze da cui la-natura è animata e la situazione
rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta per
sottoporre codesti dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i
movimenti dei più grandi corpi dell’ universo ο quelli dell'atomo più leggero;
nulla sarebbe incerto per essa, © l'avvenire, come il passato, sarebbe presente
a’ snoi occhi ». E l’Huxley, in modo ancora più concreto: Se la proposizione
fondamentale dell’ evoluzione è vera, che cioè il mondo intero, animato ο
inanimato, è il risultato della mutua interazione, secondo leggi definite,
delle forze possedute dalle molecole di cui era composta la nebulosa primitiva
dell’ univereo, allora non è men certo che il mondo attuale riposava
potenzialmente nel vapore cosmico, e che una intelligenza sufficiente avrobbe
potuto, conoscendo le proprietà delle molecole di codesto vapore, predire ad
esempio lo stato della fauna dell Inghilterra nel 1868, con pari certezza di
quando si predice ciò che accadrà al vapore della respirazione durante una
fredda giornata d'inverno ». Il determinismo viene così a convertirsi in un
predeterminiamo, che si distingne dal teologico solo perchè la necessità è
posta come immanente alla natura. Molti però intendono il determi nismo causale
non come una monotona ripetizione dell’identico, ma come una mutazione
incessante nella durata, come uno svilnppo continuo di forme nnove; e non lo
fanno cominciare arbitrariamente dalla nebulosa primitiva, ma lo estendono all’
infinito nel tempo e nello spazio. Così inteso il determinismo è la negazione
perfetta al predeterminismo e la sua espressione il contrario preciso di quella
del Laplace: ogni fenomeno naturale, emergendo dal seno dell’ infinito e
rappresentando il realizzarsi di nna serio infinita di possibilità, è
l'equazione dell'infinito, ossin i 0
385 5 Equ l’imprevedibile,
l’indeterminabile; cosicchè l’ipotesi di uno spirito infinito, che in base alla
conoscenza attuale della natura ne ricostruisca a priori la storia passata, e
lo svolgimento futuro, è, oltrechè inutile e indimostrabile, anche assurda. Cfr. Laplace, Introd. à la
théorie analytique des probabilités, 1886, p. VI; Renouvier, Hist. et solution
des problèmes metaphysiques, p. 168 segg. ; Bergson, L'érolution créatrice, 103
ed. p. 41 segg.; Stanley Jewons, The principles of science, 1877, vol. II, cap. XII, $ 9; C. Ranzoli, Il caso nel
pensiero e nella vita, 1913, p. 130 segg. Equazione personale. T.
Personalgleiohung ; I. Personal equation; F. Equation personelle. È la
differenza di tempo con cui uno stesso stimolo è'sentifo da diverse persone. La
constatazione di questo fatto, che diede il primo impulso alle ricerche della
psico-fisica sulla durata dei fenomeni psichici, fa fatta la prima volta all’
Osservatorio di Greenwich. Si osservò che un assistente incaricato di segnare
il momento del passaggio delle stelle sul filo, teso sopra Voculare del
canocchiale e coincidente col meridiano del luogo, notava costantemente il
passaggio delle stelle un minuto secondo più tardi dell’Osservatorio stesso.
Fatte le opportune indagini, si potd constatare che codesta differenza si
verifica sempre quando osservazioni simili vengono fatte do diverse persone, e
si inventarono apparecchi appositi per misurare 1’ equazione personale, diversa
nei diversi individui, ma pressochè costante nello stesso individuo; la
misurazione di essa serve a correggere i dati «lolle osservazioni individnali.
Cfr. Fechner, Elemente der Payohopysik, 1860 (v. tempo di reazione). .
Equilibrio. T. (lechgewicht, Aequilibrium; I. Fquilibrium ; F. Équilibre. È la
relazione esistente fra due corpi contigui, i quali, pur possedendo uno stato
determinato di tendenza al movimento, rimangono tuttavia in riposo. In un senso
più generale, e non puramente meccanico, si ‘lice che esisto equilibrio fra dne
cause di canginmento, 25 RANZOLI,
Dizion, di acienze filosofiche. Eu 388 qualunque siano queste cause e quel
cangiamento, quando un sistema semplice o complesso, sottomesso a queste cause,
non ne subisce alcun canginmento. Non bisogna tuttavia confondere l'equilibrio
col riposo: un sistema è in riposo quando non è sottomesso ad alcuna causa nè
interna nd esterna di canginmento. L'equilibrio si distingue ancho dall’
inerzia, perchè, mentro il concetto di equilibrio è una pura costruzione dello
spirito, possibile solo in quanto esiste il concetto negativo di assenza di
equilibrio, il concetto negativo di energia è d'ordine puramente ideale, non
esistendo materia sprovvista d’ inerzin.
Nel dinamismo volontario 1’ equilibrio corrisponde alla perplessità in
cui ci troviamo, quando la nostra volontà è sollecitata in senso opposto da
motivi e mobili uguali ; la possibilità, in simile caso, della scelta,
costituisco una prova di quella che dicesi libertà d’equilibrio. Alouni psicologi chiamano senso
dell'equilibrio quel sentimento particolare, che avrebbe sede nel cervelletto o
nella base dei canali semi-circolari, per cui è possibile conservare al proprio
corpo la giusta posizione © orientazione nello spazio; questo senso scompare in
alonne malattie, © può essere sperimentalmente abolito negli animali mediante
la distruzione di determinate parti del sistema nervoso centrale, Cfr. Mach,
Grundlinion d. Lehre von den Bewegungsempfindungen, 1878; Grasset, Los maladies
de l'orientation et de l'équilibre, 1901; Paulhan, Esprit logiques οἱ caprite
Sanz, parte II, cap. I, $1; L. Amoroso, Sulle analogie tra l'e. meccanico e
l'e. sconomico, Riv. di filosofia », aprile 1910. Equipollensa. T.
(‘leichgeltung: I. Equipollence; F. Équipollence. È la relazione che intercede
tra due concetti che si contengono a vicenda, che hanno cio la stessa
entensione. Per alenni logici, due concetti equipollenti non sono che il
medesimo concetto espresso con parole diverse; per altri, invece, sono
equipollenti due concetti che hanno In stessa estensione ma divers
comprensione, che cioè con 387 Equ-Ere
notano diversamente lo stesso oggetto che denotano. Cfr. Rosmini, Logios, 1853,
$ 389-391 (v. oonnotatiri). Equivalenza. T. Aequiralenz ; I. Equivalenoy ; F.
Equivalence. Si dicono equivalenti due cose, ad es. due figure geometriche,
quando non differiscono in nulla relativa mente all'ordine di ideo o al fine pratico
che si considera. Equivalente meccanico del calore dicesi il numero dei
kilogrammetri necessari in un corpo o in un sistema termicamente isolato, per
accrescere d’una caloria la sus quantità di calore. Siccome la legge della
conservazione della forza fu scoperta ο formnlata primitivamente nell’
equivalenza tra il lavoro meccanico e il calore, così la logge stessa dicesì
anche legge di equivalenza. Equivoco. T. Aequivok ; I. Equivocation; F.
Équivoque. E equivoca una parola quando ha più significati diversi, univoca
quando non no ha che uno. Sopra il significato equivoco d’una parola si possono
fondare molti sofiemi verbali, come l’anfibologia, la fallacia divisioni,
l'accento, eco. Cfr. Aristotele, Categ., I; Metaph., IV, 4 (v. omonima).
Eredità. T. Vererbung; I. Heredity; F. Hérédité, 11 fatto del trasmettersi
delle proprietà degli organismi nei loro discendenti per mezzo della
riproduzione. La aus formula ideale è: il simile produce il simile; oppure,
como propone l’ Haeckel: l'analogo produce l'analogo. Vi sono d specie
principali di eredità: la immediata, ciod la trasmissione diretta dei caratteri
fisici ο psichici dei genitori ai figli; la atavioa, ciod la riapparisione di
caratteri scomparsi da tempo più o ineno lontano. Vi sono pure due forme
principali: la similare cioè la trasmissione inaltorata degli stessi caratteri,
e la dissimilare, cioè la metamorfosi dei caratteri da una generazione
all'altra. L'eredità può trasmettere tanto i caratteri normali che gli
anormali; questa, che è detta eredità patologica, può avere due forme: l'una,
detta eredità di germe, è la trasmissione diretta della malattia : l’altra,
dotta eredità di terreno, è la tramminione ERE
388 di una predisposizione
speciale a determinate malattie; alcuni biologi esclndono però l’esistenza
della eredità di germe, non ammettendo che la seconda forma. Fra le leggi più
generali dell'eredità sono: quella della eredità adattata ο aoguisita, per cui
l'organismo può tranmettere ai discendenti delle proprietà che egli stesso ha
acquistato durante la ana vita, © quella dell'eredità costituita ο iasata, per
cui tanto più sicuramente si trasmettono le proprietà acquisite quanto più a
lungo durano le cause che le determinarono. Dicesi eredità omoorona, quella che
si manifesta alla stessa età; e. omotopa, quella in cni i caratteri si
riproducono in siti corrispondenti del corpo ; ο. anfigona, quella per la quale
tanto il padre che la madre riproducono nei figli i loro caratteri personali ;
ο, sessuale, In logge per cni eiasonn sesso trasmette soltanto »’ suoi
discendenti del medesimo sesso i suoi caratteri sessunli socondari ; e.
abbreviata, per cui si saltano nell’ontogenesi alcune fasi o forme della
filogenesi. Varie sono le ipotesi escogitate per spiegare i fenomeni ereditari,
ma si può dire che nessuna ha raggiunto la certezza di una vera © propria
dottrina scientifica. Sembra però indubbio che la trasmissione ereditaria
avvenga per un passaggio diretto, dagli ascendenti ai discendenti, di una
sostanza materialo apportatrice, se non dei singoli caratteri, almeno di una
disposizione primigenia, onde quei caratteri vengono poi detorminati nel
successivo differenziamento della cellulafiglia (quando l'organismo è
monocellnlare), nella moltiplicazione e nell’ ulteriore differenziamento dei
blastomeri © delle cellule elementari dei tessuti ed organi (quando l'organismo
è pluricellulare). Questa sostanza materiale è il plasma germinatito, che la
maggioranza dei biologi pone nel nucleo delle cellule sessuali, nucleo che
perciò è stuto denominato l'organo della eredità. Quindi In trasmissione caratteri
sarebbe dovuta alle minime particelle della sostanza vivente, siano esse le
gemmule di Carlo Darwin. 389 Ekk-Eki le plastidule di Haeckel, i biofori
di Weissmann, i granuli di Altmann, i eitoblasti di Schlater, ecc. Cfr. A.
Weissmann, Das Keimplasma, eine neue Theorie d. Vererbung, 1894; P. Lucas,
Traité de V'hérédité naturelle, 1847-50; Yves Délage, La structure du
protoplasme et les théories de V'hérédité, 1895; ‘Th. Ribot, L’hérédité
payohologique, 1884; G. Portigliotti, L'erodità comsanguinca, 1901 (v.
pangonesi, perigenesi, idioplasma, germiplasma, epigencsi, embriologia,
filogenesi, ecc.). Ereditarietà. La potenzialità ο la virtualità degli
orgnnismi a trasmettere i loro caratteri ai discendenti per mezzo della
riproduzione. Si distingue dall’eredità, che è il fatto reale ed attuale della
tramissione dei caratteri dai genitori ai figli. In altre parole,
l’ereditarietà indica una facoltà di cui l'eredità è l'esercizio. Eristica. Gr.
Ἐριστική: T. Eristik; I. Erietio; F. Eristique, L’arte di disputare per
disputare, di contraddire l’avversario ad ogni affermazione, senza l'intenzione
positiva di provare qualche cosa. Sarebbe la degenernzione della dialettica.
L’eristica trasse l’origine, secondo il Winokelinann, dagli enigmi e dai
logogrifi che i savii della Grecia usnvano proporsi, ancora prima che sorgesse
la filosofia ; fiorì specialmente nella scuola di Megara, fondata da Euclide; i
filosofi che appartennero a codesta scuola furono detti eristici, appunto
perchè disputatori sottili e spesso sofistici. Tattavis non bisogna confondere
l’eristica colla sotistica, giacchè quella è una derivazione di questa. Tra gli
argumenti dell’ oristica rimasero celebri specislmente due, il «mucchio » e la testa
calva », la cui idea si fa risaliro n Zenone, adattandosi alle argomentazioni
per cui si dimostra che è impossibilo la formazione delle grandezze mediante
parti piccolissime. Uno dei più inosanribili nel trovare simili bisticei fa il
megarico Diodoro Crono, del quale è rimasta la dimostrazione contro il concetto
di possibilità: possibile è solo il reale, perchè un possibile, che non diventa
reale, si dimostra appunto per ciò impossibile. Un Erm-Ekk 390
esempio di ciò che fu l’eristica ci è rimasto nell'Eutidemo di Plutone 6
nel nono dei Topici d’Aristotele. Malgrado il significato cattivo del vocabolo,
il Rosmini usa Ta parola cristioa per indicare quolla parte della logica, che
insegna l’arte di contendero con ragioni ed argomenti. Cfr. Diogene L., II,
107; Sesto Empirico, Adv. math., X, 85 segg.; Cicerone, De fato, 7, 13; A. G.
Winckelmann, Platonie Buthydem., 1833, Prolegom. ο. Il; Rosmini, Logica, 1853,
p. 310-315 (v. agonistica). Ermetismo. T. Hermelismus; I. Hermotiem ; F.
Hörmétisme. L'insieme delle dottrine religione, scientifiche ο filosofiche contenuto
nei libri attribuiti dagli Egiziani a Hermes Trismegisto o Mercurio. Questi
libri, in cui è riussunta l’antica sapienza egiziana, furono riuniti la prima
volta © tradotti in lingua latina da Marsilio Ficino ; però la loro antenticità
è nessi dubbia. Cir. Marsilio Ficino, Morcurii Triemogisti liber de potestate
et sapientia Dei, 1471. Errore. T. Irrtum; 1. Error; F. Erreur. E un
ragionamento falso ο un'opinione erronea, cho si distingue dal sofiema, in
quanto, mentre quello può essere involontario © nou dissimulato, in questo
invece l’errore è più o meno abilmente rivestito delle apparenze del vero, ¢
come vero si cerca di farlo accettare agli altri. Da ciò seguo che l’errore non
è mai affermato come tale; per una mente che erra, tutto quello che è affermato
sembra vero e l'errore non esiste. Esso comincia ad esistere solo quando è
stato scoperto. Nessun giudizio, quindi, può essore un errore per sè, ma tale
divonta solamente dopo che è stato corretto. Per Cartesio il problema
dell'errore sorge dal princi pio della reraoitas Dei, non potendosi comprendere
come la divinità perfetta abbia potuto formare la natura umana tale che possa
errare; egli ammette che solo le idee chiare © distinte esercitano una forza
così preponderante sullo spi rito, che questo non può non riconoscerle, mentre
di fronte alle rappresontazioni oscure © confuse esso conserva illi 391 Ekk mitata l’attività del suo libero
arbitrio: così nasce Perrore, quando l'affermazione © la negazione si snccedono
arbitrariamente, dato un inateriale di giudizio indistinto e oscuro. Per
Spinoza Perrore è una mancanza di cognizione, cosicchè l’anima, in sè stessa
considerata, non commette mai alcun errore: Cus) quando guardiamo il sole,
imngininmo che si trovi a una distanza di circa cento piedi da noi, e tale
errore non consiste in codesta imaginazione sola, ma in ciò che noi, mentre
imaginiamo così il sole, ignoriamo la causa di tale imaginazione, così come la
vera lontananza del sole ». Per Leibnitz l’errore è una privatio: «Io vedo una
torre, che di lontano mi pare rotonda montre è quadrata. Il pensiero che la
torre sis quale mi uppare, discende in modo naturale da ciò che vedo, ο quando
rimango fermo in tale ponsiero, tale affermazione è un falso giudizio ». Per
Hume invece l'errore consiste in uno soambio di rappresentazioni tra loro
somiglianti; per Kant in un inavvertito influsso della sensibilità sopra 1’
intelletto, che fa sì che noi ritenismo per oggettivo il fondamento puramente
soggettivo dei nostri giudizi © scambiamo quindi la pura apparenza della verità
con la verità stessa ». Per il Rosmini l'errore consiste nell’assenso dato in
senso contrario alla ragione; può quindi essere tanto un assenso gratuito,
quando si dà ad un giudizio che pu esser falso, quanto uns conseguenza
dell’assenso gratuito, quando è concesso sopra una ragione falsa; quando l’uomo
dà l'assenso mosso da una ragione falsa e mediante un atto di libero arbitrio
che dichiarò falso il vero, e vero il falso questo libero arbitrio, che invece
di soguire la ragione data dall’intelligenza ne crea una (falsa) da vt,
collocandosi nel luogo dell’intelligenza, è la facoltà dell’errore. La forza di
questa facoltà dell’ errore è tale che non si può assegnarle limiti
determinati, e però In storia della umanità dimostra che, verificandosi certe
condizioni, ella si estende a dare l’assenso alle cose più strane e in 392 credibili, ο a negarlo alle più credibili e
certe ». Por il Bradley tutto è upparenza nel mondo del pensiero umano, quindi
tutto vi è errore, ma in ogni errore c’è una parto di verità, come in ogni
verità c'è una parte di errore; onde si possono distinguere vari gradi, secondo
che è nocossario sottoporre l'apparenza ad una nuova sistemazione per
trasformarla in esperienza assoluta. Nel panteismo del Royce l’errore consiste
nella inadeguatezza dello stadio attuale del processo volitivo ad esprimere il
suo vero fine; poichè il fine non è sempre chiaramente presente alla coscienza,
ma si passa da uno stato vago e indeterminato di inquietudine ad uno definito
di volontà e di risoluzione, uttraverso il quale sono possibili gli errori
riguardo all'intelligenza del nostro fine; in breve, l’errore è un contrasto
tra la mia volontà parziale e il proposito finale che ho liberamente
scelto. Con l’espressione errore dei
sensi, si designavano una volta quelle che oggi si dicono illusioni naturali
dei sensi, come quella del sole che a noi sembra veder girare intorno alla
terra, di un bastone per metà immerso nell'acqua che appare piegato, ecc. Nella
psicologia sperimentale dicesi metodo degli errori un metodo che serve per
stabilire i rapporti che passano in una scala di sensazioni tra ognuna di
queste © gli stimoli corrispondenti. Esso può avere due procedimenti : uno,
detto degli errori medi, è fondato sul principio che, quanto più piccola è la
difforenza dell’eccitamento percettibile nella sensazione, tanto piccola sarà
anche quella differenza di eccitamento, che non è percettibile; il secondo è
fondato sul futto, che quando si fanno agire su un dato organo di senso due
stimoli poco diversi I’ uno dall'altro, per le oscillazio della sensibilità di
difforenza, o per altro, ora appare più forte il primo del secondo, ora
all’inverso. Cfr. Descartes, Med., IV; Prine. phil., I, 31 segg.; Spinoza,
Ethica, II, teor. XVII, XXXIII, XXXV, scol.; Leibnitz, Theod., I, B, 432; Hume,
Treat., Il, sez. 5; Kant, Log., p. 77; Rosini, Logica, 1853, p. 25, 53 sogg.;
Royce The world and tho individual, 1901, vol. I, p. 327, 384, 389; F. C. 8.
Schiller, L'errore, Riv. di filosofia », aprile 1911; A. Marchesini, L'arte
dell'orrore, 1906; E. Mach, Conoscenza ed errore, trail. it., Sandron. Esatto.
T. Ezakt; I. Exact; F. Exact. Dicesi esatta una enunciazione, quando è adeguata
a ciò che essa deve enunciare; in questo seriso esatto αἱ oppone quindi ad
ambiguo. Nelle enuneiazioni che si riferiscono alla misura, l’esattezza
consiste nell'essere la misura nd inferiore nd auperiore alla grandezza
misurata. Diconsi esatte così le scienze matematiche, perchè, secondo la
profonda intuizione del Vico, della materia di queste scienze, cioè le forme e
i numeri, noi stessi siamo gli autori, noi stessi creandole per mezzo del
ragionamento puro: esse quindi sono assolutamente vere 9 certe, mentre ciò non
può dirsi delle scienze sperimentali, le cui conoscenze non sono che approssimative,
essendo subordinate al grado di acutezza dei nostri sensi o alla perfezione dei
nostri strumenti. Escatologia. T. Eschatologie; I. Eschatology; ¥.
Esohatologie. Nella teologia dogmatica si designa così la dottrina delle ultime
cose, le quali, secondo alcuni teologi, sono tre: risurrezione, giudizio,
caugiamento della terra. In generale dicesi escatologia ogni dottrina che
riguardi il destino finale dell’uomo e dell'universo, ο in questo senso il
vocabolo è adoperato, oltrechè nella teologia, anche nella scienza e nella
filosofia. Esclusive (proposizioni). Quelle proposizioni complesse © implicite,
le quali esprimono che un dato predicato conviene a quel solo soggetto: ad es.
Dio è uno solo. Possono essere rese esplicite, equivalendo a dne proposizioni:
ad es. Dio è uno, e non più di uno. In generale, tutte le proposizioni
affermative sono implicitamente esclusive, perchè negano tutto ciò che ripugna
alla coesistenza col predicato attribuito al soggetto; questa negazione
impliEst 394 cita è di due maniere: 1° Rispetto ad alcune
cose, il predicato che si afferma del soggetto ha semplicemente la relazione di
esclusività, onde quelle cose rimangono escluse semplicemente; ad es. dicendosi
questo è un circolo », si esolude l’altra prop. contraria questo è un quadrato
». 2° Rispetto ad altre cose, ciò che si afferma nella proposizione non ha
semplicemente la relazione di esclusività, ma anche quella di correlatività, in
quanto ciò che viene affermato, nello stesso tempo che esclude quelle cose, implicitamente
le afferma esistenti come correlativo; ad es. l'affermazione dell’effetto
inchiude implicitamente l’affermazione della causa. Cfr. Rosmini, Logica, 1853,
p. 152. Esecuzione, T. Ausführung, Ezeoution; I. Ezeoution ; F. Erdoution. Nel
processo d'ogni singolo atto volontario (rolisione) dicesi esecuzione il
momento terminale del processo medesimo, ossia l’atto che consegue al prevalere
definitivo d'una idea-fine nel conflitto dei motivi. L'esecuzione rappresenta
nol processo volitivo il lato meceanico o materiale; la parte psicologica ed
essenziale di esso è costituita invece dalla deliberazione ο dalla scelta (v.
deliberazione, volontà). Esemplare. T. Exemplar; I. Exemplary; F. Exemplaire.
Nei processi di finalità intelligente, in cui l’attività dell'ossere è diretta
con mezzi noti ad un fine noto, dicesi causa esemplare il fino alla cui
realizzazione l’essero tondo, © causa efficiente l’attività stessa che tale
fine realizza. Si suol distinguere anche la causa esemplare dal fino: quella si
ha quando l’attività dell’agento è essa stossa lo scopo, questo quando invece
l’attività non è che un mezzo di cui lo scopo prefisso sarà l’offetto. Nella
filosofia platonica lc idee sono modelli, paradigmi, cause esemplari delle cos,
© quindi esistono per sò; ma esse non hanno causalità officiento e perciò
questa deve trovarsi accanto a loro e concorrere con loro alla formazione del
mondo; tale causa efficiente, che Platone toglie dulla credenza religiosa, è il
Demiurgo (v. causa finale, finalità, fine, teologia). 395
Est Esistenza. T. Existenz, Dasein; I. Existence; F. Kzistence. Lo stato
di una cosa in quanto esiste. Ha una maggiore ostensiono dei concetti di realtà
ed attualità; si oppone al concetto di nulla, ed anche a quello di essenza in
quanto questa è soltanto l'insieme degli attributi senza i quali la cosa non si
potrebbe concepire, ma che non bastano n far sì che in realtà sia; in altre
parole, l'essenza della cosa, una volta concepita, basta per dimostrarne lu
realtà intrinseca, ma non la sussistenza. Dicosi esistenza per sè 0 in sè il
fatto d’essere indipendentemente dalla conoscenza, sia dalla conoscenza
attuale, sia da ogni conoscenza possibile; esistenza contingente, quella che
non è contenuta nell’ossenza, esistenza necossaria quella che è contenuta. In
questo senso il realismo dell'età di mezzo insegna che tra l'essenza e
l’esistenza osiste un rapporto diretto, cosicchè quanto maggiore è
l'universalità tanto maggiore è il grado della realtà, e Dio, che è l’essere
più universale, è anche l’essere assolutamente realo, ene realissimum ; su ciò
Ansolmo di Canterbury fonda, nel suo Monologium, la prova ontologica
dell’esistenza di Dio, che si può riassumere così: mentre ogni singolo ente può
anche essere pensato come non esistente, e perciò deve la realtà del suo essere
ad un essere assoluto, questo, in quanto tale, devo essere pensato come
esistento unicamente per sun propria essenza (ascitae), dove osistero ciuè per
necessità della sua propria natura. In questo senso ancora, dice Spinoza: Alla
natura della sostanza appartiene l'esistenza. Infatti una sostauza non può
essere prodotta da alcuna altra cosa; essa sarà dunque causa di sò, ossia la
sun essenza involgo necessariamente |’ esistenza, cioò alla sua natura
appartiene d’osistore. L'esistenza di
Dio © lu sua ossonza sono una sola e medesima cosa. L'essenza delle coso prodotte da Dio non
involge l’esistenza ». Per Spinoza quindi, come per gli scolastici, l’esistenza
è un predicato della coën ; per Kant invece essa non può essere un predicato,
gineEsı-Esp chè il soggetto deve essere presupposto come esistente da tutti i
predicati: L'esistenza è l'assoluta posizione di una cosa e si distingue da
qualunque predicato, che come tale può essere posto sempre ad un’altra cosa in
modo puramente relativo... Quindi l’esistenza non è manifestamente un predicato
reale, cioè il concetto di un quid che possa essere mentalmente aggiunto al
concetto di una cosa. Essa è la pura posizione d'una cosa o di certe
determinazioni in sò stesse.... Cento talleri reali non contengono la minima
cosa di più che cento talleri possibili ». Psicologicamente, il concetto di
esistenza ha le sue radici nel sentimento del proprio io, che rimane
continuamente presente fra il comparire e scomparire delle altre cose ;
sentimento che viene poi trasportato per astrazione alle sensazioni stesse,
riguardate come oggetti fuori di noi, e csteso infine a tutti quegli oggetti i
cui effetti ci indicano un rapporto qualunque di distanza o d'attività con noi
stessi. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik, 1855-70, t. III, p. 217 segg.;
Spinoza, Hthioa, 1. I,
theor. VII, XX, XXIV; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 472 segg. ; H. Spencer, Princ. of
psychology, 1881, $ 59, 467 (v. es sere, ento, divenire, realtà, nulla,
sussistonca). Esistenziali (giudizi) v. tetici. Esogamia. Quella forma
primitiva di matrimonio poliandrico, in cui le donne vengono rapite alle tribù
nemiche. Il matrimonio per cattura pare fosse determinato dalla scarsezza delle
donne, poichè, praticandosi presso quelle tribù l’infanticidio, le più spesso
sacrificato erano lo femmine. L’esogamia segna un passo nell’ evoluzione della
famiglia, in quanto porta una limitazione alla poliandris. Cfr. Starke, La
famille primitive, 1891 (v. endogamia, Ἰοτίγαίο, eterismo, matriaroato,
famiglia). Esoterico
v. esoterico. Esperienza. T. Erfahrung; I. Experience; F. Experience. Nella logica designa il metodo sperimentale, ο
comprende 397 Esp quindi tanto l'esperimento propriamente
detto quanto l’osservazione. Nella psicologia per esperienza s'intende In
nostra facoltà di conoscere i fenomeni e si distingue in esperienza esterna
cioè la sensazione, ed esperienza interna, ossia la coscienza; in un senso
ancora più generale, ma sempre psicologico, per esperienza #’intende il fatto
di provare qualche cosa, in quanto ciò non è nn fenomeno transitorio ma qualche
cosa che arricchisce il nostro pensiero, ad es. esperiensa sociale, esperienza
religiosa, ecc. Nelle scienze biologiche il termine ha un significato assai più
vasto, intendendosi con esso l'insieme dei caratteri che l'individuo viene
acquistando, nel sno adattamento all’ambiente © alle condizioni d’ osistenza;
siccome tali caratteri possono trasmettersi per eredità nei discendenti,
rimanendo acquisiti alla specie, così ai distinguo nna esperienza individuale ©
una esperiensa specifica. Nell’empiriocriticismo © nelle dottrine economiche
della conoscenza, dicesi arperienza pura la conoscenza liberata da tutte le
sovrastrutture e le aggiunte inutili, dalle forme artificiali proprie soltanto
dell'intelletto umano (cansa, sostanza, tempo, ecc.), e ridotta in tal modo al
puro dato immediatamente vissuto (sonsazione), a quel fondo di esperienza
genuina e diretta in cui propriamente consiste la realtà. Cfr. Hodgson, The meta-physio
of experionoe, 1898; Avenarius, Kritik d. reinen ErSahrung, 1904; Ardigò, Opere
fil., vol. III, p. 266 segg. ; VI,
196 segg. Esperimento. T. Experiment; I. Experiment; F. Erpérience,
Ezpérimentation. Coll’osservazione noi non facciamo che assistere allo
svolgimento dei fenomeni, quali si producono in natura; l'esperimento consiste
nell’intervonire nei fenomeni stessi, riproducendoli nelle condizioni più
favorevoli per essero studiati. L'esperimento è dunque nina osservazione
artificiale, e costituisoo un mezzo di ricerca superiore all'osservazione;
infatti con esso possiamo produrre ripetutamente un fonomeno, isolurlo dalle
cause Esp 398 perturbatrici, variare indefinitamente le
circostanze della sun produzione, studiarlo partitamente sotto tutti i suoi
aspetti. Il merito di aver introdotto l’esperimento nella ricerca scientifica,
più che a Bacone e a Cartesio, vuol essere attribuito ai grandi genii del
nostro Rinascimento, specio a Galileo; a lui si deve se la scienza, abbandonato
il metodo aprioristico, adottò quell’ indirizzo sperimentale che doveva
squarciare tanta parte del mistero ond’ era avvolta la natura; con lui 1’
esperimento non è solo una accorta domanda alla natura, ma à una operazione
consapevole del suo scopo, onde le forme semplici dell’ sccadere vengono
isolate, per essere sottoposte alla misurazione. Va notato però che non sempre
l'esperimento è possibile, perchè in moltissimi casi In causa non è in nostro
potere o non possiamo adoprarla in modo che la ricerca sia fruttifora. Cfr. J.
Stuart Mill, Syst. of logie, 1865, 1. III, cap. VII; A. Valdarnini, It metodo
aperimentale da Aristotele a Galileo, 1909. Esplicativo. T. Erklärend,
erplioativ; I. Erplicatire : F. Ezplicatif. Che serve ad esplicare, vale a dire
a descrivere ciò che era sconosciuto o a mostrare che un dato di conoscenza era
implicito in una o più verità già ammesse. Per distinguerle dalle normative
(logica, etica, estetica, ecc.), si dicono esplicative tutte le scienze
naturali, le quali non hanno per compito di stabilire una norma suprema, ma
invece di cercaro la causa per cui certi fenomeni naturali ei producono e per
cui essi si spiegano. Alcuni logici chismano esplicativi quei gindizi in cui il
predicato comprende nella propria estensione il soggetto, sta a sè, e suole
grammaticalmente essere espresso da un sostantivo. Esplicito. T. Explicit,
ausdrücklich ; I. Explicit; F. Explicite. Una nozione o un giudizio si dicono
espliciti quando sono formalmente espressi nella proposizione. Le proposizioni
esplicite appartengono alle proposizioni composto e possono essere congiuntive,
disgiunlire, causali, condizionali e incidentali, Diconsi exponihili quelle
proposizioni impli 399 Ess cite ©
complesse, che si possono rendere esplicite. Si distinguono in esclusire,
ecoettuative, comparative, reduplicatire, determinatice, esornative. Essenza.
T. Wesen; I. Essence: F. Essence. Come la parola sostanza (substantia) è la
traduzione del greco broxslpsvoy, così l'essenza (essentia da cars = essere) è
la tradazione esatta, data da Cicerone, del greco οὐσία (da εἷva: ossere). Ma
nella filosofia greca essa non ebbe mai un significato preciso; usata per designare
ciò che è sotto l'apparire dei fonomeni, ciò che persiste identico sotto la
varietà ο la molteplicità di quelli, ciò che esce dal dominio della
osservazione sensibile per entrare in quello della conoscenza razionale,
l'essenza fu per tal modo identificata colla sostanza. Qualche volta soltanto
fn adoperata per indicare ciò che αἱ aggiunge alla sostanza per darle
determinazione e concretezza, e senza di cui la sortanza rimano una vuota
astrazione, una semplice possibilità. Kant ne precisò meglio il valore,
riducendola tuttavia ad una pura nozione logica; egli infatti distinse In
essenza una cosa dalla sua natura; quosta designa ciò che v'ha di reale nella
cosa che ci rappresentiamo, e non può essere constatata che per mezzo
dell'esperienza ; quella invoce è determinata dalla semplice nozione che noi
abbiamo della cosa, 9 può essere pienamente illusoria : L'essenza, egli dice, è
il primo principio interno di tutto ciò, che appartione alla possibilità di una
con... L'essenza è il contenuto di tutte le parti essenziali di una cosa, o In
sufficienza (Hinlängliohkeit) del loro carattere di coordina zione e di
subordinazione... Pereid αἱ riduce al primo concetto fondamentale di tutti i
caratteri necessari di una cosa ». Ugualmente il Fries: L'insieme dei
caratteri, che stabiliscono il contenuto di un concetto, ai chiama ancho
l'essenza logica di questo concetto ». Codesto carattere logico e puramente
astratto dell’ amenza tant verso da
quello attribuitole dalla filosofia green
ai trova Ess 400 per la prima volta negli scolastici. I quali
considerarono la sostanza, sprovvista di ogni forma, come una realtà attuale,
una esistenza positiva, ο l’essenza come l’ insieme delle qualità espresso
dalla definizione, o dalle idee che rappresontano il genere e la specie, Così
per G. Seoto l’essenza è quod perfootionem nature, quam definit, complet ac
perficit. Per Duna Scoto, substantia duplex cet esse, sc. cose ementice et
existentiæ. Individuum.... per se et primo ezietit, ossentia nonnisi per
aocidene. Anche Cartesio conservò In distinzione fra i due vocaboli; ma,
opponendosi agli scoInstici, considerò l'essenza non come una semplice
astrazione, ma come il sostrato vero e reale di tutte le qualità ed i modi
sotto i quali noi percepiamo un essere particolare, riserbando l’idea di
sostanza, che è il grado più alto della realtà © dell'essere, a Dio. Ora,
sottraendo dai corpi cid che non è essenziale, ciod i modi e le qualità
sensibili, noi giungiamo u coglierne la vera essenza, ed è l'estensione ; come
sottraendo ciò che non è essenziale dalla coscienza, si giunge a coglierne
l’essenza, cioè il pensiero. Per Spinoza l'essenza d’ una cosa comporta ciò
che, essendo dato, fa necessariamente che In cosa esista, © che, essendo tolto,
fa necessarinmente che la cosa non esista, vale a dire ciò senza di cui la cosa
non pnd nd esistere nd essere concepita, e reciprocamente, ciò che senza la
cosa non può nd esistere nd essere concepito; quindi all'essenza dell’uomo non
appartiene I’ essere della sostanza perchè l’essere della sostanza comporta
l’esistenza necessarin, cosicchè se appartenesse all'essenza dell’ uomo, data
la sostanza anche l’uomo sarebbe dato necessariamente, cosicchè l’uomo
esisterebbe necessariamente, il che è assurdo. Da ciò risulta che l'essenza
dell’uomo à costituita da certe modificazioni degli attributi di Dio ». Per
Malebranche l'essenza di una cosa è ciò che si conce pisce di primitivo in
codesta cosa, da cui dipendono tutte lo modificazioni che in ossa si notano ».
Locke, riforen 401 Ess dosi alla noziono
scolastica della essenza, dice: La parola essenza ha quasi perduto il suo
primitivo significato, e in luogo della reale costituzione delle cose è stata
quasi interamente applicata alla costituzione artificiale di genere © specie »;
rifacendosi perciò al significato proprio ο primitivo, che si riferisco allo
stesso esse della cosa, per essenza egli intende ciò per cui una cosa è quello
che è, la reale costituzione interna, per lo più sconosciuta, della cosa, da
cui dipendono le sue qualità conosciute ». Per Leibnitz è «la possibilità di
ciò che si pensa »; per.J. Stuart Mill «la totalità degli attributi designati
mediante la parola >; per Rosmini ciò che si comprende nell’ iden di una
qualche cosa »; per Ardigò un gruppo più o meno stabilmente connesso di dati
fenomenici, ossia l’aggruppamento di quegli atti coscienti, che accade si
trovino costanti nella rappresentazione dell'oggetto ». Cfr. Prantl, Geschichte
der Logik, 1855-70, III, 116 segg.; Aristotele, Met., VII, 4, 1030 a, 18 segg.;
Cartesio, Princ, phil., I, 51 segg.; Spinoza, Ethica, II, def. II, teor. X,
corol.; Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, 11, 1; Locke, Essay, 11,
cap. 3, $ 15; Leibnitz, Mouv. Kes., III, 3, $ 19; Rosmini, Nuoro saggio
sull'origine del idee, 1830, II, p. 217; Ardigò, Op. fil, I, p. 63 segg.; 128
segg. (v. aocidente, sostanza, materia, forma, concetto, modo, attributo,
ecc.). Essore. T. Sein, Soiendes, Wesen; I. Being; F. Être. L'idea di essero è
considerata come la più universale ο quindi come la più semplice; perciò è in ad
stessa indefinibile. Si è contrapposto all’essere: il nulla, considerato come
principio ugualmente necessario ο primitivo dell’exsere, ma che non è, come
idea, concepibile dalla nostra intelligenza se non in un senso puramente
relativo; il direnire, ciod il cangiamento, mentre l’essere è la stabilità:
Vesistere, ossia 1’ essere renle distinto dall'essere inmagi into Vexsera in
sò, insomma ehe non nario ο semplicemente possibilo. Si è d vale a dire In
sostanza, il soggetto, 28 Raxzon,
Dizion. di scienze filosofiche, ha bisogno per essere di essere in un’altra
coss, dall’essere per #2, che è ciò che, oltre essere in ad, non deriva la
propria esistenza da un altro essere. Dicesi essere puro quello che è
considerato indipendentemente dai suoi modi © dalle sue determinazioni; essere
supremo, Iddio, concepito come assoluto, realissimo, infinito, necessario,
immutabile ed uno, riassumente in sò sia la forma ideale che la reale e la
morale; essere intelligibile ο logico, l'essenza © l’idea della cosa, cui si attribuisce
una unteriorità logica rispetto all’essere conoreto nel quale si manifesta. Il
concetto dell'essere comincia ad elaborarsi con la scuola elentica, e
specialmente con Parmenide, per il quale l’essere è l'unico reale, l’unico
nesoluto intelligibile, principio, condizione, legge e oggetto essenziale del
pensiero, eterno, infinito, semplice, immutabile, indivisibile, perfettissimo,
identico con la sua iden. Per Democrito l’ossere si fraziona negli atomi, per
Platone #' identifica con le idee ; Aristotele definisce l’esistente como
l’essere che ei sviluppa nei fenomeni stessi, cosicchè l’essere delle cose,
conosciuto nel concetto, non possiede nessun’ altra realtà oltre l’insieme dei
fenomeni in cui esso si realizza. Per Stratone © per gli stoici 1’ essere è
determinato come la più alta delle categorie; per 8. Agostino l'essere reale è
soltanto quello che permane immutabile, quindi la divinità; per 8. Tommaso il
nostro intelletto conosce naturalmente l’essore, sul quale si basa la
conoscenza dei principi primi: per Leibnitz noi possediamo l’idea dell’essere,
perchè noi stessi siamo degli esseri e quindi troviamo l'essere in noi; per
Kant essere non è il concetto di qualche determinazione che possa aggiungersi
all’ idea di una cosa, ma è solo il fatto di porre una cosa o certe
determinazioni in # «tosse. Per Hegel l'essere puro è l’astrasione pura, V’
essere assolutamente indeterminato ; ma l’ essere nasoIntamento indeterminato è
1’ essere che non è nulla, 1’ essere ὁ altra corn che l’essore, l’essoro e ciò
cho non è 403 Est l'essere, in una parola 1’ essere e la
sua negazione, il nonessere ». Secondo il Rosmini l’idea d’essere è innata e
tutte le idee acquisite procedono da essa; egli distingue l’ensere necessario
in sè, in tre forme; essere ideale, in quanto comparisce come oggetto e
illumina le menti: es sere morale, in quanto determina il soggetto a sentire ed
operare, secondo la norma dell’essero ideale; essere reale, in quauto
comparisce come soggetto attivo che sente passioni ed azioni. Cfr. Kant, Krit.
d. reinen Vern., cd. Roclam, p. 237, 472; Hegel, Logik, $ 86 segg.; Dauriac,
Farai sur la cat. d’être, Aunée philos. », 1901; Rosmini, Nuoro saggio null’
origine dell’ idee, 1830, II, p. 15 segg. (v. ento, ontologia, divenire, nulla,
esistenza, essenza, sussistenza, acvidente, sostanza, vuoto, ecc.). Estasi. T.
Ekstase; I. Kontaxy; F. Eztase. 1 teologi la definiscono come un rapimento
dello spirito, nel qualo l’anima umana, chiusa ad ogni voce terrena, comunica
direttamente con Dio. Si chiama estasi, dice il Bontronx, uno stato nel quale
ogni comnnicazione col mondo esterno è rotta e l’anima ha il sentimento di
comunicare con un oggetto interno che è l'essere perfetto, l'essere infinito,
Dio.... L’estasi è la riunione dell’anima e del suo oggetto. Neasun
intermediario più tra essi : l’anima lo vede, lo tocca, lo possiede, è in lui
come l'oggetto è in Ini. Non à più In fede che crede senza vedere, à più della
scienza stessa, la quale non coglie I’ essere che nella sua idea: è una unione
perfetta, nella quale l’anima si sente esistere pionamente, per ciò atesso che
si dona e si rinuncia, poichè quello a cni si dons è l’essere ο In vita stessa
». La scienza In considera come un semplice stato di monoideismo, di
annientamento della volontà e della personalità, in cui l’individno è fuori di
ad, (ἀξίστημι = uscir di sè stesso). Un’unica rappresentazione,
straordinariamente intensa, domina l’individuo assorbendone tntta l’attività e
staccandolo dal mondo sonsibile. Questo stato pnd casera raggiunto ο naEst 404
turalmente o con processi artificiali, di cui abbonda la letteratura
filosofica © religiosa dell'Oriente. Gli estatioi si distinguono in santi e
demoniaci, a seconda del genio che li invade.
Plotino e Filone ebreo ponevano il supremo grado della virtù speenlativa
nell’estasi, cioè noll’assorbimento del nostro essere individuale e del nostro
pensiero stesso, in Dio o nell’Uno: L'anima non vede Dio, dice Plotino, che
confondendo, facendo svanire l'intelligenza che in essa risiede.... Nessun
intervallo più, nessuna dualità, tutt'e due non.fanno che uno; impossibile
distinguere l’anima da Dio, finchè essa gioisce della sua presenza; l'intimità
di questa unione è imitata quaggiù da coloro che, amando ed essendo amati,
cercano di fondersi in un solo essere ». Cfr. Plotino, En». III, 11; A. Merx,
Idee und Grundlinien einen Allgemeiner Geschichte d. Myatik, 1893; P. Janet,
Une extatique, Bull. Inst. psychol. », 1901; Boutroux, Le myeticisme, Ibid.
>, 1902 (v. monoideismo, ipnotismo, misticismo, suggestione). Estensione. T.
Ausdehnung ; I. Extension; F. Ertension. Si distingue alcune volte l'estensione
dallo spazio; quella ci è data dalle sensazioni tattili © cinestetiche,
muscolari e visive, che noi abbiamo sia della forma e dimensione degli oggetti,
sia del rapporto esterno tra di loro, in quanto coesistono, ossia della
distanza; questo non è altro che l’oggettivazione del rapporto dei coesistenti,
in quanto implicano la distanza e l'estensione. Oppure, lo spazio è il luogo
reale, o ideale di tutti i corpi, la cui estensione non è che una porzione
limitata di spazio; questo è illimitato, e le sue parti sono capaci di
qualsiasi forma, senza averne, per sò stesso, alcuna. Secondo Hume l'estensione
è idea di punti visibili o tangibili distribuiti nello spazio »; secondo Kant
essa non appartiene alle coso in sò, ma è nna forma » priori dell’ intuizione;
secondo Hartmann e Lotze l’estonsione non appartiene alle sensazioni primitive,
ma è il prodotto di una funzione del 405
Est l’anima, che colloca spazialmente gli oggetti esteriori; secondo il
Bain l’estensione risulta dal movimento delle nostre membra, a cui s’associano
i movimenti d’accomodazione degli occhi. Il Rosmini distingue 1’ estensione
dall’ esteso : con la prima intende lo stesso spazio considerato
indipendentemente dai corpi, col secondo il corpo che occupa una parte dello
spazio, vale a dire della estensione; la prima è infinita, immobile,
indivisibile, ossia continus ed immodificabile, il secondo è invece misurabile,
mobile, divisibile, modificabile. Quanto al concetto di estensione, inteso in
senso generale, come comprendente ciod anche l’esteso, esso risulta secondo il
Rosmini da due relazioni essenziali: considerata in sò stessa, l'estensione
risulta da un rapporto di esterioritä di parti, per cui le une sono fuori delle
altre ο tra un punto e l’altro è un dato continuo maggiore ο minore, per cui i
punti non si possono toocar mai; considerata in rapporto col principio
senziente, essa è n Ini condizionata e a lui inesistente, perchè il principio
senziente apprende l’esteso in un modo inesteso. Dicesi estensione, ο afora, © ambito di un
concetto, l'insieme di tutti i concetti di oui il concetto dato è una determin:
zione; ο, in altre parole, l’insieme di tutti i concetti nei quali il concetto
dato è compreso e dei quali può essere affermato come attributo. Ad es.
l'estensione del concetto uomo è data dai concetti europeo, asiatico, africano,
francese, ecc. I logici esprimono il rapporto delle parti dell'estensione tra
di loro mediante il simbolo dell’ addizione; ciò perchè, come gli addendi, le
parti dell’ estensione xi escludono tra loro, e sommate insieme costituiscono
il tutto. Cfr.
Bain, The »ensen and the intellect, 1870, p. 371 sogg.; Ueberweg, System der
Logik, 1874, $ 53; Rosmini, Psicologia, 1848, vol. II, p. 177 segg. (v. comprensione, distanza, spasio).
Estensivo. ‘I. Ertonsir; I. Extensive; F. Ertensif. Tutto ciò che occupa uno
spazio; si oppone quindi ad intensiro. Est
406 I fatti di coscienza sono per
loro natura inten: surazioni psicometriche non rappresentano quindi che una
rappresentazione estensiva dell’intensivo. Secondo Kant una grandezza è
estensiva quando la rappresentazione delle parti rende possibile la
rappresentazione del tutto, e quindi la precede necessariamente; e intensiva
quando non è appresa che come unità, e la quantità non vi può essere
rappresentata che avvicinandosi più ο meno alla neguzione. Soglia estensiva del
tatto, dicesi il diamotro dei oircoli tuttili, rappresentato dalla superficie
del derma in cui le due punte del compasso di Weber, o estesiometro, sono
sentite come una punta sola. Cfr. Kant, Arit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p.
164 seg.; Fechner, Elemente d. Paychophyeik, 1860. Esteriore. T. scussor,
Aussen; I. External; F. Estirieur. In generale, ciò che sta al di fuori di un’
altra cosu. Dicesi mondo esteriore o non-io il mondo sensibile, vale a dire
l'insieme degli oggetti distinti da noi ο che sono la cause delle nostro sensazioni;
il mondo interiore o Vio ci è conosciuto invece per mezzo della coscienza.
Secondo il realismo ingenuo, che s'accompagne invincibilmente all'esercizio
della nostra attività conoscitiva e pratica, il mondo esterno, le sue leggi e
proprietà hanno una esistenza altra dal nostro pensiero o indipendente dallo
percezioni che ne sbbiamo, le quali percezioni appsiono come la copia più ο
meno osatta del mondo reale. Ma fin dal priucipio i filosofi groci cercarono di
doterminare, sotto le mutevoli apparenze dol mondo esteriore, il fondo unico e
permanente, il vero reale da cui tutte le mutazioni provengono e in cui tutte
di nuovo si risolvono; stabilirono così un'antitesi tra ciò che @ © ciò che
appare, tra esperienza ο riflessione, tra verità e opinione. Da allora, due
problemi si imposero con forza sempre maggiore al pensiero filosofico: dato che
noi sinmo chiusi nella nostra coscienza, dato che nella coscienza non ci sono
che stati di 407 Est coscienza, come possiamo affermare
l’esistenza di un mondo esteriore alla mostra coscienza? Dimostrata l’esistenza
di questo mondo, qual'è la sua natura, quali le sue proprietà © in qual modo
sono da noi conosciute? Naturalmente, le risposte furono diversissime: per
alcuni filosof noi non possiamo affermare con certezza che gli stati della
nostra coscienza, cosicchè l’esistenza di un mondo esterno è per lo meno ipotetica;
per altri la sua esistenza è in dubbio, ma quale sia in sò stesso noi non
potremo mai conoscere; per altri il mondo esterno, essendo pure di natura
‘spirituale, è conoscibile per analogia col nostro spirito, ece. (v.
conoscenza, soggetto, oggetto, realirmo, idealismo, semelipsismo,
percesionismo, ecc.). Esteriorità (giudizio di). Con questa espressione, usata
specialmente nella filosofia francese, si desigua quell’ atto con cui
proiettiamo fuori di noi le modificazioni produtte in noi dai sensi, attribuendole
ad esseri distinti da noi ο di cui le nostre sensazioni sarebbero le qualità. È
dunque la credenza nella esistenza del mondo esteriore, che si unisce alla
sensazione e ci dà la percezione esteriore. Si contrappone al giudizio d’
interiorità, che è l’atto con cui gli stati psichici vengono riferiti al
soggetto, cioè come propri di Ini (v. percesione). Esteriorissasione. T.
Veriusserlichung ; I. Externalieation; F. Extériorisation. Con 1’ espressione
estertorizzazione della sensibilità si designano alcuni fenomeni, non bene
chiariti, nei quali la sensibilità di un individuo, durante il sonno ipnotico,
si trasferirebbe fuori di lui, così da sentire, ad es. il dolore d’una puntura
in una data regione del corpo, quando la punta non sia giunta aueoru a contatto
con essa © sia tenuta alla distanza di qualche centimetro dalla regione stessa.
Col termine esteriorizzazione si suol anche designare la proiezione della
modificuzione determinata dal senso, cioè dal dato della sensazione, fuori di
noi, all'oggetto che di essa è In causa oggettiva; Esr 408 è
con tale esteriorizzazione, che avviene specialmente per le sensazioni visive e
uditive, che noi acquistiamo la conoscenza del mondo esterno. Cfr. Ardigò, It
fatto psicologico della percezione, in Op. fil, IV, p. 343 segg. (v.
percezione, soggetto, oggetto, realismo, idealismo). Estesiometro. Strumento
assai semplice, che servo a misurare ln sensibilità tattilo, ed è derivato dal
compasso di Weber. Esso si compone di dne punte di metallo, fissate a perno sopra
un’asticella divisa in millimetri : le due punte, messe più o meno divaricate a
contatto col derma, sono sentite come una o come due, a seconda della maggiore
o minore sensibilità della parte toccata. Cfr. Fechner, Elemente d.
Peychophysik, 1860 (v. circoli tattili). Estetica (αἴσδησις = sensazione). T.
Aesthetik; I. doathetios; F. Esthétique. La scionza del hello, o filosofia
dell’arte, Il nome e la dignità di scienza le vennero dal Baumgarten, discepolo
di Cristiano Wolff; tuttavia, fuori che per coloro i quali, come il filosofo
tedesco, considerano il bello come una sensazione o un sentimento, il nome non
sembra molto appropriato, data la sua etimologia; infatti fu pdoperato dal Kant
nella Critica della ragion pura per designare lo studio della sensibilità ο
delle forme pure del senso. Nell'antichità le questioni relative al bello, non
si distinguono da quelle anl bene ο sul vero; perciò lo studio di esso fa parte
della morale, della logica e della politica. Il solo Plotino ci ba lasciato un
trattato veramente importante intorno al hello, che egli considera come il
trionfo dello spirito sulla materia: degli altri Platone non se ne oconpa che
saltuariamente, Aristotele lo studia soltanto in rapporto alla tragedia, 8.
Agostino nella musica, Longino nella rettorica, Orazio nella poesia,
Quintiliano nell’arte oratoria. Nei tempi moderni lo studio più poderoso
intorno all'estetica fu fatto da Emanuelo Kant, che si giovò delle ricerche
compiute precedentemente dai sensisti inglesi, dal Winckelmann e dal Les 409 Est sing. L'estetica di Kant, che entra nella
Critica del giudizio, si distingue in due parti, di cui l’una si occupa del
Bello l’altra del Sublime; tanto l’uno che l’altro sono oggetto dei giudizi
estetici, che hanno per carattere comune di essere disinteressati, di non dare
conoscenza, di riguardare l'oggetto solo in quanto è rappresentato, e di
pretendere al consenso universale sebbene non siano logi: Kant distingue
accuratamente il bello dal sublime, dal vero, dal buono e dall’aggradevole;
quanto al criterio del bello, egli lo fonda sopra uns particolare sensazione,
rendendolo così affatto soggettivo.
L'estetica, intesa in senso largo, comprende tre parti: una generale,
che determina i caratteri dell’ idea del bello, la natura e il fine dell’arte
in generale; una spooiale, che fissa la natura, i limiti, la posizione e le
norme delle arti particolari; una storica, che studia l'evoluzione dell’arte
nelle diverse epoche dell'umanità, Cfr. Baumgarten, Aesthetica, 1759; Kant,
Krit. d. Urteilakraft, 1878, p. 39 segg., 56 segg.; Lipps, Grundlegung d.
Aesthetik, 1903; Id., Die aesthetisohe Betraohtung, 1906; Dessoir, Aesthetik
und allgemeine Kunaticissenschaft, 1906; M. Neumann, Einführung in die
Acsthetik d. Gegenwart, 1908; Ch. Lalo, Introd. à l'esthétique, 1912; Id.,
L'esthétique experimentelle contemporaine, 1908; 8. Witasek, Prinoipi di
estetica generale, trad. it. Sandron; Manfredi Porena, Che cos'è il bello,
1905; G. Fanciulli, La cosoienza estetica, 1906; A. Rolla, Storia delle idee
estetiche in Italia, 1904; B. Croce, L'estetica come scienza dell’ capressione,
1909; A. Tari, Saggi di estetica ο di metafisica, a cura di B. Croce, 1910 (v.
dello, comico, sublime). Estetismo. T. Acethetismus; I. Acstheticiem; F.
Esthefirme. Nell’ estetica dicesi estetismo o estetioismo, per opposizione a
storicismo, quell’ indirizzo che attua la critica d’arte con criteri
esclusivamente estetici; per esso l’arte è opera d’ intuizione e quindi dev’
essere oggetto d’ intuizione da parte del critico, mentre i dati storici sono
un iugombro e un ostacolo alla impressione immediata, In filosofia dicesi così,
in senso dispregiativo, quel modo di ragionare, di speculare, di discutere il
quale consiste in un semplice giuoco di parole ὁ di idee, in un formalismo
vuoto ed astratto che, per quanto possa sembrare talora clegante, non fa
procedere d’un passo la ricerca del vero. Esso è dunque più che altro una
tendenza, che ha lo sue origini nella coltura e nello attitudini mentali dell’
individuo. Kant la chiamava filodozia. Infine, la parola estetiamo usasi talora
in senso non dispregiativo, per denominare quei sistemi filosofici che pongono
nell’ universo una finalità morale ed estetica, che considerano come vera
realtà non la necessità dol fenomeno ma il mondo illuminato dalla luce dell’idea
di libertà © di bellezza, e fanno quindi dell’ ispirazione artistica il vero
stromento della filosofia; in tal senso è estetismo la filosofia del Ravaisson,
per il quale la bellezza, e specialmente la più divina e la più perfetta,
contiene il segreto del mondo », e il processo cosmico, anzichè un meccanismo
di moti necessari ed eterni, è la perenne creazione di un’opera d’arte
meravigliosa; ed è un estetismo il sistema del Boutroux, per il quale le leggi
naturali non hanno nulla di assoluto e di eterno, risolvendosi în «leggi morali
ed estetiche, espressioni più o meno immediate della perfezione di Dio,
preesistenti ai fenomeni e supponenti degli agenti dotati di spontaneità >. Cfr. Kant, Krit. d. r.
Vern,, prof. alla 33 ed., § 16; Ravuisson, La phil. on France, 1889, p. 322;
Boutroux, Science et phil., Revue do metaph. >, nov. 1899; A. De Rinaldis, La coscienza
del‘Parte, 1909; G. Natali, Storicismo ed estetioismo, Riv. di filosofia »,
ottobre 1909 (v. verbaliemo). Estrasoggetto. Il Rosmini designa così l'insieme
delle cose estranee al soggetto intelligente, e che come tali vengono da lui
percepite al di fuori; però, appunto per questo atto percettivo,
l’estrasoggettivo diviene in qualche modo soggettivo. Il nostro stesso corpo
può venir percepito da noi sia soggettivamente, mediante il sentimento
fondamentale per cui sentismo la vita essere in noi, sia estrusoggettivamente
mediante i cinque sensi per cui esso è percepito come qualunque altro corpo ©
non come partecipe egli stesso di sensibilità. Cfr. Rosmini, Pricologia, 1846,
vol. I, p. 97 segg., 157 seg. (v. oenestesi, ente). Estrinseco. T. Auesserlich;
I. Extrinsio, extrinscval ; F. Extrinedque. In generale, ciò che non è compreso
nel. l'essenza dell'essere © nella definizione dell’ides di cui si tratta.
Nella logica diconsi estrinseche o esterne le denom nazioni, che consistono in
rapporti della sostanza con qualche altra cosa che non è essa stessa. Bi dice
che una cosa © un'azione hanno un ralore estrinseco, quando non sone per sè
stesse un fine, ma valgono soltanto come mezzo ad un’altra cosa. Cfr. Logique de
Port-Royal, parte 1, cap. 2. Eterismo. T. Heterismus ; I. Heteriem; F.
Hélérieme. Il Bachofen designs con
questo nome, entrato ormai nella terminologia sociologica, lo stato iniziale di
vita promiscua in cui si trovò l’umanità. In tale stato, descritto gid u colori
tanto vivi da Luerezio, non esisteva alcuna forma di istituzione sociale o
familiare, e gli uomini vivevano in lotte continue tra di loro, fomentate
sopratutto dal possesso delle donne. All’ eterismo sarebbe succeduto il primo
embrione di famiglia, a base materna. Cfr. Bachofen, Jas Mutterecht, 1861 (v.
matriaroato, esogamia, endogamia, lerirato, famiglia). Eternità. T. Ewigkeit ;
I. Eternity; F. Éternité. In senso filosofico, l'eternità è l’immutabilità, ciò
che è superiore ud ogni variazione. Perciò il tempo, anche se concepito senza
principio e senza fine, è infinito ma non eterno, perchè esso perpetuamente
trascorre è diviene. L’eternita è l'essere, quale fu già concepito dai filosofi
greci, 1’ essere perfetto, uno, immutabile, senza successione, e quindi senza
tempo. In questo senso Boezio distingue |’ eterno dal perpetuo : Eternità è
l’intero e simultaneo possesso Ere
419 di una vita interminabile;
ciò meglio si paless dal confronto di essa con le cose temporali. Tutte le cose
che vivono nel tempo presente procedono dal passato ‘e’ vanno al futuro, ©
ninna è collocata nel tempo in modo da poter abbracciare tutto lo spazio della
propria vita, poichè non possiede ancora il domani, ha già perduto I’ jeri, e
nella vita d’oggi vive un incerto e transitorio momento. Se adunque si misura
la vita di chi è soggetto al tempo... alla stregua della eternità, non giungo a
tal punto ds doversi stimare eterna; e quantunque comprenda uno spazio infinito,
pure non tutto lo abbraccia, mancandogli il passato © il futuro.... Se pertanto
vogliamo dar nomi giusti alle cose, chiameremo Dio eterno e il mondo perpetno
». Una distinzione analoga è fatta da 8. Agostino: Si recto discornuntur
acternitas ot tempus, quod tempus sine aliqua mobili mutations non est, in
aeternitate autem nulla mutatio cal, quis non videat, quod tempora non
fuissent, nisi oreatura fierot, quae aliquid aliqua mutatione mutaret? » In un
senso più comune, l’eternità è invece il tempo senza limiti nd nel passato, nd
nel futuro. Nella scolastica l'eternità era appunto concepita in questo modo, ©
perciò era distinta in aeternitas a parte ante, ossia il tempo infinito già
trascorso, © aeternitas a parte post, ossia il tempo infinito che deve trascorrere;
all'anima umana non era attribuita che questa seconda eternità, a Dio entrambe.
Per Giordano Bruno il mondo è eterno e soltanto lo sue forme sono mutabili; per
Spinoza l'eternità è propria della divinità e dei suoi attributi, che perciò
sono immutabili; Kant sopprime la contraddizione tra an tempo infinito e
l’origine del teınpo, considerando il tempo come una forma oggettiva, valida
soltanto nel dominio dei fenomeni: perciò le due proposizioni: il mondo ha
prineipio nel tempo », il mondo non hs alcun principio » sono ugualmente false.
Cfr.
Aristotele, Phys, IV, 12, 221 b; Boezio, De consol. phil, V, 6; 8. Agostino, De
cir. Dei, XI, 4, 6; Bruno, 413
Ers-Erı De la causa, disl. V; Spinoza, Ethica, I, def. vin, teor. 7, 19, 20, ece.; Kant, Krit. d.
reinen Fern., ed. Reolam, Ρ. 354 ségg. (v. aevum, durata, tempo). Eterogeneo. I.
Heterogen, ungleiohartig ; I. Hoterogencous ; F. Hétérogene. Ciò che è composto
di parti che diversificano tra loro in qualità; 1’ omogeneo è invece ciò di cui
tutte le parti sono della stessa natura. Secondo lo Spencer, l’evoluzione
consiste in un passaggio dall’ omogeneo all’ eterogeneo, dall’ indifferenziato
al differenziato. Cfr. Spencer, First principles, 1884, cap. XIV-XVIII (v.
indistinto, evolusionismo). Eterogenesia. T. Heterogenesie; 1. Heterogenesy ;
F. Hétérogènesie. Nella biologia si designa con questo termine una qualsiasi
deviazione organica, consistente in una anomalia nel numero degli organi ο
nella loro posizione. Por
contrapposizione ad omogenesia, che è la proprietà per cui due organi di sesso
opposto tendono a fecondarsi reciprocamente, il Broca chiama eterogenesia 1’
impossibilità di fecondazione tra due germi di sesso opposto, pur avendosi I’
nccoppiamento. Col termine eterogenia si
designa invece la generazione animale senza genitori, cioè la generazione
spontanea (v. omogenesia, teratologioo, ibridismo). Eteronomia (ftep0¢ =
diverso, νόμος = legge). T. Heteronomie; I. Heteronomy; F. Hétéronomie. Può
essere adoperata in due modi diversi: nell’ uno vale anomalia, deviazione delle
leggi ordinarie, nell’ altro si contrappone ad autonomia e designa il fatto di
un essere che non ha in sò stesso la ragione e la possibilità di operare, ma è
sottoposto passivamente all’azione di cause esterne, che gli si impongono ο lo
dominano (v. libero arbitrio, delerminiamo, autonomia). Etica, Gr. Ἠθική; Lat.
Ethioa; T. Kthic; I. Ethica; F. Ethique. E sinonimo di Morale; questa infatti
vieno dal latino mos, quella dal greco 790g, che significano entrambi costume,
abitudine. Aleuni vorrebbero forse riservata a deErn 414
signore la scienza morale, serbando la parola Morale a designare il
fatto della morale, la moralità; altri chiamano etica ogni dottrina
naturalistica senza principj speculativi nd obbligazione mistica, morale ogni
dottrina che pretende fondare sopra principj teorici una teleologia ideale e
nna obbligazione; altri ancora propongono di chiamare etica la scienza cho ha
per oggetto immediato i giudizi di valutazione sugli atti detti buoni o
cattivi, etologia o etografia la scienza che ha per oggetto la condotta degli
uomini, indipendentemente dal giudizio che gli nomini fanno di codesta
condotta, e morale l’ insieme delle prescrizioni ammesse ad un’ epoca e in ‘una
società determinata, lo sforro per conformarsi a codeste prescrizioni,
l'esortazione a seguirle. I filosofi kantiani distinguono generalmente l'etica
dalla morale, ponendo la prima al di sopra della seconds: La morale in
generale, dice Schelling, pone un comando che non si rivolge che all'individuo,
e non esige che l’assoInta personalità dell’imdividuo; l’etien pone un comando
che snppone una società d’ esseri morali e assicura la personalità di tutti gli
individui per ciò che essa esige da ciascuno d’ essi ». Per Hegel l'etica
designa specialmente il regno della moralità, la morale il dominio dell’
intenzione soggettiva. Cfr. Schelling, Sämélioho Werke, I, 25 Bulletin de la
soo. frang. di philosophie, Anno V, n. 7 (v. bene, morale). Etnografia. T.
Etnographie; 1. Ethnography: F. Ethnographie. Questo vocabolo si cominciò sd
usare etl principio del secolo scorso, specie dal Campe, come sinonimo di
descrizione dei popoli e delle razze umane. Il Wiseman la definì come la
classificazione delle rarze per mezzo dello studio comparato dei linguaggi.
L’etnografia appartiene allo scienze antropologiche, e nella parte generale
tratta le questioni relativo alle origini, alle migrazioni, ni caratteri fisici
© psichici dei popoli; nella parte speciale studia i rapporti dei vari popoli
coi tipi fondamentali, la storin, le manifestazioni sociologiche e religiose, i
fenomeni biologici. Cfr. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 7, 433 (v. antropologia). Etnologia.
T. Ethnologie; I. Ethnology; F. Ethnologie. Questo vocabolo sorse più tardi di etnografia ο
designa, secondo il Broca, quel ramo delle scienze antropologiche che s’occnpa
della descrizione particolare ο determinazione delle razze, lo studio delle
loro somiglianze ο differenze, così sotto il rapporto della loro costituzione
fisica come sotto quello dello stato intellettuale e sociale, la ricerea delle
loro affinità attuali, della loro ripartizione nel presente e nel passato, del
loro compito storico, della loro parentela ‘più ο meno probabile ο della loro
posizione rispettiva nella serie umana ». Non bisogna dunque confonderla con
l'etnografia, che è la parte descrittiva ο generale della scienza dei popoli. Cfr. Topinard,
Anthropologie, ethnologie et ethnographie, Bull. soc. d'anthropologie », 1876;
Id., Anthropologie, 1884, p. 8 seg.; F. Griibner, Methode der Ethnologie, 1911.
T. Ethologie; I. Ethology: F.
Ethologie. Nome dato dallo Stuart Mill alla scienza dei caratteri individuali,
che altri designa col nome di caratterologia. Si fonda Λοpra la psicologia, ma
se ne distingue in quanto questa hn per oggetto la conoscenza delle leggi
semplici dello spirito in generale, ed è peroid una scienza d'osservazione e d’
esperimento, l’etologia invece è una scienza interamente induttiva, cercando di
seguire le operazioni dello apirito nelle combinazioni complesse determinate
dalle circostanze. Lo scopo fondamentale della etologia è la classificazione
dei tipi dei caratteri. La classificazione più antica ο comune è quella
ippocratico-galenica che, basandosi sulla credenza che 1’ indole degli
individui dipendesse dal prevalere nell’ organismo degli umori (sangue, flemma,
bile gialla ο bile ner) riconosce quattro caratteri fondamentali: sanguigno,
bilioro, melanoonico, flemmatico. Molti filosofi moderni accettano,
Eup-Eur HR consistere la felicità nella calma, nella
tranquillità, nella liberazione dalle passioni e dai desideri, ο nell’ estasi,
che è una immedesimazione con Dio (stoicismo, neoplatoniamo); infine
l’eudemonismo pessimistioo ο negativo, per il quale la vita è intrinsocamente
infelicità e non merita quindi di essere vissuta. Per Kant la morale
eudemonisticn è il tipo della morale falsa, perchè è eieronoma, ossia perchè
rende la ragione pratica dipendente da qualche cosa data esteriormente ad essa;
la morale vera non può dipendere da nessuna volontà esistente empiricamente,
non dove essere un mezzo in servizio di altri scopi, è, in altre parole, un
precetto puro, un imperativo categorico ; lo sforzo verso Ja felicità non è un
bisogno della ragione, esisto empiricamente, cosicchè ogni morale eudemonistica
mena alVesplicito imperativo ipotetico, risolvendo le leggi morali precotti
della prudenza ; se, dico Kant, la natura avesse voInto destinarci alla
felicità, avrebbe fatto meglio a fornirei di istinti infallibili, invece che
della ragion pratica della coscienza, che è incessantemento in conflitto con i
nostri impulsi. Cfr.
Aristotele, Ethica, 1. 1 ο 10; Kant, Grundlegung zur
Metaphysik der Sitten, 1882, IV, 395; Paulsen, System der /hik, 1888, t. I, 1.
11, cap. 1; M. Heinze, Der Eudämoniemus der Griechischen Philosophie, 1383;
Bain, Mental and moral science, 1884; A. Marrot, Life and happines, 1889;
Wundt, Eihik, 1892, p. 508 segg. (v.
attivismo, energiemo. interesse, piacere). Eudemonologia. T. Kudämonologie; I.
Eudaemonoloyy; F. Eudemonologie. Dottrina che tratta della felicità che
consegue al bene morale, e del modo di svolgerla, Coscienza endemonologica, si
dice il giudizio che gli esseri intelligenti fanno del proprio stato di piacere;
6 bene endemonologico la stessa felicità che κ’ accompagna al bene morale.
Enforia. Termine usato especialmente nella psichintri per designare quello
stato di intima serenità ο di contentozza, che è proprio di alenne malattie
mentali, specie della mania e della forma espansiva della demenza paraica, ma
che può anche ensere l’effetto iniziale di corte sostanze, come l’oppio, la
morfina e la cocaina. Lo stato di euforia varia da un soggetto all’altro,
secondo I’ eccitabilità individuale del sistema nervoso contrale, l’educnzione,
la cultura, ece.; in generale, caso consiste nella soppressione di ogni
percezione dolorosa, eccitamento delle funzioni intellettuali, dimenticanza di
ogni noia ο dolore morale, senso di dolce calore al capo e di leggerezza delle
membra. Cfr.
Quincey, Confensions of a english opiumeater, 1890; Chambord, I morfinomani,
trad. it. 1894. Evemerismo. T.
Euhemerismus; I. Euhemeriem ; F. Erhémérisme. Dottrina religiosa, che ebbe
molti partigiani cos fra gli antichi come fra i moderni. Ni denomina così dal
nome del suo fondatore Evemero, filosofo della scnola cirenaica, che visse
nella seconda metà del secolo IV n. C. Egli sosteneva che tutte le leggende
intorno agli dei erano stato avvenimenti reali, ma terrestri e umani; 6 cho gli
dei stessi altro non erano se non uomini vissuti in tempi remoti, i quali,
avendo colpita l’imaginazione degli uomini o per la loro virtà, ο per il loro
coraggio, 0 per ln loro forza, erano stati dopo morte divinizzati. Così Giove
sarebbe stato un antico ro di Creta, come proverebbe l’esistenza in codesta
isola della sua culla. Ma la moderna scienza mitolo; ha dimostrato falso
codesto modo di spiegare l'origine dei miti. Cfr. Cicerone, De nat. deorum, 1,
42. Eventa. Lucrezio, traducendo i συμπτώματα di Epieuro, chiama così,
distingnendolo dai coniunota, lo proprietà o qualità eventuali delle cose, che
sono estranee alla corporeità di esse, che cioè possono anche mancare sonza cho
perciò una cosa cessi di exsero quello che è ». Tali sarebbero, per l’nomo, lo
schinvità, In povertà, In ricchezza, la libertà, ecc. Siccome poi tali erenta
noi li pensiamo in relazione al tempo, così il tempo e V erento Evi-Evo 420
degli eventi; vale a dire che il tempo si concepisce non in relazione
coi corpi, ma coi caratteri eventuali dei corpi, ο che mentre questi si
conoscono per mezzo dei sensi, il tempo non si conosce che per una inferenza
dai sensi. Cfr. Lucrezio, De rer. natura, 1. I, v. 449-463; Diogeno Laerzio, X,
38, 51 (v. accidente, attributo, adiafora). Evidenza. T. Evidenz; I. Evidence;
F. Evidenoe. Bi può definire come una verità così chiara e manifesta per sè
stessa, che lo spirito non può rifiutarvisi. L’evidenza dicesi razionale quando
risulta da un ragionamento, sensibile © sperimentale quando risulta dalla
constatazione di un fatto. Si distingue dalla certezza, che è nno stato
puramente mentale, © cioò lo stato del pensiero che si crede in possesso della
verità; ma questo può esser dato anche dall’errore, mentre soltanto la verità
può essere evidente. Epicuro pone come criterio del vero il sentimento della
necessità con cui la percezione entra nella coscienza, ossia quell’ esser
manifesto, quell’ evidenza (ἐνάργεια) con cui l'ammissione del mondo esterno è
legata nella funzione dei sensi; ogni percezione come tale è vera ed
incontestabile, sussisto per sò stessa indipendentemente da qualsiasi motivo.
Cartesio pone l’evidenza come criterio della verità ; nulla è vero se non ciò
che è evidente, e tutto ciò cho. è evidente è vero; a sua volta è evidente
tutto ciò che è chiaro e distinto come la coscienza di sò, quod lumine naturali
clare et distinote percipitur; ora, essendo solo giudice dell’ evidenza delle
cose lu ragione, essa dove infine decidere tanto di ciò che è la verità come di
ciò che è l'errore. Questo principio della certezza egli lo contrappone al
principio d’antorità, che aveva dominato durante tutta P etd di mezzo. Cfr.
Diogene L., X, 32, 52; Descartes, Princ. phil, I, 45; Wundt, Logik, 1893, I,
74-78 (v. cogito ergo sum). Evoluzione. T. Evolution, Entiriokelung: 1.
Evolution; F. Frolution. Termine dal significato molto vago, che può in421 Evo dicare tanto lo sviluppo lento e graduale
per opposizione a rivoluzione, quanto la trasformazione da forme basse ©
semplici a forme più alte e perfette, quanto lo svolgimento di un principio
interno, originariamente latente e che a poco a poco si manifesta all’esterno.
Nel linguaggio filosofico il vocabolo è usato più spesso ad indicare un
processo di trasformazione, diretto in un senso costanto © percorrente una
serie di fasi, delle quali si può assegnare in precedenza la successione;
questo processo può attuarsi tanto nella roaltà materiale (mondi, organismi)
quanto nella realtà spirituale (diritto, moralità, linguaggio, arte, religio
ne), ma implica sempre una variazione così in senso qualitativo come in senso
quantitativo; e poichè ogni sistema che si svolge è unità ‘nella molteplicità,
1’ accrescimento si riferisce così all’unità come alla molteplicità
(intograzione e differenziazione). Cfr. Richard Gaston, L'idée d’érolution,
1902; Romanes, L'evoluzione mentale dell’ uomo, trad. it. 1907; De Sarlo, Il
significato filosofico dell’ eroluzione, Cultura filosofica », Inglio 1913 (v.
eroluzionismo, darwinismo, neo-lamarkismo, progresso, trasformismo, ccc.).
Evolusionismo, T. Ecolutioniemus, Entwiokelungatheorie; I. Evolutioniem; F.
Frolutionisme. Dottrina filosofica, da non confondersi col trasformismo, e che
pone l'evoluzione per spiegare tutti i fenomeni naturali cogli organici. Lo
Spencer, che si considera come il capo dell’evoluzionismo definisco
l'evoluzione così: un'integrazione di materia accompagnata da una dispersione
di movimento, durante la quale la materia passo da una omogeneità indefinita ©
incoerente ad una eterogeneità definita ο coerente, ο durante la quale anche il
movimento, che è conservato, subisco una trasformazione analoga ». Mediante
tale processo dalla nebulosa primitiva, che rappresenta il mussimo dell’
indeterminatezza ο della omogeneità, si è formato il sistema solare; poi sul
piccolo globo della terra si sono venite distendendo masso viventi le quali,
sottoEy EXO 422 poste a diverse influenze, si sono
differenziate, dando luogo alle specie multiple delle piante ο degli animali;
in questo mondo animale, per una differenziazione sempre crescente, s'è venuta
svolgendo la vita dello spirito: linguaggio, religioni, istituzioni politiche,
arti, scienze, ecc. Si hanno così tre forme principali di evoluzione:
inorganica, organica, e superorganica. Ma va notato che lo Spencer considera
l'evoluzione come l'ipotesi più accettabile, non come una legge avento valore
ussoluto; e che per di più ossa non ci svela, secondo lo stesso filosofo, la
natura intima e la genesi delle cose in sè, ma soltanto la loro genesi in
quanto si manifestano allo spirito umano. Cfr. Spencer, First principles, cap.
XVII; Baldwin, Derelopement and erolution, 1902; Richard Gaston, L'idée
d'évolution dane la nature et dans l'histoire, 1902; Delage et Goldsmit, Les
théories de l'évolution, 1910; E. Clodd, I pionieri dell'evoluzione, trad. it.
1909; V. Ducceschi, Evoluzione morfologica ed er. chimica, 1904; C. Fenizia,
L'evoluzione biologica e le sue prove di fatto, 1906 (v. cosmogonia). Ex
concessis. Termine della scolastica, con cui si designa quella forma di
argomentazione sillogistica nella quale la premessa maggiore, quantunque falsa,
è accordata per vora. Tale argomento non dimostra quindi per sè ma
relativamente, 0, come dice Clemente Alessandrino, concludere ex concessia est
raliooinare, conoludere autem ex veris est demonatrare. Cfr. Clemente A.,
Strom.. VIII, 771. Exoterico. Gr. Ἐξωτερικός; T. Ezoterisch ; I. Eroteric; F.
Exoterique. Da principio il vocabolo, che signitica esterno, fu adoperato per
indicare i libri aristotelici d’ argomento non strettamente scientifico, per
opposizione ai libri enoterici. In generale dieosi esoterica una dottrina che
vien insegnata soltanto agli iniziati, mentre ai profani ne è resa impossibile
la conoscenza per ln voluta oscurità sotto cui è velata. Più specialmente
dicesi esoterico I’ insegnamento filosofico che Aristotele impartiva la mattina
ai propri di 423 Exr-ExT scepuli, i
quali venivano ammessi nell'interno della scuola dopo aver assistito
all'insegnamento più elementare: questo, detto per contrapposizione ezoterico,
era impartito invece la sera, e trattava questioni più facili ο d'interesse più
generale, assistendovi un pubblico più largo. Codesta distinzione sembra fosse
esistita anche nell’ insognamento di Platone e nella scuola di Pitagora. In
questa infatti erano detti esoterici gli alliovi cho avevano penetrata
pionamente la dottrina del maestro, eroterioi i novizi. Cfr. Bonitz, Index
aristotelious, 104 a, 44-105 L, 49 (v. epoplico). Experimentum crucis. Quando
lo scienziato cuncepisce un dubbio sul valore reale d’una causa presunta, o trovasi
incerto tra due ipotesi ugualmente possibili, dove produrre dei fatti che si
possono spiegare soltanto con l'intervento di quella causa, o che lo
costringono a respingere una delle due ipotesi, e ad accettare l’altra, ‘Tale è
l’esperienza che Bacone disse oruciale pigliando la similitudine, come dice
egli stesso, da quelle croci alzato nei bivj, le quali segnano le separazioni
delle strade ». Cfr. Nov. organon, 1, II, cap. XXXVI (v. instantiae, crucis).
Extrasensibile, I. Eztrasensible; F. Extrasensible. Non bisogna confonderlo col
sorrasensibile. La sensibilità ci rivela soltanto uns piccola porzione del
mondo, esterno, puichò vi sono nella nostra conoscenza di esso degli elementi
non presenti ai sensi; questa parte dell'ordine esterno cle nou ci è data
direttamente dalla sensazione, e che noi crediamo esistere, costituisce un’
esistenza extrasensibilo, lu quale ci è rivelata, secondo il Lewes, da varie
induzioni, | È infatti tra le infinito impressioni che colpiscono i nostri
sensi, soltanto alcune di esse corrispondono agli stati di coscienza, sicchè la
sfera sensibile è troppo limitata per abbracciare sia la totalità obbiettiva
sia quella piccola parte di essa che si trova in contatto con l'organismo : ne
consegue che la sfera della conoscenza non è limitata solo alle impressioni
sensibili, ma si estende anche alle Exr-Fac
424 inforenze, che sono
ricombinazioni e riproduzioni di tali impressioni; quindi la conoscenza sensibile
è estesa all’extrasensibile. Oltre poi questo mondo sensibile ο extrasensibile,
i metafisici ammettono una terza regione sovrasensibile, che è preclusa affatto
all'esperienza dei'sensi ed sporta soltanto alla fede ο alla intuizione
intellettuale. Cfr.
Lewes, Probleme of life and mind, 1875, vol. I, pr. I, cap. III, p. 253 sogg. F. Nellu logion formale è
adoperata nei tro ultimi dei quattro versi mnemonioi che designano lo figuro
del sillogismo, per indicare cho ogni modo espresso in una parola cominciante
per codesta iniziale, può ossore ricondotto, con processi logici speciali, a
qual modo della prima figura, cho è espresso in una parola cominciante per l’
iniziale medesima (Ferio); tali sono: Festino, Felapton, Fesapo, Fresison.
Facoltà. T. Vermögen, Seelenvermögen; I. Faculty; F. Faculté. Per facoltà
dell'anima s'intendono quelle forze speciali cho esistono nell’ anima, per cui
essa è atta a fare qualche cosa, quelle potenze misteriose © spontaneo di cui i
fatti psichici sono l'effetto. Si sogliono distinguere in pamire, come la
sensibilità, ο attire, come In volontà. Le facoltà passive sono dette più
comunemente capacità, risorbando il vocabolo proprietà alla semplice
predisposizione della materia inorganien a divenire soggetto di un dato
fonomeno, o ancho alla capacità della materia organica di dar luogo a fenomeni
fisici e chimici. Dice ? Hamilton: Facoltà, facultas, è derivato dal latino
arcaico facul, la forma più antica di facilée, du cui è formato facilitas. Fssa
è limitata in senso proprio al potere attivo, e quindi è applicata abusivamente
alle più passive affezioni dello spirito, alle quali capacità è più
propriamente limitato ». An 425 Fac che
per il Murphy le facoltà sono essenzialmente attive: . Boirae, L'idée de
phénomène, 1894 (v. altualivmo, fenomenismo, mobilismo, sostanzialivmo). Perio
ο ferioque. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si
designa quel modo della prima figura del sillogismo, nol quale la maggiore è
universale negativa, la minore particolare affermativa, la conelusione
particolare negativa. Es.: I pazzi non sono esseri normali. Qualche uomo di genio è pazzo. Punquo qualche uomo di genio non è essere
normale. Corrisponde 439 FER-Fis al τεχνικός dei logici greci ο ad
esso vengono ricondotti tutti i modi delle altre figure che cominciano con la
stessa lettera (v. sillogismo, figura, termine). Ferison. Termine mnemonico di
convenzione, con cui si designa nella logica formale quel modo della terza
figura del sillogismo, che ha la maggiore universale negativa, la minore
particolare affermativa, la conclusione particolare negativa. Es.: Nessun
delinquente è virtuoso. Qualche
delinquente è uomo colto. Dunque qualche
uomo colto non è virtuoso. Corrisponde al φέριστος dei logici greci, ο si può
ricondurre al ‘Ferio della prima figura mediante la conversione semplice della
minore. Fesapo. Termine mnemonico di convenzione, con cui si designa nella
logica formale quel modo della quarta figura del sillogismo, in cui la maggiore
è universale negativa, la minore universale affermativa, la conclusione
particolare negativa. Es.: Nessuna azione volontaria è priva di fine. Ogni fenomeno privo di fine è meccanico. Dunque qualche cosa che è meccanico non è
azione volontaria. Si può ridurre al Ferio della prima figura mediante la
conversione semplice dello due premesse e la conversione per accidente della
conclusione. Fespamo. Termine mnemonico di couvenzione, con cui nella logica
formale si designa quel modo dalla quarta figura del sillogismo, che ba, como
indicano le vocali, la premessa maggiore universale negativa, lu minore unive
sale affermativa, la conclusione particolare negativa (v. fosupo, fapesmo).
Festino. ‘Termine muemonico di convenzione, con cui nella logica formale si
designa quel modo della seconda figura del sillogismo, nel quale la maggiore è
universale” negativa, la minore particolare affermativa, la conclusione
particolare negativa. Es.: Nessun uccello è mammifero. Qualche animale che vola è mammifero. Dunque qualche animale che vola non è
uccello. Corrisponde nl pétptov dei logici groci ο si può ricondurre al Ferio
della prima figura mediante la conversione semplice della promessa maggiore,
Feticismo (faotitiue = fattizio). T. Fetischglauhe, Fetischimus; I. Feticiam ;
F. Fétichieme. La forma più grossulana dell’animismo, quale si riscontra nelle
religioni dei popoli primitivi e selvaggi. Esso consiste nell’adoraziono di un
oggetto inanimato (feticcio) che si crede dimora di uno spirito. Soltantochè,
mentre nell’animismo gli spiriti degli esseri naturali possono staccarsi dal
loro involuero visibile e spaziure liberamente por l’aria, nel feticismo invece
lo spirito del feticcio © la sua forma sensibile costituiscono una sola ο
medesima cosa. E poi errore designare col nome di feticismo la semplice
ailorazione degli oggetti naturali, come il sole, i fiumi, gli alberi, gli
animali, poichè il feticcio ha per carattero essenziale di appartenere
materialmente all’ uomo, di essere da lui scelto e lavorato ο d'essere
trusportabile a volontà. Il Comte attribuisce al feticismo una estensione
particolure. Egli lo considera como la faso inizialo ¢ più importante dello
stadio teologico, il fondamento di ogni sistema religioso, ο riguarda lo stesso
panteismo germanico dei suoi tempi come un feticismo più generalizzato ©
sistematizzato. Nella sua religione posi tiva, egli colloca la Terra col sistema
solare nella trinità positiva chiamandola il maggiore dei Feticci, mentre lo
spazio è il Gran Mezzo e I’ Umanità il Grand’ Essere, Cfr. F. Schultze, Der
Fetisohismue, 1871; A. Comte, Catéchieme ponitiviete, 1851; Système de
politique positive, 1854, vol. IV (v. animismo, elioteismo, pantelismo,
religione). Fideismo. T. Glaubensphilosophie ; I. Faith-philosophy ; © F.
Fidéieme. Con questa parola si indicò, sul principio del secolo scorso, il
tradizionalismo religioso promosso dalP Huet, dal Bautain ο dal Lamennais, cho
faceva dell’ intelligenza una facoltà snprema e speciale, contrapponendola alla
ragione: questa ci fa conoscere soltanto le apparenze dl Fip senza nulla dirci intorno alla vera
natura dello cuse, quella invece, prendendo per baso la parola rivelata, della
quale permette di cogliere il senso esoterico, dà all'uomo Ii tuizione diretta
della realtà spirituale, dell’assoluta verità. Più precisamente furon detti
fideisti quei seguaci del Lamennais, che attribuivano alla fede, all’autorità
della rivelazione divina, un officio esclusivo nell'acquisto d’ una vera
certezza dei principj della ragione. Per estensione, oggi la parola fideismo
viene applicata a tutte le dottrine che ammettono delle verità di fede accanto
o sopra le verità di ragione; quindi è spesso identificato con 1’ imma-ı
nentismo, col prammatismo, con |’ anti-intollettualiemo, ο si riconduce, sotto
tutte le sue forme, alla dottrina della fede | fiduoiale propria del
luteranismo primitivo. La fede fiduciale ο giustificante, che Calvino chiama
agnitio erperimen| talis, è un'esperienza interiore, che si distingue come tale
dalla fede nei dogmi, e sussiste anteriormente ad ogni atto intellettaale ; è
insomma una certezza immediata, non legittimata da un motivo, che possa
formularsi con un giudizio che la preceda. Qui si rivela il senso delle
espressioni comuni al fideismo contemporaneo: Dio è il riassunto delle nostre
esperienze religiose; la religione è una vita; lo formule religiose non
forniscono che l’espressione esteriore © formale dell’impressione interiore,
ecc. Poichè la fede tiduciale è di sua natura soggettiva, in quanto l'oggetto
di essa si risolve nel contenuto degli stati rappresentativi dell’esperienza
interiore. Il fideismo, già condannato più volte nel passato, subì ugnal sorte
ai giorni nostri sotto il pontificato di Pio X, che nell’enciclica Pascendi
dominici gregis così lo definiva: Dinanzi a questo inconosoibile, 0 sia esso
fuori dell’uomo oltre ogni cosa visibile, 0 si celi entro l’uomo nelle latebre
della suboosciensa, il bisogno del divino, senza alcun atto previo della mente,
secondo che vuole il fideismo, fa scattare nell'animo già inchinato a religione
un certo particolare sentimento; il Fie
442 qualo, sia come oggetto, sia
come causa interna, ha imPlicata in sò la realtà del divino e congiunge in
certa guisa l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il
nome di fede, e lo ritengono quale inizio della religione ». Per queste
ripetute condanne, che dànno alla parola un carattere peggiorativo, molti fra
gli stessi fideisti vorrebbero fosse abbandonata. Cfr. Calvino, Institution
chrétionno, 1562, 1. III, cap. II, p. 385; Lamennais, Ewai wur Vindifférence on
matière de religion, 1820, t. II, p. 37, 70, 80 sogg.; A. Richard, Zamennais ot
son école, 1881, p. 139 segg.; C. Ranzoli, Il fideiemo, in Linguaggio dei
filosofi, 1912, p. 213-227 (v. oredenza, fede, modernismo, ragione). Figura. T.
Schlussfigur: I. Figure; F. Figure. Nella logica dicesi figura (σχῆμα) d’un
sillogismo, la disposizione cho essa presenta riguardo alla posizione del
termine medio nollo premesse. Essendo quattro le posizioni possibili, quattro
sono le figure. Nella prima il termine medio è soggetto nella promessa maggiore
© predicato nella minore: nella seconda è predicato in entrambe le premesse;
nella terza soggetto in entrambe ; nella quarta predicato nella maggiore e
soggetto nella minore. Per ricordare facilmente la definizione delle quattro
figure, fu costruito il seguente verso mnemonico, nel quale eub è abbreviazione
di audiectum © prae di praedicatum : sub prae: tum prac prac; tum sub sub;
denique prae sub. Le prime tre figure si debbono ad Aristotele; l’ultima venne
attribuita da Averroò a Galeno, ma essa si considera concordemente come inutile
et artificiale. Il sillogismo di prima figura è il vero tipo del ragionamento
deduttivo, perchè va dalle condizioni al condizionato, dalla causa all’
effetto, dalla leggo al fenomeno: per esser valido deve aver sempre la maggiore
universale © lu minore affermativa. Quelli di seconda figura debbono aver
sempre la maggioro universale ο una delle due premosse negativa. Quelli di
terza figura debbono avere la 443 Fin maggiore uffermativa © la conclusiono
particolare. 1 sillogismi di seconda e terza figura possono essere ridotti alla
prima, secondo le regole già fissate da Aristotele. Cfr. Aristotele, Anal. pr.,
I, 4, 5, 6; Kant, Logik, 1880, $ 67-69; Masci, Logica, 1899, p. 244 segg. (ν.
sillogivmo, modo, termini, premessa, conclusione, forma). . Filodoxia. T.
Philodozio; 1. Philodozy; F. Philodorio. Kant chiama così quella specie di
dilettantismo filosofico, che oggi dicesi estetiemo filosofico, il quale
consiste nel ridurre la filosofia ad un vacuo simbolismo, in cui più che la
verità d’una dottrina se ne riceroa l'eleganza e alla ricerca del vero si
sostituiscono le discussioni sottili ed oziose: Quelli che rigettano il suo
metodo (del Wolf) ο tuttavia non ammettono nemmeno il procedimento della
critica della ragion pura, non possono avere altra intenzione che quella di
sbarazzarsi completamente dei legami della scienza, di cangiare il lavoro in gioco,
la certezza in opinione, e la filosofia in filodossia ». Anche Platone aveva
adoperato il vocabolo filodossi, contrapponendolo u filosofi, ma non nel
medesimo senso di Kant. Per filodossi (Φιλόδοξοι) egli intendeva coloro che si
compiacciono ο s’accontentano dell’apparenza delle cose, della moltitudine dei
fatti particolari e relativi, mentre i filosofi risalgono all’ossenza © all’
idea. Cfr. Platone, Repubblica, 1. V, 480; Kant, Krit, d. reinen Vern., prof.
alla 33 vd., § 16 (v. estotirmo, verbalismo). Filogenesi (yivasıs τῶν φυλῶν).
T. Philogencse; 1. Phylogeny; F. Phylogénèse. Indica l'evoluzione ο lo sviluppo
della apecio, in opposizione ud omtogenesi, che indica lo sviluppo dell’ individuo.
Socondo Haeckel ο i darwinisti moderni, l'evoluzione ontogenetica è il
riassunto della ovoluzione filogenetica, l’embriologia uns ricapitolazione
molto rapida e breve della geneologia ; vale a dire che un individuo di una
data specie, prima di raggiungere il suo completo sviluppo, deve trascorrere in
breve tutte lo fusi Fin MM di ovoluzione organica e psichica attraverso cui
passò precodentemente la specie alla quale appartiene. Questa è detta
dall’Haeckel legge biogenetica fondamentale. Cfr. Vialleton, Un problème de
l’évolution, 1908; Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 100
segg. (v. embriologia, ontogonesi, darwiniemo, trasformismo, eredità, ecc.).
Filoneismo (φίλος = amico, viog = nuovo). L'amore per il nuovo, che si
contrappone al misoneismo, che è l'odio per tutto ciò che è nuovo. Quando il
filoneismo diviene esagerato, dicesi più propriamente neomania, a cui si
contrappone la neofobia. Filosofema. Gr. Φιλοσόφημα; T. Philosuphem ; I.
Philosophema; F. Philosophème. Una delle quattro specie nelle quali Aristotele
distinse il sillogismo, per rispetto al fine che si propone chi lo adopera.
Esso è il sillogismo dimostrativo, che si propone la dimostrazione della
verità, Nell’uso comune indica dottrina o teoria filosofica; ma per lo più è
adoperato in senso dispregiativo, e vale sottigliezza da filosofo dialettico.
Cfr. Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a, 15. Filosofia. Gr. Φιλοσοφία; I.
Philosophie; I. Philosophy; F. Philosophie. Stando ad una antica leggenda,
raccolta da Diogene Laerzio e da Cicerone, il primo a chiamare la filosofia con
questo nome fu Pitagora, secondo il quale Dio soltanto poteva essere sofo, ciod
sapiente, e 1 uomo semplicomente filosofo, cioè amante della sapienza,
desideroso d’imparare; per spiegare questo termine nuovo, avendo paragonata la
vita alle grandi fiere a cui la gente aecurreva da ogni parte della Grecia, gli
uni per concorrere nei giochi, gli altri per vendere e per comperare, gli altri
infine per il solo piacere di vederne lo spettacolo, aggiungova: qui ceteris
omnibus pro nihilo habitis, rerum natura studiose intuerentur, hos se appellare
sapientiae studiosos ; id est enim philosophos. Di tale racconto dubitano i
critici moderni; ma è certo, ad ogni modo, che quelli che poi si 445
Fin dissero filosofi furono chiamati soff e sofisti fino a che tale
vocabolo non cadde in discredito; cho le parole filosofia e filosofare si
trovano usate, nel significato che poi ebbero sempre, soltanto nelle scuole
socratiche, delle quali è proprio anche fl concetto della incompiuterza del
sapere umano; © che, infine, l’uso delle parole medesime, ancora fluttnante in
Platone ο in Aristotele, non si fissò definitivamente che cogli stoici. Da quel
tempo in poi, della * filosofia fu dato un numero grandissimo di definizioni, e
in modi diversissimi furono intesi il suo compito, il suo oggetto, le sue
parti, i suoi metodi, i suoi rapporti con le altre branche dello scibile;
tuttavia, attraverso la diversità degli indirizzi ο dei sistemi, ha conservato
uu carattere fondamentale ο costante, cho la differenzid sempre da ogni altra
forma di sapere. Dalle scuole indiane agli ionici primitivi e da questi ai
positivisti e ai neo-criticisti moderni, In filosofia rappresentò sempre 1’
unificazione snprema delle conoscenze, la sintesi totale dei risultati
particolari d’ogni altra soienza, la matrice perenne dei problemi scientifici,
lo studio delle verità più alto o più complesse, che riguardano l'essere e il
conoscere, il mondo © Pesistenza, il reale ο l’ideale, lo spirito e la materia.
Secondo il vecchio paragone, l'universo è per le scienze uno spocchio in
frantumi; la filosofia, raccostando i frantumi, cerca di intravedere l’imagine
comune. Il compito della filosofin è dunque quello dell'unità; essa è
l’organizzazione dei pronunciati ultimi d’ ogni altra scienza, e dei concotti
problematici che ne sorgono, in un sistema esplicativo ottenuto mediante la
subordinazione loro ad un dato unico, che ne dà ragione. Ciò, come ha
dimostrato l’Ardigò, attraverso tutta la storia della filosofia, dagli inizi ai
nostri giorni. Agli inizi della filosofia le cognizioni furono sistemate nel
concetto generico del mondo, che si cercò spiegare prima col principio
dell’animazione, poi con quello del numero, indi con quello dell'ente; In
sintesi o il problema filosofico fn perFr
446 ciò da prima fisico, poi
matematico, indi metafisico. Formatisi poi dall’indistinto primitivo del mondo
i concetti distinti della materia, del pensiero e della moralità (da cui la
fisica, 14 logica e l'etica) sorse il problema del loro accordo, che la
filosofia ceroò spiegare unificando i tre concetti nel principio del
trascendente, concepito ora como intelligenza ordinatrice, ora come forza
creatrice, ora come sostanza dei fenomeni. Nella filosofia moderna i dati
offerti dalle scienze sperimentali vennero unificati nel concetto della natura,
spiegata ora come attività logica, ora come pura materia dotata delle sue
proprietà fisiche. Nella filosofia attuale, infine, l’esplicazione della natura
è fatta mediante il principio dell’evolusione, in cui la natura appare come
un'entità primitiva trasformantesi nelle sue forme definite ascendenti. Da
tutto ciò si possono ricavare aleuue eonelusioni, che pongono in maggior luce
il carattero fondamentale e perenne della filosofia: 1° la filosofin è soltanto
la concezione del problema da essa riguardato © il tentativo non ancor riuscito
della sua soluzione; in altre parole l'unificazione filosofica non ha che un
valore problematico, relativo, provvisorio mentre la soluzione dei problemi
stessi costituisce le scienze particolari ; 2° la filosofia precede quindi le
scienze, offrendo loro i problemi da risolvere, succede alle scienze, come
complesso dei problemi superiori generali ai cui presupposti le scienze si
riferiscono, durerà finchè dureranno le scienze, raccogliendo il problematico
insorgente perennemente allato della scoperta positiva; 3° la filosofia non
consiste dunque în un semplice inventario generale dei dati ultimi delle
scienze particolari; 4° non consiste, come altri credono, nel semplice insieme
delle scienze non fisiche, quali l’etica, l’esteca, la psicologia, eco.; 5° non
consiste nemmeno in un insieme di principi aprioristici, imponentisi per la
loro intrinseca evidenza metafisica, anteriori alla scienza positiva essa
inattacenbili; 6° 0 neppure si risolvo, come molti 447
Fin credono, in tante filosofie speciali quante sono lo scienze
particolari. Per ricordare ora alcune delle principali definizioni della
filosofia, nella Grecia sei erano specialmente celebri, secondo Hamilton : la filosofia
è la conoscenza delle cone esistenti, in quanto esistenti ; è la conoscenza
delle cose divino ed umane; à una meditazione della morte; una somiglianza
della divinità in quanto è competente all’ nomo; l’arte delle arti e la scienza
delle scienze; l’amore della sapienza. Per Cicerone la filosofia è la
conoscenza divinarum humanarumgue rerum, tum initiorum causarumque cuiuaque
rei. Por S. Tommaso la filosofia abbraccia tutte le verità accossibili mered il
solo lume naturale, ed è l’opera della ragione applicata alla ricerca della
verità: de quibus philosophicae diaciplinae tractant, secundum quod sunt
oognoscibilia lumine naturalis rationis. Per Bacono, come già per Aristotele,
essa è sapere razionale, scienza nol significato più generale della parola:
Philosophia individua dimittit; neque Impressionen primas individuorum, sed
notiones ab illis abstractas compleotitur... atque hoc proreua ofleium atque
opificium rationin. Anche per Cartesio la filosofia è sapienza, sia pratica ain
scientifica: Philosophiae voce sapientiae studium denotamus, et per sapientiam
non solum prudentiam in rebue agendis intelligimus, verumetiam perfeolam omnium
eorum rerum, quan homo potest novisne, sciontiam, quae et vitae ipsine regula
rit, et valetudini comservandae, artibusque omnibus inveniendin inserviat. Per
il Shaftesbury è lo studio della felicità »; per il Berkeley lo sforzo verso la
sapienza e la verità»; per Cristiano Wolff la scienza dei possibili in quanto
porsono essere ». Per Kant è la conoscenza razionale da concetti puri, la
scienza degli scopi ultimi della ragione umana », una solenza dello più alte
massime aull’ uso della nostra ragione ». Per Hogel la filosofia è,
formalmente, la considerazione dell’oggetto mediante il pensiero >, dal
punto di vista del contenuto In scienza dell'assolnto l’iden cho pensa sò
stessa, In verità connaFi 448 pevole ». Per Galluppi è la scienza del
pensiero umano »; per Rosmini la disciplina che tratta de’ primi principî », ed
è ideologia se si considera l'ordine che ha col pensiero umano, teologia
razionale se si considera 1’ ordine assoluto degli oggetti cogniti; per Comte l’esplicazione
dei fenomoni dell’ universo »; per Spencer «il sapere completamente unificato
»; per Lewes la sistemazione delle concezioni fornito dalla scienza »; per
Renan lo studio della natura e dell'umanità »; per Paulsen il contenuto di
tutte le conoscenze scientifiche »; per Wundt è lo sforzo di raggiungere una
intaizione universale del mondo e della vita, che soddisfi le osigenze della
nostra ragione e i bisogni del nostro sentimento >. Dicesi filosofia naturale l’ interpretazione
sintetica dei fatti fisici o del mondo esterno; filosofia prima o generale la
filosofia propriamente detta, cioè l’interpretnzione totale dell'universo,
della sua origine, della sua nntura, del sno fine; filosofia della storia
quella che studia In società nel sto movimento e cerca interpretaro i fatti
storici riconducendoli ad un principio unitario ; filosofia del diritto quella
che ha per oggetto la ricerca dell origine del diritto, delle sue forme, della
sua evoluzione; filowofia delle scienze quella che stabilisce gli oggetti
d’ogni scienza, determinandone i caratteri differenziali, fissandone i rapporti
e i principi comuni, le leggi di sviluppo e il metodo particolare; filosofia
scfentifica quella che, basandosi sopra la relatività della conoscenza, rigetta
ogni dato aprioristicn, esclade ogni dottrina dogmatica intorno al reale
assolnto, e corca costruiro la sintesi filosofica appoggiandosi sui riaultati
dello scienze particolari: in senso analogo si usano le espressioni filosofia
dell'esperienza © filosofia epertmentale. Con le espressioni filosofia
zoolagica, filorofia biologica, filosofia della chimica, ecc. si sogliono
designaro quelle parti di ciascuna scienza che, per la loro astrattozza e
genernlità, perdono il loro carattere strettamente scientifico ο sperimentale,
per nequistare un valore speculative e filo 449
Fix sofico. Alcune volte si usano le espressioni filosofia morale in
luogo di etica e filosofia dell'arte in luogo di estetica. Altre volte il
termine filosofico è adoperato in luogo di sistema o indirizzo filosofico, come
quando si dice filosofia dell'azione, filosofia della contingenza, filosofia
dell''immanensa, 909. Con le espressioni filosofia verbale 0 filosofia
letteraria si suol designare ciò che Kant chiamava filodozia, ο che altrimenti
dicesi rerbaliamo o catetiemo filosofico, vale a dire quella filosofia che si
compiace delle vacne esereitazioni rettoriche, che ricerca più 1’ eleganza
della forma che In solidità della sostanza, che si esaurisce, insomma, nello
studio delle parole trascurando quello delle cose. Cfr. Hamtiton, Lectures on
metaphysica, 1859, vol. 1, p. 51 segg.; Ucherweg-Heinze, Grundries d.
Geschiohte d. Philosophie, I, $ 1; F. Paulsen, Einleitung in die Philosophie,
1896, p. 19 seggi; Waundt, Einl. in die Philos., 1901, p. 1-10; Windelband,
Storia della filosofia, trad. it., Sandron, I, p. 1-28; Id., PräIndien, 3% ed.
1907, p. 1 segg.; Galluppi, Lezioni di logica e met.,1854, vol. I, p. 7-61;
Rosmini, Ideologia e logica, 1853, vol. IV, p. 308 seg.; Ardigò, Op. fil., II,
p. 442 seggi; IV, 285 segg. (v. metafisica, sociologia, psicologia, logica,
morale, estetioa, pedagogia, didattica, dommatismo, ontologia, teleologia,
teonofia, epistemologia, assoluto, conoscenza, anima, criticiemo, positivismo,
ccc., ecc.). Finale. T. Letst, endlich; I. Last, final; F. Final, Lo scopo per
cui una cosa è compiuta, per cni un avvenimento è determinato; si oppone a
causa mecoanica 0 naturale, che è quella che si reulizza incoscientemente,
senza la concezione del fine. Talvolta finale si oppone a iniziale, per
indicare ciù che riguarda la cessazione d’un fenomeno nel tempo. Scopo finale
dicesi quello che non è mezzo per rapporto ad aleun altro fine ulteriore (v.
oguae finali, finalità, fine, teleolog Finalismo v. teleologia, cause finali,
fine, finalità. Finalità. T. Zeokmässigkeit, Finalität: I. Finality: F.
Finalité, Una serie di cause od effetti, che fa capo nd um 20 Ranzo14, Dizion, di scienze filosofiche FIN 450
determinato scopo con l’azione di determinati mezzi. Dicesi finalità
immanente quella che #’ identifica con l’attività dell'essere che, con
determinati mezzi, realizza determiti fini; finalità trascendente quella che si
realizza in un essere per una attività diversa da lui; finalità organica quella
che si realizza negli esseri organizzati senza 1’ intervento di alcun fattore
psichico, in virtù soltanto della loro struttura organica; finalità effettiva
quella che si realizza nell’animale in seguito all’appetito fondamentale, che
lo spinge a cercare il piacere e fuggire il doloro; finalità intelligente
quelin degli animali superiori e dell’uomo, che sî rivolge con mezzi noti ad un
fine noto. Il principio di finalità, col
quale alcuni filosofi vogliono integrato quello di causalità, si enuncia così:
ogni fatto ha il proprio fine. Esso trovasi già in Aristotele, che lo esprimeva
dicendo: ἡ φὺσιξ οὐδὲν µάτον ποιεῖ = In natura non fa nulla in«arno. Occorre
notare però che Aristotele non dava alla pafola φύσις il senso universale che
oggi si dà alla parola natura, e che molti filosofi escludono che l’esistenza
della finalità possa dar Inogo ad un principio, vale a dire ad una proposizione
universale e necessaria. L'esistenza della finalità, in quanto distinta dalla
causalità efficiente, sembra casere una verità d'esperienza, specialmente
interna; perciò Kant ne fa un'ipotesi direttiva, un concetto normativo: Il
concetto di una cosa considerata come un fine in sè della natura, non è un
concetto costitutivo dell’intendimento o della ragione; ma può servire di
concetto regolutore per il giudizio riflesso e, secondo una analogia lontana
con la nostra propria causalità, nella sua tendenza generale verso i fini,
servire di guida alla riceroa d’oggetti di questa speci ». Altri invece, come
il Lachelier, considera che l’esistenza di cause finali nel mondo è un
principio razionale, che, senza avere il carattere assoluto del principio di
causalità, ο però sin un elemento indispenanbile del principio dell’ induziono,
sin una logge che B 451 risulta, como quella delle cause efficienti,
dal rapporto dei fenomeni col nostro spirito. Cfr. Aristotele, De an., III, 12,
434 a, 31; Kant, Krit. d. Urteilskraft, 1878, I, § 65; J. Lachelier, Du
fondement de induction, cap. VI; Goblot, Fonotion et finalité, Revue phil. »,
1899, II, p. 505 (v. cause finali, fine, pantelinmo, teleologia). Fine. Gr.
TéAoç; Lat. Finis; ‘Il’. Zweck,
Endzweck; 1. End; F. Fin. Lo scopo per cui una cosa è compiutn; trovasi al
principio non alla fine della serie causative. In ogni processo di finalità si
distinguono, infatti, tre momenti successivi: un termino iniziole, un termine
finale, e uno o più termini intermedi, che diconsi messi. Siccome il termine
iniziale determina come causa efficiente la serio dei fatti che debbono
condurre al termine finale, così il termine iniziale stesso dicesi fine. Il
concetto di fine, dico l’Hartmann, si forma primamente dall’esperienza che
ognuno fa sulla propria attività spirituale cosciente. Un fine è per mme un
processo futuro da me concepito e voluto, il qualo io non sono in grado di
attuare direttamente, ma sì solo per vin d’intermedii causali (mezzi). Se
questo processo futuro io non lo penso, per me ora non esiste ; se non lo
toglio, io non me lo propongo n fine, anzi m'è ο indifferente o repugnante; se
io posso attuarlo direttamente, scompare il termine causale intermedio, il
mezzo, e con ciò sfuma anche il concetto di fine, che consiste unicamente nella
relazione verso il mezzo, poichi: in tal caso l’azione consegue immediatamente
dal volero ». Ma per quanto riguarda la natura intrinseca del fine, per nlcuni
esso non può essere che un pensiero, un'idea, cioò l’idea del termine finale;
secondo altri può anche essero chiamato fine un fatto incosciente, come
l'istinto, il bisogno, la prieazione. Nella morale dicesi fino ogni bene
soggettivo ο oggettivo In eni acquisizione determina la volontà all’atto ;
dicesi fine primario quello senza del quale l'atto non avverrebbe; fine
secondario quello che alletta soltanto ad agire; fine dell'opera (finin operis)
quello cho è inerente all'essenza stessa dell’atto che si compie; fine
dell’operante (finis operantis) quello che è il vero © proprio fine ed è
estrinseco all’azione, essendo liberamente voluto dall’agonte; finis cujus
quello per raggiungere il’ quale l'agente si muove; finis qui il bene che si
vuol conseguire ; finis cui la persona 0 il soggetto a cui si procura il finis
qui. Dicesi regno dei fini, per
opposizione a regno della matura, l’insiome degli esseri ragionevoli come fini
in sò stessi, © i fini obbiettivi che questi esseri debbono proporsi, ciod i
loro doveri. L'espressione risale a Kant, il quale per regno (Reich) intende il
legame sistematico degli esseri ragionevoli mediante leggi obbiettive comuui
>; ora, gli esseri ragionevoli sono, per la loro ragione, degli esseri
enpnei di porsi dei fini, e, per il carattere incondizionato di talo ragione,
dei fini in sè stessi; può dirsi quindi regno dei fini il sistema che comprende
sotto una medesima legislazione i fini degli esseri ragionevoli, che sono essi
stesai dei fini in 62, e anche i fini che questi esseri possono proporsi sotto
la condizione di rispettare in sò medesimi e negli esseri loro simili la
dignità di essere dei fini in sè. Noll’azione volontaria Kant distingueva i
fini materiali, ο oggetti particolari del desiderio, e che sono tutti relativi
alla natura particolare della facoltà di desiderare, dai fini formali ο
obbiettivi, che sono presentati dalla ragione come ‘oggetti assoluti del
dovere. I primi dànno luogo agli imipotetici, i secondi all’imperativo
categorico. Diconsi fini secondari o relativi quelli che non sono che merzi al
raggiungimento di altri fini; fine ultimo ο assoluto quello nel quale #’nrresta
definitivamente l’attività, non essendo un mezzo per rapporto nd un fine
ulteriore. Va notato però che molti respingono codeste espressioni come
intrinsecamente contradditorie ; infatti il fine, se è veramente tale, non può
non essere sempre ultimo per rispetto alla volontà che se lo propone, @ se si ummotte
che possa esservi un fine che non sia ultimo, esso non è più nn fine ma un
mezzo, 453 Così puro, se per fine assoluto » s'intende sciolto
da ogni legame o rapporto », non si capisce come possa ponsarsi un fine
assoluto dal momento che il fine è, per definizione, pensabile soltanto in
rapporto con la volontà; quindi fine assoluto non può significare altro che
fine in sè, fine senza rapporto con la volontà, oggetto non più del volero mu
del pensiero, che in tal caso deve ammettersi come identico col volere stesso.
Cfr. Goclenius, Lezicon philosophicum, 1613, p. 583; Kant, Grundlegung zur Met.
der Sitten, 1882, § 97-111; E. Hartmann, Philosophie des Unbewussten, 3° ed.
1869, Introd.; Wundt, Logik, 1893-95, 1, 577 segg.; Sigwart, Logik, 1889, vol. II,
p. 251 segg.: Riehl, Der philosophische Kriticismus, 1887, vol. II, t. 2, p337;
Vidari, I concetti di fine e di norma in etica, Riv. di filosofia », aprile
1911 (v. cause finali, toleologia). Pinito. T. Endlich; I. Finite; F. Mini.
Come opposto ad infinito, dicesi di ciò che ha limiti assegnati. Si distinguo
dal definito, che è ciò cui possono essere dati o sono dati dei limiti (v.
infinito). Fisica. T. Physik; I. Physics, Natural philosophy; F. Physique. Per
i lunghi secoli nei quali dominò la classificazione aristotelica del sapero,
questa parola fu usuta in contrapposizione a metafisica, per designare tutto
l'insieme di cognizioni riguardanti i fenomoni esterni, l’ universo sensibile.
Il termine fisico si adopera ancor oggi in opposizione a priohioo, spirituale,
morale, per indicare l’insiome doi fenomeni che appartengono al corpo, alla
materia, ο sono oggetto dell’osservarione esteriore. Con Paccrencersi delle
cognizioni, mediante l'applicazione del metodo sperimentale, l'antica fisica si
venne dividendo in due gruppi distinti: la storia naturale, che si limita alla
semplice deserizione della natura, © la filosofia naturale, che stadia le cause
ο le leggi dei fenomeni di natura. La fisica, intesa nel sno significato
moderno, appartiene a questo secondo gruppo, in quanto è la scienza che ha per
oggetto le proFis 454 prietà generali dei corpi nei loro stati
diversi e le modificazioni che ossi subiscono per lo varie azioni cui possono
cavere assoggettati. La distinzione della fisica dalla chimica © dalla meccanica
va sempre più attenuandosi, ed esse surebbero destinate, secondo alcuni
scienziati, a divenire tanti capitoli d’ una scienza più generale, la meccanica
molecolare. Alcuni teologi chiamano
argomento fisico quella fra le prove a posteriori dell'esistenza di Dio, che
dalla constatazione delle cause seconde, conclude alla necessità d'una Cavea
prima. Questo argomento si può formulare sillogisticamente cos): so si ha una
serie o una concatenazione di fenomeni, che sono ad un tempo causa ed effetto,
è necessario ammettere una Causa che non sia cansata, cioè che non sia un
effetto, che sin insomma una Causa prima; ora nel mondo si osserva appunto
questa serie di euuso; dunque è necessario ammettere una Causi prima esistente
in virtù propria, cioè Dio. Cfr. Bacone, Notum Org., II, 9; L. Poincaré, La physique
moderne, ed. Flummarion (v.
filosofia, materia, causa sui, Dio, assoluto, © gli argomenti ontologico,
ideologico, morale, metafisico, storico). Fisiognomica. ‘I. Physiognomik ; I.
Physioynomonics ; F. Physiognomonie. O fisiognomonia. In Aristotele
φυσιογνωμονεῖν significa giudicare dei caratteri in base ai segni esteriori.
Per G. E. Schulze è l’arte di conoscero dai caratteri esteriori del corpo le
abilità, le inclinazioni, naturali ed acquisite, le buone o le cattive qualità
di un individuo ». In generale, la fisiognomonia è la scienza dei rapporti tra
il carattere e l’aspetto fisico dell'individuo, e in particolar modo tra il
carattere e i tratti del viso. Cfr. Schulze, Paychische Anthropologie, 1819, p.
74; A. Borse, L’Aysiognomische Studien, 1899. Fisiologia. T. Physiologie: 1.
Physiology; F. Physiologie. Anticamente era lo studio della natura sia animata
che inanimata; nei tempi moderni è divenuta la scienza che descrive, localizza
e interpreta i fenomeni della vita, se 455
Fis condo la legge della causalità nataralo. Essa è il fondamento di
tutte le soienze biologiche, e nella parte generale studia i problemi della
vita in genere, nella parte speciale esamina le funzioni dei diversi spparati
in una determinata specie organica. Come scienza fisico-chimiea dei viventi, la
fisivlogia comprende lo studio comparato dei fenomeni vitali dei regetali,
degli animali, dell’ uomo ; vi sono infatti dei fenomeni vitali comani a tutti
i viventi, fenomeni che hanno per sostrato materiale le cellule, valo a dire le
unità morfologiche più semplici. La fisiologia cellulare rappresento quindi il
fondamento di tutta la fisiologia, perchè le funzioni dei tessuti, degli organi
e degli apparati, si riducono in ultima analisi all'attività vitale degli
svariati elementi cellulari da cui risultano; tanto la fisiologia vegetale, che
la fisiologia animale ed umana, attingono dalla fisiologia cellulare le
conoscenze relative alle funzioni elementari, e se ne valgono come basi per lo
studio delle funzioni complesse e speciali dei diversi tessuti, organi ed
apparati. Cfr. Luciani, Fisiologia dell’uomo, 3" ed. 1908, vol. I, Introd.
(v. animiemo, cellula, cellulari teorie, meocanismo, protoplaema, vita,
vitaliemo). Pissazione. T. Zwang-Vorstellungen ; I. Imperative ideas : F.
Obsessions, Stato mentale caratterizzato obbiettivamento dall’ indeoisione
dello spirito, dalla tendenza al dubbio, agli sorapoli esagerati e senza
fondamento, da una specie di debolezza della volontà, che rende l’indi viduo
incapace di resistore à certi impulsi, oppure di decidersi e di compiere certi
atti fra i più comuni e semplici. Psicologicamente pare dovuto ad una
diminuzione della facoltà di sintetizzare le impressioni e i ricordi, per
compiere quegli atti coordinati e voluti che costituiscono la regolare
manifestazione della nostra uttività mentale. Caratteristica di tutte le
fissazioni è d’ essere ncoompagnate da consnpevolezza di sè stesse ο quindi du
angoscia più ο meno viva; l’ammalato ha perfetta conoscenza del proprio stato,
riconosce la natura patologica dei fenomeni cui va soggetto, ma è impotente a
liberarsene. Fos 456 G. Folret, partendo dal concetto psicologico,
ammette tro categorie di fiesasioni: le intellettuali, le emotive, le
istintire, u seconda che si tratta di una idea fissa, di una paura, o di un
impulso irresistibile. Il Morselli, accettando in parte quosta olassificazione,
le distingue in quattro grappi: 1° follin del dubbio, ο paranoia indagatoria ©
interrogatorin; 2° fobie ο paure morbose ; 3° impulsi, che determinano ud atti
per il predominio morboso di una tendenza: 4° abulie, ο impotense generali o
parziali nel funzionamento della volontà. Cfr. Folret, Congr. int. di
psichiatria di Parigi, 1889, p. 33 segg.; Morselli, Manuale di semejotica,
1885, vol. I;
Pierre Janet, Hist. d’une idée fire, Revue philos. », febbraio 1894. Fobia. T. Phobie, neurasthonische Angesustinde;
I. Phobia; F. Phobie. Nel linguaggio comune equivale a pauni osagorata o
ingiustifienta; nel linguaggio scientifico è una forma di psicosi degenerativa,
consistente in un timore istintivo irragionevole cho assale l’ammalato in certo
circostanze, in presenza di dati oggetti, al pensiero di corti possibili
avvenimenti, ed è sempre accompagnato da un sonso di ansia più o meno vivo. La
natura delle fobie vuria infinitamente o ogni giorno so ne descrivono nuove
varietà; tutte però rivelano lo stato mentale che loro serve di substrato, cioè
l’emotività eccessiva, tantochè alcuni psichiatri la designano col nome di
paranoia rudimentaria. Possono raggrupparsi in sei classi: 1° paura dei
contatti, caratterizzata dalla oppressione che l’ummalato prova nel toccare
determinati oggetti, monete, pomi delle porte (metallofobia), spilli
(belonefobia), oggetti a punta (aoutofobia), pezzi di vetro o perle
(oristallofobia), ecc. ; 2* paura morbosa degli spazi o topofobia, si tratti di
spazi larghi e aperti (agorafobia), o di spazi chiusi e oscuri (claustrofobia),
di precipini (cremnofobia), di alture (aorofobia); 3% paura morbosa di esseri
viventi o biofobie, si tratti di certi animali come ragni, topi, rospi
(zoofobia), ο della presenza di una
457 Fon donna (ginefobia), ο di
un uomo (pirifobia); 43 paura morbosa concernente l’ambiente fisico esterno da
cui si temono danni, como lu vista dell’acqua, dei flumi e ruscelli
(idrofobia), del fuoco dei fiammiferi (pirofobia), dei lampi ο dei tuoni
(astrofobia); 5* timori istintivi riferibili ad atti Asiologici od a possibili
impotenze, come la puura di non poter stare in piedi (stasofodia), di non poter
cammivare (basoSobia), di non poter muoversi dal letto (atremia), ecc.; 6*
infine il gruppo numeroso delle patofoble © delle nosofobie, fra cui la paura
di essere avvelenati con gli alimenti, con tossici imaginari contenuti negli
abiti o negli oggetti esterni (tossicofobia), di essere deformi (diemorfobia),
di esser sepolti vivi (tafefobia), ecc. Secondo la moderna psichiatrin, le
fobie costituiscono quasi sempre delle stigmate psichiche della degenerazione,
ma possono anche essere conseguenza di un semplico stato neurastenico, sia
ereditario sia prodotto du stati di esuurimento leggero, e rimediabile, del
cervello. Cfr. Friedmann, Ueber den Wahn, 1894; Gélineau, Les peur morbides,
1894; Lombroso, Alcune nuore forme di malattio mentali, Arch. di peichistria »,
1881; Morselli, Kir. di freniatria, 1887. Pondamento.T. Grund, Begründung,
Grundlage; I. Foundation; F. Fondement. In generale, significa ciò su cui
riposa un certo ofdine di conoscenze; più specialmente, indica sia ciò che
giustifica un'opinione, che determina l’assentimento dello spirito ad una serie
di affermazioni, sin In. proposizione più generale ο più semplice, da oui si
può dedurre un insieme di conoscenze ο di precetti. Fondamonto dolla morale
dicesi il principio da cui si deducono le verità morali particolari in un dato
sistema otico; ο, più in generale, ciò che legittima per la ragione il nostro
riconoscimento d’una verità morale. Il fondamento della divisione logica
(fundamentum divisionis) è quella nota del concetto dividendo, che è suscettibile
di varietà. Il fondumento del1’ induzione è quel principio generale, che rende
possibile © For 158 legittiuo l’attribuire a tutta l’estensione
del genere che s'è riconosciuto soltanto in alcune sue specie. Tale principio
sarebbe, secondo gli empiristi, quello della costanza e uniformità delle leggi
naturali; anche eso però si forma per induzione, quindi è uecessario ammettere
che le prime nostre induzioni si facciano per enumerationem aimplicem, si
appoggino ciod soltanto sopra il numero dei casi, Per gli aprioristi invece
anche le verità sperimentali si fonduno sopra le verità originarie, i principi
supremi di ragione, nei quali è contenuta la giustificazione dei processi
induttivi (v. enumerasione). Forma. T.
Form, (iestalt; I. Form; F. Forme. Aristotele dlistinse per primo in ogni cosa
la materia (Όλη) dalla forma (1806), considerando la prima come l’ente in
potenza, τὸ Zuväneı ὄν, 9 la seconda come l’ente in atto, τὸ évepyeta ὃν. Egli
distinse anche la forma dalla figura (µορφή) cho è la più semplice
determinazione della materia, ciò che v ha di più elementare nella forma; e la
materia dalla sostanza, che è ciò che esiste in sè © non in altro. Ora le
sostanze sensibili sono prodotte dall’ unione della materia colla forma; perciò
la materia è una sostanza potenziale, © per divenire attuale occorre che sia
limitata e determinata, e tale carattere le è dato dalla forma. Dunque lu forma
è la sostanza in attualità, la materia à la sostanza in virtualità. Il dualismo
posto da Aristotele fra queste due entità oggettive, materia e forma, non fu
superato nè ila lui nò dai filosofi successivi. Nella filosofia scolastica il
termine forma ha un uso larghissimo, servendo a tradurre εἴδος, µορφή, obsia,
παράδειγµα. Per determinarlo, gli scolustici aggiungevano al termine stesso un
gran numero di epiteti, come: f. metaphysica, l’ essenza sostanziale d’ ogni
cosa; f. corporeitatia, l’organizzazione delle parti del corpo degli esseri
viventi, onde questi sono atti a ricevere l’anima, organizzazione considerata
quale sostanza distinta dal corpo e perciò detta organizationem substantialem ;
f. accidentalie. quella che sopraggiunge ad un soggetto completo nel suo essere
di sostanza; f. eubstantialis, una realtà sostanziale distinta dalla materia,
ordinata per sò in modo da costituire colla materia prima la sostanza corpo
naturale, cui «dà il suo essere ο la sua operazione specifica; f. materialis,
quella che è inseparabile assolutamente dalla materia, che dipende da essa
nella sua esistenza e nella sua operazione; J. spiritualia U anima
intellettiva, che oltrepassa la materia, © se dipende da essa per alcune
operazioni inferiori, ne è indipendente quanto alla esistenza e nelle
operazioni più elevate; f. assistons quella che non è porzione della cous, mu
presiede soltanto al moto di essa; f. informane quella che è ricevuta dalla
materia e costituisce una cosa sola con essa, Giordano Bruno accetta l’ iden
aristotelico-scolnatica di forma; soltanto le forme esterne mutano, egli
insegna, tuentre le forme interne o forze permangono immntabili; si devono
distinguere la forma prima, che dà la figuro, si estende parzialmente ed è
dipendente dalla materia (ad os. la forma materiale del fuoco), dalla forma
inestess (anima) © indipendente dalla materia (intelletto), come parti di un medesimo
principio; dove è la forma, ivi in un certo senso è tutto; dove è l’anima, lo
spirito, la vita, è il tutto, Bacone spogliò il termine del suo significato
antico, cercando di dargli un senso nuovo, che servisse di base ad una teoria
della natura: Nos enim, quum de formis loquimur, nil aliud intelligimus, quam
leges illas et determinationes aotus puri, quae naturam aliquam rimplicem
ordinant et constituunt… Qui formas novit, is nalurae nnitatem in materiis
dissimillimis complectitur. Nella filosofia moderna, specio dal Kant in poi, i
due vocaboli, materia © forma, farono trasportati dall’ essere al conoscere, e
perciò il loro significato mutò radicaliente: infatti per materia della
conoscenza intendesi oggi tutto il contenuto obbiettivo di essa, © per forma
della conoscenza intendesi, nel senso logico, nou altro che il modo dell’
attività del pensiero che si fissa come proFor
460 dotto logico, e, in senso
gnoseologico, la funzione formatrice della sensibilità ο del pensiero. Così nel
giudizio dicesi forma lu relozione di convenienza o discrepanza tra suggetto ©
predicato; nella proposizione la forma è il verbo che esprime la relazione dei
due termini, soggetto ο predicato; nel sillogismo dicesi forma il nesso
intrinseco e la mutua dipendenza che hanno fra loro le tre proposizioni; nella
legge morale In forma è il modo con cui essa impone i suoi principi, che si
manifesta in un comando (imperativo positivo) o in un divioto (imperativo
negativo). Cfr.
Aristotele, Metaph., IX, 6; De an., II, 1; De ooolo, IV, 3, 4; Goclenius,
Lexicon phil., 1613, p. 588-593; 8. Tommaso, Sum. theol., ΠΠ, 18, 1.0.; Bacone, N. Org., II, 3, 17; Bruno, De la
causa, dinl. II, IV; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclum, p. 49 (v. formalismo). Formale. T. Förmlich,
formal; I. Formal; F. Formel. Ciò che è indipendente dalla materia, © riguarda
soltanto la forma, Dicesi verità formale 1’ armonia del pensiero con sò stesso,
© verità materiale la conformità del pensiero con la cosa a cui si riferisce.
Dicesi logica formale quella che considera soltanto la forma del pensiero, cioè
il modo come gli olementi di questo sono tra loro combinati, e logica materiale
quolla che considera anche il contenuto del pensiero, e cioò i rapporti delle
idee in relazione con le cose. Cartesio disse esistenza formale quella in sè,
fuori d’ ogni idea, per opposizione all'esistenza obbiettiva, che è l’
esiatenza per il pensiero © nel pensiero, Kant distinse i fini delle azioni in
materiali o soggettivi © formali ο obbiettivi: quelli sono gli oggetti particolari
del desiderio, questi sono presentati dalla ragione ad ogni essere razionale
come gli oggetti assoluti del dovere; i primi dànno luogo agli imperativi
ipotetici, i secondi all’imperativo categorico. Formalismo. T. Formalismus; I.
Formalism: F. Formalisme. Nella filosofia si adopera per designare quei sistemi
o quelle dottrine che si fondano sopra un principio puramente formale, e che
scambiano le parole con le cose. Ad es. dicesi formaliemo matematico, la
dottrina di Pitagora, che facendo dell’ unita il principio formale e della
molteplicità il principio materiale d’ogni esistenza, cambin tutte le
differenze di essonza in semplici determinazioni di grandesza. Dicesi pure
formaliemo la filosofia naturale di F. Bacone, per il quale ogni conoscenza
della natura ha lo scopo di comprendere le canse delle cose, le prime delle
quali sono le cause formali, perchè 1’ necadere ha radice nelle forme, nelle
nature delle cose; così, quando |’ induzione baconians ricerca la forma dei
fenomeni, ad es. la forma del calore, per forma e’ intende l’essenza permanente
dei fenomeni. Il vocabolo formalismo fu usato originarinmente per indicare la
particolare soluzione del problema degli universali sostenuta da Duns Scoto;
per codosto filosofo, tra l’individualità della cosa ο la sua essenza
univerrale non esiste che ana distinotio formalie; l'individuo è V ultima forma
di ogni realtà, mediante il quale soltanto esisto la materia universale © che
quindi non si può derivare da una forms generale ma solo constatare come
nttuale. Cfr. Duns
Scoto, In lib. sent., 2, dist. 3, qn. 6, 15; Bacone, Novum organum, 1. II;
Sigwart, Logik, 2° od., vol. II, 6
93, 3 Formaliter. Termine usato specialmente nella filosofia scolnatica, e con
significati assai differenti. Talvolta ha idontico significato (li
ensentialiter, ο per correlativi aooidentaliter © materialiter : si dice
infatti che un predicato appartiene ad nn soggetto formaliter, quando non
potrebbe sussistere nè osser concepito senza di esso, ad es. la ragionevolozzn
all'uomo; si dice che gli appartiene aooidentaliter quando } easenza è
raffrontata con predicati accidentali, materialiter quando è raffrontata con
attributi o parti della com, che sono come materia del soggetto indifferente a
cost tnire quella cosa o quell’ altra. Talora ha il significato mentalmente,
vale n dire accondo le formalità che distinFor
462 guiamo soltanto col pensiero,
e in tal caso ha per correlativo realiter. Altre volte formaliter si dice della
cosa considerata in sè, e allora ha tanti correlativi quanti sono quelli coi
quali una cosa pnd confrontarsi : se si confronta con l'oggetto, obiective; se
con l'esemplare secondo cui una corn è fatta, eremplariter; se col fine
correlativo, finaliter, ece. Altre volte ancora val quanto tere e proprie, ed
allora ba per correlativi apparenter, metaphorice. Si adopera infine, assieme
con virtualiter ed eminenter, per riferirlo alle cause in quanto contengono la
perfezione dell’ effetto: quando nella causa si trova la natura dell’ effetto,
come nel fnoco il calore, l’effetto dicesi contenuto formaliter nella cansa;
quando non si trova, come la statua nella mente dello scultore, l’effetto
dicesi contenuto rirtualiter nella causa; quando la causa è molto più perfetta,
cioè scbvra del tutto dalle imperfezioni che si trovano nell’effetto, come Dio
rispetto alla creatura, allora dicesi eminenter. Cfr. Goclenio, Lextoon
philos., 1613, p. 593 seg.; Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande,
1855-70, vol. III, 216. Fortiori (a). La dimostrazione a fortiori è quella che
prova al di là della tesi o verità da dimostrarsi. Però se il provar troppo,
quando è esatto, è utile, bene spesso costituisce un vero e proprio sofisma (v.
argomento, quod nimis probat). Forza. T. Kraft, Gewalt; I. Force; F. Force.
Intesa nel senso psicologico, essa non è altro, secondo molti filosofi moderni,
che la sensazione di resistenza, ο ciò che è supposto casere la causa della
sensazione di resistenza; ed anche volgarmente è sinonimo di aforzo. Esiste in
noi, dice il Condillac, un principio delle azioni nostre, che sentiamo ma non
possiamo definire: è chiamato forza. Noi siamo attivi del pari in relazione a
tuttooid che codesta forza produce in noi ο al di fuori. Lo siamo, ad esempio,
quando riflettiamo e quando facciamo muovere un corpo. Per nnalogia noi
supponiamo in tutti gli oggetti che producono
463 For qualche cangiamento, una
forza che conosciamo ancor meno, e siamo passivi in relazione alle impressioni
che essi fanno su di noi ». Il Maine di Biran riconduce il concetto di forza
alla coscionza della propria capacità attiva, alla appercezione interna
immediata o coscienza d’ una forza, che è il mio mo e che serve di tipo
esemplare tutte le nozioni genorali e universali delle cause, delle forze ». Il
Bain, analokamente al Mill e allo Spencer, la definisce. il sentimento che noi
proviamo quando spieghiamo la nostra energia muscolare, sia resistendo, sia
producendo noi stessi il movimento ». Nel senso meccanico la forza è una
grandozza suscettibile di misurazione, il che sarebbe impossibile se si
riducesse ad un puro conoctto psicologico. Ma, anche nel senso meccanico, essa
fu intesa e definita in modi diversi. Per Cartesio è ciò che dicesi oggi più
propriamente impulsione o quantità di movimento; per il Leibnitz nel concetto
di forza era compreso anche quello di lavoro e di energia: La forza attiva, che
sta di mezzo tra la facoltà di agire e l’azione stessa, suppone uno sforzo, ©
con questo entra in operazione da sò stessa, senza aver bisogno @ altro
ausiliare che la soppressione dell’ ostacolo. Il che si può rendere
comprensibile con 1’ esempio d’un corpo grave teudente la corda che lo sostiene
». Nella meccanica modern la forza è definita comunemente come la causa che
modifien o tende a modificare lo stato di movimento o di riposo di un punto
materiale; quando il punto materiale non è sottomesso nd alcuna forza, ο è in
riposo, ο, se si muove, il suo movimento è rettilineo ed uniforme, e ciò perchè
egli non pnd modificare da sè stesso la propria velocità nò in grandezza nè in
direzione. Tuttavia, anche il definire la forza come la causa del movimento non
sembra esatto, innanzi tutto perchè la causa non è misurabile, in secondo Inogo
perchi la forza esercitata da un sistema su un mobile non dipende solamente
dallo stato intrinseco del sistema, ma anche dullo stato dol mobile ο dalle ano
relazioni col sistema esteriore. Fre
464 Due forze si dicono uguali
quando, applicate ad uno stesso corpo nelle stesse circostanze, producono il
medesimo effetto ; forze mutue le forze uguali e contrarie che due punti
esercitano V uno sull’ altro; forza omtrifuga la reazione che un mobile,
assoggettato a descrivere una curva fissa, osercita contro questa curva; forza
contripeta In forra diretta verso il centro di curvatura della traiettoria di
un punto materiale, © che mantiene il mobile su questa traiettoria; forza
d'inerzia una forza uguale ο opposta a quella che produce l’accolerazione di un
mobile. Cfr.
Condillac, Traité den sensations, 1886, I, cap. 2, $ 11; Leibnitz, Op. phil.,
Erdm., p. 121; Maine de Biran, Oeuvres phil., 1841, vol. ΠΠ, 5; Spencer, First princ., 1870, $ 31; Ardigò, Op.
fil., I, p. 104 segg.; IL, p. 49 segg. (v. materia, energia, potenza, lavoro,
dinamismo, ecc.). Freison o fresinon. Termine mnemonico di convenzione, con cui
si designa nella logica formale quel modo della quarta figura del sillogismo,
che ha In premessa maggiore universale negativa, la minore particolare
afformativa, la conolusione particolare negativa. Es.: Nonsun savio è
superbo. Qualche superbo è dotto. Dunque qualche dotto non è savio. Prenastenia
(φρήν -mente, ἀσθένεια =debolezza). T. Phrenaathenie ; I. Phrenasthonia; F.
Phronasthenie. Mancanza ο deficienza di vita mentale, determinata da arresto di
sviluppo. Comprende due forme o gradazioni fondamentali: V imbecillit& ©
l’idiotismo, più tutte quelle forme di debolezza di mente, congenita 0
acquisita, che attira volgarmente in chi la possiede il titolo di scemo,
zuccone, testa dura, eco. Cfr. A. Verga, Frenastenici ed imbecilli, 1877 (v.
ehefrenia, catatonia, idiotiemo, demenza, eco. Frenologia. T. Phrenologie; I.
Phrenology; F. Phrénologie. Questo nomo, che non dovrebbe mai usarsi in luogo
di psichiatria, designa In dottrina di Gall e Spursheim, che ebbe gran favore
nella prima metà del secolo scorso ed 465 Fre-Fox è ora quasi completamente
abbandouata. La fronologia è V arte di scoprire il carattere ο l'intelligenza
dell’ individuo mediante l'esame della forma del suo cranio, e si fonda sopra
la supposizione che lo spirito sia costituito di tante facoltà innate, emozioni
© tendenze affatto distinte tra di loro; che ciascuna di esse abbia la propria
sede, pure indipendente ο distinta, in una regione o organo della corteccia
corebrale; che quanto più sviluppata è una di questo facoltà, tanto più
voluminoso sia il centro cerebrale corrispondente ; che, infine, il maggiore o
minor volume dei singoli centri si riveli ulla superficie dol cranio, mediante
corrispondenti rilievi, bozze, depressioni, prominenze, ecc. Le facoltà ammesse
dal Gall, e i corrispondenti organi, sono ventinove, delle quali una si trova
nel cervelletto (senso sessuale), cinque nel cervello posteriore, sette nel
medio, sedici o diciassette nell’ anteriore. Quantunque In frenologia si
fondasse su presupposti assurdi giustifica bili con l'ignoranza in cni
trovavansi allora la fisiologia © l'anatomia del sistema nervoso essa ha
contribuito tuttavia n perfezionare la moderna dottrina delle localizzazioni
cerebrali. Cfr.
Bastian, Le cerveau org. de la pensée, trad. franc. 1888, vol. 11; Ch. Blondel, La peycho-physiologio de
Gall, 1914. Fresison. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica
formale si designa uno dei modi della quarta figura del sillogismo. È lo stesso
che freison. Frisesomorum. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella
logica formale si designa in modo indiretto della prima figura del sillogismo.
Come indicano le vocali delle tre prime sillabe, la premessa maggiore è una
proposizione particolare affermativa, la minore nniveranle nogativa, la
conclusione particolare negativa. Lo due ultime sillabe sono semplicemente
eufoniche. Funzione. T. Funktion; 1. Function; I. Fonction. I norale,
l'esercizio di nos determinato forma di atti 30
Rawzout, Dizion, di scienze filosofiche. Fus più particolurmente,
l’attività propria e caratteristica esercitata da un organo in un insieme le
cui parti sono in rapporto di mutna dipendenza. Nella fisiologia dicesi
funzione ogni fenomeno che si comple nell’organiamo e concorre a realizzare un
determinato risultato, necessario alla conservazione dell’ individuo e della
specie. Si distinguono fanzioni di tessuti, di organi, di apparecohi. Le
fanzioni generali della vita sono: la nutrisione per cui gli individui, nei
limiti assegnati alla loro specie, crescono e si mantengono in vita; la
riproduzione per cui la serie degli individui si perpetua moltiplicandosi nel
tempo e nello spazio; le fanzioni di relasione, per cui gli individui sentono e
si muovono, ponendosi così in relazione col mondo ambiente. Per analogia il
termine stesso fu poi estero agli elementi e agli organi sociali; perciò si
parla dolla funzione sociale nel genio, della funzione ‘dello Stato, ecc. Nella
matematica due quantità variabili sono dette funzioni l’una dell’altra, quando
|’ nna è legata all’ altra per modo, che variando l’una varia anche l’altra in
modo perfettamente determinato, ma diverso a secondn dei casi. Così,
considerando z, variabile indipendente, come tale che possa assumere tutti i
valori possibili sd ognuno di questi valori dovrà corrispondere un valore
determinato di y. Tale proprietà, dal Lagrange in pol, si indica con In formula
y == f(x). Cfr.
Goblot, Fonotion et finalità, Revue philos. », 1899, II, 695; Lebergue, Legona
sur 7’ intégration, 1904. Fusione
delle sensazioni. F. Fusion des sensations. Tl carattere qualitativo unitario
che risulta da due senanzioni in determinati rapporti quantitativi. Così è
possibile ottenere nna sensazione olfattiva qualitativamente nuova dalla
fusione psichica di due o più odori applicati contemporaneamente nella mucosa
nasale. Ma è specialmente nel campo dell’ adito che essa ha importanza, e lo
Stumpf se ne serve per spiegare, contro 1’ Helmholtz, la consonanza 467
Fer ο la dissonanza degli intervalli musicali. Sarebbero dissonanti quegli
intervalli che non sono capaci di fondersi in una percezione sonora unitaria,
di guisa che anche un orecchio non musicale è capace di distinguere due suoni
simultanei; consonanti quelli capaci di raggiungere una fusione perfette. Però
non tutti i psico-fisiologi accettano questa spiegazione, e molti, pur
accettando il concetto che dotti fenomeni stiano in rapporto con la maggiore o
minore fusione delle sensazioni elementari, fanno dipendere la furiono stessa
non da processi psichici centrali, ma da un fatto periferico, consistente in un
nuovo fenomeno periodico, riaultante dalla composizione delle vibrazioni di duo
suoni. Cfr. Stumpf, Tompeyokologie, 1890, 1. II, p. 64, 128; Helmholtz, Die
Lehre von den Tonempfindungen, 5° ed. 1896; Höffding, Psychologie, trad. franc.
1900, p. 133; C. Zambiasi, Un capitolo di acustica musicale, Nuovo Cimento »,
serie V. vol. IX, 1905. Futuro. T. Zukunft; 1. Future; F. Futur. La noziono di
tempo risulta di tro elementi, che rispondono ad atteggiamenti diversi del
nostro pensiero: il passato, cioì la memoria, il presmte cioè il fatto attuale,
il futuro ossin il fatto atteso. Il passato è già il non-essere, il presente è
l'essere, il futuro è il possibile concepito relativamente alla nostra
esperienza. Diconei futuri contingenti,
per opposizione a futuri necessari, quegli avvenimenti che, essendo opera della
Provvidenza divina o del libero arbitrio, non hanno un legame necessario coi
fatti precedenti : «1 filosofi convengono oggi, dice il Leibnitz, che la verità
dei faturi contingenti è determinata, eiod che i futuri contingenti sono
futuri, oppure che essi accadranno, che esai si verificheranno: poichè è
ugualmento sicure che il futuro sarà, come è sicuro che il passato è stato ».
Cfr. Platone, Timeo, 37 e, 88 a; Aristotele, Paye, IV. ο, 1x e segg.; Leibnitz,
Teodioen, I, 36 (v. durata, intante, tempo). Generale. T. Allgemein; I.
General; F. Général. T'ermino generale è quello che abbraccia un numero
indefinito di individui, » ciascuno dei quali ai riferisce: ad es, scolaro. Si
distingue dal termine collettivo, che abbraccia un numero determinato di individui
senza riferirsi a nessuno di essi, ad es., scolaresca. Si distingue anche da
wnirersale, che si può attribuire soltanto ai giudizi, i quali diconsi
universali quando V attribute è affermato ο negnto di tatta 1) estensione del
soggetto : perciò è universale ogni gindizio che abbia per soggetto un termine
singolare ο individuale (che sono l’ opposto di generale) in quanto
l’individno, che possiede l' estensione minima, non può esser preso in parte
dell’ estensione. Cfr.
J. S. Mill, System of logio, 1865, 1. I, $3; Wundt, Logik, 1898, vol. I, 96. Generalizsasione. T. Verallgemeinerung;
1. Generalization; F. Généralisation. Quell’ operaziono mentale con oni si
estende un dato astratto a più oggetti indefinitamente. La generalizzazione
implica dunque 1’ astrazione; isolato, con l’analisi mentale, dagli elementi
che compongono un tutto, un dato elemento, questo che è un astratto; diventa un
generale quando, appartenendo a più altri oggetti, ne estondiamo la nozione
anche ad essi, cioò lo pensiamo come ad ossi proprio. Cfr. H. Ebbinghaus,
Psychologie, trad. franc. 1912, p. 176 segg.; Arohiv. f. (esante Psychologie,
vol. 8, 9, 12 (v. idea, astrazione). Generazione. T. Erzeugung, Generation ; I.
Generation : F. Génération. L’atto del generare, sia in senso biologico sia in
senso logico ed epistemologico; nel suo senso più largo è il cambiamento da un
termine negativo a uno positivo, o dal non essere all’ essere. Definizione per
generazione 0 genetica à quella che costruisce una figura con nn movimento
determinato di un’altra figura già conosciuta; ad“es.: il cerchio è una fignra
piana generata dalla rivoInzione d’una retta rigida intorno nd una delle
proprie estremità. Generatio æquirooa 0 generazione spontanca è una espressione
che ha due significati ben diversi: per il passato desiguava il nascere
spontaneo di esseri viventi, specie insetti, senza bisogno di ova o di germi
preesistenti; e questa cosa fu dimostrata falsa dalle esperienze del Redi e
dello Spallanzani. Oggi per generazione spontanea ο abiogencsi si intende
l’origine sulla terra della sostanza viva dalla sostanza inanimata; tale
origine spontanea, che è un presupposto della concezione monistico-meccanica ο
materialistica della vita, è intesa in due modi: ο gli esseri viventi nascono
direttamente dalla materia inorganica per una improvvisa aggregazione di
composti chimici evoluti a buso di carbonio, i quali si oristallizzano attorno
ad un contro di forza, così de assumere subito i caratteri di forme
riproducibili ; oppure, e questa è l’ ipotesi più accettata, alla compares di
esseri monocellulari organizzati precede un periodo di combinazioni chimiche
fra gli stessi elementi, per le quali si formano gradualmente quelle sostanze
che si dicono proteiche ο la cui molecola complessa si costituisce attorno ad un
atomo di carbonio. Quantunque lu dottrina dolls generazione spontanen si presti
a molte obbiezioni, è tuttavia ammessa ds molti scienziati perchè preferibile a
quella della oreasione dell’ essere vivente dal nulla, per opera d’un potere
esterno al mondo, o a quella dell’ilozoismo, cioè In esistenza eterna ὁ
continua della vita. Nella terminologiascolasticadistinguevansi varie spocie di
generazione: generatio conversiva, quella per la quate un soggetto viene
trasportato da una forma ad un’altra, ad es. il calore in movimento meccanico;
g. mufativa, per la quale la materia presupposta nella generazione passa dalla
negazione di qualche forma alla sua realizzazione, ad es. l’acqua che da
torbida diventa limpida; g. pura, simpler, pracoiea, per la quale viene
prodotto un corpo dalla muGun 470 torfa allora creata, in cui cioè non
precedette forma ο privazione di sorta, nd es. le generazioni avvenute nel
primo istante della creazione del mondo. Cfr. Richerand, Nuori elem. di
fisiologia, trad. it. Dall’Aqua, pref., $ v; Rosmini, Pricologia, 1846, vol. I,
p. 246 segg.; G. Pfitiger, Ueber die physiologische Verbrennung, Archiv für
gesammte Physiol. », 1875, vol. X; Id., Élém. de physiol. générale, trad.
franc. 1884; Haeckel, I problemi dell’ univereo, traduzione jana 1903, p. 353
segg. (v. monera, organiciemo, vita). Genere. Lat. Genus; T. Gattung, Genus; I.
Genus; F. Genre, In sonso generale il genere, come lo definisce lo Stuart Mill,
è € una classe che si distingne dalle altre, non solo per qualche proprietà
definita, ma per una serie sconosciuta di proprietà in numero indefinito, di
cui le prime sono V indice ». In senso logico il genere è quello che si predica
di molte specie differenti in qualche cosa, 0, come brevemente lo definisce Cr.
Wolff, eimilitudo specierum: in una serie di idee, in cui l'estensione va
decrescendo ed aumenta quindi la comprensione, l'idea più ostesa ὁ meno
comprensiva è nn genere rispetto alle meno estese e più comprensive, 6 l’idea
meno estesa è una specie rispetto alle più estese di cui comprende tutte le
proprietà. Ad es. nella serie: materia, organiemo, animale, vertebrate, uomo,
curopeo, V iden di organismo rappresenta il genere rispetto ail animale, che è
In specie e che dell’ organismo comprendo tutti gli attributi. Nella stessa serio
diccni genere promimo quel genere cho più #i avvicina, come tale, ad uns data
idea; ad es., animale rispetto a vertebrato, muteria’ rispetto ad organismo.
Ciò che sotto un rispetto è genere, sotto un altro rispetto è specie; ad es,
uomo è gonere rispetto ad europeo, ed è specie rispetto a vertebrato. Ora, i
metafisioi dicono genere sommo (τὸ γενικώτατον γένος summum genus) quello che contiene tutti gli
altri generi © non è contenuto in nessuno, ossia l’idea assolutamente
estensiva; tale sarebbe, socondo alcuni, I’ essere, secondo «τι GEN altri la sostanza, ο l’ unità, ο il bene,
eco. L’ idea assolìelmente specifica, ossia assolutamente comprensiva, è I’
dividuo. Nella biologia il genere à pure
1’ insieme di pi specie presentanti qualche punto di contatto; l'insieme di più
generi è la famiglia; tra il genere e la famiglia si ainmettono talvolta dei
sottogeneri. Nella nomenolatura binomia © denominazione duplice stabilita da
Linneo, ogni specie di animale o di pianta è designata con due nomi, di cui il
primo esprime il genere, il secondo la specie e serve n stinguerla dalle
oongeneri. Cfr.
Aristotele, Metaph., V, 28, 1024 a, 29 segg.; Crist. Wolff, Philos. rationalis
sive logica, 1732, $ 234; Kant, Logik, 1800, p. 150; J. 8. Mill, System of
logie, 1. IV, cap. 6, $ 4. Genesi.
Gr. Γένεσις; T. Genese; I. Genesis; F. Genèse. Significa generazione, origine,
formazione, principio. Iu greco indicava più specialmente divenire, produzione;
in tal senso si distingue da origine, in quauto ogni genesi suppone una realtà
preesistente e un punto di partenza, che ne è l’origine. Genetico. T. Genetisch
; I. Genotio; F. Génétique. Che riguarda la genesi di un essere, di un
concetto, di una istituzione. Il metodo genetico consiste nel ricercare le
orig; © la formazione di un dato fenomeno, di una data dottri o scienza. La
definicione genetica è quella che definisce un concetto nel modo stesso onde
esso si costruisce; dicesi gonetica indicatita, se il costituirsi degli
elementi non dipende da noi ma è opera della natura, genetica ricostruttiva se
possiamo congiungere noi stessi gli elementi costitutivi dell'oggetto, come
quando si definisce il ciliudro: una figura generata da un rettangolo, che
compio una rivoluzione completa girando intorno ad uno dei suoi lati. La
olassificasione genetica è quella che dispone i gruppi secondo una
diversificazione progressiva, e considera le classi come prodotto più o meno
stabile, ma non del tatto invariabile, delle variazioni causali delle
proprietà. GEN Μο | itrine evolutive ha reso genetiche tanto } © naturali
quanto le sociologiche e moÈ. Philos. rationalis, 1732, $ 195; Maso 8 segg. |
om 2. vende; L Genius; F. Genio, Esistono molte definizioni del genio, cho
riflettono i modi diversi di intenderne e spiegarne la natura: tutti però convengono
nel considerare il genio come la forma più alta di sviluppo che l'intelligenza,
l’imaginazione, il sentimento o il volere possono raggiungero in un individuo
umano, come la più compiuta espressione della psiche umana. Si distingue dal’
ingegno, che è più comune e, so comprende e crea, non è nelle sue crensioni
così spontaneo e originale come il genio, nd suscita intorno a sè, tra i
contemporanei ο presso i posteri, quel consenso ο quell’ammirazione, che
rendono immortale il genio. Si distingue anche dal falento, che è in un uomò
quella inclinazione complessiva, che gli è propizia a causa delle speciali
diresioni delle sue doti di fantasia e d’intelletto. Le ricerche teoretiche sul
genio non cominciano che con la psicologia moderna; nei tempi antichi esso è
studiato piuttosto biograficamente, come în Plutarco, e in Platone, che nei
suoi dialoghi fa rivivere la figura del maestro immortale. Secondo la nota
definizione, attribuita dal Littré al Buffon, il genio non è altra cosa che una
grande attitudine alla pazienza ». Secondo d’ Holbach è la facilità di cogliere
l'insieme e i rapporti negli oggetti vasti, utili, difficili a conoscere ». Per
Cristiano Wolff è soltanto la-fcilità di osservare la somiglianza delle cose ».
Per Kant il genio artistico è una intelligenza cho opera come la natura »; il
segreto ο la caratteristica delle creazioni geniali sta in ciò, che lo spirito
che crea con uno scopo, lavora tuttavia come la natura che crea senza uno scopo
e senza un interesse; nel campo dell'attività razionale umana, il genio è la
sintesi della livertà e della natura, della finalità » della necessità,
della 473 GKN funzione pratica e della funzione
teoretica. Anche per Schelling il genio, come la più alta sintesi di tutte le
attività della ragione, consiste nella finalità senza scopo del creare; in
altre parole, l'essenza della ragione si realinza pienamente soltanto mediante
1’ attività cosofente-incosciente del genio arlistico, in quanto esso supera
quei contrasti tra attività cosciente © incosciente, che fanno sì che Pio
teoretico e l’io pratico, tra essi racchinso, non raggiunga mai, normalmente,
il suo scopo. Per Schopenhauer il genio è la capacità di penetrare con la pura
intuisione nella realtà obbiettiva delle cose, di sepnrarsi per un certo tempo
dalla propria personalità per essere puro soggetto conoscente. Per il Cousin il
genio, specie quello artistico, è caratterizzato da due cose: anzitutto dalla
vivacità del bisogno di creare, poi dalla potenza creatrice ; il vero genio non
riesce a dominare la forza che ha in sè, soffre nel contenere cid che prova,
cosicchè se è stato detto che non v ha uomo superiore senza un grano di follia,
tale follia, como quella della croco, è la parte divina della ragione ». Per
Lombroso il genio è, con la delinquenza e la pazzia, uns sottospecie di una
specie psicologica abnorme, unu nevrosi degenerativa di natura epilettoide;
questa teoria ha suscitato un vivace dibattito, non ancora chiuso, 0sservandosi
da alcuni che la genialità non è certamente In coratteristica dei folli, da
altri che il dispendio mentale da cui sorge l’opera del genio espone facilmente
a forme nervose degenerative, le quali dunque non sarebbero causa ma effetto
della genialità, da altri ancora che alle condizioni di assoluta squisitezza ὁ
delicatezza del sistema nervoso si debbono sia le attitudini geniali sia le
degenera zioni nervose, ma che le une e le altro, se sorgono su un terreno
comune, non si debbono perciò considerare come vincolate tra loro da un
rapporto di causalità. Cfr. Holbach, Syst. de la nature, 1770, vol. I, p. 127; Cr. Wolff, Paychologia emp. 1198, $
476; Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, Geo
AU p187; Schopenhauer, Die Welt
als, oce., suppl., 1. IIT, cap. XXXI; V. Cousin, Du vrai, du beau οἱ du bien, part. III, cup. V; Moreau de Tours, Payool. morbide, 1859; Lombroso, L'uomo di
genio, 1888; Id., Genio e degenerazione, 1908; Id., Origine e natura dei genii,
1902; Padovani, Che cox’ è il genio, 1907; Id., Le origini del genio, 1909.
Geocentrico. 1. Geocentrisoh; F. Géocentrique. L’antico sistema tolemaico, che
poneva la terra come il punto centrale fisso dell'universo, intorno a cui si
muovono il sole, la luna e le stelle. Il geocentrismo si ricollega strettamente
all’altro errore antico dell’antropocentrismo, per cui l’uomo considera sò
stesso come scopo finale prestabilito della creazione, e crede che tutta la
natura sia stata creata per servire et lui (v. oause finali, finalità,
oliooentriemo) Geografia. T. Erdkunde, Geographie; I. Geography; F. Géographie.
Scienza che ha per oggetto la descrizionc della superficio della terra, la
determinazione della sua veru forma, la distribuzione delle piante e degli
animali, delle zone occupate dai diversi popoli, linguaggi, religioni, ecc. Si
distingue perciò la geografia fisica, matematica, biologica (zoologica,
botanica, etnologica), sociologica (econo-, politica, linguistica, ece.).
Geologia. Ί. Erdbildungskunde, Geologie ; I. Geology; F. Géologie. La, scienza
che studia la struttura interna della terra, i suoi periodi di formazione,
desumendoli dall’ esame della crosta terrestre e dalle leggi fisiche e
chimiche. Eas sorse quando cominciò seuoterai la fede nelle leggendo n saiche
sulla creazione, verso la fino del secolo diciottesimo, οἱ è giunta oggi u
stabilire i periodi principali nella storia della terra, a spiegure la
formazione dei fossili, a escludere l’ intervento dei miracoli e delle cause
sovrannaturali nella formazione del nostro pianeta. Cfr. K. A. Zittel,
Geschichte d. Geol. und Paläontologie, 1899 (v. cosmogonia). Geometria. T.
Geometrie; I. Geometry; F. Géométrie. Quella parte delle scienze matematiche
che ha per oggetto 475 Gro lo studio delle forme ο delle -figure che
si possono tricciare nello spazio. Secondo il Comte l'oggetto della geometria è
la misura indiretta delle grandezze; infatti nelle «quantità non direttamente
misurabili, conosciuti alcuni dei rapporti tra gli elementi di cui una figura è
composta, essendo tali elementi necessari, mediante essi αἱ determimano tutti
gli altri. La geometria distinguesi in pura e analitica: quella, senza valersi
delle formule algebriche, studia direttamente le figure mediante spostamenti,
sovrapposizioni ed uguaglianze; questa allo studio diretto delle figure
sostituisce delle semplici formule algebriche, fondandosi sulla scoperta di Cartesio,
che cioè ad ogni figura corrisponde una equazione e ad ogni equazione una
figura. Alla geometria pura si connette la descrittiva, cioè 1’ arte di
rappresentare delle figure solide mediante le loro proiozioni sopra due piani
perpendicolari. Fino ol principio del secolo XIX la geometria enclidea era
considerata il modello porfetto d’ogni certezza scientifica; il razionalismo
cartesiano, ispirandosi al detto di Keplero, ubi natura ibi yeometria, l'aveva
posto # fondamento d’ogni sapere intorno alle cose idealizzate nella pura
estensione ed aveva persino preteso con Spinoza di costruire una morale more
goometrico demonstrata. Ma con l'Helmbolte, il Lobatchewsky, il Riemann, il
Bolyai, ecc. cominciò ad affermarsi la ponsibilità di altri spazi oltre quello
euclideo, e quindi di geomotrie diverse da quella di Euclide. Ciò diede origine
à vivact discussioni filosofiche, non ancora sopite, tra empiristi e
neo-kantiani, intorno alla natura dello spazio, nlY origine degli assiomi, alla
possibilità 0 meno di rappresentarsi intuitivamente lo spazio non euclideo.
Altre vedute non meno importanti si annunziarono in questi ultimi tempi circa
la natura e il metodo della geometria. Così secondo il Pieri la geometria deve
affermarsi sempre più come lo studio d'un certo ordine di relazioni logiche,
liberandosi dai legami che ancora la legano all’ intuizione e divenendo con
Gen 476
ciò scienza puramente deduttiva ed astratta. A questa nuova elaborazione
logica della geometria, contribuì specialmente, tra noi, il Peano; secondo il
quale il calcolo geometrico consiste in un sistema di operazioni da eseguirsi
su enti geometrici, analoghe a quelle che l’algebra fa sopra i numeri ©
permette di esprimere con formule i risultati di costruzioni geometriche, di
rappresentare con equazioni proposizioni di geometria e di sostituire una
trasformazione di equazioni a un ragionamento ; come si vede, questo calcolo ha
analogie con la geometria analitica, dalla quale però differisce in quanto i
calcoli non si fanno, come in quella, sui numeri che determinano gli enti
geometrici, ma sngli enti stessi. Cfr. Klein, Porlesungon über nicht-suolidischen
Geometrie, 1893; Halstead, Bibliografy of hyperspace and non-ewolidean
geometry, American journ. of. math. », vol. I, p. 261 segg.; Veronese, Fondamenti di geometria a
più dimensioni, 1891, p. 565 segg.; Vonola, La geometria non-cuolidea, 1905;
Peano, I prinoipii di geometria logicamente esposti, 1889, p. 3 segg.; Aliotta,
La reazione idealistios, 1912, p. 389 segg. (v. euclideo, matematica, metageometria,
spazio, superficie). Gerarchia. T. Hierarchie; I. Hierarchy; F. Hiérarchie. Una
serie di esseri ο di fatti, sia reali cho ideali, disposti in modo che ciaseuno
dipende dai precedenti e comanda ai susseguenti o li determina, li spiega. In
tal senso parlusi di gerarchia delle scienze, gerarchia delle funzioni xin
fisiologiche che sociali, gerarchia delle specie biologi che, ece. (v.
olagnifoazione delle wienze, seriazione dei fen. sociali). Germiplasma (teoria
del). E la teoria con la qualo il Weissmann spiega l'eredità. L’ essere
organizzato è costituito di soma 0 plasma somatico, da cui si sviluppano tutti
i tessuti del corpo, ο di germiplasma, o plasma germinale, di cui una parte
viene impiegata nella riproduzione οἳοditaria, dando luogo ai nuovi individui.
Ora, non essendovi aleuno scambio, nessuna comunicazione tra queste due 417 Go
specie di plasma, e le qualità acquisite interessando esclusivamente il primo,
ne viene come necessaria conseguenza la negazione dell’ ereditarietà dei
caratteri acquisiti. Ed è appunto per questa conseguenza, che la teoria del
Weissmann ha suscitato infinito discussioni e critiche nel mondo scientifico.
Cfr. A. Weissmann, Des Koimplaema, cino neue Theorie d. Vererbung, 1894 (v.
eredità, panmizia, neolamarkismo). Gionchiti o gioachimiti. Setta di eretici
medioevali, fondata dall'abate Gioacchino e originata, secondo il Tocco, dalle
dottrine della Chiesa greca 9 ancor più da quelle del catarismo. Il gioachismo
divide In storia dell’ umanità in tre grandi periodi, nel primo dei quali regnò
il Padre, nel secondo il Figlio, nel terzo sarà per regnare lo Spirito; questo
terzo periodo sarà contrassegnato della luce piena della grazia, della libertà
ο della carità, impererà un vangelo più perfetto e la verità sarà colta attraverso
le molteplici allegorie della Bibbia, abbandonandone | interpretazione
letterale. Cfr. Tocco, L'eresia nel medio oro, 1884 (v. alimariolans). Gioia.
T. Freude; I. Ioy; F. Joie. È un sentimento di piacere, che non è localizzato
in nessuna regione determinate dell’ organiamo, e al quale s’unisce, secondo
l'Hôffding, una tendenza involontaria a mantenere e conservare l'oggetto del
piacere. Fa intesa e definita variamento dai filosofi. Per Spinoza è la
passione per la quale l’anima passa a una perfezione maggiore », mentre la
tristezsa è la passione per cui discende sd una minore. Por Cartesio à una
gradevole passione dell'anima, nella quale consiste il godimento che essa ha
del bene, che le impressioni del cervello le presentano come suo »; esiste
anche una gioia puramente intellettuale, che viene nell’ anima per la sola
azione dell’ anima e che si può dire essere nnn gradevole emozione eccitata in
lei stessa, nella quale consiste il pincere cho essa ha del bone, cho il suo
intendiGiu mento le presenta come proprio ». Per Locke la gioia è un piacere
che l’anima prova quando considera il possesso di un bene presente o futuro
come assicurato ; e noi siamo in possesso di nn bene quando esso è talmente in
nostro potere, che possiamo goderne quando vogliamo ». Per il Galluppi la gioia
è una passione, che nasce quando |’ oggetto nmato si riguarda come presente;
quando si riguarda invece come vicino, e certo ad ottenersi, si ha l’allegrezza
alla gioia si oppone la tristezza, all’ allogrezza lx mestizin. Per il Godwin è
uno stato di piacere mentale, detorminato specialmente da sensazioni piacevoli
e dai loro oggetti, dalle conoscenze di ogni specie, da ogni sorta d'esercizio.
Il Bergson insiste sul carattere di pienezza o totalità della gioin, per oui
essa si estende a tutto il contenuto della coscienza La gioia interiore non è,
più che la passione, un fatto psicologico isolato, che occuperebbe da principio
un angolo dell’ anima e a poco a poco gundagnerebbe terreno. Nel suo grado più
basso, essa somiglia molto ud una orientazione dei nostri stati di coscienza
verso l'avvenire. Poi, como se codesta attrazione diminuisse la loro
pesanterza, le nostre idee © sensazioni si succedono con maggiore rapidità; i
nostri movimenti non costano più lo stesso sforzo. Intino, nella gioin estrema,
le nostre percezioni ei nostri ricordi acquistano una qualità indefinibile,
paragonabile a un calore 0 a una luce, e così nuovi che a certi momenti,
ritornando su noi stessi, proviamo come uno stupore di ensero ». Cfr. Cartesio, Les
passions de l'âme, II, 91; Spinora, Ethica, lib. IIT, teor. XI, scolio; Locke,
Essay, II, cap. 20, $ 7; Galluppi, Lesioni di logioa e metafisica, 1854, II, p.
841; Godwin, Active principles, 1885, p. 9, 18; Bergson, Essai sur les données
imm. de la conscience, 1904, p. 8; G. Dumas, La tristesse é la joie, 1908. (Giudizio. T. Urteil; 1. Judgement; F.
Jugement. Essendo un atto primitivo della mente, ο quindi nasolntamante mi
generis, non è propriamento detinibile. La dofinizione più 479
Gru comune, già usata da Aristotele, quell’atto per cui ni afferma ο si
nega » è essa pure una tautologis, perchè I’ affermare ο il negare costituisce
appunto il giudizio. Nè più felici sembrano le altre definizioni, che citiamo a
caso e senz’ ordine cronologico rigoroso; Malebranche : la percezione del
rapporto che si trova tra due 0 più cose; Baylo: l’atto col quale affermiamo o
neghiamo qualche cosa di un’nltra; Locke: l’atto con cui si uniscono ο ri
separano due idee; Kant: è l’idea dell’ unità di coscienza di difterenti idee, ο
l’idea del loro rapporto in quanto compongono una nozione; Hobbes: è
l’espressione del rapporto tra il significato di due nomi; Wuridt: è la
decomposizione d’ una rappresentazione nei suoi elementi; Hamilton : giudicare
è riconoscere la relazione di congruenza o di incongruenza in cui stanno tra di
loro due concetti, due cose individuali, ο un concetto e un individuo; Munsel:
un atto di comparazione tra due dati concetti riguardo la loro relazione ad un
oggetto comune ; J. 8. Mill: la pertinenza di un attributo o di un grappo di
attributi, ad un altro attributo o gruppo di attributi; Galluppi: un pensiero,
col quale noi pensiamo che un oggetto è o non è di tale o tal maniera; Rosmini
P affermazione (possibile o reale) d’ un atto in sò, che si fa, sia poi un atto
essenziale, ο sostanziale, ο accidentalo, positivo ο negativo, occ.; Masci: un
rapporto predicativo tra concetti; Hòfiding : un legame di nozioni fatte con
coscienza © limpidezza; Volkelt: un semplice atto di relazione; Bergmann: la
decisione sul valore di una rappresentazione. Nel giudizio si distinguono tre
elementi costitutivi: il soggetto che è il concetto da determinarsi ; il
predicato che è il concetto che serve a determinare il soggetto; la copula che
è la relazione tra il predicato e il soggetto. Secondo alcuni logici, quest’
ultimo non è elemento essenziale del giudizio © può anche mancare. Varie furono
le classificazioni proposto dei gindisi, perchò vario fu il modo onde il
giudizio stato considerato; ma la classificazione più universalm Gv 480
accettata è quella che, abbozzata primitivamente da Aristotele,
completata dai logici posteriori, fa poi raccolta in una tavola dal Kant. Essa
divide i giudizi in quattro classi, secondo la qualità, la quantità, la
relazione, la modalità. Sotto il primo rispetto i giudizi sono: affermativi,
negativi. infiniti; sotto il secondo universali, particolari, individuali :
sotto il terzo calegorici, ipotetici, disgiuntivi; sotto il quarto
problematici, assertori, apodittici. La qualità © quantità doi giudizi vengono
designate per brevità colle lettero a, ο, secondo i versi mnemonici: Asserit a
negat €, verum generaliter ambo. Assorit i negat ο, sed partioulariter ambo. Il
Kant distingue anche i giudizi in analitici ο sintetici. Alla classificazione
kantiana alcuni vogliono aggiungere questa: giudizi narrativi, esplicativi,
descrittivi. La classificazione kantiana dei giudizi vale porò soltanto per i
giudizi semplici; i giudizi composti furono da altri divisi in tre classi: a
relazione omogenea, a relazione etorogonea, giudizi contratti (v. le rispettive
definizioni). Cfr. Kant, Krit. d. reinen Fern., ed. Reclam, p. 33 segg.; Logik,
$ 17; Hamilton, Lectures on metaph., 1859, I, p. 204 segg., II, 271 segg.;
Mansel, Metaphysios, 1866, p. 220 segg.; Hôffding, Peyohologie, trad. franc.
1900, p. 285; Id., La base peyohologique des jug. logiques, Revue philos. »,
1901, t. II; Ueberweg, System der Logik, 1874, § 67; Volkelt, Erfahrung und
Denken, 1886, p. 157 segg.; Wundt, Logik, 1893, vol. I, p. 136 segg.; Gulluppi,
Lezioni di logica e motaf., 1854, vol. I; p. 65; Roamini, Logica, 1853, p. 87;
Masci, Logica, 1899, p. 158 segg.; Calò, Conoezione fetica ο conoesione
vintetioa del giudizio, Cultura filosofica », agosto 1908; S. Tedeschi, Sulla
funzione conoscitiva del giudizio, Ibid. », gennaio 1910. Giustizia. T.
Gerechtigkeit; I. Justice; F. Justice, È la più grande delle virtà sociali,
l’espressione più alta del sentimento di simpatia, Essa trae origine dal
concetto di uguaglianza ο di reciprocità, e si compendia nel precotto
evangelico: non fare agli altri cid che non vorresti fosse 481
Gru fatto a to stesso. Infatti già i pitagorici, cioè i primi filosofi
che studiarono il concetto della giustizia, ls fecero consistere nel
contraccambio, nella proporzione, 6, in conformita al loro simbolismo
matematico, 1’ assimilarono al numero quadrato, ἡ δικαιοσύνη ἀριθμὸς ἰσάχις
ἴσος. Con ciò è dato, quantunque in modo generalissimo, il concetto della
giustizia come di una combinazione fra termini uguali © contrapposti; essi
facevano consistere la giustizia nel1’ uguale moltiplicato per 1’ uguale, ο nel
numero quadrato, perchè essa rende lo stesso per lo stesso. Anche Aristotelo
affermava che il giusto è il legittimo ο 1’ uguale, 1’ ingiusto l’illegittimo ο
l’inuguale; e i Romani, col termine ginstizia, designavano ciò che è esatto,
imparziale, proporzionale. La giustizia scaturisce dal seno stesso della
80cietà, assumendo forme sempre più pure e perfetto, ο si personifica nel
Potere, che ha l'ufficio di tutelarne il rispetto e l’applicazione anche con la
coazione materiale. Si distingue quindi la giustisia sociale, che risiede nel
Potere, dalla giustizia potenziale (ο equità), corrispondente alla idealità che
nasce da prima nell’ individuo ο si riflette nella società. La giustizia si distingue
ancora dalla carità ο beneficonza, che si compendia nel precetto: fa agli altri
ciò che vorresti fatto a te stesso. Fra le classificazioni delle varie forme di
giustizia, la migliore sembra ancora quella aristotelica, che distingue: 1. la
ginstisis distributiva (τὸ δίκαιον daveperix6v) che riguarda i rapporti fra i
cittadini d'uno stato ei beni comuni da condividero, che si devono distribuiro
secondo il merito; 2. la ginstisia correttiva (τὸ δίκαιον διορθωτικὀν) che
riguarda specialmente l’applicazione delle leggi e veglia non alla loro
formazione ma al loro adempimento; 3. la giustisia retributiva (τὸ δίκαιον
αντιπαπονθός) che può essere o penale o civile o comniutativa in quanto è l’
uguaglianza pura e semplice, ο l’equivalenza dei beni scambiati, dei mutui
servigi. Cfr. Aristotole, Motaph., I, 5, 985 b, 29; EtMoa, V, 1, 1129 a, 6
segg.; 31 RaNzoLI, Dizion, di scienze
filosofiche; Gra-Gno 482 Zeller, Phil6s. d. Griechen, I, p. 391-426;
Diels, Die Fragm. der Vorsokratiker, 1906, vol. I, p. 239 segg.; Romagnosi,
L'antica morale filosofica, 1838, p. 195 segg.; Troiano, Dottrine morali di
Pitagora ο di Aristotele, 1897, p. 58 segg.; Ardigò, Opere fil., IV, p. 54
segg.; Z. Zini, Giustizia, 1906; B. Donati, Dotirina pitagorica e aristotelica
della giustizia, Riv. di fil. », novembre 1911. Glandola pienale. T.
Zirbeldrüse; F. Glande pinéale. Organo atrofizzato ο rudimentario, di forma
conico-ovolare, di colore rossastro, che si alsa davanti ai lobi ottici, tra
l'encefalo anteriore e quello posteriore. Cartesio od altri filosofi ne fecero
la sede dell'anima: Kem acourate eraminando, dice Cartesio, mihi videor
ovidonter cognovisse, partem cam corporis, in qua anima ezerosi immediate suas
functiones, nullatonus osso oor, neque etiam totum cerebrum, sod solummodo
mazime intimam partium eius, qua est certa quaedam glandula admodum parva, sita
in medio subatantiae ipeius, et ita suspensa supra oanalem, por quem spiritus
oavitatum cerebri anteriorum communicationem habent cum spiritibue pouterioris,
ut minimi motus, qui in illa sunt, multum possint ad mutandum oursum horum
spirituum, σὲ reciproce minimac mutationes, quae accidunt cursui spirituum
multum inserviant mutandie motibus huiue glandulae. Invece per i moderni
naturalisti essa non è che il rudimento di un occhio impari, mediano, chiamato
occhio parietale per la sua posizione rispetto alle ossa omonime, In parecchi
vertebrati inferiori, ad os. nei rottili, esso è più che rudimentale,
potondovisi discornere le varie parti degli occhi ordinari. Cfr. Cartesio, Pans,
an., I, 31 seg. (v. animali spiriti). Gnomica (filosofia). Nel suo significato
generale designa quella forma di sapienza che non è sistematizzata in un tutto
logicamente coordinato, ma s' esprime in proverbi, sentenze, aforismi, con
forma popolare sia in prosa che in poesin. In un significato più ristretto,
designa la primitiva morale dei Greci, quale trovani già esposta nei versi
di 483
Gxo Omero, nel poema di Esiodo, nella poesia gnomica propriamente detta
di Solone, di Focide, di Teognide e nelle sentenze de’ sette Savi, conservate
dalla tradizione. Cfr. Diogene Laerzio, I, 1, 40 segg.; Aristotele, EtMoa Nie.,
V, 3. Gnoseologia. T. Gnoseologie, Erkerntnistheoris ; I. Gnos0logy ; F.
Gnostologie, Guosiologie. Nome dato dal Banmgarten a quella parte della
filosofia che tratta della dottrina della conoscenza, vale a dire dell’
origine, della natnra, del valore e dei limiti della nostra facoltà di
conoscere. La parola è caduta quasi in disuso nella terminologia tedesca, che
preferisce la parola Erkenniwistheorie
teoria della conoscenza; è invece d’ uso comune negli altri linguaggi
filosofici, sebbene con qualche oscillazione di significato. La gnoseologia non
va confusa nd con la peicologia nd con la logica: sebbene abbiano per oggetto
comune lo studio del pensiero, tuttavia la psicologia considera il pensiero
stesso come un'attività dello spirito; la logica lo riguarda come mezzo delle
conoscenze mediate, il quale condnoe alla verità ο all'errore a seconda che è usato
bene o male; la gnoseologia lo studia in rapporto all’ oggetto, per vedere se ©
in che limiti ce ne può dare In conoscenza. La gnoseologia si distingue anche
dalla epistemologia, che è lo stadio critico dei principi, delle leggi, dei
postulati e delle ipotesi scientifiche. Circa la sua importanza, è indubbio che
da Kant in poi casa occupa una posizione centrale nella filosofia, tantochè per
alcuni essa è tutta quanta la filosofin ; nessun filosofo oggi può accingersi a
discutere di questioni metafisiche senza aver prima chiarita la sua posizione
riguardo ai problemi gnoseologici. I quali, trascurati ο sottomessi a
presupposti metafisici nella filosofia antica ο medievale, cominciano ad
assumere unu posizione autonoma ο fondamentale con l’ empirismo inglese,
specialmente con Locke: La mia intenzione, egli dice, è di ricercare 1’
origine, la certezza ο 1’ estensione del sapere umano, come pure i fondamenti e
lo fasi gradunli della credenza, della Gyo
484 opinione e dell’ assenso ».
Mentre Cartesio, Malebranche, Spinoza, eoc., si erano affaticati intorno al
problema del rapporto tra anima e corpo, tra spirito e materia, Locke,
giudicando tale problema come insolubile, si propone invoce di determinare con
quali mezzi giungiamo a conoacere tanto lo spirito che il corpo, e, con la
distinzione tra le qualità primarie e le secondarie, con l’analisi distruttiva
dell'idea di sostanza, getta le prime basi di tutte le discussioni
gnoseologiche, le quali terranno occupata Ja mente dei filosofi nei due secoli
seguenti. Occorre però aggiungere che non tutti i filosofi moderni convengono
sulla necessità, anzi sulla legittimità della gnoseologia. Hegel aveva già
osservato: L’esame della conoscenza non può farsi altrimenti che conoscendo ;
questo cosidetto stromento richiede di essere esaminato non altrimenti che
conoscendolo. Ma voler conoscere, prima di conoscere, è cosa tanto assurda
quanto il sapiente proposito di quello scolastico, di imparare a nuotaro prima
di arrischiarsi nell’acqua ». Oltre la scuola dell’ Hegel (la quale però non è
tutta concorde nel seguire in questo il maestro) anche quella del Fries nega la
legittimità della gnoseologia, considerando In possibilità della conoscenza non
come un problema, ma come un fatto, in quanto il criterio della verità dei
giudizi ata nella conoscenza immediata, quale ci è data dalla percezione che è
originariamente assertoria: se la possibilità della conoscenza fosse un
problema, per risolverlo dovremmo avero un criterio, mediante l'applicazione
del quale si potesso decidere se una conoscenza è vera o no; questo criterio
sarebbe una conoscenza 0 no; nel primo caso richiederebbe a sun volta un altro
criterio per poter decidere della sus validità, nel secondo caso, se cioò non
fosse conosciuto, come potremano conoscere che è un criterio della verità? Cfr. Locke, Essay, I, cap. I, $
2; Hegel, Enoyol., $ 10; A. Phalen, Das Ærkenninisproblem in Hegels
Philosophie, 1912; Riehl, Die philosophiache Kriticismus, 1879, vol. II, 1. I,
p. 11; Eigler, 485 Gxo-Goc Einführung in die Erkenntnistheorie,
1906; È. Cassirer, Das Erkenntnisproblen in d. Philos. u. Wissenschaft,
1906-1907 ; .ibhandlungen der Friewechen Schule, 1909-1912, vol. III, fase. IV; Ardigò, Op. jil., vol. I, pref.:
V, 15 segg.; Do Sarlo, I problemi gnoseologici nella. fil. contemp., Cultura
filosofica », settembre 1910. Gmosi. T. Guosis; I. Gnosis; F. Gnose. Indica
quella scuola teologica e filosofica, sorta nei primordi del oristinnesimo, la
quale voleva giungere dalla pura fede nel fatto (πίστις), alla vera conoscenza
(γνῶσις) di Dio, della natara e dol destino degli esseri, mediaute lo studio
dello diverse religioni ο il confronto della religione cristiana colle
precedenti. Varie sono le forme di gnosticismo, che si distinguono a seconda
della religione a cui ciascuna dà la preferenza: quindi si ha una gnosi cristianizzante,
cui appartennero Saturnino e Marcione; una paganizzante, cui appartennero
Carpoerate e Manete; una giudaizzante, cui appartonnero Valentino e Basilide.
Combattuta dalla Chiesa cristiana, da cui la separavano profonde divergenze,
essa si spenso dopo un breve periodo di apparente fecondità. Perd, secondo
aleuni scrittori cattolici, la gnosi ha gettato nelP atmosfera intellettuale
una quantità di idee teologiche © di idealità morali, che hanno contribuito
potentemente alla diffusione del cristianesimo dopo averne minacciato
l’esistenza ». Le origini della gnosi fnrono attribuito dui SS. Padri a Simon
Mago; i caratteri fondamentali di talo scuola sono: il dualismo tra spirito e
materia, e la dottrina del Demiurgo. Cfr. Harnach, Lehrbuoh der Dogmengeschiohte,
1894, I, p. 220 segg.; F. Bonaiuti, Lo gnosticismo, 1907 (v. eoni, Noo, Logo,
Demiurgo, pleroma, nisigia). Gnosticismo v. gnosi. Goclenico (eorite). Il tipo
progressivo del sorite, In cui formola si deve a Rodolfo (ioclenio; è 1’
inverso del tipo regressivo, formolato da Aristotele. La sua formola è: C= D, B
C, 4 == B, dunque A= D. Ad es.: l’ovoGra
486 luzione è perfezionamento ;
la civiltà è evoluzione; la moralità è civiltà; dunque la moralità è
perfezionamento. Cfr. Goclenius, Isagoge inorganon Aristotelis, 1598, p. 2, ο.
4; Lotze, Grundzüge d. Logik, 1891, p. 46 (v. sorite). Graduasioni medie
(metodo delle). Uno dei metodi adoperati per verificare lu leggo di Weber sul
rapporto tra la sonsaziono ο lo stimolo. Siccome 1’ intensità della sensazione
cresce in proporzione aritmetica, quando l’intensità degli stimoli cresce in
proporzione geometrica, così, trovando una sensazione media tra due sensazioni
a’ intensità differente, l'intensità aritmeticamente modia tra le duo
sensazioni dovrà corrispondero ad una intensità geometricamente media tra i due
stimoli. In ciò consiste il metodo dello gradazioni medie, proposto dal Wundt.
Cfr. Wundt, Grundzüge d. Psyoologie, 1893, p. 356 segg.; Id., Grundriss d.
Payohol., 1896, p. 299. Grafico (metodo). T. Graphische Methode; I. Graphio mothod; F. Méthode
graphique. Consiste nel
rappresentare mediante traccinti o grafiche i fatti che si stanno studiando. Il
metodo grafico ha ricevuto e riceve sempre nuovo applicazioni, estendendosi
esso sia ai fatti puramente fisiologici che ai psicofisiologici, nei quali i
movimenti corrispondono a particolari stati psichici. A seconda dei fenomeni di
cui si vogliono raccogliere le indicazioni grafiche, variano naturalmente gli
strumenti, fra cui ricordiamo gli psicografi, gli ergografi, i grafografi, i
miografi, gli sfimografi, i pletismografi, i pressiografi, ecc. In tutti, ad
ogni modo, le grafiche sono fissate in bianco sul fondo nero di una carta
annerita per mezzo d’una fiamma fuliginosa, ο rese indolebili mediante un bagno
di vernice. Grafologia. ‘I. Graphologie; I. Graphology ; F. Graphologie.
Quantunque } etimologia della parola sembri indicaro come oggetto di questa
scienza lo studio della scrittura sotto tutti i suoi aspetti, tuttavia, nel
concetto dei suoi più noti cultori, essa si restringe a cercare i rapporti
che 487
Gra esistono tra il carattere di un individuo e la sua scrittura, per
cavarne norme generali onde poter inferire in ogni caso dalla scrittura -che è
la traduzione immediata dal pensiero la conosconza del carattere dello
scrivente. Tre sono le ricerche che la grafologia compio in ogni seritto: 1. i
sogni generali, dati dall’ insieme dello scritto; 2. i segni particolari, dati
dalla punteggiatara, dalle paraffe, dai filetti, dalle lettere; 3. le risultanti,
vale a dire lo conclusioni generali derivanti dal confronto dei vari se
grafologici. La grafologia studia, oltre agli soritti degli individui normali,
anche quelli dei delinquenti, dei geni e dei pazzi. Cfr. Erlenmayer, Die
Schrift, 1879; Goldscheider, Dio Physiologie und Pathologie ste Handschrift,
1891; Cropieux-Jamin, L'écriture οἱ le caraotère, 1879; Lombroso, Grafologia,
1895. Grafo-motore (centro). Il centro grafo-motore è situato sotto il piede
della seconda circonvoluzione frontale del1’ emisfero cerebrale sinistro ; la
sua distruzione determina la agrafia, ossia la perdita della memoria dei
movimenti necessari alla scrittura. La scoperta di questo centro è dovuta ul
Broca, allo Charcot e alla sua scuola: alcuni fisiologi, però, non ammettono I’
esistenza di un centro psichico distinto per l’impulsione e la coordinazione
dei movimenti della scrittura, altri lo ripongono nel midollo all’ altezza del
rigonfiamento anulare. Cfr. Ch. Bastian, Le cerregu organe de la pensée, trad. franc. 1888, vol. HI, p. 64 #ogg. Grammatica. 1.
(irammatik, Sprachlekre ; 1. Grammar; F. Grammaire. E la forma del linguaggio,
mentro il vocabolario no è la materia. Le forme grammaticali esprimono lu
funzione essenziale del pensare, la quale consiste nel porre in relazione;
quindi esse sono in continuo reciproco rapporto con lo sviluppo del pensiero
stesso. Da principio non esistono che parole, cioò segni per rappresentare gli
ogget: © le relazioni logiche sono significate sia con la disposizione delle
parole sis adoperando certe parole ad esprimere, Gra 488
oltrechè oggetti, anche rapporti. In seguito le disposizioni di parole
diventano costanti e le parole adoperate ad esprimero rapporti perdono il loro
significato indipendente fino ad aggiungersi come affissi alle parole dinotanti
oggetti. Intine I’ orguuismo grammaticale, sotto l’azione incessante del
pensiero, si fa completo: mediante il solo cambiamento del suono (/lessione)
ogni parola è un’ unità modificata secondo le suo relazioni grammaticali, ed
una parto del discorso determinata, avente un’ unità sia lessicale che
gramiuaticale. Lu grammatica, come scienza delle regole che le necessità
logiche, l’uso e la vita sociale hanno imposto agli individui nol?’ impiego del
linguaggio, comincia con i sofisti, specialmente con Prudico, Ippia ο
Protagora; quali maestri d’ eloquenza politica essi dovevano insegnare, in
prima istanza, come si parla bene e trasformando la retorieu da arte
tradizionale in soienza, si dedicarono a ricerche intorno alle parti del
discorso, all’ uso dello parole, alla sinonimia e all’ etimologia, e furono
così i creatori della grammatica. Cfr, Marty, Ueber eubjeotlose Sätze und das
Verkäliniss der Grammatik zu Logik und Paychologie, Wiert. fur Wiss. Philosophie >, VIII,
Jahrg. 1884, 1° art. p. 73; A. Marty, Rech. sur lee bases de la grammaire οἱ de la phil. du langage, 1908; Binet et Salmon, Langage οἱ pensée, 1909 (v. linguaggio, giudizio, emozionale,
eco.). Grazia. T. Gnade, Anmutk;
I. Grace; F. Grice. Questo vocabolo ha due significazioni ben distinte, una
teologica ο l’altra estetica, Nella teologica la grazia divina è uno dei dogmi
della religione cristiana, definito dai teologi come il dono sovrannaturale e
gratuito concesso da Dio agli uomini, per condurli alla eterna salvezza. Esso
si ricollega strottamente col dogma della caduta dell’uomo ο del peooato
originale; questi due dogmi sono dovuti entrambi a 8. Agostino, che li difese
dagli assalti © dalle false interpretazioni delle sette ereticali. Grande
estensione diede poi al dogma della grazia S. Tommaso, che la considera
necessaria al 489 Gra PP uomo per
compiere quella parte sovrannaturale del suo destino, che consiste nella
visione divina; © tale necessità, inerente alla sua condizione di creatura, si
è ostesa, per il peocato originale, anche a quelle azioni che non oltrepassano
la natura delle sue forze: Nello stato di natura innocente l’uomo non aveva
bisogno che una virtà di grazia si aggiongesse a quella di natura, se non per
fare © per volere il bene sovrannaturale; ina nello stato di natura corrotto,
ne ha bisogno per due riguardi: primo per rimanere terso dalla macchia della
colpa, secondo por cor piere un beno di ans virtb sovrannaturale che sia mei
torio ». Così l’aiuto della grazia è nocessario per osserva i precetti della
leggo divina, per amare Dio, per non peccaro, per uscire dai lucci del peccato,
per perdurare nel bene © infine per rendersi degni di ricoverla allorchè non si
possiede. A che wi riduco allora il compito dell’uomo e la libertà del suo
volere? Per conciliare questo dogma con la dottrina del libero arbitrio, i
teologi distinsero varie specie di grasin: la grazia interiore, che ispira all’
nomo buoni pensieri, pie risoluzioni, © lo porta a fare il bene; la grazia
abituale, cho risiede nella nostra anima, rendendolu cara a Dio © meritevole
dell’ eterna felicità; la grazia attuale, che è una operazione per la quale Dio
illumina la mente e muove la volontà nostra a fare un’opera buo: superare una
tentazione, adempiere un precetto; la grazi afficace, che opera infallibilmento
sulla volontà e alla quale l'uomo non resiste mai, malgrado la libertà che ba
di resistere; la grazia sufficiente che dona alla volontà abbastanza forza per
fare il bene, ma alla quale l’uomo può resistere, rendendola così inefficace. Nell’ estetica la grazia è qualche cose di
distinto ο talora indipendento dalla bellezza, tantochè, come osservò già il
Winkelmann, ossa si trova anche in quelle forme che non sono belle ed è un
mezzo di supplire alla mancanza del bello. Generalmente, la grazia è considerata
come la bellezza di ciò che è piccolo, fragile, Gus 490
gentile; oppure come la bellazsa del morimento, comprendendo in questa
espressione anche le forme fisse, nelle quali la suggestione del movimento sia
non solo assai viva, ma anche principale. Per lo Schelling la grazia nell’ arte
à P espressione dell anima: Dopo che l’arte ha dato alle cose il carattere che
loro imprime l’ aspetto dell’individualità, fa un passo ancora; dà loro la
grazia che le rende amabili, facendo che esse sembrino amare. Oltre questo
secondo grado, non ve n’ha che uno, che il secondo annuncia ο prepara; è di
dare alle cose un’ anima, con cui esse non sembrano più soltanto amare, ma
amano. La grazia nelParte è l’espressione dell’ anima ». Per lo Spencer invece
la grazia è la bellezza del movimento, che non riveli uno sforzo ο che sia vario
di direzione, di volocità ο di composizione: questa varietà spiega l’etorna
freschezza della grazia. Il Guyau, accostandosi allo Schelling, fa consistere
la grazia in uno stato della volontà, della volontà soddisfatta o che è portata
a soddisfare altrui: ovvero nell espressiono del?’ amore, perchè par che amie
perciò è amata. Secondo il Masci, il sentimento del grazioso è un sentimento
gaio, che rifugge dalla serietà ο dalla gravità, © suppone un contrasto
oggettivamente e felicemente superato, di forma non di sostanza, di sò stesso
inconsapevole; esso ha per fattore psichico essenziale la porcezione
dell’ingenuità che non confini con la dabbenaggine, che non offra motivo di
disistima ο di sprezzo. Cfr. 8. Tommaso, 1*, 33, qu. CIX, art. 2,3 e segg.;
Jourdain, La fil. di S. Tommaso, trad. it. 1860, p. 203 segg.; Schelling,
System d. transcend. Idealiomus, 1801; ‘Taine, Philosophie de Vart, 1880; Guyan, L'art au point
de vue sociologique, 1884; Masci, Psicologia, 1904, p. 392 segg. (v. bello, comico, estetica, provvidenza,
premozione, scienza media). Gusto. T. Gesohmach ; I. Taste: F. Goût. Senso
chimico col quale si percepiscono i sapori. Di questi si distinguono quattro
fondamentali: l'amaro, il dolce, l'acido, il salato, ai quali alcuni aggiungono
il metallico © V alcalino. Le sen 491
Gus sazioni gustative sono molto complesso; quelle che ordinariamente si
riguardano come sensazioni di gusto, sono un misto di sensazioni di gusto, di
tatto, di olfatto © di temperatura. Infatti la mucosa boccale possiede papillo
gustative solo in alcune parti, come la punta e i margini luterali della
lingua, ls parto superioro 6 la superficie auteriore dol palato; nelle altre
parti non vi sono che corpuscoli tattili. I nervi del gusto sono il linguale,
che servo per il gusto della parte anteriore della lingua, e il glossofaringeo
per le altre parti della lingua ο della bocca.
In, per gusto ο buon gusto ο) intende la coltà di gindicare
intuitivamente ο sicuramente i valori estetici, specialmente in ciò che essi
hanno di corretto © delicato. Per il Shaftesbury ο l’ Hutcheson il gusto è lu
facoltà fondamentale non solo estetica ma anche eticn; l’uomo possiede, secondo
essi, un sentimento naturale ο profondo tanto per il buono quanto per il bello,
che non sono quindi oggetto di conoscenza razionale, ma di un intimo consenso
insito nella stessa natura dell'individuo. Per il Reid anche il gusto è
sottomesso a leggi: Quelli che sostengono che non v’ ha nulla d’assoluto in
materia di gusto, e che il proverbio che dei gusti non si devo disputare è di
applicazione illimitata, sostengono un’opinione insostenibile ; con le medesime
ragioni si potrebbe sostenere che non c'è nulla di assoluto in materia di
verità ». Kant inveco distingue il buono dal bello, in quanto il primo è ciò
che coincide con la nonna finale rappresentata nella legge morale, il bello
invece à ciò che piace senza concetto, come godimento affatto disinteressato ;
quindi è impossibile una dottrina estetica, v'è soltanto una critica del gusto,
ciod nua ricerca intorno alla possibilità del valore aprioristico dei giudizi
estetici; il gusto è infatti per Kant la facoltà di giudicare di un oggetto o
di una rappresentazione mediante un piacere o uno stato sgradevole, senza
‘alcun interesse ;... una capacità puramente regola 492 tiva di giudicare la forma nell’ unione dol molteplice
nella fantasia »; pord, la sentenza che dei gusti non si può disputare, vale
solo nel senso che in questioni di gusto con la prova concettuale non si
ottiene nulla, il che non esclude che sia possibile in ciò nn appollo a
sentimenti di valore universal. Per l'Herbart i giudisi del gusto hanno un
valore necessario ο universale, d’ indimostrabile evidenza, © «si riferiscono
sempre ai rapporti dell'esistente; quindi In morale è per lui un ramo dell’
ostetica, in quanto questa si risolvo nella dottrina doi giudizi estetici
intorno ai rapporti della volontà umana. Cfe. Hutcheson, Philosophiae mordlis
institutio oompendiaria, 1754; Reid, Works, 1817, V, 215 seg.; Kant, Krit. d.
Urteilskraft, 1878, 1, $5; Blencko, Kants Unterecheidung den Sohönen rom
Angenchm, 1889; Wundt, Vòlkerpsychologie, 1900, vol. 1; Kiesow, Atti del IV
Congr. int. di pricologia, 1906; Windelband, Storia della fil., trad. it
Sandron, 1, 328; Höflding, Prychol., trad. frane. 1900, p. 130 ο segg. 1. Nella
logica formale designa le proposizioni particolari affermative (qualche À è 3).
Nella teoria della quantificazione del predicato indies lo proposizioni
parti-parziali afformative (qualche οἱ è qualche 1), mentre la lotters greca ı
designa le proposizioni parti-totali afformative (qualche .1 è tutto B).
Ibridismo. F. Hybridisme: I. Hybridiem. 1, accoppinmento fecondo di due
individui più o meno diversi tra di loro. Diconsi ibridi i prodotti stabili ο
instabili delle specio tra loro, e meticci i prodotti delle varietà o delle
razze. Nel linguaggio comune, però, ai riserba il nome di meticci prodotti
della fecondazione fra le diverse razze umane. Sembra eselusa la possibilità di
fecondazione tra individui appartenenti a ordini differenti ; è invece accertata
fra indiviIpe dui di differenti generi, i cui prodotti sono indefinitamente
fecondi, © di differenti speoie, i oui prodotti possono essero infecondi, come
i mali ei bardotti, 0 fecondi, come i piocoli della lepre ο del coniglio, del
cane e del lupo, del cano e della volpo. Si ha 1’ ibridiemo unilaterale quando
il maschio d'una specie dà Inogo et meticci fecondi con la femmina @ un’altra
specie, mentrechd una femmina della prima con un maschio della seconda è
sterile; 1 ibridiemo collaterale quando i meticci di primo sangue sono sterili,
mentro quelli di secondo sangue sono indefinitamente fertili, così da dar luogo
mediante i collaterali a una nuova razza; P ibridiemo diretto quando i meticci
di due ordini sono indefinitamente fecondi. I fenomeni di ibridismo, non ancora
pienamente spiegati, vi intrecciano ad altri importanti problemi della
filosofia zoologica, riguardanti la fissità, l’unità, l’origine della specie,
il concetto delle olassifionzioni zoologiche, l'eredità, 1’ affinità sessuale,
eco. Cfr. A. Suchotet, L'hydridité dana la nature, 1888 (v. omogenesia,
monogenismo, poligeniemo, varietà, specie, ecc.). Idea. T. Idee, Vorstellung;
I. Idea; F. Idee. Comunemente per idea si intende ciò che non è reale se non in
quanto è pensato, ciò che esisto soltanto nel pensiero © per il pensiero; e si
suol anche opporla alla sensazione, alla percezione, alla imagine, in quanto
designa i prodotti generali ed astratti dell’ attivita dello spirito. Ma nella
storia della filosofia l’ides assume significati assai diversi ed implica varie
ed importanti questioni riguardanti la sun origine, la sua natura, i suoi
rapporti col reale, eco. Quanto alla varietà dei significati, da principio Ἴδέα
equivale nella lingua greca a forma visibile, aspetto; da ciò anche il significato
di forma distintiva, di specie nel significato cho questa parola ebbe presso
gli scolastici : perciò Democrito chiama gli atomi anche ἰδέαι, e Dionigi
Massimo definisce le idee species vel formas aelernas et incommutabiles
rationes, secundum quas et in quibus visibilio mundus formatur et regitur.
IDE 494
Affine a questo è il significato che Platone dà alla stessa parola, come
vedremo più avanti; il passaggio si può cogliore in questa definizione di
Goclenio : Idea signifioat speciem seu formam, sou rationem rei eziernam ;
generatim idea est forma seu exemplar rei, ad quod respiciens opifez affoit id
quod animo destinarat. Per Kant invece ha un valore differente: Per idea io
intendo un concetto necessario della ragione, al quale nessun oggetto adeguato
pnd esser dato nei sensi »; tali idee sono, per Kant, quelle d’unità assoluta
del soggetto, di sistematizzazione completa dei fenomeni (comprondente le
quattro idee cosmologiche ») e di ridusione all’ anità di tutte le esistenze,
ideo alle quali corrispondono rispettivamente l’anima, il mondo e Dio. In senso
psicologico l’idea equivale al concetto, considerato come fenomeno mentale in
una determinata coscienza; alcuni psicologi la distinguono dal concetto solo
perchè, mentre l’idea astratta può essere d’una qualità o d’ una proprietà, il
concetto è l’idea d’ una cosa ο d’un fatto, e in quanto tale raccoglio in sè,
come in una sintesi ideale, quegli elementi che devono costantemente associarsi
per costituire la conn 0 il fatto. Già con la tarda scolastica, ma più
specialmonte a partire dal sec. XVII, la parola idea si adopera anche per
indicare ogni oggetto del pensiero in quanto pensiero, în opposizione sia al
sentimento, all’ istinto, alla volontà, ciod ai fenomeni psichici non
intellettuali, sia alla cosa, all'oggetto esistente per sè, indipendentemente
dalla conoscenza che ne abbiamo. Infine, tanto nel linguaggio comune che in
quello filosofico, ides è adoperata ad indicare progetto, disegno, invenzione,
opinione, teoria, come appare dallo espressioni aver ’ idea di compiere qualche
com », idea della filosofia trascendentale », le idee filosofiche dominanti », le
ideo politicho di un uomo >, ece. Per questa varietà di significati, 1’
Hamilton dichiarava giustamente che è impossibile serbare a questa parola un
uso tecnico, e che non si può usarla se non nel senso vago 495
Ipr nel quale racchiude le presentazioni dei sensi, le rappresentazioni
dell’ imaginazione e i concetti ο nozioni dell’ intendimento: Le idee, parola e
cosa, sono state la orur philosophorum, dacchè Aristotele lo mandò nd imballare
fino ai giorni nostri >. Quanto alla natura 6 all’origine delle idee, per
Platone esse sono i veri reali, che non esistono come semplici enti del pensiero,
ma sono sostanziate in sè, immutabili ed universali; esse costituiscono i tipi,
i modelli esemplari ed eterni delle cose, le quali non sono che imitazioni
delle idee, e partecipano del reale solo in quanto partecipano delle idee ;
esse non possono venir apprese che dalla ragione, e costituiscono una gerarchia
al sommo della quale sta l’idea del bene, cioè il bene stesso, dal quale le
altre idee ricevono realtà e intelligibilitä. Per Aristotele invece le idee non
hanno una realtà separato dalle coso individuali © sd esse anteriore, ma son
poste in esse medesime; soltanto gli individui sono i veri sussistenti sò, vere
sostanze; l’universale esiste, ma nell’ individuo; V idea non è un semplice
vocabolo, ma associata ad un vocabolo viene a fissare ciò che hanno fra loro di
comune più individui della medesima specie. Da allora in poi le due teorie
rimasero sempre di fronte, ο si combntterono specialmente nella scolastica
sotto il nome di realismo la prima, conosttualismo o nominalismo la seconda.
Più tardi sorsero le varie dottrine circa l’origine delle idee: secondo l’
innatiemo esse sono contenute nello spirito anteriormente ad ogni esperienza;
secondo il seneemo sono invece il prodotto della nostra esperienza sensibilo;
secondo 1’ empirismo derivano pure dall’ esperienza, ma non soltanto da quella
esterna o sensibile, ma anche da quella interna ossia dalla coscienza; secondo
la dottrina pricogenetioa dello Spencer, derivano non solo dall’csperionza
dell’individuo mn ancho da quella della specie, accumulata, organizzata ο
traamessa sotto forma di virtunlitä psicologica. La dottrina generale della
ovoluzione, dico lo Spencer, concilia 1’ ipoIne
496 tesi sperimentale e quella
intuisionistica, ciascuna delle quali è parzialmente vera, ma insostenibile per
sò stossa. Nel sistema nervoso certe relazioni prestabilite esistono attraverso
la trasmissione, rispondendo a relazioni dell’ ambiente assolutamente costanti,
assolutamente universali. In questo senso esistono ‘‘ forme dell’ intuizione ”,
ciod elementi di pensiero infinitamente ripotati finchè sono divenuti automatici
e impossibili ad abbandonarsi. Queste reInzioni sono potenzialmente presenti
avanti la nascita nella forma di determinate connessioni nervose, antecedenti e
indipendenti dalle esperienze individuali, ma non indipendenti da ogni
esperienza, essendo state determinate dall'esperienza di precedenti organismi
». Secondo il Condillac, sensista, non esiste una demarcazione netta tra
sensazioni ed idee; queste non sono iu fondo che sentimenti esistenti nella
memoria che li riproduce; così, parlando dell’ idea di spazio, ogli dice: La
sensazione sia attuale che passata di solidità è sola per sè stessa sontimento
ed idea ad un tempo. È sentimento per la relazione che ha con l’anima, che essa
modifica; è idea per la relazione che ha con qualche cosa @ esteriore.... Tutte
le nostre sensazioni ci appaiono come lo qualità degli oggetti che ci
circondano; esse dunque le rappresentano, e perciò sono dello idee ». Secondo
il Locke, empirista, le idee si dividono, quanto alla loro origine, in semplici
9 composte : le primo nascono dalla sensazione sola, ο dalla riflessione sola,
ο dall'una e dall'altra unite; le seconde invece derivano dalle primo; colle
idee semplici noi ci rappresentiamo le qualità dei corpi, sis primarie che
secondarie, le composte si distingnono in modi, sostanze ο relazioni, Però alla
parola idea Locke dà un significato assai vasto: Tuttocid che lo spirito
percepisce in ad stesso, o è l'oggetto immediato della percezione, del
pensiero, o dell’intendimento, io chiamo idea. La parola serve per qualunque oggetto
dell’ intelletto, quando l’uomo pensa, qualunque sin ciò che ocenpa lo spirito
nel suo pensare ». 497 Ir Lo stesso significato dà alla parola il
Berkeley, per il quale non esistono che gli spiriti e le loro funzioni, cioò
idee e volizioni; ma idee astratte, in quanto tali, non esistono nello spirito,
non sono che finzioni scolastiche, la loro apparenza deriva dalla espressione
verbale; in realtà non esistono che rappresentazioni singole, e alcune di
queste, grazie alla somiglianza ο all’ uguaglianza della denominazione, possono
rappresentare anche altro, simili a loro. David Hume si appropriò questa
dottrina, e distinse le impressioni originarie dalle loro copie : le idee non
sono che copie di impressioni, imagini sbiadite (faint images) ο non c’è idea
che si sia prodotta altrimenti che come copia di una impressione, 0 che abbia
altro contenuto fuori da quello che ha tolto dall’impressione. Secondo Kant,
esistono nello spirito leggi e forme invariabili, che sono ls condizione
necessaria del pensiero: di queste forme le une, le categorie, si applicano al
mondo fenomenico e sensibile, le altre, le idee, hanno un oggetto trascendente
e puramente intelli gibile: ora, siccome le idee sorpassano i limiti dell’
esperienza, non sono che forme logiche che regolano l’intelligenza, ο tutt'al
più non esprimono che uns possibilità. L’ Hegel invece, accostandosi a Platone,
non considera P idea come una mera entità logica, bensì come la più alta
realtà, per mezzo della quale tutto si spiega, 1’ essero 9 la conoscenza, la
natura e il pensiero, e nella quale tntto ha la propria ragione e il proprio
fondamento; da idea in sò, potenza non ancora evoluta, diventa idea per sà,
ossia natura, che si evolve per gradazioni infinitesime e continue, finchè
torna in sè, si fa spirito cosciente, dando luogo alla filosofia dello spirito,
alla famiglia, alla società, alla moralità e al diritto. Per il Rosmini I’ idea
è I’ essere possibile presente allo spirito; la sua presenza è appunto l’esser
noto: non ha altro effetto che far conoscere che cosa è essere »; l’idea e il
sentimento sono i duo primi clementi di tutto le cognizioni, che sono alla lor
volta anticip: 22 Ranzotı, Dizion. di
acienze filosofiche. IE 498 @ ogni deduzione e d’ogni argomentazione;
ogni applicazione dell’ idea dell’ essere nd uns data notizia è una
riflessione, Per il Gallappi l’idea è un elemento del giudizio »; egli
distingne le idee in accidentali od emensiali: sia le une che le altre sono, in
quanto idee, un prodotto della meditazione sui sentimenti, ma mentre per le
prime non tutti gli uomini hanno i sentimenti necessari alla loro formazione,
nessun nomo manca dei sentimenti necessari per la formazione delle seconde;
sono ideo essenziali quella dol proprio io, quella del proprio corpo e quella
di un corpo esterno, nonchè tutte quelle idee che l’azione feconda della
meditazione può sviluppare da queste e che si trovano in tutti gli nomini i
quali hanno 1’ uso della ragione. Per l'Ardigò l’idea è una reduplicazione
della sensazione »; la sua disformità dalla sensazione dipende unicamente dalla
ripetuta elaborazione specificatrice onde è uscita, ma i caratteri di
universalità ο di infinità, che all’ idea si attribuiscono con significazione
metafisica, sono propri anche della sensazione, che è riproducibile senza
terntine ο riferibile ad un numero illimitato di oggetti; gli uffici principali
dell’ idea sono tre: 1° è il campo mentale dei particolari, che in essa si
inquadrano como în una rappresentazione unica comnne, per il rapporto
fondamentale dolla loro somiglianza ; 2°è una rirtualità infinita di
rappresentazioni ulteriori; 3° è un segno di operazioni già eseguite o di
formazioni già ottenute. Quanto alla
classificazione delle idee, essa è impossibile nei riguardi dei loro oggetti,
che variano all’infinito ; per rispetto alla qualità ο forma si distinguono in
vere e false, chiare ο oscure, distinte e confuse, semplici e composte,
astratte ο concrete, individuali e collettive, particolari e generali ;
riguardo ai loro caratteri, si sogliono distinguere in contingenti, che hanno
per oggetto cose che possono essere e non essere, © necessarie, che hanno per
oggetto cose che non possono non essere : le prime sono determinate,
particolari, individnali, le secondo sono invece universali; nn’ idea con 499 IDE tingente e particolare dicesi idea
relativa, una necessaria ο universale dicesi idea ansoluta. Cfr. Platono, Tim.,
51 D; Rep., VI, 507 B; Fedr., 247 C; Aristotele, Met.;I, 9, 991 n, 11 segg.;
Bacone, Nor. Org., I, 23; Cartesio, Med., III, 4 5; Locke, Essay, I, cap. 1, $
8; Berkeley, Prino., I; Hume, Treat., I, sog. 1; Kant, Arit. d. reinen Fern.,
p. 274 segg.; Hamilton, Discussions on phylosophy. 1852, p. 69; Spencer, Prino.
of psychology, 1881, I, p. 467 negg.; Romini, Peioologia, 1848, t. II, p. 264
segg.; Id., Logica, 1858, Ρ. 85 segg.; Galluppi, Elem. di filosofia, 1820-27,
t. II, p. 9; Id., Lezioni di logica e metafisica, 1854, t. III, p. 999 segg.;
Ardigò, Op. fl.. I, 219 segg.; II, 461 segg. (v. associazione, archetipo,
entelechia, idealimmo, ecc.). Ideale. T. Ideel, Ideal; I. Ideal, Standard; F.
Ideel. Quando si oppone a reale, designa ciò che non ha una esistenza
obbiettiva, ma esiste soltanto come idea, cioè in quanto pensato. In questo
senso Goclenio lo definisce esse alicniun in mente secundum epeciem, in qua, ut
obiectiro prineipio, res cognoscitur. Per i platonici l'ideale costituisce una
specie di mondo perfetto ed eterno, anteriore e auperiore al mondo visibile,
ove quello talora si riflette fugacemente ϱ sempre in forma molto lontana dalla
perfezione. Per ideale si intende ancora il modello astratto, il tipo generale
ο perfetto della cosa; © nell’ agire morale cd artistico, il tipo di perfezione
che lo apirito costrpisco come fine da raggiungere, l’idea che si vuole
rappresentare nella materia. Nell’ arte I’ ideale risponde, secondo Hegel, al
bisogno di uscire dal finito, di volgere lo sguardo ad una sfera superiore più
pura ¢ più vera, dove spariscono tutte le opposizioni ο le contraddizioni del
finito, dove la libertà, svolgendosi sonza ostacoli e senza limiti, raggiungo
il ano scopo supremo. Questa è Ia ragione dell’arto ο la sua realtà è l'ideale:
La necessità del bello nell’ arte ο nella poesia risulta perciò dalla
imperfezione del reale. La missione dell'arto è di rappresentare, sotto forme
sensibili, lo ariluppo Ie 500 libero della vita © sovra tutto dello
spirito. Allora soltanto il vero è liberato dalle circostanze accidentali e
passeggere, sciolto dalla legge che lo condanna a percorrere la serio delle
coso finite; allora giunge ad una manifestazione esteriore, che non lascia
scorgere i bisogni del mondo prossico della natura, ad una rappresentazione
degna di lui, che ci offre lo spettacolo d’ una forza libera, non dipendente
che da sò stessa, avente in sò stessa la propria destinazione © non ricevente
le proprie determinazioni dal di fuori ». Nella moralità I’ ideale è più
propriamente un modello proposto al nostro agire sociale; ma ciò cho lo
sorregge è, anche qui, il senso dei limiti opposti dalla realt& che ci
circonda al nostro volere, e il bisogno di snperarli. Il sentimento di questa
limitazione, dice il Wandt, risveglia, riguardo alla attività creativa del
volere, la rappresentazione che il nostro volere è I’ organo di un volere
infinitamente perfetto, per la cui attività sol. tanto diventa intelligibile l’
illimitata capacità di sviluppo del pensiero ο della attività umana. Così si
convertono le norme volitive nell’ ideale, che, non mai raggiungibile, deve
esser sempro oggetto di aspirazione ». 1,’ ideale si sposta infatti da ogni
istante; la realtà di oggi è l’incarnazione dell’ ideale di ieri, come l'ideale
di oggi sarà In realtà di domani. In questo senso l’ ideale è In concezione del
possibile © dell’ infinitamente possibile; quantunque non esista che nell’
idea, è vero in quanto sia fondato sulla conoscenza positiva di quanto I’
essere ha di essenziale. Cfr. Goclenius, Lex. philosophioum, 1618, p. 209;
Hogel, Poétique, trad. frano., p. 45 segg.; Wundt, Logik, 1893, II, p. 514;
Colozza, 1) imaginasione nella acienra, 1900, p. 104 segg.; P. Gaultier,
L’ideal moderne, 1908. Idealismo. T. Idealismus; I. Idealiem ; F. Idéalieme.
Termine di significato molto generale e vario, con cui si designano quei
sistemi filorofici che considerano la sostanza ultima del roale come
spirituale; oppure cho considerano
501 Ip 1 idea sia come principio
della conoscenza, sia come principio tanto della conoscenza quanto della
realtà. L’idealismo si oppone quindi al materialismo, che considera la sostanza
ultima del reale come materiale, © al realismo, cho sostiene la validità della
percezione immedista del mondo esteriore come tale, l’esistenza dell oggetto
sia quale noi lo percepiamo, sia come causa delle nostre sensazioni. L’
idealiemo si divide anzitutto in due specie; luna, detta idealismo
gnoseologico, psicologico, soggettivo, spiega il mondo per l’attività immanente
dello spirito sulle proprie rappresentazioni; l’altra, detta idealismo
obbiettivo, metafisico, realistico, ammette, al contrario del primo, un mondo
realo indipendente dalla conoscenza che ne abbiamo, ma lo considora di natura
spirituale, cioò come una forma di coscienza: perciò è detto anche
spirifualiemo, ο monismo spiritualislico, iu quanto per esso non v'ha altra
realtà che quella spirituale. Le forme dell’ idealismo metafisico sono varie: se
il principio spiritunle è da esso concepito come trascendente, l’idealismo
dicesi teistioo, se immanente panteistico © aucho naturalistico; ο
particolarista se ammette con Plutono idee reali distinte ο archetipi,
unirersalista so ammette con Hegel uno sviluppo o sistema uno e continuo,
deterministico in quanto per esso l’idea in sò, assoluta, lo spirito, determina
gli atti umani senza vincolo alcuno con la realtà materiale (natura). A quest’
ultimo si oppone l’idealismo contingentistico o indeterministico, che
estendendo ni fatti del mondo fisico la libertà colta direttamente noi fatti
della coscienza, considera il determinismo scientifico v la necessità naturale
come illusioni della nostra mento, e riduce gli stessi principi logici ad nn
semplice stromento soggettivo, col quale cerchiamo di rendere intelligibile la
realtà ponendo in essa un ordine che corrisponda alle nostre esigenze
conoscitive ; fiorisce attualmento in Francia, è sorto da lontane origini
kantiane e da un più diretto influsso sia dell’ idealiamo pluralistico del
Lotze sia delIpE 502 1° idoalisiuo finalistico, ο teleologion, 0
estetico del Ravaisson, del Lachelier e di Paul Janet. A seconda poi della
forma di coscienza posta a fondamento della realtà, l’idealiemo può essere
sensistion 0 empirico, volontaristico, razionalistion 0 panlogistico; il primo
risolve la materia in una possibilità permanente di sensazioni e lo spirito
nella possibilità permanento degli stati interni (J. 8. Mill); il secondo
concepisce la volontà non solo come il principio della vita dello spirito ma
anche como il fondamento reale ed assoluto di tutte lo cose (Schopenhauer);
nell’ ultimo il mondo esteriore risulta dallo sviluppo sia di esseri pensanti,
di ragioni individuali sia di una ragione cosciente universale, sia infino di
un sistema di idee indipendenti dalle coscienze, incosciente almeno per lo
coscienze umane, © che si pone come un oggetto per rapporto ad esse: è il
movimento dialettico dello spirito obbiettivo (Fichte, Schelling, Hegel). Ma
nelle scuolo filosotiche che succedettero a Kant, © per designaro lo scuole
medesime, si è fatto ο si fa un vero abuso del termine idealismo. La stossa
dottrina kantiana che il suo autore chiamò idealismo trascendentale dei
fenomeni, porchd considera tutti i fenomeni come rappresentazioni ¢ non come
cose in sè, 6 ritiene il tempo © lo spazio come condizioni nostre è denominata
ora idealismo critico, perchò risulta da un'analisi ca dei poteri umani di
conoscenza; ora idealismo razionalistico, perchè risolve la sostanza in un
rapporto, che il pensiero impone a priori ai fenomeni; ora idealismo agnostico,
in quanto ammette l’esistenza in sè dello cose ma nega all’uomo la possibilità
di conoscerlo. Le dottrine di Fichte, Schelling, Hegel ο Schopenhauer sono
complessivamente denominato ora idealismo metafisico, ora idenlismo
trascendentale, in quanto negano con Kant che spazio, tompo, materia, ece.
siano determinazioni del realo o coudizioni delle cose in sè; ora idealismo
assoluto, in quanto per essi le cose sono interamente prodotte dall'attività
del pensiero individuale ο universale ; ora idealismo noumenico 503 lo
(noumenal idealiem), in quanto interpretano il mondo noumenico come un
conoscibile mondo mentale. Ciascuna di tqueste dottrine ricevo poi delle
denominazioni non meno oscillanti ; la più comune è quella che caratterizza la
dottrina di Fichte come idealismo soggettivo, o etico, in quanto colloca V’
ideale, principio d’ ogni esistenza, nel soggetto morale considerato come
assoluto; quella di Schelling como oggettiro, © esletico, in quanto fa della
natura ο dello spirito due manifestazioni di un essere originario, superiore
all'oggetto © al soggetto e a tutti i contrari che in esso coincidono; quella
di Hegel come assoluto, o logico, in «quanto, mediante la tesi della convertibilit
del reale nol razionale © del razionale nel reale, rappresenta la formulazione
ultima v compiuta dell’idealismo metatisioo. Oggi però si dà un significato un
po’ diverso alle espressioni idvalismo critico e idealismo etico, che designano
due importanti indirizzi della filovofia contemporanea; entrambi muovono dal
concetto kantiano, che non la realtà dotermina l'atto conoscitivo, ma questo
mira a costruir quella, o, come diceva Kunt, che non la natura detta le suo
leggi al ponsiero, ma questo et quella: ma mentre I’ idealismo eritico non si
propono la giustificazione del processo crentivo della realtà, limitandosi a
spiegare l’illusorietà dei concetti di realtà, di obiettività, di sostanza,
ecc., I’ idealismo etico crede di poter indicare il motivo fondamentule dell’
esplicuziono dell'attività dello spirito nelle sue vario forme, motivo che
sarebbe appunto l'esigenza morale; per l’idenlismo etico non è I’ essere la
categoria fondamentale atta a servirci di guida nella costruzione del mondo, ma
il dorer essere, come risulta sia dall’ esame della funzione conoscitiva
(essendo ogni giudizio una decisione volontaria che richiede un apprezzamento),
sia dalla riflessione critica au) concetto di realtà (la quale realtà,
indipendentemente dall'atto mentale che la pone e l’afferma. non è cho nna
possibilità, e si riduce quindi a ciò che Ipk
504 roclamu l’atto mentale).
Idenlismo ontologico, o anche idealivmo teologico, fa detto il sistema del
Rosmini e del Gioberti, secondo cui l’idea dell’ Essere, che s’ identifica in
ultimo col reale assoluto, splende di continuo alla nostra mente, è oggetto
d’un atto ο visione immanente del nostro spirito, in quanto la applichiamo in
ogni nostro atto intellettivo. L’ idealismo guoseologico, portato alle sue
estreme conseguenze, dicesi più propriamente soliprismo 0 semetipsismo: esso
sostieno la realtà non dei soggetti, ma del solo soggetto pensante; dato
infatti che il mondo osteriore non esiste, non è che la nostra
rappresentazione, anche gli altri soggetti non avranno altra realtà che il mio
pensiero, di modo che io non posso affermare che una cosa: la mia usistenza
porsonale. Affine all’ idealismo solipsistico è quello che oggi dicesi
idealiemo personalistico 0 anche pluralistico ; accanto alla mia coscienza
personale esso riconosce I’ esistenza di altre coscienzo, risolvendo così la
realtà in tanti centri spirituali o persone, in rapporto di coesistenza e di
interazione. Esso ha molti punti di contatto con la dottrina del Berkeley, che
comunomente si denomina idealismo s09gettito © metafisico ο ancora
spiritualiemo assoluto, montre Kant lo chiamò idealismo dogmatico,
contrapponendolo all’idealismo problematico di Cartesio. Finiamo avvertendo
ancora che, per tutte queste espressioni, In terminologia filosofica è
estremamente vaga, arbitraria e fluttuante. Cfr. Laas, Idealismus und
Positiviemus, 1884; R. B. Perry, Prosent philosophical tendencies, 1912; A.
Fouilléo, Le mouvement idealiste οἱ la reaction contre la soience positite,
1906 ; L. Branschwiog, L'idéalieme contemporain, 1905; Masci, 1) idealismo
indeterminista, Atti della R. Aco. di Napoli », vol. XXX, p. 96 segg.; G.
Villa, Z’idealismo moderno, 1905 ; A. Chiappolli, Dalla oritica al nuovo
idealismo, 1910; A. Aliotta, La reazione idealistica contro la scienza, 1912;
C. Ranzoli, Le forme storiche dell’ idealismo ο del realiemo, in Linguaggio dei
filosofi, 1918, pp. 59-104. 505 Ipk Ideasione. T. Ideation; I. Ideation; F.
Idéation. Si ulopera talvolta per designare genericamento il lavoro cogitativo,
il processo psicologico e logico per cui si vengono formando e svolgendo lo
idee; oppure il processo per cui una sensazione diventa idea. Altre volte ha
significato più ristretto ancora, designando lo sviluppo di una determinata
serio di atti mentali. Il Rosmini, in base al suo idealismo antologico,
definisce l’ ideazione quella funzione della mento ner mezzo della quale nella
specie piena di nn ente indi vile, ο considerato como tale, ossa trova altre
spocie picne, aon perchè si comprendano in casa belle © formate, ma Derchè sono
in essa contenuti i loro rudimenti, dei quali la mente si servo por formarle.
Cfr. Rosmini, Pricologia, .848, vol. II, p. 272 segg.; Sergi, La psychologie
physiol., irad. franc. 1888, p. 143 (v. ente, essere, specie). Idee-forze. F.
Idées-foroes. Il Fouillée chiama filorofia lello idee-forze la propria
dottrina, che attribuisce alle idee in quanto tali una azione sugli altri
fenomeni, per opporiziono a tutto le altre dottrine evoluzionistiche (Spencer,
3oin, Maudsley, Huxley) che nell’ evoluzione non introdusono alcun fattore di
ordine mentale, e considerano i fatti pichici come semplici risultati
collaterali senza influonza propria, como fenomeni sovragginnti ο epifenomeni
supericiali, incapaci di contribuire in nulla al corso delle cose. V espressione
di idee-forze egli 1’ usa per racchiudervi tutti i modi d’influenza possibile
che l’idea può avere, per opjosizione alle ideo inattive che non entrano per
nulla nel isultato finale e non sono che simboli. La parola idea poi, 10n è
presa nel senso stretto di stato di coscienza rappreæntativo d’un oggetto, ma
nel senso largo di stato oscienza intellettualo, affettivo e appetitivo. La
forza di questo idce non consiste nel creare dei movimenti nuovi € direzioni
nuove di movimenti ; essa non è cho l’attività osciente, la legge psichica cho
collega la volizione col pensero © col sentimento; questa forza psichica è
infatti la Ink 506 sola propriamento detta, perch’ le forze
meccanicho uon sono che movimenti. Cfr. A. Fouillée, Morale des ideesforces, 1908 ; Id., La
psychologie des idées-forces, 1893; 1d., L'évolutionnisme des idées-forces,
1890. Idee rappresentative. F.
Idées représentatives. Dicesi teoria delle idee rappresentative la teoria
secondo la quale tra la coscienza ο l'oggetto esteriore conosciuto da essa, non
c'è relazione immediata, ma soltanto relazione indiretta per mezzo d’un fertium
quid, l’idea, che è ad un tempo lo stato ο l'atto della coscienza, da una
parte, ο la rappresentazione dell’ oggetto conosciuto dall'altra. Quosta tworia
fu sostenuta da Cartesio, Locke, Reid; ma 1’ ospressione con cui si indica
sembra aver avuto origino dalla polemica di Arnauld contro Malebranche. Cfr. Arnauld, Dee vraies
ot des fausses idées, od. J. Simon, p. 38-39. Identità. Gr. Tastöryg; Lat. Identitas; T. Identität;
1. Identity; F. Identité. Il porsistere dell’ nuità della cosa, attraverso il
variaro degli attributi, degli accidenti o dei modi. L'identità di due cose è
la luro medesimezza, la mancanza di qualsiasi differenza tra loro; tale
identità assoluta è giudicata impossibile da molti filosofi, in quauto, perchò
duo coso siano realmente due, occorre che almeno siano fuori l'una dall’ altra,
cioè difteriscano almeno nella situazione; due cose assolutamente identicho non
potrebbero duuque essere che la stessa cosa. L'identità nel primo senso, cioè
la persistenza dell’ unità della cosa, è considerata como il carattere
essenziale della sostanza, ciò che distingue la sostanza dai fenomeni. Si suol
distinguere l'identità della materia inorganica, da quella dell’ organica ©
del? anima umana; la prima non è che la persistenza delle molecole di cui la
materia si compone, la seconda risiede nella organizzazione e nella vita
stessa. Quanto al. l'identità dell’ anima, ο identità personale, essa è,
seconde molti filosofi, la sorgente medesima della nostra idea d’identità: L'identità
personalo, dice il Reid, è l'identità per 507
Ins fotta; essa non ammetto gradi diversi; essa è il tipo ο la misura
naturale di tutte lo altre identità, che sono imperfette. La nozione generale
d’identità deriva dalla credenza nella nostra identità personale. Dove
percepiamo una grande somiglianza, siamo indotti a collocare codesta identità
reale con cui siamo tanto familiari. La credenza nell’ identità delle altre
persone non è che una congettura; la credenza nella nostra propria identità è
nna certezza invincibile. L'identità degli oggetti del senso non è mai
perfetta, poichè tutti i corpi sono divisibili e in porpetuo cangiamento; ma,
quando il cangiamento è graduale, noi lasciamo all'oggetto il suo nome di prima
e diciamo che è il medesimo oggetto ». Secondo gli spiritualisti, U identità
dell’ anima è uns conseguenza della sua natura spirituale, semplice, inestesa,
che non può dar luogo nd ad aggiunte ο sostituzioni nd a cambiamenti successivi
; © ci è anche confermata, sin dalla percezione dell’ Io, sia dalla memoria,
sia dalla previsione del futuro, per il quale lnvoriamo in rapporto alla nostra
coscienza del passato, sia dalla possibilità dell’imputabilità morale delle
uzioni compiute in ogni tempo © condizione della vita. L' dell’ anima è nogata
dai materialisti ο dai fenomenisti, per i quali V anita dell’ lo non è che la
tà della coscienza, il connettersi dei fatti psichici successivi; quin PP Io,
se è uno, è nello stesso tempo molteplice, in quanto è la sintesi effettiva per
cui ogni singolo fatto psichico è riforito 0 alla somma dei precedenti © alla
sorio cui appartione: in tale costante riferimento risiede il sentimento
dell'identità del proprio Io: Lo spirito, dice Hume, è una specio di teatro ove
ogni percezione fa la propria comparsa, passa e ripassa, in un continuo
cangiamonto.... E questa metafora del teatro non deve ingannarci; à In
successione delle nostre percezioni che costituisce il nostro spirito, ο noi
non abbiamo alcuna idea, nemmeno lontana e confusa, del teatro in cui codeste
scene sono rappresentate. Il fondaIps
508 mento della nostra credenza
nell’identità personale è in codesto legame e in codesto passaggio facile delle
nostre idee, prodotto dai principi di associazione, di causalità, di
contiguità, di somiglianza >. Gli
scolastici distinguevano due spocie d'identità: P identitae realis, che compete
alle cose indipendentemento dalla operazione dell'intelletto, come quella che
compete agli attributi divini; 1’ identitas rationalie, cho deriva da un atto
della ragione o in esso consiste, come quando concepiamo medesima la natura di
due uomini, sebbene l'abbiano realmente distinta. Dicosi filosofa dell'identità
(IdentitätsPhilosophie) ogni dottrina, in generalo, che ammetto l'identità
originaria ο sostanziale dello spirito e della matoria, del pensiero e dell’
essere, del soggotto ο dell’ oggotto in un terzo quid, oppure li considera come
due aspetti di un solo e medesimo essere. Più particolarmente, dicesi filosofia
dell’ identità 1’ idealismo assoluto dello Schelling, che pone come fondamento
del reule un Assoluto, suporiore a tutti i contrari che în esso coincidono :
esgo è quindi P identificazione perfetta e l’unità del soggetto © doll’oggetto,
del reale e doll’ ideale, dello spirito ο della natura, che si attun poi
nell'universo, passando per tutto le ditteronziazioni possibili: La untura,
egli dico, deve ossoro Jo spirito visibile, lo spirito la natura invisibile.
Qui adunque, nell’assoluta identità dello spirito in noi e della natura fuori
di noi, deve risolversi il problema, del come una natura fuori di noi sia
possibile ». Il primo passo alla filosofia ο la condizione senza la quale non
si può entrare addentro in essa nemmeno una volta, è questa veduta: che I’
assoluto Ideale sia anche l’ assoluto Renle ». L’idontità ansolata fu ammessa
anche da altri filosofi, che la concepirono sia, come il Bruno, qualo immanenza
dell’ uno nel molteplice, sia, come lo Spinoza e l’ Hegel, ‘qual immanenza del
molteplice nell’ uno. L’ordine © la concatenasione delle idee, dico Spinoza, è
identico all’ ordine e alla concatenazione delle cose... Da ciò risulta che la
potenza del pen 509 IDE siero di Dio è
identica alla sua potensa attuale d'azione, ossia che tuttocid che risulta
formalmente dalla natura infinita di Dio, risulta obiettivamente, in Dio, dall’
idea di Dio nell’ identico ordine e nell’ identica concatenazione. ... La
sostanza pensante © la sostanza estesa non sono che una sola e medesima
sostanza, compresa ora sotto un attributo ora sotto 1’ altro. Così un modo
dell’ esteso e l’idea di codesto esteso non è che una sola e medesima cosa, ma
espressa in due maniere differenti ». L’ essere, dice Hegel, è nella sun
essenza intima pensiero, © il pensiero nelle sue prodazioni è una cosa sola con
} essere: questa unità del concetto e dell’ essere è ciò che stabilisce il
concetto di Ρίο». 11 primo filosofo che affermò I’ identità assoluta del
pensiero con l'essere fu Parmenide, per il quale non ο) ὃ pensiero il cui
contenuto non corrisponda all’ essere, pensare ed essere sono lo stesso, τὸ γὰρ
αὐτὸ vosty ἐστίν τε xal εἶναι. --Nella matematica diceei identità una
uguaglianza, sis quando i termini sono interamente espressi, sia quando
l'eguaglianza sussiste qualunque sia il valore attribuito alle lettere. Cfr. Aristotele, Phye., 25r,
116 D; Met., V, 29, 1024 b, 32 segg.; Spinoza, Ethica, 1. II, teor. VII,
corol., scolio; Humo, Treatiso on human nature, 1739, V, 6; Roid, Works, 1827,
vol. III, cap. IV; Schelling, Naturph., 1803, p. 64 segg.; Hogel, Enoyol., $
51; Rosmini, Psicologia, 1846, t. I, p. 90 segg.; Ardigò, L'unità della
coscienza, 1898; A. Rey, Identité et réalité, Rev. de metaphysique », luglio
1909 (v. anima, spirito, indiscernibili, emanatiemo, panteiemo, s0atanzialità,
ecc.). Identità (principio di). Il
principio razionale che afferma l’identico dell’ identico: ciò che è, è, ciò
che non è, non è; oppure: il medesimo è il medesimo, l’altro è l’altro. Si
anole esprimere con In formula: A -= 4. Tuttavia questa formula, che esprime
una identità nssoluta, non sembra propria, in quanto è applicabile solamente ai
giudizi noi quali il secondo termine è la ripetizione del IDE 510
primo; ora tali giudizi sono semplici tautologie, non esprimono la
formula generale del pensare ma ne sono la negazione. Perchè l'identità riesca
feconda nel lavoro conosoitivo deve essere intesa relativamente, ciod secondo
certi limiti del contenuto e dell’ estensione dei concetti. In altre parole non
il riferimento dello stesso allo stesso, bensi il riforimento di nozioni o
cose, che in parte e sotto un rispetto coincidono, mentre nel resto e sotto
altri rispetti diversificano. In questo caso soltanto, infatti, non è soltanto
logica ma legittima ed utile la sostituzione dell’ identico, Il principio
d'identità fu formulato in diversi modi dai filosofi; G. Buridano : quodlibet
eat vel non est; Cartesio: impossibile est idem simul esse ot non ease ; Locke:
lo steso è lo stesso; Leibnitz: ogni cosa è ciò che essa è; Cr. Wolff: idem ene
est illud ipsum ens, quod ene, seu omne A est A; Schelling: la proposizione A =
A è possibile soltanto mediante l’atto espresso nella proposizione Io = Io;
Lotze: ogni contenuto pensabile è uguale a sè stesso ο diverso da ogni altro.
Por l Hamilton la sua importanza logica sta in ciò, che esso è il principio di
ogni affermazione ο di ogni definizione logica: Esso esprime la relazione di
totale medesimezza (eameness) in cni un concetto sta con tutti i suoi caratteri
costitutivi, e la relazione di parziale medesimezza in cni sta con ciascuno di
essi. In altre parole, esso dichiara l’ impossibilità di pensare il concetto e
i suoi caratteri come reciprocamente diversi ». Nell’ ontologismo del Rosmini
il principio d'identità acquista un valore particolare: esso infatti esprime I’
ordine dell’ essere e deriva dal principio di cognizione (I essere è oggetto
dell'intelligenza), perchè si conosce l'ordine dell’ essero in quanto la mente
conosce V’ essere, si conosce che 1’ essere è essenzialmente uguale a sò stesso
in quanta si conosce l’essenza dell’ orsere. Cfr. Schelling, Syet. d. trans,
Idealismus, 1801, p. 55 segg.; Lotze, Grandziige d. Logik, 1891, Hamilton,
Lecturer on logic, 1860, p. 79 segg.; Ra 611
Ipe smini, Nuoto saggio, 1830, II, p. 15 sogg.; Id., Logioa, 1853, $
337-349. Ideologia. T. Ideologie, Denkgebilde; I. Ideology; F. Ideologie. Con
questo nome il Destutt de Tracy ed altri con Ini designano la soienza del
pensiero, in quanto non implica, come la psicologia, lo studio dell’ anima, che
è una delle cause su cui specula la metafisica, nè, come la metafisica stessa,
riguarda la natura degli esseri, le cause prime piuttosto che le loro
manifestazioni fenomeniche, ma comprende soltanto lo studio degli effetti,
l’analisi dei fonomeni, l'inventario metodico del contenuto della coscienza. Secondo
il Galluppi, l'ideologia è la scienza delle idee essenziali all’ umano
intendimento >, quali sarebbero I iden del proprio me, quella del proprio
corpo, quelle di possi bilità, durata, sostanza, attributo, eco.; egli dichiara
di preferire questo vocabolo a quello più antico di ontologia, © scienza dell’
essere in generale, perchè l'ontologis suppone che le nostre idee corrispondano
esattamente agli oggetti in sò stessi: questa supposizione non è niente
filosofiea: sarebbe stato necessario premettere una questione preliminare sul
valore di queste nozioni di cui tratta 1’ ontologia. Bisognava cercare come lo
spirito umano può permettersi di passare dalla regione del suo pensiero ο delle
aue idee a quella dell’ esistenza. L'ideologia stessa, spiegando l’origine di
queste nozioni essenziali allo spirito nmano, avrebbe somministrato i dati per
la soluzione del proposto problema... L'ideologia dunque non è che ¥ ontologia
ragionata e filosofica. E un’ ontologia poggiata sopra una base solida ». Secondo
il Rosmini è la scienza del lume intellettivo, col quale l’uomo rendo
intelligibili a sè stesso i sensibili, da cni trae l’universo sapero >; essa
è scienza formale, ha per principale fondamento 1’ osservazione interna ©
tratta dell’ essere oggetto della mente, vale n dire dell'unione dello apirito
umano coll’ essere intelligibilo sotto forma d’ iden e di concetto. Secondo il
Franck l'ideologin Ipe-Inı 512 à la scienza delle idee considerate in sè
stesse, cioè come semplici fenomeni dello spirito umano ». Secondo il
Windelband, non è improbabile che il Destutt de Tracy abbia tolto il nome di
ideologia dalla Wiseonschaftelehre del Fichte. Alcane volte però alla parola
ideologia si dà un significato diverso, angi opposto, in quanto designa una
scienza di pura astrazione, un insieme di ragionamenti aprioristici, di idee
pure. Cfe. Destutt de Tracy, Éléments d'idéologie, 1801, I, p. 5; Galluppi,
Elementi di filosofia, 1820-27, U, p, 2; Id., Lezioni di logica e metafisica,
1854, t. III, p. 982 segg.; Rosmini, Ideologia e logioa, 1853, t. IV, p. 458
segg.; Id., Pricologia, 1846, t. I, p. 23 segg.; Windelband, Storia della
filosofia, trad. it. Sandron, II, p. 142 4, 369 segg. Ideologioo. Ί.
Ideologisch; I. Ideologioal ; F. Idéologique. Tutto cid che riguarda le idee,
il pensiero in generale; così dicosi evolnzione ideologica, fattore ideologico,
ecc. Dicesi argomento ideologico una delle prove a priori dell’esistenza di
Dio, ricavata dalla eternità delle idee. Esistono delle verità, che sono
indipendenti dal mondo in cui si realizzano © dalla coscienza nostra che le
contempla; deve dunque essorvi una mente eterna di cui sono oggetto essenziale,
ο in cui risiedono ab aeterno, altrimenti la loro nocessità ed oternità non
avrebbe fondamento (v. Dio, ontologico, morale, fisico, cosmologico, storico).
Ideorrea. Stato di disgregazione mentale, costituito da fuga di
rappresontazioni e da ideazione confusa, esuberanto, senza legame logico, Si
manifesta in alcune malattio mentali e costituisce il lato interno della logorres.
Cfr. Dagonet, Nour. traité des maladier mentales, 1894, p. 828 segg. Idiosinorasia
(ἴδιος: == proprio, civ = con, xp&atg temperamento). T. Idiosynorasie; I.
Idiosynorasy, Idiocrasy; F. Idiosynerasie. In sonso proprio designa le
disposizioni individuali n sentire in modo particolare l’azione degli agonti
esteriori, apecio dei medicamenti; ma si adopera anche per designare l'insieme
dolle varietà individuali cho 58 ,
Ini-Ipo si incontrano negli individui di una medesima specie, e costituiscono
il temperamento. Non va confusa con I’ idiosincrisi, con cui si designano un
insieme di fenomeni diversi che si manifestano spontaneamente in uno stesso
individuo. Idiotismo. T. Blödeinnigkeit; I. Idiotiem ; F. Idiotisme. Uno doi
gradi infimi di debolezza mentale; appartiene al gruppo delle frenastenie ο
arresti di sviluppo. L' idiota fu definito come un essere estrasociale ; esso
infatti presenta una inettitadine assoluta al lavoro ordinato, non prova alcun
interesse per l’ambiente che lo circonda, è incapace di concepire rapporti
sociali elevati ο di provare sentimenti nltruistiei, non ha altra
preoconpazione che di soddisfare i propri bisogni fisici; i suoi sensi sono
straordinariamente ottusi, specie il tattile e il dolorifico ; 1’ affettività
rudimentaria ο irregolare; i movimenti lenti ed impacciati. L’idiota si
distingue psicologicamente dall’ imbecille, perchè, pur essendo l’uno e l’altro
dei deboli di spirito, il secondo ha imaginazione disordinata, associasioni
rapide e incoerenti, attenzione desta ma instabile, grande concetto di sè
stesso unito ad insofferenza per ogni lavoro ordinato. Per idiotiamo morale si
suol intendere la cecità morale, ossia l’assenza totale © Patrofia degli
impulsi altruistici, sociali, estetici ; si distingue dalla follia morale, che
consiste invece in impulsi anormali. Cfr. Sollier, Psychologie de l’idiot et de
T'imbéoile, 1891 (v. obefrenia). Idolatria.
T. Abgötterei; I. Idolatry; F. Idoldirio. Consiste nell’ adorazione delle
imagini come se fossero le stesso persone divine, ed è propria delle religioni
primitive o dei popoli selvaggi. Essa ha origine dal simbolismo religioso. Da
principio imagine divina, appena fabbricata, non è compresa che como un
semplice simbolo; poi a poco a poco, continuando ad essere adorata, perde la
sua natura di emblema ο di semplico analogia, per identifienri con l'oggetto
reale del culto. Cfr. F. B. Jevona, L' idea di Dio 23 Raxzorı, Di . di scienze filosofiche.
Ino 514
nelle vel. primitive, trad. it. 1914, p. 4, 14 (v. feticiamo, religione,
simbolismo). Idoli. Lat. Idola; Gr. Et2oXa. Bacone chiama così, nella prima
parte del suo Organo, quelle anticipazioni ed errori che la mente umana
aggiunge alla esporienza, falsando in tal modo il concetto della natura. Gli
idoli e le nozioni false, che invasero l’intelletto umano e vi gettarono radici
profonde, non solo ingombrano le menti degli uomini in modo che la verità a
mala pena vi può trovare accesso; ma anche se lo trovasse, ricompariranno di
nuovo nella riforma delle scienze e saranno moleste, qualora gli nomini,
preavvisati, non si muniscano al possibile contro di esso ». Egli enumera
quattro classi di idoli da cui bisogna guardarsi: 1. idola tribus, che sono
inerenti alla stessa natura umana in generale, perchè l’anima dell’ uomo è come
uno specchio male aggiustato, che, mescolando la propria natura a quella degli
oggetti, li altera e li deforma; 2. idola spocus, che derivano dall’
individualità propria di ciascuno, perchè ciascuno di noi è prigioniero nello
speco profondo dei suoi pregiudizi; 3. idola fori, che sono dovuti al
lingnaggio e si assorbono col commercio degli altri nomini ; 4. idola theatri,
che s’imparano nelle varie scuole filosofiche, le quali sono appunto come tante
finzioni teatrali, che l'autore ha cercato di rendere verosimili senza riuscirvi.
Purificata l’esperienza da tutte queste illusioni, cossa il cömpito della parte
negativa della logica (pars destruens) e comincia quello della parte positiva,
che consiste nel riordinare i materiali ottenuti con l’ esperienza. Cfr.
Bacone, Novum Organum, I, ΧΧΧΝΙΙΙ segg.; Do Dignitate, 1. V, cap. ıv, $ 8-10.
Idolologia. T. Eidolologie. Una delle quattro parti cni dividesi, secondo l’
Herbart, la metafisica. Essa move dall’ Io, di cui cerca levare In
contraddizione, ο contiene quindi le fondamenta essenziali della psicologia. La
parola idolologin si adopera anche con significato dispregiativo, per indicare
una scienza di fantasmi, nna scienza costituita di astrazioni e di imagini
vnote. Cfr. Herbart, Allgemeine Metaphysik, 1828, 1, p. 71. : Ignava ratio
(ἀργὸς λόγος). Gli antichi logici chinmavano così quel sofisma, che si fonda
sopra una cognizione confusa ed erronea del soggetto. Cicerone ne reca questo
esempio: se il fato ha predestinato che tu guarisca, guarirai, se ha
predestinato che tn muoia, morrai, adoperi o no il medico; ma è certo che si
compirà P ana o l’altra di queste due predestinazioni del fato, dunque à
inutile che tn adoperi il medico. Il Rosmini chiama tale sofiama il pigro e lo
pone nella categoria dei sofismi che derivano dall’ infinito non compreso: con
esso infatti si parte dalla presupposizione di conoscore la maniera di operare
dellente infinito, non volendo confessare d’ignorarla, ο αἱ attribnisce quindi
alla causa prima la maniera d’operaro delle canse seconde, che sole si conoscono.
Cfr. Cicerone, De fato, 12, 28; Rosmini, Logica, 1853, § 714-715. Ignorabimus.
La celebro formula con cui il fisiologo E. Dubois-Reymond esprimeva
l’insolubilità assolta dei problemi metafisici, opponendola all’ ignoramus
provvisorio della scienza intorno ai problemi d'ordine materiale. Codosti
problemi insolubili ο enigmi dell’ unirersn sono sette: l'essenza della materia
ο della forza; l’origine del movimento; l’origine delle sensazioni elomentari ;
la libertà del volere; l’origine della vita; la finalità della natura;
l’origine del pensiero ο del linguaggio umano. La parola ignorabimua è divenuta
poi il simbolo usuale dell’ agnosticismo scientifico. Va notato, infine, che il
punto di partenza dell’agnosticismo sia del Dubois-Reymond sin di molti altri
scienziati, è il presupposto che la sola vera scionza rin In meocaniea e cho
conoscero significhi soltanto formulare meccanienmento: ogni voluta
teleologien, estetica o valutativa è nna concezione antropomortica, dalla quale
bisogna liherarsi per non considerare il mondo che sotto l'aspetto Ton 516
quantitativo del movimento delle masse materiali. Cfr. Dubois-Reymond,
Über die Grenson des Naturerkennens, 1872; 1d., Die sieben Welträtsel, 1882; De
Sarlo, Studi sulla fil. contemporanea, 1901, p. 2 segg.; C. Ranzoli, L’
agnosticiemo, i suoî significati e le sue forme, in Linguaggio dei filosofi,
1913, p. 105-154. Ignoranza. Lat. Ignorantia; T. Unwissenheit; I. Ignoranco; F.
Ignorance. Assenza di conoscenza intorno a qualche cosa. Gli scolastici ne distinguevano
tre specie: ignorantia negativa ο simplicis negationis, la semplice mancanza di
una conoscenza che non si è obbligati a possedere, ad es. In filosofia per una
donna; i. privativa ο privationis, la maneanza della conoscenza in chi è atto o
obbligato ad averla, ad es. la storia della filosofia per un filosofo; i.
pravae diapositionis, U’ errore contrario alla conoscenza che uno devo avore,
ossia l’ ignoranza colpevole. Con I’
espressione dotta ignoranza (doota ignorantia), già usata da 8. Agostino, S.
Bonaventura e resa celebre da Niccolò da Cusa, s'intende quel sapere di non
sapere, che, nelle cose inacceı alla mente umana, come la natura di Dio,
costituisce I unica forma di conoscenza © il segno della vera sapienza. Cfr. S.
Agostino, Epist. ad Probam, Migne, ep. 130, C. 15, $ 28; Uchinger, Der Beyrif
docta ignorantia in seiner geschichil. Entwicklung, Arch. f. Gesch. d. Phil. »,
vol. VIII, 1895;. P. Rotta, Il pensiero di Niccolò da Cusa, 1911. Ignoratio
elenchi (ἄγνοια ἐλέγχου). Termine della scolastica, con cui si designa quel
sofisma, detto anche della questione sbagliata, che trao origine dal credere
falsamento che l'opinione dell’ avversario sia contradditoria alla propria,
mentre non è. Con lo stesso nome si sogliono designare anche quei sofismi che
si fondano sopra I’ ignoranza delle regole della contraddizione e della
confutazione: come, nd esempio, se uno ignorasse che fra 1’ esser doppio dell’
uno © non esser doppio del tre non v’ ha contraddizione, perchè non è esser
doppio e non doppio sotto lo stesso rispetto : ILL 517 1 por tal modo la confutazione cho uno vi
fondasse su non sarebbe che apparente. Cfr. Aristotele, Anal. pr., II, 20, 66 b, 11; De
soph. elench., 6, 168 a, 18; Logique de PortRoyal, III, 19. Ignotum per ignotum. Espressione della
scolastica, con cui si designa quella fallacia di ragionamento che consiste nel
pretendere di dimostrare nna cosa ignota per mezzo di un’altra ugualmente
ignota, Questa pretensione di far conoscere una cosa nota per un'altra ignota,
osserva il Rosmini, è frequente ne’ semidotti, che nl ragionamento
sostituiscono un gergo, che sorprende gli inesperti, una delle tanto arti della
vanità umana ». Cfr. Rosmini, Logica, 1853, p. 278. Illasione v. conclusione.
Illuminismo. T. Aufklärung. Si denomina così quel largo e complesso movimento
degli spiriti, verificatosi nel sec. XVIII ed estesosi a tutti i popoli di
cultura europea, che ha questi principali caratteri: disdegno per le
sottigliezzo dialettiche, conceziono pratica della filosofia come sapienza
della vita, studio apparsionato dei problemi riguardanti l'essenza dell’uomo 6
la sua posizione nel mondo; ricerca della possibilità e dei limiti della
conoscenza scientitica; penetrazione della filosofia nella cerchia della
cultura generale e sua fusione col movimento letterario. L’ illumimo 8'inizia
in Inghilterra, ove, dopo il periodo rivoluzionario, la lotteratura e la
filosofia avevano raggiunto un grande sviluppo; di qui passa in Francia,
acquistandovi un carattere più vivace e una tendenza decisamente ribello contro
l'ordinamento contemporaneo dello Stato ο della Chiesa; dalla Francia si
diffonde poi in Germania, già intollettualmento preparata a riceverlo e dove
esso raggiungo la sun più nobile espressione nella poesia tedesca. Corifeo
dell’ illuminismo inglese è Giovanni Locke, perchè seppe trovare una forma
piana e popolare di esposizione empiricopsicologica per le linee generali della
concezione cartesiana. ILL 518 Del’ illuminismo francese è pioniere Pietro
Bayle, il cui Dizionario promuove la tendenza della cultura verso lo
scetticismo religioso; Voltaire è il grande scrittore che a questa tendenza
diede la più eloquente espressione. La Germania era già conquistata al movimento
dell’ illuminismo mediante la filosofia del Leibnitz ο il gran successo cattedratico
ottenuto da Cristiano Wolf ; qui, per mancanza d’un pubblico interesse
unitario, lo idee dell'illuminismo assunsero nel campo psicologico, politico e
religioso una grande varietà, ma senza un nuovo spirito creatore, finchè non
furono portate a maggiore altezza dal movimento poetico ο dalla grande
personalità di un Lessing e di un Herder. «Cfr. E. Zeller, Geschichte d. deutschen Philosophie
seit Leibnilz, 1873; Leslie Stephen, History of english thought in the 184
contury, 1876; Ph. Damiron, Mémoires pour servir à l'histoire de la philosophie au 18me
sidole, 1858-64; Windelband, Storia della flosofia, trad. it. 1913, vol. I, p. 85 segg.; II, p. 115 segg. Illusione. T.
JUusion, Täuschung; I. Ilusion; F. Illusion. Fenomeno psicologico, che dipende,
como l'allucinazione, da una sovreceitazione dei centri corebrali ο periferici;
ma mentre l’allucinazione consiste nel porre come realo ciò che è puramonte
mentale, 1’ illusione consiste invece nol percepire l'oggetto diverso da quello
che realmonto è, assuciando alla sensazione di esso imagini latenti nei centri
sensitivi. L'illusione si può dunque definire quel fenomeno per cui s’intograno
i dati sensibili attuali con dati mentali preformati, non conformi alla reale
natura dell'oggetto. «Ρος illusione s’ intonde, dice lo Zichen, quella
sensazione per la quale esiste realmente uno stimolo esteriore, ma cho non
corrisponde qualitativamente a codesto stimolo ». Secondo I’ Ebbinghaus, il
processo psicologico dell'illusione può svolgersi in due modi diversi; nell’ uno
vi è contraddizione tra la realtà obbiettiva, quale noi la prevediamo in base
alle leggi della vita psichica, ed uno dei
519 IuL suoi stati occezionali
dovuto alle loggi della natura >; nell’altro le impressioni prodotte sono
modificate e deviate nel senso delle rappresentazioni esistenti, cosicchè le
stesse eccitazioni obbiettive sono percepite in modo diverso a seconds doi
pensieri © delle conoscenze relativo a quelle che già si posseggono ». La
distinzione fra illusione e allucinazione non è sempre praticamente possibile,
perchè non sempre si può dire se si tratti di nn oggetto esterno falsamente
percepito, o di una rappresentazione formatasi noi centri cerebrali
indipendentemente dal mondo esterno. D'altro cuuto, spesso le illusioni si
convertono gradatamente in alIncinazioni: Il grado dell’ illusione, dice il
Sully, cresco proporzionalmento al orescere della forza dell’ elemento
imagiuntivo rispetto alle impressioni attuali, finchè nelle illusioni sregolste
del pazzo la quantità delle impressioni attuali diventa evanescente. Quando
questo punto è raggiunto, l’atto della imaginazione si mostra come un processo
puramente creativo, ossis come una allucinazione ». L’ illusione apparisce in
parecchie malattio mentali, specie nella paranoia tipica ο nella mania. In
quest’ ultima gran parte della sintomatologia è costituita appunto dalle illu V
ammalato vede gli oggetti rovesciati, impiccioliti o smisuratamente ingranditi,
scambia 1) infermiore con un amico, un parente, una persona illustre; un
mobile, un bicchiere, assume ai suoi occhi delle proporzioni fantastiche ©
spaventose; i minimi rumori che giungono al suo orecchio diventano schiamaszi
sssordunti o musica piacevolissima ; le bevande hanno talvolta il gusto di
nettaro delizioso, tal’ altra di un liquido avvelenato. Ms l'illusione può
avvenire anche negli animali e nell’ uomo solo per offetto di distrazione o di
suggestione. Si dicono iMusion gli amputati quelle per cui, per un tempo più o
meno lungo dopo l’amputezione di uu arto, l'individuo sente |’ arto stesso al
sno posto abituale e prova acuti dolori, specio alla ana estremità. Questo
fatto, secondo alcuni, è di naIL
520 tura puramente intellettuale;
secondo altri dipenderebbo dalla irritazione delle fibre nervose contenute
nella cicatrice del moncone. Diconsi illusioni della memoria, per distinguerle
dalle sensoriali, quelle per cui i ricordi non sono più giustamente associati
fra loro nella loro successione nel tempo, ο ai ricordi esatti si mescolano
prodotti della fantasia; e quelle per cni si riconosce falsamente ciò che in
realtà è percepito o conosciuto per la prima volta. Dicosì #llusione di
Aristotele quella per cui, quando #’ incrocin il dito indice col medio ο
s’interpone tra i polpastrelli delle due dita una pallina posta sul tavolo, sembra
di tovcare due distinte pallino; illusione paradossale quella che si verifica
talvolta nella misura della sensibilità tattile per mozzo del compasso di
Werber e che consiste nella falsa percezione di duo punte, quando in realtà vi
è lo stimolo d’una sola punta; illusione del Rivers quella nella quale,
toccando con due baochettino i due bordi dello ditu che nell’incrociamento
guardano lateralmente, si ha l’impressione di una bacchetta nelle dita;
ilusioni ottiohe-geometriche, tutti quegli errori di giudizio che commettiamo
sorvendoci dell’ occhio come misura della grandezza, errori il cui studio entrò
nella scienza spocialmente con l’Oppel ο P Helmholtz, od è oggi oggetto
importante di ricerca in tutti i Inboratori di psicologia sperimentale ; osso
sono spiegato como prodotte sia dai movimenti degli occhi (Wundt, Binet), sia
dall’ irradiaziono (Lehman), sia da cause psicologiohe (Lippe, Benussi).
Infine, estendendo illegittimamente il significato della parola, si parla
talora di illusioni logiche, metafisiche, estetiche e morali : le prime
sarebbero i sofismi, le seconde gli scambi dei fenomeni con le cose stesse, le
terze gli scambi dello rappresentazioni artistiche degli oggetti con gli
oggotti stessi, dolle apparenze gradevoli con la verità, lo ultime quelle con
cui circondiamo la vita di speranze, desideri, aspirazioni, ecc. Cfr. Mach,
Sitsungaber. d, Wiener Akad., 1861; Lipps, Raumäntelik u. geom. opt.
Täuschungen, 1897 ; 521 ILL-ILo Th. Zichen, Leitfaden d. physiol.
Psyoologie, 1893, p. 182; Wandt, Grundries d. Peychol., 1896, p. 274 segg.;
Sully, Outlines of Paychol., 1885; Id., Illusions, 1881, p. 120; Ebbinghaus,
Préois de psychologie, trad. franc. 1912, p. 168171; M. Foucault, 1 illusion
paradozale, 1910; Ardigò, Op. fil., IV, 381 segg.; Botti, R. Aco. delle scienze
di Τοrino, 1908-1908; A. Pegrassi, Le illusioni otticho nelle figure
planimetriche, 1904 (v. riconoscimento, poramneria). Illusionismo. T.
Iusioninmus; I. Illusioniem ; F. Ilusionisme, Con questo termine, che ha sempre
significato peggiorativo, #’ indicano talvolta le dottrine che risolvono la
conoscenza nel fenomeno, o non ammettono altra certezza che quella che
l'individuo ha dei propri stati di coscienza, considerando quindi il mondo
esterno como nn puro fantasma mentale. S’applica anche alla dottrina di
Cartesio, Malebranche, Fénelon, che pono il mondo esterno como problematico.
Dico il Fénelon: Tous ces 6ires, dis-je, peurent avoir rien de réel et n'être
qu'une puro illusion qui κο passo toute entière on dedans de moi seul, Talvolta
è dotta illusionismo anche la dottrina dello Schopenhauer, in quanto considera
la natura estoriure, così come ci appare estesa nollo spazio o perdurante nel
tempo, come un fantasma, un fonomeno cerebrale. Cfr. Fénelon, De Vezistenoe et des
attr. de Dieu, 1861, p. 120. Ilosoismo (Όλη =
materia, {Gov animale). T. Hylozotemus;
I. Hylozotem; F. Hylozoisme. Dottrina
filosofica la quale considera come inseparabili la materia ο il principio della
vita e pono quindi la materia come vivente, sin in sò stessa sia in quanto
partecipa all’azione di un’ anima del mondo. Il vocabolo fu usato la prima
volta dal Cudworth, la cui dottrina delle nature plastiche è ilozoistica. L’
ilozoismo si distingue dal materialismo ο dallo spiritualismo in quanto nè fa
risultare la vita da una combinazione meccanica di parti preesistenti, nd la fa
derivare da un principio superiore o separato, Dio, Idea, Spirito, cho formi ©
vivifichi la maIma teria, ma considera la materia come attiva 0 vivente, dotata
cioè di spontancità ο di sensibilità. L’ ilozoismo è dottrina propria della
scuola ionica, e più tardi della stoica. ‘Tra quella e questa sta l’ilozoismo
di Stratone di Lumpsco, che concepisce la forza divina come immanente nella
natura stessa, In quale contiene in sò le cause della generazione e della
dissoluzione : Strato, qui omnem vim dirinam in natura sitam esse censet, dice
Cicerone, quae oausas gignendi, augendi, minuendi habeat, sed careat omni sensu
et figura, Esso ricompare poi, con caratteri diversi, nei filosofi naturalisti
del Rinuscimento, e in F. Glisson, H. More, Diderot, Buffon, Robinet. Nei tempi
moderni I’ ilozoismo ha assunto, specialmente con Czolbo, Noiré ο con 1’
Haeckel, la forma più scientifica del pampsichismo. Cfr. Aristotelo, De An., I,
1,3; Cicerone, De nat. deorum, I, 13; A. G. Pari, Ricerche analitico-razionali
sopra la fisica, l'analisi ο la vita della molecola chimica, 1834; Hacckol,
Natürliche Schopfungageschiohle, 1889, p. 20 segg. (v. genorazione, mediatore
plastico). Imaginazione. T. Einbildungskraft, Phantasie; 1. Imaginalion; F.
Imagination. Nol suo senso più largo è l'attitudino a riprodurre delle
sensazioni passate; in senso stretto è la facoltà di croare delle nuove
rappresentazioni concrete. Il primo significato è il più antico; così Hobbes
dico che imaginatio nihil aliud est re vera quam propter obieoti remotionem
languoscena vel debilitata sensio ; Cr. Wolf: faoultas producendi perceptiones
rerum sensibilium absentium faoultates imaginandi seu imaginatio appellatur;
Galluppi: l'imaginazione è In potenza dello spirito di avere nell’assenza di un
oggetto sensibilo la sua idea ». Il Reid restringeva ancor più il significato
del vocabolo, ritenendo che soltanto le sensazioni visive potessero servire di
materia alla imaginazione. Per 1’ Hamilton l' imaginazione, nel suo più largo
significato, è la facoltà rappresentativa dei fenomeni sia del mondo esterno
sia dell’ interno »; egli nota giustumente cho imaginazione è parola ambigua,
in quanto esprime sia 1’ alto dell’ imaginare, sia il prodotto dell’ atto
medesimo, ciod 1’ imagine imaginata ». La stessa osservazione fa James Mill: L'imaginazione
ha due significati. Essa designa sia una certa attività, sia la potenzialità di
una attività. Sono due significati che è assai necessario non confondere ». Per
materia 0 contenuto dell’ imaginazione si intende l’insieme delle sensazioni
che entrano a costituirla; por forma dell’ imaginazione si intendono invece lo
operazioni di accrescimento, diminuziono, sostituzione, dissociazione e
associazione con cui lo spirito trasforma le imagini. Quasi tutti i psicologi
moderni sono concordi nel distinguere due forme fondamentali di imaginazione :
l'una, detta riproduttita ο rappresentativa, è quella che consisto nella
semplice riproduzione delle imagini passate; l’altra, detta oreatrice,
novatrice, incentiva, produttiva, costruttica è quella che si vale del
materiale offerto dall’ esperienza per oreare imagini nuove, medianto le
operazioni psicologiche dell’ astrazione, della determina zione e della
combinazione. Tra questo due forme princi pali, alcuni pongono una forma
intermedia, detta com! natrice, che consiste nel decomporre e ricomporre, più o
meno coscientemente, le rappresentazioni, in modo da 80stituire al reale il
fantastico. Le ricerche della moderna psicologia dimostrano che I’ imnginaziono
non crea nessun nuovo contenuto; così il cieco nato non può avere imagini
visivo; anzi il Jastrow ha provato che se la vista si perdo fra il quinto e il
settimo anno, i centri visivi subiscono un regresso funzionale, per cui la facoltà
della imaginazione visiva si perde gradatamente. Molti psicologi unificano
l’imaginazione riproduttiva alla memoria, riserbando alla creatrice il nome di
imaginazione: altri invece la voglion distinta dalla memoria in quanto montre
in quella è assente ogni idea del passato, e la rappresentazione dell’oggotto è
talmente viva e distinta da sembraro cosa presente, nella memoria è essenziale
ο caratteristico il riforimento al Ima
524 passato. Il Wundt distingue
invece 1) imaginaziono in attira © passiva: l’attiva è quella in cui la volontà
opera una scelta fra le varie rappresontazioni che si offrono alla oocasione di
una uguale dissociazione, e per tal modo compara, conforme a un piano, il
particolare per convertirlo in un tutto; è passiva quando noi ci abbandoniamo
al gioco delle rappresentazioni eccitate nel nostro spirito da una
rappresentazione generale qualunque. Analoga a questa, è la distinzione dell’
imaginazione in rolontaria ο anlomatica, oppure quella in sensitiva ο
intelletlica ο riflessa. Altra divisione comunissima è quella dell’
imaginaziono in viviva, uditica ο motrice: essa si fonda sul fatto che lo
imagini dotate di maggior chiarezza o precisione sono quelle provenienti dalla
vista, dall’ udito e dal senso muscolare, o che individuo prevale quella di
queste tre forme di imaginazione, che corrisponde alla maggiore finezza d’ uno
dei suoi sensi. Ricordiamo infine che, rispetto all’ oggetto cui si applica,
l’imaginazione inventiva à stata distinta nello tro varietà di artistica,
scientifica ο pratica, ciascuna delle quali comprende tante speoie quanti sono
i gruppi di arti, di scienze ο di attività in cui si estrinseen In vita dello
spirito. Cfr. Hobbes, De corp., ο. 25 ; Crist. Wolf, Payohol. empirica, 1738,
692; Galluppi, El. di filosofia, 1820, vol. I, p. 181; Hamilton, Reid's Works,
1863, p. 291, 809; J. Mill, «Anal. of the hum. mind, 1871, II, 239; Wundt,
Grundzüge à. phys. paychol., 1893, vol. II, p. 1 segg.; Ribot, Kesai eur
l'imagination creatrice, 1900; L. Dugas, L'imagination, 1903; A. Schöppa,
L’imagination, sa nature et son importance pour la vie mentale, 1909; G. A.
Colozza, 1 imaginazione nella scienza, 1900; A. Murchesini, 1? imaginazione
creatrice nella filosofia, cd. Paravia (v. imagine, fantasia, dissociazione).
Imagine. T. Bild, Vorstellung; I. Image; F. Image. In senso ristretto è il
contenuto d’una presentazione ο rappresentazione, specialmente visiva. In senso
generale è sinonimo di rappresentazione e di percezione mediata, © indica
il 525
Ins fatto del riprodursi di sensazioni passate senza lo stimolo diretto
dell’ oggetto sensibile. Il sorgere delle imagini è determinato non da uno
stimolo esterno o interno, ma da ımo stimolo intorcerebrale, e condizionato al
persistere dello impressioni sensibili. Le sensazioni che più facilmento si
riproducono sono quelle della vista e dell’ udito; ma si hanno anche imagini
tattili, olfattive, termiche, muscolari, occ. Dicosi imagine retinica quella
proiettata dagli oggetti culla retina; imaginé postume quelle prodotte da un
oggetto in movimento, la oni velocità è tale che, prima che sia esanrita
l'eccitazione prodotta da una località dell'oggetto medesimo, sorge I’
eccitazione della località vicina; imagini ipnagogicke quella serie di imagini
allucinatorie ο illusorio che costituiscono il sogno; imagini entoptiche le
sensazioni visive prodotte da una eccitazione della retina, detorminata «a un
qualunque stimolo che non siano le vibrazioni Inminose, come l'alterazione dei
tessuti, l’ applicazione di sostanze chimiche, la pressione, ecc.; fmagini
conecoutire quelle che persistono nell’ occhio quando è cessato lo stimolo
diretto dell’ oggetto esterno. Lo imagini consecutiv dovuto forse ni processi
chimici della retina, per i quali si ha la visione, sono dapprima negatire ο
complementari, per divenire poi positire ο di ugnal colore; vale a diro cho da
prima gli oggetti chiari appaiono neri, i nori chiari, i colorati del colore
contrario o complementare ; poi le im gini sia eromatiche che acromatiche
tornano a comparire colle stosso proprietà di colore e di chiarezza degli
oggetti reali. Cfr. J. Philippe, L'image mentale, 1903 ; E. Peillanbe, Les
images, 1911 (v. contrasto, stroboncopio, stimolo, imaginazione). Imbecillità.
T. Schwachsinn; I. Imbecillity, Mental weachness; F. Imbécillité, Appartione al
gruppo delle frenastenie o arresti di sviluppo psichico, ¢ presenta una grande
varietà sin di formo cho di gradi. Vi è l’imbecillità morale, in cni, rimanendo
intatta o quasi l'intelligenza, è profondamente Im 526
turbata l’affettività, scarso e quasi nullo il senso morale, debole V
inibizione; l’imbecillità geniale, in cui, fra mezzo al turbamento di alenne
attività psichiche, altre presentano un grado anormale di sviluppo, come la
memoria, specie musicale, e ’ attitudine a determinati lavori manuali; 1’
imbecillità parziale, che colpisce solo una sfera della vita psichica;
l’imbecillità totale che la colpisce tntta. Si può dire che tante sono le forme
d’imbecillità quanti i caratteri umani ο che gli elementi comuni a quasi tutte
sono I’ instabilità dell’ attenzione, la debolezza delle capacità logiche, la
mancanza d'iniziativa ragionata e l'irregolarità della condotta. Cfr. Sollier, Payohologie
de l’idiot et de Vimbécile, 1891 (v. ebafrenia, idiotiemo). Imitazione. T. Nachahmung; I. Imitation; F. Imitation.
Psicologieamente indica ogni fenomeno psichico, cosciente © no, che ha per
carattere di riprodurre un fenomeno psichico anteriore. Nell’ estetica, 1’
imitazione della natura fu considerata per lungo tempo, cominciando da Platone
e da ‘Aristotele per venire fino al Batteux, come l'essenza delParte. Così per
Aristotele la radice psicologica dell’ arto sta nel piacero che si prova nell’
imitazione, piacere che, in ultima analisi, non è che un effetto dell'impulso a
conoscore, in quanto noi riconosciamo nell’ imagine 1’ oggetto rappresentato ;
1’ imaginazione artistica ai elova al di sopra dell’imitazione comune in quanto
Jo sue imagini non ritraggono gid le cose e le azioni, offerte dalla realtà,
come pure copie o riproduzioni, ma come rappresentazioni della vera essenza di
esse, non come sono, ma come potrebbero ο dovrebbero essere, ola ἄν γένοιτο; in
tal modo l'imitazione estetica ottiene che i sentimenti, suscitati dall'opera
d’arte secondo la sua particolare natura, abbiano nello spettatore un’ eco di
purità e di pienezza. La teoria dell’arte como imitazione è ancora accettata da
molti, a malgrado delle gravi obiezioni rivolto contro di essa in ogni tempo;
si è detto infatti che l'imitazione della natura è non solo una inntile 527 Im
ripetizione di ciò che la natura stessa offre spontaneamente, ma è anche
umiliante per l’uomo, che di fronte ad essa sento tutta la propria inferiorità;
1) imitazione è tanto più fredda quanto più vicina all’ originale, e, come ha
fatto notare Kant, il canto dell’usignuolo, imitato dall’uomo, ci dispiace non
appena ci accorgiamo che è opera di un uomo; limitazione può forse
giustificarsi nella pittara ο nella scultura, ma come sarebbe possibile
nell’architettura, nella musica, nella poesia? Si è osservato ancora che nella
natura 0’ anche del brutto, e che, come scrisse lo Schelling gli imitutori
hanno l'abitudine di appropriarsi i difetti dei loro modelli piuttosto e più
facilmente delle loro bellezze, perchd i primi sono più facili a cogliersi, più
evidenti, più afferrabili; perciò noi vediamo che, in tal senso, gli imitatori
della natura imitano più spesso il brutto che il bello ed hanno persino una
notevole predilezione verso il primo ». Hegel ha osservato che il vero piacere
dell’uomo è nel creare non nell’imitare, e che l’arte risponde anzi al bisogno
di sorpassare la realtà, idealizzandola: Il principio dell’ imitazione, essendo
puramente esteriore e superficiale, è distrutto «quando si spieghi dandogli per
fine l'imitazione del dello quale esiste negli oggetti. Limitazione deve essere
fedele e nulla più. Parlare d’ una differenza tra gli oggetti come belli o
brutti, è introdurre nel principio una distinzione che non contiene... La
missione dell’ arte è di rappresentare, sotto forme sensibili, lo sviluppo
libero della vita, e specialmento dello spirito. La verità nell’ arte non può
dunque essere In semplioe fedeltà, a cui si limita quella che dicesi l’
imitazione della natura ». Tra le argomentazioni dei moderni segnaci dolls
teoria della imitazione, rtporteremo soltanto questa d'un psicologo
contemporaneo, l’Höffding: La forma più semplice dell’ imaginazione artistica,
è l’imifazione della natura, e, in un certo senso, non la sorpassa mai. Ben
cogliere ο ben rendere il roale in tutta la sua ricchezza ο la sua
individualità è un compito che non si può assolvero IMM 528 se
non a condizione che l’intuizione e |’ imaginazione abbinno raggiunto il loro
più alto sviluppo. È questa la parte di realismo contenuta in ogni arte e che
si manifesta ora come studio del dato, freddo ed imparziale, ora come una
cenriosità simpatica e desiderosa di ben comprenderlo. Senza questa parte di
realismo, l’arte vaga nel vuoto ». Nella
sociologia l’ imaginazione ha assunto una grande importanza col Tarde, per il
qualo la legge dell’ imitarione à il principio fondamentale su oui la vita
sociale si regge: come il fotto meccanico elementare è la comunicazione e la
modificazione di un movimento determinato dall’azione di una molecola ο di una
massa sopra un’ altra, così il fatto sociale elementare è la comunicazione e la
modificazione di uno stato di coscienza per l’azione di un essere cosciente
esercitata sopra un altro ». I} Baldwin, che in parte concorda con le idee del
Tarde, distinguo queste forme di imitazione: imitazione cosciente, in cui quello
che imita sa che imita; suggestione imitativa, in cui chi imita non ha
coscienza d’ imitare; imitazione plastica, ossia la conforinità subcosciente a
tipi di pensiero e di azione, come avviene nelle folle; autoimitazione, o
imitazione di sò stesso con sò stesso; imitazione semplice e i. persistente, la
prima delle quali si compie rapidamente, mentre la seconda richiede una serie
di sforzi per riusciro; imitazione istintiva ο i. volontaria, determinate da un
atto di volontà o da un istinto. Cfr. Siebock, Arietotele. trad. it. Sandron,
p. 140 segg.; Hegel, Système des beauzarts, trad. franc. Bénard, t. I;
Höffding, Psychologie, trad. frane. 1900, p. 240 segg.; Battenux, Les beauz-arte réduits à un
même principe, 1747; Tarde, Les lois de l'imitation, 1890-95; Id., La logique
sociale, 1895; Baldwin, Mental derelopment in the child and the race, 1895;
Id., Social and ethical interpr. in mental development, 1897; G. Pistolesi,
L’imitazione, 1909. Immanente. T.
Immanent; I. Immanent: F. Immanont. Si oppone n trascendente ο n transitiro,
qualche volta anche a esterno, e designa in generale ciò che risiede nell’
essere, 529 Imm l’azione per cui essere produce degli
effetti in ed stosso. In un significato metafisico si applica a Dio,
considerato como la causa sostanziale ed immanente di tutte le cose
(panteismo); quindi tra Dio e il mondo non v’ ha alcuna distinzione. In senso
psicologico si applica alle azioni umane, ο precisamente a quelle che non
escono dai limiti della coscienza, che non si manifestano con effetti esteriori
: così è immanente il pensiero, transitiva la volontà, almeno quando muove il
corpo. L’ilozoismo consiste nel considerare In vita come una proprietà della
materia ο quindi immanente alle cose; il dinamismo considera invece la forza
come immanente all’essere. Gli scolastici contrapponevano l’aotio immanens
all’actio transiens ; le azioni immanenti sono quelle, dice Goclenio, per quas
passim, id est, subiectum non trasmutatur. Spinoza dice che Dio è la causa
immanente e non transitiva di tutte lo cose. Tutte le cose che eslstono,
esistono in Dio e devono essere concepite da Dio. Dunque Dio è la causa delle
cose che esistono in lui;... inoltre fuori di Dio non esiste alcuna sostanza,
alcuna cosa che esista in sè;... dunque Dio è la causa immanente di tutte le
cose e non la loro causa transitiva ». Per Kant sono immanenti i principî la
cui applicazione è strettamente racchiusa nei limiti dell'esperienza possibile;
e l’uso di questi principi nel mondo dell'esperienza si chiama uso 4mmanente.
Cfr. Goelenio, Lezicon phil., 1613, p. 1125 ; Spinoza, Ethica, 1. I, teor. 18;
Kant, Proleg., § 40 (v. immanentismo, immanenza). Immanentismo. T.
Immanentimus; I. Immanentiem : F. Immanentisme. Quell’ indirizzo della filosofa
religiosa contemporanea, che considera la religione come nn risultato spontaneo
di esigenze inestinguibili dello spirito umano, esigenze che trovano la loro
soddisfazione nell'esperienza tima e affettiva della presenza del divino in noi
; esso perciò rigetta come convenzionale la rappresentazione astratta ©
frazionaria del reale, e non ammette le prove concettuali e discorsive dell’
esistenza di Dio. Esso si proclama in per34
RanzoLi, Dizion. di si ‚nze filosofiche. Imm 530
fetto accordo con la tradizione, sia patristica, sia acolnstien: la prima
infatti, considerando Varistotelismo como esizialo alla professione
dell’ortodossia cristiana, ritenne la fede suftìciente a sd stessa; la seconda,
pur caratterizzata dal sopravvento preso dal realismo logico sull’intuizionismo
mistico, non dimenticò mai l'argomento morale quando volle provare le realtà
dello spirito, i loro valori e i loro destini. Tuttavia V immanentismo fu
condannato dall’ enciclica Pascendi dominioi gregis, che ne fissa così i due
errori caratteristici : a) l'opinione che il sentimento religioso sorge per
immanonza ritale dalle profondità della subcoscienza, e cho in tale immanenza
sta il germe di ogni religione; b) l'opinione cho Dio è immanente nell’uomo, il
che implica logicamente cho l’azione di Dio si confonde con quella della natura
ο che non csiste sovrannaturale. Contro queste acense gli immanentisti
obbiottano che esse falsano In loro dottrina, la qualo non è quel grosso errore
che 1’ enciclica sembra credere, ma anzi è la via seguita per giungere al
divino da tutta la migliore tradiziono cristiana. Cfr. E. Thamiry, Les deux
aspeots de Vimmanence et le problème religieux, 1908; Laberthonnière, Saggi di
filosofia religiosa, trad. it. 1907; It programma dei modernisti, 1908, p.
97-112 (v. agnosticiamo, credenza, fode, fideiemo, immanensa, modernismo).
Immanenza. T. Immanens ; I. Immanence; F. Immanence. Carattere di ogni attività
che risiede nell’ essere, e trova nell’ essere stesso il suo principio e il sno
fine. Si può considerare sotto due aspetti : quello dell’ immanenza assoluta,
che esolude la possibilità di qualsiasi influenza esteriore snl soggetto
dell'attività immanente, il quale sarebbe come un sistema chiuso in sè,
indipendente, sufficiente a sò stesso; quello dell’immanenza relativa, per cni
l’attività immanente nel soggetto ha bisogno, per esplicarsi, di arriochirsi di
dati esteriori ο implica per ciò stesso l’ esistenza di un trascendente. Dicesi filosofia dell’ immanenza
(Immanensphilosophie), l'indirizzo rnppresentnto da W. Schuppe, Rehmke, 581
Imm Leclair, Schubert-Soldern, eeo., sorto nella seconda metà del secolo
scorso in Germania, secondo il quale l’ universo è immanente nella coscienza
dell'individuo, non essendovi altro realtà che la percezione immediata della
coscienza personale. Per esso non è quindi vera scienza se non quella del
fatto, cioè della sensazione pura; l'oggetto non è conosciuto che come
contenuto della coscienza e il soggetto non è che il centro delle relazioni
degli oggetti; i concetti sono di origine sensibile e la loro obiettività non è
altro che la permanente possibilità di certi gruppi di sensazioni, di fronte al
variare di tutto il resto: Per la teoria della conoscenza, dice lo
Schubert-Soldern, il mondo non è altro che ciò che è dato immediatamente nel
complesso della coscienza (Betrusstecinezusammentang).... È vuota pretesa
quella di poter andare oltre.... La coscienza è rilevabile soltanto per il suo
contenuto; nulla è per sì, nd come cosa nd come proprietà... ciod come la cosa
atta ad avere corcienza di altre cose, als die Fähigkeit dieses Dinges sich
anderer Dinge bewusst zu sein oder zu werden ». Questa dottrina ha stretta
affinità col fenomenismo e con l'empirismo radicale ο empiriocriticismo : tutte
queste dottrine tendono infatti a ridurre tutta la realtà a quella sperimentale,
identificando poi l’esperienza col complesso dei fatti e stati di coscienza, ed
escludendo sia la trascendenza dell'oggetto rispetto alla coscienza
individuale, sia la trascendenza di esseri ο cause sottostanti all’ insieme dei
fenomeni costituenti l’universo. Dicesi
principio d’immanenza la proposizione che sta a base dell’immanentismo; essa è
espressa in modi differenti dal Le Roy e dal Blondel. Secondo il primo, essa
esprime che la realtà non è fatta di porzioni distinte, sovrapposte; tutto è
interiore a tutto ; nei minimi dettagli della natura o della scienza, l’analisi
ritrova tntta la natura e tutta la scienza; ciascuno dei nostri stati e dei
nostri atti involge la nostra anima intera e la totalità dello sue potenzo; in
una parola, il pensiero s'implica totalmento in ciasenno Imm 532
dei suoi momenti ο gradi »; quindi per noi non esistono mai dei dati
puramente esterni, ο l’esperienza, anzichè un’acquisizione di cose a noi
straniere, è invece un passaggio dall’implicito all’ esplicito, un movimento in
profondità che rivela ricchezze latenti nel sistema dol sapere. Per il Blondel
il principio d’immanenzs consiste in questa affermazione, cho N. Tommaso
enuncia senza alcuna restrizione, gisechd lu formula persino a proposito dell’
ordine sovrannaturale : Nihil potest ordinari in finem aliquem, nisi
pracezistat in ipso quaedam proportio ad finem. Io non ho fatto altro, dice il
Blondel, che tradurre codesta verità essenziale ed universale, ricordando che
nulla infatti può entrare nell’ uomo se non corrisponde in qualche modo αἱ suo
bisogno d’ espa sione, qualunque sia del resto l’origine e la natura di desto
appetito ». Cfr. Le Roy, Dogme et oritique, p. 9-10; Blondel, Lettre eur
l’apologetique, p. 28; Bulletin de la Société française de phil., agosto 1908,
p. 325 segg.; Schubert-Soldern, Grundl. d. Erkenntnistkeorie, 1884, p. 64-67;
Schuppe, Erkenntnistheoretische Logik, 1878, p. 63-69; Lans, Idealiemus und
Positiviemus, 1879, vol. I, p. 183; A. Polazza, Guglielmo Schuppe e la
filosofia dell’ immanenza. 1914. Immaterialismo.T. Immaterialiemus; I.
Immaterialiem ; F. Immaterialisme. Termine erento da Berkeley per opposizione a
materialismo. Si dice di tutte quelle dottrine gnoscologiche e metafisiche, che
considerano 1’ osistenza della inatoria come una semplice parvenza, una
illusione dei nostri sensi; l’esistonza dei corpi si riduce al loro esser
porcopiti: esse est percipi. È immatorialiamo la dottrina di Platone, per il
quale la realtà superiore dell’ essere, la ver essenza (οὐσία) conosciuta dal
pensiero, è il mondo immnterinle delle idee; montre il mondo materiale
costitaisee uns sfera inferiore, la sfera del divenire (Ὑάνεσις), oggetto della
percezione @ della opinione. Anche l’idealismo metnfisico del Berkeley è un
vero o proprio immaterialismo. Cr. Berkeley, Dialogues betwen Hylas and
Philonous, 1713, 533 IMM d. 111; B. Croce, L’immaterialismo del
Berkeley, La Critica», 1909, p. 77-81. Immediato. 1. Unmittelbar ; I.
Immediate; F. Immédiat. Ciò che si realizza senza bisogno di intermediari.
Perciò dicesi inferenza immediata l'operazione logica con cui da un giu termedi
; conoscenza immediata o intui alla discorsiva, dicesi quella che lo atto unico
© non con una successione di atti; successione immediata quella in cui il
finire del primo fenomeno è l’istauto stesso in cui il secondo comincia ;
contatto immediato quello che osiste fra due corpi sovrapposti che coincidono
gevmotricamente per una superficie, una linea o un punto. Immediazione. Lat.
Immediatio. Nel realismo ontolugico si designa con questo termine la conoscenza
immeiliata, cioè l'identità del soggetto e dell’ oggetto. Immediatio virtatin,
nel linguaggio scolastico, si ha quando V’ agente si congiuuge al paziente
nell’operare per virtù ed energie propria, senza intervento di altra virtù intermediaria,
Immensitä. T. ('nermesslichkeit ; I. Immensity; F. Immensité. Uno degli
attributi di Dio, che consiste nol trovarsi egli presente in ogni luogo per la
sua potenza, senza tuttavia essere esteso nello spazio, e nell’ agiro sopra
tutti i punti dello spazio, senza trovarsi sostanzialmente in alcenno. Secondo
altri tilosofi 1’ immensità divina non sarebbe che lo spazio infinito, che è
puro un attributo di Dio (v. elernità). Immoralismo. T. Immoralismus; I.
Immoraliem ; F. Immoralismo. Termine creato dal Nietzsche, che con esso vuleva
intitolare la terza parte del suo libro sopra La rolontà di potenza. Ora si
applica sia alla dottrina dol Nietzsche stesso, sia ad ogni dottrina che
sostenga che la moralità, nel significato comune della parola, debba essere
sostituita da una scala di valori affatto diversa, e anche opposta nella
maggior parte dei punti, In questo senso il termine jo se ne ricava un altro
senza il sussidio di giudizi ina, per opposizione Imm 534
immoralismo non sembra usato adeguatamente, giacchè tali dottrine,
anzichò sopprimere la moralità, vogliono sostituirla con una nuova, Il Fouillée
distingue l’ immoralismo dalV amoraliemo ; questo non ammette che giudizi di
fatto, negundo i giudizi di valoro, e în tal modo nega esplicitamente la morale;
quello, invece, non solo noga l’esistenza della morale, ma pretende che la
condotta debba essere regolata da valori che sono én opposizione con la morale,
che sono antimorali. È chiaro, ad ogni modo, che il significato del termine
amoralismo à relativo al senso attribuito alla purola moralità. Cfr. A. W.
Benn, The morale of a immoraliat, «Int. jurnal of Ethics », gennaio 1909; A.
Fouillée, Nietzsche et Pimmoralisme, 2° ed. 1902. Immortalità. T.
Unsterblichkeit; I. Immortality ; F. Immortalité. Crodenza antichissima, che si
congiungo a quella dell'esistenza di Dio, ο che fu esposta per la prima volta
in tutta la sua purezza da Platone. Essa osprime la proprietà essenziale dell’
anima umana di non vivero una vita legata alle leggi del tempo, di non avere
ciod nd principio nè fine. Si riconnotte alle altre proprietà essenziali
dell’anima, che sono l’unicità, l'identità, 1’ inestensione, V immaterialità.
Le prove principali per dimostrarla sono tre: 1. prova ontologica o metafisica:
l’anima principio inesteso della vita intellettiva distinto del corpo, non
potrebbe esser fatta perire nd da Dio, come dimostra la teodicea, ne da un’
intima corruzione, perchè semplice, ud dagli agenti naturali, perchd l’atto,
con cui essa è unita al corpo, è immodiato © nulla potrobbe frapporvisi ; 2.
prova pricologica : essondo la natura di un ossere appropriata al suo destino,
© la brevità o gli ostacoli della vita non permettondo di raggiungere quello
sviluppo per il quale ogni funzione psichiea sembra csser fatta, bisogna ammettere
una nuova vita sovrasensibile ο infinita în oui s’attui codesto ideale di
perfezione; 3. prova morale: la logge morale ci obbliga a praticare la virtù:
prima delle virtù è la giustizia, che
535 Imm dev’ essero osservata non
solo nei rapporti recipruci degli nomini, ma ancho dallo stesso autore della
legge morale verso tutti; ora, siccome in questa vita non sempre la virtà è
premiata © il vizio è punito, è forza ammettere l'esistenza di un’ altra vita
in cui si attui l'ideale di giustizia. Quanto al modo come 1’ immortalità è
stata intesa dai principali filosofi, Socrate si comportò da scettico di fronte
alla fede nell’immortalità personale, come appure doll’ Apologia platonica. La
dottrina filosofica dell’ immortalità personale è prosentata per la prima volta
da Platone, per il quale.l’ anima, se appartiene al mondo inferiore del
divenire come principio della vita e del movimento, mediante la vera conoscenza
partecipa anche delle idee della realtà superiore, dell'essere permanente: essa
ha quindi uns posizione intermedia, ο cioè non l'essenza infinitamente immutata
delle idee, ma una vitalità che sopravvive al cangiamento, vale a dire
l'immortalità, le cui prove più efficaci Platone deduce appunto, nel Fedone,
dallo parentela dell’ anima con I’ eterno per la conoscenza che essa ha delle
idee. Per Aristotele è immortale solo una parte » dell'anima, cioè l'intelletto
attivo, che rappresenta l’unità pura, comune » tutti gli nomini, della ragione,
e, in quanto non divenuto, è imperituro; invece l'intelletto passivo, in quanto
è il modo fenomenico individuale dato nella disposizione naturale
dell'individuo © determinato dalle circostanze della aus esperienza personale,
passa con gli individni stessi. Por gli stoici l’anima individuale, non ossendo
che una parte dell’ anima generale del mondo, ha una autonomia limitata nel
tempo e la sua ultima sorte è di essero riassorbita, nell’ eepirosi finale,
nello spirito divino univoreale ; quanto alla durata dell'immortalità
individuale, alcuni stoici Pattribuirono a tutte le anime fino alla
conflagrazione finale del mondo, altri la riserbarono solo ai sapienti. Per gli
apologeti cristiani 1’ immortalità dell’ anima è una grazia divina, per 8.
Agostino è una conseguenza della sua partecipazione Inn 536
alle verità eterno, per Alberto Magno deriva dall’ casero Vanima ex se
ipsa causa, indipendente dal corpo, per 8. Tommaso dall'essere l’anima una
forma separata, cioè una intelligenza pura, immateriale. Per Spinoza l’anima
umana è oterna perchò v’ ha necessariamente, in Dio, un concetto o un’ idea cho
esprime l'essenza del corpo umano, e codesta idea è perciò nocessariamente
qualcho cosa che si riferisce all'essenza dell'anima; poichè ciò che è
concepito dall’essenza di Dio con una necessità eterna è qualche cosa, questo
qualche cosa che si riferisce all'essenza dell’anima, è neccssariamonte oterno
». Per Leibnitz non v’ha mai genorazior intra nd morte porfetta, consistente
cioè nella separazi dell’ anima, 0 cid che noi diciamo generazioni sono
sviluppi © acerescimenti, cid che diciamo morti sono involuzioni ο diminuzioni;
perciò si può dire che non solo l’anima, specchio d’ un universo
indistruttibile, è indistruttibile, ma tale è anche l’animale, sebbene la sua
macchina perisca sovente in parte ο lasci o prenda delle spoglio organiche ».
Por Kant è un postulato della ragion pura pratica, della possibilità ciod, per
un essere finito, di realizzare la perfezione moralo, sotto la forma di un
progresso indefinito vorso la santità: La conformità della volontà alla legge
moralo, ossia la santità, è una perfezione di cui nessun ossere ragionevole è
capace nel mondo sensibile, in nessun momento della sua esistenza. E poichò
casa è tuttavia una osigenza praticamente necessaria, bisogna dunque cercarla
in un progresso indefinitamente continuo verso codosta perfotta conformità; 0,
secondo i principi della ragion pura pratica, è necessario ammettere codesto
progresso pratico come l'oggetto reale della nostra volontà. Ora, codesto
progresso indefinito non è possibile che supponendo una esistenza 9 una
personalità dell'essere ragionevole persistenti indefinitamente, ossia ciò che
si chiama immortalità dell’anima, Il sommo bene non è dunque praticamente
possibile che con la supposizione dell'immortalità dell'anima, 537 |
Ina la qualo, essendo quindi inseparabilmente legata alla leggo morale, è una
possibilità della ragion pura pratica ». Per lo Schopenhauer solo l'individuo
muore, mentre la specie è immortale; l’ individuo è 1’ espressione nel tempo
della specie, che è fuori del tempo: La specie rappresenta uno degli aspetti
della volontà come cosa in sd; essa rappresenta, a tal riguardo, cid che v’ ha
d’ indistruttibile nell’ individuo, vivente;... essa contiene tutto ciò che è,
tutto ciò che fu, tatto cid che sarà ». Per Lotze |’ immortalità non può essere
teoreticamente dimostrata; solo si può ritenere come universalmente valido il
principio, che tutto ciò che una volta è nato, devo durare eternamente, finchè
ha uu immatabile valore per rapporto all’ universo. L’ immortalita dell’ anima
è naturalmente negata da tutti quei sistemi che funno dell’ anima una funzione
del corpo; è ammessa, ma nel senso di una sopravvivenza impersonale, dal
panteismo; non è negnta nd affermata dal fenomenismo, dal parallelismo
psico-fisico © da tutti quei sistemi di psicologia scientifica, che dell’ anima
studiano soltanto le manifestazioni, abbandonando alla metafisica il problema
della sua origino, della sua essenza ed immortalità. Vi sono però due fatti
positivi, ammessi dai segusci della psicologia empirica (Spencer, Ribot, Wundt,
ecc.) che possono corrispondere al concetto religioso e metafisico
dell'immortalità dell’ anima: uno è l’oredità psicologica per cui l'individuo,
insiemo al sistema nervoso, erodita anche l'attitudine a riprodurre certi stati
di coscienza acquisiti dalla specie. L'altro, ben più importanto, è che ogni
coscienza individuale, passando sulla terra, lascia di sò una traccia sia pur
lieve, la quale si concatenn con tutta la serie dei processi psicologici della
storia; si ha così una trama psicologica, cho, passando da una generazione
all’altre, abbraccia tutta la storia dell'umanità, costituendo una vera ed
eterna continuità morale. Cfr. Platone, Fed., 84 C-95, 78-80, 62 segg.; Mon., 80
sogg.; Aristotele, De an.. IH, 5, 430 a, 22 segg.; Ogereau, Le syat. phil. des
stoiciens, Inv 538 1885, cap. IV; Haruach, Dogmengesohiohte,
1894, I, 493 vegg.; Kant, Krit, d. prakt. Vern., dialect., 2* parte, IV; Lotze,
Grundsüge d. Peychol., 1894, p. 74; W. James, Human immortality, 1898; J.
Frazer, The belief in immortality and the worship of the dead, 1913; O. Lodge,
La survivance humaine, 1912; F. H. Myers, La personalità umana ο la sua sopravvivenza, trad. it. 1908; Fournier d’Albe,
L'immortalità escondo la scienza moderna, trad. 18. 1909; Chambers-Janni, La nostra vita dopo la morte,
1910; A. Crespi, Il concetto dell’ immortalità ; stato attuale del problema, Il
Rinnovamento », IV, p. 229 sogg.; F. De Sarlo, Il problema dell’ immortalità, Cult.
filosofica », marzo 1910 (v. anima, coscienza, materialismo, spiritualiamo,
ecc.). . Impenetrabilitä. T. Undurohdringlichkeit; I. Impenetrability; F.
Impendirabilité. Una delle proprietà fondamentali ed essenziali della materia,
per cui due corpi non possono occupare nello stesso tempo un medesimo spazio.
Si distingue dalla resistenza, che è una nozione d’origine sperimentale,
derivando, secondo le analisi del Condillac, Bonnot, Maine de Biran, dall’
esercizio del nostro potere motore. Alcuni filosofi, in Inogo della nozione di
impenetrabilità, adottano quella della resistenza nello spazio per
l’espressione dell'essonza della materia, in quanto essa non pregiudica la
soluzione di un altro grande problema riguardante la materia: se cioò gli
elementi della materia hanno una grandezzu fissa o se la loro estensione è
puramente virtuale. Una moderna dottrina considera infatti gli elementi della
materia como semplici centri di forza, comprossibili fino ad essere ridotti ad
un punto materiale, vale a dire ad unu sfera il oui raggio è zero: però
l’annientumento del volume non toglierebbe ad essi il loro potero d'espansione,
cosicchè, diminuita la compressione, la loro forma, rimasta virtuale, potrebbe
attuarsi. Cfr. Uphues, Paychol. der Erkennens, 1893, I, p. 84; Condillac,
Traité des sensations, 1886, p. 15, 45 (v. dinamismo, energismo, meccanismo,
materia). 539 Imr Imperativo. T. Imperatir ; I. Imperative;
F. Impératif. Una proposizione che esprime una determinazione della volontà sia
mediante una formula (tu deri), sia per mezzo dol modo imperativo di un verbo,
I comandi-o imperativi sono per Kant di due specie: ipotetici, quando
consigliano un'azione come mezzo per ottenere un dato fine: categorici, quando
enunciano un’ azione buona per sè stessa, che ha cioè un valore intrinseco e
deve quindi compiersi indipendentemonto da qualsiasi altra considerazione. Gli
imperativi ipotetici possono poi alla lor volta essore problematici ©
axsertori: i primi sono delle regole, che esprimono nn fino che può essere
proposto, ma non necessariamente, i s0condi non sono che consigli, ed enunciano
un fine che non è necessario ma che tutti si propongono. L’imperativo
categorico, in cui la leggo morale si esprime, non è nè una regola nò un
consiglio ma un ordine, quindi è apodittico, vale a dire incondizionato 0
assoluto; esso nou nasce dall'esperienza, ma è un fatto della ragiono, è I’
elemento a priori della moralità, la forma che tutte le nostre azioni debbono
rivestire perchè abbiano il nome di morali; la sua formola è: opera in modo che
la massima della tua azione possa diventare una norma universalo di condotta.
Ma l'esistenza d’ una legge assoluta implica nella natura l'esistenza di un
qualche cosa di valore pure assoluto, che cioè 8’ imponga sempre come fine; ora
questo qualche cosa à appunto l’uomo, come l’unico essere ragionevole della
natura, o quindi la forma dell’ imperativo categorico si può modificaro così:
agisci in maniera da trattar sempre l'umanità como fine, e di non servirtene
mai como mezzo 0 strumento. Ma perchè la volontà non accetti la legge spintavi
da alcun altro interesse, occorre che tale leggo essa stessa la dia a sè, che
sia cioè autonoma; da ciò la terza forma dell’ imperativo categorico : agiaci
in maniera che la tua volontà possa considerarsi da νὸ come dettatrice di leggi
naturali. Por Fichte l'essenza dell’ Lo è l'atto Imp 540
rivolto in sò stesso ο determinato da sò stesso empirica con tutti i
suoi oggetti nou è che il materiale per l’attività della ragion pratica, è l'Io
che esplica la sua tendenza n crearsi un limite, che esso supera, per
obbiettivarsi; quindi l'essenza dell’ Io è l autonomia della ragione pratieu ο
culmina noll’imperativo categorico, in quanto tntto ciò che esiste non può
concepirsi che per ciò cho deve essere, è il materiale sensibilo del dovere: Non
appena Io è posto, tutta la realtà è posta; tutto devo osser posto nell’ Io;
l'Io deve ossero assolutamento indipendente, ma ogni cosa deve da lui
dipendero. E dunque richiesto l’accordo degli oggetti con l'Io; o l’assoluto
Io, appunto per il suo assoluto casero, è cid che esso richiede, l'imperativo
categorico di Kant ». Quindi Fichte accetta l'imperativo catogorico kantiano
nolls formula opera secondo la tua coscienza », come punto di partenza per una
dottrina morale, cho deduco i doveri dal contrasto dell’ impulso naturale e di
quello morale, che si presenta in ogni lo. Cfr. Kant, rit. d. prakt. Vern.,
1898, p. 22; Fichte, Grundlage d. ges. Wissonackafislehre,.1802, p. 240;
Cresson, La morale de Kant, 1897, p. 1-50. Impersonale. I. Unpersönlich; I. Impersonal; F.
Impersonel, Obbiettivo, imparziale, non individuale. Dicosi teoria della
ragione impersomale, quella cho ammetto che la ragione d’ ogni individuo non è
che il riffesso di una Ragiono univorsale alla quale esso partecipa; questa
Ragione può essero intesa como trascendente, ο in tal caso è la stessa Di nella
quale lo verità eterno sono sempro sussistonti, o como immanente in quanto è In
stossa in tutti e non è propria di ciascuno, ossia è in ciascuno,
ossenzialmente, In concezione dell’ infinito, dell’ universale, dell’ immutabile.
Impersonalismo. 'T. Impersonaliemus; I. Impersonaliom; F. Impersonalisme.
Dottrina che nega ο distrugge la personalità. Alcuni filosofi, fra cui il
Renouvier, danno 541 Imp questo epiteto alla filosofia
evoluzionistica, la quale nega la personalità ponendola come transitiva (v.
personaliamo). Implicito. T. Mitinbegrifen; I. Implicit; F. Implicite. Si
oppone a eeplicito © a formale, e designo una noziono © un giudizio che sono
contenuti in un’altra nozione e giudizio, senza essere formalmente espressi. I
giudizi impliciti ο complessi, detti anche esponibili perchè si possono rendere
espliciti, possono assumero varie forme: esclusivi, ecoottuativi, comparativi,
redaplicativi, determinativi e esornativi. Dicesi contraddizione implicita
quella che si riconosce deducendo dalle proposizioni formulate una
contraddizione nei termini. Nella terminologia scolastica impliite © explicite
valgono quanto confuse © distincte: così le note essenziali dell’uomo si
conoscono implicite nel definito homo, ed explicite nella detinizione animale
ragionerole; negli atti della volontà le due stesse parole equivalgono a
directe e indirecte: chi vuole bere troppo vuole 1’ ubriachezza implicite, chi
vnol bere per ubriacarsi vuole l’ubriachezza stessa explicit Impossibilita v.
possibile. Impressione, T. Eindruck, Reiz; I. Impression, Feeling: F.
Impression. Si snol distinguero 1’ impressione dalla sensazione: quella è il
semplice fatto fisiologico della eccitazione di un organo di senso in seguito
all’azione dello atimolo, «esta è Il fatto di coscienza che aogne all’
eccitazione modesima. Talvolta si usa invece di cocitazione: tal’ altra, specie
nel linguaggio comune, si usa per opposizione a riflessione ο a giudizio, per
indicare uno stato complessivo di coscienza, presentante un tono affettivo
caratteristico, che risponde a una azione esteriore: n questo uso si
ricollegano i termini imprersioniemo © impressionista. In un senso analogo, per
impressione #’ intende qualche volta I’ impronta fatta dagli oggetti esteriori
sulla coscienza: Corpus Aumanum, dice in tal senso Spinoza, multa pati potent
mutationes, et nihilo minus relinere obiectorum Impressionen veu Imp 542
vestigia el consequenter casdem rerum imagines, Hume oppone
l’impressione, considerata como presentazione, alla idea, considerata come
rappresentazione: la prima d il fatto di coscienza che si presenta per la prima
volta, la seconda è il riprodursi dol fatto medesimo: Sono improssioni, egli
dice, tutte lo nostre sensazioni, passioni ed emozioni, quando fanno la loro
prima comparsa nello spirito ». Tutte le rappresentazioni derivano dalle
impressioni, dalle quali ei distinguono soltanto per un minor grado di
vivacità; perd le impressioni possono essere di due specie, ciod originali ο
riftessive, a seconda che sono impressioni di sensazioni o impressioni di
passioni : Le impressioni originali ο impressioni di sensazioni sorgono nello
spirito senza nessuna percezione autecodente, dalla costituzione del corpo,
dagli spiriti animali ο dalla applicazione degli oggetti agli organi esterni.
Lo impressioni secondario ο riffessite derivano da alcune di codeste
impressioni originali o immediatamente per l’interposizione della loro idea ». Cfr. Spinoza, Ethica, 1. III,
post. II; Hume, Treatise on human nature, 1874, I, sez. I. Impulso. T. Trib, Impuls; I. Impulse; F. Impulsion, In
un senso generale, il Destutt de Tracy lo definisco como «la proprietà per cui
i corpi, quando sono in movimento, comunicano il proprio movimento ogli altri
corpi che incontrano ». In senso psicologico, per impulso s' intendo
comunemento una spinta irriflessa ο irrefrenabile ad agire: in questo senso si
parla di atti impulsivi, caratteri impuleiri, ecc. In un senso più ristretto,
l’impulso è l’inizio d’ ogni atto volontario positivo, il comando volontario onde
l’idea si traduce in movimento. Se esso è in eccesso ο in difetto si hanno,
secondo il Ribot, due forme anomale del volere: nel primo caso le forme d’
impulsività irresistibile, cosciente © incosciente, nelle quali l'individuo è
como trascinato da un volero diverso dal suo, e al qualo, in taluni casi,
vorrebbe, ma non può resistere; nel secondo caso le varie forme doll’ abulia,
dell’ agorafobin, della follin del dubbio,
543 Txp-Inc in cui l'individuo è
incapace di mnovere la propria volontà. Cfr. Ribot, Les maladies de la volonté, 1901, p. 35
segg., 71 segg. Imputabilità. T.
Zurechendarkeit; I. Imputability; F. Imputabilité, Si confondono spesso la
colpabilità © la responcon In imputabilità. Questa pnd essero intesa in due
modi: 1° ciò che permette di stabilire il conto d’un agente; la responsabilità
si riferisce, in questo senso, al carattere dell’agente, l’imputabilità implica
in più la considerazione dell’atto © quella dell’ intenzione; 2° ciò che
costituisce pro-priamento il rapporto dell’ atto all’ agente, astrazion fatta,
un lato, del valore morale di questo, e, per l’altro, della sanzione che può
seguirno. Cfr.
J. Hoffe, Die Zurechnung., 1877; Landry, La responsabilité pénale, p. 118 ogg. (v. delitto, pena, responsabilità). In adjeoto.
Termine della scolastica, con oui nella logica ai designa quella forma di
contraddiziono, cho esiste fra il sostantivo e la qualità che gli viene
attribuita. Corì, secondo alcuni filosofi, la dottrina che sostiene l’
esistenza dei fatti psichici incoscienti è una contraddizione in adjeoto,
poichè ogni fenomeno psichico, in quanto tale, à necessariamento avvertito dal
soggetto, ossia è cosciente. Cfr. (ioelenio, Lezicon phil., 1613, p. 983.
Inane. In Lucrezio significa vuoto, ed è, come in Epieuro, sinonimo di spazio e
di luogo. Infatti secondo gli atomisti lo spazio à, come la materia, un reale:
à il puro luogo o l'estensione pura dove i corpi materiali, che sono estesi,
possono trovar posto, ciod possono estendersi. Vuoto © materia sono due realtà
fondamentali opposte : I’ essonzu del primo consiste nella penetrabilità, nella
intangibilità, l’essenza della seconda nella impenetrabilità e nella
tangibilità (v. epieuroismo, vuoto). Incertessa. T. Ungewissheit; I.
Unoertainty; F. Incertitude. Non bisogna confonderla col dubbio © colla
probabilità. L'incertezza è quello stato mentale in eni trovasi Inc 54 la
mente quando ragioni contrarie si disputano l’ assenso, © quando l’assenso
stesso non è che provvisorio ο accompagnato da timore di sbagliare. Se fra
queste ragioı contrarie esiste perfetto equilibrio, allora si ha il dubbio; se
una ha qualche preponderanza sulle altre, si ha la probabilità (v. oertessa).
Incettive (proposizioni). F. Propositions inoeptives. Quelle proposizioni
composte, implicite o esplicite, le quali affermano che un dato predicato
appartiene ad un dato sug‘getto, © che esso ha cominciato ad appartenergli ad
un termina o spiega il significato, ο si può ο non si può tosi può togliere l’
inciso diconsi determinatire; quelle che gliere diconsi esornatice. . T.
Neigung; I. Inclination; F. Inclina. Si può definire come la tendenza spontanea
ο costante la definisce: determinatio generalis appetitus ab aliquie zioni: le
egoistiche, o personali ο individuali, che mirano soltanto all’appagamento dei
propri desideri; lo altruiatiche, rivolte al bene altrui; le superiori, cho
hanno per oggetto dei fini impersonali, © possono essero estetiche,
scientifiche, morali, religiose. Malebranche no distinguo tre specio, cho αἱ
trovano più o meno in ogni uomo: 1° I clinazione per il bene in generale, che
costituisce il principio di tutto lo nostre inclinazioni naturali, di tutte
nostre passioni ο persino di tutti gli amori liberi della nostra anima, perchè
da questa inclinazione per il bene in generale ricaviamo In forza per
sospendere il nostro consenso riguardo a beni particolari »; 2° 1’ inclinazione
per 545
Inc la conservazione del nostro essere; 3° l’inclinazione per le altre
creature, che sono utili a noi stessi o a quelli che amiumo. Kant distingue
l'inclinazione «dalla propensione (Hang): questa è la possibilità soggettiva
del sorgere di un dato desiderio, che precede la rappresentazione del suo
oggetto; quella è il desiderio che abitualmente occupa un individuo; in altre
parole, la propensione è la predisposizione a desiderare un piacere, che,
dopochà è stato sperimentato dal soggetto, produce 1’ inclinazione. Analoga
distinzione si fa tra inclinazione e istinto : questo consiste nella immediata
suggestione di atti o di sentimenti determinati, anche senza la coscienza del
fine a oni mirano; quella pone un fine, in modo più o meno determinato, senza
che vi sia necessariamente la rappresenta zione dei mezzi da impiegare per
raggiungerlo. Si distingue infine l'inclinazione dalla passione, in quanto
questa è una delle forme intense di quella, ed è caratterizzata dalla rottara
dell'equilibrio che esiste normalmente nell’ insieme delle inclinazioni umane.
Cfr. Wolff, Phil. practica, 1739, vol. II, $ 985; Malebranche, Rech. de la
rerité, IMI, 11; Kant, Anthropologie, 1800, v. 78 (v. attitudine, tendenza).
Incommensurabile. T. /ncommensurabel ; 1. Incommensurable; F. Incommensurable.
Due grandezze diconsi incommensurabili quando non hanno una misura comune,
quando non possono essere espresse in funzione della stessa unità, quando non
esiste alcun numero, nè intero nè frazionario, il quale, essendo contenuto un
numero intero di volte nelluna, sia contenuto un numero intero di volte anche
nell'altra. Siccome quanto più l’unità presa a misura è piccola tanto
maggiormente essi s'accosta alle quantità incommensurabili, così si può dire
che due quantità incommensurabili hanno per comune misura una quantità
infinitamente piccola (v. infinitesimale, integrale). Inconcepibile. T.
Unbegreifbar: I. Inconceivable; Inconcerable. Termine usato specialmente dal
Reid, da 35 RavzoLI, Dizion. scienze
filosofiche. Ixc 546 l Hamilton e dallo Stuart Mill; indica in
generale ciò che la mente non può rappresentarsi. Si distingue
dall’inintelligibile, che è ciò che non soddisfa la ragione, quantunque sia
perfettamente concepibile, e dall’ inconoscibile, che è ciò che, per sna
natura, trovasi fuori della sfera d’ ogni conoscenza possibile. Alcuni filosofi
intendono per incomprensibile ο inconcepibile cid che è ultimo, quindi
irreduoibile ; così i concetti supremi della scienza, essendo ultimi,
resistendo cioè ad ogni ulteriore analisi, riduzione ο ragionamento, sarebbero
per sè inconcepibili, quantunque mediante essi ogni cosa si renda concepibile.
Quanto alla distinzione dell’ irreducibile ο inconcepibile dall’ inconoseibile,
essa non è adottata da tutti i filosofi; mentre per V Hegel, ad es. l'essere è
l'assoluto incomprensibile in quanto è presuppostò da tutti i concetti (da
tutte le determinazioni logiche) ma non presuppone nessun altro concetto, è poi
= lo stesso essere -l’ assolutamente oonoscibile come risultato dell’ assoluto
processo logico, analitico e sintetico: per lo Spencer, invece, i concetti
ultimi delle scienze (spazio, tempo, materia, forza, coscienza) sono
inconoscibili perchè inconcepibili, e non costituiscono che dei simboli o segni
di un quid, che non si sa che cosa sia. Cfr. J. 8. Mill, Exam. of Hamilton, 1867, cap. VI;
Spencer, Prine. of paychol., 1881, vol. II, p. 406 seg. (v. assoluto, agnosticixmo, inconoscibile, noumeno).
Incondizionato. T. Unbedingt: I. Unconditional, Unconditioned; F.
Inconditionné. Ciò che non è soggetto ad alcuna condizione, e che quindi ha in
sè stesso le ragioni di essere, © di essere ciò che è, Tuttavia il termine che
fu introdotto nel linguaggio filosofico dell’ Hamilton, come comprendente i
significati di infinito e d’ assoluto è anche usato in senso relativo, per
designare il rapporto di condizione a condizionato esistente fra due fenomeni,
che non sono poi condizionati da un altro fenomeno, di cui siano effetti
collaterali. Per I’ Hamilton invece I incondizionato 547
Inc oppone ul condizionato, ο condizionalmente limitato, il cui
contradditorio, cioè l’incondizionalmente limitato, inchinde evidentemente due
casi : 1’ incondizionalmente limitato ossia l'assoluto, e l’ incondizionalmente
illimitato ossia V infinito: Quattro opinioni, dice l’ Hamilton, si possono
enumerare riguardo all’ incondizionato come oggetto immediato di conoscenza e
di pensiero: 1° L'incondizionato è inconoscibile ed inconcepibile, essendo la
sna nozione puramente negativa del condizionato, il quale soltanto può essere
in modo positivo concepito ο conosciuto. 2° Esso non è oggetto di conoscenza,
ma la sua nozione, come un principio regolativo della mente stessa, è più di
una mera negazione del condizionato. 3.° Esso è conoscibile ma non concepibile;
può essere conosciuto mediante uno sprofondarsi nell’identitä dell’ assoluto,
ma è incomprensibile per la coscienza e per la riflessione, che sono soltanto
del relativo ο del differente. 4° Esso è conoscibile e concepibile dalla
coscienza e dalla riflessione, sotto la relazione, la di ferenza ο In pluralità
». L’ Hamilton afferma la prima di queste quattro opinioni, considerando
l'infinito e l’ assoluto, cioè Dio, come impensabili e oggetto solo della
certezza morale, che dà la credenza; pensare è infatti condizionare, il
pensiero non può trascendere la coscienza, la è possibile soltanto sotto le
antitesi di un soggetto e di un oggetto del pensiero, conosciuti solo in
correlazione e limitantisi a vicenda; poichè tutto ciò che noi conosciamo del
soggetto e dell’ oggetto è solo, in ciascuno la conoscenza del differente, del
modificato, del fenomenale ». Perciò la filosofia non può essere che una
filorofia del condizionato. la quale nega all’ uomo la conoscenza sia dell’
assoluto sia dell’ infinito, © sostiene che tutto ciò che noi immediatamente
conosciamo, ο possiamo conoscere. è soltanto il condizionato e il relativo, il
fenomenico, il . La dottrina del condizionato è una filosofia che professa la
relntività della conoscenza, ma confessa I’ assoluta Inc 548
ignoranza ». Questo agnosticismo dell’ Hamilton fu messo poi a servizio
della teoria della rivelazione dal Mansel, che considerò i dogmi come affatto
inconcepibili per la mente umana; ed esercitò In sua efficacia anche in altri
indirizzi filosofici dell’ Inghilterra, per esempio sulla dottrina dello
Spencer e sui rappresentanti del positivismo. Cfr. Hamilton, Discussions on
philosophy, 1852, p. 12-14; Stuart Mill, La philosophie de Hamilton, trad.
franc. 1869, p. 4
sogg.; Monk, Sir W. Hamilton, 1881, p. 83 segg.; Mansel, The limite of
religious thought, 1858 (v. condizione). Inconoscibile. T. Unerkennbar ; I. Unknowable; F. Inconnaissable. Ciò
che per sun natura non può essere oggetto di conoscenza. Si distingue dall’
ignoto, che è lo sconosciuto © può sempre divenire oggetto di conoscenza; dall’
inintelligibile, che è ciò che non soddisfa In ragione ; dall’ inconcepibile,
che è ciò che non si può nemmeno pensare. L’ inconoscibile è invece ciò che,
pur essendo reale, sfuggirebbe per ipotesi a tutti i modi della conoscenza, sia
intuitiva, sia discorsiva, sia immediata, sia mediata, sia fondata sulla
coscienza e sull'esperienza, sia fondata sul ragionamento. Per alcuni
l’affermazione della realtà dell’ inconoscibile è assurda, tale affermazione
racchiudendo già una qualche conoscenza di ciò che è dichiarato inconoseibile;
altri ne ammettono la legittimità, osservando che, allorchè si afdi non veder
nulla nella notte completa o nella luce accecante, si sa pure che la notte e lu
luce esistono ; altri, come l’Ardigò, lo respingono sia perchè ricavato da una
errata concezione della relatività della conoscenza (ogni stato di coscionza
essendo per sd stesso una cognizione, che non diventa relativa se non a posteriori,
ciod dopo che l'esperienza associatrico ha costituito i due concetti opposti
del me e del non-me) sia perchè il preteso inconoscibile si risolve nell’
iguoto, ossia nel generico mentale dato dalla owervazione e ricorrente per
associazione colla rappresentazione della realtà; altri infine, come il Berg
549 Isc son, sostengono che essendo l’
universo della stessa natura dell’Io, è possibile conoscerlo mediante uno
sprofondamento sempre più completo in sò stessi, cioè con una conoscenza che
coglie il suo oggetto dal di dentro, che l’appercepisce tal quale ϱ)
appercepirebbe esso stesso ne c la sua esistenza non facessero che una sola ο
medesima cosa, © che è quindi una conoscenza nssoluta, una conoscenza
d’assoluto ». Lo Spencer pone a base del suo sistema l’inconoscibile, che egli
considera come una realtà, ricavandolo dai quattro modi della relatività del
pensiero: 1° la cognizione di un dato consiste nel suo riferimento ad un genere
superiore; ora, perchè possiamo conoscere il dato del genere massimo al qualo
arriviamo, è necessario cho tale genere non sia riferibile ad uno superiore,
sia cioè inconoscibile; 2° la cognizione di un dato implica che se ne pensi la
relazione, la difterenza e la somiglianza con altri dati; ora, siccome In causa,
l'infinito e 1’ assoluto non possono essere comparati ad altro perchè unici,
così sono inoonoscibili ; 3° la cognizione di un dato implica il riferimento di
un soggetto ad un oggetto, quindi, se la manifestazione soggettiva appare
relativa alla oggettiva, © questa a una condizione sua non conoscibile, ne
segue che I’ inconoscibile è la condizione della conoscenza; 4° le sensazioni
non sono che un semplice relativo ad un diverso che ne è causa; ne viene la
conseguenza che tale diverso, del quale non possiamo conoscere che 1’ effetto
in noi, è un inconoscibile. Cfr. Spencer, First principles, 1900, cap. IV; Id., Princ. of
poychology, 1881, cap. XIX; W. James, À world of pure experience, Journal of philosophy »,
sett.-ott. 1904; Bergson, Introd. à la métaphysique, Revue de métaph. >, gennaio 1903 ; J. Laminne, La philos. de
Vinconnatssable, 1908 : 8. De Dominiois, La dottrina dell'evoluzione, 1881, p.
56 segg.; Mor-, I conostti ultimi della rel. e della fil. secondo E. Spencer, Riv.
di fil. scientifica », genn. 1884 ; G. Carini, II problema Inc 550
dell inconosoibile nella fil. scientifica, Id. », dic. 1891; Ardigò,
L'inconoscibilo di H. Spencer, in Op. fil., II, p. 239 segg.; Id., La dottrina
spenceriana doll’ inconoscibile, Ibid., VIII, p. 18 segg.; Id., It noumeno di
Kant ο U inoomoscibile di H. Spencer, Ibid., p. 117 segg.; C. Ranzoli, La
fortuna H. Spencer in Italia, 1904, p. 41-60 (v. agnostioiemo, inconcepibile,
incondizionato). Incosciente. T. Unberwsst; I. Unconscious; F. Inooseient.
Parola di valore molto vario, tantochd Willy Hellpach ne enumera otto
significati. Nel suo senso più generale si dice d’ogni essere che non possiede
alcuna coscienza, ad es: gli stomi materiali, i vegetali, ecc. In senso morale
si dice d’un uomo incapace di riflettere, di ripiegarsi su sè stesso, di
rendersi conto di ciò che fa © delle conseguenze dei propri atti. In senso
scientifico si dice di quei fatti psicologici che, come i sociali, i giuridici,
gli estetici, eec., possono essere studiati al di fuori della coscienza, come cose,
perchè s’ impongono alla coscienza di ciascuno e sono soggetti ad un
determinismo. In senso psicologico s’applica a quei fenomeni ο processi
psichici, non sono avvertiti dall’ individuo in cui si svolgono; questi
processi molti psicologi contemporanei attribuiscono una grande importanza,
spiegando con essi la telepatia, il medianismo, l’sutomatismo, i sogni, le
dissociazioni della personalità, ecc. Si confonde spesso l incosciente col
suboosciente, generando non pochi equivoci : il subeoseiente è propriamente ciò
che è oggetto di coscienza debole e perciò sfugge, oppure ciò che attualmente
non è avvertito dal soggetto, ma che il soggetto stesso può affermare come tale
che fu cosciente nel passato, sia perchè diviene chiaramente cosciente in
séguito, sia perchè riconosciuto come la condizione di fatti successivi
chiaramente coscienti ; Vincosciente è invece ciò che sfugge interamente alla
coscienza, che è radicalmente inconscio, anche quando il soggetto cerca di
coglierlo © vi applica la propria attenzione.
551 Inc Così inteso, possiamo
distinguere con il Dwelshauvers sei grappi di fatti psichici ai quali si
applica l'appellativo di incoscienti: 1° L’inconsciente nell’ atto del pensiero
(ad es. l’attività sintetica che trasforma le sensazioni in rappresentazioni, e
queste in concetti); 2° L’ incosciente della memoria nella percezione ; 3° L’
incosciente della memoria per impressioni e sentimenti latenti (ad ex. il
motivo che fa apparire un dato ricordo e non un altro, rimane incosciente); 4°
L’ incosciente dell’ abitudine ; 5° L’ incosciente della vocazione
(disposizione a un’arte, a un mestiere, manifestantesi imperiosamente nell’
infanzia); 6° L’ incosciente nella vita affettiva. Ma altri psicologi, sia
fenomenisti sia spiritualisti, ammettono che ogni fatto psichico, anche della
natura più elevata, può sussistere allo stato incosciente; i primi però, dal
Carpenter in poi, cercano di ricondurli al fatto fisiologico, al chimismo
nervoso, alla cerebrazione incosciente. I fenomenisti si fondano, in generale,
su questi fatti: 1° alcune volte ci sentiamo o tristi o lieti senza avvertirne
il motivo; riflettendo, scopriamo poi codesto motivo, che esisteva dunqne anche
prima di essero avvertito allo stato incosciente; 2° la soluzione d’ nn
problema o @’ una questione è apparsa alcune volte improvvisamente al pensiero
degli scienziati; ciò vuol dire che tale soluzione è scaturita da un lavoro
mentale incosciente; 3° alcune volte, discorrendo o pensando, si giange a
conclusioni di cui non si avvertono le premesse; ciò significa che codeste
premesse esistono, ma allo stato incosciente; 4° nn’ idea, presente, al
sopraggiungere di altre idee scompare per poi ricomparire nuovamente: non
avrebbe potato se in tutto questo tempo non avesse continuato ad esistere allo
stato incosciente. A ciò si suole rispondere genericamente che la coscienza non
è gid un epifenomeno, un qualche cosa che s’agginnge al fatto psichico ο pnd
anche mancare, ma è il carattere essenziale dei fatti psichici, cosicchè fatto
psichico vuol dire fatto cosciente: porInc
552 ciò l’espressione fatti psichici
incoscienti » è assurda come quella di vita morta, movimento fermo, ecc. Questa
opinione è ammessa anche dagli spiritualisti, i quali però negano che la
coscienza sia il carattere distintivo di tutto ciò che è psichico; infatti l’
anima, secondo essi, esiste al di fuori dei fenomeni, come principio non solo
dei fatti psichici ma anche di tutta la vita animale, cosicchè le operazioni
profonde dell’ anima, essendo pur sempre di natura psichica, dovranno sfuggire
alla coscienza, Il Leibnitz, con la sua teorin delle petites perceptions
incoscientes fu il primo a impostare nella tilosotia il problema dell’
incosciente. Bisogna considerare, egli dice, che noi pensiamo, tutto in un
tempo, ad una grande quantità di cose, ma non porgiamo attenzione sc non ui
pensieri più distinti; nè potrebbe essere altrimenti, chè se tenessimo conto di
tutto, dovremmo pensare attentamente ad una infinità di cose nello stesso
tempo, che seutiauo ugualmente e fanno impressione sui nostri sensi. E non
basta: qualcosa rimane di tutti i nostri pensieri passati, e nessuno di essi
potrebbe mai venire cancellato completamente. Ora, quando dormiamo senza aver
sogni, o quando siamo storditi da qualche colpo, da una caduta o da qualche altro
accidente, si forma in noi una quantità di piccole percezioni confuse; e la
morte stessa non potrebbe avere effotto diverso sulle anime degli ani-, le
quali debbono senza dubbio prima o poi ripigliare percezione distiuta ». Tutte
le impressioni hanno il loro effetto, ma non tutti gli effetti son sempre
osservabili ; così, quando mi volto da un lato piuttosto che da un altro, è
xpesso a cagione di un complesso di piccole impressioni, di cui nou ho
coscienza, le quali rendono un movimento un po' più malagevole di un altro.
Tutte le nostre azioni indeliberate resultano da un concorso di piccole
percezioni, dalle quali anche procedono le nostre abitudini e passioni, che
hanno tanta influenza sulle nostre deliberazioni; queste disposizioni
percettibili si formano a poco a poco, e senza
558 Inc le piccole percezioni
inafferrabili non le avremmo in nessun siero privo d’ogni coscienza: è così
assolutamente inintelligibile dire che un corpo è esteso senza parti, come dire
che qualche cosa pensa senza averne coscienza ». Anche per Kant avere delle
rappresentazioni e non averne coscienza, sembra una contraddizione, perchè come
sappiamo di averle senza esserne coscienti ? » Però egli ammette che possiamo
avere una coscienza indiretta di certe rappresentazioni; egli le chiama
rappresentazioni osoure. Per 1 Herbart esistono delle rappresentazioni
assolutamente in-, sprofondate sotto la soglia della coscienza. Per V Hartmann
1’ Incosciente è una vera realtà, anzi 1 essenza della realtà, il principio
unico comune, attivo ed intelli gente insieme, che si manifesta nella materia e
di cui gli non sono che l'apparenza; per rapporto a noi esso è incosciente, in
sè è supracosciente. Del resto, con V espressione Incosciente » l’ Hartmann
intende anzitutto l’attività psichica in genere, in quanto resta fuori della
sfera della, coscienza, ο più propriamente 1) unità del rappresentare © del
volere (alle quali due attività si riducono secondo lui le funzioni psichiche)
in quanto sono inconsapevoli, e perciò anche I’ unico soggetto degli atti psi
chici inconsapevoli; ma questo soggetto, essendo uno solo non pure per ciascun
individuo, rua anche per tutti gli individui, ne viene che I’ Inconscio » da
ultimo risulta essere non tanto I’ astratto di tutti i soggetti psichici
inconsapevoli e il nome collettivo di questi, quanto piuttosto l’unico
principio sostanziale di cui i singoli non sono se non manifestazioni
fenomeniche. Secondo il Paulsen V essenza delle rappresentazioni incoscienti
sta nella possibilità di divenire coscienti. Sono potenzialmente percezioni
interne, proprio come i momenti fisici che sono peresterne potenziali >.
Secondo l’Ardigò, fatto psichico essendo sinonimo di fatto cosciente, poichè il
fatto psichico IND 554 è l’avvertimento di una modifienzione, dire
fatto psichico incosciente val quanto dire vita morta 0 movimento fermo. Anche
W. James si schiera contro i sostenitori dell’ incosciente, combattendo i dieci
presunti argomenti o gruppi di argomenti che sono stati addotti in sostegno di
esso. Cfr. Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, I, p. 77, 80; Locke, Essay,
1. II, cap. I,
sez. 19; Kant, introp., I, $ 5; Hartmann, rit. Grundlegung d. transo.
Realismus, 1886, p. 70; Id., Philosophie de l'incoscient, trad. franc. 1877,
vol. II, p. 287 segg.; A. Faggi, Filosofia dell’ incosciente, 1900; F.
Bonatelli, La filosofia dell’ inconscio di E. von Hartmann, 1876; Paulsen,
Einleitung in die Philos., 1896, Ρ. 127 segg.; Willy Hellpach,
Unberousstes oder Wechaelioirkung, Zeitzchr. für Paychol. », XLVIII, p. 238;
Patini, Coscienza, nubooscienza, incoscienza, Riv. di psicol. applicata », VI,
1910, p. 24; W. James, Prine. of Payohol., I, cap. VI; Dwelshanvers, La ayntése mentale, 1908, p. 78-1145
Ardigò, Op. fil., V, p. 56 segg. (v. automatismo, dissociazione, subcosoienza,
subminimale). Indefinibile. T. Unerklärlich, unbestimmbar ; I. Undefinable; F.
Indéfinissable. Un’ idea, una nozione, un oggetto possono essere indefinibili
in senso assoluto e in senso relativo. Sono assolutamente indefinibili i dati
della sensibilità, perchd del tutto soggettivi e incomunicabili ; le idee più
generali ed astratte, che si possono spiegare soltanto per mezzo delle idee
opposte ο degli esempi; i concetti astratti semplici, che non includono nè
genere nè differenza. Sono indefinibili in senso relativo quegli oggetti delle
scienze sperimentali, che, allo stato attuale del sapere, non sono ancora
conosciuti in modo sicuro e preciso, © quelle nozioni che posseggono un numero
grandissimo di note di uguale importanza, cosicchè riesce impossibile enunciarle
nel definiente in modo da individuare il definiendo (v. definizione).
Indefinito. T. Unbegrenzt, unendlich; I. Indefinite; F. Indifini. Si oppone a
finito e si distingue da infinito. In 555
Inp fatti da Cartesio in poi per indefinito si intende ciò che non ha
limiti assegnabili, sia relativamente a noi, sia nella natura delle cose
stesse; ciò che col pensiero si può moltiplicare o dividere, estendere o
restringere, senza trovar mai alcun ostacolo cho possa arrestare tali
operazioni; quindi il definito è ciò di cui il limite © la forma sono ο possono
essere fissati. Per infinito si intende invece ciò che manca affatto di
termine, di fine, ciò di cui non solo non si possono assegnare i limiti, ma che
ha appunto per carattere ο natura di non soffrire limitazioni. Distinguo inter
indofinitum οἱ infinitum, dico Cartesio, iludque tantum proprie infinitum
appello, in quo nulla ex parte limites inveniuntur, quo sensus solus Deus est
infinitun; illa autem, in quibus sub aliqua tantum rationem finem non agnosco,
ut ertensio epatit imaginarii, multitudo numerorum, divieibilitas partium,
quantitatia ct similia, indefinita quidem appello, non autem finita. quia non
omni ex parte fine carent. L' indetinito di Cartesio è dunque un infinito
parziale e relativo, che si contrappone alla infinità totale ed assoluta di
Dio. Una distinzione in parte analoga si trova in Spinoza, che tra l’assoluta
infinità di Dio e il finito pone come termini intermedi, che li colleghino, i
modi infiniti, che partecipano dell’ infinito e del finito ad un tempo; questi
modi, ad es. lo spazio, sono infiniti solo sotto un certo aspetto, mentre Dio è
infinito sotto tutti gli aspetti, in tutti i suoi attriDuti, ene absolute
infinitum, hoo est eubetantia constane infinitie attributie, quorum unnmquodque
aelernam et infinitam cesentiam exprimit. Secondo il Renouvier, 1’ indefinito è
V infinito in potenza e in quanto tale s’ oppone all’ infinito in atto: Per
opposizione all'infinito attuale, 7’ infinite dei possibili è ciò che si chiama
indefinito ». Lo spazio, sccondo alcuni, è infinito, perchè non si potrebbe
concepirlo come limitato; la serio dei numeri è invece indefinita, perchè
l'operazione mediante la quale formiamo un nuovo numero, cioè l’aggianta di una
unità, è sempre identica Inp 556 a sò stessa; e pure indefinita è la
divisibilità matematica, giacchè non sono concepibili le parti d’ una grandezza
senza grandezza, nè che sia indivisibile ciò che ha una grandezza. Cfr.
Cartesio, Resp. ad I obi., $ 10; Id., Prinoipia phil., I, 26, 27; Spinoza,
Æthioa, def. VI; Pillon, Année philos., 1890, p. 112; Ardigò, Infinito ο
indefinito, Riv. di filosofia », genn., marzo 1909; R. Menasci, Infinito ο
indefinito in Cartesio, Ibid. », maggio 1911 (v. infinito, indeterminato,
numero). Indeterminato. T. Unbetimmt; I. Indeterminate: F. Indéterminé. Ciò che
può assumere un numero indefinito di determinazioni differenti. Non va confuso
con I’ indefinito, che si dice in special modo della quantità, mentre P
indeterminato si riferisce alla qualità. Un problema è indeterminato quando le
soluzioni soddisfacenti alle condizioni sue sono in numero indefinito. Un
numero è indeterminato quando si sa che è un numero, senza sapere quale numero.
Il Rosmini chiama sofiemi dell indeterminato quelle fallacie che derivano dalla
indeterminazione del soggetto. Tali sono, ad esempio i sofismi che si formano
sulla divisibilità dello spazio, del quale si conclude che è composto di punti
semplici perchè è divisibile all’ infinito; ora, è erroneo supporre che la
divisione indefinita dello spazio debba essere di necessità finita ο infinita,
come è erronea la supposizione che esso sia veramente divisibile, poichè le
parti gliele dà l’uomo con 1’ imaginazione, e con I’ imaginazione può
presentarsi un numero indeterminato di queste parti, cioè un numero finito ma
sempre aumentabile, perohè dopo ogni atto d’imaginazione se ne può fare un
altro. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 71T (v. indefinito). Indeterminismo. T.
Indeterminiemus; I. Indeterminism ; F. Indéterminisme. La dottrina che considera
l’atto volontario come assolutamente spontaneo, come un fenomeno senza causa.
Si oppone al determinismo, che è In dottrina che considera ogni fatto, compresa
la volontà, come legato ai suoi antecedenti da una legge necessaria e costante.
Si distingue, secondo alcuni, dal libertismo, che è la dottrina che non
considera l’atto volontario come un fenomeno senza causa, ma sostiene essere la
volontà stessa una causa prima. Dicesi indeterminiemo idealistico 1’ indirizzo,
rappresentato in Francis dal Bontroux e dal Bergson, che estende la libertà e
la spontaneità anche si fenomeni del mondo fisico, considerando la necessità
naturale e il determinismo scientifico come illusioni della mente, © riducendo
gli stessi principi logioi ad un semplice stromento soggettivo, col quale
cerchiamo di rendere intelligibile la realtà, ponendo in essa un ordine che
corrisponde alle nostre esigenze conoscitive: se si ammettesse l'impero della
causa sn tutto il reale, non si potrebbero spiegare la varietà, la novità, i
processi ascendenti dell’ evoluzione, tutto si ridurrebbe a combinazioni
meccaniche di elementi identici preesistenti; nella realtà si verificano dunque
sintesi creative, produzioni originali, la vita sussiste per sè, per sò
sussiste lo spirito ο l'uno e l’altro principio si attuano spontaneamente, per
un dinamismo che è a loro intrinseco. Cfr. Boutroux, La contingence des lois de
la nature, 1899; Bergson, 1) érolution créatrice, 1907; A. Levi,
L’indeterminismo nella filosofia JSranoese contemporanea, 1904 ; F. Masci, L’ideatinno
indeterminista, 1898; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1918, I, p.
423 sogg. (v. autonomia, contingenza, determiniamo, libero arbitrio,
nocessitiemo). Indifferensa. T. Gleichgültigkeit : I. Indifference ; F.
Indifférence. Questo vocabolo ba valori differenti nella psicologia, nella
morale e nella metafisica. Nella psicologia diconsi stati indifferenti quegli
stati psichici che non contengono nè piacere, nd dolore, nd una mescolanza
dell’uno e dell’altro. 19 esistenza di simili stati è ancora discussa tra i
psicologi. Secondo il Reid oltre le sensazioni che sono gradevoli o sgradevoli,
esistono ancora un gran numero di sensazioni indifferenti. A queste noi
prestiamo sì scaraa attenzione, che Inn
558 non hanno nome e sono
immediatamente dimenticate, come se esse non fossero mai avvenute; occorre
molta attenzione ai propri stati mentali per essere convinti della loro
esistenza». Anche il Bain ne ammette l’esistenza, considerando come tipico in
proposito il sentimento di sorpresa: Uno stato affettivo può avere una
considerevole intensità, senza essere nè piacevole nè doloroso; tali stati sono
nentri ο indifferenti. La sorpresa è un esempio familiare. Ci sono sorprese che
ci rallegrano, altre che οἱ addolorano; molte sorprese non producono nè l’una
cosa nè l’altra ». Quasi tutte le sensazioni ed emozioni passano, secondo il
Bain, traverso un momento d’indifferenza; fra le emozioni sgradevoli, l’amore e
la gioia del potere hanno delle fasi di puro eccitamento ; l’amore della madre
per il suo bambino è per lungo tempo un puro stimolante, che assorbe
l’attenzione di lei senza arrivare al piacere. L’Hamilton e il Sully pongono in
dubbio l esistenza di tali stati; il Ribot, dopo aver analizzata la questione,
conclude io inelino verso In tesi degli stati d’indifferenza »; PHöffding
invece, dopo aver confutata la tesi, conclude: La supposizione di stati neutri
proviene non solo dal negligere gli stati più deboli di piacere 9 dolore, ma
anche dal confondere uno stato generale di spirito con l’ effetto prodotto da
alcune rappresentazioni ed esperienze particolari. Molte impressioni e
rappresentazioni vanno 9 vengono senza suscitare sentimenti valutabili © senza
avere una influenza ben netta sul nostro stato affettivo generale, ma questo
stato generale è ugualmente determinato in ogni istante dal predominio sia del
piacere, sia del dolore ». Secondo i
moralisti antichi esiste una categoria di cose, che stanno fra le buone e le
cattive, lo quali si possono fare o non fare con uguale sicurezza di coscienza:
tali cose indifferenti gli stoici chiamavano adiafora, 9 designavano col nome
di adiaforia lo stato di indifferenza dell’ anima del saggio, che non prova nè
desiderio nd avversione. Lo stesso stato era anche designato col 559
Ixp nome di apatia e di ataraseia.
Con |’ espressione libertà di indifferenza si sono intese, nella storia
della filosofia, cose ben diverse: che la volontà è libera di determinarsi
senza alcun motivo o ragione; che la volontà, avendo presenti due beni
commensurabili tra loro, può rimanere indifferente al maggiore o minor valore
di essi ed operare senza tenerne conto: che la volontà ha la libertà di
scegliere tra due beni fra loro uguali, ossia non differenti; che, infine, la
volontà posta tra i due ordini incommensurabili, s’ appiglia all’ uno pur
potendo operare differentemente da quello che fa. Col vocabolo indifferentismo
ο dottrina doll’ indifferente (nel senso di non differente) 8’ intende quella
forma attenuata di realismo scolastico, rappresentata specialmente da Abelardo
di Barth, il quale ammetteva come veramente esistente soltanto il singolo, ma,
al tempo stesso, sosteneva che ogni singolo porta in sè, come determinazioni
della sua propria natura, certe proprietà o gruppi di proprietà, che ha comuni
con altri; questa somiglianza reale, consimilitudo, è 1’ indifferente in tutti
questi individui; ο così pure il geuere si trova indiferenter nella sua specie,
e la specie indifferenter nei suoi esemplari.
Nella filosofia dell’ identità dello Schelling, 1’ indifferenza è il pri
cipio comune per la natura 9 per lo spirito, per l’ oggetto e per il soggetto,
vale a dire per la ragione obbiettiva e per la ragione soggettiva; esso è
perciò la ragione assoluta, che, essendo il principio più alto, non può essere
determinata nò realmente nò idealmente, e in essa devono cessare tutti quei
contrasti, che nel mondo dei fenomeni hunno origine dal preponderare nei
singoli individui del fattore reale o di quello ideale: Il primo passo alla
filosofia, dice Jo Schelling, e la condizione, senza la quale non si può
penetrare in essa nemmeno una volta, è la veduta, che I’ assoluto Ideale è
anche l’assoluto Reale». Cfr. Diogene L., VI, 104; Seneca, Ep., 13, 10; S.
Agostino, De 140. arb., 1; Alberto Magno, Sum. theol., II, qu. 58; Leibnitz,
Theodiode, Inp I, $46; Reid, Intel. powers, 1863, p. 311; Schelling, Säm.
Werke, vol. V, p. 353 segg.; Prantl, Geschichte d. Logik, 1855-70, vol. II, p. 188 segg.; Bain, The
emotions and the will, 1865, p. 13: Sully Peyoology, 1885, p. 449; Ribot,
Peychol. des sentiments, 63 ed. 1906, I parte, cap. V; Héfiding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 380
segg. (v. libertà, libero arbitrio, indeterminiemo, determinismo).
Indiscernibile. T. Ununterscheidbar; I. Indisoernible : F. Indiscernable. Sono
indiscernibili due oggetti del pensiero quando non si distinguono I’ uno dall’
altro per nessun carattere intrinseco. Secondo il Leibnitz due esseri reali
differiscono sempre per qualità intrinseche, non possono mai essere totalmente
simili, perchè la qualità d’un essere non essendo altra cosa che la sua
essenza, questa perfetta somiglianza non sarebbe altra cosa, che l'identità; in
altre parole, due cose indiscernibili non sono che una: due cose, per esser
due, debbono avere qualche differenza di qualità: Bisogna sempre che, oltre la
differenza di tempo e di luogo, v'abbia un principio interno di distinzione, ο,
sebbene v’ abbiano parecchie cose della medesima specie, è pur sempre vero che
non se ne danno mai perfettamente simili; perciò, nonostante il tempo e il
luogo (cioè a dire la relazione esterna) ci servano a distinguer le cose che
non distinguiamo sufficientemente per sò medesime, esse non sono meno
distinguibili in sò ». In ciò consiste il principio identitatis
indincernibilium, al quale Kant obbietta che due cose, anche perfettamente
simili, non possono confondersi quando non esistano nè nel medesimo Inogo nd
nello stesso istante; la differenza numerica, cioè la ditferenza temporale e
spaziale, basta alla distinzione degli esseri, e senza di essa tutte le altre
non contano nulla. Cfr. Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, p. 208 segg.;
/d., Monadologia, 9; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclami, p. 253 segg. (v.
identità). Individuale. T. Individuelle; I. Individual; F. Individuel. Cid che
appartiene all’individuo. Dicesi individuale
561 Inn il termine che non si può
predicare che d’un solo soggetto; si oppone al termine collettiro, che designa
un tatto composto d’un numero determinato di individui, considerato come
indiviso. Dicesi individuale fl gindizio, in cui il concetto del soggetto è
preso nel senso di unità indivisibile: questo À è B. Può essere tanto singolare
che σοῖlettiro: questo afferma che il prodicato conviene al soggetto solo in
quanto è una totalità numericamente indeterminata © determinata di parti ad es.
tutti gli scolari sono la scolaresca quello che il predicato conviene al
soggetto come unità indivisibile, che non può esser posto nella forma
quantitativa discreta, ad es.: Garibaldi fn il più grande condottiero italiano
(v. generale, universale). Individualismo. T. Individualiomus; I. Individualiem
; F. Individualisme. Indica in generale ogni dottrina e ogni tendenza che
afferma il valore irreducibile dell’ individualità, sin fisica sia morale, In
sua autonomia intrinseca, sin di fronte ai gruppi sociali sia nell’ordine
naturale sia in quello esplicativo. Come tendenza pratica 1’ individualismo può
essero sin manifestazione del carattere personale (ad es. le grandi personalità
dell’arte, della scienza, della politica, eoc.), sia impronta di tutto un popolo
(ad es. i popoli latini) ο di un’ opoca storica (ad es. il Rinascimento). Come
dottrina l’individualismo può essere metafisico, metodologico, sociologico ed
etico. Il primo consiste nello spiegare la realtà come un insieme di elementi
eterogenei, ausaistenti per sè; è sinonimo di pluralismo. Il secondo è la
dottrina che spiega i fonomoni sociali e storici con le leggi della psicologia
individuale, con gli effetti risultanti dalla attività cosciente degli
individui; tale ad es. la dottrina del Tarde, che considera come fatto sociale
elementare limitazione, ossia la comunicazione di uno stato di coscienza per
l’azione di un individuo cosciento sopra un altro. L’ individualismo
sociologico è la dottrina per la quale In società non è fine a ad stossa, nd atromento
d’un fine 36 RANZOLI. Dirion. di scienze
Alosofiche. Inn 562 superiore agli individui che la compongono,
ma ha per oggetto il bene di questi, la loro felicità ο il loro
perfezionamento: non dunque gli individui per la società, ma la società per gli
individui. L’individualismo etico ο politico si oppone al comunismo, al
socialismo, al collettiviemo, e designa ogni dottrina sociale e politica che
propugnn una maggioro libertà dell’ individuo, una limitazione all’azione dello
Stato nella tntela ο nella protezione dell’ individuo. Condotto alle sue
estreme conseguenze, acquista la forma dell’ individualismo anarchico. Cfr. E. Fournier, Essai
sur Vindividwalieme, 1901; A. Schatz, L’individualismo économique et social,
1908; G. Palante, Combat pour Pindividu, 1904; G. Calò, 1? individualiemo etico
nel oc. XIX, 1906; G. Vidari, 1?
individuatiemo nelle dottrine morali del seo. XIX, 1909. Individuazione
(principio di). Lat. Prinoipium indiciduationis. Il fattore doterminante dell’
individualita, il carattere intrinseco che costituisce 1’ esistenza individuale.
La determinazione del principio d’ individuazione fa uno dei problemi più
discussi, specialmente nelle scuole realistiche del tredicesimo secolo.
Aristotele, per il quale le cose tutte constano di materia © di forma, fa
consistere anche l individuo nell'unità dell’ una ο dell’ altra, nel ei nolo,
com’ egli diceva, dei duo universali. Però il problema non era in tal modo
risolto, e risorgova sotto altra forma : se l'individuo risulta dall’ intreocio
della materia e della forma, quale dei due fattori è il determinante © quale il
determinato, quale, insomma, il prinoipium individuationie? Per Alberto Magno
prima, e per S. Tommaso poi il principio individuante è la materia, che è
incomnnicabile e deve csistere in un dato tempo e Inogo, mentre la forma è
comunicabilo a più individui; ma non la materia indefinita, bens quella
determinata in un luogo ο in un istante (hic et nunc). Inveco per Duna Scoto ο
gli scotisti l’individunlità non pnd consistere nella materia, come quella che
ο 563
Inp è indefinita, o non può distinguere un individuo da un altro, o è
definita per la quantità che ha, e in tal caso V individuazione è fondata sopra
una dimensione accidentale ο mutabile; le vere sorgenti dell’individuazione stanno
nel profondo stesso della essenza, in un’ ultima realitas, che è indefinibile ©
che per ciò con parola intraducibile dissero hacocoitas ο ecceitas. Questa fu
contrapposta alla quiddità dei tomisti, che si può inveco definire. Quanto alla
persona umana, mentre il fondamento della sua individualità è, per i tomisti,
nell’intelletto, per gli scotisti invece è nella volontà, concepita come
affatto indipendente sin da motivi esterni, sia da quelli dell’ intelletto, sia
dalla stessa azione divina. Per Npinoza il principio dell’ individuazione è una
limitazione dell’ infinito: omnis determinatio est negatio. Per Leibnitz
consiste nell’ esistenza stessa, che fissa ciascun essere a un tempo
particolare, in un luogo incomunicabile a due esseri della medesima specie: Il
principio d’indiriduasione si riduco negli individui al principio di
distinzione... Se due individui fossero perfettamente simili ed ugnali, e, in
una parola, indistinguibili per sò medesim non ai avrebbe principio di
individuazione; ed oso pur dire che non si avrebbe differenza individuale o
distinzione a’ individui, posta quella distinzione ». Per Schopenhauer i
principt d’ individuazione sono il tempo e lo spazio grazie ni quali ciò che è
simile ed identico nolla sua essenza e nel suo concetto appare tuttavia come
diverso, come multiplo, l'uno accanto all’ altro © l’uno dopo l’altro: easi
sono dunque il principio d’ individuazione ». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 8,
1074 ο, 33; S. Tommaso, Summa theol., I, + qu. 86, 1; Id., De principio
indiriduationie, opp., Romac, 1750, t. XVII; Duns Scoto, In Hb. sent., 2, dist.
8, qu. 6, 11;
Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, I, p. 209; Schopenhaner, Die Welt, 1, §
23. Individuo. Gr. "Atopoy; Lat. Individuum Eingelding, Etnsehoesen ; I. Individual; F. In Indiridunm,
du, Nel xuo Inp 564 senso più generalo è individuo ogni essere
distinto da un altro e persistente il medesimo. Quaedam separari a quibuadam
non possunt, cohaerent, individua sunt, dice Senoca. Che esistano individualità
assolute, cioè esseri aventi ognuno in sè la ragiono del proprio sussistere e
persistenti lo medesime eternamente, è ammesso da alcune dottrine, ad es.
l’atomismo, il pluralismo, οσο.’ ed è negato invece dal monismo, per il quale
ogni individnalità è una coordinazione più ο meno unitaria e sempre transitoria
di parti, il cui sussistero ο il cui operare è un riflesso dell’ ossere e dell’
agire universale. In senso strotto per individuo #’ intende ciò che vive per sè
stesso, ed ha un tale accentramento e coordinamento di fanzioni, che non può
essere diviso in parti senza perdere il suo nome e lo sue qualità distintivo.
Si sogliono distinguere lo condizioni generali dell’ individualità, ossia i
limiti oltre i quali nessuna esistenza individuale è possibile, da ciò che
costituisce il principio stesso della individuazione detto dagli scolastici
principio d’ individuazione © haccceitas 0 quidditas ciò insomma che distingue
l’individuo d’ una specie da tutti gli altri individui della medesima specie.
Tale principio d’individuazione varia col variare delle categorie degli esseri.
Infatti, se negli esseri intelligenti esso consiste nella coscienza della
propria persona distinta da qualunque altra, negli esseri incoscienti è
costituito essenzialmente dal punto che essi occupano nello spazio ©
dall’istante in cui hanno cominciato nel tempo. Alle differenze di spazio e di
tempo, dette anche difforonze numeriche, si aggiungono poi le diversità di
forma € di natura, onde le condizion generali della vita ο dell'organismo si
realizzano negli individui di una med specio. Nella biologia la nozione di
individuo, che si riconnette ad altri importanti problemi della biologia
gonerale, fu distinta dall'Ilaeckel in tre spocie: 1. individuo morfologico 0
formale, dato da ogni manifestaziono unitaria di forma che costituisce un
tutto, i eni clementi costituonti Inp
565 non possono separarsi, nè dividersi in parti, senza sopprimerne il
carattere essenziale; 2. individuo fisiologico o funzionale, detto anche bion,
consistento in quella manifestazione unitaria di forma, che può, per un tempo
più o meno lungo, avere in modo perfettamente indipendente nna esistenza
propria, esternata in ogni caso colla più generale di tutte le funzioni, la
conservazione di sè stesso; 3. individuo genealogico, che non è più, come questi
dne, una unità di-spazio ma di tempo, ed è costituito dalle serie chiusa delle
sue variazioni spaziali. Cfr. Ardigd, Opere fil., IT, 233 segg.; VI, 139 segg.;
F. Puglia, L’indiriduo in nociologia, Riv. di filosofia», sett. 1902; G.
Brunelli, ZI concetto di individuo in biologia, Ibid. », nov. 1904; Do Sarlo,
La nozione d'individuo. Cultura filosofica », genn. 1908 (v. individuazione,
indiscernibili, personalità). Indivisibile. T. Untheildar; I. Indivisible; F.
Indivisible, Nella filosofia aristotelica sono chiamati indérisibili gli
oggetti della cognizione diretta ο sintetica, i quali si presentano come un
tutto senza divisione d’una parte dall’altra; l'intelligenza è appunto la
facoltà di conoscere gli indivisibili. S. Tommaso, seguendo le traccie di Aristotele,
distinguo due scienze: la prima degli indivisibili, che è poi la cognizione
diretta delle essenze © nella quale non ο) è mai errore, poichè non può
esistere il falso nella conoscenza di ciò che è semplice; la seconda delle cose
divise ο composto dall’ intendimento, ed è la scienza riflessa, poicl V
intelligenza riflettendo sulle prime sue percezioni ο ideo, le analizza 9
compone, ¢ in tali operazioni cade in orrore. Gli scolastici chiamavano
indirisibile quantitatie quello che manea di corpo; i. secundum quid quello che
manca di corpo quanto ad una o ad un’altra dimensione, come la linen © la
superficie; i. simpliciter quello che manca di corpo sin in sè, sia quanto ad
ogni division; i. negatire quello che non ha parti nd può averle, e é. priratire
quello che non ha parti ma può o deve averle.
566 Indusione. Gr. Ἐπαγωγή: Lat.
Induotio; T. Induction ; 1. Induotion; F. Induction. Nel suo significato più
ampio è quel procedimento di riduzione dalle conseguenze al principio © dagli
effetti alla causa, il quale mira a scoprire e formulare le premesse dallo
quali le conseguenze e i casi singoli si possono dedurre ; è dunque
l’operagione inversa della deduzione. Ma nella storia della filosofia
l’induzione fu intesa in modi diversi. Per Socrate è il processo con cui,
mediante il confronto delle idee particolari e delle rappresentazioni sensibili
individuali, si ginnge ad una determinazione generale astratta, che si possa
applicare al problema speciale proposto. Per Aristotele è il ragionamento che
procedo dal particolare all’ universale, che afferma d’ un genere ciò che si a
appartenere a ciascuna delle specie di questo genere ; ossa sta in rapporto
inverso alla deduzione, perchè per Aristotele cid che secondo la natura della
cosa è l'originario, quindi il generale, appare per la conoscenza umana come P
elemento posteriore, da acquisire, mentre il particolare, l'elemento che è più
vicino a noi, è, secondo la vera ossenza, l’elemento derivato, I’ elemento
posteriore. Bacone criticò questa dottrina, mostrando come codesta induzione
per onumerationem simplicem non sia scientifica e non possa mai escludere
completamente la possibilità d’un caso particolare che la distrugga. Egli
concepisce invece l’ induzione come il procedimento che va dal fatto alla
legge, da ciò che fu osservato in un tempo e in un luogo a ciò che è vero
sempre od ovunque: Poichè quella induzione che segue ad ima semplice
enumerazione è alquanto puerile; conchiudo così come può da quei pochi
particolari, che lo vion fatto di avere alle mani, sempre in pericolo che un
caso contrario la distrugge. Ma quella induzione, che farà a dimostrare lo
acienzo e le arti, deve disgregare le qualità collo necessarie eccezioni ed
esclusioni, e, fatta la conveniente separazione delle negative, giudicare a
tenore delle affermative ». L’induzione baconiana è anche dotta soien 567 Inv tifica, quella aristotelica formale. Più
tardi Hume la ridusse ad un semplice procedimento psicologico, fondato sulla
tendenza della nostra mente a credere, anche sulla testimonianza di un caso
solo, che i casi futuri saranno simili a quelli sperimentati ; tendenza
giustificata, a sua volta, dalla nostra esperienza del passato: Esiste nua
specie di armonia prestabilita tra il corso della natura ο la successione delle
nostre idee; e quantanque le potenze e le forze onde la prima è governata ci
siano del tutto sconosciute, i nostri pensieri e le nostre concezioni non
cessano, alla fine, d’aver sempre seguìto lo stesso cammino delle altre opere
della natura. L’ abitudine è il principio con cui tale corrispondonza è stata
effettuata ». Infine lo Stuart Mill, persuaso che l’induzione completa non ha
altro valore che quello dell’ induzione per semplice enumerazione, diede la
teoria logicu dell’ induzione, mostrando come il suo fondamento sul quale si
accese una discussione non ancor chiusa sis il postulato dell’ uniformità delle
leggi di natura, fondato a sua volta su quella formula del principio di
causalità, la quale esprime che cause simili in condizioni simili producono
effetti simili. Egli distingue quattro forme che sembrano di induzione ma non
sono tali: l’ induzione descrittiva, che è la semplice ricostruzione di nna
imagine complessiva da iniagini parziali ; I’ induzione per enumerationem
simplicem, che è una semplice raccolta di osservazioni; 1’ induzione completa,
che constata una pura uniformità di fatto; infine l’induzione dal modo attuale
d’azione di una causa sl suo modo d’nzione in altro tempo, che è piuttosto
l’applicane deduttiva di unu legge nota a un caso particolare. Esclusi tutti
questi procedimenti, rimane |) induzione incompleta, quella cioè che non scopre
il fatto soltanto, ma che da un certo numero di fatti osservati trae una logge,
la quale ui estende a tutti i casi omogenei possibili. Cfr. Senofonte, Mem., IV, 6, 13
segg.; Aristotele, Anal. pr., II, 23, 25; Bacone, Novum org., 104 sogg.; Hume,
Essais, Ink 568 1790, t. II, 89, 69; J. 8. Mill, Syst. of
logic, 1865, 1. III, cap. 2;
Galluppi, Lesioni di logica ο metaf., 1854, I, pagg. 190-205; F. Enriquez,
Problemi della scienza, p. 201 (v. enumerazione, epagoge, metodi indullivi).
Ineffabile. Gr. "Abbnoc; Lat. Ineffabilio. Nell’ emana zionismo filosofico
proprio dello gnosticismo e della scnola d’ Alessandria, è ordinarismente
designata in questo modo perchè non può essere definita, non possedendo alcun
attributo determinato la sostanza unica dalla quale sortono l’essere e il non
essere, lo spirito © la materia, il principio di inerzia e quello della vita.
Lo stesso vocabolo passò poi nella Patristica e nella teologia cattolica por
esprimere l’innominabilità divina. Così per Β. Clemente, Dio è indimostrabile e
incomprensibile perchè ineffabile, où è ineffabile perchè non è nd genere, nè
differenza, nd specie, nd individuo, nè accidente, nd ciò in cui qualche cosa
accada; ora, poichè per nominare una cosa qualsiasi è necessario che essa
appartenga a uno di questi predicati, così Dio non può essere nominato, Cfr. 8.
Clemente, Strom., 1, cop. XXIX. Inerensa. T. Lukdrenz; I. Inherence; F.
Inhérence. Lu relazione che passa tra il fenomeno e la sostanza, fra la qualità
e il soggetto. Inhaerero est existere in aliquo, dice Goclenio, ut in subjeoto,
a quo habet actualem dependentiam inhaositam ; aocidens ease in subieoto per
intimam prassentiam. Perciò l’ inerenza del fonomeno ο accidente si oppone alla
sussistenza della sostanza. Kant: Quando si attribuisce un'esistenza separata a
codeste determinazioni reali della sostanza (agli accidenti), per esempio al
movimento in quanto accidente della materin, si chiaina questa esistenza inerensa,
per opposizione all’ esistenza della sostanza, che si chiama sussistenza. Ma da
ciò nascono molti malintesi e si parla con maggiore esattezza se non si designa
I’ accidente che come il modo onde l’esistenza d’una sostanza è determinata
positivamente ». Si dicono quindi giudii
569 Inn @ inerenza tutti quelli
che affermano 1’ appartenenza di una qualità ad un soggetto, ad es.: Tizio è
buono. Cfr. Goclenio, Lezioon philos., 1613, p. 244 segg.; Kant, Krit. d.
reinen Vorn., ed. Reclam, p. 178 (v. giudizio). Inerzia. T. Trigheit,
Beharrungecermigen ; 1. Inertia; F. Inertio. La legge dell’ inerzia della
materia, che à il centro di tutte le concezioni della fisica moderna. L’
espressione risale a Keplero, il quale pose il principio che un corpo non può
passare da sè stesso dall’ immobilita al movimento. Galileo lo complet,
aggiungendo che un corpo non può modificare da sò stesso il proprio movimento
nd passare dal movimento alla immobilità. Un movimento, dice Galileo nei
Discorsi, non può crescere che se gli si comunica ana forza novella, nd può
diminuire che se gli si oppone un ostacolo, in entrambi i casi, quindi, sotto
l’azione di cause esterne; se queste cause sono tolte (dum externas causas
tollantur), il movimento continuerà con la velocità acquisita. E ciò si
riconduce, per Galileo, ad un principio più generale, il principio delle
semplicità, per il quale «la natura non opera con molte cose quello che può
operar con poche ». La legge dell’ inerzia fu formulata dal Newton nel modo
seguente: ogni corpo persevera nello stato di riposo o di movimento uniforme in
linea retta nel quale si trova, a meno che qualche forza non agisca eu lui e lo
costringa a cambiare stato. Tuttavia, non esistendo nella natura il riposo
assoluto, essa può essere più brevemente esposta così: nessun corpo ha il
potere di modificaro il proprio movimento. Per inertiam materiae ft, dico
Newton, ut corpus omne de statu suo vel quiescendi vel movendi difloulter
deturbetur; unde etiam vie incita nomino significantisrimo vis inortiae dici possit.
Perd, anche formulate in questo modo, è sempre una ipotesi indimostrabilo,
gincchè l’ esperienza non può offrirci il movimento senza fine d’un corpo
sottratto all’azione d’ ogni causa straniera. Ma essa ha grande importanza
filosofica, giaochè esclude nella Ink
570 materia l’esistenza di alcun
elomento psichico, di alcuna possibilità di produrre dei fonomeni psichici, ο
d’alenua spontaneità. D'altro canto essa costringe a ridurre la concezione dei
corpi a degli clementi meccanici, e quindi è lu base dell’unità della materia,
della trasformazione e conservazione della forza © dell’ esplicazione
matematica dei fenomeni. Non tutti gli scienziati accettano questa leggo, che
rende impossibile la spiegazione meccanica della vita © della coscienza; così
per il Moleschott uno dei caratteri più generali della materia è di potere, in
circostanze propizie, mettersi in movimento da sd stessa ». Nella filosofia
contemporanea il principio dell’ inerzia è stato trasportato dai fenomeni
naturali ai procossi mentali, ο considerato come uns vera 9 propria legge
generale della coscienza. Così por il Mach la storia del processo scientifico è
uno svolgimento razionale e continuo di un processo permanente di
semplificazione © di abbreviazione, che permette in ultimo di condensare tutto
il sapere riguardante il mondo naturale nelle poche formule della meccanica, la
quale scienza segnerebbe il massimo della semplicità e dell’ armonis meutale.
Per l’Avenarius tutto lo sviluppo della filosofia e della conoscenza si riduce
al principio dell’ inersia, cioè alla tendenza dell’ anima al risparmio di
forza: l’anima non impiega in una percezione più forza di quella che sin
necessaria, e, quando si trova di fronte ad una molteplicità di appercezioni,
dà la preferenza a quella che con uno sforzo minore produce lo stesso effetto,
0 con uno sforzo uguale produce un effetto maggiore. Per l'Ardigò la legge
d'inerzia ο del laroro abbreriato, che rendo possibile lu scienza, si attua nel
mondo delle idee, in quanto ogni idea “« à un segno di operazioni già eseguite
ο di formazioni giù ottenute, © quindi è il mezzo del lavoro mentale
abbrevinto; onde gli abiti mentali in genere ο la scienza propriamente detta ».
L'idea può infatti richiamarsi come un semplice niews, come un semplice
sentimento vago di un 57 In ritmo rappresentativo, senza la coscienza
distinta dei moltissimi dati in esso e con esbo associati e dei quali contiene
quindi la virtualità; tale sentimento può dunque considerarsi, dice l’Ardigò,
come la formula mentale cho indica in modo abbreviatissimo il lavoro ripetuto,
lungo e faticoso, onde si ottenne, e che per essa può rifarsi in modo agevole e
pronto ogni volta che si voglia. Cfr. Galileo, Opere, ed. Firenze 1842, XIII,
p. 200 segg.; Nowton, Nat. phil, principia math., 1687, Introd., def. III;
Moleschott, La ciroulation de la rie, 1870, lett. 17; E. Naville, La phyrique
moderne, 1890, p. 199 segg.; Wohlwill, Die Entdookung dos Beharrungagesetzee, Zeitschr.
f. Vülkerpaychologio », XIV-XV; Avenarius, Philosophie ala Denken der Welt gemase
dem Princip des kleisten Kraftmaavees, 1876; Höffding, Philosophes
contemporains, 190%, p. 93-122; Ardigi, Opere filosofiche, vol. V, pag. 327-361
(v. empirioeritioiemo). Infantilismo. Termine generico, con cui si desiguano
quegli stati di deficienza ο insufficienza intellettuale ο affettiva, che
dipendono da arresto ο involuzione di sviluppo psichico, e si manifestano nelle
forme © nei modi di sentire, di pensare e di agiro propri dell'infanzia. Quindi
l'incapacità di raccogliere ed elaborare le esperienze della vita, la mancanza
di continuità nelle rappresentazioni mentali ο΄ di legame logico nelle idee, il
difetto di inibizione © di impulsi sociali, che può esistere accanto ad una
perfetta conoscenza delle leggi della morale, Ad un grado più pronunciato si
hanno le vere e proprio frenasteuie, che possono assumere le forme dell’
imbecillità ο dell’ idiotismo (v. ebefrenia). Inferensa. Lat. Illatio; T.
Inferiren: 1. Inference, Illation; F. Inférence, O raziocinio, è 1’ operazione
mentale per cui si passa da uno ο più giudizi dati ad un nuovo giudizio che ne
risulta. La maggior parte dello proposizioni, dice lo Stuart Mill, nelle quali
noi crediamo, siano Inv 572 esse afformative o negative, universali,
particolari ο singolari, non sono eredute per la loro propria evidenza, ma sul
fondamento di altre allo quali abbiamo già dato l’ussonso e dalle quali si dice
che esse sono inferite. Inferire una proposizione da una ο più proposizioni
precedenti; prestare ad essa credenza o esigerla come conclusione da qualche
altra; è ragionare nel senso più generale del termino ». ; più precisamente I’
intendimento è la facoltà posseduta dallo spirito di conoscere gli oggetti
esterni senza formarne imagini corporee nel cervollo per rappresentarseli ».
Per Locke si chiama intondimento In capacità di pensare ». Per Leibnitz l’intendimento
corrispondo a quello che presso i latini è dotto inteleotus, e l'esercizio di
questa facoltà si china intellezione; consistento in una percezione distinta,
congiunta n quella facoltà di riflettere cho manca alle bestie ». Per il
Robinet «à la facoltà d’ appercepire un oggetto, di averne P idea, mediante la
vibraziono d’ una fibra intellettuale ». Por il Reid I’ intendimento comprende
i nostri poteri contemplativi, per cui percepiamo gli oggetti, li concepiamo o
ricordiamo, li analizziamo ο li associamo, giudichiamo e ragioniamo intorno ad
essi ». Dopo di Kant il significato del vocabolo torna di nuovo ad oscillare.
Per Fichte è una enpacità station, in quanto è la fissazione dei prodotti della
imaginazione; per Schopenhaner è la facoltà di legare tra loro le
rappresentazioni intuitivo conformemente al principio di ragion sufficiente,
montre la ragione è la facoltà di formare dei concetti astratti ο di combinarli
in giudizi e ragionamenti; per Herbart è la capacità dell’ nomo, di 601
Int collegare il suo pensiero con la proprietà del ponsato ». Per il
Rosmini P intendimento è la sola facoltà che ha per termine un oggetto; intendendo
per oggetto un termine veduto o intuito per modo, che non abbia alenna
relazione con l’intuente in modo assoluto. Per questa sua proprietà
l’intondimento si distingue specialmente dalla sensibilità, che involge una
relazione immediata del sentito col senziente, di maniera che non si può
concepire che quello stia senza questo. Cfr. Malebranche, Rech. de la vérité, 1712, 1. III,
cap. I, ὁ 3; Locke, Ess., II, cap. VI, § 2;
Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, p. 145; Robinet, De la nat., 1766, I, p.
288; Reid, Works, 1863, p. 242; Kant, Ærit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 76
eegg., 129 segg. ; Fichte, Grundlage d. ges. Wiss., 1802, p. 201 segg.;
Schopenhauer, Die Welt, 1,$ 4 ο 8; Herbart, Peyohologic
ale Wiss., IT, $ 117; Rosmini, Nuoto saggio, 1830, II, p. 73; Id., Logica,
1853, p. 78 segg. (v. intelletto,
intelligenza, intuizione). Intensità. T. Intensitàt; I. Intonsity ; F.
Intensité. Ogni quantità che non è la durata, nd l’ estensione, nd la qu tità
discreta, ο che quindi non può essere nd misurata, mediante unità omogenee, nd
numerata, Nella psicologia dicosì quantità della sensazione la sua maggiore o
minore intensità: ma tale quantità non è traducibile o misurabile essendo, come
la sensazione, affatto soggettiva. Essn nta in rapporto con l'intensità degli
stimoli, e varia da un grado minimo, dotto soglia della coscienza, a un grado
massimo, detto vertice ο cima della coscienza. I,’ intensità della sensazione
sta in rapporto inverso con l’intonsità del sentimento: più è forte l’ elemento
affettivo e più svanisce l’elemento di percezione sensibile o di conoscenza.
L'intensità della volontà, cioè il suo grado di energia, sta in rapporto
inverso dell'estensione dei motivi, ciod del loro numero. Secondo alcuni
psicologici, non si pnd parlaro di intensità degli stati di coscienza, e quelle
che sembrano differenze di intensità non sono che differenze di Int 602 qualità; così il Brentano, F. A. Müller,
Bons, ecc. s0stengono che l'apparente intensità delle sensazioni non è che una
certa loro qualità, mediante la quale apprezziamo le quantità degli stimoli, e
che il carattere quantitativo delle sensazioni è una ripercussione del loro uso
sulla loro natura. Con maggior vigore quosta tesi è sostenuta dal Bergson, per
il quale i fatti psichici sono delle pure qualità, che mancano quindi di
granderza; se a noi sombra di percepirne la varia intensità è perchè le
riferiamo ad una quantità esteriore, cioò ad una estensione, quasi di uno
spazio compresso che si dilati ; così la luce di due candele è una sensazione
qualitativamente diversa dn quella di una, ma noi, ponendo la causa nell’
offetto, diamo a questa differenza, che è solo qualitativa, un carattere
quantitativo; lo stesso si verifica anche nolle afere più alte della vita
psichica, nelle emozioni estetiche e morali, che la nostra coscienza, rivolta
all’esterno, traduce erroneamente in termini di spazio. Altri psicologi, come
il Fouillée, sostengono per contro che ogni atto o stato di coscienza è dotato
essenzialmente d’un grado d’intensità irreducibile sia all’ estensione, sia
alla qualità, benchè sia sempro accompagnalo da variazioni estensive e
qualitative. Cfr. Wundt, Grundriss d. Paychol., 1896, p. 36 segg. ; Fouilléo,
Psychol. des iddes-foroes, 1893 t. I, cap. I, $ 2; Bergson, Essai sur les
donneds imm. de la conscience, 1904, p. 1-55; Masci, Quantità e misura nei
fenomeni psichici, Atti della R. Aoc. di Napoli », 1915 (v. estensivo,
intenaivo). Intensivo. T. Intensiv; I. Intensive; F. Intensif. Si oppone a
estensivo © designa ciò che non ha estensione ma soltanto una intensità, e che
quindi non può essere numerato, uè misurato con quantità omogenee.
Intenzionale. T. Absichtlich ; I. Intentional; F. Intentionnel. Si oppone a
involontario, casuale, ecc., 9 designa l'azione determinata da una intenzione,
vale a dire preconcepita e voluta, Nel linguaggio scolastico intentionaliter 608
Int significa il modo con cui la cosa conosciuta trovasi nel conoscente;
l'i. primo si ha quando la cosa conosciuta si considera direttamente come è in
natura, ad es. il cavallo è animale; l’i. seoundo quando la cosa si considera
non secondo il modo di essere in natura, ma secondo qualche rapporto
attribuitogli dall’ intelletto, ad es. il cavallo è specie. Intenzione, T.
Intention, .ibsicht; I. Intention; F. Intention. L'insieme dei motivi psichici
determinanti 1’ individuo ad un atto, Consiste nell’ associare all’ idea
dell'atto, concepito come fine, le idee che vi si riferiscono che riguardano
non solo i mezzi necessari per compierlo, ma anche i motivi per cui si compie,
i quali sono spesso una sola cosa con le conseguenze dell'atto. Nell’ apprezzamento
morale di un'azione non basta quindi la considerazione della sus natura
esteriore, ma è essenziale la valutazione dei motivi psichici che l’hanno
determinata nel quali è il primo fondamento della responsabilità. Un solo
pensiero che baleni nel concerto mentale disponente ad un atto, può alterare il
grado della responsabilità pro ο contro il soggetto operante. Alcuni filosofi,
ad es. il Bentham, distinguono tra intenzione e motivi : quella comprende tutta
la preparazione psicologica dell’ atto, le ragioni pro e contro, questi
soltanto le prime, ossia le cause che ci inducono all’ atto. Il problema dell’
intenzione consiste nel sapere se, per giudicare il valore morale di un atto,
si deve fondarsi esclusivamente sopra l'intenzione che l’ha promosso, oppure se
si deve tener conto ugualmente delle conseguenze che l’atto ha avuto © del suo
carattere specifico; la dottrina che sostiene la prima soluzione dicesi
intenzionalismo. Nel linguaggio della
scolastica intenzione, intentio, valo quanto cognizione ; intenzione formale si
diceva l’ applicazione dello spirito ad un oggetto di conoscenza, intenzione
obbiettiva il contenuto stesso del pensiero al quale lo spirito si applica;
intenInt 604 zione roluntatis l'atto della volontà che
presuppone |’ ordino della ragione ordinante alcunchè ad un fine; intenzione
intellootus il concetto con cui l’ intelletto conosce una cosa; prime
intenzioni quelle qualità concepite nelle cose, per le quali le coso stesse si
distinguono, e che consistono © in relazioni della sostanza con qualche cosa di
diverso © sono concepite in una sostanza sola; lo studio delle prime intenzioni
appartiene alla metafisica, Si dicevano invece seconde intenzioni le qualità o
denominazioni esteriori, ricavato non dai rapporti tra le cose, ma da qualche
maniera di concepirle ; il loro studio appartiene alla logica. Cir. Martineau, Types of
ethioal theory, 1866, vol. Il, p. 252 sogg.; Prantl, Geschichte d. Logik, 1870,
III, p. 149, 293 segg. (v.
responsabilità). Interesse. T. Interesse; I. Interest; F. Intérét. La sua
formula più comune è: procurarsi la più grande somma di piacere possibile per
il tempo maggiore possibile. Secondo alcuni filosofi, esso è il fine supremo di
tutto le azioni umane, il criterio col quale si misurano il bene ο il male, il
giusto © l’ingiusto, il vizio e la virth : Se l’ universo fisico è soggetto
alle leggi del movimento, dice 1’ Helvetius, l'universo morale è soggetto del
pari allo leggi dell’intoresse. L’ interesse è sulla terra il potente
incantatore, che trasforma davanti agli occhi d’ ogni crentura la forma di
tutti gli oggetti ». Non bisogna confondere però l'interesse col piacere, ϱ la
morale dell’ interesse ο utilitarismo con la morale del piacere o edonismo.
Questo, rappresentato specialmente da Aristippo o dalla scuola cirenaica, pone
come unico bene per l'uomo, e quindi come principio supremo della morale, il
piacere attuale e presento, il piacere più vivo © immediato. Quello,
rappresentato da Epicuro, Bentham, Stuart Mill, ecc., pure non separando il bene
dal re, insegna che talora bi sogna sapersi privare d’un piacero immediato e
sottomettero ad un dolore attuale, in vista d’ un piacere più grande 605
Int © d’un dolore minore; e che nei piaceri bisogna saper distinguere
non solo la quantità ma anche la qualità, preferendo ai pinceri del senso
quelli dello spirito e del cuore, più nobili e duraturi quantunque meno
intensi. Per raggiungere l'interesse è quindi necessario saper frenare le
proprie inclinazioni naturali, apprezzare le conseguenze dei propri atti e fore
un calcolo razionale dei fini; per rnggiungere il piacere basta abbandonarsi
all'impulso dei propri istinti animali. La formula completa dell’ interesse è
dunque questa: cercare il pincere seguito dal minor dolore, ο il dolore seguito
dal maggior piacere; fuggire il pincere seguito da un maggior dolore o il
dolore seguito da un minor piacere. Cfr. Diogene L., X, 129, 141: Helvetins, De
V Esprit, 1758, 11; Bentham, Deontology, 1834; J. S. Mill, Utilitarianism, 1863
(v. aritmetica, egoismo, eudemonimo, utilitarismo, ecc.). Intermediariste. Si
designano così tutte quelle dottrine realistiche, proprie della filosofia
antica e medioovale, che fanno della percezione l'intermediario fra due realtà
distinte: le cose da un lato ο lo spirito dall’ altro. Tali sono la teoria
degli idoli, sostenuta da Democrito ο dagli epicurei, © la dottrina delle apeci
sensibili, assai diffusa nelVevo medio. Le dottrine intermediariste si dicono
anche della percezione mediata, per opposizione alle dottrine percezionistiche,
o della percezione immediata (v. conoscenza, concesionismo). Intermondi. Gr.
Metaxéopta ; Lat. Intermundia; T. Intermundien. Così chiamavano gli epicurei
latini gli spazi noti, o spazi intercosmici, che separano gli infiniti’ mondi
tra di loro. Questi mondi erano abitati dagli dei, in numero pure infinito, ο
formati di atomi finissimi, ma imimutabili, scevri di bisogni, di cure ο di
pericoli, così du porgere al saggio 1’ ideale della felicità compiutamente
attuato. Cfr. Diogone L., X, 89; Luorezio, De rer. nat., V, 146 segg. INT 606
Intimo. T. Innern, Innig; I. Internal, Inmost; F. Intime. Essendo il superlativo del comparativo
interior, indien sempre ciò che v’ha di più intimo in una data cosa © fatto.
Per senso infimo il Maine do Biran e ia maggior parte degli eclettici francesi
intendevano la coscienza, ossia la conoscenza immediata che ciasenno ha dei
propri fatti psichici. Secondo il Maine de Biran, noi non apprendiamo mai negli
oggotti esterni direttamente 1’ essere, ma soltanto le parvenze di questo;
mentre di noi stessi apprendiamo in qualche modo 1’ essere in quanto ci
sentiamo atti lonti, in quanto abbiamo il sentimento immediato di fare uno
sforzo per vincere non solo la resistenza dei corpi esterni, ma del nostro
corpo stesso: Questo fatto è primitivo, perchè non possiamo ammetterne nessun
altro prima di esso nell’ ordine della conoscenza, ο i nostri stessi sensi
esterni, per divenire gli stromenti delle nostre prime conoscenze, devono osser
messi in azione dalla atessa forza che crea lo sforzo. Questo sforzo priniitivo
à di più nn fatto di senso intimo; poichd si constata interiormento dn sè
stesso senza uscire dal termine della sua applicazione immediata © senza
ammettere alcun elemento estraneo all’ inerzia stessa dei nostri organi ».
Anche per il Galluppi, senso intimo equivale a senso interno, e consiste tanto
nel sentimento involontario dell’ io, quanto nella riflessione volontaria sul’
io; esso ci dà la verità primitiva io penso, cioè io sono esistente allo stato
di pensiero, principio d’ evidenza immodiata e perciò indimostrabile. Cfr.
Maine de Biran, Fondements de la peyohol., 1859, p. 49; Galluppi, Lezioni di
logioa ο metaf., 1854, I, p. 84 segg. Intrinseco. Ί. Innerlich, eigen; I.
Intrinsical; F. Intrinsèque. Si dice che una cosa ha un valore intrinseco
quando por sè stessa è un fine, non un mezzo per altra cosa; si dico
dimostrazione dall’ intrinseco quella che dimostra la convenienza dei termini
estremi della tesi, e analizzandola col mettere a fronte lo parti, no fa
sortire la verità dal 607 Int suo stesso contenuto, mentre la
dimostrazione dall’ estrinseco dimostra che la proposizione è vera con
argomenti estranei al suo contenuto, come ad esempio l'autorità altrui; si
dicono denominazioni intrinseche o interne quelle qualità della cosa che le
sono essenziali e cho vengono concepite in una sostanza soln, ed estrinseohe
quelle che, pur essendo essenziali, consistono in relazioni della sostanza con
alcunchè di diverso. Introspezione. T. Selbstbeobachtung ; I. Introspection ;
E. Introspection. Nella psicologia designa 1’ osservazione di sè stessi
mediante la riflessione. Il metodo introspettito, ο soggettivo, ο diretto
consiste appunto nel valersi della ossorvazione interna per lo studio dei
fenomeni psichici. Fu specialmente il Wolf, la cui scuola dominò in Germania
per tutto il secolo diciottesimo, che avviò In psicologia per la strada del
metodo introspettivo; egli infatti eredeva che solo osservando sè atesso
l'individuo può arrivare a cogliere la natura intima dei fatti della propria coscienza,
e tale principio derivava direttamente dalla distinzione tra senso interno od
esterno, per cui solo al primo spettava la conoscenza dei fatti dello spirito,
mentre il secondo apriva all’ uomo la conoscenza della natura esterna. Poi
furono elevate molte obiezioni contro la legittimità del motodo introspettivo:
1° Ogni osservazione richiede una dunlità di osservante e di osservato, mentre
nell’ introspezione la coscienza dovrebbe essere ad un tempo ossorvanto ed
osservata; il Comte insiste sulla profonde abrurdité, que présente la roule
suppowition ni évidemment contradictoire de l’homme se regardant penser. 2°
L'osservazione introspettiva è limitata agli stati di media intensità, giacchè
quelli troppo deboli le sfuggono, quelli troppo intensi assorbono tutta la
nostra energia psichica, 3° I fatti psichici non esistendo che nel tempo, cioè
come pura successione, non possono mai essore osservati che come riproduzione,
come ricordo: Non è in poter nostro, dice lo Stnart Mill, di neINT 608
certaro, con qualsiasi diretto processo, ciò che la coscionza ci dice
quando le sue rivelazioni sono nella loro pristina purezza, Essa si offre alla
nostra ispezione soltanto come esiste ora, quando codeste rivelazioni originali
sono soverchiate © sepolte sotto una montagna di nozioni acquisite © di
percezioni ». 4° L'osservazione introspettiva, essendo racchiusa nel soggetto,
non può avere valore scientifico, cioè universale: A cagione delle differenze
individuali degli osservatori, dice 1’ Höffding, nulla ci garantisce che essi
veggano realmente una sola e medesima cosa; poichè, qui, l'oggetto non è
situato fuori di loro nè dentro di loro, ma ciascuno lo porta in sè stesso ».
5° La coscienza è soggetta ad nn gran numero di illusioni di lacune, che la
rendono uno stromento assai imperfetto : La coscionza, nostro principale
stromento, dico il Taine, non è sufficiente, nel suo stato ordinario ; non è
più sufficiente nelle ricerche psicologiche di quello che sia I’ occhio nudo
nelle ricerche ottiche. Poichè la sus sfera non è grande; le sue illusioni sono
molte e invincibili ; è necessario provare e correggere continuamente la sua
evidenza, assisterla sempre da vicino, presentarle gli oggetti in una luce
vivida, ingrandirli, e costruire per suo uso una specie di microscopio e di
telescopio ». A malgrado di ciò, la maggior parte dei psicologi ammette il
valore dell’ introspezione, che sola ci dà il fatto psichico in sè stesso,
riconoscendo però che essa dove essere completata e integrata dalla
osservazione esterna. Cfr. Ch. Wolff, Philos. rationalie, 1872, § 31; Id., Peyohologia empirica,
1738; A. Comte, Cours de phil. pos., 1830, III, p. 766 segg.; J. 8. Mill, Ezam. of Hamilton, 1867,
p. 171; Taine, On intelligence, trad. ingl. 1871, p. X; Höffding, Prychologie, trad. frane. 1900,
p. 20 © sogg.; A. Padoa, Legittimità e importanza del metodo introspettivo, Riv.
di filosofia », aprile 1913 (v. osservazione, riflessione, ppicologia).
Intuitivo. T. Jntuitir, anschaulich ; I. Intuitive; F. Intuitif. Kant chiama
intuitiva ogni cognizione cho si basa
609 INT sopra la intuizione, che
ciod è ottenuta immodiatamente ; discorsiva quella che è formata dal passaggio
da un’ idea ad un’altra, o che risulta dalla comparazione di più nozioni ο
termini. La prima è simultanea, la seconda snccossiva; con questa conosciamo i
rapporti degli oggetti tra di loro, con quella cogliamo gli oggetti stessi.
Dicosi ragionamento intuitivo quello in cui la conolusione è ottenuta immediatamente,
senza bisogno di ricavarla dalle premesse; si ammette da alcuni che in tal caso
la conclusione sia preparata da nn lavoro cerebrale incosciente, che, dal lato
fisiologico, corrisponde a ciò che sarebbero le premesse dal lato psicologico.
Gli assiomi matematici non sono ragionamenti intuitivi; se in essi manca la
dimostrazione, non è perchè questa non sia necessaria, ma perch’ non è
possibile (v. incosciente, intuisione). Intuizione. Lat. Fntuitus, Intuitio; T.
Anschauung; I. Intuition; F. Intuition. Una delle parole dal significato più
vago e fluttuante, sebbene essa esprima sempre ed essenzialmente un atto
psicologico immediato, una manifesta zione subitanea e indubitabile di cui il
processo sfugge. Intuizione è adoperata, dice l’ Hamilton, a denotare
l’apprensione che noi abbiamo delle verità evidenti per sè stosse, l'immediata
coscienza di un oggetto, una conoscenza intima ». Noi possiamo distinguere
quattro accezioni diverse di questo vocabolo, volgare o pratica, artistica,
teologica e filosofica. Nel senso rolgare l’ intuizione è una disposiziono
naturale a cogliere subito e bene il lato pratico © vero di nna cosa, a
comprendere ciò che è da farsi © da evitarsi. Nol senso ardstioo non è se non
cid che dicesi anche creazione geniale, estro, © che tradotto nell'opera d’arte
la rende tanto più suggestiva quanto meglio riesce ad essere dagli altri
evocata. Nel senso feologico, che è l'originario, esprime una conoscenza
immodiata di Dio ottenuta non mediante I’ intelligenza ma por virtù dolla
grazia divina, prima ο dopo la morte. Nel senso ‚flo39 Ranzoti, Dizion. di scienze filosofiche.
Int 610
sofico, infine, pur esprimendo sempre un atto immediato di conoscenza,
ha assunto aspetti cd importanza diversa nei vari sistemi. Per Cartesio è
intuizione ogni atto per mezzo del quale lo spirito considera un’ idea,
comprendendola non successivamento ma in un medesimo momento e tutta intera;
quindi l'opposto dell’ intuizione è la deduzione, nella quale lo spirito
inferisce successivamente un dato da un altro. Hz quibus omnibus colligitur....
nullas vian hominibus patere ad cognitionem certam veritatis preter eridentem
intuitum et necessariam deductionem : item etiam, quid sint nature illa
simplices de quibus in octava propositione. Atque perspiouum cat intuitum
mentis tum ad illas omnes ertendi, tum ad necessaria illarum inter se conneriones
cognoscendas, tum denique ad reliqua omnia qua intellectun pracine, vel in ne
ipro, rel in phantasia esse experitu. Locke © Leibnitz danno all’intuizione il
significato cartesiano : Talvolta, dico il Locke, lo spirito coglie la
somiglianza o l’incongruenza di due idee immediatamente e per sd stesse, senza
l'intervento di null’ altro; e ciò io penso che possiamo chiamare conoscenza
intuitiva. Perchè in essa lo spirito non fatica a provare o a esaminare, ma
percepisco la verità come gli occhi percepiscono un punto Inminoso soltanto con
I’ essere diretti verso esso. Così Ja mente percepisce che il bianco non è
nero, che un circolo non è un triangolo, che tre ὃ più di dne ed uguale ad uno
più due. Da queste intuizioni dipendo ogni certezza ed evidenza di tutta la
nostra conoscenza ». Por In scuola scozzese, 9 così puro per l’eclettismo
francese, è una credenza che si prosenta in modo spontaneo al nostro spirito,
anteriormente a qualsiasi riflessione ο ragionamento, che anzi la
presnppongono; sono conoscenze intuitive la nostra credenza incrollabile nella
renltà degli oggetti ostoriori e della nostra cristonza, o la nostra spontanen
partecipazione allo verità supreme, che dominano regolano I’ esperienza. L'anima
doll’ umanità, dice il Cousin, è un’ anima poctica che scopre 611
Int in sè stessa i segreti degli esseri, e li esprime con canti
profetici che echeggiano d’ età in età. Allato dell’ umanità è la filosofia,
che ascolta con attenzione, raccoglie le sue parole e, per così dire, le nota;
e quando il momento delV ispirazione è passato, le presenta con rispetto al
mirabile artista, che non aveva la coscienza del proprio genio © che spesso non
riconosce la propria opera ». Per Kant à intniziono ogni conoscenza che si
riporta immediatamente a degli oggetti, quindi è sempre uno stato passivo della
coscienza, intuitus nompe mentin nostre semper est passirun. Egli distingue due
specie di intuizioni: lo empiriche, che si riportano agli oggetti per mezzo
delle sensazioni, sia interne che esterne, e quelle pure che sono la forma
delle empiriche, e rispondono alle nozioni dello spazio e del tempo. Kant nega
l’esistenza di ana intuizione intcllettuale vale a diro di una intuizione di
natura tale, da daro l’esistenza stessa dell’ oggetto, ο che, per quanto noi
possiamo comprenderlo, non può appartenere se' non all’ Essere supremo ». Le
intuizioni sensibili non dànno vera cognizione; anzi lo forme dello spazio ο
del tempo, in esse contenute, non hanno valore necessario ed universale se non
quando diventano materia di una sintesi superioro tellettualo, facendo in
queste la parte modesima che in esse fanno le sensazioni. Fichte e Schelling
ammettono invoce delle intuizioni intellettuali; ma per Fichte tali intuizioni
non sono quelle negate da Kant, ciod intuizioni doll’ essere, delle cose in ad,
bens) intuizioni degli atti: To non posso fare un passo, nd nn movimento della
mano ο del piedo, senza l'intuizione intellettuale della coscienza di me stesso
in queste azioni. Non è che mediauto V’ intuizione che io so di agiro; mediante
essa soltanto distinguo la mia azione ο, in questa, mi distinguo dall’ oggotto
proposto alla mia aziono ». Talo intuizione è il fondamento della vita
cosciente, in quanto ci fa comprendere che questa, in ad modosima, non è cho
atto puro. Schelling atInt 612 tribuisce, al contrario di Kant, la massima
importanza nel proprio sistema alla intuizione intellettuale. La quale egli
considera come un atto indefinibile, trascendente, mediante il quale
l'intelletto coglie, nella sua identità, l'assoluto, nella cui natura
assolutamente semplice ed ina ‘riunisce tutti i contrari, como spirito e
materia, reale ed idealo, libertà e necessità: Una intuizion è una produzione
libera e nella quale sono identici ciò che produce e ciò che è prodotto. Una
tale intuizione sarà detta intuizione intellettuale, in opposizione con l’
intuizione sensibile, che non appare come producente il suo oggetto e nella
quale perciò il fatto d’ applicare l'intuizione è differente da ciò sn cui
codesta intuizione porta. All’ intuizione intellettuale corrisponde l’io,
poichd non è se non mediante la conoscenza dell’ io per sè stesso che l’ io
medesimo come oggetto è posto.... L’ intuizione intellettuale è l’ organo di
ogni pensiero trascendentale. Poichè il pensiero trascendentale consiste nel *
darsi liberamente un oggetto che, altrimenti, non è oggetto ». Anche per
Schopenhauer ο) è una intuizione intellettuale; anzi ogni intuizione è
intellettuale, valo a dire ci mette in presenza della realtà, facendocela
cogliere di colpo © senza concetti : L’ intendimento solo conosce
intuitivamente, il modo immediato e perfetto, la maniera d’ agire di una leva,
di una carrucola, ecc. ». La forma più perfetta delV intuizione è la
contemplazione estetica, nella quale colni che contempla lascia momentaneamente
tuttociò che fa la sua individualità, e non agisce più che come nn puro
soggetto conoscente, nello stesso tempo che coglie la natura metafisica dell’
oggetto contemplato, vale a dire la sua Idea. Per Rosmini e Gioberti |’ intuito
intellettuale è un atto © visione immanente del nostro spirito, e oggetto suo è
per il primo 1’ Ente possibile, da cui traggono realtà tutti gli oggetti, per
il secondo lo stesso Ente che crea gli oggetti particolari, cioè Dio. L’atto
della intelligenza è duplice, dice il Rosmini, cioè |’ atto primo che ha per
sno 613
termine I’ essere indeterminato e gli atti secondi. Coll’atto primo, col
quale è costituita l’ intelligenza, il soggetto non fa che ricevere
irredistibilmente, cioò aver presente l’essere... In tutti gli atti secondi,
opera il soggetto già costitnito intelligente. Se dunque per cognizione si
intendono quelle notizie che gli vengono dalle sue proprie operazioni mentali,
non si può dare il nome di cognizione alla notizia dell’ essere indeterminato,
quale sta presente nell’ intuito. Pare che anche il comune degli nomini riserbi
a questo solo (atto implicante il giudizio) il nome di cognizione: chè certo il
comune degli uomini non pensa alla prima intuizione e però del tutto non ne
parla. Comeochessia importa distinguere bene la prima intuizione dalle
intellezioni che vengono approsso, nelle quali solo si ravvisa movimento
intellettuale ». Por il Bradley V’ intuiziono à un’ esporienzs spirituale dell’
assoluto, un’ esperienza immediata © conoreta nella quale tntti gli elementi
dell’ univorso sensazione, emozione, pensiero, volere sono fusi in un
sentimento comprensivo; però di questa intuizione noi non possiamo avero che
un'idea astratta, perchè è impossibile ad esseri finiti vivere pienamente la
vita dell'assoluto; a noi è dato soltanto formarcene una certu idea, risalendo
a quel sentimento primitivo ο diffuso, in cui non è ancora sopravvenuta nessuna
distinzione di soggetto e oggetto e nessuna differenziazione di elementi.
Infine il Bergson dà all’ intuizione un valore analogo all’ istinto ο al senso
artistico, in quanto ci rivela ciò che gli esseri sono in sò stessi, per
opposizione all'analisi ο alla conoscenza scorsiva che ce li rivela dal di
fuori: Si chiama intuizione quella specie di simpatia intellettuale per cui οἱ
si trasporta all’ interno di un oggetto, per coincidere con ciò cho bn di unico
9 per conseguenza d’inesprimibile. Al contrario. P analisi è l’operazione che
riporta l'oggetto a elementi già noti, cioè comuni a questo oggetto ο ad altri.
Anulizzare consiste dunque nell’ esprimere una cosa in funInt 614
ziono di cid cho essa non è ». La funzione abituale della scienza
positiva è V analisi, mentre la metafisica deve fondarsi sull’ intuiziono; ora c'è
una realtà che noi after riamo tutti dal di dentro, per intuizione e non per
semplice analisi: è la nostra propria persona nel suo scorrere attraverso il
tempo è il nostro io che dura. Noi possiamo non simpatizzare intellettualmente
con nessuna altra cosa, ma simpatizziamo di certo con noi stessi ». Cfr. Descartes, Regule,
XII; Locke, Kes., IV, 11, 1; Leibnitz, Nowe. Ees., IV, cap. 2, $ 2; V. Cousin,
Frag. de phil. contemp., p. 34; Kant, De mund. sens, son. I, $ 10; Krit. d. reinen Vern.,
od. Reclam, p. 76, 88; Fichte, Thatsachen und Bewusstseins, in 8. IP., 1845,
vol. IL, p. 541 segg. ; Schelling, Säm. Werke, 1856, I, p. 316 seg.; III, 369;
Hamilton, Lect. on logic, 1860, I, p. 127; II, p. 73; Rosmini, Psicologia, II,
pag. 275 s0gg.; Teosofia, IV, p. 388-391; Sistema filos., $ 16, 17; Bradley,
Appearance and reality, 1883, p. 159 segg.; Bergson, La fil. dell’ intuizione,
trad. it. 1909, p. 17-19; Me Cosh, The intuitions of the mind, 1882; C. Pint,
Insufficence des philos. de l'intuition, 1908; M. Winter, Note sur Pint. en
mathématique, Rev. de metaph. », nov. 1908; E. Lugaro, La base anatomica dell’
intuizione, Riv. filosofica », 1908, p. 465 sogg.; P. Carabellese, Intuito e
sinteri primitiva in 4. Rosmini, Riv.
di fil. », genn. 1911, genn. 1912. Intuisionismo. T. Intuitionismus; I.
Intuitionalieme ; F. Intuitionisme. Ogni dottrina che si fonda sopra l’
intuizione, nei vari significati che questa parola può assumere © nelle diverse
sue applicazioni sia alla teoria della conoscenza, sia all'etica, all’
estetica, alla religione. Si oppone à razionalismo, intellettualinmo,
empirismo. Storicamente si applica all'indirizzo rappresentato dalla scuola
scozzese e dall’ eclettismo francese, indirizzo detto anche filosofia delP
intuizione, in quanto fonda la conoscenza sopra I’ intuinmediata delle verità
razionali e superiori all’esperienza, e considera V’ esistenza della realtà
materiale come zione 615 Inv direttamente conosciuta, non inferita o
costruita. Oggi l’intuizionismo è rappresentato, nella religione, da alcuni
indirizzi del modernismo cattolico e protestante, nella filosofia dalla maggior
parte delle dottrine neo-idealistiche. Cfr. E. H. Schmitt, Kritik d. Philon. rom Standpunkt
der intuitiven Erkenntnis, 1908; J. 8. Mill, Exam. of Hamilton, 1867, cap. XIV,
$ 1; F.C. 3. Schiller, Humanism and intuitioninn,. Riguardo all’origine e alla natura dell’ Io, per gli
spiritualisti in genere esso è un principio sostanziale, assolutamente nnico e
identico, è l’anima in quanto percepisce sò medesima percipiente come identica
a νὰ percepita. Dice Cartesio: Eraminantes enim, quinam simus nos, qui omnia,
quae a nobis diversa sunt, supponimus falsa esse, perspisque videmus, nullam
eriensionem, neo figuram, nec motum looalem, nec quid simile, quod corpori
tribuendum, ad naturam noatram pertinere, sed cogitationem solam. Per gli
empiristi invece non è un primum ma un poi, che risulta dal connettersi dei
fatti psichici successivi, ed è quindi nello stesso tempo uno © molteplice.
Così, secondo il Condillac l'Io non è che la collezione delle sensazioni; per
il Taine la proprietà, comune a tutti i fatti di coscienza, di appurirei come
interni, astratta da questi fatti o trasformata dsl lingnaggio in sostanza; per
il Ribot è il sentimento complesso e confuso del nostro organismo individuale.
Nel sistema di Fichte e di Hegel, l'Io ha un significato particolare. Con esso
il Fichte non intende l'Io individuale, ma lo stesso essere assoluto, che non è
originato da altra cosa ma pone originariamente sò stesso, ο quindi per
determinarsi pone il non-Io; determinatosi così, ne resta Io 618
determinato anche il non-Io, cosicchè l'Io e il non-Io si determinano
reciprocamente; per tal modo dal seno dell’ Io ο del pensiero hanno origine lo
spirito ο la materia, l’anima ο il corpo, l'umanità e la natura, L’Io al pari
del non-Io sono prodotti entrambi dall’ attività originaria dell'Io... L' lo
come intelligenza in generale dipende da un non-Io indeterminato, ὁ solo
mediante e in virtù di tale non-Io è intelligenza... L’Io, considerato come
abbracciante lu sfora totale, assolutamente «determinata, delle relazioni, è
sostanza ». Per I’ Hegel l’Io è quella estrinsecazione dell’assoluto per cui
esso, raccogliendosi nella umanità depo @ essersi sparso nella natura, si
rivela a sè medesimo: Il pensiero come soggotto rappresentato è pensante, e
l’esprossione semplice del soggetto esistente come pensante è I’ Io. Ma } Io
astratto come tale è il puro rapporto con sì stesso, in cui si fa astrazione
dal rappresentare, dal sentire, da ogni situazione, come da ogni particolarità
della natura, del talonto, dell'esperienza, vce. ». Schopenhauer distingue l'Io
teoretico dall’ Io rolitivo ο pratico : il primo consiste nel punto unitario
della coscienza e non è che la funzione conoscitiva del secondo: «Il volere
rappresenta la radice, l'intelletto la corona dei rami, mentre la ceppaia,
punto di indifferenza di entrambe, sarebbe 1’ 1ο, che, come punto finale
comune, appartiene così al volere come alla intelligonza. Questo Io è il
soggetto identico pro tempore del conoscere e del volere... Esso è il punto
temporale d’inizio e di collegamento della totalità dei fenomeni, vale u dire
della obbiettivazione del volere ». Secondo il Galluppi Posistenza dell'Io è
una verità primitiva di fatto, che no: si può dedurre o dimostrare per razi i
Plo, cioè il mio essere, il soggetto di ciò che sento in mo, fa parte dello
stesso atto semplice per il quale ho coscienza delle mic modificazioni ; solo
in séguito V analisi separa il soggetto dalle modific la sintesi riconduce
questo a quello, e le diverse verità primitive doll’ intellettuale ο del 619 lo
morale dell’ uomo si mostrano ». Secondo il Rosmini, gli atti mentali con cui
l’anima giunge ad esprimersi nell’ Io, sono anzitutto una percezione
intellettiva che il soggotto ha della sua propria anima, in secondo luogo, le
varie operazioni di cui l’anima è principio; infine, la coscienza che ha
l’anima della propria identità fra sè percipiento ο sè operante ο atteggiata a
operare. Per I’ Ardigd I’ lo e il non-Io sono un punto d'arrivo non uu punto di
partenza, sono cioè una distinzione operatasi per 1’ esporienza nel medesimo
indistinto primitivo, la sensazione: il primo risulta dal raccogliersi e
riprodursi in un ritmo comune delle sensazioni costanti prodotte dall'attività
organica, il secondo dal raccogliersi delle sensazioni accidentali o
discontinuo prodotte dagli stimoli esterni. Ancho per i seguaci della dottrina
economica o biologica dolla conoscenza la distinzione tra Io © non-lo è uno
sdoppin mento che la coscienza, per i suoi fini pratici, opera sugli elementi
sonsibili, che per sè non sono nö oggettivi nè soggettivi: Non I’ Io è
primario, dice il Mach, bens) gli elementi (sensazioni). Gli elementi formano
l'Io. Io sperimento sensibilmente del verde, significa che l’elemonto verde si
manifesta in un certo complesso di altri elemonti (sensazioni, ricordi) ». 11
Bergson distinguo 1’ lo superficiale © simbolico dull’ Io profondo : questo è
durata reale, libera creazione di qualità sempre nuove, quello una
soprastruttura artificiale imposta dallo esigenze della vita pratica: «ΛΙ disotto
della durata omogones, simbolo ostensivo della durata vera, una psicologia
attenta scopre una durata i cui elomenti si componetrano; al disotto della
molteplicità numorica degli stati coscienti, una molteplicità qualitativa ; al
disotto doll’ Io a stati ben definiti, un Io in cui successione implica fusione
ο organizzazione. Ma noi ci contentiamo il più spesso del primo, cioè
dell'ombra dell’ Io proiettata nello spazio omogeneo ». Molti psicologi
contemporanei chiamano Io subliminale l'insieme delle sensazioni interne
Ive 620
oscure ο dei motivi subeoseienti, che costuiscono in noi una personalità
sotterranea la quale influisce continuamente sopra 1’ Jo eupraliminale,
costituito dall'insieme dei pensieri, delle sensazioni ο dei motivi coscienti;
socondo il Myors ο i suoi soguaci, P Io subliminale è il nucleo fondamentale ο
il motore della personalità umana, tantochè da esso deriverebbero in massima
parte le tendenze abituali ο istintive, gli impulsi delle nostre azioni, i
prodotti spontanei del genio, © con esso si spiegherebbero i fenomeni di
disintegrazione della personalità, di sdoppiamento della coscienza, di
suggestione ipnotica, di telepatia. In senso analogo si distingue nella
psicologia patologica l'Io primario, normale © costituito di stati di coscienza
lucid dall' Jo secondario, anormale ϱ subcosciente; questi duo Io covsistono
nell’ individuo ignorandosi totalmente, come si verifica nella così detta
scrittura automatica e nei casi di personalità alternante. Cfr. Cartesio,
Prino. phil., I, 7; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 294, 302; Fichte,
Syst. d. Sittenlehre, 1798, p. 110 segg.; Grund. d. ges. Wissenschaftslehre,
1802, p. 9-11; Hegel, Enoyol., $ 20; Schopenhauer, Die Welt, vol. II, ο. 19, 20; Galluppi, Lezioni di logica e metafisica,
1854, II, p. 617 segg.; Rosmini, Psicologia, 1846, I, p. 52 segg.; Bergson,
Essai eur le données, 1904, p. 96 segg. ; Ardigò, Op. fil, I. 144-50; V, 161
segg.; Mach, Beit. z. Anal, d. Empfindungen, 1886, p. 17; Myors, The human
personality, 1902; G. Geley, L’étro suboosciente, 1905; M. Princo, The
dissoolation of a personality, 1906; P. Janet, L'automatiome peychologiguo,
1910; A. Aliotta, Atti del V Congr. intern. di pric. a Roma, 1906 (v. essere.
soggetto, oggetto, dualismo, coscienza, spirito, spiritualismo, monismo,
parallelismo, ecc.). Iperalgesia.
T. Hyperalgesie: I. Hyperalgesia; F. Hyperalgosio. Sovreccitazione della
sensibilità dolorifica. Secondo aleuni psico-fisiologi esistono nella
superficie della cute delle zone o arco iperalgesiohe, le quali non corrispon
621 Ire dono ai territori di
distribuzione periferica dei nervi cutanei, © la cui sensibilità si desta
quando gli stimoli dolorifici ragiscono in aree, ad esse congiunte
centralmente, di minore sensibilità; ciò dimostrerebbe I’ esistenza di nervi ed
organi specifici del dolore, cosicchè la sensibilità dolorifien sarebbe un
quarto senso, che insieme a quelli del caldo, del freddo e del contatto,
costituisce la sensibilità cutanoa generale. Cfr. Kiesow, Arok. it, de Biol.,
vol. XXXVI, 1901; Alrutz, Atti del V Congr. int. di peiool. a Roma, 1906.
Iperestesia. T. Hyporüsthesie ; I. Hyporacstesia; F. Hyperesthésie.
Sovreceitazione anormale della sensibilità di un organo o di una regione; essa
prende dei nomi diversi a seconda degli organi sensori nei quali appare: così
dicesi iperormia l’iperestesia del senso olfattivo, iperacusia quella del senso
acustico, ipergeusia quella del senso gustativo, iperafia quella del senso
tattile. Si manifesta 80litamente con una grande intensità delle sensazioni, che
le rende moleste al soggetto. Il Myers chiama iperesteria della visione
cerebrale l’esasperata attività delle sfere visive corticali, promossa da
stimoli interni di ignota natura, che agiscono durante il sonno incompleto
risvegliando dei #ogni costituiti da visioni subbiettive vivaci, nette,
colorate. Cr. Myers, The human personality, 1902 (v. anestesia, sogno).
Ipermetafisica. T. Hypermotaphysik. Il Kant oppone alla vera metafisica, che
conosce i limiti della ragione umana, l’ipermetafisica che tali limiti vuol
sorpassare vagando nel campo delle imaginazioni senza fondamento. Un senso
analogo ha la parola metempirica, oggi più usata, proposta dal Lewes. Cfr. Kant, W. W., t. VIII, p.
576 seg. Lewes, Probl, of life and mind, 1875, t. II, pag. 17. Ipermetropia. T. Übereightigkeit. Difetto della
visione, che consiste in cid che i raggi paralleli dell’ asse ottico non fanno
foco sulla retina, come nell’ occhio normale, ma al di quo di essa. Quindi il
punto di lontananza, che per l'occhio normale si trova all'infinito, per I’
ipermetropico si trova al Ing 622 di là dell'infinito, cioè non esiste, perchè
solamente i raggi convergenti possono fare foco sulla lente senza sforzo di
accomodazione. L’ipermotropis è prodotta da poca enrvatura dello superfici di
rifrazione e da eccessiva cortezza dell’ asso ottico. Cfr. G. Abelsdorff, Das
Auge des Menschen, 1907, p. 59 segg. (v. aocomodamento, emmetropia,
presbitiemo, punto). i Ipermnesia. T. Hypermnesie; I. Hypermnesia; F.
Hypermuésie. È il contrario di amnesia, e designa uno stato di sovreccitazione
anormale della memoria. Può essere gonerale o parziale: quella consiste nel
subitanco e passeggero ritorno di un gran numero di ricordi, dipendente dalla
maggior rapidità della circolazione cerebrale; si verifica frequentemente noi
casi di febbre acuta, nell’ eccitazione maniaca, nell’ estasi, nell’ipnotismo e
talvolta anche nelV isterismo e nel periodo d’incubazione di certe malattie
mentali. Lo ipermnesie parziali consistono nel ritorno di alcune categorie di
ricordi, ad es. di un fatto, di una lingua dimenticata, © risultano quasi
sompre da cause morbose. Cfr. Ch. Bastian, Le oeroeveau, trad. franc. 1888, vol.
IT, Pp. 220 segg.; Ribot, Les maladies de la memoire, 313 ed. 1909 (v.
amnesia). Iperorganico. I.
Hyperorganical; F. Hyperorganique. Alcuni sociologi della scuola
analogico-organica, fra i quali lo Spencer, chiamano la società iperorganismo o
auperorganismo, in quanto travano in essa un legame di analogia con l'organismo
individuale e in quanto essa continua l'evoluzione organien. Generalmente
iperorganismo desigua ciò che è superioro all'organismo; così nel dualismo
spiritualistico, l’anima, lo spirito, è un principio iperorganico, in quanto
domina il corpo (v. analogico-organico). Iperpiano v. iperspazio. Iperspazio.
I. Hyperspace; F. Hyperespace. Spazio ipotetico, superioro a quello
tridimensionalo che i aqusi rivolano, e che ha proprietà diverse dello spazio
ancliden. 623 Ipr-Ipn Date » variabili, ogni gruppo di
valori particolari di queste varinbili è nn elemento (punto) in uno spazio a n
dimensioni (6 κ). Invece di considerare » variabili, se ne possono considerare
n + I, © i rapporti di n di esse all’ ultima; il punto di 6 n resta determinato
dai valori di tali rapporti © i valori corrispondenti della n + 1 variabili
possono chiamarsi coordinate omogenee del punto: ora, una equa zione lineare
omogenen fra queste coordinate dicesi iperpiano ed 8 n iperspazio. Cir. Klein, Vorlesungen über
nichteuclidischen geometrie, 1893; Russel, An essay on the foundation of
geometry, 1897; Halstead, Bibliografy of hyperspace, Amorican journ. of math.
», vol. I, p. 261 segg.; II, p. 65
segg.; Veronese, Fondamenti» di geometria a più dimensioni, 1891; Vonola, La
geometria non-suclidea, 1905; M. Boucher, Essai sur Vhyperespace, 1903 (v.
metageometria, non-euclideo). Ipertrofia. T. Uobernährung; I. Hypertrophy; F.
Hypertrophie. L'aumento della nutrizione, ο quindi della dimensione degli
organi, in seguito all’ attivo esercizio di ossi. Ipertrofia dimensionale: la
legge stabilita dal Roux, secondo oni l’anmentata attività di un organo
determina nm ingrandimento di esso in quella ο quelle direzioni, nelle quali
avviene l'aumento di lavoro; ad es, nelle ossa lunghe la sostanza ossea si
concentra alla periferia che deve sostenere lo sforzo maggiore, ritirandosi dal
centro dove } eceitamento fanzionale è minimo, per cui l'osso diventa tubolare.
Nel senso contrario agisce la leggo dell’ atrofia dimensionale (v.
biomeccanica). Ipnotismo.T. Hypnotiemus; I. Hypnotism; X. Hypnotisme. Vocabolo
creato dal Braid, che fra i primi lo studiò, vorso la seconda metà dol secolo
scorso. Designa l’ insieme di quoi fenomeni che si riattaocano al sonno
artificiale 0 provocato nei nevropatici. Il merito di aver sottomesso codesti
fonomeni ad una accurata analisi sperimentale spetta allo Charcot ο alla ana
scnola. Egli distinguo nel sonno ipnotico due stati, il grande ο il piccolo
ipuotismo. Ἡ grande Ipo 626 Ipostasi (ὑπό = sotto, στάσις = dimora). T.
Hypostase; I. Hypostasis; F. Hypostase. Nella filosofia, specie in quella
alessandrina, e nella teologia, si usa per designare la sostanza che sta sotto
i fenomeni, ciò di cui i fenomeni non sono che la manifestazione esteriore.
Infatti la parola latina sub-stantia è la traduzione letterale della parola
greca ipostasi, Così secondo i teologi, nella SS. Trinità vi sono tre ipostasi
distinte, mentre la divinità di Gesù Cristo è l’unità ipostasica, sotto la
dualità delle nature divina ed umana, Nel
linguaggio filosofico corrente, fare un’ ipostasi o ipostatizsare, significa
dare concretezza ο realtà esteriore ad un dato, che è proprio soltanto del
pensiero, che è una pura astrazione. Cfr. Alberto Magno, Summa theol., I, qu.
43, 2; S. Tommaso, Summa theol., I, 29, 1 ο. (v. κοatanza, essenza,
astrazione). Ipotesi. Gr. Ynößeoıs; Lat. Hypothesie; T. Hypothese ; I.
Hypothesis; F. Hypothèse. Secondo Platone l’ ipotesi è la supposizione di un
principio universale, che si mette a fondamento di un altro. Per Aristotele è
un ragionamento che riposa sopra l'assunto che, se 4 è vero, B deve essere
ammesso in conseguenza; se dunque À è vero, B à ricavato per ipotesi. Secondo
Cartesio l'ipotesi è una proposizione accolta senza constatarne la verità o la
falsità, come principio da cui ricavare un insieme di proposizioni : Affinchè
ciascuno sia libero di pensare ciò che gli piacerà, desidero che quello che
scriverò sia preso solo come ipotesi, molto lontana forse dalla verità; ma
anche se ciò fosse, crederei aver fatto molto se tutte le cose che ne sono
dedotte sono interamente conformi alle esperienze ». E contro questo metodo che
Newton protesta, rifiutando di usare di simili ipotesi: Rationem vero harum
gravitatis proprietatum ex phanomenis nondum potui deduoere, et hypotheses non
fingo. Quicquid enim ex phanomenis non deducitur, hypothesis vocanda est; et
hypotheses seu metaphysioæ, seu physica, scu qualitatum occultarum, seu
mechanicæ in philosophia 627 Ipo N experimentali locum non habent. Secondo
il Turgot invece, lo ipotesi sono una condizione del progresso intellettuale;
se ve ne sono di false e di arbitrarie, si distruggono da sè medesimo: Tutte le
volte che si tratta di trovare la causa di un effetto, non è se non per via
d’ipotesi che si può giungervi, quando l’effetto solo è conosciuto. Si risale,
come si può, dall’ effetto alla causa per cercare di conchiudere a ciò che è
fuori di noi. Ora, per divinare la cansa di un effetto, quando le nostre idee
non ce la prosentano, bisogna imaginarne una; bisogna verificare più ipotesi ο
provarle ». Secondo A. Comte le ipotesi veramente filosofiche devono presentare
costantemente il carattere di semplici anticipazioni su ciò che l’esperienza e
il ragionamento avrebbero potuto svelare immediatamente se le circostanze del
problema fossero state più favorevoli ». Secondo il Lotze l'ipotesi è una
congettura con cui cerchiamo di indovinare un dato di fatto non contenuto nella
percezione, ma che erediamo debba esistere in realtà perchè la perceziono co lo
presenta come possibile. Secondo la definizione del Mill, l'ipotesi è una
supposizione imaginata senza prove o con prove insufficienti, în vista di
«dedurre delle conclusioni che siano d’ accordo coi fatti reali. Constatato
questo accordo I’ ipotesi è verificata. Si sogliono distinguere lo ipotesi
«peoiali ο ideo direttrici, dallo grandi ipotesi ο ipotesi esplicative: quello
stanno al principio dello scienze, in quanto servono come idea direttiva delle
investigazioni, queste stanno al culmine della scienza e sono una
interpretazione generalo delle esperienze. Infatti le conclusioni ultime di
molte scienze, come I’ unità delle forze fisiche, I’ unità della materia, la
formazione del sistema solare ο del nostro pianeta, |’ atomiamo, l’ evoluzione,
ecc. non sono che grandi ipotesi, più o meno probabili ed alcune affatto
inverificabili. Molti scienziati si mostrano contrari all’ uso dell'ipotesi, in
quanto introducono nello sperimentalismo scientifico un elemento arbiIo. 628
trario ed a priori; va però notato che, mentre l’a priori della pura
ragione è, ο pretende di essere, immutabile © assoluto, quello dell’ ipotesi è
di sus natura mutabile, provvisorio, relativo, e non ha valore se non in quanto
può essere direttamente o indirettamente comprovato dall’esperienza. Quindi non
ogni ipotesi è legittima, e la sua introduzione è sottomessa a leggi rigorose,
che costituiscono lo condizioni d' ammissibilità dell’ ipotesi. Le principali
di queste condizioni sono: che l'ipotesi non inchiuda contraddizione nè in sè
stessa, nd con altri principt noti ¢ certi, nd coi fatti che deve spiegare; che
sia semplice, scelta tra quelle che hanno più diretta attinenza coi fatti: che
riguardi possibilmente una causa reale, non agenti imaginari, o non abbia una
forma troppo affermativa. Quanto alla sua verificazione, essa varia, secondo il
Naville, a seconda che l'ipotesi è razionale, sperimentale ο esplicativa : nel
primo caso si deve far concordare logicamente il principio razionale supposto
coi principi già stabiliti; nel secondo non si deve che constatare la realtà
del fatto prima imaginato ; nel terzo si devo dedurre le conseguenze ©
conıparare queste coi fatti. Secondo il Poincaré vi sono ipotesi verificabili
con l'indagine matematica e sperimentale, ipotesi valide solo come mezzi per
fissare le nostre conoscenze, ο ipotesi che non sono vere ipotesi, ma
definizioni o convenzioni mascherate. È da queste ultime che le acionze
traggono il loro massimo vigore; noi non concepiamo il numero, la grandezza, lo
spazio, la materia, se non traverso ipotesi le quali sembrano avere dell’
arbitrario e che sono accettate, non già come la rappresentaziono della realtà,
bensì come un mezzo comodo, naturale, logico (per la logica umana) di
rappresentarei la realtà; non è la realtà che ci dà quei concetti, senza dei
quali nulla sapremmo, siamo noi che ce li creiamo © li usiamo per convenzione.
In generale, l’oggettività della conoscenza è in ragione inversa della sua
universalità; il fatto bruto è il più og 629
Ipo gettivo, ma da questo in là l’oggettività diminuisce gradatamente a
misura che cresce la generalizzazione; il fatto stientifico è già meno
oggettivo e più ipotetico del primo, e dal fatto scientifico alla legge, ο da
questa ai principt è un procedimento continuo verso il soggettivismo © verso il
convenzionalisno. Questi concetti del Poincaré sono condivisi ed anche
accentnati dai rappresentanti dell’ empirismo radicale, dell’ empiriocriticiemo
ο dell’ energismo. Così per l’Ostwald non si può ragginngere il fondo vero
delle cose se non attenendosi alla pura constatazione dei fatti offerti
dall'esperienza, e costruendo una scienza libera da ipotesi, eine
Aypothesenfreio Wissenschaft; le ipotesi sono, infatti, delle semplici imagini
con cui arbitrariamente si aggiungono ni fenomeni dei caratteri che non ci sono
dati dall’ esperienza ο non potranno mai dimostrarsi oggettivamente, imagini
scelte in guisa da rappresentare con le loro proprietà le proprietà analoghe
dei fenomeni; ora, il solo modo adeguato di rappresentare completamente un
fenomeno à il fenomeno stesso ; ogni rappresentazione per mezzo di altri
fenomeni, più o meno analoghi, contiene necessariamente elementi estranei. Cfr.
Platone, Fed., 100 A segg.; Kep., VI, 510 B; Aristotele, Anal. post., I, 2;
Anal. prior., I, 10, 30 b, 32; Cartesio, Prino. phil., 11, 44, 45; IV, 204206;
Newton, Philos. mat. prino. math., 1687, ad finem; Comte, Cours de phil. pos.,
I, lez. 28; Lotzo, (irundsiige d. Logik, 1891, p. 84; Stuart Mill, Syst. of
logic, 1865, II, 17; È. Naville, La logique de l'hypothèse, 1895; Ostwald,
Porlesungen über Naturphilosophie, 1902; Id., Die Uberwindung des
wissenehohaft. Materialismus, 1895 ; Poincaré, La valeur de la science, 1908;
Id., La science et l'hypothèse, 1909; C. Ranzoli, Leggo, principio, ipotesi, in
Linguaggio dei filosofi », 1913, p. 228-244. Ipotetico. T. Hypothetisch; I. Hypothetical;
F. Hypothétique. In generale si riferisce a tutto ciò che è supposto
arbitrariamente, che ha bisogno di essere dimostrato con Ips 630
prove. I giudizi sono ipotetici
quando esprimono che la posizione del predicato è condizionata ο dipendente
dalla posizione del soggetto. La loro formula è : se 4 à, è (non è) B. in cui
la prima parte, che contiene la posizione del soggetto, dicesi ipotesi, la
seconda, che contiene quella del predicato, tesi. Il giudizio ipotetico,
insieme al categorico e al disgiuntivo, appartiene alla forma dei giudizi di
relazione. Diconsi ipotetici puri quei
sillogismi in cui In maggiore, la minore e la conclusione sono giudizi
ipotetici: essi hanno, teorioamente, tanto figure © modi quanti il gindizio
categorico, ma sono praticamente d’uso assai limitato. Diconsi
ipotetico-categorici, quei sillogismi di eni la maggiore è un giudizio
ipotetico, la minore un gindizio categorico che afferma l’antecedente o nega il
consegnente della maggiore, e la conclusione un giudizio categorico che afferma
il conseguente o nega l’antecedente della maggiore; esso ha quindi due modi
fondamentali: il ponente (ponendo ponens), che seguo il tipo della prima figura
del sillogismo categorico, © il tollente (tollendo tollens) che segue il tipo della
seconda. Nella matematica si di cono
ipotetici quei problemi la cui validità dipende dal-" l’analisi necessaria
a risolverli, ed assoluti quelli che sono indipendenti dall’analisi. Kant chiama ipotetici quegli imperativi che
sono subordinati ad una condizione, ed enuncinno che un atto è un mezzo
relativamente ad un certo fine. Cfr. Kant, Logik, 1800, p. 163; Wundt, Logik.
1893, I, p. 182. Ipsedicitismo. Vocabolo creato dalla espressione ipre dizit,
adoperato per designare In tendenza a jurare in verba magistri, nd ammettere in
tutta la sua estensione il principio di autorità (v. testimonianza). Ipse
dixit. Durante il medio evo, Aristotele era riguardato como giudice
inappellabilo del vero, perchè si credeva che egli nvesse raggiunto il limite
massimo della sapienza, conoscendo tutto quanto all’ nomo è dato co 631 Iro noscere. Quindi il criterio assoluto
della verità d’ ogni dottrina era 1’ essere contenuta nelle opere d’
Aristotele, l'essere stata detta da lui: ipse dixit, egli disse. Questa
espressione fu creata forse dal più grande commentatore arabo d’ Aristotele,
Ibn Roschd conosciuto sotto il nome di Averroè, il quale faceva precedere ai
propri commenti un compendio del testo d’ Aristotele, preceduto sempre dalla
parola Κάῑ = disse. Col Risorgimento ο col decadere della scolastica finisce
codesta cieca sottomissione all’autorità del filosofo greco, 9 si comprende che
la verità va cercata, come disse il Galilei, non nei libri d’Aristotele, ma nel
gran libro sempre aperto della natura. La inza moderna non esclude del tutto il
valore della testimonianza, ossia del principio di autorità, perohè se chi
coltiva una data disciplina dovesse rifare da capo tutto ciò che prima di lui è
stato fatto, sarebbe impossibile il progresso scientifico; tuttavia essa si uniforma
pur sempre alla massima di Bacono: veritas filia temporis non auotoritatie (v.
aristoteliamo). Ironia. Gr. Εϊρώνεια; T. Ironie, Ferepottung ; I. Irony; F.
Ironie. Si definisce come quella forma del comico, nella quale inaspettatamente
ci compiacciamo di trovar celato il biasimo sotto la lode o sotto la
rappresentazione oggettiva, oppure l’ incredulità sotto la credenza, ο,
viceversa, la lode sotto il biasimo e la credenza sotto la credulità. In ogni
forma d’ironie (pura, satirica, benevola, ecc.) è infatti essenziale un
compiacimento più o meno esagerato, col quale si rileva un difetto o un
contrasto, ο che, nella sua esagerazione, cela un compiacimento affatto opposto
a quello rivelato dall’ironista. Nella storia
della filosofia la parola ironia è usata ad indicare il processo metodico
confatativo, ο negativo, adoperato da Socrate nelle sue dispute. Esso
consisteva nel fingersi ignorante davanti a persone che godevano fama di essere
sapienti o si presumevano tali ; tale ignoranza egli la sapeva sostenere per i
tratti stessi del suo viso e Ink
632 con la semplicità delle
domande, ingenue in apparenza ma così sottilmente incalzanti nella sostanza, da
far cadere infine l'interlocutore in un viluppo di assurdità manifeste ο da
costringerlo a negare quanto prima aveva asserito. Così gli avversari vedevano
rovinare la loro pretesa scienza, smantellata sotto i colpi della dialettica
socratica. E tale era l'intento che Socrate proponevasi col suo metodo critico
dell’ ironia: comunicare agli altri quel dubbio che era anche in lui intorno
alla verità delle proprie ed altrui opinioni. Credi tu, dice Socrate a Menone,
a proposito dello schiavo che aveva preso a catechizzare, ch’ei si sarebbe
messo a cercare ed imparare ciò che si credeva di sapere pur nol sapendo, se
prima non fosse caduto nel dubbio, accorgendosi di non sapere e sentendo
desiderio di saper veramente? Pon mente adesso come egli, movendo da questo
dubbio e facendo la ricerca con me, ei ritroverà il vero, non altro che io
l’interroghi, non già che gli insegni >. Nei dialoghi socratici di Platone è
l’ironin che prevale; in quelli di Senofonte è invece il metodo positivo o
maieutica, Cfr. Senofonte, Mem., I, 3, 8; Acad., II, 15; Platone, Menone,
XVIII, 84 CD; Zuccante, Metodo di filosofare di Socrate, in Saggi filosofici,
1902; Paulhan, La morale de P ironie, 1909, p. 142 segg.; G. Palante, 2’
ironie, Revue philos. », feb. 1906; A. Momigliano, L'origine del comico, Cultura
filosofica », sett. 1909 (v. agonistica, anatreptica, endiotica, eristica, ecc.).
Irraggiamento v. emanazione. Irrazionalismo. T. Irrationalismus ; I.
Irrationalism ; F. Irrationalisme. Nella filosofia religiosa è quell’ indirizzo
che considera la ragione impotente a penetrare nelle cose divine ed
estrasensibili, e può avere tante forme quanti sono i mezzi o stromenti che
esso ritiene idonei alla conoscenza religiosa, siano essi la fede fiduciale o
giustificante (fideismo), la tradizione (tradizionalismo), il sentimento
(sentimentalismo), ecc.: si oppone sia al razionalismo as 633 Iur soluto, che ritiene la ragione capace di
costruire, con le sole sue forze, un sistema di conoscenze che ha valore non
solo di scienza © di filosofia, ma anche di religione; sia al
semi-razionaliemo, che riconosce due stromenti ο fonti della verità, la ragione
e la fede, e quindi due ordini di verità, le verità di ragione ο le verità di
fede. Nella metafisica l’irrazionalismo è dottrina per la quale l'universo è
irrazionale, ossia tale che non pud essere ridotto ngli schemi logici della
ragione ; si oppone specialmente al panlogiemo, per il quale invece tutto ciò
che è razionale è reale, © tutto ciò che è reale è razionale. Forme di
irrazionalismo sono l’ idealismo oggettivo dello Schelling, il rolontarismo
dello Schopenhaner ο il mobiliemo contemporaneo. Cfr. C. Ranzoli, I! linguaggio
dei filosofi, 1913, p. 217 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad.
it., vol. II, Ρ. 343-351. Irritabilità. F. Irritabilit. Questo vocabolo fu
introdotto nel linguaggio filosofico dall’ Haller, per designare ‘quella proprietà
dei muscoli che oggi dicesi contrattilità, © cio l'attitudine dei muscoli
stessi di reagire allo stimolo con uns contrazione. Poscia passò a designare I’
attitudine del muscolo a reagire allo stimolo, attitudine che con la
contrattilità non costituisce che due forme di un’unica proprietà: il muscolo
non si contrae se non è irritabile, © non si può dire che sia irritabile se non
si contrae. Presentemente per irritabilità si intende la proprietà fondamentale
della materia organica di reagire ad eccitamenti, per rispondere con una
reazione propria agli stimoli. La reazione di ogni tessuto è il risultato delle
reazioni minime dei singoli elementi di cui il tessuto si compone:
Virritabilita è dunque la proprietà fondamentale delle cellule viventi. Variando
le reazioni minime, varia anche la reazione complessiva: così |’ irritabilità
del tessuto muscolare consiste nel contrarsi, quella del tessuto vascolare nel
necernere, quella del tessuto nervoso nel sentire. La natura Iso-Ist 634
specifica della reazione della cellula non dipende dalla natura dello
stimolo, ma da quella della cellula stessa. L’attività delle cellule ο dei
tessuti è sempre determinata da uno stimolo. Tuttavia gli organismi hanno la
proprietà di muoversi da sd stessi, senza In eccitazione immediata del di
fuori: questa proprietà dicesi «pontaneità ed è costituita dalla scarica della
forza muscolare immagazzinata, in seguito all’azione di modificazioni interne,
che costituiscono lo stimolo. La spontaneità è dunque relativa non assoluta ;
essa differisce dall’irritabilità non qualitativamente ma quantitativamente.
Cfr. Werworn, Fisiologia generale, trad. it. 1907, p. 50 segg. (v. protoplasma,
rita, vitalismo, eccitazione). Isostenia. Vocabolo dell’antico scetticismo,
ancora usato per indicare il bilanciarsi delle ragioni pro e contro in un dato
argomento. La conclusione ultima cui giunse tutta l’antica scuola scettica, da
Pirrone d’Elide a Sesto Empirico, fu infatti che lo ragioni pro ο contro,
intorno a qualsiasi oggetto, si equilibrano ed hanno forza uguale; ‘Timone di
Flio, discepolo di Pirrone, disse ciò isostenia delle ragioni (ἰσοσθένια τῶν
λόγων), 9 tale vocabolo è rimasto nel linguaggio filosofico. Cfr. C. Wachsmnth,
De Timone phliasio, 1859. Istante. Gr. Τὸ viv; T. Augenblick ; I. Instant; F.
Instant. L'attimo attuale, il punto determinato e indivisibile della durata, ©
che quindi sfugge ad ogni misurazione: esso è il limite comuno tra due durate
successive. Il presente è un istante, che sta fra il passato, che è già un
non-essere, © il futuro, che è il possibile pensato in relnzione alla nostra
esperienza. Tra tutti i filosofi, Aristotele è senza dubbio quello che ha
analizzato con maggiore acutezza il problema dell'istante, nel quale #’
accentra il problema del tempo. Per Aristotele l'istante è sempre diverso per
la sua forma, perchè ora è in questo punto ora in altro punto diverso del
tempo, ma è sempre lo stesso per la sua
635 Ist materia, cioè in quanto
istante, perchè implica sempre un anteriore e un posteriore, o, in altre parole,
perchè è sempre ugualmente fine del passato e principio del futuro. Così si
spiega come il tempo, al pari del movimento, sia sempre diverso e sempre lo
stesso. Se l'istante non fosse il tempo non sarebbe, come se fl tempo non fosse
l'istante non sarebbe; non solo, ma è per l'istante che il tempo è continuo ed
eterno. Tempo ed istante si implicano a vicenda come il movimento e il corpo
mosso; infatti sono entrambi simultanei; © come il movimento e il corpo mosso
sono simultanei, tali sono anche il numero del corpo mosso € il numero del
movimento; poichè il tempo è il numero del movimento, e 1) istante, come il
corpo mosso, è in certo modo l’unità del numero, μονὰς ᾽αριθμοῦ ». L’ istante è
ul tempo come il punto alla linea: come I’ istante dete nina U’ anteriorità e
lu posteriorit del movimento, e quindi divide il prima e il dopo, così il punto
divide la linea essendone il principio e l’ estremità; come l'istante non è una
porzione del tempo, quantunque determini il tempo, così il punto non è una
parte della linea, quantunque generi la linea. Da ciò si comprende come
Aristotele chiami l’istante un semplice accidente del tempo; infatti sotto un
certo rapporto esso non è numero, ossia non è tempo, perchè mentre il numero
serve a numerare le cose più disparate, l’istante serve solo a limitare cid di
eni è limite; ma sotto un altro rapporto esso pure è numero, perchè può
applicarsi indifferentemente a tutti i movimenti e a tutti i corpi. Cfr.
Aristotele, Phys. IV. 10-12; Covotti, Le teorie dello spazio ο del tempo nella
fil. greca, Annali della R. Scuola Norm. di Pisa », 1897, vol. XII (v. fempo).
Istanza. Lat. Instantia; T. Instanz; I. Instance; F. Instance. Cartesio dava
questo nome al nuovo argomento che si aggiunge alla risposta ad una obiezione :
Ho traseurato di rispondere al grosso libro d’ istanze che 1’ autore Ist 686
delle quinte obbiezioni ha prodotto contro le mie risposte... ».
L'istanza, così intesa, può consistere sia in una nuova obbiezione, sia in una
confutazione della replica. Bacone dà a questa parola il valore di fatto
osservato ed accertato, caso particolare, esempio. Egli divide le istanze in
positive, negative e prerogative; le prime sono quelle che danno luogo ad una
induzione per enumerationem simplicem, le seconde sono i casi o il caso particolare
contrario, che la distruggono; le ultime il fatto o i fatti di tal natura, che
bastano a garantirla. L'istanza prerogativa, che à il fondamento della legge,
può offrirsi da sola alla osservazione; ma per lo più lo scienziato deve
andarla a cercare, e tale ricerca si opera per mezzo dello esperimento. Cfr. Descartes, Lettre à
Clerselier, ed. Ad. et Tannery, IX, 202; Bacone, Nor. Org., Il, 21 segg. ; De
Augmentis, V, 2 (v. istantie, induzione, experimentum cruoie). Isterismo. T. Hysterismus; I. Hysteriem,
Hysteria; F. Hystérieme. Forma di malattia nervosa, ricca dei più svariati
fenomeni psichici, che si manifesta specialmente nella gioventù, più nelle
donne che negli uomini, e colpisce profondamente la personalità. Secondo gli
studi più recenti, esso sarebbe determinato da una specie di intorpidimento,
diffuso o localizzato, passeggero o permanente, dei centri cerebrali, che si
traduce con manifestazioni trofiche, viscerali, sensitive © sensoriali, motrici
© psichiche, a seconda dei centri colpiti; ο con crisi transitorie, con
stimmate permanenti o con accidenti parossistici, a seconda delle sue
variazioni, del sno grado e della sua durata. Si distingue il grande isterismo
dal carattere isterico; questo si rivela nella grande mobilità dell’ umore, nella
forma vacillante © instabile della volontà, nella leggerezza dei giudizi ο
degli affetti, nella incostanza dei propositi, nella facile distraibilità ed
emotività, nella tendenza alla bugia e all’inganno. Il grande isterismo è
caratterizzato da oscuramento della coscienza, idee deliranti, illusioni ed
allucinazioni, muta 637 Ist bilità
massima dell’nmore, convulsioni, nevralgie, anestesie e iperestesie locali e
generali, insonnia, vertigini, ece. In tutte le forme di isterismo si osservano
poi : le lesioni più © meno gravi della personalità, la grande attitudine a
ricevere la suggestione (che agisce nella subcoscienza) e il sonnambulismo
naturale. Tuttavia gli autori che in questi ultimi tempi hanno tentato di
definire I’ isterismo, cercarono di raccogliere tutti codesti sintomi intorno
ad un fenomeno morale; Moebius e Stritmpell considerano come isteiche le
modificazioni patologiche del corpo determinate da idee, da rappresentazioni, e
lo definiscono un insieme di malattie da idea, da rappresentazione mentale » ;
altri insistono sullo sdoppiamento della personalità, sui fenomeni di
dissociazione mentale, sull’ ufficio delle idee subcoscienti, ecc. Si può dire
con Pierre Janet che l’isterismo è una psicosi appartenente al gruppo delle
malattie mentali da insufficienza cerebrale, ed è specialmente enratterizzata
da sintomi morali, il principalo dei quali è un indebolimento della facoltà di
sintesi psicologica ». Ne viene che un certo numero di fenomeni elementari,
sonsazioni ed imagini, cessano di essere percepite e sembrano escluse dalla
percezione personale, donde una tendenza alla scissione permanente e completa
della personalità, alla formazione di parecchi gruppi indipendenti gli uni
dagli altri: questo stato favorisce la formazione di idee parassitarie, che si
sviluppano isolatamente all’ infuori della coscienza personale e si manifestano
coi disturbi più svariati d’apparenza fisica. Cfr. Ribot, Les maladies de la
volonté, 1901, pag. 115 segg.; Moebius, Ueber d. Begriff d. Hysterie, 1888 :
Pierre Janet, L'automatisme psychologique, 1889; Id., Anesthesie et
dissociation, Revue philos. », 1887 (x. autncosoienza, autosoopia,
suggestibilità). Istinto. Τ.
Instinkt; I. Instinct; F. Instinct, È un insieme di abitudini protettive,
formatesi lentamente a traverso l'evoluzione della specie e fissatesi
progressivamente negli Ist 688 individui della specie medesima. Il Reid lo
definisce un impulso naturale a certe azioni senza avere nessuna nozione del
fine, senza deliberazione e assai spesso senza nessun concetto di ciò che si fa
». Kant: la necessità interiore della facoltà di desiderare il possesso di un
oggetto prima di conoscerlo; ossia un bisogno affettivo di fare o godere
qualche cosa, di cni tuttavia non si ha alcun concetto ». Bain: il nome dato a
ciò che si fa anteriormente all'esperienza e all’educazione ». Spencer: un’
azione riflessa appropriata; esso può essere più descritto che definito, perchè
non si può tracciare una linea netta di demarcazione tra esso © la semplice
azione riflessa ». Romanes: termine generico comprendente tutte quelle facoltà
psichiche le quali conducono alla esecuzione cosciente di azioni che sono
adattative nel carattere, ma sono perseguite senza necessaria conoscenza delle
relazioni tra i mezzi impiegati 9 il fine raggiunto »; egli chiama istinti
primitivi quelli che risultano direttamente dalla struttura primitiva
dell’essere vivente, o che non sono dovuti che alla selezione, e istinti
secondari quelli che costituiscono un automatismo derivato, acquisito mediante
adattamenti intelligenti, Il Bastian invece raggruppa gli istinti in tre grandi
classi, a seconda «he dipendono da stimoli provenienti direttamente o
in«direttamente dal canale alimentare (ad es. il modo di ricercare © catturare
la preda), ο dagli organi generatori (ad es. la costruzione dei nidi, I’
incubazione, ece.), 0 da tutto intero l'organismo, sia nella parte esterna che
nell’ interna (ad es. lo svernamento e |’ emigrazione). Carattere essenziale
dell’ istinto è l'utilità, sia per l'individuo che per la specie; un istinto
nocivo non è più un vero istinto. secondo il Bergson questo carattere di
utilità (che però è uegato da alcuni biologi, che citano esempi di istinti
inutili © addirittura nocivi) consiste nell’ uso degli organi, laddove il
carattere della intelligenza sta nella capacità di fabbricare degli stromenti
artificiali: 7’ istinto compiuto è una fa 639
Ist coltà di utilizzare e anche di costruire degli atromenti
organizzati, l'intelligenza compiuta è la facoltà di fabbricare e impiegare
degli stromenti inorganici. Il carattere meccanico dell'istinto è apparso così
prevalente, che per lungo tempo è prevalso il concetto, elevato a legge, che I’
istinto fosse in ragione inversa dell’ intelligenza; oggi però la maggior parte
dei psicologi e dei naturalisti conviene col Romanes nel respingere codesta
legge, e nell’ ammettere invece che V istinto s’ accompagna a quel grado d’
intelligenza che procede per singoli casi, e che è in continua cooperazione con
la scelta naturale © col meccanismo. L’ atto istintivo si distingue dal
riflesso, perchè mentre questo è puramente fisiologico e riguarda solitamente
un solo organo, quello ha anche un fattore psichico, ciod il sentimento, e
implica l’impiego di più organi; si distingue dal volontario perchè è d’
ordinario uniforme e non snppone la netta rappresentazione del fino; si
distingue infine dall’ abitudine perchd questa è acquisita quello è innato.
Tuttavia è indubitabile che 1’ istinto, oltre che fatto ereditario, è anche
fatto d’ acquisizione, nd si potrebbe comprenderne l’origine ammettendo la sola
trasmissione ereditaria: infatti l'eredità non crea, ma soltanto conserva ciò
che già esisto; 1’ eredità soffre numerose eccezioni, mentre l’ istinto non ne
soffre alcuna; l'eredità trasmette anche le tendenze nocive, mentre l’istinto è
sempre utile. Dol resto, che l’istinto possa ossere acquisito è dimostrato,
oltrechè dalle modificazioni che esso subisce per gli adattamenti locali, anche
dall’ efficacia dell’ addomesticamento, che può deprimero o distruggere istinti
esistenti ο crearne di nuovi. Ora, i principali fattori che concorrono a
formare l’istinto sarebbero: l'imitazione, l'adattamento, l’intelligenza e
l’esperienza individuale, intesa, quest’ ultima, come qualche cosa di più
semplice dell’ esperienza riflessa e pienamente cosciente, che è propria
soltanto dei vertebrati superiori © dell’uomo. Cfr. Reid, On the intell. powers of man, 1785,
MI, 2; Kant, Anthropologie, 1872, I, $ 78; Bain, Menta? Isı-Ira 640
and moral science, 1884, p. 68; Spencer, Prino. of psychology, 1881, I,
p. 482 segg.; Romanes, L’évol. ment. chez los animauz, cap. XII; Bastian, The
brain as an organ of mind, 1884, p. 227 ; Bergson, L’évol. ordatrice, 1912,
cap. IL: G. Bohn, La nouvelle
peychol. animale, 1911; T. Wasmann, Istinto e intelligenza nel regno animale,
trad. it. 1908; F. Mi sci, La formazione naturale del? intinto, Atti della R.
Acc. di Napoli », 1898. Istologia. T. Hystologie; I. Hystology; F. Hystologie.
L’anatomia microscopica, che studia gli organi del corpo umano nei loro
elementi componenti e stabilisce i rapporti dei vari tessuti (hista ο tela). L’
istologia moderna si fonda sulla teoria cellulare, per la quale sia nell’ uomo
che nell’animale, sia nell’ organismo sano che nell’ammalato, tutti i tessuti
si compongono degli stessi elementi morfologici microscopici, le cellule, le
quali nascono tutte per una divisione ripetuta spesse volte, da una cellula
unica, semplice, dalla cellula stipite o dalla cellula ovo fecondata (v.
cellula, cellulari teorie, vita, generazione). Istorismo. O storicismo. T.
Historiemus; F. Historisme. Scuola filosofica ο suciologica, che gli
avvenimenti della storia, il diritto, i costumi, le azioni umane, le diverse
dottrine, vuole siano giudicate non nel loro valore intrinseco, ma nel loro
clima storico, vale a dire in rapporto all’ ambiente sociale, di cui esse sono
il prodotto. In questo senso l’istorisno si oppone al razionalismo; ma essendo
talvolta usato anche a indicare la concezione hegeliana, per cui l’accadere è
un processo essenzialmente storico spirituale, si oppone a naturalismo. Cfr. Andler, Les origines
du socialisme d’État en Allemagne, 1. I, c. I, $ 2-4 (v. eatetiomo, storicità).
Italica (scuola). Talvolta si
chiama così la scuola pitagorica perchè fiorì nella Magna Grecia, e
specialmente a Crotone, colonia dorico-achea. 641
Lav-LecL Lavoro. T. Arbeit; I. Work; F. Travail. In senso generale è
ogni attività legata ad uno sforzo ο diretta ad uno scopo utile, oggettivo o
soggettivo; in senso meccanico il prodotto di una forza costante per il cammino
che percorre il suo punto d’applicazione nella direzione di quosta forza.
Dicesi lavoro elementare il prodotto di questa forza per il cammino che
percorre il suo punto d’applicazione e per il coseno dell’angolo che la
direzione della forza fa con la direzione del cammino. Dicesi lavoro virtuale
il lavoro elementare d’una forza in un movimento virtuale ο ipotetico; il
principio del lavoro virtuale, usato nella statica e già intravvisto da
Galileo, consiste in ciò, che quando un sistema di pnnti materiali è in equilibrio,
se gli si imprime un movimento virtuale compatibile con i legami stabiliti tra
i suoi differenti punti, la somma algobrica dei lavori virtuali di tutte le
forzo al quale è sottomesso è uguale a zero. Diconsiipotesidi lavoro o idee di
lavoro (working ideas) quelle ipotesi e quei concetti scientifici, che non
rappresentano la vera natura delle cose, non corrispondono a nulla di reale, ma
hanno il semplice valore di finzioni utili, di simboli artificialmente
costruiti per agire sulla realtà; secondo alconi indirizzi filosofici
contemporanei, tutte le leggi scientifiche e persino le categorie intellettuali
(causalità, sostanza, forza, spazio, tempo, ecc.) non sarebbero che ipotesi di
lavoro. Cfr. Bradley, Appearance and reality, 1893, p. 284 (v. economica
concezione, empirioeriticiemo, ipotesi). Legalità. T. Gesetzlichkeit,
Genetemässigkeit; I. Legality; F. Légalité. In senso generale, conformità alle
leggi positive. Per rapporto alla legge morale, Kant distingue In legalità
dalla moralità: questa è la conformità soggettiva ο volontaria dell’atto con la
legge morale, quella la con41 Rawzout,
Dirion. di scienze filosofiche, Lea
642 formità oggettiva dell’ atto
alla legge stessa, in quanto cioè l’atto compiuto è quale appunto doveva
compiersi. Può dunque aversi nello azioni la moralità senza la legalità ο
viceversa: si ha il primo caso quando in buona fede si fa ciò che essa
proibisce di fare, il secondo quando si fa ciò che la legge comanda per un
motivo diverso che l’obbedienza dovuta alla legge. Cfr. Kant, Krit. d. pr.
Vernunft, D 126 segg.; Id.,The monist, gennaio 1910. Legge. Gr. Nönog; Lat.
Lez; T. Gesetz; I. Law; F. Loi. Il
concetto di legge ha subito molte variazioni nella storia del pensiero umano,
le quali tutte permangono como gnificazioni diverse dello stesso vocabolo. Agli
albori della speculazione filosofica, la leggo era considerata come un comando
impartito ai fatti naturali da virtà divine occulte © dirpotiche; poscia
prevalse il concetto etico-giuridico, per cui si considerarono le leggi
naturali come norme impartito ai fatti da una volontà sovrannaturale, alla
stessa guisa che il legislatore impone ai cittadini, con regola immutabile, i
propri voleri. Con gli stoici, l’idea di legge è trasportata per la prima volta
dai fatti morali si naturali, con la scuola epicurea essa cominciò a
considerarsi come la manifestazione spontanen della realtà intima dei fenomeni.
Ma il concetto naturale di legge nel senso moderno non comincia che verso il
seicento; allora per loggo #' intese il rapporto costante fra termini, che sono
rispettivamente condizionati e condizionanti. Ai nostri giorni la nozione di
legge ha assunto una generalità anche maggiore, ο significa uniformità di
rapporto, o anche solo di posizione, tra più cose, fatti, proprietà. La logge
non è altro, per la acienza modorna, che la concordanza dei fatti in una
medesima condizione, vale a diro il fatto stesso portato allasuamassima
goneralitä. Così l’Ardigò definisce la logge ;
648 Lee il De Greef il rapporto
necessario esistente fra ogni fenomeno e le condizioni nelle quali esso
apparisce >; il Vignoli «l’ invariabilità nell’ evoluzione © molteplicità
dei fenomeni », eoo. Però non tutti i filosofi concordano nel dare alle leggi
naturali un valore rappresentativo della realtà; secondo alcuni indirizzi
filosofici contemporanei (contingentismo, empiriooriticiemo, prammatiemo, ecc.)
esse sarebbero delle semplici ipotesi, dello idee di lavoro, senza alcuna
correlazione con una realtà per sò stante e costruite solo per ordinare în modo
semplice ed economico le esperienze © per servire si bisogni dell’azione. Si
sogliono distinguere: leggi etico-giuridicho, naturali, matematiche e storiche.
Le prime non sono causali come le leggi naturali, ma riguardano un’ azione
possibile © sopportano la contraddizione; le leggi matematiche non sono causali
ο quindi non soffrono eccezioni; le leggi storiche sono causali come le
naturali (per chi considera la storia come scienza), ma assai più complesso e
meno precise per il maggior intreccio © la maggior dipendenza dei fatti storici
tra di loro. Secondo alcuni pensatori, le leggi sociali, che appartengono al
gruppo delle leggi storiche, non sarebbero assolute, fisse ο immutabili come le
leggi fisiche, ma soltanto empiriche, di tendenza © di gruppo ; empiriche perchè
non fondate su un numero sufficiente di fatti; di tendenza perchè esprimono
soltanto la direzione generale delle forze socinli, sonza poter affermare se la
loro direzione perdurerà ο inuterà, ο in qual modo muterà; di gruppo perch?
possono essero appliente soltanto a masse o aggregati di individui. Cfr. Kant,
Krit d. pr. Vernunft, 1. I, ch. I, § 1; Wundt, Logik, 33 ed., 1. II, p. 22; E.
Boirac, L'idée de phénomène, 1894, p. 198 s0gg. ; L. Weber, Sur diverses
acoeptions du mot loi, in Revue philosophique, maggio ο giugno 1894; A. Pagano,
Vicende del termine e del concetto di legge nella filosofia naturale, Riv.
filosofica», sett. 1905 (v. diritto, determinismo, empiriocriticiemo, ipotesi.
Lem-Lis 644 Lemma. Gr. Λῆμμα = proposizione; T. Lehnsats,
Hüdfssate; I. Lemma; F. Lemme. Proposizione che si ammette come dimostrata in
quanto serve a preparare la dimostrazione di un'altra proposizione, che bisogna
provare e con la quale tuttavia non ha alcun rapporto diretto. Quest’uso della
parola sembra risalire a Euclide; mu già Aristotele Vadoperava per indicare le
premesse del sillogismo, τὰ AFppara τοῦ συλλογισμοῦ. Oggi si usa anche ad
indicare una proposizione press a prestito da un’altra scienza o da un’altra
parte dello stesso sistema, dove ha la propria dimostrazione. Cfr. Aristotele,
Top., VIII, 1, 156 b, 21; Fries, System der Logik, 8 Auf. 1837, p. 294 (v. dilemma,
dimostrazione). Letargia. Gr. Ληθαργία, da λήθη = oblio, ἁργία inazione; T.
Lethargie, Schlafeucht; I. Lethargy, Trance; F. Léthargie. Una delle fasi del
sonno ipnotico, la seconda stando alla teoria dol grande ipnotiemo, sostenuta
dallo Charcot ο dalla sun scuola. Lo stato letargico è caratterizzato da
ancatesin quasi generale, esagerazione dei riflessi © risoInzione muscolare
completa, cosicchè ogni più debole eccitazione meccanica determina la
contrazione (v. ipnotiemo, catalessia, sonnambuliemo, suggestione, 900.).
Levirato. Mac Lennan chiama così quel sistema di matrimonio praticato dalle
antiche tribù a famiglia poliandrica esogamica, secondo il quale un uomo doveva
sposare In vedova del suo fratello morto senza prole, per assicurargli una posterità.
Il levirnto segna un passo notevole nell'evoluzione della famiglia, in quanto
un gruppo di uomini prima nomici © poi succossivamente tra loro fratelli,
coabitano con uno stessa donna, stringendosi al patto prima detto. Cfr. Mac
Lennan, Studies in ancient history. 1878 (v. esogamia, endogamia, matriarcato,
famiglia, cco.). Liberalismo. T. Liberalismus; I. Liberalism; F. Liberalisme.
In senso politico-roligioso è la dottrina compendiata nella nota formula
cavonriana «libera Chiesa in libero
645 Lis Stato ». In senso
strettamente politico, la dottrina secondo la quale ai cittadini dev'essere
garantita libertà di pensiero e di parola, sicurezza da ogni arbitrio
governativo; il che significa che il potere legislativo e giudiziario debbono
essere indipendenti quanto è possibile dall’esecutivo. In senso economico, la
dottrina che sostiene non dover lo Stuto intervenire nelle relazioni economiche
tra cittadini, grappi sociali, nazioni (mediante premi, dazi protettivi, ecc.),
le sue funzioni non essendo nd industriali nd commerciali. Cfr. Royce, Psiohol.
Rev., V, 1898, 188; © una serie di art. di vari autori in Reo. de metaph. et de
morale, 1892-1893. Libero
arbitrio. Lat. Liberum arbitrium indifferentia ; T. Willenafretheit; I.
Freewill; F. "Libre arbitro. La
libertà del volere, ossia la possibilità conoreta che l’uomo posscderebbe di
determinarsi in modi svariatissimi ο indifferentemente, vale a dire senza
legami con la necessaria azione delle cause determinanti. In altre parole,
libero arbitrio vuol dire che la decisiono tra duo possibilità opposte
appartiene esclusivamente alla volontà dell'individuo, senza che per nulla
possano influire su tale docisione la pressiono multiforme ο continua
dell'ambiente esteriore © la lotta interna dei diversi motivi e mobili.
Arditrium, dice Pietro Lombardo, quia sino coatione et necessitate valet
appetere vel eligero, quod ex rations decreverit. È Malobrancho : la puissanoe do
vouloir ou de ne pas rouloir, ou bien de voulvir le contraire. E Bossuet: plus
je recherche en moi-mémo la raison qui me détermine, plus je sens quo je n’en
ai auoune autre que ma soule volonté; je sens par là clairement ma liberté, qui
consinte uniquement dans un tel choiz. Libero arbitrio significa adunquo spontaneità, assenza di causalità ;
ogni dottrina che ammette nell’ uomo il libero arbitrio dicesi indeterminiemo,
contingentismo, 0 libertiemo. Anche i deterministi ammettono lu libertà del
volere, ma semplicemento come una possibilità astratta: infatti essendo In
libertà la possibilità di coordinaro i mezzi al compimento del fine, ed essendo
la Lis 646 volontà non altro che la possibilità di una
simile coordinazione cosciente, è chiaro che senza libertà non ο) ὃ nemmeno volontà
non essendoci possibilità di coordinazione. Ma tale possibilità è puramente
astratta, perchè nel caso conereto una data decisiono è l’effetto necessario di
determinati motivi: astrattamente io posso ora scrivere e non sorivere, ma in
realtà perchè smetta di scrivere occorre si verifichino quelle condizioni che
non si verificano mentre scrivo. Oltre la maniera tradizionale di intendere il
libero arbitrio ciod quale assoluta spontaneità, quale
libertà@indifferenza,quale eocezione del principio di causalità ve n’ha una più
moderna che lo intende come autonomia della ragione, dalla quale la volontà
dipende. Per Kant l'autonomia è la volontà che, indipendentemento da ogni
mobile, si determina da sò stessa ad agire, cioò in virtà della sola forma
univeraalo della legge morale, fuori da ogni motivo sensibile; come la nostra
conoscenza si regge sopra condizioni @ priori, così anche la nostra condotta
morale deve dipendere dalla volontà morale © dalla sua legge morale; quindi
drückt das moralische Gesetz nicht anderes aus ala die Autonomie der reinen
praktischen Vernunft, d. i. der Freiheit, ossia la legge morale non esprime che
l'autonomia della ragion pura pratica, vale a diro In libertà; l'autonomia del
volero è quella proprictà del voloro, por cui osso è una logge a sè modesimo
(indipondento da ogni propriotà dell’ oggetto del volere) ». Il principio
dell’autonomia è dunque: scegliere in modo, che le massime della propria scelta
siano nollo stesso tempo comprese nel volere medesimo conic legge nnivorsale.
Secondo l’Ardigò ogni attività specitica è un'autonomia in quanto è la trasformazione
della forza esteriore, dovuta alla proprietà di cui ogni essere è dotato, cioè
alla costituzione naturale dell’ essere stesso: è un’ autonomia perchè la forza
esteriorehadovutotrasformarsi secondo la proprietà dell’ essere, il quale per
tal modo trova in sè 647 118 stesso la ragione e la possibilità di
operare. L’autonomia del vegetale è la vita, del bruto è la priche, dell’uomo è
l’idea, che è l’autonomia massima, perchè è la formazione naturale più
complessa, che si sovrappone, in quanto tale, alle formazioni inferiori,
dominandole, e rappresenta la maggiore specializzazione ο indeterminatezzs di
azioni. L'autonomia è dunque libero arbitrio, pur non negando la legge universale
della causalità: è arbitrio, in quanto è la forma speciale di attività, che ha
in sò stessa la ragione di essere e domina le sottoposte, è libertà perchè non
è la possibilità unica della eteronomis, ma è un numero svariatissimo di
possibilità. Per il Bergson, invece, la libertà è lo stesso potere onde il
fondo individunlo ο inesprimibile dell’ essere si manifesta © si crea nei
propri atti, potere di oui noi abbiamo coscienza come d’una realtà
immedintamente sentita, © che caratterizza un ordine di fatti in cui i concetti
doll’ intelligenza, in special modo l’idea di determinazione, pordono ogni
significato: si chiama libertà il rapporto dell’ io concreto con l'atto che
osso compie. Questo rapporto à indefinibile, precisamente perchè noi siamo
liberi: si analizza infatti una cosa, ma non un progresso; si decompone
l'estensione, ma non la durata... Per ciò ogni definizione della libertà darà
ragione al doterminismo ». Cfr. P. Lombardo, Opera omnia, 1855, t. II, d. 25, 5;
Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, I, p. 1; Bossuet, Traité du libre
arbitre, 1872, e. II; Kant, Arit. d. prakt. Vorn., 1878, 1, $8, e Grundl. 2. Met. d. Sitt., 1882,
p. 67; Fonsegrive, Eseat sur le libro arbitre, sa théorie et son histoire,
1889; G. Biuso, Del libero arbitrio, 1900; Ardigò, La morale dei positivisti,
1892, p. 118 sogg.; Bergson, Essai sur les données imm. do la conscience, 1904,
p. 167 (v. determinismo, indelerminismo, libertà, epontaneità, fatalismo,
scionza media, motivi, causalità, ecc.). Libero esame. È una delle forme della
libertà di coscienza, e consiste nella facoltà di costruire da sè stesso
Lis 648
il sistema delle proprie credenze, o nello scogliere quelle tra le
credenze già costituite cho più talentano, senza che alcuna autorità le imponga
con violenza sia fisica che morale. Libertà. T. Freiheit; 1. Liberty, Freedom;
F. Liberté. Designs, in generale, l'assenza di ostacoli al compimento di un
fine: siccome poi all’ assenza di ostacoli corrisponde la possibilità di
coordinare i mezzi al fine, così per libertà si può anche intendere la
possibilità di coordinare i mezzi necessari al compimento di un fine. Quando
però à attribuita agli esseri incoscienti, non essendo quivi possibile la
concezione del fine, designa soltanto l'assenza d’ ostacoli al compimento d’una
azione: ad es. un corpo dicesi libero quando nessun ostacolo si oppone al suo
movimento. Kant chiama libertà intelligibile, 0 nowmenica, ο trascendentale,
quella che consiste in ciò, che l’esplicazione d’ogni fonomeno dato è duplice:
a) in quanto questo fenomeno appare nel tempo, si deve collegarlo a fenomeni
anteriori dai quali risulta, secondo leggi che lo determinano rigorosamente in
rapporto a questi; b) i fenomeni così collegati non essendo cose in sà ma
semplici rappresentazioni, hanno inoltre delle cause non temporali che non sono
fenomeni, © il loro rapporto a codeste cause costituisce la libertà. Riguardo
alla libertà umana si suol distinguere: 1° la libertà psicologica ο libertà
morale, che non è altro che la libertà del volere, ossia la possibilità di
determinarsi senza motivo o di scegliere liberamente fra motivi di egual forza;
2° la libertà fisica che non è se non la semplice possibilità dei movimenti del
corpo; ne è privo chi è colpito du paralisi, atassia locomotrice, acinesia,
eco.; 3° libertà personalo che è la stessa cosa della precedente, ma dipendo da
cause esteriori all’individuo; manca di essa chi è in carcero; 4° libertà
cirile cioò la possibilità di esercitare i diritti civili; 5° libertà politica
che consiste nella facoltà dei cittadini di governarsi con proprie leggi. Alla
libertà politica, 649 Lis-Lin intesa in senso largo, cioò quale
facoltà concessa come tto universale agli individui di esercitare la propria
uttività con la maggior sicurezza, appartengono: la libertà di coscienza 0 di
pensiefd, che è la libertà degli individui di manifestare le proprie opinioni,
di difenderle, propagarle criticando le contrarie, tenendosi lo Stato
assolutamente neutro, specie in materia religiosa; la Ubertà di stampa, che è
la forma più alta ο più moderna della libertà di coscienza; la Ubertd di
parola, la libertà d’ associazione, 900., che sono tutte forme della libertà di
pensiero. Cfr.
Spiποσα, Ethica, IV, 68, ο tutto il 1. V De liberiate; A. Comte, Catéohieme,
positiviste, 4e entretien; Déolaration dee droite de l'homme, 1879 art. 11;
Kant, Krit. d. prakt. Vernunft,
Kritische Beleuchtung, dal $ 7 alla fine; A. Fonillée, Liberté et determinisme,
5° ed. 1907; F. Masci, Coscienza, volontà, libertà, 1884. Libertismo. I.
Libertarianiom ; F. Libertieme. Si adopera talvolta invece di indeterminiemo,
per designare tutte quelle dottrine che ammettono la libertà del volere. Fn
usato dal Bergson per designare la categoria di dottrine di cni fa parte il suo
sistema. Cfr.
Revue de métaph. et de morale, vol. VIII, p. 661 (v. necessitiemo). Linguaggio. T. Sprache; I. Language; F.
Langage. Iu senso generale è linguaggio ogni espressione degli stati interni di
un essere vivente ad un altro, mediante sogni o movimenti. In senso più stretto
è un sistema di segni, adeguato a significare i pensieri che i membri d’una
società vogliono comunicarsi; codesti segni, essendo sempre uguali, servono
appunto a legare e rievocare gli elementi sempre diversi delle
rappresentazioni, da cui si formano le idee generali: Ciò cho la natura, dice l
Ebbinghaus, non offre all’uomo, cioò dei segni costantemente simili, congiunti
regolarmente alle percezioni per metà identiche e per metà variabili, egli l’ha
creato ricavandolo da sè stesso. L'uomo ha trovato così il mezzo per estendere
il Lin 650 pensiero astratto e condurlo al più alto
punto di perfezione imaginabile. Codesta creazione è il linguaggio ». Porò
secondo la dottrina religiosa il linguaggio non sarebbe già una creazione
dell’uomo, bensì ffn dono immediato fatto da Dio all'uomo; secondo un’altra
dottrina il linguaggio sarebbe una scoperta ο una invenzione fatta da principio
da un uomo di genio; invece per la moderna psicologia il linguaggio è un
prodotto psicologicamente necessario ed evolutivo della coscienza collettiva. I
linguaggi si distinguono in naturali © artificiali ο convenzionali: nei primi
l'associazione tra il segno e l’idea è spontanea, involontaria, tanto per colui
che significa, quanto per quello cui vien significato ; nei secondi invece
questa doppia associazione è arbitraria. Sono linguaggi naturali la mimics,
l’onomatopea, e, in genere, i segni emosionali o patognomici, che esprimono al
di fuori le emozioni dell’animo; sono artificiali tutti gli algoritmi e i
linguaggi articolati evoluti. Secondo 1 ipotosi di Darwin e Spencer, il
linguaggio convenzionale ha origine dal naturale: dapprima gli uomini si
servivano del gosto indicativo ο imitutivo, poi nd esso accompagnarono il suono
pure imitativo (onomatopea), infine, utilizzati più largamente i movimenti del
gesto e dell’ articolazione, sorso il linguaggio a forma fonetica, in oui ciascun
carattere è il segno d’un suono. La forma fonetica fu preceduta dulV
ideografica, in cui ogni carattere osprime direttamento un’ idea, o dalla
mimica cioò dal gesto. Si distinguono anche tro tipi fondamentali di linguo: le
monosillabiche composte di sillabe ciascuna delle quali rappresenta un’ idea
ustratta; lo agglutinanti composte di radici ciascuna delle quali esprime o una
idea generale o una accessoria; lo lingue a flesione composte di parole
ciascuna delle quali esprime un’ iden principale modificata da una accessoria.
Dicesi linguaggio emozionale quell'insieme di modificazioni organiche e di
movimenti istintivi, che costituiscono l’aspetto fisico delle emozioni, ο, in
quanto appaiono este 651 Lim riormente,
servono a indicare le corrispondenti emozioni, per l’esperienza che ne abbiamo.
Dicesi linguaggio interiore la successione dello imagini verbali, con cui si
suole esprimere una serie di pensieri, ma che rimangono allo stato psicologico,
senza dar luogo ai movimenti vocali, quando tali movimenti importerebbero una
perdita di tempo e di forza. Cfr. Marty, Uber den Ursprung der Sprache, 1896; H. Paul,
Prinzipien der Sprachgeschichte, 3* ed. 1898; Renan, L'origine du langage,
1858; Saint-Paul, Étude sur le langage intérieur, 1892; H. Bachs, Cerveau et
langage, 1905; Ebbinghaus, Psychologie, trad. franc. 1912; H. Piéron, La nuova concesione dell afasia, Rivista
di scienza », 1909, VI, 420 segg. (v. grammatica, emosionale, grafo-motore,
amnesia). Limitativi (giudizi). T. Beschränkonde Urthcile. Sotto il rispetto
della qualità il Kant distingue i giudizi in affermativi, negativi, e
limitativi ο indefiniti, la cui formula è: .4 è un non B. Questi giudizi hanno
il predicato negativo a differenza dei negativi che hanno la negazione nel
verbo; perciò il soggetto è pensato nell’ estensione di un concetto
indeterminato, che ha la sola determinazione negativa di essere al di fuori di
un concetto positivo e determinato. Quindi tali giudizi sono limitativi in
quanto limitano l’estonsione del predicato possibile di 4, essendo enso
predicuto posto al di fuori della estensionedi 8; ο sono indefiniti in quanto
non determinano a quale nozione, posta fuori dell'estensione di B, si riferisca
il soggetto .1. Ora, siccome l’includere una nozione nella sfera, sia pure indefinita,
degli esclusi dall’estensione di un’altra no: costituisce un atto positivo del
pensiero, così il giudizio limitativo non può confondersi col negativo. l’erò
questa dottrina fu molto combattuta e per molti logici il giudizio indefinito è
la stessa cosa del negativo. Cfr. Kant, Krit. d. rei. Vernunft, ed. Reclam,
Osservazioni sulla tavola delle forme del giudizio, $ 1. Lim-Loc * 652
Limitazione. T. Beschränkung, Limitation; I. Limitation; F. Limitation.
Una delle categorie di Kant; essa si subordina, insieme alla realtà e alla
negazione, alla categoria della qualità. Limite. T. Grenze; I. Limit; F.
Limite. Originariamente il punto, la linea o la superficie assunta a
determinare la separazione tra due porzioni di spazio; esteso poi per metafora
al tempo, all’azione, alla conoscenza, 900. Terminus sive limes est id, dice
Chr. Wolff, ultra quod nihil amplius iure conoipere licet ad candom
pertinens. Nella psicologia dicesi
limite dell? eccitamento il grado minimo d’ intensità dell’ eccitazione al
quale corrisponde l'intensità minima della modificazione di coscienza, e sotto
il quale la sensazione non ha più luogo; d’uso più comune è l’espressione
soglia della coscienza, proposto dall’ Herbart.
Nella gnoseologia dicesi limite della conoscenza, la determinazione
della sfera del conoscibile. Perciò Kant chiama il noumeno, e precisamente
quello in senso negativo, un concetto limite, in quanto, sebbene si presenti
necessariamente al nostro pensiero, tuttavia è affatto indeterminato, servendo
a limitare le nostre cognizioni entro i fenomeni: Der Begriff eines Noumenon
ist bloss cin Grenzbegriff, um die Anmassung der Sinnlichkeit einzuschränken,
und also nur von negatirem Gebrauche.
Nella matematica dicesi limite una grandezza finita a cui una grandezza
variabile può avvicinarsi indefinitamente senza poterla mai superare. Cfr.
Wolf, Philosophia prima site ontologia, 1836, $ 468; Kant, Kr. d. rei.
Vernunft, p. 235; Wundt, Physiol.-Paychol., 43 ed., I, }. 334 segg. (v. inconcepibile,
inconoscibile, subminimali). Localizzazione. Ί. Localisation ; I. Localisation
; F. Localisation. Processo psicologico con cui ci rappresentiamo lo qualità
sensibili, e quindi gli oggetti percepi occupanti nel nostro corpo, o in
rapporto ad esso, una posizione spaziale determinata. Dicesi looalizzazione nel passato il processo
psicologico mediante il quale si determina
653 Loc il tempo relativo ai
nostri ricordi. Nella logica dicesi
localizzazione o looasione quest’ operazione mentale, che consiste nel
richiamare l’idea della classe alla quale l’oggetto appartiene, o, in altre
parole, nel collocare un’ idea in una più generale in cui è compresa. È una
delle indienzioni definienti, e viene usata per quelle nozioni che in sò stesse
sono indefinibili o che non sono ancora sufficientemente conosciute per poter
essero definite. Cfr. Ribot, Maladies de la memoire, C. 1; Bain, The Senses and
the Intelleot, 8° ed., p. 415 segg. Localizzazione cerebrale. T. Corticale
Localisationen ; I. Cerebral Localisations; F. Looalisations cérébrales. Dottrina
secondo la quale le diverse attività psicologiche, sensazione, memoria,
linguaggio, ece., corrispondono al fanzionamento di centri o zone determinste
della corteocia cerebrale. Il Gall fa il primo a considerare il cervello come
un’ insieme di organi distinti, in ciascuno dei quali ha sede una determinata
facoltà; ma la sua frenologia, fondata su eriteri * cervellotici, non è più
accettata da alcuno. Tuttavia, con la scoperta fatta in seguito’ del centro
della favella nella seconda circonvoluzione frontale sinistra, e cogli
ulteriori progressi dolla fisiologia sperimentale, il concetto delle
localizzazioni cerebrali è risorto: nel senso però che, so esistono gruppi
cellulari distinti con speciali fanzioni psichiche, ciò non esclude che a un
dato fatto psichico, specio fra i più elevati, non contribuiscano più centri,
essendo il cervello un'unità, una associazione di parti sinergiche, non già nn
mosaico di piccoli cervelli. Quanto alla determinazione locale dei vari centri
psichici, essa è ancora molto incerta, ο varin a seconda degli osperimentatori.
Cfr. Broea, Sur la siège de la faculté du langage articulé, 1861; Nothnagel u.
Nauyn, Ueber die Localisation d. Gehirnkrankheit, 1887; Ferrier, The Funotions
of the Brain, 1876; Mnnk, Ueber die Functionen der Grosshirnrinde, 2* ed. 1890
(v. frenologia, grafo-motore, centro). Loe
654 Logica. Gr. λογική; T. Logik; I. Logic; F. Logique. Si può definire
come la scienza delle forme del pensiero in quanto sono ordinate alla
conoscenza; oppure come la scienza che ha per oggetto di determinare quali, tra
le operazioni mentali dirette alla conoscenza del vero, siano valido © quali
no; è dunque una scienza normativa, o precettiva, o dimostrativa. Altri la
considerano come scienza ed arte ad un tempo, o come la scienza dell’arte del
pensare; scienza in quanto fissa dei principi, arte in quanto insegna ad
applicare delle norme. Secondo alcuni la logica è scienza puramente formale,
cioè considera soltanto la forma del pensiero, il modo come gli elementi di
questo sono fra loro combinati; secondo altri è anche materiale, cioò riguarda
anche il contenuto del pensiero. Forse l’opiniono più ragionevole è quella di
coloro che nella logica riconoscono entrambi questi caratteri, inscindibili l’
uno dall'altro, e giudicano che una logion puramente formale non servirebbe
alla scienza, ο una logica puramente materiale si confonderebbe col sapere
obbiettivo, cioè con la scienza. Si suol distinguere là logica naturale, ossia
la logion spontanen che ciascun omo porta con sò, dalla logien riflessa ο
scientifica; la logica docens © la logica utens, In prima dello quali à la
scienza delle forme del ponsiero, la seconda l’arte delle forme stesse in
quanto praticata. Dicesi logica pura sia la logica formale, sin la logica
propriamento detta in quanto distinta dalla psicologia delle funzioni mentali
dirette alla conoscenza, sia, in senso kantiano, l’analisi critica dei principî
puri dell intendimento; login genetica lo studio genetico della conoscenza,
considerata come funzione psichica; logica reale il modo di ragionare in quanto
effettivamente #’asereita. Ordinarinmente la logica è distinta in duo parti: Ja
prima tratta dello forme logiche elementari, cioè del concetto, del gindizio e
del raziocinio, la seconda tratta dell’ applicazione dello forme logicho ni
fini spociali delle scienze, e costitui 655
Loe sce la metodologia. Aristotelo è considerato a buon diritto come I’
inventore della logica, la quale, tolti i metodi inventivi, è rimasta fino ai
nostri giorni quale egli la concepì ed espose nei sei libri ad essa dedicati,
che i suoi discepoli chiamarono poi Organo. Prima di lui se ne ha soltanto
qualche scarso accenno nei sofisti e nella dialettica platonica; la logica
indiana del Nyäya di Gotama, se fu anteriore ad Aristotele, non fa certo da lui
conosciuta, nè alcuna efficacia ebbe sul movimento intellettuale europeo. Dopo
di Aristotele, lo stndio della logica continuò sia nei suoi discepoli ο
continnatori, sia nelle scuolo contrario, specialmente negli stoici, che per i
primi le diedero il nome che poi ebbe sempre; nel loro sistema essa contituiva
la parto fondamentale, procedendo la fisica ο l’etica. Attraverso tutto il
mondo antico l’antorità della logica aristotelica durò immutata; e si accrebbe
ancor più durante Veta di mezzo, specialmente dopo che Alberto Magno © S.
Tommaso so no fecero commentatori, valendosi degli importanti Invori degli
Arabi. Col cadere del dispotismo aristotelico, verso la fine del sccolo XV,
anche 1’ Organo decadde. Bacone, incolpandolo di aver arrestato fino allora il
progredire della scienza, gli contrappone un Nuoro Organo, una nnova logica,
che si fonda non più sul sillogismo ma sull’induzione. Per vero, la teoria
dell’ induzione era conosciuta anche da Aristotele, che l'aveva ancora
applicata; Bacone non fece che allargarno l'applicazione e fiasarne le regole,
che più tardi furono ridotto n forma più rigorosa ο precisa dallo Stuart Mill.
Ancho la riforma del metodo propugnata da Cartesio, o seguita poscia dai suoi
fedeli discopoli di Porto Reale, non intaccava la logica aristotelien, in
quanto non facova cho aggiungervi un metodo per scopriro la verità. Ma da
allora in poi lo studio della logica decaddo: ridotta a una semplice arte, fu
confusa colla psicologia, e soltanto la chiara distinzione fatta dal Kant tra
la forma e la materia della conoscenza, valse à Loc 656
ricondurla alla primitiva purezza di scienza formale. Nel secolo XIX
molti ed importanti lavori furono pubblicati sulla logica, rimanendo pur sempre
intatto il fondo aristotelico: basterà ricordare, oltre quelli dello Stuart
Mill, del Bain, del Wundt, Ia teoria della quantificazione del predicato
dell’Hamilton, e il tentativo di applicare alla logica i metodi ο le formule
della matematica. Questo tentativo ha dato origine a un largo movimento di studi,
in virtà dei quali la logics formale, prendendo in prestito dall’algebra il
metodo e il simbolismo, si è costituita sotto la.doppia forma di calcolo delle
classi e di calcolo delle proposizioni, ritrovando tra i due rami sorprendenti
anslogie ed estendendosi in modo da divenire una logica genorale di tutte le
relazioni; e siccome i rapporti più semplici © più elementari si trovano nelle
teorie matematiche, era naturale che si applicasse ad analizzare ο verificare
il concatenamento delle proposizioni e a dimostrare gli assiomi matematici,
riducendoli a principi puramente logici. Questa parentela tra la logica 6 la
matematica, già intuita dal Leibnitz, si converte per alcuni in una vera e
propria identità originaria; tale concetto è sostenuto ad os. dal Russel, per
il quale tutte le proposizioni matematiche ai fondano su otto nozioni
indefinibili e venti principi indimostrabili, che sono anche le nozioni
primitive ο i principt della logica. Altri filosofi contemporanei vanno ancora
più in là, facendo della logica la base non solo della matematica, ma anche
dell’otica e dell'estetica, e in generale d'ogni forma di cognizione; così per
il Cohen anche nel campo della moralità ο dell’arto vi sono conoscenze pure, il
cui fondamento deve ricercarsi nel pensiero e che solo nell’ idea ritrovano la
consapevolezza di sb medesimo, die Idee dat dar Selbstbewusstsein des Begriffe.
Un nuovo indirizzo della logica, opposto, în certo senso, a quelli ora
ricordati, è rappresentato dalla logica psicologica, che allo studio astratto
del pensiero puro vuol sostitnire l’ analisi della realtà 657
Loa concreta e vivente del pensiero cho si svolge negli individui
singoli, la conoscenza della funzione conoscitiva nelle sue forme ascendenti di
sviluppo, e non solo nel momento strettamente logico o discorsivo, ma anche
nelle suo forme prelogiche. Questo concetto è sostenuto specialmente dai
prammatisti, secondo i quali la logica è stata finora una pseudoscienza di quel
processo non esistente e impossibile, che suol chiamarsi pensiero puro, in nome
del quale ci si è imposto di bandire dalla nostra mente la più piccola traccia
d'interesse, di desiderio, d’ emozione, come la più perniciosa causa d’errore;
invece non v’ ha ragionamento che non abbia origine da una interna passione
dell’animo, che non si fondi sopra una credenza più o meno sentimentale, sopra
un bisogno soggettivo. Anche per il Baldwin accanto alla logica formale ο
aristotelica, che si propone di riconoscere le leggi del ragionamento valido
partendo da alcuni presupposti psicologici, e alla logica deduttiva ©
dialettica, che cerca d’identificare il pensiero e la realtà, anzi di dedurre
uno dei due termini dal’ altro, deve sorgere una logica induttiva, psicologica,
genetica, che deve considerare il pensiero come un principio vivente, attivo
nel mondo, che compio il lavoro che è destinato a fare, © costituisce uno
sforzo nel movimento dell'universo dello cose, che la scienza © la filosofia
aspirano a conoscere >. Cfr. J, Stuart Mill, A System of Logic, 63 od. 1865;
A. Bain, Logic, Deductive and Inductive, 1870; Hamilton, Lectures on Logic,
1860; Wundt, Logik, 33 ed. 1893-1895; Prantl, Geschichte der Logik im
Abendlande, 1855-1870; Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1862; Rosmini,
Logica, 1853 ; Galluppi, Lezioni di logica e metafisica, 1854; Masci, Logica,
1899; Liard, Les logiciens anglais contemporains, 1878; Dewey, Logioal
conditions, 1903; Baldwin, Thought and thing, vol. I, 1906; Russel, The
principles of mathematics, vol. I, 1903; B. Croce, Logica come acienza del
concetto puro, 1909 ; P. Harmant et A. Van de Waele, Les principales théories
de la 42 RanzoLı, Dizion. di scienze
filosofiche. Loa 658 Logique contemporaine, 1909 (v. oanonéoa,
geometria, logistica, dialettica). Logicismo. T. Logieismus; I. Logioism; F.
Logioieme. Dottrina che fa della logica il principio ο il fondamento @ ogni
filosofia; tale sarebbe, ad esempio, la dottrina del Cohen, per il quale la
logica è la base non solo della matematica, ma anche della morale,
dell'estetica ο di tutte la filosofia, perchè il pensiero puro è l’attività
generatrice @ ogni processo reale 6 d’ ogni suo fondamento. Però è termine
d’uso raro ed equivoco; 8’ applica talvolta, impropria» mente, al sistema
hegeliano. Non è da confondere con logiamo, vocabolo col quale ο) indica ogni
pensabile, in quanto promuove l’attività raziocinativa, deliberativa, riflessa
delV individuo: Un fenomeno psichico, dice l’Ardigò, è un eatema o un conscio
sotto un riguardo ; è un’ idea ο un tipo sotto un altro; od è un logiomo o una
cogitazione energetica sotto un altro ». Cfr. Cohen, Syst. d. Philosophie,
1902, I, p. 37 segg.; Ardigò, Estoma, idea, logismo, Riv. di filosofia »,
maggio 1911 (v. panlogiemo). Logico. T. Logisch; I. Logioal; F. Logique.
Qualcho volta si oppone a pricologico 9 a gnoseologioo, per indicare il
pensiero in quanto non lo si considera in sò stesso, come un'attività dello
spirito (psicologico) nd in rapporto all'oggetto (gnoseologico), ma come mezzo
delle conoscenze modiate, che condnco alla verità o all’ errore a seconda che è
adoperato bene o male. Si oppone anche a morale: In certenza logica è quella
che si fonda sopra dei ragionamenti dednttivi, la certerza morale invece quella
che non può essore dimostrata, fondandosi sul sentimento dell’ individno. In
generale dicesi logico tutto ciò che è conforme alle esigenre dolla ragione.
Logistica. T. Logistik; I. Logistic; F. Logistique. Nome proposto al Congresso
di filosofia di Ginevra, 1904, da Itelson, Lalande e Couturat, per indicare la
logica simbolica, Ὁ matematica, 0 algoritmica. Cfr. L. Conturat, Compte
rondu 659 Loe du deuxieme Congrès de philosophie, Revue
de métaph. et de moral », 1904, p. 1042. Logorrea (λόγος == discorso, péw = scorro). È un fenomeno che si avvera
in varie malattie mentali o consiste in una fuga di parole, determinata da
questi tre fatti: 1° incapacità del malato di tener ferma la propria attenzione
sopra le singole immagini; 2° seguirsi di idee associate tra loro soltanto da
rapporti esterni; 3° eccessiva facilità con cui queste idee si traducono nell’
espressione verbale. La logorrea non è da confondere con la logoclonia, che
indica quel disturbo del linguaggio, che si osserva nella paralisi progressiva,
e consiste nella frequente ripetisione di parole come da una serie di movimenti
clonici degli organi della favells. Cfr. E. Kraepelin, Trattato di psichiaria,
trad. it., p. 158 segg. (v. ideorrea). Logos. Gr. Λόγος; T. Logos; I. Logos; F.
Logos. Significa, in greco, parola
e discorso; ora, siccome la parola è la. rivelazione del pensiero, e il
pensiero stesso è, come dice Platone, il discorso che la mente fa con sè
intorno alle coso che considera, così lo stesso termine passò a significare
l'intelligenza, la ragione: quod graece λόγος dicitur osserva S. Agostino -latine et rationem et
rerbum significat ». Eraclito chiama λόγος la ragione cosmica, in virtà della
quale tutto accade ο alla quale ogni cosa à sottomessa. Aristotele intende per
λόγος sia il concetto sia la ragione, e distinguo l’é£w dal ἔσω λόγος, che è
nel“l’anima; l'2pSòc λόγος è poi la retta ragione, il giusto senso morale.
Platone distingue nell’ anima umana tre parti: la ragione o Logos, che è la
signoreggiante ed abita nel capo; l’animo ο θυμός (l’animus dei latini) che ha
sede nel petto; infine la parte appetitiva, o ἀπιθυμία, che ha sede nella
regione addominale. Per gli Stoici il Logos è ad un tempo il principio attivo
intrinsecato nel mondo, Dio, e il fuoco artefice: esso raduna le ragioni
individuali © le ragioni seminali, perciò è Logos comune 9 Logos sperLor-Lum 660
matico. In Filone il concetto del Logos non è ben definito, essendo ora
una funzione di Dio, ora un’ ipostasi ; esso è Logos inarticolato in quanto
racchiude le potenze di Dio, Logos articolato in quanto manifestazione
particolare del mondo delle idee. Per Plotino, infine, il Logos è l’immediata
produzione dell’ Uno, l'intelligenza che rappresenta l’immagine o la parola di
Dio, Col cristianesimo il Logos diventa l’eterno figlio di Dio, in cui la
sapienza e il potere di Dio sono manifestati, e che s'incarna nella persona del
Gesù storico. Hegel chiama Logos il concetto, la cosa esistente in sè © per sè,
la ragione di ciò cho è: diean und für sich seiende Sache, die Vernunft dessen,
was ist. Cfr. Heinze, Die Lehre vom Logos in d. griech. Philos., 1872;
Eraclito, Fram. 2; Aristotele, Anal. post., I, 10, 76 ὃ, 24; Stein, Die
Psychologie d. Stoa, 1886-1888, t. I, 49 segg.: Harnach, Dogmengeschiohte, 3°
ed. 1894, I, 488, 491 segg. (v. omanatiemo, demiurgo, noo). Lotta per la vita.
Con tale espressione (struggle for life) il Darwin designava la concorrenza per
le condizioni necessarie d’esistenza, che si verifica tanto tra gli animali
come tra i vegetali, e che, determinando la selezione naturale, è fattore
essenziale dell'evoluzione tanto in un regno che nell’ altro. Infatti in codesta
lotta per l’esistenza soccombono i meno adatti, i quali perciò muoiono senza
lasciare discendenti, mentre vincono, sopravvivono ο si riproducono i più
adatti: ne sortiranno quindi delle generazioni che recheranno, sempre più
rafforzati per l’eredità, quei caratteri per cui i loro antenati riportarono la
vittoria sui loro competitori. Darwin, On the origin of Species by means of
natural Selection, 1859; De Lanesson, La lutte pour l’ezistence et l’évolution
des sociétés, 1903 (v. adattamento, selezione, variabilità, darwinismo, ecc.). Lume naturale. Lat. Lumen
naturale; T. Natürliches Licht; I. Natural light; F. Lumière naturelle. Sinonimo di ragione, in quanto insieme di
verità evidenti per sò stesse ; 661 Luo si oppone al lumen gratia, che ha origine
dalla rivelazione largita da Dio agli nomini; quella è detta anche lumen
inferins, quosta lumen superius. L'espressione è di largo uso presso gli
sorittori cristiani dei primi secoli, e rimase poi sempre, sia nel linguaggio
teologico che in quello filosofico. Così Cartesio chiama lumen naturale la
capacità di aver ideo chiare ed evidenti delle verità teoretiche, anche
indipendentemente dall’osperienza. Fénelon: cette lumière ait, que les objecte sont vrais;
il ne faut point la chercher au dehors de soi: chacun la troure en soi-même.
Leibnitz: pour revenir au vérités neossaires, il cat généralement vrai, quo
nous ne le connoissone que par cette lumière naturelle, ot nullement par les
expériences des sons. Cfr. Β. Agostino, De baptismo
parv., I, 25; Cartesio, Medit., III; Fénelon, De Vexistence ot des attribute de
Dieu, 1861, p. 152 segg.; Leibnitz, Nouveau essais, 1704. Luoghi comuni. Gr. Τόποι: Lat. Loot communes; T. Gemeinplätze; I.
Commonplace topics; F. Lieux commune. Nella logioa si designano con questo nome i titoli generali sotto cui
possono essere riportati i differenti modi d’argomentazione che si usano nelle
discussioni. L’ espressione di luogo comune è propria dei latini (loci
communes) ; con essa infatti Cornificio tradusse per la prima volta, secondo V
Encken, la parola topica che Aristotele aveva adoperato per intitolare un suo
libro, nel quale sono appunto indicati i Inoghi ove si trovano gli argomenti,
che si adoperano nella ricerca non del vero, ma del verosimile. I luoghi comuni
onumerati da Aristotele, ciod la definizione, il genere, il particolare, 1’
accidente, eco., furono poi detti intrinsoci, ai quali si aggiunsero gli
estrinseci, cioè le leggi, i titoli, il giuramento, la testimonianza, eco. Cfr. Logique do
Port-Royal, parte 93, cap. XVII; R. Eucken, Gesohichte d. philosophisoen
Terminologie, 1879, p. 51. Luogo.
Gr. Τόπος! T. Ort; I. Place; F. Liew. Indica in generale In situazione, il
posto occupato dai corpi; si Luo-Mac
662 distingue quindi dallo spazio
e dall’estensione. Per gli atomisti invece, luogo è sinonimo di vuoto ο di
spazio, essendo da essi lo spazio concepito come un reale, al pari della
materia, ciod il puro luogo, l'estensione pura. Cartesio distingue il luogo
esteriore dal luogo interiore: questo è lo spazio occupato da un corpo, vale a
dire il corpo stesso in quanto ha per attributo l’estensione, quello è la
semplice situazione di tale spazio, determinata dallo relazioni che ha con gli
altri corpi. Cfr. Cartesio, Principes de la philosophie, II, 14 (v. estensione, inane). M M. Nolla notaziono usuale dei sillogismi
designa il tormine medio. Nei versi mnemonici i cui termini designano i modi
validi delle quattro figure del sillogismo, è adoperata per designare che la
ridnzione d’un modo delle tre ultime figure ad uno della prima, deve essere
fatta medinnte la metatesi delle promesso. Ad es. il modo inCalemes della
quarta figura deve in tal guisa essere ridotto al modo in Celarent della prima
(v. sillogismo, modo, premessa, termini, conversione). Macrocosmo.Gr. paxpò; =
grande, κόσμος = universo ; T. Macrocosmus; I. Maorocosm ; F. Macrocosme.
Questa parola si trova da principio nei medici greci e fu popolarizzata in
Occidente da Boezio, secondo 1’ Eucken. Si usa solitamente per designare 1’
universo, in corrispondenza al microcosmo, che è }’ essere individuale, il
quale considerato isolatamento presenta un tutto sistematico, come un colo
universo. Il concetto della corrispondenza tra V individuo ο il tutto trovasi
già in Platone, in Aristotele, negli Stoici, poi in Boezio, Cusano, G. Bruno,
Leibnitz. Così per Bruno, non solo l’uomo ma ogni monade o sostanza individuale
è una manifestazione immediata dello vita infinita: l’universo ha in ed tutto
l'essere ο tutti i modi di ca 663 Mac
sere;... ed ogni cosa dell’ universo comprende in suo modo tutta l'anima del
mondo, la quale è tutta in qualsivoglia parte di quello. Ugualmente per
Leibnitz ogni monade individuale riflette in sò come uno specchio tutto }
universo, Cfr. Stein, Die Psyohol. d. Stoa, 1886-1888, I, 207, 441; G. Bruno,
De la causa, principio e uno, in Dialoghi metafisici, 1907, p. 242, 244;
Leibnitz, La monadologia, 1714. Maggiore. T. Oberiegrif, Maior; I. Major term;
F. Majeur. Nel sillogismo dicesi maggiore il termine che ha l'estensione
maggiore, © maggiore la premessa che contiene, come soggetto o come predicato,
il termine maggiore. Nei sillogismi ipotetici o disgiuntivi la maggiore è
quella delle due premesse cho contiene l'ipotesi o la diagiunzione. Nella
conclusione il termine maggiore fü sempro da predicato (v. termini). T. Magie;
I. Magic; F. Magie. Nollo religioni primitive è un insieme di pratiche
(incanti), che conferiscono ad un individuo o ad un gruppo di individui il
potere eccezionale di operare miracoli e prodigi, sia nell’ interesse dell’
individuo sia in quello della comunità. Secondo una dottrina ormai caduta, la
religione sarebbe derivata dalla magia e non ne rappresenterebbe che una specio
; secondo un concetto più scientifico, i riti magici non sono che una
degenerazione dei riti roligiosi, operatasi, in virtù di cause particolari,
solo in alcuni popoli orientali. Nel Rinascimento la magia assunse carattere di
dottrina filosofica e religiosa, e si diffuso nel mondo occidentale specie por
opora di Cornelio Agrippa; essa era un insieme di principi o di norme pratiche
tendenti a sviscerare o dominare lo forze divine che si occultano nella natura.
Si distingueva in: elementare, cho scrutava lo forze occulto degli elementi
corporci ; celeste, che ricorcava l’ influsso dello stello; dirina, cho si
valeva della fede e delle cerimonie religiose. Alla prima ricerca era di
sussidio l’ alchimia, alla seconda l'astrologia, alla terza la tenrgia. Magia
naturale dosignò per lungo . MAG-Mar
664 tempo la fisica sperimentale;
Bacone indicava con tale espressione delle operazioni che dipendono dalla
conoscenza della causa formale, in opposizione a quelle che non richiedono che
la conoscenza d’ una causa efficiente, mentro il meccanismo intimo del fenomeno
da produrre resta οὐculto, Cfr. M. del Rio, Disquisitionee magice, 1599, 1. I,
cap. 2; Porta, Magia naturalis, 1558; Bacone, De dignitate οἱ augmentis
scientiarum, 1829, 1. III, ο. 5; Frazer, The Golden Bough, 2*
ed. vol. I, p. 62 segg., 220 segg.; C. Fossoy, La magie assyrienne, 1902; A.
Lang, Magic and religion, 1901; Hubert et Mauss, Faquisse d’une théorie
générale de la Magie, Année sociologique, VII, 1902-1903. Magnetismo animale. T. Thierischer magnetismus; I.
Animal magnetism ; F. Magnetismo animal. Fluido che si credeva emanare dal
sistema nervoso di certe persone, e inediante il quale si cercavano spiegare i
fenomeni detti oggi di ipnotismo, di suggestiono © di telepatia. Ἡ nome ο
l’idea di questo fluido, causa pretesa dell’ azione del pensiero a distanza, fu
tolta per analogia del fluido magnetico, cui si attribuiva l’azione a distanza
dei corpi elottrizzati. Cfr. Sallis, Der thierischo Magnetismus, 1887.
Maieutica. Gr. Μαιευτική; T. Maieutik; I. Maieutios ; F. Maieutique. Nelle sue
conversazioni filosofiche, Socrate usava due metodi o procossi: quello negativo
dell’ ironia © quello positivo della maieutica, detta poi anche ostetricia.
Dopo aver distrutto, col primo, le ragioni degli avversari, o averli convinti della
loro ignoranza, egli li conduceva, per mezzo di opportune interrogazioni, a
scoprire i vori che tenevano nascosti nelle profondità dello stesso loro
spirito, li aiutava, insomma, a partorire (yatebopat) quelle idee che
esistevano latenti in loro medesimi. Perciò l’ arto di Socrate non è di
infondere in altri le idee proprie, ma di risvegliare nogli altri le loro
stesse idee; |’ arte sua 80miglia dunque a quella di sua madre, la levatrice
Fenarote, anzi è senz'altro un’ arte di lovatrice. Come le le 665 Mar vatrici aiutano a partorire le donne,
dice Platono nel Teeteto, così egli gli uomini, con questa differenza però che
egli non fa da levatrice ai loro corpi, ma alle loro anime partorienti ». E ciò
prova come Socrate non avesse dottrine filosofiche determinate, che potesse ϱ
volesse comunicare come maestro; aveva invoce vivissimo il sentimento della
necessità del sapere, e questo voleva formaro ad ogni costo, facendo per ciò
assegnamento sopra la suaabilità dialettica e sulla spoutaneità naturale, sulla
primigenia attività dello spirito umano, che appunto con quella sua abilità si
proponeva di secondare e di svolgere. Cfr. Platone, Teeteto, VI, 148 E segg.;
Senofonte, Memor., IV, 4, 5-52; G. Zuccante, Intorno al principio informatore ο
al metodo della filosofia di Socrate, Riv. di fil. ο scienzo af. », fobbraio
1902 (v. agonistica, eristioa, endeictioa, elenotica). Male. T. Uebel, Böse; I.
Evil, Wrong; F. Mal. In senso genorico è tutto ciò che è oggetto di biasimo o
di disapprovazione, tuttociò a cui la volontà ha diritto di opporsi per
reprimerlo o modificarlo. In senso astratto, o metafisico, il male non è che
una negazione, una imperfezione, una mancanza, 1’ opposto cioò del bene che è
la perfezione, l'accordo tra il fine degli esseri e il loro sviluppo. Così per
Plotino il male non è per sò stesso qualche cosa di esistente positivamente, ma
è l'assenza del bene, il non essere; il non essere a sua volta è la materia
priva di proprietà, lo spazio vuoto e oscuro. Anche per S. Agostino solo il
bene ha una esistenza reale nel mondo, e il male nelle creature è una caduta,
una mancanza, una privazione del bene; dottrina accettata poi da S. Tommaso,
che considera il malo come la perdita di quel beno che un essere dovrebbe
possedere, remotio boni privative aocepta malum dicitur, out privatio visue
cavitas dicitur. Furono distinte due specie di mali: il male fisico, cioè il
dolore, derivante sia da una alterazione del corpo, sia dai bisogni non
soddisfatti della intelligenza e dell’affettività, ο il male moMax il 666
rale, che fa inteso in vari modi, o come trasgressione volontaria della
legge prescritta dalla coscienza, o come il demerito, cioè il diritto al
castigo come conseguenza dell’azione immorale compiuta, ο come l’ abbassamento
della dignità individuale in seguito all’azione stessa, Nelle religioni
dualistiche il male è concepito come un principio necessario, eterno ed
assoluto come il principio del bene, © gli avvenimenti del mondo attribuiti
alla lotta dei due principi contrari. La teodicea è quella parte della teologia
che cerca scagionare la divinità dell’esistenza del male. Già con Platone o con
gli stoici il problema della toodicen comincia ad essere trattato: si Deus est,
unde malum? si non est, unde bonum? La soluzione più celebre di questo problema
è dovuta al Leibnitz, che, raccogliendo ο coordinando gli argomenti svolti in
precedenza dagli altri pensatori, sostiene casere il male una conditio sine qua
non del bene: Il male, egli dice, si può intendere metafisicamente, fisicamente
ο moralmente. Il male metafisico consiste nella somplice imperfezione, il male
fisico nella sofferenza, il male morale nel peccato. Ora, quantunque il male
fisico e il male morale non siano necessari, basta che in virt delle vorità
sterne siano possibili. E poichè codesta immensa regione di verità contiene
tutte le possibilità, è nocessario ci una infinità di mondi possibili, che il
male entri in molti di ossi, ο che persino il migliore di tutti ne contenga; è
ciò che ha determinato Dio n permettere il male ». Cfr. 8. Agostino, De civit.
Dei, XI, 22; 8. Tommaso, S., I, q. XLVIII, art. 3; Chr. Wolff, Verniinftige
Ged. v. Gott, 1733, I, § 1056; Leibnitz, Fesais de Théodicee, 1710, I, $ 23, 25
(v. ottimismo, pessimismo, dolore, sentimento). Mania. Gr. Mavia; T. Manie; 1.
Mania; F. Manie. Per quanto sia vario il significato di questa parola, tuttavia
la maggior parte degli alienisti la considerano ormai come una sindrome di
malattie mentali, che può anche non aocompagnarsi a disturbi di coscienza, ed è
caratterizzata da 667 Max grande varietà di umore, agitazione
motoria, facile distraibilità, logorrea, esaltamento. Può essere oronica e
transitoria; nel primo caso può durare non ostante lievi oscillazioni qualche
anno, nel secondo caso poche settimane soltanto ο anche pochi giorni. Alcuni
psico-patologi amnfettono anche una mania idiopatica, come psicosi autonoma
caratterizzata da un accesso di stato maniaco, stabile ο “permanente, e la
distinguono in due ‘gruppi: ipomania, ο eccitazione maniaca, consistente in una
semplice esaltazione delle funzioni cerebrali e soprattutto del tono
sentimentale, senza incoerenza, senza delirio, senza allucinazioni; delirio
aouto, caratterizzato da grande agitazione, obnubilazione intellettuale,
incoerenza caotica delle parole ο degli atti. Dicesi mania ragionanta
quell’anomalia mentale, che si rivela con una sovrattività delle funzioni
in-tellettnali, bisogno imperioso di agire e di muoversi, continua concezione
di nuovi progetti in gran parte assurdi © ridicoli, prodigalità senza limiti,
mendacio; mania degenerativa una psicosi degenerativa, caratterizzata
specialmente da perdita più o meno completa del senso morale, idee ambiziose,
tendenze distruttive. Cfr. Mendel, Die Manie, 1881; Krafft-Ebing, Die Melancholie, 1874; Magnan,
Leçons oliniques sur les maladies mentales, 1899, p. 379 segg.; Campagne,
Traité de la manie raisonnante, 1869; J. Finzi, Compendio di psichiatria, 1899,
p. 149-78. Manicheismo.T.
Manichäismus; I. Manicheirm; F. Manichéieme. Dottrina filosofica e religiosa,
insegnata nel terzo secolo dell’ dra nostra da Mauicheo, sacerdote cristiano.
Il fondamento di questa dottrina è il dualismo, per cui tatti i fenomeni dell’
universo sono attribuiti alla lotta fra due principî ugnalmente primitivi,
eterni ed assoluti, il bene e il male; perciò dicesi anche manicheismo ogni
dottrina filosofica che ammette due principi cosmici eoeterni, l'uno del bene,
l’altro del male. Sembra però che nel manicheismo genuino il principio del male
non fosse altro che la Man-Mas 668 materia, considerata come eterna, ma
concepita come la negazione (privazione) opposta all’ affermazione,
conformemente ad idee filosofiche già diffuse nel mondo antico. Cfr. 8.
Agostino, Confese., VII, 3; F.C. Bauer, Manichälsches Religionssystom, 1881 (v.
catari, dualismo, maedeiemo). Mantica (Μαντεύομαι --profetizzo). L’ arte di
prevedere il futuro, arte che negli stadi inferiori della religiosità : è
tutt'uno con la magia. Nella filosofia stoica ha grande importanza e
costituisce una parte della fisica: secondo gli stoici, una causalità
ineluttabile collega nel mondo tutte Je cose e gli avvenimenti, © tutti li
conduce ad una causa prima, che è la causa delle cause, ciod Dio ο la
necessità; dato questo legame, ogni avvenimento è segno di quello cho gli
succede, lo preindica; ora l’anima umana, essendo una parte dell’ anima del
mondo, della divinità, è capace di questa preindicazione o predizione, nella
quale può essere anche affinata dallo studio ο dalla osservazione. Cicerone,
nei libri De divinatione, ci ha lasciato molte notizie intorno a codesta arte. Cfr. F. Ogereau, Le
systéme philosophique des Stoiciens, 1885, cap. IX (v. magia, profetismo). Marginale. T. Grens; I. Marginal; F. Marginale.
Ciò che trovasi ai confini d’una regione, sia essa la coscienza, lu
personalità, eco. In questo senso usansi anche in economia le espressioni
utilità marginale, margine di coltivazione, eco. Cfr. F. Myers, Human Personality, 1903, I,
Introd. $ 14; Fawcott, Manual of political theory, 1863, L II ο. IL. Massa.
T. Masse; I. Mass; F. Masse. Nol linguaggio comune designa la quantità di
materia contenute in un corpo, © questo fu anche il significato attribuitole
dalla scienza. Però, siccome gli stati della materia sono molteplici, codesta
quantità non può essero misurata dal volume dei corpi, che è mutabile, ma
soltanto dal loro peso (p). Anche il pesa varia col variare del luogo ovo è
valutato, 669 Mas-Mar mentre la quantità di materia rimane
costante; ma siccome col variare del peso varia, e nello stesso rapporto, anche
l’ accelerazione (9) dovuta alla pesantezza, e quindi il quoziente del peso d’
un corpo dovuto all’ accelerazione è una quantità costante, così nella
meccanica razionale per massa si intendo: il quoziente che si ottiene dividendo
il peso di un corpo per l'accelerazione dovuta alla pesantezza, essendo il peso
e 1’ accelerazione misurati in un medesimo luogo: + = m. Però le nuove dottrine
sulla costituzione elettronica della materia vengono modificando sempre più la
nozione classica di massa; gli elementi degli atomi che si dissociano perdono
non solo le qualità specifiche dei corpi da cui provengono, ma anche la massa,
misurata dal peso, cosicchè ogni distinzione tra ponderabile © imponderabile
viene a scomparire. Cfr. G. Le Bon, L'evolution de la matière, 1905, p. 14-15.
Massimizzazione della volontà. È la formola suprems della morale utilitaria di
Geremia Bentham. Ogni tomo è spinto ad agire dalla ricerca del massimo
interesse proprio; ma siocome l'interesse di cisseuno è legato n quello di
tutti per ls simpatia © la sanzione, così procacciando la felicità nostra noi
sumentiamo la somma totale della felicità umana; perciò si diranno morali
quegli atti che mirano a procacciare la massima felicità del massimo numero. Cfr.
J. Bentham, Deontology, 1834. Matematica. Gr. Μαθηματική; T. Mathematio; I.
Mathematics; F. Mathématique. La scienza delle relazioni astratte. I
pitagorici, che usarono primi questo nome, designavano con esso tutto il
conoscibile, tutta la scienza da loro possednta; e ciò è naturale, poichè essi
consideravano il numero come l’ essenza stessa della cosa, e tutte le cose ed i
fenomeni riducevano si numeri, alle combinazioni ο proprietà dei numeri. Mutati
poi 1 criteri scientifici, ο sérte, con Aristotele, le scienze natnrali,
l'oggetto della mateMar 670 matica fu ridotto ai numeri, alle figure,
alle grandezze in genere, © alla determinazione dei loro rapporti. Tale è
rimasto poi sempre l’oggetto della matematica, il cui o6mpito consiste, secondo
il Comte, nella misura indiretta dei valori: tutti i calcoli matematici consistono
nella risolazione di alcuni valori sconosciuti ο ricercati in altri conosoiuti
ο dati; tra questi ultimi ο i primi deve esistere un rapporto reale o supposto
». Essa si differenzia da ogni altra scienza non tanto perchè si occupa
soltanto della quantità, come perchè è scienza non causale, essendo lo sue
verità fuori del tempo e indipendenti dalla nozione di forza. Nelle matematiche
si distinguono: la matematica propriamente detta e la fisico-matematica,
formata di elementi di matematica pura e di fisico, come la meccanica ο
l'astronomia. La matematica propriamente detta si divido a sua volta in due
gruppi, il primo dei quali comprende 1’ aritmetica, 1’ algebra elementare, 1’
algebra superiore, e riguarda soltanto le idee di quantità, di numero e di rapporto,
senza supporle in alcun oggetto particolare © senza riferirsi alle nozioni di
forma o di grandezza concreta; il secondo è costituito dalla geometria, che è
la scienza delle proprietà dell’ estensione. Il metodo proprio dello scienze
matematiche è quello deduttivo; 1’ induzione non ha in esse che rado
applicazioni di cui 1’ esompio più importante è quello del Bernouilli, detto
della conclusione da n ad n + 1. L'importanza della matematica tra le altro
scienze va sempre più crescendo, 9 sempre più generale si va facendo l’
applicazione dei suoi metodi agli altri campi del sapere. Ciò massimamente
perchè la quantità è una proprietà essenziale della realtà, © le qualità doi
fenomeni sono quasi sempre dipendenti dalla quantità. Ciò non toglie che non
sia arbitraria 1’ applicazione universale delle matematiche da alcuni tentata,
poichè, osserva il Masci, non esistendo la quantità a sò, ma come quantità di
qnalche cosa, la spiegazione quantitativa delle qualità deve 671
Mar arrestarsi ad un punto in eui le qualità devono essere supposte
indipendentemente da ogni ragione quantitativa. Cfr. Comte, Cours de
philosophie positive, 1830-1842; Poi caré, articoli in Revue de métaph. et de
mor. », 18981901; Masci, Logica, 1899, p. 474-484; Cohen, Logik der reinen
Erkenntnis, 1903, p. 102 segg.; A. Lalande, Letturo nella filosofia delle
scienze, 1901, p. 66 segg. (v. funzione, geometria, integrale, iperspario,
numero, problema). Mateologia (µάταιος = vano; inutile). Significa scienza
vana, che non ha fondamento nella realtà, come l’ alchimia, la magia,
l'astrologia, la mantica, eco. Dicesi anche matoosofia. Materia. Gr. fry; T.
Materie, Stoff; I. Matter; F. Mafière. Questo termine hs due significati
affatto distinti, a seconda che si contrappone a forma o a spirito. La contrapposizione
di materia a forma è propria della filosofia antica, specialmente aristotelica;
in essa per materia ϱ) intende non una sostanza in generale, ma una certa
specie di sostanza, οἱοὸ la sostanza materiale, quella che si manifesta ai
nostri sensi, in contrasto con la nostra attività cosciente: in altre parole,
1’ oggetto in quanto lo si oppone al soggetto. La contrapposizione di materia a
forma è rimasta tuttavia anche nella filosofia moderna, ma con diverso
significato : trasportate, specie dopo Kant, dall’ essere al conoscere, per
materia della conoscenza si intende ora tutto il contenuto oggettivo di essa,
vale a dire lo sensazioni, le percezioni sensibili e intellettuali, i concetti,
ece.; per forma della conoscenza #’ intende poi, nel senso logico, il modo
dell’ attività del pensiero che si fissa come prodotto logico, e nel senso
gnoseologico, la funzione formatrice della sensibilità e del pensiero. Tornando
ora alla filosofia antica, la materia è dunque per ossa 1’ essere indeterminato
in generale, che la forma poi determina, è il fondo comune delle cose, da cui
tutte sortono e in cni tutte riposano: tale fondo comune per gli ionici
primitivi Mar 672 è l’acqua, l’aria, ο il fuoco, per
Anassimandro l’ infinito miscuglio primitivo, per Democrito un composto di
pieno © di vuoto, d’ atomi e di spazio. Platone fa della materia l'opposto
dell’ idea: questa è 1’ essere, quella il non-essere, questa à il medesimo,
quella 1’ altro. Aristotele la considera come I’ ente in potenza, mentre la
forma è l’ente in atto: l’attuale è dunque la materia determinata ο configurata
mediante la forma. Codesto dualismo posto da Aristotelo tra forma © materia non
fu mai superato dalle filosofie auccessive; ma con lo schiudersi dei tempi
moderni, il problema assume una orientazione diversa, e la materia,
contrapposta allo spirito, non designa più che 1’ insieme dei corpi, ciò di cui
i corpi sono fatti, l'essere ο la sostanza alla quale attribuiamo le qualità
sensibili. Per Cartesio materia © spirito sono realtà ugualmente sostanziali,
ma essenzialmente distinte per natura; 1’ essenza della prima à P estensione,
della seconda il pensiero. Sorse quindi il problema se noi possiamo conoscere
realmente le qualità di codesta materia. Esso fu risolto dai cartesiani con la
distinzione delle qualità della materia in primarie o assolute, e secondarie o
relative: le prime, cioè l’ estensione, la figura, la divisibilità, il
movimento, sono inerenti si corpi stessi e quindi indipendenti dai sensi; le
seconde come i colori, i sapori, gli odori, sono variabili e semplici modi
della nostra sensibilità. Questa distinzione fu accettata anche dal Locke ο
dalla scuola scozzese: il Leibnit la completò, aggiungendo all'estensione
l’antitipia come complemento necessario dell’ essenza della materia. Ad
entrambe queste soluzioni si oppone la filosofia critica: l’ estensione non è
che una forma della sensibilità; la conoscenza della materia in sò stessa è
irraggiungibile; i fenomeni materiali da noi conosciuti sono puramente
soggettivi e dipendenti dalla natura ο dalle forme della nostra sensibilità.
Kant distinse infatti la materia come fenomeno, dalla materia come nowmeno,
ossia la materia in sò: questa è nasoluta 618
Mar mente inaccessibile alla nostra conoscenza, rimane fuori dal campo
delle nostre idee; il nostro spirito non coglie che il fenomeno relativo e
variabile, e completa la conoscenza imponendogli le forme assoluto della
sensibilità. 11 neo-criticiemo ha accettato i risultati generali del criticismo:
la materia non è che una nostra supposizione necessaria per spiegare i fenomeni
cho si manifestano ai nostri sensi, ma non ci è direttamente conosciuta nella
sua realtà; noi non potremo mai concepirla quale à in ed, ma solo in rapporto
alle nostre sensazioni e alla necessità del nostro pensiero. Ma oltre al
problema gnoseologico ο metafisico, la materia involge anche un problems
fisico, riguardante la natura di codesta materia. La scienza moderna risolve il
problema in tre modi principali: con l’atomismo, ciod la dottrina che
concepisce la materia como composta di sostanze realmente distinte,
infinitamente piccole, indivisibili e tuttavia estese, separate da intervalli
vuoti, impenetrabili le une alle altre, incapaci di movimento spontaneo e
capaci soltanto di trasmetterlo, influenzandosi reciprocamente con forze
attrattive e repulsive; col mecoaniemo, che nega l’ esistenza degli stomi
materiali e riduce la materia al movimento, ad un finido cioè continuo,
omogeneo, nel quale il movimento determinerebbe delle unità apparenti, dei
vortici, degli anelli turbinanti ; col dinamiemo, la dottrina ciod che pone
come ultimg elemento della materia, non l'atomo ma il centro di forza, ossia un
punto invisibile intorno a oui irraggiano in tutte le direzioni delle linee di
forza, per mezzo delle quali ogni punto è in relazione con tutti gli altri
punti dell’ universo. Cfr. Platone, Timeo, 48 E, 49 A, 50 C, D; Aristotelo,
Metaph., VII e VIII; Cartesio, Prino. phil., II, 23; Locke, An essay conc. hum.
understanding, 1877, 1. III, c. 10, $ 10 ο 15; Leibnitz, Nouv. Essais, 1704,
IV, ο. III; Kant, ΚΙ. d. r. Vernunft, od. Reclam, p. 31 segg.; Ostwald, Ch ache
energie, 1893, p. 5 segg.; Le Bon, L’evolution de la ma43 RANZOLI, Dizion. di scienze filosofiche. Mar 674
tière, 1905; E. Naville, La matière, 1908 ; Ardigò, Opere filosofiche,
I, Ρ. 103 segg., II, p. 49 segg. (v. energismo, materialiemo, dualismo,
monismo, spiritualismo, inerzia, energia, impenetrabilità, massa, essenza,
sostanza, ecc.). Materiale. Τ. Stoflich, körperlich; I. Material; F. Matériel.
Tutto ciò che riguarda la materia, che è della natura della materia; può essere
contrapposto tanto a formale quanto a spirituale, con signiflcasioni
naturalmente diverse. Così nei sistemi filosofici dell’antichità il principio
materiale è la materia prima e originaria delle cose; ad 98. per Anassagora il
principio materiale sono le omeomerte, il principio formale il vodg ο
l'intelligenza; per Parmenide i fenomeni fisici si spiegano con due principj
materiali, la Ίμοο e le tenebre, e un principio formale che li combina in
differenti rapporti, l’amore. Si dice poi verità materiale la conformità del
pensiero con la cosa a cui si riferisce, ϱ verità formale l'armonia del
pensiero con sò stesso ; logioa materiale quella che riguarda la materia o il
contenuto del pensiero, ο logica formale quella che ne considera esclusivamente
la forma, cioò il modo come i suoi elementi sono fra loro combinati. Nella
meccanica dicesi punto materiale il corpo di cui le dimensioni sono supposte
infinitamente piccole, restando tuttavia dotato delle proprietà generali della
materia, quali l’impenetrabilità ο il peso. Materialismo. T. Moterialienas ; I.
Materialiem; F. Matérialieme. Il termine compare per la prima volta all’epoca
di Roberto Boyle. È la dottrina che nega l’esistenza di sostanze spirituali e
non ammette altra sostanza che la materia, concepita in vari modi nei vari
sistemi materislistici, ma che ha sempre per carattere fondamentale d’essere un
insiemo di oggetti individuali, rappresentabili mobili, figurati, occupanti
ciascuno un luogo dello spazio. Matertaliste dicuntur philosophi, dico il
Wolff, qui taniummodo enti a materialia sive corpora eziatero affirmant. E
Baumgarten: Qui negat erisientiam monadum cat materialista uni 675 Ματ versalis. Qui negat eziatontiam monadum
universi, e. g. huiue partium est materialista cormologione. Questa dottrina,
como mostra il Lange, si incontra tra i più antichi tentativi d’una concezione
filosofica del mondo. Si distingnono perd nel materialismo due forme o fasi: il
primitivo, che potrebbe anche dirsi dualistico, il quale, pur distinguendo il
corpo dall'anima, considerava sì l'uno che l’altra come sostanze materiali;
esso si trova nella filosofia presocratica, nello stoicismo, nell’epicureismo e
persino nei 88. Padri anteriori a S. Agostino; il moderno o monfstico, che
sopprime codesta dualità tra materia e spirito, tra corpo ed anima, riguardando
la seconda come una funzione ο un aspetto del primo. Con estensione forse
illegittima del vocabolo, molti filosofi moderni chiamano materialismo ogni dottrina
che, pur riconoscendo l’irreducibilità del fatto psichico al fatto fisico,
considera tuttavia la nature, il mondo esteriore în genere, come sprovvisto di
coscienza ο retto da leggi puramente meccaniche. Così per lo Schopeuhauer ogni
controversis sopra l ideale si riferisco all esistenza della materia, perchè,
in fondo, è la realtà ο l’idealità di questa che è disoussa: La materia, come
tale, esisto puramente nella nostra rappresentazione, ο è indipendente da essa?
In quest’ultimo caso sarebbe la materia la cosa in sò, e chi ammette una
materia esistente in sò, deve essere, per conseguenza, materialista, ciod deve
fare della materia il principio di esplicazione di tutte le cose ». Con
l’espressione materialismo peloofisico, si intendono sia le dottrine che,
basandosi sull constatazione empirica del parallelismo esistente tra la serio
dei fatti psichici e la serie dei fatti fisiologici o fisici, considerano però
i primi come semplici epifenomeni; sia le dottrine che, pur ammettendo la
perfetta originalità delle due serie, la psichica e la fisica, © considerando
quindi la prima come irreducibile alla seconda, dà però la preferenza dal lato
teorico o scientifico alla serie fisica. Il materialismo si Mar 676
basa, in generale, su due argomenti fondamentali: 1° sui rapporti tra
corpo ed anima, ossia tra sistema nervoso ο coscienza; ovunque si abbia sistema
nervoso αἱ ha coscienza. mancando il sistema nervoso manca la coscienza,
variando il sistema nervoso varia la coscienza; dunque il sistema nervoso è
causa della coscienza; 2° sulla dottrina della conservaziono della materia e
dell’ energia; nella natura nulla si crea e nulla si distrugge; ogni fenomeno
non è che In trasformazione di un’altra forza prima in altro modo esistente; il
fenomeno psichico non sorge quindi dal nulla, ai riconduco esso pure ad una
trasformazione di materia ο di forza. Oltre a questi argomenti positivi, ve ne
hanno due negativi: 1° l'impossibilità di una rappresentazione spaziale in un’
anima semplice ο inestesa; 2° l’ inconcepibilità di una azione reciproca fra
due sostanze oterogenee. Cfr. Chr. Wolff, Peychol. rationalis, 1738, § 33;
Baumgarten, Metaphyrica, 1739, $ 395; Büchner, Kraft und Stoff, 1883;
Schopenhauer, Die Welt ale W. und Vorst., ed. Reclam, II, p. 30 segg.; Eucken, Geschiokte,
d. philon. Terminologie, 1879, p. 132, n. 3; Höffding, Peyohologie, 1900, p.
11-15, 75 segg.; Lange, Geschichte der Materialismue, 1896; A. Faggi, I!
ma_terialiemo peicofisico, 1901; F. Masci, Il materialismo peioofisico, Atti
della R. Acc. di Napoli », 1901; Ardigd, Opere fil., I, 209 segg., IX, 306 (v.
anima, coscienza, spirito, monismo, dualismo, parallelismo, influsso fisico,
ecc.). Materialismo storico. Espressione creata dall’ Engels per designare la
dottrina di Carlo Marx. Oggi si applica ad ogni indirizzo sociologico, che
considera tutti i fenomeni sociali come produzioni scaturenti dal sottosuolo
dei rapporti economici (rapporti di produzione, di distribuzione e di
circolazione della ricchezza). Per dimostrare la cansalità dei fenomeni sociali,
esso si fonda principalmente su queste tre condizioni: il fatto economico è di
sua natura esclusivamente umano; è il più somplice di ogni altro fatto sociale;
precede cronologicamente tutti gli altri
677 Mar fenomeni della convivenza
umana. Conseguenza immediate di tale dottrina, è che l’espandersi continuo
dell’ energie produttivo determina coi rapporti sociali esistenti molteplici
contrasti, i quali, divenuti a poco a poco irreconciliabili, erompono in un
conflitto che si enuncia in un cangiamento dello forme politiche, religiose,
artistiche, scientifiche, filosofiche © si compie collo spostarsi dei rapporti
economici. In tal modo procederebbe il cammino ascendènte della storia e della
civiltà. Va notato però che, oltre coloro che sostengono rigidamente codesta
causalità diretta ο immediata del fenomeno economico (Loris, Lafargue, ecc.),
vi sono altri che la concepiscono come un rapporto di interdipendenza,
ammettendo che i fenomeni giuridici, politici, religiosi, ecc. si svolgano sì
in funzione del fenomeno economico fondamentale, ma che, una volta prodotti,
possano per reazione esercitare una efficacia determinatrice sopra il fenomeno
onde hanno tratto I’ origine (Engels, Labriola). All’ espressione impropria di
materialismo storico, dovuta al fatto che esso sorse come opposizione all’
idealismo storico, alcuni vorrebbero che si sostituiasero lo altro:
determinismo sconomico, sconomiemo atorico, concezione materialistica della
storia, ecc. Il Croce, ad es., sconsiglia questa denominazione di materialismo,
che non ba ragione d’ essere nel caso presente, © che fa nascere tanti
malintesi », mentre potrebbe utilmente sostituirsi con quella di concezione
realistica della storia. Il Labriola trova invece ln denominazione opportuna,
in quanto compendia l’origine storico-psicologica della dottrina, nata nol
pensiero di Marx e di Engels quando trovarono che il matorialismo tradizionale
sino al Feuerbach non spiegava la storia; dal panto di vista della crisi
interna, che subirono il Marx e P’Engels, il nome dunque non è secondo il
Labriola indifferente, anzi rileva 1’ origine della dottrina e la sua posizione
di fronte # quelle contemporanee, che si sforzarono disuperare i limiti
delMat-Maz 678 V idealismo. Cfr. Engels, Horn Eugen
Dühring’s Umwalsung dor Wissenschaft, 83 ed., p. 12; Marx, Zur Kritik der
politi schen Oekonomie, 1859, pref.; P. Lafarguo, Le dsterminisme économique de
K. Marz, 1909; E. Rignano, Le matérialieme Mstorique, Riv. di scienza », 1908,
V, p. 114 segg.; A. Loria, La sociologia, 1901, p. 192; B. Croce, Materialismo
storico ed econ, marz., p. 34 seg.; Ant. Labriola, Soritt di filos. ο di
politica, ed. Croce, p. 242-6; A. Asturaro, 1 mat, storico ¢ la sociologia, 2°
ed. 1910; E. Fabietti, Il mat. storico, 1910; R. Mondolfo, Il mat. storico in
F. Engels, 1912, cap. X. Matriarcato. Dal Bachofen în poi fu chismata così dai
sociologi quella fase primitiva dell'evoluzione sociale, in cui la famiglia fa
centro non al padre ma alla madro, cho ha nell’organiszazione domestica
l'autorità suprema, governa essa sola la casa, adempie le funzioni religiose ed
impera nelle deliberazioni della comunità. Il matriaroato, che vive ancora tra
le tribù Irochesi dei Seneca, e le oui reminiscenze si trovano in tutti i miti,
le leggende e le letterature primitivo, sarebbe dovuto, secondo alcuni, alla
promiscuità primitiva, che rende impossibile la ricerca della paternità,
secondo altri alla struttura organica dell’economia primitiva, in cui la
produzione, che si riassume tutta nell’ agricoltura, rimane affidata esclusivamente
alle donne. Cfr. J. J. Bachofen, Das Mutterreoht, 1861; Starke, La famille
primitive, 1891; Westermark, Lo matriarkat, in Annales d. l’Inst. int. de
Sociologie, t. II, 1895; G. Mazzarella, La condizione giuridica del marito
nella famiglia matriaroale, 1899 (v. famiglia). Masdeismo. 0 religione di
Zorosstro ο dell’ Iran. E un politoismo mitologico, dominato dal principio del
duatismo, in cui il Dio che comanda le divinità buone è Ormurd, quello che
comanda le onttive è Arimane. L’obbligazione morale consiste nel dovero
dell’uomo di allearei alla divinità buona nella sua lotta continua contro la
divinità cattiva (v. dualismo, manicheismo).
679 Μκ-Μκο Meo v. D. Meccanica. T. Mechanik; I. Mechanics; F. Mecanique. La scienza che ba per oggetto lo studio dei
movimenti e delle forze che li producono. Si divide in meccanica rasionale ed
applicata: la prima non è che la teoria astratta delle leggi dei moti e delle
forze, la seconda è la teoria delle macchine. Lo studio del moto
indipendentemente dalle cause che lo producono (forze) costituisce la
cinematica. La meccanica razionale si divide poi in statica e dinamioa: la
prima studia la composizione delle forze considerate come grandezze riferite ad
una unità di misura della medesima specie, la seconda studia la composizione
dei movimenti cui dan luogo le forze motrici. La dinamica si divide a sua volta
in cinetica, che studia la composizione dei moti relativamente alla traiettoria
che essi determinano nello spazio, e in energetica, che studia la composizione dei
moti delle masse che nel loro cammino sono capaci di produrre lavoro. Cfr.
Hertz, Die Prinsipien der M. in neuem Zusammenhage dargestellt, 1894; Mach, Die
M. in ihrer Entwickelung, 1883; Dühring, Kritische Geschichte der allgemeinen
Prinsipion der M., 8" ed. 1887 (v. energiemo, massa, movimento).
Meccanico. T. Meohanisch; I. Mechanical; F. Mécanique. Opposto a telcologioo
indica ciò che si attua indipondentemente da ogni finalità, per virtù di leggi
necessarie. Opposto a dinamico © a energetico, cid che escludo dalle cose la
nozione di forza, considerata come un residuo di nozioni antropomorfiche. Si
dicono sensi meccanici, per distinguerli dai chimici, quei sensi sopra i quali
gli stimoli esercitano un’azione puramente meccanica: tali sono il tatto e l'udito.
Cfr. A. Rey,
L’énergetigue et lo mécaniene au point de vue de la connaissance, 1907. . Meccanismo. T. Mechanismus,
Mechanistische Weltan‘echauung; I. Meoanism ; F. Méoanieme. In senso metaforico, ogni processo nel quale si
può determinare, con l’analisi, Mec
680 una serio di fasi subordinate
ο dipendenti l’una dall'altra; così dicesi meccanismo della coscienza,
meccanismo della memoria, meccanismo dell’ imaginazione. Dicesi anche
meccanismo o meccanioismo la dottrina fisica © filosofica, che escludendo ogni
potenza occulta, ogni finalità, ripone nel solo movimento la natura intima
della materia ο tutti i fenomeni dell’ universo riconduce al movimento: omnis
materiao variatio, sive omnium eins formarum diversitas pendet a motu
(Cartesio). Il meccanismo concepisce la materia 0 come un composto di atomi, o
come un fluido continuo e omogeneo; tutte le modificazioni che avvengono in
essa, tutti i cambiamenti, la diversità dei corpi e dei fenomeni, non sono
dovuti che a diversità di movimento. Si oppone, in questo senso, al dinamismo,
che identifica la materia con la forza, © spioga ogni fenomeno naturale con le
leggi della forza; si oppone anche all’energiemo, che tutto riconduce a
manifestazioni di un’ unica energia. Nella filosofia antica il meccanismo à
rappresentato nella sua forma più precisa dall’atomismo di Democrito © di
Epicuro; nei tempi moderni dalla fisica © fisiologia di Cartesio, che poteva
affermare: terram totumque huno mundum instar machinae descripsi. Dicesi mecoaniemo vitale ο iatromeocaniemo la
dottrina fisiologica che riconduce pure i fenomeni biologici al movimento,
considerandoli come il semplice risultato delle stesse leggi che governano il
mondo inorganico: questa dottrina, che forma la base della moderna fisiologia,
opponendosi all’ antico e al nuovo vitaliemo, fu intravvista già nel seicento
dal nostro Borelli, per il quale animalium operationes fiunt a causis et
instrumentia et rationibus mechanicis ». Quando poi anche i fenomeni psichici
sono considerati como semplici movimenti molecolari della sostanza nervosa,
come pura funzione organica, si ha il materialiemo. Cfr. Cartesio, Prinoipia
phil., parte II, art. 3; Lamettrie, L'homme machine, 1848; J. Ward, Naturalism
and agnosticism, 1903; A. Rey, La philosophie moderne, 1908, p. 173 segg.; 681
Mep J. Loeb, The mechanistic conception of life, 1912; C. Guastella,
Filosofia della metafisica, 1905, t. II, p. LXXXVI segg. Modiato. T. Mittelbar,
vermittelt; I. Mediated; ¥. Μέdiat. Ciò che si compie con qualche
intermediario. La nostra conoscenza del mondo esteriore è mediata, perchè si
compie per mezzo della sensazione; la coscienza è invece la conoscenza
immediata dello modificazioni che avvengono in noi. Il sillogismo dicesi
inferenza mediata, perchè si compie con |’ intermediario di una proposizione
che esprime la constatazione della natura di ciò cui il principio generale,
espresso nella maggiore, si applica. La rappresentazione dicesi anche
percezione mediata, perchè, a differenza della percezione sensibile, si rinnova
nell’ assenza di uno stimolo esterno che direttamente la provochi. Mediatore
plastico o natura plastica. F. Médiateur plastique. È il principio col quale il
Cudworth, opponendosi tanto alle dottrine meccaniste quanto a quelle che fanno
intervenire la divinità in ogni fenomeno naturale, spiega i movimenti dei
corpi, la forma di cui essi sono snscettibili, i fenomeni della generazione e
della vita. Codesto principio, intermedio tra Dio e il mondo, è di natura
spirituale ma privo di libertà, di sensibilità e d'intelligenza; esso penetra
in tutte le parti della materia e lavora senza posa sotto la guida della di a
realizzaro l’ordine del mondo. Il Le Clere lo definisco come un essere, il
quale ha in sò stesso un principio di attività, e che può agire per sò stesso
egualmente sull’anima che sul corpo; un essere, il quale avverte l’anima di ciò
che accade nel proprio corpo per mezzo delle sensazioni che esso vi produce, ο
che muove il corpo agli ordini dell’ anima senza nondimeno sapere il fine dello
sue azioni ». Questa dottrina, dopo aver suscitato gran numero di discussioni,
è caduta da tempo, per la sua stessa contradditorietà; come già notava il
Galluppi, codesta sostanza media, che non è nè semplice nò Mxp-Mra 683
composta, nd spirito nd corpo, si risolve in un assurdo; non vi è mezzo
tra due proposizioni contradditorie, ο perciò il mediatore plastico deve
necessariamente essere semplice o non semplice, ma in qualunque dei due casi la
difficoltà di spiegare il commercio tra l’anima e il corpo rinasce. Cfr. P.
Janet, De plastica natura vi apud Cudworthum, 1848; Id., Essai sur le médiateur
plastique de Cudwort, 1860 ; Le Clero, Bibliothèque choisie, t. II, art. 2, n.
XII; Galluppi, Lesioni di logica 6 metafisica, 1854, vol. II, p. 606-609 (v.
demiurgo, meccanismo, vita). Medio. T. Mittel (Begrif); I. Middle (term); F.
Moyen (terme). Nel sillogismo dicesi medio il termine che ha la estensione
media e serve come termine di confronto tra il termine maggiore e il minore.
Esso si trova tanto nella premessa maggiore che nella minore, ed è escluso
nella conclusione. Tutto il valore del sillogismo dipende dalla scelta del
termine medio (v. termini). Megacosmo v. macrocosmo. Mogalomania. Gr. μέγας =
grande, pavla = follia; T. Mogalomanie; I. Megalomania; F. Mégalomanie. Detta
anche delirio di grandezza, o delirio ambizioso. E costituita da una specie di
ipertrofia della personalità, per cui l’ammalato, in grazia dell’ aumentata
attività psichica, si ritiene di alta nascita, di elevata posizione sociale,
provvisto di grandi ricchezze, capace di riuscire in ogni più difficile
impresa. In molti casi si trova associato al delirio di persecuzione. Cfr.
Kraepelin, Trattato di psichiatria, trad. it., p. 182 segg.; T. Regis, Précis
de psychiatrie, 1909, p. 434. jopsichia. Vocabolo usato già da Aristotele per
designare quel giusto sentimento di sò stessi, del proprio valore e delle
proprie attitudini, che è condizione indispensabile per lo sviluppo delle
virtualità contenute nella propria natura; è vocabolo poco in uso, quantunque
serva et designare assai moglio della parola orgoglio quel retto apprezzamento
della propria capacità, il quale suppone non
688 Mel soltanto che l’individuo
si giudichi degno di grandi cose, ma che lo sia in effetto. Col vocabolo
mioropsichia lo stesso filosofo designava il sentimento opposto, ciod la
sfiducia in sò stessi, per cui l'individuo non compie tutto il bene e le belle
azioni che egli avrebbe potuto compiere, giudicandosene incapace. La
megalopsichia non è da confondere con la megalopsia, anomalia del senso della
visione, per cui gli oggetti sono peroepiti di dimensioni più grandi del reale.
Cfr. Parinaud, Ancsthéste de la rétine, 1886; G. Marchesini, Il dominio dello
epirito ο il diritto all'orgoglio, 1903. Melanconia. T. Melancholie, Ticfrinn,
Molina; I. Molanoholia; F. Mélancolie. Psicosi che si manifesta ad accessi,
talora improvvisamente in seguito ad un grave dispiacere © ad una viva
emozione, talora dopo un graduale aumento di impressionabilità © di depressione
affettiva. Essa può assumere varie forme, ma in tutte il carattere fondamentale
consiste nell’ esistenza morbosa di una emozione spiacevole, di un senso vago
più o meno cosciente di oppressione, di ansietà, di tristezza, d’impotensa; è
dunque una malattia della sensibilità morale, iniziantesi con una alterazione
dél tono sentimentale, e che non diventa se non in via secondaria ο episodica
ung malattia della intelligenza. Gli antichi 18 chiamarono così perchè
credettero che fosse determinata da un annerimento della bile (µέλας =: nero,
χολή = bile). Da Esquirol in poi è chiamata anche lipemania (λύπη =tristezza);
però molti psicopatologi distinguono le due forme, in quanto nella melanconia i
disturbi mentali sono appunto derivati, mentre nella lipemania sono primari. La
melanconia semplice è costituita dal rallentamento dei processi psicomotori, e
quindi dalla lentezza dello azioni, dalla fatica che esse importano, per cui il
soggetto è assalito da un senso generale di impotenza che lo abbatte 6 ne rende
triste l’umore. Nella melanoonia allucinatoria a questi fenomeni si aggiangono
idee deliranti ο specialmente allucinazioni cenestetiche di vaoto, Mem 684 ©
dolls mancanza di qualche organo. Nella melanconia ausiosa ο agitata lo
allucinazioni conestetiche determinano uno stato di ansia, idee ipocondriache
di negazione, di piccolezza ο d’auto-rimprovero; l’ammalato credo d’ essere
perseguitato, rovinato nei propri interessi, tradito nei propri affetti,
colpevole dei maggiori delitti e meritevole dei più grandi castighi ο della
eterna dannazione. Infine nella melanconia stupida la difficoltà delle
espressioni motorie determina gli stati stuporosi. Cfr. Krafft-Ebing, Die
Molanoholie, eine klinische Studie, 1874; Christian, Etude sur la mélancolie,
1876; Roubinowitech et Toulouse, La mélancolic, 1897; Morselli, Manuale di
somejotios, II, 210 segg. Momoria. T. Gedächtnis, Erinnerung ; I. Memory; F.
Mémoire. Nel suo significato più elevato, che è anche il più comune, designa la
funzione o la facoltà per oui si conservano, si riproducono, si riconoscono e
si localiszano gli stati psichici passati; per generalizzazione, ogni
conservazione del passato d’un essere vivente nel suo organismo. Gli psicologi
distinguono però varie forme di memoria; la memoria organioa o muscolare, la
memoria affettiva ο la memoria propriamente detta ο intellettiva. La memoria
organica, che è più semplice, consiste nella proprietà appartenente ai tessuti
dell'organismo, specialmente al muscolare © al nervoso, di conservare e
riprodurre automaticamente dei movimenti già eseguiti; questa proprietà è
generalmente spiegata con l’ammettere nell'elemento nervoso la persistenza
della modificazione avvenuta, sia dinamica, fisica ο chimica. La memoria
affettiva consiste nel riprodursi, insieme agli stati intellettuali, degli
stati affettivi (omozioni ο sentimenti) coi quali erano primitivamente
associati; si ossorva però che è più facile l’evocaziono degli stati
intellettuali che non quella dei sentimenti associätivi, ο che, in ogni caso,
gli stati affettivi ricordati hanno sempre minore intensità degli attuali;
altra logge generale è che i sentimenti associati ai sensi della vista ©
dell'udito, alla 685 Μαν rappresentazione libera e all’attività
libera del pensiero, sono più facili a riprodurre che quelli che οἱ vengono dai
sensi inferiori © specialmente dall'esercizio delle nostre fanzioni vegetativo.
La memoria propriamente detta è un fatto assai complesso, quantunque
presupponga la stesss baso fisiologica della memoria organica, ο si risolve,
come vedemmo, nelle operazioni della conservazione, riproduzione,
riconoscimento © localissazione; condizioni generali delle due prime sono la
durata e l'intensità degli stati psichici, per cui questi tanto più facilmente
persistono e rivivono quanto maggiormente e più a lungo hanno agito; il
riconoscimento è il confronto e il rapporto d’identità stabilito tra lo stato
psichico attuale e lo stato psichico analogo cho fa attuale nel passato; la
localizzazione è il riferimento dello stato psichico ad un punto preciso del
passato, rievocandone il luogo, I’ ora, le circostanze. Nella memoria
intellettuale si distinguono anche in vari tipi: il tipo visivo, nel quale si
fissano © si riproducono più facilmente le imagini visive, quali il colore,
l’aspetto, In forma estel tipo uditivo meno frequente, in cni tutto ciò a cui
si pensa è rappresentato nella lingua dei suoni; il tipo motore, in oui la
memoria è prevalentemente costituita da imagini di movimenti. Per Aristotele la
memoria nasce dalla sensazione al pari della fantasia, © si spiega come questa
mediante il movimento che la sensazione lascia nell’anima e che dura un certo
tempo; si distingue dalla rappresentazione sensibile, in quanto è accompagnata
dal sentimento che la rappresentazione stessa è esistita già prima nel nostro
spirito, il che spiega come la memoria non esista che negli animali che
posseggono il senso del tempo. Per S. Tommaso la memoria è una facoltà
dell’anima, e serve al giudizio come la fantasia ai sensi: la fantasia
raccoglie le sensazioni ο le raggruppa man mano che si presentano, la memoria
riunisce ο conserva gli atti stabiliti dal giudizio, per riprodurli o
spontaneamente o Mau 686 per mezzo della riflessione. Per Spinoza la
memoria non è altra cosa che una certa concatenazione delle idee, che involgono
in 68 stesse la natura delle coso esistenti fuori del corpo umano,
concatenazione che si produce nell'anima secondo l’ordine e il legame delle
modificazioni del corpo umano ». Per Locke la ‘memoria è una specie di
retentiVità (refentivenese), 9 consiste in una forza particolare posseduta dalla
coscienza, di risvegliare le rappresentazioni già possedute, ma poscia svanite
ο poste in disparte; perciò le idee che sono più spesso rinfrescate da un
frequente ritorno degli oggetti ο delle azioni che le producono, si fissano
meglio nella memoria e vi rimangono più chiaramente e più lungamente ». Per
Kant la memoria può essere meccanica, consistente nella semplice ripetizione
letterale, ingegnosa, consistente nel fissare mediante l’associazione certe
rappresentazioni con altre, che non hanno con le prime alcuna parentela
intellettiva, © giudiziosa, che non è se non la tavola d’una disposizione
sistematica nel pensiero; in generale la memoria si distingue dalla semplice
imaginazione riproduttiva, in quanto, potendo riprodurre spontaneamente le
rappresentazioni passate, l’anima non è con ciò un puro gioco di esse ». Per
James Mill la memoria è un’ ides, formata mediante l'associazione di
particolari in un certo ordine: quando penso a qualsiasi caso di memoria, trovo
sempre che l’idea o la sensazione, precedente il ricordo, era una di quelle
destinate, secondo la legge dell’associazione, a richiamare l’idea involta nel
caso di memoria; ο che appunto per l’idea ϱ sensazione precedente,
l’idea-ricordo è stata realmente portata nella coscienza >. Per l’ Hamilton la
memoria è la conoscenza immediata di un pensiero presente, conoscenza che
implica una credenza sssoluta, che questo pensiero rappresenta un altro atto di
conoscenza che è stato ». Anche per J. 8. Mill l'atto della memoria implica una
simile credenza più una speciale aspettazione: la rimembranza di una
sensazione, 687 Mem anche se non riferita a nessuna data
particolare, involge la suggestione e la credenza che una sensazione, di cui
quella è una copia o rappresentazione, esistette attualmente nel passato; ©
l’aspettasione involge la credenza, più ο meno positiva, che una sensazione o
un altro sentimento, a cui direttamente si riferisce, esisterà nel futuro ».
Per il Galluppi, il riferimento al passato, o riconoscimento, ottenuto mediante
l'associazione del ricordo con un altro stato di coscienza, è l’unico carattere
per cui la memoria si distingue dall’ imaginazione: Chiamo memoria la facoltà
di riprodurre le percezioni degli oggetti, che sono stati altra volta sentiti,
e che nel momento attuale sono assenti, © di riconoscerle. La memoria non è
dunque una facoltà diversa dall’ imaginasione, ma è la stessa imaginarione, la
quale nel suo esercizio eseguisce esattamente la legge dell’ associazione delle
idee ». Per l’Ardigd la memoria è un fatto fisico-psichico, consistente nel
ridestarai delle impressioni per il rinnovarsi in una data ares cerebrale di un
ritmo fisiologico; ogni atto memorativo è una totalità di parti concorrenti, di
eccitamenti cerebrali che confiniscono, e il ridestarei di un’ idea consiste
nel riprodursi di questi moti sinergioi ; il riconoscimento, essenziale nella
memoria, nasce dal sovrapporsi di due atti psichici, ed ha esso pure la sua
base fisiologica nella persistenza delle disposizioni cerobrali. Cfr.
Aristotele, De an., I, 4, 408 b, 17; 8. Tommaso, Summa theol., I, qu. 79, 6;
Spinoza, Ethioa, Ἱ. II, teor. 18, scol.; Locke, Eas., II, ο. 10, $ 2; Kant, Antrop., I, $
32; James Mill, The hum. mind, 1871, p. 821; J. 8. Mill, Ezam. of Hamilton,
1867, p. 241; Galluppi, Lezioni, 1854, II, p. 744 segg.; Wundt, Grundriee der
Peyohologie, 1896, p. 290 segg.; Höffding, Esquisee d’ une ‚psychologie, 1900,
p. 186 segg.; Ardigò, Opere fil., V, p. 212 segg., VI, 23 segg., VII, 252
segg.; G. Dandolo, La dottrina della momoria nella psicologia inglese, 1891; H.
Bergson, Matière οἱ mémoire, 2° od.; W. F.
Colegrave, Memory, an Men 688 induotice
study, 1899; Van Biervliet, La memoire, 1902; P. Sollier, Le problème de ta
memoire, 1900 (v. amnesia, automnesia, automatismo, punti di ritroro, riconoscimento,
riproduzione delle sensazioni, eco.). Mentale. T. Seclisoh, psychisch; I. Mental; F. Mental. Termine vago, che
si contrappone ad organico, fisico, sensibile, eco., per designare tutto ciò
che concerne lo spirito, o appartiene allo spirito, mentre alcune altre volte
si riforisce all’ intelligenza, come distinta dalla attività psichica in
generale. Mentalità. T. Mentalität, Geistesriohtung; I. Mentality; F.
Méntalité. Qualsiasi fenomeno ο atto della mente. Però si adopera quasi sempre
por indicare soltanto le produzioni della intelligenza più lontane dalla
sensibilità ο più complesse, quali la rappresentazione, l’idea, il concetto. Ha
quindi un’estensione minore del termine prichicità. Spesso si usa anche ad
indicare l’insieme delle disposizioni intellettuali, delle tendenze affettive ο
delle credenze fondamentali di un individuo o di ün popolo; ad cs. la mentalità
di Mazzini, la mentalità tedesca. Mensogna. T. Lüge; I. Lie, Falsehood; F.
Mensonge. Si definisce come un fatto psicologico, di suggestione o nou (si può
mentire con gesti, lacrime, ecc.), con cui si tende più o meno intenzionalmente
a introdurre nello spirito degli altri una credenza, positiva o negativa, che
non sia in armonia con ciò che l’autore suppone essere una verità. Vi sono due
specie di menzogne: le negative, che consistono nella dissimulazione di ciò che
può fornire un indice della realtà; lo positive, che consistono nella crearione
di finzioni intercalate dall’immaginazione della realtà. La menzogna, che è
quasi fenomeno normale nella prima infanzia, pnd assumere aspetto patologico in
alcune malattie mentali, come I isterismo e la mania ragionaute : 1) ammalato
prova una vera voluttà nel dire bugie, ο questo bisogno è in lui tanto
radicato, che spesso diventa e si
689 Mer-MRT serba bugiardo anche
contro il proprio interesse. Cfr. Heinrot, Die Lüge, 1834; Max Nordau, Die
konventionellen Lügen der Gegenwart, 1893; Delbrück, Die pathologische Lüge und
die psychische abnormen Schwindler, 1891; G. Marchesini, Le finzioni dell'anima,
1905. Merito. T. Verdienst; I. Merit; F. Mérite. E, in senso largo, il diritto
ad una ricompensa, che compete all’ agente in seguito ad un’ azione buona
compiuta. In senso teologico è ciò che sorpassa lo stretto dovere, e
costituisce una specie di eredità morale dell’ individuo. Siccome esso implica
il libero arbitrio © la responsabilità, così le dottrine deterministiche al
concetto di merito sostituiscono quello di accrescimento nella dignità, che
l’azione morale compiuta conferisce all'agente, e che, accrescendo il suo
valore sociale, allarga la sfera de’ suoi diritti e quindi della sua libertà.
Mosologia. T. Mesologie; I. Mesology; F. Mesologie. Scienza che studia i
rapporti e le reciproche influenze che uniscono gli esseri all’ ambiente
tellurico, climatico, fisico, ecc., in cui vivono. Metafisica. T. Metaphysik;
I. Metaphysics; F. Métaphysique. Questa parola fa usata primitivamente da
Andronico di Rodi, per designare quelli dei libri di Aristotele, da lui
ordinati, che vengono dopo i libri fisici: τὰ μετὰ τὰ φυσικά. Nel medio evo l’
espressione fu adoperata per indicare la σοφία o φιλοσοφία πρώτη di Aristotele,
che ha per oggetto τὸ By 7 ὄν, ο che egli stosso definisce ἡ τῶν πρῶτων ἀρχῶν
xal αἰτιῶν θεωρητική. Perciò In parola metafisica rimase ad indicare in
generale quella parte eccelsa del sapere umano, che tratta dell’ essenza ultima
delle cose, © cerca spiegare il mondo ο l’esistenza valendosi del metodo
aprioristico, partendo cioè dall’ essere in sò, dall’ ente necessario ©
perfetto, e quindi reale. Ma il suo significato è ben lungi dall’ essere fisso
: ora indica la conoscenza degli esseri che non cadono sotto i sensi, come Dio
e l’ anima; 44 RanzoLt, Dizion. di
scienze filosofiche. Mer 690 ora lo studio delle cose in sò stesse, per
opposizione alle apparenze che esse presentano; ora la conoscenza delle verità
morali, dell’ ideale, del dover essere, considerati come costituente un ordine
di realtà superiore a quello dei fatti © contenenti la loro ragion d’ essere;
spesso per metafisica β΄ intende la conoscenza sssoluta che si ottiene con I’
intuizione diretta delle cose, per opposizione al pensiero discorsivo, oppure
la conoscenza mediante la ragione, considerata come l’ unica capace di
raggiungere il fondo stesso delle cose. Alcune volte è adoperata per designare
il complesso delle questioni filosofiche più generali e più difficili, altre
volte per indicare la tendenza a sillogizzare, sd astrarre, a cavare delle
conclusioni da premesse arbitrarie. Così per 8. Tommaso la metafisica è la
scienza di tutto ciò che manifesta il sovrannaturale, ossia le cose divine:
Aliqua scientia adquisita est circa res divinas, soilicet scientia metaphysica.
Per Bayle à la soience spéoulative de l’étre. Per Platner essa ricerca non ciò
che è reale secondo U esperienza, ma soltanto ciò che è possibile e necessario
secondo la pura ragione. Per l’ Herbart è invece la dottrina dell
intelligibilita dell’ esperienza; per Galluppi la scienza delle sotenze; per
Schopenhauer ogni conoscere che si presenta come sorpassante la possibilità
dell’ esperienza, 6 quindi la natura, o V apparenza delle cose quale οἱ è data,
per apriroi uno spiraglio su ciò da cui questa è condizionata; per il
Trendelenburg à la scienza che considera ciò che v' ha di universale negli
oggetti di ogni ceperienza; per il Mo Cosh è la scienza che investiga le
intuizioni originali ο intuitive della mente, per esprimerle, generalissarle, 6
determinaro quindi che cosa sono gli oggetti rivelati da esse; per il Ribot è
una collesione di verità poste al di fuori e al di sopra di ogni dimostrazione,
perchè sono il fondamento di ogni dimostrazione ; per il Ferrier è la
sostitusione delle idee vere cioè delle verità neosssarie di ragione agli errori dal. l'opinione popolare; per il
Liard è la determinazione dell’as- soluto che sta sotto ai fenomeni, la
scoperta della ragione del- 691 Ματ V osistenza; per W. James un ostinato
tentative di pensare ohlaramente e coerentemente; per il Bergson è la scienza
ohe non si ferma al relativo, oggetto doll'intelligenza, ma raggiunge
l'assoluto mediante l'intuizione. Nella storia della filosofia mo- derna furono
molte le obbiezioni mosse alla metafisica ο vari i modi onde fu considerata:
Bacone ne fece una parte della scienza della natura, separandola dalla
filosofia prima ο ri- ducendols alla conoscenza sperimentale delle cause
astratte ; Locke e Hume ne dimostrarono la nullità, in quanto si occupa di
problemi che trascendono l'intelletto umano ; Kant la ridusse alla cognizione
filosofica dei concetti în unità sistematica, mostrando come la cosmologia, la
psi- cologia e la teologia razionale non facessero che aggirarei in continue
contraddizioni, ο come l’ ontologia fosse di- stratta dalla relatività della
conoscenza: Tutti i nostri ragionamenti che pretendono uscire dal campo dell’ espe-
rienza sono illusor! ο senza fondamento... Non solo l’idea di un Essere
supremo, ma anche i concetti di realtà, di sostanza, di causalità, quelli di
necessità nell’ esistenza, perdono ogni significato, 6 non sono più che dei
vani titoli di concetti, senza contenuto alcuno, quando ci arriechiamo 8 uscire
con essi dal campo delle cose sensibi L'in- tendimento, quindi, non può fare
de’ suoi principt a priori, © persino di tutti i*suoi concetti, che un uso
empirico, © mai un uso trascendentale.... L’uso empirico d’un con- cetto
s’applica semplicemente ai fenomeni, cioò a degli oggetti dell’ esperienza...
Tutti i concetti, e con essi tutti i principî, per quanto a priori, si
riferiscono dunque a delle intuizioni empiriche, vale a dire si dati d’una
espe- rienza possibile ». Più tardi la metafisica fa combattute dalle scienze
naturali, dal materialismo tedesco e dal po- sitivismo, specie da Augusto
Comte, il quale la conside- rava come un semplice stadio storico, ormai
sorpassato, della conoscenza umana. Tra i positivisti posteriori manifestò
tuttavia una spiccata tendenza a ridonare alla Mer 692
metafisica il suo valore: alcuni infatti, specialmente i po- sitivisti
italiani (Angiulli, Villari, Ardigò, ecc.), credono possibile una nuova
metafisica, la quale, abbandonato il vecchio apriorismo, stia o come critica
logios della cono- scenza, 0 come investigazione ‘degli elementi primitivi, o
come coordinazione totale dello scienze; altri, come i neo- kantiani, la
considerano come un bisogno inerente alla ragione di completare il mondo reale
con un mondo ideale, © la collocano quindi tra la religione e la poesia. Un
ten- tativo di trasformare la metafisica compì il positivista in- glese Lewes.
Egli distingue nella cosidetta metafisica due parti: la empirica, che è la
sistemazione ultima dei risul- tati delle scienze, e la metempirica, che
designa ciò che sta oltre i limiti dell’ esperienza. La prima è legittima, ed
ha nn valore simile alle scienze, poichè se queste hanno per oggetto le leggi
dei fenomeni, quella ha per oggetto le leggi delle leggi; la seconda, cioò la
metempirica, è ille- gittima perchè non ha alcuna base e dev’ essere esclusa
dal dominio della filosofia, lasciandole soltanto un valore soggettivo
psioologico-estetico. Perciò non è vero che i problemi metafsici siano
insolubili : essi sono solubili, pur- chè in essi si separi la parto
metempirica dalla empirica, © s’applichi a questa il metodo scientifico o
positivo. Oggi si può dire ormai scomparso il senso dispregiativo della parola
metafisica, conferitole dalle critiche di Kant e del positivismo primitivo;
essa è infatti adoperata comune- mente per indicare la filosofia propriamente
detta, la filo- sofia în quanto non si identifica nò con la psicologia, nò con
la logica, nd con l'etica, ma è una riflessione sui problemi generali relativi
ai somni principi dell’ interpre- tazione del mondo e all’ intuizione
universale della realtà che su di essi si fonda. Cfr. Aristotelo, Metaph., III,
1, 982 b, 9-10; 8. Tommaso, Contr. gent., I, 4; Bayle, Système de philosophie,
1875, p. 149; Platner, Philosophische Aphori- amen, 1790, I, $ 817; Herbart,
Allgemeine Metaphysik, 1828, 693 Mer I, 215; Galluppi, Elementi di filosofia,
1820-27, II, 5; Scho- ponhauer, Die Welt a. W. u. Vorst; ed. Reclam, I, suppl. cap.
XVII; Liard, La soîenoo positiro et la métaphyeique, 3° p., cap. VII; W. James,
Textbook of peychology, 1906, epilogo; Bacone, Do dignilate et augmentis
soientiarum, 1829, 11, 4; Kant, Krit. d. r. Vernunft, 1% ο 2" pref. e Metodol. trascend. ; Fouilléo, L'avenir
de la métaphysique, 1889; Vol- kelt, Über die Möglichkeit der M., 1884; Ardigd,
La peico- logia come scienza positiva, 1882, p. 130; Id., Il rero, 1891, p. 10
segg.; Id., La ragione, 1894, p. 465 segg.; A. Comte, Cours de philos.
positive, 1877, I, p. 15 segg.; Angiulli, La Alosofia ο la ricerca positiva, 1869; Lowes, Problemes of life and
Mind, 1875, I, p. 5 segg.; Bergson, Introd. à la mé- taph., in Revue de métaph.
», 1903, p. 4 segg.; F. De Sarlo, I diritti della metafirica, Cultura
filosofica », lu- glio 1913 (v. assoluto, filosofia, metodologia,
ipermetafisica, poritiviemo). Metafisico.
Dicesi argomento metafisico quella prova dell’ esistenza di Dio, che consiste
nel partire dalla consta- tazione dell’esistenza di qualche cosa, del mondo ο
di noi stessi, per concludere all’ esistenza dell’ Essere necessario, cioè di
Dio. Infatti, se questo qualche cosa che esisto è contingente, dovrà la sua
esistenza ad un altro essere, ο questo ad un altro, finchè perverremo a dover
ammettere P esistenza di un Essere necessario; se questo qualche cosa è
necessario, allora è Dio stesso. Che 1’ Essere necessario, sia Dio, si prova
col fatto che essendo necessario, cioè in sd stesso e in modo assoluto, è anche
perfetto;. non pnd quindi essero il mondo, cho è imperfetto e contingente;
dunque sarà Dio. Punti metafisici chiamò il Leibnitz lo monadi, perchè, a
differenza dei punti fisici, sono inesteso. Il Comte chiama metafisico il
secondo doi tre stadi successivi attravorso i quali passa l'intelligenza umana;
in esso i fonomeni non sono attribuiti, como nel primitivo stadio teologico,
alla volontà di esseri sovrannaturali. imaginari, Mer 694
ina sono spiegati mediante entità astratte, cioò cause, forze, sostanze.
Bisogno metafisico dicesi |’ aspirazione dell’anima umana verso l'invisibile,
il sovrannaturale, il trascendente, aspirazione che, secondo alcuni pensatori,
non può essere distrutta dalla scienza o dalla ragione, perchè si muove in un’orbita
che alla ragione non è dato ponetrare: L'uomo à il solo essere, dice lo
Schopenhauer, che si meraviglia della sua propria esistenza; 1’ animale vive
nel suo riposo e non’ si meraviglia di nulla. Codesta meraviglia, che si
produce specialmente in faccia alla morte, © alla vista della distruzione e
della sparizione di tutti gli esseri, è la sorgente dei nostri bisogni
metafisici; è per essa che l’uomo è un animale metafisico ». Cfr. Leibnitz, Die philos.
Schriften, ed. Gerhardt, IV, 398; Comte, Cours de phil. positive, 1889-42, vol.
I; Schopenhauer, Die Welt, vol.
II, ο. 17 (v. gli argomenti ontologico, ideologico, morale, fisico,
cosmologico, storico). Metageometria. T. Metageometrie e Metamathematik; I.
Metageomeiry; F. Métageometrie. La geometria che, considerando falso il
postulato di Euclide delle parallele, concepisce diversi spazi possibili, che
non hanno le proprietà dello spazio euclideo. Il postulato euclideo ai enuncia
così: 11 giugno 1910; Th. Flournoy, Archives de Psychologie, V, 1906, p. 298
(v. dissociazione, incosciente). Metempirico. T. Metempirisok ; I. Metempirical;
F. Métempirique. Indica etimologicamente ciò che è al di là della natura, ©
quindi tatto ciò che sorpassa i limiti d’ ogni esperienza possibile. Altro
volte si oppone a metafisica empirica, © designa quella parte della metafisica
cho tratta i ciò che sta oltre i limiti dell’ esperienza, e non ha quindi un
valore scientifico, ma soltanto estetico e psicologico. Il termine fu proposto
appunto con questo significato dal Lewes, che alla motafisica empirica ascrive
lo studio degli oggetti ο delle loro relazioni in quanto ci sono conosciuto ed
esistono nel nostro universo; alla metafisica metempirica le costruzioni ideali
dell’imaginazione. Cfr.
G. H. Lewes, Problemes of life and mind, 1875, I serio, I, p. 5, 10, 17 (v.
ipermetafisica). Motempsicosi. T.
Scelenwanderung, Metempaychose; I. Metempsyohoses; F. Métempeychose. Dottrina
secondo la quale l’anima, dopo la morte del corpo, trasmigra succossivamente a
rivestire altri corpi 6 a dar vita ad essi. Questa dottrina, che nella eua
forma rudimentaria fa propria di tutti i popoli primitivi, si trova
specialmente nelle antiche religioni filosofiche dell’ Egitto, dell’ India ©
della Grecia, in ciascuna delle quali assumo aspetti differenti. Secondo gli
Egiziani l’anima umana, dopo la morte, entra suceossivamente e per il corso di
tre millenni in tutti gli animali che vivono sia nell’ aria, sia nell’ acqua,
sia nella terra; alla fine del terzo millennio ritorna a vivificare un corpo
umano, per poi ricominciare lo suc trasmigrazioni attraverso il rogno animale,
e così via via all’ infinito. Secondo gli Indiani, inveco, l’anima umana passa
da un corpo ad un altro finchè non s'è del tutto purificata, così da poter
ritornare a componetrarsi con la divinità da cui è 697
Mer discesa; se durante queste successive esistenze essa pratica la
penitenza e segue la scienza, passa in corpi sempre più perfetti e quindi torna
più presto a Dio; se invece segue il male, al contrario. Nella Grecia la
dottrina della metempsicosi fu insegnata da Pitagora e nei misteri, od esposta
anche da Platone: l’ anima umana, dopo la morte del corpo che la racchiude, va
nei regni d’ oltretomba per ritornare poi, dopo mille anni di purgazione, a
rivestire un nuovo corpo in armonia con la vita precedentemente trascorsa;
soltanto l’anima pura del saggio non compie queste trasmigrazioni, ma vola ad
abitare con gli Dei per tutta l’ eternità. Verso la metà del secolo scorso la
dottrina della metempsicosi fu rimessa in onore da tre pensatori di idee assai
diverse: Pietro Leroux, che sostenne la rinascenza eterna delle stesse
generazioni ο quindi dellostesse anime umane in diversi individui ; Carlo
Fourier cho allargò la cerchia delle trasmigrazioni dell’ anima oltro i confini
del mondo, in una sfera sovramondana ove ogni essere avrebbe natura più sottile
e sensi più delicati; AllanKardec, il fondatore dello spiritismo metafisico,
che pone la metempsicosi a base delle sue invenzioni sul mondo degli spiriti.
Cfr. Platone, Timeo, 90 E segg.; Diogene Laerzio, VIII, 1, 31 segg.; Schlosser,
Über die Seelenwanderung, 1781; P. Leroux, De l'humanité, de son principe et de
son avenir, 1840; Fourier, Théorie de l'unité universelle, 1841; G. Athius,
Idea vera dello epiritiemo, 1895, p. 65 segg. (v. apoteosi, catarsi, nirvana,
immortalità). Metessi. Partecipazione. La usò Platone per esprimero che le cose
sono una partecipazione (µέθεξις) delle Ideo. Ai tempi nostri questa parola fu
adoperata, con lo stesso significato, dal Gioberti (v. mimesi). Metodi
induttivi. Quei metodi che conducono alla determinazione delle leggi causali
doi fatti. Allo Stuart Mill si deve la dimostrazione più precisa di codesti
metodi, che prima di lui erano gid stati intuiti da Bacone, Mer 698 ο
che altri, come ad es. l’ Herschel, avevano esposto con molto minor precisione.
Quattro sono i metodi suggeriti ed illustrati dal Mill per la ricerca della
causa dei fenomeni: metodo di concordanza, di differenza, dello variazioni
concomitanti ο dei residui, ai quali si aggiunge un quinto metodo
complementare, detto della concordanza nella difSerenza. Tutti questi metodi si
fondano sull’ eliminazione: infatti per essi è causa ciò che non può essere
eliminato senza che sia pure abolito l’effetto, non è causa ciò che può essore
eliminato senza che 1’ effetto sia abolito. Da ciò appaiono le lacune dei
metodi induttivi, poichò non sempre la causa è capace di produrre I’ effetto.
D’ altro canto ossi hanno il difetto di presupporre che ad ogni effetto
corrisponda una sola causa, © che possano essere distinti nettamente gli
effetti di ciasonna causa da quelli di tutto le altro. Perciò nella ricerca
scientifica i quattro metodi del Mill vogliono ossere integrati da norme
complementari d’indagine e dal metodo deduttivo. Cfr. J. Stuart Mill, A System
of Logio, 1865, I, o. VIII segg.; Masci, Logica, 1899, p. 410 segg. Metodo
(µετά ο 626ç in via). T. Methodo; I. Method; F. Méthode. La direzione che si
imprime ai propri pensieri per giungero ad un risultato determinato, ο
specialmente alla scoperta della verità e alla sistemazione delle conoscenzo.
Methodus nihil aliud esse videtur, dice lo Zabarella, quam habitus
intelleotualis instrumentalis nobis inserviens ad rerum cognitionem
adipiscendam. E la Logica di Porto Reale: ars bene disponendi seriem plurimarum
oogitationum. Vi è il motodo naturale, che è quello che vien suggcrito a
ciascuno nei singoli casi dalla propria intelligenza, © il motodo riflesso 0
scientifico che è una parte della logica. Questo si divide in sistematico ©
inrentivo: il primo studia le forme mediante le quali si ottiene I’ ordinamento
più utile delle conoscenze, il secondo studia i procedimenti per cui questo
conosconze si possono ostendere, passando
699 Mer dal noto all’ ignoto. Il
primo, oltre alla coordinazione delle conoscenze, ha anche il cémpito di
determinare le prove della dimostrazione, di analizzarne i procedimenti,
studiarne il valore: ciò costituisce il metodo dimostrativo. Il secondo può
exsore analitioo 0 sintetico : quello consiste nel sopararo, in un complesso di
relazioni note tra il noto ο Y ignoto, le relazioni ignote che vi sono dissimulate
; quello nel ricercarle al di fuori delle relazioni note © comporro con queste.
Dicesi didascalico il metodo che à volto a comunicare © insegnare altrui la
verità; deontologico quello che guida lo studioso alla ricerca del perfetto
esemplare delle cose; apologetico quello che insegna a difendere la vorità
contro le obiezioni, © elenctico quello che insegna a confutare gli errori.
Dicesi metodo maieutico quello adoperato da Socrate, consistente nel condurre
gli uomini, per mezzo di opportune interrogazioni, a scoprire i veri che
tengono nascosti nelle profondità del loro stesso spirito, a risvegliare le
loro stesse idee; metodo risolutivo © compositivo i due momenti del metodo
galileano, il primo dei quali consiste nell’investigare i processi più semplici
matematicamente determinabili e ricavarne un'ipotesi, il secondo nel mostraro
deduttivamente che l’ipotesi posta concorda con altre esperienze; metodo
geometrico l'applicazione ai problemi filosofici del processo dimostrativo
euclideo procedente per definizioni, assiomi, teoremi, corollari, applicazione
fatta specialmente dallo Spinoza nell’ Etica; metodo oritioo 0 trascendentale,
per opposizione al dogmatico, quello adoperato da Kant, consistente nell’
assumere come punto di partenza l'indagine della forma sotto la quale i
principi razionali si prosentano di fatto, ed esaminarne il valore secondo la
capacità, che essi posseggono in sè, di essere applicati universalmente e
necessariamente all’esperienza; metodo dialettico, sin l’arte polomica che, movendo
dalle opinioni comuni intorno ad un dato oggetto, le prova al martello della
oritica, ne mostra gli errori, in modo da Mer .
700 preparare il terreno all’
indagine soiontifica, sia il metodo usato da Fichto e da Hegel, consistente nel
procedere per tre momenti, tesi, antitesi ο sintesi, ossia nel convertire ogni
concetto nel suo opposto ο derivare dalla loro contraddizione il concetto più
elevato, il qualo poi trova un’altra antitesi, che richiedo una sintesi ancora
più alta, così di seguito. Metodo dei rapporti chiama 1’ Herbart il proprio
metodo di eliminazione delle contraddizioni, che sono nel fondo dei nostri
concetti più generali; siccome la contraddizione deriva sempre dall’esseroi
dati come unici dei concetti i cui elementi opposti non possono realmente
pensarsi come uno, così il metodo dei rapporti consiste nel considerare il
soggetto non come uno, ma come un insieme, cioò come un sistema di rapporti;
esso si compondia in questa regola: quando una cosa deve essere pensata, © non
può essere ponsata come una, si pensi come molte. Cfr. Zabarella, Opera
philosophica, 1623, De meth., I, ο. 2; Logique d. P. Royal, IV, 2; Cartesio,
Discorso sul metodo, trad. it. 1912; Fries, System der Logik, 1837, p. 508
segg.; B. Erdmann, Logik, 1892, I, 11 segg.; Rosmini, Logica, 1853, $ 749
segg.; Masci, Logica, 1899, p. 410 sogg. (v. agonistica, dia lettica, eristica,
maieutica). Metodologia. T. Methodenlehro; I. Methodology ; F. Méthodologie.
Quella parte della logica che studia le regole generali per mezzo delle quali
le varie discipline estendono ed ordinano le proprio conoscenze. La metodologia
si divide dunque in due parti; la parte ordinativa ο sistematica, che fissa lo
norme della definizione, della divisione, della classificazione, della prova
induttiva ο dodattiva, diretta © indiretta, e la parte estensiva o inventiva,
che fissa lo norme doi metodi di ricerca, induttivi e deduttivi, propri @ ogni
scienza, Per metodologia trascendentale Kant intende la determinazione dello
condizioni formali di un sistema perfetto di ragion pura; © per metodologia
della ragion pura pratica l’arte con cui le leggi dolla ragion pratica
pura 701
Mer-Mrz possono entrare nell’ animo umano e influire sulle sue massime,
ossia l’arte onde la ragion pratica obbiettiva può anche diventare ragion
pratica soggettiva. Nel sistema dell’
Herbart, la metodologia è la prima delle quattro parti in cui distinguesi la
metafisica: ossa tratta del metodo dei rapporti, col quale si possono togliere
le contraddizioni che viziano i nostri concetti fondainentali della natura. Le
altre tre parti sono l’ontologia, la sinecologia ο 1’ idolologia. Dalla metodologia distinguesi la metodica,
che è quella parte della pedagogia che tratta in generale del metodo d’ insegnamento
; l'applicazione della metodica alle singole materio da insegnarsi costituisce
la didattioa. Cfr. Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p. 544; Krit. d.
prakt. Vernunft,
1878, p. 181; Herbart, Einleit. in die Philos., 1834, $ 13; Bain, Eduo. as. a
science, 1% ed., p. 230-357; E. Wagner, Darstellung d. Lehre Herbarts, 1896, $
30 segg.; Wundt, Logik, II, 1881; Sigwart, Logik, 1890, IL. Metriopatia. La misura del piacere mediante la
ragione. Nella morale platonica la natura del bene è fatta consistere nella
metriopatia : la felicità non consiste infatti nè nel solo piacere nè nella
sola ragione. Porfirio contrappone la metriopatia all’ apatia ο alla teoria: la
prima è il cémpito delle virtù politiche, ed è propria dell’ uomo giusto, la
seconda è lo scopo delle virtù catartiche e propria dell’uomo demoniaco; la
terza è il mezzo per oui l’anima si rivolge al Noo ed è propria di Dio. Cfr.
Porfirio, Ieagoge, 1887 (v. catarsi, edoniemo, eudemoniemo, morale). Mezzo. T.
Mitte, Umgebung; I. Mean; F. Milieu. Cid che è collocato tra due o più cose, e
in special modo ciò che è ad ugual distanza tra duo estremi; tale, nol senso
aristotelico, è la virtù: µεσότης τις ἄρα ἐστιν ἡ denti. Due secoli prima
Confucio aveva detto: L’ uomo superiore si conforma alle circostanze per
seguire il mezzo... L'uomo volgare non teme di seguirlo temerariamento in tutto
e per tutto. » Talvolta adoperasi anche, in modo improprio, per Merz 702
ambiente, ad indicare 1’ insieme delle condizioni e dei fattori tra i
quali un fenomeno si produce o un essere vive. In un processo di finalità, il
mezzo è il termine intermedio o la serie dei termini intermedi, che sta fra il
termine iniziale, con cui il processo stesso comincia, ο il finale, con cui
finisce. Cfr. Confucio, Tokoung-young, trad. franc. Remusat, 1817, XI, 3, II,
2; Aristotele, Etica a Nicomaoo, II, 5, 1106 b, 27. Mezzo escluso (principio
del). Lat. Prinoipium eziusi tertii; T. Satz des ausgeschlossenen Dritten ; I.
Principle of excluded middle; F. Prinoipe de milieu ezolu. O anche principio
del terzo escluso, è uno del principî logici fondamentali © principî supremi di
ragione. La sua formula è: 4 è ο non è B; cioè tra questi due giudizi uno deve
esser vero, perchè essendo essi contradditori, non vi ha una via di mezzo, una
terza possibilità, Secondo il Fries esso si esprimo così: ad ogni oggetto
appartiene un conoetto ο il suo contradditorio. Secondo Hegel: di due prodicati
contradditori uno soltanto appartiene a un qualche cosa, 9 non si dà un terzo.
Secondo B. Erdmann: quando un giudizio affermativo è dato come vero, il suo
contradditorio negativo è falso, ο viceversa. Secondo il Rosmini: tra due note
contraddittorio non c'à alown mezzo. Contro questo principio furono mosse molte
obbiezioni. Si disse, ad esempio, che alcune volte è possibile la vis di mezzo;
così se si dicesse che un oggetto può essere © bianco ο nero, si può rispondere
che può anche esser grigio. In questo caso però le due idee sono contrarie non
contradditorie, essendo non-bianco il contradditorio di bianco, 9 non è
possibile che un oggetto colorato, se non è bianco, sia neppure non-bianco. Fu
obbiettato ancora che due giudizi contradditori possono essere entrambi falsi
quando il soggetto non esiste (es. Garibaldi passeggia Garibaldi non passeggia) ma un giudizio è
sempre formulato nell’ ipotesi che al soggetto si attribuisca una qualche forma
di realtà, anche puramente imaginativa. Cfr. Fries, 708
Mic-Mia System der Logik, 1837, p. 176; Hegel, Enoyklopädie, 1870, $
119; B. Erdmann, Logik, 1892, I, 366 ; Rosmini, Logica, 1853, § 345; Masci,
Logica, 1899, p. 56 segg.; Herbart, De principio logico exlusi medii, 1842.
Microcosmo. T. Mikrocosmos; I. Microcosm; F. Mioroccsme. Si usa generalmente in
opposizione a macrocosmo (universo) per designare l’uomo, che, considerato in
sò stesso, presenta un tutto organizzato, un piccolo universo. 1) espressione
trovasi per la prima volta in Aristotele: ἂν μικρῷ κόσμφ ylvetat, καὶ dv
neydAp. Per il Leibnitz ogni individuo è un microcosmo, in quanto ha per sò un
valore universale, contiene tutto l'universo; in ogni individuo si ha
continuità di stati, come in tutto l'universo si ha una continuità di monadi: Codesto
legame di tutte le cose create con ciascuna, e di ciascuna con tutte, fa sì che
ogni sostanza semplice ha dei rapporti che esprimono tutte le altre, © che essa
è quindi un perpetuo specchio vivente dell’ universo.... Ogni corpo risente
dunque tutto ciò che si fa nell'universo; talmente, che colui che vede tutto
potrebbe leggere in ciascnno ciò che si fa dovunque, e persino ciò che s'è
fatto ο si farà, osservando nel presente ciò che è lontano sia secondo i tempi
sia secondo i luoghi ». Cfr. Aristotele, PAys., VIII, 2, 252 b, 26; Leibnitz,
Philos. Schriften, ed. Gerhardt, III, 349; Lotze, Microcosmo, trad. it. 1911
(v. maorocosmo, monade, monadismo). Micropsia. Alterazione patologica del senso
della visione, per eni gli oggetti sono percepiti con dimensioni minori del
vero. È il contrario della megalopsia, in cui gli oggetti sono percepiti di
dimensioni maggiori del vero. Si verifica talvolta nell’ isterismo. Cfr. Pierre
Janet, Nevroses et idées fixes, 3" od. 1904, I, 277 segg. Migliorismo. T.
Meliorismus; I. Melioriom ; F. Méliorieme. O ottimismo relativo, è la dottrina
che non considera il mondo come il migliore dei mondi possibili, alla maniera
dell’ ottémismo assoluto (Leibnitz), ma sostiene che il Mir 704
mondo, pur potendo contenere un po’ meno di male, è tuttavia buono, Il
vocabolo sembra dovuto a Giorgio Eliot; fu adoperato in senso analogo dallo
Spencer (the melioriat tiew.... that life... is on the way to become such that
it will vela mor pleausure than pain) © diffuso da James Sully : con questo io
intendo la fede che afferma non solo il nostro potero di diminuire il male, ma
anche la capacità di acorescere la somma del bene positivo. Si contrappone al pejoriemo
ο pessimismo relativo del? Hartmann, il quale sostiene che il mondo val meno
che niente, l’ordine vi è continuamente turbato dalla volontà, ma vi è un
potere incosciente che tenta di ristabilirlo © vi riesce eliminandone la
coscienza; si distinguo quindi dal pessimismo assoluto (Schopenhaner) per il
quale il mondo è il peggiore dei mondi possibili e la vita non è che un pianto
continuo, essendo 1’ uno e l’altra opera di una volontà assurda. Cfr. Spencer, in Contemporary
Review, luglio 1884, p. 39; I. Sully, Pessimism, a History and Criticiem, 1877,
p. 399. Millenarismo. T.
Milleniumslehre; I. Millenarianiem, millenarian doctrine; F. Doctrine
millénariste. Dottrina cho, fondandosi sulla predizione dell'Apocalisse,
insegnava che Gesù Cristo doveva regnare temporaneamente sulla terra, insieme
ai santi, durante un periodo di mille anni, che si sarebbe chinso col giudizio
universalo. L'origine di questa credenza nel millenium, che sorse nei primi
secoli del Cristianesimo e trovò seguaci in molti Padri della Chiesa, è in
parte ebraica e in parte cristiana. Già le profezio contenute nelle sacre
scritture, promettovano agli Ebrei che Dio, dopo averlì dispersi tra le varie
nazioni, li riunirebbe un giorno di nuovo in un regno di pace e di felicità;
ora, avvicinando queste previsioni alle parole con cui Cristo annunciava il suo
ritorno e il suo regno glorioso, molti ebrei, convertiti al cristianesimo,
fondarono il millenarismo. Il quale, sebbene combattuto dai Padri che fondarono
il dogma, non scomparve mai del tutto; esso risorse verso 706
ΜΙΝ-ΜΙΟ la fine del secolo IX dell’era nostra, predicando la fine
imminente del mondo, e, più tardi, alleatosi col oomunismo, preparò, insieme
con altre sètte di esaltati, la rivoluzione inglese del 1648. In tempi ancora
più vicini a noi, il millenarismo risorge specialmente nella società inglese,
ove scrittori come Worthington, Bellamy, Towers profetizzarono per l’anno 2000
l’inizio del nuovo millennio di felicità © di giustizia, annunziato
dall’Apocalisse. Cfr.
Apooaliese, XX, 1-3; Schürer, Lehrbuch d. nontestamentlichen Zeit-Geeoh., 1881,
$ 28, 29; Towers, Illustrations of profecy, 1796, t. II, cap. I; A. Sudre, Histoire du
communisme, 1850, p. 182 segg. Mimesi. T. Nachahmung, Naohiffung ; I. Mimetiem
; F. Mimétisme. Imitazione,
Platone adopera questa parola per indicare che le cose sono un’imitazione
(µίμησις) delle idee; anche il Gioberti usò lo stesso vocabolo nello stesso
significato. Per i pitagorici invece le cose erano una imitazione dei numeri. Per mimesi o mimetismo s'intende nelle
scienze biologiche il fenomeno per cui certi animali rivestono, sia
temporaneamente sia stabilmente, il colore dell’ ambiente nel quale vivono; o
anche la somiglianza superficiale tra animali anatomicamente diversi gli uni
dagli altri, dovuta sia alle medesime condizioni d’esistenza sia ad altre
cause. Cfr. Platone, Parmen., 132 d.; Sesto Emp., Pyrr. ip, III, 18; Gioberti,
Protol., 1858, II, p. 3 segg. (v. idea). Minore. T. Unterbegrif, Untersats, Minor; I. Minor; F.
Mineur, Mineure. Nel sillogismo
dicesi minore il termine che ha l'estensione minore, e minore la premessa che
contiene, come soggetto ο come predicato, il termine minoro. Nella conolusione
il termine minore fa sempre da soggetto © viene perciò designato con la letters
8. Nel sillogismi disgiuntivi la minore è quella delle due premesse che esclude
uno dei membri disgiunti; nei sillogismi ipotetici quella che afferma la
condizione o nega il condizionato. Miopia. T. Kurssiohtigkeit; I. Myopia; F.
Myopie. Difetto della vista, determinato da eccessiva curvatura dello 45 Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche.
Mie-Mis 706 superfici di rifrazione, o da maggior densità
dei mersi diottriei, per oui i raggi paralleli fanno foco non sulla retina,
come nell’ occhio normale, ma al disopra della retina. Quindi il punto di
lontananza, anzichè all'infinito, si trova poco lontano dall’ occhio, cosicchè
riesce impossibile distinguere gli oggetti lontani. Cfr. I. 8. Wells, Dis. of the
Eye, 1883, p. 629 (v. accomodamento, emmetropia, punto). Miracolo. T. Wunder; I. Miracle, Wonder; F. Miracle.
Originariamente, tutto ciò di cui l’uomo si meraviglia, ogni fatto che desta
sorpresa; poscia, un fenomeno che è considerato, per il suo carattere,
superiore ai poteri della natura o dell’uomo, e perciò manifestazione di una
volontà sovrannaturale, della quale è segno ο testimonianza. Que prater ordinom
communitor statutum in rebus quandoque divinitus flunt, dico 8. Tommaso. David
Hume lo definisco: la trasgressione d' una legge di natura, eseguita per una tolizione
particolare della divinità ο per la mediazione di qualche agonte invisibile.
Secondo il Le Roy la nozione di miracolo s'appoggia su questi quattro punti: 1°
non si dà il nome di miracolo che a un fatto sensibile, e a un fatto
eccezionale, straordinario; 2° non si dà il nome di miracolo che a un fatto
significativo nell’ ordine religioso; 8° perchd un fatto sia detto miracolo
deve essere inserito nella sorio fenomenica ordinaria, pur facendo contrasto
con essa; 4° perchè un fatto sia detto miracolo, bisogna che non sia nè
prevedibile nè ripetibile a volontà. Cfr. 8. Tommaso, Contra gentiles, III,
101; Hume, Eeeaia, 1790, II, p. 234 n; Le Roy, in Annales de philosophie
chrétienne, ottobre 1906 ; Μο Cosh, The Supernatural in relation to the
Natural, 1872 ; R. Schiattarella, Miracoli e profeste, 1899. Mistero. Gr.
Μιστήριον; T. Mysterium; I. Mystery; F. Mystère. Nello religioni antiche i
misteri erano un insieme di pratiche, di riti ο di dottrine di natura segreta ο
riservate agli iniziati. Nella teologia cristiana i misteri sono 707
Mis verità indimostrabili ο incomprensibili, rivelato da Dio © come tali
imposte direttamente dalla Chiesa ai fedeli. Anche nella scienza si parla
talvolta di misteri, ma in senso relativo; nel senso cioè di un ignoto
qualsiasi, che può venir conosciuto © spiegato, e non è quindi contrario alla
ragione; 1’ introduzione del mistero assoluto ο religioso nella sclensa
costituisce il misticismo. Tuttavia i teologi sostengono che i misteri della
religione non sono contrari alla ragione, ma al disopra della ragione, ciod ad
essa trascendenti: la ragione non vede, con le sole sue forze, la verità che
essi esprimono, ma non vede per questo l’impossibilità di tale verità. Il
concetto del mistero cominciò infatti a determinarsi nella teologia, quando si
rese palese il dualismo tra la soienza ellenistica ο la tradizione religiosa,
tra la filosofia d’Aristotele e le dottrine specifiche del cristianosimo. Con
piena coscienza di questo dualismo, Alberto Magno cercò di dimostrare, che tutto
ciò che in filosofia si conosce mediante il lumen naturale è valido anche in
teologia; ma che l’anima umana non può conoscere pienamente se non ciò, i cui
principî porta in sò stessa, e che perciò in quei casi in cui la conoscenza
filosofica non è in grado d’arrivare a una decisione definitiva © deve restare
indecisa davanti a possibilità diverse, decide la rivelazione. Duns Scoto,
andando più in là, pose una separazione netta fra filosofia © teologia, allargò
la cerchia dei misteri della teologia, inchiudendovi persino il principio della
creazione © quello dell’ immortalità dell’ anima. Cfr. Maywald, Die Lehre von
der zweifachen Wahrheit, 1871; Sainte-Croix, Recherches hist. ot orit. eur les
myslöree du paganieme, 1817; Le Roy, Dogme et critique, 1907; I. A. Pioton, The
mystery of matter, 1873; A. D'Ancona, Le origini del teatro italiano, 1891;
Chiappelli, La dottrina della doppia verità ο i suoi riflessi recenti, Atti
della R. Acc. di Napoli >, 1902. Mistica. Scnola filosofica e teologica
sorta, sotto I’ influsso delle idee neo-platoniche, nel seno della Scolasticn
Mis 708
del secondo periodo, e importantissima perchd diede luogo, per puro zelo
religioso, alla separazione e al contrasto tra le verità di ragione e le verità
di fode, che prima si fondevano in un’ unica verità. Per la Scolastica la
rivelazione è fissata come autorità storica, per la Mistica è invece un
tuffarsi, libero da ogni mediazione esterna, dell’ individuo ‘umano nel
primitivo principio divino. La Mi distingue nella fede due elementi: la cognizione,
ossia il contenuto (fides quae oreditur) © l’affetto, ossia l’atto soggettivo
del credere (fides qua oreditur). Ora, nella fede è importante soltanto questo
secondo elemento, quindi si rende affatto inutile ogni ricerca razionale sul
contenuto della fede stessa. Tuttavia non è da disprezzare anche la cognizione,
che passa per tro gradi: cogitatio, meditatio, contemplatio; la prima guarda il
mondo con 1’ occhio del corpo, la secondn guarda in noi stessi, la terza, che è
la cognizione vera, lo affissa in Dio; questi tre gradi corrispondono
rispettivamente alla materia, all’ anima, a Dio. Sotto tal rapporto può dirsi
che la Mistica ο la Scolastica si integrano a vicenda: come la contemplazione
mistica può benissimo diventare un capitolo della dottrina del sistema
scolastico, così anche 1’ estasi mistica può presupporre I’ edificio dottrinale
como suo sfondo teorico. Cfr. H. Router, Geschichte d. religiosen Aufklirung im
Mittelalter, 1875; Helfforich, Die christliche Mystik in ihrer Entwickelung und
ihren Denkmalen, 1842; H. Delacroix, Études d'histoire et de psychologie du
mystioieme, 1908; R. Steiner, Il oristianesimo quale fatto mistico, trad. it.
1909 (v. conoscenza, credenza, fideiemo), Misticismo. T. Mystik, Mysticismus;
I. Mysticiem; F. Mysticisme. Nel suo significato più generale è la credenza
nella possibilità di conoscere Dio, l'infinito, la verità assoluta
immedistamente, senza il sussidio dell’ intelligenza, con un puro impeto di
sentimento o con uno sforzo di volontà. Il termino fu diffuso nel linguaggio
religioso ο filosofico dallo pseudo Dionigi l’Areopagita, cho, nol trat
709 Mir tato eni nomi divini, dopo aver
dimostrato che per raggiungere 1’ essere in sò stesso bisogna sorpassare le
imagini sensibili, le concezioni e i ragionamenti dell'intelletto, afferma che
codesta perfetta conoscenza di Dio risulta da una sublime ignoranza ο si compio
in virtà di una incomprensibile uniono;... codesta assoluta ο felice ignoranza
non è dunque una privazione, ma una superiorità di scienza. Tale scienza
Dionigi chiama la dottrina mistica che spinge verso Dio e unisco a lui pev una
specio d’inisiazione che nessun masstro può insegnare. Il punto culminante del
misticismo è l’estasi, stato nel quale, essendo interrotta ogni comunicazione
col mondo esteriore, l’anima ha l'impressione di comunicare con un oggetto
interno, che è l’essere infinito, Dio. Tale fenomeno, che i teologi considerano
come un effetto della grazia divina, è spiegato dalla scienza come uno stato di
monoideismo, analogo al sonno ipnotico, ottenuto mediante la concentrazione
dell’ attenzione in un unico pensiero © spiegabile mediante la leggo
psicologica notissima che: uno stato completamente uniforme e sempre uguale
conduce alla soppressione della coscienza.
Per estensione dicosi misticismo ogni dottrina, sia filosofica che
scientifica, cho si ispiri più al sentimento e all’intuizione che alla
osservazione e al ragionamento; e misticismo ancora ogni credenza a forze, influssi
© azioni impercettibili ai sensi ο tuttavia reali. Cfr. Heppe, Geschichte der
quietistischon Mistik in der katholisohen Kirche, 1875; R. A. Vaughan, Hours
with the Mystics, 3° ed.; E. Boutroux, Le mysticieme, Bulletin do PInst.
psychologique, gennaio 1902; J. Pachen, Peychologio des mystiques chrétiens,
1909; E. Troilo, Il misticiemo moderno, 1899; Ernesto Lattes, II misticismo
nelle tendenze individuali ο nelle manifestazioni sociali, 1908; C. Ranzoli, L'
agnosticiemo nella filosofia religiosa, 1912, p. 177 segg. (v. comoscenza).
Mito. Gr. Müdoc; T. Mythus; I. Myth; F. Mythe. IL Vignoli lo definisce come la
spontanea e fantastica forma Mir
710 nella quale ’ umana
intelligenza e le umane emozioni raffigurano sè, © lo cose tutte; © l’
obbiettivazione psico-fisica dell’uomo nei fenomeni tutti, che egli può
apprendere e percepire ». Per il Simrock il mito è la forma più antica nella
quale lo spirito popolare pagano conosce il mondo © le cose divine». In senso
generale è mito ogni racconto favoloso, d’origine popolare e non riflessa, in
cui gli agenti impersonali sono rappresentati sotto forma d’ esseri personali;
in senso stretto è la descrizione d’un fenomeno naturale considerato come
l’espressione di un dramma divino, ο P incorporazione d’una idea morale in un
racconto drammatico. Nei due casi, ciò che è permanente ο frequente nella
natura o nell’umanità, è ricondotto ad un avvenimento compiuto una volta per
tutte, e il dramma, sebbene inventato, è ritenuto come reale. Questo carattere
d’ingenua credulità, per oui si tengono come reali dei fatti puramente
immaginari, è essenziale nel mito, e lo distingue nettamente dalla favola,
dall’allegoria © dalla parabola. In queste si ha pure un’ idea morale racchiusa
in un racconto drammatico; ma esse sono opera di riflessione metodica, e non
pretendono di essere credute reali, Il mito si distingue anche dalla leggenda,
che non ha per carattere necessario l’interpretazione d’un fenomeno naturale ο
l’incorporazione d’un’ idea morale, Nolla scienza contemporanea, del mito sono
date tre spiegazioni diverse: sociologica, psicologioa, psico-sociologica. La
prima, sostenuta dal Durkheim ο dalla sua scuola, si fonda sul principio
metodico fondamentale che i fatti religiosi, al pari dei fatti giuridici,
morali, economici, non sono che fatti sociali, prodotti di stati d’ anima
collettiva, spiogabili quindi non in base alla natura umana in generale, bensì
in base alla natura delle società allo quali vengono riferiti; ogni gruppo
sociale pensa, sente, agisce diversamente da quel che farebbero i suoi membri
isolati ; diotro il mito si scorge sempre il gruppo sociale che sogna, desidera
e vuole; il mondo dei miti ο degli dei non è cho l’obbiettivazione m1 Mir
del pensiero collettivo, la proiezione al di fuori che la coscienza del gruppo
sociale fa delle rappresentazioni, che essa stessa si è formata sotto lo
stimolo dei suoi desideri e delle sue esigenze. La dottrina psicologica,
sostenuta dal Tarde, sostiene invece che i miti, al pari di tutte le altre
produ» zioni sociali, sono di origine individuale e si sono diffusi per
imitazione dapprima esclusiva, poi espansiva © proselitistica; i miti e le
religioni non si compongono di altri elementi che non siano desiderii ο
credenze: il bisogno di certezza, il bisogno di sicurezza costituiscono la
duplice fonte della religiosità, il cui fine è quello di stabilire negli
individui © nei popoli un’ immense convinzione », quella dell’esistenza di Dio,
e un’ immensa speranza », quella dell'immortalità dell’ anima. Tra queste due
opposte dottrine sta la dottrina intermedia, o psico-sociologica, del Wundt,
per il quale mito, linguaggio e costume sono prodotti della psiche collettiva e
ripetono, in forma più ampia ed elevata, gli elementi tutti della vita psichica
individuale; il linguaggio infatti contiene la forma generale delle
rappresentazioni viventi nell’ anima sociale, © le leggi delle loro
connessioni; il mito racchiude in sò il contenuto originario di quelle
rappresentazioni, costituito dalla concezione complessiva dell’ universo, quale
la coscienza del popolo se I’ è formata sotto l’azione dei suoi sentimenti e
impulsi; il costume contiene le direzioni generali della volontà collettiva
risultanti da tali rappresentazioni ο sentimenti. Ciò che contraddistingue il
pensiero mitico è la facoltà personificatrice, che proviene, secondo il Wundt,
dalla fantasia, la quale hu due fattori essenziali : l’appercezione animatrice
», per cui si proietta nell’ oggetto la coscienza del soggetto, sì che questi
si sente uno con quello, e la forza intensificatrice del sentimento propria
dell'illusione, forza per la quale tra tutti gli elementi di cui risulta
P’intuisione di un oggetto, non quelli obbiettivi, bene) quelli subbiettivi
determinano il grado d’ intensità delle impressioni emotive Mix-MNE 713
che accompagnano I’ intuizione dell'oggetto. Ciò spiega quel carattere
importantissimo delle rappresentazioni mitologiche, per cui gli oggetti di essi
appaiono come realtà immediatamente date; caraitere che dimostrerebbe, secondo
il Wundt, l'infondatezza delle teorie che considerano i miti © come simboli o
come tentativi di spiegazione dei fenomeni. Un secondo carattere del pensiero
mitologico è la sconfinata facoltà associatrice, derivante dalla mancanza di
impedimenti, che la riflessione poi oppone. Cfr. Wundt, Grundriss der
Psychologie, 1889, p. 356 segg.; Id., Fölkerpsyohologie, 1900-1909, t. Il;
Simrock, Handbuch d. deutschen Mythologie, 1869; Tardo, Les lois de
l’imitation, 1890; Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, 1895; 1d.,
De la definition des phénomènes religieux, in Année sociologique », anno II, p.
1 segg.; Saussure, Lehrbuch d. Religiongesch., 1887-89; Bréal, Mélanges de
mythologie et de linguistique, 1877; E. Vignoli, Mito e soiensa, 1879; Edward
Clodd, Mito e sogni, trad. it. 1905; 8. Reinach, Cultes, mythes ot religions, 1905-12; E. Lamanna, Mito e
religione nelle dottrine socio-prichiohe contemporanee, Cultura filosofica »,
gennaio 1912. Mixoteismo. L’Hasckel chiama così tutte quelle formo della
credenza in Dio, che contengono mescolanze di rappresentazioni religiose di
specie diversa ed in parte direttamente contradditorie. Più che una forms di
religione teorica, il mixoteismo è una forma pratica che risulta dalle varie
influenze di natura diversa cui va soggetta la psiche religiosa dell’individuo.
Cfr. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1913, p. 389 segg. Mneme, T.
Mneme; F. Mnème. Termine proposto dal Semon per indicare la proprietà inerente
alla sostanza vivente di conservare, come tali ο nelle loro relazioni, I’
insieme delle eccitazioni ricevute dal mondo esteriore. Il Loeb «9 l’Ardigò adoperano
invece il termine isteresi per indicare la traccia lasciata nel protoplasma
dalle eccitazioni anteriori. Cfr. Semon, Die Mneme, 1904; Id., Die
mnemischen 13 Mxe-Mos Empfindungen, 1909; Loeb, Fisiologia
comparata del cervello, trad. it., p. 967; Ardigò, L’inoosciente, Riv. di
filosofia », maggio 1908. Mnemonica. T. Mnemonik, Gedächtnisskunst; I.
Mnemonice; F. Mnémoteohnie. L’ arte della memoria: essa consta di un insieme di
norme pratiche e processi artificiali, diretti a rendere integra, pronta, tenace
la memoria delle cose e si fonda essenzialmente sopra le leggi
dell’associazione delle idee. Il primo dei metodi mnemonici conosciuti,
inventato da Simonide, dicesi topologico : esso consiste nell’associare le idee
astratte ad altre idee, i cui modelli sono oggetti sensibili o presenti in un
medesimo tempo. Cfr. Plebani, 1) arte della memoria, 1899. Mnemotecnia. Lo
stesso che mnemonica. Mobile. T. Bewegliohes, Boweggrund; I. Moveable body, Mover; F. Mobile. Ciò che può esser mosso. Aristotele chiama ogni
cosa mobile, xivobpevoy, in quanto cangia, e motore, κινοῦν, in quanto è causa
del cangiamento. Nella psicologia
diconai mobili tutti quei fenomeni affettivi -desideri, predisposizioni,
istinti, abitudini che entrano nella deliberazione volontaria, esercitando la
loro influenza nella determinazione all’atto; si distinguono dai motivi, che
sono i fenomeni intellettuali (rappresentazioni) i quali entrano tra loro in
conflitto al momento della deliberazione. Oltrechd nell’atto volontario, il
mobile entra anche negli atti compiuti per tendenza, ed è costituito, secondo
P’Höffding, dal sentimento provocato dall’idea del fine, non dal sentimento
provocato dall'idea che la realizzazione sarà seguita per noi da un
piacere. Nell’ astronomia antica
dicevasi primo mobile la volta celeste, che credevasi solida e recante
incastrate le stelle: essa si moveva intorno alla terra, quindi nel suo giro
portava seco gli astri. Cfr. Aristotele, Περὶ φυχῆς, III, 10; Höffding, Psychologie, 1900, p. 424; P. Janet,
Traité de philosophie, 4° ed., Psychologie, o. IV, p. 311. Mos-Mop
TU Mobilismo. F. Mobiliene.
Termine proposto dal Chide e accolto dalla Società francese di filosofia, per
indicare la dottrina secondo la quale il fondo delle cose è non soltanto
individuale e multiplo (pluralismo), ma in continuo movimento, in continua via
di trasformazione e senza leggi fisse, così da rendere inefficace ogni
tentativo d’organizzazione razionale. Il Chide considera tale dottrina come la
conclusione necessaria di tutta la filosofia moderna, tendente a esoludere dal
reale ogni unità, immutabilitä e razionalità, a fare della realtà stessa una
creazione continua non diretta ad uno scopo determinato, ma avente valore per
sè, e a porre quindi la durata, il cangiamento, come la sostanza stessa delle
cose. Tre dottrine avrebbero condotto specialmente, secondo i mobilisti, a tale
posizione: la dottrina hegeliana, che colloca il movimento nel senso stesso
dell’ universo, il quale si sviluppa perciò in sintesi sempre nuove e con leggi
che forse non raggiungeranno mai la loro formula definitiva; la dottrina
darwiniana, che toglie dal cangiamento ogni finalità e pone l’irrazionale ovo
prima imperava la ragione; la dottrina bergsoniana, che libera infine il
cangiamento dalla sun ultima crosta deterministica e meccanica, facendo della
contingenza, della durata pura, la stoffa stessa del reale. Ad ogni modo tale
concetto è già espresso nel πάντα ptt di Eraclito. Cfr. Chide, Lo mobilieme
moderne, 1908; Do Sarlo, I diritti della metafisica, Cultura filosofica »,
luglio 1912, p. 450 segg. (v. attiniemo, attività, asione, cangiamento,
encrgismo, vitaliemo). Modali (proposizioni). T. Modal; I. Modal; F. Modales.
Quelle proposizioni che osprimono la modalità, ossia i punti di vista più
generali sotto cui possono presentarsi alla nostra intelligenza gli oggetti del
pensiero. Tali punti di vista essendo quattro, cioè la possibilità,
l'impossibilità, la contingenza © la necessità, le proposizioni modali
fondamentali, quali Aristotele stesso le definì, sono quattro. Siccome poi ogni
modo per esser affermato o negato, ad ogni pro 715 Mop porzione modificata può ugualmente essere
affermativa ο negativa, così vi sono sedici specie di proposizioni modali, che
gli Scolastici espressero in quattro termini mnemonici di convenzione:
purpurea, iliaco, amabimus, odentuli. Le quattro proposizioni espresse in
ciascuno di questi termini sono equivalenti ed hanno lo stesso significato: nei
termini stessi A indica l'affermazione del modo e quella del diotum; U la
negazione di entrambi; ZV’ affermazione del modo e la negazione del dictum; I
viceversa. Cfr.
Aristotele, Anal. pr., I, 2, 24 b, 31; Logique de Port-Royal, 2 p., o. VIII;
Hamilton, Leotures on Logic, 1860, ο. XIV. Modalità. T. Modalitàt; I. Modality; F.
Modalité. Una delle categorie di Kant, sotto la quale si comprendono le tre
categorie subordinate della realtà, della necessità ο della possibilità. Questa
classificazione fu tojta da Kant dalla classificazione dei giudizi, che
rispetto alla modalità, cioò al modo onde è affermata o negata la relazione tra
predicato e soggetto, si distinguono in assertori (4 è B), apodittioi (A deve
esser B) © problematici (A può essere B). Gli assortori esprimono dunque la
realtà della relazione tra predicato © soggetto, i problematici la possibilità,
gli apodittici la necessità. Ora la realtà non è altro che il contenuto dell’
osperienza; la necessità, logicamente, è V inconcepibilità del contradditorio,
obbiettivamente 1’ unità delle condizioni non impedite; la possibilità dal
puuto di vista logico è la conoepibilità dei contradditori in quanto manca a
noi la ragione per decidere quale di esai sia vero, e dal punto di vista
obbiettivo è la presenza di parte soltanto delle condizioni necessarie perchè
una cosa sia. La classi ficazione dei giudizi secondo la modalità risale ad
Aristotele, ma egli non usò tal nome e nemmeno i suoi commentatori. Avendo poi
i grammatici detti modi del verbi le significazioni di realtà, possibilità e
necessità ottenute mediante modificazioni dei verbi stessi, i logici, da Boezio
in poi, tradussero con la stessa parola 1) espressione sopra Mop 716
riferita dei commentatori aristotelici.
Nella psicologia, per modalità della sensazione #’ intende, dall’ Helmholtz
in poi, la natura irreducibile delle sensazioni date dai diversi organi, per
cui non è possibile il passaggio dall’ una all’altra, nd è possibile col
confronto di stabilire tra loro una maggiore o minore somiglianza, e anche un
semplice rapporto di intensità. La gualità è invece una differenza meno
profonda, cosicchè le differenze qualitative tra sensazioni della stessa
modalità non esoludono il passaggio dall’ una all’ sltra nè il confronto per
giudicare della loro maggiore o minore somiglianza e intensità (ad es. tra i
colori dello spettro). Cfr. Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p. 92,
202-3; Wundt, Logik, 1893, I, 199; Trendelenburg, Logische Untersuchungen,
1864, II, 156 segg.; Helmholtz, Physiol. Optik, 2* ed., p. 778 segg., 372
segg.; Wundt, Physiol. Poycologie, 3* ed. I, p. 491 segg. (v. intensità,
qualità). ‘Modelli (teoria dei). La dottrina, sostenuta specialmente dai fisici
inglesi (Faraday, Thomson, Lodge, Maxwell) e implicante gravi problemi
gnoseologici, secondo la quale non è possibile comprendere i fenomeni, la
natura delle cose materiali, senza formarsene una rappresentazione concreta,
senza costruire un modello meccanico che la imiti. Si oppone alla dottrina
sostenuta dal Rankine, Mach, Ostwald, Duhem, che vorrebbe invece bandire
qualsiasi imagine concreta per ridurre le teorie fisicho ad un puro sistema di
nozioni astratte ο di rapporti matematici. Il mio oggetto, dice il Thomson, è
di mostrare come si possa in ogni categoria di fenomeni fisici, che dobbiamo
considerare, ο qualunque siano questi fenomeni, costruire un modello meceanico
che soddisfi alle condizioni richieste. Quando noi consideriamo i fonomeni d’
elasticità dei solidi, sentiamo il bisogno di presentare un modello di questi
fenomeni... Io non sono mai soddisfatto finchò non ho potuto costruire un
modello meccanico dell’ oggetto che studio; se ho po 717 Mop tuto fare un modello meccanico,
comprendo; finchè non ho potuto fare un modello meccanico non comprendo; ed è
per questo che io non intendo la teoria elettromagnetica della luce». Però,
secondo altri soguaoi della stessa dottrina, il modello non consiste in un
meccanismo vero e proprio, che simula in qualche modo i fenomeni, copianfoli,
ma in una imagine simbolica del fenomeno, tale che le conseguenze logiche di
essa siano sempre le imagini delle conseguenze necessario del fenomeno nell’
ordine naturalo; cosa possibile, questa, appunto perchè esiste una certa
armonia tra la natura e il nostro spirito, come l’esperienza di tanti secoli oi
dimostra. Da noi il Pastore, applicando queste vedute alla logica, dà loro un
più largo significato filosofico: egli considera In ragione umana come un
modello tra gli altri modelli, che fanziona deducendo da certi principî tutte
le consoguenze possibili, allo stesso modo come il fisico mette in funzione il
proprio modello per scoprirne le proprietà; i modelli, una volta costruiti
ragionano, come la mente umana, sempre © solo in una maniera, dandoci quella
stessa evidenza di verità che il nostro pensiero riconosce al calcolo © alla dimostrazione
logica astratta. Cfr. Hortz, Die Princ. der Mechanik, 1899, Einl., p. 133
segg.; Thomson, Notes of lectures on molecular dynamics, 1884, p. 131; Duhem,
Les théories modernes de l'électricité, 1891, p. 16; A. Pastore, Logica formale
dedotta dalla considerazione dei modelli meccanioi, 1906 ; Id., Del nuovo
spirito della scienza e della filosofia, 1907 (v. concetto, imagine,
empiriocritioimo). Modernismo. T. Modernismun; I. Modernism; F. Modernieme.
Quell’ insieme di tendenze ο di dottrine, filosofiche, teologiche © sociali,
che sono venute svolgendosi in questi ultimi anni dal seno del cristianesimo
cattolico ο protestante, mirando a porlo in armonia coi bisogni della vita ©
del pensiero moderno. Dal punto di vista filosofico ο teologico molte sono le
dottrine comprese sotto questa denoΜου
718 minazione (immanentismo,
fideismo, sentimentalismo, ecc.), derivate però quasi tutte dall’ idea
fondamentale del card. Enrico Newman del primato della coscienza ». L’enciclica
Pascendi dominioi grogis (8 sett. 1907) le condannò tutte in blooco,
additandole come sintesi di tutte le eresio, come prodotto di superbia e
d’ignoranza, e riassumendone gli errori in due fondamentali, I’ agnosticismo e
l’ immanenz& vitale. Per il primo la ragione umana è ristretta interamente
nel campo dei fenomeni; .... per la qual cosa non è dato a lei d’innalzarsi a
Dio, nd di conoscerne }’ esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili. E
da oid si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne
oggetto diretto; riguardo alla storia, non deve mai reputarsi oggetto storico
». Negata così la teologia naturale, i motivi di credibilità, la rivelazione
esterna, la religione non può trovarsi che nella vita, nel cuore dell’uomo; di
qui l’immanenza vitale: il bisogno del divino, senza verun atto previo della
mente, secondo che vuolo il fideismo, fa scattare nell’ animo già inclinato
alla religione un certo particolar sentimento ; il quale sia come oggetto sia
come causa interna, ha implicata in sò la realtà del divino e congiunge in
certa guisa l’uomo con Dio: A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il
nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione ». Cfr. Ritschl,
Reokifertiguag und Versöhnung, 3° ed. 1888; C. Ranzoli, L’ agnosticismo nella
filosofia religiosa, 1912; R. Murri, La filosofia nuova e l’enciolica contro il
modernismo, 1908 ; *** Il programma dei modernisti, risposta all’ enciclica,
1908; Tyrrel, Modiosvalismo, 1909; Id., II cristianesimo al bivio, 1910;
Laberthonnière, Saggi di filosofia religions, trad. it. 1907; *"* Lettere
di un prete modernista, 1908; E. Newman, Lo sviluppo del dogma oristiano, trad.
it. 1908. Modificazione. T. Zustandsänderung, Modification; I. Modification; F.
Modification. In senso proprio, dicesi modificazione ogni modo che ha la sua
causa non nella natura 19 Mop essenziale del soggetto, ma è l’effetto
d’ uns causa esteriore o distinta dal soggetto medesimo. Perciò la
modificarione non va confusa col cambiamento, in quanto essa non cambia nd
distrugge la natura specifica della cosa, che non cos di essere quello che è.
Modo. T. Modus, Sohlusemodue; I. Mood, Modo; F. Mode. I modi ο aocidenti d’un
essere sono le qualità non essenziali ο mutabili, quelle che possono esistere,
non esistero e variare senza che per questo l'essere scompaia 0 cessi di essere
quello che è; le qualità essenziali si dicono invece attributi. L'estensione è
un attributo della materia; P aver essa una forma 0 un’altra è un modo. In
senso più generale per modo s'intende qualsiasi modificazione d’un soggetto.
Così Goclenio lo definisce come roi quadam determinatio; © Spinoza: substantia
affectiones, sive id quod in alio est, per quod etiam concipitur. Dicesi modo del'sillogismo la forma che egli
ha riguardo alla quantità ο alla qualità dolle due premesse e della
conclusione. Ora, le combinazioni della qualità e della quantità nei giudizi
dànno quattro specie di giudizi, indicati con le vocali 4, E, I, 0; queste
quattro specie dànno sedici combinazioni binarie; essendo quattro le figure del
sillogismo, si avranno sessantaquattro modi per tutte lo figure. Ma di questi,
quarantuno sono contrari alle regole del sillogismo e non dànno conclusione:
quindi i modi coneludenti ο cioè validi si riducono 8 diciannove, dei quali
quattro appartengono alla prima figara, quattro alla seconda, sei alla terza,
cinque alla quarta. Tali modi validi sono enunciati nei seguenti versi
mnemonici, che, con qualche variante, si trovano per la prima volta nelle
Summulæ logicales di Pietro Ispano: Barbara, Celarent, Darii, Ferioque, Priors Cesare, Camestres, Festino, Baroco
Seounde Tertia, Darapti, Disamis,
Datisi, Felapton Bocardo, Ferison habet.
Quarta insuper addidit Bramantip,
Camenes, Dimaris, Fesapo, Fresison, L’artifizio di questi versi sta in ciò, che
le voMor 720 cali di ciascun vocabolo denotante un modo
indicano la qualità e la quantità delle premesse © della conclusione ; le
consonanti meno nella prima indicano, se sono iniziali, a qual modo della prima
figura quel dato modo si deve ridurre per dimostrarne la validità (così
l'iniziale di Calomes indica che deve esser ridotto a Celarent), se non
iniziali (e, m, p, ο) con quale operazione logica la riduzione relativa deve
esser fatta: e cioò, 4 per conversione semplice, m per metatesi delle premesse,
p per conversione accidentale, ο per proposizione contradditoria. Cfr.
Goclenio, Lezioon philosophioum, 1613, p. 694 segg.; Spinoza, Ελίσα, def. V}
Locke, Essays, 1877, 1. II, ο. XII, $4 (v. figura, premesse, termini,
conclusione e le vocali 6 consonanti indicate). Molecola. T. Moleküle; I.
Molecule; F. Molécule. La più piccola porzione di materia costituita di atomi,
alla quale’ si concepisce poter giungere nella divisione d’un corpo omogeneo,
semplice o composto, senza alterarne In natura. Secondo 1’ Eucken, la molecola
fa distinta nettamente dall’ atomo per la prima volta dal Gassendi. Da Avogadro
in poi si sogliono distinguere le molecole éntegranti, che constano di atomi,
dalle molecole costituenti, cho sono gli atomi stessi; nei corpi composti le
molecole integranti constano di molecole costituenti eterogenee, nei corpi
semplici di molecole costituenti della stessa specie. Nella chimica dicesi
molecola la quantità più piccola di un corpo che possa esistere allo stato
libero, © che è chimicamente divisibile. Il Buffon chiamava molecole organiche
i complessi atomici possedenti la capacità della conservazione ο della
riproduzione; con questo presupposto, egli considerava tutta la vita organica
come una attività di tali molecole, sviluppata per contatto col mondo esterno.
Più tardi il Lamarck, elaborando questo principio, tentò di spiegare la
trasformazione degli organismi dalle forme inferiori alle superiori con la sola
azione meccanica del mondo esterno, mediante l’ adattamento all’ ambiente. Con
significato ana 721 MoL-Mom logo il
Verworn chiama molecole biogene le particelle dotate di attività vitali
elementari, cioè di assimilazione, dissimilazione e riproduzione ; nella
concezione monistico meocanica della vita esse rappresenterebbero un ipotetico
stadio di transizione tra il formarsi delle sostanze proteiche, la cui molecola
complessa si costituisce attorno ad un atomo di carbonio, e il formarsi dei
primissimi organismi, costituiti appunto da una aggregazione di molecole
biogene. Cfr.
Eucken, Geschichte der philos, Terminologie, 1879, p. 86; Nanmann, Über
Moleküle, 1872; Würtz, Histoire des doctrines chimiques, 1872; Th. Fechner,
Über die physikal. und philosophische Athomenlehre, 1864; Svedberg, Die
Existenz der Molekille, 1912 (v. atomica, vita, vitalismo, cellulari teorie). Molteplicità. T. Vielheit, Mannigfaltigkeit; I.
Multiplicity; F. Multiplioité. Carattere di ciò che comprende elementi diversi
e separabili. È il correlativo di unéfa, senza la quale sarebbe inconcepibile,
la molteplicità non essendo altro che il complesso di più unità, Secondo alcuni
filosofi la molteplicità è 1’ essenza della natura corporea; altri invece
distinguono la molteplicità reale dalla potenziale: la prima è accidentale,
essendo il semplice rapporto di coesistenza di più oggetti, e non è proprietà
reale della natura corporea se non quand’ è possibile imaginarla
nell’estensione continus di cui il corpo è fornito (v. pluralismo, unità,
quantità). Momento. T. Moment, Augenblick; I. Moment; F. Moment. Non è che
l'abbreviazione di movimento; e siccome la durata si misura per mezzo del
movimento, così nel linguaggio comune il momento è quella parte di durata, che
si misura per mezzo del più piccolo movimento percepibile. Però questo momento
si concepisce spesso come qualche cosa di provvisoriamente statico, che rimane
per un istante fermo: quindi l’ idea comune di momento è contradditoria. Nella
meccanica il momento di una forza rispetto ad un punto è il prodotto della
stessa forra per la 46 RANZOLI, Dizion:
di scienza Alosofichs. Mon 722 distanza da quel punto. Nella filosofia fa
nsato spesso come sinonimo di stadio, fase, periodo di una successione o
processo di fenomeni: con ciò il vocabolo fa condotto al suo significato
etimologico. Nel sistema dell’ Hegel gli elementi ο le esistenze diverso non
sono che momenti o forme transitorie del movimento universale dell’ Idea, la
quale ha tro momenti fondamentali: idea in sò, idea per sò o natura, idea che
torna in ed o spirito. Lo spirito a sua volts ha tre momenti: soggettivo ο
individuale, oggettivo o universale, assoluto ο divino. Cfr. Locke, Essay,
1877, 1. II, ο XIV, $ 10; Hegel, Enoyolopädie, 1870, $ 145 (v. dialettica,
istante, idea, pantetemo). Monade. Gr. Μονάς
unità; T. Monade; I. Monade; F. Monade. Termine antichissimo, già usato
da Pitagora, che nell’ unità fa consistere il principio e l’ essenza d'ogni
cosa: ἀρχήν μὲν ἁπάντων µονάδα. Platone lo applioò poi alle idee, Sinesio e
Sabellio a Dio, monado delle monadi ; Giordano Bruno fa della monade il minimum
indivisibile della sostanza, monas rationaliter in numoris, essentialiter in
omnibue. Ma il termine fa reso celebre dal Leibnitz. Questo filosofo,
opponendosi al dualismo di Cartesio e al monismo di Spinoza, sostenne che le
sostanze sono più d’una e tutte attive, cioò forze, che l'estensione non è
l'essenza del corpo ma un qualche cosa di derivato e suppone quindi gli
elementi dalla cui opposizione si forms. Se anche questi elementi sono estesi,
bisogna dividerli in altri, e così via via finchè si arrivi ai punti non più
fisici ma metafisici, agli elementi primi delle cose, alle monadi. La monade,
dice il Leibnitz, non è altra cosa che una sostanza semplice, che entra nei
composti; semplice, cioè senza parti. Ed è necessario esistano delle sostanze
semplici, poichè ci sono dei composti; infatti il composto non è che un ammasso
0 aggregatum di semplici. Ora, là dove non ci sono parti, non ο) è nd
estensione, nè figura, nd divisibilità possibile; © codeste monadi sono i veri
atomi della natura e 723 Mon in una parola gli olementi delle cose....
Non c'è mezzo per spiegare come una monado possa essere alterata 0 cangiata nel
suo interno da qualche altra creatura, perchè non si potrebbe trasportarvi
nulla, nd concepire in essa alcun movimento interno che possa ossoro eccitato,
diretto, aumentato ο diminuito là dentro, come può avveniro nei composti dove
c’è cangiamento tra lo parti. Le monadi non hanno finestro attraverso le quali
qualche cosa possa entrare in osse © uscire. Gli accidenti non potrebbero
staccarsi nd girare fuori delle sostanze, come facevano nel passato lo specio
sensibili degli scolastici. Così, nd sostanza nè accidento può entrare dal di
fuori in una monade. Bisogna che ciascuna monade sia differente da ogni altra;
poichd non si danno mai nella natura due essori cho siano l’uno porfettamente
como l’altro, ο dove non sia possibile trovaro una differenza interna o fondata
sopra una denominazione intrinseca ». La monade è danque una forza semplice,
originaria, differenziata in sò stessa, ο non dal di faori ; quindi noi non
possiamo sapere per esperienza quale sia questa determinazione interna di
ciascuna monade, ma soltanto indurlo per analogia, attribuendo alle monadi ciò
che troviamo nell’ anima nostra. E siccome nell’ anima noi troviamo la
percezione ο rappresentazione (vocaboli che per il Leibnitz sono sinonimi) così
ogni monade avrà una forza rappresentativa. Che cosa rappresenta? Sè, © tutte
le monadi. Sè, in quanto attiva, e tutte lo monadi in quanto limitata. Cfr.
Diogene Laer., VIII, 25; Stobeo, Kol., I, 2, 58; Goclenio, Lezicon phil., 1613,
p. 707; G. Bruno, De tripl. minimo, 1591, I, 2, 4; Leibnitz, Monadologie, 1714;
Id., Discourse de métaphysique, 1686. Monadismo. T. Monadismue; I. Monadiem; F.
Monadieme. La dottrina leibnitziana delle monadi. Essendo la monade, cioè 1’ elemento
primo delle cose, un punto metafisico inesteso, una forza semplice, originaria,
differenziata in sè stessa, consogue dal monadismo il dinamismo ; Mon 724
essendo invece I’ atomo il punto fisico, dotato di proprietà meccaniche,
la conseguenza dell’ atomismo à il meccanismo. Per monadologia «’ intende
invece qualunque trattato ο dottrina sulle monadi; tale nome fu dato dall’
Erdmann al libro del Leibnitz nel quale era esposta la dottrina delle monadi. Mondo. Gr. Késyog; Lat. Mundus,
Orbie; T. Welt; I. World; F. Monde. In
senso generalissimo V’ insieme di cid che è, la totalità delle cose e dei
fatti. Primitivamente, il sistema ordinato costituito dalle terra ο dagli
astri. Nella teologia, la vita sociale degli uomini, contrapposta alla vita
spirituale ο religiosa, considerata come il dominio degli appetiti carnali,
della dissipazione e del peccato. Mondo sensibile dicesi 1’ insieme delle cose
che sono 0 possono essore oggetto di percezione, quale 1’ individuo se le
rappresenta anteriormente ad ogni critica; mondo intelligibile è invece l
insieme delle realtà ο essenzo corrispondenti alle apparenze sonsibili, e quali
1’ esperienza scientifica ο filosofica conduce a pensarle. Anima del mondo
dicesi il principio dell’ unità e dell'ordine del mondo, concepito per analogia
con l’ anima individuale ; fu ammessa da Platone, dagli stoici, da Plotino.
Monera. Il più semplice degli organismi viventi, s00perto e descritto dall’
Haeckel. Le monere hanno forma sferica, mobile, © risultano costituite di una
piccola masss mobile di plasma senza struttura, ο protoplasma. Si distinguono
in fitomonere, vegetali, e soomonere, animali; queste, secondo 1’ Haeckel,
deriverebbero da quelle, le quali alla lor volta sarebbero nate per generazione
spontanea. Cfr. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1903, p. 506 (v.
generazione spontanea, cellula, cellulari teorie). Monismo (μόνος --solo). T.
Monismus, Einkeitalehre, Monistische Weltanschauung; I. Monism; F. Monieme.
Termine molto vago, col quale si sogliono designare in genere quel sistemi
filosofici che ammettono una unità o
725 Mon identità fondamentale, e
spiegano quindi tutti i fenomeni per mezzo d’un solo principio o d’ uns sola
sostanza. Fu introdotto nella terminologia filosofica da Cristiano Wolf, che
con esso designava quelle dottrine che pongono una essenza unica di tutte le
cose, sia lo spirito puro o la pura natura: moniste diountur philosophi, qui
unum tantummodo aubstantiæ genus admittunt. In generale si oppone a dualismo, e
spesso designa la dottrina panteistica, secondo la quale il tutto è uno. Si adopera anche, in special modo nella
lingua inglese, per designare quella moderna dottrina del parallelismo
psicofisico, secondo la quale l’anima e il corpo, la coscienza © il cervello,
il mondo dello spirito e quello dei corpi, si sviluppano come espressioni
differenti di un solo e med essere: dato, da un lato, il parallelismo © la
proporzionalità esistenti tra l’ attività cosciente e l’attività cerebrale, e
riconosciuta, dall’ altro, la differenza tra queste due forme di attività, si
conchiude che entrambe devono avere per base una identità fondamentale, che si
esprime sotto una duplice forma. Il
monismo psicofisico differisce dal moniemo materialistioo, secondo il quale lo
spirito non è che una forma o un prodotto del corpo, e dal moniemo
spiritualistico, secondo il quale il corpo non è che una forma o nn prodotto d’
uno ο più esseri psichioi. Monismo
concreto chiama 1’ Hartmann la propria dottrina, secondo la quale solo gli
attributi dell’ essere sono vari ο molteplici; © moniemo energetico 0 energiemo
dicesi la dottrina dell’ Ostwald, per la quale non v’ha che una sola realtà,
l'energia, di cui materia, gravitazione, calore, elettricità e pensiero non
sono che modi. Moniemo meccanico è }
espressione con cni viene indicata la dottrina di Ernesto Haeckel, secondo il
quale la forza e la materia, in virtà della loro inseparabile unione, sono i
due principi primitivi di ogni esistenza; Dio è identico al mondo; nulla è
superiore alla natura; ogni atomo, come centro di forza, è dotato di un’ anima
costante, di movimento e di sensibiMon
726 lità: dai loro incontri
fortuiti ο dallo loro combinazioni si formano le anime-molecole (inorganiche) e
le animo dei protoplasmi molecolari (organiche) o da queste risultano le
anime-cellule; l’anima umana non è che la somma delle anime elementari delle
cellule. Con l’ espressione di monismo
concettuale vien designata la dottrina del De Roberty, secondo il quale non v’
ha alcuna distinzione fra spirito © materia, tra mondo esterno © mondo interno,
uniti da un rapporto di perfetta uguaglianza; il movimento non è che uno degli
aspetti dell’osistenza successiva © discontinua, è tempo oggettivato, coscienza
proicttata nello coso che riempiono il fuori di noi; il monismo meccanico non à
che una ripercussione del monismo logico.
Il Fouillée e il Guyau chiamano il proprio monismo immanente e
naturalista, per distinguerlo da quello dello Spencer che essi designano come
trascendente © mistico: secondo il Fouillée, il pensiero e il suo oggetto non
sono che un’ unica entità; ogni cosa contiene già il germe del pensiero o delle
volontà che in noi si manifestano; la volontà dispersa in tutto l’ universo non
ha che da riflettersi progressivamente su sè stessa, ed acquistare così una
maggiore intensità di coscienza, per divenire in noi sentimento e
pensiero. hegeliana, infine, la parola
monismo è adoperata a designare quel sistema generale di filosofia, che
concilia le antitesi in una sintesi superiore. In senso analogo, per
opposizione a pluralismo, dicesi monismo I’ idealismo inglese d’origine
hegeliana, specio quello del Bradley, che afferma l’unità del mondo,
l’esistenza dell’ assoluto, 1 intelligibilità essenziale dell’ essere, il
carattere puramente apparente e superficiale della molteplicità sensibile,
dell’individualità e della durato. In un
senso molto più largo, in quanto designa non una dottrina ma una tendenza
generale, è inteso il monismo dalla rivista The Monist », fondata nel 1900 da
Hegeler ο da Paul Carus per sostenere questi concetti: 1° sopra ogni oggetto
non esiste che, una verità 727 Mox sols, determinata virtualmente dal
principio, intemporale, indipendente da ogni desiderio e da ogni azione
individuale; 2° tutte le verità concordano tra di loro, qualunque sia il loro
dominio e la loro origine ; 3° la conoscenza scientifica © la fede religiosa
possono essere conciliate integralmente senza nulla perdere del loro contenuto
essenziale. Cfr. Cr. Wolff, Peychologia rat., 1732, $ 32; F. Masci, It
materialismo psicofisico, 1901; Haeckel, Der Monismus ale Band swischen
Religion u. Wissenschaft, 1893; Eucken, Die geistige Sirömungen dor Gegenwart,
1909, sez. C, cap. I; Ostwald, Die ‚Energie, 1908; Id., Vorlesungen über
Naturalphilosophie, 1901; Güschel, Der Monismus des reinen Godankens, sur
Apologie der gegenwärtigen Philosophie, auf dem Grabe ihres Stifters, 1832;
Wartenberg, Die monistische Weltanschauung, 1900; A. Fouillée, La pensde et les
nouvelles écoles anti-intelleotalistes, 1911; Le volontarisme intelleotualiste
de M. Fouillée, in Rev. philosophique >, gennaio 1912; e in The Monist >,
Haeckel, Our monism, 1912; Morgan, Three aspects of monim, 1894; Woods
Hutchinson, The Holiness of instinct, 1896; R. Benzoni, Esame orit. del
concetto moniatico ο pluraliatico del mondo, 1888; G. Nicolosi, La psicologia
del monismo, 1899; Ardigd, Monismo metafisico e monismo scientifico, in Opere
fil., IX, p. 426 segg. (v. anima, assioma d’eterogenoità, ideo-forse,
materialiemo, spiritwalismo, 600.). Monofisiti. T. Monophyeiten; I.
Monophysites; F. Monophysites. Setta di eretici cristiani, che neguvano a Gesù
Cristo la duplice natura umana e divina, sostenendo aver posseduto soltanto la
seconda. Cfr. Dorner, Christliche Glaudenslehre, LI, 1880. Monogenismo. T.
Monogenismus; I. Monogenism; F. Monogénisme. Dicesi così, in opposizione a
poligenismo, la dottrina ortodossa che ammette che tutte le razze umane
derivano da un solo centro di produzione, e furono determinate dall’ influenza
dell'ambiente nel breve spazio di tempo trascorso dalla creazione del mondo,
conforme all’ attestaMox 728 zione della Bibbia (Genesi). Tutte lo razze
umane discenderebbero infatti da una sola coppia, Adamo ed Eva, e poi dalle tre
coppie salvate dal diluvio; ο tutte le specie animali discenderebbero pure da
un numero corrispondente di coppie salvate nello stesso tempo. Fra gli ultimi e
più autorevoli difensori dell’ unità della specie umana è da ricordare il De
Quatrefages, secondo il quale le specie zoologiche sono immutabili nel loro
tipo fisico © delimitate nelle loro circoscrizioni dal loro carattere
d’omogenesia nel proprio seno ο d’eterogenesia al di fuori; l’uomo sarobbe
stato creato, da principio, in condizioni sconosciute, per I’ intervento d’ una
volontà soprannaturale; le razze umane non sono che varietà dovute all’
influenza dell’ ambiente ο agli inoroci; per il loro posto elevato © la
religiosità che è soltanto loro propria, esse occupano nella serie zoologica un
posto a parte, il regno «mano. Col comparire successivo dolla dottrina del
trasformismo, il problema dell’ unità ο della molteplicità della specie ha
perduto ogni importanza, ο meglio, va posto in altri termini: dato che le
specie variano all'infinito passando dall’ una all’ altra per una infinità di
transizioni, © ammessa la derivazione dell’uomo da qualche forma animale
anteriore (scimmie), resta a vedere se i tipi umani elementari sono usciti da
più antenati pitecoidi o antropoidi, o derivano da un solo ceppo rappresentato
da un solo dei loro generi. I partigiani del moderno monogenismo sostengono
questa seconda ipotesi, che sembra però suffragata da ùn numero minore di prove
dell'ipotesi contraria. Col nome di monogenismo 0 monogonia si dosigna anche
quel modo di generazione animale, che consiste nella separazione dal corpo
dell'individuo generatore di una parte di esso, che si sviluppa poscia così da
dar luogo ad un nuovo individuo. Cfr. A. De Quatrefages, La spocie umana, trad. it. 1871;
Id., Rapport sur le progrès de Vanthropologie, 1867; Id., Leçons professées au
Muséum, Revue des cours scient. », 1864-1868 (v. poligenismo). 729 Mon Monoideismo. T. Monoideismus; I.
Monoideism; F. Momoïdeisme. Vocabolo cresto dall’ Horwiez, col quale si designa
quello stato psicologico, proprio del sogno, dell’ estasi € del sonno ipnotico,
in cui una sola idea ο rappresenta zione prevale, e quindi un solo ordine di
associazione mentale. Il Ribot lo adopera per indicare lo stato di concentra
zione e d’ organizzazione della coscienza intorno ad una idea dominante, che à
proprio dell’attensionc; ma si usa anche per indicare lo stato patologico dell’
ides fissa. Cfr. Pierre Janet, Nevroses ot idées fizes, 2° ed. 1904; Preyer,
Die Entdeckung des Hypnotismus, 1881, p. 14 segg., 81; A. Lehman, Die Hypnose,
1890, p. 44 segg. Monolatria. Secondo alcuni storici della religione, il
monoteismo sarobbe stato preceduto nell’ evoluzione del sentimento religioso
dalla monolatria, cio’ 1’ adorazione di un solo idolo. Monomania. T. Monomanie;
I. Monomania; F. Monomanie. Anomalia mentale, in cui l'intelligenza e |’
affottività sono alterate in un solo e determinato ordine di sentimenti e di
idee, rimanendo sane in tutti gli altri. La psichiatria moderna ha abbandonato
il nome e il concetto di monomania, dovuto dall’ Esquirol; essa la considera
come un semplice gruppo di sintomi della follia degenerativa, comprendendoli
tutti sotto il nome di passia impulsiva, o, come vorrebbe il Morselli, di
parabulie costitusionali coatte. Tra le forme più comuni sono da ricordarsi la
cleptomania, ο tendenza morbosa e irresistibile al furto; la dipsomania, impulso
a bere specialmente bevande forti od alcoliche; l’onomatomania, bisogno
imperioso di ripetere una parola sempre presente alla monte, o tendenza ad
attribuire a certe parole un significato funesto ο una influenza preservatrice
; la piromania, impulso ad appiccare incendi; la olastomania, impulso a
compiere atti di distrazione; la monomania suicida, quasi sempre ereditaria e
manifestantesi alla stessa età nei vari individui della stossa famiglia;
Mon 730
1a monomania omicida, che si attua con la mancanza di qualsiasi motivo
per spiegar l’atto ο alla quale l’ammalato, che ne comprende tutta l’orridezza,
non sempre è capace di resistere; costituite tutte da impulsi irresistibili a
fare qualche cosa senza averne chiaro motivo. Cfr. Esquirol, Des maladies
mentales, 1839; Prichard, Treat. on Insan., 1836, p. 26 segg.; Krafft-Ebing,
Psychiatrie, 1883; Ribot, Le maladies de la volonté, 1888; Morselli, Manwale di
som., t. II, p. 635; Tamburini, Monomania impulsiva, Riv. di freniatria >,
1877. Monoteismo. Gr. μόνος = solo, $aög--Dio; T. Monotheismus ; I. Monotheiem;
F. Monothéieme. La credenza in un Dio unico e solo; non è da confondersi con
l’enofeirmo, che è quel primissimo stadio della religione in oui si adorano
oggetti diversi presi a volta a volta isolatamente come rappresentazioni di un
Dio. Si oppone al dualismo orientale, che è la credenza în due principi
supremi, ugualmente primitivi e irreducibili, il principio del bene © quello
del male; © al politeismo, cioè la credenza in più divinità. Becondo aleuni il
monoteismo conterrebbe come sue spocie il panteismo, il teiemo.e il deismo;
però, quantunque la parola monoteismo non implichi nd escluda V idea della
personalità, contiene almeno l’idea di unità, e la forma più alta e più reale
di unità di cui noi abbiamo esperienza è la personalità; quindi, allorchè si
parla di monoteismo sì pensa sempre, e con ragione, a un solo Dio personale. L'
Haeckel distinguo un monoteismo naturalistico e un monoteismo antropistioo: il
primo consiste nell’ incarnazione di Dio in un fenomeno della natura solenne,
dominante su tutto (sole, luna); il secondo consiste nell’ umanizzazione dell’
ente supremo, al quale, sia pure in forma altissima, sono attribuiti
sentimenti, pensieri e attività come ul? uomo. Cfr. P. D’ Ercole, II toismo,
1884; Haeckel, I problemi dell’ unicerao, trad. it. 1908, p. 384 segg.;
Höffding, Filosofia della religione, trad. it. 1909, p. 148 sogg. (v.
elioteismo, monolatria, mosaiciemo). 731 Mon-Mor Montanismo. T. Montanismus ; I.
Montanism; F. Montanisme. Setta cristiana del secondo secolo, fondata da
Montano, che combinsva la credenza nella continuità dei doni miracolosi degli
Apostoli e nella ispirazione personale di Montano, con l'attesa della prossima
seconda venuta di Cristo e la pratica di un rigoroso ascetismo. Cfr. Bonwetsch, Geschichte d.
Montaniemus, 1881. Morale. Gr. Ἠθικός: Lat. Moralis; T. Sittlich,
ethisch, moralisch; I. Moral, ethical; F. Moral. Può significare tanto ciò cho è conforme alla morale,
quanto ciò che riguarda sia i costumi, sia le norme d’ azione ammesse in una
data epoca in una doterminata società. Opposto a fisico, materiale, corporale,
indica ciò che è relativo allo spirito e alla coscienza; opposto a logico o a
intellettuale ciò che riguarda l’ azione e il sentimento. Dicesi giudizio
morale quello che si pronunzia sopra il valore etico d’una azione; argomento
morale quelle provo tradizionali del libero arbitrio © dell’esistenza di Dio
che si ricavano dall’ esigenza morale; senso morale il particolare sentimento
che fa distinguere il buono dal cattivo, il giusto dall’ingiusto; statistica
morale quel ramo della statistica che si occupa delle azioni volontarie
dell’uomo; pazzia morale una perversione patologica della coscienza e del
carattero morale, senza alterazione notevole delle funzioni intellettuali ο
specialmente senza illusioni o allucinazioni. Cfr. Cabanis, Rapports du physique
et du moral de l'homme, 1802 ; Kant, Krit. d. prakt. Fernunft, ed. Reclam, p.
149 segg.; Quetelet, Physique s0ciale, 1869; Drobisch, Die moraliste Statistik,
1867; F. Hutcheson, Inquiry into the original of our ideas of beauty and
virtue, 1725; Delbrück, Die pathologische Lüge, 1891; Bleuler, Über moralische
Idiotie, Vtljsch. fur gerichtl. Med.
», 1898. Morale. T. Sittenlehre, Hthio; I. Ethice; F. Morale. O filosofia
morale o etica, è quella parte della filosofia che determina le leggi della
condotta umana; essa infatti ha per oggetto di stabilire il fine verso il quale
devono rivolgersi Mor 782 le azioni degli individui, ο di giudicare in
qual rapporto stiano le azioni stesse col conseguimento di quel fine. Si
definisce anche la teoria razionale del bene ο del male; oppure la scienza
della volontà e della condotta morale. Si sogliono distinguere: la morale pura,
o toorioa, 0 generale, che tratta dei principî generali, della natura ed
essenza del bene morale; la morale pratica, o speciale, o applicata, che è
l'applicazione dei principi generali ai casi partico lari, lo studio dei mezzi
atti a raggiungere il bone morale, a mantenerlo e a svolgerlo; la morale
eudemonologica, che tratta della folicità che consegue al bene morale; la
morale psicologica, che studia l’azione morale nel suo moccanismo interno,
nelle suo basi psichiche, e cioè la coscienza morale, il sentimento morale, la
volontà, il carattere e In personalità morale ; la morale sociale, che studia
l’ azione stessa nelle sno basi e nei suoi fattori esterni o sociologioi, il
costume, la famiglia, le classi sociali, lo stato, eoc. Si suole infine
distinguere la morale individuale, che tratta dei doveri verso sò stessi, dalla
morale sociale che tratta dei doveri verso gli altri, e dalla morale religiosa
che tratta dei doveri verso Dio; questa parte della morale che tratta dei
doveri dicesi anche morale deontologica ο deontologia. Quanto alla classificazione
dei diversi sistemi di filosofia morale, ricorderemo anzitutto quella
acutissima del nostro Rosmini, cho partendo dal principio che la moralità
risiede nel rapporto di convenienza che passa tra l'ordine razionale e l'ordine
fisico, divide tutti i sistemi in soggettivi e oggettivi; alla prima categoria
appartengono quei sistemi che traggono comunque il principio della morale dagli
elementi costitutivi della natura umana, siano questi le forzo fisiche, le
tendenze sensitivo-animali o le inclinazioni ο affezioni razionali (edonismo,
materialismo, sensismo, sentimentaliamo, associazionismo, utilitariemo,
eudemonismo, ecc.); alla seconda categoria appartengono quei sistemi che
pongono l'imperativo della moralità, la forza obbligante del prin 133 Mor cipio morale in qualche cosa di estraneo
e superiore all’ uomo (ontologismo, morale teologica, legiemo, ecc.). Una
classifica zione meno minuta, ma fatta con uno spirito sasai più eritico e
positivo, è quella del Wundt, che, ponendosi dal punto di vista del fine
imposto alla condotta umana, dietingue i sistemi morali in eferonomi ο
autoritativi, nei qnali il fine della condotta è imposto da un comando
esteriore, © in autonomi nei quali il fine stesso soaturisce dalle disposizioni
originarie e da condizioni materiali di sviluppo; gli autonomi si dividono alla
lor volta in evolusionistici ο eudemonistici, a seconda che 1’ azione morale fa
parte di una evoluzione il cui termine ultimo è lo scopo veramente supremo
dell’ attività, ο ba invece per scopo il possedimento di beni immediati che 1’
individuo stesso ο i suoi compagni devono godere; infine ambidue questi sistemi
si dividono in individualisti © universalisti, a seconda che i beni o la
perfezione da conseguire si restrihgono all’agente ο si estendono a tutti i soci
e all’ umanità. In questi ultimi tempi una geniale e comprensiva
classificazione fu proposta da Giovanni Vidari che, distinte le dottrine morali
in metafisiche © scientifiche, a seconda che poggiano la morale sopra una
concezione filosofica del mondo e della vita o sullo studio dei fatti, divide
le prime in materialistiche, pantetatiche © teistiche, le seconde in
individualietiche-psicologiche © sociologiche; la concezione materialistica dà
luogo all’edonismo individuale (Epicuro, D’Holbach), la panteistica all’
edonismo universale se il panteismo è materialistico (stoici, Spinota) all’
odonirmo universale se è idealistico (Hegel), la teistica al perfarioniemo
(Leibnitz) ο all’ edonismo individuale (Paley); le concezioni individualiste
psicologiche (Bentham, 8. Mill, Bain) hanno per carattere comune di proporsi la
ricerca non della natura del bene, ma degli impulsi e dei processi dai quali la
moralità deriva; le concezioni sociologiche, allargando I’ indagine dall’
individuo alla specto e alla società, danno Inogo al biologiemo (Spencer,
Stephen) Mor 734 al determiniemo economico (Marx, Loria) e
alle dottrine storico-psicologiche (Ardigd, Wundt, Höffding, Baldwin, Paulson,
000.) che sono oggi le prevalenti ο cercano di stabiliro le basi scientifiche
della morale dallo studio delle condizioni storiche di sviluppo della vita
associata, considerata sotto l'aspetto psicologico. Cfr. Ständlin, Gesch. 4.
Moralphilosophie; Sidgwick, Outlines of the history of Etichs, 1886; Id., The
methods of ethics, 2* od. 1877; Lecky, History of european morale, 2* ed. 1869;
Wundt, Ethic, 2° ed. 1892; Paulsen, System der Ethio, 3" ed. 1893;
Rosmini, Principî della scienza morale, 1857; Id., Storia comparativa e critica
dei sistemi intorno alla morale, 1837; Ardigd, La morale dei positivisti, 1892;
L. Friso, Filosofia morale, 1893; Vidari, Etica, 1902 ; Marchesini, La dottrina
positiva delle idealità, 1913. Moralismo. T. Moralismus ; I. Moraliem; F.
Moraliame. Opposto a immoraliemo, il riconoscimento d’ una legge morale obbligatoria.
In senso generale, ogni dottrina o tendenza etica, che considera la perfezione
morale non soltanto come l’idealo supremo, ma anche come la suprema renltà.
Questa dottrina proviene forso dalla influenza esercitata dalla filosofia di
Kant, il quale elevò per primo la perfezione morale al di sopra di tutte lo
realtà possibili e di tutte le nozioni concepibili, ponendola come irreducibile
a tutto il resto e come fondamento di tutto il resto. Fichte chiama la propria
dottrina moralismo puro, in quanto pono a fondamento supremo della filosofia
una legge dell’ azione ο non dell’ essore. In quest’ ultimo senso il moralismo
coincide, nella speculazione contemporanea, con 1’ cnergismo, l’attivismo, l’
idealismo etico; una delle sue forme più caratteristiche è il moralismo
umanistico, il quale parte dal concetto che l’uomo, essendo un essere sociale e
morale, deve subordinare al dovere sia il conoscere che l’agiro, pur
riconoscendo la distinzione tra la verità e la virtù, tra l’ essere e il
dovere. Cfr. Krug, Handbuch. d. Philos., 1832, p. 271; Fichte, Darstellung der
Wissenschaftslehre, 1801, 735 Mor $ 26; A. Fouillée, Le moralismo de Kant
et l'amoralieme contemporain, 1905; Id., Nietzsche οἱ Vimmoralieme, 2° ed. 1902
(v. attivismo, energiemo, prammatiemo). Moralità. T. Sittliohkeit; I. Morality;
F. Moralité. Si può definire come la conformità soggettiva © spontanen all’
ideale morale; si distingue © in parte si contrappone alla legalità, che è In
conformità oggettiva alla logge giuridica. La determinazione dei caratteri
della moralità, ο In sua distinzione dal diritto, costitnisco una dello
questioni più importanti e più discusse dalla filosofia etico-ginridica.
Secondo la dottrina di Kant, che forse è ancor oggi la più aocettata, si è nel
dominio della moralità quando si ubbidisce alla legge per un sentimento
interno, che ci spinge a compiere il dovere per il dovore, si è inveco nel
campo del diritto quando si compie nn dovere non per un impellente motivo
psicologico, ma per la coazione propria delln legge ο per altre cause. Secondo
il Romagnosi la moralità non mira, come il diritto, a rafforzare la colleganza
ma a santificare la umanità; ha una maggiore estensiono del diritto,
contemplando l’uomo in tutte le sue posizioni e relazioni; considera
soprattytto gli eterni motivi doi volori umani gli effetti buoni o cattivi che
ne derivano. Secondo lo Spencer, nella sfera della moralità impera la
beneficenza positiva ο negativa, mentre in quella del diritto domina la
giustizia, che impone doveri esclusivamente nogativi; la beneficenza, che è
sempre libera e spontanen, rappresenta una leggo secondaria e deve rimanere una
funzione privata, in quanto mira ad aumentare la prosperità sociale, mentre la
giustizia rappresenta la legge primaria dell’ armonica cooperazione sociale, e
viene perciò imposta coattivamente dallo Stato. Secondo l’Ardigò, infine, tanto
‘ la moralità cho il diritto germogliano dallo idenlitä socia] ma mentre la
giustizia propriamente detta (cioò quella esercitata dallo Stato, con sanzione
punitiva e responsabilità corrispondente) importa nell’ individuo subordinato
P’idenMor-Mos 736 lità corrispondente al dorere giuridico, la
giustizia impropriamente detta (cioò quella delle reazioni della convenienza,
con sanzioni indefinite e responsabilità morale) importa negli individui
coordinati lo idealità corrispondenti al dovere morale. Cfr. Kant, Krit. d. pr.
Vern., 1878, p. 37, 39 segg.; Spencer, The data of ethics, 1879; Romagnosi, Gemosi
del diritto pubblico, 1805; Ardigd, Opere fl., I, 211 segg., IV, 18 segg. Morfinismo.
T. Morphiumsucht; I. Morphiniem ; F. Morphinisme. Intossicazione cronica,
accompagnata da disturbi psichici 6 determinata dall’ uso continuato della
morfina. L'azione paralizzante di codesto veleno sull’ apparato neuromuscolare,
modifica profondamente il carattere dei malati, indebolendone la memoria e la
volontà, rendendoli proclivi all’ ozio ο alla fantasticheria, ο determinando
talora il sorgere di allucinazioni tattili e cenestetiche ; anche la sfera
affettiva viene alterata, i sentimenti familiari ο morali si ottundono, fino a
condurre talvolta ad azioni delittuose. Cfr. Levinstein, Die Morphiumeucht, 3°
ed. 1883; Pichon, Le morphinieme, 1890; J. Finzi, Compendio di peiohiatria,
1899, p. 84, 87. Morfologia. T. Morphologie; I. Morphology; F. Morphologie.
Scienza che studia le forme degli animali e dei vegetali, la loro struttura, il
loro significato e la loro origine. Tali forme, già spiegate o mediante una
forse soprannaturale creatrice, o per mezzo della forea vitale ο della causa
finale, si considerano nella moderna biologia evoluzionistica come somplici
fenomeni naturali spiegabili per mezzo di leggi meccaniche. Cfr. Haeckel, Gen.
Morphologie, 1868. Mosaicismo. Il monoteismo giudaico, quale fu fondato da Mosd
sedici secoli avanti Cristo, © il oui valore storico consiste nell’aver dato
origine alle due grandi religioni mediterranee che dominano il mondo: il
cristianesimo e il maomettismo. Gli studi di storia comparata delle religioni
hanno ormai assodato che anche il monotelrmo giudaico 737 Mor è il prodotto d’ una lunga evoluzione, le
cui fasi pit importanti furono prima 1’ animismo poi il politeismo. Cfr. Gruenesein, Der
Ahnencultue n. die Urreligion Yeraels, 1900; Charles, 4 critical Aystory of the
doctrine of a future life in Israel, 1900; E. Ferrière, Paganisme des Hébreux
juequ'à la captivité de Babilone, 1890. Motivo. T. Motir, Beweggrund; I. Motive; F. Motif. In generale ciò che
muove; psicologicamente ogni impulso che produca ο tenda a produrre un'azione.
Negli antecedenti della volizione, si dicono motiri, per distinguerli dai
moDili, i fenomeni intellettivi (rappresentazioni) che entrano in conflitto e
determinano quindi l'atto volontario ; i moDili sono invece i fenomeni
affettivi, che s’ accompagnano sempre, secondo alcuni psicologi, agli
intellettivi. Cr. Wolf definisco i motivi come ratio suffioiene volitionis ao
nolitionis. Per Holbach sono motivi gli oggetti esteriori o le idee interiori
che fanno nascere codesta disposizione (di volere) nel nostro cervello ». Per
il Bentham sono motivi in senso largo tutte le cose che possono contribuire a
far sorgere qualsiasi specie d'azione, o anche a presentarla »; în senso
stretto qualunque cosa che, influenzando la volontà di un essere sensitivo, è
supposta servire come mezzo por determinarlo ad agire, o per trattenerlo
volontariamente dalVagire in qualsiasi ocensione ». L’ Hüffding distinguo il
motivo come forza determinante differente da noi e dalla nostra natura, dal
vero e proprio motivo volontario, che non è che noi stessi presi sotto una
forma o sotto una faccia detorminata: I nostri motivi sono delle parti di noi
stessi, che appartengono ora al nostro io reale, ora al lato del nostro essere
più vicino alla periferia ». Il Wundt distingue i motivi attuali dai
potenziali: Noi chiamiamo attuali tutti quei motivi che raggiungono
concretamente una efficacia nel volere, potenziali invece quelli che, in quanto
elementi della coscienza poveri di sentimento, rimangono inefficaci ». Il Sergi
definisce i motivi come gli stimolanti della vo47 Raxzout, Dizion. di scienze filosofiche.
Mor 738
lizione, quando sono passati nella coscienza dell’ agente sotto una
forma psichica ». Cfr.
Wolff, Psyohologia empirica, 1738, $ 887 ;eBentham, Introd. to the prino. of
moral, 1823, p. 161 segg.; Höffding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 450; Wandt, Etik,
1892, p. 440; Sergi, La psyohol. physiologique, trad. frano. 1887, p. 419. Motore. T.
Beweger, Bewegend ; I. Mover, Motor; F. Moteur. In generale, ciò che muove. Come sostantivo si usa
quasi solamente per tradurre I’ espressione aristotelica: τὸ πρῶτον κινοῦν, τὸ
κινοῦν ἀκίνητον, il primo motore, il motore immobile, cioò Dio, che è causa
d’ogni mutamento ο d’ogni divenire nel mondo, senza essero egli stesso s0ggetto
ad alcun mutamento: C’ ὃ qualche cosa che muove eternamente;... è un essere che
muove sonza esser mosso, essere eterno, essenza pura, © attualità pura. Ora,
ecco come esso muove. Il desiderabile ο l’ intelligibile muovono senza esser
mossi; e il primo desiderabile è identico al primo intelligibile. Poichè
l'oggetto del desiderio è ciò che par buono, e l’oggetto primo della volontà è
ciò che è buono, Noi desideriamo nna cosa perchò ci sembra buona, piuttostochò
ci sembri tale perchè la desideriamo. II principio, qui, è dunque il pensiero;
ora, il pensiero è messo in movimento dall’ intelligibile... L'oggetto immobile
muove come oggetto dell’amore, e ciò ch’ esso muove imprime il movimento a
tutto il resto. Ora, per ogni essere che si muove ο) ὃ possibilità di
cangiamento. 1 essere che imprime questo cangiamento è il motore immobile. Il
motore immobile è dunque un essere necessario; ο, in quanto necessario, è il
bene ». Diconsi centri ρείσο-πιοίογέ, o
semplicemente centri motori, o sono motrici, quelle regioni della corteccia
cerebrale che presiedono ai movimenti diversi del corpo. La loro esportazione o
distruzione determina delle paralisi, la cui estensione corrisponde
all’estensione della zona corticale distrutta. Sul’ esistenza di zone motrici
distinte dalle sensorie, sembrano concordare i fisio 739 Mor-Mov logi, i quali però discordano circa
l’ ubicazione delle zone stesse. Diconsi
fibre motrici ο efferenti quelle che trasmettono l’impulsione nervosa
centrifuga ai muscoli e alle ghiandole; sensazioni motrici ο cinestetiche le
sensazioni che accompagnano i movimenti del corpo, dovuti alla contrazione dei
muscoli o alla trazione esercitata sni legamenti muscolari ; imagini motrici le
sensazioni stesse che si riproducono senza lo stimolo periferico che
direttamente le provochi; memoria motrice la memoria dei movimenti ;
imaginazione motrice, quel tipo d’imaginazione che consiste nel predominio
delle imagini di movimento ed è specialmente caratterizzata, per quanto
riguards le parole, dal fatto che l'individuo le rappresenta sotto la forma dei
movimenti d’articolazione con cui le pronuncerebbe. Cfr. Aristotele, Metaph.,
III, 8; XI, 6-7; Albertoni ο Stefani, Fisiologia umana, ed. Vallardi, p. 590
segg.; Ribot, Maladies de la colonté, 153 ed., cap. III; Haffding, Peychologio,
1900, p. 235 segg. (v. localizzazione). Motorium commune. Per analogia al
sensorium commune, alcuni psicologi designano così quell’ insieme di centri
motori cerebrali, che si troverebbero nella parte parietale © nella posteriore
della corteccia corebrale, ο la cui stimolazione per parte dei centri
percottivi ο ideativi, posti nella parte anteriore del cervello, dà luogo ad
uns corrente centrifaga, che determina i movimenti volontari. Il motorium
commune sarebbe quindi un magazzino di movimenti virtnali organizzati. Cfr. Bastian, Le cerveau
organe de la pensee, trad. franc. 1888, vol. II, p. 169-200. Movimento. T. Bewegung; I.
Morement, Motion; F. Mourement. Cambiamento
di posizione nello spazio considerato in funzione del tempo e possedente quindi
una velocità definita, Si sogliono distinguere tre specie di movimenti : quelli
dei corpi formanti una massa più o meno coerente, che è trasportata da un luogo
dello spazio ad un altro; quelli che si prodncono nell’ interno di un corpo
Mov 740
di cui l'insieme continua ad occupare relativamente lo stesso luogo di
spazio, ma di cui le molecole e gli atomi si muovono; quelli del fiuido (etere)
che si suppone riempiro gli intervalli che separano i corpi gli uni dagli
altri, e le molecole o gli atomi di ogni corpo. Il movimento è di sua natura continuo,
poichè se un punto materiale è trasportato da una posizione ad un’altra, deve
passare necessariamento per tutti i ponti della linea che unisce le due
posizioni considerate. Il movimento dicesi assoluto quando è riferito a degli
oggetti realmente fissi nello spazio; è rélatiro se è riportato ad oggetti
considerati come fissi dall'osservatore, ma trasportati con lui in un movimento
comune. Questa distinzione è però affatto teorica, non essendo il movimento
assoluto cho un’ astrazione: infatti nell’ universo quale ci è dato dall’
esperienza non esiste un punto realmente fisso οὗ al quale si possa riportare
In posizione degli altri punti. Dicesi movimento istantaneo quello compiuto da
un corpo solido durante un tempo infinitamente piccolo; uniforme quello in cui
gli spazi percorsi sono proporzionali ai tempi impiegati a percorrerli ;
uniformemente rariato quello in cui la velocità cresce ο decresce di quantità
proporzionale ai tempi. Il concetto del
movimento comincia ad assumere importanza nell’ esplicazione della natura già
con i primi filosofi greci, con Eraclito che lo pone come essenziale della
realtà, con la scuola eleatien ο con Zenone, che lo nega mediante argomenti
ancor oggi discussi, con Democrito, che lo considera una proprietà originaria
dell’atomo, con Platone che lo distingue dal cangiamento, infine con
Aristotele, che lo introduco a spiegare il momento del passaggio dalla potenza
all’energia. Per Aristotele il movimento non è il puro cangiamento esterno di
Inogo, ma ogni processo di passaggio dalla materia alla forma, che presuppone
però sempre, nell'incontro del fattore attivo col passivo, un mutamento anche
spaziale, cosiechè in questo senso il movimento consiste alla nl Mov fine nell’attività della forma che è
nella materia; è il movimento che fa passare 1’ essenza ο il contenuto della
materia dallo stadio della pura possibilità alla realtà. Il movimento, quindi,
è già energia, essendo il processo d’ attuazione di ciò che nella materia
esisto come disposizione ; ed è anche, per lo stesso motivo, il passaggio da
uno stato al sno opposto. Aristotele distingue poi queste specie di movimento ©
cangiamento: il quantitativo, 0 d’ accrescimento e diminuzione; il qualitativo,
ο di trasformazione d’ una sostanza © d’uno stato in un altro; e lo apasiale; ο
di traslazione, che è continuo (συνεχής) © può essere rettilineo, circolare e
misto. Gli scolastici accettarono quasi tutti la concezione aristotelica del
movimento: Movers est ezistere do potentia in actum, dice Β. Tommaso; movens
dat id quod habet mobili, inquantum facit ipsum esse in actu. Cartesio non
ammetto invece altro movimento che quello di traslazione, come proprietà della
materia sia animata sia inanimata, e lo definisce : actio qua corpus aliquod ex
uno loco in alium migrat. Egli vuol costruire con figura 6 movimento tutta la
realtà fisica, considerando quest’ultimo come il fenomeno che contiene la
spiegazione di tutti gli altri; ammettere invece delle, novembre 1899. Neutri
(stati). Gli stati psichiei caratterizzati dalla indifferenza del sentimento, e
ciod privi di qualsiasi stato di piacere o di dolore. Molti psicologi negano
l’esistenza di tali stati, poichè, secondo essi, ciò condurrebbe ad ammettere
implicitamente la discontinuità della vita psichica, la quale è invece
costituita da un flusso continuo di piaceri e di dolori. Fra coloro che
ammettono l’esistenza degli stati neutri si possono distinguere due indirizzi
diversi: gli uni sostengono col Wundt che essendo il piacere e il dolore i due
poli opposti della coscienza, si dovrà andare dall’ uno all’altro passando per
uno stadio di assoluta indifferenza; gli altri, come il Bain, si appoggiano
sull’esperienza interna, che ci attesta l’ esistenza di molti stati privi
affatto di tono e colorito sentimentale. Cfr. Reid, Intellectual Powers, 1863, p. 311;
Wundt, Grundzüge der physiologischen Psychologie, 1893; Höffding, Psychologie,
trad. franc. 1900,
p. 380 segg.; Horwiez, Psychol. Analysen, 1878, II, 2, p. 26; A. Bain, The
emotions and the will, 1865, p. 13. Nevroglia
o cemento nervoso. È un tessuto di sostegno che tiene fermi gli elementi
nervosi centrali e degli organi di senso. Consta di cellule speciali molto
ramificate: codeste ramificazioni, a forma appiattita ο filiforme, entrano fra
gli elementi nervosi ed hanno varia disposizione nelle varie porzioni del
sistema nervoso centrale o degli organi di senso. Cfr. E. W. Taylor, A
contribution to the study of human nerroglia, in J. of exper. med. », 1897, II.
Nihilismo. T. Nichilismus; I.
Nihiliem; F. Nihilisme. In generale qualunque dottrina conchiuda all’
annientamento, alla negazione, al nulla. Così si dice nihiliemo moNir 760 rale
la dottrina dell’antico buddismo, che predicava la soppressione della
sensibilità, il disperdersi della persona. lità per gli infiniti abissi
dell’essere; nihilismo logico quello di Hegel, che nelle prime categorie della
Logica afferma V identità dialettica dell’ essere e del non-essere; nihilismo
gnoseologico quello che nega la possibilità della conoscenza e della verità. L’
Hamilton dico nihiliete, per opposizione a realiste, quelle dottrine che non
ammettono una realtà sostanzialo corrispondente alle percezioni esteriori ; in
questo senso equivale perciò a solipriemo ο idealiemo soggettivo. Nel
linguaggio comune per nihilismo si suol intendere il comunismo anarchico dei
rivoluzionari russi, Cfr. W. Hamilton, Leotures on metaphysics, , I, p.
293-294; Nietzsche, Wille zur Macht, 1. I, cop. I. Nirvana. Dottrina propria
della religione buddistica; secondo le parole di Buddha stesso, il nirvana à l’esistenza
spogliata di ogni attributo corporeo e considerata come la suprema ed eterna
beatitudine ». Il nirvana non à dunque l’ annientamento, ma 1’ identificazione
dell’ io individualo col principio supremo dell’ universo, lo sprofondarsi © il
confondersi della personalità nell’ esistenza universale. Questo è il fine
supremo ο la suprema felicità cui l’uomo deve aspirare: egli non la raggiunge
subito dopo la morte, ma dopo un periodo di trasmigrazioni successive dell’
anima sua in altri corpi, periodo che è tanto più breve quanto più esso si
sottopone alla penitenza, quanto più pratica la virtà, la carità, l'umiltà, la
rassegnazione. Il vocabolo nirrana fu popolarizzato nei linguaggi occidentali
dallo Schopenhaner, che lo usò per esprimere il nulla del mondo: «I buddisti
impiegano con molta ragione, egli scrive, il termine puramente negativo di
nirevîna, che è la negazione di questo mondo (sansira). Se il nirvana è
definito come niente, ciò non significa se non che questo mondo © sansira non
contiene alcun elemento proprio, che possa servire alla definizione o alla
costruzione del nirvana... 761 NoL-Nom Noi riconosciamo volentieri, che ciò
che rimane dopo l’abolizione completa della volontà non è assolutamente nulla
per quelli che sono ancora pieni di volontà di vivere. Ma per quelli nei quali
la volontà s’ è negata, il nostro mondo, questo mondo reale con i suoi soli e
con la sua via lattea, che cos'è? Nalla ». Cfr. Max Müller, Die Bedeutung von
Nirwana, in Essays >, 1869, vol. I, p. 242 segg.; Obry, De nirvana
bouddhique, 1863; R. Davids, Buddhiem (William and Norgate), p. 170 segg.; G.
Lo Forte, Budda, 1904, p. 50 segg.; Schopenhauer, Die Welt ale IV. und. Vorat.,
ed. Reclam, 1. IV, suppl. cap. XLI (v. catarsi, metempsioosi). Nolontà. Lat.
Noluntas (Ennio, 8. Agostino, 8. Tommaso); T. Noluntas, Nolentia, Nolitia ; I.
Nolition; F. lonté. Termine poco in uso, ma proposto da alcuni filosoti moderni
per indicare non la mancanza di volontà, ma la volontaria resistenza ad una
impulsione, l'arresto d’un atto in via di compiersi se la volontà non |’
ostacolasse. Chr. Wolff: nolitio et aversio sensitiva non sunt actiones
priratiræ, sed positive. Il Renouvier la contrappone alla rertigine normale,
che nel meccanismo volitivo è l’attività spontanea sorgente del movimento
muscolare, attività diretta dall’ uomo con un’ azione di arresto, analoga a
quella @ un regolatore che apra o chiuda I’ uscita ad una energia che esso non
crea. Molti però non approvano l’ uso di
questo termine, anzitutto perchò è un duplicato inutile di inibizione, poi
perchè si oppone per la sua forma a volontà, mentre impulsione © inibizione
sono i due fattori da cui la volontà risulta. Cfr. Chr. Wolff, Philos. pratica
universalis, 1738, I, $ 38; Renouvier et Prat, Nourelle monadologie, 5* parte,
art. 91. Nominalismo. T.
Nominalismus; I. Nominalism; F. Nominalisme. Si oppone a realiemo, e designa
quella dottrina secondo la quale gli universali, cioò i generi e le specie, non
hanno alcuna esistenza nella realtà, © soli reali sono gli oggetti individuali
e particolari. Vi ha un nominalismo Nom
762 medievale o scolastico, e un
nominalismo moderno. Il nominalismo scolastico, che trasse origine da un passo
dell’Isagogo di Porfirio, è di due specie: P uno, che è il nominaliemo in senso
stretto, considera le idee generali come semplici flatue vocis, ciod nomi coi
quali ci riferiamo ai vari ordini di cose, sebbene in realtà noi non possiamo
mai rappresentarci che degli individui; l’altro, che prende il nome di
concettualiemo, sostiene che gli universali, pur essendo nomi tomuni designanti
qualità che non esistono che negli individui, hanno tuttavia, in quanto
concetti, una realtà nello spirito di chi li pensa. Entrambi però si oppongono
al realismo, ed hanno per motto: unitersalia post rem. Il campione più risoluto
del nominalismo fa Roscelline, del concettualismo Abelardo. Nella filosofia
moderna il problema della realtà delle idee generali si è spostato: infatti i
nominalisti moderni sostengono che il significato del nome generale non è che
un sapere virtuale, essendo la possibilità dei singoli conoreti dalla
rappresentazione dei quali risulta, e con ciò s’ oppongono ai concettualisti,
pei quali il significato del termine generale è un concetto tuale. Fra il
numero indefinito dei singoli conereti di cui il nome richisma l’imagino, esso
deve essere, secondo i nominalisti, affermato degli uni e negato degli altri;
per tal modo il suo significato non consiste che in tendenze e ripugnauze, che
risultano da una moltitudine di associazioni anteriori. Una forma radicale di nominalismo è sostenuta
oggi in Italia dal Guastella; per esso non esistono concetti; noi non possiamo
avere altro che rappresentazioni di oggetti o fatti particolari, determinati
nello spazio © nel tempo; ciò che chiamiamo idea generale ο concetto è
semplicemente un nome che può riferirsi a più oggetti individuali simili, un
nome di classe, col corteggio delle rappresentazioni associate, pronunciato ο
inteso mentalmente ». Dicesi nominalismo
scientifico 1’ insieme delle dottrine contemporanee che, nella teoria della
scienza, 763 Nom sostituiscono le idee di convenzione, di
comodità, di abbreviazione del lavoro mentale, a quelle di verità e conoscenza
del reale; con l'antico nominalismo logico esso non ha in comune che di
rifiutare ogni valore obbiettivo ai nostri concetti, e quindi alle leggi
scientifiche. Dicesi nominalismo
sociologico non già, come potrebbe sembrare, la teoria che definisoe la società
come una somma d'individui accidentalmente avvicinati, ma quella dottrina che
riconduce analiticamente il fatto sociale alla relazione inter“ personale,
reciproca e consolidata. Essa fa poggiare la sociologia comparata sulla
psicologia interpersonale. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik im Abendiando,
1855-70, II, 78 segg.; Haureu, Histoire de la phil. soolastique, 1872-80, I,
260 segg.; Exner, Über Nominalismus und Realismus, 1841; Köhler, Realismus und
Nominalismus in ihrem Einfluss auf die dogmatischen Systeme der Mittolalters,
1858; Woodworth, Imagelees thought, Journal of philos., psychol. and 8. meth.
», 1906, n.° 26; Hoernlé, Image, idea and meaning, « Mind », gennaio 1907;
Binet, La pensée sans images, nel vol. L'étude exp. do l'intelligence, 1903; Le
Roy, Soience ot philosophie, « Revue de métaph, », nov. 1899; Sur la valeur
objeotire den lois physiques, « Bulletin de la Soc. de philosophie », 1901; C.
Guastella, Saggi eulla teoria della conoscenza, 1907, I, p. 78; A. Levi, La
resurrezione del nominalismo, « Cultura filos. », aprile 1907 (v. concetto,
imagine, universali, terminiemo). Nomogonia. L’Ardigd chiama così quella parte
della scienza positiva delle leggi morali, che studia la formazione storica,
graduale e progressiva, delle idealità umane. La parte puramente descrittiva, o
delle forme osservate nel presente, dicesi nomografia; la parte che studia le
loro trasformazioni relative al tempo © al luogo, dicesi nomologia. La
nomografia si divide poi in geografica e etnografica, in quanto studia la
distribuzione delle diversità nomografiche per le varietà dei luoghi e delle
razze umane. Cfr. Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 162 segg. "
Nox 764
Non-essere. T. Nichtseiendes, Nicht-sein ; I. Non-being ; F. Non-être. Sinonimo di nulla, non-ente, non-reale, Inteso
in senso assoluto, è impensabile e indefinibile come non è definibile 1’ Essere
assoluto. Il nostro Bertini lo comprendeva fra le sue quattordici categorie;
altri ancora lo considerano come la categoria suprema, superiore all’ Essere.
Gli eleatici, ammettendo che ogni pensare si riferisce ad un ente, che forma il
suo contenuto, consideravano il non-essere o non-ente, τὸ μὴ éév, come tale che
non può essere © non può essere pensato; siccome però per ente essi intendevano
la materialità, lo spazio pieno, così per non-ente intendevano lo spazio vuoto,
τὸ xevév, e la loro proposizione equivaleva a ciò che lo epasio vuoto non può
essere. Gli atomisti, da Democrito a Lucrezio, ammettevano inveco l’esistenza
tanto del reale, dell’essere inteso materialisticamente come il pieno, il
solido, quanto del non-essere, cioè il vuoto, che è indefinito, e nel cui seno
turbinano gli atomi; le cose risultano da una mescolanza del reale e del
non-reale. Kant analizzd il concetto del non-essere, distinguendone quattro
specie, a seconda che rappresenta la negazione di una delle sue quattro
categorie: nell’ordine della quantità, si ha il nessuno, l’ons rationis; nella
qualità la privazione, il nihil privativum; nella relazione il vuoto, ene
imaginarium; nella modalità il contradditorio, cio il nihil κοgaticum. Per
Hegel 1’ essere puro è identico al non essere, perchè di esso non si può nulla
affermare senza con ciò negarlo, « quindi I’ essere puro è 1’ essere
assolutamente indeterminato. Ma l’essere assolutamente indeterminato è l'essere
che non è nulla, è l'essere e altra cosa che l’eswere, l’essore e ciò che non è
1’ essere, è in una parola Vessere e la sua negazione, il non-essere ». Nel
divenire, Vessere come tutt’ uno col nulla, il nulla come tutt’ uno con
l'essere, sono soltanto evanescenti (rerachwindende); il divenire coincide,
mediante la sua contradizione in sò, con l’unità nella quale entrambi sono
tolti : il suo risultato à 765 quindi l'essere determinato. Cir. Hegel,
Logique, trad. franc. Vera, $ 87 sogg.; Encykl., $ 89; Ormond, Basal concepts
in philosophy, 1896 (v. dialettica, essere, divenire, inane, nulla).
Non-euclideo. La geometria euclidea è fondata sul postalato di Euclide delle
parallele, postulato che si enuncia così: se una retta ne incontra due altre,
contenute in uno stesso piano, e forma con queste angoli interni da una stessa
parte la cui somma è minore di due retti, tali due rette prolungate
indefinitamente #’ incontreranno da quella parte ove la somma dei due angoli è
inferiore a due retti La geometria detta non-enclidea presenta idee nuove sulla
teoria delle parallele, assumendo per principio fondamentale che il postulato
di Euclide non è, in quanto tale, una verità che possa dedursi logicamente
dalle altre, ma ne è indipendente; esso quindi si può supporre falso, e da tale
supposizione si può venire alla concezione di diversi spazi possiDili, che non
hanno le proprietà dello spazio euclideo. Ctr. Helmholtz, Urprung u. Bedeutung
d. geom. Ariome, 1876; Gino Fano, La geometria non euclidea, « Rivista di scienza
», vol. IV, 1908 (v. iperapazio). Non-io v. Io. Non-me v. Io. Noo ο Nous. È I
italianizzazione del greco νοῦς. che signitica intelletto, pensiero. Fu usato
da alcuni, ad es. da Platone, indifferentemente con Logo; tuttavia quest’
ultimo designa più specialmente il pensiero in quanto è unito alla sua
espressione verbale. Per Anassagora il vodg è il principio ordinatore e
moderatore del mondo; esso è un elemento corporeo, omogeneo in sè, increato,
imperituro, jaso in una fine distribuzione in tutto il mondo, ma diverso da
tutte le altre materie non solo per grado, essendo la più fine, la più
leggiera, la più mobile, ma anche per sostanza, essendo materia pensante, che
si muove da sù e muove gli altri elementi nel modo che si dà a conoscere nell’
ordine del mondo. Per Platone il νοῦς (ο λογιστιχὀν). Noo-Nor 766 ©
è quella delle due parti dell’anima che corrisponde al mondo dell» idee, quindi
l'elemento razionale, la sede del sapere e della virtù corrispondente. Per
Aristolele il vo5ç è l’intelletto, che può essere attivo © passito ; il primo è
la pura attività intellettuale, l’unità pura, comune a tutti gli nomini ©
fondamentale, della ragione ; il secondo invece è il materiale della
percezione, che deriva dall’ esistenza corporea dei singoli uomini, varia col
variare delle loro esperienze, e fornisce alla ragione le passibilità ο le
circostanze della sua funzione, Cfr. Platone, Fed., 97 B; Aristotele, Met., I,
3, 984 b; Simplicio, Phys., D., 38 (v. emanazione, intelletto). Noologia.
Trattato intorno alla mente; per il Crusius noologia è la psicologia, per l’
Hamilton la solenza della ragion pura, per 1’ Eucken la scienza della vita
creatrice dello spirito, per il Mentré l’analisi ο la classificazione dei
differenti tipi di spirito, la ricerca dei loro legami e dello loro
interazioni. Noologico dicesi di tutto ciò che si riferisce al pensiero, alla
intelligenza, alla ragione. Ampère distingueva le scienze in due categorie
fondamentali : noologiohe, che trattano delle cose spirituali e di tutto ciò
che ha rapporto con lo spirito; cosmologiche, che trattano delle leggi della
materia. Cfr. Reid, Works edited by sir W. Hamilton, 1848, nota A, $ V; Mentré,
Lo Spectateur, giugno 1911, p. 284; Ampère, Philosophie des scionoes, 1834.
Normale. T. Normal, gewöhnlich ; I. Normal, Customary; F. Normal. In senso
rigoroso, è normale ciò che à quale dev’ essore, cid che è conforme alla
regola, In generale è normale ciò che si verifica più frequentemente, ciò che
si presenta abitualmente col presentarsi di determinate circostanze. Nella
biologia dicesi normale un organo, una funzione, una struttura, quando, pur
rappresentando una eccezione, sia tuttavia protettiva per l'individuo ο per la
specie, risultando dall’ adattamento dell’ essere vivente all’ ambiente e alle
condizioni d’esistenza (v. anomalia, toratologia). 767
Nor Normativo, Norma. T. Vormatir, normgebend ; I. Normative; F.
Normatif. Dicesi normatiro tutto ciò che concerne una norma, o che corrisponde
et una norma, Si adopera talvolta come sinonimo di imperativo e di
obbligatorio, ma erroneamente, perchè la norma non ha di necessità carattere
obbligatorio. La norma si distingue infatti dalla legge, che esprime ed
esaurisce la natura propria della cosa, e dalla regola, che è l'enunciazione
del rapporto espresso dalla legge, ma colla trasformazione della causa in mezzo
e dell'effetto in fine, quindi col riferimento ad una attività che può
intervenire rendendo attuale il rapporto espresso dalla legge; la norma
rappresenta invece la modificazione possibile di un soggetto, la quale è
avvertita come una esigenza, come un qualche cosa di desiderabile, ma la cui
assenza non implios per sè stessa la non esistenza del soggetto alla cui
attività essa si riferisce. La norma implica, secondo il Liebmann, la libertà
del volere, ossia una potenza capace di elevarsi al di sopra del meccanismo
naturale; le stesse leggi logiche ed estetiche intanto si trasformano in legge,
in quanto il pensiero e la fantasia sono considerate in dipendenza della
volontà, che si propone di raggiungere i fini propri del pensiero e delle
funzioni estetiche. Il Wundt designa con
questo nome quelle scienze le quali, come la logica, la morale e l'estetica,
stabiliscono al pensiero o all’azione una norma suprema, che è la verità per la
logica, il bene per la morale, il bello per 1’ estetica. Si distinguono dalle
altre, dette naturali ο esplicative, perchè non ricercano la causa dei fenomeni
ma indagano il fine degli avvenimenti e non hanno una applicazione che nella
sfera umana, nella quale soltanto codesti fini possono essere concepiti e
raggiunti. Si distinguono anche dalle scienze pratiche, perchò queste non si
occupano tanto di stabilire una norma suprema, quanto di dettare i mezzi per
raggiungere un determinato stato ο abilità. Cfr. W. Wundt, Ethio, 1886, $ 1 dell’
Introd.; Id., Logik, 1893, II, 513 segg.; Nor
768 Liebinann, Gedanken und
Thatsachen, 1899; De Sarlo, Causa ο legge naturale, « Cultura filosofica »,
aprile 1908. Nota o determinazione. Gr. Texuyptov; T. Merkmal ; I. Notion,
Nota; F. Notion, Nota. Dicesi di ogni elemento che serve a costituire il
concetto. Questo infatti si definisce come la sintesi ideale o tipica d’una
cosa o d’un fatto, ottenuta mediante il confronto delle rappresentazioni e
l’astrazione delle note identiche. L'insieme delle note di un concetto
costituisce, secondo il Mill, quella che noi diciamo I’ essenza della cosa;
secondo altri |’ essenza à data soltanto dalle note permanenti dell'oggetto;
per altri ancora 1’ essenza è il complesso delle qualità primarie della cosa,
che indica quello che la cosa è nell’ordine delle altre cose e in relazione nd
esse. Fra le note del concetto si dicono comuni quello che si trovano in più
altri concetti, proprie quelle che lo distinguono dagli altri con cui ha note
comuni, disparate quelle che se si riducono a concetti a sò non presentano
alcun elemento comuno, disgiunte quelle che importano reciproca negazione.
Riguardo al valore dello singole note rispetto al concetto, si dice genere quel
complesso dello note di un concetto, che sono considerate come sostanziali
rispetto a tutte le altre; differensa la nota primaria costitutiva ed esclusiva
di un concetto; proprietà quella che non è primaria ma costitutiva ed
esclusiva; attributo quella che è soltanto esclusiva; modo quella che è
costitutiva soltanto di una particolare specificazione del concetto ; accidente
quella che può essere e non essere, contenendo il concetto soltanto la
possibilità indeterminata di essa. Ad es., nel concetto di triangolo, il genere
è la nota essere una figura chiusn rettilinea; la differenza è d'avere tre lati
e tre angoli; la proprietà è che i suoi angoli interni sommati sono uguali a
due retti ; 1’ attributo che gli angoli esterni presi insieme sono uguali a
quattro retti; il modo la proprietà pitagorica; l’ accidente l'essere grande ©
piccolo, disegnato ο reale. Dicesi deferminazione 1’ ope 769 Not-Nou razione con cui si aggiunge una nota
ad un concetto, acerescendone la comprensione e diminuendone 1’ estensione;
astrazione l operazione inversa. Cfr. Aristotele, Rethor., I, 2, 1357 b, 14;
Fries, System der Logik, 1837, p. 120 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 105 segg.
Nota notae est nota rei ipsius. Formula esposta in più luoghi da Aristotele
come principio generale del sillogismo. Alcuni filosofi, come Kant ο Hamilton,
la opposero al principio scolastico espresso nella formula: diotum de omni aut
de nullo. Tuttavia la formula kantiana si riduce facilmente a quella
scolastica, che ciod: ciò che si dice del predicato si predica pure del
soggetto, pradicatum pradicati est pradicatum subieoti. Cfr. Aristotele,
Kateg., 3, 1 b, 10; Hamilton, Leotures on Logik, 1860, app. VI, 11; Kant, Krit.
d. r. Vern., ed. Kehrbach, 253. Noumeno (τὸ νοούμανον = ciò che è concepito
dall’ intelligenza). Vocabolo reso comune dal Kant e già adoperato da Platone
parlando delle idee (voobpeva). Se io ammetto, dice Kant, delle cose che siano
dei puri oggetti dell’intendimento (Verstand) ¢ che tuttavia possono, in quanto
tali, esser dati ad una intuizione, quantunque non intuizione sensibile,...
tali cose sarebbero chiamate noumeni (Intelligibilia). Il noumeno è dunque
l’intelligibile, la cosa in sè, l'oggetto quale noi supponiamo che esista in sò
stesso, senza alcuna relazione con noi; si oppone al fenomeno, che è la
parvenza, l’oggetto quale è formato per mezzo della esperienza © quale possiamo
rappresentarcelo mediante le impressioni del senso. Però Kant distingue due
specie di noumeni: nowmeni in senso positivo, cioè gli oggetti di una possibile
intuizione intellettuale, che 1’ uomo non solo non ha, ma di cui non può vedere
nemmeno la possibilità; noumeni in senso negativo, ciod tutte le cose non
percepibili coi sensi, quali sarebbero appunto gli oggetti cui noi riferiamo le
nostre parvenze. Nè la prima nd la seconda specie di noumeni sono conoscibili,
poichè di essi non v’ ha 49 RaxzoLI,
Dizion. di scienze filosofiche. Noz
770 nd intuizione intellettuale
nd intuizione sensibile; chd sebbene il concetto del noumeno negativo si
presenti necessariamente al nostro pensiero (in quanto |’ apparenza della cosa
presuppone la cosa) esso tuttavia è affatto indeterminato, è un concetto che
serve a limitare le nostre cognizioni nella cerchia dei fonomeni. È da notare
però che Kant ed è questo il punto oscuro della sus dottrina concepisce la cosa in sò come tale, che si
trova in relazione necessaria col fenomeno, di cui è il sostrato intelligibile;
nella Critica della rag. pura egli afferma spesso « che le cose hanno una
duplice esistenza, fenomenica e noumenica; che esso esistono prima in sò
stesse, poi nei loro rapporti con noi; e che la loro esistenza noumenica è il
fondamento doi fenomeni che ce le rivelano ». Ora, ciò è fare più che un uso
limitativo del concetto di noumeno; infatti, fenomeno e nonmeno sono così
posti, in un certo senso, come una sola e medesima cosa còlta sotto due
aspetti, ora quale è in sò, ora quale appare alla sensibilità ο al pensiero.
Cfr. Kant, Krit, der rein. Vern., A 248, 287; B 334, 307; Krit. d. prakt.
Vern., ed. Kirchmann, « Beleucht. der Anal. », 114-115; Platone, Timeo, 51 D
(v. agnosticiemo, conoscenza, limite). ‘Nozione. Lat. Noscere conoscere; T. Gedanke, Voretellung, Begriff;
I. Notion; F. Notion. Ha un significato molto vasto 9 molto vago; forse per
questo è frequentemente usato in filosofia. Può infatti adoperarsi come sinonimo
di iden, di oggetto presente nel nostro pensiero, ma del quale nulla affermiamo
o neghiamo; e come sinonimo di principio supremo di ragione, cioò di concetto
esprimente una verità universale © necessaria. Qualche volta indica l insieme
delle conoscenze elementari che si hanno intorno à un fenomeno o insieme di
fenomeni. Nella logica si adopera per designare gli elementi che costituiscono
la materia del giudizio, e che si esprimono nel linguaggio per mezzo dei
termini, come il giudizio stesso per mezzo della ΤΠ -Ne. proposizione. L’ Helmholtz distingue
nel senso della vista la intuizione ο la nozione (Anschauung), che è la
percezione accompagnata dalle sensazioni corrispondenti, dall’ impressione
(Perception), che è una nozione che non contiene nulla di ciò che non proviene
immediatamente dalle impressioni del momento, ossia una nozione tale che
potrebbe formarsi senza alcun ricordo di ciò che prima si avrebbe veduto, e
dalla rappresentazione (Vorstellung), che è l’imagine che la memoria ci
presenta di un oggetto assente; quindi una sola e medesima nozione può essere
accompagnata da sensazioni corrispondenti a gradazioni diversisnime; 9 per
conseguenza la rappresentazione e l’impressione possono combinarsi in rapporti
molto differenti per formare una nozione, Cfr. Helmholtz, Physiolog. Optik, 1867; Wundt, Grundriss
d. Payohol., 1896, $ 17 B; Berkeley, Princ. of Human Knowledge, 1871, part. I, $ 142. Nulla. Lat. Nihil; T. Niohte,
Nicht-sein; I. Nothing, Non-being; F. Rien, Néant. O'non-essere; fu ammesso da alcuni
filosofi e negato da altri. Gli elesti, che primi formularono i principii
d’identità e di contraddizione, dettero a tali principii un valore ontologico,
obbiettivo, cercando di determinare con essi la natara del reale; perciò
sostennero che l’essere soltanto è, che il nulla non è possibile, © che quindi
è impossibile il mutamento e il diventare, i quali implicano la realtà del
nulla. Gli atomisti identificarono il nulla col vuoto, cioè il puro luogo ο
l'estensione pura; Platone, come ammette il correlativo oggettivo di idea, così
ammette anche la realtà del nulla (non = materia) come correlativo della idea
del nulla; gli eraclitei, infine, opponendosi agli eleati, considerano il nulla
come principio del diventare. L'antica disputa tra gli elenti © gli eraclitei
si rinnovò nei tempi moderni tra 1’ Herbart, che nega il divenire in quanto
implica In realtà del nulla, © 1’ Hegel che identifica l'essere affatto
indeterminato col nulla, « Il puro essere, dico 1’ Hegel, forma il NUM 772
cominciamento, perchè esso è così pensiero puro, come è, insieme,
l'elemento immediato, semplice © indeterminato; ο il primo cominciamento non
può essere niente di mediato e di più precisamente determinato. Ora, questo
puro essere è la pura astrazione, o, per conseguenza, è l’ assolutamente
negativo, il quale, preso anche immediatamente, è il nulla, Reciprocamente, il
nulla, considerato come codesto immediato eguale a sò stesso, è il medesimo che
l'essere. La verità dell’ essere come del nulla è perciò l’unità d’entrambi. Questa
unità è il divenire ». Ad ogni modo, si può osservare contro la teoria
eleatico-herbartiana, che il principio di continuità elimina dal divenire la
nozione del nulla introducendovi quella del differenziale, e cho d’altro canto
la realtà del divenire senza il nulla è provata dai princi, della persistenza
della forza, della indistruttibilita della materia, ece.; contro 1’ Hegel, che
il correlativo oggettivo del nulla è la negazione, e che l'essere affatto
indeterminato è una negazione satratta, la quale non si pensa nel divenire
reale, ove ogni negazione (della realtà preesistente) è un nuovo essere e una
nuova determinazione. Cfr. Sesto Empirico, Adv. Math., VI, 65, 77 sogg.;
Diogene Laerzio, IX, 44; C. Wolff, Vernitnftige Gedanken, 1738, I, $ 28; Hegel,
Eneyklopädie d. philos. Wissensoh., 1870, $ 86-88; Rosmini, Pricologia, 1846,
vol. I, p. 274-75; Masci, Logica, 1889, p. 54 segg. (v. essere, divenire,
inane, negazione, non-essere). Numero, T. Zahl; I. Number; F. Nombre. Data
l'idea di unità © la proprietà che essa possiede di poter essere aggiunta a sò
stessa, da questa successiva addiziono si ottiene una serie di quantità
determinate, che è il numero. Numerus est acervus ex unitatibus profueus, dice
Boezio. La serie dei numeri è #llimitata © discontinna o disoreta: illimitata
perchè l'operazione mediante la quale formiamo un nuovo numero, cioò l'aggiunta
di una unità, è sempre identica a sè stessa; discreta perchè si passa da una
unità a un’altra senza transizione, per quanto il passaggio possa 773
Num essere impiccolito mediante numeri frazionari; questo passaggio non
potrebbe sparire se non nel caso in cui l’unità su cui si opera fosse nulla, ma
ciò è contro l'ipotesi. Il numero è quindi una quantità discreta, ο perciò da
principio il numero è concepito come avente un carattere essenzialmente
conoreto; solo più tardi si concepirono numeri astratti, i cui elementi, se
sono semplici unità senza comprensione, mantengono però il loro carattere di
unità, cioè d’individualità distinta da tutte le altre. Soltanto nel calcolo
differenziale il numero è concepito come una quantità continua, colla
supposizione arbitraria d’una quantità infinitamente piccola, minore d’ogni
quantità data senza però essere nulla.
Nella storia della filosofis al numero fa ‘attribuita una importanza
metafisica, specie nei sistemi di Pitagora, di Platone e di Giordano Bruno.
Peri pitagorici i numeri non sono soltanto la forma secondo cui son fatte le
cose, ma costituiscono la vera essenza delle cose stesse, talchò tutto in
sostanza è numero; il numero dispari ο illimitato è l’imperfetto, cioè il male,
il numero pari ο limitato è la perfezione, cioè il bene; l’arinonia, cioè
l'unione dei contrari, forma le singole cose ο il mondo intero. In Platone la
teoria dei numeri non è che la traduzione della teoria delle idee; egli
distinguo i numeri sensibili, cioè le coso reali © contingenti, i numeri
matematici, immobili ed eterni, propri del mondo intellettuale, ο i numeri
ideali, ciascuno dei quali è essenza e corrisponde ad una determinata classe di
esseri; i numeri ideali generano quindi i sensibili ed i matematici, ed essendo
concreti non possono-dar luogo ai calcoli. Giordano Bruno, infine, considera
l’universo come un sistema di numeri; l’ ui verso è uno, sebbene sia infinito ©
consti d’infinite parti, in ciascuna delle quali abita la forza infinita, la
quale si presenta come triade: Potenza, Sapienza, Bontà. In ciò Bruno riflette
lo spirito del Rinascimento, nel quale, per P intlusso delle antiche dottrine
platoniche ο neo-platoniNum T4 che, i numeri @ il loro ordinamento si
ripresentano come elementi essenziali del mondo fisico, contro la dottrinn
aristotelico-stoica delle forze qualitativamente determinate, delle forme
interne degli oggetti, dello qualità occulte. Il libro della natura appare
scritto in cifre ο I’ armonia dello cose quella del sistema dei numeri; tutto è
ordinuto da Dio secondo la misura ο il numero, ogni vita è uno sviluppo di
rapporti matematici. Questo matematicismo rasionalistico -che diventa una
fantastica mistica dei numeri in Bouillée, in Cardano, in Pico, in Reuchlin non
mancò di continuatori nei secoli successivi; ancor oggi Ermanno Cohen proclama
che « il’detto profondo di Pitagora, fl numoro è la misura di tutte le cose,
rimane sempre V’ eterna guida del pensiero, perchè il numero è il principio
della produzione del contenuto, è la sorgente perenne onde scaturisce l'oggetto
». Ma nel pensiero moderno e contemporaneo, il problema del numero è un
problema essenzialmente gnoseologico, la cui soluzione è cercata ora nel
razionalismo leibniziano, ora nell’ intuizionismo kantiano. Per il Wundt il
vero sostegno dell’ idea di unità, da cni ha origine il concetto del numero, è
il singolo atto del pensiero, der einselne Denkact ; la funzione del numero non
è che una particolare manifestazione della funzione logica del pensiero, che
collega i singoli utti mentali, astraendo totalmente dal loro contenuto ; ogni
cifra rappresenta quindi una serio di atti mentali di qualsivoglia contenuto, o
che si sono realmente succeduti, 0 la cui successione si indica come un
problema, la cui soluziono deve avvenire nella stessa maniera onde il nostro
pensiero riunisce continuamente rappresentazioni singole in una aggregazione di
unità: « Il concetto di numero è ciò che rimane come costante dopo
l'eliminazione di tutti gli elementi variabili, il legame dei singoli atti di
pensiero in quanto tali, astrazion fatta da ogni contenuto ». Per il Jerusalem
l’origine del concetto di numero sta da un lato nelle proprietà ob 1% Num biettive delle cose, dal’ altro nella
funzione del giudizio; gruppi di oggetti somiglianti debbono prima attrarre la
nostra attenzione; l'osservazione di tali gruppi ci obbliga poi a ripetere un
identico giudizio denominativo; ma la ripetizione non è arbitraria, bensì è
determinata dal numero degli individui compresi nel grappo: « Ogni numero è una
sintesi. Esso consiste di unità, ma è un tutto che riunisce in sè i singoli
oggetti ο mediante tale riunione diventa un nuovo centro dinamico, nel quale
sono immanenti le forze create primitivamente con tale riunione. Ma tale
sintesi raggiunge sufficiente stabilità solo a condizione che il gruppo
permanga sempre riunito e con la ripetizione dei singoli atti giudicativi venga
di nuovo intuito ο concepito insieme come una totalità ». Per il Masci il
numero non è una intuizione ma una epicategoria, in quanto è una forma generale
della quantità senza individualità propria, una determinazione implicita nell’
idea di qualsivoglia ente reale come tale: « Tutto ciò che è reale è
numerabile, e insieme il namerare è la forma pid generale e più estrinseca
della funzione di sintesi e di analisi in cui consiste il pensare. Ma come
sintesi ed analisi estrinseca è indifferente alla qualità ¢ alla natura della
realtà. In questo carattere estrinseco, aggregativo, che distingue quel pensare
che è numerare, sta la differenza tra l’idea di numero e le altre due categorie
(di sostanze e di causa), e per questo si può dire che il numero sia una
categoria avventizia, una epicategoria ». Cfr. Aristotelo, Metaph., XIII, XIV; Alb. Magn., Summa
thool., I, qu. 42, 1; Kant, Arit. d. rei. Fern, A 143, 147, B 182, 186;
Michaëlis, Über Kants Zahlbegrif, 1884; Id., Über Stuart Mille Zahlbegriff. 1888; Helmholtz, Zahlen und Messen, in Philos.
Aufaiitze, E. Zeller gewidmet, 1887; Wundt, Logik, 1898, I, 468; Jerusalem, ie
Urteilafunotion, 1895, p. 254; Couturat, Je l'infini mathématique, 1896 ; Id.,
art. in Revue de Métaphysique, 1898, 1899, 1910; Whitehead et B. Russel,
Principia Num-0BB 776 mathomatica, 1910; A. Lalande, Letture sulla
filosofia delle scienze, trad. it. 1901, p. 66 segg.; F. Masci, Sulla natura
logica dello conoscenze matematiche, 1885 (v. infinitesimale, matematica,
quantità). ο O. Nella logica formale designa le proposizioni particolari
negative (qualche 4 non è B); nella logica dell’ Hamilton designa le
proposizioni parti-totali negative (qualche 4 non è nessun B). Obbiettivare. T.
Objektiviren; I. To objective; F. Obiectiver. Considerare il soggettivo come
oggettivo, porre fuori di noi ciò che è in noi. Obbiettivare il dato della
sensazione (percezione) significa proiettare al di fuori della coscienza le
modificazioni prodotte dai sensi sulla coscienza medesima; o in altre parole,
riferire la sensazione ad una causa oggettiva. L’allucinazione consiste nell’obbiettivare
falsamente le modificazioni della propria coscienza, nel riferire il dato
soggettivo ad una causa oggettiva che non esiste. Schopenhauer chiama il mondo
un obiettivarsi del volere, e il mondo la sua obbiettità. Cfr. Riehl, Der
philosophisohe Kriticiemus, 1876, II, 2, p. 56; Ardigò, 1 fatto psicologico
della percezione, in Opere fil., IV, 1907, p. 357 segg.; Schopenhauer, Die Welt
a. W. u. Vorst, ed. Reclam, I, $ 45, 30 (v. oggetto). Obbiettivismo v.
oggettivismo. Obbiettività. T. Objektivität; I. Objectivity; F. Objecticité.
Carattere di ciò che è obbiettivo. Designa comunemente l'attitudine a cogliere
il significato reale delle cose ο dei fatti, a giudicare gli uomini ο gli
avvenimenti indipendentemente dalle proprie attitudini mentali, dai propri
sentimenti, inclinazioni e passioni. Nella psicologia per obbiettività della
percezione s'intende il suo riferimento della modificazione organica
(sensazione) alla causa che T7 Ons VP ha prodotta, per cui si pone come
esterna al soggetto senziente la realtà di un oggetto che agisce come stimolo.
Cfr. Ardigò, Il fatto psicologico della percesione, Op. til., IV, 1907, p. 357
segg.; Laas, Idealismus und Positiviemus, 1884, III, p. 45-68. Obbiettivo v.
oggettivo. Obbietto v. oggetto. x u Obbiezione. T. Einwurf, Einwand; I.
Obieotion; F. Objection. Argomento che si pone innanzi per abbattere una
opinione, una dottrina, ο per dimostrarne la parziale falsità. Del suo uso
nelle discussioni, dice il Rosmini: « Chi obietta deve produrre un’ obiezione
alla volta, e non passare ad una seconda fino che la prima non è chiarita
efficace ο inefficace ». Cfr. Rosmini, Logica, 1858, $ 856. Obbligasione. T.
Verpflichtung ; I. Obligation; F. Obligation. Da principio l'obbligazione è un
legame di diritto, in virtù del quale una persona è costretta verso un’altra a
fare o non fare qualche cosa: vinoulum jurie quo necessitate adstringimur
alicujus rei solvende. Dal punto di vista morale l'obbligazione è la coscienza
che l’uomo, in quanto essere capsce di scelta tra il bene e il male, ha di
dover obbedire a una norma; si suol definire come una restrizione della libertà
naturale, prodotta dalla ragione, i cui consigli sono altrettanti motivi che
determinano gli uomini ad agire in un modo piuttosto che in un altro.
L’obbligazione è dunque la necessità propria delle leggi morali, e della
massima fra tutte, la giustizia. L’obbligatorietà propria della giustizia, è la
giustizia interiore, che non differisce sostanzialmente dalla esteriore o
sociale; il rispetto che si ha dentro di sò per la giustizia, non è infatti che
un’eco del rispetto che si ha per ogni idealità sociale che la rappresenti. Ora
tale rispetto s’ impone tanto, che la giustizia è, nell’ uomo morale,
obbligatoria per sè stessa, cioò acquista un’ etticacia morale direttiva nel
dominio stesso dello pure intenzioni. È, dice l’Ardigò, Occ 778 un
senso di tensione, un’espansione interna, invincibile, un bisogno di compiere
le nostre ideo mediante gli atti, senza di che il senso di obbligazione non è
perfetto e non è propriamente completo il pensiero; la sua origine sta nella
ricordanza assommata e indistinta del dolore provato eseguendo atti che
riescono di danno ai consoci, cosicchè il dovefe morale, in ultima analisi,
nasce dal dovere giuridico fino a diventare una forma costituzionale della
psiche dell’individuo. Cfr. Planiol, Traité de droit civil, 3* ed., I, p. 678;
Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 122 segg.; R. Bianchi,
L’obbligasione morale, ; G. Fulliquet, Essai sur Vobligation morale, 1898; Fred
Bon, Über das Sollen und das Gute, 1898. Occasionali (cause) v. cause
occasionali. Occasionalismo. T. Ocoasionaliemus ; I. Oocasionalism ; F.
Ocoasionalisme. La dottrina delle cause occasionali, secondo la quale causa
vera e prima d’ogni accadere è Dio, mentre i singoli eventi sono soltanto
occasioni per altri eventi, ma non li producono; con essa specialmente si ceroò
di risolvere il dualismo posto da Cartesio tra l’anima e il corpo. Questa
dottrina, sostenuta dal Clanberg, Geuliner e Malebranche, si oppone a quella
cartesiana delVinflusso fisico, fondandosi specialmente sopra la ragione che,
non essendo possibile che operi chi non ha la coscienza di operare, un influsso
reciproco tra anima e corpo è impossibile, perchè I’ uomo non può averne
coscienza. D'altro canto, nessun corpo ha la forza di muovere sè stesso, e uno
spirito finito non può col mezzo della propria volontà muovere nessun corpo.
Tra spirito e corpo non c'è dunque alcun rapporto. Essi soffrono ed operano
quei cangiamenti, che in loro avvengono, ognuno da sè, nell’ambito proprio e
secondo leggi proprie. Eum, qui corpus et mentem unire roluit, simul debuisse
statuere et menti dare cogitationes, quas obsercamus in ipsa ex oocasione
motuum sui corporis esse, el determinare corporis eius ad eum 779
Occ modum, qui requiritur ad eos mentis voluntati subiciendos. Davanti
al mondo lo spirito è un inerme spettatore ; ma Dio fa sì che quando succede un
cambiamento nello spirito, cioè nel pensiero, ne succeda uno di corrispondente
nel corpo, cioè nell’estensione, e viceversa; i due orologi costruiti allo
stesso modo dallo stesso artefite ~ secondo l’imagine del Geulinox, che più
tardi Leibnitz volle rivendicare a sò 8’ accordano perfettamente ma non per
virtù loro, absque nulla oawsalitate, qua alterum hoo in altero causat, sed
propter meram depentiam, qua utrumque ab cadem arte et simili industria
constitutum est. Cfr. Clauberg, Opera philosophioa, 1691, p. 219, 221;
Pfleiderer, Leibnitz und Geulinez, 1884; La Forge, Traité de Vesprit de
l'homme, , Pp. 129; Geulinox, Opera philosopkioa, 1891, I, sez. Il, § 2;
Malebranche, De la recherche de la verità, 1712, II, 6, 7, III; L. Stein,
Antike und mittelalterliche Vorläufer des Ocoasionaliemus, (v. occasione, cause occasionali). Occasione.
T. Gelegenheit, Veranlassung; I. Oocasion: F. Oocarion. Nel linguaggio comune è
il concorso fortuito di circostanze favorevoli alla produzione di un
avvenimento. Si distingue dalla condisione, che è una circostanza senza la
quale l’effetto non si sarebbe prodotto, e dalla causa, considerata come la
produttrice diretta e necessaria dell'effetto. Il Malebranche per occasione
intendeva semplicemente l’antecedente costante di un fatto, non la causu
efficiente del fatto. L'unica causa efficiente è Dio; nel mondo sensibile o
materialo non vi sono nè forze, nè forme, nd capacità, nd vere qualità da cui
possa risultare l’effetto; vi sono soltanto occasioni che Dio fa succedere
affine di operare in questa o quella materia. Cfr. Malebranche, Entretione
métaphysiques, 1871, VII, 159 segg. Occulto. T. (ieheim, Occult; I. Ucoult; F.
Ocenlte. Si dicono occulte le
scienze, o pretese scienze, che hanno per oggetto la conoscenza del futuro, la
sua predizione, e il compimento di azioni che escono dalle leggi ordinarie
della Occ 780 natura. Si distinguono in dirinatorie, che
cercano scoprire l'avvenire mediante }’ interpretazione di certi segni ο
avvenimenti, e tali sono la mantica, la chiromanzia, l’astromanzia, ecc.; e in
taumaturgiche, quali la cabbala, la magia, l’ermetica, la demonologia, che
hanno lo scopo di allontanare il male e procurare il bene, mediante regole e
pratiche speciali. Diconsi potense ocoulte gli esseri imaginari e nascosti con
cui si spiegarono i fenomeni naturali, qualità ooculte quelle che si presentano
allo spirito come una proprietà data, irreducibile © inesplicabile, cause
occulte quelle forze inosservabili, sia sovrannaturali che naturali, con cui,
nella filosofia medievale, si credeva spiegare la natura delle cose. Ls
dottrina delle qualità occulte, delle forze qualitativamente determinate, è
caduta nel Rinasci mento, il quale, sotto l'influsso della letteratura antico,
specialmente delle opere neo-pitagoriche, sostituisce ad essa il concetto
quantitativo ο numerico : il libro della natura è seritto con cifre, l'armonia
delle cose d'quella del sistema numerico, tutto è ordinato da Dio secondo la
misura e il numero, ogni vita è uno sviluppo di rapporti matematici. Questo
principio, liberato dallo strano simbolismo che raggiunge il vertice in
Bouillé, Cardano, Pico, ece., costituirà poi la base metodica della scienza
moderna. Tuttavia, V espressione qualità ooculte è sopravvissuta per molto
tempo, e fu adoperata anche dal desismo agnostico per indicare le forze prime e
sconosciute dei fenomeni: On dest moqué fort longtemps, dice il Voltaire, des
qualités oooultes ; on doit se moquer de ceux qui n'y croient pas. Répetons cent fois que
tout principe, tont premier resnort de quelque autre que ce puisse être du
grand Demiourgor, est occulte et caché pour jamais au mortels. Ce plomb ne
deviendra jamais argent; cet argent ne sera jamais or ; cet or ne sera jamais
diamant Quelle physique corpusoulaire, quels atomer déterminent ainsi leur
nature? Voun n’en sarez rien; la cause sera éternellement occulte. Tout ce qui
vous entoure, tout ce qui est dana vous,
781 Ori-OG& est un énigme
dont il went pas donné à l’homme de deriner le mot ». Cfr. Voltaire, Œurres
complètes, 1817, t. II, par. II, p. 1471; Schopenhauer, Satz rom Grunde, 1878,
$ 20; Nettesheim, Philosophia occulta, 1510. Ofiti. Uno dei nomi col quale fu indicata la Gnosi nel
primo nascimento, e col quale si alludeva al culto del serpente, la cui
dialettica aveva talmente intrecciato il bene col male, che l'uno non poteva
distinguersi dall’altro. Dicesi
offolatria una specie della zoolatria, ο adorazione degli animali, propria di
alcune religioni dei popoli primitivi e selvaggi; essa consiste nel culto dei
serpenti, e si riscontra nell'antica religione egiziana e nelle religioni di
alcuni popoli selvaggi dell’Africa. Cfr. Honig, Die Ophiten, 1889. Oggetti
(teoria degli). 'T. Gegenstandtheorie. Espressione usata primitivamente dal
Meinong, e adottata poi dalla sua scuola, per indicare quella forma
contemporanea di razionalismo, che sostiene la necessità dello stadio dei puri
oggetti del pensiero, come le somiglianze, le uguaglianze, le diversità, i
complessi, le relazioni matematiche; ossia di quelle essenze razionali, che si
possono elaborare a priori, indipendentemente da ogni considerazione
d’esistenza obbiettiva, e che non possono quindi essere oggetto delle scienze
empiriche, le quali trattano invece della realtà esistente obbiettivamente. La
teoria degli oggetti non esistenti (tra i quali il Meinong include persino gli
oggetti impossibili, come il quadrato rotondo, la materia inestesa, ece.) ha
una sfera propria, che, tende ad allargarsi sempre più, fino a raccogliere
tutte le conoscenze a priori; queste non stanno in antagonismo con le
conoscenze empiriche, ma le integrano, come mostra la matematica applicata; ma
per quanto le due forme di conoscenza in pratica possano compenetrarsi, si
devono tener distinte teoricamente le due afere, per poter meglio elaborare e
raffinare i mezzi di ricerca, tenendo presenti i loro caratteri Oa 782
distintivi. Cfr. Meinong, Ameseder, Mally, ecc., Untersuchungen sur
Gegonstandtheorie und Psychologie, 1904; 8. Tedeschi, Un’ equivalente
aprioristica della metafisica, « Riv. filosofica », 1908, vol. XI, p. 289
segg.; Losacco, La teoria degli obietti ο il rasionalismo, « Cultura filosofica
», 1910, fasc. IV, p. 184 segg.; Aliotta, La reazione idealistica contro la
soienza, 1912, p. 372-385. Oggettivismo. T. Objektiviemus; I. Objoctiviem ; F.
Obiecticieme. Dati i vari © spesso opposti significati della parola oggetto,
anche il termine oggettirismo può essere variamente applicato. In generale
designa quei sistemi filosofici che identificano la cognizione con l’Essere, e
pongono quindi come unica la verità e la scienza nell’oggetto ο nel soggetto; e
quelle dottrine morali che ammettono che la moralità ha una esistenza propria,
al di fuori e al di sopra delle opinioni, della condotta e della coscienza degi
individui. Nel linguaggio comune, l’oggettivismo è l’attitudine a vedere le
cose come sono, a giudicarle serennmente, a non deformarle per partito preso o
per ristrettezza di spirito. Oggettivo. T. Objektiv; I. Objective; F. Objectif.
Si oppone a soggettiro © designa tutto ciò che riguarda I’ oggetto ο che esiste
come oggetto. Avendo il termine oggetto mutato radicalmente di signifiesto,
anche il termine oggettivo assunse significazioni diverse. Nella lingua della
scolastica, da Duns Scoto in poi, per oggettivo #’ intende non una realtà
sussistente in sò stessa, bensì ciò che costituisco una rappresentazione della
coscienza; questo significato rimane fino al Baumgarten, ma alcuni, come il
Renouvier, vorrebbero continuar a chiamare oggettivo « ciò che si offre come
oggetto, ciod viene rappresentativamente nella coscienza, e soggettivo ciò che
è della natura del soggetto, sia d’un rappresentato qualunque in quanto la
conoscenza vi scorge qualche cosa di distinto dal suo atto proprio, e d’un
supposto dato în qualche 783 Oca modo fuori di essa, senza di essa ». In
generale però oggi dicesi oggettivo ciò che è esteriore alla coscienza, che è
al di fuori del pensiero, che esiste indipendentemente dal pensiero. Il metodo
oggettiro nella psicologia, si contrappone al soggettivo ο introspettico, e
consiste nello studio dei fatti psichici quali si manifestano negli altri
uomini, negli animali, nell’individuo normale e nell’anormale, nel fanciullo ο
nell'adulto. Cfr. Eucken, Geschichte d. phil. Terminologie, 1879, p. 68, 203, 134;
Renouvier, Essais de Critique gen., Logique, cap. I; Bechterew, Les problèmes
et les méthodes de la peychologie objective, « Journal de Peychologie », nov.
1909; Kostyleff, Les travaux de l’école peychologique russe, « Revue
philosophique », nov. 1910; Liard, La science positive οἱ la métaphysique, 1879, 1. II, cap. I, II. Oggetto. T. Gegenstand, Objekt;
I. Objeot ; F. Objet. Si oppone a
soggetto, ed è la traduzione latina del greco ävzıxelpevoy, usato dla
Aristotele. Però lo Stagirita usava questo termine in un senso affatto opposto
al nostro e ciod per designare ciò che è pensato, ciò che è rappresentato ©
nella coscienza; usava invece il termine 5xoxelpevoy (che i latini tradussero
subiectum) per indicare ciò che è reale, la sostanza che è il sostrato
dell’azione, l'essere unico © identico che si manifesta nei fenomeni multipli ο
mutabili. Tale siguificato si mantenne durante tutto il medicevo ο si trova
ancora in Cartesio e Spinoza. Così per Cartesio la realtà oggettiva è quella
dell’iden sola, ο della cosa in quanto non è considerata che nel pensiero; egli
chiama poi realtà formale ο attuale quella dell'oggetto stesso delle nostre
idee © realtà eminente quella che è superiore sia all'idea che all'oggetto, e
contiene in potenza ciò che in essi è di fatto. Spinoza l’ usa nello stesso
significato: « Un'idea vera deve corrispondero esattamente all'oggetto che essa
esprime, ossin (e ciò facilmento si comprende da sè) che ciò che è contenuto
oggettivamente nell’ intelligenza deve necessariamente esistero nella naOcc
* 784
tara ». E anche il Berkeley: « I fenomeni naturali non sono che
apparenze naturali, ο son dunque quali li vediamo e li percepiamo. La loro
natura reale e la loro natura oggettiva sono dunque identiche ». Ma nel sec.
XVIII ο al principio del XIX, il significato dei due termini mutò radicalmente,
ο d’allora in poi per oggetto si intese ciò che è reale, che esist in sè,
indipendentemente dal pensiero, © per soggetto l'io che pensa, che rimane uno ©
identico attraverso i suoi fenomeni mutevoli e multipli. Questo cambiamento nel
significato assunto dai due termini, è dovuto principalmente a Kant e a Fichte,
col primo dei quali assunse tanta importanza il problema della conoscenza,
ossin dei rapporti tra il pensiero e la realtä. « Spatium non est aliquid
obiectivi, seu realise, dice ad es. Kant, sed eubjectioum et ideale, et natura mentis stabili
lege proficiscens ». Però la
distinzione tra soggetto © oggetto deve essere intesa come una distinzione di
diritto; ossia l'oggetto non può essere, in senso assoluto, cid che è in sò
stesso, fuori del nostro spirito e d’ogni spirito, perchè un'esistenza che non
è affermata da una coscienza ο spirito è inconcepibile; © nemmeno ciò che è
rappresentato in comune da tutti gli spiriti, perchè tale accordo può anche
verificarsi per ciò che è falso; bensì, ciò che è il fondamento stesso
dell’accordo degli spiriti, ciò che è in «2 nella nostra coscienza © in tutte
le coscienze, per opposizione non a ciò che è fuori d’ogni coscienza, ma a ciò
che, in una coscienza qualunque, è pura rappresentazione contingente e
passeggera. Cfr.
Aristotele, De an., III, 2, 426 b, 8; Id., Metaph., IV. 5, 1010 b, 33 segg.;
Encken, Gesch. d. phil. Terminologie,
1879, p. 134, 204; Cartesio, Medit., 1685, III, 11; Spinoza, Ethica, 1677, 1.
I, teor. xxx, dimostrazione; Berkeley, Siri, $ 292; Kant, De mundi sensibili
atque intelligibilio forma et principiie, $ 15: Id.. Krit. d. rein. Vern., A 780, B
808; Fichte, Grundlage d. ger. Wissenschaftelehre,
1802, p. 20-40, 131 segg.; Bulletin de la
1785 ους soc. française de phil.,
giugno 1912 (ν. conoscenza, coscienza, criticiemo, io). Olfattive (sensazioni). T.
Geruchsempfindungen; I. Sensations of emell; F. Sensations olfaotives. Hanno per organo la regione superiore delle
cavità nasali, per stimolo le particelle delle sostanze odorose trasportate
dalla corrente aerea a contatto con le superfici olfattive, per contenuto
l’odore. Le qualità degli odori sono, a differenza dei sapori, in numero
straordinariamente grande, tantochè non solo manca una vera classificazione
scientifica e una scala degli odori (la classificazione più accettata è ancora
quella di Linneo) ms non siamo neanche capaci di segnalare con appellat diversi
le qualità differenti degli odori, e per esprimerci dobbiamo servirei dei nomi
delle sostanze vegetali ο animali che li emanano. Si suol distinguere la
finezza dell'olfatto, ossia la cnpacità di distinguere le piccole differenze
d’intensità degli odori, dall’acuità olfattiva, ossia la capacità di percepire
minime quantità di sostanze odorose; quest’ultima si misura per mezzo
dell’olfattometro, determinando i valori liminali dell’eccitamento olfattivo
rispetto ai singoli odori. Dicesi ogfresologia (ὄσφρεσηις = odorato) quella
parte della psicologia che ha per oggetto lo studio delle sensazioni olfattive;
anosmia (ὀσμή =. odore) l’incapacith, congenita o aequisita, di percepire gli
odori; paraosmia le sensazioni olfattive allucinatorie; iperosmia
l'abbassamento abnorme della soglia della sensibilità dell'olfatto, per cui
possono essere avvertiti odori che normalmente non si avvertono. Una
caratteristica delle sensazioni olfattive, sta nel loro legame con la sfera dei
sentimenti; tutti gli odori che funzionano come stimoli determinanti riflessi
nella sfera della vita vegetativa e riproduttiva determinano costantemente un
sentimento di piacere. Un’altra caratteristica sta nella loro capacità di
rievocare per associazione l’imagine visiva di Inoghi e di avvenimenti. Cfr.
Cloquet, Osfresologie, 2° ediz. 1821; Zwardemaker, 50 RanzotI, Dizion. di scienze filosofiche. OLI-OnE 786
Physiologie des Geruches, 1895; Nagel, Revue scientifique, 8 « 15 maggio
1897. Oligarchia (ὀλίγος = pooo). Forma di governo, in cui il potere supremo
risiede nelle mani di pochi individui appartenenti all’aristocrazia. Platone la
distingueva però dall’aristoorasia, perchè mentre in questa una classe governa
nell’ interesse comune, nell’oligarchia governa invece nell'interesse proprio.
Cfr. Platone, Repubblica, V ο VI (v. aristocrazia, demoorasia). Omeomeria
(ὁμοιομέρεια). Elementi primitivi non percettibili, divisibili all’ infinito e
qualitativamente differenziati, con la cui aggregazione Anassagora spiegava la
formazione dei vari esseri. Le omeomerie sono dunque verse dagli atomi di
Democrito, indivisibili e privi di ogni differenza qualitativa, e diverse pure
dagli elementi di Empedocle, differenziati in quattro sole qualità primitive.
Per Anassagors ogni qualità è originariamente sostantiva: il ferro, il legno,
le ossa, il sangue, ecc., sono composti di particelle similari ed
originariamente costituite così. Da principio queste particelle erano mescolate
tutte insieme, in una specie di caos universale; perchè le diverse cose
potessero formarsi, era necessario che il movimento si introducesse nella massa
infinita e indifferenziata, distinguendo ciò che era confuso e producendo le
forme diverse; ora, la causa di questo movimento è, per Anassagora, un’altra
materia speciale e singola, più leggera e più fina degli elementi, capace di
muoversi da sè e quindi di natura peichica, autrice della bellezza e
dell’ordine del cosmo e quindi intelligente: tale materia pensante Anassagora
chiama ragiona ο intelligenza, vodg. Dal momento in cui essa penetrò nel caos,
il turbine della vita si estese in successive spirali in tutte le regioni del
mondo, continua ancora, come indica la rotazione del cielo, ο continuerà senza
interruzione. Il nome di omeomerie fu dato alle qualità primitive da
Aristotele; Anassagora le chiamava invece semi (σπέρ 787 OMN para). Cfr. Aristotele, De gen. et corr.,
I, 1; Simplicio, In Phys. Arist., {. 38; Lucrezio, De rer. nat., I, 890.
Omniscienza. T. Allwissenheit ; I. Omniscience ; F. Omniscience. Uno degli
attributi della natura divina. Si deve intendere nel senso che Dio conosce non
solo ciò che è accaduto nel passato e che socade nel presente, mn anche ciò che
accadrà nell’avvenire; e che codesta conoscenza è diretta, immediata, perchò
Dio non vede gli avvenimenti del mondo fuori di lui, come uno spettatore, ma li
conosce in sò stesso, perchè egli n'è l’autore. L’omniscienze si basa sal
principio della perfezione divina. Aristotele, infatti, aveva già detto: « Dio
non è altro che l’attualità dell’i telligenza; tale attualità presa in sò
stessa ne costituisce la vita perfetta ed eterna ». E 8. Tommaso: « Intendero e
conoscere è la essenza medesima di Dio, éntelligere Dei est sua essentia ». E
da notare però, che la concezione aristotelica di Dio come pensiero che pensa
sò stesso, come pensiero del pensiero, era stata sviluppata da alcuni suoi
discepoli nel senso, che Dio non conosce nessun altro oggetto che non sia il
suo stesso pensiero, e quindi non conosce il mondo. Contro questa illazione
insorsero prima i Padri, poi S. Tommaso, per il quale Dio, che ha distinta
coscienza di sè medesimo e delle sue perfezioni, conosce anche le cose create e
periture, vedendole però nella sua infinita essenza. L’uomo non può conoscere i
corpi se non fanno impressione sopra i suoi sensi; ma a Dio basta contemplare
ln propria illimitata potenza, perchò in lui, fonte prima ed sesoluta della
vita, tutti gli esseri si concentrano come offetti nella loro causa, unde cum
virtus divina ne estendat ad alio, eo quod ipse est prima oausa effectiva
omnium entium, necense est quod Deus alia a #2 cognoncat. Analogamente dice il
Bossuet: « Dio non intende che sò stesso, e tutto intende in sè stesso, perchè
tutto quello che egli è, ο da lui si distingue, si ritrova in lui come nella propria
causa ». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 9; Gerson, De consol. theologie, in
Omo 188
Opera omnia, 1706, t.1; 8. Tommaso, 8. Yheol., I, q. 22, a. 2; Leibnitz,
Essais de Théodioée, 1710, © la Corrispondance aveo Clarke, 1715-16; Bossnet,
De la connaissance de Dieu, ο. IV, art. 8 (v. prescienza). Omogeneo. T.
Gleichartig ; I. Homogeneous; F. Homogène. Cid che è composto di parti ο
elementi qualitativa mente identici ; si oppone ad eterogeneo, che è ciò le cui
parti sono di natura differente. Lo spazio ed il tempo sono, secondo alcuni
filosofi, essenzialmente omogenei, perchè la differenza delle loro parti può
essere nella grandezza non nella qualità. Secondo lo Spencer il processo
evolutivo, sia 00smologico che biologico e sociologico, consiste in un passaggio
dall’omogeneo all’eterogeneo, mediante un processo continuo di differenziazione
e quindi di specificazione. Cfr. Spencer, First principles, 1884, cap.
XIV-XVIII (v. eroluzioniemo). Omogenesia. F. Homogenesie. Il Broca chiamò così,
in opposizione a eterogenesia, quella proprietà organica in virtù della quale
due germi di sesso opposto tendono a fecondarsi reciprocamente, dato che tra di
loro non intercorra una distanza zoologica troppo pronunciata. L’ omogenesia è
abortira quando la fecondazione avviene, senza però che il feto giunga a
maturità; agenesica quando dà luogo a prodotti, i quali però sono sterili tra
di loro o con gli individui dell'una ο dell’altra razza madre; disgenerica
quando i prodotti sono infecondi tra di loro, ma fecondi con individui del’ una
o dell’altra razza madre, dando luogo a prodotti pure sterili; paragenesica
quando i prodotti sono sterili tra di loro, ma fecondi con individui dell’ una
o dell’ altra razza madre, dando luogo a nuovi prodotti indefinitamente
fecondi, così da originare una nuova razza; eugenssioa quando i prodotti sono
indefinitivamente fertili, cosicchè la nuova razza si produce direttamente.
Cfr. Topinard, L’anthropologie, 1884, pag. 382 segg. (v. ibridiemo, dimorfismo
sessuale, razza, pecie, varietà).
789 Omo-Ont Omonimia. Uno dei
sofismi verbali, che si fonda sopra l'ambiguità dei termini. Consiste infatti
nell’ adoperare una parola in più significati senza distinguerli. Tale sarebbe
il ragionamento per cui il Berkeley, basandosi sulla constatazione che una
medesima idea può sparire dalla mente ο poi tornarvi, concludeva alla esistenza
di uno spirito universale in oui tutte le idee avessero la loro sede
permanente; qui è confuso evidentemente il medesimo in quanto numero, col
medesimo in quanto specie. Cfr. Aristotele, Metaph., IV, 4; Id., Categ., 1 (v.
incosciente). Onirologia. T. Onirologie; I. Onirologg; F. Onirologie. Può
designare tanto quella parte della psicologia che si oocupa dei sogni, quanto
il discorrere che si fa sognando. Viene usata comunemente nel primo
significato, nel quale non vuol essere confusa colla omérocrisia o
oniroorifica, che è la pretesa arte di interpretare i sogni. L’onirologia, come
stadio psicologico dei sogni, si basa essenzialmente sull’osservazione
introspettiva; il suo metodo classico, divenuto tale dal Maury in poi, è quello
della notazione immediata, che consiste nel trascrivere immediatamente,
essendosi risvegliati all'improvviso, le imagini del sogno che sono ancora
fresche nello spirito. Altro metodo è quello della notasione ripetuta, che
consiste nel constatare l'evoluzione subita dal sogno nella memoria,
traserivendo il medesimo sogno a diversi intervalli di tempo. Si sono infine
proposti dei metodi che sembrano scostarsi dai precedenti, in prima linea
Vexperimento: il soggetto che si addormenta in condizioni speciali (sottoposto
alla pressione di guanti ο di nastri, ο dopo una viva impressione ottica, οσο.)
deve riempire, al risvegliarsi, un apposito questionario. Altri ha raccomandato
le inchieste; ma i risultati sono sempre scarsi, perchè i questionari
comportano solo un numero limitato di domande assai semplici, Cfr. Tissié, Les
révee, 1890; 5. Freund,
Die Traumdentung, 1900; J. Bigelow, The mystery of sleep, 1897; Jastrow, Le
subcoscient, trad. franc. 1908; Vascide, ONT
790 Le sommeil οἱ les réres, 1911; M. Foucault, Le rêve, études et
observations, 1906; De Sanctie, I sogni, studi prie. e clinici, 1899. Ontogenesi. T. Ontogenesis; I. Ontogenesis,
Untogeny : F. Ontogénèse, Ontogénie. Si adopera per opposizione a filogenesi, ο
indica lo sviluppo dell’ individuo vivente dalla sun primitiva forma
embrionaria allo stato adulto. Tale sviluppo non sarebbe altro, secondo l’
Haeckel, che una ricapitolazione, una ripetizione abbreviata dello sviluppo
della specie, ciod della filogenesi. Cfr. Haeckel, I'problemi delV universo,
trad. it. 1904, p. 81 segg.; Vialleton, Un problème de l'évolution, 1908 (v.
embriologia). Ontologia (tv, ἔντος + ciò che è, ente). T. Ontologie: I.
Ontology; F. Ontologie. La scienza che studia 1’ essere come tale, P essere
considerato in sè stesso, indipenden-temente dai suoi modi di manifestarsi. Fu
detta anche ontosofia ο filosofia prima. Il Clauberg la definisce quale
soientia que contemplatur ens quatenus ens est, hoo est, in quantum communem
quamdam intelligitur habere naturam.... (qua) omnibua οἱ singulis entibus suo
modo inest. Cristiano Wolff, più brevemente, scientia entis in genere, seu
quatenus ens est ; suo cômpito è di dimostrare que entibus omnibus sive
absolute, sito eub data quadam conatitutione oonveniunt. Spesso ontologia è
sinonimo di metafisica, quando si considera 1’ essere in sè come principio di
tutte le cose; ma per 1’ Herbart, ad es., essa non costituisce che una delle
parti della metafisica, la quale ha il cömpito generale di liberare i concetti
dalle contraddizioni. Al nome ontologia il Galluppi vuol sostituito quello di
ideologia, perchè la stessa nozione di essere, nonchè quella di esistenza, di
possibilità, di sostanza, di attributo, ecc., sono idee essenziali dello
spirito umano, delle quali si deve esaminare l’origine e il valore, per vedere
con qual diritto noi affermiamo la loro oggettivit «L'ideologia dunque non è
che l’ontologia ragionata e filosofica. È un'ontologia foggiata sopra una base
solida ». Al 791 ONT tri filosofi
soppressero l’ontologia, incorporandola nella teologia, altri ancora ridussero
la prima alla seconda. Il Rosmini, opponendosi ad entrambi, ne distingue i
domini, definendo l’ontologia la teoria dell’ essere comune, oppure la teoria
dell’ essere in tutta l'ampiezza della sua possibilità, e la teologia la teoria
dell’ essere proprio, cioè Dio stesso. Egli formula il problema ontologico in
questi cinque modi: trovare la conciliazione delle manifestazioni dell’ ente
col concetto dell’ ente ; trovare una ragione sufficiente delle diverse
manifestazioni dell’ente; trovare la equazione tra la cognizione intuitiva e
quella di predicazione; conciliare le antinomie che appariscono nel pensiero
umano: che cosa sia ente e che cosa sia non ente. L’ontologis, secondo lo
stesso filosofo, precede la cosmologia, che è la scienza dell’ ente finito, il
quale è possibile soltanto dopo la conoscenza dell’ essere in universale,
oggetto della ontologia, e si distingue dall’ ideologia, che si riferisce pure
all’ essere, ma lo considera come pura ed assoluta idea, nella quale tutte le
altre si contengono. Cfr. Clauberg, Motaphysica, 1646, cap. I, 1-2; Cr. Wolff,
Philosophia prima sive ontologia, 1736, $ 1, 8; Baumgarten, Metaphysica, 1739;
$ 41; Galluppi, Lesioni di logica e metafisica, 1854, vol. III, p. 982 segg.;
Rosmini, Nuovo saggio aull’origino delle idee, 1830, vol. II, p. 1 segg.; Id.,
Logica, 1853, $ 847 (v. essere, ente, assoluto, anoetico, possibile, filosofia,
metafisica, metodologia, eco.). Ontologico (argomento). Una delle prove a
priori dell'esistenza di Dio. Essa fu enuncista la prima volta da 8. Anselmo
d’Aosta in questo modo: quando lo stesso ateo pronuncia la parola Dio, se sa
quello che dice deve avere il concetto di nn essere del quale îl maggiore non
si può pensare (quo nihil maius cogitari potest); ma questo essere non sarebbe
tale, non sarebbe il massimo degli esseri, se fosse solamente pensato, se
mancasse di esistenza, poichè in tal caso noi potremmo pensarne un altro
esistente, ed ONT 792 esso sarebbe certo maggiore; dunque non si
può supporre che Dio non esista: « Se dunque codesto oggetto al disopra del
quale non ο) ὃ nulla, fosse solamente nell’ intelligenza, sarebbe tuttavia
tale, che avrebbe qualche cosa al di sopra di lui; conclusione che non potrebbe
essore legittima. Esiste dunque certamente un essere al di sopra del quale non
si può nulla imaginare, πὸ nel pensiero, nd nella realtà ». Descartes diede più
tardi un’evidenza matematica a questo argomento, partendo dalla nozione che
abbiamo di un Essere perfetto: come nell’ idea di triangolo è conte nuta l’idea
che la somma dei suoi angoli valga due retti, così nell’ idea d’un essere
perfetto è contenuta l’idea di esistenza, essendo l’esistenza una perfezione.
Spinoza prende l'argomento ontologico come base e proposizione iniziale del suo
sistema: Per oausam sui intelligo id, ouiue cssentia involvit existentiam, sive
id, ouius natura non potest concipi nisi eziatone. Deus sive substantia neosssario existit,
perchè posso existere potentia est; quindi de nullius rei exiatentia entis
absolute infiniti seu perfeoti, hoo est Dei. Infine il Leibnitz formulò
l'argomento così: Dio è per definizione Vessere necessario; ora l'essere
necessario esiste perchè il suo concetto racchiude necessariamente 1’ esistenza
; dunque Dio esiste. Infine l’ argomento ontologico fu criticato da Kant, il
quale, pur riconoscendolo il migliore di tutti, negò ad esso qualsiasi valore
oggettivo. L'esistenza, dice Kant, non fa parte del contenuto del pensiero, ma
bens? lo controlla © lo necessita; il possibile non contiene nulla più del
reale, e cento talleri reali nulla più di cento talleri possibili, hundert
wirkliche Thaler enthalten nicht das Mindesto mehr als hundert mögliche; se jo
penso un essere come la massima realtà, rimane pur sempre da chiedere se esso
esista 0 no: « Il concetto di un essere supremo, conchiude Kant, è un’ ides
utilissima per molti riguardi; ma appunto perchò non è che un'idea, è del tutto
incapace di estendere da sola la nostra conoscenza per rapporto a ciò che
esiste.... Codesta prova ontologica tanto vantats, che pretende dimostrare per
via di concetti l’esistenza di un essere supremo, perde dunque tutta la sua
fatica, e non si diventerà più ricchi in conoscenze con delle semplici idee, di
quello che diventerebbe ricco in denaro un mercante se, nel pensiero
d’aumentare la sua fortuna, aggiungesse alcuni zero al suo libro di cassa ».
Cfr. 8. Anselmo, Proslog., 2, 3; Cartesio, Medit., V; Spinoza, Ethica, 1. 1
def. I, teor. XI, scol. ; Leibnitz, Mém. de Trévour, 1701; Kant, Krit. d. rei. Vern., ed. Kehrbach, p. 468-475; C. Guastella,
Filosofia della metafisica, 1905, vol. I, app. al cap. VI, $ 6 (v. gli
argomenti cosmologico, fisico, ideologico, morale, storico). Ontologismo. T.
Ontologismus ; I. Ontologiem; F. Ontologisme. Non deve confondersi con
ontologia, che ha un significato più generale. Designa talvolta quella scuola
filosotica, che vuol far precedere l'ordine reale all’ ordine psicologico delle
conoscenze, ossia che i metodi e i principt della filosofia vuole siano cercati
nell’ oggetto ο non nel soggetto. Ma più comunemente il vocabolo è adoperato a
denominare la filosofia del Gioberti, che, opponendosi allo psioologismo
iniziato da Cartesio e continuato dalla filosofia moderna, sostiene che noi
dobbiamo cominciare con la suprema ed obbiettiva intuizione della mente: Ens
oreat existentias ; il prendere come punto di partenza |’ esame della coscienza
ο dei processi del conoscere, trasporta la filosofia al di là della sua sfera e
conduce logicamente al sensismo, al protestantismo, all’ ateismo, Cfr.
UeberwegHeinze, Grund. d. Gesch. d. Phil., 83 ed., II, p. 328; Cournot, Essai
sur les fond. de nos conn., 1851, t. I, p. 307; Gioberti, Introduzione allo
studio della filosofia, 1850, t. I, p. 272 segg. (v. ente, psicologismo).
Ontosofia. Sinonimo poco usato di ontologia. Opinare. T. Meinen, Vermuthen; I.
To opine; F. Opiner. Consiste nel ritenere per vero ciò che si presume soltanto
Orr 794
probabile, cid di cui non si possiedono le ragioni per essere
perfettamente certi. È quindi un atto soggettivo, che si distingue dal sapere,
che consiste nella certezza di una verità o di un ordine di verità, basste
sulla ragione o sulla esperienza; © dal credere, che consiste nell'accettare
come vero ciò che è indimostrato ο ciò che l’ autorità altrui ci impone di
considerare come vero. Quindi si hanno due forme del credere: quella
scientifica, in cui l’indimostrabilità di un dato proviene dall’ essere esso
fondamento di ogni dimostrazione (assiomi, postulati), e quella religiosa, in
cui il dato manos di ogni prova e non si accetta che per l'autorità altrni. E
falso dunque voler porre questa seconda come base della prima (v. critica,
dubbio, fede). Opinione. Gr. Δόξα; Lat. Opinio; T. Meinung; I. Opimion; F.
Opinion. Non bisogna confonderla con la conoscenza, con la oredenza, con la
conrinsione. La conoscenza è determinata da motivi sufficienti; la credenza da
motivi insufficienti, che però non tolgono la persuasione di possedere la
verità; la convinzione è una credenza spiccatamente tenace e sicura; l'opinione
infine non è che una credenza incompleta, in quanto si fonda su motivi che sono
insufficienti e si riconoscono come tali. « L’ opinione, dice Kant, è il fatto
di ritenere qualche cosa come vero, con la coscienza d’ una insufficienza
soggettiva e obbiettiva di tale giudizio ». Già prima Cicerone l’ aveva
definita imbecillam assensionem, 8. Bonaventura assenzio anime generata ex
rationibus probabilibue, ο Cristiano Wolff propositio inaufficienter probata.
L'antica sofistica aveva ridotto ogni pensiero ad opinione; se la verità è
l'opinione individuale, ogni cosa prende norma e valore dal soggetto; da ciò il
detto di Protagora: « l’uomo è la misura di tutte le cose ». A codesto
scetticismo 6’ oppose da prima Socrate, che foce consistere il vero sapere non
nell’ opinione, ma nel conoscere i concetti delle cose; poscia Platone, che,
mantenendo il divario tra l'opinione (δόξα) che deriva dai sensi 1795
OPP-ORD € la cognizione (ἐπιστήμη) che è data dai concetti, feco
corrispondere all’ opinione i fenomeni mutevoli, ai concetti ciò che v' ha di
costante nell’ avvicendarsi dei fenomeni, cioè la realtà, 1’ essenza, l’ Idea.
Cfr. Platone, Zepubl., V, 477 B, 478 B, Meno 97 E; Aristotele, Met., VII, 15,
1039 b, 33; Cicerone, Tusc. disp., IV, 7; 8. Bonaventura, In lib. sontent., 3,
d. 24, art. 2, 2; Cr. Wolff, Philosophia rationalis, 1732, $ 602; Kant, Krit.
d. r. Vern., A 822, B 850 (v. antropometrismo, concetto). Opposizione. T.
Gegensatz, Gegensetzung, Opposition; I. Opposition; F. Opposition. Una delle
tre specie principali di relazioni immediate tra le proposizioni ; essa ha
luogo tra le proposizioni identiche di contenuto, ma diverse di qualità, o
diverse di qualità e modalità insieme, potendo essere identica ο diversa la
quantità. L'opposizione può essere contraria, contradditoria ο suboontraria.
Sono opposte contrarie le proposizioni universali d’identico contenuto ma di
qualità opposta, e le proposizioni apodittica negativa e apodittica
affermativa. Sono opposte subcontrarie le proposizioni particolari d’identico
contenuto e di qualità opposta, e ngualmente le problematiche affermative e le
problematiche negative. Sono opposte contradditorie quelle d’identico contenuto
ma diverse di qualità e quantità, e ugualmente l’apodittica negativa e la
problematica negativa, Si dicono infine opposte subalterne le proposizioni d’
identico contenuto e qualità ma di diversa quantità, e ugualmente le
apodittiche e le problematiche della stessa qualità e contenuto. Cfr. Ueberweg,
System d. Logik, 1874, $ 97; Masci, Logica, 1899, p. 201 segg. (v.
contrappoxizione, conversione). Ordine, T. Oränung; I. Order ; F. Ordre. Una
delle idee fondamentali della intelligenza. Si pnd definire come la nozione o
la comprensione d'una coerenza qualsiasi, fondata sopra un rapporto
quantitativo, qualitativo, meccanico o teleologico. Il Cournot ha distinto I’ ordine logico
dall'ordine razionale: il primo consiste nell’ incatenare i ORG 796
fatti secondo I’ ordine lineare, che è quello del discorso; il secondo
nel mettere in luce la relazione secondo la quale i fatti, le leggi e i
rapporti, oggetto della nostra conoscenza, si concatenano e procedono gli uni
dagli altri. Nella logica matematica l’
ordine seriale è l’ esistenza tra più termini d’ una relazione transitiva
asimmetrica. L’ordine della natura è l’
insieme delle ripetizioni manifestate sotto forma di tipi o di leggi dagli
oggetti percepiti. 1) ordine sociale è
l'insieme delle regole alle quali i cittadini debbono conformarsi, e la
sottomissione dei citta dini a codeste regole. I giuristi distinguono l’ordine
giuridico dall’ ordine pubblico, considerando questo come un fine rispetto al
quale il primo è un mezzo; mentre, infatti, l'ordine giuridico è un sistema di
condizioni che non possono non esistere in ogni società, l'ordine pubblico è un
bene, che si ottiene © si mantiene solo a patto di osservare certe determinate
condizioni, è quello stato di cose che rappresenta la normalità della vita
collettiva di una determinata società. Cfr. Cournot, Essai sur le fond. de n. connais.,
1851, $ 17, 24, 247; L. Couturat, Les principes des mathématiques, cap. II;
Bergson, L’évolution oréatrice, 1912, cap. III, Le désordre et les deux ordres;
A. Levi, La société et l'ordre juridique, 1911; Ardigd, Opere fil., I, 88-91;
II, 263-265, 269-277. . Organicismo.
T. Organicismus; I. Organicism; F. Organioisme. Sistema o dottrina che spiega i
fatti della vita, della sensibilità ο del pensiero come pure funzioni
organiche, senza ammettere l'intervento nd del principio spirituale, nè del
principio vitale. Gli organicisti non riconoscono che l’esistenza della materia
organizzata, provvista però di forze e proprietà che non esistono negli esseri
inorganici; ogni organo è animato da una forza particolare che, componendosi
con tutte le forze simili, mantiene la vita totale: la vita è U’ insieme delle
forze che resistono alla morte, dice il Bichat. Questa dottrina ebbe ed ha
illustri 1797 ORG sostenitori, fra oni it Bichat, Robin,
Broussais © Claudio Bernard. Nella
sociologia dicesi organicismo la dottrina secondo la quale le società sono
organismi analoghi agli esseri viventi, e la sociologia un ramo della biologia.
Platone ο Aristotele tra gli antichi, Spinoza, Herder, Schelling ed altri
filosofi della storia, raffigurarono la società come « an corpo vivente » sottoposto
alle leggi indeclinabili della nascita, della crescita e della morte; il Comte
e lo Spencer cercarono di dare una consistenza scientifica a codesto concetto,
determinando le analogie e le somiglianze tra l’organismo individuale e quello
sociale; lo Schüfie spinse l’analisi ancora più in là, e trattò addirittura
della anatomia, fisiologia, psicologia, patologia e terapia del corpo sociale.
Cfr. Snisset, Recherches nouvelles sur l’dme, « Rev. d. denx-mondes », 15
agosto 1862; Espinas, Les sooistés animales, 1878, Introd. ; Comte, Cours de
phil. pos., 1877, t. IV, p. 172 segg.; Schüfle, ita ο struttura del corpo
sociale, « Biblioteca degli economisti », serie IIT, vol. VII; A. Rey, La
philosophie moderne, 1908, p. 177-78; Novicow, Les castes et la sociologie
biologique, « Rev. philos. », 1900, II, 373 segg.; Bouglé, Le proods de la
sociologia biologique, Ibid., 1901, Il (v. anima, materialismo, moniemo,
paralloliamo, ritalirmo, meccanismo, organico). Organico. T. Organisch,
Organisirt; I. Organio; F. Organique. Tutto ciò che appartiene all’ organismo;
si oppone 3 inorganico, psichico, intellettuale, eco. Ad es., una malattia
mentale presenta delle alterazioni organiche, come l’atrofia d’un organo o la
distribuzione d’un tessuto, e dei fenomeni psichici corrispondenti, come le
idee deliranti, le alIneinazioni, 900, Il concetto di organico si contrappone a
quello di inorganico: infatti, sebbene i corpi inorganici e gli organici siano
soggetti alle stesse leggi generali della materia, tuttavia gli elementi costitutivi
dei primi o sono mescolati meceanicamente 0 entrano in combinazioni chimiche
binarie, i secondi contengono principalmente comORG 798
binazioni ternarie e quaternarie con carbonio; le particelle ultime dei
primi si attengono reciprocamente sia per forza di attrazione che per affinità
chimica, quelle dei secondi sembrano invece combinate, sostenute, elaborate,
consumate, trasformate da un agente di natura diversa di quelle inorganiche,
agenti che alcuni chiamano forza organica o vitale, pure considerandola come un
semplice concetto astratto, ipotetico e provvisorio. Organico si distingue
infine da organizzato 9 da aggregato: sono organiche tutte le sostanze prodotte
dalla vita di qualche organismo e che non esistono nel mondo inorganico (linfa,
albumins, proteina, siero del sangue, ecc.); tuttavia possono essere omogenee,
indivisibili, giacenti 1’ una accanto all’ altra, cioò non organizzate ο
amorfe. I muscoli, i nervi, le glandole sono invece sostanze organiche e
organizzate insieme, perchè in essi si ha la riunione di sostanze eterogenee in
un tutto, la cui ragione sta in un tipo razionale. Infine, le particelle
aggregate di un corpo inorganico esistono semplicemente le une accanto alle
altre, senza cercare di riunirsi a vicenda, © senza cessare d’ essere quello
che sono se separate. Cfr. Cournot, Essai sur le fond. de nos connaissances,
1851, t. I, p. 269 segg.; Eucken, Geistige Strömungen der Gegenwart, 1909, sez.
B, $ 2 (v. fisiologia, generazione, cellulari teorie, duodinamismo, meccanismo,
organioismo, vita, vitaliemo). Organo. T. Organ, Werkzeug ; I. Organ; F.
Organe. Una doterminata unione di tessuti per una determinata funzione, della
quale sono strumento; la riunione di tessuti uguali per una funzione più
elevata costituisce il sistema: così si ha il teseuto nervoso, degli organi
nervosi (es. il cervello) e il sistema nervoso. Quando un organo è formato di
un solo tessuto dicesi semplice (es. alcune glandole) quando di più tessuti
composto (es. il fegato). La riunione di tutti gli organi in un tutto, capace
di vita, dicesi organismo; ora, nessun organo ha in sò la ragione della propria
esistenza, ma la trae dal tutto al quale appartiene, 799
ORI perciò il fine ultimo dell’ organo non è la sussistenza propria, ma
quella di concorrere al mantenimento dell’ intero organismo. Nella logica il termine organo o organum
significa trattato di logica. Gli antichi commentatori diedero questo nome ai
libri logici d’Aristotele, intendendo con ciò di significare che la logica è lo
strumento (ὄργανον = stromento) per la ricerca della verità. Bacone intitolò la
propris opera principale Novum Organon appunto per signiticare che egli vuol
contrapporre una nuova logica a quella aristotelica; oggetto di questa nuova
logica è, come dice il sottotitolo, I’ interpretazione della natura ossia del
regno dell’uomo (de interpretations naturae, sive de regno hominis). Kant
distinse l'organo, ossia il metodo di ogni disciplina in particolare, dai
canoni del pensiero in generale. Cfr. Kant, Krit. d. rei. Vern., ed. Kehrbach, p. 43;
Fries, System der Logik, 1837, p. 13. Orientazione. T. Urientirung ; I. Orientation; F. Orientation. In
generale, la coscienza delle relazioni spaziali del nostro corpo con gli
oggetti che lo circondano, coscienza dovuta sia alle sensazioni visive, sia
alle tattili, muscolari, uditive, eco.
Dicesi senso della orientasione la coscienza che hanno molti animali e
alcune razze umane inferiori, della direzione da seguire per recarsi attraverso
luoghi sconosciuti ad un punto noto. Questo senso avrebbe sede nei canali
semicircolari dell’ orecchio, e funzionerebbe mediante avvertimenti dati dalla
differenza di pressione dell’ endolinfa contenuta nei canali stessi. Dicesi ilusione della orientasione quell’
anomalia della coscienza normale della direzione, che consiste nel mutarsi dei
punti dello spazio circondante il soggetto, in modo da esser cambiato tutto il
suo ambiente fisico, ma senza che sia alterata la nozione dei rapporti spaziali
degli oggetti gli uni rispetto agli altri. Cfr. Cyon, Recherches sur len
fonct. des oanaux »emioiroulaires, 1878; Peychol. Rer., 1897, IV, 341, 463;
Hüfiding, Esquisse d’une paychologie, 1900, p. 256 ORI-ORO 800
segg.; Grasset, Les maladies do l'orientation et de Vequilibre, 1902. Origine. T. Ursprung; 1. Origin; F. Origine. In
generale cominciamento, prima manifestazione d’ un fatto, qualche cosa che 6’
inizia nel tempo; talvolta però significa la ragion d’ essere di un
avvenimento, il fatto elementare che ne spiega un altro. Tra i problemi
tradizionali riguardanti l'origine sono da ricordarsi i seguenti: Problema
dell’ ori gine delle idee: sono esse un prodotto di esperienza sensibile ο, le
fondamentali almeno, fanno parte della costituzione stessa del nostro spirito
e, in quanto tali, esistono a priori? Problema dell'origine della oosoiensa: è
essa un attributo dello spirito, o una proprietà dell’ organizzazione evolntiva
della materia organizzata, o la concentrazione d'una coscienza diffusa in tutto
l’ universo? Problema del. l'origine del male: se Dio esiste, donde ha origine
il male? Problema dell'origine della vita: è la vita il prodotto del semplice
gioco di reazioni fisico-chimiche, o di un principio che ha natura e leggi
proprie, diverse da quelle meocaniche? Problema dell'origine della specie: le
specie viventi, animali ο vegetali, furono prodotte tali e quali da una
creazione, e restano immutabili, ο ei trasformano in modo che rin’ unica specie
sia passata storicamente dalle une alle altre? (v. idea, oosoiensa, male, vita,
specie, innatismo, empiriemo, 600.). Orismologia (ὡρισμός definizione). Trattato intorno ai vocaboli
tecnici e alle espressioni proprie d’una data scienza ο arte. È sinonimo di
terminologia. Orottero. La linea o il punto che congiunge i punti dello spazio
che fanno imagine su punti identici delle due retine, in una data posizione
dell’ occhio. L’ esistenza dei punti identici si ammette per spiegare la
visione semplice degli oggetti, benchè le loro immagini si formino su ambedue
le retine, ed è provata dal fatto che, se si sposta l'occhio con un dito mentre
si guarda un oggetto, l’og 801 Osc-0ss
getto è visto doppio. L’ orottero varia perciò a seconda della posizione degli
occhi: così quando gli assi visuali si trovano sul piano orizzontale e sono
convergenti, 1’ orottero è rappresentato da un circolo che passa per il punto
fissato e i due centri ottici; quando invece gli assi visuali si trovano nel
piano orizzontale e sono fra di loro paralleli (come allorchè si guarda il
lontano orizzonte) l’orottero è rappresentato dal piano che passa per i medesimi.
Cfr. Tschering, Optique physiologique, 1898 (v. binoowlare, campo, emianopsia,
diplopia). Oscuro. T. Dunkel; I. Obscure; F. Obsour. Nel linguaggio cartesiano
oscuro si oppone a chiaro e si distingue da confuso: un’ idea è oscura quando
per essa non riusciamo a differenziare un oggetto dagli altri, è confusa quando
per ossa differenziamo un oggetto dagli altri, ma non abbiamo la conoscenza
degli elementi di ouf è composto. « Dico che una idea è chiara, scrive il
Leibnitz, quando è sufficiente a distinguere la cosa e riconoscerla; così, se
avrò un’ idea ben chiara di un colore, non mi avverrà di prendere un altro
colore per quello che cerco, e, se avrò l’idea chiara di una pianta, la
discernerò dalle piante consimili; e, se ciò non è, l’idea è oscura ». Gli scolastici designavano con l’espressione
obscurum per obscurius quella forma di petizione di principio, che consiste nel
dimostrare ciò che è oscuro per sè con ciò che è ancora più oscuro. Cfr. Leibnitz, Nouveaux
essais, 1704, 1. II, cap. 29, $ 2; Peirce, Comment rendre nos idées olaires, «
Rev. philosoph. », genn. 1879.
Osservazione. T. Beobachtung; I. Observation ; F. Observation. È l'atto
mediante il quale lo spirito si applica a un fatto o a un insieme di fatti,
allo scopo di conoscerli e di spiegarli. Si distingue dallo sperimento in
quanto questo è attivo, perchè sperimentando si interviene nei fatti
producendoli o modificandoli, mentre |’ osservazione è passiva, in quanto
consiste nella semplice constatazione dei fatti; la distinzione però non è
assoluta. Si diversifica anche dal51
Raxzorı, Dizion. di acienze filosofiche. Oss 802
l’attensione, perchè mentre in questa può mancare in quella è essenziale
il desiderio di una esplicazione ulteriore del fatto osservato. Si distinguono due forme d’osservazione: la
comune, abbandonata all'esercizio degli organi di senso individuali, © la
metodica, assistita da speciali mozzi che ne accrescono la portata, integrata
da ragionamenti che ne svolgono il valore, conformata a regole costanti per la
scelta degli oggetti e delle condizioni opportune d’ esame, controllata dai
risultati ottenuti da diversi osservatori.
L'osservazione può anche essere esterna e interiore © psicologica.
L'osservazione esterna è la base delle scienze fisiche ο naturali, ed è essenziale
in alcune di esse, come ad es., nell’ astronomia. L'osservazione esterna deve
essere metodica, cioè procedere regolarmente da nA oggetto all’altro, precisa
ciod fare un giusto calcolo della quantità dei fatti, esatta ciod nulla
trascurare. L'osservazione interiore © introspezione fu adoperata nello studio
dei fenomeni psichiei, primamente dalla sonola scozzese, indi dagli eclettici
francesi ο dagli associazionisti inglesi, ma fa combattuta da A. Comte, il
quale sostenne essere assurdo che si possa nello stesso tempo essere il
soggetto osservante e l'oggetto osservato. Con ciò il Comte veniva a negare la
possibilità di ogni conoscenza dello spirito per mezzo della coscienza.
Tuttavia codesta conoscenza à un fatto d’esperienza comune, ed oggi il metodo introspettivo,
aiutato fin dove è possibile dall’ esterno, è ancora il metodo proprio della
psicologia. Cfr. Senebier, L'art d'observer, 1802; Ribot, Contemporary english
psychology, 1873, p. 84, 323; Sully, Outlines of peyohology, 2° ed. 1885, p. 6,
7; C. Bernard, Introd. à V étude de la med. ezpor., 1865, 1. I, cap. 1; Masci,
Logica, 1899, p. 402 segg.; A. Padon, Legittimità € importanza del metodo
introspettivo, « Riv. di filosofia », aprile 1913 (v. introspezione,
riflessione, psicologia). Ossessione. T. Besessenheit; I. Obsession; F.
Obsession. La presenza nello spirito di una rappresentazione, o d’una 803
Orr associazione d'idee, che la volontà non riesce ad allontanare se non
momentaneamente, che impedisce agli stati antagonistici di presentarsi e intorno
alla quale vengono a raccogliersi tutte le associazioni. Si verifica spesso
nella malinconia religiosa, caratterizzata da un delirio di onsessione o di
possessione, in cui l'individuo si sente circondato da demoni o tutt’ nno con
essi. Secondo il Régis e il Tamburini tutte le varietà di ossessione si
riferiscono ad un disturbo della volontà e si possono raccogliere in due
gruppi: 1° ossessioni impuleive, in cui la volontà è lesa nella sua forza di
arresto; 2° ossessioni abuliche, in oui la volontà è less nella sua energia
generale di attività. Cfr. Pitres et Régis, Les obsessions οἱ les
impulsions, 1902; Raymond et Janet, Les obsessions αἱ la peychasthénio, 1903; Régis, Manuel de méd. ment.,
3" ed., p. 257-296; Tamburini, Riv. aper. di Fren., IX, 1883, p. 74 ο 297; Pierre Janet, Névroses οἱ idées fixes, 2* ed. 1904, cap. I. ο Ottimismo. T. Optimismus; I. Optimiem ; F.
Optimieme. Vocabolo usato per la prima volta dai padri gesuiti di Trevoux nel
render conto della teodicea del Leibnitz, e reso più tardi popolare dal
Voltaire col suo Candide ou Poptimismo (1758). Vi ha un ottimismo naturale © un
ottimismo filosofico. Il primo si può definire come là disposizione, quasi
sempre innata, dovuta allo stesso temperamento, a cogliere il lato buono delle
cose, a giudicare benevolmente degli uomini e degli avvenimenti. Il secondo,
che ha forse le sue intime radici nel primo, è la dottrina secondo la quale
sull'universo tutto va per il meglio e noi viviamo nel migliore dei mondi
possibili. Esso ha una data relativamente recente nella storia del pensiero, ed
è più che altro una dottrina teologica e metafisica; esso infatti consiste
nello scagionare la divinità, creatrico del mondo, dell’esistenza del male nel
mondo e nel dimostrare Ja necessità del male medesimo. Noi troviamo accennato,
è vero, il problema dell’ottimismo in alcuni filosofi antichi e Orr 804
dell’ eta di mezzo. Così, già Platone insegnava che il Demiurgo non ha
potuto creare che ciò che è più bello e più buono; Plotino che il male e il
dolore non sono che specie negativo e conducono ancor meglio al bene; 8.
Clemente che il male è solo azione, non sostanza (οὐσία), e che il mondo quale
Dio l’ha creato è perciò originariamente buono; 8. Agostino che in quantum est,
quidquid est, bonum est. Ma una trattazione compiuta del problema sotto tutti i
suoi aspetti, nelle sue relazioni con l’idea di Dio, di Grazia e di Provvidenza
divina ο di libertà umana non si ha che col Leibnitz. Secondo il filosofo
tedesco, la continuità e l'armonia che si osservano nel mondo sono prestabilite
da Dio, il quale, nell’ opera sua creativa, non ha agito a caso, ma ha scelto
tra le creature possibili quelle che corrispondevano meglio al suo fine: «
Dalla perfezione suprema di Dio consegue che, producendo l'universo, egli ha
scelto il miglior piano possibile, nel quale esista la più grande varietà col
più grande ordine; il terreno, il luogo e il tempo meglio governati; il maggior
effetto prodotto coi mezzi più semplici; la maggior potenza, la maggior
conoscenza, la maggior felicità e bontà nelle creatare che l'universo potesse
comportare. Poichè tatti i possibili pretendendo all'esistenza nell’ intelletto
divino, in proporzione delle loro perfezioni, il risultato di queste pretese
deve essere il mondo attuale il più perfetto che sia possibile. E senza di ciò
non sarebbe possibile spiegare perchè le cose siano avvenute così piuttostochè
altrimenti ». Ma se Dio ha scelto il miglior mondo possibile, perchè esiste il
male? Il male, risponde il Leibnitz, può essere metafisico, fisico o morale. Il
male metafisico è la limitazione, che non può non esistere perchè ogni monade
creata deve averla. Il male fisico è il dolore, che è pure necessario perchè
senza di esso non csisterebbe il piacere; infatti il dolore nasce dallo sforzo
per passare da uno stato all’altro, e senza questo sforzo non ci sarebbe azione
© quindi nemmeno piacere, 805 Orr-P che consiste appunto nella coscienza
dell’ azione. Infine il male morale è il peccato, ed è esso pure una condizione
indispensabile: il peccato nasco da una rappresentazione oscura; dalla
rappresentazione oscura si sviluppa la conoscenza chiara, la quale è la
condizione prima della morslità; dunque, senza il peccato non esisterebbe la
moralità, e quindi neanche il bene. Così Dio è pienamente giustificato. Oggi il
problema dell’ottimismo ο del pessimismo ha perduto il suo primitivo
significato: si è infatti riconosciuto che il bene e il male, il piacere e il
dolore sono condizioni necessarie l'uno dell’ altro; che il dolore ha un
officio biologico, in quanto ci avverte dell’alterazione degli organi, e ci è
di stimolo al perfezionamento fisico e morale. Ad ogni modo si pud dire che la
scienza moderna, essendo a base evoluzionistica, ammettendo οἱοὸ un
perfezionamento indefinito della specie e della società, è essenzialmente
ottimistica. Cfr. Platone, Zimeo, 30 A; Plotino, Enn., III, 2, 5; 8. Clemente,
Strom., IV, 13, 605; 8. Agostino, De vera relig., 21; Id., Confess., VI, 12;
Leibnitz, Prinoipes de la nat. et de la grâce, 1879; Id., Theodioea, 1710, $
416; I. Duboc, Der Uptimiemus ala Weltanschauung, 1881;Sully, Pessimism, 1877,
p. 399 segg. (v. dolore, piacere, migliorismo, pereimiemo, bene, male, armonia,
teodicea). P. Nei versi mnemonici delle tre ultime figure del sillogismo
categorico, questa lettera indica che la riduzione al modo della prima figura
deve essere fatta mediante conversione per accidente di una delle due premesse
o della conolusione ; ad es.: Darapti della terza figura si converte nel Darii
della prima mediante la conversione per accidente della minore. La stessa
lettera si usa nello espressioni simboliche delle proposizioni per indicare il
predicato, e nelle espressioni simboliche del sillogismo per PAG-PAL 806
indicare il termine maggiore, che nella conclusione fa appunto da
predicato (v. figura, modo, termini, sillogismo). Paganesimo. T. Paganismus; I.
Paganism; F. Paganisme. Termine generico per indicare tutte le religi teriori
al cristianesimo, o diverse dal cristianesimo, fatta eocezione però del
giudaismo e dell’ islamismo. Esso ebbe origine nei primi secoli del
cristianesimo, per il fatto che il politeismo romano conservava i suoi più
tenaci difensori tra gli abitanti delle campagne. Ancor oggi il termine è usato
spesso in senso dispregiativo, applicandosi a tutte le forme più basse della
religiosità, Paleontologia. T. Palsontologie; I. Paleontology; F.
Paléontologie. La scienza dei fossili. Essa ha origini recenti, da quando cioè
col Convier e col Lamarck, si cominciò a riconoscere che le impronte e le
reliquie di animali © vegetali estinti conservateci in stato pietrificato sono
veri e propri documenti per la storia degli organismi: essi infatti ci dànno
notizia della forma ο della struttura di piante e di animali, che sono gli
antenati o i precursori degli organismi ora viventi, oppure linee laterali
estinte. Prima invece s'era creduto che le pietrificazioni di piante ο di
animali non fossero che scherzi di natura (ludus naturae) o prodotto di uno
sforzo creativo (vis plastica), «ο modelli inorganici di cui si servì il
Creatore prima di creare gli esseri organici. Cfr. K. A. Zittel, Geschichte d.
Paläontologie, 1899 (v. cosmogonia, geologia). Palingenesi. Gr. πάλιν = di
nuovo, γένεσις = generazione; T. Palingenese; I. Palingenesis; F. Palingenèse.
E vocabolo proprio della filosofia religiosa e vale rinascimento,
rigenerazione. Si applica tanto all'individuo, come all’umanità e all'universo.
L'idea della palingenesi si trova nel fondo di quasi tutte le religioni
filosofiche. Così nel bramanismo il mondo passa attraverso continue alternative
di creazione e di distruzione, corrispondenti alla veglia ¢ al sonno di Brahma;
in esso Vichnou rappresenta il prin 807
Par cipio della palingenesi universale, in quanto interviene in certe
epoche per salvare il mondo da Civa, principio della distruzione: « Mentre
Brahma veglia il mondo vive e si muove; ma quando il Dio dorme, quando il suo
spirito è in riposo, l’ universo svanisce; tutti gli esseri cadono
nell’inersia; essi sono dissolti nell’ anima suprema, perchè colui che è la
vita di tutto l'essere sonnecchia dolcemente, privato della sua energia. Così,
passando a volta a volta dal sonno alla veglia e dalla veglia sl sonno, esso fa
nascere costantemente alla vita tutto ciò che ha il movimento ο tutto ciò che
non l’ha; poi esso lo annienta e rimane immobile ». Nel cristianesimo l’
umanità risorge dalla sua caduta per opera di Gesù Cristo, © risorgerà tutta
intera alla fine dei tempi, sotto nuovi cieli e in una nuova terra; nelle
antiche religioni orientali, il male fa discendere l’nomo, dopo morto, nel corpo
di nn animale irragionevole, mentre il bene può farlo in seguito salire nelle
sfere luminose della felicità. L’ idea della palingenesi si trova anche nel
sistema di Pitagora e più in quello degli Stoici: « L'anima razionale, dice
Marco Aurelio, vaga sull’ali della speonlazione per l’ universo intero,
comprende e vede che nulla di nuovo vedranno quelli che verranno dopo di noi e
che nulla di nuovo videro mai i nostri maggiori, ma bensì che in un certo qual
modo chi è giunto alla età di cinquant’anni, per poco ingegno che abbia, può
dire di avere già visto tutte le cose passate e future, poichè esse saranno
della medesima sorte ». Nei tempi moderni, Scho. penhauer ha sostenuto la
rinascita degli stessi individui nell’ umanità. In Federico Nietzsche la palingenesi
eterna costituisce ad un tempo la base e il coronamento della filosofia del
superuomo, la grande idea che Zarathoustra annuncia da prima ai discepoli
raccolti intorno a lui davanti alla caverna della montagna, e che poi rivela
alle masse convocate in festa: « Tutti gli stati che questo mondo può
raggiungere, esso li ha già raggiunti, e. non Par-Pa 808
solamente una volta, ma un numero infinito di volte ». Alcuni scienziati
moderni, ispirandosi al principio fonda mentale della termodinamica,
concepiscono la storia dell'universo come un processo ciclico di degradazioni ο
di rigenerazioni della materia e dell’ energia, processo nel quale le identiche
fasi si ripeterebbero eternamente a distanze immense di tempo: «Se i mondi
muoiono, dice il Becquerel, è sempre per far posto a dei nuovi mondi. Diventa
così possibile all'evoluzione dell’ energia, della materia, e dei mondi, di
percorrere un ciclo perpetuo, un ciclo nel quale noi non vediamo nè
cominciamento nd fine ». Cfr. M. Aurelio, I ricordi, 1. XI, 1; Schopenhauer, Die Welt als W. und
Vorst., Reclam, suppl. VI, cap. LXI; Nietzsche, Werke, 1895-97, VII, p. 80, XII, p.122;
G. Beoquerel, L’évoIution de la matière et des mondes, « Rev. scientifique», 25
nov. 1911; 8. Arrhönius, L'évolution des mondes, 1910, p. 218, 223; G. Le Bon,
L'évolution des forces, 1907, p. 99 segg.: ©. Ranzoli, Il caso nel pensiero e nella vita, 1913, p.
169-1 (v. anamnesi, metempsicosi, nirvana, palingenetici). Palingenetici
(caratteri). Fra i caratteri ereditari, alcuni sono dovuti alle condizioni di
sviluppo o all’adattamento all'ambiente esterno, che si manifestano negli
individui di una data specie; altri invece sono dovuti ad una trasmissione
abbreviata o semplificata, e partecipano delV intima organizzazione
dell'individuo e della specie: i primi si dicono cenogenetici, i secondi
palingenetici. La denominazione è stata proposta dall’ Haeckel. Cfr. Haeckel, I
problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 107, 193 (v. filogenesi,
variabilità). Pampsichismo. T. Panpeychismus; I. Panpsyohiem; F. Panpsychisme.
Ha due significati fondamentali. In senso stretto, è la dottrina filosofica
secondo la quale la coscienza o psiche non è proprietà dei soli organismi
superiori, ma è comune a tutta la materia. Fra i moderni, il principale sostenitore
di codesta dottrina è Ernesto Hae 809
Pam ckel, il quale considera ogni atomo materiale come provvisto di
un’anima costante: dalle combinazioni multiple di questi atomi si formano le
anime-molecole, e le anime dei protoplasma molecolari, organiche, da cui
risultano le anime-cellule ; per tal modo tutta la natura è cosciente, sia
l’organica che l’inorganica. Questa forma di pampsichismo si riconnette all’
iloroismo dell’antica scuola ionica. In senso largo, ma con significato
polemico, si adopra come sinonimo di monismo epiritualistion ο idealiemo
realistico, 9 indica perciò tutti quei sistemi filosofici che considerano la
materia come un complesso di fenomeni psichici, sppoggiandosi sia sopra il
concetto della subbiettività delle qualità della materia, sia sopra 1’
impossibilità di concepire il mondo se non per analogia con noi stessi, cioè
col nostro spirito. Così il Guastella definisce come pampsichismo ogni sistema
« che afferma che la materia non esiste, ma che tutto è spirito; che ciò che ci
apparisco come mondo materiale non è in sò stesso che un mondo di esseri
psichici; che non vi hanno in realtà particole di materia e movimenti, ma in
luogo di essi spiriti e fenomeni psichici ». Inteso in questo senso, il
pampsichismo ha lo stesso punto di partenza dell’ilozcismo, in quanto entrambi
identificano la forza fisica con la psichica; ma mentre questo fa dello spirito
una proprietà costante della materia, il pampsichismo aggiunge che la materia è
una apparenza, e il realo non è che lo spirito. Si distingue anche dall’
idealismo soggettiro © dal fenomenismo, sppunto perchè, lasciando agli oggetti
materiali un’ esistenza indipendente, afferma che non sono materiali che in
apparenza, mentre in realtà non sono che spirito. Quests forma di pampsichismo
ha, a differenza della prima, un posto assai largo nella metafisica moderna,
sopra tutto nel periodo più recente, per la cresciuta coscienza delle
difficoltà del realiamo comune ; esso è ammesso da Leibnitz, Schopenhauer,
Maine de Biran, Rosmini, Gioberti (nella seconda forma della sua filoPan 810
sofia), Lotze, Want, Clifford, Wallace, Taine, eco. Cfr. Haeckel, Naturliche
Sohopfungageschiohte, 1889, p. 20 segg.; in C. r. del Congrès de Phil. de
Genève, 1904, C. A. Strong, Quelques considérations sur le panpeychieme, Th. Flournoy, Le panpsychisme ; Guastella,
Filosofia della metafisica, 1905, t. I, p. 144 segg. (v. coscienza, anima,
monismo, peicologia cellulare). Panenteismo. Gr. x2v= tutto, iv = in, θεός =
Dio; T. Panentheismus; I. Panentheiem ; F. Panenthéieme. Vocabolo creato dal
Krause per denominare la propria dottrina, che cercava di conciliare il teismo
col panteismo. Per il Krause il mondo non è che lo svolgimento dell’ ossenza
divina impressa nelle ideo; ma queste idee sono l’autointuizione dalla più alta
personalità, in quanto l’essere di Dio non è ragione indifferente, ma il
principio personale del mondo. Al pari dello Schelling, egli considera tali
anche le forme del complesso sociale ο il cammino della storia. Oggi il termine
panentoiemo si adopera per indicare in genere quelle forme di panteismo, in cui
la sostanza divina è concepita come avvolgente il mondo, che ne è contenuto.
Cfr. Krause, System der Philosophie, 1828. Pangenosi. T. Pangenesis ; I.
Pangeneris; F. Pangenèse. L'ipotesi con cui il Darwin spiega la trasmissione
ereditaria ο eredità dei caratteri. Da tutte le cellule dell’ organismo
vivente, che sono unità biologiche, si staccano dei granuli minutissimi, detti
gemule, le quali, per la loro affinità reciproca, si riuniscono e si accumulano
negli elementi sessuali. Codeste gemule, trasmesse alle generazioni immediate,
si sviluppano e si evolvono così da costituire le cellule, i tessuti, gli
organi, o, in una parola, i nuovi individui; in tal caso si ha l’eredità
immediata. Se invece le gemule rimangono latenti per un corso più o meno lungo
di generazioni, nascoste, a così dire, nelle profondità degli organismi,
sviluppandosi poi nelle generazioni venture, si ha l’eredità atavica o
atavismo. Cfr.
Darwin, 811 Pax Animals and Plants under Domestication,
1. II, cap. XXVII; W. K. Brooks, The law of heredity, 1883 (v. eredità,
endogenesi, porigenesi, panmizia, germiplasma). Panlogismo. T. Panlogismus ; I.
Panlogiem; F. Panlogisme. Appellativo
dato a quei sistemi filosofici, che identificano, come lo stoico e l’hegeliano,
il pensiero con l’essere, la ragione (λόγος) col tutto (πᾶν). Il vocabolo fu
creato da J. E. Erdmann per denominare appunto In dottrina di Hegel « che non
pone nulla di reale se non la ragione; all’ irrazionale non accords che una
esistenza transitoria, che si sopprime da sò stessa ». Cfr. Erdmann, Geschichte
d. nou. Philos., 1853, t. III, parte 2°, p. 858 (v. logos, noo, io, panteirmo).
Panteismo. T. Pantheismus; I. Pantheiem; F. Panthéime. Il termine panteisti fa
usato la prima volta da Toland nel 1705; il termine panteismo non si trova che
nel 1709, nel suo avversario Fay. Il panteismo è la dottrina filosofica che
identifica la divinità col mondo, e concepisce l'uno e il molteplice, il finito
ο l'infinito, la natura natarata ο la natura naturante come due aspetti
differenti ma inseparabili di un essere unico, dell’ essere divino. Però questa
identificazione di Dio col mondo sostenuta dal pantelsmo, non va intesa in
senso assoluto, come accade volgarmente. Il panteismo filosofico distingue Dio
dal mondo, in quanto il primo è uno, è il principio dell’ unità delV universo,
mentre il secondo è molteplice, è una totalità di elementi diversi; in altre
parole, quello è l'essenza, questo il fenomeno, quello l’ universale, questo la
collezione dei particolari. Della nozione volgare del panteismo scrisse Hegel:
« Comunemente si ha del panteismo questo concetto: che Dio sia tutte le cose,
il tutto, 1’ universo, codesta somma di tutte lo esistenze, codesta infinita
molteplicità delle cose finite, e si fa alla filosofia il: rimprovero di
affermare che ogni cosa è Dio, cioè 1’ infinita varietà delle cose singole, non
I’ universo in sò e per sè, ma le Pan
812 cose individuali nella loro
esistenza empirica, come esse sono immediatamente.... Ma questo fatto (ossia)
che una qualche religione abbia insegnato tale panteismo, è completamente
falso; non è mai capitato a nessun uomo di dire: tutto è Dio, cioè (Dio è) le
cose nella loro individualità e contingenza; tanto meno ciò è stato affermato
in qualche filosofia... Lo spinozismo stesso, come tale, © anche il panteismo
orientale, insegnano che in tutte lo cose il divino non è che I’ universale del
loro contenuto, l'essenza delle cose, ma in modo che questa essenza à
rappresentata come essenza determinata delle cose stesse >. Il panteismo si
distingue quindi tanto da quei sistemi che considerano la sostanza divina come
distinta dalla sostanza del mondo (ereasionismo, dualismo), quanto da quelli
che pongono una o più divinità personali (teismo, monoteismo, politeismo),
quanto infine da quelli che negano |’ esistenza della divinità (ateismo). Va
notato però che, storicamente, il panteismo si allea talvolta con qualcuna
delle dottrine ora nominate; così lo stoicismo, nella sua fase eclettica,
accoglie il politeismo della credenza popolare, ammettendo una schiera di
divinità inferiori, emananti dall’ unica forza divina universale, considerate
como organi intermedi e che, ciascuna nel proprio campo, rappresentavano la
forza vitale ο la provvidenza della ragione universale; e nel panteismo logico
di Scoto Eriugena, il mondo è Dio svoltosi nel particolare, con un processo
degradante di universalità logica, per cui da Dio procede anzitutto il mondo
intelligibile come Natura, che è creata © che crea, © il regno degli
universali, delle idee, che formano le forze attive nel mondo sensibile dei
fenomeni. Il panteismo assume due aspetti diversi: l’orientale, che immerge Dio
nel mondo e lo concepisce come riposo, come essere; l’occidentale, che im-
merge il mondo in Dio e lo concepisce come movimento, come processo. Si
distinguono ancora: il panteismo matertalistico, per il quale è la semplice
materia dell'universo, con 813 Pax le sue forze, la sua vita, il suo
pensiero come prodotto dell'organismo, che costituisce l’ Uno-Tutto, Dio; il
panteismo idealistico, che risolve ogni cosa, tempo, spazio, materia, forza,
divinità, in oreazioni dello spirito; il panteismo sostanzialistico, che
afferma l’esistenza di un potere spirituale operante nella forma materiale,
potere infinito ed eterno che è la ragione di tutto. Fra i più importanti
sistemi panteistici, sono da annoverarsi: 1° lo stoico, che considera 1’
universo come un vasto organismo penetrato în tutti i sensi da una sostanza
eterea finissima, che è ad un tempo la ragione seminale da cui tutti gli esseri
sono usciti, 1’ anima del mondo, la divinità; 2° l’alessandrino, secondo il
quale Dio, che è P’Ente primo e |’ Uno, genera la mente, da cui emana l’Anima
universale, che a sus volta produce le anime individue in lei contenute, e
tutte le parvenze del mondo materiale; 3° lo spinosiano, in cui il pensiero e
l'estensione non sono che due attributi di una sola sostanza infinita, Dio,
cosicchè le anime e i corpi, e ciascun fenomeno di quelle e di questi, non sono
che modi di codesti due infiniti attributi di Dio e ne esprimono in diversi
aspetti l'essenza; 4° l’Aegeliano, in cui l'assoluto, il tutto, la divinità, è
l’Idea, che per un processo di eterno divenire si sviluppa prima come potenza o
germe, poi come natura, infine come spirito cosciente. Cfr. Eucken, Geschichte
d. philos. Terminologie, 1879, p. 94; Hegel, Vorlesungen über die Philos. d.
Religion, 1840, p. 94; C. E. Luthardt, The fundamental truths of Christianity,
, p. 65; R. I. Wilbeforce, The doctrine of the Holg Eucharist, 1853, p. 423; J.
M. Cosh, The intuitions of the mind, 1882, p. 449452; Jaesche, Der Pantheismus
nach s. Hauptformen, 1826; "Schuler, Der Pantheismus, 1884; F. Hoffmann,
Theismus und Pantheismus, 1861; C. Ranzoli, Il linguaggio dei filosofi, 1911,
Ῥ. 155-174 (v. assoluto. panenteismo, emanazione, panlogiemo). Pantelismo. T.
Panthelismus; I. Pantheliem; F. Panthélieme. Si adopera talvolta per designare
la dottrina dello Par 814 Schopenhauer, la quale considera la forza
come l’essenza dell’essere e identifica la forza stessa con la volontà; questa
volontà cosmica è da principio incosciente e cieca, ma obbiettivandosi via via
nelle gerarchie degli esseri sempre più perfetti, giunge infine alla piena
coscienza di ad, cioè all’uomo. Si può adunque dire che l’essere è un voler
essere. « La finalità, dice lo Schopenhauer, deriva essenzialmente dalla
volontà, © poichè la volontà è il fondo d’ogni essere vivente, poichè ogni
corpo organizzato non è che la volontà divenuta visibile, ne viene che codesta
volontà è coestensiva all’ essere stesso, gli è interiore, immanente. La nostra
meraviglia alla vista della perfezione infinita e alla finalità delle opere
della natura, deriva da ciò, che noi le consideriamo come consideriumo le
nostre proprie opere.... Ma le opere della natura sono invece una
manifestazione immediata, e non mediata della volontà. Qui la volontà agisce
nella sua natura primitiva, senza conoscenza; la volontà e l’opera non sono
separate da alcuna rappresentazione intermedia; esse sono una cosa sola ». Il
Guyau propone di sostituire la parola panteliemo a quella di feticiemo per
designare quella fase psicologica della evoluzione del sentimento religioso, in
cui 1’ uomo concepisce il mondo come una società simile alla sua, proiettando
in esso la propria volontà ed intenzioni. Cfr. Schopenhauer, La rolonté dans
la nature, trad. franc. 1836, p. 59; A. Guyau, Z’irreligion de l'avenir, 1887;
F. De Sarlo, Metafisica, scienza 6 moralità, 1898. Parabulia. Stato anormale della volontà, che si
verifica in alcune malattie mentali. Si distingue dall’abulia perchè il volere
non è totalmente abolito, ma incerto, vacillante, imperfetto. Però alcuni
psicopatologi preferiscono riunire sotto l’espressione di parabulie ooatte
tutte le anomalie del volere, distinguendole poi in due gruppi: 1° parabulie
coatte impulsive, costituite da impulsi irresistibili contro i quali
l’individuo sente la propria volontà impotente, e ai quali cede spesso a
malincuore (dipsomania, clep 815 Par tomanis,
onomatomania, ecc.); 2° perabulia coatta inibitoria, costituita
dall’impossibilità di decidersi ad una azione volontaria ο ad eseguirla, pur
volendola interiormente ο mentalmente. Cfr. Kraft-Ebing, Lehrbuch d. gerichtlichen
‚Psychologie, 83 ed., 1892; Ribot, Maladie de la personnalité, 2° ed., cap. II Paradigma (δείκνυµι mostrare). Si adopera talvolta come sinonimo
di arohetipo per designare le idee platoniche, esemplari o modelli immutabili e
perfetti di oui le cose singole non sono che imitazioni imperfette e
transitorie. Dicesi paradigma logico quella figura di cui si serve la didattica
per rappresentare in modo concreto e preciso un lavoro mentale, così da averne
una intuizione diretta altrimenti impossibile. Paradosso. Gr. παρά contrario a; δόξα opinione; T. Paradoze, Paradozon ; I.
Paradox; Y. Paradoze. Un’ affermazione 0 una negazione recisa e di solito
indimostrata, che contrasta colla verosimiglianza, colle credenze del maggior
numero e col così detto senso comune. Il paradosso può quindi racchiudere una
verità; esso si distingue dal sofiema, che è un ragionamento falso rivestito
dei lenocini dell’arte col fine di farlo accettare come vero; e dal
paralogisma, che è un ragionamento involontariamente scorretto e che può anche
condurre ad una conclusione vera. Dicesi
paradosso del Cournot la dottrina del caso del Cournot, in quanto essa,
riducendo il caso ad un incontro ο coincidenza di serie causali non solidali
tra loro concilia la necessità © la libertà, il determinismo e la
contingenza. Nella psicologia dicesi
eccifamento paradosso il fenomeno consistente in ciò che, in alcune zone della
pelle, il contatto dei punti pel freddo coll’ estremità di un cono metallico
riscaldato, produce sempre non dubbie sensazioni di freddo, che aumentano con
l’elevarsi della temperatura del cono al di sopra della temperatura media del
corpo; paradosso ottico di estensione il fatto che, se le due metà perPar 816
fettamente uguali d’una linea retta orizzontale sono divise da linee
angolari rivolte all’esterno nella prima metà della retta e all’interno nella
seconda metà della stessa, la prima metà sembra più lunga e la seconda più
breve. Cfr. Kiesow, Archiv fur ges. Payohol., 1906; Botti, R. Acc. delle
scienze di Torino, 1908-909; A. Pegrassi, Illusioni ottiche, 1904; P. Bellezza,
Dell’uso della voce « paradosso » specialmente nol linguaggio scientifico, «
Riv. rosminiana », V, 1912; Max Nordau, Paradossi, trad. it. 1913, Prefazione.
Parafasia o paralalia. Si distingue dall’ afasia in quanto la memoria motrice
della parola non è perduta completamente ma soltanto turbata, cosicchè
l'individuo, pur potendo parlare, adopera i vocaboli impropriamente,
pronunziando a stento e interrompendosi frequentemente. Cfr. Ch. Bastian, Le cerveau
organo de la pensée, 1888, vol. II, p. 245 segg.; G. Saint-Paul, Le langage
intérieur et les paraphasies, 1904 (v. amnesia). Parallelismo psico-fisico. T. Peyohophysicher
Paraltelismue ; I. Psychophysioal Paralleliem ; F. Parallélieme
peycho-phytique. Dottrina psicologica per cui si pongono in relazione puntuale
le due serie dei fatti psichici e fisici (fisiologici), cosicchè ad ogni
elemento della serie psichica corrisponde una particolaremodalità di movimento.
L'espressione sembra sia stata usata la prima volta dal Fechner: der
Paralleliemue des Geistigen und Körperlichen der in unteres Ansicht begründet
liegt (il parallelismo dello spirituale e del corporale che trova il suo
fondamento nella nostra visione delle cose). Del resto, il concetto d’ una
corrispondenza delle due funzioni c'è giù nell’occasionalismo, quantunque fatto
psichico © fatto psichico non siano causa Puno dell'altro, ma pura occasione:
Toute l'alliance de Vesprit οἱ du corps, dice Malebranche, qui nous est connue,
consiste dans une correspondance naturelle et mutuelle des pentes de Véme aveo
les traces du cerveau, οἱ des émotions de T'âme ateo les mouremente des esprito
animaux. Anche nella 811 Par dottrina leibnitziana dell’armonia
prestabilita è contenuto il concetto di un parallelismo tra spirito e corpo:
omne corpus est mons momentanea, seu carena recordatione. Più osplicitamente
tale concetto esisteva già nella filosofia di Spinoza, che pensiero ed
estensione, spirito e materia considera come due attributi paralleli di una
sola e medesima sostanza: sive naturam sub attributo extensionis, sive sub alio
quocumque concipiamus, unum oumdemque ordinem, sive unam eandemque causarum
connezionem, hoc est casdem res invicem sequi reporiens. Questa relazione tra
le due serio di fatti ο di realtà è un dato dell'esperienza, la quale ci mostra
che ovunque si abbia sistema nervoso si ha coscienza, mancando il sistema
nervoso manca la coscienza, sviluppandosi il sistema nervoso si sviluppa la
coscienza, variando o alterandosi il sistema nervoso varia ο si altera la
coscienza. Per questo suo carattere empirico, la dottrina contemporanea del
parallelismo psico-fisico si distingue dal parallelismo metafisico, spinoziano,
che importa non solo la concomitanza costante tra i fenomeni psichici e certi
fenomeni fisici, ma ancora: 1° che ogni fatto fisico ha un concomitante psichico
e viceversa; quindi non vi ha corpo senza spirito nè spirito senza corpo, ma
tutto è animato, ogni cosa vive, sente e pensa; 2° che il fisico e il psichico
sono, come dice Spinoza, due espressioni differenti di una sola e stessa cosa,
cosicchè la serie fisica e la serie psichica non si corrispondono soltanto pei
loro rapporti di concomitanza costante, ma fra i termini delle due serie vi ha,
insieme alla loro differenza, una identità parziale, come se fossero modellati
sovra un tipo comune, che entrambi rappresentano, quantunque ciascuno in modo
diverso. Invece l’attuale parallelismo psico-fisico importa: 1° 1 wmilateralità
del rapporto, per cui, se al fatto psichico è concomitante sempre ¢
necessariamente il fatto fisico, al fatto fisico non è sempre nè necessariamente
concomitante il fatto psichico; 2° il principio o assioma d’eterogeneitä, che
si può 52 Ranzott, Dizion. di scienze
filosofiche. Par 818 enunciare così: i corpi e lo spirito, la
coscienza e il movimento molecolare del cervello, il fatto psichico e il fatto
fisico, pure essendo simultanei, sono eterogenei, disparati, irreducibili,
invincibilmente due. Altre dottrine si hanno se invece si considera l’una o
l’altra delle due serie como funzione variabile indipendente o dipendente dell’
altra. Se la funzione indipendente è la fisica, la dottrina dicesi materialismo
psico-fisico, di cui i principali rappresentanti sono lo Ziehen e il Mach, ©
cui fanno anche adesione molti psico-fisiologi francesi e italiani. Si
distingue dal vecchio materialismo in quanto, a differenza di esso, ammette la
irreducibilità del fenomeno psichico al fenomeno fisico, nonostante la
dipendenza. In questi ultimi tempi molte e gravi critiche furono rivolte contro
il parallelismo, specie " da parto delle nuove scuole idealistiche. Uno
dei più importanti argomenti portati contro di esso è la discontinuità della
vita psichica e l'impossibilità di abbracciare causalmente il passaggio da
percezione a percezione, anche con la più larga applicazione delle
rappresentazioni inconsoie. Cfr. Fechner, Über die Seelenfrage, 1861, pag. 210; Id.,
ZendAvesta, 1. II, cap. XIX; Malebranche, De la rech. de la vérité, 1712, 4.
II, 5; Leibnitz, Theoria motus abetracti, 1671, IV, 230; Spinoza, Ethica, 1.
II, teor. VI, VII; Wundt, Grundries der Psychologie, 1896, p. 373 segg.; F.
Jodl, Lehrbuch d. Paychol., 1896, p. 57 segg.; Höffding, Psychologie, trad.
franc. 1900, p. 63-90; Bergson, Le
parallélisme prychophysique et la métaphysique positive, « Bulletin de In Soc.
frangaise de philos. », giugno 1911; Villa, La psicologia contemporanea, 1899;
C. Guastella, Filosofia della metafisica, 1905, t. II, p. 360 segg.; L. Chiesa,
Il parallelismo prico-fisico 9 de sue interpretazioni nelle diverse scuole
filosofiche, « Riv. stor. crit. scienze teolog. », 1908, p. 25-56; Eisler, Der
prycho-physioche Paralleliemus, 1894 (v. anima, dualismo, materialismo,
moniemo, spiritualiemo, psicologia, funzione, infuso fisico, ecc.). 819
Par Paralogismo. T. Paralogismus; I. Paralogiem; F. Paralogisme.
Ragionamento scorretto, cho si usa talvolta como sinonimo di sofiema, ma che in
realtà se ne distingue perchè, mentre il sofisma consiste in un ragionamento
falso a cui si cerca dare l’ apparenza del vero, e di far accettare come tale,
il paralogismo è invece un errore involontario, che deriva da ignoranza, da
difetto di riflessione o di raziocinio, o semplicemente da distrazione. Questa
distinzione non esisteva in greco, dove παραλογισμός e παραλσγίζεσθαι sono
usati spesso in senso cattivo. Il Masci ritiene invece che la distinzione
poteva avere importanza pei Greci, presso i quali fiorì I’ arte del falso
ragionamento (Sofistica), ma non ne ha alcnna dal punto di vista logico; perciò
egli adopera la parola sofisma per indicare il genere, la parola paralogismo
per indicare quella specie di sofismi che dipendono non dalla falsità materiale
dello premesse, ma dal cangiamento del significato ο del valore dei termini nel
procedere da essi all’illazione. Kant, in quella parte della Critica della
ragion pura che tratta della Dialettica trascendentale, chiamò paralogismo
trascendentale quello per cui la psicologia razionale, dall'unità
dell’io-soggetto considerato come uno rispetto alla molteplicità dei propri
oggetti, conclude alla unità, considerata come reale ed assoluta, del1’ io-sostanza.
Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 365 n; Kant, Κι. d. reinen Vern., A 341-405, B
399-427 (v. dottrina). Paramnesia. T..Paramnesia; I. Paramnesia ; F.
Paramnesie. Anomalia della memoria, in cui 1’ ignoto appare noto e si riconosce
come già veduto ο sentito ciò che in realtà si vede e si sperimenta per la
prima volta. Consiste dunque in un falso riconoscimento ed è l'opposto dell’
oblio, in cui il noto appare ignoto. Essa può verificarsi tanto nello stato
anormale che nel normale: negli alienati, infatti, accade spesso che per
settimano, per mesi ed anche per anni persistono sempre nell’ idea di trovarsi
in circostanze nelle quali per l’addietro s'erano già trovati, e di Par 820
essere anzi in istato di poter predire ciò che dovrà accadere. Ma anche
nella vita normale, specie nella gioventù, avviene spesso che in qualche
congiuntura ci si imponga improvvisamente l’idea di esserci già trovati nelle
identiche circostanze, e a questa idea e’accompagni il presentimento oscuro di
ciò che forse accadrà. Codesti fenomeni furono spiegati in vari modi: o che si
confonda il simile con l’identico; o che si ridesti una imagine da noi ricevuta
durante uno stato di subcoscienza o di incoscienza, la quale quindi non
produsse in quel momento che una modificazione fisiologica, o che l’imagine
stessa si sia avuta nel sogno. Cfr. Ribot, Maladies de la mémoire, 1885, p.
149153; Revue philosophique, serie di articoli nel 1898, 1894 ; E.
Bernard-Leroy, L’illusion de fausse reconnaissance, 1898; G. Pontiggia,
Ricerche intorno al fenomeno della paramnesia, 1899; G. Fanciulli, Intorno al
falso riconoscimento, in « Cultura filosofica », 1907 (v. amnesia, incosciente,
memoria, riconoscimento). Paranoia. T. Paranoia; I. Paranoia; F. Paranoia.
Termine creato dal Vogel (1772) e ripreso dal Kahlbaum (1863), per denominare
una forma di monomania affettante specialmente l'intelligenza. Oggi, in grazia
specialmente del Kraepelin, per paranoia s'intende una psicosi costituzionale
degenerativa, caratterizzata dal sorgere lento e graduale di un sistema di idee
deliranti e durature, senza passaggio a demenza. Da essa si distinguono gli
stati paranoidi, costituiti da deliri simili ai precedenti ma accompagnati da
allucinazioni e terminanti in demenza. Sotto il nome generico di paranoia si
comprendono dagli psichiatri numerose forme di alienazione mentale, come la
paranoia originaria, rudimentaria, primaria e secondaria, cronica, erotica,
religiosa, alcoolica, semplice, allucinatoria, persecutoria, senile, ecc. Le
idee deliranti del paranoico hanno generalmente origine da fatti veri, da
osservazioni reali, falsamente interpretate e combinate dall’ ammalato. Cfr.
Wer 821 Par ner, Die Paranoia, 1891;
Kraft-Ebbing, Lehrbuoh der Paychiatrie, 1879; Ziehen, Peyohiatrie, 1894, p. 341
segg.; Morselli e Buocola, Paszia sistematiszata, 1883; Tanzi e Riva, Paranoia,
1884; Amadei e Tonnini, La paranoia e le sue forme, « Archivio it. per le
malattie nervose », 1884. Parassitismo. Il significato di questa parola, alla
quale alcuni preferiscono l’espressione di simbiosi antagonistica, non è ancora
ben precisato nelle scienze biologiche. In generale, il fenomeno del
parassitismo può considerarsi come una specie di associazione forzata,
vantaggiosa per uno solo dei componenti, il paraesita, dannosa per l’altro,
cioò l'ospite, alle spese del quale il parassita vive, senza però determinarne
la morte immediata. Alcuni animali sono parassiti soltanto in qualche stadio
della loro vita, altri invece per tutta la vita; in questi ultimi si osserva
sempre un degradamento dell’ organismo in confronto degli animali liberi,
appartenenti ai medesimi gruppi. I parassiti che vono sulla superficie dell’
ospite diconsi ectoparassiti, quelli che vivono nel sup interno endoparassiti.
Cfr. Espinas, Les societés animales, 1878 (v. mutualiemo). Parestesia. Stato
anormale della sensibilità (rapà = anormalmente), da non confondersi colla
paresia (paralisi parziale). Quando la parestesia riguarda i sensi specifici,
prende nomi diversi: se riguarda l’odorato dicesi parosmia, se il tatto
parafia, se l’udito paracusia, se il gusto parageusia. Parlamentari (sofismi).
Nome dato dal Bentham ad una specie di sofismi, che sono usati spesso nelle
discussioni parlamentari, per far trionfare interessi di partito. Tali sono i
soflemi d’ autorità, di confusione, di pericolo e di dilazione. Cfr. Bentham, Essai sur la
taotique des assomblées legislatives, 1815. Parola interiore. T. Innere Rede; I. Inner Speech; F. Parole
intérieure. Espressione divenuta comune dopo il libro di Vittorio Egger, che
reca appunto questo titolo. Essa indica il fatto generale del pensiero che si
presenta alla coPar 822 scienza sotto forma d’imagini uditive, o
uditivo-motorie, formante parole o frasi che la parola esteriore ripete con più
o meno fedeltà. La parola interiore è in tal modo una fase intermedia tra la
parola sonora e il pensiero mnto, e scorre ora più ora meno veloce. Secondo
l'Egger essa è propria di tutti gli uomini normali, ed è continuativa in
ciascuno d’essi; ma molti psicologi contemporanei sono d’opposto avviso. Cfr. V. Egger, La parole
intérieure, 1881: Ballet, Le langage intérieur, cap. V, 1886; Baldwin, Internal
speech and song, « Philos. Review », luglio 1893; G. SaintPaul, Le langage
intérieur et les paraphasies, 1904; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 438
segg. (v. endofasia). Parsimonia
(legge di). T. Prinzip der Sparsamkeit; I. Law of parsimony; F. Loi de
paroimonie. Detta anche legge @economia, ο del minimo sforzo, o dell'azione
minore. Essa si verifica tanto nel mondo inorganico, come nell’ organico ο nel
superorganico. Tutti i fini della natura si attuano infatti coi mezzi più
semplici, con quelli che esigono cioè la minore quantità sia di materia che d’
energia, e quindi di tempo. La sua prima formulazione, con valore
epistemologico, si fa risalire a questa formula di Occam: entia non sunt
multiplicanda praeter necessitatem. Galileo ne fece largo uso e l’espresse con
queste parole: « La natura non opera con molte cose quello che può operare con
poche ». Tra gli scienziati contemporanei, il Mach le dà un valore
fondamentale: « La scienza può essere considerata come un problema del minimum,
che consiste nell’ esprimere i fatti nel modo più perfetto possibile col più
piccolo dispendio di pensiero ». Ugual valore le attribuisce anche l’Avenarius,
che riduce tutto lo sviluppo della conoscenza al principio della parsimonia o
del minimo consumo d’energia, così formuluto: l’anima non impiega in una
percezione più forza di quella che kia necessaria, e, quando si trova innanzi a
una pluralità di percezioni, dà la preferenza a quella che con uno sforzo
minore produce lo stesso effetto,
823 Par © con uno sforzo uguale
produce un effetto maggiore. Nella psicologia comparata la legge di parsimonia
dicesi anche principio del Morgan: secondo esso non si devono spiegare le
reazioni di un animale con una facoltà psichica superiore (ad es. intelligenza,
ragione), quando per giustificarle basta riferirle ad una capacita psichica
meno elevata nella gerarchia delle funzioni mentali. Cfr. Galileo, Opere, VII,
143; Leibnitz, Discours de métaphysique, 1686, $ VI; Avenarius, Philosophie als
Denken der Welt gemäss dem Princip des kleinsten Kraftmaasses, 1903, p. 3
segg.; E. Mach, Die Mechanich, 3% ed., p. 480; L. Morgan, dn introduction to
comparatire psychology, 1884, p. 53; E. Claparède, Arch. de psychologie,
giugno, 1905 (v. empiriocritioismo, tpotesi, leggo). Partenogenesi (παρθένος =
vergine, γένερις = generazione), Fenomeno assai raro, che consiste nel
riprodursi di certi animali per uova non fecondate, sia per accidente sia con
regolare periodicità. Certi artropodi, ad es., sono partenogenetici durante I’
estate, mentre nell’ autunno depongono uova fecondate. Cfr. Y. Delage, Structure du
protoplasme, Biol. gen.. 1895. Particolare. T. Partikulär, besonder; I.
Particular; F. Particulier. Ciò
che conviene ad alcuni individui o ad alcune cose. Si oppone a universale, che
è ciò che conviene senza eccezione a tutti gli individui o a tutte le persone.
Si distingue da individuale, che è ciò che appartiene ad un solo individuo, e
da speciale, che è ciò che appartiene ad una specie. Il giudizio particolare è
quello il cui soggetto è preso solo con una parte della sua estensione. Insieme
con I’ universale e con I’ individuale è contenuto sotto il rispetto della
quantità. Il suo valore muta a seconda che la parte di estensione in cui à
preso il soggetto è deterja (molti A sono B
pochi À sono B) o indeterminata (alcuni 4 sono B). Nel primo caso può
essere un giudizio di limitazione, o di eccezione di un giudizio universale
(soltanto alcuni 4 sono B), oppure un giudizio induttivo che prepara
Par-Pas 824 un giudizio universale (almeno alouni 4 sono
B). Cfr. Eucken, Geschichte d. phil. Terminologie, 1879, p. 54; Masci, Logica,
1899, p. 175 segg. Parti-parziale. Nella dottrina di Hamilton sulla quantifleazione
del predicato, si dicono così quelle proposizioni in cui tento il soggetto come
il predicato sono presi in parte della loro estensione. Possono essere tanto
affermative es.: alcune figure equilatere sono (sleuni) triangoli -quanto
negative, ad es.: qualche triangolo non è (qualche) figura equilatera, Cfr.
Hamilton, Leotures on logio, 1860, Append. II, 283. Parti-totale. Nella
dottrina dell’ Hamilton sulla quantificazione del predicato, si dicono così
quelle proposizioni in cui il soggetto è preso in parte della sua estensione,
il predicato in tutta l'estensione. Possono essere tanto affermative es.:
alcune figure sono (tutti i) triangoli quanto negative, ad es.: qualche figura
equilatera non è (nessun) triangolo. Cfr. Hamilton, Lectures on logio, 1860, II, 283.
Parusia. Gr. παρεῖναί = essere presente; T.
Parusie ; I. Parousia; F. Parousie. Termine
usato da Platone per esprimere i rapporti tra I’ essere assoluto 0 essenza e il
mondo sensibile; esso sta in stretta relazione con la partecipazione ο metessi
(µάθεξις) © la coinonia (κοινωνία). Fu adoperato anche da Plotino per esprimere
le relazioni del‘Vanima col corpo: mediante la parusia l’ anima anima e pervade
il corpo senza confondersi con esso. Cfr. Platone, Polit., 509; Plotino,
Enneadi, VI, 4, 12. Pasigrafia. Lingua universale ed uniforme per tutte le
scienze, vagheggiata dal Leibnitz, che usava anche a tale riguardo l’
espressione di caratteristica unirersale © are combinatoria. In codesta lingua
scientifica ogni concetto doveva essere rappresentato da un simbolo grafico, ed
ogni flessione, relazione, particella da un segno. Cfr. Leibnitz, De arto
combinatoria, , Nouveaux Essais, IV, cap. VI, $ 2. 825 Pas io al limite, È un'applicazione
particolare del metodo induttivo delle rariazioni concominanti. Quando una
lunga serie di esperienze intorno a determinati fenomeni, che variano
correlativamente in modo parallelo, ha autorizzato a credere che tali
variazioni non hanno limite, si può conchiudere anche al di là dei limiti
segnati dall esperienza. Così la legge d'inerzia si considera come vera,
quantunque I esperienza non ci dia esempio di nessun movimento il quale, non
incontrando alcun ostacolo, continui indefinitamente nella stessa direzione e
colla stessa velocità. Secondo il Mill si può conchiudere col metodo del
passaggio al limite solo quando si conoscono le qualità assolute dei fenomeni
che variano correlativamente, © si sappia che il variare dell’ effetto dipende
soltanto dal variare della causa. Cfr. J. Stuart Mill, À system of logio, 1865, 1, ο. 8 segg. Passione.
T. Leidenschaft, Affekt; 1. Passion; F. Passion. Non è che una emozione
divenuta irresistibile e persistente: ad es. la panra non è che una emozione,
l’ avarizia è una passione. Essa è costituita da un’ idea predominante e da
speciali movimenti organici. Così per Cartesio le passioni si possono definire
come « percezioni ο sentimenti o emozioni dell’anima che si riferiscono
particolarmente ad essa © che sono prodotte e conservate e rafforzate da
qualche movimento degli spiriti animali ». « L'impressione che viene chiamata
stato passivo dell’anima, dico Spinoza, è un’ idea confusa per la quale l’anima
afferma la forza di esistere, vale a dire la potenza di agire, maggiore o
mirlore di prima, del proprio corpo o di una delle sue parti, e che essendo
data, determina l'anima a pensare una speciale cosa piuttosto che un’altra ». Condillac la definisco un
desir qui no permet pas d'en avoir d'autres, ou qui du moine est le plus
dominant. Helvetius: les passions
sont dane la moral ce qui dans lo physique est lo mouvement, Kant: « le
passioni appartengonoalla facoltà del desiderare (Begehrungerermigen) Pas 826 e
sono delle tendenze che rendono difficile ο impossibile ogni determinazione
della volontà modiante principi ». Höffding: «la passione, al contrario dell’
emozione, è il movimento affettivo radicatosi mediante I’ abitudino e divenuto
una seconda natura ». Malapert e Ribot: « la passion est une inolination qui e'ezagère, surtout
qui s'installe à demeure. se fait centre de tout, se subordonne lee autres
inclinations et les entraine à sa suite». Il sorgere della passione può essere determinato sis da
cause esterne, come l’ ambiente, limitazione, la suggestione, sia da cause
interne, che si riducono a una sola: il temperamento e il carattere degli
individui (passionali). Essendo esagerazioni di tendenze elementari, tutte le
pnssioni si possono teoricamente ricondurre, secondo il Ribot, a queste tre
tendenze: 1° tendenze che hanno per fine la conservazione dell’ individuo, ad
es. la gola, l’alcoolismo; 2° tendenze che si riferiscono alla conservazione
della specie, ad es. l’amore, la gelosia; 3° tendenze che contribuiscono all’
espandersi dell’ individuo, alla affermazione della sus volontà di potenza, ad
es. l'ambizione, l’avarizia, la vendetta, la passione per le avventure. Le
passioni possono estinguersi per esaurimento, sia lento sia improvviso, per
trasformazione, per sostituzione, per follia, per morte. Nella storia della
filosofia molte sono le dottrine metafisiche sulla passione: ma lo studio
veramente scientifico non è stato fatto che dai psicologi moderni. Per Platone,
le passioni sono la forza che solleva il sensibile e lo conforma all’
intelligibile : vi sono le passioni inferiofi, dovute alla parte più bassa
dell’ anima, l'inidopla, collocata nel ventre; le passioni nobili ο caste,
costituenti la seconda parte dell’ anima, il θυμός, che occupa il cuore; infine
il νοῦς, impassibile, che occupa il capo; la virtù consiste non nel distraggere
le passioni, che sono indistruttibili, ma nel rispettare l'armonia essenziale
delPanima, nel mantenere l'autorità del voie sul θυμός ο sulla ἐπιθυμία. Nella
sua parte essenziale la dottrina pla 827
Pas tonica è condivisa da Aristotele, mentre invece sia gli stoici che
gli epicurei negano, per vie diverse, che lo passioni partecipino della essenza
dell’ anima, considerandole come semplici turbamenti accidentali: divengono
quindi possibili nella pratica la felicità e l’atarassia, ciod l’assenza d’
ogni turbamento, che soltanto 1’ esercizio dell’ intelligenza può procurare, 8.
Tommaso, attenendosi alla dottrina aristotelica, fa sorgere le passioni dall’
appetito, che è la facoltà dell’ anima per la quale essa è portata verso gli
oggetti esteriori come suoi propri fini; perciò tutte le passioni si riconducono
infine ad una sola, l’amore: « L'amore è naturalmente il primo passo della
volontà e dell’ appetito, conicchè da esso hanno origine tutti gli altri atti
della passione. Ognuno desidera il bene che ama, gode di esso € si rallegra; il
contrario della cosa amata produce I’ odio. Lo stesso può dirsi della
malinconia e delle altre pa tutto partono dall’amore « possono in esso
confondersi e riunirsi ». Bossuet, riepilogando più tardi la dottrina di 8.
Tommaso, dirà: « Sopprimete l’amore e tutte lo passioni spariranno, rimettetelo
al suo posto ed eccole apparire tutte di nuovo ». Nella filosofia di Cartesio
la passione ha un significato peculiare; essa è una emozione dell’ anima
originata dagli spiriti animali, © non nasce dagli oggetti esterni ma dalla loro
valutazione: « noi riferiamo all’ anima i movimenti del nostro corpo, ma a
codesto riferimento va unito il sentimento che questi moti dell’ anima non sono
voluti, ma subìti, ed è così che si forma l'idea della passione. » Cartesio
pone come c6mpito dell’ Etica il liberarsi delle passioni, che contraddicono
alle esigenze dello spirito. Tuttavia egli considera tutte le passioni come
date da natura, e tutte buone; per tal modo si contrappone per primo al
concetto ascetico e teologico, che tutte le passioni condannava come nocive, e
prepara la dottrina spinoziana e moderna sulla utilità delle passioni. Ogni
essere, secondo Spinoza, ha una tendenza n Pas
828 perseverare nel proprio stato;
questa tendenza, divenuta cosciente, dicesi oupidità, alla quale si associano
due passioni, © ciod la letizia per tutto ciò che è favorevole alla nostra
esistenza, la tristezza per tutto ciò che tendo a diminuirla. Non diversamente
nella scienza moderna è inteso l'ufficio biologico dell’ affettività in
generale, ο quindi anche della passione. La quale per di più ha il cémpito di
fornire l’ eccitazione per il funzionamento delle varie serie psichiche, così
negli uomini come negli animali ; e, quando non sia smoderata © patologica, di
conferire energia © costanza alla volontà, acutezza alla intelligenza, forza al
compimento degli ideali generosi. « Nulla di grande è mai stato compiuto nò
potrà mai compiersi, dice Hegel, senza la passione. È una moralità morta e
persino troppo spesso una moralità ipocrita quella che « eleva contro la
passione per il solo fatto che è passione ». Uguale valore attribuisce alle
passioni il Galluppi, che le considera come desideri violenti, riconducendole
tutte a due fondamentali : |’ amore e V odio, di cui le varie passioni non sono
che modifica zioni, determinate da giudizi diversi sull’ esistenza dell’oggetto
amato ο dell’ oggetto odiato; quando l’amore per l'oggetto della propria
passione è maggiore dell’ amor natarale della propria personalità, si hanno le
passioni forti, senza le quali nulla vi sarebbe di grande e di sublime nelle
imprese degli uomini. Per il Rosmini le passioni sono afSezioni che lasciano
nell’ anima un’ abituale inclinazione a riprodursi ; a lor volta le affezioni
sono modificazioni generali dell’ anima, prodotte in questa dall’ associazione
di più sentimenti; nel? uomo si dànno passioni razionali e passioni animali: le
prime l’uomo ha in comune coi bruti, quantunque ne differisoano sia perchè si
associa }’ intelligenza a modificarle, sia perchè possono esser mosse da una _
causa razionale; le seconde sono proprie esclusivamente dell’uomo ed hanno per
unica causa l'intelligenza, quali la meraviglia, lo stupore, l'estasi, eco. Cfr. Platone, Polit., 829
IX; Aristotele, Do An., I, 3, 407 b, II, 5, 417 segg.; 8. Tommaso, Summa
theol., I, qu. XX, art. 1; Cartesio, Des passions, 1649; Spinoza, Ethica, 1. IV, teor. II, 1. V, teor.
III, VI, XVII, XX; Condillac, Traité des sensations, 1886, I, cap. III, $ 3;
Helvetius, 1758, III, 4; L. Limentani, Le teorie psicologiohe di Helvetius,
1904, p. 33 segg.; Kant, Ærit. der Urteilskraft, 1878, p. 121 n; Héftding,
Psychologie, trad. franc. 1900, p. 376 segg.; P. Malapert, Les éléments du
caractére, 1898, p. 229; Hegel, Phänomen. des Geistes, 1832, consid. sul $ 474;
Ribot, Essai sur les passions, 1907 ; Boigey, Introd. à la medicine des
passions, 1914; W. James, Principi di psicologia, trad. it. 1909, ο. xxv; Galluppi, Lesioni di logica e metafisica, 1854,
vol. II; Rosmini, Psioologia,
1848, vol. IT, p. 165 segg.; Ardigò, Opere fil., III, 84 segg., VI, 364 segg.;
A. Renda, Le passioni, 1905 (v. affettivi, emozione, sentimento,
sentimentalismo, intellettualiemo). Passività. T. Passivität; I. Passiveness;
F. Passivite. Opposto ad attività, designa lo stato dell’ essere che ricove V
azione, ossia le modificazioni prodotte in un essere da un altro essere che
agisce su lui. Il concetto di attività © passività sarebbe, secondo alcuni,
puramente psicologico, e quindi non applicabile alla realtà naturale. « Tra il
dare e il ricevere, tra l’attività ο la passività, dice il Jodl, non esiste
nella coscienza alcuna separazione (Trennung), ma soltanto una opposizione
(Gegensatz) logica e concettuale ». L'uomo avverte in sò stesso delle
sensazioni, che egli'riceve dalle cose, ο perciò sotto tal riguardo considera sè
come passivo e le cose come attive; nello stesso tempo avverte la propria
azione sulle cose, che rimangono da lui modificate, e sotto questo riguardo
considera sò come attivo e le cose come passive. Proiettando al di fuori questi
due concetti, l’uomo attribuisce alle relazioni delle cose tra loro le forme di
attività e passività che ritrova in sè stesso. Ciò è, secondo alcuni filosofi,
illegittimo, anzitutto perchè la sensibilità non è recettira ma attiva, in
quanto PAT 830 il fatto esterno rimane esterno, e quindi il
soggetto ha soltanto stati propri; in secondo luogo perchè la concezione della
realtà non può modellarsi sopra un fatto assolutamente psicologico. La realtà naturale
in quanto è divenire, în quanto è unità © continuità, esclude in sd ogni sostanziale
contrapposizione. Nella teologia la
passività designa non già uno stato di dolore opposto al piacere, nè uno stato
di inerzia o indolenza, ma bensì lo stato contemplativo dell’anima sottomessa
all’azione di Dio. L'anima si trova allo stato passivo quando Dio agisce sopra
le sue potenze -pensiero, sentimento, volontà le quali non fanno che patire,
ricevere V opera divina. Cfr. F. Jodl, Lehrbuch der Psychologie, 1896, p. 105;
Marchesini, Il simbolismo nella conoscenza e nella morale, 1901, p. 295 segg.
(v. attività, azione, patire). Patarini Setta di novatori cristiani, fiorita in
Lombardia © così denominata dal luogo ove si radunavano in Milano. Essi
combattevano il matrimonio del clero, il lusso degli alti gradi ecclesiastici,
e predicavano il disprezzo delle ricchezze e della gloria mondana. Non è
improbabile, a giudizio del Tocco, che ad essi si sia moscolata la setta
eretica dei Catari, allofa molto diffusa in Lombardia. Cfr. F. Tocco, Le eresie
nel medioero, 1884. Patire. T. Leiden; 1. To be passive; F. Patir. Ricevere
un'azione. In Aristotele è una categoria (πάσχειν), che si assimila a quella
dell’ agiré (roteiv), in quanto sono fra loro nello stesso rapporto del movente
ο del mosso: il mosso è anche il movente, il secante è il secato. Come termine
d'una relazione sono distinti; ma la relasione è un’ unica categoria. Cfr. Aristotele, Top., I, 9;
Id., Metaph., IV, 28, 1024 b, 9, VIII, 1, 1045, ecc. (v. passione, azione). Patologia. T. Pathologie; I.
Pathology; F. Pathologie. La scienza che ha per oggetto la conoscenza delle
malattie. Si divide în generale e speciale; quest’ultima in interna 831
Par ed esterna. Nella patologia speciale, Specht o Münsterberg hanno
distinto la patopsicologia, che studia i fatti psichici presentanti un
carattere morboso, e la psicopatologia che è propriamente quel ramo della
patologia che studia le malattie dello spirito. La patologia non divenne vera
scienza che nel secolo scorso, quanto cioè la malattia non venne più
considerata come un ente speciale, ma come un fenomeno naturale, sottomesso
alle leggi di natura. A tale risultato contribuirono specialmente gli studi
sulla patologia cellulare del Virchow, che trasportò per primo la teoria
cellulare dall’organismo sano a quello malato, dimostrando come la cansa delle
malattie risiede nell’ alterazione, più ο meno vasta, dei varii territori
cellulari. Cfr.
Münsterberg, Zeitschrift für Pathopayohologie, 1° vol., 1911; G. Storring,
Mental pathology, 1907; Lustig, Patologia generale, 1901, vol. I, p. 9 segg. Patristica. T. Patristik; I.
Patristic; F. Philosophie patristique. E il primo dei due grandi periodi in cui
dividesi la filosofia del medio evo, e comprende i primi otto secoli dell'era
volgare; il secondo è rappresentato dalla scolastica. La patristica si distacca
profondamente dalla filosofia precedente, e, in generale, da tutta la filosofia
antica, in quanto vi prevale la fede sulla ragione, ogni sforzo è ridotto alla
elaborazione del dogma, e la filosofia ha perduto il suo potere sovrano, non vi
è più considerata che un’umile ancella della religione. Si divide in tre
periodi: al primo, detto degli apologeti, appartengono principalmente 8.
Giustino, Atenagora ο ‘Teofilo, che dirigono ogni loro sforzo a difendere la
dottrina cristiana contro la filosofia e la religione pagana; il secondo, detto
dei oontroversisti, è principalmente occupato a difendere la religione
cristiana contro gli assalti della gnosi e delle ultre eresio; nel terzo
periodo, detto dei sistematici, la dottrina cristiana, che aveva
vittoriosamente combattuto lo dottrine avverse, è ridotta a sistema filosofico.
QuePau 832 st’ ultimo periodo, che è il più importante,
si svolge da prima in Alessandria con Panteno e Clemente Alessandrino, ed ha
per cémpito principale di definire il dogma della Trinità; passa di poi in
Occidente, ove 8. Agostino, l’intelletto più robusto della Chiesa occidentale,
costituisce il sistema completo e definitivo della filosofia cristiana. La patristica non deve confondersi con la
patrologis. La parola patrologia cominciò ad usarsi nel secolo XVII, ο servì
allora a designare la scienza della vita © degli scritti dei Padri della
Chiesa; poi il suo significato andò sempre più allargandosi, ed oggi essa si
occupa di tutti gli scrittori ecclesiastici, ne analizza gli scritti con particolare
riguardo alle loro opinioni dogmatiche, cosicchè può dirai non esser altro che
la storia dell’ antica letteratura oristiana. Nella patrologia i protestanti
comprendono anche i libri del Nuovo Testamento e l'antica letteratura eretica;
i cattolici invece lasciano i primi alla scienza dell’introduzione biblica e
non inoludono nella patrologia gli scritti eretici se non in quanto è
necessario alla intelligenza delle opere ecclesiastiche, Cfr. Harnack, Lehrbuch
d. Dogmengeschichte, 1890; Möhler, Patrologie, 1840; Stökl, Geschichte d.
Philos. d. patristischen Zeit, 1859; F. Chr. Baur, Vorlesungen über die ohrist.
Dogmengeschiohte, 1865; Ritter, Histoire de la phil, chrétionne, 1843;
Bardenhewer, Patrologia, trad. it. Mercati, 1903; Rauschen, Manuale di patrologia,
1905; C. Ranzoli, L’ agnosticiemo nella filosofia religiosa, 1912, p. 125-192
(v. dommatica, domma, neotomismo, scolastica). Paura. T. Furcht; I. Fear; F.
Peur. Fu definita come la reazione organica che succede alla rappresentazione
viva di un pericolo reale o possibile. Cicerone la definisce: reocssus ot fuga
animi. S. Agostino: perturbatio animi in exapeotatione mali. Hobbes: aversio
cum opinione dammi soouturi. Spinoza l’accosta alla speranza, che definisco una
gioia instabile, nata dall’ imagine d'una cosa futura ο passata, del cui
realizzarsi noi dubitiamo, mentre la paura è una fri 833 Pec atesza instabile, nata, del pari,
dall'imagine d'una cosa dubbia. Essa rappresenta la prima reazione emotiva
della vita, comparendo, secondo il Perez, al secondo mese di esistenza. Vi sono
due spocie fondamentali di paura: quella istintiva, che compare più spesso nei
bambini ο negli animali, e quella cosciente o riflessa, che è sempre posteriore
all’esperienza ο si fonds sopra il ricordo d’un pericolo ο d’un dolore provati
o evitati. Quando la paura è sproporzionata alla causa efficiente, cronica, 9
accompagnata da movimenti troppo intensi, diventa un fenomeno patologico e
dicesi fobia. Cfr. S. Agostino, De cir. Dei, Il; Spinoza, Ethica, 1. III, teor.
XVI, scol. 2;
Th. Ribot, Essai sur les passions, 1907; A. Mosso, La peur, trad. franc. 1888. Peccato. T. Sünde; I. Sin; F. Péché. Nel
suo senso generale ο primitivo, il peccato è il male morale; in senso
religioso, è la trasgressione volontaria della legge divina, © quindi l'offesa
alla divinità. Il dogma del peccato originale afferma che Dio creò l’uomo
morale, libero ϱ fallibile; che per un atto della sua libera volontà 1’ uomo
disobbedì al volere divino; che l’uomo, essendo libero, è responsabile delle
sue azioni, © che quindi la sua disobbedionza ha determinato il giusto castigo
di Dio; che, infine, 1a pena del fallo è ereditaria. Secondo l’Ardigò, il
concetto del peccato originale sorse come interpretazione dell’ esistenza del
dolore, considerato da principio quale vendetta d'una potenza superiore
inclemente e capricciosa, poi quale castigo inflitto da una divinità giusta: «
In pari tempo, per la osservazione che il dolore, ossia la punizione, si
verificava anche nei non colpevoli, si dovette, affine di liberare in qualche
modo il concetto religioso fondamentale dalla contraddizione, ricorrere allo
spediente, suggerito anch’ esso da una osservazione di fatto, del peccato
originale». Cfr. I. Müller, Christl. Lehre r. d. Sünde, δ3 ed. 1887; Ardigò, La
morale doi positieisti, 1892, p. 73-74 (v. male, ottimiemo, religione,
teodicea). 58 RaNzoLI, Dirion. di
scienze filosofiche. PED 834 Pedagogia. T. Pädagogik; I. Podagogios; F.
Pédagogie. La scienza del fatto della educazione; vale a dire quel sistema di
cognizioni teoriche fra loro coordinate, da cui derivano le regole pratiche che
guidano 1’ educazione. Si deve dunque distinguere la scienza pedagogica, che è
un complesso di regole derivanti da principi, dall’arte pedugogica, che è la
semplice applicazione di norme suggerite dalla pratica ο tramandate per
tradizione, ο dalla dottrina pedagogica, che è un insieme di regole delle quali
non si spiegano le ragioni. La pedagogia nel sno primo significato è ad un
tempo scienza ed arte. Al pari di ogni altra scienza, essa è passata nella sua
evoluzione storica attraverso tre grandi periodi, empirico, precsttivo 9
organico ο ideale; nel primo periodo non è che una serie di tentativi,
governati dal bisogno; nel secondo un insieme di precetti, di aforiemi ο di
leggi parziali, dettate più che altro daluito pedagogico ; nel terzo, che è il
più perfetto, le cognizioni vengono logicamente organizzate in un tutto ideale.
La pedagogia è puro © grossolano empirismo nei popoli selvaggi © primitivi;
diventa precettiva nei popoli delY Oriente, della Grecia © di Roma, come
attestano le loro leggi, le loro letterature, i loro libri religiosi; si eleva
infine a vera organizzazione ideale coi grandi filosofi greci. Cfr. Herbart,
Pädagog. Schriften, her. O. Willman, 1880; Credaro, La pedagogia di F. Herbart,
1900; A. Angiulli, La pedagogia, 1882; A. Gabelli, La pedagogia, lo stato e la
famiglia, 1876; Ardigd, La scienza dell’ eduoasione, 1893; E. Celesia, Storia
della pedagogia italiana, 1893 (v. educazione, didattica, metodica, pedologia,
ccc.). Pedologia. T. Paidologio; I. Paidology; F. Pédologia. Vocabolo creato
dal Chrisman per designare In scienza completa del fanciullo, studiato così
sotto 1 aspetto fisiologico ed antropologico, come sotto quello psicologico e
psichiatrico. Essa quindi non sarebbe che una parte, per quanto fondamentale,
della Pedagogia. Per altri la Pedo 835
PEN logia designa invece la vera scienza sperimentale della educazione,
distinta nettamente dalla Pedagogia, che è considerata come una speculazione
puramente astratta e filosofica. Per altri ancora la Pedologia non è che una
parte della psicologia individuale: come questa ricerca ed esamins le
differenze che mostrano i singoli individui nelle diverse funzioni psichiche,
così In Pedologia non studia la vita psichica generale dell’ infanzia, ma le
differenze per mezzo delle quali un fanciullo si distingue dagli altri, sia
nelle funzioni inferiori psicofisiologiche e sensoriali, sia nei processi
superiori della memoria, del ragionamento, delV emotività, eco. Cfr. O. Chrisman,
Paidologio, Entwurf zu einer Wissenschaft des Kindes, 1894; E. Blum, La
pédologie, Pidee, le mot, la chose, in « Année Paychologique », 1899; Sur les
divisione et la méthode de la pédologie, C. r. del Congrès de phil. de Genève,
1904; G. Cesca, Pedagogia ο pedologia, « Riv. di fil.
ο scienze aff. », sett. 1902. Pena. T. Strafe, Bestrafung; I.
Punishment; F. Peine, Punition. Ha tre significati distinti: in senso generale
esprime qualunque dolore, o qualunque male che cagiona dolore; in senso
speciale indica un mule che si soffre per causa propria, e comprende quindi
tutte le pene dette natwrali; in un senso ancora più speciale, indica la
sanzione della legge, ossia quel male che l’ autorità civile infligge ad un
colpevole per causa del suo delitto. Secondo la maggior parte dei criminalisti,
la pena, intesa in quest’ ultimo significato, ha origine dal sentimento della
vendetta, che spinse gli uomini primitivi a infliggere un male s chi aveva ad
altri recato male, © che fu elevato all’ altezza di un diritto, ereditario,
redimibile a piacere dell’offeso ed esclusivo dell’ offeso stesso e dei suoi
familiari. In seguito, penetrata l’idea religiosa nella penalità, al concetto
della vendetta privata venne sostituendosi quello della vendetta divina, e il
diritto di infliggere © misurare la pena affidato al sacerdozio. Sorta infine
l’idea dello Stato, a questo fu PEN
836 affidato l’ufficio di punire,
riguardandosi il delitto non più come offesa al privato o alla divinità, ma
come offesa alla società intera, e quindi la pena come vendetta della società
offesa. Quanto al fondamento e allo scopo della pena, molto diverse sono le
dottrine dei filosofi ; però, secondo una classificazione generalmente
accettata, tutte codeste dottrine si possono distribuire in tre gruppi. Al
primo appartengono le dottrine assolute, che pongono lo scopo della pena
unicamente nel principio morale e quindi non al di là della pena stessa; si
punisce quia peoatum est, perchè la pena è giusta in sd; un simile concetto fu
sostenuto in Italia dal Mamiani, ed elaborato ulteriormente nell’ idea della retribuzione
giuridica dal Pessina. Al secondo appartengono le dottrine relative, che dànno
tutte alla pena uno scopo fuori della pena stessa, ma differiscono grandemente
tra di loro nella determinazione dello scopo stesso. Così, secondo la teoria
del contratto sociale (Hobbes, Rousseau, Beccaria, Fichte), scopo della pena è
l'utilità: « La sola necessità, dice il Beccaria, ha fatto nascere dall’ urto
delle passioni ο dalle opposizioni degli interessi l’ idea della utiUtd comune,
che è la base della giustizia umana... Il fine delle pene non è di tormentare
ed affliggere un essere sensibile nd di disfare un delitto già commesso... ma
d’ impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuovere gli
altri dal farne uguali ». Secondo un’altra dottrina relativa, la pena ha per
scopo tenere i proclivi al reato; essa esercita, dice il Fenerbach, una cazione
pricologioa, ed è perciò necessario che il male della pena superi il vantaggio
o il piacere proveniente dal delitto. Analoghe alla precedente sono le teorie
dette della premonisione (la legge deve ammonire a non delinquere), della
prevensione (la legge deve distruggere la volontà inclinata al delitto), del
risarcimento (il colpevole deve risarcire, con 1’ espiazione della pena, i
danni morali o ideali prodotti col reato), del ravvedimento ο miglioramento
(scopo 837 PEN della pena è specialmente di far
ravvedere il colpevole ο @ impedire quindi la ricaduta nel delitto), e della
difesa. Quest’ ultima dottrina ebbe un valido sostenitore nel Romagnosi, per il
quale il diritto penale non è che diritto di difesa, ed ha il fondamento nel
diritto che hanno tatti gli uomini di conservare la loro felicità e nell’
uguaglianza legale naturale, che passa fra uomo'e uomo; I’ uno e Paltro diritto
sono posti in moto dalla considerazione di un male derivante dsl facinoroso;
fine immediato e proprio d’ogni pena, tanto minacciata quanto eseguita, è
d’incutere timore affinchè non si commettano delitti. Al terzo ed ultimo gruppo
appartengono le dottrine miste, che cercano di conciliare le assolute e le
relative, dando alla pena un fondamento nel principio morale e uno nella
dottrina sociale. Così secondo il Carrara, il diritto di punire riposa su tre
principi, dell’ utilità, della giustizia, della simpatia, compresi tutti nella
legge dell’ ordine prestabilita da Dio all'umanità; il fondamento è nella
necessità di difendere i diritti dell’uomo, la giustizia è il limite, la
simpatia il moderatore della sua forma; la forza tutelatrice del diritto deve
esercitarsi mediante la coazione morale, che legittima la minaccia della pena;
© poichè tale minaccia non raggiungerebbe il suo scopo se non ne seguisse
Vapplicuzione, così la necessità e la legittimità della minaccia portano seco
la necessità ¢ la legittimità dell’ applicazione effettiva del castigo; non
sono perciò punibili se non quei fatti, che abbiano il doppio carattere di
essere lesivi del diritto e siano riparabili mediante la repressione. Secondo
la nuova souola criminale positiva (Lombroso, Ferri, Garofalo), essendo il delitto
un prodotto di fattori antropologici, fisici e sociali, la pena non ha
carattere di colpa morale, di retribuzione morale, di castigo; la scelta ο la
misura della pena devono esser fatte in rapporto allo speciale carattere del
delinquente e alle peculiari condizioni dell’ ambiente; lo Stato, adottato il
magistero repressivo, deve agire in PEN
838 via preventiva per eliminare
o modificare e diminnire i fattori della delinquenza (igiene sociale). Quanto
allo scopo della pens, la scuola positiva accoglie il concetto, proprio di
altre scuole, della difesa sociale: la società è un organismo che, come tale,
deve vivere e conservarsi, respingendo e, ove è possibile, prevenendo ogni
lesione; si applicano le pene perchè i delinquenti siano posti, temporaneamente
ο perpetuamente, nell’ impossibilità di nuocere, per ottenerne l’ ammenda, per
trattenere altri dal delitto. Cfr. Beccaria, Dei delitti ο delle pone, 1764;
Romagnosi, Genesi del diritto penale, 1837; Carrara, Programma di dir.
oriminale, Parte generale, 1871; Feuerbach, Lehrbuch d. gem. in Deutschland
gült. peinlichen Rechte, 1874; H. Sidgwick, The elemente of politics, 1897;
Jhering, Der Zweok im Recht, 1899; Letournean, L'érolution juridique, 1891; R.
Saleilles, L'individuation de la peine, 1898; G. Tarde, La philosophie pénale,
1890; Lombroso, L’ womo delinquente, 1896; Garofalo, Criminologia, 1905; Ferri,
La sootol. criminale, 1892: Antonini, Antropologia criminale, 1906; Frassati,
La nuora souola del diritto penale in Italia ο all'estero, 1891; Aless. Levi,
Delitto ¢ pena nel pensiero dei greci, 1903; C. Picone Chiodo, I nuori
orizzonti della soc. criminale, 1914 (v. delitto, libero arbitrio,
responsabilità). Pensiero. T. Gedanke, Denken ; I. Thought; F. Pensée. In senso
largo comprende tutti i fenomeni conoscitivi © intellettivi, per opposizione a
quelli affettivi ο volitivi. Nel suo significato proprio è l’attività dello
spirito che analizza e pono tra loro in relazione i dati complessi della
esperienza sia reale che possibile. AI pensiero è dunque da riferire ogni
maniera di conoscenza mediata, che si ottiene cioè mediante il paragone e il
riferimento cosciente de’ suoi termini; si oppone quindi alla sensazione, alla
quale si riferisce ogni maniera di conoscenza immediata. I dati della
esperienza sensibile costituiscono ciò che si dice In materia del pensiero,
mentre il modo della comprensione dei dati
839 PEN stessi ne costituiscono
la forma. Quando il pensiero è opposto all’ asione, designa in genere
l’attività ideale o psichica per opposizione alla volontaria; quando è opposto
alla realtà, alla cosa, designa il soggetto conoscente come contrapposto
all’oggetto conosciuto. Nel linguaggio di Cartesio © de’ suoi seguaci, nel
termine pensiero sono compresi tutti i fatti psichici; come l'attributo o proprietà
fondamentale dei corpi è l'estensione, cos) l’attributo dello spirito è il
pensiero, ο quindi tutti gli atti interni non sono che modi del pensiero. «
Tutti i modi di pensare che osserviamo in noi stessi, dice Cartesio, possono
essere riportati a due generali, l'uno dei quali consiste nel percepire con
l'intelletto, l’altro nel determinarsi con la volontà ». Così sentire,
imaginare e persino concepire delle cose puramente intelligibili, non sono che
modi differenti di percepire; ma desiderare, sentire avversione, aaserire,
negare, dubitare, sono modi differenti di volere. In seguito il significato del
vocabolo andò sempre più restringendosi e determinandosi. Secondo Hobbes « ogni
pensiero consiste in un combinare e separare, aggiungere © togliere di rappresentazioni
mentali; pensare è calcolare (to reokon) ». Per Hume è « la facoltà di
combinare, trasporre, aumentare o diminuire il materiale fornito dai sensi ο
dalla esperienza; tutti i materiali del pensiero ci sono dati dall’ esperienza
interna ο esterna, solo la loro combinazione è opera dell’intelligensa ο del
volere ». Per
l’Holbach è la facoltà che ha l’uomo @appercevoir en lui-même ou de sentir les
difforentes modifications ον idées qu'il a rogues, do
les combiner et de les δέparer, de les éteindre et
de les restreindre, de les comparer, de les renouveler. Kant considera il pensiero come giudizio, come
conoscenza mediante concetti, come l’azione di riferire una data intuizione ad
un oggetto (die Handlung, gegebene Anschauung auf einem Gegenstand zu
beziehen). Lotze considera il pensiero come « una continua critica che lo
spirito esercita sul materiale delle rappresentazioni succedentisi PEN 840
(Vorstellungeverlauf), in quanto esso separa le rappresentazioni, e le
collega secondo un rapporto non collocato nella natura del loro contenuto ». L’
Hamilton crede che Js peculiarità distintiva del pensiero in generale sia che
esso involge la cognizione d’ uns cosa mediante la cognizione di un’altra; ogni
pensiero è quindi una cognizione mediata ». Per il Galluppi, come per Cartesio,
col termine pensiero si indica qualunque atto © qualunque modificazione dell’
anima umana, modificazione che consiste nel sentire, nel conoscere, nel
desiderare © nel volere; l’ attenzione sul proprio pensiero costituisce la riflessione.
Secondo il Rosmini il pensiero è l'insieme degli atti delle facoltà
intellettive, vale a dire dell'intelletto, costituito dall’intuizione dell’
essere, ο della ragione, che è la potenza generale d’ applicare l’essere; In
legge suprema del pensiero è quindi: il termine del pensiero à l'ente; il che
equivale a dire « il pensiero è così fatto che ha per leggo primitiva di sua
natura di avere a termine l’ente, di modo che o ha Vente a suo termine ovvero
non è; l’ente considerato sotto questo aspetto è dunque la condizione a cui è
legata l’esistenza del pensiero ». Secondo 1’ Ebbinghaus il pensiero si può
considerare come un termine di mezzo tra la fuga delle idee ϱ le idee fisse, ©
consiste « in una successione di rappresentazioni, che non sono soltanto
riunite per associazione le une alle altre in elementi di una serie, ma che nel
tempo stesso sono auche coordinate ο subordinate ad un’altra rappresentazione
direttrice; quindi esse hanno tutte dei rapporti con una rappresentazione
superiore, per il fatto stesso che vi figurano come parti di un tutto ».
Drobisch lo definisce brevemente come « il compondio d’una pluralità e
molteplicità in una unità >; il Wundt come un appercepire attivo, come-«
ogni rappresentare possedente un valore logico »; l'Hüffding: « se noi
cerchiamo una definizione generale del pensiero possiamo dire: pensare è
comparare, è trovaro della diversità o della
841 PER somiglianza ». Cfr.
Cartesio, Princ. phil., I, 9; Spinoza, Ethica, 1. II, teor. I; Hume, Essais,
II, 27'segg.; Holbach, Syst. de la Nature, 1770, I, cap. VIII, p. 112; Kant,
Krit. d. r. Vern., ed. Kehrbach, p. 88, 89, 229; Lotze, Grundzüge d. Logik,
1891, p. 6, 552; Hamilton, Lectures on Logis, , t. II, p. 75; Drobisch, Neue
Darstellung d. Logik, 1887, $ 4; Galluppi, Lesioni di logica 6 metafisica,
1854, vol. I, p. 18; Rosmini, Logica, 1853, $ 36 segg., 64 segg.; Id.,
Peiovlogia, 1848, II, p. 272 segg.; Ebbinghaus, Paychologie, trad. franc. 1912,
p. 199 segg.; Liepmann, Sur la fuite d’idées, 1904; J. Dewoy, How we think,
1912; M. Stern, Das Denken w. sein Gegenstand, 1909; Wnndt, Logik, , I, 71;
Hôffding, Peyokologie, trad. franc. 1900, p. 232; Id., La pensée humaine, ses formes et sea
problèmes, trad. franc. 1911; A.
Fouillée, La pensée et les nouvelles éooles anti-intelleotwalistes, 1911; A.
Faggi, Il pensiero, « Riv. di filosofia », maggio 1912 (v. essenza, intelletto,
intelligenza, noo, logos, ragione). Percetto. T. Empirische Anschauung; I.
Percept; F. Percept. Neologismo usato talvolta, per analogia con concetto, per
designare il contenuto della percezione. Si stingue dalla percezione, in quanto
questa designa 1’ atto © il processo del percepire, mentre quello è il
risultato del processo medesimo. Il Romanes chiama percetto l’idea semplice,
recetto l’idea composta o combinazione di rappresentazioni, concetto l’idea
generale ο astratta; i recetti derivano dai percetti più o meno simili, e la
loro associazione ha carattere passivo; le somiglianze tra i percetti sono così
distinte, così cospicue © così frequentenente ripetute che, nel momento stesso
della percezione, si classificano tra di loro e, per così dire, cadono
spontaneamente nelle loro appropriate classi, senza uno sforzo cosciente da
parte del soggetto che percepisce. Cfr. Romanes, L'eroluzione mentale dell’ uomo,
trad. italiana 1907, Ρ. 33 segg. PER Percezione. T. Warknemung, Perception ; I.
Peroeption ; F. Peroeption: Uno dei vocaboli filosofici dal significato più
vario ed oscillante. Spesso è usata come sinonimo di sensazione, per designare
il fenomeno psicologico provocato dalla eccitazione d’un organo di senso; altre
volte è distinta dalla sensazione per il giudizio d’obbiettività che essa
implica, in quanto cio’, mentre la sensazione non è riferita ad un oggetto
determinante, la percezione invece è una sensazione integrata dall’ esplicito
riferimento del soggetto all’ oggetto; e vien distinta ancora dalla sensazione
perchè, mentre in questa il fatto psichico provocato dalla eccitazione di un
organo di senso ha carattere puramente afettivo, nella percezione ha carattere
intellettuale. E usata ancora come sinonimo di rappresentazione; ma da altri ne
è distinta perch’, mentre la rappresentazione è un fatto mentale, che si
rinnova nell’ assenza d’ uno stimolo esteriore che direttamente lo provochi, la
percezione non si ha che mediante l’azione su noi dell’ oggetto sensibile.
Perciò alcuni chiamano la rappresentazione percezione mediata. Alcuni
distinguono la percezione semplice dalla percezione esteriore: quella non è che
la pura coscienza delle nostre sensazioni, questa è la coscienza dell'oggetto,
cioò la nostra sensazione divenuta una qualità dell’ oggetto esteriore, Si
soglion chiamare peroesioni acquisite quelle percezioni di un senso, che
risultano non dalla eccitazione immediata che quel dato organo di senso ha
dall’ oggetto (percezioni naturali), ma dalla eccitazione di quell’organo
avvenuta mediante un altro organo di senso. Nella terminologia cartesiana per
percezione #’ intende qualunque fatto intellettuale ; essa è opposta alla
rolisione, che designa ogni atto di volontà ο di desiderio; percezioni e
volizioni costituiscono l’intero ambito dei fatti di coscienza. Ommes modi
cogitandi, quo in nobis experimur, dice Cartesio, ad duos generales veferri
possunt, quorum unus est poroeptio, sive operatio intelleotua.... Nam sentire,
imaginare ot pure intel 843 PER Ἱέροτο
sunt tantum diversi modi peroipiendi, Nella filosofia del Leibnitz la parola
percezione ha un significato pure anıplissimo, abbracciando ogni specie di
pensieri: egli chiama percezioni insensibili, o piocole percezioni, gli stati
di coscienza esistenti nel nostro spirito ma non attualmente pensati, ο in
questo stato incosciente suppone esistano tutte le idee delle cose, cosicchè lo
sviluppo delle facoltà intellettuali non consisterebbe che nel lavorio dell’
anima di rendere chiare © coscienti le idee che sono in essa quasi abbozzate.
«In ogni momento, dice il Leibnitz, esiste in noi una infinità di percezioni,
ma senza appercesione © senza rifleesione, cioè dei cangiamenti dell’ anima
stessa, dei quali non οἱ accorgiamo; perchè queste impressioni sono ο troppo
piccole e numerose, o troppo unite; per modo che esse non hanno nulla di
sufficientemente distintivo separate, ma, unite ad altre, non mancano di fare
il loro effetto, e di farsi sentire nella riunione, almeno confusamente....
Queste piccole percezioni sono assai più importanti che non si creda. Sono esse
che formano quel non s0 che, quei gusti, quelle imagini delle qualità dei
sensi, chiare nell’insieme ma confuse nelle parti; quelle impressioni, che i
corpi che ci circondano fanno su noi © che racchiudono l’infinito; quel legame
che ogni essere ha con tutto il resto dell'universo. Si può dire persino che,
dunque, il presente di codeste piccole percezioni è gravido dell’ avvenire
carico del passato, che tutto cospira © che degli occhi penetranti come quelli
di Dio potrebbero leggere nella più piccola delle sostanze tutta la serie delle
cose dell'universo ». Anche per Locke la percezione ha significato molto ampio,
essendo « la prima operazione di tutte le nostre facoltà intellettuali e Padito
(the inlet) di ogni conoscenza dentro la nostra mente ». Per Berkeley « avere
un’ idea è la stessa cosa che percepire ». Condillac: La peroeption et la
conscience ne sont qu'une même opération sous deux nome. En tant qu'on ne la
considère que comme une impresrion de l'âme, on PER 844
peut lui conserver celui de perception; en tant qu'elle avertit Vame de
sa présence, on peut lui donner celui de conscience. Il Reid distingue la percesione, che ci dà l’esistenza
e la qualità dei corpi, dalla sensazione, che sorge nel nostro spirito in
seguito alla impressione fatta sugli organi di senso dai reali esteriori; la
percezione dell’esistenza dei corpi, quantunque sorga in noi contemporaneamente
alla sonsazione, pure non ne è l’effetto, ma è bensì un giudizio istintivo
della realtà dei corpi esteriori ο delle qualità di eni ci si presentano
forniti. Per Kant la prima cosa che ci è data è il fenomeno © sensazione, che,
quando è legato alla coscienza, si chiama percezione ; quindi « In percezione à
la coscienza empirica, cioò la coscienza nella quale c’è nello stesso tempo
sensazione ». Per |’ Hamilton la percezione è soltanto una specie di
conoscenza, la sensazione una specie di sentimento: « la percezione è propriamente
la coscienza, attraverso il senso, delle qualità d’un oggetto conosciuto come
differente dall’ io; la sensazione è propriamente la coscienza dell’ affezione
subbiettiva del piacere o del dolore, che accompagna questo atto di conoscenza
». La distinzione tra sensazione e percezione è ammessa, per quanto in modi
diversi, da quasi tutti i filosofi contemporanei. Cosi lo Ziehen considera la
sensazione come il materiale greggio, la percezione come lo stesso materiale
rielaborato : « noi indichiamo come percezioni quelle. sensazioni sulle quali
s'è esercitata la nostra attenzione ». Per questa rielaborazione le percezioni
si accostano al pensiero: « Poichè la percezione, dice 1’ Höffding, riposa su
un processo che si può chiamare un confronto involontario, si presenta a noi
come una funzione del pensiero, mediante la quale ci appropriamo ciò che è dato
nella sensazione, © incorporiamo la sensazione nel contenuto della nostra
coscienza. Se dunque una funzione del pensiero si manifesta nella percezione
sensibile, è chiaro che la percezione e il pensiero non possono essere due
funzioni affatto differenti della coscienza. Non 845
PER c’è alcuna percezione sensibile che sia assolutamente passiva». Una
distinzione analoga fa il Sally: « nella sensazione la mente è, relativamente,
passiva e recipiente; nella percezione è non solo attenta alle sensazioni,
discriminandole ο identificandole, ma passa dalla impressione all’oggetto che
esse indicano o fanno conoscere ». Il Galluppi riteneva invece la distinzione
tra percezione e sensazione affatto arbitraria, una semplice astrazione che, se
fosse reale, οἱ trarrebbe allo scetticismo, in quanto condurrebbe seco la
necessità di credere ciecamente a tutto ciò che la percezione ci presenta. Egli
quindi identificava la percezione colla sensazione: ogni sensazione è di sua
natura la percezione di un oggetto esterno, © quindi la percezione dei corpi,
anzichè distinta, è inchiusa nella sensazione. Il Rosmini distingue la
percezione in sensitiva © intellettiva: quella è la sensazione stessa ο un
sentimento qualunque, in quanto si considera unito a un termine reale, questa è
un giudizio col quale lo spirito afferına sussistente qualche oggetto percepito
dai sensi, ὁ, in altre parole, è la visione del rapporto che passa tra un
sentito e l’idea di esistenza. Egli distingue ancora nella percezione dei corpi
la percezione soggettiva, che si ha sia col sentimento corporeo, per sò stesso,
sia collo sue modificazioni, e la percezione estrasoggettiva, che è fondata
sulla prima, è fornita dai sensi e ci da il sentimento dell’azione ο
l'estensione di un corpo fuori di noi. L'Ardigò distingue la sensazione pura
dalla percezione : quella è la semplice osservasione, vale a dire l’atto
psichico avvertito come proprio della coscienza individuale nel presente della
successione dei suoi atti, questa invece è l'esperimento, cioè la sensazione
stessa accompagnata da altre sensazioni e verificata per mezzo di un altro
senso: queste sono appunto le circostanze oggettivanti, per cui il dato
sensitivo è proiettato all’esterno, ossia per cui l'oggetto ci è dato come
esistente realmente fuori di noi. Il Sergi ha cercato di spiegare
fisiologicamente l’oggettività della PER
846 percezione, riconducendola ad
un’onda nervea di ritorno, cio’ alla riflessione dell’ onda centripeta che ha
dato luogo alla sensazione; mentre nella sensazione l’ onda nervosa, prodotta
dallo stimolo, va dall’organo periferico al cervello, nella percezione l’onda
stessa è riflessa dal cervello lungo la medesima fibra allo stesso organo; ciò
darebbe ragione, secondo il Sergi, della proiezione del dato sensibile e della
sua localizzazione nell'oggetto esteriore: come l’eccitaziono centripeta tende
a dare ad ogni mutazione che ne segue un carattere soggettivo, così
l'eccitazione centrifuga tende a far uscire dal soggetto la modificazione
prodotta. Il Jerusalem considera la percezione come la forma più semplice ©
primitiva del giudizio, in quanto consiste nel dar forma e obbiettività al
contenuto disordinato dejle sensazioni. Il Wundt, infine, contrappone la
percezione alla apperoesione : questa è quel fatto psichico che è da noi
percepito con uno sforzo particolare di volontà, detto attenzione, quella è
ogni fatto psichico che si trova, a così dire, situato nello sfondo della
nostra coscienza. Cfr. Cartesio, Principia, I, 32; Leibnitz, Monadologia, $ 14,
21; Id., Nouv. essais, I, passim ; Locke, An. essay cono. hum. understanding,
1705, 11, cap. 15; Berkeley, Treatise on the princ. of human knowledge, 1871,
VIL; Condillao, Essai sur l’origine des connaissances, 1746, I, sez. II, $4;
Reid, Works, ed. by Hamilton, 1863, p. 876 segg.; Kant, Krit. d. rei. Vern., B 207; Hamilton,
Leotures on Metaphysics, 1859, vol. II, p. 98 segg.; Th. Ziehen, LeitSaden dor physiol.
Peyohologie, 1893, p. 17, 170; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 167; Sully, Outlines of Psychology,
1892, p. 148; Galluppi, Elementi di filosofia, 1820; Id., Lezioni di logioa 6
metafisica, 1854, vol. I, p. 166 segg.; Rosmini, Nuoro saggio sull’ origine
delle idee, 1830, $ 481 segg.; Id., Logica, 1853, $ 307 segg., 701 segg.; P.
Carabellese, La teoria della percezione intellettiva di 4. Rosmini, 1907;
Ardigò, Il fatto psicologico della peroezione, Op. fil. IV, 1897, p. 347 segg.;
G. Sergi, Teoria fisiologica della
847 PER percezione, Milano, 1884;
Jerusalem, Die Urtheilefunotion, 1895, p. 219 segg.; Wundt, Grundriss d.
Peychol., 1896, Ρ. 245 sogg. (v. distanza, integrazione, rappresentazione,
cateriorità, volontà, ecc.). Percezionismo. T. Perceptionnismus ; I.
Perceptionism; F. Perceptionnisme. La dottrina della percezione immediata, che
ebbe per principali sostenitori i filosofi della scuola scozzese e dell’
eclettismo francese. Il percezionismo è una forma di realismo. Esso consiste
nell’ammettere come un fatto irreducibile il sentimento d’ obbiettività
contenuto nella sensazione e nell’ accordare a codesta credenza un valore
rappresentativo: la prova che esistono delle cose fuori di noi è data dal fatto
che la percezione ci mostra delle cose esistenti fuori di noi. Cfr. Cousin, Fragments
philosophiques, 1840, t. II, p. 30 segg.; Paul Janet, Victor Cousin et son
oeuvre, 1885, p. 73-81; Mao Cosh, The intuitions of the mind, 1882, p. 108 (v.
intermediariste, concezioniemo, conoscenza, senso comune). Perfezione. T.
Volkommeheit; I. Perfection; F. Perfeotion. Il concetto di perfezione ha subìto
non pochi mutamenti nella storia del pensiero filosofico. Per Platone è
perfetto soltanto ciò che non contiene alcuna contraddizione, alcuns
mescolanza, ciò che è assolutamente uno pur comprendendo in sè gran numero di
attributi. Per Aristotele la perfezione consiste nel corrispondere esattamente
a un concetto, a un tipo, a una norma, nell’ esser tale che non si potrebbe
concepire nulla di migliore. S. Tommaso distingne due specie di perfezione:
prima, quae est ipsum esse rei, secunda vero est eius operatio et haso est
maior quam prima; illud igitur dieitur simplieiter pefectum, quod pertingit ad
perfeotam sus operationem. Per Cartesio invece la perfezione è l'essenza stessa
della divinità; Dio è, per definizione, |’ essere assolutamente perfetto: La
substance que nous entendons être souverainement parfaite et dans laquelle nous
ne conoevons rien qui enferme quelque defaut ou PER 848
limitation de perfection, s'appelle Dieu. Spinoza considera la
perfezione © l’imperfezione come due semplici modi di pensare « ciod delle
nozioni che abbiamo l'abitudine di formulare perchè confrontiamo, gli uni con
gli altri, gli individui d’una stessa specie e d’uno stesso genere >;
perciò, egli aggiunge, io comprendo « per realtà e perfezione la stessa cosa;
noi abbiamo infatti 1 abitudine di ricondurre tutti gli individui della natura
sd un sol genere, che si chiama generalissimo; ciod alla nozione delP Essere,
che appartiene a tutti gli individui della natura senza eccezione. Così, in
quanto noi riconduciamo gli individui della natura a questo genere e li
confrontiamo tra loro e troviamo che gli uni hanno più di Essere e di Realtà
degli altri, diciamo che gli uni sono più perfetti degli altri.... Infine, per
perfezione in un genere io comprenderò la realtà, ossia l'essenza d’una cosa
qualunque, in quanto questa cosa esiste ed agisce in un modo dato ο determinato
». Il Leibnitz la concepisce quasi matematicamente come «la grandezza della
realtà positiva presa precisamente, mettendo da parte i limiti nelle cose che
ne hanno». Ad ogni modo, il concetto di perfezione è puramente astratto ο
relativo. Quando noi giudichiamo perfetto un oggetto qualsiasi, lo facciamo
riconoscendo che esso oorrisponde al fine per il quale esiste, o realizza il
tipo della specie cui appartiene; in altre parole, non facciamo che istituire
un rapporto fra due termini. Le
perfezione non va confusa con la perfettibilità: quella è statica, questa è
dinamica, quella è una realtà, o è assunta como tale, questa è una idenlitä.
L'idea della perfettibilità, è, come quella di evoluzione e di progresso,
essenzialmente moderna; nell’antichità e nell’evo medio era concetto comune che
la natura delle cose è immutabile, © che, se in qualche coss muta, codesto
mutamento è sempre peggioramento. Nè meno estranea è l’idea di perfettibilità
all’ ottimismo filosofico : se il nostro mondo è il migliore dei possibili,
cio’ 849
Per il più perfetto, non vi ha possibilità di un miglioramento
ulteriore, la perfezione escludendo la perfettibilità. Il merito di aver
introdotto il concetto e la parola di perfettibilità spetta specialmente al
Condorcet, che ne fece 1’ essenza stessa dell’uomo. Secondo alcuni la
perfettibilità è contenuta anche nella dottrina della evoluzione; ma ciò può
sembrare, secondo altri, inesatto, inquantoch® la perfettibilità dell'essere
non è illimitata, all’ evoluzione corrispondendo inevitabilmente la
dissoluzione. Cfr. Aristotele, Met., V, 16, 1021 b, 12 segg.; S. Tommaso, Contra gent.,
II, 46, 2; Cartesio, Réponses aux secondes objections, def. VIII; Spinoza,
Ethica, Prefazione al 1. IV; Leibnitz, Monadologie, $ 41, De rerum originatione
radicali, $ 3; Condorcet, Esquisse des progrès de l'esprit humain, 1794 (v.
idea, progresso). Periferia, T.
Peripherie; I. Periphery; F. Peripherie. La superficie esteriore di un corpo
solido. Sistema nervoso periferico, dicesi quello costituito dai gangli e dalle
fibre nervose, per opposizione al centrale, costituito dall’ encefalo ο dal
midollo spinale; perciò dicesi periferico qualunque fenomeno nervoso, normale o
patologico, che avvenga in un punto qualunque della fibra che unisce l'organo
esterno al suo centro cerebrale. Sensazioni periferiche, per opposizione ad
interne, diconsi quelle determinate dagli stimoli esteriori. Perigenesi. T.
Perigenese. L’ ipotesi con cui 1’ Haeckel spiega la trasmissione ereditaria o
eredità dei caratteri. Secondo questa dottrina, in ogni atto riproduttivo una
data quantità di protoplasma o sostanza albuminoide viene trastuessa dal genitore
al figlio, 9 nello stesso tempo viene trasmesso al protoplasma il movimento
molecolare individuale, che gli era proprio. In altre parole, 1’ eredità
consisterebbe nella trasmissione del movimento dei plastiduli, che costi
tuiscono il plasma. Cfr. Y. Delage, La structure du protoplaame et les théories de l'érédité,
1895 (v. eredità, endogenesi, germiplasma, pangenesi). 54 RanzoLi,
Dizion. di acienze filosofiche. PER
850 Poripatetici. T.
Peripatetiker; I. Peripatetica; F. Péripatéticiens. I seguaci di Aristotele,
così detti perchè studiavano e insegnavano passeggiando al Liceo. Fondatore
della scuola peripatetica fu Teofrasto di Lesbo, che con l'insegnamento e con
gli scritti diffuse la dottrina aristotelica, non senza allargarla,
specialmente nella scienza della natura; mantenne la separazione dell’
intelletto fatta dal maestro, ma lo vollo congenito all’ nomo (σύμφυτος), ed in
generale piegò più per la immanenza che per la trascendenza. Gli successe
Stratone di Lampsaco, che, più risoluto del predecessore, tolse di mezzo le
antinomie aristoteliche, negando l'intelletto separato ed il concorso di Dio
nella produzione del mondo; egli concepì il pensiero dell’ intelletto come un
movimento, e fa quindi condotto a negare l’esistenza d’un essere immobile, collocato
al di fuori della natura e origine d’ogni movimento. Meno importanti furono i
successori di Stratone, che seguirono a preferenza o le ricerche fisiche, o le
trattazioni morali in forma popolare (v. aristotelismo). Permanente. T.
Bleibend, beständig; I. Permanent; F. Permanent. Nella filosofia scolastica
dicevasi quantità pormanente lo spazio, per opposizione alla quantità
successiva, cio il tempo. Perseità. Lat. Perseitas; T. Perseität; I. Perseity;
F. Perséité. Cid che sussiste per se, καθ᾽ αὑτό. È quindi l’attributo della
sostanza: aubstantia est per ae, dice Goclenio, accidens per aliud. La parola
perseità si adopera però quasi esclusivamente ad indicaro la dottrina tomistica
delle relazioni tra il bene e il volere divino. Secondo S. Tommaso il volere,
nella sua espressione adeguata, è mosso essenzialmente dal concetto del bene
come presente alla ragione, © ciò sia nella natura umana che nella divina: la
perseitas boni è dunque la razionalità essenziale del bene. Per Duns Scoto
invece il bene è creazione arbitraria del volere divino, che al bene è
superiore, Egli distingue due 851 PER specie di perseità: uno modo pro esse
incommunicabili, et sic per se esse cat incommunicabiliter esse; alio modo...
pro esse subristontiae, et sic per sè esse est per sè subeistere. Cfr. S. Tommaso, 8. theol., I,
2, q. XVIII segg.; Goolenio, Lez. philosophicum, 1613, p. 809. Persona. T. Person; I. Person; F. Personne.
Questo termine originariamente designava la maschera (πρόσωπον = viso, aspetto)
con eni nell’ antico teatro greco si rappresentava un dato personaggio. Quando
cadde l’uso della maschera, indicò il personaggio stesso, e così passò nell’uso
per indicare l’uomo, in quanto non è soltanto individuo, cioò unità organica di
parti solidali, ma è un essere cosciente ed intelligente, un’ unità
fondamentale di pensiero, di sentimento e d’azione. Perciò persona si oppone a
cosa; il vegetale, il minerale, l’animale, e, si può aggiungere, il demente e
l’idiota, sono cose, mentre l’nomo cosciente soltanto è persona. Dicesi persona
morale l’uomo in quanto, per le capacità del suo spirito, può partecipare della
80cietà morale e intellettuale degli spiriti; persona fisica 1’ organismo dell’
uomo, considerato come manifestazione della sua persona morale; persona
giuridica l’ uomo che possiede doveri ο diritti fissati dalla leggo. Cfr.
Trendelenburg, Zur Geschichte des Vorter Person, « Kant Studien », 1908;
Eucken, Geistige Strömungen der (Gegenwart, 1909, sez. D, § 5; C. Piat, La
personne humaine, 2* ed. 1912 (v. io, personalità). Personalismo. T.
Personaliemus; I. Personaliem; F. Personnalisme. Il Renouvier designa col nome
di personalismo relatiristico la propria dottrina della personalità, che si
contrappone all’ impersonalismo della filosofia evoluzionistica. Origine della
personalità umana sarebbe, secondo il Renouvier, lo spirito personale di Dio,
che è congiunto in un sistema fisso di relazione universale con lo personalità
umane. In un senso più generale dicesi
personaliemo ogni forma d’idealisnio metafisico, che pone la realtà ultima in
una coscienza unica, universale, eterna, fondandosi spePER 852
cialmente su queste due argomentazioni: 1° esiste una stretta analogia
tra il modo di comportarsi delle idee nella mente individuale, ο la maniera
onde ciascuna mente si connette con le altre menti; 2* il rapporto conoscitivo
© pensativo por eni la mente è volta a questo o a quell'oggetto, è un rapporto
del tutto peculiare, che non si può identificare nd col rapporto causale nd con
quello di somiglianza, © che implica la presenza, sia pure latente,
dell'oggetto stesso nella coscienza. In
un senso più generale ancora dicesi personalismo, per opposizione a panteismo,
ogni dottrina che ammette Dio come persona. Cfr. Renouvier, Le personnalieme,
1903; Feuerbach, Das Wesen des Christenthume, 1841, p. 185; De Sarlo, I diritti
della metafisica, « Cult. filosofica », luglio 1912 (v. fenomenismo,
idealiemo). Personalità. T. Persönlichkeit; I. Personality; F. Personnalité. È
la coscienza della propria individualità distinta da qualunque altra, « La
personalità è V sutocoscienza, dice l’Herbart, nella quale l’io considera sè
stesso come uno © medesimo in tutti i suoi molteplici stati ». E il Wundt:
«Come I’ io è il volere interiore nella sua separazione da tutti gli altri
contenuti della coscienza, così la personalità è Vio che si risente con la
molteplicità di quei contenuti ο in tal modo si eleva al grado
dell’autocoscienza ». La personalità presuppone dunque la individualità, ed il
principio d’ individuazione è l'organismo. Infatti il senso organico è V
elomento fondamentale della personalità, la quale muta col mutare di quello:
così si spiegano i fenomeni patologici di sdoppiamento della personalità
fisica, in oui l’individuo crode d’avere due corpi, di cui uno cammina ©
l’altro sta fermo, uno è sano e l’altro è malato. A costituire la personalità
entrano anche i sentimenti e lo tendenze, cho hanno pure sede nell’ organismo ;
col mutarsi e V alterarsi di quelle si muta quindi e si altera anche la
personalità. L'identità della propria persona è data dalla 853
Per continuità delle coscienze successive, dall’unificarsi dei ricordi
in un’ unica serie: Persona dicitur ens, quod memoriam sui conservat, hoc est,
so esse idem illud, quod ante in hoo vel isto fuit statu (Chr. Wolff). Se
quindi le basi organiche della memoria si alterano, può darsi che 1’ io passato
scompaia dalla memoria, e allora si hanno gli sdoppiamenti della coscienza,
costituiti da due io, da due persone distinte che s’alternano nello stesso
organismo. Dicesi appunto fenomeno delle personalità alternanti quello
sdoppiamento della personalità, nel quale all’ io primario si sostituisce un io
secondario e viceversa, in periodi successivi più ο meno durevoli; le due
personalità che si alternano sono del tntto separate rispetto alla memoria; la
personalità 4 è incapace di rievocare tutto ciò che è avvenuto durante il
periodo in cui era attiva la personalità B, ο viceversa; sono due personalità
che s’ignorano reciprocamente come se fossero separate da un diaframma
impermeabile. Per personalità morale non
s'intende soltanto quella coscienza della propria individualità che ha per base
1’ organismo, ma quella specialmente che deriva dalla propria capseità
razionale, dalle qualità che si sono acquistate con la forza del volere, che ci
dànno il sentimento della dignità nostra e ci fanno degli esseri superiori,
autonomi, liberi. Il problema della
personalità dirina è la forma assunta nel pensiero contemporaneo dalla
controversia tra teismo e panteismo, Il teismo cristiano si regge essenzialmente
sopra la credenza in un Dio personale, © codesta personalità compete all’essere
perfettissimo in quanto essa rappresenta appunto la suprema perfezione; ma,
d'altro canto, la personalità è individuazione, e l'individuazione è
limitazione nel tempo e nello spazio; di più la persona è opposizione e
relazione, in quanto è coscienza del proprio io distinto da tutto ciò che è
altro da lui e sussiste come rapporto di vari stati ad un soggetto identico:
come può dunque Dio essere persona, se è eterno, infinito, atto puro
PeR-PES 854 escludente ogni opposizione e relazione? Le
soluzioni proposte dai filosofi contemporanei sono varie, ma tutte oscillano
tra il panteismo, il teismo e l’agnosticismo. Cfr. Wundt, Ethic, 1892, p. 448;
Hamilton, Lectures on metaphysics, 1859, t. I, p. 166; Ribot, Les maladies de
la personnalité, 1885; P. Janet, Automatisme peyohologique, 1888 ; A. Binet,
Les altérations de la personnalité, 1892; Myers, The human personality, ;
Morton Prince, The dissociation of a personality, 1906; Dugas et Montier, La
dépersonalisation, 1911; Hébert, Études sur la personnalité divine, « Rov. de
métaphysique », giugno 1902 e marzo 1903; H. L. Mansel, The limits of religious
thought, 1858, p. 59 segg.; Mac Taggart, Studies in hegelian cosmology, 1901,
p. 76 segg.; Royce, Lo spirito della filosofia moderna, trad. it. , e The world
and the individual, 1904, t. I, p. 425 segg., II, p. 419 seggi; Bradley,
Appearance and reality, 1902, p. 135, 531 segg.; A. Chiappelli, La critica
filosofica e il concetto del Dio virente, « Riv. di filosofia », anno I, n. 4;
C. Ranzoli, L’agnostioiemo nella filosofia religiosa, 1912, cap. IV (v.
dissooiazione, temperamento). Persuasione, T. Ueberzeugung; I. Persuasion; F.
Persuasion. Si suole da alcuni distinguerla dalla certezza, perchè mentre
questa è fondata su motivi adeguati e conformi al vero, la persuasione può
essere anche di cosa falsa, oppure di cosa vera ma fondata su ragioni false.
Dicesi naturale la persuasione spontanea che ogni uomo ha dei principi supremi
di ragione, e riflessa quella che consiste nel riposo della intelligenza in un
assenso dato volontariamente ad uns proposizionPessimismo. T. Pessimismus ; I.
Pessimism; F. Pessimieme. Vocabolo usato la prima volta dal Coleridge per
indicare « lo stato peggiore », adottato poi nel 1819 e reso comune dallo
Schopenhauer. Può essere, come l'ottimismo a cui s'oppone, tanto naturale o
intuitivo, quanto sistematico o filosofico. Il primo è una semplice
disposizione 855 Prs dovuta sia a cause organiche ed
ereditarie sia ad una dolorosa esperienza della vita a veder tutto nero nel
mondo e nell'esistenza, a giudicare ogni cosa per il suo lato triste. Il
secondo è invece una dottrina la quale sostiene © dimostra che tutto è male
nell’universo, e che noi viviamo nel peggiore dei mondi possibili. Sebbene
questa seconda forma di pessimismo tragga spesso origine dalla prima, che è
antica quanto l'umanità, e sebbene essa esista più o meno latente nel fondo di
ogni religione in quanto l'aspirazione verso un'esistenza oltremondana è sempre
accompagnata dal malcontento dell’esistenza terrena tuttavia il pessimismo
filosofico non data che dal secolo appena scorso. Schopenhauer ne è il più
grande maestro, come Leibnitz può dirai il maestro dell’ottimiamo. Secondo
Schopenhauer, l'essenza del mondo è la volontà, la quale è stimolo di
oggettivarsi, forza cieca ed incosciente; perciò il mondo è pieno di mali; è il
peggiore dei mondi possibili. L'uomo è in sus balla, ed è, per conseguenza,
infelice: la sua vita oscilla come un pendolo tra il dolore e la noia. Nè egli
può liberarsi dalla vita, perchè la vita è volontà essa pure, cioè volontà di
vivere: « Volere è essenzialmente soffrire, e poichè vivere è volere, ogni vita
è nella sua essenza dolore. Più l’essere è elevato, più esso soffre... La vita
dell’uomo non à che una lotta per I’ esistenza, con la certezza d'esser
vinto.... La vita è una caccia incessante nella quale, ora cacciatori ora
cacciati, gli esseri si disputano i brandelli d’un orribile pasto; una specie
di storia naturale del dolore che si riassume così: volere senza motivo,
soffrire sempre, sempre lottare, poi morire, e così di seguito per i secoli dei
secoli, tinchè questo nostro pianeta si frantumi in piccoli frammenti ». Unico
rimedio è che l’ uomo cerchi di negare questa volontà, rintuzzando l'egoismo
sul quale si fonda lo stimolo di continuare a vivere, © ciò potrà ottenere non
già col suicidio, ma colla vita rigorosamente ascetica e contemplativa, che
conPer 856 durrà al lento suicidio della specie umana. I
discepoli di Schopenhauer trasformarono ο alterarono il suo sistema. Il
Banhsen, più esagerato del maestro, esclude che la volontà di vivere possa in
alenn modo negare sò stessa; la volontà, essendo essenzialmente cieca, non pud
sottomettersi all’idea, e all’nomo non rimane quindi alcuna possibilità di
liberazione. Invece per l’Hartmann l’ incosciente è nello stesso tempo volontà
e idea, cosicchè, quando col tempo dominerà l’idea, quando la volontà di vivere
si sottometterà alla logica, essa rinuncerà volontariamente a sò stessa, Si
avrà allora il suicidio cosmico, dopo il quale regnerà la pace del nulla. Ai
nostri giorni il problema del pessimismo e dell’ottimismo, che è essenzialmente
metafisico, non ha più ragione di esistere: il dolore e il piacere sono la condizione
stessa della vita, la quale non è nd tutto dolore nè tutto piacere. D’ altro
canto, se questo mondo fosse davvero il peggiore dei mondi possibili, esso non
potrebbe continuare ad esistere; ma esso continua ad esistere, e la ragione che
rende la vita possibile è, dice il Gnyau, la medesima che la rende
desiderabile. Cfr. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Forstellung, ed.
Reclam, t. II, $ 162; E. Hartmann, Philosophie des Unbewussten, 1890; I.
Bahnsen, Der Widerspruch im Wissen und Wesen der Welt, 1880; Sully, Pessimiem,
1877; W. Thomson, Modern pessimism, 1878; G. Palante, Pessimieme et
individualieme, 1913 (v. dolore, piacere, ottimismo, migliorismo, incosciente,
sentimento). Petizione di principio. Lat. Petitio prinoipii; T. I Ia.; F.
Pétition de principe. E il sofisma che Aristotelo designava con le frasi τὸ ἐξ
ἀρχῆς, ovvero τὸ ἐν ἀρχῇ altetoda:. Esso consiste nel prendere come principio
di prova la tesi stessa da provare. Aristotele ne distingue cinque specie: la
prima, che si nasconde sotto le sinonimie, si ha quando si assume come
principio di prova la tesi stessa da provare, sotto altra forma; la seconda si
ha quando, dovendosi dimostrare una tesi particolare, si ritiene dimostrata la
tesi generale che la comprende; la terza è l’inversa della pre cedente; la
quarta non è che la terza estesa a tutti i casi possibili; la quinta, che è la
tipica, consiste nel provare una proposizione mediante un’altra, la quale non
può essere a sua volta provata che mediante la prima. Aristotele stesso cadde
in quest’ultima forma di petizione di principio, quando volle provare che la
terra è il centro del mondo, partendo dalla premessa che la natura delle cose
pesanti è di cadere al centro del mondo. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 24, 41
b, 8; Id., Τορ., VII, 19. Piacere. T. Vergnügen, Lust; I. Pleasure; F. Plaisir.
Essondo un dato immediato della coscienza, è in sò stesso indefinibile. Esso
rappresenta uno dei due poli del sentimento, il quale si manifesta sempre sotto
le due forme opposte del piacere e del dolore, collegate fra loro da un numero
indefinito di stati intermedi. A malgrado però di questa opposizione, alcune
volte i dolori intensi sono a0compagnati da un senso di piacere, dovnto alla
vivacità dello stato affettivo. In generale, il piacere è determinato dal
funzionamento normale dei differenti organi del nostro corpo, sia che
appartengano alla vita psichica che a quella vegetativa. La stessa eccitazione
che produce dolore se eccessiva, può produrre piacere se d’intensità moderata:
questo fu detto piacero positivo, 9 piacere negatiro quello che deriva dalla
cessazione del dolore. Il piacere è sempre accompagnato da aumento delle
funzioni vitali: celerità nella circolazione del sangue e nella respirazione,
abbondanza nella assimilazione delle sostanze nutritive, maggiore secrezione
delle glandole, vivacità di movimenti, ecc.; a ciò devesi forse il fatto,
constatato dalla psicometria, che il tempo di reazione delle sensazioni di
piacere è minore di quello delle sensazioni di dolore. Si distingne comunemente
il piacere fisico (ad es, quello che si prova gustando un cibo) dal morale (ad
es. quello che si prova ammirando Pia
858 un’opera d’arte). Però la
differonza tra I’ uno e l’altro non è di natura, in quanto entrambi implicano
un fatto fisico ο organico e un corrispondente fatto psichico, ma soltanto di
complessità, essendo il secondo associato ad un maggior numero di dati
rappresentativi o intellettuali. Per Aristippo il piacere, ἡδονή, #’accompagna
al movimento calmo dell'organismo, il dolore al movimento violento, l’
indifferenza al riposo; esso importa il sentimento della soddisfazione, che
deriva dall’appagamento del desiderio; la difforenza tra i piaceri non sta nel
loro oggetto, ma nella forza del sentimento di soddisfazione, forza che si
trova per lo più nel piacere sensuale, corporco, che si riferisce all’
immediato presente. Per Aristotelo il piacere è la conseguenza e il
completamento dell’ atto, il che spiega come esso sia fugace e cerchi la
novità; esso completa anche la vita degli uomini « i quali hanno dunque ragione
di amare il piacere, poichè per ciascuno d’ essi è il completamento di quella
vita alla quale sono sì fortemente attaccati ». Per Epicuro il vero piacere non
si trova « nelle gioie dell’amore o nel lusso e negli eccessi della buona tavola,
como hanno voluto insinuare alcuni ignoranti e i nemici della nostra scuola »,
ma nella tranquillità dello spirito libero da agitazioni, e nella quiete del
corpo esente dal dolore:, aprile 1905; A. Lalande, Pragmatismo et
pragmatioisme, « Revue philosophique », febbr. 1906; L. Laberthonnière, Saggi
di filosofia religiosa, trad. it. 1907; A. Schinz, Anti-pragmatisme, 1909; R.
Berthelot, Le romantieme utilitaire, 1911; W. James, Lo pragmatismo, trad.
frane. 1911; E. Boutroux, William James, 1911; F. Masci, Intellettualiomo e
pragmatismo, in « Atti della R. Accademia di Scienze m. e pol. », Napoli, vol.
XLI, parte 13, 1911 (v. azione, attivismo, attualismo, antropocentrico,
moralismo, umanismo). Prammatico (πραγματικός = che si riferisco ad una
azione). Ciò che si pratica per lunga consuetudine; oppure che concerne
l’azione, il successo, la vita, in opposizione sia alla conoscenza astratta ©
speculativa, sia alla obbligazione morale. Dicesi anche di una credenza che si
accetta non perchè riconosciuta vera, ma perchè ritenuta utile. In questo senso
Kant chiama prammatioa una storia « quando rende pradenti, ciod quando insegna
al mondo d’ oggi come possa aver cura dei propri interessi meglio o almeno
tanto bene quanto il mondo passato »; prammatici gli imperativi che consistono
in consigli di prudenza riferentisi al benessere, distinti dai tecnici ο regole
d’abilità, e dai pratici o comandi morali. Kant chiama ancora fede prammatica
una credenza che si aunmette accidentalmente come 883
Pra fondamento ai mezzi d’un fine determinato, e fede pratica una
credenza che si ammette perchè è postulata dalla legge morale: il precetto
d’aspirare al sommo bene è obbiettivo e la sua possibilità obiettivamente
fondata, ma la credenza nei postulati che ne derivano (divinità, libertà,
immortalità) è soggettiva, quindi una fede puramente pratica della ragione che
in sò non è il dovere, ma sorge prima del sentimento morale e può quindi
diventare incertezza, ma non mai degenerare in inoredulità. Il Blondel chiama
prammatica la scienza dell’azione, in quanto questa costituisco un ordine di
realtà sui generis, l’atto, il xp&ypa, nel quale s’ uniscono l'iniziativa
dell’ agente, il concorso che esso riceve, le reazioni che subisce. Il
Windelband chiama fattore prammatico della storia della filosofia quello pro-
dotto dalla necessità interiore dei pensieri ο dalla logica delle cose, per cui
nella storia stessa si ripetono non solo i problemi capitali ma anche le
principali correnti della loro soluzione e le dottrino germogliano incessantemente
luna dall'altra. Cfr. Kant, Grundlegung sur Met. der Sitten, 2 Absoh.; Krit. d.
reinen Fernunft, Transc. Met., sez. III; Blondel, L’Action, 1893, p. 206;
Hermann, Der pragmatische Zusammenhang in der Geschichte der Philosophie, 1836;
Windelband, Storia della filosofia, trad. it. Zaniboni, vol. I, D. 14 segg. (v.
azione, attiviemo, pragmatismo). Pratica (πρᾶξις azione). T. Praktisch, Ausübung; I.
Practical, Praotice; F. Pratique. Come dice I’ etimologia, pratico non
significa altro che attivo; si oppone perciò tanto a teorico, che a
speculativo, i quali derivano entrambi da radici che significano mirare,
guardare, e indicano quel lavoro indagativo e osservativo della intelligenza,
che sono l'operazione propria della scienza e della filosofia. La pratica ha
per fine l’azione, quindi il bene; essa è prodotta dalla volontà ο costituisce
la materia dell’ etica. Già in Aristotele troviamo la distinzione della
filosofia in teoretica, pratica e poetica; il Wolff la distinse pure in teoPra 884
retica e pratica, comprendendo sotto questa la filosofia pratica
generale, il diritto naturale, l'etica, la politica e l'economia, e dandole per
fine supremo il perfezionamento di sò stesso e degli altri. In Kant la critica
della ragion pratica ha per c6mpito di rispondere ai due quesiti: che cosa io
debbo fare? che cosa io posso sperare? Il primo quesito è oggetto della
analitica, il secondo della dialettica della ragion pratica, Nell’analitica
sono principî pratioi quei postulati, che contengono una determinazione universale
della volontà a cui sono subordinate regole pratiche; essi sono soggettivi o
massime, se la determinazione è riguardata dal soggetto come obbligatoria per
la volontà propria, oggettivi ο leggi pratiche se è riconosciuta come
obbligatoria per la volontà d’ogni essere ragionevole. L’Hartmann pone come
cémpito della filosofia pratica di portare a fini della coscienza i fini
dell'inconscio ; tali fini si riassumono tutti nella rinuncis al volere, che
porterà all’ annientamento dell’ universo. 11 Windelband chiama problemi
filosofici pratici quelli che hanno origine dall’ esame dell’ attività umana
rivolta ad uno scopo, problemi teorici tutti quelli che si riferiscono in parte
alla conoscenza della realtà, in parte allo studio della conoscenza; dei pratici
si ocoupano l’etica, la sociologia, l'estetica, la filosofig del diritto, della
storia e della religione. Comunemente, per sapienza pratica, o filosofia
pratica, o senso pratico della vita, 8” intende quella saggezza tutta
particolare che non si apprende studiando ma operando e riflettendo, che non
attinge alla sola ragione, ma al sentimento, alla fantasia e al raziocinio
insieme, che non è soltanto prudenza, ma, a volta a volta, prudenza ο coraggio,
ardire © cautela, temporeggiamento © decisione. In altre parole, savierza
pratica significa equilibrio, misura; essa dà quindi all’ imprevisto il posto
che gli compete nella preparazione del futuro, ma si comporta al tempo stesso
come se ogni cosa fosse esattamente prevedibile; sa quanto d’ inevitabile prema
sui destini umani, 885 PRE ma procede come se tutto dipendesse dai
decreti del nostro volere; riconosce tutta l’importanza che gli accidenti
esteriori hanno sulla nostra felicità, ma è ancora più convinte che ogni
avventura esterna si veste dei colori della nostra anima e che la pace
interiore, bene supremo, non dipende alla fin fine che da noi, Cfr. Aristotele,
Met., II, 1, 998 b, 98, VI, 1, 1025 b, 18; Chr. Wolff, Philosophia praotica
univerealie, 1738, $ 2; Kant, Krit. d. prakt. Vernunft, ed. Reclam, p. 15
segg.; Hartmann, Phil, dee Unbewussten, 1890, III, 748; Windelband, Storia
della filosofia, trad. it. Zaniboni, I, p. 25 segg.; C. Ranzoli, It caso nel
pensiero ο nella vita, 1913, p. 218 segg. (v. dottrina, dotore, imperativo,
prammatico). Precisione. T. Präcision, Bestimmthoit; I. Precision; F.
Précision. Iu senso generale, ciò che non lascia adito ad alcuna indecisione
del pensiero; si oppone a vago e si distingue da esatto, che equivale a vero
sia nell’ ordine logico che in quello obbiettivo. Con questo termine gli
scolastici designavano l'operazione logica della astrazione orizsontale ©
verticale, che consiste nel diminuire la comprensione di un concetto, di una
nozione, togliendo alcune note per ritenere soltento quella o quelle che si
vogliono cont derare. Precoce. T. Frühzeitig, Voreilig; I. Precocious; F.
Precoce. Dicesi tale un fenomeno, fisico, fisiologico, psichico o sociale, che
si manifesta prima del momento comune e normale, o anteriormente alla
previsione basata sul tempo d'azione delle cause. Gli zoologi chiamano la prole
degli uecelli precoce 0 inetta secondochè può o non può provvedere subito da sò
al proprio sostentamento, Gli psichiatri, col nome di demenza precoce designano
quelle forme, sia catatoniche, che ebefreniche e paranoidi di debolezza
mentale, che derivano da arresto di aviluppo psichico. Predestinazione. Lat.
Praedestinatio ; T. Pridestination; I. Predestination; F. Prédestination.
Dottrina teoloPRE 886 gica, secondo la quale ogni individuo è
destinato, in modo infallibile ed eternamente vero, ad essere salvato o
dannato. Si collega alla dottrina della prescienza divina. Come riferisce S.
Agostino, secondo i Pelagiani presoiebat Deus. qui futuri cosent sanoti et
immaculati per libera roluntatis arbitrium et ideo eos ante mundi
constitutionem in ipsa sua prascientia, qua tale futuros esse prascivit,
elegit. Leibnitz distingue la predestinazione dalla destinazione, in quanto .
Cfr. S. Tommaso, 8. theol., I, 2, qu. X, a. 3, e q. XIII, 6, ecc.; Boursier, De l’action
de Dieu aur les creatures, 1718, Dise. prélim., I, 8; Malebranche, Réflerions
sur la prémotion physique, 1715 (v. libero arbitrio). Predeterminismo. T. Prädeterminismus; I.
Predeterminism; F. Prédéterminisme. Dottrina teologica, secondo la quale gli
eventi sono considerati come risultanti dalla prescienza e dalla onnipotenza
divina. Si distingue dal determinismo perchd in questo, a differenza di quello,
la necessità è immanente agli stessi fenomeni. Però secondo alcuni, ad es. il
Renouvier, il determinismo ben compreso si identifica col predeterminismo ed ha
la sua vera espressione nell'equazione del mondo del Léplace; data la ferrea
necessità causale che lega i fenomeni del mondo, in ogni momento della sua
esistenza sono potenzialmente contenute tutte le sue fasi successive, cosicchò
una intelligenza infinita potrebbe agevolmente calcolarle. Kant oppone il problema del determinismo a
quello del predeterminismo : il primo consiste nel domandare come la volontà
può essere libera, pur essendo determinata da una ragione sufticiente interiore
all'agente, il secondo nel ricercare in qual modo la determinazione di ogni
atto mediante ragioni anteriori e fatti che non sono più in nostro potere,
possa conciliarsi con la libertà, la quale esige che l’atto, nel momento
dell’azione, sia in potere del soggetto. Cfr. Ch. Renouvier, Histoire et sol. des probl.
métaph., 1*ed., p. 168-9; Kant, Religion inneralb der Grenzen des blossen
Vernunft, ed. Rosenkranz, parte I,
p. 57 (v. equazione del mondo, fataliamo, determinismo). Predicabile. Gr.
Kazyyopospevov; T. Praedicabile; I. Predicable; F. Prédicable. Tutto cid che ad
un dato soggetta può essere attribuito. Aristotele, oltre alle dieci categorie
(praedicamenta), diede anche una classificazione di cinque categorumeni
(praedicabilia), che sono i cinque PRE
888 universali, di cui i due
primi, cioò il genere e la specie Crévog e εἶδος) riguardano la estensione
delle idee, gli altri, cioè la differenza, il proprio e I’ accidente (διαφορά,
Toy, συμβεβηκός) riguardano la comprensione.
Kant chiama predioabili della ragion pura tutti i concetti a priori, ma
derivati, che possono essere ricavati dai predicamenti © categorie, come la
forza, l’azione, la passione, la presenza, la resistenza, l’origine, la
distruzione, il cangiamento. In un senso
ancora più lontano dal primitivo, Schopenhauer chiama praodioabilia a priori le
proposizioni generali che possono essere affermate 4 priori relativamente al
tempo, allo spazio, alla materia; esse sono diciassette per ciascuna di queste
tre categorie. La prima relativa al tempo è la seguente: non v’ha che un tempo
solo, e tutti i tempi diversi sono parti dello stesso; la seconda: tempi
diversi non sono contemporanei, ma successivi. Cfr. Aristotele, Top., I, cap. 4, 101 b, 17-25;
Porfirio, Isagoge, 1; Kant, Krit, d. reinen Vern,, A 82, B 108; Schopenhauer,
Die Welt als W. u. Vorst., ed. Reclam,
Ergänzungen z. ersten Buch, cap. IV; Rosmini, Logica, 1853, § 413-418 (v.
oatogorie, oategorumeni). Predicato. T. Prädioat ; I. Predicate; F. Prédioat.
Ogni ides che può essere predicata, negata o affermata di un’altra. Logicamente
ha lo stesso valore di attributo, giacchè i latini tradussero il greco
κατηγόρηµα ο κατηγοροὺµενον tanto con praedicatum quanto con attributum ; ma
mentre il predicato non ha che un valore logico, determinato dal posto che esso
occupa nella proposizione, l’attributo è adoperato anche in un senso
metafisico, per designare quelle qualità d’una sostanza, senza le quali essa
non potrebbe essere, mentre le qualità accidentali diconsi modi. Preesistente.
T. Prüeristent ; I. Preeristent; F. Preszistent. Ciò che esisto anteriormente
ad altra cosa. Platone, ispirandosi allo dottrine teologiche dei misteri
dionisiaci, estende l’esistenza immortale dell’ anima oltre i due limiti 889 ©
Pre della vita terrena, nella preesistenza e nella postesistenza; nella prima è
da cercare la colpa per cui l’anima è ricacciata nel mondo sensibile, nella
seconda la sua sorte dipende dal grado con cui, nella vita terrena, si è resa
libera dalla cupidigia del senso e si è rivolta alla sua missione più elevata,
alla conoscenza delle idee. Anche secondo alcuni dei primi Padri della Chiesa,
come Tertulliano, Ireneo e Gregorio di Nissa, l’anima è preesistente al corpo;
la materia è pure preesistente alla divinità cosicchd queste non la crea ma la
organizza. Nella tilosofin gmostica gli coni non sono altro che spiriti
preesistenti, che giungono alla vita terrena dopo una serie di crescenti
degenerazioni. Cfr.
Platone, Fedr., 246 vegg.; Id., Gorgia, 523 segg.; Id., Rep., 614 segg.; Id.,
Fedone, 107 segg.; 8. Ireneo, Adv.
haer., V, 12, 2. Preformasione dei germi. Dottrina ora abbandonata, secondo la
quale ogni individuo vivente conterrebbe attualmente preformati i germi di
tutti i nuovi individui che potranno sortire da lui. Codesti germi non
sarebbero che individui estremamente piccoli, ma già formati, cosicchè il loro
svilupparsi non sarebbe che un ingrandire. Ogni germe, per quanto piccolo,
contiene avviluppati in sò stesso altri germi ancor più piccoli, e questi altri
più piccoli ancora e così via via indefinitamente. Questa dottrina fu già
sostenuta da Malpighi, Haller, Bonnet. Nella sua Monadologia Leibnitz dice: « I
corpi organici della natura non sono mai prodotti de un caos o da una
putrefazione, ma sempre da sementi, in cui o'era senza dubbio qualche
preformazione ». Oggi il preformismo è sostenuto dal Weismann, nel senso però
che gli organi e i caratteri ereditari degli esseri viventi esistono nel germe
allo stato di parti differenziate, quantunque non simili agli organi e ai caratteri
che produrranno. La dottrina più accettata attualmente è quella dell’epigenesi,
per cui si ammette che lo sviluppo embrionale dell’ individuo consiste PRE
© 890
in una oatena di neoformazioni, che si presentano per gradi ο non
preesistono già formate nel germe. Cfr. C. Bonnet, Consideratione sur les corps organisés,
1776; Leibnitz, Monadologia, $ 74; C. S. Wolff, Theoria generationis. 1774; A. Weismann, Das Keimplasma, eine neue
Theorie d. Vererbung, 1894; Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1902,
p. 81 (v. eredità, endogenesi, germiplasma, pangenesi, perigonesi). Premessa.
Gr. Πρότασις; Lat. Praemissa; T. Prämisse, Vordersatz; I. Premise; F. Prémisse.
Le due proposizioni del sillogismo, che contengono il medio e da cui risulta la
conclusione. Quella che contiene il termine maggiore dicesi premessa maggiore,
quella che contiene il minore premessa minore. Circa il modo di cavare dalle
premesse la conclusione si hanno cinque regole: 13 non si conchiude da premesse
negative, perchè posto che nd il termine maggiore nè il minore convengono col
medio, non si può conchiudere nd che convengano tra loro nd che disconvengano;
2* non si conchiude negativamente da premesse affermative, perchè in tal caso
la conclusione non deriverebbe, evidentemente, dalle premesse; 3° non si
conchiude da premesse particolari, perchè il sillogismo consiste invece nel
procedere dall’ universale ; 4* la conclusione segue sempre In parte più debole
delle premesse, intendendosi per debole la proposizione negativa rispetto all’
affermativa, ο la particolare rispetto all’ universale; 5* non si conchinde da
premesse delle queli la maggiore sia particolare e la minore negativa; tale
regola si basa essenzialmente sulle precedenti. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $
545 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 241 segg. (v. figura, modo, sillogiemo,
termini). Presciensa. T. Vorherwissen; I. Foreknowledge; F. Prescience. Uno
degli attributi della natura divina. Esso si basa sul principio dell’ assoluta
perfezione di Dio. Se Dio è perfetto, deve essere intelligente; alla sua
intelligenza nulla deve essere nascosto, nè il prosente, nd il passato, 891
Pre nd l'avvenire. La prescienza di Dio deve essere sicura, perchè se fosse
incerta potrebbe farlo cadere nell'errore, e ciò è incompatibile colla sua
perfezione; e deve essere immediata, perchè se fosse ottenuta per mezzo di
ragionamenti o di intermediari, bisognerebbo supporre che egli, almeno per un
istante, ignorasse l'avvenire, non fosse presciente, cioè fosse imperfetto. La
prescienza divina non è infatti una previsione ma una visione : da tutta
l'eternità Dio contempla tutto ciò che dovrà accadere in tutto il tempo
avvenire. La sua prescieuza è dunque una omniscienza, che abbraccia tutte le
verità simultaneamente, e, insieme al presente, al passato, all’ avvenire,
anche ciò che non fu e non sarà mai; donde la distinzione, ammessa da tutti i
teologi, tra la scienza della visione, nella quale si comprendono i futuri
contingenti, e la scienza di pura intelligenza, che si riferisce agli esseri
che non verranno mai all'esistenza. Cfr. S. Agostino, Ootoginta trium quest.,
q. 24; S. Bonaventura, Opera omnia, t. I, p. 800 segi Tommaso, Summa theol., I,
qu. XIV, art. 5,
6; Id., C. Gentes, I, dist. 38, qu. I, art. 5, e spec. Quaest. de acientia Dei, art. 12. Presentazione. T.
Präsentation, Forstellung ; I. Presentation; F. Présentation. Per opposizione a
rappresentazione alcuni psicologi adoperano questo termine a designare tutti
quegli stati di coscienza in cui un dato oggetto è presentato allo spirito;
quando lo stesso oggetto si presenta di nuovo, si ha una ripresentasione o
rappresentazione. In tal senso V Hamilton denominava presentazionismo reale la
dottrina, propria del Locke e della scuola scozzese, secondo la quale le
qualità primarie delle cose, ad es. la resistenza e la forma, sono
immediatamente da noi percepite, quindi sono realmente nei corpi quali noi le
percepiamo. Sull’utilità del vocabolo presentazione, come opposto di
rappresentazione, si è molto discusso; secondo il Bergson la parola rappresentazione
è equivoca e, in base alla sua etimologia, non dovrebbe mai designare un
oggetto intellettuale presentato PRE-PRI
892 allo spirito per la prima
volta: « Bisognerebbe riserbarla alle idee o alle imagini che recano |’
impronta di un lavoro anteriore effettuato dallo spirito. In tal caso si
potrebbe introdurre il vocabolo presentazione (ugualmente impiegato dalla
psicologia inglese) per designare in generale tuttociò che è puramente e
semplicemente presentato all’ intelligenza ». Anche il Claparède crede all’
opportunità ‘di distinguere in tal modo gli stati psichici a seconda che il
loro contenuto è attuale ο imaginatico. Si può osservare però che coi vocaboli
sensazione 0 percezione si indica abbastanza chiaramente l’attualità dei fatti
psichici. Cfr. W.
Hamilton, Dissertations on Reid, 1860, p. 825; J. 8. Mill, An exam. of sir
Hamilton'e philosophy, 3° ed. 1867, cap. LIL; J. Ward, Psychology, Eneycl. Britannica, 1°
sez.; Bergson, Bulletin de la soc. frang. de phil., giugno 1901, p. 102; Ed. Claparède, Ibid., giugno 1913, p. 213;
Lachelier, Ibid., p. 214. Presentimento. T. {knung, Vorempfindung; I.
Presentiment; F. Pressontiment. La previsione oscura di un avvenimento che può
accadere; non è quindi da confondersi con la previsione scientifica, che è
sicura in quanto è fondata sulla costanza ο l'uniformità delle leggi naturali.
Il Leibnits intendeva per presentimento la facoltà di prevedere ragionando
degli avvenimenti; tale facoltà proveniva, secondo lui, dal possedere lo
spirito umano la rappresentazione di tutte le cose dell’universo, e quindi la
possibilità di trarre dal proprio fondo delle verità sia astratte che concrete.
Secondo Fries ο Jacobi il presentimento (Ahnung) è «la convinzione fondata sul
solo sentimento, senza concetti determinati » a cui corrisponde la credenza nel
divino. Cfr. Fries, System der Logik, 1837, p. 423 segg. (v. percezione).
Presenza v. Tarole di Bacone. Prestabilita (armonia) v. Armonia. Primario. T.
Erst, Elementar ; I. Primary; F. Primaire. In un sistema di classificazione per
ordine di generalità 893 Pri diconsi divisioni primarie sia le
divisioni che hanno l’estensione maggiore, sia le divisioni che hanno
l'estensione minore. Dicesi formazione
primaria, sia nell’ordine psicologico che in quello fisico, ciò che è più
antico, ο ciò che è composto del minor numero di elementi. Si dicono primarie o
originali quelle qualità dei corpi senza di cui i corpi stessi non possono
essere concepiti: tali |’ estensione, la figura, la resistenza. Secondarie
invece quelle che si possono sopprimere senza sopprimere al tempo stesso la
nozione della cosa: il colore, il sapore, l’odore, il suono, ecc. Delle qualità
primarie le nostre sensazioni sono, secondo il Locke, copie fedeli di cui le
cose sono gli originali: le qualità secondarie sono invece affatto relative. Il
Berkeley invece ridnce le qualità primarie alle secondarie, dimostrando che
quelle non sono meno relative di queste, entrambe derivando dai sensi ¢
risolvendosi tutto in stati del nostro spirito: « La volta rilucente del cielo,
1’ ornamento della terra, in una parola tutti i corpi che compongono questo
mondo, non esistono che in uno spirito che li percepisce; essi non hanno altra
esistenza che la possibilità d'essere percepiti; quindi tutte le idee esistono
attualmente in me o in qualche altro rpirito creato, 0, se non vi esistono, non
esistono affatto o esistono nello spirito divino ». Cfr. Locke, Ess., II, cap.
8, $ 8-15; Berkeley, Principl., I, VIII, XI (v. attributo, essenza). Primitivo.
T. Ur... Grund...; I. Primitive; F. Primitif. Si oppone tanto a secondario che
a derirato, e dicesi di ciò che sta all’origine di una serie di fatti, o che in
ana cosa ha il primo luogo, ο che si ottiene per primo. Dicesi senso primitivo
quello del tatto, perchè esso precede nella specie tutti gli altri sensi, i
quali si considerano come semplici differonziamenti subiti nel corso della
evoluzione biologica dalla sensibilità tattile, per effetto della varia natura
ο del vario modo di agire degli stimoli esterni. Il Rosmini chiama giudizi primitiri
quelli dati solamente dal senso e PRI
894 anteriori alla formazione del
concetto; si dicono primitivi appunto perchè sono i primi che noi facciamo
sulle cose, e mediante i quali delle cose stesse formiamo i concetti. Egli
chiama poi sintesi primitiva l’attività spiritnalo onde il senso fondamentale
unisce la sensibilità ο l’ intelletto e ne vede il rapporto; questa attività
non è altro che la ragione, sesi considera più generalmente l’attività nascente
dall’unità intima del sentimento fondamentale, in quanto cioò l'Io è atto a
vedere i rapporti in generale: quindi la sintesi primitiva è la prima funzione
della ragione. Cfr. Rosmini, Logioa, , $ 212 segg.; Id., Psicologia, 1848, t.
II, § 452 segg. Primo o primum. T. Eret; I. First, Early; F. Premier. È tutto
ciò che non ammette alcun antecedente. Però il primo può essere anche relativo,
cioè un primo eupposto : ad es. il primo costitativo nella biologia è la
molecola οοstituente le cellule; nella fisica è I’ atomo, costituente le
molecole; nella chimica la monade eterea, componente dell’atomo stesso; e
questo primo della chimica è tale soltanto perchè esso è l’ultimo indistinto
del quale non occorre sapere in qual modo sussista, come il biologo si arresta
alla molecola organica, non occorrendogli indagarne la costituzione. Si
distingue poi il primo logico dal primo eronologioo : quello riguarda 1’ ordine
del tempo, questo l’ordine della relazione di principio a conseguenza; ad es.
nel penso dunque esisto di Cartesio, il penso è il primo logico Pesisto il
primo cronologico. Dicesi primo noto
quella nozione prima, dalla quale si deducono tutte le altre idee ο
principi. Nel linguaggio
aristotelico-tomistico primum e pris differiscono, in quanto quello si dice per
privazione di antecedente, questo per confronto a posterius; dicesi poi primum
alterans il primo cielo, il cui moto era ritenuto come principio di alterazione
© di corruzione degli enti terrestri, e primum mobile il primo cielo in quanto
per mezzo degli altri cieli dava moto ai corpi celesti. Primo motore (πρῶτον
κινοῦν) chiama Aristotele la divinità, causa
895 Pri iniziale immobile del
movimento; la materia, il puro possibile, è ciò che è mosso senza muovere,
mentre Dio, il puro reale, è ciò che soltanto muove senza esser mosso e senza
divenire: tra i due termini v'è tutta la serie delle cose, che subiscono o
suscitano il movimento, e il oui insieme Aristotele chiama natura. Nell’ ontologismo ai distingue il primo
psicologico che è quella qualsiasi nozione, prodotto della intelligenza, dalla
quale ogni altra deriva, dal primo ontologico, che è l’essere in sò stesso come
distinto ed opposto alle intelligenze, e il primo ideologico che è il medesimo
essere assoluto in quanto è oggetto della intelligenza umana. Nell’ innatismo o razionalismo si distinguono
i primi universali, che il nostro spirito porta con sè stesso, © che sono
quindi anteriori ad ogni esperienza, dagli ultimi universali, o principi
scientifici, i quali risultano dall’esperienza sensibile ο si formano appunto
da ciò che nell’ esperienza vi è di costante e di comune. Filosofia prima (φιλοσοφία πρώτη) chiama
Aristotele la ricerca della realtà prima e dell’ essenza immutabile delle cose;
essa poi fu detta metafisica. Causa
prima (causa sui, causa causarum, 900.) dicesi quella che non è l’effetto d'una
causa antecedente e dalla quale procedono le altre cause, dette perciò
seconde. Verità prime, primi prinoipî,
nozioni prime, ecc., sono quelle che non sono ricavate deduttivamente da
altre. Diconsi qualità prime della cosa
quelle senza di cui la cosa non potrebbe concepirei. Principio. Gr.'Apx#; Lat.
Principium ; T. Grund, Grundsatz; I. Principle; F. Principe. Ha tre significati
fondamentali, uno logico, uno normativo, l’altro metafisico ο obbiettivo. Nel
primo indica una proposizione generale dalla quale derivano e alla quale si
subordinano altre proposi zioni secondarie. Nel secondo designa una massima o
regola d’azione, chiaramente presentata allo spirito ed enunciata mediante una
formala; a seconda del loro contenuto, si hanno principi morali, religiosi,
artistici, politici, ecc. Nel PRI
896 terzo indica una realtà dalla
quale dipendono ο derivano altre realtà: in questo senso gli atomisti
chismavano principia gli atomi, i teologi chiamano Dio principio del mondo, e
gli psicologi l’anima principio dei fatti psichici. Una dottrina scientifica
può essere allo stesso tempo un principio logico, un'ipotesi e una legge. Così
la conservazione della materia e dell'energia è un principio, perchè in base ad
esso noi cerchiamo degli equivalenti ad ogni quanti di materia e d'energia che
sembra nascere o sparire; una ipotesi, perchè non è stato sperimentato e non
potrà mai esser sperimentato su tutti i corpi e su tutte le energie della
natura; una legge, per il gran numero di corpi e di energie riguardo a cui fu
sperimentalmente constatato. Diconsi
principt logici ο principî supremi di ragione, il principio d'identità, À è 4;
il principio di contradizione, 4 non è non-4; il principio del mezzo o terzo
escluso, 4 è ο non è B; il principio di ragion sufficiente, per cui nessuna
verità esiste che non sia giustificabile.
Il principio di individuazione è il fondamento della individualità, per
cui essa è quello che è; il principio degli indiscernibili è quello per cui due
cose, per esser due, debbono avere qualche differenza di qualità; il principio
di causalità, per cui nulla vi ha senza causa; il principio di finalità, per
cui ogni essere ha un fine. Il principio
della minima azione, o del minimo mezzo, 0 di economia, o principio di
semplicità, fa formulato in modi diversi; così per Galileo « la natura non
opera con molte cose quello che può operar con poche »; per Voltaire «la natura
agisce sempre per le vie più corte »; per Maupertuis « quando nella natura
avviene un mutamento, la quantità di azione necessaria a produrlo è la più
piccola possibile ». Nel linguaggio
aristotelico-tomistico diconsi prinoipia generationis quelli di cui tutte le
cose sono fatte, mentre essi stessi non sono fatti da altri, e sono la materia,
la forma, la privazione; principia compositionis ο della cosa generata, quelli
dalla cui permanenza vien generato
897 PRI il corpo naturale;
principia metaphysica quelli da cui si intende composta metafisicamente ed
intellettualmente la cosa; prinoipia in habitu quelli che regolano i sillogismi
senza che ne faccian parte, ad es. le coke che convengono ad una terza
convengono tra di loro. Dicesi ancora principium quod la persona ο il supposito
oui si attribuisce V operazione, o la denominazione dell’ operante (ls persona
di Tizio è il prinsipium quod delle sue volizioni); princi pium quo ciò onde
viene elicita immediatamente l’azione (la volontà di Tizio è il principium quo
delle sue volizioni). Cfr. Goclenio, Lerioon phil., 1613, p. 870; Chr. Wolf,
Philos. prima sive ontologia, , $ 866-876; Kant, Krit, 4. reinen Vern., ed.
Reclam, p. 265 segg. Privativo (termine). T. Privato; I. Privative; F.
Privatif. La privazione è, secondo Aristotele, una causa negativa che agisce
per la sna stessa assenza, Quindi il termine privativo si distingue dal
positivo e dal negativo, in quanto è l’una e l’altra cosa nello stesso tempo; è
detto privativo perchè limito, nega una qualità ο un attributo di cui il
soggetto fu possessore, ο di cui è naturalmente capace; ad es. analfabeta,
cieco, anormale, ecc. Cfr. Stuart Mill, Syetom of logio, 1865, 1. I, cap. II, $
6 (v. negativo, negazione). Privazione. T. Mangel; I. Privation, Want; F.
Privation. E una qualità che consiste nella’ mancanza di una qualità positiva,
ed agisce come una causa negativa per la sua stessa mancanza : cieco, mortale,
povero, ecc. Così il Wolff la definisce: defeotus aliouiue realitatie, quae
esse poterat. Secondo Aristotele la materia è, sotto un certo rapporto, la
privazione; ad es. l’uomo sarà musicista, ma non è autor tale; in questo momento
è il non musicista; il non-musicista non è una materia senza forma, poichò è
già un uomo, ma è una materia ancora privata della sua qualità; codesta materia
è dunque la privazione della qualità di musicista. Anche il Leibnitz usò questo
vocabolo 57 RaszoLI, Dizion, di acienze
filosofiche. Pro 898 ma nel senso di limitazione, imperfesione.
Cfr. Aristotele, Metaph., X, 4, 1055 b; Chr. Wolff, Ontologia, 1736, $ 273.
Probabilismo. T. Probabiliemus; I. Probabiliem ; F. Probabilisme. Nella morale
il probabilismo à quella dottrina casuistica, secondo la quale per non cadere
in colpa basta agire conformemente ad una opinione approtata, ossia che ha dei
partigiani rispettabili e non è contraria all’autorita. Nella gnoseologia il probabilismo è una
dottrina che sta di mezzo tra il dogmatismo e lo scetticismo. Questo nega la
possibilità di ogni conoscenza, quello invece unifica verità e certezza,
considerando la prima come una proprietà intrin* seca delle cose e la seconda
come un prodotto della verità sullo spirito. Il probabilismo, sia antico che
moderno, crede possibile il possesso della verità, ma non di quella assoluta
bensì della verità probabile, che è in noi e per noi, della verità che nasce
dell’ accordo durevole delle nostre rappresentazioni tra di loro e con quelle
degli altri. I probabilisti sostengono che il valore di questa verità
dipendente da noi è superiore a quello della verità in 88 © per sè, poichè le
cose che da noi dipendono valgono più di quelle che non dipendono, Nella
filosofia antica la teoria del probabilismo fu sviluppata specialmente da
Carneade, che distinse tre gradi della probabiltà: il grado più basso è quello
che conviene all’ idea singola, che non si trova in nessi più larghi; un grado
più alto sppartiene all’ idea che si può unire con altre, con cui si trova in
connessione; il terzo grado è raggiunto dove un intero sistema di idee in tal
modo connesse è riscontrato nella sua perfetta armonia e nella sua conferma
sperimentale. Nella filosofia moderna il probabilismo ricompare, con tinte più
o meno scettiche, prima nel Montaigne, poi in Hume, infine nel Cournot. Cfr. Mentré, Cournot et la
renaissance du probabilieme au XXe sidole, 1908 (π. oritioiemo, prammatismo, nominaliemo). Probabilità. T. Wahrsoheinlichkeit,
Probabilità; I. Probability; F. Probabilité. La certezza che una cosa si
avveri 899 Pro è data dal suo avverarsi sempre, quando
si avverino determinate circostanze; la probabilità invece è data dal suo
avverarsi non sempre ma qualche volta. Questa dicesi probabilità qualitativa ο
filosofica, per distinguerla dalla quantitativa ο matematica, che si fonda sul
numero dei casi; si chiama anche soggettiva ο psicologica, in quanto è
l’espressione di un atteggiamento del pensiero e dell’azione, che appartiene
allo stesso dominio del dubbio, dell’ esitazione, dell'incertezza, In essa si
possono distinguere due gradi: il primo, che chiameremo probabilità volgare, è
la semplice fiducia nel verificarsi di un avvenimento, fiducia basata sa pure
impressioni e perciò indimostrabile; la seconda, che chiameremo probabilità
scientifica, è ugualmente soggettiva ma possiede un maggior fondamento
razionale. Esempio dei due gradi, il giudizio che un profano e nn medico
possono esprimere sulla probabilità che un ammalato guarisca. Matematicamente
la probabilità è espressa da una frazione, che ha per numeratore il numero dei
casi favorevoli, per denominatore il numero dei casi possibili; ciò costituisce
il calcolo delle probabilità ο teoria dei rischi Ware conieotandi degli
antichi) che si applica tanto alle questioni di pura possibilità, che sono di
natura oggettiva, quanto a quelle di probabilità, che dipendono dal non
conoscere tutte le circostanze del fatto supposto. Nella frazione che esprime
la probabilità, quanto maggiore è il denominatore rispetto al numeratore, tanto
maggiore è la probabilità ; se il denominatore è zero si ha la certezza; so è
zero il numeratore si ha l'impossibilità. Il calcolo delle probabilità non pnò
essere applicato alla probabilità filosofica, poichè essa non riguarda la
quantità ma la qualità, non il numero ma il valore dei casi. Si distingue
infine la probabilità atatietica, che sta di mezzo tra la probabilità
filosofica © la probabilità matematico ; essa è il rapporto del numero dei casi
avvenuti in passato con quelli che per estrema ipotesi avrebbero potuto
verificarsi, rapporto supPro 900 posto costante e applicabile ai casi futuri;
è quindi probabilità matematica, in quanto fondata sul rapporto dei casi reali
© possibili; probabilità filosofica perchè implica la supposizione (soggettiva)
che detto rapporto si conservera invariato nel futuro, © che i singoli casi
siano possibili in ugual grado mentre in realtà non lo sono. Cfr. Moivre, Doctrine of
chances, 1718; Cournot, Essai sur les fondements de nos connaissances, 1851, $
31; Id., Exposition de la théorie dee chances et des probabilités, 1843;
Bertrand, Caloul des probabilités, 1907; Borel, Élémonts de la thdorie des
probabilités, 1909; H. Poincaré, Calcul des probabilités, 1912. Problema (xp6 avanti; βάλλω =lanoio). T.
Problem ; 1. Problem; F. Problème. Significa originariamente una incognita da
determinare, la quale, benchè si trovi connessa dal rapporto di principio e di
conseguenza con uns conoscenza posseduta, difficilmente si può decifrare; si
contrappone quindi a teorema, che è il risultato chiaro e provato di una
dimostrazione. In senso largo, il problema è la necessità nella quale trovasi
il nostro pensiero di spiegare un fatto qualsiasi, realo o supposto. Se il
fatto che si deve spiegare è reale, il problema dicesi assoluto, in quanto
esiste indipendentemento dall’ analisi, che può risolverlo o non. Se il fatto è
supposto, il problema dicesi ipotetico, in quanto la sua validità dipende
dall’analisi che è necessaria per risolverlo. Alcuni dei problemi assoluti
possono essere anche antitetioi, quando cioè esiste opposizione tra
ragionamento e ragionamento, o tra effetto e causa. L’Avenarius considera il problema come il
segno d’un rapporto di tensione, d’una « differenza vitale » tra V individuo e
l’ambiente, determinate dalla sproporzione che esiste tra l’ energia
dell'individuo ο quella richiesta dalle eccitazioni dell’ ambiente. Se 1’
eccitazione (R) ο la energia (E) sono assolutamente corrispondenti (R = E) si
ha il massimo vitale di conservazione, l'individuo si sente a proprio agio e
pieno di fiducia nelle proprie percezioni
901 Pro © rappresentazioni. Se
invece, per variazioni dell'ambiente, si produce la situazione R> E, allora
appare un problema e l’individno trova delle divergenze, delle eccezioni e
delle contraddizioni nel dato, che gli danno I’ impressione d’essere straniero
nel mondo; ogni vero problema è una nostalgia, che fa tendere tutti i nostri
sforzi a togliere codesta impressione. Inversamente, se si produce la
situazione E> R, un problema appare per là ragione contraria: in questo caso
esiste dell’energia che non è impiegata e che, divenuta libera, esplode in
direzioni insolite, non determinate dal dato; si hanno allora le epoche
d’emancipasione, d’effervescenza, d’idealinmo pratico. Dicesi problema di Molyneux quello esposto
dal Leibnits nei Nouv. Essais (1. II, cup. IX, $ 8): « Supponete un cieco dalla
nascita, che sia ora uomo maturo, al quale siasi insegnato a distinguere col
tatto un tubo da una sfera dello stesso metallo e circa delle stesse
dimensioni... Supponete che codesto cieco venga a godere della vista. Si
domanda se, vedendoli senza toccarli, potrebbe distinguerli ο dire qual sia il
cubo e quale la sfera ». Cfr. R. Avenarius, Kritik der reinen Erfahrung,
1888-90; Id., Die menschliche Weltbegriff, 1891; B. Varisco, I massimi
problomi, 1909; Masci, Logioa, 1899, p. 451 segg. (v. economica teoria,
empiriocriticismo). Problematico (giudisio). T. Problematisch; I. Problematic;
F. Problématique. Nel linguaggio comune problematico equivale a incerto,
dubbio, affermato senza prove sufficienti e tale quindi che deve considerarsi
come rimanente in questione. Nella
logica dicesi problematico il giudizio che esprime la possibilità, cioè la
concepibilità dei contradditori per la mancanza di ragione di decidere quale
sia vero. Può essere affermativo e negativo; nel primo enso la sua formula è: 4
può esser B; nel secondo: A può non esser B. Il giudizio problematico negativo
nega infatti la necessità; la possibilità della affermazione è invece negata
Pro 902
dal giudizio apodittico negativo, la cui formala è: 4 non può esser B.
Nella classificazione kantiana i giudizi problematici appartengono, insieme
cogli assertori, 0 della realtà, © gli apodittici, o della necessità, alla
categoria della modalità. Nella
metafisica dicesi problematica quella forma di realismo, che partendo da un
dualismo realistico di soggetto e oggetto, pone tuttavia quest’ ultimo come
incerto: «noi siamo uniformemente certi, dice ad es. il Wenn, dell'esistenza
dell'idea ο del concetto nei nostri spiriti, e uniformemente incerti (da un
punto di vista logico) che un fenomeno vi corrisponda ». Alcune volte dicesi
problematico anche il realismo che meglio si direbbe ipotetico, e che lo
Spencer definisce «come la dottrina secondo la quale la realtà dell’oggetto non
può essere affermata come un fatto, ma deve essere accettata come un'ipotesi
necessaria ». A questo tipo appartiene ad es, la dottrina delV Hodgson, per il
quale la materia, pur non essendo per noi che un complesso di percezioni
obbiettivate, presuppone tuttavia una condizione reale, senza di cui le
sensazioni non esisterebbero, e una condizione dell’ esistenza della materia,
cioè Dio, la cui natura può essere inforita mediante la ragion pratica dalla
coscienza. Cfr. Kant, Krit. der reinen Vernunft, A 75-76; B 100-101; Wenn,
Symbolic logic, 2* ed. 1894, p. 150; Spencer, Principles of prychology, 3* ed.
1881, t. II, § 473; Hodgson, The metaphysio of experience, 1898, t. I, p. 296;
F. De Sarlo, La metafisica dell esperienza dell’ Hodgson, 1900. Processo. T.
Prozess; I. Process; F. Processus. Una conentenazione o serie di fenomeni
successivi, che presenta caratteristiche particolari e determinate. Dicesi
anche processo la serie dei mezzi che si mettono in opera per arrivare al
conseguimento di un fino; quando il fine è la scoperta del vero scientifico, il
processo è quasi la stessa cosa del metodo; no differisce solo in quanto le
specie del processo si desumono dalla diversità del mezzo, quelle de 908
Pro metodo dalla diversità del fine. Perciò il processo è subordinato e
relativo al metodo. Nella metatisica
alessandrina il processo o processione è 1’ atto eterno con cui Dio produce il
mondo, e l’atto pure eterno con oui l’Uno produce il Noo e questo } anima, Nel linguaggio scolastico dicesi processus
resolutions quello per cui si dimostra la causa dall'effetto, processus
oompositivus l'inverso; l’espressione esprime la natura dell’ operazione mentale,
che nel primo caso consiste nel risolvere la causa nell’effetto, nel secondo
nel comporre l’effetto con la causa, Progresso. T. Fortschritt; I. Progress; F.
Progrès. Si usa generalmente come sinonimo di evoluzione, e designa quindi un
processo di differenziazione e specificazione. Alcuni però lo adoperano
soltanto per opporlo 8 regresso ο regressione, che è il processo inverso, ossia
il ritorno di un organo, di un individuo, di una specie, di una società ad uno
stato anteriore, meno differenziato © meno specificato. Peroiò la regressione
in un organo o in un individuo è un fenomeno degenerativo d’atavismo. Il
progresso, inteso come lo svolgersi di un processo di perfezionamento, può
essere sia meccanico, sia intellettuale, sia sociale o civile; e, in ciascuna
di queste forme, può esser concepito come possibile ο impossibile, reale o
spparente, continuo o per fasi, limitato o illimitato. Per Ruggero Bacone, ed
es., il progresso del sapere umano è non solo innegabile, ma indefinito: « L’
avvenire saprà ciò che noi ignoriamo, e si meraviglierà che noi abbiamo
ignorato ciò che esso sa. Nulla è finito nelle invenzioni umane, e nessuno ha
l’ultima parola. Più gli uomini sono di recente venuti nel mondo, più estese
sono le loro cognizioni, perchè, ultimi eredi delle età passate, entrano in
possesso di tutti i beni che il lavoro dei secoli aveva per essi accumulato ».
Anche secondo il Leibnitz non esistono limiti nel miglioramento progressivo
dell’universo spirituale, perohè, sebbene la perfezione sia stata raggiunta in
alcuni suoi elementi, nelPro 904 l'abisso delle cose restano sempre delle
parti addormentate che devono risvegliarsi e svilupparsi: « È così che una
parte del nostro globo riceve oggi una cultura che sumenterà di giorno in
giorno. E per quanto sia vero, che talvolta certe parti ritornano selvagge ο si
rovesciano e si deprimono, tale rovesciamento e depressione concorrono a
qualche fine più grande, cosicchè noi profittiamo in certa guisa del danno
medesimo ». Il Turgot contrappone la stabilità della natura al progresso
incessante dell’ umanità : «1 fenomeni della natura, soggetti a leggi costanti,
sono chiusi in un ciroolo di rivoluzioni sempre uguali. Tutto rinasce, tutto
perisce, e in queste generazioni successive, onde i vegetali e gli animali si
riproducono, il tempo non fa che ricondurre ad ogni istante 1’ imagine di ciò
che ha fatto sparire. La successione degli nomini, al contrario, offre di
secolo in secolo uno spettacolo sempre diverso. La ragione, le passioni, la
libertà producono senza posa nuovi eventi. Tutte le età sono incatenate da una
suocessione di cause e d’ effetti che legano lo stato del mondo a tutti quelli
che ’hanno preceduto. I segni moltiplioati del linguaggio o della scrittura,
dando agli uomini i mezzi d’assicurarai il possesso delle loro idee e di
comunicarle agli altri, hanno formato di tutte le conoscenze particolari un
tesoro comune, che una generazione trasmette all'altra, come un’ eredità sempre
accresciuta delle scoperte di ogni secolo; © il genere umano, considerato dalla
sua origine, appare agli occhi del filosofo un tutto immenso, che ha, al pari
d’ ogni individuo, la sua infanzia ο il suo progresso >. 11 Condorcet
considera il progresso sociale e morale delV umanità come svolgentesi
specialmente intorno a questi tre punti : Ja distruzione dell’ ineguaglianza
tra le nazioni, il progresso dell’eguaglianza in un medesimo popolo, infine il
perfezionamento reale dell’uomo; quest’ ultimo sarà determinato « sia dalle
nuove scoperte nelle scienze © nelle arti, e, per necessaria conseguenza, nei
mezzi di benessore 905 Pro particolare e di prosperità comune, sia
dal progresso nei principî di condotta ο di morale pratica, sia infine dal
reale perfezionarsi delle facoltà intellettuali, morali ο fisiche, che pnd
essere ugualmente la conseguenza del perfe zionarsi degli stromenti che
aumentano l'intensità di codeste facoltà o ne dirigono l’impiego, ο del
perfezionarsi dell’ organizzazione naturale dell’ uomo ». Kant deduce la legge
storica del progresso nmano dall’ ipotesi del determinismo; in qualunque modo
si concepisca il libero arbitrio, è innegabile che le azioni umane sono
determinate dalle leggi universali della natura, al pari d’ogni altro fenomeno
naturale, 9 che si può, in certo modo, considerare la storia della razza umana
come il compimento d’un piano nascosto della natura, tendente a produrre uno
stato umano perfetto, così interiormente come esteriormente: « Come la specie
umana è in continuo progresso quanto alla cultura,. che è il fine naturale
dell’ umanità, ‘così deve essere in progresso verso il bene quanto al fine
morale della sua esistenza, © se questo progresso talvolta può subire
interruzioni, non può esser mai interamente arrestato ». Fichte ha tanta
fiducia nel progresso civile ο morale dell’ umanità, da profetare un giorno in
cui persino il pensiero del male si cancellerà dalla mente degli uomini, ©
tutte le potenze della loro anima graviteranno verso il bene: « Il momento
giungerà in cui il malvagio, nella sua patria, in paese straniero, sn tutta la
superficie della terra, non troverà a chi nuocere impunemente, e si troverà
quindi spogliato della libertà e della stessa volontà di fare il male; poichè
non possiamo supporre che continuerà a amare il male, se il male dovesse aver
sempre per lui delle conseguenze faneste ». Schelling invece, pur riconoscendo
che la nozione di storia implica quella d’ una progressività infinità, sostiene
che il progresso morale dell’ umanità non può essere per noi una certezza, non
potendo essere provato nd teoricamente nd con l’esperienza, ma Pro 906
soltanto una credenza «un eterno articolo di fede dell'uomo, nel mondo
dell’azione ». Per Hegel 1’ evoluzione universale si compie col ritmo della
dialettica speculativa, «ο questo ritmo si riproduoo in tutti i dettagli, in
tutte le sfere: tutto si riproduce, si determina, si differenzia, e tutto
ritorna alla identità primitiva. E uno sviluppo continuo, che ritorna senza
posa su sò stesso, con un più alto grado di realtà determinata e di conoscenza,
una esplicazione eterna, infinita, il oui fine, per lo spirito che presiede
senza coscienza a questo movimento, è la coscienza esplicita della sua assoluta
sovranità ». Per Comte il progresso sociale dell’ umanità si compie attraverso
tre fasi : militare, giuridica e industriale, corrispondenti ciascuna alle tre
fasi intellettuali: teologica, metafisica ο soientifica e positiva; è infatti
il modo di pensare degli uomini che determina il loro modo di essere sociale, «
è per l’influenza sempre più forte dell’intelligenza sopra la condotta generale
dell’uomo e della società, che il cammino graduale della nostra spocie ha
potuto realmente acquistare quei caratteri di costante regolarità e di
continuità perseverante, che la distinguono profondamente dal movimento vago,
incoerente e sterile delle specie animali più elevate». Anche per J. 8. Mill,
la testimonianza della storia e quella della natura umana concordano nel
mostrare che, tra i fattori del progresso sociale, quello che possiede 1’
efficacia preponderante è l’intellettuale, ossia « lo stato delle facoltà
speculative della razza umana, stato manifestato nella natura delle credenze a
oui essa è arrivata per qualsiasi via riguardo sò stessa ο il mondo che la
circonda »; perciò il progresso sociale, per quanto lento, è illimitato, ο « di
fronte alle cure ο agli sforzi degli uomini tutte le principali cagioni della
sofforenza umana possono cedere in gran parte, molte possono cedere quasi
completamente ». Dicesi progresso all’
infinito (progressus in infinitum) il movimento dello spirito che, poste certe
condizioni, passa necessaria 901 Pro
mente da ciascun termine ad un termine nuovo; ad es. nella serie dei numeri o
nella ricerca delle cause efficienti. Gli scettici antichi, specialmente
Carneade e Agrippa, lo usarono come uno dei tropi o motivi di dubbio: ogni
prova presuppone, per il valore delle sue premesse, altre prove, ogni principio
altri principi più generali e così via senza poter mai raggiungere la certezza.
Cfr. R. Bacone, Opus majus, cap. VI; Turgot, Diso. sur les progrès du genre
humain, 1750; Condorcet, Esquisse des progrès de V esprit humain, 1804; H. Spencer,
I! progresso umano, trad. it. 1907; G. Sorel, Le illusioni del progresso, trad.
it. 1910; A. Matteucci, Il progresso umano nella sua più intima economia, 1910;
A. Loria, Che è il progresso? « Riv. it. di sociologia», 1911 (v. eredita,
teratologia). Proiezione. T. Projektion: I. Projection; F. Projection. L’atto
mentale con cui si riferisce il contenuto della sensazione ad una causa
oggettiva, localizzandolo in punti dello spazio diversi da quelli nei quali si
colloca in imaginazione lo spirito pensante. Spinoza lo esprime nel seguente
teorema: « Se il corpo umano è affettato da una modificazione che involge la
natura di un corpo esteriore, qualunque esso sia, l’anima umana si
rappresenterà codesto corpo come esistente in fatto o come presente per essa -finchè
il corpo umano sia affettato da un’altra modificazione che escluda l’esistenza
o la presenza del corpo in questione ». Condillac riferisce l’origine della
proiezione alle impressioni tattili: « Come il sentimento può estendersi al di
là dell’ organo che lo prova e che lo limita? Considerando le proprietà del
tatto, si riconobbe che esso è capace di scoprire codesto spazio e di insegnare
agli altri sensi a riferire le loro sensazioni a corpi che in codesto spazio
sono distribuiti ». Ugualmente il Riehl: « La proiezione dell’ imagine non è
altro che l’associazione della stessa con sensazioni contemporanee del senso
tattile ». Per l’Ardigò invece la proiezione è una forma d’ integraPro 908
zione d’inquadramento nello schema dell’ eterosintesi o non-Io; integrazione
che si compie mediante un esperimento, il quale a sua volta consiste sia nell’
accompagnamento di altre sensazioni, sia nella verifica per mezzo di un secondo
senso. Per il Sergi la proiezione è il ripereuotersi psicologico di un fatto
fisiologico, costituito dal fatto che l'onda nervosa centripeta, che aveva
prodotto la sensazione, torna indietro per la medesima via percorsa prima;
quindi, come l'eccitazione centripeta tende a dare carattere soggettivo ad ogni
mutazione psichica che ne segue, così } eccitamento riflesso centrifugo tende a
far uscire dal soggetto la mutazione prodotta, perchè si spinge per le vie
esterne. Cfr.
Spinoza, Ethica, 1. II, teor. XVII; Condillae, Traité des sensationis, 1886,
IV, cap. 8, $ 2; A. Riehl, Der philosoph. Kriticismus, 1879, II, 2, p. 58; Ardigò, Op. fll., IV,
p. 343 segg.; G. Sergi, Teoria fisiologica della percesione, 1884. Prolepsi v.
anticipazione. Propedentica. T. Propädeutik; I. Propaedeutica; F.
Propédeutique. Quell’ insieme di nozioni che sono necessarie per prepararsi
allo studio di una scienza; così l’anstomia e la fisiologia del sistema nervoso
sono la propedeutica alla psicologia; la logica generale e speciale è, ο
dovrebbe essere, la propedentica di tutte le scienze. Cfr. Kant, Krit. der
reinen Vernunft, pref. della 2° ed., $ 3. Proporsione. T. Proportion; I.
Proportion: F. Proportion. Nella logica è quel modo d’ argomentazione per cui,
date tre quantità, conoscendosi il rapporto che passa tra due, si trova il
rapporto che passa tra la terza ed una quarta incognita in correlazione con
esse. Il rapporto fra dette quantità è diretto, quando col crescere di nna
cresce proporzionatamente anche l’altra; ad es. il giovane deve saper
padroneggiare sò stesso, dunque tanto più l’ adulto (col crescere dell’ età
cresce il dovere di padroneggiare sò stessi). Il rapporto è inrerso quando col
crescere d’ una 909 Pro delle due quantità l’altra decresce
proporzionalmente: ad es. il ricco non deve essere imprevidente, dungue tauto
meno deve esserlo il povero (il dovere di essere previdenti cresce col
diminuire della ricchezza). Gli scolastici chiamavano la prima argomentazione a
minori ad maius, la seconda @ maiori ad minus. Nel linguaggio scolastico dicesi
ancora proportio entitatis ο commensurationie 1’ ordino d’una cosa ad un’altra
per ragione del suo essere (ad es. la proporzione tra due uomini per ragione
dell'umanità); © proportio habitudinis l'ordine di una cosa all’ altra per
ragione della loro mutua convenienza (p. es. I’ intelletto all’ intelligibile).
Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 678-679 (v. analogia). Proposizione. Gr. ᾽Απόφανσις, πρότασις; Lat. Propositio; T.
Sate, Proposition; I. Proposition; F. Proposition. Non è altro che il giudizio espresso con parole; il
giudizio è un processo mentale, la proposizione un processo linguistico che
l’esprime. Ora, 1’ espressione formale perfetta del giudizio consta di due
termini, soggetto e predicato, e del verbo o copula che esprime la loro
relazione; quando è cost costituita si ha la proposizione binaria. La quale però
non è l'unica espressione possibile di un giudizio, in quanto anche le parole
si, no, gui, rado, ecc. esprimono pure dei giudizi. Secondo alcuni logici
qualsiasi parola esprimento un concetto è, per sè stessa, un giudizio, e ciò
sia perchò il concetto è sempre il riferimento reciproco di due termini, sia
perchè quando si pensa si ha la coscienza di averlo, e quindi è implicitamente
e necessariamente l’affermazione di sò stesso. Del resto la proposizione
binaria è propria specialmente delle lingue a flessione; nelle lingue
agglutinanti basta un termine solo, e nelle monosillabiche ne sono necessari
ben più di due. Cfr. Aristotele, Περὶ éppyy., 4 ο 5, 17 a 1 segg.; Masci,
Logica, 1899, P. 149 segg. (v. concetto, giudizio, grammatica, linguaggio).
Proprietà. T. Eingeschaft, Eingentum; I. Property; F. Propriété. La proprietà
non va confusa colla qualità. Pro
910 Vi sono due specie di
qualità: quelle che costituiscono l'essenza stessg della cosa, come l’
estensione nei corpi, cosicchè non è possibile pensare quella cosa astraendo da
tali qualità; e quelle che derivano da queste, o che almeno le suppongono, come
la porosità dei corpi. Ora le prime diconsi più propriamente attributi, le
seconde proprietà. Così infatti C. Wolff definisce le proprietà: attributa,
quae per omnia essentialia simul determinantur, diountur propristates. E il
Wundt: «in senso esatto devono valere come proprietà di un corpo solo quei
predicati, che gli appartengono stabilmente come caratteri suoi propri, non
come effetti che il corpo produce ο riceve quando sia posto in determinate
condizioni ». La distinzione però non è osservata nel linguaggio comune, e
talvolta neanche in quello filosofico. Cfr. Chr. Wolff, Philosophia rationalie,
1732, $ 66; Wundt, Phil. Stud, v. 13, p. 386 (v. qualità, attributo, essenza,
modo). Proprio. Gr. Ἴδιον; Lat. Proprium; T. Eigene; I. Proper; F. Prope. Il
carattere ο l'insieme dei caratteri appartenenti a tutti gli esseri d’una
classe, e ad essi solo; tali caratteri possono essere tanto essenziali quanto accidentali.
Il proprio è uno dei cinque categorumeni o predicabili, enumerati da
Aristotele. Esso designa il carattere accidentale ο essenziale, fondamentale o
derivato, che appartiene ad una specie o ad un individuo. Gli altri predicabili
sono il genere, la specie, la differenza ο l’accidente; il proprio si distingue
dalla differenza, perchè questa, oltrechè un carattere proprio, è anche sempre
essenzialo e fondamentale, e si distingue dall’ accidente, che è sempre
passeggero mentre il proprio può essere anche permanente. Aristotele distingue
cinque sensi del proprio: 1° ciò che, senza esprimere l’essenza della cosa, le
appartione tuttavia ο οἱ reciproca con essa; ad es. l'essere medico è proprio
solo dell’uomo, ο reciprocamente, solo un uomo pud essere medico; 2° ciò che
appartiene alla cosa sempre © per sò
911 Pro stessa, ma non ad essa
soltanto; ad es. I’ esser bipede all'uomo; 3° ciò che appartiene alla cosa non
per sò stessa, ma per il suo rapporto con un’altra; sd es. per l’anima di
comandare e per il corpo di servire; 4° ciò che appartiene sempre alla cosa ma
per rapporto ad altre cose dove si trova una parte del suo stesso proprio; ad
es. il proprio dell’uomo rispetto agli animali è d’essere bipedo; 5° ciò che
appartiene alla cosa, ma solo a un certo momento, e quindi in relazione ad
altri momenti 6 ad altri individui; ad es. per un uomo il passeggiare nel
ginnasio © nell’ agora. Porfirio le riassunse poi con qualche differenza. Cfr.
Aristotele, Topiei, 1. I e V; Porfirio, Isagoge, IV, 4 a 14 seg.; Logique de
Port-Royal, parte I, cap. VII; Rosmini, Logica, 1853, $ 408-416. Prosillogismo
v. polisillogiemo. Prossimo. T. Nächst, Nächste; I. Next, Neighbour ; F.
Prochain. Il più vicino. Usato come sostantivo ha significato morale, indicando
l'insieme dei nostri simili considerati come fratelli; infatti la parola
prossimo (meus prozimus) è la traduzione della parola biblica, che designa
l’uomo della stessa famiglia o della stessa tribù: « Tu non userai vendetta
contro i figli del tuo popolo, ma amerui il tuo prossimo come te stesso »
(Levit., XIX, 18). Nella logica dicesi
genero prossimo l’idea che, in duo idee o in una serie di idee disposte in
ordine discendente di estensione e ascendente di comprensione, contiene un’altra
idea (specie) che la segue immediatamente in quanto meno estesa; causa prossima
quella che precede immediatamente l'effetto; effetto prossimo quello che segue
immediatamente la causa. Es.: 1° dovendosi definire la giustizia, il suo genere
prossimo è virtù non qualità morale, perchè virtà è immediatamente superiore a
giustizia, mentre qualità morale, essendo più estesa di virtù, le è superiore;
2° la causa immediata del dolore prodotto dalla scottatura non è il calore del
corpo che ha scottato, ma la conseguonte Pro
912 irritazione delle
terminazioni nervose e la sus trasmissione ai centri spinali; 3° l’ effetto
immediato dell’ azione della luce sull’ occhio non è la visione, ma il processo
fotochimico determinato nella sostanza purpurea della retina, al quale segue
poi la sensazione visiva. Protasi. T. Fordersate ; I. Protasis; F. Protase.
Aristotele chiamava così il giudizio che serve nel sillogismo di fondamento
alla dimostrazione. Tale giudizio fu detto poi premessa. I grammatici, per
analogia, dicono protasi la prima proposizione di un periodo. Protensivo. Si
adopera talvolta in opposizione a estensiro ciò che ha una grandezza nello
spazio per designare ciò che ha una
grandezza (durata) nel tempo. L’ uso filosofico di questo vocabolo risale a
Kant: « La felicità è la soddisfazione di tutte le nostre tendenze, sia
estensive, quanto alla loro molteplicità, che intensive, quanto al loro grado,
che protensive, quanto alla loro durata ». Cfr. Kant, Krit. der reinen
Vernunft, Methodenlehre, vom Ideal des hchsten Gute, A 805, B 833. Protoestemi
(xpHto¢ =primo, αἴσθσις = sensazione). Con questo nome l’Ardigò designa le
sensazioni minime o elementari, dalla cui somma ogni sensazione, che non è un
fatto semplice ma complesso, risulta. I protoestemi sono analoghi ai singoli
minimi da cui risultano per reduplicazione gli elementi delle altre formazioni
naturali: le molecole della biologia, gli atomi della fisica, le monadi eteree
della chimica. Come questi, i minimi protoestematici sono dati ipotetici,
perchè non sperimentabili direttamente; e come questi, sono unità relative,
perchè lo psicologo si ferma ad essi quale ultimo unico, non occorrendogli di
ricercare come sussistano e quale sia la loro costituzione. Così si avvera per
il pensiero ciò che avviene nella natura ‘universale, in cui nulla si trova
essere solamente un tutto, e nulla solamente una parte, ma ogni tutto per
quanto grande è sempre parte di un tutto maggiore, e ogni parte 913
Pro Per quanto piccola è sempre un tutto di parti minori; in modo che,
preso dovunque un tutto, oltre di esso se ne trova un altro più grande, e poi
un altro più grande ancora, e così via all'infinito; e dentro di esso si
trovano delle parti componenti, poi delle parti di queste parti, ο così via
all'infinito. Cfr. Ardigd, Op. fil., VII, 34 segg., 62 segg., 80 segg. (v.
elementi psichici). Protologia. T. Protologie; I. Protology; F. Protologie.
Vocabolo ormai in disuso, che può designare tanto la scienza Prima o dei primi
principi, quanto il diritto di priorità a discorrere in una adunanza, quanto un
trattato intorno ai pit semplici organismi viventi. Nell’ ontologismo del
Gioberti la protologia è la scienza ο filosofia della prima attività del
pensiero, vale a dire dell'ente intelligibile intuito Per via del pensiero
immanente; peroid la protologia è scienza Pura, esclude ogni mescolanza di
soggettivo e serve anzi di regola per sceveraro nelle altre conoscenze gli
elementi soggettivi dagli oggettivi. Si differenzia dalla ontologia, che
contempla I’ ente nell’ atto secondo, cioè come oggetto della riflessione e del
pensiero successivo ; e dalla pricologia, che analizza il pensiero successivo
considerato soggettiva mente, mentre la protologia contempla il pensiero
nell’atto primo e come principio creativo e costitutivo dello spirito, quindi
nell’ intuito puro dell’ intelligibile. Cfr. V. Gioberti, Della protologia, ,
t. I, p. 154 segg.; E. Pini, Saggio sulla protologia, 1870. Protoplasma (πρῶτος
= primo, πλάσσω formo). T. Protoplasma;
1. Protoplasm; F. Protoplasme. Termine creato dal Mohl, e tosto largamente
diffuso, per indicare la materia viva fondamentale, che ha la proprietà di
contrarsi. È costituito da un insieme di sostanze organiche, chimicamente
indefinibili perchà di costituzione assai variabile. Quanto alla sua morfologia,
queste sono le prin.cipali teorie avanzate in proposito fino ad ora: che sia
formato da un reticolato di sostanza omogenea, che eser58 Raxzou, Dizion, di scienze filosofiche.
Pro 914
cita la fanzione fondamentale e contiene grannlazioni non viventi; che
tali granulazioni o microsomi siuno invece gli organi elementari viventi
costitutivi d’ogni protoplasma; che sia costituito da un reticolato di sostanza
ferma, ο da una sostanza amorfa e viscosa (sostanza vitale) contenuta nelle
maglie; che detto reticolato sia formato di fibrille intrecciantisi; che il
citoplasma sia composto di piccoli alveoli le cui pareti, prementisi tra loro,
formano il protoplasma. Cfr. Schwarz, Die morphologische und chemische
Zusammensetzung des Protoplasmas, 1887; E. B. Wilson, The structure of
protoplasm, 1899; Y. Delage, La structure du protoplasma et les théories sur
U’herddite, 1895 ; Luciani, Fisiol. dell’ uomo, 8" ed. 1908, vol. I, p. 16
segg. (v. generazione, cellula, vita, organismo, pionosi). Protozoi. T.
Protosoon, einzelliges Tier; I. Protosoon ; F. Protozoaire. Gli animali dalla
struttura più semplice, simili per la loro forma e per il loro modo di vivere
agli elementi costitutivi degli animali superiori. Essi sono costituiti da una
singola cellula o da un gruppo di cellule similari. Non dovrebbero confondersi
coi protisti, nome proposto dall’ Haeckel per designare gli organismi
costitaiti da protoplasma senza nucleo. Cfr. Haeckel, General. Morphol., 1866; Calkins, The
protozoa, 1901. Provvidenza. T. Vorsehung ; I. Providence; F. Providence. La suprema saggezza e bontà di Dio, che si
esercita nella natura e nella storia; la sua azione permanente che governa il
mondo e l'umanità. Providentia totue mundus administratur, et ita nihil fit,
quod non pertineat ad opus providentiae. La Provvidenza però non esclude,
secondo la teologia cattolica, l’attività delle cose e la libertà del volere: «
Secondo certi filosofi, dice S. Tommaso, l’azione divina in ciascun essere si
deve intendere in questo senso, che cioò nessuna forza creata realmente agisca,
ma che ogni azione proceda immediatamente da Dio. E questa una teoria assurda;
prima perchè in tal caso la causalità delle
915 Pro creature verrebbe ad
essere distrutta, il che imprimerebbe alla potenza divina il carattere di
debolezza, giacchè è proprio di Dio produrre tali effetti, che siano capaci di
dare origine a degli altri; in secondo luogo perchè le facoltà attive, di cui
vediamo esser fornite le creature, invano sarebbero state a loro concesse, se
dovessero rimaner prive di ogni effetto vero e reale. Chè anzi le creature
stesse, prive di ogni operazione propria, diventerebbero inutili, poichè il
fine dell'esistenza di ogni essere è l’azione ». La Provvidenza si collega
strettamente agli altri attributi divini; infatti non è possibile concepire in Dio
una Provvidenza, se non si suppone in lui una conoscenza originaria perfetta
dell'avvenire © delle azioni libere degli uomini (prescienza); e Dio, essendo
per definizione l’essere assolutamente necessario ed esistente per ad, non deve
aver limiti nella sua potenza (onnipotenza) e tutti gli attributi della sus
essenza debbono essere assoluti o infiniti. In due modi si esercita la
Provvidenza divina: se non si considera che l’organizzazione permanente delle
cose, la costituzione di leggi fisse i cui benefici effetti sono stati previsti
ο in. ragione dei quali codeste leggi farono scelte, si ha la provvidenza
generale; l’ intervento personale nel corso degli avvenimenti suocessivi,
dicesi provvidenza particolare. Nel concetto cristiano i disegni © gli soopi della
Provvidenza sono ignoti all’ uomo: « Dio, dice 8. Agostino, distribuisce i beni
della terra ai buoni e ai malvagi secondo l'ordine dei tempi ο delle cose, ch’
egli solo conosce >. Tale concetto fu essgerato dal Malebranche, © più
ancora dal Bossuet, nel cui fataliamo mistico ogni avvenimento è dovato ad un
piano predeterminato da Dio, ad un ordine segreto della Provvidenza; 1’
umanità, perfettamente cieca, cammina verso una meta che non conosce, condotta
da Dio che solo vede e solo sa. Asssi diversa ο più geniale è, a tal proposito,
la dottrina del nostro Vico, il quale, pur facendo operare la Provvidenza sulla
storia dell’umanità, ne esclude PRU
916 l’azione cieca ed arbitraria
nei fatti particolari degli uomini. Secondo il Vico, la Provvidenza opera sulla
natura e sulla storia per mezzo delle cause seconde (rebus ipsis dictantibus),
create da Dio stesso colla natura loro propria e colle proprie leggi, ch'egli
lascia svolgere liberamente; la sua Provvidenza consiste quindi nel mantenerle
sempre in questa loro natura. Cfr. Gerson, De consol: theologiae, 1706; 8.
Tommaso, S. theol., I, q. XVIII, art. 4, q. CII, art. 1; Malebranche,
Méditations chrétiennes, med. VII, $ 17; Vico, Principi di una scienza nuova,
ed. P. Viazzi, 1910, p. 59 segg. (v. omniscienza, prescienza, corsi ο ricorsi,
fatalismo). Prudensa. T. Klugheit; I. Prudence; F. Prudenoe. Nel suo
significato più comune indica quella capacità di riflettere e di prevedere, per
cui si ovitano i periooli della vita © si adoperano i mezzi più acconci per il
conseguimento dei propri fini: « La prudenza, dice il Martineau, è un affare di
previdenza (foresight): il giudizio morale à inveco una questione di conoscenza
intima (insight). L'una valuta ciò che sarà, l’altra ciò che immediatamente è;
l'una decide tra condizioni future desiderabili, l’altra fra intime e presenti
sollecitazioni ». Intesa invece come una delle quattro virtù cardinali, la
prudenza (φρένησις) consiste nella forza dello spirito © nella conoscenza della
verità; da essa derivano, secondo Β. Tommaso, i precetti morali. Per Kant
invece la prudenza è « l'abilità nella scelta dei mezzi d’ ottenere per sè
stessi il maggiore benessere »; © poichè la tendenza al proprio benessere non è
un bisogno della ragione, ma esiste solo empiricamente, una morale fondata su
ossa risolve le leggi morali in tanti precetti della prudenza. Por il Rosmini
la prudenza può essere tanto una virtù, quanto una semplice « abilità di
arrivare alla conoscenza di un fine qualsiasi >; ma al all’una come
all'altra 8’ applica la suprema regola della prudenza, che si può formulare
così: opera a tenore del pensare intero e complessivo, non a tenore del pensare
astratto e parziale. Cfr. 917 Psr-Psı 8. Tommaso, S. theol., I, 33, q. LX,
art. 1 segg.; Martineau, Types of ethioal theory, 1866, vol. I, p. 65; Kant, Grundlegung sur Metaph. d.
Sitten, 1882, IV; Rosmini, Pricologia, 1848, t. II, p. 342 segg.; Id.,
Filosofia della politica, 1837, t. I (v. pratica, virtà). Psendoestesia. Falsa
sensazione, che può essere generale oppure specifica. In questo secondo caso
assume nomi diversi: quando avviene nella vista dicesi pseudoblepsia ο
pseudopia, nell’ udito pseudaooe, nel gusto pseudogeusia, nell’ olfatto
peoudoemia, nel tatto peeudafia. In generale si preferiscono lo espressioni di allucinazione
o illusione tattile, uditiva, cenestetica, gustativa, ecc. Psiche. Gr. Ψυχή; T.
Peyohe; I. Psyche; F. Payohé. Attualmente è usato come sinonimo di anima,
spirito, ο talvolta anche di coscienza, io, personalità. Presso i greci dei
tempi omerici la psiche era invece concepita come un’ ombra simile al corpo, un
soffo di natura corporea ma più tenue, più sottile, che funzionava come
principio animatore della vita e abbandonava quindi il corpo all’ istante della
morte, uscendo dalla bocca o dalla ferita, per vivere poi una vita indipendente
e libera. In seguito, codesta indipendenza della psiche dal corpo si afferma
sempre più, fino ad essere considerata come permanente nel corpo solo per un
tempo determinato, ma avente la sua vera patria oltre le stelle e capace di
lasciare il corpo anche per breve tempo, come nell’ estasi ο nel sogno. I
filosofi cosmologi primitivi 1’ identificarono col principio animatore ο con I’
elemento originario dell’ universo : così per Anassimandro ὃ aria, per Eraclito
e Parmenide fuoco, per Diogene aria calda esalata dal sangue, per Anassagora
una parte del nous cosmico, per i pitagorici un numero, l’ armonia del corpo,
da cui però è separata, tantochd sopravvive alla sua morte © passa da corpo a
corpo (metempsicosi). Con Platone il concetto dell indipendenza della psiche, ©
del suo valore etico-religioso, raggiunge la piena espressione: come principio
del penPst 918 siero la paiche è immortale nella sua
ragione, come principio del movimento è immortale nella sua attività, come
principio della virtù è immortale nella sus sensibilità. La pura essenza della
psiche è, per Platone, la ragione; la pura essenza degli oggetti le Idee;
ragione e Idee sono semplici, indissolubili, quindi immortali : noi siamo
dunque immortali nella nostra Idea e nella nostra ragione. Ma, osserva Simmia a
Socrate, la psiche non è simile all’armonia della lira, che svanisce quando la
lira è rotta? No, risponde Socrate; la psiche è piuttosto il musico invisibile
che fa vibrare la lira, alla quale preesiste, dalla quale è distinto, alla
quale sopravvive; è la sorgente e il principio del movimento; il movimento
eterno suppone quindi una psiche eterna, nella quale le nostre erano già
contenute e da cui non si sono staccate che per entrare nei corpi : la nostra
psiche partecipa dell’ eternità dell’ anima universale. Ma l’anima nostra deve
anche essere ricompensata © punita secondo il suo valore, che la giustizia
umana è incapace di giudicare; occorre dunque un’altra giustizia, occorre un’
anima che si rivolga alla nostra faccia a faccia, e pronunci la saa sentenza
con un decreto infallibile: è l’anima divina, In qual modo si compirà
l’espiazione ο la ricompensa nell’ altra vita, Platone non determina in modo
uniforme, abbandonandosi alle ipotesi ο ai miti poetici; dai quali traspare
però un’ idea dominante, V idea della Provvidenza vigile, cho dà a ciascuno
secondo le opere e dispone tutte le parti dell’ universo nell’ ordine più
proprio alla perfezione dell’ insieme. Per Aristotele la psiche è la forma, che
fa del corpo ciò che esso è; la psiche è dunque la piena realtà del corpo, la
sua enteleohia, e, como tale, ciò che ne fa un corpo vivente, la possibilità
permanente dello funzioni vitali. Questo concetto aristotelico di psiche può
anche tradursi, secondo il Siebeck, in quello di forza vitale, se si considera
quest’ ultima non come risultato della funzione organica nelle sue singole
produzioni, 919 Pat ma come causa di essa, anzi causa nel
senso che non solo da ess dipendono gli effetti organico-corporali, ma anche
gli psichici © spirituali. Quindi per Aristotele le diverse specie di funzioni
vitali sono come diversi gradi della vita psichica, che, non ostante la loro
diversità, formano nell'organismo nn tutto unico: l’anima opera sempre nell’
organismo come una determinata specie di funzione, come anima nutritiva,
sensibile, motrice, intellettiva, o come parecchie di esse insieme. Nel medio
evo la rappresentazione della psiche torna ad oscurarsi di nuovo, tantochè si
ritrovano tracce di rappresentazioni materialistiche anche nei Padri della
Chiesa. Solo con Cartesio 1’ ides della peiche come essenza puramente
spirituale torna ad acquistare la sua chiarezza: « Lo stesso rapporto che
esisteva nell’antichità tra Platone e Omero, dice 1’ Héffding, esiste nei tempi
moderni tra Descartes, che fa consistere l’ essenza dell’ anima nella
coscienza, 9 la concezione dell’ età di mezzo ». E da questognomento cominciano
a delinearsi © precisarsi lo dottrine fondamentali intorno alla natura dell’
anima: materialismo, spiritualismo monistico e dualistico, fenomenismo e
attualismo. Cfr. Platone, Fedone, 245; Id., Gorgia, 493; Id., Timeo, 41 E;
Aristotele, De An., 1, 421 a, 27 segg.; Siebeck, Aristotele, trad. it., p. 84
segg.; Id., Geschichte d. Peychol., 1880-84; Volkmann, Lehrbuch d. Pryohol., 43
ed. 1894, vol. I, p. 66 segg.; Chaignet, Histoire de la paychol. ohes les
Grecs, 1887; Cravely, The idea of tho soul, 1909; J. G. Frazer, Peyche’s task,
1909; Héffding, Psychologie, trad. franc. 1910, p. 11; G. Sergi, La peiche nei
fenomeni della vita, 1901; Ardigd, Opere fi, III, 76 segg. (v. anima, animiemo,
coscienza, io, noo, ecc.). Psichiatria. T. Peyohiatrie; I. Psychiatry; F.
Payohiatrie. La scienza che ha per oggetto le malattie mentali, di cui ricerca
le cause ο stabilisco i rimedi. Il Morselli la definisce ampliamente : quella
parte della medicina che studia le deviazioni della mente umana, prodotte dalle
anomalie Psr 920 ο malattie primitive e secondarie del suo
fondamento (cervello), © che indica i mezzi per prevenirle e curarle. Una
definizione strettamente scientifica e materialistica è quella del Meynert:
clinica delle malattie del cervello anteriore (in quanto sembra ormai accertato
che le parti anteriori delPencefalo, e soprattutto il mantello degli emisferi,
siano la sede delle funzioni psichiche più elevate). Per lungo tempo essa si
abbandonò alle speculazioni filosofiche per cercare la natura dell’ anima
umana; oggi ha abbandonata tale ricerca alla metafisica, e, constatato il
rapporto e la proporzionalità esistente tra i fatti fisici (fisiologici) e i
fatti psichici, cerca invece di stabilire la sede dei fatti psichici stessi.
Essa quindi si ricongiunge da una parte alla fisiologia, dall’ altra alla
psicologia. Si distingue dalla psicologia patologica propriamente detta, in
quanto questa non si propone lo studio della prevenzione delle malattie mentali
e dei loro rimedi. Cfr. E. Morselli, Introdusione allo studio della peiool.
patologies, 1881; Id., Manuale di somejotica delle malattie mentali, 1885-94;
Meynert, Peychiatrie, 1884; Kraepelin, Psychiatrie, 5° ed. 1896; Krafft-Ebing,
Lehrbuch der Psychiatrie, 5* ed. 1898: 8. Lugaro, I problemi della psichiatria,
1907. Psichici (fatti). T. Psychische Erscheinungen ; I. Paydhical processes;
F. Phénomènes peyohiques. Essendo semplici © primitivi sono in sò stessi
indefinibili. Solo αἱ può dire che i fatti psichici sono i fatti di coscienza,
poichè ogni fatto psichico è necessariamente avvertito dal soggetto: come le
espressioni fatto fisico e fatto meccanico si equivalgono, così pure si
equivalgono le espressioni fatto paichico e fatto cosciente, Il loro primo
carattere è dunque di casero interni ο d’ essere conosciuti immediatamente ο
direttamente; con ciò si oppongono a tutti gli altri fatti, i quali, avvenendo
fuori di noi, sono esterni e non sono conosciuti che mediatamente, ciod per
mezzo di un fatto psichico, Il secondo carattere, che si ricollega al
precedente, 921 Psi è d’ essere conosciuti direttamente solo
da colui in oui avtengono ; i fatti psichici che si svolgono in altri non sono
da noi conosciuti che mediante un ragionamento d’analogia. Terzo carattere è di
essere situati solo nel tempo e non avere dimensioni spaziali; si possono quindi
misurare nella loro durata e intensità, non nella loro estensione. Altri caratteri
secondari e derivati sono i seguenti: non Possono ridursi a movimento, per
quanto siano sempre accompagnati da un movimento; sono reali solo quando sono
attuali, presenti, giacchè anche il ricordo del passato © il pensiero del
futuro sono stati presenti della coscienza ; valgono per sò stessi, laddove
ogni fatto materiale deve essere spiegato con un altro fatto materiale;
costituiscono sempre un’ unità che non esclude la molteplicità, il cangiamento
ο la diversità, ο, inversamente, una molteplicità che non esclude l’unità;
presentano un continuo sumento qualitativo e una continua novità, mentre i
fenomeni materiali sono uniformi e regolati dal principio della conservazione
della materia e della forza; modificano il soggetto in cui si compiono, mentre
i fatti esterni, in quanto avvengono nella materia, modificano soltano le
relazioni esterne degli atomi componenti, non l’atomo in sò stesso; essendo
inestesi non possono localizzarsi, sebbene se ne possano localizzare le
condizioni fisiologiche. Del resto, il numero e la natura dei caratteri
differenziali del fatto psichico, nonchè la loro maggiore o minore importanza
sono concepite diversamente nei vari sistemi: materialismo, spiritualismo,
dualismo, parallelismo, attualismo, volontariemo, intellettualiemo,
sensazionismo, monismo, incosciente, 900. Quanto alla loro classificazione, la
più comune è quella che li distribuisce nelle categorie del sentimento, del
pensiero ὁ della volontà; gli psicologi antichi fecero di queste categorie
delle potenze spirituali (facoltà) con le quali vollero spiegare i fatti
stessi; i moderni le considerano invece come pure astrazioni. Cfr. Münsterberg,
Grundzüge der PsyohoPsi 922 logie, 1900, cap. VII; Id., Psychology and
Life, 1899, cap. X; Spencer, Prinoiples of peychol., 1881, P. VIII, ο. 2;
Baldwin, The story of the mind, 1896, p. 6 segg.; Wundt, System der
Philosophie, 2° ed. 1897, p. 305 segg.; G. Villa, La psicologia contemporanea,
1899; Id., 1) idealismo moderno, 1905, p. 29 segg.; Höffding, Peyohologie,
trad. franc. 1900, p. 37 segg.; Ardigd, L'unità della cosoienea, in Opere fll.,
vol. VII, 1898, p. 39 n; M. Pilo, La olassificasione naturale dei fenomeni
psichici, 1892; A. Baratono, Sulla olassif. dei Jatti priohici, « Riv. di fil.
», febbr. 1900 (v. anima, coscienza, elemento, facoltà, sensazione, volontà,
percezione, sostansialiemo, 600.). Psichicità. Termine generale con cui si
sogliono designare tutti i prodotti dell’ attività psichica dell’animale, dai
più semplici ai più complessi, sia dell’ ordine puramente intellettivo come di
quello affettivo. Esso ha quindi un'estensione maggiore dei termini mentalità,
sensibilità, affettività, eco. Psichico. T. Peyohiech ; I. Psyohical; F.
Payohique. Che concerne la psiche, lo spirito, inteso questo in senso empirico
come sintesi dei fenomeni mentali. Non dovrebbe mai confondersi con
peicologico, che è ciò che riguarda la psicologia, mentre psichico è ciò che
riguarda la coscienza. Si adopera anche, specialmente nel linguaggio
anglo-americano, per indicare quell’ insiome di fenomeni spirituali ancora
molto oscuri e che si presentano come una manifestazione di facoltà nuove della
coscienza (telepatia, medianiemo, divinazione, eco.); tale è il senso del
vocabolo nel nome della Society for peychioal research di Londra, ο nel titolo
dell’ opera di I. Maxwell, Les phénomènes peyohiques, 1903. Psichismo. T.
Psyohismus; I. Peyohiem; F. Payohieme. Termine molto vago, che a’ adopera
talvolta per indicare la vita psichica totale, sia nelle sue forme più alte che
nelle più basse, specialmente però in queste ultime. Altre volte il termine
psichismo è adoperato per denominare le dottrine filosofiche, le quali
trascrivono il mondo coi ca 923 Pst
ratteri dell’ esperienza psichica, ossia interpretano la realtà esterna
mediante l’analogia con la realtà interna, psicologica ed umana; in tal caso
psichismo è quindi sinonimo di idealismo realistico : « Per idealismo noi non
designamo, dice il Fouillée, nd la negazione degli oggetti esteriori, nd la
rappresentazione puramente intellettualistica del mondo; intendiamo la nozione
di tutte le cose sul tipo psichico, sul modello dei fatti di coscienza,
concepiti come sola rivelazione diretta della realtà. Da ciò, presso i filosofi
contemporanei, codesto idealismo, il cui nome sarebbe piuttosto psichismo ». È
evidente però che, in questo caso, il termine racchiude un apprezzamento
critico e un’ intenzione polemica. Cfr. Grasset, Le peychieme inférieur, 1906; G. Bohn, Le
payohismo ches les animauz inférieurs, « Riv. di scienza », 1909, vol. V, pp. 86-101; Fouillée, Le mouvement
idéaliete, 1896, p. vi; C. Ranzoli, Il linguaggio dei filosofi, 1913, p. 66-69.
Psico-dinamica. T. Peychodynamisoh; F. Peycho-dynamique. Quella parte della
psicologia che studia gli effetti dinamici dei fenomeni psichici. Già il Wundt
aveva accennato alla possibilità di misurare i fenomeni psichici per mezzo dei
movimenti che eseguiamo; il Loeb per primo ha tentato di farlo, cercando nella
forza muscolare, determinata col dinamometro, una misura dell’attività
psichica; su questa via proseguirono poi il Feré, il Lehmann, il Wolff, ece.,
estendendo le ricerche nel campo della memoria, dell’ associazione,
dell'attenzione, della stanchezza mentale, Cfr. Wundt, Phys. Payo., I, p. 6; Loeb,
Pflüger’s Archiv, XXXIX, 592; Feré, Sensation et mouvement, 1887, p. 33;
Lehmann, Die Phys. Aequiv. d.
Bewusstseinserscheinungen, 1901; Aliotta, La misura in pic. sperimentale, 1905,
p. 167-228, Psico-fisica. T. Peychophysik; I. Peychophysics; F. Paychophysigue.
Fechner designò in questo modo quel ramo della psicologia che studia
sperimentalmente i rapporti tra i fenomeni psichici e i fenomeni fisiologici.
Oggi si dice Ps 924 più comunemente peicologia sperimentale,
usando il termine psico-fisica soltanto per indicare i lavori del Fechner.
Alcuni però vorrebbero conservata la distinzione tra psicofisica ©
psico-fisiologica, la prima delle quali studierebbe precisamente i rapporti che
corrono tra i fatti psichici © i fatti fisici nel senso stretto della parola,
ad es. il grado di eccitazione neoessario per avere una data sensazione, mentre
la seconda avrebbe per oggetto i rapporti dei fatti psichici con le
modificazioni fisiologiche dell’ organismo. Cfr. Fechner, Elemente der
Peychopysik, 23 ed., 1889; Id., Revision der Hauptpunkto der Peychophysik,
1882; Foucault, La psychophysique, 1901; Tolouse, Technique de peyoh.
experimentale, 1904; A. Baratono, Elementi di peic. sperimentale, 1901; A.
Aliotta, La misura in psicologia sperimentale, 1905, p. 15-110. Psicofisiologia
o psicologia fisiologica v. peicofisica. Psicogenesi. T. Peychogencse,
Seolenentwicklung ; I. Peychogenesis; F. Peychogénèse. Origine e sviluppo della
psiche, sia nell’ individuo che nella specie; questa dicesi psicogenesi
filetica, quella psicogenesi individuale ο diontioa. Secondo la legge biogenetica,
stabilita dall’ Haeckel, i due processi psicogenetici, individuale e specifico,
si oorrispondono, in quanto lo sviluppo della psiche individuale non à che una
ricapitolazione abbreviata di quello della specie. La psicogenesi filetica
sarebbe passata attraverso quattro gradi principali: 1° citopeioke ο anima
cellulare; 2° oenopsiche, o anima delle associazioni cellulari; 8° istopsiohe,
o anima dei tessuti così vegetali come animali; 4° neuropeiche, ο anima nervea,
che appare negli animali superiori e nell’uomo.
Con l’espressione psioogonesi dell’ a priori si suol indicare la
dottrina dello Spencer e del Lewes, secondo la quale le forme del pensiero
sarebbero innate nell'individuo, acquisite nella specie: tale dottrina
presuppone 1) la legge generale dell’ intelligenza, la quale implica l’ac
925 Pst cumulazione e l’organizzazione
dell’ esperienza; 2) l’eredità Psichica, la quale implica l’ esistenza di
fenomeni psichici inconsci e la correlazione tra i fatti fisici ο i psichici,
Cfr. Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 207 segg.; Spencer,
Principles of peyohol., 1881, vol. I, p. 467 segg.; Lewes, Probl. of life and mind, 1879,
III serie, vol. II, cap. X; Ribot,
L’Aérédité, 1873, p. 72 segg., 122 segg.; F. Masci, Le forme dell intuizione,
1881, p. 121-24 (v. biogenta). Psicografia. T. Psychographie; I. Payohography;
F. Psychographie. Termine introdotto dall'Ampère per indicare quella parte
della psicologia che descrive i fenomeni della coscienza senza spiegarli. Oggi
si adopera anche per indicare l’arte di procedere alla descrizione psicologica
di un individuo; pricogramma dicesi il risultato della descrizione stessa. Dicesi pricografo uno stromento adoperato
nelle ricerche psico-fisiologiche. Ogni idea implica un movimento © tende a continuarsi
in un movimento, che si manifesta Spesso con una contrazione debolissima dei
muscoli periferici; lo psicografo è lo strumento che raccoglie codesti
movimenti esterni (delle mani, dei muscoli facciali, eco.) corrispondenti al
lavoro cogitativo interno, e li fissa con tracciati sopra la carta affumicata
distesa sopra un cilindro in movimento. Cfr. Ampère, Essai sur la philosophie des sciences,
P. LvI; Ostwald, Peychographische Studien, « Ann. der Naturphilosophie», 1907;
Baade e Stern, Uber Aufgale d. Payohographie, « Z. far Angew. Paych. », III,
1909 (v. grafografo). Psicologia. T. Peychologie; I. Psychology; F.
Psychologie. Si definisce
comunemente come la scienza dell’ anima. Questa definizione è però affatto
provvisoria e vale solo in quanto designa la scienza di ciò che sente, pensa e
vuole, in opposizione alla fisica, che è la scienza di tutto ciò che si muove
nello spazio e lo riempie. E come la fisics non è obbligata a comineiare collo
spiegare che cosa è la materia, così la psicologia, osserva 1’ Höffding, non è
obbligata a spiegare che cosa è l’anima. Ma oltre Pst 926 la
definizione comune, accettata del resto anche da psicologi contemporanei di
grande valore, altre ve ne sono che ne differiscono sensibilmente. Così nei
trattati vecchi, e in quelli che seguono l'indirizzo del « senso interno », la
psicologia è definita come la dottrina dei fatti interni dell’uomo; per
Baumgarten è la scienza dei predicati generali dell’ anima; per Kant è la
metafisica della natura pensante; per Galluppi la scienza dello facoltà dello
spirito ; per Beneke lo studio di tutto ciò che conosciamo mediante V interna
percezione e sensazione; per Lotze 1’ oggetto della psicologia è l'insieme
delle condizioni e delle forze per le quali sorgono i singoli processi della
vita spirituale, il loro reciproco collegarsi e modificarsi così da costituire
la totalità dell’esistenza psichica; per Haeckel la psicologia non è che una
parte della fisiologia, ossia la dottrina delle funzioni e delle attività
vitali degli organismi; per Lewes è l’analisi © la classificazione delle
fanzioni e delle facoltà senzienti, rivelate dall’ osservazione e
dall’induzione, completata dalla loro riduzione alle loro condizioni d’
esistenza, biologica o sociologica; per William James la psicologia è la
scienza della vita mentale tanto nei suoi fenomeni quanto nelle sue condizioni;
per il Jodl è la scienza delle leggi e delle forme naturali del corso normale
dei fenomeni della coscienza; per il Sully è la scienza che mira a darci la
descrizione dei fenomeni mentali nelle loro molteplici varietà, e l'esposizione
delle leggi per cui possiamo spiegare tali fenomeni; per il Wundt è la scienza
della esperienza diretta, mentre le scienze naturali riguardano 1’ esperienza
indiretta; per Külpe è la scienza dell'esperienza soggettiva, ossia
dell'esperienza in quanto dipende dagli individui che sperimentano; per Schuppe
è la scienza di quei contenuti della coscienza che appartengono alla
individualità; per il Meunier la psicologia ha per oggetto lo studio di tutta la
mentalità, sia dinamica sia statica, valo a dire tanto degli stati di coscienza
instabili con cui l'organismo rea 927
Psr gisce all’ ambiente che lo circonda, quanto degli stati mentali
estra-coscienti e più stabili, che stanno in rapporto coi Primi; per Sergi 1’
oggetto della psicologia è 1’ insieme dei fenomeni organici, che hanno per
carattere predominante la coscienza della funzione, i quali fenomeni si
producono nei centri di relazione, e nello stesso tempo degli antecedenti
immediati dei medesimi fenomeni coscienti. Il nome di psicologia sembra essere
stato usato per la prima volta dal Guelenius (1594) come titolo di un libro
sulla perfezione; ma soltanto con la scuola del Leibnitz il quale usava anche
il termine pneumatologia -esso comincia ad essere adoperato per desiguare la
parte della filosofia che riguarda |’ anima, Tuttavia, se la parola è
relativamente recente, la cosa ch’esaa designa, cioè lo studio dei fatti
psichici, risale molto addietro nella storia del pensiero filosofico, Cominciata
con Socrate la distizione tra il mondo interno e l'esterno, con Aristotele la
filosofia è già distinta in quattro grandi parti: logica, etica, fisica ο
metafisica; la psicologia non è nessuna di esse, ma fa parte di tutte, in
quanto è lo studio sia delle operazioni del pensiero, sia delle attività
spirituali pratiche che si estrinsecano nella condotta morale, sia dei rapporti
che corrono tra anima e corpo, sia infine dell’ essenza, dell’ origine e del
destino dell’ anima umana. Tale fu il posto e l’ufficio della psicologia fino a
che durò l'impero della filosofia aristotelica, vale a dire fino al
Rinascimento. Con Cartesio e la sua scuola essa si costituisce come una parte
distinta della filosofia; con Hobbes e Spinoza si afferma il principio della
concomitanza dei processi organioi e psichici, e la legge d’associazione è
chiamata a ridurre la complessità della vita spirituale ai suoi elementi
componenti; con Hartley, James Mill, Condillac, Herbart ο Beneke i problemi
psicologici assumono gradualmente una forma più definita e specifica, © si
viene accumulando il materiale sperimentale per la loro soluzione; infine coi
positivieti dell’ultima metà del secolo XIX diviene una scienza Pst 928
sperimentale a sò, come la filologia e la fisica, senza alcuna
dipendenza dalla filosofia, e senza speciali rapporti con Ia metafisica, la
logica e la morale. Questa dottrina però non è oggi condivisa da tutti: molti
considerano ancora la psicologis come una parte della filosofia e le chiedono i
dati necessari alla soluzione dei problemi logici, ontologici ο morali; altri,
pure negandole la dignità di scienza pura e riconoscendola come parte della
filosofia, credono tuttavia che essa sola possa risolvere quei problemi che
stanno alla base di tutte le scienze. Cristiano Wolff divise per primo la
psicologia in empirica e razionale, © questa rimase la divisione classica della
psicologia: l’empirica è quella che si limita a studiare i fenomeni psichici e
le loro leggi, la razionale quella che si occupa della essenza stessa delP anima
e attinge i suoi principi dall’ ontologia e dalla cosmologia. Ma codesta
partizione è combattuta oggi tanto dai positivisti, per i quali non esiste che
la prinia, quanto dai metafisici, i quali sostengono che nello spirito fenomeni
© sostanze sono indissolubilmente uniti. Gli psicologi moderni s’accordeno nel
distinguere una psicologia generale, che tratta dei fatti della coscienza nelle
loro forme più generali ed astratte, 9 una speciale, che si applica a
determinare le forme ο le leggi delle differenti combinazioni dei fatti
psichici. Questa psicologia speciale si distingue a sua volta in psico-fisica ©
psicologia-fisiologica ; pricologia sociale ο collettiva; psicologia patologioa
ο oriminale; psicologia pedagogica ; psicologia storica ed etnografica ;
peicologia ontogenetica © filogenetica ; peicologia soologica o comparata;
psicologia segmentale; psicodinamica; psicometria ; psicostatistioa;
onirologia; ipnologia ; psicologia dei sensi. Da alcuni si suole distinguere
una psicologia descrittiva; che dei fatti psichici si limita a descrivere la
natura e il processo, © una psicologia esplicativa, che dei fatti stessi
rintraccia le leggi di produzione e di sviluppo. Altri distinguono invece la
psicologia soggettiva ο introspettica, che
929 Pst studia i fatti psichici
direttamente in sò stessi, dalla oggettiva (che comprende la fisiologica,
zoologica, sociale, ecc.) che si basa essenzialmente sopra un ragionamento
analogico. Cfr. Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 1 segg.;
Baumgarten, Metaphysica, 1739, $ 501; Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach,
p. 638 segg.; Galluppi, Elementi di fil, , vol. I, p. 141; Beneke, Lehrbuch d.
Peyohol., 1861, $ 1, 12; Lotze, Grundeiige d. Peychol., 1894, p. 5 segg.;
Haeckel, Der Monismus, 1893, p. 22; Lewes, Problemes of life and mind,
1874-1879, serie III, vol. I, p. 6; W. James, Principles of peyoh., 1890; Sully, Outlines of
peychol., 1885 ; Jodl, Lehrbuch d. Peychol., 1896, P. 5; Wundt, Grandsüge d.
physiol. Peychol.,
1893, p. 1 segg.; Külpe, Grundriss d. Paychol., 1893, p. 3-4; Sergi, La
peychol. physiologique, trad. franc. 1888, p. 12; Cr. Wolf, Psychologia
empirica, 1738, § 1; Siebeck, Geschichte 4. Peyohol., 1880-84; Windelband,
Ueber den gegenwärtigen Stand der psychologischen Forschung, 1876 ; H. Mtinsterberg,
Ueber Aufgabe und Methoden der Peychol., 1891; Id., Grundsiige der Peychol.,
vol. I, Die Prinzipien, 1900; Hartmann, Die moderne Pryohologie, 1901;
Chaignet, Hist. de la peychol= chez les Grecs, 1887; R. Meunier, Les soiences
peychologiques, leurs méthodes et leurs applications, 1912; Ardigd, La
paicologia come scienza positiva, 1870; Id., L' unità della coscienza, 1898; G.
Villa, La psicologia contemporanea, 1911. Psicologia collettiva o sociale. T. Socialpsychologio,
Vilkerpsychologie; 1. Social peicology; F. Psychologie sociale, colleotire.
Quella parte della psicologia che ha per oggetto lo studio dei fenomeni
psichici collettivi, Il fatto psichico è essenzialmente individuale, quindi per
fatti psichici collettivi devono intendersi quelli che, pur avendo per tentro
la coscienza dell’ individuo, si collegano direttamente, in sò e nel loro
processo, con P’ ambiente sociale, fuori del quale riescono inconcepibili. Tali
fatti psichici possono essere sia normali che patologici; quindi la psi59 Rawzout, Dizion. di scienze filosofiche.
Psr 930
cologia collettiva αἱ divide in normale ο patologica. Per molti autori le due espressioni psic.
sociale © psie. collettiva si equivalgono, designando entrambe lo studio delle
manifestazioni peichiche di un gruppo, di una pluralità di individui viventi
insieme. Altri invece le considerano come duo scienze distinte. La psicologia
sociale o demopsicologia ο psicologia dei popoli ha per proprio oggetto lo
studio del meccanismo o della tecnica interiore dei processi 80ciopsichici;
sorse in Germania intorno al 1860 col Lazarus e lo Steinthal, che la
concepirono come disciplina intermedia tra la psicologia e la scienza morale,
avente per scopo di spiegare i fenomeni complessi che si producono nella
società, mediante le leggi semplici della psicologia individuale; dal Wundt è
intesa invece come uno dei metodi di cui la psicologia si vale per studiare nei
suoi vari aspetti i prodotti dello spirito, ο deve occuparsi esclusivamente dei
prodotti primordiali che αἱ sviluppano nelle condizioni più semplici della
convivenza sociale (mito, linguaggio, costume); per altri invece, come
l’Ellwood, essa deve esaminare e spiegare tutti i processi psichici di gruppo,
dai più semplici ai più elevati, come le istituzioni social le tradizioni,
l’opinione pubblica, ecc. La psicologia collottiva ο psicologia delle folle ha
invece per oggetto lo studio delle riunioni di individui avventizie,
accidentali ο inorganiche; ne trattò per primo Enrico Ferri, che la concepì
come scienza intermedia tra la psicologia individualo © la sociale; fu poi
sviluppata da Scipio Sighele, specie sotto l’aspetto criminale, dal Tarde, dal
Lo Bon, «co. Cfr. Lazarus-Steinthal, Einleitende (edanken ii. Völkorpsych., «
Zeitschrift f. Wölkerpsych. und. Sprachwissenschaft », vol. I; Wundt,
Pôlkerpeychologie, 1900, parte I, p. 1-31 dell’ Introd. ; Ellwood, Prolegomena
to social Psychology, « Tho american journal of sociology », marzo-rettembre
1899; Ferri, Soc. criminale, 1900, p. 374 segg.; Sighele, La folla delinquente,
1895; Id., La delinquenza settaria, 1897;
931 Psr Tarde, Études des
peychol. sociale, 1898; Le Bon, Peych. den Soules, 1896. Psicologia comparata. T.
Ferglcichende, Psychologie ; I. Comparative paychology ; F. Psychologie
comparée. Si comprendono sotto
questo nome la psicologia zoologica, putologica, pedagogica, ccc., perchè ogni
conoscenza sulla natura psicologica dell'animale, dell’ammalato, del bambino,
oce., è possibile soltanto per mezzo della comparazione, del ragionamento
analogico, I fenomeni psichici non possono essere constatati direttamente, per
mezzo dell’osservazione intoriore, che dal? nomo adulto e civilizzato, dal
psicologo ; ma stabilito il rapporto che corro tra codesti fenomeni con le
struttnre organiche cui corrispondono e con gli atti esteriori ondo si
manifestano, si può, dallo differenzo ox servate tra le strutture o gli atti
negli altri esseri (selvaggio, bambino, animale, ecc.) indurne ragionevolmente
le differenze psicologiche, Va notato però cho molti intendono por psicologia
comparata soltanto In psicologia z0ologica, altri soltanto la otnografica. Cfr, E. Claparède, La
prych. comparée est-elle légitime, « Arch. de paychol. >, giugno 1905; I. Locb,
Comparatire physiol. of brain and comparative prychology, 1902. Psicologia etnografica. Ί. Raseenprychologie; I. Race paychology: F. Psychologie
éthnographique, Paychologie des races. Per alcuni 9’ identifica con la demopsicologia ο con la psicologia
collettiva; per altri se no distingne, in quanto indien quella parte della
psicologia che ha per oggetto lo studio dei caratteri psichici dei diversi
popoli ¢ che, in quanto tale, sorve da fondamento della psicologia collettiva ο
della sociologia, 11 fatto paichico, per sè stesso, è eguale in tutti gli
uomini, in quanto tali: sensazioni, rappresentazioni, vol zioni, associazioni,
senti ece., si prodncono ο si avolgono con leggi generali identiche. Tuttavia
In vita paichic nella sua complessità ¢ nel ano dinamismo, #' intona vari Itre
parole, ogni popolo, ogni Psr 932 razza, ogni nazione, per la diversità delle
origini sue, della sua costituzione fisica, dell'ambiente geografico in cui
vive, delle vicende attraverso le quali è passato, ha un carattere © una
personalità propria, fissate nella psiche d’ogni individuo, che distinguono
tale popolo, meglio dei caratteri fisici, da tutti gli altri popoli, e che si
rivelano in ogni esplicazione della sua attività. Lo studio di tali caratteri è
l'oggetto della psicologia etnografica. Cfr. Worms, Paychol. collective et individuelle, «
Revue int. de sociol. », aprile 1899; Ch. Letourneau, La psychologie éthnique,
1901 (v. antroposociologia). Psicologia patologica o psicopatologia. T.
Pathologische Psychologie, Pathopsychologie; I. Pathological paychology; F.
Psychologie pathologique. Quel
ramo della paicologia che studia le affezioni morbose e le malattie mentali. Si
distingue in individuale e sociale, perchd le anomalie psichiche possono
verificarsi così nell'organismo individuale, come nell'organismo sociale
(psicosi epidemiche, folle delinquenti, ecc.). Una parte importante della
psicopatologia è la peicologia criminale. La psicopatologia non si confonde con
la psichiatria, la quale comprende, oltre lo studio delle malattie mentali,
anche le norme per la loro prevenzione, cura e guarigione. Si distingue anche
dalla patologia mentale in quanto questa ha per oggetto di costruire dei tipi
clinici, di seguire l’eziologia e il decorso, di prepararne la terapoutica,
mentre lo scopo essenzialo dolla psicologia patologica è di determinare tra i
fenomeni delle leggi elementari, che valgano così per gli stati normali come
per quelli morbosi. Lo Specht e il Miinsterberg distinguono anche la
psicopatologia dalla patopri cologia: questa ha per oggetto lo studio dei fatti
psichici presentanti un carattere morboso, quella è propriamente un ramo della
patologia speciale, ed ha per soggetto lo studio delle malattio dello apirito. Cfr. Miinsterborg,
Zeitschrift fur Pathopaychologie, 1° vol. 1911; A. Marie, Traité 933
Pst international de paychologie pathologique, 1912; G. Storring, Mental
pathology in ite relation to normal peyohology, 1907. Psicologia pedagogica. T.
Pädagogische Peyohologie ; I. Pedagogical peychology; F. Peyohologie
pedagogique. Quel ramo della
psicologia che studia il modo come si vengono formando e svolgendo le diverse
attività psichiche nel bambino, allo scopo sia di conoscere la natura primitiva
della psiche umana e rieostruirne la lenta evoluzione, sia di trarre da tali
conoscenze le norme per contribuire più efficacemente allo sviluppo psichico,
intellettuale e morale del bambino. Cfr. Perez, Les trois premières années de L’enSant, 1878;
Baldwin, Le développement mental chez Ponfant et dans la race, trad. franc. 1897; Preyer, Die Seele des Kindes, 3° ed. (v.
pedagogia, pedologia). Psicologia segmentale. Quella nuovissima parte della
Psicologia, che fondandosi sopra l'anatomia e la fisiologia segmentalo, studia
i fenomeni abnormi, subnormali ο supernormali, della coscienza umana, L'uomo,
che à al vertice della scala animale, presenta la costituzione più profondamento
unitaria di tutti i viventi, rivelata dai fonomeni del suo io e basata
specialmente sulla centralizzazione dol sistema nervoso; tuttavia anche
nell’uomo la fusione dei sogmenti (metameri), da cui originariamente deriva
l’encefalo, è lungi dall’essero porfetta dal punto di vista fisiologico, como è
dimostrato dalla moderna dottrina dello localizzazioni corebrali, mentre,
d’altro canto, i fenomeni osservabili in soggetti isterici di disgregazione o
frazionamento della personalità, lo sdoppiamento della coscienza, la scrittura
automatica, l'ipnosi sperimentale, le pratiche dell’ occultismo, la
collaborazione continua che, nell’ tome normale, esiste tra cosciente ©
subcosciento, tra io sopraliminale © io subliminale, rivelerebbero l’
incompleta fusione © coordinazione dei presunti segmenti, che concorrono a
formare la personalità unitaria. Cfr. Max Dessoir, Das Doppelt-Ich, 1896;
Myers, The human personality, 1902; BoPst
984 ris Sidis, Studies in mental
dissociation, 1902; Morton Prince, The dissociation of a personality, 1906; A.
Binet, Les altérations de la personnalité, 1892. Psicologia sociologica. Alcuni
designano in questo modo, per opposizione a fisiologica, quella parto della
psicologia obiettiva che considera In vita psichica in quanto si rivela col
movimento ϱ con l’azione, colla parola e con l’imagine. Essa ha per materia la
vita degli animali, dei fanciulli, dei solvaggi, la storia generale dell’
umanità, i poemi, le biografie. È quindi affine a quella che altri chiamano
pricologia comparata. Psicologia zoologica. T. Tierpsychologie; I. Animal prychology; F.
Paychologie zoologique. Quella
parte della psicologia cho studia i fenomeni psichici come si vengono
manifestando negli animali bruti. Essa si fonda sopra il concetto che la
coscienza non è un privilegio escInsivamento umano, ma esisto anche negli
animali, sia superiori che inferiori, nei quali si vorifica lo stesso fatto
clementare che, negli esseri superiori, si complica per nuovi processi. Essa
presuppone anche che il modo di manifestazione esteriore del fenomeno psichico
sin analogo nell’animale ο nell’nomo. Cfr. Wundt, Porlerungen über die
Monschen-und Tiersecle, 2% ed. 1892; Lloyd Morgan, Animal life and
intelligence, 1890-91; Romanes, Mental erolution in animale, 1883; F. Franzolini,
I’ intelligenza delle bestie, 1899 (v. coscienza, automatismo). Psicologismo.
T. Paychologiemus; I. Paychologiem; F. Peychologisme. Vocabolo non privo di
senso dispregiativo, col qualo*sì snol designare non tanto una dottrina determi
nata, quanto il metodo o la tendenza generale cho consiste nell’ assumere il
punto di vista psicologico come unico o fondamentale, nel ridurre tutti i
problemi filosofici a problemi psicologici e quindi nell’ assorbire la
filosofia nella psicologia. Così il Gioberti denominava psicologismo la
filosofia del Rosmini, in quanto ammetteva nella psi 935 Pst che umans la facoltà di produrre I’ ente
indeterminato presente allo spirito. Il De Sarlo lo definisce: « un
orientamento o atteggiamento dello spirito, per cui questo, rivolto su sò
stesso, crede di trovare nell'esperienza interna non soltanto le indicazioni
per pronunziarei su ciò che è reale, su ciò che è obbiettivo e su ciò che ha
valore, ma unche il fondamento, la giustificazione, la garanzia di qualsiasi
affermazione e credenza. Lo peicologinmo esprime la tendenza a cercare nella
coscienza e nei suoi fenomeni i princip! esplicativi e le norme direttive per
una comprensione piena, perfetta della realtà ». Così inteso, lo paicologismo
ha le sue origini prime da Socrate, che richiamò la mente umana a volgere lo
sguardo en sò stessa; ma non diventa un metodo che con la Rinascenza, nella
quale, per il rinnovarsi della cultura ο per il richiamo all'autorità della
coscienza individuale contenuto nella protesta di Lutero, si afferma saldamente
la tendenza a porre nell’ individuo la misura dei valori © nella coscienza
umana 1’ espressione più completa ο genuina della realtà, Nel oogito ergo sum
di Cartesio lo pricologismo ha gettato lo sue salde basi; con Locke ο Berkeley
tende a ridurre le forme più elevato dell'attività dello spirito a quelle più
semplici ο ai dati sensoriali i prodotti più complessi, mirando a dimostrare
l’unità di composizione dei fatti psichici © la perfetta identità tra fl fatto
psichico ο il suo oggetto (esse --percipi); con Hume diventa scettico, negando
tutto ciò che non sia contenuto puntuale della cosoienza in un dato istante;
con la scuola scorzese cessa di essere fenomenistico e diventa intuizionistico
; con Kant, di fronte al sogKotto è aimmessa una cosa in sò, di fronto alla
forma si trova la materia, ma da un canto la cosa in sò è dichiarata
impenetrabile © dall’ altro la materia, riducendori a sensazioni, è pur sempre
qualche cosa di soggettivo, cosicchè anche per Kant la realtà e l’esperienza si
risolvono in fatti di coscienza. Si
possono distinguere due forme Psr
936 di psicologismo : uno, che
possiam dire relativo 0 temperato, si appoggia sulla constatazione innegabile
della posizione centrale che la coscienza umana occupa nel mondo, per affermare
l’importanza della psicologia nella soluzione dei problemi riflettenti lo
spirito e dei suoi principali prodotti; questa forma di psicologismo è parte
integrante di tutta la cultura del nostro tempo © figura come la premessa
necessaria di qualsiasi indagine sull'attività umana e gli oggetti a oni può
esser rivolta. L’ altro, che possiam dire assoluto o metafisico, 6 che si suol
anche denominare peichiemo, 0 pampsiohismo, o idealismo realistico, ecc.,
considera la psiche come la stessa realtà, come l’ unica realtà; l’universo si
risolve per esso in contenuti delle coscienze indivi-. duali els metafisica
nella psicologia del pensiero. Lo psicologismo assoluto ha poi aspetti diversi
a seconda del campo a cui s’ applica: psicologismo gnoseologico e logico, che
riduce tutta la conoscenza alle forme date dall’ esperienza paicologica, ogni
attività del pensiero alle leggi della vita psichica; morale, che fa oggetto
della sua ricerca il dato psicologico della coscienza morale, studiandolo come
un fatto tra gli altri fatti della natura, di oui si debbano studiare le cause
e lo leggi di sviluppo con gli stessi procedimenti delle scienze ompiriche;
religioso, che spiega la religiosità come un derivato di condizioni
psicologiche particolari (senso di debolezza, bisogno di protezione) o come un’
applicazione di leggi psicologiche generali (rapporto tra desiderio, speranza,
0 aspettazione © credenza nell’ oggetto corrispondente); estetico, che spiega
la natura propria della coscienza estetica con cause psicologiche come I’ abitudine,
l’ associazione, lo influenze ataviche, ece., ο fonda il valore estotico su
necessità d'ordine biologico, ο riduco l’arte al bisogno di esplicare 1’
eccesso di energia, Cfr. Mikaltechow, Beitr. sur Kritik des modernen
Pychologiemus, 1908; Gioberti, Protologia, 1857, vol. I, p. 91 segg.; F. De
Sarlo, To psicologismo nelle sue principali forme, « Cult. filosofica », 937
Pst marzo 1911; A. Levi, Lo paicologismo logico, « Ibi gennaio 1909.
Psicometria. T. Peychometrie; I. Peychometry; F. Peyohométrie. Nome dato dal
Wolff alla misurazione matemstica dei processi psichici, Oggi è usato per
indicare sia la psicologia sperimentale, sia i fenomeni detti parapsichici
(previsione, telepatia, eco.) sia quella parte o metodo della psicologia che
misura i fenomeni psichici nella loro intensità, frequenza, durata, eco. Quest’
ultimo significato è il solo veramente legittimo. Secondo una classificazione
dell’Aliotta la psicometria si divide in: psicofisica, peicocronometria,
psicodinamica © psicostatistica. La psicofisica ha per oggetto la misura delle
sensazioni, dell’esattezza dei giudizi sensoriali e della chiarezza delle
sensazioni ; la seconda la misura del tempo di reazione semplice e delle
reazioni complesse (tempo di ricognizione, di distinzione, di scelta, di
associazione, di giudizio); la terza la misura dinamogenica della memoria e
della forza di associazione, dell’attenzione, dell’arresto psichico, del lavoro
e della stanchezza mentale; la quarta le leggi di frequenza dei fenomeni della
vita psichica, sia normali che patologici, sia indivi duali che sociali. Cfr.
A. Aliotta, La misura in psicolo, sperimentale, 1905; Bucoola, La legge del
tempo nei fenomeni del pensiero, 1883; Münsterberg, οὐ. Aufgabe und Methoden à.
Psychologie, 1891; Binet, Introduction à la peychol. expérimentale, 1894;
Duchatel, Enquéte sur des cas de peychométrie, 1910; Clapardde, Classification
et plan des méthodes psychologiques, « Arch. de psych. », giugno 1908. Psicomonismo. Nome dato dall’ Hucckel a quella
forma estrema di idealiamo che si suol chiamare solipsismo ο semelipsismo. Cfr.
Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 315 segg.; B. Rutkiewiks,
Il psicomoniemo, trad. it. 1912. Paiconomia. T. Psyohonomik; I. Psychonomics ;
F. Paychonomique. Vocabolo poco usato; indica la dottrina delle Psi 938
leggi che governano l’anima, o anche quella parto della scienza, che
studia le relasioni della psiche individuale col suo ambiente specialmente sociale.
Talvolta infine è adoperata per denominare quel ramo della sociologia che
tratta dei fattori © delle leggi psicologiche contenute nell’organizzazione e
nell'evoluzione sociale (v. antroposcoiologia, peicologia collettira). Psicosi.
T. Peyohose; I. Peyohosia; F. Peychose. Si nea, in senso generale, per
designare qualsiasi malattia mentale, oppure in senso ristretto per opposizione
a nevrosi, per indicare quelle anomalie della psiche di cui si ignorano le
corrispondenti lesioni organiche. Alcuni però riservano il nome di psicosi alle
così dette forme degenerative, che sarobbero specialmente le ereditarie e le
costituzionali, comprese quelle create dalle neurosi gravi; e chiamano perciò
peicopatic tutte le malattie e anomalie mentali in genere. Ad ogni modo l’uso
di questo vocabolo è assai largo nella psicopatologia, ο si trova quasi sempre
unito ad altri che lo determinano : così dicesi psicosi affottiva la
malinconia; psicosi morale i pervortimenti del senso morale; psicosi tossiche
tutte le alienazioni mentali prodotte da intossicazione; psicosi epidemiche i
disturbi mentali collettivi. Cfr. G. Ballet, Le psicosi, trad. it. 1897; G.
Sergi, Psicosi epidemica, « Riv. di fil. sciontifica », marzo 1889.
Psicostatistica. T. Peyohostatietik; I. Peyohontatistics ; F.
Payoo-statistique. Quella parte della psicologia sperimentale, 0, come vuole
l’Aliotta, della psioometria, che misura le proporzioni degli individui che
presentano nn fenomeno psicologico dato. Molti metodi della psicofisica e della
paicodinamica si fondano indirettamonte sulle determinazioni statisticho dei
casi veri ο falsi, dello sillabe appreso, degli errori commessi, delle cifre
calcolate, ecc. Un’ altra applicazione indiretta della statistica alla
psicologia, ha luogo quando dalle leggi di froquenza di alcuni fenomeni ctici ο
sociali (suicidi, omicidi, ecc.) si cerca di risalire alle interne 939
Psr cause psicologiche. Applicazioni più dirette dello stesso metodo
fece il Fechner, studiando la frequenza della udizione colorata, il Kriipelin sul
sonno ο sui sogni, il Galton sulle associazioni e sull’eredità psicologica del
genio. Cfr. Galton, Brain, luglio 1879, p. 149; Ribot, Z’heredite, 1873, p.
268; Aliotta, La misura in psicologia sperimentale, 1905, p. 233-237.
Psicoterapia. T. Psychotherapie; I. Psychotherapeutics; F. Psychothérapie. La
cura nelle malattie mentali fatta agendo direttamente sulla psiche dell’
individuo per mezzo della suggestione ipnotica o allo stato di veglia. Essa è
stata praticata presso i diversi popoli fino dalle epoche più remote; secondo
il Löwenfeld essa è anzi « la forma prima © più originaria in cui fa praticata
l’arte medica ». Ma la psicoterapia scientifica non comincia propriamente che
verso il 1884 con la « seuola di Nanoy » per opera del Liégeois e del Bernheim;
da allora ha avuto uno sviluppo sempro più rigoglioso, e all’unico metodo originario,
I’ ipnosi, si aggiunsero la suggestione allo stato di veglia, la ginnastica
della volontà, la psicoanalisi del Freud, la psicosintesi del Bezzola, la
psicocatarsi del Frank, la persuasione del Dubois, la terapia associativa del
Moll, ecc.; ο infine una curiosa riapparizione in veste scientifica della
psicoterapia religiosa per opera dell’ Emmanuel movement, per non parlaro della
mind-cure ο di altri motodi estrascientifici in gran voga in questi ultimi anni
in America. Cfr. Bornheim, De la sugyestion, 1891; Liwenteld, Lehrbuch der
gesammten Psychotherapie, 1897; P. Dubois, Les psychonéeroses et leur
traitement moral, 1909; A. Thomas, l’eyohothérapie, 1912; Portigliotti,
Psicoterapia, 1903; Assagioli, Paicologia ο psicoterapia, « Psiche », maggio
1913. Psittacismo. T. Prittaciemus; 1. Psittaciam; F. Peitta«πο, Dal greco
4irtaxi; = pappagallo. Nel linguaggio comune designa semplicemente l’abitudino
di ciarlare a sproposito ο ripetere le stesse parole dotte da altri. Nella Pux 940
filosofia questo vocabolo fa usato la prima volta dal Leibnitz per
designare quella forma esagerata di nominalismo, che considera ogni idea
generale ed astratta come una semplice parola, come un puro flatus voois. Se
così fosse in realtà, il linguaggio dell’uomo non differirebbe da quello del
pappagallo, il quale ripete meccanicamente una serie di suoni insegnatigli, cho
per Ini sono privi di ogni significato. Ora, se è vero che il rapporto tra la
parola e l’idea è puramente convenzionale, è anche vero che tra una ο l’altra
esiste una certa proporzionalità; la parola è infatti la virtualità dell’ idea,
ed è per meszo della parola che le idee complesse sono fissate, illuminate ο
richiamate. Ofr. Leibnitz, Nour. Essais, II, xxı, 31; M. Dugas, Le peittaoieme
et la pensée simbolique, 1896, Pref.; G. Marchesini, Il simboliemo nella
conoscenza 6 nella morale, , p. 71 segg. (v. Unguaggio, realiemo, universali).
Panto. T. Punotum, Punkt; I. Point; F. Point. Dicesi punto fisico il minimo di
spazio percepibile; punto materiale il corpo le cui dimensioni sono supposte
infinitamente piccole, restando tuttavia dotato delle proprietà generali della
materia, quali il peso e l’impenctrabilità ; punto matematico l’indivisibile
avente una posizione nello spazio, oppuro P intersezione di due linee. Punti metafisici chiamò Leibnitz le monadi: «
Essi hanno qualche cosa di vitale 6 una specie di percezione, e i punti
matematici sono i loro punti di vista per esprimere l'universo; ma quando lo
sostanze materiali sono rinserrate, tutti i loro organi insiome non formano che
un punto fisico a nostro riguardo ».
Diconsi punti di ritrovo quei ricordi che, essendo per la loro natura
automaticamente localizzati nel tempo, servono poi à localizzaro gli altri
ricordi. Essi non sono scelti arbitra riamente ma s’impongono a noi, in quanto
per la loro intensità lottano meglio contro l'oblio, ο per la loro complessità
possono suscitare un maggior numero di rapporti entare quindi la propria
capacità di riviviscenza. 941 Pur Dicesi punto di vicinanza 0 punctum prozimum
il punto che segna il limite di accomodamento dell'occhio per la vicinanza;
negli occhi normali esso trovasi alla distanza di 100 a 120 mm. dall’ occhio.
Dicesi punto di lontananza ο punctum remotum la distanza da cui debbono venire
i raggi luminosi per far foco sulla retina senza nessun sforzo d’accomodazione;
negli occhi normali questo punto trovasi al infinito, nei miopi invece a pochi
metri dall’ occhio, negli ipermetropici al di là dell’ infinito e ciod non
osiste perchè soltanto i raggi convergenti possono far foco sulla retina senza
sforzo d’accomodazione. Punto cieco
dicesi Pareola circolare della retina, priva dello strato dei coni © dei
bastoncini, © affatto insensibile, formata dal nervo ottico dove esso sbocca
nell’ occhio. Diconsi punti di pressione
quelle piccole aree della cute, che sono la sede Periferica della sensibilità
tattile ; punti termici quelli della sensibilità pel caldo e pel freddo; punti
dolorifici quelli della sensibilità periferica dolorifica. Puro. T. Rein,
bloss; I. Pure; F. Pur. Nella filosofin con questo termine, da Kant în poi,
s'intende ciò cho è a priori, indipendente dall'esperienza, spoglio d’ogni
elemento dovuto alla esperienza. « Si chiama pura ogni nosconza cho non è
mescolata con nulla di eterogeneo. Ma si dice specialmente d’una conoscenza che
è assolutamente pura, quando, in modo generale, non vi si moscola alouna
esperienza o sensazione e che, per conseguenza, è possibile interamente a
priori ». Perciò per Kant l'intelletto puro è . Cfr. Leibnitz, Monadologia, $
60, 62; Cr. Wolff, Vernunftige Gedanken ron Gott, 1733, I, $ 774; Mendelssohn,
Morgenstunden, 1786, vol. I, 6; K. Ο, E. Schmid, Empirische Peychologie, 1791,
p. 172-179; Wundt, Grundsüge d. physiol. Psych., 3% ed., II, p. 1, 100, ecc.;
Sully, Outlines of peycho 968 Raz logy,
1885, p. 224, e 219 nota 2; Höffding, Psychologie, trad. franc. , pp. 156-242;
O. Hamelin, Essai sur les élémente Princ. de la représentation, 1907; P.
Köhler, Der Begriff der Repr. bei Leibnitz, 1913 (v. percezione, presentazione,
riproduzione delle sensazioni). Razionale. T. Fernünftig, Rational ; I.
Rational; F. Rationnel. Ciò che fa parte della ragione. Si oppone ad
irrazionale, © talvolta anche ad affettivo, volontario, sensibile,
sperimentale, eco. Razionale si dice anche di ciò che è conforme alla ragione,
intesa come facoltà di ben gindicare, © di conoscere in modo diretto il reale e
l'assoluto, o anche come sistema di principi a priori la cui verità non dipende
dall’ esperienza. Numero razionale è quello che può esser messo sotto la forma
di un rapporto tra due numeri interi. Mecoanica rasionale è l'insieme di tutte
le questioni della meccanica, che sono trattate con metodo puramente deduttivo
partendo dalle nozioni di massa, forza, relazione, inerzia. Nel linguaggio scolastico dicesi rationale
materialiter ciò che ha in sè il principio di raziocinare, come luomo;
rationale formaliter il principio del raziocinare e la differenza costitutiva
dell’uomo, come la razionalità. Razionalismo. T. Rationalismus; I. Rationaliem;
F. Rationalisme. Ha significati molto vari. Alcune volte è usato in senso
dispregiativo, per designare V abuso che in certi sistemi filosofici si fa del
ragionamento puro, 1’ eccessiva fiducia concessa alla ragione, a scapito sia
dell'esperienza sia del sentimento e dell’ intuizione. I teologi applicano
questo nome a tutti quei sistemi nei quali è esoluso l’intervento della
rivelazione e della tradizione, e viene assunta la ragione come unico principio
di conoscenza. Nel suo significato più generale designa l’ impiego della
ragione nello studio dei problemi filosofici o religiosi; in questo senso non
si può dire che il razionalismo sia una dottrina ο un sistema, ma soltanto un
metodo, o meglio ancora, una tendenza, un indirizzo gonerale. Il razionalismo
religioso si Raz 964 contrappone al eupernaturaliemo 0
irrasionalismo, che ritiene la ragione incapace di penetrare nelle cose divine,
che po; giano essenzialmente sulla fede, unico fondamento di ogni religione:
tra lano e l’altro sta il semirasionalismo, per il quale le fonti della verità
sono due, la ragione e la fede, ma le verità di fede non sono contrarie alle
verità di ragione, bensì al di sopra di esse. L’ idealismo greco ο l’idealismo
assoluto della filosofia moderna sono razionalistiei; il cattolicismo, dopo la
sistemazione scolastico-aristotelica di S. Tommaso, è semirazionalistico; sono
irrazionalistioi tutti quei sistemi che, dentro e fuori dol cristianesimo,
credono di poter giungere alla possessione immediata del divino con altri mezzi
che non sieno la ragione, il pensiero, Y intelligenza (tradizionalismo,
autoritarismo, fideismo, ontologismo, immanentismo, sentimentalismo, ecc.). In
senso metafisico 0 ontologico, per razionalismo, ο idealismo rasionalistico, o
razionalismo panlogistico 8’ intende quella forma di spiritualismo assoluto,
che fa risultare il mondo esteriore dallo sviluppo sia di esseri pensanti, di
ragioni individuali, sia di una ragione cosciente universale, sia infine d’un
sistema di idee indipendenti dalle coscienze, incosciente almeno per le
coscienze umane, 9 che si pone come un oggetto per rapporto ad esse (Fichte,
Schelling, Hegel). Infine razionalismo si adopera per opposizione a sensiemo:
questo sostiene che le nostre percezioni, e persino le nostre idee universali ο
necessario e i principi costitutivi di ogni scienza non sono che lo sviluppo
dello nostre sensazioni ; il razionalismo invece considera i principî
fondamentali della ragione come innati e crede quindi la ragione irreducibilo
all'esperienza. Perciò opposti sono i metodi del razionalismo e del sensismo;
quello aprioristico, in quanto fa derivare da idee a priori le leggi supreme
dell’ essere e le spiegazioni ultime d’ogni scienza, questo sperimentale o
empirico in quanto si fonda sopra l'osservazione e l’esperienza, organizzandone
i materiali mediante l’induzione e la goncra 965 Raz lizzazione. Il razionalismo, come metodo
filosofico, assume nomi differenti a seconda del suo contenuto e della sua
Posizione di fronte agli altri indirizzi : così dicesi razionalismo matematico
quello dei pitagorici, per i quali le cose sono comprese solo quando è
conosciuta la determinaziono matematica che ne è il fondamento; razionalismo
teorico quello di Democrito, per il quale la conoscenza della vera realtà è
essenzialmente una rappresentazione dell’ essere costante, ma tale per cui la
realtà dedotta, conosciuta nella percezione, deve essere resa comprensibile;
razionalismo etico invece quello di Platone, per il quale la conoscenza della
vera realtà ha il suo scopo morale in sò stessa, e tale conoscenza deve essere
la virtù, che non ha col mondo dato dalla percezione se non un rapporto di
recisa limitazione; razionalismo pratico quello del Bayle, per il quale la
ragione umana, incapace di conoscere l'essenza delle cose, è provvista però
della coscienza del proprio dovere, ossia della conoscenza dei principi morali,
che sono verità eterne e immutabili. Cfr. Stäudlin, Geschiohte d. Ration. u.
Supranatur., 1816; Wundt, Einleitung in die Philosophie, 1901, Pp. 323 segg.;
F. Maugé, Le ration. comme hypothèse méthodo. logique, 1909; F. Enriques,
Scienza e razionalismo, 1912. ‘Razza. T. Rasse; I. Race; F. Race. Questo
vocabolo ha accezioni diverse, implicando la risoluzione che può farsi in modi
diversi -di altre complesse questioni della filosofia zoologica. Secondo alcuni
per razza deve intendersi un gruppo di individui nei quali si perpetua, per
eredità e indipendentemente dall’ azione attuale dell’ ambiente, un insieme di
caratteri biologici, psicologici e sociali che li distingue dagli individui
appartenenti ad altri gruppi ai loghi. « La razza, dice il Quatrefages, è l’
insieme degli individui somiglianti che appartengono ad una medesima specie ed
hanno ricevuto e trasmesso per via di generazione i caratteri d’una varietà
primitiva ». Ma la permanenza dei caratteri attribuiti all’eredità biologica, è
invece REA 966 riferita da altri alla educazione, alla
imitazione, all’ ambiente, ecc.; mentre altri ancora considerano lo varietà
come combinazioni di razze più elementari, caratterizzato da una eredità
semplice ο invariabile. La definizione più larga e nella quale tutte le scuole
possono accordarsi, è forse quella del Prichard: « sotto il nome di razza si
comprendono tutte le collezioni di individui presentanti un numero maggiore o
minore di caratteri comuni, trasmissibili per eredità, prescindendo affatto
dall’origine dei caratteri medesimi ». Cfr. Agassiz, De l'espèoe et de la classification
en zoologie, 1862; G. Pouchet, De la pluralité des races humaines, 1864; A. De
Quatrefages, La epecie umana, trad. it. 1871; P. Topinard, Anthropologie, 1884,
p. 199 segg. (v. monogenismo,
poligeninno, trasformismo, specie, varietà). Beale (rea = cosa). T. Wirklich,
real; I. Real; F. Reel. Si oppone a ideale © designa tutto ciò che è, e che per
sussistere non ha bisogno di essere pensato. Questo per ciò che riguarda il reale
oggettiro ; dal punto di vista logico e soggettivo, il reale si può definire
come il contenuto dell’esperienza. Reale si oppone anche a illusorio,
apparente, fenomenioo, e indica cid che concretamente è, ciò che agisce
effettivamente, Si opppone infine, nella conoscenza, et formale, e indien ciò
che della conoscenza stessa costituisce la materia, il contenuto. Diconsi definizioni reali, per opposizione
alle nominali ο terbali, quelle che si fanno per il genere prossimo e la
differenza specifica, ο si propongono per fine di individuare completamente il
concetto della cosa definita mediante l'indicazione del comune sostrato, che lo
collega con gli oggetti simili, e della differenza che da essi lo sopara (v.
idea, ideale, realismo, realtà). Realismo. T. Realismus; I. Realiem; F.
Realieme. Ha due diversi significati, socondochè si oppone a nominalismo 0 n
idealismo. Se si oppone a nominalismo designa quella dottrina scolastica
secondo la quale gli univereali ο ideo generali esistono realmente. Il realismo
è la prima soluzione 967 Rea data dalla scolastica al problema degli
universali, nato da un luogo dell’ Isagoge di Porfirio, nel quale erano
proposte ο non risolute queste tre questioni: gli universali hanno un’
esistenza propria o esistono soltanto nel pensiero? se hanno esistenza propria
sono corporali ο incorporali ? 66 sono incorporali sono accompagnati o
scompagnati da circostanze sensibili? Il realismo risponde che gli universali
hanno una esistenza propria; ma fra i realisti alcuni dicono, conforme alla
dottrina platonica, che gli universali preesistono alle cose individuali (ante
rem) come prototipi eterni di cui tali cose non sono che-imitazioni temporanee,
altri invece sostengono, conforme alla dottrina aristotelica, che esistono
nelle cose individuali (in re) come loro attività medesima. Quando il realismo si oppone all’ idealismo
designa tutte quelle dottrine, che ammettono la realtà obbiettiva del mondo
esteriore. Si possono distinguere in esso tre periodi ο fasi: 1° il realismo
primitico, proprio della filosofia antica, che considera lo spirito come uno
specchio sul quale si rifletta fedelmente l’imagine degli oggetti esteriori;
secondo esso vi è adunque lo spirito da una parte e la natura, il mondo esterno
dall’ altra; il problema da risolvere è quindi se entrambi siano costituiti in
tal modo, che il secondo possa essere oggetto di conoscenza per il primo; 2° il
realismo peroerionistico o naturale, proprio della scuola soozzese e
dell’eclettismo francese, secondo il quale noi abbiamo la percezione immediata
del mondo esteriore come tale; le cose esistono fuori di noi perch’ la
percezione ci mostra delle cose che esistono fuori di noi; in altre parole, il
realismo naturale pone il sentimento di obbiettività implicito nella percezione
come un fatto irreducibile, ο a tale credenza attribuisce un valore
rappresentativo; 3° il realismo moderno, nel quale il problema è posto
diversamente, în seguito sovra tutto alla critica dello Stuart Mill sulla
nozione di obbiettivita fornitaci dalla coscienza. Codesta nozione si riduce
alla obbiettivazione Rea 968 dell’ idea d’ una possibilità permanente di
sensazioni, obbiettivazione determinata anzitutto dal presentarcisi di codesti
gruppi di sensazioni possibili come permanenti, al contrario delle sensazioni
isolate che hanno un carattere fagace; secondarismente dall'azione che codesti
gruppi sembrano esercitare gli uni sugli altri secondo leggi costanti, che
appaiono indipendenti dalla nostra volontà. Sostituita così all’ idea di
sostanza quella di legge, il problema di cui il realismo ο l’idealismo
propongono due soluzioni opposte è il seguente: come spiegare la costanza 9 la
realtà di certi gruppi di sensazioni da una parte, e delle relazioni tra questi
gruppi dall'altra. ‘Tra le forme principali del realismo ricorderemo: il
realismo idealistico, che riconosce una realtà indipendente dalla conoscenza
che ne abbiamo, ma considera tale realtà di natura ideale, spiritnale; esso è
dunque una forma di moniemo epiritualistioo, ed ha il suo primo rappresentante
in Platone, che consi. dera le Idee come realtà eterne, universali, immutabili,
di cui le cose individuali non sono che il riflesso ο l’imagine. Il realismo
trascendentale, detto così perchè in esso la causalità, che ricollega la
rappresentazione alla cosa in sè, diviene una causalità trascendentale in
quanto permette appunto d’ inferire dalle rappresentazioni un oggetto che non è
oggetto di rappresentazione, l’ inconscio (Hartmann). 1 realismo individualistico
ο pluralistico, che afferma che l'essere è costituito da una molteplicità di
enti semplici ο primitivi, il cui numero è proporzionale al numero delle nostre
sensazioni, poichè ogni sensazione indica un essere particolare (Herbart). Il
realismo empirico, che pone la sostanza come distinta dai fenomeni e da noi
immediatamente conosciuta per uns intuizione positiva (Ravaisson). Il realismo
dialettico, che consiste nel realizzare le idee generali e dedurre le une dalle
altre, in modo che la catena logica continua delle idee è anche una catena
ontologica continua della realtà, 11 realismo ontologico ο metafisico, che 969
Rra s’oppone al realismo gnoseologico, in quanto questo afferma
semplicemente l’esistenza d’una realtà esterna, sussistente come oggetto del
nostro pensiero, quello spiega la natura di codesta realtà affermata come
sussistente, e può essere tanto spirifualistico quanto materialiatico e
naturalistico. 11 realismo razionale, che ammette una ragione assoluta la quale
si manifesta così nell'esistenza delle cose come nella coscienza dell’uomo, e
per la quale all’ assoluto, che si manifesta nel nostro pensiero, corrisponde
perfettamente l'ordine esterno del vero essere (Bardili). Il realismo ragionato
(reasoned realism), che afferma la realtà di ciò che è dato dal senso, e
giustifica questa affermazione con l’indagine filosofica o razionale dei
fondamenti della conoscenza (Lewes). Il realismo trasfigurato, che afferma |’
stenza dell’ oggetto separata e indipendente da quella del soggetto, nonchè la
corrispondenza tra i mutamenti del primo e quelli del secondo, senza però
affermare che alcun modo d’ esistenza oggettiva «in in realtà quale a noi
appare (Spencer). Il realismo problematico 0 ipotetico, che parte dall’ ipotesi
che, se noi non conosciamo se non stati mentali © soggettivi, ne inferiamo però
qualche cosa di corporeo e di oggettivo.
Fuori della sfera della filosofia, il realismo significa: nella
matematica l’ opinione secondo la quale le forme e le verità matematiche non
sono create dallo scienziato, ma da lui scoperte; nell’estetioa la dottrina che
all’arte impone di non idealizzare il reale, ma di esprimerne soltanto i
caratteri effettivi, oppure la tendenza artistica a rappresentare nell’uomo
specialmente i caratteri naturalistici, ancora se bratti o degradanti ; nel
linguaggio comune il senso della realtà delle cose, la capacità di agire
conforme ai dettami dell’esperienza concreta e indipendentemente da ogni
vincolo del sentimento, della tradizione, dell’ imaginazione, dei principi
astratti. Cfr. E. von Hartmann, Kritische Grundlegung des transoendentalen
Realismus, 1875; J. H. Löwe, Der Kampf zwischen Nominalismus und Rea 970
Realismus, 1876; Holt, The new realiem, 1912; C. Ranzoli, Le forme
storiche del idealismo ο del realismo, in Linguaggio dei filosofi, 1911, pp.
59-104 (v. arte, conoscenza, intermediariste, realtà, materia, nominalismo,
pluralismo, sostanza, essenza). Realtà. T. Realität, Wirklichkeit; I. Reality;
F. Réalité. Si oppone tanto a possibilità, quanto a idealità e ad apparensa;
designa tutto ciò che esiste, che permane fuori di noi e indipendentemente
dalla conoscenza che ne abbiamo, La concezione della realtà è passata per tre
stadi principali. Da principio è identificata colla sensibilità, ο non si
concepiscono come reali che gli oggetti percepibili ed estesi nello spazio,
considerando pure come tali, ma più tenui e sottili, gli oggetti © le cose che
non cadono sotto i nostri sensi. In seguito, per l'osservazione che i sensi ci
ingannano spesso e che fra le qualità sensibili degli oggetti alcune sono
essenziali altre mutabili e faggitive, il reale si concepisce come qualche cosa
di diverso dal sensibile, e cioè come un quid assolutamente identico a sò
stesso e immutabile, che serve come di sostegno ultimo alle qualità © che non
può sparire senza che anche la cosa sparisca. Questo quid è la sostanza, che
per tal modo è considerata come la sola realtà. Per alcuni codesta sostanza è
ancora qualche cosa di conoscibile per mezzo dei sensi (elementi, atomi, ecc.),
dato che essi possano attraversare lo mutevoli apparenze che la nascondono; per
altri invece non può essere che l'oggetto di un intuito razionale, in quanto,
consistendo essa nell’ identità e nella permanenza, tali caratteri non possono
riscontrarsi nei rapporti. Si ha così, accanto alla spaziale, un'esistenza
intelligibile, che, obbiettivata, costituisce la vera realtà (il Numero, le
Idee, ecc.). Infine, col progredire della rifiessione e col delinearsi del
problema gnoseologico, le basi della questione si spostano: si comprese che non
era possibile parlare di una realtà in sè, assolutamente fuori dello Rspirito,
perchè tutto ciò che conosciamo è interiore e non reale che in noi, e che
quindi si trattava di risolvere non più come si potesse passare dall’ apparente
al reale, ma dal conosciuto al reale. Le soluzioni date al problema sono molte
e diverse: riducendosi tutto alle sensazioni e alle loro leggi, per alcuni
(Kant) queste leggi, superiori alle nostre esperienze ed immanenti ad esse, si
impongono alla materia sensibile e multipla delle nostre impressioni come tante
forme unificatrici, universali e necessarie; per altri le leggi dei fenomeni
sono esse stesse fenomeni. Per il positiviemo non vi è altra realtà oltre
quella determinata dalle scienze, e non v'è realtà per le scienze oltre quella
attinta all’esperienza diretta e genuina, ossia all'esperienza sensoriale;
sostanza, causa, efficienza, soggetto, oggetto, essere, ecc., sono tutte
aggiunte fatte dal pensiero n cui nessuna realtà corrisponde. Due sono le forme
principali assunte dalla conla monistico-meccanica, cho risolve tutta la realtà
in movimento e modalità di movimento; la empirico-sensazionistica, che
identifica la realtà ultima con la così detta esperienza pura o radicale
(sensazione), alla quale si arriva mediante l'eliminazione di tutte le aggiunte
del pensiero. Affine a quest’ ultima, anche la filosofia dell’immanenza riduce
tutta la realtà all'esperienza, identifica l’esperienza stessa col complesso
degli stati di coscienza, esclude ogni trascendenza, sia quella dell’oggetto
rispetto alla coscienza individunle, sia quella di esseri ο di cause
sottostanti all’ insieme dei fenomeni che costituiscono l’universo: essa non
diversifica dall’empirismo puro se non in quanto rileva ed accentua la cooperazione
della coscienza nella costituzione della realtà. 1 idealismo critico, che si
ricollega a Kant, nega pure ogni valore al concetto di realtà quale è posseduto
dalla comune degli uomini; le idee di essere, di sostanza, di ente sono pure
escogitazioni mentali; vi è il fare, il produrre, ma non vi è nè l'agente ο il
producente e nemmeno il prodotto come qualcosa di fisso Rea 972 e
di solido. L’idealismo etico muove esso pure dal concetto che non la realtà
determina l’atto conoscitivo, ma questo mira a costruir quella; di più spiega
codesto atto costruttivo come un'esigenza morale, affermando che non l'essere,
ma il dover essere costituisce la categoria fondamentale atta a serviroi di
guida nella costruzione del mondo; nulla esiste per sò, ma solo in quanto mezzo
per l'attuazione del dovere. Spingendosi ancora più innanzi su questa via, il
prammatismo, eliminato il correlato del dover essere, fa della realtà una
costruzione pura della volontà, un mezzo oreato per il raggiungimento di scopi
pratici, i quali poi si riassumono nella conservazione e nell’accrescimento
dell’esistenza ; non è a parlare di ‘una realtà per sè stante nd di una verità
valida, ma solo di azioni e dei loro effetti. Di fronte a questi indirizzi sta
P idealismo metafisico, che muove dal presupposto che ogni forma di realtà si
risolve in fatti mentali, appunto perchè per definirla © parlarne non si può
fare a meno di ricorrere ad elementi ideali: tali fatti mentali, che
costituiscono l'essenza della realtà, sono per alcuni la volontà, per altri il
pensiero, per altri imaginazione, per
altri ancora la rappresentazione, Le ultime forme assunte dall’idealismo
volontaristico sono: l’attualismo o mobilismo, che risolve la realtà
nell’agire, nell’energia, nel movimento, nell'evoluzione, in un processo
insomma che è libero e imprevedibile, ma che attinge valore dall’ideale che è
destinato ad attuare; il vitalismo metafisico, che concepisce la realtà come
vita, coscienza, cangiamento, durata e quindi come uns creazione continua non
diretta ad uno scopo determinato, ma avente valore per sè, rispondente solo ad
un impulso originario infinito. Cfr. Killpe, Die Philos. d. Gegenwart in
Deutschland, 3* ed. 1905; Eucken, Geistige Strömungen der Gegenwart, 1909; G.
Villa, L'idealiemo moderno, 1905; C. Ranzoli, Sullo origini del moderno
idealismo, « Riv. di fil. e scienze aff. », maggio 1906; F. De Sarlo, I diritti
della metafisica, « La cultura 973 Rka-REc filosofica », luglio 1912; 8.
Mackenzie, The meaning of reality, «Mind », genn. 1914 (v. conoscenza, rerità,
dogmatismo. scetticismo, criticiemo, empiriooriticismo, fenomenismo, realiamo,
idealiomo, peroczioniemo, semetipsismo, soggetto, oggetto. valore, vita,
vitaliemo, eco.). Reazione. T. Reaktion, Gegenwirkung; I. Reaction; F.
Réaction. Forza uguale ο contraria all’azione, che un punto materiale dato
riceve da un altro punto materiale. Il principio d’eguaglianza tra azione e
reazione, divenuto un assioma di meccanica, fu esposto e dimostrato la prima
volta da Leibnitz nei suoi Prineipf matematici della filosofia naturale. Nella
biologia la proprietà fondamentale d’ogni cellula vivente di rispondere con una
reasione propria ad una eccitazione, costituisce l’irritabilità. Nella
psicologia è roazione ogni stato di coscienza determinato da uno stimolo sia
esterno sia interno. Recettività. T. Reoeptirität, Empfanglicket ; I.
Receptirity; F. Réceptivité. L’attitudine a ricevere delle impressioni, a
provare delle modificazioni per l’azione di uno stimolo esteriore. Questo
vocabolo fu usato specialmente da Kant: «La facoltà di ricevere delle
rappresentazioni (recettività delle impressioni); la facoltà di conoscere nn
oggetto per mezzo di queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti) ».
Reoettività è dunque sinonimo di passiritd. Secondo alcuni filosofi la sensibilità
è una recettività, perchd consiste appunto nella facoltà del soggetto di
ricevere delle impressioni. Tale dottrina ha origine dall'antica teoria, che
spiegava la sensazione col mezzo degli idoli ο delle idee, che si portano o al
cervello o all’ anima; teoria che si fondava eu semplici analogie lontane, le
quali, come mostrò il Reid, non sono neppure di alcuna utilità nello spiegare
il processo della sensazione. In realtà, se gli stati della sensibilità si
dicono passivi è perchò sono effetto di una fazione causativa; ma non è escluso
con questo che siano essi attività, poichè ogni effetto è pure un fatto e ogni
Rec 974
fatto è attivo. Cfr. Reid, Œuvres complètes, trad. Jouffroy, 1829, t. III, cap. XIV; Kant,
Krit. d. reinen Vernunft, A 50, B 74 (v. capacità). Becetto. Vocabolo creato per analogia con concetto e
percetto; designa ciò che il soggetto riceve dall'esterno, ο, in altre parole,
le modificazioni della coscienza in seguito all’azione dello stimolo esteriore.
Il Romanes dà questo nome all’ idea composta, o combinazione di rappresenta
zioni non ancora denominata ; essa deriverebbe dalla ripetizione di percetti
più o meno simili, che si associano insieme spontaneamente, senza intenzione,
tantochè si può considerare un’ astrazione non peroepita ; il suo nome di
recetto significa appunto che nel riceverlo la mente è passiva, mentre nel
concepire idee astratte ο concetti è attiva. Cfr. Romanes, L'evoluzione mentale
dell’uomo, trad. it. 1907, p. 33 segg., 376 segg. Reciproche (teoria delle). T.
Reciprok; I. Reciprocal, Converse; F. Reciprogue. Nella logica si designa con
questa espressione la teoria dei raziocinii immediati per mutata posizione dei
termini del giudizio. Il problema che tale teoria si propone di risolvere è il
seguente: dato che un soggetto abbia o non abbia un predicato, trovare, senza
bisogno di una dimostrazione speciale, entro quali limiti si può ritenere che
il predicato possa esser soggetto del suo soggetto. Se il giudizio reciproco ha
la stessa quantità del giudizio diretto, la conversione si dico semplice: 98.
tutti gli 4 sono B tutti i B sono 4; se
ha quantità diversa la conversione è accidentale: es. 4 è B qualche B è A. Cfr. Masci, Logica, 1899, p.
216 segg. + Reciprocità. T. Wechselseitgkeit, Wechselwirkung; I. Reciprocity ;
F. Réciprocité. O comunità, è uno dei termini della categoria della relazione,
secondo la classificazione kantiana. La reciprocità non è altro che l’azione di
due sostanze l’una sull’altra. Da essa il Kant fa derivare la terza delle
analogie dell'esperienza: tutte le sostanze, in quanto 975
Ren-Rec si possono percepire come simultanee nello spazio, sono in una
azione reciproca generale. Cfr. Kant, Ærit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p.
170-196 (v. analogia, relazione). Beduplicative (proposizioni). Quelle
proposizioni composte e implicite, in cui un termine, solitamente il soggetto,
è ripetuto con l’espressione in guanto: ad es. il veleno, in quanto veleno, non
produce necessariamente la morte. Si può rendere esplicita; il veleno, in
quanto è soltanto veJeno, non produce necessariamente la morte. Registro
fisiologico. Sull’orientazione del pensiero, del sentimento e del volere di
ogni individuo, intluiscono in vario modo anche le eccitazioni che provengono
dall’organismo, sia centrali che periferiche. L’insieme di queste eccitazioni,
dipendente dallo stato degli organi, fu detto dall’ Ardigò registro
fisiologico, per analogia del registro (pedali) che si trova in quel grande
stromento che è Porgano di una chiesa: in questo il suonatore, col fare agire i
pedali, può far suonare a piacere l’una o l’altra serie di canne, e ottenere
suoni diversissimi sempre adoperando gli stessi tasti. Nel registro fisiologico
le canne che suonano sono i centri cerebrali, i registri sono i visceri, e a
seconda che trovansi in attività piuttosto quelli che questi, a seconda che
agiscono in un modo piuttosto che in un altro, il concerto mentale riesce
diverso. Cfr. Ardigd, Op. filosofiche, V, 93-96, VII, 276-302 (v. conestesi).
Regola. T. Regel; I. Rule; F. Règle. Precetto pratico © specifico di condotta,
formula indicante o prescrivente ciò che si deve fare in un caso determinato.
Cr. Wolff la definisce come propositio enunoians determinationem rationi
conformem. Differisce dalla norma in quanto questa ha maggiore estensione; infatti
la norma, se vien riferita al giudizio dell'intelletto, è il criterio secondo
cui questo distingue e attribuisce agli oggetti suoi l’uno o l’altro predicato,
se viene invece riferita all’opera della volontà è la regola secondo cui questa
sceglie i snoi fini, o i meszi per Ree
976 il conseguimento dei snoi
fini. Nel linguaggio teologico dicesi regola di fede (regula fidei) la norma
finale e sufficiente per la determinazione della verità in materia di dottrina
e di fede religiosa. Con 1’ espressione
regulas philosophandi, rimasta famosa, il Newton designa, nella terza parte del
suo trattato sui Prinoipf matematici di filo sofia naturale, le quattro regole
nelle quali riassume tutto il metodo della filosofa naturale. Sono: 1° non
bisogna ammettere altre cause naturali che quelle che sono vere © sufficienti a
spiegare i fenomeni; 2° bisogna assegnare, per quanto è possibile, le stesse
canse agli effetti naturali dello stesso genere; 8° le proprietà che convengono
a tutti i corpi sui quali è possibile l'esperimento, devono essere riguardate
come proprietà generali dei corpi; 4° le proposizioni ricavate dalla
osservazione dei fatti devono, non ostante le ipotesi contrarie, esser ritenute
come vere o verosimili finchè non giungono altri fatti mediante i quali
divengono ο più esatte o soggette a eccezioni (v. legge, norma, principio).
Regressione. T. Regression, Rückgang, Zurüokgehen ; I. Regression; F.
Regression. Bi oppone a progresso ed equivale a ritorno all’indietro,
trasformazione in senso inverso al progresso. Nella logica indica il processo
dello spirito, © il metodo, che consiste nel risalire dalle conseguenze ai
principi, dagli effetti alle cause, dal composto sl semplice. Nella psicologia
dicesi legge di regressione il fatto che i ricordi, quando scompaiono in
seguito a un indebolirsi progressivo della memoria, si perdono nell’ordine
inverso della loro acquisizione, e cioè dal semplice al complesso, dal presente
al passato, dal vicino al lontano. Nella biologia diconsi regressioni ataviche
il ritorno di organi o di funzioni ad uno stato più rudimentario,
corrispondente cioè à fasi evolutive già trascorse; peroid la reversione è
sempre un fatto di atavismo e di degenerazione. Regresso v. circolo
solido. 977 Rrei-ReL Beintegrazione, 1 T.
Wiederherstellung; I. Redintegration; F. Rédiniégration. Termine creato
dall’Hamilton per indicare quells legge della riproduzione mentale, che
conSiste in ciò, che intorno ad un elemento della nostra vita Psicologica
anteriore, quando sta per riprodursi, tutto l’insieme dello stato di coscienza
di cui esso faceva parte tende a riprodursi integralmente. Insieme allo leggi
di associazione, di ripetizione e di preferenza, essa costituisce Per
l’Hamilton una delle quattro leggi generali della successione mentale
riproduttiva. La legge di reintegrazione è detta anche legge di totalizzazione;
secondo l'Hôffäing essa è la legge fondamentale dell’associazione, dalla quale
tutte le altre derivano. Cfr. Hamilton, Ed. of. Reid, , II, nota D“; Höffding, Psychologie, trad.
franc. 1900, p. 210 Segg. (v.
associazione, associazionismo). Relative (proposizioni). Specie di proposizioni
composte, che esprimono una proporzione o una comparazione ; ad es.: i
caratteri ereditari si trasmettono tanto più fedelmente quanto più sono antichi
; dove è virtà, ivi è felicità. La verità di queste proposizioni dipende dalla
esattezza della relazione da esse affermata. Cfr. Logique de Port-Royal, ed.
Aulard, p. 132. Belativismo. T. Relativismua; I. Relativiem; F. Relatitisme. Ogni dottrina che considera la nostra
conoscenza di sua natura relativa, in quanto è la conoscenza di un rapporto, e
nega quindi la possibilità della conoscenza della cosa in sò, ciod
indipendentemente da ogni relazione con un’altra cosa. Il relativismo ha la sua
prima formula nella celebre frase di Protagora: l’uomo è la misura di tutte le
cose. Per il sofista greco tutta la vita psichica non consta che di sensazioni;
ogni sensazione è determinata da un movimento della cosa percepita e da un
altro movimento dell’organo di senso; quindi la sensazione, prodotto
dell’incontro di due moti, non solo è diversa dall’ Sggetto sentito © dal
soggetto senziente, ma è vera solo in quel 62
Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche. momento, cosicchè l’uomo non
conosce le cose come sono, ma come sono per lui nel momento della sensazione,
ed anche solo per lui. Il positivismo è pure relativistico; per il sno
fondatore, A. Comte, non soltanto la conoscenza umana è indirizzata ai rapporti
dei fenomeni tra loro, ma non v’ha nulla di assoluto che ne formi la base
ignota ; l’unico principio assoluto è che tutto è relatiro; soltanto, questo
relativismo (ο, come fu detto poi, correlativismo) cede alla pretensione
universalistica del pensiero naturalistico-matematico, con l’assegnare alla
scienza il cémpito di ridurre tutte le relazioni alla loro uniformità spaziale
e temporale. In un significato ancora più generale, o metafisico, per
relativismo s’ intende ogni dottrina che, negando un qualunque sostrato
permanente all’ accadere del mondo sia fisico, sia psichico, risolve la realtà
in relazioni più ο meno costanti tra i fenomeni, concependo tali relazioni come
realtà in sò stesse, distinte e indipendenti dalla conoscenza che ne abbiamo.
Cfr. Diogene Laerrio, IX, 51; A. Comte, Cours de phil. positine, 1839; C. Ranzoli,
Sul preteso agnosticismo dei presooratici, « Rend. del R. Ist. lombardo di s. e
lett. », vol. XLVII, faso. 19; A. Levi, Contributo ad una interpretazione del
pensiero di Protagora, 1906 (v. attualismo, fenomeniemo, relazione, relatività
della conoscenza). ‘Relatività della conoscenza. T. Relativitàt der ErKenntnis;
I. Relativity of knowledge; F. Relativité de la connaissance. Sebbene
l’espressione sembri abbastanza chiara, essa designa tuttavia dottrine diverse,
che debbono essere distinte per evitare equivoci dannosi. Nella sua portata
generale, la dottrina della relatività della conoscenza implica che tutti gli
elementi della conoscenza estesa hanno un valore soggettivo, non oggettivo, in
quanto la sensazione non è considerata che come un semplice segno della cosa
esterna, la percezione come la posizione di un rapporto tra questi segni,
l’ides come un simbolo della sensazione, cioò
979 Rel un simbolo convenzionale
d’un segno. La relatività della conoscenza è intesa in quattro modi principali:
1° ogni conoscenza è relativa al soggetto che conosce, ne è possibile la
conoscenza di alcuns cosa in sò, cioò indipendentemente dalle nostre facoltà
conoscitive; 2° ogni conoscenza consiste nello stabilire una relazione fra due
elementi © nell’appercezione della loro differenza; è dunquo impossibile
conoscere alcuna cosa in «è, cioò indipendentemente da ogni relazione con
un’altra cosa; 3° la conoscenza è relativa perchò ci dà solo il finito, il
limitato, non l’infnito, l'assoluto; 4° la conoscenza è relativa perchè non
adegua mai perfettamente la cosa, ma ne è un puro simbolo. Si può dire che
ciascuno di questi quattro modi di intendere la relatività della conoscenza
rispecchi, tolto forse Pultimo, un lato reale del processo conoscitivo. Secondo
l’Hamilton la conoscenza è relativa: 1° perchè l’esistenza non è conoscibile
assolutamente e in sò stessa, ma soltanto nei suoi modi ο fenomeni; 2° perchè
codesti modi possono essere conosciuti soltanto se stanno in una particolare
relazione con lo nostre facoltà; 3° perchè i modi, così relativi alle nostre
facoltà, sono presentati e conosciuti dalla mente solo con modificazioni
determinate dalle facoltà stesse. Lo Stuart Mill classifica in modo an poco
differente i motivi della relatività della conoscenza: 1° noi non conosciamo
una cosa se non in quanto distinta da un’altra cosa; 2° noi non conosciamo In
natura che per mezzo dei nostri stati di coscienza, il che conduce a queste due
tesi subordinate: a) non ci sono che stati di coscienza; b) vi sono delle cose
in sè, ma inconoscibili, sia nel senso di Kant e dei razionalisti, sin nel
senso degli empiristi. L’Ardigd enumera sei ragioni della relatività della
sensazione, e quindi dolla conoscenza, che è intessuta esclusivamente di
sensazioni : 13 l’oggetto stimolante è un esteso vibrante con una certa
ampiezza ο rapidità di oscillazioni delle parti componenti, mentre la
sensazione RRL 980 corrispondente è un quale assolutamente
diverso; 33 l'oggetto medesimo corrispondono forme di coscienza verse secondo
che esso stimola apparati sensitivi diversi; 83 la stessa forma specifica
propria di un dato senso si modifica, pure rimanendo identica la stimolazione,
per una alterazione che esso subisca; 4° codesta forma spocifica si può
produrre nel senso stesso anche senza la stimolazione operata da un oggetto, e
solo per irritazione endogena, il che prova che la forma stessa non proviene
dall'oggetto ma è solo il modo di funzionare dell’apparato sensibile, qualunque
sia la causa da cui dipenda; 5* le sensazioni prodotte per la stimolazione
dall’interno dell'animale sono fatti analoghi a quelle prodotte per la
stimolazione dall'esterno, cosicchè se è assurdo considerare una cosa in sè ad
es. la fame, lo è pure considerar tale ad es. il snono, © il caldo; 6° il
sensibile non è una forma apatica 6 statica, come dovrebbe essere il puro
ritratto dell’oggetto, ma è essenzialmente un certo sentimento, un certo agire,
© quindi essenzialmente una soggettività. Cfr. Hamilton, Lootures on Metaphysics, 1859, vol. I,
p. 148; Stuart Mill, Ezamination of Hamilton, 33 ed. 1867, p. 30-31; Ardigò,
Opere filosofiche, I, 160-162, II, 352-355, V, 546 segg., IX, 89 segg., 426
segg. (v. assoluto, agnosticismo,
antropometriamo, relativismo, inconoscibile, conoscenza, cosa, noumeno).
Relativo, T. Relatir, Verhältnissmässig ; I. Relative; F. Relatif. Ciò che non
sta per sè, ma dipendo da altro, esiste soltanto come relazione o in virtù
d’una relazione: si oppone ad assoluto, che è ciò che esiste per sè, che non ha
nd relazione, nd limitazione, nd dipendenza. ‘Relazione. T. Beziehung,
Relation; I. Relation; F. Relation. Essendo un’idea semplice, non è
propriamente definibile; si può dire soltanto che è quell'idea che nnisce ©
distinguo due altre idee, presentatosi simultaneamente al nostro pensiero. 11 Destutt de Tracy la
definisce cette vue de notre esprit, cet aote de notre faculté de penser
par 981
Rei lequel nous rapprochons wne idée d’une autre, par lequel nous les
lions, les comparons ensemble d'une manière quelconque. Nè sembri assurda la menzione di un rapporto che
disgiunge Poichè si tratta d’un rapporto pensativo, di natura affatto diversa
da ogni rapporto materiale. Si distinguono però delle relazioni essenziali ο
delle relazioni non essenziali ο accidentali. Le relazioni essenziali sono
costituite da elementi correlativi, tali, cioè, che a ciascuno è essenziale la
sua relazione con l’altro; ad es. bello e brutto, sopra © sotto, alto e basso,
maggiore e minore, ecc. Ora tali elementi non sono oggetti di cognizione ma
fatti di conoscenza, vale a dire concetti nostri, Invece le relazioni
accidentali sono condizionate agli elementi; ad es. questo libro è sopra il
tavolo, ma il tavolo può stare senza il libro, e il libro senza il tavolo,
mentre il sopra non può stare senza il sotto. Per Aristotele il rapporto o relazione
(πρός τι) è una categoria; tuttavia egli considera soltanto i rapporti fondati
sulla reciprocanza, e non il rapporto in sò stesso ma le cose tra le quali il
rapporto esiste. Hume distingue invece due significati diversi nella parola
relazione: l’uno designa il fattore per cui le rappresentazioni appsiono
collegate nell’imaginazione, cosicchd l’una trae seco l’altra; il secondo
indies i momenti riguardo ai quali, anche con arbitraria unificazione di due
rappresentazioni nella imaginazione, si confrontano casualmente l’una con
l’altra: il primo significato prevale nell’uso volgare, il secondo nel
filosofico; le fonti di ogni relazione filosofica sono la somigli4nza,
l'identità, lo spazio, il tempo, la quantità, la qualità, la contrarietà, la
causa, l’effetto. Per Kant l’idea di relazione è una delle categorie, ma egli
non considera che tre specie di relazione: quella della causa all’effetto,
quella della sostanza al fenomeno, quella di due cose agenti reciprocamente
l’uns sull’altra. Il Locke è forse il filosofo che ha dato la classificazione
più completa delle relazioni, ch’ egli distingue in: relazioni temporali,
ReL 982
spaziali, causali, proporzionali, che dipendono cioè dall’uguaglianza o
dal più e dal meno, naturali, fondate cioè sui leganıi stabiliti dalla natura
stessa tra le cose, d’istituzione, stabilito dall'accordo degli uomini tra di
loro, e morali, fondate sulla conformità o non delle azioni volontarie con la
regola onde le stesse αἱ giudicano. Nella filosofia moderna e contemporanea il problema
delle relazioni è un problema insieme gnoseologico e metafisico, la cui
importanza appare da ciò, che le leggi naturali sono generalmente concepito
come semplici uniformità di relazioni, e la realtà sia fisica, sia psichica è
concepita da molti come un puro tesunto di relazioni tra fenomeni, senza alcun
sostrato permanente. Si presenta quindi la domanda: le relazioni esistono come
realtà in sò stesse, indipendentemente dalla conoscenza che possiamo averne, o
non sono che una forma di conoscenza, una categoria che lo spirito, in virtà
della sua struttura, applica spontaneamente ni fenomeni? La soluzione
realistica urta contro gravi difficoltà : se si ammette che le relazioni sono
in sd quali le conosciamo, si cade nella contraddizione, in quanto le relazioni
non sono tali nel nostro pensiero che perchè noi le pensiamo ; se si ammotte
che sono in sò stesso divorse, si cade nell’ agnosticismo. La soluzione
idealistica, a sua volta, non riesco a spiegare come le relazioni, pure
categorie del pensiero, s’impongano a noi con la stessa forza © la stessa
fissità dei fenomeni: se la facoltà di giudicare del simile © del differente,
del simultaneo ο del successivo, è una legge costitutiva del nostro spirito, lo
applicazioni particolari di tale facoltà non sono regolate dagli oggetti
stessif Una, terza soluzione sembra evitare queste difficoltà, collocando le
relazioni in Dio: « Le relazioni hanno una realtà dipendente dallo spirito come
la verità, dice il Leibnitz, ma non dallo spirito degli uomini, poichè v’ ha
una intelligenza suprema che le determina tutte in ogni tempo ». Perd, anche a
questa dottrina fu obbiettato cho essa conduce al pan 983 Rew teismo e che, d'altro canto, colloca in
Dio la successione, il cangiamento e quindi 1’ imperfezione. Nel linguaggio scolastico dicesi relatio in,
ο relatio fundamentalis, quello su cui la relazione si fonda, in quanto è
inerente a quello solo, ad es. il verde d'una foglia in quanto è in quella
foglia; relatio formalis, quello stesso su cui si fonda la relazione riguardata
in quanto si riferisco ad altro, ad es, il verde d’una foglia riguardata in
confronto a quello di un’altra; relatio aoquiparantiae quella di somiglianza ο
di uguaglianza, relatio disquiparantiae quella che domina gli estremi in modi
diversi, ad es. maestro © scolaro; relatio proprie realis quella i oui termini
sono entrambi non solo realmente esistenti, ma hanno anche in sò qualche cosa
per cui si riferiscono a vicenda, ad es. la relazione tra causa ed effetto;
relatio rationis o logioa quella per cni un cosa si riferisce ad un’altra non
secondo la ragione di esistere, ma unicamente nell’ordine che |’ intelletto
pono tra i concetti delle cose. Cfr. Destutt de Tracy, Eléments d’ideologie, , I, 4, p.
51; Leibnitz, Nouveaux essays, 1. II, cup. XII, $ 3, e cap. XXX, $ 1; Locke, An essay
cono. hum. understanding, 1877, IL, cap. 12, 28, 30; Hume, Treatise on hum,
nature, 1874, I, sez. 5; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 96 segg.; Stuart Mill,
Syst. de logique, trad. franc. Peisse, 1. I, cap. III, $ 10; Boirac, L'idée du
phénomène, 1894, p. 166 segg. (v.
attualiemo, fenomenismo, sostanzialirmo). ‘Relazione (concetti, sentimenti di),
Il Drobisch chiama concetti di relazione quelli che si formano mediante una
sintesi dei singoli membri, che costruiseono un concetto. Con la stessa
espressione il Wundt designa quei concetti che hanno per contenuto lo relazioni
del pensiero logico, per essere poi trasferiti da esso all'oggetto del pensiero
; essi costituiscono gli ultimi gradi della trasformazione logica del contenuto
delle rappresentazioni, che comincia con la costruzione dei concotti empirici
individnali. Diconsi sentimenti di relazione la paura (sent. difensivo), la
collera (sent. offensivo), la solidarietà (simpatia). Il Bain e l'Hôftding
chiamano emozioni di relazione ο di relatività lo stupore e la sorpresa, il cui
carattere essenziale è d’ essere determinate dall’opposizione del nuovo
all’abituale ο, se intervengono delle rappresentazioni, dall’opposizione di ciò
che accade a ciò che si attendeva. Cfr. Drobisch, Noue Darstellung der Logik,
5° ed. 1887; Wundt, System d. Phil., 1897, p. 289; Hôfding, Peyohologie, trad.
franc. 1900, p. 731 segg. ‘Relazione (legge di). La legge psichica
fondamentale, secondo molti psicologi contemporanei. Sostituito al vecchio
concetto della sostansialità quello dell’ attualità psichica, per cui i fatti
della coscienza valgono solo in quanto esistono in un dato momento 9 non si
possono riferire ad alcun sostrato fisso di cui siano le manifestazioni ο le
modalità, la loro unità è spiegata mediante il rapporto che li unisce: tutti i
fatti psichici che formano la trama della coscienza sono in relazione tra loro,
relazione che lega i processi psichici in una connessione ininterrotta nella
coscienza individuale e conferisce loro un significato particolare a secondadel
posto che occupano e della relazione in cui stanno con gli altri. Questa leggo
di relazione, fissata già dal Leibnitz col suo principio di continuità, è però
variamente intesa dai moderni psicologi : così per il Bain essa riguarda
propriamente la parte soggettiva della coscienza, ciod i sentimenti, ο si
riconduce al carattere originario dello spirito, che è quello di cogliere una
differenza, di percepire un cambiamento ; l’Hôffding la estende tanto alla
sfera delle sensazioni come a quella del sentimento, ο distingue una relazione
simultanea, ciod fra le parti di uno stesso stato, e una relazione suocessiva,
cioè tra due stati che si determinano reciprocamente ; per lo Spencer anche la
vita psichica, come la vita in genere, consiste in un progressivo adattamento
dello relazioni interne alle esterne; per il Wund la relazione che intercede
fra i processi psichici è di causa ed effetto (osusalità peichica), © insieme
alle leggi delle risultanti e dei contrasti costituisce il gruppo delle leggi
dei rapporti psichici. Cfr. Bain, The senses and the intelloot, 3* ed. p. 8 segg.; Id., Les
émotions et la volonté, trad. franc. 1885, P. II, ο. 13; Hòftding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 145
segg., 367-393, 412; Wundt, Grundrisa d. Psychologie, 1896, p. 294 segg.;
Spencer, Prino. of Peyoology, 33 ed., $ 65 (v. risultante, sintoi peichioa,
attualiemo, sostanzialimo). Relazioni
(problema delle). Uno dei problemi fondamentali della gnoseologia ο della
metafisica, che ha la aus origine dalla constatazione: che funzione
fondamentale del pensiero è quella di porre delle relazioni, di riferire I’ uno
all’altro gli elementi della realtà ο di considerare in sò codeste relazioni.
Ora, porre una relazione significa definire un elemento o un aspetto della
realtà per mezzo di un altro: in tal caso la relazione trascende o non
trascende la realtà delle cose tra le quali è stabilita? La relazione sembra
non abbia senso se non presupponendo la realtà delle cose; ma a lor volta le
cose sembrano non poter essere mai colte all’ infuori di una relazione,
cosicchè la loro realtà si esaurisce nol complesso delle relazioni di cui
possono essere termini e con cui possiamo definirlo. Tre sono le principali
soluzioni del problems: 1° le qualità delle cose si risolvono in relazioni,
perchè se le qualità 4 ο B sono quello che sono anche indipendentemente dalla
relazione che passa tra esse, la relazione medesima è arbitraria ο senza
significato per la realtà; 2* le cose si risolvono in complessi di relazioni,
cosicchè essere reale non significa altro che essere riferito; 3° la
relazionalità è il carattere della realtà fenomenics, ma al di sopra del
pensiero comune esiste una forma diversa di conoscenza, nella quale le
relazioni non hanno più senso, © che è la rivelazione della realtà metafisica.
A queste si può aggiungere una quarta soluzione, che consiste nel consiReL 986
derare la realtà come costituita di termini in 0 con relazioni, gli uni
© le altre ugualmonte reali, sebbene in diverso senso. Però anche quest’ ultima
veduta ha suscitato, come le precedenti, gravi obbiezioni. Il Bradley, ad es.,
dice che i concetti di materia, tempo, spazio, energia, essendo concetti
relativi, che caratterizzano le cose per rapporto le une alle altre, non ci
dicono nulla delle cose stesse, © conducono a delle serie infinite; infatti si
può sempre chiedere qual’ è la relazione dei membri in rapporto alle relazioni
nelle quali si trovano, e studiando i membri si vede che essi possono
collocarsi in ciascuna di codeste relazioni. Cfr. B. Russel, The principles of mathematics,
1903, p. 218 segg.; Id., À oritioal exposition of the philosophy of Leibnite,
1900, p. 12 segg.; Bradley, Appearance and reality, 1893, p. 25 segg.; Tailor,
Elemente of metaphysio, 1903, 1. II,
p. 120 segg.; G. Calò, L'intelligibilità delle relazioni, « Riv. di fil. »,
aprile 1910; R. Heller, La dottrina delle rel. nella critica della scienza
contemp., « Cultura filosofica», marzo 1911; Ladeväze, La loi d'universello
relation, 1913. Religione (dal latino religio che, secondo alcuni, ei riconduce
al termine relegore = raccogliere di nuovo, e se condo altri a religare rilegare, secondo altri ancora ad un verbo
scomparso religere, opposto a negligere. La prima etimologia è sostenuta da
Cicerone e dai moderni filologi, la seconda da Servio, Lattanzio, Agostino, Max
Müller). T. Religion; I. Religion; F. Religion. Il merito di aver compreso che
cosa sia in sò stessa la religione, indipondentemento dalle suo forme storiche,
spetta esclusivamente al pensiero moderno. Soltanto nella suola platonica
troviamo una nozione filosofica della religione. Per Platone, infatti,
l’essenza e il fino della religione à 1’ assimilazione a Dio, fondata sopra
l’unità di essenza dell’ anima umana e della divinità. Codesto concetto,
intravisto già dai pitagorici e da Socrate, domina in quasi tutta la filosofia
antica si ritrova nello stoicismo, nel giudaiamo © nel oristianesimo 987
ReL alessandrino, e nel neo-platonismo. Ma, in generale, il mondo antico
non ebbe nè poteva avere una nozione sperimentale, storica della religione in
sè, poichè per esso la religione non aveva storia. La vittoria del
cristianesimo doveva perpetuare, per ben altri motivi, codesta condizione di
cose; © infatti, data la rigorosa ortodossia della Chiesa, non era possibile
alcuna distinzione tra religione in sò © cristianesimo cattolico. Con l’aprirsi
della età moderna ο collo svincolarsi del pensiero dalle catene del dogina,
cominciano infine ad accumularsi gli elementi che dovranno più tardi servire
alla storia delle religioni; ma è soltanto col Lessing, in Germania, che
#’inizia uno studio veramento soientifico del fenomeno religioso, perchè il
lavoro compiuto s tal riguardo dai filosofi francesi del diciottesimo secolo,
non esclusi il Voltaire © il Rousseau, è più che altro negativo. Per il Lessing
la storis religiosa non è che l'educazione dol genere umano, che si eleva a
nozioni sempre più puro della divinità © del dovere; tutte le religioni hanno
quindi una relativa legittimità. Dal Lessing in poi è continuo lo sforzo dei
pensatori per rendersi un concetto adeguato del complesso fenomeno religioso ;
noi non ricorderemo qui che alcuni dei tentativi più importanti. Per Kant la
religione è il riconoscimento dei nostri doveri come ordini divini ; soltanto
la coscienza morale attesta l’universalità © la necessità nel rapporto col
sovrasensibile. Per 1’ Herbart è la credenza, teoreticamente incontestabile, in
una intelligenza suprema come fondamento dei rapporti fra gli elementi reali da
cui deriva il mondo fenomenico, la cui finalità non sapremmo altrimenti
spiegare. Per I’ Herder è 1’ appropriazione intorioro dell’ sttività divina
ordinatrice delle cose, di modo che noi οἱ suVordiniamo scientemente a codesto
ordine divino. Per Schelling non è altra cosa che la divinità che cerca sè
stessa attraverso tutta la sorie degli intermedi, che vanno dalla materia brata
allo spirito. Per Schleiermadher si riconduce Ret. 988 al
sentimento, che tutti abbiamo, della nostra dipendenza assoluta da una potenza,
che ci determina ma che non possiamo determinare. Comte e Feuerbach riducono I’
essenza di ogni religione all'adorazione dell’uomo fatta dall’uomo: dell’uomo
come specie il primo, dell’uomo come individuo il secondo. Per l’ Hegel la
religione è il sapere che lo spirito finito ha della sua essenza come spirito
assoluto. Per il Miiller è una facoltà mentale che, indipendentemente e spesso
auche a dispetto del buon senso e della ragione, rende l’uomo capace di
cogliere l’infinito sotto differenti nomi e diverse forme. Per il Guyau è una
manifestazione sociologica universale a forma mitica; per l’Hòffding è il
sentimento della conservazione dei valori dello spirito nella realtà; per il
Bontroux è la rivendicazione, allato al punto di vista della scienza, del punto
di vista del sentimento e della fede: per il Durkheim è un sistema solidale di
credenze e di pratiche relative a cose sacre, credenze e pratiche che uniscono
in una medesima comunità morale tutti quelli che vi aderiscono. Ora, nessuna di
codeste definizioni pare veramente comprensiva del fenomeno da definire.
Ciascuna di esse contiene piuttosto una parte di verità, in quanto fa risaltare
uno degli elementi costitutivi della religione. Raccogliendo ciò che esse hanno
di essenziale, si potrebbe definire la religione come la determinazione della
vita umana per mezzo della coscienza di un legame che unisce lo spirito umano
allo spirito misterioso, di cui egli riconosce la dominazione sul mondo sopra
lui stesso, ο al quale egli ama sentirsi unito.
L’antichissimo e dibattuto problema del valore conoscitivo della
religione, ossia dei rapporti tra religione e scienza, tra ragione e fode, è
risolto nella moderna filosofia della religione in sei modi principali: 1° La
religione ha un dominio a sè, fuori del controllo della scienza e della
filosofia; quella è affare di fede, queste di conoscenza. La filosofia è una
conoscenza astratta, mentre la religione è una realtà essa stessa, è una forma
di vita spi 989 Rew rituale. La scienza
osserva e collega tra loro le apparenze esterno dei fenomeni, l’uomo pio vive
in Dio e nelle anime dei suoi fratelli, prega, ama, spera. 2° Religione,
filosofia ο scienza sono tronchi germogliati da una radice comune: la fede, la
credenza non dimostrabile. La scienza è una fede perchè le sue definizioni sono
pure forme dell’ intelligenza, non abbracciano che una parte impercettibile
della realtà infinita e quindi non sono dimostrabili, non hanno che un valore
ipotetico, provvisorio. La filosofia ha bisogno non di un atto di fede, come la
scienza, ma di più: fede nell’oggettività dei simboli mentali rispetto ai
fenomeni, fede nell’ oggettività dei medesimi rispetto all'essenza, fede
nell’oggettività del sistema dei simboli mentali rispetto alla totalità
sistematica e all’unità della realtà. Dunque, nd la scienza nd la filosofia
possono negare la validità di quelV unico atto di fede, la fede in Dio, su cui
la religione si fonda. 3° Le verità religiose sono di ordine diverso dalle
verità scientifiche, ο nel loro proprio dominio non possono essere contraddette
dalle verità della scienza. La scienza, infatti, studia i fenomeni nei limiti
della conoscenza finita, la religione penetra intuitivamente nell’ essenza
ultima del reale. La scienza usa necessariamente di ideo che sono simboli di
una realtà che le sfugge; questa realtà è l'oggetto proprio della religione. 4°
Ogni sapere essendo indirizzato all’azione, la differenza tra il pensiero
scientifico e il religioso deriva dalla differenza di funzione e di finalità
che essi rappresentano. La scienza è una manifestazione della ragione umana; la
religione è specialmente una manifestazione della volontà. Ora la volontà umana
tende al di là dell’ esperienza finita, che non la appaga; quindi si dirige
verso un essere, verso una realtà, che se è adeguata alla potenza della
volontà, è inadeguata e trascendente rispetto all'intelligenza. 5° La verità
religiosa è certa per sd stessa, come verità che è una realtà vissuta, intorno
alla quale la ragione si può esercitare ma unicamente per riconoscerla Reı. 990
non per dimostrarla. La religione si appunta necessaria mente nel
sovrannaturale, ms la necessità del sovrannaturale non è logica o causale ma
vissuta; credere significa possedere la verità sovrannaturale in modo da
introdaris nella propria vita per vivere sovrannataralmente. Il metodo della
scienza non può quindi valere nella religione: in questa vale un altro metodo,
il metodo immanente, che fa quello già adoperato da Pascal. 6° La religione in
quanto conoscenza, e per quella parte di conoscenza che solo la interessa, ciod
la concezione spiritualistica del mondo, non soggiace necessarismente alla
critica scientifica © filosofica, perchè è una specie di filosofis; e
propriamente quella che meglio corrisponde alle esigenze ideali ο morali dello
spirito umano, Fra i molti tentativi di
classificazione delle religioni, la più scientifica ci sembra quella del
Reville, il quale le divide anzitutto sotto due grandi categorie: politoiate e
monoteiste. Alla categoria delle religioni politeistiche appartengono cinque
gruppi: 1° religione primitiva della natura, cioè il culto semplice degli
oggetti naturali rappresentati come animati e infinenti sul destino umano; 2°
religioni animistee Jeticiate, che si sviluppano sulla base precedente, proprio
dei popoli rimasti allo stato selvaggio; 3° mitologie nazionali. fondate sulla
drammatizzazione della natura © supponenti tra gli esseri divini delle
relazioni uguali a quelle della vits umana; di questo grappo la mitologia
vedios rappresenta la forma più ingenua, la mitologia greca la forma più
raffinata; 4° religioni politetste-legaliate (che impongono cioè 1) osservanza
di una legge così morale come religiosa), il mardeismo, il bramanismo e le due
religioni filosofiche cinesi di Kong-fou-tzeu e di Lao-treu ; 5° il Buddismo,
religione di redenzione e, teoricamente, monoteistica, ma fondantesi nells
pratica sui politeismi locali. Alla seconds categoria appartengono tre
religioni : 1° il giudaismo, uscito dal mosaismo, legalista © nazionale; 2° }
islamiemo, legalista e interna zionale; 3° il oristianorimo, religione di
redenzione, inter 991 Rer.
nazionale. Si sogliono spesso
distinguere le religioni in due grandi gruppi, naturalistiche ο
spiritualistiche : a queste ultime appartengono le quattro grandi religioni,
giudaismo, buddismo, cristianesimo, islamismo, nelle quali il problema della
vita dello spirito, e del suo destino nel mondo, soverchia il problema della
natura ed è la sostanza della religiosità. Teoricamente si distinguono ancho
in: religioni della logge, nelle quali è recisamente affermata la trascendenza
della divinità e insieme il governo diretto del mondo dalla volontà divina
onnipotente; © religioni della redensione, nelle quali la divinità, pur
conservando la sua distinta essenza, è accostata all’uomo, e l’uomo alla divinità,
sia per natura sia per l’opera della redenzione. Nel linguaggio comune dicesi religione
positiva quella che consiste più particolarmente in un insieme di insegnamenti
dogmatici © nelle pratiche del culto; religione razionale quella che risulta
dall'esame razionale delle oredenze; religione flosofica quella che si fonda
sopra una interpretazione generale © metafisica del mondo e dell’ esistenza;
religione naturale l'insieme delle credenze nell’ esistenza di Dio, nella
spiritualità e immortalità dell'anima, considerate come una rivelazione della
coscienza e della luce interiore che rischiara l’uomo. Cfr. Diogene L., VII,
138, X, 123 segg.; Lnerezio, De rer. nat., IV, 38 segg., V, 1159-1238;
Leibnitz, Theodicea, pref. I, $6; Lessing, Duplik, 1778; Kant, W. W.
‚Rosenkranz, VII, 336, VIII, 508, VI, 201; Schleiermacher, Dialektik, 1903, p.
111, 157, 186-193; Id., Reden, 1859, p. 104 segg.; Hegel, Vorlesungen über die
Philos. d. Religion, 1901; Feuerbach, Das Wesen des Christentum, 1841; Guyau,
L’irreligion do l'avenir, 1887 ; Höffding, Filosofia della religione, trad. it.
1909; Bontroux, Science et religion, 1909; Durkheim, Les formes elementaires de
la vie religieuse, cap. I, p. 65; W. James, The varieties of religious
experience, 1902; L. R. Farnell, The evolution of religion, 1905; F. B. Jevons,
Introduction to the history of religion, 1906; J. Baisssc, Les Rem 992
origines de la religion, 1899; John Caird, Introd. alla flowfa della
religione, trad. it. 1909; O. Pfleiderer, Religione e re ligioni, trad. it.
1910; S. Reinach, Orpheus, storia nat. delle religioni, 1912; C. Puini, Saggi
di storia della religione, 1882: C. Ranzoli, L'agnostiotemo nella filosofia
religiosa, 1912; F. Masci, La filosofia della religione e le sue forme più
recen 1910 (v. Dio, mito, delemo, teiemo, fideismo, panteismo, ritualiemo,
ecc.). Beminiscenza (rursus © mominissee
ricordarsi una seconda volta). T. Anamnese, Reminisoens, Naokklang ; I.
Reminisoenoe; F. Réminiscence. Non ha significato preciso. Pet alcuni designa
un ricordo confuso, che manca di ricono scimento ο di localizzazione nel
passato; in tal caso però è più esatto dire oblio. Secondo altri invece è 1’
atto con cui il nostro spirito, risalendo da una idea attuale e giovandosi di
dati frammentari, completa e ricostruisce un ricordo o una serie di ricordi. In
questo senso fa sdoperata da Aristotele, il quale la spiega mediante 1’
abitudine che riunisce nella nostra anima lo nostre idee ed impre» sioni, nello
stesso ordine con oui si sono presentate, quando esse non sian già collegate
secondo le leggi necessarie dells logica. In Platone ha un significato tutto
speciale: è una forma mitica di razionalismo, secondo oui ogni nostro potere di
conoscere la verità è il ricordo di uno stato antico nel quale, vivendo con gli
dei, noi possedevamo una visione diretta ο immediata delle idee: « L’anima
essendo immortale, ed essendo nata molte volte, ed avendo veduto ciò che accade
qui, tanto in questo mondo che nell’ altro. ο tutte le cose, non v'ha nulla che
non abbia apprese. Perciò non è da meravigliare se, riguardo alla virtà e 4
tutto il resto, essa possa ricordarsi di ciò che ha saputo: poichè, tutto
essendo legato nella natura e tutto avende l’anima imparato, nulla vieta che
ricordandoci una sola cosa, il che gli uomini chiamano imparare, possiamo tro
vare da soli tutto il resto ». Egli lo prova specialmente con 993
Rem-Res l'esempio del teorema di Pitagora, il quale mostra che la
conoscenza matematica non proviene dalla percesione sensibile, ma questa
fornisce soltanto l'occasione per cui V anima richiama alla memoria la
conoscenza proesistente in essa, cioè avente un valore puramente razionale. Per
Condillac la reminiscenza è l’atto stesso per cui si riconosce un ricordo. Il
Rosmini considera la reminiscenza e la memoria come due facoltà distinte:
questa conserva le cognizioni formate, quella le richiama in atto, rieccitando
le imagini e rinforzandone la vivezza. Invece al Galluppi « non sembra
necessario riporre la reminiscenza tra le facoltà elementari dello spirito:
essa è una imaginazione in oui si eseguisce in un certo modo la legge dell’
associazione delle idee »; per remin iscenza egli intende non la semplice
riproduzione di uno statto passato A, ma la riproduzione di A riconosciuto
mediante la riproduzione degli stati Be C, che con 4 erano associati; quindi ls
reminiscenza non è che il riconoscimento mediato. Cfr. Platone, Fedro, XXIX,
249 ο) Id., Menone, XV-XXI, 81 c segg.; Rosmini, Psicologia, 1846, p. 164
segg.; Galluppi, Lesioni di logica ο metafisica, 1854, II, p. 744 segg. (v.
anamnesi). Bemotivi (giudizi). Diconsi tali i giudizi copulativi negativi, la
oni formula può esser tanto: nè 4, nà B, nè C sono D, quanto: A non è nè B, nè
C, nè D. Nel primo caso il giudisio è remotivo nel soggetto, nel secondo nel
predicato. Essi compiono la fanzione logica di escludere alcuni gruppi di
oggetti da uns classe, mostrando che ad essi manca la proprietà essenziale a
tutti gli oggetti in quella compresi. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 182 segg.
(v. congiuntivî). Residui (metodo dei). T. Rückstandsmethode; I. Method of
residues; F. Métode des résidues. Uno dei quattro metodi di ricerca induttiva
indicati da I. F. W. Herschell, Whewell 9 Stuart Mill. Secondo i due primi,
codesto metodo consiste nel levare da un effetto, e specialmente da un effetto
numerico, la quantità che risulta da leggi già note, 68 Ramzoti, Dirion. di scienze filosofiche.
Res 994
ridurre il fenomeno ad una specie di residuo, che si es minerà per
scoprirne la spiegazione ο la legge. Per le Stuart Mill, invece, esso si fonda
su questo canone logico: se da un fenomeno si sottrae quella parte che, per
indu zioni anteriori, si sa essere effetto di certi anteoedenti, cid che resta
dei conseguenti sarà l’effetto di quello ο quell degli antecedenti che
sopravanzano. Tale metodo consiste dunque nell’ eliminazione degli antecedenti
ο dei conse guenti il cui rapporto causale è conosciuto; i conseguenti residui
saranno, in generale, effetto degli antecedenti re sidui. Molte sooperte
scientifiche sono dovute a questo metodo, il quale fu adoperato anche, ed
utilmente, a onoscere la causa ignota di un effetto residuo noto: co dalle
anomalie inesplicabili nei movimenti di Urano si arguì l’esistenza di Nettuno,
che fu poi scoperto dal telescopio. Cfr. Herschel, 4 prelim. discourse on the study of
natural philos., 1831, cap. VI, $ 158-161; Whewell, Philos. of the induotive
science, 1840, af. XLVII; 8. Mill, System af logic. 6* ed. , III, cap. VIII, $
5. Resistenza. T. Widerstand, Widerstandfähigkeit; I. Reristance; F.
Résistance. Una delle qualità
della materia, dataci dallo sensazioni cinestetiche o di movimento, e
specialmente dal senso dell’innervazione. Noi infatti comunichiamo si muscoli
l’ innervazione necessaria per produrre lo sforzo muscolare, che corrisponde
alla resistenza che deve essere superata; se il grado di innervazione non
corrisponde alls resistenza, l’azione muscolare riesce inadeguata ο eccessiva.
Nella meccanica la resistenza è uns forza misurabile, designando tutto ciò che
si oppone al movimento; essa varis col variare della velocità dei corpi, dell’
ampiezza della loro superficie e della loro forma; nei fiuidi la resistenza è
pro porzionale al quadrato della velocità del corpo in moto (v. articolare,
impenetrabilitä). Responsabilità. T. Verantwortiohkeit; I. Responsability; F.
Responsabilité. Situazione di un agente cosciente s 995
Rus riguardo degli atti che esso ha compiuti, dei quali deve dare i
motivi e attendere biasimo o lode, pena o premio, a seconda della loro natura e
del loro valore. Non va confusa con l’imputabilità: la responsabilità è infatti
la qualità dell’agente di essere capace delle conseguenze, che la legge morale
ο giuridica fa derivare dall’ atto, che gli viene imputato; l’imputasione è il
giudizio che nn determinato atto è attribuibile a quell’ uomo. Un essere è
responsabilo quando deve rispondere della propria condotta; quindi la
responsabilità implica indipendenza assoluta del volere, suppone che la volontà
si determini da sò stessa all’azione, indipendentemente da una forza che la
costringe. Ed infatti il concetto della responsabilità sorse. accanto a quello
del libero arbitrio; se da principio, nell'infanzia della umanità, essa era
estesa alle cose inanimate, agli animali, persino ai cadaveri, in seguito fu
ristretta agli esseri in cui αἱ riconosceva la facoltà di conoscere il bene ο
il male e la possibilità di scegliere tra I’ uno e l’altro. Ma anche V idea
dell’assoluta indipendenza del volere si dimostrò errones ο fu abbandonata;
caddo perciò anche il concetto di responsabilità, e se oggi il vocabolo è
rimasto ha però un significato diverso del primitivo, tanto che, forse non a
torto ei proclama da alouni la necessità di abolire una parola che non adegua
l’idea ed è cagione di equivoci. Alla responsabilità assoluta, che
corrispondeva alla libertà assoluta del volere, alonni vogliono sostituire una
responsabilità limitata corrispondente alla limitazione della libertà e
distinguono una responsabilità parziale ed una responsabilità attenuata ; per
la prima un individuo è responsabile soltanto degli atti emananti dalle sue
facoltà mentali normali, irresponsabile per quelli emananti dalle anormali ;
per la seconda la responsabilità d’un individuo debole intellettualmente e
moralmente è diminuita in ragione di tale sua debolezza. Altri tentativi furono
fatti per mantenere l’ idea di responsabilità, dandole una base che potesse
sostituire quella caduta del libero arbitrio. Fra le dottrine a tal rignardo
più importanti ricorderemo: 1° quella, oul #’iepira anche il codice penale
zanardelliano, che pone per base della responsabilità la volontarietà; perchè
vi sia responsabilità l’atto deve essere stato commesso volontariamente;
l’azione à repntata volontaria, se agente, compiendola, voleva realmente
compierla; 2° quella che le pone per base l'intelligenza, considerata come
direttrice della volontà: è responsabile soltanto 1) individno la cui volontà è
determinate, in generale. dalle idee, e, in particolare, dalle nozioni della
religione, 8 della morale, del diritto, della prudenza; 3° quella che le pone
per base l’intimidabilità per mezzo della pena; essendo tutti gli uomini, tolti
gli ‘alienati, intimidabili, tatti debbono essere considerati responsabili dei
loro atti; 4° quella che lo dà per base In personalità ; ogni nomo, agendo
sulle circostanze, che a lor volta agiranno su lui, può modificare la propria
personalità e quindi dirigere il sno spirito verso un dato ordine di idee e di
sentimenti, distogliendolo da altre idee e da altri sentimenti, contraendo
insensibilmente l'abitudine delle azioni e dei pensieri ai quali desidera
sollevarsi; in questo potere di modificarsi ha la sua radice la responsabilità.
Ricordiamo infine la soluzione data al problema dalla scuola criminale
italiana; l’uomo, essendo la risultante fatale di determinati fattori antropologici,
sociologici, economici, tellurici, ecc., non è moralmente responsabile delle
proprie azioni, poichè non poteva non volerle. tutte le condizioni essendo
date; ma siccome I’ uomo vive in società, la quale ha il diritto di difendersi
ο conservarsi. e siccome ogni azione umana produce nella vita della società
degli effetti e delle reazioni sia individuali, aie sociali, che ricadono
sull’antore dell’azione ο gli saranno utili ο nocive secondo che l’azione
stessa sarà stata utile o dannosa alla società, per questi motivi l’uomo è
socialmente responsabile delle proprie azioni. Come si vede, il termine
responsabilità assume qui un significato affatto diverso dal 997
Res primitivo, e ad esso si può utilmente sostituire quello di difesa 0
reazione sociale. Comunemente si distingue la responsabilità morale, la r.
civile e la r. penale. La r. civile consiste nell’ obbligo di riparare, in una
misura e sotto una forma determinata dalla legge, il danno causato ad altri; la
r. penale è la situazione di chi può essere giustamente colpito, a titolo
penale, per un crimine o per un «delitto. Nella stessa responsabilità morale si
distinguono due forme: quella da noi definita sopra, e l’ obbligazione morale,
sanzionata o non dalla legge, di riparare al torto causato ad altri. Ad ogni
modo, il fatto fondamentale è sempre il medesimo; riunendo ciò che ν΄ ha di
comune nei diversi significati, il Calderoni definisce la responsabilità col
fatto che certi atti ; essa si attua in due processi : 1’ uno, che diocesi
riflessione astraonte, consiste nel confrontare le idee degli enti tra di loro
per fissare il più comune, che viene poi applicato agli enti stessi : l’altro,
che dicesi riflessione integrante, consiste nel confrontare le idee degli enti
con 1’ idea dell’ essere in universale. Per il Cousin la riflessione è un
ritorno sopra uno stato precedente : « se non avesse avuto Inogo alcuna
operazione anteriore, non ci sarebbe posto per codesta operazione, cio’ per la
riflessione: la riflessione non crea, ma constata e sviluppa ». Per il Galluppi
è l’attenzione sul proprio pensiero, ossia la percezione interiore volontaria;
essa ci dà la verità particolare, primitiva, indimostrabile, io penso, ciod
Ru 1004
io sono esistente nello stato di pensiero; non dove confondersi con la
coscienza, che è la percezione interiore involontaria. Dalla riflessione il
Locke fa derivare tutte le idee del nostro mondo interno, di ciò che si dice
percepire, pensare, dubitare, credere, ragionare, conoscere, volere, e di tutte
le differenti azioni del nostro spirito; dalla sensazione fa provenire le idee
concernenti il mondo esterno, tutto ciò che noi chiamiamo le qualità sensibili.
Per il Locke la rifleesione equivale all’ attenzione interna: « per riflessione
io intendo la conoscenza che lo spirito prende delle sue’ proprie operazioni, e
del modo di esse; in tal modo le idee di queste operazioni vengono a formarsi
nell’intelletto >. Per Condillac invece anche la riflessione non consiste
che in nna sensazione trasformata, e tutte le nostre ideo non hanno che un’
unica fonte: il senso. Perciò il sistema del Condillac dicesi sensiemo, quello
del Locke empiriemo. Cfr. Leibnitz, Nouveaux essais, Pref. $ 4; Cr. Wolff,
Peyoh. empirica. 1738, $ 257; Baumgarten, Metaphysioa, 1739, § 626; Kant, Kit,
d. reinen Vern., A 261, B 316; Maine de Biran, Fond. de la peych., ed. Naville, II, 225; Cousin,
Fragments de ‚Philos. contemporaine, 1846, p. 34; Hamilton, Leot. on
metaphysios, 1859, vol. I, p. 326;
Rosmini, Nuovo saggio sull'origine delle idee, 1830, II, p. 77 segg.; Galluppi,
Lezioni di logioa ο metaf., 1854, I, p. 27-83; Locke, Human understanding,
1877, II, 1, p. 4. Riflesso. T. Reflex, Reflerbewegung; I. Reflex; F. Riflere.
Detto anche atto 0 movimento riflesso. Nella sua forma più semplice e tipica, è
il seguire immediato di una sola eccitazione ad una sola contrazione. Essa
implica un organo ecoitabile per una stimolazione sia interna che esterna, un
nervo centripeto ο afferente che trasmetta l'eccitazione al centro nervoso
(ganglio spinale), un centro nervoso che trasmetta 1’ eccitazione al nervo
centrifugo ο motore, e infine an muscolo che si contragga o una glandola che
secerna. La sede centrale dei riflessi è il midollo spinale, 1005
Rie tuttavia pud intervenire nella produzione loro anche il cervello; in
questo caso si hauno i riflessi psichici ο coscienti (ad es. il soldato che in
battaglia abbassa la testa al fischiare delle palle) nel primo caso si hanno
invece i riflessi spinali ο incoscienti (ad es. il restringersi o il dilatarsi
della pupilla in seguito al crescere ο al diminnire della luce). Si dicono poi
riflessi primari quelli che nella serie filogenetica non sono mai stati
coscienti, e riflessi sscondari quelli che negli Antenati erano azioni
volontarie coscienti, ma che sono divenuti più tardi incoscienti per abitudine
o per scomparsa della coscienza. Rispetto alla complessità loro i riflessi
furono distinti in: 1° semplici, che definimmo sopra; 2° difSusi incoordinati,
che si manifestano in forma di contrazione di tutti i muscoli ed hanno per
csuss l’ aumento della eccitabilità spinale; 3° diffusi coordinati, che
manifestano un fine (ad es. i movimenti che si fanno dormendo per prendere una
posizione più comoda). Il cervello esercita una asione inibitoria sui riflessi,
come mostra il fatto che si possono talora abolire mediante la volontà, e che
l'asportazione sperimentale del cervello è seguita da esagerazione di riflessi.
Cfr. Höffding,
Psychologie, trad. frano. 1900, p. 49 segg.; Wundt, Grund. d. Psychologie,
1896, p. 227 segg.; Sully, Outlines of peych., 1885, p. 593 segg.; D. Ferrier,
The funotions of the brain, 1876, p. 16 segg. Rigorismo. T. Rigorismus; I. Rigoriem ; F. Rigorieme.
Severità eccessiva nell’ apprezzamento delle azioni umane; affettazione di
abbracciare, in fatto di morale o di fede, le opinioni più rigorose. Il termine
fu usato da Kant per designare l'indirizzo antiedonistico ο ascetico della
morale: « È in generale importante per l’ etica di non ammettere via di mezzo
per quanto è possibile, nd nelle azioni (adiafora) nd nei caratteri umani....
Quelli che s’ attengono a questa stretta veduta sono comunemente chiamati
rigoristi (nome che sembra racchiudere un rimprovero, ma che in realtà è una
lode); ο i loro opposti possono esser chiamati Rısı-Rur 1006
indifferentisti, o latitudinarii del compromesso, e possono esser
chiamati sinoretisti ». Cfr. Kant, Krit. d. prakt. Ver nunft, od. Reclam, p.
88; Id., Religion innerhalb d. Grenzen d. blossen Vernunft, 1879, p. 21 segg.
Rimorso. T. Gewissensbise; I. Remorse; F. Remords. Sentimento complesso di
dolore, che deriva dal riconoscimento d’aver violato le leggi della morale e
dal conseguente disprezzo di sò a sò stesso, da un mal dissimulato interiore
disprezzo. Per Spinoza conscientiae morsus est tristitia concomitante idea rei
prastoritae, quae practer spem evenit. Esso è la proiezione nel campo della
coscienza del fatto esteriore della punizione inflitta dalla società per la
violazione della legge positiva: osservato costantemente che nella società nn
genere di atti è seguito da una punizione, si forma nella mente una
associazione inevitabile per oui quell’ atto si pensa necessariamente come
punibile, e quindi come tale da evitarsi, cosicchè compiendolo si ha quel
sentimento che dicesi rimorso. Esso è relativo quindi al grado di moralità ο alle
abitudini mentali ο pratiche dell’ individuo ; quanto più un’azione immorale è
ripetuta, tanto minore è il rimorso che l’accompagna. Cfr. Spinoza, Ethioa, 1.
III, teor. LIX, def. 17; Ardigò, Op. filosofiche, IV, p. 120 segg. Riposo. T.
Ruhe; I. Repose, Rest; F. Repos. In senso psicologico e morale è lo stato di
calma in cui trovasi lo spirito, quando è libero dalle agitazioni che derivano
specialmente dalle passioni e dai desideri. Per Spinoza il riposo intimo, o
soddisfazione di sè stesso, è « la gioia nata dal fatto che 1’ uomo contempla
sò stesso e la propria potenza d’agire »; e poichè la vera potenza d’agire
dell’uomo, ossis la sua virtù, è la ragione stessa che l’uomo contempla
chiaramente, così « il riposo intimo può nascere dalla ragione, e solo il
riposo che nasoe dalla ragione à il massimo che possa esistere >; esso è il
supremo bene che noi possiamo sperare, è la beatitudine stessa. In senso fisico il riposo è lo stato di un
corpo che conserva la sua po= 1007 Rip-Ris sizione nello spazio. Il riporo
dicesi assoluto se il corpo è riportato a degli oggetti realmente fissi; è
relativo se i punti ai quali è riferito sono animati da un movimento al quale
questo corpo partecipa. Cfr. Spinoza, Ethica, 1. IV, teor. LIT; Appendice, cap.
IV (v. atarassia, equilibrio). Riproduzione. T. Reproduction; I. Reproduction;
F. Reproduotion. Il ripresentarsi alla coscienza degli stati ο dei processi
passati. Kant chiama legge della riprodusione quella secondo la quale le idee
che si sono presentate insieme nello spirito si richiamano V una l’altra alla
coscienza. Secondo Th. Ziegler, si riproducono soltanto quegli stati « che
armonizzano coi nostri attuali sentimenti ο stati d’ animo, mediante oni
conservano il loro stesso valore affettivo ». Il Jodi descrive la riproduzione
come quel processo paicologico mediante il quale « una primitiva eccitazione
della coscienza (sensazione, sentimento, volizione) dopo essere stata
soppiantata ο resa incosciente da un’altra eccita zione, rientra di nuovo nella
coscienza come copia o imitazione della eccitazione primitiva, per virtù della
sola energia psico-centrale, vale a dire senza causazione immediata dello
stimolo corrispondente alla eccitazione primitiva ». La riproduzione di uno stato di coscienza
passato può essere volontaria e automatics ο spontanea ; nel primo caso è
l’effetto di uno sforzo mentale, nel secondo l’effetto immediato di una
eccitazione periferica o centrale. L’ esercizio può rendere la riproduzione
volontaria sempre, più facile, fino a farla diventare automatica. Cfr. Kant,
rit. d. reinen Vern., 13 ed. p. 101; Th. Ziegler, Das Gefühl, 1893; Jodl,
Lehrbuch d. Payohologie, 1896 (v. revivisoenza). Risoluzione. T. Resolution,
Entechluse; I. Resolution; F. Résolution. Nel processo volitivo dicesi così il
momento che segue alla deliberazione © precede l’eseourione. Esso dicesi anche
scelta ο determinazione ο decisione. Tuttavia questi vocaboli designano tanti
aspetti del momento medesimo, il quale è risoluzione perchè è la forma attiva
con cui si riRis-Rir 1008 solve il conflitto dei motivi; è scelta in
quanto fra tutte le diverse possibilità una soltanto è ritenuta, mentre le
altre sono scartate dopo uns resistenza maggiore o minore; è determinazione
perchè si designa netta I’ idea fine, emergente vittoriosa dal conflitto dei
motivi. Nella logica dicesi risoluzione il processo con cui si scompone un
tutto nelle sue parti, o un giudizio in giudizi più semplici di cui è la
conseguenza; esso è l'inverso del processo di composizione ο deduzione
sintetica, e fu chiamato analisi (ἀνάλυσις
scomposizione) dagli antichi geometri greci, che lo ritenevano inventato
da Platone. Cfr.
Wundt, Grund. d. Payohol., 1896, p. 221; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 430 segg.; Conrnot, Essai, 1851, cap.
XVII, $ 259. Risultante. T. Resultanten; I. Resultani; F. Réeultant. Si dice di
una forza, di una velocità, d’una accelerazione, che può da sola sostituire più
forze, velocità, e accelerazioni simultanee. Risultante di traslasione è la
risultante delle forze applicate a un sistema materiale, supposte come
trasportate in uno stesso punto dello spazio.
Nella psicologia dicesi legge delle risultanti psichiche (Wundt) la
legge per cui ogni fatto psicologico un po’ complicato è un prodotto della
congiunzione di più elementi psichici ο quindi una sintesi psichica,
analogamente a ciò che avviene nei fenomeni chimici, in cui due sostanze
congiungendosi insieme danno luogo a una nuova sostanza avente proprietà
diverse da quelle degli elementi componenti. Ad es. la rappresentazione di spazio
risulta da sensazioni muscolari, tattili ο visive, le quali non hanno quella
proprietà spaziale che è posseduta dalla rappresentazione complessiva. Le
risultanti psichiche variano naturalmente col variare dei relativi processi e
sono diverse nei diversi individui. Cfr. Wundt, Grundriss d. Payohol., 1896, p.
375 (v. relazione, legge, ninteri psichica). Ritmo. T. Rhytmus; I. Rhythm; F.
Rythme, Nel suo significato più stretto, è una successione di impressioni udi
1009 Rir tive che variano regolarmente
nella loro intensità obbicttiva. Wundt: « Un solo e medesimo suono può esser
reso più forte ο più debole. Quando tali aumenti e diminuzioni seguono con una
certa regolarità P’ uno all’ altro, il suono diventa articolato ritmicamente ».
In un senso più largo, il ritmo è il carattere d’ un movimento periodico, in
quanto produce un effetto di bellezza o almeno di espressione. Séailles : «
L'armonia dei colori è il ritmo d’ una azione, che mette in gioco le fibre
ottiche senza affaticarle, per uns sapiento disposizione di intervalli di
sforzo e di riparazione ». Nel suo
significato scientifico e filosofico il ritmo è il carattere periodico d’un
processo, il modo caratteristico di svolgersi d’ una funzione. Per ’Ardigd la
legge del ritmo è la legge universale, che domina nella natura e nel pensiero,
e per la quale così in quella come in questo si verifica la varietà nell’
ordine; pensiero ed organismo costituiscono un unico ritmo, il ritmo
pricofisico, che nella età del suo svolgersi riflette l’azione ritmica della natura,
da cui in ultimo risulta. Cfr. Wundt, Grundzüge d. physiol. Peych., 1893, II,
72 segg.; Séailles, Le génie dans l'art, Paris, Alean, p. 236; Ardigò, Op. fl,
II, 227 segg., V, 232 segg., VI, 226 sogg. Rito. T. Ritual; I. Rite; F. Rite.
Un insiemo di simboli raggruppati intorno ad una idea o ad un atto religioso,
allo scopo di renderne paleso il senso ο ingrandirne il carattere solenne. Si
ha così il rito del battesimo, il rito dei funerali, ecc. Anche il rito si
ricongiunge quindi al bisogno che l’uomo prova di obbiettivare i propri
sentimenti ο lo proprie impressioni. Per ciò il rito, rispetto alla religione,
è stato paragonato al linguaggio nel suo rapporto col pensiero: « Fin dal
principio, dice F. B. Jevons, il bisogno e il desiderio di avvicinarsi a Dio si
sono manifestati o han trovato il loro simbolo in atti ο in riti esterni. L’
esperienza del genere umano è la prova che i riti sono indispensabili, nello
stesso modo e per la stesso ragione, che 64
RANzoLI, Dizion. di scienze filosofiche. RIT 1010
il linguaggio è indispensabile al pensiero. Questo non si svilupperebbe
se non vi fosse il linguaggio, mediante il quale il pensiero si affina al
contatto col pensiero. E la religione non si è mai sviluppata, in nessun luogo,
senza i riti ». I riti di tutte le religioni possono dividersi in due grandi
categorie: quelli-di carattere collettivo, compiuti da un insieme di individui
raccolti in assemblea (sacrifiri, danze sacre, processioni, ecc.); quelli di
carattere indiriduale, che mirano ο a propiziare la divinità ο a conse crare la
fede religiosa personale (la preghiera individuale, il battesimo, la cresima,
ecc.). Cfr. 8. Reinach, Culte, mythes et religione, 1905-12; F. B. Jevons,
L'idea di Dio nelle religioni primitive, trad. it. 1914, p. 104 sogg. (v. ri
tualismo). Ritualismo. T. Ritualismue; I. Ritualiem; F. Ritualiame. Nella
storia religiosa si rivelano due tendenzo affatto opposte rispetto alla
adorazione da rendere alla divinità. L’ una consiste nell'attribuire una grande
importanza al compimento delle cerimonie simboliche, che costituiscono il rito;
l’altra nell’ abolire tutte le manifestazioni esterne del culto, che sono
considerate come profanazioni. La prima tendenza costituisce il ritualismo ed è
spiccatissima, ad es. nel? antica religio romana © nel cattolicismo, la seconda
costituisce il puritanismo ο spiritualismo religioso. Quanto all'origine del
ritualismo, secondo alcuni (Brinton) è da ricercarsi nel mito, secondo altri
(Max Mtiller e gli indianisti) sarebbo dovuta a una trasformazione di antiche
usanze e di pratiche magiche ; secondo altri ancora (F. B. Jevons) ogni forma
di rituale, sorgendo dal desiderio dell’ adoratore di rendersi accetto al suo
Dio, ha le sue origini dal sacrificio, che è appunto l’atto mediante il quale
tutti gli uomini si pongono in più stretta relazione coi loro Dei. Cfr. Mettgenberg,
Ritualiemus und Romanismus, 1877; J. Marquardt, Le culte chez les Romaine,
1889; G. d’Alviella, Croyances, rites,inatitutiona, 1911 (v. mito, religione,
rito). . 1011 Riv
Rivelazione. Lat. Revelatio ; T. Offenbarung; I. Revelation; Y. Révélation. In
generale, ogni manifestazione o comunicazione del pensiero ο della volontà
divina, operata per mezzo di agenti naturali o sovrannaturali. Dicesi
rivelazione esterna il manifestarsi della divinità sia nelle leggi ο nei
processi della natara, sia nella vita dell’ individuo ο dei popoli; rivelazione
interna il suo manifestarsi nella ragione ο nel sentimento morale degli
uomini. Secondo la dottrina cattolica,
ufficio della rivelazione è di far conoscere agli uomini i principali elementi
dell’ ordine sovrannaturale che, nel piano provvidenziale, è il fine che oceupa
il primo posto perchè tutto converge verso di esso © da esso riceve la luce. La
rivelazione coincide con l’origine del mondo ed è data e continuata parte con
parole parte con fatti, per via mediata ο per via immediata; le sue fasi sono
quattro (originaria, patriarcale, mosaica e cristiana) © quantunque si debbano
guardare come un solo tutto strettamente connesso, le tre prime non si
considerano che come fasi preparatorio dell’ ultima, la più perfetta di tutte
perchd manifestazione diretta di Dio. Così, a differenza delle rivelazioni
fatte da Dio sotto l'Antico Testamonto, la rivelazione cristiana ha por proprio
carattere l’immutabilità; essa deve rimaner tale sino alla fine dei tempi,
senza essere modificata da alcuna rivelazione pubblica ο senza subire nel sno
contenuto integrale alcuna alterazione sostanziale. Secondo Giustino, Dio si è
servito fin dall'origine di una rivelazione generale, sia esterna sin interna;
di una rivelazione speciale appare» in Mosè, noi profeti e negli uomini della
scionza greca; di una rivelazione piena ο completa mediante il Figlio suo, Con
ciò In rivelazione valo come il vero elemento razionale, che però non deve
esser dimostrato ma soltanto creduto; si cren così un’ antitesi tra rivelazione
e conoscenza razionale, che si acnisco sompre più nei Pndri successivi, i quali
insistono nel porro in Inco In necessità della rivelazione per 1’ inenRiv 1012
pacità dell'anima umana, limitata all’ impressione dei sensi. a
raggiungere da sola la conoscenza della divinità e della sua propria
destinazione. Per Tertulliano, ad es., il contenuto della rivelazione non solo
è soprarazionale, ma in certo senso anche antirazionale, in quanto per ragione
bisogna intendere l’attività conoscitiva naturale dell’uomo; l'evangelo non
solo è incomprensibile, ma è anche in necessaria contraddizione col sapere
naturale : credibile est quia ineptum est; cortum eat quia impossibile est; oredo
quia abaurdum. In seguito, con Β. ‘Tommaso, la rivelazione è ancora affermata
come superrazionale, ma però in accordo con la ragione, della quale è l’
integrazione necessaria ; vien rive lato ciò che In ragione non può trovare da
sè, perchè di gran lunga superiore alle sue forze. Questo concetto si regge
sopra l’unità della ragione divina: in Dio non οἡstono due ordini di verità ma
una sola, che all’ uomo è partecipata parte per mezzo della ragione, parte per
mezzi della rivelazione; quindi, se le verità rivelato sono sujxriori a quelle
di ragione, in quanto emanano direttamente dalla divinità, tra le une e le
altre non può esistere contra ato, perchè appoggiate entrambe sopra una ragione
eterna, che è Dio; e pur essendo la rivelazione l’ultima pietra di paragone
della verità, la ragione può du sò stessa preparare il cammino alla
rivelazione; cos la ragione sostiene la fede, che a sua volta conferma la
scienza: Minus lumen non ofascatur per majus, dice Β. Tommaso, sed magis
augetur, ricut lumen auris per lumen solie ; et hoc modo lumen soientiae nor
offusoatur, sed magie clarescit in anima Christi per lumen scientiae divinae. 1
Sociniani andarono ancora più in là; per essi nulla può essere rivelato che non
sia accessibile alla | conoscenza razionale, e perciò nei documenti religiosi
non si deve considerare come naturale se non oid che è razicnalo. Con ciò la
rivelazione diveniva in fondo superfina © non restava legittima che la
religione naturale: © queste infatti fu il punto di partenza del deismo inglese,
che spo 1013 Rom gliò il Cristianesimo
dei suoi misteri per ridurlo alla verità del « lume naturale >, ossia ad una
intuizione filosofica del mondo. Cfr. Liicke, Versuch einer vollständingen
Einleitung in dio Offenbarung, 1852; S. Ginstino, Apol., II, 8; Tertulliano, De
carne Chr., 5; Id., De pracsor., 7; 8. Tommaso, C. Gentiles, I, ο. 1, 11, 111,
1V, 1X; Id., Summa theol., III, qu. IX, a. 1; Laberthonnière, Saggi di
filosofia religiosa, trad. it. , p. 264 segg:, 295 segg.; C. Ranzoli,
L'agnosticiemo nella fil. religiosa, 1912, p. 30 segg. (v. oredenza, fede,
ragione, religione, fideismo, modernismo, razionalismo, tradizionaliemo).
Romanticismo. T. Romantizismus; I. Romantioiem ; F. Romantieme. Nella filosofia
si denomina così tutto il periodo della speculazione, specialmente tedesca, che
comincia col Fichte © termina con Schopenhauer. Esso trae il suo impulso dalla
convinzione, suscitata da Kant, dell’originalità ο dell’ attivita della natura
spirituale, per cui αἱ credetto possibile di cogliere il principio unitario
della realtà universale e di abbracciare in un sistema solo la scienza, l’arte
o la religione: « Simile ideale della conoscenza, scrive 1’ Hiftding, può a
buon diritto esser chiamato romantico. Esso rimane nelle nubi e nella
lontananza, risvegliando il dosiderio e l'entusiasmo, © agisoe più con codesta
sublimità che non con la prospettiva di trovarne uns realizzaziono ra ο
positiva ». Oltre all’ influsso kantiano, contribuirono ul sorgere del
romanticismo filosofico la religione, In ieuza, gli avvenimenti politici ο
specialmente la letteratura: Novalis, il rappresentante più caratteristico
della poesia romantica, considorava la poesia come l’ essenza più intima di
tutte le cose e faceva della filosofia una semplice tcori della poesia. Il metodo
del romanticismo filosofico fu principalmente deduttivo ο costruttivo; esso
mise in evidenza molti problemi nuovi, ma fu inferiore per originalità ο vigore
di metodo al periodo dei grandi sistemi del secolo XVII; inoltre la sua
influenza venne diminuita dalla terminologia adoperata dalla maggior parte dei
filosofi Rom-Sac 1014 romantici, terminologia capricciosa, oscura,
che rende le loro opere difficili a chi non abbia appreso a pensare in codesto
linguaggio. Cfr.
Höffding, Histoire de la phil. moderno, trad. franc. 1900, vol. II, p. 139 segg.; R. Berthelot, Le romantisme
utilitaire, 1911; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. , vol. II, p. 233, 327, 338; F.
Loliée, Hist. des littératures comparées, 2° ed., p. 295 segg. 8. Nelle espressioni simboliche delle
proposizioni si usa per designare il soggetto. Nol sillogismo designa il
tormine minore, che nella conclusiono fa sempre da soggetto. Nei versi
mnemonici delle tre ultime figure del sillogismo categorico, indica che la
conversione di quel modo a un modo della prima figura, si deve fare per
conversione semplice (v. figura, disamis, datisi, eco.). Sabeismo (dal siriaco
tsaba = adorare). T. Sabäismur: I. Sabeism; F. Sabeieme. Antica setta
filosofica e religiosa, sparsa nei paesi dell’ Oriente, la quale considerava
gli astri come tante divinità, governate dal sole che è la divinità suprema.
Ogni astro è costituito dall’ anima e dal corpo sì Puna che l’altro hanno
sempre csistito e sempre steranno; ma soltanto la prima è di natura divina, e
costituisce l’anima del mondo. Cfr. Ehwolsohn, Die Ssabier und der Ssabismua,
1856 (v. elioteiemo, panteismo). Saggezza. T. Weisheit; I. Wisdom; F. Sagesse.
Se non è ancora la virtù, dice il Rousseau, è almeno la via per raggiungerla.
Essa è ciò cho gli antichi chiamavano pradenza o sapienza. Per Pintone essa è
una delle virtù cardinali, sia dell'individuo sia dello Stato. Per Aristotele
esistono due specie di saggezza: la speculativa (σοφία), che è sinonimo di
scienza, così intuitiva come dimostrativa, e si rivolge alla natura assoluta
delle cose; e la pratica (¢pévyate), che ha per oggetto i dettagli della vita e
della 1015 Ban condotta, le relazioni contingenti e
particolari dell’ esperienza umana. Dopo Aristotele, uno degli argomenti più
discussi nelle scuole filosofiche fu di determinare il criterio della saggezza,
V’ ideale del saggio, ciod dell’ uomo che deve la sua virtù, e quindi la sna
felicità, soltanto al sapere; stoici, epicurei e scettici s’ aocordano nel
fissare come tratto caratteristico del saggio 1’ imperturbabilità (ἀταραξία),
vale a dire l'assenza dai perturbamenti prodotti dalle passioni. Ma per gli
epicurei l’ imperturbabilità, e quindi la saggezza, consiste in un godimento
raffinato; per gli scettici nell’astenersi per quanto è possibile dal giudicare
e quindi anche dall’operare; per gli stoici nel vivere secondo natura, ossia
conforme alla ragione, Nel suo
significato comune, non filosofico, la saggezza è equilibrio, misura,
contemperastone di prudenza e di coraggio, di ardire ο di cautela, di
temporeggiamento e di decisione ; riguarda dunque piuttosto la ragion pratica
che la ragion teorica, si basa sopra 1” esperienza del passato e la riflessione
sul presente per provvedere all’ avvenire, e consiste nel cercare, trovare ©
porre in opera i mezzi necessari e più convenienti all'adempimento della virtà.
Cfr. Sidgwick, The
methode of ethics, 2* ed. 1877, p. 229; Wiudelband, Storia della filosofia,
trad. it. 1913, vol. I, p. 208
segg.; C. Ranzoli, J2 caso nel‘ pensiero ¢ nella vita, 1913, p. 218 segg. (v.
cardinali, pratica, prudenza, virtù). Sansimonismo. T. Saint-Simonismus ; I.
Saint-Simonism ; F. Saint-Simonisme. La dottrina religiosa ο sociale di Enrico
di Saint-Simon, che ebbe molti e fervidi adepti in Francia, Il sunsimonismo
vagheggiava I’ istituzione di un ordino sociale, nel quale I’ individuo non ha
altro valore che per la fanzione che compie nello Stato, vale a dire il
sacerdozio, la scienza ο 1’ industria, e in cui il supremo potere è esercitato
dispoticamente dal padre, che è allo stesso tempo ro e sommo sacerdote, ed
assegna a ciascuno tanto la funzione che deve esercitare nello Stato, quanto la
retribuzione che San-SAT 1016 gli compete per la funzione esercitata. Cfr. Janet, Saints Simon
et le Saint-Simonisme, 1878; Charléty, Hist. du SaintSimonisme, 1896 (v.
collettiviemo, falanstero). Sanzione,
T. Sunktion ; I. Sanotion; F. Sanction. Nel suo signiticato più comune, morale
e giuridico, è la reazione con la quale la società provvede alla propria
conservazione e ai propri fini, contro quella violazione delle sue leggi di cui
gli individui si rendessero colpevoli. In questo senso la sanzione ha un valore
negativo, essendo essenzialmente una repressione. Se ne sogliono enumerare
varie forme: la sanzione naturale 0 fisica, che è l'insieme delle conseguenze
buone ο cattive, che risultano dalle azioni virtuose © viziose; ha la sua
origine nella naturale tendenza delV organismo alla propria conservazione, per
la quale reagisce col dolore a ciò che tende ad alterarlo o distruggerlo, © col
piacere a ciò che può conservarlo ; la sanzione interna © della coscienza, che
è costituita dal compiacimento pel bene praticato, © dal rimorso per la legge
morale violata; la sanzione della pubblica opinigne, che è la stima o il
disprezzo, la lode ο il biasimo che le azioni dell’ individuo gli meritano per
parte degli altri individni; la sanzione politica, 0 penale, o delle leggi, che
è preceduta dalla sanzione dell’ opinione pubblica, ed à costituita tanto
dall’insieme delle pene per chi infrange in qualche modo (prestabilito)
l'ordine morale e sociale, quanto dalle ricompense morali o materiali con cui è
premiato chi allo stesso ordine presta utile concorso; la sanzione religiosa o
superumana, derivante dai premi ο dai castighi promessi ο minaceiati dalla roligiono
nel mondo ultraterreno. Cfr. Sidgwick, Methodèn of ethics, 2* ed. 1877, p. 229; Pope, Christian
theology, 1877, vol. III, p. 159;
J. S. Mill, Utilitarianiem, 1879, cap. III (v. delitto, pena, responsabilità).
Sapere v. opinare. ‚turazione. T. Sättigung; I. Saturation ; F. Saturation.
Dicesi saturasione del colore il grado secondo il quale la sen 1017 Sck sazione scromatica, o incolora, si unisce
ad una sensazione cromatica. Il grado di saturazione è tanto maggiore quanto
minore è la quantità della luce incolore, che entra nella combinazione. Nella scuola criminale positiva (Ferri)
dicesi saturazione oriminosa la legge per la quale in un dato ambiente sociale,
con date condizioni individuali e fisiche, si deve commettere un dato numero di
renti, non uno di più, non uno di meno, allo stesso modo con cui in un dato
volume di acqua, ad una data temperatura, si deve sciogliere una determinata
quantità di sostanza chimica, non una molecola di più, non una di meno; ciò
perchè anche il delitto è un fenomeno collegato al determinismo universale, ed
ha i suoi fattori necessari nelle varie condizioni dell’ ambiente fisico ©
sociale, combinate con gli impulsi occasionali degli individui e colle loro
tendenze congenite. Cfr. Wundt, Grundriss d. Psychol., 1896, p. 68; E. Ferri,
Sociologia oriminale, 43 ed. 1900 (v. delitto, pena, responsabilità).
Scetticismo (σκέπτομαι esamino). T.
Skepticiemus ; I. Soepticiem; F. Soepticieme. Si adopera nel linguaggio comune
per indicare la tendenza a dubitare, o la mancanza di fiducia nella verità di
una data affermazione, dottrino, previsione, o la negazione dei principi
ammessi dal maggior numero. Ma nel suo significato preciso, esso designa il
dubbioesteso deliberatamente, sistematicamente, a tutti quanti gli oggotti
della conoscenza umana, © quindi la sospensione di ogni nostro giudizio intorno
ad essi, Nella storia del pensiero filosofico si contano varie forme di
scetticismo, cominciando da Pirrone, Protagora e Sesto Empirico, venendo fino
al Montaigne; ina tutte si fondano ugualmente sopra la tosi fondamentale della
impossibilità di un criterio assoluto della verità, essendo la ragione
condannata per sun natura alla contraddizione, e mancando ad ogni modo un
qualsiasi testimonio che provi la legittimità della ragione stessa. La
conclusione di tutto lo scetticismo antico i riassunta in quella che si disse
l’ isostenia delle ragioni, ο cioò Scu
1018 l'equilibrio e la forza
uguale delle ragioni pro e contro, intorno a qualsiasi oggetto. E il Montaigne
dimostrava così l'inesistenza di un criterio assoluto per lo conoscenze
sensibili © razionali: « per giudicare delle apparenze cho noi riceviamo dagli
oggetti, ci sarebbe necessario nno strumento giudicatorio; per verificare
questo stromento ci è necessaria una dimostrazione; per verificare la
dimostrazione uno stromento.... Poichè i sensi non possono arrestare la nostra
disputa, essendo pieni essi medesimi di incertezza, occorre che ciò faccia la
ragione; ma nessuna ragiono si stabilirà senza ragione, ο così via via all’
infinito ». Ai nostri giorni, se è possibile lo scetticismo come tendenza dello
spirito, non è più possibile come dottrina, essendo dimostrata In possibilità
della scienza a malgrado della relatività della conoscenza, anzi in grazia di
questa relatività stessa, poichò la scienza è del relativo non delP
assoluto. Soetticiemo oritico fu detto
quello contenuto nella critica della ragion pura, o anche sostticiemo
trasoendontale perchè trnpassava i limiti della pura esperienza esterna; e
scetticismo mistico quello di chi nega alla ragione ogni possibilità di
conoscere il vero, riponendola invece nella fede, nella rivelazione
sovrannaturale. Occorre però distinguere lo scetticismo dal misticismo © dalla
sofistica : tutti tre sono sistemi negativi rispetto alla conosconza, ma mentro
il primo tiene la ragione incapace della verità, il terzo afferma la ragione
indifferente alla verità, ο il socondo nega alla ragiono il potere di
raggiungere la verità suprema, trasferendo tale potere nel sentimento ο nella
fede. Cfr. R. Richter, Der Skeptiziemus in d. Phil., 1904; C. Stumpf, Vom
eblischen Skept., 1909; Credaro, Lo scetticismo degli accademici, 1889 (v.
dommatismo, dubbio, pirronismo, tropi, relatività, sokepsi, scienza, setetica).
Schema, Schematico (σχῆμα figura). T. Schema; I. Schema; F. Schöme. Per Kant
gli schemi sono quelle rappresentazioni o concetti che servono da intermedi fra
le 1019
Scu dodici categorie che non possono applicarsi direttamente ai
sensibili e i sensibili stessi. Gli schemi, forme pure del tempo e perciò di
natura sensibile, sono tuttavia omogenei alle categorio. Ed è appunto dalle
categorie e dagli schemi corrispondenti che derivano quei principî dell’
intelletto puro, coi quali noi intellettualizziamo le intuizioni empiriche,
traendone le cognizioni. Alcuni
psicologi chiamano schemi fantastici, distinguendoli dai concetti, quelle
imagini, assai povere di contenuto, le quali contengono solamente le parti
identiche di moltissime altre (ad es. l’imagine di casa, di albero, ecc.). La
loro formazione è spiegata comunemente col fatto che gli elementi comuni,
fissati dalla ripetizione e fusi in uno, si mantengono intensi e vivi, mentre
gli elementi diversi a poco a poco se ne staccano ο scompaiono. Si dicono schematiche quelle rappresentazioni
non identiche alle effettive, ma che hanno soltanto con esse maggiore o minore
somiglianza, in quanto ne raccolgono i tratti caratteristici. Servono a scopo
diduttico, poichò giovano a mettere sott’ occhio l'essenziale di una cosa, lasciando
da parte l'accessorio, che può nuocere alla chiarezza di quello che si deve
specialmente considerare e ritenere. Oltre la figura schematica propriamente
detta, si ha la figura simbolica, che ne differisce in quanto casa rappresenta
l’oggetto con un segno che può differire anche totalmente, e che ha solo un
valore convenzionale (ad es. la bandiera con oui si rappresenta la patria). Una
terza specie di rappresentazione schematica è In simbolico-ipotetica, nella
quale il simbolo rappresenta una cosa che non si è certi che sia in realtà, ma
solo si suppone. Così, ad es. il chimico rappresenta gli atomi, che non ha mai
veduto, mediante un piccolo cubo, e, disegnandoli variamente disposti,
rappresenta la molecola secondo la specio degli atomi componenti e secondo il
numero loro per ogni specie. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Fern., od. Kehrbach, p. 142-149; A. Riehl,
Die philos. Kriticiemus, 1887, II,
11, p. 61; Ardigò, Scr 1020 La wiensa dell’ educazione, 1893, p. 151
segg. (v. simbolo, categorumeni, conoetto, dissociazione). Schematismo. T.
Schematismus ; I. Schematiom ; F. Schématieme. La dottrina kuntiana dell’ uso
dell’imaginazione truscendentale como intermedia tra la sensibilità e I’
intendimento. Kant distingue i giudizi della percazione (Wahrnemungeurteile),
in cui non viene espresso che il rapporto spaziale o temporale delle sensazioni
per la coscienza individuale, ο i giudizi dell esperienza (Erfahrungeurteile)
in cui un simile rapporto viene affermato come obbiettivamento valido, come
dato nell'oggetto stesso; la differenza tra lo due specie di giudizio è provata
dal fatto, che nei secondi il rapporto spaziale o temporale è regolato per
mezzo d’una categoria, ciod d’un nesso concettuale, mentre nei primi manca. Ed
è così che, di fronte al meccanismo della rappresentazione, in cui le singole
sensazioni si riuniscono o si separano a piacero, il pensiero oggettivo, valido
ugualmente per tutti, è legato con nessi doterminati e concettualmente
regolati. Questo vale specialmente per i rapporti temporali. Tutti i fenomeni
si trovano infatti sotto la forma del senso interno, del tempo, in quanto anche
i fenomeni del senso esterno appartengono all’interno come determinazioni
dell'animo nostro (Bestimmungen unsere Gemüle). Perciò Kant dimostra che tra le
forme dell’ intuizione del tempo e le categorie c’ à uno schematismo, che solo
rendo possibile di applicare le forme dell’intelletto ni prodotti
dell’intuizione, © che consiste nel fatto che ogni categoria ha una somiglianza
schematica con ogni forma particolare del rapporto temporale. Nella conoscenza
empirica noi ci serviamo di questo schematismo per significare il rapporto
temporale percepito medianto la corrispondente categoria. Invece la filosofia
trascendentale deve cercare la giustificazione di questo procedimento nel
fatto, che la categoria come regola dell'intelletto fonda obbiettivamente il
corrispondente rapvorto temporale come oggetto dell’ esperienza. Cfr. Kant,
1021 Scr-Ser Krit. d. reinen Vern., ed.
Kehrbach, p. 142 segg.; W. Jerusalem, Die Urteilsfunction, 1895, p. 170 (v.
eriticiemo, intuizione). Schepsi (σχέφις = dubbio, indagine). O anche scepsi.
Designa in generale il dubbio degli scettici. Più propriamente, secondo lo
Zeller, è la neutralità fra le opposte dottrine, ritenendo di entrambe quello
che hanno di comune tanto nel principio quanto nel termine, cioè l’ astratta
individualità che vuol riposare in sò stessa. L’ Herbart chiama schepsi la
riflessione dubitativa che deve servire di preparazione alla filosofia, e la
distingue in sohepsi inferiore, che pone in dubbio la natura delle cose, e
schepsi superiore, che ne pone in dubbio anche il dato; colla prima ci
persuadiamo che difficilmente possiamo riuscire coi nostri sensi et formarei
una esatta nozione di ciò che sono le cose, colla seconda ci persuadiamo che le
forme dell’ esperienza sono date realmente, ma ci somministrano delle idee
contradditorie. Cfr. Herbart, Einleitung in die Philorophie, 1813; Schwegler,
Geschichte d. Phil., ed. Reclam, p. 386-7 (v. dommatismo, dubbio, tropi,
scetticismo). Sciamanismo, T. Schamanismus; I. Shamaniem ; F. Chamanisme, Setta
religiosa © sacerdotalo della Siberia, ai cui misteri religiosi non si è
iniziati che dopo un lungo e strano noviziato, sotto la direzione di speciali
ancerdoti (shamans). Siccome codesta religione consiste ersenzialmente nel
culto degli spiriti, così tutte le religioni animistiche furono classificato
sotto la categoria dello sciamanismo. Cfr. Tylor, Primitive culture, 1877 (v.
animismo). Scienza. T. Wissenschaft; I. Science; F. Science. Nel suo senso
generale equivale a conoscenza; in un senso più riStretto è un insieme o
l’insieme delle conoscenze logicamento coordinate. Cr. Wolff lo definisco
habitum anserta demostrandi, hoo est, ex principiis certis et immotis per
legitimam conaequentiam inferendi. Per Kant « dicesi scienza ogni dottriua che
costituison un sistema, cioò una totalità di coScr 1022
noscenzo ordinate in base a principi ». Per lo Spencer è «la conoscenza
parzialmente unificata >. Fu definita dal Naville come lo stato del pensiero
che possiede la verità; ha per condizione il dubbio filosofico, ossia lo
spirito di esame. La scienza infatti non può essere nò uno stato del sentimento
nè uno stato della volontà; e perchè il pensiero progredisca nel possesso della
verità, è necessario che non s' accontenti delle apparenze ma le sottometta ad
essine, cioè le interpreti con la ragione; che ogni affermazione di fatti sin
sottomessa alla critica, 6 che lo dottrine ammesso siano abbandonate quando non
forniscono più una esplicazione dei dati dell’ esperienza. Essa ha due scopi:
uno teorico e speculativo, cio la conquista e il possesso della verità, uno
pratico e utilitario, ossia le infinite sue appli-cazioni alla industria.
Aristotelo fu il primo ad occuparsi della natura della scienza, determinandone
con grande chiarezza il metodo, l'essenza e 1’ oggetto. Secondo il filosofo
greco, il primo carattere della scienza è il suo differire dalla semplico
esperienza: questa è fondata sulla sensazione, l’imaginazione © In memoria, non
conosce che il particolare, non coglie la causa e In prova dei fatti; quella ha
un carattere generale, impresso dall’ intelletto attivo agli elomenti forniti
dalla sensazione all’ intelletto passivo, per cui la scienza fornisce la prova
di ciò che avanza. La prova si fa per merzo della dimostrazione, cioè modiante
il ragionamento di cui la forma è il sillogismo. Oltre i principi generali,
forniti dall’ intelletto attivo, e dai quali ogni scienza particolare deduce le
conreguenze, vi sono dei principî che dominano tutte le scienze ο i principi di
tutto le scienze: sono gli assiomi, o verità evidenti, il più importante dei
quali è il principio di contraddizione. Oltro ad aver determinato la natura
della scienza, Aristotele fu pure ricercatore ed osservatore meraviglioso: ma
sia per il fondamento puramente deduttivo dato alla riceren wrientifien, sin
por altre cause di varia 1023 Set natura, nd l’antichità greca e latina, nd
l'età di mezzo ebbero vera e propria scienza. Soltanto nel rinascimento, caduto
il principio di autorità, sostituiti, nello studio della natura,
l'osservazione, 1’ esperimento ο l’ induzione ai metodi deduttivi ο
aprioristici, il sapere scientifico potd costituirsi e progredire. Nello
sviluppo del metodo delle scienze naturali conversero allora le due direzioni
dell’ ompirismo e della teoria matematica; Bacone pose il programma della
filosofia dell'esperienza, Descartes abbracciò il movimento scientifico del sto
tempo in una nuova fondazione del razionaliemo, riempiendo il sistema
concettuale scolastico col ricco contenuto delle scoperte di Galileo. Bacone
insegna come la mera experientia, la sola scientificamente utile, debba essere
depurata dalle aggiunte erronee ond’è inquinata, come l’induzione sia il solo
modo esatto dell’ elaborazione dei fatti e col suo aiuto si debba procedere agli
assiomi generali, per potere con questi spiegare deduttivamente altri fenomeni.
Leonardo intravede che il vero ufficio delP induzione naturalistica consiste
nel trovare quel rapporto matematico, che è costante in tutta la serie dei
fenomeni di determinata misura; Keplero scopre, mediante una grandiorn
intuizione, le leggi del movimento dei pianeti, cho confermano nella
convinzione dell’ ordine matematico delVP universo; Galileo, con intuito
metodico assai più profondo di Bacone, crea la meccanica, quale teoria
matematica del movimento, investigando col metodo rieolutiro i processi più
semplici matematicamente determinabili, ο dimostrando nel metodo compositivo
che la teoria matomatica, col presupposto degli elementi semplici del
movimento, porta agli stessi risultati che presenta l’esperienza. Cartesio,
partendo dalla convinzione che Ja coscienza razionalo è la matematica, aggiunge
ai pensieri metodici di Bacone ο di Galileo questo postulato: cho il metodo
indnttivo © risolutivo debba condurre ad un unico principio di anproma ed
assolnta certezza, partendo dal quale tutta PexpeScr 1024
rienza trovi, grazie al metodo compositivo, la sua perfetta spiegazione.
Il cogito ergo sum di Cartesio ha infatti non tanto il significato di
esperienza, quanto quello di prima fondamentale verità di ragiono, la cni
evidenza è quella di una immediata certezza intuitiva; il metodo analitico
cerca qui, come in Galileo, gli elementi semplici, intelligibili per sò stessi,
coi quali tutto il resto deve esser spiegato, ma invece di trovarli nelle forme
semplici del movimento, li scopre nelle verità elementari della coscienza. Per
Kant la scienza della natura ha bisogno, oltre alla sua base matematica, d’ un
certo numero di principi universali intorno al nesso dello cose, i quali sono
di natura sintetica ο perciò non possono fondarsi sull’ esperienze, anche so
per via di questa arrivano alla coscienza; in altre parole, anche per Kant il
cémpito della scienza natarale è la riduzione galileiana dell’ elemento
qualitativo al quantitativo, in cui solo può trovarsi necessità ο validità
universale su base matematica, ma questa rappresentazione matematica della
natura è per Kant fenomeno essa pure. perchè spazio © tempo, se hanno realtà
empirica, hauno idealità trascendentale. La natura, infatti, non è un puro
aggregato di forme spaziali e temporali, ma un nesso che noi intuiamo
sensibilmente, è vero, ma che nello stesso tempo pensiamo mediante concetti; se
la natura, come oggetto della nostra conoscenza, fosso un nesso reale delle
cose indipendente dalle nostre funzioni razionali, se essa stessa prescrivesse
le eue leggi al nostro intelletto, noi non ne avremmo che una conoscenza
empirica, insufficiente ; possiamo avero invece una conoscenza universale ©
necessaria, in quanto le nostre forme concettuali della sintesi doterminano la
natura stessa, in quanto cioè è il nostro intelletto che prescrive ad ossa lo
suo leggi. Ma questa è la natura solo in quanto essa appare al nostro pensiero.
quindi una conoscenza a priori della natura è possibile solo so anche il nesso,
che noi pensiamo fra le intuizioni,
1025 Sor sia nd più nd meno che
il nostro modo di pensare la natara: anche i rapporti concettuali, in cui la
natura è oggetto della nostra conoscenza, nom possono essere che fenomeni. I
concetti riassuntivi del pensiero contemporaneo, risultato della critica
kantiana, intorno alla natura, ai limiti, all'oggetto ο al valore della
scienza, possono ridursi a tre: 1° la scienza umana riguarda soltanto i
fenomeni, vale a dire il campo del sensibile; ciò è la conseguenza della
negazione della possibilità di una conoscenza a priori trascendente
l’esperienza; 2° la scienza non è una trascrizione della realtà ma una
costruzione ideale, astratta, e il suo valore consisto nell’ essere i suoi
astratti generali una trasformazione dei concreti sensibili, dei fatti reali,
per cui il mondo del senso si trasforma nel mondo del pensiero, il particolare
nell’ univorsalo; 3° il valore della scienza, © la sua certezza, consistono
appunto nell’ essere lo sue astrazioni costituite dagli elementi dell’
esperienza sensibile, nei quali possono essere risolti e dai quali traggono la
loro verità, Dicesi dottrina della
scienza media, la dottrina con la quale il Molinos, e i Gesuiti in generale,
tentano conciliare la libertà del volere umano con la provvidenza e la
prescienza divina. Dio non conosce soltanto ciò che è semplicemente possibile e
ciò che avviene attualmente, ma conosce anche ciò che è condizionatamente
possibile, vale a dire ciò che sta fra la pura possibilità e l'attualità: la
prima è in Dio semplice intelligenza, la seconda è visione, la terza è scienza
media o condizionata. Le azioni umane sono di questa terza specie, cioè
condizionatamente possibili: tuttavia sono libere, ο Dio, che le ha prevedute,
predispone anche la grazia che spetta a ciascuna di ease. Con l’espressione Wissenschaftslehre,
dottrina della scienza, il Fichte indicò il proprio sistema, in quanto esso è
costruito sopra una riflessione avente per oggetto le fasi immanenti di
sviluppo del sapere: « La dottrina della scienza dev’ essere una storia
pragmatica dello spirito umano ». 65
RanzoLI, Dirion. di scienze Alosoficha. Sco 1026
L’ espressione è poi rimasta nel linguaggio filosofico, ma con diverso
significato : con essa infatti si designa oggi ciò che dicesi anche
episfemologia, ossia lo studio dei principi comuni delle scienze, dei loro
oggetti e dei loro metodi. Cfr. Aristotele, Anal. post., I, 3, Τ1 a, 21; Id., Met., I, 9812, 5; Cr. Wolff, Logica, 1732, Disc. prael. $
30; Kant, Me taph. Anfangegrinde
d. Naturwissensohaft, 1786; H. Cohen, Kante Theorie à. Erfahrung, 1871; E.
Naville, Nouvelle class. des soienoes, 33 ed. 1901 ; Pearson, Grammar of
science, 33 ed. 1899; L. Favre, L'organisation de la science, 1900 ; Poincaré,
La valeur de la science, 1908; C. Frenzel, Ueber die Grudlagon d. exaoten
Naturwissenschaften, ; F. De Sarlo, Le modificazioni nella conossione della
scienza, « Cultura filosofica », maggio 1907 (v. dommatiemo, economica teoria,
empiriocriticismo, ipotesi, legge, filosofia, metafisica, classificazione dello
scienze). Boolastion. T. Scholastik; I. Soholastio; F. Soolastique. Il secondo
dei due grandi periodi in cui dividesi la filosofia medievale, e va dall’ 800
al 1400; il primo è rappresentato dalla Patristica, Questo secondo periodo, che
#’ inizia con Scoto Erigena, distinguesi nettamente dal primo, poichè mentre i
Patres eoolesiae movevano direttamente dalla rivelazione, i dootores della
Scuola prendon le mosse dal domms, vale a dire dalla rivelazione già elaborata;
mentre i primi avevano rivolto ogni loro studio nel formulare un domma solo, i
secondi mirano a organizzare l’insieme dei dommi; mentre la Patristica si
svolse massimamente tra i popoli dell’ Oriente, la Scolastica si svolse tra i
popoli dell’ Oceidente, ed ebbe per centro Parigi. Però così l'una come l’
altra dottrina s'accordano in un punto: nel prendere cioè le mosse da una
proposizione imposta e accettata como verità assoluta, Rispetto alla filosofia
dei Santi Padri quella della Scuola rappresenta, secondo alcuni, un regresso.
in quanto è ancora più schiava della religione, e fa nm parte ancora minore
alla ragione e alla scienza. Secondo
1027 Sco altri rappresenta invece
un progresso, in quanto comincia col porre una distinzione tra il domma, o
l'oggetto, e il sapere soggettivo ο il ragionamento, ο quindi tra il credere e
l’intendere: da ciò lo sdoppiamento dell’ unica verità in verità di fede e
verità di ragione, le quali, dopo essere procedute d’accordo per un certo
tempo, daranno poi luogo alla lotta che finirà con la vittoria definitiva della
ragione. La Scolastica si divide in tre periodi: il _ primo va da Scoto Erigena
a S. Anselmo di Aosta, od è caratterizzato dalla prevalenza data alla ragione
sulla fede; nel secondo, che va da S. Anselmo a Duns Scoto, è dato invece il
primato alla fede sulla ragione; il terzo va da Duns Scoto a Occam, e
rappresenta la dissoluzione della Scolastica, Più fiorente di tutti è il
secondo periodo, in cui endono le controversie tra realisti e nominalisti ed ha
per massimo rappresentante S. Tommaso d’Aquino. Cfr. Karl Werner, Die Scholastik
d. apat. Mittelalters, 1881; A. Stökl, Geschichte d. Phil. d. Mittelalters,
1864-66; B. Hauréan, Histoire de la phil, scolastique, 1872; De Wulf, Histoire
de la phil. médiévale, 4* ed. 1912. Bootismo.
T. Scotiemue; I. Scotism; F. Scotieme. Il sistema e la scuola filosofica di
Giovanni Duns Scoto; si oppone al tomismo, sistema 9 scuola di Β. Tommaso. Lo
scotismo è caratterizzato dalla tendenza a separare profondamente la teologia,
disciplina pratica, dalla filosofia, pura teoria; a porre il principio d’
individuazione non già nella materia, come Β. Tommaso e Aristotele, ma nella
forma, in quanto afferma esistere in ogni essere, distinti I’ uno dall’altro
non solo virtualmente ma formalmente, il carattero generale, lo specifico e
l’individuale, ossia ciò che lo Scoto chiama haeoceitas © che fa essere un
individuo quel tale e determinato essere. Ma ciò che distingue ancora più
profondamente lo scotismo dal tomismo è il suo indeterminismo volontaristico,
che 8’ oppone al determismo intellettualistico di 8. Tommaso, Secondo quest’
ultimo l’intelletto Sco 1028 è quello che comprende ciò che è bene, e
siccome la volontà ‘ tende necessariamente al bene, così la volontà dipende
dal1 intelletto ; invece per lo Scoto la volontà, essendo la forza fondamentale
dell'anima, non subisce la costrizione dell’intelletto, bensì determina essa lo
sviluppo delle attività intellettive, intervenendo a rendere chiare ed intense
quelle tra le rappresentazioni alle quali essa rivolge la sua attenzione: la
volontà, non l'intelletto, è sempre rivolta al bene come tale, e solo cémpito
dell’ intelletto è dimostrare dove il bene sin nel caso singolo. Cfr. W. Kahl,
Die Lekre rom Primat des Willene bei Augustinus, Dune Sootus und Descartes,
1886; H. Siebeck, Die Willenslehre bei Dune Scotus und seinen Nachfolgern, in «
Zeitschr. £. Philos. u. philos. Krit. », volume 112, p. 179 segg. (v.
indiriduazione, intollettualiemo, rolontariemo). Scotomi. Specie di
allucinazione delle vista, per cui gli oggetti appsiono di color nero ο si
vedono macchie nerastro immobili; è dovute all’alterasione di una parte più o
meno estesa della retina, In altri casi, per alterazioni centrali, si ha il
cosidetto scotoma scintillante (blindheadache degli inglesi); l’individno crede
di vedere una specie di atmosfera in movimento circoscritta da lineo speszate ©
colorate, oppure una pioggia di scintille o figure simili a ruote infuocate, ο
più spesso linee luminose a zig-zag, come oro splendonte e stendentesi a poco a
poco alla linea mediana, che di rado oltrepassano. Cfr. Wundt, Grundsüge d.
physiol, Peyohol., 1902, vol. II (v. illusione). Scozsismo. T. Soottischo
Philosophie; I. Scottish Philoaophy; F. Philosophie écossaise. O filosofia
scossese, 0 ancora filosofia del senso comune; scuola fondata nel settecento da
Tommaso Reid, e continuata dal Ferguson, Dugal Steward, Tommaso Browe e William
Hamilton (1788-1856). I concetti
fondamentali di questa scuola si possono riassumere così: gli oggetti esterni
ci sono dati da un suggerimento immediato sn cui si fonda la nostra certessa;
codesto suggeri 1029 Scu-Sec mento è il
senso comune, i cui principi sono accettati naturalmente e spontaneamente da
tutti gli uomini; la filosofia e la scienza debbono procedere con metodo
sperimentale, ο la prima si costituisce stadiando con l’introspezione le cause
e le leggi dei fatti interni. Cfr. Mac Cosh, The soottish philosophy, 1875; E.
Grimm, Zur Gesch. des Erkenntnisproblem von Bacon su Hume, 1890; G. L. Arrighi,
L'equiroco fondamentale della filosofia scozsese, « Cultura filosofica »,
maggio 1913 (v. peroasionismo, concezioniemo). Scuola (la). Talora si designa
con questo nome la filosofica scolastica, che viene anche indicata con l’
espressione filosofia della souola. Secondarie (qualità). T. Secunddren Qualitäten; I.
Secundary qualities ; F. Qualités seoundaires. Le qualità primarie dei corpi sono quelle senza le
quali i corpi non possono concepirsi, come la figura, la estensione, la
resistenza. Le secondarie sono quelle che si possono sopprimere, senza
sopprimere nello stesso tempo la nozione dei corpi, come il sapore, 1’ odore,
il colore. Secondo il Locke, le qualità primarie appartengono ai corpi in sò, ©
di esse le nostre sensazioni costituiscono le copie fedeli; le secondarie sono
invece relative, sono copie senza originali, poichè nei corpi nulla v'è di
simile. Si dicono secondarie immediate se si riferiscono a noi, e tali sono
tutte le qualità senbibili; secondarie mediate se si riferiscono tra loro, e
tali sono le forze, ciod le relazioni che intercedono tra le qualità di un
corpo e quelle di un altro. La distinzione fra le qualità primarie ο realmente
esistenti e le secondarie o relative risale agli atomisti greci. Hamilton pose
come intermediarie fra le qualità primarie e le secondarie un nuovo gruppo di
qualità, ch’ egli denominò secondo-primarie; esse sono costituite dalle
proprietà meccaniche delle cose, come la massa © la resistenza, e vengono
conosciute sia immediatamente, come oggetti di percezione, sin mediatamente
come cause di sensazioni. Cfr. Locke, Essay, 1879, IT, cap. 8, 48, 9, 10; Βκο-θκα 1030
Hamilton, Dissertations on Reid, 1863, vol. II, p. 845 seg. (v. qualità). Secundum quid. Termine
degli scolastici, con cui designavano il senso particolare o il particolare
rispetto secondo il quale un vocabolo è preso. La cosa considerata sotto un
rispetto particolare rimane limitata e ristretta, quindi ciò che convieno a
questa in quanto è così ristretta non conviene sempre alla cosa presa
semplicemento ; molti sofiemi si fondano infatti su questo cangiamento di
senso. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 1740. Segmentale (ieoria). La dottrina
fondata nel 1827 da Moquin Tandon e Dugèt, secondo la quale gli animali
risultano da una serie di aggregati morfologici complessi. zoomiti 0 metameri,
ciascuno dei quali rappresenta e ripete in compendio l’organizzazione dell’
animale a cui appartiene. Essa ha assunto oggi importanza anche psicologica.
per il fatto che si cerca di spiegare con essa i fenomeni di disgregazione della
personalità, di sdoppiamento della coscienza, d’ipnosi sperimentale, nonchè i
rapporti che normalmente interoedono in ogni individuo tra io sabeosciente ο
subliminale © io cosciente o supraliminale. La dottrina segmontalo ha le sue
basi nell’ anatomia ο nell’ombriologia: il sistema osseo © muscolare, il
sistema nerveo © la cute dei vertebrati, presentano nei primi stadi di sviluppo
ο in tutta la vita, in alcune parti o in tutto l'organismo, una divisione più o
meno manifesta in segmenté simili disposti in serio lineare, Salendo In scala
animale I’ unificazione dei vari segmenti, operata specialmente dal sistema
nervoso, si va facondo sempre maggiore fino a raggiungere il suo massimo
nell’uomo; ma anche in esso la centralizzazione dei segmenti da cni originariamente
deriva l’encefalo, se quasi completa dal punto di vista anatomico, è
imperfettissima dal punto di vista fisiologico, come è mostrato dalla moderna
dottrina delle localizzazioni cerebrali. Questa incompleta coordinazione
funzionale dei 1031 Ska segmenti che concorrono a formare la
personalità unitaria, si rivela psicologicamente nei fenomeni sopra ricordati,
e nelle incoerenze e irregolarità di condotta e di carattere proprie
specialmente della prima gioventù, quando l’attività funzionale dell’ encefalo
è ancora incompleta. Cfr. Max Dessoir, Das doppelt-Ich, 1896; Boris Sidis,
Studios in montal dissociation, 1902; Luciani, Fisiologia dell’uomo, 1913, vol.
IV. Segni locali. T. Lokalzeichen ; I. Local sign; F. Signes locaux. Lu
dottrina con cui prima il Lotze, poi il Wundt cercarono di spiegare la
localizzazione della sensazione v della percezione. Ogni percezione 0
sensazione è riferita a una certa parto del corpo, se tattile o interna, e a
una certa parte del campo visuale se visiva. Perchè ciò avvenga, bisogna che
ogni punto della pelle ο della retina abbia un carattere proprio, e si
distingua qualitativamente da ogni altro punto. Ora, codesto carattere
speciale, che dà alla sensazione il posto particolare e determinato che
l’eccitazione viene a colpire, è quello che il Lotze chiama segno locale della
sensazione. Esso non è altro che una sensazione secondaria, che accompagna la
sensazione principale, e che varia col variare del punto toccato dalla
eccitazione. In quanto al tatto, i segni locali sarebbero determinati, secondo
il Lotze, dalla differenza di spessore © di tensione della pelle; per la vista
consisterebbero nelle impulsioni motrici che variano secondo ogni punto, e che
tendono a volgere l’occhio in modo che la eccitazione luminosa cada sulla fossa
centrale. Cfr. Lotze, Mikrokormus, 1884, I, 332segg.; Id., Medicinische
Psychologie, 1852, p. 296 segg.; Helmholtz, Physiol. Optik, 1886, p. 539 segg.;
Wundt, Grundriss &. Peyoh., 1896, p. 129 segg. (v. atlante). Segregazione (teoria della). La teoria che
Maurizio Wagner voleva sostituire a quella della selezione naturale, da lui
ritenuta insufficiente a spiegare I’ origine delle forme organiche. Quando un
gruppo di individui, che offrono fra loro certe particolari analogie
fisiologiche ο morfologiche, SEL
1032 emigra dalla madre patria in
altri pnesi, si forma da ουdesto gruppo una nuova specie con un processo di
segregazione ο di isolamento naturale; ciò per le diverse coudizioni di vita ο
per la necessità di riprodursi mediante unioni che sccentuano sempre più quelle
date particolarità. Più che una teoria a sè, i biologi considerano questa del
Wagnor come una integrazione della teoria darwiniana della selezione naturale. Cfr. M. Wagner, Die Entstehung
d. Arlen durch räumlichen Sonderung, 1889 (v. atlante). Selezione. T. Auswahl, Selektion ; I. Seleotion; F.
Sélection. Significa in generale scelta, in particolare il processo onde, nella
lotta per 1) esistenza che gli organismi devono sostenere per la sproporzione
completa fra il loro acerescimento e la misura del mezzo di nutrizione
disponibile, sopravvivono quelli la cui variazione è rispetto ad essi
favorevole, cioè conforme allo scopo. La selesione artificiale è la scelta con
la quale gli agricoltori e gli allevatori perfezionano le razze vegetali e
animali. Essa si fonda su due proprietà fondamentali degli organismi, la
variabilità ο l'ereditarietà : fra gli individui di una specie alcuni
presentano più degli altri la prevalenza di dati caratteri ; sciogliendo per la
riproduzione soltanto questi individui, dopo un certo numero di generazioni, in
base alla eredità che accumula € trasmette, si avranno prodotti in oni tali
caratteri sono al massimo grado spiccati. Accanto alla artificiale, Darwin ha
mostrato esistere anche una selezione naturale, determinata dalla « lotta per
lu vita » che rappresenta nella natura cid che nella selezione artificiale è
rappresentato dalla volontà deliberata dell’uomo: ogni organismo, sia animale
cho, vegetale, deve lottare per raggiungere le necessarie condizioni di esistenza;
in tale lotta sopravvivono e si riproducono soltanto gli individui più adatti,
cosicchè nella serie delle generazioni si hanno individui che presentano
progressivamente caratteri sempre più perfetti. Casi particolari della
solezione naturale sono: In selezione aresale.
1033 SEM determinata dalla lotta
fra i concorrenti per ottenere gli animali dell’ altro sesso; la selezione
omooroma, che determina in molti animali la stessa colorazione dell’ ambiente
in cui vivono; la selezione cellulare, data dalla lotta fra le cellule d’uno
stesso individuo, per cui sopravvivono i tessuti ο gli organi più adatti. Il
Weismann distingue la eelesione personale © la selezione di gruppo: la prima è
il sopravvivere di individui forniti di caratteri d’ adattamento sufficienti a
renderli capaci di sfaggire all’ eliminazione, la seconda il sopravvivere di
gruppi animali in virtù di adattamenti risultanti da relazioni coordinate nel
gruppo stesso. Il Weismann chiama selezione germinale il fatto che nella
sostanza germinale i « determinanti » di certi caratteri assorbono nutrimento
più rapidamente di quelli di altri caratteri e producono in tal modo
discendenti più forti. Il Baldwin chiama selezione funzionale il processo con
cui gli individui, mediante prove ripetute ed errori, giungono a compiere quei
movimenti con eni possono ottenere utili risultati. Cfr. Darwin, Origin of
species, 1859; Weismann, Das Keimplasma, eine newe Theorie der Vererbung, 1894
; Baldwin, Developement and evolution, 1902; Plate Ludwig, Ueber die Bedeutung
des darwinischen Belektionsprinzip, 1903; P. Jacoby, Études sur la selection,
2* ed. 1905. Semantica o Semasiologia. T. Semantik; I. Semantice ; F.
Sémantique. Detta anche semiotica dal greco σῆμα = segno. È la dottrina del
significato storico delle parole, la ricerca sistematica delle variazioni e
dello sviluppo del senso dei vocaboli. Nella medicina semiotica ο semiologia è
la scienza dei segni ο sintomi delle malattie. Locke usò la parola semiotica in
un senso più largo, ciod quale scienza dell’uso © del significato delle parole
© dei segni in generale. Con l’espressione concezione semiotica della
conoscenza si indicano tutte le dottrine gnoseologiche, le quali non
identificano la conoscenza con la realtà, nè la considerano come un’ arbitraria
costruzione della mente, ma la rignardano come SEM 1034
un segno mentale rispetto a ciò che è posto como indipeudente dal
soggetto conoscente, segno costituito di processi e forme logiche (concetti,
giudizi) che si formano naturalmente ο in virtà dei quali la realtà diventa
intelligibile; ver tale dottrina la conoscenza è dunque diversa da ciò cho
semplicemente è, ma è connessa organicamente con la realtà, in quanto per opera
sua la realtà stessa (che è conoscenza solo potenzialmente, civd attitudino ad
essere cunosciuta) diventa di fatto conoscenza: in altre parole la realtà, pure
non assorbendosi nella nostra rappresentazione mentale, pnd essere raggiunta
solo attraverso tale rappresentazione e deve quindi possedere certe condizioni,
lo quali, trovandosi in rapporto con la mente, dànno la conoscenza: «Il
progressivo sviluppo della conoscenza, dice il De Sarlo, è determinato dal
bisogno di fissare tutto ciò che vi ha di conforme alla ragione, o quindi di
assimilabile da essa, mediante la traduzione in rapporti razionali della
realtà, presa questa nel più largo senso... Trovare nella realtà ciò che la
monte s'aspetta ed esige da essa, eoco il eémpito della scienza nel suo
divenire. Il che però non vuol dire che lu scienza 8 misura che diviene più
profonda e completa, non riconosca l’ impossibilità di risolvere la realtà
nell’ intelligenza ο di cancellare ogni differenza tra conoscenza od obbietto,
tra pensiero ed essere ». Cfr. Locke, Eway, 1877, 1. IV, cap. 21, $4; Trench,
Study of words, 1888; Bréal, Essai de sémantique, 1901; Fries, System der
Logik, 1837, p. 370; Do Sarlo, 1 problemi gnoseologioi nella filosofia
contemporanea, « Cult. filosofica », novembre 1910. Semetipsismo. T.
Solipsismus; F. Soliprism; F. Solipsieme. O psicomonismo, o anche solipsismo. E
1’ esageraziono dell’ idealismo: posto che il mondo esteriore non è altro che
la rappresentazione stessa che è in noi, posto che l’esistenza dei corpi si
riduce al loro essere perecpiti, se ne ricava la conseguenza che il soggetto
pensanto non può affermare alcuna esistenza fuori della sua 1035
SEM osistenza personale, e che anche gli altri soggetti pensanti non
esistono se non in quanto sono in lui rappresentati ο rappresentabili. II
solipsista nega quindi non la sola materialità, me anche ogni personalità
distinta dalla sua, ogni psichicità che non sia un fatto della sua coscienza.
Lo Schopenhauer cita questa formula del solipsista: Hae omnes creaturae in
totum ego sum, et praeter me one aliud non est, οἱ omnia ego creata foci. Il
Bradley espone così la posizione del solipsismo : « Io non posso trascendero 1’
esperienza, 0 l’esperienza non può essero che la mia esperienza. Da ciò
consegue che nulla esiste al di fuori del mio io, perchè ciò che è ospàrienza è
stato del mio io >. Questa posizione è sostenuta oggi da alcuni seguaci
della filosofia dell’ immanenza, od es. dallo Schubert-Soldern, il quale dico
che guoseologicamente, non praticamente, il solipsiamo è inconfutabile: « Per
la teoria della conoscenza il mondo non è altro che ciò cho è dato immediatamente
nel complesso della coscienza (Berusstscinezusammenkang).... È vuota pretesa
quella di andar oltro.... La coscienza è rilevabile soltanto per il contenuto;
nulla è per sì, nè come cosa nè come proprieta,... cioè come la cosa atta ad
avere coscienza di altre cose ». Kant adopera il vocabolo solipsismo in senso
morale, per indicare l’egoismo pratico, 1’ amore esclusivo di sè stessi. Cfr.
Schopenhauer, Parerg., 11,1,$13; Bradley, 4ppearance and reality, 1902, p. 248
; Schubert-Soldern, Grundlagen d. Erkenntnistheorie, 1884, p. 64-67; Schuppe,
£rkenntnistheoretische Logik, 1878, p. 63, 69; J. Potzoldt, Dax Weltproblem vom
positivistischem Standpunkt aus, 1908, p. 98; Renouvier, Les dilemmer de la
métaph., 1901, p. 210; G. Villa, L'idealiemo moderno, 1905, p. 253-257; F. . δ.
Schiller, Solipsism, « Mind », aprile 1909 (v. fenomenismo, idealismo).
Semplice. Quosto vocabolo pud-csser preso in vari siIn primo luogo è adoperato
por escludere In mol-, © in questo senso equivale ad unico; in serondo Ben 1036
luogo è preso per escludere 1’ estensione, ο in quosto senso equivale à
inesteso; infine è adoprato per escludere la materialità, ο allora equivale a
incorporeo ο spirituale. Quando si dice che l’anima è semplice, la parola è
presa in tutti 9 tre questi significati. Nella logioa diconsi tali, per
opposizione ai composti, quei giudizi i cui termini sono concetti, © che non
possono quindi risolversi in altri giudizi. Cfr. Rosmini, Psicologia, 1846,
vol. I, p. 212 sogg. Sensazione. T. Empfindung; I. Sensation; 1. Sensation. Nel
suo significato preciso è il fatto psichico elementare. © consiste nella
coscienza d’ una modificazione avvenuta nel proprio organismo in seguito ad una
stimolazione interna o esterna, Perciò è stata generalmento concepita ¢
definita come passività; così per 8. Agostino è pasrio corporis por se ipsam
non latens animam ; per Campanella passio per quam soimus quod est, quod agit
in nos, quoniam similem sibi entitatem in nobis faoit; per Condillac l’anima «
è passiva nel momento nel quale prova una sensazione, perchè la causa che Is
produce è fuori di lei». Per Hobbes invece la sensazione è un’ imagine prodotta
dalla reazione degli organi di senso contro una impressione dall’ esterno :
Sensio est ab organi sensorti conatu ad extra qui generatur a conatu ab obiecto
versus interna, eoque aliquandiu manente per reactionem factum phantasma. Per
Kant è « una percezione che si riferisce solamente al soggetto come
modificazione del suo stato ». Per il Bain è « una impressione mentale, un
sentimento ο stato cosciente, risultente dall'azione di cose esterne su qualche
parte del corpo, detta per tal ragione sensitiva ». Per il Sergi è « un
fonomeno che si produce quando la forza psichica è provocata ad agire dalla
forza esteriore della natura, in un modo che le è proprio, con una
manifestazione comune e costante ». Per il Masci « uno stato di coscienza
correlativo alla eccitazione di una fibra norvosa afferente prodotta da uno
stimolo, ad esa esterno, anlla ana torminaziono, la quale eccitazione ai pro
1037 Sen paghi fino ai centri sensitivi
della corteccia cerebrale ». Per il Wundt è « quello stato della nostra
coscienza, che non può essere scomposto in parti più semplici »; perciò la
sensazione purs è un’astrazione, ed è indefinibile come dice anche Mae Cosh: «
la sensazione non è positivamente definibile; ciò dipende dal suo essere una
semplice qualità, © dal non esservi nulla di più semplice in cui possa essere
scomposta ». Di essa si può dire soltanto che è il primo fatto interno,
conosciuto senza intermediari, accompagnato da imagini associate che lo
localizzano, eccitato da un certo stato dei nervi ο dei centri nervosi, stato
sconosciuto e che è ordinariamente provocato in noi dall’ urto degli oggetti
esteriori. Alcune volte il vocabolo sensazione è usato per designare il fatto
psichico in generale, ο quella qualsiasi modificazione dell’ io determinata da
uno stimolo sia interno ed esterno che intercerebrale: in quest’ ultimo caso si
usa anche I’ espressione di sensazione riprodotta ο imagine. Altre volte è
preso in significato ristretto opponendolo @ percezione: in tal caso per
sensazione si designa sia il fenomeno affettivo distinto dal fenomeno
intellettuale, sia lo stato puramente soggettivo distinto dallo stato
conoscitivo, in cui ciod si ha I’ esplicito riferimento del soggetto
all'oggetto. Spesso si confondono le proprietà dell'oggetto (qualità sensibili)
con le sensazioni che appartengono al soggetto: così coi vocaboli sapore,
odore, suono si designa tanto una proprietà, più o meno conosciuta, dei corpi,
delle particelle liquide ο volatili, delle vibrazioni aeree o luminose, quanto
le specie ben note delle sensazioni che tali corpi, particelle e vibrazioni
eccitano in noi. Non bisogna confondere, se non si vnol cadere in un grossolano
materialismo, la sensazione col funzionamento dei nervi e dei centri nervosi
che ne sono la condizione: il primo è un fatto psicologico, il secondo un fatto
fisiologico, quello ci è noto immedistamente e completamente, questo è
constatato indirettamente, incompletamente, e ancor oggi assai SEN 1038
pooo conosciuto. Diconsi sensazioni interne 0 della cita organioa quelle
che ci avvertono di uno speciale mutamento dovuto alle condizioni interne dei
nostri organi, indipendentemente da stimoli esteriori (fame, sete, fatica,
nevralgia, eco.); sensazioni esterno ο periferiche ο obbiettire quelle che
provengono da un organo situato alla periferia del corpo ο riflottono un
cangiamento del mondo esteriore: sensazioni soggettice, quelle che provengono
da un organe esterno di senso ma riflettono un mutamento avvenuto nelP organo
stesso (scotomi, fosfeno, ecc.). Le sensazioni si distinguono anche in
sensoriali © sensitive: le prime sono quelle che hanno sede nel capo, in organi
speciali, connessi direttamente col cervello per mezzo di nervi afferenti di
breve decorso; le seconde quelle che mancano di apparati terminali delimitati,
ο i cui nervi conduttori si diffondono per il corpo, agli organi interni e alla
superficie esterna. Dicosi sero della sensazione il minimo di eccitazione
necessario a produrla; qualità della sensazione il contenuto della sensazione
stessa, suono, sapore, eco., deter. minato dalla struttura dei diversi organi,
e dalla qualità e intensità degli stimoli; quantità della sensazione
l’intensità della sensazione stessa, dipendente dall’ intensità degli stimoli;
tono o colorito della sensazione il grado di piacere ο di dolore che ncoompagna
la sensazione. Cfr. 8. Agostino, De quant. animo, 25; Campanella, Universalis philos.,
1638. 1, 1v, 1, 2; Condillac, Traité des sensations, 1886, I, cap. 11, $ 11;
Hobbes, Lev., I, 1; Kant, Krit. d. r. Ῥ.,
ed. Kebrbach. 278; Bain, Mental science, 1884, p. 27; Sergi, La Ροψολοῖ. phyeiol., trad, franc. 1888, p. 17; Wandt,
Grundries d. Payc.. 1896, p. 45; Μο Cosh, Exam. of S. Milde
philosophy, 1866, p. 71; Mach, Analisi delle eensazioni, trad. it. 1903, cap. I: Höflding, Psychologie, trad. franc. 1900, p.
129 segg.; Ma. sci, Psicologia; Ardigò, Opere fil., I, 200 segg. III, 76 segg.,
V, 50 segg. (v. eooitasione, elementi prichici, Sacoltà, stimolo, peichioi
fatti, ecc.). 1039 SEN Sensibile. T. Sensibel, Empfndlich; I.
Sensible; F. Sensible, Quando è opposto a intelligibile designa tutto ciò che
può divenire oggetto di percezione, vale a dire il mondo dei fenomeni; per
opposizione a ciò che è oggetto dell’ intendimento puro, ossia il mondo delle
idee e delle relazioni astratte. Gli scolastici distinguevano le speci
sensibili e le speci intelligibili; la specie sensibile era distinta a sua
volta in impressa ed espressa. Por specie impressa s’ intendeva Vimagind degli
oggetti, che si forma per l’azione da essi esercitata sui sensi © per
l’attività dei sensi stessi, cho aspirano al loro completo sviluppo; questa
prima imagine, agendo sul senso interno, dà luogo a sna volta ad una 80conda
imagine, espressa in qualche modo dalla prima e detta perciò espressa, ossia la
sensaziono. A questo punto termina 1’ officio della sensibilità ο comincia
quello dell’ intelletto : 1’ imagine sensibile è accolta infatti dall’ intelletto
attivo, che la spoglia dalle sue condizioni materi ibuti fisici, e la trasmette
quindi, divenuta ormai specio intelligibile, all’ intelletto passivo. Gli scolastici distinguevano poi tre sorta di
sensibili: i sensibili comuni, fonomeni che possono essere percepiti con
diversi sensi, come il movimento e la figura; i sensibili propri, che non
possono essere percepiti che da un solo senso, come il suono, il sapore, il
colore; i sensibili per accidente, che sono sensazioni risvegliate per mezzo di
altre sensazioni. Cfr. A. Stöckl, Geschichte der Phil. des Mittelalters,
1864-66; S. Tommaso, Sum. phil., I, qu. 46, 85, 2; Id., Contra gent., I, 46;
Duns Scoto, Quaent. de rer. prine., 14, 3; Goclenio, Lex. phil., 1613, p. 1068
segg. Sensibilità. T. Empfindlichkeit, Sensibilität; I. Sensibility; F.
Sensibilité, Nel suo significato più generale designa In facoltà di sentire,
ciod di avvertire le modificazioni che avvengono nel proprio organismo. Sotto
questo rispetto è dunque sinonimo di coscienza (nel suo significato più largo)
ο ad essa pure si connettono le questioni che ne riguardano l’origine, lo
sviluppo ο l'estensione: secondo alcuni à In Sen 1040
proprietà essenziale di ogni organismo, riconducendosi alla irritabilità
per cui la materia organica è capace di ricevere le eccitazioni e di
rispondervi con una reazione; secondo altri è una manifestazione dell’ anima o
spirito; per altri ancora è una proprietà generale dell’ essere o della
materia. Altre volte per sensibilità si intende: 1° la facoltà di provare
piacere o dolore, e in questo senso equivale ad afJettività, si oppone a
intelligenza © a volontà; 2° la facoltà non solo di sentire, ma anche di
percepire, di discriminare, di distinguere; 3° l'insieme di fenomeni complessi,
che contengono elementi intellettuali, come lo tendenze, le passioni, gli
appetiti. Dicesi sensibilità generale 1’ insieme delle sensazioni interne ο
della vita organica, © sensibilità ape ciale le sensazioni periferiche;
tuttavia molte volte per sensibilità generale o cenestesi si intende l'insieme
delle sensazioni così interne come esterne. Si suol anche distinguere la
sensibilità superficiale ο cutanea dalla sensibilità profonda o dei muscoli ©
tessuti interni; che queste due forme di sensibilità siano tra loro distinte,
e, in un certo grado, indipendenti, sarebbe dimostrato dal fatto che in alcuni
casi patologici la prina è completamente abolita mentre la seconda è
conservata, e da altri casi nei quali la sensibilità tattile e dolorifica della
cute permane mentre scompare quella dei tessuti profondi. Cfr. Wundt,
Grundstigo d,' physiol. Paychol., 8" ed., vol. I, p. 341; Beaunis, Les
sensations internes, 1889 (v. coscienza, senso, volontà, meccanismo, ilosoismo,
ecc.). Sensilli. Con questo nome vengono designati da alcuni fisiologi gli
organi specifici di senso, detti da altri esteti ο esteteri, Sensismo. T.
Sensualismus ; I. Sensationalism, Sonsualiem: F. Sensualieme. Non dovrebbe mai
confondersi nd col semsazionismo 0 sensazionalismo, nd col sensualismo. È
sensismo ogni indirizzo gnosoologico e filosofico che spiega colla sola
vansazione i fenomeni della intelligenza umana, ο fuori 1041
SEN della sensazione non riconosce altra fonte delle nostre conoscenze.
Il sensazionismo è una dottrina metafisica, che fa della sensazione 1’ elemento
costitutivo non solo della realtà psichica ma anche della realtà fisica; il
mondo è per esso un insieme di sensazioni, che stanno fra loro in determinati
rapporti, cosicchè non le sensazioni sono simVoli delle cose, ma al contrario
le cose sono un simbolo mentale per un complesso di sensazioni, le quali hanno
solo una stabilità relativa: i vari elementi di cui la realtà è costituita non
sono dunque gli oggetti, i corpi, le s0stanze, bensì i colori, i suoni, le
pressioni, gli spazi, le durate (Mach, Petzoldt, Avenarius). Per sensualismo 8’
intende invece, nella lingua italiana sia comune sia filosofica, ogni indirizzo
edonistico della morale, ogni dottrina che identifica il bene col piacere
sensibile. Il sensismo si oppone al nativiemo ο innatiemo, che considera alcune
idee fondamentali (ad es. di spazio, di tempo, di infinito, eco.) come
anteriori ad ogni esperienza sensibile, e al razionalismo, che considera i
principî supremi di ragione (ad es. quelli di causa, di sostanza, di identità,
di ragione sufficiente, eco.) come irreducibili all'esperienza. Il sensismo si
distingue dall’ empirismo, col quale è spesso confuso, in quanto questo fa
derivare tutte le nostre cognizioni da due sorgenti, e cioò dall’esperienza
esterna, ossia dalla sensazione, e dall’esperienza interna, ossia dalla
riflessione; e dal materialismo, che consiste nel negare l’esistenza dell’
anima come sostanza spirituale, mentre nel sensismo questa negazione non è
necessaria, Uno dei massimi rappresentanti del sensismo puro fu il Condillao,
il quale pure ammettendo l'esistenza di Dio e Vimmortalita dell’anims, fa
derivare dalla elaborazione meccanica delle sensazioni tutte le attività dello
spirito, che egli riduco a due ordini: intellettive, cioè attenzione, memoria,
giudizio, raziocinio, e affettite, cioè il desiderio, le passioni e la volontà.
Ma il sensismo è dottrina molto antica ο risale alla stessa origine della
filosofia. Tutti i filosofi greci del pe66
RanzoLI, Dizion. di sotenze filosofiche, SEN 1042
riodo cosmologico sono sensisti. Malgrado la differenza da essi posta
tra l’esperienza sensibile e la riflessione, tra la verità © l’opinione (δόξα),
non ammettono che una sola porta dalla quale il sapere penetra nell’ uomo: la
porta dei sensi: « Eraclito non sa indicaroi, dice Windelband, una differenza
psicologica tra percepire e pensare, così recisamente in antitesi nei loro
valori gnoseologici ; e tanto meno Parmenide... Ancor più esplicitamente,
Empedocle dichiara che pensare 9 percepire sono la stessa cosa; che il
cambiamento del pensiero è dipendente da quello del corpo; e considera la
miscela del sangue come quella, che determina la capacità intellettuale
dell’uomo. Entrambi non esitarono a render più evidente questa concezione
mediante ipotesi fisiologiche. Parmenide, nella sua tisica ipotetica, insegnò
che l’uguale vien percepito da per tutto mediante l’uguale, ed Empedocle
sviluppò il pensiero che ogni elemento nel nostro corpo percepisce 1’ elemento
uguale nel mondo esteriore... Questi razionalisti metafisici rappresentano tutti,
nella loro psicologia, un grossolano senewaliemo ». In seguito il sensismo
ricompare con Protagora, per il quale l’anima non è nalla fuorchè sensazione;
con gli Stoici, che considerano la coscienza come una tabula rasa che il senso
riempie dei suoi caratteri; con gli Epicurei, che fanno originare la conoscenza
unicamente dalle sensazioni; con Campanella, per il quale omnes seneus simul
causant totius rei cognitionem ; con Bacone, Hobbes, Montaigne, che sostengono
pure l’origine sensibile d’ ogni stato ο fatto della 00scienza. « La sensazione
è il principio della conoscenza, dice Hobbes, e ogni specie di sapere ne
deriva. La sensane stessa non è altra cosa che un movimento ‘di certe parti che
esistono all’interno dell’ essere senziente, © queste parti sono quelle degli
organi col cui aiuto noi sentiamo. La memoria consiste nel sentire ciò che si è
sentito. Quanto alla imaginasione, essa è la sensazione continuata, Sevolita ».
Nel pensiero contemporaneo il sensismo
1043 SEN ha un geniale
rappresentante in Roberto Ardigò, che alla sensazione riconduce così le
formazioni psicologiche come i ritmi logici © le idealità morali. Cfr.
Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, I, p. 79-81, 112, 257
sogg.; Campanella, Univ. phil., 1638, I, 194; Bacone, Nov. Org., 1, 41; Hobbes,
Human καὶ., cap. X, $ 3; Locke, Essay, 1858, II, osp. I, $ 2 segg.; Condillac,
Extrait raie. ed. par Lyon, 1886, p. 35-10 (v. idea, empiriooritiolemo,
esperienza, nativiemo, ragione). Sensitivo. T. Empfindlich ; I. Sensitive; F. Soneitif.
Cid che appartiene alla sensibilità generale; non va confuso con sensoriale,
che designa tutto ciò che appartiene alla sensibilità speciale; si oppone
spesso a motore, che è tutto ciò che riguardala fanzione centrifuga o efferente
dei nervi. Nella classificazione dei caratteri, diconsi sensitivi ο emotivi
quelli nei quali predomina la sensibilità, 1’ impressionabilità, simili a
stromenti in perpetua vibrazione; gli individui sensitivi vivono sempre
interiormente, sono portati a provare maggior dolore per una lieve contrarietà
che piacere per una gran fortuna, e sono quindi nativamente in 1 pessim sino.
Diconsi fibre sensitive, quelle fibre nervose che conducono le impressioni
dalla periferia al centro; radioi sensitive, le radici posteriori dei nervi
rachidei ; fasoio sensitiro, quel cordone hianco del midollo spinale che #’
interna nell’ encefalo superiore, e stendendosi nella corona raggiante giunge
fino alla sostanza grigia degli emisferi cerebrali. Cfr. N. R. D’Alfonso, La
dottrina dei temperamenti nell'antichità ο ci mostri giorni, 1904 (v.
cenestesi). Senso. T. Sinn; I. Sens; F. Sene. La facoltà di provare uno certa
classe di sensazioni. Si distinguò perciò dalla sensibilità, che è, in
generale, la facoltà di sentire; alcune volte però è usato in luogo di
sensibilità ed opposto ad intelligenza, E si distingue anche dalla sensazione
che è il fatto particolare di cui il senso è la facoltà. Faoultas sentiendi
sive sensus, dice Cr. Wolff, est facultas percipiendi obieota SEN 1044
externa mutationem organis sensoriis qua talibus induoentia,
convenienter mutations in organo faotac. Più brevemente il Krug lo definisce «
la facoltà della rappresentazione immediata »; Hegel « il più semplice sistema
della corporeità specificata »; H. Ritter « la facoltà di accogliere degli
stimoli ». Si soglion chiamare specifici i cinque sensi esterni della vista,
dell’ udito, del gusto, dell’ odorato, e del tatto. Quest’ ultimo vien anche
designato con 1’ espressione di senso generale, perchè è il più esteso sia nell’individuo,
di cui occupa tutta la superficie del corpo, sia nella specie, nella quale
appare anche nei più infimi gradini; ο con l'espressione di senso
intellettuale, perchè esso ci fornisce, associandosi al senso muscolare e
visivo, le nozioni intellettuali di figura, volume, estensione, distanza, 900.
Il senso visivo ed auditivo vengono anche detti sensi estetici, perchè le
armonie dei colori e dei suoni ci procurano i godimenti estetici più intensi 6
completi. I sensi specifici furono anche distinti in mecognici e chimici, a
seconda che lo stimolo agisce come semplice movimento, oppure si trasforma
mediante un'azione chimica; sono meccanici l’udito e il tatto, chimici la
vista, l'olfatto ο il gusto. Con l’ espressione sesto senso, alcuni psicologi
designano talvolta il senso della direzione, ο il senso vitale, o quello
muscolare, essendo ciascuno considerato come aggiunto alla classificazione
tradizionale dei cinque sensi specifici.
La parola senso si usa anche in luogo di significato, di accezione d’ un
vocabolo ο d’una proposizione, © si suol distinguere in senso assoInto, quando
è preso semplicemente, relatito quando la cosa significata si considera sotto
un rispetto particolare, collettivo quando si riferisce ad un insieme di cose o
di individui, distributivo quando si riferisce a ciascuna delle parti d’un
tutto, diviso quando si riferisce ad un dato soggetto mediante qualche sua
qualità o relazione, composto quando la qualità o relazione con cui si denomina
la cosa entra essa stessa a formare il soggetto della proposizione. Perciò 1045
SEN i logici dicono sofismi del senso diviso quelle fallacie di
ragionamento, che si fondano sopra una proposizione la quale, presa in quel senso,
è falsa, e soflsmi del senso composto quelli che si fondano sopra una
proposizione che è falsa presa in quel senso, Nel linguaggio scolastico si
distinguono tre significati dell’ affermazione: in sensu formali, quando si
assevera ciò che entra nel concetto e nella definizione del soggetto, di cui si
assevera, ad es.: la giustizia è virtà in Dio con cui punisce la colpa e premia
il merito; in sensu pure reali 0 in sensu identico οἱ materiali, se si afferma
quel predicato che è identico col soggetto, ma non è del concetto detinitivo di
esso, e non è predicato quale aggettivo di quel concetto, ad es.: la giustizia
di Dio è misericordia; in sonen denominativo, quando si affermano quelle cose
che non appartengono al concetto definitivo dell’ essenza metafisica del
soggetto, ma ne sono proprietà accidentali ο secondarie. Cfr. Cr. Wolff, Peychologia
empirica, 1738, $ 67; Krug, Fundamentalphilosophie, 1818, p. 166; H. Ritter,
System d. Logik, 1856, vol. I, p.
181; Hegel, Encykl. im Grundrisse, 1870, $ 401 (v. atercognoatico,
cinestesiche). Senso comune. Gr. Κοινὴ αἴσθησις; Lat. Sensus communis; T.
Gemeineinn : I. Common sense; F. Sono commun. Si può definire come il consenso
di quasi tutti gli uomini in un insieme di credenze praticamento invincibili.
Tuttavia il valore di questa espressione varid assai nella storia della
filosofia. Secondo la dottrina aristotelica, nell’ interno dell’uomo v’ha
qualche cosa che giudica delle sensazioni, ο questo si chiama senso comune,
perchò non può giudicarne se egli da solo non sente ciò che sentono tutti gli
altri sensi; anche il senso particolare sente e giudica, ma soltanto nella
sfera delle cose sensibili che da Ini possono essere percepite, ο perciò seneus
proprius participat aliquid de virtute sensus communis. Per Cicerone il
consenso comune à il criterio della verità, in omni re consensus generis humani
pro ceritate habenda est. Avicenna definisce il senso comune come Sen 1046
quella capacità quae omnia sensu porcepta rocipit et (prope corum
formas) patitur, qua in ipea copulantur. Per il Descartes è sinonimo di buon
senso e di ragione, vale a dire di quella facoltà di ben ragionare che tutti
gli uomini posseggono, almeno virtualmente; egli lo definisce anche come
potentia ® imaginatrice cognoscere. Per il Vico invece è la stessa cosa di
Provvidenza, la cui azione, che egli fa intervenire tanto spesso nella sua
Scienza nuova, consiste « nel fare delle passioni degli uomini, tutti attenti
alle loro private utilità, per le quali viverebbero da fiere bestie dentro le
solitudini, gli ordini civili per li quali vivono in umane società». Anoor più
grande è il valore dato al senso comune da Tommaso Reid e dalla scuola
scozzese. Infatti, secondo il Reid, la nostra certezza nella realtà del mondo
esteriore non ci è data nd da un ragionamento, nd da una inferenza, nd da una
abitudine, ma da un suggerimento interno, immediato, elargito a tutti gli
uomini da Dio, suggerimento che costituisce il senso comune (common sense),
innanzi alla cui autorità debbono inchinarsi tanto il filosofo che lo
soienziato. I principi suggeriti dal senso comune, secondo gli scozzesi, sono
molti, sia grammaticali che logici, matematici, morali, metafisici; di essi non
è possibile’ cercare il fondamento logico, ma si debbono accettare tal quali;
la stessa filosofia non consiste che nello scoprirli e porli a fondamento delle
nostre conoscenze. I principi metafisici, più importanti di tutti, sono tre: 1°
ogni qualità corporea ha per sostanza un corpo, ogni penaiero uno spirito; 2°
ciò che comincia ad esistere deve avere una causa; 3° dove si mostrano segni
d'intelligenza nelle operazioni, la causa deve essere non meccanica ma
intelligente. Si comprende da ciò come per il Reid « la filosofia non ha altre
radici che i principi del senso comune; da essi germoglia, da essi trae il suo
nutrimento. Staccata da queste radici, i suoi pregi avvizziscono, i suoi succhi
si asciugano, essa muore e marcisce ». Molti altri filosofi, fra cui il
Cousin, 1047 SEN il Collard, ece., cercarono poi di far
rivivere la filosofia del senso comane. Secondo il Galluppi, l’esistenza del
senso comune è incontrastabile, ma esso non è altro che la logioa naturale,
ossia la disposizione naturale dello 8 umano a dirigere le operazioni delle
facoltà di conoscere conformemente a certe leggi costanti; ma non bisogna
perciò confondere il fatto che tntti gli uomini convengano su alcune verità,
con l’altro, che l'ammissione di tali verità non abbia altro motivo legittimo
che il consenso comune, laddove, in realtà, tale ammissione avviene per motivi
personali, perchè tutti i mezzi di conoscere ci sono personali : così ogni uomo
crede nell’ esistenza dei corpi perchè i suoi sensi particolari gliela
attestano, e crede alla propria identità personale perchè ha fidncia nella
veracità della propria memoria; di più, se vi sono delle verità generalmente
ammexse, non si può dire che tutte le proposizioni generalmente ammesse siano
verità, e tutta la storia del pensiero umano dimostra anzi che vi sono dei
giudizi falsi universalmente ricevuti. L’Ardigd nega ogni valore al senso
comune, dimostrando come esso sia un fatto di mera suggestione la quale può
anche avere a fondamento il falso -che ciascuno subisce fino dall’ infanzia
dall'ambiente ove nasce, e alla quale difticilmente uno può sottrarsi; trovando
tali idee e credenze già fatte all’età della riflessione, familiari, spontanee,
consentanee fra loro e nelle applicazioni loro ai casi particolari di ogni
momento, ciascuno le crede il naturale portato del senso comune, errando in tal
modo come chi credesse che una montagna sia stata fatta addirittura come si
vede. La storia del pensiero umano mostra infatti come le credenze tradizionali
si siano venute successivamente formando ed accumulando, e di quali errori esse
siano imbevute. Cfr. Aristotele, De an., III, 1,4258, 15; Cartesio, Mod., II;
Reid, Words ed. by Hamilton, 1863, p. 101 segg.; Galluppi, Lezioni di logica e
metafisica, 1854, I, p. 222 segg.; Ardigò, Op. fil., IV, 375 segg.; F.
Harrison, The philosophy of common renne, 1907. SEN 1048
Senso fondamentale. O sentimento fondamentale, è chiamata dal Rosmini la
coscienza primitiva © perenne che l’anima ha del corpo e dei suoi organi, nello
stato in cui essi si trovano, Codesto sentimento fondamentale corporeo è
essenzialmente «no per ciascun uomo, essendo uno il principio senziente, che
con un solo atto sente contemporaneamente tutto il termine corporeo 8 sò unito;
universale, in quanto comprende tutte le parti del corpo; piacevole, come
quello che è conforme alla natura umana; immoto © infigurato, in quanto così il
moto come la figura sono relazioni esistenti solo tra le parti esterne del
corpo; uniforme, in quanto è il fondo omogeneo e indistinto sul quale spiccano
i sentimenti particolari, che seguono all’ azione degli stimoli. La vita
corporea à per I’ uomo non altro che l’incessante produzione del sentimento
fondamentale corporeo. Cfr. Rosmini, Psicologia, 1846, vol. I, p. 136 segg.,
vol. II, p. 69 segg.; Id., Nuovo saggio, 1880, sez. V, par. V, ο, III segg.
Senso intimo. Lat. Sensus intimus, interior; T. Innerer Sinn; I. Internal
senso; F. Sons intime. O sentimento intimo, in opposizione a senso esterno, è
chiamata da alcuni paicologi la coscienza, che ci dà la conoscenza immediata di
noi stessi, © di ciò che in noi stessi avviene: « Sensus intimns est perceptio
qua mens de praesenti suo stato admonetur. Dicitur etiam conscientia, quia per
sensum intimum anima praceentis affootionis, verbi gratia, doloris, sibi
consoia est ». Perd il valore di questa espressione ha variato nel linguaggio
filosofico. Così per Cartesio non v’ha un solo senso interno, ma molti: Nempe
nervi, qui ad ventrioulum, assophagum, faucee, aliasque interiores partes,
explendis naturalibus desidertis destinatus, protenduntur, faciunt unum ex
sonsibus internis, qui appelitus naturalis vocatur; nervuli vero, qui ad cor οἱ
prascordia, quamcis perezigui sint, faciunt alium sonsum internum, in quo
consistunt omnes animi commotiones. Il Locke, con la sua distinzione tra
sensazione e riflessione, dà un nuovo aspetto
1049 SEN alla teoria del senso interno,
il quale è per Ini « la conoscenza che la mente soquists delle sue proprie
operazioni », e, in quanto tale, dà origine in noi a delle rappresentazioni
determinate, cosicchè a ragione può essere chiamato senso per analogia con
quello esterno. Analogo valore dà all’ espressione G. E. Schulze, il quale
osserva che « alla coscienza degli stati interni si dà il nome di senso, perchè
noi ci sentiamo obbligati a conoscere gli oggetti di esso, cos come a sentire
gli oggetti del senso esterno ». Per il Galluppi esso consiste tanto nel
sentimento involontario dell’ io, quanto nella riflessione volontaria sull’io:
esso ci dà la verità primitiva indimostrabile io penso, ciod io sono esistente
allo stato di pensiero, principio d’ evidenza immediata e perciò mdimostrabile:
« L’ evidenza immediata consiste nella percezione chiara della convenienza o
ripugnanza delle nostre idee fra di esse. Ora, il solo senso intimo può
assicurarci di questa percezione immediata, perciò tutti gli assiomi, i quali
non sono che proposizioni necessarie evidenti per sò stesse, hanno per motivo
immediato 1’ evidenza immediata, per motivo mediato ed ultimo il senso intimo
». Cfr. Cartesio, Prino. phil., IV, 190; Locke, Ees., II, cap. 1, $ 4; G. E.
Schulze, Psychische Anthropologie, 1819, p. 114 segg.; Galluppi, Lezioni di
logioa ο metafisica, 1854, vol. I, P. 84 segg. (v. autocoscienza, cenestesi).
Senso logico. Il Romagnosi, modificando il sensismo condillachiano, denomina
così quella funzione subbiettiva per cui siamo operatori del fenomeno; esso è
distinto dall’attenzione e dal giudizio, e anteriore alla coscienza stessa,
nella quale noi siamo soltanto contemplatori del fenomeno. Al senso logico il
Romagnosi attribuisce quella doppia fanzione differenziale e integrale, in cui
lo Spencer, venuto poi, ripone il processo dell’intelligenza. Cfr. Romagnosi,
Pedute fond. sull’arto logica, § 600 segg. Senso morale. T. Sittliches Gefühl;
I. Moral sens; F. Sens moral. Questa espressione non ebbe mai un significato
BEN 1050
preciso, se non nella scuola dei moralisti inglesi, capitanata dal terzo
conte di Shaftesbury. Secondo questo filosofo il senso morale è V insieme di
quegli affetti riflessi, per mezzo di cui si apprende il giusto e l’onesto ;
esso è nativo nell’individuo, è di natura principalmente émozionale nella sua
forma spontanes, ma, poichè esso ammette una costante educazione e uno
sviluppo, l’elemento razionale ο riflessivo diviene in esso gradualmente
prominente. « Così, per mezzo di questo senso riflesso, sorge un’ altra specie
di affesioni rispetto alle vere affezioni, che sono già state sentite, e sono
ora divenute il soggetto di un nuovo aggradimento o avversione ». L’ Hutcheson,
che appartenne pure a questa scuola, esagerò la dottrina del maestro
attribuendo al senso morale non più un’ energia riflessa, ma specifica, e
togliendogli quell’ elemento attivo, il risentimento, per cui si distingueva
dal senso estetico: « Mediante un senso superiore, che io chiamo morale, noi
proviamo piacere nella contemplazione di tali azioni negli altri (azioni
buone), e siamo determinati ad amare chi le ha cumpiute (e molto più proviamo
piacere nell’ esser consapevoli d’aver compiuto noi quelle azioni) senza alcuna
mira di ulteriore naturale vantaggio da esso ». Cfr. Shaftesbury, Inguiry conc. virtue, 1. I,
parte I, $ 9; Hutcheson, Inquiry into the orig. of our ideas of beauty and
virtue, , p. 106, 124; T. Fowler, Shaftesbury and Hutcheson, 1882 (v.
sentimentalismo, intellettualismo, volontarismo). Bensoriale.T. Sensorisch; I. Sensory; F. Sensoriel,
Soneitif. Tutto ciò che appartiene alla sensibilità speciale, ciod visiva,
tattile, olfattiva, ecc. ; si distingue da sensibile, che è ciò che appartiene
alla sensibilità generale. Il vocabolo sensorio è usato alcune volte per
designare un organo specifico di senso. Sensorium commune. O semplicemente
sensorium. Tale espressione fu già usata da Aristotele per l’organo nel quale
si riuniscono i dati di tutti gli altri sensi specifici. Più tardi fu estesa a
designare la sede non solo del 1051 SEN senso comune, ma dell'anima intera. Tale
sede, che per gli antichi era il cuore, per i moderni è il cervello, e più
precisamente la corteccia grigia del cervello. Però fra gli psicologi e
fisiologi contemporanei, alcuni, col Vulpiav, intendono per sensorium commune i
centri cerebrali della sensibilità comune, altri invece, col Mandsley, i centri
comuni della sensibilità, quali i talami ottici, i tubercoli quadrigemini, i
bulbi olfattivi, ecc. Cfr. Darwin, Expression of emotions, 1890, p. 69;
Bastian, Le cerveau drgane de la pensée; Wundt, Physiol. Psyohol., 4° ed., I,
p. 213 segg. (v. senso comune). Senso spirituale. T. Geistiger Sinn; I.
Spiritual sense: F. Sens spirituel. In generale, l’operazione con cui l’anima,
secondo alcuni filosofi, percepisce immediatamente la verità spirituale. Anche
il Rosmini usa questa espressione per indicare |’ immediata intuizione che fa
|’ intelletto della verità. Esso differisce dal senso corporeo perchè non ha,
come questo, dei termini somatici determinati e reali; ma ha un termine
spirituale e perfettamente indeterminato ; e si dice tuttavia senso, in quanto
lo spirito intuisce con esso immediatamente l’essere, allo stesso modo come
ogni altro senso riceve l'impressione del sensibile. Cfr. Rosmini, Nuovo
saggio, sez. V, p. V, ο, 111 segg.; Psicologia, 1846-48, I, p. 136 sogg., II,
p. 69 segg. (v. senso intimo, autocoscienza). Sensualismo. Τ. Sensualismus; I.
Sensualiem; F. Sensualisme. Non si dovrebbe mai, imitando i francesi, usarlo in
luogo di sensismo, che è la dottrina gnoseologica che pone la sensazione come
unica fonte delle nostre conoscenze, mentre nella lingua nostra il sensualismo
designa piuttosto una tendenza pratica o una dottrina morale, che consiste nel
considerare il piacere fisico come l’unico scopo della vita, come il solo
criterio del bene e del male. Sentimentalismo. Nella filosofia morale designa
quella dottrina che attribuisce al sentimento morale la suprema efficacia
nell'attività etica dell'uomo; si oppone all’intelSEN 1052
lettualismo, che tale officio riconosce invece alla intelligenza. L’uno
e l’altro indirizzo si svolsero specialmente in Inghilterra, dalla seconda metà
del secolo diciottesimo fino alla prima del diciannovesimo, I prineipali
rappresentanti del sentimentalismo furono David Hume, Adamo Smith e David
Hartley. Nella psicologia per sontimontalismo, in opposizione a intellettualismo
e volontarismo, si intende la dottrina che considera il sentimento come
l’attività più primifiva della coscienza, dalla quale si svolgono tutte le
altre. Tale dottrina, sostenuta dal Barrat e dal} Horwiez, sembra essere
confermata dal fatto che, fino ad un periodo avanzato dell'infanzia, l’uomo è
interamente dominato dai sentimenti di piacere e di dolore, determinati
specialmente dalle sensazioni organiche. Nella filosofia della religione il
sentimentalismo è l’ indirizzo che, opponendosi al razionalismo, fa originare
la religione da una facoltà distinta, il sentimento, collocandola così in una
sfera dello spirito diversa dalla intellettuale, autonoma, irraggiungibile ai
metodi ο ai processi del pensiero rasiocinativö. Questo indirizzo, che riappare
oggi nel modernismo cattolico e nella psicologia prammatista, ebbe già per
rappresentanti il Pascal © il Rousseau, che, sia pure con metodi e intenti
diversi, sostennero la sovranità delle ragioni del cuore, l'autonomia della
fede, l’originsrietà del sentimento ο la sua indipendenza dalla ragione; ma il
vero dialettico © teologo del sentimentalismo religioso fa lo Schleiermacher.
Egli sostenne che l’idea di Dio è fuori d'ogni possibile conoscenza, perchd
efagge così alla forma del concetto come a quella del giudizio; Dio non è dato
a noi che nel sentimento, ossia nell’ immediate autocoscienza; il sentimento è
infatti una modificazione dell’ io, dovuta all’azione di un oggetto esterno
sulla nostra coscienza, ed esprime perciò una dipendenza; la religione è appunto
il sentimento della nostra assoluta dipendenza da Dio, 0, che è lo stesso, la
coscienza di noi stessi come 1053 Sex essenti in rapporto con Dio. Cfr.
Schleiermacher, Dialektik, 1903, p216 segg.; C. Ranzoli, L’ agnosticiemo nella
fil. religiosa, 1912, p. 228 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad.
it. 1913, II, p. 203 segg. (v. fidoismo, religione, sentimento). Sentimento.
T.Gefükl; I. Sentiment, Feeling; F. Sentiment. Uno dei termini filosofici di
significato più vasto e più vario. Per lungo tempo fu sinonimo di sensazione,
cosicchè il Descartes classificava fra i sentimenti la luce, il calore, il
suono, l'odore, 909. Oggi si adopera per designare sia una tendenza,
accostandolo per tal modo all’appetito e al desiderio; sia un qualanque stato affettivo,
comprendendo in esso tanto i diversi stati semplici di piacere e di dolore,
quanto le emozioni e le passioni: sia infine una conoscenza oscura la quale
tuttavia ci dà la credenza e la certezza, In quest’ ultimo significato il
dominio del sentimento viene non solo distinto, ma anche opposto a quello dell’
intelligenza © della ragione; ciò che questa distrugge (credenze morali e
religiose) quello può ricostruire su basi incrollabili. Ma il significato più
diffuso della parola sentimento, e il più usato nella psicologia, è quello che
si riferisce si diversi stati di piacere ο di dolore, ο agli stati misti di
piacere ο di dolore, che #’acoompagnano alle operazioni così semplici come
complesse della nostra coscienza. Così il Jodl lo definisce come « un eccitamento
psichico, nel quale il valore di una mutazione nelle condizioni dell’ organismo
vivente o nello stato della coscienza, per il vantaggio ο il danno del soggetto
viene immediatamente percepito come piacere o come dolore ». Per I’ Ebbinghaus
la caratteristica dei sentimenti sta « nel rapporto delle loro cause obbiettive
col bene e col male dell’ organigmo e della vita psichica che l’anima ;
mediante i sentimenti, le impressioni che ci orientano nel mondo esteriore
ricevono una estimazione, che è necessaria affinchè la coscienza possa
impiegare convenientemente le cose obBEN
1054 biettive nella lotta per la
sua propria conservazione ». Per il Masci « il sentimento è una eccitazione
psichica, nella quale il valore di un mutamento dello stato dell'organismo ©
della coscienza in rapporto al soggetto è avvertito immediatamente come piacere
o come dolore ». Secondo tale accezione, il sentimento è un fatto che pare
abbia le sue radioi nelle stesse proprietà elementari dell'organismo,
rappresentando la specificazione ulteriore della proprietà fondamentale della
sostanza vivente, detta irritabilità o anche sensibilità protoplasmatica 0
precosciente, la quale consiste nella reazione particolare dell’ organismo ad
una eccitazione ricevuta. Appartiene dunque alla sensibilità, ma si distingue
dalla sensazione in quanto questa viene riferita al non-io, quello invece
all’io, apparendo come uno stato assolutamente soggettivo ; fra l'uno e l’altra
esiste tuttavia una certa proporzionalità, poichè 00] crescere e diminuire delV
intensità della sensazione, cresce e diminuisce anche I’ intensità del
sentimento. Questo rapporto non è però costante, potendosi persino mutare ad un
certo punto la qualità det sentimento stesso, © cio di piacere passare in
dolore: in generale, infatti, le eccitazioni moderate determinano uno stato di
piacere, mentre le eocitazioni che sorpassano il limite di adattamento dell’
individuo sono seguite dal dolore. Ciò rivela l’officio biologico ο protettivo
del sentimento, il quale serve all’animale come guida della sua vita, come
stimolo necessario a soddisfare adeguatamente i suoi bisogni, come indice dello
stato normale o patologico dei suoi organi. Quindi, quantunque il sentimento
sia relativo allo stimolo, alla sua durata © intensità, all'individuo ed al suo
stato attuale ο precedente, segue tuttavia attraverso la specie una costante ©
regolare evoluzione, affinandosi e complicandosi col perfezionarsi ο
complicarei degli organiami. Si sogliono distinguere, sebbene non da tutti i
psicologi, i sentimenti fisici ο sensitivi dai morali ο ideali, e, tra questi
ultimi, i sentimenti superiori : i ο. sociali, che variano col 1055
SEN variare delle forme di convivenza sociale, e che si esplicano nella
società evoluta col sentimento morale, e quelli della simpatia, della
solidarietà, della beneficienza; ο. intellettuali © logici, che variano,
secondo il Wundt, a seconda che accompagnano gli atti semplici del pensiero, le
concordanze o le contraddizioni, oppure gli atti complessi, la verità,
l'errore, il dubbio, e si manifestano nel piacere della ricerca del vero, nella
gioia della verità conquistata, nelle pene angosciose del dubbio, nella
avversione all'errore: s. estetici, che sono costituiti dal piacere che desta
il bello nelle sue molteplici forme, e, secondo alcuni, precedono il giudizio
estetico, secondo altri lo seguono, secondo altri ancora αἱ presentano
contemporaneamente ad esso; il e. della natura, che sorge dalla contemplazione
del bello naturale, in quanto la natura esprime nel modo più grandioso le
armonie della vita, del movimento e della materia, e i bisogni del cuore; #.
religiosi, che variano col variare delle credenze religiose, ὁ sono esaltativi
nell’individuo compreso ed ammirato dall’onnipotense e dalla grazia divina,
depressivi quando la coscienza dell'individuo è colpita dalla paura della
collera e della vendetta divina. Quanto all'origine e alla natura del
sentimento, cui sopra accennammo, si può dire che soltanto la psicologia
contemporanea se ne sia occupata : fino a quasi tutto il secolo diciottesimo,
la psicologia fu dominata dal concetto che l'intelletto, la conoscenza, fosse
la facoltà dominante dell’uomo, e sotto di essa erano collocate le altre
facoltà considerate come inferiori © comprese sotto il nome di appetiti o
facoltà desiderative, Le dottrine della psicologia contemporanea sulla natura
del sentimento si possono ridurre a cinque: la più diffusa è quella che
considera il sentimento come una funzione psichica avente origine autonoma, al
pari della intelligenza ο del volere, dai quali è indipendente, pure avendo con
essi strettissima relazione (Hòffding, Wundt, Sully, Baldwin, Külpe); secondo
gli herbartiani il sentiSER 1056 mento à invece non una attività originaria
della coscienza, me il risultato di un’azione scambievole delle
rappresentazioni (Nablowsky, Volkmann, Drobisch); per i seguaci del
materialismo psico-fisico il sentimento semplice è una qualità inerente alla
sensazione (tono sentimentale) mentre i sentimenti complessi non sono che il
risultato del combinarsi di sentimenti elementari, che accompagnano quelle
sensazioni che contraddistinguono le emozioni (Münsterberg); secondo i
sentimentalisti puri il sentimento è l’attività più primitiva della coscienza,
dalla quale si svolgono poi tutte le altre (Barrat, Horwicr); infine, secondo
la scuola detta somatica o fisiologica, il sentimento non sarebbe che la pura
espressione delle funzioni organiche, scaturente dai processi fisiologici
(Ribot, James, Lange). Cfr. Höffding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 293
segg.; Sully, Psychology, 2° ed. 1885, p. 687; Bain, Mental science, 1884, Ρ.
215-17; Külpe, Grund. d. Peychol., 1893, p. 236; Wundt, Grund. d. Paych., 1896,
p. 34-43; Volkmann, Lehrbuch d. Peychol., 43 ed. 1894, vol. II, p. 302; Münsterberg,
Aufgabe u. Meth. d. Peyohol., 1888; Horwicz, Peychol. Anal., 1872, II, 2, p. 1; Ardigò, Op. fil., V, 151
segg.; Masci, Peicologia, 1904, p. 114 segg.; Ebbinghaus, Peychologie, trad.
frano. 1912,
p. 114 segg.; W. James, Principles of payohol., 1890, cap. XXIV; Id., La
théorie de l'émotion, trad. franc. 1903; Lange, Les emotions, trad. franc.
1902; Ribot, La psychol. des sentiments, 1896; Id., La logique d. sent. 1904;
Th. Lipps, Vom Fühlen, Wollen und Denken, 190: F. Rauh, De la méth. dans la
payohol. d. sent., 1899; F. Paulhan, Les phenomends affootifs et les lois de
leur apparition, 1887; L. Dumont, Il piacere e il dolore, trad. it. 1878 (v.
piacere, dolore, neutri, sentimentalismo, senso fondamentale, senso
spirituale). Sermonismo. T.
Sermoniemus ; I. Sermoniem; F. Sermonisme. La dottrina di Abelardo, secondo la
quale gli universalì non esistono che nel discorso (sermo). Mentre il 1057
Srr-Sro realismo affermava l’esistenza indipendente degli universali, ed
il nominalismo non vedeva in essi se non denominazioni collettive, Abelardo
sosteneva che, se non possono essere cose, non possono nemmeno essere semplici
vocaboli; la parola (rox) come complesso fonico è già per sè qualche cosa di
singolare, può avere significato generale solo essendo pronunciata, diventando
ciod sermo. Una tale applicazione della parola non è però possibile se non
mediante il pensiero concettuale (conceptus) che, dal confronto dei contenuti
percettivi, prende ciò che per la sua natnra si adatta ad essere espresso (quod
de pluribus natum eat praedicari). L’universale è dunque l’enunciazione
concettuale (sermonismo) o il concetto stesso (conoettualismo). Cfr.
Windelband, Storta della filosofia, trad. it. 1913, vol. I, p. 382 segg.
Sfenoidale (angolo). È determinato da tre punti: il punto basilare, il punto
nasale, corrispondente al centro della sutura fronto-nasale, il punto
sfenoidale corrispondente al chiasma doi nervi ottici. Un tempo si credeva da
molti scienziati, fra cui il Welckere ο il Vogt, che esso fosse molto
importante per stabilire la misura della intelligenza, così da servir di base
alla classifienziono della specie umana; oggi invece, pure non trascurandolo,
gli si attribuisce dagli antropologi scarso valore. Cfr. C. Vogt, Mémoire sur les
microcéphales, 1867; P. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 300 segg. Sforso. T. Anstrengung; I. Effort; F. Effort.
Sentimento intraducibile di tensione, che s’accompagna ad ogni forma di
attività volontaria. Fra le sensazioni di movimento si sogliono distinguere
quello puramente passive, d’origine periferica, derivanti dalla contrazione dei
muscoli, ο quelle attive, detto di aforzo ο d’innerrazione, di origine
centrale, derivanti dal grado di innervazione che comunichiamo ai muscoli per
produrre una data contrazione. Occorre tuttavia distinguere lo sforzo positito,
col quale si tende ad accrescere l'eccitazione o si dirigo l’attività nd un
fine, 67 Ranzota, Dizion. di acienze
filosofiche. Sro 1058 dallo sforzo negativo, che tende a diminuire
1’ eccitazione ed inibire un movimento o una tendenza. Si distingue ancora lo
aforzo muscolare, di cui parlammo, dallo sforzo mentale, diretto a promuovere
od inibire un’idea o una serie di idee, e dallo sforzo morale onde si attua I’
ideale etico contro la resistenza proveniente dal fondo del nostro io ο
dall'esterno. Ad ogni modo lo sforzo, per il dispendio di energia che richiede,
dà sempre un criterio di conoscenza del proprio valore, rivela il dinamismo
dell’essere proprio. E se, per la legge della minor resistenza, lo sforzo che
accompagna gli atti va diminuendo quanto più si ripetono, rimane pur sempre
che, qualora essi debbano assumere una direzione nuova, lo sforzo è pur sempre
necessario; 00sicchè esso è una condizione indispensabile di progresso. Secondo
il Maine de Biran, il sentimento dello sforzo è il fatto primitivo della
coscienza e da esso hanno origine le idee di causa ο di forza: « Noi troviamo
impressa profondamente in noi la nozione di causa o di forza; ma il sentimento
immediato della forza procede la nozione ed è lo stesso sentimento della nostra
esistenza, da cui quello di attività è inseparabile. Poichè noi non ci possiamo
conoscere come persone individuali, senza sentirei cause relative a certi
effetti o movimenti prodotti nel corpo organico. La causa, o forza attualmente
applicata a muovere il corpo, è una forza agente che noi chininiamo volontà. Ἡ
me #'idontifica completamente con codesta forza agente. Ma l’esistenza della
forza non è un fatto per il me che in quanto si esercita, ed essa non #’
esereita che in quanto si può applicare ad un termine resistente o inerte. La
forza non è dunque determinata o attuata che nel rapporto col suo termine
d’applicazione, come pure questo non è determinato come resistente ο inerte se
non nel rapporto con la forza attuale che le muove ο tendo a imprimergli il
movimento. 11 fatto di codesta tendenza è ciò che noi chiaminmo aforzo, 0
azione roluta, ο rolizione, e io dico che codesto sforzo è il vero fatto
primitivo del senso intimo ». Il sentimento dello sforzo appartiene, secondo il
Maine de Biran, al senso intimo, perchè si constata da sè stesso interiormente,
senza uscire dal termine della sua applica zione immediata © senza ammettere
alcun elemento estraneo all’inerzia stessa dei nostri organi; ed è anche il più
semplice di tutti i rapporti, il solo veramente fisso, invariabile, sempre
uguale a sò stesso, in quanto non ammette alcun elemento variabile straniero, è
il risultato costante dell’azione d’una sola ο medesima forza spiegata da un
solo e medesimo termine. Cfr. Sully, Outlines of peych., 2° ed. 1885, p. 109 segg.; Hòffding,
Peyokologie, trad. franc. 1900, p. 150; Bastian, The brain as an organ of mind,
1884, Appendice p. 691; Delboef, Revue philos., t. XII, 1881; Maine de Biran,
Ocurres indites, ed. Naville,
1859, vol. III, p. 5 segg. (v. cinestesiche). Billogismo (συλλογισμός da
συλλέγω--metto insieme). T. Syllogiomus ; I. Syllogiom ; F. Syllogieme.
Consiste in un complesso di tre proposizioni, collegate tra loro in modo che
dalle due prime, dette premesse, se ne ricava una terza, detta conseguenza o
illazione. La parola sillogiemo trovasi già in Platone, ma nel semplice
significato di ragionamento ; con Aristotele assunso il significato speciale
che ha poi sempre conservato. Egli lo defini « un ragionamento nel quale, poste
alcune cose, si conclude necessariamente qualche cosa di diverss, por ciò solo
che quelle sono state poste ». Sembra tuttavia che la scuola Nyaya dell’ India,
fondata da Gotama sei o setto secoli a, C., conoscesse già il ragionamento
sillogistico. Le definizioni del sillogismo date dopo Aristotele concordano più
o meno con la sua. Per Hobbes il sillogismo è oratio, quae oonatat tribus
propositionibus, er quarum duabus sequitur tertia, como additio trium nominum ;
per Cr. Wolff è una operatio mentin, qua ex duabus propositionibus terminem
communem habentibus formatur tertia, combinando terminos in utraque
diverSit 1060 soe; per il Dühring « un rapporto di due
concetti ad un terzo concetto »; per il Wundt « una relazione mentale mediante
la quale da giudizi dati proviene un nuovo giudizio ». Il principio
fondamentale su cui si basa il sillogismo fn determinato già da Aristotele, sia
sotto il rapporto dell’estensione che della comprensione dei concetti. Sotto il
primo ha avuto poi nella logica tradizionale la formula: quidquid de homnibus
valet, valet etiam de quibuadam οἱ singulis ; quidquid de nullo valet, neo de
quibusdam nec de singulis valet. Sotto il secondo fu poi formulato da Kant
così: nota notae est nota rei, repugnans notae repugnat rei ipei. La prima
formula è quantitativa, la seconda qualitativa; contro la prima il Bain
obbiettd che essa, anzichè del sillogismo, è piuttosto la formula dell’
inferenza immediata per subalternazione; contro la seconda, che non determina
l'estensione dell'identità che afferma. Il Bain propose questa nuova formula,
che concilierebbe le due precedenti: « ciò che è detto della classe indefinita
così com’ denotata per la sun connotazione, è vero di tutte le cose la cui
connotazione speciale le rende riferibili alla classe ». Il Lambert ammise come
vera la formula quantitativa, specificandola però variamente per ogni figura;
altri fondandosi sul fatto che ogni sillogismo esprime una identità, hanno
creduto che il principio generale del sillogismo sia quello d’ identità,
’Hamilton quello dell’egua: glianza delle parti col tutto, lo Spencer quello
della sostituzione dell’ identico. Nel sillogismo si distingue la materia, che
è o prossima, cioè le tre proposizioni, o remota, cioè i tro termini; e la
forma, cioè il nesso reciproco che hanno lo proposizioni. I sillogismi si
ripartiscono in cinque classi principali: cafegorioi puri in cui tutte tre le
proposizioni sono categoriche ; oategorico-ipotetici in cui tutte tre le
proposizioni sono ipotetiche; épotetico-categorioi in eni la premessa maggiore
è ipotetica, la minore e In conelnsione categoriche ; categorioi disgiuntiri in
cni la maggiore è di 1061 Sim sgiuntiva,
la minore e la conclusione categoriche ο catetegoriche-disgiuntive; ipotetici
disgiuntiri in cui la maggiore è ipotetico-disgiuntiva, la minore e la
conclusione categoriche o categoriche disgiuntive. Il sillogismo può avere
quattro figure e sessantaquattro modi, di cui diciannove soltanto sono validi.
Oltre al sillogismo deduttivo, del quale fin qui si è discorso, si ha il
sillogismo impropriamente detto induttivo, nel quale, in luogo del termino
medio, è data la serie completa o incompleta delle sue specie. Per lungo tempo
il sillogismo fu tenuto in grande onore; sul finire della scolastica esso era
considerato l’unica forma di ragionamento ed applicato all'espressione di ogni
produzione del pensiero. Ma coll’età moderna si ripresero le critiche contro il
sillogismo, già cominciate con gli scettici antichi: e da Lorenzo Valla,
Rodolfo Agricola, Frun«esco Bacone fino allo Stuart Mill e allo Spencer è tutta
una schiera di pensatori che, con argomenti di varin natura, cercarono negargli
ogni valore, o di ridurlo ad un semplice mezzo di controllo per chiarire i
ragionamenti oseuri o svelare i difetti d’ una argomentazione capziosa. Nè
ancora si può dire che la discussione sia chiusa. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I,
1, 24 b, 18; Id., Anal. post., I, 2,72 a, 5; Platone, Filebo, 41 C; Id., Teet.,
186 D; Id., De corp., 4 C, 1; Cr. Wolff, Logica, 1732, $ 50, § 332; Kant, Lo,
1800, $41-43; Dühring, Logik, 1878, p. 54; Wundt, Logik, 1893, I, p. 270 segg.;
Sesto Empirico, Pyrrh. Hyp., II, 194 segg.; Mar. Nizolius, De rer. prino., I,
4-7; Bacone, Nor. org., I, 13-14; Stuart Mill, Logic, 6° od. 1865, II, 3, 2;
Bain, Logic, 1870; Spencer, Prine. of. Peychol., 3% ed. 1881, II, Pp. 99; Rosmini, Logica, 1853, $ 545 segg.;
Masci, Logica, 1899, p. 278 segg.; A. Pustore, Sillogiemo e proporzione, 1910;
U. Della Seta, La dottrina del sillogismo in Aristotele, 1911 (v. conclusione,
figura, termine, modo, nota notae). Simbolismo, Simbolo. T. Symbolismus; I.
Symbolism ; F, Simbolieme. Nella gnoseologia dicesi simbolismo ogni dotSm 1062
trina che fa dell’ idea un semplice simbolo della cosa, negando quindi
che la conoscenza adegui la realtà e che il pensiero possa cogliere |’ essere
quale è in sò stesso. Nella psicologia dicesi simbolismo sensoriale il fenomeno
della trasformazione automatica in imagini uditive ο visive delle impressioni
sensoriali di modalità differente, tattili, olfattive, gustative, ecc.: in tali
casi l’imagine visiva © uditiva diviene simbolo di sensazioni di ordine
diverso. Il simbolismo sensorialo si verifica costantemente durante la voglia,
ma diviene prevalente nel sogno, perchd nel sonno le vie sensoriali ordinarie
sono chiuse, l’attenzione © Pinibizione volontaria sono torpide, cosicchè si
ve: cano in esso le condizioni proprie alla formasione di imagini simboliche,
cioò d’imagini sostanzialmente diverse du quelle che dovrebbe evocare lo
stimolo che le produce. Nella religione dicesi simbolismo la tendenza a rappresentare
per analogia con un atto o un oggetto materiale sia le forme diverse del
sentimento religioso, sia l'oggetto della credenza. Esso ha origine dal bisogno
che l’uomo prova di obbiettivare i propri sentimenti e le proprie emozioni,
specie quando esse raggiungano un alto grado di intensità. Vi sono molte specie
di simboli religiosi: e. di purificazione come l’acqua del battesimo, la luce
delle torce, le vesti bianche, ece.; a. di sottomissione, come
l’inginocchiarsi, il prosternarsi, lo scoprirsi il capo, ece.; a. di gioia
religiosa, come le danzo, i baccanali, 1’ inghirlandarsi, ecc.; a. di tristezza
religiosa, come il vestirsi di nero, il gettarsi la cenere sul capo, il
digiunaro, ecc.; mistero, como il bendarsi gli occhi, fare la penombra, ece.;
a. di imilazione, come le stimmate di Β. Francesco d'Assisi e i diversi
riti. In generale, per simbolo »’
intende un sogno il quale fissa l’idea o la rappresentazione d'una cosa ο d’un
fatto, che, convenzionalmente, a quel segno si associa. Per dirla in altre parole,
e ricorrendo alla sua otimologia, la parola simbolo designa la connessione
logica di due termini o dati, cia 1063
Sim scuno dei quali partecipa con l’altro di un particolare rapporto. Vi
sono infinite specie di simboli; tuttavia, considerandone la finalità
psicologica ο logics, possiamo col Marchesini distinguere quattro classi:
rapprosentativi, che hanno affinità ο perfetta somiglianza con la cosa, ad es,
il ritratto d’una persona: significativi che, pur valendo a richiamare un
ordine di idee, sono sostituiti da altri dati, ad es. la parola, i numeri, gli
algoritmi ; ricostruttivi che, come parte di una cosa. o momento di un fatto,
richiamano alla mente il tutto della cosa ο del fatto, ad es. la penna in
quanto richiama l’idea dell'atto di scrivere; esplicativi, che ci danno la
conclusione di una serie di operazioni, ο, nello stesso tempo, la ragione di
conclusioni nuove, ad es. una formula matematica. Inspirandosi invece ad un
criterio storico, Guglielmo Ferrero ne fece la seguente classificazione: #. di
prora, come i nostri documenti o le citazioni : 3. descrittivi, cho significano
la cosa mediante la sua figara o quella d’un oggetto affine, ad es. la leonessa
di bronzo eretta dagli Ateniesi in ricordo di Leona; 4. di sopraveitenza, al.
es. l'uniforme militare di certe autorità civili, che è il ricordo del
predominio del potere militare; s. di riduzione, ad. es. l'investitura di una
proprietà per il simbolo d'una foglia di quercia; s. emotivi, i distintivi del.
l’untorità, come la corona e lo scettro; 4. mistici, come l’incanto, che un
tempo era una formula à cui si attribuiva ana potenza superiore. Cfr. Ochler,
Lehrb. d. Symbolik, 1876; G. Ferrero, I simboli, 1892; G. Marchesini, 17
simbolismo nella conoscenza ο nella morale, 1901 (v. ritualigmo). Simile. T.
.ihnlich, gleicharting ; 1. Similar; F. Semblable. In generale due cose si
dicono simili, quando presentano un corto numero di caratteri identici e un
certo numero di caratteri differenti. Nella geometria due o più figure sono
simili quando sono costituite dallo stesso numero di parti, della stossa forma
e nel medesimo rapporte; Sim 1064 le due figure sono sempre simili qualunque
sia la distribuzione, diretta o inversa, delle parti che le costituiscono,
purchè il rapporto sia costante secondo la propria forma delle analoghe parti.
I filosofi greci credevano che il similo possa essere prodotto soltanto dal
simile (talis effeatus qualis causa): da ciò derivarono molti pregiudizi
popolari, ad es. che Vortica faccia guarire l’orticaria, che il zafterano, per
il suo colore, sia il rimedio contro le itterizie, ecc. (v. somiglianza).
Simmetria. T. Symmetrie; I. Symmetry; F. Symétrie. Nel suo senso più generale è
la giusta distribuzione delle parti nella formazione di un tutto armonico.
Dicesi leggo di simmetria la legge formulate dal Bichat, secondo cui nel nostro
corpo sono simmetrici gli apparati della vita animale della riproduzione, sono
invece asimmetrici quelli della vita organica. Il piano mediano taglia il
nostro corpo in duo metà simmetriche, considerandole esteriormente ; però
codesta simmetria non è perfetta, perchd lo due motà non sono geometricamente
uguali, cio se sovrapposte non si corrisponderebbero. La causa della asimmetria
mediale deve attribuirsi alla curvatura laterale della colonna vertebrale (v.
degenerazione). Simpatia. T.Sympathie; I. Sympaty; F. Sympathie.
Etimologicamente designa lu tendenza fondamentale a dividere lo emozioni e i
sentimenti altrui, interpretandoli dal loro linguaggio esteriore. Nel suo
significato più comuno è la tendenza, i cui fattori sono spesso oscuri, ad
amare una determinata persona o cosa. Nel primo caso è un fenomeno assai
complesso, mediante il quale ciascuno è solidalo delle gioie e dei dolori de’
suoi simili; molti elementi entrano a costituirlo, fra oni l'egoismo ὃ
prevalente, anzi unico secondo degli utilitaristi. Nel secondo, che al primo si
ricollega, il fondamento è dato dal sentimento d’un certo insieme di contrasti
ο di somiglianze tra due persone, e può evolversi nell'amore e nell’amicizia.
Il Plat 1065 Sim ner definisce la
simpatia « la proprietà dell’umana natura nd accordare le proprie sensazioni
con le sensazioni di altri individui, il cui stato noi percepiamo o pensiamo ».
IBain ugualmente: « La simpatia è l’entrare nei sentimenti di un altro ©
trattarli completamente come se fossero nostri. È una specie di imitazione
involontaria, o di assunzione dei sentimenti espressi in nostra presenza, che è
seguita dal sorgere dei sentimenti stessi in noi ». Secondo l’Hôffding la
simpatia suppone che « gli interessi comuni prevalgano sugli interessi
divergenti; poscia suppone che tali interessi comuni possano giungere a
manifestarsi con maggiore o minore coscienza nel campo delle rappresentazioni
dell'individuo. Se l’esperienza, l’intelligenza ο l’imaginasione sono limitate,
la simpatia sarà pure limitata. La storia ci mostra che la simpatia si sviluppa
da principio in sfere ristrette © irraggia poscia in più vaste.... Da ultimo la
simpatia deve poter estendersi a tutti gli esseri viventi, alla natura intera;
ensa finisce col prendere allora un carattere religioso e diventa ciò che
Spinoza ha chiamato l’amore intellettuale di Dio ». Anche secondo il Bastian la
simpatia ha carattere evolutivo, ο . 8. Freund, Die Traumdeutung, 1900; Id.,
Ueber d. Traum, 1091 SoL 1901; I. Bigelow, The mistery of sleep,
1897; Myers, The human personality, 1902; A. Maury, Le sommeil et les rêves,
1878; Max Simon, Le mondo des réves, 1888; M. Foucault, Le réce, ; I.
Tobolowska, Etude sur les illusions du temps dans les rêves, 1900; Vaschide, Le
sommoil et les réves, 1911; De Sanctis, I sogni, studi peio. e olin., 1899;
Ardigò, Op. fil., vol. IV, p. 388 segg., vol. IX, pag. 283 segg. (v.
alluoinazione, illusione, onirologia, telepatia). Solidarietà, T. Solidaritàt;
I. Solidarity; F. Solidarité. Nel senso più generale è la dipendenza reciproca
che esiste sia tra gli esseri che costituiscono l’ universo, sis fra le varie
parti di un medesimo essere, e costituisce una delle condizioni tanto della
vita cosmica come della vita individuale. In un senso più particolare è la
dipendenza reciproca tra l'individuo ο la società, tra ogni uomo e tutti gli
uomini. Il solidarismo, che forma la base dei moderni sistemi sociali e
politici, è molto antico nella filosofia ed implicito specialmente nei sistemi
panteistici, che scorgono una funzione dell’ essere assoluto nella coesistenza
degli esseri particolari, nella successione dei loro movimenti ο dei loro
pensieri: da ciò una interdipendenza completa di tutte le esistenze
solidarizzate nell’ unità cosmica. Perd sul concetto di solidarietà non tutti i
pensatori sono concordi: per il Fichte è un’ esigenza della ragione, il
principio d’ intelligibilità della nostra condotta e la condizione onde ai
realizza l’ unità della ragione nello sviluppo dell’ umanità; per Augusto Comte
la solidarietà è In grande legge naturale, che governa la generalità dei fatti
sociali nella loro simultaneità e nella loro successione, cosicchè l'individuo,
il quale per sè stesso non è che un essere biologico, diviene uomo solo in
quanto partecipa dell’ umanitd ed ha il sentimento del legame che lo unisce «
ad una immensa © oterna unità sociale »; per Pierre Leroux, che si vanta
d’avere per primo pronunciata la parola solidarietà, traSportandola dal
linguaggio ginridico in quello filosofico, BoL
1092 la solidarietà è non solo un
sentimento ma un dovere e su essa si fonda il diritto, in quanto « l’uomo,
sentendosi parte di un gran tutto, si mette in rapporto con tutto, e arriva
finalmente a comprendere che ha diritto a tutto »; per il Bourgeois la
solidarietà è un fatto di carattere universale non solo per riguardo agli
esseri inferiori ma anche per rispetto alla società umana, cosicchè non si può
prescindere da essa nel determinare il contenuto dol concetto di giustizia,
consistendo il dovore sociale nel debito che ciascuno ha verso gli avi e verso
i posteri, il diritto nell'esigenza di ciascuno d’avere parte proporzionata
nella somma degli averi e dei benefici sociali; per il Gide non ha valore etico
nd la solidarietà che deriva dalla divisione del lavoro, nò quella che deriva
dallo scambio dei servizi e dalla concorrenza, ma quella che si compie per
mezzo della associazione cooperativa di consumo, nella quale si ha l’attuazione
non tanto della giustizia quanto della fratellonza © dell'amore. Cfr. A. Comte, Cours de
phil. positire. t. IV, lez. 48; L. Bourgeois, Keeai d’une phil. de la solid. 1902; L. Fleurant, Sur la solidarité, 1908.
Solido. Lo spazio fornito di tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità.
L'idea del solido risulta psicologicamente dalle sensazioni muscolari,
associate a quelle della vista e del tatto. Infatti le tre dimensioni
corrispondono a tre specie di movimento, che sono poi relative alle
disposizioni stesse dei nostri organi, onde il concetto di spazio implica un
sopra e un sotto, una destra e una sinistra, un avanti e un indietro. Nell'uso
comune, per sotà s'intende invece la resistenza offorta dai corpi, resistenza
la quale impedisce che altri corpi occupino lu spazio di cui un corpo è
attualmente în possesso; in questo senso fu usata anche dal Locke: «.... ho
creduto che il termine solidità sia assai più adeguato ad esprimere tale iden,
non solo perchè è comunemente neato in ta! senso, ma anche perchè importa
qualche cosa di più pe 1093 SoL-Som sitivo del termine impenetrabilitd,
che è puramente negativo, © che, forse, è più nn effetto della solidità che non
la solidità atessa ». Cfr. Locke, Essay, 1877, 1. II, cap. IV, $ 1-6 (v.
spazio, iperspazio, estensione, superficie, stereognostico, distanza). Solipsismo
v. semetipsismo. Somatico (σῶμα corpo). Tutto ciò che si riferisce al corpo; si
contrappone perciò a peichico, spirituale, morale, intellettuale, ecc. Così
dicesi somatica, per opposizione a intellettualistica, quella teoria
dell’emozione che spiega l’emozione stessa come il ripercuotersi nella
coscienza di alterazioni organiche più o meno profonde; somatologia quella
parte dell’antropologia che ha per oggetto lo studio della struttura del corpo
umano, dello scheletro © degli organi interni, la proporzione delle sue parti,
il suo sviluppo, ο V applicazione dei dati così ottenuti alla differenziazione
sia dell’uomo dagli animali a lui più prossimi, sia delle differenti razze
nmane, popoli, nazioni e classi. Somiglianza, T. Aehnlickeit ; I. Likeness,
Resemblanoe; F. Ressemblance. Tu generale dicousi somiglianti due oggetti che
presentano un certo numero di caratteri identici e un certo numero di caratteri
diversi; Ja proporzione maggiore © minore dei primi rispetto ai secondi dà il
grado maggiore o minore di somiglianza. Nella psicologia dicesi legge di
somiglianza, quella per cui, quando due stati di coscienza xi rassomigliano, l
uno dei due può richiamare l’altro, È un caso della legge generale
dell’associazione, e da alcuni psicologi è ricondotta alle leggi dell’
associazione por simultaneita © per successione continua. Si distinguono varie
specie di associazione per somiglianza : la somiglianza qualitativa, che ha
luogo fra proprietà che non possono identi carsi, ma appartengono alla stessa
famiglia; lu somiglianza dei rapporti, o analogia, per la quale lu
rappresentazione d'un rapporto tra le parti o le proprietà d’un oggett« suscita
la rappresentazione d’ un altro oggetto, tra le parti Som-Son 1094 ©
proprietà del quale esiste un identico rapporto; la mmiglianza di
sovrapposizione, che è il più alto grado di ~miglianza associativa, e per la
quale una rappresentazione ne evoca un'altra che, per la coscienza, è identica
alla prima. Cfr.
Bain, The senses and the intellecte, 3* od., p. 327; Hüfding, Psychologie,
trad. franc. 1900, p. 202 segg.
(v. simile . Sommo bene v. bene. Sommolisti v. vittorini. Sonnambulismo. T.
Somnambulismus, Schlafwandeln: I. Somnambulism, Sleep-walking; F.
Somnambulisme. Stato patologico,
proprio specialmente degli isterici, e che si pe trebbe definire un sonno
parziale. Nel sonnambulismo funzionano soltanto alcuni sensi, cosicchè il
soggetto, senra svegliarsi dal suo sonno naturale, può alzarsi, lavorare.
compiere ogni sorta di atti come se fosse desto. Tali azioni non sono un
prodotto della volontà, bensì dell’ impulsività delle rappresentazioni e dell
abitudine; l’amnesia completa che si verifica al momento del risveglio, la
sorpresa ο lo spavento che coglie i sonnambuli interrotti nel corso delle loro
azioni, provano che la volontà non ha parte nello stato psichico nel quale si
trovano. Il fatto della aicurezza con cui il sonnambulo supera i pericoli, è
spiegato dal Maudsley con l’iperestesia in cui trovansi i sensi rimasti desti.
Il sonnambulismo può essere naturale e prorocato: in questo secondo caso
costituisce una delle fasi del grande ipnotismo. Cfr. Wundt, Grundriss d. Peyool., 1896, p. 321
segg.; Tuke, Sleep-walking and hypnot., 1884 (v. ipnotismoi. Sonno. T. Schlaf; I. Sleep; F. Sommeil. Stato
di incoscienza assoluta ο di subcoscienza, durante il quale l'organismo
ricostitnisco le forze esausto nelle sne relazioni col mondo esteriore. Se le
perdite e le riparazioni dell’ attività nervosa si facessero di istante in
istante, dice lo Spencer, non ci sarebbe l'alternativa tra la veglia e il
sbnno; ma siccomo ciò non avviene, e durante il giorno si ha un consumo
superiore all’approvvigionamento, così
1095 "gon si rende
necessario un periodo alterno, determinato dall'esaurimento, in cui la
provvista sia superiore al consumo. Le principali teorie sulle cause normali ed
immediate del sonno sono: quella che lo attribuisce ad uns specie di
intossioazione dell’ encefalo, dovuta ad alcuni prodotti del lavoro organico,
agenti in modo analogo agli anestetici (etere, cloroformio, ecc.); quella che
lo fa derivare da uno stato passeggero di snemia cerebrale, e quella che, all’
opposto, lo attribuisce ad uno stato di iperemia degli emisferi. Secondo il
Verworn, siccome la coscienza accompagna i processi di disintegrazione delle
cellule corticali, il sonno, che è un processo più intenso di assimilazione,
sarebbe scoompagnato dall’ inibizione dei processi dissimilativi. Secondo il De
Sanctis, la causa del sonno sarebbe non l’ esaurimento cerebrale ma il
muscolare, © la riparazione dei muscoli verrebbe favorita dal sonno perchè la
soppressione della conduzione degli stimoli esterni sopprimerebbe il cosidetto
fono chimico dei muscoli. Ultimamente duo nuove dottrine sul sonno sono state
proposte, raccogliendo molti consensi tra psicologi e fisiologi: la dottrina
istologica, sostenuta tra noi dsl Lugaro, secondo la qualo il sonno sarebbe
determinato da una retrazione dei prolungamenti centrali dei neuroni sensoriali
ο quindi dal loro isolamento dai neuroni contigui; e la dottrina biologica, sostenuta
specialmente dal Claparedo, secondo la quale il sonno è una funzione di difesa,
imposta dal principio come fenomeno di adattamento, sviluppata nella lotta per
1) esistenza ο divenuta poi un istinto per la trasmissione ereditaria, Le cause
anormali si distinguono în organiche, come i narcotici, le grandi altezze delle
vette alpine, lo compressioni sul cervello, ecc., © in peichiche, come la noia,
l'allontanamento delle eccitazioni © la suggestione propria © altrui, come
l’ipnotismo, detto anche sonno provocato. Cfr. Preyer, Uerber die Ursache
des Soklafes, 1877; A. Marvand, Le sommeil et Pinsonnie, 1881; H. Pléron, Le
probl. Sop 1096
physiol. du sommeil, 1913; A. Mosso, Sulla ciro. del sanguc nel
cervello, 1880; De Sanctis, I sogni, studi psichioî ο olimici, 1899 (v.
incosciente, neurone, sogno). Soprannaturale. Τ. Übernatürlioh; I. Supernatural
; F. Surnaturel. Ciò che sorpassa In natura, ossia ciò che nel suo essere o nel
suo agire trascende i poteri di quelle forze materiali che costituiscono la
natura. Il soprannaturale è quindi essenzialmente spirituale, il regno dello
spirito; la natura è materiale, ma include lo spirito (anima umana) © può esser
oggetto d’azione dello stesso spirito infinito (miracolo). Cfr. Chr. Wolff,
Vernünftige Gedanken, 1733, 1, § 682. Soprannaturalismo. T. Supernaturalismus;
I. Supernaturaliem ; F. Surnaturalieme. La dottrina che fa dipendere il mondo
da un essere che trascende, per la sua essenza e per il suo potere, la natura e
che non può essere identificato con le sue forze e le sne leggi. La dottrina che sostiene essere il
Cristianesimo di origine soprannaturale, cosicchè non può essere spiegato coi
soli fattori naturali, ma riferito a Dio come suo autore. La tendenza a sorpassare i limiti della
natura, a cercare la spiegazione del mondo oltre il mondo, a porre il fine
dell’esistenza oltre l’esistenza. Il Rosmini divide tutti i sistemi filosofici
in rasionalisti e soprannaturalisti, determinati da due opposte maniero di
pensare ο di sentire: entrambe queste tendenze sono naturali nell’uomo per
quello che c'è nella sua natura, il soprannaturalismo è naturale per quello che
manca. Cfr. Stäudlin, Geschichte d. Rationaliemus u. Supornaturalismus, 1826;
Rosmini, Storia comparativa e oritioa dei sistemi intorno alla morale, 1837 (v.
natura, naturaliemo). Sopraordinazione v. subordinazione. Soprasensibile. T.
Ubersinnlich; I. Supersensible. Può designaro tanto ciò che non può esser còlto
ο conosciuto mediante i sensi, quanto ciò che trascende per sua natura il mondo
dei sensi; nel primo caso equivale spesso a rasio 1097 Sor nale, mentale, nel secondo a
intelligibile, spirituale. 11 soprasensibile non va confuso con
l'ezirasensibile, che è quella parte del mondo esterno che non ci è data direttamente
dalle impressioni sensibili, bensì da inferenze risultanti da rivombinszioni e
riproduzioni delle impressioni stesse. Cfr. H. Ritter, System d. Logik, 1856,
I, p. 229 (v. extraseneibile). Sordità. T. Taubheit; I. Deafness; F. Sourdité.
Assonza del senso dell’udito, che può dipendere da lesione o imperfezione dell’
apparecchio uditivo o del nervo acustico, oppure da una lesione della zona di
corteccia cerebrale ove sono localizzate le sensazioni uditive; in questo
secondo caso si ha la sordità centrale ο psichica, nel primo la sordità periferica.
Dicesi sordità verbale una delle forme di amnesis parziale, che consiste nella
perdita della memoria della parola in quanto è pronunziata; quindi l’ ammalato,
pur udendo le parole, non ne comprende più il significato. Si manifesta
specialmente nella demenza paralitica, è dovuta a lesione della parte mediana
della prima circonvoluzione temporale sinistra, e va unita sempre ad altri
disturbi della lettura e della scrittura. Cfr. Bastian, Le cerveau organe de la
pensée, 1888, vol. II, p. 220 segg.; Brissaud, Malattie dell’ encefalo, trad.
it. 1906, pag. 100 segg. Sorite (σῶρος
acervus = muechio). T. Kettenachluss, Sorites ; I. Sorites; F. Sorite.
Una forma di ragionamento, costituito da una catena di proposizioni collegate
tra loro in modo, che il predicato della prima fa da soggetto della seconda, il
predicato della seconda da soggetto della terza, © così via via fino a che
nolla conclusione si unisce il soggetto della prima col predicato dell’ ultima,
Il sorite si può adunque considerare come una catena o un muoohio di
sillogismi, in cui sono soppresse tutte le conclusioni e lu premesse minori
intermedie; si può anche considerare come un sillogismo solo, avente come
premessa maggiore l’ultima proposizione, come minore la prima, e come termino
medio tutta la catena delle proposizioni intermedie. Esso Sos 1098
si adopera quando non si può dimostrare, adoperando un solo termine
medio, il nesso immediato tra il soggetto e il predicato di una tesi che ei
vuol dimostrare e quindi ai devono assumere più termini medi, procedendo per
via di successive identificazioni. Es.: essere è agire; agire è fare sforzo;
fare sforzo è tendere verso un bene di cui si è privi: tendere verso un bene di
cui si è privi è soffrire; dunque essere è soffrire. Il sorite può avere due
forme: la forma regressiva o aristotelica, quale fu definita più sopra e che è
la più comune, e la forma progressiva o goclenioa, che comincia con la premessa
che contiene il predicato della conclusione ed ha come ultima premessa quella
che contiene il soggetto. Si distinguono ancora il sorite deduttivo, a cui
appartengono tunto 1) aristotelico che il goclenico, e il sorite induttiro,
costituito da una catena di sillogismi abbreviati della terza figura.
Primitivamente il sorite aveva valore non di ragionamento logico, ma di
sotisma, e si applicava a tutto ciò che presentasse una transizione uguale e
continua: così Zenone di Elea diceva che se si toglie un grano da un mucchio di
frumento, esso resta ancora un mucchio di frumento; se se ne toglie un altro,
lo stesso; e così via via finchè si conclude che basta un solo grano di
frumento per formare un mucchio; facendo lo stesso ragionamento con
l’aggiungere, diceva che un grano uon forma un mucchio, due grani neppure, 9
così via via fino a coneludere che mille o più grani non formano un mucchio.
Gli secttici greci si valsero molto di tale forma di sofisma, per dimostrare
l'impossibilità di distinguere il vero dal falso. Cfr. Aristotelo, De soph.
elenok., 24, 179 a, 35; Cicerone, 4oad., II, 49; Lotze, Grundzüge d. Logik, ,
p. 46 (v. tropi). Sostanza (sub = sutto, © stare = stare: ciò che sta sotto;
substantia è la traduzione esatta della parola Sroxelpsvoy usata da Aristotele,
© composta di ὑπό -= sotto, ο xetpat = stare, giacere). T. Substans ; I.
Substance; F. Substance. E il sostrato permanente e irreducibile delle
varie 1099 Bos qualità, il soggetto che persiste
idontico sotto il mutare delle qualità, come il colore, la forma, il peso,
eco., ed è uno mentre i fenomeni e le qualità sono multiple. Il pensiero
filosofico si è sempre affaticato intorno al problema della sostanza ο della
sua conoscibilità. Aristotele fu il primo a definire il concetto di sostanza,
determinandola come qualche cosa che sussiste per sè stesso ο si realizza nelle
determinazioni particolari, che in parte sono i suoi stati (πάθη), in parte i
suoi rapporti con le altre cose (τὰ, πρὸς tt); ma già in Talete ο nei
presocratici si ha I’ iden di una realtà prima, ἀρχή, da cui tutto deriva e che
pure nel suo fondo rimane identica. Per Platone, le essenze intelligibili sono
le realtà sostanziali (οὐσίαι), e cioè l’unità sotto cui si raccoglie ln
moltiplicità delle cose sensibili, gli archetipi di esse. Per gli stoici ln
sostanza è l'essere, come sostrato permanente di tutti i possibili rapporti;
essa è il sostegno di proprietà stabili (ποιόν), e solo per questo riguardo si
trova sotto condizioni mutevoli ο quindi anche in rapporti con altre sostanze.
Gli scolastici la definirono ciò che per sò sussiste (ena quod per se
subsistit), ciod non per qualche altra cosa, come gli accidenti, che sussistono
nella sostanza, e quindi per la sostanza. Per Cartesio è reale ciò che è di
essenza semplice e indecomponibile, cioè il pensiero nella coscienza,
l'estensione nei corpi: Per substantiam nihil aliud intelligere possumus, quam
rem quae ita existit, ut nulla alia re indigeat ad existendum ;... Possunt
autem substantia corporea, et mena, sive substantia cogitans, creata, sub hoc
communi concepta intelligi; quod aint res, quae solo Dei concursu egent ad ezistendum.
Per Spinoza non v’ha se non un’ unica sostanza, Dio, che si mostra in due
attributi, l'estensione ο il pensiero, i quali, essendo ciascuno uel suo genere
infiniti, cioò Innumercvoli, contengono a titolo di modi (cioè come natura
naturata, mentre sostanza ed attributi sono natura naturante), tutti gli
spiriti e tutti i corpi. Per Malebranche non esiSos 1100
stono sostanze sensibili, e il mondo esterno è percepito in Dio, nel
quale è riposta l’idea di estensione; anche | per Berkeley non esistono
sostanze sensibili, ma il mond esteriore è prodotto dall’asione di Dio sul
nostro spirito. Invece la scuola scozzese, seguendo il realismo volgare.
considera la sensazione come un segno naturale della so stanza, Noll’empirismo
di Locke e nel fenomenismo di Hume. Stuart Mill, eco., l’esistenza della
sostanza è negata: ciò che noi diciamo sostanza non è che il eubstratem, da cui
supponiamo che sortano, per poi ritornarvi, quelle sensazioni semplici che sono
raggruppate insieme, cosicchè la consideriamo come un'idea; questa però non è
altro che l’unione di un numero di idee semplici che αἱ prendono unite come in
una cosa, mediante P unione di un me in cui coesistono e di cui non si ha una
ides chiara. « La nostra mente; dice il Locke, è fornita d’un gran numero di
idee semplici, recate ad ssa dal senso ;... essa osserva che un certo numero di
tali idee stanno sempre insieme: crede perciò che appartengano ad una sola
cosa, ed essendo le parole adattate alla comprensione comune e usate per un
rapido disbrigo, le chiama, così unite in un solo soggetto, con un solo nome;
per disattenzione noi siamo inclini poi a usarla 6 considerarla come una
semplice idea, mentre in realtà è un complesso di molte; e poichè, come dissi,
non imaginiamo come tali idee semplici possano sussistere per sò stesse, ci
abituiamo a supporre un qualche sostrato sul quale sussistono e da cui
risultano; tale svstrato noi chiamiamo perciò sostanza ». Questa critica fu
accettata in parte dal Kant, il quale della sostanza fa una cutegoria © pone
come prima analogia dell’ esperienza che sotto ogni mutamento dei fenomeni
permane la sostanza: in tal modo essa è come un principio a priori, cho
costituisce la base della nostra esperienza ma non ha alcun valore fuori di
essa, essendo un prodotto della nostra mente, Il problema dell’esistenza della
sostanza si subor. 1101 Sos dina donque, in tutta la storia della
filosofia, a quello della sua conoscibilità: così per Platone noi conosciamo la
sostanza mediante un intuito razionale; per Aristotele la sostanza è la prima
delle categorie, l’atto logico onde il pensiero riporta ogni attributo ad un
oggetto ; per Cartesio la sostanza è il semplice che si soopre con l’analisi al
di sotto delle qualità seconde o sensibili, colori, odori, sapori e suoni; per
Spinoza ciò che è in sò ed. è percepito per sè; per il Leibnitz le sostanze
sono molte, e tutte quante attive e rappresentative, perchè ogni monade
rappresenta con maggiore o minor chiarezza, sò © tutte le altre monadi; per il
Galluppi la nostra idea di sostanza risulta ds una analisi riflessiva, per cui
anzitutto distingniamo il nostro soggetto dalle modificazioni di cui è fotto ο
il soggetto esteriore dalle qualità particelari di oui lo rivestiamo, poscia «
paragonando queste dne nozioni di soggetto-io e di soggetto esterno, noi
scopriamo con un nuovo atto di analisi in ambedue una nozione identica, cioù
quella del soggetto, ο quest’ ultima risultato dall’analisi è In nozione di
sostanza »; per gli empiristi non è che una idea astratta dell’impressione di
resistenza, e per i fenomenisti un’abitudine mentale determinata
dall’esperienza di una costante coesione di un certo peso, un certo colore, un
certo sapore, ecc., ciascuna delle quali sensazioni evoca, in base alla legge
d’associazione, tutte le altre. Nella filosofia contomporanea il concetto di
sostanza è ancora largamonte disensso, ο si può dire che dal vario
atteggiamento di fronte a tale problema derivino le più profonde differenze tra
i vari indirizzi speculativi, per quanto nessuno, o assai pochi tra essi,
accetti l’idea tradizionale di un sostrato irreducibile e immutabile. Il
progredire delle conosconze he e chimiche ha anzi diffuso la convinzione che,
in ordine alla realtà vera ο profonda, non sia lecito parlare di sostanza, ma
solo di attività, di energia, e che il concotto di sostanza, o esprima niente
altro cho nna legge Sos 1102a all’
equivalenza dei cangiamenti, ο sia una struzione fatta dalla mente per comodità
ο per un q siasi motivo soggettivo.
Alcuni logici chiamano sestezz: logica il sostrato al quale aderiscono
le note di un concetto, sostrato costituito dalla categoria alla quale il
concetto stesso appartiene; per tal modo, se con l’astrazione ascendente si
tolgono tutte le note di un concetto, resterà sempre in ultimo una delle
categorie. L’Ardigò chiama sostanza
psico-fisica l’iudistinto dal quale emergono, spec:ficandosi, i fatti
molteplici, materiali ο spirituali, fisici e psichici; tale indistinto è poi
null’altro che l’unità reale cosmica, intrinsecamente e infinitamente
complessa, comprendente in sò stessa quei due ordini di fatti che costituiscono
l’uno il mondo esterno, l’altro l’ interno, e che in quanto tale, può essere
pensata come sottostante ad entrambi e colla virtualità di presentarsi tanto
nell’ uno quanto nell’ altro. Con l’espressione
sostanza del sense della vista Y. Müller e H. Helmholtz designano quelia parte
della sostanza nervosa dell’ apparecchio visivo interno, la cui eccitazione può
produrre sensazioni luminose 6 di colore: essa comprende la retina, il nervo
ottico e la parte del cervello nella quale penetrano le radici del nervo
ottico. Cfr.
Aristotele, Met., VII, 2, 1023 b, 8 segg., 3. 1029 a, 1; B. Bauch, Der
Substanzproblem in der griech. Philos.
bis zu Blützeit, 1910; Cartesio, Prino. phil., I, 51-53: Spinoza, Eth., 1. I, teor. II-XIV; Leibnitz,
Phil. Seriften, ed. Gerhardt, II, 57, VI, 488; Locke, Essay, 1877, 1. II. cap.
XXIII, $ 1; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 174-192; Wundt, Logik, 1893, I, p. 483
segg.; Gallappi. Lesioni di logioa e metafisica, 1854, III, p. 1007 segg.;
Ardigò, Op. fil., VI, 153-165, VII, 446 segg., I, 184 segg. (v. essenza,
energismo, attualismo, mobiliemo, dualismo, fenomenismo, sostanzialiemo,
idealiemo, materialismo, spiritualiemo. Sostanza (principio di). Come principio
supremo di ragione si onnnein così: ogni qualità ο accidente dere arere 1108
Sos una sostanza, A questo principio alcuni riconducono quello della
conservazione della massa. La massa è il quoziente di ogni forza che si applica
al corpo diviso per l’accelerazione che esso gli imprime; questa quantità
m f/g è costante. Senza questo sostrato
solido, che rimane invariabile e serve da termine di confronto, ogni
trasformazione sarebbe inintelligibile. Allo stesso principio si riconduoe la
teoria del Lavoisier: in ogni reazione chimica la massa dei composti è uguale
alla somma della massa dei componenti. Il Rosmini riconduce il principio di
sostanza a quello di contraddizione: se l’accidente esistesse senza la
sostanza, sarebbe sostanza esso medesimo, vale a dire sarebbe accidente e
sostanza nello stesso tempo, il che è contradditorio. Cfr. Rosmini, Logica,
1853, $ 413. Sostanzialismo. T. Substantialitàtstheorie, Substantialismus ; I.
Substantialiem ; F. Substantialisme. Ogni dottrina che ammette l’esistenza di un
reale assoluto, di una sostanza, di un soggetto che persiste identico ed uno
sotto la mutabilità e molteplicità dei fenomeni. È quindi sinonimo di realismo,
e si oppone ad empirismo, energismo, mobilinmo © fenomenismo. Nella psicologia
il soslanzialismo, ο dottrina della sostanzialità dell'anima, si oppone
all’attualismo, © dottrina dell’attualità dei fatti psichici: secondo la prima
dottrina, concepita già da Platone ma posta su basi precise solo da Descartes,
l’anima è una sostanza spirituale, immutabile, di cui tutti i fatti psichici
(pensieri, sentimenti e voleri) non sono che manifestazioni ; secondo
l’attualismo, prevalente nella psicologia contemporanea, i fatti psichici
valgono per sò soli, in quanto hanno un valore attuale e non in quanto si
riferiscono ad un ipotetico substrato, che, se è ammissibile nei fenomeni
fisici i quali rimangono immutabili nella quantità, essendo sottoposti alla
legge della conservazione dell’ energin non è invece riferibile ai processi
spsichici, cho valgono Per sè soli e sono in continuo aumento. Cfr. Hòfding,
Sos-Spa 1104 Psychologie, trad. franc. 1900, p. 79, 87; De
Sarlo, Cul. filosofica, luglio 1912, p. 438 segg. (ν. anima, sostanza. risultanti
poiohiche, vintosi). Sostrato. O substratum, si adopera talvolta per designare
la sostanza, vale a dire ciò che sta sotto agli ac cidenti, che serve di
fondamento alle qualità, ai fenomeni. Sottrasione. T. Subtraction; I.
Subtraction ; F. Soustraction. Nella logica designa quella forma di
argomentazione per cui, enumerati i caratteri di un determinato tutto. «
dimostrato che un singolo è di essi totalmente o in parte sprovvisto, si
conchiude che esso o non appartiene a quel tutto, o gli appartiene soltanto in
parte. Questa argomentazione si fonda sopra il principio dialettico che « il
residuo è uguale al tutto meno la parte ad esso tolta ». Ad es.: perchè un uomo
sia virtuoso deve amare il prossimo, praticare la giustizia, astenersi dai
piaceri dannosi, ecc.; ma Tizio nd ama il prossimo, nd pratica la giustizia,
ecc.: dunque Tizio non è virtuoso. Cfr. Rosmini, Logica, 1853. ». 225 segg. (v.
addizione, divisione). Sovrintelligenza. Nei sistemi teologici e mistici si
designa così quella funzione della ragione per cui questa, paragonando il campo
del possibile che le è dato nell’ idea al campo del reale datole dal
sentimento, vede che quello eccede infinitamente questo, e che in quella parte
di realtà non c'è la ragione suprema, che solo può esser tipo e ragione di
tnite le realtà finite. La sovraintelligenza umana è dunque l’atto per cui la
mente s’accorge che vi è qualche cosa oltre a tutto quello che essa conosce, un
al di là sconosciuto e inoonoseibile. Cfr. Rosmini, Logis, 1853. Ρ. 493 segg.
(v. agnosticiemo, misticisino). Spazio. T. Raum; I. Space; F. Espace. Secondo
il realismo lo spazio è un continuo a tre dimensioni illimitate, tutte le parti
del quale coesistono nello stesso momento; esso si ricollega strettamente col
tempo, che è un continuo illimitato avente una sola dimensione, di 1105
Bra cui noi occupiamo un punto determinato, che si sposta continuamente
nella stessa direzione. Secondo l’empirismo l’idea di spazio non è che il
rapporto dei coesistenti, in quanto implicano la distanza ο l’ estensione, e
l’idea di tempo il rapporto della suocessione dei fatti. Tanto lo spazio che il
tempo implicano molte questioni metafisiche © psicologiche, variamente risolte
nella storia della filosofia. La prima e la più importante di tali questioni è
la seguente: lo spazio esiste in sò, come luogo ove sono collocati corpi, è una
proprietà delle cose stesse, 0 è semplicemente un modo subbiettivo sotto il
quale percepiamo certe proprietà e certe relazioni dell’ essere? La filosofia.
antica, in generale, risolve la questione nel primo modo, la filosofia critica
moderna nel secondo. Così per Leucippo e per i suoi seguaci della scuola
atomistica, esiste nno spazio infinito, parte vuoto e parte ripieno di atomi;
il vuoto è lo spazio puro, che ha per proprietà essenziale l'estensione, e la
cui esistenza è provata dalla possibilità del movimento. Parmenide e gli eleati
negano l’esistenza del vuoto; l'essere occupa lo spazio in tutto e per tutto,
perchè non può venir limitato dal non-essere. Platone considera lo spazio vuoto
come la concansa (ξυναίτιον) nel non essere, che sta accanto al mondo dell’
essero ο della causa, al mondo delle idee e dell’idea del bene; per lui lo
spazio è quindi il « niente » di cui per l’iden del bene e della divinità è
formato il mondo fenomenico, Questa formazione consiste nella formazione
matematica ; egli insegna nel Filebo che il mondo della percezione à una
miscela dell'infinito dello spazio e del limite (πέρας) delle forme
matematiche, e che la cansa di questa mescolanza è l’idea del bene: per
diventar simile al mondo delle idee lo spazio assume la forma matematica. Anche
per Plotino lo spazio vdoto è il non essere, la materia, che forma la
possibilità per l’esistenza dei corpi, pur non essendo esso stesso corpo e non
essendo determinato dn 70 RanzoLI,
Dizion. di scienze filosofiche. SPA
1106 alcuna proprietà; anche per
Plotino lo spazio vale dunque come il presnpposto per la riproduzione, che le
idee trovano nel mondo fenomenico sensibile. Aristotele si oppone alla
identificasione platonica dello spasio con la msteria, osservando che la
materia e la forma sono inseparabili dalle cose, mentre lo spazio è separabile
e contiene le 0086; egli lo definisce invece come il primo limite del corpo
contenente, in quanto il corpo che vi è contenuto è sascettibile di movimento
locale; lo spazio è un vaso immobile, ma ciò che esso contiene può esser mosso,
da eni segue che non può esservi che un corpo contenuto in ur altro nello
spazio e che un corpo che non è contennto in un altro non è nello spazio; la
terra è nell'acqua come in suo Inogo naturale, l’acqua nell’ aria, l’aria nell’etere,
Vetere nel cielo, il cielo in nessun'altra cosa; per Aristotele lo spazio è
dunque qualche cosa di obbiettivo, di fisico, qualche cosa che indica un ordino
determinato nei mondo. La dottrina della realtà obbiettiva dello spazio
persiste ancora in Cartesio, Spinoza, Locke, Newton. Per Cartesio l'estensione
dei corpi, ossia lo spazio, costituisce non solo l'essenza dei corpi, ma è
infinitamente divisibik nelle sue parti; per Spinoza } estensione è un
attributo ino; per Newton lo spazio assoluto è reale, e deve considerarsi come
il sensorium, in oui Dio ha la percezione immediata dell’ universo materiale;
per il suo seguace Samuele Clarke lo spazio è una conseguenza immediata e
necessaris dell’esistenza di Dio, la proprietà d’una sostanza incorporea, il
posto non solo dei corpi ma anche delle idee. « Noi abbiamo delle idee, come
quella di eternità e di immensità, dice il Clarke, idee che ci è assolutamente
impossibile di distruggere o di bandire dal nostro spirito, e che devono perciò
essere gli attributi d’un essere necessari» attualmente esistente.... Lo spazio
è una proprietà della sostanza che esiste per sò stessa, e non una proprietà di
qualsiasi altra sostanza. Tutte le altre sostanze sono nello 1107
Bra spazio, © lo spazio le penetra, ma la sostanza che esiste per sò
stessa non è nello spasio e non è da esso pene trata. Essa è, per così
espremirmi, il substratum dello spazio, il fondamento dell’esistenza dello
spazio ο della durata stessa ». Per il Leibnitz lo spazio è invece null’altro
che 1’ ordine delle coesistenze e quindi non esiste indipendentemente dalle
cose; è un fenomeno soggettivo, in quanto l'estensione corporea si risolve
nella rappresentazione che le monadi inestese hanno della loro forza passiva.
Per il Berkeley lo spazio assoluto è un mero fantasma, lo spasio puro è la
semplice possibilità del movimento dei corpi, ο l'estensione, insieme con gli
altri attributi sensibili della materia, una nostra idea. Per Hume 1’ idea di
spazio o di esteso non è se non l’idea di panti visibili o tangibili
distribuiti in un certo ordine, idea ottenuta mediante sensazioni tattili ο
visive e che esclude, in quanto tale, la concepibilità di uno spazio vuoto. La
dottrina della soggettività dello spazio, riconfermata poi dal Condillac, Cr.
Wolf, Baumgarten, James Mill e, infine, da Emanuele Kant, dà origine ad un
secondo problema: la nozione di spazio sorge come prodotto della nostra
esperienza sensibile, ο la troviamo insita a priori nel nostro spirito? Secondo
la dottrina empirica o genetica l'idea di spazio è un astratto, che risulta
dalla percezione di distanza (lunghezza) © di estensione superficiale
(larghesza © profondità): la prima è data specialmente da una associazione tra
le sensazioni della vista, del tatto ο del senso muscolare, la seconda dalle
sensazioni tattili cni si dssocia la rappresentazione visiva della parte
toocata; I’ idea di spazio, così ottenuta, costituisce lo spasio prioologioo o
Ottico, che è affatto relativo, e le cui parti non appaiono mai perfettamente
continue e omogenee; lo spazio assoluto, 0 spasio puro, di cui tutte le parti
sono omogenee © continue, e che non lascis alcuno spazio fuori di lui, è una
pura astrazione matematica, non una vera e propria realtà concettuale; la
pretesa infinità dello spazio non significa altro che ogni limite dello spazio
è aceidertalo e può essere superato dall’immaginazione. Second: la dottrina
nativista lo spazio è invece un dato assolutsmente a priori, che noi troviamo
nel nostro spirito e ehr applichiamo alle cose; le sue proprietà essenziali,
che sono l'omogeneità o identità perfetta delle sue parti, ll grandezza e la
divisibilità illimitata proprietà di low
natura inafferrabili alla esperienza -provano che esso è un dato naturale ο a
priori del pensiero. Così per Kant lo spazio è il molteplice @ priori come
forma del sens esterno; ogni rappresentazione di un di fuori suppone infatti
per base la nozione di spazio; l'originaria rapprsentazione dello spazio è
necessaria, perchè quantunque si possano astrarre gli oggetti dallo spazio, non
si pu però mai fare astrazione dallo spazio stesso, ed è la rap presentazione
di una quantità infinita, la quale come concetto comprende infinite altre
rappresentazioni : è dunque una visione sintetica a priori, che in sò congiunge
la realtà empirica e la idealità trascendentale. Per Hegel Ίο spazio è mera
forma, l’astrazione della esteriorità immediata; 1’ Idea come natura comincia
appunto a porsi come l’ essere che è esteriormente ed è altro: « La prima o
immediata determinazione della natura è l'universalità astratta della sus
eseriorità; la cui indifferenza priva di mediazione è lo epazio. Lo spazio è la
giustaposisione del tutto ideale, perohd è l’esser fuori di sd stesso, e
semplicemente continue. perchè questa esteriorità è ancora del tutto astratta,
e non ha in sd alcuna differenza determinata >. Per P Herbart lo spazio è
l'apparenza obiettiva prodotta dal meccaniamo della rappresentazione e
precisamente da un rapido sucoedersi di qualità, prive per sò stesse di ogni
estensione; allo spazio empirico corrisponde uno spazio intelligibile « che noi
aggiungiamo inevitabilmente col pensiero all’ andare ο al vedelle sostanzo,...
e che la metafision costruisce per le
1109 Spa mutazioni di situazione
della realtà intelligibile ». L’ Helmholtz riconduce la rappresentazione dello
spazio alla organizzazione psicofisiologica; ma oltre allo spazio apparente ©
soggettivo dobbiamo ammettero una spazio reale « perchè nella realtà devono
esistere dei rapporti di qualche genere ο dei complessi di essi, tali da
determinare il luogo dello spazio nel quale un oggetto appare »; questi
rapporti sono i momenti topogeni; i momenti ilogeni fanno sì) « che noi
crediamo di percepire in tempi differenti cose materiali diverse nei medesimi
Inoghi ». Per il Diibring lo spazio reale è « quello per il quale le cose hanno
una distanza lo une rispetto alle altre »; ora, è per virtù delle stesse forze
naturali che le distanze reciproche dei corpi e delle particelle materiali sono
come sono e non altrimenti, ο si mautanò; la posizione spazialo ο la distanza
spaziale espri mono dunque un rapporto dinamico, e le forme spaziali non
possono mai per tal guisa realizzarsi senza una grandezza determinata; l’ordine
spaziale delle parti si distingue pereid come un ordine di parti in cui gli
clementi sono gli autori di un aggruppamento schematico: « ora, lo schema, che
per tal guisa diventa percepibile, è appunto lo spazio ». Il Wundt definisce lo
spazio « una grandezza permanente, infinita, congruente in sè stessa, nella
quale il singolo indecomponibile è determinato mediante tre direzioni ». Contro
Kant egli nega la rappresentabilità di uno spazio vnoto, pure riconoscendo che
lo spazio nella forma in cui lo intuiamo non può avere realtà obiettiva; contro
le dottrine nativistiche ed empiriche dello spazio egli pone la propria
dottrina dei segni locali, in virtù della quale V intaizione spaziale apparo
come una sintesi associativa © fusione di un sistema di segni locali fissi
della retina, con un sistema di segni locali uniformi di movimento, e quindi
come un prodotto delle nostre condizioni psichiche ο dolla nostra
organizzazione fisica; ciò porta ad escludero tanto una corrispondenza fra la
nostra intuizione spazialeSpa 1110 © l’ordine esterno delle cose, quanto
l’arbitrarietà dell’intuizione stessa: « La necessità, proveniente dall’
esterno, ondo la nostra coscienza è obbligata a collocare gli oggetti in ordine
spaziale, dimostra ansi l’esistenza di fondamentali determinazioni obbiettive
sotto il cui influsso l’ intuizione spaziale è formata. Se noi designano tali
de terminazioni come spazio obbiettivo, dobbiamo considerarlo come qualche cora
di sconosciuto, che non ci è dato immedistamente, ma al quale potremmo
giungere, se riusci» simo ad eliminare i processi soggettivi, che ci hanno
condotto alla intuizione spaziale ». Il Masci ammette invece con Kant che.lo
spazio non è un concetto discorsivo ο ge nerale di rapporti delle cose, ma una
pura intuizione, anzitutto perchè il concetto è universale mentre l’intuizione
ha per suo termine l’individuale, © gli spazi singoli sono appunto intuiti come
parti non costitutive ma distributive © limitative; poscia perchè, mentre gli
elementi dello spazio (punti) non hanno ordine logico e non si esigono ma si
escludono, carattere dei concetti è di avere organisme e misura; infine perchè
i concetti sono prodotto di comparazione e astrazione, mentre gli spazi non
hanno nulla di diverso tra loro e si distinguono soltanto nello spazio: egli
aggiunge ancora che lo spazio rende conce] il principio di causalità, © non può
quindi essere, al pari di questo, un concetto, formando lo schema per cui il
concetto stesso diventa rappresentabile. Il Varisco ammette uno spazio reule, a
tre dimensioni, omogeneo, euolidev; # uno spazio puro o astratto, formatosi
nella nostra mente allo stesso modo di tutte le altre nozioni astratte, cioè
per V aggruppamento spontaneo dei dati sperimentali, con la conseguente
eliminazione degli elementi che non siano compatibili; l’esistenza dello spazio
reale è provata dal fatto stesso della ‘rappresentazione determinata, che gli
uomini ne hauno, nonchd dalla impossibilità di sostituire i simboli spaziali
con altri: « Oggettivamente, quello che
ll Bra si chiama lo spazio si risolve: primo, nell’ avere cisscun
elemento materiale un’ estensione. L’ elemento non essendo composto di parti
distinte, nd scomponibile in modo alcuno, la sua estensione è assolutamente
inseparabile; è uno dei caratteri essenziali, dal cui complesso inseindibile
risulta V elemento, appunto come la sua massa, 9 la sua attitudine a essere
determinato psichicamente. Secondo, nell’ ensere gli elementi a distanza tra
loro, il che significa soltanto che le loro estensioni non si continuano ». Per
l’Ardigò lo spazio non è che l’astratto del rapporto di coesistenza, ossia
dell’ ordine col quale si presentano associati insieme i sensibili nella
percezione dei corpi: « I corpi ο le sostanze del mondo esterno, distribuiti in
questo nello stesso ordine secondo il quale sono sentiti gli organi onde li
percepiamo; ossia la proiezione, nello stesso mondo esterno, non solo dei
sensibili relativi, ma anche dell’ ordine secondo il quale li sentiamo; e la
stessa proiezione di questo ordine per la medesima legge di oggettivazione
della sensazione esterna: ecco il fondamento della idea dello spa zio ». Si tratta
dunque d’un concetto empirico, alla cui formazione concorrono insieme
sensazioni visive, tattili, muscolari, e che non richiede quindi per essere
spiegato il concorso della facoltà dell’ intelletto o del soprasensibile ;
l'argomento della infinità dello spazio, e quello soeraticoplatonico della
presenza intera dell'idea dello spazio già al principio della vita cogitativa,
non valgono contro la concezione empirica, sia perchè I’ infinità spaziale non
si intuisce veramente, sis perchè l’idea di spazio, al pari d’ogni altra ides,
si va formando a poco a poco nella nostra nente col progresso dell’ esperienza
e del lavoro di associazione, di distinzione, di costruzione logica. Cfr.
Platone, Timeo, 49; Aristotele, Phys., IV, 5, 212 b, 27 seggi; Plotino, Enx., III,
6, 7 © 18; Cartesio, Medit., IV; Id., Prine. ΡΜ. II, 10 segg.; Spinoza, Ethéoa,
II, teor. II; Locke, Éssay, II, cap. XIII, $ 2, 11, 21 segg.; Newton, Naturalia
SPE phil. prino. math., 1687, p. 6. II, III; Leibnitz, Op. fi. 1840, p. 602,
241; Berkeley, Dial. b. Hylas a. Philonows, I: Hume, Treatise, 1874, II, sez.
3; Kant, De mund sesis., 1882, sez. III, $ 15; Id., Krit. d. reinen Fern., ed.
Kehrbach, p. 50e segg.; Hegel, Enoiclopedia, trad. it. , p. 205 segg.: Herbart,
Peyohol. als Wissenschaft, 33 ed., I, p. 488 segg.: Id., Allgemeine Metaphysik,
1828, II, p. 199; Helmholts, Pàiayol. Optik, 1867, p. 442 segg.; Dühring,
Logik, 1878, p. 199-201; Wundt, Logik, 2° ed., I, p. 442-461; Id., Grundsiigo,
d. physiol. Peychol., 2° ed., t. II, p. 28 segg.: Baumann, Die Lehren von Raum,
Zeit und Mathematik, 1869; B. Erdmann, Die Aziome d. Geometrie, ; Schlesinger,
Substantielle Wesenheit des Raumes und der Kraft, 1885; 8. H. Hodgson, Time and
space, 1865; G. Lachalas, Etude aur l'évpace ot le temps, 33 ed., 1910; B.
Bourdon, La perception visuelle de Véapace, 1902; A. Covotti, Le teorie dello
spario e del tempo nella fl. greca, « Annali della R. Scuola Nor. di Pisa »,
vol. VII, 1899; Tocco, Della materia in Platone, « Stud. it. filol. class. »,
IV, 1895; Varisco, Soiemsa e opinioni, 1901, p. 60 segg; Masci, Le forme dell?
intuizione. 1881; Ardigd, Op. fil., II, p. 110 segg., V, 259 segg., VII, 88
segg. (v. intuizione, iperspacio, estensione, superficie. distanea,
stereognostico). Specie. T. Art; I. Species; F. Espèce. In una serie di due o
più idee subordinate le une alle altre, le meno estese si dicono specie
rispetto alle più estese, che diconsi ge nere; © siccome l’estensione e la
comprensione stanno fra loro in rapporto inverso, così sotto il rispetto della
comprensione la specie è invece maggiore del genere, cosicchè essa comprende
gli attributi del genere. E facile comprendere che una idea può essere generica
sotto un rispetto, specifica sotto un altro: così nella serie di ossere,
materia, organismo, animale, vertebrato, uomo, l’iden animale è specifica
rispetto a quelle più estose 9 meno comprensive di organismo, materia, cescre,
è gonorioa rispotto alle idee meno cstese © più comprensive di vertebrato ©
uomo, Diminuendo sempre più l'estensione, si arriva all’ idea assolutamente
specifica ultima species -; compiendo
l'operazione inversa si giunge all’ idea assolutamente generica summum
genus ossia all’ idea di essere, di
sostanza, di qualche cosa, ecc. Nello
scienze fisicho per specie κ’ intendono gli stati o fatti primitivi,
fondamentali, irreducibili; lo sforzo del pensiero scientifico è, a tal
riguardo, di ridurre le specie al minor numero possibile ο di eliminarle. Nella
concezione meccanica dell’ universo, le varie specie di fenomeni si fanno
derivare da combinazioni e complicazioni di movimenti, eseguiti da moviili ο
regolati da un numero limitatissimo di principi; in tal modo però l’unità e
l'identità reale dei fenomeni è raggiunta solo apparentemente, giacchè per dar
ragione della diversità occorre ammettere dello profonde differenze tra le
proprietà dei movimenti, le quali, dovendo avere anch’ esse una causa,
implicano necessariamente l’esistenza di specie diverse di condizioni. Una più
profonda unificazione raggiunge la dottrina elettromagnetica, la quale,
eliminato ogni dualismo tra materia ed etere, ponderabile © imponderabile,
risolve le varie specie di sostanze materiali che noi percepiamo in forme
diverse di aggregamento di elementi omogenei; in tal modo il fondamento delle
distinzioni in specie o in aggruppamenti di vario ordine (si tratti di sostanze
semplici o composte) non può esser posto in qualità esolurive degli elementi
singoli, ma nelle maniere di aggrupparsi © di ordinarsi di elementi identici, e
quindi nelle leggi che intervengono e spiegano la loro efficacia nei vari
casi. Nello scienze biologiche la
definizione dalla specie, collegandosi alle questioni fondamentali della
filosofia zoologica, varia a seconda dei diversi autori: per il Prichard essa è
una collezione di individui somigliantisi tra di loro, discesi da una coppia
primitiva, e le cui lievi difSPE
1114 ferenze si spiegano con
l'influenza degli agenti fisici. Per il Cuvier è la collezione di tutti gli
esseri organirsati, nati gli uni dagli altri e da parenti comuni, ο da quelli
che loro somigliano tanto quanto essi si somigliano tra di loro. Per il Lamarck
è la collezione degli individui somiglianti che la generazione perpetua nello
stesso stato, finchè le circostanze della situazione non cambino
sufficientemento per cambiare le loro abitndini, i loro caratteri, le loro
forme. Ad ogni modo, il criterio prevalente è che si dicono della stessa specie
gli individui che possono inorociarsi meglio tra di loro e dar Inogo a prodotti
che si perpetuano all'infinito; invece V inerociamento fuori della specie, nel
genere, o è sterile 0, so dà luogo a riproduzione (come tra la lepre ο il
eoniglio) essa non si perpetua all'infinito. In questi ultimi tempi il concetto
di specie ha subìto però nuove modificazioni, in seguito agli studi del Heincke
sullo deviazioni dei caratteri dalla media, e più ancora del De Vries sulla
variabilità nel mondo vegetale e sull’ ibridismo. Secondo il De Vries, i
caratteri della specie presentano nell’ individno una certa indipendenza l’uno
dall’altro ed una varinbilità fluttuante ο statistica, cioò una oscillazione in
più o in meno, intorno ad un valore medio (ideale) del carattere, entro limiti
che non sono mai oltrepassati : assolutamente infondata, egli dice, l’ opinione
che la variazione lineare (in un senso ο nell’altro) di un dato carattere sia
illimitata, in modo che si possano produrre nel corso di secoli ο di millenni
trasformazioni, più importanti che non nel corso di pochi anni. Per il
miglioramento di ciascun carattere preso per sò, bastano in condizioni favorevoM
2-3 ο per solito non più di 3-5 generazioni ». Mentre lo speoie elementari,
anche quelle più affini tra loro, non differiscono per un solo carattere, ma in
quasi tutti i loro organi e in tutte le loro qualità, nessun essora dà in
eredità ai suoi discondenti i snoi caratteri come 1115
SPE un tutto unico. Mediante procedimenti sperimentali fu possibile
separare uno o più caratteri, seguendone poi lu sorte attraverso una generazione
di ibridi. Il Rosmini chiama specie
piena, o anche esemplare dell’ oggetto, il concetto pienamente determinato, che
ha cioè la massima comprensione e la minima estensione; quando con l’astrazione
si tolgono da questa specie piena gli accidenti, lasciando la sostanza, si ha
la specie astratta sostanziale; quando si fa 1’ operazione inversa si hanno lo
specie astratte accidentali. Nel
linguaggio della filosofia scolastica per species a’ intende I’ imagine
rappresentante l'oggetto. Species sensibilis è quella della percezione, species
intelligibilis quella del pensiero: « Species sensibilie non est illud quod
sentit, sed magis id quo sensus sentit. Ergo species intelligibilie non est id quo
intelligitur, sed id quo intelligit intellectus. Per apeoiem intelligibilem fit
intellectus intellegens actu, siout per apociom sensibilem sonsus est aotu
sentiene » (8. Tommaso). Species
praedivabilis è la cosa atta ad esser predicato di molte, differenti di solo
numero, nella domanda quid est; ad es. animale predicato di cavallo, pecora,
eco. Species subiicibilia è il particolare che si colloca propriamente sotto il
genere e di cui si predica immediatamente il genere in quid; ad es. animale
rispetto ad un vivente. Speoies ezpressa è la percezione © rappresentazione
dell’ oggetto, detta così perchd è espressa ο tratta fuori e dalla potenza;
species impressa è la qualità prodotta dall’ oggetto quale vicaria rirtus
obiecti che si imprime nella potenza e la completa ο l’aiuta a trar fuori la
percezione dell’ oggetto, cioè In specie espressa; entrambe le specie vengon
dette talora anche speoies intentionalis, perchè per essa la potenza tendo
all'oggetto. Cfr. A. Righi; La moderna teoria dei fonomeni fisici, 1904; Hugo
De-Vries, Specie ο varietà, trad. it., Palermo, Sandron ; Raffaele, Riv. di
Sciensa, anno I, n. 102; De Sarlo, La nozione di specie, « Cult. filosofica »,
giugno 1908; S. Tommaso, Sum. phil., I, qu. 46; GocleSPE 1116
nius, Lexicon philosophicum, 1613, p. 1068 segg.; Malebranche, De la
rech. de la verité, 1712, III, 2, 2 (v. darwinismo, razza, trasformismo,
ibridismo, sensibile). Specifico. T. Speoifisch; I. Specific; F. Spéoifique.
oppone tanto a generico quanto a individuale; così dicesi differenza specifica
tutto ciò che serve a distinguere uns specie da un’altra; esperienza specifica
quella fatta da tutta la specie attraverso il succedersi delle generazioni, e
fissata per l'eredità nell’individuo ; memoria specifica |’ istinto che è un
insieme di atti protettivi accumulati e trasmessi dalla eredità; legge delle
energio specifiche, la dottrina, secondo la quale le diverse modalità delle
sensazioni dipendono dalla natura specifica dei diversi organi di senso, non
dalla differenza degli stimoli esterni che le eccitano (v. energie specifiche).
Specioso. Un argomento specioso non è che un ragionamento sofistico, con cui si
tende a persuadere altrui della verità d’una conclusione falsa. Speculare.
Dicesi allucinazione speculare quel fenomeno psicologico che si verifica
durante gli stati profondi del sonno ipnotico, e che consiste nella visione
interiore del proprio organismo acquistata dal soggetto e proiettata al di
fuori. Dicesi scrittura speculare o a specchio, quella che va da destra a
sinistra, come la scrittura che si legge per riflessione in uno specchio. Può
essere così istintiva come naturale (Leonardo da Vinci); nel primo osso dipende
da una anomalia, non ancora bene conosciuta, dei centri motori encefalici (v.
autosoopia). Speculativo. T. Speculativ ; I. Speoulative; F. Speoulatif. Si
oppone tanto a sperimentale, empirico, positivo, quanto a pratico © designa il
sapere astratto ο che è fine a sè stesso, e non serve quindi di mezzo a fini
utilitari o pratici. Diconsi speculative le scienze filosofiche, ο quelle, in
genere, nelle quali più che l’esperienza hanno parte la forza indagatrico della
ragione e la sua potenza dimostrativa. Dicesi ragione speculativa la ragione in
quanto ha per fine la ricerca del vero, e ragion pratica la ragione in quanto
ha per fine il bene e fornisce i principi dell’azione. Speculasione (speculari
= guardare attentamente). T. Speculation ; I. Speoulation ; F. Spéculation. E
la traduzione latina del greco θεωρία da Sewpsty, che significa osservare,
indagare. Quindi speculazione vale indagino, ricerca, ma spesse volte si
adopera per indicare il sapere puro, l’indagine razionale, per opposizione alla
ricerca sperimentale e positiva. Così per Aristotele la speculazione è la forma
più alta e intuitiva del concepire, ed appartiene anche alla divinità. Per Kant
una conoscenza teoretica è speculativa quando ha per oggetto cid che non si pud
cogliere in alcuna esperienza; la conoscenza dell’universale in astratto è
conoscenza speculativa; la conoscenza filosofica è la conoscenza speculativa
della ragione. Cfr. Aristotele, Met., VI, 1, 1025 b, 18; Kant, Krit. d. reinen
Vern., ed. Kehrbach, p. 497. Spirito. Lat. Spiritus, Mens; Τ. Goist; I. Spirit;
Ἑ. Esprit. Pnò avere vari significati. Nel senso metafisico, lo spirito è la
sostanza immateriale, distinta dal corpo ο ad enso opposta, semplice,
indivisibile, imponderabile, incorruttibile, immortale; essa non ha alcuna forma
sensibile, nessuna proprietà della materia, 9 si rivela come pensiero,
sentimento e volontà. La nozione di sostanza spirituale, intravveduta
nell'antichità soltanto da Platone, è relativamonte recente nella storia del
pensiero. Da principio per spirito si intendeva il soffio della vita, ciò che
l'essere animato sembra esalare col suo ultimo respiro, e per lungo tempo
rimase a designare non ciò che è assolutamente incorpoTeo e immateriale, ma
bensì una materia estremamente sottile, attenuata, penetrante e impalpabile
come il soffio; tale concezione materialistica si mantenne anche nella
filosofia greca, cosicchè per Anassimandro 1’ anima è gassosa, Ser 1118
per Ippone è un’ umidità, per Senofane è aria, per Eraclito, per
Democrito e per gli stoici è fuoco, per Epicuro à un corpo consistente di
materia serea ο di fuoco. Anche per Anassagora lo spirito (νοῦς) ordinatore
dell’ univers secondo un fine e moderatore del movimento, è una materia, un
elemento corporeo, omogeneo in sè, inoreato ο imperi turo, diverso da tutte le
altre materie solo per grado, in quanto è la più fine, la più leggera, la più
mobile, e per la sostanza, in quanto si muove da sò e muove gli altri elementi.
Per Tertulliano lo spirito è una particolare svstanza: epiritus enim corpus sui
generis in sua effige. Per Alberto Magno apiritus potest dici is qui active
apirat. Per Melantone vapor ex sanguine expreseus. Questo concetto durò fino a
tutto il medio evo, e la stessa religione cristiana non seppe spogliarsene,
come è dimostrato dalle pane materiali che essa infligge alle anime condannate
al fuoco eterno. Soltanto col dualismo cartesiano si distinsero nettamente le
due sostanze, che esistono entrambe per sò stesse, ma di cui una, lo spirito, è
pensiero ο attività, l’altra, la materia, è estensione e inerzia: questi due
opposti si uniscono solo in Dio, fondamento reale della conoscenza e del moto,
e nell’uomo, che è spirito e corpo, pensiero ed azione: Non autem plura quam
duo genera rerum agnosco: unum est rerum intellectualium, sive cogitativarum,
hoc est. ad mentem sive ad substantiam cogitantem pertinontins : aliud rerum
materialium, sive quas pertinent ad substantiam, hoc est, ad corpus.
(Cartesio). Una nozione ugualmente esatta dello spirito si ha nel Berkeley: «
Uno spirito è nn ee sere semplice, individuale, attivo, che si chiama
intelligenza in quanto percepisce le idee, volontà in quanto le produce o è
attivo in rapporto ad esse ». Naturalmente, il materialismo ha sempre
combattuto il concetto della sostanza incorporea, dello spirito, che per
l'Hobbes è una vor insignificans, © per i materialisti del secolo soorso uns
semplice fanzione della sostanza cerebrale; ma la critica 1119
fer più acuta fu fatta da Locke ο da Hume, il primo dei quali dimostrò
l’inconcepibilità di una sostanza in sè stessa, il secondo sostenne che,
essendo ogni idea derivata da una impressione precedente, se abbiamo un’ idea
della sostanza del nostro spirito dovremmo aver pure un’ impressione di questa
sostanza, il che è inconcepibile perchè V impressione dovrebbe esser simile
alla sostanza; perciò egli risolve lo spirito in « un sistema di percezioni
diffe- renti, che sono collegate le une alle altre da un rapporto causale e
reciprocamente si producono, si distraggono, si influenzano © si alterano ».
Tale critica fa accettata da Kant, che additò i paralogiemi nei quali onde la
peicologia razionale quando vuol provare la spiritualità dell’anima; da J. 8.
Mill, che risolve lo spirito in una possibilità permanente di sentimenti; dal
Bain, che lo considera come « un residuo, che si trova dopochè si è separato il
mondo obbiettivo dalla totalità della nostra esperienza »; dal Wundt, che ne fa
un semplice soggetto logico dell’esperienza interna; dallo Spencer, che lo pone
come inconoscibile, come un simbolo di ciò che non pnd mai cadere sotto il
pensiero; dall’Ardigò, che lo considera come il ritmo comune o generico
mentale, costituito dallo reminiscenze e dalle sensazioni interne, ritmo che ci
si presenta come inesteso e immateriale, perchè nei suoi ele«menti non apparisce
il riferimento con la meccanicità del fatto fisiologico, della quale gli
elementi stessi sono la manifestazione cosciente. Nel senso puramente psicologioo lo spirito
può designare sia 1’ insieme delle attività psichiche dell’uomo, senza
riferimento ad una sostanza permanente, © in tal caso ha il significato
generico che si attribuisce alla parola coscienza, psiche, anima, io, eco.; ein
l'insieme delle sue facoltà intellettuali, e in tal caso ha significato più
ristretto, ο si oppone alle facoltà affettive ο Volitive. Cfr. Aristotele,
Phys., VIII, 1, 250 b, 24; Diogene Laerzio, II, 3, 6; Platone, Rep., IV, 435;
Tertulliano, Spr 1190 Adv. Praz., C 7; Cartesio, Prino. phil., I,
11, 48; Berkeley, Prino. of hum. know., 1710, XXVII; Locke, Enquiry, 1. II, cap. 23, $ 18 segg.;
Hume, Treatise, P. IV, ses. v; J. è. Mill, La phil. de Hamilton, trad. franc.,
cap. XII, pag. 228
segg.; Bain, The sonsca and the intellect, 3* od., cap. I; Spencer, Prino. of
Peychol., 1881, P. II, cap. 1, § 58; Wandt. Handbuch d. physiol. Peyohol., , vol. I, p. 8;
Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 10 segg.; Tylor, La cirilisation
primitive, trad. franc, 1876, vol. I,
p. 497 seggi, Lubbock, I tempi prolstorioi ο l’origine dell’ incivilimento,
trad. it. 1875, p. 557 segg.; Ardigò, Opere fil., I, 209 segg. IX, 306 segg.
(v. anima, psiche, attualiemo, sostanzialismo). Spiritualismo. T.
Spiritualiemus; I. Spiritualiem; F. Spiritualisme. Nel suo significato più
largo è la dottrina che ammette l’esistenza di Dio e dell'anima come sostanze
immateriali, © cioè semplici, inestese, attive, identiche a sè stesse, © che
non cadono sotto i sensi; si oppone perciò al materialismo, il quale non
ammette altre sostanze che le materiali, e nega l’esistenza di sostanze
spirituali distinte dalle sostanze materiali. Si distingue dall’idealiemo, in
quanto mentre questo fa dello spirito, come del corpo, un semplice modo del
pensiero, un’ idea pura, quello considera invece l’idea come un modo o una
forma dello spirito. La distinzione però non è sempre osservata, usandosi
spesso le espressioni idealismo realistico, o metafisico, © cosmologico, ο
assoluto, per indicare il monismo spiritualistico. Tre sono i principali
argomenti dello spiritualismo per dimostrare la necessità di un principio
immateriale che produca i fatti di coscienza: 1° la coscienza non pnd nascore
dalla materia corporea, perchè mentre questa è per sua nature molteplice e
composta, quella è per sua natura semplice ed una; 2° la coscienza, essendo
dotata di ai vità spontanea e libera, non può derivare dalla materia. cho à
inerte © incapace di modificare sò stessa; 3° la coscienza non pad derivare
dall'organismo, perchd mentre essa sente di rimanere sempre identica a sè,
l’organismo si rinnova © varia continuamente. Quest’ ultimo è l’argomento sul
quale si appoggiano, specialmente dal Lotze in poi, gli spiritualisti moderni:
se nel corso della vita psichica, nel succedersi continuo di sensazioni,
rappresentazioni, emozioni ο voleri, l'individuo si sente sempre identico a sò,
sempre il medesimo, vi deve essere nn sostrato permanente sotto la vicenda dei
fatti psichici, i quali per ciò non sono che fenomeni molteplici e variabili
d’una sostanza unica © immutabile. Ammessa l’esistenza della sostanza
spirituale, due soluzioni fondamentali αἱ rendono possibili. Si può considerare
lo spirito come unica realtà, di cui la materia non è che un semplico fenomeno,
e in tal caso si ha lo epiritualiemo puro o monistico. Si può consideraro
invece lo spirito e la materia come due principi ο sostanze opposte e
irreducibili, esistenti ab aeterno I’ una accanto all'altra, e agenti
reciprocamente l’ans sull'altra, 6 in tal caso si ha lo apiritualiemo
dualistico. Le principali ragioni su cui lo spiritnalismo monistico si fonda,
sono: 1° poichè l'universo non si rivela a noi che sotto forma spirituale, devo
essere di essenza spirituale; 2° poichè l'universo è conoscibile, deve eniatere
tra esso © il nostro spirito un legame essenziale, giacchè sarebbe
inesplicabile una corrispondenza tra il pensiero ο ciò che gli è del tutto
estraneo; 3° poichè nella coscienza non c'è che coscienza, se non si vuol
rinunsiare a conoscere si deve concepire l’universo in termini di coscienza,
ossia per analogia con la nostra esperienza interna. Le varie forme del monismo
spiritualistico germogliano infatti da una particolare traserizione del mondo
in termini di esperienza psicologica, sia che faccia dell'universo un processo
organico e consideri 1’ ovoluzione cosmica come In necessaria attuazione d’unn
idea immanento nella natura, sia che riduca il divenire della realtà
all'esplicarsi d’ un: tendenza impulsiva, sin che la faccia rampollaro da un
ferace istinto di reazione. Platone cho eleva ad immutabili #1 Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche.
Spo 1122
essenze i concetti dello spirito umano; Fichte che vede nel processo
cosmico lo sforzo perenne dell’ Io morale per rendere efficace la sua libertà;
Hegel che dà valore di realtà assoluta al movimento dialettico del pensiero;
Schopenhauer che pone al fondo delle cose la volontà; Schelling. Froschammer,
Bergson che contemplano nell’eterno dive nire del mondo l’opera d’una fantasia
inesauribile, traggono tutti dalla esperienza interna il principio del low
spiritualismo. Cfr. F. Kirchner, Grundprinzip des Weltprezesees, 1882; Wachrot,
Le nouveau spiritualieme, 1882; A. Aliotts, Linee d’una concesione
spiritualistica del mondo, « Cultura filosofica >, Anno VII, n. 3, 8, 4-5
(v. anime, monismo, influsso fisico, neo-spiritualismo, parallelismo, #stanza,
sostanzialismo, spirito). Spontaneita. T. Spontaneitàt; I. Spontaneity; F. Spor
tandité. Leibnitz la definì brevemente contingentia sine cos tione; Cristiano
Wolff principium asse ad agendum deterninandi intrinseoum. Nel suo senso
proprio, è il potere che ha un essere di modificare da sè stesso lo stato
proprio. indipendentemente da ogni causa esterioro. Si oppone quindi alla
inersia, che è invece la tendenza di un essere a perseverare indefinitamente
nel suo stato di riposo o di movimento, finchd non sia modificato da una causa
este riore. Per Aristotele gli oggetti che costituiscono la na tura hanno în sò
stessi il principio del proprio moto, © tali oggetti sono non solo i corpi, ma
anche quelli che sono legati con corpi, come l’uomo, © quelli che al corp? sono
principio di movimento, come l’anima. Epicuro pe neva nell’atomo una
spontaneità, una determinazione individuale, per oui esso può deviare nella sua
caduta rettilines (clinamen) e produrre quegli urti con gli altri atom. che
danno origine alle cose. Anche il Leibnitz pone ln spontaneità nella monade,
che è una forza semplice, originaria, determinata in sò stessa e non dal di
fuori, Nella filosofia moderna la spontaneità è da molti considerats essa è
sostituito il determinismo cosmico, 1’ universale ο necessaria continuità del
movimento, che si trasforma in modi infiniti. Quando la spontaneità è apposta
alla recettirità, non significa più libertà: si dice infatti che la sensibilità
è una recettività, l'intelletto invece una spontaneità, in quanto è la facoltà,
dice Kant, di produrre in noi stessi delle rappresentazioni. Cfr. Leibnitz,
Philos. Scriften, ed. Gerhardt, IV, 483, VII, 108; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
1878, p. 76 (v. caso, contingenze, necessità). Statica. Quella parte della
meccanica razionale che studia la composizione delle forze (indipendentemente
dai movimenti che sono capaci di produrre) considerate come grandezze riferite
ad una unità di misura della stessa specie. Statistion. T. Statistik; I.
Statistica; F. Statistique. Può designare tanto la scienza dei fatti sociali espressi
con termini numerici, quanto i termini stessi. La statistica come scienza ha
per oggetto la conoscenza della società considerata nei suoi elementi, nella
sua economia, nella sua tuazione; essa si può definire come l'osservazione e
l’induzione appropriate allo studio quantitativo dei fenomeni collettivi,
suscettibili di variare senza regola assegnabile a tutto rigore. Nei fenomeni
collettivi essa deve sceverare ciò cho v’ha di tipico nella varietà dei casi,
di costante nella variabilità, di più probabile nell’apparente accidentalità, e
decomporre, fino al limite che la natura del metodo consente, il sistema di
cause ο di forze di cni essi fenomeni sono la risultante. La statistica è
deserittica, quando si limita a raccogliere i fatti, matematica quando li
rappresenta e confronta per dedurne lo leggi. Cfr. Morpurgo, La statistica e le
scienze sociali, 1872; Gabaglio, Teoria generale della statistica, 33 ed. ; N.
Colaianni, Manuale di mtatistioa teor., 2* ed. 1907 (v. sociologia). Stato. T.
Staat: I. State; F. État. Ogni società organizzata snlle basi della giustizia;
ogni società i cui membri STA 1124 prestano abituale obbedienza ad una autorità
posta nel. società stessa e che non presta obbedienza abituale ad un autorità
esterna. Il Brugi lo definisce « un istituto che tr tela il diritto nella
società civile, induce a unità le classi > ciali, ed à il mezzo con cni si
manifesta l’azione colletti»: del popolo »; così inteso, lo Stato è distinto
dalla società ti vile, che è l’ ordinamento degli individui appartenenti a vi
dato popolo in classi fondate sugli interessi economici, tisi © intellettuali.
L'origine, la natura e le funzioni deliv Stato furono © sono spiegate in modi
diversi. Per Prots gora gli dèi hanno elargito a tutti gli nomini in misun
nguale il senso della giustizia e il timore morale (2ixr © αἴδώς) affinchd
possano conchiudere patti durevoli per i conservazione reciproca nella lotta
per la vita. Per Pis tone lo Stato ideale deve rappresentare in grande l’uomo.
ο deve perciò constare di tre parti, che corrispondono alle tre parti
dell'anima: la classe insegnante, la classe mil: tare e la classe guerriera;
solo alla prima spetta di gu: dare lo Stato, di fare le leggi e di vegliarne
l’eseenzior mentre cömpito della seconda à la conservazione dell dinamento
dello Stato, interno ed esterno; alla gran mass del popolo, operai e contadini,
che col lavoro provvedono alla creazione dei mezzi esteriori dello Stato,
s’addicono solo l'obbedienza e la moderazione. Per Aristotele l’attività morale
dell’ uomo, ζῶον zoAtttxév, non può trovare la sus perfezione se non nella vita
in comune, quindi anche per lui non e’ è nessuna moralità concreta fuori dello
Stato, come scopo essenziale del quale anche Aristotele considerava
l’educazione morale dei cittadini; ogni costituzione politica è giusta, quando
il governo ha presente, come scopo più elevato, il benessere della umanità. Cfr. Combotheern, La
conospt. jurid, de Etat, 1899; Spencer, L’individu contre?" État. trad. frane. 1885; Cavagnari, Psicologia
dello Stato, 1901:Brugi, Introd. alle acience giuridiche e sociali, 1907, p. 1
sogg. (v. contrattualismo, diritto, pena, società). 1125
sre Stereognostico (senso). Espressione introdotta nel linguaggio
filosofico dall’ Hoffmann, con la quale si designa il senso che ci dà la
nozione della forma degli oggetti e delle loro proprietà fisiche, quali la
temperatura, l’estensione, la consistenza. Più che una forma di sensibilità
semplice esso è costituito dall’associazione di nozioni fornite specialmente
dal tatto attivo ο dal senso muscolare. In generale si ammette che la nozione
della solidità e della forma degli oggetti a distanza ci è data dalla visione
bioculare, per la differenza delle due imagini retiniche prodotte dall’oggetto
solido. Perciò alcuni psicologi ritengono sia più proprio parlare d’una
percezione atereognostica piuttosto che di un senso stereognostico ; altri lo
chiamano invoce fatto attivo, 0 percezione tattile dello spazio. Dicesi
storeoagnosia il fenomeno psichico, che consiste nella perdita del riconoseimento
della forma degli oggetti: sembra dovuta ad una rottura delle fibre d’
associazione leganti il contro sensoriale muscolo-tattile col centro dello
imagini visive delle forme. Cfr. Helmholtz, Physiol. Optik, 2° ed. p. 782
segg.; Wundt, Physiol. Paychol., 4° ed., vol. II, p. 227; E. B. Titchener,
Exper. psychol., 1901, I, p. 257 segg.; Bourdon, La perception visuelle de
l'espace, 1902; Id., «Inndo peyohologique, , p. 65 segg. Stereoscopic. T. Sterooskop; I. Stereoscope; F.
Stéréoscope. Stromento col quale le figure piane sembrano solido, valo a dire a
tre dimensioni. Esso si fonda sulla constatazione che l'apprezzamento della
solidità dei corpi è dato dalla visione bioculare, per il fatto che l’imagine
di un dato corpo solido, proiettata su una retina, non può essere ngnale
all’imagine che lo stesso corpo proietta nel medesimo tempo sull’altra retina.
Esistono vario forme di stereoscopi, di cui il primo è dovuto al Weastone.
Mediante questo stromento si fw cadere sopra una retina il disegno dell’imagine
che un dato corpo solido proietterebbe su essa, e sui punti identici dell’altra
retina il disegno delSTE-STO 1126 l’imagine che il medesimo corpo proietterebbe
contempo raneamente su di essi; quindi, benchd ciascun disegno sia
rappresentato da una superficie a due sole dimensioni, si ba la stessa
sensazione che si avrebbe guardando il corpo solido, che tali disegni
rappresentano, con le sue tre dimensioni (lunghezza, larghezza, profondità). Se
i due disegni sono uno nero © l’altro bianco si ha la sensazione dello
splendore. Cfr.
Weastone, Philos. Transact., 18%: Stolze, Die Stereoscopie und das
Storeorscop., 1894 ; Breuster. The
stereosoope, 1857 (v. retina, peeudoscopio, spazio, risire. solido,
stereognostico). Stereotipia. Sintomo di alcune malattie mentali, com la forma
catatonica della demenza precoce, 1’ imbecillità. l’idiotismo. Consiste nella
ripetizione continua degli stesi movimenti e delle stesse frasi, nella
monotonia del tono di voce, nel ritorno incessante dei medesimi periodi ο delle
medesime parole quando l’ammalato scrive. Cfr. J. Finzi. Compendio di
psichiatria, 1899, p. 101,123 (v. ecolalia, stupore). Stimolo. T. Keiz; I.
Stimulus; F. Stimulus, excitant. Tutto ciò che produce lo stato di eccitazione
d’una cellula, d'un tessuto o d’un organo. Senza l’azione dello stimolo
l'attività funzionale della cellula, e quindi del tessuto o dell'organo, non si
produce. L'intensità della eccitazione prodotta è, generalmente, proporzionale
all’intensità dello stimolo. Ogni organo reagisce allo stimolo in quel modo che
è conforme alla sua struttura. Gli stimoli della cscienza si distinguono in
esterni, che agiscono sugli organi situati alla periferia del corpo, interni,
che provengono da una modificazione inerente agli organi, ο inferoerebrali, che
consistono nell’ irradiarsi della eccitazione nervosa da vu centro superiore ad
un altro (v. eccitazione, aubminimali). Ston (στοά = portico). Grecismo usato
talvolta per designare lo stoicismo, dicendosi la filosofia dello Stoa, o
seuplicemente lo Stoa. La filosofia stoica ebbe infatti la sus prima sedo nel
Portico pecile. 1127 STO Stoicismo (στοά -= portico). T.
Stoiciemus; I. Stoiolem; F. Stoicieme. Sonola filosofica fondata da Zenone di
Cizzio, in Cipro. Il suo nome le venne dall’essere stata aperta, tre secoli a.
C., nello Stoa pecile, un portico ornato di pitture del celebre Polignoto. Essa
ebbe più di cinque secoli di vita rigogliosa, durante i quali attraversò due
periodi nettamente distinti l’uno dall’altro: il primo ha per centro esclusivo
Atene, il secondo si svolge specialmente a Roma, ove conta fra i suoi seguaci i
cittadini più illustri. Mentre nella prima fase l'insegnamento originario di
Zenone è conservato intatto, nella seconda esso tende all’eclettismo, specie
con Cicerone, Seneca, Marco Aurelio, che attinsero largamente alla filosofia
platonica. I caratteri fondamentali della filosofia stoica sono, a giudisio
dello Zeller, il materialismo in quanto essa pone Dio e l’anima come sostanze
corporee; il dinamismo perchè considera come inseparabili la materia ο la
causa, cioò il principio passivo e l’attivo; il pantelsmo perchè il principio
attivo è uno solo, ed è Dio. Secondo gli stoici la filosofia non è che lo
studio della virtà, ed ha per centro la vita morale dello spirito; tuttavia
essa si distingue in tre parti: logica, fisica, ed etica. Di ciascuna di queste
parti sono date sufficienti notizie in questo vocabolario alle parole
anticipazioni, anima nel mondo, anapodittioi, ecpirosi, mantica, adiafora,
tabula rasa, noo, logos, catalettico, visa, eco. La parola stoicismo si adopera
anche in opposizione ad epicureisino, per designare tutti quei sistemi di
morale che pongono come norma suprema della condotta il dovere. Cfr. H. Arnim, Sloicorum
voterum fragmenta, 1903-1905; L. Stein, Die Psychologie der Stoa, 1886-88; A.
Dyrof, Die Hthik der alten Stoa, 1897; P. Ogereau, Le syatime philos. des
Stoiciens, 1885; 8. Talamo, Le
origini del cristianesimo e il pensiero aloico, 1892. Storia. T. Geschiohie; I.
History; F. Histoire. Può ossere intesa come fatto, 0 come dottrina o
disciplina. La Sto 1128 storia come fatto può a sua volta esser
intesa in tre sensi: generalissimo, generale 6 particolare. Nel primo per
storia s'intende l'evoluzione di tutto l’universo fisico ο morale, in quanto
tntto ciò che esiste, essendo soggetto a cangiamento, esiste nel tempo ed ha
quindi una storia; in questo sonso si usano le espressioni storia della terra,
storia della specie, storia dei mondi, ecc. In un senso meno generale per
storia s'intende lo spirito umano nel suo movimento, ossia 1’ evoluzione
complessiva dell’ umanità, nelle suo istituzioni politiche ed economiche, nelle
ane forme giuridiche, religiose, morali, eco. In senso partioolare, e più
comune, per storia s'intende lo svolgimento di quegli avvenimenti umani, che hanno
esercitato una azione visibile sul corso generale della società. La storia come
dottrina ο storiografia, è la ricostruzione, la narrazione e l’interpretazione
di tali avvenimenti; in’ modo più rigoroso è, come la definisce il Bernheim, «
la scienza degli sviluppi degli uomini nella loro attività come esseri sociali
», sebbene questa definizione inchinda nella storia anche la sociologia. La
storiografia è passata attraverso quattro fasi: 13 primitiva o mitioa, in cui
mancano i mezzi di fissazione degli eventi sociali, che sono raccolti
dall’imaginazione fervida del popolo ο trasformati in miti e leggendo; 2°
istruttica o prammatica, che ba per mira non tanto la ricostruzione fedele del
passato, quanto la determinazione delle regole e degli insegnamenti morali,
politici o religiosi, che dal passato si possono ricavare, per guidaro i
contemporanei e illuminare il futuro: la storia è dunque la maestra della vita;
3% medievale ο religiosa, in cui, per il prevalere del pensiero cristiano, la
suocessione dei fatti storici è considerata come lo svolgersi d’un piano
provvidenziale rivolto a fini lontani 6 imperserutaDili; 4* moderna ο
naturalistica, in cui la storia è considerata come sapere naturale di puri
fatti umani, nei loro rap porti di causalità reale, indipendentemente da
qualanqne 1129 Sto preoccupazione morale, politica o
religiosa. Ma intorno alla vera natura della storia regnano profonde divergenze
tra i pensatori moderni, alcuni dei quali la considerano scienza vera ο
propria, «altri arte, altri disciplina a sè, distinta così dalla scienza come
dall’arte. Per i primi i fatti storici sono causali, ed è quindi possibile
ricavarne delle leggi che, al pari di quelle scientifiche, non varranno
soltanto a interpretare il passato, ma anche a prevedere il faturo storico e
sociologico; la storia adotta lo stesso metodo positivo delle altre scienze, e
le sue spiegazioni si ottengono per via deduttiva; alcuni credono anzi
possibile dedurre tutte le leggi storiche da uno o de pochi principi generali,
come il fattore economico, l'analogia biologica, l'interesse, la simpatia,
l'influsso dell’ ambiente, dell'eredità, della lotta per la vita. Per i secondi
i fatti storici non sono causali, cosicchè la costruzione di leggi storiche è
impossibile, e il passato, anzichè interpretato scientificamente, può essere
soltanto artisticamente ricreato o rifatto; però a tale conclusione gli uni
arrivano collocando l’accidentalità nella storia, perchè in essa molto può il
fattore individuale, e da cause lievi possono derivare grandi effetti, e
effetti molto diversi derivare da cause simili, gli altri collocandovi invece
la libertà, in quanto nel divenire peichico, di cui il divenire storico è un
riflesso, si ha una vera © propria creaziono continua di valori, una varietà
incessante dovuta all’eterogenesi dei fini, ai contrasti e alle sintesi
psichicho. L'indirizzo intermedio nega che la storia sia arte, al pari della
musica o della poesia, perchè mentre l’arte ha per fine il bello ο crea essa
stessa la propria realtà, sin puro imitandola dalla natura, la storia invece ha
per fine il vero, per quanto brutto possa essere, © ricerca ln propria realtà
servendosi di processi che le arti ignorano totalmente; e nega che la storia
possa essere scienza, ciod un sistema di leggi, perchè mentre legge significa
univerSTO 1130 salità © ripetizione, storia significa
individualità e muiazione, mentre la legge è lo stesso fatto esteso oltre i
limiti dello spazio e del tempo, la storia è I’ individua zione dei fatti nello
spazio e nel tempo, e mentre infine le soienze della natura sorgono ο si
sviluppano solo in quanto ciascuna può prescindere dal rapporto di solidarietà
che unisco il proprio oggetto con quello di tutte le altre, la storia umana è
un frammento della storia cosmica e il suo procedere è interrotto ed
accresciuto ad ogni istante dal confluire di innumerevoli fattori esterni, che
non si possono, in quanto tali, calcolare in base alla pura conoscenza dei
momenti precedenti. La storia è dunque una particolare disciplina, la quale,
per l’irreducibile singolarità dei fatti che formano il suo oggetto,
singolarità dovuta all’ infinita complessità del loro determinismo. devo
procedere da caso a caso, rinunziando ad ogni generalizzazione mediante le
leggi; nell’aocertamento critico doi fatti essa segue il metodo positivo di
tutte le scienze ο doi sussidi che la glottologia, l'archeologia, la
paleografia, l'antropologia, ecc. possono offrirle; ma poichè l'oggetto della
storia non à la realtà inconscia, bensi la stessa coscienza umana nel suo
movimento, essa richiede in chi la coltiva quell’ intuito psicologico e quelle
virtù di prosatore, che sono indispensabili per indagare lo spirito del passato
ο per farlo rivivere. Cfr. Bernheim, Lehrbuch d. historischen Methode, 1903;
Simmel, Problem der Geschiohtsphilosophie, 1907; Flint, History of the
philosophy of history, 1893; Bourdeau, Z’histoire et les historiens, 1888;
Lavolléo, La morale dans Vhistoire, 1892; Langlois et Seignobos, Introd. aux
éludes historiques, 1898; Altsmira, La inseianza de la historia, 1891; Croce,
It concetto della storia, 33 ed. 1896; Crivellucci, Il concetto della storia,
in «Studi storici », fasc. I ο II, 1899; Ant. Labriola. 11 problema della
filosofia della storia, in Scritti varî, 1906: A. Rava, It valore della storia
di fronte alle scienze nat.. 1131 Sro-STR 1910; C. Ranzoli, Il caso nel
pensiero ο nella vita, 1913, Ρ. 199 segg. : Storicità. La caratteristica del
fenomeno sociale secondo alcuni filosofi. 11 Comte la designa come « una
successione © filiazione di stati e momenti storici, come intluenza graduale ©
continua delle generazioni le une sulle altre ». Il Littré, precisando il
pensiero del Comte, fa consistere la storicità
per la quale il passato determina il prosente, © il presente l'avvenire
nella accumulazione, nella preservazione © trasmissione dei prodotti, sia
matoriali sia immateriali, dell'attività sociale, nella creaziono di un fondo
comune di cose da apprendere, fatto questo esolusivamente sociologico, che non
trova riscontro di sorta in biologia (v. estetismo, istoriemo). Storico
(argomento). Alcuni teologi chiamano così quella fra lo prove a posteriori
dell’esistenza di Dio, la quale, dalla constatazione che la religiosità è
propria di tutti i popoli in tutti i tempi e in tutti i gradi di civiltà,
conchiude all’osistenza di un Ente supremo che risplende nella intelligenza
umana. Questo argomento perderebbe ogni valore qualora fosse mostrato che vi
sono o vi furono popolazioni prive affatto di religiosità; alcuni antropologi
infatti lo sostennero, altri lo negarono, nd può dirsi che la questione sia
definitivamente risolta in un senso o nell’ altro (v. gli argomenti ontologico,
ideologioo, morale, fisico, metafisico). Stratonismo. T. Stratonismus; I.
Stratonism ; F. Stratonisme. L’indirizzo naturalistico © panteistico della
filosofia aristotelica, iniziatosi prima con Teofrasto e poscia più
energicamente con Stratone. Secondo quest’ultimo, l'intelletto ο l’attività
rappresentativa costituiscono un tutto unico: come non v'è pensiero senza
intuizione, così non v'è percezione senza la cooperazione del pensiero; tutt'e
due uppartengono all’unica coscienza. Applicando lo stesso concetto all’analogo
rapporto metafisico, Stratone insegna che STR-SUB 1132
la coscienza o ragione della natura non può esser considorata come
qualche cosa di separato da essa: Dio non può essere pensato trascendente, come
non può essere pensato il voîg. Così esso nega il monoteismo dello spirito, ed
insegnando che non si può pensare la semplice materia © nemmeno una forma pura,
respinge l’elemento platonico della metafisica aristotelica, che era rimasto
nella separszione della ragione dalla materia, e lo respinge tanto lungi, che
ridiventa ‘libero l’ elemento democriteo: nel divenire universale lo
stratonismo vede soltanto la necessità immanente della natura e non più
l’effetto di una causa spirituale, fuori del mondo. Cfr. Cicerone, De nat.
deorum., I, 13, 35; H. Diels, Beriohte der Berliner Akad., 1893, p. 101 segg.
Stroboscopio v. cinetoscopio. Stupore. T. Stupor; I. Stupor ; F. Stupeur. Nel
suo significato comune designa lo stato di immobilità peichica, a così dire, in
cui trovasi chi è colpito da qualche cosa di meraviglioso © d’inaspettato.
Nella psicologia patologica designa un rallentamento delle espressioni motorie
portato al massimo grado. Esso non è per sò una malattia, ma una sindrome che
comparisce frequentemente nello malattie mentali: se è accompagnato da paralisi
psichica si ha lo stupore epilettico, se da intima serenità lo stupore maniaco.
se da tensione interna © da stato di ansin lo stupore melanconico, se da
negativismo o da intoppo psichico lo stapore catatonico. Cfr. Whitwell, 4 study of
stupor, « Journal of ment. scie. », 1889, XXXV, p. 360 segg. (v. atereotipia, confusione). Subalterne
(ὑπάλληλαι). Due proposizioni che hanno lo stesso soggetto e predicato sono
subalterne quando hanno la stessa qualità ma differiscono nella quantità del
soggetto, di cui l’uno è universale l’altro è particolare : ossia 4 ed I, E ed
O. La proposizione particolare dicesi subalternata, Vuniversale subalternante.
Dalla verità della universale si inferisce la verità dolla particolare, ma
dalla 1133 Sup falsità della universale non #’ inferisce
la falsità della particolare. Inversamente, dalla verità della particolare non
8’ inferisce la verità dell’universale, ma dalla falsità della particolare si
inferisce la falsità dell’universale. Tutti i ragionamenti a fortiori, sia di
prova che di refutazione, hanno il loro principio fondamentale in questi due
ragionamenti, che ne costituiscono il tipo più semplice. Cfr. F. Ueberweg,
Syst. der Logik, 1874, § 95 (v. conversione, inferenza). Subcontrarie
(ύπεναντίαι). Due proposizioni che hanno lo stesso predicato sono subeontrarie
quando sono particolari ed apposte nella qualità: ossia I ed O. Possono essere
entrambe vore ma non entrambe false. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 225 segg.
Subcosciente. Τ. Halbbewusst, unterbewusst; I. Subconscious; F.Subconeoient.
Parola d’uso recente nella psicologia, ma di valore molto incerto, tantochè
Morton Prince ne espone sei significati differenti. Alcuni psicologi moderni
chiamano così quegli stati particolari di oscuramento psichico o di semisogno
determinati da una diminuita fanzionalità dei processi corticali ο
manifestantisi frequentemente nella pazzia nei quali le impressioni del mondo
esterno sono raccolte con difficoltà ο imperfettamente obbiettivate. Si dicono
anche stati orepuscolari, e possono estendersi a tutta la vita sensitiva, o ad
alcune parti di essa soltanto. Vi sono però molti psicologi che non ammettono
tali stati di subcoscienza, e li considerano o come stati di osonramento
psichico o come semplici processi fisiologici senza il loro correlativo
psicologico. Por subcosciente 0
conoosoiente e intende anche l’attività psichica dissociata dalla personalità
ma provvista di coscienza, ossia l'insieme dei fenomeni psichici rappresentanti
la manifestaziono di coscionzo secondarie che coesistono accanto alla
principale. Secondo alcuni psicologi contemporanei, il subcosciente, così
inteso, avrebbe larga parte nella vita psichica norSus 1134
male e anormale: la nostra condotta, le nostre opinioni. il nostro
umore, i nostri sentimenti sarebbéro grandemente influenzati da una quantità di
fattori psichici di cui moi non siamo coscienti, ma si quali non si può negare
una coscienza, come provano ad es. i fenomeni della scrittura automatica e come
è rivelato dalla stessa introspezione, che ci testimonia il persistero di una
attività coordinata ο intelligente, dalla quale abbiamo distolto I’ attenzione.
Maggiore efficacia ancora avrebbe il subcosciente nella produzione degli stati
psichici anormali 6 supernormali, come gli sdoppiamenti della personalità,
l’ipnotismo, la telepatia, il medianismo.
R. Assagioli propone di adoperare le espressioni : subcosciente, por
designare in generale ed in blocco tutto ciò che esiste e si svolge nella
nostra psiche senza che noi no siamo coscienti ; attività psichica concoacionte
ο dissociata per indicare l’attività psichica dei centri secondari di
coscienza; coscienza latente (6, secondo i casi residui psichici latenti,
patrimonio psichico latente, ecc.) per designare tutti i nostri ricordi, idee,
ece., accumulati ed a nostra disposizione, ma fuori del campo della nostra
coscienza attuale. Cfr. Gross, Die cerebrale Sekundärfunction, 1902; W. Hellpach,
Unbewusstes oder Wechseheirkung, « Zeitschrift für Psych. », XLVIII, p. 238;
Morton Prince, The aubconscious, VI* Congr. int. de psych, Geneve, 1910, p. 71
sogg.; Id., The dissociation of a personality, 1906; Myers, The human
personality, 1902; Janet, L’automatieme payohoique, 1889, p. 84 segg., 223
segg., 316 segg.; Patini Concienza, aubooscienza, incoscienza ο apeichla, «
Riv. di psicologia applicata », , VI, p. 24; R. Assagioli, It eubcosciente, «
Rivista di filosofia », aprile 1911, p. 197-206: C. Ferrari, Le emozioni e la
vita del eubcosciente, 1911: J. Jastrow, La suboonscience, trad. franc. 1908
(+. confusione, incosciente). Sublime, T. Erhaben ; I. Sublime; Ε. Sublime. Un
valore ‘tico che, in tutte lo ste sottospecie (terribile, tragico, 1135
SUB orrido, solenne, grandioso), è prodotto dalla percezione o
rappresentazione dell’immensità nel tempo ο nello spazio, © della potenza
fisica o morale. Già Enrico Home determinò il sublime come il bello quando è
grande, e Edmondo Burke lo intese come ciò che con un brivido di benessere οἱ
‘incute terrore, mentre noi stessi ci sentiamo lontani dal pericolo d’un dolore
immediato, distinguendolo dal bello, che è ogni cosa atta a suscitare
piacevolmente i sentimenti dell’amore umano in generale; ma il merito di aver
fatto l’analisi di questo sentimento spetta a Emanuele Kant, che pose l’essenza
del sublime in una convenienza dell’azione degli oggetti col rapporto tra la
parte sensibile e la soprasensibile della natura umana. Il sublime, come il
bello, si rivolge alle due principali facoltà dello spirito, l’imaginazione e
l'intelletto; ma mentre nel bello queste facoltà agiscono d’accordo, nel
sublimo si trovano in contrasto |’ una coll’ altra. Infatti l'oggetto non è
sublime che perchd colpisce i sensi, ma i sensi o l’imaginazione si sentono
impotenti a raggiungerlo, como di qualche cosa che sorpassi infinitamente la
sfera sensibile e che soltanto l’intelletto può comprendere. Dinanzi al sublime
il selvaggio fugge perchè in esso teme la divinità. L’ uomo civile non fugge,
perchè nulla ha a temere; tuttavia egli non può sottrarsi ad un senso d’
angoscia, perchè il sublime gli fa sentire tutta la sua pochezzu materiale;
l'emozione del sublime è quindi, nel suo ini depressiva. Ma al senso primitivo
di terrore segue poi un senso di intima soddisfazione, perchè il sublime desta
in noi il senso della nostra morale grandezza; è così che da depressiva
l’emozione diviene esaltativa, e dall’angoscia passiamo all’ entusiasmo. «
Delle roccie sospese audacemente nell’ aria e quasi minaccianti, dice Kant,
delle nubi procellose che si ammassano nel cielo tra lampi ο tuoni, dei vuleani
che scatenano tutta la loro potenza di distruziono, degli urngani che seminano
la distruzione, l’ oceano immenso solSUB
1186 levato dalla tempesta, la
ostoratta d’un gran fume, sono cose che riducono ad una insignificante
piccolezza il nostro potere di resistenza, confrontato con tali potenze. Ma
l’aspetto ne è tanto più attraente quanto più è terribile, purchè noi siamo al
sicuro; e noi chiamiamo volentieri queste cose sublimi, perchè elevano le forze
dell’ anima sopra la loro mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi
stessi un potere di resistenza di specie al tutto diversa, che ci dà il
coraggio di misurarei con l'apparente onnipotenza della natura.... Il sublime
non risiede dunque in alcun oggetto della natura, ma solo nel nostro spirito,
in quanto possiamo avere la coscienza d’ essere ‘superiori alla natura che è in
noi, ο per tal via anche alla natura che è fuori di noi (in quanto essa ha
influenza su noi). Tutte le cose che eccitano questo sentimento, e ad esse
appartiene la potenza della natura che provoca le nostre forze, si chiamano
allora sublimi ». Vi hanno due forme di sublime: il matematico, dato dallo
spettacolo della grandezza sotto la forma della estensione, ed il dinamico
datooi dallo spettacolo della potenza. Questa distinzione, già fatta da Kant, è
accolta dalla grande maggioranza degli estetici; alcuni però ammettono invece
tre forme di sublime: il naturale, a cui assegnano le tre forme subordi nate
dell'estensione, della successione, della forsa; il sublime intellettuale, che
e’ inizia col sentimento di una sorta di annientamento intellettuale davanti ad
un oggetto del pensiero, che non riusciamo ad abbracciare nella sua
complessità, ο si completa col sentimento della riscossa, della reazione
incalzante doll’ intelligenza ο della fantasia che la sostiene; il sublime
morale, che ha origine dall'idea della libertà consapevole che s’inchina al
dovere, ο se ne fa l'organo nella vita © nella storia. Cfr. Home, Elements of
criticism, 1761; Burke, Esgay on the sublime and beautiful, 1756; Kant, Krit.
d. Urteilekraft, 1878, $ 23 seggi; Herart, Lehrbuch ©. Payoh., 1850, p. 99;
Ribot, Peychol. den 1137 Sur sentiments, 1896, p. 339 segg.; Hüffding,
Paycologie, trad. franc. 1900, p. 282 segg., 393 segg.; Masci, Pricologia,
1904, Pp. 396 segg. Subliminale e
supraliminale. I. Subliminal, supraliminal. Con l’espressiono io subliminale,
diffusa nella terminologia filosofica e religiosa dal Myers, #' intende un io
suboosciente, dotato di meravigliose proprietà fra cui quella di essere
indipendente dal corpo e di sopravvivere ad eso; con esso si spiegherebbero i
fenomeni estranorınali della telepatia, dell'ipnotismo, del medianismo, della ispirazione
geniale. Senza accettare le vedute mistiche del Myers, molti psicologi
ammettono l’esistonza di stati subliminali, o subeoscienti, 0 concoscienti, che
sarebbero provati sia dai fenomeni normali del sogno, delle disposizioni
innate, ece., come da quelli anormali della dissociazione della personalità,
dell’ automatiamo psicologico, della pazzia, ecc. Io mpraliminale o stati
supraliminali sarebbero quelli della coscienza principale, dell’io empirico.
Cfr. Myers, The human personality and its survival to bodily death, 1902;
Janet, L’automatisme peichologique, 1889; R. Assagioli, 11 subcosciente, un’arena spianata: abrasa, aequalio mentis
arena. Per il Rosmini la tavola rasa è l’idoa indeterminata dell'ente, che è +
in noi dalla nascita. Cfr. Plutarco, Plac., IV, 11; Locke, Essay, 1. 1, cap. 1,
$2; Rosmini, Nuoro saggio sull'origine delle idee, 1830, II, p. 118 (v. a
priori, empirismo, natirismo, sensismo). Talento v. ingegno. Tattile
(sensazione). T. Tastempfindung; 1. Touch senvation; F. Sensation tactile. Le
sensazioni tattili si distinguono in sensazioni di pressione, per cui si
avverte la pressione e il contatto degli oggetti sugli organi tattili; ο
sensazioni di luogo 0 di spazio, per cui si avverte la località del corpo che
viene compressa; dalla associazione di queste due specie di sensazioni
risultano le nozioni della forma e della consistenza dei corpi. Perchè sia
possibile una sensazione di pressione, è necessario che il peso del corpo sia
almeno da 2 milligrammi a 5 centigrammi; perchè si possa avvertire il crescere
della intensità della sensazione stessa è necessario che gli stimoli successivi
stiano fra loro in rapporto come di 1 ad 1 +1}; ciò costituisce la legge di
Weber, che fu poi estesa a tutte lo altro spocio di sonsazioni © suona nel modo
seguente: la sensazione cresce più lentamente dello stimolo, crescendo di
minima differenza quando gli eccitamenti crescono di quantità proporzionali; ο,
in modo più preciso: In sensazione sta allo stimolo che la determina come il
logaritmo sta al suo numero. Quanto alla localizzazione delle sensazioni
stesse, essa è tanto più perfetta quanto minore è la distanza in cui devono
trovarsi le dne punte di ‘an compasso (compasso di Weber) per produrre duo
sensazioni distinte; la Tas-Tau
1146 massima sensibilità si trova
sulla punte della lingua, la minima sul dorso, le braccia e le coscie: in
quella, per ottenere due sensazioni distinte, le due punte del compasso devono
distare di 0,5 linee di Parigi, in queste di 30 linee. Gli organi del tatto
sono le terminazioni nervose contenute nel derma ; nel capo il senso tattilo è
esercitato dal 5° paio dei nervi cerebrali, nel resto del corpo dalle fibre
sensibili dei nervi spinali. Nel
linguaggio aristotelico-tomistico dicesi taotue quantitatie quello per il quale
una cosa si unisce con un’altra in modo che le parti aderiscono tra loro;
tactus virtutis quello per il quale una cosa opera sopra un’altra. Cfr. Wundt,
Grundzüge d. phys. Psych., 3* ed., II, p. 10 segg.; Hüfiding, Peychologie,
trad. franc. 1900, pag. 137, 199, 255 segg. (v. circoli tattili, corpuscolo,
estesiometro, distanza, spazio, superficie, stereognostico, ecc.). Tassonomia.
T. Taxonomie; I. Tazonomy; F. Tazonomie. Dal greco τάξις = ordine, νόμος =
legge. Le leggi e i principi della classificazione degli oggetti naturali;
quella parte della scienza che tratta della classificazione. Dicesi tassonomica
ogni classificazione fatta per tipi astratti; ad essa si contrappone lu
classificazione genetica, nella quale gli oggetti sono invece disposti secondo la
loro genesi formativa o il principio causale della loro formazione. Tautologia.
T. Tautologie; I. Tautology; F. Tautologie. Del greco taité = medesimo, λόγος =
discorso. Si dicono così quelle definizioni erronee, in cui il concetto da
definirsi è contenuto, sia palesemente sia copertamente, nel definiente. Così
la comune definizione del giudizio l'atto mentale per cui si afferma o nega è
una tautologia, perchè ciò che costituisce il giudizio è appunto l’affermare o
il negare. Secondo alcuni logici la definizione tautologica non sempre è
illegittima, essendo in alconi cusì l’unico modo di determinare un concetto
primitivo (v. circolo vizioso, diallelo, petizione di principio). 1147
Tav-Tkc Tavole di Bacone. Sono in numero di tre, di pre senza, di
assenza o declinazione, di comparazione o gradazione; corrispondono
rispettivamente ai tre metodi di concordanza, di differenza e delle variazioni
concomitanti dello Stuart Mill. Codeste tavole hanno lo scopo di rappresentare
il risultato complessivo delle ricerche fatte iutorno alle cause di un dato
fenomeno. Quella di presenza riunisce tutti i fatti nei quali si trovano le
cause presunte; in quella di assenza sono enumerati i casi in cui una di queste
cause sarà mancata; in quella di comparazione sono indicate le variazioni
corrispondenti degli effetti e delle cause. Come esempio delle tre tavole,
Bacone si propuno di ricercare la causa dal calore: nella prima espone tutti i
casi conosciuti nei quali si osserva produzione di calore; nella seconda
enumera i casi in cui manca il calore pur essendovi la luce (luna, stelle ©
comete); nella terza indica i casi in cui il calore cresce o diminnisce col
crescere © diminuire del volume dei corpi, del loro movimento, della distanza
dalla sorgente di calore, ecc. Cfr. Bacone, Nov. organum, 1856, 1. II, XI segg.
Tecnica La tecnioa d’una scienza sperimentale non è che l'insieme delle
operazioni manuali che le esperienze richiedono ; il metodo è invece l'insieme
delle norme logiche proprie della scienza medesima. Tecnologia. I. Technologie;
I. Tecnology; F. Technologie. La scienza che si oceupa delle regole pratiche,
delle arti ο tecniche che si osservano nelle società umane adulte e provviste
d’un certo grado di civiltà. Alcuni la distinguouo dalla prazeologia, cho ha un
senso più generale e riguarda tutte lo manifestazioni collettive del volere,
sin spontanee che riflesse. La tecnologia comprende tre sorta di problemi: 1°
la descrizione analitica delle arti, le loro varie specie, la loro
classificazione sistematica in un piecolo numero di tipi essenziali; 2° la
ricerca delle leggi per eni ogni gruppo di regole appare © dello cause cui
Tri-TEL esse devono la loro efficacia pratica; 3° lo studio del divenire di
osse, sia in uns data società sia nell’ intera umanità, dalle più semplici alle
più complesse, attraverso lo alternative di tradizione ο d’ invenzione. Teismo.
T. Theismus; I. Theism; F. Theisme. Consiste nell’ ammettere l’esistenza di una
divinità personale, liDera od intelligente, cui devesi la creazione © la
conservazione del mondo e la provvidenza. J! deista, dice Kant, credo in Dio,
il teista oredo in un Dio viento (summam intelligentiam). Perciò ei distingue
non solo dal deismo, ma anche dal panteismo, dal politeismo, dal dualismo
religioso, ecc. Secondo lo Zeller, il fondatore del teismo fu Aristotele, per
il quale Dio è pura forma, pensiero doi pensieri, primo motore immobile. Ma più
che un essero dotato di volontà © di personalità, il Dio aristotelico è ancora
un semplice concetto astratto, un pensiero teorico. Il vero teismo religioso si
ha nelle tre grandi religioni, giudaismo, islamismo, oristianesimo e più
spiccatamente in quest’ ultima; infatti nello due prime domina la tendenza ad
affermare l’unità e la trascendenza divina, a scapito degli attributi
personali, mentre nel cristianesimo la personalità divina è il concetto
fondamentale, che ne informa così il contenuto dottrinario come quello pratico.
Cfr. A. Campbell Fraser, Philosophy of Theiem, 1903; P. D'Ercole, Il
teismo,1884; C. Ranzoli, 1) agnostioiemo nella filosofia religiona, 1912, p.
193 segg. (v. Dio, personalità, deiemo, religione). Telegonia. T. Telegonie; I.
Telegony; F. Télégonie. Il trasmettersi nella prole di un dato maschio doi
caratteri propri di un altro maschio antecedentemente accoppiatosi con la stessa
fomminn, per la supposta modificazione stabile apportata dal primo alla matrice
di questa. La telogonia è uno dei fonomeni più oscuri ο incerti dell’ eredità.
Alcuni casi osservati in animali inferiori ο in pianto attesterebbero la
possibilità del fenomeno. Cfr. J.C. Ewart, The Penyouik erper., 1899. 1149
TEL Telencefalo. Nella divisione dell’ encofalo adottata dalla
Commissione per la nomenclatura anatomica divisione basata sugli abbozzi
embrionari dell’ encefalo stesso = il telencefalo è tutto il cervello
anteriore, ο comprende V’iufandibolo, l’ipofisi, il tratto ottico, il chiasma,
il corpo striato, il setto lucido, i ventricoli laterali e il mantello
cerebrale. Insieme al diencefalo, 0 cervello intermedio comprendente i corpi
mamillari, i talami, i corpi genicolati, il corpo pineale e il terzo
ventricolo costituisce il prosenogfalo,
corrispondente ad una delle tre vescicole cerebrali primitive. Le altre due
vescicole dànno luogo al mesencefalo, o cervello medio, e al rombencefalo, che
si divide alla sua volta in metenoefalo ο cervello posteriore, e mielencefalo ο
retrocervello. Teleologia. T. Teleologie; 1. Teleology: F. Téléologie.
Etimologicamente significa: scienza dei fini. Per Kant è la scienza che si
occupa della finalità di quegli oggetti naturali, ch'egli chiama fini di
natura, i quali non si possono pensare realizzati se non secondo un concetto
finale; tali oggetti sono gli esseri organici. Qualche volta la parola
teleologia è anche adoperata ad indicare la finalità di un carattere ο di un
avvenimento, la proprietà di un essere o di un oggetto in rapporto alla causa
finale: così dicesi teleologia del sentimento il suo carattere protetticioè il
suo ufficio di conservazione dell'esistenza animale. Più spesso designa quella
parte della filosofia che si applica allo studio sia dello scopo finale delle
cose, sin del fine d’ogni essere particolare. In generale, però, per teleologia
non s'intende nè una scienza a sè nè una parte distinta della filosofia, ma
soltanto il sistema di esplicazione dei fenomeni dell'universo mediante le
cause finali o intelligenti, © in questo senso ai oppone a meccanismo, à
fataliemo © talvolta anche a casualimno. Così intesa, la teleologia ο
teleologismo 8) inizia nella storia della filosofia con Anassagora, celebrato
anche da Platone o da AristoTer
1150 tele come il primo che, con
la sua dottrina del vo5g ordinatore del mondo, elevasse teoreticamente il
concetto di valore della bellozza e della perfezione a principio di
spiegazione. Una orientazione diversa ha In teleologia in Socrate: mentre in
Anassagora essa si riferisce all’armonia del mondo celeste, non alla vita
dell’uomo, le osservazioni che sono attribuite a Socrate, specialmente da
Senofonte, fanno dell’ utile dell’ uomo norma dell’ammirazione dell’ universo.
Quindi la teleologia socratica à tutta esterna, riferendo ogni cos al bene
dell’ uomo come al suo fine supremo. Nella morale Socrate si rappresenta la
sapienza che deve regolare l’attività umana como una riflessione tutta esterna
sulla utilità degli atti particolari; non altrimenti, la sapienza divina che ha
formato il mondo, ha regolato ogni cosa per il vantaggio dell’ uomo, il sole
per rischiararlo di giorno, la luna e lo stelle per rischiararlo la notte, gli
animali per nutrirlo, eco. Più profonda è la teleologia di Platone: come causa
finale di tutto |’ accadele egli pone le idee, ma specialmente l’idea più
elevata, a cui tutte le altre si subordinano come meszo, l’iden del bene, che è
contrassegnata poi come ragione del mondo (νοῦς), come divinità. Le cose
partecipano del bene perchè sono ombre, imitazioni, copie delle idee, e le idee
mettono capo tutte all’idea suprema del bene, che è Dio stesso. Lo spirito di
Socrate e di Platone rivive in Aristotele, nel quale la teleologia ha pure
grande importanza: il passaggio dalla potenza all’atto, dalla materia
indeterminata alla forma determinata, non può effettuarsi che per mezzo del
moto d’una causa efficiente, la quale nella sua azione tende a raggiungere un
fine; causa efficiente © causa finale sono dunque i due principi che, insieme
alla materia ο alla forma, ci dànno un'adeguata spiega zione delle cose e della
natura. Adeguata, ma non per fetta: come spiegare il moto incessante verso il
meglio che agita tutto le cose della natura? Se ο) ὃ moto, dice 1151
TRL Aristotele, dovrà esserci un principio primo da cui il moto derivi,
un motore, che senza esser mosso muova il tutto: questo primo motore immobile è
Dio, la forma più alta ο il fine più alto, che, appunto perchè tale, muove il
mondo per l’irresistibile attrattiva della sua bellezza, por l'inestingnibile
desiderio che suscita di sè nelle cose. La teleologia di Aristotele durò
attraverso tutta l'età di mezzo accanto a quella cristiana, nella quale a Dio e
alla sua provvidenza è fatto risalire il mondo e tutto ciò che in esso accade,
e fu combattuta insieme con questa dal meccanismo naturalistico del
Rinascimento. Leibnitz prima, © Lotze più tordi, tentarono di conciliare 1’
intuizione meccanica e la concezione teleologien del mondo; Kant sostenne che
la scienza della natura non può essere se non meccanica, ma che, d’altro canto,
vi sono dei limiti oltre i quali la spiegarione meccanica non può andare, dei
punti nei quali è innegabile l'impressione della finalità, e questi sono la
vita © le leggi spoviali della natura, che necessitano per essere comprese di
una considerazione teleologica; per Fichte il problema della dottrina della
scienza è di comprendere il mondo come una connessione necessaria di attività
razionale, e la soluzione si ottiene da ciò, che la riflessione della ragione
filosofica riconosce il proprio fare e quel che per esso è necessario, cosicchè
la necessità che prevale in questo sistema della ragione non è cansale ma
teleologica ; per Schelling In spiegazione causale-meccanica della natura è una
pura mppresentazione intellettualistica, mentre l’unità del piano che la natura
segne nella serio degli esseri viventi è l’espressione di una graduale
realizzazione dello scopo. Ogni forma di idealismo realistico o spiritualismo
monistico è, del resto, teleologica; il suo problema fondamentale è appunto di
dimostrare come le leggi meccaniche formulato dalle scienze della natura
possano essere il veicolo o la rivelazione del realizzarsi dei fini. Lo Stuart Mill adopera questo termino
TEL 1152
per designare l’arte della vita, cho comprende tre branche distinte: la
morale, la politica e l'estetica, ο cioè l’onesto, l’opportuno e il bello nelle
azioni e nelle opere dell’uomo. Cfr. Senofonte, Memorabili, IV, 7, 6; Platone,
Rep., VI, c. 19, VII, ο, 3; Id., Leggi, X, ο. 8, 10, 11; Aristotele, De aa.,
MI, 12, 434 a, 31 sogg.; Id., Metaph., I, 3, 983 a, 31 segg.; Leibnitz, Phil. Schriften, ed. Gerhardt, IIT,
p. 607; Kant, Krit. d. Urteilskraft, 1878, II, $ 61; Schelling, Fom Ich als
Princip der Philos., , p. 206 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad.
it., II, 310 segg. (v. causa
finale, finalità, fino). Teleologico (argomento) v. fisico. Tolepatia. T.
Telepathie; I. Telepathy; F. Télépathie. Neologismo introdotto nel linguaggio
psicologico e comune da Gurney e Myers per caratterizzare la loro posizione
indipendente di fronte sia agli spiritisti sia agli scettici. Significa,
etimologicamente, sentire a distanza: ma oggi si designano specialmente con
questo nome tutti quei casi nei quali un individuo percepisce, o crede
percepire, a distanza, e senza il concorso dei sensi ordinari, ciò che accade
ad un altro individuo da lui più o meno lontano. Il fenomeno può avvenire tanto
nel sonno, sotto forma di sogno, quanto allo stato di veglia, sotto forma di visione.
Alcune volte è lo stesso individuo, oggetto della visione, che sppare innanzi
al veggente, non come fantasma ma come essere reale; altre volte è il veggente
stesso che si sente come trasportato ad assistere alla scena. che si svolge
nello stesso tempo, lontano; altre volte ancora è un avvenimento inatteso e
inesplicabile, che si produce d’un tratto ο sembra essere il simbolo telepatico
del fenomeno che si svolge da lungi. Quanto al valore dei fenomeni telepatici,
una inchiesta promossa dalla Società per le ricerche psichiche di Londra e
comunicata al terzo Congr. int. di psicologia del 1896, condusse alla
conclusione che vi è un caso di coincidenza reale ogni 65; 1’ 1158
Tel chiesta, condotta con tutte le precauzioni atte a garantire l
autenticità delle testimonianze, fu estesa a 17,000 persone, îl che dà una
proporzione di coincidenza circa 292 volte maggiore di quella che si potrebbe
prevedere come la più probabile so fossero dovute soltanto al caso. Ammessa la
realtà dei fatti, resta da ceroarno la spiegazione. Alcuni, come il Lodge, si
mantengono in una prudente riserva: « Qual’è il mezzo per cui si fa la
comunicaziono a distanza? È l’aria, come pel diapasont è l'etere como per la
calamita? è qualche cosa di non fisico ο d’esclusivamente psichico Nessuno può
dirlo.... Intanto è chiaro che la telepatia ci si presenta come la
manifestazione spontanea di quella intercomumicazione di spirito a spirito (ο
di cervello a cervello) che in mancanza di una miglior denominazione, chiamiamo
trasmissione del pensiero... Qual’è il significato di questa risonanza
inattesa, di queste ripercussioni sintoniche tra intelligenze? Si deve pensare
che esse siano il germe di un nuovo senso, di qualcosa che la razza umana è
destinata a ricevere, nel corso della sua evoluzione, in una più forte misura?
Oppure è il residuo di una facoltà posseduta dai nostri antenati animali prima
che esistesse il linguaggio? Io non desidero faro delle speculazioni, io non
voglio nulla affermare se non ciò che ritengo esser fatti solidi © verificabili
», Più andace, il Myers rigetta l’ipotesi fisica delle vibrazioni
intercerebrali e di qualsiasi forma imaginabile di ondulazioni © radiazioni
materiali o etereo capaci di mettere in rapporto organismi distanti; ogli
afferma che la telepatia è una intercomunicazione diretta delle anime, che
certi segmenti della personalità subliminale, dissociati dal resto e distaocati
dall'organismo, possono talora impressionare a distanza un’altra personalità,
che la comunicazione può avvenire, anche tra viventi e defunti cosicchè,
infine, la telepatia diventa la legge universale, che riunisce tutti gli
esseri, incarnati e disincarnati, viventi in questo o in altri mondi, 73 Ranzors, Dizion. di scienze filosofiche. |
Τατ ΤΕΝ 1454 in uno splendido universo di vita spirituale
e morale. Cfr.
Gurney, Myers, Podmore, Phantarms of the living, 1886; Id., Census of
allucination, 1890-96; R. Osgood Mason, Telepathy and the subliminal Self,
1897; Myers, The human personality and ite survival to bodily death, 1902; Th. Flournoy, Eeprite ot
mediums, 1911; O. Lodge, La survivence humaine, trad. franc. 1913; G. B. Ermacora, La telepatia, 1898;
Enrico Morselli, I fenomeni telepatici, 1898. Telesiologia. Con questo nome I’
Ampère designava la morale normativa o pratica per distinguerla da quella
puramente descrittiva indicata col nome di Etica. Temperamento. T. Temperament
; I. Temperament : F. Tempérament. Vien dal latino temperiss, che significa
umore; infatti gli antichi credevano che l'indole varia degli individui
dipendesse dal prevalere nell’ organismo di uno dei quattro umori principali:
sangue, bile, flegma e atrabile. Da ciò la olassificazione ippocration dei
temperamenti, accettata ‘in tutta l’antichità, nel medioevo e anche ai giorni
nostri, in: sanguigno, bilioso, flemmatico © melanconico. In questo senso,
carattere e temperamento sono sinonimi; l’uno e l’altro indicano la differenza
caratteristica nella struttura congenita organico-psichica degli individui,
differenza che si rivela nel modo abituale di reagire agli stimoli, di
comportarsi nelle circostanze della vita. Codesta differenza è tanto maggiore
quanto più largo è il differenziamento psichico delle individualità; negli
animali inferiori il temperamento d’un individuo è quello stesso della specie,
negli animali superiori apparisce già il differenziamento individuale, che
nell’ uomo civile e colto acquista il più alto grado. Ma dal temperamento si
suol distinguere il carattere morale, che non è, come quello, greditario, ma
piuttosto acquisito, e formato dall’ insieme di quelle qualità psichiche e
morali, che ἄληπο una particolare impronta così agli individui, come alle
famiglie © alle razze. Nella moderna psicologia, la classificazione 1155
Tem ippocratioa dei temperamenti è accolta nel sonso, che le diversità
dei temperamenti dipendono dalla diversa forza, celerità © vivacità con cui le
impressioni sono ricevute, conservate, e viene ad esso roagito; ma che, a sua
volta, questo stesse funzioni nervose e psicologiche possono essere modificate
secondo che uno degli umori indicati da Ippocrate (sangue, flemma, bile)
sovrabbondi o sia in difotto nell'organismo. TI temperamento sanguigno
dipenderebbe dall’abbondanza dei globuli rossi del sangue, dalla ricchezza di
materiali assimilabili dai tessuti, dalla buona salute, ο sarebbe
caratterizzato dalla vivacità ο dalla instabilità della reazione agli stimoli,
da vita interiore varia ο ricca, manifestantesi anche nella mobilità della
persona. Il malinconico risponderebbe alle condizioni fisiologiche opposte, e
sarebbe caratterizzato da una certa lentezza percettiva e sensitiva, debolezza
della vita interiore e quindi scarsa partecipazione al mondo esteriore. Il
collerico dipenderebbe invece dalla sovrabbondanza della hile, dal versamento
di essa nel sangue, dal quale sarebbe portato ai tessuti, specie al nervoso,
sul quale agirebbe come stimolo eccitatore di reazioni violente e subitanee. Il
flemmatico, infine, dipenderebbe dalla scarsezza dei globuli rossi del sanguo e
dalla abbondanza dei tessuti inerti (liquido linfatico, tessuto connettivo,
grasso), i quali, abbassando it potere funzionale degli elementi nervosi,
determinerebbero negli individui la matura riflessione delle deliberazioni, e
la reazione lenta ms misurata e adeguata. Cfr. Galeno, De temp., I, 5, 8;
Seneca, De ira, II, 18, 19; Holbach, Syst. de la nat., 1770, I, p. 121; Kant,
Anthrop., II, § 87; Volkmann, Lehrbuch. d. Peycol., 1894, p. 206; Wundt,
Grundziige d. phys. Peyohol., 3° ed., IT, p. 421 segg.; Masci, Paicologia, , p.
459 segg.; N. R. D’Alfongo, La dottrina dei temp. nell'antichità e ai nostri
giorni, 1902 (v. etologia). Temperansa. Τ. Mäwigkeit; 1. Temperance ; F.
Tempirance. Una dello quattro virtà cardinali, cho consiste Tr 1156
nella moderazione delle passioni ο dei desideri, specialmente sessuali.
Comunemente si fa sinonimo di sobrietà, ma questa è una virtà più particolare,
subordinata alla temperanza. 8. Tommaso, fra le virtà che ne dipendono,
annovera: l'astinenza, la sobrietà, la decenza, il pudore, la modestia, eoc. I
filosofi pagani non l’intendevano diversamente; così per Aristotele la
temperansa è una via di mezzo fra la sregolatezza e l’insensibilità per i
piaceri, © Cicerone la fa consistere nell’ordine e nella misura che si deve
osservare in tutto ciò che si fa ο si dice. Cfr. G. Grote, Aristotele, 1880, p. 581; Stephen, The
science of cthics, 1882, p. 190 segg. (v. cardinali). Tempo. T. Zeit; I. Time; F. Temps. La forma misurabile
della continuità di ogni processo reale; ο, più precisamente, un continuo
illimitato sd una sola dimensione, di cui noi occupiamo un punto determinato,
che si sposta costantemente nella medesima direzione. Esso è inconcepibile
distinto dallo spazio, essendo le due idee correlaοἱ infatti l’idea di
coesistenza, che à il carattere dello spazio, non può formarsi se non
supponendo l’idea del tempo, il quale a sua volta si fonda sulla sucoessione,
che richiede le idee di direzione e di dimensione. La natura del tempo, come
quella dello spazio, fu concepita nolla storia della filosofia in due modi
fondamentalmente diversi, e cioò come una realtà puramente soggettiva ο come
una realtà oggettiva; se si considera come una semplice idea, rimane da
risolvere la questione se tale idea sia a priori o un prodotto della nostra
esperienza sensibile. Tra i filosofi greci il tempo, come riferisce Plotino,
era concepito in tre modi: come moto, sis în generale sia quello delle sfere
celesti; come la stessa sfera celeste moventesi; come una determinazione del
moto, © più specialmente come estensione del moto per gli stoici, come numero del
moto per Aristotele, come accompagnamento del moto in generale per Epicuro.
Secondo la concezione 1157 Tem aristotelica, la più importante, il tempo
è infatti qnalcho cosa di numerato, contenente cioè distinzioni interne che
posson essere calcolate © sommate, prodotte dal movimento considerato in
rapporto alla successione delle suo parti; per movimento (κίνησις) egli intende
non tanto il cangiamento qualitativo, come quello quantitativo, cioè il
cangiamento di posizione nello spazio; In continuità del tempo deriva dalla
continuità del moto, che, a sua volta, dipende dalla continuità dell’
estensione corporea. Secondo Platone, seguito poi da Plotino e da Giamblico, il
tempo è una creazione del Demiurgo, è generato della assidus energia dell’
anima che cerca di esprimere nella materia l’infinita ed eterna pienezza dell’
essere, e poichè ciò non può fare d’un tratto, è forzata ad una serie
successiva di atti; il tempo è questa vita dell’anima, mentre l'eternità è la
vita dell’ essere intelligibile nella sua totalità piena, assoluta, immutabile.
Con S. Agostino il tempo si interiorizza, trasferendosi dall'anima del mondo
al” anima umana; egli crede, con Platone, che il tempo è obbiettivo, essendo
stato creato da Dio con la creuzione del mondo, ma con felice contraddizione
sostiene poi che esso è il solo presente misurato dalla coscienza: c’è un
presente di cose presenti, un presente di cose passate, e nn presénte di cose
future, il primo nell’ attenzione, il secondo nella memoria, il terzo nella
aspettazione. Nell’ età di mezzo, la formula aristotelica che il tempo è una
relazione o un aspetto del movimento, vale a dire il numero del movimento
secondo il prima e il poi, è generalmente accettata, quantunque per gli
scolastici esso sin considerato più che altro come la base obbiettivamente
valida della costruzione mentale del tempo. Gli scolastici distinsero anche il
tempo, a cui è essenzialo la succes sione, dalla durata che, applicata a Dio ο
agli angeli, non ha tale carattere; tale distinzione ricompare poi in Cartesio,
che considera il tempo come derivato dal confronto delle durate di certi
movimenti regolari, e più ancora in Leibnitz, per il quale ogni cosa ha la
propria durata, ma non il proprio tempo, essendo questo esteriore alle cose,
delle quali serve a misurare la durata. Secondo il Leibnitz il contenuto del
tempo non è fatto di cose, ma di percezioni di cose; non è dunque che una
relazione, un ordine di successione delle nostre percezioni; esso ci appare
come infinito, ma tale suo carattere gli deriva dal non avere noi alcuna
ragione di limitare il numero delle successioni possibili. E il Kant,
spingendosi ancora più oltre, considera codesta successione delle nostre
percezioni esser data dalla costituzione stessa del nostro spirito, non da un’
asione snocessiva delle cose sullo spirito stesso: il tempo non è, come lo
spazio, che una forma a priori della nostra sensibilità, la forma cioè nella
quale intuiamo i dati del senso interno, valo a dire i fatti psichici ©,
indirettamente, quelli fisici; quindi il tempo come lo spazio, ha una realtà
empirica in quanto è la condizione a priori di ogni esperienza possibile, ο una
idealità trascendentale in quanto non ha alcun valore obDicttivo al di là della
esperienza. La concezione del tempo come realtà indipendente fu invece
sostenuta da Newton, per il quale il tempo assoluto, matematico, è qualche cosa
che fluisce uniformemente per sò stesso e per sua propria natura, senza nessuna
relazione con qualche cosn di esteriore e senza alcun legame col cangiamento;
ma sia i filosofi inglesi anteriori a Kant, come Hobbes, Locke, Berkeley, Hume,
sia i filosofi tedeschi posteriori a Kant, come Fichte, Schelling, Herbart,
Hegel, ece., sostengono invece la concezione soggettivistica, riguardando il
tempo © come l’astratto mentale del rapporto di successione dei fatti, o come
un prodotto dell’ attività del soggetto al quale ogni esperienza è relativa.
Uno svolgimento originale della concezione soggettivistion di Kant ha dato il
‘Teichmiiller; egli considera Vordine temporale obbiettivo 1159
TEM come una veduta prospettiva della coscienza, dell’ io sostanziale
per sò fuori del tempo, e la durata come una pura misurazione immanente di
codesto ordine; l’intera serie dei fenomeni dell’ universo, press
assolutamente, deve essere considerata come tutta attuale in una sola volta; se
noi facciamo astrazione dalla natura prospettiva della coscienza © dal
confronto, mediante l’aspettazione ο la memoria, di parte del suo contenuto
ideale con altre parti, ogni disposizione cronologica e ogni durata temporale
scompare; il concetto puro del tempo non ha in sè nessuna dimensione, o
grandezza, 1’ ora e il secondo sono identici. Per il Galluppi il tempo non
esiste indipendentemente dalle cose ed ha per corrispondente obbiettivo lu
causalità, mentre la sun valutazione soggettiva è il numero; la causalità è
l’oggettivo del tempo perchè essa implica un prima e un poi, identificandosi la
nozione di ciò che incomincia ad esistere con la nozione di ciò che è prodotto;
esso si misura col moto, appunto perchè il moto è la produzione di uno spazio,
e misurando uno spazio generato si ottiene un numero di effetti, cosicchò si
attua anche qui l’assioma matematico, che la misura deve essere omogenea al
misurato; il numero, infine, non ceiste che nello spirito, in quanto è
quell’operazione montale con cui si uniscono în una idea differenti unità
considerate. Per il Rosmini il tempo non esiste nelle cose materiali, essendo
la successione segnata gradustamente dal principio senziente sulla durata; la
successione, poi, suppone una serie di più avvenimenti appresa come tale dal
principio senziente; ma perchè questo apprenda come suo termine più avvenimenti
successivi, è necessario che cssi rimanendo in qualche modo in lui, si renduno
contemporanei, perchè è evidente che se dopo averne appreso uno, questo
passasse del tutto, © ne venisse un altro, gli avvenimenti apparirebbero
singolari come sono in sò stessi; il tempo implica dunque la memoria, la
percezione di eventi reali e il giudizio sugli eventi che precedono, cossistono
e succedono. Nella moderns psicologia il tempo è considerato generalmente come
uns idea di origine empirica, che risulta da questi due olementi : 1° la
coscienza del cangiamento, ossia della successione; essa si produce per
opposizione a una sensazione costante, o sentimento fonda mentale; 2°la
rappresentazione di certi stati profondamente impegnati nella coscienza ; il
riconoscimento di questi stati rende possibile uns certa misura e un certo
aggrnppamento nella serie delle modificazioni. L'esistenza d’un sentimento
costante sotto il variare degli stati psichici successivi, costituisce come il
fondo relativamente fisso per opposizione al quale la variazione e la
successione possono nettamente risaltare; la sola suocessione della sensazione,
© il semplice sentimento costante, non sarebbero sufficienti a formare I’ idea
di tempo. Cid dà ragione dell'incertezza della valutazione del tempo fondata
soltanto sulla variazione dei nostri stati interni: i momenti di dolore
intenso, ο di nois, ci sembrano più lunghi che quelli passati fra il succederei
di avvenimenti diversi ο complessi ο sotto il dominio di una idea intensa che
ci assorbe; retrospettivamente, invece, ci sppare più lungo il tempo in cui
furono più varié, intense e numerose le sensazioni, più breve quello în cui
furono rade e uniformi. Una nuova concezione paicologico-metafisioa del tempo,
che sembra conciliare la veduta obbiettivistica e la soggettivistica, è
sostenuta oggi dal Bergeon, per il quale la realtà totale, così interna come
esterna, è essenzialmente tempo, durata pura, corrente di vita. Sviluppando le
ideo già formulate dal Guyau, egli sostiene che la vera durata, quale possiamo
coglierla in noi stessi con uno sforzo d’ introspezione, è l’eterogeneità pura,
cioè una successione di cangiamenti qualitativi che ei fondono, si conglobano,
si penetrano, senza contorni precisi, senza alcuna tendenza a esteriorizzarsi
gli uni rispetto agli al 1161 Tem tri.
Ma, ossessionati dell’ idea di spazio, noi l’ introduciamo senza accorgercene
nella nostra rappresentazione della successione pura; sovrapponiamo i nostri
stati di coscienza in modo da percepirli simultaneamente, non più l’uno
nell’altro; in breve noi proiettiamo il tempo nello spazio, esprimiamo la
durata in estensione. La soienza non fa diversamente, in quanto definisce il
tempo mediante la sua misura e ogni misura implica traduzione in estensione.
Per comprendere la nostra realtà profonda, e, in analogia con essa, la realtà
evolutiva esteriore, noi dobbiamo dunque riconvertire il tempo in durata,
pensare noi stessi ο le cose come una evoluzione melodica di momenti, di cui
ciasouno contiene la risonanza dei precedenti ο annuncia quello che sta per
seguire, come un arricchimento che non #'arresta mai e una apparizione perpetua
di novità, come un divenire indivisibilo, qualitativo, organico, straniero allo
spazio, refrattario al numero. Cfr. Platone, Timeo, 97 c, 38 d; Aristotele,
Phys, IV, 11, 219 b, 2 segg.; Plotino, Enn., III, 7,7; 8. Agostino, Civ. Dei,
XI, 5; Id., Conf., XI, 14; Cartesio, Pr. phil., I, 57; Leibnitz, Nouv. Kee, 1, cap. 14, $ 15
segg.; Kant, De mund. sens., $ 14; Id., Krit. d. reinen. Vern., ed. Kehrbach, p. 60
segg., Schelling, Syst. d. tr. Idealiemue, , p. 213 segg.; Hegel, Naturph.,
1834, p. 52 segg.; Herbart, Allgemeine Metaph., 1828, p209; Teichintiller,
Met., 1874, $ 287 segg.; Bain, Sennes and intellect, 1870, p. 371 segg.; Shadworth
Hodgson, Time and space, 1865, p. 121 segg.; G. S. Fullerton, The docirine of
space and time, 5 articoli in « Philos. Rev. », 1901; I. Royce, The world and the individual, 1901, vol. II, p.
109 segg.; Galluppi, Lezioni di logica ο metaf., 1854, III, p. 1068-97;
Rosmini, Pricologia, 1848, II, p. 189 vegg.; Ardigò, Op. fl, vol. II, p. 110
segg., V, 259 segg., VII, 88 segg.; Guyau, La genèse de l’idée de temps, 1902;
Borgson, Essai sur les données imm. de la conscience, 1904, p. 57 segg.;
Covotti, Le teorie dello spazio e del tempo nella fil. greca fino ad
Aristotele, Pisa, 1897 (v. durata, intuisione, iatante, momento, spasio,
tempuscolo). Tempo di reazione. T. Keaktionseit; I. Reaction time: F. Tempe do
réaction. O tempo peicologico ; è l'intervallo di tempo che intercede tra
l’avvertire una impressione e il rispondere ad essa con un movimento, o, in
altre parole, il tempo necessario perchè 1’ individuo reagisca con un movimento
all’impressione ricevuta. La reazione si compone per tal modo di tre momenti:
1° 1’ onda nerYous che trasmette dalla periferia al centro l'eccitazione: 2° la
coscienza di essa che sorge nel centro medesimo, e l impulso volitivo al
movimento; 3° l'onda nervosa che trasmette l’ impulso dsl centro ad un muscolo
periferico, che si contrae e determina il movimento. Le reazioni possono essere
semplici e composte. Si dicono semplici quelle costituito soltanto dei tre
momenti accennati; esse hanno luogo quando l’individuo risponde sempre con uno
stesso movimento ad una stessa impressione (visiva, uditiva, ecc.). Sono
composte quelle in cui, rimanendo il primo e il terzo dei momenti accennati, il
secondo, quello οἱοὺ relativo alla funzione centrale ο cosciente, viene
complicato, Tale complicazione si può produrre facendo reagire il soggetto, ©
soltanto quand’abbia distinto la differenza di qualità © quantità fra due ο più
stimoli contomporanei; 0 quando abbia riconosciuto a quale delle sensazioni
provate antecedentemento lo stimolo attuale debba riferirsi; ο quando abbia
scelto fra due possibili reazioni quella impostagli per ogni determinato
stimolo; o, infine, quando abbia associato all’ impressione attuale una imagine
mentale che ad essa si collega. I risultati di tutte queste esperienze,
ottenuti nei diversi laboratori di psico-fisiologia, sono sssai oscillanti; ciò
dipende non solo dall’attitudine ο dalla pratica maggiore o ininore degli
sperimentatori, dalla perfezione degli apparecchi, dal numero delle esperienze,
ece., ma anche da altro influenze modificatrici, che sono: la 1163
Tem-Ten maggiore o minore intensità degli stimoli; le condizioni organiche
ο psichiche del soggetto; l’aspettazione o non dell’impressione; la durata maggiore
o minore dell’attenzione aspettante; gli stimoli diversi che distraggono il
soggetto, ecc. In base 9 ciò si distinguono varie specie di reazione: la r.
erronea, quando il soggetto non risponde all’impressione stabilita, ms sd
un’altra prodottasi casualmente; la r. anticipata, quando il soggetto reagisce
prima che lo stimolo abbia realmente agito; la r. muscolare, quando
l’attenzione del soggetto è rivolta massimamente all’azione muscolare da
compiere in risposta all’ecoitazione; la r. sensoriale, nel caso inverso. Cfr.
Wundt, Physiol, Ροψολοὶ., 4° ed. , vol. II, p. 305-390; Jastrow, Time relations
to mental phenomena, 1890; Flournoy, Arch. d. scie. phys. ot nat., XXVII, p.
575, XXVIII, Ρ. 319; Buecola, La leggo del tempo, 1880; Patrizi, Rio. aperim.
di prichiatria, XXIII, 257; A. Aliotta, La misura in psicologia sperimentale,
1905 (v. equazione personale). Tempo psicologico v. tempo di reazione.
Tempuscolo. Nello scienze fisico-matematiche si suol designare in questo modo
un tempo infinitamente piccolo, vale a dire non valutabile. Una quantità dicesi
infiuitamonte piccola, o semplicemente un infinitosimo, quando il suo valore è
minore di qualunque quantità assognabile, per quanto si voglia piccola. Ora,
noi possiamo valutare il tempo fino a 1/15.000.000 di minuto secondo: il
tempuscolo, o tempo infinitesimo, sarà dunque un tempo infinitamente più
piccolo di codesto che sappiamo valutare. Tendenza, T. Tendens; I. Tendenoy; F.
Tendance. Nel linguaggio comune indica uno stato complesso della coscienza appetitiva,
che vien designato volta per volta con nomi diversi, per i vari aspetti coi
quali può rivelarsi: cioò le tendenze positive si chiamano amore, propensione,
desiderio, bisogno, speranza; le tendenze neTeo
1164 gative avversione, odio,
ripuguanza, disagio, timore. In senso stretto, la tendenza è un fatto
primitivo, costituito da uno stato di coscienza che, in quanto rivela i bisogni
dell'organismo eccitato dallo stimolo, è rivolto a cercare © conservare il
piacere, a fuggire o allontanare il dolore. Ogni piacere ed ogni dolore mettono
più o meno l’organismo in movimento, la forma del quale è determinata dalla
struttura originaria dell’ organismo stesso, e che si manifesta con uno sforzo
per allontanarsi ο avvicinarsi all'oggetto, a seconda che è conosinto piacevole
o doloroso. Quando codesto inizio involontario del movimento è sentito dalla
coscienza con una certa rappresentazione del fine al quale esso conduce, si ha
la tendenza. Essa ha dunque per condizione l'associazione al sentimento
presente della rappresentazione di ciò che può aumentare il piacere o diminuire
il dolore attuale. Si distingue dalPatto riflesso ο dall’istinto, nei quali
manca la rappresentazione del fine; si distingue dal desiderio, in cui la rap
presentazione del fine è chiara, distinta ο sccompagnata dalla coscienza della
distanza che separa la semplice rappresentazione dell’ oggetto dalla sua
possessione ο realizzarione; si distingue infine dalla volontà, in quanto
questa comprende non una ma più rappresentazioni antagoniatiche, al prevalere
d'una delle quali, concopita come fine, si associano, coordinandosi, i meszi
per raggiungerla. Cir.
Spinoza, Ethica, 1. III, teor. IX, scol.; Höffding, Pay chologie, trad. franc.
, p. 422 segg. Teodicen. ‘I. Theodioss; I. Theodicy; F. Théodicée. Dal greco Θεός -Dio, e δίκη stizia. Parola creata dal Leibnitz, che la usò come titolo di
un’ opera nella quale cerca di giustificare la divinità dell’esistenza del male
nel mondo, e di conciliare la libertà umana con la prescienza e la provvidenza
di Dio. Ma come cosa, se non come nome, la teodicea esisteva da molto tempo.
Per Platone ο per Aristotele l’esistenza del male à giustificata 1165
Tro riportandola alla resistonza del non ente ο della materia; per gli
stoici, veri creatori della teodicea, i mali fisici non sono tali in sè stessi,
ma tali diventano per colpa degli nomini © spesso sono punizioni inflitte dalla
provvidenza per il miglioramento degli uomini, mentre il male morale, cioè il
peccato, è necessario perchè solo dal contrasto con esso risnita il bene; per i
neo-platonici il male non è per sè stesso qualche cosa di esistente
positivamente, ma è la mancanza del bene, il non-essere; per Giordano Bruno il
mondo è perfetto perchè è vita di Dio, fino ad ogni particolare, © colui
soltanto si lagna che non può sollevarsi all’ intuizione del tutto, nella cui
bellezza scompaiono le imperfezioni ο i difetti spparenti. Dopo il Leibnitz il
significato della parola si esteso fino a designare quella parte della teologia
ο della metafisica, che si 00caps di difendere la suprema sapienza di Dio
contro le accuse elevate dalla ragione alla vista dei disordini del mondo. Come
tale essa si divide, per il Kant, in tre parti che hanno per oggetto di
giustificare Dio: la prima nella sua santità, in presenza del male morale; la
seconda nella sua bontà, in presenza del male fisico ; la torza nella sua
giustisia, davanti al disaccordo che esiste tra il bene e la virtù. Ma oggi la
teodices ha assunto una estensione ancora maggiore, e comprende non solo la
giustificazione delle opere di Dio, ma anche le prove della sua esistenza, la
dimostrazione dei suoi attributi, la ricerca dei suoi rapporti con l’anima
umana e con l'umanità, Cfr. Platone, Timeo, 42 D; Seneca, Quaest. nat., V, 18,
4; Id., Kpistulae, 87, 11 segg.; Plotino, Enneadi, II, 9; Leibnitz, Essai de
théodioée, 1710; Kant, W. W., VI, 77; J. Young, Evil and good, 1861; Rosmini,
Teodicea, 1846; Benedict, Theodioaea,
(v. male, peseimismo, ottimismo). Teofania. T. Theophanie ; I. Theophany
; F. Théophanie. In senso generale, il manifestarsi della divinità nel mondo
attraverso le sue opere; in questo senso tutto il mondo Tro 1166
può considerarsi, secondo il cristianesimo, una teofania. In significato
più ristretto, il presentarsi della stessa divinità. Thoophanias autem dici
visibilium et invisibilium species, quarum ordine et pulchritudine cognorcitur
deus esso. Cfr. G. Scoto, De div. nat., III, 19. Teologia. T. Theologie; I.
Thoology; F. Théologie. Nel sno significato più generale, è la scienza di Dio ο
delle cose divino. Aristotele fa il primo a considerarla come scienza,
ponendola a capo delle scienze speculative; avanti di lui essa non era che una
descrizione poetica dell’ origino delle cose © della natura degli dei. Nel
mondo pagano la teologia ebbe un carattere particolare: come la religione aveva
un'importanza politica, ed era ignota affatto così ai Greci come ai Latini ogni
idea della rivelazione, così non v'ebbe alcuna distinzione fra teologia
naturale ο positiva, ma si aveva invece, secondo la classificasione di Varrone
e del pontefice Muzio Scevola, una teologia poetica, di cui parlammo sopra, una
teologia fisica, che è prodotto di ragione e fa parte della filosofia, © una
teologia civile, fondata dai legislatori e rivolta agli interessi dello Stato.
Col cristianesimo, innalzatasi tra la ragione e la rivelazione una barriera
insormontabile, fu distinta la teologia naturale, che è prodotto della ragione,
dalla positita opera della rivelazione: quella è una scienza le cui verità
hanno bisogno di essere dimostrate, mentre le verità di questa debbono essere
aocettate per fede. Dalla teologia positiva si distingue la razionale, svoltasi
specialmente in Germania, e il cui fine è di controllare pet mezzo della
ragione i dati della rivelazione, con l'esame © l’interpretazione delle sacre
scritture, della tradizione, dei monumenti religiosi. Colla teologia positiva
non è da confondersi l’affermativa, che è l'affermazione in grado sommo (via
eminentiae) nella divinità di tutto l’essere che esiste nelle creatnre ; essa si
oppone alla teologia negatira, che consiste nel tentativo di ginngere alla
nozione del 1187 Tro l'essere supremo o
assoluto, rimovendo da lui (ria remotiomis 0 negationis) tutto ciò che non
possiede l’essere che in senso negativo. Codesta distinzione fa posta da Nicol
Casano; ma i due metodi erano già noti © usati dai primi Padri, © la via
negationie sale a grande onore specialmente con lo pseudo Dionigi Areopagita.
Teologia dogmatica è il sistema della dottrina teologica sviluppato dogmatica
mente, cioò con un metodo che si appella alla sutorità, sia della sola
scrittura, sia della scrittura ο delle tradi. zioni combinate insieme. Il Comte chiama teologico il primo dei tre
grandi stadi attraversati dalla intelligenza umana nel suo cammino secolare ;
gli altri due sono il metafisico ο il positivo. In questa prima fase dominano i
concetti mistici, e i fenomeni naturali sono attribuiti alla volontà arbitraria
6 capricciosa di enti imaginari o forze naturali personificate. A questo
indirizzo mentale corrisponderebbe, dal lato sociale, lo stato militare, poichè
le differenze di religione generano le guerre tra i popoli. Cfr. Aristotele,
Metaph., III, 4, 1000 a, 9; Diogene Laerzio, VII, 1, 41; 8. Clemente, Stromata,
V, ο. XI; Dionigi Areop., De mystica theol., I, 3; Id., De div. nom., 7, 3; C.
Billot, De Deo uno et trino, 1854 (v. teosofia, teodicea, ontologia).
Toologismo. T. Theologismus ; I. Theologiem ; F. Théologisme. Termine molto
vago, con cni si designano quei sistemi filosofici che #’ ispirano essenzialmente
alla tradizione teologica e al sentimento religioso. Teomania. Delirio
religioso, che oggi più propriamente dicesi pnranoia religiosa. È costitnita da
una serie di illusioni ο allucinazioni, aia visive che uditivo, riferentisi ad
armonie celesti © visioni divine, intramezzate dn periodi di estasi ed episodi
erotici. L’ ammalato crede di essere destinato da Dio a redimere gli uomini dal
pecesto e pregusta le gioie che per la compiuta missione gli verranno largite,
non badando alla propria tranquillità ο ai propri interessi materiali, non
esitando nemmeno a Tro 1168 sacrificare la libertà ο la vita. Non pochi
riformatori ο fondatori di religioni potrebbero, secondo alcuni psichiatri,
essere legittimamente classificati tra i teomani; tale Emanuele Swedenborg,
fondatore della setta degli illuministi, tale pure italiano Davide Lazzaretti,
il più tipico esempio, forse, di paranoico allucinato che abbia potuto, durante
l’ultimo mezzo secolo, dare origine ad un moto rivoluzionario
mistico-socialistico. Cfr. Lombroso, L'uomo di genio, 63 ed., p. 507 segg.; G.
Ballet, Le peicosi, trad. it. , p. 300 segg.; G. Barzellotti, Davide
Lassaretti, i suoi seguaci ο la sua leggenda, 1885; Id., Santi, solitari,
filosofi, 1887; A. De Nino, II Messia degli Abruszi, 1890. Teorema. T. Theorem,
Lehrsatz; I. Theorem ; F. Théorème. Come mostra l’origine etimologica della
parola (Δεορέω = esamino), significò da principio quello che si contempla, che
è soggetto d'esame; poi la verità che è il risultato dell’ esame, della dimostrazione.
In questo secondo senso si contrappone a problema, che è invece una incognita
difficilmente decifrabile, quantunque sia congiunta dal rapporto di principio e
di conseguensa ad nna conoscenza attuale, Teoretico. T. Thooretisch; I.
Theoretical; F. Theoretique. Ciò che si riferisce alla teoria, mentre il
teorieo è ciò che fa parte della teoria; nell’uso però i due termini si
confondono. Si oppone a pratico © à fecnioo; mentre la teoria ha per solo fine
il vero, la pratica ha per fine l’azione ο la tecnica è l’insieme delle norme
con cui si applica la nostra conoscenza delle cose. Si oppone anche a storico ©
a empirico, perchè mentre in questi è il fatto che prevale, in quello prevale
il ragionamento. Perciò si hanno le espressioni di filosofia teoretica, pratica
e storia della filosofia; sapere teorico, speculativo e pratico; morale teorica
e morale normativa o pratica; intelligenza teorica, speculativa e pratica, ecc.
Cfr. Kant, De mund. sens., sect. II, § 9, n. 1.
1169 Tro Teoria. T. Theorie; I.
Theory; F. Theorie. Nel suo significato più largo designa la sintesi
comprensiva delle conoscenze, che una scienza ha raccolto nello studio di un
dato ordine di fatti. In un senso più ristretto è un insieme di ragionamenti
collegati fra loro e diretti a spiegare, provvisoriamente o definitivamente,
una data questione. In questo senso si oppone alla pratica, la quale non è che
l'applicazione della teoria. Nel primo significato si distingue dall’ipotesi,
che è più spesso l’anticipazione che non il risultato delle esperienze, e dalla
dottrina, che ha un’ accezione più vasta, risultando da un insieme di teorie.
Quando la sintesi coordinatrice delle esperienze raccoglie sotto di sò ordini
differenti di fenomeni, allora si ha qualche cosa di più esteso della dottrina,
cioè il sistema. La teoria non differisce per natura dalla legge scientifica,
ma soltanto per grado: la teoria è infatti una generalizzazione così astratta
da non mostrare un addentellato diretto ed esauriente con la realtà, ma si
fonda tuttavia sulle leggi, ο in tanto ha valore in quanto costituisce la
massima approssimazione alla realtà e la massima potenzialità di contenere in
sè un certo numero di leggi accertate. Tuttavia nell’ uso comune queste
distinzioni non sempre sono possibili, perchè, se da un lato è difficile
valutare il grado di estensione d’un dato insieme di conoscenze, non è facile
dall'altro l'apprezzamento degli elementi certi e degli ipotetici che vi si
mescolano. Cfr. Wundt, Logik, 1880, vol. I, p. 407; Masci, Logica, 1899, p. 72
segg. (v. dottrina, principio, prammatica, pratica). Teosofia. T. Thoosophie;
I. Theosophy; F. Theosophie. Si distingue dalla teologia, in quanto designa
quella scienza che si pretende ispirata dalla stessa divinità, dalla quale
deriverebbe, senza però essere oggetto di una rivelazione positiva. Questa
scienza si svolse specialmente in Germania nei secoli XV e XVI, per opera di
Cornelio Agrippa, Paracelso e Giacomo Bihme. Le dottrine dei vari teosofi
74 Banzout, Dision. di scienze
filosofiche. Teo 1170 diversificano molto tra di loro, specie
perchè, mentre alcuni fanno prevalere la teologia sulla filosofia, altri dànno
la prevalenza alla ragione e alla filosofia sulla fede ο enlla teologia. Però
tutti si accordano nella tendenza ad unificare la scienza di Dio con quella
della natura. Uno dei più interessanti tentativi di risuscitare, nei tempi
moderni, la teosofia, è quello dello Schelling, spinto sulla via
delV’irraionaliemo dall’ assunzione del motivo religioso nelVidealismo
assoluto. Se l’assoluto era concepito come Dio, se il principio divino e quello
naturale . delle cose erano distinti, sicchè alle idee eterne come forme dell’
auto-intuizione divina veniva assegnata un’ osistenza speciale accanto alle
cose finite, la trasmutazione di Dio nel mondo diventava un problema; tale
problema lo Schelling ha cercato di risolvere sulla via della teosofia, con una
teoria mistico-speculativa nella quale i concetti filosofici sono tradotti in
intuizioni religiose. Per lo Schelling le idee sono imagini riflesse, in cui l’assoluto
rispecchia sè stesso, sono partecipi dell'autonomia dell’ assoluto; in ciò sta
la ponsibilità della caduta delle ides da Dio, della loro sostantivazione
metafisica, per oni diventano reali, empiriche, cioè finite. Il contenuto della
realtà è quindi divino, perchò sono le idee di Dio quelle che ivi sono reali;
ma il loro proprio esser reale è caduta, peccsto © irrazionalità. Però
l'essenza divina delle idee tendo di nuovo all’ origine e al prototipo, ©
questo ritorno delle cose in Dio è In storia, l’epos composto nello spirito di
Dio. Il Rosmini intendo per teosofia la teoria dell’ ente nella sua totalità,
ossia delle ragioni supreme che si trovano nel tutto dell'ente; essa si
distingue sia dalle altre scienze, che riguardano Vente solo in quanto è diviso
o dalle limitazioni naturali o dallo sguardo della mente, sia dalle altre parti
della filosofia, che cercano il principio da cui la scienza dell’ ente deriva
(ideologia) e somministrano le condizioni formali e materiali (logica e
psicologia) del passaggio della
1171 Ter mente speculativa dal
sapere ideologico al sapere teosofico. Cfr. L. Judge, The ocean of theosophy,
1893; A. Besant, Teosofia e nuova psicologia, trad. it. 1909; E. P. Blawataki,
Introd. alla teologia, 1910; Schelling, Religion und Philosophie, 1804;
Rosmini, Teosofia, 1859 (v. ideologia, metafisica, ontologia). Teratologia. T.
Teratologie; I. Teratology; F. Tératologie. Ramo della patologia e dell’
antropologia, che studia quelle anomalie di sviluppo, congenitali e
irrimediabili, che diconsi mostruosità. Esse sono costituite da arresto,
eccesso 0 perversione di sviluppo ; possono dipendere da predisposizione
ereditaria, da nna malattia del feto, ο da un accidente sopraggiunto alla
madre; alonne sono incompatibili colla vita, altre compatibili. Tra queste
importanti la polidattilia, ο dita in soprannumero, l’ermafroditismo, 9 ΙΑ
diplogenesi, in cui vi ha duplicazione più o meno completa del corpo intero (v.
anomalia, degenerazione, reversioni). Termestesiometro. Strumento usato nelle ricerche
psicofisiologiche per misurare la sensibilità cutanea sotto l’azione del
calore. Termiche (sensazioni). T. Temperaturempfindung ; I. Temperature
sensation ; F. Sensation de temperature. Le sensazioni di ‘caldo e di freddo.
Possono essere di due specie: interne, quando hanno origine da uno stato
affatto soggettivo (ad es. il calore o il brivido della febbre), ed esterne,
quando sono prodotte dal contatto di un corpo qualsiasi sopra la pelle o sulle
mucose che confinano con essa. Si ha la sensazione di caldo quando il corpo che
tocca la pelle ha una temperatura più elevata della pelle stessa, di freddo
quando ha una temperatura più bassa, nessuna quando ha la stessa temperatura.
Quando il corpo ha una temperatura superiore a + 47° e inferiore a 10°, non produce sei sazioni termiche ma
dolorifiche, che sono tanto più ii tense quanto maggiore è la differenza fra la
temperatura 1172 del corpo e quella dell’ organismo e quanto
più estesa è la superficie cutanea che col corpo si trova a contatto. Sembra
esistano degli organi periferici distinti per il senso del tatto, per il caldo
e per il freddo; infatti la sensibilità termica non è uguale in tutte le
località della pelle, ed in alcune di esse sono possibili soltanto sensazioni
di freddo, in altre soltanto sensazioni di caldo, se toocate con una punta
fredda o calda. Cfr.
Wundt, Physiol. Peychol., 4* ed., vol. I, p. 385, 415; Titchner, Lab. manual,
1901, cap. III; Kiesow,
Zeitschrift für Peyool., vol. 35, 1904; Id., Arch, it. d. biol., T. XXXVI,
1901; N. Marotta, Le sensazioni termometriche, « Riv. di fil. e scienze affini
», agosto 1899. Termine. Lat. Terminus; T. Terminus; I. Term; F. Terme. I
termini del giudizio sono le nozioni che lo compongono; i termini della
proposizione sono i nomi che esprimono codeste nozioni. I termini si
distinguono in generali, collettivi, astratti, concreti o singolari, positivi,
negativi, privativi e correlativi. Nel
sillogismo si hanno tre termini: il maggiore, che ha l’estensione maggiore e
compare, soggetto o predicato, nella premessa maggiore; il minore, che ha
estensione minore, e compare come soggetto o predicato nella premessa minore;
il medio, che ha estensione media e si trova in entrambe le premesse. Nella
conolusione il termine maggiore fa da predicato, il minore da soggetto, il
medio è escluso. Il sillogismo non può avere più di tre termini, perchè il
termine medio deve esser preso almeno una volta universalmente. Il termino
maggiore e minore non debbono esser presi nella oonelnsione più universalmente
che nelle premesse, perchè ciò sarebbe contro il principio del sillogismo, che
procede sempre dall’universale. Nella terminologia scolastica dicesi terminus
actionis ciò che si compie coll’arione medesima, t. denominationie ciò che
prende una nuova denominazione per l’azione, f. a quo quello onde incomincia il
moto, t. ad 1173 TER quem quello dove il moto finisoe; termini
pertinentes duo termini tra loro opposti contrari, o di oui l’uno porta in sò
l’altro, t. impertinentes due termini che non sono contrari ma non si richiamano
per conseguenza diretta (ad es. il rosso © il buono); terminus intrinscous
unionis quell'estremo del composto nel quale non si riceve l’ unione, che pei
peripatetici era una entità distinta dagli estremi, nè da esso si trae o si
sostenta: così la forma del composto è il £, intrinseous dell’ unione della
materia colla forma, la quale unione ai riceve nella materia, ossia le
aderisco, ed è sostenuta da questa, e non aderisce nò è sostentata dalla forma.
Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 1, 24 b, 16; Goclenio, Lezioon phil., 1613, p.
1125 (v. figura, modo, collettivo, correlative, generale, eco.). Terminismo. T.
Terminismus; I. Terminiem; F. Torminieme. Forma del nominalismo, nella quale
gli universali sono considerati soltanto come termini ο segni. Genera οἱ
epooies, dice Buridano, non sunt nisi termini apud animam ezistentes vel ctiam
termini vocales aut soripti. Il terminismo, come dottrina che considera i
concetti quali segni subbiettivi per le cose singole realmente esistenti,
compare nel secondo periodo della filosofia medievale, specie con Guglielmo di
Oooam. Riappare poi nella filosofia dell’ Aufklärung ο nel sensismo di
Condillac, per il quale ogni conoscenza consiste nella coscienza dei rapporti
delle idee, le quali, con l’aiuto dei segni e, rispettivamente, della lingua,
si decompongono nei loro elementi ο si ricompongono di bel nuovo: ogni lingua è
un metodo per V analisi delle idee, ed ognuno di questi motodi è una lingua, e
le diverse specie di segni danno diversi dialetti (le dita, la favella, le
cifre, ecc.) della lingua umana. Cfr. ‘Prantl, Geschiohte d. Logik, 1885, IV, 16;
Condillac, Langue des oalouls, 1798. Teromorfle ο atavismi. Furono dal Wirchow chiamate così alcune varietà
anormali che si riscontrano talTes un = volta nell’uomo (muscolo sternale, osso
interparietale, eco.), che sono disposizioni permanenti negli animali
inferiori. Le teromorfie diconsi dirette quando riproducono le forme di animali
più vicini all’ uomo, indirette 0 remote quando i caratteri riprodotti sono
propri di animali più bassi, che non si considerano come gli avi diretti (v.
degenerazione, reversioni, teratologia). Tesi. T. These; I. Thesis; F. Thèse.
In generale significa proposizione, cioÿ qualsiasi giudizio espresso con
parole; ma si adopera più propriamente per designare una proposizione che deve
essere dimostrata vera. Per Aristotele la tesi si distingue dall’assioma in
quanto, mentre questo è universale e necessario, quella invece è stabilita
temporaneamente e per un oggetto determinato. Nel giudizio ipotetico (se À è B
è) dicesi tesi la seconda parte di esso, che contiene la posizione del
predicato (8 2), mentre la prima parte (ss A è) che contiene la posizione del
soggetto, dicesi ipotesi. Quando alla
tesi è opposta un’altra proposizione, che sebbene contradditoria può esser
dimostrata con argomenti di ugual valore, questa seconda dicesi antitesi, ed
insieme con la prima costituisce la antinomia. Quando invece la tesi e
l’antitesi possono essere conciliate in un principio superiore che entrambe le
comprende, si ha la sintesi. Testimonianza. T. Zeugniss, Zeichen; I. Tostimony:
F. Témoignage. Lo scienziato non può osservare personalmente tutti i fatti
ch’egli afferma, nè sottomettere alla prova sperimentale tutte le dottrine
ch’egli ammette, ma fatti è dottrine deve in buona parte accettare sopra la
testimonianza altrui. Se così non fosse, se ogni scienziato dovesse
ricominciare ab ovo le sue ricerche e considerare come vero soltanto ciò che ha
sperimentato, il progresso della scienza sarebbe impossibile. D'altro canto, vi
sono slenno scienze, come la geografia, la storia, ecc., le quali si fondano
quasi completamente sopra le testimonianze
1115 Tes-Ter altrni. La necessità
del principio d’autorità nella scienza impone dunque allo scienziato di fare la
oritioa delle tertimonianzo (le cui norme generali sono fissate dalla logica),
per determinare in quale misura esse possono esser ritenute degne di fede, Cfr.
Masci, Logioa, 1899, p. 468 segg. Testo. T. Probe, Prüfung; I. Test; F. Test,
Epreuve. Diconsi testi mentali, ο prove, o saggi, le determinazioni che la
psicofisica e la psicofisiologia cercano di ottenero del funzionamento dei
sensi ο dei processi mentali. Si hanno quindi testi della capacità sensoria,
visiva, uditiva, tattile; testi della capacità muscolare, della capacità
percottiva, della vivacità ο prontezza mentale; testi della memoria e dei
processi mentali più complessi, come l’associazione, l’attenzione,
l’imaginazione, il giudizio, Per determinare l’acutezza della visione sogliono
adoperarsi lettere di varia dimensione e forma, poste a diversa distanza; per
l'udito le casse di risonanza e l’audiometro, per il tatto l’estesiometro, per
la capacità muscolare il dinamometro, per la percezione degli intervalli di
tempo il eronosoopio di Hipp, ecc. Cfr. Binet e Henri, La peychologie
individuelle, « Année payool. », ; Report of committee on testa, « Psychol. Rev. >, , vol. IV, p.
132-38; Wiseler, Correlation of mental and physical teste, 1901. Tetici (giudizi). Quei giudizi contratti, detti
anche di posizione © esistenziali (Herbart) che sono ordinariamente riferiti a
giudizi ipotetici, se l'ipotesi afferma una condizione di estensione
relativamente illimitata. Essi possono avoro anche la forma copulativa,
remotiva, disgiuntiva, oppure una forma propria, in cui, in luogo dell’
ipotesi, è usato un avverbio o una particella localo (v. composti, congiuntivi,
copulativi). Tetralemma. Argomentazione costituita di quattro membri, da
ciascuno dei quali si ricava una conclusione medesima e contraria
all'avversario, che per ciò non ha più via d'uscita. Nella sua forma tipica è
espresso meTeu-Tir 1176 diante un sillogismo ipotetico-disgiuntivo,
che, al pari del dilemma, può avere due modi, uno affermativo o ponente,
l’altro negativo ο tollente; nel primo la premessa. maggiore enumera i quattro
casi possibili che conducono ad un’ unica consegaenza, la minore afferma non
esservi altri casi oltre quelli enumerati dalla maggiore, la conclusione afferma
la conseguenza; nel secondo la maggiore espone le quattro conseguenze che
dipendono da un’ unica condizione, la minore nega la verità delle conseguenze,
la conclusione nega quindi la verità dell'ipotesi (v. dilemma). Teurgia v. snagia. Timpano. T.
Trommelfoll; I. Tympanum; F. Tympan. La cavità del timpano è uno spazio scavato nell’osso temporale, e
comunica con la faringe mediante un canale dotto tromba uditiva o d’
Eustacchio. E limitata lateralmente dalla membrana del timpano, che è una
lamina sottile e trasparente, tesa © fissata al solco timpanico, a forma
ellittica. Le onde sonore, urtando contro la membrana, la pongono in
vibrazione; tale vibrazione è comunicata agli ossicini, da questi all’
endolinfa e alle terminazioni nervose dell’ acustico, che trasmette 1’
eccitazione al centro cerebrale relativo. Cfr. J. K. Kreibig, Die fünf Sinne
des Menschen, 1907, p. 52 sogg.; Nuvoli, Fisiologia dell’ organo uditivo, 1907.
Tipo. T. Typus; I. Type; F. Type. Nel sno significato generale, un tipo è an
individuo di un genere che risssume in sè stesso, nel modo più spiccato, i
caratteri del genere cui appartiene; tali caratteri sono tanto maggiormente
netti ο palesi, quanto minore è la rilevanza dei caratteri individuali. In
senso logico e astratto per tipo s'intende l’ insieme dei caratteri essenziali
d’ una specie. ‘Tuttavia nelle definizioni scientifiche l’idea di tipo non è
determinata ο costante: alcune volte è presa come tipica una proprietà formale,
che distingue una classe dall’altra. come ad es. la distinzione che molti
filologi fanno 1177 Tom delle lingue in agglutinanti, isolanti, ο
flessive ; altre volte è presa come tipica un’astrasione morfologica, come ad
es. la teoria di Bronn sulle forme geometriche dei corpi animali; altre volte è
assunta come tipica la forma più semplice, come il dado e I ottacdro per la
oristallogratis, © altre invece la forma più completa, come ad es. la forma
tipioa dei mammiferi assunta dal Cuvier. Va ricordato, infine, che alcune volte
il tipo fu assunto platonicamente dagli scienziati, ad es. l’Agassiz ο il
Cuvier, quasi come un'entità reale, a sò, causa delle forme ο della
approssimazione delle forme. Nella psicologia diconsi tipi mentali certe
precise differenze di costituzione mentale, 0 certi modi di fanzionamento
mentale, che caratterizzano gruppi di individui; tali caratteri sono dunque tipici,
piuttostochè individuali. In questo stesso senso si parla di tipo criminale,
tipo visivo, tipo sensitivo, ecc. Cfr. C. B. Davenport, Statistical metods,
1900 ; Zeitschrift für Peychol., 1899, XXII, 13 (v. archetipo, entelechia).
Tomismo. T. Thomiemus; I. Thomiem; F. Thomisme. La sonola e la dottrina di 8.
Tommaso d’ Aquino, i cui seguaci si reolutavano specialmente, vivo ancora l’
Aquinate, nell’ordine dei domenicani; ebbe per avversari i francescani, che
seguivano le dottrine di Duns Scoto. L’opposizione tra le due scuole riguardava
specialmente il valore della volontà e le sue relazioni con l'intelletto: per i
tomisti la volontà teneva dietro all’ intelletto, per gli scotisti era invece
il contrario (voluntas superior intellectu). Ciò era una conseguenza della
teorica sul principio di individuazione, poichè, mentre i tomisti, seguendo la
dottrina del loro maestro, sostenevano cho la forma intellettualo, informando
un dato organismo corporeo, ne determinava la individualità, gli scotisti
riponevano invece il principio di individuazione nel profondo stesso della
ossenza, in un'ultima realitas che sfugge ad ogni conoscenza. Cfr. Harper, The
metaphysics of the School, ; FrohTom-ToN
1178 schammer, Thomas von Aquino,
; C. Jourdain, La filo sofia di δ. Tom. d'A, trad. it. 1860, p. 243-372 (v.
ecceità, quiddità, individuazione, intollettualirmo, volontarismo, scotismo,
neo-tomismo). Tomo. Alcuni scienziati chiamano così l infinitamente grande, per
opposizione all’ atomo che è l’infinitamente piccolo. Una grandezza che
diminuisce continuamente fino a divenir zero, prima di sparire nello zero
passerà per uno stato nel quale essa nulla ha di più piccolo sotto di sò, ©
questo è l'atomo; una grandezza che aumenti continuamente fino all’ infinito,
prima di sparire nell’ infinito passerà per uno stato nel quale essa non ha
nulla di più grande sopra di sò, © questo è il tomo. Il tomo non ha quindi dei
multipli, come l’atomo non ha dei sottomultipli : e siccome neppure lo zero ha
dei multipli, così vi ha completa analogia fra il tomo e l’ infinito da una
parte, l atomo © lo zero dal’ ultra (v. atomiemo, divisibilita, infinito).
Tono. T. Ton; I. Tone; F. Ton. Nel suono è dato dal numero dello vibrazioni; il
tono principale è sempre accompagnato da ipertoni ο toni secondari, di minore
intensità; il timbro del suono è dato dal numero e dalla altezza degli ipertoni
che accompagnano il tono. Dall’ Helmholtz in poi dicesi tono differenziale il
terzo tono distinguibile tra due toni, costituito da un numero di vibrazioni
uguale alla differenza di quello dei due toni primari; e tono addizionale il
tono più sento, risultante dalla somma delle vibrazioni dei toni primari. Dicesi tono muscolare il grado di tensione in
cui trovansi normalmente i muscoli; esso diponderebbe da sensazioni subcoscienti,
mantenute dalle molteplici vie afferenti, che sono direttamente o indirettente
in rapporto col cervelletto e col bulbo.
Nella sensazione il tono ο colorito è il grado di piacere o di-dolore
che accompagna ogni sensazione o fatto psichico. Esso può dipendere sis dallo
stato organico, sia dalla qualita della sensazione, sia dalla intensità degli
stimoli, sia dal 1179 Tor-Tor
l'esperienza dell’ individuo e della specie. In generale, il tono delle
sensazioni è in ragione inversa della loro oggettività, ossia del loro
riferimento agli oggetti, ed è maggiore a misura che questo riferimento è più
diretto e più evidente; a sua volta l’ evidenza del riferimento dipende dal
carattere spaziale della sensazione, perchè 1’ oggetto à per noi essenzialmente
il reale esterno, Secondo alcuni peicologi, il tono è essenziale alla
sensazione, in quanto, essendo fondamentale la tendenza al piacere, ogni
sensazione sarà concepita come concorde con questa tendenza, e quindi
piacevole, o come contraria, e quindi dolorosa; se molti stati psichici
appaiono indifferenti, ciò dipende dalla tenuità del tono che li accompagna.
Altri invece ammettono l’esistenza di stati psichici assolutamente indifferenti
o neutri. Cfr.
Kant, Krit. d. Urt., $ 3; Helmholtz, Die Lehre von den Tonempfindungen, 1863;
C. Stumpf, Tonpeychologie, 1890; Th. Ziehen, Leitfaden d. physiol. Peychol., 2°
ed. 1893, p. 95; Wundt, Grundr. d. Peyohol., 1896, p. 88; G. Sergi, La psyohol.
physiologique, trad. franc. 1888,
p. 143; Masci, Paicologia, 1904, p. 46 sogg. (v. neutri stati, piacere, dolore,
sentimento). Topica (da τόπος luogo, ove
si trovano gli argomenti). Nella logica antica, la Topica era la ricerca e
l'esposizione degli argomenti che si possono esporre sopra ogni cosa. I Topici
sono quei libri logici di Aristotele dove si espongono i sillogismi ipotetici o
verosimili. Metodo topico, per opposizione al metodo critico di Cartesio,
chiamò Vico il metodo che cousiste nella ricerca delle idee: « non si giudica bene,
egli dice, se non si è conosciuto il tutto della cosa; © la topica è l’arte in
ciascheduna cosa di ritrovare tutto quanto in quella à ». Cfr. Aristotele,
Τορ., I, 1, 100 a, 1; Küstner, Topik oder Erfindungswissensch., 1816 (v. luoghi
comuni). Totaliszazione (legge della). L’Hoffding designa con questo nome la
tendenza che noi abbiamo, dato un parTor
1180 ticolare elemento
psicologico, a riprodurre lo stato totale, di cui codesto, o un altro
somigliante, formava una delle parti. Codesta legge costituisce 1 essenza di
ogni forma d’ associazione mentale; infatti gli elementi singoli d’un medesimo
stato di coscienza non esistono separati, ma come unità di somma, e da ciò
nasce la tendenza a rievocare la somma quando sia data una delle sue unità. Il
Galluppi aveva già ammesso, come fondamento dell’ associazione psichica, la
legge per cui la percesione passata ritorna tutta allorchè ne torna una parte;
con tale legge egli spiegava anche il fatto del riconoscimento. Cfr. Höffding,
Peychologie, trad. franc. 1900, p. 211 segg.; Ebbinghaus, Uober das Godächiniss,
1885, p. 139, 147; Galluppi, Lesioni di logioa ο metaf., 1854, II, p. 742 segg.
(v. sintesi psichica). Totemismo. T. Totemismus ; I. Totemism; F. Totémisme.
‘l'ermine introdotto da J. Long (1791) e rimasto nell’ uso per indicare l’
adorazione di oggetti materiali ο percepibili, animali, piante, eco., fatta da
tutti i membri di una tribù ο clan, che per tal modo si sentono legati
socialmente tra di loro. Il totemismo, assai diffuso nei popoli primitivi e tra
le razzo inferiori, si distingue dal feticismo sia per il suo carattere
sociale, sia perchè 1’ adorarione si rivolge a tutti gli oggetti di una classe,
considerati come capaci di esercitare un potere sull’ esistenza umana, mentre
nel feticismo questo potere è attribuito ad un oggetto solo. Il totemismo
involge anche là credenza che la tribù ο clan sia discesa per miracolo o
mistero dall'oggetto ο animale totemico; perciò esso è considerato come sacro,
ne è proibito l’uso come alimento © come vestimento, spesso è anche vietato di
guardarlo © di nominarlo, è adorato, rispettato, presiede le cerimonie che
riguardano la nascita, il matrimonio, la morte. Cfr. Pikler u. Somlo, Der
Ursprung d. Totemismus, 1900; Frazer, Totemism, 1887; Durkheim, Les formes
élémentaires de la vio 1181 ToT-Tra religionse, p. 141 segg.; F. B.
Jovons, 1) idea di Dio, trad. it. 1914, p. 85-93. Toto-parsiali, Si dicono
così, nella dottrina dell’Hamilton sulla quantificazione del predicato, quelle
proposizioni in cui il soggetto è preso universalmente, il predicato solo
particolarmente. Possono essere tanto affermative es. tutti i triangoli sono
(alcune) figure quanto negative: es. nessun triangolo è (qualche) figura
equilatere. Toto-totali. Si dicono così, nella dottrina dell’Hamilton sulla
quantificazione del predicato, quelle proposizioni in oui tanto il soggetto
quanto il predicato sono presi in tutta la loro estensione: es. tutti i
triangoli sono (tutti i) trilateri. Nella loro forma negativa il predicato è
escluso totalmente dalla estensione e comprensione del soggetto: es. nessnn
triangolo è (nessun) quadrato. Tradizionalismo. T. Traditionaliemus; I.
TraditionaKem; F. Traditionalisme. In generale designa qualunque indirizzo
scientifico, filosofico, religioso, letterario che vuol tenersi ligio alla
tradizione e ad essa e’ ispira. Nella religione dicesi tradisionalismo la
dottrina che sostiene che le snpreme verità religiose, © specialmente I’
esistenza di Dio, nonchè le verità fondamentali di ordine metafisico, morale e
religioso, non si possono conoscere se non in grazia della rivelazione
primitiva conservata ο diffusa dai testi encri ο dalla tradizione, essendo la
ragione umana impotente a raggiungerle. In particolare dicesi tradisionaliemo
1’ indirizzo filosofico rappresentato in Francia dal Chatenubriand, dal De
Maistre e specialmente dal De Bonald, indirizzo caratteriszato da una energica
reazione contro la filosofia della rivolazione (illuminiemo). L'errore di
quest’ultima, secondo il De Bonald, è d’aver creduto che la ragione possa da sò
stessa trovare la verità e indirizzare la società, mentre invece tutta la vita
spirituale dell’uomo, essendo fondata sul linguaggio, è un prodotto della
tradisione storioa; il lingnagTRA
1182 gio è stato donato all’nomo
da prima come rivelazione, e la « parola » divina fonte di tutte le verità, ha
per unica depositaria nella tradizione la Chiesa, la cui dottrina è dunque la
ragione universale data da Dio ο trapiantata a traverso i socoli come il grande
albero, su cui maturano i frutti schietti della conoscenza umana. Concetti
analoghi, quasi contemporaneamente al Bonald, sostenne il Lamennais, per il
quale alla nostra incapacità di raggiungore il vero, sia per mezzo dei sensi,
sis per mezzo della ragione, supplisce il consenso comune, I’ autorità del
genere umano, che diventa il punto d'appoggio delle nostre conoscenze: «
Esiste... per tutte le intelligenze un ordine di verità ο di conoscenze
primitivamente rivelate, ossia ricevute originariamente da Dio, come condizioni
della vita o meglio come la vita stessa... E come la verità è la vita, com
l'autorità, ossia la ragione generale manifestata con la testimonianza o con la
parola, è il mezzo necessario per giungere alla conoscenza della verità, ciod
alla vita dell’ intelligenza >. I tradizionalisti si divisero in due gruppi:
i primi, col Lamennais a capo, costituirono l’école menaieienne, che fu dette
anche fideista per P ufficio esclusivo attribuito alla fede, all’ antorità
della rivelazione divina, nell’ acquisto della vera certezza; i secondi, più
temperati (Bonetty, Ventura, Laforêt e i professori di Lovanio) ammettono una
potenza nativa della ragione umana, indebolita però dal peccato originale e
bisognosa quindi d’un aiuto intellettuale esteriore, cioè della rivelazione,
per arrivare alla conoscenza distinta delle verità razionali, morali e
metafisiche. Nella sociologia dicesi
tradizionalismo quell’indirizzo il quale considera le vario formazioni sociali,
quali la costituzione politica, il regime economico, il diritto, eec., come
fondati non sopra idealità ο principi astratti, ma sopra una tradizione, e
s0stiene quindi che non possono essere mutati in base a criteri puramente
teorici. Cfr. Kleugten, La philosophie scola 1188 TRA stique, 1868, t. I, diss. 482-455 ;
Lamennais, Essai sur Vindifférence, 1820, t. II, ο. 13; Vacant, Études
théologiques, 1895, I, p. 120 segg., 329 segg.; C. Ranzoli, II tinguaggio dei
filosofi, 1911, p. 219-223. Traducianismo. T. Traducianismus: I. Traducianiem ;
F. Traducianisme. O generazioniemo, è la dottrina con la quale alcuni filosofi
e teologi, Tertulliano, 8. Agostino, Lutero, Leibnitz, ece., spiegano l’origine
delle anime individuali, imaginando che siano esistite tutte in germe in Adamo,
e si propaghino ora per generazione fisica come il corpo. « Intorno all’
origine delle forme, entelechie ο anime, dice il Leibnitz, i filosofi sono
stati in grave imbarazzo; ma oggi, avendo riconosciuto mediante ricerche esatte
compinte sopra le piante, gli insetti ο gli animali, che i corpi organici della
natura non sono mai prodotti dal caos o dalla putrefazione, ma sempre da
sementi nelle quali esisteva indubbiamente qualche preformazione, oggi si è
giudicato che non solo il corpo organico vi era già prima della concezione, ma
anche un’ anima in questo corpo e in una parola l’ animale stesso, e che, per
mezzo della concezione, esso è stato solamente disposto ad una grande
trasformazione per divenire un animale di un’ altra specie ». Questa dottrina
fu respinta dagli ortodossi ed è oggi combattuta dal neo-tomismo, come
contraria al dogma della spiritualità. Cfr. Tertulliano, De an., 9; Leibnits,
Monad., 74. Trance. Τ. Verzückung, Entzückung; I. Tranoe ; F. Trance, Eztase.
Fenomeno psicologico, caratterizzato da una grande insensibilità per gli
stimoli e uno stato di incoscienza © subcoscienzs rispetto agli avvenimenti esteriori
; la personalità del soggetto è profondamente alterata, le sue funzioni
automatiche in parte interrotte, e i suoi pensio possono essere concentrati in
un determinato ordine di idee. Spesso però la parola trance è adoperata ad
indicare gli stati di estasi, di letargia, di sonnambulismo ipnotico Cfr.
Surbled, Spiriles et mediums, 1901; A. Vissni-Scozzi, La medianità, 1901.
Transitivo. T. Transgredient; I. Transiont; F. Transitif. Dicesi forza o azione
transitiva, per opposizione a immanente, quella che passa da un essere ad un
altro; la forza o causalità immanente è invece quella che risiede e rimane
nell’ essere. Dicesi anche transitiva, per opposizione ad immutabile, un’
entità che consiste in una successione continua di stati; immutabile è invece
1’ entità che non comporta cangiamento. Nel meccanismo la forsa è concepita
come transitiva, nel dinanismo come immanente. Nella dottrina della creazione e
del demiurgo l’azione della divinità sul mondo è transitiva, mentre è immanente
nel panteismo. La psiche, ’ io, la personalità sono concepite, nel sensismo e
nell’ empirismo, come smo, sostansialità).. Transustanziazione.T.
Transubstantiation; I. Transubstantiation ; F. Transubstantiation. Dottrina
teologica, formulata dall'abate Pascasio Radberto, e accettata poi dalla
Chiesa. Essa consiste nell’ammettere che il pane e il vino nel Sacramento
dell’altare, pur rimanendo gli stessi negli accidenti, sono però convertiti
nella sostanza nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. Trascendentale. T.
Transscendental; I. Transcendental; F. Transcendental. Kant designa in questo
modo una cognizione o sciensa, la quale non si occupa direttamente di oggetti,
ma di una nostra maniera di conoscerli, in quanto essa deve essere possibile a
priori; ossia si occupa della facoltà di conoscere a priori gli oggetti, ©,
insiemo della validità dei suoi limiti e delle sue condizioni. Quindi
trascendentale si oppone ad empirico, che è ciò che è dovuto all'esperienza
sensibile. La Critica della Ragion pura, ricercando tutti gli elementi a priori
della conoscenza speculativa, stabilisce tutti i concetti ο i prinoipt
trascendentali; tutto ciò che appartiene alla Critica costituisce dunque la
filosofia trascendentale. Vi ha perciò una estetica trascendentale, che è la
scienza dei principi del pensiero puro e della conoscenza razionale, onde
consideriamo gli oggetti assolutamente a priori; un’analitica trascendentale,
che è il sistema dei concetti © dei principi dell’ intendimento puro; una
dialettica trascendentale, che cerca scoprire l'apparenza dei giudizi
trascendentali per evitare che essi ci ingannino. Nello stesso senso dicesi
realismo trascendentale quello dell’ Hartmann, in quanto pur affermando
l’idealità del mondo esterno in quanto tale, riconosce però alle forme dell’
intuizione e alle categorie del pensiero una validità anche nel dominio della
realtà in sò stessa; idealismo trascendentale quello di H. Cohen, E. König
ecc., che afferma l’immanenza del mondo esterno nella coscienza. Cfr. Kant, Krit. d. reinen
Vern., ed. Kehrbach, p. 262 segg.; Id., Proleg., $ 40; Schelling, Vom Ich als
Princ. der Philosophie, 1795, p. 113 (v. trascendente). ‘Trascendentalismo. T. Transscendentalismus; I.
Transcendentaliem ; F. Transcendentalisme. Nel suo senso più generale si oppone
ad empirismo, e indica ogni sistema o indirizzo filosofico che fa appello alle
capacità intuitive, supersensibili dello spirito. In un senso più ristretto
designa l’indirizzo dei successori di Kant, che, eliminata ο trasformata la
cosa in sò, unificato il soggetto ο l'oggetto della conoscenza, conferito un
valore completo e non puramente fenomenico ai concetti di assoluto ο di
pensiero puro, affermarono la dipendenza del mondo dell’esperionza
dall'attività della ragione; in tal modo è tolta la differenza stabilita da
Kant fra trascendentale e trascendente. Nel primitivo senso kantiano, che è il
più limitato, il trascendentalismo è l'affermazione della possibilità della
conoscenza a priori degli oggetti, e della costruzione dei concetti, che
possono così essere applicati. Nella filosofia
della religione per trascendentalismo s’ intende talvolta ogni religione che
ammette la trascendenza ontologica © logica della divinità; altre volte indica
l’ insieme dello dottrine, che considerano la sorgente delle verità religiose
come un organo o un processo di apprensione trascendente le forme ordinarie, e
chiamato visione mistica, estasi, intuizione, coscienza religiosa, ecc. Dicesi trascendentalismo logico quell’
indiriszo, rappresentato dallo Spir, dal Windelband, dal Rickert, che partendo
da una particolare interpretazione delle concezioni kantiane, considera la
funzione logica come un quid che, oltrepassando l’esperienza, serve come
criterio per apprezzarla. Cfr. Frothingham, Transcendontalism in New England, ;
A. Levi, Il trascendentaliemo logico, « Cultura filosofica», luglio 1911.
Trascendente. T. Transscendent ; I. Transcendent ; F. Transcendant. Si oppone
ad immanente © designa ciò che non risiede nell’ essere, che sorte da un
determinato soggetto, che supera determinati limiti. Nella gnoseologia designa
ciò che supera le nostre facoltà conoscitive, © semplicemente ciò che si eleva
al disopra delle idee è credenze comuni. Kant applica questo termine a ogni
conoscenza, che noi crediamo poter ottenere senza il soccorso dell’ esperienza,
e che perciò è interamente chimerica, « Chiameremo immanenti, egli dice, le
proposizioni fondamentali il cui impiego rimane completamente nei limiti
dell’esperienza possibile, trascendenti quelle che tali limiti sorpassano ».
Gli scolastici dicevano trascendenti le nozioni universali, come l’unità e
l'essere, che a’ applicano a tutto e non sono propriamente dei generi. Cfr.
Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 262; Prantl, Geschichte d. Logik,
1885, III, p. 8-9, 114, 245; A. Richi, Der philos. Kriticismus, 1887, t. Il, v.
2, p. 168 (v. transitivo, trascendentale). Trasformismo. T.
Tranaformalignetheorie ; I. Transformism ; F. Tranaformieme. La dottrina
secondo la quale le specie naturali non sono fisse, ma si sviluppurono
gradatamente attraverso il tompo, procedendo dalle forme più semplici verso
quelle più complesse. Essa si oppone all’altra dottrina, fondata già da Linneo,
che considera le specie come costanti 6 tante quante ne cred Dio fin dal
principio. Intuita anche nell'antichità, la dottrina del trasformismo fu
scientificamente esposta e difesa per la prima volta dal Lamarck, il quale
attribuì ls graduale trasformazione delle specie alle condizioni esterne della
vita, all’ abitudine e all’ uso e disuso degli organi. Più tardi il Geffroy ripiglieva
il concetto lamarchiano della discendenza delle specie viventi da altre che le
hanno precedute, attribuendo però la massima importanza all’azione dell’
ambiente; finchè Carlo Darwin poneva il concetto dell'evoluzione su basi ancor
più solide, aggiungendo ai fattori di essa, già riconosciuti dal Lamarck e dal
Gefîroy, la sopravvivenza del più adatto (elezione ο selezione naturale)
necessaria conseguenza della rapida riproduzione degli organismi e della lotta
per In vita. Fra i-moderni sostenitori del trasformismo alcuni, col Weismann,
negano l'eredità dei caratteri acquisiti, esagerando V opera dell’ elesione
naturale (noo-darwiniani) ; altri, con lo Spencer, attribuiscono la maggiore
efficacis all’infinenza dell’ambiente ο agli effetti dell’ uso © disuso degli
organi (neo-lamarokiani). Il trasformismo si distingue dal darwinismo, che è la
stessa dottrina trasformistica quale fu intesa ed esposta dal Darwin, ο dall’
evolusioniemo, che è il trasformismo applicato a tutti i fenomeni naturali,
inorgonici, organici e superorganici. Cfr. R. Schmidt, D. darwinsche Theorie, 1876; H. F.
Osborn, From the Greeks to Darwin, 1894; Hendley, Problems of evolution, 1901 ;
Th. Ribot, La peychol. anglaise
contemp., 1875, p. 160-247; Delago ο Goldamit, Les théorier de l’érolution,
1910; E. Clodd, 1 pionieri dell'evoluzione, trad. it. 1909 (v. adattamento,
conrergenza, divergenza, credità, lotta, selezione, specie, variabilità, cco.).
Tra-Trı 1188 Trasmissione. 1. Ucberlieferung, Foripfansung
: I. Tran mission; F. Transmission. Nella biologia indica il passagyric dei
caratteri degli ascendenti nei loro discendenti (eredità). Nella
psico-fisiologia l’espressione conduzione ο trasmissione nervosa indica il
fenomeno che si compie lungo il cilindro asso delle fibre nervose, per la loro
attitudine di enbire delle particolari modificazioni in seguito ad uno stimolo,
e di trasmetterle dal punto stimolato verso le estremità della fibra. Affinchè
la trasmissione si possa compiere, è necessario che non sia avvenuta alcuna
discontinuità anatomica lungo la fibra. La eccitazione di una fibra nervosa non
si comunica alle vicine, sia la fibra stimolata di senso © di moto: ciò
costituisce la legge della trasmissione isolata (G. Müller); se non esistesse
questa legge, non sarebbe possibile nè di provocare la contrazione di alenni
determinati muscoli soltanto, nè di localizzare le sensazioni. Le fibre che
servono ai vari sensi, se stimolate, dànno sensazioni ad essi relative; le
fibre motrici dànno sensazioni muscolari e seoretorie. Cfr. J. Müller, Handb.
d. Physiol., 1885; Setschenow, Pfliiger’s Arch., , XXV (v. eccitazione, fibra).
Traumatopio. Strumento che serve a dimostrare le proprietà delle imagini
consecutive negative. Con esso si fanno vedere a brevissimi intervalli delle
figuro umane o animali, nelle posizioni successive di un dato movimento, e, in
conseguenza, sembra di vedere realmente una persona che eseguisca quel
movimento. Tricotomia. T. Dreitheilung; I. Trichotomy ; F. Trickotomie. La
divisiono logica i cui membri dividenti sono in numero di tre. Di questi membri
dividenti due sono generalmente opposti, uno intermedio; ad es. : i sentimenti
umani sono egoistici, altruistici ο egoaltruistici. Per tale ragione alcuni
preferiscono la tricotomia alla dicotomia, nella quale i membri dividenti
costituiscono una perfetta contrarietà, che le dà simmetria ed csattezra
logira, ms Tro la ronde in molti casi inapplicabile. Dicesi anche tricotomia Vantica dottrina,
contenuta in germe nel Nuovo Testamento ancora sostenuta da slouni teologi
tedeschi, secondo la quale la natura dell’uomo si distingue in corpo (soma),
anima (psyche), e spirito (pneuma). Cfr. J. B. Heard, The tripartite nature of man, 1870;
Masci, Logica, , p. 304 segg. (v.
divisione, diootomica). Tropo. Dal greco τρόπος
attitudine, indole, modo di pensare. Nella retorica è una figura per cui
ad una parola si dà un significato diverso dal suo proprio; nella storia della
filosofia designa gli argomenti o motivi di dubbio, adoperati dagli scettici
contro i dogmatici. Per Pirrone tali argomenti erano dieci, ma si risolvevano
poi tutti nell’unico comune argomento delle illusioni dei sensi. Per Agrippa,
invece, erano cinque, e in essi trovasi riassunto in forma precisa tutto quanto
lo scetticismo aveva prodotto di essenziale in pareochi secoli di speculazione.
Il primo tropo di Agrippa è la contraddizione: non essendovi alcun principio
che non sia stato negato, appenn il dogmatico pronunoierà un giudizio si potrà
opporgliene uno opposto. Egli cercherà allora di dedurre il proprio principio
ds uno più generale, ma anche a questo si potrà fare la stessa obbiezione; ne
cercherà un altro più generale, poi un altro ancora, © così via vis senza poter
vincere l’obbiezione. Egli cadrà dunque nel secondo tropo, il progresso
all'infinito. Ma può darsi ch'egli creda d’essere arrivato a cogliere un
principio che non ha bisogno a appoggiarsi eu altri, che è evidente per sò
stesso; ma in tal caso gli si risponde, che è evidente ciò che pare vero ad uno
spirito, mentre agli altri può parer faluo : è il terzo tropo della relativita.
Se egli obbietta che il sno principio non ha prove, cade nel quarto che è
l'ipotesi, © se vuol tentare la dimostrazione cade nel quinto che è il
diallelo, poichè la dimostrazione presuppone il valore della ragione, che
pretendo dimostrare. Cfr. Sesto EmpiTur
1190 rico, Pyrr. Hyp., I, 38
segg., 164 segg., II, 194 segg.; Id.. Adv. Math., VIII, 316 segg. (v. epoca,
dicotomia, isostenia). Tutto. Gr. Τὸ ὅλον; Lat. Totum; T. Ganze; I. Whole: F.
Tout. Per Cristiano Wolff, unum, quod idem est cum multie, dicitur totum. Il
Rosmini lo definisce pure come il complesso di quelle cose che insieme formano
uno. Come I’ uno è correlutivo del molteplice, così il tutto è correlativo
della parte. Perd tra il concetto di tutto e il concetto di uno, vi ha la
differenza che questo, in quanto è applicato a molte entità, ha in 8 la
relazione per la quale un'entità esclude le altre, mentre quello ha in sè la
relazione di abbracciare le parti, che compongono la medesima entità e di
negare che ce ne siano altre, che concorrano a comporla. Ad ogni modo il tutto
si può predicare dell’ uno © di ogni uno si può predicare il tatto, cosicchè le
due proposizioni « ogni tutto è uno » e «ogni uno è tutto» sono dialetticamente
convertibili. Furono distinte tre specie di tutto: il totum ante partes (BAov
πρὸ τῶν μερῶν), che è quello senza parti, o quello che la mente concepisco con
un solo atto senza guardare allo parti; il totum ex partibus (ὅλον dx τῶν
μερῶν), che è quello che si riguarda come un composto di parti; e il totum in
partibus (Άλον ἓν τοῖς µέρεσι), che è l'uno possibile considerato nelle parti,
il tutto riguardato nel complesso delle parti como esistente nella sus materia,
Si dice poi tutto fisico quello che è costituito di parti congiunte in modo da
fo mare una sola natura, come il composto di materia e di forma; tutto
metafisico ciò che è composto di genere e di differenza, di comune ο di
proprio; tutto matematico ciò che è composto di parti juzta positae; tutto
sillogiatico quella specie di tutto che risulta dal legame che hanno fra loro
due cose affermate, l'una delle quali trae seco l'esistenza dell'altra; tutto
logico una nozione universale, ad esempio il genere, che nel suo seno contiene
virtaalmente altre nozioni meno estese, come le specie. Nel lin 1191 Tuz-Upr guaggio della scolastica il totum per
so è quello che consta di parti ordinate a costituirne l'essenza; il totum per
aocidens ciò che consta di più enti in atto 0 completi, ad es. un mucchio di
grano; totum essentiale ciò che risulta da parti costituenti fisicamente e
metafisicamente la sua quid„dit, ad es. l’uomo che consta fisicamente di corpo
ο d’ anima, metafisicamente di animale e razionale; totum perfeotibile è detto
il genere perchè della cosa esprime il materiale © il più comune, totum perfootivum
la differenza, che esprime il formale della cosa, © totum perfeotum la spécie
perchè esprime il formale ο il materiale della cosa. Cfr. Platone, Teoteto, 204
E; Aristotele, Metaph., V, 26, 1023 %, 26; C. Wolff, Philos. prima sive
ontologia, 1786, $ 341; Rosmini, Logica, 1853, $ 571 segg. (v. molteplicità,
unità). Tusiorismo (tutior = più sicuro). Il Rosmini chiama così la dottrina
morale che egli considera come la prima forma sotto cui si mostra l'agire etico
nella storia dell'umanità -secondo la quale, quando I’ individuo trovasi
dubbioso sulla determinazione da prendere, deve scegliere sempre la via più
sicura. Essa si compendia tutta nel priucipio: in dubio tutor pare eat
eligenda. Cfr. Rosmini, Storia comparativa ο oritica dei sistemi intorno alla
morale, 1897. Uditive
(sensazioni). "I. Hörempfindungen; I. Hearing sensations ; F. Sensations
auditives. Hanno per organo
l’orecchio, per stimolo le vibrazioni dell’aria rispondenti alle vibrazioni di
un corpo, per contenuto il suono, che è dato da una serie di vibrazioni
regolari © periodiche, ο il rumore, che corrisponde a vibrazioni irregolari. Le
vibrazioni sono raccolte dal padiglione dell’ orecchio, trasmesse alla membrana
del timpatio, comunicate da questa agli ossicini dell’orecchio medio, che alla
lor volta le trasmettono alla perilinfa © all’ endolinfa dell’ orecchio
interno, ove Usu 1192 sono raccolte dalle terminasioni dei nervi
nonstici. Per produrre una sensazione uditiva le onde sonore devono succedersi
almeno colla frequenza di 15-40 per secondo © non oltrepassare la frequenza di
16,000-41,000. L’altessa del suono dipende dal numero delle vibrazioni in un
minuto secondo; l'intensità dall’ ampiezza dell’ onda di vibrazione; il timbro
o metallo delle note dalle differenze qualitative fra una medesima nota; la
consonanza si ha quando le onde di due suoni si combinano in modo da produrre
un suono formato da onde più ampio ma tutte uniformi. La direrione del suono
viene argomentata dalPindividuo in base alla differenza fra le sensazioni percepite
per meszo dell’ uno e quelle percepito per mezzo dell’altro orecchio, e in base
alla differenza fra l'intensità delle sensazioni percepite dallo stesso
orecchio, mentre osso si trova in questa ο quella posizione. Cfr. J. K.
Kreibig, Die funf Sinne des Menschen, 1907, p. 51 segg.; Helmholtz, Die Lehre
von don Tonempfindungen, 5 ed. 1896; F. Besold, Die Funktionsprüfung des Ohres,
1897; C. Stumpf, Tonpsychologie, 1890; Bain, Mental soienoe, 1884, p. 51 segg.;
P. Bonnier, L’ Audition, 1901 (v. aousma, biauricolare, timpano, potere
risolutivo). Uguaglianza. T. Gleicheit, Gleichung; I. Equality: F. Egalité.
Dicesi uguaglianza logios di due proposizioni © classi il loro reciproco
implicarsi o contenersi, di due concetti l'avere la medesima estensione. Uguaglianza politica è il principio in base
al quale i diritti politici, i gradi ο le dignità pubbliche sppartengono a
tutti i eittadini senza distinzione di classe o di fortuna; uguaglianza
giuridica il principio in baso al quale lo prescrizioni, le proibizioni 9 le
pene logali sono identiche per tutti i cittadini senza eccezione di nascita, di
situazione ο di fortuna; l'una e l’altra specie di uguaglianza αἱ anol dire
formale, per contrapposto alla reale ο materiale, che intercede tra due ο più
uomini che hanno identica la fortuns,
1193 Uau l'intelligenza, la
cultura, la salute, ecc. Il liberalismo, nella sua forma pura, consiste nel
respingere l’ uguaglianza materiale, che non si realizza in alcuna società, e
assumere come regola la realizzazione dell'uguaglianza formale. « Spesso esiste
un grande intervallo, dice il Condorcet, tra i diritti che la legge riconosce
ai cittadini e i diritti di cui essi hanno il reale godimento, tra l’
uguagliansa stabilita dalle istituzioni politiche e quella che esiste tra gli
individui. Queste differenze di stato hanno tre cause principali: l’
inuguaglianza della ricchezza, l’ inuguaglianza di stato tra quello i cui mezzi
di sussistenza, assicurati da lui stesso, si trasmettono alla sua famiglia, e
quello per cui tali mezzi sono dipendenti dalla durata della sua vita, o
piuttosto dalla parte della sua vita nella quale è capace di lavoro; infine }
inuguaglianza di istruzione.... Queste tre specie di inugnaglianza reale
possono diminuiro continuamente senza tuttavia annullarsi, poichè hanno delle
cause naturali e necessarie, che sarebbe assurdo e pericoloso voler distruggere
; non si potrebbe nemmeno tentare di farne sparire interamente gli effetti,
senza aprire delle sorgenti di disuguaglianze più fecondo, senza portare ai diritti
degli uomini dei colpi più diretti e più funesti ». Nella matematica si chiama uguaglianza
l’espressione algoritmica, numerica o letterale, la quale consta di due membri
separati tra di loro dal segno = (uguale); noll’uno dei due membri il valore è
il risultato delle operazioni eseguite nell'altro; ad es.: b + 2 8; a (b + d) = ab + a d. Nella meccanica due forze si dicono uguali,
quando con una stessa forza si può fare equilibrio all’ una © all'altra. Nella geometria, due figure si dicono nguali
quando sono costituito di parti rispettivamente sovrapponibili; così due
triangoli sono uguali, quando le parti, cioè gli angoli e i lati dell’ uno,
sono rispettivamente sovrapponibili agli angoli e ai lati dell’ altro, sicchè,
quando le due figure sono sovrapposte, ne formano idenULT-Uma 1194
ticamente una sola. Ciò però soltanto riguardo alle figure piane;
poichè, quanto alle solide, può darsi che siano costituite di parti sovrapponibili,
se prose separatamente, ma non sovrapponibili se prese tutte insieme, a causa
della loro diversa distribuzione; ad es. le due mani dell’uomo sono costituite
di parti perfettamente uguali, ma poichè queste sono diversamente distribuite,
esse mani non sono sovrapponibili. In tal caso P uguaglianza delle figuro vien
detta uguaglianza di simmetria, e le figure son dotte figure simmetriche. Se
poi si hanno due figure identiche per le loro misure, ma non per la forma, esse
si dicono equivalenti; nel caso inverso si dicono simili. Cfr. Rousseau, L'origine de
l'inégalité parmi les hommes, 1750; Condorcet, Progr. de l'esprit humain, 1804
(v. equazione, identità, geometria, simile). Ultimo. T. Letste, End-; I. Ultimate; F. Dernier,
ultime, final. Ciò oltre di cui non si pnd andare: fine ultimo è quello che non
è alla sua volta mezzo di un altro fine: la ragione ultima quella che non
abbisogna di un’altra ragione o spiegazione; speoie ultima (ultima ο infima
species) quella che non è a sua volta genere rispetto ad altre specie, ‘e non
contiene che termini singolari (v. inconcepibile. inoonoscibile, supremo,
primo). Umanismo. T. Humanismus; I. Humanism; F. Humanisme. Nel suo significato
più generale 1’ smanismo è quel movimento degli spiriti col quale s’apre il
Rinascimento, caratterizzato da uno sforzo per rialzare la dignità dello spirito
umano e metterlo in valore, ricollegando, sopra il medioevo e la scolastica, la
cultura moderna all’ antiea: esso giunge circa fino al 1600 e abbraccia la fine
della tradizione medievale per opera dell’ellenismo puro. Il secondo periodo,
il naturalismo, abbraccia i principi della nuova seienza della natura, liberi
d’ogni schiavitù, e, al loro seguito, i grandi sistemi metafisici del secolo
XVII. Però i due periodi, umanistico e naturalistico, costitui 1195 Uma scono nel loro insieme un tutto solo;
infatti il motivo interiore del movimento umanistico è la stessa aspirazione ad
una conoscenza affatto nuova del mondo, che si realizzd poi con lo sviluppo
delle soienze naturali; ma il modo e le forme intellettuali come ciò avvenne,
si presentano dipendenti dagli impulsi scaturiti dall’ accoglimento della
filosofia greca. Il fermento essenziale del movimento umanistico fa il
contrasto tra la filosofia medievale, già in dissoluzione, e le opere originali
dei pensatori greci, che si cominciarono a conoscere col secolo XV. Da
Bisanzio, attraverso Firenze ο Roma, sopraggiunge una nuova corrente di
cultura, che fece deviare il cammino del pensiero occidentale; gli umanisti si
ribellarono alle diverse interpretazioni mediovali della metafisica greca, alla
deduzione autoritaria dei concetti presupposti, alla durezza inelegante del
latino monastico, e la loro opposizione ottenne una rapide vittoria con la
meravigliosa restituzione del pensiero antico, con la fresce percezione di una
generazione amante della vita, con la finezza ο lo spirito di un tempo ricco di
cultura artistica. Nel suo significato
più ristretto, l’umanismo è quell’ indirizzo filosofico contemporaneo, molto
affine al prammatiemo, che fa capo a F. C. 8. Schiller, il quale gli diede
appunto questo nome. Esso si riattacca, secondo lo Schiller, alla massima
protagoren che l’uomo è la misura di tutte le cose, 6 ha questo tesi
fondamentali: una proposizione è vera o falsa a seconda che le sue conseguenze
hanno o non hanno valore pratico, quindi la sua verità o falsità dipende dallo
scopo a cui si tende; tutta la vita mentale suppone degli scopi; questi scopi,
non potendo essere, per noi, che quelli dell’essore che noi siamo, ne segue che
ogni conoscenza è subor nata in ultimo alla nature umana e ai suoi bisogni fondamentali.
Per tal modo « l’umanismo è puramente il rendersi conto che il problema
filosofico rignarda degli esseri umani aforzantisi di comprendere un mondo
d’espeUma 1196 rienza umana coi meszi della coscienza umana
». L’umanismo, diffondendosi, ha assunto forme diverse. Per il Le Danteo la
scienza è una serie di constatazioni fatte sulla soala umana; le ipotesi non
hanno altro scopo che « preparare delle esperienze utili: un'ipotesi si
giudicherà dalla sus fecondità >; la logica «fa parte del meccanismo umano
allo stesso titolo delle braccia o delle gambe »; «luomo non conosce che dei
rapporti di cos con l’uomo; ciò che noi chiamiamo le cose, sono gli elementi
della desorizione umana del mondo ». Con maggior larghezza, il Troiano
concepisce l’umanismo come «un sistema autropocentrico del sapere filosofico,
sul fondamento d’una teoria delle attività, delle renzioni ο dei prodotti dello
spirito, studiato nella sua realtà di fatto, immediata ο storica », il quale
sistema deve culminare in «uns concozione del mondo, quale appunto I’ uomo,
conscio della sua centralità teoretica e apprezzativa, in connessione di tutto
il sno sapere, può oriticamente formarsi »; esso perciò assume l’uomo come
materia e spirito nel tempo stesso, come sensibilità, istinto, bisogno,
coscienza conoscitrice © valatatrice, nd pretende identificare spirito e
natura, ud toglie valore alle esigenze corporee, nd sacrifica ad osse i diritti
dello spirito; e, nell’ interno dello stesso organismo psichico, non intende
ridurre le esigenze dol pensiero a quelle della vita morale, nd viceversa. Il
movimento umanistico contemporaneo è certo una manifestazione caratteristion
del pensiero filosofico, uno sforzo di costituire una teoria dei primi principî
della vita intellettuale ο della vita morale, assumendo l’uomo, realtà vivente,
immediata ο storica, come centro teoretico e apprezzativo del mondo; esso
supera ad un tempo il panteismo trascendente ο il solipsismo gnoseologico,
cercando nella consenziente soggettività degli spiriti il tratto @’ unione
dell’individualismo e dell’ univerealismo. Cfr. J. Burckhardt, Die Kultur der
Renaissanoo in Italion, Uma-Umo 1886,
trad. it. Valbuss, 1899; Mar. Carrière, Die philosophische Woltanschauung der
Reformationszeit; F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico del quattrocento,
1885; F. C. Β. Schiller, Humaniem, philosophioal essays, 1908 ; Id., Studies in
Humanism, 1907; F. Le Danteo, Les lois naturelles, Introd. p. x; P. R. Troiano,
Le basi dell’umanesimo, ; G. M. Ferrari, L’umanesimo filosofico, « Riv.di fil.
v. pragmatismo. Umanità. T. Humanität, Menscheit, Menschlichkeit; I. Humanity,
Mankind; F. Humanité, Oggettivamente indica quella vasta famiglia, moralmente
unita, nella quale entrano tutti gli uomini per la loro comune natura;
soggettivamente designa quell’ insieme di caratteri spirituali, cho distinguono
la stessa natura umana, elevandola sopra ogni altra categoria di esseri,
compresi i bruti. In questo secondo senso, l’umanità è concepita sotto due
aspetti diversi nella società greco-romana ο nella cristiana: in quella 1’
Άνπιαnitas è riguardata specialmente nelle sue facoltà intellettuali ed
artistiche, in questa nelle sue doti morali, nella carità, nella benevolenza e
nel perdono. In entrambi i sensi il vocabolo fa adoperato da Augusto Comte, per
il quale l'umanità è sia l'essere collettivo costituito dalP insieme degli
uomini, sia l'insieme dei caratteri costituenti «l’ascensione crescente della
nostra umanità sulla nostra animalità, per la doppia supremazia dell’
intelligenza sulle tendenze e dell’ istinto simpatico sull’istinto personale
>; in un terzo senso, più ristretto, l’umanità è per il Comte soltanto 1
insieme degli uomini che hanno effcacemente contribuito allo sviluppo normale
delle qualità proprinmente umane, e in questo senso egli chiama 1’ umanità il
Grand’ Essere. Cfr. A. Comte, Cours de philosophie positive, , lez. 59; Lévy-Bruhl, La
philon. d'A. Comte, p. 389-391 (v.
cosmopolitismo, solidarietà). Umorismo. T. Humoriemus; I. Humorism ; F.
Humoriame. È una forma del sentimento del comico, dal quale Umo 1198
però si distingue sia per un grado maggiore di finezza e @
intellettualita, sia per la mancanza d’ogni elemento dispregiativo. Secondo 1’
Hòffding esso è «il sentimento del ridicolo avente per base la simpatia »; può
svilup parsi fino a diventare un modo di comprendere la vita, una disposizione
fondamentale a considerare con simpatia tutto ciò che vive e a confidare nelle
forze che trionfano nella natura e nella storia: « La concezione umoristica
della vita s'è adattata all’esperienza, la quale ο insegna che anche il grande
ο il sublime hanno i loro limiti, il loro aspetto finito, e se essa ride di ciò
che v ha di piccolo e di ristretto, non dimentica che è la forma d’un
contenuto, che ha il suo valore. Essa #’ è adattata ai miti della grandezza
come all’ imperfezione della folicità e sa per esperienza che, sotto apparenze
piccole e meschine, può nascondersi un gran tesoro ». Per il Masci l umorismo è
la forma superiore della comicità, « con esso la comicità diventa abituale, e si
estende ad una parte maggiore o minore della realtà »; esso è ingenuo o
consapevole, gaio o triste, e va dalla forma che è schietta comicità a quella
che è una forma filosofica del dolore umano, che è riflessione comica sulla
realtà in generale; se è alleato col sentimento di simpatia, se trova ancora
del buono nelle cose, |’ umorismo è benevolo; se invece la simpatia è spenta e
la condanna è assoluta, 1’ umore è l’espressione dello spirito che nega, l’
irrisione tragica dell’ esistenza. Secondo il Momigliano 1’ umorismo sta fra Y
ironia pura e la satira, non avendo πὸ il carattere scherzoso della prima, nd
lo scopo correttivo della seconda; egli ne distingue varie forme, la
sentensiosa, ad cs. quella del Manzoni; la drammatica, nd es. quella del
Dikens; V umorismo che consiste tutto nell’ avvicinar U’ insignificante al
grave, ad os. quello del Pulct; 1’ umorismo ottimistioo, che non contrappone il
male al bene, ma il bene al male; quello indulgente, che rileva un difetto
ridendo; quello 1199 melanoonicamente rassegnato, nel quale la
dolorosa vu del male è bensì mitigata dal sapere che esso è inevitabile, ma è
mista con un mite rimprovero alla sorte degli uomini ; l’ umorismo pessimistico
0 tragico, che esagera il compiacimento con cui si rileva il male proprio ο
quello sparso nel mondo; il serio, che non è che un sorriso di dolore, la
voluttà triste ma tranquilla che 1’ umorista prova nel profondarsi lentamente
nella malinconia, e00.; egli compendin queste forme definendolo « quella forma
di comicità, in cni si rileva inaspettatamente, senz’ alcuno scopo correttivo e
con un compiacimento più o meno visibile, un difetto o un contrasto, fondendo
elementi seri con elementi scherzosi, oppure mescolando il compi mento colla
simpatia © colla rassegnazione, oppure rivelando I’ abitudine di considerare il
corso generale delle cose con una penetrazione superiore 9 con un senso
filosofico della vita». Cfr. Lotse, Geschichte d. Aesthetik in Deutschland,
1868, p. 375-377; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 390 segg.;
Baldensperger, Les definitions . de l'humour, in Études d’hist. littéraire;
Masci, Psicologia del comico, 1889; A. Momigliano, L’ori-! gino del comico, «
Cultura filos. », sett. ; Pirandello, L’ umorismo, (v. comico, ironia). Unicità. La qualità di
ciò che è unico; si distingue dalla unità, che è la qualità di ciò che è uno.
Così il monoteismo à la dottrina dell’ unicità di Dio, l’enoteismo In dottrina
dell’ unità di Dio. Uniformitä. T. Einförmigkeit, Gleichförmigkeit; I.
UniSormity; F. Uniformité. Può essere statica e dinami „prima consiste nel
fatto che due o più individui d’ una classe posseggono caratteri essenziali
identici, la soconda nel riprodursi degli stessi fatti col riprodursi delle
stesse condizioni. La prima specie di uniformità dà il tipo delle scienze
staticho, la seconda la legge delle dinamiche. Nel postulato della uniformità
della natura sono comprese enUnt
1200 trambe le specie, ma più
precisamente la seconda; poichè è su questa che è fondata la costruzione
induttiva delle leggi e la loro applicazione deduttiva alla esplicazione dei
singoli fatti. Nella stessa vita pratica, ogni nostra azione in vista di un
fine, in quanto è conformata all’ esperienza precedente, presuppone come
condizione necessaria l’uniformità statica ο dinamica, ossia di coesistenza ©
di sequenza, dei fenomeni naturali, Unità. T. Zinhoit; I. Unity; F. Unité. È la
qualità di ciò che è uno, montre I’ unicità è la qualità di ciò che è unico.
Quindi l’unità non esclude, ma implica la molteplicità, della quale è concetto
correlative © senza di cui sarebbe inconcopibile. Quanto all’ origine dell’
idea di unità, secondo alcuni filosofi è innate, secondo altri è un prodotto di
esperienza sensibile, secondo altri risulta dall’ esperienza interna. Per il
Fénélon essa è innata, in quanto non può derivare nò dal senso interno, nè dai
sensi esterni, che ci presentano sempre dei composti © dei molteplici : « Io
concepisco un esseré, che non cambia mai affatto di pensiero, che pensa sempre
tutte le cose insieme, ed in oui non si può trovare alcuna composizione 6 tanto
meno successione. E senza dubbio questa idea della perfetta ο suprema unità,
che mi fa tanto cercare qualche unità negli spiriti ed ancora nei corpi. Questa
idea incessantemente presente nel fondo di me stesso è nata con me; essa è il
modello perfetto sul quale io cerco dappertutto qualche copia imperfetta dell’
unità, Questa idea di ciò che è uno, somplice ed indivisibile per eocellenza,
non può esser altro che l’iden di Dio ». Per Spinoza l’ unità non è una proprietà
delle cose, ma ciò che è compreso in uu atto mentale: Unitaten.... onti nihil
addere; sed tantum modum cogitandi esse, quo rem ab aliis separamus, quae ipti
similes sunt, rel oum ipsa aliquo modo conveniunt. Invece per il Leibnitz essa
è una proprietà oggettiva, tantoohd ce qui n'est pas réritablement un ostre,
n'est pas non plus véritabloment um estre.
1201 UNI Per C. Bonnet è una
semplice idea, che l’anima si forma « considerando in ogni oggetto soltanto I’
esistenza ο facendo astrazione da ogni composizione e da ogni attributo ». Per
il Locke, « fra tutte le nostre idee, non ve n’ ha alcuna, che ci sis suggerita
da un più gran numero di mezzi di quella di unità, sebbene non ve ne sia alcuna
più semplice. Non v’ ha nessuna apparenza di varietà o di composizione, in
questa idea: ed essa si trova unita a ciascun oggetto che colpisce i nostri
sensi, a ciascuna ides che si presenta al nostro intendimento, ed a ciascun
pensiero del nostro spirito ». Per Berkeley l’ unità è una semplice astrazione,
senza corrispondente obbiettivo; per Kant è « l’unità formale delle coscienza
nella sintesi della molteplicità delle rappresentazioni » © sorge dalla
identità delVautocoscienza. Il Galluppi distingue tre specie d’anità, la
sintetica, la metafisica ο la fisica. L'unità sintetica risultada una
operazione del nostro pensiero, ed è perciò condizi nale; l’unità fisica è la
stessa unità sintetiea che il nostro pensiero attribuisce agli oggetti
corporei; l’una e l’altra derivano dall’ unità metafisica, che, essendo la stessa
unità dell’ anima, è assoluta, invariabile, non risulta dalla congiunzione di
diversi elementi, non dipende da alcuna condizione: « Senza l’unità metafisica
non è possibile 1’ unità sintetica del pensiero, ο senza 1’ unità sintetica del
pensiero non è possibile l’unità sintetica fisica ». Il Rosmi la definisce come
quella qualità del soggetto, per la quale esso è indiviso in sè stesso, ©
diviso, ossin separato, da ogni altro; quando questa qualità si predica del
soggetto, allora essa, prendendo la forma di predicato, dicesi uno. Per il
Wundt il concetto di unità è puramente la funzione della concezione logica
presa nel contenuto concettuale, ο da esso ba origine l’unità rappresentativa
delle cose. Si distinguono varie specie di unità: quella «pirituale, vale a
dire l’unità della coscienza, sia essa un’ unità sostanziale © puramente
dinamica ed empirica; quella logica, che con76
RanzoLI, Dirion. di scienze filosofiche. Um 1202
siste nell’ unificarsi del molteplice particolare nel generico astratto,
assunto come tipo comune; quella numerica ο matematica, che è una delimitazione
nel tempo e nello spazio, © da cui originano le nozioni di numero e di
grandezza; quella fisica ο materiale, risultante da un insieme di parti
indivise formanti un tutto; quella trascendentale, che consiste nella
individualità degli elementi costitutivi di una cosa, ad es. l’uomo è uno
sebbene abbia un’ anima ed un corpo organico. Gli scolastici chiamavano unitas
per se quella che nasce da una essenza o natura, sia semplice o composta, come
l’unità della natura divina o dell’ uomo; unitas per accidens quella che nasce
da diverse nature, di ordine o predicamento diverso, come un mucchio di pietre;
unitas materialis o individualis 1’ entità di ciascun individuo, in quanto
esprime incomunicabilità e indivisione in più inferiori ; unitas formalis o
essentialis quella della specie o del genere in quanto si distinguono
rispettivamente da ogni altra specie o genere; unitas semplicitatis quella di
un ente indivisibile in atto e in potenza, unitas compositionis quella invece
di un ente che è uno numerioe ma è composto di parti distinte e potenzialmente
divisibili; umitas rationia quella per cui, con un atto mentale, di più
individui si fa una specie sola o di più generi un solo genere; unitas #0Utudinte
l'unicità in una data natura, ad es. l’unità divina. Aristotele Met.; Spinoza,
Cogit. metaph., I, 5; Leibnitz, Philos. Sorhiften, ed. Gerhardt, II, 97; Wolff,
Ontologia, 1736, $ 238 © 239; Bonnet, Essai de peychol., , C 14; Berkeley,
Princ., XII; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 119 segg.; Genovesi,
Metaph. lat., parte I, cap. 5, def. 42; GALLUPPI Lezioni di logica e metaf..;
Wundt, Syst. der Phil., , p. 227 (v. individuo, numero, quantità, tutto, uno).
Universale. Lat. Universalis; T. Allgemein; I. Univertal; F. Unirersel, Che si
estende a tutto l'universo, o ap 1208
Uni partiene a tutti gli uomini, o non soffre alcuna eccezione; cost si
dice, nel primo senso, causalità universale, nel 96condo consenso universale,
nel terzo le leggi di natura sono universali. Dicesi giudizio universale quello
in cui il concetto che fa da soggetto è preso in tutta la sua estensione; la
sua formula è: tutti gli A sono B, oppure, nessun 4 è B. I giudizi universali
sono la formula del pensiero scientifico, perchò esprimono i principî, le leggi
ο le conoscenze universali. Secondo alcuni logici anche i giudizi individuali
sono universali, perchè anche in essi il concetto del soggetto à preso nella
massima estensione : infatti, essendo il soggetto un individuo, cioò qualche
cosa che è indiviso ο che si suppone tale, non può evidentemente esser preso in
parte della sua estensione, Ma altri logici respingono codesta identificazione,
opponendo che nel giudizio universale il concetto del soggetto non è preso come
indivisibile, mn come un tutto diviso in parti, delle quali si predica quello
stesso che si predica del tutto. Diconsi nozioni universali © principi
universal i principi supremi della ragione, perchè essi sono veri non già per
un determinato numero di casi ο per un determinato ordine di cose, ma per tutti
i casi e tutte le cose senza eccezione alcuna. La loro universalità si rivela
anche nella identità con cui si manifestano in tutte le intelligenze (v.
generale, individuale, singolare). Universali (universalia). Le idee generali,
che Aristotele aveva classificato in numero di cinque: genere, specie,
differenza, proprio, accidente. Considerati dal punto di vista della
estensione, cioò dell’insieme delle cose individuali alle quali si applicano,
si distinguono tra gli universali i generi e le specie; considerati dal punto
di vista della comprensione, cioè dell’insieme dei caratteri ο delle qualità
che designano, si distinguono la differenza, il proprio e 1’ accidente.
Aristotele, che, al pari di Platone, ascriveva all’ universale un più alto
valore conoscitivo che non all’ individuale, intendeva con esso ciò che
appartiene ad una molteplicità Uni
1204 di cose, © che, quindi, non
è una cosa in sè ma sussiste nelle cose; concettualmente e secondo l’ essenza,
1’ universale è anteriore, quantunque sia posteriore per noi, per la nostra
conoscenza. Platone invece aveva attribuito agli universali, alle Idee, un’
esistenza autonoma, indipendente dal ponsiero degli uomini. Il problema degli
universali, che fu oggetto di tante discussioni nel periodo della scolastica,
riguardava appunto la questione, già proposta ma non risoluta da Porfirio, se
gli universali hanno sussistenza propria o sono soltanto nel pensiero, Le
scuole che sostenevano la primi ipotesi furono dette realiste, quelle che
sostenevano la seconda concettualiste 0 nominaliste, a seconde che
consideravano gli universali come concetti 0 come puri nomi. Universalia ante
rem dicevansi gli archetipi eterni in Dio; #. in reo a parte rei l'essenza
delle cose moltiplicata negli individui; w. post rem il concetto della nostra
mente che unifica le ragioni essenziali 0 quidditative e le predica dei singoli
individui. Universale in obbligando ciò che è nno e obbliga molti, come la
legge; w. in causando ciò che è uno ο cagiona molte cose; u. in signifioando ©
repraesentando quello che essendo uno significa o rappresenta molte cose, come
il vocabolo uomo; u. in essendo © praedicando ciò che è uno ed è adatto ad
esser molti e predicarsi di molti; u. physioum la natura reale esistente nei
singoli individui, come la natura umana di Socrate; #. motephysioum la natura
reale considerata nello stato di solitudine, cioè non considerate le condizioni
individuanti, come la natura umana considerata senza la socraticità; u. logioum
uno che è adatto ad essere inerente a molte cose, e a predicarsi di molti per
Videntica ragione, ad es. la sostanza rispetto alla materia e allo spirito ; #.
inoomplezum quello che è semplice ed esprime Vordine di molte cose, ad es. la
virtù rispetto alla giustizia e alla temperanza; u. complerum una proposizione
generale, postulato o assioma, da cui si possono dedurre più particolari. Cfr.
Aristotele, De interpret., VII, 17 a, 39; Id., Met., VII, 1205
Uni 1018 b, 33; S. Tommaso, Sum. theol., I, qu. 79, art. 5; J. H. Löwe,
Der Kampf zwischen Nominalismus und Realiemus in Mittelalter, 1876; Prantl,
Gesch. d. Logik, , vol. I, p. 682 (v. concettualismo, nominalismo, realismo,
terminismo). Universalismo. T. Universaliemus; I. Universaliem; F.
Universalisme. Nella morale si oppone a individualismo, ο indica ogni dottrina
che considera la comunità, ad es. lo Stato o la Nazione, come l'oggetto dello
sforzo morale. Nella religione è la dottrina della salvazione finale di tutti
gli uomini, fondata sopra la bontà essenziale di Dio, lo scopo illimitato della
redenzione di Cristo ο la perfettibilità della natura umana. Cfr. Thayer, Thool. of universaἨσπε, 1873. Universo. T. Weltall; I. Universo; F. Univers.
L'insieme di tutto ciò che esiste,
la collezione di tutte le cose, coesistenti e successive, tra di loro connesse.
Cristiano Wolff lo definisce series entium finitorum tam simultancorum, quam
suocessicorum inter se connezorum. Quale sia poi la sua natura intima, se
spirituale o materiale, unica 0 molteplice, statica o evolutiva, ecc. le
risposte sono tante quanti i vari sistemi filosofici. Cfr. Cr. Wolff,
Cosmologia generalis, 1737, $ 48. ‘Univoco. Parola introdotta nella logica da
Boezio, sebbene con significato alquanto diverso dal presente. Univoro si
oppone ad equivooo, e designa un attributo che può essere applicato a più
soggetti nel medesimo significato, mentre è equivoco quando può essere
applicato in più significati allo stesso soggetto. Si dicono quindi univoche le
coso che hanno comune il vocabolo ο l'essenza, equivoche quelle che hanno
comune il vocabolo ma non l'essenza. Gli sculastici, oltre le unirooa ed
aequivoca, distinguono anche le analoga, ossia le cose ad una delle quali
conviene un predicato propriamente, ad un’altra impropriamente, come uomo vivo
© nomo dipinto; queste si dicono anche anaUma
1196 rienza umana coi mezzi della
coscienza umana >. L’umanismo, diffondendosi, ha assunto forme diverse. Per
il Le Danteo la scienza è una serio di constatazioni fatte sulla soala umana;
le ipotesi non hanno altro scopo che « preparare delle esperienze utili: un’
ipotesi si giudicherà dalla sua fecondità »; la logica «fa parte del meccanismo
umano allo stesso titolo delle braccia ο delle gambe >; « l’uomo non conosce
che dei rapporti di oose con l’uomo; ciò che noi chiamiamo le cose, sono gli
elementi della deecrisione umana del mondo ». Con maggior larghezza, il Troiano
concepisce l’umanismo come «un sistema antropocentrico del sapere filosofico,
sul fondamento d’ una teoria delle attivitä, delle reazioni ο dei prodotti
dello spirito, studiato nella sus realtà di fatto, immediata e storica >, il
quale sistema deve culminare in « una concezione del mondo, quale appunto
l’uomo, conscio della sua centralità teoretica e apprezzativa, in connessione
di tutto il sno sapere, può oriticamente formarsi »; esso perciò assume l’ uomo
come materia e spirito nel tempo stesso, come sensibilità, istinto, bisogno,
coscienza conoscitrice © valutatrice, nd pretende identificare spirito ©
natura, nd toglie valore alle esigenze corporee, nd sacrifica ad osso i diritti
dello spirito; e, nell’ interno dello stesso organismo psichico, non intende
ridurre le esigenze del pensiero a quelle della vita morale, nd viceversa. Il
ınovimento umanistico contemporaneo è certo una manifestazione caratteristica
del pensiero filosofico, uno sforzo di costituire una teoria dei primi principî
della vita intellettuale © della vita morale, assumendo l’uomo, realtà vivente,
inmediata e storica, come centro teoretico © apprezzativo del mondo; esso
supera ad un tempo il panteismo trascendente e il solipsismo gnoseologico,
cercando nella consenziente soggettività degli spiriti il tratto d’unione dell’
individualismo ο dell’ universaliamo. Cfr. J. Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in
Italien, Uma-Umo 1886, trad. it. Valbusa, 1899; Mar.
Carrière, Dio philosophische Weltanechauung der Reformationeseit, 2* ed. 1887 ;
F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico del quattrocento, 1885; F. C. 8.
Schiller, Humanism, philosophical essays, 1908; Id., Studies in Humaniem; F. Le
Danteo, Les lois naturelles, Introd. p. x; P. R. Troiano, Le basi
dell’umanesimo, 1906; G. M. Ferrari, L’umanesimo filosofico, « Riv. di fil. »,
novembre 1918 (v. pragmatismo). Umanità. T. Humanität, Menscheit,
Menschlichkeit; I. Humanity, Mankind; F. Humanité, Oggettivamente indica quella
vasta famiglia, moralmente unita, nella quale entrano tutti gli nomini per la
loro comune natura; soggettivamente designa quell'insieme di caratteri
spirituali, che distinguono la stessa natura umana, elevandola sopra ogni altra
categoria di esseri, compresi i bruti. In questo secondo senso, l’ umanità è
concepita sotto due aspetti diversi nella società greco-romana e nella
cristiana: in quella l’Aumanitas è riguardata specialmente nelle suo facoltà
intellettuali ed artistiche, in questa nelle sue doti morali, nella carità,
nella benevolenza e nel perdono. In entrambi i sensi il vocabolo fu adoperato
da Augusto Comte, per il quale l'umanità è sia |’ essere collettivo costituito
dall'insieme degli uomini, sia l’insieme dei caratteri costituenti «
l’ascensione crescente della nostra umanità sulla nostra animalità, per la
doppia supremazia dell’ intelligenza sulle tendenze e dell’ istinto simpatico
sull’istinto perso nale >; in un terzo senso, più ristretto, l’umanità è per
il Comte soltanto l'insieme degli uomini che hanno efficacemente contribulto
allo sviluppo normale delle qualità propriamente umane, e in questo senso egli
chiama I’ umanità il Grand’ Essere. Cfr. A. Comte, Cours de philosophie positive, 1839, lez.
59; Lévy-Brahl, La philon. d'A. Comte,
p. 389-391 (v. cosmopolitiemo, solidarietà). Umorismo. T. Humorismus; I.
Humorism ; F. Humorismo. E una forma del sentimento del comico, dal quale
Umo 1198
però si distingue sia per un grado maggiore di finezza ο d’
intellettualità, sia per la mancanza d’ogni elemento dispregiativo. Secondo 1’
Hüffding esso è «il sentimento del ridicolo avente per base la simpatia »; può
svilupparsi fino a diventare un modo di comprendere la vita, una disposizione
fondamentale a considerare con simpatia tutto ciò che vive e a confidare nelle
forze che trionfano nella natura e nella storia: « La concezione umoristica
della vita s'è adattata all'esperienza, la quale ο) insegna che anche il grande
© il sublime hanno i loro limiti, il loro aspetto finito, e se essa ride di ciò
che v’ ha di piccolo e di ristretto, non dimentica che è la forma d’un
contenuto, che ha il suo valore. Essa s’ è adattata ai limiti della grandezza
come all’ imperfezione della felicità © sa per esperienza che, sotto apparenze
piccole e meschine, può nascondersi un gran tesoro ». Per il Masci l umorismo è
la forma superiore della comicità, « con esso la comicità diventa abituale, e
si estende ad una parte maggiore o minore della realtà »; esso è ingenuo ©
consapevole, gaio ο triste, © va dalla forma che è schietta comicità a quella
che è una forma filosofica del dolore umano, che è riflessione comica sulla
realtà in generale; se è alleato col sentimento di simpatia, se trova ancora
del buono nelle cose, l'umorismo è benevolo; se invece la simpatia è spenta e
la condanna è assoluta, 1’ umore è l’espressione dello spirito che nega, l’
irrisione tragica dell’ esistenza. Secondo il Momigliano I’ umorismo sta fra Y’
ironia pura ο la satira, non avendo nd il carattere scherzoso della prima, nè
lo scopo correttivo della seconda; egli ne distingue varie forme, la
sentenziosa, ad os, quella del Manzoni; la drammatica, ad es. quella del
Dikons; PP umorismo che consiste tutto nel’ avvicinar U insignificante al
grare, ad cs, quello del Pulci; 1’ umorismo ottimistico, che non contrappone il
male al bene, ma il bene al male; quello indulgente, che rileva un difetto
ridendo; quello 1199 Uni melanconicamento rassegnato, nel quale la
dolorosa coscienza del male è bensì mitigata dal sapere che esso è inevitabile,
ma è mista con un mite rimprovero alla sorte degli nomini; 1’ umorismo
pessimistico 0 tragico, che esagera il compiacimento con cui si rileva il male
proprio o quello sparso nel mondo; il serio, che non è che un sorriso di dolore,
la voluttà triste ma tranquilla che 1’ umorista prova nel profondarsi
lentamente nella malinconia, eco.; egli compendia queste forme definendolo «
quella forma di comicità, in cui si rileva inaspettatamente, senz’ alcuno scopo
correttivo e con un compiacimento più o meno visibile, un difetto o un
contrasto, fondendo elementi seri con elementi scherzosi, oppure mescolando il
compiacimento colla simpatia e colla rassegnazione, oppure rivelando 1’
abitudine di considerare il corso generale delle cose con una penetrazione
superiore e con un senso filosofico della vita». Cfr. Lotze, Geschiohte d.
Aesthetik in Deutschland, 1868, p. 875-377; Höffding, Psychologie, trad. frane.
1900, p. 390 segg.; Baldensperger, Les definitions de l'humour, in Etudes
d’hist, littéraire, , p. 175-222; © Masci, Psicologia del comico, 1889; A.
Momigliano, 1 origino del comico, « Cultura filos. », sett. 1909; Pirandello,
1) umorismo, 1908 (v. comico, ironia). Unicità. La qualità di ciò che è unico;
ai distingne dalla unità, che è la qualità di ciò che è uno, Con il monoteismo
à la dottrina dell’ unicità di Dio, P enoteiamo la dottrina dell’ unità di Dio.
Uniformita. T. Einförmigkeit, Gleichförmigkeit; I. UniJormity: F. Uniformite.
Può essere station ο dinamica: In prima consiste nel fatto che due ο più
individui d’nna ‘elasse posseggono caratteri essenziali identici, la soconda
nel riprodursi degli stessi fatti col riprodursi delle stesso condizioni. La
prima specie di uniformità dà il tipo delle scienze statiche, la seconda la
legge delle dinamiche. Nel postulato della uniformità della natura sono
compreso enUni 1200 trambe le specie, ma più precissmente la
seconda ; poichè è su questa che è fondata la costruzione induttiva delle leggi
e la loro applicazione deduttiva alla esplicazione dei singoli fatti. Nella
stessa vita pratica, ogni nostra azione in vista di un fine, in quanto è
conformata all’ esperienza precedente, presuppone come condizione necessaria l’uniformità
statica ο dinamica, ossia di coesistenza ο di sequenza, dei fenomeni naturali.
Unità. T. Einkeit; I. Unity; F. Unité, E la qualità di ciò che è uno, mentre
l’unioità è la qualità di ciò che è unico. Quindi l’unità non esclude, ma
implica la molteplicità, della quale è concetto correlative © senza di cui
sarebbe inconcepibile. Quanto all’ origine dell’ idea di unità, secondo alcuni
filosofi è innata, secondo altri è un prodotto di esperienza sensibile, secondo
altri risulta dall’ esperienza interna. Per il Fénélon essa è innata, in quanto
non può derivare nd dal senso interno, nd dai sensi esterni, che ci presentano
sempre dei composti ο dei molteplici: « Io concepisco un esseré, che non cambia
mai affatto di pensiero, che pensa sempre tutte le cose insieme, ed in cai non
si può trovare alcuna composizione © tanto meno successione. E senza dubbio
questa idea della perfetta © suprema unità, che mi fa tanto cercare qualche
unità negli spiriti ed ancora nei corpi. Questa idea incessantemente presente
nel fondo di me stesso è nata con me; essa è il modello perfetto sul quale io cerco
dappertutto qualche copia imperfetta dell’ unità. Questa idea di ciò che è uno,
semplice ed indivisibile per eccellenza, non può esser altro che l’iden di Dio
». Per Spinoza l’unità non è una proprietà delle cose, ma oid che è compreso in
un atto mentale: Unitatem.... enti nihil addere; sed tantum modum cogitandi
esse, quo rem ab aliis separamus, quae ipoi similes sunt, vel oum ipsa aliguo
modo conteriunt. Invece per il Leibnitz essa è una proprietà oggettiva,
tantochò ce gui n'est pas τόritablement un estre, n’est pas non plus
véritablement un estre. Per Bonnet è una semplice ides, che l’ anima si forma; ORESTANO,
I valori umani; ARDIGÒ, La nuova filosofia dei valori, Riv. di filos.; MASCI, La
filosofia dei valori, R. Ace. dei Lincei. Variabile. T. Pariabel; I. Variable;
F. Variable. Due quantità, z e y, sono dette variabili quando l’uns, poniamo #,
è legata all’altra,, per modo che variando z varierà anche y in modo
perfettamente determinato, ma diverso a seconda dei casi: perciò 2 à detta
variabile indipendente, y rariabile correlativa. Questa proprietà si enuncia
anche dicendo che y è una funcione di z, ο ai indica colla formula:
y=-=S"(). Variabilità. T. Vordndorlichkoit; I. Variability; F.
Fariabilité. L’ attitudine intrinseca che ha ogni organiamo di acquistare nuove
proprietà nella sua forma e attività vitale, in seguito all’ influenza dei vari
elementi del clima, dell’alimentazione, delle condizioni topografiche, del
contatto e delle relazioni con gli altri organismi. Essa può concepirsi como la
forza innovatrice antagonistica dell’eredita, che è la forza conservatrice dei
caratteri ο tende a trasmetterli immutati. La variabilità può essere indiretta
ο diretta. La variabilità indiretta ο potenziale consiste in cid, che certe
variazioni dell'organismo che dipendono dalle condizioni esterne d’ esistenza,
rimangono potenziali nell’individuo in questione, e si manifestano, cioè
divengono attuali, soltanto nei discendenti; invece nella diretta le
modificazioni si manifestano immedintamente nell’ indivi duo stesso, Cfr. De
Rosa, La ridusione progressiva della variabilità, 1899 (v. darwinismo,
trasformismo, ibridiemo, monogenismo, ecc.). Variazionale (psicologia). T.
Variationspeychologie; 1. Variational peycology; F. Psychologie rariationnelle.
Talvolta si chiama così quel ramo della psicologia che tratta delle variazioni
mentali; tale denominazione ha il vantaggio di accogliere in un solo vocabolo
le varie parti della psicologia tra loro affini, come la psicologia
individualo, etnografica o dei popoli, eco. Tra i principali problemi oggetto
della psicologia variazionale sono da ricordarsi: lo studio della psiche del
delinquente, nei suoi tipi diversi e nelle suo correlazioni coi fattori
antropologici, 1217 Var economici, sociali ; lo studio del genio
; lo studio statistico delle variazioni mentali in rapporto a quelle biologiche
e sociologiche; lo studio delle origini delle variazioni e modificazioni
mediante l'eredità, l'educazione, 1’ ambiente fisico © sociale, ecc. Cfr.
Stern, Ueber Psychol. d. individuellen Differensen, 1900. ‘Variazioni
concomitanti (metodo delle). I. Method of concomitant variations. Uno dei
quattro metodi di ricerca induttiva proposti dallo Stuart Mill. Esso si fonda
sul seguente canone logico: un fenomeno che varia in una data maniera tutte le
volte che un altro fenomeno varia alla stessa maniera, è una causa ο un effetto
di questo fenomeno, 0 è ad esso collegato da un qualche rapporto di causalità.
In altre parole, quando due fenomeni variano correlativamente in qualità o
quantità, I’ uno è causa e I’ altro effetto. Questo metodo ripara alle
imperfezioni del metodo di concordanza e sostituisce quello di differenza nei
casi in cui non è applicabile. Con esso si stabiliscono i rapporti tra le
funzioni psichiche © le cerebrali, tra l’ambiente e la moralità, tra
l’ascendere c il discendere del mercurio d’un termometro e la temperatura, ecc.
La concomitanza può essere innersa, ad es. tra il volume dei gas e la
pressione, e diretta, ad es. tra l'attrazione e le masse. Quando una larga
esperienza conferma che le variazioni parallele non incontrano limiti, si può
conchiudere, col metodo delle variazioni, oltre i limiti della esperienza, ©
tale operazione dicesi passaggio al limite. Cfr, J. S. Mill, System oflogio, 6*
ed. 1865, 1. III, cap. VII. Nelle scienze biologiche si designa coll nome di varietà
-- Varietàt; variety; variété -- un insieme di individui, che presentano
caratteri comuni e si distinguono per tal modo da altri insieme di individui,
aventi altri caratteri comuni. La varietà può essero permanente, © passeggera
ed accidentale. Nel primo caso essa non si 77
Ranzout, Dizion, di scienze filosofiche. distingue dalla specie, per i
seguaci del trasformiamo ; nel secondo caso è data dalla varietà determinata
dall’ influenza dell’ ambiente, e dalla varietà teratologica. Per le scuole non
trasformiste la varietà permanente non sarebbe che una varietà accidentale,
fissatasi per eredità, mentre la specie sarebbe sempro esistita o almeno
discenderebbe da ana prima coppia unica. Cfr. Darwin, Origin of species, 1883;
Davenport, Statistical methods in biology, 1900 (v. rassa, specie, tipo,
variabilità). Velocità. T. Schnelligkeit; I. Velocity; F. Velocità, vitesse.
Nel movimento variato, la velocità, alla fine di un tempo dato, è la derivata
dello spazio considerato come una funzione del tempo; invece nel movimento
uniforme è lo spazio che il mobile percorre in un secondo, o che percorrerebbe
se il movimento avesse questa durata. Dicosì relooità dell'adattamento
rifrattivo il tempo che l'occhio impiega per adattarsi alla visione degli
oggetti vicini e lontani; secondo alcuni psico-fisiologi 1’ adattamento alla
visione da vicino si compie più lentamente che l’adattamento a distanza,
secondo altri non v'è differenza sensibile di velocità. Dicesi relocità media
la velocità d’un movimento uniforme, che si dovrebbe sostituire al movimento
reale d’un punto materiale, perchò lo spazio totale fosse percorso nello stesso
tempo totale. Diconsi relocità virtuali gli spostamenti simultanci e
infinitamente piccoli, che si possono attribuire ai differenti punti materiali
componenti un sistoma dato, senza alteraro i legami stabiliti tra questi
differenti punti. Vera causa. L'espressione famosa del Newton, con la qualo il
grande scienziato intendeva significare, che la causa assognata ad un fenomeno
non deve solamente esser tale che, ammettendola, essa spiegherebbe i fenomeni,
ma deve anche essere suscettibile di venir provata mediante altr ragioni.
Sembra provato, del resto, che il Newton stesso non avesso wna idea precisa
della massima onunciata con queste parole, che egli stesso poi palesemente
violò con la sua teoria ottica. Cfr. I. Newton, Naturalis philosophiae principia mat. (v.
ipotesi). Veracità. T. Wahrhaftigkeit; I. Veracity; F. Péracité. La disposizione abituale d’ una persona a dire
il vero; non va confusa con la verità, che è il carattere del giudizio. Per
Leibnitz la veracità è la verità morale: la vérité morale est appelée veracité.
Dicesi dottrina della reracità dirina quella con cui Cartesio, dopo aver
provato l’esistenza del pensiero e di Dio, prova l’esistenza del mondo
esteriore: delle idee che noi abbiamo, alcune le troviamo in noi, e sono
innate, altre le produciamo noi, e sono fattizie, altre nd le troviamo nd lo
produciamo, e sono arventizie: a queste appartengono lo rappresentazioni dei
corpi, che talvolta succedono nostro malgrado, dunque noi non ne siamo causa;
dire che esse sono causate in noi da Dio non può stare, perchè se così fosse
Dio ci ingannerebbe, facendocene cercare In causa nel mondo esterno; ora, Dio,
essendo sommamente perfetto, non può în alenn modo voleroi ingannare; dunque
esistono i corpi esteriori corrispondenti alla idea che noi ne abbiamo.
Descartes, De meth.; Leibnitz, Nouv. Ees.. Proposizioni verbali sono quelle che
non pongono un rapporto tra due cose distinte, ma indicano soltanto una classe
o spiegano una parola. Dicendosi ad es., che il quadrilatero è una figura a
quattro lati, non si è fatto altro che spiegare il significato della parola
quadrilatero. Qualche volta le proposizioni verbali possono essere utili per
indicare o ricordare proprietà del soggetto da altri ignorate ο dimenticate.
Masci, Logica. Verbalismo, o anche filosofia verbale, designa quel modo di
argomentare e di filosofare nel quale le parole tengono il luogo delle ides e
il vocabolo asservisce il pensiero, di guisa cho, mutato le convenzioni
verbali, il ragionamento non potrobbo più sussistere. Verificasione. T.
Bewährung, Bestitigung; I. Verification; F. Vérification. È il terzo momento
del processo di ricerca scientifica: constatati i fatti mediante l’
osservazione e l'esperimento, supposti dei principi per spiegarli, occorre
verificare se i principi supposti (ipotesi) siano veri. Ora la verificazione
può avvenire in tre modi: se il principio supposto era di ordine puramente
razionale (es. un teorema di geometria), esso diviene certo quando lo si
colleghi logicamente con verità precedentemente stabilite; se era di ordine
puramente sperimentale, diviene certo quando lo si colleghi coi dati della
esperienza; se era d’ordine sperimentale e razionale ad un tempo, la sua
veriticazione consiste sia nel dedurne le conseguenze logiche, sia nel
confrontare codeste deduzioni coi dati dell’esperienza. Però non è sempro
possibile la verificazione completa dell'ipotesi, specie se riguardi la causa
di un fenomeno o il suo modo d'azione; può darsi che la causa non sia
verificabile nò con l'osservazione nd col ragiona mento, 9 che il suo modo
d'azione non renda conto di tutti i fenomeni, pur non essendo in contraddizione
con alcuno di essi. Il Comte voleva non fosse ammessa alcuna ipotesi incapace
di verificazione completa; ma anche la vorificazione incompleta può essere
sufficiente, se permette delle previsioni sul futuro. Del resto, la
verificazione incompleta può avere dei gradi, che vanno dalla pura possibilità
alla probabilità fino quasi alla certezza; le differenze dipendono dalla copia
dei fatti coi quali è dimostrato l'accordo, perchè la probabilità è in ragione
diretta della prima, inversa della seconda. Comte, Cours de phil, positive,
1830, vol. I, lez. 28; Wundt, Logik, 1898, vol. I, p. 404 segg.; Masci, Logica. Definire la natura
della Verità -- wahrheit; truth; vérité -- è stata sempre una delle più impor
tanti o dibattute questioni filosofiche, collegandosi ess con tutti gli altri
problomi della conoscenza e della realtà. Le molte dottrine sulla verità
possono ridursi a tre fondamentali; 1° la teologica ed ontologica, secondo la
quale la verità assoluta è Dio’o V essere assoluto, che è allo stesso tempo }
esemplare della verità della nostra conoscenza; questa soluzione, sostenuta da
Platone, da 8. Agostino, dagli Scolastici, da Hegel, Rosmini e Gioberti, ha il
difetto di identificare 1’ essere con la verità, mentre ο vero e falso non sono
già nelle cose ma nella nostra conoscenza di esse; 2° la realistica, sostenuta
dal Leibnitz, la quale, pur distinguendo essere dal conoscere, fa consistere la
verità nella concordanza tra le nostre idee delle cose 9 le cose stesse come
sono fuori di noi; ma con ciò si viene a negare la possibilità della
conoscenza, perchè, essendo questa relativa, dandoci cioè soltanto dei
fenomeni, codesto confronto tra la cosa come la conosciamo e la cosa in sè non
è in nessun modo possibile; 3° la Sonomentstioa, sostenuta da Hobbes, Locke,
Spencer, ecc., secondo la quale la verità consiste nell'accordo della
conoscenza coi fenomeni, che sono l’unico oggetto della conoscenza; quindi
secondo questa dottrina, la verità spetta soltanto al giudizio e consiste
nell’equivalenza tra due termini della proposizione. Come esempio della prima
dottrina si possono citare le parole di 8. Agostino: non iudicium veritatis
constitutum in sensibus;... deum, id est veritatem ;... erit igitur veritas,
etiamei mundus intereat. Di Cartesio: sequitur ideas nostras sive notiones, cum
in omni eo in quo sunt clarae et distinotae, entia quaedam sint, atque a Deo
procedant, non possa in co non esse veras. Di Hegel: « L'oggetto della
religione come della filosofia è la verità eterna nella sua stessa
obbiettività, ciod Dio e nient’ altro che Dio e la spiegazione di Dio.... E in
quanto la filosofia si occupa della verità eterna, della verità che è in sò ©
per sè, costituisce la stessa sfera d'attività della religione ». Come esempio
della dottrina realistica, lu breve definizione del Leibnitz: « l'accordo delle
rappreVER 1222 sentazioni esistenti nel nostro spirito con
le cose »; © quella di Cr. Wolff: oonsensus iudioii nostri cum obieclo seu re
repraesentata. Come esempio della fenomenistica, quella dell’ Hobbes: Forum οἱ
faleum attributa sunt non rerum sed orationis; © le parole del Locke: «la
verità ο l’orrore risiedono sempre in una affermazione o in una negazione, sian
esse nel pensiero o nelle parole, e perciò le rappresentazioni non sono false
prima che il nostro spirito se no sia servito in un giudizio, ossia fino a che
le abbia negato ο affermato ». A questi tre indirizzi fondamentali si possono
ricondurre la maggior parte delle dottrine sulla verità della filosofia
contemporanea, Così, per il Lotze, ogni contenuto dei nostri pensieri viene
diretta mente o indirettamente dall’esperienza, ma le leggi che dirigono
l’attività dell'intelletto ο in virth delle quali noi stabiliamo la nostra
concezione del mondo e la nostra nozione della verità, provengono dalla natura
stessa della nostra essenza spirituale; la verità consiste appunto nel fatto
che tali leggi generali sono confermate, senza eccozione, in un numero dato di
rappresentazioni, ogni qualvolta tali rappresentazioni appaiono nella nostra
coscienza ; e poichè le leggi stesse sono identiche per tutte le coscienze, ne
viene che i legami tra le rappresentazioni sono veri quando seguono i legami
del contenuto rappresentato, legami che sono veri per ogni coscienza cho ha lo
rappresentazioni. Per Giulio Bergmann la nozione della verità ha la sua base in
quella della realtà; un giudizio è vero quando corrisponde al suo oggetto,
falso quando lo contraddice; un giudizio il cui oggetto non esiste, non è nd
vero nè falso. Nella filosofia dell’immanenza la verità è concepita come un
puro rapporto tra stati di coscienza; così Schubert-Soldern e Schuppe la
definiscono como l’ associazione e la concordanza universale di tutti i
pensieri tra di loro, nonchè di quelli che sono puramente nostri con quelli che
abbiamo d’altri esseri. Nell'empirioeri 1223
VER ticismo, la verità è la qualità di quelle tra le nostre idee che
presentano dei vantaggi per la nostra conservazione, in altri termini, di
quelle che ci possono servire, che sone utili, frequentemente applicabili ed
applicate, e quindi solide ; la verità e l'errore, dice il Mach, hanno la
stessa sorgente psichica © solo le conseguenze possono farle discernere l’una
dal’ altro, ma un errore chiaramente conosciuto è, in quanto correttivo,
produttivo di conoscenza al pari della conoscenza positiva. Anche per il
prammatismo, la verità delle idee non può riconoscersi che dalle conseguenze
pratiche che possono risultarne; « la verità © le nostre conoscenze della
realtà, dico F. C. 8. Schiller, sono stabilito e verificate mediante i loro
risultati; prima © poi esse sono condotte alla prova certa di esperienze che
riescono o falliscono, cioò che danno o riftutano soddisfaziono a qualche
interesse umano ». Il Bradley, pure ammettendo il rapporto tra la verità delle
nostre idee ο la loro capacità di soddisfare la nostra natura, considera però
come vero solo ciò di cui il pensiero non pud dubitare, ciò che, per il pensiero,
è coorcitivo © irresistibilo; la verità ha un carattere provvisorio ed
evolutivo, oosicchè non y’ha alcuna verità che sin completamente vera ο nessun
errore che sia totalmente falso. Il Venn intendo per verità la concordanza tra
le nozioni e lo testimonianzo del senso; per John Veitch la verità è l'armonia
tra il fatto © la conoscenza che no abbiamo; per il Renouvier V unica verità
immediatamente còlta, ο in cui l'oggetto ο il soggetto, identificandosi nella
coscienza, pongono le basi d’ una certezza rigorosa, è il fenomeno in quanto
tale © nel momento stesso in cui è percepito; per il Fouillée la verità non può
stare nd nella sensazione sola, nd nel ponsiero puro, ma nella sensazione
congiunta all’azione, nell’ efficacia che i miei stati di coscienza possono
avere sopra altri esseri che sentono e vogliono come me; per il Delboeuf la
verità risulta dall’accordo della ragione VER
1224 con sd stessa, cosicchè è
vero ogni sistema, dottrina o idea che non raochiuda contraddizione, è vero
ogni gi dizio la cui esattezza sia confermata dall’ insieme di tutti gli altri
giudizi, che ad esso si collegano come premesse © come conseguenze. Per
l’Ardigò il vero è un fatto, ο precisamente quel fatto che dicesi fatto
psichico ο di coscienza: come l’ osservazione distinta del fatto della luce
assicura della realtà della luce, e basta ds sola alla affermazione di esso
fatto, per la stessa ragione l’ osservazione distinta del fatto di uno stato di
coscienza assicura che uno stato della coscienza è una realtà ο basta ds sola
alla affermazione di esso. Codesta affermazione include quella della
consapevolezza e della realtà assoluta della consapevolezza dello stato
medesimo; ora, essendo un vero per sò ogni dato che per sò ed assolutamente
afferma in modo indubitabile un reale, così uno stato della coscienza è un vero
assolutamente tale o per sè stesso, Con
l’espressione dottrina della duplice verità si designa la dottrina medievale,
che considera come affatto distinte la verità teologica ο la verità filosofica,
cosicchè può esser teologicamente vero ciò che non è tale filosoficamente, ©
viceversa; essa resistette per tutto il tardo medioevo, quantunque non si sia
mai bene chiarita l’origine di tale formula, ed ebbe per banditori audaci
dialettici come Simone di Tournay o Giovanni da Brescia. Si soglion distinguere le verità razionali,
che sono universali e necessarie, dalle verità sperimentali, che sono
contingenti e relative; le prime sono immutabili © il loro contraddittorio è
inconcepibile, le seconde sono invece mutabili ο si può pensarne il
contraddittorio. Le prime si dicono anche terità di diritto, le secondo rerità
di fatto; le prime si esprimono coi giudizi apodittioi, le seconde con gli
assertori. Si distingue anche la verità
logica ο formale, dalla reale ο materiale: la prima risulta dall’ esatto
rapporto delle idee tra di loro, ossia dall’obbedienza del pensiero alle sue
proprie leggi; la seconda dall’ adequazione delle idee con le cose, ossia della
loro obbiettiva applicabilità. Agostino, Solilog., De div.; Cartesio, De meth.;
Hegel, Forlesungen ü. d. Philos. d. Religion; Leibnitz, Nouv. Ess.Wolf,
Philosophia prima, Philosophia rationalis; Hobbes, Leviathan, I, 4; Locke,
Ess.; Lotze, Logik; Bergmann, Grundsiige d. Logik; Schuppe,
Erkonntnéatheoretiache Logik; Mach, Erkenntnise und Irrtum, Schiller, Mind,
Bradley, Appearance and reality; Wenn, Principles of logio, Veitch, Institutes
of logic, Renouvier, Ess. de critique, Fouil160, Psych. des idées-forces,
Maywald, Dio Lehre von der swoifachen Wahrheit, Chiappelli, La dottr. della
doppia rerità e à suoi riflessi recenti, Atti della Acc. di scienze mor. e
pol., Napoli; Bouty, La verité scientifique, Paulhan, Qu'est oo que la vérité,
in « Rev. phil., James, L'idée de la vérité, trad. franc.; ARDIGÒ, Il vero,
Padova, e Op. fil.; A. Lantrua, Verità formale e verità reale, Cult. filosofica
(v. criterio della verità, conoscenza, contingenza, necessità, dommatismo,
scetticismo, criticismo, solipsismo, veracità, certezza, evidenza, relatività
della conoscenza, fenomenismo, ecc.). Vero e falso. T. Wahrheit und Falsohheit;
I. Truth und falsity; F. Vérité et fausseté. Dicesi metodo dei casi veri ο
falsi quello usato nella psicometria, per misuraro sin il potere di
discriminazione, sia il minimum di eccitamento necessario per produrre la
coscienza, sia le inflnenze provenienti dalla sede dell’eocitamento. Sia, ad
es. da determinare la soglia della coscienza per le sensazioni di pressione: si
producono nel soggetto varie sensazioni di peso, senza seguire alcun ordine
prestabilito; il soggetto deve annunciare ogni volta se prova nna qualsiasi
sensazione. Ripetendo la prova un buon numero di volte, si giunge a calcolare
il numero di risposte giuste date per ogni grado di eccitamento. A questo modo,
ripetendo più volte le ricerche, si riesée a eliminare ciò che può esservi di
uocidentale nell’esperimento ο di preconcetto in chi all esperimento è
sottoposto. Cfr. Cattel, Mental teats and ‘measurements, « Mind », 1890;
Aliotta, La misura in prie. sperimentale, 1905. ‘Verum ipsum factum. Il vero si
converte col fatto; il vero è lo stesso fatto. È il famoso aforisma del Vico,
contenuto nel De antiquissima Italorum sapientia, e che il filosofo napoletano
contrapponeva al cogito ergo sum di Cartesio, Il Vico voleva significare con
ciò che si può avere vera conoscenza, © quindi scienza, di una cosa, soltanto
quando si è causa di essa; quindi, mentre Dio conosco tutto perchè fa tutto,
l’uomo conosce soltanto le astrazioni di oggetti reali, cioò di forme e di
numeri, che noi generiamo per mezzo del punto © dell’ xno. Con tal criterio
egli riconosce come vere scienze soltanto le matematiche, la filosofia della
storia e la metafisica, la quale tratta dei punti reali ο metafisici, che
generano i corpi senza essere corpi, come l’uno e il punto generano,
rispettivamente, i numeri e le estensioni senza essere nè numero nè estensione.
VICO, De antiquissima Italorum sapientia, 1710; Id., Prinoipî d’ una scienza
nuova; Werner, Vico als Philosoph., CROCE, La filosofia di VICO (v. conoscenza,
cogito, matematica, verità). Virtù. T. Tugend; I. Virtue; F. Vertu. Nel sno
significato etico è l'abitudine di fare il bene diventata una seconds natura.
In origine non designava che la forza e il coraggio, quali si manifestano
specialmente nella guerra: ina poichè anche per resistere al male sono
necessari la forza e il coraggio, passò poscia ad indicare la pratica abituale
del ben. Per Socrate la virtù è sapere, e l’osatta conoscenza di sò stesso e
delle cose la base di tutte le virtù; perciò la virtù si può insegnare. Per Antistene
la virtù è la saggia condotta della vita; essa sola rende felici, non già per
le sue conseguenze, ma per sè stessa, © quindi rende l’ uomo indipendente dalle
vicende del mondo; da ciò segue che la virtù risiedo, in ultimo, nella
soppressione dei desideri ο nella limitazione dei bisogni al minimo possibile,
ossia nel ritorno ad un ideale stato di natura. Per Aristippo, al contrario, la
virtù è la capacità di godere; ognuno, certamente, può e sa godere, ma solo VP
nomo colto ο intelligente, il virtuoso, sa goder bene perchè sceglie i propri
piaceri ο li domina, non ne è doininato. Per Platone il sommo bene consiste
nella conoscenza delle idee ο di quella più alta di tutte, V idea del bene;
perciò la virtù non può consistere per lui che nel raggiungimento del cémpito
proprio d’ ogni parte della nostra anima, ossia la parte razionale nella
sapienza, la parte animosa nell’energia della volontà, la parto appetitiva
nella padronanza di sò stesso, © infine nel giusto rapporto di questo parti,
rapporto nel quale consiste dunque la virtù complessiva dell’ anima, la
rettitudine, In giustizia. Per Aristotelo la virtù è un abito, che implica una
scelta doliberata, in accordo con la retta ragiono; sno oggetto e contenuto è
il giusto mezzo tra gli estremi, tra l'eccesso e il difetto. In base a questo
criterio Aristotele enumera la serie delle virtà morali, che sono il coraggio,
la temperanza, la liberalità, la modestia, la giustizia, l'amicizia, eco.; ma
oltre a queste esistono anche le virtù intellettuali ο dianoetiche, che
derivano dell’esercizio dell'intelletto attivo, e sono la sapienza speculativa,
che ha per oggetto la natura assoluta delle cose, ο la prudenza, che ha per
oggetto le condizioni relative e mutevoli della condotta umana. Per gli
scettici la virtù è l'assenza di pertnrbazioni, la calma dello spirito,
l’atarassia; è virtuoso colui che, sspendo che non si può Bir niente intorno
alle cose, 9 non si può accogliere nessuna opinione, si astiene per quanto è
possibile dal giudizio e quindi anche dall’azione, salvandosi in tal modo dagli
affetti ο dal falso operare. Per gli epicurei la virtà non è un bene in sò
stesso ma un bene in quanto ci procura piacere; essa è tuttavia inseparabile
dal vero piacere, nè può esservi vita piacevole senza virtù, nd virtù senza una
vita piacevole. Per gli stoici è virtù, in senso largo, ogni forma di
perfezione, e in tal senso anche la salute © la forza entrano nel numero delle
virtù; ma la vera virtù, o virtù morale, consiste al contrario in una forza
dell’anima, che ha il principio nella ragione, e in una direzione invariabile
del carattere, che non soffre nd più nè meno e per la quale l’anima, durante
tatto il corso della vita, è d’accordo con ad stessa; e poichd tale direzione
del carattere ha il sno principio nella conoscenza razionale, essi chiamavano
teorematioa la virtù morale, per opposizione alla virtù fisica, che è senza
intelligenza. I moralisti del medio evo seguirono, in generale, la dottrina
aristotelica; ma dal punto di vista sociale la virtà subisce un regresso, che
il cristianesimo, per il quale 1’ umiltà è la prima delle virtü, riuscì solo in
parte ad attenuare. Tra le dottrine medievali, grande importanza storica ha
quella di S. Tommaso; egli accetta letteralmente la definizione aristotelica
della virtù come giusto mezzo (virtus moralis in medio consistit), e distingue
le vità in morali propriamente dette, che riguardano il destino terrestre
dell’uomo, © leologali, cho riguardano il suo destino sovrannaturale. Le prime
si riducono tutte alle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, temperanza
e fortezza: « Ogni virtà, che al bene è spinta da un motivo ragionevole, dicesi
prudenza; ogni virtù tendente a rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto, e a
fare ciò che è giusto, dicesi giustizia; ogni virtà che modera e frena le
passioni, dicesi temperanza; ed ogni virtù, che fortifica l’anima contro le
passioni di qualsiasi specie, dicesi coraggio. Dalla pradenza derivano i
provetti ; la giustizia regola i rapporti fra gli eguali ; la temperanza modera
le concupiscenze della carne; il coraggio fortifica contro i pericoli della
morte. Le teologali sono la fede, la speranza © la carità; la prima completa le
nozioni elementari della intelligenza, mediante la conoscenza delle verità
inaccessibili senza una rivelazione divina; la speranza ci agevola il cammino a
quel fine divino, che vince di gran lunga le forze naturali; per la carità il
volere si unisce a quel fine, quasi assumendo la medesima forma. Nella
filosofia moderna e contemporanea il concetto di virtù è variamente definito,
quantunque spesso rivivano le antiche dottrine aristoteliche, platoniche e
stoiche; può dirsi in generale che In virtù è oggi intesa specialmente come
virtù di cittadino, come predominio costante delle idealità socinli sopra gli
istinti e le tendenze egoistiche, predominio che si traduce nella pratica
costante delle buone azioni compiute con una chiara ο perfetta consapevolezza.
La virtù germoglia e si matura nel seno della società alla quale appartiene; ma
il suo carattere essenziale © più saliente sta nell’ essere essa praticata
indipendentemente da ogni vantaggio egoistico e dn ogni minaccia; perciò essa
ragginnge la massima sua perfezione quando il suo esercizio non richiede più alcuno
sforzo soggettivo. Cfr. Platone, Tim.; Aristotele, Eth, Nio.; Diogene Laerzio; AQUINO,
Summa theol.; F. Paulsen, System der Ethik; Mairhend, The elemente of ethics;
Martineau, Types of ethical theory; Sidgwick, Metods of ethics; ARDIGÒ, Op.
fl,; Tarozzi, La virtà contemporanea; Marchesini, La dottrina positiva delle
idealità. Virtuale. T. Firtuell; I. Firtual; F. Virtuol. Ciò che osiste in
potenza, che è semplicemente possibile; si oppone quindi a reale, attuale,
effettivo. È dunque virtuale un fonomeno quando esisto soltanto una parte delle
condizioni necessarie a produrlo, o quando, pur esistendo tutte, sono
complicate accidentalmente con una o più circostanze contrarie. Cos) dicesi che
una idea, quando non è più pensata, esiste nel cervello allo stato virtuale.
Quando si tratta di energia, invece di virtuale usasi il termino potenziale. Il
Rosmini chiama virtuale « ciò che il pensiero vede contenuto in un altro, dal
quale per sè non si distingue, ma che può esservi distinto dallo stesso
pensiero, o anche ricevere un'esistenza a ad separata da quella dell’ altro in
cni indistinto si trova. Così nell'estensione illimitata dello spazio si
possono pensare comprese tutte le figure geometriche di qualunque grandezza e
forma si voglia, benchè in essa non siano distinte, ο queste figure stesse si
possano anche pensare senza l’estensione illimitata, Cfr. Rosmini, Logica;
Psicologia. Dicesi virtualismo -- Firtualismus; 1. Virtualism; virtualisme -- assoluto
la dottrina di Bouterwek, così da lui stesso denominata perchè concepisce la
conoscenza, che abbiamo immediatamente di noi stessi ο mediatamente delle cose,
come effotto della resistenza che sperimentiamo da parte dello cose medesime, «
La forza, in noi o fuori di noi, è una realità relativa. La resistenza è realtà
opposta, contrastante, quindi roaltà relativa. Entrambe unite sono
virtualità.... L’assoluta realtà non è altro appunto che questa virtualità, che
è in noi, come noi siamo in essa ». Così il sentimento dell’ ostacolo, contro
il quale urta la forza della nostra volontà, confuta il puro soggettivisme ©
solipsismo; ma questo sapere relativo delle forze speciali del reale si
completa con la coscienza della nostra propria volontà soltanto per la scienza
empirica. Il virtualismo del Bouterwek ebbe influenza specialmente sul Maine de
Biran, la cui dottrina si basa appunto sul fatto fondamentale che noi, nel
volere, viviamo immediatamente la nostra propria attività e la resistenza del
non-moi (anzitutto del nostro corpo); la riflessione della personalità sn questa
sua propria attività forma, secondo il Maine de Biran, il punto di partenza di
tutte le filosofie, ai concetti delle quali l’esperienza interna fornisce la
forma, l’esperienza di ciò che resiste la materia. Peroiò al cogito ergo sum di
Cartesio, egli sostituisce il rolo ergo sum; il concetto dell’ esperienza
interna, sens intime, è per lui In base chiara e per sè stessa evidente di
tutta la vita dello spirito, il cui principio fondsmentalo è l’ autocoscienza
della personalità volente. Cfr. Bouterwek, Idee einer “Upodiktik; Maine de Biran,
Memoire sur l'habitude; Id., Rapports du physique et du moral. Virtualità. Ha lo stesso significato di
potenza, nel linguaggio di Aristotelo ο degli scolastici: designa dunque la
semplice possibilità ο capacità di produrre certi effetti. Perciò gli
scolastici dicovano che l’effetto è contonuto nella causa virtualiter, quando
nella causa non si trova la natura dell’eftetto; ad es. la statua à contenuta
virtualiter nella mente dello scultore. Dicevano invece che l’effotto è
contenuto formaliter nella causa, quando in essa se ne trova la natura, come il
calore nel fuoco; e eminenter quando la causa è molto più perfotta dell’
oftetto, del quale non ha le imperfezioni, come Dio rispetto al eronto. Visa (i
reduti). Gli stoici romani chiamavano così una delle due anticipazioni o
prolepsi: l’altra ora la comprensione dei veduti. Codesti veduti degli stoici
non sono altro che i sentiti; essi dicovano che quella parte dell’ anima che li
apprende è la principale a cui appartiene l’assenso. Da ciò parrebbe invece che
i visa degli stoici fossero non puramente sentiti, ma anche percepiti
intellettivamente. La comprensione dei veduti era una operazione della
intelligenza, che apprendeva il sentimento e compieva la percezione intellettiva,
o la conservava in dominio della mente (v. anticipazioni, eullepei). Visive
(sensazioni). T. Gesichtsompfindungen ; I. Visual sensations; F. Sensations de
la vuo, visuelles. Hanno per organo l'occhio, per stimolo le vibrazioni dell’
etere, per centro psichico i tubercoli quadrigemini. Il centro periferico © il
centro psichico sono collegati fra loro dal nervo ottico, che alla base del
cervello si decussa formando il ολίασπια. La parte dell'occhio sensibile alla
Ince è la retina, formata dalle terminazioni del nervo ottico, e nella quale
trovasi il punto della massima visione, detto fossa centrale. L'apparecchio che
fa concentrare in questo punto i raggi luminosi dicesi apparecchio diottrico; è
in questo modo che le sensazioni visive possono venir riferite in un
determinato punto del campo ottico ο precisamente nella diresione dei raggi che
entrano nell’ occhio. Le sensazioni visive sono oromatiohe o aoromatiche: le
prime sono date dai colori dello spettro (rosso, arancio, giallo, verde,
turchino, indaco, violetto), le seconde non corrispondono alla scala cromatica
e soltanto psicologica mente sono colori (nero, bianco, grigio, purpureo).
L'azione dello stimolo nelle sensazioni visive è chimica: infatti sotto
l’aziono della luce, la porpora retinica scompare rapidamente, e la retina si
imbianca passando per gradi intermedi di colore bruno e giallo. Cfr. Helmholtz, Handbuch d.
physiol. Optik; Abeladorff, Das Ange des Menschen, 1907; Wandt, Philos. Stud.;
Parinaud, La rivion; Höffding, Psyohologie, trad. franc. (v. bicowlare, raggio visiro, orottero, campo,
contrasto, consecutive, adattamento, accomodazione, miopia, ipermetropia,
omianopsia, diplopia, astenopia, disoromatopria, daltonismo, aoromatiemo,
stereosoopio, retina, eco.). Vita -- Leben; life; vie -- Come di tutti i
fenomeni complessi, così anche della vita fu dato un gran numero di
definizioni, che diversificano sia per la prevalenza attribuita ad alonni
caratteri sugli altri, sia per il punto di vista da cui è considerata. La vita
è la gravitazione della forza cosmica su sè stessa è un principio interiore
d’azione è l’attività dei corpi organizzati è, secondo il Richerand, una
collezione di fenomeni che si succedono l'un l’altro durante un tempo limitato
in un corpo organizzato secondo Kant, la facoltà di una sostanza di agire in
virtà d’un interno principio, una organizzazione meccanicamente inesplicabile
perchè la sua essenza sta nell'essere il tutto determinato dalle parti, e le
parti dal tutto, e ogni membro causa ed effetto del tutto secondo lo Schelling,
la tendenza alla individuazione. Il Bichat la definì: l'insieme delle funzioni
che resistono alla morte; lo Stahl: il risultato degli sforsi conservativi
dell'anima; il Lavoisier: una funzione chimica; il Lewes: una serie di
mutamenti definiti ο successivi, sia di struttura che di composizione, che
s’operano in un individuo senza distruggerne l'identità; lo Spencer:
l’accomodamento continuo delle condizioni interne alle condizioni esterne. Da
tutte queste definizioni traspaiono evidenti i due modi . fondamentali ed
opposti con cui, sia i filosofi che i biologi puri, considerarono sempre la
vita: per gli uni, infatti, non è che una serie di fenomeni meccanici, chimici,
termici, elettrici, ecc. dovuti all’azione ο alla trasformazione delle diverse
forze cosmiche; gli altri, invece, considerano le forze della materia vivente
non solo come distinte, ma anche come opposte a tutte le altre forze della
natura, e spiegano i fenomeni biologici con l'intervento sia d’un principio
vitale, sia dell’ anima, sia della forza plastica ο formatrice. Dal punto di vista morale il problema della
vita è quello dell'impiego cosciente e voontario della vita; con esso si entra
nel regno sconfinato dei fini, nel quale può trovar posto ogni più diversa
interpretazione, valutazione e direzione pratica della vita, i più diversi modi
di concepirla ο di volerla, per le inesauribili varietà umane, storiche ed
ideali. Non solo è incredibilmente grande il numero dei modi in cui la vita è
stata già conoepita e vissuta; ma a questa varietà non è possibile assegnare
teoricamente un limite, à essa non è un semplice prodotto di riflessione
teorica ma dipende dal vario prevalere ο combinarsi di questa ο quella tendenza
costitutiva dello spirito umano. Cfr. Moleschott, Kreislauf dee Lebens; Spencer,
Principles of biology; Loeb, La dynamique des phénomènes de la vie; L.
Bourdeau, Le problème de la vie; Lodge, Vita ο materia, trad. it.; Gemelli,
L'enigma della vita; F. Orestano, It problema della vita, in Gravia Loria (v.
generazione spontanea, cellula, cellulari teorie, organico, organiomo,
animismo, vitalismo, meccanismo, duodinamismo, protoplasma, ecc.). Vitale,
Senso vitale ο organico è un’ espressione generica con cui si designano le
sensazioni interne, che hanno sedo in qualche regione interna dell’ organismo,
specie negli organi viscerali: la fame, la sete, i dolori dei di. versi organi,
900. Principio vitale, è, secondo i segu del vitalismo, una forza speciale che
risiede nella materia organizzata, dirigendo in essa tutte quelle operazioni
che costituiscono la vita vegetativa: essa è essenzialmente distinta non solo
dal corpo ma anche dall'anima, la quale presiede soltanto alle funzioni del
sentimento ο del pensioro. Spiriti vitali furon detti doi supposti fluidi
finissimi che, dal sangue, scorrendo lungo i nervi, arrivano al cervello,
doterminandovi ο stimolandovi l’attività dell’anima. Cfr. Bacone, Nov. Organon;
Cartesio, Pass. r an.; I. Frohschammer, Phantasie als Grundprinsip d.
Weltprozesses. (v. vita, vitalismo, organismo, ecc.).' Vitalismo. T.
Pitalismus; I. Vitaliom; F. Vitalisme. Termine molto generale e indeterminato,
con cui si comprendono tutte quelle dottrine scientifiche e filosofiche, che
spiegano ogni funzione della vita come il prodotto di speciali forze e
proprietà, che risiedono nella materia organizzata, e sono affatto distinte
dalle altre forze fisiche, chimiche e meccaniche. Secondo il vitalismo,
adunque, la vita ha origini e leggi particolari, che non si possono spiegare con
le leggi comuni agli esseri non viventi; con ciò è posta una antitesi
fondamentale tra ln natura organica e quella inorganica, tra i processi
meccanici e quelli vitali, tra la forza materiale ο la forza biologica, fra
corpo e anima. Si distingue un vitalismo animistico 0 animismo, uno organistico
o organicismo e uno dualistico ο duo-dinamismo. Il primo, già sostenuto in
parte da Platone e da Aristotele, considera tutti i fenomeni della vita come
dovuti ad una forza intelligente, ciod all’anima; esso risorge nei tempi
moderni col Leibnitz e con lo Stahl, i quali sostengono che le operazioni
vitali interne, sebbene nulla abbiano di comune con le operazioni coscienti e
intelligenti, sono tuttavia effetti dell’anima, Il secondo considera la vita
come una risultante © non come un principio, e crede di trovare le cause della
vita nelle proprietà degli organi, ritenuti come elementi indipendenti del
corpo vivente; ogni organo è animato da una forza particolare che, componendosi
con tutte le forze simili, mantiene la vita totale; la vita dunque, dice il
Bichat, non è che l'insieme delle forze che resistono alla morte. Il terzo, che
s’inizia col Barthez e In scuola di Montpellier, pure continuando ad affermare
che i fenomeni della vita non possono essere dovuti che a una causs speciale,
la riconducono ad una forza vitale, differente ad un tempo dall'anima o dalle
forze materiali. Tutte tre queste dottrine sono finalistiche, in quanto
ammettono che l’essere vivente si sviluppa in una direzione determinata, verso
nno scopo, una finalità che gli è propria; però codesta finalità non è posta
come esterna, ma come interiore allo stesso essere, come azione reciproca tra
il tutto ο le parti, cosicchè queste non possono esistere senza quello, nd
quello senza queste. Appunto per il loro immanente finaliemo, le dottrine
vitalistiche subirono un grave colpo dall’imporsi del meccanismo darwiniano; ma
in questi ultimi tempi esse sono risorte e col nome generico di neo-vitalismo
vanno estendendosi tra i filosofi ο gli scienziati. Tra i precursori immediati
dell'odierno vitalismo, grande importanza hanno: Baer, che sostene, contro la
teoria meccanica dell'evoluzione, che i processi vitali non si possono derivare
dalle leggi fisico-chimiche, ma hanno una legge propria di sviluppo; il von Hanstein,
che verso il 1880 dimostrava non potersi spiegare la connessione delle diverse
parti se non ammettendo una forza coordinatrice specifica
(Eigengestaltungekraft) che domini © diriga le energie materiali; Edmondo
Montgomery, che fondaudosi sull’ analisi dei movimenti del protopinsma, delle
contrazioni muscolari, della divisibilità degli infasori, ecc., proclama la
necessità di ammettere un principio autonomo interno regolatore dello sviluppo
e una rostanza vivente specifica, che si distingun dagli altri aggregati
chimici per il suo potere di controllo sopra In organizzazione ο di sintesi
della complessa struttura in una individualità organica; 1 Ehrhardt, che
sostiene In possibilità logica di una teoria vitalistica, in oni la
considlerazione teleologien abbia il suo legittimo posto accanto al puro
meccanismo; Gustavo Wolff, che cerca di mostrare sperimentalmente ln necessità
dolla veduta teleologica contro il darwinismo, provando ad es. come noll’oochio
della salnmandra la lente del cristallino estirpata possa rigenerarsi dal
margine anteriore dell’ iride, cioò da un tessnto che non corrisponde a quello
onde si genera nello sviluppo normale. Oggi tra i vitalisti si contano Lodge,
Dreyer, Morgan, Ostwald, Reinke, ecc. ; ma quello che ha dato un maggior impulso
al rinnovamento della dottrina è senza dubbio Driesch, che seguendo un metodo
essenzialmente critico 9 positivo e fondandosi sopra una solida base
sperimentale, afferma una finalità propria dei fenomeni vitali, che non è
ridncibile al gioco delle energie fisiche ο chimiche, ma presuppone una
attività specifica, alla quale egli dà il nome di entelechia: esso non ha il
carattere spaziale ο quantitativo delle altre forze della natura, ma regola e
dirige le forze naturali al conseguimento dei fini della vita. Una forma
affatto distinta, metafisica, di neo-vitalismo è quella sostenuta oggi dal
Bergson ο dai suoi seguaci: per essi la realtà è durata, cangiamento, tifa,
ossia creazione incessante non diretta ad uno scopo determinato, ma avente un
valore per sè, rispondente solo a un impulso originario infinito,
differensiantesi o detorminantesi variamente fino a produrre un movimento in
senso inverso, la materia; in tal modo, non la materia precede la vita, ma è il
torrente della vita che si insinua nei fenomeni materiali, deviandoli dalla
legge fatale e meccanica che seguirehbero senza di essa © utilizzandoli per i
suoi scopi particolari. Cfr. Bergson, L'évolution creatrice; Reinke, Die Welt
ale Tat, ; Philosophie der Botanik; Driesch, Die organischen Regulationen; Der
Vitaliemue als Geschichte und als Lehre; Aliotta, Il vitalismo, Cult.
filosofica; Sarlo, Vitalismo ed antivitaliemo (v. archeiemo, vita, organiemo).
Vittorini sono una scuola di filosofi scolastici, detti così dal chiostro di Β.
Vittore, fondato fuori di Parigi, da Guglielmo di Campean. I Vittorini
rappresentano il misticismo teorico, distinguendo nella fede la cognizione
(Aides quas oreditur), dall’ atto soggettivo del credere (idee qua creditur), e
ponendo come veramente essenziale soltanto il secondo. Ai Vittorini si
contrappongono i Sommolisti, il cui più grande rappresentanto fu Pietro
Lombardo (v. scolastica). Visio. T. Laster; I. Pico; F. Vice. Come la virtà è
Pabitudine del bene, così il vizio è la pratica del male: come una sola azione buona
non rende l’uomo virtuoso, così un’azione cattiva non lo rende vizioso. Il
vizio può dirsi perfottamente organizzato nella paiche individuale, quando la
pratica di esso non suscita più alcun rimorso nd determina alcun tentativo di
reazione da parto dell’individuo; allo stesso modo la virtù raggiunge la
massima perfezione quando il sno esercizio non richiede più alcun sforzo (v.
abitudine). Volisione -- Wollen, Volition; Volition ; Volition -- designa
1’atto singolo o totale di volere, i cui momenti successivi sono:
deliberazione, determinazione, esecuzione. La volontà -- Wille; will; volonté
--, insieme al sentire e al pensare, costituisce uno dei tre aspetti
fondamentali sotto cui si manifesta la vita psichica. Essa è quindi considerata
diversamente a seconda dei modi diversi con cui si spiegano lo funzioni della
psiche. Mentre nella vecchia psicologia in genere, il sentimento, la conoscenza
e la volontà sono considerate come tante parti o facoltà distinte dell'anima,
la psicologia contemporanea, «dominata dal concetto dell’ unità della psiche,
ammette invece che esso siano tra loro così intimamente întreocinte, da
costituire un organismo nel quale ogni parte non può funzionare senza il
concorso delle altre. Uno dei problemi più dibattuti dalla psicologia e dalla
filosofia nel passato era appunto quello dei rapporti tra la volontà ©
l'intelligenza; esso fu discusso specialmente durante tutto il secondo periodo
della filosofia medievale, dapprima sotto forma di controversia psicologica,
tendente a decidere se nel corso della vita spirituale sis maggiore la
dipendenza della volontà dall’intelletto ο viceversa, poscia sotto forma
metafisica ο teologica, per l'applicazione sus al concetto di libertà morale.
Per 8. Tommaso l’intelletto è quello che determina la volontà, perchè esso solo
comprende l’idea del bene 6 conosce in particolare cid cho è bene; quindi
intelleotus altior et prior roluntale ; la libertà come ideale etico è quella
necessità che si fonda sul sapere, e la libertà di scelta è' solo possibile se
l’intelletto offre al volere diverse possibilità come mezzi per lo scopo.
Contro questo determinismo intellettualistico, che pone l'intelletto come
supremue motor della vita psichica, si erige l’indeterminismo di Enrico di
Gand, di Duna Scoto ο più tardi di Occam, per i quali invece la volontà è la
forza fondamentale dell’ anima e determina lo sviluppo delle attività
intellettive. Poluntas imperans intelleotui cat causa euperior respeotu actu
eins, dice lo Scoto dell’uomo e di Dio; la rappresentazione non è mai se non la
causa occasionale (causa per accidens) del volere singolo, ma la vera decisione
è sempre affare della volontà; la quale è la forza fondamentale dell'anima,
tantochè ὃ essa che determina lo sviluppo delle facoltà intellettive, rendendo
distinte ο perfette solo quelle tra le rappresentazioni, alle quali rivolgo In
sua attenzione. La stessa controversia ai trasporta poi nel campo teologico e
metafisico: per i tomisti, la volontà divina è legata alla sapienza, nd essa
superiore, di Dio, mentre per gli scotisti ciò costituirebbe una diminuzione di
potenza dell’ens realissimum, la cui volontà è veramente sovrana perchè scevra
d’ogui determinazione, superiore ad ogni ragione, tantochà Dio, essi insegnano,
ha creato il mondo per arbitrio assoluto © avrebbe potuto, volendo, crearlo
ancho diversamente ; per i tomisti Dio comanda il bene perchè bene, e perchè è
conosciuto como tale dalla sua natura, per gli scotisti che quello è bene solo
perchè Dio l’ha voluto e comandato; per i tomisti la beatitudine eterna è uno
stato intellettuale di visione o intuizione diretta dell'essenza divina, stato
che Dante espresse con somma bellezza, per gli sootisti la felicità
ultraterrena è uno stato della volontà e precisamente della volontà tutta
rivolta a dio, ossia dell’amore. Nei secoli successivi il problema, perduto il
suo apparato teologico, è variamente risolto. In Spinoza, ad es., troviamo
l'affermazione della inscindibilità dell'intelletto e del volere, voluntae οἱ
intellectue unum et idem sunt, non essendo la volontà che un certo modo del
pensiero come l'intelligenza. Per Kant intelligenza ο volontà sono in noi due
forze fondamentali, di cui la seconda, in quanto vien determinata dalla prima,
è la facoltà di produrre qualche cosa conformemente a una idea, che dioesi
fine, cosicchè l'intelletto è il vero legislatore e governatore della
coscienza; per lo Schopenhauer la volontà non solo è superiore
all'intelligenza, ma è la forza suprema così nell’ uomo come nel mondo, la vera
ed unica realtà in ed stossa « ciò di cui tutte le rappresentazioni, tutti gli
obbietti sono il fenomeno, l'evidenza, 1’ obbiettivita; essa è ciò che v’ha di
più intimo, il nocciolo d’ogni singolo e quindi del tutto; essa appare in ogni
cieca forza naturale che agisca; per 1’ Hartmann l’essenza del reale è invece
1’ Incosciente, che è ad un tempo idea e volontà, dalla prima viene la natura
delle cose, della seconda l’esistenza, cosicchè con |’ Hartmann torna in onore
il problema sul primato della volontà o della intelligenza, che aveva già attratto
così vivacemente l’acume dialettico degli scolastici. Per Galluppi la volontà è
la facoltà di volero; il volore a sua volta è un atto semplice, indefnibile, la
cui nozione non pnd esserci data che dal sontimento interiore, il quale ci
insegna che, in seguito ad alcuni voleri cominciano, continuano o cessano
alcuni pensieri nel nostro spirito, e cominciano anche, continuano 0 cessano
alcuni moti del nostro corpo. Per il Rosmini la volontà è quella virtù, che ha
il soggetto, di aderire ad una entità conosciuta, mediante interno
riconoscimento ; quando la cosa conosciuta sia qualche bene che l’uomo non ha
ancora, consegue un decreto col quale la volontà si propone di procacciarselo e
quindi di mettere in uso i mezzi necossari per arrivare a tal fine; quando il
bene si possedeva già, consegue un affetto sensibile, che non è altro se nonun
aumento o perfozione del piacere, ο a cui tengon dietro dei movimenti corporei.
A quattro ai possono ridurre le principali teorie contemporanee della volontà:
1’ intellettualistica, la materialistica, 1a sentimentaliatioa ο quella che
attribi sce alla volontà un carattere specifico proprio. La prim sostenuta
quasi unicamente dagli herbartiani (Drobisch, Lipps, Volkmann) considera la
volontà come il somplice risultato di uno sforzo che una rappresentazione fa
per conservarsi, impedendo che altre rappresentazioni la s0praffaceiano. La
seconda, sostenuta dai psicologi fisiologisti, nega l’esistenza del volere come
fatto psichico, facendolo consistere unicamente nei processi fisiologici che V
accompagnano; tale può considerarsi la teoria di Spencer, che definisce la
volontà come « la rappresenta zione psichica di un atto che poi realmente si
compie », e quella del Minsterberg, che la riduce all’ atto riflesso
uccompagnato dalle sensazioni muscolari relative. La terza considera l’atto del
volere como il risultato dello svolgersi del sentimento, senza spiegare in che
modo, da un processo puramonte passivo quale il sentimento, derivi un fatto
essenzialmente attivo quale la volontà. 1 ultima, che per contrapposto alle
precedenti può dirsi porilira, riconosce nella valontà un fatto sui generis,
οτί! mente diverso dalle rappresentazioni o dal sentimento. Il maggior
rappresentante di questo indirizzo è oggi il Wundt, che considera la coscienza
come composta di due elementi, uno obbiettivo che è dato dalle
rappresentazioni, e l’alVor tro subbiettivo, dato dal sentimento ο dal volere;
nell’atto del volero, più ancora che nel sentimento, si munifesta la
spontaneità della coscienza, sia che esso sia esterno (movimenti del corpo) sia
che sia interno (scelta tra le impressioni esterne, modificazione nel corso
delle rappresentazioni). Assai più completa e positiva è a tal riguardo la
dottrina dell’Ardigd, che riconduce la volontà al potere impulsivo ο inibitorio
delle rappresentazioni, le quali stimolano o trattengono a seconda del loro
tono: ma codesto potere delle rappresentazioni non è, a sua volta, che il
potere dinamico degli organi centrali, cosicchè, se una rappresentazione ne
provoca un’altra, è perchè il movimento fisiologico corrispondente alla prima
provoca il movimento fisiologico corrispondente alla seconda. Tali stati ο le
corrispondenze verificatesi tra gli apparati impollenti delle rappresentazioni
© i motivi dei voleri corrispondenti, si fissano poi e si accumulano nella
psiche, così da dar Inogo ad una somma virtuale di voleri; la volontà non è
dunque altro che la somma di quegli stati di coscienza che nel doppio aspetto
fisico-psichico della propria attività (dinamogonetica e inibitoria)
determinano l'individuo ad un atto, rappresentato prima come fine. Con l’espressione buona volontà ο volontà
buona Kant intende la volontà razionale pura, che non è rivolta ai singoli
oggetti ο ai rapporti dell'esperienza, nd da essi è determinata © dipende, ma
che è determinata soltanto da sè stessa od è rivolta necessariamente al dovere:
La volontà buona non trae la sua bontà dai suoi effetti ο dai suoi resultati,
nò dalla sua attitudine a raggiungere questo © quello scopo proposto, ma solo
dal volere, ciod da sò stessa; e, considerata in sò stessa, deve essere stimata
incomparabilmente superiore a tutto ciò che mediante essa si può compiere a
profitto di qualche propensione, © persino di tutte le propensioni riunite. Se
anche una sorte avversa o l’avarizia d’una natura matrigna privassero tale
volontà di tutti i mezzi per eseguire i propri disegni, se i suoi più grandi
sforzi non approdassero à nulla, e se non rimanesse che la buona volontà
sola,... essa brillerebbe ancora di sua propria luce, come una pietra preziosa,
poichè ricava da sè stessa tutto il proprio valore ». Con l’espressione rolontà di potenza,
Nietzsche intonde che i forti devono acquistare sui deboli un predominio
assoInto, e, spezzando ogni legame con la tradizione ο il ουstume, devono
celebrare il trionfo d’ una nuova concezione etica della vita; per il Nietzsche
la libertà ideale dell’uomo è nel massimo grado dell’ espansione della vita,
che può essere espansione cieca, orgiastica, dionisiaca, ma ancho apollinea,
cioè regolata dallo spirito della conquista e dol dominio; conviene dunque, per
salvare la dignità umana, invertire i valori morali tradizionali, © porre al di
là del bene e del male un ideale etico improntato alla potenza, alla forza, al
valore individaale, Con la formula
volontà di oredere, usata la prima volta da William James ο divenuta comune nel
pragmatismo, nell’umanismo, nol fideismo, ecc., si esprimo l'efficacia
dell’azione dei fattori non intellettuali, delle raisons de coeur, nel
fondamento della fede; però, mentre James invoca l’aiuto della volontà e del
sentimento solo a supplire alle deficenze dell’ intelletto, la formula fu poi
allargata fino ad esprimere la sostituzione della volontà ο del sentimento all’
intelletto; così, per Schiller il pensiero puro e la logica formale non esistono.
Ogni ragionamento si fonda sopra una credenza più o meno sentimentale, sopra un
bisogno affettivo, ogni cognizione, per quanto teorica, ha un valoro pratico cd
è per ciò potenzialmente un atto morale, la natura stesu della realtà è
determinata dal desiderio e dalla volontà di conoscere. Kahl, Die Lehre vom Primat den
Willen bei Augustinus, Dune Scotur und Descartes; IT. Siebeck, Die Willenslehre
bei Dune Scotua und seinen Nachfolgern. « heitserift für Philos.; O. Külpe, Die
Leh. v. Will. in die Peycol. d. Gegenvart, « Philos. Studien; Kant, Grundlegung
sur metaph. der Sitten; Nietssche, Jenseits ton Gut und Bose; W. James, The
will to believe; Orestano, Le idee fondamentali di Nietzsche; Villa, La peicol.
contemporanea; Ardigò, Op. fil. Dandolo,
Le integrazioni peichiche ο la volontà, Marucci, La volontà secondo i recenti
progressi della biologia ο della filosofia; Ribot, Le malattie della volontà,
trad. it. (v. autonomia, motore,
motorium, motivo, mobile, decisione, deliberazione, rolontarismo). Volontarismo
-- Voluntarismus; I. Voluntariem ; F. Volontarisme – è, nel senso suo più
generale, ogni dottrina che ammetta il primato della volontà. Se la volontà è
posta come la realtà essenziale di tutte le cose, come il principio primo delV
universo, si ha il volontariamo metafisico; se come fattore originario e
fondamentale della coscienza umana, il volontarismo psicologico. Ὦ chiaro però
che codesta distinziono è affatto relativa e nen sempre storicamente applicabile,
in quanto il volontarismo psicologico appare come un corollario del metafisico,
e questo a sua volta, non potendo avere le sue radici che nell'esperienza
psicologica, ha il suo punto di partenza nel primo. In entrambi i sensi si
oppone all’ intellettualismo e al razionalismo; nel secondo anche al
sentimentalismo. Il volontarismo metafisico, per quanto abbia origini lontane,
raggiunge la sua completa espressione solo con lo Schopenhauer, che sviluppa la
dottrina kantiana del primato della ragion pratica sopra la ragion pura. Da
questa dottrina uscirono due forme di volontarismo metafisico: il v.
moralistico, ο moralismo, del Fichte, por il qualo il mondo attuale, con la sua
attività, non è che il materiale per l’azione della ragion pratica, il mezzo con
cui il volere raggiunge la completa libertà © realizzazione morale; il v.
irrazionalistico dello SchopenVou hauer, che fa del volere la cosa in sò,
manifestantesi in varie fasi nel mondo della natnra come forza fisica, chimice,
magnetios, vitale ο più che tutto nel mondo animale come volontà di vivere, che
s’esprime nella tendenza ad affermare sò stesso nella lotta per i mezzi
d’esistenza ο per la riproduzione della specie. Questo è un volere inconscio,
irrazionale, non si propone alcuno scopo nelle sue obbiettivazioni; da ciò
deriva nel mondo la prevalenza dol malo sul bene. Naturalmente, qui la parola
volere assume un «significato particolare, che lo stesso Schopenhauer ha posto
in rilievo: « Ho scelto la parola Volontà in mancanza di meglio, come denominatio
a potiori, attribuendo al concetto di volontà un estensione maggiore di quella
posseduta fin qui.... Non 6’ era riconosciuto, fino ad oggi, 1’ identità
essenziale della volontà con tutte le forze che agiscono nella natura, 6 le cui
varie manifestazioni appartengono a dolle specie di cui la volontà è il genere.
Si erano considerati tutti questi fatti come eterogenei. Non poteva quindi
esistere alcun vocabolo per esprimere questo concetto. Ho quindi denominato il
genere secondo la specie più elevata, secondo quella della quale noi abbiamo la
conoscenza immediata in noi, che ci conduce alla conoscenza immediata degli
altri. Il volontarismo psicologico, che costituisce forse V indirizzo
prevalente della psicologia contemporanea, ha le sue origini lontane in S.
Agostino, per il quale sia gli uomini che la divinità nihil aliud quam
voluntates sunt, in. Duns Scoto e nei suoi seguaci, per i quali pure tota
animae natura voluntas est; le sue origini prossime nel Fichte ο nello
Schopenhauer, per i quali, como vedemmo, 1’ cs senza dell’uomo sta nella
volontà. Il Beneke sviluppò forma scientifica questo concetto, risolvendo la
vita psichica in processi attivi elementari o impulsi, i quali, divenuti
originariamente attività per opera degli stimoli, devono, nell’ irrigidirsi del
loro contenuto e nel loro reciproco accomodamento per l’incessante prodursi di
nuove forze, realizzare Vapparente unità sostanziale dell’ animn. Il Fortlage
ha poi rielaborato il volontarismo del Beneke con elementi tratti dalla
filosofia del Fichte; anch’ egli concepisce l’anima, e con essa puro la
connessione delle cose, come un sistema d’impulsi, o forse nossuno come lui hu
trattato così acutamente il concetto dell’ atto sonza substrato come fonte
dell’ essere sostanzialo; l'essenza del divonire spirituale risiede per Ini in
ciò, che da funzioni originarie scaturiscono contenuti immanenti medianto uno
sviluppo sintetico, donde nascono le forme della realtà: psichica. Wundt,
valendosi del concetto di Fichte e di Fortlage, dell’atto senza substrato,
considera il mondo come una connessione attiva di individualità volitive, ο
limita l'applicazione del concetto di rostanza alla teoria naturalistica;
l’azione reciproca tra le attualità volitive produce negli esseri organici
unità volitive più elevate, e quindi gradi diversi di coscienza centrale, ma
l’idea di una volontà e di una coscienza assoluta del mondo, la qualo si svolga
secondo il principio regolatore, è al di là dei limiti della facoltà
conoscitiva umana. Wundt si arresta a questo punto; altri arrivano all’
affermasione del volere come fondo ultimo della realtà, trasformando di nuovo
il volontarismo psicologico in metafisico 6 incontrandosi con una dottrina che,
sotto varie forme, ha larghissima fortuna ai giorni nostri: Pattualiemo, per il
quale la realtà non è che energia, divenire, movimento, evolnzione. L' essenza
del volontarismo psicologico, che si limita ad una interpretazione dei fatti di
coscienza, ci sembra Done espressa in queste parole dell’ Höffäing: « Se una di
quoste tre specie di elomenti (sentimento, intelligenza, volontà) vuol essere
considerata come la forma fondamentale della vita cosciente, questa è senza
dubbio la volontà, L’attività è una proprietà fondamentale della vita
cosciente, poichè bisogna costantomente supporre una forza, cho mantonga
insiemo i diversi elomenti della coscionza, © ne fneVor via, per la loro
unione, il contenuto d’una sola e medeSima conoscenza... Se dunque prendiamo la
volontà nel Senso largo, come designante ciod ogni specie di attività legata al
sentimento e alla conoscenza, si pnd diro che tutta la vita cosciente è
raccolta nella volontà conte nella sua espressione più completa. Schopenhanor,
Welt ala Wille u, Vorst.; Beneke, Neue Grundlegung zur Metaphysik; Dio noue
Peychologie; Fortlage, Beiträge zur Psychol.; Wundt, System d. Philos.; W.
James, The will to believe; Sollier, Le volontarieme, Rev. phil.; Höffding,
Peychologie, trad. franc. (v. attivismo, srrazionalismo, mobilismo, volontà). Secondo
alcuni dei primi filosofi, il VORTICE -- Wirbel; vortex, tourbillon -- ο
rotazione ciolica, la δίνη, è la forma fondamentale del movimento cosmico. Per
Empedocle di GIRGENTI (vedasi) essa è prodotta dalle forze attive fra gl’elementi,
dall'amore e dall'odio. Per Anassagora incomincia dalla materia razionale e
finalisticamente attiva, per proseguir poi con consecuzione meccanien. Per
Leucippo à il risultato particolare dell'incontro di più atomi. Così il principio
del meccanismo, rivestito ancora miticamente in Empedocle e in Anassagora, è
con Lencippo pienamente elaborato: gli atomi, che volano senza regola nell’
universo, #'ineontrano qua e là, dando così luogo, secondo la necessità
meccanica, a un movimento complessivo rotatorio prodotto da vari impulsi dei
singoli atomi, movimento che attrac a sè i singoli atomi o complessi di atomi
vicipi, talvolta anche mondi interi; un tale sistema in continuo rivolgimento
si suddivide in sò stesso, essendo gli atomi più fini lanciati alla periferia,
mentre i più pesanti si raccolgono al centro; in tal modo hanno origine in
diversi tempi e in diversi luoghi dell’ universo infinito diversi mondi, ognuno
dei quali si muove in ad per leggo mecanica, finchò per un urto con un altro
mondo vien forse distrutto o attratto e assorbito nella rotazione di un mondo
più grande. La teoria dei vortioi risorge con CARTESIO, che con essa volle dare
un fondamento alla concezione copernicana del mondo, e si giorni nostri, in
sèguito specialmente alle nuove scoperte sulla radioattività della materia.
Tolta ogni differenza tra ponderabile ο imponderabile, ridotta la materia ad un
equilibrio instabile di elementi eterei, l’origine di ogni sistema siderale si
fa risalire alVetere, per il differenziarsi nel seno di esso di vortici animati
da movimenti sempre più rapidi, fino ad agglomerarsi in gruppi atomici, in
nebnlosa sferica, in mondi, con una serie di fasi evolutive analoghe a quelle
descritte da Lencippo. Cfr. Aristotele, Physioa; Platone, Timeo; Plutarco, Plac. phil.;
Fontenelle, Entretiena sur la pluralité des mondes; S. Arrhenius, L'évolution
dee mondes, trad. franc.; Bocquerel, L'év. de la matièro et des mondes, « Revue
scientifique. Vuoto.
Gr. Kevév; Lat. Vacuum; T. Leere; I. Empty; F. Fide. Lo spazio puro, ciod lo spazio penetrabile, privo della
materia, L'esistenza del vuoto fu sostenuta tenacemente dagli Atomisti contro
gli Eleatici: questi dicevano essere incomprensibile l’idea del vuoto e affatto
inconciliabile con quella di essere; il vero reule, infatti, è uno ο
immutabile, o non ammette quindi nd pluralità, nd diilità, nè movimento, che ha
per condizione il vaoto. Gli Atomisti invece non ammettevano che due principi
gli atomi e il vuoto, cioè In materia e lo spazio, ο l’esistenza del vnoto
dimostravano mediante il movimento, la compressione di cui vari corpi sono
suscettibili e con vart esperimenti inventati da Leucippo. La proprietà del
vuoto è l'estensione, la quale è infinita, nd vi si può distinguere alto ©
basso, metà ed estremità; il sno ufficio è puramente passivo, e cioè di rendero
possibile il movimento e la pluralità degli esseri, dividendo la materia con la
sua sola presenza. L'idea del vuoto fa combattuta vivacemente da Aristotele,
che avendo concepito lo spazio come qualche cosa di reale, © cioè come il
limite del corpo contenente in quanto il corpo contenuto è suscettibile di
movimento locale, non poteva ammettere uno spazio senza contenuto; la sua
principale obbiezione è appunto che il vuoto, anzichè rendere possibile il
movimento, lo renderebbe inconcepibile, perchè nel vuoto non c'è nè alto nd
basso, mentre ogni movimento natnrale sì fa in questi dne sensi. Cfr.
Aristotele, Phye., De coelo (v. inane, eusere, direnire. nulla, spazio). Zero.
Dicesi zero della sensazione l'intensità minima della modificazione della
coscienza, che corrisponde alla intensità minima della eccitazione. Dicesi più
comunemente soglia della coscienza. Più frequente è invece, l’espressione punto
zero fisiologico 0 zero della sensazione termica; qualainsi temperatura degli
organi nervosi termici che sorpassa tale punto è percepita come caldo,
qualunque temperatura al disotto come freddo; ogni temperatura propria degli
organt nervosi percepita come caldo, condiziona uno sposta mento in alto dello
zero, percepita come freddo uno apostamento in basso: quando per effetto dello
spostamento dello zero, questo coincide con la temperatura propria delV organo
nervoso, ogni sensazione di caldo ο di freddo cossa. Cfr. Hering, Sitzungsber.
d. Wien. Ak. (v. aubminimali). Si suol chiamare talvolta col nome di zetetica –
Zetetik, Zététique -- lo scetticismo, che consiste appuuto in una ricerca, ζήτησις
ricerca, incessante in tutte le questioni, senza uscire dul dubbio, senza venir
mai ad ans conclusione, positiva ο negutiva. Gli scettici, furon, detti Zoo
anche efettioi ο aporetioi da ἀπορέω
essere inoerto, imbarazzato, dubitare (v. dubbio, dogmatismo,
conoscenza). Zoofobia. Fenomeno psicologico, che consiste in una paura morbosa
6 irragionevole degli animali. Fa parte delle biofobie, paure morbose
concernenti i rapporti con gli altri esseri viventi, e può aver per oggetto i
ragni, i topi, i cani, ecc. Germanico non poteva vedere nè sentire i galli; il
maresciallo d’Albret sveniva non appena vedeva la testa di un cinghiale; Enrico
III non poteva sopportare In vista di un gatto. Cfr. Friedmann, Ueber den Wakn,
1894; Gélineau, Les peurs morbides. La zoolatria o zooteismo – Zootheismus, Zootheism,
Zoothéieme – è un fenomeno religioso che consiste nell’adorazione degl’animali
e si rivela nei più infimi gradini del sentimento religioso; più precisamente,
il, zooteismo è la rappresentazione e l'adorazione della divinità sotto forma
di un animale, che è considerato non come il simbolo della divinità, ma come
attualmente abitato da essa. Secondo lo Spencer la zoolatria avrebbe la propria
origine nell’abitudine, che regna in certi popoli selvaggi e primitivi, di
designare gli individui col nome degli animali ; il coraggio del leone,
l’astuzia della volpe, la velocità dello sparviero, ecc., sono riconosciute in
questo o quell’ eroe della tribù, il quale per tal guisa vien simboleggiato col
nome stesso dell’animale delle cui virtù caratteristiche è adorno. Succede poi
che codesti popoli, adorando i loro defunti, finiscono, dopo un certo tempo,
col non avor prosente di essi che il solo simbolo verbale; confondono la cosa
con la parola; attribuiscono al leone, alla volpe, allo sparviero, ecc. le
gesta degli eroi che ne portarono il nome, e tributano quindi a codesti animali
il culto che aspettava agli uomini. Una particolarità della soolatria è la
ofiolatria, ο culto dei serpenti. Cfr. Spencer, Principi di sociologia, trad.
it. Zoologia. T. Thierlehre; I. Zoology; F. Zoologie. Nel senso più generale, è
la scienza che studia lo forme, la struttura, la genesi e lo sviluppo degli
animali e le relazioni nelle quali essi stanno fra di loro e col resto della
natura nel tempo © nello spazio. Così intesa la zoologia è scienza
eminentemente sintetica, che ha le sue radi in tutte quante le scienze
biologiche, come ls citologia, la paleontologia, l’embriologia, la teratologis,
la fisiologia © specialmente l'anatomia comparata. Ofr. A. Giardina, Le
discipline zoologiche e la scienza generale delle forme organizeate, 1906.
Zoomonera. Secondo |’ Haeckel, l'origine della vita, nelle sue manifestazioni
anche più complesse, si deve ricondurre alle monere, che sono le forme viventi
più sem- plici che siano state osservate. Le monere sono di due specie:
zoomonere, composte di zooplasma, e fitomonere, composte di fitoplasma; dalle
prime hanno origine gli ani- mali, dalle seconde le piante. Siccome il
fitoplasma pos- siede la facoltà di produrre sinteticamente il plasson, traen-
dolo dai composti anorganici, e di trasformare la forza viva della luce solare
‘nella tensione chimica di combina- zioni organiche, così bisogna ammettere che
il zooplasma - che tali proprietà non possiede e si nutre per assorbi- mento di
plasma degli altri organismi - sia nato dal fi- toplasma, le zoomonere dalle
fitomonere, le quali alla loro volta sarebbero nate per autogonia o generazione
sponta- nea da combinazioni anorganiche. Cfr. Haeckel, Phylog. aystem. (v.
generazione, vita, organismo, vitale, vitalismo, organioismo, animiemo).
Zoomorfismo. T. Zoomorphiemus; I. Zoomorphism; F. Zoomorphisme. Dottrina della
metamorfosi dell’uomo in animale, propria di alcune religioni primitive,
specialmente dell’egiziana. Cfr. Le Page Renouf, Lectures on the origin of
religion. (v. metempaicosi). ZOROASTRISMO-- Lehre von Zoroaster;
Zoroastrianiem; Zoroastrisme. Il ZOROASTRISMO e la religione persiana, fondata
da Zoroastro e carattorizzata dal dualismo tra il principio del bene e quello
del male. Per essa il mondo, essendo una mescolanza di luce e di tenebre, di
vero e di falso, di pensiero e di materia, presuppone l’esistenza di due
principi, in lotta tra loro nell'universo, dei quali l'uno, Ormuzd, è il
principio del bene, il dio della verità e della luce, l’altro Ahriman, il
principio del male, il dio della menzogna e delle tenebre. Nel Zend- Avesta, i
libri sacri del zoroastrismo, è detto. Al principio, Ormuzd, elevato al di sopra
di tutto, era con Is scienza sovrana, con la purezza, nella Ince del mondo.
Questo trono di luce, questo luogo abitato de Ormuzd, è ciò che si chiama la
luce prima; e codesta scienza sovrana, codesta purezza, produzione d’Ormuzd, è
ciò che si chiams la Legge. Ormuzd non ha prodotto direttamente gli esseri
materiali e spirituali di cui l’universo si compone, ma li ha generati con
l'intermediario della parola, il verbo divino. Il puro, il santo, il pronto verbo,
io te lo dico chiaramente, ο saggio Zoroastro, è prima del cielo, prima
dell’acqua, prima della terra, prima delle greggi, prima degl’alberi, prima del
fuoco, codesto figlio d’Ormusd. Ormuzd ed Abriman hanno ls medesima potenza. Ma
Orinuzd, con la sua onniscienza, prevede tutto ciò che dovrà accadere, mentre
Ahriman non può caloclare le conseguenze delle proprie azioni che nel momento
stesso in cui agisce. Il vantaggio della prescienza assicura ad Ormuzd la
vittoria dopo un certo numero di migliaia d'anni. Cfr. Lehmann, Lehrbuch d.
Religionsgesch.; Zend- Avesta, trad. Anquetil. Ranzoli. Keywords. Parole
chiave: implicatura, lessicologia filosofica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ranzoli.”
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