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Thursday, May 30, 2024

Grice e Telesio

 GIOVANNI GENTILE 

Fé-UL-io9 


BERNARDINO TELESIO 

CON APPENDICE BIBLIOGRAFICA 



BARI 

GIUS. LATERZA & FIGLI 

TlPOGRAI'I-EDITORl-LIBRAl 


191 i 




PROPRIETÀ LETTERARIA 


LUGLIO MCMXI — 28189 





AVVERTENZA 


Questa commemorazione, scritta per imito 
del Comitato per le onoranze a Bernardino 
Telesio nella ricorrenza del quarto centenario 
della sua nascita, e letta, tranne poche pagine, 
tiel Teatro Comunale di Cosenza il 26 aprile 
di quest'anno, 71011 poteva e non vuol essere 
una monografia sul Telesio; ma soltanto una 
caratteristica della sua personalità e della sua 
filosofia guardata nel processo generale del 
pensiero speculativo. Ciò spiega perche essa si 
estenda un po ' largamente sulla storia degli 
antecedenti. 

Aggiungendovi, per questa stampa, oltre le 
note necessarie, una bibliografia, 1 nè sembralo 
opportuno riprodurre in essa dalle vecchie edi¬ 
zioni raiùssime degli scritti telesiani dediche 
e proemii, che sono documenti biografici e 
storici notevolissimi, poiché m'è accaduto di 
vederli non di rado citati di seconda mano 
pur dagli studiosi più diligenti, ai quali non 
era riuscito di averli sott'occhio. 


G. G. 










BERNARDINO TELESIO 










I 


Dietro al chiarore del rinascimento, sullo 
sfondo dell’orizzonte, s’addensa ancora la 
nebbia medievale; e la luce nascente s’im¬ 
porpora dei riflessi fumiganti di quella neb¬ 
bia, che il sole alto, splendente nel mezzo 
del cielo, spazzerà, quando all’alba della rina¬ 
scenza sarà successo il gran giorno dell’età 
moderna. In quella prima ora le vecchie idee 
sono morte; ma, pur morte, rimangono nel 
pensiero umano, e l’impediscono e l’oppri¬ 
mono con la gravezza di ciò che, estraneo 
alla vita, attraversa il processo della vita. 
Le idee nuove, quelle che sono anche oggi 
la sostanza del nostro spirito, si sono an¬ 
nunziate, anzi affermate con la vivacità im¬ 
petuosa e fremente, con l’entusiasmo gioioso 
della giovinezza, che ha per sè l’avvenire, e 
non sente il passato che si lascia alle spalle. 
Ma la loro affermazione per noi è piuttosto 



IO 


BERNARDINO TELESIO 


un annunzio: manca lo sviluppo logico, in cui 
è la vita vera e concreta delle idee, e manca 
l’integrazione, che il lembo della verità in- 
travvista raccolga nella coscienza coerente • 
del tutto, dove ogni parte ha il suo valore 
organico. E lo sviluppo e l’integrazione man¬ 
cano, perchè il nuovo è commisto e ravvolto 
nel vecchio: e si va innanzi, come infatti è 
dei giovani, senza sapere distintamente che 
cosa si lascia e che cosa si cerca, e quale 
è il cammino: portati dall’istinto della vita, 
che perverrà più tardi alla netta coscienza ■ 
del nuovo in quanto negazione del vecchio. 
Perciò tutti i pensatori di questa età hanno 
due facce, e ci presentano contraddizioni, che 
paiono spiantare i principii stessi del loro 
filosofare: e chi guarda a una sola faccia, 
non riesce a più rendersi conto dell’altra; e 
c’è chi di costoro ne fa gli iniziatori, a di¬ 
rittura, del pensiero moderno, e chi li re- ' 
spinge indietro, alla scolastica dei tempi di 
mezzo: laddove il loro significato storico è in 
questa posizione, che occupano, tra una filo¬ 
sofia che hanno solo virtualmente superata 
e una filosofia che solo del pari virtualmente 
essi affermano. Trascurare cotesto residuo 
esanime, che resiste nei loro sistemi alle loro 






IL MEDIO EVO 


II 


intuizioni innovatrici, in tutti questi filosofi, 
dal Poinponazzi al Bruno e al Campanella, 
non è possibile: vien meno tutto il significato 
di queste medesime intuizioni, che fanno di 
loro i precursori dei più grandi filosofi mo¬ 
derni; e non si spiegano più atteggiamenti 
essenziali, parti vitali del loro pensiero; ma, 
sopra tutto, diviene un mistero perchè il 
germe di verità, che essi si recano in mano, 
rimanga soltanto un germe, di cui la vita 
s’arresti appena cominciata. 

L’uomo del medio evo si era travagliato 
in una contraddizione, che si può dire orga¬ 
nica, perchè ne dipendeva la vita stessa del 
pensiero: contraddizione, i cui termini, se si 
vuol considerare il processo generale della 
storia ne’ suoi grandi tratti, si possono de¬ 
signare come la filosofia greca e la fede cri¬ 
stiana: due termini, che il pensiero tentò tutte 
le vie, lungo più di un millennio, di conci¬ 
liare; ma erano inconciliabili per lui, assolu¬ 
tamente, sul terreno in cui egli era posto; 
perchè, a dirla brevissimamente, la filosofia 
sua, che avrebbe dovuto operare la conci¬ 
liazione, era tuttavia la filosofia greca, e cioè 
uno dei due termini stessi antagonisti. 



12 


BERNARDINO TEI.ESIO 


La filosofia greca è il pensiero che si vede 
fuori di sè: e si vede perciò o come natura, 
nella sua immediatezza sensibile, o come idea, 
che non è atto del pensiero che pensa, ma 
cosa in cui il pensiero si affisa, e che pre¬ 
suppone come verità eterna e ragione eterna 
di tutte le cose e della sua stessa cognizione 
parallela alla vicenda delle cose: in entrambi 
i casi, come una realtà che è in se stessa 
quella che è, indipendentemente dalla rela¬ 
zione in cui il pensiero entra con essa quando 
la conosce. Visione la più dolorosa che l’anima 
umana possa avere del proprio essere nel 
mondo: perchè l’anima umana vive di verità, 
ossia della fede che sia quel che essa pensa 
ed afferma: e in quella visione, che è poi la 
visione eterna della prima riflessione, da cui 
si dovrà sempre pigliare le mosse, la verità, 
quel che è veramente, non è nell’anima umana; 
la cui condizione permanente ed essenziale è 
raffigurata da quel sensibilissimo amatore 
della verità, dell’essere eterno del mondo, 
che fu Platone, nel mito di Eros: mito pre¬ 
gno, nella sua classica serenità, di pathos 
che direi cosmico: perchè l’aspirazione fer¬ 
vente al divino, che è l’Amore di Platone, 
e che nella sua forma più alta è la filosofia, 







IL MEDIO EVO 


13 


non è solo lo sforzo supremo in cui si con¬ 
centra l’anima umana, ma culmina in questa, 
e affatica tutto l’universo, tormentato dal de¬ 
siderio di qualche cosa che è il suo vero 
essere, ma è fuori di esso. Mito, che, con 
tutto il suo pathos, può essere intanto se¬ 
reno, perchè l’occhio dell’idealista greco è 
attratto e fermato dalla bellezza dell’ideale 
lontano, e gli sfugge la miseria infinita del¬ 
l’amante senza speranza. 

In questa visione, quando, per opera prin¬ 
cipalmente dello stesso Platone, la verità della 
natura sensibile e mortale si rifrange nelle 
forme ideali, ond’essa si rivela al pensiero 
ne’ suoi varii aspetti, e diventa sistema di 
idee, tutta la scienza, nel suo proprio as¬ 
setto, come possesso adeguato della verità, 
non apparisce quale il perenne lavoro della 
mente e la celebrazione dell’ufficio supremo 
del mondo, ma quasi un che di remoto dalla 
realtà, o, come si dice, d’ideale, di cui la 
cognizione umana è sempre copia imperfetta. 
La scienza, di cui la logica deduttiva di Ari¬ 
stotile descrive mirabilmente il congegno, non 
è la scienza nostra, la scienza umana, che si 
fa e rifà continuamente nella storia: è la 
scienza che ha principi! immediati, che in sè 




14 


BERNARDINO TELESIO 


contengono sistematicamente tutti i concetti, I 
in cui si snoda lo scibile: è pertanto la scienza 
che è tale, in quanto è tutta e perfetta a un 
tratto, senza possibilità di svolgimento sto¬ 
rico. Ossia, la scienza per ottenere la quale ] 
tutto questo svolgimento, in cui è pure tutta 
la vita e tutto l’essere nostro, non giova: un 
ideale, al cui cospetto quel travaglio men¬ 
tale, che ci par tuttavia la cosa più seria 
del mondo, non ha valore di sorta '). 

Dentro questa visione si chiude tutta la 
filosofia greca, e ogni filosofia che, come 
quella del medio evo, accetta la logica, ossia 
la maniera d’intendere la verità, di Aristo- 
tile. Questa logica si può definire la logica 
della trascendenza; o altrimenti, la logica 
dell’intellettualismo: per questa logica infatti 
la verità, che è termine dello intelletto, è tra¬ 
scendente, radicalmente superiore all’intel¬ 
letto stesso; e questo è ridotto a semplice 
facoltà passiva, contemplatrice e non autrice: 
che è il concetto dell’intelletto nel senso de¬ 
teriore di questo termine: quasi una mente, 
che importa bensì la presenza delle cose da 
conoscere, ma non dell’uomo, non dello spirito 
che le conosce, e che ha appunto questo di 
proprio e di diverso rispetto alle cose: che 
















IL MEDIO EVO 


15 

non è cosa da conoscere, ma l’attività cor¬ 
relativa, che queste presuppongono nel loro 
concetto di « cose da conoscere » : una mente, 
insomma, per cui c’è il mondo, ed essa, per 
cui il mondo è, non è. Che è come dire: 
l’uomo, questo divino artefice di quanto è 
bello e santo e vero nel mondo, di quanto 
c i umilia e ci esalta, ora facendoci piegar 
le ginocchia innanzi alla potenza terribile del 
genio, ora sublimandoci nel gaudio di quanto 
trascorre immortale i secoli e aduna nel con¬ 
senso d’uno spirito solo i morti coi vivi; que¬ 
st’uomo, annichilato. Annichilato, s’intende, 
ai proprii occhi, nella coscienza che ha del 
suo essere. Di un uomo così, ignaro del pro¬ 
prio valore, men che atomo disperso nell’in¬ 
finito, Chiesa ed Impero, accampatisi im¬ 
mediatamente come rappresentanti di Dio, 
possono disporre a loro talento, come cose, 
che non sono persone. Manca la coscienza, e 
manca perciò l’individuo: non c’è la libertà, 
come coscienza della propria legge. La legge, 
come la verità, scende dall’alto. 

Ma era questo il principio del cristiane¬ 
simo? Il cristianesimo voleva essere, al con¬ 
trario, la redenzione, la rivendicazione del 
valore dell’uomo; voleva sollevare l’uomo a 




i6 


BERNARDINO TELESIO 


Dio, facendo scendere Dio nell’uomo, e ren¬ 
dendo questo partecipe della natura divina. 
Giacché in Gesù, che è l’uomo stesso nella 
sua idealità, o come dev’essere concepito, 
Dio stesso era uomo: con tutte le miserie j 
umane, soggetto all’estrema delle miserie, la 
morte; ed era Dio (quel dio, che redimeva) 
in quanto questo uomo, che eroicamente af¬ 
frontava la morte, otteneva in questa il premio 
della missione della sua vita tutta spesa uma¬ 
namente in un’opera d’amore. Onde l’amore 
risorgeva, non più, come nel mito platonico, 
contemplazione desiderosa dell’irraggiungi¬ 
bile, ma attività dell’uomo che crea se stesso 
perennemente: e non era più la celebrazione 
estatica di un mondo che è, ma la celebra¬ 
zione operosa, dolorosa insieme e letificante, 
di un mondo, che è regno di Dio essendo 
la purificazione della smessa volontà umana 
nella fiamma della carità. Onde l’uomo non 
è più sapere o intelletto; ma amore o vo¬ 
lontà, cioè creatore esso stesso della sua ve¬ 
rità, che è il bene: la verità che si scorge, j 
insomma, quando la cerchiamo con la buona 
volontà, col cuore puro, mettendo tutto l’es¬ 
sere nostro, sinceramente, ingenuamente nella 
ricerca; e che non è più, quindi, un che di 





IL MEDIO EVO 


17 


esterno a noi, che si presenti e s’imponga a 
noi passivi, ma è il premio o il risultato del 
nostro sforzo. L’uomo non è più spettatore; 
ma artefice. Si desta, e sente se stesso; sente 
che senza la sua volontà, senza il suo co¬ 
nato, senza lui, il mondo che ha valore per 
lui, la felicità, la vita, Dio, non si raggiunge. 
Acquista quindi davvero la coscienza della 
sua personalità, e però della sua responsa¬ 
bilità: poiché vede che da sè dipende tutto; 
e, lui caduto, tutto cade; e lui risorto, tutto 
risorge. L’uomo trova dunque se stesso nel 
cristianesimo. 

Se questa intuizione fosse divenuta sen¬ 
z’altro concetto complessivo ed organico del 
mondo, se questo senso nuovo del valore 
dello spirito umano avesse rinnovato tutta la 
concezione della vita, in cui l’uomo afferma 
la sua creatrice potenza, se insomma il con- 
. tenuto della nuova fede fosse assurto al vi¬ 
gore di una nuova filosofia, il cristianesimo 
avrebbe segnato fin da principio la morte 
dell’intellettualismo. Ma la fede non è ancora 
filosofia: è visione immediata della verità non 
integrata in sistema di pensiero. E il cri¬ 
stiano, quando volle pensare il suo Dio, 
pensò più a Dio padre che a Dio figlio, e 


G. Gentile, Bernardino Te lesto. 


2 





l8 


BERNARDINO TELESIO 


s’impigliò nella rete della metafisica aristo 
telica che il principio della realtà, come mo¬ 
tore immobile, che è solo pensiero di se 
stesso, e non d’altro, faceva estraneo alla 
realtà, e poi s’affaticava invano a colmare 
l’abisso tra Dio e la natura; tra la causa del 
movimento, che non è movimento, e il mo¬ 
vimento, che non ha in sè la propria ragione 
sufficiente; e quindi tra il principio del di¬ 
venire, che non diviene, e la natura che in 
se non ha la cagione del suo perenne ge¬ 
nerarsi e corrompersi; e poi tra l’anima e 
il corpo; e poi ancora tra l’anima che in¬ 
tende, ed è lo stesso intendimento in atto, 
e 1 anima naturale solo capace di raggiun¬ 
gere la mera possibilità d’intendere, ma in¬ 
capace per sè d'intendere mai realmente: e,' 
in generale, tra la materia, potenza, e non 
più che potenza, di tutto, e la forma, realiz¬ 
zazione di tutto: come dire, tra l’aspirazione 
alla vita e la vita: eterno destino di Tantalo! 
Aristotelici o platonici, nominalisti o realisti, 
averroisti o tomisti, tutti i cristiani che nel 
medio evo si sono sforzati di concepire la 
realtà, sono giunti a questo risultato: al de¬ 
stino di lantalo. Tanto più doloroso, tanto 
più inquietante, in quanto era pur contenuto 







IL MEDIO EVO 


19 


nella fede novella, che fiammeggiava a quando 
a quando nei mistici, il concetto dell’imma¬ 
nenza di Dio nel mondo, nell’uomo, nello 
spirito. La teologia, tutta la filosofia scola¬ 
stica, anzi tutta la scienza medievale (che non 
è tutta filosofia) si costruisce come scienza di 
una verità che si sente, appena il sentimento 
si sveglia (basti per tutti ricordare Francesco 
d'Assisi e Jacopone, il suo poeta), che si 
sente, dico, estranea all’anima, lontana, oc¬ 
cupante per vano riflesso solo l’intelletto del¬ 
l'uomo, speculazione umbratile e di scuola, 
che non entra nell’ intimo e non afferra e 
non impegna e non riforma e non fa l’uomo. 
Scienza vana per chi ravvivava in sé il senti¬ 
mento tutto cristiano del valore spirituale: 
scienza elegante nel suo laborioso artifizio, 
sottile nella pellegrinità de’ suoi tecnicismi, 
delicatissima nei pazienti avvolgimenti dida¬ 
scalici in cui si dispiega, vasta, universale 
come un mondo per quanti vi si dedicavano: 
e, messovi dentro, talvolta, un intelletto di 
vasto respiro e di tempra ferrea, vi si ag¬ 
giravano e scendevano per meati lunghis¬ 
simi, con ricerche, che ora ci spaventano per 
la fatica di pensiero e la forza di sacrifizio 
che attestano, fino a toccare l’ultimo fondo 



20 


BERNARDINO TEI.ESIO 


delle difficoltà, in cui la filosofia antica urta 
e si arresta. E basti per tutti ricordare il no¬ 
stro Tommaso d’Aquino: i cui sforzi possenti 
per scuotersi di dosso la plumbea cappa delle 
conseguenze ineluttabili dell’antica filosofia, 
riempiono l’animo dello studioso moderno 
di commossa ammirazione e di reverenza. 
Chi vuole intendere la storia del pensiero 
medievale, deve figgere lo sguardo in questo 
contrasto delle maggiori forze spirituali che 
vi operavano dentro: il misticismo, che, affer¬ 
mando immediatamente la presenza di Dio, 
della verità, di quanto ha valore, nello spi¬ 
rito umano, nega la scienza, la cognizione 
che è sviluppo e sistema, e tutte le forme 
a cui lo sviluppo dello spirito dà luogo nella 
scienza e nella vita; e la filosofia intellettua* 
listica, che, presupponendo una realtà fuori 
dello spirito che la ricerca, si affanna in una 
costruzione, formalmente ricchissima e so¬ 
stanzialmente vuota, di quel che non può 
essere verità. 

O verità senza scienza, senza vita dello 
spirito; — o scienza, forma elevatissima di 
questa vita, senza verità, vana. 



UMANESIMO E RINASCIMENTO 


2 1 


II 

Quando il medio evo è al tramonto, un 
uomo di genio raccoglie in una espressione 
eloquente il senso di vuoto che l’anima cri¬ 
stiana provava nella scienza delle scuole: ma 
un senso, che non è più schietta conseguenza 
di disposizione mistica, la quale, rinunciando 
alla scienza, possa trovare il suo appaga¬ 
mento nell’immediatezza della fede; anzi, un 
senso che nasce da un vivo bisogno di sapere, 
di pensare, d’intendere. Egli è un dotto, un 
grande maestro di dottrina, un amante ap¬ 
passionato della scienza; ma aspira dal pro¬ 
fondo a una scienza che riempia l’anima e 
appaghi i bisogni che la nuova fede ha creati 
dando all'uomo la coscienza della sua inizia¬ 
tiva, della sua posizione centrale nel mondo: 
a una scienza insomma che dia la filosofia 
a questa fede. Quest’uomo, che si presenta 
sulla soglia del rinascimento con la coscienza 
di tale nuovo problema, e che, parlando un 
linguaggio pieno di malinconica nostalgia 
per un tempo che non è il suo, avvia per 
una nuova strada lo spirito umano, svegliando 


22 


BERNARDINO TELESIO 


intorno e innanzi a sè una lunga schiera e* 
folta di ricercatori, che indagano con fedel 
oscura ma salda una scienza nuova, che noni 
essi potranno trovare, è un grande poeta,! 
che fu anche un grande scrutatore deH’anima 
propria colta e sensibilissima, I'rancesco le 
trarca: iniziatore deH’umanesimo 2 ). 

L’umanesimo ha un doppio valore storico 
negativo e positivo. 

È guerra alla scienza del medio evo, — 
combattuta bensì con argomenti alquanto 
estrinseci e con spirito assolutamente restio 
per lo più, a passare attraverso a quelli 
scienza per superarla: — combattuta con 1; 
satira della forma letteraria, ispida, irsuta 
lutulenta, aspra di terminologia creata dal 
l’intelletto assottigliantesi nell’astrazione < 
nella conseguente escogitazione di entità lit 
tizie; alla quale si contrappone la purezz; 
translucida e composta dell’arte antica prò 


pria di uno spirito più ingenuo, meno affi 
ticato dalla concentrazione di un contenuti 
speculativo divenuto poi insufficiente alle in¬ 
tuizioni fondamentali del pensiero: — e co 
battuta con la dimostrazione sempre facond 
efficace, insinuante del vuoto, che c era sotti 
il tecnicismo difficile di quella pretesa scienza 





UMANESIMO E RINASCIMENTO 


23 


£ poiché quando la vita è sullo spegnersi, 
anche la causa più piccola basta a portare 
alla morte, nella civiltà viva del secolo xv, 
in quella che progredisce e prepara le for- 
nie ulteriori del pensiero umano, l’umane¬ 
simo, pur coi difetti della sua polemica, cac¬ 
cia di nido la scolastica. Restano le scuole 
dei frati; come restano anche oggi. Si con¬ 
tinua a filosofare all’antica; ma è una filo¬ 
sofia morta, allora come ora; non c’è più un 
Tommaso d’Aquino nè un Duns Scoto. Co¬ 
mincia l’era dei commentatori, che fossiliz¬ 
zano per conto loro lo spirito, che è vita 
sempre nuova. E la vita è negli umanisti. 

Quindi il lato positivo del loro valore sto¬ 
rico. L’umanesimo è filologia; ma filologia 
seria, che rivive il mondo umano che vuol 
conoscere: lo rivive nella fantasia e nel pen¬ 
siero, ma con una fantasia e con un pensiero, 
che s’estraniano dal mondo circostante e si 
chiudono in se stessi. Gli umanisti perciò, 
rifacendosi antichi nel mondo degli studi in 
cui si ritirano, possono acconciarsi alle for¬ 
me della vita esteriore, a cui non attribui¬ 
scono nessun valore. Tutta la vita reale e 
storica non tocca l’animo loro: è qualche 
cosa di indifferente, che si può accettare quindi 






24 


BERNARDINO TELESIO 


qual’ è, senza critica di sorta. L’uomo, ora 
per la prima volta, si spezza in due, con una 
scissura, che, passato questo periodo nece» 
sario di liberazione dal medio evo, non si 
ristaurerà a un tratto; e in Italia, che fu la 
patria degli umanisti, ossia dei primi maestri 
dei primi risvegliatori dell’Europa moderna 
resterà tristo legato di quell’epoca gloriosa 
piaga secolare del nostro carattere spirituale 
e forse il simbolo più significativo della no, 
stra decadenza 3 ). 

L’umanista è il primo letterato dell’eti 
moderna: il letterato, il cui mondo vero è> 
quello degli studi, e quell’altro, in cui purj 
vive come uomo, che ha famiglia e interess 
sociali, non è il suo mondo; il letterato in^ 
somma che non è uomo. Tale il Petrarca, i 
cui sdegni contro l’avara Babilonia e il saluto 
augurale ed ammonitore allo spirito gentile 
sono superfetazioni retoriche della sua poe? 
sia. Tale non era stato quell'Alighieri, che 
fu a lui sempre incomprensibile, nel poemi 
divino, contemplazione e poesia, ma di uno 
spirito energico, che guarda al suo tempo, 
e s’appassiona per tutte le lotte che gli si 
agitano attorno, e fa tuonare da Dio la parola 
che può essere la salute di tutti. Letterati 



UMANESIMO E RINASCIMENTO 


saranno tutti i poeti e filosofi della Italia fio¬ 
rentissima del rinascimento, che accetteranno 
tutti la vita quale la troveranno, poiché la 
loro vera vita essi se la faranno dentro, nella 
fantasia e nella speculazione, nel mondo creato 
da loro. La stessa religione, fissatasi al loro 
sguardo nella Chiesa, che non solo associa le 
anime, ma le forma e riforma, con l’ammini¬ 
strazione del divino commessole, con la sua 
teologia e con la sua filosofia, diventa per loro 
qualche cosa di estrinseco e indifferente, che 
ogni cittadino nel suo paese deve accettare 
come le leggi dello Stato. Cioè, in realtà, essi 
non partecipano alla religione del paese; ma 
ne hanno una per conto loro, il loro Dio è la 
loro arte, la loro filosofia, alle quali votano tutta 
infatti l’anima loro e subordinano ogni altro 
interesse, almeno nell’intimo del loro spirito. 

Non è, veramente, nè indifferentismo re¬ 
ligioso, nè tanto meno ateismo. Ma ateismo 
pare verso la religiosità ufficiale di cui si 
ridono, ancorché esteriormente le professino 
ogni riguardo. Quindi i conflitti frequenti e 
le prigioni e i roghi, che aspettano i nostri 
filosofi del secolo xvi. 

Il letterato, a ogni modo, stralciandosi 
dalla vita comune, in cui si era consolidata, 



26 


BERNARDINO TE DESIO 


in forma di instituzioni costrittive dell’indi¬ 
viduo, l'intuizione trascendente e intellettua¬ 
listica del medio evo, ereditata dalla filosofia 
greca, ristaurava, come poteva, la libertà 
dello spirito che si fa il suo mondo; e si fa 
un mondo di puro pensiero, poiché non gli è 
consentito di scrollare, d’un tratto, quell’altro 
della comunità sociale; al quale per altro, a 
suo tempo, perverrà egualmente quando il 
principio suo, il principio della libertà, di¬ 
verrà nel secolo xvm coscienza di tutti. E 
per questa sua ristaurazione, che è perfetta 
ed assoluta rispetto al mondo dell’umanista, 
egli, il malvisto della Chiesa, il perseguitato 
nei libri che saranno proibiti, nell’insegna¬ 
mento che sarà vietato, nella persona' che 
sarà bruciata, egli è più cristiano dei suoi 
persecutori: egli è il continuatore dello spi¬ 
rito vero del cristianesimo. Ha infranta e 
buttata via, con l’impeto. • della giovinezza, 
la vecchia filosofia, la fida, l’eterna alleata 
della chiesa medievale, come della chiesa 
di oggi e di ogni chiesa avvenire (poiché un 
medio evo bisogna che ci sia sempre); ma 
non si è abbandonato, come si faceva una 
volta, al misticismo; anzi celebra la potenza 
dello spirito; e, poiché una filosofia sua non 



UMANESIMO E RINASCIMENTO 


27 


ce rha (e non era facile averla, dopo il ri¬ 
fiuto di una filosofia opera millenaria), ei la 
ricerca nell’antichità più remota. La ricerca 
dove, a dir vero, era vano cercarla; perchè 
quell’antichità aveva generato il medio evo; 
ma l’umanista non sa questo, e non può cre¬ 
dere che Platone, Aristotile, quei maestri 
solenni di sapienza umana, che gli scrittori 
antichi a una voce lodano, possono avere in¬ 
sertato la dottrina di cui essi vedono la tar¬ 
diva e sfigurata immagine nelle scuole del 
loro tempo. E poiché, in realtà, noi troviamo 
solo quello che cerchiamo, gli umanisti, che 
imparano il greco, e vanno a leggere nei 
testi originali e traducono e commentano, col 
sussidio dei più genuini commenti greci, 
gli scritti di Platone ed Aristotile, scoprono 
un mondo nuovo; un altro Platone e un 
altro Aristotile da quelli che erano i maestri 
della filosofia del medio evo; non dico di 
quella filosofia, ansimante nella logica termi- 
nistica degli occamisti, che sul cadere del 300 
lacerava le orecchie delicate dei primi uma¬ 
nisti fiorentini, i quali avviarono pure i lavori 
delle nuove traduzioni greche (chè codesta 
è la filosofia della decadenza medioevale); 
ma di quella che e la vera, la essenziale 








28 


bernardino telesio 


filosofia dell epoca: la filosofia della trascen¬ 
denza e dell’intellettualismo. E non occorre 
dire che, se essi non trovano più i maestri 
di questa filosofia, è perchè muovono da una 
condizione spirituale affatto nuova, che fa di 
questo ritorno all’antico, che avviene nel 400, ' 
qualcosa di radicalmente diverso non solo 
dalla primitiva ellenizzazione del cristiane¬ 
simo nel periodo alessandrino, ma anche, e 
sopra tutto, da quel primo ritorno alle fonti I 
greche del sapere, che era già avvenuto nel 
secolo xm, nel tempo stesso di San Tom- I 
maso. 

Marsilio Ticino e Pico della Mirandola, in j 
cui culmina la direzione platonizzante, sono j 
platonici; ma sono profondamente cristiani; 1 
e un aura di mistica religiosità pervade tutto 1 
il loro pensiero, che vede e sente Dio per ] 
tutto, e sommamente nell’anima umana; e, | 
ispirandosi ai neoplatonici anzi che a Pia- J 
tone, accentuano più della trascendenza, che ] 
non possono negare, l’immanenza del divino I 
nella realtà naturale e aspirante a ritornare ] 
all Uno da cui trae sua origine: e aprono la 1 
via a Leone Ebreo e a Giordano Bruno. 

Pietro Pomponazzi, il maggiore aristote- 1 
fico, fiorito al principio del 500 dal movimento ] 




UMANESIMO E RINASCIMENTO 


29 


filologico sui testi di Aristotile del secolo 
antecedente, scopre un Aristotile, che non è 
più quello dei tomisti, nè quello degli aver- 
roisti: un Aristotile che, a poco per volta, 
secondo apparisce dai varii gradi attraversati 
dalla speculazione stessa del Pomponazzi, 
finisce col persuadersi che la materia si possa 
sollevare da sè fino all’intelligenza, senza il 
sussidio dell’intelletto separato; e che l’anima 
umana, ultimo risultato così del processo della 
natura, possa compiere in questo mondo, con 
le sue forze, tutta la sua missione, che è 
principalmente il ben fare, la virtù; e che 
tutti poi i fatti della natura debbano pel filo¬ 
sofo spiegarsi meccanicamente, per le loro 
cause: un Aristotile, insomma, per cui quel 
che rimane di trascendente (e rimane tutto 
quello che nell’Aristotile originale e nell’Ari- 
stotile medievale, ossia nella scolastica, era 
tale) non serve più alla ricostruzione e spie¬ 
gazione della realtà che sola è per il filo¬ 
sofo. Sicché la filologia del secolo xv riesce, 
ricalcando gli antichi modelli con lo spirito 
nuovo dell’umanesimo, a cavarne due intui¬ 
zioni generali, in cui la filosofia greca riap¬ 
parisce trasfigurata e come ricreata dal soffio 
spirituale del cristianesimo, inteso, come ho 




BERNARDINO TEI.ESIO 


detto, quale autonomia e valore assoluto 
della natura e dell’uomo. La nuova filo¬ 
sofia infatti dicesi platonica e aristotelica $ 
ed è cristiana, ancorché mal veduta e con-] 
dannata dai rappresentanti ufficiali del cri-^ 
stianesimo. 

Guardatela in Machiavelli, contemporaneo 
di Pomponazzi e coerede suo della tradii 
zione filologica del secolo xv: chè tutto il 
suo realismo politico, quella concezione dello ^ 
spirito, della storia, dello Stato, tutta fon¬ 
data sulla visione della realtà effettuale e I 
illuminata dalla lezione degli antichi, non è I 
come il positivismo guicciardiniano un empi- I 
rismo, ma è una vera e propria speculazione I 
(Machiavelli è un idealista); la quale dello I 
studio degli antichi si giova solo per libe- I 
rare l’uomo dalle contingenze storiche, quali I 
sono per lei tutte le forme e istituzioni me-j I 
dievali sorrette dalla autorità di una tra- I 
dizione irrazionale; e studiarlo quindi per I 
quel che esso è, nelle sue forze e nelle sue I 
reali attinenze col resto del mondo, come il I 
vero ed unico autore della sua storia: una J 
specie di naturalismo del mondo umano. 

Guardate, dico, questa nuova filosofia nel I 
Machiavelli. Machiavellismo sarà dopo un I 








UMANESIMO E RINASCIMENTO 


31 


secolo, nel Campanella, sinonimo di « achito- 
fellismo », negazione di ogni fede religiosa, 
p l’achitofellismo, più o meno apertamente 
e coraggiosamente, è la conclusione defini¬ 
tiva e il succo delle dottrine di tutti i pen¬ 
satori del 500: anzi, di tutto lo spirito italiano 
del secolo: a cui l’interpretazione aristotelica 
si ispira e si conforma. Giacché averroisti 
e alessandristi, per diverse vie, tendono tutti 
alla stessa mèta: che è la spiegazione natu¬ 
rale di quel che una volta pareva superiore 
affatto alla natura; e gli artisti, si chiamino 
Ariosto o Folengo, non conoscono altro 
inondo, oltre quello naturale ed umano. 

Ma negavano perciò Dio? Se Dio è quel 
Dio, che, stando fuori della natura e del¬ 
l’uomo, rende impossibile concepire una na¬ 
tura divina e un uomo divino, Dio essi lo 
negavano, perchè affermavano il valore as¬ 
soluto della natura e deH’uomo. Ma quel Dio, 
che era sceso in terra, e si era fatto uomo, 
e aveva redento la natura, era la radice della 
religione, che, essi primi, dopo il lungo vano 
travaglio medievale, ristauravano nella storia 
della umanità. 

Essi, infatti, per la prima volta, rivendi¬ 
cavano in libertà, dal misticismo e dall’ in- 




32 


BERNARDINO TELESIO 


tellettiialismo, che ne sono per opposte ra-, 
gioni la oppressione aduggiatrice, il sensi 
profondo, proprio del cristianesimo, dellaI 
divinità della vita che crea eternamente sj 
stessa, dell essere che nella propria logica 
ha eternamente la ragione del proprio traJ 
formarsi e perpetuarsi trasformandosi. 

Quando l’umanesimo venne per tal modo 
in chi prima e in chi dopo, alla maturiti 
della rinascenza, lo spirito umano potè met¬ 
tere quasi 1 anelito potente di una nuova; 
vita, e di filologia farsi filosofia. Quando il 
nuovo Platone e il nuovo Aristotile ridie¬ 
dero all’uomo la coscienza dell’immanente 
suo valore, e l’ebbero allenato alla libertà 
dell esser suo, e dell’essere naturale, cui il 
suo essere appartiene, lo stesso Platone e 
lo stesso Aristotile, (questi sopra tutto, che 
era stato il vero signore delle scuole e il 
maestro di ogni umana sapienza) dovevano 
necessariamente perdere il loro prestigio di 
rivelatori privilegiati delle verità naturali.] 

L umanista e ancora un platonico o un 
aristotelico; cerca la scienza; e non sa nè 
anche come deve cercarla; e interroga gli] 
antichi, che la tradizione e la fama consacra 
nella generale estimazione come i soli filosofi. 





UMANESIMO E RINASCIMENTO 


33 


il fil° s °f° c l e H a rinascenza da questi 
ntichi, meglio conosciuti e studiati con lo 
spirito nuovo dell’umanesimo, ha appreso 
he la natura si spiega con la natura, la 
toria con la storia; e che bisogna cercare 
quindi nel gran libro della natura e della 
realtà effettuale dei fatti umani che cosa è 
la natura e che cosa è l’uomo. Gli antichi 
maestri rimandavano i nuovi scolari all’os¬ 
servazione diretta di quel che essi avevano 
osservato e inteso come era possibile a loro, 
senza nessun sentore della imprescindibile 
presenza del soggetto umano nel mondo del¬ 
l'uomo. La libertà, che gli scolari appresero 
da loro, quali essi li videro coi loro occhi 
nuovi, la libertà essi la affermarono ben pre¬ 
sto contro l’autorità dei maestri, che faceva 
della verità qualche cosa di dato e di estrin¬ 
seco alla mente come il Dio nascosto della 
teologia, come la realtà dell’intellettualismo. 
E però gli umanisti, divenuti filosofi, come 
parvero, e in un certo senso furono, atei e 
achitofellisti, furono antiaristotelici e, in ge¬ 
nerale, ribelli all’autorità degli antichi. Tutti 
invasi da un fantasma affatto nuovo, non in- 
travvisto mai dagli antichi scrittori: quello 





34 


BERNARDINO TEEESIO 


in cui i vecchi pensatori e sacerdoti l’avj 
vano posta a sedere, quasi paralitica impoJ 
tente: e si sgranchisce, e procede col tempo! 
e vive di questo suo cammino pei secoli ' 
anzi per le menti delle generazioni, che si 
succedono, e mai indarno: quasi fiamma che] 
passi da una mano all’altra e mai non sii 
spenga perchè accenda sempre nuovi incendiiJ 
e sempre più vasti. 

/ eritas jilia temporis! Gli uomini, che peri 
lo innanzi avevano concepito la verità cornei 
pei se stante e non come il loro lavoro, I 
l’avevan sempre collocata dietro a loro', al 
principio della loro vita, nel paradiso ter- ] 
restie, nell età dell oro, nel vangelo rinnoJ 
vatore e iniziatore di un’era nuova già fin 
da principio perfetta, o, almeno (la verità acJ 
cessibile a mente umana) nell’insegnamento 
degli antichi, venuti crescendo perciò sempre ] 
più nella venerazione dell’universale e illuni! 
nandosi dell’aureola della saggezza, onde agli t 
occhi dei fanciulli si ricinge sempre la canizie , 
dei vegliardi. — Sì, è vero, si comincia a dire I 
sulla fine del secolo xvi : la sapienza cresci 
cogli anni ; ma i vecchi siamo noi, non quelli 
che furono prima di noi. — Così dice Bruno; ; 
e così ripeteranno Bacone e Cartesio, Pascali 


UMANESIMO E RINASCIMENTO 


35 


Malebranche, e poi con voce sempre più alta 
tutti i filosofi moderni 4 ). I quali afferme¬ 
ranno con coscienza sempre più salda la 
] e <Tcre del progresso del sapere e della ve¬ 
rità: ossia il valore serio, divino della storia, 
come sviluppo, che è incremento continuo 
della realtà. Onde i vegliardi di una volta 
si trasfigurano in fanciulli; e i già fanciulli, 
usciti di minorità, e abbandonato alla scuola 
dei pedanti (come allora cominciarono a 
dirsi) il culto degli antichi, acquistano il giu¬ 
sto orgoglio degli uomini fatti, e la coscienza 
della propria capacità di concorrere al pro¬ 
gresso della scienza. 

Che anzi questa uscita di minorità, nella 
sua primitiva e ovvia forma di reazione al 
lungo servaggio passato, scoppia come ribel¬ 
lione, e si ricompone tardi e lentamente a 
equo giudizio storico delle benemerenze in¬ 
contestabili degli antichi. Così, se una volta, 
come notava nel secolo xri Giovanni di Sa- 
lisbury, Aristotile era stato il filosofo per 
antonomasia 5 ), e nessuno si scandalezzava 
della fanatica iperbole di Averroè che Ari¬ 
stotile fosse stato « la norma della natura e 
quasi un modello, ond’essa avesse cercato di 
esprimere il tipo dell’umana percezione 6 ) » ; 



36 


BERNARDINO TE DESIO 


nel cinquecento continua bensì nelle grandi 
edizioni di tutti i suoi scritti, voltati in latino 
e commentati in uso delle tante scuole, 
dove rimaneva sempre il solo testo di studio, 
continua egli a godere il titolo pomjjoso di 
princeps philosophorum\ e la chiesa cattolica 
a lui, come a patrono invincibile della sua 
dottrina, sempre valido alla repressione di 
ogni libero tentativo di riscossa, si tiene] 
sempre strettissima; onde ancora nel 1615 
Federico Cesi badava ad avvertire il suoi 
grande Galileo che a Roma « li contrari ad , 
A.i istotile sono odiatissimi ") ». Ma lungo ] 
tutto il 500 è una polemica incessante pri-J 
ma contro gli aristotelici, e poi contro Ari- I 
stotile, preparatrice del rinnovamento baco-1 
niano. 

Ricorderò Mario Nizzoli (1488-1566) che | 
nel suo Antibarbarus philosophìcus (1553)* 
non dubita di affermare che chi si mette I 
sulle orme di Aristotele, non potrà mai nec ] 
recte phìlosophari nec perfecte veritatem inveM 
nire. Sì, raccomanda la lettura delle opere J 
aristoteliche; ma cu/n diligenti consì defaticine 1 
atcjue iudicio ; ne pregia alcune; ma nella | 
maggior parte della Fisica, in non pochi ] 
punti della Metafisica e in tutta la Logica 1 





UMANESIMO E RINASCIMENTO 


37 


trova cose false, o inutili, e fin ridicole. A lui 
si può applicare, secondo il Nizzoli, il pro¬ 
verbio: Ubi bene, nikil melius : ubi male, 
nihil peius 8 ). E in tutte le sue critiche con¬ 
tro Aristotile uno studioso inglese di Ba¬ 
cone 9 ) nota quell’impazienza e queU’asprezza, 
che son solite negli scritti del Cancelliere 
inglese. E basti vedere le due avvertenze, 
che il Nizzoli, alla fine del suo libro, pro¬ 
pone d’imparare a memoria, chi voglia ret¬ 
tamente filosofare. La seconda delle quali, 
nello stesso latino dell’Antibarbaro, suona: 
Quamdiu in scholis philosophoi'um regnabit 
Arìstoteles iste dialecticus et meiaphysicus, tam- 
diit in eis et falsitatem et barbariem, si... non 
linguae et oris, at certe pectoris et cordis re- 
gnaturam. 

Ricorderò il francese Pietro Ramo (nato 
nel 15156 morto nel '72, la notte di San Bar- 
tolommeo): il quale con le sue Animadver- 
siones in dialecticam Aristotelis ( 1545) avrebbe 
mostrato, secondo il Bruno IO ), molto eloquen¬ 
temente di esser poco savio; ma creò ad ogni 
modo una scuola di logica nuova, esercitando 
una grande efficacia anche fuori della Francia, 
al suo tempo. Costui, secondo un suo bio¬ 
grafo, si laureò dottore d’arti a Parigi con 


38 


BERNARDINO TELESIO 


una tesi: Quaecumque ab Aristotele dieta essent, \ 
commentitia esse-, fittizio, falso ogni detto di 
Aristotele. Tanta fu la virulenza della sua pc 
lemica contro la logica dell’antico, che il 
Ramo dice non hosiem humani iudicii, sed tor\ 
torem ' carnificemque, da movere a sdegno i 
più spregiudicati tra i moderni. 


Ili 


I pensatori, adunque, intorno alla metà 
del sec. xvi cominciano a proporsi con intera 
libertà di spirito i problemi filosofici: libertà 
da preoccupazioni trascendenti e da pregiu¬ 
dizi di tradizione. E tra questi pensatori eccc 
sorgere e grandeggiare, come il rappresen¬ 
tante più cospicuo della tendenza nuova, il 
primo che costruisca tutta una filosofia dal 
nuovo punto di vista conquistato dal rina¬ 
scimento, l’annunziatore del nuovo giorno, 
Bernardino Telesio. 

Egli incarna il tipo del filosofo letterato, 
continuatore della tradizione filologica del- 
l’umanismo: del filosofo, il cui mondo vere 
è quello del pensiero, e l’altro non lo tocca: 
che si chiude nella sua filosofia e si estrania 



VITA E SCRITTI DEL TELESIO 


39 


111 realtà storica, che non è più vista da 

f • che diviene pertanto inafferrabile alla 
lui. e 1 -Il 

u a filosofia, cui pure, come a scienza del 

tutto, nulla dovrebbe sfuggire. 

La vita di Telesio “) si racconta in poche 
arole, quando si astragga dal processo del 
suo pensiero, perchè è appunto la vita di 
uomo, che vive tutto chiuso in se stesso; 
e se vi giunge il rumore fioco del mondo 
che si agita attorno al filosofo, è, tutt’al più, 
il saluto benevolo degli amici, facili a chi, 
non contrastando altrui nessun bene mon¬ 
dano, non si toglie per sè se non quello, 
che, anche partecipato, non si scema; o è il 
consenso o il dissenso degli studiosi, che con 
lui si sequestrano dalla vita comune; o è il 
malinconico ricordo della famiglia e degli 
affetti e interessi domestici, che, trascurati, 
diventano fonte perenne di affanni e impe¬ 
dimenti dolorosi al pensiero dominante del 
filosofo, assediato sempre dalla immagine 
raggiante di quella donna bellissima, che Ber¬ 
nardino amava di riprodurre sul frontespizio 
dei suoi libri: tutta nuda, nel verde piano, 
lungi dalle città dei mortali, le braccia aperte 
aspettanti, illuminata il petto e la fronte dal 
sole; e intorno il motto appassionato: ji-dva 










40 


BERNARDINO TELESIO 


[xol »i'Xa, « sola a me cara »: la divina Verità 
di cui Giordano Bruno canterà che nuda 1 

de loto iaculatur corpore lucem ”); 

e per la quale egli, il Telesio, nella tarda 
età, raccogliendo nella sua opera maggior^ 
il frutto di una lunga vita a lei consacrata, 
si scusava dell’audacia del suo dissentire da 
Aristotele, interprete sommo, anche a suo 
giudizio, della natura, ammonendo i proni 
aristotelici del suo tempo, che si ricordassero i 
di quel che il maestro aveva detto, o imi¬ 
tassero quel che aveva fatto. « Giacché Ari¬ 
stotile stesso vuole, che in filosofia innanzi 
a tutti gli amici si onori la verità, in grazia 
della quale ei non teme riprendere anche il 
suo maestro ed amico. E mossi dall’amore di 
essa sola, per certo, ed essa sola venerando, 
noi, non sapendo acquetarci a quel che ave¬ 
vano insegnato gli antichi, a lungo abbiamo 
scrutato la natura; e, se non c’ inganniamo;! 
scopertala, l’abbiamo voluta svelare ai mor¬ 
tali, stimando non essere nè da uomo probo, 
nè libero, occultarla al genere umano per 
invidia o per tema dell’altrui invidia n ) ». 

Essa sola! Fuori di questo mondo, adun¬ 
que, in cui egli raccoglie e critica la tradizione 


VITA E SCRITTI DEL TELESIO 


-H 


antica e scruta da capo la natura, finché 
non gli paia di scoprirne il segreto, e que¬ 
sto, da ultimo, si accinge a comunicare agli 
altri, è vano cercare il Telesio: potete tro¬ 
vare un’ombra, non la persona viva. Egli è 
tutto lì, nei suoi libri. Nei quali c’è bensì 
un punto, che fermò già Bacone * 4 ), ma che 
è sfuggito, credo, a tutti i biografi, anche 
al sagace e diligentissimo Bartelli, che mi 
piace nominare subito a titolo di onore, e 
a sdebitarmi qui della riconoscenza che tutti 
gli debbono gli studiosi del Telesio: un punto, 
che è come uno spiracolo aperto in cotesto 
mondo intellettuale; e attraverso di esso tra¬ 
sparisce vagamente qualche cosa della vita 
privata dell’uomo. A proposito di certa in¬ 
dagine sperimentale intorno all’azione del 
calore in ragione della sua quantità — in¬ 
dagine che il Telesio, per conto suo, ritiene 
impossibile — egli esce in queste parole: 
« Così vi riuscissero altri, dotati d’ingegno 
più perspicace e che abbiano modo di stu¬ 
diare la natura con tutta tranquillità, sì da 
diventare, nonché onniscienti, onnipotenti. 
A noi, per confessarlo ingenuamente, d’inge¬ 
gno più grosso, e a cui filosofare non è stato 
possibile, se non negli ultimi anni della vita 


42 


BERNARDINO TERESIO 


(extremum vitae spatium ), e tutt’altro die li¬ 
beri da noie e da affanni, anzi gittati nelle 
maggiori angustie e nei guai più gravi dalla 
scelleratezza e inaudita crudeltà di coloro, 
dai quali avremmo dovuto più essere amati, 1 
onorati e favoriti, è abbastanza se possiamo 
scorgere qual calore e quanto conferisca una 
data disposizione a una data mole mate-! 
riale » ,5 ). E accenni simili, in verità, a preoc¬ 


cupazioni e cure personali, e infine al dolore 
acerbo, onde nel 1576 fu colpito il cuore ! 
del filosofo già declinante a vecchiaia pel 
truce assassinio del suo giovinetto Prospero, 
il primogenito, si ripetono nelle prefazioni 
sue e d’un suo fido scolaro ai suoi libri: ma 
suonano appunto tutti come lamenti di un 
destino maligno, che turbò la vita serena, 
che Bernardino avrebbe voluto vivere, rac¬ 
colto nella meditazione delle sue idee. 

Bernardino fu il primo dei sette figli di 
Giovanni e di Francesca Garofalo. Dei quali 
il secondo, V alerio, fu barone di Castelfranco 
e Cerisano, e non solo mantenne, ma ac¬ 
crebbe le avite ricchezze; e certo pensò più 
a far danari, che a farsi amare, se nel 1567 
i vassalli lo denunziavano al governo vice¬ 
regio per luterano; e, non essendo riusciti 



VITA E SCRITTI DEL TELESIO 


43 


er questa via a toglierselo di dosso, dodici 
anni dopo, cresciuto il malcontento, lo am- 
azzavano. Paolo e Tommaso furono invece 
ecclesiastici modesti e caritatevoli : Tommaso, 
vescovo di Cosenza dal 1565 al 69, profuse 
il suo a beneficio dei poveri ; e aiutò il fra¬ 
tello Bernardino, lontano il più del tempo da 
Cosenza e distratto, com’era naturale, negli 
studi, a precipitare anche lui in povertà. 


Bernardino, nato nel 1509, in una casa 
t li Via Padolisi, di fronte al monastero delle 
Verdini, dove il ricercatore dei ricordi patrii 
può scorgerne tuttavia qualche rudere; si 
allontanò fanciullo da Cosenza, seguendo lo 
zio Antonio, umanista dottissimo in latinità 
e maestro assai valente di lettere. E con lui 
era a Milano già nel 1518. Da lui dovette 
apprendere non solo il latino, che egli, pur 
contorcendolo al faticoso periodo della più 
tarda scolastica, maneggia con sicura padro¬ 
nanza del materiale linguistico più puro; ma 
anche il greco, poiché egli stesso afferma di 
avere studiato la filosofia aristotelica più sui 
testi originali che sulle traduzioni latine, il 
cui gergo gli riusciva incomprensibile l6 ). 

Con lo zio chiamato a insegnare nel gin¬ 
nasio romano, passava a Roma forse sulla 




44 


BERNARDINO TELESIO 


fine del ’2i, certo prima del '23. E vi era nel 
celebre sacco di quattro anni dopo; anzi fi,] 
fatto prigione, e potè essere liberato dop 0 | 
due mesi a intercessione del concittadino Beri 
nardino Martirano, segretario di Filiberto 
d Grange I7 ). Onde, poco stante, avendo lo zio I 
avuto un insegnamento a Venezia, egli s j 
recò a Padova, per continuare lì e compiere 
la sua istruzione; e parecchi anni vi stette, 1 
attendendo presso quello studio, allora tra 
1 più celebri e frequentati di tutta Europa e 
centro principale dell’aristotelismo, alla ma-, 
tematica, all ottica (in cui si dice che facesse! 
osservazioni nuove mirabili) e sopra tutto alla 
filosofia. Quando ne sia venuto via, lo igno-1 
riamo. E le congetture desunte dalla crono- j 
logia dei Papi, che secondo il suo antico bio¬ 
grafo, il cosentino Giovanni Paolo d’Aquino, 
ebbero in grande stima il filosofo, e che 
sarebbero poi stati tutti quelli che pontifica¬ 
rono dalla giovinezza alla morte del Telesio, 
sono prive di ogni ragionevole fondamento. 
Ma lo stesso D’Aquino, che lesse il suo ■ 
elogio nell’Accademia Cosentina, poco dopo] 
la molte del filosofo, di cui fu amico e potè ] 
conoscere minutamente i casi, ci racconta che I 
Bernardino, «per poter meglio investigare il 






VITA E SCRITTI DEL TELESIO 


45 


ecre ti della natura, per molti anni si dis¬ 
giunse dalla frequenza degli uomini, e sè 
liberò da ogni altro pensiero, e lasciò la 
patria, i parenti, gli amici, e si raccolse in 
u n monastero di frati di San Benedetto e ivi 
abitò ,s ) » : molto probabilmente nella Gran- 
cia di Seminara I9 ). Il che dovette accadere 
poco dopo il ritorno da Padova, e qualche 
anno prima del '40. Perchè durante questi 
molti anni di raccoglimento e di studi sap¬ 
piamo da lui stesso che egli non scrisse mai 
nulla 20 )‘, e solo ripigliò la penna quando si 
credette arrivato in porto, e in possesso della 
verità già faticosamente ma invano cercata 
nei libri di Aristotile, e poi lungamente in¬ 
dagata nella stessa natura al lume di nuovi 
principii balenatigli a un tratto alla mente. 
E sappiamo che a scrivere cominciò, quando 
aveva lasciato Seminara, a Napoli, ospite dei 
Carafa, duchi di Nocera. E doveva aver co¬ 
minciato prima del '47, se il vescovo di Fano, 
Ippolito Capilupi, potè dare al re Francesco I 
la lieta novella che il giogo di Aristotile pre¬ 
sto sarebbe stato scosso, e che un italiano 
« aveva cominciato a scrivere » contro la sua 
dottrina. Di che si sarebbe rallegrato il Re, 
e avrebbe detto al Capilupi: « Io prometto 


46 


BERNARDINO TELESIO 


che, se costui fa quel che dice, io sono p er 
dargli diecimila fiorini in entrata » 2I ). 

Lasciata dunque Padova con la sconten¬ 
tezza nell’animo verso l’antica scienza che 
durante gli stessi studi universitari, gli dovè 
apparire, quale sempre la giudicò nei suoi 
scritti, oscurissima, il suo pensiero si maturò 
intorno al 1540 nella solitudine del chiostro. 
Passato a Napoli, nella conversazione degli 

ò "| 

studiosi ebbe occasione e stimolo a dar corpo 
e sistema alle proprie idee: e allora abbozzò 
i nove libri della sua maggiore opera De re~ 
rum natura e alcuni opuscoli su questioni 
varie di filosofia naturale: poiché gli uni e 
gli altri diceva di aver pronti da un pezzo 
nel 1565, quando pubblicò un primo saggio 
del De rerum natura 22 ). 

Nel ’55 la fama della nuova filosofia bat-.| 
teva l’ale fuori del Napoletano; poiché un 
altro Capilupi quell’anno rivolgeva al filosofo 
novatore questa preghiera: 

Telesio, voi che col veloce ingegno, 

Trascorso avete in si pochi anni il mondo, 
Misurando la terra e ’l ciel profondo, 

Già siete giunto di saver al segno: 

Mostratemi il cammin, se ne son degno, 

Da seguir voi col bel lume giocondo, 

Che trar mi pò dal tenebroso fondo 

D’alta ignoranza, onde ho me stesso a sdegno *3), j 




VITA E SCRITTI DEL TELESIO 


47 


Allusione evidente all’atteggiamento riso¬ 
luto, che già il Telesio doveva avere assunto, 
di assertore di una nuova filosofia; la quale, 
per la stessa avversione che incontrava 
naturalmente nei tenaci prosecutori della dot¬ 
trina aristotelica, doveva, come suole acca¬ 
dere, diventare più presto famosa che cono¬ 
sciuta. Celebre, pel racconto che ne fa lo 
stesso Telesio, il viaggio da lui intrapreso 
nel 1563 ’ 4 ), per sottoporre questa sua filo¬ 
sofia a uno dei più illustri peripatetici di quel 
tempo, ora solo ricordato per quest'aneddoto 
telesiano: Giovanni Maggio, di Brescia, nella 
cui lealtà spregiudicata il novatore combat¬ 
tuto da tutte le parti, e quel che è più, tor¬ 
mentato dal segreto sospetto non forse egli 
si ingannasse ad attribuire tanti spropositi 
a quell’Aristotile, a cui i maggiori intelletti 
per tanti secoli s’erano inchinati, credette di 
far sicuro affidamento. E a Brescia le sue 
speranze non vennero deluse: la conversa¬ 
zione di quel brav’uomo gli restituì la fede 
che gli era necessaria. Il Maggio lo tenne 
seco parecchi giorni: lo ascoltò tranquilla¬ 
mente, pesò gli argomenti. Contro i prin¬ 
cipe non trovò che oppugnare, e le deduzioni 
erano impeccabili. Argomenti da difendere 


48 


BERNARDINO TELESIO 


in modo soddisfacente Aristotile, non potè 
addurne; e confessò egli, il peripatetico il¬ 
lustre, che doveva farsi un punto d’onore di 
salvare la riputazione del suo maestro, con¬ 
fessò che veramente questi aveva errato a 
porre quei suoi corpi primi, senza osservare 
la natura e argomentando dalle sue premesse; 
confermò anche che queste premesse erano 
involte in difficoltà inestricabili e senza fine, 
rilevate dai seguaci stessi ; nè gli parve inop¬ 
portuno metterle sott’occhio al Telesio. «Uomo 
nobilissimo », questi esclama nel racconto che 
due anni dopo fece di quella visita al Mag¬ 
gio: « nobilissimo, sì, di nascita, ma assai 
più di animo, cultore e ammiratore soltanto 
della verità » J5 ). Da lui fu, dunque, incorag¬ 
giato a pubblicare la parte fondamentale del¬ 
l’ardita dottrina, che da così lunghi anni an¬ 
dava rivolgendo nell’animo e timidamente 
comunicando agli amici. 

Allora bensì egli sentiva le imperfezioni 
che erano tuttavia nella sua opera, da cui 
quasi un avverso destino gli pareva che lo 
avesse a lungo distratto. E continuò negli 
anni seguenti a correggere e rifare. Tornò 
anche sopra i primi due libri, quando li 
ristampò nel ’jo accompagnandoli con tre 



VITA E SCRITTI DEL TELESIO 


49 


opuscoli De his quae in aere fiunt et de ter- 
raetnotibus, De colorum generatìone e De mari. 
Finché da ultimo si apprestava a rifonder 
j| suo vasto trattato, che gli riuscì di dare 
in luce intero solo nella vecchiaia avanzata. 
Con l’incontentabilità propria di chi giunge 
con fatica, per una via aspra e non più ten¬ 
tata, alla scoperta di un pensiero nuovo, e si 
sforza di dargli la forma classica, onde si 
avvantaggia la scienza ricevuta, con quella 
incontentabilità inquieta, che uno scolaro del 
Telesio attestava di lui ripubblicando, dopo 
la sua morte, insieme con nuovi opuscoli di 
ir.etereologia e psicologia i tre già stampati 
dall’autore ma arricchiti di aggiunte e cor¬ 
rezioni inedite di forma e sostanza 25 ), Ber¬ 
nardino Telesio attorno al suo libro mag¬ 
giore lavorò insistentemente, instancabilmente 
quasi mezzo secolo. 

E vi lavorò tra affanni continui, col desi¬ 
derio tormentoso, sempre inappagato, di un 
po' di tranquillità, sotto l’assillo di cure e 
dolori domestici, che non gli diedero mai 
tregua. Un raggio di luce nell’animo suo 
scende nel 1553, quando il filosofo solitario, 
il meditabondo indagatore della natura, si 
fa una famiglia. Sposa Diana Sersale, una 


G. Gentile, Bernardino Telesio. 


4 



50 


BERNARDINO TEI.ESIO 


vedova, già madre di due figli. Ma Diana morì 
otto anni dopo, lasciando altri quattro figli, 
di Bernardino. Quegli anni ei si fermò abi-j 
tualmente a Cosenza. Oui nel '54 era sindaco 
dei nobili. Qui è fama adoperasse di buon 
grado la sua autorità a comporre i litigi dei 
concittadini, a pacificare gli animi, amato] 
come era da tutti e tenuto in somma vene-l 
razione. Qui molta parte dovè prendere ai 
lavori dell’Accademia Cosentina; la quale, se-J 
guendo lo svolgimento generale della cultura ^ 
contemporanea, dalla filologia, si volse allora, ■ 
per opera principalmente del Telesio, alle 
questioni filosofiche o naturali ; e finì con i 
esser detta accademia telesiana. Sulle infe¬ 
lici vicende economiche di Bernardino, intera 
rotte, pare, per qualche anno dall’aiuto che 
al marito speculativo potè porgere la Diana,] 
ma fattesi più gravi subito dopo la morte 
di costei, divenendo motivo di sempre mag-i 
giori dispiaceri al filosofo, perseguitato dai 
creditori, non giova fermarsi. Nel '64 Pio IV 
gli offre a sollievo l’arcivescovado di Cosenza» 
ma egli prega il Papa che voglia conferirlo 
piuttosto al fratello Tommaso: « per atten-j 
dere a’ studi » , dice l’antico biografo 2? ). Ben 
più accetto poteva riuscirgli l’invito di Gre-j 






VITA E SCRITTI DEL TELESIO 


51 


?0 rio XIII (papa dal 72 aH’85) a spiegare 
in Roma pubblicamente il suo libro; come 
l'altro simile venutogli poscia da Napoli a8 ). 
Ma vero e proprio insegnamento egli non 
tenne, contento, come già Socrate, alle con¬ 
versazioni cogli amici, ai quali apparve mi¬ 
racolo di dialettica irresistibile e fu veramente 
maestro pieno di fascino; contento alle dispute 
coirli avversari renitenti alla nuova dottrina, 
non già per partito preso, come gli ammi¬ 
ratori del Telesio solevano dire, ma perchè 
fissi oramai in una forma mentale, in cui 
quella dottrina non poteva avere più presa: 
« Quando egli ragionava delle scienze e delle 
dottrine», ricorda il D’Aquino, « parea che 
gli ascoltanti fossero stati tutti adombrati; 
così stavano taciti e sospesi ad ascoltarlo », 
E il Quattromani, che fu dei cosentini che 
risentirono più il fascino di quella parola, 
e un anno dopo la morte del Telesio com¬ 
pose un lucido compendio della sua filosofia, 
scrivendo al Telesio stesso nel 1563: «Da 
che mi allontanai da lei, quei spiriti che in 
me erano generati dalla sua presenza, e che 
mi rendevano pronto e ardito, sono tutti 
spenti, e con loro anco annullato e venuto 
meno ogni giudicio e ogni sapere ». D’altra 


52 


BERNARDINO TELESIO 


parte, un motto pittoresco 29 ) rappresenta 
al vivo la situazione degli aristotelici scoi* 
certati dalle critiche telesiane; ai quali il car J 
dinal Farnese una volta avrebbe detto: « OrJ 
che non ci è il Telesio, tutti oppugnate le sue 
ragioni; ma, come egli è presente, ciasche¬ 
duno tace e si arresta ». 

Alle opposizioni e malignazioni degli ari¬ 
stotelici di Napoli, dove, morta Diana, ;] 
Telesio tornava spesso, ospite dei CarafaJ 
gli fu scudo il colto e gentile duca Fer¬ 
rante, che l'onorava come padre. La gloria 
cominciava a dargli il suo conforto e la forza. 

I due libri ristampati a Napoli nel '70, con 
due degli opuscoli, erano a Firenze voltati 
in volgare da Francesco Martelli, che li de- J 
dicava nel '73 al Cardinal dei Medici } °). An¬ 
tonio Persio bandiva la dottrina nellTtalia 
superiore, a Bologna, a Venezia — dove nel 
75 la difendeva in una solenne disputa pub¬ 
blica '); — a Padova, dove diffondeva tra i 
dotti gli scritti telesiani. A sollecitazione di 
lui, uno dei filosofi più rinomati, Francesco 
Patrizzi, nel '72, comunicava al Telesio alcune 
osservazioni su vari punti di quei due libri 33 ).! 
E Bernardino ne era spronato a rifarsi scovi 
pre di nuovo sulla sua opera; che finalmente 


VITA E SCRITTI DEI. TELESIO 


53 


s i risolveva a pubblicare tutta a Napoli . 
nel i 5 86 - 

L’anno dopo si ritraeva a Cosenza a finirvi 
la sua vita di pensiero, di lavoro e di do¬ 
lore. Della morte del suo povero Prospero 
non s’era più saputo dar pace. E irrequieto 
tornava poco dopo a Napoli; poiché al 1588, 

anno che il Tasso da marzo a novembre 
trascorse a Napoli, — credo sia da attribuire 
l'aneddoto raccontato dal Manso nella vita 
del poeta; 33 ) « Fu Bernardino Telesio uomo 
di acuto ingegno e di profonda dottrina e 
di socratici costumi; ma non di meno sentì 
acerbamente la morte di un figliuolo, che gli 
fu ucciso senza Colpa. Torquato, per voler- 
nelo consolare, gli addimandò se quando il 
figliuolo non era al mondo, egli si doleva 
che non vi fosse. Il Telesio rispose che no. 

— Dunque, soggiunse il Tasso, perchè vi do¬ 
lete ora che non vi sia? ». Volle, commenta 
il Manso, « volle contro il filosofo dispre¬ 
giatore degli antichi valersi degli argomenti 
dei sofisti ». Povero filosofo, che s’illudeva 
di non avere più posto nel cuore per nes¬ 
suno, dacché la Sapienza, accendendolo della 
sua bellezza divina — come ei canta negli 
esametri per Giovanna Castriota — l’aveva 



54 


BERNARDINO TELESIO 


tenuto tutto, fin dai primi anni, nell’amore 
di lei. La vita, che la sua filosofia escludeva,, 
stritolava intanto il suo cuore di padre. 

Pure cercò fin all’ultimo il suo ristoro in 
quell’amore; e il D’Aquino c’ informa di opere, 
che egli avrebbe scritte « intorno agli ottanta 
anni »; che esso D’Aquino, poco dopo la 
morte del Telesio, vedeva in Cosenza « nelle 
mani di diverse persone » ; e incitava i con¬ 
cittadini, che pur troppo non raccolsero l’esorl 
tazione, a non lasciar perire quelle preziose 
scritture, clov’era « una, maniera e sorte di 
logica, che senza dubbiosità e senza sofismi 
ci insegna a discernere il vero dal falso; e 
da esse si impara la vera astrologia, cioè di 
salire con la mente al cielo, e la teologia, 
che ci ammaestra a conoscere, riverire e 
servire Iddio! » 34 ). 


IV 

Il Telesio morì nei primi dell’ottobre 1588 
a Cosenza. 

E qui fortuna volle si trovasse in quei 
giorni un giovane domenicano, che studiava 
con ardore filosofia, guardando al Telesio 
come all’astro nuovo dell’orizzonte, e del 



I.A FILOSOFIA DEL TELESIO *55 

Xelesio doveva essere tra poco acerrimo difen¬ 
sore contro gli attacchi dell’aristotelico Marta 
di Nap°l'» e poi uno dei maggiori continua- 
tori: Tommaso Campanella. Il quale non 
aveva fatto in tempo ad accostarsi al vecchio 
maestro; e lo vide per la prima volta nel ca¬ 
tafalco, dove, pel funerale, affisse certi suoi 
distici. Questi non ci sono giunti; di lui ab¬ 
biamo invece il duro ma fiero ed energico so¬ 
netto, in cui ritrasse il valore storico del 
Xelesio, il «maggiore dei filosofi», lo «splen¬ 
dore della natura », nonché la propria filia¬ 
zione ideale dalla filosofia telesiana; un so¬ 
netto, che raccoglie attorno al maestro il 
meglio della sua scuola: 

Telesio, il telo della tua faretra 
Uccide dei sofisti in mezzo al campo 
Degli ingegni il tiranno senza scampo; 

Libertà dolce a veritade impetra. 

Cantan le glorie tue con nobil cetra 
Il Bombino e ’l Montan nel Brezzio campo: 

E il Cavalcante tuo, possente lampo, 

Le rocche del nemico ancora spetra. 

Il buon Gaieta la gran donna adorna 
Con diafane vesti risplendenti, 

Onde a bellezza naturai ritorna. 

Della mia squilla per li nuovi accenti, 

Nel tempio universal ella soggiorna; 

Profetizza il principio e ’l fin degli enti. 


56 


BERNARDINO TEI.ESIO 


Vincenzo Bombini, Sertorio Quattromani (il 
Montano), Giulio Cavalcanti, il buon Gaeta, 
che avrebbe trattato l’estetica secondo i prin- 
cipii telesiani, avanzando tutti gli altri, erano 
(avverte, in nota, lo stesso Campanella) ac¬ 
cademici cosentini. 

Egli poi, secondo la stessa nota, « filosofo 
dei principii e fini delle cose », avrebbe 
elevato a più alto segno la nuova scuola: 
« Rinnovò », com’egli dice, «la filosofia, ed 
aggiunse la metafisica, e politica ecc., e la 
accoppiò con la teologia » 35 ). Certo, la me¬ 
tafisica delle primalità campanelliana manca 
nel Telesio. Ed è pur vero il giudizio di 
un altro grande ammiratore del nostro co¬ 
sentino, Francesco Bacone, che la filosofia 
telesiana in sostanza toglie di mezzo l’uomo 
e la sua azione sulla natura (arles mecha- 
nicae, quae materiam vexant ) per non guar¬ 
dare altro che la fabrica mundi, riuscendo 
una specie di filosofia pastorale o arcadica, 
che contempla il mondo placidamente e quasi 
in ozio 36 ); filosofia, che Bacone amava met¬ 
tere insieme con quella dei pensatori greci 
anteriori a Socrate e di taluni moderni, come 
il tedesco Paracelso, il danese Severino, l’in¬ 
glese Gilbert, l’italiano Patrizzi, fondatori di 



LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


57 


nuove sette filosofiche, ideatori di altri si¬ 
stemi astratti intorno alla natura delle cose, 
senza conseguenza per ciò che concerne le 
sorti umane: di quei sistemi, che egli sde¬ 
gnava come facili a disseppellirsi dalla tra¬ 
dizione dei più antichi filosofi e magari ad 
inventarsi di pianta 37 ): egli, che avrebbe vo¬ 
luto che il filosofo guardasse con un occhio 
alla natura, e con l’altro alle umane uti¬ 
lità 3S ). Alla filosofia telesiana è estraneo il 
grande concetto del regnimi hominis, proprio 
di Bacone. Ma questa filosofia pastorale per 
Bacone era appunto una metafisica: una di 
quelle filosofie che a lui pareva si potessero 
adombrare nel mito di Cupido, dell’antico 
Cupido: il primo degli dei, e anteriore a tutte 
le cose, salvo il caos suo coevo; senza padre 
esso, e primo principio dell'ordine che sorse 
nel caos, ossia dell’origine dell’universo; una 
filosofia insomma delle cause prime e delle 
leggi supreme, oltre le quali non è dato pro¬ 
cedere. 

Lasciamo stare l’analogia che Bacone, 
come già il Patrizzi 39 ), vedeva tra la fisica 
del vecchio Parmenide e la nuova dottrina 
di Telesio: analogia da lui stesso ridotta al 
suo giusto valore, quando avverte che ai 





5 » 


BERNARDINO TELESIO 


principii parmenidei il filosofo Cosentino ag¬ 
giunse del proprio la materia, perchè depra¬ 
vato dai concetti peripatetici 4 °); che è come 
dire che la dottrina telesiana, in conclusione, 
non è nè parmenidea, nè peripatetica, ma te¬ 
lesiana. E certamente il raffronto con l’eleate 
non regge per nessun verso, chi consideri il 
valore della « doxa » rispetto al pensiero me¬ 
tafisico di Parmenide 4 '), e tenga conto del ca¬ 
rattere schiettamente dualistico della teoria 
esposta nella « doxa », e interpetri, d’altra 
parte, il pensiero telesiano in relazione a 
quello che se ne può dire propriamente la 
naturale matrice, la metafisica aristotelica, 
già così distante dalla posizione eleatica. 

Certo, senza essere una metafisica, la filo¬ 
sofia telesiana non avrebbe potuto esercitare 
l’azione storica che esercitò, in Italia attra¬ 
verso Campanella, Bruno e tutto il natura¬ 
lismo meridionale del secolo xvir, per tutta 
Europa attraverso Bacone, che lo ha sempre 
presente, ora accettando, ora criticando le 
particolari sue teorie, ma avendolo sempre 
in gran conto come « il migliore dei mo¬ 
derni » 42 ). Un riformatore della filosofia, 
— quale egli fu generalmente celebrato dai 
contemporanei e da quelli che dopo di lui 


I.A FILOSOFIA DEL TF.I.ESIO 


59 


sentirono il bisogno di appoggiarsi a lui per 
continuare la guerra del pensiero nuovo con¬ 
tro J 'aristotelismo, costretto a rinchiudersi 
sempre più nelle scuole della tradizione in¬ 
feconda, — deve, almeno implicitamente, dare 
u n nuovo orientamento, e cambiare l’aspetto 
della realtà tutta agli occhi dei pensatori. 
E questo fece Telesio. 

È pur vero che egli è, come dice Bacone, 
più valente a distruggere che a costruire 43 ); 
ma è anche vero che la sua critica demoli¬ 
trice è essa stessa una costruzione. 

Non possiamo ora esporre tutte le critiche 
particolari, che egli con lena che non viene 
mai meno rivolge alla metafisica, alla fisica, 
alla psicologia, all’etica e alle minori dottrine 
di Aristotile; e tanto meno possiamo seguire 
l’ardito pensatore nelle singole teorie, che le 
sue nuove osservazioni, e, più che tutto, rav¬ 
viamento generale del suo intelletto, gli fanno 
sostituire alle antiche. Ma basta per questo 
rispetto notare, che l’ampiezza della ricerca 
e la compattezza delle soluzioni adottate in 
tutti i campi, a cui si era estesa la filosofia 
aristotelica, dimostrano che nel De rerum 
natura contro l’aristotelismo si afferma e si 
accampa una nuova intuizione del mondo: 


6o 


BERNARDINO TELESIO 


la quale riceve infatti tutto il suo significato 
storico dalla sua posizione verso l’aristote- 
lismo rimesso a nuovo dalla erudizione filo¬ 
logica del rinascimento, e liberato dagli adat- 

o 

tamenti medievali della scolastica; e questo 
significato conserva, nel suo assoluto valore 
storico, per molti e gravi che sieno gli er¬ 
rori commessi a sua volta dal Telesio nella 
sua nuova costruzione: poiché una filosofia 
non attinge il momento suo di vita eterna 
e non vive nella storia, se non pel principio 
che l’anima. 

A cogliere questo principio non vi affidate 
alla euida dello stesso autore; non guardate 
subito al titolo della sua opera; a quel titolo 
che promette di farvi intendere la natura se¬ 
condo i suoi principii, quasi Aristotile con le 
sue teorie le avesse fatto violenza, imponen¬ 
dole i suoi ingiustificati preconcetti. Su questo 
motivo polemico il Telesio insiste; se non che 
è il motivo che in varia forma si ripresenta 
in ogni polemica filosofica, la quale non può 
impiantarsi nella fatua pretesa di sostituire 
le idee nostre a quelle degli altri, ma la ve¬ 
rità all’errore: e l’errore apparisce sempre 
come una costruzione arbitraria della mente 
soggettiva, ripugnante alla essenza propria 


LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


6l 


della realtà, che tutti i filosofi vogliono inten¬ 
dere; la verità, invece, come la intuizione 
diretta, la traduzione fedele la ricostruzione 
genuina del reale nella purezza della sua og- 
gettività. E se la natura vernini, nel suo senso 
più profondo, è la realtà stessa, da Telesio 
non veduta se non come natura, il titolo 
di quest’opera, chi s’arrestasse all’intenzione 
dell'autore, accennata nell’aggiunta iuxtapro¬ 
pria principia , sarebbe un titolo adatto a 
tutte le opere filosofiche innovatrici, com¬ 
prese quelle stesse di Aristotile. Ed è, al con¬ 
trario, un titolo significativo e caratteristico 
rispetto all’indirizzo mentale telesiano, quan¬ 
do si faccia convergere su di esso la luce spe¬ 
ciale e intima della sua filosofia. 

Non vi arrestate nè meno alle proteste 
metodiche, di non voler seguire altro che il 
senso, quasi la filosofia telesiana dovesse riu¬ 
scire un puro empirismo. Gilè tale questa 
filosofia non è; e se l’intonazione della sua 
polemica antiaristotelica piacque all’orecchio 
dell’autore del Novum Organimi , egli è che 
anche Bacone, come molti altri pensatori 
dopo di lui, s’illuse credendo che il metodo 
sia un antecedente della filosofia, e questa un 
prodotto di esso: laddove metodo e filosofia 









62 


BERNARDINO TELESIO 


sono una cosa sola, nel senso che la filo- 1 
sofia è il concreto e il metodo l’astratto: ] 
onde non si ha una filosofia perchè si ha un 
metodo, ma proprio l’opposto. Hn da prin¬ 
cipio la mente del pensatore ha, sto per 
dire, una certa impostazione, quindi un certo 
mondo che essa intravvede, e che l’occupa e 
le pone innanzi, urgente, il suo problema: 
quasi la macchia, la prima oscura intuizione 
creatrice dello artista, che è già opera d’arte. 
E in quel germe c’è la filosofia con la sua 
logica: la filosofia, che non potrà poi avere 
altro svolgimento da quello che le è asse¬ 
gnato per la sua logica innata. 

E quanto al Telesio in particolare, il mo¬ 
tivo più potente, quella che può dirsi la prima 
radice del suo filosofare antiaristotelico, non 
consiste in una o più difficoltà che l’espe¬ 
rienza sensibile opponga, secondo lui, ai prin- 
cipii di Aristotile; nè è codesta esperienza 
la fonte, a cui egli ordinariamente ricorre per 
lo sviluppo e l’elaborazione del suo pensiero. 
La sua natura, è vero, è la natura sensibile, 
materiale; nè egli, in quanto filosofo, conosce 
realtà che possa concepirsi scevra di mole 
materiale. Tutto ciò che razionalmente gli 
riesce d’intendere delle funzioni spirituali, 


T.A FILOSOFIA DEL TEI.ESIO 


63' 


è per lui bensì spirito; ma non nell’accezione 
moderna di questa parola, anzi come la ma¬ 
teria che più sia stata assottigliata dal calore. 
£ la natura materiale e sensibile non pare 
possa definirsi altrimenti che per quella realtà 
che è per il senso, e quindi per una filoso¬ 
fia che non ammetta altro organo di co¬ 
noscenza che il senso. 

Ma anche questa determinazione è appena 
la superficie della filosofia telesiana e di tutte 
le altre .simili. L’affermazione del senso, 
quando ha una reale importanza nella storia 
della filosofia, può rispondere a un doppio 
bisogno: al bisogno ideale dell’empirismo, 
che nega la metafisica come scienza dell’as¬ 
soluto, che il senso non coglie: che è la tesi, 
p. es. di Kant nella Critica della ragion pura 
e la tesi a cui si arrestarono nel secolo xix 
i seguaci di quel positivismo filosofico, il cui 
unico valore si riduce alla negazione della 
filosofia. O risponde al bisogno, che fu pro¬ 
prio di Bacone, e più tardi della logica nuova 
della filosofia moderna, nel significato che ri¬ 
mase affatto oscuro nel cancelliere inglese, 
pur grande animatore del pensiero europeo, 
della mediazione dell’universale, della con¬ 
cretezza storica del pensiero, che non è quale 





6 4 


BERNARDINO TEI.E5IO 


Platone e Aristotile lo immaginavano, una rete 
bella e fatta e astratta di concetti universali, 
ma vita sempre nuova, ed eterna come tale, 
di essi nei particolari: ossia affermazione del¬ 
l’individuale di contro al generale, della lo¬ 
gica reale di contro a quella speculazione a 
cui gli antichi trovavano adeguata soltanto 
la mente divina; e Platone, in fondo, nè anche 
quella, se si intende a rigore il mito delle 
contemplazioni sopracelesti del Fedro. 

Ma Telesio non è un empirista, alla ma¬ 
niera dei positivisti e molto meno di Kant. 
E, d'altro lato, in lui non c’è sentore, chec¬ 
ché si contenesse nelle opere logiche non per¬ 
venute fino a noi, di una concezione storica 
e realistica del pensiero. Egli è un metafi¬ 
sico; e un metafisico materialista. E tanto 
egli rispetta il senso, quanto lo aveva rispet¬ 
tato il primo sistematore del materialismo, 
quel Democrito, che fu uno dei primi meta¬ 
fisici di grande stile in Grecia, e che, per la 
sua distinzione di qualità primarie e qualità 
secondarie, può a buon dritto ritenersi il 
vero padre dell’ idealismo, quale, movendo 
dalla stessa distinzione, ripetuta dal Locke, 
ebbe a concepirlo, con uno sforzo che mandò 
a monte per sempre il materialismo, il Ber- 


I.A FILOSOFIA DEL TELESIO 


65 


keley. E l’organo, con cui il Telesio costrui¬ 
sce la sua metafisica è quello che è servito 
e servirà sempre a tutti i metafisici, il pen¬ 
siero puro; per cui la realtà — non l’appa¬ 
rente, ma la vera, 1 assoluta realtà, a cui 
ogni forma reale si riduce, da cui tutto ciò 
che passa proviene, e a cui tutto ciò che 
passa ritorna, laddove essa sta eterna non 
è punto realtà sensibile, ma realtà pensata. 
Pensata sotto tre attributi o forme fonda- 
mentali, il cui giuoco soltanto può farci inten¬ 
dere la totalità delle infinite variazioni fugaci 
dell’universo sensibile: due nature agenti, 
secondo l’espressione telesiana, e una pas¬ 
siva: il caldo, che è principio di luce, di movi¬ 
mento, di vita in tutte le sue forme; e il suo 
contrario, principio di tenebre, di inerzia, di 
morte: l’uno con l’altro in eterno contrasto 
nella materia; che è il terzo principio, la mole 
che occupa lo spazio. Porza e materia, come 
oggi si direbbe; e la forza duplice, e in lotta 
seco stessa a produrre l’alterna vicenda della 
natura, che è nascere e perire continuo; ossia 
un continuo nascere che è pur perire; e un 
perire continuo, che è pur nascere 44 ). 

Una forza e materia, che, si badi, nella 
loro assoluta universalità, sono veri e propri 


G. Gentile, Bernardino Telesio. 


5 




66 


BERNARDINO TELESIO 


principi! nel senso aristotelico, e non hanno 
nulla di sensibile ed empirico, benché l a 
loro manifestazione avvenga negli oggetti del I 
senso 45 ). Che anzi l’intuizione centrale, e 
come il nocciolo del pensiero telesiano è ap¬ 
punto una negazione più risoluta, più ener- 1 
gica che non fosse in Aristotile, della empi- ^ 
ricità o realtà immediata di cotesti principi^ 
e quindi nell’affermazione del carattere rpeta- 
fisico e meramente trascendentale di essi. 1 
Giacché questo, a’ suoi occhi, è l’errore 
aristotelico generatore di tutti gli altri da 
lui a uno a uno combattuti: la separazione 
di ciò che in natura è uno ed insepara¬ 
bile: che male aveva separato prima Pla¬ 
tone, e che Aristotile non era riuscito più a 
unificare: la forma e la materia delle cose: J 
ciò che ciascuna di queste è, e per cui si 
pensa, l’idea, e quello che alla filosofia an¬ 
tica, come al pensiero volgare, si rappresenta 
quale sostrato necessario alla realizzazione 
dell’idea. Intesa la natura come divenire o 
generazione continua di forme, questo dive¬ 
nire si schematizza come movimento, che av¬ 
viene nella materia, ma è l’attualità della 
forma. Ora il principio del movimento, cioè 
la radice delle forme, che è come dire della 





I.A FILOSOFIA DEL TELESIO 


67 


realtà, in quanto divenire naturale, anche per 
/Aristotile è in qualche cosa che, per essere 
principio e non principiato, vera e assoluta 
causa e non più effetto, deve trascendere ne¬ 
cessariamente la natura, che è movimento, 
e d essere immobile. Cioè forma pura. 

Onde la natura, benché concepita come 
unità perenne di materia e di forma, poiché 
la forma, in fondo, la riceve da fuori, per 
sé, senza questa animazione estrinseca, viene 
ad essere ridotta quasi a inerte materia: cioè 
mera possibilità, o potenzialità astratta delle 
forme. Donde quell’assenza di valore nella 
natura e nell’uomo, — parte di essa, — che 
abbiamo detto essere stata legata dall’an¬ 
tichità alla filosofia del medio evo, e che lo 
spirito del cristianesimo doveva superare. 
Telesio, il materialista, che cinque anni dopo 
la sua morte sarà segnato all’Indice, si mette 
per questa via nuova, desiderata dal cristia¬ 
nesimo; benché sulla nuova via, che è lunga 
e non facile a percorrersi, si arresti al ma¬ 
terialismo, certamente insufficiente a giusti¬ 
ficare il valore, nonché dell’uomo, della stessa 
natura. PI la sua novità può riassumersi in 
questi termini: la forma che, per Aristotile, 
come forma assoluta, era fuori della materia, 



68 


BERNARDINO TELESIO 


per Telesio è dentro, e una con questa: WS 
natura, che per Aristotile, come pura naturaci 
era mera possibilità, e non era realizzata se * 
non per cause estrinseche, per Telesio è l a 
sola realtà; e però si spiega iuxta propria 1 
principia. La mira, a cui questi confusamente, ' 
come accade sempre nelle rivoluzioni ideali j 
quando tutto il mondo rientra nel caos, donde 
la mente aspira tosto a ricostruire il mondo 
nuovo (e di qui, la incontentabilità del Tele¬ 
sio, che lavora tutta la vita all’opera sua!); n 
la mira, a cui egli tende, è la ristaurazioni 
dell’unità, lacerata dal dualismo aristotelico. 

Considerate infatti il nesso dei tre prin¬ 
cipi'!, materia, caldo e freddo, da lui stabiliti. 

Il caldo, principio del movimento, della vita, 
del senso, adempie nel suo sistema lo stesso 1 
ufficio della forma in Aristotile; e se si con¬ 
sideri che, data la funzione assegnatagli da 
Telesio, per cui il calore, principio di movi¬ 
mento, natura agens, non si può confondere 
come entità metafisica, col calore fisico, sen¬ 
sibile, che è sempre una certa mole, un certo j 
corpo caldo, la differenza, in questo punto, 
tra Aristotile e Telesio è più nella parola 
che nel concetto, sebbene al secondo la pa¬ 
rola prescelta paia meglio corrispondere alla 


LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


69 


concretezza determinata e reale della sua 
forma. La materia poi, Telesio stesso lo 
dice, era già un principio aristotelico. 

Profondo invece è il divario tra le due 
filosofie nel modo di concepire il terzo prin¬ 
cipio: e questo divario, riverberandosi nel 
concetto degli altri due, lo trasfigura e dà 
a tutta la intuizione telesiana un carattere 
radicalmente diverso. Il divenire naturale, 
come ogni divenire, non si spiega, ammesso 
pure il sostrato di esso, senza una dualità 
di termini contrarii e contrariamente agenti 
s n quel sostrato. Se il divenire è vivere, il 
vivere non si può concepire se non come 
morire, oltre che vivere; ossia come un con¬ 
tinuo rinascere dalla morte, una continua vitto¬ 
ria su quello che sarebbe la cessazione della 
vita. Generazione è termine correlativo di 
corruzione, secondo il linguaggio aristotelico. 
Se nella superficie del gran mare dell’es¬ 
sere affiora una forma nuova (e questo sempre 
nuovo affiorare è la natura per Aristotile), 
una forma vecchia deve scomparire: la na¬ 
scita è sempre una morte. Ma morte di 
che? Della forma no, la quale per sè è fuori 
della natura e non soggiace all’alterna vicenda 
del vivere o del morire, e nè anche della 



70 


BERNARDINO TEJ.ESIO 


materia, ricettacolo della novella forma. L’una 
e l’altra sono eterne. Una risposta, nella p 0 . 
sizione aristotelica, che stacca materia e 
forma, e fa il movimento estrinseco alla 
materia, è impossibile. 

Ma, se vita è morte, mistero questa, mi¬ 
stero quella. In che consiste quella novità, 
che è l’entrar del vivente nella vita? Donde 
viene egli? Che era quel suo non essere, a cui 
sottentra ora il suo essere? I due problemi 
sono un solo problema; appunto questo: se 
l’essere è la forma, che è il non essere delle 
cose? Il non essere di Aristotele non poteva 
essere, e non fu un concetto, ma una parola 
messa lì, dove il concetto non era possibile, 
destinata a diventare, come tutte le parole 
siffatte, l’enimma e il tormento dei commen¬ 
tatori ; la stéresis, o privaiio , come tradussero 
gli scolastici. La privazione, che egli attri¬ 
buisce alla materia, quasi un certo desiderio 
e sentore o odore della forma assente, non 
è materia per se, perchè designa una rela¬ 
zione, non è forma, di cui è appunto la man¬ 
canza; e non è unità di materia e forma. 

È, ripeto, una parola, ma una parola, che, 
messa lì nel sistema, rende, o pare che renda, 
importanti servizi al pensiero. Infatti, senza 


LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


71 


jj essa, la vicenda delle forme non sarebbe 
j n nessun modo pensabile: e il vivo sarebbe 
eternamente vivo; ma di una vita identica 
a lla morte, perchè senza mutamento in sè, 
che è come dire senza vita. 

Il terzo principio aristotelico, dice Telesio, 
è meramente negativo: non ens, non agens 46 ). 
Cioè, egli dice, per combatter più efficace¬ 
mente gli aristotelici, coi quali gli toccava 
fare i conti, Aristotile non l’intese, non lo 
poteva intendere così; ma così l'intendono 
invece i peripatetici; e la materia invece deve 
essere, più ignobile bensì, da meno della 
forma, ma positiva anch’essa, perchè cooperi 
con la prima alla generazione naturale; e an¬ 
ch’essa agente. E però il suo freddo, come egli 
lo concepisce, è il contrario, il non essere del 
calore; ma un non-essere, che, essendo tale 
rispetto al calore, in se stesso è: nè più nè 
meno del calore; e però agisce davvero, op¬ 
ponendosi a questo, contrastandogli il passo, 
limitandolo, e concorrendo, quindi, con esso 
alla vita della natura. 

Poiché la forma telesiana è il caldo, quel 
che precede la forma non è il nulla, la pura 
privazione, ma il freddo: ciò che succede, del 
pari, non è nulla, ma il freddo. Per Telesio 




72 


BERNARDINO TELESIO 


questo precedere e questo succedere è sol 0 
relativo: chè la forma, assolutamente, \ n 
quanto caldo, non viene mai meno. Cioè; , 
se il freddo è negativo, ma reale quanto il 
caldo, anche il caldo è reale in quanto ne¬ 
gativo rispetto al freddo: e la vera realtà 
insomma non è mai nè caldo assoluto, nè 
freddo assoluto; ma caldo che vince il freddo, 
o freddo che vince il caldo: ciascuno presup¬ 
ponendo e limitando il suo contrario, ed es¬ 
sendo presupposto e limitato da esso. Onde 
la realtà, è, in fondo, la loro unità nella lotta, 
e a volta a volta un momento della risolu¬ 
zione del loro immanente contrasto, un effetto 
unico della loro azione reciproca. 

11 che importa che la sostituzione del fred¬ 
do alla privazione aristotelica è il supera¬ 
mento della trascendenza della forma, il di¬ 
fetto fondamentale della filosofia peripatetica, 
anzi, nel suo significato generale, di tutta la 
filosofia greca, come avvertimmo a principio. 
Telesio con la sua coppia di contrarii coo¬ 
peranti nella materia, libera la natura, che 
è la realtà a lui nota, dalla trascendenza, 
e ne fonda per la prima volta, dopo lo svi¬ 
luppo della metafisica teistica, l’autonomia, 
o com’egli diceva, la nozione iuxta propria 


LA FILOSOFIA BEL TELESIO 


73 


principia', poiché ora possiamo intendere il 
valore speciale di questo suo motto, che è 
una bandiera spiegata al vento, a cui lo spi¬ 
rito moderno guarderà come a suo proprio 
segnacolo di libertà e di gloria. 

E la materia? Per Telesio non più è 
il non-ente platonico e aristotelico, ma il 
reale sostrato, e come a dire, la realizza¬ 
zione della contrarietà caldo-freddo che in 
essa si attua. Le due nature agenti hanno 
come loro termine correlativo, e quindi come 
implicito in se medesime, cotesta natura pas¬ 
siva. Onde, se il caldo implica il freddo e 
viceversa, entrambi implicano insieme la ma¬ 
teria. E la realtà, che è atto, non è tre ma 
uno: e questo uno, essendo l’unità o sintesi 
attuale dei tre principii, solo astrattamente 
distinguibili, è la materia che è calda e non 
è calda, perchè è fredda e insieme non è 
fredda; è quello che è e non è insieme, la 
genesi, il divenire aristotelico, restituito 
alla logica del suo processo immanente. 

Onde la filosofia telesiana è un naturali¬ 
smo monistico; la realtà è l’opposto dello 
spirito, la natura che si rappresenta come 
materia: ma questa materia è movimento, e 






74 


BERNARDINO TEI.F.SIO 


in quanto movimento assume tutte le forme 
mondane, dal corpo fisico al pensiero. Po¬ 
trebbe parere una filosofia tornata, nel bel 
mezzo del secolo xvi, alla ingenua intuizione 
dei filosofi ionici del vi e v secolo av. Cr.; 
se questa filosofia ora non risorgesse dal 
fermento della metafisica platonizzante del- 
l’aristotelismo, che ha sdoppiata la realtà 
fisica dei più antichi presocratici, e creata 
l’idea o forma, e tutto un mondo estramon- 
dano, che il filosofo della rinascenza deve 
distruggere: ed è appunto nella demolizione 
di questo mondo separato, ignoto ai filosofi 
ionici, l’intonazione e il valore nuovo della 
filosofia del Telesio, demolitrice più che co¬ 
struttrice (destruendo quatti ostruendo melior ): 
poiché la vera costruzione all’uscire del medio 
evo, quando lo spirito aspirava a sgombrare 
il campo innanzi a sè, per istaurare la filo¬ 
sofia adeguata alla vita nuova del cristiane¬ 
simo, non poteva essere se non demolizione. 
La filosofia del Cosentino, lungi dall affac¬ 
ciarsi con l’ingenuo occhio di un lalete allo 
spettacolo della natura, che gli è di fronte, 
sente con la riflessione del moderno, se stesso 
nel flusso delle cose naturali, e nell’afferma¬ 
zione energica dei principi proprii, onde la 




I.A FILOSOFIA DEL TELESIO 


75 


natura si spiega, affermazione che rivendica 
la natura in libertà, prorompe l’istinto del¬ 
l’uomo nuovo, ricreato dall’intuizione cristiana 
e portato a cercarsi dentro, come sostanza, 
del proprio essere, la divinità. 

Guardate a quel ragguaglio e quasi- livel¬ 
lamento, che Telesio fa delle operazioni su¬ 
periori dello spirito umano con le inferiori; 
e di queste con le funzioni psicologiche degli 
animali, non distinte altrimenti che per grado, 
ma identiche qualitativamente; e poi del sen¬ 
tire col fatto fisiologico; che non è se non 
movimento di uno spirito, materia estrema- 
mente assottigliata dal caldo: e poi quella 
sua estensione del senso, a tutto il caldo e 
a tutto il freddo o come bisogna intendere, 
a tutta la materia che, anche quando è fredda, 
poiché il freddo è un prevalere sul caldo, è, 
un po’ almeno, anche calda; e considerate 
che, — negata ogni finalità intesa a mo’ di 
Aristotile, ossia come mèta estrinseca del 
processo naturale, rappresentata dalla forma 
separata, — dell’anima umana, così naturali¬ 
sticamente considerata, ei raccoglie lo sforzo 
supremo, che è l’attività etica, nella spontanea 
tendenza alla conservazione di sé, onde non 
solo l’uomo, ma tutte le cose in natura tendono 


76 


BERNARDINO TELESIO 


a perseverare nel loro proprio essere «),■' 
Ebbene: quest’autoconservazione, in cui si 
assomma e concentra sostanzialmente, nella 
sua espressione finale, tutta la vita della na¬ 
tura, è l’umanità dell’uomo, che è moralità, 
ed è, insieme, tutto l’operare, anzi l’essere 
attuale della natura. 

Ma l’uomo la sorprende come conato istin¬ 
tivo in se medesimo; e se chiude gli occhi 
alle forme più alte della propria spiritualità, 
e si rannicchia dentro questo senso oscuro, 
che può attribuire alla natura universale, egli 
è perchè, non sapendo ancora in che modo 
le forme superiori dello spirito possano con¬ 
cepirsi quasi la sostanza di tutto, compresa 
quella stessa natura, che par materia, movi¬ 
mento e nulla più, il filosofo ha' bisogno di 
affermare di sè solo quel tanto, che gli con¬ 
senta tutta una concezione della natura iuxta 
propria principia. , 

Strano a dirsi: il filosofo, incapace ancora 
di spiegarsi lo spirito, lo redime, lo afferma, 
negandolo : rimpicciolendosi e stringendosi 
dappresso a quella natura che cominciava a 
liberare dalla trascendenza, per partecipare 
al benefizio di quella prima libertà. Strano, 
ma vero, per chi voglia penetrare nel segreto 




LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


77 


jalla rinascenza: questo naturalismo materia¬ 
listico era la prima affermazione, con carat¬ 
tere schiettamente cristiano, della libertà dello 

spirito. 


V 

È tutto ciò chiaro e netto nel pensiero di 
Bernardino Telesio? 

Nella Bibbia si legge che Dio, dopo aver 
creato l’universo, vidi/ cuncla quae fecero./, 
et erotti valde bona. Dopo di allora, ogni 
volta, lo spirito creatore prima ha creato, e 
poi s’è compiaciuto, come oggi Cosenza si 
compiace pel Telesio, dell’opera sua. La co¬ 
scienza critica, che è la storia, vien dopo. 
Accennammo già che Telesio, come Vico, 
si travagliò tutta la vita nella sistemazione 
e formulazione del suo pensiero: segno che, 
come Vico, ei non pervenne mai alla vi¬ 
sione lucida e piena di quanto gli si agitava 
nella mente. E come oggi l’oscuro pensiero 
di Vico s’intende in tutto il suo valore, se 
si libera da talune incoerenze, incertezze, e 
ambiguità della sua forma nativa, secondo 
che riesce possibile a noi, che sul suo pen¬ 
siero torniamo con la riflessione più ma- 









7S 


BERNARDINO TELESIO 


tura di tutta la filosofia posteriore; nell a ! 
stessa guisa, leggendo Telesio, scoperta l a 
logica del suo pensiero nella storia più airi- 1 
pia della filosofia, che lo preparò prima e poi 
lo continuò, noi possiamo vedere in lui pjj, 
addentro ancora che egli non vedesse: e fare j 
quindi, il giusto conto di talune oscillazioni 
che intorbidano qua e là la sua vista specu¬ 
lativa, e hanno impedito a' suoi critici, da 
Bacone in poi, di scorgere l’intima coerenza 
della sua filosofia. 

Il disegno suo era grandioso, poiché col 
suo nuovo intuito doveva ripercorrere tutto 
l’universo, armeggiando sempre contro Ari¬ 
stotile, che, in persona de’ suoi pedanti, fana¬ 
tici e petulanti seguaci, rincalzava sempre 
alle spalle. Qual meraviglia che qua e là 
tentenni, e gli tremi il polso? Qual meravi¬ 
glia, innanzi tutto, che egli non si fermi a 
definire con sufficiente chiarezza la logica 
del suo pensiero, quella logica che nel suo 
pensiero c’era, e di cui si serviva infatti nella 
polemica contro Aristotile? 11 medesimo per < 
l’appunto accadde, ripeto, a Vico; e in grado 
minore è accaduto sempre a tutti i filosofi. 

In ciò il difetto maggiore della filosofia tele- 
siana: onde vi accade di sorprenderla talvolta 


LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


79 


irresoluta innanzi a questioni, la cui soluzione 
è data irrefutabilmente dal reale principio di 
essa. Mi si consenta un esempio. Tutte le 
cose sentono o no? Per Campanella, che, come 
ogni continuatore, è governato dalla logica 
del sistema che sviluppa, non c’è dubbio. 
Nel De rerum natura di Telesio, invece, ci 
sono luoghi in cui, spuntata la questione più 
determinata, se il caldo e il freddo sentano, 
ora si dice che bisogna manifestamente attri¬ 
buire il senso ad entrambi; ora che bisogna 
attribuirlo almeno a uno dei due 48 ). Gli faceva 
intoppo infatti la difficoltà che il senso è moto 
dello spirito, ossia della sostanza più atte¬ 
nuata dal caldo: si che se il senso dipende 
dallo spirito, e però dal caldo, non può com¬ 
petere al freddo, che ne è il contrario: chè 
altrimenti il freddo, contrastando il caldo, 
verrebbe, producendo la morte, a distrug¬ 
gere, come senso, il senso. E il Fiorentino, che 
è l’interpetre più autorevole del Telesio, si 
caccia nel ginepraio anche lui, e nota a questo 
punto: « Che se al freddo si volesse togliere 
ogni senso, per rimuovere l’inconveniente 
anzidetto, come si guarderebbe egli dal suo 
avversario? Come ne respingerebbe l’attacco, 
e come si trincererebbe nella propria sede? 


8o 


BERNARDINO TELESIO 


Onesta, a parer mio, è la capitale contrad¬ 
dizione della fisiologia telesiana» 49 ). 

Contraddizione insolubile, dico io, se il 
freddo e il caldo non si riconducono all’ufficio 
di principii metafisici, che essi hanno nel si- 
telesiano: contraddizione, che, in una 
forma o in un’altra, sarebbe poi la contrad¬ 
dizione di tutte le filosofie, che ammettano 
un divenire o un modo cpial sia di attività, 
e non mantengano rigorosamente la logica 
di una tale concezione del reale. Nel caso 
del Telesio essa nasce dal non badare che. 
se la natura deve spiegarsi dal contrasto del 
freddo e del caldo, il freddo e il caldo, presi 
ciascuno per se, sono fuoii della natura, pnn- 
cipii o categorie, dal cui incrociamento si ge¬ 
nera, anzi nella cui sintesi insuperabile consi¬ 
ste il reale. 11 senso, perciò, come forma ie<ì|l 
della natura, non può essere una pfoprietà 
nè del caldo, in quanto puro caldo, nè del 
suo contrario; sibbene degli enti, delle cose 
naturali, che, in quanto sempre calde e fredde 
insieme, avendo sempre un qualche grado di 
calore, e però uno spirito piu o meno tenuoa 
non possono non avere tutte un certo gradoj 
proporzionato, anzi equivalente di senso. Che 
era infatti la soluzione del lelesio, quando 


LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


8l 


attribuiva, il senso anche al freddo, che allora 
intendeva non più come astratta natura agente, 
f L a come questa natura agente concorrente 
con la contraria nella materia, ossia come 
natura agente concreta nell’unità di sè e 
della sua contraria. 

Da questa e simili incertezze si scorge di 
sicuro che il Telesio non aveva la chiara 
consapevolezza della natura metafisica de’suoi 
principii, nè perciò del reale fondamento, su 
cui. nel suo pensiero, appoggiavasi quella 
sua bonaria satira delle formae stertenles , di 
quelle forme che, secondo l'aristotelismo, rus¬ 
savano di qua della realtà 5 °). 

Non importa: il freddo, come natura agente 
positiva, ha questo valore, sostituendosi alla 
privazione aristotelica. La natura deve avere 
nelle sue viscere l’eterna opposizione, dal cui 
travaglio si genera la vita in tutte le sue forme. 
Questo è il naturalismo telesiano; per questo 
naturalismo Bernardino Telesio sta all’avan¬ 
guardia della rinascenza, e potè a buon diritto 
: esser detto il migliore di quelli che per Bacone 
erano i filosofi moderni; e a ragione possiamo 
dire anche noi che accenni all’età moderna. 

Accenna, bensì; e resta un uomo della ri- 
[ nascc.nza. La nebbia ondeggia ancora attorno 


G. Gentile, Bernardino Telesio. 


6 














82 


BERNARDINO TELESIO 


alla luce del suo pensiero. La sua natura, 1 
quella natura che ha in se stessa le ragioni 
di tutta la sua vita, non riempie tutto i| 
quadro della coscienza di Telesio. Da una 
parte e dall’altra di essa c’ è qualche cosa 
che non è natura, e che Bernardino non può 
cancellare: e sono insieme due termini cia¬ 
scuno dei quali accenna all’altro, e si congiun¬ 
gono idealmente e adombrano, e offuscano 
tutto il quadro, così luminoso a chi non tra¬ 
scorra a’ suoi margini, ma lo fissi nel mezzo. 
Fatta comune agli uomini e ai bruti la ra¬ 
gione, anche questa, pel Telesio, è un pro¬ 
dotto naturale, una funzione dello spirito 
caldo. Con questa ragione non solo si coglie 
il particolare, ma si confrontano insieme i 
varii particolari, si raccolgono in uno le so¬ 
miglianze, si costituiscono gli universali: essa 
unifica il senso e l’intelletto, che Aristotile 
distingueva nettamente. Ma con questa ra¬ 
gione non si compie lo sviluppo dell’uomo, 
e della natura. Il compimento della ragione, 
anima naturale, è rappresentato dall’anima 
creata da Dio, e infusa nei singoli uomini, 
innestata nelle totalità del corpo individuale, 
e principalmente nello spirito, quasi propria 
forma; onde la sostanza, che nell’uomo 




LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


S3 


ragiona, non è, al dire del Telesio, una e sem¬ 
plice, ma composta dell’anima creata e dello 
spirito proveniente dal seme 5I ). E in ciò con¬ 
siste la vera ed essenziale differenza tra la ra¬ 
gione umana e la belluina. Come si costi¬ 
tuisca l’unità dell’anima umana, posta la sua 
anima naturale, che è spirito, e la sua anima 
creata soprannaturale, Telesio non dice, e non 
può dire; la risposta non entra nella catena 
delle sue deduzioni. Se la vita dell’anima 
umana si limitasse dentro i termini della 
natura, dell’anima creata, che aristotelica¬ 
mente, e tomisticamente, viene a informare lo 
spirito di ogni individuo, non ci sarebbe ra¬ 
gione mai di parlare. L’anima dell’uomo, che 
come senso e come appetito, per la sua co¬ 
noscenza e per la sua finalità, dipende mec¬ 
canicamente dalle leggi cieche della natura, 
potrebbe parer tuttavia autrice di atti pravi; 
ma questi, come semplici effetti naturali, non 
potrebbero incorrere nel castigo della giusti¬ 
zia divina, a non voler concepire Iddio come 
odiatore iniquo delle sue stesse opere. Ond’ è 
che il governo e il freno dello spirito, e la 
responsabilità conseguente dell’uomo, — la 
sua libertà, diremmo noi nel nostro linguaggio, 
postulata daH’obbligo che l’uomo ha di render 






8 4 


BERNARDINO TERESIO 


conto de’ suoi atti, — ci astringe ad ammet¬ 
tere l’innesto di un’anima superiore, capace 
non pur di resistere all’ impeto e alle illecebre 
dello spirito, ma di rattenere e reprimere lo 
spirito corrente ai perversi piaceri e alle azioni 
indegne, e di tendere col suo vigore al proprio 
fattore, per ricongiungersi alle cognate so¬ 
stanze e fruire con loro della beatitudine eterna. 

Giacché, dice il Telesio, l’uomo, a diffe¬ 
renza degli altri animali, non intende nè ap¬ 
petisce soltanto le cose sensibili e mortali, 
che hanno attinenza unicamente alla conser¬ 
vazione presente di se stesso, ma intende 
anche e appetisce le cose divine e immor¬ 
tali, spettanti alla sua conservazione eterna. 
Sicché aH’uomo pare sia da attribuirsi un 
doppio appetito, c un doppio intelletto: ine¬ 
rente, l’uno e l’altro, principalmente allo spi¬ 
rito: ma l’uno da ricondursi all’anima creata 
da Dio. l’altro alla natura dello spirito stesso. 
C’è l’appetito sensitivo proprio di questo, 
e si rivolge alle cose sensibili, che paiono 
beni, ancorché non siano veramente tali; e 
c’è la volontà propriamente detta, indiriz¬ 
zata ai beni veri, futuri ed eterni. 

I critici hanno osservato che le funzioni 
di quest’anima creata, in quanto forma dello 




LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


S5 


spirito, e propriamente dell’ intelletto nativo 
e dell'appetito sensibile, nel Telesio sfumano 
per modo da lasciar trasparire che quest’ani¬ 
ma piovuta dal cielo è un « soprappiù » nel 
sistema telesiano; « una essenza inutile ag¬ 
giunta all’uomo per un certo ossequio alla 
religione», una concessione fatta ai tempi, 
alle tradizioni, alla fede; e che non guasta 
nulla 52 ). Ma ciò non è esatto. È vero che 
tutte le funzioni intellettive dell’anima im¬ 
mortale hanno bisogno del concorso dello 
spirito, e che per Telesio non è possibile ra¬ 
gione, che per lui, in sostanza, è senso, che 
non sia corporea M ): laddove l’altra anima per 
se stessa ragiona senza bisogno di sussidio 
esterno. Ma tutto ciò si riferisce al sensibile, 
ossia a quanto, come oggetto di conoscenza 
o di appetito, è termine del senso. La fun¬ 
zione specifica dell’intelletto aggiunto e della 
volontà si riferisce invece al soprasensibile, 
all’eterno, al divino; e al sensibile soltanto 
per subordinarlo, reggendo lo spirito e le sue 
native energie, ai fini oltremondani. Rispetto 
a questi, lo spirito è cieco, non solo perchè 
non conosce e non vagheggia il soprasensi¬ 
bile, ma perchè non è capace di conoscere 
adeguatamente e giudicare secondo il suo 


86 


BERNARDINO TELESIO 


giusto valore lo stesso sensibile. Non basta 
che l’anima creata non abbia oggetto mon¬ 
dano e naturale, perchè la si dichiari una 
concessione ai tempi e alla fede; quasi che 
il Telesio, filosofando con maggiore libertà, 
* potesse farne a meno. Ma è vero che essa 
è un residuo irriducibile del suo pensiero, 
rispetto al naturalismo, che è la sua vera, 
viva filosofia. E vero che essa rimane nel¬ 
l’organismo del pensiero telesiano una idea 
morta, che non può entrare, e non entra, nel 
circolo del sistema. 

E non è la sola, come s’è già accennato. 
Quest’anima creata, che è la facoltà del di¬ 
vino, o il senso della religione, quella che il 
Campanella, spirito assai più profondamente 
religioso del Telesio, svolgerà nella impor¬ 
tante sua teoria della mente, si collega, 
come è ovvio, con l’idea di un Dio creatore, 
esterno alla natura, e al meccanismo di essa 
studiato dalla filosofia telesiana: di un Dio, 
che è anzi esso la ratio cognoscendi dell’anima 
creata. Giacché senza Dio, l’abbiamo visto, 
Telesio non si sarebbe imbattuto in quest’ani¬ 
ma, bastando alla vita terrena e naturale 
quella che risulta dal giuoco del caldo e del 
freddo. Ma chi si sforzi di sapere o di acqui- 


LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


87 


stare la virtù ch’egli dice sapienza, non può, 
secondo il Telesio, non vedersi sorgere in¬ 
nanzi l’idea di Dio. 

La sapienza 54 ) è virtù dello spirito, ma 
n0 n dello spirito solo. È cognizione che lo 
spirito si procura e deve procurarsi ai fini 
stessi dell’autoconservazione, di tutti gli esseri 
naturali e di se medesimo e del corpo a cui 
è insito, e senza di cui non potrebbe stare. 
Ma è anche cognizione dello spirito integrato 
e perfezionato dalla sostanza in lui immessa 
da Dio; ond’è eccitato e spinto di continuo 
a cercar di conoscere anche Dio e gli enti 
divini o soprannaturali, che la scienza non 
vedrebbe mai nella natura iuxta propria prin¬ 
cipia ; poiché quest’anima aggiunta, secondo 
le espressioni platonizzanti usate in questo 
luogo dal nostro filosofo naturalista, « sa-, 
piente per sé non pure delle altre cose, ma 
di Dio stesso e degli enti divini, ossia del 
proprio padre e fattore e delle sostanze a 
lei cognate (chi invero potrebbe dubitarne?), 
ma quasi cacciata in esilio, in carcere e in 
tenebre, e però orbata d’ogni conoscenza e 
divenuta insipiente, aspira ansiosamente a 
ritornare alla sua natura e perfezione; e 
finché non l’abbia riacquistata, non può non 



88 


BERNARDINO TELESIO 


dolersi assai e crucciarsi e dispiacere a se 
stessa ». Sicché lo spirito ha la tendenza a 
sapere, oltre l’oggetto suo naturale, anche 
quest’oggetto trascendente, la cui cognizione, 
secondo il Telesio, non conferisce alla con¬ 
servazione o vita dello spirito in quanto spi¬ 
rito, nè sarebbe mai ricercata dallo spirito, 
se questo non fosse mosso dall’anima creata. 
Semplice tendenza, di certo, perchè la cogni¬ 
zione di Dio supera di grandissimo tratto le 
forze proprie dello spirito: a cui l’anima fa 
sentire un bisogno superiore, ma non comu¬ 
nica la capacità di darvi soddisfazione. Onde 
lo spirito, per il concorso di questa sostanza 
psichica soprannaturale, ha un nuovo pro¬ 
blema senza una nuova soluzione; aspira a 
speculare anche Dio; ma con la ragione non 
può assolutamente: « la quale », dice Telesio, 
« può giungere a spiegare, e spiega infatti il 
mondo tutto; e intende inoltre tutte le cose 
in esso comprese essere state create da un 
Essere sapientissimo, potentissimo e ottimo». 
Ma questi stessi attributi non può penetrarli 
in tutta la loro grandezza; ed è lontanissima 
dal conoscere gli altri. La ragione, a guar¬ 
dare il fulgore divino, ne resta abbagliata 
e cieca, peggio dell’occhio che si affisi nel 



LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


89 


sole. E però la vera sapienza superiore, la 
celebrazione di questa virtù culminante dello 
spirito umano, non è quella che vuole inten¬ 
dere con la ragione, ma quella, che messa 
da parte la ragione, si propone di vedere Dio 
e Tesser suo e i suoi attributi « nelle sacre e 
divine lettere e nelle stesse parole di Dio ». 
Sapienza che, in questa cima, assomiglia, dice 
il Telesio, l’uomo agli enti divini, anzi, quanto 
è possibile, a Dio. Ideale, cui dunque non 
è dato alla ragione che spiega la natura 
elevarsi da sè; ma che alla ragione per altro 
è impossibile non proporsi, poiché la sua 
spiegazione naturale non è senza residuo; 
e quando essa scruta il suo mondo, non può 
non scorgervi dentro Torma profonda della 
sapiente azione creatrice di quel Dio, che 
gl’ incitamenti dell’anima creata gli faranno 
cercare nella rivelazione divina. «Giacché», 
conchiude il Telesio, «chi, vedendo la costru¬ 
zione del mondo e la costituzione degl’ indi¬ 
vidui, ma sopra tutto degli animali, non vede 
che Dio è sapientissimo, e che delle virtù, 
che noi possiamo pensare in lui, la principale 
debba essere la sapienza; ei può ben dirsi 
non solo empio e selvaggio ( ferus ), ma a 
dirittura senza intelletto ». 








90 


BERNARDINO TELESIO 


Ora sarebbe falsare la storia e non inten¬ 
dere l’anima e la mentalità di Bernardino 
non vedere in questo concetto della sapienza 
l’espressione sincera del suo pensiero. Ma 
sarebbe anche far torto all’acume specula¬ 
tivo del filosofo; il quale avrebbe bensì dato 
prova di più intrepida cecità materialistica 
a disconoscere affatto le prove della sapienza 
divina, ossia la razionalità e spiritualità di 
tutta la natura, così come egli invece la 
vedeva più vivamente lampeggiare nella fina¬ 
lità dell’organismo animale; e avrebbe potuto 
dissimulare la meraviglia del caso, che il 
naturai meccanismo delle nature agenti pro¬ 
duca il miracolo del mondo e del pensiero; 
ma, per fare una costruzione più armonica 
e coerente, l’avrebbe lasciata campata in aria. 
Il puro meccanismo non è intelligibile. 

E Telesio che a redimere la realtà dalla 
trascendenza, non sa intenderla se non mec¬ 
canicamente, e però vuotata dello spirito che 
la sorregge e l’avviva, ha bisogno di legarla 
e quasi sospenderla, da un capo e dall’altro, 
allo spirito, al pensiero, alla legge, che è la 
sola àncora, a cui la realtà possa fermarsi. 
Onde la sua natura, guardata dentro, e ri¬ 
condotta sì a’ suoi principii, che sono in 


LA FILOSOFIA DEL TELESIO 


91 


lei; ma dalle prode apparisce creata da Dio 
e a Dio ritornante con l’anima oltremondana. 
Come la sua origine è fuori di lei, ed essa 
non può sorgere da sè, così la sua fine, che 
è il suo fine, non dipende da lei, e richiede 
un nuovo intervento di Dio, che suggelli 
l’opera sua destando nella natura una supe¬ 
riore e definitiva potenza, che la riporti a 
lui. Onde tutta l’immanenza, che è il pen¬ 
siero nuovo del Telesio, resta, come doveva 
restare, quasi avvolta e chiusa nel bozzolo 
della vecchia trascendenza. Che sarà il destino 
e il segno caratteristico della filosofia di Bruno 
e di Campanella e di quanti tentativi si fecero 
allora o si son fatti di poi per intendere iuxta 
propria principia una natura, una realtà, che 
non sia la realtà dello stesso pensiero, che 
aspira a intendere: quale Cartesio la vide, 
e quasi la sentì per la prima volta, quando, 
sequestratosi idealmente dal gran rumore del 
mondo che si dice esteriore, ascoltò l’intima 
voce dell’essere che continuava a parlargli 
dentro; e scoprì il mondo nuovo della filo¬ 
sofia moderna, il quale ha veramente in sè 
tutte le ragioni del proprio essere. 

Onde il mondo, a cui Telesio tenne fisso 
il suo sguardo tenace per quasi cinquant’anni 









92 


BERNARDINO TEI.ESIO 


con l’ansia nel cuore e il bisogno di com¬ 
penetrarlo della sua ragione, è un mondo 
ormai scomparso dai nostri occhi, e non può 
destare più il nostro interesse. I suoi scritti, 
dentro ai quali pur s’agitò l’anima sua po¬ 
derósa, son divenuti desolatamente aridi per 
noi, e semplici documenti per gli storici, cui 
spetta di ravvivarne il senso che ebbero per 
I elesio e pel tempo suo. Ma negli sforzi del 
Telesio per ricostruire una natura, che avesse 
in sè tutti i suoi principii, gli storici scorgono 
la prima grande battaglia combattuta, sulla 
soglia dell’età moderna, per rivendicare la 
libertà e il valore immanente della vita; e 
però essi additano nel Cosentino uno degli 
eroi del pensiero umano. 





NOTE 





NOTE 


1) Sul carattere antistorico della scienza qual’è presup¬ 
posta dalla logica aristotelica v. anche la mia prolusione 
Il concetto detta storia della filosofia nella Rivista filoso¬ 
fica di Pavia del 1908. 

2) V. la mia Storia detta filosofia in Italia (in corso di 
pubblicazione nella collez. della Storia dei generi letterari 
del Vallardi) lib. n, cap. t. 

3) Su questo significato della filologia del nostro uma¬ 
nesimo nel sec. xv cfr. la mia Storia cit., lib. 11, cap. 11. 

4) Cfr. la mia nota Veritas fitta temporis nella Miscel¬ 
lanea in onore di R. Renier, di prossima pubblicazione. 

5) Metal., lib. n, c. 16 e Potter, vii, 6. 

6) Renan, Averroes 5 , pp. 55-6. 

7) Opere di G. Galilei, ed. naz., xn, 130. 

8) Antibarb. ed. Leibniz, Francof., 1674, pp. 2, 5, 6. 

9) Il Fowler nell’Introd. alla sua edizione del Nov. Or¬ 
ganimi, Oxford, 1889, p. 81. 

10) Bruno, Opere italiane, ed. Gentile, 1, 196. 

11) Per la vita del T., quando non siano citate altre 
fonti, mi attengo al Y Orazione del D’ Aquino e alla accu¬ 
ratissima monografia del Bartelli (v. Bibliografia, 11), a 
cui si deve la scoperta di molti documenti inediti e un 
acuto esame dei ragguagli biografici antichi. 

12) G. Bruno, De immenso, in Opera lai. conscr., ed. 
Fiorentino, 1, il, 290. 

13) De rer. natura, ni, 1; cfr. proemio alla edizione 1565 
in Bibliografia, 1, 1. 

14) Bacone, De principiis alque originibus secondimi 
fabulas Cupidinis et Coett, in Philosophical Works, ed. Ellis 
e Spedding, m, 108, 






96 


NOTE 


15) De rer nal., 1, 17. Lo stesso luogo trovavasi nel¬ 
l’edizione 1570 al lib. n, c. 19. Cfr. l’accenno nel proemio 
all’ed. 1565 (in Bibliografia 1, 1): « non nisi inclinata iam 
aetate ». 

16) Cfr. proemio all’ed. 1565 del De rer. nal. in Bi- 
bliogr. i,i. E il D’ Aquino, Ora-.-, p. 21, dice che il Te- 
lesio la lingua greca « la parlava, e scriveva così bene che 
parea nato in Atene al tempo di Platone o di Tucidide ». 

17) Su I Martirano v. la monografia di F. Pometti 
(Roma, 1897 nelle Meni, della R. Acc. Lincei) e cfr. la re¬ 
censione del Croce in Gior. stor. d. lett. Hai., xxxi (1898), 
pp. 116-22. 

18) D’Aquino, Orazione 2 , p. 19. 

19) Bartelli, Noie, pp. 26-27. 

20) Proemio all'ed. 1565. 

21) D’Aquino, p. 11, Cfr. Bartelli, p. 31. 

22) Che il De rer. vai. sia stato scritto in casa dei 
Carafa è detto da Bernardino nella dedica dell’opera a 
Ferrante Carafa, ed. 1586. V. Bibliogr., 1. Cfr. le osser¬ 
vazioni del Bartelli, p. 29. E v. il proemio all’ed. 1565. 

23) Lelio Capilupi, A Bernardino Telesio, son. nel 
libro v delle Dime di diversi illustri signori napoletani 
c di altri ingegni, Venezia, 1555, p. 424: rist. dal Daniele 
in Antonii Tiiylesii Consentivi qui saec. XVI clamit 
Carmina et epistolae, Neapoli, mdcccviii, p. 36 e da Luigi 
Telesio in D'Aquino, Orazione 2 , p. 61. 

24) Per questa data v. lett. del Quattromani cit. dal 
Bartelli, p. 33. 

25) V. proemio ai primi due libri De rer nal., ed. 1565, 
in Bibliografia, 1, 1. 

26) V. Antonio Persio in Bibliogr., 1. 

27) D’Aquino, OrazP, p. io. 

28) Cfr. Fiorentino, B. Telesio, 1, 103. 

29) Riferito dal D’Aquino, Oras?, p. 11. Il brano del 
Quattromani è citato dal Fiorentino, i, ioi. 

30) Vedi un brano della ded. in Nicodemi, Addizioni co¬ 
piose della Bibl. nap. del doti. N. Toppi. Napoli, 1682, p. 53. 

31) V. Fiorentino, o. c. i, pp. 359-60. 


NOTE 


97 


32) V. Fiorentino, ti app. pp. 375 ss. 

33) Manso, Vita di T. Tasso nelle Opere di T. T., Pisa, 
1832, voi. xxxiii, p. 264. 

34) « Onde tu, generosa, Città, che sai quante opere 

sono rimaste delle sue da imprimersi e le vedi nelle mani 
di diverse persone disperse, fa, ti prego, che un tesoro 
cosi grande, e così occulto, per la tua dovuta gratitudine 
risorga... Intorno agli ottanta anni fe’ queste ultime opere. 
E se pure non saranno più perfette delle altre, trattarono 
(sic) di nuove materie, e non mai udite insino a questo 
tempo... »: D’Aquino, Oraz . 2 , pp. 3 2 " 33 * , 

35) V. son. e nota in Campanella, Opere , ed. D’An¬ 
cona, 1, 103. 

36) De princip. atque origin ., p. no. 

37) Non. Org., 1, 1 16; De augm., lib. ni. c. 4 - 3 IO - 

38) De interpret. naturae, in Philos. IVorks, ed. cit., 
in, 786. 

39) V. lett. del Patrizi al Telesio in Fiorentino, 11, 375 - 

40) De princip. atque origin., p. no- 

41) La « doxa » parmenidea è la pura fenomenologia; e 
la scienza vera per Parmenide è metafisica monistica. 

42) Pei rapporti tra Telesio e Bacone v. Ellis, pref. 
a Bacone, Philosophical H'orks , 1, pp. 49 ' 53 - 

43) Destruendo quatti ostruendo utelior; in De princ. 

atque origin., p. 94 - 

44) V. i primi capitoli del De rer. natura. 

45) Cfr., p. e., De rer. nat., in, 2 « Rerum principia, 
e quibus res Constant, cum antiquioribus fere omnibus 
tum Aristoteli, tria visa sunt, agenda contraria duo et 
materia una etc. » Cfr. lib. ili, c. 1. 

46) De rer nat., in, 4 - 

47) Per la teoria della conoscenza e l’etica telesiane 
v. la tesi dello Heiland cit. nella fìibliografia , li. 

48) V. De rer. nat., 1, 6: dove, dopo aver ripetuta¬ 
mente asserito che il senso è necessario al caldo e al freddo, 
conchiude: « Nec vero, nisi caloris frigorisque, aut alte- 
rius saltem, itaque caeli terraeque, aut alterius, pro- 
prius sit sensus, animalibus, quae ab ipsis constituta sunt, 


G. Gentile, Bernardino Telesio. 


7 


9« 


NOTE 


insit ullus: qui enim, quae nec cacio inest nec terrae, iis 
quae a caelo terraque fiunt, indi queat facultas? (ed. Spam¬ 
panato, p. 27). Ma nell’ediz. I57o (1, 34) aveva sostenuto 
« sentiendi facultatem naturae agenti utrique traditam esse, 
et in ea sola caelo terram convenire; al exquisitiorem 
oninino eam calori tributam esse ». 

49 ) Fiorentino, lelesio, 1, 269. 

50) V. De rer. noi., n, 1. 

51) V. De rer. nat ., vm, 15. 


52) Fiorentino, P. Potnponazzi, Firenze, 1868, un. 387 
390; cfr . B . Telcsio, i, 319-20; G. S. Felici, Le do tir . 
Jilos.-relig. di 7 . Campanella , p. 42. 

53 ) V. De rer. nat., v, 40. 


S4 ^.Y' P* rer ‘ na/ ’’ lx » 6 ’ e intorno al concetto della 
necessita di un Dio creatole per spiegare l’origine del mec- 
canismo, cfr. De rer . nat., i, io. 


i 




APPENDICE BIBLIOGRAFICA 







I 

SCRITTI DI B. TELESIO 


Bernardini Teeesii | Consentiti | De rerum natura 
iuxta propria | principia liber primus, | et secundus | 
Romae. | Apud Antonium Biadimi Impressorem Came- 
ralem. | Anno. M.D.LXV. (Nel frontespizio e nel verso 
della carta per la sottoscrizione v’è l’impresa: la fenice 
tra le fiamme col motto Fit Aeterna Quibus). Pagine 
177 (non ha numero la 2 n ): S innum. a princ. e 2 in 
fine; in 

V. Catalogo delle ediz. romane di A. Biado Asolano 
ed eredi (in Indici e calai, del Ministero della P. I.) 
Roma, 1896, p. 101. 

A p. 176-7 un Errata-corrige segna pel Proemio qui appresso 
riprodotto quattro correzioni, che si trovano già eseguite in tre copie 
posseduta dalla Bibl. Coni, di Palermo (segn. i-in, C. 2) e dalla 
Vittorio Emanuele di Roma (segn. 68, 13, C, 36; e 68, 13, D, 24). 
cioè 

Fac. prooem. Proaemicm Prooemium 


iamdiu 

liane 

ne 


ver. 25 tam diu 


26 hinc 
5 prooe. 23 nec 


Il che dimostra che il proemio, terminata la stampa del vo¬ 
lume, venne ristampato 

Ma il primo proemio ci è stato conservato in un importan¬ 
tissimo esemplare della stessa Bibl. Vittorio Emanuele di Roma, 


102 


APPENDICE BIIÌJ.IOGRAF1CA 


segn. 71, 3, D, 26, insieme con un frontespizio finora ignoto ai 
bibliografi, diverso da quello qui sopra descritto pel motto del¬ 
l’impresa che è: soms, kit aeterna QL'ibus, pigna igniris 
URI. Importantissimo è questo esemplare, oltre che per nume¬ 
rose postille ed aggiunte sparse nei margini e in carte interfoliate, 
anche e sopra tutto per sei carte che vi si trovano legate tra il 
proemio e il primo libro, contenenti una redazione nuova dei 
capitoli I-IV e xix-xxtn del primo libro. Al cap. xix precede 
(c. 4 r) la didascalia: « Quae segmentar capila loco 19, 20. 21, 
22 et ponendo sunti. Di molto interesse riuscirebbe un mi¬ 
nuto confronto di queste due primitive redazioni, documento 
assai significativo (cfr. sopra pp. 48-9, 77) della irrequietezza con 
cui il Telesio, fin dal primo momento che diè in luce il primo ab¬ 
bozzo dell’opera sua, si diè a rifarla, insoddisfatto e desideroso di 
una più convincente e sicura sistemazione del proprio pensiero. 

Riproduco qui appresso il proemio di questa prima edizione, 
modificandone soltanto la punteggiatura. 


PROOEMIUM. 

Nulli quod mihi contigit evenisse unquam reor, ut 
qui mortalium omnium minime ambitiosus, et minime 
gloriae appetens, animoque maxime remisso, et, si quis 
alius unquam, unius cognitionis grada, nullius amplius 
rei, philosophiae studiis vacarim, omnium ambitiosissi- 
mus videri queam tumidissimusque et vel honores vel 
edam dividas aucupari; qui, non contentus Aristotelis 
doctrina, quem tot iam saecula numinis instar hominum 
genus universum veneratur, et, veluti a Deo ipso edoc- 
tum et Dei ipsius interpretem, summa audit ’cum ad- 
iniratione et cum religione edam summa, novam ipse 
invehere tentem. Sed qui nostra perleget facile is, quod 
re vera est, intelliget spero non alterius rei cupiditate 
ab Aristotele me descivisse, quem et ipse nullo forte 
ntinus multos annos colui suspexique, sed veritads tan¬ 
tum grada, et ipsum in hoc sequutus Aristotelem ve¬ 
ntateli! rebus omnibus praelionorandam praedicantem, 



SCRITTI DI B. TERESIO 


103 


et veritatis grada amicum edam praeceptoremque suum 
incusare nihil verentem. Non siquidem minima quaedam 
aut abstrusa occultaque prave Aristotelem docentem, et 
quorum aegre cognido liaberi queat, culpantem me vi- 
debunt, sed in universo fere naturali negotio sensui et 
sibi ipsi repugnantem, in plerisque igitur non a nobis 
primum oppugnatum damnatumque, sed iamdiu et ab 
aliis longe plurimis longeque clarissimis viris, et a suo- 
rum edam multis, et longe praestandssimis, et a nullo 
defensum satis. Ut, nisi vel laborem aliam indagandi viam 
pertaesi homines forent, vel velutì praesdgiis capti, vel, 
quod de multis suspicari edam licet, non sapientiae gra¬ 
da, sed se ipsos ostentandi venditandique philosophati, 
contend igitur Aristotelis vel Platonis verba sentendas- 
que proferre, et Aristotelis praeserdm nominis fulgore 
mortalium oculorum aciem perstringere, non igitur ra- 
tione ulla, nec, quod magis edam oportebat, sensu ullo 
propria dogmata firmantes, at sola Aristotelis auctontate; 
iamdiu defecisscnt ab homine reor omnes, et novam 
hanc, sensum sequuti, indagassent viam, quae sese om¬ 
nibus manifestasset, et multo quam nobis prompdus acu- 
tiore praeditis ingenio, et quibus ab ineunte aetate in 
magno ocio philosophiae vacare licuit; nam nobis, cras- 
siore tardioreque, ut ingenue fateamur, datis ingenio, 
non nisi inclinata iam aetate id facere permissum est, 
neque extremum hoc, nec diuturnum vitae tempus li¬ 
bere nulloque impedimento, sed plurimis molestissimis- 
que implicitis occupadonibus, in maximas angustias 
inaudito illorum scelere coniecds, a quibus summe 
amari nos colique et foveri oportebat maxime. At, ut 
dictum est, unius sapientiae grada philosophantes, ne- 
quaquam Aristotelis dicds, ubi rebus non consentirent, 
acquiescere potentes, quae praeserdm sibi ipsis dissen- 
tirent; suos itaque perpetuo inter se disceptantes digla- 
diantesque intuentes, et longe diversissimis delatos viis, 




104 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


at quibus ipsum sequi videantur Aristotelera ; nuilam 
certe rem, quam tractarent, in aperto, et veluti in luce 
ponerent et sensui offerrent, quod oportebat maxime, 
sensiles edocentia res, sed rationes tantum continentia, 
quae veluti mentem ligarent, repugnare illis ignaram, at 
assentiri nolentem, nequaquam sensui consentientes, qua- 
les esse oportere, quae veritatem continent, ipse inpri- 
mis admonet Aristoteles; et ncque propterea tot sua 
tenebria occultantem illuni existimare potentes, quo, ut 
suis placet, ignavos deterreret, quibus nimirum pulcher- 
rimarum rerum invideret cognitionem, non eadem omnia 
obvolventem caligine videntes, at obscuriora abstrusio- 
raque quae sunt, quae igitur illustranda aperiendaque 
essent maxime, adeo profunda, ut linceus nullus supe¬ 
rare et pervadere illapi queat, aperta magis et quae 
penitus innotuisse visa sunt, nulla plerunque, valde 
exili interdum, ut suspicari liceat propterea id esse 
ab eo factum, ut ne, sui penitus dissimilis in dissi¬ 
milimi! traditione visus, non aeque omnium sciens vi- 
deri queat, est et quae in nimia ponere velit luce, ut 
suis edam ambidosius circa quaedam revolvi videatur, 
sua ostentans, et pluribus quam opus est firmans illa 
radonibus. Tum neque ignavis modo sua invidisse Ari- 
stotelem intuentes, sed summe edam strenuis et summe 
industriis viris, tot iam igitur saecula, tot, non inquam 
viri, sed nationes illius scripta perscrutatae rimataeque, 
nulla fere in re, quae fuerit hominis sentenda inspicere 
potuere; digladiantur itaque, ut dictum est, inter se Pe¬ 
ripatetici omnes, non in duas divisi partes, sed in longe 
plurimas, et nullus illius dieta explicans reliquis placet: 
adsunt qui nullum e tot interpretimi milibus non dam- 
nent, et ne Graecos quidem ipsos, ipsumque Aphrodi- 
seum Aristotelis mentem latuisse non contendant. Et 
non hoc modo, sed nullum sibi ipsi in Aristotelis scripds 
explicandis satis placentem videntes, et propriae expo- 


SCRITTI DI B. TELESIO 


105 


sitioni oranino acquiescentem, quam nimirum nullus an¬ 
gustiò omnibus liberam, et vel aliis Aristotelis dictis, vel 
rebus etiam ipsis non repugnantem videre queat; sed 
perpetuo anxios omnes intuentes haerentesque et, quot vis 
soiutis nodis, ab aliis tamen retentos; nequaquam igitur 
id voluisse Aristotelem suspicantes, ignavos nimirum et 
caecutientes homines a suis repellere tenebris illa ob- 
volventem et veluti spinò saepientem, qui nulli innotuit 
unquam et neque innotescere posse ulli videtur; sed vel 
aeque omnibus rerum cognitionem invidòse; quo nihil 
inhumanum, impium nihil fieri queat magis, et nihil ab 
Aristotelis etiam ingenio alienum magis, propria bona 
propriamque pulchritudinem nequaquam obtegentis un¬ 
quam, neque hominum exòtimationem contemnentis, at 
summe etiam illam ambientò; qui igitur si rerum causas, 
et res ipsas inspexisset omnes, libens, reor, illas homini- 
bus patefacisset omnibus, ut summe illuni amarent et 
colerent etiam omnes solum rerum naturam intuitum et 
manifestantem ipsam omnibus; vel, quod verisimile fit 
magò, nequaquam propriò positionibus contentum, et 
nequaquam illis confisum, sedulo, quod aliis faciendum 
praeceperat, fecisse, quae scilicet non penitus innotue- 
rant, summis illa obvolvisse tenebris: id volentem om- 
nino, non ignota nimirum sibi illa filóse homines suspi- 
cari, sed abstrusiora quam quae omnibus innotescere 
et manifestari queant omnibus; se ipsos igitur damnare 
omnes, illum admirari semper. 

Haec suspicantes, et nequaquam, quod prius fecera- 
mus, Dei ore loquutum fuisse Aristotelem amplius iudi- 
cantes, potuisse itaque et ipsum errare, et in multò omnino 
errasse illum, et in maximi momenti maximeque sensui 
expositis rebus Galenum adeo aperte demonstrantem vi- 
dentes, ut qui ulterius Aristotelis sententiam tueri in illis 
velit, non pervicax modo et positionis tenax, sed stu- 
pidus etiam videri queat; omissis Aristotelis decretò pia- 


io6 appendice bibliografica 

citisque, diu inultumque rerum naturarli et ipsas intuiti 
res, alio et quae prima Aristoteli videntur corpora et re- 
liqua fere omnia sese habere conspeximus, quam quo ab 
Aristotele posita erant pacto; et illud itaque necessario est 
visum, vel non ab illis principiis prima constimi corpora, 
vel non ab omnibus. A calore porro et frigore omnia fieri 
intuiti, nequaquam in hoc ab ilio dissentire visum fuit; in 
eo igitur quod reliquum erat, non scilicet ab humiditate 
itidem et siccitate, ut agentibus causis, quas praeser- 
tim non se ipsas generare constituereque, nec se ipsas 
mutuo corrumpere, sed a calore et frigore fieri cor- 
rumpique, et videbamus ipsi, et alibi Aristotelem edo- 
centem audiebamus. Et illud itaque insuper necessario, 
duo nimirum prima esse simpliciaque corpora, et cae- 
lum ex iis alterum, omnia e caeli in terram actione 
constimi videntes, et summe rebus omnibus terrae op- 
positum caelum; et nequaquam necessariam et neque 
firmam Aristotelis rationem intuentes, qua caelo calo- 
rem abnegat, sed mille labefactari aptam modis; tum et 
pacto nullo calorem a caeli motu, quo Aristoteli pla¬ 
cet pacto, fieri posse videntes. His positis firmatisque, 
mirum quam nullo fere temporis momento, quam nullo 
negotio nulloque labore et rerum aliarum omnium et 
animae ipsius substantia atque operatio innotuerit. Mul- 
tos iam annos et laboribus vigiliisque multis quaesita 
in Aristotelis libris, et inventa nunquam, ipsa sese ul¬ 
tra conspicienda nobis obtulit anima, et sua manifestavit 
omnia; et effectuum insuper aliorum omnium causa, iis 
positis principiis, visa est assignari posse pulcherrime, 
quae in Aristotelis doctrina perraro conspecta est satis. 

Quod igitur nunquam in animum induxeram prius, 
niliil a me monumentis dignum investigari posse credens, 
cogitationes et ipse meas litteris mandare constimi, nefas 
putans veritatem, quae inventa visa fuerat, abdi caelari- 
que {sic}', multo igitur labore iam inde a pueritia intermis- 


SCRITTI DI E. TELESIO 


°7 


sum scribendi munus repetitum est, et integrum natu¬ 
rale negotium conscriptum, et ad ea deventum particu- 
laria, quae nec attigere antiquiores, et neque attìngere, 
reor, sperarunt unquam, nusquam a positìs, ne trans- 
versum quod aiunt unguem, discedenti principiis, et 
niliil asserenti unquam, quod non necessario a princi¬ 
piis manet fluatque. At neque adhuc mihi confisus, 
cui, ut dictum est, extremum modo vitae tempus phi- 
losophari licuit, et nequaquam in magno ocio magna- 
que animi tranquillitate, neque in publicis inclitisque 
Italiae Academiis a praestante aliquo viro edoceri, sed 
in magnis plerunque solitudinibus, molestissimis op¬ 
presso impedimentis, Graecorum monumenta evolvere. 
Latina non satis percipienti, ignotis referta vocibus. Fa¬ 
cile igitur suspicari vererique potenti, et revera suspi- 
cantì interdum verentique deceptum me (neque enim 
fieri posse, ut tot prestantissimi viri, tot natìones, at- 
que adeo humanum genus universum tot iam saecula 
Aristotelem coluerit in tot errantem tantisque) Madium 
Brixianum adire et consulere visum est, quem et in 
philosophia excellere videbamus, et cuius mihi iamdiu 
animi ingenuitas innotuerat; ut, si a prestantissimo viro 
cogitationes meae non improbatae forent, nequaquam 
supprimerentur illae; sin minus, errores intuitus meos, 
quod reliquum vitae esset, et ipse Aristotelem suspice- 
rem venerarerque. Brixiam itaque ad Madium profec- 
tus, et itineris mei exposita ratione, nequaquam ille, 
quod multi fecerant, et quod facturum et illuni minitati 
fuerant, inauditum reiecit; at summa diiigentia plures 
dies, quibus apud illum fui, et summa cum animi tran¬ 
quillitate et audiit et perpendit omnia. Principia niliil 
improbavit, et quod non e principiis flueret, videre ni- 
hil potuit. Aristotelem in nullis certe satis defendere est 
visus; damnavit etiam illum prima constituentem cor- 
pora, nequaquam res ipsas intuitum tot illuni taliaque 




toS 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


posuisse aftirmans, at proprias sequutum positiones, ne- 
que igitur talia esse illa, qualia Aristoteli ponuntur, et 
ipsius positiones ab innumeris, iisque inexplicabilibus 
excipi difBcultatibus, quas, a suis descriptas, ostendi 
nobis curavit. Vir videlicet genere quidem nobilissimus, 
at multo animo magis, et nihil nisi ipsam colens su- 
spiciensque veritatem, nihil, quem ipse interpretabatur, 
cui igitur veluti iuramento obstrictus videri poterat, ve- 
ritus Aristotelem, quin, ubi parum placeret, oppugna- 
ret illum, et damnaret etiam defendi impotentem. 

Nihil itaque ab ilio audiens, quod vel nostra labefacta- 
ret, vel quod Aristotelis positiones a nobis oppugnatas 
tueretur stabiliretque, et neque ab aliis ullis, quibus cum 
multis Romae eximiis quidem viris communicare vel dis- 
serere illa licuit, et a multis, ut mea ederem ■) impulsus, 
nihil id facere amplius veritus sum. At a multis reiectus 
impedimentis, quae me usqueadeo retardant, ut, quod ma- 
thematicorum affirmant multi, suspicari interdum liceat, 
quae nimirum haud contemnenda bona benigna nobis 
pollicentur sidera, retardari a maligno, quae non inter- 
cipiuntur, omnia, nec commentarios reliquos edere -“) 
licuit, nec integrum de natura opus; sed primos tantum 
libros, eosque non satis perpolitos, at tales etiam edere 3) 
visum est, ut quid de illis sen^ant homines videam, et< 
quae etiam obiiciant, iterum et reliquos, et hos etiam 
politiores editurus, si nihil, quod nostra labefactet, obie- 
ctum fuerit. Neque eqim, si hi steterint libri, et fun- 
damenta in iis posita, ne stent reliqua omnia verendum 
est quicquam, his innixa omnia; si ruerint haec, nihil 
opus est alia edi 4), ex his fluentia nianantiaque, ut si 


1) aederém. 

2) aederr. 

3) cledere . 

4) ardi. 



SCRITTI DI B. TELESIO I 09 

edam perpolita essent omnia, edenda ') liaud videantur 
tamen. Reliquum est, ut omnes orem atque obtester, 
qui mea legere non gravabuntur, ne inimico haec in- 
spiciant animo neve ut reiecturi qualiacunque sint, 
veluti iuramento Aristoteli obstricti, sed amplexuri, si 
arriserint, ut veritads amantes decet et illam sectantes 
solam. Tum, ne cursim ut legantet veluti vorent, sed per- 
pendant singula. Et illud inprimis, num quae caelo ca- 
lorem dantes, et caelum terramque prima ponentes cor- 
pora, et e caeli in terram actione caetera generantes 
omnia, et caeli motus causam exponentes (quae omnia 
in primo posita sunt explicataque commentario) recte 
solutae sint, quae nos excipere videntur difficultates, 
et num iis, quae sensu percipiuntur, dieta nostra con- 
sentiant omnia. Tum quae haec facientem premunt 
Aristotelem angustiae, in secundo expositas 1 2 3 ) commen¬ 
tario. Sic enim visum est nostra prius ponere, tum 
aliena refellere; prius videlicet, quo res constìtutae vi¬ 
deantur pacto, edocere, tum alio esse non posse deco¬ 
rare. Hoc qui fecerit, recte is iudicium 3) de utrisque ferre 
posse videtur; qui enim minora subierit incommoda, 
is veritatis proximior videri debet, at nondum tamen 
veritatem adeptus, quae nullas patitur angustias, diffi¬ 
cultates nullas, nec sibi dissentit unquam, sed penitus 
sibi ipsi cohaeret, et una efficitur omnis, tum vel igna¬ 
vissimi crassissimisque hominibus aperit manifestatque 
quaevis omnia, omnia sensui exponcns apertissime; hu- 
iusmodi nulli reor Aristotelica videri queant; nostra ne 
sint, ii recte iudicabunt, qui illa, quod Aristoteles facien- 
dum praecepit, non ut adversarii, sed ut iudices arbi- 
trique legerint consideraverintque religione, qua erga 


1) aedenda. 

2) Da riferirsi ancora a per pendant. 

3) iuditium. 



I IO 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


I 


Aristotelem obstricti videntur, exsoluti, et tantisper illius 
positionum decretorumque obliti. Si qui nostra oppu¬ 
gnare voluerint, id illos insuper rogatos velim, ne me- 
cum, ut cum Aristotelico, verba faciant, sed ut cum 
Aristotelis adversario, neque igitur sese illius tueantur 
positionibus dictisque ullis, at sensu tantum et ratio- 
nibus ab ipso habitis sensu, quibus solis in naturalibus 
habenda' videtur fides. Tum ne ut nobis notas illius af- 
ferrant distinctiones terminosque, quas ingenue fateor 
percipere me nunquam satis potuisse, propterea, reor, 
quod non sensui expositas nec huiusmodi similes con- 
tinent res, sed summe a sensu remotas, et ab his etiam 
quae percoepit [sic) scnsus, quales tardiore qui sunt cras- 
sioreque ingenio, cuiusmodi mihi ipsi et nulla animi 
molestia esse videor, percipere haud queant. Quae igi¬ 
tur contra nos afferent, exponant oportet, et veluti in 
luce ponant, tarditatis meae, si libet, commiserti, et re¬ 
bus agant, non ignotis vocibus, quae, nisi res contineant, 
vanae sint inanesque. Illud prò certo habere omnes 
volumus, nequaquam pervicaci nos esse ingenio, aut 
non unius amatores veritatis, et libenter itaque errore^ 
nostros animadversuros, et summas illi gratias habituros, 
qui, quarn solam quaerimus colimusque, patefecerit ve¬ 
ntate m. 


Bernardini Telesii | Consentini | De Rerum Na¬ 
tura iuxta propria prin | ci pia, Liber primus, & Se- 
cun | dus, denuo editi. | Cum Licentia Superiorum. | 
Neapoli | Apud Iosephum Cacchium | Anno MDLXX. 

Il frontespizio reca la figura femminile di cui a p. 39. Sono 
cc. 95 num. soltanto nel redo. V’ è soppresso il proemio della edi¬ 
zione pretedente; e vi sono introdotte molte modificazioni. 



SCRITTI DI B. TELESIO 


I I I 


Gli esemplari di questa edizione si trovano sempre legati con 
i tre opuscoli stampati a Napoli nel 1570. 

Un esemplare, con correzioni di mano del Telesio, proveniente 
dalla bibl. di Domenico Cotugno, si conserva tra i mss. della 
Nazionale di Napoli (xiv, E, 68): ed è degno di considerazione 
perchè attesta ad oculos come il Telesio, dopo questa 2» edizione, 
che già era un rifacimento, continuasse a tormentare la sua opera 
prima di ridurla alla forma definitiva, in cui la diè in luce di¬ 
ciottenni dopo. Le varianti (comunicatemi dall’amico prof. Spam¬ 
panato) concernono, la maggior parte, la forma; ma sono parti¬ 
colarmente notevoli le numerose cancellature di lunghi brani, 
consigliate per lo piu dal disegno del nuovo assetto che l’au¬ 
tore intendeva dare alla materia. Così, per non dire delle brevi 
frasi, vi si vedono cancellati i seguenti brani: 

Lib. 1: c. 3 v 1 . 27-c. 4 r 1 . 8: siquidem ... inluebere vcluii ; 
c. 6 r 1 . 29-c. 6 v 1 . 6: ibi modo... assumit uttatn\ cc. 7 r e 7 v 
interamente; c. 8 r-S v tutto il cap. n; c. 9 v 11 . 5-9: videri... 
viribus) c. io 1 . 19 debet... fino alla fine della facciata; c. 11 r 
11. 17-19 robustioreque... possimi ; c. 11 r 1. 31-38 e c. 11 v 11. 

1 _ 3 » c - *3 v 11 - 1-19; c. 14 r 11 . 19-38 e 14 v tutta; c. 16 Z/-17 r 
tutto il cap. 22; c. 20 r lì. 18-24: Ai natura?... interdum ; cc. 
20 7'-23 v \ i capp. 30-33 e parte del 34 fino alle parole ubi ro- 
b us liu s ; c. 25 r 11. 15-28 e 25 v 1-17; e nini) c. 34 r 11. 8-14 e 
19-21; c. 34 v 11. 10-15; c » 3^ r Ih 5 _ & : Al sensus... omnes ; 40 v 
11 . 19-24: omnino... quaevis. Lib. 11: c. 42 /- 11 . 15-19: FA nequa- 
quam... forma ; c. 42 v 11 . 35-7 Al neque mutaiionem ; c. 46 r 
a 47 r: capp. 6 e 7; c. 47 z> 11, 1-5; c. 49 r e 49 v : capp. 11 e 
12; c. 50 v a 51 v : cap. 14. 

Ma per mostrare con un solo esempio, tratto da un luogo del 
De retimi natura contenente alcuni periodi famosi (cfr. anche 
in questo voi. p. 40: quei periodi in forma poco diversa erano 
nel proemio del 1565, soppresso nell’ed. 1570: cfr. sopra pp. 102-3) 
come il Telesio lavorasse dopo il 1570 attorno al testo della sua 
opera, giova riferire il cap. 1 del lib. 11 dell’edizione Cacchi con 
le correzioni autografe dell'esemplare napoletano e la redazione 
corrispondente del 1588, dov’è mantenuta la più importante di 
quelle correzioni. 

Ecco il cap. dell’ed. Cacchi con le correzioni dell’autore: 

Quoniam, quae in superiore Commentario exposita 
sunt t alio omnia se habere modo Aristoteli videntur, eius 


I 


! 1 2 APPENDICE BIBLIOGRAFICA 

omnino de singulis illis sxp/icondqw esse, cxcwiviividfini- 
que sententiam. 

Quoniam autem non Terra modo e sublunaribus 
primum corpus Aristoteli videtur; sed et aqua itidem, 
et qui nos ambit aer, et is, qui Coelo subiacet et cum 
Coelo circumvolvi videtur; et unumquodque eorum non 
ab unica' agente natura, sed a duplici singula illas, de- 
bilitatasque, at non eas tamen modo, quae unius sint 
corporis, sed omnes simul sibi ipsis commistas, cont- 
plicatasque, pene et unum factas inesse; e simplicium 
itaque complexu, commistioneque effecta mista Aristo¬ 
teli dicuntur: et nequaquam a propria Coelum natura, 
propriaque calefacere substantia, caloris omnino expers, 
nec calorem suscipere ullum aptum, commune sublu¬ 
naribus habens nihil, penitusque diversa praeditum na¬ 
tura, sed sublunarem aerem commovens, conterensque: 
et nec a propria omnino forma '), propriaque moveri 
substantia, sed ab immotìs motoribus; longe omnia a 
nostris dissidentia; ipsius explicanda est, excutiendaque 
de singulis sententìa: neque enim et aliorum itidem re- 
censendae sunt, examinandaeque opiniones, ab ipso 
satis reiectae Aristotele, et non penitus etiam notae 
nobis. Utinam et cum Peripateticis liceret idem: magno 
itaque vacuis labore aliena exponendi reiiciendique, no¬ 
stra tantum explicanda. esset sententia; at non admissis 
modo illorum placitis decretisque, sed ea acceptis fide 
ac religione, ut si ex ipsius naturae ore prolata essent: 
non igitur rei ullius 1 2 ) amplius natura inspicienda, in- 
dagandaque cuipiam videtur, at tantum quid de quaque 
Aristoteles senserit, speculandum. Non id ignoscant raor- 
tales rogandi, quod videlicet in singulis examinandis 


1) et neqnaquam a propria Coelum.., forma, cancellato. 

2) itaque rei ti ullius. 



SCRITTI DI B. TKLESIO 


113 


Arislotelis sententiis haereamus '): at quod dissentire 
ab ilio audeamus, et non illum numinis instar venere- 
mur; qui si illius dicto audiant, aut factum incitentur, 
nihil nobis veritatis studio illi adversantibus succenseant : 
quin gratias potius habeant, et idem ipsi faciant omnes: 
ipse enim Aristoteles veritatem amicis omnibus prae- 
honorandam admonet, et veritatis gratia praeceptorem 
etiam amicumque incusare nihil vereri videtur. Huius 
certe nos amore illecti, et hanc venerantes solam, in 
iis, quae ab antiquoribus tradita fuerant acquiescere 
impotentes, diu rerum naturam inspeximus: et conspe- 
ctam (ni fallimur) tandem aperire illam mortalibus vo- 
luimus, nec liberi nec probi liominis officio fungi iudi- 
cantes, si generi illam hurnano invidentes, at invidiam 
ab hominibus veriti ipsi illam occultemus. Age igitur, 
ut clarius illa elucescat, agentia rerum principia inqui- 
rentem, et prima constituentem corpora, tum reliqua 
ex iis componentem, postremo et Coeli Solisque motu 
calorem generantem, et motores immotos, a quibus 
Coelum moveatur, indagantem, ea omnino, quae in su¬ 
periore nobis tractata sunt Commentario, in quibus (ut 
dictum est) omnibus summe a nobis dissentit, explican- 
tem Aristotelem audiamus, eiusque dieta singula ratio- 
nesque examinemus. 

Ed ecco che cosa diventerà questo capitolo nella redazione 
definitiva del De rer. natura (ed. Spampanato, pp. 179-81), dove 
sarà il 1° del libro III. 


1) Cancellato questo periodo Non id... haereamus, c corretto: {specu- 
landnm) quovis labore nostro, quovis (?) ahorum itidem fastidio, singulae 
eius positiones quam diligentissime et saepius eadem interdum esponen¬ 
do f ex am in a n daeque omnino sunt (?). Nihil si in iis tractandis plus iusto 
immoremur mortales nobis ut ignoscant rogandos esse existimantcs... 


G. GENTILE, Bernardino Telesio. 


8 



APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


114 

Repeluntur complura quae superioribus traditi sunt 
commenlariis. Ponitur stimma positionum Aristotelìs quae 
infra sunt expendendae. 

Materia non una ei duplex natura agens, et unus 
calor frigusque unum, mundi huius universi principia, 
nec quod terrain mareque et stella? inter quodque ipsas 
inter stellas locatum est ens, unam idemque et ab una 
eademque universum constitutum natura, nec duo tan¬ 
tum prima esse corpora, nec entia reliqua a coeli so- 
lisque natura e terra effecta, quemadmodum nobis, Ari¬ 
stoteli videntur. Ille enim sublunaria omnia una eadem¬ 
que e materia; quae supra lunam sunt entia, caelum 
stellasque omnes, ex alia constare et quae nihil illi con- 
gruat naturarumque quas illa suscipit prorsus incapax 
sit; et quod inter lunae orbem terramque et mare est 
ens, in duo, in ignem aéremque (ignem enim supre- 
mam eius portionem quae lunae orbi subiacet, aerem 
vero infimam liane quae terram ambit, appellat), divi- 
sam esse affirmat. Et praeter caelum quattuor esse prima 
corpora, terram, aquam, aerem, ignem, decernit: mi- 
nimeque ad horum constitutionem calorem modo fri¬ 
gusque sed humiditatem etiam et siccitatem, ut agentes 
naturas, et ad illorum singulorum constitutionem nequa- 
quam earum unam sed oppositionis utriusque alteram 
affert; et duplicem omnino singulis agentem assignat 
naturane dictisque e quattuor corporibus, at veluti mu- 
tuis vulneribus confectis afflictisque et pugnam pertaesis 
tandem et sibi ipsis commixtis, pene et unum factis 
omnibus, entia reliqua constituit omnia. Et caelum stel¬ 
lasque omnes propria natura et quae a calore frigore- 
que et ab humiditate siccitateque prorsus diversa sit, do- 
nat. Itaque calor qui a sale fit non ab eius natura nec a 
propriis eius viribus, sed ab eius fit motu, a quo sic caelo 
suppositus ignis et bona aéris pars agitetur, conteratur, 



SCRITTI DI B. TELESIO 


115 


accendatur accensusque ad terram usque detrudatur; 
et nequaquam a propria caelum natura propriaque sub¬ 
stantia sed ab immotis moveri motoribus statuit. Longe 
tandem mutuo in omnibus fere dissentimus. Quas ob 
res Aristotelis explicanda excutiendaque est de sin- 
gulis sententia; nec vero et aliorum etiam opiniones, 
satis ab ipso, ut videtur, reiectae et quae, nulli admis- 
sae, ab ullius removendae sunt animo. Utinam cum 
Peripateticis liceret idem: magno aliena exponendi rei- 
ciendique labore vacuis, nostra tantum explicanda esset 
sententia. At quoniam non admiserunt modo illorum 
placita et decreta, sed ea acceperunt fide et religione 
ac si ex ipsius naturae ore prolata essent; itaque rei 
nullius amplius natura inspicienda indagandaque cuipiam 
videtur. sed tantum quid de quaque Aristoteles senserit 
speculandum: utique quovis labore nostro, aliorum etiam 
fastidio quovis, singulae illius positiones quam diligen¬ 
tissime, et saepius eaedem interdum, exponendae exa- 
minandaeque sunt. Nihil, si in iis tractandis plus iusto 
interdum immoremur, mortales nobis ut ignoscant, sed 
quod a summo naturae interprete dissentire audeamus 
et non numinis instar illum veneremur, rogandos esse 
existimamus: qui, si illius dictum audiant aut factum 
imitentur, nihil nobis veritatis studio illi adversantibus 
succenseant, quin gratias potius habeant idemque ipsi 
faciant omnes. Ipse enim liber in philosophando Ari¬ 
stoteles veritatem amicis omnibus praehonorandam ad- 
monet, et veritatis gratia praeceptorem etiam amicumque 
incusare nihil veretur. Huius certe solius nos amore 
illecti et hanc venerantes solam, in iis quae ab antiquo- 
ribus tradita erant acquiescere impotentes, diu rerum 
naturam inspeximus, et conspectam, ni fallimur, tandem 
mortalibus aperire voluimus; nec liberi nec probi homi- 
nis officio fungi iudicantes, si generi illam humano in- 
videntes aut invidiam ab hominibus veriti, ipsi illam 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


I 16 

occultaremus. Ergo, ut clarius illa eluceat, agentia re- 
rum principia inquirentem et prima constituentem cor- 
pora, tum reliqua ex iis componentem, postremo et 
càeli'solisque motu calorem generantem et motores im- 
motos, a quibus caelum moveatur, indagantem, ea de- 
nique, in quibus omnibus summe a nobis dissentit, 
explicantem Aristotelem audiamus, et singula eius dieta 
rationesque examinemus. 


3- 

Bernardini Telesii Consentini De Ret urn natura \ 
iuxta propria principia | libri IX | ad illustriss. et Excel- 
lenriss. D. Ferdinandum Carrafam Nuceriae Ducem | 
Neapoli | Apud Horatium Salvianum | M.D.LXXXVI. 

In f. Sul frontespizio è riprodotta la figura femminile dell’ed. 
1570. Questa edizione definitiva (di cui il Graesse, vi, ij, p. 47 ri¬ 
corda copie con la data 1587) è riprodotta nelle due seguenti: 


4- 

Tractutionum pkilosophicarum tomus unus\ in quo 
continentu.r: 

I. Philippi Mocenic! Veneti Universaliutn Institutio- 
num ad hominum perfectionem, quatcnus industria paruri 
potest, contemplationcs quinque ; 

II. Andreae Caesat.pini Aretini Quaestionum Peri- 
pateticarum, libri v; 

III. Ber. Telesii De rerum natura , libri ix. 

Genevae, apud Eustach. Vignon, MDLXXXV1I1; in f. 

Nè anch'io I10 potuto vedere questa edizione; che il Nicekon 
(Mèmoires, xxx, 108-9) dice conforme all’ed. del 1586. Lo Spam¬ 
panato, pref. alla sua ed. p. xxi, erra dicendo genovese questa 
ristampa e credendo relative al De rcr. fiat, le opere del Moce- 
nigo e del Cesalpino. 


SCRITTI DI B. TELESIO 


I i; 


5- 

Bernardini Thelesii Consentini De rerum natura 
iuxta propria principia , Coloniae, Excudebat Petrus 
Moulardus, MDCXLVI. 

Questa edizione è citata da L. Telesio, in Bernardini Thy- 
lesii Operimi catalogus, aggiunto alla sua ristampa dell 'Orazione 
del D’Aquino, p. 71.— Il Fiorentino, Pomponazzi, p. 384, cita 
una edizione del De rei . natura con la data di « Neapoli 1637»: 
che dice appartenuta a Ulisse Aldrovandi ed esistente nella Bibl. 
Naz. di Bologna. Se non che, come m’informa l’amico prof. Flores, 
questa Biblioteca possiede soltanto l’edizione 1586, e del resto 
l'Aldrovandi mori nel 1605. È piuttosto da tener presente il se¬ 
guente luogo della Orazione 8 del D’Aquino (p. 9): « Onde de’ 
suoi divini scritti tanta stima ha fatto il mondo, che sono stati 
dati più volte in luce, non solamente in Italia, ma in Fiandra(?) 
ed in Germania: e sebbene gli Italiani hanno innalzato le sue 
opere grandemente, le nazioni straniere si sono ingegnate in ciò 
di avanzargli, e gli Alemanni, rimosso il primo titolo del libro, 
dove egli per sua modestia ponea solamente il suo nome ed il 
suggetto dell’opera, l’hanno ornato grandemente d’un altro nuovo 
titolo nel quale si contiene, che quella opera è piena di molta 
dottrina, e che è necessaria agli studiosi delle lettere così umane 
come divine ». 


6 . 

Bernardini Telesii | De rerum natura \ a cura 
di | Vincenzo Spampanato, | volume primo | A. F. 
Formiggini editore in Modena [ 1910 ]. 

Pp. xxn-332 in-8«. È il 1“ volume dei Filosofi italiani, col¬ 
lezione promossa dalla Soc. filos. italiana, diretta da Felice Tocco. 
Precede una pref. del Tocco e una dello Spampanato. Il (piale 
pubblicherà in altri due volumi il resto del Ve r. nat., e forse 
un 4“ e un 5» voi. contenenti dei saggi delle edizioni 1565 e 1570 
e gli opuscoli. A questo i» voi. ha premesso una riproduzione 
del ritratto inciso dal Morghen, pubbl. per la prima volta nella 
Biografia degli uomini ili. del Regno di Napoli del Gervasi (1822). 


n 8 appendice bibliografica 

Riproduco qui appresso la dedica e il proemio, premessi dal 
Telesio all’edizione definitiva della sua opera, secondo la stampa 
del Salvianl. 

a ) 

Illustrissimo atque exceli.entissimo 
domino don Ferdinando Carrafae duci Nuceriae 
Bernardinus Telesius consentinus. 

Commentarios de rerum natura, quos, ut probe no- 
sti, excellentissime Princeps, magnis laboribus diutur- 
nisque confeceram vigiliis, edendos tandem visum cum 
csset, sub tuis omnino auspiciis emittendos esse duxi- 
mus; nani et domi tuae conscripti fuerant, et plurtmis 
magnisque beneficiis, quae in me contuleras, debeban- 
tur. Et amplius etiam, quod Aristotelis doctrinam (quam 
adeo Alexander excoluit veneratusque est, et quae sub 
Alexandri patrocinio adeo floruit tantoque habita fuit 
in honore) ut sensui et sibi ipsi passim repugnantem 
cum damnemus, aliamque et longe ab illa diversam 
cum ponamus, non sub regis cuiuspiam auspiciis, qui 
imperii amplitudine Alexandro conferri posset, sed sub 
herois praesidio emittendos esse duximus, qui nec in- 
genio nec iudicio nec animi magnitudine nec virtute 
omnino ulla ab Alexandro exsuperaretur, quin qui in 
multis illum exsuperaret. Et nostri temporis hominum 
unus tu talis, excellentissime Princeps, non nobis modo, 
sed sanis hominibus visus es omnibus, ltaque nihil ve¬ 
nti quod opibus potentiaque ab ilio exsupercris, sub 
tuis omnino auspiciis emittendos esse decrevimus. No¬ 
stra siquidem doctrina quoniam nec sensui nec sibi 
ipsi nec sacris etiam litteris repugnat unquam, quin 
adeo bis et illi concors est, ut ex utrisque enata vi- 
deri possit; quoniam omnino vera est, sese ut ab m- 
vidorum calumniis tueatur et, iis reiectis, sese assidue 




SCRITTI DI B. TELESIO 


119 


effundat amplificetque, nullis regum opibus nuliaque 
potentia sed tua modo opus habet ope; qui sic animi 
bonis, quae dieta sunt, nihil ab Alexandro exsuperaris, 
quin in illorum multis tu illum exsuperas. Nam inge¬ 
nio iudicioque te ilio quam longissime praestantiorem 
esse, vel doctrina, quam uterque admittendam decrevit, 
manifestai. ,Quam enim ille amplexatus veneratusque 
est et summis praemiis summisque dignara existimavit 
honoribus, quod dictum est, et sensui et sibi etiam 
ipsi, quin et Deo optimo maximo, passim repugnat. 
Itaque soli calorem lucemque abnegat: et mundum 
nequaquam a Deo optimo maximo constructum, sed 
voluti casu quodam enatum ponit; et rerum humana- 
rum administrationem cognitionemque Deo demit om- 
nem. Et non sensui modo, sed, ut nostris in com- 
mentariis apertissime ostensum est, sibi ipsi etiam 
passim dissentit adversaturque ; ut existimare liceat 
vel in praeceptoris gratiam, nihil eius fundamentis 
positionibusque inspectis examinatisque, Alexandro ad- 
missam fuisse, vel quam longissime illum abesse, ut 
ingenio iudiciove tibi conferri possit. Nam tu doctri- 
nam nostram non statim, sed ibi tandem admittendam 
perdiscendamque esse duxisti, ubi sensui et sibi ipsi 
universa et sacrae etiam scripturae bene concors visa 
est. Ut, quod dictum est, ingenio iudicioque multo te 
Alexandro praestantiorem esse necessario existiman- 
dum sit. Neque enim, si, quali tu, ingenio iudiciove 
donatus ille fuisset, et sensui et sibi ipsi et sacris 
divinis litteris passim dissentientem Aristotelis doctri- 
nam admittendam duxisset unquam. Animi porro ma¬ 
gnitudine fortitudineque nihil Alexandrum te prae¬ 
stantiorem fuisse res, a te in Peloponneso gestae, 
manifestant: ubi, innumerabilibus Turcarum equitibus 
in Christianorum exercitum, turbatum iam trepidan- 
temque, irruentibus (qui omnino nisi a te repressi 






120 


APPENDICE BIBI.IOGRAFICA 


reiectique fuissent, magnimi nostris incommodum illaturi 
erant), non magno veteranoque cum exercitu, ut Ale¬ 
xander, sed perpaucis cum peditibus, in fugam iam 
coniectis et a te retentis tuaque praesentia et fortitudine 
confirmatis, sponte tua te opposuisti; et longe illorum 
plurimis interfectis, reliquos in fugam coniecisti peni- 
tusque prodigasti. Itaque Christianorum exercitum, sum- 
mum iam in periculum adductum et in fugam iam con- 
versum confirmasti conservastique : talem omnino te 
praestitisti, ut eorum, qui pugnantem te conspexere, 
nulli dubium esse posset, quin, si unquam exercitus 
ductandi magnaque bella gerendi occasio tibi oblata 
foret, bellicam Alexandri gloriam aequaturus et supe- 
raturus etiam esses. At pares, quae dictae sunt, vir- 
tutes in utroque ut sint, puriores certe in te splendent, 
neque enim, quod in ilio passae interdum sunt, ab 
immixtis vitiis in te obscuratae sunt unquam. Et ne- 
quaquam, ut ille, deos tu colis ab hominibus effictos 
multisque obnoxios vitiis; sed Deum venerans, caeli 
terr:eque conditorem et qui unigeniti Filii sui morte 
humanum genus servari substinuit, sanctissimaque eius 
praecepta summa observas cum religione. Minus etiam 
generis claritate ab Alexandro exsuperaris, siquidem Car- 
raforum ■) familia multis iam saeculis plurimorum ma- 
gnorumque principum coronis et regio etiam diademate 
effulget (nam tuus ille Stephanus Sardiniae regnum re¬ 
gio cum titulo obtinuit diuque possedit), et plurimorum 
magnorumque sacrorum antistitum puniceis pileis et 
pontificia etiam corona exornata est: ut ambigere non 
liceat, quin generis etiam claritate nihil ab Alexandro 
exsupereris. Quoniam igitur, Alexandro collatus, nec 
generis claritate nec ullis animi bonis inferior videri 


) Spamp. Carra/arum. 



SCRITTI DI B. TF.LESIO 


I 2 I 


potes; age, commentarios nostros (propterea in primis 
tibi dicatos, quod Alexandro si ■) quidem fortuna impe- 
rioque, non certe et ingenio iudiciove, nec vel magnitu¬ 
dine vel aliis ullis animi bonis ab ilio J ) exsuperaris, quin 
in multis tu illum exsuperas) libens suscipe. Et si Aristo- 
telis voluminibus, quae tantis Alexander praemiis tan- 
toque digna existimavit honore, niliil deteriores tibi visi 
sint; et nostri mores nostrumque ingenium, quod pe- 
nitus tibi perspectum sit oportet, nihil me unquam 
(cuiusmodi Aristoteles erga Alexandrum fuit) tuorum 
erga me beneficiorum immemorem ingratumque futu- 
rum suspicari sinent 3 ); non quidem, ut non minoribus 
praemiis nos prosequaris, rogamus (quae scilicet a prae- 
senti fortuna tua exspectari non possunt et quae nulla 
a te expetimus, satis superque a benigni tate tua ditati), 
sed ut non minore me prosequaris benevolenza et, quod 
hactenus strenue fecisti, Peripatedcorum iniurias calurn- 
niasque repellas. Nihil omnino, quam Aristoteles Ale¬ 
xandro fuit, me tibi minus carum, neque in minore, 
quam ab ilio habitus fuit, nos a te in honore haberi 
homines intelligant. Hoc vero, ut praestes, percupimus 
et summopere te rogamus. Vale, o praesidium et dulce 
decus meum. 


1) Spamp. Quod si. 

2) Spamp. Ab Alexandro. 

3) Spamp. Sinant. 




I 22 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


f>) 

Bernardini Telesii Comentini De rerum natura iuxta 
propria principia Liber primus: 

Prooemium '). 

Mandi constructionem corporumque in eo contentoram magnitu- 
dinem naturamque 2) non ratione, quod antiquiorihus factum 
est, inquirendam, sed sensu percipiendam et ab ipsis liaben- 
dam esse rebus. , 

Qui ante nos mundi huius constructionem rerum- 
que in eo contentarum naturam 3 ) perscrutati sunt, diu¬ 
turni quidem vigiliis magnisque illam indagasse 4) labo- 
ribus, at nequaquam inspexisse videntur. Quid enim iis 
illa innotuisse videri queat 5), quorum sermones omnes 
et rebus et sibi etiam ipsis dissentiant adversique sint? 
Id vero propterea iis evenisse existimare licet 1 2 3 4 5 6 7 ), quod, 
nimis forte sibi ipsis confisi, nequaquam, quod opor- 
tebat, res ipsas earumque vires intuiti, eam rebus ma- 
gnitudinem ingeniumque et facultates '), quibus donatae 
videntur, indidere. Sed veluti, cum Deo de sapientia 
contendentes decertantesque, mundi ipsius principia et 
caussas 8 ) ratione inquirere ausi, et, quae non invenerant, 
inventa ea sibi esse existimantes volentesque, veluti suo 
arbitratu mundum effinxere. Itaque corporibus, e quibus 


1) Questo Proemio formava il cap. i del lib. i nella ediz. 1570 con 
alcune varianti che saranno qui appresso indicate: rultima delle quali 
assai notevole. 

2) coni etti or uni naturam. 

3) rerumqtu naturam. 

4) indagasse illatn. 

5) videri potest. 

6) evenisse videtur. 

7) id rebus ingenium easque facultates. 

8) causas. 



SCRITTI DI B. TELESIO 123 

constare is videtur, nec magnitudinera positionemque, 
quam sortita apparent, nec dignitatem viresque ‘), quibus 
praedita videntur, sed quibus donari oportere propria 
ratio dictavit, largiti sunt. Non scilicet eo usque sibi 
homines piacere et eo usque animo efferri oportebat, 
ut (veluti naturae praeeuntes, et Dei ipsius non sapien- 
tiam modo 1 2 3 4 5 ) sed potentiam etiam i) affectantes) ea 
ipsi rebus darent, quae rebus inesse intuid non forent 
et quae ab ipsis omnino habenda erant rebus. Nos non 
adeo nobis confisi, et tardiore ingenio et animo donati 
remissiore, et humanae omnino sapientiae amatores cul- 
toresque (quae quidem vel ad summum pervenisse vi- 
deri debet, si, quae sensus patefecerit et quae e rerum 
sensu perceptarum similitudine haberi possunt, inspe- 
xerit), mundum ipsutn et singula eius partes, et partium 
rerumque in eo contentarum passiones, acriones, opera- 
tiones et species intueri proposuimus. IUae enim 4), recte 
perspectae, propriam singulae magnitudinem, hae 5 ) 
verum ingenium viresque et naturam manifestabunt. Ut 
si nihil divinum, nihil admiradone dignum, nihil etiam 
valde acutum nostris inesse visura fuerit, at nihil ea 
tamen vel rebus vel sibi ipsi repugnent unquam; sen- 
suin videlicet nos et naturam, aliud praeterea nihil, se- 
cud sumus, quae, perpetuo 6 ) sibi ipsi concors, idem 
semper et eodem agit modo atque idem semper ope- 
ratur. Nec tamen, si quid eorum, quae nobis posita 
sunt, sacris litteris catholicaeve ecclesiae non cohaereat, 
tenendum id, quin penitus reiciendum, asseveramus 


1) ejfmxere et corporibus. e quibus constate is videtur. non ram tua- 
gnUudinem eamque dignitatem et vires. 

2) modo sapientiam. 

3) etiam potentiam. 

4) aciiones atque operationes intueri. 

5) magnitudinem ac speciem, hae. 

6) s unirne. 



124 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


contendimusque. Nequeenim humana modo ratio quaevis, 
sed ipse edam sensus illis posthabendus; et si illis non 
congruat, abnegandus omnino et ipse etiam est sensus *). 

7- 

Bernardini | Telesii | Consentini | De hìs, quae in 
Aere fiunt; et de Terrae- \ motibus. Liber (Jnicus | cum 
Superiorum facultate. | Neapoli, | Apud Iosephum C'ac- 
chium. | Anno MDLXX. 

Carte. 14 nuin. nel redo. Sul frontespizio è la solita figura fem¬ 
minile, eom’è anche nei due opuscoli seguenti. 

Precede questa dedica: 

Illustrissimo 
et Reverendissimo 
Tolomeo Gallio Cardinali Comensi 
ac Archiepiscopo Sipontino 
Bernardinus Telesius S. P. D. 

Quoniam plurimis gravissimisque, ut nosti, molestiis 
oppresso detentoque, ad te, quod summe quidem sem- 
per cupivi, et quo nihil mihi iucundius contingere pos- 
set, venire tecumque vivere non licet; nec vero alia 
ratione meam erga te observaniiam gratitudinemque ma¬ 
nifestare; utrumque, quo licet modo, ut efficerem, Com- 
mentarium De iis quae in aère fiunt, ad te mittere 
statui. Minus certe munus, quam quod tuis erga me 
meritis debeo; qui scilicet cum nulla alia in re studium 
voluntatemque tuam a me desiderati passus sis, tum 
vero studiorum meorum egregius imprimis fautor sem- 
per fuisti. Multo etiam minus quam quod virtutes tuae 
expostulant, surnma integritas, summaque in omnes cha- 
ritas; non illae quidem ad homines alliciendos simulatae, 


1 ) Mancano i due ultimi periodi: JVec tamen... est sensus. 



SCRITTI DI B. TELESIO 


125 


a ut segnes unquam, sed verae puraeque, et unius 
honesd grada scraper vigiles semperque operantes; et 
summa prudentia, rerumque omnium cognido. Emicue- 
runt quidem illae, cum sub Pio IIII. Pontif. Max. Chri- 
stianam Rempublicam tu imprimis tractares, administra- 
resque; et ita eraicuere, ut multo spiendidius emicaturae 
viderentur, si tempus unquam nactae forent, in quo 
liberius splendere possent. Summam praeterea animi tui 
magnitudinem quis non summopere amet summeque ve- 
neretur? Qua effectum est, ut nullis bonorum quorumvis 
accessionibus quicquam elatus aut immutatus omnino 
esses unquam; bona scilicet quaevis, et quae virtus tibi 
pararat tua, te minora semper visa sunt, et fuere me- 
hercule semper minora; itaque nihil illa te extulere 
unquam. Me quidem diu penitusque egregias animi tui 
virtutes et mores cum sancdtatis tum vero et iucun- 
ditatis plenissimos intuitum tanta illae erga te venera- 
done tantoque animi tui amore desiderioque inflamma- 
runt, ut nec venerari te satis, nec colere amareque, 
et tecum esse satis desiderare posse videar. At multo, 
ut dixi, maiora a me meritus, parvo hoc munere, scio, 
contentus eris ; Deum Opt. Max. imitatus, qui non quas 
non habemus opes, nec opes omnino ullas, sed veram 
modo pietatem, esto et modici thuris evaporationem a 
nobis poscit. Tum qualecunque id est, perpetuum erit, 
spero, tuorum erga me meritorum, et meae erga te 
observantiae charitatisque signum. Vale. 

8 . 

Bernardini | Telesii | Consentini | De color um 
generatione | Opusculum. | Cum superiorum facultate | 
Neapoli, | Apud Iosephum Cacchium. | Anno MDLXX. 

In-4 1 cc. 7 nnmiii. nel redo. Precede la seguente dedica, in 
alcuni esemplari premessa ai due libri del De t er. natura del '70 
per errore di chi legò con essi questi opuscoli. 



26 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


Illustr. mo Io anni Hieronymo 
Aquevivio Hadrianensium Duci 
Bernardini Telesius, 

CONSENTINUS S. P. D. 

Multos equidem iam annos surama te prosequor 
veneratione, summoque tui videndi desiderio teneor. 
Neque enim unus aut alter te cum caeteris animi bo- 
nis virtutibusquetum vero divino sane ingenio iudicio- 
que longe acerrimo praeditum disciplinisque omnibus 
apprime ornatum mihi praedicavit; sed communis om¬ 
nium consensus, et eorum praecipue qui et te magis 
norunt, et qui, quae in te sunt, bona reliquis exqui- 
sitius intueri possunt: in primis Marius C/aleota (qui vir 
et quantus!): hic quideni te non summis aetatis nostrae 
hominibus, sed antiquis illis haeroibus ac divinis viris 
conferre nihil veretur; nec vero Rempublicam vel manu 
vel consilio adiuvandi occasionem nactus si sis umquam, 
quin illorum gloriam exaeques, aut etiam exsuperes du- 
bitat quicquam. Admirabilem scilicet intuitus naturam 
tuam, et cum reliquarum honestarum disciplinarum tum 
vero philosophiae studiis diu summaque excultam diligen- 
tia, summa itaque erga te charitate ac veneratione sum¬ 
moque tui desiderio me inflammavit (rie). Quod si per mo- 
lestias, quibus multos iam annos assidue opprimor, mihi 
licuisset, promptius, mihi crede, ad te quani ad fortuna- 
tissimos reges advolassem; et praesens animi mei propen- 
sionem erga te patefecissem, ac dedidissem omnhio me 
tibi. Id quando adhuc facere non licuit studiorum meo- 
rum monumentum quippiam tibi offerre visum est, quod 
meae erga te observantiae signum esset: itaque commen- 
tarium De colorum generatione ad te mitto. Libens, 
spero, munus, qualecumque est, accipies, in quo nimi- 
rum hominem, qui te nunquam vidit, virtutum tuarum 
pulchritudine ac fulgore incensum intuebere. Nani, si 




SCRITTI DI B. TELESIO 


127 



probatus tibi ille fuerit, et perobscuram adhuc, ut videtur, 
colorum naturarli exortumque patefecerit, id vero opi- 
bus a te omnibus carius aestimatum iri certo scio; ut 
qui illustrissimorum maiorum tuorum more rerum cogni- 
tionem rebus omnibus ac regnis edam ipsis praehaben- 
dam semper duxeris. Vale. 


9- 

Bernardini | Tei.esii | Consendni | De mari, \ Li- 
ber Unicus. | Ad Ulustriss. Ferdinandum Carrafam | So¬ 
riani Comitem. | Neapoli, | Apud Iosephuin Cacchium, 
1570 . In fondo all'opuscolo-. Cum Licentia Superiorum. 

Sono cc. 12 numm. nel recto-, in-4®. 

Precede questa dedica: 

Illustriss. Ferdinando 
Carraeae Soriani Comiti 
Bernardini Telesius 
S. P. D. 

Cum primum literas tuas accepi, quibus declarabas 
te in iis, quae de mari ab Aristotele tradita erant, acquie- 
scere minime posse, et quid de eius natura et motibus 
sentirem, ad te conscribere mandabas: etsi plurimis 
(ut nosti) opprimerer molestiis, dbi tamen ut morem 
gererem tuique desiderio sadsfacerem, commentari uni, 
quem iam pridem de eo conscripseram, rudem adhuc, 
quantum per praesentes occupadones licuit, polivi. Et 
praeter morem nostrum, prius quae ab Aristotele tra¬ 
dita sunt, in eo exponuntur examinanturque, ut fa¬ 
cile homines intelligerent iure te in iis acquiescere non 
potuisse: tum nostra apponuntur. Perleges vero tu il¬ 
luni, et si tibi probatus sit talisque visus, qui et tuo 
sub nomine in lucem prodire queat, prodeat. Neque 




I 28 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


enim, quae tu admittenda decreveris, alii ut damnent 
vereri licet; libens certe confectum tibi opus, qualecum- 
que id sit, accipies; summara in eo meam erga te 
charitatem observantiamque intuitus et grati animi si- 
gnum cura erga te, tum et erga illustrissimos parentes 
tuos, Alfonsum Nuceriae Ducem, virum unum omnium 
optimum constantissimumque, et loannam Castriotam, 
quae cum maxime fortunae corporisque bonis affluat, et 
tantis omnino, quantis plura ne optare quidem liceat, si 
cum alias eius animi virtutes, tum vero, quae aegre si- 
tnul coire videntur, lenitatem sublimitatemque summe in 
ilio coniunctas, pene et unum factas quis inspiciat, vix 
illorum splendorem intueatur; ut mihi quidem nostrae 
aetatis homines nihil ea amabilius, nihil etiam divintus 
conspicere posse videantur. Haec vero tu eius paren- 
tisque tui splendorem summamque utriusque generis 
claritatem ne novis luminibus non illustres dubitandum 
est quicquam. Nam mihi quidem te illosque intuenti, 
quae in illorum utroque corporis animique bona sunt, 
ex utroque hausisse videris omnia: minimeque vel eo- 
rum vel avorum gloria vel tantarum opum possessione, 
totve ac tantorum populorum dominatione contentus 
tuo tibi ut studio tuoque labore novum decus novos- 
que honores acquiras summa attendis cum diligentia. 
Age vero, qua coepisti perge, et mihi crede, non sum- 
mam modo gloriam, sed veram adipisceris felicitatem, 
summae nimirum fortunae summam adiicies sapientiam. 
Vale. 

io. 


Bernardini | Telesii | Consentini | Vani de natu- 
ralibus | rebus libelli \ ab Antonio Persio editi. | Quo¬ 
rum alii nunquam antea excusi, alii meliores | facti pro- 
deunt. | Sunt autem hi | de Cometis, et | Lacteo Cir- 
culo. | De liis, quae in Aere fiunt. | De Iride. | De Man. 



SCRITTI DI B. TELESIO 


129 


| Quod Animai universum. | De Usu Respirationis. | 
De Coloribus. | De Saporibus. | De Somno. | Unicuique 
libello appositus est capitum Index. | Cum privilegio | 
[insegna tipografica) | Venetiis M.D.XC. | Apud Felicem 
Valgrisium. 

Dopo la pref. Antonine Persine camiido Perfori, c’è l’ Inde a 
opusculorum, diviso in due parti: 

— Prima pars, in qua precipua Metereologica continentur; 

_ Secunda pars, in qua, quae Parva naturalia dici possimi, 

tractantur. 

Nella 1“ classe sono compresi i quattro opuscoli De Cometis 
et tacteo circolo, De bis quae in apre fiunl (dedicati entrambi 
a Gian Iacopo Tomaie), De iride (al vescovo di Padova Luigi 
Cornelio) e De mari (a Francesco Patrizio). 

Nella 2 a altri cinque opuscoli : Quod animai universum ab 
unica animae substantia gubernatur contro Calenum (a Giov. 
Vincenzo Tinelli), De usu respirationis (a Giovanni Micheli), De 
coloribus (a Benedetto Giorgi), De saporibus (a Fed. Pendasio), 
De somno (a Girolamo Mercuriale). 

Il volume consta di 4 carte inn. a principio, 5 parimenti inn. 
in fine e dei 9 opuscoli ciascuno dei quali con numerazione a sé, 
sul recto, e con frontespizio particolare; tranne il primo. 

Il I- 1 I op. di cc. 26 (De Com. e De Air); il III (De ir.) di cc. 20; 
il IV (De mari) di cc. 19; il V (Quod anim.) di cc. 47; il VI (De 
usu) cc. 8; il VII (De color.) cc. 15; l’VIII (De sapor.) cc. 15; 
il IX (De somno) cc. 15. Riporto la prefazione generale e le sin¬ 
gole dediche. 


«) 

Antonius Persius 

CANDIDO LECTORI. 

Novem haec Bernardini Telesii physica opuscula, quo¬ 
rum tria tantum antehac excusa fuerunt, eodem omnia 
volumine complexa, ut publici iuris efficienda curarim 
id fuit causae potissimum, Candide lector, quod, cum 
paucissima eorum exempla circumferrentur, adeo ut 
jpsi mihi, qui Telesio inter vivos agenti coniunctissimus, 


G. Gentile, Bernardino Telesio. 


9 




APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


1.^0 

ac, ni fallor, carissimus fueram, antequani unius ex sin- 
gulis compos fierem, sudandum fuerit, liuic malo quani 
primum eonsulere necessarium existimarim. Timebam 
enim ego duorum alierum, vel scilicet ne labores Ili 
perirent omnino, vel ne quis eos tanquain proprii sibi 
partum ingenii vindicans, suuni iis noinen, Telesii ex- 
puncto nomine, inscriberet, et ut sua tandem in com- 
mune proferret. Cuiusmodi non defuturos homines fuisse 
ut milii persuaderem effecere multi, quos novi egomet 
consimilem lusisse ludum. Ac profecto nostra liac tem¬ 
pestate, si ulla unquam alia factum est, malis hisce ar- 
tibus prò sapientia uti licet. 

Ut autem rem piane intelligas, erant ex his tres tan¬ 
tum modo, ut dixi, excusi libri, De his quae in 
aere fiunt scilicet unus, alter De mari, tertius De 
colorum generatione. Ac De mari quident ille non- 
nullis auctior capitibus tibi datur, quae nos in ipsius 
calcem omnia reiecimus. Qui vero De coloribus est, 
longe prodit alius, non verbis tantum, sed et sententiis 
atque opinione. Caeteri omnes nunc primum publi- 
cantur. Ex iis, qui mihi a Telesio missi fuere (sunt 
autem hi; De somno, De saporibus, De bis quae 
in aere, De mari), hi longe aliis emendatiores exhi- 
bentur; reliqui autem, quos aliunde expiscatus sum (cu- 
ravit eos mihi Franciscus Mutus, praestanti vir doc- 
trina ac Telesianae philosophiae cognitione liaud levi 
praeditus), ii non solum alicubi imperfecti, veruni etiam 
tam male exarati ac mendose exscripti erant, ut divi- 
nandum mihi fuerit in plerisque locis. Cum autem in 
iis exentplaribus, quae nacti sumus, loci nulli neque 
Aristotelis, neque Galeni, neque aliorum, qui a I elesio 
laudantur authores, neque in contextu, neque in mar¬ 
gine notati extarent, nos eos omnes in tuum commo- 
dum, Amice Lector. ad oram cuiusque libelli rite ad- 
scripsimus. Ad haec schemata quaedam in libello De 




SCRITTI DI B. TET.ESIO 


'.il 


iride ab authore nominata, vel saltem subintellecta, 
quod nullum eorum in nostris codicibus vestigium exta- 
r et, accurate delineavimus, ut facilius id, quo de agitur, 
intelligeres. Atque haec nos tibi tanquam in alieno solo 
(ut cum nostris loquar iurisconsultis) elaboravimus, pro- 
pediem te in nostro accepturi, atque ex ugello ingenioli 
nostri, quae tibi forte non ingrata videantur, multo li- 
beralius deprompturi. Quod reliquum est, Lector Imma¬ 
nissime, quo nobiscum ab illius sapientissimi viri ma- 
nibus gratinili aliquam in eas, ac magis udlitati publi- 
cae consulamus, si forte meliores, quam nostri sunt, 
codices fuerit nactus, ut et ego meliores edere possim, 
mihi eos, quaeso candidus imperti; si non, his utere 
mecum. Vale. 


f >) 

Ai primi due opuscoli è premessa la dedica seguente: 

Antonius Persius 

IGANNÌ IACOBO TONIALO VIRO PRAESTANTISSIMO 

S. P. D. 

Quod in studio mathematices, quo maxime omnium 
semper es delectatus, in primisque astronomicae facul- 
tatis, totus usque sis, laudo te, mi Tomaie, vehementer, 
ac vere virum censeo, qui non te otio, quod plerique 
ista fortuna, hoc est opibus, abundantes homines faciunt, 
corrutnpi sinas; sed, cum ingenio iudicioque cum paucis 
sis conferendus, animum tuum optimis artibus perpoli- 
tum nobilissima rerum excelsissimarum excolis cogni- 
tione. Cui tantum detulit Aristoteles, ut eam vel imper- 
fectam perfecta inferiorum rerum scientia multo duxerit 
esse praestantiorem. Utere igitur fortunae bono dum per 
florentem aetatem tuam licet, et viaticum senectuti para. 







132 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


Collocupleta tuum solidis atque immortalibus bonis ani¬ 
mimi: amicitias quoque, quod facis, adiunge tibi liberali- 
tate hac tua, omnique officiorum genere, quae ego abs te 
expertus non vulgaria, perlibenter soleo praedicare. Et 
quo extaret eoruni significano diuturnior, a me tibi nun- 
cupati ut exirent duo hi Telesii nostri libelli De come- 
tis et lacteo circulo unus, De iis quae in aere 
fiunt alter, libentissime curavi: simul ut haberes oc¬ 
casionerei de rebus coelestibus, coeloque proximis, quo 
te rapit astrorum studium, novam Telesii nostri dispu- 
tationem alacrius legendi. Cuius tu philosophiam magno 
animo amplexatus maxima cum iudicii et ingenii laude 
tueris. Ac liber ille quidem, quo De iis, quae in 
aere fiunt, disseritur, editus antehac est, nunc emacu- 
latior prodit. Alter vero nunc primum publici iuris ef- 
ficitur. Vale, et Persium tuum ex animo nunquam elabi 
tuo patiare. Patavio Kalendis Aprilis. MDXC. 

c) 

Illustrissimo ac reverendissimo 
Aloysio Cornelio episcopo 
Paphiensi et Patavino designato. 
Antonius Persius. S. P. D. 

Post nobilem illum universae terrae cataclysmum, 
ex quo Noe, cum familia servatus, humanum genus re- 
paravit, apud Ethnicos quoque pervulgatum, ac Deuca- 
leonearum undarum nomine a poeds significatimi, scrip¬ 
tum fecit Moses summi ille Dei scriba atque interpres, 
Illustrissime ac Reverendissime Episcope, Deum ipsum 
edidisse arcum, seu Iridem pacti indicem ac foederis 
inter se atque humanum genus constituti, ut quoties id 
in coelo appareret toties divinae potentiae beneficiique 
nobis divinitus collati memoriam renovaret. Hoc mihi, 


SCRUTI DI B. TELESIO 


1 .1 ,ì 


dura eximii philosophi Bernardini Telesii libellum De 
iride in lucem proferre cogitarem animo repetenti cu¬ 
pido incessit, ut haud ita dissimilis in re simili tui erga 
me animi significatio exstaret, operam dare. Est igitur 
a me curatimi, ut ii, in quorum oculos haec Telesiana 
Iris incurreret, de tuorum in me magnitudine merito- 
rum brevi hac ad te epistola quoquo pacto admoneren- 
tur. Namque, ut alia praeteream, maximorum semper 
in loco beneficiorum mihi delatum putabo, quod in ali- 
qua apud te grada vigeam, ac me ipse in tuorum tibi 
addictissimorum numero censeri velis. Cum enim per- 
crebuerit te non nisi doctos, probos ac sapientes viros, 
tui scilicet simillimos, amare, fovere atque ornare so¬ 
lere, cum tu non solum maiorum splendore summaque 
familiae nobilitate, verum edam doctrinae, probitatis ac 
sapientiae laude nemini concedas (quarum quidem vir- 
tutum singulare specimen in administradone Episcopatus 
Patavini tibi ab amplissimo Cardinali Federico patruo 
tuo, prudentissimo viro delata maximo cum ecclesiae 
Patavinae fructu quotidie exhibes); quid mihi proficisci 
abs te maius atque optabilius unquam posset, quam 
ex tua consuetudine, qua me dignum tua esse voluit 
humanitas singularis, tantarum mihi virtutum famnia, 
ac nomen aliquod comparare? Quod igitur opusculum 
hoc tuo sacratum nomini dicarim, id primum boni ut 
consulas vehementer cupio; deinde ut tuam in me animi 
propensionem, in qua maximam existimadonis meae par- 
tem esse positam inteiligo, (quod facis) tueare te iterum 
rogo obsecroque. Vale. Patavii. 



134 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


d) 

Antonius Persius 
Francisco Patricio 
Platonicae Philosophiae 
in Ferrariensi Gymnasio 
Professori Celeberrimo 
S. P. D. 

Meministi, eruditissime Patrici, cum Venetiis coninto- 
raremur, me tibi novam Telesil Philosophiam ac phi- 
losophandi rationem saepius commendare, et te hortari, 
ut libros eius de natura legeres diligenter. Quod ubi 
est a te factum, cum multa offenderes in iis, quae ve¬ 
lini Democritea Delio quopiam natatore indigerent, me 
identidem tanquam in eorum lectione diutius versatuni, 
ac Telesii familiarem consulebas, ego igitur libenter et 
obscura quaecunque tibi essent interpretabar, et obii- 
cientium sese dubitationum scrupulos eximebam, quod 
poteram. Ita ad calcem usque operis cum legendo per- 
venisses, tum honorifice de eo loqui caepisti, ut ipsurn 
veteribus philosophis anteferres. Scripsisti quoque a me 
rogatus in eam philosophiam dubitationes tuas nonnul- 
las, quas ad Telesium transmisi. Ex eo candidissimus 
philosophus quanti tuum lacere iudicium haud obscure 
significavit, cum deinceps sua scripta ad tuum sensum 
exigere non sii gravatus. Cum igitur libellum eius De 
mari ab ipso primum editum, atque aliquibus ex eius- 
dem scriptis ad eandcm rem pertinentibus auctum, de- 
nuo imprimendum curarem, patrem ipsi ac patronum 
nullum Patricio aptiorem in venire me posse existimavi, 
tuaeque idcirco ipsum fidei commendare decrevi. Tu, 
si constans es in summi viri laude, ut te esse mihi et 
natura et consuetudo tua suadet, huiusce opusculi pa- 
trocinium suscipias libenter, ac tuam in eo tuendo non 


SCRITTI ni n. TELESlO 


t35 

vulgarein eruditionem plaudentibus omnibus explicabis. 
Feceris autem mihi pergratum, si meis verbis coni- 
raunem amicum ac fatniliarem Franciscum Mutum et 
tuum et Telesii praeclarum propugnatorem ingenii, et 
eruditionis laude ornatissimum, salutaveris, meoque ipsi 
nomine dixeris, cura ego ipsius beneficio plerosque ex 
iis, quos iam edo libellos, fuerim nactus, expectare, ut 
eosdem idem ipse meliores, atque alios eiusdem Aucto- 
ris nondum editos nobis eruat alicunde. Vale, ac mei 
mutuo memor est. Patavio. 

Dopo il cap. x segue quest’avvertenza (c. 13 t f ): 

Tria haec, quae sequuntur capita de maris aestu, 
a Telesio quidern et ipsa elucubrata sunt, sed tamen ab 
eodem in prima huiusce libelli editione consulto prae- 
termissa; idque ea, ut puto, de causa, quod in hac con- 
teraplatione nondum sibi piane satisfaceret. Erat enim 
tum in alienis, tum maxime in propriis sententiis iudi- 
candis sane quam difficilis atque morosus. Itaque nihil 
edere ille solebat, quod non longa adhibita discussione 
lente prius ac fastidiose probasset. Nos tamen, ne ea 
quidern intercidere aequum putantes, quae ipse rudia 
atque imperfecta reliquerat, pauca haec de manuscripto 
exemplari diligenter excepta, priusquam ea sibi aliquis 
vindicaret et ut sua venditaret, in calce huiusce libelli 
excudenda curavimus. 


<?) 

Perii.i.ustri atque omni doctiunae genere 
EXCULTISSIMO VIRO 
Io. VlNCENTIO PlNELLIO 
Antonius Persius. S. P. D. 

Nullus est in hac urbe solum, sed ne in tota qui- 
dem Europa locus, quo maiores doctorum atque insi- 
gnium in qualibet liberali arte virorum concursus ac 



136 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


frequentiores fiant, quam ad aedes tuas, Ioannes Vin¬ 
centi Pinelle, nostrae decus aetatis atque ornamentum. 
Confluant enim ad te quotidie ex diversis orbis regioni- 
bus, qui te aut officii causa invisant, aut de gravi ali- 
qua disputatione consulant, aut ignotam sibi antea fa- 
ciem tuam conteniplentur. Ita fit, ut cum istic plures 
eodera tempore convenerint, nullus sit dies, quo non 
de quam dignissimis scitu rebus sermones habeantur. 
Multique, quorum hic sedes est ac domicilium, limina 
ista tua inprimis terunt. Sic enim illi, ac recte quidem, 
et mecum sentiunt, nullum esse ludum, Academiam nul- 
lam, unde quis doctiorem se ac prudentiorem abiisse 
gloriari possit. Experior id ego in me ipse quotidie, qui 
tamdiu frequento aedes tuas, neque aliud est, quo ma- 
lim hic esse quam diutissime. Quicum enim honestius 
atque eruditioribus colloquiis diem traducam, ne fingi qui¬ 
dem potest. Collocuti autem praeter caetera saepe sumus 
de Telesina philosophia, quam, etsi longissime a Peri- 
patetica abhorrentem, sic tamen laudas, ut admirandum 
esse Auctorem eius ingenue fatearis. Quapropter amo 
liberale ingenium tuum, ac te virum omni doctrina po- 
litissimum quamplurimis doctissimis viris antepono, qui 
non solum singulari sapientia, veruni edam animi can¬ 
dore ac probitate incomparabili familiam tuam clarissi- 
mam maximis augeas ornamentis. Non oblitus, puto, es 
te disputationes illas a Telesio adversus Galenum ha- 
bitas in eo libro, quo demonstratum animai universum 
ab unica animae substanda gubernari, mirifice commen¬ 
dare. Ea me igitur pulcherrimi operis a viro laudads- 
simo profecta laus de eius libri editione cogitantem ad- 
monuit, ut eum sub fulgore tui nominis in hominum 
aspectum ac lucem proferrem, ut quem prius habuit lau- 
datorem, eum deinceps patronum sordretur. Tuum erit 
nostrum in tui optione iudicium comprobare, studiumque 
agnoscere ac voluntatem in Te singularem. Vale. Patavii. 


SCRITTI DI B. TÉLESlO 


<37 


/) 

Illustrissimo Ioanni Michaelio 

PATRICIO VENETO, EQU1TI PRAECLARISSIMO, 

ac D. Marci Procuratori meritissimo 
Antonius Persius. S. P. D. 

Non ignoras, Ioannes Michaeli, Venetae Reipublicae 
columen, unicum prudentiae, eruditionis, humanitatis 
exemplar, Telesii, dum viveret, praeclarum de virtute tua 
iudicium, atque ex iudicio studium in te singulare, quo, 
etsi magnis locorum intervallis disiunctum, tanto tamen 
prosequebatur ac colebat, ut, quamvis decrepitus iam 
senex ; ad me saepe scripserit se Venetias tui unius in- 
visendi caussa cogitare. Fecissetque ille omnino, si lon- 
gior ei lucis usura contigisset, aut ex ingentibus illis 
molestiarum ac perturbationum fìuctibus, ex morte fi- 
lio, quem unice diligebat, a sicario quodam illata, prae- 
sertim obortis, quibus extrema iam aetate est conflictatus, 
emergere unquam ac se vindicare potuisset. Noverat te 
ille Romae familiariler, felicibus illis atque eruditis tem¬ 
poribus; mirificum ex mirifica tua sapientia, eloquentia, 
Gomitate fructum coeperat. Itaque iure absentis postea 
desiderium non nisi cum vita deposuit. Ego igitur, qui 
te non minus Telesio Venetiis ac Patavii colui, obser- 
vavi observoque in dies magis ac magis tum iisdem, 
quibus ille, nominibus, tum ob praeclara tua in me me¬ 
rita, qui me et publice et privatila disputantem aucto- 
ritate tua summa protegere non sis dedignatus, ut tuae 
in Telesium prius deinde in me ipsum benevolentiae 
gratique utriusque nostrum in te animi significati ex- 
staret aliqua diuturnior, hunc Telesiis ipsius libellum 
De usu respirationis tuo nomini amplissimo dicare 
operae praetium duxi. Tu prò tua sapientia et huma- 
nitate, si non re, saltem utriusque nostrum animo tibi 




appendice bibliografica 


138 

satisfacies, et mea in te officia tibi grata esse hoc tuo 
officio, quoti mihi gratissimum erit, declarabis. Vale. 
Patavio. 

.e) 

Clarissimo viro 
Benedicto Georgio 
Patricio Veneto 
Antonius Pf.rsius S. P. D. 

Tuum, Benedicte clarissime, sensum, cum meo in 
amicis eligendis tam belle congruere, ut eosdem tibi 
l'amiliares optaris, quibus ego per multos annos fami¬ 
liarissime utor, in magna felicitatis rneae parte ponen- 
dum existimo. Facis enim, ut ego non eos solum, quos 
tanto antea probarim, tuo iam accedente iudicio, habeam 
cariores, veruni et ut de me ipso, qui tantum iudicio va- 
luerim, sentiam praeclarius. Tuum enim civem Aloysium 
Solinum, ac Patavinum fere civem tot annorum Patavii 
incolam Paulum Aycardum, ex quo primum bue appuli, 
amavi et colui ob summam rerum omnium doctrinam, 
incomparabile iudicium, humanissimos ac suavissimos 
mores, amore omnium atque honorificentissimo virorum 
honestissimorum praeconio dignissimos. Eosdem postea 
cum abs te tantopere diligi atque amari sensi, et eos 
et me quoque ipsum, iudicio permotus tuo, plus quam 
antea, si modo voi untati meae erga illos accessio fieri 
potuit, amare coepi. Si te igitur nullo alio tuo merito, 
hoc certe uno, quod ut mihi magis placeam ac tribuam 
in causa fueris, sunimam debeo benevolentiam. Sed mei 
in te studii atque observantiae caussae aliae multae sunt, 
quibus ego impulsus libellum Telesii de colorum va¬ 
rietale et caussis tibi dicatum edere constitui, ut scilicet 
voluntatem erga te meam illustri aliqua significatione 
declararein. Ad haec, si usus venerit, ut eum tua et 




SCRITTI l>l H. TELEStO 


139 


doctrina et eloquentia tectum sartumque praestes ab 
aculeis reprehensorum, libenter curavi ut nonien tuum 
clarissimum prae se ferret imprcssus. Neque enim dubito, 
quin maximum apud omnes hoc tuum patrocinium sit 
pondus habiturum. Perspectum iam enim est ac notum, 
quanto te discipulo gloriaretur dignus ille tnagnorum 
philosophorum magister Iacobus Zabarelia, nobis im¬ 
portuna morte praereptus. Cuius sane viri quoties mihi 
venit in mentem, venit autem saepissime, toties ego 
Patavinae, in qua profitebatur, Academiae ingemisco, 
quae tot tantisque infra paucos annos orbata viris, ci- 
vem hunc suum, qui facile omnium desiderium leniret, 
rednere diutius in vita non potuerit, cum tamen ea de- 
cesserit aetate, quae senectutem vix a limine attingebat. 
Verum alieno quidem patriae et amicis, sibi autem, 
hoc est nomini, et gloriae suae liaud quam importuno 
tempore cessit e vita, relictis ingenii sui monumentis, 
nunquam intermorituris. Cuius vocem porticus illae eru- 
ditae Lycei Patavini frustra nunc, frustra, inquam, de- 
siderant. atque eum, si possent, suum ipsae civem, qui 
philosophiam non praeceptis tantum ac scriptis, verum 
et factis praeclarissime exprimebat, omnium virtutum, 
imprimis humanitatis ac modestiae, singulare exemplunt 
erat, perpetuo lugerent ; ut eos contra philosophos ri- 
derent, qui non tam in academiae porticis prò Peripa- 
teticae doctrinae primatu, quam in publicis hisce, quae 
promiscere ab omnibus ultro citroque commeantibus te- 
runtur, prò peripatetica, hoc est, ambulatoria (ut sic 
dixerim) praerogativa tanquam prò aris et focis ridi- 
culc dimicant, quasi in eo sitae sint Graeciae divitiae, 
si cui occurrens, caput aperias, aut interiorem Porticus 
partem, videlicet parietem ambulanti concedas. Sed iam 
nos iis homulis et xaipeiv dicamus et vyicuveiv. Te vero 
iterum iterumque rogo, ut animum tuum familiae tuae 
splendidissimae nobilitate dignissimum mihi benevolum 





1 4 « 


APPENDICE BIBI.IOGRAEICA 


ae meae summae in te observantiae memorerà tueri, 
munusculumque hoc, novum piane munus (cum libel- 
lus hic it prodeat ab eodem Auctore iam pridem multis 
additis, detractis, immutatis interpolatus, ut, si cum an- 
tea edito conferas, mirum quantum ab eo difierre de- 
prehendas) tanquam maximum a maximo ad te missum 
animo gratificandi tibi suscipere ne dedigneris. Vale. 

h) 

Antonius Persius 
Eminentissimo Phii.osopho 
Federico Pendasio,. S. P. D. 

Si quantum Aristoteli philosophorum filii, tantum 
tibi, Federice Pendasi, philosophorum memoriae nostrae 
facile princeps, ipsum debere Aristotélem dixerim, nae 
ego vera praedicarim. Illustrasti etenim publicus tot an- 
nos in ceteberrimis Italiae Gymnasiis interpres Aristote- 
licam usque adeo philosophiam, ut non tibi minus, quam 
Aristotelicorum librorum, qui situ obsiti parum ab in- 
teritu aberant, erutori ac vindicatori iHi gratiae debea- 
tur. Quos si nobis inimicum fatum ad exitium usque 
invidisset, poteras tu novus illucere mortalibus Aristo- 
teles, iacturamque tantam undequaque compensare. Ita- 
que subinvideo Ascanio fratri, quod ipsi, te Bononiae 
degente, Bononiae degenti fruì licet, ac de te non pu- 
blicos solum, sed, quae tua in omnes privatimque in 
ipsum est benignitas, domesticos haurire sermones. Fe- 
rebam ego antea tui desiderium paullo lenius, dum vi- 
veret alterum Italiae lumen Iacobus Zabarella philoso- 
phiae scientia, ut tibi uni secundus (quem scilicet ille 
sibi non solum praeferebat, sed auctorem ctiam recte 
philosophandi fuisse olim praedicabat), sic caeteris omni¬ 
bus meo ac multorum iudicio anteponendus. Eo nunc, 


SCRITTI I>! R. TEt.ESIO 


M 


quo familiarissime utebar, extineto, nisi tua me aliquando 
usurum consuetudine sperarem, vitarn mihi profecto 
acerbam putarem. Interim autem quia te libenter et stu¬ 
diose legere ea scripta, in quibus ingenii et eruditionis 
lumina haud vulgaria conspiciantur probe novi, cuius- 
modi sunt Telesii philosophica monumenta, idcirco ut 
ex ungue leonem agnosceres: ad haec ut sententiarum 
novitate animum tuum consuetis fessum contemplatio- 
nibus recreares, liunc eius De saporibus libellum tan- 
quam èvSóoipav ad reliquam ipsius philosophiam cogno- 
scendam, et, ut sapiat, iudicandam ad et mittere, adeoque 
tuo inscriptum nomini publicare decrevi. Accipies igi- 
tur hilari fronte hanc meae in te benevolentiae atque 
observantiae significationem, ut meum in te studium 
nunquam in posterum obliviscaris. Vale. Patavii. 


Antonius Persius 

PRAECLAR 1 SSIMO MEDICO 

Hieronymo Mercuriali 
S. P. D. 


Homericus ille Iuppiter, quod te non fugit, Hiero- 
nymeMercurialis, medicorum choryphaee, ut Agamemno- 
nem de sonino excitaret, misisse ipsi somnium a poeta 
perhibetur. Ego vero, ne tu mihi dormias, hoc est, ne 
me tibi e memoria atque ex animo excidere patiare, tui 
amantissimum studiosissimumque tui nunquam oblitum, 
non vanum aut mendax aliquod somnium, sed erudi- 
tum ca veridicum Somnum Telesianum a Telesio tum, 
cum minime dormitabat, elucubratum ad te mitto, qui 
somnum arcere quovis somnio validius possit. Hunc 
ego, et ut sedulum monitorem, et ut non obscurum mei 
in te animi interpretem ad Te destinavi, dum aliud 







* 


TOSINO 


U2 


APPENDICE 11IBI-IOGRAEICA 


quaero tibi mnemosynon, quo pateat illustrius non so¬ 
limi quantuni tibi ipse ego debeam deferamque, ve¬ 
runi edam quam ab aliis omnibus esse deferenduni 
exisdniem; etsi tu unica de te clarissimae Bononiensis 
Academiae existimatione (ut communem eruditorum om¬ 
nium sensum praetermittam) contcntus esse potes, quae 
te tanto studio ac contentione ad eminentissimam me- 
dicinae cathedram ingentibus atque ante te nemini pro¬ 
positi praemiis pertraxit. Atque hoc sapienter B0110- 
nienses, ut alia omnia, sapienter te quoque ipsum, qui 
condicionem acceperis, fecisse sapientissimus quisque 
existimat, cum tibi in ea urbe domicilium statueris, quae 
bonorum omnium ornatu ac copia comparari cum ur- 
bibus' omnibus merito potest. Quo tit ut non iniuria et 
te ego Bononiae, et tibi Bononiam invideam, hoc est 
summorum virorum doctrinae et huraanitatis laude ce- 
leberrimorum Bononiae degentium consuetudinein. Pe- 
regrinos nunc taceo, ne te plus aequo legentem morer. 
De civium numero unum tantum honoris caussa com- 
memorabo, Camillum Palaeottum, tuorum, ut tu te me¬ 
rito gloriaris, principem amicorum; quem virimi pri- 
mum Romae sum contemplatus, allocutus, admiratus, 
cum in eo omnia maiora opinione ac fama deprehende- 
rim. Itaque Alexandrum Burghium summa insignem 
timi scientia et eloquentia, tum probitate virum amo 
plurimum, qui ut Romae Palaeottum cognoscerem at¬ 
que ab eo cognoscerer et auctor et interpres mihi fuit. 
Obsecro igitur te, vir preclarissime, per humanitatem et 
comitatem iliam tuain, qua vel sola aegrotis restituere 
valetudinem soles, ut me illi addictissimum diligentis¬ 
sime commendes, et a me salutem dicere ne graveris. 
Te vero mei muneris ne poeniteat, siquidem id, quod 
ab optimo in te est animo profectum, optimum putas. 
Vale, et diu vive, ut diutius alii vivant. Patavio. 

In fine della raccolta sono 3 cc. di Errata-corrige , 


SCRITTI DI B. TELESIO 


43 


1 I. 

Due opuscoli inediti del Telesio De fulmine e Quae 
et quomodo febres facilini furono per la prima volta pub¬ 
blicati dal Fiorentino, Telesio , n, pp. 325-374, insieme 
con la risposta del Telesio al Patrizi: Soluliones Thyìesii, 
pp. 391-98- 

Dal Fiorentino fu anche ristampato il Carmen ad 
Ioannam Castriotam del Telesio (pp. 311-2), inserito nel 
volume Rime et versi in lode della illustriss. et eccel- 
len/iss. S. D. Giovanna Castrio/a Carr. Duchessa dì 
Nocera et Marchesa di Civita Santo Angelo , scritti in 
lingua toscana, latina et spagnuota da diversi huomini 
illustri in varii et diversi tempi et raccolti da Don Sci¬ 
pione de’ Monti, Vico Equense, 1585; già ristampato 
da S. Spiriti, Memorie , pp. 92-3 e da Luigi Telesio, 
o. c. pp. 55-6. Circa l’apocrifità dell’epigramma per la 
storia di Scipione Mazzella v. Bartelli, Note, p. 55 n. 


Manoscritti e opere smarrite. 

Oltre la notizia importante dataci da Giov. Paolo 
d’Aquino, riferita a p. 54, e quelle del Persio (cfr. so¬ 
pra pp. 130-1 e 135), è da considerare la lettera del 
Quattromani, su cui richiamò già l'attenzione il Ni- 
codemi nelle Addizioni copiose alla Bibl. Nap. del dott. 
N. Toppi, Napoli, Castaldo, 1683, p. 53: e l’accenno 
dello stesso Telesio De rer. nat., v, 1: « Tum maris 
aquarumque et eorum quae im sublimi fiunt iridisque 
et colorum exortus in propriis est explicatus commenta- 
riis. Metallorum lapidumque et reliquorum, si quae 




APPENDICI-: BIBLIOGRAFICA 


144 

alia supersunt, quin in superioribus manifestatus sit, pa¬ 
rimi cannino deesse videri potest, et alias, si coeptis 
faverit Deus, manifestabitur magis ». Per un opuscolo 
De pluvfis, cui si allude nel De mari, c. x, cfr. Al- 
magiA, I.e dottr. geofisiche di B. Telesio, p. 333, 


II 


SCRITTI SU B. TELESIO* 


La Filosofia di Berardino Telesio ristretta in brevità, 
et scritta in lingua toscana dal Montano Accademico 
Cosentino [Sertorio Quattromani] , in Napoli, ap¬ 
presso Giuseppe Cacchi, 1589. 

Ora/ione di Gio. d‘Aquino in morte di Bernardino 
Telesio, philosopho eccellentissimo, agli Accademici Cosen¬ 
tini. In Cosenza, per Leonardo Angrisani, 1596. 

Rist. a Napoli, Fratelli Traili, MDCCCXL a cura di L[uigi) 
T[klesio], Precede (pagine xxvi) una lettera del T. al marchese 
di Villarosa; e seguono (p. 55) il Carme del Telesio a Giovanna 
Castriota con la trad. italiana del Cavalcanti, l’epigramma a Sci¬ 
pione Mazze-Ila (p. 60) col distico contro Aristotile, il son. di 
Lelio Capilupi (p. 61) e due poemetti di Antonio Telesio. 

Sul p. Luigi Telesio prefetto della Biblioteca dei Gerolamini 
v. Luigi Maria Greco, Elogio del p. L. T., negli Atti dell’Ac¬ 
cademia Cosentina, voi. Ili, pp. 345 sgg. 

Francesco Bacone, De principiis atque originibus 
secundum fabulas Cupidinis et Coeli: sive Parmenidis 
et Telesii et praecipue Democriti philosophia, tractata 
iti fabula de Cupidine ; in Philosophical Works edited 
by Ellis and Spedding, in, pp. 63-118 (con pref. del- 
l’EUis e note). 

La prima volta questo opuscolo fu pubblicato da Isacco Gru- 
ter in Franc. Baconi de Verulamio Scripta in naturali et uni¬ 
versali philosophia, Amsterdam, 1653, pp. 208 sgg. 


* Sono citati gli scritti più notevoli. Delle storie generali della filo¬ 
sofia soltanto quelle che contengono esposizioni originali. 


G. Gentile, Bernardino Telesio. 


10 



146 


appendice bibliografica 


Iohannis Imperiala Musaeum kistoricum et pky- 
sicum, Venetiis, ap. Iuntas, An. MDCXL, pp. 79-80. 

A p. 78 c’è un ritratto del Telesio. Pel cui valore storico si 
osservi che nello stesso frontespizio del libro è detto che le ima- 
gines del Museo storico sono ad vivum expressae, e nella pre¬ 
fazione al lettore: « Icones ad vivum ubique locorum a nobis 
anxio perennique studio conquisitas, vix cogere in unum licuit 
paucas, nec impensae pepercimus, nec oleo, aliquam interdum, 
prout minus congrua censebatur, abolendo, aliquam reformando, 
et cum probatioribus conferendo, quo studiosa cupidaque huius- 
modi elegantiarum tua non falleretur fiducia». 

Petri Freheri Theatrum viro rum eruditione claro- 

rum, Norimbergae 1688, p. 1484. 

C’è un ritratto del Telesio, riprodotto da Rixner e Sibek 
innanzi al vojutne qui sotto citato. 

Ioh. Georgii Lotteri De vita et philosophia Ber¬ 
nardini Telesii commentarmi ad illustrandas historiam 
philosophicam universam et literariam saeculi XVI C/iri- 
stiani sigillativi, Lipsiae, apud Bernh. Christoph. Breit- 
Kopfium, 1733 in 4 0 . 

Nei Nova Acla eruditorum di Lipsia, MDCCXXXI 1 I, pa¬ 
gine 551-3 c'è una recensione di questa monografia. 

I. Bruckeri, Historia critica philosophiae, to. iv, 
pars 1, Lipsiae, MDCCXXXXIII, pp. 449-460. 

Mémoires pour servir à filisi, des hommes illustres 
dans la republique des le/tres avec un catalogne raisonné 
de leurs ouvrages par le R. P. Niceron barnabite, 
to. xxx, Paris, 1734. PP- 194-1 io. H 4 - 

Salvatore Spiriti, Memorie degli scrittori cosen¬ 
tini , Napoli, 1750, pp. 83-93. 

J. G. Buhle, Gesch. d. neueren Philosopkie seit 
der Epoche d. Wiederhers/ellung der Wissenschaften, 


SCRITTI SU B. TELESIO 


147 


Gòttingen, 1800-1805, Bd. il, Abth. 11, pp. 648 ss.; trad. 
frane. Jourdan, Paris, 1826, II. n, pp. 563-71. 

P. L. Ginguené, Histoire littéraire d’Italie [conti¬ 
nuata da F. Salfi], to. vii, Paris, Michaud, 1819. 

I- e PP' 5 °°* 1 4 relative al Telesio sono un’aggiunta di F. Salfi. 

Rixner e Siber, Leben und Lehrmeinungen berukm- 
ter Physiker am Ende des XVI und am Anfange des 
XVII fakrhunder/s, Bd. ni (Sulzbach, 1820) ( B. Te¬ 
le sius) . 

Oltre una biografia del Telesio, contiene la traduzione'(molto 
libera) di molti brani del De rei' . natura. 

Giuseppe Boccanera da Macerata, Bernardino Te¬ 
lesio, nella Biografia degli uom. illustri del Regno di 
Napoli , to. vni, Napoli, N. Gervasi, 1822 (col ritr. del 
Morghen). 

Francesco Saverio Sai.ki , Elogio di Bernardino 
Telesio, 2“ ediz., Cosenza, Migliaccio, 1838 (di pp. 48 
in-16 0 ). 

Ristampato in Salpi, Prose varie, Cosenza, Migliaccio, 1S42. 
La prima volta era stato pubblicato nel giorn. La Fata Morgana 
di Reggio Calabria, 15 marzo 1838; e contro di esso allora com¬ 
parve un opuscolo: Luigi Telesio, Risposta all'art. inserito nel 
giorn. intitolato La Fata Morgana... Su la vita e la filosofia 
dì Bernardino Telesio, in Napoli, nella Stamp. della Società 
Filomatica, 1839 (cit. da F. Bartelli, Note, p. 70). 

Ferdinando Scaglione, [La filosofia di B. Telesio]-, 
negli Atti della Accademia Cosentina, Cosenza, pe’ tipi 
di G. Migliaccio, 1842, voi. 11, pp.15-115. 

In risposta al tema assegnato dall’Accademia l’anno 1838: 
« Esporre con lucidezza e precisione il sistema filosofico di B. T., 
e far conoscere quale e quanta influenza abbia esercitato sul 
progresso delle scienze, e quali scrittori, sian essi calabri o stra¬ 
nieri, abbiano maggiormente contribuito a propagare la nuova 
dottrina Telesiana ». 




APPENDICE BIBLIOGRAFICA 


148 

Chr. Bartholmèss, De Bernardino Telesio, Paris, 
1849. 

H. Ritter, Geschichte dcr Philosopkie, r l heil (Bd. I 
della Gesch. d. neutra Pkilos. ) , Hamburg, Perthes, 1850, 
PP- 56 i- 7 S- 

J. E. Erdmann, Grundriss der Geschichte der Phi- 
losophie, 1 , Berlin, 1869, i, 243- PP- 523-26. 

F. Fiorentino, Bernardino Telesio , ossia studi sto¬ 
rici su l’idea della natura nel Risorgimento italiano, 
Firenze, Le Monnier, 2 voli. 1872, e 1874. 

Della psicologia del T. il Fior, s’era occupato nel Pompo- 
nazzi (v. sopra p. 98). A proposito del volume del Telesio 
furono pubblicati i seguenti scritti del Ferri e del Francie. 

Luigi Ferri, La filosofia della natura e le dottrine 
di B. T.\ nella Filos. ileUe scuole i/al., a. 1873. 

Ad. Franck, Bernard. Telesio, ou Études histort- 
ques sur l’idée de la nature pendant la renaissance ita- 
lienne par F. Fiorentino, in Journaldes Savanls, a. 18731 
pp. 548 sgg. e 687 sgg. 

M. Carriere, Die philosophische Weltanschauung der 
Reformationszeit* , Leipzig, 1887, 11, 34 ss. 

La prima ediz. è del 1847. 

Telesio, rivista di scienze lettere ed arti, Cosenza, 
a. 1, fase. 1, 28 febbr. 1886 (direttori Vincenzo Iulia e 
Domenico Bianchi). 

Ne conosco 3 fase., che non contengono nulla sul Telesio, 
salvo un cenno neil’art. di G. M. Greco, Il Qualiromani cri¬ 
tico (nel fase. 3 del 30 aprile 1886, pp. 154-5) a 8 a teoria del¬ 
l’anima del filosofo cosentino, difesa dalle critiche del Fiorentino. 




SCRITTI SI! B. TELESIO 1 49 

K. Lasswitz, Geschichte der Atomisti): vom Afitte/- 
alter bis Newton, Hamburg u. Leipzig, 1890, I B., 
pp. 312-14- 

Karl Heiland, Erkenntnisslehre nnd Ethik des 
Bernardinus Telesius ; Inaug.-Dissert., Leipzig, 1891 
(pp. 52 in-8“). 

A pp. 1-2 c’è una bibliografia della letteratura telesiana. 


Felice Tocco, Le fonti più recenti della filosofia 
del Bruno, Roma, 1892 (estr. dai Rend. Lincei). 

A pp. 72-5 i rapporti del Bruno col Telesio. Cui è da ag¬ 
giungere l'osservazione dell' Eli.is nella pref. al De principiis 
di Bacone, ed. cit., p. 75 n. 

Gio. Sante Felici, Le dottrine fi/osofico-religiose di 
T. Campanella con particolare riguardo alla filos. della 
rinascenza italiana. Lanciano, Carabba, 1895. 

A pp. 34-51 sono studiati i rapporti del Camp, col Telesio. 


St. de Chiara, Bricciche lelesiane. Nozze Tancredi- 
Zumbini, xix aprile mdcccxcvii (Cosenza, tip. ApreaJ, 
pp. 8 in-4 0 . 

Spigolature dall’archivio cosentino relative al nome della 
madre del T. e ad alcuni de’ suoi figliuoli. A p. 4 n. 1, è 
detto: c Un solo, il Bruckero, dice ch'egli sia nato nel 1508: 
ma questo non è assolutamente possibile, perchè nel sett. del 1508, 
come abhiam visto [«nelle schede del notar Benedetto Arnone, 
sotto la data del 6 di sett. 1508, i capitoli di un secondo matri¬ 
monio, che Giovanni Telesio, padre del nostro Bernardino, con¬ 
trasse con la signora Vincenza Garofalo »], il padre passava a se¬ 
conde nozze. La data del 1509, poi, si desume anche dalla se¬ 
guente notizia cortesemente comunicatami dal mio nob. amico 
Luciano de Matera e da lui ricavata di su un antico ms.: « A di 
8 di sett. 1588 si sepelì nella sua sepultura della sua cappella 
dentro la Chiesa magiore il filosofo Bernardino tilese d’età d’anni 
settantanove ». 


APPENDICE BIBLIOGRAFICA 



150 


Francesco Bartelli, Note biografiche (B. Telesio 
e Galeazzo di Tarsia) Cosenza, A. Troppa, MCMVI. 

Sul Telesio, pp. 7-73. È il miglior saggio biografico che si 
abbia per l’esame rigoroso delle notizie e per la larga • esplora¬ 
zione dei documenti inediti cosentini. 

I 

Roberto Almagià, Le dottrine geofisiche di B. Te - 
lesto: primo contributo alla storia della geografia scien¬ 
tifica nel cinquecento, Firenze, Ricci, 1908 (estr. dagli 
Scritti di geografia e storia della geografia pubbl. in 
onore di G. Dalla Vedova). 

Duilio Ceci, Bernardino Telesio (con bibliografia) 
ne La cultura contemporanea , Roma, a. n, n. 3, 1 feb¬ 
braio 1910, pp. 41-45. 

Articoluccio d’occasione. Nella Bibliografia si cita: « Fran¬ 
cesco Bonci, Il volgarizzamento dello scritto latino di B. 
(sic) T: I colori presso gli antichi Romani, Pesaro, Federici, 
1894. Ma si tratta del De coloribus di Antonio Telesio. 


Erminio Troilo, Bernardino Telesio, Modena, For- 
miggini, 1910 (pp. 77 in-i6° picc.; col ritr. del Morghen; 
N. 11 dei Profili del Formiggini). 

I 53970 

\ 





INDICE 


Avvertenza.. 

Bernardino Telesio. » 

Sommario: I. Il medio evo (9-20); II. Uma¬ 
nesimo e rinascimento (21-38); III, Vita e scritti 
del Telesio (38-54); IV. La filosofia del Telesio 

( 54 - 77 ); V. Chiarimenti (77-92). 

Note. » 

Appendice bibliografica. » 

I. Scritti di B. Telesio. » 

II. Scritti su B. Telesio. » 


5 

7 


93 

99 

101 

■45 






















GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori 


BIBLIOTECA DI CULTURA MODERNA 

Elegante collezione in-8 


1. P. Orano — Psicologia sociale (esaurito). 

•2. B. King e T. Okkv — 1/ Italia d'oggi (3» edi¬ 
zione) . 4, 

3. E. Ciccotti — Psicologia del movimento 

socialista . * 

4. G. Amadori-Virgiu — L’Istituto fami¬ 

gliare nelle Società primordiali . . * -,f>0 

5. A. Martin — L’Edncazione del carattere 


(esaurito). 

6. G. De Lorenzo — India e Buddhismo antico 

(2* edizione). * L— 

7. V. Spinazzola — Le origini ed il cammino 

dell’Arte.» 3,50 

8. R. de Gourmont — Fisica dell’Amore. Mag¬ 

gio su l' istinto sessuale . » 3,50 

y. C. Cassola — I sindacati industriali. Car¬ 
telli - Pools - Trusts . » 3,50 

10. G. Marchesini — Le finzioni dell’anima. 

Saggio di Etica pedagogica .... » 3, — 

11. E. Kbioh — 11 Successo delle Nazioni. . » 3, — 

12. C. Barbagali .0 — La fine della Grecia an¬ 

tica . » 5,— 

13. F. Novati — Attraverso il Medio Evo . » 4,— 

14. I. E. Spingarn — La critica letteraria nel 

Rinascimento.. — 

15. T. Carlyle — Sartor Resartus (2* edizione) » 4,— 

16. F. Carabki.lbse — Nord e Sud attraverso 

i secoli. » 3,— 

17. B. Spaventa — Da Socrate a Hegel . . » 4,50 

18. A. Labriola — Scritti vari di filosofia e 

politica a cura di B, Croce. ...» 5,— 





















GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori 


19. A. I. Balfour — Le basi della fede . . L. 3, — 

20. C. Db Freycinet — Saggio sulla Filosofia 

delle Scienze ......... » 3,50 

21. B. Crock — Ciò che è vivo e ciò che è morto 

della filosofia di Hegel. » 3,50 

22. L. Hearn — Kokoro. Cenni ed echi dell’in¬ 

tima vita giapponese .» 3,50 

23. F. Nietzsche — Le origini della tragedia » 3,— 

24. V. Imbriani — Studi letterari e bizzarrie 

satiriche. » 5, — 

25. L. Hearn — Spigolature nei campi di Bml- 

dho .» 3,50 

26. C. W. Saleeby — La Preoccupazione ossia 

la malattia del secolo. » 4,— 

27. K. Vossi.br — Positivismo e idealismo nella 

scienza del linguaggio. » 4,— 

28. G. Arcoleo — Forme vecchie, idee nuove » 3,— 

29. Il pensiero dell’Abate Galiani - Antologia 

di tutti i suoi scrìtti editi e inediti . » 5,— 

30. B. Spaventa — La filosofia italiana nelle 

sne relazioni con la filosofia europea \ 3,50 

31. G. Sorbi. — Considerazioni sulla violenza » 3,50 

32. A. Labriola — Socrate. Nuova edizione . » 3,— 

33. G. Kohlkr Moderni problemi del Diritto » 3,— 
34-1. K. Vossi.br — la Divina Commedia stu¬ 
diata nella sua genesi e interpretata — 

Voi. I - Parte I. Storia dello svolgi¬ 
mento religioso-filosofico. » 4,— 

34 -n. _ Voi. I - Parte lì. Storia dello svol¬ 
gimento etico-politico. » 4, — 

35. G. Gentile — Il Modernismo e i rapporti 

tra religione e filosofia.» 3,50 

36. G. B. Festa — Un galateo femminile ita- 

liano del trecento. » 3,— 

37. S. Spaventa — La politica della destra . » 5, — 

38-1. J. Royce — Lo spirito della filosofia mo¬ 
derna— Parte.,1. Pensatori e Problemi » 4,— 

38-U. — Parte II. Prime linee d’un sistema . » 4,— 















GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori 


39. R. Rrnier — Svaghi critici . 

40. E. Gbbhart — L’Italia mistica ■ 

41. A. Farinelli — Il romanticismo in Ger¬ 

mania .* ‘ ' 

42. A. Tari — Saggi (li Estetica e di Meta¬ 

fisica . . 

43. E. Romagnoli — Musica e Poesia nell an¬ 

tica Grecia . ; • ‘ ’ 

44. F. Fiorentino — Studi e ritratti • 

45. G. Fkrrarelli — Memorie militari del 

Mezzogiorno d'Italia . 

46. B. Spaventa - Principii di Filosofia . 

47. A. Anile - Vigilie di Scienza e di Vita » 

48. J. Royce — La Filosofia della Fedeltà . 

49. R. W. Emerson — L’anima, la natura e la 

saggezza - Saggi 

50. G. Rbnsi — Il genio etico ed altri saggi 

51. G. Gentile — Bernardino Telesio • • • 




3,50 

5- 

3,50 

3.50 

4.50 
L- 

2.50 


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