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Thursday, June 6, 2024

GRICE E PARISIO

  lli'k^ àrtaiì ■■■■■lì*.     rflltllli hK        i -'p        ^-0     DOTT. FRANCESCO LO PAECCy     ^     AULO GIANO PARRASIO     . - * - *     » • I ■ -     ■««■■^     ■I* 1     •»      y     W *J     ^.     INTRODUZIONE     \     ^ Ili     ■*^i**^-»- ^««««a     •••aaa^ki^Mi^kirtH     • •*     , ■     Concludo qucmC appendice con un voto. Bemékè ìm  Jfibliotcca parroMÌana sia stata, or per a tarisia fra-  tesca, or per incuria dei custodi, deplorabilmente  assottigliata, pure di codici e di edizioni annotate  avanza tanto da potersene fare uno studio accurato...,^   Che non ci abbia da essere niutw dei nostri guh  vani filologi a cui non nasca questo desiderio f (1)   Cosi scriveva il compianto professor Francesco  Fiorentino, qnan;]So, tratteggiando da par sao il  sorgere ed il progressivo sviluppo della gloriosa  Accademia cosentina, rimaneva ammirato dinanzi al-  Tulta figura del suo fondatore, Aulo Giano Parrasio.   Dovendo, tre anni or sono, scegliere un argomento  por la tesi di laurea, molto opportuna ci parve P in-  dicazione del Fiorentino ; sicché, per quanto fin da  principio ci accorgessimo della difficoltà dell'impresa,  alla quale ci accingevamo, fiduciosi ci mettemmo  alFopera, non colla presunzione di adempiere il voto  del dotto filosofo, ma per mostrare che, dopo più di  un ventennio, vi era chi accoglieva il suo invito,     Prancbsco Piorvntino>— Bernardino Tclesio. ^ Voi. !!« Firenze  Siieo. Le Monnler, 1874«     Il II I II I ■ * I     *m w l ,mtm    >.1. .....     *m ■■>■        VITI     INTRODUZIONE     por dar prova, so non altro, elio la polvere ola tignuola  non meltono poi tanto spavento, da faro presto presto  strizzare Poceliio ed arricciare il naso scliifiltoso.   Ora ò appunto quel lavoro, benevolmente giudi-  cato prima dalla Commissione esaminatrice della  Pacoltà letteraria di Napoli, e poi da lla Eacolfii  del R. Istituto superiore di Firenze, che, riveduto  e ritoccato nello sue parti, sottoponiamo al giudizio  del benevole lettore.        Oli scrittori contemporanei del Parrnsìo si mo-  strano addirittura entusiasti di luì, non gli rispar-  miano le \ìì\i alto lodi, e no magnificano con x>arolo  altisonanti il valore e la grande erudizione; ma a  ben poco si riduco tutto quo! rumore, cbo menano  intorno : suppergiù non trovi che notizie inesatte,  cbe gli uni copiano dagli altri, e che ripetono sino  alla noia, inni, ditirambi, epigrammi, tirate reto-  riche e che so altro ; ma la critica manca comple-  tamente, o appena si azzarda a far capolino.   Degna però di nota ò la monografia che pub-  blicava lo Jaunelli, nel 1S44, sulla vita e sugli  scritti del Parrasio (1).     (1) De vita et scriptìs Auli Jani Parrhasii conscntini^ phiiologi saeeulo   XVI celeberrimi, commeutarius a Cataldo JaimeUio, regio bibliotecario^   acadeènìico herculanensi et conscntino^ cluciihratus ; ab Antonio Jamiellio^   ratris filio^ conseutinae Acadetniae pariter socio, cditiis, praefation$ et   tuxis auctui, — NeapoU, tipis Alo^'sii Banzolii, mdccc^cliv.     «.^     INTKODUZIONB IX     Con tutto il rispotto dovuto al dotto e yalente  archeologo, ci dispiace di dovere fìn da ora asserire  che il nostro giudizio sulPopera sua non sarà molto  lusinghiero.   La vita da lui scritta è un magro e nudo racconto,  che si riduce alhi semplice esposizione dei fatti, alle  sole citazioni, senza che nulla si agiti intorno al x>ro«  tagonista e v'imprima un po' di varietà e movimento:   Il Parrasio x)rofessò a Napoli, a lloma, a Milano,  a Vicenza, a Padova, a Venezia, ebbe molti nemici,  solivi molte x)ersccuzioni, l\i torturato dalla gotta  e morì a Oosenza.   E può mai questa chiamarsi biografia?   Dov' ò l' uomo, che ti si presenta innanzi coi suoi  aifanni e colle suo miserie, colle sue x)assioni e coi  suoi disinganni, senza grave sforzo del lettore? Il  Parrasio corre errabondo di cittA in città, trova  nemici acerrimi ed ostinati, che gli si gettano addosso  a guisa di cani mordenti ; ebbene, perchè tutto  questo ì Xe è forse egli meritevole per l' indole sua,  X>er l'incompatibilità del suo carattere, opx)nre quelle  lotte, quelle persecuzioni sono il portato legittimo  dei tempi in cui visse, di quel secolo d' interminabili  litigi, il secolo dell' Umanesimo t   Non lo dice lo Jannelli : egli pare che faccia  poco conto di quel x>i'ecetto, che il valore esatto di  un uomo non si ha se non quando un tale uomo,  come l>enis8Ìmo osservava il Graf (1), si considera   (l) Attraverso il -Ciwjucceuto^ pag. 107. — Looschor, Torino, 1888.        ««^ìA. «.— «•■^f» • ..• ^»»- >-*«        V^'     -I     t   I   i     •     INTBODUZIOIVB     nelP ambiente sao, in mezzo alla vita. varia e com-  plessa di cui egli è| al tempo stesso, organo e pro-  dazione.   Per la qnal cosa, dopo aver letto il commentario  dello Jannelli, quaP è V idea che il lettore si è fatta  del Parrasiof   Oiò che si è detto di Gaio può dirsi di Tizio,  non vi è nulla che caratterizzi 1' uomo, non appare  Tessere vivo di Dante, l'individuo tutto intero, tutto  d' un pezzo, la persona libera e consapevole del  De Sanctis.   Oltre a ciò non ci dice lo Jannelli se ò giusti-  ficato quel lugubre lamento, cbe emana da tutte le  opere del Parrasio, specie dalle orazioni inedite ; se  ò vero quello straziante singulto, cbe erompo da  quel mesto componimento, V elegia Ad Luciam {!),  in cui si sente lo sconforto di un' anima abbattuta,  un phato9, cbe ti aggbiaccia, un taedium vilae, che  ti stringe il cuore. Su tutto questo tace il biografo :   Innanzi alle innumerevoli miserie, cbe affliggono  il suo protagonista, egli non si commuove punto,  le narra senza commenti, senza riflessioni, trascu-  rando così completamente il lato artistico, cbe non  consiste nella semplice forma; ma richiede anche il  concetto, consistente in quelP elemento subiettivo,  in quella speciale maniera di saper spiegare e rior-     (1) V. nostro lavoro : L'elegia e Ad Litciam » di Aulo Giano Par^  rasio e il Bruto mitiare di Giacomo Leopardi, — Ariano, Stali, tip. Ap-  paio Irpino, ISOO.     . — ♦     ' ♦. *' '     IKTKODUZIOlfB XI     I   I     dinare i fatti, facendoli tutti dipendere da un' idea   unica, cbo abbracci in mirabile sintesi tntta la vita  di un individuo.   Le copiose notìzie, con tanta pazienza raccolte,  sono gettate lì, senza essere state prima elaborate,  non v' è sintesi, ma lunga e pesante analisi ; sicchò  manca completamente la riproduzione artistica delle  notizie trovate, che f^ apparire coi suoi pregi e eoi  suoi difetti la persona presa a tratteggiare.   Bisogna però convenire che, rispetto al Parrasio,  non ò cosi facile riuscire neir impresa : perchè si  possa avere una completa conoscenza di lui, non  bastano le notizie, spesso inesatte, che ci danno gli  scrittori contemporanei ; è necessario che il biografo  sapx)ia ficcare lo viso infondo ai preziosi manoscritti  inediti dell' insigne filologo, e studii ed analizzi  soprattutto Pampio codice (1), che contiene le ora*  zionl tenute dallo stesso, al principio dei corsi, nelle  diverse città, dove fu chiamato ad insegnare.   In questo codice V infelice umanista ci dà piena  contezza dei suoi mali, dei suoi nemici implacabili.     (l) MSS. R. BibUoteca Nazionale di NapoU — Cod. V. D. .15 —  Cari. aut. del sec. XVI, min. 317 per 223, di e. 164 non numerate, uè  tutte interamente scritte, oltre due o più bianche, già guardie di esso;  ò legato di pelle. — Incipit € Epithalamium », esplicit € Oratio ad. di-  scìpulos. » — Come tutti gli altri manoscritti parrasiani, questo, codice  divenne prima proprietà di Antonio Scripando, come dalla seguente di-  dascalia finale : € Antonii Scrìpandi ex Jani Parrhasii testamento », e poi  passò alla Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove nel 1799. alla  R. Biblioteca borbonica, ora -Nazionale.     ■MMkaMiMi     ■«^M     ■■«M * » «» «■*» ° , »-m >^ «v .^«-c > I      ■ ■_^— •••■•••;» >.^--y - ir^^'» —"-*•■*«■• ^*^     " I r - i        IB» — •••■■MV -4. »^,»-.tf — \trmm, Jh.»^» '^.^r -«.•.•«>• ..^ .>i . ...^«f M- • •-•        »•. h t-M 4>»t. ^ «^ ^ *ì »^i I     CAPITOLO I-     Patria — Famiglia — Maestri.     Nella CaUibria Citeriore, in fonilo a quel granilo ellis-  soide, eh' è la valle del Crati, formata dalla catena degli  Appennini, che ai contini della Ba^^ilicata si dirama in due  opposti bracci, V uno lungo il golfo di Taranto o l'altro  lungo il mar Tirreno, sul fiume Crati e Busento, sorge la (Vii-  sentia di Strabone e di Appiano Alessandrino, la metropoli  dei Bruzii, come la chiamano Tito Livio, Plinio, Antonio,  Pomponio Mela.   Bella e famosa città, dal territorio ubertosissimo, dove,  facciamo nostra. Pespressione di uno dei più fervidi apologisti  di essa, il Sambiase (1), « stan gareggiando insieme Cerere  e Bacco, Pallade e Silvano, e Pomona con Flora i.   Occupa una bella pagina nei fasti civili e militari d' I-  talia ; ma merita soprattutto un posto importantissimo nella  storia dell' umano pensiero.   Basta dare un semplice sguardo alle opere del Barrìo (2),  deUo Spiriti (3), deUo Zavarroni (4), dell' Ughelli (5), del  d'Amato (G} e di tutti quegli altri scrittori calabresi, che,     (1) Ragguaglio di Cosenza, Napoli 16^.   (2) De Siiu et antiq. CalaMae, Roma 1737.   (3) Memorie degli scritton coseèuini, Napoli 1750.   (4) Biblioi. Calabra. Napoli 1753.   (5) Italia Sacra*   \jSi) Pantapologia calibra, Napoli 1725.     \     ^Um     """ ■ -        VITA DI A. GIANO PAKUASIO     diuanzi alle gloriose mciuorie ili Cosenza, entusiasmati, hanno  sciolta la loro lingua alle più alte lodi, per comprendere  quanti forti e baldi ingegni abbia nei diversi t-empi dati alla  luce : Antonio Telesio, Galeazzo di Tarsia, Coriolano e Ber-  nardino Martirano e soprattutto la fenice dei moderni ingegni,  Bernardino Telesio, potrebbero illustrare, nonché una città,  una nazione intera.   Ed Aulo Giano Parrasio non è anche lui nativo di Cosenza!   Sebbene tutti i suoi biografi lo credano tale, e non sorga  a negarlo che il solo Aceti, il quale con scarse ragioni,  gonfiate da un esagerato spirito di campanile, sostiene che  il P. sia nativo di Figline (1), villaggio presso Cosenza,  puro noi, per varii motin, dubitiamo che egli sia cosentino  nel vero senso della parola.   Anzitutto perchè troviamo ritenuti per cosentini parecchi  valenti nomini di quei tempi, come Rutilio Bonincasa, Tom-  maso Cornelio, Sestilio Mazzucchio, che sono nativi di qnei  diversi villaggi, detti volgarmente casali, che circondano  Cosenza e sono ritenuti come tanti sobborghi di essa.  Poi perchè il P. nelle sne opere, sebbene .ne abbia tante  volte l'occasione, non ricorda mai Cosenza come sua patria,  a differenza di tutti . gli altri scrittori di questa città, nei  qnali, come notava il Fiorentino, si vede una certa ostenta-  zione nel determinare la loro patria, e nell'apx)orre al proprio  nome l'epiteto di cosentino.   In una lettera a Vincenzo Tarsia si congratula del  risveglio letterario della Calabria e specialmente di Cosen-  za (2) : in un'altra, diretta ad Andrea Pngliano (3), parla dei     * (l) Animadcersiones in Barrium — De Situ et antiq. Calabriae^ ed.  cit. € Vir iste inter omnet acvi sui erudi tissimus facile prìnceps, ad  « Fillooum, tire Felinum pertinet, patriam tuam ac meam. »   l2) De Rebus per EpisL quaesit.^ ediz. cit., 1. cit;   (3) I?U     VITA DI A. GIANO PARBASIO     I -     in   r 1     cosentini^ mostra che non dimentica mai Cosenza, che anzi  Pama teneramente; ma non dice mai nnlla, da cui si possa  dedurre che egli stesso sia cosentino.   Ne basta : nell'orazione inedita, tenuta e Ad Patrieios  Xeapolitanos > (1), il ?.♦ per ben predisporre gli animi verso  di lui, fa noto che, sebbene ancora giovane, ha già inse-  rì guato parecchi anni nella nativa regione dei Bruzii : e prìus  I : aliquot annos frequenti auditorio in Brutiis, unde nos ortum  dncimus, interpretandis auctoribns impendimus i.   Ora perchè qui ricorda i Bruzii e non Cosenza, dove  realmente insegnò prima di andare a Napoli 1   * Non crediamo parimenti trascurabile Fultra prova, che ci  fornisce un codice inedito di Bernardino Mnrtirano, cosentino,*  discepolo del Parrasio, da noi rinvenuto nella Biblioteca  Brancacciaua di Napoli.   In questo codice iutitolato e De Famiiiis cousentinis i (3),  il Martirano non fa menzione della famiglia del maestro, e  ciò non sembra fatto per semplice dimenticanza, poiché in  un sonetto dello stesso scrittore, sulle famiglie di Cosenza,  riportato dal Sambiase (3) e riprodotto dal Fiorentino (4), si'  nota la medesima omissione.   E in ultimo è ravvalorata sempre più la nostra tesi da  una lettera contenuta in im altro codice inedito del P., che  si conserva nella biblioteca dei PP. Gerolamini (5).     V,     (1) Cod. cit. V. D. 15.   (2) MSS. Bibl. Brancacciami di Mapoli. Cod. 3. A. 16. e De FamiliU  coaseatinit CommentarìuB. >   Ai cultori di memorìe cosentine indichiamo i due codici inediti, che  ti trovano nella stessa Biblioteca: € Rclacion de la Ciudad de Coson-  zia — 5. 0. 1. — De Syla Consentiae. ex historìcis — 2. C. S. »   (?) • d) op. cit.   (5) A/S5. Bibl. dell'Orai, dei PP. Gerolamini di Napoli. Cod. Pil. XI.2  Cari. mise, apogr., del secolo XYl, mm. 219 per 158, leg. di pelle.  È dello stesso formato dei codici della Bibl. Nazionale^ e proviene.     0t0immjmtmi' I afti^fci     y**      VITA DI A. GIANO PARRASIO     In quella il P. roccoinaucla caldamente a Tommaso Fedro  Inghirami, bibliotecario della Vaticana^ il caro amico Antonio  Cesareo, che egli chiama suo e conterraneus »•   Non pare che il P. gli avrebbe dato l'epiteto di e civis i,  se anche lui, come quello (I), fosse stato cosentino t   Tenuto conto di tutte questo ragioni e delle notizie  enfaticamente forniteci dall'Aceti, il quale fa menzione di un  altare gentilizio dei Parisio (3), di una lapide commemorativa  del Cardinale P. Paolo, esistenti in Figline, come pure  di altri documenti tratti e ex librìs Baptizatorum », ci  sentiamo indotti a erodere che il P. fosse realmente nativo  di Figline. •   Ma Cosenza fu per lui la vera patria di adozione, l'amò  sempre del più tenero amore, fino a quando fluì in essa i suoi  giorni, e sebbene non si sia mai dato l'epiteto di cosentino,  pare che non gli sia dispiaciuto d'essere st«ato creduto tale.   Anche noi x)erciò, pur sapendo di tradire in parte la  verità storica, continueremo a chiamarlo cosentino.     I biografi non sono d'uccordo circa le origini della fa-  miglia del P. : alcuni affacciano delle ij)otesi, altri fanno  delle gratuite asserzioni, fra queste degne di nota quelle del     come Morobfa, dalla stessa Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove  pare sia venuto in proprietà di Giuseppe La Valletta e da questo ai  PP. Gerolamlni. — Cont. « Campanarum Epist. Antonii Panhormitae », di  e. 56 scrìtte, più 6 bianche, già guardie. Incip. « Ad Nicolaum . Buezo-  tom > ; expl. € et genus humanum ».   Seguono : € BpistoUe Jan! Parrhasii » di e. 30; incip. e T. Phaedro,  romanae Aeademiae », expl. e epistola Bernardino Minoritaiio ».   (1) CiiioccARELij — De iUusiribtis scn'ptoribiis ecc. Ncapoli, mdcclxxx,  pag. 223.   (2) Come vedremo Parrasio ò alterazione di Parisio.     .^     i»     .V.        >     VITA DI ▲. GIANO PABBASIO     Gonzaga (1)| cho, fra lo altro cose, chiama il marchese  Giuseppe Parisi di Napoli, l'ultimo rappresentante del ramo  calabrese della famiglia Parisio ; mentrOi da notizie da noi  assunte', ò risultato che V ultimo rampollo di essa e Ernesto  Parisio,. marchese di Panicocoli, dimorante ora a Benevento.   Questi, con gentilezz«'> degna della nobiltà ed eccellenza  della sua famiglia, ci forniva le seguenti notizie, tratte da  diplomi e privilegi :   Guglielmo, nativo di Parigi, portatosi in Italia alPepoca  del re Carlo I, lasciò il primitivo cognome di Lancia e prese  quello di Parisio. Da Ruggiero, suo figlio, nacque Matteo ed  Andrea, che, uniti al padre, militarono con grande onoro  sotto lo stendardo di Ferrante I d*Ai*agona, come apparo  dal privilegio d' immunità e franchigie, confermate poi da  Carlo V (2). Avendo il suddetto 5ratt.eo operati molti e  prestanti servigi al suo re, ebbe in premio il feudo Aconaste  di Alipraiido, confermato dal re Alfonso (3).   Illustri discendenti di Andrea e ^latteo furono Guglielmo  e Gualtiero, i quali da Ferdinando il Cattolico ebbero in dono  il castello di Kalamo, nella terra di £se, come appare dal  breve di donazione, da noi osservato in Benevento presso il  marchese Parisio.   Da Ruggiero poi nacque una delle maggiori glorie della  famiglia, .P. Paolo, valentissimo giureconsulto, che tenne  cattedra a Bologna ed in altre città d' Italia, e giunse all' o-  nore della porpora, nel 1539.   Ora t^ma qui opportuno osservare che la famiglia  Parisio si diramò poi in Messina, Oastrogio vanni, Mineo,     (1) Conte Berardo Candida Conzaga. — Memorie delle famiglie  nobili delle province meridionali d'Italia. — Voi. 6, pag. 136, Napoli 1883,   (2) Archivio di S, Agostino alla Zecca, — Documento XI, fol. 62,  in quinter. Vili, fol. 200.   (3) Archivio di S, Agostino alla Zecca, — Privilegio registrato in  Privil. XI in quinter. XI, foL 436.        8 VITA DI A. GIANO PARBÀSIO   Lcntini, Napoli, Bologna e Reggio; ma il ramo principale  fa quello di Calabria, il quale a sua volta si diramò nei  Parisio e ex Bugerio », da cui discese il Gardinale, e nei  Parìsio € De Thomasio »•   Da quest'ultimo ramo, da Tommaso, consigliere di  S.» Chiara, e da Pellegrina Poerio, il 28 dicembre 1470 (1),  nacque Giovan Paolo Pàrisio, che poi prese il nome di Aulo  Giano Parrasio.   Discendeva questi dunque da illustre ed antica famiglia,  in cui pare siano stati ereditari Pcccellenza dell' ingegno e  Pamore alle >nrtn ed alle alto ed onorifiche imprese.   Gli scrittori del tempo sono concordi nel tessere gli elogi  dei genitori del P. , lodano la coltura e 1' alto sentire di  Tommaso, non che la nobiltà d' animo di Pellegrina, che fu  rapita prematuramente aU'affetto dei suoi (2).   Non tardò molto a palesarsi nel P. quella grande ten-  denza ed attitudine allo studio, e quella grande tenacità di  mente, che fin dai primi anni fece presagire nel giovanetto  uno splendido avvenire.   n primo suo maestro fta Giovanni Grasso Podacio (3),  detto cosi dalla patria, Serra Pedacia (4) : molti scrittori no  lofiano la dottrina e la bontà del cuore, sicché sotto la guida  di lui il P. fece rapidi progressi, dando presto chiare prove  che il discepolo avrebbe superato il maestro.   Gi rimane una lettera, indirizzata al Pedacio, in cui  l'antico alunno scioglie alcune difficoltà letterarie, che quésti  gli aveva proi>oste ; ciò che in altri avrebbe generato un     (1) Loca Gaurico — Traci. IV Da Nat., T. II. Op., pag. Id36.  Jamtislli — Op. cit., pag. 1.   (2) Parrasio. — De Rebiu ecc. — Orai, in epist. Cic. ad Alt., pag. 242,  ediz. Mattltaei, Neapoli, mdcclxxi : e In optimam matrem mcam primo  desaevit (Fortuna) integra adhue aetata. '»   (3) De Rebus ecc., pag. 121.   (•^ Zavarroni. — Op. cit., pag. 63. *     fnXk'^ lAk^Ài     ■•- -•»»T»* , che si legge nella cosi detta Apologia di Vallo.   Passato un cei*to tempo dalla sua venuta a Lecce,  il P., come vedremo, incorse nell'ira paterna per essersi  mostrato poco disposto allo studio del diritto. Essendosi  però il padre piegato a più miti consigli, egb", allettato  dal bel nome, che godeva a Gorfù Giovanni Mosco, spar-  tano, al quale accorrevano da Veneziike da ogni parte d'Italia,  non che dalla stessa Grecia, tutti quelli che desideravano pe-     {ì) De Rebus ecc,^ ediz. cit., pag. 121.   (2) Apologia del Vallo. — V. Comm. del P. al e D^ Raptu Proserp.  Claudiani > — 1505, Milano : € Multa tamen in Graecia antea ilidioe-  rat, admodum praetextatus, in Japygla, quam regia potestata Tamìsiui,  pater eius, obtinebat, usua praeceptore Sergio Stizo, cui nihii ad sum-  mam defuit erudi tionem, praeter quam maiua nostrarum litterarum sin-  dium. >   (3) Jannblli — Op. cit., pag. 4. . .     ^to«Mi«^hMiA«Mta     1 .     «■^«I     *v     y-     * v L^ ? ;.        TT^     10     VITA DI A. GIANO PARRASIO     I     notrare nello intimo bellezze del greco (l), volle recarsi colà| e  pare che vi si trattenesse poco più di un biennio (2).   Non possiamo dire con procisiono quando egli si portasse  dal nuovo maestro, se nel 1488 o nel 1489, pare però eerto  che ritornasse a Cosenza intorno al 1491, come ci aiTerma  un passo del suo Oommentario al De Baptn Proserpinae di  Claudiano, pubblicato la prima volta nel 1501.   Ivi il P.) parlando della Delia Oliva di Catullo, ricorda  che per fonte e non per albero aveva interpretato quell' O-  Uva, dieci anni prima, quando a Cosenza aveva avuto a  maestro Tideo Acciarino (3).   Tornato a Cosenza, riprese quindi il P. lo studio del  latino sotto la guida di quest' ultimo , tanto lodato dal  Poliziano (4), e ben presto rivelò i frutti del savio ed  ordinato insegnamento del dotto maestro, riportando a Cal-  limaco quel carme, che ha per titolo e ri ahtx », o inter-  pretando per la fonte che esisteva nella Beozia, e non per  albero, la Delia Oliva di Catullo (5).     (1) Liuo Gregorio Giraloi. — De Poctis sui temporis. Dial. II.  TiRABOSCUi. — Storia della letier. iud. — T. VII., P. II, pag. 437.   Roma 1784.   Anoelo Spera. — De nobil. profess. gramm, 1. IV, pag. 288.   (2) Apologia del Vailo. — e lode Corcyram profeotus, operam Mosche  dedlit 000. >   (3) Parrasio. — Commentario al € De Raptu Proserpinae » — y« 188,  lib. II : •   (4) Poliziano. — Epistolae, — lib. VII.   (5) Parrasio. — Commentario al € De Raptu Proserpinae », lib. III^  T. 288.     »aA.i        CAPITOLO U. .   Il Parrasio a Cosenza ed a Napoli — Relazioni   cogli AragonesL     Non bisogna però tacerò che anche il P., corno tanti  altri umanisti (1). trovò nel paciro un fiero oppositore ai  suoi studi prediletti (2).   Era ornai divenuta tradizionale nella famiglia Parisio la  tendenza alla carriera giuridica (3), sicché Tommaso si mo-  strò dispiaciuto verso il figliuolo, che preferiva lo studio dei  classici a quello del digesto e delle pandette.   A quale perìodo della vita del P. deve però riportarsi  questo fatto!   Lo Jannclli, esagerando anche lo sdegno del padre verso  il figliuolo, aiTerma che bisogna riportarlo a quel tempo in  cui quest' ultimo apri pubblica scuola a Cosenza (4).     (1) V. nostra monografia: Un Accademico pmitaniano del secoli XYi^  precursore dell'Ariosto e del Pnrini^ pag. 13. — Ariano — Stab. tip. Ap-  piilo-Irpino — 1898.   i2) De Uchus per cpisloìam ecc., eiliz. cìt., pag. 242 : e Neque vero  comineinoralH), quod ut hune quantuluincuinque litterarum profectum '  iiiorarctur« indulgciuU alioqui in me patria animum'depravavit (Fortuna),  no sumptuA ai ooìa Musarum auppcditaret, taroquam relieta a malori-  bus trita semita degeneri, quod, ut illi, leges ediscere neglexerìra ».   (3> Morelli — De Patricia consentina nofnlitaie,   (4) De vita et scriptis ecc., pag. 10.   I           ^     12 VITA DI A. qia:«o paukasio     Ciò non ò prosaniibile, poiché Tommaso Parisio, da uo-  mo accorto ed intelligente quaPerai non avrà certo atteso che  il giovane avesse raggiunta l'età di 21 anno, per costringerlo  a battere la e tritam semitam gentis suae i. Più logico in-  vece ci sembra che egli cercasse di piegarlo ai suoi volerli  prima che del tutto uwa^««»««^N!w'     VITA DI A. GIANO PARRASIO 13     luuuincrcroli quesiti di diritto, tratti dalle opere dei pia  valenti giurecbusulti, corno Ulpiano, Paolo, Modestinoi Pa-  piuiiiDO ecc., bisogna notare il lavoro paziente del giova- *  netto, reso ancora più manifesto dai non pochi errori grafici,  in esso ibcorsi, ed eliminati evidentemente da una futura  correzione.   Pare però che in Tommaso Parisio abbia finito col trion-  fare la generosità del suo animo; sicché, specialmente quando  vide l'altro, figlio Pirro battere la strada dei suoi antenati,  dovette certo venire a più miti consigli verso Giovan Paolo,  e permettergli di seguire la naturale tendenza del sud ingegno*   Xon crediamo punto di errare asserendo quindi che egli   stesso lo consigliasse a lasciare Cosenza, dove presto la scuola   di luL.cra salita in grande onore, ed a recarsi a Napoli,   dove già egli occupava la carica di regio consigliere di   . S.« Chiai-a (1\   Però inclineremmo a credere che il P. non si recasso  allora a Napoli per la prinia volta, poiché uelP Oraiio ttd  ratritios ncapoliUiìtos dice che, essendo venuto colà per sa-  - lutare gli amici, da questi, che già per prova dovevano  conoscere il suo valore letterario, venne invitato, anzi forzato,  a tenere uù corso /li lezioni sulle Sclì:e di Stazio (2).   Non crediamo qui necessario trattenerci a discorrere  del Pontano e della sua Accademia, dopo il cenno che ne  abbiamo fatto in altro nostro lavoro (3} ; solo ci piace osser-'  vare che sebbene il P., ancora cosi giovane, si assumedse il     (1) Toppi. — Dj Orig. Tribun. — P. II, 1. IV, cap. I, pag. 239.   (2) MSS. Bibl. XoiionaU di NapoU. ^ Cod. V. D. 15. — € Ai io  praesontiaruui/ Viri patritli, quum ofiilii causa, ut amicos inviseremas,  A'I vostram rempublicaiu ornatisshnain aodique vorsum me contulissem,  ab eìndem post aliquot dies inissIoDem impetrare haudqaaquam potala  quod dicerent nostrae consuetudinis iucundltate teoeri eoe. >   (3) Un Accadeinico poHtaH'ano d€l secolo X Vi, precursore ddV Ariosto  e del Perini, pag. 21 e seg. — Ariano, Sub. tip. Appulo-Irpino, 1888.     .-• ■      \        »-:j     ^tei*«*MÌB     iimtaa^^     lm  Pantapdogia ealabra, — Napoli 1725.   (3) De Patricia consentina nobilitate. — Venezia 1713.   (4) Castiglione Morelli. — Op. cit. e Ferdinando II regi admodum  carut, cuius ingenita servitia laadantur »;   i5) MSS. Bibl. Nazionale di Napolil — La lettera in doppia trascri-  zione, si trova nel codice già descritto. — V. P. 9.      \     Il "- ■ —     K*«b     ■M«MkMd«M*^wv«*k#«J)A« j     *V^»^tlm,     ■■» ■■■     * *«     ■•   Dopo avere a lungo discorso della divinità cgizianai il  P. cosi pone termine alla sua lettera:   e Qui (Fortunae) si nonduin omncs ad unum bonos libuit  excindore, si nomon Aragouium propitìa rospicit, te, lapsis  tuomm rebus, incolumen servabit, discot abs te clcmcntiam,  mitissimoque Principi mitis aliquando fiet. Tu rnrsus maio-  res tuos intueri debes, ascitos coelo, operamquo dare ut, nude  per iniuriam doiectus cs, industria virtusque te rcponant >•   Come ognun vede, questo Priucipo aragonese per iniu-  riam scacciato dal trono, non ò altro che Ferdinando II, il  quale dopo la battaglia di S. Oermano e l' insurrezione degli  Abruzzi, non avendo potuto mettere un argine ali* invadente  piena, che si era rovesciata nel suo regno, lasciò Napoli per  fuggire alla volta di Ischia.   Merita similmente di essere riportato il seguente brano  della lettera in esame :   e Audio (1) te esse egregiae iudolis adolescentnlum,  animo alucrem, iugenio pótentem, frugalitatis et contincntiae  in istis ani^is admirandae, patientem laboris, a voluptatibus  àlienum, firmiterque laturum quicquid inaedificare, quicquid  tibi fortuna voluerit imponere >•   Dai passi succitati, specie da quest'ultimo, in cui è  descritto minutamente il carattere di Ferdinando, chiara-  mente si vede come tra il Principe ed il giovane filologo sia  esistita, pia che una semplice relazione, una vera e cordiale  amicizia, che crediamo abbia avuto origine fin da quando il P.     (1) Audio è qui adoperato noi significalo di conoscere ; Cfr. Cicerone:  4 Audit igitur mena divina de s^ngalla ».     ^^ -■ - . ■ _. .. .A--, -1- a . lait. "-Tfc'- i r» t - ■ ■■' ■^■■* m» . « i^ ^i i H m» » . - ; e fo-  ccndogli affidare V ufficio di e Oavaleris penes Oapitaneos  terrarum Montaneae et Civiteducalis, x>otcstatc substituendi,  cum gagiis et emolumentis, lucrìs et obvcntionibus solitis  et consuetis et debitis >.   ^on ripetiamo tutti gli elogi proiligati nel documento in  parola ; ci limitiamo a riportare solo il seguente brano, in cui  chiaramente si vede l'alta stima, che il re Alfonso ed il  principe Ferdinando avevano del P. : '   e Nos autem habentes respectum ad merita sincerae     (1) Chàritio. — Endimione. ^ Canxooe Vili.   (2) Le rime di BenedeUo Gareih, detio il Chariteo. — Napoli  MDCCCXCII — V. I, pag. XLIV.   (3) Erroneamente il Tafuri crédette di identificare nel Barrhasie dtà  Chariteo, Giovanni Marrasio ; come pure a* ingannarono coloro i quali  supposero che fosse Francesco Barrasio, « regio consigliere et presidente  di Camera >.   (4) Archivio di Stato di Napoli. — Collaterale prìviL Aragon., V. VII,  14M-95« C 7S.        .* ■ «        20 VITA DI A. GIANO PARRA8IO     clovotionis ot fide! praefati Pauli, ac considerantcs sorvitia per   oum Majostati nostrae praostita et impensa iis et aliis   considerationibas et causis digne moti, praefato Paulo ad eius  vitae decarsum iain dieta officia. ..;• haberi volumus prò in-  sertis et expressis et declaratis. >   Pare però che il P. non abbia occupato a lungo questa  carica, che, se gli procurava danaro ed onori, non doveva  certo concedergli il tempo necessario per dedicarsi ai suoi  studi prediletti.   Ecco perchè nel 1405 lo troviamo a Lecce (1) in DeeU"  iiam 8cribarum^ carica molto onorifica, alla quale non poteva  aspirare e nisi honesto loco natus, et fide ot industria co-  gnita 1 (2). . -   Di queste due cariche sostenute a Taverna ed a LeccCi  si rammenta poi il P. con rincrescimento e disgusto quando^  svaniti i sogni dorati della giovinezza^ si dedicò di nuovo e  con pia lena allo studio delle Jettere : e lam vero piget  neminisse quod ab ingenuis ai-tibus ad calamum militiamque  me tradaxit (Fortuna) i (3):   n P. né in questo, né in altiì luoghi ci dice quando  impugnò le armi ; non crediamo però di errare, sostenendo  che ciò sia avvenuto nella lotta degli Aragonesi contro  Carlo Vili e non dopo la caduta di questi, e ut consuleret  sibi patrique i, come crede lo Jannelli (4)«   Come i suoi illustri antenati, nei quali rifulge inteme-  rato il sentimento della fedeltà e della gratitudine, il P. corse  subito a prestare Peperà sua in difesa del suo signore, e se  dopo, come abbiamo visto, egli si penti di ciò, bisogna rl-     (1) Apologia del Vallo, 1. cit. — € Ipse Janus in eam provinoiam  (Japjgiam), quam pater rexit, adolescens Scripturam fecit. >   (2) Ivi.   (?) Ouaesùa per epi%i. — Orai, ante pralect. in epist. Cie. ad Att.  (4) Op. cit., pag. 26.     h     ~'^ -*~'^ "' - r - I I i*' i ' 1 ^ 1 là i M "j     • • . ,. .. .■■.     i \ Mr '^ •"•" ''     VITA DI A. GIANO PABRASIO     21     cercamo la causa nel suo giusto risentimento, quando vide  la sua devozione ed il suo zelo indegnamente ricompeasati  da re Federico.   Oi parrebbe quindi verosimile che il P. seguisse il prin-  cipe Ferdinando, quando con un corpo d'esercito fu mandato  da re Alfonso nelle Bomagne, e che prendesse parte a tutte  le vicende di quella poca fausta spedizione contro l'Aubigny,  ed alla stessa battaglia di S. Germano.   Ciò non risulta chiaramente da alcun documento, ma  siamo indotti a crederlo da quello speciale interesse, che il  P. mostra di aver preso alla causa aragonese, e da quel  continuo accenno alle armi, a cui, altrimenti, non sapremmo  dire in quale altro periodo della sua vita egli si sarebbe  rivolto (1).     (1) Torna utile riporUro i seguenti versi di un epigramma del P.  contro il Nauta, suo fiero nemico (Apologia di Vallo):  Si fortuna levis de Consule Rhetora fecit.   Et ferulam gerirous qua prius arma manu.  Nonne eoe...  La parola co9isìU ci farebbe credere che il P. fosse giunto a qualche  alto grado nell* esercito aragonese.     \     ■ W ■■ I !■     i«A>^i— •'^bA* ^a^^>*^»>        >'•» »iy~- '««Jwti w>i>»i' » .a ■■* IW »^f *m' ^rtèmtmr'nmmm     .•••,• • • ...        CAPITOLO in.   Il Parrasio in disgrazia di re Federico.  Integrità e fermezza del suo carattere — Dimora a Roma.     n P. conchiade la sua lettera a Ferdinando d'Aragona  col voto di poterlo rivedere, prima di morire, sul trono degli  antenati : e onte meos obitus sit, precor, ista dies >•   n giorno desiato non tardò molto a spuntare : dopo  quattro mesi, il 7 Luglio 1495, Ferdinando rientrò in Napoli,  festeggiato dal popolo, e cosi il voto del fedele P. fu piena-  mente adempiuto.   Allora questi fu reintegrato, insieme col padre, nell'ufficio  perduto dopo la conquista di Carlo Vili, e ritornato a Lecce,  si dedicò con ogni cura all'emendazione del testo di Solino: (1)  e Si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis ego  nomen proftteor meum : Ncapoli, Lupiis, in Japygia Apulia,  nactus antiquoe reverendaeque vetustatis exemplaria..... »   Ma Ferdinando II godette ben poco del possesso del  trono ricuperato, poiché dopo un anno appena morì, la-  sciando la corona allo zio Federico, che, inetto a regnare,  diede V ultimo crollo alla dominazione aragonese.     (1) AtSS. DibL Nazionale di Napoli, — Da una lettera contenuta nel  Cod. cit. V. F. 9, diretta non sapremmo ben dire se a Oiovan Battista  Pio Bolognese o ad Aldo Pio romano. — Inc. € Atqul tua cum bona  venia fallit te ratio, mi Pie, »     \     MiJII *!■.     "-* Vii r J rrn ' " r '~ - V t f'^-'f^J'^^^''^     VITA DI A. GIAlfO PABBA8I0 26   come nelPavvei^a fortunai oltre che per l'amore, che ad essi  lo legaya, por la speranza e honestioris gradus, maionunqae  commodorum > (1); ebbene ora, invece del premio dovuto,  di quel posto onorato, di quegli agi sognati, gli si gettava  in faccia l'accusa di traditore.   Il giovane letterato aveva forse sperato di poter col  tempo raggiungere l'alto grado del Beccadelli e del Fontano;  ma dinanzi alla dura realtà quei sogni dorati erano svaniti,  gettandolo nel più grande sconforto.   Ecco come dolorosamente egli esclama contro la maligna  sua sorte: %   € O calliditatis inauditum genus ut (Fortuna) iuvando  noceret, ad opes me evexit et dignationem I Verum simulao  animadvertit eius aura, simulatoque favore de pristina vitae  ratione nihU in me mutatum, passimque meas omnes acces-  siones industriae magis et probitati, quam sibi acceptas  referri, vehementer oiTensa, confestim passis alis evolavit,  ne virtuUs comes esse cogeretur > (2).   Oh come questo brano tutto rivela lo strazio di quel  cuore addolorato I e quale triste verità nelle ultime parole,  che accennano allo spietato abbandono in cui tanto spesso  la fortuna suole lasciare il virtuoso I   Ma l'abbattimento morale, in cui era caduto il F., fli  puramente passeggiero : fornito di quella lealtà incarnata nella  virtù e di quella gagliardia di propositi, che reca in sé una  potenza a cui nulla resiste, dopo la penosa impressione del  momento, si senti subito forte per vincere le diflBcoltà e  sopportare la sventura.   Anzi questa, ben per tempo, rivelò in lui ciò che Q  Settembrini ben definì corona e gloria della vUa, cioè un nobile     (1) Parrasio. — Orai, ante praelect. epist. Ciò. ad AtL, Matthaai. —  Neapoli, MDCCIAXI« pag. 244.   (2) W. ,     \     '■ - ■■■'•- ■ -- - -'^- i . iì_ I -r^ ■ ii - i --"- -'- ' ' ■ • ■ ■ ■ ■ - r^'ir s     26 VITA DI A. GIANO PARRÀSIO   6 grande carattere : al giovano inesperto successe V uomo  dalla fibra gagliarda, il quale, come vedremo, nelle lunghe  peripezie della sua vita, anche quando tutto gli venne meno,  ebbe ancora un terreno sul quale restò invincibile, il coraggio  e l'integrità.   Ecco come egli nobilmente si esprime :   € Ego nihilominus, ut meum nunquam ratus, in qnod  incostantia Fortunae ius haberet, quod alieni foret arbitrii,  quod auferrì, quod crìpi, quod amitti posset, in eodem vultu  prqposìtoque permansi, Quumque vicem meam dolerent omnes,  (quod indicat incolumi statu qualem me gessissem*) solus ego  furienti Fortunae laqucum mandabam » (1).   Fiere parole, in cui tutta rifulge questa splendida figura  di calabrese, che nelle calamità della \ita resta saldo a guisa  della torre dantesca, e assicurato dalla buona compagnia che  V uom franclicggia, eleva baldanzoso la testa e con aria fiera  e calma volge ai suoi calunuir.tori uno sguardo, in cui si  compcnctra generosa compassioue ed odioso disdegno per la  viltà, che striscia ai suoi piedi.   Ben diverso però è il P., che ci presenta lo Jannelli:  freddo ed insensibile dinanzi a quelle pagine palpitanti di vita  reale, in cui si sente tutta l'ambascia di chi si vede colpito  in ciò che aveva di pia caro : Ponore, il nostro biografo ci &  del suo protagonista! un girella della peggiore risma, che, ve-  dendo e inane Aragoniorum imperium fatali casu in dies ruere >)  diviene, insieme col padre, aperto fautore dei Francesi (2).   Cataldo Jannelli, a sostegno della sua asserzione, non  adduce altra prova che qualche parola di lode, che il P. a-  vrebbe rivolta, molto posteriormente, ai Francesi, durante la  sua dimora a. Milano (3}; il nipote Antonio poi crede di     (1) Orai, cit., ed. cit., pag. %iA e seg.   (2) De vita et icriptis ecc. ed. cit., pag. dO e seg.   (3) Op. cit., pag. 30.     > ii^i'/" »■ iir.— . r>^.iin^ii -i.JMé ■ !■ m'imI mk^ i' V*««>i>hi^iiilW [j^WjiWiiM; M>iM»W li» IfiI^ l'^l 11 ^«yy Q \»t ' ' 1 ' *> 'l ^^ l| tf »^rfi>>ii»WiW ■ T i K i * *iteto  di tiranno (3}«     • •     Lasciata Napoli, verso La fine del 1497, non poteva fl  P. essere più felice nella scelta della citta, destinata quale  agone dei suoi studi : in Roma infatti l'Accademia, fondata     (1) Jani Parrh. — Epìstola ad Michaelciu Ricciura, ante Sedolii et  Prudcntii cariuìna. i«iw*i ^i«i^i*ii>     >--- — -■ ■ ■■■ ■ • ■ «'     28 VITA DI A. GIANO FABBA8IO     da Pomponio Leto, aveva raggiunta altissima fama, chia-  mando colà molti fra' più dotti letterati del tempo, quali  Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, il grammatico Sulpizio  Venilano, il valente grecist-a Augusto Baldo e, per non parlare  di altri, Tommaso Fedro Inghirami, giustamente detto dftl P.  e fiicilis, expeditns, plenus humanitatis » (!}•   Fin dai primi giorni in cui il P. conobbe quest' ultimo si  senti legato a lui della più salda amicizia, che, per mutar di  eventi, fu sempre viva e sincera (3). L' Inghirami, all'alto  sapere congiungendo una non comune bontà d'animo, fu uno  dei pochi veri amici, che abbia avuto V infelice P., ed in  molti casi, come vedremo, fu per lui la vera ancora di sal-  vezza.   Libero omai dalle fantasticherie giovanili, e spinto da  quel tiranno signore dei miseri mortali: il bisogno, l'umanista  calabrese si dedicò agli studii con più amore ed alacrità che  non avesse fatto x)er lo innanzi (3), riuscendo, dopo non molto  tempo, a completare la correzione del testo di Solino e di  quello di Ammiano Marcellino (4).   Ben presto occupò un degno posto tra' più illustri let-  terati, che allora professavano a Boma, e diede subito chiara     (1) Orat. ante praelec. epist. Cic. ad Att., ed. dt., pag. 240.   (2) Orat. cit., pag. 247 € ut me, quo priroum die Romae \idit, aro-  tissime complexus est; ut auctoritate, gratia, testimonio suo prolixe  iuvit, ot in omni fortuna semper idem fult »•   (d)MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. — Cod. V. D. 15. — Orat. ad Sen.  Medici. € Immo paupertas iampridem virtulis et doctrìnae contubernalis  est..... ; quippe qui dum integris opibus et incolumi patrimonio floreha*  mus, litteranim studia remissius assectabamur ; ubi vero-communis illa  tyrannorum procella no», ut bonos omnes, involvit, ardenter adeo man-  suetloribus Musis operam dedimus ».   (4) MSS. R. Bibl. Sai. di Napoli. — Cod. V. F. 9. — € Ammlani  Marcellini Rerum gestarum libri penes me sunt omnes quot extant, ex  antiquissimo codice Romae exserìpti ».     • **- •- •-"     x*:.     VITA DI A. GIANO PABRA8I0     29     prova del suo sapere, specie nella disputa avuta con Antonio.  Amiternino. Questi, quasi del tutto igniaro della lingua greca,  aveva messe fuori delle vuote e cervellotiche interpretazioni,  che voleva gabellare per irrefutabili. Il P. in sulle prime  cercò di fargli comprendere amichevolmente gli errori in cui  era caduto ; ma quando vide che si ostinava nella sua opi-  nione, anzi aveva osato finanche minacciarlo di morte, non  ebbe più alcun ritegno di rendere di pubblica ragione la poca  valentia del protervo grammatico (1).   Essendosi cosi acquistata alta e meritata fama, gli fti  assegnata nell'Accademia la cattedra di oratoria, mandato  molto onorifico, che egli seppe disimpegnare con zelo e dot-  trina (2;.   Appunto in quel tempo fu scelto a maestro di Ber-  nardino Gaetani, figlio di Niccolò, duca di Sermoneta, a  di Silio Sabello, giovanetti di assai belle speranze (3). Parva  che un'era di pace e di tranquillità fosse sorta per V infe-  lice P. ; ma purtroppo allora Boma gemeva sotto il giogo  di Alessandro VI, lo scellerato pontefice, di cui, come ben  disse il MacchiaveUi, tre ancelle seguirono le sante pedate :  lussuria, simonia e crudeltà.   Forse molti dei delitti di casa Borgia saranno stati inven-  tati dall'accesa fantasia dei romanzieri ; ma non si può certo  sconvenire che fu sparso innocentemente il sangue -di nume-  rose vittime, per sola sfrenata smania di potere. Tra questa  bisogna ascrivere i due cari ed amati discepoli del P., Silio  e Bernardino, barbaramente trucidati dagli emissari pontifici,     ri) Quaesita per epist.^ ed. di. pag. 155-168.   (2) MSS. R. BM. yaz. di SapoU. — Cod. V. D. 15 — Orai, ad  Seti. Mediol.: € operain dedìmas, ut et nos hactenus non poeniteat, et aK  aliia idonei esistimati »imas, qui Romae, io arce totios orbis terraram,  oratoriam publice profiteremur ». * •   (3) Vallo. — Apologia; Orat. praelec. epist. Cic. ad Att.« edix.  ciu, pag. 247.      A     --"-*-^^ ..i^^^j*-:— ^:.-»-^>.--^^ - 1'- - 'l^-l^r '.111 I ■■-■■     IWH     _m ■ ■ M ■ 1     30     VITA DI A. GIAMO PARaASIO     solo perchè le loro famiglie non si erano forse mostrate lige  ai nefandi voleri del Pontefice, che pur di fondare pel figliuolo  Cesare uno stato, che comprendesse tutta l' Italia centrale,  non la risparmiava ad ogni sorta d' immani scelleratezze.   Poco mancò che il P. stesso non fosse coinvolto nella  disgrazia dei suoi alunni e, se ri usci a salvarsi, lo dovette solo  all' intercessione, ai consigli ed agli aiuti dell' amico Inghi-  rami (1).   Allora, al x)rincipio del 1499, il P. si recò a Milano (2),  dove gli erano riserbati infiniti altri dolori.     (1; Oratio ante praelec. epist. Ciò. ad Alt., ed. cit., pag. 247: € quam  Bollicite euravit Phaedrus, Alcxandri VI pootificatu, ne me Bernardini  .Caietani, neo Silii Sabelli tempestaa involveret ».   (2) Vallo. — Apologia : € inde quoque disoessit, ususque Consilio lu-  venalia, in Galliam citeriorem migravit »• * >   Orat. cit., pag. 247: € audivit in Gallia citeriore portolo iam me  tenere^ Mediolanique publice conductum profiteri ».     - \     é« -]           . i     . «•• •• .-. f     CAPITOLO IV.     U Parrasio a Aliano.  Importanza storico-letteraria di questo  Lotta col Ferrari e col Nauta.     Luigi XII, oltre le vecchie pretese sul regno di Napoli,  a causa del matrimonio di Valentina Visconti, figlia del duca  Gian Galeazzo, col suo avolo Luigi di Turaine, affacciò queUe  sul ducato di Milano, e, vedendosi favorito nei suoi disegni  dalle gelosie e dalle discoi*die dei x)rincix)i italiani, si affrettò  a mettere in opera il suo disegno.   Assicuratasi l'amicizia di Alessandro VI e della repub-  blica di Venezia, mandò in Lombardia un esercito, ohe in  breve tempo costrinse Lodovico il Moro a lasciare il ducato  ed a riparare nel Tirolo, il 2 settembre 1499.   Ma ben presto i Francesi con le loro soperchierie fecero  rimpiangere il governo del Moro: questi pensò di trame profitto,  e, disceso rapidamente con un forte nucleo di mercenari  Svizzeri, fu accolto festosamente dai Milanesi.   Il suo trionfo fu però breve ed illusorio, poiché venuto  a battaglia, presso Novara, con l'esercito francese comandato  dal Trivulzio, i Buoi Svizzeri si rifiutarono di combattere  coaitro i loro compatriota del campo francese, e cosi la sua  rovina fu bella e decisa.     \     I»!^"***     Mm iM ■—     ■1 ■ M ' i » * *^ h »S»>»mmi^*mm^^^i0mi     >m*^m     ■^t*a     ■tfhrfi*»* ^■'h- -««wAhAi**     ':**     33     VITA DI A. OIAIfO PABBA8IO     . /     Fallitogli il tentativo di fnga, il Moro fa preso e man-  dato a finire i suoi giorni nella torre di Locheé ; cosi il  ducato di Milano ricadde sotto la dominazione francese.  Laigi XII propose al governo di esso il cardinale Giorgio  d'Amboise, il quale, fedele ministro del sao re, vi riscosse  ben trecento mila ducati per le spese di guerra, inasprendo  coUe sue angherie sempre più l'animo dei Milanesi.   Forse per coonestare in certo modo questa sua condotta,  il cardinale si adoperò a che fosse continuata in Milano la  nobile tradizione degli studi umanistici, ohe ivi avevano a-  vuto valenti cultori e pptenti mecenati.   Si sorbava ancora colà memorili della munificenza dei  Visconti, degli onori tributati al Petrarca dall'arcivescovo  Giovanni, e degli aiuti largiti da Gian Galeazzo, Giammaria  e Filippo Maria agli umanisti del tempo : Uberto e Pier  Oandido Decembrio, Antonio Loschi, Gasparino Barzizza,  Francesco Filelfo e tanti altri ; come pure era vivissimo il  ricordo della protezione accordata ai letterati dagli Sforza,  soprattutto da Lodovico il Moro, che aveva fatto della ca-  pitale lombarda uno dei principali centri di coltura d'Italia (1).   L'Amboise protesse anche lui i buoni studii e fti largo  di aiuto agli umanisti, ohe allora professavano a Milano:  Giovan Battista Pio Bolognese (2), Giulio Bmflio Ferrari (3),  e, per non parlare di altri, il celebre grecista Demetrio Oid-  oondila (4).     (1) TiRABoecBi. — op. eit., T. VI, pag. 19.   Rosmini. — Storta diUUoM, T. HI, 1. XV, pag. 274, Milano 1820.   ^) Sax. — Eiti. Lùter. Typogr. Mediai., pag. 431.   Aboslati. ~ BM. Script. Mediai., T. I, P. Il, col. 871, 893.'  TiRABOSCHi: — op. eit, T. VII, P. Ili, pag. 272.   (3) AxoKLATi. ~ op. eit, T. \\, P. 11, eoi. 2111.  Sax. — op. oli., pag. 38, 44, 332, eoe.   (4) Aboslati. ~ op. cit., T. II, P. II, eoL 871, 808.  . Sax. — op. oit., pag. 39, 43, 279, 420     ""•*•■' "^ *"'.' •»■*» '" • * ' Vii" - ^ I • | --" i '-' iiii r i r i rnij i nriV •"• - ii " lì rfcÉTliiiniiit\     VITA DI A. GIANO PASBA8IO 33     Fiorivano allora anche valenti poeti : Oiovan Mario  Cattaneo (1), Lancino Curzio (2), Stefano Dulcino (3), Gio-  vanni Biffo (4), Pietro Leone (5), tutta una flora di eletti in-  gegni| in mezzo ai quali venne a brillare Aulo Giano Parrasio.   Como dicemmo altrove, questi giunse a Milano nel prin-  cipio del 1490, come ci attestano chiaramente oltre la sua  lettera dedicatoria del De Raiìtn Proserpinat all'amico Ca-  tulliano Cotta, pubblicata anno maturius dalla eua venuta in  questa città (VII Kalendas januarias MD) (6), la prima lettera  inviata da Vicenza a Gian Giorgio Trissino (ex aedibus tnis  pridie Jdus decem. 1506) (7), e l'asserzione di essere rimasto  a professare e octoqne per annos in Gallia Citeriore » (8).   il tempo che il P. dimorò a Milano a ragione può dirsi  il periodo più burrascoso della sua vita, a causa delle lottOi  deUe persecuzioni interminali, e di quella sterile guerra d'in-  trighi e di basse calunnie, di cui egli fu vittima.   Quel periodo però fu anche il più produttivo del grande  filologo calabrese, il quale appunto allora a noi paro che     (1) Sax. — op. ctt., pug. 524, 526« eee.  Tirar. — op. c'Um T. VII, V. LI, pag. 201.   (2) Aroxlati. — op. cit., T. I, P. II eoi. 531.  Sax. — op. cit , pag. 42, 359, eoo.  Giovio. — Elogia Vir. Uu. iUustr.^ pag. 74.   L uo Creo. Girai/ 'I. — De poetit sui temperisi Dial. I.  Rosmini. — Vita ilei Maresciallo TrivuUio. Voi. 1, pag. 020.   (3) Bakoell. — Novell. LVIII, T. IL — Sax, pag. 307, .314.   (4) Sax. — op. cit., pag. 39, 139, 310, 353, eoe.  Mazzuchklu. ^ Scriu. d' ItaJUa; Rosmiki. — Vàa dai Hear.   Triwd.. pag. 020. ^ •   (5) Sax. — op. cit., pag. 401, 403.   **yM!' . ' . ■ * 'ortatì (L - IV) (4).   Noi però più che ai versi di Lancino Curzio, Cesare Sacco,  Gerolamo Plegafota, Stefano Dulciuo, Giovanni Biffo, quando  non avremo assoluto bisogno della loro testimonianza, ci at-  terremo aUe orazioni inedite del Cod. V. D. 15, pronunziate  dal P. a Milano.   Sono circa una ventina, di cui alcune hanno interesse  puramente letterario (5), altre ci forniscono xireziose notizie  biografiche.     (1) Op. cH., pagg. 19, 37, 38« 57 ecc.'   (2) Anecdoti Hi gloria^ bibliografia e antica, pag. 12-18. —- Catania,  Tip. Francesca Galati, 1395.   (3) Praefat., pag. XIX ; Op. 37, 38, 62, ecc.   (4) € Ad Jan'uin Parrhaa. neapol. — In nuptiis J. P. et Tbeodorae  Calcondylae », pag. 14-18.   (5) Bpitalamla 11 — De Justitia — De Jore — ^ Praelectio — Praefatio  in.Lucium Florum ot Valerium Flaccum — lu Lucium Florum — Praefatio  in Liviuin— Praefatio in orationes Ciceronis^rraefatio in Achilleldtm ecc.     \     àmktw,titi ihi^t^ »•■■     ^■«■haaa-^^i— • ^     36 TR4 M A« Gl^aO PAKBASIO   Queste, che pobblieliereaio ute^ralaieate is appevUee^  crediamo che debbano disporn ia questo nodo^ per ordìao  di tempo: e Orationes II io lliootianaa. — Oratio ad Seaa-  tom Hediolaaenseoi. — Oratio ia Minattannm — la Loeiom  Floram* — PmeCitio ia Femoai. — Praelatio ia Thebaida ».   Di capitale importanza, per le ootizie che a foraiseoaa  8aografo, che coli' uno e coli' altro  wu9iicre si era formata una certa fortuna.   Questi non si lasciò certo sfoggire l'occasione di sfruttare  a suo vantaggio fl giovane filologo, già abbastanza noto nel  mondo letterario, lo accolse volontieri presso di si, e gli asse»  gnò, oltre V insegnamento, fl grave e diflScfle incarico della  correzione dei codici (2), che egli poi pubblicava per suo conto.   n P. curò allora l' edizione di parecchie opere latine,  fra cui fl Cirii (3), erroneamente attribuito a Virgilio, e la     (1) Vallo. — > Apologia^ ediz. di.: € habetqua (Mioatiaaut) pe-   eoBÌAe samniani sludiani ; dignlutcs afleeUl noe ad omamentoa Titat,  ted ad quaestum, qao nttri omnia...... diligit ex animo nemioem. Caias   aiaieaa ae aimalat, io hooe loddiaa priaom aoetit »•   (2) XiSS. R. BtlfL Nas. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Oralio 10 ia  kiontiaooa : € Meom foit iUod in to benefidom, ai noaela, mona al  la domi, fona, in ro privata, in ro publica, in atodlia invi, anaUnni,  ioyì ; podet lateri qui na vicarìaa, qol diadpaloa amdiebam aohia» oC  amen da n ^ provindaa aoatinabaa »•   (3) PABaASio. — Canim. D§ Raptu Pro$€r. L HI: e varsna tz   Ciri ma n doaoa, ot aillaUa olla vaoilUntiboa, in boa radaginina nnoMioa^  IpdqDO Mlnntiano dadhaoa Imprlmaodoa ^«         VITA DI A. GIANO PABllASIO 37   Vita di quest' ultìmo, cho attribuì a Tiberio Donato (1) e  non a Servio, come molti ritenevano ai tempi suoi (2).   Ne soltanto colla propria attività il P. mostrò ol Minn-  ziano la propria gratitudine:   Questi più che dall' amore per le lettere, spinto dalla  smania del guadagno, aveva da poco pubblicate le opere di  Cicerone, in cui, con grande presunzione, aveva messo fuori  tali e tante cervellotiche correzioni, si vuote ed errate in-  tei-pretazioni, da suscitare giustamente contro di se lo sdegno  dell' irritabile genus, specie del grammatico Emilio Ferrari,  valente cultore del grande stilista latino (3).   Si schierò poco dopo contro di lui anche un tal Damiano  , Nauta, corso di origine, insieme con molti altri, i quali tutti  gli si scagliarono addosso, mettendo in mostra gì' infiniti  errori, di cui erano rinfarcite le opere pubblicate.   Il Minuziano, di natura temerario ed aggressivo, cercò  di lottare contro i suoi avversari e di difendere il suo la-  voro ; ma le sue argomentazioni furono abbattute dal Fer-  rari, il quale pubblicamente, manifestissimii argumentii omr-  niumque coìiseMH, lo chiamò reum lanciìuiti, praecerpti fNr^r-  siqtte Ciceroni$' (4t).     (1) Anche il P., come molti altri dotti, attiibuì a Tib. Claudio Do-  nato la Vila di Virgilio, che altri poi, corno parrebbe realmente, attribui-  rono ad Elio Donato, il quale avrebbe attinte non poche notixie dalla bio-  grafia di Virgilio contenuta neiropera di Sve'onio € De vlris illustribus »•'   Il Valaraggi, che Ri occupò poi della qui^tione (Rivista di fil. class.  ▼• XIV, luglio-agosto 1885, pag. 104) ritenne che la biografia appartenesse  ad un anonimo commento alle Ducolicì^e, fra le cui fonti bisognerebbe  ascrivere il commento di Elio Donato e forse quello di Servio.   (2) Parrasio. — Comm. De Raptu Proserp. 1. I., v. 2. € Tiberìos  inquam Donatus, non Servi us, ut vulgo fere creditur. Sed Donati iam  titulo nostra castigatione Minutianus impressit ».   (3) ÀRGSLATi. — Dibl. Script. Mediai.^ T. II, P. 1, pag. 611, 613, 615 ecc.   (4) MSS. R. Bibl. Nai. di XapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. IH in  Minutianum.     \     * ' —**'''** ''^^'■*"*' "**'"*• ''-^-■^—' ì n n f^_ 1 i ~ r - i " ìl i --- - — * -' -* • ^ "-     ■r^tr     38 VITA DI A. GIANO' FABRA8I0     Fu allora che il P.y vistolo in quel serio imbarazzo, per  quanto convinto e dolente nel tempo stesso di dover soste-  nere un' ingiusta causa, pure fece parlare al suo cuore la voce  della riconoscenza, e prese a difendere il suo ospite (1) e o-  biecto Minervae clipeo » (2).   Essendo il Minuziano poco caro alle Muse, e non sapendo  maneggiare quell'arma perfezionata del tempo: l'epigramma,  il P. si senti cosbretto a scrivere dei versi, che quegli  mandava ai suoi avvei*sari, gabellandoli per proprii (3).   Questi però non toi'darono a scoprire il vero autore, ed  a scagliai'si di conseguenza contro di lui, costringendolo cosi  a venire in campo aperto.   Xon si sgomentò puuto il P., con epigrammi vibrati e  pungenti rintuzzò la petulanza d^l Nauta, che l'aveva at-     (l) MSS. R. Btbl. Xaz. di ^apolt\ Cod. V.'D/IS. Orat. IH in Mi-  nutianum : € Ego qucm tu ingratum vocas (piget hercule iiiciDinissa)  suscepi tuas partcs, et quidem iniquissiinas^ quantumque in. me fuit, io-  deftfusum non reliqui, tucrìque conatus sum, cum sammo capitis mei  pcriculo, ut vestrum plcrosque meminisse confido ».   (2* Vatlo. — Apologia.   (3) Crediamo cbe appunto allora Lancino Curzio, fiero nemico del  Minuziano, che egli per prima forse denominò Appura Musca, (Sax.  Hiat. Liti. Typograph. col. 401-403) scrivesse queircpigramroa (pag. 32,  1. Ili Epigram., Milano. 1521) finemente ironico : Ad Fabium ParrhasiuM  Calvum Neapolitanum ^ sul quale il Mandalari richiamava raUcnzione del  futuro biografo del grande umar^is'a (op. cit., pag. 17) :   DocU Parrhasii delltlae, FaU,   Vates nec modicus Pieridum in graft ;   Ex quo pr«csos opem dot, facit et rabl  Ut sis   Doctis docta refer, die : studlis vaco.   Vulgi turbae, age, die : Vale ; abl Caeo.   A queirepoca il P. non poteva aver figli, non avendo sposatela Calcon-  dila cbe intorno al 1504, né ebbe mai fratello o parente di nome Fabio,  sicché, tenuto conto di quanto abbiamo detto, riteniamo che il Curzio nel-  Tepigramma citato abbia voluto sferzare il coroo pugliese^ che si faceva  bello delle penne del giovane pavone.     ^>:      •* ■ -■ . . - - ^ - II — I - - - ■ ■*■■■' * ' "~" •' ■ ■■ '• ^ "" ■ ■ ■■        •     e     TUA DI A. GUHO PABBASIO- 31^   tAceato più fieramente e fece oomprendere al fiero eorso che  quella mano, che maneggiava la bacchetta del pedagogo^  aveva ben saputo in altri tempi brandire nna spada:   S fòrtana kris de coosale rbetora fecH,   Et lierohuai garìnms qua prìns arma mano.  Nonne eee..... (1).   Ed a mostrare che alle parole sapeva far seguire i Catti,  non ebbe alcun ritegno di penetrare nella scuola del Ferrari-  e di prendere pubblicamente le difese del Minnziano (2).   AUora gli odii si rinfocolarono e segui tra il P. ed i due  retori uno scambio di fieri epigrammi e di virulente invet-  tive (3), fino a che la .partenza del Ferrari (15, dopo avere però ancora  uua volta sfogata la sua bile contro il Minnziano ed i tristi  tempi, che lo costringevano a lasciare quella città.   n P. però non si lasciò sfuggire l'occasione di mettere  in piena luce il motivo della partenza di lui e di dare l'ul-  tima scudisciata al suo avversario:   Noo te, crede mìhi, iactae quae tempora pelliint.   Aurea lalciferi qualia ficta Dei :  Sed radia ioaulsae petulans audacia lioguae,   Luxua, et omento piaguis aqualicolus ^.     (1) Vallo. — Apologia.  {Z) Op. di.   (3) Lo Jannelli ha diligentemente raccolti tutti gli epigrammi del P.  In Aemiliam — In Nautam », op. cit., pagg. 188-104.   (4) Aroslati. — op. cit., T. II, P. II, col. 2111.  ^) Comm. De Baptu Proserp., P. I, pag. 42.   Jakiuoxi. — op. cit., pag. 188.      \     "■^1 ^''l" ''"' ."'■'l I " "'**•' " ■•.. ^^ ' >■... . . ■- - », m i -, I I y 11 ì ^^-^.- ^ . . . ■ ..^ yr .     40 VITA DI ▲. GIANO PABBA8I0     n Minuziano, data la bassezza dol suo carattere, a la  poca stima della propria dignità, e quam post unibram la-  celli semper habuit » (l), non comprese, né potè apprezzare  il sacrifizio che il P. aveva fatto per Ini.   Appena messi a tacere i suoi nemici, egli si dedicò con  pin ardore di prima e qaaestuariis artibus » (2), e poco o nulla  riconoscente verso il suo valente difensore, lo invitò a ritor-  nare all'antico e faticoso ufficio, per contribuire cosi, disinte-  ressatamente, ad appagare la sua ardente sete di guadagno.   Non poteva certo il P. rassegnarsi più a lungo a quel  tenore di vita, che logorava le sue forze, senza nemmeno  procurargli una comoila e tranquilla esistenza ; sicché, ade-  rendo al consiglio di quelli che apprezzavano i suoi meriti,  abbandonò la casa del ^Unuziano, ed apri scuola a so in casa  del carissimo e bravo discepolo Catulliano Cotta (3), che  generosamente gli aveva offerto ospit>alità, per strapparlo dalle  unghie deU'avaro pugliese (4).   Questi finse di non dispiacersi di questa risoluzione del  P«, e gli concesse volentieri il permesso di eseguirla; ma in  cuor suo giurò di vendicarsi, e si apparecchiò a quella lotta  vile ed abominevole, in cui spiegò tutte le sue male arti  per rovinarlo (5).     (1) ìiSS. R. BM. AVu. di yupoli. Cod. V. D. 15. — Oratio I io  Miootianimi.   (2) MSS. R. BM. N(u. di NapoU. Cod. V. D. ISi — Oratio III in  MinaUaiiiiiD »•   (3) Parrasio. — Epistola ante Comm, De Raptu Proserp., Milano 1501.  e Qttom lualtos oronis onlinis aetatisque diacipulot habeam, monim gratta  earìssimos, noster in te amor praecipuus est et sìngularis »,   (4) Comm. De Rapiu Proserp., 1. IH, v. I. — € tu nos invidiae   lelit eiectos opibus et otBciis cumulatissime iuveris ».   (5) Vallo. — Apologia, — # Habeas confessum reum (Janum) ab   Alexandre vel unum discipulum abduxisse, praeter Catullianum Cottam,  euiua ospitio Janus est usus Alexandri permissu, nisi simulata fuit eius  ormtio ».     I - ■*-**tr--'» i j > I I.'' nia'i ni> ih^l I» rliy-'a^iif Tf rtal^ J*     •l-fiiri.É" irnS "f'"\' i^ — [*--ì"fT1 — — .-J*»^-^^pp««^^iit*=a      (3).   n P. in sulle prime -non diede gran peso aUe tristi insi-  nuazioni del grammatico, e si limitò soltanto a proporre agli  alunni il medesimo esperimento del flautista tebano, Ismeneo,  ohe invitava i suoi discepoli ad ascoltare altri suonatori, per  Cftr loro meglio comprendere ed apprezzare recceUeuza dei-  Parte sua (4).   Incoraggiato dal plauso generale, il P. si dedicò con  maggior lena ai suoi studi e riusci a pubblicare dopo non  molto tempo il suo commentario al De Paptu Proserpinae di  daudiano, dedicandolo, quale attestato della sua gratitudine,  a Catulliano Gotta (6).   • n lavoro del P., di cui ora non daremo alcun giudizio,  non poteva ottenere miglior successo : il Curzio, il Mariano, il     (1) Vallo. — Apóìo^.   (2) MS3. R. DM. No», di Napoli. Cod. V. D. 15. - Orai. I in Mi-   noiianum: € poetaram genera nostrìs tantum non verbis enumeraret,   qoaaque nos anno superiore ex auctoribns graecìs aceepta, vobiscum  oomanicavimua, eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, inagno verbo-  ram strepitu blateraret ».   (3) MSS. R. BM. Noi. di Napoli. Cod. V. D. 15.   (4) MSS. R. Bibl. Noi. di NapoU. Cod. V. D. 15. * Orat. I in Mi-  natianom: € Id nos exemplum, quod maxime probaremus, in usum revocare  tentavimus, an aliunde factum putatis, ut illam pecudem vos auditum  miserlmos, quam ut recenti periculo cognoscatis quid inter Apollinis et  Marsiae cantom differat ».   (^) CI. Claud. 2)é R£^u Proserp.^ com Comm. A. Janl Parrhasii,.!  MedioL 15». /     « •        l^^lfirrfìiilfei >jfÀiàlÌit'^Ìij.>i»;|ii.i'i|  m »> 9i , 'r\ir ,tm, ^     VITA DI A. GIANO PABBÌ8IO 48   Cattaneo, il Motta, Tommaso Fedro Inghirami scrìssero dogU  epigrammi, in cui ne magnificarono le lodi ed elevarono al  cielo i pregi peregrini (1).   In mezzo a qncsto bel coro si fece sentire la stridula voce  del Minuziano e di pochi altri suoi pari, che, non potendo  criticare il Commento, fecero dilToDdcre la insulsa x)anzana  che il P. aveva raffazzonato e spacciato per proprio un  codice di Domizio Calderine, morto pochi anni innanzi, di'  cui era venuto in possesso (2).   Non s'accorgevano i ribaldi che in questo modo ricono-  scevano e sancivano essi stessi il merito indiscutibile - del  PaiTasio.   Questa pubblicazione e le altre due : De viris illustribuè,  opera da lui attribuita a Coinelio Kepote (3) ed il Carmen  Paschale di Sedulio cogli scritti di Pioidenzio (4), dedicati con  bellissima lettera all'amico Michele Riccio (5), gli procaccia-'  reno maggiore stima presso i buoni, e soprattutto la be-  nevolenza e la protezione di Stefano Poncherio. coltissimo     (1) Coroni, al De Ra^du; Valix) - Apolotjia; Jannelli — pag. 45 e seg.   (2) RoLANOiNi Panati — livectivae in.Jaiiiim ParrhHsiuro. — Di questo  rarmiiuo incunabulo 8i conserva una copia nelli Biblioteca Ambrosiana  di Milano. . .   (3; CoRNELius Nkpos — Ds viris tUuslrihM, ab A. Jane Parrhasio  et Catulliano Cotta, qui editionem curavit, ix probatissimis codidbos  emendatus. — Medici. 1500.   Nella seconda parte del nostro studio esarainercrao le ragioni addotta  dal P. a sostegno della sua tesi (Cod. V. D. 15 — De viris illustrìbos  cuius sit), che, per quanto ardita e ben sostenuta, non può reggere ai*  colpi della critica moderna.   Cfr. AuGUSTUS Reiffbrscueid « C. Sretoìfiii Tranquilli praeler  Caesarnm libros reliquiae, — Lipsia,^ Teubner, 1800.   (4) Seoulii Cannen Paschale et Prudentius. — Mediol. 1501.   (5) Tirar. -;- Storia della Lett.^ T. VI , P. II, pag. 259 ; Argblati —  op. cit., T. li, T. I, pag. 1503; Tafuri ^ Scrittori del Regno di Napoli,  T. m, P. I, pag. 64. . ^     \     • • -   .. «•■•* ..■•■■» •••^» • K .. -•. • «-* •• •% ■     V     ■^ ^ — — .^j Éj.*.^e^'.A>-i^ :^ *^ ^^^^W |rt^j_«.-p^^ j ^j^     • H* ■• "           44     TITÀ DI a. GIANO PASRÀ8IO     vescovo parigino e presidente del Senato milanese, venuto  in qualità di Gran cancelliere insieme col cardinale d'Amboise.   Grazie ai buoni ufBci del Poncherìo, il P. potè ottenere  che per quattro anni non fossero né stampate, uè vendute  le suddette opere, a danno delPautore, e in tote Mediolanensi   dominio sub poena aurei uuius prò singulis volumi-   nibufl > (1).   n P. cercò di rendersi sempre più degno della stima  accordatagli dal Poncherìo (2), il quale, avendo conosciuto da  vicino i meriti di lui, gli fu sempre largo di beneficii e onori,  sino ad invitarlo spesso alla propria mensa (3).   n Minuziano, che non aveva potuto, o meglio aveva  temuto di avvicinarsi al dotto prelato, temendo, come la not-  tola, la luce del sole, nonché il e controllo > di quella giusta  bilancia (4), senti macerarsi maggiormente dall' invidia ed  acuire il suo sdegno contro il Parrasio.   Nel secolo dell' umanesimo la calunnia era Parma a cui  solevano spesso ricorrere i e gladiatori > della penna, in queUe  loro interminabili contese, destate per lo più dalla loro am-  bizione sconfinata, e da quello spirito insofferente di giogo,     (1) Mediolani, die primo Julii 1501, et Regni nostri quarto — Per  Regem ducem Mediolani — Ad Relacìontm Gonsilii.   Dal diploma originale, riportato dallo Jannelli, op. cit., pag. 48 e teg.   (2) MSS. R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I in Mi-  not. : € In praeeentia diligenter seduloque caTebimus ne patria am-  plissimi Stephani Poncherii, Senatus principis, ac saerosancti nostri regis  Archigrammatici fallare iodicium videamur, quippe quum nos, qui sumrous  bonor est, sais annumeret, ac, ut est in bonos omnes munificns, maio-  ribns in dies anctet praemiis ».   (3) Vallo — Apologia: « Amplissimus Stephanus Ponoherius.....  hnmanarum divinaramque rerum perìtissimns, Jane oonviotore deleotatar ».   (4) MSS. R. Biffi. Na$. di Sapoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I in Mi-  nut: € cur ad salutandam (Poncherium) nondum venitf Nempe quia  Dootna solem fugit, neo audet Uli tmtinae se committere »•     ìckMMttMUépiaéUMaHiMfiaà     TITA DI A. OIAHO TABRàSiO 45 '   cbe, faecimno nostre le parole del Voigi (1), portò 1a Tite ed  il faoco nel campo sereso dcirarie, il malconiento e P in-  trigo nel campo dei letterali.   Nelle invettiTe si prendevano a narrare fin dall' infanria  le vicende dell'avversario, mescolando al vero menzogne,  fingendo casi ed azioni infamanti, accamnlando le più atroci  calunnie, senza peritarsi di inzaccherare persino i pia sacri  affetti familiari (2).   L'animo basso del Minnziano, nato per avvoltolarsi in  simili bruttare (3), non rifaggi daUe pia atroci accaso, dalle  pia sozze calunnie per rovinare il Parrasio.   Quasi non bastasse il discredito, che cercava gettare nel  pubblico, ardi finanche d' irrompere nella scuola stessa del  suo avversario e di vomitare contro di lui, al cospetto dei  discepoli, ogni sorta di contumelie (4).   Lo chiamò ingrato dei henefidi ricevuti, lo tacciò d' im-  moralità e di tradimento, e, per colmo di spodoratezza, lo  accusò di aver commesso a Napoli un omicidio, causa della  sua precipitosa fuga da questa città (5).   In questo genere di lotte infamanti, dopo i successi ot-  tenuti, il Minuziano doveva ornai stimarsi invincibfle: altre  ne aveva già sostenute contro Giulio Emilio Ferrari, Baffiaele     (1) OiOROio VoioT. — // RisargimerUo delCantichiià dassiea^ YoL 1,  pag. 327. Fireoza, Sansone, 1390.   (2) ViTTomio Rossi. — Il QuaUrocenio. Ed. cit., fase 7-8, pag. W.   (3) ÌISS. R. DM. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. I in  Minot. : « netnini parcit, oblatrat omnibus, omnium dicfa factaque probrit  insectatur, ac ut imroundus sus cum quibus volutali qoaeiit ».   (4) MSS. R. Bibl Noi. di Napoli. Cod. V. D. ìb. — Orat. Il ia  . Minut. : « Adests tantum frequentes, Konestissimi iuTenes, inteUigetis   profecto quantum profuerit vanissimo nebuloni innoccntissimom hominaia  tot immanibus calumniis provocassi ».   (5) MSS. R. Bibl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orat. m in  Minut. : « Ego si nescis, versntissime veterator, non patrata caedo, qood  ipss fingis, sed odio tyrannidis patria cessi ».     \     ,• mti f ìtai'iMH» k0mim:^mmmmmmtm^mUmam^mmmmmm,tmfmimmé»*^mÉ li !■■>     titt^^m*tì Miii jiiifc^t^fcfci     ^M^^^M l«IM I I ■« I     -.■«••     ^ •••»•«■ *>««« •-•!     «-•« ■» » Wl II II f     ■■JM^Jbl^— .*^ |> »■>> I        46     VITA DI À. aiAKO PASBASIO     BegiO| Gioyan Battista Pio (1), Talenti letterati, costretti  dalla tristezza dei tempi a venire alle prese con on ribaldo  della peggior risma, ed a cedere forse dinanzi a lai, per non  scapitare troppo nella propria dignità.   Però avversari più fieri incontrò il Miunziano in Pietro  Leone e soprattutto in Lancino Curzio, il quale, come pare,  per primo gli affibbiò il felice nomignolo di mosca pugliese (2) :   Ut vidi, mord&x visus et nimis Appulus, atqae  Dixi : Asini in tergo est Appola Musca trueit.   n Parrasio parimenti tenne fronte al rabula petulantis- j  simus, però volle aspettare, come disse ai discepoli, il tempo I  ed il luògo propizio per scagionarsi delle accuse, che gli  •erano state inflitte (3;.   Oome pare, appunto allora il Poncherio volle dargli la più  alta prova della sua stima, ed offrirgli il mezzo per trionfare  altamente sul pedante avversario.   Per la fuga del Ferrari vacava a Milano la cattedra di  oratoria; dietro proposta del degno prelato, il Cardinale     (1) MSS. R. BibU Noi. di Sapoìi. Cod. V. D. S5. — Orat. HI in  Minot: « Sic in Julium Novarionsem, sic in l^aphaelem Regium, 8ic in  Baptistam Pium, perhumanos illos quidem, et, ut a multis audio, bene  doctos, quasi furore quodam percitus, olim debacchatum esse ».   (2) Lakcimo Curzio. — Epìgrammaton libri XX^ Mediolani, apud  Rocchum et Ambrogium fratres do Valle impressorcs : Pbilippus Poyot  fisdebat, 1521 in folio.   Di quest'opera, importante per quanto rara, si conserva nella Biblio»  teca di Brera una delle poche copie che rimangono.   (3) MSS. R. Bibl, ^az. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. II in  Minut. : € Non veni responsurus, ut suKpicamini, maledictis jurgationibus  et conviciis, quibos hesterna die nequissimus ille bipedum, non tam ma.  In qaem illa minime cadunt, quam sanctissimas aures vestras oneravi!.  Aliad certe tempus, alium locum illa sibi poscit oratio, quod ubi consti-  tatnm mibi faerit, efficiam ut sciatis ». *           •     VITA DI A. GIANO PABBA8IO 47   d' Amboise, con bellissimo diploma, invitava il P.' a oo-  capar (1). •   Solo dopo il discorso inaugurale, questi, dinanzi ni Senato  milanese, pronunziò la terza orazione contro il lilinuziano (2),  bella per vigoria e colorito d' immagini, per efficacia d,'e^  spressioni, e soprattutto per la sicurezza e la serenità dei  giudizii, dettati da una coscienza forte e tranquilla, sotto  Voshergo del sentirai pura.   Degna poi di speciale menzione è P orazione inaugu-  rale tenuta anche dinanzi al Senato milanese : se in essa  trionfa, come generalmente nelPeloquenza dimostrativa del  secolo, la rettorica parolaia, ed abbondano le digressioni|  immaginate a sfoggio di erudizione, non mancano dei pen-  sieri nobili od elevati sulla vera missione dell' insegnante^ ^  e dei precetti pedagogici, che ricordano alcuno massime di  quei due insigni educatori umanistici : Guarino veronese e  Vittorino da Feltro (3).     (1) Chioccarblli. — De illusi, script. ^ pag. 232; Jaknblu. — op. di.,  pag. 49, n. 1: « Georgius de Ambasia, tituli S. Sixti, praesbyter Cardinalis,  Archiepiscopus Rothomagcnsis, Comes Sartiranae, Regius Ultramontes,  Locumtenens Generalis Christianissiuii Regia etc, vacante loco publico  lecturae lectionis artis Oratoriae in inclyta urbe Mediolani, per absenUam  inagìatrì Julii Novarìensis, egregius Janus Parrhasius Neapolitanus pelili  8ibi de ilio loco provideri. Quare nos freti doctrina, moribus et ititeffritaU  eiusdem Jani, illi annuimus, et magistrum Janum constituimua ad pu-  blicam professionem ipsius artis Oratoriae in dieta urbe Mediolani, ad  placitum Christianissimi Regia nostri, cum solito salario (Vallo, Apol. ;  centenis quinquagenis aureis) — Datum in arce Portae Jovis, Mediol.,  die 14 augusti, 1501 ».   (2) Questa orazione figura prima nel codice, e tale fu creduta dallo  Jannelli, il quale perciò non potette delineare esattamente la vicenda  della lotta. '   (3) MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Oratio ad Se-  natum Mediolancnsem : « Non enim parum refert quam quia initio di-  sciplinam sortiatur, nam quae .teneri percipiraus altius animis insidunt,  ac ita penitus radices agunt, ut nunquam vel certe difficulter evelli queant »•     »     •» .     \     ■■-•" im '[ I " ' «J*! ! ». » l > ^»> J l■■■ § .1*1 .I»!»* tl^ I Milli* " I W ■■■     48 VITA DI ▲. GIANO PABRA8IO     L'oratore, dopo aver parlato dell'efficacia singolare che  un buon indirizzo educativo suole avere sull'animo dei gio-  vanetti, sino a decidere del loro avvenire, rivolge belle ed  acconce parole di ringraziamento al Senato od al Cardinale  d'Amboise, per la carica conferitagli, non senza però accen-  nare, con bel garbo e fine arguzia, alle molteplici prove alle  quali l'avevano prima sottoposto, certo in grazia alle calunnie  del Minuziano (1).   A differenza degli altri umanisti, i quali tutti, ad esempio  del Filelfo, con audacia più o meno boriosa, si credevano ed  amavano fiEU*8Ì credere dispensatori di gloria (2), il P. rifugge  dalla consapevole ciarlataneria adulatrice, come pure non  sembra affatto dominato da quell'orgoglio e da quella grande  vanita letteraria, riprovevole nel Filelfo, nel Poggio, nel Valla  ed in tanti altri.   Ed ecco perchè egli, con una modestia ammirevole per   e   quanto rara, prega i suoi uditori di non voler ricercare in lui  altri beni all' infuori di quelli, che gli procacciò il bisogno (3).   n P. non poteva meglio corrispondere all'aspettazione  dei Milanesi ed alla promessa fatta di adoperarsi in dieg  magie magisque, per non sembrare indegno della fiducia riposta  in lui.   Gli scrittori del tempo, quali il Curzio (4), il Giovio (S),     (1) MSS. R. Bm. Nas. di NoU. Cod. Y. D. 15. — Or. oit. € H^beo  Tobit gratias et quidem maximat. Viri claiiasimi, ac ai facaltaa daretor  etiam referrem, qui de nostrìs stodiis adeo aolliciti estis, ni me, licei  illuatris amplissimiqae Cardinalis Rhotomagensis, qui Chrìstianiariaii regia  peraonam auatinet, iodieio comprobatom, non tamen prius admiaeritis ad  endiendam Mediolanenaem iuventutem, quam Tigilantisaimia veatrìa ocalia  exliibitom aliquod perìcolam faeere apecUTeritia »•   (2) Vittorio Roesi. — op. cit«, faac. 3-4, pag. 34.   (3) Orat. di., Cod. eit. •   (4) Op. eli., 1. di.   9) Bugia Vir. Uu. iOusir., pag. 74.        VITA DI k. GIANO PABBASIO 49   il Giraldi (1), Q Bosmini (2), Q Tiraboschi (3), n Plegafeta (4),  e tanti altri ci attestano concordemente il plauso * riscosso :  non riporteremo qui integralmente le tirate rettoriche e le  lodi entusiastiche contenate nei loro pomposi epigrammi| ci  limiteremo soltanto a citare alcuni versi di Cesare Sacco (6),  che nella loro forma enfatica ci rivelano, più che tanti altri,  quel vero entusiasmo che il P. riusci a destare anche nella  più eletta cittadinanza milanese:   Dam legit et Janot concenlibas aera compiei,   Doleis et in nottras perstrepit aure eonue.  Qoae Veneree homini dictant modulamina vocis f   Hunc gratum innumerae, non Charia una facit.  Huiua in ore sedet trìplez Acheloia prole».   Canina et Astrorum porrìgit ipse manum.  Ingenita eei illi mira quam vìtIì et arie   Actio. Goncinnum quid magia esae poieetf  Adde quod hanc ditat longisaima copia rerum :   Fertile doctrinae quod gerii ingenlum !   B in verirà il P«, oltre la grande erudizione, possedeva  tutti quei dati esteriori, che tanto contribuiscono a procao»  dare all'oratore la benevolenza del pubblico : il suo occhio  vivo e penetrante, la fironte ampia e serena, che anche nel-  l'effigie ti rivela l' ingegno potente e scrutatore, il gesto di-  gnitoso e la rara bontà di eloquio rapivano ed ammaliavano  le moltitudini (6).'     (1) DmZ. i De Poetii sui t&mparii»   (2) Viia da MarudàjOù Triwdtw.   (3) Op. eli., 1. di.   (4) AxfoxLo Oabriillo da S. Maku'. — BM. degli Senti. Vicendm,  T. lY., pag. XY e aeg.   (^ Yallo. — Apologia.   (6) PiSRio Yalxbiano. ^De infeUcitate Utterai.^ L I, pag. 2U  OiOTio. — Slogia Vir. iOusir.^ pag. 806.     \        60 VITA DI A. GIANO PABRASIO   Ed ecco perchè dappertatto, anche da lontani paesi (1)|  accorrcTano a lui giovani e vecchi, valenti letterati e per-  sone mezzanamente istruite.   Fra' più assidui uditori merita d'essere ricoi'dato Gian  Giacomo Trìvulzio, che carico di anni e di allori militari,  traeva grande diletto daUe lezioni del giovane retore (2).   Questo pieno, incontrastato trionfo impose silenzio al  maligno Minuziano, il quale, dopo qualche tempo, si senti  spinto, forse costretto, a fare una completa ritrattazione (3).   AUora, verso il 1503, sia per suggerimento di Stefano  Poncherio, sia per non dare agli alunni il poco lodevole e-  sempio di una lotta indecorosa, il P. non -si mostrò alieno  dal pacificarsi col Minuziano (4).   Con questo nobile atto egli volle prendere sul suo avver-  sario la migliore delle vendette : il perdono, e mostrargli cosi  chiaramente, come disse poi ai discepoli, che e multo speciosius  est iniurias dementia vincere, quam mutui odii pertinacia > (6).     (1) Vallo. — Apologia : « Diesque me deficiet, si commemorare sin-  gilUtim pergaui quot e finitimis et longìnquis etiam re^onibufi Jani  traxerit eruditio, qui ceteros ante eum rhetores indignabantur ».   (2) Spbra. — De nobilit, profess.^ 1. IV, pag. 451 ; Spiriti. — Uo-  morie degli Sf-rittori cosentini, pag. 24 e 8eg. ; Zayarroni. — Biblioteca  eaHabra, pag. 64 ; Tapuri. — Scrittori del Regno di Napoli^ T. IV, pag.  236; Barrio. — De Sita et antiq, Ca'ab.^ 1. II, pag. 90; Baylx. —  DicUonnaire liistor. et crit,^ T. Ili, pag. .598.   (3) MSS. R. Bibl. ^az. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefatio in Per-  dum : € Quapropter omnia praotcrìta malcdicta, quae non voluntate, non  iudicio (qood ipse non negavi t), sed irapercitus, in noe effudit, familiari-  tati, qua mihi coniunctus olim fuit, et amicorum precibus condonavi ».   (4) MSS. R. BiH. Saz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Fraefatio in Per^  sium : € Minutianus Alexander, ut acitis, annis abbine duobas, an tertios  agitar, ex hospite factus.hostis, utrius culpa dicere supcrscdeo, quando fere  iustum quisque afiectum indicai, quem agnoscit, amicis auctoribus in gra-   tiam mecum rediit, et eam (quod est in me) mansuram semper Quum   praesertim' intelligerem satis in eo Pontifico meo (Stefano Poncherio) factu-  rum,' ne morum facilitatem, ad quam ipse natus est, in me desideraret ».     ^. .• • •■■., ■ ^■.■^- .^ >■-, , . ^ ^^ ^ rll ' ^r ii '[|t ii r -Tm i TìiS'iihi'ti ll 'i ai Vr'ì 1 li É n i n ì ti -unr /- f-*^*'^- f--''>^'- -m **     CAPITOLO VI.   Coltura ed attività prodigiosa dd Parrasio.   La seconda età della Rinascenza.   Grande autorità del Retore in Milano e fuori.   La Colta Giurisprudenza.   «   La soddisfazione morale provatieno sempre più vasta, le sue osserva- .  zioni sempre pia acute, i suoi commonti sempre pia profondi. .   Allora egli compose in parte, o arricchì, quei pazienti *  ed accurati lavori di compilazione, che denominò excerpta. \   In primo luogo meritano di essere ricordati gli e Excerpta  mitologica ex Pindaro > (1), che ci attestano chiaiamente  quale fosse la sua erudizione in fatto di mitologia, nelle cui  CavoIo egli fra' primi trovò un' esatta corrispondenza eoi fe-  nomeni naturali (2).     (2) MSS. R. Dibl. Noi. di NapoU. Cod. Xlll. D. 10. ^ C&rt. Mi.,,  di e. 119 non nom., oltre le guardie, mm. 291 per 175; è legato di pelle e  attesta la medesima provenienza degli altri codici : € Antonii Serìpandi ex  Jani Parrhasii testamento ». Inc. € Ex Qlympionicis Pindari », expl. eoa  un rimedio contro la podagra € et conforterà lo membro debole ».   (2) Parrasio. — Gomm. al De Ra^u Proserp., 1. 1, v. 109 : € qaod  non Cjolopea tela ». \ , .     \        J-^^m     62 VITA DI A. GIANO PABBASIO     È parimente un lavoro di compilazione fl codice (1) ohe  contiene le sentenze tratte dagli scrittori antichi, di cni egli  si servii per qnanto non sempre opportunamente, in tntte  le sue opere.   Da simile intento il P. appare guidato nella raccolta degli  e Excerpta ex Polisno et Polybio > (2) e negli e Excerpta  historica, grammaticalia et geographica > (3), come pure nella  compilazione del e Dictionarium geographicum > (4)| lavoro  di grandissima mole, che rivela uno studio lunghissimo ed  una pazienza sbalorditoia, per disporre alfabeticamente nomi  di regioni, citta, monti, fiumi, mari ecc., tratti come egli  dice € ex Strabene, Pomponio Mela, Tacito, Pansania, Am-  miano Marcellino, Historia tripartita, Eusebio, Apollonio  Bhodio, Hermolao Barbaro, Appiano Alessandrino, Nicandri  interprete, Dione Gocciano etc... >r   Meritano similmente d'esser ricordati altri due codici (6),  contenenti notizie di vario argomento, ricavate da diversi     (1) MSS. R. DtbL Nat. di Napoli. Cod. Xlll. B. 24. * Cari. aot. di  e* 21 interftmente scrìtta e non num., mm. 288 per 203; — Antonii  Serìp. etc. Ino. € si possent homiaes »; ezpl. « plenus unguenti pa*  tere videtor ».   (2) MSS. R. BiU. Nas. di NapoU. Cod. XIlI. B. 18. — Cart. aut. di  e. 70 non num., compresa le guardia e la e. bianche in principio in  ia mazzo ad alla fine, mm. 299 par 210. — Antonii Sarìp, atc. — Ex-  cerpta ex Poli»no inoip.: € Antoninus et Severus imperatorei ezeroitnm  dnxerunt in Parthos ». — Excerpta ex Polybio incip. : e postaaquam  oonsulas » ; ezpl. : € inde opima retnlit spolia ».   ^     YIIÀ DI ▲• GIANO PABBA8IO SS   autori, ed in ultimo un Tolaminosissimo e Nomenclator > (l),  di parecchie centinaia di pagine.   In questo modo il P. poto acquistarsi una coltura dar-  vero straordinaria, da non rendere poi di troppo esagerata  la lode che gli tributaya Matteo Toscano (2) :   llle sul Janus sftecli Varrò, ille vetarnam  Torpentem excussit^ torba magistra. Ubi,   E non altro che lui, colla sua erudizione e col suo se-  vero metodo scentifico, poteva rinfocolare negli animi l'amore  per i buoni studi, e indirizzarli a più alta e più nobile meta:   Tra il 1458 ed il 1466 erano morti Alfonso d' Aragona,  Cosimo dei Medici, Pio n, Francesco Sforza, tutti potenti  mecenati ; come tra il 1457 e il 1463 erano morti Lorenzo  Valla, il Poggio, il Guarino, Flavio Biondo.   Nel 1465 si era poi compiuto un assai importante av-  venimento, si era cioè impiantata la prima officina tipografica  noi monastero di Subiaco, por opera dei due tedeschi, Oor»  rado Schweinhcim e Arnolfo Pannartz.   Notevole riscontro di date, dice il Bossi (S), che par  segnare il tramonto di quel periodo della Binasoenza, che  fu di preparazione e di fermento della materia letteraria.  Grazie alle insigni scoperte fatte dagli umanisti, la miglior  parte della letteratura antica, che era sfuggita all'     Tariique argomenti ex plurìbus auctorìbus digettae » : — Ine. € Persona  Theodorìci », expl. € neo Xanthos uterqae »•   MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. XIII, B. 22 (*;. — Cari. aut. di  mm. 278 per 199 — Anionii Serìp. eie. — Inc. € Indice Galeoti et Me-  rulae de homine » ; expl. € Indice Hermolai ».   (1) léSS, R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V, D. 3. — Cari. ani. mm. 325  per 227 — Antonii Serip. etc. — Inc. e Atticas et Marcus Bratos »;  expl. € ex Eusebio, de temp. 41 »• .   (2) Peplum ludiae^ pag. 63.   (3) Vittorio Rossi. — il Quattrocento, ed. oli., fase. 11*12, pag. 215w     \        1 .     64 VITA DI ▲• GIANO PÀHBASIO   dei tempi, si oiTriva allo stadio dei dotti ; non restava quindi  che saper (are buon uso di quei metodi, meglio appropriati  all'interpretazione e alla critica.   A qnest' ultima quindi spettava, come afTerma il Bossi (1),  di trarre dalle conquiste dei grandi eruditi trapassati tutto  il frutto possìbile, di affinare col savio uso i loro metodi, di  attuarli rivedendo, correggeudo, commentando la suppellet-  tile classica.   Questo difficile comx)ito si assunse e disimpegnò nel più  alto modo Aulo Giano Parrasio, col quale si delinea netta-  mente la seconda età della Binascenza, in cui la critica e  l'arte raggiungono la loro maturità.   La stampa ben presto si era propagata in Italia, e a  •non lunghi intervaUi di tempo Eoma, Venezia, Milano, Ve-  rona, Foligno, Firenze, Napoli avevano avuto la loro officina  tipografica.   Non sempre però accadeva che nella revisione e corre-  zione dei classici vigilasse la mente esperta degli accorgi-  menti critici di un Giannantonio Gaiupano, o di un Gian-'  nandrea Bussi, di un Lascari, di un Erasmo (2) ; spesso le  edizioni erano curate da avari ed inesperti tipografi, che,  spinti dal solo desiderio di guadagno, al pari del Minuziano,  stampavano e diffondevano nel pubblico le opere degli scrit-  tori antichi, riboccanti di errori (3).   Contro questi veri profanatori dell' arte antica si sca-  gliò fieramente il P., e con tutte le sue forze si dedico  alla correzione dei testi, che nel triste stato in cui erano  ridotti dai tipografi, come egli disse, non sarebbero stati ;     (1) Op. cit., pag. 216.   (2) Maittairb. — Annal. Typogr,^ ▼, I, pag. 122.   (3) MSS. R. Bibl. Na:. di Xap. Cod. \\ D. 15. — Orai. Ili in Mi-  not* : € Et la unquaio poteri t illum quaestom facere, quem non ex offi-  cina, sed laniena libromm, quam maùmam iadtf ». .     .•^ , ■ I* ■*'     T _ ' "l" - "     VITA DI A. GIANO rAERASTO     65     pia riconosciuti dai loro stessi autori, se fossero ritornati in  vita (1\   Fedele al suo programma, il P., dopo la pubblicazione  dello splendido commento al De Baptn Proserpiuae e degli  altri lavori, di cui abbiamo tenuto parola, nel 1503 mise fuori,  dedicandolo a Stefano Ponchorio, De Regionibus urbii Samae  lihellus aureu» del psoudo Publio Vittore (2), che, coUe ag-  giunte già apportatevi da Pomponio Leto, divenne la più iiiH  portante guida topografica di Boma. Un anno dopo vide poi  la luce V opera dal titolo : Probi instituta artium et aliorum  grammaticorum fragmenia (3), che dedicò a M. Antonio Cu-  sano, giovanetto che alla nobiltà del casato 'congiungéva  mente eletta e sentimenti generosi (4).   Intanto il P. con anlore incredibile emendava i classici,  apportando dovunque la sua opera di critico profondo ed illu-  minato. A questo periodo di lavoro intenso e geniale dobbiamo  i seguenti importanti commenti, sfuggiti all' avarizia fraieeea     (1) MSS, R. Bibl. Nat. di .VopoZt. Cod. V, F. 9. » De UtIÌ indice:  e De latinis vero quo me Vertam nescìo, ita mendose ecrìbuntar et to-  neunt. Utin&m non nostri temporis haec iustior easet querela ! certe ego  non plus in alienis erroribua confutandia, quam in exponendia aoUquorum  acriptia inaudarem. Sed affirraare iuratiia et aancte poaanm, aio omnea ab  Impressoribua inversoa esse codices, ut si auctorea a postliminio mortìa  in lucem revocentur, eoe agnituri non aint ».   (2) Il vero titolo deiropera del pseudo Vittóre è: Notitia regionum  Urbis Romane.   (3) Aldo Manuzio. * Instit, grammai,^ 1. IV; Akoxlo Spera. —  De Nobil, profess., 1. IV, pag. 451 ; Bayli. — Dictionnaire histor^ et  crit.^ pag. 599, n. D. ecc.   (4) Parrasio. — Epistola ad M. Ant. Cusanum^ ante Probi Inst. ete.     \     ^'•^- -^TUM- l'-j'^ "■Hlf ^'ì^'-^-'- tjf -—- - •^- «■■^.-i^-^. .*^^«.— »■-     T&ania»i'iii— 4>^Mfc»» n i>i ft n i ■ fM Éi i -jfi 11 -'-v*-- ! '     66     TITÀ DI À. GIANO PABIUSIO     e all' incuria dei eustodi (1): e Valerii Maximi Prisoorum exeui-  plorum libri II (i) ; Kotulae in I Od. Q. Horatii Flacci (ii) ;  In lOnvi Valerii Flaeei (iii) ; Commi'ntarii in Horatii Poeti-  Cam (iv) ; AdnotatUmei in Caesarie Commentarios (v) ; Adno-  tationes in Epistolae Ciceronii ad Atticum (yi) ; N'otae. in Statii  Silvas (yn); Adnotationes in Tibullum (vili); In Ciceronii  Paradoxa adnotationes 7— Commentarii in Livii libroe: De  bello Macedonico, et in Lucium Florum (ix) >•   Parecchie altre opere, che sono andate perdate, furono  composte durante la dimora del P. a Milano ; fra queste  degnissima d'essere ricordata quella dal titolo : Quaeeitii per  epietolam, di^ cui non ci resta che un libro solo dei venti-  cinque da lui compilati (2}. Quest'opera da se sola baste-  rebbe a. darci un' idea precisa della profonda coltura del P.  e dell'alta fama raggiunta. Da ogni parte d'Italia si ri-     Ci) MSS. R. DM. Naz. di Nap. — (i) Cod. cart. aat. XIII, B. 14 ;  (11) Cod. cart. &at. XIII, B. 15 ; (ni) Cod. cart. aut. XIII, B. 20 ; (it) Cod.  earU aut. XIII, B. 23 ; (v) Cod. cart. ant. V, D. 3 ; ^ti) Cod. cart. aot. V,  D. 13; (tu) Cod cart. aut. Y, D. U; (viii) Cod. cart. aut. V, D. 22;  (ix) Cod. cart aot. V, D. 12. .   A proposito di quest* ultimo codice non sarà foor di luogo ricordare  il seguente brano della Frac fatto in Livium (Cod. V, D. 15) : e L. Flomm  praelegi, qui carptim compendioqae popoli romani scrìbit historias. In eo  castigando simol enarrandoqoe quantom Tigìlianim, quantom laborie  exhaoserim, testes mihi sunt omnes qoi tum nobis operam dabant. Qoorom  nonnollos non tam mea, quae mediocris est, eroditio trahebat ad aodien-  dom, qoam qoaedam, ni fallor, expectatio, qoa ratione curarem tot rol»  nera, vel, ot verios dicam, carnìficinam, qoam librarios (il Minoziano) in  Floro sic exercuerat (Id. Janoar. 1502), ut novae cicatrici locus non esset».   (2) OiOTANNi Pier Cimino. — Episi, nuncup. ad CorioL Mariyr.  Inst. Oramm. CharisU: e Brat enim ad editionem iamprìdem paratom,  librisqoe constabat cireiter quinqoe et viginU ».   Enrico Stefano. -^ Epist. ad Lud. Casuilvetr.^ ed. De Rebus 1540 ;  NicoDBMi. — Addizioni alla Dibl. Nap. del Toppi, pag. 87 ; Marafioti. —  Cron. ed amie, di Calab., pag. 264; Tiraboschi. - Storia ecc., T. VII, P. III«  pag. 330; Oinournì.— iTótotiv Uu. d'Italie., V. VII, pag. 214, ParU 1810.     ♦ . - ' . a        VITA DI A. GIAMO PABRASIO 57     volgevano a lui per aver schiariineuti di questo o quel  dubbio, per V interpretazione di questo o quel passo con-  troverso ; ed egli con una modestia, non meno rara della  sua affabile liberalità, non negava a nessuno il suo giu-  dizio, che, come canta il Salemi, era venerato al pari del  responso deli' oracolo di Delfo o di quello di Dodona (1):   .... credas Delp&is oracula Phoebum  Aut Dodonaeas ornos, quercum|ue locutat.   Da ciò appare che il P. negli studi di erudizione teneva  incontrastabilmente il primato, da non temere punto di schie-  rarsi, alPoccasione, contro i più rinomati umanisti del tempo,  fosse anche un Poliziano (2).   Certo, facciamo nostra la giusta osservazione del Fio-  rentino (3), il contendere la palma all'eruditissimo Poliziano  e il biasimarne i giudizii richiedeva non piccola autorità,  quando non fosse stata audacia e sfrontataggine senza pari.  Da quanto abbiamo detto chiaramente appare che un simile  rimprovero non poteva toccare al Parrasio.   • • •   A questo punto crediamo opportuno far rilevare un altro  grande servigio arrecato dal P. alla scienza, durante la sua     (1) Salerni. — Sylvae*' In Jani obùu Epieedion^ pag. 110 e Mg.  ed. Neap. 1596.   (2) MSS. R. BibL Kos. di Napoli Cod. Y. F. 9. — Lettera a persona  ignota : « Non vìdeo cur ad me acribas a Politiano Domltii sententiam  non probari in illad ex prima Papinii Sylvula : RKenus et atUmiH vidù '  domus ardita Dati. Nisi forte vis ut Politiano sabtcribam, vel a calamuia  Doroifium defendam »•   Quaesiux per episL^ ed. Matthaei, pag. 1Ó : € Lia est mihi cum Po-  litiano sinuosa (a proposito di un passo di Virgilio) »•   Op. cit., ed. cit., pag. 225 e seg^: € Et audet PoHtianns asserere  Trapezuntium multa fecisse rerum vocabuìa ex imitatone veteram » eoe...   (?) BiBXARDiKO TsLKsio. — V. I.« Flrenso, sncc. Le Mounier, 1872.     \     ^m N » ^ ■■ ^f^»     i»i ni » »i^»v ■ M ■■ ti^Mli 'H awi mw*4 ' ** "     i^M^»J>»'>»l 1 ■ ■ ^ij ■ 1^ »1» ji«»« i»l !*>«■■ «I II I H * I I I t        58     VITA DI A. OIAKO PARRA8IO     dimora a Milano, quello cioè di aver contribuito non poco  al sorgere della Colia Oiurisprudenza, di cui fu caposcuola  il suo discepolo, Andrea Alciati.   Senza punto occuparci dei primi due periodi della col-  tura del diritto romano, la Glossa e lo Scolasticismo, ci  limitiamo a ricordare che si deve esclusivamente agli uma-  nisti quel mo\imento reattivo all' indirizzo precedente, in  cui avevano avuto grande predominio le peripatetiche spe-  culazioni, il vuoto formalismo e l'arte delle infinite distin-  zioni suddistinzioni, che avevano ridotta la dottrina del  diritto romano ad un convenzionalismo dogmatico.   La lotta contro i giuristi, cominciata dal Valla con la  famosa lettera contro l'opuscolo di Bartolo da Sassoferrato,  De insigniii et armi$, trovò plauso negli altri umanisti, soprat-  tutto nel Poliziano; e se suscitò al principio un grave scan-  dalo, valse a rimettere in onore lo studio negletto delle  fonti ed a far conoscere la grande importanza del metodo  storico-filologico. Questo rinnovamento, iniziato dai lette-  rati, fu poi recato completamente in atto dai giuristi e,  primo fra tutti, da Andrea Alciati (1).   Questi, mettendo a profitto il suo sagace discernimento  e la sua vasta erudizione, coll'aiuto di codici da lui dissep-  pelliti nelle biblioteche, riusci a restituire alla loro esatta  lezione molti passi di Erodoto, di Polibio, di Appiano;  altri emendò in Plauto, in Terenzio, in Tito Livio e special-     ''^     (1) Gravina. — De ertu et progressu iurù civilis. € lurìspnidentiA  Alciati manu ex humo sublata, oculos ad primordia sua reflectens, vetera  ornamenta nativamque digoitatein a priscis ropetiit auctoribus ; cumque  Alciati discipuli ex Gallia et Italia universa conspirarent, eorum praesidio  iurisprudentia se in prìmaeva eruditìone atque elegantia cpllocavit* quaeque  in Imeni, Accursii et Bartoli scholis viret exsenierat, retonta rubigine,  cultu eruditoruni et industria littcrarum elegantiarum, exuit barbarìem  el nativam explicuit venustatem ». y •     !■ ■ rm^     nix DI ▲« GIAHO PARRA8IO 69     mente in Tacito, determinò l'indole dello stile dei migliori  giureconsulti, per cogliere il senso dei loro consigli nelle  Pandette, descrisse «Uligentemente le variazioni del diritto  pubblico romano, i>er conoscere lo spirito delle leggi in ogni  età, e colla sua profonda critica gettò la luce sui passi pia  difficili e controversi (!)•   Ora domandiamo : l'Alciati a chi va debitore di questo  critico indirizzo, a cui deve la sua famaf   Se qualcuno, neiracnme e ncireleganza di dettato del-  VAntore deWclegantc giHritpruiìemza, riconobbe i lieti frutti  deir insegnamento del Parrasio (2), la cui scuola egli firc^-  quentò dal 1504 al 1506, compiendovi, ancora giovanissimo,  gli studi d' umanità (3), nessuno, per quel che sappiamo,  ha aucora bene osservato che il metodo tenuto dal grande  giurista ncir emendare i testi degli antichi giureconsulti  è quello ^stesso tenuto dal P» nella correzione dei clas-  sici, e che da qucst' ultimo, molto probabilmente, apprese  anche i primi elementi della dottrina del giure. B e' indu-  cono in questa opinione due altre preziose orazioni inedite :  « De iustitia, De iure >, le quali ci attestano che il P. a  Milano, dietro invito del Canlinale d' Amboise, fece parte     (1) Giuseppe Prima. — Andrea Alciati. -* Orazione inaugurale  letta neir Univ. di Pavia. — Milano, Stamp. reale MDCGCXI.   (2) RoBBRTELLO. — A»not. ad Var. toc., 1. II : Tibi vero gratulòr,  Alciate, quod Jannm Parrìtasium^ virum doctissiiBuin, a puerìlia nactos  fuoris praeceptorein. Nunquam enim tua scrìpla lego, quin mihi illiua  recordatio viri oecurrat, adeo diligentis et perspicacia in veterum locit   emendandis, atque expUnandìs Homines qui ignorant talem prae-   ceptorcm tibi a pueritia contigiese admirantur postoa quantum eUam in  hoc ttudiorum genere valeaa. Ego, qui id iMsio, nec miror et laetor »•   k3) Claudio Minois. — Vita Alciati ante Emhlemata ; Quoio. -»  Epiii, Clar, et doct, Vir., pag. 81 e^eg. ; Tiraboschi. — Op. cit., T. VII,  P. II, pag. 106 e t^g.     \     jaiiiBiiiiii     i*^**»«m«i i>      ,>A^-"» >*■■*•     • - «•     • - - - r ^ #•_ .^ -^--     I     ,/     /     CAPITOLO VII.     Attinenze del P. con Demetrio Calcondila.   1   Sue condizioni. — Nuove lotte.  A:cuse infamL — Partenza da Milano.     Il P., nulgrailo lo tristi vicende toccategli/ senti sempre  per Milano U pia grande attrattiva, a segno da preferirlai  dopo Napoli, % tutte le altre città d' Italia, come con belle  parole dichian ai suoi discepoli (1).   A rendetli cosi piacevole quel soggiorno' contribuì,  senza dubbio.prima V amicizia e poi la parentela contratta  col valente gecista, Demetrio Oalcondila. Questi, chiamato  a Milano daLodovico il Moro nel 1491, dopo aver inse-  gnato, per t^ti anni e con molto plauso, a Padova o poi  a Firenze dda cattedra resa celebre dall' Argiropulo, vi  ebbe le più liete accoglienze, venendo egli a soddisfiure  quel vivo Uiogno sentito dalle menti, dopo la meta del  secolo XV, dponoscere cioè ed apprezzare le opere immor-  taU dei Gì      (1) MS8. R.m. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — PrtefAtio ia  Thebaida : « Egouom prìmum appuli in hanc inclytam civitatem 6t  latÌ8HÌmo dignamiperìo, eìut amplitudine captua, hanc animo meo   proprìam sedem U Nam post illam felicissimam Campaniaa oram   in tota Italia nullii usquam secessum solo virisque meliorem, qaiqiie  mihi M«diolano mls arrìdeat, invenl ».     \ •     i»)itj,„'Éartiì,L     ■toMUÉMMÙ*     •tuli I wii     .•-(.•"'• -     62     VITA DI A. GIANO PABUASIO     n P., appena giunto a Milano, cercò di avvicinarsi al-  l' illnstre ateniese, per potere ancora niegfio apprezzare i  tesori del mondo ellenico, e trovò in lui uia guida sagena  e illuminata e affetto veramente paterno. . l   Frequentando la casa del Oalcoudila, ej^li ebbe agio di  ammirare la coltura o le belle qualità mora! della figliuola  di lui, Teodora: sebbene questa non potes» vantare né  grande bellezza, nò forte dote, se no invaghi\ la foce sua  sposa (1), intorno al 1504, come si desume daunepigramma  scritto in quelP occasione dall' amico Lancino Cil^io (2).   D'allora in poi il. P. abitò in casa del suocera, dove potè  conoscere molti valenti letterati, venuti a ^lilant per appren-  dervi il greco, fra' quali Giaugiorgio Trissino (1|0G), il quale  pare abbia fatto dimora presso lo stesso Calondila,. come «  e' inducono a credere una lettera di quest' ulmio «liretta a  lui e sei altre del P*, da cui traspare la pinjgrande fami-  liarità e domestichezza (3).   Cominciò cosi un periodo di tregua nelUvita del P.,  ma nou fu molto duraturo, poiché vennero ditinovo a tor*  montarlo le strettezze finanziarie e i suoi nmici, che gli  piombarono addosso ancora più rabbiosi di praa.*   I Milanesi, se gli furono larghi di applauso onori, non     (1) MSS. R. DM. Noi. di Xapoli. Cod. V. D. 15. A Praefatio in   Thebaida: « placoit in spcm prolit ot rei faìnili» Thcodoram,   Demetrìi filiam, mihi adiungerc, in qua non forma, quan ea inediocria  est, ut appellat Ennius, non oiTertam dotein, quae ma «ine morìbus  ex|>etitur, animuroque ineum non facile capit, scd ingfiat artes, intè-  gritatein vitae, et super omnia |>atri8 eius affinitatem Retavi ». ^   (2) Op. cit., ediz. cit., pag. 80 ; Jannelm. — optt., pag. n2« -   (3) KoscoB. ~ Vita é PctUi ficaio di Leone X, trad./ Luigi JBossi. —  Milano, Sonzogno, 1817, V* X pag, 143 e aegg.   11 traduttore ri u venne queste lettere nella corrisddenza epistolare  del poeta vicentino, conservata dai Trìssino dal Yeld*Ofo.     V •        VITA DI A. GIANO PABBASIO 63     lo furono altrettanto nel ricompensare le sue fatiche (1). Di  ciò abbiamo chiara prova in un'altra orazione inedita, in coi  il P. candidamente fa nota ai discepoli la sua triste condì*  zionci ricordando loro, con aniarezza, il detto di Aristotele  che cioè il povero difficilmente e raramente giunge all'ac-  quisto della scienza (2). Quanto diverso era stato il suo giu-  dizio sulla povertà nclVOratio ad SetMlum McdioUinensem t   Non deve recar punto meraviglia che questa ed altre  volte la miseria abbia bussato alla porta del P. • In quél  secolo, ben chiamato dal Graf il secolo dei ciarlatani, chi  non si tirava innanzi, chi non gridava e magnificava la sua  merce, chi non prometteva più di quanto potesse attenere,  correva rischio di morir di fame (3).   ^ Bifuggendo il P. da ogni bassezza e dalle quae$tuarU$  artibìii dei letterati del tempo, era naturale che non guaz*  zasse mai nell'abbondanza/   Il Poncherio, conosciute le condizioni poco floride in cui  egli si trovava, non mancò di venire in soccorso di lui, affi-  dandogli il proficuo incarico dell'educazione e dell' istruzione  del nipote Francesco (4). Ma ciò, se valse a sollevare il bi-     (1) MSS. R. Bihl. Naz. di Napoli. Cod. Y. D. 15. — In L. Flomm :  € Nam quid aliud, ornatissimi ìuveoet, in tanta rerum difficultate, quid  a1ittd« inquam, facerem, quum publica stipendia non procederent, et al  qnae privatim consequor emolumenta, vix emendis olusculit satis essentf »   ^ MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — In L. Flomm :  « Quippe ai viatica desint, ut vocat Aristoteles, omnia ad acientiam eo-  nattts irrìtus est et inania, et quantocumque labore diligentiaque, mille-  simus quisque vix evadei ».   (3) AUraverio il Cinquecento^ pag. 110 e aeg.   (4) MSS. R Bibl. Kaz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — In L: Florum :   « Nunc autem quum pater amplissirous Stephanus Poncheriua quo,   quasi sacro atque inspoHato quodam fano« boni omnes utuntur, non ho-  nesta solum mihi praemia constituerit, sed, quod magous honor est,  nepotis ex fratre sui curam'milii delegaverit »•     \ •     — i -^-- ■ ■ -•■*■- --> ! I I ■ ■ > ' 0""'t_-' 1 -_t^' a I - 'c I ■ *• » r »j ' Il M libili iiit — i j j I r II l ii — ^ - 1 "     64 VITA DI A. GIANO PARRA8IO     lancio domestico del povero retore, noD potè ridargli la  tranquillità dello' spirito, turbata ancora una volta dagli  antichi nemici.   Primo ad uscire dal suo agguato fu il perfido Minuziano,  il quale, avendo corrotto un ribaldo sacerdote, discepolo del  P., fece sottrarre a quest' ultimo il commento al De bello  Macedonico di Livio, frutto di tre anni di assiduo lavoro,  pubblicandolo spudoratamente col proprio nome (1), e dedi-  candolo per giunta ai successore del Poncherio, Carlo GoiTredo.   Questo fatto indignò fortemente il P., che memore degli  altri torti ricevuti, senza alcun indugio, rese di pubblica  ragione V impudente plagio. H Minnziano, vedendosi brutto  e spennacchiato, al pari della cornacchia esopiana, per ven-  dicarsi, non rifuggi da un' ultima vigliaccheria, dal collegarsi'  cioè col Ferrari, che era ritornato a Milano, e col Nauta,  contro i quali aveva lottato insieme col suo antico ospite (2).   A questi si uni un vero lanzichenecco della penna, fac-  ciamo nostra un'altra espressione del Graf, un tal Rolandino  Panato, che indettato e coadiuvato dai suoi amici, scrisse  contro il P. delle scandalose Inveetivae (3), che per oscenità  non hanno nulla da invidiare a quelle scritte dal Panormita, •  da Poggio, dal Valla e dal Trapezunzio.     (1) Vallo. — Apologia : « Impudentior autem praeceptor ille tuut,  iropressorum postrerout, qui Jaai castigationes in bellum Ltvil Mac«do-  nicum, grandi pretio redemptaa, ab avarìssimo quodam sacerdote (palam  rea est) intervertìt, emendatumquo Jani labore Livium suo titulo pabli-  cavit (1506) ». •   (2) Vallo. — Apologia : « Neque erubuit homo com iis in Jannui  conspirare, adversus quos certo capitis perìculo se, nomen, doctrinani,  ceteraque omnia sua tutatos fuerat Parrhasius ».   (3) RoLANDiKi Panati. — Inveclivae et Nautae Carmina. — Questa  pubblicazione, sebbene non porti indicazione né di anno, né di luogo, pure,  come notAva il Mazzucbelli, è certo che fu fatta a Milano, al principio  del 1506.     .mm^Smi^^mt^l^lCt     TRA m A. 6IAXO TkWMAWm CS     Laudo contro fl P. o^ torto £ coBioBieliey ^  o^ sorto di ribalderie, lo duamò msiumm mremdiemmt, Jmmm  /o€di$$immm Mcarmhcuwi, tmprmrimm, Ibtommw» jMrtjtfi  Don eitore altri Tilissini epiteti, che layia^o ndte  1/ infkaie rabula criticò i larori di Ini, ne^ loro o^ V'^fl^  letterario e li denomiiiò amwumtmriolm.   do Irrìdo di protesto eruppe daD'aniaio dei baoai per la  basse ingiarìe lanciato all' nomo dotto e morigerato : GioTanni  Biffo, Tanzio Cornìgero, Antonio Peloto, Pio Bolognese^ Bratt-  gelisto Biadano ed altri molti alzarono la roee contro i tìK  diiEunatori, e scrissero contro di loro de^ epigrammi di foooo,  che non riportiamo, per non intralciare fl nostro racconto (!)•  n P. neppure questo rolto si diede per Tinto, e riden»  dosi delle nuoTe insidie dei suoi aTTcrsari, si ain^arecdiiò a  schiacciarli con pochi colpi, come scriTOTa all'amico Bolo-  gnese (2). B non disse dò per millantoria, polche rinsd  complctomento nel suo intonto colla pubblicazione della dtato  Apologia di Vallo (3), la quale d ha fornito tanto e ri im-  portontl notizie.   Nessuno dei biografi del P., compreso lo*Jannelli, ha  ossenrato che il Vallo, se ebbe in essa la sua parto, non fli  certo la prìndpale: la grande erudizione, lo stfle, le dta-  zioni, comuni ad altri lavori del P., rivelano la mano del  provetto maestro più che quella del «liscepolo.   Questa volto, dobbiamo pur dirlo, il P. fu costretto a  combattere i suoi nemici colle loro medesime armi, oppose     (1) Y. Jaio«blli. — Op. cit., pagg. 58, 71 e segg.   (2) Jannblli. — Op. cit., appendic«, pag. 109: « Risi de Jolio «t   Musoa Appula, perque gratum fuit audire quid de utroque seotiret -   8ed, ut spero, noo agam Aesopi calvum,,nec expectabo Eiemis adrontùm :  paucis ictibus conteram ».   (3) Furius Vallus Echinatus in Rolandinum, pistrìni yernam illauda-  tnxn, 1505 ante sec. ed. Comm. De Raptu eto. .     \     mmm     r*^iM     i> " I •     • .- • •        «•^Ki^'     • "fc^i^i>B ap"'litT-r"i     68     VITA DI A. GIANO PARBA8I0     Una delle colpe attribuite al secolo dell' nmanesimo ta  qnel vizio abbominevole, per designare il quale si e tolto  a prestito il nome dai Greci.   Fra le ignominie che gli umanisti, a ragione o a torto,  si gettavano in faccia vicendevolmente havvi sempre in primo  luogo la pederastia. H Bcccadelli rinfaccia questa colpa al  grammatico sanese Matteo Lupi, il Filelfo al Porcello, Poggio  al Valla, il Valla a Poggio e cosi via.   Non dove sembrare quindi strano che quest^accusa tanto  comune si lanciasse anche contro il P. dal corrotto cinque-  cento, che ereditò, anzi rese più morboso questo vizio del  secolo precedente.   Infatti tutti gli strati sociali, come dice il Oraf (1), ne  erano infetti, a comijiciare da Leone X, se vogliamo prestar  fede alle parole del Giovio ; Antonio Vignoli e il Bibbiena  ne accusano preti e frati ; il Firenzuola lo chiama manza di  maggior riputazioAe, e gli prodigsftio lodi Giovanni della Gasa,  Lodovico Dolce, Andrea Lori, Curzio da Marignolli ed altri  dieci altri cinquanta, aggiunge il Graf. B che dire dell' ac-  cusa che grava su Francesco Bemi e sulla figura pia eletto  del secolo, Michclangiolo Buonarroti Y   Siamo lieti di notare che tutti, concordemente, assolvano  il P. del fallo imputatogli, prima di tutti lo stesso Giovio,  che non la perdona a Leone X (2). Ove non potessimo ad-  durre delle prove tanto convincenti, basterebbe per poco .  riflettere sulle sante massime dettate ai discHpoli nelle ora-  zioni inedite (3), osaaiinarc l'elegia in morte di Antonio     (1) Attraverso il Cinquecento^ |)ag.. 125-130.   (2) Oiovio. — Ehgia ViV. Un. t7/ii5fr., p&g. 208; Spiriti, r- ifemorM  degli sct-iitori Cosentini^ piig. 25; Qinqukns. — Histoire litt, d'Italie, Y. VII,  pag. 214; Morcri. — Grand Dictionn, histor., pag. 828« ccc   (3) MSS. R. BiU. Nnz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — PraefaUo in  Achillcidem, Cratio ad di«cipulos, Oratio ad Scoatam Mediolanensem,  Ad Mumclplum Vlncentloum tic     t'amili' ■ ma» w ^ ,n>»mt ^ t'-^     n 1 iT_ I liw ■! j I ■l'if^N» iw*iift*>ff ■ ."^ *■. ■■■'v'^' ii»mifjtmv%'8ai, Tisusqae sum orator Quid igitur aateal   dubilabant ne conduxisseut Thucididem Bntannicom, vel Ranam 'Sobri-  phiam? Sed utramque suspicìonem disonstl ».   Questa lettera e le seguenti sono dirette al Trissino, che allora  si trovava a Milano ad apprendere il greco, presso Demetrio Calcondila*   (3) MSS. R. Bibl. Nas. di NapoU. Coà. V. D. 15.     • " III wm^mf*     »Jfc^>»*M>W^ I ^ I 11 >WII^«        / '     • •     VITA DI A. aiANO PARRASIO     73     fonati) quantum vix olira Gares in Leloges, Arcades in Pe-  lasgos, Laoed(cinono3 in Ilotost »•   Fiere e generose parole che mostrano ancora una volta  quanto fosse esagerata i' accusa di coloro che negarono com-  pletamente agli scrittori del secolo XVI la coscienza morale  della nazione italiana (1).   B che realmente il P. avesse fede nel!' avvenire, d è  mostrato anche dalla seconda orazione, dove se si notano i  medesimi difetti delle altre, e soprattutto la prolissità e una  troppo sìidata erudizione, si ammirano similmente gli alti pre-  cetti pedagogici e didattici, e le sane norme dettate ai gio-  vani e ai padri di famiglia, circa i beneficii di una buona  educazione (2).   Gonosciutosi in tal modo il valoro e la nobiltà d'animo  dell' uomo bassamente calunniato, dietro l' esempio deUa  famiglia Trissino, presso la quale egli aveva trovata, nei  primi tempi, la più calda e sincera ospitalità, cominciò una  vera gara tra le più nobili famiglie vipentine, per sempre  più dégnamente onorarlo e cattivarseni) la benevolenza (3).   Nonostante tali prove di affètto e di stima, il P. non  visse a Vicenza in quella perfetta tranquillità, come credette  lo Jannelli (4), per aver ignorate le importanti lettere al     • (l) Nencioni. — Nuova Antologia, 1884, 3. bimestre.   2; MSS. R. Bibl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. II ad  Mun. Vincent : « In quo nonnulli parontet, ut hic ordiamur, obiargatione  digni sunt, qui spcs quoque suas ambitioni donant et precibus amicorom,  non minus insulse quam si gravi morbo quia Implidtus, ut amici grar  tiam colligat, oinisso perito salutiferoque medico, se committai ignaroii  cuius inscitia fonasse peidatnr ».   (3) Roseci, op. cit.,. 1. eit. : € Qni (Trissiol) nihil ad oroaodam tei-  lendumque me domi forisque omisenint, exemploqoe coeteris, nt Idem  faeerent, oxtitere. Nam cerUnt inter se Thiend, Palelli, Portensea et  Cberigati quinam de me magia promereantnr »•   (4) Op. cit., pag. 84. • ^ . ^ .     \     immmà^J^amm^t0>m^' ^*« ^ , j. j i>^ 1 1 ^,n ^».w ».^,^»*.«i»i» . »! I »«■ *■■■■ a «» «ii ' i^iai^ ■ T i ri i ^ ■■. ì .i -. - ««-ìLm     74 TITA DI A. aiÀifO PARBASIO   Trìssino: prima la podagra (l), che aveva cominciato ad af-  fliggerlo fln da quando si trovava a Milano, e poi gì' invi-  diosi e ignoranti grammatici gli turbarono, come ftl solito,  la pace dello spirito.   n P. , irritato per i tranelli tesigli da un tal Antonio da  Trento e da un perfido sacerdote, di cui ignoriamo il nome (2),  accolto nella sua scuola in qualità d'hypodidascalos, aveva già  deciso di lasciare Vicenza, quando, per la opportuna ed elBcace  intercessione del Trìssino, non solo recedette dalla presa riso-  luzione, ma concesse anche il perdono all'infame sacerdote (3).   Malgrado i continui fastidii e le non lievi cure dell' in-  segnamento, il P. non tralasciò i suoi studii prediletti, che  continuò a coltivare con amore e profitto, pubblicando, a  breve intervallo, i seguenti importanti e pregevoli lavori:  Claunulae Ciceronu ex epistolin familiaribus (4); Breviarium  Rhctoriec9 ex aptimU quibunque Oraccis et Txitinis atictoribuM  depromptum (5); Probiliistituta artium et Catholica (2*ediz.) (6);  Conieliìis Franto — De nominum verborumqM differentiU et  Fhoca grammaiiou$ — De /laudi nota, atqne de aspirationè  libelluè (7) ».   Questa ricca produzione letteraria ci fa argomentare che     (1) RoscoB. — op. cit., 1. cit. : € torqueor incredibili po-   dagrac dolore : quicquid est mediconim, quicqutd phannacopolarain din  noci uq uè conti ncnter exerceo >•   (2) L* indegno prete era Irato contro il P., mal sopportando che que-  Mlo avesse chiamato nella sua scuola e prediligesse il cosentino Ant4)nio  Cesario, uno dei pochi veri e costanti amici delPinfelice umanista,   '3) RoscoB. — op. cit., l. cit, : « Sacerdos tuas est apud me laUs  honcsta condì tione (12 ag. 1508) ».   (4) Veicetiab, MDVHI, per Henrìcam librarìam Veicet et Jo. Ma-  rlam oius flllum, in 4.   (5) Kal. Jan., MDIX, per Henricnm «te.   (6) MDIK, per Henricum ete   (7) VUI Id. Febr., MDIX etc..... ^      i/j » n i ì I II » * !■■■ / ■ ■ »     m jÈJì iV ■■*'nM>-|f mk Iri i> i liikJ^'-     • ■• ■ ••• .. .     m i0i ii\ Vii i^i ■!> ri tf i     - •• - ♦     VITA BI A. GIANO PARRA8IO     75     il P. negli aitimi tempi della sua dimora a Vicenza, se visse  in poco floride condizioni economiche, da essere costretto a  ricorrere talvolta al Trissino per qualche xirestito (1), non  dovette però essere più molestato, come per lo innanzi, da  nemici maligni e invidiosi. Allettato quindi da quella tran-  quillità relativa, succeduta alle lotte interminabili, forse egli  non sarebbe cosi presto partito da Vicenza, se non fosse  sopraggiunto il pericolo della lega di Cambrai.     Appena salito sul trono di S. Pietro, Giulio II mostrò  il suo fermo proponimento di ricomporre lo stato della Ohiesa,  che era andato in frantumi, non per favorire il miserando  nepotismo, come avevano .fatto i suoi predecessori, ma per  fondare una monarchia pontificia, che potesse dare al papato  il necessai*io prestigio. A tal uopo, appena si liberò di Cesare  Borgia, rivolse le sue mire contro Venezia, che si era im-  possessata di alcune terre della Ohiesa.   La Serenissima, scossa nel suo commercio per la sco-  perta della nuova via, che conduceva alle Indie, e per la  crescente dominazione dei Turchi, aveva rivolta la sua at-  tività a formarsi uno stato in terraferma. Bra riuscita a mera-  viglia nel suo intento, ma si era procurato Podio del Papi^  e l'invidia dei principi italiani e dei potentati stranieri, che^  il 10 dicembre 1508, conchiusero a Cambrai una formidabile  le^a e per ispegnere, come incendio comune, l'insaziabile capl-  digia dei Veneziani e la loro sete d'ingiusta dominazione (2) »«     (1) RoscoB. — op. cit., epist. V. : oco dopo II discorso  inaogurale (1), lasciando al téAele Cesario, che non aveva  voluto abbandonarlo in qnella circostanza (2), la cara del-  l' insegnamento, al quale aveva dovuto assolatamente ricor-  rere per poter sbarcare il Innario (3).   n P., ritornato a Padova al principio dell' agosto, collo  spirito rinfrancato per il miglioramento ottenuto ai suoi mali  alle acque di Abano (4), riprese con nuova lena IMnsegna-  meuto, lasciando cosi libero il Cesario di tentare a Roma  la sua fortuna (5).   La Mumma anetoritas deUa storica cittì, in cui per prima     (X) MSS. R. BibL Sai. 4i Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefalio 'm  Horatil odM : « Si qois aliuii, ornatUsioii iiivenes, ex eo loco quem net  iKKiettlstimàin Romao Madiolanique et dcmum Vcìcetiae lonuìmas, ad  hanc iniquitaUm tamporum radactos ataat, ut privai im doc«ret, ilio qai-   dom fato eooTieiain faeoret tiquidem summa buius urbis   auctoriiat, celeborrimum Fatarii nomon, ubique gentiunn venerabile, com-  peniat omao salarli dotrimootoni ».   (2) Lo Jannelli, noo avendo ieooto alcun conto della lettera del P,  %1 Cesario € ex Aponi baliceia », ritenne che quest* oltiiro € excessli  Viooentia (Romani) XI!! vel Xll Kal. Jonii ( op. cit., pag. 86, o. 3 ) ».   (3) Sputala JJ, ex Apani balinais, e. d.: « interea vale et cara   disdpuloe eraditioni fideiqne nostrae commlsaoe ».   (^ Epistola II, ex Apani balineis : « Salve, Caetari, profuemnt alU   qvaatlsper Aponi Iwlinea Bqoidem me cupio ad vot recipera   klo enln me taediam eepit remm onnlom ».   (5) li Cesario non fa accontentato nei suoi desiderii, poiché nell^  lettera inviatagli da Venesia, io data del 13 settembre 1511, Il P. %|  rallegra con Ini « quod incolurois in complexu suorum vivat accoptos  (Bpist. IH) ». Da ciò argomentiamo che la maggior parte delle Iutiere  del P. gli furono Inviate a Cosensa.      ■ « « ■■ 1 1» jiil y «     » ■mtl^Mm nm^mi ■■■■«■^■i^ n i* m,tmt, ^ mi     Mllb*^i^hUBk«la     ì     iw«MHk«!fAi«^MiaMUHMUÀli^4b*iS     YITA BI A. GIANO PABRA8IO     '^T».     oon Albertino Mussato emno fioriti^ gli studi! umanistioi, e  il nomali celeberrimum da essa acquistato, por ^ aver accolto  nelle sue mura tanti illustri letterati| quali Giovanni da .Ba-  venna, Pier Paolo Vergerio, Secco PolentonCi Gasparioo da  Barzizza, Vittorino da Feltro e, per non parlare di altri,  Demetrio Galcondila, allettarono subito il P., sino a fargli  dimenticare omne salarii detrimentum. Però i tristi aweiii-  menti sopmvvenuti lo costrinsero a lasciare Padova*   L' imperatore Massimiliano, essendosi finalmei|te scosso  dalla sua inerzia a causa dei continui progressi dei Vene-  ziani, nel tempo stesso che Bodolfo di Anhalt si recavi^  nel Friuli, per occupare la tcpra di Gadore, e il duca di  Brunswick tentava di espugnare Gividale e Udine, in per-  sona per le montagne di Vicenza era sceso nel contada  di Padova. Però e non essendo ancora maggiori le forze  sue, si occupava in piccole imprese con -poca di-  gnità del nome Gesario (1) » : saccheggi orribili, eoddi  spietati furono eseguiti dai feroci invasori, la cui indescri-  vibile licenza fece ricordare quella delle orde barbariche»   Il P., visto scoppiare un cosi furioso turbine di guerra,  prima che Massimiliano cingesse d'assedio la città coi suoi  100,000 uomini, verso la n^età di agosto riparò di nuovo a Ve-  nezia, dove fu accolto amorevolmente, come forse anche nella  sua prima venuta, da Lodovico Michele, che era stato suo  discepolo a Vicenza (2).     (1) Guicciardini. — 7frecedente (Venezia, 13 settembre 1510), appare chiaro che sia  sUU seritU nel 1511. *     .A     * » '^^'i ^iy« ■>i V >»i»Bwr ■—>■'«*»»*-»*'»'» " * ■ ■»— i I 1*1 la» 1 ^ » '^imr ■ !l^^ 1 1 III *"r"r- I tr ^ — - \' .''"^ '*^ -■ — . «^--if— >•— «^TV - .* •- -C- • ^- ••     82 VITA DI A. GIANO PABBA8IO   Garbono, i fratelli Anisio, i fratelli Seripando, Gerolamo An-  geriano e parecchi altri {ly, Col pia vivo piacere il P. fre-  quentò i geniali convegni «lei letterati napolitani e fu accolto  dovunque colle più sincero manifestazioni di ossequio.   Non mancarono, come al solito, i versi apologetici, fra'  quali citiamo quelli del prolifico epigrammista napolitano.  Giano A Disio, nella cui mente il P. destò il ricordo degli  antichi soci della gloriosa Accademia pontaniana:   Qui8 non his tabulis dubia dipingitur umbra   Commeritas, qais non byali ridenta colore.   Insigni virtute vir, et spectatus amicus?   Tene ego praeteream, cui Musae tempora cireum   Jusserunt hederaa, et amicaa serpere lauros (2). ■ . •   Il P. allora forse rinde Gjovan Tommaso Filocalo da  Troja, Gerolamo Garbone, Francesco Puccio da Firenze, alle  cui lezioni aveva assistito durante la sua prima dimora a  Napoli, ricavandone non poco profitto. Allora similmente  rese sempre più saldi i vincoli d'amicizia, che lo legavano^  al dotto e munifico Antonio Seripando (3). Pare che egli  conoscesse quest' ultimo alla scuola del Puccio (4>, tra il 1492     (1) So questi scrittori, quasi tutti poco noti, rìcbiaroava testé V at-  tenzione degli studiosi 11 chia.mo prof. Flamini, cbe additava In essi « no  territorio da esplorare della gloriosa nostra letteratura umanistica »•  Rassegna Bibl. della ìeU. ital.^ VI.   (2) Janl Anysii, Varia poemata et Satirae ad Poropejum Colomnam  cardlnalem, Neapoll, Suitzbach, lib. IV, pag. 66.   (3) Giano Anisio. — Op. cit., 1. Ili, pag. 66; Bernardino Martlrano.  Bplst. ad Card, de AccoUIs Ante Comment. In Uoratii Artm Poeiie.  Parrbasll, Neapoll 1531.   (4) Che realmente 11 Seripando sia stato alunno del Puccio lo rile-  viamo dair iscrìsione da lui fatta apporre nella cappella gentilizia di Si.  Giovanni a Carbonara : € Francisco Puccio quod bonarum artlum sibl  maglster foisset ».   Mabill. Museum 2ud. T. I pag. 108; Jannelli, òp. cit., pag. LO. .      ■— *i— i^i^Wi^^^— fci^^ii^^ a*^ifc»*«^*i di Aulo Giano Par»  raaio ecc.. Ariano, Stab. tip. Appulo-irplno, 1890.   (^ Op. cit.   (3) Piccante V ossenraxione dello Jannelli a questo punto (op. eh.  pa|t. 94; : « Quantumvis perditorum morum illum fuisse fiugamoa, indo-  cere ne sani iu animum possumus tam seno tantia votia meretrìMA  procul abaentem ad ae arcessere Parrhasium potoiasef ».        Iu«     88     YIIJL DI A. aiANO PABRÀSIO     Per mancanza di dati, non possiamo ben dire se per pun-  tiglio di offésa vanità femminile^ o per non allontanarsi dai  saoi vecchi genitori, la Calcondila non segui il marito quando da  MilanOi si recò a Vicenza (1). Dalla lettera al cognato Basilio  apprendiamo solamente che, malgrado le continue insistenzci  il P. non potè riunirsi con la moglie (2), se non quando gli  fu assegnato a Boma la cattedra d' eloquenza (3).   Quali che siano i motivi che abbiano spinta la Oalcon-  dila ad agire in tal modO| noi non possiamo non biasimarla  sia come sposa, sih come madre: come sposa perche resta  impassibile alle preghiere dell'infelice marito, che, per quanto  colpevole, chiamandola a sé ripetutamente, le aveva data la  più ampia soddisfazione ; come madre perche mostra di non  sentire alcun affètto per l'unica sua creatura, che, priva  delle carezze e delle cure materne, a guisa di tenero fiore,  a poco a poco intristiva e periva miseramente.     (1) Nella seconda lettera al Trìssino ( Roscoe, op. cit. ) il P., dopo  avergli detto facetamente che dispone con piena libertà delle sostanze di  Ini, eoque forUusé plus, quia sunt uberiares, gli dà notisia dei compa-   gni di greppia^ senza fare alcun cenno della moglie : € Amanuensis   item graecus ex Creta Nicolaus, quem Trissineo Lisiae designave-   ras Accessit ^ Lario quoque lacu Simon Age nuno et lopos   bospita »•   W OuDio. — op. cit., epist, XLVIII, pag. 137: € Sed in primis a  me salutem optimae socrui et uxori. Quum litteras ad eam dabis, de onios  Toluntate nihil ad hanc diem ex tuis literis intellexi, reditura ne sit in  gratiam contuberniumque meum, vel quid aliud in animum agitet. Ego  enlm statui vel secom vivere, vel aliud vitae genus hoc longe (Cosentiae)  quietius instituere ». .   (3) Dopo la morte di Demetrio Calcondila, avvenuta nel 1511, Teo-  dora colla madre e col superstite fratello Basilio (Teofilo era stato ucciso  a Pavia e Seleuco era morto in tenera età) aveva stabilita la sua di-  mora a Roma. ' .     -l -_ - 1 || _-- -ì| — l'i i fc ^ " ' ~ •" • >■ ■ ■ I !■ É« ■ .     Jt f '', HfcaUfciifc^M 1  tuna querar, quam quod ex illa mortis imperturba tissima quiete me nir>  sue ad aerumnas vitao revocavit; abibara laetus ex bac inutili corporis  sarcina, si per faeroem (Antonino Siscari; cui Servio licuisset. Is enim sani*  mis opibus effecit, ut ego diutius articularis morbi carnific}nam perpetlar »•   (3) Epistola XI, ex balineis Lisaniae, pridie Kal. Septembris : € Bar   linea visa sunt »liquid opis actulisse Ego propediem revertar,   ioterea tu cura pueros beriles ac meos, ut tui moris est »• -   (4} QuDio. — Op. oit., epist. XLVIII, pag. 137, ed cit     94 YITA J>I ▲• OlANO PAKIUSIO   •   poiché si recò a Taverna, parC| tra l'aprile e il iiia^r^o  dol 1513 (1), vi tenue un breve cor^b di lezioni* di cui  oi ò giuut4i solUiutH) V orazione. inauguralo intorno ali* impor-  t>anza o all' utilità della grauimatioa, che trascurata e quas^i  disprezzata! dai più, secondo V oratore« e la sola disoiplina  che possa far acquisUiro un vero e foudat-o sapere (1).   Questui spontanea relegazione del P. negli estremi conilni  della Calabria dovett'i^  1 moA, oonvcnÌM, coiupolla uonilae oUro     Piirrbasiuin ne illum pratvUrl noìulnUY ìllum  l|t«uui iot^uam   Kd era lui davvero, osserva il Fiorentino (3), il maestvro  di scuola di Taverna, che eni pure il miglior critico che  avesse allora V It-alia, si ricca di filologi.   Durant-e la sua dimora in questo villaggio, il P. rivelò  up' altra bella dote del suo ingegno multiforme, cioè la sua     • ♦     (1) A/SS. R. DM. Siu. di ^^opoU\ CoiK V. D. 15. — Oralio ad  TabornMtt : « Qao uullurn uialut pignua an>uHs erga se nioi TaWrnatea  hfbere queant, ai 'T « r"*' '■" IT ""* ' «4     VITA DI k. GIANO PARKABIO 95     grauile perizia negli studi! atvheologici* Tare cli« nemiuMio  A Tavoriia nìaiica.sato calvgoricamento alTormaro  che bisognava riconoscere presso Taverna Tubica/iono doIPau*  ticaSibari(3}* 11 P., non potendo sopportare una ìmxÌA arro-r  gan3uì« scrisse contro T ignorante mtttihit'HuH una dottai ed ela-  boratali dissert-a/ione, nella quale, basandosi sulle testimoniaiuo  di Aristotile, Mela, Strabone, Tolouìco, IMìnio e parecchi altri,  oltre a determinare che V antica citt«à sorgeva tra^ flumi     (1) .V^\ A\ DibL Sai. di SapiìU. Ceni. XUI. H. Itì — De SyUri,  Oratili AC Tliurìo :€.... sUm^ proivus in à\ho Upidd lincao, nihìl  oiunìno sìgnanK ìisipio shuiliMit ipii iH>r tonobran aiubulaiit^ apprehcMiduni  (^uìo^uid ad maims oooiirrìt. IH qui bonis et iuali« auotoribuH suflar-  rinati, tcstimoniis utuntur, aut miniale necc»$arìi8« aiit contra oausam  certa suam »,   (2) .Vv« Sybari  Crathi ao Thurìo : « Ao ut agnoi^oant omnes ea quae tantum Crassus (1)  olfecisrìt ox inversi» Aristotelit rerbis e»s« nobis esplicata*».   il) Quoto Crasso non è punto GiOTffn&l Crasso da IVdaco, coma poco ao-  cortamentd cjr>Nlo(ta lo JanntlU «op. cit. |ui^. 8^), Anche ainmettondo che e^U noi  IMS fo»5e ancor vivo, si op porrebbe a una tale assorclone quella nobile lettera  del P. ( /V Kfbtis rtc.« pa^. ìi{ ; pr. laY., pa^. 9 ), al >uo caro maestro, dalla  quale appare che questi, più che schierarsi contro 11 suo antico discepolo, ricor-  reva a lui |>er schiariinenU e constigli.   (3> .Vò\^. /?. lUbL -Vai. di Sapoti. Cod. XUI, B, 15. — De Sybari  Crathi ao Tburìo : « Quantum fidei sit habeadum crassae minervaa ma-  gistellis, audentìbua atBrmare Sybarim adhuc oxtara iuxta Tabemaa, Jt  appallante oppidum, vel ex lioo iatelligi datur ».     > ■i"r'%ii I ,1 ».     •TT'.'>«»^^««^faat*4t^^i*#«>aM«MM»«s%v>«ab«M^M>»^-■—«> .« ■• -^' • '     98     VITA DI ▲• GIANO PABRAdlO     L* animo sensibile del P. restò fieramente colpito da si  brutto fiittOy che aveva macchiata V onorabilità della saa  famiglia; sicché, volendo honesto nomine cancellare l'onta  del nefandum cHmen, pregò caldamente il cognato Basilio di .  voler interessare, presso il Pontefice, il Lascari e V Inghi-^  rami, a fine di ottenere la bolla di dispensa per qnesto  matrimonio (1).   Durante la sospirata attesa il P., per allontanarsi forse  da un luogo per lui o. «j--^ ,-.^'.'-. •^;.^'^, ■fWtiai.iliM.i^lÉY.^lÉr.f.lfarflAjBiiftVWi-JJ     • •     y .     CAPITOLO XI.   ■   n P. nel Ginnado romano.  Ritomo a Cosenza. — Sua morte. — L'Accademia Cosentina*     Se nel secolo XV farono ben poche le corti che accor-  darono ai letterati una vera e propria protezione, nel secolo  seguente esse si moltiplicarono, gareggiando fra loro nel di-  stribuire onori e ricompense. Non solo le reggie e le corti  dei principi potenti divennero centri di coltura e convegni  di letterati; ma le più piccole corti, i principi più oscuri,, i  cardinali e finanche i ricchi borghesi vollero circondarsi .di  letterati e artisti, che accrescessero pompa al loro nome;  di improvvisatori, novellatori, buffoni,' che li divertissero.   n principale centro di coltura nel Cinquecento fti però  Boma, dove nella corte di Leone X convennero da ogni  .dove uomini sommi e mediocri, attirati colà dalle pensioni,  dai donativi, dagl' impieghi, dai beneficii e dalle dignità eccle-  siastiche, che come manna benefica piovevano sul loro capo (1).   Educato nella splendida corte di suo padre Lorenzo il  Magnifico, Leone X, al x>ar di questo, fu prodigo e munift-     (1) Per farsi un* idea del gran numero dei lelterati, che allo, a in  Roma godevano della protezione di Leone, X, basta leggere il poemetto  di Francesco Arsilli^ Depoetù Urbanis^ gli Elogia Virar, litt, iUustrium,  4i Paolo Hiovo e il De infelicitate litteratorum di Pierio Valeriano. Im-  portante per conoscere la vita romana di quei tempi è, fra* tanU studila  r articolo del Gian» — Gioviang. ( Oiom. stor. XVil, 277 e segg. ).     .■.-«•^^««-^» •  iW.* W P     1jJ_i_«Ii iMi'uTiMiii •ir^i''*''' **■'■ I ■ * i»i^j«a>*-^     ■■f *t'--.-^.. .'^„»,^jì:^     VITA DI A. GIAMO PABBASIO     101     . Malgrado ana tanta aspettazione e lo continue insistenze,  il P., oome abbiamo visto, non potè recarsi a Boma che  verso la metà di febbraio del 1514; sicohèy tenuto conto  della lettera innata al Cesario, in data del 28 febbraio,  non prima dei venti di detto mese egli potè iniziare il sao  corso sulle Selve di Stazio.   Neil* orazione inaugurale, pervenuta sino a noi, il Jf.  mise a profitto tutti i suoi mezzi di retore raffinato, non  escluso quell'artifizio di parere nel suo esonlio perplesso e  titubante, per procacciarsi la benevolenza del pubblico, giusta  V ammaestramento di Oicerone. Dopo un accenno alla gran-  dezza del popolo romano, rivolge un cortliale saluto al La-  scari e alP Inghirami, protestando loro pubblicamente tutta  la sua profonda gratitudine (1). Non mancò naturalmente  in tale circostanza di far cadere destramente il discorso  su Leone X e di tributare le più calde lodi al munifico  Pontefice (2).   Oome concordemente ci attestano gli scrittori contem-  poranei, il P. destò a Boma il più schietto e generale en-  tusiasmo (3). Sebbene allora la città riboccasse di letterati,  alcuni dei quali di meriti indiscutibili, come il Cattaneo» il     (1) MSS. R. BibL Nai. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefatio la  Sylvas Statii : € Nibil it&que dcsperandum Jano «luce et auspice Phaedro,  in quorum blando obtutu, tranquillo vultu, bilaribua oculia acquiesoo*  Quibus ingentes ago gratias, habeboque dum vivam» quod me gravissimis  apud Pontificein sententiis ornaverunt^ ubi vel nominarì aunimus honor est.   (2) MSS. R. Bibl. Nas. ut Napoli. Cod. V. D. 15. ^ PraefaUo la  Sylvat Statiì :€.... per quos ulrumque inibì contigli indulgentia  sacrosanctì Pontificis, divique Leonia X, qui maxime rerum usu, incom-  parabili prudentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili elo-  quentia, proroptissimo ingenio, castissima eruditione polle! ».   (3) Giovio — Elogia etc, pag. 208; Onofrio Panvinio. — Proém.  Deci. 1 2Xf applausu erudii. ; Filippo Briezio — Annales mundi, T VU,  pag. 130 ; SalemI — SylvlUae^ Parrhasii Epicediatt^ pag. 140 eco. • . •*•     . ^ -o-^ '' i»' Fra* tanti stimiamo degni di nota i seguenti versi dettati allora  da Antonio Telesio, V elegante e terso poeta cosentino :   Tlbrifl et obstupnit doctae modnlamtae tocIs,   Assonult riTifl haee quoque Tlbrl tnls.  Fsf flus et buie uni es Teteres cestisse Quirites ;   Tarn Latiis sonat hic dulce magis LaUum.  Attice et Actaes msgis Urbe loquutus et Ipsa est»  Hospes divino dlctus ab eloquio.   (3) Affesionato come era ali* amico carissimo, il P. si adoperò a tnt-  t* uomo per procurargli a Roma conttitionem et ìocum ; ma il Cesario,  malgrado le continuo insistenze di lui, (Epist. XX-XXIX^ non si mosse  da Cownza. Forse era rimasto poco bene impressionato alla notizia obe  gli forniva il P. stesso ( Epist. XX ) : e In Urbe singulae regione» sin-  gulos babent praeceptores ex aerario conductos, et qui nibilominus t  prìvatls certam exigunt mercedem ». Troppa bollai        rfMUitflri     ^>rfki««»«i''*Mh^     VITA DI A. GIANO PAERA8IO     103     uno stipciKlio «li jxran lunga sui>oriorc a quello di tutti loro (1).  Ma il P. questa volta, reso ornai abbastanza pnitico ilolla  vita, lasciò i>ure olio i cani riu^irliiosi abbaiassero alla luna,  li umiliò con un dignitoso silenzio, che gli valse loo di  letterato infelice per la sua nota opera, volle caricare un  po' troppo le tinte (!;•   Conoscendo poi la speciale protezione, di cui godeva  il P«, non è da credersi che gli fosse diminuito V assegna-  mento, o per lo meno ne fosse nt4irdata di molto la ri-  scossione, come vorrebbe insinuare lo Jannelli, il quale,  temendo che al suo x>rotagonista dovesse mancare il tempo  per fondare V Accademia Cosentina, mostra gran premura  di rimandarlo in Calabria. InfaUi, adducendo a motivo la  miseria di lui, la morte del cognato Basilio e degli antichi  protettori, Fedro Inghirami e il Cartlinale d' Aragona, e in  ultimo la partenza del Canlinale Adriano, altro caldo am-  miratore del nostro umanista, alTerma che questo lasciò Roma  ineunte anno 1521 (2).   Non occorrono molti argomenti per combattere questa  gratuita asserzione, in sostegno della quale lo Jannelli non  sa addurre alcuna prova. Basta infatti riflettere per poco  su ciò che il P. scriveva a eratìooe ductnt....»   (2) Op. cit., pag. 115.   (3) De Rebus etc. ediz. cit., pag. 143: « Certe 8i quid ingenii, si  «|uid eruditionis in me, si dicendi commodi'aa est, id omne effundaa  prodendis iis, quae tot anoonira varia Icctionc compcrta, conquìsita, col-   lectaque luihi sunt in usum studiosac iuvcntutis ut siquidem fructum   lostcritas inde percipiet, acceptum rcfcrat Pontifici prìmum Maximo,  deinde Sylvie nostro, per quem conciliata mibi Pontìficis voluntas est ».     ••. . »■• » ■ i >»'«'•..'# ^ t • • » -te ■        108 VITA DI A. GIANO PABRA8IO     detta partenza un anno pia tanli, quando cioè per la morte  di Leone X, avvenuta il 1 dicembre 1521, essendosi seccata  la fonte delle largizioni, e non potendo, per la malferma  salute, procacciarsi da se il necessario sostentamento, il P.,  come tanti altri letterati, lasciò Boma e si recò a Cosenza.  Quivi non visse a lungo, poiché, come ci attcsta il suo  contemporaneo Pierio Yaleriano, fu subito colpito da febbre  mortale, che, dopo penose sofferenze, lo trasse alla tomba (1).  Nessuno dei biografi contemporanei del P. ci ha tra-  mandata la notizia circa 1' anno della morte di lui ; sicché  i biografi posterìori (2), ignorando gli avvenimenti ora ri-  cordati, solo perchè il Salemi nel 153G aveva pubblicato  tra le sue Sylvulae anche V JUpicedion, scritto parecchi anni  prima in lode del P., credettero di avere una prova irrefra-  gabile per ritenere che questi mori tra il 1534 e il 1535.  Senza punto trattenerci intorno a questa asserzione, che  cade da sé, quando si rifletta che i componimenti poetici  raccolti e pubblicati dal Salerni appaiono composti in tempi  diversi (3), crediamo opportuno prendere in giusta considera-     (1) De infeliciUUe ZiM.» pag. 24 : € ... . relìcta Roma, in Cala-  briam cum secessisset, in febrim subito inciditi  Nicolai Salerai consentinl Sylvuìae Epicedicae, Encomiastieae,  Satyricae ac Paraeneiicae — Variariimque aliamm rerum descripiiones  fortasse non inutxles — Neapoli, SulUbach, MDXXXVI.     i••^•■*•^*!^*•*^p"**'**^*''^T^^^.. ! ' .. tf^.*.. .^•» '«■ -«•■•*.»>.«     m„-*'mì^'%u',*.     VITA DI A. GIANO PABRA8IO 109   zione le testimonianze del cosentino Antonino Ponto (1) e  (li Giano Anisio (2), suggeriteci dallo Jannelli (3).   Tanto il primo che il secondo scrittore, parlando di  Adriano VI, eletto Pontefice il 9 gennaio 1522, ricordano  con rammarico la morte recente del Parrasio. Ora, conside-  rando che questo ricorilo di una delle più grandi illustrazioni  del Ginnasio romano non può riferirsi che ai primi tempi  del pontificato di Adriano VI, quando cioè non ancora era  nota la sua avvei*sione ai buoni studìi e quell' orrore per  le cose pagane, che gli procacciò 1' odio dei letterati e i poco  lusinghieri epiteti di e furibondo nemico delle muse, della  eloquenza e di ogni arte bella >, riteniamo che il P., ritor-  nato a Cosenza, verso la fine del dicembre del 1521, se-  guisse ben presto nella tomba il suo protettore, Leone X (4),  nel seguente gennaio 1522 (5).     Dopo quanto abbiamo detto, non crediamo sia più il  caso di affacciare alcun dubbio circa V epoca della fondazione     (1) Romiiypion — P. li, Roi io 1524 : i Interpres, carusqno sacerdoi  Parrhaslus, quem clara femat monumenta per orbem   (3) Op. cit., pag. 1 15 e seg.   (4) Salbrni — op. cit. :   Leo PaMor ovllit   Romani aethereos tandem niii;ravit In arcea,  Unile suum ius8lt propere ad meliora Tenira  Praemia Parrhasium   v5) Lo Jannelli, sebbene non traesse dalle prove addotte una con-  vincente deduzione, non si scosu di molto dalla nostra tesi, ritenendo  che il P. morisse € desinente ipso anno 1521, vel ineunte 1522 ».   \        • •* • * % • ^ '     •     /     ^     . » ■     J ...     • -        110 VITA DI A. GIANO PARKASIO     dcU' Accademia Cosentina, attribnita al nostro umanista (1).  Scy come crediamo di aver dimostrato, e^li non visse che  poco tempo dopo il suo arrivo a Cosenza, è chiaro che  questo notevole avvenimento non potè compiersi se non nel  primo ritorno in questa città, e specialmente in quel periodo  di circa nove mesi, che va dall'agosto 1511 all'aprile 1512 (2),   Sebbene non precisasse alcuna data (3), il Fiorentino,  nel primo volume del suo Teìcsio, pubblicato nel 1872, si  mostrò di questo stesso parere, combattendo V asserzione  del Lombardi, che aveva riportata la fondazione dell' Ac-  cademia al secondo ritorno del Parrasio (-1). Due anni dopo  però il Fiorentino, avendo letto il commentario dello Jaunelli,  mutò avviso e stimò jiiù probabile che detta fondazione  avvenisse nell' ultimo ritorno (5).   A quanto x>are, il dotto filosofo volle prestare troppa  fede allo Jannelli ^5), il quale, come abbiamo visto, oltre a  mostrarsi non molto esatto nel xirccisare dove e come il  P. passò in Calabria il triennio 1511 - 1514, non seppe teucre     (1) Spiriti — Memorie degli Senti coseni. Pref,^ pag. 0; Mattei —  Vila Patrìknsii^ odix. Dì Rebus ^ pag. XV e sog. : Tirahosthi —  Sloria ecc., T VJI, pag. l^; Signorei.u — Vicende della Coltura ecc.,  T. IV, pag. ^0 ; Biografia Unicers, T. XLII, peg. 464 ; Nuovo Dizion.  Ist. T. XX, pag. 174.   (2) V. pag. 91.   (3) Ignorando 1* anno preciso della prima venuta del l*. a Cosenza,  il Fiorentino opinò* € che 1* Accademia cosentina fosse cominciata fra  gli anni 1500 • 1514 ».   (4) Andrea Lombardi -* Discorsi accademici ed altri opuscoli, terza  edix., Cosenza — Pei tipi di Giuseppe Migliaccio, 1840.   Fra* non pochi errori commessi dal Lombardi nel Saggio storico  sull'Accademia cosentina, che P. S. Sai fi volle chiamare € quadro preciso  e fedele della sua origine e delle sue vicende » nella troppo benevola  prefazione, notiamo quello circa V anno della morte del P., secondo lui  avvenuta nel 1534.   (5) V. Op. oit., Appendice al Voi. II, Firenze, Succ. Le Monnier 1874.     - - -- I II - 1 I - r - Il I '■■ ■■ «■ M^ ^     •        ' . - -- .        • «     VITA DI A. GIAMO PABBA8I0 111     giasto conto delle prove di scrittori autorevoli, attestanti  tatti concordemente che il P. morì poco dopo il suo iirrìvo  a Cosenza.   L' Accademia cominciò quindi ad aver vita tra la fine  del 1511 e il principio del 1512, quando appunto si trova-  vano a Cosenza Antonio Telesio, Francesco Franchini, Niccolò  Salemi e, come pare, Galeazzo di Tarsia, il gentile autore  di quelle tenere poesie, che destavano nel Settembrìni il  desiderio di altre.   Mai come allora Cosenza si era trovata in condizioni pia  favorevoli per un vero risveglio lettei-ario. Caduta la Calabria  sotto il dominio spagnuolo, dopo l' iniqua divisione del regno  aragonese, essa, a prcrcrenza delle altre città, era stata fatta  sogno a speciale protezione. Vi erano state raccolte le sa-  preme cariche, riconfermati gli antichi privilegi e creata  quasi un' altra capitale del regno (1). Fu allora che venne  su tutta una flora di giovani baldi e volenterosi, che, spronati  da vivo desiderio d' imparare, si affollarono intomo al maestro  insigne, che capitava tanto opportunamente tra loro (2).   Prive della pompa e dell' ostentazione moderna, allora  le Accmlemie, nei loro primordi, non erano altro che amiche-  voli convegni, in cui pochi amici dotti e di buona volontà  discutevano su questo o quel passo di scrittore classico,  oppure davano lettura di qualche componimento letterario.  Quest' umile principio ebbe anche V Accademia Cosentina,  la quale pare che per un certo tempo non fosse neppure  denominata in questo modo : come ben diceva il Fiorentino,  ci ora il fatto e mancava il nome (3).     (1) Fiorentino — op. cit., edit. cit., V. I. ^  (2^ Fra ì tanti ricordiamo i Martirano, Pierio Ciminio, CUrio Leo-  nardo Schipanio, Giovan Hattista Morelli', Andrea Pagliano, Carlo Giar-  dino eoe   (3) Op. cit., V. 1.        •*     '>»^. >■ I "jl ■■ ^^1        » — «-^ '—'« «I ■     .i«-«-^«'     112     VITA DI A. GIANO PARRÀ 8IO     n P. contribui all' incremeuto di questa istitaziono anche  qaando si allontanò da Cosenza, poiché, come ci attcstano  le lettere inviate al Cesario (1), ad Andrea Puf^liano (2),  a Giovan Battista Morelli (3) e ai>itiM' ■        1     4.     1 •     « Or non parrebbe che cote»ti scrifU«  ( ParrasUnl > del quali pochiwlml sono  siiti impressi, valessero li predio della  stampa, più che non tanto Insulsaggini  tramandate con tanta curai »   P. PiORKNTiNO. ~ Bernard, Telesk^ T. 1.     APPENDICE     ^ « • w — «     ^. ■ -^-^.^^,- ..- ■ r ■■■ I •■ 1 fi-rfaal     i j nr- -W • - ■"' I - *"■'-. ""'" '^^' '*'■ '■*"'     AULI JANI PARRHASn      m     m           PRIMUS   AD VITAM EIUS NARRANDAM   EX R. BIBL. NAT. NEAPOL. CODICIBUS   EXCERPSIT   ET TEMPORUM ORDINE   DIGESSIT     B     FRANCISCUS LO PARCO     ^^M^V -k- — • ■ ' » .     ^ >iin«">»»i        OHAIIO AO PATHITIOS NEAPOLIIANOS   Ciro. 1493 s,2) (Cod. Y. D. 15)     0)     Ponsitanti sacpo mociim, viri pntritii, oruditissimi iavones,  iuj;:cuiiiqiio adolcsccutuli et coatcmplnnti qnam proeclarara pri-  sci illi Romani publieae aclministrationis formam/in postcrum  rem populi susccpturì, per maous tradideruut, uihil occurrit  quod non summo in*renio exeogitatum, maiori studio expo-  litum, maximo Consilio ac prudentia gestum indicotnr: ut  niilìi quidem undecunique eorum non modo bella, sed etìam  paces per historìas exploranti, quam apud omnes obtinent,  o)nnìone diguissìmi videantur. Sed illud praecipue militane  disciplinae institutum, quo adolesceutes ad palum intra val-  ium prius impense exercerì, quam serìae dimicationi interesse  iubentur, usque adeo me delectàt, ut, in re lioet diversa,  ab iuenntibus annis hactenus observarim.   Haud enim quodpiam vulgo unquam commisimus, prin-  squam per doctissimos utriusque linguae grammaticos, prò meo  ingenioli captu, eruditus in ludis litterariis satis superqne  delituisse visus sum. Et, ne ab id genus similitudine disoe-  damusy quem ad modum tirones ad palum punctim caesimqoe     (1) V. hoius op. Gap. Il, pag. 13 et aeqq.   (2) In omnibus orationibus et cpistulis annum et iascrìptionem  Parrhasius non apposuit.     ^ ■ ^M »■■■■■     >1> HT i» rfi > nf m • ■ i r ^.i li. ■ ■ k, •- ■ ,> . , , f^ - -^ -„ , ^^^ ^ ^J-t;-. . , - •- '. . , ■ '_ '^.„^.,;^ , .;^     120     A. JANI PARRHASU     ferirò discobantur a vetoranis, ac ex ilio commentitio pugnae  Biinulaoro quod in vera dimicatione magno mox usui foret  imbibebant, ita et nos primo, quoad fiori potuit, haud tamen  8cio an supra omnes nostri coeli ao aetatis homines, non citra  bonae valetudinis dispendium, sed eruditissimis viris non  modo nostratibns litteris, vorum etiam graeeanicis operam de-  dimuSy nty si quid in communem rei litterariae utilitatem  excudere libuisset, perinde ao in penuria cellam haberemus  in promptu. Ao ne sio quidem, tametsi pares huie oneri  complnribns videbamnr, au-  ^natus, P. Papinii Statii, poetiu*um oppido quam doctissimi,  quem urbs haeo florentissima universo terrarum orbi, quo-  cumque latini nominis fama percrebuit, non iniuria queat  imputare, Silvarum opus haud omnibus obvium, singulis  lectionibus, enodaturum promiserìm.   Scio profecto, neo me fugit quam arduam quamque  difflcilem provinoiam sim aggressus, quamque implicitos ao  inextrioabiles paone nodos absolvendos assumpserim , et  vestrum fortasse plerosque nostros hos conatus ut audaculi,  ne dicam impudentis, reprebensuros, quod huius aetatis ado-  lescens in totius Italiae celeberrima urbe, ubi omnium bo-  narum artium studia poUent, in tanto praesertim doctissimo-  rum hominum conventa subgestum hoc ascendere non eru-  buerim. Insta sane et non improbanda incusatio, si aut meo  consilioi aut sponte, non dicam ultro, hoc munus obiverim.  Verum hoc erga amieos nimiae indulgentiae trìbuendum potius        I.'     OKATIONK8 BT EPI8TCLAX 121     erity quibus dura in oinnibii9, iikmIo honesti spociom prae se  fcranty obsecumlo, iu aiudaciae crimon incarri. Sed quaeso  vos per tlcos iinmortales, viri pntritii, boui consulite, proqae  Ycstra 8olit4i hiimanit-ate statuite.   Quuiu saepe niecum parcutis omniura naturae exactum  umlique opus inspicio, uihil oecurrit, viri patritii, quod non  magna cum sapieutia productum, maxiaiaqne diligcntia di-  spositum sit; scd illud imprimis ad hoiniuum coetus non  solura tuendosy veruni ctiaiu decorandos non par>i momenti  visual est, quod omnibus auimantibus gloriae ao laudis af-  fectum iudidorit, praccipuum, ut arbitror, ad implondos totins  opcris numoros adiumentum. Nam quid utilius, quid fnigins,  quid couducibilius affectu hoc queat invonirì T Quippe cai,  si quid cxcultum, si quid politius immo utile excogttatum  est, iure ac merito referamus acceptum. Inde sunt etenim  tot ao tant;irum rerum iuveutioues, inde tot saeculis artes  incoguitae prodierunt, inde, indico, semper aliquid inventis  adiicitur, inde tot \irorum din noctuque elaborata monumenta.  Kam si couditis usque saeculis inventa altius repetamuSi  omnia ab hoc affectu profecta inveniemns.   Missum facio Promethca, quem quid alimi, ut in fabnlis  est, ad snbtrahendum Superis ignora compulit, nisi ut inventi  gloriam reportarotf Omitto Liberum ao Cererera, quorum  uterque hac eadem causa a ferino ilio victu homines revooaviti  quippe quum alter, ut aiunt, >inura repcrerit, altera vemm  frumcntum excogitarit. Nonne litterarum notae ao dementai  sive Cmlmus, sive alter invenerit, inde ortnm habueret   Quotusqnisque, ut ad rem litterariam adveniam, tam  maximos studiis labores impendisset, nisi uomen ao gloriam  inde adsequeretur T Eudoxus Gnidius complures sub montibns  annos egisse traditur, ut mathematica disciplina, anni ratio-  nera solisqne meatus perciperet. Sed haeo ut remotiora  fortasse praetereo. Hac nostra tempestate viri et ingenio et  doctrina praecipui multa- et nova et utilissima excudnut:     \     ■■.'. ^ ■.-.■>■■—*■> ■ ^ ' ^A . .. •. ■■tifc... .-'1? — ^ i "^--^-irÉ un I >i' Tt t Kurw HI. ■ »u t:X, i L.l.     122 A. JANI PARRHASII     patrum nostroriim memoria cnleliographia, qnam Latini vocaut  improssionom, a Germanis excogit>at>a est non tam lucri quara  gloriao cupiilitate, nam eorum plerosqno huiuact>am : De Fortitudine he-  roiva luculentissimum opu?, de quo seor$um praeter eum  nomo scripsit. rrincipvm vero ab iucunabulis ito instituit,  ut felicia rogna futura 8int quibuscumque, qualem ipso in-  formata princops obvenerit, Ohedientia^ vero partes it4i dis-  sorit, ut ad hanc onines virtut^es referantur. Quid eius Cha-  ronte gravius, quid rurs«us festivius aut elegantina T Quid  Antonio doctius, in quo illud prnecipuum duco duos totius  romani eloquii principe!*, Ciceronem ao Vergilium, sic ira-  proborum caìumniis absolutos* ^i u*ostrigilatores maiori qnam  ipsi Maronora ac Tnllium licer' 'i momorderit. Tacco Serto-  riunij quo piane uuusquisque fat-etur veterem illam scribendi  felicitatcm revocat*am. Unde vero vir doctissimus inter tot  ao tanta^ occupationes din noctuque bis studiis incubueritf  Nulla alia re, quid enim sibi ad humanam felicit>atem, Bege  tam praesenti^ deesse pot-erat, nisi ut gloriam sibi apnd  posteros compararet.   Atque sic habetoto nnllos satis improbos esse ad vir-  tutem conatus. Quis enim Lucanum accnset quod huius aet4iti8|  aut paululum, supra, PharsaHa^ bella detonuitf Nemo est  profecto qui Valerium Gatullum, Propertium Naut*am, Albinm  TibuUum^ Oaium d'enique Balbum non admodum laudet, quod  omnium ore cant>anda adolescenies edidernnt. Quotusquisqne  invenitur qui mactum virtut^e esse non iubcat, si poetam  Oylicem Oppiauuui scripsisse compererit admotlum praetexta-  tunii quao etiam doctissimi soncs studiosissimo legantt Qnod  si aut illi quos diximusi aut oeteri, quos brevitatis causa        t ■     rtM«*«Mk«teMii*«i«MÌNarfai*«»««MMMk     I^M^^aBM>Wfc»aque orationi modnm 8t^tuam, si illnd nnum piias  admonuorim. Si quid in his qnao dixero ofTondet, omnibus  enim piacere csset immensnra, roeminisse debebitis nihil es86  in humanis quod nndecnmqne possit esse perfectum, vota-  stissimosque granimaticos ante oculos penero qui etiam in  plurimis lapsi dopronduntur (ueque omnibus esse Pont4Uì08,  Aurolios, AltilioSy Actios ^^anazaros ao denique Dionisios  Superi coucessere, immo siugulis virtutes 6ÌnguIaS| ut est  apud optimum maximumque «^oetam}, et priscos illos, quomm  adhuc auct-oritas vigot^ mulUi scisse non omnia.     \     ■**— I ^ « ■ i M *ilW>« • t ^ V »^> I     ■ I lg»i I ««, I M^»^li, ,,^,, „^ , , » ■•■ .*'W^^.^ .^ «     n     PRIVILEGIDM «   (In R. Archivo Ncapol. — CoUat. Prìrileg. Aragonensium  Voi. VII. 1494-1495. — fol.. 75).     J. PAULI DB PABISIO     Alfonsos et cetera, uniTersis et cetera, licet adioctione  et oetera, sane prò parte nobilis et egregi! viri J. Paali de  Parisio de Gusenda, familiaris nostri fldelis, dilecti, fait  Maiestati nostre roverenter expositam et amiliter sapplica-  tam qaod Panlus ipse ex concessione sibi facta ad eius Ti-  tani per Serenissimum Ferdinandum, patrem et dominam  nostmm colendissimam memorie recolonde, habuit, tonnit et  possidet, 6ÌTe exercet oiBciam magistn Oamere et magistri  actomm penes Justiciarios, sen Gapitaneos torre Tabomei  nec non officiom Gavàleris penes Gapitaneos terrarum mon-  tanee et Givite dncalis cam potestate sabstituendi, cam gagiis  et emolumentis, lacris et obveutionibas solitis et consaetis  et debitis, proat in qnibasdam prìTilegiis per dictnm genito-  rem nostmm sibi propterea concessis hoc et alia clarins     (1^ Cum hoc unum monumeotom nobis in R. NeapoliUno Ta-  bulario invenire contigisset, facile animum indaximat, ut hoe loco  ederemns, codicis scrìptura diligenter servata. — V. huiat op. Gap. li,  pag. 19 et seq.     aatm n m »>t» . >id i >tr il     .J     PBIYILBOIUX 135     aDQotantor. Dignaremur sibi ad eius vitam dieta officia iaxte  tonorem dictonira privilegiorum de speciali gratia benignins  coufirmare. Nos autem habeutes respeetum ad merita sincera  devotionis et fldei prefati Paali, ao considerantes servitia  por euin Maiestati nostre prestita et impensai qneque pre-  stat adpresens, et ipsnm de bone semper in melius conti-  uuatione laudabili prestiturum speramns, propter queqne in  iis et longe maioribus a nobis exauditionis gratiam ratìona-  biliter promeretur, iis et aliis considerationibns et caosis  digne moti, prefato Paulo ad eius Tito decursum iam dieta  ofilcia actorum magistri et magistri Camere penes Insticiarios  seu Gapitaneos diete terre Tabeme et officium Oavalerii penes  Gapitaneos terrarum montanee et civite ducalis cnm potestate  in eisdem oIBciis substitnendi. De quorum substituendoram  culpis et defectibus Paulus ipse nostre Ourie principaliter  tcncatur cum gagiis et emolumentis, lucris et obventionibus  solitisy consuetis et. debitis, iuzta formam dictomm preno-  minatorum privilegiorum. Ipsaque privilegia cum omnibus  et singulis in eisdem contentisi oxpressis et narratis, qua  licot presentibns non inserì 'itur, haberi tamen volnmus prò  insertis et expressis et dcclaratis, si et pront hactenus in  possessione sou quasi fuit cl in presentiarum existit. Tenore  prosentium nostra ex certa scientia specialique gratia oon-  firmamus, acceptamus, approbamus, ratiflcamus atque lan-  damus, nostreque confirmationis, ratificationis, acceptationis  et approbationis muniraine et suffragio validamus et robo-  ramus, volentes et decernentes expresse quod presens nostra  confirmatio sit eidem Paulo semper et omni futuro tempore  firma, stabilis, realié, utilis et fi*uctnosa ; nullumque in  iudiciis vel extra, seu alias quovis modo sentiat diminutionia  iucommodum , aut impugnationis obieotum sive obstaon-  lum, vel noxe alterius detrimentum, sed in sua firmitatCì  robore et officio pcrsistat. Illustrissirao propterea et caris-  simo filio primogenito Ferdinando de Aragonia, duci Gala-     •^•('«^*MtoiV4     126     PRIYILBaiTTX     briO| vicario nostro goncrali, nostram super iis doclaranios  iotontnin Mamlamus magno huius regni Camerario ciusque  locumtenenti j presentibus et rationalibus Camere nostre  Summarìe^ Jasticiario seu Capitaneo terre Tabeme , et  tcrrarum montanee et Oivite ducalis, Universitatibusque et  hominibus ipsaram terrarum, aliisquo univcrsis et singulis  ofTìcialibos et siibditis nostris maiorìbus et rainoribus quo>ns  officio auctoritate et dignitate fungentibus nomineque nun-  cupatis ad quos sea qucm prescntes per\*enerint| et sxiecta-  verint seu fuerint quoraodolibet presentate. Qnatenns forma  presontium per eos et unumquemque eorum diligenter actenta  X)refatum Panlum, seu eins substitutos ad dieta officia exer-  cenda recipiant et admittant, retincaut atque tractent de-  center et favorabiliter prout expedit in eisdem deque gagiis  et emolumentis, lucris et obveutionibns solitis consuetis sibi  respondeant et per quos decet responderi faciaut atque  mandeut integre et indiminute prout hactenus extitit con-  suetum. Kt contrarium non faciant prò quanto dictus Illn-  strissimus Dux filius noster nobis morem gerore cupit, Getcri  vero offlciales et subditi nostri gratiam nostram caram ha-  bent et xienam ducatorum mille cupiunt evitare, in quorum  testimoniorum etc*   Datum in felicibus Oastris apud Sulmonem per magni-  ficum virum Antonium de Alt^xandro locumtcnentem etc.   Die Villi Julii MCCCCLXXXXIIII Regnonim nostro-  rum anno primo Bex Alfonsus — Dominus rex mandavit  mibi,   P. Gablon Jo. Pontakub   Pasoasiub     r     MM^MaMHkaA^aadVAMaaataa iM^kMBaw «MF*«# I     .^M^*^^«— i— ^i^»— ' tm-*mdtt0mé^m^mmm>tk^tmm^^'^JmÌ^i^,^A^^^t^     ^     «     I     UI     EPISTULA AD FEHDINANDUM II ARAGOIilUM ^'^   Neapoli 1495 (COD. V. F. 0)     Quod a me de Sarapi quaeris, illustris ac omaiissiine  PrìncepSy utinara sic ad te reducendura prosit in avitam  perditumqne (?oIiuin, quo nulla tua culpa caresi ut olim  Ptolomaeo, Lagi filio, ad constituendas Aeg^'pti opes. Ilnic  cnim recens comlitam Alexandriam mocnibns sacris et no-  vis religionibus excoleuti, per quietem dicitur obversatos  augustior humana forma iuvenis, atque monuisse ut i>er  cortes homines eius eflìgiem acciret e Ponto ; id antein fe-  lix fanstumque et amplitudini sibi gentiqne suae foro; enn-  demque iuvenom plurimo igni rutilantem cum dicto simnl in  sublime raptum evanuisse. Quo miraculo Ptolomaeus e somno  excussuSy adhibitis Aegypti sacerdotibus, imaginem nootumam  visumque narravit. . Hisque extemorum ignariS| remqne ex-  pedire nescientibus, quidam nomine Sosibius, qui vagis er-     (1) ExsUt in codice 'duplex huiut epistuUe exemplar. Manifeste ap*  paret eara ad Perdinandum II Parrhasiuin misisse, cum ille Neapoli in Aena->  rìam insulam confugerat (IX Kal. Mari. 1495). Quod mìnime mirarì debe-  mu8, cum perpendaroas, ut Era smus Percopo. in opere, quod inscrlbitor  Benedetto Gareth^ luculente demonstravit, infelicem regem semper, etiam  in roaximis advenis rebuK, ad animum tttum erìgendum, in bona studia  incubuisse. — V. huiut op. Cap. 11, pag. 17 et seqq.     \     ^>*. * ^«^ fa ■ m ^ m^»0>m.mi^mam à ■■ t»U » w i     ■"■»* ■" ■■^— i«  ■» ■■ ■» ■ ii w ii » m m ^, fa ■ ■ >t'priorum tymnno, quis   haberi deorum vellet, ad hanc senteutiam graece respondit:     Siiin Deus ipse, tibt qualein me cannine pandam :  Regìa celsa poli caput est mihU caerula venter  Unda roarìs, calccsque pedum tellurìs in imo  Cespite nituntur, mea tempoia lucidus aether  Arobit, et accendant oculos mihi lumina Pboebl.   Dioilorus autem Siculus, in Bibliotbecis, Osirim, Sa-  rapim, Liborum, Ditem patrom, Ammonom Jovem, Pana,  eundom dcum esse existìmat. Aristippus, Arcadicorum primo,        ■if -- • ì ■*- T — — ^ Il 'i ^ — ■^-r'i'—ii^ f-^tir- ir-fitfirif i^^Tn- >»f^il«ii->- IT — — "^^^^r^-^Ti-'—tààìimi- lìkimàéÀJi     ORATI02fS8 ET EPI8TUXJLS 129   refert Apim, Argivorum rcgom, Mempbim in Aegypto sodém  sibi ooudidissOy qiiem postoa Sarapim transnominatum Ari-  stcos Argivus autumat ot huno ab Aegyptis attonita sapereti-  tiono coli. Xymphodorus Amphipolitanos auctor est in bis  quae de logibus xVsiao composuit, Apis tanri, cum decessisseti  salo duratum cadaver iu arca, quara Graeoi acpÓ¥ voeant ,  esso comlitum, ex coque duplicato nomino Soro-apim demnnique  Sarapim, nnucupatum.   Porphyrius autem philosophus Sarapim cum Plutone con*  fundity ut ca soli vis, unde proveniunt opes, Orcus et Pln-  ton et Dis pater appellotur, quatenus autem vitium terra  sentit ad Sarapim pertineat; abstrusique intra terram ignis  inditium purpurea Dei vestis, infemae vero potestatis basta  trunca, atque cuspis deorsum conversa sit.   In Aegyptura translato Sarapi, templum prò magnitudine  urbis extruetum^ loco cui nomen Rhacotis antea Aiisset. Apnd  Tacitum iogimus : eius templi hostium anni certo tempore  patefaciebant ipsi sacordotes, admotis ad rem divinam aqna  et igni, quo4l baco dementa maxime praestent.   Dominatu Julii Caesaris incendio consumptum recitafc  Busebius. Illud addimus ex Plutarcbo Alexandriae primum  indigitari coeptum Sarapim, Aegyptiorum lingua Plutonem  significante vocabulo. Is fingebatur hunc in modum : prae-  stanti forma atque aetatis iutegrae iuvenis, qui subieeto ca-  pite vetusti operis quasillum gestet. In quo Macrobins, is  qui deos omnes ad unum solem confort, ipsius sideris alti-  tudinem siguificari contendit, et vim rerum omnium terrena-  rum capacem, quas immissis radiis ail se rapiat. .   Imago vero tricipitis animantis adiuncta simulacrO| quid  aliud quam tripartitum tempus ostendit, in id quod est,  quod fuit, quod futurum estt In leonis ergo capite qnod 6  tribus medium se altius erexerit, tempus instans exprimitori  inter praeteritum futurumque tam breve, ut quibusdam nxù^  lum videatur; iu cui*sd enim semper est, it et praecipitafe,     \     m - T. . - -^— ■ 1. T ri- ' I H j » i»»w*i r_'ìf 1 ' III ■ I n. i^i > 'ti ni IT | - l-i i i ' i *^ -A.^-^ ^ •«■ • -làr:.. ^.- .^^ . ^. ^_. ^ ut i m ^iin     130 A. JANI PARRHASU     ante desinit esse qaam vonit. Est onim leo natura fervens  ac in agendo quod iinminet validus. Teinporis vero praeteriti  cervix lupi rapacis a sinistra parte oriens argumentum ore-  ditur, eo quod por id animai rerum transactarum memoria au-  fertur. Oeterum canis caput a dextra adulantis specie renidenS|  futuri temporis eventum declarat, de quo nobis spes licet  incerta blanditur. Quis enim non suas cogitationes in lon-  gum porrigit! Maxima porro xìtae iactura dilatio est; illa  prinium quemque extrahit diem, illa eripuit praesentia, dum  ulteriora promittit; perdimus hmlicrnum, quod in manu for-  tunae positum, disponimus, quod in nostra dimittimus.   Olamat ecce poetarum maximus, velut divino ore in-  structns:   Maxima quaeque dios aevi prìuia fugit*   Quid cunctarisy inquit, quid cessasi nisi occupas, fngit;  cum occnpaverìs tamen fugiot. Itaque cum celeritate tem-  poris utcndi velocitate ccrtandum est, et velut ex torrente  rapido nec semper cnrsuro, cito hauriendum.   Audio te esse egregiae indolis adolcscentulum, animo  alaorem, ingenio potentem, frugalitatis et continontiae in  istis annis admirandae, patientcm laboris, a volnptatìbus  alienum, fìrmiterque laturum quicquid inaediflcare, quicquid  tibi fortuna voluerit imponere. Cui si nondum omnos ad  unum bonos libuit excindere, si nomen Aragonium propitia  respicit, te, lapsis tuorum rebus, incolumem servabit, discet  abs te clementiam mitissimoque principi mitis aliquando fiet.  Tu rursus maiores tuos intueri debes ascitos coelo, ope-  ramque dare ut nude per iniuriam deiectus es, industria vir^  tusque te reponat. Ante meos obitus sit, precor, ista dies.   Deditus ac devotns   JAMU8 PASBHASIUB     »■■*■     •t^^tmmmii^mtmtmm^-im     té^maif^tmnmrt i ii '■'■^^■dfcn*     i^-»-     tm Cm^^ m iiJfcéi^MiMiiiÒfai     IV     OHATIO I IN ALEXANDRUM MHiUTIARUM   Mediolani 1501 (Cod. V. D. 15)     0)     Ismcnias ilio Thcbanus, sammus oetate sua libiceli,  quos in arto discipulos habobat, iis auctor erat ut alios eiaa-  dom studii profossores ot quidem malos adiront. Quod ita  foro putabat, ut ot illi quid in canondo soqaondum aut fa-  giendum essot ab alionis erratis erudirontur, ot oius alioqniii  non iniucundao modulationi, oomparationo peioris, gratiae plus  aoooderot.   Id nos oxomplum, quod maximo probaromus, in usnm re-  vocano tentavimus: an aliunde factum putatis, ut iUam pocudom  (Minutianum) vos audituin misorim^ quam ut roconti perìculo  cognoscatis quid intor Apollinis ot Marsyao cantnm differatt   Non dubito, qnae vostra sagacitus ost, qnin onmes in-  tolligatis illum noo ingonio, noe oruditione valore, qui per  se nihil unquam parit, ab aliis omnia suppilat, ao ut igni^  vissima volucris relictis cadaveribus saturatur, ot, quo nihQ  impudentius, oiusotiam, quom tortio quoque verbo crudelissime  lacerat, quo se potiorom iactat, inventa recitare -pro som  non oruboscit.     (1) V. huius op. Gap, li, pag. 40 et aeqq.     \     ì■     132 A. JANl PARBHA8II     Audistis, arbitror, audistis, ornatisf^imi mveues, cum, nu-  dins quartns an quintus abbino est, poctarara genera nostrìs  tantum non verbis enumeraret, quaeque nos anno superiore  ex auctoribus graecis accepta, vobiscnm oommunicavimus j  eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, magno verbornm  strepitn blatteraret.   Et audety proh Superi, se nobis ilio eomponere ! qui  negligentiae nomon suae praetendit inseioiae, qui turpe non  dueit oeoupationibns excnsare, quod haotonus magistri per-  sonam non sustinuisset et satis buio inelytao ei>itati factum  putat, si prò tot annorum iactura recipiat in posterum foro  diligentem. Quae cum dioit homo parum consideratus non  yidet alterutrum necessario sequi : aut ante adventum meum  ab ilio Tos esse despectos, ad quos illotis, ut aiunt, pedibns  et imparattts acoederet, ut, si quid in litteris curae posthao  adhibuerit, eius omnino mihi gratia deboatur, cuius opera  sit effectum ne vos, ut antea, scopas solutas existimaret; aut  certe illud se non amore disciplinarum, quas arrogantissime  Sibi vendicat, non virtntis, a cuius itinere iampridem longius  aberraret, non suae denique existimationis, quam post um-  bram lucelli semper habuit, ad hoc adductum, sed spemer-  cedis, quam desertus erat a vobis amissurns.   Et Ì8 unqnam poterit illum quaestum, quem non ex of-  ficina sed laniena librorura quam maximum facit, vestris ra-  tionibus non anteponeref non hercle magis quam pisois in  Bieco TÌTere«   Nam ubi cupido diTitiarnm invasit, ncque disciplina,  neqne artes bonae, ncque ingenium ullum pellet, ut non  minus vere quam graviter ait Sallustius. Sed fac eum maxi-  me velie: quid tandem praestabitf an alius nuno est quam  olim ftiit, cum per libellos a Senatn toties efiBagitatus ut ab  aede Musarum raucus hic anser exploderetur T nempe ille  ipse est et aliqnando tot annorum cessatione deteriora   Sed quid hoc refert, si discipuli non facilitate sermonis,        ■ i^ ii . ■■«. »m n mwtt* fi *»m,mii i ,Ama d j T b ^\''mì k 'ì è Ì%tV m0 m imi tì mktmmwt h mut m m^m T »éb'^^mmmmÌèmiJÈm     ORATIOXES ET SPISTULAB 13S     non rerum memoria, quod par esset, seti oviclianis ariibns  alliciuDturf An non illius earmiais in meutem venii: Pro-  mittas facito ; quid enim promittere laodit. Pollieitis dives  quilibet esse potest. Invenias aliquos adeo veeordes ut oas-  sam spem precio mercentur et quo, dii boni, precio ! iactar»  temporis; quo nihil esse preoiosius in vita qui Theophrasto  mature non erednnt, exacta mox aetate, sero sentient.   Qnod ne nostris auditoribus usu veniai, si unquam àlias  in praesentia diligenter seduloque cavebimns, cum mea spenta  vestrique causa, quibns ut amantissimis nostri consnltam  volumus, tum ne P. A. Stephani Ponoherii, Senatus prìnoi-  pis, ao sacrosancti nostri regis Archigrammatioi fidlere iodi-  cium videamur, quippe quum nos, qui summus honor est,  snis aanumeret ao, ut est in bonos omnes muniflcus, muo-  ribus in dies auctet praemiis, ut Glaudiani mei Carmen usur-  pare iam libeat:   Crescite virtutes fecundaqne floreat aeUt,  Nfciu patet ingeniis campus, certusque inerenti  Stat favor ; ornatur propriis industria doni».  Surgitae sopitae, quas obruit ambitus artes :  Nil licet invidiae, Stephanus dum prospicit orbi.   Non est amplius vulpi locus, nusquam iam nebnlones,  nusquam Lysonis excussor emissarius, iacet cmentus iUe da-  lator, in acie linguae qui nccem gerebat. Quod si verum non  est, nec malis artibus, ut omnes afiirmant, sed, nt ipso glo-  riatur, industria pervenit ad opes et dignitatem, dicai, db-  secro, cur nuno cadem non assequitur, quando nberiora tìp-  tutum praemia sunt proposita , naetus indnlgentissimam  Praesidem, qui benigna fovet ingenia T cur ad enm sàlutan-  dum nondum venit? Nempe quia noctua solem fingit, neo  audet homo lovissimus illi trutinae se committere. Sed  Tersipeìlcm, quem, ut Lysonis sui suecessorem, intrinseoos  odit, foris amare simulat, de quo ad aurem garrit, eundem-  que palam laudat, ita frigide tamen ut ad noTeroae tomn-     \     "•~ ^' rf H 111     • *• • ■» ft     -* ~tf -~-rii' • ■ .     ■ « ■*-•# « « •• «•     ■ ■il ■'fììtii'il«^iThMli     tf ì f ifci /T fu 1^ |^, Y-1 i ib» ri I        136     ▲. JANI PABKHABn     gnitione doctiorum, quo diatius in admirationc sui detineati  apad quera quantum proficiat quisque sontitf Sua cuiusque  ros agitur ; per me sit omnibus integrum audire quem maxime  probat. Equidem neminem invitum detineo, neque si velim  posse confido, quod Appula musca saopissime gloriatur.  Quoties onim pracdicasse creditis ita discipulos addiotos ha-  bore, ut ne ipso quidem Varrò, si reviviscat, co plures Me-  diolani sit habiturust   Scd illud gravins, dicam autem quod ab co milies au-  divi : Yos a pccudibus differro quicquam negat. Non onim  ratione, ncque iudicio, scd impctu quodam ferri, contuma-  citerqne contendere prò sententia, cui quisquo semel inhae-  serit. In Tobis uunc est enScorc, quominus nimiae licentiae  littcrator ca vere dixerit, neque committere ut patientia  nostra diutius abntatur.     .' {     MM*riM     ii i h r m-- \ • '■ — ' ' ^^iJ::^--^^^-^^.-~^M^~^^*:M.^>~.i...m.ir^-MM.^'-^f,A-^2..ji^^.^^.^sL..^.2J.^^     * .• •     VI   ORATiO AD SENAIUM MEDiOLANENSEM ^'^   1501 (Cod. V. D. 15)     Gratulor litteris, |i:aiuIoo mihi, Patrcs optimi, qui tandem  iuveni qiiocl diu multumqne frustra clcsicleraram, ne nostri  temporìs priucipcs aut eorum ma;;istratus, in quorum manu  rcs est, tcmoro cuipiam docendi munus iniungeront, quo nihil  indignius, nihil roipublicae porniciosius excogitari poterat*   Non cnini parum rofert quam quis initio disciplinam  sortiatur; nam quae teneri percipimus altius animis insidunt,  ao ita penitus radices agunt, ut nuuquam, vel certe difficulter  eyelli quoant. Intellcxit hoc prudentissimus vates Horatins  et hunc in modum testatus est:   Quod semel est iiubuta recens servabit odorem  Testa dia.   Deinde subdit:   . Sinccruin est nìsi vas, quodcumque infundis acescit.   Habeo vobis gràtias et quidem maximas, viri clarissimi,  ac si facultas darctur, etiara referrem, qui de nostris studila  adeo solliciti estis, ut me, licet illnstrìs amplissimique do-     0)     V. buius'op. Gap. V, pag. 47 et taq.   • k ... , .     \     "'ili m     i^>*i     ■*i>**^M*MMMM«^«*aa«^        188     A. JANI PUSRHASU     mini Oardinalis Bothomagensis, qui Ghrìstianissimi regia  personam sastinet| iudicio comprobatum, non tamen prius  admiseritis ad eradiendam Mediolanensem iuventutem, quam  vigilantissimis vestris ocalis exhibitum aliquod porìoolnm fa-  cere spectaretis. Non enim nobis exciderat illud Plaatinum:   Pluris est oculattts testìs unus, quam aoriti deeoin.   Novistis, Patres optami, novistis quid hoius sanotissimi  Senatns ordinem deceat: non oportero mmusoolis bominnm,  neque simplici cuinsqne testimonio facile credi. Oondonant  pleraque mortales odio, nonnulla etiam gratiae ; ncque reve-  rendissimi domini Gardinalis divina mensy gravioribus ne-  gotiis occupata, minimis quibusque vacare potest.   Quid vero nnnc agam, viri clarissimi, quom sere già-  diator in barena consilium capiat mibique necesse sit in  consessu disertissimi Senatus, virorumque doctissimorumi  quos adesse iussistis, ex tempore verba faceref Fateor hoc  etiam periculum bone pcriculo nos quandoque fccfsse ; sed  in ludo litterario, non in foro; sed nostri generis hominibns,  non tot eloqucntissimis viris et illa auctoritate praeditis  audientibus, qui, quoque me verte, virtutum fulgoribus in-  gentes occurritis.   Sed unum me, Patres optimi, consolatnr, quod apnd  prudentes, ut in lucubratis operibus censura severior est, ita  in snbitis orationibus venia prolixior; nulla enim res potest  esse eadem festinata simul et examinata, neo esse quicquam  omnium, quod habeat et laudem diligentiae suae simul et  gratiam celeritatis; Bxstant a nobis evigilati commentarii atque  leguntur, in quibus non recuso vel.etiam malevolorum subire  iudicium (1), dummodo ne quid ingenio valeamus ex hac tumul-     (1) TttDo Parrhaalat iam ediderat laculentissimos commeDtarios, qui  iDscrìbuDtar: Corneliut Nepos De viris iUusiribus, MedioU. 1500; Sadalii  Carmen Paschaie et Prudentins, Mediol. 1501 ; Comm. De Rc^ffiu Pre-  eerpinae CL Claadiani, Medici, prid. Kal. Sext. 1501.     •• s     MmMié     MM«.M^U^«MiteM«iM*^F««iid»w*i*MM*rn«kM^*«taa^k«Bi^M.*rt*««>w»rfkMkW«*««wAi«aitfkÌHa^^     ORÀTIOMKS BT BPISTUULB 139     tuaria dictìone stataatis. Neo opes, arbitror, in nobis exigitìs  so!■ I nn , - ,., ^i TI ir ■• • f. P.A .-•. , ^^..^. ■^■^ ; „ ,,,, ---,     ■ • - - . »> • • •     144 A. JkSl PABBHASn     Qnod si non tantum profecisti, quantum par osset, tua  non mea culpa taxi ; quid cnim facias homini tot quacstuariis  artibus occupato? lam vero illud cuiusmodi fuerit, omnes  probe nostis, quom Julius AeinìliuSy vir, ut a raultis accepi,  plurimae lectioniR, ex hoc loco, prò dii iramortales, (et au-  debis negare ?) manifestissiinis arguinentis, omniuinque con-  sensu te reum lancinati, praecerpti inversique Cicoronis  ageret. Ego quom tu ingratnm vocas ( piget horcule memi-  nisse) suscepi tuas partes et quidem iniquissimas, quantumque  in me fuit, indefon^um non reliquia tuoriquo conatus snm  oum summo capitis mei periculo, ut vestrnm plerosque me-  minisse conAdo.   I mine et confer illa sapidissima tua tuceta, illum pa-  nem secundarium, illam vappam, quam nobis appouebas.  Neo eo dico ut expostulem, qui potus cibique (quod tu non  negas) parcissimus semper oxtiterim; sed compononda fue-  runt aliquando beneficia, ne tibi semper ingratus viderer.  Quod si nihil praeterea contulissom, nonne minerval mea  diligentia quaesitum satis est ad aequandas rationes f an  tuas dumtaxat in ephemeridem contulisti, quod facis cum  papyri glutinatoribus, quos semper aliqua summa defraudas f  Vae tibi si non intelligis minorem lucri quam fldei iacturam  esse 1 In quo ingratus tibi videor ! an de vi queri non debui,  ne ingratus tibi viderer 9 Ao in illa querela quid est dictum  a me cum contumelia, quid non moderate, quid non remis-  sins quam scelerìs atrocitas exigebatf   Sed alibi furoris arcem habet callidissimus veteraton  invidia miser aestuat, invidia coquitur, invidia rnmpitor,  nollet extare cuius comparatione detegeretnr, Andistis, eru-  ditissimi iuvenes, audistis cum clai*a voce clamaret : descende  de pulpito, si vis ut taceam. Egone descenderem, stolidis-  sime, ab ilio suggestu, in quo certa disciplinarum ratione  locatus sum, in quo me Pater amplissimus et divinus Car-  dinalis Botbomagensis, approbante universo Senatu, statuit t     r r • *"- -^ I ------ — ■^■^ -^ •^*^''>'^'*-^'^' »•'»■'- 'i^^*- ■• • ««kri*«.k_M     ***"■* ■■ ■ *'"''^"— ■»-^" ■ ■■ ■^■y-ni'     h«U W4 »s^ . A «^ ,     Vili     PBAEFAIiO IN PEBSIOM^)   Mcdiolani 1504 (Cod. V. D. 15)     Chilo, sapiens uuas e scptom quos votostas in Graecia  consecravit, iam senez eoqao prailentiori nam serìs venit  usus ab annis, ut inqnit Ovidins, qnom forte qnompiam glo-  riantem audisset nnllam se inimicum habere, an nuUam e-  tiara amicnm haberet, interrógavit, amicicias et inimicioias  iuvicem consequi et addaci necessario ratus, ut apnd Gellium  Plntarchas memorat. e Hai >, in Aiace farente Sophocles ita  monet, e hac fini amcs, tamqnam forte fortuna osurus, bao  itidem tenos oderis, tanqaam paulo post amatams >• Per tot  onim vitae salobras quis ita circomspecte potest incedere  qain offensiones aliqnando non incnrrant f Sammae illnd qoi-  dem felicitatis est dnas forocissimas affectiones amoris atque  odii intra saam qnamqne modom continere. Qnod si minns  contingaty qaom non omniam sit in Gorinthnm navigatìo,  proximae laudis illad est ad lenitatem nos qaam primom  dare, nec in vita mortali inimicicias perpetnas exercere.   Minutianos Alexander, nt scitis, annis abbino daobns,  an tertins agitar, ex hospite factas hostis, utrins colpa dicere     (1) V. httius op. Gap. V« pag. 60,     • t     I^i*     * J 0i     m,^     m^m^mì^^     ORATIOIIKS BT SP18TUULX     147     superscum licuit, quod aliquando  receperam, sicut aes alieuum dis^olYere cessavimus, ut omnes  intelligatis, hactenus satisfaciendi votum mihi non defìiisse,  sed faoultatem.   Quod si Fabius Quintilianus, ob eiusdem generis iniunc-  tam sibi provinciam, mores accuratius excolendos et studia  sibi duxit, quo Domitiani, perditissimi principis, opinioni  responderet, quantopere laboraudum mihi censetis in utroque,  ne sapieutissimum sacrosaucti Pontiflcis iudicium fefellisse  yidear, qui sicut opibns et imperio, quae malis indignisque  plerumque contingunt, nitro co- .-..^^. ■ -.f^.^. -•-•,..--.>^j.-- ■^,>-a.-^^,.«j«^^-AÌjJ^-^y,     XI   EPISTULA AD LAURENTIUM PEREGRINUM    Mediolani, olro. 1505 (Cod. V. 1^ 0>     Non it4i iiiro oontubernii, qnoiitem, pnruin inilii probatiSi ut in-  dole inoruinque olo;raiiti:i ne bonnrum ariiuiu 8tmlio potes  a me expecUire oiniìia qiiae a, non ininria desideras expHoari, nam neque Do-  mitius, neque Piemia, interpretes alioqui diligentissimi, mol-  toque minus infra classem ma^struli eins verbi vim peroe-  perunt in hoc poeta. Juvenalis enim reponere non in si-  ' gnificatione scribendi sarciendive, sed prò eo qnod est parem  gratiam referre videtur accipere. Sieuti ad Lentulum soribenSi     (1) V, huiut op. Gap. 11^ pag. IS.     \     " ti' t ^mmfmm     *• " ■ IM»!! I» I . 1»!,^^,        T* ''^ *■-•*'%■■ .• •■- - -', ^ ". , ^ ^^. T-f - ■^- '■!     164     A. JANI PABBHABn     Cicero per haec in Epistolarum famiìiarium libro primo: cCur,  inqoit, vatdciiiiam landarim, peto a te ut id a me neve in  hoc reO| neve in aliis reqoiras, ne tibi ego idem rcponam  Cam veneris», idest eadem in te regeram. Atreus apudSe-  necam poetam : e Sceleri modos debetar, onm facias scelus,  non abi reponas >, idest nlciscaris. Metaphora sampta est  ab iis qui matitant, invicemque convivantar.   Haec babai saper ea quae a me qaaesisti ; integrnm sit  seqni quod maxime probabis. Probabis enim quod aptissime  loco et sensuii qui sis ingeniosissimuSi congruct, Sed ben ! tn  vide qnid agas, qui cursum reflectas ad Sirenas ; est sane  pericnlum, ne te mansuetioram Musaram delinimenta avocent  a molestissimo legam studio. Cogita tibi, vale.     „  iuquit € Jane, qui centra tui saeculi mores in uno altero ve  libello tam lente sedeas t non illa nunc aetas est, quom in-  venes quod imitari vellent diu audiaut, omnes ad vota fe-  8tinaut| ncc expectandum habent, dum mihi tibique libeat  prò re dicere. Sed saepe ultro- iuterpellant, atque alio trans-  gredientem revocant et propcrarc se testantnr. Utque Phi-  lostrati leones ex eadem praeda bis cibum non capiunt, sed  ex calida recentique semel pasti reliqiiias aspemantur, eodem  pacto nostri temporis homines una do re saepe disserentem non  facile x>atiuntur. Quare nisi novi quid in mcilium promas, quod  discipuli probenty vereor ne solus in scholis relinqaaris (1) >•   Qnibus ego monitis, ut par erat> a priore scntentia de-  turbatus, animi dubius aliquandiu pepeudi. Nam quam vis et  ipsa res et auctor monebat, ambiguuiu iiuncn erat quam in  partem homines essent accepturi, si Lucium Florum nostra  ope propemodum convolescentemy nt parum periti medici,  non penitus obducta cicatrice, desererem ; *tlifficilis anceps-  qne deliberatio , din multnmque agitata , nostri innneris  auspicia retardavit, donec animo sedit ocii^mei rationem  vestris commodis posthabere. Diebus itaque festis, quos alii  genialiter agitabunt, quae restabant ex Floro, pomeridianis     (1) Haec Demetrìi Chalcondylae moniU maximam Parrhasii nostri  laudem praa se ferunt, nam manifestis argumentis eins magnuin et  Msiduum in castigandis scrìptorìbus stodium nobis patefadont ». ^     •^■M*^'*"^     - ■-     tk é m u mtàutmm^tÈm^im^m^^mnm* itiàm     ««M^«*laiM*É*«i     OBATIOME8 ST EPI8TULAX     167     horis intoi-pretabimur, in eius vero locum (qaod (ànskiiii  folixque sit omnibus ) Livionì sustitucmns illum, qnem ve-  tustos adco suspoxit, adoo venerata est, ut nihil ad hoo aeyi  rcliqueriti qnod in eius no>'um praeconium possit excitari.  Quis euini post Fabium non dixit in conciouibus Livium,  supra quani narrar! possit, cloquenteinf Qnarum tanta vis  ad persnndenduni iam tuni crcdebatur, ut Metio Pompusiano  capitale fuerit apud Domitianum, quod eas excerptas ad  usum uiemoriae circuaiferret. Quanto niitius sacrosancti nostri  Ro£^s in^^euium, per quein non haee ediscere solum licet|  sed ipso praeceptores nitro conduciti qui iuventutem Hber»-  liter institnant,   Quis vero Livium nescit in exprimendis alTectibnSi quoa  mitiores appcllant, inter historìcos primos obtineref   Nam quoil ab ultimis Ilispaniao Galìiarnniqne flnibus  illustres in urbem viri venerint, ut unum Livium salutarenti  epistola Plinii Nepotis ita porcrcbruit, ut sit in tanta notioia  reforre supcrvacanoum. Furor est autem, furor in quaestionem  vacare, quod olim Valla, Sallustiusne doctior fìierit an Li-  vins, et eos invicera comparare, a quibus discere magis oon-  venit. ntrique summi extit-ore ac cadesti quadam providentia  componcndis moribus alendis..     ^ . ^t --     . • •     » »     .K     XUI     EPISTULA Nli.-DE LIVII INDICE^')     Mediolani, circ. 15(fó ( Cod. Y. F. 9 )     Timon ìlio Phliasius, óloqueutiac sapicniiacquo stadiosusi  ut undecimo Successionum libro scrìbit Sotion, iutcrrogatus  ab Arato Solense quo pacto posset Homeri poema consequi  castigatuniy respoudit : e Antiqua lego exeniplaria, non ea  quae nuper emendata snnt >• Eius, ut reor, auctoritatem  secutns, Probus exemplaria undique coutracta inter se oou-  forre coepit, ex eorumque fide corrigere ceteraf atqne di-  stinguere et adnotare curavit et soli liuic noe ulli praeterea  grammaticae parti deditus, ut Suetonius auctor est, ad fa-  mam dignationemqne pervenit. At, ut quidem sentio, non i^  niurÌHi nam quam sit hoc laboriosum, quam non omnium,  Cioero testatur ad Quintnm fratrem. cDe libris, inqnit, Tyran-  nio est cessator ; Ohrysippo dicam, sed operosa res est et  hominis perdiligentis; sentio ipso, qui in summo studio nihil  assequor »•   De Latinis verOi quo me vertam, nescio, ita mendose     (1) In codice V. F, 0, in quo omnes quae Parrhasii tupersont epi-  •tulae collectae sunt, nonnulla Quaesita^ ut hoc De Livii indice^ omni  indicio signoque careni, ad certuni signiflcandum viruro, cui inscrìpta  sint. — V, huios op. Gap. VI, pag. 55.     N     •MklMU»*     ll'^g''^ — ^-j^^Aat^*— i>fc^     «'      •. -^        oratioubs xt bpistui^àx     159     scribuntur et veneunt. Utinam non nostri temporis haec io-  stior essct querela! certe ego non plus in alienis erroribos  coufutamlis, quam in cxponendis antiquorum scriptis inso-  dsircm. Sccl afiirmare inratus et sancte possum, eie omnes ab  impressorìbus inversos esse codices, ut, si anctores a pestìi-  minio mortis in lucem revoceutur, cos agnituri non sint. In  quo non recuso quin mentiri indicer, nisi Livii Decada istao.  apertissime probabunt. Ao ut ita facile omnes iutelligant, ab  ipsis argumentis incipiam.   Sjllabos et elenchos graece dicitur is quem latini vo-  cant indicem, cuins adeo studiosi fuerunt antiqui, ut PliniuB  integrum volumen elencho dederit, et Cicero per epistolam  potati ut eius libris index ailinngatnr. Lampius etiam, Pia-  tarchi filius, hac una re claruit, quod cleuchon operibus pa-  tris addidisset, ut est apud Suidam.   Qais huuo indiccm Livio praetexuerit in obsouro est; a-  liqui tamcn Florum suspicantur. Ego nihil aiBrmo, sed qui-  cumque fait, doctus certe fuit et plenns auctoritatis in scholis,  ut quidam de suo multa addidisset, quae, licet a Livio  transcripta sint, adulteraut et vitiant alienar nm lucubrationum  sinceritatcm, ut dcpreudimus iu antiquissimo codice, qui ma-  uavit ab cxemplari Fraucisci Petrarcae, viri, sua tempestatOi  dootissimi. ^           'i     XIV     PRAELECTiO AD DiSCiPULOS   Mediolani circ. 1506 (Cod. V. D. 15)     Tollite iampridem, victricia tollita sigoa  Virìbut utenduiD quatf'fecimos   Libuity adolescentes ingennii pomorìdianis iis aaspiciis,  iisdom V08 hortari verbis ad repetenda litterarum stadia,  qaibas apud Lacanam Oaesar ad instaurandum bellara mili-  tos sao8, qaando non cnm aurìore maj^que infesto ' hoste  Oaesari fntura res erat, qaam nobis hoc tempore.   Stat ecce in nos ignorantia gravissima adversaria, centra  qnam, cum anno saperiore freqnentes mecnm strenne pngna-  yerìtiSy frigoris atqne solis patientissimi| nunc nisi reparata  constanter acie consistemns omnes prompti, labores emnt  irriti, pessimeqne de rationibns nostris actnm. Haeo enim  nos omnibus omamentis et oommodis exnet; nam quid ant  conseqni potost ant praestare qui, quid optandnm, qnidve  fngiendnm sit, ignoratf Usns mnltarnm remm perìtia com-  parat homini prndentiam ; nnlla tamen re magis ignorantia  prostemitnr, qnam litterarum cognitione, qua si qnis a teneris  annis imbntus, poetas et historiarum scriptores accurate versat     (1) Hano attalimas Pradectionem ad venim paternumqo« Parrhasii  in discipolot demoDStrandum amorem*     f>     ab^i^mt^mimm'^'mmm^^     111^1»» 1 1 r if , m I ■ ■ ■■ mi II \ km ru ^^ni^im      OnànOVEB ET BPISTULAX     161     indeqae mores et instituta mortaliuiii disciti ao daoe demaìn  philosophiai Wtae probitatem cum eniditìone coniimgiii Ì8  sane diis immortalibus par in torris habetnr.   Itaque ne tanto nos pracmio spolict ignoranza, resamp-  tis viribns, bellicis exeroitationibusi antea firmatis, daòram  qaoqae raonsiain requie refeotiS| integri et reccntes ad ca-  pcssenda denuo studia consnrgite.   ConsurgitOy inquani| adulesccntes optinii| consurgite ad  solitam litterarnm palaestram, et iam sublata atque explieita  signa prosoquimiui, ut adversus ignoi-antianii horainis acer-  rimam hostcnii fortiter et impigre mecum decematis. In quo  quidem bello commilitonis et non imperitissimi dncis offido  fungar. Etenim nullum laboremi nnllas vigilias, nullnm de-  uiqne periculum recusaboi ut in arcem sciontiae, ad quam  nati sumus, victores triumphantesque vos perducam, Atque,  ut verba ad rem conferamnsi institutos auctores, 4°orum  enarrationem vindeniiarum feriae intcrruperunt| resumemoa  ab eminentissimo poeta sumpto initio.     \     .s        . . » •     Zi. ^m     -, ^^«P •«-           XV     epìstola ad PIUM....^'>   Mediolani circ. 1505 ( Cod. V. P. 9 )     Atquiy taa cuni bona venia, fallit te ratio, mi Pie, nam  nec extat apud Solinum: e Armenia tigribus feconda >; nec sic  unquam scrìpsi, sed : e Armenia voi Hircania feta tigribus est>,  ut ait Soliuus; in quo velini dicas utrnm codicem mendosnm su-  spicaris ab antiqnis exemplaribus inter se collatis, an qnod  ea locutio latina non sit, ant parum tersa. Liceat apud te  gloriari : si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis  ego nomen proflteor meum, Neapoli, Lupiis ( nrbs ea^ Apn-  liae est), Bomaeque nactus antiqua reverendaeque vetustatis  exemplaria, quibus adhibitis et cxcussis, castigatissimum mihi  codicem reddidi. Sed et hic alterum habeo vetustissimum,  qui Merulae fiiisse di^itur. In iis omnibus /e/n tigriÒM est'  et non fecìinàa^ et ita dixit, ut Maro feta armiè^ et feta  furentibut auètriiy alludens ad animàlium speluncas et sub-  terranea cubilia. Scio quis iUius emendationis auctor fiierit,  sed is me perducere non potuit, ut ei, magis quam vetustio-  rum codicum fidei, crederem.     (1) Non prò explorato afArmare possamus cui Parrhaslos hanc io-  Bcripiierìt epistulam, oam daos illi hoc nomine amicot fuisse compe-  rimnt : Joannem Baptiatam Pium Bononiensem, et Aldam Piam Roma-  num. — V. haiui op. Gap. Ili, pag. 23, 34.     n     t .     ifc IWli^fc     •**i*"^^**     ^ntU^tì^^ìimAm     X7I     EPiSlULA NI. -DE A. MARCELLIIO   Mcdiolani ciré. 1505 (Cod. V. P. 9)     Ammianì Marcollini Btrum gestnì'um libri penes me soni  omnos quot extant, ex antiqaissimo codice Bomae exeriptì;  nec alium prope froqueutius in manibas habeo, qaod inde  quaedam non vulvaria liccat hanrire, Sed quid oportott iii>^  Illa Juliani mentione Marcellinura citare, nisi qnotiens in  rem meam faciebat ex rebus Juliani f Curiosi certe nimis  est inaccurate illud a me factum putare (1)     (1) V. hoiui op. Gap, Ili, pàg. 28, /     \     * -•■ .-^-^^-1^ — v^^^ I — , ^ -^. 1^ ,1, I f n , i m T ,     ^^^     ■« «»i».i>i> . .        ■ ■■■%     '^m^ »W ■ » ti wii^ I I     OBÀTIONBS BT XPISTUUUB     186     piena fnigis optimae ; et haec in causa fuenmt ut Latatium  potius quam Lactantium nominarem, quom plus apud omnes  sanae mentis homines valere debeat antiqaoram codicum  fldes, quorum magna mihi copia Neapolii Bomaeque con-  tigit, quam particnla vulgatis inserta codicibns ab iis qui  testimonium iuscriptionis ab se perversaesibi ipsi conftnxeront.     \     I     xvm     ORATIO HD MUNICIPIOM VINCENTililiM   Veicetiao la07 (Cod. V. D. 15)     !IU (0     Veni, Patres optimi, tandem veni, 8oriu9 oxpcctatione  Tostra moaquo voluntate, quod immanium barbarorum grave  diuturnnm iugum non facile fuit ab attritis excutcre cervi-  cibus, quippe qui necopiimta Victoria extulonmt aDimos,  tantumque sibi pcrmittuut in omnes Italos ( o miseram tem-  porum conditionem ! quis hic ita non ingcmisoat et frontem  feriat ? ) quantum vix olim Gares in Leleges, Arcades in  Pelasgosy Lacedaemones in Dotos.   Ilabeo diis immoi*talibus gratiam, quorum uumine serva-  tus hio a     -tJ^f,^^' - " -1 '"- -^* ' ^' -^ ^.-a. t I ■> - ^ ■ ^r->. ■ tf ■ ■!!>     u# i'^i I •> iì iì I II ■ rfi 'I riaBiiiii r '\x^è\     • *     OBÀTIOmBS BT SPI8TUULX 167   sanguine gliscnut^ sic in omni crudelitate eznltanti nt vix  acerbis sociorura funcribns satientorf   Errat, Patros optimi, si quis arbitratur ipsos deos Ulyssi  magis extitisse propitios, a cyclopum fanoibns elapso, qnam  mihi dum cruentas Gallorum manus effagi. Qydopos enim  dnmtaxat in advenas appnlsosqne saeviebanti ii ne notos  quidem saisque parcunt. Ulysses uno vini cado Poljphemum  sibi pene conciliavit, ii beneflciis obsequiisque redduntar  importuniores.   Nam quid in eos a me publice priyatimque, domi fo-  rìsque profoctum non est f Quis centra ganeo, quis adulteri  quae mulier infamis, quis corruptor iuvcntutis ita iactatus  est unquam, ut ab iis, innocentissimus optimeque de se me-  ritusy ego t Caput omnium, satorque scelerum fuit AllobroX|  qui virtutis praemia malis aiidbus assccutns ini rcSv oye^v  fiùaiìjQ'Aiktl^y Inito^ &pcv(jij idest ex asinis et quidem lenUs  repente cquus exiluit.   Is enim nostri generis omncs odio prosequitur ob in-  testiuas inoxpiabilcsque simultates, quas cum clarissimo  nostro conterraneo Michaele Bitio, iurisconsultorum nostri  codi facundissimo, gerit, nude quave de causa susceptas in  pracscntia dicere nihil attinet. In me Tcro praecipue debao-  chatur et furit impotentissime, quod una alteraye epistola  Bitium laudavi, semel in editione Sedulii Prudentiique, Obri-  stianorum poetarum, quos omnium primus e pulvere situque  vindicavi, iterum per initia patriae Historiae, quam Bitius  ipso condidit, mihique castigandam 'dedit (1).   lUud autem nullo pacto forre potuit me sua causa no-  luissc quorundam Mediolauensium liberos a nostris aedibus  exturbare, quo vacuus apud me contubernio locus Allobro-     (1) Ritii opus inscrìbitar: De Regibits Hispaniae^ HierusàUm^ GaOiae  ete. Histort\ Romae MDV. Parrhasii epistula, impressa in huias operit  prìacipio, data est ad Ritiuin Mediolani, Rai. Coi. Ì50S.     W lm é'^ m^i ••■•,. '^ p I,      168     A. JANI PÀBItHASn     gìbus esset snìs. Ex iUo Mioutulttin quendam, nostrae prò-  fessionis acmulnm, qui nihil quoestus aliquot annos prope  me fcceraty extollerey amplecti, fovere quo stomachum mihi  faceret, ìgnarus ineptiarum longe grandiores offas a me sae-  penumero voratas ; ac incidit in illam quoque suspicionem,  quam garriens ad aurem Minutulus, de quo iam dixi, dola-  tor augebati a me sua notari tempora vitaeque sordes eo  opere, cui titulum feci : e De Rebus per epistolam qunesitis »,  quod adhuc domi sanatur, propediem vcstris auspiciis exi-  turum {1\ Quare non ita multo post a cena cuiusdam re-  diens senatoris ad primam facem, ex ictu lapidis in capite  vulnus accepi ; nec alieni dubium quin homo sexagenarins,  qui plus in capulo, quam in curuli sella suspendit nates (ut  iSocete Naevius ait in Pappo) percussores immiserita indi-  gnamque caedem, quantum fuit in ipso, patraverìt, quom  satis constet ab emissariis eius excursoribus ingentis spe  praemii soUicitatum Michat^lc'm chirurgum, qui me curabat,  ut malum venenum medicamentis infunderet. Exponere su-  persedeo quam gestierit, quantum sibi placuerit indomitis  moribus Allobrox, quod eo periculo motus in patriam me  recipere statueram, quanto rursus dolore sit affectus, ubi sensit  ab amplissimo patre Stephano Poncherio, Lutetiae Parisio-  rum Pontifice, cuius immerito vicem gerit, a decedendi Con-  silio revocatnm.   Quid itaf nolite quaerere, Patres optimi, nolite quaerere,  quando felicioribus etiam saeculis tam perverso principes  ingenio sunt inventi, qui prò hostibus haberent eos qui excel-  lerent in communibus studiis essentque superiores ingenio.     (1) Parrhatli aiteveratio valde congrùit cam illis Ciminii verbis in  Epistola nufte» ad Corìolanum Martyranun ante Itist. Gramm. Charh :  € In prìmiff autem deflenda est illios divini operis iaotura, — > De Rebus  •cilicet per epistolam quaesitis, — > quod ipse saepenunìei'o vidi. Erat  enim ad editionem paratura, libiisque constabat quinque et viginti »•     1 «.     iaHto«*««aMataiiBrf*«Mtfi*i^^A«#^*MM«aa*»wi " ■ I H I V,     ■'W.«     ll*     %     1^1 11 I ■!! ^i^i^>tft»at0t I • I .» I ■ Il » ^     ■^^,.^. -^ y-^^-ì •...■: ^-^^J -K- -•--■■■ •,\j.:-.i>;^^i .-^^.l--:-.     i»timm     ORÀTlOVEa ST BPISTULAX     171     Trahat anrì splendor et lucri capiditas alios : ego pecuniae  captum nauquam habui; sequantar alii annouae liberalitatem,  vhiique praostantiam, an^^uillarum saginara, quas Tester amnis  Dutrit Eretenus, ab Aeliano laudatasi ego, magistra philoso-  phia cum Vairone didioi sitienti therìacum mulsum, exurìeiiti  pancm cibarium siligineum, excrcitato somnum soaTem. Di-  scesserint bino alii pecunia divites, ego contentus ero yestra  bencvolentìa, acri iudicio, gravissimo testimonio parta gloria:  quamquam nobis est in animo, si liceat, aetatis reliquum  vobiscum exigere, proqne mea virili parte oaptuque ingenti  sedulo commodis vestris inservire; sic enim publice priva-  timque de nobis meriti. Dies me deficiet, si commemorare  volucro quibus ofBciis florentissima vostra respublica, ye-  strique cives me prosecuti sint et x)rosequantur. Itaque ne  cuiquam videar eorum magnitudinem non sentire, quod unum  possnm, pollicear industriam meam quantamcumqne vestrom  ncmini defuturam ; praeterqne publicum docendi munns, quod  mihi delegastis, epistolam tertio quoque die iuventuti ye-  strae dictabo, quod antea facturum perncgaveram: tantum  bonefacta in omni re valont, ut est apud Propertium..   Denique enitar ac elaborabo, si minus cmditionem, qnae  in nobis alioqui mediocris est, egregiam certe voluntatem  vobis omnibus omni ex pai*te probare, quibus existimationem  meam commendo meque dodo. Dixi (1)     (lì Cum illa sola edere st&tuUsemus monumenta, qoibns maxime  ad narrandam Parrhasii vitam usi sumus, permultas omisimus orationes,  ut luculentissimas duae aliaa quas Veicetiae habnit.     \     li I ri— ■ ■ W ■ m > 1^ i**»i^ t^j     XIX     PBAEFATID IN HORATII ODAS   PaUvii 1509 (Cod. V. D. 15)     Si qais alias, ornatìssimi invenes, aat litterator ani  eloqaeutiae inagister, ex eo loco, qaem nos honestissimniii  Bomae, MediolaDiqao et demum Veicetiae tennimus, ad hano  iniquitatem temporum rcdactas esset, ut privatim doceret|  ille quidem fato convicium facoret seqae de fortnna praefa-  tionibus alcisceretur, nt olim Licinianns ex consnle rhetor in  Sicilia. Sed ego qui rerum omnium esso vicissitudinem non  magis ex Eunuche Torentiano, quam certa vitae experientia  didiciy sic ad omnia quae Tel inferuntur, vel accidunt homini  me comparavi, ut prosperos optem successns, adversa fàcile  patiar. Quamquam, si yernm fateri Tolnmns et a Tobis o-  blatam conditionem recta via reputare, nihil est our agi no-  biscnm male existimem, qnod longe minoris solito profitear;  siqnidem summa hnius urbis auctoritas celeberrimumque  Patavii nomen, ubiqne gentium yenerabile, compensat omne  salarii detriraentam.     (1) V. holQS op. Cap. Yin« pag. 7S.     i^     ■'^^t*****'*'*     r«M4^w»aM     J  (     EPISTULA AD LUOOVICUM MOITALTUM   Agelli 1512 ( Cod. XIII. B. 16 )     (0     Admircutur alii Siciliani^ quod omnia qaae gignit sive  soli sive hominis ingcnio proxima siut iis quae iudioantur  optima; qnod in ea prìmutn inventa comoedia ac mimica  cavillatio; quod Giclopuin gentem testentar vasti specus et  Lestrìgonam sedes etiam nunc vocentnr; quod inde Lais  illa, qaam propter insignem formam Gorinthii sibi vindi-  caront, et inde Oeres, magistra satiouis framentariae, et  Prosorpinae fama sit; qnod ibidem campus Ennensis in  florìbus semper et omni vernus die, et Daedàli manna de-  mersum foramen ostendat, quo Ditem patrem ad raptum  Proserpinae exeuntem fama est hausisse lucem. Gomme-  moreut amnium, fontinm, stagnorum, ignium et salinarum  miracula, ao arnndinnm feracitatem tibiis aptissìmarum.  Laudent Achatem lapidem, quem Sicilia primnm dedit, in  Achatae fluminis ripa repertum. Tollat in coelum vetns  adaginm Syracusarum maximas opes aerìsque olementiamy  qnod in ea etiam cum per hiemem conduntnr serena, nnllo  non die sol est. Addant Alphe! et Arethusae fabnlosos     (1) V. haias op. Gap. X, pag. 92 «t Mq.     •; .     #^'     A •     ♦ •        «     \ ,        HMM««Ml«««M     » iniiiiri*' i     «h     j» . __ ••        ; «     OBÌ.TIONB8 ST XPISTUI«AS     175     amores, et quicqaid mendacia poetaram vnlgaverant. BqoL-  dom non adeo principem nrbium Sidliae Syraoosas ezi-  stimo, qaod ambita moenium quatuor oppida oompleete-  rotar, Aohradincm, Neapolim, Bpipolas et Tychen, qaam  qaod cxempla pietatis cdiderint, Emantiam et Oritoncm,  qui dao iavenes, iucendiis Aotnae exuberantibas, sablatos  parentes ovexcrunt inter flammas illaesi ignibas ; quam qaod  Archimedis incanabula fuorint, qui praoter sideram diaoipli-  nam machinaiìas conimentator extitit, oppugnationemqae  liaroelli triennio distulit; quam qaod Thcocritam protaUt  illam rustioae Masae perurbanum pootam, multosqae prae-  terea qaorum immoHales animae loqaantnr in libris.   Inter qnos ipso tantnm praestas, qaantom ceteris mA^mtt»tìLiém^l£^^     XXI   PeAEFATIO IN SÌLVAS SUTII ^'^   Roinae 1514 (Cod. V. D. 15)     Si quis in hoc honcstissimo eonsessu t4icitus secum forte  qaaerat, andò ovenerit ut ego, promtns alioqui paratnsqne som-  per habitus ad dicendum, quemque totics ex tempore perìcnluni  bono periculo multis in locis fccissc constons fama nunciabat,  apnd T09 hacsit-are cunctarique Bim visus, ac, voluti mutato  solo vocis usum penlidisscm, quod in Agro Locrensi cicadis  acoidere Pliuii tradit historia, quibusdam quasi tergiversa-  tionibus extraxerim muueris obeundi diem, dabit is facile  mihi veniam, quom pluribus iustisque de causis id a me  factum sciet.   Ego, ornatissimi viri, licet in dolio flgulinam non discami  quod agore vulgari quoque proverbio vetamur, octoque iam  per annos in Gallia Citeriore persouam rhetoris haud inglorìe  sustinuerim, tamen insolentia loci, diversitate auditorumi  nimiaque vestra de nobis expcctatione tardior efficiebar.   Denique, si res aliter ceciderit, malo ezistimarì magni-  tudinem Bomanorum ignorasse, quod apud eos audeam do-  cere, quam humanitatem, si non audeam, quom praesertim     (1) V. huius op. Gap. XI pag. 101 et teg.        \     ■^**riSi"»rr.— »•;. «e :'^-.— ^r-* --^.o»: it...»*..^**     4     178 A. JANI PABBHASn     prò me staro vidoara duos atriusqne linguae signiforos et  qaos nulla remotior latet oruditio : Janam Lascharim, non  minus ingenaaram artium studio quam natalibus et imperia  toriis imaginibns illustrem ; Thomamque Phaedrum, Bomanae  Acadomiae principem, sacerdotiis et iugenio partis opibus  insignem, quorum tanta verbornm pondera semper esso duxi,  ut uno suo verbo cum mca lande coninnctOy omnia asseou*  turum me confldam. Nil itaque desperandum Jano duee et  auspice Phacdro, in quorum blando obtutu, tranquillo vultu,  hilaribus oculis acquiesco. Quibus ingentes ago gratias, ha-  beboque dum vivam, quod me gravissimis apud Pontificem  sententiis ornaverunt, ubi vel nominari snmmus honor. est,  Nam Grispi Passioni sententia quorundam magis expo-  tcndum iudicium quam benoficium, quorundam beneftoium  quam iudicium. Our iUis ego non omnia debeam, per quos  utrumque mihi contigit indnlgentia sacrosancti Pontificis di-  viquo Leonia X, qui maxime reram usn, incomparabili pru-  dentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili elo-  quontia, promptissimo ingenio, castissima eruditione pellet^  eaque morum sanctitate quo suus olim conterranous Leo,  cuius ante vivendi rationem quam nomen affectavit (1)     (1) Reliqua deincept, ut minime none     «     •"Nh     M il     ^makttmtmamm^mmmt^* m^mir     ■•iM^tfiM— ^yj     XXII     PRAEFATIO IN ORATOREM»   RomM 1515 (Cod. V. D. 15)     Antequani docendi muuus instaurem, coDsilii mei ratio-  nein vobis, auditores optimi, qaibas me maxime probatam  oupioy rcddemlam censui cor e tot aureis divinis Ciceronis  oporibas Oratorem potissimam dolegerim, car, repudiata priore  sootontiay Moronis Aeneidem prosecutums accesserim, quom  paucis abhinc mensibus ex hoc ipso sug^^esta a. me enarra*  tum ili Bucolica pronunciassem; quod nisi me insta de cansa  diotnm mutasse oonstiterit, equidem non recuso quin apnd  vos levitatis et inconstontiae culpam inourram • • •   Nominem vestrnm latet, auditores ornatissimi, qnantas  invidiae procellas anno superiore sola patiencia i)er(regerim;  quodque lenti maleqne de me sentientis opinionem subire  maluerim, quam, quod Cicero turpissimum vocat, contentiosi  senis : huius meae lenitatis uberrimo fructu percepto sacro-  sancti augustissimique Leonis X indicio» quo nuUnm maios  homini contingere potest, a me «non difficulter impetravi, si  qua deinceps huiusmodi tempostas impenderet, aliquid de  iure meo magis accedere, quam nomen boni viri litiumqae  fu^itantis emittore     (1) V. buius up. Cap. XI, pag. 103.     \     "ì:"^ .'^'S^T^  -# xt».-.^^ -v- tr*?»-**-?--- ^»».-     XXIII     PHAEFATIO IN EPISTOLAS AD ATTICOM    Roniae 1516 ( Cod. Y. D. 15 )     Quom scdnlo mccum reputo qnnm inulta nccidant ho-  mini prneter spein^ libot npud vos^ auditore? carissimi^ qnod  Aenoas Ycrgilianuf^ oxclawat usurpare:   Hcu nìhil iavitis fas quenquam fidere divit.   Etenim quem rcbar annum tranquillitatis et ocii plenum  foro, is acerbissimos mihi casus atque gravissimas attulit  aerumnas, quae nostrorum studiorum rationes tantum evor-  teruut ; id quod eventurum non temere quisquam iudieasset  in tanto bonorum Principum proventn, quorum opibus ao  indulgentia benignissime fovebamur. Ut enim missa faciam  quae sacrosanctus Pontifex Maximus ex aorario mihi largitnr,  ne iam obductas imidiae cicatrices inutili recordatione re-  fricemus ; ut etiam taceam snffragia patris amplissimi Julii  Medicis, quem nuper ad proximam Pontifici dignitatem di-  vinae virtutes OTexerunt ; ut hebraicae latiuaeqne linguae  instauratoris Hadriani mnniflcentiam in me transeam : certe  Lisias AragoniuSy antistes ille meus omni laude superior, ea  TÌtae mihi commoda suppeditat, quae studia possint igna-  vissimi cuiusque exoitare.     %   ^1) Y. httiuB op. Cap. XI« pag. 104.           l«ow^     ^IN     •«*■     i m i r ii»* »Ìkerii, in  quo mihi eottidie lectissimorum virorura subeunda censnra  est} quos nulla, quamlibet remot^a, latet eruditio, quique anres  non hcbetes, oculos acres, ingeuia habent acutissima. Proin-  de vigilandum sompor, multao euim insidiae sunt boni»,  ut ille Jove uatus suis praecipit filiis, et quo minus ingenio  possum co magis subsidio adhibebam industriam, qnae quanta  fuerity quia tempus et spaoium datum non est, intelligi tnm  non potuit. Nam post illa vit4ilibus mlaota vulnera, quae  paucis ante mensibus apud vos oratione perpetua deploravi,  quid erat ineommotli, quod mihi deesse videretnr, aut cui  novae calamitati locus ullus iam relictus ! Eadera tamen for-  tuna, quae eoepit urgere, reperit novum maerorem, afUictum-  que duplici luctu senem tantulum respirare passa non est (!)•   Duum enim carìssimorum desiderio funestam domum,  diuturna couiugis insuper et mea valetudine concussit, et qua  (dii boni !) valetudine, coelitus iuvecta: quippe quam adversis  sideribus conflatam Gàuricus, astrologorum nostri temporis  emineutissimus, certa matheseos ratioue deprehendit; Lunae  enim deliquium perniciem nobis erat allaturum, nisi salutaris  stella Jovis intercessisset (2}. Et mors mihi quidem molesta non  fuisset, ut in qua propositam mihi scirem laborum ac mise-     (1) Deflet hìc Parrhatiut Thomae Phaedri et Batilii ChalcondylM  mortem. — Y. huius op. Gap. XI, pag, 104   (2) In Tractattt tistroìogico (TU Op., pag. 1635) Luca» Oàuricat  horoscopum pcrscripait, quein noi io hoc opere retulimus. — Y. Gap. XU  pag. 104, n. (?).     \     r-:.     ^ • -     Il- fciniiji' ( iti II' tmmu^Mbummmi     '^tf^^MUi-m^t^^M     183     A. JANI PABRHASn     riariim omninm qiiietem; seti illnd nmitn nos angobat, qnod  apnd vos absolvero tiilem moam, qnaeqne pollioitus in has  Epistola^ ad AtUcnm fiieram praest-aro non potnissem. Quo  nuno lactAndam mihi mairis est, quod ex orci fnucibns erop-  tns, iiicnndissimo Ycstro conspeotu fruor, quod intuoor et  contcìnplor uunmqucmque vestrum, quorum nomo ost cui  non mca salu^^ ncque cava fuerit ac ipsi mihiy ctiius non  extct aliquod in nos moritumi cui non sim devinctns me-  moria* benefloii sompiterna; ncque cnim vos oculornm co-  niecturay SiHÌ assiduam mihi frequcntiara praostitistis, ego-  quo non minus signiflcntione voluntatis et benovolontiae,  qnam robu9 ipsis astringor. Itaque vel hao potissimum de  causa corporìs inflrmitotcm animi virtute superavi, ut satis  aliqua ex parte nostro erga vos officio faciamus. Quod huo  usque non distulissem, nisi memet quidam casus incredibilis  ac inopiuus oppressisset. Nam prìdie oius dici quo rcditurus  ad iutormissnm docendi mnnns eram, in summo pedo enatos  abscessus, (àjrocrrysux Graoci vocant) brevi ita altas egit  radices, ut igni ferroqne vix excindi potuerit. Ego nihilo-  niinus, ulcere etiam nunc manante, reclamantibus ad unnm  medicis, quom prìmum flgere gressum licuit, bue exilui: tam  nihil autiquins habeo vestris commodÌ8.   Ncque vero hoc dico, quo me vobis venditem; our enim  blandiar bis, quorum erga nos amor, honestis artibus qnae-  8ÌtuS| odeo cre\ity ut non haberet quo progredi iam possit t  atqni potius haec ad impetrandam veniam pertinent, ne qnis  vestmm forte mihi succenseat, quoti ad diem praesto non  ftierim. Nano acquis animis attendite nostramque de hia  ambagibus ad Atticum coniecturam cognoscite. Nam si ns-  quam alibi, hic certe necesse est iuterpretem divinare ; nomo  vero desperet od huius operìs calcem nos aliqnando per-  venturos quod hoc anno cessatum sit. Temporis iactoram *  focile reparabimns, si viatornm nobis exemplnm proponemns,  Ili si serins quam volnerìnt forte surrexeriuti proporando.           \%     «M^B#«**^à«««Ì»«^ÌA»«>«M     »mim»i*a^lìkmami^Jmt^mmm*t     ■ •■ I IH ìàH^ti^mtm^^^t^mim     ri II t, 1 ■!     • •     ORA^TIONES ET SriSTUULS     183     etinui citius, quam si tic noot4! vigilass^ent, perveniunt quo to-  luut. Quoiiiani vero, prinoipiis cogiiitU, multo fAcilius oxtrema  percipiuutur, autequam quae rtvtaut mloriamnri Epistolao  argumcutuin brevissime repet4im.   Huius Episiolae superiore partieula noster Oieero reti-  ilebat Attioura certiorera de ratione suae petitioDÌ8, idest  quot in oa eompetitores haberet, atquo ex his qui certi  quive partim Armi viiloroutur. Nunc mldit etiam diem quo  prensaudi initium Taeturus ipso sit, et quorum suffragiis ao  ope nit4itur ad cousulatum, quidve in ea re Pompouium sua  causa facere velit.     ^     • *     \           ^*'"-^*- - r*; •-*- r'^ ^ \ -■ r>rf ai n » ■ i é" " . ' ■ ** !     «■w«*k>*«     i^-«i»*iii^i»v' V     »4» n . I»^»«^l«fc — «nlBÉ     PRAELECTIO IH EPISTULAS AO ATTICOM ^     ^•tei     ■«iMa .jm i > i ■ r- > ir >i Mj i a ni n i ■ ■ n i nr -— •" ■- , ■-■ ■ •"■ »— « - ■■ ■ arh^fc-Émli ■     Xl^ZDXC S     Disdica l>ng. Ili   Iktboduzionb > y   VITA DI AULO GIANO PABRASIO   Gap. I. Patria — Famiglia — Maestri • '• pag. 3  1 II. Il Parrasio a Cosenza e a Napoli —   Belazioni cogli Aragonesi • • » 11  1 III. n Parrasio in disgrazia di re Federico   — Integrità e fermezza del sno ca-  rattere — Dimora a Roma • • » 23   » IV* Il Parrasio a Milano — Importanza  storico -letteraria di questo periodo   — Lotta col Ferrari e col Nauta • i 31  1 y. Lotta col Minuziano — Relazione col   Poncherio e col Garilinale d' Amboise   — La cattedra di oratoria — Flanso   e onori i 41   1 VI. Coltura ed attività prodigiosa del Par-  rasio — La seconda età della Rina-  scenza — Grande autorità del Retore  in Milano e fuori — La Colta Giuris-  prudenza • ^ • • • • » 51  1 VII* Attinenze del Parrasio con Demetrio  Galcondila — Sue condizioni — Nnove  lotte — Accuse infami — Partenza da   Milano 1 61   > VIII. Il Parrasio a Vicenza — La lega di     i«i*irtHMMi«aaaMMifa     M*«ta«Mta     ►♦•N     :.^»*M.iixi#iiC.^wi»     • • 1     ^■^■*X .•! M ■■!■.     188     IIVDIOB     Oombroi — Vita randagia a Padova,  Abano, Venezia* • • • •   Gap. IX. Bitornò del Parrasio a Napoli e a Oo-   senza — Disgrazie domestiche — Teo-  dora Oaleondila • • • •  » X. Un triennio in Calabria trascorso a   ì « Cosenza, AjellOj Taverna^ Pietra-  mala, Paola   [• H Parrasio nel Ginnasio romano —  Ritorno a Cosenza — Sua morte —  L' Accademia Cosentina •     Appkndìcb     pag. 71     1 81     1 89     » 00  1 115     AULI Jani Pabbhasu     OBATIOXES ET EPISTULAB SBLBOTAK     I. Oratio ad Patritios neapolitanos •  II. Privilogium . • • ; •   III. Epistula ad Ferdinandum Aragoninm   IV. Oratio I in Alexandmm Minutianum  V. Oratio II in Alexandram Miuutiannm   VI. Oratio ad Senatnm Mediolanensem  VII. Oratio III in Alexandrum Minatianum  vni. Praefatio in Persinm •  IX. Praefatio in Tbebaida .  X. Oratio in L. Floram •  XI. Epistola ad Laurontinm Peregrinum  XII. Praefatio in Livium  XIU. Epistola NN. — De Livii indice .  XIV. Praelectio ad discipolos  XV. Epistola ad Piom • • •   XVI. Epistola NN. — De A. Marcellino  XVII. Epistola NN. — De Lotatio     . pug. 119    > 134    > 127    . . » 131    > 135    > 137    > 110    > 146    > 148    > 161    > 16S    > 166    . . > 168    > 160    > 162    > 163    . » 164     «^■«Mfc^lt ■ I» M II     ■' • ■» *i»-^«—*-w r ^•fc. • ^ w ■.^,.. ^■l^-^r-^■■^^T«.L-^^^^;.^■-•^^■■^, ^ •- , -■ ■-.-^-- , .a£^&.-'-^jJ:-L^.-c'-.^a:ji::^ ^-     ■^     niDiox     180     XVIII. Oratio ad Municipium VincentiDum  XXI. Praefatio in Horatii Odas •  XX. Bpistula ad Ludovicum Mouialtum  XXI. Praefatio in SUvas Statii .  XXn. Praefatio in Oratorem   XXIII. Praefatio in Epìstulas ad Atticam   XXIV. Praelectio in Epistnlas ad Atticam     pag. 166  172  174  177  179  180  184         -")     ■,/ ,":■ : ■ ::,■-.:;■■■. ■■■■  / Dello stesso autore     L* Eleqfa. c Ad Lucia» > . di Aulo Uìaco Farrosio « il  Brnto minore dì G. Leopardi — Ariano — Stab. Tip. Ap-   '' pnlo-irpino ÌS96, pagg. 30, h. 0,70.   Un Accadbmico Pontakiaito elei seo. XVI PpeonrBOPe del-  l' Ariosto ode) Panai — Stiano — Stab Tip Apputo ir-  pÌHO 1898 pagg X 489, \ 3,S0   Di prOBSima pubblicazione   Il Parrasio Filoloqo c la sua Biblioteca.   F. Paolo Pabzanbsb — Tita ed opere.   Scritti ihrditi di P Paolo ParzanoBo feon prefazione t noU).   In preparazione   STunn Dahtebchi  Anxcdoti HuvzoinANi   FOLELOBB iBPmO   La Bcdola Sabda e i Codd d' Arborea ^     Prezzo del pbesektb vomuE LiB^ 3,

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