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Thursday, June 6, 2024

Grice e Parisio

 



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DOTT. FRANCESCO LO PAECCy 



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AULO GIANO PARRASIO 



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STUDIO BIOGRAFICO - CRITICO 



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Da codici e documenti inediti 

rintenuti in Napoli 

tUUe Bibtioieche Nazionale^ Draticacciana e dei PP, Gerolamini 

e neW Archivio di Stato 



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VASTO 
Tipografia. Ebitbiob L. Ankixi 

1899. 






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Proprietà Letteraria 




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INTRODUZIONE 



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Concludo qucmC appendice con un voto. Bemékè ìm 
Jfibliotcca parroMÌana sia stata, or per atarisia fra- 
tesca, or per incuria dei custodi, deplorabilmente 
assottigliata, pure di codici e di edizioni annotate 
avanza tanto da potersene fare uno studio accurato...,^ 

Che non ci abbia da essere niutw dei nostri guh 
vani filologi a cui non nasca questo desiderio f (1) 

Cosi scriveva il compianto professor Francesco 
Fiorentino, qnan;]So, tratteggiando da par sao il 
sorgere ed il progressivo sviluppo della gloriosa 
Accademia cosentina, rimaneva ammirato dinanzi al- 
Tulta figura del suo fondatore, Aulo Giano Parrasio. 

Dovendo, tre anni or sono, scegliere un argomento 
por la tesi di laurea, molto opportuna ci parve P in- 
dicazione del Fiorentino ; sicché, per quanto fin da 
principio ci accorgessimo della difficoltà dell'impresa, 
alla quale ci accingevamo, fiduciosi ci mettemmo 
alFopera, non colla presunzione di adempiere il voto 
del dotto filosofo, ma per mostrare che, dopo più di 
un ventennio, vi era chi accoglieva il suo invito, 



Prancbsco Piorvntino>— Bernardino Tclesio. ^ Voi. !!« Firenze 
Siieo. Le Monnler, 1874« 



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INTRODUZIONE 



por dar prova, so non altro, elio la polvere ola tignuola 
non meltono poi tanto spavento, da faro presto presto 
strizzare Poceliio ed arricciare il naso scliifiltoso. 

Ora ò appunto quel lavoro, benevolmente giudi- 
cato prima dalla Commissione esaminatrice della 
Pacoltà letteraria di Napoli, e poi dalla Eacolfii 
del R. Istituto superiore di Firenze, che, riveduto 
e ritoccato nello sue parti, sottoponiamo al giudizio 
del benevole lettore. 






Oli scrittori contemporanei del Parrnsìo si mo- 
strano addirittura entusiasti di luì, non gli rispar- 
miano le \ìì\i alto lodi, e no magnificano con x>arolo 
altisonanti il valore e la grande erudizione; ma a 
ben poco si riduco tutto quo! rumore, cbo menano 
intorno : suppergiù non trovi che notizie inesatte, 
cbe gli uni copiano dagli altri, e che ripetono sino 
alla noia, inni, ditirambi, epigrammi, tirate reto- 
riche e che so altro ; ma la critica manca comple- 
tamente, o appena si azzarda a far capolino. 

Degna però di nota ò la monografia che pub- 
blicava lo Jaunelli, nel 1S44, sulla vita e sugli 
scritti del Parrasio (1). 



(1) De vita et scriptìs Auli Jani Parrhasii conscntini^ phiiologi saeeulo 

XVI celeberrimi, commeutarius a Cataldo JaimeUio, regio bibliotecario^ 

acadeènìico herculanensi et conscntino^ cluciihratus ; ab Antonio Jamiellio^ 

ratris filio^ conseutinae Acadetniae pariter socio, cditiis, praefation$ et 

tuxis auctui, — NeapoU, tipis Alo^'sii Banzolii, mdccc^cliv. 



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INTKODUZIONB IX 



Con tutto il rispotto dovuto al dotto e yalente 
archeologo, ci dispiace di dovere fìn da ora asserire 
che il nostro giudizio sulPopera sua non sarà molto 
lusinghiero. 

La vita da lui scritta è un magro e nudo racconto, 
che si riduce alhi semplice esposizione dei fatti, alle 
sole citazioni, senza che nulla si agiti intorno al x>ro« 
tagonista e v'imprima un po' di varietà e movimento: 

Il Parrasio x)rofessò a Napoli, a lloma, a Milano, 
a Vicenza, a Padova, a Venezia, ebbe molti nemici, 
solivi molte x)ersccuzioni, l\i torturato dalla gotta 
e morì a Oosenza. 

E può mai questa chiamarsi biografia? 

Dov' ò l' uomo, che ti si presenta innanzi coi suoi 
aifanni e colle suo miserie, colle sue x)assioni e coi 
suoi disinganni, senza grave sforzo del lettore? Il 
Parrasio corre errabondo di cittA in città, trova 
nemici acerrimi ed ostinati, che gli si gettano addosso 
a guisa di cani mordenti ; ebbene, perchè tutto 
questo ì Xe è forse egli meritevole per l' indole sua, 
X>er l'incompatibilità del suo carattere, opx)nre quelle 
lotte, quelle persecuzioni sono il portato legittimo 
dei tempi in cui visse, di quel secolo d' interminabili 
litigi, il secolo dell' Umanesimo t 

Non lo dice lo Jannelli : egli pare che faccia 
poco conto di quel x>i'ecetto, che il valore esatto di 
un uomo non si ha se non quando un tale uomo, 
come l>enis8Ìmo osservava il Graf (1), si considera 

(l) Attraverso il -Ciwjucceuto^ pag. 107. — Looschor, Torino, 1888. 






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INTBODUZIOIVB 



nelP ambiente sao, in mezzo alla vita. varia e com- 
plessa di cui egli è| al tempo stesso, organo e pro- 
dazione. 

Per la qnal cosa, dopo aver letto il commentario 
dello Jannelli, quaP è V idea che il lettore si è fatta 
del Parrasiof 

Oiò che si è detto di Gaio può dirsi di Tizio, 
non vi è nulla che caratterizzi 1' uomo, non appare 
Tessere vivo di Dante, l'individuo tutto intero, tutto 
d' un pezzo, la persona libera e consapevole del 
De Sanctis. 

Oltre a ciò non ci dice lo Jannelli se ò giusti- 
ficato quel lugubre lamento, cbe emana da tutte le 
opere del Parrasio, specie dalle orazioni inedite ; se 
ò vero quello straziante singulto, cbe erompo da 
quel mesto componimento, V elegia Ad Luciam {!), 
in cui si sente lo sconforto di un' anima abbattuta, 
un phato9, cbe ti aggbiaccia, un taedium vilae, che 
ti stringe il cuore. Su tutto questo tace il biografo : 

Innanzi alle innumerevoli miserie, cbe affliggono 
il suo protagonista, egli non si commuove punto, 
le narra senza commenti, senza riflessioni, trascu- 
rando così completamente il lato artistico, cbe non 
consiste nella semplice forma; ma richiede anche il 
concetto, consistente in quelP elemento subiettivo, 
in quella speciale maniera di saper spiegare e rior- 



(1) V. nostro lavoro : L'elegia e Ad Litciam » di Aulo Giano Par^ 
rasio e il Bruto mitiare di Giacomo Leopardi, — Ariano, Stali, tip. Ap- 
paio Irpino, ISOO. 



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IKTKODUZIOlfB XI 



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dinare i fatti, facendoli tutti dipendere da un' idea 

unica, cbo abbracci in mirabile sintesi tntta la vita 
di un individuo. 

Le copiose notìzie, con tanta pazienza raccolte, 
sono gettate lì, senza essere state prima elaborate, 
non v' è sintesi, ma lunga e pesante analisi ; sicchò 
manca completamente la riproduzione artistica delle 
notizie trovate, che f^ apparire coi suoi pregi e eoi 
suoi difetti la persona presa a tratteggiare. 

Bisogna però convenire che, rispetto al Parrasio, 
non ò cosi facile riuscire neir impresa : perchè si 
possa avere una completa conoscenza di lui, non 
bastano le notizie, spesso inesatte, che ci danno gli 
scrittori contemporanei ; è necessario che il biografo 
sapx)ia ficcare lo viso infondo ai preziosi manoscritti 
inediti dell' insigne filologo, e studii ed analizzi 
soprattutto Pampio codice (1), che contiene le ora* 
zionl tenute dallo stesso, al principio dei corsi, nelle 
diverse città, dove fu chiamato ad insegnare. 

In questo codice V infelice umanista ci dà piena 
contezza dei suoi mali, dei suoi nemici implacabili. 



(l) MSS. R. BibUoteca Nazionale di NapoU — Cod. V. D. .15 — 
Cari. aut. del sec. XVI, min. 317 per 223, di e. 164 non numerate, uè 
tutte interamente scritte, oltre due o più bianche, già guardie di esso; 
ò legato di pelle. — Incipit € Epithalamium », esplicit € Oratio ad. di- 
scìpulos. » — Come tutti gli altri manoscritti parrasiani, questo, codice 
divenne prima proprietà di Antonio Scripando, come dalla seguente di- 
dascalia finale : € Antonii Scrìpandi ex Jani Parrhasii testamento », e poi 
passò alla Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove nel 1799. alla 
R. Biblioteca borbonica, ora -Nazionale. 



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dello persecuzioni patito; sicché, dopo un accurato 
studio, appare dinanzi, nella sua piena realtà, la fi- 
gura di quest* uomo, d' ingegno potente, dalla fibra 
gagliarda, dal carattere fiero ed irremovibile, elio, 
in mezzo alle tante calamità delP avversa fortuna, 
resta sempre uguale a so stesso, codcìn valla proiìo- 
sitoqae (1), rivelandosi cosi vero figlio del!a forte 
e generosa Galabrìa. 

Kon deve credersi che lo Jannelli abbia trascu- 
rato del tutto Pesame dei manoscritti : egli mostra 
di averne consultati alcuni ; ma molto scarsamente 
e senza per nulla uniformarsi alle norme dettate 
dalla paleografia. 

Non ascriviamo tra i suoi piti gravi errori la 
mancanza completa delle indicazioni necessarie, ri- 
spetto ai diversi codici, se questi cioè siano mem- 
branacei o cartacei, autografi o apografi, so mutili, 
acefali, adespoti; ae abbiano didascalie, chiose,* po- 
stille, moniti o segni sulla legatura o sullo guar- 
die; ciò che non possiamo perdonare allo Jannelli 
si è la dimenticanza delP ubicazione dei codici e 
finanche della biblioteca nella quale si trovano, 
poiché quella magra indicazione < MSS. Beg. 
BibL Borb. » ò dovuta al nipote Antonio, che, 
pubblicando il lavoro dello zio, cercò di ovviare 
in parte ai gravi errori di lui, citando le opere ed i 
luoghi, da cui erano state tratte le notizie. 



(1) AuLi Jani Parrhasii. — Quaesita per epfstolam^ pag. 245. — 
Naapoli, SimoniiB fratibus, mdcclxxi. 



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Oiò rispetto alla prima parte del lavoro dolio 
Jannclli ; quanto poi alla sfcouda, por mostrarne il 
merito, ci serviamo dello parole stesse del Pioren- 
tinO| il qualo scriveva : 

Il commentario dello Jannelli non contiene altro 
elio V inventario di ciò che rimane, e solo qua e là 
accenna alcune correzioni (1). 

Vogliamo credere die non sia tacciato di troppa 
severità il nostro giudizio sulPopera dello Jannelli, 
che certo io essa si ò mostrato di molto inferiore 
ai suoi meriti veri ed indiscutibili. 

Il nostro biografo paro che abbia messa maggior 
cura ad avvolgere in classico ammanto la figura 
del Parrasio, che a far risaltare il carattere ed il 
valore letterario di lui, non sappiamo ben dire so 
incoosciamente,' o per il desiderio di riuscire magni- 
loquente e versato nella lingua del Lazio non meno 
deirautore preso in esame. 

Ma lo studio della paroletta classica, della frase 
ciceroniana, tratta e non sempre acconciamente da 
questa o quelPopera del grande stilista, fa si che 
V intero commentario risenta di una certa ricerca- 
tezza lo stilo diventi gonfio e rimbombante; è 
il caso di ricordare il motto oraziano : profesmM 
grandia turget. 



(l) Op., 1. cit. 



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AULO GIANO PAMASIO 



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CAPITOLO I- 



Patria — Famiglia — Maestri. 



Nella CaUibria Citeriore, in fonilo a quel granilo ellis- 
soide, eh' è la valle del Crati, formata dalla catena degli 
Appennini, che ai contini della Ba^^ilicata si dirama in due 
opposti bracci, V uno lungo il golfo di Taranto o l'altro 
lungo il mar Tirreno, sul fiume Crati e Busento, sorge la (Vii- 
sentia di Strabone e di Appiano Alessandrino, la metropoli 
dei Bruzii, come la chiamano Tito Livio, Plinio, Antonio, 
Pomponio Mela. 

Bella e famosa città, dal territorio ubertosissimo, dove, 
facciamo nostra. Pespressione di uno dei più fervidi apologisti 
di essa, il Sambiase (1), « stan gareggiando insieme Cerere 
e Bacco, Pallade e Silvano, e Pomona con Flora i. 

Occupa una bella pagina nei fasti civili e militari d' I- 
talia ; ma merita soprattutto un posto importantissimo nella 
storia dell' umano pensiero. 

Basta dare un semplice sguardo alle opere del Barrìo (2), 
deUo Spiriti (3), deUo Zavarroni (4), dell' Ughelli (5), del 
d'Amato (G} e di tutti quegli altri scrittori calabresi, che, 



(1) Ragguaglio di Cosenza, Napoli 16^. 

(2) De Siiu et antiq. CalaMae, Roma 1737. 

(3) Memorie degli scritton coseèuini, Napoli 1750. 

(4) Biblioi. Calabra. Napoli 1753. 

(5) Italia Sacra* 

\jSi) Pantapologia calibra, Napoli 1725. 



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VITA DI A. GIANO PAKUASIO 



diuanzi alle gloriose mciuorie ili Cosenza, entusiasmati, hanno 
sciolta la loro lingua alle più alte lodi, per comprendere 
quanti forti e baldi ingegni abbia nei diversi t-empi dati alla 
luce : Antonio Telesio, Galeazzo di Tarsia, Coriolano e Ber- 
nardino Martirano e soprattutto la fenice dei moderni ingegni, 
Bernardino Telesio, potrebbero illustrare, nonché una città, 
una nazione intera. 

Ed Aulo Giano Parrasio non è anche lui nativo di Cosenza! 

Sebbene tutti i suoi biografi lo credano tale, e non sorga 
a negarlo che il solo Aceti, il quale con scarse ragioni, 
gonfiate da un esagerato spirito di campanile, sostiene che 
il P. sia nativo di Figline (1), villaggio presso Cosenza, 
puro noi, per varii motin, dubitiamo che egli sia cosentino 
nel vero senso della parola. 

Anzitutto perchè troviamo ritenuti per cosentini parecchi 
valenti nomini di quei tempi, come Rutilio Bonincasa, Tom- 
maso Cornelio, Sestilio Mazzucchio, che sono nativi di qnei 
diversi villaggi, detti volgarmente casali, che circondano 
Cosenza e sono ritenuti come tanti sobborghi di essa. 
Poi perchè il P. nelle sne opere, sebbene .ne abbia tante 
volte l'occasione, non ricorda mai Cosenza come sua patria, 
a differenza di tutti . gli altri scrittori di questa città, nei 
qnali, come notava il Fiorentino, si vede una certa ostenta- 
zione nel determinare la loro patria, e nell'apx)orre al proprio 
nome l'epiteto di cosentino. 

In una lettera a Vincenzo Tarsia si congratula del 
risveglio letterario della Calabria e specialmente di Cosen- 
za (2) : in un'altra, diretta ad Andrea Pngliano (3), parla dei 



* (l) Animadcersiones in Barrium — De Situ et antiq. Calabriae^ ed. 
cit. € Vir iste inter omnet acvi sui erudi tissimus facile prìnceps, ad 
« Fillooum, tire Felinum pertinet, patriam tuam ac meam. » 

l2) De Rebus per EpisL quaesit.^ ediz. cit., 1. cit; 

(3) I?U 



VITA DI A. GIANO PARBASIO 



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cosentini^ mostra che non dimentica mai Cosenza, che anzi 
Pama teneramente; ma non dice mai nnlla, da cui si possa 
dedurre che egli stesso sia cosentino. 

Ne basta : nell'orazione inedita, tenuta e Ad Patrieios 
Xeapolitanos > (1), il ?.♦ per ben predisporre gli animi verso 
di lui, fa noto che, sebbene ancora giovane, ha già inse- 
rì guato parecchi anni nella nativa regione dei Bruzii : e prìus 
I : aliquot annos frequenti auditorio in Brutiis, unde nos ortum 
dncimus, interpretandis auctoribns impendimus i. 

Ora perchè qui ricorda i Bruzii e non Cosenza, dove 
realmente insegnò prima di andare a Napoli 1 

* Non crediamo parimenti trascurabile Fultra prova, che ci 
fornisce un codice inedito di Bernardino Mnrtirano, cosentino,* 
discepolo del Parrasio, da noi rinvenuto nella Biblioteca 
Brancacciaua di Napoli. 

In questo codice iutitolato e De Famiiiis cousentinis i (3), 
il Martirano non fa menzione della famiglia del maestro, e 
ciò non sembra fatto per semplice dimenticanza, poiché in 
un sonetto dello stesso scrittore, sulle famiglie di Cosenza, 
riportato dal Sambiase (3) e riprodotto dal Fiorentino (4), si' 
nota la medesima omissione. 

E in ultimo è ravvalorata sempre più la nostra tesi da 
una lettera contenuta in im altro codice inedito del P., che 
si conserva nella biblioteca dei PP. Gerolamini (5). 



V, 



(1) Cod. cit. V. D. 15. 

(2) MSS. Bibl. Brancacciami di Mapoli. Cod. 3. A. 16. e De FamiliU 
coaseatinit CommentarìuB. > 

Ai cultori di memorìe cosentine indichiamo i due codici inediti, che 
ti trovano nella stessa Biblioteca: € Rclacion de la Ciudad de Coson- 
zia — 5. 0. 1. — De Syla Consentiae. ex historìcis — 2. C. S. » 

(?) • d) op. cit. 

(5) A/S5. Bibl. dell'Orai, dei PP. Gerolamini di Napoli. Cod. Pil. XI.2 
Cari. mise, apogr., del secolo XYl, mm. 219 per 158, leg. di pelle. 
È dello stesso formato dei codici della Bibl. Nazionale^ e proviene. 



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VITA DI A. GIANO PARRASIO 



In quella il P. roccoinaucla caldamente a Tommaso Fedro 
Inghirami, bibliotecario della Vaticana^ il caro amico Antonio 
Cesareo, che egli chiama suo e conterraneus »• 

Non pare che il P. gli avrebbe dato l'epiteto di e civis i, 
se anche lui, come quello (I), fosse stato cosentino t 

Tenuto conto di tutte questo ragioni e delle notizie 
enfaticamente forniteci dall'Aceti, il quale fa menzione di un 
altare gentilizio dei Parisio (3), di una lapide commemorativa 
del Cardinale P. Paolo, esistenti in Figline, come pure 
di altri documenti tratti e ex librìs Baptizatorum », ci 
sentiamo indotti a erodere che il P. fosse realmente nativo 
di Figline. • 

Ma Cosenza fu per lui la vera patria di adozione, l'amò 
sempre del più tenero amore, fino a quando fluì in essa i suoi 
giorni, e sebbene non si sia mai dato l'epiteto di cosentino, 
pare che non gli sia dispiaciuto d'essere st«ato creduto tale. 

Anche noi x)erciò, pur sapendo di tradire in parte la 
verità storica, continueremo a chiamarlo cosentino. 



I biografi non sono d'uccordo circa le origini della fa- 
miglia del P. : alcuni affacciano delle ij)otesi, altri fanno 
delle gratuite asserzioni, fra queste degne di nota quelle del 



come Morobfa, dalla stessa Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove 
pare sia venuto in proprietà di Giuseppe La Valletta e da questo ai 
PP. Gerolamlni. — Cont. « Campanarum Epist. Antonii Panhormitae », di 
e. 56 scrìtte, più 6 bianche, già guardie. Incip. « Ad Nicolaum . Buezo- 
tom > ; expl. € et genus humanum ». 

Seguono : € BpistoUe Jan! Parrhasii » di e. 30; incip. e T. Phaedro, 
romanae Aeademiae », expl. e epistola Bernardino Minoritaiio ». 

(1) CiiioccARELij — De iUusiribtis scn'ptoribiis ecc. Ncapoli, mdcclxxx, 
pag. 223. 

(2) Come vedremo Parrasio ò alterazione di Parisio. 



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VITA DI ▲. GIANO PABBASIO 



Gonzaga (1)| cho, fra lo altro cose, chiama il marchese 
Giuseppe Parisi di Napoli, l'ultimo rappresentante del ramo 
calabrese della famiglia Parisio ; mentrOi da notizie da noi 
assunte', ò risultato che V ultimo rampollo di essa e Ernesto 
Parisio,. marchese di Panicocoli, dimorante ora a Benevento. 

Questi, con gentilezz«'> degna della nobiltà ed eccellenza 
della sua famiglia, ci forniva le seguenti notizie, tratte da 
diplomi e privilegi : 

Guglielmo, nativo di Parigi, portatosi in Italia alPepoca 
del re Carlo I, lasciò il primitivo cognome di Lancia e prese 
quello di Parisio. Da Ruggiero, suo figlio, nacque Matteo ed 
Andrea, che, uniti al padre, militarono con grande onoro 
sotto lo stendardo di Ferrante I d*Ai*agona, come apparo 
dal privilegio d' immunità e franchigie, confermate poi da 
Carlo V (2). Avendo il suddetto 5ratt.eo operati molti e 
prestanti servigi al suo re, ebbe in premio il feudo Aconaste 
di Alipraiido, confermato dal re Alfonso (3). 

Illustri discendenti di Andrea e ^latteo furono Guglielmo 
e Gualtiero, i quali da Ferdinando il Cattolico ebbero in dono 
il castello di Kalamo, nella terra di £se, come appare dal 
breve di donazione, da noi osservato in Benevento presso il 
marchese Parisio. 

Da Ruggiero poi nacque una delle maggiori glorie della 
famiglia, .P. Paolo, valentissimo giureconsulto, che tenne 
cattedra a Bologna ed in altre città d' Italia, e giunse all' o- 
nore della porpora, nel 1539. 

Ora t^ma qui opportuno osservare che la famiglia 
Parisio si diramò poi in Messina, Oastrogio vanni, Mineo, 



(1) Conte Berardo Candida Conzaga. — Memorie delle famiglie 
nobili delle province meridionali d'Italia. — Voi. 6, pag. 136, Napoli 1883, 

(2) Archivio di S, Agostino alla Zecca, — Documento XI, fol. 62, 
in quinter. Vili, fol. 200. 

(3) Archivio di S, Agostino alla Zecca, — Privilegio registrato in 
Privil. XI in quinter. XI, foL 436. 






8 VITA DI A. GIANO PARBÀSIO 

Lcntini, Napoli, Bologna e Reggio; ma il ramo principale 
fa quello di Calabria, il quale a sua volta si diramò nei 
Parisio e ex Bugerio », da cui discese il Gardinale, e nei 
Parìsio € De Thomasio »• 

Da quest'ultimo ramo, da Tommaso, consigliere di 
S.» Chiara, e da Pellegrina Poerio, il 28 dicembre 1470 (1), 
nacque Giovan Paolo Pàrisio, che poi prese il nome di Aulo 
Giano Parrasio. 

Discendeva questi dunque da illustre ed antica famiglia, 
in cui pare siano stati ereditari Pcccellenza dell' ingegno e 
Pamore alle >nrtn ed alle alto ed onorifiche imprese. 

Gli scrittori del tempo sono concordi nel tessere gli elogi 
dei genitori del P. , lodano la coltura e 1' alto sentire di 
Tommaso, non che la nobiltà d' animo di Pellegrina, che fu 
rapita prematuramente aU'affetto dei suoi (2). 

Non tardò molto a palesarsi nel P. quella grande ten- 
denza ed attitudine allo studio, e quella grande tenacità di 
mente, che fin dai primi anni fece presagire nel giovanetto 
uno splendido avvenire. 

n primo suo maestro fta Giovanni Grasso Podacio (3), 
detto cosi dalla patria, Serra Pedacia (4) : molti scrittori no 
lofiano la dottrina e la bontà del cuore, sicché sotto la guida 
di lui il P. fece rapidi progressi, dando presto chiare prove 
che il discepolo avrebbe superato il maestro. 

Gi rimane una lettera, indirizzata al Pedacio, in cui 
l'antico alunno scioglie alcune difficoltà letterarie, che quésti 
gli aveva proi>oste ; ciò che in altri avrebbe generato un 



(1) Loca Gaurico — Traci. IV Da Nat., T. II. Op., pag. Id36. 
Jamtislli — Op. cit., pag. 1. 

(2) Parrasio. — De Rebiu ecc. — Orai, in epist. Cic. ad Alt., pag. 242, 
ediz. Mattltaei, Neapoli, mdcclxxi : e In optimam matrem mcam primo 
desaevit (Fortuna) integra adhue aetata. '» 

(3) De Rebus ecc., pag. 121. 

(•^ Zavarroni. — Op. cit., pag. 63. * 



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VITA DI A. GIANO PARBASIO 



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certo senso di orgoglio , risveglia potente in lui il sentimento 
della riconoscenza, e con gentile pensiero, che tutto rivela 
la nobiltà del suo animO| cosi scrive al caro maestro: 
e Sit hoc iyziTzeAAoyiiVj ut enim cicouiae parentibus, aetate 
confectis, alimenta, sic ego tibi parem stndiornm gratiam 
prò virili parte referam ; tametsi nulla satis referri potest, 
ut inquit Plato » (1). 

Dopo che il giovanetto ebbe gustate le prime bellezze 
della lingua latina, si dedicò subito allo studio della lingua 
greca, avendo compreso ciò che non fu da molti, anche 
fra' più grandi umanisti, che 1' una non può andare disgiunta 
dall' altrtf, se si vuol toccare una nobile meta. 

n primo avviamento allo studio del greco l'ebbe a Lecce 
dal valente grecista Sergio Stizo, quando il padre fu chia- 
mato a governare questa provincia (2), parrebbe intomo al 
1483 e non nel 1485, come ritiene lo Januelli (3), che in* 
terpreta nel senso prettamente classico quell' € admodum 
praetextatus > , che si legge nella cosi detta Apologia di Vallo. 

Passato un cei*to tempo dalla sua venuta a Lecce, 
il P., come vedremo, incorse nell'ira paterna per essersi 
mostrato poco disposto allo studio del diritto. Essendosi 
però il padre piegato a più miti consigli, egb", allettato 
dal bel nome, che godeva a Gorfù Giovanni Mosco, spar- 
tano, al quale accorrevano da Veneziike da ogni parte d'Italia, 
non che dalla stessa Grecia, tutti quelli che desideravano pe- 



{ì) De Rebus ecc,^ ediz. cit., pag. 121. 

(2) Apologia del Vallo. — V. Comm. del P. al e D^ Raptu Proserp. 
Claudiani > — 1505, Milano : € Multa tamen in Graecia antea ilidioe- 
rat, admodum praetextatus, in Japygla, quam regia potestata Tamìsiui, 
pater eius, obtinebat, usua praeceptore Sergio Stizo, cui nihii ad sum- 
mam defuit erudi tionem, praeter quam maiua nostrarum litterarum sin- 
dium. > 

(3) Jannblli — Op. cit., pag. 4. . . 



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VITA DI A. GIANO PARRASIO 



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notrare nello intimo bellezze del greco (l), volle recarsi colà| e 
pare che vi si trattenesse poco più di un biennio (2). 

Non possiamo dire con procisiono quando egli si portasse 
dal nuovo maestro, se nel 1488 o nel 1489, pare però eerto 
che ritornasse a Cosenza intorno al 1491, come ci aiTerma 
un passo del suo Oommentario al De Baptn Proserpinae di 
Claudiano, pubblicato la prima volta nel 1501. 

Ivi il P.) parlando della Delia Oliva di Catullo, ricorda 
che per fonte e non per albero aveva interpretato quell' O- 
Uva, dieci anni prima, quando a Cosenza aveva avuto a 
maestro Tideo Acciarino (3). 

Tornato a Cosenza, riprese quindi il P. lo studio del 
latino sotto la guida di quest' ultimo , tanto lodato dal 
Poliziano (4), e ben presto rivelò i frutti del savio ed 
ordinato insegnamento del dotto maestro, riportando a Cal- 
limaco quel carme, che ha per titolo e ri ahtx », o inter- 
pretando per la fonte che esisteva nella Beozia, e non per 
albero, la Delia Oliva di Catullo (5). 



(1) Liuo Gregorio Giraloi. — De Poctis sui temporis. Dial. II. 
TiRABOSCUi. — Storia della letier. iud. — T. VII., P. II, pag. 437. 

Roma 1784. 

Anoelo Spera. — De nobil. profess. gramm, 1. IV, pag. 288. 

(2) Apologia del Vailo. — e lode Corcyram profeotus, operam Mosche 
dedlit 000. > 

(3) Parrasio. — Commentario al € De Raptu Proserpinae » — y« 188, 
lib. II : < Ad hanc Olivam fontcm Catulli carmen osse referendum, de- 
cimo abbine anno omnium primi indicavimus, quum celeri Strabonom 
eum poeta committerent. Neque mentirì me sinet Tydeus Actianut, vir 
et doctus et integerrimus, quo tum praeceptore in litterìs utebamur >• 

(4) Poliziano. — Epistolae, — lib. VII. 

(5) Parrasio. — Commentario al € De Raptu Proserpinae », lib. III^ 
T. 288. 



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CAPITOLO U. . 

Il Parrasio a Cosenza ed a Napoli — Relazioni 

cogli AragonesL 



Non bisogna però tacerò che anche il P., corno tanti 
altri umanisti (1). trovò nel paciro un fiero oppositore ai 
suoi studi prediletti (2). 

Era ornai divenuta tradizionale nella famiglia Parisio la 
tendenza alla carriera giuridica (3), sicché Tommaso si mo- 
strò dispiaciuto verso il figliuolo, che preferiva lo studio dei 
classici a quello del digesto e delle pandette. 

A quale perìodo della vita del P. deve però riportarsi 
questo fatto! 

Lo Jannclli, esagerando anche lo sdegno del padre verso 
il figliuolo, aiTerma che bisogna riportarlo a quel tempo in 
cui quest' ultimo apri pubblica scuola a Cosenza (4). 



(1) V. nostra monografia: Un Accademico pmitaniano del secoli XYi^ 
precursore dell'Ariosto e del Pnrini^ pag. 13. — Ariano — Stab. tip. Ap- 
piilo-Irpino — 1898. 

i2) De Uchus per cpisloìam ecc., eiliz. cìt., pag. 242 : e Neque vero 
comineinoralH), quod ut hune quantuluincuinque litterarum profectum ' 
iiiorarctur« indulgciuU alioqui in me patria animum'depravavit (Fortuna), 
no sumptuA ai ooìa Musarum auppcditaret, taroquam relieta a malori- 
bus trita semita degeneri, quod, ut illi, leges ediscere neglexerìra ». 

(3> Morelli — De Patricia consentina nofnlitaie, 

(4) De vita et scriptis ecc., pag. 10. 

I 









^ 



12 VITA DI A. qia:«o paukasio 



Ciò non ò prosaniibile, poiché Tommaso Parisio, da uo- 
mo accorto ed intelligente quaPerai non avrà certo atteso che 
il giovane avesse raggiunta l'età di 21 anno, per costringerlo 
a battere la e tritam semitam gentis suae i. Più logico in- 
vece ci sembra che egli cercasse di piegarlo ai suoi volerli 
prima che del tutto < mansuetiorum JMusarum delinimeuta avo- 
cassent a molestissimo legum studio i (1), quando cioè, intorno 
al 1485| dopo le cognizioni apprese dal Pedacio e dallo Stizo, 
credè opportuno che potesse entrare, non illotis pcdibm, nel 
campo giuridico. 

Errava similmente lo Jannelliy quando asseriva che Tom- 
masO| monendo, hortando, increpando [2]^ non riusci a vin- 
cerla sul figlio, poiché abbiamo le pia chiare p]*ove che 
questi, benché certo a malincuore,, fini coli' appagare il de- -. 
siderio paterno, come risulta non solo dal brano succitato (3) 
e dalla lettera al Pellegrino (4), ma anche da un manoscritto 
inedito, intitolato e Vocabularium legale i (5), redatto, come 
pare, sotto la guida del padre, che gli fu certo maestro in 
quella disciplina, in cui era tanto versato (G)« 

In questo codice, dove sono disposti per online alfabetico 



(1) MSS. Biblioteca NaùonàU di Napoli. — Cod. V. P. 9. — 
Cari, aut., mm. 315 per 215, leg. come i precedenti e della medesima 
derivaxione — Inc. < Galeatio Thyenaeo », expl. € horis consti UieUatur »• 

Questo codice contiene la maggior parte dei € Quacsitapor episto- ' 
lam », già editi, più alcune lettere ancora inetlite, fra cui quella al di- 
scepolo Pellegrino, che esorta a non lasciarsi troppo allei taro dalle Muse, 
polche potrebbero distoglierlo dallo studio del diritto. 

(2) Op. cit., pag. 10. 

(3) De Relmi ecc., pag. 242. 

(4) Cod. cit. V. F.-9. 

(5) MSS. Biblioteca Nazionale di Xapoli — Cod. XUI. B. 25. — * 
Cari, aut., di e. 155, senza le guardie, di mm. 214 per 152, leg. di 
pelle — Inc. « Eburneam bibliothecam », expl. e aliam hano appcilant ». 

(6) Obiolu. — Orig. dello Studio di Napoli. — T. 1, 1. IV, pag. 250. 
NapoU 1753. 



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VITA DI A. GIANO PARRASIO 13 



luuuincrcroli quesiti di diritto, tratti dalle opere dei pia 
valenti giurecbusulti, corno Ulpiano, Paolo, Modestinoi Pa- 
piuiiiDO ecc., bisogna notare il lavoro paziente del giova- * 
netto, reso ancora più manifesto dai non pochi errori grafici, 
in esso ibcorsi, ed eliminati evidentemente da una futura 
correzione. 

Pare però che in Tommaso Parisio abbia finito col trion- 
fare la generosità del suo animo; sicché, specialmente quando 
vide l'altro, figlio Pirro battere la strada dei suoi antenati, 
dovette certo venire a più miti consigli verso Giovan Paolo, 
e permettergli di seguire la naturale tendenza del sud ingegno* 

Xon crediamo punto di errare asserendo quindi che egli 

stesso lo consigliasse a lasciare Cosenza, dove presto la scuola 

di luL.cra salita in grande onore, ed a recarsi a Napoli, 

dove già egli occupava la carica di regio consigliere di 

. S.« Chiai-a (1\ 

Però inclineremmo a credere che il P. non si recasso 
allora a Napoli per la prinia volta, poiché uelP Oraiio ttd 
ratritios ncapoliUiìtos dice che, essendo venuto colà per sa- 
- lutare gli amici, da questi, che già per prova dovevano 
conoscere il suo valore letterario, venne invitato, anzi forzato, 
a tenere uù corso /li lezioni sulle Sclì:e di Stazio (2). 

Non crediamo qui necessario trattenerci a discorrere 
del Pontano e della sua Accademia, dopo il cenno che ne 
abbiamo fatto in altro nostro lavoro (3} ; solo ci piace osser-' 
vare che sebbene il P., ancora cosi giovane, si assumedse il 



(1) Toppi. — Dj Orig. Tribun. — P. II, 1. IV, cap. I, pag. 239. 

(2) MSS. Bibl. XoiionaU di NapoU. ^ Cod. V. D. 15. — € Ai io 
praesontiaruui/ Viri patritli, quum ofiilii causa, ut amicos inviseremas, 
A'I vostram rempublicaiu ornatisshnain aodique vorsum me contulissem, 
ab eìndem post aliquot dies inissIoDem impetrare haudqaaquam potala 
quod dicerent nostrae consuetudinis iucundltate teoeri eoe. > 

(3) Un Accadeinico poHtaH'ano d€l secolo X Vi, precursore ddV Ariosto 
e del Perini, pag. 21 e seg. — Ariano, Sub. tip. Appulo-Irpino, 1888. 



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VITA DI A. GIANO PABRASIO 



difficile compito di professare in nna città e totias Italiae 
celeberriinai ubi omnium bonarum artium studia poUebant, 
in tanto praesertim doctissiinorum hominum coetu i (1), 
pure riusci molto bene nella prova, da meritare il plauso 
generale. 

L'orazione tenuta^ dal P. ai Patrizii napolitani, nel codice 
succitato, appare divisa in due parti, il che fece credere allo 
Jannelli che si trattasse di due orazioni diverse. 

L'oratore esordisce bellamente con una lode alla costi- 
tuzione della Repubblica romana, in cui, egli dico, e nihil 
occurrit quod non summo iugenio excogitatum, maiori'studio 
expolitum, maxime Consilio ac prudentia gcstum iudicetur i. 
. Bicorda poi la lunga e paziente preparazione dei Romani 
prima di uscire in campo npeiiK) contro i nemici, e da questo 
prendo le mosse per accennare ai suoi maestri ed all' inse- 
gnamento altrove esercitato. 

Dopo aver parlato delle lunghe ed insistenti premure 
dogli amici e della sua titubanza prima di accettare e arduam 
et difficilem provinciam i, si trattiene a discorrere della gloria, 
e ad implendos totius operìs numeros adiumeutum, i e degli 
sforzi inauditi a cui si sobbarcano gli nomini per conseguirla 
lasciare appo i posteri un nome onorato (2). 

Dopo aver riportato vari esempi, per sempre meglio 
comprovare il suo asserto, cita quello del Fontano (3), il quale 



(1) MSS. Dibl, Nazionale di 2iapoli — e Oratio ad Patrìtios neapo- 
lit&Dot » in Cod. V. D. 15. 

(2) AfSS. nibLJf azionale di Aapoh — Orai, cit., in Cod. V. D. 15. — 
€ Quotu8quìs<|ue, ut ad rem lettcrariam adveniam, tain róaximos studilt 
labores impendisset, nisi nomen et gloriain inde adsequeretur ? » 

(3) MSS. Bibl. Nazionale di Napoli — Orat. cit. in Cod. V. D. 15. — 
< Sed quid externis utor excuiplit 1 Jovianus Pontanus, vir discrtissimus, 
qui Cam illis vctustissimis acque contendit, Dii boni, qtiae nuper sui 
Uborit monumenta dodit? Rem profecto ad hoc usque tempus intactam : 



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VITA Bl A. GIAHO FABBA8IO IT 

noi sembra che fl Parrasio, volendo unire al prenome ed al nome 
di fonie latina il cognome di fonte greca, forse per denotare 
la soa conoscenza profonda nell'una e nell'altra lingua, abbia 
scelto il nome o del pittore omonimo, o quello del figlio di 
Jjicaone, o quello dell'abitante di Parrkasia, la fiorente città 
dell'Arcadia, nomi tutti che avevano una certa assonanza 
col suo vero cognome, Parisio. 



Parecchi biografi, quali lo Zavarroni (1), il D'Amato (2), 
Castiglione 3Iorelli (3), parlano di una speciale predilezione, 
che Ferdinando II d'Aragona avrebbe avuta pel P., a causa 
di scrvitia ingenita (4), da quest' ultimo operati a beneficio 
di lui. 

Nessuno però dei succitati scrittori ci fornisce dei par- 
ticolari rispetto a questo punto oscuro della vita del P«, e 
lo Jaunelli, più che gettarvi un po' di luce, accozzando no- 
tizie, e coordinando i fatti senza alcun discernimento critico, 
tradisce completamente la verità storica, presentandoci il 
suo protagonista sotto una forma tanto diversa dal vero. 
Siamo lieti di essere riusciti anche questa volta a veder 
chiaro nella quistione, coli' aiuto di una preziosa lettera 
inedita {6\ - ' ' 

In questa lettera non si accenna chiaramente aUa persona, 
alla quale viene indirizzata; ma si trovano dei dati sufficienti 
per fiurcela identificare. 



(1) BMioieea ealabra. — Napoli 1753. 
(2> Pantapdogia ealabra, — Napoli 1725. 

(3) De Patricia consentina nobilitate. — Venezia 1713. 

(4) Castiglione Morelli. — Op. cit. e Ferdinando II regi admodum 
carut, cuius ingenita servitia laadantur »; 

i5) MSS. Bibl. Nazionale di Napolil — La lettera in doppia trascri- 
zione, si trova nel codice già descritto. — V. P. 9. 




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TITÀ DI A. ai4NO FÀBBA8IO 



n P., interrogato intomo olle attrìbazioni dol dio egi- 
ziano, Serapidoi cosi gentilmente risponde: 

e Qnod a me de Serapi qnaeris, illustris ae omatissime 
PrìncepSi atinam sic ad te reduoendum prosit io avitum pa^ 
temumquo soliami qno nulla tua culpa cares >• 

Dopo avere a lungo discorso della divinità cgizianai il 
P. cosi pone termine alla sua lettera: 

e Qui (Fortunae) si nonduin omncs ad unum bonos libuit 
excindore, si nomon Aragouium propitìa rospicit, te, lapsis 
tuomm rebus, incolumen servabit, discot abs te clcmcntiam, 
mitissimoque Principi mitis aliquando fiet. Tu rnrsus maio- 
res tuos intueri debes, ascitos coelo, operamquo dare ut, nude 
per iniuriam doiectus cs, industria virtusque te rcponant >• 

Come ognun vede, questo Priucipo aragonese per iniu- 
riam scacciato dal trono, non ò altro che Ferdinando II, il 
quale dopo la battaglia di S. Oermano e l' insurrezione degli 
Abruzzi, non avendo potuto mettere un argine ali* invadente 
piena, che si era rovesciata nel suo regno, lasciò Napoli per 
fuggire alla volta di Ischia. 

Merita similmente di essere riportato il seguente brano 
della lettera in esame : 

e Audio (1) te esse egregiae iudolis adolescentnlum, 
animo alucrem, iugenio pótentem, frugalitatis et contincntiae 
in istis ani^is admirandae, patientem laboris, a voluptatibus 
àlienum, firmiterque laturum quicquid inaedificare, quicquid 
tibi fortuna voluerit imponere >• 

Dai passi succitati, specie da quest'ultimo, in cui è 
descritto minutamente il carattere di Ferdinando, chiara- 
mente si vede come tra il Principe ed il giovane filologo sia 
esistita, pia che una semplice relazione, una vera e cordiale 
amicizia, che crediamo abbia avuto origine fin da quando il P. 



(1) Audio è qui adoperato noi significalo di conoscere ; Cfr. Cicerone: 
4 Audit igitur mena divina de s^ngalla ». 



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VITA DI A. GIANO PARBASIO 19 



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Telino a Napoli, e diodo oosi bella prova di sè| tenendo un 
oorso di lezioni sulle Selve di Stazio. 

n principe Ferdinando contava allora ventitré anni, 
l'età in cui sogliono frullare per la mente sogni dorati di 
gloria letteraria, sicché, conosciuto il valore del giovane mae- 
stro, l'avrà invitato ad impartirgli delle lezioni. 

Oiò premesso, chiaramente appare che il gran Barrhasio, 
per mano del quale Phcbo die la dotta lira in dono alVAra» 
gonio principe Ferrando (1) non é altro, secondo intuiva, 
ma non dimostrava, il prof. Pércopo (2), che Aulo Giano 
Parrasio (3). 

Da un importante documento inedito, trovato noli' Ar- 
chivio di Stato (4), apprendiamo che il Principe non tardò 
a mostrare la sua benevolenza verso il giovane calabrese, 
fhcendolo nominare e magister Gamerao et magister actorum 
penes Justiciarios sen Gapitanoos terrae Tabemae > ; e fo- 
ccndogli affidare V ufficio di e Oavaleris penes Oapitaneos 
terrarum Montaneae et Civiteducalis, x>otcstatc substituendi, 
cum gagiis et emolumentis, lucrìs et obvcntionibus solitis 
et consuetis et debitis >. 

^on ripetiamo tutti gli elogi proiligati nel documento in 
parola ; ci limitiamo a riportare solo il seguente brano, in cui 
chiaramente si vede l'alta stima, che il re Alfonso ed il 
principe Ferdinando avevano del P. : ' 

e Nos autem habentes respectum ad merita sincerae 



(1) Chàritio. — Endimione. ^ Canxooe Vili. 

(2) Le rime di BenedeUo Gareih, detio il Chariteo. — Napoli 
MDCCCXCII — V. I, pag. XLIV. 

(3) Erroneamente il Tafuri crédette di identificare nel Barrhasie dtà 
Chariteo, Giovanni Marrasio ; come pure a* ingannarono coloro i quali 
supposero che fosse Francesco Barrasio, « regio consigliere et presidente 
di Camera >. 

(4) Archivio di Stato di Napoli. — Collaterale prìviL Aragon., V. VII, 
14M-95« C 7S. 






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20 VITA DI A. GIANO PARRA8IO 



clovotionis ot fide! praefati Pauli, ac considerantcs sorvitia per 

oum Majostati nostrae praostita et impensa iis et aliis 

considerationibas et causis digne moti, praefato Paulo ad eius 
vitae decarsum iain dieta officia. ..;• haberi volumus prò in- 
sertis et expressis et declaratis. > 

Pare però che il P. non abbia occupato a lungo questa 
carica, che, se gli procurava danaro ed onori, non doveva 
certo concedergli il tempo necessario per dedicarsi ai suoi 
studi prediletti. 

Ecco perchè nel 1405 lo troviamo a Lecce (1) in DeeU" 
iiam 8cribarum^ carica molto onorifica, alla quale non poteva 
aspirare e nisi honesto loco natus, et fide ot industria co- 
gnita 1 (2). . - 

Di queste due cariche sostenute a Taverna ed a LeccCi 
si rammenta poi il P. con rincrescimento e disgusto quando^ 
svaniti i sogni dorati della giovinezza^ si dedicò di nuovo e 
con pia lena allo studio delle Jettere : e lam vero piget 
neminisse quod ab ingenuis ai-tibus ad calamum militiamque 
me tradaxit (Fortuna) i (3): 

n P. né in questo, né in altiì luoghi ci dice quando 
impugnò le armi ; non crediamo però di errare, sostenendo 
che ciò sia avvenuto nella lotta degli Aragonesi contro 
Carlo Vili e non dopo la caduta di questi, e ut consuleret 
sibi patrique i, come crede lo Jannelli (4)« 

Come i suoi illustri antenati, nei quali rifulge inteme- 
rato il sentimento della fedeltà e della gratitudine, il P. corse 
subito a prestare Peperà sua in difesa del suo signore, e se 
dopo, come abbiamo visto, egli si penti di ciò, bisogna rl- 



(1) Apologia del Vallo, 1. cit. — € Ipse Janus in eam provinoiam 
(Japjgiam), quam pater rexit, adolescens Scripturam fecit. > 

(2) Ivi. 

(?) Ouaesùa per epi%i. — Orai, ante pralect. in epist. Cie. ad Att. 
(4) Op. cit., pag. 26. 



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VITA DI A. GIANO PABRASIO 



21 



cercamo la causa nel suo giusto risentimento, quando vide 
la sua devozione ed il suo zelo indegnamente ricompeasati 
da re Federico. 

Oi parrebbe quindi verosimile che il P. seguisse il prin- 
cipe Ferdinando, quando con un corpo d'esercito fu mandato 
da re Alfonso nelle Bomagne, e che prendesse parte a tutte 
le vicende di quella poca fausta spedizione contro l'Aubigny, 
ed alla stessa battaglia di S. Germano. 

Ciò non risulta chiaramente da alcun documento, ma 
siamo indotti a crederlo da quello speciale interesse, che il 
P. mostra di aver preso alla causa aragonese, e da quel 
continuo accenno alle armi, a cui, altrimenti, non sapremmo 
dire in quale altro periodo della sua vita egli si sarebbe 
rivolto (1). 



(1) Torna utile riporUro i seguenti versi di un epigramma del P. 
contro il Nauta, suo fiero nemico (Apologia di Vallo): 
Si fortuna levis de Consule Rhetora fecit. 

Et ferulam gerirous qua prius arma manu. 
Nonne eoe... 
La parola co9isìU ci farebbe credere che il P. fosse giunto a qualche 
alto grado nell* esercito aragonese. 



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CAPITOLO in. 

Il Parrasio in disgrazia di re Federico. 
Integrità e fermezza del suo carattere — Dimora a Roma. 



n P. conchiade la sua lettera a Ferdinando d'Aragona 
col voto di poterlo rivedere, prima di morire, sul trono degli 
antenati : e onte meos obitus sit, precor, ista dies >• 

n giorno desiato non tardò molto a spuntare : dopo 
quattro mesi, il 7 Luglio 1495, Ferdinando rientrò in Napoli, 
festeggiato dal popolo, e cosi il voto del fedele P. fu piena- 
mente adempiuto. 

Allora questi fu reintegrato, insieme col padre, nell'ufficio 
perduto dopo la conquista di Carlo Vili, e ritornato a Lecce, 
si dedicò con ogni cura all'emendazione del testo di Solino: (1) 
e Si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis ego 
nomen proftteor meum : Ncapoli, Lupiis, in Japygia Apulia, 
nactus antiquoe reverendaeque vetustatis exemplaria..... » 

Ma Ferdinando II godette ben poco del possesso del 
trono ricuperato, poiché dopo un anno appena morì, la- 
sciando la corona allo zio Federico, che, inetto a regnare, 
diede V ultimo crollo alla dominazione aragonese. 



(1) AtSS. DibL Nazionale di Napoli, — Da una lettera contenuta nel 
Cod. cit. V. F. 9, diretta non sapremmo ben dire se a Oiovan Battista 
Pio Bolognese o ad Aldo Pio romano. — Inc. € Atqul tua cum bona 
venia fallit te ratio, mi Pie, » 



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34 



VITA DI A. DIANO PABRASIO 



Soccedato sul trono di Francia Luigi XII, fin dal suo 
avveniinento rivelò il disogno di riconquistare il regno di 
Napelli e per riuscire pia facilmente nel!' impresa, si collegò 
con Ferdinando il CattolicO| stipulando con lui a Granata 
quel trattato segreto, in cui fu stabilita la partizione del 
reame. Le mire dei due potentati rimasero occultCì finche le 
milizie spaguuole, col falso pretesto di difesa, non s'istallarono 
nelle Calabrie, sotto il comando di Gonsalvo da Cordova. 

Quando Federico si accorse dell' inganno, di cui era stato 
vittima, era già troppo tardi per poter reagire ; oltre a ciò, 
lasciatosi raggirare dai suoi favoriti, Vito PisancUi e Leonardo 
Prato, si mostrò severo verso quei sudditi, che credette, o 
gli fecero credere, suoi nemici, accelerando in questo modo 
la sua rovina. 

Purtroppo in ogni tempo i tristi non hanno mai potuto 
sopportare la presenza dei buoni, sicché i due ministri di 
Federico cercarono ben presto di sbarazzarsi di tutti quelli che 
eolla loro attitudine avrebbero p'^^uto intralciare i loro disegni. 
Fra i primi ad essere colpiti diillé loro male arti furono i 
fedeli Parisi, che, senza aver commessa alcuna colpa, cad- 
dero in disgrazia del re e furono quindi rimossi dalla carica, 
che occupavano (1). 

Sebbene non sia detto in alcun luogo, è però certo che 
l'accusa indettagli fu quella di aver parteggiato pei Francesi. 

Quanto sia stato grande il dolore del P. per questo cosi 
indegno trattamento, appare da parecchi luoghi delle sue opere. 

Egli si era de<licato con tutto il suo ardore giovanile al 
servizio degli Aragonesi, rimanendo loro fedele nella buona 



(1) Comm. del P. al De Raplu Proserpinae^' 1. II. v. 414 : < Ao 
aliunde ikclum puUs, ut Vitut ille PisAnelIus, homo saevissirous et 
qualem pudet fateri, Lupiensque Leonardus Pratus, ex inlquissimo sacer- 
dote pirata taovisiiimas, qui novo exemplo summum ecelut cum tumma 
stttltitia coniunxit, ex amioitia regia..... ad summas opes penreneriot f >. 



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VITA DI A. GIAlfO PABBA8I0 26 

come nelPavvei^a fortunai oltre che per l'amore, che ad essi 
lo legaya, por la speranza e honestioris gradus, maionunqae 
commodorum > (1); ebbene ora, invece del premio dovuto, 
di quel posto onorato, di quegli agi sognati, gli si gettava 
in faccia l'accusa di traditore. 

Il giovane letterato aveva forse sperato di poter col 
tempo raggiungere l'alto grado del Beccadelli e del Fontano; 
ma dinanzi alla dura realtà quei sogni dorati erano svaniti, 
gettandolo nel più grande sconforto. 

Ecco come dolorosamente egli esclama contro la maligna 
sua sorte: % 

€ O calliditatis inauditum genus ut (Fortuna) iuvando 
noceret, ad opes me evexit et dignationem I Verum simulao 
animadvertit eius aura, simulatoque favore de pristina vitae 
ratione nihU in me mutatum, passimque meas omnes acces- 
siones industriae magis et probitati, quam sibi acceptas 
referri, vehementer oiTensa, confestim passis alis evolavit, 
ne virtuUs comes esse cogeretur > (2). 

Oh come questo brano tutto rivela lo strazio di quel 
cuore addolorato I e quale triste verità nelle ultime parole, 
che accennano allo spietato abbandono in cui tanto spesso 
la fortuna suole lasciare il virtuoso I 

Ma l'abbattimento morale, in cui era caduto il F., fli 
puramente passeggiero : fornito di quella lealtà incarnata nella 
virtù e di quella gagliardia di propositi, che reca in sé una 
potenza a cui nulla resiste, dopo la penosa impressione del 
momento, si senti subito forte per vincere le diflBcoltà e 
sopportare la sventura. 

Anzi questa, ben per tempo, rivelò in lui ciò che Q 
Settembrini ben definì corona e gloria della vUa, cioè un nobile 



(1) Parrasio. — Orai, ante praelect. epist. Ciò. ad AtL, Matthaai. — 
Neapoli, MDCCIAXI« pag. 244. 

(2) W. , 



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26 VITA DI A. GIANO PARRÀSIO 

6 grande carattere : al giovano inesperto successe V uomo 
dalla fibra gagliarda, il quale, come vedremo, nelle lunghe 
peripezie della sua vita, anche quando tutto gli venne meno, 
ebbe ancora un terreno sul quale restò invincibile, il coraggio 
e l'integrità. 

Ecco come egli nobilmente si esprime : 

€ Ego nihilominus, ut meum nunquam ratus, in qnod 
incostantia Fortunae ius haberet, quod alieni foret arbitrii, 
quod auferrì, quod crìpi, quod amitti posset, in eodem vultu 
prqposìtoque permansi, Quumque vicem meam dolerent omnes, 
(quod indicat incolumi statu qualem me gessissem*) solus ego 
furienti Fortunae laqucum mandabam » (1). 

Fiere parole, in cui tutta rifulge questa splendida figura 
di calabrese, che nelle calamità della \ita resta saldo a guisa 
della torre dantesca, e assicurato dalla buona compagnia che 
V uom franclicggia, eleva baldanzoso la testa e con aria fiera 
e calma volge ai suoi calunuir.tori uno sguardo, in cui si 
compcnctra generosa compassioue ed odioso disdegno per la 
viltà, che striscia ai suoi piedi. 

Ben diverso però è il P., che ci presenta lo Jannelli: 
freddo ed insensibile dinanzi a quelle pagine palpitanti di vita 
reale, in cui si sente tutta l'ambascia di chi si vede colpito 
in ciò che aveva di pia caro : Ponore, il nostro biografo ci & 
del suo protagonista! un girella della peggiore risma, che, ve- 
dendo e inane Aragoniorum imperium fatali casu in dies ruere >) 
diviene, insieme col padre, aperto fautore dei Francesi (2). 

Cataldo Jannelli, a sostegno della sua asserzione, non 
adduce altra prova che qualche parola di lode, che il P. a- 
vrebbe rivolta, molto posteriormente, ai Francesi, durante la 
sua dimora a. Milano (3}; il nipote Antonio poi crede di 



(1) Orai, cit., ed. cit., pag. %iA e seg. 

(2) De vita et icriptis ecc. ed. cit., pag. dO e seg. 

(3) Op. cit., pag. 30. 



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VITA DI A. GIANO PABRASIO 27 

ravvalorare la tesi dello zio col seguente brano : e memini 
ex iis (Aragoueis) qaeindam, cui tono ego iuiquis, ut patery 
fatis aiUlictus eram » (!)• 

Più che un'esplicita confessione a noi pare ch^ queste 
parole suonino un amaro rimprovero all' avverso fato, che 
l'aveva voluto, col padre, al servizio degli Aragonesi. 

L' innocenza del P. fu ben presto riòonosciuta, e basta 
a provarla la lettera, che il re Federico gì' inviò a Boma, 
colla quale, dopo averlo chiamato Segretario fedeUi lo invi- 
tava a ritornare a Napoli (2). 

Egli però oppose un fiero rifiuto : più che placare il suo 
giusto rancore, la resipiscenza del re pare che sia valsa a 
maggiormente inasprirlo, poiché, ogni volta che fu x)OÌ co- 
stretto a xiarlare di lui, non gli risparmiò giammai l'ei>iteto 
di tiranno (3}« 



• • 



Lasciata Napoli, verso La fine del 1497, non poteva fl 
P. essere più felice nella scelta della citta, destinata quale 
agone dei suoi studi : in Roma infatti l'Accademia, fondata 



(1) Jani Parrh. — Epìstola ad Michaelciu Ricciura, ante Sedolii et 
Prudcntii cariuìna. <— Mediolani, Kal. Oct. ìMDI. 

(2) Vai.i.0 — Apologia^ l. cit. — € Rex autem Friderìcas, coius im- 
potentem domi nato in Janus non tulit, ita irtterìs, quibus ab Urbe eum 
re%'ocab.it, hunc titulum fecit : Magnifico viro Jano Pa^'rhasio Consiliari^ 
et ^Secretano nostro fideU\ 

MSS. R. Bibl. Naz. eli Sap. — Cod. V. D. 15. — Oratio IH in Alexaa- 
drum Miniitianum : « Audistis, Patres optimii audistis, ut Frìderìcus, qui 
ttim rerum Neapoli potiebatur, per cpistolam nos in patriam revocai ? » 

(3; MSS. R. Bibl. ^a: di Napoli. — Cod. V. D. 15. — Oratio HI io 
Minutianum : «... odio tyrannidis patria cessi, tyrannìdis inquam.... quod 
ipsiuA lyrannì litterae tes'antur ». 

Epistola ad Riccium^ 1. cit. ~~ « Nam tyrannorum (Aragoniorum) 
munera, non secus ac ipsi, bonis omnibus sordeant necesse est ». 



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28 VITA DI A. GIANO FABBA8IO 



da Pomponio Leto, aveva raggiunta altissima fama, chia- 
mando colà molti fra' più dotti letterati del tempo, quali 
Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, il grammatico Sulpizio 
Venilano, il valente grecist-a Augusto Baldo e, per non parlare 
di altri, Tommaso Fedro Inghirami, giustamente detto dftl P. 
e fiicilis, expeditns, plenus humanitatis » (!}• 

Fin dai primi giorni in cui il P. conobbe quest' ultimo si 
senti legato a lui della più salda amicizia, che, per mutar di 
eventi, fu sempre viva e sincera (3). L' Inghirami, all'alto 
sapere congiungendo una non comune bontà d'animo, fu uno 
dei pochi veri amici, che abbia avuto V infelice P., ed in 
molti casi, come vedremo, fu per lui la vera ancora di sal- 
vezza. 

Libero omai dalle fantasticherie giovanili, e spinto da 
quel tiranno signore dei miseri mortali: il bisogno, l'umanista 
calabrese si dedicò agli studii con più amore ed alacrità che 
non avesse fatto x)er lo innanzi (3), riuscendo, dopo non molto 
tempo, a completare la correzione del testo di Solino e di 
quello di Ammiano Marcellino (4). 

Ben presto occupò un degno posto tra' più illustri let- 
terati, che allora professavano a Boma, e diede subito chiara 



(1) Orat. ante praelec. epist. Cic. ad Att., ed. dt., pag. 240. 

(2) Orat. cit., pag. 247 € ut me, quo priroum die Romae \idit, aro- 
tissime complexus est; ut auctoritate, gratia, testimonio suo prolixe 
iuvit, ot in omni fortuna semper idem fult »• 

(d)MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. — Cod. V. D. 15. — Orat. ad Sen. 
Medici. € Immo paupertas iampridem virtulis et doctrìnae contubernalis 
est..... ; quippe qui dum integris opibus et incolumi patrimonio floreha* 
mus, litteranim studia remissius assectabamur ; ubi vero-communis illa 
tyrannorum procella no», ut bonos omnes, involvit, ardenter adeo man- 
suetloribus Musis operam dedimus ». 

(4) MSS. R. Bibl. Sai. di Napoli. — Cod. V. F. 9. — € Ammlani 
Marcellini Rerum gestarum libri penes me sunt omnes quot extant, ex 
antiquissimo codice Romae exserìpti ». 



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VITA DI A. GIANO PABRA8I0 



29 



prova del suo sapere, specie nella disputa avuta con Antonio. 
Amiternino. Questi, quasi del tutto igniaro della lingua greca, 
aveva messe fuori delle vuote e cervellotiche interpretazioni, 
che voleva gabellare per irrefutabili. Il P. in sulle prime 
cercò di fargli comprendere amichevolmente gli errori in cui 
era caduto ; ma quando vide che si ostinava nella sua opi- 
nione, anzi aveva osato finanche minacciarlo di morte, non 
ebbe più alcun ritegno di rendere di pubblica ragione la poca 
valentia del protervo grammatico (1). 

Essendosi cosi acquistata alta e meritata fama, gli fti 
assegnata nell'Accademia la cattedra di oratoria, mandato 
molto onorifico, che egli seppe disimpegnare con zelo e dot- 
trina (2;. 

Appunto in quel tempo fu scelto a maestro di Ber- 
nardino Gaetani, figlio di Niccolò, duca di Sermoneta, a 
di Silio Sabello, giovanetti di assai belle speranze (3). Parva 
che un'era di pace e di tranquillità fosse sorta per V infe- 
lice P. ; ma purtroppo allora Boma gemeva sotto il giogo 
di Alessandro VI, lo scellerato pontefice, di cui, come ben 
disse il MacchiaveUi, tre ancelle seguirono le sante pedate : 
lussuria, simonia e crudeltà. 

Forse molti dei delitti di casa Borgia saranno stati inven- 
tati dall'accesa fantasia dei romanzieri ; ma non si può certo 
sconvenire che fu sparso innocentemente il sangue -di nume- 
rose vittime, per sola sfrenata smania di potere. Tra questa 
bisogna ascrivere i due cari ed amati discepoli del P., Silio 
e Bernardino, barbaramente trucidati dagli emissari pontifici, 



ri) Quaesita per epist.^ ed. di. pag. 155-168. 

(2) MSS. R. BM. yaz. di SapoU. — Cod. V. D. 15 — Orai, ad 
Seti. Mediol.: € operain dedìmas, ut et nos hactenus non poeniteat, et aK 
aliia idonei esistimati »imas, qui Romae, io arce totios orbis terraram, 
oratoriam publice profiteremur ». * • 

(3) Vallo. — Apologia; Orat. praelec. epist. Cic. ad Att.« edix. 
ciu, pag. 247. 




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30 



VITA DI A. GIAMO PARaASIO 



solo perchè le loro famiglie non si erano forse mostrate lige 
ai nefandi voleri del Pontefice, che pur di fondare pel figliuolo 
Cesare uno stato, che comprendesse tutta l' Italia centrale, 
non la risparmiava ad ogni sorta d' immani scelleratezze. 

Poco mancò che il P. stesso non fosse coinvolto nella 
disgrazia dei suoi alunni e, se ri usci a salvarsi, lo dovette solo 
all' intercessione, ai consigli ed agli aiuti dell' amico Inghi- 
rami (1). 

Allora, al x)rincipio del 1499, il P. si recò a Milano (2), 
dove gli erano riserbati infiniti altri dolori. 



(1; Oratio ante praelec. epist. Ciò. ad Alt., ed. cit., pag. 247: € quam 
Bollicite euravit Phaedrus, Alcxandri VI pootificatu, ne me Bernardini 
.Caietani, neo Silii Sabelli tempestaa involveret ». 

(2) Vallo. — Apologia : € inde quoque disoessit, ususque Consilio lu- 
venalia, in Galliam citeriorem migravit »• * > 

Orat. cit., pag. 247: € audivit in Gallia citeriore portolo iam me 
tenere^ Mediolanique publice conductum profiteri ». 



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CAPITOLO IV. 



U Parrasio a Aliano. 
Importanza storico-letteraria di questo 
Lotta col Ferrari e col Nauta. 



Luigi XII, oltre le vecchie pretese sul regno di Napoli, 
a causa del matrimonio di Valentina Visconti, figlia del duca 
Gian Galeazzo, col suo avolo Luigi di Turaine, affacciò queUe 
sul ducato di Milano, e, vedendosi favorito nei suoi disegni 
dalle gelosie e dalle discoi*die dei x)rincix)i italiani, si affrettò 
a mettere in opera il suo disegno. 

Assicuratasi l'amicizia di Alessandro VI e della repub- 
blica di Venezia, mandò in Lombardia un esercito, ohe in 
breve tempo costrinse Lodovico il Moro a lasciare il ducato 
ed a riparare nel Tirolo, il 2 settembre 1499. 

Ma ben presto i Francesi con le loro soperchierie fecero 
rimpiangere il governo del Moro: questi pensò di trame profitto, 
e, disceso rapidamente con un forte nucleo di mercenari 
Svizzeri, fu accolto festosamente dai Milanesi. 

Il suo trionfo fu però breve ed illusorio, poiché venuto 
a battaglia, presso Novara, con l'esercito francese comandato 
dal Trivulzio, i Buoi Svizzeri si rifiutarono di combattere 
coaitro i loro compatriota del campo francese, e cosi la sua 
rovina fu bella e decisa. 



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VITA DI A. OIAIfO PABBA8IO 



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Fallitogli il tentativo di fnga, il Moro fa preso e man- 
dato a finire i suoi giorni nella torre di Locheé ; cosi il 
ducato di Milano ricadde sotto la dominazione francese. 
Laigi XII propose al governo di esso il cardinale Giorgio 
d'Amboise, il quale, fedele ministro del sao re, vi riscosse 
ben trecento mila ducati per le spese di guerra, inasprendo 
coUe sue angherie sempre più l'animo dei Milanesi. 

Forse per coonestare in certo modo questa sua condotta, 
il cardinale si adoperò a che fosse continuata in Milano la 
nobile tradizione degli studi umanistici, ohe ivi avevano a- 
vuto valenti cultori e pptenti mecenati. 

Si sorbava ancora colà memorili della munificenza dei 
Visconti, degli onori tributati al Petrarca dall'arcivescovo 
Giovanni, e degli aiuti largiti da Gian Galeazzo, Giammaria 
e Filippo Maria agli umanisti del tempo : Uberto e Pier 
Oandido Decembrio, Antonio Loschi, Gasparino Barzizza, 
Francesco Filelfo e tanti altri ; come pure era vivissimo il 
ricordo della protezione accordata ai letterati dagli Sforza, 
soprattutto da Lodovico il Moro, che aveva fatto della ca- 
pitale lombarda uno dei principali centri di coltura d'Italia (1). 

L'Amboise protesse anche lui i buoni studii e fti largo 
di aiuto agli umanisti, ohe allora professavano a Milano: 
Giovan Battista Pio Bolognese (2), Giulio Bmflio Ferrari (3), 
e, per non parlare di altri, il celebre grecista Demetrio Oid- 
oondila (4). 



(1) TiRABoecBi. — op. eit., T. VI, pag. 19. 

Rosmini. — Storta diUUoM, T. HI, 1. XV, pag. 274, Milano 1820. 

^) Sax. — Eiti. Lùter. Typogr. Mediai., pag. 431. 

Aboslati. ~ BM. Script. Mediai., T. I, P. Il, col. 871, 893.' 
TiRABOSCHi: — op. eit, T. VII, P. Ili, pag. 272. 

(3) AxoKLATi. ~ op. eit, T. \\, P. 11, eoi. 2111. 
Sax. — op. oli., pag. 38, 44, 332, eoe. 

(4) Aboslati. ~ op. cit., T. II, P. II, eoL 871, 808. 
. Sax. — op. oit., pag. 39, 43, 279, 420 



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VITA DI A. GIANO PASBA8IO 33 



Fiorivano allora anche valenti poeti : Oiovan Mario 
Cattaneo (1), Lancino Curzio (2), Stefano Dulcino (3), Gio- 
vanni Biffo (4), Pietro Leone (5), tutta una flora di eletti in- 
gegni| in mezzo ai quali venne a brillare Aulo Giano Parrasio. 

Como dicemmo altrove, questi giunse a Milano nel prin- 
cipio del 1490, come ci attestano chiaramente oltre la sua 
lettera dedicatoria del De Raiìtn Proserpinat all'amico Ca- 
tulliano Cotta, pubblicata anno maturius dalla eua venuta in 
questa città (VII Kalendas januarias MD) (6), la prima lettera 
inviata da Vicenza a Gian Giorgio Trissino (ex aedibus tnis 
pridie Jdus decem. 1506) (7), e l'asserzione di essere rimasto 
a professare e octoqne per annos in Gallia Citeriore » (8). 

il tempo che il P. dimorò a Milano a ragione può dirsi 
il periodo più burrascoso della sua vita, a causa delle lottOi 
deUe persecuzioni interminali, e di quella sterile guerra d'in- 
trighi e di basse calunnie, di cui egli fu vittima. 

Quel periodo però fu anche il più produttivo del grande 
filologo calabrese, il quale appunto allora a noi paro che 



(1) Sax. — op. ctt., pug. 524, 526« eee. 
Tirar. — op. c'Um T. VII, V. LI, pag. 201. 

(2) Aroxlati. — op. cit., T. I, P. II eoi. 531. 
Sax. — op. cit , pag. 42, 359, eoo. 
Giovio. — Elogia Vir. Uu. iUustr.^ pag. 74. 

L uo Creo. Girai/ 'I. — De poetit sui temperisi Dial. I. 
Rosmini. — Vita ilei Maresciallo TrivuUio. Voi. 1, pag. 020. 

(3) Bakoell. — Novell. LVIII, T. IL — Sax, pag. 307, .314. 

(4) Sax. — op. cit., pag. 39, 139, 310, 353, eoe. 
Mazzuchklu. ^ Scriu. d' ItaJUa; Rosmiki. — Vàa dai Hear. 

Triwd.. pag. 020. ^ • 

(5) Sax. — op. cit., pag. 401, 403. 

<0) Janneli.1. — op. cit., pag. 35 e seg., a. 5. 

(7) RoscoB. ~ Vita e Pontificato di Leone X., ina. di Luigi Rossi, 
Milano, SoQzogno 1817, y. X, pag. 145. 

(8) MSS. R. Bibl. J^az. di Napoli. Cod V. D. 15. — € Oratio II 
ad Muoicipium Vincenti num ». • , * 



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34 ' VITA DI A. GIAXO FARRA8IO 

costituisse la più salda base, a quel metodo scientifico degli 
studi letterari! e forse anche giuridici, cbe, presentito dal 
Salutati e trascurato per quasi mezzo secolo a causa della 
deliziosa e geniale indipendenza del Poggio, della grossolana 
filologia del Guarino e degli sterili sdilinquimenti di troppi 
altri (1), solo verso il 1450 accennò di avviarsi a sicuro 
trionfo mercè l'efficacia, che ebbe sulle soi-ti della filologia 
uno degl' ingegni più acuti e spietatamente critici, che l'Italia 
abbia creato, Lorenzo Valla (2). 

Non ci occuperemo qui del metodo tenuto dal P. (3), nò 
delle sue geniali correzioni dei classici, doMite soprattutto 
allo studio indefesso dei manoscritti, coi quali giunse tante 
volte a reintegrare ed a restituire un' opera al suo vero au- 
tore, a migliorare il testo di scritture, che si leggevano 
mutile errate (4); ciò sarà oggetto di ampia trattazione 
nel secondo volume del nostro studio, sicché ora continue- 
remo il nostro racconto biografico. 



(1) Vittorio Rossi. — Il Qìutttrocento. — 3 e 4 fase, della Storta 
letteraria d' Italia^ pag. 62. — Francesco Vallardi, Milano. 

(2) Op. cit., fase, cit., pag. 53. 

(3) MSS. R. DM. Sai. di Napoli. — Cod. V. D. 15. — Pra^fatio in 
L. Florum et Val. Flaccum : € Omnia a receptissimis auctorìbos mutua- 
bimur, adhibituri talein tempcramentum, ut a notiorìbus pedem referamas 
et in reniotìs obscurisque largius imnioraremur. Digrediar interdum, sed 
rarenter et paroe ». 

(4) MSS. R, Bibl. Naz. di Napoli. ~ Cod. V. F. 9. — Epist. cit. ad 
Pittm (?) : € Neapolì, Lupiìs.... Roniaeqne nactas antiquae, reverendaeque 
vetusta* is exemplaria (Solini), quibus adhibitis et excussis, castigatis- 
simum inihi codicem reddidi ». 

Nello stesso codice — De Lutatio : « Et haec ÌA causa fuerunt ut 
Lutatium potius quam Lactantium nominarem, quum plus apud omnes 
sane mentis hoinincs valere debeat antiquorum codicum . fides, quorum 
magna inibì copia Neapoli Romacque contigit, quam particula vulgatis 
inserta codicibus ab iis qui testimonium inscrìptionis ab se perversai sibi 
ipsi confinxerunt ». . • 



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TITA DI A. GIAXO PABSA8IO 3S 



Quella iMirie della monografia dello JannelK, cke ri 
della vicende del P. a Milano, sebbene troppo difl aoaien te^ 
è condotta con maggior cura delle altre, grazie aDa t»- 
lerole cooperazione dell'erudito Pietro Mazzochelli, fl qoale, 
come attesta in dirersi luoghi lo stesso biografo (l), gii 
forni non poche notizie, raccolte neUe biblioteche milanesL 

Xon prire d'interesse sono poi le belle ossenrazioDi, 
che foceva Mario Mandalari, quando in una sua nota sol P., 
a lumeggiare questo oscuro periodo della vita di lui, traeTa 
in mea^zo alcuni versi latini di Lancino Curzio (2). 

Il Mandalari, pur avendo il merito di aver richiamato 
r attenzione degli studiosi suUe opere del poeta milanese^ 
pare non abbia fotte le opportune ricerche, pct accertarsi se 
realmente il Fiorentino e lo Janaelli non seppero mai f «fi- 
Mtenza degli epigrammi del Curzio; polche non gli sarebbe 
certo sfuggito che nella monografia dello JanneUi, insieme 
con altri di maggior importanza, ne figurano due (3), da lui 
stesso rii>ortatì (L - IV) (4). 

Noi però più che ai versi di Lancino Curzio, Cesare Sacco, 
Gerolamo Plegafota, Stefano Dulciuo, Giovanni Biffo, quando 
non avremo assoluto bisogno della loro testimonianza, ci at- 
terremo aUe orazioni inedite del Cod. V. D. 15, pronunziate 
dal P. a Milano. 

Sono circa una ventina, di cui alcune hanno interesse 
puramente letterario (5), altre ci forniscono xireziose notizie 
biografiche. 



(1) Op. cH., pagg. 19, 37, 38« 57 ecc.' 

(2) Anecdoti Hi gloria^ bibliografia e antica, pag. 12-18. —- Catania, 
Tip. Francesca Galati, 1395. 

(3) Praefat., pag. XIX ; Op. 37, 38, 62, ecc. 

(4) € Ad Jan'uin Parrhaa. neapol. — In nuptiis J. P. et Tbeodorae 
Calcondylae », pag. 14-18. 

(5) Bpitalamla 11 — De Justitia — De Jore — ^ Praelectio — Praefatio 
in.Lucium Florum ot Valerium Flaccum — lu Lucium Florum — Praefatio 
in Liviuin— Praefatio in orationes Ciceronis^rraefatio in Achilleldtm ecc. 



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àmktw,titi ihi^t^ »•■■ 



^■«■haaa-^^i— • ^ 



36 TR4 M A« Gl^aO PAKBASIO 

Queste, che pobblieliereaio ute^ralaieate is appevUee^ 
crediamo che debbano disporn ia questo nodo^ per ordìao 
di tempo: e Orationes II io lliootianaa. — Oratio ad Seaa- 
tom Hediolaaenseoi. — Oratio ia Minattannm — la Loeiom 
Floram* — PmeCitio ia Femoai. — Praelatio ia Thebaida ». 

Di capitale importanza, per le ootizie che a foraiseoaa 
8a<i:li ultimi tempi della dimora del P. a Milano, sono le 
e Orationes II ad llnnicipium Yincentinwn ». 



Il P. appena s;innse a Milano, privo di amid e di mezzi 
di sussistenza, per sua disgrazia, chiese aiuto e protezione 
ad un certo Alessandro Minuziano, pu^^ese, nomo astuto e 
Tcnale, corrotto da tutte le nefandezze del trivio (I), un 
fMid tra fl retore ed fl tii>ografo, che coli' uno e coli' altro 
wu9iicre si era formata una certa fortuna. 

Questi non si lasciò certo sfoggire l'occasione di sfruttare 
a suo vantaggio fl giovane filologo, già abbastanza noto nel 
mondo letterario, lo accolse volontieri presso di si, e gli asse» 
gnò, oltre V insegnamento, fl grave e diflScfle incarico della 
correzione dei codici (2), che egli poi pubblicava per suo conto. 

n P. curò allora l' edizione di parecchie opere latine, 
fra cui fl Cirii (3), erroneamente attribuito a Virgilio, e la 



(1) Vallo. — > Apologia^ ediz. di.: € habetqua (Mioatiaaut) pe- 

eoBÌAe samniani sludiani ; dignlutcs afleeUl noe ad omamentoa Titat, 
ted ad quaestum, qao nttri omnia...... diligit ex animo nemioem. Caias 

aiaieaa ae aimalat, io hooe loddiaa priaom aoetit »• 

(2) XiSS. R. BtlfL Nas. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Oralio 10 ia 
kiontiaooa : € Meom foit iUod in to benefidom, ai noaela, mona al 
la domi, fona, in ro privata, in ro publica, in atodlia invi, anaUnni, 
ioyì ; podet lateri qui na vicarìaa, qol diadpaloa amdiebam aohia» oC 
amen da n ^ provindaa aoatinabaa »• 

(3) PABaASio. — Canim. D§ Raptu Pro$€r. L HI: e varsna tz 

Ciri ma n doaoa, ot aillaUa olla vaoilUntiboa, in boa radaginina nnoMioa^ 
IpdqDO Mlnntiano dadhaoa Imprlmaodoa ^« 







VITA DI A. GIANO PABllASIO 37 

Vita di quest' ultìmo, cho attribuì a Tiberio Donato (1) e 
non a Servio, come molti ritenevano ai tempi suoi (2). 

Ne soltanto colla propria attività il P. mostrò ol Minn- 
ziano la propria gratitudine: 

Questi più che dall' amore per le lettere, spinto dalla 
smania del guadagno, aveva da poco pubblicate le opere di 
Cicerone, in cui, con grande presunzione, aveva messo fuori 
tali e tante cervellotiche correzioni, si vuote ed errate in- 
tei-pretazioni, da suscitare giustamente contro di se lo sdegno 
dell' irritabile genus, specie del grammatico Emilio Ferrari, 
valente cultore del grande stilista latino (3). 

Si schierò poco dopo contro di lui anche un tal Damiano 
, Nauta, corso di origine, insieme con molti altri, i quali tutti 
gli si scagliarono addosso, mettendo in mostra gì' infiniti 
errori, di cui erano rinfarcite le opere pubblicate. 

Il Minuziano, di natura temerario ed aggressivo, cercò 
di lottare contro i suoi avversari e di difendere il suo la- 
voro ; ma le sue argomentazioni furono abbattute dal Fer- 
rari, il quale pubblicamente, manifestissimii argumentii omr- 
niumque coìiseMH, lo chiamò reum lanciìuiti, praecerpti fNr^r- 
siqtte Ciceroni$' (4t). 



(1) Anche il P., come molti altri dotti, attiibuì a Tib. Claudio Do- 
nato la Vila di Virgilio, che altri poi, corno parrebbe realmente, attribui- 
rono ad Elio Donato, il quale avrebbe attinte non poche notixie dalla bio- 
grafia di Virgilio contenuta neiropera di Sve'onio € De vlris illustribus »•' 

Il Valaraggi, che Ri occupò poi della qui^tione (Rivista di fil. class. 
▼• XIV, luglio-agosto 1885, pag. 104) ritenne che la biografia appartenesse 
ad un anonimo commento alle Ducolicì^e, fra le cui fonti bisognerebbe 
ascrivere il commento di Elio Donato e forse quello di Servio. 

(2) Parrasio. — Comm. De Raptu Proserp. 1. I., v. 2. € Tiberìos 
inquam Donatus, non Servi us, ut vulgo fere creditur. Sed Donati iam 
titulo nostra castigatione Minutianus impressit ». 

(3) ÀRGSLATi. — Dibl. Script. Mediai.^ T. II, P. 1, pag. 611, 613, 615 ecc. 

(4) MSS. R. Bibl. Nai. di XapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. IH in 
Minutianum. 



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38 VITA DI A. GIANO' FABRA8I0 



Fu allora che il P.y vistolo in quel serio imbarazzo, per 
quanto convinto e dolente nel tempo stesso di dover soste- 
nere un' ingiusta causa, pure fece parlare al suo cuore la voce 
della riconoscenza, e prese a difendere il suo ospite (1) e o- 
biecto Minervae clipeo » (2). 

Essendo il Minuziano poco caro alle Muse, e non sapendo 
maneggiare quell'arma perfezionata del tempo: l'epigramma, 
il P. si senti cosbretto a scrivere dei versi, che quegli 
mandava ai suoi avvei*sari, gabellandoli per proprii (3). 

Questi però non toi'darono a scoprire il vero autore, ed 
a scagliai'si di conseguenza contro di lui, costringendolo cosi 
a venire in campo aperto. 

Xon si sgomentò puuto il P., con epigrammi vibrati e 
pungenti rintuzzò la petulanza d^l Nauta, che l'aveva at- 



(l) MSS. R. Btbl. Xaz. di ^apolt\ Cod. V.'D/IS. Orat. IH in Mi- 
nutianum : € Ego qucm tu ingratum vocas (piget hercule iiiciDinissa) 
suscepi tuas partcs, et quidem iniquissiinas^ quantumque in. me fuit, io- 
deftfusum non reliqui, tucrìque conatus sum, cum sammo capitis mei 
pcriculo, ut vestrum plcrosque meminisse confido ». 

(2* Vatlo. — Apologia. 

(3) Crediamo cbe appunto allora Lancino Curzio, fiero nemico del 
Minuziano, che egli per prima forse denominò Appura Musca, (Sax. 
Hiat. Liti. Typograph. col. 401-403) scrivesse queircpigramroa (pag. 32, 
1. Ili Epigram., Milano. 1521) finemente ironico : Ad Fabium ParrhasiuM 
Calvum Neapolitanum ^ sul quale il Mandalari richiamava raUcnzione del 
futuro biografo del grande umar^is'a (op. cit., pag. 17) : 

DocU Parrhasii delltlae, FaU, 

Vates nec modicus Pieridum in graft ; 

Ex quo pr«csos opem dot, facit et rabl 
Ut sis 

Doctis docta refer, die : studlis vaco. 

Vulgi turbae, age, die : Vale ; abl Caeo. 

A queirepoca il P. non poteva aver figli, non avendo sposatela Calcon- 
dila cbe intorno al 1504, né ebbe mai fratello o parente di nome Fabio, 
sicché, tenuto conto di quanto abbiamo detto, riteniamo che il Curzio nel- 
Tepigramma citato abbia voluto sferzare il coroo pugliese^ che si faceva 
bello delle penne del giovane pavone. 



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TUA DI A. GUHO PABBASIO- 31^ 

tAceato più fieramente e fece oomprendere al fiero eorso che 
quella mano, che maneggiava la bacchetta del pedagogo^ 
aveva ben saputo in altri tempi brandire nna spada: 

S fòrtana kris de coosale rbetora fecH, 

Et lierohuai garìnms qua prìns arma mano. 
Nonne eee..... (1). 

Ed a mostrare che alle parole sapeva far seguire i Catti, 
non ebbe alcun ritegno di penetrare nella scuola del Ferrari- 
e di prendere pubblicamente le difese del Minnziano (2). 

AUora gli odii si rinfocolarono e segui tra il P. ed i due 
retori uno scambio di fieri epigrammi e di virulente invet- 
tive (3), fino a che la .partenza del Ferrari (15<M)) non pose 
fine alla controversia. 

Essendosi i Francesi impadroniti definitivamente di ìBr 
lanoy il Ferrari, che aveva parteggiato per il Moro, conobbe 
che quivi non spirava più buon vento per lui, e si recò perciò 
ad Arena, sul lago Maggiore (4>, dopo avere però ancora 
uua volta sfogata la sua bile contro il Minnziano ed i tristi 
tempi, che lo costringevano a lasciare quella città. 

n P. però non si lasciò sfuggire l'occasione di mettere 
in piena luce il motivo della partenza di lui e di dare l'ul- 
tima scudisciata al suo avversario: 

Noo te, crede mìhi, iactae quae tempora pelliint. 

Aurea lalciferi qualia ficta Dei : 
Sed radia ioaulsae petulans audacia lioguae, 

Luxua, et omento piaguis aqualicolus ^. 



(1) Vallo. — Apologia. 
{Z) Op. di. 

(3) Lo Jannelli ha diligentemente raccolti tutti gli epigrammi del P. 
In Aemiliam — In Nautam », op. cit., pagg. 188-104. 

(4) Aroslati. — op. cit., T. II, P. II, col. 2111. 
^) Comm. De Baptu Proserp., P. I, pag. 42. 

Jakiuoxi. — op. cit., pag. 188. 




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40 VITA DI ▲. GIANO PABBA8I0 



n Minuziano, data la bassezza dol suo carattere, a la 
poca stima della propria dignità, e quam post unibram la- 
celli semper habuit » (l), non comprese, né potè apprezzare 
il sacrifizio che il P. aveva fatto per Ini. 

Appena messi a tacere i suoi nemici, egli si dedicò con 
pin ardore di prima e qaaestuariis artibus » (2), e poco o nulla 
riconoscente verso il suo valente difensore, lo invitò a ritor- 
nare all'antico e faticoso ufficio, per contribuire cosi, disinte- 
ressatamente, ad appagare la sua ardente sete di guadagno. 

Non poteva certo il P. rassegnarsi più a lungo a quel 
tenore di vita, che logorava le sue forze, senza nemmeno 
procurargli una comoila e tranquilla esistenza ; sicché, ade- 
rendo al consiglio di quelli che apprezzavano i suoi meriti, 
abbandonò la casa del ^Unuziano, ed apri scuola a so in casa 
del carissimo e bravo discepolo Catulliano Cotta (3), che 
generosamente gli aveva offerto ospit>alità, per strapparlo dalle 
unghie deU'avaro pugliese (4). 

Questi finse di non dispiacersi di questa risoluzione del 
P«, e gli concesse volentieri il permesso di eseguirla; ma in 
cuor suo giurò di vendicarsi, e si apparecchiò a quella lotta 
vile ed abominevole, in cui spiegò tutte le sue male arti 
per rovinarlo (5). 



(1) ìiSS. R. BM. AVu. di yupoli. Cod. V. D. 15. — Oratio I io 
Miootianimi. 

(2) MSS. R. BM. N(u. di NapoU. Cod. V. D. ISi — Oratio III in 
MinaUaiiiiiD »• 

(3) Parrasio. — Epistola ante Comm, De Raptu Proserp., Milano 1501. 
e Qttom lualtos oronis onlinis aetatisque diacipulot habeam, monim gratta 
earìssimos, noster in te amor praecipuus est et sìngularis », 

(4) Comm. De Rapiu Proserp., 1. IH, v. I. — € tu nos invidiae 

lelit eiectos opibus et otBciis cumulatissime iuveris ». 

(5) Vallo. — Apologia, — # Habeas confessum reum (Janum) ab 

Alexandre vel unum discipulum abduxisse, praeter Catullianum Cottam, 
euiua ospitio Janus est usus Alexandri permissu, nisi simulata fuit eius 
ormtio ». 



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CAPITOLO V. 

Lotta col Minuziano. 

Relazione col- Poncherìo e col Cardinale d* Amboise. 

La Cattedra di oratoria. — Plauso e onori. 



Le yicende della lotta col Minuziano sono ampiamente 
narrate da tre orazioni inedite, pronunziate dal P. contro il 
suo avversario ; bisogna però invertire la disposizione di essa^ 
se si vuole conoscere il naturale procedimento dei fatti (!}• 

La scuola del P. fu ben presto frequentata da numerosi 
discepoli, delle principali famiglie della citta ; fra questi è 
degno di nota il figlio di Demetrio Oancondila, Teofllo, gio* 
vanetto di assai belle speranze (2). 

Come pare, fin d'allora (1501) il Parrasio contrasse eoi- 
l' illustre ateniese quella sincera e forte amicizia, che doveva 
poi condurlo al matrimonio colla figliuola di lui. Ciò contri- 
buì non poco ad accreditare sempre più la scuola del giovane 
maestro, destando però grande invidia nel Minuziano, ohe non 
poteva certo rimanere indifferente dinanzi all' improvvisa for- 
tuna di colui, che poco tempo prima dipendeva dai suoi cenni. 



(1) E oecessarìo qui avvertire, che le Oraziooi del Cod. V. D. 15 
noo seguono punto un ordine cronologico, essendo state raccolte e 
legate promiscuamente, senza alcun discernimento. Cosi delle tre In Afi^ 
nudanum la terza deve figurare al posto della prima, e questa dopo la 
seconda e dopo V Gratto ad Senatum Medùjlanewem. 

(2) PiRRASio. — Comm. De Raptu Proserp., 1« III. 






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43 VITA DI À. GIANO PASRASIO 



Egli grido al tradimento ed inizio la lotta, accusando 
U P. di aver attirati nella propria scuola i suoi alunni (1). 

Non potendo più ricavar profitto dalla coltura del giovane 
filologo, credè bene negargliela del tutto, senza però rinun- 
ziare a qualche ultimo beneficio, come^ a dire gabellare per 
proprio (2) quel magnifico quadi*o generale dei diversi generi 
letterari, che il magistellus aveva tracciato nella classica 
e Praefatio in L. Florum et Yalerium Flaccum > (3). 

n P. in sulle prime -non diede gran peso aUe tristi insi- 
nuazioni del grammatico, e si limitò soltanto a proporre agli 
alunni il medesimo esperimento del flautista tebano, Ismeneo, 
ohe invitava i suoi discepoli ad ascoltare altri suonatori, per 
Cftr loro meglio comprendere ed apprezzare recceUeuza dei- 
Parte sua (4). 

Incoraggiato dal plauso generale, il P. si dedicò con 
maggior lena ai suoi studi e riusci a pubblicare dopo non 
molto tempo il suo commentario al De Paptu Proserpinae di 
daudiano, dedicandolo, quale attestato della sua gratitudine, 
a Catulliano Gotta (6). 

• n lavoro del P., di cui ora non daremo alcun giudizio, 
non poteva ottenere miglior successo : il Curzio, il Mariano, il 



(1) Vallo. — Apóìo^. 

(2) MS3. R. DM. No», di Napoli. Cod. V. D. 15. - Orai. I in Mi- 

noiianum: € poetaram genera nostrìs tantum non verbis enumeraret, 

qoaaque nos anno superiore ex auctoribns graecìs aceepta, vobiscum 
oomanicavimua, eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, inagno verbo- 
ram strepitu blateraret ». 

(3) MSS. R. BM. Noi. di Napoli. Cod. V. D. 15. 

(4) MSS. R. Bibl. Noi. di NapoU. Cod. V. D. 15. * Orat. I in Mi- 
natianom: € Id nos exemplum, quod maxime probaremus, in usum revocare 
tentavimus, an aliunde factum putatis, ut illam pecudem vos auditum 
miserlmos, quam ut recenti periculo cognoscatis quid inter Apollinis et 
Marsiae cantom differat ». 

(^) CI. Claud. 2)é R£^u Proserp.^ com Comm. A. Janl Parrhasii,.! 
MedioL 15». / 



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VITA DI A. GIANO PABBÌ8IO 48 

Cattaneo, il Motta, Tommaso Fedro Inghirami scrìssero dogU 
epigrammi, in cui ne magnificarono le lodi ed elevarono al 
cielo i pregi peregrini (1). 

In mezzo a qncsto bel coro si fece sentire la stridula voce 
del Minuziano e di pochi altri suoi pari, che, non potendo 
criticare il Commento, fecero dilToDdcre la insulsa x)anzana 
che il P. aveva raffazzonato e spacciato per proprio un 
codice di Domizio Calderine, morto pochi anni innanzi, di' 
cui era venuto in possesso (2). 

Non s'accorgevano i ribaldi che in questo modo ricono- 
scevano e sancivano essi stessi il merito indiscutibile - del 
PaiTasio. 

Questa pubblicazione e le altre due : De viris illustribuè, 
opera da lui attribuita a Coinelio Kepote (3) ed il Carmen 
Paschale di Sedulio cogli scritti di Pioidenzio (4), dedicati con 
bellissima lettera all'amico Michele Riccio (5), gli procaccia-' 
reno maggiore stima presso i buoni, e soprattutto la be- 
nevolenza e la protezione di Stefano Poncherio. coltissimo 



(1) Coroni, al De Ra^du; Valix) - Apolotjia; Jannelli — pag. 45 e seg. 

(2) RoLANOiNi Panati — livectivae in.Jaiiiim ParrhHsiuro. — Di questo 
rarmiiuo incunabulo 8i conserva una copia nelli Biblioteca Ambrosiana 
di Milano. . . 

(3; CoRNELius Nkpos — Ds viris tUuslrihM, ab A. Jane Parrhasio 
et Catulliano Cotta, qui editionem curavit, ix probatissimis codidbos 
emendatus. — Medici. 1500. 

Nella seconda parte del nostro studio esarainercrao le ragioni addotta 
dal P. a sostegno della sua tesi (Cod. V. D. 15 — De viris illustrìbos 
cuius sit), che, per quanto ardita e ben sostenuta, non può reggere ai* 
colpi della critica moderna. 

Cfr. AuGUSTUS Reiffbrscueid « C. Sretoìfiii Tranquilli praeler 
Caesarnm libros reliquiae, — Lipsia,^ Teubner, 1800. 

(4) Seoulii Cannen Paschale et Prudentius. — Mediol. 1501. 

(5) Tirar. -;- Storia della Lett.^ T. VI , P. II, pag. 259 ; Argblati — 
op. cit., T. li, T. I, pag. 1503; Tafuri ^ Scrittori del Regno di Napoli, 
T. m, P. I, pag. 64. . ^ 



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44 



TITÀ DI a. GIANO PASRÀ8IO 



vescovo parigino e presidente del Senato milanese, venuto 
in qualità di Gran cancelliere insieme col cardinale d'Amboise. 

Grazie ai buoni ufBci del Poncherìo, il P. potè ottenere 
che per quattro anni non fossero né stampate, uè vendute 
le suddette opere, a danno delPautore, e in tote Mediolanensi 

dominio sub poena aurei uuius prò singulis volumi- 

nibufl > (1). 

n P. cercò di rendersi sempre più degno della stima 
accordatagli dal Poncherìo (2), il quale, avendo conosciuto da 
vicino i meriti di lui, gli fu sempre largo di beneficii e onori, 
sino ad invitarlo spesso alla propria mensa (3). 

n Minuziano, che non aveva potuto, o meglio aveva 
temuto di avvicinarsi al dotto prelato, temendo, come la not- 
tola, la luce del sole, nonché il e controllo > di quella giusta 
bilancia (4), senti macerarsi maggiormente dall' invidia ed 
acuire il suo sdegno contro il Parrasio. 

Nel secolo dell' umanesimo la calunnia era Parma a cui 
solevano spesso ricorrere i e gladiatori > della penna, in queUe 
loro interminabili contese, destate per lo più dalla loro am- 
bizione sconfinata, e da quello spirito insofferente di giogo, 



(1) Mediolani, die primo Julii 1501, et Regni nostri quarto — Per 
Regem ducem Mediolani — Ad Relacìontm Gonsilii. 

Dal diploma originale, riportato dallo Jannelli, op. cit., pag. 48 e teg. 

(2) MSS. R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I in Mi- 
not. : € In praeeentia diligenter seduloque caTebimus ne patria am- 
plissimi Stephani Poncherii, Senatus principis, ac saerosancti nostri regis 
Archigrammatici fallare iodicium videamur, quippe quum nos, qui sumrous 
bonor est, sais annumeret, ac, ut est in bonos omnes munificns, maio- 
ribns in dies anctet praemiis ». 

(3) Vallo — Apologia: « Amplissimus Stephanus Ponoherius..... 
hnmanarum divinaramque rerum perìtissimns, Jane oonviotore deleotatar ». 

(4) MSS. R. Biffi. Na$. di Sapoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I in Mi- 
nut: € cur ad salutandam (Poncherium) nondum venitf Nempe quia 
Dootna solem fugit, neo audet Uli tmtinae se committere »• 



ìckMMttMUépiaéUMaHiMfiaà 



TITA DI A. OIAHO TABRàSiO 45 ' 

cbe, faecimno nostre le parole del Voigi (1), portò 1a Tite ed 
il faoco nel campo sereso dcirarie, il malconiento e P in- 
trigo nel campo dei letterali. 

Nelle invettiTe si prendevano a narrare fin dall' infanria 
le vicende dell'avversario, mescolando al vero menzogne, 
fingendo casi ed azioni infamanti, accamnlando le più atroci 
calunnie, senza peritarsi di inzaccherare persino i pia sacri 
affetti familiari (2). 

L'animo basso del Minnziano, nato per avvoltolarsi in 
simili bruttare (3), non rifaggi daUe pia atroci accaso, dalle 
pia sozze calunnie per rovinare il Parrasio. 

Quasi non bastasse il discredito, che cercava gettare nel 
pubblico, ardi finanche d' irrompere nella scuola stessa del 
suo avversario e di vomitare contro di lui, al cospetto dei 
discepoli, ogni sorta di contumelie (4). 

Lo chiamò ingrato dei henefidi ricevuti, lo tacciò d' im- 
moralità e di tradimento, e, per colmo di spodoratezza, lo 
accusò di aver commesso a Napoli un omicidio, causa della 
sua precipitosa fuga da questa città (5). 

In questo genere di lotte infamanti, dopo i successi ot- 
tenuti, il Minuziano doveva ornai stimarsi invincibfle: altre 
ne aveva già sostenute contro Giulio Emilio Ferrari, Baffiaele 



(1) OiOROio VoioT. — // RisargimerUo delCantichiià dassiea^ YoL 1, 
pag. 327. Fireoza, Sansone, 1390. 

(2) ViTTomio Rossi. — Il QuaUrocenio. Ed. cit., fase 7-8, pag. W. 

(3) ÌISS. R. DM. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. I in 
Minot. : « netnini parcit, oblatrat omnibus, omnium dicfa factaque probrit 
insectatur, ac ut imroundus sus cum quibus volutali qoaeiit ». 

(4) MSS. R. Bibl Noi. di Napoli. Cod. V. D. ìb. — Orat. Il ia 
. Minut. : « Adests tantum frequentes, Konestissimi iuTenes, inteUigetis 

profecto quantum profuerit vanissimo nebuloni innoccntissimom hominaia 
tot immanibus calumniis provocassi ». 

(5) MSS. R. Bibl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orat. m in 
Minut. : « Ego si nescis, versntissime veterator, non patrata caedo, qood 
ipss fingis, sed odio tyrannidis patria cessi ». 



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46 



VITA DI À. aiAKO PASBASIO 



BegiO| Gioyan Battista Pio (1), Talenti letterati, costretti 
dalla tristezza dei tempi a venire alle prese con on ribaldo 
della peggior risma, ed a cedere forse dinanzi a lai, per non 
scapitare troppo nella propria dignità. 

Però avversari più fieri incontrò il Miunziano in Pietro 
Leone e soprattutto in Lancino Curzio, il quale, come pare, 
per primo gli affibbiò il felice nomignolo di mosca pugliese (2) : 

Ut vidi, mord&x visus et nimis Appulus, atqae 
Dixi : Asini in tergo est Appola Musca trueit. 

n Parrasio parimenti tenne fronte al rabula petulantis- j 
simus, però volle aspettare, come disse ai discepoli, il tempo I 
ed il luògo propizio per scagionarsi delle accuse, che gli 
•erano state inflitte (3;. 

Oome pare, appunto allora il Poncherio volle dargli la più 
alta prova della sua stima, ed offrirgli il mezzo per trionfare 
altamente sul pedante avversario. 

Per la fuga del Ferrari vacava a Milano la cattedra di 
oratoria; dietro proposta del degno prelato, il Cardinale 



(1) MSS. R. BibU Noi. di Sapoìi. Cod. V. D. S5. — Orat. HI in 
Minot: « Sic in Julium Novarionsem, sic in l^aphaelem Regium, 8ic in 
Baptistam Pium, perhumanos illos quidem, et, ut a multis audio, bene 
doctos, quasi furore quodam percitus, olim debacchatum esse ». 

(2) Lakcimo Curzio. — Epìgrammaton libri XX^ Mediolani, apud 
Rocchum et Ambrogium fratres do Valle impressorcs : Pbilippus Poyot 
fisdebat, 1521 in folio. 

Di quest'opera, importante per quanto rara, si conserva nella Biblio» 
teca di Brera una delle poche copie che rimangono. 

(3) MSS. R. Bibl, ^az. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. II in 
Minut. : € Non veni responsurus, ut suKpicamini, maledictis jurgationibus 
et conviciis, quibos hesterna die nequissimus ille bipedum, non tam ma. 
In qaem illa minime cadunt, quam sanctissimas aures vestras oneravi!. 
Aliad certe tempus, alium locum illa sibi poscit oratio, quod ubi consti- 
tatnm mibi faerit, efficiam ut sciatis ». * 









• 



VITA DI A. GIANO PABBA8IO 47 

d' Amboise, con bellissimo diploma, invitava il P.' a oo- 
capar (1). • 

Solo dopo il discorso inaugurale, questi, dinanzi ni Senato 
milanese, pronunziò la terza orazione contro il lilinuziano (2), 
bella per vigoria e colorito d' immagini, per efficacia d,'e^ 
spressioni, e soprattutto per la sicurezza e la serenità dei 
giudizii, dettati da una coscienza forte e tranquilla, sotto 
Voshergo del sentirai pura. 

Degna poi di speciale menzione è P orazione inaugu- 
rale tenuta anche dinanzi al Senato milanese : se in essa 
trionfa, come generalmente nelPeloquenza dimostrativa del 
secolo, la rettorica parolaia, ed abbondano le digressioni| 
immaginate a sfoggio di erudizione, non mancano dei pen- 
sieri nobili od elevati sulla vera missione dell' insegnante^ ^ 
e dei precetti pedagogici, che ricordano alcuno massime di 
quei due insigni educatori umanistici : Guarino veronese e 
Vittorino da Feltro (3). 



(1) Chioccarblli. — De illusi, script. ^ pag. 232; Jaknblu. — op. di., 
pag. 49, n. 1: « Georgius de Ambasia, tituli S. Sixti, praesbyter Cardinalis, 
Archiepiscopus Rothomagcnsis, Comes Sartiranae, Regius Ultramontes, 
Locumtenens Generalis Christianissiuii Regia etc, vacante loco publico 
lecturae lectionis artis Oratoriae in inclyta urbe Mediolani, per absenUam 
inagìatrì Julii Novarìensis, egregius Janus Parrhasius Neapolitanus pelili 
8ibi de ilio loco provideri. Quare nos freti doctrina, moribus et ititeffritaU 
eiusdem Jani, illi annuimus, et magistrum Janum constituimua ad pu- 
blicam professionem ipsius artis Oratoriae in dieta urbe Mediolani, ad 
placitum Christianissimi Regia nostri, cum solito salario (Vallo, Apol. ; 
centenis quinquagenis aureis) — Datum in arce Portae Jovis, Mediol., 
die 14 augusti, 1501 ». 

(2) Questa orazione figura prima nel codice, e tale fu creduta dallo 
Jannelli, il quale perciò non potette delineare esattamente la vicenda 
della lotta. ' 

(3) MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Oratio ad Se- 
natum Mediolancnsem : « Non enim parum refert quam quia initio di- 
sciplinam sortiatur, nam quae .teneri percipiraus altius animis insidunt, 
ac ita penitus radices agunt, ut nunquam vel certe difficulter evelli queant »• 



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48 VITA DI ▲. GIANO PABRA8IO 



L'oratore, dopo aver parlato dell'efficacia singolare che 
un buon indirizzo educativo suole avere sull'animo dei gio- 
vanetti, sino a decidere del loro avvenire, rivolge belle ed 
acconce parole di ringraziamento al Senato od al Cardinale 
d'Amboise, per la carica conferitagli, non senza però accen- 
nare, con bel garbo e fine arguzia, alle molteplici prove alle 
quali l'avevano prima sottoposto, certo in grazia alle calunnie 
del Minuziano (1). 

A differenza degli altri umanisti, i quali tutti, ad esempio 
del Filelfo, con audacia più o meno boriosa, si credevano ed 
amavano fiEU*8Ì credere dispensatori di gloria (2), il P. rifugge 
dalla consapevole ciarlataneria adulatrice, come pure non 
sembra affatto dominato da quell'orgoglio e da quella grande 
vanita letteraria, riprovevole nel Filelfo, nel Poggio, nel Valla 
ed in tanti altri. 

Ed ecco perchè egli, con una modestia ammirevole per 

e 

quanto rara, prega i suoi uditori di non voler ricercare in lui 
altri beni all' infuori di quelli, che gli procacciò il bisogno (3). 

n P. non poteva meglio corrispondere all'aspettazione 
dei Milanesi ed alla promessa fatta di adoperarsi in dieg 
magie magisque, per non sembrare indegno della fiducia riposta 
in lui. 

Gli scrittori del tempo, quali il Curzio (4), il Giovio (S), 



(1) MSS. R. Bm. Nas. di N<q>oU. Cod. Y. D. 15. — Or. oit. € H^beo 
Tobit gratias et quidem maximat. Viri claiiasimi, ac ai facaltaa daretor 
etiam referrem, qui de nostrìs stodiis adeo aolliciti estis, ni me, licei 
illuatris amplissimiqae Cardinalis Rhotomagensis, qui Chrìstianiariaii regia 
peraonam auatinet, iodieio comprobatom, non tamen prius admiaeritis ad 
endiendam Mediolanenaem iuventutem, quam Tigilantisaimia veatrìa ocalia 
exliibitom aliquod perìcolam faeere apecUTeritia »• 

(2) Vittorio Roesi. — op. cit«, faac. 3-4, pag. 34. 

(3) Orat. di., Cod. eit. • 

(4) Op. eli., 1. di. 

9) Bugia Vir. Uu. iOusir., pag. 74. 






VITA DI k. GIANO PABBASIO 49 

il Giraldi (1), Q Bosmini (2), Q Tiraboschi (3), n Plegafeta (4), 
e tanti altri ci attestano concordemente il plauso * riscosso : 
non riporteremo qui integralmente le tirate rettoriche e le 
lodi entusiastiche contenate nei loro pomposi epigrammi| ci 
limiteremo soltanto a citare alcuni versi di Cesare Sacco (6), 
che nella loro forma enfatica ci rivelano, più che tanti altri, 
quel vero entusiasmo che il P. riusci a destare anche nella 
più eletta cittadinanza milanese: 

Dam legit et Janot concenlibas aera compiei, 

Doleis et in nottras perstrepit aure eonue. 
Qoae Veneree homini dictant modulamina vocis f 

Hunc gratum innumerae, non Charia una facit. 
Huiua in ore sedet trìplez Acheloia prole». 

Canina et Astrorum porrìgit ipse manum. 
Ingenita eei illi mira quam vìtIì et arie 

Actio. Goncinnum quid magia esae poieetf 
Adde quod hanc ditat longisaima copia rerum : 

Fertile doctrinae quod gerii ingenlum ! 

B in verirà il P«, oltre la grande erudizione, possedeva 
tutti quei dati esteriori, che tanto contribuiscono a procao» 
dare all'oratore la benevolenza del pubblico : il suo occhio 
vivo e penetrante, la fironte ampia e serena, che anche nel- 
l'effigie ti rivela l' ingegno potente e scrutatore, il gesto di- 
gnitoso e la rara bontà di eloquio rapivano ed ammaliavano 
le moltitudini (6).' 



(1) DmZ. i De Poetii sui t&mparii» 

(2) Viia da MarudàjOù Triwdtw. 

(3) Op. eli., 1. di. 

(4) AxfoxLo Oabriillo da S. Maku'. — BM. degli Senti. Vicendm, 
T. lY., pag. XY e aeg. 

(^ Yallo. — Apologia. 

(6) PiSRio Yalxbiano. ^De infeUcitate Utterai.^ L I, pag. 2U 
OiOTio. — Slogia Vir. iOusir.^ pag. 806. 



\ 






60 VITA DI A. GIANO PABRASIO 

Ed ecco perchè dappertatto, anche da lontani paesi (1)| 
accorrcTano a lui giovani e vecchi, valenti letterati e per- 
sone mezzanamente istruite. 

Fra' più assidui uditori merita d'essere ricoi'dato Gian 
Giacomo Trìvulzio, che carico di anni e di allori militari, 
traeva grande diletto daUe lezioni del giovane retore (2). 

Questo pieno, incontrastato trionfo impose silenzio al 
maligno Minuziano, il quale, dopo qualche tempo, si senti 
spinto, forse costretto, a fare una completa ritrattazione (3). 

AUora, verso il 1503, sia per suggerimento di Stefano 
Poncherio, sia per non dare agli alunni il poco lodevole e- 
sempio di una lotta indecorosa, il P. non -si mostrò alieno 
dal pacificarsi col Minuziano (4). 

Con questo nobile atto egli volle prendere sul suo avver- 
sario la migliore delle vendette : il perdono, e mostrargli cosi 
chiaramente, come disse poi ai discepoli, che e multo speciosius 
est iniurias dementia vincere, quam mutui odii pertinacia > (6). 



(1) Vallo. — Apologia : « Diesque me deficiet, si commemorare sin- 
gilUtim pergaui quot e finitimis et longìnquis etiam re^onibufi Jani 
traxerit eruditio, qui ceteros ante eum rhetores indignabantur ». 

(2) Spbra. — De nobilit, profess.^ 1. IV, pag. 451 ; Spiriti. — Uo- 
morie degli Sf-rittori cosentini, pag. 24 e 8eg. ; Zayarroni. — Biblioteca 
eaHabra, pag. 64 ; Tapuri. — Scrittori del Regno di Napoli^ T. IV, pag. 
236; Barrio. — De Sita et antiq, Ca'ab.^ 1. II, pag. 90; Baylx. — 
DicUonnaire liistor. et crit,^ T. Ili, pag. .598. 

(3) MSS. R. Bibl. ^az. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefatio in Per- 
dum : € Quapropter omnia praotcrìta malcdicta, quae non voluntate, non 
iudicio (qood ipse non negavi t), sed irapercitus, in noe effudit, familiari- 
tati, qua mihi coniunctus olim fuit, et amicorum precibus condonavi ». 

(4) MSS. R. BiH. Saz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Fraefatio in Per^ 
sium : € Minutianus Alexander, ut acitis, annis abbine duobas, an tertios 
agitar, ex hospite factus.hostis, utrius culpa dicere supcrscdeo, quando fere 
iustum quisque afiectum indicai, quem agnoscit, amicis auctoribus in gra- 

tiam mecum rediit, et eam (quod est in me) mansuram semper Quum 

praesertim' intelligerem satis in eo Pontifico meo (Stefano Poncherio) factu- 
rum,' ne morum facilitatem, ad quam ipse natus est, in me desideraret ». 



^. .• • •■■., ■ ^■.■^- .^ >■-, , . ^ ^^ ^ rll ' ^r ii '[|t ii r -Tm i TìiS'iihi'ti ll 'i ai Vr'ì 1 li É n i n ì ti -unr /- f-*^*'^- f--''>^'- -m ** 



CAPITOLO VI. 

Coltura ed attività prodigiosa dd Parrasio. 

La seconda età della Rinascenza. 

Grande autorità del Retore in Milano e fuori. 

La Colta Giurisprudenza. 

« 

La soddisfazione morale provat<a por la cattedra conferita-' 
gli e la calma subentrata nel suo animo, dopo la paco col Mina- 
zianOy influirono moltissimo sull'attività Ictten^ria del Parrasio. 

In questo periodo egli apparo più che mai invaso dalla 

« 

febbre del sapore, ritorna e con più ardore allo studio dei 
classici e con mano maestra ne ricorca le intime bellezze. 

■ 

La sua coltura di>ieno sempre più vasta, le sue osserva- . 
zioni sempre pia acute, i suoi commonti sempre pia profondi. . 

Allora egli compose in parte, o arricchì, quei pazienti * 
ed accurati lavori di compilazione, che denominò excerpta. \ 

In primo luogo meritano di essere ricordati gli e Excerpta 
mitologica ex Pindaro > (1), che ci attestano chiaiamente 
quale fosse la sua erudizione in fatto di mitologia, nelle cui 
CavoIo egli fra' primi trovò un' esatta corrispondenza eoi fe- 
nomeni naturali (2). 



(2) MSS. R. Dibl. Noi. di NapoU. Cod. Xlll. D. 10. ^ C&rt. Mi.,, 
di e. 119 non nom., oltre le guardie, mm. 291 per 175; è legato di pelle e 
attesta la medesima provenienza degli altri codici : € Antonii Serìpandi ex 
Jani Parrhasii testamento ». Inc. € Ex Qlympionicis Pindari », expl. eoa 
un rimedio contro la podagra € et conforterà lo membro debole ». 

(2) Parrasio. — Gomm. al De Ra^u Proserp., 1. 1, v. 109 : € qaod 
non Cjolopea tela ». \ , . 



\ 






J-^^m 



62 VITA DI A. GIANO PABBASIO 



È parimente un lavoro di compilazione fl codice (1) ohe 
contiene le sentenze tratte dagli scrittori antichi, di cni egli 
si servii per qnanto non sempre opportunamente, in tntte 
le sue opere. 

Da simile intento il P. appare guidato nella raccolta degli 
e Excerpta ex Polisno et Polybio > (2) e negli e Excerpta 
historica, grammaticalia et geographica > (3), come pure nella 
compilazione del e Dictionarium geographicum > (4)| lavoro 
di grandissima mole, che rivela uno studio lunghissimo ed 
una pazienza sbalorditoia, per disporre alfabeticamente nomi 
di regioni, citta, monti, fiumi, mari ecc., tratti come egli 
dice € ex Strabene, Pomponio Mela, Tacito, Pansania, Am- 
miano Marcellino, Historia tripartita, Eusebio, Apollonio 
Bhodio, Hermolao Barbaro, Appiano Alessandrino, Nicandri 
interprete, Dione Gocciano etc... >r 

Meritano similmente d'esser ricordati altri due codici (6), 
contenenti notizie di vario argomento, ricavate da diversi 



(1) MSS. R. DtbL Nat. di Napoli. Cod. Xlll. B. 24. * Cari. aot. di 
e* 21 interftmente scrìtta e non num., mm. 288 per 203; — Antonii 
Serìp. etc. Ino. € si possent homiaes »; ezpl. « plenus unguenti pa* 
tere videtor ». 

(2) MSS. R. BiU. Nas. di NapoU. Cod. XIlI. B. 18. — Cart. aut. di 
e. 70 non num., compresa le guardia e la e. bianche in principio in 
ia mazzo ad alla fine, mm. 299 par 210. — Antonii Sarìp, atc. — Ex- 
cerpta ex Poli»no inoip.: € Antoninus et Severus imperatorei ezeroitnm 
dnxerunt in Parthos ». — Excerpta ex Polybio incip. : e postaaquam 
oonsulas » ; ezpl. : € inde opima retnlit spolia ». 

<3) MSS. R. Bihl. Naz. di NapoU. Cod. XIII, B. 35. — Cart. aut. di 
e. 24 non num., mm. 213 per 145. — Antoni! Serìp. etc. — Inc. e Gcero 
ad Brutum », expl. e Arìsba, oppidum in Abidenorum regione, Polyb. in V». 

(4) MSS. R. Bibl. Nas. di NapoU. Cod. XIU, B. 11. — Cart. aut. di 
e. 270 non num., mm. 335 per 228. — Antonii Serìp. ete. — Ine. 
€ Absonus insula »; expl. e Zigopolis - Hermol. 100 ; Strab. 173 ». 

(5) MSS. R. Bibl. Noi. di NapoU. Cod. XUI, B. 21 0). — Cart aut. 
di mm. 280 per 207 ; è legato eome i precedenti e poru la solita di- 
dascalia Anale : € Antonii Serìp. ete. ». Cont* Adnotationes multipUois 



j 1 i ^r--- - ^ , -,j^-j -w^ ^^; L, ,,, , r--; V^^"<- T ■- ' '^ ^«■^« --^ ■■^i" .^ v. é J ft* ^ln i^^.^->^ 



YIIÀ DI ▲• GIANO PABBA8IO SS 

autori, ed in ultimo un Tolaminosissimo e Nomenclator > (l), 
di parecchie centinaia di pagine. 

In questo modo il P. poto acquistarsi una coltura dar- 
vero straordinaria, da non rendere poi di troppo esagerata 
la lode che gli tributaya Matteo Toscano (2) : 

llle sul Janus sftecli Varrò, ille vetarnam 
Torpentem excussit^ torba magistra. Ubi, 

E non altro che lui, colla sua erudizione e col suo se- 
vero metodo scentifico, poteva rinfocolare negli animi l'amore 
per i buoni studi, e indirizzarli a più alta e più nobile meta: 

Tra il 1458 ed il 1466 erano morti Alfonso d' Aragona, 
Cosimo dei Medici, Pio n, Francesco Sforza, tutti potenti 
mecenati ; come tra il 1457 e il 1463 erano morti Lorenzo 
Valla, il Poggio, il Guarino, Flavio Biondo. 

Nel 1465 si era poi compiuto un assai importante av- 
venimento, si era cioè impiantata la prima officina tipografica 
noi monastero di Subiaco, por opera dei due tedeschi, Oor» 
rado Schweinhcim e Arnolfo Pannartz. 

Notevole riscontro di date, dice il Bossi (S), che par 
segnare il tramonto di quel periodo della Binasoenza, che 
fu di preparazione e di fermento della materia letteraria. 
Grazie alle insigni scoperte fatte dagli umanisti, la miglior 
parte della letteratura antica, che era sfuggita all' 



Tariique argomenti ex plurìbus auctorìbus digettae » : — Ine. € Persona 
Theodorìci », expl. € neo Xanthos uterqae »• 

MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. XIII, B. 22 (*;. — Cari. aut. di 
mm. 278 per 199 — Anionii Serìp. eie. — Inc. € Indice Galeoti et Me- 
rulae de homine » ; expl. € Indice Hermolai ». 

(1) léSS, R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V, D. 3. — Cari. ani. mm. 325 
per 227 — Antonii Serip. etc. — Inc. e Atticas et Marcus Bratos »; 
expl. € ex Eusebio, de temp. 41 »• . 

(2) Peplum ludiae^ pag. 63. 

(3) Vittorio Rossi. — il Quattrocento, ed. oli., fase. 11*12, pag. 215w 



\ 






1 . 



64 VITA DI ▲• GIANO PÀHBASIO 

dei tempi, si oiTriva allo stadio dei dotti ; non restava quindi 
che saper (are buon uso di quei metodi, meglio appropriati 
all'interpretazione e alla critica. 

A qnest' ultima quindi spettava, come afTerma il Bossi (1), 
di trarre dalle conquiste dei grandi eruditi trapassati tutto 
il frutto possìbile, di affinare col savio uso i loro metodi, di 
attuarli rivedendo, correggeudo, commentando la suppellet- 
tile classica. 

Questo difficile comx)ito si assunse e disimpegnò nel più 
alto modo Aulo Giano Parrasio, col quale si delinea netta- 
mente la seconda età della Binascenza, in cui la critica e 
l'arte raggiungono la loro maturità. 

La stampa ben presto si era propagata in Italia, e a 
•non lunghi intervaUi di tempo Eoma, Venezia, Milano, Ve- 
rona, Foligno, Firenze, Napoli avevano avuto la loro officina 
tipografica. 

Non sempre però accadeva che nella revisione e corre- 
zione dei classici vigilasse la mente esperta degli accorgi- 
menti critici di un Giannantonio Gaiupano, o di un Gian-' 
nandrea Bussi, di un Lascari, di un Erasmo (2) ; spesso le 
edizioni erano curate da avari ed inesperti tipografi, che, 
spinti dal solo desiderio di guadagno, al pari del Minuziano, 
stampavano e diffondevano nel pubblico le opere degli scrit- 
tori antichi, riboccanti di errori (3). 

Contro questi veri profanatori dell' arte antica si sca- 
gliò fieramente il P., e con tutte le sue forze si dedico 
alla correzione dei testi, che nel triste stato in cui erano 
ridotti dai tipografi, come egli disse, non sarebbero stati ; 



(1) Op. cit., pag. 216. 

(2) Maittairb. — Annal. Typogr,^ ▼, I, pag. 122. 

(3) MSS. R. Bibl. Na:. di Xap. Cod. \\ D. 15. — Orai. Ili in Mi- 
not* : € Et la unquaio poteri t illum quaestom facere, quem non ex offi- 
cina, sed laniena libromm, quam maùmam iadtf ». . 



.•^ , ■ I* ■*' 



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VITA DI A. GIANO rAERASTO 



65 



pia riconosciuti dai loro stessi autori, se fossero ritornati in 
vita (1\ 

Fedele al suo programma, il P., dopo la pubblicazione 
dello splendido commento al De Baptn Proserpiuae e degli 
altri lavori, di cui abbiamo tenuto parola, nel 1503 mise fuori, 
dedicandolo a Stefano Ponchorio, De Regionibus urbii Samae 
lihellus aureu» del psoudo Publio Vittore (2), che, coUe ag- 
giunte già apportatevi da Pomponio Leto, divenne la più iiiH 
portante guida topografica di Boma. Un anno dopo vide poi 
la luce V opera dal titolo : Probi instituta artium et aliorum 
grammaticorum fragmenia (3), che dedicò a M. Antonio Cu- 
sano, giovanetto che alla nobiltà del casato 'congiungéva 
mente eletta e sentimenti generosi (4). 

Intanto il P. con anlore incredibile emendava i classici, 
apportando dovunque la sua opera di critico profondo ed illu- 
minato. A questo periodo di lavoro intenso e geniale dobbiamo 
i seguenti importanti commenti, sfuggiti all' avarizia fraieeea 



(1) MSS, R. Bibl. Nat. di .VopoZt. Cod. V, F. 9. » De UtIÌ indice: 
e De latinis vero quo me Vertam nescìo, ita mendose ecrìbuntar et to- 
neunt. Utin&m non nostri temporis haec iustior easet querela ! certe ego 
non plus in alienis erroribua confutandia, quam in exponendia aoUquorum 
acriptia inaudarem. Sed affirraare iuratiia et aancte poaanm, aio omnea ab 
Impressoribua inversoa esse codices, ut si auctorea a postliminio mortìa 
in lucem revocentur, eoe agnituri non aint ». 

(2) Il vero titolo deiropera del pseudo Vittóre è: Notitia regionum 
Urbis Romane. 

(3) Aldo Manuzio. * Instit, grammai,^ 1. IV; Akoxlo Spera. — 
De Nobil, profess., 1. IV, pag. 451 ; Bayli. — Dictionnaire histor^ et 
crit.^ pag. 599, n. D. ecc. 

(4) Parrasio. — Epistola ad M. Ant. Cusanum^ ante Probi Inst. ete. 



\ 



^'•^- -^TUM- l'-j'^ "■Hlf ^'ì^'-^-'- tjf -—- - •^- «■■^.-i^-^. .*^^«.— »■- 



T&ani<aiAi'>a»i'iii— 4>^Mfc»» n i>i ft n i ■ fM Éi i -jfi 11 -'-v*-- ! ' 



66 



TITÀ DI À. GIANO PABIUSIO 



e all' incuria dei eustodi (1): e Valerii Maximi Prisoorum exeui- 
plorum libri II (i) ; Kotulae in I Od. Q. Horatii Flacci (ii) ; 
In lOnvi Valerii Flaeei (iii) ; Commi'ntarii in Horatii Poeti- 
Cam (iv) ; AdnotatUmei in Caesarie Commentarios (v) ; Adno- 
tationes in Epistolae Ciceronii ad Atticum (yi) ; N'otae. in Statii 
Silvas (yn); Adnotationes in Tibullum (vili); In Ciceronii 
Paradoxa adnotationes 7— Commentarii in Livii libroe: De 
bello Macedonico, et in Lucium Florum (ix) >• 

Parecchie altre opere, che sono andate perdate, furono 
composte durante la dimora del P. a Milano ; fra queste 
degnissima d'essere ricordata quella dal titolo : Quaeeitii per 
epietolam, di^ cui non ci resta che un libro solo dei venti- 
cinque da lui compilati (2}. Quest'opera da se sola baste- 
rebbe a. darci un' idea precisa della profonda coltura del P. 
e dell'alta fama raggiunta. Da ogni parte d'Italia si ri- 



Ci) MSS. R. DM. Naz. di Nap. — (i) Cod. cart. aat. XIII, B. 14 ; 
(11) Cod. cart. &at. XIII, B. 15 ; (ni) Cod. cart. aut. XIII, B. 20 ; (it) Cod. 
earU aut. XIII, B. 23 ; (v) Cod. cart. ant. V, D. 3 ; ^ti) Cod. cart. aot. V, 
D. 13; (tu) Cod cart. aut. Y, D. U; (viii) Cod. cart. aut. V, D. 22; 
(ix) Cod. cart aot. V, D. 12. . 

A proposito di quest* ultimo codice non sarà foor di luogo ricordare 
il seguente brano della Frac fatto in Livium (Cod. V, D. 15) : e L. Flomm 
praelegi, qui carptim compendioqae popoli romani scrìbit historias. In eo 
castigando simol enarrandoqoe quantom Tigìlianim, quantom laborie 
exhaoserim, testes mihi sunt omnes qoi tum nobis operam dabant. Qoorom 
nonnollos non tam mea, quae mediocris est, eroditio trahebat ad aodien- 
dom, qoam qoaedam, ni fallor, expectatio, qoa ratione curarem tot rol» 
nera, vel, ot verios dicam, carnìficinam, qoam librarios (il Minoziano) in 
Floro sic exercuerat (Id. Janoar. 1502), ut novae cicatrici locus non esset». 

(2) OiOTANNi Pier Cimino. — Episi, nuncup. ad CorioL Mariyr. 
Inst. Oramm. CharisU: e Brat enim ad editionem iamprìdem paratom, 
librisqoe constabat cireiter quinqoe et viginU ». 

Enrico Stefano. -^ Epist. ad Lud. Casuilvetr.^ ed. De Rebus 1540 ; 
NicoDBMi. — Addizioni alla Dibl. Nap. del Toppi, pag. 87 ; Marafioti. — 
Cron. ed amie, di Calab., pag. 264; Tiraboschi. - Storia ecc., T. VII, P. III« 
pag. 330; Oinournì.— iTótotiv Uu. d'Italie., V. VII, pag. 214, ParU 1810. 



♦ . - ' . a 






VITA DI A. GIAMO PABRASIO 57 



volgevano a lui per aver schiariineuti di questo o quel 
dubbio, per V interpretazione di questo o quel passo con- 
troverso ; ed egli con una modestia, non meno rara della 
sua affabile liberalità, non negava a nessuno il suo giu- 
dizio, che, come canta il Salemi, era venerato al pari del 
responso deli' oracolo di Delfo o di quello di Dodona (1): 

.... credas Delp&is oracula Phoebum 
Aut Dodonaeas ornos, quercum|ue locutat. 

Da ciò appare che il P. negli studi di erudizione teneva 
incontrastabilmente il primato, da non temere punto di schie- 
rarsi, alPoccasione, contro i più rinomati umanisti del tempo, 
fosse anche un Poliziano (2). 

Certo, facciamo nostra la giusta osservazione del Fio- 
rentino (3), il contendere la palma all'eruditissimo Poliziano 
e il biasimarne i giudizii richiedeva non piccola autorità, 
quando non fosse stata audacia e sfrontataggine senza pari. 
Da quanto abbiamo detto chiaramente appare che un simile 
rimprovero non poteva toccare al Parrasio. 

• • • 

A questo punto crediamo opportuno far rilevare un altro 
grande servigio arrecato dal P. alla scienza, durante la sua 



(1) Salerni. — Sylvae*' In Jani obùu Epieedion^ pag. 110 e Mg. 
ed. Neap. 1596. 

(2) MSS. R. BibL Kos. di Napoli Cod. Y. F. 9. — Lettera a persona 
ignota : « Non vìdeo cur ad me acribas a Politiano Domltii sententiam 
non probari in illad ex prima Papinii Sylvula : RKenus et atUmiH vidù ' 
domus ardita Dati. Nisi forte vis ut Politiano sabtcribam, vel a calamuia 
Doroifium defendam »• 

Quaesiux per episL^ ed. Matthaei, pag. 1Ó : € Lia est mihi cum Po- 
litiano sinuosa (a proposito di un passo di Virgilio) »• 

Op. cit., ed. cit., pag. 225 e seg^: € Et audet PoHtianns asserere 
Trapezuntium multa fecisse rerum vocabuìa ex imitatone veteram » eoe... 

(?) BiBXARDiKO TsLKsio. — V. I.« Flrenso, sncc. Le Mounier, 1872. 



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58 



VITA DI A. OIAKO PARRA8IO 



dimora a Milano, quello cioè di aver contribuito non poco 
al sorgere della Colia Oiurisprudenza, di cui fu caposcuola 
il suo discepolo, Andrea Alciati. 

Senza punto occuparci dei primi due periodi della col- 
tura del diritto romano, la Glossa e lo Scolasticismo, ci 
limitiamo a ricordare che si deve esclusivamente agli uma- 
nisti quel mo\imento reattivo all' indirizzo precedente, in 
cui avevano avuto grande predominio le peripatetiche spe- 
culazioni, il vuoto formalismo e l'arte delle infinite distin- 
zioni suddistinzioni, che avevano ridotta la dottrina del 
diritto romano ad un convenzionalismo dogmatico. 

La lotta contro i giuristi, cominciata dal Valla con la 
famosa lettera contro l'opuscolo di Bartolo da Sassoferrato, 
De insigniii et armi$, trovò plauso negli altri umanisti, soprat- 
tutto nel Poliziano; e se suscitò al principio un grave scan- 
dalo, valse a rimettere in onore lo studio negletto delle 
fonti ed a far conoscere la grande importanza del metodo 
storico-filologico. Questo rinnovamento, iniziato dai lette- 
rati, fu poi recato completamente in atto dai giuristi e, 
primo fra tutti, da Andrea Alciati (1). 

Questi, mettendo a profitto il suo sagace discernimento 
e la sua vasta erudizione, coll'aiuto di codici da lui dissep- 
pelliti nelle biblioteche, riusci a restituire alla loro esatta 
lezione molti passi di Erodoto, di Polibio, di Appiano; 
altri emendò in Plauto, in Terenzio, in Tito Livio e special- 



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(1) Gravina. — De ertu et progressu iurù civilis. € lurìspnidentiA 
Alciati manu ex humo sublata, oculos ad primordia sua reflectens, vetera 
ornamenta nativamque digoitatein a priscis ropetiit auctoribus ; cumque 
Alciati discipuli ex Gallia et Italia universa conspirarent, eorum praesidio 
iurisprudentia se in prìmaeva eruditìone atque elegantia cpllocavit* quaeque 
in Imeni, Accursii et Bartoli scholis viret exsenierat, retonta rubigine, 
cultu eruditoruni et industria littcrarum elegantiarum, exuit barbarìem 
el nativam explicuit venustatem ». y • 



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nix DI ▲« GIAHO PARRA8IO 69 



mente in Tacito, determinò l'indole dello stile dei migliori 
giureconsulti, per cogliere il senso dei loro consigli nelle 
Pandette, descrisse «Uligentemente le variazioni del diritto 
pubblico romano, i>er conoscere lo spirito delle leggi in ogni 
età, e colla sua profonda critica gettò la luce sui passi pia 
difficili e controversi (!)• 

Ora domandiamo : l'Alciati a chi va debitore di questo 
critico indirizzo, a cui deve la sua famaf 

Se qualcuno, neiracnme e ncireleganza di dettato del- 
VAntore deWclegantc giHritpruiìemza, riconobbe i lieti frutti 
deir insegnamento del Parrasio (2), la cui scuola egli firc^- 
quentò dal 1504 al 1506, compiendovi, ancora giovanissimo, 
gli studi d' umanità (3), nessuno, per quel che sappiamo, 
ha aucora bene osservato che il metodo tenuto dal grande 
giurista ncir emendare i testi degli antichi giureconsulti 
è quello ^stesso tenuto dal P» nella correzione dei clas- 
sici, e che da qucst' ultimo, molto probabilmente, apprese 
anche i primi elementi della dottrina del giure. B e' indu- 
cono in questa opinione due altre preziose orazioni inedite : 
« De iustitia, De iure >, le quali ci attestano che il P. a 
Milano, dietro invito del Canlinale d' Amboise, fece parte 



(1) Giuseppe Prima. — Andrea Alciati. -* Orazione inaugurale 
letta neir Univ. di Pavia. — Milano, Stamp. reale MDCGCXI. 

(2) RoBBRTELLO. — A»not. ad Var. toc., 1. II : Tibi vero gratulòr, 
Alciate, quod Jannm Parrìtasium^ virum doctissiiBuin, a puerìlia nactos 
fuoris praeceptorein. Nunquam enim tua scrìpla lego, quin mihi illiua 
recordatio viri oecurrat, adeo diligentis et perspicacia in veterum locit 

emendandis, atque expUnandìs Homines qui ignorant talem prae- 

ceptorcm tibi a pueritia contigiese admirantur postoa quantum eUam in 
hoc ttudiorum genere valeaa. Ego, qui id iMsio, nec miror et laetor »• 

k3) Claudio Minois. — Vita Alciati ante Emhlemata ; Quoio. -» 
Epiii, Clar, et doct, Vir., pag. 81 e^eg. ; Tiraboschi. — Op. cit., T. VII, 
P. II, pag. 106 e t^g. 



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60 



VITA DI A. GIANO PABllASIO 



del collegio dei giudici (1), e impartì anche pubbliche lezioni 
di diritto (2), rifacendo e ampliando quel Vocabularium Io- 
gale, di cui già abbiamo fatto menzione in questo lavoro (3). 
L'Alciati, superbo e ambizioso per natura, si mostrò poco 
riconoscente, per non dire ingrato, verso il suo grande 
maestro, e non lo nominò che rare volte nelle sue opere, 
. mettendone in dubbio quella vasta e profonda coltura, che gli 
aveva dischiusi i tesori della sapienza giuridica dei Bomani (4). 
Ma la storia, che ben fu chiamata da Cicerone luce della 
verità, ripara questo torto, salutando nelP umanista calabrese 
uno dei fondatori della scuola della Colta giurisprudenza. 



(1) MSS. R. BM. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Do JusUUa: 

€ Ut non iniurU veteri proverbio ìactetur: virtutcs omDOS in una 

iattiUa conti Qorl. Cuiot ministri tamen dcnique. Viri boni, omnium 
consensu nominamur, quum nos ncque grafia praovenit, neque miseri- 
cordia flectlt..... »• 

(2) MSS. R. Diti. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Do Jure: 
€ At quomodo non iniustissimus ossem, ianrtisnmoè-um legis peritorum 
Collegio minime cooptandus, si tot ornamenta, quibus me bonestatit, 
hodie silentio praeterirem f Quae, qualia, quantaque tint, Patres amplia- 
timi, tametsi non ut vos in iis Rtudiis (giuridici; tot annot summa edm 
laude versati, prò meo tamen captu satis intelligo ». 

(3) Y. pag. 12 e seg. ~ Del Vocabularium e delle due orazioni 
succitate , d occuperemo in un* altra monografia , che intitoleremo : 
€ Andrea Alciatl e la Colta Giurisprudenza ». * 

(4) è noto che V Alciati soleva dire che il P. citava gli autori, 
senza averli punto né letti, né conosciuti. 



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CAPITOLO VII. 



Attinenze del P. con Demetrio Calcondila. 

1 

Sue condizioni. — Nuove lotte. 
A:cuse infamL — Partenza da Milano. 



Il P., nulgrailo lo tristi vicende toccategli/ senti sempre 
per Milano U pia grande attrattiva, a segno da preferirlai 
dopo Napoli, % tutte le altre città d' Italia, come con belle 
parole dichian ai suoi discepoli (1). 

A rendetli cosi piacevole quel soggiorno' contribuì, 
senza dubbio.prima V amicizia e poi la parentela contratta 
col valente gecista, Demetrio Oalcondila. Questi, chiamato 
a Milano daLodovico il Moro nel 1491, dopo aver inse- 
gnato, per t^ti anni e con molto plauso, a Padova o poi 
a Firenze dda cattedra resa celebre dall' Argiropulo, vi 
ebbe le più liete accoglienze, venendo egli a soddisfiure 
quel vivo Uiogno sentito dalle menti, dopo la meta del 
secolo XV, dponoscere cioè ed apprezzare le opere immor- 
taU dei Gì 




(1) MS8. R.m. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — PrtefAtio ia 
Thebaida : « Egouom prìmum appuli in hanc inclytam civitatem 6t 
latÌ8HÌmo dignamiperìo, eìut amplitudine captua, hanc animo meo 

proprìam sedem U Nam post illam felicissimam Campaniaa oram 

in tota Italia nullii usquam secessum solo virisque meliorem, qaiqiie 
mihi M«diolano mls arrìdeat, invenl ». 



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62 



VITA DI A. GIANO PABUASIO 



n P., appena giunto a Milano, cercò di avvicinarsi al- 
l' illnstre ateniese, per potere ancora niegfio apprezzare i 
tesori del mondo ellenico, e trovò in lui uia guida sagena 
e illuminata e affetto veramente paterno. . l 

Frequentando la casa del Oalcoudila, ej^li ebbe agio di 
ammirare la coltura o le belle qualità mora! della figliuola 
di lui, Teodora: sebbene questa non potes» vantare né 
grande bellezza, nò forte dote, se no invaghi\ la foce sua 
sposa (1), intorno al 1504, come si desume daunepigramma 
scritto in quelP occasione dall' amico Lancino Cil^io (2). 

D'allora in poi il. P. abitò in casa del suocera, dove potè 
conoscere molti valenti letterati, venuti a ^lilant per appren- 
dervi il greco, fra' quali Giaugiorgio Trissino (1|0G), il quale 
pare abbia fatto dimora presso lo stesso Calondila,. come « 
e' inducono a credere una lettera di quest' ulmio «liretta a 
lui e sei altre del P*, da cui traspare la pinjgrande fami- 
liarità e domestichezza (3). 

Cominciò cosi un periodo di tregua nelUvita del P., 
ma nou fu molto duraturo, poiché vennero ditinovo a tor* 
montarlo le strettezze finanziarie e i suoi nmici, che gli 
piombarono addosso ancora più rabbiosi di praa.* 

I Milanesi, se gli furono larghi di applauso onori, non 



(1) MSS. R. DM. Noi. di Xapoli. Cod. V. D. 15. A Praefatio in 

Thebaida: « placoit in spcm prolit ot rei faìnili» Thcodoram, 

Demetrìi filiam, mihi adiungerc, in qua non forma, quan ea inediocria 
est, ut appellat Ennius, non oiTertam dotein, quae ma «ine morìbus 
ex|>etitur, animuroque ineum non facile capit, scd ingfiat artes, intè- 
gritatein vitae, et super omnia |>atri8 eius affinitatem Retavi ». ^ 

(2) Op. cit., ediz. cit., pag. 80 ; Jannelm. — optt., pag. n2« - 

(3) KoscoB. ~ Vita é PctUi ficaio di Leone X, trad./ Luigi JBossi. — 
Milano, Sonzogno, 1817, V* X pag, 143 e aegg. 

11 traduttore ri u venne queste lettere nella corrisddenza epistolare 
del poeta vicentino, conservata dai Trìssino dal Yeld*Ofo. 



V • 






VITA DI A. GIANO PABBASIO 63 



lo furono altrettanto nel ricompensare le sue fatiche (1). Di 
ciò abbiamo chiara prova in un'altra orazione inedita, in coi 
il P. candidamente fa nota ai discepoli la sua triste condì* 
zionci ricordando loro, con aniarezza, il detto di Aristotele 
che cioè il povero difficilmente e raramente giunge all'ac- 
quisto della scienza (2). Quanto diverso era stato il suo giu- 
dizio sulla povertà nclVOratio ad SetMlum McdioUinensem t 

Non deve recar punto meraviglia che questa ed altre 
volte la miseria abbia bussato alla porta del P. • In quél 
secolo, ben chiamato dal Graf il secolo dei ciarlatani, chi 
non si tirava innanzi, chi non gridava e magnificava la sua 
merce, chi non prometteva più di quanto potesse attenere, 
correva rischio di morir di fame (3). 

^ Bifuggendo il P. da ogni bassezza e dalle quae$tuarU$ 
artibìii dei letterati del tempo, era naturale che non guaz* 
zasse mai nell'abbondanza/ 

Il Poncherio, conosciute le condizioni poco floride in cui 
egli si trovava, non mancò di venire in soccorso di lui, affi- 
dandogli il proficuo incarico dell'educazione e dell' istruzione 
del nipote Francesco (4). Ma ciò, se valse a sollevare il bi- 



(1) MSS. R. Bihl. Naz. di Napoli. Cod. Y. D. 15. — In L. Flomm : 
€ Nam quid aliud, ornatissimi ìuveoet, in tanta rerum difficultate, quid 
a1ittd« inquam, facerem, quum publica stipendia non procederent, et al 
qnae privatim consequor emolumenta, vix emendis olusculit satis essentf » 

^ MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — In L. Flomm : 
« Quippe ai viatica desint, ut vocat Aristoteles, omnia ad acientiam eo- 
nattts irrìtus est et inania, et quantocumque labore diligentiaque, mille- 
simus quisque vix evadei ». 

(3) AUraverio il Cinquecento^ pag. 110 e aeg. 

(4) MSS. R Bibl. Kaz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — In L: Florum : 

« Nunc autem quum pater amplissirous Stephanus Poncheriua quo, 

quasi sacro atque inspoHato quodam fano« boni omnes utuntur, non ho- 
nesta solum mihi praemia constituerit, sed, quod magous honor est, 
nepotis ex fratre sui curam'milii delegaverit »• 



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64 VITA DI A. GIANO PARRA8IO 



lancio domestico del povero retore, noD potè ridargli la 
tranquillità dello' spirito, turbata ancora una volta dagli 
antichi nemici. 

Primo ad uscire dal suo agguato fu il perfido Minuziano, 
il quale, avendo corrotto un ribaldo sacerdote, discepolo del 
P., fece sottrarre a quest' ultimo il commento al De bello 
Macedonico di Livio, frutto di tre anni di assiduo lavoro, 
pubblicandolo spudoratamente col proprio nome (1), e dedi- 
candolo per giunta ai successore del Poncherio, Carlo GoiTredo. 

Questo fatto indignò fortemente il P., che memore degli 
altri torti ricevuti, senza alcun indugio, rese di pubblica 
ragione V impudente plagio. H Minnziano, vedendosi brutto 
e spennacchiato, al pari della cornacchia esopiana, per ven- 
dicarsi, non rifuggi da un' ultima vigliaccheria, dal collegarsi' 
cioè col Ferrari, che era ritornato a Milano, e col Nauta, 
contro i quali aveva lottato insieme col suo antico ospite (2). 

A questi si uni un vero lanzichenecco della penna, fac- 
ciamo nostra un'altra espressione del Graf, un tal Rolandino 
Panato, che indettato e coadiuvato dai suoi amici, scrisse 
contro il P. delle scandalose Inveetivae (3), che per oscenità 
non hanno nulla da invidiare a quelle scritte dal Panormita, • 
da Poggio, dal Valla e dal Trapezunzio. 



(1) Vallo. — Apologia : « Impudentior autem praeceptor ille tuut, 
iropressorum postrerout, qui Jaai castigationes in bellum Ltvil Mac«do- 
nicum, grandi pretio redemptaa, ab avarìssimo quodam sacerdote (palam 
rea est) intervertìt, emendatumquo Jani labore Livium suo titulo pabli- 
cavit (1506) ». • 

(2) Vallo. — Apologia : « Neque erubuit homo com iis in Jannui 
conspirare, adversus quos certo capitis perìculo se, nomen, doctrinani, 
ceteraque omnia sua tutatos fuerat Parrhasius ». 

(3) RoLANDiKi Panati. — Inveclivae et Nautae Carmina. — Questa 
pubblicazione, sebbene non porti indicazione né di anno, né di luogo, pure, 
come notAva il Mazzucbelli, è certo che fu fatta a Milano, al principio 
del 1506. 



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TRA m A. 6IAXO TkWMAWm CS 



Laudo contro fl P. o^ torto £ coBioBieliey ^ 
o^ sorto di ribalderie, lo duamò msiumm mremdiemmt, Jmmm 
/o€di$$immm Mcarmhcuwi, tmprmrimm, Ibtommw» jMrtjtfi 
Don eitore altri Tilissini epiteti, che layia^o ndte 
1/ infkaie rabula criticò i larori di Ini, ne^ loro o^ V'^fl^ 
letterario e li denomiiiò amwumtmriolm. 

do Irrìdo di protesto eruppe daD'aniaio dei baoai per la 
basse ingiarìe lanciato all' nomo dotto e morigerato : GioTanni 
Biffo, Tanzio Cornìgero, Antonio Peloto, Pio Bolognese^ Bratt- 
gelisto Biadano ed altri molti alzarono la roee contro i tìK 
diiEunatori, e scrissero contro di loro de^ epigrammi di foooo, 
che non riportiamo, per non intralciare fl nostro racconto (!)• 
n P. neppure questo rolto si diede per Tinto, e riden» 
dosi delle nuoTe insidie dei suoi aTTcrsari, si ain^arecdiiò a 
schiacciarli con pochi colpi, come scriTOTa all'amico Bolo- 
gnese (2). B non disse dò per millantoria, polche rinsd 
complctomento nel suo intonto colla pubblicazione della dtato 
Apologia di Vallo (3), la quale d ha fornito tanto e ri im- 
portontl notizie. 

Nessuno dei biografi del P., compreso lo*Jannelli, ha 
ossenrato che il Vallo, se ebbe in essa la sua parto, non fli 
certo la prìndpale: la grande erudizione, lo stfle, le dta- 
zioni, comuni ad altri lavori del P., rivelano la mano del 
provetto maestro più che quella del «liscepolo. 

Questa volto, dobbiamo pur dirlo, il P. fu costretto a 
combattere i suoi nemici colle loro medesime armi, oppose 



(1) Y. Jaio«blli. — Op. cit., pagg. 58, 71 e segg. 

(2) Jannblli. — Op. cit., appendic«, pag. 109: « Risi de Jolio «t 

Musoa Appula, perque gratum fuit audire quid de utroque seotiret - 

8ed, ut spero, noo agam Aesopi calvum,,nec expectabo Eiemis adrontùm : 
paucis ictibus conteram ». 

(3) Furius Vallus Echinatus in Rolandinum, pistrìni yernam illauda- 
tnxn, 1505 ante sec. ed. Comm. De Raptu eto. . 



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66 



VITA DI A. GIANO PABRASIO 



iosolonza od insoleoza, ingiurìa ad ingiurìa, e ritorcendo 
abilmente contro di loro le accuse inflittegli, li ridusse al 
silenzio. Ma neppure allora egli potette godere un po' di pace, 
poiché poco dopo (1506) sorse contro di lui un nemico molto 
più folate dei precedenti, Carlo Goffredo, e di (i*onte ad un 
tale avversario fu giocoforza soccombere. 

Il successore del Poncherio, goffiis et frtgidus (1), come 
satiricamente lo chiamò il P., non sappiamo per quale motivo, 
avendo preso ad odiare cortìialmente l' illustre giureconsulto 
napolitano. Michele Biccio, mal sopportò che il P. lo avesse 
lodato nella lettera dedicatoria dei Carmi di Sedulio e Pru- 
denzio e nella lettera-prefazione all'opera del Biccio stesso : 
De Regiìnis llUpaniae, Hierusalem etc.^ Historia (2). Crebbe 
poi a dismisura lo sdegno del Goffredo, quando il P. giu- 
stamente si rifiuto, di espellere dalla propria casa alcuni 
giovanetti milanesi, per collocarvi i conterranei di lui (3). 

Allora cominciarono i dispetti influiti, e quella lotta vile 
ed esecrabile, che crediamo abbia pochi esempi nella storia 
dell' umanesimo. 

n Goffredo accordò subito la sua protezione ad un oscuro 
e invidioso grammatico, di nome Minutolo, il quale gli fece 
credere che il P. notava, per poi pubblicarli nella sua opera, 



(1) MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. Y. D. 15. — Orai. I ad Mu- 
nicipium Vincentinum. , 

(2) MSS. R. mi. Naz. di f^apoli. Cod. V. D. 15. — Orai. I ad 
Mun. Vinc. : € In me vero praecipue d^acchatur et fqrit impotontisaime, 
quod uoa alteravo epistola Ritium laudavi ». . ^ 

(S) MSS. R/Bibl. Noi. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orai. I ad 
MuQ. Vinc. : € Illnd vero nullo paolo forre potuit me sua causa noluisse 
quorundam Mediolanonslum liboros a nostrìs aedibus ex turbare, quo va- 
cuus apud me contubernio locqs Allobrogibus ossei suls »• 



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VITA DI A. OIANO PABBASIO 



67 



De Rebus ete., dei fatti poco lodevoli della vita di lai (1). 
n perfido uomo allora, per vendicarsi, non rifoggi dal de- 
litto: mentre il P. una sera ritornava dalla casa di -an 
senatore, dove era stato invitato a cena, da un ribaldo fa 
ferito gravemente alla testa con un colpo di pietra (2). 
Saputo poi il ribaldo che la ferita non era mortale, con grandi 
promesse, cercò finanche di corrompere il medico, perchè 
avvelenasse V infermo (3). 

Impotente a lottare contro un tal nemico, il P. stimò 
miglior partito esser quello di abbandonare Milano ; ma il 
Poncherio, che si trovava ancora colà e ramava sempre 
teneramente, lo fece desistere dalla presa risoluzione (4). 

Oiò dovette sembrare al Goffredo come una nuova sfida 
lanciatagli, e crediamo che allora appunto egli ricorresse a 
quella nera e sozza calunnia, ricordata dai biografi, ultimo e 
troppo amaro guiderdone concesso a Milano al filologo insigne^ 
che per ben otto anni, in quella città, aveva dedicato tutto 
se stesso all'educazione della gioventù e al trionfo dell'arte. 



(1) MSS. R. Bihl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orat. I ad 
Mun. Yinc. : € ac incidit in illam quoque susplciooem, quam garrìent 
ad aurem Minutulus (^;, de quo iam dixi, delator augehat, a me sua 
notari tempora, vitaeque sordes eo opere, cui titulum feci De rebus eie »• 

(') Lo Jannelli lesse Mioutianum e perciò ritenne erroceamectt 
(pag. 75) che Carlo Goffredo si uni agli antichi nemici del P. « dirae 
societati »• 

(2) MSS. R. BM. Nag. di Napoli. Cod. Y. D. 15. — Orat I ad 
Man. Vino. : € Quare non ita multo post a caena cuiusdam rodient 86- 
natoris ad prìmam facem, ex ictu lapidis in capite vulnus accepi ». 

(3) MSS. R. Dibl. N(u. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Orat. I ad 

Mun. Yinc. : « ingentis spe praemii sollieitatum Micaelem chirurgum, 

qui me curabat, ut malum venenum medicamcntis infunderet ». 

(4) MSS. R. Bibl. Nat. di NapoU. Cod. Y. D. 15. — Orat. I ad 

Mun. Yinc. : « ab amplissimo patre Stephano Poncherio Lutetiaé 

Parìsiorum pontifico, cuius imraerito vicem gerit, a decedendi Consilio 
revocatum »• 



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VITA DI A. GIANO PARBA8I0 



Una delle colpe attribuite al secolo dell' nmanesimo ta 
qnel vizio abbominevole, per designare il quale si e tolto 
a prestito il nome dai Greci. 

Fra le ignominie che gli umanisti, a ragione o a torto, 
si gettavano in faccia vicendevolmente havvi sempre in primo 
luogo la pederastia. H Bcccadelli rinfaccia questa colpa al 
grammatico sanese Matteo Lupi, il Filelfo al Porcello, Poggio 
al Valla, il Valla a Poggio e cosi via. 

Non dove sembrare quindi strano che quest^accusa tanto 
comune si lanciasse anche contro il P. dal corrotto cinque- 
cento, che ereditò, anzi rese più morboso questo vizio del 
secolo precedente. 

Infatti tutti gli strati sociali, come dice il Oraf (1), ne 
erano infetti, a comijiciare da Leone X, se vogliamo prestar 
fede alle parole del Giovio ; Antonio Vignoli e il Bibbiena 
ne accusano preti e frati ; il Firenzuola lo chiama manza di 
maggior riputazioAe, e gli prodigsftio lodi Giovanni della Gasa, 
Lodovico Dolce, Andrea Lori, Curzio da Marignolli ed altri 
dieci altri cinquanta, aggiunge il Graf. B che dire dell' ac- 
cusa che grava su Francesco Bemi e sulla figura pia eletto 
del secolo, Michclangiolo Buonarroti Y 

Siamo lieti di notare che tutti, concordemente, assolvano 
il P. del fallo imputatogli, prima di tutti lo stesso Giovio, 
che non la perdona a Leone X (2). Ove non potessimo ad- 
durre delle prove tanto convincenti, basterebbe per poco . 
riflettere sulle sante massime dettate ai discHpoli nelle ora- 
zioni inedite (3), osaaiinarc l'elegia in morte di Antonio 



(1) Attraverso il Cinquecento^ |)ag.. 125-130. 

(2) Oiovio. — Ehgia ViV. Un. t7/ii5fr., p&g. 208; Spiriti, r- ifemorM 
degli sct-iitori Cosentini^ piig. 25; Qinqukns. — Histoire litt, d'Italie, Y. VII, 
pag. 214; Morcri. — Grand Dictionn, histor., pag. 828« ccc 

(3) MSS. R. BiU. Nnz. di Napoli. Cod. V. D. 15. — PraefaUo in 
Achillcidem, Cratio ad di«cipulos, Oratio ad Scoatam Mediolanensem, 
Ad Mumclplum Vlncentloum tic 



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VITA DI A. GIANO PARRA8I0 



69 



Babrono, spirante candore e purezza, e soprattutto l'elegia 
e Ad Luciani » (1), V ultimo sospiro ardente di un cuore ad- 
dolorato, che fin negli ultimi anni della vita serba tutta l'alta 
idealità dell'amore, per convincersi che il P., anche patologi- 
camente parlando, non poteva essere infetto di mal costume. 
Purtroppo però l'accusa lanciata da un nomo potente quale 
era Carlo Goffredo, diffusa e ravvalorata dai suoi emissariy 
produsse l'effetto sperato. Il credulo volgo, come pare, presto 
fede al turpe mendacio, sicché il povero P., ferito moral- 
mente, col cuore straziato dalle più orribili angoscio, si vide 
costretto a lasciare quella citta, che egli aveva tanto amata, 
e che era stata il principal teatro della sua fama (2). 



(1) Y, nostro layoro : € L* Elegia ad Luciam di Aalo Giano Parratlo 
e il Bruto rumore di Qiacouo Leopardi ». Ariano, Si. appulo-irpino 1890. 

(2) Crediamo che il P. aia partito da Milano al principio del 1507, 
poiché nella lettera che invia al Trissino a Vicenza, « ex aedibns Demetrìi 
(Calcondilae), Xlll octobrit 1506 » (Rotcoe, op. cit., 1. cit.), gli chiede ia 
prestito tre lecchini, che promette di restituire, appenaetatt» io fUpendi». 



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CAPITOLO VIU. 

n Parrasio a Vicenza. — La Lega di CambraL 
Vita randagia a Padova, Abano» Venezia. 



La vita di molti umanisti potrebbe ben definirsi uno 
squallido itinerario, poiohè passarono ripetutamente da una 
in aititi cittii, da un borgo all' altro, ora incalzati dal bi- 
sogno, dall' irrequietezza innata., dall' assiduo desiderio del 
meglio, ora costretti da guerre, pestilenze, carestie, angustie 
dei comuni o dei principi (1\ Però se molti trascinarono una 
triste esistenza e alcuni, come Cosimo Raimondi e Sassuolo 
da Prato, finirono* col suiciilio i loro giorni, crediamo che 
ben pochi abbiano menato una vita infelice e randagia come 
quella del P. e siano stati vittima, al par di lui, di lotte 
indecorose e d' implacabili persecuzioni. 

Carlo Goffredo, non contento di averlo perfidamente 
infamato e costretto quindi a partire da Milano, adoperò 
poi tutte le sue male arti, perchè non gli fosse concessa la 
cattedra d'oratoria a Venezia (2); e sarebbe eertamente 



• * 

(1) Rossi. — - op. cit.« fase. S-4« pag. 30. 

(2) MSS. R, Btbl. Xaz. di Napolt. Cod. V. D. 15. -* Oratio I ad 
Mun. Vincent.: € Ostentare impotentiam suam voluit AUobroz, quam 
me Venetiis evocaturo fictis excogitatisque crlminibus excepit, itaqae pro- 
pudiose laceraTit, ut nihil reliquum fecerit iniuriae ». 



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72 VITA DI A. GIANO PARRA8IO 



riuscito a farlo respingere anche da Vicenzai senza la valida 
protezione del fedele amico Giangiorgio Trissino (1). 

Quivi| malgrado lu assicurazioni di quest' ultimo, il P.,, 
prima di ottenere la cattedra desiderata! dovette esporsi a 
doppia prova davanti ai Municipali della citta; ma se ciò 
ferì l' amor proprio dell' insigne filologo, come appare da 
una lettera al Trissino, valse a procurargli la stima delle 
persone colte e a dissipare quei dubbi sorti sul suo conto, 
per le maligne insinuazioni del Goi&edo (2). 

Per fortuna ci sono pervenute le due orazioni pronun- 
ziate allora dal P. (3), degne entrambe di grande attenzione, 
come quelle che ci rivelano ancora meglio il nobile carat- 
tere dell' umanista calabrese. . . 

Merita soprattutto di essere ricordato il principio della 
prima orazione, in cui palpita un cuore altamente italiano, 
che dinanzi alle miserie della patria, non resta indiiTerente, 
ma freme di nobile sdegno e impreca alla tirannide straniera : 
e Veni, Patros optimi, tandom veni, serius exspeotatione 
vestra meaque voluntate^ quod immanium barbarorura grave 
diutumum iugum non facile fuit ab attrìtis excutere cervi- 
cibus, quippe qui nec opinata Victoria extulerunt animos, 

• 

tantumque sibi permittunt in omnes Italos (O miseram tem- 
porum conditionem ! quis hic ita non ingemiscat et frontem 



(1) De Rebus eie. . • • ed. 1771, pag, 103: € Idque me aceeptum 
Ubi referre, quod optimi cives tui, te referente, ducentenis anniiis insti- 
tueodae iuvenliiti suae me condaxeruat »• 

(2) Roftcoe — op. cit., ed. eit., pag. 145, epiet. Ili: «Nam Palaemo- 
nlbus, Oronibonis, Biuariis, Naeriis, Portensibas, Gaietanis, Luseis, Leo- 

nicenisque tuia imp<>8ai, Tisusqae sum orator Quid igitur aateal 

dubilabant ne conduxisseut Thucididem Bntannicom, vel Ranam 'Sobri- 
phiam? Sed utramque suspicìonem disonstl ». 

Questa lettera e le seguenti sono dirette al Trissino, che allora 
si trovava a Milano ad apprendere il greco, presso Demetrio Calcondila* 

(3) MSS. R. Bibl. Nas. di NapoU. Coà. V. D. 15. 



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VITA DI A. aiANO PARRASIO 



73 



fonati) quantum vix olira Gares in Leloges, Arcades in Pe- 
lasgos, Laoed(cinono3 in Ilotost »• 

Fiere e generose parole che mostrano ancora una volta 
quanto fosse esagerata i' accusa di coloro che negarono com- 
pletamente agli scrittori del secolo XVI la coscienza morale 
della nazione italiana (1). 

B che realmente il P. avesse fede nel!' avvenire, d è 
mostrato anche dalla seconda orazione, dove se si notano i 
medesimi difetti delle altre, e soprattutto la prolissità e una 
troppo sìidata erudizione, si ammirano similmente gli alti pre- 
cetti pedagogici e didattici, e le sane norme dettate ai gio- 
vani e ai padri di famiglia, circa i beneficii di una buona 
educazione (2). 

Gonosciutosi in tal modo il valoro e la nobiltà d'animo 
dell' uomo bassamente calunniato, dietro l' esempio deUa 
famiglia Trissino, presso la quale egli aveva trovata, nei 
primi tempi, la più calda e sincera ospitalità, cominciò una 
vera gara tra le più nobili famiglie vipentine, per sempre 
più dégnamente onorarlo e cattivarseni) la benevolenza (3). 

Nonostante tali prove di affètto e di stima, il P. non 
visse a Vicenza in quella perfetta tranquillità, come credette 
lo Jannelli (4), per aver ignorate le importanti lettere al 



• (l) Nencioni. — Nuova Antologia, 1884, 3. bimestre. 

2; MSS. R. Bibl. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. II ad 
Mun. Vincent : « In quo nonnulli parontet, ut hic ordiamur, obiargatione 
digni sunt, qui spcs quoque suas ambitioni donant et precibus amicorom, 
non minus insulse quam si gravi morbo quia Implidtus, ut amici grar 
tiam colligat, oinisso perito salutiferoque medico, se committai ignaroii 
cuius inscitia fonasse peidatnr ». 

(3) Roseci, op. cit.,. 1. eit. : € Qni (Trissiol) nihil ad oroaodam tei- 
lendumque me domi forisque omisenint, exemploqoe coeteris, nt Idem 
faeerent, oxtitere. Nam cerUnt inter se Thiend, Palelli, Portensea et 
Cberigati quinam de me magia promereantnr »• 

(4) Op. cit., pag. 84. • ^ . ^ . 



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74 TITA DI A. aiÀifO PARBASIO 

Trìssino: prima la podagra (l), che aveva cominciato ad af- 
fliggerlo fln da quando si trovava a Milano, e poi gì' invi- 
diosi e ignoranti grammatici gli turbarono, come ftl solito, 
la pace dello spirito. 

n P. , irritato per i tranelli tesigli da un tal Antonio da 
Trento e da un perfido sacerdote, di cui ignoriamo il nome (2), 
accolto nella sua scuola in qualità d'hypodidascalos, aveva già 
deciso di lasciare Vicenza, quando, per la opportuna ed elBcace 
intercessione del Trìssino, non solo recedette dalla presa riso- 
luzione, ma concesse anche il perdono all'infame sacerdote (3). 

Malgrado i continui fastidii e le non lievi cure dell' in- 
segnamento, il P. non tralasciò i suoi studii prediletti, che 
continuò a coltivare con amore e profitto, pubblicando, a 
breve intervallo, i seguenti importanti e pregevoli lavori: 
Claunulae Ciceronu ex epistolin familiaribus (4); Breviarium 
Rhctoriec9 ex aptimU quibunque Oraccis et Txitinis atictoribuM 
depromptum (5); Probiliistituta artium et Catholica (2*ediz.) (6); 
Conieliìis Franto — De nominum verborumqM differentiU et 
Fhoca grammaiiou$ — De /laudi nota, atqne de aspirationè 
libelluè (7) ». 

Questa ricca produzione letteraria ci fa argomentare che 



(1) RoscoB. — op. cit., 1. cit. : € torqueor incredibili po- 

dagrac dolore : quicquid est mediconim, quicqutd phannacopolarain din 
noci uq uè conti ncnter exerceo >• 

(2) L* indegno prete era Irato contro il P., mal sopportando che que- 
Mlo avesse chiamato nella sua scuola e prediligesse il cosentino Ant4)nio 
Cesario, uno dei pochi veri e costanti amici delPinfelice umanista, 

'3) RoscoB. — op. cit., l. cit, : « Sacerdos tuas est apud me laUs 
honcsta condì tione (12 ag. 1508) ». 

(4) Veicetiab, MDVHI, per Henrìcam librarìam Veicet et Jo. Ma- 
rlam oius flllum, in 4. 

(5) Kal. Jan., MDIX, per Henricnm «te. 

(6) MDIK, per Henricum ete 

(7) VUI Id. Febr., MDIX etc..... ^ 




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VITA BI A. GIANO PARRA8IO 



75 



il P. negli aitimi tempi della sua dimora a Vicenza, se visse 
in poco floride condizioni economiche, da essere costretto a 
ricorrere talvolta al Trissino per qualche xirestito (1), non 
dovette però essere più molestato, come per lo innanzi, da 
nemici maligni e invidiosi. Allettato quindi da quella tran- 
quillità relativa, succeduta alle lotte interminabili, forse egli 
non sarebbe cosi presto partito da Vicenza, se non fosse 
sopraggiunto il pericolo della lega di Cambrai. 



Appena salito sul trono di S. Pietro, Giulio II mostrò 
il suo fermo proponimento di ricomporre lo stato della Ohiesa, 
che era andato in frantumi, non per favorire il miserando 
nepotismo, come avevano .fatto i suoi predecessori, ma per 
fondare una monarchia pontificia, che potesse dare al papato 
il necessai*io prestigio. A tal uopo, appena si liberò di Cesare 
Borgia, rivolse le sue mire contro Venezia, che si era im- 
possessata di alcune terre della Ohiesa. 

La Serenissima, scossa nel suo commercio per la sco- 
perta della nuova via, che conduceva alle Indie, e per la 
crescente dominazione dei Turchi, aveva rivolta la sua at- 
tività a formarsi uno stato in terraferma. Bra riuscita a mera- 
viglia nel suo intento, ma si era procurato Podio del Papi^ 
e l'invidia dei principi italiani e dei potentati stranieri, che^ 
il 10 dicembre 1508, conchiusero a Cambrai una formidabile 
le^a e per ispegnere, come incendio comune, l'insaziabile capl- 
digia dei Veneziani e la loro sete d'ingiusta dominazione (2) »« 



(1) RoscoB. — op. cit., epist. V. : < Summa pecunìae difficultat ia 
causa fui% ut boa sex aureolos ad diero non acceperìs; ecce cuoi pri- 
mum licuit ad te dedi. (pridie Jd. Aug. 1508) ». 

(2) Dal manifesto dell* imperatore Massimiliano emanato il 5 gen- 
naio 1509. 



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76 



TITA DI A. aiANO PARBÀ8IO 



Non narriamo le vicende di quella lotta, solo ci limi- 
tiamo a ricordare che dopo la triste giornata di Agnadello, 
14 maggio 1509, la repubblica di 3. Marco si trovò addi- 
rittura sull' orlo dell' estrema rovina. In breve tempo Lui- 
gi XII s' impadroni di Brescia, Grenia, Bergamo, Peschiera, 
Gremona; Ferdinando il Cattolico delle città marittime del- 
PAdriatico; il Papa delle Romagne; e Massimiliano d'Au- 
stria, per mezzo dei suoi messi, di Belluno, Trieste, Fiume, 
Verona, Vicenza, Padova, 

n P. non fu spettatore della resa di Vicenza (2 giu- 
gno 1^09), poiché, come si rileva dal codice, da noi rinve- 
nuto nella Biblioteca dei PP. Gerolamini (1), egli si era già 
rifugiato a Venezia, qualche tempo prima che i Vicentini 
aprissero le loro porte al messo imperiale, il vescovo di 
Trento. Nel suddetto codice, che -contiene V importante epi- 
stolario postumo del P. (2) , appare che la prima let- 
tera indirizzata a Tommaso Fedro Inghirami , per racco- 



(1) MSS. Bihl. dtlV Orai. d£Ì PP. Gerolamini di Kapoìi. — Cod. 
Pll. XI. 2. — Questo codice apografo, già descritto a pag. 5 e S4*g., 
o. 5 di quello lavoro, sia per la provenienza (l)ibl. S. Oiov. a Carbo- 
nara), sia per la grafia incerta, senza le solite sigle, sia per le visibili 
correzioni, crediamo sia stato scritto da qualche discepolo del P., allor- 
ché la gotta ridusse «1 povero maestro « herinae similliinuA, quippe cui 

nec manus, nec pedes ad officium dati ^Cpist. X.) ». E di ciò 

indirettamente ci rende certi il P. stesso, quando scrive al Cesario: 
€ ai^ me pessime morbus articularis haberet, qui fuit in causa, ut baae 
ùXiena numu ad te.serìberem, cum dextra parum commode otamnr. (B- 
pist. XVIU) ». 

Più che air epistolario stampato, guasto da non pochi errori, ci at- 
terremo al suddetto codice per le opportune citazioni, che indicheremo 
colla semplice parola Epistola e il numero d'ordine da essa occupato. 

(2; Epistolae Pharrhasii — Neapoli, in aedibus Jean. Pasq. per Do- 
minlcum Pasquetum Neapolitanuni.propo divam Annunciatam accuratis- 
sime (!) impressae, anno domini 1523. 





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TS VITA DI JL. aiAKO FIKRASIO 

Allora il P. si recò a Padova, pia che per tenervi an 
eoTBO di lezioni, a cai in qnel tempo gli animi dovevano 
eeriamente essere poco disposti, per trovare un sollievo ai 
saoi mali ai rinomati bagni della vicina Abano. Inclinerem- 
mo anzi a credere che si recasse colà i>oco dopo II discorso 
inaogurale (1), lasciando al téAele Cesario, che non aveva 
voluto abbandonarlo in qnella circostanza (2), la cara del- 
l' insegnamento, al quale aveva dovuto assolatamente ricor- 
rere per poter sbarcare il Innario (3). 

n P., ritornato a Padova al principio dell' agosto, collo 
spirito rinfrancato per il miglioramento ottenuto ai suoi mali 
alle acque di Abano (4), riprese con nuova lena IMnsegna- 
meuto, lasciando cosi libero il Cesario di tentare a Roma 
la sua fortuna (5). 

La Mumma anetoritas deUa storica cittì, in cui per prima 



(X) MSS. R. BibL Sai. 4i Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefalio 'm 
Horatil odM : « Si qois aliuii, ornatUsioii iiivenes, ex eo loco quem net 
iKKiettlstimàin Romao Madiolanique et dcmum Vcìcetiae lonuìmas, ad 
hanc iniquitaUm tamporum radactos ataat, ut privai im doc«ret, ilio qai- 

dom fato eooTieiain faeoret tiquidem summa buius urbis 

auctoriiat, celeborrimum Fatarii nomon, ubique gentiunn venerabile, com- 
peniat omao salarli dotrimootoni ». 

(2) Lo Jannelli, noo avendo ieooto alcun conto della lettera del P, 
%1 Cesario € ex Aponi baliceia », ritenne che quest* oltiiro € excessli 
Viooentia (Romani) XI!! vel Xll Kal. Jonii ( op. cit., pag. 86, o. 3 ) ». 

(3) Sputala JJ, ex Apani balinais, e. d.: « interea vale et cara 

disdpuloe eraditioni fideiqne nostrae commlsaoe ». 

(^ Epistola II, ex Apani balineis : « Salve, Caetari, profuemnt alU 

qvaatlsper Aponi Iwlinea Bqoidem me cupio ad vot recipera 

klo enln me taediam eepit remm onnlom ». 

(5) li Cesario non fa accontentato nei suoi desiderii, poiché nell^ 
lettera inviatagli da Venesia, io data del 13 settembre 1511, Il P. %| 
rallegra con Ini « quod incolurois in complexu suorum vivat accoptos 
(Bpist. IH) ». Da ciò argomentiamo che la maggior parte delle Iutiere 
del P. gli furono Inviate a Cosensa. 




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YITA BI A. GIANO PABRA8IO 



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oon Albertino Mussato emno fioriti^ gli studi! umanistioi, e 
il nomali celeberrimum da essa acquistato, por ^ aver accolto 
nelle sue mura tanti illustri letterati| quali Giovanni da .Ba- 
venna, Pier Paolo Vergerio, Secco PolentonCi Gasparioo da 
Barzizza, Vittorino da Feltro e, per non parlare di altri, 
Demetrio Galcondila, allettarono subito il P., sino a fargli 
dimenticare omne salarii detrimentum. Però i tristi aweiii- 
menti sopmvvenuti lo costrinsero a lasciare Padova* 

L' imperatore Massimiliano, essendosi finalmei|te scosso 
dalla sua inerzia a causa dei continui progressi dei Vene- 
ziani, nel tempo stesso che Bodolfo di Anhalt si recavi^ 
nel Friuli, per occupare la tcpra di Gadore, e il duca di 
Brunswick tentava di espugnare Gividale e Udine, in per- 
sona per le montagne di Vicenza era sceso nel contada 
di Padova. Però e non essendo ancora maggiori le forze 
sue, si occupava in piccole imprese con -poca di- 
gnità del nome Gesario (1) » : saccheggi orribili, eoddi 
spietati furono eseguiti dai feroci invasori, la cui indescri- 
vibile licenza fece ricordare quella delle orde barbariche» 

Il P., visto scoppiare un cosi furioso turbine di guerra, 
prima che Massimiliano cingesse d'assedio la città coi suoi 
100,000 uomini, verso la n^età di agosto riparò di nuovo a Ve- 
nezia, dove fu accolto amorevolmente, come forse anche nella 
sua prima venuta, da Lodovico Michele, che era stato suo 
discepolo a Vicenza (2). 



(1) Guicciardini. — 7f<. d'Italia, 1. Vili, cap. Ili, pag. 144, Mi- 
lano 1838. 

(2) Appreodiaioo questa notisia da un monito, che si legge m /VonCf 
del codice descritto (pag. 51 n. 1) Vili. D. 10: « Jaoas Parrbasiiu lia«e 
Venetiis excerpebat aeger ex podagra, mense Sextili 1500, apnd magoill- 
oum venetumque patricium dominum Ludovicum Michaéleu« Peni f^ 
lium ». La mole del codice, di e. 1 10, V esiguità del tempo e la diTsrsa 
grafia oi dicono però cbiarameate ohe il lavoro dei suddetti Eaocerpia e» 
Pindaro, era stato già cominciato a Milano. 



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VITA Dì A. GIANO PABBASIO 



Dei gravi pericoli corsi e delle perdite subite in questo 
viaggio il P.y con lettera in data del 13 settembre 1610 (1), 
dà poi contezza al Gesario, mostrando ancora tatto il suo 
raccapriccio a quelIMngrato ricordo (2). Nella medesima let- 
tera fa poi noto all' amico V invito avuto dai Vicentini e dai 
Lucchesi e la sua risoluzione di non voler restare a lungo a 
Venezia, a causa delle tristi condizioni di salute ; non gli tace 
parimenti che non è punto disposto a ritornare in patria (3). 

Ma il desiderio di rivedere il natio loooj pare che poi 
a mano a mano si sia fatto strada nell'animo del P.| poiché 
al principio del febbraio 1611 (4), ammalato e povero, egli 
lascia Venezia per recarsi nella bruzia terra, da cui, circa 
venticinque anni prima, era partito baldo e vigoroso, col- 
V animo pieno d'elle più splendide chimere. 



(1) 1^ lettera porta (fuesta semplice indicazione : « Venetiis, idibus 
Septembrìs »; noi però argomentiamo che sia stata scritta nel 1510 da 
queste parole della lettera in esame: € meorum scriptonim nihil adboo 
odidl, tum quod hiemem fere tciam deculmi »• 

(2) Epistola III: € Exantlatis qoibasdam aeramnis, quasi per 
ignet et hostile ferrum Venetias ^'erveni, angue verno spoliatior, praetar 

aliquid ex illa supellectili librorom, Commentarìos a me Incubratoe 

habeboque dom vivam Deo optimo maximo gratiam, quod me ex ord 
faucibos eripalt »• 

' (3) Epistola III : € A Veicetinis iror ut eo petam, Lucenses ioTitant 

honestissimis conditionibus \ Venetiis articulari morbo Texaios 

in animo morari non est, multoque minus in patrìam redlre »• 

(4) Ricaviamo questa data òèlVEpistoia IV^ la quale, sebbene porti 
la semplicii indicazione: € Neapoli, Idibus Februarli », tenuto conto della 
lettera 4>recedente (Venezia, 13 settembre 1510), appare chiaro che sia 
sUU seritU nel 1511. * 



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CAPITOLO DL 

Ritomo del P. a Napoli e a Cosenza. 
Disgrazie domestiche. — Teodora Calcondiku 



Prima di ritornare in Calabria, il P. soni» il bisogno di 
rivedere illam felicissimam Campaniae oram (1), a eoi era 
legato da tanti lieti e tristi ricordi. A tal uopo egli si fermò 
a Napelli prima ancora del 13 febbraio 1511 (3)| e tì si 
trattenne nn pò di tempo, per ammirare ancora ona volta 
le bellezze della citta, e per rinfrescare le antiche amicizie. 

Dovette certo non poco attirare l' insigne umanista quella 
colt:i società napolitana del^ primo Cinquecento (3), che ha 
dato alla storia generale della nostra letteratura i nomi di 
Antonio Epicuro, di Angelo di Costanzo, di Luigi Tansillo 
e di Berardino Bota, e ad una storia letteraria pia spe- 
ciale quelli di Dragonetto Bonifacio, Pomponio Gàurico, Pie- 
tro Gravina, Scipione Capece, Pietro Summonte, Gerolamo 



(1) MSS. R. BiU. JVojr. di NapoU. Cod. V. D. 15. — PraefaUo la 
Thebaida. 

(2) EpUtola IV: € ... . nihil adhae habeo consUtutam quam dio 
Neapoli 8im fntunis Neapoli, Jdibus Febmarii (1511) ». 

Da quanto sopra abbiamo detto, appare chiaro V errore dello Jaa- 
oelli, che riportava (op. cit., pag. 89) al 1510 la venuta del P. a Napoli. 

(3) E. PzRCOPO. — Rauegna critica détta leti, itid., a. Ili, fase 3-4. 



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82 VITA DI A. GIANO PABBA8IO 

Garbono, i fratelli Anisio, i fratelli Seripando, Gerolamo An- 
geriano e parecchi altri {ly, Col pia vivo piacere il P. fre- 
quentò i geniali convegni «lei letterati napolitani e fu accolto 
dovunque colle più sincero manifestazioni di ossequio. 

Non mancarono, come al solito, i versi apologetici, fra' 
quali citiamo quelli del prolifico epigrammista napolitano. 
Giano A Disio, nella cui mente il P. destò il ricordo degli 
antichi soci della gloriosa Accademia pontaniana: 

Qui8 non his tabulis dubia dipingitur umbra 

Commeritas, qais non byali ridenta colore. 

Insigni virtute vir, et spectatus amicus? 

Tene ego praeteream, cui Musae tempora cireum 

Jusserunt hederaa, et amicaa serpere lauros (2). ■ . • 

Il P. allora forse rinde Gjovan Tommaso Filocalo da 
Troja, Gerolamo Garbone, Francesco Puccio da Firenze, alle 
cui lezioni aveva assistito durante la sua prima dimora a 
Napoli, ricavandone non poco profitto. Allora similmente 
rese sempre più saldi i vincoli d'amicizia, che lo legavano^ 
al dotto e munifico Antonio Seripando (3). Pare che egli 
conoscesse quest' ultimo alla scuola del Puccio (4>, tra il 1492 



(1) So questi scrittori, quasi tutti poco noti, rìcbiaroava testé V at- 
tenzione degli studiosi 11 chia.mo prof. Flamini, cbe additava In essi « no 
territorio da esplorare della gloriosa nostra letteratura umanistica »• 
Rassegna Bibl. della ìeU. ital.^ VI. 

(2) Janl Anysii, Varia poemata et Satirae ad Poropejum Colomnam 
cardlnalem, Neapoll, Suitzbach, lib. IV, pag. 66. 

(3) Giano Anisio. — Op. cit., 1. Ili, pag. 66; Bernardino Martlrano. 
Bplst. ad Card, de AccoUIs Ante Comment. In Uoratii Artm Poeiie. 
Parrbasll, Neapoll 1531. 

(4) Che realmente 11 Seripando sia stato alunno del Puccio lo rile- 
viamo dair iscrìsione da lui fatta apporre nella cappella gentilizia di Si. 
Giovanni a Carbonara : € Francisco Puccio quod bonarum artlum sibl 
maglster foisset ». 

Mabill. Museum 2ud. T. I pag. 108; Jannelli, òp. cit., pag. LO. . 




<>■— *i— i^i^Wi^^^— fci^^ii^^ <^ -01 ^hna^Ji^iM^^dh 



TRA m A. OASO FAKKAS» 



e fl 1483« e cIm fa d'allora avesse orì«:ÌBe qaell* aaiieiziay 
^e, sebbeae ww d sia aUcsiala da vaa comspwaàeniM epi- 
slolare, cerhimeale saiarrìla* pare possiano asserire elie 8» 
stala qoaalo Bai calda e siseerm. 

B ar^oai^iliaaM ciò^ idtre cIm da qnaleke fupiee ae- 
cenno (IX da qad nobile atto del P., Ae alla soa moria 
lasdara all'amico fedele qaanio OTera di pia caro al mondo: 
la soa biblioteca e i fintli del sao hin^ e paziente lavoro (2). 
Prezioso dono che fl Serìpando seppe degnamente apprezzare, 
accorrendo a Cosenza a slrappario da mani rapaci (3), e cn- 
stodendolo ^losamente a Kapcdi (4); dove, morto lai, passò 
in potere del Cardinale GerolaaM, sno fratello, 3 quale in- 



(1) Pabbasio. — Dt Rekms tàe. OnJL ante prmdccl. cpìst. Cie. ad 
Altiel, ed. eit., ptig. 251 : « Qood eqsidaii um f^àaaem^ wmà ìat ircB ii 'mnt 
Antooins Scripandiis^ ia ilU doctì»i«A aostia Ntepoli suìmo loeo oaUn, 
alomouaque Masanoiia, d« aobb optiaM meritai »• 

(2) ApprendUmo ciò dal folilo laooite cke si trova io tatti I eo&i 
• i libri dd P. : « Aatooii Seripaadi ex Jaai Parriiasii tcstameote » 
V. pure Giano Aoisio. — Yarim poem^ L VII, pag. 97 : « opes beata* 
Parrhasii quoque miasas amico, ex asse legatas Seripaado ». 

(3) BzaNAmoiHO MAmTimA!«o. — EpisicU ctt. ante Cémmt^nfL In Art. 
poet. Hondii Parrhaài : € omncs pene Parrhasii vi^iKas, vix eo defnncto, 
rapacissimia unguibos oocupanint . •• • Actum profeeto de iis aerìptia 
fuisset, fanditosqoe occidissent, ni Antonine Serìpandns, vir non minos 
probitate, qaam hnmanitate clama, hnic obriam pesti prodiisset » • 

Giano Ani»o, op. cit., L V, pag. 03 : 

Haeredem nnsnimem Ubromm bie scripcit amlenoi. 
Te, Seripande: menu cnn lacts Insl^nt anro 
Phrìxeo, ad doonm accestì Lncanta In 



(4; I seguenti versi di Gerolamo Carbone, tratU dallo Jannelli da 
un* elegia adhue inedita^ (op. cit., pag. IX, 90) ci farebbero credere che 
il Serìpando illustrasse le opere del P. in hortis Carboniatdi : 

iDTisit {nune) cqiCos Serlpandus sodalas bortos 

logcoii repetcDt tot moaomenU sul, 
Doctaqu* ParrhaMl scripu et memoranda per aernm. 

O Adam fltuctaa pectns amidtlae I 



\ 



84 TITA. DI A.. OUirO TÀXRÀSIO 

sieme eoi sooi libri n« arricchì poi la Biblioteca di 8. Ofo- 
Taani a Oarbonara (1). 

HoD sapremmo beo precisare quanto tempo il P. si for^ 
masse a Napoli ; sembra però ohe la eoa dimora In questa 
citti non oltrepassasse i dae mesi, poìobè II suo arrìro a 
OasalnnoTO (2) non dovette essere dì molto posteriore al 31 
mu^o, giorno in cui egli annonziava da Hapoli la sna proa- 
sima venata a Cosenza (3). 

D 10 giogno lo troviamo a Castrovillarl preoccupato per 
l'improvvisa malattia, da oul era stato colpito fi flgUnolo (4), 
I* onico che ancora gli avesse risparmiato I* inesorabile fbr- 
tona (6). Pare ohe allora la malattìa del bnciollo non do- 
rasse a lungo, poiché il F., prima tanto indeciso se, per cararto, 
dovesse restare a GastrovUlori, o recarsi a Policaatro {i), • 



(1) M»biH. — iter flot, iwg. 110, Lnut. Pirii 1687; MMtbM. - 
BibUoih. Bibliotlue. T. I, pag, 231 . Oiustlo. — Utmifr. tlor. eHt, d^Ui K. 
Bibl. Borb., ptg. 50.: Andrea. — Atucd. Grate, tt Lai. Proòt. ptf. XXX ; 
Jamnblu. — op. clL, Vili, 161; Pibus di Nouac,— la BMMiifUé 
éé Fulvio Ortini, PuU 1887, ptg. 196 • Mf. 

(2) CtMlnaoTO eradUno oh* mU l'odiwaa VinapUas. atlU prvvlMU 

di COMOU. 

(3) Sputata 7, ex CaMoU mk«, s. d. i « 81 niAu» tlU «Mrt a n« 
liUarM, qou prìdia Kl. Aprìlli «d u HnpoH d«d«rMa. U* 4Mim npt^ 
un ftdT«Dtuin meum Adibo Csalnia rilUri», M»U rMU 



(*) EpùMa VI, CaUnviOari, iO lunU: « Adbu U tiy— t«lWM 
samni, at quiden ub dnbla, ob alUrins aJvMwn ÌIMI rilTlifffttw 
qui, mUta morbi t) correptoi, d«eamb«r« nvBslstar ». ' 

(5) Di J^<^w *(«. - Or»t. uu ptMUM. Is •piM.'cU. U Ali,, H. 
dU. pag. 245: ■ Quanqu* m* ctniMl iofma Sfplrila PM«m MMt. 
«Unum nndam farori tuo pwtiu offarrv. Mfttl qaUas mm mmmM U 
pMDAia, libero, .utom meliorM mbdU m„^ « (,0^^ <«mI«m ■«««*. 
tur fnrellcM, «t cito morlttirl) de dm ««« rMMs ,.,',» 

(6j Sputala T/: ..,.,,.,» a^ ^^ ^ l,'tol,'s«V«fc«,(,^^ 



«at MMfoUm moeraw ». 




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VITA DI A. aiANO PABRA8IO 



87 



bene, da lui aveva forse attinto coraggio e rassegnazione 
nelle continue avversità toccategli dopo la sua partenza da 
Milano -•'..•• I ebbene ora anche qnest' ultimo conforto gli 
era negato per sempre. DerelittOi affranto sotto il peso di 
tante sventure, crudelmente tormentato da mali fisici e morali, 
V infelice letterato sente intorno a sé quello spaventevole 
vuotO| che fa divenire la vita un insopportabile fardello. Ncfl 
parossismo del dolore, a guisa del naufrago che cerca di affer- 
rarsi a una tavola salvatrice, egli rivolge il pensiero alili 
moglie Teodora, invocandone pietosametite il. soccorso con 
quella mesta e profopda elegia, che tutto rivela lo strazio 
del suo onore (1): 

Lticiis lace magia misaro dìleota, m^squ« 

Te uno ìam eaecìs unica lux ocalic. 
Quid maestam aine luce domum, Irìstique gravatam 

Nube, quid ehu ! miserum deaerìs ia tenebrìa f 

Se abbiamo modificato il nostro giudizio, espresso in un 
primo lavoretto scolastico (2), circa i pregi di questa elegia, 
il tempo in cui sarebbe stata scritta, e ì raffronti istituiti, 
riteniamo ancora fermamente che essa sia stata diretta a 
Teoilora Calcondila; poiché altrimenti, tenuto conto deUe 
coalizioni d'animo e dell'età del P., non sapremmo dire a qoale 
altra donna avrebbe egli potuto rivolgere questi versi (3), 
ohe ci sembrano dettati dal cuore e non per semplice eser- 
citazione retorica: 

Tu potea buoo animum insti caligine meranm 

Protinua, excuaaia nubibaa, erìgere. 
Erìgere hnnc animum pulaat qui limSna mertia. 

Pectore iam vacuo ai quid ioeat animi. 



(1^ V.^ noatro lavoro. L' Elegia € ad Lmeiam > di Aulo Giano Par» 
raaio ecc.. Ariano, Stab. tip. Appulo-irplno, 1890. 

(^ Op. cit. 

(3) Piccante V ossenraxione dello Jannelli a questo punto (op. eh. 
pa|t. 94; : « Quantumvis perditorum morum illum fuisse fiugamoa, indo- 
cere ne sani iu animum possumus tam seno tantia votia meretrìMA 
procul abaentem ad ae arcessere Parrhasium potoiasef ». 






Iu« 



88 



YIIJL DI A. aiANO PABRÀSIO 



Per mancanza di dati, non possiamo ben dire se per pun- 
tiglio di offésa vanità femminile^ o per non allontanarsi dai 
saoi vecchi genitori, la Calcondila non segui il marito quando da 
MilanOi si recò a Vicenza (1). Dalla lettera al cognato Basilio 
apprendiamo solamente che, malgrado le continue insistenzci 
il P. non potè riunirsi con la moglie (2), se non quando gli 
fu assegnato a Boma la cattedra d' eloquenza (3). 

Quali che siano i motivi che abbiano spinta la Oalcon- 
dila ad agire in tal modO| noi non possiamo non biasimarla 
sia come sposa, sih come madre: come sposa perche resta 
impassibile alle preghiere dell'infelice marito, che, per quanto 
colpevole, chiamandola a sé ripetutamente, le aveva data la 
più ampia soddisfazione ; come madre perche mostra di non 
sentire alcun affètto per l'unica sua creatura, che, priva 
delle carezze e delle cure materne, a guisa di tenero fiore, 
a poco a poco intristiva e periva miseramente. 



(1) Nella seconda lettera al Trìssino ( Roscoe, op. cit. ) il P., dopo 
avergli detto facetamente che dispone con piena libertà delle sostanze di 
Ini, eoque forUusé plus, quia sunt uberiares, gli dà notisia dei compa- 

gni di greppia^ senza fare alcun cenno della moglie : € Amanuensis 

item graecus ex Creta Nicolaus, quem Trissineo Lisiae designave- 

ras Accessit ^ Lario quoque lacu Simon Age nuno et lopos 

bospita »• 

W OuDio. — op. cit., epist, XLVIII, pag. 137: € Sed in primis a 
me salutem optimae socrui et uxori. Quum litteras ad eam dabis, de onios 
Toluntate nihil ad hanc diem ex tuis literis intellexi, reditura ne sit in 
gratiam contuberniumque meum, vel quid aliud in animum agitet. Ego 
enlm statui vel secom vivere, vel aliud vitae genus hoc longe (Cosentiae) 
quietius instituere ». . 

(3) Dopo la morte di Demetrio Calcondila, avvenuta nel 1511, Teo- 
dora colla madre e col superstite fratello Basilio (Teofilo era stato ucciso 
a Pavia e Seleuco era morto in tenera età) aveva stabilita la sua di- 
mora a Roma. ' . 



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Jt f '', HfcaUfciifc^M 1< • 'frt' 111» 



CAPITOLO X. 

Un triennio in Calabria trascorso a Cosenza, 
AjellOv Taverna, Pietramala, Paola. 



Di capitale importanza nella vita del P. è qael periodo 
di tre anni (1511-1514), che egli passò in Calabria, prima di 
essere chiamato a Roma a occnpare la cattedra di eloquenza. 
Esso merita di essere studiato attentamente, soprattutto per 
determinare Pepoca della fondazione della gloriosa Accademia 
Cosentina, avvenuta per opera del nostro insigne umanista. 

Per quanto possediamo un ricco epistolario , che si 
riferisce appunto a questo periodo, pure non ci riesce cosi 
facile precisare dove e quando si siano svolti i diversi av- 
venimenti, perchè il ?• nelle sue lettere, tranne la prima, si 
limita ad indicare soltanto il luogo, il mese e il giorno, senza 
dire che omette talvolta anche queste indicazioni. Pccorre 
quindi uno studio accurato per poter scorgere il nesso e la 
durata dei diversi fatti, e non cadere quindi nelle erronee 
asserzioni dello Jannelli (1). 

Appena si diffuse in Calabria la notizia della venuta 
del P., gli vennero inviti da ogni dove: egli però, per 
quanto già si fosse mostrato propenso ad accettare l'incarico 
d' istruire i figliuoli del conte Antonino Siscari in Ajello, per 
le disgrazie accadutegli, e per regolare gli affari della fa- 
miglia del morto fratello, fu costretto a rimanere ancora per 
un certo tempo a Cosenza, dove apri pubblica scuola. 



(l; Op. di., pag. 91-99. 




,• 



J 



i 



90 



VITA DI ▲• GIANO PABBASIO 



B rileviamo ciò da ima lettera, nella qaale il P. invita 
il Oesario a Cosenza, e lo prega caldamente di condurre 
seco nn tal Gerolamo, al quale promette ricompensa adeguata 
alle proprie fatiche (1). Ohi non vede che richiedeva dai 
detti amici la loro opera d'hypodidascali, più che un semplice 
soccorso morale nelle disgrazie, che Pavevano colpito! (2). 

Fu appunto allora che frequentarono la scuola del P. 
Carlo Giardino, Olario Leonardo Schipanio, Pierio Giminio 
e, per non parlare di altri, Bernardino Martirano (3), il quale, 
oltre a divenire nn valente letterato, percorse con molto 
onore la carriera politica (4). 



a. 






. • • 



(1) Epistola JX, CosetUiaey s. d.i € utiaam per occupationes tuat 
lioeret, ut hio adess^es, aut ope aut Consilio me adiuvares, sì tecum prae- 
sertim duceres Hieronymum, qui vel amori erga se meo, vel affinitati 
hoc tribuere deberet. Usurus euim videor cius opera, oon dira suum 
commodum atque emolumentum ». 

(2) Lo Jannelli scivola su questo fatto importantissimo, perchè con- 
trario alla sua tesi, circa V epoca della fondazione dell* Accademia Co- 
sentina, • ritiene (op. cit., pag. 143) che non allora, ma al ritorno da 
Roma (1521) il P. aprisse scuola a Cosenza. A prescindere dal fatto che 
il P. non sopravvisse che pochissimo tempo alla sua venuta in questa città 
(Pier. Valer. — De infel. Zàl., 1. I, pag. 24), non rifletteva lo Jannelli 
che Bermtrdino Martirano, il più bravo degli alunni che il P. ebbe a 
Cosenza, era già consigliere di Carlo Y nelP esercito imperiale, quando 
egli, nel 1521, lo fa pendere intento e cheto diffla bocca del suo mentore*. 

(3) Epùttola nuncup, ad Card, de Accoltis ante Parrhasil In Art. 
Poé'tie. Horat, Comm. Neapoli, 1531 : € A Parrhasio ita semper et eru- 

ditus et dilectus sum, ut uni patri concederet soli Sed tanta fuit 

ipsius magnitudo in me merìtorum, ut mihi ipsi nunquam satisfaciam ». 

(4; Bernardino Martirano, autore del pregevoli poemetti VAretùsa^ il 
PoUfemo ecc., fu a NapoP il mecenate della letteratura ufficiale sotto 
Carlo V, di cui fa consigliere neiresercito imperiale dal 1521 al 1520. 
Occupò poi r ufficio di segretario del conestabile di Borbone, del viceré 
Lanoya e dell* Orange, quello di segretario regio nel 1529 e del Regno 
dal 1532 al 1535, sotto il vicereame del Toledo. V. Francesco Pometti. — 
/ Martirano, — Romi^ Tip. d. r. Acc. dei Lincei, 1^; E. Pèrcopo. — 
Uauegna critica^ a. HI, £uc 3-4. 



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• ^■ ■ 



t.iihiw T fca xn p» i < i liti tàm^ t^ Èà Hh t tfi ti ìt 



IVMitàdÉjJ^h 



idWri^fw^l». 



(1) Epistola X, (AgelU^ circ. Jun. Ì5i2)i €....% bermaa timil- 
limus, quippe coi neo manus nec pedes ad officium dati, sed ut ineredibili 
dolore cracientur, utcumque vivamus, immo quotidie morìamor, Amieit 
qoibus ita visum, tibique gratiaa ago maxi mas, qui Parrhasii reliquia* 
tam constanter amas ». 

(2) Epistola Xl^ ex balineù Lyìtaniae^ pridie Kal. Sepiembrò. -». 
Lisania è V odierna Nicastro ; ma, come osserva il Fiorentino, (op. <^t«. 
Voi. H app. pag. 317) qui ni tratterebbe propriamente dei bagni termali 
della vicina Sambiase. 

(3) Allora il Cesario rimase a Cosenza a dirigere la scuola fondata 
dal Parrasio. 



VITA DI A. OIAlfO PAJEtRASIO 



91 



Oerchiamo ora di determinare quanto tempo il P. si 
trattenne a Cosenza: 

Dopò VEpistoln IX{b. d.), che per gli accenni alla lettera 
precedente, in data del 21 settembre 1611, non deve essere 
a questa di molto posterìore, appare una lunga interruzione 
nella corrispondenza col Cesario. Infatti la prima lettera, 
(s. d.),' che il P. gl'iiÌTiavada Àjello, enumerandogli tutte 
le sue sofiferenze (1), non può essere che di un mese, o poco 
più, anteriore a quella che poi gli scrirevail 31 agosto del 
seguente anno 1512, dai bagni di Sambiase, dove era an- 
dato a sperimentare la virtù di quelle acque term&li (2). 
Da ciò chiaramente si desume che P interruzione episto- 
lare fu causata dalla presenza del Cesario a Cosenza, e che 
il P. non potè recarsi ad Ajello prima del maggio del 1512, 
dopo aver cioè dimorato a Cosenza per lo spazio di più di 
nove mesi (3). 

n conte Siscari, orgoglioso e felice di potere affidare 
V educazione dei figli ad un tanto maestro, accolse il P. ooUà 
più cordiale ospitalità e col rispetto dovuto all' alta e meri«- 
tata fama di lui. Inoltre, dotto e munifico quaPera, il Siscari 
ricolmò di doni V illustre suo ospite e si adoperò perchè fosse 
conosciuto, onorato e circondato nel tempo stesso da nn'eletta 



* I 



• ■ ' * • . 



92 



YITA DI ▲. OIÀlfO PABBA8I0 



cerchia di ammiratori. A tal uopo egli invitava nella propria 
casa le più spiccate personalità, che allora si trovassero in 
qaella regionOi come quel Ludovico Montalto, sicilianoi noto 
per la sua svariata coltura letteraria e giurìdica, non meno 
che per i suoi importanti servigi militari (I). 

Questi, dopo aver occupate alte cariche in Sicilia e a 
Napoli, affidategli dalla fiducia e dalla benevolenza di Fer- 
dinando il Cattolico, era stato destinato in Calabria, e ad 
ordinandam provinciam, compescendaque perditorum quorun- 
dam latrocinia » (2}. Conobbe subito il forte ingegno e la 
vasta coltura del P., e non tardò a dargli chiara prova della 
sua stima, ricorrendo a lui per continui schiarimenti sugli 
scrittori e sulle antichità classiche. 

Il P., sia per V alto grado occupato dal Montalto, sia 
per un certo sentimento di gratitudine che nutriva verso il 
valoroso soldato, che era riuscito a liberare la sua amata 
Calabria dai ladroni che V infestavano (3), gli forniva vo- 
lentieri le notizie richieste; anzi cercava di accontentarlo nel 
più breve tempo possibile, come quando, in una sola notte, 



(1) SuMMOim. — Istoria di Napoli^ 1. I; Toppi. — De origine Tri- 
buH,, pag. 145 • Mg. ; Monoit. — Bibl. Sicula, T. II ; Jannblli. — Op. 
cit.« pag. 9Z. 

(2) MSS. lU Bibl. Noi. di Napoli. Cod. XIII. B. 16. — Cari. aut. 
mm. 295 p«r 198, di o. 40, non num., compresa le guardie e 13 o. bian- 
che interpolate in diversi punti del codice. La grafia è più bella e pre- 
cisa di tutti gli altri codici parrasiani; è legato di pelle e porta 11 solito 
monito : € Antonii Serìp. ex Jan! Parrhasii testamento ». Cont. : € De 
Sybarì, Crathi ac Thurio; De mensuris ac ponderibus; Epistola ad Ludo- 
Ticum Montaltum ». Incip. € Nunquam dubitavi »; expl. € ipsa facit »• 

{?) MSS. R. Bibl. NoM. di Napoli. Cod. XIII. B. 16. — Epistola 
ad Lud. Montaltum: € . . . . antiquorum ponderum mensurarumque mo* 
dos et appellaliones indignum putavl negare tibi, per quem parla publica 
securltas, otioque tranquillo froi licei »• 



^^'^' .-^-.^^ . r-,...^ .t^ . t,F .-^ t. 



VITA DI ▲.GIANO PABRA8IO 9S 

* 

scrisse per lui queUa langa ed aconrata trattazione sui pesi 
e sulle misure antiche (!)• 

Menando una vita regolare e tranquilla, tutto dedito ai 
suoi studii e all' educazione dei figli del Siscari e dei nipoti| 
condotti seco da Cosenza, il P. sentiva ornai alquanto sol- 
levato il suo spirito, allorché la gotta venne di nuovo a tor- 
mentarlo più atrocemente che mai ; e questa volta P avrebbe 
certamente spinto alla tomba, senza le assidue e fraterne 
cure del buon conte Siscari (2). 

Il Cesario, come sempre, buono e affezionato, non mancò 
di accorrere presso il diletto amico, quando questo, dovendo 
recarsi ai bagni di Sambiase, ebbe bisogno di lui. Appreor 
diamo ciò dalla lettera che il P. gli scriveva dai bagni sud- 
detti, in data del 31 agosto 1512, nella quale, dopo aver 
'accennato al miglioramento della sua salute e al suo pros- 
simo ritorno, gli raccomanda caldamente i figliuoli del conte 
e i nipoti (3). Ad AJcUo il P. si trattenne poi sino alla fine 
del 1512, epoca in cui egli ritornò a Cosenza, dove venne 
a visitarlo P affettuoso cognato Basilio (4). 

Questa volta però il P. non vi si trattenne a lungo. 



(1) MSS. R. Bibl. Naz. di Napoli. Cod. XIII. B. 16. — De meo- 
8urÌ8 &c ponderìbus: € Haec habeo quae^de ponderìbus et mensaris, opere 
tumultuano, nec amplius quam lucubratione unius noctis ad te, sicat 
iussisti, Bcrìberem; ea, quaeso, boni consule, nìhil enim potest esse lèsti* 
natum et ad unguem factum. Nam si diutius in fermento fuissent, eiti- 
ditissimas aures tuas aut implevissent, aut certe non offeodisseot, 

(2) Epistola X: € Ego vero, Caesarì, nibil babeo, cur adeo de for> 
tuna querar, quam quod ex illa mortis imperturba tissima quiete me nir> 
sue ad aerumnas vitao revocavit; abibara laetus ex bac inutili corporis 
sarcina, si per faeroem (Antonino Siscari; cui Servio licuisset. Is enim sani* 
mis opibus effecit, ut ego diutius articularis morbi carnific}nam perpetlar »• 

(3) Epistola XI, ex balineis Lisaniae, pridie Kal. Septembris : € Bar 

linea visa sunt »liquid opis actulisse Ego propediem revertar, 

ioterea tu cura pueros beriles ac meos, ut tui moris est »• - 

(4} QuDio. — Op. oit., epist. XLVIII, pag. 137, ed cit 



94 YITA J>I ▲• OlANO PAKIUSIO 

• 

poiché si recò a Taverna, parC| tra l'aprile e il iiia^r^o 
dol 1513 (1), vi tenue un breve cor^b di lezioni* di cui 
oi ò giuut4i solUiutH) V orazione. inauguralo intorno ali* impor- 
t>anza o all' utilità della grauimatioa, che trascurata e quas^i 
disprezzata! dai più, secondo V oratore« e la sola disoiplina 
che possa far acquisUiro un vero e foudat-o sapere (1). 

Questui spontanea relegazione del P. negli estremi conilni 
della Calabria dovett<e destaro non poca meraviglia e susci- 
tare non pochi commenti presso i letterati dol tempo; siccliò 
uon crediamo di errare, asserendo ohe quel carme inviato 
da Giano Anisio nella Sila, tra gli alti pini, perche vi tro- 
vasse quel celebre Parrasio proprio lui !.. sia uno 

dei t4iuti inviti degli amici, perchè rit-ornasse a brillare ia 
più degni agoni (2) : 

Fiirrhiuiìum ad SyUm Oenotrìaipio arva colanteia 
Proccrat Inter picela pinus«pie, P*P>'i^ 
1 moA, oonvcnÌM, coiupolla uonilae oUro 



Piirrbasiuin ne illum pratvUrl noìulnUY ìllum 
l|t«uui iot^uam 

Kd era lui davvero, osserva il Fiorentino (3), il maestvro 
di scuola di Taverna, che eni pure il miglior critico che 
avesse allora V It-alia, si ricca di filologi. 

Durant-e la sua dimora in questo villaggio, il P. rivelò 
up' altra bella dote del suo ingegno multiforme, cioè la sua 



• ♦ 



(1) A/SS. R. DM. Siu. di ^^opoU\ CoiK V. D. 15. — Oralio ad 
TabornMtt : « Qao uullurn uialut pignua an>uHs erga se nioi TaWrnatea 
hfbere queant, <)uaiu quod ego qul^ ìuvenia^ iil parva conloumeliam^ quae 

prius dUcuQtur studia nunc, annia ia aealum vergeniìbua, eoruui 

oauea, veluf (a puerUiain relabor, ut adoleecoatìum utìlitati con«ulam ». 

(2) Op. eìU 1. Ili, pag. 66 e eegg. 

(3) Op. olt., V. ÌÙ *PP* 



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VITA DI k. GIANO PARKABIO 95 



grauile perizia negli studi! atvheologici* Tare cli« nemiuMio 
A Tavoriia nìaiica.<soro quoi soliti IctU^rati ila 8trapa7./.Qy ohe 
fomiti di una barocca o disoixlinaUi coltura let-toraria, ero- 
dovano di poter imporra a.s;li aìtri la propria opiniono (1). 
Fra questi ricordiamo un tal Crasso (2),» che, per un esagerato 
spirito di campanile, aveva s,>sato calvgoricamento alTormaro 
che bisognava riconoscere presso Taverna Tubica/iono doIPau* 
ticaSibari(3}* 11 P., non potendo sopportare una ìmxÌA arro-r 
gan3uì« scrisse contro T ignorante mtttihit'HuH una dottai ed ela- 
boratali dissert-a/ione, nella quale, basandosi sulle testimoniaiuo 
di Aristotile, Mela, Strabone, Tolouìco, IMìnio e parecchi altri, 
oltre a determinare che V antica citt«à sorgeva tra^ flumi 



(1) .V^\ A\ DibL Sai. di SapiìU. Ceni. XUI. H. Itì — De SyUri, 
Oratili AC Tliurìo :€.... sUm^ proivus in à\ho Upidd lincao, nihìl 
oiunìno sìgnanK ìisipio shuiliMit ipii iH>r tonobran aiubulaiit^ apprehcMiduni 
(^uìo^uid ad maims oooiirrìt. IH qui bonis et iuali« auotoribuH suflar- 
rinati, tcstimoniis utuntur, aut miniale necc»$arìi8« aiit contra oausam 
certa suam », 

(2) .Vv<5. A\ RìM. Siu. iii XitpoU. Cod. XIII- B. 16, — l>« Sybari 
Crathi ao Thurìo : « Ao ut agnoi^oant omnes ea quae tantum Crassus (1) 
olfecisrìt ox inversi» Aristotelit rerbis e»s« nobis esplicata*». 

il) Quoto Crasso non è punto GiOTffn&l Crasso da IVdaco, coma poco ao- 
cortamentd cjr>Nlo(ta lo JanntlU «op. cit. |ui^. 8^), Anche ainmettondo che e^U noi 
IMS fo»5e ancor vivo, si op porrebbe a una tale assorclone quella nobile lettera 
del P. ( /V Kfbtis rtc.« pa^. ìi{ ; pr. laY., pa^. 9 ), al >uo caro maestro, dalla 
quale appare che questi, più che schierarsi contro 11 suo antico discepolo, ricor- 
reva a lui |>er schiariinenU e constigli. 

(3> .Vò\^. /?. lUbL -Vai. di Sapoti. Cod. XUI, B, 15. — De Sybari 
Crathi ao Tburìo : « Quantum fidei sit habeadum crassae minervaa ma- 
gistellis, audentìbua atBrmare Sybarim adhuc oxtara iuxta Tabemaa, Jt 
appallante oppidum, vel ex lioo iatelligi datur ». 



> ■i"r'%ii I ,1 ». 



•TT'.'>«»^^««^faat*4t^^i*#«>aM«MM»«s%v>«ab«M^M>»^<i 



• « • « 






96 



VITA DI ▲• GIANO PABRASIO 



Orati e Sibari, sostenne eoe valide ragioni che Tnrio sorse 
più tardi sulle rovine deUa stessa Sibari (1). 

Non mancò similmente, essendoglisi oiTerta V occasione, 
di ricordare e di stabilire V ubicazione di parecchie altre 
città del 8inu4t TarentinM (2). 

Da Taverna il P. passò a Pietramala (3), dove lo tro- 
viamo il 27 settembre 1514, come ci attesta nna sna lettera 
a Tommaso Mercatore, di Taverna, suo hypodidascalos (4). Si 
trovava colà appena da poco tempo, quando gli pervenne 
la lettera (5), che il cognato Basilio gli ave vit inviata da 



(1) MSS. R. Bibl Nas. di Napoli. Cod. XIII. B. 16. — De Sybwi, 
Crathi ae Thurio : € Ecc« Plinius, Hìstor. natur. Ili — Secuadus, inquit, 
Earopae sinus incipit a Laeinio proniontorìo, a quo abest LXXV milibaa 
paasuuin oppidum Croto, aioDis Neaeth'us, opplduin Thurium inter duot 
amnes, Grathia et SybariVn, ubi fult urbs eodem oomioe. Similiter est 
Inter Sirìn et Acirio Heraclea, aliquando Siria vocitata. — 

Quid apertiuaf Esse Sybarim cum Thurio eandem negare non poa- 
sunt, camque a Slrabonc, Mellaque Pomponio et Plinio reddi in aina 
Tarentino, Sirìtìdi et Heracleae proxìroam« cum quae nune ab iia asse- 
rìtur Sybaris extra Tarentinum sinum certe sit, et adeo durum habent os, ut 
opinioni quamquam perversae, quamquam damnatae pertinaciter haereant». 

(2) Di questa importante dissertazione, notevole non solo per i ri- 
soltati a cui giunge il P., ma anche per la conoscenza delle condizioni 
della critica in quei tempi, ci occuperemo ampiamente nel secondo volu- 
me, mettendola a raffronlo coi recenti dottissimi studii sulla Magna Grecia. 

(3f Pietramala è 1* odierna Cleto, nella provincia* di Cosenza. 

(4, Epistola XXXir, Petramalae, V Kal. OctóMs Ì5i4. 

Le quattro lettere del P. € eruditissimo iuveni Tamisio Mercatorìo arai- 
corum optimo» e un'altra € Bernardino Minorìtano, sacerdoti ac theologo 
facundissimo » si trovano in fine del cod'ce e dell* epistolario stampato, 
sebbene per ordine di tempo dovessero occupare altro posto nella raccolta. 

t5; Epistola XXX III, Petramnlae^ i. d, (Tamisio Mercatorio": € Roma 
perlatas ad me litteras ex Basilio uxoria mae fratre, Ioaoneque Laschari, 
Ilio Qraecorum omnium nostri temporìs eruditissimo, qui gratia aucto- 
ritate plurimum valet apud Pontificem, Phaedroque et CItrario, quibus 
accersor ad urbanam profectionem ; nec videor in Brutila diutius fore, 
quam quod coniirmer et vlaticum parem ». , 



- -- I ■" < "J i -Ll ì ,1 ^ - t .'-I' - J^-'— ..-.iJ^-.-. Z .^^^^Mm^^ .m — »^.^; j^^^.j^^j.L^j:a.iA^fc.^hA:J3ML^j 



VITA DI ▲• OIANO PAEBA8IO 97 



Boma, fin dal 31 agosto, per aonanziargli la nomina alla 
cattedra di retorica nel Ginnasio romano (1). 

Da nna lettera • all' amico Bernardino Minorìtano ap- 
prendiamo che il P. il 2 ottobre si trovava ancora a Pie- 
tramala (2) ; ma non dovette trattenersi a lungo colà, poiché 
il 5 novembre era già a Cosenza, dove gli ginnse il Breve 
pontificio, che si affrettò a comunicare al Cesario (3.\ rimasto 
forse a Pietramala per attenuare la penosa impressione de- 
stata negli animi dalla improvvisa partenza dell'amico (4). 

Ma, come al solito, questa gioia fu amareggiata da gra- 
vissimi dispiaceri : la cognata Vincenza, dòpo aver per tre anni 
imitata la casta Penelope, innamoratasi di un tal Paolo Capati, 
era passata a seconde nozze, e espilata poeuitus parvornm 
liberorum prioris tori ereditate »; oltre a ciò una nipote, non 
aveva saputo resistere alle lusinghe del vedovo cognato (5)« 



(l; GuDio. — op. clt., epìst. XLIX (prid. Kal. SapU 1514): € Ibi 
(in Rotulo) tu in primis adscriptus es cura salario diicontorum* aureo- 
rum. Aliud insupcr excogitavimus, ut maiorì cum gloria et honore Ko- 
mam peteres ». 

(2) Epùtola XrXVI, Petramalae, VI Non. Octobrii Ì5i4. 

(3) Epistola XII2, Cosentioe^ Non. Novembrù Ì5i4z € Non dabito 
quia acceperìa a Pontlfice mihi redditat litteras hoc ezemplo: 

Dilccto Allo Jano Parrbasio Leo PP. X 
Dilecte fili salutem et apostolicam benedictionem. Cupientes ut Ro- 
maaum Gymnasium optimis doctoribus abundet, quo ii qui se bonis 
artibus dedidcrunt ea ex re percipcre fructus uberiores'^possint, de tua 
io studiia mitioribus doctrìna certiores facti, ad ea doceoda, profiten- 
daque Romae publice te elegimus. atatuimunque ut singulis annis da- 
centos aureos baberes. Quamobrero hortaimir te, ut ad Urbem quam 
primum te conferas, libenti enim et paterno animo te videbimus. Datum 
Romae apud S.Pelrum, sub anulo piscatorìs. — Die XXVIII Septem- 
bris. — P. Bembus« ~ V. Bembo. — Epist, lat.; Chioccarxlu, op. eit* 
pag, 232; Spiriti, op. cit., pag. 25; Zatarroni, op. cit., pag. 65 eco... 

(4) Dair Epistola XXXIII^ diretta al Mercatore, appare infatti che 
il Cesario gli aveva fatta una visita a Pietramala: € Caesarìus bodie 
mecum cenat • • • »• 

(5) GuDio — op. cit.9 ^pist. XLVIII. 






^ mJ -(-.>-■—«> .« ■• -^' • ' 



98 



VITA DI ▲• GIANO PABRAdlO 



L* animo sensibile del P. restò fieramente colpito da si 
brutto fiittOy che aveva macchiata V onorabilità della saa 
famiglia; sicché, volendo honesto nomine cancellare l'onta 
del nefandum cHmen, pregò caldamente il cognato Basilio di . 
voler interessare, presso il Pontefice, il Lascari e V Inghi-^ 
rami, a fine di ottenere la bolla di dispensa per qnesto 
matrimonio (1). 

Durante la sospirata attesa il P., per allontanarsi forse 
da un luogo per lui o<lioso, da Cosenza si recò a Paola, di 
dove scrive al Cesario in data del 26 novembre (2). Quivi 
pare che si sia trattenuto un certo tempo, finche tornato 
a Cosenza, dopo aver assistito al poco fausto imeneo, verso 
la metà di febbraio, si diresse alla volta di Boma (3)* 



^ 



(1) OuDio. — op. cit., epist. XLVIII. 

(2) Epistola XVI, ex oppido Paulue^ VI Kal. Decembris 1514. 

(3) Desumianio questa d&U approssimativa dalla prima lettera, 
(XXVIU) che il P. da Roma inviava al Cesario, e pridie Kal. Murtias ». 



.y... V.^.-^-j -, ,j .- , - v^^- ^-->. «j--^ ,-.^'.'-. •^;.^'^, ■fWtiai.iliM.i^lÉY.^lÉr.f.lfarflAjBiiftVWi-JJ 



• • 



y . 



CAPITOLO XI. 

■ 

n P. nel Ginnado romano. 
Ritomo a Cosenza. — Sua morte. — L'Accademia Cosentina* 



Se nel secolo XV farono ben poche le corti che accor- 
darono ai letterati una vera e propria protezione, nel secolo 
seguente esse si moltiplicarono, gareggiando fra loro nel di- 
stribuire onori e ricompense. Non solo le reggie e le corti 
dei principi potenti divennero centri di coltura e convegni 
di letterati; ma le più piccole corti, i principi più oscuri,, i 
cardinali e finanche i ricchi borghesi vollero circondarsi .di 
letterati e artisti, che accrescessero pompa al loro nome; 
di improvvisatori, novellatori, buffoni,' che li divertissero. 

n principale centro di coltura nel Cinquecento fti però 
Boma, dove nella corte di Leone X convennero da ogni 
.dove uomini sommi e mediocri, attirati colà dalle pensioni, 
dai donativi, dagl' impieghi, dai beneficii e dalle dignità eccle- 
siastiche, che come manna benefica piovevano sul loro capo (1). 

Educato nella splendida corte di suo padre Lorenzo il 
Magnifico, Leone X, al x>ar di questo, fu prodigo e munift- 



(1) Per farsi un* idea del gran numero dei lelterati, che allo, a in 
Roma godevano della protezione di Leone, X, basta leggere il poemetto 
di Francesco Arsilli^ Depoetù Urbanis^ gli Elogia Virar, litt, iUustrium, 
4i Paolo Hiovo e il De infelicitate litteratorum di Pierio Valeriano. Im- 
portante per conoscere la vita romana di quei tempi è, fra* tanU studila 
r articolo del Gian» — Gioviang. ( Oiom. stor. XVil, 277 e segg. ). 



.■.-«•^^««-^» • <■ », .- . 



V- ■ « 



100 



TITA DI A. GIANO PAREA8I0 



conte, e sobbone moconate non sompre avvednto, compendio 
nel suo nome quanto di più segnalato ebbe nel secolo l'amore 
delle lettere, facondo di Boma un vero santuario dell' arte. 
Per opera di zelanti collettori arricchì la Biblioteca vaticana 
di preziosi manoscritti| con larghe ricompense fece ricercare, 
esaminare e commentare tutto ciò che apparteneva a Boma 
imperiale, e quel che più riordinò e sollevò ben presto a 
grande onore il Ginnasio romano, invitandovi a professare 
uomini valentissimi, qnali Cristofaro Aretino per la medicina, 
Gerolamo Botticelle per la giurisprudenza, Agostino Nife per 
la filosofia, Basilio Oalcondila per la lingua greca, e Aulo 
Giano Parrasio per la latina (1). 

Quest' ultimo, come abbiamo accennato, dovette soprat- 
tutto la sua nomina ai. buoni uffici di Giano Lascari, valen- 
tissimo nelle lingue antiche, e di ^Tommaso Fedro Inghirami, 
bibliotecario della vaticana, entrambi potenti presso la Curia 
e molto stimati dal Pontefice. Ne la scolta poteva essere 
più felice e accetta nel tempo stesso, considerando che dalla 
cattedra destinata al P. aveva qualche *iempo prima insegnato 
quel Marcantonio Flaminio, che, in un secolo in cui molti 
credettero di aver raggiunta la perfezione degli scrittori an- 
tichi, fu uno dei pochi che a questa si avvicinò maggiormente. 

Come si rileva dalla lettera di Basilio Calcondila, la no- 
mina del P. fu accolta a Boma colle più sincere manifesta-' 
zioni di compiacimento, suscitando in tutti vivo desiderio di 
ascoltare il retore insigne, che ritornava a Boma, dopo aver 
empito del suo nome V Italia tutta (2). 



(1| Muzio PsnzA. — Libreria Vaticana^ Roma 1500, pag. 28. 

(2) GuDio. — op. cit., epist. XLIX : € Nihil iam restat, confecto omni 
aegoiio, nisi ut tu venias, ot tui expectationem, quae magna est, m- 
moremque iam disseminatum per Urbem de tua doctrina atque eloquentin 
reipsa noo solum confirmes, aed et augeat • • • • Abrùmpendae tibl sunt 
omoes trìoae.....lDgenfl est tui expectatio, fama, ac denlque deslderìam »• 



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VITA DI A. GIAMO PABBASIO 



101 



. Malgrado ana tanta aspettazione e lo continue insistenze, 
il P., oome abbiamo visto, non potè recarsi a Boma che 
verso la metà di febbraio del 1514; sicohèy tenuto conto 
della lettera innata al Cesario, in data del 28 febbraio, 
non prima dei venti di detto mese egli potè iniziare il sao 
corso sulle Selve di Stazio. 

Neil* orazione inaugurale, pervenuta sino a noi, il Jf. 
mise a profitto tutti i suoi mezzi di retore raffinato, non 
escluso quell'artifizio di parere nel suo esonlio perplesso e 
titubante, per procacciarsi la benevolenza del pubblico, giusta 
V ammaestramento di Oicerone. Dopo un accenno alla gran- 
dezza del popolo romano, rivolge un cortliale saluto al La- 
scari e alP Inghirami, protestando loro pubblicamente tutta 
la sua profonda gratitudine (1). Non mancò naturalmente 
in tale circostanza di far cadere destramente il discorso 
su Leone X e di tributare le più calde lodi al munifico 
Pontefice (2). 

Oome concordemente ci attestano gli scrittori contem- 
poranei, il P. destò a Boma il più schietto e generale en- 
tusiasmo (3). Sebbene allora la città riboccasse di letterati, 
alcuni dei quali di meriti indiscutibili, come il Cattaneo» il 



(1) MSS. R. BibL Nai. di Napoli. Cod. V. D. 15. — Praefatio la 
Sylvas Statii : € Nibil it&que dcsperandum Jano «luce et auspice Phaedro, 
in quorum blando obtutu, tranquillo vultu, bilaribua oculia acquiesoo* 
Quibus ingentes ago gratias, habeboque dum vivam» quod me gravissimis 
apud Pontificein sententiis ornaverunt^ ubi vel nominarì aunimus honor est. 

(2) MSS. R. Bibl. Nas. ut Napoli. Cod. V. D. 15. ^ PraefaUo la 
Sylvat Statiì :€.... per quos ulrumque inibì contigli indulgentia 
sacrosanctì Pontificis, divique Leonia X, qui maxime rerum usu, incom- 
parabili prudentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili elo- 
quentia, proroptissimo ingenio, castissima eruditione polle! ». 

(3) Giovio — Elogia etc, pag. 208; Onofrio Panvinio. — Proém. 
Deci. 1 2Xf applausu erudii. ; Filippo Briezio — Annales mundi, T VU, 
pag. 130 ; SalemI — SylvlUae^ Parrhasii Epicediatt^ pag. 140 eco. • . •*• 



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102 



DI ▲• GIANO PAERÀSIO 



Lascarì, l' Iniarhirami, il Kavac^ero e por non parlano (ti altri 
i duo sogrotarii di Leono X, il BembD o il Sadolot3y pure 
il P., colla sua facondia e colla sna speciale maniera di por- 
gerOy seppe attiraro a se P attenzione delle persone colte, 
che a schiere correvano ad ascoltarlo (1). Furono composti 
in lode di lui apologie, versi od epigrammi, che se non sono 
per noi dei giudìzi autorevoli e inappellabili, data la ciarla- 
taneria del secolo, in complesso valgono però a mostrarci 
che il P. a Boma, come altrove, fu apprezzato e stimato 
fra' primi (2). 

Da ciò non bisogna però dedurre che egli trascorresse 
in qnesta città tranquillamente i suoi giorni : come scriveva 
al Oesario (3), ben presto si ripetettero anche colà le solite 
basse guerricciuole, mal sopportando gP invidiosi coUoghi 
che egli godesse la benevolenza di Leone X e percepisse 



(I) Piero Valeriaao. — De in felicitate eie, 1. I, pag. 24 : « Professas 
est otiam apud nos ( Romae ) Janus Parrhasius, ad cuiu5 iucundam Tocem 
undìque concorrebatur ». . * 

V. Luca GAurico — Tractatus asirologiais, T II Op., pag. 1635 : 

€ Janus Parrhasius tempero felicissimo Leonia X in scholis public« 

profitebatur cum eleganti facundia Sylvas Statii, ad quem eonfluebat 
maxima auditorum caterva ». 

(2> Fra* tanti stimiamo degni di nota i seguenti versi dettati allora 
da Antonio Telesio, V elegante e terso poeta cosentino : 

Tlbrifl et obstupnit doctae modnlamtae tocIs, 

Assonult riTifl haee quoque Tlbrl tnls. 
Fsf flus et buie uni es Teteres cestisse Quirites ; 

Tarn Latiis sonat hic dulce magis LaUum. 
Attice et Actaes msgis Urbe loquutus et Ipsa est» 
Hospes divino dlctus ab eloquio. 

(3) Affesionato come era ali* amico carissimo, il P. si adoperò a tnt- 
t* uomo per procurargli a Roma conttitionem et ìocum ; ma il Cesario, 
malgrado le continuo insistenze di lui, (Epist. XX-XXIX^ non si mosse 
da Cownza. Forse era rimasto poco bene impressionato alla notizia obe 
gli forniva il P. stesso ( Epist. XX ) : e In Urbe singulae regione» sin- 
gulos babent praeceptores ex aerario conductos, et qui nibilominus t 
prìvatls certam exigunt mercedem ». Troppa bollai 






rfMUitflri 



^>rfki««<iMto 



■T /«Kilìii 



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HtaiAi*i^Hi*>»«i''*Mh^ 



VITA DI A. GIANO PAERA8IO 



103 



uno stipciKlio «li jxran lunga sui>oriorc a quello di tutti loro (1). 
Ma il P. questa volta, reso ornai abbastanza pnitico ilolla 
vita, lasciò i>ure olio i cani riu^irliiosi abbaiassero alla luna, 
li umiliò con un dignitoso silenzio, che gli valse lo<li e 
ricompense da parte del Pontefice (2). 

Incoraggiato dal plauso dei buoni e dalla palese protezio- 
ne di Leone X, nei primi due anni della sua dimora a Roma 
il P. fu di una produttività veramente ammirevole. Dopo il 
corso sulle Si*lcc di Stazio, si occupò delle KpiHtolae ad Attkum, 
dell' Orator e dei VanuUwa di Cicerone ; commontò poi VArte 
poetica di Orazio, VKiicUle e le Bucoliche di Vergilio, V Argo- 
nautica di Valerio Fiacco, l' Ibi» di Ovidio e altro opere, di 
cui si era già occupato durante la sua dimora a Milano. 

Di attività fenomenale e zelante nelP eseguire il proprio 
dovere, il P. non si stimava mai soddisfatto delPopera sua, 
sino a lamentarsi coi discepoli che le cure domestiche e 
la malferma salute gì' impedissero di fare per loro ancora 
di più (3;. 



(1) Epistola XVrir, pridie Kal. Martias (ioi4): € sed 

in eo te falli nolim, quod cxistìmare vidoris (cxaiiiaio eoim tuo metirU 
alios) ine litcratis omnibus acccptum ; nani, praetcr Phaedrum pau-. 
cos<iue eius .iKsectatorcs, ardet invidia, quo<l ego solum habcain plus 
annui «alarii, ^uam colIegAruin fere decem ». 

(2) MSS. R. Bibl. Xaz. di Napoli Cod. V. D. 15 — Praefatio in 
Oraiorem : « Nemincm vcstrum l.itet, anlitorts ornatìssimi, quantas Ifi- 
vidiac procellas anno superiore sola paticnlia porfregerìm ; quodque lenti 
maleque de ino acntlcMìtis opinijneui subire uialucrim quam quod Cicero 
turpissiinum vocat contcntiosi sonis : huius mcae lenitatis uberrimo 
fruotu porcepto sacrosancti au^uslissimiquo Lconis X iudicio, quo nuUura 
uìaius hoinini coulingcre polest ». 

(3; MSS. R. Dibl. Xaz, di yapoli. Cod. V. D. lo — Praefatio in 

Flaccum : « si por occupationcs et domestica negotia liceret, 

equidera non unum et altennn vobis auctorem, sed decem quotannis 

enarrarcm Quiu vero ad omnia sinml praestanda tcmpus viresque 

non suppetunt ». 



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104 



VITA DI A. aiANO PABBA8IO 



Intanto 1' awersA fortuna, com' egli elice, nemica della 

pace di Ini, nello stesso anno 1516, gli strappava i due esseri, 

che aveva sempre amati con tutta 1' effusione dell' anima sua: 
il cognato Basilio e 1' amico Inghirami. Indicibile fu il suo 

dolore per questa irreparabile perdita, che lo gettò nel più 

penoso abbattimento (1), e fu forse causa non ultima di 

quella gravissima malattia che lo colpi poco dopo (2). 

Ancora sofferente per un ascesso al piede, venuto a 

completare degnamente, i dolori di lui ; il P. vei*so la fine del 

1516 riprese le lezioni (3) ; ma pare che questa volta mal 

riuscisse a superare corporis infirmitaUm animi virtute (4), se 



(1) De Rebus eie. — Oratio cit., ediz. cìt., pag. 249 : € male vivacem 
aanectutem ineam! Qao nuoc me vertam minor! ad quem confugiamlf cuius 
iudicio posthac ut&r ? cui pectorìs intima committam f quando non modo 
T. Phaedrum, cuius humanitate, prudentia, amore, fide recreabar; sed 
etiam (proh scelus) uxoris meae fr^ troni Basilium mora, Portunae sa- 
tellet, erìpuit k 

(2) MSS. R. Bìbl. Nat. di A/ po2t. Cod. V. D. 15 •- Praefatio 
In Epistolas ad Atticum : € Duum enini carissiraorum desiderio funestam 
domum, diuturna coniugìs insuper et mea valetudine ooncussit, et qua 
( dii boni ! ) valetudine, caelitus invecta: quìppe quam adversis siderìbus 
conflatam Gauricus, astrologorum nostri temporis eminentissimus, certa 
matheseos ratione doprehendit, Lunae enim deliquium perniciem nobis 
•rat allaturum, nisi salutarìs stella Jovis intercessisset ». 

Interessante questo passo che ci rivela nel P. la sua piena credenza 
nei misteri dell* astrologia e il suo illimitato rispetto verso il celebre 
astrologo e ciarlarne Luca Gàurico, che nel suo TracUUus astrologicus^ 
(T. II Op., p. 1635) registrava scrupolosamente T oroscopo comuni- 
cato al P. : « A natalicio Servatoris 1516, octobri mense, laboravit in 
extremis ( Parrhasius ), uti colligebatur ex Lunae deliquio sub nona 
Leonia parte ». 

(3) MSS. R. fìibl. Noi. di Napoli. Cod. V. D. 15— Praefatio in Episto- 
las ad Atticum : € in summo pede enatus abscessus ..... Ego nihilominus 
ulcere etiam nunc manante, redamantibus ad unum medicis, quam pri- 
mum figere gressnm licnit, huo exiloi »• 

(4) MSS. R. DM. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15 — Praefatio in 
Epistola* ad Atticum. 



/ 









VITA DI A. aiANO PABSA8IO 



106 



per mezzo di Michele Silvio, un ciotto portoghese, diyennto 
poi cardinale, si decise a pregare il Pontefice di volerlo, 
nel faturo anno, esonerare dall'insegnamento. 

Come era da aspettarsi, Leone X non si mostrò punto 
propenso a privare il Ginnasio romano di chi ne formav» 
il principale omanento ; sicché il P., per non dispiaoergliy 
fa costretto ad insegnarvi ancora i^er tutto 1' anno 1617 (1). 
Trascorso questo però, grazie alla efficace intercessione dello 
stesso Michele Silvio, egli potè abbandonare l' insegnamento 
pubblico (3), ricevendo da Leone X un assegno di venti 
ducati d' oro il mese, meta del quale sarebbe poi destinato 
alla moglie Teodora, se gli fosse sopravvissuta (3). 



(1) MSS. R. Bibl Sai. di Napoli. — Cod. V. D. 15 — Praaleetio 
in Epistolas ad Atticum : € Sed quia s&crosancto Pontiflci Maximo, caiiu 
in manu sunt omnia, placuit hunc item annum ( 1517) laborìbus nostrìs 
accedere, parondum duximus eìus imperio ». 

Per la stessa ragione altrove notata ( pag. 41 ), questa Praetedw 
in Efiistùlas pronunciata dal P. per richiamare alla mente dei giovani 
quanto kuI medesimo soggetto aveva dotto nell* anno antecedente, nel 
Codice si trova prima della Praefatio in Epistolas^ 

(2) Ove si ponga mente alla data della malattìa sofferta dal P., 
neir ottobre del 1516, come ci attesta il Oàurico ( 1. e. ), appare mani- 
festo che errava lo Jannelli, quando riportava al 1519 V ultimo anno 
deir insegnamento di lui (op. cit. pag. 112). 

(3) Gaetano Marini — Lettera sul I Ruolo dei Profess. del Ginnasio 
Romano^ l^. XXIU, Roma 1797, pag. 114; Jannelli, op. cit., pag. 113: 
€ Leo PP. X. — Motu propria etc. Dilecto filio Jano Parrhasio .... Virtot 
tua et utriusque linguae eximia scientia, fidesque sincera, quam ad not 
et sedem apostolicam geris, tuaque incurabilis valetudo nos inducnnt, 

ut te spec'.alibus gratiis et favoribus prosequamur Idcirco tibl 

provisionem viginti Ducat. auri de Camera de pecuniis ad 

vitam tuam singulis quibusque meiisibus persolvendam, et, te defuneto, 
dilectae in Christo fìliae Theodorae Chalcondyli, Demetrii Chalcondylis 
Aliae, uxori tuae decem Ducat. similium ad vitam utriusque vestrnm 
quolibet mense persolvendam motu simili concedimus et elargimur » 






% 



106 yiTA DI ▲• GIANO PABRASIO 

Come apprendiamo da una lettera diretta ad un amico, 
di cui ignoriamo il nome, il P. fu contentissimo di questo 
munifico atto del Pontefice (1) ; sicché, per mostrargli la sua 
gratitudine, nel 1518 gli dedicò il suo commento suU' Epi- 
ètolae ad Atticum, frutto di lungo e accurato studio (2). 
Leone X gradi moltissimo il lavoro e il gentil pensiero del 
P«, e, per dimostrargli ancora una volta la propria benevo- 
lenza, lo ascrisse tra' suoi familiari e tra' commensali della 
corte pontificia (3). 

Cosi, grazie a quest' ultima prova della munificenza di 
Leone X, e all'assegno mensile anteriormente ottenuto, il 
P., insieme colla moglie Teodora, colla quale, se non 1' ab- 
biamo detto ancora, erasi riunito appena venuto a Roma, 
in otto litterarutn, potè trascorrere i giorni, se non nell' agia- 
tezza, certo nemmeno nell' estrema miseria, come vorrebbe 



(1) Dtf Rebus eie. ediz. cit.« pag. 142 : « Audivere dii maa 

vota, audivere dii (Horat. ), ìdeiit ilio rerum omnium opifex 

Leo X et utrìusque divinitatìs partK'ops heros noster Michael Sylvius 
in tanta negoUorum mole mo respiceret aetate, diroque morbo iam con- 
fectum, vitaeque commoda mihi tandem decerneret in otium litterarum 
taceasuro ». 
I (2) Salsrni — Syloulae, Epie. pag. 140 : 

Quo doctat leffiior, quo yìwìi la ore Tiromm 
AtUcut, et numeris obscnrìui Ipse Platonit, 
Glarìus Boll radiit Hyperìonlt uqus 
Effeclt nnper« functnsque labore, Leoni 
Auspiciit cttioi tntceperat ante, dieatlt 

(3) Chioccarblli. — De illusi, script, neap., T. I, pag. 232 e seg., 
Jannelli, op. cit., pag. 1 10 e seg. : € Dilecto filio Jano Parrhasio fami- 
liari Nostro. — Dilecte fili talutem et apostolicam bonedictionem 

Verum ut prò doctrina qua libéralissime praeditus es et ingenio quo 
mirifice praestas et aliud a nobis erga te paternae Nostrae caritatit et 
benevolentiae indicium extet, idoneusque prò tuae virtutis et dignitate 
et praestantia honos habeatur, te in Nostrum familiarem,* continuum 
commensalem harum serie recipimus, et aliorum commensalium numero 
adgregamnt. Datum die 29 Aprìlie 1518 »• 



«iMbAwM4ÙlM«*»iì*iW 






VITA DI A. GUNO PABRA8IO 



107 



far crederò il Valeriane, che, avendo trovato il vero tii>o di 
letterato infelice per la sua nota opera, volle caricare un 
po' troppo le tinte (!;• 

Conoscendo poi la speciale protezione, di cui godeva 
il P«, non è da credersi che gli fosse diminuito V assegna- 
mento, o per lo meno ne fosse nt4irdata di molto la ri- 
scossione, come vorrebbe insinuare lo Jannelli, il quale, 
temendo che al suo x>rotagonista dovesse mancare il tempo 
per fondare V Accademia Cosentina, mostra gran premura 
di rimandarlo in Calabria. InfaUi, adducendo a motivo la 
miseria di lui, la morte del cognato Basilio e degli antichi 
protettori, Fedro Inghirami e il Cartlinale d' Aragona, e in 
ultimo la partenza del Canlinale Adriano, altro caldo am- 
miratore del nostro umanista, alTerma che questo lasciò Roma 
ineunte anno 1521 (2). 

Non occorrono molti argomenti per combattere questa 
gratuita asserzione, in sostegno della quale lo Jannelli non 
sa addurre alcuna prova. Basta infatti riflettere per poco 
su ciò che il P. scriveva a <in amico circa le x)ubblicazioni, 
alle quali intendeva dedicr.rsi (3), per conoscere che egli, 
più che ritornare a Cosenza, era disposto a rimanere a Roma, 
dove poteva trarre gran profitto dagli antichi e preziosi co- 
dici della ricca Biblioteca vaticana. Bisogna quindi riportare 



(1) De ili felicitate litteratomm^ 1. !« |Mig. 24 : « ut p«r 

annos aliquot nil praeter linguam hi universo corpore haberet incoiarne: 
siderato propemodum utroque crure, ut iiullis peduin officiis uti posset, 
lacerlistiue prae dolore et contraetionc redditìs inutilibus, magna insuper 
inopia atque egestate oppressus, rerum ouinium de8|>eratìooe ductnt....» 

(2) Op. cit., pag. 115. 

(3) De Rebus etc. ediz. cit., pag. 143: « Certe 8i quid ingenii, si 
«|uid eruditionis in me, si dicendi commodi'aa est, id omne effundaa 
prodendis iis, quae tot anoonira varia Icctionc compcrta, conquìsita, col- 

lectaque luihi sunt in usum studiosac iuvcntutis ut siquidem fructum 

lostcritas inde percipiet, acceptum rcfcrat Pontifici prìmum Maximo, 
deinde Sylvie nostro, per quem conciliata mibi Pontìficis voluntas est ». 



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108 VITA DI A. GIANO PABRA8IO 



detta partenza un anno pia tanli, quando cioè per la morte 
di Leone X, avvenuta il 1 dicembre 1521, essendosi seccata 
la fonte delle largizioni, e non potendo, per la malferma 
salute, procacciarsi da se il necessario sostentamento, il P., 
come tanti altri letterati, lasciò Boma e si recò a Cosenza. 
Quivi non visse a lungo, poiché, come ci attcsta il suo 
contemporaneo Pierio Yaleriano, fu subito colpito da febbre 
mortale, che, dopo penose sofferenze, lo trasse alla tomba (1). 
Nessuno dei biografi contemporanei del P. ci ha tra- 
mandata la notizia circa 1' anno della morte di lui ; sicché 
i biografi posterìori (2), ignorando gli avvenimenti ora ri- 
cordati, solo perchè il Salemi nel 153G aveva pubblicato 
tra le sue Sylvulae anche V JUpicedion, scritto parecchi anni 
prima in lode del P., credettero di avere una prova irrefra- 
gabile per ritenere che questi mori tra il 1534 e il 1535. 
Senza punto trattenerci intorno a questa asserzione, che 
cade da sé, quando si rifletta che i componimenti poetici 
raccolti e pubblicati dal Salerni appaiono composti in tempi 
diversi (3), crediamo opportuno prendere in giusta considera- 



(1) De infeliciUUe ZiM.» pag. 24 : € ... . relìcta Roma, in Cala- 
briam cum secessisset, in febrim subito inciditi <|Qa diu vexatus, mise- 
rabiliqae eo cruciata superatus, expiravit ». 

(2) Spiriti — Memorie degli ScHu. eosent,^ pag. 26; Saverio Mat- 
TKi — Vita Parrhasiip edix. De Rebus eie, Nap. 1771. Tiraboschi — «Storia 

eco T. VII., P. in, pag. 336 ; Oinguenè — Istoire litter. d* Italie, V. 

VII, pag. 342 ; Biografia Universale — V. XLIl, pag. 464 (Venet. 1^; 
PiORBNTiNO, Bernardino Telesio, V. I (si corresse nel V. II) eoe. 

(3> Nicolai Salerai consentinl Sylvuìae Epicedicae, Encomiastieae, 
Satyricae ac Paraeneiicae — Variariimque aliamm rerum descripiiones 
fortasse non inutxles — Neapoli, SulUbach, MDXXXVI. 



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VITA DI A. GIANO PABRA8IO 109 

zione le testimonianze del cosentino Antonino Ponto (1) e 
(li Giano Anisio (2), suggeriteci dallo Jannelli (3). 

Tanto il primo che il secondo scrittore, parlando di 
Adriano VI, eletto Pontefice il 9 gennaio 1522, ricordano 
con rammarico la morte recente del Parrasio. Ora, conside- 
rando che questo ricorilo di una delle più grandi illustrazioni 
del Ginnasio romano non può riferirsi che ai primi tempi 
del pontificato di Adriano VI, quando cioè non ancora era 
nota la sua avvei*sione ai buoni studìi e quell' orrore per 
le cose pagane, che gli procacciò 1' odio dei letterati e i poco 
lusinghieri epiteti di e furibondo nemico delle muse, della 
eloquenza e di ogni arte bella >, riteniamo che il P., ritor- 
nato a Cosenza, verso la fine del dicembre del 1521, se- 
guisse ben presto nella tomba il suo protettore, Leone X (4), 
nel seguente gennaio 1522 (5). 



Dopo quanto abbiamo detto, non crediamo sia più il 
caso di affacciare alcun dubbio circa V epoca della fondazione 



(1) Romiiypion — P. li, Roi io 1524 : < Vide Philippum Gullum^ 
Crassum quo4]ue, et doctorum Plìoc.'cem Farrhasiuin coaevo8« Dee vivo... 
per florida rura et lauri nemus melico^, hymnos concìnere ». 

(2) Poemata varia etc, ediz. cil. : 

Ilaec tua maxima cura 

Tandem lltdriane, prima tua maxima cura 

sii Caesar 

Mortem obUt Phoel>i Interpres, carusqno sacerdoi 
Parrhaslus, quem clara femat monumenta per orbem 

(3) Op. cit., pag. 1 15 e seg. 

(4) Salbrni — op. cit. : 

Leo PaMor ovllit 

Romani aethereos tandem niii;ravit In arcea, 
Unile suum ius8lt propere ad meliora Tenira 
Praemia Parrhasium 

v5) Lo Jannelli, sebbene non traesse dalle prove addotte una con- 
vincente deduzione, non si scosu di molto dalla nostra tesi, ritenendo 
che il P. morisse € desinente ipso anno 1521, vel ineunte 1522 ». 

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110 VITA DI A. GIANO PARKASIO 



dcU' Accademia Cosentina, attribnita al nostro umanista (1). 
Scy come crediamo di aver dimostrato, e^li non visse che 
poco tempo dopo il suo arrivo a Cosenza, è chiaro che 
questo notevole avvenimento non potè compiersi se non nel 
primo ritorno in questa città, e specialmente in quel periodo 
di circa nove mesi, che va dall'agosto 1511 all'aprile 1512 (2), 

Sebbene non precisasse alcuna data (3), il Fiorentino, 
nel primo volume del suo Teìcsio, pubblicato nel 1872, si 
mostrò di questo stesso parere, combattendo V asserzione 
del Lombardi, che aveva riportata la fondazione dell' Ac- 
cademia al secondo ritorno del Parrasio (-1). Due anni dopo 
però il Fiorentino, avendo letto il commentario dello Jaunelli, 
mutò avviso e stimò jiiù probabile che detta fondazione 
avvenisse nell' ultimo ritorno (5). 

A quanto x>are, il dotto filosofo volle prestare troppa 
fede allo Jannelli ^5), il quale, come abbiamo visto, oltre a 
mostrarsi non molto esatto nel xirccisare dove e come il 
P. passò in Calabria il triennio 1511 - 1514, non seppe teucre 



(1) Spiriti — Memorie degli Senti coseni. Pref,^ pag. 0; Mattei — 
Vila Patrìknsii^ odix. Dì Rebus ^ pag. XV e sog. : Tirahosthi — 
Sloria ecc., T VJI, pag. l^; Signorei.u — Vicende della Coltura ecc., 
T. IV, pag. ^0 ; Biografia Unicers, T. XLII, peg. 464 ; Nuovo Dizion. 
Ist. T. XX, pag. 174. 

(2) V. pag. 91. 

(3) Ignorando 1* anno preciso della prima venuta del l*. a Cosenza, 
il Fiorentino opinò* € che 1* Accademia cosentina fosse cominciata fra 
gli anni 1500 • 1514 ». 

(4) Andrea Lombardi -* Discorsi accademici ed altri opuscoli, terza 
edix., Cosenza — Pei tipi di Giuseppe Migliaccio, 1840. 

Fra* non pochi errori commessi dal Lombardi nel Saggio storico 
sull'Accademia cosentina, che P. S. Sai fi volle chiamare € quadro preciso 
e fedele della sua origine e delle sue vicende » nella troppo benevola 
prefazione, notiamo quello circa V anno della morte del P., secondo lui 
avvenuta nel 1534. 

(5) V. Op. oit., Appendice al Voi. II, Firenze, Succ. Le Monnier 1874. 



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VITA DI A. GIAMO PABBA8I0 111 



giasto conto delle prove di scrittori autorevoli, attestanti 
tatti concordemente che il P. morì poco dopo il suo iirrìvo 
a Cosenza. 

L' Accademia cominciò quindi ad aver vita tra la fine 
del 1511 e il principio del 1512, quando appunto si trova- 
vano a Cosenza Antonio Telesio, Francesco Franchini, Niccolò 
Salemi e, come pare, Galeazzo di Tarsia, il gentile autore 
di quelle tenere poesie, che destavano nel Settembrìni il 
desiderio di altre. 

Mai come allora Cosenza si era trovata in condizioni pia 
favorevoli per un vero risveglio lettei-ario. Caduta la Calabria 
sotto il dominio spagnuolo, dopo l' iniqua divisione del regno 
aragonese, essa, a prcrcrenza delle altre città, era stata fatta 
sogno a speciale protezione. Vi erano state raccolte le sa- 
preme cariche, riconfermati gli antichi privilegi e creata 
quasi un' altra capitale del regno (1). Fu allora che venne 
su tutta una flora di giovani baldi e volenterosi, che, spronati 
da vivo desiderio d' imparare, si affollarono intomo al maestro 
insigne, che capitava tanto opportunamente tra loro (2). 

Prive della pompa e dell' ostentazione moderna, allora 
le Accmlemie, nei loro primordi, non erano altro che amiche- 
voli convegni, in cui pochi amici dotti e di buona volontà 
discutevano su questo o quel passo di scrittore classico, 
oppure davano lettura di qualche componimento letterario. 
Quest' umile principio ebbe anche V Accademia Cosentina, 
la quale pare che per un certo tempo non fosse neppure 
denominata in questo modo : come ben diceva il Fiorentino, 
ci ora il fatto e mancava il nome (3). 



(1) Fiorentino — op. cit., edit. cit., V. I. ^ 
(2^ Fra ì tanti ricordiamo i Martirano, Pierio Ciminio, CUrio Leo- 
nardo Schipanio, Giovan Hattista Morelli', Andrea Pagliano, Carlo Giar- 
dino eoe 

(3) Op. cit., V. 1. 






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112 



VITA DI A. GIANO PARRÀ 8IO 



n P. contribui all' incremeuto di questa istitaziono anche 
qaando si allontanò da Cosenza, poiché, come ci attcstano 
le lettere inviate al Cesario (1), ad Andrea Puf^liano (2), 
a Giovan Battista Morelli (3) e a<l altri cosentini (4), egli si 
mostrò sempre pronto a fornir loro schiarimenti circa l' in- 
terpretazione di passi diincili e a sciogliere quei dubbi, che 
non erano forse risoluti nei loro convegni letterari. 

Con quanto garbo e piacere egli facesse ciò, si scorge 
chiaramente, pia che in altri luoghi, in quella lettera gen- 
tilissima che inviava al cosentino Vincenzo Tai-sia, forse 
durante la sua dimora a Roma. In essa si mostra lieto di 
dare all' amico le notizie chiestegli intorno ai Bruzii, e si 
compiace moltissimo del risveglio letterario di Cosenza, mes- 
sasi in grado di poter gareggiare per coltura con qualunque 
altra città d'Italia (5J. Chi non* sente in queste parole la 
schietta e spontanea soddisfazione del P. nel vedere cosi 
felicemente coronata 1' opera sua T 

L' Accademia Cosentina al principio ebbe un indirizzo 
puramente critico-classico, che si cambiò in fllosoflco, quando 
venne a darle nuova vita e splendore Bernardino TeIesiO| 
P aquila bruzia, che con tanta ala d' ingegno si librò nelle 
pia alte regioni del pensiero, e, suscitando una viva op- 



(}) De Rebus eic.^ edix. oit., pag. 117. 

(2) Op. cit., edix. cit., pag. 119. 

(^) Op. cit., ediz. cit., pag. 125. 

(4t Si ricordi, come abbiamo detto altrove, 'pag. 56) che V opera 
De Rebus per e/tùtolani quaesìiis era composta di 24 libri e che di questi 
uno solo è giunto sino a noi, e da ciò si argomenti quante altre lettere 
il P. avrà inviate ai suoi amati Cosentini prima e dopo il ano ritorno 
a Cosensa. 

(5 De Rebus ete, ediz. cit., pag. 110: € Remitteret allquid de iudi- 
cio 800 Lucius, et qui Lucio subscripsit. Cicero, si viverent bac aetate, 
luventutemqoe Cosentinam bonarum artium studiis cum quavit Italiae 
civitate oertantem viderent »• 






VITA DI A. GIAKO PAB&A8IO 113 

posizione alle dottrine aristoteliche, diede all' Europa quel 
nuovo sistema, che t-anta influenza doveva esercitare sulla 
filosofia e sulle scienze naturali. 

Cosi mentre l' Italia, in generale serva dello straniero 
e ingolfata nelle lotte religiose, penleva ogni amore per gli 
studii umanistici, mentre il fiore del Binascimento, come con 
frase felice si esprime il Geiger (1), si chiudeva dinanzi all'im- 
perversare della forza brutale dei lanzichenecchi, un flore 
fresco e rigoglioso sbocciava nella forte Calabria, dove 
avevalo piantato qualche tempo prima 1' UUimo degli urna- 
nUti, Aulo Giano Parrasio. 



fi) Rinascimento e Utnanesinto io Italia e in Germania — Stort« 
Oniv, illustrata di Guglielmo Oncken. — Milano 1891, pag. 410. 



ita0iM te I fu ai ,'wif • ru i>i>itiM'< rft •jn-ji > ■ 






1 



4. 



1 • 



« Or non parrebbe che cote»ti scrifU« 
( ParrasUnl > del quali pochiwlml sono 
siiti impressi, valessero li predio della 
stampa, più che non tanto Insulsaggini 
tramandate con tanta curai » 

P. PiORKNTiNO. ~ Bernard, Telesk^ T. 1. 



APPENDICE 



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^. ■ -^-^.^^,- ..- ■ r ■■■ I •■ 1 fi-rfaal 



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AULI JANI PARRHASn 




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PRIMUS 

AD VITAM EIUS NARRANDAM 

EX R. BIBL. NAT. NEAPOL. CODICIBUS 

EXCERPSIT 

ET TEMPORUM ORDINE 

DIGESSIT 



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FRANCISCUS LO PARCO 



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OHAIIO AO PATHITIOS NEAPOLIIANOS 

Ciro. 1493 s,2) (Cod. Y. D. 15) 



0) 



Ponsitanti sacpo mociim, viri pntritii, oruditissimi iavones, 
iuj;:cuiiiqiio adolcsccutuli et coatcmplnnti qnam proeclarara pri- 
sci illi Romani publieae aclministrationis formam/in postcrum 
rem populi susccpturì, per maous tradideruut, uihil occurrit 
quod non summo in*renio exeogitatum, maiori studio expo- 
litum, maximo Consilio ac prudentia gestum indicotnr: ut 
niilìi quidem undecunique eorum non modo bella, sed etìam 
paces per historìas exploranti, quam apud omnes obtinent, 
o)nnìone diguissìmi videantur. Sed illud praecipue militane 
disciplinae institutum, quo adolesceutes ad palum intra val- 
ium prius impense exercerì, quam serìae dimicationi interesse 
iubentur, usque adeo me delectàt, ut, in re lioet diversa, 
ab iuenntibus annis hactenus observarim. 

Haud enim quodpiam vulgo unquam commisimus, prin- 
squam per doctissimos utriusque linguae grammaticos, prò meo 
ingenioli captu, eruditus in ludis litterariis satis superqne 
delituisse visus sum. Et, ne ab id genus similitudine disoe- 
damusy quem ad modum tirones ad palum punctim caesimqoe 



(1) V. hoius op. Gap. Il, pag. 13 et aeqq. 

(2) In omnibus orationibus et cpistulis annum et iascrìptionem 
Parrhasius non apposuit. 



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>1> HT i» rfi > nf m • ■ i r ^.i li. ■ ■ k, •- ■ ,> . , , f^ - -^ -„ , ^^^ ^ ^J-t;-. . , - •- '. . , ■ '_ '^.„^.,;^ , .;^ 



120 



A. JANI PARRHASU 



ferirò discobantur a vetoranis, ac ex ilio commentitio pugnae 
Biinulaoro quod in vera dimicatione magno mox usui foret 
imbibebant, ita et nos primo, quoad fiori potuit, haud tamen 
8cio an supra omnes nostri coeli ao aetatis homines, non citra 
bonae valetudinis dispendium, sed eruditissimis viris non 
modo nostratibns litteris, vorum etiam graeeanicis operam de- 
dimuSy nty si quid in communem rei litterariae utilitatem 
excudere libuisset, perinde ao in penuria cellam haberemus 
in promptu. Ao ne sio quidem, tametsi pares huie oneri 
complnribns videbamnr, a<l enarrandi munus accessi, nisi 
prius aliquot annos, frequenti auditorio, in Brutiis, nude 
nos ortum ducimus, interpretandis auctoribus impendissemus. 

At in praesentinrum, viri patritii, cum offltii causa, 
ut amieos inviseremus, ad vestram rempublioara ornatissimam 
undique versum me contulissem, ab eisdem post aliquot dies 
missionem impetrare haudquaquam potui, quod dicerent no- 
strae consuetudinis incunditate teneri, neo unquara a me 
contendere desierunt quousque, ' ssiduis eorum vocibus exi>u- 
^natus, P. Papinii Statii, poetiu*um oppido quam doctissimi, 
quem urbs haeo florentissima universo terrarum orbi, quo- 
cumque latini nominis fama percrebuit, non iniuria queat 
imputare, Silvarum opus haud omnibus obvium, singulis 
lectionibus, enodaturum promiserìm. 

Scio profecto, neo me fugit quam arduam quamque 
difflcilem provinoiam sim aggressus, quamque implicitos ao 
inextrioabiles paone nodos absolvendos assumpserim , et 
vestrum fortasse plerosque nostros hos conatus ut audaculi, 
ne dicam impudentis, reprebensuros, quod huius aetatis ado- 
lescens in totius Italiae celeberrima urbe, ubi omnium bo- 
narum artium studia poUent, in tanto praesertim doctissimo- 
rum hominum conventa subgestum hoc ascendere non eru- 
buerim. Insta sane et non improbanda incusatio, si aut meo 
consilioi aut sponte, non dicam ultro, hoc munus obiverim. 
Verum hoc erga amieos nimiae indulgentiae trìbuendum potius 






I.' 



OKATIONK8 BT EPI8TCLAX 121 



erity quibus dura in oinnibii9, iikmIo honesti spociom prae se 
fcranty obsecumlo, iu aiudaciae crimon incarri. Sed quaeso 
vos per tlcos iinmortales, viri pntritii, boui consulite, proqae 
Ycstra 8olit4i hiimanit-ate statuite. 

Quuiu saepe niecum parcutis omniura naturae exactum 
umlique opus inspicio, uihil oecurrit, viri patritii, quod non 
magna cum sapieutia productum, maxiaiaqne diligcntia di- 
spositum sit; scd illud imprimis ad hoiniuum coetus non 
solura tuendosy veruni ctiaiu decorandos non par>i momenti 
visual est, quod omnibus auimantibus gloriae ao laudis af- 
fectum iudidorit, praccipuum, ut arbitror, ad implondos totins 
opcris numoros adiumentum. Nam quid utilius, quid fnigins, 
quid couducibilius affectu hoc queat invonirì T Quippe cai, 
si quid cxcultum, si quid politius immo utile excogttatum 
est, iure ac merito referamus acceptum. Inde sunt etenim 
tot ao tant;irum rerum iuveutioues, inde tot saeculis artes 
incoguitae prodierunt, inde, indico, semper aliquid inventis 
adiicitur, inde tot \irorum din noctuque elaborata monumenta. 
Kam si couditis usque saeculis inventa altius repetamuSi 
omnia ab hoc affectu profecta inveniemns. 

Missum facio Promethca, quem quid alimi, ut in fabnlis 
est, ad snbtrahendum Superis ignora compulit, nisi ut inventi 
gloriam reportarotf Omitto Liberum ao Cererera, quorum 
uterque hac eadem causa a ferino ilio victu homines revooaviti 
quippe quum alter, ut aiunt, >inura repcrerit, altera vemm 
frumcntum excogitarit. Nonne litterarum notae ao dementai 
sive Cmlmus, sive alter invenerit, inde ortnm habueret 

Quotusqnisque, ut ad rem litterariam adveniam, tam 
maximos studiis labores impendisset, nisi uomen ao gloriam 
inde adsequeretur T Eudoxus Gnidius complures sub montibns 
annos egisse traditur, ut mathematica disciplina, anni ratio- 
nera solisqne meatus perciperet. Sed haeo ut remotiora 
fortasse praetereo. Hac nostra tempestate viri et ingenio et 
doctrina praecipui multa- et nova et utilissima excudnut: 



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122 A. JANI PARRHASII 



patrum nostroriim memoria cnleliographia, qnam Latini vocaut 
improssionom, a Germanis excogit>at>a est non tam lucri quara 
gloriao cupiilitate, nam eorum plerosqno huiu<«cemocli rei 
ru<limcnti8 logimns decoxisse. 

Scd quid extemid utor excmplis f Jovianus Poutauus, 
vir discrtissiiuuSy qui cum illis votustissimis aeque contenditi 
dii boni, quao nupor sui laboris monumenta dedit ! Rem 
profecto ad hoc usque tempus 1nt>act>am : De Fortitudine he- 
roiva luculentissimum opu?, de quo seor$um praeter eum 
nomo scripsit. rrincipvm vero ab iucunabulis ito instituit, 
ut felicia rogna futura 8int quibuscumque, qualem ipso in- 
formata princops obvenerit, Ohedientia^ vero partes it4i dis- 
sorit, ut ad hanc onines virtut^es referantur. Quid eius Cha- 
ronte gravius, quid rurs«us festivius aut elegantina T Quid 
Antonio doctius, in quo illud prnecipuum duco duos totius 
romani eloquii principe!*, Ciceronem ao Vergilium, sic ira- 
proborum caìumniis absolutos* ^i u*ostrigilatores maiori qnam 
ipsi Maronora ac Tnllium licer' 'i momorderit. Tacco Serto- 
riunij quo piane uuusquisque fat-etur veterem illam scribendi 
felicitatcm revocat*am. Unde vero vir doctissimus inter tot 
ao tanta^ occupationes din noctuque bis studiis incubueritf 
Nulla alia re, quid enim sibi ad humanam felicit>atem, Bege 
tam praesenti^ deesse pot-erat, nisi ut gloriam sibi apnd 
posteros compararet. 

Atque sic habetoto nnllos satis improbos esse ad vir- 
tutem conatus. Quis enim Lucanum accnset quod huius aet4iti8| 
aut paululum, supra, PharsaHa^ bella detonuitf Nemo est 
profecto qui Valerium Gatullum, Propertium Naut*am, Albinm 
TibuUum^ Oaium d'enique Balbum non admodum laudet, quod 
omnium ore cant>anda adolescenies edidernnt. Quotusquisqne 
invenitur qui mactum virtut^e esse non iubcat, si poetam 
Oylicem Oppiauuui scripsisse compererit admotlum praetexta- 
tunii quao etiam doctissimi soncs studiosissimo legantt Qnod 
si aut illi quos diximusi aut oeteri, quos brevitatis causa 






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ORATIOKS8 ET EPISTUULX 13S 



siibtnceo, ad rem littornrinm non insto tompestivins accc98ig- 
seut, uiliil horclo haberemus* qnod oonim nos admoncroi ofe 
postoris ntilit4itom afTorrot. lt4iquo tot ao tantalo in bonorum 
artium etudii» vi^nHao immatnra morto int'0recpt4ie, non por- 
Ycnisseut ad frngem. 

lloriim 0^0 diictus oxemplo, ct<8i nec t-antum mihi tri- 
biiam noe assumam, nt iUis mo comparom, oam do nio ^pem 
vobis poUiceor, nt mo noe incopti poonitoat, noe vos mio- 
loscont43m audivisso pi^nerit. SihI por Jovom inoptissimns 
sum qui haoo ad oos dicam qnos oi*a pacata atqne etiam 
sereni insuper vultus hnmanissimos pro<liuit : tanto sileutio 
verbis paone singulis inhiatis, nt non reformidaverim longius 
ovagarì. 

It>aque orationi modnm 8t^tuam, si illnd nnum piias 
admonuorim. Si quid in his qnao dixero ofTondet, omnibus 
enim piacere csset immensnra, roeminisse debebitis nihil es86 
in humanis quod nndecnmqne possit esse perfectum, vota- 
stissimosque granimaticos ante oculos penero qui etiam in 
plurimis lapsi dopronduntur (ueque omnibus esse Pont4Uì08, 
Aurolios, AltilioSy Actios ^^anazaros ao denique Dionisios 
Superi coucessere, immo siugulis virtutes 6ÌnguIaS| ut est 
apud optimum maximumque «^oetam}, et priscos illos, quomm 
adhuc auct-oritas vigot^ mulUi scisse non omnia. 



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PRIVILEGIDM « 

(In R. Archivo Ncapol. — CoUat. Prìrileg. Aragonensium 
Voi. VII. 1494-1495. — fol.. 75). 



J. PAULI DB PABISIO 



Alfonsos et cetera, uniTersis et cetera, licet adioctione 
et oetera, sane prò parte nobilis et egregi! viri J. Paali de 
Parisio de Gusenda, familiaris nostri fldelis, dilecti, fait 
Maiestati nostre roverenter expositam et amiliter sapplica- 
tam qaod Panlus ipse ex concessione sibi facta ad eius Ti- 
tani per Serenissimum Ferdinandum, patrem et dominam 
nostmm colendissimam memorie recolonde, habuit, tonnit et 
possidet, 6ÌTe exercet oiBciam magistn Oamere et magistri 
actomm penes Justiciarios, sen Gapitaneos torre Tabomei 
nec non officiom Gavàleris penes Gapitaneos terrarum mon- 
tanee et Givite dncalis cam potestate sabstituendi, cam gagiis 
et emolumentis, lacris et obveutionibas solitis et consaetis 
et debitis, proat in qnibasdam prìTilegiis per dictnm genito- 
rem nostmm sibi propterea concessis hoc et alia clarins 



(1^ Cum hoc unum monumeotom nobis in R. NeapoliUno Ta- 
bulario invenire contigisset, facile animum indaximat, ut hoe loco 
ederemns, codicis scrìptura diligenter servata. — V. huiat op. Gap. li, 
pag. 19 et seq. 



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PBIYILBOIUX 135 



aDQotantor. Dignaremur sibi ad eius vitam dieta officia iaxte 
tonorem dictonira privilegiorum de speciali gratia benignins 
coufirmare. Nos autem habeutes respeetum ad merita sincera 
devotionis et fldei prefati Paali, ao considerantes servitia 
por euin Maiestati nostre prestita et impensai qneque pre- 
stat adpresens, et ipsnm de bone semper in melius conti- 
uuatione laudabili prestiturum speramns, propter queqne in 
iis et longe maioribus a nobis exauditionis gratiam ratìona- 
biliter promeretur, iis et aliis considerationibns et caosis 
digne moti, prefato Paulo ad eius Tito decursum iam dieta 
ofilcia actorum magistri et magistri Camere penes Insticiarios 
seu Gapitaneos diete terre Tabeme et officium Oavalerii penes 
Gapitaneos terrarum montanee et civite ducalis cnm potestate 
in eisdem oIBciis substitnendi. De quorum substituendoram 
culpis et defectibus Paulus ipse nostre Ourie principaliter 
tcncatur cum gagiis et emolumentis, lucris et obventionibus 
solitisy consuetis et. debitis, iuzta formam dictomm preno- 
minatorum privilegiorum. Ipsaque privilegia cum omnibus 
et singulis in eisdem contentisi oxpressis et narratis, qua 
licot presentibns non inserì 'itur, haberi tamen volnmus prò 
insertis et expressis et dcclaratis, si et pront hactenus in 
possessione sou quasi fuit cl in presentiarum existit. Tenore 
prosentium nostra ex certa scientia specialique gratia oon- 
firmamus, acceptamus, approbamus, ratiflcamus atque lan- 
damus, nostreque confirmationis, ratificationis, acceptationis 
et approbationis muniraine et suffragio validamus et robo- 
ramus, volentes et decernentes expresse quod presens nostra 
confirmatio sit eidem Paulo semper et omni futuro tempore 
firma, stabilis, realié, utilis et fi*uctnosa ; nullumque in 
iudiciis vel extra, seu alias quovis modo sentiat diminutionia 
iucommodum , aut impugnationis obieotum sive obstaon- 
lum, vel noxe alterius detrimentum, sed in sua firmitatCì 
robore et officio pcrsistat. Illustrissirao propterea et caris- 
simo filio primogenito Ferdinando de Aragonia, duci Gala- 



•^•('«^<Ma*^a^i«ia«r«ri[|»»«^*i^i«akga<<^»«^>*MtoiV4 



126 



PRIYILBaiTTX 



briO| vicario nostro goncrali, nostram super iis doclaranios 
iotontnin Mamlamus magno huius regni Camerario ciusque 
locumtenenti j presentibus et rationalibus Camere nostre 
Summarìe^ Jasticiario seu Capitaneo terre Tabeme , et 
tcrrarum montanee et Oivite ducalis, Universitatibusque et 
hominibus ipsaram terrarum, aliisquo univcrsis et singulis 
ofTìcialibos et siibditis nostris maiorìbus et rainoribus quo>ns 
officio auctoritate et dignitate fungentibus nomineque nun- 
cupatis ad quos sea qucm prescntes per\*enerint| et sxiecta- 
verint seu fuerint quoraodolibet presentate. Qnatenns forma 
presontium per eos et unumquemque eorum diligenter actenta 
X)refatum Panlum, seu eins substitutos ad dieta officia exer- 
cenda recipiant et admittant, retincaut atque tractent de- 
center et favorabiliter prout expedit in eisdem deque gagiis 
et emolumentis, lucris et obveutionibns solitis consuetis sibi 
respondeant et per quos decet responderi faciaut atque 
mandeut integre et indiminute prout hactenus extitit con- 
suetum. Kt contrarium non faciant prò quanto dictus Illn- 
strissimus Dux filius noster nobis morem gerore cupit, Getcri 
vero offlciales et subditi nostri gratiam nostram caram ha- 
bent et xienam ducatorum mille cupiunt evitare, in quorum 
testimoniorum etc* 

Datum in felicibus Oastris apud Sulmonem per magni- 
ficum virum Antonium de Alt^xandro locumtcnentem etc. 

Die Villi Julii MCCCCLXXXXIIII Regnonim nostro- 
rum anno primo Bex Alfonsus — Dominus rex mandavit 
mibi, 

P. Gablon Jo. Pontakub 

Pasoasiub 



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EPISTULA AD FEHDINANDUM II ARAGOIilUM ^'^ 

Neapoli 1495 (COD. V. F. 0) 



Quod a me de Sarapi quaeris, illustris ac omaiissiine 
PrìncepSy utinara sic ad te reducendura prosit in avitam 
perditumqne (?oIiuin, quo nulla tua culpa caresi ut olim 
Ptolomaeo, Lagi filio, ad constituendas Aeg^'pti opes. Ilnic 
cnim recens comlitam Alexandriam mocnibns sacris et no- 
vis religionibus excoleuti, per quietem dicitur obversatos 
augustior humana forma iuvenis, atque monuisse ut i>er 
cortes homines eius eflìgiem acciret e Ponto ; id antein fe- 
lix fanstumque et amplitudini sibi gentiqne suae foro; enn- 
demque iuvenom plurimo igni rutilantem cum dicto simnl in 
sublime raptum evanuisse. Quo miraculo Ptolomaeus e somno 
excussuSy adhibitis Aegypti sacerdotibus, imaginem nootumam 
visumque narravit. . Hisque extemorum ignariS| remqne ex- 
pedire nescientibus, quidam nomine Sosibius, qui vagis er- 



(1) ExsUt in codice 'duplex huiut epistuUe exemplar. Manifeste ap* 
paret eara ad Perdinandum II Parrhasiuin misisse, cum ille Neapoli in Aena-> 
rìam insulam confugerat (IX Kal. Mari. 1495). Quod mìnime mirarì debe- 
mu8, cum perpendaroas, ut Era smus Percopo. in opere, quod inscrlbitor 
Benedetto Gareth^ luculente demonstravit, infelicem regem semper, etiam 
in roaximis advenis rebuK, ad animum tttum erìgendum, in bona studia 
incubuisse. — V. huiut op. Cap. 11, pag. 17 et seqq. 



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138 A. JANI PASSHASn 



rorìbos orbem fere teiramm peragravenit, in medium pro- 
cessiti et qoa specie regi apparuisset, a se colossum S^nsope 
sx)ectataro, quae Ponti civitas est in Scjthia, retulit. 

Itaqae Ptolomaeus, Sotele Dionysioque legatis,- in Pon- 
tura mandat, ut imperata Dei faciant. Triplex inde fama : 
nonnulli post multa prodigia, coelitusque illatas contumacibus 
barbaris clailes, Alexandrinos a rege missos acccpisse deum. 
volunt a Scydrothemide, qui tunc in Ponto rerum potiebatur. 
Alii cum Plutarcho tradunt ab ipsis oratoribns esse furto 
subrex)tum. Quidam miracula quoque comminiscuntur : ap- 
pulsas litori naves nitro Sarapim conscendisse et idoneam 
navigandi tcmpestatem seeundosqne ventos in Aegyptum 
rocurrentibus immisisse, celorius opinione, Alexaudriam. Per- 
vetus rumor est^ Eleusinum Timotheum e genere Eumol- 
pidarum, rerum divinarum peritissìmum, itenique Manethonem 
Sebeniten a Ptolomaeo consultos quinam deus is esset, re- 
spondisse Plutonem Ai<lerì, tricipitis argumento canis, quem 
Gerberum suspicari, assistentisque puellae, in qua Proser- 
pinam liceat intelligi. Alii coniectaut x\esculax)ium, quod 
apud eum susceptis votis aegroti convalesoant ; nonnulli 

Osirim ; plerique Jovem, rerum omnium potcntcm, quod 
oraculi sors ab Apolline delphico quibus dixi legatis edita 

facile probnt: irent simulacrumque patris sui rcvehorent; 

sororis relinquerent. Ipsius item de se dei profcssio suffra- 

gatur, qui rogatus a Xycocreonte, 0;>'priorum tymnno, quis 

haberi deorum vellet, ad hanc senteutiam graece respondit: 



Siiin Deus ipse, tibt qualein me cannine pandam : 
Regìa celsa poli caput est mihU caerula venter 
Unda roarìs, calccsque pedum tellurìs in imo 
Cespite nituntur, mea tempoia lucidus aether 
Arobit, et accendant oculos mihi lumina Pboebl. 

Dioilorus autem Siculus, in Bibliotbecis, Osirim, Sa- 
rapim, Liborum, Ditem patrom, Ammonom Jovem, Pana, 
eundom dcum esse existìmat. Aristippus, Arcadicorum primo, 






■if -- • ì ■*- T — — ^ Il 'i ^ — ■^-r'i'—ii^ f-^tir- ir-fitfirif i^^Tn- >»f^il«ii->- IT — — "^^^^r^-^Ti-'—tààìimi- lìkimàéÀJi 



ORATI02fS8 ET EPI8TUXJLS 129 

refert Apim, Argivorum rcgom, Mempbim in Aegypto sodém 
sibi ooudidissOy qiiem postoa Sarapim transnominatum Ari- 
stcos Argivus autumat ot huno ab Aegyptis attonita sapereti- 
tiono coli. Xymphodorus Amphipolitanos auctor est in bis 
quae de logibus xVsiao composuit, Apis tanri, cum decessisseti 
salo duratum cadaver iu arca, quara Graeoi acpÓ¥ voeant , 
esso comlitum, ex coque duplicato nomino Soro-apim demnnique 
Sarapim, nnucupatum. 

Porphyrius autem philosophus Sarapim cum Plutone con* 
fundity ut ca soli vis, unde proveniunt opes, Orcus et Pln- 
ton et Dis pater appellotur, quatenus autem vitium terra 
sentit ad Sarapim pertineat; abstrusique intra terram ignis 
inditium purpurea Dei vestis, infemae vero potestatis basta 
trunca, atque cuspis deorsum conversa sit. 

In Aegyptura translato Sarapi, templum prò magnitudine 
urbis extruetum^ loco cui nomen Rhacotis antea Aiisset. Apnd 
Tacitum iogimus : eius templi hostium anni certo tempore 
patefaciebant ipsi sacordotes, admotis ad rem divinam aqna 
et igni, quo4l baco dementa maxime praestent. 

Dominatu Julii Caesaris incendio consumptum recitafc 
Busebius. Illud addimus ex Plutarcbo Alexandriae primum 
indigitari coeptum Sarapim, Aegyptiorum lingua Plutonem 
significante vocabulo. Is fingebatur hunc in modum : prae- 
stanti forma atque aetatis iutegrae iuvenis, qui subieeto ca- 
pite vetusti operis quasillum gestet. In quo Macrobins, is 
qui deos omnes ad unum solem confort, ipsius sideris alti- 
tudinem siguificari contendit, et vim rerum omnium terrena- 
rum capacem, quas immissis radiis ail se rapiat. . 

Imago vero tricipitis animantis adiuncta simulacrO| quid 
aliud quam tripartitum tempus ostendit, in id quod est, 
quod fuit, quod futurum estt In leonis ergo capite qnod 6 
tribus medium se altius erexerit, tempus instans exprimitori 
inter praeteritum futurumque tam breve, ut quibusdam nxù^ 
lum videatur; iu cui*sd enim semper est, it et praecipitafe, 



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130 A. JANI PARRHASU 



ante desinit esse qaam vonit. Est onim leo natura fervens 
ac in agendo quod iinminet validus. Teinporis vero praeteriti 
cervix lupi rapacis a sinistra parte oriens argumentum ore- 
ditur, eo quod por id animai rerum transactarum memoria au- 
fertur. Oeterum canis caput a dextra adulantis specie renidenS| 
futuri temporis eventum declarat, de quo nobis spes licet 
incerta blanditur. Quis enim non suas cogitationes in lon- 
gum porrigit! Maxima porro xìtae iactura dilatio est; illa 
prinium quemque extrahit diem, illa eripuit praesentia, dum 
ulteriora promittit; perdimus hmlicrnum, quod in manu for- 
tunae positum, disponimus, quod in nostra dimittimus. 

Olamat ecce poetarum maximus, velut divino ore in- 
structns: 

Maxima quaeque dios aevi prìuia fugit* 

Quid cunctarisy inquit, quid cessasi nisi occupas, fngit; 
cum occnpaverìs tamen fugiot. Itaque cum celeritate tem- 
poris utcndi velocitate ccrtandum est, et velut ex torrente 
rapido nec semper cnrsuro, cito hauriendum. 

Audio te esse egregiae indolis adolcscentulum, animo 
alaorem, ingenio potentem, frugalitatis et continontiae in 
istis annis admirandae, patientcm laboris, a volnptatìbus 
alienum, fìrmiterque laturum quicquid inaediflcare, quicquid 
tibi fortuna voluerit imponere. Cui si nondum omnos ad 
unum bonos libuit excindere, si nomen Aragonium propitia 
respicit, te, lapsis tuorum rebus, incolumem servabit, discet 
abs te clementiam mitissimoque principi mitis aliquando fiet. 
Tu rursus maiores tuos intueri debes ascitos coelo, ope- 
ramque dare ut nude per iniuriam deiectus es, industria vir^ 
tusque te reponat. Ante meos obitus sit, precor, ista dies. 

Deditus ac devotns 

JAMU8 PASBHASIUB 



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IV 



OHATIO I IN ALEXANDRUM MHiUTIARUM 

Mediolani 1501 (Cod. V. D. 15) 



0) 



Ismcnias ilio Thcbanus, sammus oetate sua libiceli, 
quos in arto discipulos habobat, iis auctor erat ut alios eiaa- 
dom studii profossores ot quidem malos adiront. Quod ita 
foro putabat, ut ot illi quid in canondo soqaondum aut fa- 
giendum essot ab alionis erratis erudirontur, ot oius alioqniii 
non iniucundao modulationi, oomparationo peioris, gratiae plus 
aoooderot. 

Id nos oxomplum, quod maximo probaromus, in usnm re- 
vocano tentavimus: an aliunde factum putatis, ut iUam pocudom 
(Minutianum) vos audituin misorim^ quam ut roconti perìculo 
cognoscatis quid intor Apollinis ot Marsyao cantnm differatt 

Non dubito, qnae vostra sagacitus ost, qnin onmes in- 
tolligatis illum noo ingonio, noe oruditione valore, qui per 
se nihil unquam parit, ab aliis omnia suppilat, ao ut igni^ 
vissima volucris relictis cadaveribus saturatur, ot, quo nihQ 
impudentius, oiusotiam, quom tortio quoque verbo crudelissime 
lacerat, quo se potiorom iactat, inventa recitare -pro som 
non oruboscit. 



(1) V. huius op. Gap, li, pag. 40 et aeqq. 



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132 A. JANl PARBHA8II 



Audistis, arbitror, audistis, ornatisf^imi mveues, cum, nu- 
dins quartns an quintus abbino est, poctarara genera nostrìs 
tantum non verbis enumeraret, quaeque nos anno superiore 
ex auctoribus graecis accepta, vobiscnm oommunicavimus j 
eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, magno verbornm 
strepitn blatteraret. 

Et audety proh Superi, se nobis ilio eomponere ! qui 
negligentiae nomon suae praetendit inseioiae, qui turpe non 
dueit oeoupationibns excnsare, quod haotonus magistri per- 
sonam non sustinuisset et satis buio inelytao ei>itati factum 
putat, si prò tot annorum iactura recipiat in posterum foro 
diligentem. Quae cum dioit homo parum consideratus non 
yidet alterutrum necessario sequi : aut ante adventum meum 
ab ilio Tos esse despectos, ad quos illotis, ut aiunt, pedibns 
et imparattts acoederet, ut, si quid in litteris curae posthao 
adhibuerit, eius omnino mihi gratia deboatur, cuius opera 
sit effectum ne vos, ut antea, scopas solutas existimaret; aut 
certe illud se non amore disciplinarum, quas arrogantissime 
Sibi vendicat, non virtntis, a cuius itinere iampridem longius 
aberraret, non suae denique existimationis, quam post um- 
bram lucelli semper habuit, ad hoc adductum, sed spemer- 
cedis, quam desertus erat a vobis amissurns. 

Et Ì8 unqnam poterit illum quaestum, quem non ex of- 
ficina sed laniena librorura quam maximum facit, vestris ra- 
tionibus non anteponeref non hercle magis quam pisois in 
Bieco TÌTere« 

Nam ubi cupido diTitiarnm invasit, ncque disciplina, 
neqne artes bonae, ncque ingenium ullum pellet, ut non 
minus vere quam graviter ait Sallustius. Sed fac eum maxi- 
me velie: quid tandem praestabitf an alius nuno est quam 
olim ftiit, cum per libellos a Senatn toties efiBagitatus ut ab 
aede Musarum raucus hic anser exploderetur T nempe ille 
ipse est et aliqnando tot annorum cessatione deteriora 

Sed quid hoc refert, si discipuli non facilitate sermonis, 






■ i^ ii . ■■«. »m n mwtt* fi *»m,mii i ,Ama d j T b ^\''mì k 'ì è Ì%tV m0 m imi tì mktmmwt h mut m m^m T »éb'^^mmmmÌèmiJÈm 



ORATIOXES ET SPISTULAB 13S 



non rerum memoria, quod par esset, seti oviclianis ariibns 
alliciuDturf An non illius earmiais in meutem venii: Pro- 
mittas facito ; quid enim promittere laodit. Pollieitis dives 
quilibet esse potest. Invenias aliquos adeo veeordes ut oas- 
sam spem precio mercentur et quo, dii boni, precio ! iactar» 
temporis; quo nihil esse preoiosius in vita qui Theophrasto 
mature non erednnt, exacta mox aetate, sero sentient. 

Qnod ne nostris auditoribus usu veniai, si unquam àlias 
in praesentia diligenter seduloque cavebimns, cum mea spenta 
vestrique causa, quibns ut amantissimis nostri consnltam 
volumus, tum ne P. A. Stephani Ponoherii, Senatus prìnoi- 
pis, ao sacrosancti nostri regis Archigrammatioi fidlere iodi- 
cium videamur, quippe quum nos, qui summus honor est, 
snis aanumeret ao, ut est in bonos omnes muniflcus, muo- 
ribus in dies auctet praemiis, ut Glaudiani mei Carmen usur- 
pare iam libeat: 

Crescite virtutes fecundaqne floreat aeUt, 
Nfciu patet ingeniis campus, certusque inerenti 
Stat favor ; ornatur propriis industria doni». 
Surgitae sopitae, quas obruit ambitus artes : 
Nil licet invidiae, Stephanus dum prospicit orbi. 

Non est amplius vulpi locus, nusquam iam nebnlones, 
nusquam Lysonis excussor emissarius, iacet cmentus iUe da- 
lator, in acie linguae qui nccem gerebat. Quod si verum non 
est, nec malis artibus, ut omnes afiirmant, sed, nt ipso glo- 
riatur, industria pervenit ad opes et dignitatem, dicai, db- 
secro, cur nuno cadem non assequitur, quando nberiora tìp- 
tutum praemia sunt proposita , naetus indnlgentissimam 
Praesidem, qui benigna fovet ingenia T cur ad enm sàlutan- 
dum nondum venit? Nempe quia noctua solem fingit, neo 
audet homo lovissimus illi trutinae se committere. Sed 
Tersipeìlcm, quem, ut Lysonis sui suecessorem, intrinseoos 
odit, foris amare simulat, de quo ad aurem garrit, eundem- 
que palam laudat, ita frigide tamen ut ad noTeroae tomn- 



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ÉL. JANI PABRHASn 



Inni fiere Tidentur. Sapienter Kurìpides, cnins singalos versus 
singula testimonia putat Cicero : intempestivos, inqnit, amor 
a simnitate parnm differt; sed utinam faxit iUe deus ut 
sumrais aliquando beneftciis affeetns , Pater amplissimus 
(Poncherius), te enim absentem tamquara praesentem appello, 
tibi amiens sit ; hoc enim cum tibi opto, opto ut beatus 
sis ; erit enim tam din vir modo harum, modo illarum par- 
tium fldns nemini, ao in sua levitate tantum constans. Et 
ille suam vitam mecum contendit, cuiu^ nulla pars corporis^ 
a turpitudine vacat. Sed nimis evecti sumus ob huius vix 
hominis importnnam perditamque petulantiami qui iamdudum 
princeps in urbe, quam Philippus in Thracia condidit, Po- 
niropoli, nemini parcit, oblatrat omnibus, omnium dieta fac- : 
taque probris insectatur, ac ut immundus sus cum suibus • 
volutari quaerit. 

Krit aliquod tempus quum huius insaniae gra^nores mihiy 
poenas dabit; nunc ad ipsum Statium transeamus, in cuius 
auspiciis uihil est mihi commune cum ceteris. Illi poctam lau- 
dibus in coelum tollunt, id ego mihi faciendum non puto, 
primum ne videar in laudando conterraneo meo mihi piacere, ■ 
deinde ne quis in nos torqueat quod olim Spartanus ille 
citharoedo nescio cui, qui non suo tempore laudabat Hercu- 
lem: quis eum vituperat? Nam Statium, quem laudant om-. 
nes, accusat nemo, defendere, quod ali! tentaverunt, prae- '' 
terquam quod ineptissimuni duco, hominis esset non intelli- 
gentis, poetam, ipsa vetustate extra aleam iam positum, 
sollicitudine defeusionis in dubium revocari. 

De nobis*autem magnifico quicquam praefari, quod nunc 
a doctis indoctisque iuxta fit, adeo consilium non est, ut 
omnia experientiae relinquamus, ad quam statìm descendam, 
quom de poetae vita panca dixero. 



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ORATIO II II ALEXAIDRUM MIlDTIAlOy » 

MedìoUni 1501 (Cod. V. D. 15) 



Non vodì responsanis, ut snspicaminiy maledietis Jnr- 
gationibus et conviciis, quibos hesteraa die nequìssiniiis iDe 
bipedum, non tam me, in quem Ula minime cadnnt, qnam 
sanctiBsimas anres vestras oneravit; alind certe tempns, 
aìium locum illa sibi poscit oratio qnod, ubi constitntam 
mibi faerity eflìciam nt sciatis. 

Adesto tantum frequentes, honcstissimi iuvenes, intel- 
ligetis profecto quantum profuerìt vanissimo nebuloni inno- 
centissimum hominem tot immanibus calumniis provocasse. 
Spondeo recipioqne voluptatem vos haud exiguam perceptu- 
ros; non cnim me fngit vos omnes cupere temeritatem tot 
annorum impunitate confìrmatam quandoque retnsam spoetare. 
Itaque libcntius aggrediar, datnrus vobis varìam ridondi ma- 
terìam. t Proinde ieiuno stomacho faciendum non erit. » Illud 
autem diffcrre non possum. Quid est, per deos immortales', 
quod ita soUicitius a nostra auditione vos arcet, adeoque 
deterret, ut etiam, si diis placet, homo sordidissimus edictum 
proponatf quid est, inquam, nisi illud prohibet vos a oo- 



(1) V. huitts op. Gap. V, pag. 45 et seq. 



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▲. JANI PABKHABn 



gnitione doctiorum, quo diatius in admirationc sui detineati 
apad quera quantum proficiat quisque sontitf Sua cuiusque 
ros agitur ; per me sit omnibus integrum audire quem maxime 
probat. Equidem neminem invitum detineo, neque si velim 
posse confido, quod Appula musca saopissime gloriatur. 
Quoties onim pracdicasse creditis ita discipulos addiotos ha- 
bore, ut ne ipso quidem Varrò, si reviviscat, co plures Me- 
diolani sit habiturust 

Scd illud gravins, dicam autem quod ab co milies au- 
divi : Yos a pccudibus differro quicquam negat. Non onim 
ratione, ncque iudicio, scd impctu quodam ferri, contuma- 
citerqne contendere prò sententia, cui quisquo semel inhae- 
serit. In Tobis uunc est enScorc, quominus nimiae licentiae 
littcrator ca vere dixerit, neque committere ut patientia 
nostra diutius abntatur. 



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VI 

ORATiO AD SENAIUM MEDiOLANENSEM ^'^ 

1501 (Cod. V. D. 15) 



Gratulor litteris, |i:aiuIoo mihi, Patrcs optimi, qui tandem 
iuveni qiiocl diu multumqne frustra clcsicleraram, ne nostri 
temporìs priucipcs aut eorum ma;;istratus, in quorum manu 
rcs est, tcmoro cuipiam docendi munus iniungeront, quo nihil 
indignius, nihil roipublicae porniciosius excogitari poterat* 

Non cnini parum rofert quam quis initio disciplinam 
sortiatur; nam quae teneri percipimus altius animis insidunt, 
ao ita penitus radices agunt, ut nuuquam, vel certe difficulter 
eyelli quoant. Intellcxit hoc prudentissimus vates Horatins 
et hunc in modum testatus est: 

Quod semel est iiubuta recens servabit odorem 
Testa dia. 

Deinde subdit: 

. Sinccruin est nìsi vas, quodcumque infundis acescit. 

Habeo vobis gràtias et quidem maximas, viri clarissimi, 
ac si facultas darctur, etiara referrem, qui de nostris studila 
adeo solliciti estis, ut me, licet illnstrìs amplissimique do- 



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V. buius'op. Gap. V, pag. 47 et taq. 

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A. JANI PUSRHASU 



mini Oardinalis Bothomagensis, qui Ghrìstianissimi regia 
personam sastinet| iudicio comprobatum, non tamen prius 
admiseritis ad eradiendam Mediolanensem iuventutem, quam 
vigilantissimis vestris ocalis exhibitum aliquod porìoolnm fa- 
cere spectaretis. Non enim nobis exciderat illud Plaatinum: 

Pluris est oculattts testìs unus, quam aoriti deeoin. 

Novistis, Patres optami, novistis quid hoius sanotissimi 
Senatns ordinem deceat: non oportero mmusoolis bominnm, 
neque simplici cuinsqne testimonio facile credi. Oondonant 
pleraque mortales odio, nonnulla etiam gratiae ; ncque reve- 
rendissimi domini Gardinalis divina mensy gravioribus ne- 
gotiis occupata, minimis quibusque vacare potest. 

Quid vero nnnc agam, viri clarissimi, quom sere già- 
diator in barena consilium capiat mibique necesse sit in 
consessu disertissimi Senatus, virorumque doctissimorumi 
quos adesse iussistis, ex tempore verba faceref Fateor hoc 
etiam periculum bone pcriculo nos quandoque fccfsse ; sed 
in ludo litterario, non in foro; sed nostri generis hominibns, 
non tot eloqucntissimis viris et illa auctoritate praeditis 
audientibus, qui, quoque me verte, virtutum fulgoribus in- 
gentes occurritis. 

Sed unum me, Patres optimi, consolatnr, quod apnd 
prudentes, ut in lucubratis operibus censura severior est, ita 
in snbitis orationibus venia prolixior; nulla enim res potest 
esse eadem festinata simul et examinata, neo esse quicquam 
omnium, quod habeat et laudem diligentiae suae simul et 
gratiam celeritatis; Bxstant a nobis evigilati commentarii atque 
leguntur, in quibus non recuso vel.etiam malevolorum subire 
iudicium (1), dummodo ne quid ingenio valeamus ex hac tumul- 



(1) TttDo Parrhaalat iam ediderat laculentissimos commeDtarios, qui 
iDscrìbuDtar: Corneliut Nepos De viris iUusiribus, MedioU. 1500; Sadalii 
Carmen Paschaie et Prudentins, Mediol. 1501 ; Comm. De Rc^ffiu Pre- 
eerpinae CL Claadiani, Medici, prid. Kal. Sext. 1501. 



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ORÀTIOMKS BT BPISTUULB 139 



tuaria dictìone stataatis. Neo opes, arbitror, in nobis exigitìs 
so<l virtutem, quae pauportati praoclusa nanqaam fiiit. Im- 
mo paupertas iam pridem virtutis et doctriDae contubemalis 
est, fragiy sobria, parvo potens, aeinala laudis, habita secnra, 
calta simplex, Consilio benesaada. Haeo in Aristide insta, 
in Platone benigna, in Epaminonda strenna, in Socrate sa- 
piens, in Ilomero diserta fiiit, nt non ininrìa apnd Graecos 
Baripidis poetae versus proverbii vice iactetar: ircv/a ii 
fjcur,y tkayit^ idest sapientiam sortita paupertas est; et 
Oarthaci, qui sub ipsis nostri maris Aucibus habitant, eandem 
simul et artem prò nnminibus venerarentur, artem ut ampleo- 
tendam, paupertatem vero ut ipsius artis calcar etincitabn- 
lum, quod ita nos esse certissimo documento deprehendimos; 
quippe qui, dum iutegris opibns et incolumi patrimonio domi 
florebamus, litterarum studia remissius assectabamur; ubi vero 
communis iUa tyrannomm procella nos, nt bonos omnes, in- 
volvit, ardenter adeo mansuetioribu^ musis operam dedimnsi 
ut et nos hactenus non poeniteat, et ab aliis idonei existi- 
mati simus, qui BomA«, in arce totius orbis terramm, or»- 
toriam publice proAteremnr: in quo rev:mns dominns Sancti 
Georgii Gardinalis me mentiri non sinet, ne forte nos ezi- 
stimetis, ut dicitur, in dolio flglinam velie discere. Quod si 
praeiudicio rev:mi domini 0ardinali9 Itothomagensis, ut par 
est, assentiemini, cnrabimns nt suscepta de nobis opinio vos 
frustra non habeat, et hnius indytae urbis civos iure queri 
non possint, eomm liberis 'a vobis male consultam. Non 
enim, quod a nonnuUis fieri solet, mores cnm honore mn- 
tabimus, sed in dies magis magisquc enitemar, ut vestris 
mnneribus indigni non habeamor. Dixi. 



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ORAIIO III m ALEXANDRUM MINUIIANUM ^^ 

Mediolaiii 1501 (Cod. V. D. 15) 



Decreveram, fatcor, Patros optimi, vosquo Risortissimi 
iuvonos, hodie non tam diluero crimina, quae potulantissimus 
ilio rabula, dies. abbino quintus an soxtas ost, in nos evo- 
muity quippe qnae nomo vostrum non iutcUigit anele profl- 
oiscantnr, qnam quo decet ore bipcdnm ncquissimum remor- 
dere, quo si quam voluptatem male dicendo ccpisset, eam 
male audiendo amitteret, quom praosertim notisslmae teme- 
ritatis homo nostra patientia abuteretur, ac in dics fteret im- 
portonior, ut Torendura mihi esset, ne verum Publii Carmen 
experirer, et veterem ferendo iniuriam invitarem novam. Quo- 
niam rero nonnulli et ii quidem boni viri, nostrique, nisi falli- 
mur, studiosi, me convenorunt, amice monentes, ne cum inso- 
lentissimo oirculatore iurgiis velitarer, qui non tam iudioio, 
quam morbo animi, bonis omnibus convicietur : sic in Julium 
Novariensem, sio in Baphaelem Begium, sio in Baptistam 
Pium, perhumanos illos quidem, et, ut a multis audio, bene 
doctos, quasi furore quodam percitum, olim debacchatum 



pag. 



(1) V. halut op. Cap. Ili, pag. 27; Gap. IV, pag. 36 et saq; Gap. V, 
. 45 et Mq, 



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ORATlOlilKS BT BP18TULAX 141 



esso; proinde negligerem, nihilqae rcsponderomi nisi compar 
ei 8iinilisque vidori vellem : id cnm aiI optiinaram ai'tium soien- 
tiam et huinanitatem, quain profltcmury pertinere videatar, 
soquutus sum eoruin Toluntatein ac iudicium. Quod ea de 
causa libcnter feci, ne Demetrium nostrum (1) offcnderemusy 
qui prò sua gravitate ac sapicntia, et calnnmiatoris levitatem 
aspernatus est, et in me desiderasset facilitatemi ad qoam 
ipso natus est et institutus. Qnare quia semel oblivisci màlai- 
mus iniurias, quam persequi, obiecta tantum rofellam, de 
homine nihil dicam. 

Verum ut intelligat quantum beneficium a vobis accepe- 
rit, qui vostra auctoritate effocistis, ne parem mentis eiiis 
gratiam reforrem, quam brenssimo pancia exponam, quae in 
eum regerere potnissem. Ncque vero dicturus eram, Pft- 
tres optimi, quam turpiter in agro Piceno prìmum, mox Ve- 
nctiis, egisset pueritiam, quod crimen non tam suum quam 
patris videretur, qui summam tuuc in eo potestatem habe-' 
bat; sod ca quae robusta iam aetsito Mediolani designavit: 
honiicidia, furta, rapinas ; oinisissom stupra et flagitia, quae 
honeste dici non possunt, quibus impurissimus ganeo cooper- 
tus totus est (2). 

Quid est ? num mentior ? Ecce Pindari codex est in eins 
manu, quem vir integerrimus Bartholomous ille Chalcus in- 
volatuui sibi diu frustra quaesivit. Num veteres, nescio qnos 
Lucaui comineutarios, a Merula suo iure compilavit, quod Ì8 
eum, quem facturus videbatur, haoredcm testamento praete- 



(l) Um tum Parrhasius in intìinam Demelrii CalchondyUa amicltiam 
pervonerat. — V. huius op. Gap. VII, pag. 60. 

2) Ira incitante, Parrhasii oratio in probra et maledicta delabitor. 
Quis vero eum iure moritoquc insiniulare poterit, modo trìstem hoiatce 
saeculi circuniftpcxerit conditionem, malumque permultorum grammati- 
corum ingenium, qui ab acerrimis iris odiisque minime abhorrentet, 
ctiam 8anae pacataeque mentis doctores ad iurgia lacessebant f 



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142 A. JÀlfl PÀBRHA8U 



riisset f Et qaem carnificem plnres homines qaain suis dela- 
tionibus huno occidisso existimatis f Ilio est ille, Patres opti- 
mi, qui nostrum iUnm praesulom, repetnndarum nuper dam- 
natum, in nostras domos, in nostras fortunas, in nostras 
cervioos incitabat. Doletis amissos amantissimos nostri cives f 
hic Yobis abstulit; dosidoratis vestros liberos ant affines 
extorres f hic a pati'ia fugavit. Is infonsam illam beluam 
Yobis rcddidit, is immanora, qui nullo non die, quasi de vobis 
aliquid comperisset, ad aurem eius snsurrabat. 

Atque oum haec ita sint, ausus es, o Minutìane, (te enim 
absentem tamquam praesentem appello) homicidium mihi 
obiicere, cum tot illustres etiam viros, tuis praestigiis, tuis 
calumniis interfeceris f Utinam tam rerum tnum quam meum 
crìmen hoc esset; orbatam certe tot pracstantissirais viris 
hanc urbem non videremns ! " 

Ego, si nescisy versntissime veterator, non patrata 
caode, quod ipso fingis, sed odio tyrannidis patria cessi, 
l^rannidis inquam, quam non magis ego forre didici, quam 
tu non assectari. 

Quid 08 distorsisti, vulpio versutiloquax f quid os di- 
storsisti ! Idne etiam negare persevei*as, quod ipsius Ty- 
ranni litterae testantur! (1) has tu, quaeso, lego, ut impo- 
nant huic impudentissimo pudorem. 

Audistis, Patres optimi, audistis, ut Friderìcus, qui tum 
rerum Neapoli potiebatur, per epistolara nos in i)atriam re- 
vocat, ut nullum patratae caedis aut homioidii verbum fa- 
citf Si quid autem horum, quae calumniator iste mentitus 
est, admisissem, quo nos facilius ad se traheret, id quod ex 
litteris cupere prae se fert, impunitatem certe polliceretur, 
cuius hic mentionem Aeri nuUam yìdetis. 

Nnnc autem quom nostrae fugae ratio vobis constet. 



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(1) Epistula baec desìderatur ana cam saxeentis aliis qoas Parrhasias, 
ut ìd Valli Apologia scriptum leginias, ab Aragoneis a€cepit« 






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ORJLTIOHSB KT BPI8TUIJLB 143 



velim mihi respondeat invidus obtreoiator quid dt car ipso 
quadraginta totos annos in exilio consumpsit. Nam ea vera 
causa sit, qnam ipse speciose iaotat! tam propudiosa tam 
turpis est, ut ne acerbissimo quidem hosti patiar obieo- 
t^iroi ne sanctissitnas vestras aurcs portentomm memoratioiìe 
polluamus. 

Et etiam vanissi mns nebnlo beneficia nobis exprobrafc^ 
quod apud se recepit, quod litterarum Indnm communicavit. 
Id ego quamquam semper prae me tuli, maini enim me de- 
bere faterìy quam cuiquam minus prudenti non satis gratus 
Sideri : die tamen, obsecro te, vir bone, idne benefloinm 
tuum vocas quod, si bone tibi, mihi damno ftiltt 

O diem funestam, o diem semper poenitendam! Qnid 
ex illa socictate praeter vigilias, praeter labores, praeter 
iuvidiam, quod denique praeter sugillationem ad me pervenitt 
Scis quid machinatus sis, quid struxeris et andes id 9^ 
pollare beneftcium 9 Quanto satius, quantoqne melius fuissei 
obducta iam vulnera non rcfricare. Meum fnit illud in te 
boncficium, si nescis, meum, si te domi, foris, in re privata, 
in re publica, in studiis invi, sustinui, fovi. Pndet fateri 
qui me vicarium (!), qui discipulos erudiebam solns, et emen^ 
dandi provinciam sustinebam: quam diligentiam si vel antea^ 
vel nunc adhiberes, nunquam Ciceronis opera adeo depra- 
vata, manca, corrupta legerentur, aliaque praeterea nonnulla, 
quae tu, qua stum sequutus, imprìmenda curasti. Qnid quod 
mea opera liberalitatem tui Lysonis provocasti et qui nnn- 
quam versus, aut certe malos, facis, repente tamqnam somnio 
poeta factns, ingenii praemium accepisti et annnos quadra- 
ginta consequutus es'aureos. Extaut ecce carmina quae me 
mentirì non sinunt, quae qnoniam video vos id expetere, 
non gravatim iubebo recitari. Transeo cottidiana mea in te 
officia, missa facio interiora nostra studia, quibus adhue 
spiras et auram trahis, quibus, ineptissime, tibi placca, non 
sccns ac pica salutatrix, quom voces humanas imitatnr. 



>!■ I nn , - ,., ^i TI ir ■• • f. P.A .-•. , ^^..^. ■^■^ ; „ ,,,, ---, 



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144 A. JkSl PABBHASn 



Qnod si non tantum profecisti, quantum par osset, tua 
non mea culpa taxi ; quid cnim facias homini tot quacstuariis 
artibus occupato? lam vero illud cuiusmodi fuerit, omnes 
probe nostis, quom Julius AeinìliuSy vir, ut a raultis accepi, 
plurimae lectioniR, ex hoc loco, prò dii iramortales, (et au- 
debis negare ?) manifestissiinis arguinentis, omniuinque con- 
sensu te reum lancinati, praecerpti inversique Cicoronis 
ageret. Ego quom tu ingratnm vocas ( piget horcule memi- 
nisse) suscepi tuas partes et quidem iniquissimas, quantumque 
in me fuit, indefon^um non reliquia tuoriquo conatus snm 
oum summo capitis mei periculo, ut vestrnm plerosque me- 
minisse conAdo. 

I mine et confer illa sapidissima tua tuceta, illum pa- 
nem secundarium, illam vappam, quam nobis appouebas. 
Neo eo dico ut expostulem, qui potus cibique (quod tu non 
negas) parcissimus semper oxtiterim; sed compononda fue- 
runt aliquando beneficia, ne tibi semper ingratus viderer. 
Quod si nihil praeterea contulissom, nonne minerval mea 
diligentia quaesitum satis est ad aequandas rationes f an 
tuas dumtaxat in ephemeridem contulisti, quod facis cum 
papyri glutinatoribus, quos semper aliqua summa defraudas f 
Vae tibi si non intelligis minorem lucri quam fldei iacturam 
esse 1 In quo ingratus tibi videor ! an de vi queri non debui, 
ne ingratus tibi viderer 9 Ao in illa querela quid est dictum 
a me cum contumelia, quid non moderate, quid non remis- 
sins quam scelerìs atrocitas exigebatf 

Sed alibi furoris arcem habet callidissimus veteraton 
invidia miser aestuat, invidia coquitur, invidia rnmpitor, 
nollet extare cuius comparatione detegeretnr, Andistis, eru- 
ditissimi iuvenes, audistis cum clai*a voce clamaret : descende 
de pulpito, si vis ut taceam. Egone descenderem, stolidis- 
sime, ab ilio suggestu, in quo certa disciplinarum ratione 
locatus sum, in quo me Pater amplissimus et divinus Car- 
dinalis Botbomagensis, approbante universo Senatu, statuit t 



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OKATIONB8 KT KPISTULAX 145 



Itane padorom cnm pudicicia siinul amisisti, ut istis oculis, 
istis fauoibus, isto crine ad lenociuium composito, tanto 
Praesidi, [j^rnvissimoquo ordini to oppouas, et eum de grada 
deiieere temptos, quein venernndus Princcps, quem sanctia- 
simus ortlo praeceptorcm declaravit, laudavit et suo testi- 
monio decoravit ! Quoti, ne quis a me flctum putet, auscul- 
tata), quaeso, diploma (1). Accepistis, Patrcs optimi, qui- 
bus me verbis froquous Senatus ornavorit: et audet nimiae 
liceutiae litkMnitor edicere, ne quis ad nos accedat, ne quia 
auditum veniatf 

Seti quid infelix a«;:at! videt aliter se stare non posse, 
arcet vos a nostra auditione, ne quid inter utrumque distoi 
agnoscatis, ut vos diutius in admiratione sui detineat, cum 
summa reipublicae iactura ; quid cuim doceat praeter strì- 
bliginem aut ventosam loquacitatem , qui dimidio stultiorea 
dimittit auditores quam aeccpit ! Et erit qui posthao tam im- 
peritum, tam pctulantem, tam temerarium ducem sequaturt 
erit qui liberos credat! qui suas aures accommodett 

Hos cgo^ si qui tnmt, non tantum facile patior, sed 
etiam votis opto no nos auditum veniaut ; quid cnim aliud 
esse crodamus, quam veeordes, aut certe non bonos ! Quare 
quoniam satis apud vos, a quibus prubari cupio, videor expur- 
gatus, flnem dicendi iam faciam. Si quid autem nostra ora- 
tione offeusi estis, iustius illi quam mihi succensere debetis, 
qui initium iutroiluxit. Ego dabo operam ne in ftiturum hoc 
in genere gravis sim. Itaque noe iuimicum duco» nec ami- 
cum recipiam. 



(1) ExsUt diploma, ouius hio mentioDem facit Parrhasias. ^ V. 
httias op. Cap. V, pag. 47, n; {!)• ^ 



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PBAEFAIiO IN PEBSIOM^) 

Mcdiolani 1504 (Cod. V. D. 15) 



Chilo, sapiens uuas e scptom quos votostas in Graecia 
consecravit, iam senez eoqao prailentiori nam serìs venit 
usus ab annis, ut inqnit Ovidins, qnom forte qnompiam glo- 
riantem audisset nnllam se inimicum habere, an nuUam e- 
tiara amicnm haberet, interrógavit, amicicias et inimicioias 
iuvicem consequi et addaci necessario ratus, ut apnd Gellium 
Plntarchas memorat. e Hai >, in Aiace farente Sophocles ita 
monet, e hac fini amcs, tamqnam forte fortuna osurus, bao 
itidem tenos oderis, tanqaam paulo post amatams >• Per tot 
onim vitae salobras quis ita circomspecte potest incedere 
qain offensiones aliqnando non incnrrant f Sammae illnd qoi- 
dem felicitatis est dnas forocissimas affectiones amoris atque 
odii intra saam qnamqne modom continere. Qnod si minns 
contingaty qaom non omniam sit in Gorinthnm navigatìo, 
proximae laudis illad est ad lenitatem nos qaam primom 
dare, nec in vita mortali inimicicias perpetnas exercere. 

Minutianos Alexander, nt scitis, annis abbino daobns, 
an tertins agitar, ex hospite factas hostis, utrins colpa dicere 



(1) V. httius op. Gap. V« pag. 60, 



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ORATIOIIKS BT SP18TUULX 



147 



supersc<Ieo, quando fero iufftum quisque affeotum iudioai 
quem agnoscit, amicis auctorìbus, in gratiam mecum rediit, 
et eanii qnod est in me, mansuram seniper : atque ita forOf 
Deum optimum maximum quaeso. Fecenint hoe ante nos alii 
complurcs, quorum vestigiis insistere quem pnderet t M. Ae- 
milius Lepidus, Fnlvius Flaecus, Livius Salinator, Olandios 
Nero, Tiborius Gracchos , Africanus Scipio, M. TuUios, 
0. Antonins, ii non solum sino crimine Icvitatis, sed etiam 
cum laude simultatis acerbitatom deposuerunt. Nam multo 
speciosius est iniurias clemcutia vincere, quam mutui odii 
pertinacia. Quapropter omnia praeterita malcdicta, qnae non 
voluntate, non iudicio, ( quod ipse non negabit ), sed ira 
percitus, in nos effudit, familiaritati, qua mihi coniunctns 
olim fuit, et amicorum precibus condonavi ; quom praescrtim 
intelligerem satis in eo Pontifici meo facturum, ne momm ^ 
facilitatem, ad quam ipse natus est, in me desideraret. Ac- 
cessit et alia causa non levior, quod noUem simnl alterca- 
tionibus ozimi diem, simul honestissimas aures vcstras iUi- 
beralibus conviciis onerare non citra iacturam temporis evi- 
dentem, qua nulla pemiciosior, ut Theophrasto placet. 

Et verebar ne contentiones huiusmodi nostra Consilia 
pcrturbarent, quae penitus in eo flza sunt: aliqnid utilitatis 
nostris hominibus afferro, nec levibus occupatos studiis, ezi- 
stimationem bonorum mereri, nec ad eam rem labori parcerOi 
qui generosos alit animos, ut sentit Seneca. Quare quom 
vobis anno superiore Papinii 8jflca$ prò virili diligenter 
ezposuerimus, in praesentia, Snperis approbantibus, in eamm 
locum Nasonis in Ibim Diroij Horatii Foetteam^ Persiiqne 
Satyroi suiBciemns, eius quem Lactantius, quem divns EUe- 
ronymus habet apctorem 



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IX 



PRAEFATiO IN THEBAIDA^ 

Mediolanl 1504 (Cod. V. D. 15) 



PrìnBqaam destinatam mnnus aggrediar, oniatissimi aa- 
ditores, consilii mei rationenii cnm in ducenda nxore^ tum 
in hoc potissimum poeta promulgando reddendam censui. 

Ego quom prìmum appnli in hanc inclytam civitatem et 
latissimo dignam imperio, eins amplitudine captus, hanc 
animo meo propriam sedem flxi. Nam, post illam felicissimam 
Gampaniae oram, unde nos armorum strepitus exclusit, in 
tota Italia nullum usquam seoessum solo virisque meliorem, 
quique mihi Mediolano magis arrideat, inveni. Adhnc enim 
retinet rerum copiam, innumeras et cnltas demos, virorum 
focnnda ingenia, antiquos mores et quae praeterea ceoinit 
Ausonius. Itaque velut. oblatam caelitns occasionem docendi 
non invitns arripui, proque mea virili parte enixius operam 
dodi, ne vobis essem pudori, aut inter grammatices Italiae 
professores ultimus • Ut multorum iudioio ridebar assequutus 
quod optabam, apud eruditos aliquam in litteris opinionemi 
apud optimos qnosque benevolentiam non vulgarem ; quom- 
qne nostra studia ita oculos attòllere coepissent et braohia 
movere, ut pristinam dignitatem recnperatura yiderehtur:' 



(1) V. haius op. C^. VII, pag. 61 «t taq. 



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ORATIONSS RT.KPISTULAB 149 



ecce tibi caocis invidiae tolis impeditasi ^arum àbftiit quin 
animi conscientia securas intor oscitantos opprìmerer. In 
tanta rei notioia nihil opus est immorari ; non enim vobis 
ignota loquimor. Hoc ego periculo non minus ac deboi motns, 
ne patieutia mea iniurìam invitaremi quia certos insidiaram 
auctores non habebam, bilim,.ut ingenue fatear, in omnes 
effudi; unde auìmos a me vestros aliquantisper habui arersos 
cum maxime meo dolore. Quam ob rem iniquo meo fato ceden- 
dum ratus, quod, nulla mea culpa, uescio quomodo, semper 
obtrectatorcs invenii vel in Ulterìorem OaHiam, quo maximia 
praemiis invitabar , aut in Urbem Bomam ; Uluo enim 
T. Phacdrus, illius Academiae princeps, omniumque nostri 
temporìs eloqueutissimus, me per litteras accersebat.. 

Ea fama, ut mos est, emanavit, iuque dies magia m»- 
gisque gliscens, quosdam nostri nomiuis studiosos exanimavit;. 
ii me frequeutes adeuut: uno ore rogare, obtestari, contendere- 
ne committerem, ut quantum improbi discessu meo cresce* 
renty tantum bonorum consensus erga me debilitaretur ; ami- 
cicias inimicicias iuvicem contraili posse; bonorum ex levi 
olTensione in gratiam redire, si me ad lenitatem darem; ne- 
bulonum vero nullam habendam esse rationem, improboram 
nullam curam esse debere. Ut informatus a natura animus 
facile moveretur, effeceioint ii auctoritate recto monentinm. 

Sed ut aliquo praesenti pignoro me diutius in usum ve- 
strum fere declararom, placuit in spem prolis et rei familiaris 
Theodoram, Demetrii liliam, mihi adiungere, in qua non 
formam, quae in.ea mediocris est, ut. appellat Knnius^ non 
offertam dotem, quae male sijae moribus expetitur, animumque 
meum non facile capit, sed ingenuas artes, integritatem vitae, 
et super omnia patris eius afiinitatem spectavi, quo studio- 
rum adiutore, spero me vobis industriam diligeotiamque meam 
probaturum. Quare si ìiieìim erga vos animum nondum aliis 
in rebus perspicere potuistis, in hoc ad liquidum debetìs 
habere exploratum, quod in optanda uxore non opum, non 



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A. JANI PABRHABn 



Yolnpiatis, at alii| sed vestrae omniam otilituitìs haboi ratio- 
nem. Adianxi enim mihi viruni doctissimum, cnins assidno 
conviotu quantum studila nostrìs accederet in dica cxperìe- 
mini. Neque magis uxor impedimento nobis erit quam Mai-tia 
HortensiOy Plinio Calpurnia, Lucano Argentana, Statio 
Claudia, Apuleio Pudentilla olim fiiit. 

Prudentibus enim viris uxores ut in ampliflcanda conser- 
yandaque re familiari| sic in studiis magno sunt usui ; non 
enim sinunt avocari mentem cura parandae lodicis, aut pul- 
mentarii. Sed quid hoc ego pluribus excusoi quasi meum sit 
exemplum f quom difficilius sit invenire ex antiquis illis sa- 
pientibus, Socratem dico, Platonem, Aristotelem ceterosque 
quorum divini spiritus loquuntur aetemumque loquentur in 
libris, unum caelibem, quiqne procreandae sobolis curam 
neglexerit, sexcentos utique raaritos, praeter unum Biautem, 
cuius antistrephon et quidem inane non iniuria Favorinu^ 
elusit. 

Mihi certe satis est unius Antiquari! iudicium, hominis 
et doctissimi prudentissimiquc et ad unguem facti, cui nemo 
aetate nostra in aliquo vitae colore comparari potest. Is, in- 
quam, consilium meum laudat elegantissima epistola et prò 
me quodammodo spondet, uxorem studiis minime offuturam, 
quod ita ego praestabo, ut omnes intelligunt nihil de pristina 
diligentia mea remissum. Loquantur alii quod volunt, ego, tanti 
viri iudicio tutus, malorum invidorumque sannas aspemabor. 

Itaque ad ipsum pootam, ut proposui, iam veniam • • . 



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ORATiO m L, FLORUM^ 

Mediolani 1504 ( Cod. V. D. 1&) 



Ut qui non suft, sed fortunae colpa decoxit et solvendo 
non est, creditores in dicin blanda spe tollit, donec occasionem 
nomiuis asscqiiaiur, ita uos hactenuSy ut ingenue fateamur, 
inopia pressi, proniis.s«im toties Fiori lectionem sensim pro- 
crastinando distuliinus. Nani quid aliud, ornatissimi iuvenes, 
in tanta rerum dinicultate, quid aliud, inquam, facerem, 
quom publica stipendia non procederent, et, si quae prìvatim 
consequebar emoluinenta, \ix emcndis olusculis satis essentf 

Subit adniiratio si quando venit in nientem, quo pacto, 
tam procul a ineis, nulla re familiari, nullo praesidio ftaltus, 
huc usque magistri personam sustinucrim. Sed hoc equidem 
divinae priinum benignitati, deinde vobis acceptnm refero, 
qui tanta aurium clomentia nobis operam datis, qna nisi 
stetissem, meo certe studio staturum non fuisse piane scio. 
Optabat Aristodemus a diis immortalibus opes, ut est apnd 
Alceum, quoniam bonus esse pauper difficile posset. Et Homs 
Apollo, qui de sacris Aegyptiorum notis patria lingua scrìpsit, 
auctor est ab Aegyptiis doctrinam gentiliter appellari Sbo, 
victus ubertatem significante vocabulo. Quippe si viatica 



(1) V. huiuB op. Gap. VII, pag. 62 et teq. 



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152 



A. JAIVI PABBHASn 



desinti ut vocat Aristotcles, omnis mi scientiAm conatu8 
irrìtus est ot inanisi et quantocumqae labore dtligentiaque 
niillesimus quisqae vix evadet. 

Amabam nuper artlentissiine studia, sed ut pauper et 
qui duriter in dies agcbain vitam, non de lodice tantum 
( quod ait Juvenalis), sed etinm de calceo parando sollieitus, 
ut incitatus ille cursus ad gloriam levissiinis interdum curis, 
quibusdam velut obiicibus, retardaretur, et in aliquibus fidem 
meam non praestare cogebar iuvitus: quod proximis raen- 
sibus nsu venit in Floro, non sino meo summo dolore, qui 
nonnullos inde mihi paulo oiTensiorcs acciperem. Kunc autem, 
quom amplissimus Stcphanus ille Poncherius, antistes Pari- 
siensis, et Senatus Insubrum x)rinceps, quo, quasi sacro atque 
inspoliato quoilam fano, boni omnes utuutur, non honesta 
solum mihi praemia coustituerìt, sed, qui maguus honor est, 
nepotis ex fratre sui curam niilii delegavcrit, existimationi 
meae cousulendura ratus, cum pi-iii>um licuit, quod aliquando 
receperam, sicut aes alieuum dis^olYere cessavimus, ut omnes 
intelligatis, hactenus satisfaciendi votum mihi non defìiisse, 
sed faoultatem. 

Quod si Fabius Quintilianus, ob eiusdem generis iniunc- 
tam sibi provinciam, mores accuratius excolendos et studia 
sibi duxit, quo Domitiani, perditissimi principis, opinioni 
responderet, quantopere laboraudum mihi censetis in utroque, 
ne sapieutissimum sacrosaucti Pontiflcis iudicium fefellisse 
yidear, qui sicut opibns et imperio, quae malis indignisque 
plerumque contingunt, nitro co<lit, ita bonis artibus et elo- 
quentia longe praestat. Quare praesentibus omnes animis 
adeste, et si vobis iniquo meo tempore non displicui, cogitate 
quid, arridente iam fortuna, vos oporteat expectare. Dixi. 






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XI 

EPISTULA AD LAURENTIUM PEREGRINUM <'> 

Mediolani, olro. 1505 (Cod. V. 1^ 0> 



Non it4i iiiro oontubernii, qno<l tibi communo cum maltis 
ot iis, ob ìn^ronii |)orv(M*sit>iitem, pnruin inilii probatiSi ut in- 
dole inoruinque olo;raiiti:i ne bonnrum ariiuiu 8tmlio potes 
a me expecUire oiniìia qiiae a<l excolcuilum pertineut ani- 
nium, quem non miiuis ornaium velini quam sua qnisque. 

Qiiom non nniplius nnuum fueris apiid me, tantum tibi 
bonÌ9 artibui) et oniciis nmoreni eoneiliasti, quantum si domi 
nieae natus e^ses ae viveres. Itaque potes et debes a nobia 
expectare omnia, quao praesertim pertineut ad animi cultnm. 
Non enim minus e^o oruatum te expolitumque velim quam 
optimus quisque opifex elaboratam a se statuam. 

Juuii Juvenalis illud ex initio Satj^rarum e nunquamne 
reponam >, non ininria desideras expHoari, nam neque Do- 
mitius, neque Piemia, interpretes alioqui diligentissimi, mol- 
toque minus infra classem ma^struli eins verbi vim peroe- 
perunt in hoc poeta. Juvenalis enim reponere non in si- 
' gnificatione scribendi sarciendive, sed prò eo qnod est parem 
gratiam referre videtur accipere. Sieuti ad Lentulum soribenSi 



(1) V, huiut op. Gap. 11^ pag. IS. 



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164 



A. JANI PABBHABn 



Cicero per haec in Epistolarum famiìiarium libro primo: cCur, 
inqoit, vatdciiiiam landarim, peto a te ut id a me neve in 
hoc reO| neve in aliis reqoiras, ne tibi ego idem rcponam 
Cam veneris», idest eadem in te regeram. Atreus apudSe- 
necam poetam : e Sceleri modos debetar, onm facias scelus, 
non abi reponas >, idest nlciscaris. Metaphora sampta est 
ab iis qui matitant, invicemque convivantar. 

Haec babai saper ea quae a me qaaesisti ; integrnm sit 
seqni quod maxime probabis. Probabis enim quod aptissime 
loco et sensuii qui sis ingeniosissimuSi congruct, Sed ben ! tn 
vide qnid agas, qui cursum reflectas ad Sirenas ; est sane 
pericnlum, ne te mansuetioram Musaram delinimenta avocent 
a molestissimo legam studio. Cogita tibi, vale. 



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PRAEFATiO m LIVIUM» 

Mediolani 1504 - 1505 ( Cod. V. D. 15 ) 



Autoquain, Patros optimi, vosquo iuvouos ornaiissimi, 
do Livio vorba faciaiiii cuuctationis inoae cousilinm broviter 
exponam. 

Ego quom videromi nt cetorìs in rebusi sio in liboralibns 
(liscipliuis ccrtos esse grailus, per quos itur ad sommami 
anno superiore aditum struons ad LiWumi L. Floram prae- 
Icgi, qui carptira compendioquo popuH Romani soribit histo- 
rias. In oo castigando simul onarrandoque quantum vig^li»- 
rum, quantum laboris exhausorim testos mihi snnt omnos 
qui tum nobis operam dabant. (Quorum nonnnllos non tam 
mea, quae modiooris est, eruditio trahebat ad andiendnm 
quam quacdam, ni fallor, expectatio qua ratione cnrarem 
tot vulnera, vel, .ut verìus dicam, carnifloinam, quam libra- 
riu8 in Floro sic exercnerat (2.^, ut novae cicatrici locns non 
esset. Bt hi quidera, modo livor iudicio non oiBciat, habent 
cur mihi| si non doctrinaei certe diligentiae gratiam debean^ 



(1) V. haios op. Gap. VI, pag. 56. 

(2) Aperte hic Parrhasiut Alexandrum reprehendit Minutianom, qui 
Mcdìolanif Jd. Januar. 1502, L. Fiori Epiiomeìì, inoumerit refertam 
erroribut et falsi • corruptam interpretationibos, edlderat. 



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▲. JANI PABBHASn 



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od cam caraulandam ne quid oraittercm, qaam Fiori parti- 
culaiiìi saovicia pcstis excluso mihi tum non licuit, in prae- 
sontia ropetore constitucraiiii qiiod co facilior accossus ad 
Livium fore vidobatur. 

Ad haoo me comparantem forte convenit yir aureo di- 
gnus aevo/ uee nnqnam satis laudatus Demetrins Chalcon- 
dylesi qucm uon niagis ego quam studiosissimus quisque 
inxta pareutem colit. Ad quom, quom meas, ut soleo, co- 
gitationes retulissein, quae philosophi libertas est, cSanus cs> 
iuquit € Jane, qui centra tui saeculi mores in uno altero ve 
libello tam lente sedeas t non illa nunc aetas est, quom in- 
venes quod imitari vellent diu audiaut, omnes ad vota fe- 
8tinaut| ncc expectandum habent, dum mihi tibique libeat 
prò re dicere. Sed saepe ultro- iuterpellant, atque alio trans- 
gredientem revocant et propcrarc se testantnr. Utque Phi- 
lostrati leones ex eadem praeda bis cibum non capiunt, sed 
ex calida recentique semel pasti reliqiiias aspemantur, eodem 
pacto nostri temporis homines una do re saepe disserentem non 
facile x>atiuntur. Quare nisi novi quid in mcilium promas, quod 
discipuli probenty vereor ne solus in scholis relinqaaris (1) >• 

Qnibus ego monitis, ut par erat> a priore scntentia de- 
turbatus, animi dubius aliquandiu pepeudi. Nam quam vis et 
ipsa res et auctor monebat, ambiguuiu iiuncn erat quam in 
partem homines essent accepturi, si Lucium Florum nostra 
ope propemodum convolescentemy nt parum periti medici, 
non penitus obducta cicatrice, desererem ; *tlifficilis anceps- 
qne deliberatio , din multnmque agitata , nostri innneris 
auspicia retardavit, donec animo sedit ocii^mei rationem 
vestris commodis posthabere. Diebus itaque festis, quos alii 
genialiter agitabunt, quae restabant ex Floro, pomeridianis 



(1) Haec Demetrìi Chalcondylae moniU maximam Parrhasii nostri 
laudem praa se ferunt, nam manifestis argumentis eins magnuin et 
Msiduum in castigandis scrìptorìbus stodium nobis patefadont ». ^ 



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OBATIOME8 ST EPI8TULAX 



167 



horis intoi-pretabimur, in eius vero locum (qaod (ànskiiii 
folixque sit omnibus ) Livionì sustitucmns illum, qnem ve- 
tustos adco suspoxit, adoo venerata est, ut nihil ad hoo aeyi 
rcliqueriti qnod in eius no>'um praeconium possit excitari. 
Quis euini post Fabium non dixit in conciouibus Livium, 
supra quani narrar! possit, cloquenteinf Qnarum tanta vis 
ad persnndenduni iam tuni crcdebatur, ut Metio Pompusiano 
capitale fuerit apud Domitianum, quod eas excerptas ad 
usum uiemoriae circuaiferret. Quanto niitius sacrosancti nostri 
Ro£^s in^^euium, per quein non haee ediscere solum licet| 
sed ipso praeceptores nitro conduciti qui iuventutem Hber»- 
liter institnant, 

Quis vero Livium nescit in exprimendis alTectibnSi quoa 
mitiores appcllant, inter historìcos primos obtineref 

Nam quoil ab ultimis Ilispaniao Galìiarnniqne flnibus 
illustres in urbem viri venerint, ut unum Livium salutarenti 
epistola Plinii Nepotis ita porcrcbruit, ut sit in tanta notioia 
reforre supcrvacanoum. Furor est autem, furor in quaestionem 
vacare, quod olim Valla, Sallustiusne doctior fìierit an Li- 
vins, et eos invicera comparare, a quibus discere magis oon- 
venit. ntrique summi extit-ore ac cadesti quadam providentia 
componcndis moribus alendis<]ue ingeniis accommodati. Quanto 
mniori cum laude defendissct in Livio calumniam quam Vm- 
bius ab Asinio Pollione refert intentatam. e Quo modo, inquii| 
attica illa anus Theophrastum, hominem alioqui disertia- 
simum, annotata nnius alTectatione verbi, hospitem dixit, nec 
alio se id deprendisse, interrogata, rcspondit, quam quod ni- 
mium attico loqueretur : et in Tito Livio, mirae facnndiae 
viro, putat inesse Pollio Asinius qnandam patavinitatem »• 



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EPISTULA Nli.-DE LIVII INDICE^') 



Mediolani, circ. 15(fó ( Cod. Y. F. 9 ) 



Timon ìlio Phliasius, óloqueutiac sapicniiacquo stadiosusi 
ut undecimo Successionum libro scrìbit Sotion, iutcrrogatus 
ab Arato Solense quo pacto posset Homeri poema consequi 
castigatuniy respoudit : e Antiqua lego exeniplaria, non ea 
quae nuper emendata snnt >• Eius, ut reor, auctoritatem 
secutns, Probus exemplaria undique coutracta inter se oou- 
forre coepit, ex eorumque fide corrigere ceteraf atqne di- 
stinguere et adnotare curavit et soli liuic noe ulli praeterea 
grammaticae parti deditus, ut Suetonius auctor est, ad fa- 
mam dignationemqne pervenit. At, ut quidem sentio, non i^ 
niurÌHi nam quam sit hoc laboriosum, quam non omnium, 
Cioero testatur ad Quintnm fratrem. cDe libris, inqnit, Tyran- 
nio est cessator ; Ohrysippo dicam, sed operosa res est et 
hominis perdiligentis; sentio ipso, qui in summo studio nihil 
assequor »• 

De Latinis verOi quo me vertam, nescio, ita mendose 



(1) In codice V. F, 0, in quo omnes quae Parrhasii tupersont epi- 
•tulae collectae sunt, nonnulla Quaesita^ ut hoc De Livii indice^ omni 
indicio signoque careni, ad certuni signiflcandum viruro, cui inscrìpta 
sint. — V, huios op. Gap. VI, pag. 55. 



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scribuntur et veneunt. Utinam non nostri temporis haec io- 
stior essct querela! certe ego non plus in alienis erroribos 
coufutamlis, quam in cxponendis antiquorum scriptis inso- 
dsircm. Sccl afiirmare inratus et sancte possum, eie omnes ab 
impressorìbus inversos esse codices, ut, si anctores a pestìi- 
minio mortis in lucem revoceutur, cos agnituri non sint. In 
quo non recuso quin mentiri indicer, nisi Livii Decada istao. 
apertissime probabunt. Ao ut ita facile omnes iutelligant, ab 
ipsis argumentis incipiam. 

Sjllabos et elenchos graece dicitur is quem latini vo- 
cant indicem, cuins adeo studiosi fuerunt antiqui, ut PliniuB 
integrum volumen elencho dederit, et Cicero per epistolam 
potati ut eius libris index ailinngatnr. Lampius etiam, Pia- 
tarchi filius, hac una re claruit, quod cleuchon operibus pa- 
tris addidisset, ut est apud Suidam. 

Qais huuo indiccm Livio praetexuerit in obsouro est; a- 
liqui tamcn Florum suspicantur. Ego nihil aiBrmo, sed qui- 
cumque fait, doctus certe fuit et plenns auctoritatis in scholis, 
ut quidam de suo multa addidisset, quae, licet a Livio 
transcripta sint, adulteraut et vitiant alienar nm lucubrationum 
sinceritatcm, ut dcpreudimus iu antiquissimo codice, qui ma- 
uavit ab cxemplari Fraucisci Petrarcae, viri, sua tempestatOi 
dootissimi. ^ 









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XIV 



PRAELECTiO AD DiSCiPULOS<'> 

Mediolani circ. 1506 (Cod. V. D. 15) 



Tollite iampridem, victricia tollita sigoa 
Virìbut utenduiD quatf'fecimos 

Libuity adolescentes ingennii pomorìdianis iis aaspiciis, 
iisdom V08 hortari verbis ad repetenda litterarum stadia, 
qaibas apud Lacanam Oaesar ad instaurandum bellara mili- 
tos sao8, qaando non cnm aurìore maj^que infesto ' hoste 
Oaesari fntura res erat, qaam nobis hoc tempore. 

Stat ecce in nos ignorantia gravissima adversaria, centra 
qnam, cum anno saperiore freqnentes mecnm strenne pngna- 
yerìtiSy frigoris atqne solis patientissimi| nunc nisi reparata 
constanter acie consistemns omnes prompti, labores emnt 
irriti, pessimeqne de rationibns nostris actnm. Haeo enim 
nos omnibus omamentis et oommodis exnet; nam quid ant 
conseqni potost ant praestare qui, quid optandnm, qnidve 
fngiendnm sit, ignoratf Usns mnltarnm remm perìtia com- 
parat homini prndentiam ; nnlla tamen re magis ignorantia 
prostemitnr, qnam litterarum cognitione, qua si qnis a teneris 
annis imbntus, poetas et historiarum scriptores accurate versat 



(1) Hano attalimas Pradectionem ad venim paternumqo« Parrhasii 
in discipolot demoDStrandum amorem* 



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OnànOVEB ET BPISTULAX 



161 



indeqae mores et instituta mortaliuiii disciti ao daoe demaìn 
philosophiai Wtae probitatem cum eniditìone coniimgiii Ì8 
sane diis immortalibus par in torris habetnr. 

Itaque ne tanto nos pracmio spolict ignoranza, resamp- 
tis viribns, bellicis exeroitationibusi antea firmatis, daòram 
qaoqae raonsiain requie refeotiS| integri et reccntes ad ca- 
pcssenda denuo studia consnrgite. 

ConsurgitOy inquani| adulesccntes optinii| consurgite ad 
solitam litterarnm palaestram, et iam sublata atque explieita 
signa prosoquimiui, ut adversus ignoi-antianii horainis acer- 
rimam hostcnii fortiter et impigre mecum decematis. In quo 
quidem bello commilitonis et non imperitissimi dncis offido 
fungar. Etenim nullum laboremi nnllas vigilias, nullnm de- 
uiqne periculum recusaboi ut in arcem sciontiae, ad quam 
nati sumus, victores triumphantesque vos perducam, Atque, 
ut verba ad rem conferamnsi institutos auctores, 4°orum 
enarrationem vindeniiarum feriae intcrruperunt| resumemoa 
ab eminentissimo poeta sumpto initio. 



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XV 



epìstola ad PIUM....^'> 

Mediolani circ. 1505 ( Cod. V. P. 9 ) 



Atquiy taa cuni bona venia, fallit te ratio, mi Pie, nam 
nec extat apud Solinum: e Armenia tigribus feconda >; nec sic 
unquam scrìpsi, sed : e Armenia voi Hircania feta tigribus est>, 
ut ait Soliuus; in quo velini dicas utrnm codicem mendosnm su- 
spicaris ab antiqnis exemplaribus inter se collatis, an qnod 
ea locutio latina non sit, ant parum tersa. Liceat apud te 
gloriari : si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis 
ego nomen proflteor meum, Neapoli, Lupiis ( nrbs ea^ Apn- 
liae est), Bomaeque nactus antiqua reverendaeque vetustatis 
exemplaria, quibus adhibitis et cxcussis, castigatissimum mihi 
codicem reddidi. Sed et hic alterum habeo vetustissimum, 
qui Merulae fiiisse di^itur. In iis omnibus /e/n tigriÒM est' 
et non fecìinàa^ et ita dixit, ut Maro feta armiè^ et feta 
furentibut auètriiy alludens ad animàlium speluncas et sub- 
terranea cubilia. Scio quis iUius emendationis auctor fiierit, 
sed is me perducere non potuit, ut ei, magis quam vetustio- 
rum codicum fidei, crederem. 



(1) Non prò explorato afArmare possamus cui Parrhaslos hanc io- 
Bcripiierìt epistulam, oam daos illi hoc nomine amicot fuisse compe- 
rimnt : Joannem Baptiatam Pium Bononiensem, et Aldam Piam Roma- 
num. — V. haiui op. Gap. Ili, pag. 23, 34. 



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EPiSlULA NI. -DE A. MARCELLIIO 

Mcdiolani ciré. 1505 (Cod. V. P. 9) 



Ammianì Marcollini Btrum gestnì'um libri penes me soni 
omnos quot extant, ex antiqaissimo codice Bomae exeriptì; 
nec alium prope froqueutius in manibas habeo, qaod inde 
quaedam non vulvaria liccat hanrire, Sed quid oportott iii>^ 
Illa Juliani mentione Marcellinura citare, nisi qnotiens in 
rem meam faciebat ex rebus Juliani f Curiosi certe nimis 
est inaccurate illud a me factum putare (1) 



(1) V. hoiui op. Gap, Ili, pàg. 28, / 



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EPISTOLA HII.-OE LOTIiTIO » 

Mediolani circ. 1506 (Cod. V. P. 0). 



Quae de Lntatio monnisti mihi non erant ignota, ao ne 
cniquam mentiri videar, occipe- prò re tua, quod ipse non 
integram recitasti testimoninm. Carmen in VI Thcb. est hoc : 

Mundo succincU latenti 

Vulgati codices, ex interpretis persona, habent huno in 
modam: e De iis rebns, ut ingenio meo connectere potni, ex 
libris iDClTabilis doctrìnae Persei praeceptorìs seorsnm libel- 
Inm composui : CaelUis LaetantUiS Firmianu$ Plaeidìi$ i. Sed 
haoc non leguntnr in vetustis exemplaribns, in qnibus titulns 
est hic : Lutata Placidi versuè ; noe a Lactantio compositos 
esse ex eo datur intelligi, quod habet auotorem Sedulium, 
oitatqne eius huno yersum: 

Culus Ach&emeniam rabies accenderai tram 
Plus fornace ffna.' 

Scdulium vero posteriorem Hicronymo ftaisse oonstat, ut 
aetate una prìorem Lactantinm. Lutatii praeterea Placidi 
glossemata, per ordinem litterarum digesta, Bomae legerami 



(1) 



V. hoiQS op. Gap. IV, pag* 3i. 



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OBÀTIONBS BT XPISTUUUB 



186 



piena fnigis optimae ; et haec in causa fuenmt ut Latatium 
potius quam Lactantium nominarem, quom plus apud omnes 
sanae mentis homines valere debeat antiqaoram codicum 
fldes, quorum magna mihi copia Neapolii Bomaeque con- 
tigit, quam particnla vulgatis inserta codicibns ab iis qui 
testimonium iuscriptionis ab se perversaesibi ipsi conftnxeront. 



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ORATIO HD MUNICIPIOM VINCENTililiM 

Veicetiao la07 (Cod. V. D. 15) 



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Veni, Patres optimi, tandem veni, 8oriu9 oxpcctatione 
Tostra moaquo voluntate, quod immanium barbarorum grave 
diuturnnm iugum non facile fuit ab attritis excutcre cervi- 
cibus, quippe qui necopiimta Victoria extulonmt aDimos, 
tantumque sibi pcrmittuut in omnes Italos ( o miseram tem- 
porum conditionem ! quis hic ita non ingcmisoat et frontem 
feriat ? ) quantum vix olim Gares in Leleges, Arcades in 
Pelasgosy Lacedaemones in Dotos. 

Ilabeo diis immoi*talibus gratiam, quorum uumine serva- 
tus hio a<l8um; quodque semper, ex quo primum die vostra 
mihi moderatio nota est, in votis habui, iueundissimo vostro 
conspeetu fmor, usu vera comperio qnae de vostra singulari 
in omno» bonos humanitate constans fama praedicabat. Eoque 
maior mea voluptas esse debet, quod cogitanti mihi saevam 
superbamque Gallorum dominationem qnovis vastoque loco 
permutare, vos obtigistis, animi, coii)orÌ8 dotibus ac fortunis 
omnibus anteponendi nedum beluis. Beluis inquam, Patres 
optimi, belnis ; an homines existimandi qui sic hominnm 



(1) V. haius op. Gap. VII, pag. 66 et Mqq. 



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OBÀTIOmBS BT SPI8TUULX 167 

sanguine gliscnut^ sic in omni crudelitate eznltanti nt vix 
acerbis sociorura funcribns satientorf 

Errat, Patros optimi, si quis arbitratur ipsos deos Ulyssi 
magis extitisse propitios, a cyclopum fanoibns elapso, qnam 
mihi dum cruentas Gallorum manus effagi. Qydopos enim 
dnmtaxat in advenas appnlsosqne saeviebanti ii ne notos 
quidem saisque parcunt. Ulysses uno vini cado Poljphemum 
sibi pene conciliavit, ii beneflciis obsequiisque redduntar 
importuniores. 

Nam quid in eos a me publice priyatimque, domi fo- 
rìsque profoctum non est f Quis centra ganeo, quis adulteri 
quae mulier infamis, quis corruptor iuvcntutis ita iactatus 
est unquam, ut ab iis, innocentissimus optimeque de se me- 
ritusy ego t Caput omnium, satorque scelerum fuit AllobroX| 
qui virtutis praemia malis aiidbus assccutns ini rcSv oye^v 
fiùaiìjQ'Aiktl^y Inito^ &pcv(jij idest ex asinis et quidem lenUs 
repente cquus exiluit. 

Is enim nostri generis omncs odio prosequitur ob in- 
testiuas inoxpiabilcsque simultates, quas cum clarissimo 
nostro conterraneo Michaele Bitio, iurisconsultorum nostri 
codi facundissimo, gerit, nude quave de causa susceptas in 
pracscntia dicere nihil attinet. In me Tcro praecipue debao- 
chatur et furit impotentissime, quod una alteraye epistola 
Bitium laudavi, semel in editione Sedulii Prudentiique, Obri- 
stianorum poetarum, quos omnium primus e pulvere situque 
vindicavi, iterum per initia patriae Historiae, quam Bitius 
ipso condidit, mihique castigandam 'dedit (1). 

lUud autem nullo pacto forre potuit me sua causa no- 
luissc quorundam Mediolauensium liberos a nostris aedibus 
exturbare, quo vacuus apud me contubernio locus Allobro- 



(1) Ritii opus inscrìbitar: De Regibits Hispaniae^ HierusàUm^ GaOiae 
ete. Histort\ Romae MDV. Parrhasii epistula, impressa in huias operit 
prìacipio, data est ad Ritiuin Mediolani, Rai. Coi. Ì50S. 



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168 



A. JANI PÀBItHASn 



gìbus esset snìs. Ex iUo Mioutulttin quendam, nostrae prò- 
fessionis acmulnm, qui nihil quoestus aliquot annos prope 
me fcceraty extollerey amplecti, fovere quo stomachum mihi 
faceret, ìgnarus ineptiarum longe grandiores offas a me sae- 
penumero voratas ; ac incidit in illam quoque suspicionem, 
quam garriens ad aurem Minutulus, de quo iam dixi, dola- 
tor augebati a me sua notari tempora vitaeque sordes eo 
opere, cui titulum feci : e De Rebus per epistolam qunesitis », 
quod adhuc domi sanatur, propediem vcstris auspiciis exi- 
turum {1\ Quare non ita multo post a cena cuiusdam re- 
diens senatoris ad primam facem, ex ictu lapidis in capite 
vulnus accepi ; nec alieni dubium quin homo sexagenarins, 
qui plus in capulo, quam in curuli sella suspendit nates (ut 
iSocete Naevius ait in Pappo) percussores immiserita indi- 
gnamque caedem, quantum fuit in ipso, patraverìt, quom 
satis constet ab emissariis eius excursoribus ingentis spe 
praemii soUicitatum Michat^lc'm chirurgum, qui me curabat, 
ut malum venenum medicamentis infunderet. Exponere su- 
persedeo quam gestierit, quantum sibi placuerit indomitis 
moribus Allobrox, quod eo periculo motus in patriam me 
recipere statueram, quanto rursus dolore sit affectus, ubi sensit 
ab amplissimo patre Stephano Poncherio, Lutetiae Parisio- 
rum Pontifice, cuius immerito vicem gerit, a decedendi Con- 
silio revocatnm. 

Quid itaf nolite quaerere, Patres optimi, nolite quaerere, 
quando felicioribus etiam saeculis tam perverso principes 
ingenio sunt inventi, qui prò hostibus haberent eos qui excel- 
lerent in communibus studiis essentque superiores ingenio. 



(1) Parrhatli aiteveratio valde congrùit cam illis Ciminii verbis in 
Epistola nufte» ad Corìolanum Martyranun ante Itist. Gramm. Charh : 
€ In prìmiff autem deflenda est illios divini operis iaotura, — > De Rebus 
•cilicet per epistolam quaesitis, — > quod ipse saepenunìei'o vidi. Erat 
enim ad editionem paratura, libiisque constabat quinque et viginti »• 



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ST BPISTULAX 169 



Inde Nero Lneanum sustalit, Hmlrionus adeo Favorinom 
vexaviti ut eius statuam virtutis ergo positam deiiciendain 
eurarot, ipseqae Favorìnas haud iniuria gloriaretur, haeo 
inusitata Bibi praecipuaque tria contigisse: quod Arelatensis 
et pingui Miuerva Gallus orationo perpetua graeee dissertaret, 
eunuehus adulterii eausam dixisseti accusatus a neseio quo 
senatore, Caesaris inimions TÌTeret. 

Et quisquam dubitat an AUobrox longe plurìbus pas- 
8UUD1 milibus ab Iladriano dissitns quam nos a Favorino di- 
gitoSy neeem per insidias inibì stinixeritf Quom simularit 
omue studiornra genus, ubique tamen, ut est, Goffredus, idest 
goffus et frigidus apparet. In quem tam mirifice nostri 
Claudiani carmina eonveniunt, ut in eum seripta quodammodo 
yideantur : 

^sperius nihil est humili quom surgit ia altam : 
CoocU ferìt, dum cuocta timet, desaevit in ouines. 
Ut se posse putent. 

Ostentare impotentiam suam Toluit Allobrox, quom me^ 
Venetiis evocntum, Actis exeogitatisque criminibus exeepit, 
itaque propudiose laceravit, ut nihil reliquum fecerit iniuriae. 
Non erat opus, infande tenebrie ( te enim absentem tamquam 
praesentem appello ) non erat opus in advenam, nullo fultum 
pracsidio, tuas ad nocendum vires experiri ; satis superque 
notae sunt omnibus quae nuper in Antonium Mariam Pala- 
viciuum, domi suae primarium, composuisti, quem non Teritns 
es apud regem perduellionis insimulare, corruptis emptisque 
testibus, ab usque Mantua petitis/ • 

Sed iueptus ego sum, Patres optimi, qui sapientissimas 
vestras aures iutempestivis vocibus obtundam. Non est de- 
risioni locus in praesentia, quom nondum mihi lieuerìt or- 
dinem sycophantiarum rescire, neque per litteras neque per 
nuncios, quos equidem din frustra Mediolano yenturos expeo- 
tavi Patavii. Nihil enim cei*ti possunt afferro, tam sollioite 
eayet Allobrox, ne veritas in lucem yeniat, mihique fàcultas 



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170 



A. JANI PABRHASn 



àliquando detnr agcndi meani oausam. Sed obraat eamque 
demergat in proftinduin: yelit, iiolit, ipsa dies oninino pro- 
ferot, non enim Saturni ftlia vano ftngitur argumento. Quid 
dixi: proferetl immo iam protulit. 

Bcquis est tam Tccors aut tam caocns, ut non yideat 
improbissimi nobulonis osso, tipulaeqne levioris eundem ma- 
ledictis omnibus inscctari, pauloque post bouoro verborum tol- 
lero. Non raentior: extat ecce diploma din post illam rabulatio- 
nem, senatus eiusque decreto factum, quo decernuntur annua 
mihi ducenta, optioqne datur, ut ex animi mei sententia Me- 
diolani Tel Ticini profitear. Sed haec uberius et enodatius 
agenda causa dentata charta, calamoque temperato, ut inquit 
Cicero. Nec recusabo quiu eum me iudicetis quem nostri 
fingunt obtroctatores, nisi prius evidentissimis argumentis, 
deinde rebus ipsis et instituto vitae maledicta conviciaque 
diluero. Diluam vero quom primum cognoscendi crimina pò- 
testas erit; erit autem propediein. Nam concinnante ut audio, 
quam vobis bue usque mittant accusationem, si quidem ve- 
stram naturam metiuntur ex sua, putantque tos ad omnem 
auram moveri. Nesciunt miseri, nesciunt quid inter credulae 
stoliditatis Gàllos et oonstantissimos intersit Italos, et eoe 
Italos, quibus in omni vitae colore reliqui cedunt Itali, Ve- 
netos excipio, quibus, ut orbis imperio dignissimis, assurgit 
omnis Italia. Oeteri vero quid ad hanc urbem f Non ambitu 
murorum, non populi frequentia, sed antiquis opibus, optimis 
institutis, elegantia morum civiumque praestantia respublicae 
comm^ndantur: quanta cum laude versentur in ocio, in ne- 
gocio, domi forisque, bello togaqne ; qui virtutibus ita abun- 
dent, ut eas in aliis ament et honorent; qui in omnibus 
bonis artibus emineant, àlios tamen infra se non contem- 
nant, immo manum porrigant, invitent, hortentur, ut ad 
summum culmen, quod ipsi iam tenent, evadant. 

Ouiusmodi vos esse meo bono periculo iam didici, id quod 
noa impulit ut pei: onmes dilBoultates bue usque penetrare9ìU8« 



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ORÀTlOVEa ST BPISTULAX 



171 



Trahat anrì splendor et lucri capiditas alios : ego pecuniae 
captum nauquam habui; sequantar alii annouae liberalitatem, 
vhiique praostantiam, an^^uillarum saginara, quas Tester amnis 
Dutrit Eretenus, ab Aeliano laudatasi ego, magistra philoso- 
phia cum Vairone didioi sitienti therìacum mulsum, exurìeiiti 
pancm cibarium siligineum, excrcitato somnum soaTem. Di- 
scesserint bino alii pecunia divites, ego contentus ero yestra 
bencvolentìa, acri iudicio, gravissimo testimonio parta gloria: 
quamquam nobis est in animo, si liceat, aetatis reliquum 
vobiscum exigere, proqne mea virili parte oaptuque ingenti 
sedulo commodis vestris inservire; sic enim publice priva- 
timque de nobis meriti. Dies me deficiet, si commemorare 
volucro quibus ofBciis florentissima vostra respublica, ye- 
strique cives me prosecuti sint et x)rosequantur. Itaque ne 
cuiquam videar eorum magnitudinem non sentire, quod unum 
possnm, pollicear industriam meam quantamcumqne vestrom 
ncmini defuturam ; praeterqne publicum docendi munns, quod 
mihi delegastis, epistolam tertio quoque die iuventuti ye- 
strae dictabo, quod antea facturum perncgaveram: tantum 
bonefacta in omni re valont, ut est apud Propertium.. 

Denique enitar ac elaborabo, si minus cmditionem, qnae 
in nobis alioqui mediocris est, egregiam certe voluntatem 
vobis omnibus omni ex pai*te probare, quibus existimationem 
meam commendo meque dodo. Dixi (1) 



(lì Cum illa sola edere st&tuUsemus monumenta, qoibns maxime 
ad narrandam Parrhasii vitam usi sumus, permultas omisimus orationes, 
ut luculentissimas duae aliaa quas Veicetiae habnit. 



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PBAEFATID IN HORATII ODAS<'> 

PaUvii 1509 (Cod. V. D. 15) 



Si qais alias, ornatìssimi invenes, aat litterator ani 
eloqaeutiae inagister, ex eo loco, qaem nos honestissimniii 
Bomae, MediolaDiqao et demum Veicetiae tennimus, ad hano 
iniquitatem temporum rcdactas esset, ut privatim doceret| 
ille quidem fato convicium facoret seqae de fortnna praefa- 
tionibus alcisceretur, nt olim Licinianns ex consnle rhetor in 
Sicilia. Sed ego qui rerum omnium esso vicissitudinem non 
magis ex Eunuche Torentiano, quam certa vitae experientia 
didiciy sic ad omnia quae Tel inferuntur, vel accidunt homini 
me comparavi, ut prosperos optem successns, adversa fàcile 
patiar. Quamquam, si yernm fateri Tolnmns et a Tobis o- 
blatam conditionem recta via reputare, nihil est our agi no- 
biscnm male existimem, qnod longe minoris solito profitear; 
siqnidem summa hnius urbis auctoritas celeberrimumque 
Patavii nomen, ubiqne gentium yenerabile, compensat omne 
salarii detriraentam. 



(1) V. holQS op. Cap. Yin« pag. 7S. 



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Nam ut antiqaitus Athenis ita hac tempestate dvilis 
ordo disciplinae, philosopbia ac omnes ingennae liberoqae 
tlignae ai-tes hauc iuclyt^m civitatem, quasi qaoddam tem- 
plum habent. Accodit ctiam qaod is ego non sira, qui la- 
cellum cnpide consecter, quique non malim qaod expediat 
in commune, quam qaod uni mihi. Sanctissime possant affir- 
mare qui mecuin vivunt, quam bene mihi cnm paupertate 
conveniate contento quod necesse est, aut eo certe quod 
satis est. 



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EPISTULA AD LUOOVICUM MOITALTUM 

Agelli 1512 ( Cod. XIII. B. 16 ) 



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Admircutur alii Siciliani^ quod omnia qaae gignit sive 
soli sive hominis ingcnio proxima siut iis quae iudioantur 
optima; qnod in ea prìmutn inventa comoedia ac mimica 
cavillatio; quod Giclopuin gentem testentar vasti specus et 
Lestrìgonam sedes etiam nunc vocentnr; quod inde Lais 
illa, qaam propter insignem formam Gorinthii sibi vindi- 
caront, et inde Oeres, magistra satiouis framentariae, et 
Prosorpinae fama sit; qnod ibidem campus Ennensis in 
florìbus semper et omni vernus die, et Daedàli manna de- 
mersum foramen ostendat, quo Ditem patrem ad raptum 
Proserpinae exeuntem fama est hausisse lucem. Gomme- 
moreut amnium, fontinm, stagnorum, ignium et salinarum 
miracula, ao arnndinnm feracitatem tibiis aptissìmarum. 
Laudent Achatem lapidem, quem Sicilia primnm dedit, in 
Achatae fluminis ripa repertum. Tollat in coelum vetns 
adaginm Syracusarum maximas opes aerìsque olementiamy 
qnod in ea etiam cum per hiemem conduntnr serena, nnllo 
non die sol est. Addant Alphe! et Arethusae fabnlosos 



(1) V. haias op. Gap. X, pag. 92 «t Mq. 



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OBÌ.TIONB8 ST XPISTUI«AS 



175 



amores, et quicqaid mendacia poetaram vnlgaverant. BqoL- 
dom non adeo principem nrbium Sidliae Syraoosas ezi- 
stimo, qaod ambita moenium quatuor oppida oompleete- 
rotar, Aohradincm, Neapolim, Bpipolas et Tychen, qaam 
qaod cxempla pietatis cdiderint, Emantiam et Oritoncm, 
qui dao iavenes, iucendiis Aotnae exuberantibas, sablatos 
parentes ovexcrunt inter flammas illaesi ignibas ; quam qaod 
Archimedis incanabula fuorint, qui praoter sideram diaoipli- 
nam machinaiìas conimentator extitit, oppugnationemqae 
liaroelli triennio distulit; quam qaod Thcocritam protaUt 
illam rustioae Masae perurbanum pootam, multosqae prae- 
terea qaorum immoHales animae loqaantnr in libris. 

Inter qnos ipso tantnm praestas, qaantom ceteris m<m- 
tibas Atlas, at non ab re Montis alti nomcn impositnm tibi 
videatar: in te euim humanaram diviuarumqae rerum sum- 
ma peritia, prudentiae lumen, tcmperantiae decas, fortitadinis 
robur, iustitia, sanotitas, àliaeqae cori)orÌ8 et animi dotes, 
quaecumqae beatum facere possunt hominem. Nam quid ego 
dicam de celcritate montisi qnae Jalium Firmicum mentiri 
non sinit, aoumen ingenii Sicnlis adiadioantem. Facundiae 
yero tanta vis ut fidem facias hio ortam eloquentiam ad 
àlias transmissam gentes. 

nnde non iniuria sacrosanctus potentissimasqoe Bez 
Hispaniae tibi snmmam rerum administrationem prius in 
Sicilia, deiude Neapoli credidit. Ut importuna non sint illa 
Pindari, qaae in te vera probantur, in quo disciplinae 
militaris expericntia, dictorum £EM)torumque memorabilium 
summa cognitio, tanta commoditas orationis, ut Sulpitios, 
ScaoTolas, Trebatios, Ulpianos, immo Oicerones nobis expri- 
mas ; qui in summo imperio frangis ayariciam, scolerà punis, 
vitam tuam populis exponis ad imitandum ; ouius ea gravitas 
et constantia, ut non solum gratiae sed snspitioni resistas; 
cuins incredibilis in audiendo facilitas, in discemendo lenitas, 
in satisfàciendo et disputando diligentia; qui fidile continee 



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176 



À. JAKI PABRHASn 



alios in officio, cam te ipse contineas. Itaquo cnm in Brutios 
ad ordinandam provinciam, compescendaqne porditoram qno- 
ramdam latrocinia profectns, a me qnaesisscs antiquoram 
ponderam mensaramqne modos et appellationes, indignum 
potavi negare tibi, per quem parta publica secnritas est, 
ocioqne tranquillo frui lioet. 

Eloqnentia vero tua non sum territus, cum quod hoc 
per heroicae indolis Antoninum Siscarim, Agelli regnlum« 
cui debeo omnia, mecum egisti, tum quod abs te provocatns 
ad scrìbendum, satis habni tuae voluntati morem gerere. Quid 
autem f cui mandaris ipse \iderìs ; fortunae vero fastigium 
multo minus expavi, apud te enim vere (quamvis sit magna) 
socunda est. Nam quibus dominatur eos secundos ipsa facit. 



^,m^^^a^it^mi^»^'^^m^atmiammm^m^^m^mmtmmi^'^mmmMim^mi^^gi^émma^t»*^mmtmAmmmmmaJimmt^ammm>A^mtt»tìLiém^l£^^ 



XXI 

PeAEFATIO IN SÌLVAS SUTII ^'^ 

Roinae 1514 (Cod. V. D. 15) 



Si quis in hoc honcstissimo eonsessu t4icitus secum forte 
qaaerat, andò ovenerit ut ego, promtns alioqui paratnsqne som- 
per habitus ad dicendum, quemque totics ex tempore perìcnluni 
bono periculo multis in locis fccissc constons fama nunciabat, 
apnd T09 hacsit-are cunctarique Bim visus, ac, voluti mutato 
solo vocis usum penlidisscm, quod in Agro Locrensi cicadis 
acoidere Pliuii tradit historia, quibusdam quasi tergiversa- 
tionibus extraxerim muueris obeundi diem, dabit is facile 
mihi veniam, quom pluribus iustisque de causis id a me 
factum sciet. 

Ego, ornatissimi viri, licet in dolio flgulinam non discami 
quod agore vulgari quoque proverbio vetamur, octoque iam 
per annos in Gallia Citeriore persouam rhetoris haud inglorìe 
sustinuerim, tamen insolentia loci, diversitate auditorumi 
nimiaque vestra de nobis expcctatione tardior efficiebar. 

Denique, si res aliter ceciderit, malo ezistimarì magni- 
tudinem Bomanorum ignorasse, quod apud eos audeam do- 
cere, quam humanitatem, si non audeam, quom praesertim 



(1) V. huius op. Gap. XI pag. 101 et teg. 






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178 A. JANI PABBHASn 



prò me staro vidoara duos atriusqne linguae signiforos et 
qaos nulla remotior latet oruditio : Janam Lascharim, non 
minus ingenaaram artium studio quam natalibus et imperia 
toriis imaginibns illustrem ; Thomamque Phaedrum, Bomanae 
Acadomiae principem, sacerdotiis et iugenio partis opibus 
insignem, quorum tanta verbornm pondera semper esso duxi, 
ut uno suo verbo cum mca lande coninnctOy omnia asseou* 
turum me confldam. Nil itaque desperandum Jano duee et 
auspice Phacdro, in quorum blando obtutu, tranquillo vultu, 
hilaribus oculis acquiesco. Quibus ingentes ago gratias, ha- 
beboque dum vivam, quod me gravissimis apud Pontificem 
sententiis ornaverunt, ubi vel nominari snmmus honor. est, 
Nam Grispi Passioni sententia quorundam magis expo- 
tcndum iudicium quam benoficium, quorundam beneftoium 
quam iudicium. Our iUis ego non omnia debeam, per quos 
utrumque mihi contigit indnlgentia sacrosancti Pontificis di- 
viquo Leonia X, qui maxime reram usn, incomparabili pru- 
dentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili elo- 
quontia, promptissimo ingenio, castissima eruditione pellet^ 
eaque morum sanctitate quo suus olim conterranous Leo, 
cuius ante vivendi rationem quam nomen affectavit (1) 



(1) Reliqua deincept, ut minime none 



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XXII 



PRAEFATIO IN ORATOREM» 

RomM 1515 (Cod. V. D. 15) 



Antequani docendi muuus instaurem, coDsilii mei ratio- 
nein vobis, auditores optimi, qaibas me maxime probatam 
oupioy rcddemlam censui cor e tot aureis divinis Ciceronis 
oporibas Oratorem potissimam dolegerim, car, repudiata priore 
sootontiay Moronis Aeneidem prosecutums accesserim, quom 
paucis abhinc mensibus ex hoc ipso sug^^esta a. me enarra* 
tum ili Bucolica pronunciassem; quod nisi me insta de cansa 
diotnm mutasse oonstiterit, equidem non recuso quin apnd 
vos levitatis et inconstontiae culpam inourram • • • 

Nominem vestrnm latet, auditores ornatissimi, qnantas 
invidiae procellas anno superiore sola patiencia i)er(regerim; 
quodque lenti maleqne de me sentientis opinionem subire 
maluerim, quam, quod Cicero turpissimum vocat, contentiosi 
senis : huius meae lenitatis uberrimo fructu percepto sacro- 
sancti augustissimique Leonis X indicio» quo nuUnm maios 
homini contingere potest, a me «non difficulter impetravi, si 
qua deinceps huiusmodi tempostas impenderet, aliquid de 
iure meo magis accedere, quam nomen boni viri litiumqae 
fu^itantis emittore 



(1) V. buius up. Cap. XI, pag. 103. 



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XXIII 



PHAEFATIO IN EPISTOLAS AD ATTICOM <*> 

Roniae 1516 ( Cod. Y. D. 15 ) 



Quom scdnlo mccum reputo qnnm inulta nccidant ho- 
mini prneter spein^ libot npud vos^ auditore? carissimi^ qnod 
Aenoas Ycrgilianuf^ oxclawat usurpare: 

Hcu nìhil iavitis fas quenquam fidere divit. 

Etenim quem rcbar annum tranquillitatis et ocii plenum 
foro, is acerbissimos mihi casus atque gravissimas attulit 
aerumnas, quae nostrorum studiorum rationes tantum evor- 
teruut ; id quod eventurum non temere quisquam iudieasset 
in tanto bonorum Principum proventn, quorum opibus ao 
indulgentia benignissime fovebamur. Ut enim missa faciam 
quae sacrosanctus Pontifex Maximus ex aorario mihi largitnr, 
ne iam obductas imidiae cicatrices inutili recordatione re- 
fricemus ; ut etiam taceam snffragia patris amplissimi Julii 
Medicis, quem nuper ad proximam Pontifici dignitatem di- 
vinae virtutes OTexerunt ; ut hebraicae latiuaeqne linguae 
instauratoris Hadriani mnniflcentiam in me transeam : certe 
Lisias AragoniuSy antistes ille meus omni laude superior, ea 
TÌtae mihi commoda suppeditat, quae studia possint igna- 
vissimi cuiusque exoitare. 



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^1) Y. httiuB op. Cap. XI« pag. 104. 









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ORATI02f£8 ET £ri8TUIJLK 



181 



Quibus ego fretus, arbitrabar uihil amplius esse mihi 
oaranilum quam ut personam praecoptoris honeste susUnerem, 
meque sic ad omuia cotuparabani, tatnquatn in singulis euar- 
rationibus auotorum, quos exponemlos acceperam, iudiciuro 
do tota mea faeult*at-e futnrum esset. Itaque meouin subinde 
meditabar: Roma est eivit^as ex natiouuui couventu constitnta, 
arx reguin, lumen geutium, domicilium summi imi>erii, in 
quo mihi eottidie lectissimorum virorura subeunda censnra 
est} quos nulla, quamlibet remot^a, latet eruditio, quique anres 
non hcbetes, oculos acres, ingeuia habent acutissima. Proin- 
de vigilandum sompor, multao euim insidiae sunt boni», 
ut ille Jove uatus suis praecipit filiis, et quo minus ingenio 
possum co magis subsidio adhibebam industriam, qnae quanta 
fuerity quia tempus et spaoium datum non est, intelligi tnm 
non potuit. Nam post illa vit4ilibus mlaota vulnera, quae 
paucis ante mensibus apud vos oratione perpetua deploravi, 
quid erat ineommotli, quod mihi deesse videretnr, aut cui 
novae calamitati locus ullus iam relictus ! Eadera tamen for- 
tuna, quae eoepit urgere, reperit novum maerorem, afUictum- 
que duplici luctu senem tantulum respirare passa non est (!)• 

Duum enim carìssimorum desiderio funestam domum, 
diuturna couiugis insuper et mea valetudine concussit, et qua 
(dii boni !) valetudine, coelitus iuvecta: quippe quam adversis 
sideribus conflatam Gàuricus, astrologorum nostri temporis 
emineutissimus, certa matheseos ratioue deprehendit; Lunae 
enim deliquium perniciem nobis erat allaturum, nisi salutaris 
stella Jovis intercessisset (2}. Et mors mihi quidem molesta non 
fuisset, ut in qua propositam mihi scirem laborum ac mise- 



(1) Deflet hìc Parrhatiut Thomae Phaedri et Batilii ChalcondylM 
mortem. — Y. huius op. Gap. XI, pag, 104 

(2) In Tractattt tistroìogico (TU Op., pag. 1635) Luca» Oàuricat 
horoscopum pcrscripait, quein noi io hoc opere retulimus. — Y. Gap. XU 
pag. 104, n. (?). 



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Il- fciniiji' ( iti II' tmmu^Mbummmi 



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183 



A. JANI PABRHASn 



riariim omninm qiiietem; seti illnd nmitn nos angobat, qnod 
apnd vos absolvero tiilem moam, qnaeqne pollioitus in has 
Epistola^ ad AtUcnm fiieram praest-aro non potnissem. Quo 
nuno lactAndam mihi mairis est, quod ex orci fnucibns erop- 
tns, iiicnndissimo Ycstro conspeotu fruor, quod intuoor et 
contcìnplor uunmqucmque vestrum, quorum nomo ost cui 
non mca salu^^ ncque cava fuerit ac ipsi mihiy ctiius non 
extct aliquod in nos moritumi cui non sim devinctns me- 
moria* benefloii sompiterna; ncque cnim vos oculornm co- 
niecturay SiHÌ assiduam mihi frequcntiara praostitistis, ego- 
quo non minus signiflcntione voluntatis et benovolontiae, 
qnam robu9 ipsis astringor. Itaque vel hao potissimum de 
causa corporìs inflrmitotcm animi virtute superavi, ut satis 
aliqua ex parte nostro erga vos officio faciamus. Quod huo 
usque non distulissem, nisi memet quidam casus incredibilis 
ac inopiuus oppressisset. Nam prìdie oius dici quo rcditurus 
ad iutormissnm docendi mnnns eram, in summo pedo enatos 
abscessus, (àjrocrrysux Graoci vocant) brevi ita altas egit 
radices, ut igni ferroqne vix excindi potuerit. Ego nihilo- 
niinus, ulcere etiam nunc manante, reclamantibus ad unnm 
medicis, quom prìmum flgere gressum licuit, bue exilui: tam 
nihil autiquins habeo vestris commodÌ8. 

Ncque vero hoc dico, quo me vobis venditem; our enim 
blandiar bis, quorum erga nos amor, honestis artibus qnae- 
8ÌtuS| odeo cre\ity ut non haberet quo progredi iam possit t 
atqni potius haec ad impetrandam veniam pertinent, ne qnis 
vestmm forte mihi succenseat, quoti ad diem praesto non 
ftierim. Nano acquis animis attendite nostramque de hia 
ambagibus ad Atticum coniecturam cognoscite. Nam si ns- 
quam alibi, hic certe necesse est iuterpretem divinare ; nomo 
vero desperet od huius operìs calcem nos aliqnando per- 
venturos quod hoc anno cessatum sit. Temporis iactoram * 
focile reparabimns, si viatornm nobis exemplnm proponemns, 
Ili si serins quam volnerìnt forte surrexeriuti proporando. 









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ORA^TIONES ET SriSTUULS 



183 



etinui citius, quam si tic noot4! vigilass^ent, perveniunt quo to- 
luut. Quoiiiani vero, prinoipiis cogiiitU, multo fAcilius oxtrema 
percipiuutur, autequam quae rtvtaut mloriamnri Epistolao 
argumcutuin brevissime repet4im. 

Huius Episiolae superiore partieula noster Oieero reti- 
ilebat Attioura certiorera de ratione suae petitioDÌ8, idest 
quot in oa eompetitores haberet, atquo ex his qui certi 
quive partim Armi viiloroutur. Nunc mldit etiam diem quo 
prensaudi initium Taeturus ipso sit, et quorum suffragiis ao 
ope nit4itur ad cousulatum, quidve in ea re Pompouium sua 
causa facere velit. 



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PRAELECTIO IH EPISTULAS AO ATTICOM <" 

RoniM 1517 (Cod. V. D. 15) 



Si mihi f qaofl in comitiis honorumque petitionibns olim' 
aervabatar ) excusare morbum iareiuramlo profuissct, oquidem 
nuno in ooio domi degerem, vosque daretis operara oaÌTÌ8 
alteri magis idoneo praeceptori. Nam me iam non enndcm, 
sed ambram nomenque Parrhasii relictum videtis : vires enim 
corporìs affectae, sensus ocniorum atque anrìum hebetes, 
memoria labat, vigor animi obinsus, ut illam Laberiiquere- 
lam, in re quamquam diversa, liceat usurpare : 

Quid • • . . htic .... afferò y (2) 

Decorem forma«, an dignitatem corpontf 
Animi virtatem, aa vocis iucuodae sonam f 

Oerte nihil horum; sed quia sacrosancto Pontifici Maximo., 
cuius in manu sunt omnia, placuit huno item annum labo- 
ribus nostris accedere, parendum duximus eins imperio, cui 
ve! privato, prò sua in nos indulgentia, morem gestnn ftiis- 
semus, ne, cum sapientissimus Princeps, induotis nonnullorum 
nominibus in albo rhetorum, meum retinuerit, ego de suo 
iudicio temere vidisse (t) existimer (8). 



(1) V. hains op. Gap. XI, pag. 105. 

(2) Laberius alt : Quid ad aoenam afferò. — Maerob. Satam. 1. II, 
Gap. Vn, 

(3) Sequuntur ad ditoipulos moaita ao contilia, qaae lù aliis Iam 
oraUonibus oGourrant, 



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Condotto a termine il presente volume, adem- 
piamo il dovere di ringraziare vivamente V amato 
maestro Prof. Enrico Cocchia, che ci suggerì questo 
studio sul Parrasio, e benevolmente ci consigliò e 
sorresse nelle prime difficoltà dell* arduo lavoro. 

Simile ringraziamento rivolgiamo al chiarissimo 
Prof. Remigio Sabbadini, che durante la pubblica- 
zione di questa monografìa, con gentilezza pari al 
suo alto sapere, ci diede aiuti e consigli, specie 
nella laboriosa ricostruzione ~~del testo dei documenti 
latini. 




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AVVERTENZA 



Rileggendo il nostro lavoro, abbiamo notato qua 
e là, specialmente nei primi quattro fogli, parecchi 
errori tipografici. 

Speriamo che il benevolo lettore, considerando 
quanto sia difficile in lavori di simil genere ottenere 
un* edizione scrupolosamente corretta, vorrà perdo- 
narci queste mende insieme con qualche inesattezza 
ed omissione, in cui siamo incorsi. 

Fidando molto nella sua indulgenza, non notiamo 
partitamente tutte le imperfezioni colle correzioni re- 
lative, promettendo di occuparcene quando parleremo 
del Parrasio Filologo e della sua Bibuoteca. 




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Disdica l>ng. Ili 

Iktboduzionb > y 

VITA DI AULO GIANO PABRASIO 

Gap. I. Patria — Famiglia — Maestri • '• pag. 3 
1 II. Il Parrasio a Cosenza e a Napoli — 

Belazioni cogli Aragonesi • • » 11 
1 III. n Parrasio in disgrazia di re Federico 

— Integrità e fermezza del sno ca- 
rattere — Dimora a Roma • • » 23 

» IV* Il Parrasio a Milano — Importanza 
storico -letteraria di questo periodo 

— Lotta col Ferrari e col Nauta • i 31 
1 y. Lotta col Minuziano — Relazione col 

Poncherio e col Garilinale d' Amboise 

— La cattedra di oratoria — Flanso 

e onori i 41 

1 VI. Coltura ed attività prodigiosa del Par- 
rasio — La seconda età della Rina- 
scenza — Grande autorità del Retore 
in Milano e fuori — La Colta Giuris- 
prudenza • ^ • • • • » 51 
1 VII* Attinenze del Parrasio con Demetrio 
Galcondila — Sue condizioni — Nnove 
lotte — Accuse infami — Partenza da 

Milano 1 61 

> VIII. Il Parrasio a Vicenza — La lega di 



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188 



IIVDIOB 



Oombroi — Vita randagia a Padova, 
Abano, Venezia* • • • • 

Gap. IX. Bitornò del Parrasio a Napoli e a Oo- 

senza — Disgrazie domestiche — Teo- 
dora Oaleondila • • • • 
» X. Un triennio in Calabria trascorso a 

ì « Cosenza, AjellOj Taverna^ Pietra- 
mala, Paola 

[• H Parrasio nel Ginnasio romano — 
Ritorno a Cosenza — Sua morte — 
L' Accademia Cosentina • 



Appkndìcb 



pag. 71 



1 81 



1 89 



» 00 
1 115 



AULI Jani Pabbhasu 



OBATIOXES ET EPISTULAB SBLBOTAK 



I. Oratio ad Patritios neapolitanos • 
II. Privilogium . • • ; • 

III. Epistula ad Ferdinandum Aragoninm 

IV. Oratio I in Alexandmm Minutianum 
V. Oratio II in Alexandram Miuutiannm 

VI. Oratio ad Senatnm Mediolanensem 
VII. Oratio III in Alexandrum Minatianum 
vni. Praefatio in Persinm • 
IX. Praefatio in Tbebaida . 
X. Oratio in L. Floram • 
XI. Epistola ad Laurontinm Peregrinum 
XII. Praefatio in Livium 
XIU. Epistola NN. — De Livii indice . 
XIV. Praelectio ad discipolos 
XV. Epistola ad Piom • • • 

XVI. Epistola NN. — De A. Marcellino 
XVII. Epistola NN. — De Lotatio 



. pug. 119 


> 134 


> 127 


. . » 131 


> 135 


> 137 


> 110 


> 146 


> 148 


> 161 


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. . > 168 


> 160 


> 162 


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. » 164 



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180 



XVIII. Oratio ad Municipium VincentiDum 
XXI. Praefatio in Horatii Odas • 
XX. Bpistula ad Ludovicum Mouialtum 
XXI. Praefatio in SUvas Statii . 
XXn. Praefatio in Oratorem 

XXIII. Praefatio in Epìstulas ad Atticam 

XXIV. Praelectio in Epistnlas ad Atticam 



pag. 166 
172 
174 
177 
179 
180 
184 







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/ Dello stesso autore 



L* Eleqfa. c Ad Lucia» > . di Aulo Uìaco Farrosio « il 
Brnto minore dì G. Leopardi — Ariano — Stab. Tip. Ap- 

'' pnlo-irpino ÌS96, pagg. 30, h. 0,70. 

Un Accadbmico Pontakiaito elei seo. XVI PpeonrBOPe del- 
l' Ariosto ode) Panai — Stiano — Stab Tip Apputo ir- 
pÌHO 1898 pagg X 489, \ 3,S0 

Di prOBSima pubblicazione 

Il Parrasio Filoloqo c la sua Biblioteca. 

F. Paolo Pabzanbsb — Tita ed opere. 

Scritti ihrditi di P Paolo ParzanoBo feon prefazione t noU). 

In preparazione 

STunn Dahtebchi 
Anxcdoti HuvzoinANi 

FOLELOBB iBPmO 

La Bcdola Sabda e i Codd d' Arborea ^ 



Prezzo del pbesektb vomuE LiB^ 3,

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