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Friday, May 31, 2024

Grice e Rossi

 PAOLO ROSSI 

CLAVIS UNIVERSALIS 


ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA 
DA LULLO A LEIBNIZ 


MILANO - NAPOLI 
RICCARDO RICCIARDI EDITORE 
MCMLX 


CLAVIS UNIVERSALIS 


DELLO STESSO AUTORE: 


Per una storia della storiografia socratica, nel vol. Problemi di storio- 
grafia filosofica, a cura di A. Banfi, Milano, Bocca, 1951. 


Giacomo Aconcio, Milano, Bocca, 1952. 


Il «De Principiis» di Mario Nizolio, nel vol. Testi umanistici sulla 
retorica, a cura di E. Garin, Roma-Milano, Bocca, 1953. 


Francesco Bacone, dalla magia alla scienza, Bari, Laterza, 1957. 


Su alcuni problemi di metodologia storiografica, nel vol. Il pensiero 
americano contemporanco, Milano, Ediz. di Comunità, 1958. 


Altre ricerche di storia della filosofia pubblicate nella « Rivista critica 
di storia della filosofia », anni 1950 segg. 


C. Cattaneo, L'insurrezione di Milano nel 1848, Milano, Universale 
Economica, 1948 (introduzione). 


O 


. Cattaneo, La società umana, Milano, Mondadori, 1959 (antologia). 


> 


. E. TayLor, Socrate, Firenze, La Nuova Italia, 1952 (prefazione). 


F. Bacone, La nuova Atlantide e altri scritti, Milano, Universale Eco- 
nomica, 1954 (introduzione, traduzione e note). 


G. B. Vico, Opere, I classici Rizzoli, Milano, Rizzoli, 1959 (introdu- 
zione e note). 


PAOLO ROSSI 


CLAVIS UNIVERSALIS 


ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA 
DA LULLO A LEIBNIZ 


MILANO - NAPOLI 
RICCARDO RICCIARDI EDITORE 
MCMLX 


© 


TUTTI I DIRITTI RISERVATI - ALL RIGHTS RESERVED 


PRINTED IN ITALY 


INDICE 


Premessa 


I. Immagini e memoria locale nei secoli XIV e XV 


I. Polemiche di umanisti contro le prescrizioni della me- 
moria - 2. Le fonti classiche e medievali dell’ars memora- 
tiva - 3. Ars memorativa e ars praedicandi nel secolo XIV 
- 4. Tecniche della memoria nel secolo XV - 5. La Fenice 
di Pietro da Ravenna - 6. Natura e arte - 7. Arte della 
memoria, aristotelismo e medicina - 8. La costruzione delle 
immagini. 


II. Enciclopedismo e combinatoria nel secolo XVI 


III. 


IV. 


I. La rinascita del lullismo - 2. Agrippa e le caratteri- 
stiche dell’ars magna - 3. Arte, logica e cosmologia nella 
tradizione lulliana - 4. L’arbor scientiae © gli enciclopedisti 
del secolo XVI - 5. La confirmatio memoriae negli scritti 
di Raimondo Lullo - 6. Bernardo de Lavinheta: combina- 
toria e memoria locale - 7. La logica memorativa. 


I teatri del mondo 


I. Simbolismo e arte della memoria - 2. Diffusione del- 
l’ars reminiscendi in Inghilterra e in Germania - 3. Span- 
gerbergius - 4. La medicina mnemonica di Gratarolo - 5. 
Il lullismo e la cabala nei teatri del mondo. 


La logica fantastica di Giordano Bruno 


I. Gli scritti lulliani e mnemotecnici del Bruno - 2. Com- 
binatoria, ars memorativa e magia naturale nel secolo XVII. 


V. La memoria artificiale e la nuova logica: Ramo, 


Bacone, Cartesio 


I. Pierre de la Ramée: la memoria come sezione della 
logica - 2. Bacone e Cartesio: la polemica contro i gio- 
colieri della memoria - 3. Mnemotecnica e lullismo in 
Bacone e Cartesio - 4. L’inserimento delle tecniche me- 
morative nella nuova logica: gli aiuti alla memoria nel 
metodo baconiano; tavole, topica, induzione; gli aiuti alla 
memoria e la dottrina dell’enumerazione nelle Regulae. 


4l 


81 


109 


135 


VIII 


CLAVIS UNIVERSALIS 


VI. Enciclopedismo e pansofia 


I. Il sistema mnemonico universale: Enrico Alsted - 2. La 
pansofia e la grande didattica: Comenio - 3. Enciclope- 
dismo e combinatoria nel secolo XVII - 4. L'alfabeto filo- 
sofico di Giovanni Enrico Bisterfield. 


VII. La costruzione di una lingua universale 


I. I gruppi baconiani in Inghilterra: progetti di una lin- 
gua universale - 2. Simboli linguistici e simboli matema- 
tici - 3. I gruppi comeniani: lingua universale e cristiane- 
simo universale - 4. La costruzione di un linguaggio per- 
fetto: George Dalgarno e John Wilkins - 5. La funzione 
mnemonica delle lingue universali: il metodo classifica- 
torio nelle scienze naturali - 6. Cartesio e Leibniz di 


179 


201 


fronte alla lingua universale. 


VIII. Le fonti della caratteristica leibniziana 239 


APPENDICI 


App. 
À pp. 
App. 
App. 
App. 
App. 
App. 
App. 
À pp. 
App. 


I 

II 
IIl 
IV 
Vv 
VI 
VII 
VIII: 
IX 
X 


: 11 Liber ad memoriam confirmandam di Raimondo Lullo. 
: Un anonimo trattato in volgare del secolo XIV. 

: Due Mss. quattrocenteschi di ars memiorativa. 

: Documenti sull’attività di Pietro da Ravenna. 

: Tre Mss. di ars memorativa del tardo secolo XVI. 

: Il Petrarca, maestro di arte della memoria. 

: Uno scritto inedito di Giulio Camillo. 


Esercizi di memoria nella Germania del secolo XVII. 


: La voce Art mnémonique nella Enciclopedia di Diderot. 
: D’Alembert e i caratteri reali. 


INDICE DEI MANOSCRITTI 


INDICE DEI NOMI. 


PREMESSA 


Il termine clavis universalis fu impiegato, fra il Cinque- 
cento ed il Seicento, a indicare quel metodo o quella scienza 
generalissima che pongono l’ uomo in grado di cogliere, al di 
là delle apparenze fenomeniche o delle « ombre delle idee », 
la trama ideale che costituisce l’essenza della realtà. Decifrare 
l'alfabeto del mondo; riuscire a leggere, nel gran libro della 
natura, i segni impressi dalla mente divina; scoprire la piena 
corrispondenza tra le forme originarie e la catena delle umane 
ragioni; costruire una lingua perfetta capace di eliminare gli 
equivoci e di svelare le essenze mettendo l’uomo a contatto 
non con i segni, ma con le cose; dar luogo ad enciclopedie 
totali, a ordinate classificazioni che siano lo specchio fedele 
dell'armonia presente nel cosmo: al tentativo di realizzare 
risultati di questo tipo, ad analizzare, difendere e propagan- 
dare queste posizioni e la visione del mondo ad esse collegata 
furono intenti, fra la metà del Trecento e la fine del secolo 
XVII, quanti si volsero a discutere i temi del lullismo, a det- 
tare le regole della memoria artificiale, a compilare grandiose 
enciclopedie e complicati teatri del mondo, a ricercare l’alfa- 
beto dei pensieri, a farsi sostenitori delle aspirazioni della pan- 
sofa e delle speranze in una totale redenzione e pacificazione 
del genere umano. 

Si tratta di atteggiamenti, di progetti, di temi che ebbero 
diffusione vastissima, che esercitarono un peso decisivo sulle 
ricerche di logica e di retorica, che condussero a studiare e ad 
approfondire, da un ben determinato punto di vista, il pro- 
blema della lingua e quello della memoria, le questioni atti- 
nenti alle topiche e alle classificazioni, ai segni e ai geroglifici, 
ai simboli e alle immagini. È senza dubbio difficile per un 
uomo moderno rendersi conto del peso che una produzione 
libraria dedicata a quest'ordine di problemi ebbe ad eserci- 
tare sulla cultura, anche su quella filosofica. Resta il fatto che 
ad elaborare le regole del discorso, quelle dell’ argomentazione 
e della persuasione, a stabilire i canoni dell’arte della memoria, 
ad insegnare il tipo di collegamento che deve sussistere tra i 
luoghi della mnemotecnica e le immagini che in essi hanno 


X CLAVIS UNIVERSALIS 


da essere collocate, a studiare le figure della grande arte di 
Lullo, ad elaborare le complicate regole della combinatoria, si 
dedicarono intere generazioni di uomini colti dal primo Rina- 
scimento fino all’età di Leibniz. Che le tecniche della memoria 
artificiale e della logica combinatoria siano scomparse dalla 
cultura europea non è probabilmente un male; male è invece 
che molti storici abbiano creduto o tuttora credano di poter 
intendere polemiche e discussioni e significati di teorie, strap- 
pando violentemente quelle discussioni e quelle teorie da un 
contesto storico preciso nel quale quelle tecniche, oggi ben 
morte, erano invece vive e vitali. Chi, occupandosi della cul- 
tura del Cinquecento e del Seicento, non ha per esempio inteso 
il significato della connessione logica-retorica e ha creduto di 
poter tracciare una storia della prima senza minimamente 
occuparsi della storia della seconda, ha raggiunto, in genere, 
conclusioni abbastanza desolanti. Dire, come molti han fatto, 
che «testi insignificanti » ebbero grande diffusione in tutta 
Europa, significa, in ultima analisi, cercare di sfuggire, con 
un giro di parole, ad un problema storico ben determinato: 
che è poi quello delle ragioni di quella singolare fortuna e dei 
motivi che spinsero filosofi come Agrippa e Bruno e Bacone e 
Cartesio e Leibniz e uomini come Alsted e Comenio e scien- 
ziati come Boyle o Ray a prendere estremamente sul serio 
quelle discussioni, a impegnarsi in una valutazione della loro 
funzione e del loro significato, a interpretarle e adattarle a 
più diverse e complesse posizioni di pensiero. 

Certo, ove non si vogliano eliminare dalla storia, come 
frutto di errori e di illusioni, gli scritti latini del Bruno, vari 
capitoli del De Augmentis, i frammenti giovanili di Cartesio, 
una metà degli opuscoli di Leibniz, ove non si vogliano re- 
spingere ai margini della cultura uomini come Alsted e Co- 
menio, bisognerà rendersi conto che anche la cultura del Sei- 
cento (non solo quella delle età precedenti) è, nelle sue stesse 
linee di fondo, assai lontana da una mentalità post-illumini- 
stica. Poiché è proprio il razionalismo illuministico che segna, 
da questo punto di vista, una svolta decisiva: una serie di 
problemi che avevano appassionato per secoli i cultori di logica 
e di retorica, i teorici del discorso e gli studiosi del linguaggio 
vennero eliminati per sempre dalla scena della cultura europea, 
perdettero significato e senso, apparvero manifestazioni delle 


PREMESSA XI 


folli aspirazioni di secoli che si erano posti sotto il segno delle 
empie ricerche astrologiche, magiche e alchimistiche, o sem- 
brarono i relitti, ancora presenti nell’ età della nuova scienza, 
delle tenebre medievali. Accettando come valido il quadro sto- 
riografico estremamente parziale elaborato dagli illuministi nel 
corso di un’aspra lotta ideologica, non poca della storiografia 
dei secoli successivi ha preferito sorvolare su alcuni aspetti, 
che furono in realtà decisivi, della cultura dell’età barocca. Gli 
interessi del Bruno per la combinatoria e la mnemotecnica 
vennero considerati come «curiosità e bizzarrie »; si preferì 
sorvolare sul fatto che Ramo e Bacone e lo stesso Leibniz ave- 
vano visto nella « memoria » una delle sezioni nelle quali si 
articola la nuova logica dei moderni; non si tenne conto che 
la dottrina baconiana delle tavole e dell’induzione, che quella 
cartesiana dell’enumerazione erano state elaborate su un ter- 
reno storico preciso con riferimenti a testi diffusissimi e a di- 
scussioni ormai secolari; si vide in Comenio solo il pedago- 
gista moderno e in Leibniz solo il teorico della logica formale. 
Di quel complicato groviglio di temi connessi alla cabala e 
alle scritture ideografiche, alla scoperta dei caratteri reali, al- 
l’arte della memoria, all'immagine dell’albero delle scienze, alla 
mathesis e alla caratteristica universale, al metodo inteso come 
miracolosa chiave dell’universo, alla scienza generalissima, si 
preferì sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e miste- 
riosa entità “platonismo” sempre presente, come uno sfondo 
non chiarito e un indistinto panorama, dietro le opere dei 
grandi e dei piccoli pensatori. 

Questo libro è nato dal tentativo di chiarire, almeno nelle 
sue linee fondamentali, quello “sfondo” e di individuare gli 
aspetti generali e particolari di quel “panorama”: non me- 
diante riferimenti generici, ma attraverso l’analisi diretta di 
una serie di testi editi e inediti, un esame della diffusione di 
determinati libri e di determinate idee, una ricerca dell’azione 
esercitata da quei libri e da quelle idee sulla “filosofia” (in 
particolare sulla logica) dei pensatori moderni di maggior 
rilievo. i 

La funzione, il significato, gli scopi delle arti della me- 
moria e della logica combinatoria si andarono, di volta in 
volta, variamente configurando dal secolo XV al XVII. Le 
formule, da secoli ripetute, di un arte veneranda acquistarono 


XII CLAVIS UNIVERSALIS 


in ambienti diversi da quelli originari, significati assai diffe- 
renti: quella che era apparsa a molti, fra il Trecento e il 
Quattrocento, una tecnica neutrale utilizzabile nei discorsi per- 
suasivi indipendentemente dalle circostanze di luogo e di 
tempo, finì per rivelarsi strumento di ambiziosi progetti di 
riforma, per caricarsi di significati metafisici, per connettersi al 
temi della cabala dell’esemplarismo mistico e della pansofia. 
Da questo punto di vista fra i testi di ars praedicandi o di 
ars memoriae del Trecento e del Quattrocento e i testi del 
Bruno e del Camillo esiste una incolmabile differenza: a uno 
strumento concepito in vista di finalità pratiche e mondane, 
nell’ambito della retorica, si è sostituita, dopo l’incontro con 
la tradizione del lullismo, la ricerca di una cifra che consenta 
di penetrare i segreti ultimi della realtà, di ampliare smisura- 
tamente le possibilità dell’uomo. Non diversamente, inserendo 
la dottrina degli aiuti della memoria nei quadri di una dottrina 
del metodo o della logica, o richiamandosi alla carena e al- 
l’arbor scientiarum, Ramo, Bacone e Cartesio muteranno pro- 
fondamente il senso di problemi tradizionali. L'antico pro- 
blema della memoria artificiale, piegato a nuove esigenze e 
profondamente trasfigurato, faceva il suo ingresso nella logica 
moderna, si legava ai temi del linguaggio universale e della 
scienza prima o generale. Ma al di là di questi “mutamenti” 
e di queste “trasfigurazioni” resta ben salda, dalla fine del 
Trecento agli ultimi anni del secolo XVII, una effettiva con- 
tinuità di idee e di discussioni: una continuità che ha carat- 
tere europeo e che è accertabile mediante la documentazione 
della diffusione di un grandissimo numero di testi e di molte 
idee in gruppi di uomini ben determinati. Nel corso del Set- 
tecento i testi di Pietro da Ravenna e di Cornelio Gemma, di 
Alsted e di Pedro Gregoire, di Schenkelius e di Rosselli, di 
Bisterfield e di Wilkins, che erano stati studiati e letti e com- 
mentati da Bruno e da Bacone, da Comenio da Cartesio e da 
Leibniz vengono eliminati dalla cultura europea. Anche il 
lullismo, che era stato in Francia, in Germania e in Italia, 
una delle componenti fondamentali della cultura, una delle 
“sette” filosofiche più fortunate e accademicamente più forti, 
si localizza nella città di Magonza e nell’isola di Maiorca, 
assume carattere esclusivamente erudito, dà luogo, nella se- 
conda metà del secolo, solo alle malinconiche esercitazioni di 


PREMESSA XIII 


qualche professore, si riduce a manifestazione di una menta- 
lità irrimediabilmente arcaica e provinciale. Non diversamente 
le arti della memoria artificiale, nate con Cicerone e Quinti- 
liano, riprese da Alberto e Tommaso, considerate essenziali 
all’esercizio della virtù cristiana della prudenza, coltivate da 
Lullo, da Bacone e da Leibniz, vengono respinte ai margini 
della cultura, vanno infine a far compagnia, nelle collane di 
libri occulti, ai testi dell’ antroposofia e dello spiritismo. 
Appellandosi ad un “calcolo” logico e soprattutto ad un 
“simbolismo” di tipo matematico Leibniz aveva dato in realtà 
un colpo mortale a quei “simboli” intesi come «pitture ani- 
mate prodotte dall’immaginativa » che avevano riempito per 
tre secoli non pochi testi di retorica di pedagogia e di filosofia. 
Con Leibniz, ed anche per opera di Leibniz, scompariva un 
intero mondo; non solo un certo modo di intendere la fun- 
zione delle immagini e dei simboli, ma anche un modo di 
intendere il compito della logica e i rapporti di questa con la 
metafisica. Nel 1713 quando Collier pubblicò la sua Clavis 
universalis, questo termine, già carico di tanti significati, aveva 
perso ogni senso, era solo un'etichetta, estranea al contenuto 
dell’opera. Rifiutando gli aspetti arcaici del pensiero leibni- 
ziano; respingendo l’esemplarismo di derivazione lulliana, le 
stravaganze della cabala, i sogni della pansofia, tutta l’atmo- 
sfera — alquanto torbida — dell’enciclopedismo dei due secoli 
precedenti, il razionalismo settecentesco coinvolgeva però nella 
condanna — con conseguenze storiche assai importanti — an- 
che i progetti di una caratteristica universale e di un simbo- 
lismo logico avviati da Dalgarno e da Wilkins, condotti avanti 
da Leibniz. Non a caso Emanuele Kant, a quasi un secolo 
dalla comparsa della Dissertatio de arte combinatoria, esclu- 
deva radicalmente che le idee composte potessero essere rap- 
presentate mediante la combinazione di segni e paragonava la 
caratteristica di Leibniz agli inconcludenti sogni dell’ alchimia. 
L’opera di Leibniz veniva così identificata con quella di 
un teologo e di un metafisico speculativo, la sua fama era 
affidata alla Teodicea e alle discussioni sul problema del male. 
Come ha scritto con molta esattezza il Barber, che ha studiato 
in modo egregio le reazioni di un secolo di cultura francese 
al leibnizianesimo, l’avvento del nuovo empirismo « swept 
Leibniz too into the class of the outmoded exponents of apriori 


XIV CLAVIS UNIVERSALIS 


: DR, Si : 
systems ». Per veder ripresi i progetti di Leibniz bisognerà 
attendere per due secoli: fino ad Augustus de Morgan e a 
George Boole; come logico, Leibniz verrà rivalutato, agli inizi 
del nostro secolo, da Louis Couturat e da Bertrand Russel; 
del vescovo di Wilkins si parla con una certa simpatia, forse per 
la prima volta dopo il Settecento, nel volume The meaning 
of meaning di Ogden e Richards pubblicato a Londra nel 1923. 
La sviluppo ottocentesco della logica formale, il costituirsi 
della logica simbolica come scienza derivava dalla « graduale 
acquisizione della sempre più netta consapevolezza della sua 
natura di tecnica deduttiva indipendente dai presupposti di 
una visione generale del mondo » (Barone) dallo svincola- 
mento « da ogni preoccupazione ontologico-metafisica » (Preti). 
Come già aveva notato Husserl, la logica formale moderna 
era nata « non da riflessioni filosofiche sul significato e sulla 
necessità della mathesis universalis, ma dalle esigenze della 
tecnica teoretica deduttiva della matematica ». 

I riconoscimenti delle « geniali anticipazioni » presenti nel 
pensicro di Leibniz ebbero origine precisamente su questo 
terreno. Ma su un altro terreno, radicalmente diverso, si era 
mosso Leibniz e, prima di lui, si erano mossi Bacone e Car- 
tesio. Quelle “anticipazioni”, quei “precorrimenti” che Far- 
rington, Beck' o Russel, trattando rispettivamente di Bacone, 
di Cartesio e di Leibniz, hanno così acutamente segnalato sono 
senza dubbio di grandissimo interesse ed ogni ricerca volta a 
determinarne meglio la portata e la fecondità per i contem- 
poranei è non solo legittima, ma auspicabile. E tuttavia sotto- 
lineare le differenze, battere sulla diversità, sulla alterità è, 
quanto meno, altrettanto importante: per dissipare cquivoci, 
per mostrare che cosa fu, nella realtà, quello sfondo indistinto 
sul quale campeggiano i ritratti dei nostri illustri antenati. Co- 
me ha scritto di recente Augustin Crombie, a proposito dei lu- 
minosi precorrimenti presenti nell’opera di Galileo, « it is not 
by reading our own problems backwards that historical expe- 
rience is enlightening, but by exposing ourselves to the surprise 
that thinkers so effective should have had aims and presup- 
positions so different from our own ». 

Chi abbia familiare la letteratura sul Rinascimento vedrà 
chiaramente quanto questo libro debba alle ricerche di E. 
Garin sulla cultura dei secoli XV, XVI e XVII e, per quanto 


PREMESSA XV 


riguarda la “continuità” delle “idee” fra il Quattrocento e 
il Settecento, alle conclusioni cui è giunto, di recente, Delio 
Cantimori. Desiderio inoltre esprimere la mia gratitudine al 
Padre Miquel Batllori dell’ Istituto Storico della Compagnia 
di Gesù, al prof. Frangois Secret, a Mrs. G. Bing del War- 
burg Institute, agli amici Paola Zambelli e Cesare Vasoli 
che mi hanno variamente consigliato, fornito pubblicazioni e 
indicazioni di articoli e di studi. Ringrazio inoltre il dott. 
Luigi Quattrocchi dell’Istituto Italiano di Amburgo che mi 
ha procurato le fotografie di alcuni manoscritti leibniziani c 
la direzione della « Rivista critica di storia della filosofia » 
che mi ha consentito di riprodurre qui quelle parti del libro 
che erano apparse, nella rivista stessa, sotto forma di saggi. 


AvveRTENZA: Nelle note, a indicare le biblioteche qui di seguito elen- 
cate, si sono usate le seguenti abbreviazioni (ma si veda anche 
l’ Indice dei manoscritti: 


Ambros. . Ambrosiana 

Ang. Angelica 

Anton. Antoniana 

Archiginn. Comunale di Bologna 
Braid. Braidense 

Casan. Casanatense 

Class. Classense 

Fir. Naz. Nazionale di Firenze 
Laur. Laurenziana 

Marc. Marciana 

Pad. Civ. Civica di Padova 

Par. Naz. Bibliothèque Nationale 
Pavia Univ. Universitaria di Pavia 
Ricc. . Riccardiana 

Roma Naz. Nazionale Centrale di Roma 
Triv. Trivulziana 

Vatie. 


Apostolica Vaticana 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 
NEI SECOLI XIV E XV 


1. POLEMICHE DI UMANISTI CONTRO LE « PRESCRIZIONI » DELLA 
MEMORIA. 


In un testo fondamentale della filosofia moderna, com- 
posto alla metà del secolo dei lumi, Hume, discorrendo del 
discernimento e della memoria, affermava che mentre i difetti 
del discernimento non possono trovar rimedio in alcuna arte 
o invenzione, i difetti della memoria possono sovente essere 
attenuati od eliminati «sia nel campo degli affari come in 
quello degli studi ». Accennando al « metodo », alla « opero- 
sità» e alla « scrittura » come opportuni aiuti a una debole 
memoria, scriveva: «quasi mai sentiamo indicare la scarsa 
memoria come la ragione del fallimento d’una persona nelle 
sue iniziative. Ma nell’antichità, quando nessun uomo poteva 
conseguire successo se non possedeva il talento della parola, 
e quando il pubblico era troppo delicato per reggere ad ar- 
ringhe rozze ed indigeste del tipo di quelle che gli improv- 
visati oratori dei nostri giorni propinano alle assemblee, la 
facoltà della memoria aveva la massima importanza e, per 
conseguenza, era assai più stimata di oggi ».' 

Hume, che negli anni della sua formazione intellettuale 
aveva « segretamente divorato » i testi ciceroniani, era ben con- 
sapevole dell’esistenza storica di una tecnica o arte della me- 
moria che, come risulta dal suo brano, è per sua natura con- 
nessa al fiorire di una civiltà che fa largo posto alle tecniche 
del discorso e ad un mondo nel quale la retorica si presenta 
come un elemento vivo della cultura. Negli anni in cui Hume 
scriveva, le ricerche volte alla fissazione e alla elaborazione 


1 D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui princìpi della morale, 
a cura di M. Dal Pra, Bari, 1957, p. 267. Cfr. il testo inglese ed. L. A. 
Selby Brigge, Oxford, 1955, p. 241. Sul problema della memoria cfr. 
anche A Treatise of Human Nature, cd. by L. A. Selby Brigge, Ox- 
ford, 1955, pp. 8-10 (sulla memoria e l'immaginazione); pp. 117-118 
nota; pp. 108, 153, 199, 209. Sull’ assenza di ogni sensazione di piacere 
o di pena nell'esercizio della memoria cfr. libro III, parte III, scz. IV. 


2 CLAVIS UNIVERSALIS 


delle regole della memoria artificiale erano ormai definitiva- 
mente scomparse dalla scena culturale europea e si erano rifu- 
giate sul piano delle curiosità e delle stravaganze. Non si era 
trattato solo di un corrompersi delle arti del discorso di fronte 
alla minore delicatezza degli uditori: l’enorme diffusione della 
stampa (e quindi dei repertori, dei dizionari, delle bibliografie, 
delle enciclopedie), la progressiva affermazione delle nuove 
logiche (da Ramo a Bacone, da Cartesio ai Portorealisti) ave- 
vano dato in realtà un colpo mortale da un lato alla tratta- 
tistica retorica e dall’altro a quella produzione di opere di mne- 
motecnica (a quella trattatistica strettamente collegata) che, 
durante i secoli XV e XVI e nei primi decenni del XVII, ave- 
vano letteralmente invaso l’ Europa. 

Solo tenendo conto della diffusione che la mnemotecnica 
aveva raggiunto non solo in un ambito letterario e filosofico, 
ma anche all’interno delle scuole e dei programmi d’insegna- 
mento, ci si possono spiegare le proteste e le ironie che contro 
di essa da più parti si levarono nei secoli stessi del Rinasci- 
mento. Nel decimo capitolo del De varitate scientiarum, dedi- 
cato appunto all’ars memorativa, Agrippa si scagliava con vio- 
lenza, contro quei zedulones che, nelle scuole, impongono agli 
studenti lo studio della memoria artificiale o che riescono a 
spillar quattrini agli incauti facendo leva sulla novità dell’arte. 
Far ostentazione di capacità mnemoniche gli sembrava cosa 
puerile; spesso, concludeva, si giunge a manifestazioni di tur- 
pitudine e di impudenza: si sciorinano tutte le merci dinanzi 
alla porta mentre la casa, all’interno, è completamente vuota. 
Ricordando Simonide, Cicerone, Quintiliano, Seneca, Petrarca 
e Pietro da Ravenna fra i maggiori teorici dell’arte memorativa, 
egli da un lato notava la insufficienza della memoria artificiale 
ove non sussistesse già robusta la nazuralis memoria c dal- 
l’altro si scagliava contro il carattere mostruoso delle immagini 
e la pesantezza delle formule in uso nella mnemotecnica. I cul- 
tori della quale, gli sembrava, intendono far impazzire me- 
diante l’arte coloro che non si accontentano dei confini sta- 
biliti dalla natura.” 


° H. C. Acrirra, De incertitudine et vanitate scientiarum, in Opera, 


Lugduni, per Beringos Fratres, 1600, II, pp. 32, 33 (copia usata: Triv. 
Mor. K. 403). 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 3 


Con altrettanta decisione, vent'anni più tardi, Erasmo, 
nemico dei ciceroniani e della retorica, si pronuncerà contro 
l’uso dei loci e delle immagini che non fanno — affermava — 
che rovinare e corrompere la memoria naturale. Con più iro- 
nia, un altro grande critico delle degenerazioni pedantesche e 
delle precettistiche dell’umanesimo rifiuterà questo tipo di let- 
teratura, insistendo, con una crudezza che va certo spiegata 
anche mediante il riferimento ad una situazione culturale pre- 
cisa, sulla sua stessa mancanza di memoria: 


Il n'est homme è qui il siese si mal de sc mesler de 
parler de memoire, car je n’en recognois quasy trace en 
moi, et ne pense qu'il y en ayt au monde une aultre si 
mervcilleuse en defaillance... Si jc suis homme de quelque 
legon, jc suis homme de nulle retention... Ma memoire 
sempire cruellement tous les jours... 


Proprio sul terreno dell'educazione c partendo dal presup- 
posto che « sgavoir par coeur n'est pas “gdvolt, c'est tenir ce 
qu'on a donné en garde à sa memoire »,° Montaigne polemiz- 
zava contro l'apprendimento mnemonico in nome di una cul- 
tura « viva»: non si chieda conto al discepolo delle parole 
della lezione, ma del suo senso e della sua sostanza; gli si 
chieda non la testimonianza della sua memoria, ma della sua 
vita; lo stomaco non ha adempiuto alla sua funzione se non 
quando ha mutato la forma e la struttura degli alimenti, iden- 
tico è il compito della mente." Non si trattava di generici 
riferimenti alla libertà della mente di fronte ad ogni precet- 
tistica; la polemica di Montaigne assomiglia solo nella forma 
a quella che potrebbe condurre un professore dei nostri giorni 


* D. Erasmo, De razione studii, ed. Frocben, 1540, I, p. 466. 

! MoNTAIGNE, Esseis, I, 9; II, 10 (ediz. Garnier, Parigi, s. d., I, p. 25; 
374). 

> Essats, I, 25 (vol. I, p. 119). 

€ «Qu'il ne luy demande pas seulement compte des mots de ca legon, 
mais du sens et de la substance; et qu'il juge du profit qu'il aura faict, 
non par le tesmoignage de sa memoire, mais de sa vie... C'est tesmoi- 
gnage de crudité et indigestion, que de regorger la viande comme on 
l’a avallée: l'estomach n'a pas faict son operation, s'il n'a faict changer 
la faccon et la forme à ce qu'on luy avoit donné à cuire... On nous 
a tant assubjectis aux chordes, que nous n’avons plus de franches allu- 
res; notre viguer et liberté est esteincte ». (Essai, I, 25; vol. I, p. 117). 
Cfr. anche II, 10 (vol. I, p. 380). 


4 CLAVIS UNIVERSALIS 


contro gli studenti che imparano le lezioni a memoria. Egli 
aveva di fronte obbiettivi precisi: 


Si en mon pais on veult dire qu'un homme n°a point de 
sens, ils disent qu'il n'a point de memoire; et quand je 
me plains du default de la mienne, ils me reprennent et 
mescroyent, comme si je m’accusois d’estre insensé: ils ne 
veoyent pas de chois entre memoire et entendement... Mais 
il me font tort, car il se veoid par cxpérience que les 
memoires excellentes se joignent volentiers aux jugements 
debiles... Ils on laissé, par escript, de l’orateur Curio que, 
quand'il proposoit la distribution des pieces de son oraison 
en trois ou en quatre, ou les nombres de ses arguments 
ou raisons, il luy advenoit volentiers ou d’en oublier quel- 
qu’un, ou d’y en adjouster un ou deux de plus. J'ay tous- 
jours bien evité de tomber en cet inconvenient, ayant hai 
ces promesses et prescriptions...” 


In realtà, nonostante le proteste di Erasmo e di Montaigne, 
quelle odiate « prescrizioni » erano destinate a diffondersi 
sempre più ampiamente durante tutto il secolo XVI e a pro- 
lungarsi poi fino in pieno Seicento. A_metà del secolo XVII 
Wolfang Ratke protesterà, da un punto di vista simile a quello 
dei grandi umanisti, contro l’apprendimento mnemonico e 
contro gli esercizi di mnemotecnica.* Ancora negli ultimi anni 
del secolo i ‘““ciceroniani”, che non avevano affatto disarmato 
nonostante Erasmo, Montaigne e la grande crisi ramista e car- 
tesiana, si facevano con successo sostenitori, in sede pedago- 
gica oltreché retorica, della necessità e dell’utilità della me- 
moria artificiale. Quella vasta produzione di trattati di ars 
memorativa alla quale si rifaceva la Art of Memory del D’As- 
signy, che non a caso veniva dedicata nel 1697 ai « giovani 
studenti di entrambe le università »,° non era stata soltanto 
espressione di pedanteria grammaticale: in essa aveva trovato 
forma quel panmetodismo che, nel corso del Cinquecento, 
aveva contrassegnato tutta la cultura. La fisionomia, i tempe- 
ramenti, le passioni, le proporzioni del corpo umano, il di- 


? Essais, I, 9; III, 9 (vol. I, p. 25; vol. II, p. 350). 

* Pàdagogische Schriften des Wolfang Ratichius und seiner Anhinger, 
Breslau, 1903. Cfr. E. Garin, L'educazione in Europa, 1400-1600, Bari, 
1957, pp. 234-235. 

® M. D'Assicny, The Art of Memory. A treatise useful for such as 
are to speak in Publick, London, 1697. 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 5 


scorso, la poesia, l'osservazione della natura, l’arte del gover- 
nare e quella militare: tutto venne in quell’età codificato e 
ridotto in arte. In quel periodo della cultura che è stato felice- 
mente chiamato «l’età dei manuali », in quel secolo che « fu 
instancabile nel ricercare princìpi normativi di valore generale 
e perenne da calare in comodi schemi didascalici »,°° proprio 
mentre si veniva chiarendo la impossibilità, per quelle codifi- 
cazioni, di passare dal piano delle topiche e dei teatri univer- 
sali a quello del metodo,!! si andava rafforzando l’esigenza di 
un’arte capace di presentarsi come la chiave della realtà, come 
arte universale e somma, capace di risolvere di colpo tutti i 
problemi dando luogo ad una tecnica suprema che rendesse di 
fatto inutili tutte le varie provvisorie e particolari tecniche. 
L’idea di un’arte del ricordare e del pensare che si svolga 
in modo “meccanico” acquisterà nuovo vigore quando, fra la 
metà del Cinquecento e la metà del Seicento, si stabilirà un 
contatto profondo fra le ricerche di arte della memoria ispirate 
a Cicerone a Quintiliano alla Retorica ad Herennium, quelle 
derivanti dal De memoria et reminiscentia di Aristotele dai 
commenti di Alberto, Tommaso, Averroè e infine quelle diret- 
tamente legate alla ars magra di Lullo. Avrà allora nuovo 
rilievo il concetto di un meccanismo concettuale che, una volta 
messo in moto, possa svolgersi da solo, in modo relativamente 
indipendente dall’opera del singolo, fino alle ultime conse- 
guenze, fino alla comprensione totale, ponendo gli uomini in 
grado di leggere nella sua integrità il gran libro dell’universo. 
Per rendersi conto del peso che questa idea eserciterà nel seno 
stesso della filosofia moderna basterà pensare alla macchina che 
Bacone intendeva costruire mediante la sua nuova logica, al 
mirabile inventum cartesiano cercato, prima che nella geome- 
tria analitica, nei testi di Lullo e di Agrippa, ai libri « porta- 
tori di luce universale » di Comenio, infine a quella mirabile 
chiave che intendeva essere la “caratteristica” leibniziana. 
L'antico sogno lulliano di un’arte che sia contemporanea- 


!° L. Firpo, Lo stato ideale della Controriforma (Ludovico Agostini), 
Bari, 1957, p. 245. 
!! Cfr. R. KLEIN, L’imagination comme vétement de l’ dame chez Mar- 


sile Ficin et Giordano Bruno, in « Revue de Métaphysique et de Mo- 
rale », 1956, 1, pp. 30-31. 


6 CLAVIS UNIVERSALIS 


mente logica e metafisica,'° che, a differenza della logica tra- 
dizionale, tratti non delle seconde, ma delle prime intenzioni, 
che mostri la corrispondenza tra il ritmo del pensiero e quello 
della realtà, che disveli, mediante combinazioni mentali, il 
vero senso dei rapporti reali, aveva trovato piena espressione, 
nei secoli del Rinascimento, nei tormentati scritti di mnemo- 
tecnica del Bruno. E non a caso, oltre che alla lettura dei testi 
di Lullo, Bruno ebbe a richiamarsi alla scoperta, fatta in anni 
giovanili, del trattatello sulla memoria di Pietro da Ravenna," 
che era invece di precisa ispirazione “retorica” e “ciceroniana”. 
Quando nel De umbris idearum Bruno si muoverà sul piano 
dei nessi immaginativi, delle connessioni tra immagini e figure 
e lettere, affiderà proprio al connubio tra meccanismo logico e 
meccanismo psicologico quella possibilità di una immensa 
estensione del sapere o di una nuova inventio che era al cul- 
mine delle sue aspirazioni: in quel punto apparivano saldate 
insieme, nei testi bruniani, le aspirazioni del lullismo e le tec- 
niche sull’uso dei luoghi e delle immagini che derivavano dai 
testi di retorica antica e dai trattati sulla memoria artificiale 
del Rinascimento. 

Leggendo le pagine vivacemente polemiche contro l’arte 
della memoria (quelle di Ratke come quelle di Erasmo o di 
Montaigne o di Agrippa) è certo difficile non simpatizzare in 
qualche modo con quella polemica condotta, in nome della 
libera spontaneità dell’uomo, contro gli schemi e la pedan- 
teria e le prolissità di una rigida precettistica. Ciò non toglie 


12 R. LutLi, Opera omnia, Mainz, 1721-42, vol. III, p. 1: « Sciendum 
est ergo, quod ista Ars est et logica et Metaphysica... Mctaphysica 
considerat res, quae sunt extra animam, prout conveniunt in ratione 
entis; logica etiam considerat res secundum esse, quod habent in anima... 
sed hacc Ars tanquam suprema omnium humanarum scientiarum in- 
differenter respicit ens secundum istum modum ct secundum illum ». 
Cfr. anche Opera, ed. Zetzner, Strasburgo, 1617, p. 358: « Logicus trac- 
tat de secundariis intentionibus... sed generalis artista tractat de primis... 
Logicus non potest invenire veram legem cum logica: generalis autem 
artista cum ista arte invenit... Et plus potest addiscere artista de hac 
arte uno mense, quam logicus de logica uno anno ». (Copia usata: An- 
gelica, XX, 12, 49). 

13 A. Corsano, // pensiero di G. Bruno nel suo svolgimento storico, 
Firenze, 1940, p. 41; F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno, esposte 
e confrontate con le italiane, Firenze, 1889, p. 37, nota 2. 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE / 


che di fatto proprio quella precettistica (quella derivante da 
Cicerone come quella derivante da Lullo) ebbe ad incidere, 
per vie sotterraneee, sulla formazione della nuova cultura con- 
dizionando il costituirsi stesso della logica nuova da Bacone 
a Leibniz. In varie guise collegata agli sviluppi delle arti del 
discorso e alle tecniche della persuasione, ai tentativi di co- 
struzione di una nuova enciclopedia, alle controversie sul rami- 
smo e sul lullismo, alla magia, alla medicina e alla fisiogno- 
mica, la trattatistica sulla memoria artificiale si colloca dun- 
que, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, al 
centro di un giro di discussioni e di problemi cui appaiono 
interessati non solo i teorici o cultori della retorica, ma filosofi 
e logici c cultori di scienze occulte e medici ed enciclopedisti 
di varia provenienza e natura. 

Le “bizzarrie” della mnemotecnica andranno così da un 
lato a intrecciarsi a problemi di logica e di retorica e dall’altro 
a connettersi alla rinascita del lullismo e alla creazione di lin- 
guaggi artificiali nonché a quella ambigua atmosfera magico- 
occultistica che appare in molti casi collegata al rifiorire di 
interessi per l’ars magra di Lullo. Le discussioni sulla mnemo- 
tecnica non saranno in tal modo senza risonanza su due grandi 
problemi della cultura filosofica del Seicento: quello del me- 
todo o della logica inventiva e quello della sistematica classifi- 
cazione delle scienze o costruzione di una enciclopedia del 
sapere. 


2. LE FONTI CLASSICHE E MEDIEVALI DELL’ARS MEMORATIVA. 


Gli uomini — scriveva l’anonimo autore di un trattato 
quattrocentesco sulla memoria — inventarono arti diverse c 
numerose per aiutare e potenziare l’opera della natura. Con- 
statando la labilità dell’umana memoria, legata alla fragilità 
della natura dell’uomo, escogitarono un’arte mediante la quale 
fosse possibile ricordarsi di molte cose che, per via naturale, 
non potevano essere ricordate. Nacque così la scrittura e poiché 
in tempi successivi gli uomini si resero conto di non poter 
portare sempre seco le scritture e che non sempre scrivere era 
possibile, inventarono, fin dai tempi di Simonide e di Demo- 
crito, l’arte della memoria artificiale. 

Questo avvicinamento dell’arte mnemonica alle altre tec- 


8 CLAVIS UNIVERSALIS 


niche che aiutano l’opera della natura, presente in questo co- 
me in tutti i trattati rinascimentali sulla memoria, non è, come 
vedremo, senza significato. Ma più che da questo accosta- 
mento si è colpiti, esaminando i trattati di ars memorativa 
composti fra la metà del Trecento e la metà del secolo XVII, 
dal costante, insistente richiamo alla psicologia aristotelica, ai 
grandi manuali della retorica latina, ai testi sulla memoria e 
ai commenti di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino. In 
molti casi i trattati che andremo esaminando non fanno che 
esporre, commentare, amplificare regole, dottrine, precetti che 
risalgono a molti secoli prima e che, elaborati in Grecia e 
in Roma, giungono agli scrittori del Trecento e a quelli del 
Rinascimento attraverso l’opera dei grandi maestri della scola- 
stica. 

Certo, anche quelle regole e dottrine andranno mutando 
valore e portata e significato a contatto con tradizioni culturali 
differenti e con differenti ambiti di civiltà: quegli aiuti della 
memoria che appaiono connessi nel Medio Evo con l’ars prae- 
dicandi, diventeranno in Bruno gli strumenti di un’arte che 
vuol riprodurre le strutture della realtà, mentre Bacone e 
Descartes li inseriranno, come elementi essenziali, all’interno 
della nuova metodologia delle ricerche naturali. Tuttavia, chi 
voglia intendere il significato e l’origine storica di quegli 
“aiuti alla memoria”, non potrà non aver presenti le fonti alle 
quali con maggior insistenza quelle dottrine si richiamavano. 
Appunto di quelle fonti si intende qui dar conto brevemente. 


1) Il De memoria et reminiscentia di Aristotele. 


Questo scritto, che si presenta come un trattato di psico- 
logia e non come una dissertazione sulla mnemotecnica, con- 
tiene tuttavia alcune affermazioni che verranno sfruttate in 
epoche successive in vista della costruzione di una tecnica del 
ricordare. I teorici della mnemotecnica si richiamano alle se- 
guenti dottrine aristoteliche: 4) La tesi della necessaria pre- 
senza dell'immagine o fantasma (gAvtacpa) in vista del fun- 
zionamento della memoria (pvt ). Il necessario ricorso 
all'immagine, che è una specie di sensazione senza materia o 
di sensazione indebolita, fa sì che fra la memoria e l’immagi- 
nazione ( pavtagia «leSntx4 ) da un lato e la memoria e 
la sensazione dall’altro intercorrano rapporti assai stretti. 4) La 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 9 


tesi che il ricordo o memoria riflessa o attualizzazione della 
memoria scomparsa dalla coscienza ( &v&pvrotg ) sia facilitato 
dall'ordine e dalla regolarità, come avviene per esempio nel 
caso della matematica, mentre ciò che è confuso e disordi- 
nato difficilmente può essere ricordato. c) La formulazione 
di una legge dell'associazione secondo la quale le immagini e 
le idee si associano in base alla somiglianza, alla opposizione, 
alla contiguità. In un passo del De memoria (2, 452 a, 12-15) 
che avrà particolare fortuna Aristotele affermava: «talora il 
ricordo sembra partire dai Zuoghi (Toro). La ragione di ciò 
è che l'uomo passa rapidamente da un termine all’altro, per 
esempio dal latte al candore, dal candore all’aria, dall'aria al- 
l’umidità, dall’umidità al ricordo dell’autunno, supponendo che 
si cercasse di ricordare questa stagione ». All’impiego delle im- 
magini Aristotele si riferisce del resto anche nel De anima (III, 
3, 427 b, 14-20): «E chiaro che l'immaginazione è qualcosa 
di distinto dalla sensazione e dal pensiero.. essa è in nostro 
potere quando lo vogliamo, e si può infatti porre qualcosa 
davanti agli occhi come fanno coloro che vanno riempiendo 
i luoghi mnemonici e fabbricano immagini (év toîs pwapovizotîe 
aiSepevor xa ciòwioror9ivte: ), mentre la sensazione non di- 
pende da noi ».'' 


14 Oltre ai luoghi cit. nel testo cfr.: per i rapporti fra immagine e sen- 
sazione: De anima, III, 8, 423 a 9; Rhet., I, 11, 1370a 28; per i rap- 
porti fra memoria e immaginazione: Sec. An., II, 19, 99b 36-100a 4; 
Metaph., A, I, 9800 27-b 27; De mem., 1, 450a 22-25; per i rapporti 
fra memoria e sensazione: Mezaph., A, 980 a 28-29; De mem., 1, 450a 
30-b 3. Come è stato notato la traduzione di &vapwoxg con remini- 
scentia, pur legittimata dal riferimento a Platone in Prim. An., II, 21, 
67 a 21-22, non corrisponde al senso che il termine ha in Aristotele. La 
àvapynog è una attualizzazione della memoria, una ricostruzione 
del ricordo che richiede una conoscenza del tempo non spontanea 
come nella memoria (De mem., 450a 19), ma riflessa (452b 7; 453a 
9-10) e che è quindi caratteristica solo dell’uomo (453a 8-9). Del 
De memoria et reminiscentia cfr. l'edizione con traduzione inglese e 
commento di G.R.T. Ross, Cambridge, 1906. Utile il commento del 
TricoTr, nella traduzione dei Parva naturalia, Parigi, 1951, pp. 57-75. 
Scarsa la trattazione della memoria nelle opere sulla psicologia aristo- 
telica: A. E. CHaicHer, Essai sur la psychologie d’A., Parigi, 1883; J. 
Nuyens, L’évolution de la psychologie d'A., Lovanio, 1948; C. W. 
SHUTE, Psychology of A., New York, 1947. Sulla presenza di una mne- 
motecnica presso i Greci cfr. la testimonianza della RAetorica ad He- 


10 CLAVIS UNIVERSALIS 


2) Il De oratore di Cicerone (II, 86-88). 


In questo testo la memoria viene trattata come una delle 
cinque parti che costituiscono la tecnica dell’oratore. Dopo 
aver fatto riferimento all’episodio del poeta Simonide (primum 
ferunt artem memoriae protulisse) che aveva identificato i 
corpi dei partecipanti a un banchetto sfigurati dal crollo del 
soffitto ricordandosi il posto (/ocum) che essi avevano occu- 
pato, Cicerone metteva in luce la opportunità, in base al pre- 
supposto che l’ordine giovi alla memoria, di scegliere dei 
luoghi, di formare le immagini dei fatti o concetti che si 
vogliono ricordare, di collocare quelle immagini net luoghi. 
L’ordine secondo il quale sono disposti i luoghi metterà in 
grado di ricordare i fatti. L'arte della memoria appare in tal 
modo paragonabile e analoga al processo della scrittura: i luo- 
ghi adempiono alla stessa funzione della tavoletta cerata, le 
immagini hanno la stessa funzione delle lettere. L'uso delle 
immagini appare fondato sulla necessità di un ricorso al piano 
del senso e sulla maggior persistenza della memoria visiva 
(«ea maxime animis adfigi nostris quae essent a sensu tradita 
atque impressa; acerrimum autem ex omnibus nostris sensibus 
esse sensum videndi »). I luoghi dovranno essere molti, chiari 
c collocati modicis intervallis; le immagini risulteranno tanto 
più efficaci quanto più atte a colpire le facoltà immaginative 
(«est utendum imaginibus agentibus, acribus, insignitis quae 
occurrere celeriterque percutere animum possint »). 


3) Il De institutione oratoria di Quintiliano (XI, 2). 


Pur avanzando qualche riserva sull’utilità della € mnemo- 
tecnica, Quintiliano, che inizia anch’egli la sua esposizione 
con il racconto di Simonide, dedica all'argomento una tratta- 
zione assai più ampia e dettagliata di quella ciceroniana. Sulla 
costruzione dei /xoghi della memoria artificiale Quintiliano 


renniun, III, 23: «Scio plerosque Graccos, qui de memoria scripse- 
runt... ». Sulla tecnica della memoria in Ippia d’Elide cfr. l'ipotesi avan- 
zata da O. Arett, Bettriige zur Geschichte der antiken Philosophie, VIII, 
1891, p. 381. Sono da vedere anche: J. A. ErnESTI, Lexicon teclnolo- 
giae Graccorum rhetoricae, Lipsia, 1795; Lexicon technologiae Lati- 
norum rhetoricae, Lipsia, 1797; P. Laurap, Manuel des etudes grecques 


et latnes, App. II: La mnémotechnie des anciens, Les Humanités, 
94, 1933. 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 1} 


si sofferma a lungo: per raggiungere risultati efficienti è 
opportuno servirsi, egli afferma, di un edificio collocando le 
varie immagini nei singoli luoghi ordinatamente disposti all’in- 
terno delle singole stanze. « Visitando mentalmente l’edificio » 
(che può essere anche un edificio pubblico o può essere sosti- 
tuito dai bastioni di una città o da una giornata suddivisa in 
varî periodi o da una costruzione immaginaria e « non-reale ») 
sarà possibile « riprendere » le diverse immagini (e quindi ri- 
chiamare alla mente i fatti o i concetti che esse esprimono) 
dai diversi loghi nei quali esse sono rimaste « custodite ». 


4) La RAetorica ad C. Herennium (MI, 16-24). 


In questo scritto di autore ignoto che i medievali, attribuen- 
dolo a Cicerone, qualificano come rhetorica nova o secunda 
(per distinguerlo dal De inventione o rhetorica vetus) ritro- 
viamo presenti le stesse regole e gli stessi precetti ai quali ci 
siamo riferiti parlando di Cicerone e di Quintiliano. La 
distinzione fra memoria naturale e memoria artificiale appare 
formulata con estrema chiarezza: « sunt igitur duae memo- 
rine: una naturalis, altera artificiosa. Naturalis est ea quae 
nostris animis insita est et simul cum cogitatione nata; artifi- 
ciosa est ea quam confirmat inductio quaedam et ratio prae- 
ceptionis ». Fra i /uoghi, che per ricordare molte cose do- 
vranno essere assai numerosi, troviamo elencati: aedes, interco- 
lumnium, angulum, fornicem et alia quae his similia sunt. Le 
immagini, che sono le formae o notae o simulacra di ciò che 
si intende ricordare, vanno collocate nei luoghi: «allo stesso 
modo infatti in cui coloro che conoscono le lettere dell’alfa- 
beto possono scrivere ciò che viene dettato e recitare ciò che 
scrissero, così coloro che hanno appreso l’arte mnemonica pos- 
sono collocare nei luoghi le cose che hanno udito e da questi 
ripeterle a memoria ». Mentre le immagini sono variabili, i 
luoghi dovranno essere fissi (« imagines, sicut litterae, delentur, 
ubi nihil utimur; loci, tanquam cera, remanere debent ») e 
ordinatamente disposti: ciò darà la possibilità di richiamare 
mentalmente le immagini indifferentemente dall’inizio, dal 
termine o dalla metà di un ordinamento o elenco.'* 


!° Sull’epoca di composizione della Rhetorica ad H. cfr. la introduzione 
di F. Marx all'edizione di Lipsia, 1894, p. I. Sulla posizione dei me- 


12 “CLAVIS UNIVERSALIS 


5) Il De bono (IV, 2) e il commento al De memoria et 
reminiscentia di Alberto Magno; la Summa theologiae 
(Il, 11, 49) e il commento al De memoria et remini- 
scentia di Tommaso d’Aquino. 


Le trattazioni della memoria contenute nel De Boro di 
Alberto e nella Summa di Tommaso !* si richiamano esplici- 
tamente alla fonte aristotelica e a quella pseudo-ciceroniana. 
Per Alberto, « ars memorandi quam tradit Tullius optima est »; 
i precetti della mnemotecnica servono all’etica e alla retorica; 
la memoria delle cose che concernono la vita e la giustizia è 
duplice: naturale e artificiale. « Naturalis est quae ex bonitate 
ingenii deveniendo in prius scitum vel factum facile memo- 
ratur. Artificialis autem est, quae fit dispositione locorum et 
imaginum ». Come in tutte le altre arti, anche qui l’arte e la 
virtù aggiungono perfezione alla natura e poiché nella nostra 
azione «ex praeteritis dirigimur in praesentibus et futuris et 
non e converso », la memoria si presenta, accanto alla intelli- 
gentia e alla providentia, come una delle tre parti che costi- 
tuiscono la virtù della prudenza. Come ha ben chiarito la 
Yates,!” l’autorità alla quale si appellavano Alberto e Tommaso 
nella loro considerazione della memoria come parte della pru- 
denza era il De inventione ciceroniano e poiché Cicerone nella 
sua seconda retorica (la Rhetorica ad Herennium) aveva di: 
stinto tra memoria naturale e memoria artificiale dettando le 
regole per la acquisizione della memoria artificiale mediante 
l’impiego dei loc: e delle imagines, quella distinzione e que- 


dievali di fronte a questo testo, p. 52. L'attribuzione del testo a Corni- 
ficio risale al 1491: RapHaeL Recius, Utrum ars rhetorica ad H. Cice- 
roni falso iscribatur, in Ducenta problemata in totidem institutionis 
oratoriae Quintiliani depravationes, Venezia, 1491. Per la posizione di 
Valla sull'argomento cfr. L. VaLLa, Opera, Basilea, 1540, p. 510. 

16 Cfr. ALBERTI Magni, De Bono, Monasterii Westfaliorum in aedibus 
Aschendorff, 1951, vol. XXVIII, 249 segg. Il commento di Alberto al 
De memoria ct reminiscentia in Opera, ed. Borgnet, IX, pp. 97 segg.; 
quello di Tommaso in Opera omnia, ed. Fretté, Parigi, 1885, XXIV e 
In Avristotelis libros de sensu et sensato, de memoria et reminiscentia 
commentarium, Roma, 1949. 

17 F. A. YatEs, The Ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e 
Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 882-83. 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 13 


ste regole entravano ad occupare un posto di primaria impor- 
tanza nella discussione di Alberto e di Tommaso sulla me- 
moria come parte della prudenza. Di questa alta considera- 
zione della € mnemotecnica “ciceroniana” è del resto precisa 
testimonianza l’ampiezza della discussione di Alberto e la sua 
minuziosità: praticamente vengono esaminati, nel De dono, 
tutti i precetti contenuti nella Retorica ad Herennium. Ba- 
sterà, a titolo di esempio, riportare qui il passo di Alberto 
che si riferisce al carattere «inconsueto » che devono avere 
le immagini: « Ad aliud dicendum, quod mirabile plus movet 
quam consuetum, et ideo cum huiusmodi imagines translatio- 
nis sint compositae ex miris, plus movent quam propria con- 
sueta. Ideo enim primi philosophantes transtulerunt se in poe- 
sim, ut dicit Philosophus, quia fabula, cum sit composita ex 
miris, plus movet ». Il richiamo ad Aristotele è particolar- 
mente significativo: questi testi di Alberto e Tommaso si pre- 
sentano infatti come un tentativo di fusione tra il testo aristo- 
telico e quello “ciceroniano”. Ciò appare particolarmente evi- 
dente nella trattazione della Summa theologiae tomistica. Muo- 
vendo dalla nota identificazione della memoria con una parte 
della prudenza (« convenienter memoria ponitur pars pruden- 
tiae... necessaria est ad bene consiliandum de futuris »), Tom- 
maso mette a confronto la possibilità che ha la prudenza di 
essere aumentata e perfezionata ex exercitio vel gratia con 
quella che si offre alla memoria di essere perfezionata me- 
diante l’arte (« non solum a natura perficitur, sed etiam habet 
plurimum artis et industriae »). Le quattro regole della me- 
moria artificiale enunciate da Tommaso riguardano: l’uso 
delle immagini (« quasdam similitudines assumat convenien- 
tes »), l'ordine che facilita il passaggio dall’uno all’altro con- 
cetto o dall’una all’altra immagine («ut ex uno memorato 
facile ad aliud procedatur »); la necessità della concentrazione 
in vista della costruzione dei luoghi; la frequente ripetizione 
in vista della conservazione dei concetti (« quod ea frequenter 
meditemur quae volumus memorari »). La prima e la terza di 
queste regole derivano dalla R&etorica ad Herennium, la se- 
conda e la quarta dal De memoria et reminiscentia aristo- 
telico: non a caso, nel commento al De memoria, la prima 
regola apparirà eliminata, la terza verrà adattata al testo ari- 


14 CLAVIS UNIVERSALIS 


stotelico mediante l’esclusione del riferimento alla costru- 
zione dei luoghi.!* 


3. ARS MEMORATIVA E ARs PRAEDICANDI NEL sEcoLO XIV. 


Accanto alle citazioni di Aristotele, di Cicerone e dello 
pseudo-Cicerone, di Quintiliano, di Alberto e di Tommaso, 
compaiono spesso, nei trattati di ars memorativa composti fra 
il Trecento e il Seicento, i nomi di Platone (per il luogo del 
Timeo, IV, 265, che fa riferimento alle maggiori capacità 
mnemoniche della adolescenza), di Seneca (che in De dene- 
ficiis, III, 2-3-4-5 tocca, a proposito della memoria dei bencfzi 
ricevuti sia il tema della « frequenza » sia quello dell’« or- 
dine »), di Agostino (per i ben noti passi sulla memoria nel 
libro X, cap. 8 delle Confessioni e per i brevi riferimenti in 
De Trinitate, IX, 6). Lo stesso sommario elenco di queste 
« autorità » basta da solo a mostrare come quella trattatistica 
di ars memorativa che si diffonde largamente in Europa dopo 
il Trecento si richiami ad una assai antica. e non mai inter- 
rotta tradizione. Attraverso una vasta produzione la cui storia 
attende ancora di essere puntualmente indagata, questa tradi- 
zione si era andata svolgendo secondo diverse linee di svi- 
luppo e su piani differenti: mentre il testo aristotelico affron- 
tava questioni connesse con il problema della sensazione (non 
a caso i commenti medievali al De memoria et reminiscentia 
appaiono sempre connessi a quelli al De sensu et sensato), della 
immaginazione e dei rapporti fra anima sensitiva e anima 
intellettiva, i testi di Cicerone, di Quintiliano e dello pseudo- 
Cicerone si erano mossi su un piano tipicamente ed esclusi- 
vamente « retorico » richiamandosi all'arte della memoria come 
ad una tecnica i cui compiti e i cui problemi si esaurivano 
totalmente sul piano di una funzionalità in vista dei partico- 
lari fini perseguiti dall’oratore. 

Dal De rhetorica di Alcuino al tentativo di Giovanni di 


18 THoMas Aquinas, /n Aristotelis libros de sensu et sensato, cit., 371: 
« Si ergo ad bene memorandum vel reminiscendum, ex praemissis qua- 
tuor documenta utilia addiscere possumus. Quorum primum est, ut 
studeat quae vult retinere in aliquem ordinem deducere. Secundo ut 
profunde et intente eis mentem apponat. Tertio ut frequenter medi- 
tetur secundum ordinem. Quarto ut incipiat reminisci a principio ». 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 15 


Salisbury di far rivivere gli ideali dell’eloguentia, fino allo 
Speculum maius di Vincenzo di Beauvais, tutta la grande 
retorica medievale si era collocata sotto il segno delle opere 
ciceroniane.!® Onde, com'è stato giustamente notato, si può 
parlare di retorica scolastica solo ove si elimini quasi comple- 
tamente dal termine “scolastica” il riferimento alla “autorità” 
di Aristotele. In Alberto e Tommaso i due piani sui quali si 
era andata svolgendo nel corso del Medioevo la trattazione 
della memoria (il piano “speculativo” e quello “tecnico”) ap- 
paiono per la prima volta strettamente connessi e intrecciati: 
la psicologia razionale di Aristotele costituisce, per i due grandi 
maestri della scolastica, lo sfondo e la cornice entro la quale 
quella tecnica (che aveva avuto in Cicerone ec nella rhetorica 
secunda la sua espressione più alta) andava collocata, inserita 
e giustificata. Come la Yates ha messo opportunamente in 
luce,?° questo sfondo rigidamente razionalistico della mnemo- 
tecnica albertino-tomista costituiva molto probabilmente la 


19 Di Atcuino cfr. la Dispetatio de rhetorica et de virtutibus sapien- 
tissini Regis Karli et Albini magistri (in Mine, P. L., CI, 919-50, in 
Ham, RAetores latini minores, 523-50 e ora, con traduzione inglese, 
in W. S. Howett, The Rhetoric of Alcuin et Charlemagne, Princeton, 
1941). Nella trattazione delle cinque parti della retorica (trattazione 
che riproduce direttamente o indirettamente quella ciceroniana) ci si 
limita ad affermare che l'arte della memoria è stata raccomandata da 
Cicerone. Nel De dialectica (Micne, P. L., col. 952) la logica viene sud- 
divisa in due parti: dialettica e retorica (K. Logica in quot species di- 
viditur? A. In duas, in dialecticam et rhetoricam). Mentre la tratta- 
zione della dialettica derivava da Isidoro, da Boezio, dall’anonimo 
Categoriae decem (ritenuto una traduzione agostiniana delle Categorie 
aristoteliche), la trattazione della retorica, fondata sulla partizione delle 
cinque grandi arti del De inventione, era assai vicina (come ha notato 
lo Howell) allo spirito della trattazione ciceroniana. Più ampi riferi- 
menti alla memoria appaiono presenti in Marciano CAreLLA, V, ove ci 
si richiama all'episodio di Simonide (intellexit ordinem esse qui me- 
moriae praeccpta conferet), e nella Novissima Rhetorica del Boxncow- 
PAGNO composta nel 1235 dove ci si richiama ad un «alfabeto imma- 
ginario » come strumento per l'arte della memoria. Leggo il passo del 
Boncompagno sulla memoria nella trascrizione che ha dato il Tocco, 
Le opere latine, cit., p. 25 dal Cod. marciano lat. cl. X, 8, f. 29v. Pa- 
gine essenziali sulla retorica medievale ha scritto E. R. Curtius, Euro- 
piische Litteratur und lateinisches Mittelalter, Berna, 1948 (trad. fr. 
Parigi, 1956, pp. 76-98). 

°° F. A. Yates, The Ciceronian Art of Memory, cit., p. 887. 


16 CLAVIS UNIVERSALIS 


base del tentativo compiuto da Alberto e da Tommaso di 
sganciare nettamente le tecniche della memoria artificiale dal 
piano magico-occultistico dell’ars rotori o di un'arte “magica” 
della memoria intesa come “arte somma” o come chiave della 
realtà universale. Nell’ars motoria, come poi avverrà più tardi 
in taluni testi del pieno e del tardo Rinascimento, il problema 
dell’arte memorativa appare infatti strettamente collegato a 
quello di un'arte segreta o scientia perfecta capace di con- 
durre ad omnium scientiarum et naturalium artium cogni- 
tionem mediante il congiungimento delle regole dell’arte con 
formule di invocazione, figure mistiche e preghiere magiche.” 

Comunque stiano le cose, è certo che sulla via inaugurata 
dai due grandi domenicani, la via cioè di una sintesi tra le 
dottrine aristoteliche e quelle ciceroniane, si muoveranno non 
pochi scritti di arte mnemonica. Chiaramente su questa linea 
è per esempio il domenicano Bartolomeo da San Concordio 
(f 1347). Nel capitolo dedicato a «quelle cose che giovano 
a buona memoria » da lui inserito ne Gli ammaestramenti 
degli antichi, frate Bartolomeo (dopo aver richiamato la Rée- 
thorica ad Herennium, il Timeo, il De memoria e il secondo 
libro della Retorica di Aristotele, l’Ars poetica di Orazio) fa- 
ceva larghe citazioni dal commento di Tommaso al De me- 
moria e dalla « seconda della seconda » della Summa: «Di 
quelle cose che huomo si vuol ricordare pigli alcune conve- 
nevoli simiglianze, ma non del tutto usate; imperrocchè delle 
cose disutate più ci meravigliamo... Conviensi che quelle cose 
che huomo vuole in memoria ritenere, egli colla sua consi- 
derazione l’ordini sì, che ricordandosi dell’una vegnia nel- 
l’altra ». Il riferimento alla dottrina ciceroniana dei luoghi e 
delle immagini appare altrettanto esplicito: « Di quelle cose 
che vogliamo memoria havere, doviamo in certi luoghi allo- 
gare imagini e similitudini ». Gli otto « precetti » esposti da 
Bartolomeo (1. apparare sin da garzone; 2. fortemente at- 
tendere; 3. ripensare spesso; 4. ordinare; 5. cominciar dal 
principio; 6. pigliar simiglianza; 7. non gravar la memoria di 
troppe cose; 8. usare dei versi e delle rime) appaiono quindi 


21 Cfr. il cap. Salomon and the Ars notoria in L. THORNDIKE, History 
of magic and experimental science, New York, 1929 sgg.; II, pp. 279-289. 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 17 


ricavati da una sintesi tra i varî testi ai quali egli si è richia- 
mato.?° 

Esclusivamente ispirato alla RAetorica ad Herennium (no- 
nostante che l’autore dichiari due volte di «discostarsi da 
Tullio ») è invece quel trattatello trecentesco in volgare sulla 
memoria artificiale che è stato erroneamente attribuito a Bar- 
tolomeo. Accanto alla definizione del luogo (« una cosa dispo- 
sta a poter contenere in sè alcuna altra cosa ») e della imma- 
gine («il representamento di quelle cose che si vogliono tenere 
a mente ») compaiono in questo breve scritto sia la distinzione 
fra luoghi naturali « facti per mano di natura » e artificiali 
« facti per mano d’huomo », sia le regole relative alla costru- 
zione dei luoghi e al carattere simbolico delle immagini: « An- 
cora conviene che la imagine sia segnata da alcuno segno il 
quale si convenga per la cosa per la quale è facta, cioè che la 
imagine del re pare che gli si convenga il segno della corona 
et a’ cavalieri il segno dello scudo... Ancora conviene che a la 
imagine si faccia alcuna cosa, cioè che la proprino, quanto agli 
acti, quelle cose che a loro si convengono, si come si conviene 
ad uno lione dare l’imagine apta et ardita... Adunque veg- 
giamo sempre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini 
sì come nelle carte si convengono porre le lettere ».?° 

Questo tipo di rapporto fra luoghi e immagini, che risale 
alla Retorica ad Herennium, e che resterà per tre secoli uno 
degli assiomi fondamentali dell’« arte », appare del resto pre- 
sente anche in altri testi del secolo XIV: « L’arte della me- 
moria per due, luoghi et imagini, è facta. E’ luoghi non hanno 
diferentia da le imagini se non perché sono imagini fisse sopra 
le quali, siccome sopra a charta, alcune imagini sono dipinte... 


?2 Fra BartoLoMEo di San Concorpio, Ammaestramenti degli antichi, 
Dist. 9, capp. 8, 28. 

3 Il testo, per intero riprodotto in appendice, è contenuto nei codici 
Palat. 54 e Conv. soppr. I, 47 della Nazionale di Firenze. Un altro 
commento alla RAetorica ad Herennium (libro III, capp. XVI-XXIV) 
è contenuto nel Cod. Aldino 441 della Bibl. Universitaria di Pavia: 
cart. sec. XV, di cc. III con numerazione di mano più recente. Il 
Textus de artificiali memoria è alle cc. 1-20 Inc.: Mo passamo al texoro 
de le cose trovate et de tutte le parte de la Rectorica custodevole Me- 
moria. Expl.: Con le cose premesse cioè con Studio, Fatiga, Ingegno, 
Diligentia. Finis commenti in particulari. 


18 CLAVIS UNIVERSALIS 


onde i luoghi sono come materia e le imagini come forma ».5! 
Le varie regole presenti nel trattatello precedentemente citato 
tornavano, con lievi differenze, anche in questo scritto. Ma 
della diffusione negli ambienti domenicani del secolo XIV 
dell’ars memorativa fanno fede, oltre i testi citati, anche quella 
connessione, che in molti casi venne a stabilirsi fra l’ars me- 
moriae e l’ars praedicandi. Non a caso Lodovico Dolce, che 
fu nel Cinquecento uno dei più noti volgarizzatori dei pre- 
cetti della retorica e di quelli della mnemotecnica, si richia- 
mava nel 1562? alla Summa de exemplis et similitudinibus 
di Fra Giovanni Gorini di S. Gimigniano (} 1323) ?" come ad 
uno dei testi capitali dell’arte mnemonica e collocava il suo 
nome, accanto a quello di Cicerone e di Pietro da Ravenna, 
nell’elenco dei fondatori dell’arte. In quel testo che si era pre- 
sentato come « perutilis praedicatoribus de quacumque mate- 
ria dicturis », la costruzione di analogie fra i vizî e le virtù da 
una parte e i corpi celesti e i moti della terra dall’altra dava 
luogo appunto ad una tecnica del costruire immagini capace 
di consentire al predicatore una ordinata esposizione e di col- 
pire in modo efficace e persuasivo la fantasia degli ascoltatori. 
Accanto a preoccupazioni di questo genere, un vero e proprio 
interesse per una tecnica della memoria non era stato del resto 
affatto estraneo ai cultori di quella scienzia quae tradit formam 
artifictaliter praedicandi*" che aveva avuto nel Trecento una 


24 Cod. Magliab. cl. VI, 5, fol. 67v. La data in fine (Explicit et finitus 
die X mensis junii millesimo CCCC® XX° Indit. XIII per Petrum quon- 
dam Ser Petri de Pragha) fa riferimento alla stesura della miscellanea 
nella quale il cod. è contenuto. Altri passi, diversi da questo qui ripor- 
tato, di questo stesso cod. furono trascritti dal Tocco, Le opere latine, 
cit., p. 27, nota 4. 

25 Dialogo di M. Ludovico Dolce nel quale si ragiona del modo di 
accrescere et conservar la memoria, in Venetia, appresso Giovanbattista 
Sessa et fratelli, 1582, p. 90. La prima cdizione è del 1562. (Copia 
usata: Triv. Mor. M. 248). 

26 Il testo di Giovanni Gorini fu pubblicato a Venezia nel 1499: Sem- 
ma de exemplis et similitudinibus rerum noviter impressa. Incipit 
summa insignis et perutilis praedicatoribus de quacunque materia dic- 
turis fratris Johannis de Sancto Genuniano, Impressum Venetiis per 
Johannem et Gregorium de Gregoris, 1499 dic XII Julii. 

2? L'espressione è di Roberto di Basevorn autore di una Forma praedi- 
candi composta nel 1322. Il testo è stato pubblicato in appendice al 
volume di TH. M. CHarvanp O. P., Artes praedicandi, contribution è 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 19 


larghissima diffusione. Per uno dei maggiori teorici della pre- 
dicazione, Thomas Waleys, la divisio thematis esercita una 


funzione precisa : 


Dato vero quod tantum una fiat divisio thematis, adhuc illa 
divisio erit bene utilis, tam praedicatori quam auditori. 
Non enim propter solam curiositatem, sicut aliqui cre- 
dunt, invenerunt moderni quod thema dividant, quod 
non consucverunt antiqui. Immo, est utilis praedicatori, 
quia divisio thematis in diversa membra pracbet occa- 
sionem dilatationis in prosccutione ulteriori  sermonis. 
Auditori vero est multum utilis, quia, quando praedicator 
dividit thema et postmodum membra divisionis ordinate 
et distinctim prosequitur, faciliter capitur et tenetur tam 
materia sermonis quam etiam forma et modum praedi- 
candi...?* 


In quel singolare prodotto di cultura che fu la medievale 
ars praedicandi le esigenze della persuasione retorica, della co- 
struzione di immagini capaci di dar luogo ad emozioni ben 
controllabili si connettevano in tal modo con i precetti relativi 
all'ordine e al metodo concepiti come strumenti per imprimere 
nella memoria i contenuti e la forma dell’orazione. 


4. TECNICHE DELLA MEMORIA NEL sEcoLO XV. 


In molti trattati del secolo XV quella caratteristica tematica 
speculativa che faceva da sfondo alle trattazioni di Alberto, 
di Tommaso, di frate Bartolomeo viene decisamente abban- 
donata. Come avviene per esempio nelle Artificialis memoriae 
regulae di Iacopo Ragone da Vicenza (composte nel 1434 e 
conservate in varì manoscritti)?® l’interesse dell’autore si volge 


l’histoire de la rhetorique au Moyen Age, Paris-Ottawa, 1936, p. 233. 
Si vedano i cataloghi dei mss. compilati da H. CapLan, Mediaeval Artes 
praedicandi. A Hand-List e A supplementary Hand-List, in « Cornell 
Studies in Classical Philology », XXIV ec XXV, Ithaca, 1934-1936 e, 
dello stesso autore, A late mediaeval Tractate on Preaching, nel vol. 
Studies in Rhetoric and Public Speaking in honour of S. A. Winans, 
New York, 1925, pp. 61-91. 

?* Cfr. THomas Waters, De modo componendi sermones, in TH. M. 
ChÒartanp, Artes praedicandi, cit., p. 370. 

n Nel codice marciano cl. VI, 274 il trattato del Ragone è conservato 
in due esemplari (di diversa mano) ai ff. 15-34 e 53-66. Un terzo esem- 
plare è nel codice marciano cl. VI, 159, un quarto nel cod. T. 78 sup. 
dell’Ambrosiana. Lievi le differenze. I passi qui citati sono stati tra- 


20 CLAVIS UNIVERSALIS 


in modo esclusivo ad un esame ampio e dettagliato delle tec- 
niche di ricerca dei luoghi: 


53r. Iussu tuo, princeps illustrissime, artificialis memorie re- 
gulas, quo ordine superioribus diebus una illas exercui- 
mus, hunc in librum reduxi tuoque nomini dicavi, imi- 
tatus non modo sententias, verum et plerunque verba ipsa 
M. Tullii Ciceronis et aliorum dignissimorum philoso- 
phorum qui accuratissime de hac arte scripserunt... Prae- 
ceptore Cicerone ac etiam teste sancto Thoma de Aquino, 
artificialis memoria doubus perficitur: locis videlicet et 
imaginibus. Locos enim consideraverunt necessarios esse 
ad res seriatim pronunptiandas et diu memoriter tenendas, 
unde sanctus Thomas oportere inquit ut ca que quis 
memoriter vult tenere, illa ordinata consideratione dispo- 
nat ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur. Ari- 
stoteles etiam inquit in libro quem de memoria inscripsit: 
a locis reminiscimur. Necessarii sunt ergo loci ut in illis 
imagines adaptentur ut statim infra patebit. Sed imagines 
sumimus ad confirmandum intentiones, unde allegatus 
Thomas: oportet, ait, ut eorum quae vult homo memorari 
quasdam assumat similitudines convenientes. 


Dopo essersi rapidamente richiamato alla fonte ciceroniana e 
a quella tomistica, il Ragone passa a trattare, in modo molto 
più articolato di quanto non avessero fatto gli autori da lui 
citati, delle caratteristiche della memoria «locale » : 


53 v. Differunt vero loci ab imaginibus nisi in hoc quod loci 
sunt non anguli, ut existimant aliqui, sed imagines fixe 
super quibus, sicut supra carta, alic pinguntur imagines 
delebiles sicut littere: unde loci sunt sicut materia, imagi- 
nes vero sicut forma. Differunt igitur sicut fixgum et non 
fixum. Consumitur autem ars ista centum locis, quatenus 
expedit pro integritate ipsius. Sed, si tue libuerit celsitu- 
dini, poterit eodem alios sibi locos invenire faciliter per 
horum similitudinem. Sed oportet omnino non modo 
bona, verum etiam optima diligentia ac studio locos 
ipsos notare et firmiter menti habere, ita ut, modo recto et 


scritti dal Cod. marciano 274 ai ff. 53-66; si è fatto ricorso, per la com- 
prensione dei passi dubbi, sia all'altro esemplare contenuto nello stesso 
Codice, sia al Cod. T. 78 sup. dell'’Ambrosiana, ff. 1-21v. Il testo del 
Ragone è dedicato al Marchese di Mantova: Ad illustrissimum princi- 
pem et armorum ducem Iohannem Franciscum Marchionem Mantue. 
Artificialis memorie regule per Iacobum Ragonam vicentinum. Nel cod. 
dell'’Ambrosiana il titolo è invece: Tractatus brevis ac solemnis ad 
sciendam et ad conseguendam artem memorie artificialis ad M. Mar- 
chionem Mantue. 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 21 


retrogrado ac iuxta quotationem numerorum, illos prompte 
recitare queas. Aliter autem frustra temptarentur omnia. 
Expedit igitur ut in locis servetur modus, ne sit inter illos 
distantia nimis brevis vel nimium remota sed moderata ut 
puta sex vel octo aut decem pedum vel circa iuxta magni- 
tudinem camere; nec sit in illis nimia claritas vel obscuritas 
sed lux mediocris. Et est ratio quia nimium remota vel an- 
gusta, nimium clara vel obscura causant moram inquisi- 
tionem imaginative virtutis et ex consequenti memoriam 
retardant dispersione rerum que representande sunt aut 
earum nimia conculcatione, sicut oculus legentis tedio af- 
fligitur si litterc sint valde distincte et male composite aut 
nimis conculcate. Loci vero quantitas non est adeo su- 
menda modica, ut numero videatur esse capax imaginis, 
quia violentiam abhorret cogitatio ut si velles pro loco 
sumere foramen ubi aranca suas contexit tellas et in illo 

54r. velles equum collocare, non videretur modo aliquo posse / 
equum capere. Sed ipsorum locorum quantitas sumenda 
est ut statim inferius distincte notatum invenies. 


I luoghi dovranno dunque esser disposti in modo da consen- 
tire una facile e rapida lettura: la loro distanza e la loro gran- 
dezza sono state stabilite sulla base di alcune osservazioni di 
natura psicologica. Si tratta ora, sempre sulla base di osserva- 
zioni dello stesso tipo e tenendo conto di determinate asso- 
ciazioni che si presentano fra i varî contenuti della memoria, 
di procedere ad una scelta dell’« edificio » nel quale i luoghi 
(e di conseguenza le immagini) dovranno essere collocati : 


54 r. Oportet etiam ne loci sint in loco nimium usitato sicut 
sunt plateac ct ecclesie, quoniam nimia consuetudo aut 
aliarum rerum representatio causant perturbationem et non 
claram imaginum representationem ostendunt sed confu- 
sam, quod summopore est cavendum, quia si in foro locum 
constitueres et in co rei cuiuspiam simulacrum locares, 
cum de loco simulacroque velles recordari, additus, reddi- 
tus, meatusque frequens et crebra gentis nugatio contur- 
baret cogitationem tuam. Studebis ergo habere domum 
que rebus mobilibus libera sit et vacua omnino, et cave ne 
assumas cellas fratrum propter nimiam illarum similitu- 
dinem, nec hostia domorum pro locis quia cum nulla vel 
parva tibi sit differentia idco confusio. Habeas ergo do- 
mum in qua sint intra cameras salas coquinas scalas vi- 
ginti, et quanto in ipsis locis dissimilitudo maior, tanto 
utilior. Nec sint camere iste ct reliquie excessive magne 
vel parve, et in earum qualibet facies quinque locos iuxta 
distantiam dictam superius scilicet sex aut octo vel decem 
pedes. Et incipe taliter ut, a dextris semper ambulando 


32 CLAVIS UNIVERSALIS 


vel a sinistris quocunque altero istorum modorum ex apti- 
tudine domus tibi commodius fuerit, non oportcat te re- 
trocedere. Sed, sicut in re domus procedit, ita continuen- 
tur loci tui per ordinem domus, ut sit facilior impressio 
ex ordine naturali. 


Sulle caratteristiche “materiali” dei luoghi (grandezza, lu- 
minosità, non-uniformità, ecc.), sulla scelta e la funzione delle 
immagini, si sofferma, con altrettanta minuziosità l'anonimo 
autore di un altro testo manoscritto °° che risale, molto pro- 
babilmente, allo stesso periodo e agli stessi ambienti culturali. 


41 v. De ordine locorum. Circa cognitionem et ordinem loco- 
rum debctis scire quod locus in memoria artificiali est 
sicut carta in scriptura, propterea quod scribitur in carta 
quando homo vult recordari et non mutatur carta. Ita 
loca debent esse immobilia, hoc est dicitur quod locus de- 
bet semel accipi et nunquam dimitti seu mutari sicut 
carta. Deinde super talia loca formande sunt imagines il- 
larum rerum vel illorum nominum quorum vultis recor- 
dari sicut item scribuntur in carta quando homo recordari 
vult. 

De forma locorum. Loca debent esse facta ct ita formata 
42r. quod non sint nimis parva nec nimis magna / ut verbi 
gratia non debes accipere pro uno loco unam domum vel 
unam terram vel unam schalam, nec etiam, sicut dixi, 
nimis parvum locum scilicet unum lapidem parvum nec 
unum foramen vel aliud tale. Et ratio est ista: nam 
humanus intellectus non circa magnas res nec circa parvas 
colligitur et imago evanescit; sed debes accipere loca me- 
dia scilicet terminum clarum et non nimis obscurum, nec 
enim debes accipere loca in illo loco nimis solitario, sicut 
in deserto vel in silva, nec in loco nimis usitato, sed in loco 
medio: scilicet non nimis usitato nec nimis deserto. Et 


2° I passi di seguito citati nel testo sono stati trascritti dal Cod. mar- 
ciano Cl. VI, 274, ff. 41-49. (Ars: memoriae artificialis incipit. Ars me- 
moriac artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordan- 
dum de pluribus pervenire potest per memoriam artificialem de quibus 
recordari non possit per memoriam naturalem). Dello stesso trattato ho 
visto altri tre esemplari: il Vatic. lat. 3678, ff. 2r-4r (Inc.: Practica 
super artificiali memoria. Pater et reverende domine. Quatenus homo 
ad recordandum) che reca solo l’inizio del trattato; il Vatic. lat. 4307, 
ft. 79-85v. (Inc.: Ars memoriae artificialis est qualiter homo ad recor- 
dandum de pluribus pervenire possit) che reca il trattato quasi com- 
pleto; il Vat. lat. 5129, ff. 60-64v. (Inc.: Ars memoriae artificialis est 
qualiter homo) che, come il Vat. lat. 3678, si interrompe dopo le prime 
pagine. Al £. 68r. è ripetuto l’inizio del trattato. 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 23 


nota quod predicta loca bene scire debes ct ante et retro 
et ipsa adigerc per quinarium numerum, videlicet de 
quinque in quinque. Et debes scire quod loca non debent 
esse dissimilia, ut puta domus sit primus locus, secundus 
locus sit porticus, tertius locus sit angulus, quartus locus 
sit pes schale, quintus locus sit summitas schale. Et nota 
quod per quintum vel decimum locum dcebes ponere 
unam manum auream aut unum imperatorem super quin- 
tum vel decimum locum; qui imperator sit bene atque 
imperialiter indutus, vel aliquid aliud mirabile vel defor- 
me, ut possis melius recordari. Et haec sufficiant quantum 
ad formam locorum. Nunc autem videndum est de ima- 
ginibus per predicta loca ponendis. 
De imaginibus. Est enim sciendum quod imagines sunt 
sicut scriptura et loca sicut carta. Unde notatur quod 
42v. aut / vis recordari propriorum nominum aut appellativo- 
rum aut grechorum aut illorum nominum quorum non 
intelligis significata aut ambasiatarum aut argumentorum 
aut de aliis occurrentibus. Ponamus igitur primum quod 
ego vellim recordari nominum propriorum. Sic enim 
ponere debes imagines in proprio convenienti loco et ipso 
sic facto: cum vis recordari unius divitis qui nominatur 
Petrus, immediate ponas unum Petrum quem tu cogno- 
scas qui sit tuus amicus vel inimicus vel cum quo habuisti 
aliquam familiaritatem, qui Petrus faciat aliquid ridi- 
culum in illo loco, vel aliquid inusitatum, vel simile 
dicat... In secundo loco ponas unum Albertum quem tu 
cognoscas, ut supra licet per alios diversos modos, vide- 
licet quod dict:;s Albertus velit facere aliquid inusitatum 
vel deforme scilicet suspendens se et ut supra. In tertio 
loco, si vis recordari istius nominis equi, ponas ibi unum 
equum album, magnum ultra mensuram aliorum, et qui 
percutiat quenpiam tuum amicum vel inimicum cum 
calcibus vel pedibus anterioribus, vel aliquid simile faciat 
ut supra.... 


Dalla lettura di queste lunghe citazioni ci sì può fare un’idea 
abbastanza precisa di quale fosse l’effettivo “funzionamento” 
dell’ars memorativa di origine “ciceroniana”. La qualificazione 
non è inutile perché la mnemotecnica dei lullisti e degli aristo- 
telici è fondata su procedimenti affatto differenti. Per realiz: 
zare l’arte mnemonica è necessario, in primo luogo, disporre 
di una specie di struttura formale che, una volta stabilita, possa 
essere sempre impiegata per ricordare una serie qualunque di 
cose o di nomi (res aut verba). Questa struttura formale o 
fira e sempre reimpiegabile (come dicono i teorici della mne- 


24 CLAVIS UNIVERSALIS 


motecnica, la carta o la forma), viene costruita in modo arbi- 
trario: si sceglie una località (edificio, portico, chiesa ecc.) che 
può essere “fantastica” o reale e già di fatto conosciuta e si 
fissano all’interno di questa località un certo numero di luoghi. 
Il carattere arbitrario o convenzionale di queste scelte è, come 
abbiamo visto, limitato da un certo numero di regole che 
riguardano: a) le caratteristiche della località e dei luoghi 
(ampiezza, solitudine, luminosità ecc.); 6) il modo nel quale 
i luoghi stessi devono essere ordinati. È da ricordare infine 
che la maggiore o minore ampiezza di questa struttura formale 
condiziona la quantità dei contenuti che in essa possono essere 
inseriti: nel caso per esempio che si sia costruito un insieme 
di cento luoghi, questa struttura potrà essere impiegata per 
ricordare una quantità di nomi e oggetti fino a un massimo di 
cento (al problema della multiplicatio locorum o del progres- 
sivo allargamento della struttura verranno non a caso dedicate 
molte discussioni). 

La struttura formale così ottenuta si presta ad essere “riem- 
pita” da contenuti mentali di qualsiasi natura e di volta in 
volta variabili (/magines delebiles o materia o scrittura). Per 
effettuare questo “riempimento” si fa ricorso alle immagini 
che devono simbolizzare, nel modo più adatto a colpire in 
modo duraturo la mente, le cose o i termini che si vogliono 
ricordare. Anche qui, l’arbitrarietà nella scelta delle immagini 
appare limitata da regole che concernono: la “mostruosità” 
o “stranezza” delle immagini e il loro carattere direttamente 
evocativo di contenuti. Le singole immagini vanno infine collo- 
cate nei singoli luoghi “provvisoriamente” (in vista cioè del 
ricordo di una particolare serie di nomi o di cose). Ripercor- 
rendo mentalmente (in modo semi-automatico) la località pre- 
scelta o la struttura costruita, si potranno aver presenti imme- 
diatamente, attraverso il richiamo delle immagini e la sugge- 
stione da esse esercitata, i termini o le cose appartenenti alla 
serie che si voleva ricordare. Data la struttura fissa dei luoghi, 
termini e cose ricompariranno nel loro ordine originario e 
quest'ordine sarà a piacere invertibile. 

Il problema della dispositio locorum e della formazione 
delle immagini occupa, nelle trattazioni alle quali ci siamo 
riferiti, una parte assai rilevante. Proprio su questo tipo di 
codificazioni insisterà la maggior parte dei trattati quattro-cin- 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 25 


quecenteschi,‘' ed è al carattere esclusivamente “tecnico” che 
questi trattati vanno assumendo, che ci dobbiamo richiamare 
per spiegarci la loro sostanziale uniformità. Gli autori che si 
occupano dell’ars memorativa non si presentano mai come de- 
gli inventori, ma sempre come dei “chiarificatori” dell’arte: 
essi si limitano a trasmettere una serie di regole già codificate, 
cercando di esporle in forma particolarmente accessibile e di 
giungere, se possibile, a qualche integrazione o migliora- 
mento. Magari attraverso la riduzione delle regole ad uno 
schematico formulario,®? l’arte dev’essere resa facilmente e so- 


# Si vedano per esempio oltre ai due mss. dell'Ambrosiana (T. 78 sup., 
ff. 22-26 e ff. 27v.-32v., quest'ultimo anche nel Cod. Angelica 142, 
ff. 83-87) riportati in appendice, il Cod. marciano cl. VI, 292 (Inc.: De 
Memoriae locis libellus) e,alla Casanatense, il Cod. 1193 (E. V. 51) ff. 
29-32 v. (Liber seu ars memoriae localis). Una breve trattazione in vol- 
gare degli stessi problemi è nel Cod. Riccardiano 2734, #. 30-32 (Inc.: 
Appresso io Michele di Nofri di Michele di Mato del Gioganti ragioniere 
mostrerò il prencipio dello ’nparare l’arte della memoria, la quale mi 
mostrò il maestro Niccholo Cicco da Firenze nel 1435, di dicembre, 
quando ci venni, cominciando per locar luoghi nella casa mia. Expl.: 
E queste sono lc otto sopradette fighure della memoria artificiale e tutti 
i modi, atti e chose che s’appartengono in essi. E maturamente studia- 
re et sapere, c verrai a perfezionare e a notizia vera di presta scienza). 
12 È quanto avviene nel Cod. I, 171 inf. dell’Ambrosiana, f. 20v.: « Regu- 
lae artificialis memoriae. Locorum multitudo; locorum ordinato; locorum 
meditatio; locorum solitudo; locorum designatio; locorum dissimilitudo; 
locorum mediocris magnitudo; locorum mediocris lux; locorum distantia; 
locorum fictio. Locorum multiplicatio: addendo diminuendo per sursum 
et deorsum, per antrorsum et retrorsum, per destrorsum et sinistrorsum. 
Imaginum: alia in toto similis; alia in toto dissimilis: per oppositionem, 
per diminutionem, per transpositionem locorum, per alphabetum, per 
transuptionem locorum, per loquelam ». Si veda anche, sempre all’Ambro- 
siana, il Cod. E. 58 sup., f. 1: « Ars memoriac. Locorum multitudo, ordi- 
natio, permeditatio, vacuitas sive solitudo, quinti loci signatio, locorum 
dissimilitudo, mediocris magnitudo, mediocris lux, distantia, fictio. Locus 
multiplicatur: addendo, diminuendo, mutando (per sursum, deorsum, 
antrorsum, retrorsum, dextrorsum cet sinistrorsum), mensurando (lon- 
gum, latum, profundum). Idolorum: aliud in toto simile, aliud in 
toto dissimile per contrarium, per consuetudinem, per transpositionem 
(per alphabetum, sine alphabeto), aliud parum simile per compositio- 
nem, per diminutionem, per transpositionem, per trasunptionem (lite- 
rarum vel silabarum), per loquelam ». Del trattatello qui trascritto dal 
Cod. Ambrosiano E. 58 sup. esiste un altro esemplare, quasi identico, 
nel Ms. 90, f. 84v. della Casanatense. L'idea di rendere l’arte rapida- 
mente acquisibile attraverso uno schema, si presenta strettamente asso- 


26 CLAVIS UNIVERSALIS 


prattutto rapidamente acquisibile. Su quello che abbiamo chia- 
mato il carattere “tecnico” di questi trattati, giova d’altra parte 
insistere per intendere le finalità che essi si proponevano e il 
clima culturale entro il quale essi poterono trovare larga dif- 
fusione. L’arte “ciceroniana” della memoria si presenta, nel 
Quattrocento, come del tutto priva di finalità e di intenti di 
carattere speculativo, si pone come uno strumento utile alle 
più varie attività umane. Il trattatello manoscritto di Guardi 
(o Girardi?)" eximii doctoris artium et medicinae magistri 
(qui per intero riprodotto in appendice) si propone per esem- 
pio di insegnare a ricordare: i termini sostanziali e accidentali, 
gli autori citati (auczoritates), i discorsi comuni (orationes stm- 
plices), il contenuto di lettere, di collezioni e di libri di storia 
(epistolas, collectiones et historias prolixas), le argomentazioni 
e i discorsi scientifico-filosofici (argumenta et orationes sillogi- 
sticas), le poesie e i termini appartenenti a lingue non cono- 
sciute (versus et dictiones ignotas, puta graecas hebraicas), gli 
articoli del codice (capita legum). Sul modo di ricordarsi delle 
ambasciate, delle testimonianze, degli argomenti insistono del 
resto tutti i testi che si presentano talvolta come un adatta- 
mento delle regole della mnemotecnica alla finalità di una 
vittoria nelle discussioni.” 


ciata all'altra di una serie di versi mediante i quali si potessero rapida- 
mente mandare a memoria le regole dell’arte. Si vedano per esempio 
i versi ai quali fa ricorso il magister Girardus nel trattato contenuto 
nel Cod. T. 78. sup. dell’Ambrosiana c, in altro esemplare, nel cod. 142 
dell'Angelica (vedi Appendice), e il Tractatus de memoria artificiali 
carmine scriptus che ho visto nel cod. R. 50 sup. dell’Ambrosiana (f. 
9lr). 

33 Ambrosiana. T. 78 sup., ff. 27v.-32v. Un altro esemplare nel Ms. 
142 (B. 5 12) dell’Angelica, ff. 83-87. 

34 Cfr. il già citato Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 43r., 43v., 44r.: « De 
ambasiatis recordandis. Si vis recordari unius ambasiate quam facere 
debes, pone in loco imaginato ut supcerius scribebam... Si ambasiata est 
nimis prolixa, tunc pone unam partem ambasiate in uno loco et aliam 
partem in uno alio loco ut supra, quia memoria naturalis adiuvabit te. 
De argumentis recitandis. Argumenta si recitare velis... De testis recor- 
dando. Si vis recordari unius testis ponas primam particulam in illo 
loco, primam in primo, tertiam in tertio et sic de aliis successive... ». Ma 
si veda anche il Cod. Ambrosiano T. 78 sup., f. 25v.: « Ambasiatas vero 
sì commode volueris recordari... ». Sulla costruzione di argomenti insi- 
stono molto trattati. Si veda per esempio il Cod. marciano cl. VI, 238, 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 27 


Legata per le sue stesse origini agli intenti pratici della 
retorica, l’ars memorativa intende dunque presentarsi come 
un aiuto per chi è impegnato in varie guise in attività mon- 
dane e “civili”. Il Congestorius artificiosae memoriae ®*? del 
Romberch, un testo che ebbe nel Cinquecento diffusione eu- 
ropea, si presenta come un’opera utile a teologi, predicatori, 
professori, giuristi, medici, giudici, procuratori, notai, filosofi, 
professori di arti liberali, ambasciatori e mercanti. 


5. La « FENicE » DI Pietro pa RAVENNA. 


Che testi di questo genere potessero effettivamente presen- 
tare una qualche reale utilità appare senza dubbio difficilmente 
credibile. Tuttavia se dobbiamo prestar fede a una serie nume- 
rosa di testimonianze, gli assertori e i teorici della mnemo- 
tecnica erano giunti a risultati di un qualche rilievo. Il celebre 
Pietro da Ravenna (Pietro Tommai), autore di un trattatello 
sulla memoria artificiale (Venezia, 1491)? che avrà enorme 


f£. tv.: Tractatus de memoria artificiali adipiscenda eaque adhibenda ad 
argumentandum ct respondendum (Inc.: Ne in vobis, fratres, imo fili 
carissimi opus omittam devotionis). 

35 Congestorius artificiosae memoriae ]oannis Romberch de Kryspe, 
omnium de memoria pracceptione aggregatim complectens. Opus om- 
nibus Theologis, praedicatoribus, professoribus, iuristis, iudicibus, pro- 
curatoribus, advocatis, notariis, medicis, philosophis, artium liberaliun: 
professoribus, insuper mercatoribus, nuncits, et tabelariis pernecessarium, 
Venetiis, in aedibus Georgii de Rusconibus, IX Iulii, 1520 (Copia usata: 
Triv. Mor. L. 561). 

36 Phoenix seu artificiosa memoria domini Petri Ravennatis memoriae 
magistri, Bernardinus de Choris de Cremona impressor delectus im- 
pressit Venetias die X Januarii, 1491. Una copia di questa edizio- 
ne originale curata dallo stesso autore è contenuta, insieme a due 
altri incunaboli, nel cit. Cod. marciano cl. VI, 274, ai ff. 82-97x. 
A questa prima edizione si richiamano le citazioni del testo e quelle 
riportate nell'appendice. Le regulae dell'operetta del Ravennate (dalla 
prima alla dodicesima) sono presenti nel Cod. Vat. lat. 6293, ff. 195-199 
(Inc.: Fenix domini Petri ravennatis memoriae magistri. Expl.: Finis. 
Deo gratias matrique Mariae) e sono in parte riprodotte anche nel 
Cod. Aldino 167 (sec. XVI di cc. 82) della Bibl. Univ. di Pavia. Cfr. alle 
cc. 63-66 v.: Inc.: Magister Petrus de memoria. Expl.: Expliciunt re- 
gulae memoriae artis egregii ac rmemorandi viri Petri Magistri de 
Memoria. Su Pietro da Ravenna cfr., oltre al TiraposcHi, Storia della 
letteratura italiana, Modena, 1787-1794, VI, pp. 556 segg.; BORSETTI, 


28 CLAVIS UNIVERSALIS 


risonanza e non sarà senza influenza sul Bruno, affermava di 
poter disporre di più di centomila luoghi che si era andato 
costruendo onde riuscir superiore a tutti nella conoscenza delle 
sacre scritture e del diritto. « Cum patriam relinquo — scri- 
veva — ut peregrinus urbes Italiae videam, dicere possum om- 
nia mea mecum porto; nec cesso tamen loca fabricare »."* Di 
fronte al suo maestro in giurisprudenza Alessandro Tartagni 
da Imola, all’ Università di Pavia, il nostro Pietro, appena 
ventenne, si cra mostrato in grado di recitare a memoria totum 
codicem iuris civilis, il testo e le glosse, di ripetere parola per 
parola le lezioni di Alessandro e più tardi, a Padova, aveva 
stupefatto il capitolo dei canonici regolari recitando a memo- 
ria prediche intese una sola volta. Della sua abilità egli parla 
del resto a più riprese in pagine nelle quali un’accorta auto- 
propaganda si associa al manifesto desiderio di suscitare nel- 
l'animo dei lettori una stupefatta ammirazione per tanto pro- 
digio: « Mi è testimone l’università di Padova: ogni giorno 
leggo, senza bisogno di alcun libro, le mie lezioni di diritto 
canonico, proprio come se avessi il libro dinanzi agli occhi, 
ricordo a memoria il testo e le glosse c non ometto la benché 
minima sillaba... Ho collocato in diciannove lettere dell’alfa- 
beto ventimila passi del diritto canonico e di quello civile e, 
nello stesso ordine, settemila passi dei libri sacri, mille carmi 
di Ovidio... duecento sentenze di Cicerone, trecento detti dei 
filosofi, la maggior parte dell’opera di Valerio Massimo... ».?* 


Historia Gymnasti Ferrariac, II, pp. 37-40; P. GinannI, Scrittori raven- 
nati, II, pp. 419 segg. Alla Classense di Ravenna è da vedere, per 
una biografia, il Cod. Mob. 3.3.H2.10 contenente la genealogia della 
famiglia Tomai. Le ragioni del termine P/oenix contenuto nel titolo 
sono chiarite dallo stesso Pietro: « Et cum una sit Foenix et unus iste 
libellus, libello si placet Focnicis nomen imponatur ». Ma alla fenice 
fanno riferimento, nello stesso senso, anche altri scritti: si veda per es. 
nel cod. Palat. 885 della Naz. di Firenze, ai ff. 314-323v. il Liber qui 
dicitur Phenix super lapidem philosophorum (Inc.: Post diuturnam ope- 
ris fatigationem. Expl.: de lapide philosophorum natura et composi- 
tione sive fixione quae dicta sunt observentur. Dco gratias. Finis). 

87 Phoenix seu artificrosa memoria, cit., £. 87v. 

38 Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 92v.-94v. (cfr. i passi ri- 
portati nell’appendice). Ma si veda anche quanto scrive il Ravenna a 
f.88r.: «In magna nobilium corona, dum essem adolescens, mihi semel 
fuit propositum ut aliqua nomina hominum per unum ex astantibus 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 29 


Meno sospette delle testimonianze dell’interessato appaiono 
quelle di Eleonora d’Aragona, che chiamava l’intera città di 
Ferrara a testimoniare della prodigiosa memoria del raven- 
nate,?° o di Bonifacio del Monferrato che, dopo aver constatato 
la sua straordinaria virtù, lo raccomandava caldamente ai re, 
ai principi, ai « magnifici capitani » e ai nobili italiani, o infine 
del doge Agostino Barbarigo. 

Comunque stiano le cose, è certo che la straordinaria fama 
della quale godette in Italia e in Europa questa singolare figura 
di giurista era affidata, più che alle sue pur non trascurabili 
cognizioni giuridiche, al fatto che egli si presentiva come la 
vivente dimostrazione della validità di un'arte alla quale si 
volgevano, in quell’età, le speranze e le aspirazioni di molti. 
Professore di diritto a Bologna, a Ferrara, a Pavia, a Pistoia, 
a Padova, Pietro Tommai contribuì senza dubbio a diffondere, 
in tutta Italia, l’interesse per l’ars memorativa. Conteso al doge 
veneziano da Bugislao duca di Pomerania e da Federico di 
Sassonia, Pietro vide aperte dinanzi a sè, intorno al 1497, le 
porte dell’ Università di Wittenberg. Dopo aver rifiutato un 
invito del re di Danimarca, passava a Colonia e di qui, accu- 
sato di poco corretto comportamento (scholares itali non pote- 
rant vivere sine meretricibus), fu costretto a ritornarsene in 
Italia. La notorietà di questo personaggio e l’ammirazione 
per la sua opera non saranno senza risonanze: la Phoenix seu 
artificiosa memoria del Ravennate eserciterà su tutta la succes- 
siva produzione di mnemotecnica una larghissima influenza 
e a Pietro si rifaranno, come ad un eccelso maestro, tutti i 
teorici italiani e tedeschi del Cinquecento e del Seicento. La 
diffusione di questo scritto, stampato per la prima volta a Ve- 
nezia, poi ripubblicato a Vienna, a Vicenza, a Colonia, tra- 
dotto in inglese (intorno alla metà del Cinquecento) da una 
precedente edizione in lingua francese, basta da sola a mo- 
strare come tra la fine del secolo XV e il primo decennio del 


dicenda recitarem. Non negavi. Dicta ergo sunt nomina. In primo loco 
posui amicum illud nomen habentem, in secundo similiter, et sic quot 
dicta fuerunt, tot collocavi, et collocata recitavi ». 

i Il testo della lettera di Eleonora d'Aragona è in Phoenix seu artifi- 
ciosa memoria, cit., ff. 82-82v. (cfr. l’appendice). 


30 CLAVIS UNIVERSALIS 


secolo XVIII fossero interessati alla “memoria locale” ambienti 
non soltanto italiani.*° 

L’operetta del Ravenna appare costruita secondo i già ben 
noti schemi della tradizione “ciceroniana”. Più che sulle regole 
concernenti la ricerca dei luoghi, Pietro volge tuttavia la sua 
attenzione alla funzione esercitata dalle immagini e si soffer- 
ma a lungo sul concetto che le immagini, per essere davvero 
efficaci, debbono porsi come dei veri e propri “eccitanti” del- 
l'immaginazione: « Solitamente colloco nei luoghi delle fan- 
ciulle formosissime che eccitano molto la mia memoria... e 
credimi: se mi sono servito come immagini di fanciulle bellis- 
sime, più facilmente e regolarmente ripeto quelle nozioni che 
avevo affidato ai luoghi. Possiedi ora un segreto utilissimo alla 
memoria artificiale, un segreto che ho a lungo taciuto per pu- 
dore: se desideri ricordare presto, colloca nei luoghi vergini 
bellissime; la memoria infatti è mirabilmente eccitata dalla 
collocazione delle fanciulle... Questo precetto non potrà gio- 
vare a coloro che odiano e disprezzano le donne e costoro con- 
seguiranno con maggiore difficoltà i frutti dell’arte. Vogliano 
perdonarmi gli uomini casti e religiosi: avevo il dovere di non 
tacere una regola che in quest'arte mi procurò lodi ed onori, 


anche perché voglio con tutte le mie forze lasciare successori 
eccellenti ».1! 


6. NATURA E ARTE, 


Opere come quelle del Romberch e di Pietro da Ravenna 
avevano intenti eminentemente, se non esclusivamente “pra- 


40 Le edizioni viennesi sono del 1541 e del 1600, l’edizione di Londra, 
che è senza data, è stata assegnata al 1548 circa: il trattato viene 
presentato, senza nome dell’autore, da Robert Copland come The Art 
of Memory, that otherwise is called the Phenix, a boke very behouefull 
and profytable to all professours of science, granmaryens, rethoryciens, 
dialectyks, legystes, phylosophes and theologiens. Stampato da Wil- 
liam Middleton si presenta come «a translation out of french in to 
englysche ». L'edizione di Colonia è del 1608, quella di Vicenza del 
1600. Per la rinomanza del Ravenna in Germania è da ricordare che 
Agrippa si vantò di averlo avuto maestro e che un ampio elogio di 
Pietro, maestro di memoria, è inserito nell’A/phabetum aureum del- 
l'Ortwin, Colonia, 1508. 


41 Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 88v., 89r. 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 31 


tici”: si rivolgevano ai filosofi solo in quanto anch'essi, così 
come i medici o i notai o i giuristi, sono impegnati in terrene 
faccende. Con tutto ciò anche in questi trattati, nei quali l’in- 
teresse tecnico appare dominante, si affacciano dei motivi (cone 
per esempio quello delle immagini) che hanno stretti rapporti 
con la cultura rinascimentale, e temi, quale per esempio quello 
del rapporto arte-natura, che erano stati e soprattutto saranno 
ampiamente dibattuti in sede più specificamente filosofica. 

«La memoria locale è un’arte con la quale riusciamo a 
ricordare facilmente e ordinatamente molte cose delle quali, 
con le forze naturali, non sarebbe possibile che noi avessimo 
o così pronta o così distinta memoria », si afferma nell’ Urb. 
lat. 1743 ‘* e su questo motivo, il cui spunto appare già pre- 
sente nei testi di Cicerone e di Quintiliano, si ritornerà da più 
parti con accenti significativi. Mentre contrapponeva i risultati 
dell’arte a quelli della natura, l'anonimo autore del ms. lat. 274 
conservato alla Marciana,** avvicinava non a caso l’arte mne- 
monica agli altri ritrovati della tecnica e tuttavia, proprio in 
quel punto, sentiva il bisogno di porre l’arte sotto il leggen- 
dario patrocinio di Democrito ‘' e di presentarsi come il chia- 
rificatore delle straordinarie difficoltà e delle « oscurità » conte- 
nute nella RAetorica ad Herennium : 


42 Urb. lat. 1743, £. 428r. 

14 Cod. marciano cl. VI, 274, f. 4Ir-4lv. Il brano di seguito citato 
nel testo, che trascrivo dal cod. cit., è già stato pubblicato da F. Tocco, 
Le opere latine di G. Bruno, cit., pp. 29-30, nota 2, che fa riferimento 
al Cod. marciano cl. VI,226. 

44 Il Tocco ha già notato come ritorni in più di un trattato di memoria 
artificiale il nome di Democrito come fondatore dell’arte. Cfr. Cod. 
marciano cl. VI, 274, ff. 1-5: Tractatus super memoria artificiali, ordi- 
natus ad honorem egregii et famosissimi doctoris nec non et comitis 
Troili Boncompagni P. F.... Homines enim mortales memoriam labilem 
conspicientes fuerunt conati quemadmodum fuit Democritus, Simonides 
et Cicero per artem adiuvare. Ma cfr. anche, nello stesso codice, al f. 5, 
le Regulae memoriae artificialis ordinatae per religiosum sacrae theolo- 
giae professorem magistrum Ludovicum de Pirano ordinis Minorum 
(Inc.: Democritus atheniensis philosophus, huius artis primus inventor 
fuit). Il richiamo a Democrito appare fondato, come chiarisce il Tocco 
(p. 30) sulla testimonianza di Aulo Gellio (X, 17) secondo la quale De- 
mocrito si sarebbe cavati gli occhi per meglio concentrarsi nei suoi 
pensieri. 


32 CLAVIS UNIVERSALIS 


4lr. Ars memoriae artificialis, pater reverende, est ca qualiter 
homo ad recordandum de pluribus pervenire possit per 
memoriam artificialem de quibus recordari non possit per 
memoriam naturalem. Debetis enim scire quod sic natura 
adiuvatur per artem adiunctam sicut sunt navigia ad mare 
transfretandum quia non potest transfretari per virtutem 
et viam naturae, sed solum per virtutem ct viam artis; 
unde philosophi vocaverunt artem adiutricem nature. Sicut 
enim invenerunt homines diversas artes ad iuvandum 
diversis modis naturam, sic etiam videntes quod per na- 
turam hominis memoria labilis est, conati sunt invenire 
artem aliquam ad iuvandum naturam seu memoriam ut 
homo per virtutem artis recordari possit multarum rerum 
quarum non poterat recordari aliter per memoriam natu- 
ralem et sic adinvenerunt scripturas et viderunt non posse 
recordari horum quae scripserant. Postea in successione 
temporis, videntes quod semper non poterant secum por- 
tare scripturas, mec semper parati erant ad scribendum, 
adinvenerunt subtiliorem artem ut sine quacumque scrip- 
tura multarum rerum reminisci valerent et hanc vocave- 
runt memoriam artificialem. Ars ista primum inventa 
fuit Athenis per Democritum eloquentissimum philoso- 
phum. Et licet diversi philosophi conati fuerint hanc artem 
declarare, tamen melius et subtilius declaravit suprascrip- 

4Iv. tus philosophus Democritus huius artis / adinventor. 
Tulius vero perfectissimus orator in cuius libro Rhetori- 
corum de hac arte tractavit licet obscuro et subtili modo 
in tantum quod nemo ipsum intelligere valuit nisi per 
divinam gratiam et doctorem qui doceret ipsam artem 
qualiter deberet pratichari. 


7. ARTE DELLA MEMORIA, ARISTOTELISMO E MEDICINA. 


Ad una diversa atmosfera culturale e a temi legati alla 
“psicologia” e alla “filosofia” più che alla retorica, ci riportano 
invece altri scritti del tardo Quattrocento nei quali l'influsso 
delle impostazioni aristoteliche e tomistiche è assai più forte 
di quello esercitato dalla tradizione della retorica ciceroniana. 
Si tratta, come è ovvio, solo di una differenza di grado poiché, 
come abbiamo visto, proprio attraverso Alberto e Tommaso, 
l’arte ciceroniana della memoria era entrata a far parte del 
patrimonio della cultura scolastica e tuttavia, in qualche caso, 
si assiste, leggendo questi trattati, all’interessante tentativo di 
ricavare direttamente dai testi aristotelici alcune regole della 
memoria artificiale. In questo senso è tipico il De nutrienda 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 33 


memoria pubblicato a Napoli nel 1476 nel quale Domenico 
De Carpanis si propone di presentare le dottrine svolte da Ari- 
stotele nel De memoria et reminiscentia « condite col sale del 
santo dottore Tommaso d’Aquino ».‘° 

Il sensus communis appare al De Carpanis simile a una 
gigantesca selva (silva maxima) nella quale vengono accumu- 
landosi le immagini provocate da ciascuno dei cinque sensi. 
Su questo caos agisce l’intelletto con una triplice operazione: 
in primo luogo prende coscienza delle immagini, in secondo 
luogo le connette secondo un ordine preciso e in terzo luogo 
infine (quasi deambulans per pomerium) lega l’una all’altra 
le cose simili riponendole in archa memoriae. Quando di quelle 
cose si parli, l'intelletto « quasi de armario pomorum cibum 
sumens, verba per dentes ruminantis intellectus emittit ».'° La 
memoria, a sua volta, si muove su un duplice piano: quello 
del senso e quello dell’intelletto. La memoria sensitiva (vis 
quaedam sensitivae animae) appare strettamente congiunta col 
corpo e capace di ritenere corporalia tantum; quella intellet- 
tiva, al contrario, è armarium specierum sempiternarum. Alle 
principali tesi di Aristotele l’autore accosta, quasi sempre, la 
citazione di passi tratti dall’ XI libro del De triritate di Ago- 
stino: così la dottrina aristotelica del carattere corporeo dei 
contenuti della memoria sensitiva viene accostata al passo di 
Agostino sulla memoria delle pecore che, dopo il pascolo, tor- 
nano all’ovile; mentre la nota tesi agostiniana della identità 
tra memoria intelletto e volontà viene citata a conferma del 
carattere intellettivo di una delle due parti nelle quali la 
memoria si suddivide. Anche la dottrina degli aiuti (admin: 
cula) della memoria risente da vicino della sua origine tomi- 
stica: accanto all’ordine (bonus ordo memoriam facit habilem) 
e alla ripetizione (ex frequentibus actis habitus generatur)*' il 
De Carpanis colloca fra gli aiuti principali la similitudo e la 
contrarietas. Senza far ricorso all’arte della memoria « locale », 


45 Mi sono servito dell’ Inc. De nutrienda memoria Dominicis de Car- 
panis de Neapoli, anno domini 1476, ind. IV, die vero XVI decembris 
regnante serenissimo et illustrissimo Domino nostro D. Ferdinando 
Dei gratia rege Sicilie, Hierusalem et Hungarie, contenuto nel cit. 
Cod. marciano cl. VI, 274, ff. 97-103v. 

46 De nutrienda memoria, cit., f. 97 v. 

4 De nutrienda memoria, cit., fi. 98, 99, 102v. 


34 CLAVIS UNIVERSALIS 


l’autore giunge in tal modo a fissare alcune regole ricavate, 
anziché da Cicerone, dalla psicologia aristotelica : 


Contrarietas secundum dicitur adminiculum ubi notan- 
dum est quod quando res diversorum ordinum et quali- 
tatum essent recitandae in una orationc vel in una sen- 
tentia eloquendac, tunc ordo subsequens debet esse con- 
trarius immediate antecedenti, ut si videlicet memoranda 
essent libertas servitus frigus estas divitiae paupertas pictas 
crudelitas iusticia impictas, sic ut sunt hic nominata ordi- 
nabis; non autem dices: libertas, frigus servitus estas divi- 
tiae pietas paupertas crudelitas. Graveretur cnim memo- 
ria sic inordinate procedens cuius ratio videtur quia... 
contraria non se compatiuntur ad invicem immo iuxta se 
posita nullo medio, motum habent contrarium et ope- 
rationem ad invicem contrariam. Sic itaque, sicut motum 
nullo medio ad invicem habet contrarium, sic in memo- 
rando nullum aliud habendo vei querendo auxilium, mo- 
vebunt memoriam. Ars cnim imitatur naturam.!8 


Un tentativo dello stesso genere è presente anche nel De 
omnibus ingeniis augendae memoriae del medico, storico e 
poeta bergamasco Giammichele Alberto da Carrara che fu 
pubblicato a Bologna nel 1481.‘° Anche in questo caso le os- 
servazioni di Aristotele sull’ordine, sul passaggio del simile al 
simile, sulla contrarietas vengono interpretate come vere e pro- 
prie “regole” dell’ars memorativa.®® Ma oltre che per queste de- 
rivazioni aristoteliche e per la proposta di un particolare tipo di 


48 De nutrienda memoria, cit., f. 101r. 

19 Mi sono servito dell’Inc. contenuto, accanto a quelli delle opere di 
Pietro da Ravenna e del De Carpanis, nel Cod. marciano cl. VI, 274, 
ai ff. 69-82: Johannis Michaelis Alberti Carrariensis. De omnibus in- 
gentis augendae memoriae. Ad prestantissimum virum Aloisium Ma- 
nentem incliti Venetorum Senatus Secretarium. Impressum Bononiae per 
me Platonem de Benedictis civem bononiensem, regnante inclito prin- 
cipe domino Iohanne Bentivolio, secundo anno incarnationis, dominicc 
1481 die XXIHI Januarii. Al testo del Carrara attingerà largamente, 
senza citare l’autore, il medico bergamasco Guglielmo Gratarolo nei 
suoi Opuscula dedicati alla memoria, Basilea, 1554. Sul Carrara cfr. 
TiraBoscHi, Storia della letteratura, cit., VI, pp. 688-693. 

°° De omnibus ingentis, cit., f. 72v.: « Primum est ordo et reminisci- 
bilium consequentia. Cum cam didicimus ex ordine cum connectione 
et dependentia si aliquo eorum erimus obliti, facile, repetito ordine, 
reminisci poterimus. Alterum est ut et uno simili in suum simile pro- 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 35 


“memoria locale” fondato sulla suddivisione in cinque parti 
del corpo degli animali," il testo del Carrara è importante 
perché mostra la stretta connessione che venne a stabilirsi, al- 
l’interno di una certa tradizione aristotelica, fra arte della me- 
moria e medicina. Richiamandosi a Galeno e ad Avicenna il 
Carrara affronta, in primo luogo, il problema di una localiz- 
zazione della memoria, passa poi a discutere delle principali 
malattie che ostacolano l’uso della memoria, si sofferma ad 
esporre una serie di regole concernenti l’uso di cibi e bevande, 
il sonno e il moto, e giunge finalmente alla formulazione di 
un vero e proprio ricettario. All’idea di una terapeutica della 
memoria, già presente nel Regimen aphoristicum di Arnaldo 
da Villanova, e diffusa nella medicina medievale, si richia- 
mava, accanto al Carrara, anche Matteolo da Perugia che pub- 
blicava, in quegli stessi anni, un opuscolo di medicina mne- 
monica.?? In entrambi i testi è non a caso assai frequente il 
ricorso ad Avicenna: la tesi sostenuta dal Carrara che l’um:- 
dità sia di ostacolo alla memoria è per esempio già presente 
nei testi del medico arabo (« qui autem habent locum domi- 
natum humiditate non rememorant, quia formae non fingun- 
tur in humido »),°° ma il trattato del Carrara, a differenza 
di quello del Matteolo e degli altri già presi in esame, appare 
fondato su numerosissime letture. Oltre ai già noti classici 
della memoria, comparivano qui i nomi di Galeno, Boezio, 
Ugo da San Vittore, Giovanni Scoto e Averroè. 


vehamur: ut si Herodoti obliviscamur de Tito Livio recordati latinae 
historiae patre, in Grecae historia patrem Herodotum producemur. 
Tertium est ut contraria recogitemus... ut memores Hectoris, remini- 
scimur Achillis ». 

! De omnibus ingentis, cit., f. 73. Il passo può esser letto nella tra- 
scrizione che ne ha dato il Tocco (op. cir., p. 34, nota 1). 

°? Si veda per esempio: Tractatus clarissimi philosophi et medici Ma- 
theoli perusini de memoria et reminiscentia ac modo studendi tractatus 
feliciter. L'opera, non datata, è della fine del Quattrocento e insiste sul 
regime da seguire in vista della buona memoria. Sull’autore cfr. Tira- 
BoscHI, Storta della letteratura, cit., VI, pp. 462 segg. 

° Averrois Cordubensis, Compendia librorum Aristotelis qui parva na- 
turalia vocantur, in Corpus Comm. Av. in Arist., Cambridge (Mss.), 
1949, VII, pp. 70-71. 


36 CLAVIS UNIVERSALIS 


8. LA COSTRUZIONE DELLE IMMAGINI. 


Attraverso un contatto con la tradizione della medicina e 
con certe tesi dell’aristotelismo, la trattatistica sull’ars memoriae 
del tardo Quattrocento sembra dunque avvicinarsi a temi e a 
problemi che rivestono un interesse non meramente “tecnico” 
e non soltanto “retorico”. Tuttavia, ed è opportuno non di- 
menticarlo, quando a metà del Cinquecento si verificherà l’in- 
contro fra la grande tradizione del lullismo e l’ars reminiscendi 
di derivazione “retorica”, saranno proprio i trattati stretta- 
mente tecnici dei “ciceroniani” ad esercitare una funzione es- 
senziale. In realtà quell’arte dei luoghi e delle immagini, nono- 
stante la sua apparente neutralità e atemporalità, era legata alla 
cultura del Rinascimento da una molteplicità di rapporti, e solo 
tenendo presenti tali rapporti sarà possibile spiegarsi le ragioni 
per cui testi spesso aridi e quasi sempre speculativamente inof- 
fensivi eserciteranno un fascino notevole sulle menti di Agrippa 
e di Bruno. Chi ponga mente all'importanza dei segni, delle 
imprese e delle allegorie nella cultura rinascimentale, chi ri- 
chiami alla mente i testi ficiniani sui « simboli e le figurazioni 
poetiche che nascondono divini misteri » e avverta il signifi- 
cato di quel gusto per le allegorie e per le “forme simboliche” 
presente negli scritti del Landino, del Valla, del Pico, del 
Poliziano e più tardi del Bruno, non potrà non rilevare la 
risonanza che l’arte della memoria in quanto costruttrice di 
immagini era destinata ad avere in una età che amava incor- 
porare le idee in forme sensibili, che si dilettava a trasferire 
sul piano delle discussioni intellettuali la Febbre e la Fortuna, 
che vedeva nei geroglifici il mezzo usato per rendere indeci- 
frabili i precetti religiosi, che amava gli “alfabeti” e le icono- 
logie, che concepiva verità c realtà come qualcosa che si va 
progressivamente disvelando attraverso i segni e le “favole” 
e le immagini.“ 


94 Su questi temi cfr. E. Cassirer, /ndividuo e cosmo nella filosofia del 
Rinascimento, Firenze, 1935, pp. 119, 149; PH. Monnier, Le Quattro- 
cento, Losanna, 1901, pp. 127 segg.; CH. LeMMI, The classical deities in 
Bacon. A study in mythological symbolism, Baltimore, 1933, pp. 14-19; 
P. O. KriIsTELLER, // pensiero filosofico di M. Ficino, Firenze, 1953, pp. 
86 segg.; E. Garin, L'umanesimo italiano, Bari, 1952, pp. 120 segg.; 
Medioevo e Rinascimento, Bari, 1954, pp. 66-89. Essenziale resta ]. 
Seznec, La survivance des dieux antiques, Londra, 1940 (in particolare 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 37 


In un testo caratteristico e giustamente famoso, l’Alciati, 
mentre parlava di un’ars quaedam inveniendorum et excogitan- 
dorum symbolorum, si soffermava a lungo a discorrere delle 
differenze che intercorrono fra schemata, imagines e symbola;?° 
ottant'anni più tardi, in un libro altrettanto fortunato, il peru- 
gino Cesare Ripa presentava una « descritione d’imagini delle 
virtù, vitii, affetti, passioni umane, corpi celesti, mondo e sue 

arti » annunciando che il suo scritto (che è veramente «la 
chiave dell’allegorismo del Seicento e del Settecento ») doveva 
servire « per figurare con i suoi proprî simboli tutto quello che 
può cadere in pensiero umano ».°°. Alla voce memoria tro- 
viamo la rappresentazione di « una donna con due faccie, ve- 
stita di nero et che tenga nella man destra una penna et nella 
sinistra un libro »: le due facce stanno a significare che la 
memoria abbraccia « tutte le cose passate, per regola di pru- 
denza in quelle che hanno a succedere per l’avvenire »; il 
libro e la penna, simboli della frequente lettura e della scrit- 
tura, « dimostrano, come si suol dire, che la memoria con 
l’uso si perfettiona ».°” In un manuale di iconologia, compo- 
sto negli ultimi anni del Cinquecento, ritroviamo in tal modo 
da un lato l’antica idea dell’uso e della scrittura come aiuti 
della memoria (due secoli più tardi Hume parlerà dell’« ope- 
rosità » e della «scrittura »), dall’altro l’eco di quelle discus- 
sioni sulla memoria e la « prudenza » che avevano appassio- 
nato Alberto Magno e Tommaso.”* Ma era l’idea stessa di 


sulla iconologia le pp. 95-108); ma cfr. anche M. Praz, Studies in Se- 
venteenth Century Imagery, Londra, 1939 c F. A. Yates, The French 
Academies of the Sixteenth Century, Londra, 1947, p. 132: «It was 
on the ’image-level’ of the mind (if one may speak thus) that the 
Renaissance men achived his ounified outlook ». Uno storico dell’arte 
come W. WaetzoLp, Diirer and his Time, Londra, 1950, p. 63, giunge 
del resto a non dissimili conclusioni. Più recente R. }. CLEMENTS, /corno- 
graphy on the nature and Inspiration of Poetry in Renaissance Emblem 
Litterature, in PMLA, 1955, IV, pp. 781-804. 

55 Omnia A. Alciati Emblemata, Antverpiac, 1581, pp. 11, 13 (Copia 
usata: Braid. 26. 17. C. 9). La prima edizione è del 1531. 

5° È il titolo della /conologia di Cesare Ripa. Uso l'edizione padovana 
del 1611. La prima edizione è del 1503. 

°? C. Ripa, /conologia, cit., p. 335. 

€ Sulla Allegoria della prudenza del Tiziano E. Panorsri scrisse, nel 
1926, uno splendido saggio (ora ristampato nel vol. The meaning of 
visual arts, New York, 1957, pp. 146-168). Sulla prudenza come « me- 


38 CLAVIS UNIVERSALIS 


una rappresentazione sensibile delle “cose” e dei “termini” c 
di una “personificazione” dei concetti alla quale il Ripa 
(e molti altri con lui) si ispirava, che aveva indubbiamente 
assai stretti legami con quella sezione della mnemotecnica che 
aveva per scopo la costruzione delle immagini. 

All’interno stesso della più ortodossa tradizione dell’ars 
memorativa ciceroniana non erano mancate espressioni di una 
particolare sensibilità per il problema delle immagini. Certe 
pagine dell'Oratoriae artis epitoma (Venezia, 1482) di Iacobo 
Publicio ‘* giovano senza dubbio a comprendere come tra que- 
ste immagini e quelle delle iconologie sussistesse un legame 
reale. Le intentiones simplices e «spirituali », affermava il 
Pubblicio, non aiutate da nessuna corporea similitudine, sfug- 
gono rapidamente dalla memoria. Le immagini hanno appun- 
to il compito, mediante il gesto mirabile, la crudeltà del volto, 
lo stupore, la tristezza o la severità, di fissare nel ricordo idee 
termini e concetti. La tristezza e la solitudine saranno il 
simbolo della vecchiaia, la lieta spensieratezza quello della 
gioventù, la voracità sarà espressa dal lupo, la timidezza dalla 
lepre, la bilancia sarà il simbolo della giustizia, l’erculea clava 
della fortezza, l’astrolabio dell’astrologia. Ma soprattutto gio- 
verà richiamarsi, nella costruzione delle immagini, all'opera 
dei poeti, di Virgilio e di Ovidio. Le loro raffigurazioni della 
Fama, dell’ Invidia, del Sonno potranno essere felicemente ri- 
prese in quella collocatio in locis che fa uso di immagini rare 
ed egregie.®° 

Simboli e immagini in funzione del ricordare: anche quan- 
do l’idea di una collocatio imaginum in locis verrà abbando- 
nata definitivamente, resterà ben salda l’idea dei simboli e delle 
immagini come aiuti della memoria. La Istoria universale pro- 


moria del passato, ordinamento del presente, contemplazione del fu- 
turo » il Panofski avrebbe potuto citare, accanto a fonti meno note, 
anche 1 passi, assai significativi, di Alberto Magno e di Tommaso d'A- 
quino. Ma resta egualmente significativa la penetrazione, entro le arti 
figurative, dell’antico tema della connessione memoria-prudenza. 

5° PusLicii IacoBI, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatun 
spectant oratorem, Venetiis, 1482. L’opera del Publicio fu ristampata 
nel 1485 a Venezia (Erhardus Radtolt augustensis ingenio miro et arte 
perpolita impressioni mirifice dedit) e successivamente ad Augusta nel 
1490 e nel 1498. Qui si è fatto uso dell’ Inc. 697 dell’Angelica di Roma. 


6° Oratoriae artis epitoma, cit., d4v.-d4v. 


IMMAGINI E MEMORIA LOCALE 39 


vata con monumenti e figurata con simboli degli antichi pub- 
blicata nel 1697 da Francesco Bianchini doveva « unire alla fa- 
cilità dell’apprendere e del comprendere la stabilità dell’ordi- 
nare e del ritenere »;* la « dipintura proposta al frontispizio » 
della Scienza Nuova di Giambattista Vico doveva servire al 
leggitore « per concepire l’idea di quest'opera avanti di leg- 
gerla, e per ridurla più facilmente a memoria ».** 


©! Francesco BrancHInI Veronese, La istoria universale provata con 
monumenti e figurata con simboli degli antichi, Roma, 1697, p: 5 
(Copia usata: Braid. AA. V. 13). 

8? G. Vico, Opere, a cura di F. Nicolini, Milano-Napoli, 1953, p. 367, 
e cfr. le mie Schede vichiane, in « La Rassegna della letteratura ita- 
liana », 1958, 3, pp. 375 segg. 


II. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 
NEL SECOLO XVI 


1. LA RINASCITA DEL LULLISMO. 


Nel corso del secolo XVI si verificano, in quel settore della 
cultura che qui ci interessa, due importanti fenomeni. Il primo 
è la diffusione in Inghilterra, in Germania, in Francia di 
quell’arte della memoria locale che aveva avuto, alla fine del 
Quattrocento, la sua più organica e completa trattazione nel- 
l’opera di Pietro da Ravenna. Il secondo è il contatto che 
venne a stabilirsi fra quella tradizione mnemotecnica che risale 
a Cicerone, a Quintiliano, alla RAetorica ad Herennium, a 
Tommaso e l’altra, diversa tradizione di logica combinatoria 
che fa capo alle opere di Raimondo Lullo. Fra la metà del 
Quattrocento e la metà del Cinquecento, Cusano, Bessarione, 
Pico, Lefèvre d’Etaples, Bovillus e poi Lavinheta e Agrippa 
e Bruno contribuiscono a diffondere le opere di Lullo, l’inte- 
resse per l’ars magna e la passione per la combinatoria entro 
tutta la cultura europea. Il significato della loro adesione ad 
una tematica che appare così profondamente estranea ad una 
mentalità post-cartesiana e post-galileiana è necessariamente 
sfuggito sia a quegli interpreti che hanno visto nell’ars magna 
una specie di sommario elementare o “preistorico” di logica 
simbolica, sia a coloro che hanno preferito sbarazzarsi, con 
facile ironia, delle “stranezze” di molti fra gli esponenti più 
significativi e più noti di una non trascurabile stagione della 
cultura occidentale. 

L'interesse per la cabala e per le scritture geroglifiche, per 
le scritture artificiali e universali, per la scoperta dei primi 
princìpi costitutivi di ogni possibile sapere, l’arte della me- 
moria e il richiamo continuo ad una logica intesa come 
“chiave” capace di aprire i segreti della realtà: tutti questi 
temi appaiono inestricabilmente connessi con la rinascita del 
lullismo nel Rinascimento e formano, davanti a chi affronti 
direttamente i testi del Cinquecento e del Seicento da Agrippa 
a Fludd, da Gassendi a Henry More, una sorta di inestrica- 


42 CLAVIS UNIVERSALIS 


bile groviglio del quale non appare del tutto lecito sbarazzarsi 
facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “plato- 
nismo”. 

In realtà molti dei temi che formano quel groviglio hanno 
non pochi e non trascurabili riflessi anche sui problemi della 
speculazione e della scienza: dalla teoria baconiana e vichiana 
dei segni delle immagini e del linguaggio, alla discussione 
baconiana e cartesiana sull’a/bero delle scienze e sulle facoltà; 
dalle polemiche sul significato della dialettica e sui suoi rap- 
porti con la retorica, a quelle concernenti le topiche e il pro- 
blema del metodo e infine a quelle stesse trattazioni di filo- 
sofia naturale che fanno appello alla struttura logica della 
realtà materiale, all’alfabeto della natura o ai caratteri im- 
pressi dalla Divinità nel cosmo. 

Non si ha qui la pretesa di dar fondo a questi complessi 
problemi: si ritiene tuttavia che ad una maggiore compren- 
sione di talune delle questioni precedentemente indicate possa 
giovare non poco un esame, analiticamente condotto, della 
diffusione del lullismo nel secolo XVI e del suo connettersi 
con la già fiorente tradizione dell’arte mnemonica. 


2. AGRIPPA E LE CARATTERISTICHE DELL’ARS MAGNA. 


Nei primi anni del Cinquecento, in una lettera dedicatoria 
premessa al suo commento all’Ars brevis di Raimondo Lullo, 
Cornelio Agrippa * tracciava un sommario quadro della diffu- 


1 Faccio uso dell'edizione delle opere e dei commenti lulliani pubbli- 
cate a Strasburgo dai fratelli Zetzner. Si dà qui, per comodità del 
lettore, un sommario del contenuto di questa edizione (che verrà di 
seguito indicata semplicemente con ZetznER). Raymundi Lullii Opera 
ca quae ad inventam ab ipso artem universalem scientiarum artiumque 
omnium brevi compendio firmaque memoria apprchendendarum locu- 
pletissimaque vel oratione ex tempore petractandarum pertinent. Ut et 
in candem quorundam interpretum scripti commentarit... Accessit Va- 
leriù de Valerits patrici veneti aureum in artem Lullii generalem opus, 
Argentorati, Sumpt. Hacr. Lazari Zetzneri, 1617 (copia usata: Triv., 
Mor., I, 304. La prima edizione è del 1598. L’opera fu ristampata nel 
1609 e ne 1651; parzialmente riprodotta: Stoccarda, 1836). Il volume 
contiene i seguenti scritti: Opere autentiche di Lullo: Logica 
brevis et nova, pp. 147-161; Ars brevis, pp. 142; Ars magna generalis 
ultima, pp. 218-663; Tractatus de conversione subiecti et praedicati 
per medium, pp. 166-177; Duodecim principia philosophiae, pp. 112- 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 43 


sione del lullismo nella cultura europea: Pedro Daguì e il suo 
discepolo Janer sono ben noti e celebrati in Italia, l’insegna- 
mento di Fernando de Corboba ha avuto vastissima risonanza 
nelle scuole europee, Lefèvre d’Etaples e Bovillus sono stati, 
a Parigi, devotissimi a Lullo, infine i fratelli Canterio ° hanno 
mostrato non solo alla Francia e alla Germania, ma anche 
all'Italia, le mirabili possibilità dell’arte. Mentre si richiamava 
ai grandi maestri del lullismo, Agrippa chiariva anche breve- 


146. Opere apocrife e attribuite a Lullo: De auditu kabbalistico 
seu kabbala, pp. 43-111; Oratio exemplaris, pp. 224-217 (sic, errore di 
numerazione nelle pagine); /n RAesoricam Isagoge, pp. 172-223; Liber 
de venatione medii inter subiectum et praedicatum, pp. 162-165. Com- 
menti: G. Bruno, De lulliano specierum scrutinio, pp. 664-680; De 
lampade combinatoria lulliana, pp. 681-734; De progressu logicae ve- 
nationis, pp. 735-786; H. C. Acrirra, In artem brevem Raymundi 
Lullit commentaria, pp. 787-916; VaLeria DE VALERIS, Opus aureum 
in quo omnia breviter explicanter quae R. Lullus tam in scientiarum 
arbore quam arte generali tradit, pp. 969-1109. 

° Su Pedro Daguì che tenne pubblici corsi di lullismo nella cattedrale 
di Maiorca nel 1481, sul suo discepolo Janer, sul filosofo platonico 
Fernando de Còrdoba che difese Daguì dalle accuse di eterodossia in 
una commissione nominata da Sisto IV, sul lullismo del Lefèvre e del 
Bouelles, sui fratelli Andrés, Pedro e Jaime Canterio cfr.: T. e |. 
Carreras y ArRTAu, Filosofia cristiana de los siglos XII al XIV, Madrid, 
1939-43, 2 voll., vol. II, pp. 65 segg., 78, 283 segg., 201-209, 216 segg. 
nel quale si trovano notizie bio-bibliografiche sui singoli autori. Stru- 
mento essenziale per la storia del lullismo è: E. RocENT y E. Duran y 
Renats, Bibliografia de las impressions lul-lianes, Barcelona, 1927 (per 
le edizioni, numerosissime, del commento di Agrippa, cfr. i numeri: 
79, 80, 82, 86-88, 103-105, III, 125, 144, 148, 162, 180). 

Per le notizie sulle opere edite e inedite, sui manoscritti ecc. si 
vedano: Littré, in Histoire littéraire de la France, vol. XXIX; E. Lonc- 
PRÉ, voce Lulle in Dictionnaire de théologie catholique, vol. IX; J. 
Avinvò, Les obres autèntiques del Beat Ramon Lull, Barcelona, 1935; 
C. Ortaviano, L'ars compendiosa de R. Lulle avec une étude sur la 
bibliographie et le fond ambrosien de Lulle, Paris, 1930. Per la diffu- 
sione del lullismo, particolarmente in Italia, sono assai importanti gli 
studi di Miguel BatLLORI che, oltre a una preziosa Introducion biblio- 
grafica a los estudios lulianos, Mallorca, 1945, ha pubblicato: E/ /ulismo 
en Italia, Madrid, « Rev. de Filos. de l’ Inst. L. Vives », II, 5-6-7, 1944; 
La obra de R. Lull en Italia, in « Studia », Palma de Maiorca, ag.-sett., 
1943; Le lullisme de la Renaissance et du Baroque: Padoue et Rome, 
in «Actes du XIéme Congrès Int. de Philos. », Bruxelles, 1953, vol. 
XIII, pp. 7-12 (per una completa informazione cfr. Bibliografia del 
P. Miguel Batllori S. I., Torino, 1957). 


44 CLAVIS UNIVERSALIS 


mente la portata e il senso della combinatoria lulliana, le ra- 
gioni della sua superiorità e della sua efficacia: l’arte — affer- 
mava — non ha nulla di « volgare », non ha a che fare con 
oggetti determinati e proprio per questo si presenta come la 
regina di tutte le arti, la guida facile e sicura a tutte le scienze 
e a tutte le dottrine. L’ars inventiva appare caratterizzata dalla 
generalità e dalla certezza; con il suo solo aiuto, indipenden- 
temente da ogni altro sapere presupposto, gli uomini potranno 
giungere ad eliminare ogni possibilità di errore e a trovare 
« de omni re scibili veritatem ac scientiam ». Gli “argomenti” 
dell’arte sono infallibili e inconfutabili, tutti i particolari di- 
scorsi e princìpi delle singole scienze trovano in essa la loro 
universalità e la loro luce (« omnium aliarum scientiarum prin- 
cipia et discursus tanquam particularia in suo, universali luce, 
elucescunt »); infine, proprio perché racchiude e raccoglie in 
sé ogni scienza, l’arte ha il compito di ordinare, in funzione 
della verità, ogni sapere umano.° 

Agrippa, che pure scriverà molti anni più tardi una pagina 
feroce contro la tecnica lulliana,' poneva dunque in rilievo, 
nella prefazione al suo commento, due delle fondamentali 
caratteristiche con le quali l’arte lulliana si presenta alla cul- 
tura del Rinascimento. In primo luogo essa appare come una 
scienza generalissima e universale la quale, richiamandosi a 
princìpi assolutamente certi e a infallibili dimostrazioni, con- 
sente la determinazione di un criterio assoluto di verità; in 
secondo luogo, proprio perché si costituisce come la scienza 
delle scienze, l’arte è in grado di offrire il criterio per un pre- 
ciso e razionale ordinamento di tutto lo scibile i vari aspetti 


* H. C. AcrIPra, /n artem brevem... commentaria, Zetzner, pp. 787-89. 
4 H. C. Acrirra, De wvamitate sciertiarum, in Opera, Lugduni, per 
Beringos Fratres, 1600, 2 voll., vol. II, pp. 31 segg. (il cap. IX del 
De vanitate ha per titolo De arte Lulli, il X De arte memorativa). Cfr. 
lo stesso testo nella versione italiana di L. Dominichi, Venezia, 1549 
(copia usata: Braidense 25. 13. H. 14). 

Nel Saggio bio-bibliografico su C. Agrippa di HeLpa BuLLortA Bar- 
RAacco, in « Rassegna di filosofia », 1957, III, pp. 222-248, non si fa 
cenno al commento lulliano di Agrippa. L'opera non è databile con 
precisione. G. A. Prost, Les sciences et les arts occultes au XVIè*me 
stècle, Paris, 1881, I, p. 35 la assegna al 1517, con argomenti forse in- 
sufficienti. Certamente lo scritto è antecedente al 1523 (cfr. Claudius 
Blancheroseus H.C. Agrippae, in Fpist., III, 36, Opera, cit., II, p. 802). 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 


del quale mediante successive sussunzioni del particolare al 
enerale vengono tutti, senza esclusioni, ricompresi e inverati 
nell’arte. 

Il giovane Agrippa non aveva fatto altro in realtà che 
esporre vivacemente e chiarificare temi largamente diffusi. Sul- 
l'efficacia «inventiva » dell’arte e sulla sua « finalità enciclo- 
pedica » egli non era stato il solo ad insistere. Il tema di una 
logica intesa come chiave della realtà universale, come discorso 
concernente non i discorsi umani ma le articolazioni stesse 
del mondo reale si congiunge infatti strettamente, nei testi 
stessi di Lullo e in quelli del lullismo, con l’aspirazione ad 
un ordinamento di tutte le scienze e di tutte le nozioni che 
corrisponda all'ordinamento stesso del cosmo. Giustamente si 
è potuto parlare, a questo proposito, di una « direzione logico- 
enciclopedista » del pensiero lulliano che si pone, come motivo 
centrale e dominante, accanto alla direzione « mistica » e a 
quella « polemico-razionalista ».@ L'apprendimento delle regole 
dell’arte e la ordinata classificazione di tutte le nozioni im- 
plicano e presuppongono d’altra parte la costruzione di un 
sistema mnemonico che si presenta come parte integrante e 
costitutiva della logica-enciclopedia. Ma gioverà a questo punto, 
per chiarire questi problemi, delineare brevemente alcuni degli 
aspetti fondamentali della problematica connessa al lullismo 
facendo riferimento sia ai testi di Lullo sia a quelli della tra- 
dizione lullista. 


3. ARTE, LOGICA E COSMOLOGIA NELLA TRADIZIONE LULLIANA. 


Nei testi di Lullo l’arte si presenta come una «logica » 
che è anche e contemporaneamente « metafisica » (« ista ars 
est et logica et metaphysica ») ec che tuttavia differisce dall’una 
e dall’altra sia «in modo considerandi suum subiectum » sia 
«in modo principiorum ». Mentre la metafisica considera gli 
enti esterni all'anima « prout conveniunt in ratione entis », e 
la logica li considera secondo l’essere che essi hanno nell'anima, 
l’arte invece, suprema fra tutte le umane scienze, considera 
gli enti secondo l’uno e secondo l’altro modo. A differenza 


° Cfr. Carreras y Artau, Filosofia cristiana, cit., II, pp. 10-11. 
© Introd. all’Ars demonstrativa, in R. Lutt, Opera omnia, Mainz, 1721- 
42, III, p. 1. Gli otto volumi dell’edizione di Mainz numerati I-VI, IX, 


46 CLAVIS UNIVERSALIS 


della logica che tratta delle seconde intenzioni, l’arte tratta 
delle prime intenzioni; mentre la logica è « scientia instabilis 
sive labilis », l’arte è «permanens et stabilis »; ad essa è 
possibile quella scoperta della « vera lex » che è invece pre- 
clusa alla logica. Esercitandosi per un mese nell’arte si po- 
tranno non solo rintracciare i princìpi comuni a tutte le 
scienze, ma anche conseguire risultati di molto maggiori di 
quelli raggiungibili da chi si dedichi per un anno intero allo 
studio della logica." Opportune premesse all’acquisizione del- 
l’arte appaiono non a caso, da questo punto di vista, la cono- 
scenza della logica tradizionale e quella delle cose naturali: 
«Homo habens optimum intellectum et fundatum in logica 
et in naturalibus et diligentiam poterit istam scientiam scire 
duobus mensis, uno mense pro theorica et altero mense pro 
practica... ».° 

Presentandosi strettissimamente connessa alla conoscenza 
delle cose naturali, alla metafisica, all’ontologia l’arte mostrava 
da un lato la sua irriducibilità sul piano di una conoscenza 
formale e dall’altro i suoi legami con quella metafisica esem- 
plaristica e con quell’universale simbolismo che costituiscono 
insieme lo sfondo e la premessa delle dottrine lulliane. La 
scomposizione dei concetti composti in nozioni semplici e irri- 
ducibili, l'impiego di lettere e di simboli per indicare le no- 
zioni semplici, la meccanizzazione delle combinazioni tra i 
concetti operata per mezzo delle figure mobili, l’idea stessa di 
un linguaggio artificiale e perfetto (superiore al linguaggio 
comune e a quello delle singole scienze) e quella di una specie 
di meccanismo concettuale che si presenta, una volta costruito, 
assolutamente indipendente dal soggetto umano: questi ed 
altri caratteri dell’ars combinatoria han fatto sì che storici in- 
signi, dal Biumker al Gilson, abbiano avvicinato — e non 


X (il VII c I'VIII non furono pubblicati) furono curati, per i primi 
tre volumi, da Ivo Salzinger. Su questa singolare figura e sulle vicende 
dell'edizione maguntina cfr. Carreras y Artau, La filosofia cristiana, 
cit., II, pp. 323-353. 

? Cfr. Ars magna generalis ultima, cap. CI De logica, in ZETZNER, pp- 
537-38. 


S Cfr. Ars magna generalis ultima, in ZETZNER, p. 663. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 47 


erroneamente — la combinatoria alla moderna logica formale. 
A differenza di altri storici meno provveduti, tuttavia, sia il 
Biumker sia il Gilson avevano chiaramente presente il peso 
esercitato sul pensiero di Lullo da quell’esemplarismo e da 
quel simbolismo al quale ci siamo ora riferiti. Dio e le dignità 
divine appaiono a Lullo gli archetipi della realtà mentre l’in- 
tero universo si configura come un gigantesco insieme di sim- 
boli che rimandano, al di là delle apparenze, alla struttura 
stessa dell’essere divino: «le similitudini della natura divina 
sono impresse in ogni creatura secondo le possibilità ricettive 
della stessa creatura, e ciò secondo il più e il meno, secondo 
che esse più si avvicinano al grado superiore nel quale è 
l’uomo, così che ogni creatura, secondo il più e il meno, porta 
in sé il segno del suo artefice ».!° 

Anche gli alberi, teorizzati nell’Arbre de Sciencia, non of- 
frono in alcun modo l’esempio di una classificazione formale 
del sapere: essi rimandano, attraverso un complicato simbo- 
lismo, alla realtà profonda delle cose, quella realtà che al 
filosofo spetta appunto di scoprire individuando i “significati” 
delle varie parti degli alberi. Le diciotto radici dei primi 
alberi, che rappresentano il mondo delle creature, corrispon- 
dono non a caso ai princìpi stessi dell’arte. Di modo che, 
come è stato giustamente notato,"! le radici o fondamenti reali 


° Cfr. C. Barumker, Die curopaische Philosophie der Mittelalter, nel 
vol. Allgemeine Gesch. der Phil., Berlino, 1923, pp. 417-18; E. Gitson, 
La philosophie franciscaine, nel vol. Saint Frangois d'Assise ecc., Parigi, 
1927, p. 163. Un'ampia e precisa esposizione della combinatoria lul- 
liana è in P. E. W. PLatzeck, La combinatoria luliana, in « Revista de 
Filosofia », 1953, pp. 575-609 e 1954, pp. 125-165 (già precedentemente 
pubblicato in « Franziskanische Studien », 1952, pp. 32-60 e 377-407). 
Assai notevole è lo studio di Fr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, 
in « Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », 1954, nn. 1-2, 
pp. 115-173 nel quale vengono posti chiaramente in luce i rapporti 
tra la logica c la cosmologia lulliane. Del tutto insufficiente appare, 
alla luce di questi studi, la interpretazione e l'esposizione del PrANTL, 
ediz. 1955, III, pp. 145-177. 

1° Compendium artis demonstrativac, in R. Lutt, Opera, Mainz, 1721. 
24, III, p. 74. 

1! Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, cit., I, p. 484. La versione 
catalana dell’Arbor scientiae occupa i volumi XI-XIII (1917-26) del- 
l'edizione delle Obres de Ramon Lull, Palma de Mallorca, 1901 segg. 
Le più recenti edizioni latine sono Lione, 1635 e 1637 (ediz. prece- 
denti: Barcellona, 1482 c 1505; Lione, 1505, 1515 e 1605). 


48 CLAVIS UNIVERSALIS 


delle cose, i princìpi dell’arte, e le dignità divine appaiono, 
nella terminologia lulliana, termini assolutamente intercam- 
biabili ed equivalenti. 

Gli strettissimi legami fra l’arte e la teoria degli elementi 
sono stati del resto messi in luce di recente, con molta pene- 
trazione, da un ampio studio di F. Yates.!? Il tradizionale 
“approccio logico” alla dottrina lulliana (del tipo di quello 
presente nella trattazione del Prantl) si è rivelato alla Yates 
parziale e insufficiente. Un accurato studio dell’inedito Trac- 
tatus novus de astronomia del 1297 non solo ha posto in luce 
il significato della applicazione delle regole dell’arte alla astro- 
logia, ma ha anche chiarito come nelle varie opere di Lullo 
i nove princìpi divini (le cui “influenze” erano state identifi- 
cate nel Tractatus de astronomia con quelle dei segni dello 
Zodiaco e dei pianeti) costituiscano la base effettiva della uni- 
versale applicabilità dell’arte allo studio della medicina, del 
diritto, della astrologia, della teologia e, come avviene nel 
Liber de lumine, della luce. 

Che sulla base dell’esemplarismo lulliano si potesse perve- 
nire a una specie di identificazione dell’arte con una cosmo- 
logia è mostrato, fra l’altro, da uno dei primi testi del lullismo 
europeo sul quale la Yates ha opportunamente richiamato la 
attenzione. Tomàùs le Myésier, autore dell’ Electorium Re- 
mundi (Par. Naz. Lat. 15450) composto ad Arras nel 1325," 
fu amico personale e discepolo entusiasta del Lullo. In una 
specie di grande compilazione, egli intende presentare i carat- 
teri essenziali della dottrina del suo maestro: all’arte spetta 
una funzione precisa: la difesa della fede cristiana contro gli 
averroisti e il riconducimento di tutti gli uomini alla com- 
prensione della verità e dei misteri divini. Proprio nella parte 
espositiva o introduttiva si rivelano chiaramente le connes- 
sioni fra arte e cosmologia: il circolo dell’universo, la cui rap- 
presentazione grafica viene accuratamente descritta dall'autore, 
comprende la sfera angelica attorno alla quale ruotano il 
primo mobile, l’empireo, il cristallino, la sfera delle stelle fisse 
e le sette sfere dei pianeti. La terra, sulla quale sono rappre- 


12 Fr. A. YATEs, The Art of Ramon Lull, cit. 
19 Parigi, lat. 15450 (inizio sec. XIV). La data di composizione è in 
fine al testo: « Anno Domini 1325 per Thoman Migerii. In attrebato ». 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 49 


sentati un albero un animale e un uomo, è circondata dalle 
sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco. Ad ognuno dei nove 
segmenti nei quali il cerchio dell’universo è diviso corrispon- 
de una delle nove lettere dell’alfabeto lulliano (BCDEFGHIK) 
nel suo duplice significato di predicato assoluto e relativo, 
mentre, secondo gli insegnamenti di Lullo, alcuni dei signi- 
ficati delle lettere cambiano in corrispondenza alle diverse 
sfere.!! 

L’ Electorium de le Myésier non rimase certo un caso iso- 
lato: la presenza di interessi di tipo cosmologico all’interno 
di quell’ampia letteratura lullista che si diffonde in tutta Eu- 
ropa fino dalla prima metà del Quattrocento è ampiamente 
documentabile. Ad una adesione, o quanto meno ad una 
spiccata simpatia per il lullismo, corrisponde in moltissimi 
testi l’idea del rapporto necessario che si pone fra la costru- 
zione di un’arte indifferentemente applicabile a tutti i rami 
del sapere e la delineazione di un'immagine gerarchica e uni- 
taria dell’universo. Proprio sull’esemplarismo e sulle dignità 
divine come fondamenti primi dell'arte lulliana insiste, non 
a caso, il primo grande filosofo europeo che si muove entro 
l’orizzonte del lullismo. « Primum fundamentum artis — scri- 
verà Cusano — est quod omnia, quae Deus creavit et fecit, 
creavit et fecit ad similitudinem suarum dignitatum ».!* I prin- 
cìpi dell’arte combinatoria (donitas, magnitudo, aeternitas, po- 
testas, sapientia, voluntas, virtus, veritas, gloria) apparivano qui, 
ancora una volta, come principia essendi et cognoscendi, non 
meramente formali, ma esprimenti le caratteristiche divine e di 
conseguenza quelle di tutti gli esseri esistenti. La metafisica 
esemplaristica costituiva la garanzia della assoluta infallibilità 
di una logica attinente non ai discorsi, ma alla realtà. Mentre 
polemizzava implicitamente con il Gerson e proponeva una 


14 Cfr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, cit., p. 172. 

15 Cod. Cus. 85, £. 55 v. cit. in P. E. W. PLatzecg, La combinatoria 
luliana, cit., p. 135. Dello stesso autore si vedano anche: E! /ulismo 
en las obras del Cardinal N. Kreos de Cusa, in « Rev. Espafiola de 
Teologia », 194041, pp. 731-65 c 1942, pp. 257-324; Los postumos datos 
lulisticos del Dr. M. Honecker y las glosas del card. N. de Cusa sobre 
el Arte luliana, « Studia monographica », 1953-54, pp. 1-16; Lullsche 
Gedanken bei Nikolaus von Kues, « Trierer Theologische Zeitschrift », 
1953, pp. 357.64. 


50 CLAVIS UNIVERSALIS 


riforma terminologica dell’arte lulliana, il Cusano, in una sua 
postilla all’Ars Magra, mostrava di accettare la sostanza del- 
l'insegnamento di Lullo: 


Praedictorum principiorum nomina sunt apud philosophos 
inusitata et tamen iuxta figmentum inventoris propositae 
artis res vera significantia. Ergo, cum propter nostram af- 
firmationem vel negationem nihil mutetur in re... et omne 
verum vero consonet... praefata ars non est repudianda 
propter suorum nominum improprietatem [che era la 
tesi del Gerson]; quin potius, ut possit concordari cum 
scientiis aliis, est ad corum terminos exfiguranda,!% 


Ancora più strettamente legata alle impostazioni “esempla- 
ristiche” del lullismo è, d’altra parte, la dottrina cusaniana 
dell’ascesa e discesa dell’intelletto secondo la quale è possi- 
bile elevarsi alla conoscenza di Dio muovendo dalla somi- 
glianza con le divine perfezioni impressa nelle creature, e di 
scendere dalla conoscenza dell’essere divino e dei suoi attributi 
alla conoscenza della realtà che di quella perfezione è lo 
specchio.!’ 

Nel Liber de ascensu et descensu intellectus, composto dal 
Lullo a Montpellier nel 1304, era stato ampiamente svolto il 
tema, poi ripreso dal Cusano, di una conoscenza che procede 
attraverso la ricerca delle analogie e dei segni — alla rico- 
struzione di quel divino modello che ha presieduto alla co- 
struzione del reale. Attraverso la descrizione della compli- 
cata scala degli esseri, dalla pietra al fango alla pianta al 
bruto all'uomo al cielo all'angelo a Dio, questo tema si era 
andato identificando con l’altro, ben noto, di una ricostruzione 
minuta, ed “enciclopedica” delle complesse gerarchie del co- 
smo. Questa stessa impostazione “cosmologica” troviamo pre- 
sente in quel Liber creaturarum di Raimundo Sibiuda (Sa- 





15 Cfr. Martin Honecker, R. Lulls Wahlvorschlag Grundlage des 
Kaiserwahlplanes bei N. von Cues?, « Historisches Jahrbuch », vol. 57, 
1938, p. 572. Sul Iullismo del Cusano si vedano gli studi di F. Kraus, 
di J. Marx, di F. Tocco, di E. pe VANSTEENBERGHEN segnalati nel ca- 
pitolo Influencias lultanas en Nicolàs de Cusa della cit. Filosofia cri- 
stiana det Carreras v ArtAu, II, pp. 178-196. Più recenti: M. DE 
Ganpittac, La philos. de N. de C., Paris, 1941 e J. E. HorMann, Die 
Quellen der cusanischen Mathematik, Heidelberg, 1942. 

17 Cfr. Carreras v Artau, Filosofia cristiana, cit., Il, p. 187. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 5I 


bunde, Sebond) che influirà sullo stesso Cusano, su Lefèvre 
d’Etaples, Bovillus e Montaigne e che fu composto (fra il 1434 
e il ’36) negli stessi anni che videro Cusano appassionato let- 
tore e trascrittore dei testi di Lullo. Anche qui, accanto alla 
dottrina dell’ascesa e discesa dell’intelletto, accanto all’affer- 
mazione di un’arte concepita come « radix et origo et funda- 
mentum omnium scientiarum », il cui possesso è raggiungi- 
bile in brevissimo tempo con risultati mirabili (« quia plus 
sciet infra mensem per istam scientiam quam per centum an- 
nos studendo Doctores »), troviamo l’immagine di una scala 
naturale i cui vari gradini vanno ritenuti a memoria e rap- 
presentati mediante figure: «et haec est prima consideratio 
in hac scientia radicalis et fundamentalis, scilicet considerare 
istos gradus in se, et bene plantare et radicare cos in corde et 
figurare sicut in natura realiter ».!* 

La ordinata successione dei gradi ci offre un'immagine 
unitaria, gerarchica e organica dell’universo: il primo grado 
comprende le cose che sono, ma non vivono né sentono né 
intendono (minerali e metalli, cieli e corpi celesti, oggetti arti- 
ficiali); il secondo comprende ciò che è e vive, ma è privo 
del sentire e dell’intendere (i vegetali); il terzo gli animali 
che sono vivono e intendono; nel quarto infine, ove risiede 
l’uomo, sono presenti l’essere il vivere il sentire e l’intendere. 
L’uomo, come microcosmo, riassume in sé le proprietà stesse 
dell’universo, è la vivente immagine di Dio. 


4. L’ArBoR SCIENTIAE E GLI ENCICLOPEDISTI DEL secoLo XVI. 


Che l’arte lulliana rinviasse a una descrizione della realtà 
universale e che questa descrizione si andasse configurando 
a sua volta come una vera e propria enciclopedia è cosa che, 
dopo le considerazioni fin qui svolte, dovrebbe risultar chiara. 
Nell’Arbre de Sciencia, composto a Roma nel 1295, l’impiego 
degli “alberi” veniva esplicitamente presentato come un mezzo 
per rendere l’arte più « popolare », più direttamente e facil- 
mente acquisibile e l'enciclopedia si presentava come parte in- 
tegrante della grande riforma del sapere progettata da Lullo. 


!* R. Sabunpe, Liber creaturarum, ed. Wolfangus Hoffmanus, Frank- 
furt s. Main, 1635, tit. I, p. 8. 


52 CLAVIS UNIVERSALIS 


Alla base dell’enciclopedia, articolantesi in sedici alberi, sta 
un'idea centrale: quella di una fondamentale unità del sapere 
umano che è in stretta relazione all’unità essenziale del cosmo. 
Una suggestiva illustrazione del manoscritto ambrosiano che 
contiene la versione catalana del testo di Lullo,!® mostra il 
filosofo e un monaco ai piedi dell'albero delle scienze. Al mo- 
naco, la cui figura ritorna accanto a quella di Lullo in tutte 
le illustrazioni dei vari alberi, Lullo si era rivolto per conforto 
dopo che il suo piano missionario, che includeva la propaga- 
zione dell’arte, aveva trovato fredda accoglienza presso Boni- 
facio VIII e proprio il monaco (così racconta Lullo nel prologo) 
lo aveva consigliato di presentare la grande arte sotto una 
nuova forma. Le diciotto radici dell’albero delle scienze sono 
costituite dai nove principi trascendenti (o nove dignità divine) 
e dai nove princìpi relativi dell’arte (differentia, concordantia, 
contrarietas; principium, medium, finis; matoritas, aequalitas, 
minoritas). L'albero si suddivide in sedici rami, ciascuno dei 
quali corrisponde ad uno degli alberi che formeranno la fore- 
sta della scienza: l’arbor elementalis, V’arbor vegetalis (bota- 
nica e applicazioni della botanica alla medicina), sensualis 
(esseri sensibili e senzienti e animali), imaginalis (quegli enti 
mentali che sono similitudini degli enti reali trattati negli 
alberi precedenti), Aumanalis, moralis (etica, dottrina dei vizi 
e delle virtù), imperialis (connesso all’arbor moralis, si riferi- 
sce al regimen principis e alla politica), apostolicalis (governo 
ecclesiastico e gerarchia della Chiesa), celestialis (astronomia e 
astrologia), angelicalis (gli angeli e gli aiuti angelici), eviter- 
nalis (immortalità, mondo ultraterreno, inferno e paradiso), 
maternalis (mariologia), christianalis (cristologia), divinalis (teo- 
logia, dignità divine, sostanza e persone di Dio, perfezioni e 
produzioni divine). L’arbor exemplificalis (nel quale vengono 
esposti allegoricamente i contenuti degli alberi precedenti) e 
l’arbor quaestionalis (nel quale vengono proposte quattromila 
questioni riferentisi agli alberi precedenti) si presentano come 
«ausiliari » rispetto al corpus dell’enciclopedia. 


‘ 


1° Cod. Ambrosiano D. 535 inf. fol. 37v. L’illustrazione è riprodotta 
nel vol. XIII delle Obres de Ramon Lull, cit. La stessa immagine an- 
che nell'edizione latina, Lione, 1515, p. 145. De L’arbre de Sciencia 
ho usato la versione castigliana stampata a Bruxelles dal Foppens nel 
1664 (Braid. BB. 9. 64). 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 53 


L'unità del mondo del sapere appare dunque fondata sul 
fatto che i princìpi assoluti e i princìpi relativi dell’arte costi- 
tuiscono la comune radice del mondo reale e del mondo della 
cultura. Su queste radici (simboleggiate dalle nove lettere del- 
l’alfabeto lulliano) poggiano infatti sia l’arbor elementalis i 
cui rami indicano i quattro elementi semplici della fisica, le 
cui foglie simboleggiano gli accidenti delle cose corporee, e i 
cui frutti fanno riferimento alle sostanze individuali come l’oro 
e la pietra, sia l’arbor Aumanalis che raccoglie, accanto alle 
facoltà umane e agli abiti naturali, anche quelli artificiali o le 
arti meccaniche e liberali. 

L'immagine lulliana dell’albero delle scienze, non a caso 
ripresa da Bacone e da Cartesio, sarà particolarmente fortunata, 
ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l’aspira- 
zione lulliana verso un corpus organico e unitario del sapere, 
verso una sistematica classificazione degli elementi della realtà. 
Non mancheranno certo suggestioni derivanti da altre fonti e 
da altri ambienti di cultura, ma Lefèvre d° Etaples e Bovillus, 
Pedro Gregoire e Valerio de Valeriis, Alsted e Leibniz faranno 
preciso riferimento, affrontando questi problemi, ai testi di 
Lullo e a quelli del lullismo. In quell’ideale pansofico che 
domina tutta la cultura del secolo XVII si insisterà da un 
lato sul necessario possesso dell’intero orbe intellettuale e dal- 
l’altro sulla conoscenza di una legge, di una chiave, di un 
linguaggio capace di dominare il tutto e di permettere una 
diretta lettura dell’alfabeto impresso dal creatore sulle cose: 
cosmo reale e mondo del sapere appariranno realtà da cogliere 
nella loro sostanziale unità e identità di struttura, nella loro 
profonda “armonia”. Sui testi della pansofia seicentesca do- 
vremo ritornare. Per ora basterà fermarsi brevemente su alcuni 
testi cinquecenteschi nei quali questi aspetti dell’eredità lul- 
liana si espressero in modo compiuto e coerente. 

Lo scritto In RAetoricam Isagoge fu pubblicato a Parigi, 
nel 1515, da Remigio Rufo Candido d’Aquitania dietro incita- 
mento di Bernardo Lavinheta, uno dei più rinomati lullisti 
dell’epoca. Attributo a Lullo, e ristampato nelle edizioni delle 
opere di Lullo dello Zetzner, lo scritto rivela chiaramente il 
suo carattere di opera pseudo-lulliana: frequenti appaiono i 
riferimenti a Cicerone e a Quintiliano, ai dialoghi platonici, 
alla mitologia e alla storia greche e romane. In un testo com- 


54 CLAVIS UNIVERSALIS 


posto quasi certamente fra la fine del secolo XV e l’inizio del 
XVI, e che veniva considerato come un’opera autentica di 
Lullo, troviamo una singolare mescolanza di retorica, di co- 
smologia e di aspirazioni enciclopedistiche. Nella prefazione 
indirizzata dal Rufo ai suoi discepoli, i fratelli Antonio e 
Francesco Boher, la finalità enciclopedica dell’opera veniva 
presentata come strettamente connessa alle esigenze della reto- 
rica e ai bisogni dell’oratore: « Per consiglio e ispirazione del 
nostro amico Bernardo di Lavinheta studiosissimo di Lullo, 
portiamo alla luce questa Retorica affinché in questo libro, 
come in uno specchio nitidissimo, possa essere contemplata, o 
meglio ammirata, l’immagine di tutte le scienze. È infatti 
necessario che l’oratore sia a conoscenza di tutto e si impa- 
dronisca con diligenza di tutto quel mondo delle scienze che 
vien detto enciclopedia. Per questo, l’autore volle abbracciare 
con brevità e stringatezza tutte quelle cose che son relative alla 
comprensione di ciascuna scienza ».?° Nel testo pseudo-lulliano 
non mancavano, naturalmente, le tonalità occulte caratteristi- 
che della magia rinascimentale e della letteratura lulliano-al- 
chimistica: « Ex tenebris lux ipsa emergit. Ipse enim posuit 
tenebras latibulum suum, qui apparuit in monte circumdato 
caligine et nebula. Qui rationem dicendi discere volunt, opus 
habent ut eam silentio adipiscantur. Hinc silentium Pytha- 
gorae ». 


20 Traduco dalla prima edizione: Raemaundi Lulli Eremitae divinitus 
illuminati, in Rhetoricen Isagoge perspicacibus ingeniis expectata, Ve- 
nundantur in Ascensianis Aedibus, 1515 (pagg. non numerate). Il passo 
cit. è tratto dalla lettera dedicatoria di Remigio Rufo (su questo per- 
sonaggio cfr. Carreras y Artav, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 214 
segg.). La stessa opera è inserita nella edizione ZETZNER, pp. 172-223. 
Ho trovato indicato il Cod. Vat. Lat. 6295 a proposito di un’opera 
inedita di Lullo: la RAetorica Nova della quale esistono vari altri 
manoscritti (Parigi Lat. 6443c, ff. 95v.-109v.; Monaco Staatsbibl., 
10594, ff. 164r.-196v.; Ambrosiana N. 185 sup., ff. 1v.-35v.). Il 
codice Vaticano indicato contiene invece, insieme agli Sratuta pesciven- 
dolorum Urbis, una redazione manoscritta dell’opera apocrifa In Rheto- 
ricam Isagoge (si tratta di un cod. cartaceo del sec. XVI che reca due 
fogli bianchi e non numerati all’inizio. Lo scritto pseudo-lulliano oc- 
cupa le carte ]r.-25v. Il codice è stato rilegato assieme ad un cod. 
pergamenaceo del secolo XV che contiene gli Statuti sopra indicati). 
Gli altri tre codici (parigino, monacense e ambrosiano) contengono 
invece effettivamente lo scritto di Lullo sulla retorica. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 55 


Dopo un sommario riferimento ai subiecta dell’arte lulliana 
(Deus, angelus, coelum, homo, imaginativa, sensitiva, vege- 
tativa, elementativa, instrumentativa) ed ai praedicamenta, il 
testo si articola in una lunga serie di quadri sinottici nei 
quali viene accumulato ed esposto, secondo un rigido ordina- 
mento, tutto il sapere. La considerazione dell’imaginativa si 
trasforma in tal modo in una classificazione degli animali, 
delle varie parti del corpo umano e degli esseri umani che 
vengono curiosamente suddivisi sulla base della loro apparte- 
nenza ai quattro elementi della fisica : 


Terrestres, ut agricolae, metallarii 
Aquatici, ut mautae et piscatores 
Acrei, ut funambuli et schenobatae 
Ignei, ut fabri, Cyclopes. 


Hominum quidam sunt 


Allo stesso modo sotto il subrectum angelo, troviamo la Hie- 
rarchia angelorum, mentre la trattazione dei predicati dà luogo 
ad una classificazione dei diversi tipi di narrazione storica e 
di dimostrazione dialettica, delle varie parti della retorica, 
delle sezioni dell’etica e dei tipi di virtù, infine delle arti mec- 
caniche e liberali dall’agricoltura, alla pastorizia, alla caccia, 
all'arte scenica, alla culinaria, ai lavori manuali, alla filosofia, 
alla musica, alla geometria, alla matematica, alla medicina. 
Ben più significativo di questo trattato retorico-enciclope- 
dico è il De arte cyclognomica (1569) di Cornelio Gemma, 
astronomo e professore di medicina a Lione, autore di un testo 
sulla cometa del 1577 e di uno scritto sui prodigi e le mostruo- 
sità della natura.” Gli interessi del Gemma sono rivolti prin- 


21! Cornelius GemMa, De arte cyclognomica tomi II doctrinam ordi- 
num universam, unaque philosophiam Hippocratis Platonis Galeni et 
Avistotelis in unius communissimae et circularis methodi speciem refe- 
rentes, quae per animorum triplices orbes ad spherae caelestis simulitu- 
dinem fabricatos, non medicinae tantum arcana pandit mysteria, sed 
et imveniendis costituendisque artibus ac scientiis caeteris viam com- 
pendiosam patefacit, Antverpiae, cx officina Christophori Plantini, 
1569. Ho usato la copia della Vaticana L. IV. 28 (Palat. III, 70), ma 
della stessa edizione esiste un esemplare alla Braidense (B. XV. 5. 803) 
e uno all’Angelica (e. 8. 16). Cfr. anche De naturae divinis characteri- 
smis, seu raris et admirandis spectaculis, causis, indiciis, proprietatibus 
rerum in partibus singulis universi, libri Il, Antwerpiae, ex off. Chr. 
Plantini, 1575 (copia usata: Vatic., N. XI. 64, ma cfr. Racc. Gen. 


56 CLAVIS UNIVERSALIS 


cipalmente alla medicina, ma il suo trattato si propone di 
giungere alla unificazione dei metodi di Ippocrate e Platone, 
Galeno e Aristotele e di fondare un metodo universale valido 
così per la medicina come per tutte le altre arti e scienze. Il 
metodo viene suddiviso dal Gemma in tre parti a seconda che 
la conoscenza si volga alla comprensione delle cose passate, 
allo studio delle cose presenti, e alla divinazione di quelle 
future. Nel primo caso abbiamo la memoria et eius artificium 
methodicuni; nel secondo la scientia etusque adipiscendae me- 
thodus; nel terzo la praedictio eiusque methodus. Ricercando 
una via compendiosa alla verità, il Gemma insiste a lungo 
sulla funzione essenziale delle immagini, delle rappresenta- 
zioni simboliche, dei circoli lulliani, ma concepisce le stesse 
immagini in funzione di un metodo inteso come ordinata 
classificazione di tutti gli elementi che compongono il reale: 
« Tota vis igitur agendi dextere et facile cognoscendi per rerum 
causas in ipsis ordinibus potissimum collocatur. Ordo enim 
intelligentiae signum est... ».°° Alla minuziosa, ordinata elen- 
cazione degli elementi naturali e sopramondani e della facoltà 
è dedicata la maggior parte dello scritto del Gemma che si 
configura come una grande enciclopedia nella quale appaiono 
largamente dominanti i temi della sapienza ermetica e pita- 
gorica. Nel Quaternio pytagoricus per mundi septenos ordines 
pari proportione distributos," la materia, la qualità, lo spirito, 
l’anima appaiono suddivise a seconda della loro appartenenza 
al mondo intelligibile, alle cose celesti, a quelle eteree, alle 
sublunari, alle animate, all’uomo, allo Stato. La tavola, nella 
quale sono raffigurate queste partizioni, ha il compito di mo- 
strare le segrete corrispondenze tra ciascuno degli elementi, di 
chiarire il modo in cui il senso o l'immaginazione, la razzo o 


Medicina, V. 882); De prodigiosa specie naturaque Cometae anno 1577 
visa, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini, 1578 (copia usata: Angelica 
YY. 3. 20). Nell'opera dei CarreRAs y Artau lo scritto De arte cyclo- 
gnomica del Gemma è stato erroneamente datato 1659. Non si tratta 
però di un semplice errore di stampa; gli autori, che hanno lavorato 
molto spesso su informazioni di seconda e anche di terza mano, trat- 
tano del Gemma nel capitolo dedicato agli sviluppi del lullismo nel 
secolo XVII (Cfr. La filosofia cristiana, cit., Il, p. 304). 

22 De arte cyclognomica, cit., p. 27 

29 De arte cyclognomica, cit., p. 34. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 57 


la mens si collegano alla totalità dell’universo, ai corpi celesti, 
al calore presente negli esseri animati, agli spiriti eterci, alle 
intelligenze che presiedono al moto degli astri. A questo stesso 
scopo rispondono sia la rappresentazione grafica dell’anima 
con la collocazione delle cinquantuno facoltà presenti nell’uo- 
mo,” sia la raffigurazione delle tre scale ciascuna delle quali 
offre il quadro delle parti che compongono la metafisica, la 
fisica e la logica mostrando insieme gli scopi di queste scienze, 
i rapporti che intercorrono tra le varie parti delle singole disci- 
pline, l'ordine nel quale dev’esser collocata ogni parte in rela- 
zione all’ordine universale.? 

AI fondo di queste fantastiche classificazioni, alla base delle 
strane figure che riempiono il testo del Gemma, dietro questa 
incondizionata adesione ai motivi più torbidi della tradizione 
ermetica resta però ben saldo — ed è questo che si vuol sotto- 
lineare — il presupposto di una necessaria unità del sapere 
che è specchio della fondamentale unità del cosmo: « mediante 
l’idea stessa della divina Virtù, le ragioni di tutte le cose 
risplendono in ciascuna delle particelle del mondo ». Que- 


st'affermazione — e lo ammetteva esplicitamente lo stesso 
Gemma — costituiva il primo, essenziale fondamento di tutta 
l’Arte.?* 


Su questo stesso terreno, anche se con una fondamentale 
diversità di tono derivante dal prevalere di interessi di tipo 
“logico”, si muove l’opera di Pedro Gregoire di Tolosa che 
fu pubblicata per la prima volta a Lione fra il 1583 e il 1587; 
il titolo è già di per sè indicativo: Syntaxes artis mirabilis in 
libros septem digestae per quas de omni re proposita, multis 
et prope infinitis rationibus disputari aut tractari, omniumque 
summaria cognitio haberi potest.?* Accanto al consueto tema 


24 De arte cyclognomica, cit., p. 105. 

°5 De arte cyclognomica, cit., pp. 48, 49, 50. 

26 De naturac divinis characterismis, cit., p. 34: « Hoc ergo sit primum 
artis nostrae fundamentum ». 

2? Venetiis, apud Jo. Dominicum de Imbertis, 1588. L'altro tomo del- 
l’opera ha per titolo: Sintareon artis mirabilis alter tomus in quo om- 
nium scicntiarum et artium tradita est epitome, unde facilius istius artis 
studiosus de omnibus propositis possit rationes et ornamenta rarissima 
proferre, ibid., 1588 (copia usata Archiginn., 9, NN. V. 26). L’opera fu 
ristampata dall’editore Zetzner nel 1610 a Colonia in quattro tomi: 


58 CLAVIS UNIVERSALIS 


di un’arte capace di giungere alla individuazione degli assiomi 
comuni a tutte le scienze e di elaborare assoluti criteri di 
certezza, tornavano qui molti dei problemi già affrontati, in 
quegli stessi anni, da Agrippa e da Lavinheta, ma il tentativo 
del Gregoire non si risolveva in un semplice “commento” 
all’arte lulliana. A differenza dei commentatori egli, dopo aver 
accennato a Lullo e ai principali teorici della sintassi univer- 
sale, elaborava una vera e propria enciclopedia delle scienze 
non indegna di essere accostata, almeno per quanto concerne 
la vastità di interessi e la grandiosità, al De augmentis baco- 
niano. Essa si fondava su uno speculum artis nel quale veni- 
vano presentati da un lato i « modi quaerendi examinandi 
disputandi et respondendi » e dall’altro le classi o cellulas alle 
quali ogni sapere dev'essere riferito. Il riferimento ai princìpi 
assoluti e relativi dell’ars magna era qui esplicito, ma altret- 
tanto e forse più interessanti sono le pagine nelle quali l’aspi- 
razione ad un sapere enciclopedico e universale si congiunge 
alla fiducia in una sostanziale intercomunicabilità fra tutte le 
scienze. Ed è da sottolineare il fatto che questa affermazione 
dell’unità del sapere si converte, immediatamente dopo, nel- 
l’altra, ad essa corrispondente, dell’unità essenziale del cosmo: 
« Poiché, come afferma Cicerone, nulla v’è di più dolce che il 
conoscere tutto e l’indagare su tutto, giunsi alla convinzione 
che i particolari precetti delle singole scienze, distinti l’uno 
dall’altro, possono essere racchiusi in un'unica arte generale 
mediante la quale essi giungano a comunicare reciprocamente. 
In tutte le cose è sempre possibile rintracciare un unico ge- 
nere nel quale concordano e al quale partecipano tutte le 
specie, nonostante che esse differiscono in talune proprietà; è 
chiaro di conseguenza che, una volta pienamente conosciuto 
il genere, la nozione delle specie apparirà più facilmente, allo 


Commentaria in Sintaxes Artis Mtrabilis, per quas de omnibus dispu- 
tatur habeturque ratio, in quatuor tomos... in quibus plura omnino 
scitu necessaria... tractantur. Il secondo tomo ha per titolo Sintarcon 
artis mirabilis in libros XL digestarum tomi duo. Nel terzo e nel 
quarto acutissimae ac sublimes tractationes de Deo de Angelis et de 
Immortalitate animae continentur. Le citazioni che seguono sono tratte 
da quest'ultima edizione (copia usata: Archiginn., V, VI, 24-26). Per 
più ampie notizie sull'autore cfr. CARRERAS Y ArtTAU, La filos. cristiana, 
cit., II, pp. 234 segg. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 59 


stesso modo che conosceremmo la divisione in rivoli e lc parti- 
zioni dei fiumi una volta che, dalla fonte, fossimo giunti, se- 
guendo l’alveo, ai luoghi nei quali si effettuano le separazioni. 
Allo stesso modo non apparirà impossibile e assurdo che le 
diverse opere delle diverse arti vengano realizzate mediante 
un unico strumento... Così infatti tutti i particolari corpi na- 
turali sono composti dalla diversa mescolanza dei quattro ele- 
menti e tutte le piante e tutti gli animali partecipano ad 
un’unica forza vegetativa e per essa crescono, e tutti i sensi 
sono contenuti in uno stesso corpo e le cose corporee € quelle 
incorporee consentono nell'uomo che consta di anima e di 
corpo, lo stesso Cielo ultimo abbraccia naturalmente e con- 
duce e muove in un solo ambito, in un solo moto e in un solo 
influsso tutte le cose inferiori che tutte in esso concordano ». 

Il fondamento della “scienza unificata” era dunque una 
concezione platonico-pitagorica o, se si vuole, “magica” della 
realtà intesa come un tutto unitario e vivente. La estendibilità 
dell'Arte o dell’unico metodo a tutte le discipline e a tutti i 
rami del sapere è possibile in virtù di un presupposto “meta- 
fisico”: quello di un cosmo nel quale si rispecchiano le idee 
della mente che ha presieduto alla sua creazione e al suo ordi- 
namento: « E finalmente tutte le cose sono create e rette dal- 
l’unica mente di Dio, ogni luce delle stelle partecipa della luce 
del sole e tutte le virtù partecipano della giustizia... Dio e 
l’uomo, infine, convengono e convivono in un’ipostasi unica: 
in nostro Signore Gesù Cristo. E poiché così stanno le cose... 
senza alcun dubbio la mente e la ragione dell’uomo possono 
estendersi a tutte le arti, ove siano guidate da un ottimo me- 
todo generale del sapere e del comprendere... A ciascuna delle 
scienze particolari appartengono delle nozioni — o preludi 
universali — mediante le quali l’arte e la perizia vengono 
facilmente potenziate ».?° 

A conclusioni non diverse giungerà, nell’ultimo decennio 
del secolo, il patrizio veneto Valerio de Valeriis che nell’Opus 
aureum, pubblicato nel 1589, riprendeva, modificandolo e inte- 
grandolo, il progetto lulliano dell’arbor scientiarum. Nel testo 
del De Valeriis il problema dell'albero delle scienze viene pre- 
sentato come strettamente connesso con quello della formula- 


28 Commentaria, cit., I, p. 12; per il brano precedente cfr. p. Il. 


60 CLAVIS UNIVERSALIS 


zione delle regole della combinatoria: « L’opera è ripartita in 
quattro parti. Nella prima verrà trattata la cognizione neces- 
saria al raggiungimento della conoscenza degli alberi. Nella 
seconda mostreremo i quattordici alberi dalla cui conoscenza 
dipende l’intera conoscenza degli enti. Nella terza illustreremo 
con esempi ciò che è stato esposto nella prima e nella seconda 
parte. Nella quarta parte, infine, mostreremo in qual modo 
l’arte generale di Raimondo vada ridotta a questa impresa, 
insegnando a moltiplicare i concetti e gli argomenti quasi al- 
l’infinito... mescolando le radici con le radici, le radici con 
le forme, gli alberi con gli alberi, e le regole con tutti questi 
e molti altri modi ».?° 

L’interpretazione che, nella quarta parte dell’opera, veniva 
data delle “figure” dell’arte appare fortemente influenzata dal 
commento di Agrippa e, molto probabilmente, anche dalle tesi 
del Bruno il quale, fra il 1582 e il 1588, era venuto pubbli- 
cando le sue opere lullistiche e mnemotecniche. Più che ad 
Agrippa e al Bruno, il de Valeriis si richiama tuttavia più 
volte a Scoto e allo scotismo ?° (« de aliorum dictis non cura- 
mus, Scotum praeceptorem sequimur ») introducendo una dot- 
trina dei predicati assoluti e relativi. L'esigenza di un’arte aurea 
nasceva in ogni modo, anche in questo caso, dalla constatazione 
del carattere pluralistico e “caotico” dell’orbe intellettuale, della 
povertà delle cognizioni umane, dal bisogno di un singulare 
ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile rendersi 
conto dell’ordine del cosmo al di là di una caoticità apparente 
e dar luogo ad una situazione nella quale gli uomini, dopo 
infinite fatiche, potessero riposare perpetuamente e sicuramente 
all'ombra degli alberi della scienza (« Nec sine maximis in- 
commoditatibus et multis vigiliis id perfecimus ut philosophiae 
imbuti valeant se aliquando ab infinitis ambagibus liberare et 
viri in scientiis consumati post infinitos labores peracti possint 
sub felici harum arborum umbra perpetuo et secure quiesce- 


29 Sul De Valeriis cfr. CarrERAS y ARTAU, La filos. cristiana, cit., pp. 
235-37. Per la prima edizione dell’opera si veda RocenT Duran, Biblio- 
grafia, cit., n. 138. La citazione riportata nel testo dall'Opus aureun: 
in quo omnia breviter explicantur quac R. Lullus tam in scientiaruni 
arbore quam arte generali tradit è ricavata dalla edizione ZETZNER (cfr. 
la nota 1) p. 971. 

30 De VaLerns, Opus aureum, ed ZetznER, pp. 982, 986, 1009, 1115. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 61 


re »)."! Anche per il de Valeriis le radici degli alberi coincide- 
vano con i princìpi dell’arte, mentre lo stesso ordine di suc- 
cessione dei vari princìpi veniva presentato come dipendente 
dalla “natura”: « magnitudo vero, quae est secunda radix, non 
fortuito primam sequitur, sed maximo naturae consilio ». Éra 
proprio la scala naturae che forniva inoltre il criterio cui far 
ricorso nella difficile applicazione delle radici o principi del- 
l'Arte ai subiecta: « Nell’'uniforme applicazione di queste ra- 
dici ai sudiecta è da impiegare la più grande diligenza... biso- 
gna osservare la scala della natura e tutto ciò che, nel grado 
inferiore, denota una perfezione priva di imperfezione, dev’es- 
sere attribuito al grado superiore. L'operazione attribuita alla 
pietra (che occupa il gradino infimo) dev'essere attribuita anche 
ai vegetali che occupano il secondo grado della scala natu- 
rale... Ciò che comporta una imperfezione, se conviene all’in- 
feriore, non è da attribuire ad ogni superiore: ne deriva che 
la contrarietas e la minoritas non devono essere attribuite a 
Dio, anche se convengono alle cose inferiori. Il divino Lullo 
ordinò secondo nove soggetti e quattordici alberi la scala della 
natura... Colui che desidera sapere molte cose in ogni disci- 
lina si formi questa scala... ».?? 

Quelle del Gregoire e del de Valeriis sono posizioni tipi- 
che: da impostazioni di questo genere trarrà nuovo alimento 
e nuova forza l’idea di una sintassi universale che fornisca, 
oltre che la chiave dei misteri dell’ideale e del reale, anche 
il criterio assoluto per la costruzione di una completa enci- 
clopedia delle scienze. Da Lullo sino alla fine del Cinque- 
cento e poi fino a Alsted e a Leibniz resta ben salda la con- 
vinzione che l’arte lulliana o cabala dei sapienti o arte aurea 
o combinatoria o scienza generale costituisca la scoperta meta- 
fisica della trama ideale della realtì.. 


5. LA CONFIRMATIO MEMORIAE NEI TESTI DI RaiMonpo Lutto. 


Il problema di un rapido e facile apprendimento delle re- 
gole dell’arte e dell’ordine nel quale le nozioni sono disposte 
all’interno dell’“enciclopedia” si presenta, nell'opera di Lullo 
e in quella dei lullisti, non come marginale o secondario, ma 


3 De VALERIS, Opus aureum, cit., pp. 970.71. 
3? De VacerIIs, Opus aureum, cit., p. 1026. 


62 CLAVIS UNIVERSALIS 


come costitutivo ed essenziale. Le figure ruotanti, gli alberi, 
le tavole sinottiche, le sistematiche classificazioni si presen- 
tano in quei testi come gli strumenti dei quali far uso per tra- 
sformare in un tempo straordinariamente breve (si oscilla a 
seconda degli autori da un mese a due anni) un uomo incolto 
in un sapiente, in un uomo cioè le cui possibilità di cono- 
scenza e di azione siano enormemente più vaste di quelle 
offerte dalla logica e dalla filosofia tradizionali. È dunque 
naturale che, da questo punto di vista, il problema di una 
tecnica memorativa o, nella terminologia del lullismo, di una 
confirmatio memoriae si presentasse strettamente connesso a 
uello della combinatoria e a quello della classificazione enci- 
clopedica degli elementi della realtà e delle componenti del 
mondo del sapere. 

Nel corso del secolo XVII si parlerà comunemente di art: 
ficium mnemonicum, di systema mnemonicum, di logica me- 
morativa per indicare da un lato le grandi costruzioni cosmo- 
logico-enciclopediche e dall’altro le formulazioni o i manuali 
di tecnica combinatoria. Alsted, che presentava nel 1610 la 
sua enciclopedia come artium liberalium et facultatum omnium 
systema mnemonicum e Stanislao Mink che intitolava logica 
mnemonica (nel 1648) la sua esposizione e revisione dell’ars 
magna lulliana, si richiamavano ad una tradizione precisa 
che ha le sue radici nei testi cinquecenteschi del lullismo euro- 
peo e nell’opera stessa di Raimondo Lullo. 

Nel prologo alla Logica Nova, scritta in catalano a Ge- 
nova nel 1303 e tradotta in latino a Montpellier l’anno se- 
guente, Lullo esponeva il suo programma di applicazione dei 
princìpi dell’arte generale alla logica (considerata come disci- 
plina e arte particolare) e contrapponeva la sua nuova logica 
a quella tradizionale insistendo sulla facilità di acquisizione 
e di ritenzione della sua logica compendiosa : 


Idcirco ad prolixitatem et labilitatem huiusmodi evitandum 
(divino auxilio mediante) cogitavimus Novam et compen- 
diosam Logicam invenire, quae citra nimiam difficul- 
tatem et laborem ab inquirentibus cam acquiratur, et ac- 
quisita in memoria plenarie conservetur, ac inibi totaliter, 
et facillime teneatur.?3 


33 Liber de nova logica, Mallorca, 1744, p. 1. Cit. in CaRRERAS Y ARTAU, 
La filosofia cristiana, cit., II, p. 423. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 63 


Sulla necessità di un apprendimento mnemonico dei prin- 
cìpi dell’arte Lullo ritornerà più volte (« diximus de diffinitio- 
nibus principiorum, quas oportet scire cordatenus... »).°* Non 
si trattava solo di un accorgimento che riguardasse la “messa 
in movimento” della complessa macchina lulliana: tutti gli 
elementi più strettamente “tecnici” dell’arte (le figure, gli 
alberi, i versi) rispondevano a intenti dichiaratamente mne- 
monici.**° Proprio nei versi dell’Aplicaciò de l'Art general, 
un poema didattico del 1301 che esponeva in forma “popolare” 
i vantaggi derivanti dalla applicazione dell’arte alle varie 
scienze, Lullo insisteva sulla miracolosa drew:tà della sua com- 
binatoria e sulle possibilità di un rapido e insieme duraturo 
apprendimento: 


Que mostrem la aplicaciò 
Del Art general en cascuna 
Que a totes està comuna 
E per elles poden haver 
En breu de temps et retener.?° 


AI problema della memoria e dell’Ars memorativa Lullo 
aveva del resto rivolto in modo più specifico la sua attenzione 
fin dai suoi primi scritti. Sulla base della tripartizione delle 
tre virtù © potenze dell'anima razionale (memoria, intelletto 
e volontà) già presente nel Libre de Contemplaciò en Dèu 
del 1272, egli aveva progettato la costruzione di tre grandi 


54 Ars brevis, VI, 10. 
95 Sul carattere mnemonico delle figure e dei versi varie buone osser- 
vazioni nell'opera dei Carreras y Artau. A intenti mnemonico-divulga- 


tivi rispondeva per esempio la Lògica en rims 0 « nuovo compendio » 
del Compendium Logicae Algazelis (vv. 6-9 e 1574-80): 


en rimes e’n mots qui son plans 
per tal que hom puscha mostrar 
logica e philosophar 

a cels qui no saben lati 

ni arabich... 

Per affermar e per neguar 

a. b. c. pots aiustar 

mudant subject e predicat 
relativament comparat 

en conseguent antesedent. 


16 Aplicaciò de l’Art general, in Obras rimadas de R. Lull, Palma 
de M., 1859, p. 422. 


64 CLAVIS UNIVERSALIS 

arti l’ars inventiva, l’ars amativa e l’ars memorativa”" connesse 
rispettivamente all’ardor scientiae, all’arbor amoris e all’arbor 
reminiscentiae. L’Art amativa (1290), completata dall’Arbre 
de filosofia d'amor (1298), l'Art inventiva (1289) e l’Arbre de 
Sciencia (1295) rappresentano la parziale realizzazione di 
questo progetto. Del 1290 è l’Arbre de filosofia desiderat: ciò 
che è « desiderato », e nel corso dell’opera solo parzialmente 
realizzato, è appunto quell’arte della memoria da lungo tem- 
po progettata. Muovendosi entro l’arbre de filosofia e seguen- 
done la complessa struttura sarà possibile, secondo Lullo, giun- 
gere ad intendere le cose vere, ad amare quelle buone e a 
ricordare artificialmente le cose passate. Il tronco è l’ente dal 
quale derivano i rami e i fiori che rappresentano contempora- 
neamente i nove princìpi e i nove predicati dell’arte. Le let- 
tere da è a & designano i diciotto principi-fiori dell’ars ma- 
gna, le lettere da / ad « i diciotto princìpi-rami. La struttura 
dell’albero è quindi la seguente: 





FIORI TRONCO RAMI 
b. bontà differenza potenza Ente | Dio creature I. 
c. grandezza concordanza oggetto Ente |reale fantastico m. 
d. durata contrarietà memoria ENTE | genere specie n. 
e. potenza principio intenzione ExTE | movente movibile D) 
f. sapienza medio punto trascen-| EnTE | unità pluralità p- 
e. volontà — fine vuoto [dente] Ente | astratto concreto q. 
Ah. virtù maggiorità opera ENTE | intensità estensione r 
i. verità eguaglianza giustizia Ente |somiglianza dissomiglianza s. 
k. gloria minorità ordine Ente |gencrazione corruzione tt. 


Facendo uso della tecnica inventivo-espositiva, che troverà 
più ampio sviluppo nell’ars brevis e nell’ars magna, Lullo si 
richiama alla figura circolare, alla definizione dei princìpi, a 
dieci regole, infine alle proposizioni e alle questioni. La tec- 
nica memorativa risulta dalla sistematica applicazione di d 
(memoria) a ciascuno dei rami simboleggiati da /, m, n, ecc. 
Ne risultano nove combinazioni dl, dm, dn, ecc., in ciascuna 
delle quali la memoria artificiale si realizza attraverso parti- 


3? Regole per la memoria sono già presenti nel cap. 161 del Liber de 
contemplaciò. Cfr. Carreras y ArtaAU, La filos. cristiana, cit., I, p. 536. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 03 


colari accorgimenti giungendo a risultati di volta in volta 
differenti. Accanto alle ingenue “regole” già presenti nella 
trattatistica antica e medievale di medicina applicata alla me- 
moria, troviamo qui presente il ricorso alla concordantia, alla 
contrarietas, alla differentia (dp: memoria-unità pluralità; 
ds: memoria-somiglianza dissomiglianza) e alla subordina- 
zione del particolare al generale (4n: memoria-genere specie). 
Lullo si muove dunque, in questo caso, sul terreno di quella 
rudimentale psicologia delle associazioni che deriva, diretta- 
mente o indirettamente, dalle opere aristoteliche. 

Le regole della memoria contenute nell’Arbre de filosofia 
desiderat sono state ampiamente riassunte cd esaminate dai 
Carreras y Artau.?* È quindi più opportuno richiamare qui 
l’attenzione su alcune opere inedite di Lullo che non sono 
state, a tutt’oggi, fatte oggetto di specifico esame. Si tratta, in 
primo luogo, dell’inedito Liber de memoria conservato in due 
manoscritti ‘* e composto a Montpellier nel febbraio del 1304. 
In questo scritto, che viene presentato dall’autore come la rea- 
lizzazione di un progetto lungamente meditato (« finivit Ray- 
mundus librum memoriae quem diu desideraverat ipsum fe- 
cisse »),‘° Lullo fa riferimento ad un d/bero, l’arbor memo- 
riae, che non appare elencato tra i sedici alberi dell’Arbre de 
Sciencia del 1295. Nell’arbor memoriae vengono elencati e 
classificati nove tipi di memoria ciascuno dei quali è posto 
in corrispondenza con ciascuno dei nove princìpi, dei nove 


38 La filosofia cristiana, cit., II, pp. 534-39. 

9° Il Dictionnaire de Theologie catholique e il Lirtré, Histoire littéraire 
de la France, vol. XXIX fanno riferimento a due manoscritti: Parigi 
Lat. 16116; Innichen. VIII, B. 14, ff. 90 segg.; Ho trovato inoltre sc- 
gnalati il ms. I. V. 47 dell’ Univ. di Torino ff. 205-225 v. e il Vat. Urb. 
lat. 852. Il manoscritto torinese è andato distrutto. Il Cod. Vat. Urb. lat. 
852 non contiene il Liber de memoria, ma un’opera apocrifa attribuita 
a Lullo (di questo più avanti). Non ho visto il ms. di Innichen. Le 
citazioni sono tratte dal parigino lat. 16116 (sec. XIV) alle carte 18v. - 
23 v. Inc.: Per quendam silvam quidam homo ibat. Expl.: Ad gloriam 
et honorem Dei finivit Raymundus librum memoriae quem diu desi- 
deraverat ipsum fecisse. Et finivit in Montepessulano in mense februarii, 
anno CCCIIH ab incarnatione Domini Nostri Iesu Christi. 

4° Par. Lat. I6I16, f. 23v. 


66 CLAVIS UNIVERSALIS 


princìpi relativi, c delle nove quaestiones. Ecco l’inizio del 
trattato : ‘! 


16 v. Per quendam silvam quidam homo ibat considerando quid 
erat causa quia scientia difficilis est ad acquirendum, facilis 
vero ad obliviscendum et videbatur ci quod propter de- 
fectum memoriae istud erat eo quia sua essentia non 
bene est cognita atque suae operationes sive condiciones 
naturales, et ideo proposuit de memoria facere istum li- 
brum ad memoriam caque ci pertinent agnoscendum. 
Subicctum huius libri est ars gencralis, coque cum suis 
principiis et regulis memoriam intendimus investigare... 
Est autem memoria ens cui proprium et per se est memo- 
rari. Dividitur iste liber in tres distinctiones. Prima est de 
arbore memoriac et de suis conditionibus de principiis 
artis generalis cum suis diffinitionibus et regulis. Secunda 
distinctio est de floribus memoriae et de principiis et re- 
gulis artis gencralis ipsi memoriae applicatis. Tertia dis- 
tinctio est de quaestionibus de memoria factis ct de 
solutionibus quaestionum. Et primo de prima dicemus. 
Arbor memoriae dividitur in novem flores ut in sc patet. 

17r. Primus flos est b et b significat / bonitatem [dantem in] 
<differentiam®>> memoriam receptivam ct utrum; secun- 
dus flos est c ct c significat magnitudinem concordantiam 
memoriam remissivam et quid est; d significat duratio- 
nem contrarietatem memoriam conservativam ct de quo; 
e significat potestatem sive principium memoriam acti- 
vam et <quare>; f significat sapientiam medium [mate- 
riam] memoriam discretivam et quantum; g significat vo- 
luntatem finem memoriam multiplicativam et quale; h 
significat virtutem maioritatem memoriam significativam 
et quando; i significat [veritatem] <virtutem> acqua- 
litatem memoriam terminativam et ubi; k significat glo- 
riam, minoritatem memoriam complexionativam et quo- 
modo et cum quo. In arte ista alphabetum supradictum 
cordetenus scire oportet... 


Facendo ricorso alle tavole e alle figure dell’Ars brevis e 
dell’Ars magna è possibile, correggendo e integrando in due 
o tre punti il manoscritto," rendersi conto di come si confi- 
gurasse per Lullo la progettata applicazione dell’ars generalis 


4! Le parole poste fra < > sono supplite, quelle poste fra parentesi 
quadre sono giudicate da espungere. Spesso con il termine supplito si 
propone la correzione di evidenti errori di trascrizione. 

42 I termini posti fra parentesi quadre nella tabella che segue manca- 
no o risultano alterati nel codice. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 67 


allo specifico campo della memoria. La struttura della com- 
binatoria lulliana appare in questo caso la seguente: 











D « 
PRINCIPI PRINCIPI SUBIECTA: | QUAESTIONES 
ASSOLUTI RELATIVI MEMORIA 

{ 

b. bonitas [differentia] receptiva utrum 
c. magnitudo concordantia remissiva quid 
d. duratio contrarictas conservativa de quo 
e. potestas principium activa [quare ] 
f. sapientia medium discretiva quantum 
g. voluntas finis multiplicativa quale 
h. virtus maioritas significativa quando 
i. [veritas] acqualitas terminativa ubi 
k. gloria minoritas complexionativa quomodo ct cum quo. 


Non è certo il caso di addentrarsi qui in una spiegazione 
del complesso funzionamento dell’applicazione dell’ars gene- 
ralis al subiectum memoria. Una tale spiegazione richiede- 
rebbe fra l’altro la preliminare chiarificazione dei procedi- 
menti della combinatoria i quali, anche di recente, sono stati 
esposti e discussi in modo egregio da Erardo W. Platzeck.** 
Basterà soffermarci su un passo particolarmente indicativo del 
tipo di problemi ai quali si volge l’attenzione di Lullo. Nel 
brano che segue Lullo affronta da un lato il problema del 
rapporto tra la facoltà memorativa e il corpo e dall'altro fa 
leva sul passaggio dal generale al particolare per gettare le 
basi di una tecnica del ricordo: 


21r. Memoria est in loco ut per regulam de i in tertia parte. 
Quod amiserat principium distinctionis signatum est et 
est in loco per accidens non per se, hoc est ratione cor- 
poris cum quo est convicta, quoniam memoria per se 
non est collocabilis eo quia non habet superficiem sed 
est in loco in quo corpus est, ct sicut corpus est mutabile 
de loco in locum, etiam memoria per ipsum. Memoria 
vero mutat obiecta de uno loco in alium non mutando 
se, sed mutando suas operationes obiective recipiendo spe- 
cies quae sunt similitudines locorum cum quibus est dis- 
cretiva et multiplicativa ct ideo secundum quod ipsa est 
conditionata cum loco, debet artista uti ipsa per loca et 
ideo si vult recordari aliquid traditum oblivioni, consi- 
derat illum locum in quo fuit et primo in genere, sicut 
In qua civitate, post in specie, sicut in quo vico, post 


43 P. E. W. PLATZECcK, La combinatoria luliana, cit. 


68 CLAVIS UNIVERSALIS 


in particulari, sicut in qua domo seu in aula seu in coquina 
21v. / et sic de aliis et ideo per talem discursum memoria 
multiplicabit se. 


Nonostante che l’attenzione di Lullo sia qui chiaramente 
rivolta al processo di successiva determinazione dei particolari 
(nella sua terminologia la tractatio de generali ad specialia 
postea descendens) è difficile non avvertire nel passo ora citato 
l'eco, sia pure attenuata, di quella discussione sui “luoghi” 
che caratterizza tutta la mnemotecnica di derivazione « cice- 
roniana ». Gli stessi esempi portati da Lullo (la città, la 
strada, la casa, la stanza, la cucina) sono tipici di quella termi- 
nologia della quale i “ciceroniani” avevano fatto un uso 
larghissimo. Per il tramite dell’agostinismo qualche elemento 
di quella tradizione dev’essere penetrato all’interno dello stesso 
pensiero di Lullo.4* I rapporti tra lc tecniche memorative 
escogitate da Lullo e la tradizione ciceroniana sono certo assai 
tenui e difficilmente determinabili e tuttavia sarebbe grave- 
mente errato, continuando ad interpretare l’arte lulliana come 
un abbozzo di “logica formale”, sottovalutare il peso che sui 
progetti dell’arte esercitò quella tematica di derivazione ago- 
stiniana che vedeva nella distinzione di memoria, intelletto 
e volontà l’espressione simbolica delle tre persone della Tri- 
nità. Di fatto, come ha notato di recente la Yates, l’arte ap- 
pare anch'essa concepita a immagine e somiglianza della tri- 
nità divina. Nella sua pienezza essa consta di tre facce o 
aspetti: il primo (che si realizza mediante la combinatoria o 
la nuova logica) agisce mediante l’intelletto; il secondo me- 
diante il quale si esercita la volontà (e a quest’aspetto si rife- 
riscono le opere mistiche di Lullo); il terzo che concerne la 
memoria e trasforma l’intera arte in un grande sistema di 
mnemotecnica.!* 


44 Sul rapporto fra la mnemotecnica ciceroniana c l’opera di Agostino 
cfr. Fr. A. YATES, The ciceronian art of memory, nel vol. Medioevo e 
Rinascimento, studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 878-81. 
4° Si veda a questo proposito il Cod. 16116 della Naz. di Parigi, f. 
23v.: Liber iste [si tratta del Liber memoriae] valde utilis est et asso- 
ciabilis cum libris Intellectus et Voluntatis in uno volumine quantum 
ad invicem sunt se iuvantes ad attingendum secreta rerum. Sull'arte 
concepita a immagine della Trinità cfr. F. A. Yates, The art of Ramon 
Lull, cit., p. 162. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 69 


Sull’effettiva influenza di questa impostazione agostiniana 
esiste com'è noto una larga documentazione. Oltre ai nume- 
rosi passi del Liber de contemplaciò e dell’Arbre de filosofia 
desiderat ricordati dai Carreras y Artau si vuol qui segnalare, 
come particolarmente indicativo, un altro scritto inedito di 
Lullo, il Liber de divina memoria** scritto a Messina nel 
marzo del 1313. In quest'opera l’indagine sulla memoria ap- 
pare piegata, secondo una curvatura tipicamente agostiniana, 
a precise finalità teologiche. Trascriviamo, dal ms. ambrosia- 
no, l’inizio del trattato: 


22r. Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. 
Quoniam de divina memoria non habemus tantam noti- 
tiam sicut de divino intellectu et voluntate, idcirco inten- 
dimus indagare divinam memoriam ut de ipsa tantam 
notitiam habeamus quantam habemus de divino intellectu 
et voluntate. Ex hoc habebimus maiorem scientiam de 
deo... De divisione huius libri: dividitur iste liber in quin- 
que distinctiones. In prima tractabimus de memoria ho- 
minis, in secunda investigabimus memoriam divinam per 
divinum intellectum, in tertia divinam voluntatem, in 
quarta divinam trinitatem, in quinta et ultima divinas 
rattones... Memoria humana est potentia cum qua homo 
recolit ca quae sunt praeterita et ad hoc declarandum 
damus istud exemplum. Potentia imaginativa non habet 
actum scilicet imaginari in illo tempore in quo potentia 
sensitiva attingit suum obiectum cet de hoc quolibet potest 
habere experientiam, a simili dum homo attingit obiec- 
tum pensatum seu imaginatum in tempore presenti tunc 
memoria non potest memorari illud obiectum quia intel- 
lectus et voluntas hominis impediunt quominus memoria 

22v. habeat suum actum quia intellectus intelligit ipsum / 
obiectum et voluntas diligit seu odit illud et per hoc 
ostenditur quia memoria est potentia per se contra illos 
qui dicunt quod memoria non est potentia per se sed 
est radicata in intellectu et simul sunt una potentia, quod 
falsum est ut super declaratum est. 


46 Il Littré (Hist. litt. de la France, XXIX, p. 318) fa riferimento al 
Cod. 10517, ff. 22 segg. della Staatsbibl. di Monaco, il Longpré (Dicr. 
de Théol. cat., col. 1102, n. 59 (15) segnala, accanto a quello di Mo- 
naco, il Vat. Ott. lat. 405, ff. 182 segg. Ho visto ed usato il Cod. Am- 
brosiano N. 259 sup..ff. 22 segg. (sec. XV) segnalato dall’ Ottaviano. 
Inc.: Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quo- 
niam de divina memoria. Exp/.: Ad laudem et honorem Dei finivit 
Raymundus istum librum in civitate Messanae mense Martii anno 1313. 


70 CLAVIS UNIVERSALIS 


Fra le due opere sulla memoria del 1304 e del 1313 delle 
quali abbiamo fatto cenno, si colloca infine un terzo testo 
sulla memoria — il Liber ad memoriam confirmandam — 
anch'esso inedito, composto a Pisa nel 1308 durante il sog 
giorno nel convento di San Domenico.“ Il trattato si apre 
con la dichiarazione dei fini che si propone la confirmatio 
memoriae («ratio quare presentem volumus colligere trac- 
tatum est ut memoria hominum, quae labilis est et caduca, 
modo rectificetur meliori ») e con la distinzione fra le tre po- 
tenze naturali dell'anima — capacitas, memoria, discretio — 
ciascuna delle quali può essere perfezionata mediante l’im- 
piego di una particolare tecnica. A ciascuna delle tre potenze 
naturali corrisponde in tal modo una potenza artificiale ac- 
quisibile mediante l’arte. A quest’ultima spetta fra l’altro il 
compito di dar luogo ad un tipo di apprendimento e di tra- 
smissione del sapere che non affatichi inutilmente e bestial- 
mente i giovani: 


Ir. Primo igitur ut laborans in studio faciliter sciat modum 
scientiam invenire et ne, post amissos quamplurimos la- 
bores, scientiae huius operam inutiliter tradidisse noscatur, 

Iv. sed potius labor in requiem et sudor / in gloriam plena- 
ric convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus in- 
venire per quem non tanta gravitate corporis iugiter de- 
primantur, sed, absque nimia vexatione et cum corporis 
levitate et mentis laetitia, ad scientiarum culmina gra- 
dientes equidem propere subeant. Multi enim sunt qui, 
more brutorum, literarum studia cum multo et summo 
labore corporis prosequuntur absque exercitio ingenii arti- 
ficioso, sed et continuis vigiliis maceratum corpus suum 
iuxta labores proprios inutiliter cxhibentes. Igitur decet 
modum per quem virtuosus studens thesaurum scientiac 
leviter valcat invenire et a gravamine tantorum laborum 
relevari possit. 


47 Di questo testo ho visto le tre redazioni manoscritte conservate nei 
seguenti Codici (tutti del sec. XVI): Ambrosiana, I. 153 inf., 35-39v.; 
Monaco, Staatsbibl. 10593, ff. 1v.-3v.; Parigi Naz. lat. 17839, ff. 437 - 
444r. Il Vat. lat. 5437, che ho trovato segnalato a proposito del Liber 
ad memoriam confirmandam, non contiene opere di Lullo. Nella tra- 
scrizione mi sono servito dei tre codici indicati. L'indicazione delle 
carte si riferisce al cod. monacense. Per il testo completo dell'operetta 
cfr. l’appendice. 


L’arte si presenta dunque come uno strumento di libera- 
zione da una pedagogia inutilmente sopraffatrice: il tema di 
un rafforzamento “artificiale” delle potenze naturali dell'anima 
si legava al motivo, tipicamente francescano, della letizia spi- 
rituale. La capacitas può essere perfezionata mediante l’atten- 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 


zione e l’ordinata partizione degli argomenti. 


Al perfezionamento della memoria vera e propria vengono 
dedicate osservazioni che presentano un notevole interesse c 
che differenziano in misura notevole questo dagli altri testi 


lulliani sull’argomento: 


2v. 


3r. 


Varie cose sono da sottolineare in questo brano: in primo 
luogo il richiamo all’aristotelico De memoria et reminiscentia 


Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae 
quidem, secundum antiquos, alia est naturalis, alia est ar- 
tificialis. Naturalis est quam quis recipit in creatione vel 
generatione sua secundum materiam ex qua homo gene- 
ratur et secundum quod influentia alicuius planetae su- 
perioris regnat: et secundum hoc videmus quosdam ho- 
mines meliorem memoriam habentes quam alios, sed de 
ista nihil ad nos quoniam Dei est illud concedere. Alia est 
memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam est 
in medicinis et emplastris cum quibus habetur, et istam 
reputo valde periculosam quoniam interdum dantur tales 
medicinac dispositioni hominis contrariae, interdum super- 
fluae et in maxima cruditate qua cerebrum ultra modum 
dessicatur, et propter defectum cerebri homo ad demen- 
tiam demergitur, ut audivimus et vidimus de multis, et 
ista displiciet Deo quoniam hic non se tenet pro contento 
de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod 
ad insaniam non perveniat, nunquam / vel raro habebit 
fructus scientiae. Alia est memoria artificialis per alium 
modum acquirendi, nam dum aliquis per capacitatem re- 
cipit multum in memoria et in ore revolvat per scipsum 
quoniam secundum Alanum in parabolis studens est ad- 
modum bovis. Bos cnim cum maxima velocitate recipit 
herbas et sine masticatione ad stomachum remittit quas 
postmodum remugit et ad finem, cum melius est dige- 
stum, in sanguinem et carnem convertit: ita est de stu- 
dente qui moribus oblitis capit scientiam sine delibera- 
tione, unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masti- 
care ut in memoria radicetur et habituetur quoniam quod 
leviter capit leviter recedit et ita memoria, ut habetur in 
Libro de memoria et reminiscentia, per saepissimam rei- 
terationem firmiter confirmatur. 


72 CLAVIS UNIVERSALIS 


(tale richiamo che è presente sia nel ms. parigino sia nel mo- 
nacense, è invece assente in quello ambrosiano. Il ms. pari- 
gino reca inoltre un erroneo Aristotelem in luogo di Alanum) 
c l’insistenza sulla reiteratio come elemento essenziale al raf- 
forzamento della memoria; in secondo luogo l’assenza di 
ogni ricorso o riferimento all’arbor memoriae e l’aperta pole- 
mica contro i peccaminosi ed empi tentativi di una applica- 
zione delle tecniche mediche alla memoria; in terzo luogo, 
infine, la distinzione (che vien fatta risalire agli « antichi ») 
fra memoria naturale e memoria artificiale. Si tratta di affer- 
mazioni e di tesi che consentono di stabilire una connessione 
fra la trattazione lulliana della memoria e quell’ambito di 
discussioni che si collegavano da un lato al De reminiscentia 
aristotelico e dall’altro alla persistenza di motivi di deriva- 
zione retorica. Mentre l’uso del termine discreto pare rin- 
viare al concetto aristotelico di rem:niscentia, l’accenno agli 
antichi sembra confermare, ancora una volta, una conoscenza, 
sia pure indiretta, di alcuni elementi attinti alla tradizione 
della mnemotecnica “ciceroniana”. 

Ci siamo così a lungo soffermati su questo testo perché 
esso è indicativo di un atteggiamento caratteristico sul quale 
gli specialisti di Lullo non hanno ancora bastantemente ri- 
volto la loro attenzione: non si procede in quest'opera ad 
applicare le regole dell’arte allo specifico settore della me- 
moria, ma si pone l’intera struttura della combinatoria lul- 
liana a servizio della memoria artificiale. 


3r. Ad multa recitanda consideravi ponere quacdam nomina 

3v. relativa per quac ad omnia possit responderi / ... Ista enim 
sunt nomina supra dicta quid, quare, quantus et quo- 
modo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti ra- 
tiones in oppositum factas vel quaccumque advenerint tibi 
recitanda et quam admirabile est quod centum possis ra- 
tiones retinere ct ipsas, dum locus fuerit, bene recitare... 
Ergo qui scientiam habere affectat et universalem ad om- 
nia desiderat, hoc circa ipsum tractatum laboret cum dili- 
gentia toto posse quoniam sine dubio scientior crit aliis... 
Primum igitur per primam speciem nominis quid, poteris 
certas quaestiones sive rationes sive alia quaecunque volue- 
ris recitare evacuando secundam figuram de his quae con- 
tinet, per secundam vero poteris in duplo respondere seu 
recitare et hoc per evacuationem tertiae figurae et multi- 
plicationem primac... 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 73 


Il Liber ad memoriam confirmandam ci è pervenuto solo 
in tre tardi manoscritti del secolo XVI, i quali, oltre a nu- 
merosi errori, presentano differenze spesso notevoli. Il riferi- 
mento alquanto generico alle quaestiones; l’insistente richia- 
mo ad un Liber septem planetarum (è il Tractatus novus de 
astronomia del 1297?) nel quale sarebbero definite la capacitas, 
la memoria e la discretio; la confusa esposizione della tecnica 
della evacuatio e della multiplicatto che già nell’Ars magna 
era stata chiaramente teorizzata; l'impossibilità nella quale 
ci troviamo, date le divergenze fra i codici, di controllare 
l’autenticità del richiamo al De memoria aristotelico: questi 
ed altri elementi non possono non indurre a molta cautela. 
Il testo è senza dubbio autentico, ma esso ha probabilmente 
subìto notevoli alterazioni. Le conclusioni cui siamo giunti, 
relativamente ai rapporti di Lullo con la tradizione della mne- 
motecnica aristotelica e “ciceroniana”, possono dunque essere 
considerate valide solo in quanto esse, come abbiamo cercato 
di mostrare, risultano confortate dall’analisi delle altre opere 
inedite sulla memoria. 

Nel caso del Liber ad memoriam confirmandam sussistono 
dunque solo alcuni dubbi. Assai chiaro è invece il caso del 
ms. Urb. lat. 852 ** che è stato erroneamente considerato come 
una delle redazioni del Liber de memoria del 1303. Qui ci 
troviamo in presenza di un tratto di memoria locale, conce- 
pito secondo i più rigidi e convenzionali canoni della mne- 
motecnica ciceroniana, e falsamente attribuito a Lullo. Tra- 
scriviamo qualche passo: 


333 r. Localis memoria per Raimundum Lullum. Ars memora- 
tiva duobus perficitur modis scilicet locis et imaginibus. 
Loci non differunt ab imaginibus nisi quia loci sunt an- 
guli, ut quidam putant, sed imagines quaedam fixae 


18 Cod. cart. di ff. 636 (sec. XVI). La Localis memoria per Raimun- 
dum Ltullum è alle carte 333r.-438v. È da notare che nel Catalogus 
omnium librorum magni operis Raymundi Lulli proxime publico co- 
municandi, pubblicato a Magonza nel 1714 da I. Salzinger si trova 
elencata una Ars memorativa (Inc.: Ars confirmat et auget utilitates) 
della quale si trova un esemplare nel cod. 10552 della Staatsbibl. di 
Monaco (cfr. Littré, Hirst. litt. de la France, XXIX, p. 299). L’attri- 
buzione a Lullo veniva tuttavia successivamente rifiutata dallo stesso 
Salzinger che ometteva lo scritto dall'elenco delle opere lulliane che 
si trova nel I vol. dell'edizione di Magonza (1721). 


74 CLAVIS UNIVERSALIS 


super quas, sicut super cartam, dipinguntur imagines de- 
lebiless Unde loca sunt sicut materia, imagines sicut for- 
333 v. ma... / Oportet autem ut locis serbetur modus ne scilicet 
inter ca sit distantia nimium remota vel nimium brevis, 
sed moderata ut quinque pedum vel circa; non sit etiam 
334 v. nimia claritas vel nimia obscuritas sed lux mediocris... / 
Inveni igitur, si poteris, domum distinctam caminis XXII 
338r. diversis et dissimillibus... / Habcas semper ista loca fixa 
ante oculos sicut situata in cameris et scias ante et retro 
illa recitare, per ordinem etiam scias quis primus, quis 
339 v.  secundus, quis tertius et sive de aliis... / Si detur tibi aliud 
nomen notum, puta Joannis, accipe unum Joannem tibi 
notum... et ipsum collocabis in loco... 


Che un’opera di questo genere, appartenente ad una tra- 
dizione culturale assai differente da quella nel cui ambito si 
era mosso Lullo, venisse attribuita al filosofo di Maiorca non 
è tuttavia senza significato. Nel secolo XVI, mentre nell’am- 
bito del lullismo ortodosso si vengono sviluppando in fun- 
zione mnemonica i temi della combinatoria, si realizza l’in- 
contro, al quale più volte abbiamo accennato, fra la tradizione 
“ciceroniana” e quella lullista. A questo incontro darà riso- 
nanza europea l’opera di Giordano Bruno. Ma quasi settan- 
t'anni prima della comparsa del De umbris idearum, del Can- 
tus circaeus e del De compendiosa architectura et commento 
artis Lullii (pubblicati tutti a Parigi nell’’82) uno dei più 
rinomati maestri del lullismo europeo, legato al gruppo di 
Lefèvre, aveva tentato una sintesi fra l’arte “ciceroniana” 
della memoria e la combinatoria di Lullo. 


6. BERNARDO DE LAVINHETA: COMBINATORIA E MEMORIA LOCALE. 


Nel 1612, presso l’editore Lazaro Zetzner di Colonia, che 
aveva pubblicato nel "98 la grande raccolta dei testi lulliani e 
dei commenti a Lullo, Enrico Alsted curava la stampa della 
Explanatio compendiosaque applicatio artis Raymundi Lullit 
del francescano Bernardo de Lavinheta.‘* L’opera era stata 


1° Bernarpi De LavinHETA, Opera omnia quibus tradidit artis Ray- 
mundi Lullii compendiosam explicationem et ciusdem applicationem 
ad logica rhetorica physica mathematica mechanica medica mataphysica 
theologica ethica iuridica problematica, edente Johnne Henrico Alste- 
dio, Coloniac, Sumptibus Lazari Zetzneri bibliopolae, 1612 (copia usata: 
Trivulz. Mor. I, 75). 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 19 


pubblicata per la prima volta, a Lione, quasi un secolo avanti: 
nel 1523. Mentre si scagliava nella prefazione contro i ridicoli 
aristotelici e gli inetti ramisti persecutori di Lullo e del lulli- 
smo e intolleranti di ogni libertà (« Itane docuit Aristoteles 
ut aliis docendi cathedram iusserit clausam? Minime vero... »), 
Alsted metteva in guardia i lettori da quel tanto di « scola- 
stico » e di « papistico » che era ancora presente nell’opera di 
Bernardo: «Sed ostendit praxin philosophiae lullianae more 
suo et sui saeculi, id est barbare et papistice. Date itaque ope- 
ram ne impingatis ad duos istos scopulos ». Ciò che aveva 
entusiasmato Alsted, al di lì degli « scogli » della barbarie 
scolastica e del cattolicesimo, era il tentativo, presente nell’o- 
pera del Lavinheta, di costruire sui fondamenti dell’arte lul- 
liana una vastissima enciclopedia delle scienze. L’applica- 
zione dell’ars Lullii, come chiariva il titolo, concerneva in- 
fatti la logica la retorica la fisica la matematica la meccanica 
la medicina la metafisica la teologia l’etica e la giurispru- 
denza. 

Nella sua partizione e classificazione delle scienze Lavin- 
heta si era richiamato all’immagine lulliana dell’unico albero 
del sapere rispetto al quale le varie discipline particolari si 
collocano come i diversi rami di un unico tronco. Pur intro- 
ducendo nella sua trattazione partizioni e distinzioni assai 
lontane dal lullismo (per esempio i tre rami del trivium), 
Bernardo aveva attinto largamente, in particolare nella sua 
logica, alle figure della combinatoria. Ma il suo intento di 
servirsi dell’ars magna in vista di una ricerca di princìpi uni- 
versali e necessari capaci di unificare tutto il sapere, si rivela 
con molta chiarezza nella sezione intitolata /ntroductio in 
artem Raymundi Lullit: « È necessaria un’unica arte generale 
che abbia princìpi generali, primitivi e necessarii, mediante 
i quali i princìpi delle altre scienze possano essere provati e 
esaminati... Le arti e le scienze speciali sono troppo prolisse 
e la breve vita dell’uomo richiede che l’intelletto possegga un 
qualche strumento universale ».5° 

Nella sua ampia trattazione Bernardo inseriva un vero 
e proprio trattato di cosmologia e di filosofia naturale (nella 
discussione della terza figura), intere opere di medicina (Hor- 


3° De necessitate artis. 


76 CLAVIS UNIVERSALIS 


tulus medicus, De medicina operativa, ecc.) e considerazioni 
sull’ars praedicandi e sull’interpretazione delle Scritture: egli 
si muoveva in tal modo sullo stesso terreno della RAetorica 
pseudo lulliana e dava l’avvio a quell’enciclopedismo su basi 
lulliane al quale dettero la loro piena adesione, negli ultimi 
anni del secolo, sia il Gregoire che il de Valeriis. 

Con il corso del Lavinheta alla Sorbona era rientrato trion- 
falmente a Parigi, dopo la grande parentesi mominalista ini- 
ziatasi con le polemiche di Pietro d’Ailly e del Gerson, l’in- 
segnamento del lullismo. Ove si tenga presente la grande 
risonanza che ebbero nel mondo dei dotti le lezioni del Lavin- 
heta, la sua intensa attività editoriale nei maggiori centri 
europei da Parigi a Lione a Colonia, la sua “fortuna” nel 
secolo XVII, può apparire particolarmente interessante anche 
la tematica sulla memoria elaborata nell’ultima parte della 
Explanatio. Bernardo si propone qui di costruire un'arte ca- 
pace di servirsi contemporaneamente e delle tecniche memo- 
rative elaborate da Lullo e di quelle, già larghissimamente 
sviluppate, che erano state ricavate dai testi di Cicerone e 
di Quintiliano. 

La definizione della memoria naturale, della quale La- 
vinheta si serve, è ricalcata sui testi lulliani e sui commen- 
tari medievali al De reminiscentia aristotelico: « Est memoria 
naturalis illa potentia cui proprie competit recolere, de cuius 
organo in tractatu philosophiae naturalis dictum est. Nam 
ipsum est in occipite ad modum pyramidis et ipsa potentia 
est spiritualis. Cuius officium est species per intellectum ac- 
quisitas conservare et similitudines earundem (imperio volun- 
tatis) intellectui repraesentare ».”! 

Per quanto concerne la memoria artificiale, Lavinheta ri- 
prende invece, quasi con le stesse parole, i concetti espressi da 
Lullo nell’inedito Liber 24 memoriam confirmandam : 


LavinHETA, Explanatio (edizione LuLro, Monaco  (Staatsbibl.), 


1612), p. 653. 


Artificialis memoria duplex est: 
quacdam est in medicinis et em- 
plastris, quam Doctor noster re- 
putat valde periculosam ex eo quia 


5! De memoria, pp. 651 dell’ediz. 


10593, f. 2 v. 


Alia est memoria artificialis et 
ista est duplex quia quaedam cst 
in medicinis ct emplastris cum 
quibus habetur, et istam reputo 


citata. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 77 


interdum dantur medicinac contra-  valde periculosam quoniam inter- 

riac dispositioni hominis in tanto dum dantur tales medicinac dîs- 

gradu caliditatis quod cerebrum  positioni hominis contrariac, In- 

dessicant et sic homines in demen-  terdum superfluae ct in maxima 

tiam et stultitiam deveniunt. cruditate qua cerebrum ultra mo- 
dum dessicatur, et propter defec- 
tum cerebri homo ad dementiam 
demergitur, ut audivimus ct vidi- 
mus de multis, et ita displiciet 
Deo... 

Introducendo una separazione fra le «res sensibiles quae 
sensu capi possunt» e le «res intelligibiles quae intellectu 
solo capiuntur », Bernardo apriva però subito dopo la strada 
alla distinzione fra due tipi di memoria artificiale: « Secun- 
dum hanc duplicem differentiam, duplex est modus artifi- 
cialis memorandi. Primus facilior est longe secundo ». Il me: 
todo più facile di quello lulliano al quale Lavinheta fa qui 
riferimento è quello — a noi già noto — della memoria “lo- 
cale” o “ciceroniana”. Per ricordare gli oggetti che cadono 
sotto i sensi e i prodotti dell’immaginazione si fa ricorso, 
secondo i canoni tradizionali, ai luoghi ordinati e alla collo- 
cazione delle immagini nei luoghi: « stabilienda sunt specifica 
loca in aliquo familiari spacioso et communi quemadmodum 
est ecclesia, monasterium aut domus... sui oppidi aut sui civi- 
tatis ». Ritorna, naturalmente, il precetto dell’ordine dei luo- 
ghi (« memoria ab inordinatione confunditur ») e quello della 
collocazione nei luoghi delle similitudines o immagini: «et 
sic procedendo de loco in loco similitudines rerum collocet... 
et id etiam ordine retrogrado facere potest et pluries debet illa 
discurrere ».°? Si riaffacciano i temi consueti della iconologia 
alla quale è affidato il compito di rappresentare e richiamare 
alla memoria le «cose intellettuali »: oggetti « meramente 
intelligibili » come gli angeli potranno essere raffigurati « que- 
madmodum est in Ecclesiis cum figurare, ut esset parvulus 
infans cum aliis », mentre per fissare nella mente concetti (per 
esempio: « Dominus est illuminatio mea et salus mea ») ci 
si servirà largamente delle figure emblematiche: «si porrà 
nel luogo designato l’immagine solenne di un uomo ben 
vestito che tiene in una mano un lume e nell’altra del sale, 
e benché sale e salute significhino cose diverse, tuttavia per 


52 Explicatio, cit., pp. 653-54. 


78 CLAVIS UNIVERSALIS 


quella certa somiglianza che i due termini hanno ‘n voce, 
l’una cosa condurrà a ricordare l’altra »."? 

Di fronte agli oggetti della speculazione, a quelle cose cioè 
« quae sunt remotissima non modo a sensibus, vero et ab ima- 
ginatione », la tecnica “ciceroniana” della memoria si rivela 
tuttavia insufficiente. In questi casi è necessario far ricorso 
ad un secondo, più complicato tipo di memoria artificiale, 
volgersi all’ars generalis escogitata da Lullo. Qui — afferma 
Lavinheta — piegando ad un uso nuovo la vecchia termino- 
logia ciceroniana — tutti i possibili oggetti del sapere ven- 
gono « collocati in pochi luoghi » e, attraverso i princìpi, le 
figure, le regole, le guaestiones, l'artista può impadronirsi in 
modo duraturo di tutto lo scibile.?* 


7. LA LOGICA MEMORATIVA. 


La combinatoria di Lullo era dunque apparsa al Lavinheta 
contemporaneamente come una logica e una mnemotecnica: 
da un lato essa si poneva come lo strumento universale (1nstru- 
mentum universale) mediante il quale tutti i princìpi delle 
scienze particolari potevano essere sottoposti ad esame, dal- 
l’altro essa si identificava con un grande sistema di ars remi 
niscendi che aveva assai più ampie possibilità di applicazione 
dell’ars memoriae di derivazione retorica e ciceroniana. Per 
rendersi conto di come posizioni di questo genere giungessero 
ad incidere profondamente in ambienti assai vari, non è ne- 
cessario richiamarsi ora ai testi, da questo punto di vista deci- 
sivi, della pansofia e dell’enciclopedismo seicenteschi. Tredici 
anni prima della pubblicazione dell’opera del Lavinheta, in- 
torno al 1510, si erano riuniti, all’Università di Cracovia, i 
rappresentanti del corpo accademico per prendere in esame la 
consistenza o meno dell’accusa di magia che era stata lanciata 
contro il francescano Thomas Murner, autore di una Logica 
memorativa, chartiludium logicae sive totius dialecticae me- 
moria pubblicata nel 1509. Nello scritto, che propugnava la 
combinazione di un sistema di concetti con un parallelo si- 


33 Explicatio, cit., p. 654. 
54 Explicatio, cit., p. 654. 


ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA 79 


stema di simboli plastici, erano evidenti gli influssi lulliani.*° La 
relazione finale, scritta da Ioannes de Glogovia sulla questione, 
è un documento singolare. Meglio di un lungo discorso essa 
ci dà la sensazione precisa della larga diffusione (anche 
negli ambienti accademici) di un certo tipo di discussioni € 
vale anche a mostrarci la presenza di quella connessione, che 
andò stabilendosi particolarmente nelle università tedesche 
del Rinascimento, fra la logica e la mnemotecnica: 


Ego magister Ioannis de Glogovia Universitatis Craco- 
viensis Collegiatus... testimonium do veritatis... patrem 
Th. Murner Alemannum... hanc chartiludium praxin 
apud nos finxisse, legisse et usque adco profecisse, quod 
in mensis spatio etiam rudes et indocti... sic evaserint 
memorcs ct eruditi, quod grandis nobis suspicio de prae- 
dicto patre oriebatur, quiddam magicarum rerum infu- 
dissc potius, quam praecepta logicac tradidisse...** 


L’idea di una logica memorativa o di una sostanziale af- 
finità e parentela fra la logica e l’arte della memoria sta in 
realtà alla base di tutti i tentativi, che si rinnoveranno nella 
cultura europea dal primo Cinquecento fino a Leibniz, di 
utilizzare l'eredità lulliana per costruire un’ars generalis uni- 
ficatrice di tutto il sapere c un sistema mnemonicum o enci- 
clopedia delle scienze. La riforma della logica di Bruno e 
l’enciclopedismo di Alsted si muovono, da questo punto di 
vista, su un terreno comune. Non è certo un caso che tra le 


55 THomas Murner, Logica memorativa. Chartludiun logicae sive to- 
tius dialecticae memoria et novus Petri Hispani textus emendatus, cum 
jucundo pictasmat, cxercitio, Bruxelles, Thomas van der Noot, 1509 (co- 
pia usata: Parigi, Naz., Rés. R. 871). Cfr. anche la Invectiva contra 
astrologos, Argentinae, 1499 (ibid. Rés. V. 1148). Non sono riuscito a 
vedere il Chartiludium institutae summarie doctore Thoma Murner 
memorante ct ludente, Argentinae, per Johannen Priis, 1518 che con- 
tiene una riduzione delle Istituzioni giustinianee in quadri sinottici co- 
struiti sulla base degli stemmi e delle imprese dei vescovi e dei prin- 
cipi imperiali. Nel 1515 1’ Università di Treviri rilasciò una dichiara- 
zione dalla quale risultava che il Murner era in grado di insegnare 
le Istituzioni nello spazio di quattro settimane servendosi di un me- 
todo fondato sulla memoria artificiale. Sul Murner cfr. Carreras Y 
Artau, La filosofia cristiana, cit., II, pp. 224-25 e, per le influenze di 
Lullo, A. Gortron, Ein /ullisticher Lehrstuhl in Deutschland un: 
1600 ?, in « Estudis Universitaris Catalans », 1913. 

#6 Cit. in PrantL, III (1955), p. 294. 


80 CLAVIS UNIVERSALIS 


fonti della “caratteristica” leibniziana si trovino, accanto ai 
principali testi del lullismo europeo, non poche e non secon- 
darie opere di ars reminiscendi. 

Un'altra cosa va infine sottolineata: il sospetto di magia 
che aveva colpito il buon Murner era in realtà, almeno in 
parte, pienamente giustificato. La logica memorativa, la com- 
binatoria, l’ars inveniendi e l’ars reminiscendi si configurano 
spesso come progetti di fondazione di un’arte mirabile capace 
di condurre, come per una rapida scorciatoia, entro i più se- 
greti recessi della natura. Anche la logica o l’arte di Bruno, 
profondamente legata al lullismo, alla “memoria”, alla ca- 
bala, agli emblemi, apparirà assai simile a un prodotto di 
magia. Pio V, Enrico IH di Francia, l'ambasciatore spagnolo 
alla corte di Rodolfo II, lo stesso Giovanni Mocenigo ve: 
dranno in Bruno l’inventore e il possessore di un'arte segreta 
capace di ampliare, in modo smisurato, le possibilità di do- 
minio dell’uomo. Dal sospetto di magia questo tipo di “lo. 
gica” si libererà del resto assai tardi. Nella Historia et com- 
mendatio linguae charactericae universalis, Leibniz, mentre 
distingueva la «vera » dalla « falsa » cabala, si preoccupava 
ancora di liberare la combinatoria dall’accusa di magia: « Già 
a partire da Pitagora gli uomini furono persuasi che i più 
grandi misteri sono nascosti nei numeri. Ed è credibile che 
Pitagora abbia introdotto in Grecia dall’Oriente questa opi- 
nione come molte altre cose. Ma ignorandosi la vera chiave 
dell’arcano, i più curiosi sono caduti nelle futilità e nelle 
superstizioni, donde è nata quella certa cabala volgare molto 
lontana da quella vera e le molteplici inezie con un certo 
falso nome di magia di cui sono pieni i libri ».# 


5? La trad. del passo (Gerhardt, VII, pp. 184-89) è in F. Barone, Lo- 
gica formale e logica trascendentale, I, da Leibniz a Kant, Torino, 
1957, p. 14. 


Il 


I TEATRI DEL MONDO 


1. SIMBOLISMO E ARTE DELLA MEMORIA. 


Non pochi esponenti della cultura del tardo Cinquecento 
identificarono la combinatoria lulliana con una logica me- 
morativa. Quest'ultima si presentava da un lato come l’ars 
ultima o l’instrumentum universale capace di sottoporre ad 
esame tutti i principi delle scienze particolari, dall’altro come 
un grandioso sistema di ars reminiscendi che costituiva il 
fondamento di un organico e completo sistema mnemonicum 
o generale enciclopedia di tutto il sapere. Da questo punto 
di vista l’ars memoriae di origine retorica e “ciceroniana” 
poteva apparire — accanto alla combinatoria e alla mnemo- 
tecnica di derivazione lulliama — elemento essenziale alla 
costruzione della pansofia: alla nuova logica, capace di ri- 
specchiare nella sua struttura le strutture stesse del mondo 
reale, avrebbe fatto riscontro una enciclopedia o teatro uni- 
versale che, di quella logica, fosse il naturale compimento. 
Comune presupposto a quella logica e a quel teatro era una 
dottrina “speculare” della realtà, la tesi di una perfetta, to- 
tale corrispondenza fra i termini e le res. 

Nel capitolo che precede ho cercato di indicare le fonda- 
mentali linee di svolgimento della tradizione del lullismo 
durante il secolo XVI. Anche entro la complessa tradizione 
della mnemotecnica retorica e “ciceroniana”, la cui diffusione 
procede contemporaneamente a quella del lullismo, interven- 
nero, fra gli ultimi anni del Quattrocento e i primi decenni 
del secolo XVII, alcuni essenziali mutamenti. Questi con- 
cernono non l’apparato tecnico dell’arte mnemonica che resta 
sostanzialmente immutato, anche se va ampliandosi mediante 
numerosi accorgimenti, ma il significato stesso che l’arte 
viene ad assumere all’interno del mondo della cultura. 

Quell’ars memoriae che era stata valutata nel Trecento e 
nel Quattrocento un accorgimento utile ai predicatori, una 
tecnica utilizzabile dai politici dai letterati e dai giuristi, ac- 
quisterà sul finire del Cinquecento, in taluni ambienti, un 


82 CLAVIS UNIVERSALIS 


ben diverso significato. Nei testi del Bruno essa appare per 
esempio strettissimamente collegata alla tematica di una me- 
tafisica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, 
alle discussioni sui rapporti logica-retorica, agli ideali della 
pansofia, alle aspirazioni del lullismo. Mentre si connetteva 
a questi movimenti e a queste correnti, l’ars memoriae si 
andava caricando di significati metafisici, veniva piegata a 
diverse esigenze di pensiero. Quella limpidità di espressioni 
e quella chiarezza teoretica che avevano caratterizzato le 
pagine di Cicerone, di Quintiliano, di Alberto, di Tommaso, 
di Pietro da Ravenna scompaiono definitivamente nella trat- 
tatistica successiva alla seconda metà del Cinquecento: un 
gusto di tipo barocco per i geroglifici, gli alfabeti, i simboli, 
le immagini, le allegorie appare ora nettamente dominante. 
Fra i testi quattrocenteschi sulla memoria o quelli di Pietro 
da Ravenna da un lato e quelli del Bruno dall’altro esiste, 
da questo punto di vista, una differenza incolmabile: nel 
primo caso assistiamo al tentativo di elaborare, con strumenti 
razionali, una tecnica retorica fondata su uno studio delle 
associazioni mentali; nel secondo caso siamo in presenza di 
un complesso simbolismo che serve da velo ad una sapienza 
riposta attingibile solo attraverso la ambiguità degli emblemi 
e l’allusività delle immagini, dei sigilli e delle imprese. Ad 
uno strumento costruito in vista di finalità pratiche e mon- 
dane, si è sostituita la ricerca di una cifra o di una chiave 
che consenta di penetrare entro il segreto ultimo della realtà 
e della vita. 

Intorno alla metà del secolo non sono più i teorici della 
retorica o gli studiosi di dialettica ad occuparsi dell’ars me- 
moriae: Cornelio Agrippa e Giulio Cesare Camillo, Giovam- 
battista Della Porta, Cosma Rosselli e Giordano Bruno con- 
siderano le regole della memoria come strumenti da impie- 
gare in vista di finalità assai più ampie di quelle, limitate e 
modeste, della retorica o della dialettica. In ciascuno di que- 
sti autori troviamo presenti ed operanti i temi del lullismo 
e della cabala, della magia e dell’astrologia, l’eredità dell’Ars 
notoria, dei testi ermetici, dell’opera di Pico e di Ficino. 
Bruno, commentatore di Lullo e innovatore dell’Ars me- 
moriae, vedrà derivare da una « fonte comune » la teologia 
di Scoto Eriugena, la combinatoria, i misteri del Cusano, la 


I TEATRI DEL MONDO 83 


medicina di Paracelso. Erano posizioni e riferimenti, al suo 
tempo, già ampiamente diffusi: alla metà del secolo aveva 
visto la luce, a Parigi, il De usu et mystertis Notarum Liber 
(1550) scritto da Jacques Gohory (Leo Suavius) avvocato al 
parlamento di Parigi e diplomatico, grande commentatore 
dell’opera paracelsiana e traduttore del Principe e dei Discorsi 
del Machiavelli, studioso insigne di alchimia, di botanica e 
di teoria della musica. Nella sua discussione sui segni egli 
faceva riferimento costante alla magia di Tritemio, alla cabala 
cristiana, all’Ars notoria, alle opere di Pico e di Ficino, all’ars 
memoriae, alla combinatoria lulliana, al Teatro del mondo 
di Giulio Camillo.! È, la sua, posizione oltremodo indica- 
tiva di quel mutamento di valutazioni cui abbiamo accennato. 
Ma prima di trarre conclusioni potrà esser di qualche giova- 
mento cercare di seguire la diffusione, in Europa, di taluni 
testi italiani particolarmente fortunati; considerare alcuni di 
quei seatri del mondo nei quali i temi della cabala e quelli 
di un enciclopedismo su basi metafisiche si sovrappongono 
agli originari intenti mnemonico-retorici; soffermarsi infine 
su alcuni testi nei quali i temi della combinatoria lulliana 
e quelli dell’arte mnemonica confluiscono in modo partico- 
larmente evidente. 


2. DIFFUSIONE DELL’ARS MEMORIAE IN INGHILTERRA E IN GER- 
MANIA. 


Convenientemente addottrinato da madama Logica, l’eroe 
di quel singolare poema allegorico-didattico che è il Pastime 
of Pleasure di Stephen Hawes, continua la sua non lieve 
ascesa nella Torre della Dottrina ed entra nella stanza di 
dama Retorica. Dopo aver accuratamente enumerato le cin- 
que parti della retorica ed aver chiarito la connessione inter- 
corrente fra queste e le varie facoltà dell'animo, la dotta dama, 
facendo riferimento alla memoria, così si esprime: 


Y£ to the orature many a sundry tale 
One after other treatably be tolde 


! Le traduzioni delle opere del Machiavelli sono del 1571. Sul Gohory 
cfr. L. THorRNDIKE, History of Magic and Experimental Science, New 
York, 1951, V, pp. 636-40; D. P. Wacker, Spiritual and Demonic 
Magic from Ficino to Campanella, London, 1958, pp. 96-106. 


84 CLAVIS UNIVERSALIS 


Than sundry ymages in his closed male 
Eache for a mater he doth than well holde 
Lyke to the tale he doth than so beholde 
And inwarde a recapitulacyon 

Of eche ymage the moralyzacyon 


Whiche be the tales he grounded pryvely 
Upon these ymages sygnyfycacyon 

And whan tyme is for hym to specyfy 
All his tales by demonstracyon 

In due ordre maner and reason 

Than eche yamage inwarde dyrectly 
The oratoure doth take full properly 


So is enprynted in his propre mynde 
Every tale with hole resemblaunce 

By this ymage he dooth his mater fynde 
Eche after other withouten varyance 
Who to this arte wyll gyve attendaunce 
As thercof to knowe the perfytenes 

In the poetes scole he must have intres.? 


In questo testo, pubblicato a Londra nel 1509, veniva 
per la prima volta formulata, in lingua inglese, la dottrina 
della retorica classica. Anche se orientato in funzione di una 
« poetica », il riferimento alla dottrina dei luoghi e delle 
immagini non poteva essere più preciso. Il tentativo di adat- 
tare la terminologia della RAetorica ad Herennium alle par- 
ticolari esigenze dell’arte poetica non era, in Inghilterra, 
senza precedenti; in questo senso la Poetria Nova composta 
da Goffredo di Vinsauf fra il 1208 e il 1213 costituisce (come 
ha chiarito lo Howell) una delle principali fonti del poema 
di Hawes.® Resta, a confermare una sostanziale divergenza 


2 S. Hawes, The Pastime of Pleasure, ed. by W. E. Mead, London, 
1928, p. 52, vv. 1247-1267. La prima cdizione è Wynkyn de Worde, 
London, 1509; successive edizioni nel 1517, 1554, 1555. Ampie notizie 
sull’autore e sulle edizioni nell’edizione a cura di R. Spindler, Leipzig, 
1927, pp. XXIX- XLI. Il brano riportato nel testo è cit. in W. S. Ho- 
well, Logic and Rhetoric in England, 1500-1700, Princeton, 1957, 
p. 86. Dal libro dello Howell (sul quale cfr. la rassegna Ramismo, 
logica e retorica nei secoli XVI e XVII, « Riv. critica di st. della filos. », 
1957, 3, pp. 361-63) ho ricavato varie notizie sui testi inglesi di mne- 
motecnica. 

3 Il testo in E. Farat, Les arts poétiques du XIlIc et du XIII: siècle, 
pp. 197-262. Cfr. HowELL, op. cit., pp. 75-76. 


I TEATRI DEL MONDO 85 


di valutazioni circa la funzione esercitata dall’ars memoriae 
all’interno dell’ars rhetorica, l’importanza attribuita dallo 
Hawes all’ars reminiscendi in vista della formazione del poe- 
ta. La stessa differenza, che è indice del sorgere di un inte- 
resse nuovo per le tecniche della memoria, possiamo riscon- 
trare confrontando la terza edizione (1527) del Mirrour of 
the World di William Caxton sia con le duc precedenti edi- 
zioni (1481 e 1491) sia con il Livre de clergie nommé l’ymage 
du monde (1245?) del quale l’opera del Caxton è la più o 
meno fedele traduzione. In questa terza edizione, accanto una 
brevissima trattazione dell’invenzione, della dispositio e dello 
stile e a più ampie considerazioni sulla pronuntiatio, trovia- 
mo una dettagliata esposizione delle tecniche  memorative 
nella quale tornano, con molta abbondanza di particolari, 
temi ben noti: 


Memory Artyfycyall is that which men cal Ars memorativa. 
The crafte of memory by which craft thou mayste wryte 
a thynge in thy mynde and set it in thy mynde as eviden- 
tly as thou mayst rede and se the worcles which thou 
wrytest with ynke upon parchement or paper. Therfore in 
this arte of memory thou muste have places which shal 
be to the lyke as it were perchenent or paper to wryte 
upon. Also instede of thy lettres thou must ymagyn Ima- 
ges to set in the same places... But yf thou canst not have a 
corporall ymage of the same thynge as yf thou woldest 
remembre a thynge whyche is of it selfe non bodely nor 
corporall thyng but incorporall, that thou muste yet take 
an ymagce therfore that is a corporali thynge...4 


L'interesse per questo genere di discussioni è del resto 
strettamente collegato alla rinascita, nell'umanesimo inglese, 
della grande tradizione della retorica classica, rinascita che 
appare per molteplici aspetti legata ai rapidi mutamenti della 
società inglese, all’avanzare sulla scena politica e culturale 
degli uomini di legge, ai dibattiti sull’efficacia delle prediche 
religiose, alle controversie parlamentari. Non a caso nelle 


4 W. Caxron, Mirrour of the World, ed. by O. H. Prior, London, 
1913. L'edizione del Prior è condotta sulle edizioni del 1481 e 1491 
(circa). La trattazione sulla memoria (cit. in Howett, Logic and Rhe- 
toric, cit., pp. 88-89) è ricavata dalla terza edizione: The myrrour, 


dyscrypcion of the wordle with many marvaylles, London, 1527 (?), 
D3r-D3v. 


86 CLAVIS UNIVERSALIS 


scuole e nei colleges l’insegnamento della retorica e del “me- 
todo di trasmissione del sapere” occupa, fra la metà del Cin- 
quecento e la metà del Seicento, una posizione predominante : 
un testo fondamentale, la Pleusant and persuadible art of 
Rhetorique di Leonard Cox, veniva presentato, nel 1532,‘ 
come opera necessaria agli avvocati agli ambasciatori agli in- 
segnanti e a tutti coloro che avrebbero dovuto parlare davanti 
ad un'assemblea. Alla diffusione nella cultura inglese del- 
l'ideale del cortegiano e del gentiluomo (esperto insieme di 
“cortesia” e di “politica”) corrispose il moltiplicarsi dei ma- 
nuali di retorica e l’intensificarsi di una discussione che con- 
cerneva, insieme alle “buone maniere”, anche problemi atti- 
nenti alla “persuasione”, alla “tolleranza”, alla convivenza 
civile. Solo tenendo presente questa atmosfera può del resto 
risultar chiaro il significato dell’aspra, intensa polemica che 
si svolgerà negli ultimi anni del secolo tra i riformatori rami- 
sti e gli agguerriti sostenitori della logica scolastica e della 
retorica ciceroniana. 

Molti dei motivi che abbiamo trovato presenti negli scritti 
dell'’Hawes e del Caxton erano stati senza dubbio ricavati 
da fonti classiche, e, sia pure parzialmente, da fonti medie- 
vali. Ma non mancò, anche in questo particolare settore della 
cultura, un diretto influsso italiano: esso è mostrato non solo 
dall'influenza esercitata in Inghilterra dalla Nova RAetorica 
di Guglielmo Traversagni da Savona (1479), ma anche dalla 
pubblicazione, intorno al 1548, di una Art of memory that 
otherwise is called the Phoenix. Presentato da Robert Co- 
pland come la traduzione di un anonimo scritto francese, 
questo libretto era in realtà (come già ha notato lo Howell) 
la traduzione della ben nota Phoenix di Pietro da Ravenna: 


Ravenna (3r-3 v) 


Et pro fundamento huius primae 
conclusionis quatuor regulas po- 
no. Prima est haec: loca sunt fe- 
nestrae in parietibus positae, co- 
lumnae, anguli et quac his si- 
milia sunt. Secunda sit regula: 
loca non debent esse nimium vi- 


Copland (B 3r) 


And for the foundacion of this 
fyrst conclusyon I wyll put foure 
rules. The fyrste is this. The pla- 
ces are the wyndowes set in wal- 
les, pyIlers and anglets, with other 
lyke. The Il rule is. The places 
ought nat to be nere togyther not 


° L. Cox, The Arte or Crafte of Rhetoryke, cd. by F. I. Carpenter, 


Chicago, 1889. 


I TEATRI DEL MONDO 87 


cina aut nimium distantia. Tertia to fare a sonder. The HI rule is 
sit regula vana ut mihi videtur... suche. But it is vayne as me se- 
meth... 


Dati questi precedenti, appare facilmente comprensibile 
come uno dei testi più fortunati e più significativi della cul- 
tura del Cinquecento, la Arte of RAetorique di Thomas Wil 
son (1553), potesse rifarsi, in modo caratteristico, a fonti ita- 
liane costruendo un tipo di esemplificazione che, mentre da 
un lato ricorda da vicino i testi del Ravennate, dall’altro 
sembra anticipare, nell’uso costante di immagini di perso- 
naggi mitologici, alcune tipiche costruzioni del Bruno: 


As for example, I will make these [places] in my cham- 
ber. A doore, a window, a presse, a bedstead, and a chim- 
ney. Now in the doore, I wil set Cacus the theefe, or some 
such notable verlet. In the windowe I will place Venus. 
In the presse I will put Apitius that famous Glutton. 
In the bedstead I will set Richard the third King of En- 
gland or some notable murtherer. In the Chimney I will 
place the blacke Smith, or some other notable traitour.* 


Oltre e più che in Inghilterra, l’arte ciceroniana della 
memoria trovò, nel corso del secolo XVI, larga diffusione in 
Germania. Qui, oltre al consueto inserimento della tecnica 
memorativa entro le trattazioni generali dedicate alla retorica, 
si ebbe una vera e propria fioritura di testi specifici: nel 1504 
esce a Strasburgo un’Ars memorativa S. Thomae, Ciceronis, 
Quintiliani, Petri Ravennae che colloca definitivamente Pie- 
tro fra i classici dell’arte; nel 1505, a Colonia, Sibutus pub- 
blica un’Ars memorativa, del 1510 è il Ludus artificialis obli- 
vionis di Simon Nicolaus aus Weida pubblicato a Lipsia; a 
Venezia, dieci anni più tardi, esce un fortunato libretto, il 
Congestorium artificiosae memoriae di Johannes Romberch, 
intieramente modellato sullo scritto del Ravennate e poi dif- 
fuso in Italia nella traduzione di Ludovico Dolce;’ a Stra- 


© TH. WiLson, The Arte of Rhetorique for the Use of All Suche are 
Studious of Eloquence, ed. by G. H. Mair, Oxford, 1909 (cfr. Howett, 
op. cit., p _.104). 

7 Jo. RomsercH DE Kwrspe, Congestorium artificiosae memoriae... om- 
num de memoria pracceptiones aggregatim complectens, Venetiis, in 
aedibus Georgii de Rusconibus, 1520 (copia usata: Triv. Mor. L. 561). 
La Yates, The Ciceronian Art of Memory, in: Medioevo e Rinasci- 


88 CLAVIS UNIVERSALIS 


sburgo, nel ’25 Fries pubblica un’Ars memorativa, ancora 
a Strasburgo nel ’41 e nel ’68 vedono la luce rispettivamente 
la Memoria artificialis di Riff e i Praecepta de naturali memo- 
ria confirmanda di Mentzinger; infine a Wittenberg, che era 
stata il centro di diffusione dell’insegnamento del Ravenna, 
esce nel "70 (ma con una prefazione del 1539) il Libellus arti- 
ficiosae memoriae in usum studiosorum di Johannes Spanger- 
bergius, più volte ristampato e incluso nel 1610 nel Gazopli- 
lacium dello Schenkel, una raccolta che fece il giro di tutta 
Europa. 

L’aspra polemica di Cornelio Agrippa contro l’uso e l’a- 
buso delle arti mnemoniche appare facilmente spiegabile ove 
si tenga presente questa vera e propria invasione di testi di 
mnemotecnica nella vita culturale tedesca del Cinquecento. 
Attribuendo a Cicerone a Quintiliano a Seneca al Petrarca 
e a Pietro da Ravenna la responsabilità di questa « frenetica 
mania » Agrippa non solo si scagliava contro un tipo di inse- 
gnamento che opprimeva gli scolari ‘n gymmnastis e contro 
una tecnica che mirava, anziché alla vera sapienza, alla « glo- 
ria puerile dell’ostentazione », ma ripeteva, con vigore parti- 
colare, il vecchio argomento di tutti gli avversari della mne- 
motecnica, lo stesso argomento contro il quale, cinquant'anni 
più tardi, il Bruno polemizzerà aspramente: « La memoria 
artificiale non è minimamente in grado di persistere senza 
la memoria naturale e quest’ultima viene assai di frequente 
resa ottusa da immagini mostruose tanto da generare spesso 
una specie di mania e di frenesia per la tenacia della memoria; 
accade invece che l’arte, sovraccaricando la memoria naturale 
con innumerevoli immagini di parole e di cose, conduce alla 
pazzia coloro che non si accontentano dei confini stabiliti 


mento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1945, assegna erronca- 
mente la prima edizione di questo testo al 1533. La traduzione del 
Dolce è il Dialogo di L. Dolce nel quale si ragiona del modo di accre- 
scere ct conservar la memoria, in Venetia, Giovanbattista Sessa c fra- 
telli, 1586 (copia usata: Triv. Mor. M. 248). La prima edizione risale 
al 1562, una seconda è del 1575. Già nel 1592 la fonte del Dolce era 
stata individuata: cfr. la Plutosofia di Filippo Gesualdo... nella quale 
si spiega l’arte della memoria (p. 11 dell'edizione vicentina del 1600. 
Triv. Mor. H. 65). 


I TEATRI DEL MONDO R9 


dalla natura ».8 Era una curiosa posizione, questa di Agrippa, 
dato che questa contrapposizione dei diritti della natura alle 
empie pretese dell’arte proveniva da uno dei più ferventi e 
appassionati sostenitori dell’arte lulliana, da un uomo che 
aveva dedicato non poche delle suc energie ad un « perfezio- 
namento » della complicata impalcatura dell’ars magna. 

Il testo di Agrippa è del 1530. Due anni dopo, nei suoi 
Rhetorices elementa il maggior teorico della logica ec della 
retorica della Riforma, Melantone, assumeva nei confronti 
dell’ars memoriae una posizione non dissimile. Pur senza 
l’asprezza polemica di Agrippa, Melantone denunciava la 
sostanziale sterilità di ogni tecnica intesa al perfezionamento 
della memoria naturale: « Le cose che sono state scoperte cd 
ordinatamente disposte vanno infine espresse mediante le pa- 
role. In queste tre parti si esaurisce tutta l’arte. Sulle altre 
due parti non offriamo precetti giacché la memoria può ve- 
nire assai poco aiutata mediante l’arte ».° 

Insistendo tuttavia da un lato sulla strettissima connes- 
sione fra la cogitatio e la dispositio e dall’altro sulla funzione 
della topica in vista di un ordinamento dei concetti origina- 
riamente sparsi 12 magno acervo, Melantone veniva però a 
richiamarsi esplicitamente proprio a quella duplice tesi del- 
l'ordine e della limitazione sulla quale si era fondata la dot- 
trina dei luoghi e, di conseguenza, l’intera tecnica mnemo- 
nica. In realtà fra la topica intesa come mezzo di ordinamento 
dei concetti e la dottrina dell’arte della memoria sussiste, 
come dovrà notare acutamente Bacone, un rapporto assai 
stretto.!° Ma di questo più avanti. Ciò che qui va posto in 
rilievo è invece lo scarso effetto esercitato sugli ambienti tede- 


schi da prese di posizione del tipo di quelle. di Agrippa e di 


8 H. C. Agrippa, De vanitate scientiarum, cap. X, De arte memorativa, 
in: Opera, Lugduni, 1600, II, p. 32 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). 
Agrippa attribuisce ancora a Cicerone la R/etorica ad Herennium. 

° Rhetorices Elementa, autore Philippo Melanchtone, Venetiis, per 
Melchiorem Sessam, 1534, p. 4v-5 (copia usata: Ambros. Sxu v. 96). 
10 Rhetorices Elementa cit., p. 8. Un caratteristico esempio della con- 
nessione rilevata nel testo è l' Opusculum de amplificatione oratoria 
seu locorum usu, per Adrianum Barlandum in inclito Lovaniensiun 
gymnasio publicum Rhetoricae professorem, Lovanii, Servatus Zaffe- 
nus Diestensis, 1536 (copia usata: Braid. B. XIII. 5.512). 


90 CLAVIS UNIVERSALIS 


Melantone: non solo continueranno a diffondersi in Germa- 
nia i trattati dedicati alla mnemotecnica ciceroniana, ma, 
dopo la confluenza della tradizione “classica” in quella del 
lullismo, questo tipo di produzione acquisterà nuovo vigore 
giungendo, nel corso del Seicento, ad investire alcune delle 
maggiori personalità della cultura tedesca. 


3. SPANGERBERGIUS. 


Il Libellus artificiosae memoriae in usum studiosorum col- 
lectus di Johannes Spangerbergius, pubblicato a Wittenberg 
nel 1570,'! può essere preso ad esempio della vivacità con la 
quale si presenta, negli ambienti culturali tedeschi del tardo 
Cinquecento, la tematica attinente all'arte memorativa. L’au- 
tore di questo libretto (che è forse la più limpida esposi- 
zione cinquecentesca dell’ars reminiscend:) non ha pretese di 
originalità: « hanc artificialis memoriae lucubratiunculam ex 
probatis autoribus utcunque decerpsi et in hanc Epitomem 
collegi ». Presentando l’arte in forma catechistica egli si preoc- 
cupa di due cose: rendere l’arte chiara e rapidamente acqui- 
sibile, presentare una trattazione completa che tenga conto, 
oltre che delle fonti classiche, anche delle opere più recenti 
sia retoriche sia mediche. Su alcune delle definizioni e delle 
regole dello Spangerbergius vale la pena di soffermarsi anche 
perché esse possono fornirci, in qualche modo, la chiave 
necessaria ad intendere molte delle posizioni presenti negli 
scritti del Bruno. Accanto ai leggendari “eroi” della memo- 
ria (Simonide e Temistocle, Crasso e Ciro, Cinea e Carneade) 
l’autore ricorda Cicerone, Quintiliano, Seneca e si richiama 
anche a Pietro da Ravenna che cita ripetutamente avvicinando 
il suo nome, in modo significativo, a quello del Cusano: 
« Nostro saeculo consumatissimus fuit in hac arte clarissimus 


11 Artificiosae memoriac libellus in usum studiorum collectus, autore 
Joanne Spangerbergio Herdesiano apud Northusos verbi ministro, Wi- 
tebergae, apud Petrum Seitz, 1570. Mi servo della copia dell’Angelica 
(YY. 3.28) a pagine non numerate. Con il titolo Erosemata de arte 
memoriae seu reniniscentiae il testo fu ristampato (con la indicazione 
Authore Ioh. Sp. Herd.) nel Gazophylacium artis memoriae... per 
Lambertum Schenckelium Dusilivium, Argentorati, excudebat  Anto- 
nius Bertramus, 1610, alle pp. 339-378 (copia usata: Angelica. SS. 1. 24). 


I TEATRI DEL MONDO GI 


vir Petrus Ravennatus utriusque iuris doctor, deinde Ioannes 
Cusanus et alii ». 

Il “lullista” Cusano diventava, non a caso, uno dei mae- 
stri dell’arte mnemonica: l’idea che le finalità ultime del- 
l’ars Raimundi coincidessero, in ultima analisi, con quelle 
proprie dell’ars memoriae era, come vedremo, destinata a raf- 
forzarsi fino a condurre a quella particolare valutazione della 
combinatoria lulliana che sarà tipica degli scrittori del Sei- 
cento e giungerà inalterata alla Historia critica philosophiae 
del Brucker. 

Dopo aver definito la memoria come comprehensio earum 
quae praeterierunt, come retentio e conservatio ed aver di- 
stinto fra memoria naturale e artificiale, lo Spangerbergius 
prende immediatamente posizione contro l’accusa di una 
insufficienza dell’arte di fronte alla perfezione o imperfezione 
naturale: in primo luogo egli nega la perfezione della me- 
moria naturale, in secondo luogo pone in rapporto la perfet- 
tibilità di questa mediante l’arte, con la maggiore o minore 
perfezione delle doti native: « Quanto naturalis memoria est 
hebetior, tanto ad artificiosam est imbecillior; contra quanto na- 
turalis est vegetior, tanto ad artificiosam expeditior ». La memo- 
ria artificiale è definita una « dispositio imaginaria rerum sen- 
sibilium in mente, super quas memoria naturalis reflexa com- 
movetur et adiuvetur, ut prius apprehensa facilius et diutius 
valeat recordari ». Essa è utile sia all’apprendimento delle 
scienze, sia a quella transitoria ritenzione degli argomenti che 
è necessaria al poeta, all'insegnante, all’oratore, all’avvocato. 
Accanto alla normale dimenticanza «delle specie delle cose 
passate » (per corruptionem), lo Spangerberg distingue duc 
tipi di amnesia “patologica”: l’uno derivante dal sopravvento 
delle passioni delle malattie della vecchiezza (per diminutio- 
nem), l’altro dipendente dalla ablezio o da una lesione agli 
organi cerebrali. Mentre per ovviare alla corruptio è oltremodo 
utile l’uso dei luoghi e delle immagini, di fronte alla dimi- 
nutio e alla ablatio i precetti della retorica devono lasciare il 
posto a quelli della medicina. Sulle tracce della Réetorica 
ad Herennium e della Phoenix del Ravennate, la dottrina dei 
luoghi e delle immagini viene svolta secondo i canoni tradi- 
zionali: accanto a una distinzione dei luoghi in tre tipi 
fondamentali, l’autore enumera dieci « regole » sulle caratte- 


92 CLAVIS UNIVERSALIS 


ristiche dei medesimi, tratte, in sostanza, dallo scritto del Ra- 
venna. Agli stessi testi si rifà la teoria delle immagini: di 
nuovo c’è solo la distinzione fra imagines rerum e imagines 
vocum. Dalla parte «teorica » della mnemotecnica lo Span- 
gerberg distingue, come farà più tardi il Bruno, una parte 
pratica (praxis memoriae) nella quale le regole della sezione 
teorica vengono applicate, attraverso la costruzione di una 
serie di esempi o modelli, a casi specifici. Soprattutto preoc- 
cupato della creazione delle immagini, lo Spangerbergius co- 
struisce, seguendo un metodo rigorosamente dicotomico, la 
seguente tabella di tutti i possibili tipi di dictiones: 


Omnis dictio 
aut cst ‘ignota aut 
nota aut est res inwvisibilis aut 
visibilis vel est accidens vel 
substantia 
vel est imanimiata 
vel animata 
est nomen commune 
vel propriun 


Il primo dei sei casi è quello della dictito ignota: al posto 
della diczio della quale si ignora il significato si può collocare, 
facendo ricorso alla vocalis similitudo, una dictio nota signift- 
cante una cosa visibile e « similis in voce huic pro qua poni- 
tur » (come quando, per figmentum, si fa ricorso ad una 
« palam instrumentum » al posto della « praepositio palam »), 
oppure si può procedere, nei casi nei quali sia assente la pos: 
sibilità di una similitudine vocale o di suono, per inscriptio- 
nem, ponendo cioè un’immagine in precedenza fissata al po- 
sto di ciascuna delle lettere che costituiscono il termine. Il 
secondo caso è quello della dictio nota rei invisibilis (per es. 
il termine «giustizia »); oltre che del fiementum ce della ins- 
criptio è qui possibile servirsi della comparatio e della simi- 
litudo facendo leva su quelle che in linguaggio moderno sono 
le leggi dell’associazione (« nigrum nos ducit in cognitionem 
albi »; «calamus ducit nos in memoriam scriptoris » ecc.). Il 
terzo caso è quello della dictio nota di una res visibilis che 
sia un accidens: qui sì ricorre al subiectum principale (« ut 
albedo per nivem » ecc.). Il quarto caso è quello della dictio 
nota di una res visibilis che sia substantia inanimata: essa è 


I TEATRI DEL MONDO 93 


esprimibile attraverso l’immagine di una persona « agens cum 
tali re ». Il quinto caso è la dictio nota di una res visibilis che 
sia substantia animata espressa da un nome comune: l’imma- 
gine è costruita, secondo i canoni “ciceroniani”, col riferi- 
mento ad una « persona nota ». Infine il sesto caso è quello 
della dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata 
espressa da un nome proprio: attingendo alla iconologia si dà 
qui luogo all'immagine di un uomo in particolari abiti e 
particolari positure (con le chiavi: nel caso di Pietro, con 
una spada in mano: nel caso di Paolo ecc.). 

La classificazione così costruita dallo Spangerbergius è in 
realtà molto più complicata di quanto non risulti da questo 
già troppo complicato sommario: in primo luogo vengono 
accuratamente distinti i vari tipi di simulitudo e di figmen- 
tum,!* in secondo luogo il reale esercizio della praxis mnemo- 
nica si trova di fronte a casi più complicati di quelli contem- 
plati, che risultano dall’intreccio di vari tipi di dictio, in una 
stessa proposizione o discorso. Ma è alla vivacità delle im- 
magini che conviene, dopo tanti schemi, fare riferimento per- 
ché risulti ancora una volta confermato quel rapporto, sul 
quale già ho avuto occasione di insistere, fra la pratica del- 
l’ars memorativa e la “visione”, fra la dottrina dei luoghi e 
delle immagini e quelle iconologie, quei simboli, quegli em- 
blemi dei quali tanto si diletterà Bruno e, con lui, la cultura 
di un secolo intero: «Ut si velis habere memoriam horum 
nominum: Petrus, flagellum, canis, sus, aqua, vermes, arena; 
fac talem colligantiam et imaginationem ut Petrus flagello 
canem percutiat. Canis vero, verbere commotus, suem mor- 


12 Fra i vari tipi di similitudo vengono elencati: « effictio corporum : 
ut cum senem facimus tremulum, incurvum, labiis demissis, canum; 
notatio adfectum: ut cum dicimus lupum voracem, lepores timidos, 
sic laeta iuventus, tristis senectus, prodiga adolescentia; etynrologia : 
ut Philippus amator equorum; onomatopera: quando sumitur cogni- 
tio verbi a sono vocis ut hinnitus equi, rugitus leonum, bombitus apum; 
rerum effectus: cum cuilibet mensi officia sua assignamus ». Molti degli 
esempi addotti appaiono ricavati, direttamente o indirettamente, da 
un testo di Iacobo Publicio, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad 
consumatum spectant oratoren, Venetiis, 1482, D4r-D4v. (Ho visto 


l'Inc. 697 dell’Angelica; un altro esemplare alla Naz. di Roma, Inc. 
70. A. 48). 


94 CLAVIS UNIVERSALIS 


deat. Sus vero, evadere cupiens, vas aquae evertat, in cuius 
fundo sint vermes procreati qui tegantur arena ». Forse anche 
di qualche testo di questo tipo converrebbe tener conto quando 
si parla, a proposito della cultura del tardo Cinquecento, di 
« barocchismo delle immagini ». 


4. LA MEDICINA MNEMONICA DI G. GRATAROLO. 


Ad una atmosfera ben diversa, permeata di aristotelismo, 
di magia e di medicina occulta, ci riportano le pagine sulla 
memoria del medico e studioso bergamasco Guglielmo Grata- 
rolo sul quale, in anni recenti, hanno richiamato l’attenzione 
da punti di vista differenti il Church e il Thorndike.!* Rifu- 
giatosi a Basilea dopo la sua conversione al protestantesimo, il 
Gratarolo pubblicava a Zurigo nel 1553 e poi a Basilea nel 
1554 (dedicandoli a Massimiliano) i suoi Opuscula !* che con- 
tenevano, accanto a un trattato di fisiognomica e ad una dis- 
sertazione sui prognostica tempestatum, un manuale di ars 
memoriae. Tradotto in francese nel ’55 e in inglese nel ’63, 
ristampato nel °58 e inserito nel 1603 nelle Introductiones 


13 Sul Gratarolo cfr., oltre al TirasoscHI, op. ciz., VII, pp. 615 -16, 
it CHurcH, Riformatori italiani, tw. it., Firenze, 1935, I, 326 ss.; II, 
83 ss, 103 ss, 216 ss. c L. THORNDIKE, op. cit., V, pp. 600-616. Varie indi- 
cazioni di scritti anche nella « scheda » di E. G. [E. Garin], « Giornale 
crit. della filos. ital. », IV (1957), pp. 353-54. Sulla posizione del Gra- 
tarolo si veda il giudizio del THORNDIKE, op. cif., p. 600: « No man 
in the sixteentàh century did more to circulate and to perpetuate a va- 
ried selection of curious works, past and present, in the fields of me- 
dicine, natural sciences and occult science than did G. Gratarolo... the 
physician of Bergamo who turned Protestant and settled at Basel ». 

14 Uso l'edizione del 1554; Guglielmi Grataroli Bergomatis, artium et 
medicinae doctoris Opuscula, videlicet: De memoria reparanda, augen- 
da confirmandaque ac de reminiscentia: tutiora omnimoda remedia, 
praeceptiones optimae; De praedictione morum naturarumque homi- 
num cum ex inspectione partium corporis tum alis modis. De tempo- 
rum omnimoda mutatione, perpetua et certissima signa ct pronostica, 
Basileae, apud Nicolaum Episcopium iuniorem, 1554 (Triv. Mor. L. 
244 e Braid. 13. 52. B. 16). Sulla edizione dell'anno precedente cfr. 
p. 3: «Superiori anno... citius quam voluissem emisi in lucem ami- 
corum ac typographi coactus instantia ». In una terza edizione: Lug- 
duni, apud Gabrielem Coterium, 1558 (che ho visto in Triv. Mor. 


N. 4) è aggiunto ai precedenti l'opuscolo De literatorum conservanda 
valetudine liber. 


_ 


I TEATRI DEL MONDO 93 


apotelesmaticae di Johannes ab Indagine," il libretto del Gra- 
tarolo avrà vasta fortuna e diffusione europea inserendosi in 
quella trattatistica di medicina mnemonica che si rifaceva ai 
testi di Avicenna e di Averroè. Pur interessato vivamente alla 
pubblicazione di testi magici ed alchimistici (il Gratarolo si 
fece editore di testi pseudo-lulliani, di Arnaldo da Villanova, 
di Giovanni Rupescissa) il nostro medico evita nella sua trat- 
tazione ogni riferimento all’ars motoria e si richiama, al solito, 
da un lato ad Alberto Magno ed Averroè, dall’altro alla RAe- 
torica ad Herennium. In realtà — cosa che il Thorndike non 
ha notato !* — Gratarolo sfrutta molto ampiamente un trat- 
tato italiano che risale al 1481: il De omnibus ingentis augen- 
dae memoriae di Giovanni Michele Alberto da Carrara.” I 
venti precetti generali dell’arte presenti nel sesto capitolo del- 
l'opuscolo del Gratarolo (pAslosophica consilia, canones, et 
reminiscentiae praecepta) e quasi tutto il settimo capitolo a 
paiono infatti ricavati, con leggere differenze di stile, dall’o- 
pera del Carrara alla quale già abbiamo avuto occasione di 
riferirci. Si veda, a titolo di esempio, la definizione dei quattro 
« moti » che costituiscono la memoria e il comune richiamo a 
Cicerone e a Tommaso: 


Carrara (fol. 70r, 73r) 
Ad memorandum quatuor mo- 
tus concurrunt: Motus. spiritus 
qui a cogitativa ad memorati- 


GrataroLo (pp. 44, 59) 
Ad memorandum quatuor mo- 
tus concurrunt: primus est mo- 
tus spirituum qui a cogitativa 


vam figuras transportat.  Pictu- 
ra fixioque figurarum in ipsa cies 


ad memorativam figuras aut spe- 
transportant.  Secundus est 


15 Discours notable des moyens pour conserver et augumenter la mé- 
moire avec un traité de la physionomie, traduit du latin par E. Copé, 
Lyon, 1555 (questo, e un diverso titolo della stessa trad., in THORNDIKE, 
op. cit., p. 607); The Castel of Memorie, Englished by W. Fullwood, 
London, 1563 che ebbe una seconda ediz. nel 1563 e una terza dieci 
anni dopo. Nelle Introductiones, ed. 1603, il testo del Gratarolo: pp. 
179 - 215. 

16 Il libro del Dolce e quello del Romberch vengono semplicemente 
citati dal Thorndike (op. cit., p. 607) accanto a quello del Gratarolo 
come «other works on this subject ». Della produzione di mnemo- 
tecnica — per tanti aspetti legati alla magia — il Thorndike in realtà 
non si occupa. 

1? Uso l’inc. contenuto nel Cod. lat. 274 della Marciana (classe VI): 
il testo del Carrara occupa i ff. 69-82r. (Bononiae per Platonem de 
Benedictis, 1491). 


96 CLAVIS UNIVERSALIS 


memorativa. Reportatio carum a 
spiritibus a memorativa ad co- 
gitativam. Actio quac €a cogi- 
tativa recognoscit, quae proprie 
est memorari... Artificiosa memo- 
ria ut Cicero dicit secundo ad 


Herennium ex locis veluti ex 
cera at tabella, et imaginibus 
veluti figuris literarum  constat. 


Sic enim fieri poterit, ut quae 
accipimus quasi legentes redda- 
mus. Cicero centum eos satis esse 


pictura fixioque figurarum in ip- 


sa memoria. Tertius est  repor- 
tatio a spiritibus a memora- 
tiva ad cogitativam seu ratio- 


cinativam. Quartus est illa actio 
qua cogitativa recognoscit, quac 
proprie est memorari... Artificio- 
sa memoria, ut inquit Cicero se- 
cundo ad Herrennium ex locis 
veluti ex cera et tabella et ima- 
ginibus veluti figuris literarum 
constat. Sic enim fieri solet, ut 


iudicavit, beatus Thomas plures. quae accepimus quasi legentes 
habendo consuluit. reddamus... Cicero centum eos 
satis esse iudicavit. Beatus Tho- 


mas plures habendo consuluit. 


Gli stessi riferimenti ai testi di Alberto e di Averroè per- 
dono, sc si tiene presente l’esistenza di questa fonte, molto 
del loro significato. Di originale, rispetto al trattatello del Car- 
rara, restano, oltre a un fugace accenno all’anatomia del Ve- 
salio,"* le numerose e curiose ricette per il rafforzamento della 
memoria (« Saepe lavare pedes in acqua calida in qua bullie- 
rint melissophillon, folia lauri, chamaemelon et similia, me- 
moriae capiti oculisque valde confert »). Quella del saccheg- 

io dei testi era del resto un'attività largamente diffusa fra i 
trattatisti della memoria locale. Nel 1562 (e poi ancora nell’ °86) 
fu pubblicato a Venezia il Dialogo nel quale si ragiona del 
modo di accrescere et conservar la memoria di Ludovico Dol- 
ce, uno dei più fecondi e superficiali poligrafi del Cinque- 
cento, che era in realtà, nonostante la pomposa presentazione 
del Dolce, solo un volgarizzamento dell’opera del Romberch 
sulla stesso argomento. 


5. IL LULLISMO E LA CABALA NEI « TEATRI DEL MONDO ». 


Nulla in Italia, sino al Bruno, che corrisponda alla nuova 
impostazione che Pietro Ramo aveva dato in Francia al pro- 
blema della memoria e tuttavia, valutando quella confusa e 


18 Grataroto, Opuscula, cit., (1558), p. 2: « Sedem vero habet memo- 
ria in occipitio in tertio vocato ventriculo quem et pupim vocant. Lon- 
gum esset ac pene superfluum hic (ubi studeo brevitati) cerebri totius 
anatomen describere, quam in multorum libris videre licet, praesertim 
doctissimi pariter et diligentissimi Andreac Vesalii ». 


I TEATRI DEL MONDO 97 


macchinosa costruzione che fu l’Idea del Theatro di Giulio 
Camillo detto il Delminio (1556),'* converrà tener presente il 
giudizio entusiastico che, di quest'opera, detta un uomo come 
il Patrizzi che, appunto nel Theatro, vedeva realizzato il ten- 
tativo di un «allargamento » della retorica e di una sua 
« estensione » verso la logica e l’ontologia: « non capendo per 
la grandezza sua negli strettissimi termini de’ precetti dei mae- 
stri di retorica, uscendone l’allargò in guisa che la distese per 
tutti gli amplissimi luoghi del Theatro di tutto il mondo ». 
Intrecciandosi strettamente ai temi più caratteristici dell’er- 
metismo, del neoplatonismo e della cabala, la retorica diven- 
tava qui veramente, come è stato scritto, « il tentativo di far 
corrispondere le articolazioni oratorie del discorso alle strut- 
ture fondamentali dell’essere ». Senza dubbio, se confrontata 
con i grandi testi della retorica del Quattrocento e del Cinque- 
cento, la fumosa costruzione del Camillo non può non appa- 
rire se non come «la parodia di quanto i teorici rinascimen- 
tali avevano rigorosamente tentato ».?° E tuttavia se le pole- 


19 L'idea del teatro dell'eccellent. M. Giulio Camillo, in Fiorenza, 1550 
(copia usata: Ambros. Sir. IV. 36). Cfr. anche Opere, Venezia, A. 
Griffo, 1584 (Braid. 25. 15. A. 6). Sul Camillo cfr. TiraBoscHI, Storia 
della letteratura italiana, Modena, 1792, VII, 4, pp. 1520-1532; B. 
Croce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, II, Bari, 
1952, pp. III -120; F. Secret, Le Théatre du monde de Giulio Camillo 
Delminio et son influence, in « Rivista critica di storia della filosofia », 
1959, pp. 418-436. Sul significato dell’ « oratoria planetaria » e sui 
rapporti di questa da un lato con la magia ficiniana e dall'altro con 
la teoria ficiniana della musica cfr. il capitolo Fabio Paolini and the 
Accademia degli Uranici nel vol. di P. D. Wacker, Spiritual and De- 
monic Magic, cit., pp. 126 ss. In particolare sul Camillo, pp. 147 - 48. 
20 Questa, come la citazione precedente, da E. Garin, Alcuni aspetti 
delle retoriche rinascimentali, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, 
Roma & Milano, 1953, pp. 32, 36. Sul carattere « mondano» della 
dialettica umanistica che si contrappone alle mistiche cusaniane e fici- 
niane ha scritto di recente E. Garin, La dialettica dal secolo XII ai 
princìpi dell'età moderna, « Rivista di filosofia » 2 (1958), pp. 228 - 253: 
«L'umanesimo opera... nel senso di una smobilitazione di tutti quei 
simboli che tendevano a proiettare i termini di un'esperienza terrena 
e storica sui piani del divino e dell’eterno » (pp. 252-53). Nei testi di 
Camillo, di Rosselli e di Bruno si assiste, per quanto attiene alla mne- 
motecnica e al lullismo, ad una delle « proiezioni » alle quali fa rife- 
rimento il saggio di Garin. Non a caso Bacone e Cartesio, nella loro 
utilizzazione dell'arte della memoria, saranno ben lontani da questi 
atteggiamenti e si muoveranno sulla strada di una trasformazione della 


98 CLAVIS UNIVERSALIS 


miche appassionate suscitate dalla comparsa di questa così poco 
rigorosa « parodia » e gli interessi di Francesco I e gli entu- 
siasmi del Patrizzi e di Bartolomeo Ricci per la macchina del 
Camillo possono essere facilmente ricondotti sul piano della 
“moda”, non è possibile risolvere integralmente la fortuna 
del Delminio sul piano di una storia del costume.*! L’idea 
stessa di un teatro « nel quale per lochi et immagini dovevan 
essere disposti tutti quei luoghi che possono bastare a tenere 
a mente et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose 
che sono in tutto il mondo »,°* mentre ci riporta senz'altro 
ad una tematica assai vicina a quella dell’ars reminiscendi, ci 
mostra anche come, proprio attraverso l’equivoca e torbida 
adesione del Camillo agli insegnamenti della cabala, la stessa 
ars reminiscendi finisca qui per connettersi ad un duplice 
progetto che sarà, soprattutto nel secolo successivo, ricco di 
impensati sviluppi: quello di una “macchina universale” o 
“chiave” della realtà e l’altro, con il primo in stretto rapporto, 
di una collocazione organicamente e ordinatamente disposta 
di tutte le umane nozioni e di tutti i fenomeni della natura. 
Mentre l’uso costante delle immagini veniva posto da Ca- 
millo in relazione con l’antico tema, presente in tutta la tra- 
dizione magico-alchimistica da Zosima ad Agrippa, di un 
sapere segreto °° («et noi nelle cose nostre ci serviamo delle 


dottrina degli aiuti della memoria in uno degli strumenti della meto- 
dologia del sapere scientifico. Ed è da sottolineare energicamente il 
fatto che, in questo loro tentativo, essi si richiameranno a quell’inse- 
rimento della menzoria nella logica o dialettica che era stato effettuato, 
nel corso del secolo XVI, dal più noto e discusso rappresentante della 
dialettica umanistica: Pietro Ramo. 

2! E' da vedere la descrizione dell’opera del Camillo in una lettera 
scritta da Padova il 28 marzo 1532 da Viglius Zuichemus a Erasmo 
(Cfr. ALLEN, Opus epistolartm D. Erasmi, IX, p. 475; X, pp. 28, 54, 
96, 124). Una lettera dell'Alciati del 5 settembre 1530 dì inoltre noti- 
zie sulla fortuna del Camillo alla corte di Francia (G. Liruti, Notizie, 
Udine, 1780, III, pp. 69-134). 

22 Cfr. Opere, cit., II, p. 212 e J. SturMius, Lidellus de lingua latina 
resolvenda ratione, ediz. Jena, 1904, p. 5. 

23 L'idea del teatro, cit., p. 7: «I più antichi e più savi scrittori 
hanno sempre havuto in costume di raccomandare a’ loro scritti i 
secreti di Dio sotto scuri velami accioché non siano intesi se non da 
coloro i quali (come dice Christo) hanno orecchie da udire, cioè che 
da Dio sono eletti ad intendere i suoi santissimi misteri. E Melisso 


I TEATRI DEL MONDO 99 


immagini come di significatrici di quelle cose che non si deb- 
bono profanare »), la trattazione della memoria si collegava 
strettamente, attraverso la cabala, al progetto del raggiungi- 
mento di una « vera sapienza ». Fare della retorica lo « spec- 
chio del mondo » voleva dire, in realtà, muovere verso una 
radicale distruzione dell’arte memorativa e della stessa reto- 
rica. Al posto di una riflessione sui discorsi umani, subentrava 
l'atteggiamento del profeta e del mago: 

«Salomone al nono de Proverbi dice la sapienza haversi 
edificato casa et haverla fondata sopra sette colonne. Queste 
colonne significanti stabilissime eternità habbiamo da intender 
che siano le sette saphirot del sopraceleste mondo, che sono le 
sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore... nelle 
quali sono comprese le idee di tutte le cose del celeste a all’infe- 
riore appartenenti... L’alta adunque fatica nostra è stata di 
trovare ordine in queste sette misure, capace bastante distinto 
et che tenga sempre il senso svegliato e la memoria percossa 
et fa non solamente ufficio di conservarci le affidate cose parole 
et arti... ma ci dà ancora la vera sapienza nei fonti della quale 
veniamo in cognitione delle cose dalle cagioni et non dagli 
effetti ».?! 

L’idea, che fu cara al Camillo, di sostituire ai tradizionali 
luoghi della mnemotecnica ciceroniana «luoghi eterni» atti 
ad esprimere « gli eterni di tutte le cose » conduceva alla co- 
struzione di un sistema mnemonico su basi astrologico-caba- 
listiche. Il grande anfiteatro dalle sette porte non si presentava 


dice che gli occhi delle anime volgari non possono sofferire i raggi 
della divinità. Et ciò si conferma con lo esempio di Mosè, il quale 
scendendo dal monte... non poteva esser guardato dal popolo se egli 
il viso col velo non si nascondeva. Et gli Apostoli anchora veduto 
Christo trasfigurato... non sufficienti a riguardarlo per la debolezza cad- 
devano... A questo abbiamo da aggiunger che Mercurio Trismegisto 
dice che il parlar religioso e pien di Dio viene ad esser violato quando 
gli sopraviene moltitudine volgare... I segreti rivelando doppio error si 
viene a commettere: et ciò è di scoprirgli a persone non degne ct di 
trattargli con questa nostra bassa lingua, essendo quello il suggetto delle 
lingue de gli angeli... Et noi nelle cose nostre ci serviamo delle ima- 
gini, come di significatrici di quelle cose che non si debbon profanare... 
Né tacerò io che i Cabalisti tengono che Maria sorella di Mosè fosse 
dalla lebbra oppressa per haver revelato le cose segrete della divinità ». 
24 L'idea del tcatro, cit., pp. 9, II. 


100 CLAVIS UNIVERSALIS 


come uno schema vuoto del quale servirsi per ordinare, ai fini 
dell’orazione, tutti gli elementi della realtà. La ricerca dei 
caratteri planetari e delle « sette misure della fabbrica del 
celeste e dell’inferiore nelle quali sono comprese l’Idee di 
tutte le cose al celeste e all’inferiore apposte » trasformava un 
trattato di arte della memoria in una costruzione di tipo co- 
smologico-metafisico. Gli interessi per la tematica dell’astro- 
logia, le suggestioni dell’ermetismo e della cabala finivano per 
far passare in secondo piano, come avverrà poi in Bruno, ogni 
finalità meramente « retorica » : 

«Or se gli antichi Oratori volendo collocar di giorno in 
giorno le parti delle orationi che havevano a recitare, le affi- 
davano a luoghi caduchi, come cose caduche, ragione è che 
volendo noi raccomandare eternamente gli eterni di tutte le 
cose... troviamo a loro luoghi eterni. L'alta dunque fatica no- 
stra è stata di trovar ordine in queste sette misure... Ma con- 
siderando che se volessimo metter altrui davante queste altis- 
sime misure et si lontane dalla nostra cognitione, che sola- 
mente da’ propheti sono state anchor nascostamente tocche, 
questo sarebbe un metter mano a cosa troppo malagevole, 
pertanto in loco di quelle prenderemo i sette pianeti... ma 
solamente le useremo, che non ce le propognano come termini 
fuor de’ quali non habbiano ad uscire, ma come quelli che 
alla mente de’ savi sempre rappresentino le sette sopra celesti 
misure ». 

A questi accostamenti di temi retorici a temi cosmologici, 
a questa trasformazione dei “luoghi” della memoria artificiale 
nei “luoghi eterni” della sapienza ermetica, non erano state 
certo estranee le suggestioni esercitate, sul pensiero del Ca- 
millo, dai testi del lullismo e dal fiorire della cabala cristiana. 
Per quanto concerne il lullismo abbiamo una precisa testimo: 
nianza degli interessi del Camillo per l’arte,?" e non è un caso 
che Jacques Gohory, nel De usu et mystertis notarum, avvici- 
nasse il nome del Delmino a quelli dei maggiori commenta- 
tori e seguaci di Lullo. D'altro lato, quando Camillo aveva 
pubblicato, nel 1550, la sua /dea del Theatro, erano già ap- 


2 G. RusceLLI, Trattato del modo di comporre versi in lingua italiana, 
Venezia, 1594, p. 14: «Giulio Camillo... m'affermava d’haver fatto 
lunghissimo studio sopra di quest'arte di Raimondo ». 


I TEATRI DEL MONDO 101 


parsi e si erano rapidamente diffusi in tutta Europa i testi 
fondamentali della cabala cristiana: l’ Epistola de secretis di 
Paulus de Heredia (1486 circa), le Conclustones e l’Heptaplus 
del Pico, il De verbo mirifico e il De arte cabalistica di Reu- 
chlin (1494-1517), il De arcanis catholicae veritatis del Gala- 
tin (1518), lo Psalterium del Giustiniani (1516), le opere di 
Paolo Ricci (1507-1515), il De Harmonia mundi di Francesco 
Giorgio Veneto (1525), le opere di Agrippa (1532). 

La combinatoria lulliana e la grande costruzione cosmolo- 
gica della cabala si incontrarono, nel corso del Cinquecento, 
sul comune terreno del simbolismo, dell’allegorismo, dell’esem- 
plarismo mistico. In un passo famoso già Pico aveva avvicinato 
l’ars combinatoria a quella parte più elevata della magia natu- 
rale che si occupa degli esseri superiori esistenti nel mondo 
sopraceleste: l’a/phabetaria revolutto iniziata da Lullo gli cera 
apparsa strettamente connessa a quella mistica delle lettere e 
dei nomi che è parte integrante della costruzione cabalistica.** 


26 « Haec est prima et vera cabala de qua credo me primum apud latinos 
explicitam fecisse mentionem... quia iste modum tradendi per succes- 
sionem qui dicitur cabalisticus videtur convenire unicuique rei secrete 
et mystice, hinc est quod usurparunt hebrei ut unamquamque scien- 
tiam quae apud cos habeatur pro secreta et abscondita cabalam vocent 
ct unumquodque scibile quod per viam occultam alicunde habeatur 
dicatur haberi per viam cabalae. In universali autem duas scientias 
hoc etiam nomine honorificarunt: unam quae dicitur... ars combinandi 
et est modus quidam procedendi in scientis et est simile quid sicut 
apud nostros dicitur ars Raymundi licet forte diverso modo procedat. 
Aliam quae est de virtutibus rerum superiorum quae sunt supra lunam 
et est pars magiae naturalis suprema ». (Apologia tredecim quaestionum, 
quaestio V: De magia naturali et cabala hebreorum). Sulla funzione 
delle lettere e dei nomi nella cabala, sull'allegorismo e l'esemplarismo 
mistico cfr. il cap. VI del volume G. G. ScHorem, Les grands courants 
de la mystique quive, Parigi, 1950. Ma cfr. anche Zu Geschichte der 
Anfinge der Christlichen Kabbala, in Essays presented to Leo Baeck, 
London, 1954. Importante documento dell’incontro fra Cabala rina- 
scimentale e lullismo è l’opera De auditu kabalistico sive ad omnes 
scienttas introductorium le cui prime edizioni apparvero a Venezia 
nel 1518 e nel 1533. Lo scritto venne concordemente attribuito a Lullo 
e come tale inserito nell'edizione di Strasburgo del 1617 (cfr. ZetzxER, 
pp. 43.111). Sul cabalismo e il lullismo del Pico cfr. M. MEexENDEZ 
Pelayo, Historia de los Heterodoxos Espafioles, Madrid, 1880, vol I, 
pp. 464 e 525 e, soprattutto, E. Garin, Giovanni Pico della Mirandola, 
vita e dottrina, Firenze, 1937, pp. 90-105; 146-154 c F. Secret, Pico 


102 CLAVIS UNIVERSALIS 


Questa tesi pichiana verrà ripresa, nel corso del Cinquecento, 
da non pochi fra i seguaci della cabala cristiana: già sul ca- 
dere del Cinquecento il termine cabala veniva impiegato a 
indicare l’arte di Lullo. L’avvicinamento non era solo esteriore 
e non dipendeva solo dall’equivocità del termine cabala con 
il quale — come ha ben chiarito Frangois Secret — si intesero 
nei secoli del Rinascimento cose assai diverse: molti (soprat- 
tutto fra gli esponenti dei maggiori ordini religiosi) si volsero 
alla cabala come ad una tradizione religiosa alla quale si pote- 
vano attingere motivi apologetici," ma è certo che le lettere 


c le immagini, le figure e le combinazioni delle figure riman- 


davano — nella cabala come nel lullismo — a quel segreto 
libro dell’universo che il sapiente ha il compito di leggere e 
di interpretare al di là della parvenza dei simboli. 
Nell’Encyclopaediae seu orbis disciplinarum epistemon, 
Paolo Scaligero riprendeva, nel 1559, il progetto di Pico.” 
Nelle sue 1553 « conclusiones divinae, angelicae, philosophicae, 
metaphysicae, physicae, morales, rationales, doctrinales, secre- 
tac, infernales » egli presentava l’immagine unitaria di un uni- 


della Mirandola e gli inizi della Cabala cristiana, in « Convivium », 
1957, |. Alcune osservazioni anche in G. Sarton, Introduction to the 
History of Science, Baltimora, 1931, II, pp. 901-2. Del tutto insuffi- 
ciente: ]. L. Brau, The Christian Interpretation of the Cabala in the 
Renaissance, New York, 1944. 

27 Oltre al saggio su Pico citato nella nota precedente sono da vedere, 
per questi problemi, gli importanti studi di F. Secret, L'astrologie et 
les Kabbalistes chrétiens à la Renaissance, in « La Tour Saint-Jacques », 
1956; Les débuts du Kabbalisme chrétien en Espagne et son histoire 
à la Renaissance, in « Sefarad », 1957, pp. 36-48; Les domenicains et la 
Kabbale chrétienne è la Renaissance, in « Archivum Fr. Praedicato- 
rum », 1957; Le symbolisme de la kabbale chrétienne dans la « Scechi- 
na» de Egidio da Viterbo, in Umanesimo e simbolismo, a cura di 
E. Castelli, Padova, 1958, pp. 131-51; Les jéswites ct le kabbalisme 
chrétien à la Renaissance, in « Bibliothéque d’ Humanisme et Renais- 
sance », 1958, pp. 542-55. Ma cfr. anche: Jose M.a Mittas VALLICROSA, 
Algunas relaciones entre la doctrina luliana y la cabala, in « Sefarad », 
1958, 251-253. 

2* Paul ScaricHius pe Lika (Paul Skalich), Enciclopaediae seu orbis 
disciplinarum tam sacrarum quam prophanarum Epistemon, Basileae, 
Oporinus, 1559. Cfr. G. Knasset, P. Skalich, Ein Lebensbild aus dem 
16 Jah., Miinster, 1915; L. THornpike, History of magic, V, p. 455 
segg.; F. Secret, La tradition du De omni scibili à la Renaissance: l'ocu- 
vre de Paul Scaltger, in « Convivium », 1955, pp. 492-97. 


I TEATRI DEL MONDO 103 


verso simbolico mediante la quale sarebbe stato possibile rin- 
novare dalle radici e portare a definitivo compimento, con 
l’aiuto della sapienza cabalistica, l’arte miracolosa di Lullo. 

Tralasciando i plagi di Ludovico Dolce e gli scarsi, conven- 
zionali accenni alla memoria contenuti nella celebre Retorica 
del Cavalcanti e nella Retorica di Cicerone ad Erennio ridotta 
in alberi del Toscanella °° (rispettivamente 1562 e 1561), gio- 
verà dedicare una certa attenzione all’Ars reminiscendi di 
Giovambattista Della Porta nella quale alla distinzione fra 
medicina della memoria e ars memorativa, ai consueti ri- 
chiami alle fonti e ai personaggi del mondo classico, agli or- 
mai noti tentativi di sintesi fra la tradizione aristotelico-tomi- 
sta e quella * ‘ciceroniana”, si aggiungono considerazioni di 
un certo interesse sui geroglifici e sui gestt: due temi sui quali, 
com'è noto, si eserciterà a lungo la riflessione di molti e di 
Bacone e di Vico. Alla discussione di questi argomenti il Porta 
giungeva, non a caso, attraverso il tema delle immagini, 
« quelle pitture animate che rechiamo nella immaginativa per 
rappresentare così un fatto come una parola ».°° Di fronte a 
termini che non simbolizzano cose materiali, come i termini 
« perché », « ovvero », «tanto » ecc., è necessario ricavare le 
immagini dalla scrittura, riferirsi cioè con immagini appro- 
priate alle singole lettere o gruppi di lettere che compongono 
un termine. In molti altri casi è invece possibile richiamarsi 
al «significato »: in questo caso torna opportuno il parallelo 
con i geroglifici. 


29 Per l’opera del Dolce cfr. la nota 7 e TiraBoscHi, op. cir., VII, pp. 
1028-29. Sull'opera di O. ToscaneLLa (Venezia 1567), cfr. TiraBOSCHI, 
op. cit., VII, p. 1156; sulle partizioni della retorica cfr. Lu retorica di 
Bartolomeo Cavalcanti... divisa in sette libri, dove si contiene tutto 
quello che appartiene all'arte oratoria, Venezia, Gabriel Giolito de’ 
Ferrari, 1559, pp. 24-25 (2 ediz. Triv. B. 377). Ma per rendersi conto 
della diffusione delle tecniche memorative nei più noti manuali di 
retorica, gioverà vedere l’opera del Trapezunzio, Réetoricorum libri 
quingue, Lugduni, apud Seb. Gryphium, 1547, pp. 355-360. 

3° Le citazioni sono tratte da L'arte del ricordare del signor Gio. 
Battista Porta Napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Doran- 
dino Falcone da Gioia, in Napoli, appresso Mattio Cancer, 1566 (copia: 
usata: Braid. 25.16. K. 14-15). Il Fiorentino (Studi e ritratti della Rina- 
scenza, Bari, 1911, pp. 268-69) assegna al 1602 la prima edizione del- 
l'Ars reminiscendi. 


104 CLAVIS UNIVERSALIS 


« A ciò torremo il modo dalli Egittii i quali, non havendo 
lettere con che potessero scrivere i concetti de gli animi loro, 
e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili spe- 
culationi della Filosofia, ritrovorno lo scrivere con le pitture, 
servendosi d'immagini di quadrupedi, di uccelli, di pesci, di 
pietre, di herbe e di simili cose in vece delle lettere: la qual 
cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricer- 
che, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle 
lettere per poterle depingere nella memoria ».î! 

Molti fra i più illustri esponenti della cultura dei secoli 
XVI e XVII furono come affascinati dal problema della scrit- 
tura geroglifica e, più tardi, da quello della ideografia dei 
cinesi. La contemporanea “esplosione” nella cultura europea 
del culto per l’ Egitto e della mania per gli emblemi resta 
oltremodo indicativa di un clima culturale: basterebbe, per 
rendersene conto, elencare alcune fra innumerevoli edizioni 
dei Hieroglyphica di Horapollo (il manoscritto greco fu ac- 
quistato da Cristoforo de’ Buondelmonti nel 1419, pubblicato 
nel testo greco a Venezia nel 1505, nella versione latina a 
Parigi nel 1515, 1521, 1530, 1551, a Basilea nel 1534, a Vene- 
zia nel 1538, a Lione nel 1542, a Roma nel 1597) o del grosso 
trattato Hieroglyphica sive de sacris Egyptiorum aliarumque 
gentium di Pietro Valeriano (Basilea e Firenze, 1556; 1567, 
1575, 1576 in traduzione francese; 1579, 1595, 1602 a Lione in 
latino e a Venezia in italiano) riferendosi al quale il Morho- 
fius, all’inizio del secolo XVIII, scriveva che il libro «è nelle 
mani di tutti». Gli EmzQ/emata dell’Alciati sono del 1531 
(pubblicati a Basilea, avranno più di centocinquanta edizioni, 
numerose traduzioni e varie edizioni commentate). Uno dei 
primi seguaci dell’Alciati fu il bolognese Achille Bocchi, ami- 
co del Valeriano; i Symbolicarum Quaestionum Libri V sono 
del 1555. Del ’72 sono le Imprese illustri del Ruscelli, del 1603 
la fortunatissima /conologia di Cesare Ripa. Di questo tipo 
di produzione libraria nel quale trovavano espressione temi 
di derivazione neoplatonica e cabalistica e ove si manife- 
stava un caratteristico metodo ermeneutico, è necessario tener 


® Sulla scrittura degli Egizi cfr. il cap. XIX. Sui gesti il cap. XX: 
« Potremo parimente col gesto esprimere alcune significationi di pa- 
role... un muto esprime col gesto ciò che egli desidera usando le 
mani in vece di lingua ». 


I TEATRI DEL MONDO 105 


conto, come di uno sfondo culturale, anche nel tracciare Je 
linee di una esperienza “speculativa” quale fu, nel Cinque- 
cento, quella del lullismo e dell’ars reminiscendi. Il fatto che 
in civiltà diverse da quella europea fosse stato possibile giun- 
gere ad ‘una sistematica rappresentazione € comunicazione 
dei concetti mediante geroglifici o immagini invece che attra- 
verso le lettere dell’alfabeto, mentre da un lato sembrava in 
qualche modo confermare quelle possibilità sulle quali l’ars 
memoriae e il lullismo avevano a lungo insistito, dall'altro an- 
dava incontro all'esigenza, così largamente e profondamente 
radicata, di una lingua universale che potesse essere “letta” e 
“compresa” indipendentemente dalle differenze di linguaggio 
dovute ai tempi, alle circostanze, alla nazionalità, alla situa- 
zione storica.’? E se si pone mente al fatto che la stessa tec- 
nica dell’arte memorativa e le regole del lullismo si presenta- 
vano di fatto assolutamente slegate c indipendenti dalle lin- 
gue particolari (ove si consideri appunto la “tecnica” o “arte” 
prescindendo dalla formulazione delle regole in questa o in 
quell’altra lingua) si potranno meglio comprendere gli effet- 
tivi rapporti che sussistono fra fenomeni culturali in appa- 
renza così diversi come l’arte della memoria, la rinascita del 
lullismo, l'interesse per i geroglifici, la passione per le icono- 
logie, il culto per i simboli e gli emblemi. 

Non a caso in un testo per molti aspetti interessante, il 
Thesaurus artifictosae memoriae del fiorentino Cosma Ros- 
selli °° (pubblicato a Venezia nel ’79) ritornava l’ammirazione 


3° Ampie notizie sulle interpretazioni cinquecentesche e scicentesche 
dei geroglifici in MonHor, Polyhistor literarius philosophicus et practi- 
cus, Lubecca, 1732, II, pp. 167 ss. Sulla stretta connessione fra Egitto- 
mania ed emblematismo si vedano le osservazioni di E. PANOFSRI, 
Titian’s Allegory of Prudence, in: Meaning in visuals arts, New York, 
1957, pp. 158-62. Fondamentale resta il lavoro di L. VoLKManx, Bilder 
Schriften der Renaissance. Hieroglyphik und Problematik in ihren 
Beziehungen und Fortwirkungen, Lipsia 1923 (per le relazioni con la 
memoria pp. 80-81). Varie notizie sulla letteratura attinente ai gero- 
glifici in THORNDIKE, op. cit., vol. V, p. 446 ss. Per i rapporti con 
la letteratura emblematica cfr. M. Praz, Studi sul concettismo, Firenze, 
1946, p. 17 ss. e il vol. II degli Srudies in Seventeenth Century Ima- 
gery, London, 1939. 

33 Thesaurus artificiosae memoriae... authore P. F. Cosma Rossellio 
florentino, Venetiis, apud Antonium Paduanium, 1579 (copia usata: 
Angelica SS. 1.5). 


106 CLAVIS UNIVERSALIS 


per i geroglifici espressioni non di lettere ma direttamente di 
concetti (« Aegipti) vice literarum, quae tunc temporis inven- 
tae non erant, immo non solum literarum vero etiam vice no- 
minum et conceptuum, animalibus aliisque rebus multis ute- 
bantur »)?! e si riaffacciava l’idea di una trasformazione del- 
l’ars memoriae in una vera e propria, universale enciclopedia 
di tutto il sapere. La dottrina dei luoghi, originariamente con- 
cepita come avente una limitata e precisa funzionalità all’in- 
terno della retorica, si trasforma in uno strumento in vista 
della descrizione degli elementi che compongono il reale. Col- 
locando l’inferno, il purgatorio e il paradiso fra i /oca com- 
munia amplissima il domenicano Rosselli converte il suo trat- 
tato prima in una specie di enciclopedia teologica, poi in 
una ampia e minuziosa descrizione degli elementi celesti, delle 
sfere, del cielo e dell’empirco, dei demoni, degli strumenti 
delle arti meccaniche o figure artificiali e delle figure naturali 
come le gemme, i minerali, i vegetali, gli animali, infine le 
scritture e i vari alfabeti (ebraico, arabo, caldaico). 
L'esigenza di un esatto, compiuto ordinamento di ciascuno 
degli elementi della realtà naturale e celeste appare dominante 
anche nel più famoso dei teatri del tardo Cinquecento: l’Un:- 
versae naturae theatrum pubblicato a Lione, nel 1590, dal 
grande giurista e scrittore politico Jean Bodin.®*® Qui siamo ben 
lontani dall’atmosfera del lullismo e della cabala, qui domi- 
nano le esigenze di chiarezza e di rigore caratteristiche dei 
seguaci di Ramo: la minuziosa divisione in tavole delle cause 
naturali, degli elementi, delle meteore, delle pietre, dei me- 
talli, dei fossili, degli esseri viventi, dei corpi celesti appare 
fondata sulla identificazione del metodo con l’ordine e con 
la apta rerum dispositio. Ma è senza dubbio presente, anche 
nel testo del Bodin, la convinzione di una piena, continua coe- 
renza, di una totale coesione fra tutti gli elementi della realtà. 
La grandezza divina è rivelata dall’opera ordinatrice di Dio 
che ha collocato nelle appropriate sedi le parti caoticamente 


31 Thesaurus, cit., p. 117v. 

35 J. Bopin, Universae naturae Theatrum in quo rerum omnium effec- 
trices causae et fines contemplantur, et continuae series quinque libris 
discutiuntiur, Lugduni, apud Jacobum Roussin, 1596 (Copia usata, 
Braid. B. XIX. 6, 565). La prima ediz. è del 1590. 


I TEATRI DEL MONDO 107 


confuse della materia (« permistas et confusas materiae partes 
initio discrevit, ac forma figuraque decenti subornatas, suo 

uamque in ordine ac propriis sedibus collocavit »); non dis- 
simile da quello divino è il compito che spetta al sapiente e 
nulla può esservi di più bello, più utile e più conveniente di 
quel paziente ordinamento enciclopedico del reale che consente 
all'uomo di riprodurre, nei limiti che gli sono consentiti, la 
perfezione dell’opera divina. Coloro che trascurano questa ri- 
cerca, dan luogo, anche se sono in grado di discettare sottil- 
mente, ad una scienza vana e deforme, mescolando i grani 
del frumento con quelli della senape perdono la possibilità 
di far effettivamente uso del loro sapere. Il teatro, concepito 
come coerente e rigorosa dispositio, consentirà invece la sco- 
perta di quella indissolubile coerenza e di quel pieno consenso 
degli elementi del reale (« indissolubilem cohaerentiam, con- 
tagionem et consensum ») per il quale tutto corrisponde a 
tutto.?° 

La concezione ramista del metodo aveva esercitato, sul 
pensiero di Bodin, un'influenza decisiva?” e solo chi tenga 
presente la identificazione, tanto energicamente sostenuta da 
Ramo, della dispositto con la memoria potrà spiegarsi la sin- 
golare somiglianza fra il celebre teatro del Bodin e le faticose 
enciclopedie costruite nel corso del Cinquecento dai cultori e 
dai teorici della memoria artificiale. 

Negli scritti del Camillo e in quelli del Rosselli l'intento 
enciclopedico-descrittivo, l'ambizioso progetto di una enciclo- 
pedia totale avevano finito per sovrapporsi nettamente agli ori- 
Binari intenti dell’arte mnemonica. Alle sommarie, stringate 
elencazioni dei luoghi e delle immagini presenti nei testi dei 
teorici quattrocenteschi si sono dunque andate sostituendo, 
nel corso del Cinquecento, macchinose enciclopedie. Esse non 
nacquero solo dalla persistenza di temi caratteristici della cul- 
tura medievale, né trassero origine solo dalla tematica del lul- 
lismo o dal fiorire delle speculazioni sulla cabala; derivarono 
‘anche dal nuovo atteggiamento che molti assunsero nei con- 


36 Bopin, Universae naturae Theatrum, cit., Propositio torius operis, 
PP. 1, 6. 

si Cfr. K. D. McRae, Ramist tendencies in the thought of Jean 
Bodin, in « Journal of the History of Ideas », 1955, 3. 


108 CLAVIS UNIVERSALIS 
fronti della tradizione dell’ars reminiscendi:** descrivere i 
luoghi e le immagini creando una sorta di specchio o di arti- 
ficiale teatro della realtà apparve molto più importante che il 
teorizzare in regole precise la funzione dei luoghi e delle im- 
magini in vista del raggiungimento di una capacità mnemo- 
nica utile ai discorsi umani. 

In modo non diverso Giordano Bruno, appassionato cul- 
tore di lullismo e di magia, intenderà utilizzare i testi, antichi 
e recenti, dell’arte della memoria. 


38 Da questo punto di vista potrebbe presentare un certo interesse 
l'esame del modo in cui uno scrittore come Jacopo Mazzoni da Ce- 
sena (De triplici vita, Romae, 1576) utilizza l'eredità di un noto cul- 
tore di mnemotecnica come il Panigarola (F. PanIcAROLA, L'art de 
prescher et bien fare un sermon avec la mémoire locale et artificielle, 
ensemble l'art de mémoire de H. Marafiote, trad. G. Chappuis, Paris, 
1604). Sul Panigarola cfr. TrraoscHi, VII, pp. 1602-1609. 


IV. 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 


1. GLI SCRITTI LULLIANI E MNEMOTECNICI DEL Bruxo. 


Di fronte ai molti scritti che il Bruno dedicò fra il 1582 
e il 1591 all’ars combinatoria e all’ars reminiscendi, non po- 
chi storici, anche illustri, hanno mostrato una singolare inca- 
pacità di comprensione. All’indagine di temi che per essere 
ora “morti” non furono per questo meno “vitali”, si pre- 
ferirono valutazioni negative, rapide liquidazioni o addirit- 
tura esplicite condanne. In questo senso studiosi come l’Ols- 
chki e il De Ruggiero ridussero il lullismo bruniano sul piano 
delle « bizzarrie » e delle « grossolane illusioni », mentre an- 
che di recente la Singer è giunta su queste basi ad esprimere 
più volte il suo compatimento per un Bruno perso dietro i 
problemi della combinatoria.' Ben altra sensibilità era stata 
presente in quegli storici positivisti che, come il Tocco, ave- 
vano affrontato direttamente non solo il problema del lullismo 
bruniano, ma anche la questione, ad esso collegata, dei rap- 
porti fra gli scritti sulla memoria e la produzione italiana e 
latina del Bruno.® Proprio quegli studiosi che in nome di 


! Cfr. L. OtscHrI, Giordano Bruno, Bari, 1927; G. De Rtucciero, Sto- 
ria della filosofia. Rinascimento Riforma e Controriforma, Bari, 1930, 
p. 166; D. W. Sincer, Giordano Bruno, his Life and Thought, trad. 
it. Milano, 1957, pp. 30, 55, 164, 167. Nessun risultato nuovo nelle pa- 
gine dedicate ai primi scritti bruniani da N. BapaLoni, La filosofia di 
G. Bruno, Firenze, 1955, pp. 33-51. 

? Cfr. F. Tocco, Le opere latine di G. Bruno esposte e confrontate con 
le italiane, Firenze, 1889: sulla tradizione della mnemotecnica, pp. 
21 - 43; sulla importanza delle opere mnemoniche di Bruno, p. 94; sulla 
rigida distinzione fra opere lulliane e mnemotecniche, p. 93 ss. Per 
i rapporti con il lullismo e Cusano si veda anche lo studio Le fonti più 
recenti della filosofia di G. Bruno, « Rendiconti dell’Accad. dei Lin- 
cei », cl. scienze morali ccc., sez. 5, 1 (1892), pp. 503-37; 585-622. 
Nell'opera del BartHoLOMESs, Giordano Bruno, Parigi, 1847, II, p. 158 
ss., tutta la mnemotecnica viene erroneamente identificata con il lul- 
lismo e Pietro da Ravenna è scambiato per un seguace di Lullo. Contro 
la distinzione operata dal Tocco reagì giustamente E. Trotto, La filo- 
sofia di G. Bruno, Roma, 1914, II, pp. 55-103. 


110 CLAVIS UNIVERSALIS 


una maggior fedeltà storiografica hanno rinunciato alla inter- 
pretazione “razionalista”, “moderna” e ‘“avveniristica” del 
pensiero bruniano, sono giunti, anche su questo terreno, a più 
apprezzabili risultati: in questa direzione di lavoro, richia- 
mandosi alle osservazioni della Yates, di A. Corsano, di E. 
Garin, Cesare Vasoli ha di recente affrontato, in un ampio, 
saggio, il problema del lullismo e del simbolismo bruniani.* 
Le esatte conclusioni del Vasoli, alle quali dovremo più volte 
fare riferimento, vanno qui sottolineate: «i temi e i motivi 
della mnemotecnica bruniana recano un notevole aiuto alla 
comprensione della posizione storica e filosofica del Bruno, 
dei suoi ideali riformatori, delle sue speranze di incidere pro- 
fondamente, con mezzi e metodi di estrema efficacia prag- 
matica, sulla situazione intellettuale del suo tempo, realizzan- 
dovi quel rinnovamento di cui gli scritti italiani ci offrono così 
aperte testimonianze... Basterebbe pensare alla continuità di 
queste ricerche che si svolgono parallelamente allo sviluppo 
di tutta la sua riflessione metafisica, dal 1582, data presu- 
mibile della perduta Clavis Magna, al 1591, quando pubblicò 
la De imaginum signorum et idearum compositione, per in- 
tendere il legame organico tra indagine filosofica e tecnica 
logico-mnemonica. Ché se il Bruno si adoperò per tanti anni 
a svolgere e a completare con tanta cura la sua dottrina mne- 
motecnica, non fu certo soltanto per portare il suo contributo 
ad una moda del tempo o per indulgere all’illusione prag- 
matica di una scienza che spesso sembrava confinare con la 
pratica magica o con la rivelazione cabalistica, quanto piuttosto. 
per tradurre in un metodo di facile ed immediata efficacia taluni 
princìpi centrali della sua dottrina ».' 


® Cfr. F. Yates, Giordano Bruno's Conflict with Oxford, « Journal of 
the Warburg Institute », 1938 - 39, pp. 227 - 42; The French Acadenmies 
in the sixteenth Century, London, 1947; The Art of Ramon Lull, 
« Journal of the Warburg and Courtauld Inst. », 1954, 1-2, pp. 115- 
173; The Ciceronian Art of Memory, cit.; A. Corsano, Il pensiero di 
G. Bruno, Firenze, 1940, pp. 54-104; E. Garin, La filosofia, « Storia 
dei generi letterari italiani », Milano, 1947, II, pp. 149-154; C. Va- 
soli, Umanesimo e simbologia nei primi scritti lulliani e mnemotec- 
nici del Bruno, in: Umanesimo e Simbolismo, Atti del IV convegno 
internazionale di stud: umanistici, Padova, 1958, pp. 251-304. 


1 C. VasoLi, Umanesimo e simbologia, cit., pp. 253 -54. 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO Ill 


Sia il Corsano sia il Vasoli hanno entrambi giustamente 
insistito sul peso esercitato, nella formazione filosofica del 
giovane Bruno, dagli scritti sulla memoria di Pietro da Ra- 
venna. In un passo della Triginta sigillorum explicatio, Bruno 
affermava di essersi imbattuto, ancora adolescente, nell’arte del 
Ravennate: 

Hoc modica favilla fuit, quae iugi meditatione progre- 
diens in vastis aggeris irrepsit accensionem, e cuius flam- 
miferis ignibus plurimae hinc emicant favillae, quarum 


quac bene dispositam materiam attingerint, similia maio- 
raque flagrantia lumina poterunt excitare.* 


Al gran fuoco suscitato da quella piccola favilla si vennero 
in realtà consumando molte delle conclusioni cui era perve- 
nuto il Bruno a contatto « dei peripatetici, nella dottrina de 
quali egli era stato allievato e nodrito in gioventù ». Ai proce- 
dimenti deduttivi della scolastica Bruno finirà per opporre 
energicamente un processo di graduale avvicinamento, me- 
diante l’esercizio della immaginazione e della memoria, al 
piano della conoscenza razionale; al rigido concatenarsi delle 
ragioni opporrà la fuggevolezza delle immagini; alla ridu- 
zione dell’intera conoscenza sul piano dell’intelletto contrap- 
porrà la radicale diversità del piano del senso: 


Stupidi est dicursus velle sensibilia ad candem conditio- 
nem cognitionis revocare, in qua ratiocinabilia et intelli- 
gibilta cernuntur. Sensibilia quippe vera sunt non iuxta 
communem aliquam et universalem mensuram, sed iuxta 
homogeneam, particularem, propriam, mutabilem atque 
variabilem mensuram. De sensibilibus ergo, qua sensibilia 
sunt, universaliter velle definire, in aequo est atque de 
intelligibilibus vice versa sensibiliter. 


L'impiego delle immagini, il gusto bruniano per la rap- 
presentazione mediante emblemi e divise appare strettamente 
collegato a impostazioni di questo tipo, ma questo stesso gusto 
bruniano per il simbolo, per i geroglifici e i sigilli, per le 
idee incorporate in forme sensibili non può a sua volta, se 


® IoRpaNI Bruni NoLani, Opera latine conscripta, Napoli & Firenze, 
1886-91 (qui di seguito ‘indicate con la sigla Opp. Zaz.), II, 2, p. 130. 
Sul significato di questo passo, già segnalato dal Tocco, Le opere la- 
tine, cit., p. 37, nota 2, cfr. A. Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., 
p. 41; C. VasoLIi, Umanesimo e simbologia, cit., pp. 254, 277 e passim. 


112 CLAVIS UNIVERSALIS 


non arbitrariamente, esser disgiunto da quella grande co- 
struzione nella quale i temi derivanti dai testi del Ravennate 
e dagli altri esponenti della mnemotecnica ciceroniana anda- 
vano a intrecciarsi con quelli del lullismo, del simbolismo e 
dell’esemplarismo metafisico, si collegavano con i motivi più 
caratteristici della letteratura cabalistica, con gli ideali della 
pansofia, con l’eredità delle discussioni dialettico-retoriche 
dell’umanesimo, con le aspirazioni ad una radicale riforma 
religiosa. 

Mentre veniva inserita nel più vasto quadro del lullismo, 
l’intera tematica attinente all’ars reminiscendi veniva in tal 
modo spostata su un piano tipicamente metafisico. Da questo 
punto di vista l’atteggiamento bruniano finisce con l’apparire 
per molti rispetti simile a quello assunto dal Rosselli e dai 
cinquecenteschi costruttori dei teatri del mondo: l’arte non 
è una tecnica legata alle limitate finalità del discorso retorico, 
ma è, sopra ogni altra cosa, lo strumento di cui servirsi per 
dar luogo ad un edificio le cui strutture costituiscano l’esatto 
rispecchiamento delle strutture della realtà. Le regole della 
memoria, così come le tecniche combinatorie, traggono il loro 
fondamento e trovano la giustificazione della loro validità nel 
postulato, chiaramente ammesso, di una piena e perfetta corri- 
spondenza tra i simboli e le res, tra le ombre e le idee, tra i 
sigilli e le ragioni che presiedono alle articolazioni del mondo 
reale. Su questo preciso terreno potevano in realtà trovare un 
punto di incontro quelle retoriche che si ponevano come lo 
specchio o il teatro del mondo (Camillo) e quelle riforme della 
macchina lulliana che avevano mantenuto ben saldo il postu- 
lato platonico-esemplaristico che era alla base del tentativo di 
Raimondo Lullo. A quelle retoriche e a questi commenti lul- 
liani appare assai vicino il Bruno quando concepisce l’intero 
meccanismo dell’arte come la traduzione, sul piano della 
sensibilità e dell’immaginazione, dei rapporti ideali che costi- 
tuiscono la trama dell’universo: mediante l’allusività delle 
immagini, le ombre e le « specie involute » sarà possibile impa- 
dronirsi (e altra strada non è data all'uomo) di quelle rela- 
zioni alle quali, più tardi, potrà pervenire un'indagine di tipo 
razionale. 

Questa impostazione, che è chiaramente legata a premesse 
esemplaristiche, non esclude affatto che in Bruno, come del 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 113 


resto già in Lullo e nei lullisti del secolo XVI, fossero presenti 
vivissimi interessi di tipo “pratico” per una riforma del sa- 
pere, per una funzione pedagogica dell’arte, per una educa- 
zione della memoria e delle capacità inventive, per una ra- 
pida cornunicazione e diffusione della nuova cultura, per la 
ricostruzione, al di là della frammentarietà delle singole scien- 
ze, di un sapere organico e unitario capace di porsi a fonda- 
mento di una enciclopedia o sistema totale. Non a caso la 
stessa riforma bruniana viene presentata come il progetto di 
realizzazione di un’arte mirabile capace di ampliare smisura- 
tamente le possibilità di dominio dell’uomo. Come tale essa fu 
accolta e valutata in quegli ambienti platonizzanti parigini 
nei quali, come ha mostrato la Yates,° gli interessi per il coper- 
nicanesimo e per la riforma ramista della logica, andavano 
strettamente congiunti a quelli per la cabala e per il lullismo. 
L'inserimento, operato da Bruno, delle tecniche “retoriche” 
della memoria entro la grande tradizione lullista non man- 
cherà del resto di esercitare un influsso duraturo, oltreché ne- 
gli ambienti francesi, anche in quelli inglesi, tedeschi e bocmi. 
Parigi, Londra, Praga, Wittenberg, Francoforte erano stati, 
abbiam visto, centri di diffusione del lullismo e dell’ars rem: 
niscendi; in questi ambienti si erano mossi Pietro da Ravenna 
e Bovillus, Wilson, Spangerbergius e Lavinheta.' 


* F. Yates, The French Academies, cit., pp. 77 - 94; 95 - 151; sul lullismo 
in Francia cfr. anche T. e J. CarrERAs Y ARtAU, Historia de la Filoso- 
fia Espaîola. Filosofia cristiana de los siglos XIII al XV, Madrid, 1943, 
II, pp. 207 ss.; A. RENAUDET, Préréforme et Humanisme à Paris pen- 
dant les premières guerres d' Italie, Paris, 1953, pp. 378 ss. 

® Già nel 1583 esce a Londra, dedicato al conte di Leicester, il De 
umbra rattonis et iudicii sive de artificiosa memoria quam publice 
profitetur vanitate, edito da T. Vautrollier, di Alexandre Dicson che 
si richiama al De Umbris bruniano. Al Dicson, che compare come per- 
sonaggio nell'opera De la causa principio et uno (cfr. G. Bruno, Dia- 
loghi italiani, a cura di G. Gentile e G. Aquilecchia, Firenze, 1958, 
p. 225 e passim) rispose polemicamente tale G.P., autore di un Anti- 
dicsonus cuiusdam Cantabrigiensis G. P. Accessit libellus in quo dilu- 
cide explicatur impia Dicsoni artificiosa memoria, London, 1584: nella 
dedica si fa riferimento a Metrodoro, Rosselli, Bruno e Dicson. Al 
Sigillus di Bruno fa riferimento anche THomas Watson, Compendium 
memoriae localis, pubblicato forse a Londra nel 1585. Da un punto di 
vista ramista polemizza contro l'ars memoriae il Perkins, Prophetica, 
sive de sacra et unica ratione concionandi, Cantabrigiae, 1952. La trad. 


114 CLAVIS UNIVERSALIS 


Dei tre scritti pubblicati a Parigi nel 1582, il De umbris 
idearum è, giustamente, il più noto. Il tentativo di « giustifi- 
care con precise ragioni metafisiche » gli clementi tecnici del- 
l’arte appare qui particolarmente evidente:* 1) l’ascesa del- 
l'animo dalle tenebre alla luce si compie mediante l’appren- 
sione delle ombre delle idee eterne: attraverso le ombre la 
verità viene in qualche modo svelandosi all’anima prigioniera 
del corpo; 2) le idee-ombre, nelle quali si rispecchia la trama 
dell’essere, si presentano sul piano della sensibilità e della im- 
maginazione, appaiono come fantasmi e come sigilli; 3) attra- 
verso la ritenzione artificiale delle « catene » o delle relazioni 
che intercorrono fra le ombre si potrà giungere a ricostruire, 
come per una graduale purificazione, i nessi che legano le 
idee per giungere infine, sul piano della ragione, alla com- 
prensione c al disvelamento di quell’unità che è sottesa alla 
confusa pluralità delle apparenze. Su queste tre tesi appare 
fondata da un lato la riforma bruniana della combinatoria, 
dall’altro il particolare uso bruniano delle regole per la me- 
moria che erano state teorizzate dalla tradizione ciceroniana. 
Come già era avvenuto nella Sintares del Gregoire e nell’Opus 
aureum del De Valeriis, il concetto dell’unità del sapere ap- 
pare immediatamente convertibile nell’altro, ad esso corrispon- 
dente, di una unità essenziale del cosmo: 


inglese apparve nel 1606. Il testo dello studente boemo Giovanni DE 
Nostiz, che ascoltò a Parigi le lezioni di mnemotecnica del Bruno, è 
andato perduto. In quest'opera i nomi di Aristotele, Lullo, Ramo c 
Bruno venivano avvicinati in modo significativo: Artificium  Aristo 
telico-Lullio-Rameum in quo per artem intelligendi Logicam, Artem 
agendi Practicam, Artis loquendi partem de inventione Topicam me- 
thodo et terminis Aristotelico-Rameis circulis modo lulliano inclusis 
via plura quam centies mille argumenta de quovis themate inveniendi 
cum usu conveniens ostenditur, ductu lo. a Nostitz, Jordani Bruni ge- 
nuini discipuli claboratum a Conrado Bergio, Bregae typis Sigfridianis, 
1615. Il titolo è stato conservato in J. L. BunEMANN, Catalogus MSSto- 
rum membranaceorum et chartaceorum item librorum ob inventa ty- 
pographia, Minden, 1732, pp. 117-18. L’avvertenza del Nostitz ai 
lettori è ripubblicata in D. W. Sincer, G. Bruno, cit., p. 410. Sull’au- 
tore, morto nel 1619, la cui biblioteca di famiglia fu conservata in- 
tatta a Praga fino al 1938, notizie a p. 4ll. 

* Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 272. 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 115 


Cum in rebus omnibus ordo sit atque connexio et unum 
sit universi entis corpus, unus ordo, una gubernatio, 
unum principium, unus finis, unum primum... illud ob- 
nixe nobis est intentandum, ut pro egregiis animi opera- 
tionibus naturae schalam ante oculos habentes, semper a 
motu et multitudine ad statum et unitatem per intrin- 
secas operationes tendere contendamus... Talem quidem 
progressum tunc te vere facere comperies et experieris, 
cum a confusa pluralitate ad distinctam unitatem per te 
fiat accessio; id enim non est universalia logica conflare, 
quae ex distinctis infimis speciebus, confusas medias, 
exque iis confusiores suprema captant. Sed quasi ex in- 
formibus partibus ct pluribus, formatum totum et unum 
aptare sibi... Ita cum de partibus et universi speciebus, 
nil sit seorsum positum et exemptum ab ordine (qui 
simplicissimus, perfectissimus et citra numerum est in 
prima mente) si alia aliis connectendo, ct pro ratione 
uniendo concipimus: quid est quod non possimus intelli- 
gere memorari ct agere? Unum est quod omnia definit. 
Unus est pulchritudinis splendor in omnibus. Unus e 
multitudine specierum fulgor emicat.? 


Nel momento stesso in cui procede ad una “riforma” 
della combinatoria lulliana, sostituendo trenta soggetti e pre- 
dicati ai nove teorizzati da Lullo e facendo cadere la distin- 
zione fra predicati assoluti e predicati relativi, Bruno fa am- 
pio ricorso alla tradizione ciceroniana modificandone la termi- 
nologia: ai luoghi della mnemotecnica corrispondono i su- 
biecta (soggetti primi); alle :mmagini corrispondono gli adiecta 
(soggetti secondi o prossimi). L’antichissimo paragone della 
mnemotecnica alla scrittura può in tal modo essere ripreso 
in senso diverso: « Scriptura enim habet subiectum primum 
chartam tamque locum; habet subiectum proximum minium 
et habet pro forma ipsos characterum tractus ».!° Accanto a 
questo paragone venerando, ritornava nei testi bruniani la 
maggior parte di quelle regole della memoria che abbiamo 
visto presenti nei testi del Quattrocento e del Cinquecento. 
Nei primi paragrafi dell’Ars memoriae si riaffacciano in tal 
modo le discussioni sull'arte e sulla natura, sull’ingegno pro- 
duttore di strumenti artificiali, sui rapporti fra il segno e l’og- 
getto significato, ricompaiono i richiami a Simonide e i pre- 


° Opp. lat., 11, 1, p. 47. 
1° Opp. lat., II, 1, p. 66. 


116 CLAVIS UNIVERSALIS 


cetti relativi alla modica grandezza, alla convenevole distanza, 
alla giusta luminosità dei luoghi. La stessa concezione bru- 
niana del luogo, che è apparsa al Tocco assai « più larga » di 
quella tradizionale, è in realtà anch'essa derivante da testi 
molto diffusi. L'idea di servirsi di « oggetti animati » per rap- 
presentare i luoghi, non è affatto nuova: è già presente in 
un testo di un secolo prima, il De omnibus ingentis augendae 
memoriae di Michele Alberto da Carrara.!! 

Anche nelle pagine del Canzus Circaeus, pubblicato a Pa- 
rigi nel 1582, sono facilmente rintracciabili, dietro il periodare 
contorto e il barocchismo delle immagini, temi ben noti. Nel 
secondo dialogo del Canzus (che fu ripubblicato con qualche 
modifica a Londra l’anno seguente con il titolo di Recens et 
completa ars reminiscendi), la materia già trattata nel De 
Umbris viene ripresentata con maggiore preoccupazione per 
una diffusione manualistica.'? Ponendosi come una tecnica 
capace di migliorare, mediante opportuni artifici, la naturale 
condizione dell’uomo, l’arte appare accessibile a chiunque. 
Fra i suoi meriti Bruno annovera, significativamente, proprio 
questa compiuta tecnicizzazione dell’arte: 


Intentio nostra est, divino annuente numine, artificiosam 
metodicamque prosequi viam: ad corrigendum defec- 
tum, roborandam infirmitatem, et sublevandam  virtu- 
tem memoriae naturalis: quatenus quilibet (dummodo 
sit rationis compos, et mediocris particeps iudicii) pro- 
ficere possit in ea, adeo ut nemo talis existentibus con- 
ditionibus, ab ademptione huius artis excludatur. Quod 
quidem ars non habet a seipsa, neque ex corum qui 
praecesserunt industria, a quorum inventionibus excitati, 
promoti sumus diuturnam cogitationem ad addendum, 


11 Cfr. qui alle pp. 34 - 35, e si veda inoltre il mio saggio La costruzio- 
ne delle immagini nei trattati di memoria artificiale del Rinascimento, 
in: Umanesimo e simbolismo, cit., pp. 161 - 168. Per le « regole» bru- 
niane sui luoghi cfr. Opp. Zat., II, I, pp. 69-71. Il giudizio del Tocco, 
Le opere latine, cit., p. 51 è stato ripreso da C. VasoLi, Umanesimo e 
simbologia, cit., p. 276. Per il testo del Carrara, già sopra cit., cfr.: 
« Guido pater meus ex animalibus cepit locos suos et corum ordine ex 
alphabeto deduxit... asinus, basiliscus, canis, draco... haec singula in 
quinque locos dividebat... Nam hunc ordinem ipsa natura porrexit 
neque confundi in eis cnumerandis ingenium potest... » 

12 Cfr. Tocco, Le opere latine, cit., pp. 63-66. Opp. lat., II, 2, pp. 
69 - 119. 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 117 


tum eis quac faciunt ad facilitatem negotii atque certi- 
tudinem, tum etiam ad brevitatemn.15 


Espressioni di questo tipo non devono trarre in inganno. 
Poche righe più avanti si riaffacciavano i temi, tipicamente 
ermetici, della necessità di un personale contatto fra il maestro 
e il discepolo e di una necessaria segretezza dell’arte : 


Hortatur enim Plato in Euthidemo ut res celeberrimae 
atque archanac habcantur a philosophis apud se et paucis 
atque dignis communicentur... Idem omnibus iis, in quo- 
rum manus ista devenerint, consulimus: ne abutantur 
gratia et dono eisdem elargito. Et considerent quod 
figuratum est in Prometheo qui cum deorum ignem 
hominibus exhibuisset, ipsorum incurrit indignationem.!4 


Assai più interessante di questi atteggiamenti che ripetono 
motivi diffusi, è il tentativo compiuto da Bruno di mante- 
nere la terminologia dell’arte ben distinta da quella in uso 
negli altri campi del sapere. Il termine subdiectum, chiarisce 
Bruno, ha qui un significato diverso da quello che al mede- 
simo termine viene attribuito in logica o in fisica. Esso viene 
qui assunto « secundum intentionem convenientem, quae tech- 
nica appellatur, utpote secundum intentionem artificialem ». 
Non è il soggetto delle predicazioni formali che, in logica, 
viene contrapposto al predicato, né quello della forma sostan- 
ziale detto le o materia prima. Non è il subiectum delle forme 
accidentali né di quelle artificiali che ineriscono ai corpi natu- 
rali: «sed est subiectum formarum phantasibilium apponibi- 
lium, et remobilium, vagantium et discurrentium ad libitum 
operantis phantasiae et cogitativae ». Allo stesso modo il ter- 
mine forma non è usato come sinonimo di idea, così come av- 
viene nella metafisica platonica; né come sinonimo di essenza, 
così come avviene in quella peripatetica; non indica, come 
nella fisica, la forma sostanziale o accidentale informante la 
materia; né, secondo l’accezione tecnica, indica una « inten- 
tionem artificialem additam rebus physicis ». L'universo di 
discorso del termine forma è, per Bruno, quello di una logica 
non razionale, ma fantastica: « Forma sumitur... secundum 


19 Opp. lat., II, I, p. 215. 
14 Opp. lat., II, 1, p. 216. 


118 CLAVIS UNIVERSALIS 


rationem logicam non quidem rationalem, sed phantasticam 
(quatenus nomen logices amplius accipitur) ».!° 
Quest'ampliamento della logica tradizionale, questa costru- 
zione di una logica fantastica è in realtà uno dei motivi essen- 
ziali del discorso bruniano. Chi, come il Tocco, ha netta- 
mente separato nella produzione bruniana le opere mnemo- 
tecniche da quelle lulliane contrapponendo il carattere « psi- 
cologico » delle prime al carattere « metafisico » delle se- 
conde *° ha distinto, in modo artificiale, ciò che in Bruno sj 
presenta organicamente connesso e ha finito per precludersi 
la via ad una effettiva comprensione degli elementi di “novità” 
presenti nella posizione bruniana. L'atteggiamento sostanzial- 
mente nuovo che Bruno assume nei confronti della tradizione 
della mnemotecnica retorica e dell’eredità del lullismo è deter- 
minato proprio dal tentativo di trovare un punto di conver- 
genza o un terreno comune (o, se si vuole, di operare una 
“sintesi”) fra due tecniche che erano nate da diverse esperienze 
e che avevano a lungo proceduto lungo due linee non conver- 
genti. In quanto seguace di Lullo, Bruno trasferisce all’interno 
dell’arte della memoria quelle esigenze metafisiche caratteri- 
stiche del lullismo: in quanto riformatore dell’ars remini- 
scendi, egli non esita a servirsi, accostandoli a quelli tradizio- 
nali, degli accorgimenti e delle regole teorizzati dai seguaci 
della combinatoria. Su queste basi egli conduce la sua pole- 
mica contro i suoi predecessori e su queste basi giunge a dif- 
ferenziare la sua dalle altre posizioni: 1) in primo luogo egli 
rifiuta quel rapporto di tipo convenzionale che i teorici del- 
l’ars memoriae avevano posto tra il luogo e l’immagine; con- 
tro questa posizione egli sostiene la necessità di una connes- 
sione reale (che può essere una associazione o un nesso di 
tipo logico) tra il subiectum c l’adiectum;'* 2) in secondo luo- 
go e sulla base di questa esigenza egli sostituisce ai tradizio- 
nali elenchi delle casalinghe immagini degli oggetti d'uso pre- 
senti nei testi quattrocenteschi, complicate immagini mitologi- 


15 Cfr. Opp. lat., II, 1, pp. 221, 222, 234. 

16 F. Tocco, Le opere latine, cit., p. 93. 

!? Opp. lat., Il, 1, p. 81: « Opus est non ita adiecta subiectis applicari, 
quasi ca casu et ut accidit proiiciantur... ita adcoque invicem conneva, 
ut nullo ab invicem discuti possint turbine ». 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 119 


che ed astrologiche (attinte alla tradizione ermetica) che gli 
offrono la possibilità di una rappresentazione visiva non solo 
del soggetto, ma anche dei rapporti intercorrenti tra il sog- 
getto centrale e tutti i caratteri e le nozioni che sono ad esso 
collegati secondo un ordine sistematico;!* 3) in terzo luogo 
egli concepisce le figure ruotanti teorizzate da Lullo come 
strumenti per la memoria artificiale; nelle diverse ruote pos- 
sono essere simbolizzate, mediante lettere alfabetiche latine 
greche ed ebraiche, tutti gli elementi costitutivi dell’arte.!° I 
centotrenta luoghi fondamentali ricavabili dalle varie combi- 
nazioni, mentre si presentano come essenziali in vista della 
piena realizzazione della memoria artificiale, indicano al tem- 
po stesso anche gli elementi presenti in un sistema qualunque 
di relazioni logiche. Tra logica e arte della memoria non si 
danno, per Bruno, differenze sostanziali. La logica memora- 
ziva che è al culmine delle sue aspirazioni ha una parentela 
assai stretta con la metafisica: «l’arte — egli scrive — è un 
certo abito dell’anima raziocinante che si distende da ciò che 
è il principio della vita del mondo al principio della vita di 
tutti i singolari ».?° 

Esaminando i testi dei grandi commentatori rinascimentali 
dell’Ars magna, abbiamo già rilevato come il problema di una 
tecnica memorativa, rispetto alla quale gli alberi le ruote le 
tavole si pongono come strumenti, si presentasse come costi- 
tutivo rispetto agli sviluppi della combinatoria. Si è d'altra 
parte sottolineato anche il fatto che quest'idea di una logica 
memorativa si presenta strettamente collegata a quella inter- 
pretazione enciclopedistica del lullismo che, facendo leva sul- 
l’immagine lulliana dell’albero, trasforma molti dei commenti 
lulliani in vere e proprie enciclopedie o tentativi di classifica- 
zione degli elementi che costituiscono il mondo reale e il 
mondo della cultura." Chi abbia presenti queste conclusioni 
non potrà certo meravigliarsi né dell’insistenza bruniana sugli 
aspetti mnemotecnici del lullismo, né dei suoi tentativi di de- 


18 Sull’ applicazione delle immagini zodiacali di Teucro Babilonico 
all'arte cfr. C. Vasori, Umanesimo e simbologia, cit., p. 281, 291. 
1° Cfr. Opp. lat., Il, 1, pp. 107 - 115. 

2° Opp. lat., II, 1, p. 56. 

2h qui alle pp. 51-61. 


120 CLAVIS UNIVERSALIS 


scrizione degli elementi costitutivi dell'universo mediante il 
riferimento ai nove subiecta dell’arte.” 

Alla luce di queste considerazioni non apparirà più soste- 
nibile neppure quella tesi del Tocco secondo la quale un’opera 
come il De progressu et lampade venatoria logicorum dell’ 87 
sarebbe « un compendio della topica aristotelica » affatto indi- 
pendente dai commenti all’arte lulliana.°? Il ricorso alle im- 
magini del campo, della torre, del cacciatore permette di colle- 
gare questa indagine sulla dialettica ai trattati sulla memoria, 
mentre l’esplicito riferimento alle figure consente un accosta- 
mento alla tematica del lullismo.?* Ma non si tratta solo di 
ragioni “interne”; in molti dei testi dell’enciclopedismo cin- 
quecentesco (si pensi per esempio allo scritto /2 RAetoricam 
Isagoge del 1515) il lullismo appare fortemente intrecciato ai 
temi della cosmologia e della retorica.?* Non a caso, anche 
Bruno fu fortemente interessato al problema di una “applica- 
zione” dell’arte alla retorica e alla fisica: nell’Artificium pe- 
rorandi (dettato a Wittenberg nell’ ’87 c pubblicato dallo Al- 
sted nel 1610) egli tenta una applicazione della mnemotecnica 
lulliana ai diversi tipi del discorso retorico, mentre nella Figu- 
ratio aristotelici physict auditu del 1586 avvia una traduzione 
in immagini dei concetti centrali della fisica aristotelica. Nei 
testi londinesi del 1583 le complesse immagini dei sigilli 
erano state assunte da Bruno a indicare non direttamente gli 
oggetti da ricordare, ma le regole stesse dell’arte. Ma più che 
su questi testi,°° peraltro molto significativi, gioverà qui sotto- 
lineare la valutazione del lullismo che è presente nel De lam- 
pade combinatoria del 1587: Agrippa non riuscì a penetrare 
(« aut prorsus non penetravit, aut non satis ») nel valore dimo- 
strativo della combinatoria e si servì dell’arte per celebrare 
se stesso piuttosto che i testi lulliani; più degni di considera- 
zione furono i tentativi di Lefèvre e di Bovillus; solo attraverso 
la riforma bruniana l’ars magna è giunta al suo pieno compi- 


22 Cfr. Opp. lat., Il, 2, pp. 12, 41-49. 

29 F. Tocco, Le opere latine, cit., p. 15. 

24 Cfr. Opp. lat., Il, 3, pp. 12-13. 

25 Cfr. qui alle pp. 53-55. 

Si vedano le considerazioni del Vasoti, Umanesimo e simbologia, 
cit.,, p. 293 ss. 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 121 


mento ed è pervenuta al più alto grado possibile di perfezione: 
« artem hanc a Raymundo Lullo adinventam ita complevimus 
ut ab omni contemptibilitatis praetextu vindicavimus... ut om- 
nino impossibile sit ei aliquid amplius adiicere ».°” In questo 
rapido quadro assume un rilievo tutto particolare il richiamo 
a quella comune fonte dalla quale derivarono la metafisica 
teologica di Scoto Eriugena, l’arte lulliana, i misteri di Cusano, 
la medicina di Paracelso: 


Hic super illius adinventionem excolendam claboravi- 
mus, cuius genium summi philosophorum principes ha- 
biti admirantur, persequuntur, imitantur; unde  Scoti- 
gena thcologicam metaphysicam, vel metaphysicam (quam 
scholasticam appellant) theologiam, cum subtilibus aliis 
extrassisse constat; a quo admirandum illud  vestratis 
Cusani quanto profundius atque divinius, tanto paucio- 
ribus pervium minusque notum ingenium, mysteriorum, 
quac in multiplici suac doctrinae torrente delitescunt, 
fontes hausisse fatetur; a quo novus ille medicorum 
princeps. Paracelsus...?* 


Le ragioni di questi accostamenti apparvero già chiare al 
Tocco: l’opera di Lullo fu valutata dal Bruno come una 
delle principali espressioni di quel neoplatonismo che, muo- 
vendo dalla identità di ideale e reale, ritiene di poter proce- 
dere ad una costruzione della realtà mediante la determina- 
zione del movimento delle idee. Mentre si configurava come 
un rifiuto della logica tradizionale e andava sostituendo le 
immagini ai termini e la topica all’analitica, l’arte bruniana 
si muoveva su un terreno ben diverso da quello delle indagini 
dialettiche, rifiutava ogni identificazione con una tecnica lin- 
guistica o retorica, intendeva aprire possibilità di prodigiose 
avventure e di costruzioni totali: « Quaedam vero adeo arti 
videntur appropriata, ut in eisdem videatur naturalibus om- 
nino suffragari: haec sunt Signa, Notae, Characteres et Sy- 
Gilli: in quibus tantum potest ut videatur agere praeter natu- 
ram, supra naturam, et, si negotium requirat, contra natu- 
ram ».°° Il fine dell’arte non consiste semplicemente in un raf- 
forzamento della memoria o in un potenziamento delle fa- 


Opp. lat., 11, 2, pp. 327, 235. 
Opp. lat., II, 2, p. 234. 
Opp. lat., II, 1, p. 62. 


W n US] 
» 


(2) 


122 CLAVIS UNIVERSALIS 


coltà intellettuali: essa «ad multarum facultatum inventio- 
nem, viam aperit et introducit ». Non a caso nei testi più signi- 
ficativi della magia bruniana troviamo ancora presente il ricor- 
so ai sigilli, ai segni, alle figure che vengono avvicinati ai gesti 
e alle cerimonie come elementi costitutivi ed essenziali di 
quel linguaggio mistico-rituale che, solo, può aprire la strada 
a colloqui divini: «cum certo numinum genere non nisi per 
definita quaedam signa, sigilla, figuras, characteres, gestus ct 
alias cerimonias, nulla potest esse participatio ».°° Nella conce- 
zione bruniana della magia come forza ministra e dominatrice 
della natura, capace di intendere le segrete corrispondenze fra 
le cose e di cogliere le formule ultime della realtà, in opere 
come il De Magra, le Theses de Magia, il De Magia mathe- 
matica trovavano davvero la loro risoluzione i problemi dibat- 
tuti nelle opere mnemotecniche e lulliane.?! L'immagine di un 
universo unitario che va interpretato e decifrato mediante i 
simboli giungeva qui, come già nel Sygil/us, al suo pieno 
compimento: 


Una lux illuminat omnia, una vita vivificat omnia... 
Atque altius conscendentibus non solum conspicua erit 
una omnium vita, unum in omnibus lumen, una boni- 
tas, et quod omnes sensus sunt unus sensus, omnes no- 
titiac sunt una notitia, sed et quod omnia tandem, utpote 
notitia, sensus, lumen, vita sunt una essentia, una virtus 
et una operatio."? 


Alla comprensione della magia bruniana, del grandioso 
tentativo del Nolano di dar luogo ad un'arte capace di av- 
vicinare gli uomini ponendosi come strumento essenziale ad 
una riforma delle religioni, potrebbe giovare non poco un 
esame, analiticamente condotto, dei rapporti fra il Bruno lul- 
liano e mnemotecnico e quello, più noto, delle opere mag- 
giori. Da un tale esame potrebbero forse derivare anche con- 
tributi non trascurabili ad una comprensione della lingua e 
dello stile bruniani. Nel ritmo convulso della sua prosa ita- 
liana sarebbe difficile continuare a vedere (come vuole uno 
storico insigne della letteratura) un «affidarsi all’istinto e al- 


30 Opp. lat., HI, pp. 412-13 (De Magia). 

* Cfr. C. Vasoti, Umanesimo e simbologia, cit., p. 303. Opp. lat., III, 
pp. 393-454; 455-91; 494-506. 

32 Opp. lat., II, 2, p. 179. 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 123 


l'abbondanza della vena ». Il compito delle immagini, poste 
accanto ad un soggetto, è quello di « presentare, effigiare, de- 
notare, indicare, per esprimere e significare a somiglianza 
della pittura e della scrittura ». La molteplicità delle imma- 
gini deve indicare ed esaurire i significati, impliciti ed espliciti, 
contenuti nelle idee centrali e costituire con esse una inscindi- 
bile unità. Dietro il continuo ritorno delle immagini, l’ab- 
bondanza delle ripetizioni, il succedersi dei simboli che in- 
tendono raffigurare sensibilmente i concetti stavano in realtà 
anche precise convinzioni di natura “filosofica”: « philosophi 
sunt quodammodo pictores atque poetae, poetae pictores et 
philosophi, pictores philosophi et poetae, mutuoque veri poe- 
tae, veri pictores et veri philosophi se diligunt et admirantur; 
non est enim philosophus nisi qui fingit ct pingit... ».!° 


Zi COMBINATORIA, ARS MEMORATIVA E MAGIA NATURALE NEL SE- 


coro XVII. 


Esaminando le enciclopedie e i teatri universali della se- 
conda metà del Cinquecento, considerando i testi bruniani, 
abbiam visto che l’ars memorativa di derivazione ‘cicero- 
niana”, mentre si congiungeva con l’eredità della tradizione 
lullista, si collegava anche strettamente ai temi di una metafi- 
sica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, agli 
ideali della magia e dell'astrologia, al gusto per le immagini, 
i simboli, le cifre, le imprese e le allegorie. La ricerca di una 
«chiave universale » capace di decifrare «l’alfabeto del mon- 
do » e di individuare la trama costitutiva della realtà, l’aspi- 
razione ad un teatro enciclopedico che fosse lo « specchio » fe- 
dele della realtà, avevano piegato ad esigenze nuove e a 
fini diversi da quelli originari le tecniche della memoria arti- 
ficiale. Inseriti nel discorso, pieno di toni iniziatici, di una 
magia rinnovata, gli accorgimenti per la costruzione di un'arte 
memorativa avevano finito per perdere ogni contatto con il 
terreno delle scienze mondane della dialettica, della retorica, 
«della medicina e per apparire miracolosi strumenti per il rag- 
giungimento del sapere totale o della pansofia. 

Su questo terreno si mossero, nella prima metà del secolo 


24 Cfr. Corsano, // pensiero di G. Bruno, cit., p. 97. 


124 CLAVIS UNIVERSALIS 


XVII, non pochi fra i sostenitori e i seguaci delle arti mnemo- 
niche e del lullismo. Fra il 1617 e il 1619, negli anni stessi che 
vedevano il giovane Cartesio interessato al lullismo e alle arti 
della memoria, vedevano la luce a Lione le opere di Johannes 
Paepp. Una di queste, lo Schenkelius detectus seu memoria 
artificialis hactenus occultata era un ampio commento dell’Ars 
memoriae dello Schenkel, un testo ben noto a Cartesio. Negli 
Artificiosae memoriae fundamenta e nella Introductio facilis 
in praxin artificiosae memoriae, il Paepp si soffermava ad illu- 
strare a lungo le dottrine aristoteliche ciceroniane e tomiste 
sulla memoria, ma mostrava di aver subìto anche le influenze 
del lullismo e dei suoi esponenti più significativi, dal Bruno 
allo Alsted.** Proprio sulle tracce di quest'ultimo, in aspra 
polemica con i denigratori dell’arte, egli sosteneva la oppor- 
tunità di una stretta connessione della logica con la mnemo- 
tecnica: mentre la prima appare necessaria ad alcune arti e 
discipline, la seconda è indispensabile ad ogni forma di sa- 
pere.?® Mentre sottolineava la funzione mnemonica dei circoli 
lulliani °° e dettava accorgimenti per decifrare i testi dell’ars 
notoria, il Paepp eliminava non a caso ogni distinzione tra 
“ciceroniani” e “lullisti” collocando in uno stesso elenco, tra 


94 Jon. Paerr, Arzificiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, Cicc- 
rone, Thoma Aquinate, altisque praestantissimis doctoribus petita, fi- 
guris, interrogationibus ac responsionibus clarius quam unquam ante- 
hac demonstrata, Lugduni, apud Bartholomeum Vincentium, 1619; 
Eisagoge, seu introductio facilis in praxin artifiosae memoriae, ibidem, 
1619; Schenkelius detectus, seu memoria artificialis hactenus occultata, 
ibidem, 1617 (copie usate: rispettivamente Triv. Mor. L. 430; 430 (2); 
M. 17). 

95 «Sed miror cur cidem (i negatori dell’arte) non et logicam artifi- 
cialem nigro calculo notent. Ut enim logica artificiosa intellectui rerum 
cognitionem secutius venatur, sic artificiosa memoria acquisitam ac 
comparatam cognitionem tenacius conservat ac tuetur naturali; quare 
Alstedius non minus hanc ad omnes artes et disciplinas, quam istam 
ad nonnullas necessariam probat » (Artificiosae memoriae fundamenta, 
cit., p. 10). 

26 Sulla funzione dei «circoli » cfr. gli Artificiosae memoriae funda- 
menta, cit., pp. 13, 49, 52; sulla scrittura segreta da impiegare nell’ in- 
segnamento dell’ arte cfr. p. 99-02, dove vengono dettate due regole 
fondamentali: « 1) Legendum more hebraico, puta ordine retrogrado; 
2) Alpha et omega sunt otiosa id est primae et ultimae literae non 
habetur ratio » osras significa ars; codrot ordo, bogamir imago ecc ». 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 125 


i fondatori e i teorici dell’arte, Quintiliano e Cicerone, Lullo 
e Gratarolo, Pietro da Ravenna e Romberch, Rosselli e Gior- 
dano Bruno, Schenkelius e Alsted.?* Non poche delle sue pa- 
gine appaiono dedicate a discutere le posizioni bruniane e, 
come già Bruno, anch'egli si richiama alle immagini degli dèi 
antichi e dell’astrologia trasformando la sua trattazione in 
una elencazione di temi iconografici (« Saturnus, homo senex, 
pannosus, capite aperto, altera manu falcem, altera vero nescio 
quid panno involutum gestans... Iupiter apud veteres effin- 
gebatur sedens, in inferioribus partibus nudus... »).°* Più 
volte, negli scritti del Paepp, ritornano dettagliate narrazioni 
e minuziosi resoconti di miracolosi fenomeni di capacità mne- 
moniche.?® Più che a una discussione dei temi attinenti alla 
retorica o alla enciclopedia, il Paepp è fortemente interessato 
alla descrizione dei mirabili risultati cui si può pervenire con 
l’aiuto dell’arte. Le tecniche della combinatoria e dell’ars 
reminiscendi venivano qui utilizzate su un piano che presenta 
non pochi punti di contatto con quello della magia e dell’oc- 
cultismo: mediante l’arte è possibile trasformare rapidamente 
un fanciullo in un sapiente, entrare in possesso di prodigiose 
virtù, giungere a suscitare la stupefatta amimrazione dei dotti 
e dei reggitori della cosa pubblica. 

Già in Bruno, abbiamo visto, la tematica del lullismo e 
dell’ars reminiscendi era apparsa strettamente connessa alle 
aspirazioni e agli ideali della magia. L’ars inveniendi e l’arte 
memorativa si configuravano spesso come progetti di fonda- 
zione di un’arte mirabile capace di condurre entro i segreti 
della natura e di decifrare la scrittura dell’universo. Non si 
trattava solo di ampliare, mediante l’arte, le capacità mnemo- 
niche: la tecnica lulliana si pone in Bruno come ricerca e 
definizione dei ritmi della natura; il riferimento ai subiecta 
dell’arte consente di determinare contemporaneamente i prin- 


2? Cfr. Eisagoge seu introductio, cit., p. |. 

°* Per i rapporti del Paepp con il Bruno cfr. N. Bapatoni, Appunti 
intorno alla fama del Bruno nei secoli XVII e XVIII, in « Società », 
XIV, 1953, n. 3, p. 517-518. Per l’uso delle immagini degli dèi anti- 
chi in Paepp cfr. gli Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 86, 
89 (ma cfr. alle pp. 86 - 113). 

°° Cfr. Artificiosae memoriae fundamenta, cit., pp. 55-56 e soprattutto 
Schenkelius detectus, cit., pp. 31-39. 


126 CLAVIS UNIVERSALIS 


cipi del discorso e gli elementi costitutivi della realtà. All'arte 
bruniana della memoria, in quanto prodotto magico o arte 
segreta capace di ampliare smisuratamente le possibilità uma- 
ne, si interessarono com'è noto Pio V, Enrico III, Giovanni 
Mocenigo. Un discorso certo molto diverso, ma non in tutto 
dissimile converrebbe fare per Campanella che amò anch'egli 
presentarsi come dotato di miracolose facoltà: al cardinale 
Odoardo Farnese egli assicurava di poter insegnare filosofia 
naturale e morale, logica, retorica, poetica, politica, astrologia 
e medicina con un metodo speciale che avrebbe consentito di 
realizzare in un anno maggiori risultati di quelli ordinaria- 
mente conseguibili con dieci anni di normale insegnamento. 
Questo stesso concetto e la stessa insistenza sulla possibilità di 
una straordinaria « facilità » di apprendimento, ritroviamo 
nelle pagine della Città del Sole. Prima di dieci anni, i fan- 
ciulli della città solare apprendono «senza fastidio » tutte le 
scienze servendosi di quella gigantesca enciclopedia che risulta 
dalle immagini dipinte sulle pareti delle sei muraglie.'° Questo 
ricorso all’immagini come elemento essenziale ha, in Cam- 
panella, un significato non trascurabile: all’enciclopedismo 
lullista, fondato sui termini e sui procedimenti logico-mate- 
matici, egli ne contrappone un altro fondato sulle immagini 
sensibili delle cose. Nel perduto De investigatione rerum, 
composto fra il 1587 e il ’91, Campanella aveva fatto riferi- 
mento ad una dialettica ex solo sensu che classificava gli og- 
getti del senso in nove categorie « ut quilibet de quacumque 
re non per vocabula tantum, ut Raymondo Lullio mos est, 
sed per sensibilia obiecta ratiocinari posset ». A questa stessa 
esigenza di un sapere non verbale, fondato sul senso e sulle 
cose, rispondono del resto le osservazioni, svolte nel De sensu 
rerum et magia del 1620,** sulla memoria come « senso anti- 
cipato », le sue critiche alle tesi della medicina peripatetica, la 
sua affermazione che sia possibile operare sulla memoria con 
i ritrovati della medicina, la identità, più volte affermata, di 


4° Per l’enciclopedia dipinta sulle muraglie e per la facilità dell’ ap- 
prendimento delle scienze cfr. La città del sole, in Scritti scelti di G. 
Bruno e di T. Campanella, a cura di L. Firpo, Torino, 1949, pp. 412- 
415, 419. 


4! Del senso delle cose e della magia, Bari, 1925, pp. 98- 100. 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 127 


memoria e imaginativa. Si comprenderà anche, tenendo pre- 
senti queste considerazioni, come egli potesse guardare con 
simpatia alla « memoria locale » che fa larghissimo uso di 
immagini sensibili. Gli stessi risultati cui è pervenuta la mne- 
motecnica “citeroniana” appaiono in tal modo a Campanella 
una conferma della sua definizione della memoria come « sen- 
so indebolito »: « l’arte della memoria locale, al senso esposta 
in cose assai sensibili e note, ponendo le cose cognite per simi- 
glianza, mostra che la memoria sia senso indebolito che così 
si rinnova e fortifica ». 

Quell’arte della « memoria locale », alla quale faceva rife- 
rimento il Campanella, non mancò certo di cultori nel corso 
del secolo XVII: negli scritti di Filippo Gesualdo e di Gero- 
lamo Marafioto, di Johannes Austriacus e di Adam Bruxius, 
di Francesco Ravelli e dello Schenkel, di John Willis e di 
Velasquez de Azavedo,* ritornavano i temi e le regole della 


42 Cfr. JoannIs MarciRI, De memoria artifictosa, Francofurti, 1600 (Fir. 
Naz. 3.8.530); la Plutosofia del Reverendiss. Padre F. Filippo Ge- 
sualdo dei Minori Conventuali nella quale si spiega l’arte della me- 
moria, Vicenza, Heredi di Perin Libraro, 1600 (Triv. Mor. H. 65); 
F. GiroLamo Manarioro, Nova inventione et arte del ricordare per 
luoghi et imagini et figure poste nella mani, Venezia, 1605 (Triv. Mor. 
M. 68); la traduz. latina dell’opera del Marafioto: De arte remuni- 
scentiac per loca et imagines ac per notas et figuras in manibus post- 
tas fu pubblicata nel 1610 e inserita nella edizione (qui di seguito ci- 
tata) del Gazophylacium artis memoriae dello Schenkelius alle pp. 273 - 
338. Nella stessa edizione, alle pp. 183-272 è inserito il De memoria 
artificiosa libellus di Johannes Austriacus (Angelica, SS.1.24); fra i 
commentatori del De memoria dello Schenkel (pubblicata per la prima 
volta nel 1595) sono da segnalare gli scritti di Martin Sommer (Vene- 
zia, 1619) sotto il cui nome si nasconderebbe secondo il Morhof (Po- 
Iyhistor, I, p. 374) lo stesso Schenkel e l’Ars memoriae... in gratiam 
et usum inventutis explicata, Francofurti, typis N. Hoffmanni, 1617 
di Francesco Martino Ravelli (Ravelinus) (Par. Naz. Z. 58347). Più 
interessante è il Simonides redivivus sive ars memoriae et oblivionis... 
tabulis expressa... cui accessit Nomenclator mnemonicus, Lipsiae, im- 
pensis T. Schureri, 1610 di Adamus Bruxius (Par. Naz. Z. 7878 - 7879) 
poi ristampata nel 1640. Ad un anonimo professore di Lipsia si deve 
l'Ars memoriae localis plenius et luculentius exposita... cum applica 
tone ciusdem ad singulas disciplinas et faculates, Lipsia, 1620. Non 
sono riuscito a vedere questo testo né JoHANNES VELASQUEZ DE AZAVEDO, 
Fenix de Minerva y arte de memoria que ensena sin maestro a apren- 
der y retenir, Madrid, 1620 (il titolo riecheggia quello del Ravennate). 


128 CLAVIS UNIVERSALIS 


mnemotecnica “classica”, venivano commentate e discusse le 
opere sulla memoria di Aristotele, di Cicerone, di Quintiliano, 
di Tommaso, di Pietro da Ravenna, si tentavano combinazioni 
e sintesi tra la mnemotecnica ciceroniana e la combinatoria 
di Lullo, si costruivano teatri ed enciclopedie, sî escogitavano 
nuove, più complicate immagini, si conducevano discussioni 
sui segni, sui gesti e sui geroglifici. Più che questi testi, 
che contribuiscono a diffondere una tematica già largamen- 
te nota e ad alimentare discussioni da tempo iniziate, ap- 
paiono degni di considerazione altri scritti nei quali la ma- 
gia non costituisce soltanto — come per Bruno e per Cam- 
panella — lo sfondo culturale sul quale si collocano le arti 
della memoria, ma offre a queste una precisa giustificazione 
di ordine teorico. In questi scritti la connessione tra le tecniche 
magiche e quelle della memoria viene esplicitamente teoriz- 
zata e l’ars reminiscendi viene presentata come un prodotto 


di magia. Nella Magia naturalis di Wolfgang Hildebrand 


A Lipsia- Francoforte, nel 1678 vedeva infine la luce, con il titolo 
Variorum de arte memoriae tractatus selecti, una raccolta di scritti com- 
prendente le opere dello Schenkel, del Ravelli, del Paepp, dell'Au- 
striacus, del Marafioto, dello Spangerberg. Lo Schenkel, cui toccò in 
sorte di essere discusso brevemente da Cartesio, è figura particolar- 
mente interessante: fortunato insegnante c diffusore dell’arte  mne- 
monica in Francia, Italia e Germania (« artem hanc — scrive il Morho- 
fius, I, 374 — magno cum successu suo nec sine insigni suo lucro 
exercuit ») fu accusato dì stregoneria durante un suo soggiorno all’ Uni- 
versità di Lovanio, riuscendo poi ad ottencre protezione ed appoggio 
dalla facoltà teologica di Douai. La prima edizione della sua opera, 
poi spessissimo ristampata, è del 1695: De memoria liber secundus in 
quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai tre 
opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Span- 
gerberg l’opera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis me- 
moriace, Argentorati, Antonius Bertramus, 1610 (Angelica. SS. 1. 24). 
Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in 
calvinistam, Anteverpiae, 1589 ec una raccolta di Flores et sententiac in- 
signiores ex libris de Constantia Justi Lipsit, s.)., 1615 (Par. Naz. Yc. 
12326 e Z. 17739), è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- 
pendium der Mnemonik, con testo latino e trad. tedesca a cura di J. 
L. Kliber, Erlangen, J. J. Palm, 1804. All’insegnamento di quest'auto- 
re si richiama anche la curiosa enciclopedia di Aprian LE Cuiror, 
Le magazin des sciences, ou vrai art de mémoire découvert par Schen- 
Relius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, ]J. 
Quesnel, 1623 che amplia molto il testo originario (Par. Naz. Z. 11298). 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 129 


(1610) la creazione della memoria artificiale viene presentata 
come la applicazione dell’arte magica ad una particolare forma 
dell’operare umano.‘ 

Nella Regina scientiarum e nella Enciclopaedia Pierre Mo- 
restel insiste su temi largamente diffusi: la regina delle scienze, 
che è l’arte di Lullo, non verte su un oggetto particolare, ha 
caratteri tali di generalità c di certezza da presentarsi come 
totalmente autosufficiente, da essere in grado di consentire il 
pieno raggiungimento della verità in ogni ramo del sapere. 
All’arte mnemonica degli antichi, fondata sulla dottrina dei 
luoghi e delle immagini, Morestel contrappone, come nuova 
arte della memoria, la combinatoria lulliana. Nei suoi scritti 
la trattazione dei temi del lullismo e della mnemotecnica si 
collega con quella della filosofia occulta dei filosofi presocra- 
tici, con l'interpretazione delle favole antiche, con la tematica 
della cabala, con la ricerca di una chiave universale.*' Alla 


49 W. Hiupesranp, Magia naturalis, das ist, Kunst und Wunderbuch, 
darinne begriffen Wunderbaren Secreta,, Geheimniisse und KRunststi- 
che... Leipzig, 1610. 

44 Cfr. Pierre MoRESTEL, Enciclopaedia sive artificiosa ratio et via cir- 
cularis ad artem magnam R. Lullit per quam de omnibus disputatur 
habeturque cognitio, s.l., in collegio Salicetano, 1646 (Par. Naz. Z. 
19006); La philosophie occulte des devanciers d'Aristote et de Platon, 
en forme de dialogue, contenant presque tous les préceptes de la phi- 
losophie morale extraite des fables anciennes, Paris, T. Du Bray, 1607 
(Par. Naz. V. 21888); Les secrets de la nature... contenant presque tous 
les préceptes de la philosophie naturelle extraite des fables anciennes, 
Paris, R. de Beauvais, 1607 (Par. Naz. J. 25112); Artis kabbalisticae sive 
sapientiae divinae academia, Parisiis, apud M. Mondière, 1621 (Par. 
Naz. A. 7729); Regina omnium scientiarum qua duce ad omnes scien- 
tias et artes, qui literis delectantur facile conscendent, Tremoniae, apud 
Jodocum Kalcovium, 1664 (la prima ediz. è Rothomagi, 1632) (Casanat. 
M. XIX. 4). La definizione dell'arte di Lullo, presente in questi testi, 
è ricalcata secondo schemi convenzionali: « Ars R. Lullii non vul- 
garis, non trivialis, non circa unum aliquod obiectum occupata, sed 
ars omnium artium regina... Huius artis ea est excellentia praestan- 
taque, ea generalitas ac certitudo, ut, se sola sufficiente, nulla alia 
praesupposita... cum omni securitate et certitudine... de omni re sci- 
bili veritatem ac scientiam non difficulter invenire faciat ». Più inte- 
ressante è l’interpretazione della combinatoria come arte mnemonica: 
“ Artificium igitur memoriae, a veteribus traditum, locis constabat et 
Imaginibus; quidni igitur dabitur aliqua ars memoriae quae terminis 
constabit? Talis est ars Lullii, cuius termini generales patefaciunt adi- 


130 CLAVIS UNIVERSALIS 


medicina mnemonica di Gratarolo, e quindi alla tradizione 
dell’aristotelismo, si richiama invece l’anonimo autore di un 
Ars magica pubblicata a Francoforte nel 1631 che dedica alla 
memoria e alle immagini astrologiche impiegate per raffor- 
zarla, due capitoli del suo trattato. Nel Pentagonum philoso- 
phicum medicum, sive ars nova reminiscentiae (1639) di La- 
zare Meyssonnier, medico del re di Francia e corrispondente 
di Cartesio, cultore di medicina astrologica, di chiromanzia e 
di fisiognomica, ritornano i temi della medicina della memo- 
ria, del lullismo, della cabala. Nella Belle magie ou science 
de l’esprit egli presentava, in funzione della medicina magica, 
un « methode de conduire la raison » e una «logique natu- 
relle pour resoudre toutes sortes de questions ».'° Questa 
stessa esigenza di un metodo universale si accompagna, nei 
testi di medicina magica di Jean d’Aubry, alla affermazione 
di una scienza unitaria e suprema rispetto alla quale le parti- 


tum non solum ad inventiones plurimas... sed etiam maxime faciunt 
ad memoriam, cum sint quasi via artificiosa et methodica ad corri- 
gendum defectum, roborandam infirmitatem et sublevandam virtutem 
memoriac naturalis ». (Cfr. Regina scientiarum, cit., pp. 19, 318). 

45 Cfr. Lazare MryssonnIER, Penzagonum  philosophicim - medicum 
sive Ars nova reminiscentiae cum institutionibus philosophiac naturalis 
et medicinac sublimioris et secretioris... clave omnium arcanorum na- 
turaltum Macrocosmi et Microcosmi, Lugduni, J. ct P. Prost fratres, 
1639 (Par. Naz. 4. T. 19-20); La delle magie ou science de l'esprit 
contenant les fondemens des subtilitez ct de plus curicuses et secrètes 
connoitssances de ce temps, Lyon, chez Nicolas Caille, 1669, pp. 322, 
350 (Triv. Mor. M. 114). Delle suc competenze astrologiche ci dà testi- 
monianza lo stesso Mcyssonnier: « Apres avoir durant vingi-cinq ans 
cxaminé soigneusement les écrits et les observations de ceux qui ont 
traité de l'astronomie ct de l'astrologie, dressé ct jugé plus de deux 
mille figures de nativité, qu'on nomme vulgairement horoscopes... » 
Cfr. Aphorismes d'astrologie tirée de Ptolomée, Hermes, Cardan, 
Munfredus et plusieurs autres, traduit en frangois par A.C., Lyon, Mi- 
chel Duhan, 1657, p. 1 (Triv. Mor. M. 194). La teoria del conarinrm so- 
stenuta dal Meyssonnier nel Pentagonum e nella Belle magie dovrebbe 
essere studiata anche in vista di una comprensione dell'atteggiamen- 
to assunto da Descartes verso questo curioso personaggio. Per i con- 
tatti di Meyssonnier con Mersenne c Cartesio cfr. la lettera di Meys- 
sonnier a Mersenne del 25.1.1639 ricordata in Adam et Tannery, 
HI, p. 17, la prima lettera a Descartes è andata smarrita e così pure 
la risposta alla lettera cartesiana del 29.1.1640 (Adam et T., III, 
p. 18); si vedano anche le lettere di Descartes a Mersenne del 29. |. 
1640, del 1.4. 1640 e del 30. 7. 1640 (Adam cet T., III, pp. 15, 47, 120). 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 131 


colari scienze hanno carattere di apparenza. Mentre traccia 
le linee di una grande enciclopedia, egli insiste energicamente 
sulla sostanziale unità del sapere e sulla artificialità di ogni 
separazione tra le singole discipline : 

« Dans les trois premiers chapitres tu y verras toutes les 
connoissances du monde et un ordre de toutes choses.... Et tu 
apprendras aussi dans le troisième chapitre qu'il n'y a qu’une 
seule science parce qu'il n’y en a qu’une seule laquelle donne 
reponse sans user d’aucune espece de divination.... La science... 
laquelle me donne des resolutions et reponses infaillibles de 
toutes choses, comme estant la règle de toute verité ».*° 

Anche nei testi di Robert Fludd, che è il più noto e signi- 
ficativo esponente dell’ermetismo e del simbolismo cabalistico 
del Seicento, troviamo un’ampia trattazione, del resto con- 
dotta secondo canoni assai convenzionali, dell’arte memora- 
tiva.!” 


15 Cfr. Jean D’AuBry, Le triomphe de l'archée et la merveille du mon- 
de, ou la medicine universelle ct veritable pour toutes sortes de mala- 
dies les plus desesperées... Etablie par raisons necessatres et demonstra- 
tions infaillibles, A Paris, chez l’auteur, 1661, avvertimento al pubbli- 
co, pp. non numerate (Vatic. Racc. Gen. Medicina, IV. 1347). In que- 
sta ediz. francese, che segue a quella latina del 1660 — Triumphus ar- 
chei et mundi miraculun sive medicina universalis, Francofurti, 1660 
(Braid. A. XIII. 2388) — è compresa, in appendice, la Apologie contre 
certatns docteurs en médicine... respondant à leurs calomnies que l'au- 
theur a guéry par art magique beaucoup de maladies incurables et aban- 
donces, già pubblicata a Parigi nel 1638. Fra gli scritti più particolar- 
mente dedicati a Lullo si veda la traduzione della Blanquerna (Le 
Triomphe de l'amour et l’eschelle de la gloire, ou la médicine univer- 
selle des ames, ou Blanquerne de l'amy et de l'aimé, Paris, s.d. Par. 
Naz. R. 6217), l' Abregé de l'ordre admirable des connoissances et des 
beaux secrets de saint Raymond Lulle martyr, s. d. (Par. Naz. To. 131. 
113) e Le firmament de la vérité contenani le nombre de cent démons- 
trations... qui preuvent que tous les prestres... abbés, commandataires, 
prédicateurs et bernabites doivent étre damnés éternellement s'ils ne 
vont prescher l’ Evangile aux Turcs, Arabes, Mores, Perses, Musulmans 
et Mahométans, Grenoble, J. de la Fournaise, 1642 (Par. Naz. D. 2. 
5652). Ma si vedano a pp. 155-61 della Apologie (ediz. 1661, cit.) le 
otto ragioni, elencate dal d’Aubry, per le quali i libri di Lullo « doi- 
vent estre receus de mesme que ceux d'un Père de l’Eglise ». 

4° R. FLupp, Tomus secundus de supernaturali, naturali, praeterna- 
turali et contranaturali Microcosmi historia, Oppenheimi, typis Hie- 
ronimi Galleri, 1619, pp. 47-70. 


132 CLAVIS UNIVERSALIS 


9 In piena atmosfera magica ed ermetica ci riporta anche il 
Traicté de la memoire artificielle pubblicato a Lione, nel 1654, 
da Jean Belot e inserito, a guisa di appendice, nelle Fami:- 
lières instructions pour apprendre les sciences de Chiromancie 
et Phystonomie.** L° intera combinatoria lulliana viene iden- 
tificata dal Belot con una «memoria artificiale »j mediante 
la miracolosa invenzione di Raimondo, « homme d’exquise 
erudition », è possibile abbreviare in modo prodigioso il cam- 
mino della scienza e sostituire al lavoro di un’intera vita il 
rapido apprendimento dei princìpi fondamentali e costitutivi 

i ogni ramo del sapere. Per svelare l’essenza dell’arte, che 
Lullo volutamente nascose sotto una serie di enigmi, per su- 
perare le posizioni di Bruno, di Agrippa, di Alsted e di La- 
vinheta, per mettere l’arte alla portata di tutti («cet arte 
estoit necessaire à ceux qui font profession de faire sermons... 
ou quelque trafic de marchandise »), Belot propone di asso- 
ciare la combinatoria alla chiromanzia sostituendo alle figure 
della combinatoria e alle immagini della mnemotecnica cice- 
roniana, le figure e i termini in uso nell'arte chiromantica.** 
Nonostante le pretese di assoluta novità, le « ruote » delle quali 


18 Cfr. Les Oeuvres de Jean Belot... contenant la chiromance, phy- 
sionomie, l'art de mémoire de Raymond Lulle, traité des devinations, 
augures et songes, les sciences steganographiques paulines et almadelles 
et lullistes..., Lyon, chez Claude de la Rivière, 1654, pp. 329-345 
(Triv. Mor. L. 88). Oltre a questa edizione è da vedere l’altra di Rouen, 
chez Pierre Amiot, 1688 (Triv. Mor. L. 80) poi ristampata a Liegi 
nel 1704. Sulle arti « paulines et almadelles » si veda la nota di L 
THoRnpikE, A/fodhol and Almadel: hitherto unnoted books of magic 
in florentine manuscripts, in « Speculum », 1927, pp. 326 -31. Le opere 
del Belot, che si mostrò favorevole alla teoria copernicana e parlò, 
nel 1603, di rourbillons de matière, andrebbero esaminate più detta- 
gliatamente di quanto non abbia fatto il Thorndike (History of ma- 
gic and experimental science, VI, pp. 360-62; 507-10) anche perché 
in esse sono presenti evidenti tracce delle posizioni ramiste: cfr. per 
es. alle pp. 52, 56 dell'edizione del 1654 e alle pp. 62-63 e 67-68 
dell'edizione del 1688. A Bruno, come ad uno dei maggiori teorici del- 
l’arte, Belot si richiama più volte: cfr. Note bruniane, in « Rivista 
critica di storia della filosofia », 1959. 

4° Les oeuvres de ]can Bellot, ediz. 1654, cit., pp. 330, 331, 333-34. 
Per la connessione tra chiromanzia e arte mnemonica cfr. l’opera di 
G. MararioTo, qui sopra citata alla nota 42. 


LA LOGICA FANTASTICA DI GIORDANO BRUNO 133 


il Belot si serve appaiono ricavate dai commenti lulliani di 
Agrippa, mentre non mancano, in più punti, echi della trat- 
tazione bruniana. Proprio da Agrippa e da Bruno egli trae 
infatti la convinzione — in seguito sostenuta con maggior 
ampiezza nella RAetorigue — di una stretta connessione tra 
retorica-dialettica da un lato e lullismo ed arti segrete dal- 
l’altro. Il titolo del suo trattato è, da questo punto di vista, 
assai indicativo: « La rhetorique par laquelle on peut discourir 
de ce qui est propre en l’oraison et de disputable par dialecti- 
que, selon la subtilité de l’art lulliste et autres arts plus secrets 
qui sont icy compris par une seule legon necessaire en tout 
art ».5° Le finalità di una retorica e di una dialettica fondata 
sul lullismo e sulla tradizione magico-alchimistica vengono 
presentate, non a caso, come coincidenti con quelle che già 
furono proprie dell’antica sapienza ebraica e dei sostenitori 
della cabala: 


Ce que l’antiquité a recherché avec beaucoup de labeur 
toutesfois sans en avoir acquis la parfaite connoissance, 
je te le donne tout entier: c'est ce qu'ont voulu acquerir 
les Prophetes, Mages, Rabins, Cabalistes et Massorets, 
et depuis eux le docte H. C. Agrippa.5! 


Portando la retorica e la dialettica sul piano delle «arti 
segrete », mescolando la combinatoria alla cabala, all’astro- 
logia, alla medicina magica, facendo corrispondere alle cinque 
partizioni della retorica nuove partizioni attinte alla tradi- 
zione ermetica,°® Belot portava così all’esasperazione, intorno 
alla metà del Seicento, una tematica che aveva avuto le sue 
più fortunate espressioni nell’opera di Agrippa, di Bruno, di 
Giulio Camillo. I primi scritti del Belot risalgono al 1620: 


5° Cfr. Les oeuvres, cit., p. 1 della seconda parte. 

°l Les oeuvres, cit., prefazione. 

52 Les oeuvres, cit., p. 3 della seconda parte: « Pour les parties, elles 
regoivent toutes les cinq pour bonnes et utiles, mais il y en a cinq 
autres particulieres aussi: car pour la memoire, elle a l’Art notoire...; 
pour l’action ou pronunciation, l’art Paulin et pour les autres parties, 
a pour l’elocution l’art d’Almadel; pour la disposition la seconde par- 
tie de la Theurgie et pour l’invention l'art des revelations, que Tri- 
theme dit venir d’ Ophiel, esprit Mercurial ». 


134 CLAVIS UNIVERSALIS 


qualche anno prima Bacone e Cartesio avevano assunto un 
atteggiamento fortemente polemico contro questo tipo di let- 
teratura. Su un punto essi avevano concordemente insistito: 
su questo piano la combinatoria lulliana e le arti della me- 
moria si risolvevano nell’inutile costruzione di giochi stupe- 
facenti atti a ingannare il volgo anziché a far progredire le 
scienze. 


V. 


LA MEMORIA ARTIFICIALE E LA NUOVA LOGICA: 
RAMO, BACONE, CARTESIO 


1. Pierre DE LA RAMÉE: LA « MEMORIA » COME SEZIONE DELLA 
LOGICA. 


L’eredità delle discussioni quattrocentesche sull’ ars me- 
morativa non era stata tuttavia raccolta solo dagli esponenti 
della magia e dell’ermetismo del Cinquecento e del primo 
Seicento. Su un diverso terreno, quello di una rigorosa trat- 
tazione dei temi della dialettica e della retorica concepite come 
scienze mondane, in ambienti diversi, attenti alle dispute lo- 
giche, interessati agli sviluppi della matematica e della geo- 
metria, era andato maturando, fin dalla metà del secolo XVI, 
il tentativo ramista di inserire i problemi attinenti alla me- 
moria e le regole della mnemotecnica entro una più vasta ri- 
cerca concernente la riforma dei metodi di invenzione e di 
trasmissione del sapere. Il problema degli « aiuti della memo- 
ria » giungerà per questa via ad acquistare una singolare 
risonanza anche nei testi dedicati, nella prima metà del se- 
colo XVII, ed una riforma del metodo: Bacone vedrà nella 
ministratio ad memoriam un elemento costitutivo del nuovo 
metodo delle scienze; Cartesio parlerà, a proposito della enu- 
merazione, di un movimento continuo del pensiero che ha lo 
scopo di recar soccorso alla naturale infermità della memoria. 

Più che in Francia, dove pure vedono la luce nella prima 
metà del Cinquecento non pochi testi di ars memoraziva, la 
tradizione ciceroniana che si ispirava in tutta Europa all'opera 
di Pietro da Ravenna, aveva trovato in Italia, come abbiamo 
visto, i suoi più fortunati e clamorosi sviluppi. Per quanto 
riguarda la Francia è dunque il caso di insistere — trascu- 
rando testi come la Memoria artificialis del Campanus e 
l’Ars memorativa del Leporeus (Parigi, 1515 e 1520)* che si 


Non ho visto l'opera del Campanus delle cui caratteristiche discorre 
il Morhofius; dell’Ars  memorativa Guglielmi Leporei Avallonensis 
ho visto l'edizione parigina del 1520, in Chalcographia Iodoci Badii 
Ascensii (Triv. Mor. H. 416). 


136 CLAVIS UNIVERSALIS 


limitano a riecheggiare stancamente l’opera del Ravennate — 
sulla posizione assunta, di fronte al problema dell’ars me- 
moriae dal maggior esponente degli studi logici e retorici di 
questo periodo della cultura francese. Invece di teorizzare 
l’arte mnemonica come una tecnica autonoma, costruita in 
vista di fini pratici ben determinati e indipendente dagli svi- 
luppi della retorica e della logica, Pietro Ramo? si preoccupa 
proprio dei rapporti che intercorrono fra la « memoria » da 
un lato e la dialettica e la retorica dall’altro. La sua opera di 
riformatore intende dar luogo a questo risultato: staccare de- 
cisamente la memoria dalla retorica, alla quale una secolare 
tradizione la aveva assegnata, e servirsene come di uno degli 
elementi costitutivi della dialettica o della nuova logica. 
Ramo, com'è noto, amò presentare la sua riforma come un 
ritorno agli insegnamenti della filosofia classica, come una 
semplificazione e una chiarificazione di quell’insegnamento 
aristotelico che era stato a suo avviso corrotto dalla confu- 
sione terminologica degli scolastici e da quella tradizione reto- 
rica che fa capo agli scritti di Quintiliano. Il filosofo che, in 
una brillante esercitazione, aveva inteso mostrare la falsità di 
tutte le proposizioni aristoteliche, non esiterà poi a dichiarare 
in modo significativo: « Libros veterum conservemus et ad 
eos, cum fuerit opus, recurramus: philosophiamque ex eorum 
libris collectam puram veramque doceamus ».° Né esiterà a 
rintracciare, negli stessi testi aristotelici, i fondamenti delle 
sue proprie partizioni della dialettica (« Qui partitur logicam 
in inventionem et dispositionem, Aristoteli authore partitur »).* 


? Per qualche indicazione sulla bibliografia intorno a Ramo cfr. la 
mia rassegna Ramismo logica e retorica nei secoli XVI e XVII, in 
« Rivista critica di storia della filosofia », 1957, HI, pp. 359-61. Agli 
studi indicati in quella sede vanno aggiunti i seguenti: M. Dasson- 
viLLe, La genèse et les principes de la Dialectique de P. Ramus, in 
« Revue de l'Université d’Ottawa », 1953, pp. 322-55; La dialectique 
de P. Ramus, in « Revue de l’ Univ. de Laval », 1952-53, pp. 608 - 616; 
P. Dion, L'influence de Ramus aux universités néerlandaises du 
XVII siècle, in Actes du Xle Congr. Int. de Philosophie, Louvain, 
1953, XIV, pp. 307-11; R. Tuve, /Imagery and logic, Ramus and 
methaphysical poetics, in «Journal of the history of ideas», 1942, 
IV, pp. 365-400. 

® P. Ramus, Scholae in liberales artes, Basilea, 1569, pp. 157-158. 

1 Scholae in liberales artes, cit., p. 63. 


RAMO, BACONE, CARTESIO 137 


Ancora ad Aristotele, del resto, egli faceva risalire quella con- 
giunzione di filosofa ed eloquenza che verrà teorizzata in 
una celebre orazione del 1546: « Aristoteles intelligendi pru- 
dentiam cum dicendi copia coniunxit: et cum antea matutinis 
ambulationibus philosophiam solam doceret, pomeridianis 
etiam rhetoricam docere coepit ».* Per ricostruire nel suo vero 
significato il senso dell’insegnamento aristotelico, per portare 
alla luce le verità che nei testi aristotelici sono presenti, anche 
se solo accennate, è necessario, secondo Ramo, rifiutare ogni 
indebita commistione di grammatica dialettica e retorica: alla 
prima andranno riferiti solo i problemi attinenti alle etimo- 
logie, alla seconda soltanto l’arte dell’invenzione e quella del 
giudizio, mentre la terza dovrà limitarsi alla trattazione delle 
tecniche dello « stile » e del « porgere », alla capacità di ador- 
nare e trasmettere il materiale prodotto dalla ricerca dialettica. 

Nella storia della logica e in quella della retorica si è veri- 
ficato, per Ramo, un errore fondamentale che ha finito per 
snaturare profondamente il senso della prima e della seconda. 
Si è ammesso con Aristotele e si è poi sostenuto con Cicerone 
e con la Scolastica che fosse possibile costruire due diverse 
logiche valide l'una nel campo della scienza, l’altra nel regno 
dell'opinione e del discorso popolare, adatta la prima ai sa- 
pienti, la seconda al volgo. Proprio questa duplicità viene 
energicamente rifiutata da Ramo: la teoria della inventio e 
della dispositio è una sola, valida in ogni campo e in ogni tipo 
di discorso.® Aver creduto all’esistenza di due diverse logiche 
ha condotto a un’ibrida mescolanza di concetti e di termini 
affine a quella della quale si è reso responsabile Quintiliano 
quando, oltre a confondere dialettica e retorica, ha aggravato 
ulteriormente la situazione mescolando ai temi della retorica 
quelli propri dell’etica: 


Duae sunt universae et generales homini dotes a natura 
tributae: ratio et oratio; illius doctrina dialectica est, 
huius grammatica et rhetorica. Dialectica igitur gene- 


3 Cfr. la Oratio de studiis philosophiae et eloquentiae coniungendis 
Lutetiae habita anno 1546, riedita nelle Brutinae quaestiones in Ora- 
torem Ciceronis, Parisiis, apud Jacobum Bogardum, 1547, p. 45r. 
(Padova, Antoniana, T.V. 5). 

° Cfr. Dialectique, 1555, pp. 3-4. 


138 CLAVIS UNIVERSALIS 


rales humanac rationis vires in cogitandis et disponendis 
rebus persequatur; grammatica orationis puritatem in 
ctymologia ct sintaxi ad recte loquendum vel scribendum 
interpretetur. Rhetorica orationis ornatum tum in tropis 
et figuris, tum in actionis dignitate demonstret. Ab his 
deinde gencralibus et universis, velut instrumentis, aliae 
artes sunt ceffectae... Aristoteles summae confusionis au- 
thor fuit: inventionem rhetoricae partem primam facit, 
falso, ut antca docui, quia dialecticae propria est; sed 
tamen rhetoricae partem facit et eius multiplices artes 
primo artis universae loco conturbat in probationibus... 
Quintilianus concludit materiam Rhetorices esse res om- 
nes quae ad dicendum subiectac sunt... Dividitur rheto- 
rica in quinque partes: inventionem, dispositionem, cle- 
cutionem, memoriam ct actionem. In qua partitione nihil 
iam miror Quintiliamum dialectica tam nudum esse, 
qui dialecticam ipsam cum rhetorica hic confusum non 
potucrit agnoscere, cum dialecticae sunt inventio, disposi- 
tio, memoria; rhetorica tantum clocutio cet actio.? 


Sulla separazione della dialettica dalla retorica Ramo ebbe 
ad insistere instancabilmente; di fronte all’obiezione che il 
retore non potrà non servirsi degli argomenti elaborati in sede 
di dialettica rispondeva che la congiunzione dialettica-retorica, 
presente nei vari discorsi umani, non escludeva affatto, anzi 
esigeva, una distinzione ed una separazione precisa fra la 
teoria della dialettica e quella della retorica: 


Non potest... sine numeris Geometria, Musica, Astrologia 
consistere: an propterca hae artes numeros explicare et 
sune professioni subiicere debebunt. Usus artium, ut 
iam toties dici, copulatus est persacpe. Praecepta tamen 
confundenda non sunt, sed propriis et separatis studiis 
declaranda.8 


Le artes logicae comprendono dunque per Ramo la dialet- 
tica o logica e la retorica: la prima si articola nella inventio 
e dispositio, la seconda nella elocutio e nella pronuntiatio. 
Identificando, sulle traccie di Quintiliano e di Cicerone, la 
dispositio con il iudicium (il secondo libro della Dialectica, 


® Cfr. Rhetoricae distinctiones in Quintilianum, Parisiis, apud An- 
dream Wechelum, 1559, p. 18; Ciceronianus ct brutinae quaestiones, 
Basilea, Petrus Perna, 1577, p. 329; RAetoricae distinctiones, cit., p. 43, 
* Scholae in tres primas liberales artes, Francofurti, apud Andrcam 
Wechelum, 1581, p. 3I (Fir. Naz. V. 8.37). 


RAMO, BACONE, CARTESIO 139 


noto come la Secunda pars Rami, tratta appunto De iudicio 
et argumentis disponendis), Ramo fa rientrare nella tratta- 
zione della dispositio quelle parti della dialettica che si rife- 
riscono all’assioma o proposizione, al sillogismo e al metodo: 


Duae partes sunt artis logica: topica in inventione ar- 
gumentorum, id est mediorum principiorum elemento- 
rum, (sic cnim nominatur in Organo) et analitica in corum 
dispositione.... Dispositio est apta rerum inventarum collo- 
catio.... Atque haec pars est quae iudicium proprie nomi- 
natur, quia sillogismus de omnis iudicandis communis 
regula est.... Dialecticae artis partes duae sunt: inventio et 
dispositio. Posita enim quacstione in qua disserendum sit, 
probationes et argumenta quaerantur; deinde, iis via et 
ordine dispositis, quaestio ipsa explicatur.® 


In uno dei brani precedentemente citati il termine memoria 
è comparso, accanto a quelli di ‘nventio e dispositio come uno 
degli elementi costitutivi della dialettica (« cum dialecticae sunt 
inventio, dispositio, memoria; rhetoricae tantum elocutio et 
actio »). Proprio alla memoria spetta, secondo Ramo, un com- 
pito preciso: essa costituisce un indispensabile strumento per 
introdurre ordine nella conoscenza e nel discorso. Come tale 
essa non può essere omessa o trascurata: 


Dicis oratori tria esse videnda: quid dicat, quo quidque 
loco, et quomodo: primo membro inventionem, secundo 
collocationem, tertio elocutionem et actionem comprehen- 
dis. Memoria igitur ubi est? Communis est -ais - multa- 
rum artium, propterea omittitur. Enimvero, inquam, 
inventionem et dispositionem communes cum multis esse 
(ais), cur igitur haec recensentur, illa contemnitur? 1° 


Tenendo presente la funzione ordinatrice attribuita da Ramo 
alla memoria, appare molto significativa la identificazione so- 
stenuta da Ramo, della memoria (che nella tradizione era una 
delle cinque “grandi arti” costitutive della retorica) con la 
dottrina del giudizio appartenente alla dialettica o logica. 
Dispositio, iudicium, memoria diventano in tal modo, in molti 


° Animadversionum aristotelicarum libri XX, Parisiis, 1553-1560, 
vol. II, prefaz. ai libri IX-XX, p. 1; Institutionum dialecticarum libri 
tres, Parisiis, 1543, Il, pp. 2, 3, 77 (rispettivamente: Braid. B. XVIII. 
6. 248; Ambros. SN. UV. 41). 

1° Brutinae quaestiones, cit., p. 8v. 


140 CLAVIS UNIVERSALIS 


testi ramisti, termini intercambiabili, giacché al giudizio 
spetta appunto il compito di collocare o disporre le res inventas 
entro un ordine preciso e « razionale » : 


Dialectico inventionem, dispositionem, memoriam me- 
rito assignamus; clocutionem et actionem oratori relin- 
quamus... Iudicium definiamus doctrinam res inventas 
collocandi, et ca collocatione de re proposita iudicandi: 
quae certe doctrina itidem memoriae (si tamen cius esse 
disciplina ulla potest), verissima certissimaque doctrina 
est, ut una cademque sit institutio duarum maximarum 
animi virtutum: iudicii et memoriac... Rattonis duae par- 
tes sunt: ‘nventio consiliorum et argumentorum, eorum- 
que iudicium in dispositione... dispositionis umbra quae- 
dam est memoria... Tres itaque partes illae, inventio in- 
quam dispositio memoria, dialecticae artis sunto.!! 


Nonostante i dubbi avanzati da Ramo sulla possibilità di 
una disciplina della memoria come arte autonoma, anzi, pro- 
prio in forza di questi dubbi, la sua concezione del metodo 
come disposizione sistematica e ordinata delle nozioni ten- 
dente alla costituzione di un ordine unitario delle conoscenze 
appare in grado di assorbire molte di quelle « regole » che 
avevano trovato un’esplicita teorizzazione all’interno della 
mnemotecnica tradizionale. L’ assorbimento della memoria 
nella logica operato da Ramo, la identificazione da lui soste- 
nuta del problema del metodo con quello della memoria se- 
gnava l’atto di nascita di quella concezione del metodo come 
esercitante una funzione classificatoria nei confronti della 
realtà che avrà grandissima fortuna nel pensiero europeo dei 
secoli successivi. Questo tipo di considerazione, mentre anti- 
cipava l'atteggiamento che nella discussione di questi temi 
Bacone assumerà mezzo secolo più tardi, avvicinava non a 
caso la posizione di Ramo a quella di Melantone che negli 
Erotemata dialecticae aveva visto nel metodo un 


habitus videlicet scientia, seu ars, viam faciens certa ra- 
tione, id est, quae quasi per loca invia et obsita sensi- 
bus, per rerum confusionem, viam invenit et aperit, 
ct res, ad propositum pertinentes, eruit ac ordine promit.!? 


1) Scholae in tres primas liberales artes, cit., pp. 14-46; Dialecticac 
institutiones, cit., p. 19v. 

12 MELANTONE, Erotemata dialecticace, in Corpus reformatorum, XIII, 
c. 573. 


RAMO, BACONE, CARTESIO 14] 


Ad un sistematico ordinamento delle rotiones e degli ar- 
gumenta, ad una ordinata collocatio dei luoghi, alla costru- 
zione di enciclopedie intese come classificazioni totali degli 
elementi naturali e delle operazioni umane, alla creazione di 
una sopica universale avevano del resto mirato non pochi tra i 
più significativi testi della mnemotecnica ciceroniana e della 
tradizione lullista. Il fatto che un giovane studioso boemo, 
Giovanni de Nostiz, potesse pensare a una nuova logica fon- 
data sugli insegnamenti di Lullo, di Ramo e di Giordano 
Bruno può suonare conferma di questa fondamentale unità di 
impostazioni e di intenti. 

Per concludere: ciò che soprattutto è da sottolineare nella 
posizione di Ramo è il tentativo di inserire i problemi atti- 
nenti alla memoria in un discorso assai più vasto che non ri- 
guardava solo la elaborazione di una particolare tecnica utile 
agli oratori, agli avvocati, ai poeti, ma concerneva più delicate 
e complesse questioni attinenti al metodo e alla logica. Più 
che ai testi degli storici moderni della filosofia, che hanno a 
lungo equivocato sul significato della riforma ramista, gio- 
verà richiamarsi alla precisa affermazione di Omar Talon 
(Audomarus Talaeus), grande teorico della retorica cinque- 
centesca, discepolo devoto e collaboratore di Ramo: « quest’ul- 
timo — egli scriveva — ha ricondotto alla logica, alla quale 
propriamente appartengono, la teoria dell’inventio, della 
dispositto, della memoria ».'* E gioverà anche rileggere, a 
chiarire possibili equivoci, il preciso giudizio di Pierre Gas- 
sendi: 

Cum observasset enim quinque vulgo fieri partes Rhetori- 
cac, inventionem, dispositionem, elocutionem, memoriam 
et pronunciationem, censuit ex ipsis duas solum pertinere 
ad rhetoricam: clocutionem puta et pronunciationem seu 
actionem; duas artes esse proprias Logicac: inventionem 
puta et dispositionem, quibus, quia memoria iuvatur, 
posse illam eodem cum ipsis spectare. Quare et Logicam 
seu Dialecticam... in duas partes distribuit: inventionem 
et iudicium (sic enim potius dicere quam dispositionem 


maluit...) atque idcirco artem totam duobus libris com- 
plexus est.!4 


sa i È i . i 
Petri Rami professoris regi et Audomari Talaci collectaneae  pre- 
fationes, epistolae, orationes, Marburg, 1559, p. 15. 
14 Sa 
P. Gassenpi DiniensIis, Opera omnia in sex tomos divisa, Floren- 


tiae, 1727, vol. I. De logicae origine et varietate, cap. 9 Logica Rami, 
p. 52. 


142 CLAVIS UNIVERSALIS 


Della portata rivoluzionaria e delle gravi conseguenze che 
ebbe nella storia della logica una riforma dall'apparenza tanto 
inoffensiva ci si è cominciato a render conto solo in tempi 
molto recenti. In questa sede e in vista dei limitati fini che 
qui ci proponiamo, basterà notare quanto segue: l’atteggia- 
mento assunto da Ramo segna una svolta radicale; nella sua 
stessa direzione, quella di un assorbimento della dottrina degli 
aiuti della memoria entro i quadri più generali della logica e 
della dottrina del metodo, si muoveranno, sia pure con intenti 
estremamente diversi e talora addirittura divergenti, Bacone, 
Cartesio e, più tardi, Leibniz. 


2. Bacone E CARTESIO: LA POLEMICA CONTRO I GIOCOLIERI DELLA 
MEMORIA. 


Bacone pubblicò l’Advancement of Learning nel 1605, 
Novum Organum (la cui stesura era stata iniziata intorno 
al 1608) c il De augmentis scientiarum rispettivamente nel 1620 
e nel 1623. Le Cogitationes privatac di Cartesio risalgono al 
1619, le Regulae ad directione ingenit furono composte fra il 
1619 e il 1628, il Discorso sul metodo fu pubblicato nel 1637. 
Nello stesso trentennio il filosofo inglese e quello francese 
giungono, relativamente all’ars combinatoria e all’ars me- 
moriae, a conclusioni che presentano una concordanza sin- 
golare. 

Sia nelle pagine di Bacone, sia in quelle di Cartesio !* è 
rintracciabile la documentazione di una conoscenza diretta dei 
testi cinquecenteschi di arte memorativa. Bacone accenna più 
volte alle « raccolte di luoghi », alle « sintassi » che gli è avve- 
nuto di leggere, alla « memoria artificiale », fa esplicito rife- 
rimento alla « dottrina dei luoghi » c alla « collocazione delle 
immagini », alla «tipocosmia » di derivazione lulliana. Car- 
tesio, che è assai più parco di espliciti riferimenti e non ama 
le citazioni, accenna tuttavia alla sua lettura dell’Ars memo- 


15 Le citazioni dai testi di Bacone e di Cartesio rimandano rispettiva- 
mente a: Ocuvres de Descartes, ed. C. Adam et P. Tannery, Il voll., 
Parigi, 1897 - 1909; Tie Works of Francis Bacon, ed. by J. Spedding, 
R. L. Ellis, D. D. Heath, 7 voll, Londra, 1887-92 qui di seguito 
indicate con le abbreviazioni Oeuvres ec Works. 


RAMO, BACONE, CARTESIO 143 


rativa dello Schenkelius, ritorna più volte sull’ars memoriae, 
sulla funzione che esercitano le « immagini sensibili » in vista 
della rappresentazione dei concetti intellettuali, parla, secondo 
una tipica terminologia, di catena scientiarum, si interessa 
vivamente alle mirabili scoperte di un ignoto seguace di Lullo, 
si rivolge all'amico Beeckmann per aver notizie e chiarimenti 
sui testi lulliani di Agrippa, sul significato e sulle possibilità 
reali dell'Arte. Questi temi e questi interessi esercitarono, 
com’è noto, una notevole suggestione sul pensiero baconiano 
c su quello del giovane Cartesio. Ma c’è di più: alcuni ele- 
menti attinti alla tradizione dell’ars memiorativa e dell’ars com- 
binatoria ebbero ad agire in profondità all’interno della stessa 
formulazione, baconiana e cartesiana, di un nuovo metodo e 
di una nuova logica. 

Di questo più avanti. Ciò che qui interessa di porre in 
rilievo è il significato del rifiuto, che troviamo presente in 
Bacone e in Cartesio, verso quelle tecniche memorative che si 
erano ridotte a giochi intellettuali e si erano andate caricando 
di riferimenti a quella mentalità magico-occultistica contro la 
quale entrambi i filosofi presero energicamente posizione. La 
valutazione dell’arte lulliana che troviamo presente da un lato 
nella lettera a Beeckmann del 1619 e nel Discorso sul metodo 
e dall’altro nell’Advancement of learning e nel De augmentis 
è, da questo punto di vista, quantomai significativa. Di fronte 
al vecchio seguace dell’ars Srevis che si vanta di poter parlare 
per un'ora intera di un argomento qualunque e di poter poi 
proseguire per altre venti ore parlando sullo stesso tema in 
modo sempre diverso, Cartesio, che pure è fortemente inte- 
ressato al problema, ha l’impressione di una loquacità fon- 
data su un’erudizione tutta libresca e di un’attività intesa a 
suscitare l'ammirazione del volgo anziché al raggiungimento 
della verità. Questo « sospetto » cartesiano si trasforma di- 
ciott'anni più tardi, nelle pagine del Discorso sul metodo, in 
una certezza: l’arte di Lullo serve a parlare, senza giudizio, 
di ciò che in realtà si ignora anziché ad apprendere verità non 
conosciute o a trasmettere verità note. A identiche conclusioni 
cra giunto Bacone nel testo del 1605, poi tradotto in latino 
nel ’23; il metodo lulliano, che gode di grande favore presso 
alcuni ciarlatani, non è degno della qualifica di metodo, mira 
all’ostentazione anziché alla scienza, fa sembrare dotti gli 


144 CLAVIS UNIVERSALIS 

uomini ignoranti; fondato su una caotica massa di vocaboli 
esso sostituisce la conoscenza dei termini a quella, effettiva, 
delle arti, assomiglia alla bottega di un rigattiere ove si tro- 
vano molti oggetti, nessuno dei quali ha un grande valore: 


Bacone, De augmentis, VI, 2, 
in Works, I, p. 669. 


Neque tamen illud praetermitten- 
dum, quod nonnulli viri, magis 
tumidi quam docti insudarunt 
circa Methodum quandam, legiti- 
mae methodi nomine haud di- 
gnam; cum potius sit methodus 
imposturae, quae tamen quibus- 
dam ardelionibus acceptissima pro- 
culdubio fuit. Haec methodus ita 
scientiae alicuius guttulas aspergit, 
ut quis sciolus specie nonnulla eru- 
ditionis ad ostentationem possit a- 
buti. Talis fuit Ars Lulli; talis 
Typocosmia a nonnullis cxarata; 
quae nihil aliud fuerunt quam vo- 
cabulorum artis cuiusque massa ct 
acervus; ad hoc, ut qui voces artis 
habeant in promptu, ctiam artes 


Cartesio, a Bceckmann, 29, 4. 
1619; Ocuvres, A. et T., X, 
pp. 164-65; Discours (ed. Gil- 
son), p. 17. 


Repperi nudius tertius cruditum vi- 
rum in Diversorio Dordracensi, 
cum quo de Lulli arte parva sum 
loquutus... Senex erat, aliquantu- 
lum loquax, et cuius eruditio, ut- 
pote a libris hausta, in extremis 
labris potius quam in cerebro 
versabatur... Quod illum certe di- 
xisse  suspicor, ut admirationem 
captaret ignorantis, potius quam 
ut vere loqueretur. 

Je pris garde que, pour la logi- 
que, ses syllogismes et la plupart 
de scs autres instructions servent 
plutòt à cexpliquer à autrui les 
choses qu'on sait, cu méme, com- 
me l'art de Lulle, à parler, sans 
Jugement, de celles qu'on igno- 


ipsas perdidicisse.existimentur. 
Huius generis collectanea officinam 
referunt veteramentarium, ubi 
pracsegmina multa repcriuntur, 
sed nihil quod alicuius sit pretti. 


re, qu'à les apprendre. 


L'accusa di « ostentazione » rivolta alla combinatoria lul- 
liana assumeva, in pagine come queste, un significato storico 
di grande rilievo: ciò che qui si mirava a colpire era proprio 
quella riduzione dell’arte sul piano della magia sulla quale 
avevano a lungo insistito non pochi dei commentatori cinque- 
centeschi. Quest’accusa non era in realtà cosa nuova, anche se 
nuovo è il significato che essa viene ad assumere nelle pagine 
di Bacone e di Cartesio connettendosi alla polemica baconiana 
e cartesiana contro la tradizione magico-occultistica. La valu- 
tazione presente nel testo baconiano del 1623, che potrebbe 
forse essere posta in relazione con quella poi presente nel 
Discorso sul metodo, sembra in realtà ricalcata proprio sul 


RAMO, BACONE, CARTESIO 145 


giudizio di uno dei grandi commentatori di Lullo che non 
aveva nascosto la sua simpatia per le arti magiche, Cornelio 
Agrippa: 

Hoc autem admonere vos oportet: hanc artem ad pom- 

pam ingenii ct doctrinae ostentationem potius quam ad 


comparandam eruditionem valere, ac longe plus habere 
audaciae quam efficaciae.!® 


Fin qui ci siamo riferiti alla combinatoria, ma anche nei 
confronti dell’ars memorativa di derivazione “ciceroniana” 
le prese di posizione di Bacone e di Cartesio risultano oltre- 
modo precise e utilmente confrontabili. Cartesio non esita a 
definire « sciocchezze » le conclusioni cui era pervenuto lo 
Schenkel in un testo sulla memoria del 1595 nel quale, ac- 
canto ai consueti canoni dell’ ars reminiscendi ciceroniana, 
comparivano i ben noti riferimenti alle fonti aristoteliche e 
tomistiche, alla medicina galenica, i richiami a Simonide, Te- 
mistocle e Ciro, ad Agostino e a Pico della Mirandola, a Pie- 
tro da Ravenna e al lulliano Bernardo di Lavinheta.!” L’au- 
tore di quel libro gli appare, senz'altro, un «ciarlatano »: a 
quella falsa arte inutile alle scienze, egli contrappone la cono- 
scenza delle cause.'* Non dissimile da questa, anche se molto 
più articolata e ricca di riferimenti culturali, è la posizione 
assunta da Bacone: egli non nega che coltivando la memoria 
artificiale sia possibile pervenire a risultati mirabili, né afferma 
(come si fa volgarmente) che le tecniche memorative possano 
influire negativamente sulla memoria naturale. Nel modo in 
cui l’arte viene impiegata, essa gli appare tuttavia assoluta- 
mente sterile, serve a far brillare l’arte mentre è in realtà priva 
di ogni effettiva utilità. Essere in grado di ripetere subito, 
nello stesso ordine, un gran numero di parole recitate una sola 
volta o comporre un gran numero di versi estemporanei su 
un argomento a scelta è possibile sulla base di un'educazione 
di alcune facoltà naturali che, mediante l’esercizio, possono 
essere portate ad un livello miracoloso. Ma di tutto ciò — pro- 


dì H. C. AcriPPa, Opera, Argentorati, Zetzner, 1600, II, pp. 31-32. 
!* Cfr. ScHenkEL, De memoria liber, Leodii, 1595, poi ristampato nel 
Gazophylacium arti: memoriae, Argentorati, 1610 (Copia usata: An- 
elica, SS. 1. 24). Sulle sue opere e sui suoi rapporti con Leibniz cfr. 
qui le pp. 253-54. 

18 DESscaRTES, Ocuvres, X, p. 230. 


146 CLAVIS UNIVERSALIS 


segue Bacone — non facciamo più conto che della agilità dei 
funamboli e della destrezza dei giocolieri. Fra i metodi e le 
sintassi di luoghi comuni che mi è capitato di vedere — egli 
scrive —non vi è nulla che abbia un qualche valore; gli stessi 
titoli di quei trattati risentono più delle scuole che del mondo 
reale, le pedantesche divisioni dei quali i loro autori fanno uso 
non penetrano in alcun modo nelle midolla delle cose.!* 


3. MNEMOTECNICA E LULLISMO IN BAcoNE E IN CARTESIO. 


a) Bacone. 


Il passo baconiano al quale ci siamo ora riferiti ha, senza 
alcun dubbio, il tono di una esplicita condanna. Tuttavia una 
cosa va subito posta in rilievo: in Bacone è presente la con- 
vinzione che sia possibile fare, delle arti della memoria, un 
uso diverso da quello tradizionale. Anziché servirsi di quelle 
arti per ostentare il prodigioso livello al quale può esser fatta 
pervenire una facoltà dell'animo umano, anziché piegarle a 
fini miracolosi e ciarlataneschi sarà possibile servirsene in vista 
di seri e concreti usi umani; sarà anzi possibile, secondo Ba- 
cone, migliorare e perfezionare, in vista di queste nuove fina- 


19 Bacon, Works, 1, pp. 647-48: « Neque tamen ambigimus (si cui 
placet hac arte ad ostentationem abuti) quin possint praestari per cam 
nonnulla mirabilia et portentosa; sed nihilominus res quasi sterilis cst 
(eo quo adhibetur modo) ad usus humanos. At illud interim ei non im- 
putamus quod nazuralem memoriam destruat et super-oneret (ut vulgo 
objicitur); sed quod non dextre instituta sit ad auxilia memoriae 
commodanda in negotiis et rebus seriis. Nos vero hoc habemus (for- 
tasse cx genere vitae nostro politicac) ut quae artem iactant, usum 
non pracbent parvi faciamus. Nam ingentem numerum nominum aut 
verborum semel recitatorum eodem ordine statim repetere, aut versus 
complures de quovis argumento extempore conficere; aut quidquid 
occurrit satirica aliqua similitudine perstringere; aut seria quacque in 
iocum vertere; aut contradictione et cavillatione quidvis eludere; et 
similia; (quorum in facultatibus animi haud exigua est copia, quaeque 
ingenio et cxercitatione ad miracula usque extolli possunt); haec certe 
omnia et his similia nos non maioris facimus quam funambulorum et 
mimorum agilitates et ludicra... Verum est tamen inter methodos ct 
syntaxes locorum communium quas nobis adhuc videre contigit, nul- 
lam reperiri quae alicuius sit pretit; quandoquidem in titulis suis fa- 
ciem prorsus cxhibeant magis scholac quam mundi; vulgares et pae- 
dagogicas adhibentes divisiones, non autem eas quae ad rerum me- 
dullas et interiora quovis modo penetrent ». 


RAMO, BACONE, CARTESIO 147 


lità, le già esistenti tecniche della memoria. Intorno alla me- 
moria — egli scrive nello stesso capitolo del De augmentis 
(c questo passo è assente nel corrispondente capitolo del- 
l’Advancement of learing) — si è finora indagato pigra- 
mente e languidamente. Non mancano certo scritti sull’argo- 
mento intesi all'ampliamento e al rafforzamento della memo- 
ria, e tuttavia sia la teorica che la pratica dell’ars memorativa 
potrebbero essere ulteriormente perfezionate mediante l’elabo- 
razione di nuovi precetti o regole.?° Un’arte memorativa così 
perfezionata nei metodi e rinnovata nelle finalità appare a 
Bacone non solo legittima e possibile, ma necessaria su un 
duplice terreno: quello delle «scienze antiche e popolari » e 
quello « completamente nuovo » del metodo scientifico di 
indagine sulla natura. Questa distinzione fra le due diverse 
funzioni o i due diversi campi di applicazione dell’arte me- 
morativa è esplicitamente teorizzata in un passo del De aug- 
mentis nel quale ritroviamo presente anche la distinzione, 
cara a tutti i teorici della mnemotecnica, fra memoria natu- 
rale e memoria artificiale. Sostenere che nella interpretazione 
della natura — scrive Bacone — possano bastare le forze nude 
e native della memoria senza che la memoria stessa venga soc- 
corsa mediante tavole ordinate, sarebbe come sostenere che un 
uomo, senza l’aiuto di alcuno scritto e affidandosi alla sola 
memoria, possa risolvere i calcoli di un libro di efemeridi. Ma, 
lasciando da parte la nterpretatio naturae, che è dottrina com- 
pletamente nuova, un solido amminicolo della memoria può 
essere di grandissima utilità anche nelle scienze antiche e po- 
polari.*! 


2° Bacon, Works, I, pp. 647 - 48: « Circa Memoriam autem ipsam, satis 
segniter et languide videtur adhuc inquisitum. Extat certe de ea ars 
quaepiam; verum nobis constat tum meliora praecepta de memoria 
confirmanda et amplianda haberi posse quam illa ars complectitur, 
tum practicam illius ipsius artis meliorem institui posse quam quae 
recepta est». 

21 Bacon, Works, I, p. 647: « Atque omnino monendum, quod memo- 
ria sine hoc adminiculo (scriptio) rebus prolixioribus et accuratioribus 
Impar sit; neque ullo modo nisi de scripto recipi debeat. Quod etiam 
in philosophia inductiva et interpretatione naturae praecipue obtinet. 
Tam enim possit quis calculationes ephemeridis memoria nuda absque 
Scripto absolvere, quam interpretationi naturae per meditationes et 
vires memoriae nativas et nudas sufficere; nisi eidem memoriae per 


148 CLAVIS UNIVERSALIS 


Della funzione esercitata dagli aiuti della memoria (mi- 
nistratio ad memoriam) nella logica baconiana e dell'influenza 
dei trattati rinascimentali di mnemotecnica sulla costruzio- 
ne baconiana del nuovo metodo delle scienze (la :interpre- 
ratio naturae) parleremo più oltre. Ci limiteremo qui ad indi- 
viduare l’eredità delle discussioni rinascimentali sulla memoria 
artificiale in quella parte della ricerca baconiana che fa riferi- 
mento alla logica tradizionale. Quest'ultima, secondo Bacone, 
mantiene la sua piena validità nel campo dei discorsi, delle 
dispute, delle controversie, delle attività professionali, della 
vita civile; l’altra, la nuova logica induttiva, è invece indispen- 
sabile nell’ambito della progressiva conquista, da parte del- 
l’uomo, della realtà naturale. La prima di queste due logiche, 
secondo Bacone, esiste di fatto, fu creata dai Greci e in seguito, 
per molti secoli, ripresa e perfezionata; la seconda si presenta 
invece come un progetto o un'impresa non mai tentata. La 
trasformazione di questo progetto in una esecuzione effettiva 
presuppone che venga radicalmente modificato l’atteggiamento 
dell’uomo nei confronti della natura e che mutino, di conse- 
guenza, le stesse definizioni di «filosofia » e di «scienza ». 
Ma nell’ambito degli scopi che si propone la filosofia tradi- 
zionale la vecchia logica nor si presenta come un fallimento. 
Su questo punto Bacone è assai chiaro: ove si vogliano sol- 
tanto coltivare e trasmettere le scienze già esistenti; ove si 
desideri insegnare agli uomini a restare aderenti alle verità 
già dichiarate e a far uso di esse, ad apprendere l’arte di in- 
ventare argomenti e di trionfare nelle dispute, quella logica 
si mostra perfettamente funzionale, anche se bisognosa di 
integrazioni e perfezionamenti. Là ove si occupa dei caratteri 
della logica nuova, Bacone dichiara ripetutamente di non inte- 
ressarsi affatto, in quella sede, delle arti popolari o opinabili, 
né di pretendere in alcun modo che la nuova logica possa ser- 
vire a realizzare quei fini per i quali fu costruita la logica 
tradizionale. Nelle scienze fondate sull’opinione e sui giudizi 


tabulas ordinatas ministretur. Verum, missa interpretatione naturae, 
quae doctrina nova est, etiam ad veteres et populares scientias haud 
quicquam fere utilius esse possit quam memoriae adminiculum soli- 
dum ct bonum; hoc est, Digest probum et eruditum /ocorum com- 
muntum ». Il passo ora citato non figura nel corrispondente luogo del- 
l'’Advancement of learning, in Works, HI, pp. 397 - 98. 


RAMO, BACONE, CARTESIO 149 


probabili, nei casi cioè in cui si tratta di costringere non le 
cose, ma l’assenso, l’uso delle anticipazioni e della dialettica, 
afferma Bacone nel Novum Organum, è buono (bonus) men- 
tre esso appare condannabile dal punto di vista della logica 
nuova. La dialettica ora in uso, si afferma ancora nella pre- 
fazione alla Instauratio magna, non è assolutamente in grado 
di «raggiungere la sottigliezza della natura », ma essa può 
essere usata efficacemente nel « campo delle cose civili e delle 
arti che concernono il discorso e l’opinione ». Solo quando si 
voglia trionfare non degli avversari, ma delle oscurità della 
natura, giungere non a cognizioni probabili, ma a conoscenze 
certe e dimostrate, non inventare argomenti ma opere, sarà 
necessario far uso della interpretatio naturae che è infinita- 
mente diversa dalla anzicipatio mentis o logica ordinaria.’ 
Nell'ambito di questa logica ordinaria, del tipo di discorso 
che mira alla persuasione o al raggiungimento dell’altrui as- 
senso, che non mira all’invenzione delle arti e delle opere, ma 
degli argomenti, le tecniche memorative esercitano una pre- 
cisa funzione. Nel capitolo quinto del quinto libro del De 
augmentis dedicato all’ars retinendi ricomparivano in tal modo, 
nella trattazione baconiana, i motivi, ormai ben noti, dell’ars 
memorativa “ciceroniana”: la dottrina dei loc: e delle 1m2a- 
gines, la tesi di una necessaria « convenienza » tra le immagini 
e i luoghi, il riconoscimento della necessità di rappresentare 
sensibilmente i concetti mediante immagini ed emblemi. Il 
tema di una topica o sistematica raccolta di luoghi veniva ri- 
preso in queste pagine: si è soliti affermare — scrive Bacone — 
che la raccolta dei luoghi può essere dannosa al sapere; la 
fatica necessaria ad effettuare tali raccolte viene al contrario 
sempre ricompensata perché nel mondo del sapere non è pos- 
sibile giungere a risultati ove manchi la solida base di una 
vasta conoscenza. I luoghi «forniscono dunque materiale 
all'invenzione e rendono più acuto il giudizio consentendogli 
di concentrarsi in un sol punto ». I due principali strumenti 
dell’arte della memoria sono la prenozione e l'emblema. La 
prima ha il compito di porre dei limiti ad una ricerca che 


# Per le differenze fra la logica ordinaria e la logica nuova cfr.: Par- 
fis instaurationis secundae delineatio et argumentum, Works, III, 
PP. 547 ss.; Distributio operis, Works, I, pp. 135-37; Praefatto gene- 
ralis, Works, I, p. 129; Novun: Organum, I, 26, 29. 


150 CLAVIS UNIVERSALIS 


risulterebbe altrimenti infinita, di limitare il campo delle no- 
zioni e di stabilire confini entro i quali la memoria possa muo- 
versi agevolmente. La memoria ha infatti soprattutto bisogno 
di limitazioni: l'ordine e la distribuzione dei ricordi, i luoghi 
della memoria artificiale «già in anticipo preparati » i versi 
sono per Bacone le principali di queste limitazioni. Nel primo 
caso il ricordo deve accordarsi con l'ordine stabilito, nel se- 
condo porsi in specifica relazione con i luoghi usati, nel terzo 
deve essere una parola che si accordi con il verso. Nella for- 
mulazione delle immagini i luoghi introducono quindi ordine 
e coerenza, ma le immagini, a loro volta, possono essere più 
facilmente costruite facendo ricorso agli emblemi. Questi ul- 
timi, secondo Bacone, « rendono sensibili le cose intellettuali 
e poiché il sensibile colpisce più fortemente la memoria, si 
imprime in essa con maggiore facilità ». Del tutto simile alla 
funzione esercitata dagli emblemi è quella dei gesti e dei 
geroglifici: gli emblemi non hanno dunque una funzione 
limitata allo specifico settore della memoria, ma funzionano 
come veri e propri mezzi di comunicazione. Nel caso dei gesti 
ci troviamo in presenza di «emblemi transitori », nel caso 
dei geroglifici di « emblemi fissati mediante la scrittura ». Il 
rapporto gesti-geroglifici è identico, da questo punto di vista, 
a quello che intercorre fra linguaggio parlato e linguaggio 
scritto. Mentre i geroglifici, in quanto emblemi, hanno sempre 
qualcosa in comune con la cosa significata (sinzlitudo cum re 
significata), i caratteri reali o ideogrammi non hanno nulla 
di emblematico. Il loro significato dipende solo dalla conven- 
zione e dalla abitudine che su di essa si è in seguito istituita. 
Il carattere della convenzionalità accomuna i caratteri reali 
alle lettere dell’alfabeto, ma i primi, a differenza delle seconde, 
si riferiscono in modo diretto alla cosa significata, rappresen- 
tano cose e nozioni, non parole (nesther letters nor words,... 
but things or notions). Un libro composto con caratteri reali 
può quindi essere letto e compreso da persone appartenenti 
a differenti gruppi linguistici e parlanti lingue diverse che 
accettino per convenzione i significati dai vari ideogrammi.** 

Proprio alle discussioni sulla memoria artificiale si erano 


29 Cfr. Advancement of Learning, Works, III, p. 399; De augmentis; 
Works, I, pp. 648-49, 651 -53. 


RAMO, BACONE, CARTESIO 15] 


collegate, nel Rinascimento, le considerazioni sui gesti c sui 
geroglifici. L’approfondimento del problema delle immagini 
aveva condotto Giambattista della Porta, nella sua Ars remi- 
niscendi, a prendere in esame questo tipo di problemi. Una 
volta definita l’immagine come « pittura animata che rechiamo 
nella imaginativa per rappresentare così un fatto come una 
parola », il Porta si trovava di fronte ad una grave difficoltà : 
non nel caso di tutti i termini linguistici — cgli notava — è 
possibile la costruzione di immagini appropriate (« le parole 
che ci occorrono a ricordare altre hanno le loro immagini, 
altre ne stanno senza »). Nel caso di termini che non simbo- 
lizzano cose materiali, come « perché », «ovvero », « tanto » 
ecc. è necessario ricavare le immagini dalla scrittura: far cor- 
rispondere cioè immagini adatte alle singole lettere o gruppi 
di lettere che costituiscono un termine. In altri casi è invece 
possibile il ricorso al significato e a questo proposito torna 
opportuno il parallelo con i geroglifici: gli Egizi « non avendo 
lettere con che potessero scrivere i concetti... e a ciò che più 
facilmente si tenessero a memoria le utili speculationi della 
filosofia, ritrovorno lo scrivere con pitture, servendosi d’imagini 
di quadrupedi, d’uccelli, di pesci... la qual cosa noi habbiamo 
giudicato molto utile per le nostre ricerche, che altro noi non 
vogliamo ch’usare imagini in vece delle lettere per poterle 
dipingere nella memoria ». Altri significati, proseguiva il Porta, 
potranno essere espressi mediante i gesti (« potremo parimenti 
col gesto esprimere alcune significationi di parole »). Conclu- 
sioni di questo stesso tipo si trovano presenti nel Thesaurus 
artificiosae memoriae del Rosselli (1579) e nel De memoria 
artificiosa libellus di Johannes Austriacus (1610) che, proprio 
come Bacone, aveva fatto rientrare i gesti e i geroglifici nella 
più generale categoria dei « segni ».° 


24 Cfr. L’arte del ricordare del signor Gio. Battista Porta napoletano, 
tradotta da latino in volgare per M. Dorandino Falcone da Gioia, Na- 
poli, Mattio Cancer, 1566 (Braid. 25.16.K.14-15): sulla scrittura degli 
Egizi il capit. XIX, sui gesti il capit. XX; C. RosseLLIus, Thesaurus 
artificiosae memoriae, Venetiis, 1579, p. 117v; JoHanNnES AustRIACUS, 
De memoria artificiosa libellus, Argentorati, Antonius Bertramus, 
1610, p. 215 (copie usate: Braid. B. XI. 4951; Angelica SS. 1.24). 
Sulla Egittomania e sulla diffusione c la moda degli emblemi nella 
cultura dei secoli XVI e XVII si vedano le considerazioni precedente- 
mente svolte a pp. 104-105 c le opere indicate a p. 105, n. 32. 


152 CLAVIS UNIVERSALIS 


La trattazione baconiana appare dunque, dopo quanto si 
è detto, profondamente influenzata da una veneranda lettera- 
tura concernente i segni e le immagini, ma l’eco delle discus- 
sioni rinascimentali sui luoghi e sulle immagini risulta ancora 
più evidente nel Novum Organum (II, 26) ove Bacone giunge 
a ripetere la tradizionale partizione dei /oci: «loci in memoria 
artificiali... possunt esse loci secundum proprium sensum, ve- 
luti janua, angulus, fenestra, et similia, aut possunt esse per- 
sonae familiares et notae, aut possunt esse quidvis ad pla- 
citum (modo in ordine certo ponantur), veluti animalia, her- 
bae; etiam verba, literae, characteres, personae historicae et 
caetera; licet nonnulla ex his magis apta sint et commoda, 
alia minus ». L’uso dei /oc: appare a Bacone in grado di 
esaltare le forze della memoria al di sopra dei suoi limiti na- 
turali («huiusmodi autem loci memoriam insigniter iuvant, 
camque longe supra vires naturales exaltant »). Accostando 
l'ordine, ai luoghi e ai versi, insistendo sul valore delle im- 
magini sensibili (« quicquid deducat intellectuale ad ferien- 
dum sensum — quae ratio etiam praecipue viget in artifi- 
ciali memoria — iuvet memoriam »), Bacone mostrava inol- 
tre di accogliere pienamente i risultati essenziali cui erano 
pervenuti i teorici della memoria artificiale. 

Più sottili, meno espliciti, e quindi più difficilmente de- 
terminabili sono, sempre relativamente a Bacone, i rapporti 
con la tradizione della combinatoria. A Lullo Bacone ac- 
cenna soltanto una volta, in una frase che suona — ab- 
biamo visto — esplicita condanna. Tuttavia chi ponga mente 
ad alcuni temi caratteristici della filosofia baconiana, non 
potrà non esser portato a rilevare la concordanza di certe so- 
luzioni con quelle presenti in quelle sintassi universali, di 
precisa derivazione lulliana, alle quali Bacone fa più volte 
esplicito riferimento. All’immagine lulliana dell’ardor scien- 
trarum, presente nel terzo libro del De augmentis, si connette, 
non a caso, il progetto di una scienza universale o filosofia 
prima o sapienza (Scientia universalis, Philosophia prima sive 
Sapientia) ben distinta dalla tradizionale metafisica. Quest’ul- 
tima si configura per Bacone come « una fisica generalizzata 
fondata sulla storia naturale » che mira da un lato alla de- 
terminazione delle forme e dall'altro a quella delle cause fi- 
nali. La filosofia prima concerne invece quella porzione del- 


RAMO, BACONE, CARTESIO 153 


l’albero delle scienze che è come una « parte comune della 
via », che precede la partizione e la suddivisione dei vari 
rami del sapere. Gli assiomi che non sono propri delle scienze 
particolari, ma comuni a molte scienze non sono in alcun 
modo riducibili a semplici similitudini: essi appaiono invece 
a Bacone segni e vestigi della natura impressi in materie e 
soggetti differenti: « neque similitudines merae sunt — quales 
hominibus fortasse parum perspicacibus videri possint — sed 
plane una eademque naturae vestigia et signacula diversis ma- 
teriis et subiectis impressa ». Attraverso quella organica rac- 
colta degli assiomi, della quale Bacone lamenta l’assenza, sa- 
rebbe possibile porre in luce l’unità della natura."° 

Per concludere: la vivace polemica baconiana contro i fu- 
namboli della memoria non investe le tecniche memorative 
in quanto tali, ma i ripetuti tentativi che erano stati fatti 
per ridurle sul piano delle arti occulte e della magia. Pie- 
gata alle più serie finalità della retorica, inserita nella logica 
della persuasione, l’ars memorativa conservava ancora un suo 
posto ed una sua precisa funzione nella nuova enciclopedia 
delle scienze. Infine il progetto baconiano di una scientia uni- 
versalis, mater reliquarum scientiarum si presentava, proprio 
come era avvenuto nella tradizione lulliana, come volto a de- 
terminare un’unità del sapere che trova la sua giustificazione 
e il suo fondamento nell’unità stessa del mondo reale. 


b) Descartes. 


Intorno alle discussioni sulle immagini e sui simboli pre- 
senti in taluni testi cartesiani si son scritte, anche di recente, 
cose assai acute e stimolanti anche se non sempre storica- 
mente esatte. A proposito di alcuni passi degli Olympica con- 
cernenti la rappresentazione, mediante corpi sensibili, delle 
«cose spirituali », un insigne studioso di Cartesio ha parlato 
dell’« idée aristotelicienne de la philosophie qui n'est pas mise 
en cause» altri, riferendosi a quelle stesse note cartesiane e 
cercando di coglierne «la résonance intérieure et profonde», 


25 Per il già ricordato giudizio su Lullo cfr. De augmentis, Works, 
I, p. 699; sulla filosofia prima De augmentis, Works, 1, pp- 540 - 544. 
Sulla distinzione tra la filosofia prima baconiana e la tradizionale 
metafisica è da vedere il preciso giudizio di F. Anperson, The phi- 
losophy of F. Bacon, Chicago, 1948, pp. 214-15. 


154 CLAVIS UNIVERSALIS 


ha visto in esse l’espressione di un uomo «qui est à la re- 
cherche de l’inspiration pure »; altri infine, riferendosi alla 
immagine cartesiana dell’albero delle scienze, ha lungamente 
dissertato sulle ragioni della scelta cartesiana dell’immagine 
di una realtà vivente e sulla « circulation de la vie » presente 
nell'albero stesso.?* Ove si abbandoni il progetto di rintrac- 
ciare il senso di interiori risonanze e si tengano invece pre- 
senti i risultati cui erano giunti quegli enciclopedisti e quei 
retori del Cinquecento che si erano occupati delle immagini 
e dell’immaginazione, dei simboli e della memoria, dell’unità 
delle scienze e delle tecniche combinatorie, sarà forse possibile 
— pur raggiungendo più modesti risultati — illuminare al- 
cuni testi particolarmente oscuri e dare, a molte delle affer- 
mazioni ed osservazioni del giovane Cartesio, un senso pre- 
ciso e ben determinato. 

Una cosa va subito notata: la “condanna” cartesiana delle 
arti della memoria, alla quale abbiamo fatto riferimento nel 
precedente paragrafo, è, così come quella baconiana, assai 
meno recisa di quanto non possa a prima vista apparire. In 
un passo scritto fra il 1619 e il 1620, volto a commentare e 
a criticare l’Ars memorativa dello Schenkelius, Cartesio mo- 
stra infatti di accertare e la terminologia c la stessa impo- 
stazione del problema della memoria presenti nella trattati- 
stica di derivazione “ciceroniana”: non solo egli attribuisce 
all’immaginazione la stessa funzione mnemonica che ad essa 
attribuivano i teorici della memoria artificiale, ma riconosce 
che quest’ultima non è, in quanto tale, priva di reale efficacia. 
All’Ars memorativa dello Schenkelius egli infine contrappone, 
ed è questo il punto che presenta un interesse particolare, 
una vera arte della memoria della quale offre, in una pagina 
circa, le regole fondamentali. All’ordine solo apparente pre- 


26 Cfr. H. Gounier, Le refus du symbolisme dans l'humanisme car- 
tesien, in Umanesimo c simbolismo, atti del IV convegno internaz. di 
studi umanistici, Padova, 1958, p. 67; M. De Corte, Lu dialectique 
poétique de Descartes, in « Archives de Philosophie », XIHI, 1937, cahier 
II: Autour du Discours de la méthode, pp. 106-107; P. Mesnarp, 
L'arbre de la sagesse, nel vol. miscellanco, Descartes, Cahiers de Royau- 
mont, Paris, 1957, pp. 336 ss. Nello stesso volume è da vedere, su 
questi problemi, il saggio di M. TH. Spoerri, La pwuissance métapho- 
rique de Descartes. Cfr., per un più ampio esame, H. GouHier, Les 
premières pensées de Descartes, Paris, Vrin, 1958. 


71 
71 


RAMO, BACONE, CARTESIO I 


sente nell’opera dello Schenkel egli intende sostituire un retto 
ordine che deriva, a suo avviso, dalla costruzione di imma- 
gini poste, l'una con l’altra, in un rapporto di reciproca di- 
pendenza: dalle immagini di oggetti connessi tra loro ver- 
ranno ricavate nuove immagini o almeno, da tutte quelle im- 
magini, se ne ricaverà una sola; ogni immagine andrà inoltre 
(a differenza di quanto avveniva nell’opera dello Schenkel) 
posta in rapporto non solo con quella a lei più vicina, ma 
anche con le altre. L'immagine di un'asta gettata a terra 
farà così da collegamento fra la quinta e la prima immagine, 
quest’ultima sarà collegata alla seconda da un dardo scagliato 
verso di essa, alla terza da un qualche altro rapporto reale 
o arbitrariamente costruito.”’ 

In questo suo breve progetto di un nuova tecnica me- 
morativa, Cartesio appariva evidentemente influenzato dai ri- 
sultati dell’ars reminiscendi. Proprio a questi suoi interessi per 
l'Arte, che non si esauriscono affatto sul piano della semplice 
curiosità intellettuale, appaiono infatti da collegare alcune si- 
gnificative espressioni presenti in quelle pagine di diario note 
come Cogitationes privatae. In esse ritorna una dottrina cara 
a tutti i trattatisti della memoria artificiale da Pietro da Ra- 
venna allo Schenkel, quella relativa all'impiego delle im- 
magini corporee o sensibili in vista della rappresentazione dei 
concetti astratti o « cose spirituali »: « come l’immaginazione 


2? Descartes, Qeuvres, X, p. 230: « Perlegens Lamberti Schenkelii lu- 
crosas nugas (lib. De arte memoriae) cogitavi facile me omnia quae 
detexi imaginatione complecti: quod sit per reductionem rerum ad 
causas; quae omnes cum ad unam tandem reducantur, patet nulla 
ope esse memoria ad scientias omnes. Qui enim intelliget causas, 
elapsa omnino phantasmata causae impressione rursus facile in cerebro 
formabit. Quac vera est ars mermoriae, illius nebulonis arti plane con- 
traria: non quod illa effectu careat, sed quod chartam melioribus 
occupandam totam requirat et in ordine non recto consistat; qui ordo 
In eo est, ut imagines ab invicem dependentes efformentur. Ipse exco- 
gitavi alium modum: si ex imaginibus rerum non inconnexarum ad- 
discantur novae imagines omnibus communes, vel saltem si ex om- 
nibus simul una fiat imago, nec solum habeatur respectus ad proxi- 
mam, sed etiam ad alias, ut quinta respiciat primam per hastam humi 
proiectam, medium vero, per scalam ex qua discendent, et secunda 
per telum quod ad illam proiiciat, et tertia simili aliqua ratione in 
rationem significationis vel verae vel fictitiac ». Sulla scrittura e gli altri 
aiuti alla memoria cfr. Entretiens avec Burman, Paris, 1937, pp. 8, 16. 


156 CLAVIS UNIVERSALIS 


si serve di figure per concepire i corpi, così l'intelletto si 
serve di taluni corpi sensibili, come il vento e la luce, per 
raffigurare le cose spirituali... Cose sensibili possono aiutarci 
a concepire quelle dell'Olimpo: il vento significa lo spirito, 
il moto con il tempo la vita, la luce la conoscenza, il calore 
l’amore, l’attività istantanea la creazione ».°* Il fatto che Car- 
tesio, nell’età matura, giunga a un radicale rifiuto di ogni 
simbolismo, non elimina, per lo storico, il compito di andar 
rintracciando le origini, spesso legate a temi culturali assai 
“torbidi” di una filosofia che si svolse sotto il segno della 
distinzione e della chiarezza razionale. Non a caso, negli 
stessi anni in cui escogitava una nuova tecnica memorativa, 
Cartesio pareva anteporre i risultati dell'immaginazione e 
della poesia a quelli della filosofia e della ragione; si dilet- 
tava, come già tanti fra i “maghi” del Cinquecento, alla 
costruzione di «automi» e di «giardini d’ombre »; si in- 
formava del significato dei commenti lulliani di Agrippa; si 
interessava all’ordo locorum;?* insisteva, come già avevano 
fatto tanti fra i commentatori di Lullo, sull’unità e sull’ar- 
monia del cosmo: « Una est in rebus activa vis, amor, cha- 
ritas, armonia... Omnis forma corporea agit per harmo- 
niam ».°° Non si trattava solo di giovanili concessioni ad una 
moda filosofica. Molti anni più tardi, nel 1639, dopo aver 
letto e meditato il Pansophiae Prodromus di Comenio, Des- 


28 Descartes, Ocuvres, X, p. 217-218: «Ut imaginatio utitur figuris 
ad corpora concipienda, ita intellectus utitur quibusdam corporibus 
sensibilibus ad spiritualia figuranda, ut vento, lumine: unde altius phi- 
losophantes mentem cognitione possumus in sublime tollere... Sensibilia 
apta concipiendis Olympicis: ventus spiritum significat, motus cum 
tempore vitam, calor amorem, activitas istantanea creationem ». 

2° « Mirum videri possit, quare graves sententiac in scriptis poctarum 
magis quam philosophorum. Ratio est quod poctae per enthusiasmum 
ct vim imaginationis scripsere: sunt in nobis semina scientiae, ut in 
silice, quae per rationem a philosophis educuntur, per imaginationem 
a poctis excutiuntur magisque elucent » (Oeuvres, X, p. 217). « On peut 
faire un jardin des ombres qui representent diverses figures, telles que 
les arbres et lcs autres... dans une chambre faire [que] les rayons 
du soleil, passant pour certaines ouvertures, representent diverses chif- 
fres ou figures» (Ouvres, X, p. 215). « Inquirebam autem diligentius 
utrum ars illa non consisteret in quodam ordine locorum dialecticorum 
unde rationes desumuntur... » (Oewvres, X, p. 165). 

30 Descartes, Ocuvres, X, p. 218. 


RAMO, BACONE, CARTESIO 157 


cartes insisteva ancora (pur rifiutando come impraticabile il 
disegno comeniano) sullo stretto parallelismo intercorrente tra 
una conoscenza « unica, semplice, continua, riducibile a po- 
chi princìpi » € la «una, semplice, continua, natura » rispetto 
alla quale la conoscenza si pone come una « pittura » 0 
« specchio » : 


Quemadmodum Deus est unus ct creavit naturam unam, 
simplicem, continuam, ubique sibi cohaerentem ct res 
pondentem, paucissimis, constantem principiis clemen- 
tisque ex quibus infinitas propemodum res, sed in tria 
regna minerale, vegetale et animale certo inter se ordine 
gradibusque distincta perduxit; ita et harum rerum co- 
gnitionem esse oportet, ad similitudinem unius Creatoris 
et unius Naturae, unicam simplicem, continuam, non 
interruptam, paucis constantem  principiis (imo unico 
Principio principali) unde caetera omnia ad specialis- 
sima usque individuo nexu et sapientissimo ordine de- 
ducta permanent, ut ita nostra de rebus universis et sin- 
gulis contemplatio similis est picturae vel speculo uni- 
versi et singularum ceiusdem partium imaginem exactis- 
sime repraesentanti.5! 


Comunque sia da valutare il senso di queste caratteri- 
stiche espressioni cartesiane, certo è che il programma del 
giovane Cartesio — un uomo che non ha ancora « preso 
partito sui fondamenti della fisica» e che è solo «un ap- 
prenti physicien-mathématicien sans métaphysique » — può 
apparire, da questo punto di vista, singolarmente vicino a 
quello presente nelle sirtassi e nelle enciclopedie lulliane del 
tardo Cinquecento: dietro la molteplicità delle scienze, il 
loro isolamento, si nasconde un’unità profonda, una legge di 
connessione, una logica comune. Una volta liberate le sin- 
gole scienze dalla loro maschera, sarà possibile rendersi conto 
di una carena scientiarum nel cui ambito le singole scienze 


®1 Descartes à Mersenne (1639) in Ocuvres, Supplément, pp. 97-98. La 
lettera fu in precedenza pubblicata in Spisy Jana Amosa KomensgeHO, 
Korrespondance, a cura di J. Kvacala, Praga, 1897, p. 83. Il Zbro cui 
faceva riferimento Cartesio in una lettera del 1639 (Oexvres, II, PP. 
345 - 48): «j'ai lù soigneusement le livre que vous avez pris la peine 
de m' envoyer... » era il Pansophiae Prodomus di Comenio (Cfr. Oeuvres, 
Supplément, pp. 99-100 ove si ricorda anche una lettera di Mersenne 
a Th. Haak nella quale Cartesio è segnalato come uno dei filosofi più 
competenti a parlare intorno all'opera del Comenio). 


158 CLAVIS UNIVERSALIS 


potranno essere ritenute con la stessa facilità con la quale si 
ricorda la serie dei numeri: 


Larvatac nunc scientiac sunt: quae, larvis sublatis, pul- 
cherrimae apparerent. Catenam scientiarum  pervidenti, 
non difficilius videbitur cas animo retinere, quam seriem 
numerorum.?? 


Il problema dell’enciclopedia appare qui, una volta an- 
cora, collegato in modo oltremodo significativo a quello della 
memoria. Questi stessi termini e gli stessi concetti ritroviamo 
— attribuiti a Cartesio — nel Commentatre ou remarques 
sur la Methode de R. Descartes del Poisson, mentre, nella 
prima delle Regulae, Cartesio afferma che la connessione sus- 
sistente fra le singole scienze è tanto stretta da rendere l’ap- 
prendimento di tutte le scienze insieme più facile della se- 
parazione di una di esse dalle altre: il legame di congiun- 
zione e di reciproca dipendenza tra le scienze, esclude che, 
in vista di un apprendimento della verità, si possa scegliere 
una scienza particolare: «credendum est, ita omnes [scien- 
tias] inter se esse connexas, ut longe facilius sit cunctas simul 
addiscere, quam unicam ab aliis separare. Si quis igitur serio 
rerum veritatem investigare vult, non singularem aliquam 
debet optare scientiam: sunt enim omnes inter se coniunctas 
et ab invicem dependentes »."° 

Se ci volgiamo ai testi del lullismo seicentesco, ad opere 
che sono ben lontane dall'atmosfera cartesiana, permeate di 
magia e di occultismo, miranti alla fondazione della medi- 
cina universale e dell’enciclopedia totale, piene di riferimenti 
alle fonti della tradizione ermetica, troviamo presente la stessa 
insistenza sulla catena scientiarum, sulla molteplicità solo ap- 
parente delle scienze, sulla corrispondenza tra un armonioso e 
ordinato sapere e un’armonica natura, sulla necessità di una 
sapienza che superi la fittizia parzialità dei singoli rami del 
sapere. Il medico e mago Jean d’Aubry, seguace e tradut- 
tore di Lullo, mentre si difendeva dall’accusa di aver operato 


9? DescarTEs, Ocuvres, X, p. 215. Sono da vedere, su questo passo, le 
precise osservazioni di R. KLIbansky, The philosophic character of 
history, nel volume miscellanco P/ilosophy and history, Oxford, 1936, 
pp. 323 - 337. 


39 Descartes, Oeuvres, X, p. 361. 


159 


RAMO, BACONE, CARTESIO 


secondo magia, accennava proprio a questi concetti. A pro- 
posito della catena scientiarum egli si richiamava in modo 
assai significativo al commento alla creazione di Pico condotto 


secondo gli insegnamenti della cabala: 


P. Poisson, Commentaire, p. 73 


Il regne je ne sgai quelle liaison, 
qui fait qu’une verité fait décou- 
vrir l’autre, et qu'il ne faut que 
trouver le bon but du fil, pour 
aller jusqu'à l’autre sans inter- 
ruption. Ce sont à peu-près les 
paroles de M. Descartes que j’ay 
leies dans un de ses fragmens 
manuscrits: Quippe sunt conca- 
tenatae omnes scientiae, nec una 


Jean D’AuBry, ipologie, 1638. 


Qui doute que les parties de la 
doctrine (que les sots et les igno- 
rants appellent sciences, comme 
sil y en avoit plusieurs) ne se 
trouvent  enchainées  l’une avec 
l’autre, qu'il est impossible d’estre 
entendu en la moindre sans avoir 
une pleine connoissance de tou- 
tes; l’Eptaple de Pic de la Mi- 
rande sur les jours de la création 


perfecta haberi potest quin aliae et l’armonie di monde de Paul 
sponte sequantur, et tota simul Venitien vous le montrent...?* 
encyclopedia apprehendatur.34 


Lo studio delle connessioni esistenti tra il progetto car- 
tesiano di una scientia penitus nova?" e gli interessi di Car- 
tesio (evidenti nelle lettere al Beeckmann del 1618) per una 
matematizzazione della fisica, è cosa che esce dai limiti della 
presente ricerca. Quest'ultima può tuttavia servire a mostrare 
il carattere eccessivamente semplicistico dei tentativi — che 
si sono più volte ripetuti — di identificare senz’altro la 
mathesis universalis cartesiana con una pura e semplice esten- 
sion del metodo matematico a tutti i campi del sapere.’ 
La scientia nova deve «contenere i primi rudimenti della 
ragione umana e far uscire la verità da qualsiasi soggetto »: 
essa è la fonte di ogni altra umana conoscenza. Il progetto 
cartesiano, poi tanto ricco di complessi e importantissimi svi- 
luppi, aveva in realtà tratto alimento, così come quello di 


34 P. Poisson, Commentaire ou remarques sur la Methode de R. De- 
scartes, Vandosme, 1670, parte II, Oss. 6, p. 73 (Cfr. Oeuvres, X, p. 255). 
35 Jean D’Ausry, Le triumphe de l’archée et la merveille du monde, cit., 
ediz. parigina del 1661 (Vatic. Racc. Gen. Medicina. IV. 1347): Apolo- 
gie contre certatns docteurs ecc., in appendice, pagine non numerate. 
3° Cfr. Ocuvres, X, p. 157. 

°? Cfr. per esempio J. Larorte, Le rationalisme de Descartes, Paris, 1950, 
pp. 8-10. Per una più esatta valutazione: A. DeL Noce, prefazione alla 
trad. it. delle Meditazioni metafisiche, Padova, 1949, pp. XXIII - XXIV. 


160 


CLAVIS UNIVERSALIS 


Bacone, da un terreno storico preciso: quell’enciclopedismo 
di derivazione lulliana che aveva profondamente imbevuto 
di sé la cultura del Cinquecento e che raggiungerà non 
a caso, proprio nel secolo XVII, la sua massima fioritura. 
Nei commenti lulliani di Agrippa, nella Syntaxes del Gre- 
goire, nell’Opus aureum del De Valeriis, nella Explanatio 
del Lavinheta, così come più tardi nella Regina scientiarum 
del Morestel e negli scritti del d’Aubry, ci si era volti alla 
ricerca di un «unico strumento » comune a tutte le scienze, 
di un’unica «chiave » o «sapienza» capace di garantire as- 
soluta certezza e assoluta verità, di fornire infallibili solu- 
zioni e risposte, di porsi come regola di ogni possibile scienza 
particolare. Alla grande diffusione di questo tipo di lettera- 
tura e di questi testi, noti e celebrati, più volte tradotti e 
più volte riediti nei principali centri della cultura europea, 
alla conoscenza diretta o indiretta che di essi ebbero Bacone 
e Cartesio, va fatta risalire l’immagine, comune ai due filo- 
sof, dell’ardor scientiarum. Da questo terreno storico traeva 
anche origine la loro ricerca — destinata poi ad orientarsi 
in maniera così profondamente divergente — di una scientia 
universalis o sapientia madre e fonte e radice unitaria di ogni 
ramo del sapere: 


Bacone, De augmentis, III, |, in 
Works, I, pp. 54041. 


Quoniam autem partitiones scien- 
tiarum non sunt lineis diversis si- 
miles, quae cocunt ad unum an- 
gulum; sed potius ramis arbo- 
rum qui coniunguntur in uno 
trunco (qui etiam truncus ad spa- 
tium nonnullum integer est cet 
continuus, antequam se partiatur 
in ramos); idcirco postulat res 
ut  priusquam  prioris  partitionis 
membra persequamur, constitua- 
tur una Scientia universalis, quae 
sit mater reliquarum ct habetur 
in progressu doctrinarum  tan- 
quam portio viae communis an- 
tequam viae se separent cet di- 
siungant. Hanc Scientiam Philo- 


Descartes, Regulae, IV c Pref. 
ai Principes, in Ocuvres, X, 


pp. 373-74. 


Quicumque tamen attente respe- 
xerit ad meum sensum facile per- 
cipiet me nihil minus quam de 
vulgari Matematica hic cogitare, 
sed quamdam aliam me expone- 
rc disciplinam, cuius integumen- 
tum sit potius quam partes. Haec 
enim prima rationis humanae ru- 
dimenta continere, et ad veritates 
cx quovis subiecto cliciendas se 
extendere debet; atque, ut libere 
loquar, hanc omni alia nobis hu- 
manitus tradita cognitione potio- 
rem, utpote aliarum omnium fon- 
tem, esse mihi persuadco... Ainsi 
toute la philosophie est comme 
un arbre, dont les racines sont 


RAMO, BACONE, CARTESIO 161 


sophiac primae, sive etiam Sa- la méthapysique, le tronc est la 

pientiac.. nomine insignimus. physique, et les branches qui sor- 
tent de ce tronc sont toutes les 
autres sciences... 


4. L’ INSERIMENTO DELLE TECNICHE MEMORATIVE NELLA NUOVA 
LOGICA. 


a) Gli aiuti della memoria nel metodo baconiano: tavole, to- 
pica, induzione. 


Ponendo mente alla dottrina ramista secondo la quale la 
memoria si presenta come una delle parti o sezioni della dia- 
lettica, acquista particolare significato la classificazione ba- 
coniana della logica presente nell’Advancement of learning 
del 1605 e in seguito ripresa nel De augmentis scientiarum. 
Per Bacone la logica comprende quattro parti o sezioni de- 
nominate arzi intellettuali: tale quadripartizione è fondata sui 
fini o gli scopi che l’uomo si propone di realizzare. L'uomo: 
a) trova ciò che ha cercato; b) giudica ciò che ha trovato; 
c) rittene ciò che ha giudicato; d) trasmette ciò che ha ri- 
tenuto. Siamo quindi in presenza di quattro arti: 


1) l’arte della ricerca o dell'invenzione (art of inquiry or 
invention); 

2) l’arte dell'esame o del giudizio (art of examination or 
judgement); 


3) l’arte della conservazione o della memoria (art of cu- 
stody or memory); 


4) l’arte della elocuzione o della comunicazione (art of 
elocution or tradition)."* 


In questa classificazione Bacone si richiamava da un lato 
alle tradizionali partizioni della retorica, dall'altro alle posizio- 
ni ramiste: si discostava da entrambe queste posizioni quando 
dava al termine « invenzione » un significato molto più ampio 
di quello tradizionale distinguendo nettamente fra invenzione 
degli argomenti e invenzione delle scienze e delle arti. In 
quest'ultimo settore Bacone riscontra le maggiori deficienze: 


"* Advancement of Learning, Works, III, pp. 383-8; De augmentis, 
Works, I, p. 616. 


162 CLAVIS UNIVERSALIS 


mentre per l’invenzione degli argomenti è più che sufficiente 
la logica tradizionale, per consentire all'uomo l’invenzione 
di nuove arti e quindi il dominio della natura è necessario 
procedere ad una riforma del metodo scientifico fornendo 
alla conoscenza umana un nuovo organo o strumento lo- 
gico."° La interpretatio naturae o la nuova induzione, teo- 
rizzata da Bacone nel secondo libro del Novum Organum è 
quindi solo una delle due parti nelle quali si articola l’arte 
dell'invenzione la quale è, a sua volta, una delle quattro 
parti nelle quali si suddivide la logica baconiana. 

La riforma dell’induzione scientifica è quindi solo un 
aspetto e una sezione di quella generale restaurazione del 
sapere che Bacone ha in animo di realizzare. Quando si 
cera mosso sul piano delle «scienze antiche e popolari » o 
della «logica ordinaria », Bacone — come abbiamo visto — 
aveva cercato di chiarire la funzione della memoria e delle 
arti memorative nell’ambito di quella parte dell’ars inveniendi 
che mira non ad inventare opere ed arti, ma si limita ad 
inventare argomenti e si pone come una tecnica della per- 
suasione. Il problema dell’ars memorativa e della memoria 
si porrà tuttavia, per Bacone, anche nell’ambito della inter- 
pretatio naturae o della nuova logica. 

Le considerazioni svolte da Bacone nella Delineatio sulla 
totale e assoluta diversità fra la logica ordinaria e la logica 
della scienza, sulla radicale differenza di fini e di procedi- 
menti delle due logiche, non gli impediranno di richiamarsi, 
nel caso della ministratio ad memoriam (che è parte inte- 
grante e costitutiva della nuova logica) a un ordine di con- 
siderazioni assai simile a quello al quale aveva fatto riferi- 
mento muovendosi sul piano delle «arti del discorso » 0 
della «logica ordinaria ». Nel caso dei discorsi ec della in- 
venzione degli argomenti, le difficoltà nascevano dalla pre- 
senza di una molteplicità di termini e di argomenti; sul ter- 
reno delle opere e del metodo scientifico, le difficoltà nascono 
dalla presenza di una infinita molteplicità di fatti. La dot- 
trina baconiana degli aiuti della memoria, svolta nella Delt- 
neatto e più tardi ripresa nel Novum Organum, risulta da 
un adattamento a questa diversa situazione delle regole che 


39 Advancement, Works, III, p. 389. 


RAMO, BACONE, CARTESIO 163 


guidavano l'invenzione degli argomenti e che costitutvano 
l’arte del ricordare e disporre gli argomenti. 

Per realizzare discorsi coerenti e persuasivi, per inventare 
argomenti era necessario, secondo Bacone: 1) disporre di una 
raccolta di argomenti estremamente ampia (promptuaria); 
2) disporre di regole atte a limitare un campo infinito e a 
determinare un campo di discorso specifico e limitato (to- 
pica). Il compito attribuito all’arte della memoria consisteva 
nella elaborazione di una tecnica (fondata sull’uso delle pre- 
nozioni, degli emblemi, dell’ordine, dei luoghi, dei versi, della 
scrittura, ecc.) che mettesse l’uomo in grado di realizzare con- 
cretamente le due possibilità ora indicate. 

In sede di metodologia scientifica (nterpretatio naturae) le 
cose non procedono per Bacone in maniera molto differente: 
«Gli aiuti della memoria — egli scrive adempiono al se- 
guente compito: dalla immensa moltitudine dei fatti parti- 
colari e dalla massa della storia naturale generale, viene di- 
staccata una storia particolare le cui parti vengono disposte in 
un ordine tale da consentire all’intelletto di lavorare su di 
esse e di esercitare la propria funzione... In primo luogo mo- 
streremo quali siano le cose che devono essere ricercate in- 
torno ad un dato problema: il che è qualcosa di simile ad 
una topica. In secondo luogo in quale ordine esse vadano 
disposte e suddivise in tavole... In terzo luogo mostreremo 
in qual modo e in quale momento la ricerca vada integrata 
e le precedenti carte o tavole siano da trasportare in tavole 
nuove... La ministratio ad memoriam si articola quindi in 
tre dottrine: l’invenzione dei /oci, il metodo della tabula- 
zione, e il modo di instaurare la ricerca ».!° 





4° Partis instaurationis secundac delineatio, Works, III, 552: « Ministra- 


tio ad memoriam hoc officium praestat ut ex turba rerum particula- 
num, ct naturalis historiae generalis acervo, particularis historia excer- 
patur, atque disponatur eo ordine, ut iudicium in cam agere, et opus 
suum exercere possint... Primo docebimus qualia sint ca, quae circa 
subiectum datum sive propositum inquiri debeant, quod est instar 
topicae. Secundo, quo ordine illa disponi oporteat, et in tabulas digeri... 
Tertio itaque ostendemus quo modo et quo tempore inquisitio sit 
reintegranda, et chartae sive tabulae praecedentes in chartas novellas 
transportandae... Itaque ministratio ad memoriam in tribus (ut dixi- 
mus) doctrinis absolvitur: de locis inveniendis, de methodo conta- 
bulandi, et de modo instaurandi inquisitionem ». 


164 CLAVIS UNIVERSALIS 


La memoria abbandonata a se stessa, afferma ancora Ba- 
cone nella Delineatio, non solo è incapace di abbracciare la 
immensità dei fatti, ma non è neppure in grado di indicare 
gli specifici fatti dei quali si ha bisogno in una ricerca par- 
ticolare. Di fronte alla storia naturale generale (che corri- 
sponde a ciò che in sede retorica è la promptuaria o indiscri- 
minata raccolta di argomenti) sono dunque necessarie regole 
per determinare il campo della ricerca e per ordinare i con- 
tenuti di questo campo. Per rimediare alla situazione di na- 
turale fragilità della memoria e metterla in grado di funzio- 
nare come strumento di conoscenza ci si richiama dunque: 
1) ad una topica o raccolta di luoghi che insegna quali siano 
i fatti sui quali bisogna indagare in relazione ad una data 
ricerca; 2) alle sadelae che hanno il compito di ordinare i 
fatti in modo che l'intelletto si trovi di fronte non ad una 
realtà caotica e confusa, ma ad una realtà organizzata. 

Quanti da Ramo a Melantone, da Pietro da Ravenna a 
Rosselli, dal Romberch al Gratarolo avevano rivolto la loro 
attenzione ad una discussione dei problemi attinenti alla to- 
pica e alla memoria artificiale, avevano insistito proprio sulla 
funzione dei /uoghi come mezzo per delimitare un campo 
di ricerca altrimenti infinito e per introdurre ordine in questo 
campo. Per Melantone (ma molti altri autori potrebbero es. 
sere citati al suo posto) i /oc; 


admonent ubi quacrenda sit materia aut certe quid ex 
magno acervo eligendum et quo ordine distribuendum 
sit. Nam loci inventionis tum apud dialecticos tum apud 
rhetores non conducunt ad inveniendam materiam, quam 
ad cligendam postquam acervus aliquis... oblatus fuerit. 


La Partis instaurationis secundae delineatio, alla quale ci 
siamo ora riferiti, risale al 1607 circa; ma nelle opere della 
piena maturità Bacone sarà su questi temi altrettanto espli- 
cito: nel decimo paragrafo del secondo libro del Nowvum 
Organum si afferma: «la storia naturale e sperimentale è 
tanto varia e sparsa da confondere e quasi disgregare l’intel- 
letto ove non sia composta e ridotta in ordine idonco. Bi- 
sogna pertanto dar luogo a tavole e a coordinationes instantia- 


RAMO, BACONE, CARTESIO 165 


rum in modo che l’intelletto possa agire su di esse ».‘! Le ce- 
lebri sabulae baconiane costituiscono, anche nel Novum Or- 
ganum, parte integrante della ministratto ad memoriam. Ad 
esse spetta un compito preciso: organizzare e ordinare i con- 
tenuti della storia naturale. Dopo che il materiale è stato or- 
ganizzato nelle tre tabulae l'intelletto si trova di fronte ad 
una serie ordinata di fatti, non è più «come smarrito »: da 
questa situazione trae inizio quel procedimento che Bacone 
chiama la nuova induzione. 

L’intero procedimento induttivo baconiano — che non 
è certo il caso di fermarsi qui ad esporre — ha senza dubbio 
i suoi fondamenti proprio nella dottrina delle tabulae. Que- 
stultima appare costruita in funzione di un ordinamento 
della realtà naturale capace di introdurre nella molteplicità 
caotica dei fatti fisici una disposizione e un ordine tali da con- 
sentire all’intelletto di andar rintracciando connessioni reali. 
In questo senso la compilazione delle sabulze si presenta stret- 
tamente connessa a quella invenzione det luoghi naturali che 
attirerà per lunghi periodi l’interesse di Bacone. Il primo, or- 
ganico tentativo compiuto da Bacone di gettare le basi di una 
invenzione di luoghi naturali e di un metodo di tabulazione 
risale al 1607-1608 e non a caso, in questi anni, Bacone usa i 
termini topica e tabulae (o chartae) come sinonimi. Nei Cogr- 
tata et visa del 1607 troviamo annunciata con molta precisione 
la funzione attribuita alle tavole : 


Ante omnia visum est ci tabulas inveniendi sive legi- 
timae inquisitionis formulas, hoc est materiem particula- 
rem ad opus intellectus ordinatam, in aliquibus subiectis 
proponi, tamquam ad exemplum cet operis descriptionem 
fere visibilem.4? 


L’anno seguente, nel Commentarius solutus, egli annota 
rapidamente: « The finishing the 3 tables, de motu, de calore 
et frigore, de sono ». Se ci volgiamo a considerare gli appunti 
del Commentarius ci troviamo in presenza di una elencazione 


Ja Liu i > 

Novum Organum, Il, 10: « Historia vero naturalis et experimentalis 
tam varia est et sparsa, ut intellectum confundat et disgreget, nisi sista- 
tur et comparcat ordine idoneo. Itaque formandae sunt tabulae et coor- 


dinationes instantiarum, tali modo et instructione, ut in cas agere possit 
intellectus ». 


4° Works, III, p. 623. 


166 CLAVIS UNIVERSALIS 


di veri e propri luoghi naturali raggruppati in diverse carte.!? 
Non diversamente sono strutturate le tre brevi opere che risal- 
gono a questo periodo e che rappresentano la prima realizza- 
zione del programma indicato nei Cogitata et Visa e nel Com- 
mentarius solutus: la Inquisitio legitima de motu, la Sequela 
chartarum sive inquisitio legitima de calore et frigore, la Histo- 
ria et inquisitio prima de sono et auditu."' 

Nella prefazione alla prima di queste tre operette Bacone, 
mentre poneva in luce la funzione essenziale che spetta alla 
topica c alle tavole, distingueva due differenti tipi di tavole: 
quelle che devono riunire i fatti più visibili e che si riferiscono 
a un determinato oggetto di ricerca (machina intellectus infe- 
rior seu sequela chartarum ad apparentiam primam) c quelle 
che hanno il compito, più alto, di aiutare l'intelletto a cono- 
scere « ciò che è nascosto » penetrando in tal modo fino alla 
« forma » delle cose (machina intellectus superior sive sequela 
chartarum ad apparentiam secundam). Le diciannove tavole 
elencate da Bacone nella Inquisitio legitima de motu costitui- 
vano una topica o «sistemazione provvisoria » che avrebbe 
dovuto consentire il passaggio alle tavole del secondo gruppo. 
Queste ultime (la machina superior) non sono in realtà che le 
tabule presentiae, absentiae, graduum del Novum Organum.** 

L'immagine baconiana dell’universo come labirinto e come 
selva, la sua convinzione che l’architettura del mondo « sia 
piena di vie ambigue, di fallaci somiglianze, di segni, di nodi 
e di spirali avvolti e complicati »,*° condiziona, in modo radi- 
cale, la dottrina baconiana del metodo. Uno dei compiti, se 
non il compito fondamentale, del metodo è, per Bacone, quello 
di introdurre ordine in questa caotica realtà. Nella Delineazio 


4° Commentarius solutus, Works, IIl, pp. 626 - 28: « Tria motuum ge- 
nera imperceptibilia, ob tarditatem, ut in digito horologii; ob minu- 
tias, ut liquor seu aqua corrumpitur ct congelatur cte.; ob tenuitatem, 
ut omnifaria aeris, venti, spiritus... Nodi et globi motuum, and how 
they concur and how they succeed and interchange in things most 
frequent. The times and moments wherein motions work, and which 
is the more swift and which is the more slow ». 

44 I tre scritti sono rispettivamente in Works, III, pp. 623 - 40; 644 - 52; 
657 - 80. 

45 Inquisitio legitima de motu, Works, III, pp. 637 - 38. 

49 Praefatio gencralis, Works, I, p. 129. 


RAMO, BACONE, CARTESIO 167 


del 1607 troviamo, a questo proposito, un'ammissione quanto 
mai significativa : la verità — scrive Bacone — emerge più 
facilmente dalla falsità che dalla confusione (« citius enim 
emergit veritas e falsitate quam e confusione »). Il compito, 
essenziale e fondamentale, di una eliminazione della confu- 
sione figurava, nella stessa opera, fra gli aiuti della memoria.*' 

« Eliminare la confusione », porre rimedio alla povertà di 
conoscenze fattuali dando luogo a raccolte di istanze certe: 
questi appaiono a Bacone i compiti fondamentali del nuovo 
metodo di interpretazione della natura. Di fronte a questi 
compiti le sue stesse tadulae gli appaiono nulla più di semplici 
esempi di un gigantesco lavoro che attende di essere realiz- 
zato (« neque enim tabulas conficimus perfectas, sed exempla 
tantum »).'* La stesura di una logica del sapere scientifico, 
alla quale Bacone aveva dedicato non poche delle sue fatiche 
fino dagli anni del Valerius Terminus, fu addirittura inter- 
rotta perché Bacone era fermamente persuaso che la costru- 
zione di tavole perfette costituisse l'elemento decisivo in vista 
della fondazione di un nuovo sapere scientifico. La storia na- 
turale, la raccolta organizzata dei fatti, la limitazione e la 
delimitazione dei diversi campi di ricerca, la costruzione di 
una serie di elenchi di luoghi naturali appartenenti ad un 
campo specifico (le Aistoriae particulares): tutto ciò gli apparve 
così importante da indurlo a interrompere la stesura del 
Novum Organum e a parzialmente svalutare quella stessa 
« macchina logica » che era stata per molti anni al centro dei 
suoi interessi.‘ 

La ordinata raccolta di materiali, la costruzione di una 
organizzata enciclopedia di tutti i fatti naturali raccolti nelle 
storie particolari, l’apprestamento di una raccolta di fatti o 
«storia generale » che fosse in grado di fornire nuovi mate- 
riali alle stesse storie particolari (Sylva silvarum): tutti questi 
progetti apparvero a Bacone, almeno al termine della sua 


4° Delineatio, Works, III, p. 553, cfr. anche Novun Organum, II, 20. 
48 Novum Organun:, II, 18. 

° Sul significato, da questo punto di vista, dell’ ultimo paragrafo del 
libro I del Novum Organum cfr. B. FarrINGTON, F. Bacon: philosopher 


SCIA science, New York, 1949, trad. ital. Torino, 1952, pp. 
- 121. 


49 


168 CLAVIS UNIVERSALIS 


vita, assai più importanti di ogni indagine volta a perfezio- 
nare l’apparato teorico delle scienze. Ognuna delle storie par- 
ticolari alle quali Bacone lavorò affannosamente dopo il 1620 
(il suo progetto comprendeva centotrenta storie) risponde a 
una duplice esigenza: eliminare le opinioni tradizionali muo- 
vendosi entro un campo di fatti accertati; disporre i fatti entro 
i campi particolari dando luogo ad una raccolta ordinata. Ove 
si passi da una considerazione generica ad una diretta lettura 
di queste « storie » baconiane, ci si renderà conto che esse si 
presentano appunto come raccolte di luoghi naturali e che esse 
rappresentano il tentativo di portare a compimento quel lavoro 
di raccolta già iniziato nella Inquisizio legitima de motu, nella 
Inquisitio de calore et frigore, e nella Historia et inquisitio 
prima de sono et auditu. 

Sostituendo alle raccolte di luoghi retorici una raccolta di 
luoghi naturali, piegando l’arte della memoria a fini differenti 
da quelli tradizionali, concependo le sabulae come mezzi di 
ordinamento della realtà mediante i quali la memoria prepara 
una « realtà organizzata » all’opera dell’intelletto, Bacone ave- 
va introdotto, entro la sua logica del sapere scientifico, alcuni 
tipici elementi derivanti da una precisa tradizione. Da questo 
punto di vista la sua « nuova » logica era assai più vicino di 
quanto egli non ritenesse alle impostazioni che un Ramo o un 
Melantone avevano dato alla dialettica quando l’avevano con- 
cepita come lo strumento atto a disporre ordinatamente le no- 
zioni. Vale la pena di ricordare ancora una volta la definizione 
che Melantone aveva dato del metodo quando lo aveva quali- 
ficato un’ars che quasi per loca invia et per rerum confusionem 
trova e apre una via ponendo in ordine le res ad propositum 
pertinentes e la definizione ramista della dispositio (che si 
identifica per Ramo con il iudicium e con la memoria) come 
apta rerum inventarum collocatio. 

AI di là di tutte le grandi differenze che si possono senza 
dubbio elencare, il concetto baconiano del metodo della scienza 
si muove ancora su questo terreno: // metodo è un mezzo di 
ordinamento e di classificazione degli elementi che compon- 
gono la realtà naturale. La dottrina della ministratio ad me- 
moriam aveva esercitato, da questo punto di vista, un peso 


RAMO, BACONE, CARTESIO 169 

decisivo sulla costruzione baconiana di una nuova logica e di 

un nuovo metodo delle scienze.*° 

b) Gli atuti alla memoria e la dottrina dell’ enumerazione 
nelle Regulae. 

Gli echi della trattatistica rinascimentale sulla memoria 
artificiale ricompaiono, oltre che nei frammenti del giovane 
Cartesio, anche nel testo delle Regulae. Quando, nella re- 
gola XVI, Cartesio concepisce la scrittura come un'arte esco- 
gitata a rimedio della naturale labilità della memoria e parla 
di un intelletto che « va aiutato dalle immagini dipinte dalla 
fantasia » non fa che ripetere nei loro termini più tradizionali, 
luoghi comuni presenti in quasi tutti i testi della mnemotecnica 
di derivazione “ciceroniana”: 

Anonimo del sec. XVI (Mar- 
ciana, lat. 274, £. 4Ir.). 


vVescarTEs, Regulae, in Ocuvres, 
X, p. 454. 


. operae practium est omnes alias Sicut enim invenerunt. homines 
[dimensiones] ita retinere, ut fa- diversas artes ad iuvandum di- 
cile occurrant quoties usus exigit;  versis modis naturam, sic enim 


in quem finem memoria videtur videntes quod per naturam me- 


a natura instituta. Sed quia haec 
sacpe labilis est... aptissime scri- 
bendi usus ars adinvenit; cuius 
ope freti... quaccunque erunt re- 
stituenda in charta pingemus. 


moria hominis labilis est, conati 
sunt invenire artem aliquam ad 
iuvandum naturam seu memo- 
riam... et sic adinvenerunt scrip- 
turam... 


A questa stessa assai antica tradizione si era del resto ri- 
chiamato Bacone nel De augmentis quando aveva visto anche 
egli nella scrittura il principale aiuto alla memoria: 


adminiculum memoriae plane scriptio est, atque omnino 
monendum quod memoria, sine hoc adminiculo, rebus 
prolixioribus impar sit, neque ullo modo nisi de scripto 
recipi debcat.5! 


Il ricorso cartesiano alle « immagini corporee », ai simboli, 
alla scrittura acquista tuttavia, all’interno della complessa me- 
todologia delle Regw/ze, un senso particolare. La scrittura e la 
«rappresentazione sulla carta » servono a sgombrare l’animo 
da ogni sforzo mnemonico, a liberarlo da esso, in modo che 


°° A queste conclusioni, sulla base di una trattazione più analitica 
degli scritti baconiani, ero già pervenuto nello studio F. Bacone, dalla 
magia alla scienza, Bari, 1957, cap. VI. 

51 Works, I, p. 647. 


170 CLAVIS UNIVERSALIS 


la fantasia e l’intelligenza possano essere completamente ri- 
volte alle idee o agli oggetti presenti: fiduciosi nell’aiuto della 
scrittura — afferma Cartesio — non affideremo nulla alla 
memoria, ma, lasciando libera e completa la fantasia alle idee 
presenti, rappresenteremo sulla carta qualunque cosa si vorrà 
ricordare; nessuna di quelle cose che non richiedono perpetua 
attenzione, se può esser messa sulla carta, deve essere impa- 
rata a memoria, affinché un ricordo inutile non sottragga 
parte della nostra intelligenza alla cognizione dell'oggetto prc- 
sente. Ai segni o simboli arbitrariamente scelti (a, b, c. ecc. 
per le grandezze note; A, B, C, ecc. per quelle ignote) è affi- 
data questa funzione mnemonica: essi saranno proprio per 
questo « brevissimi » di modo che « dopo aver scorto distin- 
tamente le singole cose, possiamo percorrerle con un moto 
celerissimo di pensiero e insieme quanto più è possibile simul- 
tancamente »."* 


Il problema della « notazione » 


o della scrittura e quello, 


52 Qeuvres, X, p. 458, 454: « nulla unquam esse memoriac mandanda 
ex iis, quac perpetuam attentionem non requirunt, si possimus ea in 
charta deponere, ne scilicet aliquam ingenii nostri partem obiecti prae- 
sentis cognitioni supervacua recordatio surripiat... nihil prorsus memo- 
riac committemus, sed liberam et totam pracesentibus ideis phantasiam 
reliquentes, quaecumque erunt retinenda in charta pingemus; idque 
per brevissimas notas, ut postquam singula distincte inspexcrimus... 
possimus... omnia celerrimo cogitationis motu percurrere et quamplu- 
rima simul intucri. Quidquid ergo ut unum ad difficultatis solutionem 
crit spectandum, per unicam notam designabimus, quae fingi potest 
ad libitum. Sed, facilitatis causa, utemur characteribus a, b, c, etc. 
ad magnitudines iam cognitas, et A, B, C, etc., ad incognitas cexpri- 
mendas... ». 

53 Ancor più chiaramente che nelle Regulae (si veda il passo citato 
nella nota precedente) il problema della notazione o dell'impiego dei 
simboli algebrici si collega, nel testo del Discours de la méthode (cfr. 
Ocuvres, VI, p. 20; ediz. Gilson, p. 20) al problema della ritenzione 
e della memoria: « Je pensai que, pour les considérer micux en par- 
ticulier [si fa riferimento ai rapporti c alle proporzioni], je les devais 
supposer en des lignes, à cause que je ne trouvais rien de plus simple, 
ni que je puisse plus distinctement représenter à mon imagination 
et à mes sens; mais que, pour les retenir ou les comprendre plusieurs 
ensemble, il fallait que je les expliquasse par quelques chiffres, les 
plus courts qu'il serait possible ». Il termine chiffres è tradotto, nella 


edizione latina, con «characteribus sive quibusdam notis» (cfr. Oew- 
vres, VI, p. 551.) 


RAMO, BACONE, CARTESIO 171 


ad esso strettamente connesso, degli aiuti della memoria 
(« utendum est... memoriae auxiliis », dice il titolo della re- 
gola XII) vanno in tal modo a intrecciarsi strettamente, nel 
pensiero cartesiano a quelli dell’intuizione e di quel « moto 
continuo e non interrotto del pensiero » nel quale consiste la 
deduzione. Nel corso della regola III Cartesio chiarisce le 
ragioni della presenza, accanto all’intuito, di un altro « modo 
di conoscenza che avviene per deduzione ». L'’intuito, che è 
«un concetto della mente pura tanto ovvio e distinto » da 
escludere ogni possibilità di dubbio, è richiesto non per i soli 
enunciati (« ognuno può intuire che egli esiste, che egli pensa, 
che il triangolo è delimitato soltanto da tre linee » ecc.), ma 
anche per qualsiasi tipo di discorso: 2 e 2 fanno il medesimo 
di 3 e 1; non soltanto si deve intuire che 2 e 2 fanno 4 e che 
3 e 1 fanno pure 4, ma anche che quella terza proposizione 
si conclude necessariamente da queste due.?* La deduzione, di 
principio, si riduce dunque a intuizione. A tale riducibilità 
di principio non corrisponde tuttavia una riducibilità di fatto : 
di qui la necessità di introdurre un diverso termine, quello di 
deduzione. Molte cose vengono sapute con certezza nonostante 
non siano evidenti di per sé: una verità, di per sé non auto- 
evidente, può essere infatti la necessaria conseguenza di una 
ininterrotta catena di verità autoevidenti attraverso la quale, 
con un moto continuo di pensiero, « passa » la nostra mente. 
Ogni passo di questo moto o ogni « anello della catena » viene 
afferrato mediante una intuizione immediata, ma la conclu- 
sione, vale a dire la necessaria connessione tra il primo e l’ul- 
timo anello della catena non è presente alla mente con la stessa 
evidenza che caratterizza la intuizione intellettuale. « Sap- 
piamo » che l’ultimo anello è congiunto con il primo; non ve- 
diamo tuttavia, con un solo e medesimo sguardo, tutti gli anelli 
intermedi dai quali la connessione dipende: ci limitiamo per- 
tanto a passarli l’uno dopo l’altro in rassegna e a ricordare 
che i singoli anelli, dal primo all’ultimo, stanno attaccati ai 


34 Qeuvres, X, p. 369: « At vero haec intuitus evidentia et certitudo, 
non ad solas enuntiationes, sed etiam ad quoslibet discursus requiritur. 
Nam; exempli gratia, sit haec consequentia: 2 & 2 efficiunt idem 
quod 3 & 1; non modo intuendum est 2 & 2 efficere 4, et 3 & |] cf- 
ficere quoque 4, sed insuper ex his duabus propositionibus tertiam 
illam necessario concludi ». 


172 CLAVIS UNIVERSALIS 


più vicini. La distinzione fra intwstus e deductio è fondata ap- 
punto su ciò: nella deductio si concepisce un movimento o 
una successione che è del tutto assente nell’ /nzetzs; alla de- 
duzione non è necessaria quella attuale evidenza che è pre- 
sente nell’intuito: la deduzione mutua in certo modo la sua 
certezza dalla memoria.” 

Nel caso di deduzioni non particolarmente complesse o 
di brevi « catene » è sufficiente la memoria naturale; ove tut- 
tavia le « catene » siano così ampie da oltrepassare le nostre 
capacità intuitive e le deduzioni corrispondentemente com- 
plesse è necessario per Cartesio « soccorrere la naturale infer- 
mità della memoria » (« memoriae infirmitati succurrendum 
esse »). La conoscenza di una necessaria connessione tra il 
primo e l’ultimo anello della catena richiede infatti la dedu- 
zione dell’ultimo anello: dedurlo vuol dire pervenire ad esso 
passando «con moto continuo e non interrotto del pensiero » 
da anello ad anello. Ove venga trascurato anche un solo anello 
la deduzione apparirà impossibile o illegittima. In questo senso 
va soccorsa la memoria: 


La deduzione si compie talvolta mediante una così lunga 
concatenazione di conseguenze che, quando perveniamo 
ad esse, non ci ricordiamo facilmente di tutto il cammino 
che ci ha condotto fin lì: per questo diciamo che si deve 


> Qeuvres, X, p. 369-70: « Hinc iam dubium esse potest, quare, prae- 
ter, intuitum, hic alium adiunximus cognoscendi modum, qui sit per 
deductionem: per quam intelligimus, illud omne quod cx quibusdam 
aliis certo cognitis necessario concluditur. Sed hoc ita faciendum fuit, 
quia plurimae res certo sciuntur, quamvis non ipsac sint evidentes, modo 
tantum a veris cognitisque principiis deducantur per continuum ct 
nullibi interruptum cogitationis motum singula perspicue intuentis: 
non aliter quam longae alicuius catenae extremum annulum cum primo 
connecti cognoscimus, etiamsi uno eodemque oculorum intuitu non 
omnes intermedios, a quibus dependet illa connexio, contemplemur, 
modo illos perlustraverimus successive, et singulos proximis a primo 
ad ultimum adhaerere recordemur. Hic igitur mentis intuitum a deduc- 
tione certa distinguimus ex co, quod in hac motus sive successio quac- 
dam concipiatur, in illo non item; et praeterea, quia ad hanc non ne- 
cessaria est praesens evidentia, qualis ad intuitum, sed potius a me- 
moria suam certitudinem quodammodo mutuatur ». (Cfr. anche la re- 
gola XI, Ocuvres, X, pp. 408 -9). 


RAMO, BACONE, CARTESIO 173 


portare aiuto alla debolezza della memoria mediante un 
continuo movimento del pensiero?" 


Quel processo che Cartesio chiama enumerazione o indu- 
zione (enumeratio sive inductio) costituisce appunto questo 
giuto alla memoria. Il fine che si propone questa minsstratio 
ad memoriam (per usare il termine baconiano) è l’acquisizione 
di una rapidità o celerità nella deduzione tale da ridurre al 
minimo, pur senza totalmente eliminarlo, il ruolo esercitato 
dalla stessa memoria e tale da conferire ad un insieme di co- 
noscenze troppo complesso per essere abbracciato da una sola 
intuizione, l'immediata evidenza che è privilegio della stessa 
capacità intuitiva: 

«Se mediante diverse operazioni ho conosciuto quale sia 
il rapporto tra la grandezza A e B, poi tra Be C, poi tra C 
e De infine tra D e E, non per questo vedo il rapporto tra A 
e E, né lo posso ricavare con esattezza dalle cose già cono- 
sciute se non mi ricordo di tutte. Per questo le percorrerò 
tante volte con una specie di moto dell’immaginazione che in- 
tuisce le singole cose e insieme si trasferisce nelle altre, finché 
abbia imparato a passare dalla prima all’ultima con tanta 
celerità che, quasi non lasciando alcuna parte alla memoria, 
mi sembri di intuire tutto insieme. In tal modo, mentre si 
aiuta la memoria, si corregge anche la tardità dell'ingegno e 
si amplia in qualche modo la sua capacità ».' 

E’ tuttavia possibile, ritengo, mettere in luce alcuni punti 


le) 
di contatto più profondi di quelli finora rilevati tra il testo 


% Qeuvres, X, p. 387: « Hoc enîm sit interdum per tam longum conse- 
quentiarum contextum, ut, cum ad illas devenimus, non facile recor- 
demur totius itineris quod nos co usque perduxit; ideoque memoriae 
infirmitati continuo quodam cogitationis motu succurrendum esse 
dicimus ». 

5? Ocuvres, X, pp. 387 -88: « Si igitur, ex. gr., per diversas operationes 
cognoverim primo, qualis sit habitudo inter magnitudines A _& B, 
deinde inter B & C, tum inter C & D, ac denique inter D & E: non 
idcirco video qualis sit inter A_& E, nec possum intelligere praecise 
ex iam cognitis, nisi omnium recorder. Quamobrem illas continuo 
quodam imaginationis motu singula intuentis simul et ad alia tran- 
seuntis aliquoties percurram, donec a prima ad ultimam tam celeriter 
transire didicerim, ut fere nullas memoriae partes reliquendo, rem 
totam simul videar intueri; hoc enim pacto, dum memoriae subveni- 


tur, ingenii ctiam tarditas emendatur, ciusque capacitas quadam ra- 
tione cxtenditur ». 


174 CLAVIS UNIVERSALIS 


cartesiano delle Regulae e quella tradizione di ars memorativa 
alla quale ci siamo fin qui richiamati. L. J. Beck, che sulla 
metodologia delle Regulae ha scritto pagine assai acute, ha 
nettamente (e a mio avviso giustamente) distinto due diversi 
significati o due differenti accezioni del termine enumerazione 
in Cartesio.?* Quando fa riferimento, nel Discorso, alla enu- 
merazione Cartesio parla infatti da un lato di « enumerazioni 
complete » (denombrements entiers) e dall'altro di « revisioni 
generali » (revues générales). La traduzione latina del Discorso, 
rivista come è noto dallo stesso Cartesio, chiarisce ancor me- 
glio la distinzione qui adombrata: l’espressione denombre- 
ments entiers viene tradotta con singula enumerare, quella 
revues générales con omnia circumspicere.?® Comunque sia 
da considerare la distinzione fra questi due diversi aspetti o 
queste due diverse funzioni dell’enumerazione, resta il fatto 
che con questo termine Cartesio sembra far riferimento: 1) a 
quel rimedio alla memoria che deve essere presente, abbiam 
visto, nel caso di deduzioni particolarmente complesse o di 
«catene » troppo lunghe; 2) all’ordinamento delle condizioni 
dalle quali dipende la soluzione di un problema particolare 
e a quell’iniziale ordinamento dei dati che è preliminare ad 
ogni ricerca e che mira all’ « isolamento » e alla determina- 
zione del problema stesso. 

« Enumerazione o induzione — scrive Cartesio nella re- 
gola VII — è una diligente e accurata ricerca di tutto quanto 
concerne una questione proposta, sì che da essa si possa con- 
cludere con certezza ed evidenza che nulla è stato ingiusta- 
mente tralasciato ».°° La funzione attribuita alla enumerazio 


58 Cfr. L. J. Beck, The Method of Descartes, a Study of the Regu- 
lae, Oxford, 1952, p. 143, ma cfr. le pp. III-146. Sull'enumerazione 
cartesiana: R. Husert, La théorie cartesienne de lenumeration, in 
« Revue de metaphysique et de morale », 1916, pp. 489-516; Sirven, 
Les années d'apprentissage de Descartes, Paris, 1928, pp. 378-79; E. 
Gitson, ediz. del Discosrs, Paris, 1947, pp. 210-213; N. KeMr SMITH, 
New Studies in the Philosophy of Descartes, London, 1952, pp. 70-77; 
144 - 49; 150- 59. 

39 Qetivres, VI, p. 559. 

6° Qeuvres, X, p. 388: « Est igitur haec cnumeratio sive inductio, corum 
omnium quae ad propositam aliquam quaestionem spectant, tam dili- 
gens et accurata perquisito, ut ex illa certo evidenterque concludamus, 
nihil a nobis perperam fuisse praetermissum ». 


RAMO, BACONE, CARTESIO 175 


appare qui assai diversa da quella alla quale abbiamo fin’ora 
fatto riferimento. Enumerare vuol dire qui procedere ad una 
classificazione logica (che si svolge normalmente prima del 
processo deduttivo) in vista di una determinazione e limita- 
zione dei problemi. Si tratta, come dice esattamente il Beck, 
di un « preparatory making-out of the field of knowledge in 
which a proposed investigation of some particular problem is 
presently to take place ».° 

AI Beck, che è esclusivamente interessato ad un esame 
della struttura formale del metodo cartesiano c delle relazioni 
intercorrenti tra i vari scritti di Cartesio, è sfuggita (così come 
agli altri interpreti)? la sostanziale affinità tra questa accezione 
del termine enumerazione e la topica baconiana che si presenta 
anch’essa, non a caso, come un aiuto alla memoria. Il prin- 
cipale compito degli aiuti alla memoria consisteva per Bacone 
nella costruzione di regole atte a limitare il « campo infinito » 


6! L. J. Beck, op. cit., p. 130. 

€2 Ad una perfetta conoscenza dei testi cartesiani non corrisponde, così 
nel caso del Beck come in quello del Gouhier, una altrettanto perfetta 
conoscenza dei testi filosofici e non filosofici circolanti nella cultura 
francese ced europea del primo Seicento. Si veda per esempio (per re- 
stare nei limiti dei problemi qui trattati) come il Gouhier, nel suo 
bel libro su Les premières pensées de Descartes, liquidi in due righe 
il problema dei rapporti tra Cartesio e la tradizione del lullismo senza 
aver preso visione dell’unico studio sull'argomento e senza rendersi 
conto che il giudizio cartesiano su Lullo (« parler sans jugement des 
choses qu'on ignore ») non è che la ripetizione di un luogo presente 
nei testi filosofici da Agrippa a Bacone (p. 27 n. 55). Anche l’espressio- 
ne cartesiana «in quodam ordine locorum dialecticorum unde ratio- 
nes desumuntur » fa riferimento, contrariamente a quanto mostra di 
credere il Gouhier, ad un ben preciso tipo di letteratura; così come 
l'affermazione « una est in rebus activa vis ecc.» e il proposito di 
servirsi di «cose sensibili » per raffigurare lc « spirituali » ec l’imma- 
gine della catena scientiarum risultano del tutto incomprensibili e gra- 
tuiti, pur prestandosi ad eleganti considerazioni di carattere specula- 
tivo, ovc non vengano intesi nei loro rapporti con un ambiente e con 
una tradizione. Cartesio, che aveva letto le pagine dello Schenkel, 
non aveva certo bisogno di ricorrere a Keplero per concepire le cose 
corporee come simboli di quelle spirituali. Ma del passo cartesiano 
che fa riferimento all’ars memoriae dello Schenkel, Gouhier elimina 
la seconda metà (che risulta difficilmente comprensibile a chi non 
abbia visto il testo dello Schenkel) senza poter spiegare in alcun modo 
in che cosa consiste il « nuovo procedimento » che Cartesio ritiene di 
aver inventato. (Cfr. GouHIER, op. cit., pp. 27, 28, 69, 82-84, 92). 


176 CLAVIS UNIVERSALIS 


della conoscenza umana e a determinare quindi un campo di 
conoscenza specifico e limitato: « dalla immensa moltitudine 
dei fatti viene distaccata una storia particolare le cui parti 
vengono ordinatamente disposte... in primo luogo mostreremo 
quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un 
dato problema, il che è qualcosa di simile a una topica; in 
secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddi- 
vise... ».5° 

L’enumerazione, come aiuto alla memoria, ha quindi per 
Cartesio il compito di svolgere una accurata ricerca di tutto 
quanto concerne una questione proposta; quella sorta di « to- 
pica » che costituisce per Bacone il principale aiuto della me- 
moria ha esattamente lo stesso compito e la stessa funzione: 
mostrare quali siano le cose che devono essere ricercate intorno 
a un dato problema. Dopo aver preliminarmente isolato e de- 
terminato un problema o una questione (proprio questo, ab- 
biam visto, era il compito che la tradizione retorica affidava 
ai loci) si doveva, secondo Bacone, procedere ad un ordina- 
mento, ad una suddivisione e ad una classificazione delle cose 
concernenti la questione proposta. Su questo punto c da que- 
sto punto di vista la posizione di Cartesio non è in alcun 
modo differente : 

«Se si dovessero considerare una ad una le singole cose 
che riguardano la questione proposta non sarebbe sufficiente 
la vita di nessun uomo. Ma se tutte le cose vengano disposte 
nell'ordine migliore, in maniera che siano ridotte il più pos- 
sibile a classi determinate, sarà sufficiente vedere esattamente 
una sola di queste, oppure qualcosa di ciascuna, o almeno 
non ripercorreremo mai niente due volte invano; ciò è di tanto 
giovamento che spesso, in base a un ordine bene stabilito, si 
compiono rapidamente e senza difficoltà molte cose che, al 
primo aspetto, apparivano immense ».5 


© Cfr. il testo sopra riportato alla nota 40. 

6! Qcuvres, X, pp. 390-91: « Addidi etiam enumerationem debere esse 
ordinatam... si singula quae ad propositum spectant, essent separatim 
perlustranda, nullius hominis vita sufficieret, sive quia nimis multa 
sunt, sive quia sacpius cadem occurrerent repetenda. Scd si omnia illa 
optimo ordine disponamus, ut plurimum, ad certas classes reducentur, 
ex quibus vel unicam exacte videre sufficiet, vel cx singulis aliquid, 


RAMO, BACONE, CARTESIO 177 


Non è qui nostro compito esaminare le differenze inter- 
correnti tra l’induzione baconiana e la inductio o enumeratio 
cartesiana. Al di là delle differenze si voleva qui sottolineare, 
nel pensiero dei due « fondatori » della filosofia moderna, la 
presenza e la persistenza di temi legati ad antiche e recenti 
discussioni sulla memoria. A queste discussioni vanno colle- 

ate non solo gli interessamenti di Bacone e di Cartesio per i 
problemi della mnemotecnica, non solo l’immagine dell’arbor 
scientiarum e i progetti di una scientia universalis o sapientia, 
ma anche la dottrina, baconiana e cartesiana, degli «aiuti 
della memoria ». Non si tratta dunque solo dei « residui » di 
una tradizione veneranda, degli echi ultimi, ormai privi di 
importanza e di significato storico di un fortunato genere 
letterario; né si tratta di concessioni ad una « moda » assai 
diffusa. Nella Znterpretatio naturae di Bacone e nelle Regulae 
ad directionem ingenti di Cartesio ci sono apparse presenti al- 
cune tesi legate alla tradizione “retorica” dell’ars  memora- 
tiva: al necessario « isolamento » di una questione si giunge 
mediante una preliminare classificazione degli elementi costi- 
tutivi del problema; l’ordine è elemento ineliminabile e costi- 
tutivo di tale classificazione; queste ordinate e « artificiali » 
classificazioni costituiscono il necessario rimedio alla insuffi- 
cienza e alla labilità della memoria naturale. Come già aveva 
fatto Ramo, anche Bacone e Cartesio avevano dunque inserito, 
nella loro logica, una dottrina degli aiuti della memoria: en- 
trambi considerano una tecnica del rafforzamento della me- 
moria strumento indispensabile alla formulazione e al “fun- 
zionamento” di una nuova logica o di un nuovo metodo. 

Con Ramo, Bacone e Cartesio l’antico problema della me- 
moria artificiale che aveva per oltre tre secoli appassionato me- 
dici e filosofi, studiosi di retorica, enciclopedisti e cultori di 
magia naturale, aveva fatto in tal modo il suo ingresso, sia 
pure piegato a nuove esigenze e profondamente trasfigurato, 
nei quadri della logica moderna. Attraverso l'influenza eser- 
citata dal pensiero baconiano sulle ricerche linguistiche che si 


vel quasdam potius quam caeteras, vel saltem nihil unquam bis frustra 
percurremus; quod adeo iuvat, ut sacpe propter ordinem bene insti- 
tutum brevi tempore et facili negotio peragantur, quae prima fonte 
videbantur immensa ». 


178 CLAVIS UNIVERSALIS 


svolsero in Inghilterra nella seconda metà del Seicento, attra- 
verso l’opera di Alsted e di Comenio questo stesso problema 
apparirà ancora una volta essenziale, nel corso del secolo XVII, 
alla costruzione di dizionari totali, di linguaggi perfetti e di 
universali enciclopedie. Non a caso nella tradizione lulliana 
si era lungamente insistito sulle connessioni che intercorrono 
tra la memoria, la logica e l’enciclopedia. « Si igitur ordo est 
memoriae mater, logica est ars memoriae » scriverà lo Alsted; 
e non a caso, avviando i suoi progetti di una caratteristica uni- 
versale, Leibniz si volgerà — oltre che a Bacone, Alsted e 
Comenio — a Lullo e ai suoi grandi commentatori del Rina- 
scimento e si richiamerà a non pochi e non secondari testi di 
ars memorativa. 


VI. 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 


1. IL SISTEMA MNEMONICO UNIVERSALE: Enrico ALSTED. 


L'ideale enciclopedico che, da Bacone a Leibniz, domina 
la cultura del secolo XVII si mostra operante, con forza sin- 
golare, nell’opera vastissima di Enrico Alsted (1588 - 1638) 
maestro di Comenio a Herborn, editore di testi del Bruno, 
seguace di Lullo e di Ramo, riformatore dei metodi dell’edu- 
cazione e dell’insegnamento. Percorrendo i molteplici scritti, 
i numerosi manuali e infine il grande Systema mnemonicum 
dello Alsted, ci si rende ben conto che dietro la sovrabbon- 
danza delle citazioni, la ricchezza strabocchevole dell’erudi- 
zione e l'apparenza antologica delle opere, dietro la mesco- 
lanza spesso caotica di temi di logica di retorica di fisica e di 
medicina, sono presenti motivi essenziali: destinati a eserci- 
tare un'influenza decisiva sul costituirsi, agli inizi del Sei- 
cento, dell'ideale pansofico e dell’enciclopedismo. 

Riformare le tecniche di trasmissione del sapere; dar luo- 
go ad una classificazione sistematica di tutte le attività ma- 
nuali e intellettuali: entrambi questi progetti si risolvono, per 
Alsted, in quello della costruzione di un nuovo « sistema » 
che riunisca in un unico corpus, in un organo totale delle 
scienze, i princìpi di tutte le discipline. Solo attraverso l’enci- 
clopedia, che rivela i rapporti tra le varie discipline e porta 
alla luce la sistematicità del sapere, potrà essere costruito un 
nuovo metodo, potrà essere definito un nuovo, organico pia- 
no degli studi.’ L’esplicita adesione di Alsted alla tematica 
del lullismo, la sua insistenza sul valore della memoria come 
tecnica dell'ordinamento enciclopedico delle nozioni, possono 
essere intese solo in funzione di questo suo grande progetto. 


! Per i rapporti fra l'enciclopedia e il piano degli studi cfr. E. Garin, 
L'educazione in Europa, Bari, 1957, pp. 235 -39. Sul lullismo di Asted 
cfr. Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, Madrid, 1939-43, II, pp. 
239-49; V. OsLer, s.v. in Dictionnaire de Théologie Catolique, I, 
coll. 923 - 24. Molte opere inedite in Niceron, Mémoires, Parigi, 1740, 
41, pp. 298-311. 


180 CLAVIS UNIVERSALIS 


Alla ricerca di una « via compendiosa » capace di dischiudere 
all'uomo il possesso di un sapere totale si volsero, secondo 
Alsted, i tre maggiori studiosi di logica che siano apparsi sulla 
terra: Aristotele, Raimondo Lullo, Pietro Ramo. Essi si ri- 
volsero agli uomini, che erano alle origini della storia, « pror- 
sus feros et cyclopicos » e, quasi tenendoli per mano, li con- 
dussero « verso i pascoli amenissimi della scienza ». Al di là 
delle differenze, i tre grandi filosofi ebbero uno scopo e un me- 
todo comune «ad quem collinearunt, licet in modis dissi- 
deant »: in questo senso le loro dottrine possono e debbono 
essere conciliate.? Nella Panacea philosophica seu... de armo- 
nia philosophiae aristotelicae lullianae et rameae® del 1610 
Alsted tenterà, con grande ricchezza di riferimenti, una con- 
ciliazione dei tre metodi, ma già nella Clavis artis lullianae 
che qui più da vicino ci interessa e che risale all'anno prece- 
dente, troviamo presente questa stessa preoccupazione. Nel 
terzo capitolo dell’opera, De tribus sectis logicorum hodie vi- 
gentibus, Alsted volgeva la sua attenzione alla situazione, in 
Europa, degli studi di logica. Dopo aver tracciato un breve 
quadro dell’aristotelismo e aver ricordato, fra gli aristotelici 
contemporanei, Melantone e Goclenius, Scaligero e Zabarella, 
Piccolomini e Suarez, egli lamentava lo scarso vigore della 
setta dei lullisti tedeschi e paragonava la triste situazione della 
logica tedesca, intieramente dominata dalle controversie fra 
aristotelici e ramisti, al fiorire degli studi lulliani in Spagna, 
in Francia, in Italia. I grandi commentatori di Lullo, da 
Agrippa a Bruno, dal Gregoire al De Valeriis, non sono stati 
in grado di chiarire il complesso funzionamento della combi- 
natoria, hanno aggiunto oscurità ad oscurità, hanno mescolato 
i loro sogni alle tenebre del lullismo. Per risollevare le sorti 


2 Cfr. Clavis artis lullianac et verae logices duos in libellos tributa, id 
est solida dilucidatio artis magnac, generalis et ultimae quam Raymun- 
dus Lullus invenit... edita in usum cet gratiam corum, qui impendio 
delectantur compendiis, et confusionem sciolorum qui iuventutem fa- 
tigant dispendiss, Argentorati, Sumptibus Lazari Zetzneri Bibliop., 
anno 1609 (ristampata nel 1633 e nel 1651), prefazione, (Copia usata: 
Triv. Mor. I, 304). 

° Panacea philosophica seu Encyclopaediae universa discendi methodus. 
De armonia philosophiae aristotelicac, lullianae et rameae, Herbornae, 
1610 (Copia usata: Braid., B. XII. 5, 314). 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 181 


della setta lulliana è necessario richiamarsi all'opera del La- 
vinheta, di Fernando de Cordoba, di Lefèvre d’Etaples, del 
Bovillo, dei fratelli Canterio, di Pico e riprendere dai fonda- 
menti il grande progetto di Raimondo: trovare una scienza, 
conosciuta la quale, tutte le altre possano essere senza fatica 
né difficoltà conosciute, e che, come il filo di Teseo, costitui- 
sca il criterio di verità di ogni aspetto e di ogni manifestazio- 
ne del sapere. Quest’ars generalis, che Alsted avvicina ripetu- 
tamente alla cabala, potrà essere realizzata mediante la de- 
terminazione dei « termini generalissimi » e dei « princìpi ge- 
nerali » presenti in ogni singola scienza e la successiva indivi- 
duazione dei termini e dei princìpi « comuni », costitutivi cioè 
di ogni possibile sapere." 

Esistono quindi, per Alsted, assiomi o princìpi universali 
comuni a tutte le scienze, operanti in ogni ricerca. Le scienze 
e le tecniche si presentano, ad un primo sguardo, come un 


4 Cfr. Clavis artis lullianae, cit., pp. 9-14; 19: « Tantum de Rameis 
restant philosophi in Germania minus celebres Lullisti. In Germania, 
dico quia in Hispaniis, Galliis et Italia sunt quamplurimi de hoc grege, 
ct nominatim quidem in Italia sunt speculatores... qui huic arti sunt 
deditissimi... Haec duo sectae, Peripatetica dico ct Ramaea in pracsen- 
tiarum sunt florentissimac, superest tertia, puta Lullistarum, quae 
hodie ferme "Multis pro vili, sub pedibus jacet”... ». Il giudizio sui 
commentatori era particolarmente aspro: «Nam commentatores (uti- 
nam fuissent commendatores) lulliani, tenebras potius et nebula offu- 
derugt quam lucem ‘attulerunt, aut facem practulerunt divino operi. 
Aut enim sua somnia immiscuerunt, aut obscura per acque obscura 
explicarunt ». Lo scopo della divina arte di Lullo fu di «talem inve- 
nire scientiam, qua cognita, reliquae quoque sine difficultate ulla labo- 
reque magno cognoscerentur, et ad quam, tamquam lydium lapidem, 
flum Thesci ct Cynosuram omne scibile examinaretur ». L’avvicina- 
mento dell’arte lulliana alla cabala è, nell'opera di Alsted, continuo e 
insistente. Si veda per es. la Tabula ad artis brevis cabalae tractatus et 
artis magnac primum caput pertinens c il giudizio su Lullo: « Quum 
Lullius fuerit mathematicus et kabbalista, impendio delectatus est me- 
thodo docendi mathematica et kabbalista, ideoque circulus adhibuit, 
quos non nemo concinne vocavit magistros scientiarum. Et huc facit 
tritus versiculus: Omnia dant mundo Crux, Globus atque Cubus ». 
Può essere di qualche interesse notare che, fra i cultori dell'Arte, Alsted 
ricorda anche il Poliziano «qui, opino per hanc artem, se disputare 
posse de omnibus pollicebantur » (p. 14). Per i richiami di Alsted a 
Bruno cfr. le mie Note bruniane, in « Rivista critica di storia della 
filosofia », 1959, II, pp. 198-199. 


182 CLAVIS UNIVERSALIS 


insieme caotico, come una disordinata foresta: dietro quel 
caos apparente sono rintracciabili le linee di un ordine pro- 
fondo; la rigida separazione fra le scienze è solo provvisoria; 
quell’intricata foresta potrà rivelarsi l’ordinata ramificazione 
di un unico, comune albero del sapere dal quale si dipartono, 
secondo una razionale successione, i rami delle singole scienze 
e delle differenti tecniche. In vista della costruzione di un 
nuovo metodo universale è necessario riportare ordine, coe- 
renza e sistematicità in quel caos, penetrare coraggiosamente 
in quella foresta per chiarire l’ordinata struttura dei suoi rami, 
per svelare l’esistenza di un tronco comune e portare infine 
alla luce le comuni radici. 

Da questo punto di vista, il problema del metodo si risol- 
veva integralmente in quello di un ordinamento delle no- 
zioni, di una sistematica classificazione degli oggetti che co- 
stituiscono il mondo e dei concetti che sono stati elaborati 
dall'uomo. La logica, strumento del metodo, ha il compito 
di ordinare e di classificare: «La sola logica è l’arte della 
memoria. Non si dì nessuna mnemotecnica al di fuori della 
logica. E pare che di ciò si sia accorto Raimondo Lullo che, 
nel suo opuscolo De auditu kabbalistico, scrisse queste paro- 
le: “Il metodo vien costituito non solo per l’esercizio del- 
l’umano intelletto, ma anche perché fornisca un rimedio alla 
dimenticanza”. Se dunque l’ordine è la madre della me- 
moria, la logica è l’arte della memoria. Trattare dell’ordine 
è infatti il compito della logica ».* 

L’intera enciclopedia si presenta in tal modo come un 
grande Systema mnemonicum e la logica si presenta come 
una directio intellectus che è, al tempo stesso, una confir- 
matto memoriae.® Precisamente su questo terreno Alsted 
tenta di realizzare una conciliazione tra la dialettica rami- 


5 Cfr. Systema mnemonicum duplex... in quo artis memorativae prae- 
cepta plene et methodice traduntur: et tota simul ratio docendi, discen- 
di, Scholas aperiendi, adeoque modus studendi solide explicatur et a 
pseudo-memoristarum, pseudo-lullistarum, pseudo-cabbalistarum im- 
posturis discernitur atque vindicatur, Prostat, in nobilis Francofurti Pal- 
theniana, anno 1610, p. 5 (Copia usata: Angelica, XX. 12. 47). 

* Systema mnemonicum duplex, cit., p. 105: « Logicae duplex est finis 
et duplex obiectum; primus est directio intellectus, secundus est me- 
moriae confirmatio ». 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 183 


sta e la combinatoria lulliana. Non a caso, nel System mne- 
monicum duplex del 1610, dopo aver definito il metodo come 
« instrumentum mnemonicum quod docet progredi a ge- 
neralissimis ad specialissima » egli inserisce nella sua tratta- 
zione le tre fondamentali leggi della dialettica ramista: « Pri- 
ma lex est lex homogeniae... secunda lex dicitur coordina- 
tionis.... tertia lex dicitur transitionis ».' 

Eredità lulliane ed influenze ramiste, echi delle ormai 
secolari discussioni sull’arte della « memoria locale », anda- 
vano in tal modo a congiungersi in funzione dell’enciclope- 
dia.* Ma più che a una riforma della logica Alsetd era indub- 
biamente interessato ad una riforma della « pedagogia »: 
una nuova organizzazione dell’insegnamento, delle scuole, 
dei metodi didattici doveva corrispondere, punto per punto, 
al nuovo ordinamento del mondo del sapere. Riducendo a 
sistema — come scriverà Bayle® — tutte le parti delle arti 


? Cfr. Systema mnemonicum duplex, cit., pp. 106-107. 

# Seguendo una tradizione che risale al Lavinheta, Alsted avvicina i 
circoli dell’arte lulliana ai «luoghi » della mnemotecnica di derivazio- 
ne ciceroniana: « Circulus in arte lulliana est locus et quoddam quasi 
domicilium in quo instrumenta inventionis collocantur... » (Clavis artis 
lullianae, cit., p. 25). Ma, oltre alle opere già ricordate sono da vedere: 
Artium liberalium, ac facultatum omnium systema mnemonicum de 
modo discendi, in libros septem digestum et congestum, Prostat, 1610; 
Encyclopaedia septem tomis distincta, Herborni Nassaviorum, 1630 (Co- 
pie usate: Angelica, XX. 12. 48; Braidense, +}. XIV. 16). Fra le opere 
di carattere religioso € pedagogico si vedano: Theatrum scholasticum, 
Flerborniae, 1610; (che contiene un Gymnasium mnemonicum); Tri- 
gae canonicae, Francoforte, 161! (contenente una Artis mnemologicae 
explicatio); la Dissertatio de manducatione spirituali, transubstantiatio- 
ne, sacrificio missae, de natura et privilegiis ecclesiae, Ginevra, 1630 
(cfr. Padova, Antoniana, K. VII. 14). Un certo interesse presenta anche 
la classificazione delle scienze matematiche contenuta nel Methodus ad- 
mirandorum mathematicorum novem libris exhibens universam ma- 
thesin, Herbornae Nassaviorum, 1623, pp. 5-7: « Mathesis est pars 
encyclopaediae philosophicae tractans de quantitate communiter... Ordo 
scientiarum mathematicarum hic est. Scientiac mathematicae sunt pu- 
rae vel mediae. Purae sunt quac occupantur circa solam quantitatem: 
quales sunt arithmetica et geometria. Mediae sunt quae occupantur, 
circa quantitatem haerentem in corpore: ut cosmographia, uranoscopia, 
geographia; vel in qualitate ut in optica, musica et architectonica ». 
(Copia usata: Padova, Civica, G. 6327). 


pi Bayle, Dictionnaire historique et critique, Amsterdam, 1740, pp. 
- 66. 


184 CLAVIS UNIVERSALIS 


e delle scienze, Alsted intendeva in realtà lavorare — come 
poi Comenio — per un sapere unitario capace di riscattare 
e di liberare gli uomini. 


2. LA PANSOFIA E LA GRANDE DIDATTICA: (COMENIO. 


La ricerca di un metodo, di una logica, di un linguaggio 
che consentano all’uomo di penetrare e di dominare tutto, 
che garantiscano all'uomo il possesso dell’enciclopedia, della 
sapienza universale: questo fu la pansofia. E nell’ideale pan- 
sofico, proposto alla cultura di tutta Europa (ma la /anza 
linguarum fu tradotta anche in arabo e in persiano e pene- 
trò fin nell’ Estremo Oriente) dall'impeto riformatore di Co- 
menio ritroviamo chiaramente presenti non solo gli insegna- 
menti di Bacone e di Alsted, di Ratke e di Andrei, ma anche 
molti dei temi derivati dalla tradizione dell’ars memorativa 
e da quella, essai più vigorosa, dell’enciclopedismo lullista.'° 

Mentre andava chiarendo le linee fondamentali del suo 
pensiero, nella Conatuum pansophicorum dilucidatio, Co- 
menio enumerava gli autori che lo avevano preceduto, le 
opere dalle quali il suo tentativo poteva trarre conforto e 
ispirazione. Fin dall’antichità uomini insigni tentarono di 
raccogliere il complexum totius eruditionis; in questo senso 
operò Aristotele indicando le tre leggi necessarie al raggiun- 
gimento di quella onniscienza che è possibile all'uomo: la 
principiorum universalitas, l’ordinis methodus vera, la ve- 
ritatis certitudo infallibilis. A queste stesse leggi — prosegue 
Comenio — si son richiamati quegli studiosi che, nell’età 
moderna, si sono fatti autori di enciclopedie, di polimatheie, 
di sintassi dell’arte mirabile, di teatri della sapienza, di pa- 
nurgie, di grandi restaurazioni, di pancosmie. I titoli cui 
Comenio fa riferimento ci rimandano ad opere ben note: 
agli scritti del De Valeriis c del Gregoire, alle opere di Giu- 
lio Camillo e del Patrizzi che vengono accostate (e l’accosta- 


! Sulle origini della pansofia: W. E. PeuckeRT, Pansophie. Ein Ver- 
such zur Geschichte der weissen und schwarzen Magie, Stuttgart, 1936. 
Sugli ideali pedagogici: L. Kvacata, }. A. Comenio, Berlino, 1914 c ora 
E. Garin, L'educazione in Europa, cit., pp. 241-252. Sul lullismo di 
Comenio brevissime, insufficienti annotazioni in CARRERAS Y ARTAU, Op. 
cit., II, p. 299. 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 185 


mento è significativo) alla /nstauratio magna di Bacone. Di 
fronte a questa eredità, Comenio ripete il solenne motto di 
Seneca: « Molto fecero quanti vennero prima di noi, ma essi 
non terminarono l’opera; molto resta e molto resterà anco- 
ra da fare; neppure fra mille secoli sarà preclusa ad alcuno 
fra i mortali l’occasione di aggiungere ancora qualcosa ». Ri- 
chiamandosi a questa eredità Comenio intende dunque rea- 
lizzare « un’opera universale » e anch’essa, come già quella 
dei suoi predecessori, non è costruita solo per l’uso degli eru- 
diti ma per quello di tutti i popoli cristiani. Muterà il de- 
stino stesso della razza umana quando sarà realizzata quella 
pansofia che è « universae eruditionis breviarum solidum, in- 
tellectus humani fax lucida, veritatis rerum norma stabilis, 
negotiorum vitae tabulatura certa, ad Deum denique ipsum 
scala beata ».!! 

I richiami di Comenio ai teatri, alle sintassi, alle enci- 
clopedic basterebbero da soli a documentare l’esistenza di 
una effettiva continuità di temi e di motivi, il persistere di 
interessi comuni fra i maggiori esponenti dell’enciclopedismo 
lullista e i teorici della pansofia. Ma non meno evidenti 
— anche se assai meno noti — sono i rapporti che legano 
l’opera comeniana a quella dei maggiori teorici dell’ars me- 
morativa per tanti aspetti connessa, dopo la metà del Cin- 
quecento, alla rinascita del lullismo. Solo chi abbia presenti 
le discussioni sulla funzione mnemonica delle immagini, 
tanto diffusa fra gli esponenti dell'Arte, potrà rendersi conto 
dell'ambiente nel quale ebbe a maturare il tentativo come- 
miano di fondare sulle figure e sulla visione ogni duraturo e 
stabile apprendimento. La prima parte dell’ Ordis  sensua- 
lium pictus si presenta, non a caso, come una «omnium 
principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura 


!! Per quanto qui esposto cfr. Philosophiae prodromus et conatuum 
pansophicorum dilucidatio. Accedunt didactica dissertatio de sermonis 
latini studio perfecte absolvendo, aliaque erusdem, Lugduni Batavo- 
rum, Officina David Lopez de Haro, 1644, pp. 120-122. (La prima 
edizione dell’opera è Londra, L. Fawre et S. Gellibrand, 1639). Ho 
visto l'edizione del 1644 nell’esemplare dell’Angelica, SS. 10.90 al qua- 
le è stato legato assieme il Faber fortunae sive ars consulendi sibi ipsi 


ttemque regulac vitae sapientis, Amstelodami, ex officina Petri van der 
Berge, 1657. 


186 CLAVIS UNIVERSALIS 


et nomenclatura », e chi ne scorra le pagine piene di figure 
e di simboli troverà appunto, ovunque presente, la tesi che 
la realtà delle cose dev'essere intuita e vista attraverso le 
immagini delle cose.!* Fondamento di un erudizione non 
astratta e scolastica, ma « piena e solida », non oscura e con- 
fusa, ma «chiara e distinta e articolata come le dita della 
mano », è la «retta presentazione, ai sensi, delle cose sensi- 
bili ». Solo per questa via, la via dell'immagine, del senso 
e della memoria, sarà possibile giungere poi alla più alta 
educazione dell’intelletto. Alle immagini vien dunque attri- 
buita una funzione decisiva: esse sono «le icone di tutte 
le cose visibili dell’intero mondo, alle quali, con modi appro- 
priati, saranno riducibili anche le cose invisibili ». Ripren- 
dendo il motivo centrale della Cirsà del Sole campanelliana 
Comenio giunge a significative conclusioni: «al nostro fine 
servirà validamente anche questo: dipingere sulle pareti delle 
aule il sunto di tutti i libri di ciascuna classe, tanto il testo 
(con vigorosa brevità) quanto le illustrazioni, ritratti e rilievi, 
che esercitino ogni giorno i sensi e la memoria degli stu- 
denti. Sulle pareti del tempio d’ Esculapio, come ci hanno 
tramandato gli antichi, erano scritte le regole di tutta la me- 
dicina che Ippocrate, di nascosto, copiò da capo a fondo. 
Anche Dio infatti dovunque riempì questo grande teatro del 
mondo di pitture, di statue e di immagini, come vive rap- 
presentazioni della sua sapienza ». 

Non si trattava solo della generica accettazione di mo- 
tivi diffusi: l’« alfabeto filosofico » proposto da Comenio 
contro quella « permolesta ingeniorum tortura » che è la sil- 
labatro, nel quale le lettere son riprodotte accanto all’imma- 
gine dell'animale «cuius vocem litera imitatur »,!” non fa 
che riprodurre, con intenti solo in parte diversi, quegli « al- 
fabeti mnemonici » che troviamo presenti in tutti i testi 
quattrocenteschi e cinquecenteschi di ars reminiscendi. A 
questa stessa tecnica del raffrozamento della memoria (lar- 


12 Orbis senstalis picti pars prima. Hoc est: omnium principalium in 
mundo rerum et in vita actionum pictura et nomenclatura, cum titu- 
lorum iuxta cetque vocabulorum indice, Noribergae, Sumtibus Joh. 
Andr. Endteri haeredum, anno salutis, 1746 (la prima ediz. è del 1658). 
Si vedano, in particolare, le pagine della prefazione. 

19 Cfr. Orbis sensualis picti pars prima, cit., prefazione e pp. 4-5. 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 187 


ghissimamente impiegata dallo stesso Comenio nel De ser- 
monis latini studio del 1644), ai teatri del mondo, alla ca- 
bala si richiamano poi quelle numerose pagine di Come- 
nio nelle quali vien presentato quel Theatrum sapientiae cui 
dev'essere attribuito, per la nobiltà degli oggetti che racchiu- 
de, il più solenne nome di Templum. Il tempio della panso- 
fia cristiana è costruito secondo le idee, le norme, le leggi 
divine, è consacrato a tutte le genti di ogni lingua: in esso 
sono « collocati » le facoltà, gli oggetti prodotti dalla forza 
naturale presenti nel mondo visibile, l’uomo e i prodotti 
dell'ingegno umano, le realtà interne dell’uomo, Dio e le 
potenze angeliche, i prodotti della vera sapienza: di fronte 
a queste pagine comeniane è difficile non ricordare le mac- 
chinose costruzioni emblematiche del De Valeriis e del Ca- 
millo, le grandi rassegne della realtà universale presenti nel 
Thesaurus memoriae del Rosselli.!' 

Anche il progetto comeniano di una «enciclopedia to- 
tale » appare del resto profondamente legato alle impostazio- 
ni del lullismo, alle discussioni sulla catena scientiarum, ai 
progetti, così numerosi nel Cinquecento, di una scienza uni- 
taria o arte universale. L’oggetto della sapienza — scrive Co- 
menio nel Pansophiae prodromus del 1639 — è stato di volta 
in volta attribuito alla filosofia, alla medicina, alla teologia, 
al diritto; è stato concepito come oggetto di una scienza par- 
ticolare; identificato con una visione parziale che allontana 
ogni speranza di pervenire alla totalità, alla comprensione 
dell’unità del mondo. Alla visione totale, alla lettura del 
gran libro dell'universo si potrà giungere attraverso un pro- 
cesso graduale che va dall’enciclopedia sotto la specie sensi- 
bile (orbis sensualis) all’enciclopedia sotto la specie intellet- 
tuale (orbis intelletualis): alla visione unitaria, che è lo scopo 
più alto del sapere, non si potrà invece mai giungere me- 


14 Il testo della Dissertazio didactica de sermonis latini studio in Pan- 
sophiae prodromus, cit., pp. 173-224. Per il tempio della pansofia 
cristana cfr. le pp. 122-165: « Pansophiae christianae templum ad 
Ipsius supremi Architecti Onnipotentis Dei ideas, normas, legesque 
Istruendum, et usibus Catholicae Iesu Christi Ecclesiae, ex omnibus 
gentibus, tribubus, populis et linguis collectae et colligendae consecran- 


dum ». Cfr. anche la Pansophiae Diatyposis iconographica, Amstlelo- 
dami, 1645. 


188 CLAVIS UNIVERSALIS 


diante la successiva aggiunta di considerazioni parziali.!* Tutti 
i tentativi di giungere all'unità mediante l’enumerazione e 
la collezione delle soluzioni e delle tecniche particolari, sono 
miseramente falliti: da un lato si son confezionati gigante- 
schi ma inutili elenchi che volevano esaurire, in una mint- 
tiarum confectatio, la totalità delle parole e delle cose; dal- 
l’altro si son costruite ordinatissime enciclopedie simili più 
ad eleganti catene dai molti anelli che a macchine capaci di 
funzionare in modo autonomo e cocrente.!* Ne son derivati 
ordinati mucchi di legna disposti con gran cura e pazienza, 
ma non si è riusciti a dar luogo a quell’albero vivo delle 
scienze verdeggiante di fronde e ricco di rami e di frutti che 
trae alimento e vigore dalle sue proprie radici. Dar vita a 
quell’albero («at nos scientiarum et artium radices vivas, ar- 
borem vivam, fructus vivos desideramus »), sarà possibile 
solo attraverso la visione unitaria del tutto, la pansofia che 
è insieme possesso del tutto e viva immagine del vivente uni- 
verso: (« Pansophiam dico, quae sit viva universi imago, 
sibi ipsi undique cohaerens, seipsam undique vegetans, seip- 
sam undique fructu applens... »). A quegli inutili, pedante- 
schi elenchi di parole e di cose andrà quindi contrapposto 
il promptuarium universalis eruditionis, il libro della pan- 
sofia: qui la compendiosità, la chiarezza, il rifiuto di ogni 
oscurità, la « perpetua connexio causarum cet effectuum » la 
« ordinis continuo fluentis series a principio ad finem» so- 
stituiranno la caoticità e l’oscurità delle precedenti compila- 
zioni.!’ 

In realtà l'enciclopedia comeniana, per quanto attiene ai 
motivi di fondo, non si muoveva su un piano molto diverso 
da quello sul quale si erano mossi, nel corso del Cinquecento, 


!5 Cfr. Pansophiac prodromus, cit., pp. 132-136 e le considerazioni 
svolte a questo proposito da E. Garin, L'educazione in Europa, cit., 
p. 249. 

16 Cfr. Pansophiae prodromus, cit., p. 41: «Quas adhuc vidi Encyclo- 
paedias ctiam ordinatissimas similiores visae sunt catenae annulis mul- 
tis eleganter contextae, quam automato rotulis artificiose ad motum 
composito et seipsum circumagente; et lignorum strui, magna quadam 
cura et ordine eleganti dispositac similiores, quam arbori e radicibus 
propriis assurgenti spiritus innati virtute se in ramos et frondes expli- 
canti, et fructus edenti ». 

1? Cfr. Pansophiae prodromus, cit., pp. 21, 41-42, 136. 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 189 


gli “enciplopedisti” di ispirazione lulliana. Questa comu- 
nanza di impostazioni, che sussiste al di là delle differenze, 
delle critiche e dei polemici rifiuti, risulterà chiara ove si 
prendano in considerazioni alcuni problemi caratteristici : 
1) quello dei rapporti intercorrenti fra la logica e l’enciclope- 
dia; 2) quello della corrispondenza fra l’universo dei segni c 
l'universo delle cose; 3) quello dell’unità del mondo (ritma- 
to secondo l'armonia delle leggi divine) rispetto alla quale 
l'enciclopedia si pone come uno « specchio »; 4) infine quello 
della logica-enciclopedica come «chiave universale » capace 
di dischiudere all’uomo i segreti ultimi della realtà. 

Su ciascuno di questi punti la posizione di Comenio è 
precisa: il vocabolario o la fanua linguarum coincide con la 
enciclopedia («januam linguarum et encyclopediam debere 
esse idem ») e si pongono come una intellectus humani cla- 
vis che consente la lettura dell’alfabeto divino impresso sulle 
cose; l'ordinamento rigoroso delle nozioni, l’immagine uni- 
taria e gerarchica dell’universo sono il frutto più alto del 
nuovo metodo che è in grado di ricondurre ogni nozione al 
suo genere e alla sua specie « ut quicquid de ulla re dicen- 
dum est, simul et semel de omnibus dicatur de quibus dici 
potest »; l’intera enciclopedia appare fondata su un numero 
ridottissimo di «assiomi » o di «sententiae per se fide di- 
gnae, non demonstrande per priora, sed illustrandae solum 
exemplis »; l’intero mondo del sapere apparirà in tal modo 
simile a una «catena » la cui struttura appare simile a quel- 
la in uso nella matematica: « Il rimedio sarà: una conforma- 
zione di tutte le arti e le scienze tale che ovunque si inizi 
dalle cose più note e il processo verso quelle ignote avvenga 
con lentezza e gradatamente, così come, in una catena, ogni 
anello sostiene e trascina l’altro anello... Come, presso i ma- 
tematici, dimostrato un teorema segue il sapere e dimostrato 
un problema segue l’effetto, così, nella pansofia, dimostrata 
una qualche parte dell’universale dottrina, ne conseguono 
certezza e infallibilità ».!* 


18 Cfr. Pansophiae prodromus, cit., pp. 4, 24-25, 78, 85. Sulla coinci- 
denza della Janua linguarum e dell'enciclopedia cfr. la Janua lingua- 
rum reserata aurea, Lugduni Batavorum, 1640 (la prima ediz. è del 
1631), prefazione e l' Eruditionis scholasticae atrium rerum et lingua- 
rum ornamenta exhibens, Norimbergae, 1659, p. 5 (copie usate: Braid., 
tt 4.30 e Angelica IV, 1.56). 


190 CLAVIS UNIVERSALIS 


L’infinita varietà delle nozioni e delle cose è dunque ri- 
ducibile ad un numero limitato di « assiomi » o di « princì- 
pi». Questa riducibilitù — che rende possibile la stesura 
del libro della pansofia — appare chiaramente fondata, anche 
in Comenio, su alcuni tipici presupposti: le strutture del di- 
scorso e quelle del mondo reale si corrispondono pienamente; 
le stesse, identiche rationes sono presenti in Dio, nella na- 
tura, nell’arte. Le raziones rerum sono in ogni caso le stes- 
se: in Dio sono ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, nel- 
l’arte ut in Antytipo.?* Di fronte ai dubbi che possono essere 
avanzati sulla possibilità di rintracciare una «chiave univer- 
sale », Comenio fa appello alla riducibilità del mondo a pochi 
fondamentali elementi e allo stretto parallelismo intercorren- 
te tra le res da un lato ce i conceptus, le imagines, i verba dal- 
l’altro: « Per quanto le cose poste al di fuori dell’intelletto 
sembrino qualcosa di infinito, tuttavia esse non sono infi- 
nite perché il mondo, opera stupenda di Dio, consta di pochi 
elementi e di poche forme differenti e perché tutto quanto 
è stato escogitato mediante l’arte può essere ricondotto a 
determinati generi e a determinati punti principali. Poiché 
dunque fra le cose e i concetti delle cose, fra le immagini 
dei concetti e le parole si dà un parallelismo, e poiché nelle 
cose singole sono presenti alcuni princìpi fondamentali dai 
quali tutto il resto risulta, io pensavo che quei princìpi fon- 
damentali, che sono egualmente nelle cose, nei concetti e nel 
discorso, potessero essere insegnati. Mi veniva anche alla 
mente che i chimici avevano trovato il modo di liberare 
le essenze o spiriti delle cose dalla superfluità della materia 
in modo da poter concentrare in una piccola goccia una 
forza ingente di minerali e di vegetali e che questa goccia 
era, nelle medicine, di maggior efficacia che i corpi mine- 
rali e vegetali nella loro integrità. E non potrà essere escogi- 
tato nulla (pensavo) per radunare e concentrare in qualche 
modo i precetti della sapienza ora sparsi per i così ampi ter- 
reni delle scienze ed anzi, al di là dei loro stessi confini, sparsi 


19 « Eadem proinde sunt rerum rationes, nec differunt, nisi existendi 
forma: quia in Deo sunt ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, in 
arte ut in Antitypo » (Pansophiac prodromus, cit., p. 67). 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 191 


all’infinito? Allontaniamo ogni sfiducia perché ogni atto di 
sfiducia è una bestemmia verso Dio ».?° 

Determinando i princìpi e le essenze, ponendosi come 
specchio fedele della natura, l’arte ha il compito di rivelare 
la profonda armonia che lega gli elementi dell’universo: 
« Omnis harmoniae fons, Deus, harmonice fecit omnia... i 
musici chiamano armonia la piacevole consonanza di molte 
voci e tale, in verità, è l’armonioso concerto delle virtù eter- 
ne in Dio, delle virtù create nella natura, delle virtù espresse 
nell’arte; in Dio, nella natura, nell'arte si dà armonia e c’è 
armonia divina e l’arte è immagine della natura ».?! 

Di qui nasceva la fede di Comenio nella possibilità di 
una partecipazione di tutti gli uomini a una comune salvez- 
za, la sua convinzione che, attraverso la conquista della pan- 
sofia, potessero terminare per sempre le guerre, le liti, i dis- 
sidi dei quali fin’ora si è nutrito il mondo: «cederent etiam 
non invitae tam claro lumini errorum tenebrae et hominibus 
facilius cessarent dissidia, lites, bella quibus se nunc conficit 
mundus ».?? 


3. ENCICLOPEDISMO E COMBINATORIA NEL SECOLO XVII. 


L'eredità dell’ enciclopedismo lullista, la fede nella pos- 
sibilità di un’arte capace di porsi come strumento di razionale 
convivenza tra le genti, l'aspirazione a un metodo universale 
o scienza unitaria che riveli la coincidenza tra le strutture del 
pensiero e quelle della realtà erano ormai state integralmente 
accolte, in quanto avevano di più valido, dai maggiori rap- 
presentanti della cultura europea. Bacone, Cartesio, Alsted, 
Comenio (così come più tardi avverrà con Leibniz) avevano 
accolto alcuni temi presenti nella tradizione lullista e li ave- 


°0 Pansophiae prodromus, cit., p. 86. 

21 Pansophiae prodromus, cit., p. 67 e cfr. alle pp. 55-56. Ma su que- 
ste conclusioni cfr. anche la Janua rerum reserata hoc est sapientia pri- 
ma (quam vulgo metaphysicam vocant) ita mentibus hominum adaptata 
ut per cam in totum rerum ambitum omnemque interiorem rerum or- 
dinem et in omnes intimas rebus coeternas veritates prospectus pateat 
catholicus simulque et cadem omnium humanarum cogitationum, ser- 


monum, operum fons et scaturigo, formaque et norma esse appareat, 
1681. 


22 Pansophiae prodromus, cit., p. 44. 


192 CLAVIS UNIVERSALIS 


vano inseriti in un più vasto discorso concernente la logica, la 
funzione della filosofia, i rapporti fra le scienze, l'educazione 
del genere umano. In molti dei testi, numerosissimi, dei se- 
uaci e dei commentatori di Lullo pubblicati nel corso del se- 
colo XVII troviamo invece solo la ripetizione di motivi ormai 
tradizionali, l’insistenza su temi ormai trasformati in luoghi 
comuni, la pedantesca riesposizione delle regole della combi- 
natoria. Le discussioni sull’enciclopedia, sulla trasmissione del 
sapere, sul metodo, sul linguaggio si andavano ormai svol- 
gendo, a più alto livello, in ambienti differenti. E tuttavia an- 
che di questi testi — non pochi fra i quali furono ammirati 
c celebrati in tutta Europa e amati e studiati da uomini in- 
signi — gioverà tener conto. Non solo per sottolineare la 
presenza operante di un tipo di ricerche che ebbe eco vastis- 
sima, ma anche per rendersi conto di come, su quelle stesse 
ricerche, andassero riflettendosi alcune esigenze caratteristiche 
della cultura del Seicento. 

Abbiamo già ricordato i progetti di unificazione delle 
scienze presenti nelle opere del Morestell, del Meyssonnier, di 
Jean d’Aubry, ma altri casi sono, da questo punto di vista, 
non meno indicativi. Nel 1632, a Parigi, veniva pubblicato da 
R. L. de Vassi, consigliere del Re, Le fondément de l'artifice 
universel... sur lequel on peut appuyer le moyen de pervenir à 
l’Encyclopedie ou universalité des sciences par un ordre mé- 
thodique beaucoup plus prompte et vrayment plus facile qu 
aucun autre qui soit communement receu.?* Il libro, nono- 
stante le mirabolanti promesse contenute nella lettera dedi- 
catoria, conteneva in realtà solo la parziale traduzione di 
alcuni scritti di Lullo. Ma è significativo che l’opera di Lullo 
venisse allora presentata come lo strumento atto a consentire 
il metodico ordinamento delle scienze e la realizzazione del- 
l'enciclopedia. In una situazione che il de Vassi giudicava 
assai poco favorevole agli studi lulliani («la pratique artift- 
cielle du Docteur Raymonde Lulle, mis en oubly par la plus 
grand part et rejetté communement du commun des Doc- 
teurs... ») i testi della combinatoria venivano riproposti in fun- 


29 Traduit par R. L. Sicur de Vassi, conseiller du Roy, A_ Paris, dans 
l'imprimerie d’Ant. Champenois, 1632. (Copia usata: Triv., Mor. M. 
30). 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 193 


zione di un problema che era, in quegli anni, estremamente 
attuale. E’ un atteggiamento, questo, che ritroviamo presente 
anche negli scritti (ben noti a Leibniz) di Jano Cecilio Frey 
(morto nel 1631), medico della regina madre di Francia, au- 
tore, oltre che di scritti di medicina e di fisiognomica, di un 
compendio di filosofia aristotelica e di una Via ad divas scien- 
tias artesque, linguarum notittam, sermones extemporaneos 
nova et expeditissima.?* Nell’edizione postuma delle sue ope- 
re ® troviamo, accanto ai consueti interessi per la retorica e per 
il linguaggio, per la logica (via ad scienttas) e per l’enciclo- 
pedia (scientiae et artes omnes ordine distributae et desumptae), 
il tentativo di ridurre ad assiomi i princìpi di tutte le scienze 
(ariomata philosophica) e di tracciare le linee di un ordina- 
mento degli studi. Le regole dell’arte della memoria di origine 
“ciceroniana” vengono riprese dal Frey e inserite — sulle 
tracce del Lavinheta — nella tematica dell’ars combinandi. 
Non a caso la pAilosophia rationalis viene ripartita dal Frey 
in logica, dialettica e arte memorativa (« philosophia ratio- 
nalis est logica et dialectica et ars memorativa »).?° 

La costruzione di una assiomatica delle scienze (riduzione 
di tutti i termini fondamentali delle singole scienze ai prin- 
cìpi di una combinatoria riformata), la determinazione dei 
rapporti fra i vari rami del sapere sono i temi centrali anche 


24 L'opera fu pubblicata a Parigi (excudebat D. Langlaeus) nel 1628. 
Ho usato l’edizione del 1647 (Braid. W.Z.8.3). Del Frey sono da 
ricordare il Compendium medicinae pubblicato nel 1646 e | Onmnis 
homo, item amor et amicus, item Physiognonia Chiromantia Onciro- 
mantia, Parigi, 1630. Di questi ultimi due scritti e del panegirico com- 
posto dal Gaffarcl (Lacrimae sacrae in obitum Ilani Caecilii Frey me- 
dici, Parigi, 1631) dà notizia il THORNDIKE, History of magic and expe- 
rimental science, New York, 1958, VIII, pp. 456 - 57, 472-73. È da ve- 
dere anche l'Universae philosophiae compendium luculentissimum, ad 
mentem ct methodum Aristotelis concinnatum, Parisiis, excudebat D. 
Langlaeus, 1633 (Par. Naz. R. 9652 e R. 36568). 

25 Jani Caecitu Frey, Opera quae reperiri potuerunt in unum corpus 
collecta, Parisiis, J. Gesslin, 1645-46, 3 parti in 2 voll. (Copia usata: 
Angelica, SS. 6. 15). 

2° « Philosophia rationalis est logica et dialectica et ars memorativa. 
Dialectica quidem dans materiam disputandi et argumenta. Logica 
dans formas argumentandi. Dialectica vel lullistica, vel peripatetica, 
vel ramea » (Opera. cit., p. 527). Per la ripresa dei tradizionali motivi 
della mnemotecnica ciceroniana si vedano le pp. 443 - 450. 


194 CLAVIS UNIVERSALIS 


del macchinoso Digestum sapientiae (1648 circa) di Ivo de 
Paris e del grande Commento all'arte lulliana di Giulio Pace, 
scolaro dello Zabarella e profugo a Ginevra, professore a Hei- 
delberg e a Padova.?” Quest'ultimo testo, compilato da uno 
fra i più acuti e più noti traduttori e commentatori dell’Orga- 
non aristotelico, da un uomo che fu, oltre che logico insigne, 
giurista di gran fama, sarebbe, di per sé, meritevole di un 
lungo discorso. Ma gioverà invece soffermarsi con una certa 
ampiezza su un testo del 1659 che ebbe immediata risonanza 
curopea e godette poi di fortuna grandissima: il Pharus scien- 
tiarum dello spagnolo Sebastian Izquierdo.°* Alla costruzione 
dell’arte universale o «scienza delle scienze» — afferma 
Izquierdo — hanno lavorato nei secoli Aristotele e Cicerone, 
Quintiliano e Raimondo Lullo. Quest’antica aspirazione verso 
una «logica prima» che possa illuminare, come un faro, il 
cammino ai naviganti nel mare della sapienza, ha trovato 
espressione, nell'epoca moderna, nella Sinzaxis di Pedro Gre- 
goire, nel Digestum di Ivo de Paris, nella Cyclognomica di 
Cornelio Gemma, nel Novum Organum di Francesco Bacone. 
Per condurre a termine l’opera da questi autori avviata, è ne- 
cessario rendersi conto di tre cose: 1) l'enciclopedia (la scienzia 
circularis o orbicularis degli antichi) non consiste in un aggre- 


27 L’opera di Ivo De Paris, Digestum sapientiac, in quo habetur scien- 
tarum omnium rerum divinarumn atque humanarum nexus et ad prima 
principia reductio, fu pubblicata a Parigi fra il 1648 e il 1650. Un'altra 
edizione, più nota, a Lione nel 1672. Cfr. CarrERAS y ARTAU, Op. cit., 
ll, p. 297-98. G. Pace, L'art de Raymond Lullius esclaircy... divisé 
en IV livres ou est enscigné une méthode qui fournit grand nombre 
de termes universels d'attributs, de propositions et d’argumens par le 
moyen desquels on peut discourir sur tous sujets, Paris, F. Julliot, 1619 
(Par. Naz. R. 42374 e Z. 19007); Artis lullianac emendatae libri IV, 
Neapoli, ex typ. Secundini Roncalioli, 1631 (Par. Naz. Rés. Z. 959). 
Sul grande commento aristotelico - In Porphyrii Isagogen et Aristotelis 
Organtm commentarius analyticus, Aureliac, 1605 - si vedano, fra l’al- 
tro, le considerazioni di G. Colli, introduzione alla versione italiana 
dell'’Orgazon, Torino, 1955, p. XXV. 

28 P. SepastIan IzquierDo S. ]., Pharus scientiarum ubi quidquid ad 
cognitionem humanam humanitus acquisibilem pertinet, ubertim juxta 
atque succincte pertractatur, Lugduni, sumptibus C. Bourget et M. 
Liétard, 1659 (Copia usata: Par. Naz. R. 942-943). Cfr. Carreras Y 
Artau, II, pp. 305-308; P. Ramòn Cenat, E/ P. S. Izquierdo y su 
Pharus scientiarum, « Revista de filosofia », 1942, 1, pp. 127 - 154. 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 195 


gato di tutte le scienze, ma in una scienza speciale (« in spe 
ciali quadam scientia consistere ») che comprende in sé la 
totalità di tutte le scienze ivi compresi i princìpi della stessa 
scienza speciale o universale; 2) alla logica « parziale » di 
Aristotele, va sostituita una logica « integra » che comprenda, 
oltre all’ars intelligendi perfezionatrice dell’intelletto, un’ars 
memorandi che soccorre alla memoria, un’ars imaginandi e 
un’ars experiendi che si volgono ad accrescere le capacità della 
fantasia e quelle dei sensi esterni; 3) la metafisica deve pro- 
cedere con assoluto rigore dimostrativo secondo il modello 
delle scienze matematiche: « se i metafisici avessero ragionato 
dimostrativamente muovendo, al modo dci matematici, da 
princìpi evidenti, avrebbero già costruito gran parte della me- 
tafisica ». In questo modo di concepire la funzione della filo- 
sofia prima e in questa auspicata estensione del metodo mate- 
matico alla metafisica, operavano senza dubbio suggestioni 
cartesiane. Che si fanno ancor più evidenti quando l’Izquierdo 
(dopo aver criticato l’arte di Lullo per la «barbarie » della 
sua terminologia, l'insufficienza delle combinazioni binarie e 
ternarie, l'incapacità a discendere dai termini universali a 
quelli particolari) identifica la combinatoria con un calcolo. 
Solo la matematizzazione dell’ars combinandi potrà consen- 
tire la creazione di quell’unico strumento di tutte le scienze 
« per quod immediate fabrica scientiae humanae construitur 
et absque ullo termino semper augetur ». 

L’idea di avvicinare l’Ars magna ai procedimenti della 
matematica, assimilando la combinatoria ad un «calcolo », 
sarà ripresa, com'è noto, dal Leibniz e sarà feconda di im- 
portanti sviluppi. Ma negli anni nei quali il giovane Leibniz 
si volgeva alla « nuova » combinatoria, si trattava, contraria- 
mente a quanto molti han ritenuto, di idea non peregrina. La 
ritroviamo per esempio, chiaramente formulata, negli scritti 
di quel singolare venditore di fumo che fu il padre gesuita 
Atanasio Kircher,*° celebrato per le sue mirabili competenze 


2° Sul Kircher cfr. Carreras Y Artau, II, pp. 309-13; L. THORNDIKRE, 
History of magic, cit., VII, pp. 567 - 578; L. Couturat, La logique de 
Leibniz, Paris, 1901, pp. 541-43; P. FriepLanpER, A. Kircher und 
Leibniz. Ein Beitrage zur Gesch. der Polyhistorie im XVII Jahrh., 
in «Atti della Pontificia Accad. romana di archeologia », Rendiconti, 
1937, pp. 229- 247. 


196 CLAVIS UNIVERSALIS 


in fisica e in archeologia, in filologia e in egittologia, in storia 
e in teoria del linguaggio, autore, fra l’altro, del celeberrimo 
Mundus subterraneus e di un trattato, altrettanto noto, sui mi- 
steri dei numeri.?° Ed è significativo, importante per l’inten- 
dimento di un ambiente culturale, che l'accostamento dell’Arte 
ai procedimenti matematici, l'esaltazione della combinatoria 
di Diofanto (« Diophanti nobilis mathematici ars combinato- 
ria ») alla quale veniva ravvicinata la combinatoria di Lullo, 
ci appaia presente non solo negli scritti di logici insigni, come 
l’Izquierdo, ma nelle opere confusissime di un uomo come 
il Kircher per tanti aspetti legato ai temi della tradizione erme- 
tica e della sapienza gnostica, ai motivi della magia e della 
cabala, alle speculazioni sui misteria numerorum. Nonostante 
le sue tirate retoriche sul valore del metodo sperimentale e la 
sua difesa della nuova scienza, Kircher credeva alle qualità 
occulte, alle « simpatie » e ai poteri dell’immaginazione, riat- 
fermava la teoria della generazione spontanea, era convinto 
dell’esistenza di demoni girovaganti per le miniere, era pronto, 
in ogni caso e in ogni circostanza a sottolineare gli aspetti 
« miracolosi » e meravigliosi » della realtà. Quando l’impera- 
tore Ferdinando III, durante le aspre polemiche suscitate in 
Germania dall’apparizione del Pharus scientiarum dell’ Iz- 
quierdo, fece appello alla dottrina del Kircher per essere in- 
formato sulla reale utilità dell’arte lulliana e sulla possibilità 
di una sua ulteriore semplificazione, il gesuita tedesco elaborò 
una complicata riforma che si rifaceva in gran parte al Pharus 
dell’ Izquierdo.?! Mentre riprendeva le critiche del suo pre- 
decessore, Kircher si volgeva però, con prevalente interesse, 
alla costruzione delle immagini, alle allegorie, alla elabora- 
zione di figure e di simboli, ai misteri dell'alfabeto. 

Negli ultimi decenni del secolo, soprattutto ad opera dei 


°° A. KircHer, Mundus subterraneus, Amstelodami, apud Joannem 
Janssonium et Elizeum Weyerstraten, 1664-65; Arithmologia sive de 
abditis numerorum mysteriis, Roma, 1665. 

31 A. KircHer, Ars magna sciendi in XII libros digesta, qua nova et 
universali methodo per artificiosum combinationum contextum de omni 
re proposita plurimis et prope infinitis rationibus disputari omniumque 
summaria quaedam cognitio comparari potest, Amsterdam, 1669. 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 197 


gesuiti, il lullismo si legava ancora una volta all'atmosfera, 
ormai torbida ed equivoca, dell’ermetismo e della magia. Nei 
farraginosi scritti di un altro gesuita, il padre Caspar Knittel, 
troviamo solo un’ampia esposizione delle regole della combi. 
natoria e la stanca, monotona ripetizione delle tesi del Kir- 
cher.*° Nei primi anni del Settecento, un grande erudito, il 
Morhofius, esprimeva, su queste riforme e questo tipo di pro- 
duzione magico-filosofica, un giudizio che può essere ripreso: 
« illa vero consistit in eo [nel Knittel] emendatio, quod nova 
comminiscatur Alphabeta, aliis literarum formis alioque or- 
dine, quae mihi res exigua videtur »." 


4. L’ALFABETO FILOSOFICO DI GiovanNI EnrICO BISTERFIELD. 


In tutt'altro senso, intorno alla metà del secolo, aveva par- 
lato dell’ « alfabeto » Giovanni Enrico Bisterfield che aveva 
progettato un « alfabeto filosofico » dopo aver raccolto e ordi- 
nato, in accuratissime tavole, tutti i termini tecnici e tutte le 
definizioni impiegati da ciascuna scienza.?* Nella creazione di 


22 Sull'ipotesi di una presa di posizione dei Gesuiti in favore della 
magia contro la nuova scienza cfr. L. THorNDIKE, History of magic, 
cit, VII, pp. 577 -78. 

33 Caspar KNITTEL S. J., Via regia ad omnes scientias et artes, hoc est 
ars universalis scienttarum omnium artiumque arcana facilius pene- 
trandi, Pragae, J. C. Laurer, 1687 (Par. Naz. Z. 11263); ma è da ve- 
dere anche la Cosmographia elementaris, Norimbergae, J. A. et W. 
Endteri, 1674 (Angelica, CC. 9. 13). 

°4 D. G. MorHorius, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, 
Lubecca, 1732, I, p. 358. 

35 Ho fatto uso dei due volumi delle opere: Bisterfieldus redivivus, 
seu operum Joh. H. Bisterfieldi... tomus primus-secundus, Hagae Co- 
mitum, ex typographia A. Vlacq, 1661. Il primo volume contiene: 
Alphabeti philosophici libri tres (pp. 1-132); Aphorismi physici (pp. 
133 - 190); Sciagraphia Analyseos (pp. 191-211); Parallelismus analy- 
seos grammaticae et logicae (pp. 212-243); Artificium definiendi catho- 
licum (pp. 1-104); Sciagraphia Symbioticae (pp. 3-144). Il secondo 
volume contiene: Logica (pp. 1-451); De puritate, ornatu et copia lin- 
guae latinae, (pp. 1-26); Ars disputandi (pp. 27 - 33); Ars combinatoria 
(pp. 34-36); Ars reducendorum terminorum ad disciplinas liberales 
technologica (pp. 37-41); Ars seu canones de reductione ad praedica- 
menta (pp. 42-46); Denarius didacticus, seu decem aphorismi bene di- 
scendi (pp. 47 - 49); Didactica sacra (pp. 50-53); Usus lexici (pp. 54 - 64). 
(Copia usata: Angelica, XX, 9. 49 - 50). Del Phosphorns catholicus, seu 


198 CLAVIS UNIVERSALIS 


queste tavole, nella ricerca di perfette definizioni si esauriva 
per Bisterfield la stessa enciclopedia, quel pictum mundi am- 
phitheatrum che è « ordinatissima compages omnium disci- 
plinarum ».'° Più che sulla logica e sul metodo (inteso come 
regola dell'intelletto e rimedio alla naturale debolezza della 
memoria) Bisterfield insiste infatti sull'importanza decisiva 
della praxis logica che è una «artificiosa coniunctio » dei ter- 
mini della logica e di quelli dell’enciclopedia, una mescolanza 
degli instrumenta della logica con l’universale enciclopedia.*’ 
Alle radici dell’enciclopedia stanno i termini trascendentali 
(« termini trascendentales sunt primae universae encyclopae- 
diae radices »): da essi muovono l’analisi (che è riduzione di 
un discorso o di un testo ai suoi termini semplici) e la genesi 
(che è « simplicium combinatio »): come per una scala si potrà 
pervenire a quell’artificium definiendi che consente una esatta 
definizione di tutti i termini dell’enciclopedia e una risolu- 
zione di tutti i termini nei termini primari o fondamentali.?* 


ars meditanti epitome cui subjunctum est consilium de studiis felici- 
ter instituendis ho visto l'edizione del 1657 Lugduni Batavorum, H. 
Verbiest (Angelica, SS. 5. 451). 

36 Alphabeti philosophici libri tres, p. |. 

3? Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, p. II0: «Praxis logica con- 
summatur, si omnes termini logici, cum universa encyclopaedia mi- 
sccantur »; Logica, pp. 323-326: « Usus seu praxis logica est artificiosa 
instrumentorum logicorum ct terminorum enciclopaediae coniunctio... 
In praxi logica singulos terminos logicos cum singulis singularum 
disciplinarum terminis conferri debere ». 

38 Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, p. 53: « Termini trascenden- 
tales sunt primae universae encyclopaedia radices »; Sciagraphia analy- 
scos, p. 191: « Analysis est accuratum de textu seu dissertatione in 
sua principia resoluto iudicium. Totuplex sit analysis quotuplex in 
textu adhibita fuit genesis, idque ordine retrogrado. Analysis autem 
upote praxis frugalem compendiorum ac tabularum cognitionem prae- 
supponit »; A/phabeti philosophici libri tres, p. 110: «Praxis logica 
est vel simplicium combinatio vocaturque Genesis, vel combinatorum 
reductio vocaturque analysis, vel denique mixta estque vel Genesis- 
analysis vel Analysis-genesis cuius varietas est infinita »; Artificium 
definiendi, pp. 1-2: « Artificium definiendi catholicum est quod do- 
cet modum omnium encyclopaediace terminorum definitiones accurate 
inveniendi ac diiudicandi... Scopus huius artificii est foclix id est fa- 
cilis, solida ac practica, et quoad in hac vita fieri potest, certa perfec- 
taque universa encyclopaediac cognitio... Definitiones sunt omnis ge- 
neseos et analyseos claves et normae. Omnis enim mentis et entis, cum 


ENCICLOPEDISMO E PANSOFIA 199 


Sull’importanza delle definizioni che sono claves et normae 
della praxis logica, Bisterfield insiste senza posa. « Tantum 
scit homo solide quantum scit definire »: per giungere a deft- 
nire esattamente gli enti reali e gli enti di ragione, gli enti 
separati e quelli collettivi, gli enzia positiva e quelli priva- 
tionis, è necessario in primo luogo un dizionario (romencla- 
tura) dei termini impiegati nei vari discorsi propri delle sin- 
gole discipline. Sulla base del dizionario verranno costruite le 
tavole che sono «totius mundi totiusque encyclopaediae re- 
praesentationes ». Mediante le tavole verranno posti in luce 
i termini omogenei, quelli subordinati e quelli coordinati. La 
costruzione di una tabula primitiva, comprendente i termini 
comuni a tutte o alla maggior parte delle scienze, avvierà alla 
comprensione di quell’armonia delle scienze che, Bisterfield 
se ne rende ben conto, è insieme basis et clavis della prassi 
logica :*° « L’armonia delle scienze è la base e la chiave della 
prassi logica. Quest'armonia è quella soavissima convenienza 
per la quale non solo tutte le scienze concordano con tutte, 
ma anche le parti con le parti di ciascuna; ed è così grande 
quest’armonia che uomini valorosissimi credono che non si 
diano più scienze, ma una sola scienza, o piuttosto che sia 
unico il corpo e il sistema di tutte le scienze ».*° 

Per realizzare quest’unico systema, per giungere alla indi- 
viduazione dei termini trascendentali cui tutti gli altri ap- 
paiano analiticamente riducibili, Bisterfield aveva ritenuto in- 
dispensabile una elencazione minuziosa e accuratissima delle 


reductionem, tum deductionem complectuntur, si singula definitionum 
verba in primos terminos per scalam descendentem et ascendentem 
resolvantur, sic enim erunt omnigenae reductionis claves, argumento- 
rum compendia, propositionum fontes, syllogismorum et methodorum 
lumina ». 

9 Sulle definizioni’ cfr. Artificium definiendi, in particolare alle pp. 3, 
4, 6. Sulle tavole cfr. p. II, 12, 15: « Tabulae fundamentales (quae 
sunt certae terminorum homogcanorum subordinationes et coordina- 
tiones) sunt faciles, sed accuratae totius mundi totiusque encyclopac- 
diae repraesentationes... Universa illa inductio ac structura tabularum 
nititur panharmonia tum rerum tum disciplinarum... Tabula primitiva 
est prima simplicissima universalissima adeoque brevissima  totius 
mundi totiusque encyclopaediae repraesentatio... cam vocabimus ca- 
tholicam ». 

4° Logica, p. 325. 


200 CLAVIS UNIVERSALIS 


cose e delle nozioni. Il « teatro del mondo », con le sue tavole 
che rappresentano tutto ciò di cui può discorrere la mente 
umana, si poneva ancora una volta a fondamento dell’arte, 
della logica, della scienza delle scienze: «I termini trascen- 
dentali sono le radici prime dell’universale enciclopedia che 
è ordinatissima raccolta di tutte le discipline o anfiteatro di- 
pinto del mondo... L’universale artificium definiendi insegna 
ad accuratamente rintracciare e giudicare le definizioni di tutti 
i termini dell’enciclopedia... La prassi logica viene realizzata 
quando tutti i termini logici vengono mescolati con l’enci- 
clopedia universale... Le tavole universali costituiscono il no- 
bilissimo alfabeto di tutte le discipline. Esse devono contenere 
tutto e devono rappresentare tutto ciò di cui la mente umana 
può discorrere e chi meglio possiederà le tavole avrà più fermi 
i semi della scienza. Esse sono le attrezzatissime officine di 
ogni pensiero e ci pongono sotto gli occhi tutto ciò intorno 
a cui e muovendo da cui si può discorrere. Di qui possono 
essere ricavati tutti i temi, tutti gli argomenti, tutti gli as- 
siomi, tutti i sillogismi, tutti i metodi ».‘ 


41 Cfr. Artificium definiendi, p. 1; Alphabeti philosophici libri tres, 
p. 110; Logica, pp. 330-331. 


VII. 


LA COSTRUZIONE DI UNA LINGUA UNIVERSALE 


1. I GRUPPI BACONIANI IN INGHILTERRA: PROGETTI DI UNA LINGUA 
UNIVERSALE. 


All’inizio del suo Essay towards a real character and a 
philosophical language, pubblicato a Londra, sotto gli au- 
spici della Royal Society, nel 1668," John Wilkins, chiarendo 
le linee fondamentali del suo progetto di una lingua « filo- 
sofica », « perfetta» o «universale », rimandava il lettore 
a quelle pagine dell’Advancement of learning e del De aug- 
mentis scientiarum nelle quali Bacone aveva enumerato le 


1 An essay towards a real character and a philosophical language by 
Joun Witkins, D. D. Dean of Ripon and Fellow of the Royal Soctety, 
London, printed for Sa. Gellibrand and for John Martyn printer to 
the Royal Society, 1668, p. 13. (Copia usata: Ambros., Villa Pernice, 
19069). Su John Wilkins, vescovo di Chester e membro della Royal 
Society, autore del celebre scritto The discovery of a wordl in the moo- 
ne, 1638, cfr. Niceron, Mémoires, Paris, 1750, IV, pp. 129-134. Fra i 
contributi di maggior rilievo sono da segnalare: A. W. HENDERSON, 
The life and times of }. Wilkins, London, 1910; D. Stimson, Dr. Wil- 
kins and the Royal Society, in «Journal of modern history », 1931, 
pp. 539-563; R. F. Jones, Science and language in England of the 
mid-seventeenth century, in « Journal of Engl. and Germ. Philology », 
1932, poi ripubblicato nel volume The seventeentài century, Standford, 
1951, pp. 143-160; C. AnpRrape, The real character of Bishop Wilkins, 
in « Annals of science », 1936, pp. | segg.; F. ChÙristensen, /. Wilkins 
and the Royal Societys reform of prose style, in « Modern Language 
Quarterly », 1946, 7, pp. 179 segg.; R. H. Svyrret, The origins of the 
Royal Society, in « Notes and records of the Royal Society of Lon- 
don », 1948, 5, pp. 117 segg.; C. Emery, John Wilkins universal lan- 
guage, in « Isis», 1948, pp. 174-185; B. De MotT, Comenius and the 
real character in England, in « PMLA », 1955, pp. 1068 - 1081; Science 
versus mnemonics, în « Isis», 1957, pp. 3-12. Scarso interesse presen- 
tano le osservazioni contenute nel noto volume di C. K. Ocpen e I. A. 
RicHarps, The meaning of meaning, London, 1948, pp. 40-44. Sulle 
idee astronomiche di Wilkins sono da vedere i saggi di G. Mc. Cottey, 
in « Annals of science », 1936 - 39, in « PMLA », 1937, e in « Studies 
in Philology », 1938. Una parte dell’Essay di Wilkins fu ripubblicata 
in F. TecHmer, Beitràge zur Geschicthe der franzòsischen und en- 
glischen Phonetik und Phonographie, Heilbronn, 1889. 


202 CLAVIS UNIVERSALIS 


differenze esistenti tra i geroglifici e i «caratteri reali ».? I 
primi, in quanto emblemi, « hanno sempre qualcosa in co- 
mune con la cosa significata »; i secondi — aveva scritto Ba- 
cone — «non hanno nulla di emblematico », sono caratteri 
costruiti artificialmente il cui significato dipende solo da una 
convenzione e dall’abitudine che su di essa sì è andata in se- 
guito istituendo. Anche le lettere dell'alfabeto derivano da 
convenzione, ma i caratteri reali, a differenza delle lettere 
alfabetiche, rappresentano non lettere o parole, ma diretta- 
mente cose e nozioni (« neither letters nor words... but things 
or notions »): « È da qualche tempo cosa assai nota che in 
Cina e nelle regioni dell’ Estremo oriente sono oggi in uso 
dei caratteri reali, non nominali; che esprimono cioè non let: 
tere c parole, ma cose e nozioni. In tal modo genti di diver- 
sissime lingue, che consentono su questo tipo di caratteri, co- 
municano tra loro per scritto; e in questo modo un libro, 
scritto in quei caratteri, può essere letto da chiunque nella sua 
propria lingua... I caratteri reali non hanno nulla di emble- 
matico e sono in qualche modo sordi, costruiti in modo ar- 
bitrario (ad placitum) e poi accolti per consuetudine come per 
un tacito patto. È chiaro poi che questo genere di scrittura 
esige una grandissima quantità di caratteri che devono es- 
sere tanti quante sono le parole radicali (vocabula radicalia)». 

Alla creazione di una lingua universale e artificiale, che 
climini la confusione delle lingue naturali e ne superi le de- 
ficienze e le imperfezioni, contesta di simboli che fanno ri- 
ferimento non ai suoni, ma direttamente alle «cose », si de- 
dicheranno, nella seconda metà del secolo, non pochi cul- 
tori inglesi di logica e di problemi del linguaggio :* nel 1652 
esce a Londra uno scritto di Francis Lodowick: The grund- 
work or foundation laid (or so intended) for the framing of 
a new perfect language; nel 1653 appare il Lagopandecteision, 
or an introduction to the universal language di Thomas Ur- 


° Cfr. F. Bacon, Works, by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath, 
Londra, 1887-92, I, pp. 650-51; HI, pp. 399-400. 

® Sui linguaggi universali nell’Inghilterra del sec. XVII: O. FunckE, 
Zum Weltsprachenproblem in England im 17 Jahr., Heidelberg, 1929 
c le brevi indicazioni contenute in L. Coururat-L. LeAau, Histoire de 
la langue tniverselle, Paris, 1907, pp. 11-28 (cfr. la recensione di G. 
Vartati, Scritti, Firenze, 1911, pp. 541 - 45). 


LA LINGUA UNIVERSALE 203 


quhart (1611 - 1660), il notissimo traduttore di Rabelais; quat 
tro anni dopo Cave Beck pubblica la sua opera The univer- 
sal character by which all nations may understand one ano- 
ther's conceptions; le Tables of the universal character e V Ars 
signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica 
di George Dalgarno (1626-1687) vedono la luce, sempre a 
Londra, rispettivamente nel 1657 e nel 1661; nel 1668, infine, 
John Wilkins (1614-1672) pubblica il già ricordato £Essay 
towards a real character and a philosophical language. 

Per comprendere il significato di queste opere (e delle 
altre dello stesso tipo) e la funzione storica da esse esercitata, 
per intendere l’atmosfera culturale dalla quale esse trassero 
alimento e dalla quale derivarono le ragioni della loro dif- 
fusione e del loro successo, bisognerà tener conto di tre 
grandi fenomeni storici che caratterizzano (per quanto qui 
ci concerne) la vita intellettuale inglese nella prima metà 
del secolo XVII. Si tratta: 1) in primo luogo della profon- 
da, decisiva azione esercitata in Inghilterra dall’opera di Ba- 
cone e dai gruppi “baconiani” della Royal Society, impe- 
gnati in una dura lotta contro la retorica del tardo umanesi- 
mo e in un'appassionata difesa della nuova scienza; 2) in se- 
condo luogo di quella grande “rivoluzione” (che non fu 
solo « mentale » perché investì non solo le idee e la cultura, 
la letteratura e il modo di pensare, ma anche le istituzioni 
accademiche e scientifiche, il modo di insegnare, di impa- 
rare e di vivere) che conseguì ai grandi progressi della “fi- 
losofia sperimentale” e degli studi fisico-matematici; 3) in 
terzo luogo, infine, della profonda risonanza che l’opera, 
l'insegnamento, le utopie, le speranze di Giovanni Amos Co- 
menio ebbero su molti ambienti della cultura filosofica, poli- 
tica, religiosa dell’ Inghilterra del Seicento. 

Cominciamo dunque da Bacone, anche perché le sue af- 
fermazioni sui caratteri reali (il termine avrà, in Inghilterra e 
fuori, una fortuna grandissima), la posizione da lui assunta 
nei confronti del problema del linguaggio, costituiscono, in 
tutte queste trattazioni di lingua universale, dei presupposti 
implicitamente (ma quasi sempre esplicitamente) presenti. 
Sul carattere « materialistico » delle teorie linguistiche di Ba- 
cone, Richard Foster Jones ha scritto pagine di grande rilie- 
vo nelle quali, fra l’altro, è stato anche dimostrato il gran 


204 CLAVIS UNIVERSALIS 


peso esercitato dalle tesi baconiane su quella « rivoluzione 
stilistica » che caratterizza, in Inghilterra, durante la Restau- 
razione, gli sviluppi della prosa secolare (testi di storia, di 
filosofia naturale, di politica) e religiosa (libri di edificazione, 
prediche, preghiere). Foster Jones ha parlato di una «an- 
tipatia di Bacone per il linguaggio». In realtà si tratta di 
qualcosa di più che di una «antipatia »: l’atteggiamento di 
Bacone è fondato sulla convinzione che il linguaggio, come 
del resto gli altri prodotti dello spirito umano, costituisca o 
possa costituire un ostacolo, del quale tuttavia in quanto crea- 
ture umane non si può fare a meno, alla autentica compren- 
sione della realtà, sia, in altri termini, qualcosa che s! frap- 
pone fra l’uomo e i fatti reali o le forze della natura. Per 
« avvicinarsi alle cose » è necessario da un lato rifiutare i 
nomi che non corrispondono a cose reali, dall’altro impa- 
rare a costruire parole che rispondano alla realtà effettiva 
delle cose. Gli :4ola che si impongono all’intelletto per mezzo 
delle parole — afferma Bacone nel paragrafo 60 del Novum 
Organum — sono di due generi: o sono nomi di cose che 
non esistono, o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, 
mal definiti e astratti dalle cose in modo affrettato e parziale. 
I primi sono legati a determinate teorie fantastiche (la for- 
tuna, il primo mobile ecc.) e, mediante un rifiuto di quelle 
teorie è possibile liberarsi da essi. Nel caso dei secondi il 
problema è molto più complesso perché qui si ha a che fare 
con una inesperta « astrazione dalle cose » che ha dato luo- 
go a nozioni confuse. 

Queste affermazioni di Bacone ci consentono di chiarire 
ulteriormente la sua posizione di fronte al linguaggio: le no- 
zioni devono essere astratte correttamente dalle cose e cor- 
rispondere ad esse; ove la nozione sia stata costruita in modo 
vago e impreciso il nome risente di questa vaghezza e im- 
precisione. Inoltre i nomi attribuiti alle cose, le parole, eser- 
citano a loro volta un'azione sull’intelletto: le parole indi- 
canti nozioni vaghe «ritorcono e riflettono sull’intelletto la 


4 Oltre al saggio qui sopra indicato si vedano: Science and english 
prose style in the third quarter of the seventeenthà century; Saence 
and criticism in the neo-classical age of english literature, anch'essi 


ripubblicati nel volume The seventeentà century, cit., pp. 41-74; 
75-10. 


LA LINGUA UNIVERSALE 205 


loro forza » e condizionano negativamente la sua stessa ri- 
cerca di nozioni precise. In tal modo le parole « riflettono i 
loro raggi e le loro immagini fin dentro la mente e non solo 
sono dannose alla comunicazione, ma anche al giudizio e 
all’intelletto ». Quando, attraverso un'osservazione più ac- 
curata e una più attenta opera di «astrazione », si tenta di 
far meglio corrispondere le parole alla natura, «le parole si 
ribellano » e danno luogo a infinite, sterili controversie che 
hanno per oggetto non la realtà, ma solo i nomi e le parole. 
Il tentativo di impiegare definizioni precise del tipo di quelle 
usate dai matematici non appare a Bacone molto utile: « trat- 
tandosi di cose naturali e materiali, neppure le definizioni 
possono rimediare a questo male, perché le stesse definizioni 
constano di parole e le parole generano altre parole ». 

Era, questa, una conclusione assai significativa e la critica 
(svolta da Bacone nel Novum Organum) del termine « umi- 
do » è preziosa per intendere il suo punto di vista: la equi- 
vocità del termine « umido » dipende per lui dalla equivocità 
della nozione di « umido » che indica una molteplicità di 
comportamenti diversi e che è stata « astratta superficialmen- 
te e senza le dovute verifiche soltanto dall’acqua e dai liqui- 
di comuni e volgari ». Di fronte a questa varietà di signifi- 
cati, non si tratta, per Bacone, di dare una definizione che 
determini il campo di applicazione del termine « umido » 
predeterminando l’uso possibile di quel termine e limitan- 
done il senso, ma di elaborare, sulla base «di uno studio 
dei casi particolari, della loro serie e del loro ordine », una 
nozione che riconduca ad unità la diversità dei comporta- 
menti e serva da criterio per spiegare questa diversità. La 
validità di questo criterio sarà però, sempre e in ogni caso, 
dipendente dalla maggiore o minore corrispondenza alle cose 
della nozione così elaborata. Si comprende in tal modo come 
Bacone possa giungere ad una identificazione dei termini 
“ nozione » e « parola » (« mala et inepta verborum imposi- 
to », « nomina temere a rebus abstracta » ecc.) che è in con- 
trasto con gli accenni convenzionalistici pur presenti nella 
sua trattazione del linguaggio. In conclusione: ciò che Ba- 
cone non è in alcun modo disposto ad accettare è una teoria 
che identifichi la verità di una proposizione con la coerenza 
logica tra i termini che compongono la proposizione stessa: 


206 CLAVIS UNIVERSALIS 


la ricerca si riporta di continuo alle cose, alle qualità sensi- 
bili e alle proprietà dei corpi materiali. L'ispirazione fonda- 
mentalmente « materialistica » di questa concezione del lin- 
guaggio si fa particolarmente evidente quando Bacone crea 
una specie di graduatoria rispecchiante «i diversi gradi di 
aberrazione e di errore presenti nelle parole »: il genere di 
nomi meno difettoso è quello dei nomi di alcune sostanze 
ben note (creta, fango, ecc.); più difettoso è il genere di nomi 
indicanti azioni (generare, corrompere, ecc.); più difettoso 
di tutti è il genere dei nomi di qualità (grave, denso, leg- 
gero, ecc.).° 

Bacone aveva dunque contrapposto le «cose» alle « pa- 
role », aveva insistito sulla necessità di un linguaggio che 
rimandasse, il più direttamente possibile, alla realtà e alle 
operazioni o forze presenti nella natura, aveva accentuato i 
pericoli presenti nell’uso del linguaggio, aveva pensato ad 
una lingua artificiale, composta da simboli di tutte le « pa- 
role radicali » che potesse climinare alcuni o molti di questi 
pericoli. Ma Bacone — e questo è altrettanto importante — 
era stato anche il /eader dell’anticiceronianismo, si era fatto 
assertore dei brevi aforismi contrapponendoli al corposo pe- 
riodare dei seguaci di Cicerone, aveva sostenuto la necessità 
di un ritorno allo stile «attico» o «senechiano » mirante 
alla espressività e alla chiarezza, vicino alla « brevità » degli 
Stoici, « grave » e « sentenzioso », lontano dagli abbellimenti 
retorici, dalle fioriture stilistiche, dall'impiego delle analogie 
ce delle metafore, Bacone aveva polemizzato contro le scolasti- 
che « dispute di parole » e aveva contrapposto al linguaggio 
in uso nelle Scuole una lingua breve ed essenziale, precisa e 
cruda, capace di rimettere nuovamente l’uomo — dopo tanti 
secoli di tenebre e di volontario acciecamento — ‘a contatto 
con il mondo.° 


® Cfr. F. Bacon, Works, cit., III, p. 581 (Redargutio philosophiarum); 
sugli idola fori: III, pp. 396 -97 (Advancement); HI, p. 599 (Cogitata 
et visa) e Novum Organum, I, 15, 16, 43, 59, 60. 

© Cfr.M. W. CroLt, Attic prose in the seventeenth century, in « Stu- 
dies in philology », 1921, pp. 79- 128; Artic prose: Lipsius, Montaigne, 
Bacon, in Schelling anniversary papers, New York, 1932; The baroque 
style of prose, in Studies in english philology; a miscellany in honour 
of F. Klaeber, Minneapolis, 1929. 


LA LINGUA UNIVERSALE 207 


Negli scritti dei seguaci e degli ammiratori di Bacone, 
nelle opere di molti fra i maggiori difensori della nuova 
scienza troviamo, energicamente riaffermate, le posizioni 
ora delineate. Basterà qualche esempio. John Webster, cap- 
pellano nell’armata del Parlamento, acceso sostenitore della 
filosofia baconiana, attacca con estrema violenza nell’Acade- 
miarum Examen (Londra, 1653) la retorica e l’oratoria che 
« servono solo per adornare e sono soltanto l’abito e la veste 
esteriore di ben più solide scienze », respinge gli studi gram- 
maticali che gli appaiono inutili ad un reale progresso della 
conoscenza e insiste sulla opportunità di una « symbolic 
and emblematic way of writing » che superi la confusione e 
le imperfezioni delle lingue naturali.” Nelle Considerations 
touching the style of the holy scriptures di Robert Boyle 
(scritte nel 1653 e pubblicate nel ’61) troviamo lo stesso di- 
sprezzo per ogni inutile abbellimento dello stile. In un in- 
teressante brano autobiografico lo stesso Boyle contrapponeva 
la sua propensione per la filosofia sperimentale e per la cono- 
scenza delle cose alla sua avversione e al suo disprezzo per 
lo studio delle parole insistendo anche sull’ambiguità e «li- 
cenziosità » dei termini scientifici che è esiziale al progresso 
della vera filosofia: «my propensity and value for real lear- 
ning gave me such aversion and contempt for the empty 
study of words... ».° Robert Boyle si era a lungo interessato 
ai problemi di una lingua artificiale; sui danni che derivano 
alla scienza dalla confusione delle lingue naturali si sofferma 
a lungo un altro fervente baconiano, Joshua Childrey, che 
nella sua Britannia Baconia (Londra, 1660) afferma che il 
volto della realtà non va sfigurato imbrattandolo con il bel- 
letto del linguaggio (« not disfigure the face of truth by dau- 
bing it over with the paint of language »). Anche Thomas 
Sprat, la cui History of the Royal Society (1667) rispecchia 
anche le opinioni dei suoi illustri colleghi, condanna l’uso 
delle metafore, la viziosa abbondanza delle frasi, la continua 
variabilità delle lingue come altrettanti mali dai quali gli 


‘ J. Wessrer, Academiarum examen, Londini, 1653, pp. 21, 24 e cfr. 
R. F. Jones, The seventeenth century, cit., pp. 82, 147-48. 

* The works of the honourable Robert Boyle, ed. T. Birch, London, 
1772, I, pp. TI, 29-30; II, pp. 92, 136; III, pp. 2, 512; IV, p. 365; 
V, pp. 54, 229. 


208 CLAVIS UNIVERSALIS 


uomini di scienza debbono liberarsi.’ Difendendo la Roya! 
Society dagli attacchi di Henry Stubbe che aveva osato assa- 
lire tutti i « true-hearted virtuous intelligent disciples of our 
Lord Bacon », George Thompson scriveva nel 1671: 


"Tis Works, not Words; Things not Thinking; Pyrotech- 
nie [chimica], not PhAilologie; Operation, not merely 
Speculation, must justifie us physicians. Forbear then 
hereafter to be so wrongfully satyrical against us noble 
Experimentators, who questionless are entred into the 
right way of detecting the True of things.!° 


2. SIMBOLI LINGUISTICI E SIMBOLI MATEMATICI. 


Le ricerche tendenti alla costruzione di una lingua « filo- 
sofica » o «perfetta » trovarono un terreno oltremodo favo- 
revole nell’atmosfera culturale che abbiamo ora brevemente 
delineato. E queste diffuse esigenze di chiarezza e di rigore, 
questi progetti di una lingua simbolica trassero senza dub- 
bio alimento dagli sviluppi degli studi matematici, anche se 
sarebbe impresa disperata sostenere che i progetti di una 
lingua universale, ai quali qui si fa riferimento, dipendano 
o storicamente derivino da quegli sviluppi. Il “rigore” delle 
dimostrazioni matematiche, il largo impiego, in matematica, 
di “simboli” contribuì però senza dubbio a rafforzare l’idea 
che fosse possibile, per gli scienziati, ridurre il loro stile a 
quella « mathematicall plainess» di cui parlava, nella Histo- 
ry of the Royal Society, il baconiano Thomas Sprat: «essi 
hanno avuto la costante risoluzione di rifiutare tutte le am- 
plificazioni, digressioni e ampollosità dello stile: hanno vo- 
luto far ritorno alla primitiva purezza e brevità, a quando 
gli uomini esprimevano molte cose all’incirca con un egual 
numero di parole. Hanno richiesto a tutti i membri della So- 
cietà: un modo di parlare discreto, nudo, naturale; espres- 
sioni positive; sensi chiari; una nativa facilità; la capacità di 
portare tutte le cose il più vicino possibile alla chiarezza della 


® THoMas SpraT, The history of the Royal Society of London, London, 
1667, pp. 95 - 115. Cfr. H. FiscH and H. W. Jones, Bacon's influence on 
Sprat's History, in « Modern Language Quarterly », 1946. 

1° Grorce THomprson, Mtooxoplag. Londra, 1671, pp. 31, 40. Cfr. R. 
F. Jones, in The seventeenth century, cit., p. 145. 


LA LINGUA UNIVERSALE 209 


matematica; una preferenza per il linguaggio degli artigiani, 
dei contadini, dei mercanti piuttosto che per quello dei 
dotti ».!! 

A conclusioni più precise di quelle dello Sprat giunge- 
vano quegli studiosi che avevano, almeno in parte, subito 
l'influenza delle posizioni di Hobbes e accolto la sua defini- 
zione dei « termini » come simboli di relazioni e di quantità e 
la sua concezione del linguaggio come « calcolo ». Da questo 
punto di vista è tipica la posizione di Seth Ward, professore di 
astronomia ad Oxford, che vede nella « symbolicall way inven- 
ted by Vieta, advanced by Harriot, perfected by Mr. Oughtred 
and Des Cartes » il rimedio migliore alla verbosità eccessiva 
dei matematici. Quel tipo di scrittura, secondo il Ward, può 
essere esteso all’intero linguaggio in modo che, per ogni cosa 
e nozione possano essere trovati simboli appropriati e tali da 
eliminare ogni confusione: «I was presently resolved that 
symboles might be found for every thing and notion ». Con 
l’aiuto della logica e della matematica (0y the helpe of logick 
and mathematicks) tutti i discorsi umani potranno essere ri- 
solti in enunciati (resolved in sentences), questi in parole 
(words) e, poiché le parole significano nozioni semplici o 
sono in esse risolvibili (eszher simple notions or being resol- 
vible into simple notions), una volta rintracciate le nozioni 
semplici e assegnati ad esse dei simboli, sarà possibile rag- 
giungere un discorso rigorosamente dimostrativo tale da ri- 
velare (e l’aggiunta è importante) le nature delle cose (the 
natures of things). « Un linguaggio di questo tipo — conclu- 
deva Seth Ward — nel quale ogni termine sarebbe una de- 
finizione e conterrebbe la natura della cosa, potrebbe non 
ingiustamente essere denominato un linguaggio naturale, e 
potrebbe realizzare quell’impresa che i Cabalisti e i Rosa- 
cruciani hanno invano tentato di portare a compimento 
quando ricercavano, nell’ebraico, i nomi assegnati da Adamo 
alle cose »."* A una lingua universale, composta di caratteri 
« incomparabilmente più facili di quelli attuali » e a un Dic- 
tronary of sensible words che fornisse la necessaria termino- 
logia al meccanicismo hobbesiano, lavorò anche, dopo la metà 


1 TH. Sprat, The history, cit., p. 113. 
1? SetH Warp, Vindiciac academiarum, Londra, 1654, pp. 20-21. Cfr. 
R. F. Jones, in The seventeenth century, cit., pp. 151-152. 


210 CLAVIS UNIVERSALIS 


del secolo, William Petty, membro della Società reale e gran- 
de pioniere negli studi di economia politica. « Il dizionario 
di cui ho parlato — scrive in una lettera a Southwell — ave- 
va lo scopo di tradurre tutti i termini usati nell’argomenta- 
zione e nelle materie più importanti in altri termini equiva- 
lenti che fossero signa rerum et motuum ».'* Anche Robert 
Boyle, in una lettera del marzo 1647, aveva visto nel carat- 
tere interlinguistico dei simboli matematici, una prova della 
possibilità di costruire una lingua composta di caratteri reali: 
«In verità, poiché i caratteri che impieghiamo in matema- 
tica sono compresi da tutte le nazioni europee nonostante 
che ciascuno dei tanti popoli esprima questa comprensione 
nella sua lingua particolare, non vedo alcuna impossibilità a 
fare, con le parole, ciò che già abbiamo fatto con i nu- 
meri ».!* 

Gli stessi cultori di algebra e di matematica non furono 
del tutto estranei a queste discussioni sul linguaggio, sulla 
scrittura, sui simboli. Abbiamo già visto quali fossero, su 
questi argomenti le opinioni dell’astronomo e matematico 
Seth Ward, ma anche negli scritti del grande matematico 
John Wallis il problema dei carazteri o delle note da impie- 
gare nell’algebra veniva presentato come un aspetto del più 
generale problema dei segni, delle cifre e delle scritture. For- 
temente interessato agli sviluppi storici dell’algebra, Wallis 
metteva chiaramente in rilievo, nelle pagine del De algebra, 
i vantaggi che presentavano, di fronte alla troppo prolissa 
simbologia del Viète i characteres o le notae compendiosae 
di William Oughtred. Nella Mazhesis universalis del 1657 
troviamo, numerosissimi, i riferimenti al problema della scrit- 
tura in genere e della scrittura occulta in specie: « haec qui- 
dem occulte scribendi ratio, flagrante nuper apud nos Bello 
intestino, admodum erat familiaris». Non a caso, nel De 
loquela sive sonorum formatione, premesso alla sua Gram- 


1° Cfr. The Petty papers, ed. Marquis of Lansdowne, Londra, 1927, 
voll. 2, I, pp. 150-51; Petty-Southwell Correspondence: 1676-1687, cd. 
Marquis of Lansdowne, Londra, 1928, p. 324. Ma è da vedere anche 
l’Advice to Hartlib, Londra, 1648, pp. 5 segg. nel quale si accenna al 
problema dei caratteri reali. 

'4 Lettera del 19 marzo 1647 allo Hartlib, in Works, cd. T. Birch, 
ly ip; 22: 


LA LINGUA UNIVERSALE 211 


matica linguae anglicanae, Wallis si era a lungo soffermato 
sulle questioni attinenti alla grammatica e ai suoni. Infine 
nel De algebra, accanto ad un ferocissimo attacco alla in- 
competenza matematica di Hobbes (« turpissimis paralo- 
ismis ubique scatet liber iste »), troviamo un ampio capi- 
tolo dedicato ad illustrare i vantaggi che presentano, per il 
matematico, le tecniche dedicate al rafforzamento della me- 
moria.!* 


3. I GRUPPI COMENIANI: LINGUA UNIVERSALE E CRISTIANESIMO 
UNIVERSALE. 


L'influenza esercitata dall’insegnamento di Comenio sui 
progetti miranti alla costruzione di una lingua universale è 
stata ampiamente e minuziosamente documentata.'* Nessun 
libro dedicato alla lingua perfetta era apparso in Inghilterra 
prima del viaggio di Comenio a Londra nel 1641; dopo quel- 
l’anno si ebbe una vera e propria fioritura di questi testi. E 
non si trattava di una coincidenza: Samuel Hartlib — che 


!5 Il De algebra tractatus historicus et practicus ciusdem origines et 
progressus varios ostendens è contenuto nel secondo volume delle Ope- 
ra mathematica, Oxoniae, ex Theatro Sheldoniano, 1695, voll. 3 (co- 
pia usata: Braid. C. XVII. 9.523. 1-3). Sui caratteri di Viète e di 
Oughtred cfr. le pp. 69-73. Per i riferimenti alla scrittura presenti 
nella Mathesis universalis, sive arithmeticum opus integrum tum phi- 
lologice tum mathematice traditum cfr. nella stessa ediz. delle opere il 
vol. I, pp. 47 segg. Per l'attacco ad Hobbes cfr. Opera, I, p. 361 (ma 
su questo argomento e sui numerosi scritti antihobbesiani del Wallis 
cfr. G. SortaIs, La philosophie moderne depuis Bacon jusqu'à Leibniz, 
Paris, 1922, II, pp. 289-92), sulla memoria è da vedere il capitolo del 
De algebra (in Opera, II, pp. 448 - 50) intitolato De viribus memoriae 
satis intentae, experimentum. La prima edizione della Grammatica lin- 
quae anglicanae cui pracfigitur de loquela sive sonorum formatione 
tractatus grammatico-physicus è del 1653. Ho visto la quarta ediz.: 
Oxoniae, typis L. Lichfield, 1674 (Braid. } + VI. 51). Sul Wallis mate- 
matico cfr., oltre ai correnti manuali di storia delle matematiche, ]. 
F. Scort, Mathematical work of |. Wallis, London, 1938, l’opera gram- 


x 


maticale è stata studiata da M. LeHNERT, Die Grammatik des ]. Wal- 
lis, Breslau, 1936. 

1 Cfr. D. L. StiMson, Comenius and the Invisible college, in « Isis», 
1935, pp. 383-88; Scientists and amateurs. New York, 1946; B. DE 
Mott, Comenius and the real character in England, cit.; sui rapporti 
Comenio - Wilkins cfr. M. Spinka, /. A. Comenius, that incomparable 
Moravian, Chicago, 1943, pp. 72-75. 


212 CLAVIS UNIVERSALIS 


era stato per lunghi anni in corrispondenza con Comenio 
e che apparve, agli uomini del suo tempo, il difensore e il 
diffusore, in Inghilterra, dell’opera comeniana — fu il più 
appassionato sostenitore ed editore di opere sulla lingua uni- 
versale. Hartlib pubblicò nel 1646 l’opera del Lodowick (A 
common writing); incoraggiò numerosi tentativi per la crea- 
zione di un vocabolario dei termini essenziali; fu in corri- 
spondenza con il Boyle su questi problemi; contribuì alla 
pubblicazione dell’Ars signorum del Dalgarno. Espliciti rife- 
rimenti a Comenio troviamo presenti negli scritti di Henry 
Edmundson (Lingua linguarum) e di John Webster (Acade- 
miarum examen, 1654), mentre John Wilkins, il più noto e 
celebrato fra questi teorici della lingua perfetta, fu aiutato 
e incoraggiato da un altro discepolo inglese di Comenio con 
cui egli ebbe rapporti di viva amicizia: Theodor Haak. Lo 
stesso Comenio, dedicando nel 1668 alla Royal Society la sua 
Via lucis vestigata et vestiganda, affermava che l’opera di 
Wilkins, pubblicata in quello stesso anno, rappresentava la 
realizzazione dei suoi programmi e delle sue più alte aspi- 
razioni. 

Proprio nella Via Zucis, che circolava manoscritta in In- 
ghilterra fin dal 1641, Comenio aveva ripreso, con ampiezza 
molto maggiore, le osservazioni di Bacone sui « caratteri 
reali ». I caratteri simbolici usati dai Cinesi — scriveva — 
consentono a uomini di differenti lingue di intendersi reci- 
procamente: se tali caratteri sembrano cosa buona e vantag- 
giosa, perché non si potrebbero dedicare i nostri studi alla 
scoperta di un «linguaggio reale », alla scoperta cioè « non 
solo di una lingua, ma del pensiero e delle verità delle cose 
stesse? ». Se la molteplicità delle lingue «è derivata dal caso 
o dalla confusione, perché non si potrebbe, facendo uso di un 
procedimento consapevole e razionale, costruire  un’unica 
lingua che sia elegante e ingegnosa e appaia in grado di su- 
perare quella dannosa confusione? Se abbiamo la possibilità 
di adattare i nostri concetti alle forme delle cose, perché non 
dovremmo avere quella di adattare il linguaggio a più esatte 
espressioni e a più precisi concetti? ».!” 


17 Per la Via lucis, che non sono riuscito a vedere nel testo originale, 
ho fatto uso della traduzione di E. T. Campagnac: The Way of light 
of Comenius, London, 1938. Per il brano qui citato cfr. le pp. 186 - 89. 


LA LINGUA UNIVERSALE 213 


Il problema di una lingua universale si era posto come 
centrale nell'opera comeniana: nel suo pensiero era senza 
dubbio presente l'esigenza di una maggior precisione termi- 
nologica, di un linguaggio più chiaro, accessibile e rigoroso, 
ma alla base del suo progetto non stavano preoccupazioni di 
“logica” o di “metodologia”; stavano quelle aspirazioni e 
quelle esigenze tipicamente “religiose” che avevano trovato 
espressione nei testi del lullismo e del neoplatonismo, nelle 


idee di universale pacificazione — sulla base di una comune 
lingua — sostenute dai panteisti, dai cabalisti e dai Rosa- 
cruciani. 

Più che i testi dei lullisi — ai quali abbiamo spesso 
fatto riferimento — sarà opportuno ricordare qui la fede di 
uno dei maestri di Comenio — Johan Valentin Andrei — 


in una mistica armonia delle nazioni (la respublica christia- 
nopolitana) realizzabile mediante un nuovo universale lin- 
guaggio e le osservazioni di Jacob Boehme, un pensatore ben 
noto a Comenio, su un originario linguaggio della natura 
(Natursprache) che è stato sommerso dalla confusione delle 
lingue e che va ricostruito e ricompreso per la salvezza del 
genere umano.'* Anche per Comenio — come già per i se- 
guaci di Lullo e per l’Andreîi — il linguaggio reale o «la 
perfetta lingua filosofica » ha dve scopi fondamentali: 1) 
porre l’uomo a rinnovato contatto con la divina armonia che 
è presente nell’universo mostrandogli la piena coincidenza 
tra il ritmo del pensiero e quello della realtà, tra le cose e 
le parole; 2) porsi quindi come base, l’unica possibile base, 
per una piena riconciliazione del genere umano, per una du- 
ratura, stabile pace religiosa. 


Nella moltitudine, varietà e confusione delle lingue, Co- 
menio aveva visto il maggiore ostacolo alla diffusione della 
luce e alla penetrazione, presso tutti i popoli, della pansofia. 
Quando sarà costruita «una lingua assolutamente nuova, 


!* Cfr. J. V. Anprea£, Fama fraternitatis, 1616, pp. 3, 12-13 cit. in B. 
De MotT, Comenius and the real character, cit., p. 1070; Jacos BoEH- 
ME's, Simmiliche Werke, ed. a cura di K. W. Schiebler, Leipzig, 1922, 
IV, pp. 83 segg. 


214 CLAVIS UNIVERSALIS 


assolutamente chiara e razionale, una lingua pansofica e uni- 
versale, allora gli uomini apparterranno a una sola razza e 
ad un solo popolo ». Sulla par pAilosophica, sulla concordia 
mundi, sull'unità del genere umano avevano a lungo insi- 
stito, nei secoli del Rinascimento, Pico e Sabunde, Cusano e 
Guillaume Postel ed è precisamente a questa tradizione che 
si richiamavano le speranze millenaristiche di Comenio. Ma 
sull'importanza e sul significato dei dissensi di carattere ter- 
minologico, sulla necessità di una lingua comune, sull’op- 
portunità di preservare gli elementi comuni della fede ab- 
bandonando le vane « dispute di parole » si era lungamente 
e ampiamente discusso, durante la Riforma, negli ambienti 
più diversi. Non è certo il caso di affrontare qui un proble- 


ma così complesso, ma vale certo la pena — anche se in vista 
di scopi assai limitati — di indicare qualche posizione ca- 
ratteristica. 


William Bedel (1571-1642), che fu in Inghilterra uno 
dei maggiori sostenitori dell’irenismo e della conciliazione 
fra luterani e calvinisti, attribuiva carattere soprattutto ver- 
bale alle controversie fra le sètte ed era fortemente interessato 
ai progetti di lingua universale di Comenio e dei comeniani 
inglesi. Ma anche negli scritti dei teorici della lingua uni- 
versale questo interesse “religioso” appare quasi sempre in 
primo piano. La lingua filosofica — afferma Wilkins — 
chiarirà le attuali divergenze in materia religiosa ed esse si 
riveleranno inconsistenti, una volta che il linguaggio sarà 
stato liberato da ogni imperfezione ed equivocità. La elimi- 
nazione degli equivoci linguistici contribuirà grandemente, 
secondo Cave Beck, al progresso della religione nel mondo. 
William Petty vuol tradurre tutti i termini usati nelle argo- 
mentazioni in altri termini che siano signa rerum (« tran- 
slate all words used in argument and important matters into 
words that are signa rerum »), sostiene energicamente una 
distinzione fra termini significanti e termini privi di signifi- 
cato, e concepisce l’intero suo dizionario in funzione di una 
chiarificazione dei termini della vita religiosa. Determinando 
l’esatto significato di God e devill, angel e wordl, heaven e 
hell, religion e spirit, church e christian, catholic e pope, si 
giungerà alla conclusione che le liti e le guerre fra le di- 
verse sètte si sono fondate solo su divergenze terminologiche 


LA LINGUA UNIVERSALE 215 


e che esiste invece la possibilità di una effettiva intesa sulle 
nozioni e sulle cose. Anche nell’Ars signorum di Dalgarno 
troviamo presente un tentativo di questo genere realizzato 
mediante un complicato sistema di divisione dei concetti e 
di appropriati simboli.!* Nella History of the Royal Society, 
Thomas Sprat parla di una « filosofia dell’umanità » che su- 
eri le differenze e le ostilità di carattere religioso: «not to 
lay the foundation of an English, Sotch, Irish, Popish or 
Protestant philosophy, but a philosophy of mankind ». Non 
si tratta solo della convinzione che la nuova « filosofia speri- 
mentale » possa affratellare gli uomini al di là delle separa- 
zioni politiche e delle differenti convinzioni religiose, si tratta 
anche della speranza (ed è questo aspetto che si vuol qui sot- 
tolineare) che la stessa organizzazione scientifica possa costi- 
tuire un potentissimo mezzo per il ristabilimento della con- 
cordia mundi, dell’unità religiosa e spirituale del genere uma- 
no. Non diversamente, del resto, la nuova scienza era stata 
intesa da Bacone come uno strumento di universale redenzio- 
ne dal peccato originale.? 

Ove si rinunci a proiettare all’indietro nel tempo i nostri 
interessi e i nostri problemi per attribuirli agli uomini che 
scrissero ed operarono alla metà del Seicento, bisognerà ren- 
dersi conto che i progetti di una lingua « perfetta » o « uni- 
versale » sui quali in quegli anni si affaticarono non pochi 
studiosi, traevano senza dubbio alimento dall’atmosfera cul- 
turale legata alla nascita della nuova scienza, dai progressi 
della fisica e da quelli della matematica, ma non intendevano 
certo limitarsi a fornire chiarimenti semantici agli studiosi 
di filosofia naturale. Quelle «lingue » avevano scopi assai 
più vasti e più ambiziose finalità: intendevano essere stru- 
menti di redenzione totale, mezzi per decifrare l’alfabeto 
divino. Si connettevano storicamente ai sogni di pacificazio- 


!° The Petty papers, cit., I, p. 150; G. Datcarno, Ars signorum, in 
The works of G. Dalgarno, Edinburgh, 1834, pp. 22 - 23. 

2° Per il passo di Thomas Sprat, citato nel testo, cfr. The history, cit., 
p. 63. Sull’unità religiosa quale fine dell’organizzazione scientifica insi- 
ste anche Samuel Hartlib. Per questa posizione cfr. G. H. TuRNBULL, 
S. Hartlib: a sketch of his life and his relations to |. A. Comenius, 
Londra, 1920; Harglib, Dury and Comenius, Londra, 1947, p. 75. 


216 CLAVIS UNIVERSALIS 


ne e alle utopie millenaristiche di quegli autori che abbiamo 
fin qui — nel corso di questo libro — preso in esame. 


4. LA COSTRUZIONE DI UN LINGUAGGIO PERFETTO. 


Nell’Ars signorum di George Dalgarno e nell’Essay to- 
wards a real character di John Wilkins troviamo considera- 
zioni sui geroglifici e gli alfabeti, sulle scritture normali c 
cifrate, capitoli dedicati a discussioni sul linguaggio e sulla 
logica, sulla grammatica e sulla sintassi, pagine e pagine nelle 
quali si procede ad una minuziosa classificazione degli ele- 
menti e delle meteore, delle pietre e dei metalli, delle piante 
e degli animali, delle attività umane e delle arti liberali 
e meccaniche, dizionari dei termini essenziali propri delle 
varie lingue, dizionari « paralleli », troviamo infine la pro- 
posta di una lingua artificiale.*! 

E’ lo stesso intreccio di temi, per noi moderni così sin- 
golare e caotico, del quale abbiamo tante volte riscontrato la 
presenza in tutte quelle opere e quelle enciclopedie che, di- 
rettamente o indirettamente, si richiamano al filone logico- 
enciclopedico del lullismo. Per amore di chiarezza e di bre- 
vità, oltre che per facilitare il lettore, si cercherà, nelle pa- 
gine che seguono, di individuare, enumerandole successiva- 
mente, alcune tesi concernenti la lingua perfetta o univer- 
sale che rivestono un'importanza centrale e che appaiono re- 
ciprocamente connesse. L'esposizione del contenuto delle va- 
rie opere servirà di volta in volta a documentare e a chiarire 
il significato di ciascuna delle affermazioni che seguono. 


1) I teorici della lingua « perfetta », « filosofica » 0 « uni- 
versale » muovono dalla contrapposizione tra lingue « natu- 


21 L’opera di John Wilkins è suddivisa in quattro parti: Prolegomena; 
Universal philosophy, Philosophycal grammar, Real character and. philo- 
sophical language. Il titolo dell’opera del Dalgarno è il seguente: Ars 
signorum: vulgo character universalis et lingua philosophica, qua potuc- 
runt homines diversissimorum idiomatum spatio duarum septimanarum 
omnia animi sua sensa non minus intelligibiliter, sive scrivendo sive 
loquendo, mutuo communicare, quam linguis propriis vernaculis. Prac- 
terea hinc etiam potuerunt iuvenes philosophiae principia et veram lo- 
gices praxin citius et facilius multo imbibere quam ex vulgaribus phi- 
losophorum scriptis, Londini, cxcudebat J. Hayes sumptibus authoris, 
1661. (Copie usate: Ambrosiana, Villa Pernice, 1969 e Par Naz. V. 
35875). 


LA LINGUA UNIVERSALE 217 


rali» e lingue « artificiali » e intendono costruire una lin- 
gua artificiale o sistema di segni che risulti comunicabile e 
comprensibile (quindi adoperabile sia nel linguaggio scritto 
che in quello parlato) indipendentemente dalla lingua « na- 
turale » che effettivamente si parla. 

I caratteri dei quali la lingua è composta, sono « effables » 
in ogni «distinct language », in ogni caso le regole della 
lingua universale non è detto che coincidano con quelle pro- 
prie delle lingue naturali.?? 


2) La lingua artificiale è resa possibile dal fatto che le 
nozioni interne o apprensioni delle cose (internal notions or 
apprehension of things) o immagini mentali (mental ima- 
ges) sono comuni a tutti gli uomini, mentre i nomi attribuiti 
alle nozioni e alle cose sono, nelle varie lingue naturali, suo- 
ni o parole (sounds or words) nati dalla convenzione o dal 
caso mediante i quali si esprimono, diversamente da lingua 
a lingua, le nozioni interne o immagini mentali. A nozioni 
comuni, non corrispondono quindi, allo stato presente delle 
cose, espressioni (expressions) comuni: creare artificialmente 
queste ultime è appunto il compito che si propongono i teo- 
rici della lingua universale.” 


3) La lingua artificiale (che farà corrispondere all’ac- 


22 J. Witxins, Essay, cit., To the reader. 

23 J. WiLkins, Essay, cit., p. 20: « As men do generally agree in the 
same principle of reason, so do they likewise agree in the same internal 
notion or apprchension of things. The external expression of these 
mental notions, whereby men communicate their thoughts to one ano- 
ther, is cither to the ear, or to the eye. To the car by sounds, and 
more particularly by articulate voice and words. To the cye by any 
thing that is visible, motion, light, colour, figure, and more parti- 
cularly by writing. That conceit which men have in their minds con- 
cerning a horsc or trec, is the notion or mental image of that beast 
or natural thing, of such a nature, shape and use. The names given 
to these in several languages, are such arbitrary sounds or words, as 
Nations of men have agreed upon, cither causally or designedly, to 
express their mental notions of them. The written word is the figure 
or picture of that sound. So that, if men should generally consent upon 
the same way or manner of expression, as they do agree in the same 
notion, we should then be freed from that curse in the confusion of 


do with all the unhappy consequences of it ». (I corsivi sono nel 
testo). 


218 CLAVIS UNIVERSALIS 


cordo già presente nella sfera delle immagini mentali anche 
l'accordo nelle espressioni) costituisce dunque un efficace ri- 
medio alla babelica confusione delle lingue e potrà eliminare 
le assurdità c le difficoltà, le ambiguità e gli equivoci di cui 
son piene le varie lingue « naturali ». 

Tutta prima parte (Prologomena) dell’opera di Wilkins 
è dedicata a un esame, assai ampio e minuto, della situazione 
in cui versano le varie lingue, dei mutamenti e delle cor- 
ruzioni (changes and corruptions) che in esse si verificano, 
dei loro difetti (defects), del problema dell'origine del lin- 
guaggio. Wilkins parte dal presupposto — comune del resto 
a tutti questi studiosi — che ogni lingua naturale sia di ne- 
cessità imperfetta: ogni mutamento che si verifica nel pa- 
trimonio linguistico coincide per lui con un processo di gra- 
duale corruzione: «every change is a gradual corruption ». 
Nel mescolarsi delle nazioni mediante i commerci, nei ma- 
trimoni tra sovrani, nelle guerre e nelle conquiste, nel de- 
siderio di eleganza dei dotti che conduce a respingere le 
forme linguistiche tradizionali, egli vede altrettanti fattori 
di corruzione. Tutte le lingue, ad eccezione di quella ori- 
ginaria, sono state create per imitazione (‘mitation), deri- 
vano dall’arbitrio o dal caso; in tutte le lingue sono quindi 
presenti difetti che, con l’aiuto dell’arte, possono essere eli- 
minati. « Neither letters nor languages have been regularly 
established by the rules of art»: la non artificialità delle 
lingue, quella che noi chiameremmo la loro spontaneità, ap- 
pare a Wilkins una specie di vizio d’origine e di peccato ori- 
ginario, la fonte di un inevitabile processo di degenerazio- 
ne, la radice di una confusione sempre maggiore. In poche 
centinaia di anni — egli afferma — alcune lingue possono 
andare completamente perdute, altre si trasformano fino a di- 
ventare inintelligibili; la grammatica (unica arte che po: 
trebbe introdurre ordine nel linguaggio) si è costituita più 
tardi delle lingue stesse e si è quindi limitata a prendere atto 
di una situazione dominata dall’ambiguità dei termini che 
assumono, a seconda dei contesti, una enorme varietà di si- 
gnificati. Identica è, su questo punto, la posizione sostenuta 
dal Dalgarno: l’arte ha il compito «di porre rimedio alle 
difficoltà e alle confusioni di cui son piene le varie lingue, 


LA LINGUA UNIVERSALE 219 


eliminando ogni ridondanza, rettificando ogni anomalia, to- 
gliendo di mezzo ogni ambiguità ed equivocità ».° 


4) La lingua artificiale vien presentata come un mezzo 
di comunicazione enormemente più « facile » di tutti quelli 
attualmente in uso. Nelle pagine di Dalgarno e di Wilkins 
ritroviamo presenti quelle mirabolanti promesse che aveva- 
no riempito, per due secoli, i frontespizi delle opere lullia- 
ne e mnemotecniche. Nello spazio di due settimane, afferma 
Dalgarno, uomini di differenti lingue potranno giungere a 
comunicare per scritto e oralmente « non minus intelligibi- 
liter quam linguis propriis vernaculis ». In un mese, secondo 
Wilkins, un uomo di normali capacità intellettuali può im- 
padronirsi della lingua universale ed esprimersi in essa con 
la stessa chiarezza con la quale si esprimerebbe in latino dopo 
quarant'anni di studio.’ 


5) La lingua artificiale esercita una funzione terapeuti- 
ca nei confronti della filosofia che potrà esser liberata dalle 
sue malattie (l’uso dei sofismi e l’abbandono alle logomachie) 
e, per la sua esattezza, può porsi come valido strumento per 
un ulteriore perfezionamento della logica: «In una parola 
l’Ars signorum non solo rappresenta un rimedio alla confu- 
sione delle lingue, non solo offre un mezzo di comunicazio- 
ne più facile di qualunque altro finora conosciuto, ma anche 
cura la filosofia dalla malattia dei sofismi e delle logomachie, 
e la provvede di più elastici e maneggevoli strumenti opera- 
tivi (c0/edly and manageable instruments of operation) per 
definire, dividere, dimostrare ecc. ».?° 


6) Dall’adozione della lingua artificiale risulterà facili- 
tata la trasmissione delle idee fra i popoli. I confini della co- 
noscenza potranno in tal modo essere allargati e potrà esser 
perseguito, con nuovo vigore, quel bene generale dell’uma- 


24 Per quanto qui esposto cfr. J. Witkins, Essay, cit., pp. 2-3, 6, 8, 9, 17. 
Sulla grammatica cfr. p. 19: « The very art by which language should 
be regulated viz. grammar, is of much later invention than the lan- 
guages themselves, being adapted to what was already in being, rather 
then the rule of making it so ». Per Dalgarno, cfr. O. Funke, Weltspra- 
chenproblem, cit., p. 16. 

25 J. WILKINS, Essay, cit., p. 454. 

2° G. Datcarno, Ars signorum, cit., p. 45. 


220 CLAVIS UNIVERSALIS 


nità (general good of mankind) che è superiore a quello di 
ogni particolare nazione. La nuova lingua potrà infine con- 
tribuire, in modo decisivo, allo stabilimento di una vera pace 
religiosa: «questo progetto contribuirà grandemente a ri- 
muovere alcune delle nostre moderne divergenze in religione 
smascherando molti stravaganti errori che si nascondono sotto 
le frasi affettate; una volta che queste saranno filosoficamente 
spiegate e ritradotte secondo la genuina e naturale importanza 
delle parole, si riveleranno inconsistenti e contraddittorie ».?” 


7) I segni dai quali è costituita la lingua universale sono 
«caratteri reali » (nel senso attribuito da Bacone a questo ter- 
mine): segni convenzionali che rappresentano o significano 
non i suoni e le parole, ma direttamente le nozioni e le cose. 

Riprendendo le tesi di Bacone e richiamandosi alle di- 
scussioni allora assai diffuse sui geroglifici, Wilkins distin- 
gue dalle normali lettere dell’alfabeto (originariamente in- 
ventate da Adamo) le note (rotes) che sono for secrecy e for 
orevity. AI primo tipo ‘appartengono la «Mexican way of 
writing by pictures » e i geroglifici egiziani che sono « rap- 
presentazioni di creature viventi o di altri corpi dietro i qua- 
li gli Egiziani nascosero i misteri della loro religione »; al 
secondo tipo appartengono quelle letters o marks dei quali 
ci si può servire, come di una forma di scrittura abbreviata, 
per esprimere una qualsiasi parola. In tutto diversa è la fun- 
zione del « real universal character » che « should not signi- 
fie words, but things and notions, and consequently might 
be legible by any nation in their our tongue ».?* 

Tutti i caratteri, secondo Wilkins, significano naturally 
o by institution. Quelli che significano « naturalmente » sono 
pictures of things o altre immagini o rapppresentazioni sim- 
boliche; gli altri derivano il loro significato da una conven- 


2? J. Wikkins, Essuy, cit., Epistola dedicatoria. 

28 Sulle note e i geroglifici egiziani J. Witkins, Essay, cis., p. 12-13; 
parlando dei caratteri reali Wilkins fa riferimento a Bacone (« hath 
been reckoned by learned men amongst the desiderata ») e alle pagine 
di Bacone sulla scrittura cinese: mediante i caratteri reali « the inha- 
bitants of that large kingdom, many of them of different tongues, do 
communicate with one another, every one understanding this common 
character, and reading in his own language ». 


LA LINGUA UNIVERSALE 221 


zione liberamente accettata. A quest’ultimo tipo apparten- 
ono i « caratteri reali » che dovranno essere semplici, facili, 
chiaramente distinguibili l’uno dall'altro, di suono gradevole 
e di forma graziosa, e, soprattutto, dovranno essere metho- 
dical: rivelanti cioè la presenza di corrispondenze, di relazioni 


e di rapporti fra segni.?° 


8) Fra i segni e le cose esiste una relazione univoca ed 
ogni segno corrisponde al una cosa o azione («to every thing 
and notion there were assigned a distinct mark »): il progetto 
di una lingua universale implica dunque quello di una en- 
ciclopedia, implica cioè la enumerazione completa e ordi- 
nata, la classificazione rigorosa di tutte quelle cose e no- 
zioni alle quali si vuole che, nella lingua perfetta, corrispon- 
da un segno. Poiché la funzionalità della lingua universale 
dipende dalla vastità del campo di esperienza che essa riesce 
ad abbracciare e del quale riesce a dar conto, al limite la lin- 
gua perfetta esige una preliminare classificazione di tutto ciò 
che esiste nell'universo e che può essere oggetto di discorso, 
richiede una enciclopedia totale, la costruzione di « tavole per- 
fette ». In vista di questa classificazione totale, di questa « ri- 
duzione a tavole » delle cose e nozioni, viene elaborato un 
metodo classificatorio fondato sulla divisione in categorie ge- 
nerali, in generi e in differenze. Solo mediante questa grande 
costruzione enciclopedica ogni segno impiegato potrà fun- 
zionare come il segno di una lingua perfetta: fornire cioè 
una esatta definizione della cosa o nozione significata. Si ha 
infatti definizione quando il segno rivela il « posto » che la 
cosa o azione (indicata dal segno) occupa in quell’insieme 
ordinato di oggetti reali e di azioni reali rispetto al quale 
le tavole si pongono come uno specchio. 

Inizialmente, all’incirca fra il 1640 e il 1657, i costruttori 
di queste lingue universali avevano seguito una strada in parte 
differente: avevano iniziato la raccolta di tutti i termini pri- 
mitivi (primitive o radical words) contenuti nelle varie lingue 
per giungere alla costruzione di un dizionario essenziale. In 
questa direzione si era mosso lo stesso Wilkins in un’opera 
del 1641 che riecheggiava nel titolo una espressione di Co- 


°° Sugli alfabeti cfr. J. Wilkins, Essay, cit., pp. 12-15, sulla distin- 
zione dei caratteri e sulle loro caratteristiche: pp. 385 -86. 


222 CLAVIS UNIVERSALIS 


menio: Mercury or the secret and swift messenger. I termini 
radicali apparivano qui a Wilkins in una «relazione meno 
ambigua con le cose » di quanto non fossero i derived words.° 
A questa stessa ricerca dei termini primitivi (si ricordino a 
questo proposito le tavole dei termini fondamentali del Bister- 
field) si erano dedicati, in Inghilterra, Francis Lodowick nella 
sua opera sul linguaggio perfetto e Cave Beck nell’Ur:iversal 
character. Quest'ultimo aveva impiegato, come caratteri, i 
numeri arabi dallo 0 al 9; le combinazioni di tali caratteri, 
esprimenti tutti i termini primitivi di ciascuna lingua, erano 
disposte in ordine progressivo da 1 a 10.000, un numero, que- 
sto, che appariva al Beck sufficiente ad esprimere tutti i ter- 
mini di uso generale. Ad ogni numero corrispondeva un ter- 
mine di ogni lingua: ne risultava un « dizionario numerico » 
i cui termini venivano poi disposti alfabeticamente (a seconda 
delle varie lingue) in un altro «dizionario alfabetico ». Cia- 
scuno dei due dizionari serviva in tal modo da «chiave » al- 
l’altro.?! 

L'adozione dei caratteri reali con l’annesso progetto di 
una costruzione di « tavole complete » fece poi passare in se- 
conda linea la ricerca dei radicals words: si trattava ora di 
procedere alla riduzione di tutte le cose e le nozioni alle ta- 
vole («the reducing all things and notions to such kind of 
tables »). Costruire una raccolta di questo genere apparve a 
Wilkins un’impresa più adatta ad una accademia e ad un’epoca 
che a una persona singola: la principale difficoltà consisteva 
proprio nella completezza (« without any redundacy or defi- 
ciency as to the number of things and notions ») e nella siste- 
maticità (« regular as to their place and order »). Il problema 
dei termini primitivi o radicali non poteva tuttavia essere 
eluso: le tavole non potevano evidentemente contenere dav- 
vero tutto. Le cose e le nozioni in esse classificate ed enume- 
rate erano solo quelle che rientravano (si era deciso di far 
rientrare) nella lingua universale o « cadevano all'interno del 
discorso »: «a regular enumeration and description of all 


30 J. WiLkins, Mercury or the secret and swift messenger, ahewing 
how a man may with privacy and speed communicate his thoughts to 
a friend at a distance, London, 1641, pp. 109 segg. (ediz. London, 1707). 
3! Cfr. C. EMery, Wilkins' universal language, cit., p. 175. 


LA LINGUA UNIVERSALE 223 


those things and notions to wich names are to be assigned... 
enumerating and describing all such things and notions as 
fall under discourse... ».?* 

La completezza della lingua veniva fatta dipendere dalla 
completezza delle tavole che erano presentate come uno spec- 
chio dell'ordinamento del mondo reale, ma per realizzare una 
completezza che non fosse irrealizzabile (enumerazione com- 
pleta) Wilkins riprese l’esigenza che era stata alla base della 
ricerca dei radical words. Le tavole non dovevano contenere 
tutto, ma soltanto le cose di « a more simple nature »; quelle 
di «a more mixted and complicated signification » dovevano 
essere ridotte alle prime ed espresse mediante perifrasi (per: 
phrastically). Il dizionario alfabetico inglese posto da Wilkins 
in appendice alla sua opera intende rispondere a questo scopo: 
mostrare come tutti i termini della lingua inglese possano 
essere in qualche modo riportati a quelli elencati e ordinati 
nelle tavole.?* 

Per realizzare l’ordinamento in tavole di tutte le cose e 
nozioni Wilkins fornisce un elenco di quaranta generi, cia- 
scuno dei quali viene poi suddiviso secondo le differenze che 
(fatta eccezione per alcune classificazioni zoologiche e bota- 
niche) sono sei di numero. I primi sei generi, che compren- 
dono « such matters, as by reason of their generalness, or in 
some other respect, are above all those common head of things 


called predicaments »,°* sono: 
I. Trascendentale generale 4. Discorso 
2. Relazione trascendentale mista 5. Dio 


3. Relazione trascendentale di azione 6. Mondo 


Gli altri trentaquattro generi sono ordinati come segue 
sotto i cinque predicamenti : 


22 J. Wikins, Essay, cit., pp. 20-22 e numerosi passi contenuti nel- 
l’epistola dedicatoria. 

% J. Wilkins, Essay, cit., pp. 455 segg.: « An alphabetical dictionary 
wherein all english words according to their various significations are 
either referred to their places in the philosophical tables, or explained 
by such words as are in the tables ». 

°* J. Witkins, Essay, cit., p. 23-24. Per l'esposizione che segue cfr. 
anche pp. 60 segg.; 415 segg. c il riassunto delle varie parti dell’opera: 
pp. 1 segg. 


224 


Erba | 
considerata 
secondo : 


Animali : 


Parti : 


CLAVIS UNIVERSALIS 


Sostanza 


Elemento 
Pietra 
Metallo 


Foglia 


. Fiore 
. Seme 


. Arbusto 
. Albero 


. Esangui 
. Pesce 

. Uccello 
. Bestia 


. Parti peculiari 
. Parti generali 


Quantità 


21. 
22, 
23. 


Grandezza 
Spazio 
Misura 


Privata : 


Pubblica : 


Qualità 


24. Potere naturale 
25. Abito 

26. Costumi 

27. Qualità sensibile 
28. Malattia 


Azione 


29. Spirituale 
30. Corporea 
31. Movimento 
32. Operazione 


Relazione 


33. Economica 
34. Proprietà 
35. Provvigione 
36. Civile 
37. Giudiziaria 
38. Militare 
39. Navale 

\ 40. Ecclesiastica 


Ciascuno di questi quaranta generi viene suddiviso se- 
condo le sue differenze e si enumerano poi le varie specie ap- 
partenenti a ciascuna delle differenze «seguendo un ordine 
e una dipendenza tali che possano contribuire a una defini- 
zione delle differenze e delle specie, determinando il loro si- 
gnificato primario ». Dell’ottavo genere (pietra) vengono per 
esempio enumerate sei differenze: 


Le pietre possono essere distinte a seconda che siano: 


Volgari o senza prezzo 
Di prezzo medio 
Preziose: 


Meno trasparenti 
Più trasparenti 


Le concrezioni terrestri sono: 


Solubili 
Non-solubili 


Ciascuna delle differenze è suddivisa nelle varie specie. Le 
« pietre volgari » (prima differenza) comprendono per esem- 
pio otto specie che non vengono (questo accorgimento è essen- 
ziale alla tecnica di Wilkins) semplicemente elencate, ma 


LA LINGUA UNIVERSALE 225 


variamente raggruppate, all’interno della tavola, e classificate 
a seconda della maggiore o minore grandezza, dell’uso che 
se ne fa e dell'impiego nelle arti, dell'assenza o presenza di 
elementi metallici, ecc. 

Di questo tipo sono le tavole di Wilkins, che occupano 
poco meno di trecento pagine, in corpo fittissimo, della sua 
opera. Mediante questa ordinata classificazione delle cose e 
nozioni alle quali « devono essere assegnati i nomi in accordo 
alle loro rispettive nature », si è realizzata quella universal 
philosophy che sta alla base della lingua perfetta e che indica 
l'ordine, la dipendenza e le relazioni tra le nozioni e tra le 
cose. Mediante l’uso di lettere e di segni convenzionali è ora 
possibile dar luogo a un linguaggio universale che è il corri- 
spettivo della « filosofia universale ». I generi (ci limitiamo 
qui ai primi nove) vengono indicati come segue: 


Trascendentale generale Ba 
Relazione trascendentale mista Ba 
Trascendentale di azione Be 
Discorso Bi 
Dio Dx 
Mondo Da 
Elemento De 
Pietra Di 
Metallo Do 


Per esprimere le differenze vengono indicate, nell’ordine, 
le consonanti B, D, G, P, T, C, Z, S, N; le specie vengono 
indicate ponendo, dopo la consonante che indica la diffe- 
renza, i segni seguenti: a, a, €, i, 0, ò, Y, yi, yo. Per esempio: 
Di significa « pietra »; Did significa la prima differenza che 
è « pietra volgare »; Diba indica la seconda specie che è « ragg »; 
De significa elemento; Ded significa la prima differenza che 
è « fuoco »; Deba denoterà la prima specie che è « fiamma », 
Det sarà la quinta differenza che è « meteore » e Dera la prima 
specie della quinta differenza che è « arcobaleno ». 

Individuando la posizione che un dato termine occupa 
nelle tavole si potrà definirlo, determinare cioè con sufficiente 
chiarezza il « primary sense of the thing». Le tavole di 
Wilkins forniscono senza dubbio non poche informazioni: 
per esempio il significato del termine « diamante » risulterà, 
in base alle tavole, esser quello di una sostanza, di una pietra, 


226 CLAVIS UNIVERSALIS 


di una pietra preziosa, trasparente, colorata, durissima, bril- 
lante. Ma varrebbe la pena di soffermarsi su alcune tipiche 
definizioni come quella di «bontà » 0 di « moderazione » v 
di «fanatismo ». La formazione del plurale, degli aggettivi, 
delle preposizioni, dei pronomi, ecc. consente a Wilkins di 
giungere, sia pure assai faticosamente, alla costruzione di una 
vera e propria lingua. Dell’uso di questa, impiegando prima 
le lettere alfabetiche poi i più complessi « caratteri reali » egli 
ci offre un esempio con la traduzione del Pater noster e del 
Credo. 

In modo non dissimile aveva proceduto George Dalgarno 
quando aveva costruito, nell’Ars signorum, vulgo character 
universalis et lingua philosophica, una classificazione logica 
di tutte le idee e di tutte le cose dividendole in diciassette 
classi supreme: 


A. Essere, cose M. Concreti matematici 
». Sostanze N. Concreti fisici 

E. Accidenti F. Concreti artificiali 

I. Fsseri concreti B. Accidenti matematici 


(composti di sostanza e acci- ID. Accidenti fisici generali 
denti) G. Qualità sensibili 

O. Corpi P. Accidenti sensibili 

v. Spirito T. Accidenti razionali 

U. Uomo K. Accidenti politici 
(compesto di corpo e spirito)  S. Accidenti comuni 


Ciascuna delle diciassette classi supreme veniva suddivisa 
in sottoclassi che si distinguevano per la variazione della se- 
conda lettera. Ecco, a titolo di esempio, la sottoclasse di K : 


Ka. Relazione di ufficio Ko. Ruolo del giudice 
Kn. Relazione giudiziaria Kwv. Delitti 

Ke. Materia giudiziaria Ku. Guerre 

Ki. Ruolo delle parti Ska. Religione 


I termini, compresi in ciascuna delle sottoclassi, si distin- 
guono per la variazione dell’ultima lettera. In questi termini 
la lettera s, non iniziale, è « servile » e non ha un senso logico 
determinato, r indica l’opposizione, / il medio fra gli estremi, 
v è l'iniziale dei nomi di numeri. Sotto Ska (religione) sono 
compresi i termini seguenti: 


LA LINGUA UNIVERSALE 227 


Skam: grazia Skag: sacrificio 
Skan: felicità Skap: sacramento 
Skaf: adorare Skat: mistero 
Skab: giudicare Skak: miracolo 


Skad: pregare 


L'introduzione della lettera ” consentirà la determinazione 
degli opposti che sono, in questo caso, « natura » che si op- 
pone a « grazia »; « miseria » che si oppone a «felicità »; 
« profanare » che si oppone a «adorare»; «lodare» che si 
oppone a « pregare ». 

Riproducendo nei dettagli questa classificazione Leibniz 
comporrà, fra il 1702 e il 1704, quelle ampie tavole di defi- 
nizioni che costituiscono il più importante documento del 
suo progetto di una universale enciclopedia.’ 


9) La funzionalità di queste complicate lingue artifi- 
ciali è evidentemente legata (sia nel caso di Wilkins sia in 
quello di Dalgarno) alla maggiore o minore funzionalità 
della loro macchinosa classificazione delle cose e delle nozioni. 
A proposito di quest’ultima, resta da sottolineare una tesi 
caratteristica delle posizioni delle quali qui ci occupiamo e 
alla quale abbiamo più volte accennato. L’enciclopedia, l’in- 
sieme delle tavole — e quindi la lingua artificiale che ne è 
il correlato — appaiono valide in quanto costituiscono lo 
« specchio » dell’ordine presente nella realtà. La classifica 
zione dev'essere fondata sull’ordine delle cose; i rapporti di 
relazione fra i termini riproducono rapporti e relazioni reali: 
« apprendendo i caratteri e i nomi delle cose, verremo istruiti 
similmente nelle zazure delle cose: questa duplice conoscenza 
dev’essere congiunta. Per realizzare davvero ciò è necessario 
che la stessa teoria, sulla quale il nostro progetto è fondato, 
riproduca esattamente la natura delle cose ».*° 


3 L. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, 1903, 
Pp- 437-510. (Phil. VII. D. II. 1-2, 3). 

2° J. Witkins, Essay, cit., p. 21: « By learning the character and the 
names of things, we should be instructed likewise in their natures, the 
knowledge of both which ought to be conjoyed. For the accurate effec- 
tung of this, it would be necessary, that the theory itself, upon which 


such a design were to be founded, should be exactly suited the nature 
of things ». 


228 CLAVIS UNIVERSALIS 


Non a caso Wilkins, che pure aveva dedicato ai problemi 
del linguaggio non poche delle sue energie, ripeteva, con Ba- 
cone e con i baconiani: «as things are better then words, as 
real knowledge is beyond the elegancy of speech ».? 


5. LA FUNZIONE MNEMONICA DELLE LINGUE UNIVERSALI: IL ME- 
TODO CLASSIFICATORIO NELLE SCIENZE NATURALI. 


I segni della lingua perfetta o universale consentono dun- 
que di individuare con la massima precisione il “posto” che 
ciascuna cosa (o azione) occupa nelle tavole, permettono cioè 
di collocare esattamente ogni singolo oggetto naturale in quel- 
l'ordine universale che è rispecchiato dalla ewrniversal philo- 
sophy o enciclopedia. Mediante questa “collocazione” si pos- 
sono individuare le relazioni tra la cosa significata e le altre 
appartenenti alla stessa classe o specie, si possono determinare 
i rapporti intercorrenti tra la cosa stessa e le differenze c i 
generi dai quali essa è contenuta come elemento. Perché si 
potesse giungere con la necessaria rapidità a realizzare queste 
collocazioni, giungendo in tal modo a precise, esaurienti de- 
finizioni, Wilkins aveva elaborato tutta una serie di accorgi- 
menti di tipo mnemonico: « Se questi segni o note vengono 
costruiti in modo da essere in un reciproco rapporto di dipen- 
denza e di relazione conveniente alla natura delle cose signi- 
ficate, e similmente se i nomi delle cose vengono ordinati in 
modo da contenere nelle lettere o suoni che li compongono 
una specie di affinità e opposizione in qualche modo rispon- 
dente alle affinità e alle opposizioni delle cose significate, si 
avrebbero ulteriori vantaggi: oltre che aiutare la memoria 
(helping the memory) in modo ottimo, l’intelletto verrebbe 
grandemente rafforzato ».°* Benjamin De Mott, commen- 
tando questo passo, ha scritto con molta chiarezza: «era fa- 
cile richiamare alla mente il termine atto a indicare l'oggetto 
salmone se si sapeva che il termine era composto di due sil- 
labe e cominciava con Za, il simbolo del genere pesci... Una 
volta ricordato il termine Zara lo studioso, data la sua fami- 
liarità con la progressione alfabetica dei caratteri, avrebbe 


37 J. Witkins, Essay, cif., cpistola. 
38 J. Witxins, Essay, cit., p. 21. 


LA LINGUA UNIVERSALE 229 


avuto chiaro il posto del salmone all’interno del genere pesci 
e, in ultima analisi, entro l’intero schema della creazione dr * 

L’insistenza sul valore mnemonico della lingua univer- 
sale, presente nell’opera di Wilkins, non era casuale : una 
lingua di questo genere sembrava in effetti esaudire le spc- 
ranze e realizzare le aspirazioni di tutti quei teorici della me- 
moria artificiale che avevano inteso « disporre ordinatamente 
— entro i loro complicatissimi teatri — tutti quei luoghi che 
possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani 
concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo ».*° Tutti i 
maggiori teorici della lingua universale insistono del resto, 
concordemente, sul valore mnemonico dei linguaggi perfetti. 
Cipriano Kinner, che aveva collaborato con Comenio nel 1640 
c che per primo aveva formulato nei dettagli il progetto di 
una lingua artificiale, concepiva la sua lingua non solo come 
un rimedio alla « babelica confusione delle lingue naturali », 
ma anche, e soprattutto, come un potente, prezioso « aiuto 
alla memoria ». Col suo metodo gli studiosi di scienze natu- 
rali avrebbero potuto ritenere le nozioni più complicate e dif- 
ficili: «quale botanico, anche espertissimo, potrebbe impri- 
mersi nella memoria, fra tanta varietà di autori in contrasto, 
le nature e i nomi di tutte le piante? ». L'adozione della lingua 
artificiale i cui termini indicano la natura c le qualità di ogni 
singola pianta e il posto che ciascuna pianta occupa nella clas- 
sificazione per generi e specie, renderà quest’impresa, in appa- 
renza disperata, possibile e oltremodo facile: « mediante la 
lingua artificiale tutto potrà essere ricordato e recitato senza 
interruzioni, così come in un’aurea catena, composta di un 
migliaio di anelli, se vien mosso il primo anello, si muovono 
tutti gli altri, anche se noi non vogliamo affatto che essi si 
muovano ».°! Non diversamente dal Kinner, anche Lodowick, 
Edmundson e Dalgarno metteranno in luce il valore mnemo- 
nico della lingua universale, mentre Wilkins presenterà più 
volte, nel corso del suo Saggio, la sua lingua come un aiuto 


°° B. De MotT, Science versus mnemonics, cit., pp. 8-9. 

‘° Cfr. G. Camino, Opere, Venezia, A. Griffo, 1584, II, p. 212. 

‘4! Il testo del Kinner è contenuto in una lettera a Samuel Hartlib del 
27 giugno 1647 che fu pubblicata da B. De Mott, The sources of the 
philosophical language, in « Journal of Engl. and Germ. Philol. ». 


230 CLAVIS UNIVERSALIS 


alla debolezza della memoria naturale. I tremila termini dei 
quali la sua lingua è composta, sono certo in numero assai 
minore di quelli impiegati in una qualunque lingua cffetti- 
vamente parlata e tuttavia questi tremila termini « sono ordi- 
nati in modo da poter esser ricordati più facilmente di mille 
termini propri di una qualunque lingua naturale ».'? In una 
lettera scritta a Robert Boyle nel 1663, John Beale, membro 
della Royal Society, raccomandava l’uso dei mnemonical cha- 
racters (così egli chiamava i caratteri reali) giacché essi gli 
apparivano in grado di introdurre finalmente ordine in tutte 
le possibili combinazioni di lettere, di sillabe e di parole.** 

° Come il Kinner aveva ben visto, il problema della fun- 
zione mnemonica delle lingue artificiali si presentava stretta- 
mente connesso a quello della classificazione dei minerali, delle 
piante, degli animali. Proprio su questo argomento si aprì, 
dopo il 1666, un’interessante discussione della quale fu prota- 
gonista John Ray, l’autore della monumentale Historia plan- 
tarum generalis (1686-1704), uno dei maggiori scienziati del 
secolo XVII. Congiuntamente al Willoughby il Ray colla- 
borò attivamente all’opera di Wilkins, elaborando una classi: 
ficazione delle piante rispondente agli scopi e alle esigenze 
proprie della lingua universale. 

Alle tavole della grande enciclopedia contenuta nell’Essay 
towards a real character and a philosophical language non 
spettava certo, secondo Wilkins, una funzione meramente 
ausiliaria. Nei suoi propositi e nei suoi intendimenti le tavole 
« soprattutto quelle concernenti i corpi naturali » avrebbero 
dovuto « promuovere e facilitare la conoscenza della natura » 
contribuire cioè in modo diretto al lavoro di ricerca svolto dai 
membri della Royal Society. Rivolgendosi al presidente e ai 
membri della illustre accademia Wilkins affermava: « nelle 
tavole ho disposto le cose in un ordine che potrà essere appro- 
vato dalla Società: in esse potrete trovare un ottimo metodo 
per la costruzione di un repository che servirà da un lato a 
ordinare le cognizioni già possedute e dall’altro a supplire le 
eventuali lacune ». Le ambizioni di Wilkins dovevano essere 


42 Per i riferimenti alla memoria: J. WiLkins, Essay, cit., pp. 31, 385, 
e in particolare alle pp. 453 - 54. 
43 La lettera è ripubblicata in R. BovyLE, Works, cir., VI, p. 339. 


LA LINGUA UNIVERSALE 231 


presto deluse, ma è certo che il suo tentativo di una ordinata, 
completa classificazione dovette interessare fortemente quanti 
erano impegnati, in sede di scienze della natura, alla costru- 
zione di classificazioni riguardanti campi limitati di esperienza. 
E’ stato notato, molto acutamente, che Wilkins si proponeva 
di fare con le parole ciò che Linneo farà più tardi con le 
piante: * « scopo principale di queste tavole — scriveva il 
buon vescovo di Chester — è di offrire una enumerazione 
sufficiente di tutte le cose e nozioni e contemporaneamente di 
disporle in ordine tale che il posto assegnato a ciascuna cosa 
possa contribuire alla descrizione della sua natura indicando 
la specie generale e particolare entro la quale la cosa è collo- 
cata e la differenza per la quale essa è distinta dalle altre cose 
della stessa specie ».! 

Sulla base di questa convergenza di interessi e di problemi 
si verificò, di fatto, una collaborazione fra Wilkins da un lato 
e Willoughby e John Ray dall’altro. Le classificazioni di ani- 
mali e di piante, presenti nell’Essay, sono infatti opera dei due 
illustri scienziati. Ad essi si era rivolto nel 1666 lo stesso 
Wilkins per poter inserire nel suo testo una « regular enume- 
ration of all the families of plants and animals ».‘*° L' inte- 
resse del Ray al progetto dello Wilkins non era certo margi- 


41 C. EMery, /. Wilkins universal language, cit., p. 176. 

45 J. WiLkins, Essay, cit., 289. 

1 Si veda la lettera di John Wilkins a Willoughby in W. DerHax, 
Philosophical letters, London, 1718, p. 366. Il piano di Wilkins rela- 
tivo alla lingua universale circolava fino dal 1647; sui primi contatti 
di Wilkins con il Ray c il Willoughby si vedano le considerazioni di 
B. De Mott, Science versus mnemonics, cit., p. 4. Sull’opera scientifica 
di John Ray (1628-1705) che fu detto «il Plinio inglese» e che fu 
il primo a far uso del termine specie nelle classificazioni botaniche cfr. 
E. GuyenoT, Les sciences de la vie au XVII: et XVIII: siècle, Paris, 
1941, pp. 359 segg.; F. W. OtLiver, Makers of british botany, Cam- 
bridge, 1913; C. È. Raven, /. Ray naturalist, London, 1950, ma sì ve- 
dano anche le precise osservazioni di MarceLLA RENZONI, nell'ampio e 
preciso commento a Burron, Storia naturale, Torino, 1959, pp. 479, 
483, 490. La celebre classificazione del Ray, presente nel Mezliodus 
plantarum nova del 1682 non è che una rielaborazione di quella già 
pubblicata nell'opera di Wilkins. Sull’opera congiunta di Ray e di 
Willoughby (1635 - 1672, autore della Orzitfologia, 1657; della Historia 
piscium, 1686; della Historia insectorum, 1710) cfr. anche E. GurExor, 
Biologie humaine et animale nel secondo vol. della Histoire générale 
des sciences, Paris, 1958, p. 362. 


232 CLAVIS UNIVERSALIS 


nale: l’insigne scienziato si sottopose all’ingrata fatica di tra- 
durre in latino, per renderlo accessibile a tutta Europa, l'in- 
tero testo dell'Essay.'” Le sue divergenze con Wilkins nasce- 
vano però sul terreno del metodo, riguardavano proprio gli 
aspetti mnemonici della lingua universale. « Nella costruzione 
di queste tavole — scriveva Ray a Lister — non mi si è ri- 
chiesto di seguire i comandi della natura, ma di adattare le 
piante al sistema proprio dell’autore. Io debbo dividere le erbe 
in tre classi il più possibile eguali, suddividere poi ciascuna 
classe in differenze stando attento a che le piante ordinate 
entro ciascuna differenza non superino un dato numero fisso... 
Chi potrebbe sperare che un tal metodo sia soddisfacente? Esso 
appare assurdo e imperfettissimo, debbo dire francamente che 
si tratta di un metodo assurdo perché attribuisco più valore 
alla verità che alla mia personale reputazione ».i8 Anche 
Wilkins, proprio come Ray, aveva inteso che i suoi schemi 
« seguissero con esattezza la natura delle cose », ma, a diffe- 
renza di Wilkins, Ray trovava assai difficile iceordare: almeno 
in sede di botanica, l’a/fabeto e la natura, l'ordine della me- 
moria e l’ordine presente nella realtà. Di fronte alle difficoltà 
di una classificazione degli animali e delle piante entrava in 
crisi, in realtà, quella assoluta regolarità delle tavole che era 
essenziale al funzionamento della lingua perfetta: i quaranta 
generi « may be subdivided by its peculiar differences, which, 
for the better convenience of this institution, I take leave to 
determine (for the most part) to the number of six. Unless it 
be in those numerous tribes of herbs, trees, exanguious animals, 
fishes, and birds, which are of too great variety to be com- 
prehended in so narrow a compass »."* 

Sul metodo come ordinata classificazione, come divisione, 
costruzione di armoniose tavole e di regolarissime gerarchie, 
avevano concordemente insistito, per secoli, i teorici dell’ars 
reminiscendi. Proprio nella costruzione dei «teatri » e degli 


4? La traduzione di Ray, che fu effettivamente condotta a termine, 
non fu mai pubblicata. Cfr. Select Remains of the learned John Ray by 
the late William Derham, ed. G. Scott, London, 1760, p. 23. 

18 The correspondence of John Ray, ed. E. Lankester, London, 1848, 
pp. 41-42. Sul significato di queste riserve cfr. B. De Mott, Science 
versus mnemonics, cit., pp. 5 segg. 

4° J. Wikins, Essay, cit., p. 22. 


LA LINGUA UNIVERSALE 233 


«alberi », negli ordinamenti e nelle classificazioni essi ave- 
vano visto i più importanti strumenti per realizzare una me- 
moria artificiale che potesse soccorrere aila debolezza delle 
naturali facoltà ritentive. Da questo terreno storico aveva tratto 
alimento l’idea, così diffusa per tutto il secolo XVII, di una 
logica memorativa, di una sostanziale affinità tra la logica (il 
metodo) e la memoria (come facoltà di ritenere l’ordinato si- 
stema di tutte le scienze). In questo senso Ramo aveva attri- 
buito alla memoria una funzione ordinatrice e aveva visto 
nella memoria una parte o sezione del metodo; in questo senso 
Bacone aveva concepito la min:istratio ad memoriam (cui spet- 
tava il compito di « eliminare la confusione » e di procedere 
alla costruzione delle tavole) come parte integrante della nuova 
logica; in questo senso, infine, Cartesio aveva inteso la enu- 
meratio come un soccorso alla naturale fragilità dell’umana 
memoria. In questi stessi anni Alsted aveva visto nella me- 
moria una «tecnica dell’ordinamento delle nozioni » e aveva 
sostenuto la piena risoluzione della memoria « madre dell’or- 
dine » in una logica intesa come arte del classificare, come 
metodo per la costruzione del systema mnemonicum o uni- 
versale enciclopedia delle scienze. 

In modo non dissimile concepirono il « metodo » gli uo- 
mini che si volsero, nel corso del secolo XVII, alla non facile 
impresa di una integrale, ordinata, coerente classificazione dei 
minerali, delle piante, degli animali. Metodo voleva dire per 
essi « metodica divisione delle diverse produzioni della na- 
tura in classi, generi, specie », capacità di costruire una no- 
menclatura i cui termini fossero significativi di rapporti fra 
il singolo elemento e i generi e le specie di appartenenza, chia- 
rissero il posto di ciascun elemento in un sistema più vasto. 
Proprio nel momento in cui, alla metà del Settecento, i « me- 
todi » entrarono in crisi e vennero rifiutate le classificazioni 
tradizionali troviamo esplicitamente teorizzata, in polemica 
contro un recentissimo passato, la funzione mnemonica delle 
classificazioni e dei metodi. Rifiutando, in nome di una esatta 
descrizione, l’idea stessa del « sistema» e polemizzando con- 
tro la tradizione della botanica del Cinquecento e del Seicento, 
Buffon rifiutava energicamente «tutti i metodi che si sono 
compilati per aiutare la memoria ».°° E proprio su questa 


°0 Burron, Storia naturale, cit., pp. 22-23. 


234 CLAVIS UNIVERSALIS 


funzione mnemonica dei metodi insistono concordemente i 
maggiori esponenti della botanica del Settecento: « l’immensa 
quantità di piante cominciò a pesare sui botanici — scrive lo 
Adanson nella prefazione alla Famulles des plantes — quale 
memoria poteva bastare a tanti nomi? I botanici, per allegge- 
rire questa scienza, immaginarono perciò i metodi ».°! E Fon- 
tenelle, nell’elogio pronunciato all'Accademia per la morte di 
Tournefort, scriveva: «egli permise di mettere ordine nello 
straordinario numero di piante disseminate alla rinfusa sulla 
terra e anche sotto le acque del mare e di distribuirle nei di- 
versi generi e nelle diverse specie che ne facilitano la memoria 
e impediscono alla memoria dei botanici di crollare sotto il 
peso di una infinità di nomi »°° 

Non si tratta di accostamenti casuali: per rendersene conto 
basta leggere la voce Botanigue della grande enciclopedia il- 
luministica: «il metodo serve a dare un'idea delle proprietà 
essenziali di ciascun oggetto e a presentare le relazioni e i 
contrasti esistenti fra le differenti produzioni della natura... 
per chi si avvia allo studio della natura il metodo è un filo 
che serve da guida entro un complicatissimo labirinto, per 
gli altri (già esperti nelle scienze) è un quadro che rappre- 
senta taluni fatti, i quali possono farne ricordare altri nel 
caso che già li si conosca... un solo metodo è sufficiente per 
la nomenclatura: si tratta di costruirsi una sorta di memoria 
artificiale per ritenere l’idea e il nome di ogni pianta giacché 
il numero delle piante è troppo grande perché si possa tra- 
scurare un tale soccorso; a questo scopo qualunque metodo 
è buono ». 

La violenza di questa polemica, il vigore di questi rifiuti 
costituiscono, di per sé, una conferma della persistenza, per 
tutto il secolo precedente, di una concezione del metodo come 
«memoria ». È contro una concezione di questo tipo che pole- 
mizzano gli enciclopedisti: «queste divisioni metodiche — 
è scritto nelle pagine dedicate alla voce Histoire naturelle 
— aiutano la memoria e sembrano venire a capo del caos for- 


M. Apanson, Familles des plantes, Paris, 1763, p. XCV. 

B. DE FonteneLLE, E/oge de Tournefort, Hist. Acad. Sci., 1708, 
p. 147. Questo e il passo precedente sono cit. da M. Renzoni nelle note 
a Burron, Storia naturale, cit., pp. 478, 483. 


51 
52 


LA LINGUA UNIVERSALE 235 


mato dagli oggetti della natura... ma non bisogna mai di- 
menticare che questi sistemi sono fondati solo su arbitrarie 
convenzioni umane e che essi non sono d'accordo con le in- 
variabili leggi della natura ». Qui non venivano solo rifiu- 
tati quegli « aiuti della memoria » che erano stati teorizzati 
e difesi da illustri esponenti della filosofia e della scienza del 
Seicento; qui veniva rifiutata, in nome di un deciso conven- 
zionalismo, anche l’antica idea di una piena, totale corrispon- 
denza fra i termini dell’enciclopedia e la realtà delle cose. 


6. CARTESIO E LEIBNIZ DI FRONTE ALLA LINGUA UNIVERSALE. 


Anche il matematismo di derivazione cartesiana aveva 
senza dubbio contribuito a creare un’atmosfera favorevole alla 
costruzione delle lingue artificiali, ma l’azione esercitata da 
Cartesio sui progetti di una lingua universale è, quantomeno, 
difficilmente determinabile. In una lettera a Mersenne del no- 
vembre 1629 che fu pubblicata a Parigi nella raccolta dello 
Clerslier (1657, e ristampe nel 1663 e 1667) e che poté quindi 
essere letta da qualcuno dei teorici del linguaggio universale 
(ma siamo sul piano delle ipotesi e di questa lettura non 
ho trovato alcuna documentazione), Cartesio, pur chiarendo 
con molta precisione le caratteristiche e gli scopi di una lingua 
filosofica, si era mantenuto su un piano assai ambiguo. L'im- 
presa di una lingua filosofica gli era apparsa, almeno teori- 
camente, possibile: « stabilendo un ordine in tutti i pensieri 
che possono penetrare nello spirito umano, allo stesso modo 
che esiste un ordine naturalmente stabilito nei numeri », po- 
trebbe costruirsi una lingua composta di caratteri apprendi- 
bili con grande facilità e rapidità. L'invenzione di questa lin- 
gua — aggiungeva — dipende però dalla « costruzione della 
vera filosofia, perché sarebbe altrimenti impossibile enumerare 
tutti i pensieri degli uomini e metterli in ordine ». Una lingua 
di questo genere, fondata sulla individuazione di quelle « idee 
semplici che sono nell’immaginazione degli uomini e delle 
quali si compone tutto ciò che gli uomini pensano », sarebbe 
facile da apprendere e da scrivere e, cosa fondamentale, « aiu- 
terebbe il giudizio rappresentando le cose così distintamente 
che sarebbe impossibile ingannarsi, mentre al contrario le pa- 
role delle quali attualmente disponiamo hanno quasi solo si- 


236 CLAVIS UNIVERSALIS 


gnificati confusi ai quali da lungo tempo si è adattato lo spi- 
rito degli uomini: a causa di ciò quasi nulla viene inteso per- 
fettamente ». 

Ma poco più avanti Cartesio aveva messo in luce il carat- 
tere utopistico di un'impresa di questo tipo e aveva mani- 
festato il suo radicale scetticismo sulla possibilità di una pra- 
tica realizzazione: «Je tiens que cette langue est possible, et 
qu’on peut trouver la science de qui elle dépend, par le moyen 
de laquelle les paisans pourroient mieux juger de la verité 
des choses, qui ne font maintenant les philosophes... mais 
n’esperez pas de la voir jamais en usage, cela présuppose de 
grands changemens en l’ordre des choses et il faudroit que 
tout le monde ne fust qu’un paradis terrestre, ce qui n'est 
bon à proposer que dans le pays des romans »." 

Una cosa Cartesio aveva visto con chiarezza: lo stretto 
rapporto tra la lingua perfetta e la vera filosofia (quella che 
Wilkins aveva poi chiamato la universal philosophy o enci- 
clopedia). Cartesio aveva concepito questo rapporto come un 
rapporto di dipendenza: l’assenza di un ordinato elenco di 
tutti i pensieri degli uomini dal quale ricavare l’elenco delle 
idec semplici rendeva impossibile e illusoria la costruzione di 
una lingua universale. Dalgarno e Wilkins avevano tentato 
l'impresa di una classificazione totale delle nozioni e delle 
cose. Leibniz, largamente utilizzando questi tentativi, rifiu- 
terà esplicitamente, proprio commentando la lettera a Mer- 
senne ora ricordata, la posizione cartesiana: « Quantunque 
questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende 
dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere 
costruita nonostante che la filosofia non sia perfetta; a misura 
che crescerà la scienza degli uomini, crescerà anche questa 
lingua. Nell'attesa, essa costituirà un aiuto meraviglioso: per 
servirci di ciò che sappiamo, per renderci conto di ciò che 
ci manca € per trovare 1 Mezzi per arrivarci, ma soprattutto 
servirà a eliminare, sterminandole, le controversie negli ar- 
gomenti che dipendono dalla ragione. Perché, allora, calcolare 
e ragionare saranno la stessa cosa ».° 


59 Descartes, Oesvres, ed. C. Adam et P. Tannery, I, pp. 80-82 (ediz. 
Clerselier, I, lettera 111, pp. 498-502). 


54 L. Coururat, Opuscules ct fragments inédits de Leibniz, cit., pp- 
27 - 28. 


VIII. 


LE FONTI DELLA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 


In una lettera scritta a Francoforte nell’ aprile del 1671 
Leibniz esprimeva il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins: 
« Ho letto da poco il Caraztere universale del dottissimo Wil 
kins; le sue tavole mi piacciono moltissimo e vorrei che egli 
si fosse servito di figure per esprimere quelle cose che non 
possono essere descritte che mediante la pittura, come per 
esempio i generi degli animali, delle piante, degli strumenti. 
Quanto sarebbe desiderabile una traduzione in latino della 
sua opera! ». La stessa speranza in una rapida traduzione, 
Leibniz esprimeva due anni più tardi, in una lettera all’Olden- 
burg. Dobbiamo arrivare al 1679-80, dopo gli anni del sog- 
giorno parigino e londinese, per trovare espresse alcune ri- 
serve di fondo: « Sento che quell’uomo illustre [Robert Hoock| 
tiene in gran conto il Carattere filosofico del vescovo Wilkins 
che ho anch'io nella meritata considerazione. Non posso ta- 
cere, tuttavia, che può essere realizzato qualcosa di molto più 

rande e di molto più utile. Di tanto più grande, di quanto i 
caratteri dell’algebra sono migliori di quelli della chimica ».' 

Il contatto con l’analisi matematica era stato, da questo 
punto di vista, decisivo: per Leibniz non si trattava più sol- 
tanto di costruire una lingua che fosse in grado di facilitare 
la comunicazione tra gli uomini, ma di dar luogo ad una 
scrittura universale mediante la quale si potessero, così come 
in algebra e in aritmetica, costruire infallibili dimostrazioni. 
La differente posizione assunta da Leibniz in queste lettere 
conferma ancora una volta, dal punto di vista di un problema 
particolare, la validità di quella interpretazione che vede nel 
soggiorno a Parigi e a Londra (marzo 1672 - ottobre 1676) una 
« svolta » nel pensiero leibniziano. In questi anni Leibniz si 
dedica allo studio della matematica ed entra in contatto con 
il cartesianesimo e con le correnti più vive del pensiero euro- 


® C. I. GerHarDT, Die philosophischen Schriften von G. G. Leibniz, 
voll. 7, Berlin, 1875-90, VII, pp. 5, 6, 9, 16-17. (Quest'edizione verrà 
qui di seguito indicata con la sigla G. immediatamente seguita dal 
numero del volume e delle pagine). 


238 CLAVIS UNIVERSALIS 


peo. L'attenzione per gli aspetti sintattici del linguaggio, la 
scoperta della « magia dell’algoritmo » o della « funzionalità » 
dei procedimenti puramente formali, l'affermazione della pos- 
sibilità di una scienza generale delle forme: questi temi e 
queste discussioni sono posteriori agli anni della giovinezza, 
presuppongono l’accostamento dei metodi della combinatoria 
a quelli della matematica e dell’algebra. 

Il progetto leibniziano di una caratteristica universale era 
fondato — com'è noto — su questi tre princìpi: 1) le idee 
sono analizzabili ed è possibile rintracciare quell’alfabeto dei 
pensieri che è costituito dal catalogo delle nozioni semplici o 
primitive; 2) lc idee possono essere rappresentate simbolica- 
mente; 3) è possibile una rappresentazione simbolica delle 
relazioni tra le idee e, mediante opportune regole, è possibile 
procedere alla loro combinazione. Questo progetto di Leibniz 
non nacque certamente sul terreno dell’ “algebra” o del “for- 
malismo logico”. 

Il Kabitz ha ritrovato, nella biblioteca di Hannover, l’esem- 
plare, annotato da Leibniz, delle opere di Bisterfield ed è 
certo a quest’ultimo autore, oltre che più genericamente alla 
tradizione del lullismo, che va fatta risalire l’idea, fondamen- 
tale per lo stesso costituirsi della combinatoria leibniziana, di 
un alfabeto dei pensieri umani o di un catalogo delle nozioni 
primitive dalla combinazione delle quali si possano ricavare 
tutte le idee complesse." In una lettera scritta probabilmente 
al barone di Boineburg e che contiene una delle prime for- 


° Per 1 rapporti con Bisterfiecld e la presenza di motivi attinti alle 
correnti mistiche-pitagoriche: W. Kasirz, Die Philosophie der jungen 
Leibniz. Untersuchungen zur Entwicklungsgeschichte seines Systems, 
Heidelberg, 1909; per i rapporti con la pansofia: Leibniz’ Verhaltnis 
zur Renaissance im allgemeinen und zu Nizolius im besonderen, Bonn, 
1912; per i rapporti con Alsted c con Henry Morc: D. MaHNKE, Leib- 
mizens Synthese von Untversalmathematik und Individualmetaphysik, 
in « Jahrb. fur Philos. u. phinomenologische Forschung », 1925, pp. 
305 - 612; W. FeitcHenFELD, Leibniz und Henry More, Berlin, 1923. 
" G. VII, 11; L. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, 
Paris, Alcan, 1903, p. 430, 435 (di qui in avanti indicato con la sigla 
Op. seguita dal numero della pagina); G. G. LEIBNIZ, Textes inédites 
publiés et annotés par Gaston Grua, voll. 2, Paris, 1948, pp. 542-45 (di 
qui in avanti si userà la abbreviazione Grua, seguita dal numero 
delle pagine). 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 239 


mulazioni della caratteristica, Leibniz mostrava di accettare, 
nella sostanza, il progetto del padre Kircher: ai concetti e alle 
nozioni fondamentali vanno sostituite figure di circoli, di qua- 
drati, e di triangoli variamente disposti; mediante la combi- 
nazione delle figure potranno essere espresse le relazioni e le 
combinazioni fra le idee. Accanto a quelli del Bisterfield e del 
Kircher, troviamo ricordati, nella Dissertatio de arte combi- 
natoria del 1666, i nomi di Lullo e di Bruno, di Agrippa e di 
Pedro Grégoire, di Alsted, di Bacone ec di Hobbes. La cri- 
tica che Leibniz rivolgeva a Lullo non concerneva minima- 
mente il principio ispiratore della combinatoria: riguardava 
l’arbitrarietà delle classi e delle radici, la insufficienza delle 
combinazioni; il riferimento a Bacone era giustificato dal fatto 
che il Verulamio aveva posto fra i desiderata una logica inven- 
tiva; quello a Hobbes dalla identificazione di ogni operazione 
mentale con una computatio. Il riferimento a Hobbes non deve 
trarre in inganno: Leibniz si limita ad approvare l’accosta- 
mento, presente nei testi di Hobbes, ma larghissimamente dif- 
fuso anche nei testi del lullismo, della logica ad un “calcolo”. 
Come ha mostrato con abbondanza di argomentazioni il Cou- 
turat,* il peso esercitato da Hobbes sull’idea della caratteri- 
stica è assai scarso e, nella interpretazione del calcolo, Leibniz 
si allontana in modo radicale dalle posizioni hobbesiane. Pre- 
valgono in ogni modo, tra le fonti indicate da Leibniz, i testi 
dei lulliani e degli enciclopedisti: richiamandosi agli scritti 
di Bruno, di Agrippa, di Alsted, Leibniz faceva riferimento 
alle più note e celebrate esposizioni e ai più diffusi commenti 
dell’Ars magna; nella Sintassi del Grégoire aveva trovato, vi- 
gorosamente espressa, l’aspirazione ad una scienza generale 
fondata sulla determinazione di una serie limitata di princìpi 
e di assiomi; dalla Technica curiosa sive mirabilia artis di 
Caspar Schott, uno dei testi più caratteristici della « magia » 
dei gesuiti del Seicento, aveva infine attinto notizie sulle lin- 
gue universali.* 


1 Cfr. Op. 29-30; 536-37; G.IV, 62, 64, 70. 

® L. Coururat, La /ogique de Leibniz d’après des documents inédits, 
Paris, 1901, tutta la appendice Il e in particolare le pp. 458 - 59. (Qui 
di seguito abbreviato con CouTuRaT). 

® Caspar ScHotT, Technica curiosa, sive mirabilia artis, Norimbergae, 
1664 (Copia usata: Triv. Mor. H. 264). 


240 CLAVIS UNIVERSALIS 


Il problema fondamentale della logica inventiva, quale 
viene esposta nella Dissertatio de arte combinatoria, è quello, 
ben noto, di trovare tutti i possibili predicati di un dato sog- 
getto e, dato un predicato, trovare tutti i suoi possibili sog- 
getti. Trascurando, come è legittimo fare in questa sede, tutta 
una vasta serie di problemi più strettamente tecnici, ci si limi- 
terà a fornire, sulla traccia della esposizione del Belaval, un 
esempio del modo di procedere del Leibniz. Per risolvere il 
problema sopra indicato è necessario individuare le idee sem- 
plici e primitive che possono essere indicate con un segno con- 
venzionale, in questo caso con un numero. Siano i termini 
della prima classe: 1: il punto; 2: lo spazio; 3: l’interposto 
fra; 4: il contiguo; 5: il distante; 9: la parte; 10: il tutto; 
11: lo stesso; 12: il diverso: 13: l’uno; 14: il numero; 15: la 
pluralità; 16: la distanza; 17: il possibile ecc. Combinando 
a due a due i termini della prima classe (com2natio) si otten- 
gono i termini della seconda classe. Per esempio la quantità 
(il numero delle parti) sarà rappresentata dalla formula: 
14709 (15). Mediante la combinazione dei termini a tre a tre 
(com3natio) si otterranno i termini della terza classe: per cs. 
intervallum è 2.3.10, vale a dire che l’intervallo è lo spazio (2) 
preso in (3) un tutto (10). E così di seguito procedendo per 
comA4natio, comSnatio ecc. Per trovare i predicati di un deter- 
minato soggetto basterà suddividere un termine nei suoi fat- 
tori primi determinando poi le possibili combinazioni di que- 
sti fattori. I predicati possibili di intervallo sono: lo spazio (2), 
l’intersituazione (3), il tutto (10) presi uno ad uno; poi, presi 
per com2natio, lo spazio intersituato (2.3), lo spazio totale 
(2.10), l’intersituazione nello spazio (3.10); infine, per com3 
natio, il prodotto 2.3.10 che costituisce la definizione di :nter- 
vallo. Per trovare tutti i possibili soggetti di intervallo (predi- 
cato) bisogna individuare tutti i termini le cui definizioni con- 
tengono i fattori 2.3.10. Tutte le combinazioni risultanti da 
questi fattori apparterranno necessariamente alla classe delle 
nozioni complesse di ordine superiore alla classe cui appar- 
tiene intervallo (che appartiene alla terza classe). La linea, che 
è definita come un intervallo tra due punti, appartiene alla 
quarta classe giacché per definirla occorreranno quattro ter- 
minì primitivi: 2,3,10 e 1 (il punto). Dati n termini semplici 
e indicando con 4 (2>4) il numero dei fattori primi costi- 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 241 


tuenti un predicato si daranno 2 "-k soggetti possibili (la pro- 
posizione tautologica «un intervallo è un intervallo » è evi- 
dentemente compresa in questo numero). 

La caratteristica, come ha notato con esattezza il Couturat, 
non fu tuttavia inizialmente concepita sotto la forma di un’al- 
gebra 0 di un calcolo, ma sotto la forma di una lingua o scrit- 
tura universale.* L’uso XI dell’ars combinatoria consiste in- 
fatti per Leibniz nell’invenzione di una «scrittura universale, 
intelligibile cioè ad un qualunque lettore esperto in una qual- 
siasi lingua ». Tra i testi di lingua universale a lui contempo- 
ranei, Leibniz ricordava — fondandosi sull’esposizione che 
ne aveva fatto lo Schott — uno scritto anonimo pubblicato a 
Roma nel 1653 nel quale « il metodo era abbastanza ingegno- 
samente ricavato dalla natura delle cose: l’autore distribuiva 
le cose in varie classi ed ogni classe era formata da un deter- 
minato numero di cose »,° per designare un oggetto qualunque 
bastava indicare il numero della classe e il numero dell’ og- 
getto. Le altre due opere ricordate da Leibniz sono: il Cha- 
racter pro notitia linguarum universali di J. Becher (Franco- 
forte, 1661) e la Polygraphia nova et universalis ex combina- 
toria arte detecta del padre Atanasio Kircher (Roma, 1663). 
Entrambi questi testi sono costruiti sulla base di un dizionario 
numerico del tipo di quello al quale si è fatto riferimento a 
proposito dell’Un:versal Character (1653) di Cave Beck. 

E° diventato una specie di luogo comune, nella storiografia 
leibniziana, quello di contrapporre agli « informi abbozzi » o 
ai «vaghi e confusi » progetti di lingua universale costruiti 
dai « predecessori », il limpido, «scientifico », coerente piano 
di una lingua filosofica costruito da Leibniz. In realtà le cose 
(quando non si attribuisca a qualcuno la qualifica di « prede- 


* G.IV, 70-71 e cfr. Y. Betavat, Leibniz, Paris, 1952, pp. 41-42; 
Couturat, 35 - 40; e, per una più ampia esposizione, F. BARONE, Logica 
formale e logica trascendentale da Leibniz a Kant, Torino, 1957, pp. 5 
segg. 

8 Couturat, 5l. 

° G. IV, 72. Nel settimo libro della Technica curiosa dello Schott che 
ha per titolo Mirabilia graphica, sive nova aut rariora scribendi artificia 
(cdiz. di Norimberga, 1664) alle pp. 484-505 e 507-529 è contenuta 
una dettagliata esposizione dell’opera anonima del 1653 e del volume 
del Becher. Le brevi considerazioni svolte da Leibniz sembrano esclu- 
sivamente fondate su questa esposizione. 


242 CLAVIS UNIVERSALIS 


cessore » per evitare la fatica di leggerne le opere) stanno un 
po’ diversamente. Quando Leibniz formulava, nella Disser- 
tatio de arte combinatoria, il suo progetto di lingua univer- 
sale, egli non conosceva né l’Ars signorun del Dalgarno, pub- 
blicata nel 1661, né, ovviamente, l’Essay di Wilkins che vide 
la luce solo nel 1668. In quegli anni, Leibniz concepiva an- 
cora, sulle traccie di Bacone e di Kircher, i caratteri della 
lingua universale come composti « di figure geometriche e di 
pitture del tipo di quelle usate un tempo dagli Egiziani e im- 
piegate oggi dai Cinesi; pitture che non vengono ricondotte 
a un determinato alfabeto o a lettere, il che è causa di incre- 
dibile afflizione per la memoria ».!° Le riserve che egli avan- 
zava a proposito dell’opera del Becher erano, d’altra parte, 
assai simili a quelle che formulerà, indipendentemente da 
Leibniz, lo stesso Wilkins: l'ambiguità dei termini che, nelle 
varie lingue, hanno diversi significati; la impossibilità, data 
la mancanza di esatti sinonimi, di una precisa corrispondenza 
fra i termini di due lingue; la impossibilità, data la diversità 
delle regole sintattiche, di una pura e semplice traduzione dei 
termini uno in fila all’altro; la difficoltà infine di ritenere a 
memoria i numeri corrispondenti non solo alle classi, ma ai 
singoli oggetti appartenenti a ciascuna classe. Una scrittura 
o lingua universale che volesse evitare questi pericoli doveva 
quindi essere fondata su un’analisi completa dei concetti e 
sulla loro riduzione ai termini semplici. !* 

All’inizio del 1671 Leibniz lesse il Saggio sui caratteri reali 
di Wilkins e, probabilmente nello stesso giro di tempo, l'Ars 
signorum di George Dalgarno. Il suo entusiasmo per l’opera 
di Wilkins, il suo desiderio di vedere il Saggio tradotto in 
latino e diffuso in Europa appare, dopo quanto si è detto, pic- 
namente giustificato. Nell’Essay e nell’Ars signorum egli aveva 
trovato (almeno in parte realizzato) il tentativo — già da lui 
stesso auspicato ed avviato nella Dissertatto — di costruire 
una lingua universale che fosse anche «artificiale » e « filo- 
sofica », costruita cioè non sulla base di una corrispondenza 
tra dizionari, ma sul fondamento di una classificazione logica 
dei concetti. Le critiche di Leibniz a Dalgarno e a Wilkins 


10 G.1V, 73. 
n G. IV, 72-73. 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 243 


nasceranno, abbiamo visto, solo negli anni del soggiorno a 
Parigi: in una nota apposta al suo esemplare dell’Ars signo- 
rum e in una lettera all’Oldenburg (scritta da Parigi) Leibniz 
criticava i due autori inglesi affermando che, più che a costruire 
una lingua davvero « filosofica », capace cioè di indicare le 
relazioni logiche tra i concetti, essi si erano preoccupati di dar 
luogo a una lingua che potesse facilitare il commercio fra le 
nazioni. La lingua internazionale — aggiungeva Leibniz — è 
solo il più piccolo dei vantaggi offerti dalla lingua universale : 
essa è prima di tutto un instrumentum rationis.'®? Ma nel modo 
di concepire la lingua universale (il termine caratteristica reale, 
sovente impiegato da Leibniz, deriva in modo evidente dalla 
terminologia baconiana ripresa anche da Wilkins) Leibniz 
non si discostava di molto dalle posizioni tradizionali. Da 
questo punto di vista alcune delle sue affermazioni appaiono 
particolarmente significative e valgono a mostrarci la effettiva 
vicinanza di alcune delle sue tesi con quelle sostenute dai teo- 
rici inglesi della lingua artificiale : 


1) La lingua universale o caratteristica reale risulta da 
un sistema di segni che rappresentano direttamente le nozioni 
e le cose, non le parole (« peindre non pas la parole, mais les 
pensées »), tali quindi da poter essere letti e compresi indi- 
pendentemente dalla lingua che effettivamente si parla.!* 


2) La costruzione di una lingua universale coincide con 
quella di una scrittura universale (« nihil refert, an scripturam 
tantum universalem, an vero et linguam condere velimus; 
facile enim est utrumque eadem opera efficere »).'! 


3) Pur dichiarando di volersi discostare dalla tradizione, 
Leibniz vede nei geroglifici egiziani, nei caratteri cinesi, nei 
segni impiegati dai chimici, gli esempi di una caratteristica 
reale (« hieroglyphica Aegyptiorum et Chinensium et apud 
nos notae chemicorum, Characteristicae realis exempla sunt, 


fateor, sed qualis hactenus auctores designavere, non qualis 
nostra est »).!° 


!* G. VII, 12; Couturat, Nota III. 
19 G. VII, 21, 204. 

14 G. VII, 13. 

15 G. VII, 25. 


244 CLAVIS UNIVERSALIS 


4) La lingua universale può essere appresa in un tempo 
brevissimo (« in poche settimane », ripete Leibniz con il Dal- 
garno) e serve anche, seppure non principalmente, alla propa- 

gazione della fede cristiana e alla conversione dei popoli (« cette 
Eesinure ou langue... pourroit estre bientost receue dans le 
monde, parce qu'elle pourroit estre apprise en peu de semai- 
nes, et donneroit moyen de communiquer par tout. Ce qui 
seroit de grande importance pour la propagation de la foy, et 
. pour l’instruction des peuples eloignés »).!° 


5) L'apprendimento della lingua universale coincide con 
l'apprendimento della enciclopedia o del sistematico ordina- 
mento delle nozioni fondamentali. Il progetto dell’enciclopedia 
è organicamente legato a quello relativo alla lingua univer- 
sale e da esso inscindibile (« qui linguam hanc discet, simul cet 
discet encyclopaediam quae vera erit janua rerum »).!” 


6) L'apprendimento della lingua universale costituisce, 
di per se stesso, un rimedio alla debolezza della memoria (« qui 
linguam hanc semel didicerit, non potuerit eius oblivisci, aut, 


si obliviscatur, facile omnia necessaria vocabula ipse sibi repa- 
rabit »).!* 


7) La superiorità della lingua universale sulla scrittura 
cinese sta nel fatto che le connessioni tra i caratteri corrispon- 
dono all’ordine e alla connessione esistenti fra le cose («on la 
pourra apprendre en peu de semaines, ayant les caracteres 


bien liés selon l’ordre et la connexion de choses, au lieu que 
les Chinois... »).!* 


Su due punti, entrambi di importanza fondamentale, Leib- 
niz si discosta però dai precedenti tentativi: 


1) I caratteri della lingua universale hanno il compito 
di esprimere i rapporti e le relazioni che intercorrono tra i 
pensieri; come nel caso dell’algebra e dell’aritmetica, i carat- 
teri devono servire all’invenzione e al giudizio. « Questa scrit- 
tura, scrive Leibniz nel 1679, sarà una specie di algebra gene- 
rale e offrirà il modo di ragionare calcolando, di modo che, 


16 G. VII, 26. 
12.G. VIL- 13; 
18 G. VII, 13. 


19 G. VII, 26. 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 245 


invece di disputare, si potrà dire: calcoliamo. E si troverà che 

li errori del ragionamento sono soltanto errori di calcolo indi- 
viduabili, come nell’aritmetica, per mezzo di prove ». Il pro- 
getto di una lingua universale o filosofica, ripreso da Leibniz 
con nuovo vigore dopo la lettura delle opere di Dalgarno e di 
Wilkins, poteva in tal modo essere accostato a quello già av- 
viato nel De arte combinatoria e tendente alla costruzione di 
un’ars inveniendi concepita come calcolo.?° 


2) La costruzione della lingua universale condurrà in 
tal modo non solo alla realizzazione di un mezzo di comu- 
nicazione, ma contribuirà anche, in modo diretto, alla realiz- 
zazione dell’ars inveniendi. Il nome (segno) attribuito nella 
lingua universale ad un determinato oggetto o ad una deter- 
minata nozione non servirà solo a individuare le relazioni 
intercorrenti fra la cosa significata e le altre appartenenti alla 
stessa classe o specie e a determinare i rapporti tra la cosa 
stessa e le differenze e i generi nei quali essa è contenuta come 
elemento; non servirà solo a indicare la « posizione » che l’og- 
getto occupa nello schema dell’universo; servirà anche «a in- 
dicare le esperienze che devono essere razionalmente intra- 
prese per estendere la nostra conoscenza »: « Equidem fateor 
et res ipsa clamat, non posse nunc quidem ex nomine quod 
auro (exempli causa) imponemus, duci phaenomena quaedam 
chymica quae dies et casus detegent, donec sufficientia phaeno- 
mena ad reliqua determinanda nacti simus. Solius Dei est, 
primo intuitu, huiusmodi nomina imponere rebus. Nomen 
tamen quod in hac lingua imponetur, clavis erit eorum omnium 
quae de auro humanitus, id est ratione atque ordine sciri pos- 
sunt, cum ex eo etiam illud appariturum sit, quaenam expe- 
rimenta de co cum ratione institui debeant ». Nel lungo fram- 
mento intitolato Lingua generalis (febbraio 1678), il primo 
sistema di calcolo logico concepito da Leibniz, poteva in tal 
modo presentarsi come il fondamento del progetto leibniziano 
di una lingua universale.?! 

Per trasformare la caratteristica (facente uso di simboli 
numerici) in una lingua che potesse essere « parlata » Leibniz 


n 


faceva ricorso, come ha chiarito anche il Couturat,#? ai metodi 


n G. VII, 23, 26, 205 e cfr. Grua, 263 - 64. 
2! G. VII, 13; Op. 277-79. 
?2 CoururaT, 62, 63. 


246 CLAVIS UNIVERSALIS 


teorizzati da Dalgarno e da Wilkins, indicava con le nove 
prime consonanti (5, c,d,f,g.hl,m,n)i numeri da 1 a 9, e 
con le cinque vocali le unità decimali in ordine ascendente 
(1, 10, 100, 1000, 10000), per le unità superiori ammetteva l’im- 
piego di dittonghi. Così il numero 81.374 si scriverà e si pro- 
nuncierà Mubodilefa. Poiché ogni sillaba indica, mediante la 
vocale, il suo ordine decimale, il valore della sillaba stessa è 
indipendente dal posto occupato nella parola. Lo stesso nu- 
mero può essere espresso con il termine Bodifalemu che si- 
gnifica 1000 + 300 + 4 +70 + 80000 = 81.374.°* 

Non è il caso di esporre qui le dottrine di Leibniz concer- 
nenti la grammatica razionale, né i suoi tentativi di una sem- 
plificazione grammaticale e sintattica del latino al quale egli, 
dopo i ripetuti insuccessi cui è andato incontro, fa ricorso come 
« intermediario » fra le lingue viventi e la futura lingua uni- 
versale.?! È ben certo, tuttavia, che il problema che necessa- 
riamente Leibniz doveva porsi, della costituzione di un dizio- 
nario poneva Leibniz di fronte ad una questione nella quale 
si erano già imbattuti non pochi fra i teorici inglesi della lin- 
gua perfetta. Perché il nome di ogni oggetto o nozione possa 
esprimere la definizione dell’oggetto o della nozione in modo 
che i termini della lingua artificiale divengano simboli ade- 
guati e trasparenti simili a quella della lingua di Adamo, è ne- 
cessario aver individuato gli elementi primi e semplici che 
compongono l’alfabeto del pensiero. Ma per individuare que- 
st’alfabeto è necessario un inventario di tutte le conoscenze 
umane; è indispensabile disporre di un’enciclopedia nella 
quale tutte le nozioni siano classificate nell’ambito di un si- 
stema unitario e appaiano quindi riconducibili ad un numero 
limitato di categorie fondamentali: «La Caracteristique que 
je me propose ne demande qu’une espèce d’Encyclopedie nou- 
velle. L’ Encyclopedie est un corps où les connoissances hu- 


29 Op. 278. 
24 Cfr., su questi argomenti, Coururat, 66 segg. c, dello stesso autore, 
Histoire de la langue universelle, Paris, 1907, pp. 11-28. Per una ri- 


presa, da parte del Couturat, di questi temi leibniziani cfr. Des rapports 
de la logique et de la linguistique dans le probleme de la langue inter- 


nattonale, in « Atti del IV Congr. intern. di filosofia », Bologna, 1911, 
vol. II. 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 247 


maines les plus importantes sont rangées par ordre. Cette En- 
cyclopedie estant faite selon l’ordre que je me propose, la 
Caracteristique seroit quasi toute faite ».° 

In una serie numerosissima di abbozzi, di frammenti, di 
piani, di capitoli o sezioni offerti come provvisori specimina, 
Leibniz, rivolgendosi alle società e alle accademie, ai principi 
e ai sovrani, andò elaborando durante l’intera sua vita, il pro- 
getto di un'enciclopedia universale che non si presentasse sem- 
plicemente come una classificazione o un bilancio delle cono- 
scenze già acquisite, ma avesse valore « dimostrativo », ser- 
visse cioè di guida alla ricerca scientifica in atto.?* Sulle « fonti » 
di non pochi tra questi progetti appaiono essenziali le testi- 
monianze dello stesso Leibniz. Nella Nova methodus iuris- 
prudentiae troviamo precisi riferimenti al Lavinheta cui vien 
riconosciuto il merito di aver individuato quei termini giuri- 
dici fondamentali mediante i quali potrà venir costruita la 
tavola enciclopedica del diritto.?” In una lettera del 1714, rife- 
rendosi agli anni della giovinezza, Leibniz parlava dell’in- 
flusso esercitato su di lui dal Digestum sapientiae di Ivo Paris. 
Sull’opera di Alsted, già ricordato nella Dissertatio del ’66 per 
i suoi scritti lulliani, Leibniz ritornò più volte: nel 1681 par- 
lava di lui con ammirazione, dieci anni prima aveva dedicato 
un breve scritto a migliorare e perfezionare la sua grande enci- 
clopedia.°* Ancor più profondo è il debito verso Comenio: 
«la mia propria enciclopedia, non differisce molto da quella 
di Comenio » ed a Comenio Leibniz aveva attinto la tesi (di 
importanza centrale) di una sostanziale, profonda identità fra 
la lingua universale e l’enciclopedia.?° 


25 G. VII, 40. 

26 Sul carattere dimostrativo dell’enciclopedia leibniziana cfr. le utili 
precisazioni contenute nel saggio di R. Mc Rae, Unity of the sciences: 
Bacon, Descartes, Leibniz, in « Journal of the History of Ideas », 1957, 
I, pp. 27-48. 

2? L. Dutens, G. G. Leibmtii Opera Omnia, voll. 6, Genevae, 1768, 
III, pp. 156 segg. 

28 Op. 561 ec cfr. Carreras y ARtAU, La filosofia cristiana, cit., II, 
p. 321. 

2° G. IV, 62; G. VII, 67; Cogitata quaedam de ratione perficiendi et 
emendandi Encyclopaediam Alstedii in Dutens, Leibnitit Opera, cit., 
V, 183; cfr. Op. 354 - 55. 

3° Cfr. Carreras y ARTAU, II, p. 320; Couturat, 571 -73; /udicium de 
scriptis comenianis in Dutens, Leibnitii Opera, cit., V, pp. 181-82. 


248 CLAVIS UNIVERSALIS 


Facendo riferimento al commento leibniziano alla lettera 
di Cartesio sulla lingua universale, abbiamo visto come Leibniz 
si rendesse ben conto del perfetto « parallelismo » esistente tra 
il progetto della lingua universale e quello concernente l’enci- 
clopedia. In quel passo, di incerta datazione, egli si era rifiu 
tato di far «dipendere» la caratteristica dall’ enciclopedia: 
« Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa 
non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua 
può essere costruita nonostante che la filosofia non sia per- 
fetta ».*! Ma, su questo punto, la posizione di Leibniz pre- 
senta non poche incertezze : in una lettera al Burnet del 24 ago- 
sto 1697 egli affermava, muovendosi in una direzione comple- 
tamente opposta, che «i caratteri presupporrebbero la vera 
filosofia ed è solo al presente che io oserei dare avvio alla mia 
costruzione ».°* Questo duplice punto di vista, ha scritto Fran- 
cesco Barone, corrisponde «al duplice punto di vista da cui 
il Leibniz guarda alla caratteristica, considerandola rispetti- 
vamente, come strumento metafisico assoluto o come stru- 
mento per la costruzione di particolari sistemi deduttivi ».*° 

L'osservazione è molto esatta. La caratteristica come stru- 
mento, come calcolo modellato sul formalismo dell’algebra, 
non richiedeva la preliminare fondazione della vera filosofia: 
caratteristica ed enciclopedia si risolvevano l’una nell’altra e 
procedevano di pari passo. Continuando però a concepire la 
caratteristica come «chiave universale » come lo strumento 
atto a disvelare le essenze e a decifrare quell’alfabeto del mondo 
che corrisponde all’alfabeto dci pensieri, Leibniz si ritrova- 
va di fronte allo stesso problema che avevano dovuto affron- 
tare i teorici inglesi della lingua perfetta: costruire una wr: 
versal philosophy che servisse di base e di fondamento alla lin- 
gua filosofica. 

Per rendersi conto di ciò basterà considerare quelle ampie 
tavole enciclopediche che furono composte da Leibniz tra il 
1703 e il 1704.°4 Al termine della sua attività, dopo aver steso 
e abbozzato piani e frammenti numerosissimi di enciclopedie, 


9 Op. 27-28. 
32 G. III, 216. 


3 F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., p. 24. 
" Op. 437 - 510. 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 249 


Leibniz tornava a muoversi, ancora una volta, sul piano stesso 
sul quale si erano mossi Wilkins e Dalgarno. In queste pagine 
l'enciclopedia si configurava come una classificazione logica 
(fondata sulla distinzione scolastica delle sostanze e degli acci- 
denti) dei principali concetti di tutte le scienze (dalla matema- 
tica, alla morale, alla politica), di tutti gli oggetti naturali (dai 
minerali, alle piante, agli esseri viventi) e di tutti gli oggetti 
artificiali (gli utensili e gli strumenti costruiti dalla mano del- 
l’uomo). La classificazione leibniziana riproduceva, con tra- 
scurabili differenze, quella che abbiamo visto presente nel- 
l’Ars signorum di George Dalgarno: 


Res: Concreto matematico Accidentia: Accidenti comuni 
Concreto fisico Accidente matematico 
Concreto artificiale Accidente fisico generale 
Concreto spirituale Qualità sensibili 


Accidenti sensitivi 
Accidente razionale 
Accidente economico 
Accidente politico. 


Anche all’interno delle varie classi e sottoclassi veniva ri- 
prodotta la stessa classificazione. La classe degli « accidenti 
politici » comprendeva per esempio, anche per Leibniz: la re- 
lazione d’ufficio, la relazione giudiziaria, la materia giudi- 
ziaria, il ruolo delle parti, il ruolo del giudice, i delitti, la 
guerra, la religione. Anche nell’elencazione dei singoli ter- 
mini compresi in ciascuna delle classi e sottoclassi, Leibniz si 
discostava in misura assai limitata dallo schema costruito dal 


Dalgarno. 
Il progetto di una enciclopedia « dimostrativa » — stori- 
camente così importante — sembrava qui abbandonato. Le 


ragioni di questo mutamento di prospettive richiederebbero 
un'analisi particolare. Qui ci si voleva limitare a far rilevare 
che le “influenze” delle posizioni dei teorici inglesi della lin- 
gua universale non sono presenti soltanto negli scritti del “gio- 
vane”Leibniz. 

Facendo riferimento ai testi dedicati alla costruzione delle 
lingue filosofiche, abbiamo notato come essi insistano tutti, 
concordemente, sul valore mnemonico delle lingue universali : 
i numerosi riferimenti a questo problema, presenti nelle opere 


250 CLAVIS UNIVERSALIS 


di Leibniz, risultano anch'essi, dal nostro punto di vista, oltre- 
modo significativi. Come già Bacone e Cartesio, anche Leibniz 
era al corrente o era interessato al problema, così a lungo di- 
battuto in Europa, della memoria artificiale. Di questo suo 
interessamento per l’ars reminiscendi resta traccia in un gruppo 
di carte leibniziane ancora inedite: Phil. VI.19, che è una 
raccolta di appunti avente per titolo Mremonica sive praecepta 
varia de memoria excolenda, e Phil. VII. B. III. 7 che contiene 
una seconda raccolta di appunti e di riassunti di opere di ars 
memorativa. 

Alla carta 5r. del primo di questi due manoscritti troviamo 
teorizzata una serie di accorgimenti che possono essere usati 
per ricordare facilmente, facendo ricorso alle lettere alfabeti- 
che, una serie qualunque di numeri: 


Sr. Arcanum: qua ratione omnes et singulos nmumeros, prae- 
sertim cos quorum usus est in chronologia, atque aliorum 
infinitorum, memoriae mandare, corum citra omnem in- 
genii cruciatum recordari, ac nunquam oblivisci possis, ne 
dicam, ulteriora et infinita queas deducere. 

Si quis multos numeros citra cruciatum memoriae atque 
ingenii memorare cupit, omnino opus est ut subsidio ali- 
quo utatur. Sunt qui varie rem tentarunt, absque tamen 
singulari effectu ac successu, donec non adeo pridem hunc 
modum quispiam excogitando invenerit, multis rationibus 
ipsaque experientia reddiderit probatum. 

Alphabeti elementa sunt XXIV: haec dividuntur in vo- 
cales et consonantes. Vocales hac in re vicariam nobis 
tantum praebent utilitatem, consonantes vero primariam. / 

5 v. Consonantes autem sunt hae: BCDFGKLMNPQ 
RST, his adiungantur WZV. Numeros habemus hos: 
1234567890. Si plures dantur numeri, ex hisce com- 
ponuntur, ut ex | et 2 fiunt 12 quemadmodum res est 
plana. 

Iam vero nihil memoriam adeo torquet quam res referta 
numeris, quos tamen scire memoriaque comprehendere ma- 
ximi interest itaque hocce subsidii, ut utaris, valde pro- 
dest et conducit memoriam. 

Reduc consonantes istas ita, et puta quod sint numeri, sic 
facile te extricabis: 


1234567890 
BCFGLMNRSD 
PK 
WQ 
Z 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 251 


Il ricorso ai versi, così diffuso nei testi di mnemotecnica dal 
Quattrocento fino a Bacone, è presente in un altro di questi 
fogli di appunti nel quale Leibniz traduce in latino i versi 
33-42 della Geografia di Marciano d’Eraclea: °° 


7r. Haec ergo visum est explicare carmine 
facili atque claro, quali utuntur comici. 
Nam sic iuvatur memoria nec sensus perit 
et simile quiddam vita nobis exhibet. 
Qui vult solutam ferre lignorum struem 
prohibebit aegre ne quid illi decidat 
sed colligatam facile fasciculo geret 
Oratio soluta pariter diffluit 
comprehensa versu mens fidelius tenet. 


Accanto ad una critica al Lexicon dell’Hoffmann (Anversa, 
1698), questo stesso concetto ritorna in un’altra brevissima 
nota sulla grammatica di Emmanuel Alvarez (Dilingae, 1574 
c Venezia, 1580) e sulla Grammatica philosophica dello Sciop- 
pio (Amsterdam, 1659): 


8r. Eos quos in grammatica sua habet Emmanuel Alvarez 
Societatis Iesu, ipse Scioppius in Grammatica philosophica 
laudat et disci suadet. Ait cum centum et sexaginta versi- 
bus hexametris feliciter complexum omnes regulas de ver- 
borum praeteritis et supinis et omnem prosodiae latinae 
rationem centum sexaginta aliis versibus. 

9r. Hofmanni lexicon universale maxime nominum proprio- 
rum utilis liber. Unum desidero: cum non posset autor 
ob rerum multitudinem cuncta plenis edisserere, praeclare 
fecisset si ubique indicasset autorem aliquem unde cele- 
rior in studio peti possit. 


Nelle pagine che hanno per titolo Artificium didacticum 
ed Exercitia ingenti troviamo, esplicitamente teorizzati, altri 
caratteristici precetti dell’arte mnemonica: 


10r. Artificium didacticum. Semper cognita incognitis miscen- 
da et temperanda sunt ut labor et molestia minuantur. Ita 
optime discimus linguas per parallelismum cum linguis 
nobis notis, ita scriptum non satis cognitae lecturae, di- 
scendae linguae causa, sumamus librum familiarem 
nobis cuius sensa pene memoriter tenemus ut Novum 
Testamentum. Hinc etiam si cui musicam docere possem 
aut vellem, monstrarem cantiunculas sibi notas posset in 
charta exprimere si vereretur oblivisci. 


35 Cfr. Geographi graeci minores, I, pp. 155 segg. 


252 CLAVIS UNIVERSALIS 


llr. Exercitia ingenti. Ut Rhetores exercitia habent orationis, 
Grammatici exercitia styli, ita ego in pueris exercitia 
ingenii institui desidero. Exercitia ingenii nec gratiora nec 
efficaciora reperiri posse nititur quam ludos [...] verba 
quo ordine turbato iterum recitare ope mnemonices cui- 
quam facilis, inverso etiam si placet aut per saltus, histo- 
rias ab aliis recitatas iterum recitare, extempore describere 
proelia, itinera, urbes quorum ipsis via ante audita, histo- 
rias ab aliis recitatas resumere et denuo recitare, fingere 
preces et iubere ut quis ex duorum disputationibus et 
concertationibus patrias causas cuiquam implicatas discat 
facere aut solvere. [...]. 


Alle carte 16r-16v. è infine presente un ampio e analitico 
riassunto del Simonides redivivus sive ars memoriae et obli- 
vionis di Adam Bruxius (Lipsia, 1610). Ma accanto all’espo- 
sizione di tesi tradizionali ricompaiono in questi appunti i 
nomi dei teorici del metodo geometrico. Ad essi Leibniz rim- 
provera di non aver messo sufficientemente in luce quelle pro- 
posizioni primarie che stanno a fondamento di tutto il di- 
SCOrso : 


13r. Video cos qui geometrica methodo tractare [....] scientias, 
ut P. Fabrius, Joh. Alph. Borellus, Benedictus Spinosa, R. 
des Cartes, dum omnia in propositiones minutas divellunt, 
efficere ut primarias propositiones lateant inter illas mi- 
nutiores, nec satis animadvertantur, unde saepe quod quae- 
ris difficulter invenies.?6 


Su questi appunti inediti di Leibniz ci siamo soffermati 
così a lungo non perché essi presentino un particolare interesse, 
ma perché essi valgono a mostrare — e la cosa non era stata 
finora messa in rilievo — come i numerosi riferimenti di Leib- 
niz alla memoria e alla mnemotecnica nascano non tanto, 
come si è fin qui creduto, dalla lettura delle confuse pagine 
del Kircher, ma dalla conoscenza effettiva c dettagliata di al- 
cuni testi di arte mnemonica, come quello del Bruxius, ben 
noti e celebrati nella cultura del Seicento. Questa conclusione 
riceve d'altra parte nuova conferma da un csame delle pagine 


26 Gli autori cui Leibniz fa riferimento sono, accanto a Cartesio € 
Spinoza, il padre gesuita Honoré Fabri, feroce anticopernicano ed au- 
tore dei Dialoghi Physici, Lyon, 1665 e G. Alfonso Borelli il cui Eudi- 
des restitutus sive prisca geometriae elementa fu pubblicato a Roma 
nel 1658. 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 253 


contenute nel manoscritto Phil. VII. B. n. 7. In una nota 
della quale conosciamo la precisa data di composizione (aprile 
1678) troviamo, accanto ad alcune regole per la costruzione di 
una grammatica razionale, la descrizione dei mezzi mnemoni- 
ci dei quali far uso per ricordare una serie qualunque di idee. 
L'antica dottrina dei luoghi e delle immagini; la tesi della 
necessaria riduzione dei concetti e delle idee sul piano delle 
figure sensibili; le figure dei patriarchi, degli apostoli, degli 
imperatori; i precetti relativi all'ordine e alla collocatio in locis; 
le immagini degli animali; gli accorgimenti relativi ai ter- 
mini delle lingue «barbare » ricompaiono in questa pagina 
leibniziana. Certo è che Leibniz, oltre al Simonides redivivus 
del Bruxius, lesse e commentò con una minuziosa (come ri- 
sulta dalle carte 1r.-4v. di questo manoscritto) gli scritti dello 
Schenkelius soffermandosi particolarmente su quella parte del- 
l’opera che è dedicata all’apprendimento del latino, all’educa- 
zione dei fanciulli alla retorica, alle numerosissime regole del- 
l’ars reminiscendi.! 

Questi interessi di Leibniz, queste sue letture non furono 
senza influenza sulla soluzione di problemi di carattere più ge- 


37 Lo Schenkel, cui toccò in sorte di essere brevemente discusso da 
Cartesio e studiato da Leibniz, è figura particolarmente interessante: 
fortunato insegnante c diffusore dell'arte mnemonica in Francia, Italia 
e Germania (« artem hanc — scrive il Morhofius I, p. 374 — magno 
cum successu suo mec sine insigni suo lucro exercuit») fu accusato 
di stregoneria durante un suo soggiorno all’Università di Lovanio, 
riuscendo poi ad ottenere protezione ed appoggio dalla facoltà teo- 
logica di Douai. La prima edizione della sua opera, poi spessissimo 
ristampata, è del 1595: De memoria liber secundus in quo est ars 
memoriae, Leodii, Leonardus Straele, 1595. Insieme ai tre opuscoli 
sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Spangerberg l’o- 
pera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis memoriae, Argen- 
torati, Antonius Bertramus, 1610 (copia usata: Angelica. SS. 1.24). 
Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico 
in calvinistam, Anteverpiae 1589, e una raccolta di Flores et sententiac 
insigniores ex libris de Constantia Justi Lipsit, s. 1., 1615 (Par. Naz. Yc. 
12326 e Z. 17739), è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- 
pendium der Mnemonik, con testo latino e trad. tedesca a cura di 
J. L. Klùber, Erlangen, 1804. All’insegnamento di quest’autore si ri- 
chiama la curiosa enciclopedia di ApRIAN LE Cuiror, Le magazin des 
sciences, ou vrai art de mémotre découvert par Schenkelius, traduit et 
augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, J. Quesnel, 1623 che 
amplia molto il testo originario (Par. Naz. Z. 11298). 


254 CLAVIS UNIVERSALIS 


nerale: è indubbio che per Leibniz l’arte della memoria conserva 
un suo posto ed una sua precisa funzione nel mondo del sapere 
e viene più volte accostata alla logica: nella Nova methodus di- 
scendae docendaeque iurisprudentiae (1667) la mnemonica, la to- 
pica e l’analitica costituiscono le tre parti della didattica; nel 
Consilium de Encyclopaedia nova conscribenda methodo inven- 
toria (1679), la mnemonica viene collocata fra la logica e la to- 
pica; negli /ritia et specimina scientae novae generalis la sagesse 
o « perfetta conoscenza dei princìpi di tutte le scienze e arte di 
applicarli » viene suddivisa in art de bien raisonner, art d'inven- 
ter e art de souvenir; in una lettera a Koch del 1708 Leibniz 
giunge ad accogliere la tesi avanzata da Ramo e ripresa poi 
fra gli altri da Bacone secondo la quale l’ars memoriae costi- 
tuisce una parte o sezione della logica. Sulla funzione mnemo- 
nica della lingua universale, dell’enciclopedia, delle tavole, 
della stessa caratteristica Leibniz insiste più volte: i caratteri 
c le figure venivano concepiti anche da Leibniz, in pieno 
accordo con la tradizione, come mezzi per rafforzare l’imma- 
ginazione; le tavole gli apparivano, come già a Bacone, ad 
Alsted, a Comenio, a Wilkins indispensabili aiuti alla natu- 
rale fragilità della memoria: « Combinatoria: his qui imagi- 
natione firma non valent ad res attente considerandas succur- 
ritur figuris et characteribus, ita his qui memoria non valent 
nec multa simul exhibere possunt, succurritur ope tabula- 
rum ».5 

Nell’elaborazione dei suoi numerosi, grandiosi progetti con- 
cernenti la caratteristica, la lingua universale, l'enciclopedia, 
Leibniz si era dunque richiamato di continuo a quelle discus- 
sioni sulla combinatoria e sull’enciclopedia, sull’alfabeto dei 
pensieri e sulla lingua universale, sui caratteri reali e sulla 
memoria che avevano avuto in tutta Europa, nei secoli XVI 
c XVII, un'eco vastissima. 

Non si trattava di una lieve eredità. Nel 1679, a tredici 
anni di distanza dalla pubblicazione della Dissertatio de arte 
combinatoria, dopo il soggiorno a Parigi e a Londra, dopo le 
grandi « scoperte » matematiche, Leibniz parlava ancora della 


18 Per questi riferimenti alla memoria artificiale cfr. Durens, Leibnitii 
Opera, cit., III, pp. 150 segg.; Op. 37; G. VII, 82, 84, 476- 77. Sull'uso 
mnemonico delle classificazioni cfr. anche la lettera a Wagner in G. 
VII, 516-117 e, sui caratteri, « palpabili » e « sensibili»: Gaua, 548 - 49. 


pi 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 255 


sua invenzione con accenti caratteristici, con un tono che 
appare singolarmente vicino a quello « miracolistico » e 
«magico » di tanti fra i lullisti e i maestri di memoria del 
secolo XVI: «La mia invenzione contiene, tutto intero, l’uso 
della ragione; un giudice delle controversie; un interprete delle 
nozioni; una bilancia per le probabilità; una bussola che ci 
guiderà nell’oceano dell’esperienza; un inventario delle cose; 
una tavola dei pensieri; un microscopio per scrutare le cose 
presenti; un telescopio per indovinare quelle lontane; un cal- 
colo generale; una magia innocente; una cabala non chime- 
rica; una scrittura che ciascuno potrà leggere nella sua propria 
lingua; infine una lingua che potrà venire appresa in poche 
settimane e che avrà presto corso nel mondo portando, ovun- 
que potrà giungere, la religione vera... ».°° Non erano parole 
dettate dal desiderio di adattarsi a una moda culturale o a un 
linguaggio corrente: come già i seguaci di Lullo e i teorici 
della pansofia anche Leibniz restò sempre convinto che fosse 
possibile rintracciare un metodo che costituisca la chiave della 
realtà universale; che fosse possibile dar luogo ad una scienza 
generalissima capace di scoprire la piena corrispondenza tra 
le forme originarie costitutive della realtà e la catena delle 
ragioni o dei pensieri umani. La scienza generale « non ab- 
braccia soltanto la logica... ma è ars inventendi e methodus 
disponendi, è sintesi e analisi, didattica e scienza dell’ inse- 
gnare, è noologia e arte del ricordare o mnemonica, è ars cha- 
racteristica 0 simbolica, è grammatica filosofica, arte lulliana, 
cabala dei sapienti e magia naturale »."° 

Dalla tradizione dell’enciclopedismo lullista, da quella della 
pansofia, dalle teorie sulla lingua universale Leibniz non ac- 
coglieva soltanto una serie di temi di importanza secondaria 
e marginale. Quella tradizione operava potentemente su uno 
dei punti centrali e fondamentali della sua filosofia: sul con- 
cetto stesso di una scienza generale che è anche una, sia pure 
«innocente », magia naturale, che è in grado cioè di rivelare 
le ragioni presenti ed operanti nel cosmo, di chiarire la strut- 


°° G. W. Leigniz, Samtliche Schriften und Briefe herausgegeben von 
der Preussischen Akademie der Wissenchaften, I. R., II B., Darmstad, 
1927, pp. 167 -69. 


10 Introductio ad Encyclopaediam arcanam, in Op. 5I1. 


256 CLAVIS UNIVERSALIS 


tura ontologica della realtà. Su questo punto, che è di impor- 
tanza decisiva, i testi sono oltremodo precisi. L'arte — scrive 
Leibniz nella Dissertatio — «conduce con sè l’animo obbe- 
diente attraverso quasi tutto l’infinito e abbraccia insieme l’ar- 
monia del mondo e le intime costruzioni delle cose e la serie 
delle forme ».'! La lingua universale, d’altro lato, « scopre le 
interiori forme delle cose » 4° e l’astrazione ha il suo fonda- 
mento nella trama ideale della realtà: « se il nostro animo non 
troverà il genere delle cose... lo saprà Dio, lo troveranno gli 
angeli e preesisterà un fondamento a tutte queste astrazio- 
ni ».°* Nella Confessio naturae del 1668 Leibniz insiste sul 
concetto di un’armonia universale che proviene dallo spirito 
divino,‘* mentre, in una lettera del 1704, troviamo esplicita- 
mente teorizzata una concezione platonico-pitagorica della 
realtà nel cui ambito la matematica diviene veramente —- 
come è stato scritto — lo strumento per penetrare i lineamenti 
più intimi e segreti del mondo: «Qual'è la ragione dell’ar- 
monia delle cose? Nulla: ad esempio, non si può dar nes- 
suna ragione del fatto che il rapporto di 2 a 4 sia eguale a 
uello di 4 a 8, neppure movendo dalla volontà divina. Ciò 
dipende dalla stessa essenza o idea delle cose. Le essenze delle 
cose sono infatti numeri, e costituiscono la stessa possibilità 
degli enti, che non è fatta da Dio, che ne fa invece l’esistenza: 
poiché, piuttosto, quelle stesse possibilità o idee delle cose coin- 
cidono con lo stesso Dio. Essendo Dio mente perfettissima, è 
impossibile che non sia egli stesso affetto dall’armonia per- 
fettissima... ».!° 
Temi di questo tipo ritornano, con ampiezza molto mag- 
giore, in quella serie di scritti che risalgono agli anni 1675 - 
1676 e che I. Jagodinski ha raccolto e pubblicato nel 1913 ‘* 


4! G. IV, 56. Il passo è stato sottolincato dal Kasitz, Die p/ulosophie 
der jungen Leibniz, cit., p. 26. 

42 G. VII, 13. 

43 G. VII, 61, 70. 

41 Lersniz, Sdmtiliche Schriften und Bricfe, cit., VI, I, p. 492. 

15 Su questo passo hanno richiamato l’attenzione il KaÒitz, Die phi- 
losophie der jungen Leibniz, cit. p. 36 e F. Barone, Logica formale e 
trascendentale, cit., p. 8. La lettera fu pubblicata dal TRENDELENBURG 
in «Hist. Beitrige zur Philos. », Berlin, 1855, II, p. 190. 

46 I. JacopiINSsKI, Lerbriziana. Elementa philosophiae arcanae. De sum- 
ma rerum, Kasan, 1913; dello stesso autore cfr. Leibniziana inedita: 


LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA 257 


a proposito dei quali si sarebbe davvero tentati di dire, con 
il Rivaud, che «il principio di armonia è stato il centro in- 
torno al quale tutte le idee di Leibniz si son venute cristalliz- 
zando, c questo stesso principio appare, fin dall’inizio, non 
una semplice legge logica ma una necessità estetica e mo- 
rale ».*" Negli Elementa philosophiae arcanae non troviamo 
solo l'affermazione che « existere nihil aliud esse quam harmo- 
nicum esse », ma vediamo esplicitamente affermata la dottrina 
di un ordine logico del cosmo secondo la quale «ciò che 
distingue una sostanza dall’altra è la sua situazione nel con- 
testo razionale dell’universo ».°* Su questo stesso terreno si 
muoveva Leibniz quando scriveva a Federico di poter dimo- 
strare l’esistenza di una «ratio ultima rerum seu harmonia 
universalis » o quando affermava, in una lettera del 1678 alla 
duchessa Elisabetta, la piena coincidenza tra i caratteri reali 
e gli elementi semplici costitutivi della realtà: «la caratteri- 
stica rappresenterebbe i nostri pensieri veramente e distinta- 
mente e, quando un pensiero fosse composto da altri più sem- 
plici, il suo carattere lo sarebbe egualmente... i pensieri sem- 
plici sono gli elementi della caratteristica e le forme semplici 
le sorgenti delle cose ».‘ 


confessio philosophi, Kasan, 1915 (testo lat. con traduzione russa a 
fronte). 

47 A. Rivaup, Textes inédits de Leibniz publiés par M. Ivan Jago- 
dinski, in « Revue de Met. et de Morale », 1914, pp. 92-120. 

48 I. JAGODINSKI, Leibniziana, cit., pp. 32, 220. 

49 La lettera a Federico in G. I, 61; quella ad Elisabetta in Sdngliche 
Schriften und Briefe, cit., II, I, p. 438. Sulla presenza di motivi « me- 
tafisici » anche in quei temi di «logica » che sono alla base dell’in- 
terpretazione panlogistica cfr. B. JasinowskI, Die analitische Urteilslehre 
Leibnizens in ihrem Verhiltnis zu seiner Metaphysik, Vienna, 1918. 
Pur muovendo dall’accettazione delle tesi del Couturat e del Russell, 
.G. Preti, // cristianesimo universale di G. G. Leibniz, Milano-Roma, 
1953, p. 77, è giunto a conclusioni che mi pare vadano sottolineate: 
«In realtà Leibniz non è giunto mai ad uno sviluppo completo della 
sua logica ed è rimasto impigliato in gravissime difficoltà perché non 
ha saputo mai abbandonare completamente il suo originario platoni- 
smo: il criterio dell’evidenza (intuizione immediata delle idee), il rea- 
lismo logico (per cui esistono idee in sé primitive e in sé composte), 
la concezione secondo la quale il gioco formale dei simboli doveva 
riprodurre i rapporti ideali eterni sussistenti fra le idce le quali erano 
nella mente di Dio, hanno impedito a Leibniz di svolgere fino in 
fondo le sue intuizioni logiche, che pur erano tanto geniali e nel 


258 CLAVIS UNIVERSALIS 


seguito si mostreranno tanto feconde. In realtà Leibniz crea una logica 
sempre con la PR di creare un’ontologia e una metafisica; 

ma per creare la logica moderna occorreva svincolarsi del tutto da 
ogni preoccupazione ontologico-metafisica, e seguire una gnoseologia 
(quella che, nascendo da Hume, arriverà al neopositivismo delle scuole 
di Vienna c di Chicago) che Leibniz non avrebbe seguita ». A con- 
clusioni non dissimili, da queste del Preti, è giunto più di recente 
F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., pp. 8 segg. che 
ha parlato di una « fondamentale differenza » fra la logica formale 
moderna c la logica leibniziana « sempre inglobata e sorretta, anche 
nelle ricerche più modernamente tecniche, dall'ideale metafisico della 
pansofia » c che ha sottolineato la presenza, nel pensiero di Leibniz, di 
una «concezione platonico-pitagorica delle forme che è a fondamento 
della formalità degli schemi logici ». A conclusioni fortemente diver- 
genti da queste ora csposte è giunto A. Corsano, Lerbniz, Napoli, 
1952 che ha acutamente analizzato le influenze esercitate sul pensicro 
di Leibniz dalle opere del Suarez e ha sostenuto la tesi di « un’intima 
e quasi intera adesione al nominalismo », dalla quale avrebbe preso le 
mosse il pensiero di Leibniz. Con questa tesi, per le ragioni sia pur 
brevemente accennate nel testo, non mi pare di poter concordare anche 
perché non credo, come ritiene il Corsano, che agli «arcaici e decre- 
pitt motivi di misticismo platonico-pitagorico » Leibniz fosse « co- 
stretto a inchinarsi in omaggio alle opinioni dei suoi maestri (Weigel) 
e per parlare con un linguaggio accessibile all’arretratissima cultura 
filosofico-scientifica della Germania barocca» (A. Corsano, rec. a 
F. Barone, Logica formale e logica trascendentale, cit., in « Rivista 
critica di storia della filosofia », 1957, 4, p. 495). Mostrare la presenza 
e il non indifferente peso esercitato da quelle arcaiche « sopravvi- 
venze» — che non mi paiono in alcun modo riducibili ad una specie 
di espediente accademico o retorico — è in ogni caso il fine che in 
queste pagine mi sono proposto. 


APPENDICI 


APPENDICE 1. 


IL LIBER AD MEMORIAM CONFIRMANDAM 
DI RAIMONDO LULLO 


Il Liber ad memoriam confirmandam, rimasto fino ad ora 
inedito, fu composto da Lullo a Pisa fra il 1307 e il 1308. 
A Pisa, Lullo era giunto da Genova, negli ultimi mesi del 1307, 
dopo un viaggio assai avventuroso ed un naufragio del quale 
egli stesso ci dà notizia: « Saraceni ipsum [Lullum]) miserunt 
in quandam navem tendentem Genovam, quae navis cum ma- 
gna fortuna venit ante Portum Pisanum; et prope ipsum per 
decem millaria fuit fracta, et Christianus [Lullus] vix quasi 
nudus evasit, et amisit omnes libros suos et sua bona» (cfr. 
Disputatio Raymundi Christiani et Hamar Saraceni, vol. IV 
dell’ediz. di Magonza, 1729, p. 45) A Pisa, Lullo portava a 
compimento, fra l’altro, la stesura dell’Ars magna generalis 
ultima iniziata a Lione nel 1305 e progettava una crociata 
appoggiandosi al governo della Repubblica per ottenere racco- 
mandazioni per il Pontefice e per i cardinali. Nei primi mesi 
del 1308 (marzo-aprile) troviamo Lullo di nuovo a Genova e 
poi a Montpellier. La data di composizione dell’opera indicata 
da S. Garmes: gennaio 1308 (cfr. Dinamisme de R. Lull, Mal- 
lorca, 1935, p. 47) appare quindi oltremodo probabile. A que- 
sto studioso si deve una breve ma accuratissima biografia del 
Lullo: Vita compendiosa del Bt. Ramon Lull, Palma de Mal- 
lorca, 1915. 

Il testo dell’operetta lulliana del quale si dà qui di seguito 
la trascrizione è conservato in tre mss. del sec. XVI: il cod. I 
153 inf., ff. 35r.-39v. dell’Ambrosiana (qui indicato con la 
sigla B); il cod. 10593, ff. 1 v.-3v. della Staatsbibl. di Monaco 
(indicato con M); il cod. lat. 17839, ff. 437 r. - 444 v. della Na- 
zionale di Parigi (indicato con P). Il ms. B appartiene senza 
dubbio ad un ramo della tradizione diverso da quello cui 
appartengono gli altri due mss. i quali presentano, rispetto a 
B, caratteristiche in parte comuni (diverso incipit, assenza 
della suddivisione in capitoli, lacune comuni rispetto a B, di- 
versa terminologia ecc.). In P sono presenti lacune che non 
sono in M. Oltre che una derivazione di M. da P, è tuttavia 


262 


CLAVIS UNIVERSALIS 


da escludere anche una derivazione di P da M: le divergenze 
fra i due mss. dipendono nella maggior parte dei casi da diffe- 
renti interpretazioni dovute alle abbreviature presenti nel testo 
originario o in un subarchetipo comune. Si vedano a titolo di 
esempio le varianti corrispondenti alle note 15, 70, 130, 146. 


B. 39r. 
M. lr. 
P. 437 r. 
P. 437 v. 
B. 35\ 

M. lv 
P. 438r. 


In nomine Sanctissimae Trinitatis incipit liber ad memo- 
riam confirmandam (1). Ratio quare presentem volumus 
colligere tractatum est ut memoria hominum (2) quae labi- 
lis est et caduca modo rectificetur meliori (3). Ipsum quidem 
dividimus in duas partes principales (4), subsequenter in 
plures. Prima igitur pars est Alphabetum ideo ut sequitur 
ipsum diffinimus (5). 


Cap. I. (6). 


Alphabetum ponimus in hoc tractatu ut per ipsum possi- 
mus memoriam diffinire (7) ct in certis et (8) terminatis princi- 
piis ipsam (9) in duabus ponere potentiis. Primo (10) igitur b. 
significat memoriam naturalem, c. significat capacitatem, d. 
significat (11) discretivam. Quid tamen (12) sit naturalis me- 
moria, quid capacitas, quid discretiva, vade ad quintum su- 
biectum (13) per b.c. d. designatum (14) in libro septem (15) 
planetarum quia ibi tractavimus miraculose et notitiam om- 
nium (16) habebis / entium naturalium, quapropter ipsorum 
(17) prolixitatem et sermonem (18) declarationis hic ad prae- 
sens exprimere praetermitto, cum intellectus (19) per unam 
literam plura significata habentem sit generalior (20) et possit 
in memoria plura significata recipere (21) quam per aliam 
largo modo sumptam. / 


Cap. II. 


Sequitur nunc secunda pars quae memoriam dividit (22) 
in partes speciales (23) pariter et generales de generali tractans 
ad specialia (24) postea descendendo. Primo igitur ut laborans 
in studio (25) faciliter (26) sciat modum scientiam (27) et ne, 
post amissos quamplurimos labores, scientiae huius (28) ope- 
ram inutiliter tradidisse (29) noscatur, scd potius labor in 


. requiem et sudor / in gloriam plenarie (30) convertatur, 


modum scientiae decet pro iuvenibus invenire per quem non 
tanta gravitate corporis iugiter deprimantur, sed absque ni- 
mia vexatione et cum (31) corporis levitate et mentis laetitia 
ad scientiarum culmina / gradientes (32) cquidem (33) pro- 
pere subeant (34). Multi enim sunt qui more brutorum litera- 
rum studia cum multo et summo labore corporis prosequun- 
tur absque (35) exercitio ingenii artificioso (36) et continuis vi- 
gilits maceratum corpus suum iuxta labores proprios inuti- 
liter exhibentes (37). Igitur (38) decet (39) modum per quem 


APPENDICE I 263 


virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valeat invenire 
et a gravamine tantorum laborum (40) relevari possit (41). 
Oportet nos igitur conservare (42) ante omnia quaedam prin- 
cipia et praccepta (43) necessaria et postrmodum ad specialia 
condescendere (44). Primum ergo oportet praeceptum legis 
observare, idest diligere Deum ciusque Genitricem beatissi- 
mam virginem (45) Mariam. Nam Spiritus Sanctus dat scien- 
tiam cum magnitudine ut sit magna, Beata Virgo Maria dat 
scientiam (46) cum bonitate ut sit bona. Spiritus Sanctus dat 


B. 36r. scientiam ut charitas duret, Domina nostra beatissima / dat 


P. 438v. 


P. 439r. 


M. 2r. 


B. 36v. 


P. 439v. 


scientiam (47) ut / pietas duret. Spiritus Sanctus dat scientiam 
cum potestate (48) ut sit fortis, Domina nostra virgo beatis- 
sima dat scientiam ut recolatur. Spiritus Sanctus dat scientiam 
contra infidelitatem, Domina nostra virgo (49) Maria dat 
scientiam contra peccatum. Spiritus Sanctus dat scientiarp 
cum ratione (50), Domina nostra (51) pia dat scientiam cum 
patientia (52) Spiritus Sanctus dat scientiam cum (53) spe, 
Domina nostra sanctissima pia Virgo Maria (54) dat scien- 
tiam cum (55) pietate. Spiritus Sanctus dat scientiam cui sibi 
placet, Domina nostra dat scientiam omnibus illis qui ipsam 
rogant. Spiritus Sanctus dat scientiam ad rogandum, Domina 
nostra dat scientiam petendi (56). Spiritus Sanctus dat scien- 
tiam divitibus, Domina pia dat scientiam pauperibus. Spiritus 
Sanctus dat scientiam cum gratia (57), Domina nostra sacra- 
tissima virgo Maria dat scientiam cum petitione (58). Spiritus 
Sanctus (59) idiomata dat pariter / et (60) consolationes ab 
ipso quidem divino (61) Domino nostro Jesu Christo omnia 
prospere (62) procedunt et conceduntur (63) et sine ipso fac- 
tum est nihil / et placa (64) ipsum per devotissimas orationes 
maxime per orationem Sancti spiritus (65). Secundo est opti- 
mum (66) observare modum vivendì in potando et come- 
dendo praccipue ex parte noctis vel etiam in dormiendo quo- 
niam (67) ex superfluitate horum (68) corpus gravitate ponde- 
rositatis ultra modum aggravatur et anima, corpori adherens, 
illius dispositionem sequitur. Nihil enim tam praecipuum 
scientiam inquirenti (69) ut moderationem ponat ori suo (70) 
et palpebris suis non concedat multam dormitionem et inor- 
dinatam. / Tertium praeceptum invenio (71) quod nunquam 
(72) deficiat quin (73) maiorem partem sui temporis (74) 
scientiae operam (75) tribuat cum affectu (76) quoniam (77) 
ex hoc sequitur capacitas, ex hoc memoria, ex hoc discretio 
naturalis. / 


Cap. III 


Sequitur nunc secunda pars ad specialia descendens. In 
artificioso studendi modo (78) distinguo tres potentias natu- 
rales: una est capacitas, alia est memoria, alia est discretio. 
Prima stat in prima parte capitis quae dicitur phantasia (79), 


P. 440r. 


B. 37r. 


M. 2v. 


P. 440v. 


B. 37v. 


P. 441 r. 


CLAVIS UNIVERSALIS 


secunda stat (80) in posteriori, tertia stat (81) in summitate 
(82) capitis quae aliis velut regina dominatur. Et bonum 
est habere bonam capacitatem, sed melius est habere bonam 
memoriam (83), sed multo melius (84) habere bonam discre- 
tionem (85). Modo restat videre de singulis, et primo viden- 
dum (86) est de capacitate (87), secundo de memoria, tertio 
de discretione. Si igitur aliquis (88) capacitatem lectionis 
cuiuscunque facultatis audiendae ambit (89), regulas quas in- 
fra dicam debet diligenter (90) observare, quas si observaverit 
quod sibi eveniet (91) experientia demonstrabit in brevi tem- 
pore (92). Primo (93) enim, antequam ad scholam accedat, 
lectionem statim tam de grammatica quam de logica / tam 
(94) de iure civili quam de iure (95) canonico et ita de omni- 
bus aliis scientiis audiendam (96), si potest de iure canonico 
aut civili (97) textum et glossas alias solum textum, et videbit 
si credit / intelligere; adhuc (98) non confidens de proprio 
intellectu (99) dabit tibi materiam speculandi (100), dum 
legat, utrum bene (101) vel male intellexcrit, ct postmodum, 
quando legetur, erit attentus lectioni ut intelligat per alium 
id quod per se (102) ignorabat. 

Item (103) postquam semel in domo viderit, facilius postca 
intelliget, et tali modo ego (104) scientiam mcam multiplicavi, 
et ita faciet artista meae artis quoniam sic (105) acquiret / 
scientiam quam voluerit. Item secundo dico quod (106) dum 
erit in scholiis habeat intellectum (107) ad id quod doctor 
vel magister tam in sacra pagina quam in artibus dicet, quod 
si non, faciliter (108) mens eius spargitur et potius videtur 
esse in loco ubi habet mentem quam in scholiis ubi est tam- 
que / frustra (109). Ex hoc tamen (110) multi perdunt offi- 
cium capiendi (111). Item quia dum fuerit casus vel scientia, 
legere mentaliter in se revolvat et (112) dum questionem se- 
cundam vel argumentum (113) cuiuscunque facultatis dicit 
doctor vel magister vel artista meae artis, primam eodem 
modo revolvat, et interim quando dicetur tertia (114) reducat 
ad memoriam secundam (115) et sic de caeteris, et sic habebit 
intentionem capiendi totam lectionem. Posito quod non, nec 
(116) partem accipiat quarum (117) paulisper argumentabitur, 
non autem (118) uno momento poterit habere. Item quando 
(119) per sc vel per alium quis vult habere bonam capacita- 
tem, debet ponere ordinem in legendis (120). Nam si vult 
intelligere unam legem vel decretalem vel gramaticae vel 
logicae lectionem, dividat ipsam in duas / tres quatuor partes 
secundum quod lectio fuerit parva vel magna quoniam ad 
capacitatem multum et (121) forsan magis quam aliud (122) 
operaretur (123). Et de primo (124) haec sufficiant. / 


Cap. IV. 


Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae 
quidem (125) secundum antiquos (126) alia est naturalis alia 


P. 441 v. 


B. 38r. 


P. 442r. 


P. 442v. 


APPENDICE I 265 


est artificialis (127). Naturalis est quam quis recipit in crea- 
tione vel generatione sua secundum materiam ex qua (128) 
homo generatur et (129) secundum quod influentia alicuius 
planetac superioris regnat (130) et secundum hoc videmus 
quosdam homines meliorem memoriam habentes quam alios 
sed (131) de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud conce- 
dere. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quae- 
dam est in medicinis et emplastris (132) cum (133) quibus 
habetur et istam reputo valde periculosam quoniam interdum 
dantur (134) tales medicinae dispositioni hominis contrariae 
(135) interdum superfluae et in maxima cruditate (136) qua 
cercbrum (137) ultra modum desiccatur et propter defectum 
cerebri homo ad dementiam demergitur ut audivimus et 
vidimus de multis (138) et ista displiciet Dco / quoniam hic 
non se tenet pro contento (139) de gratia quam sibi Deus 
contulit unde, posito casu quod ad stultitiam (140) non per- 
veniat (141), nunquam / vel raro habebit (142) fructum (143) 
scientiae (144). Alia est memoria artificialis per alium modum 
acquirendi nam dum aliquis per capacitatem recipit multum 
in memoria ct in ore revolvat per se ipsum (145) quoniam 
secundum Alanum (146) in parabolis (*) studens est admo- 
dum bovis. Bos enim cum maxima velocitate recipit herbas 
et since masticatione ad / stomachum remittit quas postmo- 
dum remugit et ad finem (147) cum melius est digestum in 
sanguinem et carnem convertit, ita est de studente qui mori- 
bus (148) oblitis capit scientiam sine deliberatione unde 
ad finem ut duret, debet in ore mentis masticare ut in me- 


‘moria radicetur et habituetur; quoniam quod (149) leviter 


capit (150) leviter recedit et ita memoria (151), ut habetur in 
libro de memoria et reminiscentia (152) /, per saepissimam 
reiterationem (**) firmiter confirmatur (153). Lectionem igi- 
tur diei lunae revolvat die martis et studeat et die martis 
et (154) die mercurii et sic de cacteris et talia (155) faciendo 
scientior (156) erit uno anno audiens illo qui sex audierit 
(157) annis et artistae hoc consulo meae artis caeterisque ad- 
discere volentibus invenire attingere (158) et habere. 


Cap. V. 


Venio ad tertiam videlicet ad (159) discretivam et dico quod 
discretio est duplex ut de memoria dixi: alia (160) naturalis, 
alia (161) artificialis. Naturalis est (162) quam quis habet ex 
dono Dei (163) et de ista (164) non loquor. Alia est artificiosa 
et ista acquiritur aliquibus (165) modis. Primo enim acqui- 
ritur si ea quae in memoria retinemus diligenter (166) serve- 
mus, cum (167) enim aliquid in mente memoramus sive 
textum sive glosam sive auctoritatem sive rationem per alium 
dictam (168) et de illo vel de simili a nobis petatur, per 
€a quae iam sunt in nostra notitia et memoria radicata (169) 


266 


Z 


P. 443r. 


B. 39r. 


P. 443v, 


CLAVIS UNIVERSALIS 


faciliter indicabimus cuicumque respondendo, verum (170) et 
certum est quod melius discernit (171) sciens quam ignarus 
propter scientiam quam habet (172) iam cum memoria ac- 
quisitam (173). / 


Car. VI. 


Postquam (174) de memoria et (175) capacitate et discre- 
tiva (176) tam in speciali quam in generali pariter et singu- 
lari dictum est (177), nunc videndum est de memoriac reci- 
tatione, et ad multa recitanda (178) consideravi ponere quae- 
dam nomina relativa per quac ad omnia possit responderi 


. quoniam quodlibet / corum (179) crit omnino generale ad 


omnino speciale et habet scalam ascendendi et descendendi 
de non omnino generali ad omnino speciale (180) et de non 
(181) omnino speciali ad omnino generale. Ista cnim sunt no- 
mina supra dicta: quid, quare quantus (182) et quomodo. 
Per quodlibet istorum poteris recitare viginti rationes in 0p- 
positum (183) factas vel quaecunque advenerint tibi recitanda 
et quam admirabile (184) est quod (185) centum possis (186) 
/ rationes retinere et ipsas, dum locus fuerit (187) bene 
(188) recitare. Certe hoc auro comparari non debet (189), 
ergo qui scientiam habere affectat ct universalem ad omnia 
(190) desiderat, hoc (191) circa ipsum (192) tractatum laboret 
cum diligentia (193) toto possc quoniam sine dubio scien- 
tior erit aliis quia (194) nomina sine speciebus aut (195) 
sine magistro non possumus recitare ideo (196) ipsas pono: 
primo cnim quid (197) habet tres species quas hic propter 
carum (198) prolixitatem ponere (199) non curo, sed vade 
ad quintum subiectum (200) per b.c.d. significatum (201) 
in libro septem (202) planetarum quoniam (203) ibi videbis 
miraculose (204) ipsas aliqualiter (205) declarare (206) hic 
intendo, et sic dictum de primis tribus / ita intelligi potest 
de aliis (207) sequentibus (208). Primum igitur per primam 
speciem nominis quid (209), poteris certas quacstiones sive 
rationes sive alia quaccunque volueris recitare (210) cvacuan- 
do secundam (211) figuram de his quae continet, per secun- 
dam vero poteris (212) in duplo (213) respondere seu recitare 
ct (214) hoc per cvacuationem tertiae / et multiplicationem 
primae, et si (215) per primam tu recitas (216) viginti vel 
triginta nomina seu rationes (217), per secundam poteris qua- 
draginta vel sexaginta (218) recitare et hoc semper per eva- 
cuationem et multiplicationem (***). Tamen est multum dif- 
ficile nisi sit homo ingeniosus et intellectu (219) subtilis et 
non rudalis (220). Per tertiam vero centum poteris recitare (221) 
evacuando primam et multiplicando secundam et de aliis po- 
teris sicut de ista cognitionem habere. Quare firmiter et fer- 
venter (222) praedictas stude (223) species in praclibato sep- 
tem (224) planetarum libro quem nunquam eris studere de- 


APPENDICE I 267 


fessus (225) immo eris gaudio cet laetitia plenus; in dicto libro 
multa (226) sunt studenti (227) necessaria quae si nota essent 
et bene intellecta non possent ullo modo (228) extimari; ideo 
consulo cuicumque ut (229) istum habeat prac manibus et 
P. 444r. prae oculis suae mentis (230). / Ad laudem et honorem 
Domini nostri Iesu Christi et publicae utilitati compositus 
fuit praesens tractatus in civitate Pisana in monasterio sancti 
Dominici per Raymundum Lullum (231) ut prius dominus 
Iesus Christus in memoria habeatur et verius recolatur. Amen. 


(*) Cfr. il Doctrinale minus, alias Liber parabolarum magistri Alani 
(uno degli auctores octo) in Micne, P. L., 210, col. 585 (425 DD): Denti- 
bus atritas bos rursus ruminat herbas / Ut toties tritae sint alimenta 
sibi / Sic documenta tui si vis retinere magistri / Sacpe recorderis quod 
semel aure capis. 

(**) De memoria et reminiscentia, Il, 452 a, 28-29. 

(***) Sulla multiplicatio et cvacuatio figurarum cfr. Ars brevis e Ars 
magna, Zetzner, pp. 15, 16, 278 -79. 


(1) In nomine... confirmandam ] Perutilis Raymundi Lulli Tractatus 
de Memoria B. (2) hominum ] om. B. ] hominis P. (3) meliori ] et 
melioretur B. (4) principales ] et add. B. (5) diffinimus ] definimus 
M. (6) Cap. I (e tutte le successive intitolazioni dei Cap.) om. MP. 
(7) diffinire ] definire M. (8) et ] om. B. (9) ipsam ] ipsum P. (10) 
Primo ] prima P. (11) significat ] om. B. (12) tamen ] autem B. (13) 
subiectum ] librum B. (14) designatum ] om. B. ] designata M. (15) 
in libro septem ] in libro octavo positum B. ] in libro septimo P. (16) 
omnium ] omnem B. (17) ipsorum ] ipse MP. (18) sermonem ] cc- 
riem M. ] scientia P. (19) intellectus ] generalior sit add. MP. (20) 
per unam literam plura significata habentem sit generalior ] pariter in 
memoria pro litera significata habentem B. ] ponit in memoria plura 
significata P. (21) et possit in memoria plura significata recipere ] om. 
BP. (22) quac memoriam dividit ] quac est de memoria et dividitur 
B. (23) speciales ] spetiales B. (24) specialia ] spetialem B. (25) ut 
laborans in studio ] laboranti in studio virtuose B. ] laboranti in studio 
studiose P. (26) faciliter ] facile B. (27) scientiam ] scientiae P. (28) 
huius ] huiusmodi M. (29) tradidisse ] credidisse B. (30) plenarie ] 
plenariam M. (31) cum ] etiam P. (32) gradientes ] gradus BM. (33) 
equidem ] eiusdem B. ] cosdem M. (34) propere subeant ] properari 
sublimiter B. (35) absque ] nullo add. B. (36) artificioso ] artificiosi 
B. ] sed add. MP. (37) labores proprios inutiliter exhibentes ] labores 
proprios exercentes conservare MP. (38) Igitur ] Considerare igitur 
B. (39) decet ] docet P. (40) laborum ] aliquando ad4. B. (41) pos- 
sit ] om. MP. (42) Oportet nos igitur conservare ] Nos igitur conside- 
ramus B. (43) principia et praecepta ] praccipitata B. (44) condescen- 
dere ] condescendentia B. (45) beatissimam virginem ] perbeatissimam 
gloriosam B. (46) Maria dat scientiam ] om. MP. (47) dat scientiam ] 


268 CLAVIS UNIVERSALIS 


per sapientiam add. B. (48) cum potestate ] cum pietate B. ] in po- 
testate P. (49) virgo ] om. B. (50) cum ratione ] in ratione P. (51) 
nostra ] Maria B. (52) cum patientia ] in patientia P. (53) cum ] in 
P. (54) nostra sanctissima pia Virgo Maria ] sacratissima pia virgo B. 
(55) cum ] in P. (56) petendìi ] poenitenti BP. (57) cum gratia ] in 
gratia P. (58) cum petitione ] in petitione P. (59) Sanctus ] om. MP. 
(60) et ] om. B. (61) divino ] Deo pio MP. (62) prospere ] prospera 
MP. (63) ct conceduntur ] om. MP. (64) placa ] placare B. (65) ora- 
tiones Sancti Spiritus ] orationem spiritus B. (66) Secundo est opti- 
mum ] Secundum est B. (67) quoniam ] cum BM. (68) horum ] corum 
B. (69) inquirenti ] acquirenti B. (70) ut moderationem ponat ori suo 
] ut ponat custodiam in somno B. ] ut moderate ponat ori suo P. (71) 
invenio ] om. B. (72) nunquam ] nunque B. (73) quin ] ut B. (74) 
temporis ] spiritus B. (75) operam ] opera M. (76) cum affectu ] in af- 
fectu P. (77) quoniam ] cum M. (278) in artificioso studendi modo ] in 
artificio secundo studendi P. (79) quae dicitur phantasia ] om. B. (80) 
stat ] om. B. (81) stat ] om. B. (82) summitate ] sanitate P. (83) sed me- 
lius est habere bonam memoriam ] sed multo melius est habere bonam 
discretionem P. (84) melius ] plus B. (85) discretionem ] discretivam 
B. (86) primo videndum ] providendum M. (87) de capacitate ] de 
bona capacitate M. (88) aliquis ] vult habere bonam 444. B. (89) 
ambit ] om. B. (90) diligenter ] diligentia B. (91) evenit ] quod add. 
B. (92) tempore ] om. B. (93) Primo ] Secundo B. (94) tam ] quam 
MP. (95) iurc ] om. B. (96) audiendam } auditum M. } audiendum 
P. (97) civili ] simili MP. (98) adhuc ] ad hoc MP. (99) de proprio 
intellectu ] proprii intellectus B. ] de primo intellectu P. (100) tibi 
materiam speculandi ]} et ut viam studendi MP. (101) utrum bene ] 
num vel benc B. (102) per sc ] per ipsum B. (103) Item ] quia add. 
MP. (104) ego ] om. B. (105) quoniam sic ] cum B. ] quoniam P. 
(106) quod ] om. B. (107) intellectum ] inventionem M. (108) faciliter 
] facile B. ] facilius P. (109) tamque frustra } tamquam frustra B. ] 
om. P. (110) tamen ] tam P. (111) perdunt officium capiendi } per 
dictum officium capientur B. (112) Item quia dum fuerit casus vel 
scientia, legere mentaliter in se revolvat et ] Item dum sciat causam vel 
scientiam litere mentaliter inter se revolvat ut B. ] Item quod dum 
fuerit casus vel sententia litterae mentaliter in se revolvat et P. (113) 
dum questionem secundam vel argumentum ] dum questionem vel 
scientiam vel argumentum B. ] dum questionem sciendam vel argu- 
mentum P. (114) dicetur tertia ] docetur tertia MP. (115) reducat ad 
memoriam secundam ] ducat ad memoriam secundam B. ] ducat ad 
memoriam sciendorum P. (116) nec ] nisi B. (117) quarum ] quaerere 
MP. (118) autem ] enim ad4. B. (119) quando ] si secundo B. ] sc- 
cundo P. (120) legendis ] agendis MP. (121) et ] est MP. (122) quam 
aliud ] quam quodvis aliud M. (123) operaretur ]} om. MP. (124) 
primo ] priori M. (125) quae quidem ] Memoria quidem B. (126) 
secundum antiquos ] in capitulo de memoria add. P. (127) artificialis 
] artificiosa M. (128) secundum materiam ex qua ] ex materia qua 
B. (129) et ] etiam MP. (130) secundum quod influentia alicuius 


APPENDICE I 269 


planetae superioris regnat ] secundum que influentia alicuius planetae 
inferioris regnat B. ] secundum quod influentia actus planetarum supe- 
rioris regnat M. ] secundum quod influentiam accipit planetae supe- 
rioris regnat P. (131) sed ] et MP. (132) emplastris ] epistolis M. ] 
eplis P. (133) cum ] in P. (134) dantur ] dammantur B. (135) dispo- 
sitioni hominis contrariae )] dispositio hominis quae contrariae MP. 
(136) cruditate ] quantitate B. ] caliditate P. (137) qua cerebrum ] 
quod certe bene B. ] quod cerebrum P. (138) de multis ] multos B. 
(139) tenet pro contento ] contentat B. (140) stultitiam ] insaniam B. 
(141) perveniat ] deveniat MP. (142) habebit ] consequetur B. (143) 
fructum ] fructus B. (144) scientiae ] suac add. B. (145) Alia est me- 
moria artificialis... revolvat per se ipsum ] om. B. (146) Alanum ] Alo- 
nium M. ] Aristotelem P. (147) finem ] seriem B. (148) moribus ] 
munibus B. ] modis M. (149) quod ] om. B. (150) capit ] ct add. B. 
(151) et ita memoria ] 0m. B. (152) ut habetur in libro de memoria 
et reminiscentia ] om. B. (153) firmiter confirmatur ] firmiter conti- 
netur B. ] firmiter confirmiter confirmetur P. (154) studeat et die 
martis et ] om. B. (155) talia ] taliter B. (156) faciendo scientior ] 
faciendo quis scienter B. (157) illo qui sex audierit ] illud quod sex 
annis audiverit B. (158) attingere ] ctiam add. M. (159) ad ] om. 
BM. (160) alia ] est 444. MP. (161) alia ] est add. MP. (162) est ] 
om. MP. (163) habet ex dono Dei ] debet dono Dei B. (164) et de 
ista ] de qua B. (165) aliquibus ] duobus B. (166) diligenter ] dili- 
gentia B. (167) cum ] quando P. (168) sive textum sive glosam sive 
auctoritatem sive rattonem per alium dictam ] sine textu sine glossa 
sine auctoritate sine ratione per aliud dictum MP. (169) radicata ] 
radicantur B. (170) cuicumque respondendo verum ] cuiuscunque unde 
B. (171) discernit ] discerit BB. (172) propter scientiam quam habet ] 
nam rationem quam habet B. (173) acquisitam ] acquisita M. (174) 
Postquam ] visum est ad4. B. (175) et ] om. MP. (176) discretiva ] dis- 
cretione P. (177) dictum est ] om. B. (178) recitanda } recitandum B. 
(179) eorum ] illorum B. (180) et habet scalam.... ad omnino speciale ] 
om. B. (181) non Jom. B. (182) quantus ] quotus, totus B. ] quatenus 
M. (183) oppositum ]oppositionem P. (184) quam admirabile ] quoniam 
mirabile M. ] quam mirabile P. (185) quod ] quia M. (186) possis ] 
possit P. (187) fuerit ] adfuit B. (188) bene ] om. MP. (189) debet ] 
potest MP. (190) universalem ad omnia ] utilis omnia B. ] universalis 
ad omnia M. (191) hoc ] homo esse B. (192) ipsum ] istum B. (193) 
cum diligentia ] cadem diligentia B. ] in diligentia P. (194) Quia ] 
quoniam M. (195) aut ] aliquid B. (196) ideo ] labore adeo B. (197) 
Primo enim quid ] primo quo B. (198) earum ] illarum B. (199) po- 
nere ] om. B. (200) subiectum ] librum B. (201) significatum ) desi- 
gnatum vel significatum B. (202) septem ] septimo P. (203) quoniam 
] cum B. (204) miraculose ] iam add. B. (205) aliqualiter ] aliquan- 
tum B. (206) declarare ] volo add. M. (207) hic intendo... potest de 
aliis ] om. MP. (208) sequentibus ] in sequentibus MP. (209) quid ] 
quod B. (210) recitare ] evacuare secundum de his quae continet per 
scientiam positis add. B. (211) secundam ] secundam corretto in pri- 


270 CLAVIS UNIVERSALIS 


mam da mano più tarda B. (212) secundam figuram de his quae con- 
tinet, per secundam vero poteris ] 0m. B. (213) duplo ] duo P. (214) 
seu recitare et ] on. B. (215) si ] sic P. (216) recitas ] duo vel tria 
nomina seu rationes add. M. duo e tria sono correzioni più tarde di 
secunda e tertia. (217) viginti vel triginta nomina seu rationes } om. 
M. (218) vel sexaginta ] om. B. (219) intellectu ] multum B. (220) 
rudalis ] naturalis B. ] non ruralis M. (221) recitare ] om. MP. (222) 
et ferventer ] om. B. (223) stude } audire B. (224) quem nunquam 
eris studere defessus ] quem nunquam eris audire fessus B ] quoniam 
eris studendo defessus M. ] quoniam nunquam eris studere defessus 
P. (226) multa ] nulla B. (227) studenti ] alia evidenter B. (228) ullo 
modo ] modo aliquo B. ] modo P. (229) cuicunque ut ] quoscunque 
quod B. (230) oculis suae mentis ] oculis et suae mentis ferveat B. 
(231) Lullum ] Lulli MP. 


APPENDICE II. 


UN ANONIMO TRATTATO IN VOLGARE 
DEL SECOLO XIV 


Il trattatello in volgare sulla memoria artificiale composto 
nel sec. XIV da autore ignoto e qui di seguito riprodotto, è 
contenuto nei Codd. Palatino 54 (ai ff. 140 - 142) e Conv. Soppr. 
I 1.47 (carte non numerate) della Nazionale di Firenze. Con- 
trariamente a quanto afferma la Yates (T%e ciceronian art of 
memory, cit., p. 888) questo scritto non può essere attribuito 
con sicurezza a Bartolomeo da San Concordio. Questa attribu- 
zione oltre che al Manni, risale al Tiraboschi (V, p. 242), ma 
come già ha osservato il Tocco (Le opere latine di G. Bruno, 
cit., p. 26), nel corso del testo si fa riferimento al Rosarum 
odor vitae (contenuto negli stessi codici sopra indicati) e pro- 
babilmente composto nel 1373 da Matteo Corsini, priore della 
Repubblica fiorentina nel 1378 (cfr. l’edizione del Rosa:o della 
vita a cura di Polidori, Firenze, Soc. Tipograf. Ital., 1845). 
Anche se l’anno di composizione del Rosaio può presentare 
qualche incertezza resta il fatto che l’opera fu composta da un 
contemporaneo del Petrarca (Ediz. Polidori, p. 96). A quanto 
osservato dal Tocco si può qui aggiungere che nel suo rife- 
rimento al Rosato l’autore del trattato sulla memoria parla 
di 84 capitoli mentre, sia nel Palat. 54 che nel Cod. I, 1, 47 
i capitoli sono 82. L'attribuzione al San Concordio appare 
dovuta al fatto che in entrambi i codici gli Ammaestramenti 
degli antichi di Bartolomeo sono preceduti da una traduzione 
del capitolo sulla memoria della RAetorica ad Herennium e 
seguiti dal trattato sulla memoria artificiale. Nel Palat. 54 
1 testi sono così disposti: ff. 29-33v.: Testus memorie artifi- 
ciose vulgariter scilicet super quandam partem rectorice; ff. 
44-139v.: Bartolomeo da S. Concordio gli ammaestramenti 
degli antichi; ff. 140-142: Ars memoriae artificialis. Il vol- 
garizzamento del testo della retorica ad Erennio forma la secon- 
da parte o il sesto trattato del Fior di Rettorica di Bono Giam- 
boni (Magliab. Palch. II, 90, Riccardiano, 1538. Cfr. Tocco, 
op. cit., p. 26). ll bro di leggere cui si fa riferimento nelle 
prime righe del trattato può essere, come vuole il Tocco, il 


272 CLAVIS UNIVERSALIS 


trattato della pronunzia che è il terzo del Fior di: Rettorica 
nella redazione di Fra Guidotto da Bologna e in quella di 
Bono Giamboni. Il trattato sulla memoria artificiale faceva 
dunque parte, con ogni probabilità, di una qualche redazione 
del Fior di Rettorica. 

La trascrizione è condotta sul Palat. 54, ma si è fatto 
spesso ricorso anche all’altro codice indicato. Si sono appor- 
tate modifiche, oltre che alla punteggiatura, a talune grafie 
(per es. nolla = non l’ha; lo = l’ho; vene = ve ne; a = ha ecc... 


140r. Poi che aviamo fornito il libro di leggere, resta di poter te- 
nere a mente, et però qui di sotto si scrive l’arte della memoria 
artificiale in si facta forma che non offende la naturale che ha 
sifatto ordine il libro da sé che con questa memoria si può d’esso 
grande parte imparare a mente se solamente il libro si legge cin- 
que volte ct fra l'una volta et l’altra sia spazio di mezzo di quello 
che vuoi tenere a mente, et observando le regole di questa me- 
moria non si potrà errare solo in una lettera di tutto questo 
libro che tutto non si imparasse a mente. La memoria artificiale 
sta solamente in due cose, cioè ne luoghi e nelle imagini. Luogo 
non è altro a dire se non come una cosa disposta a potere con- 
tenere in sé alcuna altra cosa, sicome una casa, una sala, una 
camera o simili cose a questa come ab octo dieci anni a te dicte. 
Le imagini sono il proprio representamento di quelle cose che 
noi vogliamo tenere a mente. Due sono le maniere de luoghi, 
cioè naturale e artificiale. Naturale luogo è quello che è facto 
per mano di natura come c il monte e il piano e gli albori che 
per sé sono. Artificiale luogo è quello che è facto per mano 
d’huomo sì come è una camera o un cammino, uno versatoio, 
uno studio, una finestra, una casa, uno cofano et simili luoghi 
a questi. Non intendere però tutte le masseritie minute de la 
camera però che non ti riverebbe la ragione, ma vogliono essere 
masseritie grandi come sono cassoni, soppedani, fortieri, et se 
pure alcuna masseritia ci vogliamo mettere, conviene che sia 
molto riconosciuta et stia in luogo continuamente palese, come 
è una barbuta, uno cappello lavorato, uno elmo da campo v 
vero cimiero e cose simili a queste. Intorno a luoghi conven- 
140 v. gono / più cose avere. In prima avere dentro molti luoghi, cioè 
quanti sono i nomi che vogliamo tenere a mente però che ogni 
luogo ha la sua imagine a pigliare ciascuna imagine e rapresen- 
tamento da una cosa sola per sé, ct però se aremo a tenere a mente 
XX nomi si pogniano XX imagini per luogo. Et come dico di 
XX, così si potrebbe fare di cento, CC, CCC, CCCC, pure che 
luoghi assai aviamo. Non obstante che io dica qui di CC e LII, 
posto che di questi CCLII viene facta non poca fatica che sono 
nel librecto dinanzi decto del rosaio odore della vita capitoli 
LXXXIIH et ad ogni capitolo si possono leggiermente accattare 


APPENDICE II 273 


tre nomi sì che tre via LXXXIII, CCLII. Ma di più nomi dire 
qui di sotto più pienamente. Apresso questo, ci conviene avere 
e’ luoghi ordinati, cioè che per ordine l'uno vada dietro a l’altro. 
Et se quella persona che vuole usare quella memoria in man- 
cino, cominci e’ conti de luoghi a mano mancha et se queste 
sopra da la drecta mano, se a diricta vada sopra la mano diricta, 
in questo modo: che se in una sala aremo da poter pigliare cin- 
que luoghi, el primo sia uno camino, el secondo un uscio o un 
armaro da vasi, el quarto una colonna overo uno pilastro, el 
quinto uno versatoio. Incominciamo dal primo come è il ca- 
mino, poi il secondo come è un uscio et così per ordine l'uno 
dopo l’altro et non si dee mai passare niuno luogo se non che 
si debbono sapergli bene a mente come sono ordinati da sé. A 
presso si conviene che i luoghi sicno numerati cioè che ogni 
nego quinto si segni; cioè a questo modo: che al primo quinto 
i ponga una mano d'oro che per le cinque dita ripresentino 
ji luogo essere quinto; poi il secondo quinto, cioè il decimo 
luogo, ripresenta in questo modo o trovata per sapere subito a 
quanti nomi sta Piero. Subito puoi avisare se alle due mani sarà 
il decimo se a due nomi dopo le due mani sarà il duodecimo / 
142r. ct così seguitando si può sapere di molti. Ma questa regola di 
queste mani abbi posta qui perché la insegnia Tulio et non 
vorrei che altri credessi che io non la sapessi, però l’ho posta 
qui, ma a me pare uno poco faticosa per tale quale persona. 
Imperò potiamo lasciare andare testé questo affanno delle mani 
del oro, et fare in questa forma: cioè che i luoghi sempre cag- 
gino o in cinque o in dicci; în questa forma che se in una 
sala sono sci o septe luoghi non tenere a mente se non cinque, 
et se fussino quattro forzati tanto che sieno cinque che leggier- 
mente viene facto poi che si mette in pratica. Et così similmente 
vuole andare de decti che se aremo una sala o una camera dove 
sieno nove luoghi, forzati tanto che ve ne aggiungi un altro 
si che sieno dieci. Se ce ne fussino da dieci in su in sulla sala, 
non ne tenere a mente se non dieci. Adunque se arai in una tua 
casa una sala et in questa fussino cinque luoghi, una camera et 
in questa camera fussino dieci luoghi, uno verone et in questo 
fussino pure dieci luoghi, un’altra camera et in questa fussino 
cinque luoghi, uno terrazzo et in questo fussino dieci luoghi, 
una grotta et in questa fussino dieci luoghi, raccogli tutti questi 
luoghi et vedi quanti sono, et, quanti sono i luoghi, tanti sono 
i nomi che puoi tenere a mente. Sì che se i dicti luoghi sono L, 
et L nomi potrai tenere a mente sanza faticha di memoria, et 
così similmente chi la volessi fare più in grosso, potrebbe avisare 
dieci case delle dita sue dove trovasse L luoghi ciascuna casa 
et così la farà di cinquecento et di mille et di diecimila sanza 
fallo, però che troviamo che Seneca fu giovane esso la fe' di 
dumilia, ritornando allo inanzi et allo indietro, come fanno i 
fanciulli ad a.b.c. quando la dicono alla dietro. Ancora vo- 


274 


141 v. 


CLAVIS UNIVERSALIS 


gliono essere dicci luoghi noti cioè che bene gli conosciamo etc. 
Apresso non vogliono essere troppo grandi né troppo piccoli, 

ma di mezzana fog/gia come si richiede alle imagini che qui si 
pongono. Ancora vogliono essere i luoghi temperati dove non usi 
troppa gente però che la troppa gente guasta il luogo et la nostra 
memoria. Ancora vogliono essere né troppo chiare né troppo ob- 
scure però che la troppa chiarezza et la troppa obscurità fa noia 
agli occhi della mente sì che vedere non possiamo i luoghi. An- 
cora conviene che i luoghi non si rassomiglino troppo l'uno a 
l’altro, ma quanto più sono variati meglio è. Ancora non vo- 
gliono essere troppo apresso l'uno a l'altro né troppo di lungi, 
ma intorno di cinque o di dicci piedi l'una da l’altra. Et questo 
è tutto quello che bisognia a’ luoghi. La imagine non è altro se 
non, come di sopra è detto, come il proprio representamento di 
quelle cose le quali vogliamo tenere ad mente. Questa imagine 
ha due proprietà: cioè che ella ha a ricordare il nome et il sen- 
tire. Ricordare il nome è ricordare a mente Piero Giovanni Mar- 
tino per ordine ciascuno per sé, ricordare sententie è in questo 
modo che se io mi voglio ricordare come Troia fu presa < dai > 
Greci con ferro con fuoco con ruina per cagione di Elena, io 
pongo in uno luogo la imagine di Troia come ardeva e come 
in lei sieno entrati cavalieri armati. Ancora se io mi volessi ri- 
cordare della hedificatione di Cartagine la quale hedificò una 
donna chiamata Dido, porrò una imagine d’una con molti gua- 
tatori di intorno, et così va di simile a simile di molte et infinite 
sententic. Hora d'intorno alle imagini sì come di nomi et di 
sententie vediamo quante cose sono di necessità. Mostra che sieno 
sei per ordine. In prima si richiede che le imagini sieno pro- 
prie, cioè che se io mi voglio ricordare di Piero solamente ponga 
in uno luogo la sua propria imagine, et se io voglio tenere a 
mente Martino, quello medesimo. Ancora conviene che la ima- 


142r. gine non sia / equivoca cioè che rapresenti più cose di quelle 


che vogliamo tenere a mente. Ancora conviene che le imagini 
non sieno troppe, cioè più che non sicno di bisogno non si pon- 
gano nel luogo, che se io voglio tenere a mente Piero, solamente 
porre una imagine che rapresenti Piero, la quale cosa è contro 
alla doctrina di Tulio. Ancora conviene che la imagine non sia 
varia, cioè che abbia alcuna varietà in sé e questa è delle più 
utili cose che si possa avere. Questa memoria però sempre ci 
doviamo studiare di porre imagini di nuove foggie. Ancora con- 
viene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si 
convenga a la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del 
re pare che gli si convenga il segno de la corona, et a’ cavalieri 
il segno dello scudo, al doctore il segno del vaso et ad cui uno 
segno ad cui uno altro come la fantasia della memoria comune- 
mente si vuole dotare. Ancora conviene che a la imagine si 
faccia alcuna cosa cioè la proprino quanto agli acti quelle cose 
che a loro si convengono, sì come si conviene ad uno lione dare 


APPENDICE II 275 


la imagine apta et ardita et alla golpe l’acto sagace et abstuto, 
al sonatore l'apto di sonare stromento. Adunque veggiamo sem- 
pre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle 
carte si convengono porre le lectere. Qui finisce delle sententie 
et de’ nomi abbreviato. Ancora doviamo tenere questo modo il 
quale è molto utile: che poi che abbiamo imparato C 0 CC nomi 
et recitargli, non per tanto dobbiamo conservargli, più inanzi ci 
doviamo studiare più che possiamo che ci escano di mente e così 
facendo escono di mente e i luoghi rimangono voti per gli altri 
che volessino imparare. Finis. Deo gratias. Amen. 


APPENDICE III. 


DUE MSS. QUATTROCENTESCHI 
DI ARS MEMORATIVA 


Il Cod. lat. ambrosiano T. 78 sup. (di carte 45) contiene i 
seguenti scritti : 


fi. 1-21v.: Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad 
consequendam artem memoriae artificialis ad M. Marchionem 
Mantuae. Inc.: Iussu tuo princeps illustrissime. [È il trattato 
di Jacopo Ragone da Vicenza del quale abbiamo citato vari 
passi nel testo, composto nel 1434 e conservato in due esem» 
plari di diversa mano anche nel Cod. marciano cl. VI, 274 
ai ff. 15-34 e 53-66 e in un terzo esemplare nel marciano 159 
della stessa classe. Il nome dell’autore (artificialis memoriae 
regulae per Jacobum Ragonam Vicentinum) e la data di com- 
posizione (Kal. Nov. 1434) risultano dal marciano 274 ai ff. 
15v. e 53v.]. 


ff. 22-26: Tractatus solemnis artis memorativae. Inc.: 
Artificiosie memoriae egregia quaedam. [Di questo scritto si 
dà qui di seguito la trascrizione. Si è omesso l’elenco in vol- 
gare dei « luoghi » che occupa i ff. 26-27v.: Exp.: Trespo 


da tavola. Zovane fameglio]). 


ff. 27v.-32v.: Tractatus artis memorativae eximii doctoris 
artium et medicinae magistri Girardi. Inc.: Ars commoda na- 
turae confirmat et auget. [Nella trascrizione che segue si è 
fatto ricorso anche al cod. 142 dell’Angelica che ai ff. 83-87 
reca lo stesso trattato con il titolo, di mano più recente, Hic 
traditur preclarus modus conficiende memoriae. Inc.: Ars com- 
moda natura e confirmat et augct]). 


ff. 33-40v.: Excerpta ex libris M. T. Ciceronis de memoria. 
Inc.: M. T. Ciceronis de oratore haec de memoria scripta sunt. 


[gli excerpta ai ff. 35v.-40v. sono tratti dalla RAetorica ad 
Herennium). 


La data di composizione della miscellanea si legge in fine 
al codice al f. 45: Anno 1466 scriptus pro Raphael de Fuzsy. 


22 r. 


22v. 


23 r. 


APPENDICE III 277 


I 


Tractatus solermnis artis memorativae incipit. Artificiosac me- 
moriae egregia quaedam atque preclarissima praecepta in lucem 
allaturi, non invanum esse duximus quod ipsa sit primum effin- 
gere cum, iuxta Ciceronis sententia in primo De officiis, omnis 
de quacumque re sumitur disputatio a diffinitione proficisci 
debeat ut sciri possit quid sit id de quo disputatur. 

Est igitur artificialis memoria dispositio quaedam imaginaria 
vel localis vel idealis mente rerum sensibilium super quas natu- 
ralis memoria reflexa per ea summovetur atque adiuvatur ut 
prius memoratorum facilius, distinctius atque divitius denuo va- 
leat reminisci. Vel sit artificialis memoria est decentium imagi- 
num quaedam industriosa collocatio qua corum quae in his de- 
bite applicantur ad tempus memorari valeamus. Tertio vero ex 
menti Ciceronis, Rhetoricorum tertio, sic eius diffinitionem im- 
plecti possumus: memoria artificialis est artificium quoddam 
quo naturalis memoria praeceptoris voce confrmatur. Differt au- 
tem memoria naturalis ab artificiosa. Harum naturalis est una 
quae nostris animis insita est et simul cum ipsa / creatione nata. 
Artificiosa vero est quaedam inductio et praeceptionis ratione 
confirmatur. 

Haec autem ars duobus perficitur: locis videlicet et imagini- 
bus, ut Cicero sentit in tertio Rhetoricorum a quo non dissentit 
beatus Thomas illud addiciens oportere ut ea quae vult quis 
memoriter tenere ordinata consideratione disponat, ut ex uno 
memoratu ad aliud facile procedatur. Cicero vero sic inquit: 
oportet igitur, si multa reminisci volumus, multos locos domus 
comparare, ut in multis locis multas imagines comprchendere at- 
que amplecti valeamus. Aristoteles vero in eo que de memoria 
scripsit a locis inquit reminiscimur. Necessarii itaque sunt loci 
ut res seriatim pronuntiare et memoriter tenere valeamus. Dif- 
ferunt autem loci ab imaginibus quia loci sunt imagines ipsae su- 
per quibus tamque super carta imagines delebiles, quasi literae, 
collocantur. Habeant igitur sc loci sicut materia, imagines vero ut 
forma. Differunt quasi ut fixum et non fixum. Et quoniam haec 
ars, ut dictum est, duobus absolvitur, locis videlicet et imagini- 
bus, primum locorum precepta attingenda videntur. Nam cum 
ars imitetur naturam in quantum potest, volenti autem scribere 
/ primum carta et cera preparanda est, quibus loci simillimi sunt. 
Imagines autem literis, dispositio autem et collocatio imaginum 
scripturac, pronuntiatio autem lectioni comparantur. Illud merito 
fit ut ex his locis primum diffiniamus. Locus enim, ut quibus- 
dam placet, est spatium quidam domus proportionatum et condi- 
tionatum quo conditionari debet; vel melius, secundum Cicero- 
nem, locos appellamus eos qui breviter perfecte et insigniter 
manu aut natura absoluti sunt ut eos facile naturali memoria 
comprendere atque amplecti valeamus. Haec autem ars centum 
locis perficitur. quos hoc pacto nobis constituere poterimus si 


278 


CLAVIS UNIVERSALIS 


decem domos nobis comparare poterimus in quarum singulis 
decem loci affigantur in diversis ipsarum domorum parietibus, 
vel paranda nobis erit una domus quae computatis cameris co- 
quina et scalis constituatur centenus numerus apponendo cuilibet 
camerae vel scalae quinque locos. 

Locorum proprietas multiplex est: primo locorum multitudo, 
locorum ordinatio, locorum solitudo, locorum meditatio, loco- 


23v. rum signatio, locorum dissimilitudo, / locorum mediocris ma- 


24 r. 


24 v. 


gnitudo, mediocris lux et distantia. Sequitur de imaginibus. Ima- 
gines sunt rerum aut verborum similitudines in mente conceptae. 
Duplices autem similitudines esse debent, ut ait Cicero, una rerum, 
alia verborum. Rerum autem similitudines constituuntur cum 
summatim ipsorum negotiorum imagines comparamus, verbo- 
rum autem similitudines exprimuntur cum uniuscuiusque voca- 
buli memoria a nobis imagine notatur. Verborum quidem simili- 
tudines aliae sunt notae, aliac ignotae, notabilius aliae animatac, 
aliae inanimatae. Animatarum quaedam propriae quaedam com- 
munes. Propriarum quaedam duplices, quacdam simplices. Com- 
munium vero tam animatarum quam inanimatarum quacdam 
simplices, quaedam ex duabus pluribusne partibus constituuntur, 
de quibus omnibus dicetur inferius. Et primo videndum est de 
nominibus propriis simplicibus et duplicibus. Et premicto pro 
generali regula imaginum collocandarum quod in locis semper 
collocandae sunt imagines cum motu et acto ridiculoso crudeli 
admirativo aut turpi vel impossibili sive alio insueto. Talia enim 
crudelia vel ridiculosa aut insueta sensum immutare solent et 
melius excitare eo quod animus circa prava multum advertat. / 

Secundo vero noto collocandam circa imaginem ut aliquid 
agat vel operet circa se vel circa ipsum locum. Si igitur daretur 
tibi ad memorandum nomen proprium, puta Petrus vel Martinus, 
debes accipere aliquem Petrum tibi notum ratione amicitiae vel 
inimicitiae, virtutis vel vituperii vel precellentis pulcritudinis aut 
nimiae deformitatis, non ociosum sed se exercitantem motu aliquo 
ridiculoso. Si nomen non adsit tibi notus capias aliquem factum 
et si non fuerit, recurrendum erit ad regulam dictionum igno- 
tarum. Duplicia vero sunt cum duo ex istis simplicibus sumptis 
in recto casu quae veniunt ad significationem unius simplicis ut 
Jacobus Philippus, Johannes Maria. Preniomina vero sunt cum 
unum preest alteri in unico nomine quae prelatio semper est in 
obliquo cum dependentia, ut Johannes Andrec, Matheus Tomasii. 
Cognomina autem et agnomina sunt quae parentelae vel ab 
cunctu [.....] faciunt ad singularem notitiam vel alicuius indi- 
vidui: ut Franciscus Barbarus et Scipio Affricanus. Duplicia sic 
collocanda sunt ut cadem facias etiam ipsam imaginem ordinate 
operari. Item de prenominibus ita tamen quod / actus attributus 
recto habeat se in minus et actus attributus obliquo in maius. 
Agnomina autem et cognomina secundum primam sui partem ut 
traditum est de nominibus propriis. Secundum vero secundam 
sui partem prout tradetur de nominibus ignotis. 


25r. 


25v. 


APPENDICE III 279 


Pro clariori doctrina notandum est imagines, cx quibus simi- 
litudines capiuntur, formari posse dupliciter: aut ex parte rci, 
aut ex parte vocis. Si ex parte rei et tunc dupliciter: aut respectu 
rei propriac in se, aut ex parte methafisicac. Ex parte rei pro- 
priac in se similitudo capitur ut rem ipsam formando in propria 
forma et naturali, ct hoc modo in rebus naturalibus maxime con- 
venit. Secundo modo similitudo capitur ex parte rei methafisicac 
et secundum eius officium quod operatur aut secundum instru- 
mentum cum quo operatur, et isto modo praccipue operamus 
in rebus invisibilibus. Si igitur rerum invisibilium vis tibi ima- 
gines servare, si sint res pertinentes ad virtutes vel vitia duplices 
possumus similitudines capere scilicet aut capiendo rem in qua 
est per excellentiam ut pro / superbia Luciferum, pro sapientia 
Salomonem; secundo modo methafisice. Divina autem ut dictum 
et angelos a pictoribus didicimus collocare. Item de sanctis, ut 
virtus iustitia angelus anima deus, scilicet Petrus et cetera. 

Nominum accidentalium similitudines ita capiuntur indiffe- 
renter videlicet ponendo picturam aut similitudinem aut realem 
rem cuius coloris qua nota collocanda demonstratur. Nota vero 
dignitatum officiorum et artium mechanicarum sic collocatur, 
capiendo similitudinem secundum signa et principalia eorum si- 
gnificata demonstrativa et declarativa ipsorum, ut si volumus 
collocare papam Martinum tibi notum secundum regulam de 
propriis habentem unam mitriam trium coronarum et sic de sin- 
gulis secundum signa convenientia suis dignitatibus officiis et 
artibus. 

Si vis memorari inanimatas duobus modis id efficere poteris. 
Primo modo ipsius rei inanimatae similitudinem capiendo ut 
aliquid operetur, imaginandus est homo sub concepto naturali 
non sub spetiali, nota et talis operatio fiat contra locum vel 
contra se. Secundo modo cligendo ordinem alphabeti et ad unum 
/ quemque locum ponendo unum hominem tibi notum supras- 
tanterm tamque custodem et operarium loci qui operetur quando 
necesse est cum re inanimata ut dictum est in praccedentibus 
capitulis. Finalis regula de collocatione prosarum versuum am- 
basiatarum et ceterorum huiusmodi. 

Ad apte figendas certa mente epistulas orationes sermones 
versus et cetera collocandi ratione potissimum opus esse percipi- 
tur, ut videlicet primum res ipsa universa rectissime teneatur ea 
quae naturali commendata memoriae congrue despiciatur. In 
primis enim rei totius summa simplici imagine vel nota aut ex 
pluribus aggregata contineatur quae quidem deinceps partes in 
suas idonee recitetur. Deinde illae partes in alias subdividere li- 
cebit. Finalis tamen divisio loco uno vel multiplicato capiatur. 
Principales autem divisiones ipsis quinariis applicentur, earum 
vero partes reliquas in aliorum imaginibus accomodentur. Versus 
spetialiter vocari possunt si praeter eorum summam figurationem 


230 


26 r. 


27 v. 


28 r. 


CLAVIS UNIVERSALIS 


principio annotentur aut spetiali imagine aut sillabis vel litteris. 
Historiac vero per actus annotari possunt ctiam parte tibi 
nota. 
Rubricae collocari solent aut corum summas perstringendo 
imagine accomodata aut per verborum similitudines. / 
Ambasiatas vero si commode volueris recordari ipsas, pro 
quo ambasiata collocanda est, imagines capies sive ipsumet in 
quo pacta sive promissa repones et ex adversis autem illum cui 
facienda est ambasiata in illo petita repones, et si sumuntur plu- 
res res sive capitula seriatim conclusive per loca dispones. 
Argumenta possumus congrue argumentibus applicare quibus 
absentibus locorum custodibus affigantur. Si enim sologismus 
fuerit, maiorem dexterae, minorem sinistrae accomodemus, aut 
potuerimus pro maiori tenere imaginem notatam vel medii aut 
conclusionis. Si vero fuerit entimema satis erit primam proposi- 
tionem notare; in iure aut rubricam cum lege aut scilicet cum 
cius mente notare ut fucrit. TeAog. 


Il. 


Tractatus artis memorative eximii doctoris artium et medi- 
cinae magistri Girardi. 

Ars commoda naturae confirmat ct auget, ut inquit egregius 
Tullius in tertio rhetoricae, cuius experientiam habemus in 
duplici arte scilicet domificatoria qua artifex finalis per hanc 
intendit defectui naturae providere; in arte etiam medicatoria 
minister salutis conatur proposse superflua naturae expellere ac 
defectus eiusdem restaurare. Que quidem ars minime foret in- 
venta si natura auxilio non cgerct. Verum quia anima nostra 
in principio sue creationis nascitur defectuosa in tribus suis po- 
tentiis clarioribus: scilicet memoria, intellectu et voluntate. 

Non tamen dico defectuosa sit quod anima nostra in principio 
creationis suac non habeat omnes potentias sibi concreatas, sed 
dico defectuosa sit quod in principio nostrae nativitatis anima 
nostra nequaquam potest per has potentias suos actus exercere. 
Non igitur parum utilis est artificialis memoria, quae commoda 
naturae amplificat ratione doctrinae. Huius quippe artis multi 
fuerunt inventores inter quos quidam nimis occulte, alii nimis 
confuse cam tradiderunt. Sed ego zelo sapientiac dilatandae / 
hanc artem compendiosis et utilibus verbis declarare intendo, 
hoc opusculum dividendo per novem capitula. 

In capitulo primo ostendetur breviter et succinete quac sint 
instrumenta quibus utendum est in hac arte. 

In secundo tradetur ars memorandi terminos substantiales. 

In tertio dabitur ars memorandi terminos accidentales. 

In quarto dabitur ars memorandi auctoritates ct quascumque 
orationes simplices. 

In quinto tradetur ars memorandi epistolas collectiones et 
quascumque historias prolixas. 


APPENDICE III 281 


In sexto tradetur ars memorandi argumenta ct quascumque 
orationes sillogisticas. 

In septimo tradetur ars memorandi versus. 

In octavo tradetur et dabitur ars memorandi dictiones igno- 
tas, puta graecas, hebraicas, sincathagoremata et capita legum. 

In nono et ultimo dabuntur sccreta huius artis. 

Unde versus: 


Sedibus humanis trita stans filia celsi 

Inexculta cibo mens grave tenet in albo 

Sed si concipiat post sernen arca volutum 

In varias formas parit similia monstro 

Qui igitur volet perfectam gignere prolem 
Promptam facetam recte natam in ordine membri 
De multis tractum subiectum forbeat haustum.! 


28 v. Capitulum primum. Pro expeditione primi capituli prenotan- 
dum est quod finalis intentio nostra in hac arte est componere 
librum mentalem qui quid se habeat ad instar libri artificialis. 
Nam quemadmodum in libro artificiali duo sufficiunt instru- 
menta duntaxat scilicet carta et scriptura, ita ct non aliter in 
hoc libro mentali quem intendimus per hanc artem conficere 
duo sufficiunt instrumenta: scilicet loca ct rerum similitudines. 
Unde egregius Tullius in sua rhetorica loca inquit carte simil- 
lima, sicut imagines literis. Dispositio vero imaginum in locis 
lectioni comparatur. Sed quia vari sunt modi accipiendi loca in 
hac arte, sufficiet ad presens tres modos notare. Primus modus 
est secundum Tullium, et hic est satis grossus, accipiendo videli- 
cet domum realem vel imaginariam in qua diversa signa noten- 
tur inter angulos illius contenta. Secundus modus est servando 
ordinem scalarum. Tertius est servando ordinem mense vel alium 
quemvis artificialem huic consimilem. Verum est tamen quod 
de novo praticantibus in hac arte bonum est in primis modum 
Tullii imitari ut a facilioribus ad difficiliora facilior sit transitus. 
Unde versus: 


Tipicha fortificat poliniam vallis locorum / 
29 r. Hec per ambages deserti querere noli 
Que rapuit pacifex iam lux perdit vel atro 
Invisaque spernit fugit gravissima quecque 
Huius vero plus placuit medios habuisse penatos 
Incultos natos diversos noto placentes 
In quorum costis fingantur ordine quino 
Que fixa maneant signa distantia tractu.? 


® Grosse INTERLINEARI: Sedibus humanis: in corpore humano; trita: afflicta; 
filta celsi: scilicet dci; inexculta: scilicet impleta; grave: graviter; in albo: 
scilicet memoria. 

2 Giosse INTERLINEARI: Tipicha: figurata; poliniam: memoriam; vallis loco- 
rum: scilicet ordinatio; Haec: loca; per ambages: per loca dubia; pacifer: 
scilicet intellectus; ian: lux perdit vel atro: per nimiam lucem vel obscuritatem; 


282 


29 v. 


30 r. 


CLAVIS UNIVERSALIS 


Secundum capitulum. Si vis memorari terminos substantiales 
scire debes quod tales sunt duplices. Quidam sunt proprii et qui- 
dam communes. Si igitur vis memorari terminos communes suf- 
ficit pro quolibet tali accipere similitudinem agentem aliquid 
mirabile vel patientem ct illam memento in suo loco collocare, 
praesuppositis his quae dicta sunt de locis in precedenti capi- 
tulo. In propriis autem nominibus non sic fit quoniam multorum 
hominum una est similitudo communis, accipere igitur pro quo- 
libet nomine proprio aliquem tibi notum ratione laudis, vituperii 
vel conversationis et illum memento in suo loco collocare. Et 
notatur < quod > dictum cst supra quod similitudo rei memo- 
randae debet agere vel pati aliquid mirabile quoniam quanto 
actio vel passio fuerit mirabiltor aut magis ridiculosa tanto diu- 
turnior crit memoria. Unde versus: 


Usia post rerum recte ponatur in istis / 

Cum voles hanc disce viam quac plana patebit 
Subiectis propriis proprias est darc figuras 
Communes aliis: cythara noscetur Apollo.? 


Tertium capitulum. Si vis memorari terminos accidentales, 
quia accidens non habet esse per sc sed totum esse eius dependet 
a substantia, pro quolibet tali accidente debes accipere substan- 
tivum in quo est per excellentiam: ut pro rubeo rosam, pro albo 
lilium, pro fortitudinem Sansonem, pro sapientia Salomonem. 
Et nota hic tres regulas solemnes. Prima est quod omne nomen 
significans substantiam in qua est aliquid accidens per excellen- 
tiam significat duo: scilicet substantiam primo et accidens poste- 
rius et secundario; et sic monialis significat feminam et castita- 


«tem, lupus animal et voracitatem, philomena avem et cantorem. 


Secunda regula est quod a tali nomine significanti duo descendit 
nomen adiectivum vel verbum, ut de rosa descendit roscus rosea 
roseum et roseare quod est rubcum facere. Tertia regula est 
quod ad commemorandum artificiose derivativa sive fucrint 
nomina sive verba aut participia / vel adverbia sufficit habere 
memoriam primitivi, et ratio est quoniam omnem derivativum 
virtualiter includitur in primitivo et capit  naturam ciusdem. 
Unde versus: 


Quod pendet fixum de se vult capere plenum 
Si varias uno profers multis ne licebit 
In derivativis quae sit origo notabis.4 


Invisa: loca; gravissima: dissimillima; quecque: loca; medios habuisse penatos : 
scilicet manifestas domos; Incultos: non habitatas; diversos: scilicet colore vel 
figura; noto placentes: scilicet voluntati; In quorum: penatum; costis: parie- 
tibus; fixa: firma. ì 

3 GLossi INTERLINEARI: Usig: scilicet forma; recte: sub ordine; in istis: sci- 
licet costis; Subiectis: nominibus; communes: similitudines. 

4 Gtosse INTERLINEARI: OQtiod pendet: illud quod est auribus pendens; fixum: 
subiectum; de se vult capere plenum: scilicet in quo est per excellentiam. 


30 v. 


3lr. 


APPENDICE III 283 


Quartum capitulum. Si vis memorari auctoritates ct quascum- 
que orationes simplices accipe pro qualibet obiectum principale 
eiusdem et illius memento in suo loco collocare praesuppositis 
his quae dicta sunt supra. Ratio autem huius est quoniam signum 
et signatum sunt corrclativa. Unde versus: 


Complexum si vis obicctum indicat illud. 


Quintum capitulum. Si vis memorari epistulas et quascum- 
que historias prolixas divide per suas partes principales ct rursus 
quamlibet per suas partes donec perveneris ad clausulam; quo 
facto age ut dictum est in capitulo praecedenti de orationibus 
simplicibus. Et ratio huius est quoniam divisio valet ad tria. 
Primum animum legentis excitat, secundo intelligentiam confir- 
mat, tertio memoriam artificiose corroborat. Unde versus: 


Ut plerique volunt tribus divisio valet / 
Animum legentis excitat mentem quoque probat 
Intelligentis memoriam roborat atque. 


Sextum capitulum. Si vis memorari argumenta et quascum- 
que orationes sillogisticas sufficit pro quolibet argumento habere 
memoriam medii et ratio est quoniam, ut dicit Aristoteles in 
primo priorum, medium est in virtute totus sillogismus. Sed quia 
difficile est medium invenire secundum doctrinam quam tradit 
Aristoteles in fine primi priorum, sciendum est quod medium 
in proposito nihil aliud est quam causa conclusionis, idest illud 
inferens in quo virtualiter consistit argumentum. Unde versus: 


Qui nescit causas nihil scit, quia nulla 
Res est nota satis, cuius origo latet. 


Septimum capitulum. Si vis memorari versus hoc potest fieri 
altero duorum modorum: primo accipiendo a quolibet versu 
sententiam meliori via in qua fieri potest et cum versus bis vel 
ter replicando; secundo accipiendo duas vel tres dictiones prin- 
cipales cuiuslibet versus et cum illis ipsum versum bis vel ter 
repetendo. Sic enim ars suppedit naturae et ratio huius est quo- 
niam versus ex sua natura valet ad tria. Unde versus: 


Metra iuvant animos, comprehendunt plurima paucis 
Pristina commemorant quae sunt tria grata legenti. 


Octavum capitulum. Si vis memorari dictiones ignotas hoc 
potest duobus modis fieri. Primo per viam similitudinis, acci- 
piendo videlicet pro qualibet dictione ignota dictionem nobs 
notam habentem aliquam similitudinem cum tali dictione ignota. 
Secundo fiat hoc per viam divisionis sillabarum, dividendo sci- 
licet dictionem ignotam per suas sillabas, et pro qualibet sillaba 
accipiendo dictionem tibi notam incipientem ab ca. Unde versus: 


Ignotum memorari si vis barbarum nomen 
Aut summas apparens per partes divide totum. 


284 


lv. 


32 r. 


32 v. 


CLAVIS UNIVERSALIS 


Ultimum capitulum. Pro cxpeditione completa huius artis facien- 
dum quod bcatus Thomas in secunda secundae, quaestione 49 
et capitulo primo. Ponit quatuor documenta quibus proficimur 
in bene memorando. Primus est ut eorum quae vult aliquis me- 
morari quasdam similitudines assumat convenientes nec tantum 
omnino consuetas, quia ca quae sunt inconsueta magis miramur 
et sic in eis animus magis et vehementius detinetur. Ex quo fit 
quod corum quae in pueritia vidimus / magis memoremur. Ideo 
autem magis necessaria est huiusmodi similitudinum vel imagi- 
num adinventio, quia intentiones simplices et spirituales facilius 
ex animo elabuntur nisi quibusdam similitudinibus corporalibus 
quasi alligentur, quia humana cognitio potentior est circa sensi- 
bilia. Unde hacc memorativa ponitur in parte sensitiva. Secundo 
oportet ut homo ca quac memoriter vult tenere sua considera- 
tione ordinate disponat ct cx uno memorato facile ad aliud pro- 
cedat. Unde dixit philosophus in libro de memoria a locis vi- 
detur reminisci aliquando, causa autem est quia velocitate ab 
uno ad aliud veniunt. Tertio oportet quod homo sollicitudinem 
apponat et affectum adhibeat ad ca quae vult memorari, quia 
quanto magis aliquid fuerit impressum animo co minus elabitur. 
Unde Tullius dixit in sua rhetorica quod sollicitudo conservat 
integras simulacrorum figuras. Quarto oportet quod ea frequen- 
ter meditermur quae volumus memorari. Undec philosophus dixit 
in libro de memoria quod meditationes servant / memoriam, 
quia, ut in codem libro dicitur, consuetudo est quasi natura. 
Unde quae multoties intelligimus cito reminiscimur quasi natu- 
rali quodam ordine ad uno ad aliud procedentes. Sed quia tota 
difficultas artis memorativac consistit in difficili et laboriosa io- 
corum acceptione et in illa laboriosa adinventione imaginum 
convenientium, in hac arte notanda sunt duo pro secretis huius 
artis. Primo est notandum pro facili et prompta locorum accep- 
tione quod tota perfectio huius artis ex parte locorum consistit 
in centum locis familiaribus quae pro certa loca habere poterimus 
duplici via. Primo accipiendo decem domus reales a nobis opti- 
me frequentatas in diversibus civitatibus vel in eadem, itaque 
in qualibet domo notentur decem loca distincta loco situ et figura 
ac in convenienti ordine et aliqua distantia. Secundo possunt ha- 
beri centum loca familiaria accipiendo viginti imagines divisa- 
rum rerum quac tamen sint ordinatae secundum ordinem lite- 
rarum alphabeti: ut pro A accipiamus arietem, pro B bovem, 
pro C canem, pro D dromedarium, pro E cquum, pro F folium, 
pro G griffonem, pro H hircum, pro I idolum, pro K Katerinam, 
pro L leonem, pro M monacum, pro N nucem, pro O / ovem, 
pro P pastorem, pro Q quiritem, pro R regem, pro S sapientem, 
pro T turrim, pro V vas olci vel vini. Ita tamen qued in qualibet 
istarum imaginum notentur quinque determinata signa quae 
facient quinque loca in qualibet, ct hoc quidem facillimum est 
ut patebit in pratica. Secundo est notandum cx parte imaginum 


APPENDICE III 285 


sive similitudinum quod permaxime perficit in memorando arti- 
ficiose servare imaginibus colligantiam. Talis autem colligantia 
dupliciter intelligitur. Primo ut quaclibet imago se exercitet ali- 
quo modo cum suo loco. Secundo ut una imago se exercitet 
cum alia: sic prima cum secunda, tertia cum quarta et sic de 
aliis. Et est diligenter advertendum in hac arte quod attestatur 
egregius Tullius in tertio Rhetoricorum videlicet quod artis huius 
preceptio est infirma nisi diligentia et exercitatio comprobetur. 
Unde versus: 


Doctrinae pater est usus doctrina scolaris 
Interscissa perit, continuata urget. 


Finis. 


APPENDICE IV. 


DOCUMENTI SULL'ATTIVITÀ 
DI PIETRO DA RAVENNA 


Al testo della sua Phoenix seu artificiosa memoria, Pietro 
da Ravenna premetteva, nella prima edizione a stampa del 
1491, alcune lettere di previlegio: del Comune di Pistoia (12 
settembre 1480); di Bonifacio marchese del Monferrato (24 
settembre 1488); di Eleonora d’Aragona duchessa di Ferrara 
(10 ottobre 1491). Oltre al testo della lettera di Eleonora, si 
riproducono qui i versi scritti da Egidio da Viterbo in onore 
del Ravenna e alcuni passi della prefazione che si riferiscono 
ad cpisodi della vita del Ravenna. Si è usata la copia della 
prima edizione a stampa contenuta, insieme ad altri tre incu- 
‘ naboli, nel Cod. marciano lat. 274 della classe VI, ai ff. 
82-97v. 


I 


82 r. Elconora de Aragona Ducissa Ferrariac etc. quod ab omnium 
bonorum datore immortali deo generi humano concessum est 
placrique in orbe terrarum a constitutione mundi usque ad hanc 
aetatem excellentes viri evasere, quos inter nunc adest spectatus 
miles auratus et insignis utroque iure consultus dominus Petrus 
Tomasius Ravennas harum literarum nostrarum exhibitor, qui, 
practer alias corporis et animi dotes, ita omni doctrinarum genere 
et tenacissima memoria refulget ut nedum superiorem, sed etiam 
in his parem minime habere videatur. Quod quidem nuper latissi- 
me re ipsa comprobavit non solum nos, sed etiam omnis haec civi- 
tas nostra testimonium perhibere potest. Qua ex re factum est ut 
cum singulari admiratione precipuaque charitate complexae inter 
nostros praeter alios familiarem et domesticum habere consti- 
tuerimus. Quamobrem serenissimos reges, illustres principes, ex- 
cellentes respublicas et alios quosqunque dominos patres fratres 
amicos benivolosque nostros precamur et oramus ex animo ut 
quotienscunque ei contigerit ipsum dominum Petrum / tam 

82 v. optime meritum cum suis famulis et equis usque ad numerum 
octo cum suis bulgiis forceriis et capsis cum pannis ct vestibus 
suis libris vasis argenteis et aliis cuibuscunque rebus suis ac 
armis per eorum urbes oppida vicos passus aquas et loca die noc- 
teque liberrime et expeditissime absque alicuius datii gabellae 
ct alius cuiuslibet oneris solutione amoris nostri et potissimum 
tam maximarum huius hominis virtutum causa transire permit- 


84 v. 


92 v. 


93 r. 


APPENDICE IV 287 


tant commendatissimumque ipsum semper habentes ci providere 
velint de liberrimo expeditissimoque transitu et idonca cohorte 
ut opus fucrit et ipse requisiverit. Quod quidem nobis iucundis- 
simum semper cerit atque gratissimum, paratissimis ad omnia 
corum qui sic in eo sc habuerint beneplacita. Mandamus autem 
omnibus et singulis magistratibus quoruncunque locorum nos- 
trorum ct potissimum custodibus passuum reliquisque subditis 
nostris ut praedicta omnia ct singula in terris et locis nostris in- 
violabiliter servent servarique faciant. Sub indignationis nostrae 
incursu et alia quavis graviori poena pro arbitrio nostro eis im- 
ponenda; ad quorum robur et fidem has nostras patentes litte- 
ras ficri iussimus et registrari ct nostri maiori sigilli munimine 
roborari. Datas Ferrariae in nostro ducali palatio anno nativitatis 
dominicae Millesimo quatringentesimo nonagesimo primo, indic- 
tione nona, die decimo mensis Octobris. Severius. 


Il 


Paduae Domino Petro memoriae magistro. 


Qui modo pyramides, quid iam Babylona canamus 
Quid Iovis et triviae templa superba deae 
Non magis immensum mirabimur amphitheatrum 

Nam summe facerent hoc quoque semper opes 
Scipio non ultra iactet quod fecerat usus 
Agmina qui proprio nomine tota vocat 
Petrum fama canat quam nobilis ille Ravennae est 
Gloria, qui plusque docta Minerva potest 
Quid magni facere dei mirabile dictu 
Nam retinet quicquid legerit ille semel 
Effatur triplici quaecunque orator in hora 
Protinus hic iterum nil minus ore refert 
Sic reor hunc genuit doctarum quinta sororum 
Cui pia musa nihil non meminisse dedit 


Frater Egidius Viterbiensis heremita. 


III. 


Bononiae, Papiae, Ferrariaeque legi et qui me audierunt mul- 
ta memoriter scire incoeperunt, et quamvis mea artificiosa me- 
moria aliorum auctoritatibus sit comprobata, peccare tamen non 
puto si acta mea in hoc libello legentur quae ipsam mirabiliter 
approbabunt. Dum essem iuris auditor, nec vigesimum vidissem 
annum, in universitate patavina dixi mc totum codicem iuris ci- 
vilis posse recitare; petii namque ut mihi leges aliquae ad arbi- 
trium astantium proponerentur, quibus propositis, summaria Bar- 
toli dicebam, aliqua verba textus recitabam, casum adducebam, 
tacta per doctores examinabam, lexque ista tot habet glosas dice- 
bam et super quibus verbis erant positae recordabar, / contraria 


288 


93 v. 


94 r. 


CLAVIS UNIVERSALIS 


allegabam et solvebam. Visum est astantibus vidisse miraculum; 
Alexander Imolensis diu obstupuit, nec fabulam narro: ego palam 
locutus sum in universitate Paduae ex qua in ore duorum vel 
trium stat omne verbum; testes huius rei tres habco: magnificum 
dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum senatorem venetum 
et iuris utriusque doctorem excellentissimum apud illustrissimum 
Mediolani ducem nunc legatum, clarissimum doctorem dominum 
Sigismundum de capitibus listae civem nobilem patavinum cuius 
predictus Franciscus fuit acutissimi ingenii iuris consultus, specta- 
bilem dominum Monaldinum de Monaldiniis Venetiis commoran- 
tem in quo virtus domicilium suum collocavit. 

Lectiones etiam Alexandri Imolensis Paduae legentis copiosis- 
simas memoria tencbam et illas ex verbo ad verbum in scriptis 
redigebam, illas etiam postquam finierat, astante magna audito- 
rum copia, a calce incipiens recitabam ex suisque lectionibus dum 
in scholis audirem carmina faciebam et omnes carum partes in 
carminibus positas statim replicabam; et qui hoc viderunt obstu- 
pucre: huius rei testes habeo clarissimum equitem et doctorem 
dominum Sigismundum de capitibus listae et filium Alexandri 
Imolensis qui nunc est iuris consultus celeberrimus. 

Centum et quatraginta quinque auctoritates religiosissimi fra- 
tris Michaelis de Mediolano Paduae praedicantis immortalitatem 
animae probantes, coram eo memoriter et prompte pronunciavi, 
qui me amplexus est dicens: vive diu, gemma singularis, utinam 
te religioni dicatum viderem. Testis est tota civitas patavina, sed 
magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum et do- 
minum Sigismundum de capitibus listae et dominum Monal- 
dinum de Monaldiniis testes habco. 

Petii ego doctor / creatus in universitate patavina, ut mihi 
in cathedra sedenti, aliquis de universitate auditor unum ex 
tribus voluminibus digestorum quid eligeret praesentaret locum- 
que in quo legere deberem designaret. Dixi enim supra rc pro- 
posita innumerabiles leges allegabo. Testes sunt clarissimus iuris 
utriusque doctor dominus Gaspar Orsatus Paduae iura canonica 
legens et doctissimus dominus Prosper Cremonensis Paduae com- 
morans [....]. 

Semel in schachis ludebam et alius taxillos iaciebat aliusque 
omnes iactus scribebat ct ex themate mihi proposito duas / cpis- 
tolas dictabam. Posquam finem ludo imposuimus omnes iactus 
schachorum cet taxillorum et epistolarum verba ab ultimis inci- 
piens repetii; hacc quatuor per me codem tempore collocata 
fuerunt. Testes sunt dominus Petrus de Montagnano et Fran- 
ciscus Nevolinus nobiles patavini cives. 

Dum cssem Placentiae monasterium monachorum nigrorum 
intravi ut illud viderem, in dormitorioque cius comitante mona- 
cho quodam bis deambulans monachorum nomina quae in ostiis 
cellarum erant collocavi; deinde congregatis eis nomine proprio 
quemlibet salutavi, licet quem nominabam digito demonstrare 


9% v. 


95 r. 


APPENDICE IV 289 


non potuissem. Mirabantur monachi quo pacto ego peregrinus 
nomina eorum memoriter proferrem, ipsis mirari non desinenti- 
bus, dixi tandem: hoc potuit mea artificiosa memoria, quorum 
unus dixit ergo hoc Petrus Ravennas facere potuit et non alius. 

In capitulo generali canonicorum regularium Paduac, prac- 
dicationem domini Deodati Vincentini co ordine quo ipsam 
pronunciaverat recitavi astante ipsius praedicationis auctore. Sc- 
mel me traxit ad sui contemplationem Cassandra, fidelis veneta 
virgo excellentissima, quae dum legeret litteras  serenissimae 
coniugis regis Ferdinandi ad se missas, illas collocavi et recitavi; 
testis est illa doctissima virgo, dominus Paulus Raimusius doctor 
excellens ariminensis et Angelus Salernitanus vir clarus [....]. 

De mea artificiosa memoria testis est illustrissimus marchio 
Bonifacius et eius pulcherrima uxor quae me egregio munere 
donavi; testis est illustrissimus Hercules dux et illustrissima uxor 
Eleonora; testis est tota Ferraria duas enim pracedicationes cele- 
berrimi verbi dei pracconis magistri mariani heremitae recitavi, 
quo audito obstupuit dictus magister et dixit: illustrissima du- 
cissa hoc est divinum et miraculosum opus; testis est universitas 
patavina: omnes enim lectiones mceas iuris canonici sine libro 
quotidie lego ac si librum ante oculos haberem, textum et glosas 
memoriter pronuncio ut nec etiam minimam syllabam omittere 
videar. In locis autem meis quae collocaverim hic scribere statui 
et quae locis tradidi perpetuo teneo, in decem et novem litteris 
alphabeti vigintimilia allegationum iuris utriusque posui et 
codem ordine sacrorum librorum septem milia, mille Ovidii 
carmina quae ab co sapienter dicta continent, ducentas Ciceronis 
auctoritates, trecenta philosophorum dicta, magnam Valeri Ma- 
ximi partem, naturas fere omnium animalium bipedum et qua- 
drupedum quorum auctoritatum singula verba collocavi, et 
quando vires arti / ficiosae memoriae experiri cupio, peto ut 
mihi una ex litteris illis alphabeti proponantur, super qua pro- 
posita allegationes profero, et ut clare intelligas, exemplum ha- 
bes: proposita est mihi nunc littera A in magno doctorum vi- 
rorum conventu, et statim a iure principium faciens, mille alle- 
gationes et plures proferam de alimentis, de alienatione, de ab- 
sentia, de arbitris, de appellationibus et de similibus quac iure 
nostro habentur incipientibus a dicta littera A; deinde in sacra 
scriptura de Antichristo, de adulatione et multas allegationes 
sacrae scripturae ab illa littera incipientes pronunciabo, carmina 
Ovidii, auctoritates Ciceronis et Valerii non omittam, de asino 
de aquila de agno de ‘accipitre de apro de ariete auctoritates 
allegabo, et quaecumque dixero ab ultimis incipiens velociter 
repetam [. 


APPENDICE V. 


TRE MSS. DI ARS MEMORATIVA 
DEL TARDO SEC. XVI. 


Una posizione come quella del Rosselli, che pure si muove 
nell’ambito della tradizione “ciceroniana” e non ha contatti 
con il lullismo, appare per molti aspetti assai vicina a quella 
che verrà poi assunta da Bruno. Non mancarono tuttavia, an- 
che sul finire del secolo, trattazioni di ars memorativa con- 
dotte secondo i canoni più tradizionali della mnemotecnica 
“classica”. Più che altro per amore di completezza, si dà qui 
conto di tre testi manoscritti che risentono fortemente di que- 
ste impostazioni tradizionali. Nel primo di questi testi, con- 
servato nel ms. Palatino 885 della Nazionale di Firenze (Cod. 
cart. miscell. sec. XIV, XV, XVI di carte 466. Ai ff. 289r.- 
313v. è un anonimo trattato di mnemotecnica: /Inc.: Queritur 
primo, quare, antequam hanc, artificialem memoriam non in 
aperto tradiderunt. Expl.: Vox continua est de quantitate con- 
tinua. Grafia del sec. XVI) ritorna, secondo gli schemi ormai 
ben noti, la trattazione dei luoghi e delle immagini. Nel se- 
condo, l’ashburnhamiano 1226 della Laurenziana (Cod. cart. 
in folio di carte 71, fine del sec. XVI) riscontriamo quel feno- 
meno, che abbiamo visto tipico, di una trasformazione dei trat- 
tati di retorica in una ordinata e sistematica classificazione di 
nozioni. L'arte della memoria non è qui fatta oggetto di spe- 
cifica trattazione; gli intenti mnemonici risultano chiari dalla 
disposizione della materia, ordinata in tavole. Si veda per cs. 
al fol, l1v.: «La Rhetorica è un’arte di trovare ciò che in ogni 
cosa sia acconcio a persuadere. Le fedi con le quali si per- 
suade sono: Dell’arte cotai sono: nella vita e nei costumi del- 
l’Oratore, in mover l’animo del giudice, nell’oratione quando 
si prova o par che si prova alcuna cosa. Questa maniera di 
fede si prova e si tratta dall’Oratore. Fuori dell’arte cotai sono : 
leggi, patti, testimoni, tormenti, giuri. Quest’altra maniera di 
fede si tratta solamente dall’Oratore ». Del terzo manoscritto 
(II, 1, 13, già Magliab. della Nazionale di Firenze, Cod. cart. 
in folio grande di carte 48) già segnalato dalla Yates, si cono- 
scono invece sia l’autore, sia il luogo e la data di composizione. 


APPENDICE V 291 


Scritto da frate Agostino Riccio nel Convento di Santa Maria 
Novella nel 1595, il trattato si rivolge « alla gioventù fioren- 
tina studiosa di lettere ». La Yates (The Ciceronian Art of 
Memory, in Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di B. 
Nardi, Firenze 1955, p. 899) ha visto in questo scritto « qual- 
cosa di meno astratto che i trattati del Romberch e del Ros- 
selli ». In realtà l’operetta del Riccio appare in tutto con- 
venzionale, ultima eco di una tradizione che si andava ormai 
spegnendo. Tuttavia, anche in questo testo, non manca un 
elemento di novità rispetto alle fonti classiche. Allo scopo di 
imprimere meglio nella mente del lettore le regole dell’arte 
della memoria, vengono qui impiegati immagini e simboli: 
in altri termini, per esprimere i precetti che insegnano a « col- 
locare » le immagini, ci si serve di altre, più complesse imma- 
gini. Dello stesso accorgimento già aveva fatto uso il Bruno 
nella Explicatio triginta sigillorum del 1583. 


Ir. Essendo la memoria madre delle scienze poi che quello che vera- 
mente si sa che si ritiene nella memoria impresso, utilissima è 
l’arte che rende perfetta questa natural potenza. Di essa da 
molti sono stati scritti vari libri, ma non però ho stimato ch’a 
me sia negato il formare questo trattato nel quale sotto la simi- 
litudine d’un potentissimo Re ch’appresso di sé ha due consi- 
glieri e tre valorosi capitani et un servo che provede ciò che 
fa di bisogno, brevemente e chiaramente ho ridotto in sette 
precetti la somma di quest'arte et a voi la dono. 


7r. / Seconda regola o Primo consiglier o luoghi, son nominati 
da me, ché tutti questi tre nomi significano una cosa medesima 
come si dichiara per la figura dipinta a uso d’huomo consigliere 
del Re, ché detto consigliere tiene una mano sopra a un map- 
pamondo dipinto nel quale si vede città, terre, castelli, case, 
botteghe, così anco chiese, palazzi, vie, piazze, conventi di reli- 
giosi e a molte altre cose [....] / 


17 v. Però io ho fatto molti Alfabeti diversi acciò che tu gli legga 
e vi facci pratica, un Alfabeto è di fiumi laghi e pesci, un di 
pietre preziose e tutte l'altre pietre insieme, un d’'erbe c piante 
piccole, un di fiori, un d’alberi e frutti grandi, un d’animali 
grandi e piccoli... un di città, un di casati fiorentini, un d'arti 
meccaniche e liberali o exercitii o servitù che si faccino per 
guadagnare, un d'huomini honorati [....]. 


APPENDICE VI. 


IL PETRARCA MAESTRO DI ARTE 
DELLA MEMORIA 


In un saggio più volte citato nel corso di questo libro (The 
ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, 
Studi in onore di B. Nardi, Firenze, 1956, pp. 889-894) la 
Yates ha segnalato una serie di testi di ars memorativa nei 
quali compaiono espliciti richiami al Petrarca. Nel Congesto- 
rium artificiose memorie, pubblicato a Venezia nel 1520, Johan- 
nes Romberch si richiama più volte al Petrarca attribuendogli 
anche la paternità di non poche affermazioni di carattere “tec- 
nico” sui /oci e sulle imagines (pp. 20r., 28r., 29r.); nella 
Plutosofia di Filippo Maria Gesualdo (Padova, 1592, p. 14r.) 
il Romberch viene addirittura qualificato un seguace della mne- 
motecnica del Petrarca; nella Prazza universale (Venezia, 1578, 
Disc. LX) Tommaso Garzoni include il Petrarca fra i più 
noti cultori di mnemotecnica; Lambert Schenkel nel Gazophy- 
lacium artis memoriae (Argentorati, 1610, pp. 26-28), dopo aver 
riportato un lungo passo dei Rerum memorandarum libri 
(ediz. di Basilea, 1581, I, p. 408; ediz. G. Billanovich, Firenze, 
1943, pp. 46, 48), fermi che l’arte mnemonica fu dal Pe- 
trarca «avide susceptam et diligenter excultam » (Gazophy- 
lacium, cit., p. 28). 

Gli sparsi accenni alla memoria, alla memoria artificiale, 
agli illustri esempi di prodigiosa memoria presenti nell’opera 
del Petrarca sono stati elencati, con la precisione che le è 
consueta, dalla Yates: nessuna specifica regola di mnemotec- 
nica, né alcuna esaltazione o raccomandazione dell’ars memo- 
riae — della cui divulgazione il Petrarca era tuttavia a cono- 
scenza («Itaque minus miror tantis nature preditum mune- 
ribus artificiosam memoriam contempsisse, que tum primum 
in Grecia reperta, apud nos hodie vulgata est », Rerum mem. 
libri, ediz. Billanovich, p. 46) — è presente nell'opera dell’au- 
tore del Canzoniere. La tradizione che vede nel Petrarca un 
“classico” della letteratura sulla memoria non nasce tuttavia 
dal semplice desiderio — così diffuso negli autori di questi 
trattati — di invocare sempre nuove “autorità”. Essa ha ori- 


APPENDICE VI 293 


gini precise: « I think one can see how the tradition about 
Petrarch as an advocate of the classical mnemonic arose. Eve- 
ryone knew that the great scholastics in treating memory as 
a part of prudence had recommended the artificial memory. 
It was therefore supposed that when Petrarch treated memory 
as a part of prudence by giving amongst his exempla the me- 
mories of great classical rhetors in which he made allusions 
to the classical mnemonic, he thereby meant — though in his 
own ’humanist’ way — to recommend it. And it was pro- 
bably further supposed that in the description of the memory 
of his friend he was describing the feats of a modern ’ artift- 
cial memory” based on the practice of the ancients. This was 
certainly the assumption made by Lambert Schenkel, in the 
passage referred above » (p. 893). 

Con le conclusioni della Yates sembra difficile non concor- 
dare, anche se l’unico passo del quale disponiamo per renderci 
conto delle origini di questa curiosa tradizione, contiene affer- 
mazioni che solo parzialmente confortano le affermazioni ora 
citate: «Qui autem aequus rerum aestimator, considerans 
quae ex Francisco Petrarcha hic citata sunt, nempe artificio- 
sam memoriam sua aetate vulgatam fuisse, militem illum ami- 
cum ab adolescentia multorum itinerum individuum comitem 
ipsi fuisse, saepe totos dies et noctes colloquiis traductos, alias- 
que circumstantias, ac maximam occasionem consequendae 
huius artis, vel ab ipso, qui eam tali amico, viro tam docto, 
negare non putuisset, vel ab aliis, iudicet illam ab ipso esse 
neglectam; praesertim cum memoriae illius excellentia, com- 
muni omnium fama, celebretur et a scriptoribus in numerum 
illorum relatus sit qui admirabili memoria insignes fuerunt, 
ac scripta facile testentur quantus ille orator, quantus poeta 
latinus, quodque italorum poetarum princeps habeatur, unde 
recte colligitur artem memoriae avide ab illo fuisse susceptam 
et diligenter excultam, atque maximo sibi in studiis omnibus 
adiumento et ornamento fuisse ». (Gazophylacium, cit., p. 28). 

Comunque stiano le cose, è certo che la tradizione del Pe- 
trarca maestro e teorico della memoria artificiale si estende 
molto al di là dei limiti cronologici indicati dalla Yates (« the 
tradition of associating Petrarch with mnemonics goes on even 
into the early seventeenth century », p. 890). Negli scritti di 
Jean Belot pubblicati nel 1654 e in seguito riediti nel 1669, 


294 CLAVIS UNIVERSALIS 


1688, 1704, il nome del Petrarca compare accanto a quelli di 
Pietro da Ravenna e di Giordano Bruno (Les oeuvres de 
M. Jean Belot contenant la chiromance, physionomie, l'art de 
memoire de Raymond Lulle, Lyon, 1654, p. 334). Nella lunga 
nota integrativa apposta dal Diodati alla voce Mémotre del- 
l’Enciclopedia di Diderot (Ediz. di Lucca, 1767, p. 263) ritro- 
viamo in pieno Settecento, accanto a quelli di Pietro da Ra- 
venna, di Jacopo Publicio, del Romberch, di Cosma Rosselli, 
il nome di Francesco Petrarca. 


APPENDICE VII. 


UNO SCRITTO INEDITO 
DI GIULIO CAMILLO 


Di carattere teologico e cabalistico è uno scritto inedito del 
Camillo sul quale ha di recente richiamato l’attenzione E. 
Garin (« Giornale crit. della filosofia italiana », 1959, 1, p. 159). 
Cfr. E. MANDARINI, / codici manoscritti della Biblioteca Orato- 
riana di Napoli, Napoli, 1897, p. 122 e il Ms. Pil. XV, n. ll, in 
4°, sec. XVI, di cc. 55 non numerate. Lo scritto del Camillo 
inizia con un proemio caratteristico nel quale fra l’altro si af- 
ferma: « Et perché né più degno soggetto, né più alto si tratta 
del Sommo Dio, contenendo la presente Opera l’interpretazione 
dell’Arca del Patto, per la quale si ha la vera Intelligenza delli 
tre Mundi, cioè Sopra Celeste, Celeste et Inferiore, onde ne 
risorge la vera Cognitione Theologica, over Divina che dir 
vogliamo, qui è esponuto il Senario Canone Pitagorico et sfor- 
bito dal Ternario, cioè Artifex, Exemplar, Hyle. Qui è dichia- 
rato cos'è Materia, Forma et Privatione. Qui più luoghi delle 
Sacre pagine enodati et de oscuri fatti chiari. Qui vedrai ac- 
cordata la Pitagorica, et Platonica disciplina, con la philoso- 
phia et theologia nostra ». Di questo stesso testo del Camillo 
ho trovato un altro esemplare nel Ms. Aldino 59 della Bibl. 
Univ. di Pavia (Ms. cart. del sec. XVI, di cc. scritte e nume- 
rate 95, legatura in cartone, mm. 185 * 147). Anche qui, come 
nell’esemplare napoletano, segue un trattato De Transmuta- 
tone. Si veda a fol. 40r.: « Tre esser le une transmutationi, 
cioè: la Divina, quella delle Parole, et quella ch'è pertinente 
alli Metalli. Et tutte tre fra loro haver una maravigliosa corri- 
spondenza ». Al fol. 46r. sono ricordati Agrippa e Giovanni 
da Rupescissa. Le cc. 51r. segg. contengono una trascrizione 
dall’edizione veneta del 1548 della Porta della luce santa. 


APPENDICE VIII. 


ESERCIZI DI MEMORIA 
NELLA GERMANIA DEL SEC. XVII 


Com'è noto, i testi mnemotecnici di Pietro da Ravenna 
prima, e di Giordano Bruno poi, ebbero grande risonanza 
negli ambienti della cultura tedesca. Il brano qui di seguito 
trascritto costituisce un singolare documento dell’interesse, prc- 
sente anche in ambienti accademici dei primi anni del secolo 
XVII, per quegli esercizi di memoria che avevano avuto gran 
voga durante il Cinquecento, soprattutto in Italia e in Ger- 
mania. A questi divertimenti (recitare per esempio indiffe- 
rentemente dal principio alla fine o dalla fine al principio una 
filza di qualche centinaio di termini o di espressioni inusitate) 
si dedicavano del resto anche non pochi fra i maggiori emble- 
matisti del Seicento. Come ha ricordato M. Praz (Studi sul 
concettismo, Firenze, 1946, p. 233) il gesuita padre Menestrier, 
celebratissimo autore di un centinaio di opere di emblematica, 
faceva mostra della sua prodigiosa memoria davanti a Cristina 
di Svezia servendosi di esercizi di questo tipo. Il testo che 
segue è tratto da Joannes Paepp, Schenkelius detectus seu me- 
moria artificialis hactenus occultata, Lugduni, 1617, pp. 30 - 39 
(copia usata: Trivulziana, Mor. M. 17). Negli scritti del Paepp 
(cfr. anche Artficiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, Ci- 
cerone, Thoma Aquinate ecc., Lugduni, 1619, e Introductio 
facilis in praxin artificiosae memoriae, Lugduni, 1619) è parti- 
colarmente interessante il tentativo di fondere insieme le figure 
della combinatoria lulliana e quelle in uso nella mnemotecnica 
“ciceroniana”. Il Goclenius, nominato nel testo, è personag- 
gio assai noto. Si vedano su di esso: Morhof, Polyhistor lite- 
rarius philosophicus et practicus, Lubecca, 1732, II, p. 455 e 
L. Thorndike, History of Magic and Experimental Science, 
New York, 1951, V, p. 326; VI, pp. 137, 368, 485, 506. 


Die XXIX Sept., styli veteris anni, MDCII, hora octava matutina 
convenerunt ad aedes celeberrimi ac magni illius philosophi et profes- 
soris D. Rudol. Goclenii, clariss. vir ac D. Henricus Ellenbergerus 
praeclarus medicinae doctor et professor, D. Mathias à Sichten Dan- 
tiscanus Borossus, ct M. Christophorus Bauneman Maior stipendiaro- 


APPENDICE VIII 297 


rum. Petitque Schenkelius a D. Goclenio er D. Ellenbergero dictari 
XXV sententias, quas ipsc calamo excepit, pracposita cuique nota arith- 
metica, deinde intro vocavit ingenuum ac doctum adolescentem Dn. 
lustum Ingmannum, Cassellanum Hessum iuris ac philosophiae studio- 
sum cui cae omnes ordine prelectae sunt a Schenkelio, singulae bis 
interiecto aliquantulo more, omnibusque dictis tacitus aliquantisper 
sedit. Deinde exorsus loqui a prima ad ultimam ordine recto et retro- 
grado ab hac ad illam sine mora, haesitatione aut errore recitavit. Cum 
vero bis terve evenisset ut dictionem unam alteri pracponeret, ac bis ut 
synonymum pro synonymo in quibus facillimus est lapsus ita pro sic, 
limites pro fines, unico hoc verbo admonitus, dic ordine dixine ita? 
synonymum ponis: statim et eadem substituit vocabula et suo ordine. 
Postremo intercalari ordine quolibet expresso numero statim sententiam, 
aut dicto primo cuiuslibet sententiae vocabulo confestim numerum indi- 
cavit. Tum rogavit Dn. Iungmannum Schenkelius an vellet aliquas 
praeterea sententias adiici. Alacri animo XXV alias addi optavit. Verum 
Schenkelio respondente nimis multas fore, quindecim pettit; quas arti 
applicatas eadem dexteritate promptitudine qua superiores quolibet or- 
dine et separatim et cum aliis coniunctim intercalari repetiit. Fuerunt 
autem sententiae sequentes: 


1. Omnia sunt fucata, nihil candoris in aula est. 
2. Animus philosophi debet esse in sagina, corpus in macie. 


3. Ut planctae saepius translatae raro perveniunt ad frugem, sic et 
ingenia vagabunda [....]. 


39. Timiditas ignorantiam audacia temeritatem arguit. 


40. Iuvandi non oppugnandi sunt qui nobis iecere fundamenta sa- 
pientiae. 


Si inter alias a Dominis aliquae dicerentur sententiae paulo tritiores 
quas coniiciebat D. Iungmannum antea memoriter scire, id sincere Do- 
minis indicavit Schenkelius aliasque illarum loco accepit. Si quoque 
aliquae iusto breviores videbantur petivit addi aliquid. Ut factum in 
XXIII et XXIV. Sequenti die XXX Septembris denuo convenerunt su- 
pra nominati domini ad acdes D. Mathaei Schrodij pharmacopolae 
hora nona et ab cisdem dictata sunt quinquaginta vocabula a Schenc- 
kelio excepta; et intro vocato Dn. Iungmanno singula semel praelecta, 
relicto ipsi paululum morae ad cogitandum et applicandum arti, deinde 
a primo ad ultimum ordine recto ab hoc ad illud retrogrado, postea 
intercalari quocunque numero dicto subiecit vocabulum, et contra no- 
minato quolibet vocabulo numerum sine mora, haesitatione vel errore. 
Interrogavit Schenckelius an placeret dominis plura dare. Videlicet: 
numerum illum duplicatum? Quod desiderabat quidem Dn. Iungman- 
nus, sed responderunt sufficere, nec se dubitare quin possit multo plura 
codem modo recitare. Postea Schenckelio conquestus est Dn. Iungman- 
nus dolere se quod non ad quinquaginta sententias et centum vocabula 
esset processum, haud dubie se optime repetiturum fuisse; fuerunt au- 
tem sequentia: 


298 CLAVIS UNIVERSALIS 


I. Gobius, 2. Peristroma, 3. Ficedula, 4. Ephipium, 5. Phalerae, 6. 
Canabis [....], 49. Mantica, 50. Locaria. 


Rursus oblatis a Schenckelio Dominis ducentis sententiis in quibus 
sc exercuerat, Dn. Iungmannus dum specimini se praepararet, et quas 
iam memoria tenebat; una cum quadraginta heri pro specimine dicti- 
tatis, quibus pracpositac crant notae arithmeticae. Rogavit ut expri- 
merent quemlibet numerum et Dn. Iungmannus statim corresponden- 
tem diceret sententiam quod factum est feliciter, non sine praesentium 
admiratione. Cum praesertim magno id fieret numeri intervallo. E. g. 
dic 235, dic 27, dic 9, dic 240, dic 228... etc. Postremo Dominis sunt 
oblata 250 vocabula scripta in quibus partim se privatim ad specimen 
praepararat, partim cum Schenckelio cexercuerat ita ut illa quoque 
memoria tencret; quibus iam cadem hora erant apposita 50 alia, ut 
cum prioribus trecenta efficerent; et petivit Schenckelius ut Domini 
quem vellent numerum proferrent. Quod ita ut modo dictum est de 
sententiis fecerunt et statim Dn. Iungmannus vocabulum quodque red- 
didit. Si semel aut bis non diceret ipsam sententiam aut vocabulum 
servato prorsus ordine vocum, monitus rem acu non esse tactam, veram 
aut sententiam aut vocabulum illico restituit. Dic subsequenti primo 
Octobris interfuit Dn. Iungmannus concioni publicae R. D. Doc- 
toris Winckelmanni Concionatoris ac Professoris celcberrimi quam 
etiam valde attente audiverunt, ut certius de specimine iudicare pos- 
sent Eximius Med. Doctor et Professor Ellenbergerus et D. ac M. Chris- 
tophorus Baunemmannus, qui una cum Schenckelio concione absoluta 
iverunt recta ad aedes pracclariss. D. Goclenii, ut coram ipsis cam 
repcteret, quod fecit ita prompte ct exacte ut nihil ex tota concione 
esset practermissum. 

Haec omnia ita ut supra fideliter relata sunt se habere testamur 
cum ea nobis praesentibus, videntibus sententias et vocabula dictanti- 
bus, gesta sint et probata, omni fraude et dolo seclusis. In quorum 
fidem hoc veritati non minus quam equitati debitum testimonium 
nominibus nostris subscriptis siglillisgue munitum libenter Schenckelio 
vel non roganti dedimus. Marpurgi Hassorum anno, mense, die supra- 
positis. 

Rod. Goclenius L. Professor 
Henricus Ellenbergerus Med. Doctor et Professor 
Mathias à Sichten Dantiscanus Borossus 


Cristophorus Bauneman Maior stipend. 


APPENDICE IX. 


LA VOCE ART MNEMONIQUE 
NELL’ENCICLOPEDIA DI DIDEROT 


Commentando la voce Mémoire della grande Enciclopedia, 
il Diodati rimpiangeva che l’autore della dotta dissertazione 
non avesse fatto seguire alla trattazione della memoria natu- 
rale una esposizione, altrettanto ampia e precisa, delle regole 
della memoria artificiale (Ediz. di Lucca, 1767, X, pp. 263-64). 
Per rimediare a questa lacuna il Diodati ripeteva alcuni dei 
più tradizionali concetti della mnemotecnica di origine “cice- 
roniana”; aggiornava l’elenco degli uomini dotati di prodi- 
giosa memoria aggiungendo ai nomi di Plinio, di Aulo Gel- 
lio, di Cinea, di Ciro, di Seneca e di Pico, quello del Maglia- 
bechi; si richiamava ai nomi dei maggiori trattatisti; elencava 
infine alcune regole di medicina della memoria e i principali 
precetti dell’arte della memoria locale. 

La lacuna che aveva scandalizzato il buon Diodati, non 
esiste affatto nell’ Enciclopedia. Nel primo volume dell’opera 
(che lo stesso Diodati aveva annotato e pubblicato nove anni 
prima) un’intera sezione della lunga voce Art appare dedicata 
alla trattazione dell'Art mnémonique. Del testo, che è opera 
dell’Yvon (sulla cui figura e posizione intellettuale cfr. F. VEx- 
tuRI, Le origini dell’ Enciclopedia, Roma-Firenze, 1946, pp. 
40-48) si trascrivono qui di seguito le parti essenziali. Nella 
identificazione dell’arte mnemonica con la logica, nell’appello 
alla chiarezza e alla distinzione, nell’idea di un ordinamento 
delle idee in una catena di premesse e di conseguenze, infine 
nel deciso rifiuto di ogni forma di “memoria artificiale” tradi. 
zionalmente intesa sono evidenti le influenze delle posizioni 
cartesiane. Le due opere alle quali l’autore fa riferimento sono: 
Marius D’Assicny, The Art of Memory, London, 1697 e Wix- 
KELMANN (che è pseudonimo di Stanislaus Mink von Venus- 
sheim), Logica mnemonica sive memorativa, Halae Saxo- 
num, 1659. 


On appelle ar: mnemonique la science des moyens qui peuvent 
servir pour perfectionner la mémoire. On admet ordinairement quatre 
de ces sortes de moyen: car on peut y employer ou des remedes physi- 


300 CLAVIS UNIVERSALIS 


ques, que l’on croit propres à fortifier la masse du cerveau; ou de 
certaines figures et schématismes, qui font qu’une chose se grave mieux 
dans la mémoire; ou des mots techniques, qui rappellent facilement 
ce qu’on a appris; ou enfin un certain arrangement logique des idées, 
en les plagant chacune de facon qu’elles se suivent dans un ordre 
naturel. Pour ce qui regarde les remedes physiques, il est indubitable 
qu’un régime de vie bien observé peut contribuer beaucoup à la con- 
servation de la mémoire, de méme que les excès dan le vin, dans la 
nourriture, dans les plaisirs, l’affoiblissent. Mais il n'est pas de méme 
des autres remedes que certains auteurs ont reccomandés... qu'on peut 
voir dans l'art mmnemonique de Marius d’Assigny, auteur anglois... 
D’autres ont eu recours aux schématismes. On sait que nous retenons 
une chose plus facilement quand elle fait sur notre esprit, par les 
moyens des sens cxtérieurs, une impression vive. C'est par cette raison 
qu'on a tiché de soulager la mémoire dans ses fonctions, en réprésen- 
tant les idées sous de certaines figures qui les expriment en quelque 
facon. C'est de cette manière qu'on apprend aux enfans, non seule- 
ment à connoître les lettres, mais encore à se rendre familiers les 
principaux évenemens de l’histoire sainte et profane. Il y a méme 
des auteurs qui, par une prédilection singuliere pour les figures, ont 
appliqué ces schématismes à des sciences philosophiques. 

C'est ainsi qu'un certain Allemand, nommé Winckelmann, a donné 
toute la logique d'Aristote en figures... Voici aussi comme il définit 
la Logique. Aristote est représenté assis, dans une profonde méditation : 
ce qui doit signifier que la Logique est un talent de l’esprit et non 
pas du corps; dans la main droite il tient un clé: c’est-a-dire que la 
Logique n'est pas une science, mais un clé pour les sciences; dans la 
main gauche il tient un marteau: cela veut dire que la Logique est 
une habitude instrumentale; et enfin devant lui est un étau sur lequel 
se trouve un morceau d'or fin et un morceau d'or faux pour indiquer 
que la fin de la Logique est de distinguer le vrai d’avec le faux. 

Puisqu'il est certain que notre immagination est d’un grand secours 
pour la mémoire, on ne peut pas absolument rejetter la méthode des 
schématismes, pourvà que les images n’ayent rien d'extravagant ni de 
puérile, et qu'on les applique pas à des choses qui n’en sont point du 
tout susceptibles. Mais c’est en cela qu'on à manqué en plusieurs 
fagons: car les uns ont voulu désigner par des figures toutes sortes 
de choses morales et métaphysiques; ce qui est absurde, parce que ces 
choses ont besoin de tant d’esplications, que le travail de la mémoire 
en est doublé. Les autres ont donné des images si absurdes et si ridi- 
cules, que loin de rendre la science agréable, elles l’ont rendu dégot- 
tante. Les personnes qui commencent à se servir de leur raison, doivent 
s'abstenir de cette méthode, et tàcher d’aider la mémoire par le moyen 
du jugement. 

Il faut dire la méme chose de la mémoire que l'on appelle teckni- 
que. Quelques-uns ont proposé de s’immaginer une maison ou bien 
une ville, et de s'y représenter différens endroits dans lequels on pla- 
ceroit les choses ou les idées qu'on voudroit se rappeller. D'autres, au 


APPENDICE IX 301 


lieu d'une maison ou d’une ville, ont choisi certains animaux dont les 
lettres initiales font un alphabet latin. Ils partagent chaque membre 
de chacune de ces bétes en cinq parties, sur lesquelles ils affichent des 
idées; ce qui leur fournit 150 places bien marquées, pour autant d'idées 
qu’ils s'y imaginent affichées. Il y en a d’autres qui ont eu recours è 
certains mots, vers, et autres choses semblables: par exemple pour re- 
tenir les mots d’Alexandre, Romulus, Mercure, Orphée, ils prennent 
les lettres initiales qui forment le mot armo; mot qui doit leur servir 
à se rappeller les quatre autres. Tout ce que nous pouvons dire là-des- 
sous c'est que tous ces mots et ces verbes techniques paroissent plus 
difficiles à retenir que les choses mémes dont ils doivent faciliter 
l'étude. 

Les moyens les plus sùrs pour perfectionner la mémoire, sont ceux 
que nous fournit la Logique; plus l’idée que nous avons d'une chose 
est claire et distincte, plus nous aurons de facilité à la retenir et à la 
rappeller quand nous en aurons besoin. S'il y a plusieurs idées, on 
les arrange dans leur ordre naturel de sorte que l’idéc principale soit 
suvie des idées accessoires, comme d’autant de consequences; avec cela 
on peut pratiquer certains artifices qui ne sont pas sans utilité: par 
exemple, si l’on compose quelque chose, pour l’apprendre ensuite par 
coeur, on doit avoir soin d’écrire distinctement, de marquer les différen- 
tes parties par de certaines séparations, de se servir des lettres initiales 
au commencement d’un sens; c'est ce qu'on appelle la mémotre locale... 

Les anciens Grecs et Romains parlent en plusieurs endroits de 
l'art mnemonique Cicéron dit, dans le Liv. II de Orat. c. LXXXVI 
que Simonide l’a inventé. Ce philosophe étant en Thessalie, fut invité 
par un nommé Scopas; lors qu'il fut à table, deux jeunes gens le firent 
appeller pour lui parler dans la cour. A_peine Simonide fut-il sorti, que 
la chambre où les autres étoient restés, tomba et les écrasa tous. Lors- 
qu’on voulut les enterrer, on ne put les reconnoître, tant ils étoient 
défigurés. Alors Simonide, se rappellant la place où chacun avoit été 
assis, les nomma l’un après l’autre; ce qui fit connoître, dit Cicéron, que 
l'ordre étoit la principale chose pour aider la mémoire. 


APPENDICE X. 


D’ALEMBERT E I CARATTERI REALI 


La voce Caractère della grande Enciclopedia (i caratteri 
tipografici vengono trattati dal Diderot in un'ampia voce Ca- 
ractères d'imprimerie) risulta dalla collaborazione di vari au- 
tori. Dopo alcune brevissime definizioni dell’ Eidous che di- 
stingue fra suoni e segni o figure e fa risalire l’origine dei carat- 
teri ai primi rozzi disegni tracciati sui corpi materiali, d’Alem- 
bert tratta brevemente della scrittura in generale cinviando: 
per una trattazione più analitica, alle voci Langue e Alphabet. 
Ai caratteri egiziani accenna in poche righe, rimandando alle 
voci Hiéroglyphe ec Symbole, il celebre grammatico Du Mar- 
sais. Seguono nell’ordine: una colonna c mezzo di d’Alem- 
bert dedicata ai caratteri reali e al problema della lingua uni- 
versale; una descrizione dei caratteri dei vari alfabeti e dei 
segni impiegati in geometria e trigonometria di La Chapelle; 
una breve voce sui Caractères dont on fait usage dans l' arith- 
metique des infinis ancora di d’Alembert; infine una colonna 
circa del Venel sui Caractères de la Chimie. 

Si vuol qui richiamare l’attenzione sul secondo dei tre 
“pezzi” scritti dal d’Alembert. In questo testo troviamo pre- 
sente la contrapposizione baconiana dei “caratteri reali” (che 
esprimono non suoni o lettere, ma cose) ai “caratteri nomi- 
nali” (o normali lettere alfabetiche); vediamo ripreso il paral- 
lelo, presente nel De augmentis di Bacone e nell’ Essay di 
Wilkins, tra gli ideogrammi cinesi e i caratteri reali che pos- 
sono essere letti e compresi indipendentemente dalla lingua 
che effettivamente si parla; vediamo brevemente esposti i risul- 
tati cui erano giunti lo stesso Wilkins, George Dalgarno e 
Francis Lodowick; le riflessioni di Leibniz sulla caratteristica 
e sulla lingua universale (di questi interessi non fa cenno la 
voce Lerbnittanisme ou philosophie de Leibniz) vengono infine 
poste in un rapporto di diretta derivazione con le dottrine dei 
due autori inglesi. 

Le opere del Dalgarno, dello Wilkins, del Lodowick alle 
quali d’Alembert fa riferimento nel testo sono nell’ordine: 
Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philoso- 


APPENDICE X 303 


phica, Londra, 1661; Essay towards a real character and a phi- 
losophical language, Londra, 1668; The grundwork or foun- 
dation laid (or so intended) for the framing of a new perfect 
language, Londra, 1652. 


Les hommes qui ne formoient d'abord qu'une société unique, ct 
qui n’avoient par conséquent qu’une langue et qu'un alphabet, s'étant 
extrémement multipliés, furent forcés de se distribuer, pour ainsi dire, 
en plusieurs grandes sociétés ou familles, qui séparées par des mers 
vastes ou par des continens arides, ou par des intéretéts differens, 
n'avoient presque plus rien de commun entr'elles. Ces circonstances 
occasionnerent les différentes langues cet les différens alphabets qui se 
sont si fort multipliés. 

Cette diversitt de caracteres dont se servent les différentes nations 
pour exprimer la méme idée, est regardée comme un des plus grands 
obstacles qu'il y ait au progrés des Sciences: aussi quelques auteurs 
pensant à affranchir le genre humain de cette servitude, ont proposé 
des plans de caracteres qui pussent ètre universels, et que chaque na- 
tion pùt lire dans sa langue. On voit bien qu’en ce cas, ces sortes de 
caracteres devroient étre réels et non mominaux, c'est-a-dire exprimer 
des choses, et non pas, comme les caracteres communs, exprimer des 
lettres ou des sons. 

Ainsi chaque nation auroit retenu son propre langage, et cependant 
auroit été en état d’entendre celui d'une autre sans l’avoir appris, en vo- 
yant simplement un caractere récl ou universel, qui auroit la méme signi- 
fication pour tous les peuples, quels que puissent étre les sons, dont 
chaque nation se serviroit pour l’'exprimer dans son langage particulier : 
par cxemple, en voyant le caractere destiné à signifier Sorre, un An- 
glois auroit lù o drink, un Frangois dorre, un Latin bidere, un Grec 
riverv, un Allemand trincken, et ainsi des autres; de méme qu'en 
voyant un cleval, chaque nation en exprime l’idée à sa maniere, mais 
toutes entendent le mème animal. 

Il ne faut pas s’'imaginer que ce caractere réel soit une chimere. 
Le Chinois et les Japonois ont déjà, dit-on, quelque chose de semblable: 
ils ont un caractere commun que chacun de ces peuples entend de la 
méme maniere dans leurs différentes langues, quoiqu’ils le prononcent 
avec des sons ou des mots tellement différens, qu’ils n’entendent pas 
la moindre syllabe les uns des autre quando ils parlent. 

Les premiers essais, ct méme les plus considérables que l’on ait fait 
en Europe pour l’institution d’une langue universelle ou philosophique, 
sont ceux de l’évèéque Wilkins et de Dalgarme: cependant ils sont 
demeurés sans aucun effet. 

M. Leibnitz a eu quelques idées sur le méme sujet. Il pense que 
Wilkins et Dalgarme n’avoient pas rencontré la vraie méthode. M. 
Leibnitz convenoit que plusieurs nations pourroient s'entendre avec 
les caracteres de ces deux auteurs: mais, selon lui, ils n’avoient pas 
attrapé les véritables caracteres réels que ce grand philosophe regardoit 
comme l’instrument le plus fin dont l’esprit humain pùt se servir, et 


304 CLAVIS UNIVERSALIS 


qui devoient, dit-il, extrémement faciliter et le raisonnement, et la 
mémoire, et l’invention des choses. 

Suivant l’opinon de M. Leibnitz, ces caracteres devoient ressem- 
bler à ceux dont on sc sert en Algebre, qui sont effectivement fort 
simples, quoique très-expressifs, sans avoir rien de superflu ni d’equi- 
voque, et dont au reste toutes les variétés sont raisonnées. 

Le caractere réel de l'Evéque Wilkins fut bien regu de quelques 
savans. M. Hook le recommande après en avoir pris une exacte connois- 
sance, et en avoir fait lui-méme l'experience: il en parle comme du 
plus excellent plan que l'on puisse se former sur cette étude, il a eu 
la complaisance de publier en cette languc quelques-unes de ses décou- 
vertes. 

M. Leibnitz dit qu'il avoit en vàe un alphadet des pensées humaines, 
et mèéme qu'il y travailloit, afin de parvenir à une langue philosophi- 
que: mais la morte de ce grand philosophe empécha son projet de 
venir en maturité. 

M. Lodwic nous a communiqué, dans les transactrons plulosophi- 
ques, un plan d’un a/phabet ou caractere universel d’une autre espece. 
Il devoit contenir une énumération de tous les sons ou lettres simples, 
usités dans une langue quelconque; moyennant quoi, on auroit été 
en état de prononcer promptement et exactement toutes sortes de 
langues; et de d’écrire, en les entendant simplement prononcer, la 
prononciation d’une langue quelconque, que l'on auroit articulée; de 
maniere que les personnes accoùtumeées à cette langue, quoiqu'elles ne 
l’eussent jamais entendu prononcer par d'autres, auroient pourtant été 
en état sur le champ de la prononcer exactement: enfin cc caractere 
auroit servi comme d’étalon ou de modele pour perpétuer les sons 
d’une langue quelconque. 


Dopo aver accennato a tentativi più recenti (Journal Litté- 
raire del 1720, sul quale cfr. L. Coururat-L. Leau, Historre 
de la langue universelle, Paris, 1907, pp. 29 segg.), d'Alembert 
concludeva scrivendo: « Mais ici la difficulté est bien moins 
d’inventer les caractères les plus simples, les plus aisées, et les 
plus commodes, que d’engager les différentes nations à en faire 
usage; elles ne s’accordent, dit M. Fontenelle, qu’ì ne pas en- 
tendre leurs intéréts communs ». La sua sfiducia concerneva 
quindi, esclusivamente, la possibilità di una realizzazione pra- 
tica. 

Su questo punto le opinioni dei collaboratori all’Enciclo- 
pedia si configurano variamente. Per rendersene conto basterà 
confrontare la voce Langage nella quale veniva esplicitamente 
rifiutata la possibilità, anche teorica, di una lingua universale 
(«Puisque du différent génie des peuples naissent les diffé- 
rents idiomes, on peut d’abord décider qu'il n’en aura jamais 


APPENDICE X 30)5 


d’universel ») con la voce Langue nella quale veniva esplicita 
mente riaffermata la speranza in una pratica realizzazione 
della lingua universale: « Mon dessein n’est pas au reste de 
former un langage universel à l’usage de plusieurs nations. 
Cette entreprise ne peut convenir qu’aux académies savantes 
que nous avons en Europe, supposé encore qu’elles travaillas- 
sent de concert et sous les auspices des puissances ». 


INDICE DEI MANOSCRITTI 


I numeri in corsivo rimandano alle pagine nelle quali il testo del 
manoscritto è stato parzialmente o integralmente riassunto o trascritto. 
Gli altri rinviano alle pagine nelle quali il manoscritto è stato sempli- 
cemente indicato o richiamato. 


Firenze 


Hannover : 


Innichen 


Milano 


Monaco 


Napoli 


Laurenziana 


Ashb. 1226: 290. 


Nazionale 


II, 1, 13 (già Magliab.): 290-291. 
Conv. Soppr. I, 1, 47: 17, 271, 272-275. 
Magliab. cl. VI, cod. 5: 17-18. 

Magliab. Palch. II, 90: 271. 

Palat. 54: 17, 271, 272-275. 

Palat. 885: 28, 290. 


Riccardiana 
Ricc. 1538: 271. 
Ricc. 2734: 25. 


Phil. VI, 19: 250-252. 
Phil. VII. B. mi, 7: 250, 252-253. 


VIII. B. 14: 65. 


Ambrosiana 


D. 535 inf.: 52. 

E. 58 sup.: 25. 

I. 171 inf.: 25. 

I. 153 inf.: 70-73, 261, 262-270. 

N. 185 sup.: 54. 

N. 259 sup.: 69. 

R. 50 sup.: 26. 

T. 78 sup.: 19, 25, 26, 276, 277-285. 


Staatsbibl. 


10517: 69. 
10552: 73. 
10593: 70-73, 76-77, 261, 262-270. 
10594: 54. 


Oratortana 
Pil. XV n. IT: 295. 


308 


Parigi 


Pavia 


Ravenna 


Roma 


Torino 


Venezia 


INDICE DEI MANOSCRITTI 


Bibliothèque Nationale 


lat. 15450: 48-49. 

lat. 16116: 65-68. 

lat. 17839: 70-73, 261, 262-270. 
lat. 6443c: 54. 


Universitaria 


Ald. 59: 295. 
Ald. 167: 27. 
Ald. 441: 17. 


Classense 
Mob. 3.3. H2. 10: 28. 


Angelica 
142 (B.5. 12): 25, 26, 276. 


Casanatense 


90: 25. 
1193: 25. 


Vaticana 


Ott. lat. 405: 69. 

Urb. lat. 852: 65, 73-74. 
Urb. lat. 1743: 31. 

Vat. lat. 3678: 22. 

Vat. lat. 4307: 22. 

Vat. lat. 5129: 22. 

Vat. lat. 5437: 70. 

Vat. lat. 6293: 27. 

Vat. lat. 6295: 54. 


Nazionale 
I. V. 47: 05. 


Marciana 

lat. cl. VI, 159: 19, 276. 

lat. cl. VI, 238: 26-27. 

lat. cl. VI, 274: 19, 20-23, 26, 27, 31-32, 33, 34, 276, 286. 
lat cl. VI, 292: 25. 

lat. cl. X, 8: 15. 


INDICE DEI NOMI 


Le cifre seguite da n rimandano alle note. Quelle in corsivo rin- 
viano alle pagine nelle quali gli autori sono più diffusamente trattati. 
In questo caso non si è fatto specifico riferimento alle note comprese 


nelle pagine indicate. 


Adanson M., 234. 

Agostino A., 1/4, 33, 145. 

Agrippa C., x, 2, 2n, 5, 6, 30n, 
36, 41, 42-45, 58, 60, 82, 88-80, 
98, 101, 120, 132, 133, 143, 145, 
145n, 156, 160, 175n, 180, 239. 

Alberto Magno, xi, 5, 8, 12-14, 
15-16, 19, 32, 37, 38n, 82, 95, 
96 


Alciati A., 37, 98n, 104. 

Alcuino, 14, !5n. 

Alembert J. B. d', 302, 303-304. 

Alsted ]. E., xi, xn, 53, 61, 62, 
74:75, 79, 120, 124, 125, 132, 
178, 179-184, 191, 233, 238n, 
239, 247, 247n, 254. 

Alvarez E., 251. 

Anderson F., 153n. 

Andrade C., 201n. 

Andrei J. V., 184, 213, 213n. 

Apelt O., 10n. 

Aquilecchia G., 113n. 

Aristotele, 5, 8-9, 13, 14; 15, 16, 
33, 56, 72, 75, 76, 124n, 128, 
129n, 136, 137, 138, 180, 193n, 
195. 

Arnaldo da Villanova, 35, 95. 

Aubry J. de, 130-131, 158-159, 
160, 192. 

Austriacus ]., 127, 
151, 15In. 

Averroè, 35, 35n, 95, 96. 

Avicenna, 35, 95. 

Avinyò J., 43n. 

Azavedo V. de, 127, 127n. 


127n, 128n, 


Bacone F., x, xI, XII, XHI, XIV, 
2, 5, 7, 8, 36n, 53, 58, 97n, 103, 
134, 135, 140, 142-153, 160, 


161-169, 175n, 176-178, 179, 
184, 185, 191, 201-202, 203-206, 
212, 215, 220, 220n, 233, 239, 
242, 247n, 250, 251, 254, 302. 
Badaloni N., 109n, 125n. 
Baeumker C., 46, 47, 47n. 
Barbarigo A., 29. 
Barber W. H., xn1. 
Barlandus A., 89n. 

Barone F., xiv, 80n, 24In, 248, 
248n, 256n, 258n. 
Bartholomess C., 109n. 
Bartolomeo da  S. 

16-17, 19, 271. 
Batllori M., xv, 43n. 
Bayle P., 183, 183n. 
Beale J., 230. 

Becher J., 241, 24In, 242. 

Beck L. J., xiv, 174, 174n, 175, 
175n. 

Bedel W., 2/4. 

Beeckmann I., 143, 159. 

Belaval Y., 240. 

Belot J., 132-134, 

Bessarione,. 41. 

Bianchini F., 38-39. 

Billanovich G., 292. 

Bing G., xv. 

Birch T., 207n, 2/0n. 

Bisterfield G. E., x, 
238, 239. 

Bocchi A, 104. 

Bodin J., 106-107. 

Bochme ]., 213, 213n. 

Boezio, 35. 

Boher A. c F. (fratelli), 54. 

Boncompagno, 15n. 

Bonifacio del Monferrato, 29, 286. 

Bonifacio VIII, 52. 


Concordio, 


293-294. 


197-200, 


310 


Boole G., xiv. 

Borelli G. A., 252, 252n. 

Borsetti F., 27n. 

Bouelles (Bovillus) Ch., 41, 43, 
43n, 51, 53, 113, 120, IB8I. 
Boyle R., x, 207, 2/0, 212, 230, 

230n. 

Brigge L.A.S., In. 

Brucker ]., 91. 

Bruno G., x, xi, x, 5n, 6, én, 
8, 3In, 36, 41, 43n, 60, 74, 79, 
80, 82, 87, 88, 90, 92, 93, 96, 
97n, 100, 108, 109-123, 124, 
125-126, 128, 132, 132n, 133, 
141, 179, 180, 239, 291, 294, 
296. 

Bruxius A., 127, 127n, 252, 253. 

Buffon G. L. Leclerc de, 23In, 
233, 233n, 234n. 

Bugislao di Pomerania, 29. 

Bullotta Baracco H., 44n. 

Bunemann J. L., 1l4n. 

Buondelmonti C. de, 104. 


Camillo G. C. {(Delminio), xu, 
82, 83, 96-r10r, 107, 112, 133, 
184, 187, 229n, 295. 

Campagnac E. T., 212n. 

Campanella T., 126-127, 128, 186. 

Campanus, 135. 

Canterio A. P.J. (fratelli), 43, 43n, 
181. 

Cantimori D., xv. 

Capland H., 19n. 

Cardano G., 130n. 

Carneade, 90. 

Carpenter F. I., 86n. 

Carrara G. A. da, 34-35, 95-96, 
116, 116n. 

Carreras y Artau T. e ]J., 43n, 
45n, 46n, 47n, 50n, 54n, 56n, 
58n, 60n, 62n, 63n, 64n, 65, 69, 
79n, 113n, 179n, 184n, 194n, 
195n, 247n, 248n. 

Cartesio v. Descartes. 

Cassirer E., 36n. 

Cavalcanti B., 103, 103n. 

Cave Beck, 203, 214, 222, 241. 


INDICE DEI NOMI 


Caxton W., 85, 86. 

Cenal P. R., 194n. 

Chaichet A. E., 9n. 

Charland Th. M., 18n, 19n. 

Childrey J., 207. 

Christensen F., 20In. 

Church F.C., 94, 94n. 

Cicerone, xi, 2, 5, 7, ro, 12, 14, 
15n, 17, 18, 28, 31, 3in, 32, 
34, 41, 53, 58, 76, 82, 86, 89n, 
90, 95, 124n, 125, 128, 137, 138, 
206. 

Cinea, 90, 299. 

Ciro, 90, 145, 299. 

Clements R.I., 37n. 

Colli G., 194n. 

Collier A., xm. 


Comenio G.A., x, xI, XII, 5, 
156-157, 178, 179, 184-191, 
201n, 203, 251-216, 221-222, 
247, 254. 

Copt E., 95n. 

Copland R., 30n, 86-87. 

Corsano A., 6n, II0, II0n, III, 


IlIn, 123n, 258n. 

Couturat L., xiv, 195n, 202n, 227n. 
236n, 238n, 239, 239n, 241, 24In, 
243n, 245, 246n, 248n, 257n, 
304. 

Cox L., 86. 

Crasso, 90. 

Croce B., 97n. 

Croll M.W., 206n. 

Crombie A., xiv. 

Cues v. Cusano. 

Curtius E. R., 15n. 

Cusano N., 41, 49-50, 51, 82, 
90-91, 109n, 121, 214. 


Daguì P., 43, 43n. 

Dalgarno G., xni, 203, 212, 255, 
216, 218-219, 226-227, 229, 236, 
241, 244, 245, 246, 249, 302, 
303. 

Dal Pra M,, In. 

D’Assigny M., 4, 4n, 299, 300. 

Dassonville M., 136n. 

De Carpanis D., 32-34. 


INDICE DEI NOMI 311 


De Corte M., 154n. 

De Gandillac M., 50n. 

Della Porta G.B., 82, 
151, 15In. 

Delminio v. Camillo. 

Del Noce A., 159n. 

Democrito, 31, 3In, 32. 

De Morgan A., xiv. 

De Mott B., 20In, 21lIn, 213n, 
228, 229n, 23In, 232n. 

Derham W., 23In, 232n. 

De Ruggiero G., 109, 109n. 

Descartes R., x, xII, xIv, 2, 8, 53, 
97n, 130n, 134, 135, 142-146, 
153-161, 169-178, 191, 209, 233, 
235-236, 247n, 248, 250, 252. 

De Valeriis V. v. Valerio de V. 

Dibon P., 136n. 

Dicson A., 113n. 

Diderot D., 294, 299, 302. 

Diodati O., 294, 299. 

Diofanto, 196. 

Dolce L., 18, 18n, 87, 88n, 95n, 
96, 103, 103n. 

Dominichi L., 44n. 

Direr A., 37n. 

Dutens L., 247n, 248n, 254n. 


103-104, 


Edmundson H., 212, 229. 
Egidio da Viterbo, 286, 287. 
Eleonora d'Aragona, 29, 29n, 286. 
Emery C., 20In, 222n, 23In. 
Enrico III, 80, 126. 

Erasmo, 3, 3n, 4, 6, 98. 

Ernesti J. A., 10n. 

Erodoto, 35n. 


Fabri H., 252, 252n. 

Faral E., 84n. 

Farrington B., 167n. 

Feilchenfeld W., 238n. 

Ferdinando III, 196. 

Fernando de Cordoba, 43, 43n, 
181, 

Ficino M., 5n, 36n, 82, 83. 

Fiorentino F., 103n. 

Firpo L., 5n, 126n. 


Fisch H., 208n. 

Fludd R., 41, 13s. 
Fontenelle B. de, 234, 304. 
Frey J.C., 193. 
Friedlander P., 195n. 
Fullwood W., 95n. 

Funcke O., 202n, 219n. 


Galatin P., 01. 

Galeno, 35, 56. 

Galilco G., xiv. 

Galmes S., 261. 

Garin E., xiv, 4n, 36n, 9%n, 97”, 
101n, 110, 11On, 179n, 184n, 295. 

Garzoni T., 292. 

Gassendi P., 41, 141. 

Gellio A., 3In, 299. 

Gentile G., 113n. 

Gemma C., xII, 55-57. 

Gerhardt C.I., 237n, 239n, 24In, 
242n, 243n, 244n, 245n, 247n, 
248n, 254n, 256n. 

Gerson ]J., 49, 76. 

Gesualdo F.M., 88n, 127, 
292. 

Gilson E., 46, 47, 47n, 170n, 174n. 

Ginanni P., 28n. 

Giorgio Veneto F., 101. 

Giovanni Rupescissa, 95. 

Giovanni di Salisbury, 14-15. 

Giovanni Scoto, 35, 60, 82, 121. 

Girardus, 26, 276. 

Giustiniani P., 101. 

Glovovia I. de, 79. 

Goclenius R., 180, 296, 298. 

Goffredo di Vinsauf, 84. 

Gohory J. (Leo Suavius), 83, 100. 

Gorini G., 18, 18n. 

Gottron A., 79n. 

Gouhier H., 154n, 175n. 

Gratarolo G., 34n, 94-96, 125, 130, 
164. 

Gregoire P., x, 53, 57-59, 61, 
76, 114, 160, 180, 184, 239. 

Grua G., 238n, 245n, 254n. 

Guardi v. Girardus. 

Guyenot E., 23In. 


127n, 


312 INDICE DEI NOMI 


Haak Th., 157n, 212. 

Halm C., 115n. 

Harriot Th., 209. 

Hartlib S., 210n, 2/5-2/2, 215n. 
Hawes S., 83-84, 85, 86. 
Henderson A.W., 201n. 
Heredia Paulus de, 101. 
Hildebrand W., 128-129. 
Hobbes Th., 209, 211, 239. 
Hoffmann G.G., 251. 
Hofmann ]J.E., 50n. 

Honecker M., 49n, 50n. 

Hook R., 237, 304. 

Horapollo, 104. 

Howell W.S., 15n, 84, 84n, 85n. 
Hubert R., 174n. 

Hume D., 1, In, 37, 258n. 
Husserl E., xiv. 


lagodinski I., 256, 256n, 257n. 

Ippocrate, 56. 

Isidoro, 15n. 

Ivo de Paris, 193-194, 247. 

Izquierdo S., 194-195, 196. 

Janer I. de, 43, 43n. 

Jasinowski B., 257n. 

Jones H.W., 208n. 

Jones R.F., 20In, 203, 204, 204n, 
207n, 208n, 209n. 


Kabitz W., 238, 238n, 256n. 
Kant E., xt. 

Kemp Smith N., 174n. 
Keplero J., 175n. 

Kinner C., 229, 230. 
Kircher A., 195-196, 239, 241, 242. 
Klaeber F., 206n. 

Klein R., 5n. 

Klibanski R., 158n. 

Kliuùber L., 128n. 

Knittel C., 197. 

Komenski v. Comenio. 
Krabbel G., 102n. 

Kraus F., 50n. 

Kristeller P.O., 36n. 
Kvacala L., 157n, 184n. 


Landino C., 36. 

Lankester E., 232n. 

Laporte J., 159n. 

Laurad P., 10n. 

Lavinheta B. de, 41, 53, 54, 58, 
74-78, 113, 132, 145, 160, 181, 
183n, 193, 247. 

Leau L., 202n, 304. 

Le Cuirot A., 128n. 

Lefèvre d'Etaples, 41, 43, 43n, 5I, 
53, 74, 120, 1BI. 

Lehnert M., 21In. 

Leibniz G.G., x, xi, XII XII, 
xiv, 7, 53, 61, 79, So, 142, 178, 
179, 191, 193, 195, 195n, 227, 
235-236,237-258, 302, 303, 304. 

Lemmi Ch., 36n. 

Leporcus G., /35-1 36. 

Linneo C., 231. 

Liruti G., 98n. 

Littré-Haurdau, 
73n. 

Livio, 35n. 

Lodowick F., 202, 212, 222, 229, 
302, 304. 

Longpré E., 43n, 69n. 

Lullo R., x, xni, 5, 6, 6n, 7, 4l, 
42, 42n, 43n, 44n, 45-48, 49, 50, 
51-53, 54, 58, 60, 60n, 61-74, 
75, 76, 78, 82, 101, 101n, 102, 
112, 113, 115, 118, 119, 121, 
125, 126, 128, 129, 129n, 13In, 
132, 132n, 141, 143, 144, 145, 
152, 153n, 156, 175n, 178, 179, 
180, 180n, 181, 182, 192, 195, 
213, 239, 255, 261-270. 


43n, 65n, 69n, 


Machiavelli N., 83, 83n. 

Magliabechi A., 299. 

Mahnke D., 238n. 

Mandarini E., 295. 

Marafioto G., 108n, 127, 
128n, 132n. 

Marciano Capella, 15n. 

Marciano di Eraclca, 251. 

Margirus J., 127n. 

Marx F., 1In. 

Marx ]J., 50n. 


127n, 


INDICE DEI NOMI 313 


Matteolo da Perugia, 35. 

Mazzoni ]., 108n. 

McColley G., 20In. 

McRae K.D., 107n. 

‘McRae R., 247n. 

Melantone F., 89-90, 140, 140n, 
164, 168, 180. 

Mentzinger, 88. 

Mersenne M., 157n, 235, 236. 

Mesnard P., 154n. 

Meyssonnier L., 130, 192. 

Michele di Nofri, 25n. 

Mink S., 62, 299, 300. 

Mocenigo G., 80, 126. 

Montaigne M. de, 3-4, 6, 5I. 

More H., 41, 236n. 

Morestell P., 129-130, 160, 192. 

Morhof (Morhofius) G., 104, 105n, 
197, 197n, 296. 

Mosé, 99. 

Mounier Ph., 36n. 

Murner Th., 78-79. 

Myésier T., lc, 48-49. 


Niceron P., 179n, 20In. 
Nicolini F., 39n. 

Nizolio M., 238n. 

Nostiz G. de, 1/4, 141. 
Nuyens J., 9n. 


Oblet V., 179n. 

Ogden C.K. e Richards 1L.A., x1v, 
201n. 

Oldenburg H., 237, 243. 

Oliver F.W., 23In. 

Olschki L., 109, 109n. 

Orazio, 16. 

Ortwin, 30n. 

Ottaviano C., 43n. 

Oughtred W., 209, 210. 

Ovidio, 284, 38. 


Pace G., 194. 

Paepp J., 124-125, 128n, 296, 297- 
298. 

Panigarola F., 108n. 

Panofski E., 37-38n, 105n. 


Paracelso, 83, 121. 

Patrizzi F., 97, 98, 184. 

Pelayo M.M., 10In. 

Perkins, 113n. 

Petrarca F., 2, 88, 292-294. 

Petty W., 2/0, 2/4-2/5. 

Peuchert W.E., 184n. 

Piccolomini C., 180. 

Pico G., 36, 82, 83, I0I, 
145, 159, I8I, 214, 299. 

Pietro d'Ailly, 76. 

Pio V, 80, 126. 

Pitagora, 54. 

Platone, 9n, 14, 56, 117, 129n. 

Platzeck P.E.W., 47n, 49, 07, 
67n. 

Plinio, 299. 

Poisson P., 158-159. 

Poliziano A., 36. 

Postel G., 214. 

Prantl C., 47n, 48, 79n. 

Praz M., 37n, 105n, 296. 

Preti G., x1v,257-2581. 

Prost G.A., 44n. 

Publicio I., 38, 93, 294. 


10In, 


Quattrocchi L., xv. 

Quintiliano, xi, 2, 5, 10-11, 14, 
31, 41, 53, 76, 82, 88, 90, 125, 
128, 136, 137-138. 


Rabelais F. 203. 

Ragone I., 19-22, 276. 

Ramo (de la Ramée, Ramus) P., 
xI, x, 2, 96, 98n, 107, 135-142, 
164, 168, 177, 179, 180, 183, 
233, 254. 

Ratke W., 4, 4n, 6, 184. 

Ravelli (Ravelinus) F., 127, 127n, 
128n. 

Raven C.E., 23In. 

Ravenna P. da, xmn, 2, 6, 18, 27- 
30, 34n, 41, 82, 86-87, 88, 90, 
91, 92, Ill, 112, 113, 125, 127n, 
128, 135, 136, 145, 155, 164, 
286-289, 294, 296. 

Ray J., x, 230-232. 

Regius R., 12n. 


314 


Renaudet A., 113n. 

Renzoni M., 23In. 

. Reuchlin J., 101. 

Ricci B., 98. 

Ricci P., 101. 

Riccio A., 29/. 

Riff, 88. 

Ripa C., 37-38, 104. 

Rivaud A., 257, 257n. 

Roberto di Basevorn, 18n. 

Rodolfo II, 80. 

Rogent E., 43n. 

Romberch J., 27, 30, 87, 87n, 95n, 
125, 164, 291, 292, 294. 

Ross G.R.T., 9n. 

Rosselli C., x11, 82, 97n, 105-106, 
107, 112, 113n, 125, 151, 15In, 
164, 187, 290, 291, 294. 

Rossi P., 39, 125n, 136n, 
I81. 

Rufo R., 53-54. 

Ruscelli G., 100, 104. 

Russell B., xiv, 257n. 


169n, 


Salomone, 99. 

Salzinger I., 46n, 73n. 

Scaligero (Scalichius) P., 102-103, 
180. 

Schenkel (Schenkclius) L., xt, 88, 
124, 125, 127, 127n, 128n., 143, 
145, 154-155, 175n, 292, 293. 

Schiebler K.W., 213n. 

Scholem G.G., 10In. 

Schott C., 239, 241. 

Scioppius C., 251. 

Scoto v. Giovanni. 

Scott F., 21In. 

Scbond v. Sibiuda. 

Secret F., xv, 97n, 101, 102, 102n. 

Seneca L.A., 2, 14, 88, 90, 185, 
299. 

Seznec J., 36n. 

Schute C.W., 9n. 

Sibiuda (Sabunde, Scbond) R., $0- 
51, 214. 

Sibutus G., 87. 

Singer D.W., 109, 109n, 114n. 


INDICE DEI NOMI 


Simon N., 87. 

Simonide, 2, 10, 15n, 3In, 90, 115, 
127n, 145, 301. 

Sirven, 174n. 

Sommer M., 127n. 

Sortais G., 21In. 

Spangerbergius ]., 88, 90-94, 113, 
128n. 

Spinka M., 2IIn. 

Spinoza B., 252. 

Spoerri M. Th., 154n. 

Sprat Th., 207, 208-209, 215. 

Stimson D.L., 201n, 2IIn. 

Stubbc H., 208. 

Sturmius J., 98n. 

Suarez F., 180, 258n. 

Suavius L. v. Gohory. 

Syfret R.H., 20In. 


Talon (Talaeus) O., 141. 

Tartagni A., 28. 

Techmer F., 201In. 

Temistocle, 90, 145. 

Thomson G., 208. 

Thorndike L., 16n, 83n, 94, 94n, 
95, 95n, 102n, 105n, 132n, 193n, 
195n, 197n, 296. 

Tiraboschi G., 27n, 34n, 35n, 94n, 
97n, 108n, 271. 

Tiziano, 37. 

Tocco F., 6n, 15n, 3In, 35n, 50n, 
109, 109n, 116, 116n, 118, 118n, 
120, 120n, 121, 271. 

Tolomco, 130n. 

Tomai P. v. Ravenna. 

Tommai P. v. Ravenna. 

Tommaso d'Aquino, xt, 5, 8, r2- 
14, 15-16, 19, 32, 33, 37, 38n, 
41, 82, 95, 124n, 128. 

Toscanella O., 103, 103n. 

Trapezunzio G., 103, 103n. 

Traversagni G., 86. 

Trendelenburg F.A., 256n. 

Trismegisto, 99. 

Troilo E., 109n. 

Turnbull G.H., 215n. 

Tuve R., 136n. 


INDICE DEI NOMI 315 


Ugo da S. Vittore, 35. 
Urquhart Th., 202-203. 


Vailati G., 202n. 

Valeriano P., 104. 

Valerio Massimo, 28. 

Valerio de Valeriis, 43n, 53, 59- 
6r, 76, 114, 160, 180, 164, 187. 

Valla L., 12n, 36. 

Vallicrosa J.M., 102n. 

Vansteenberghen E. de, 50n. 

Vasoli C., xv, zz0, Il, lllIn, 
114n, I1l6n, 119n, 120n, 122n. 

Vassy L.R. de, 192-193. 

Venturi F., 299. 

Vico G., 39, 103. 

Viéte F., 210. 

Vincenzo di Beauvais, 15. 

Virgilio, 38. 

Volkmann L., 105n. 


Waetzold W., 37n. 
Waleys Th., 19. 
Walker D.P., 83n, 97n. 


Wallis J., 250-257. 

Ward S., 209, 210. 

Watson Th., 113n. 

Webster J., 207, 212. 

Wilkins J., xt, xi, xiv, 205, 203, 
212, 216-226, 227-231, 232, 236, 
237, 242, 245, 246, 249, 254, 
302, 303, 304. 

Willis J., 127, 127n. 

Willoughby F., 230, 231. 

Wilson Th., 87, 113. 

Winans S.A., 19n. 

Winkelmann v. Mink. 


Yates F.A., 12, 12n, 15, I5n, 37n, 
47n, 48, 48n, 49n, 68, 68n, 87- 
88n, I10, 110n, 113, 113n, 290- 
291, 292, 293. 

Yvon, 299. 


Zabarella C., 180. 
Zambelli P., xv. 
Zosima, 98. 


Finito di stampare in Como il 20 aprile 1960 


nello stabilimento Arti Grafiche S. A. 

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