GIOVANNI GENTILE
Fé-UL-io9
BERNARDINO TELESIO
CON APPENDICE BIBLIOGRAFICA
BARI
GIUS. LATERZA & FIGLI
TlPOGRAI'I-EDITORl-LIBRAl
191 i
PROPRIETÀ LETTERARIA
LUGLIO MCMXI — 28189
AVVERTENZA
Questa commemorazione, scritta per imito
del Comitato per le onoranze a Bernardino
Telesio nella ricorrenza del quarto centenario
della sua nascita, e letta, tranne poche pagine,
tiel Teatro Comunale di Cosenza il 26 aprile
di quest'anno, 71011 poteva e non vuol essere
una monografia sul Telesio; ma soltanto una
caratteristica della sua personalità e della sua
filosofia guardata nel processo generale del
pensiero speculativo. Ciò spiega perche essa si
estenda un po ' largamente sulla storia degli
antecedenti.
Aggiungendovi, per questa stampa, oltre le
note necessarie, una bibliografia, 1 nè sembralo
opportuno riprodurre in essa dalle vecchie edi¬
zioni raiùssime degli scritti telesiani dediche
e proemii, che sono documenti biografici e
storici notevolissimi, poiché m'è accaduto di
vederli non di rado citati di seconda mano
pur dagli studiosi più diligenti, ai quali non
era riuscito di averli sott'occhio.
G. G.
BERNARDINO TELESIO
I
Dietro al chiarore del rinascimento, sullo
sfondo dell’orizzonte, s’addensa ancora la
nebbia medievale; e la luce nascente s’im¬
porpora dei riflessi fumiganti di quella neb¬
bia, che il sole alto, splendente nel mezzo
del cielo, spazzerà, quando all’alba della rina¬
scenza sarà successo il gran giorno dell’età
moderna. In quella prima ora le vecchie idee
sono morte; ma, pur morte, rimangono nel
pensiero umano, e l’impediscono e l’oppri¬
mono con la gravezza di ciò che, estraneo
alla vita, attraversa il processo della vita.
Le idee nuove, quelle che sono anche oggi
la sostanza del nostro spirito, si sono an¬
nunziate, anzi affermate con la vivacità im¬
petuosa e fremente, con l’entusiasmo gioioso
della giovinezza, che ha per sè l’avvenire, e
non sente il passato che si lascia alle spalle.
Ma la loro affermazione per noi è piuttosto
IO
BERNARDINO TELESIO
un annunzio: manca lo sviluppo logico, in cui
è la vita vera e concreta delle idee, e manca
l’integrazione, che il lembo della verità in-
travvista raccolga nella coscienza coerente •
del tutto, dove ogni parte ha il suo valore
organico. E lo sviluppo e l’integrazione man¬
cano, perchè il nuovo è commisto e ravvolto
nel vecchio: e si va innanzi, come infatti è
dei giovani, senza sapere distintamente che
cosa si lascia e che cosa si cerca, e quale
è il cammino: portati dall’istinto della vita,
che perverrà più tardi alla netta coscienza ■
del nuovo in quanto negazione del vecchio.
Perciò tutti i pensatori di questa età hanno
due facce, e ci presentano contraddizioni, che
paiono spiantare i principii stessi del loro
filosofare: e chi guarda a una sola faccia,
non riesce a più rendersi conto dell’altra; e
c’è chi di costoro ne fa gli iniziatori, a di¬
rittura, del pensiero moderno, e chi li re- '
spinge indietro, alla scolastica dei tempi di
mezzo: laddove il loro significato storico è in
questa posizione, che occupano, tra una filo¬
sofia che hanno solo virtualmente superata
e una filosofia che solo del pari virtualmente
essi affermano. Trascurare cotesto residuo
esanime, che resiste nei loro sistemi alle loro
IL MEDIO EVO
II
intuizioni innovatrici, in tutti questi filosofi,
dal Poinponazzi al Bruno e al Campanella,
non è possibile: vien meno tutto il significato
di queste medesime intuizioni, che fanno di
loro i precursori dei più grandi filosofi mo¬
derni; e non si spiegano più atteggiamenti
essenziali, parti vitali del loro pensiero; ma,
sopra tutto, diviene un mistero perchè il
germe di verità, che essi si recano in mano,
rimanga soltanto un germe, di cui la vita
s’arresti appena cominciata.
L’uomo del medio evo si era travagliato
in una contraddizione, che si può dire orga¬
nica, perchè ne dipendeva la vita stessa del
pensiero: contraddizione, i cui termini, se si
vuol considerare il processo generale della
storia ne’ suoi grandi tratti, si possono de¬
signare come la filosofia greca e la fede cri¬
stiana: due termini, che il pensiero tentò tutte
le vie, lungo più di un millennio, di conci¬
liare; ma erano inconciliabili per lui, assolu¬
tamente, sul terreno in cui egli era posto;
perchè, a dirla brevissimamente, la filosofia
sua, che avrebbe dovuto operare la conci¬
liazione, era tuttavia la filosofia greca, e cioè
uno dei due termini stessi antagonisti.
12
BERNARDINO TEI.ESIO
La filosofia greca è il pensiero che si vede
fuori di sè: e si vede perciò o come natura,
nella sua immediatezza sensibile, o come idea,
che non è atto del pensiero che pensa, ma
cosa in cui il pensiero si affisa, e che pre¬
suppone come verità eterna e ragione eterna
di tutte le cose e della sua stessa cognizione
parallela alla vicenda delle cose: in entrambi
i casi, come una realtà che è in se stessa
quella che è, indipendentemente dalla rela¬
zione in cui il pensiero entra con essa quando
la conosce. Visione la più dolorosa che l’anima
umana possa avere del proprio essere nel
mondo: perchè l’anima umana vive di verità,
ossia della fede che sia quel che essa pensa
ed afferma: e in quella visione, che è poi la
visione eterna della prima riflessione, da cui
si dovrà sempre pigliare le mosse, la verità,
quel che è veramente, non è nell’anima umana;
la cui condizione permanente ed essenziale è
raffigurata da quel sensibilissimo amatore
della verità, dell’essere eterno del mondo,
che fu Platone, nel mito di Eros: mito pre¬
gno, nella sua classica serenità, di pathos
che direi cosmico: perchè l’aspirazione fer¬
vente al divino, che è l’Amore di Platone,
e che nella sua forma più alta è la filosofia,
IL MEDIO EVO
13
non è solo lo sforzo supremo in cui si con¬
centra l’anima umana, ma culmina in questa,
e affatica tutto l’universo, tormentato dal de¬
siderio di qualche cosa che è il suo vero
essere, ma è fuori di esso. Mito, che, con
tutto il suo pathos, può essere intanto se¬
reno, perchè l’occhio dell’idealista greco è
attratto e fermato dalla bellezza dell’ideale
lontano, e gli sfugge la miseria infinita del¬
l’amante senza speranza.
In questa visione, quando, per opera prin¬
cipalmente dello stesso Platone, la verità della
natura sensibile e mortale si rifrange nelle
forme ideali, ond’essa si rivela al pensiero
ne’ suoi varii aspetti, e diventa sistema di
idee, tutta la scienza, nel suo proprio as¬
setto, come possesso adeguato della verità,
non apparisce quale il perenne lavoro della
mente e la celebrazione dell’ufficio supremo
del mondo, ma quasi un che di remoto dalla
realtà, o, come si dice, d’ideale, di cui la
cognizione umana è sempre copia imperfetta.
La scienza, di cui la logica deduttiva di Ari¬
stotile descrive mirabilmente il congegno, non
è la scienza nostra, la scienza umana, che si
fa e rifà continuamente nella storia: è la
scienza che ha principi! immediati, che in sè
14
BERNARDINO TELESIO
contengono sistematicamente tutti i concetti, I
in cui si snoda lo scibile: è pertanto la scienza
che è tale, in quanto è tutta e perfetta a un
tratto, senza possibilità di svolgimento sto¬
rico. Ossia, la scienza per ottenere la quale ]
tutto questo svolgimento, in cui è pure tutta
la vita e tutto l’essere nostro, non giova: un
ideale, al cui cospetto quel travaglio men¬
tale, che ci par tuttavia la cosa più seria
del mondo, non ha valore di sorta ').
Dentro questa visione si chiude tutta la
filosofia greca, e ogni filosofia che, come
quella del medio evo, accetta la logica, ossia
la maniera d’intendere la verità, di Aristo-
tile. Questa logica si può definire la logica
della trascendenza; o altrimenti, la logica
dell’intellettualismo: per questa logica infatti
la verità, che è termine dello intelletto, è tra¬
scendente, radicalmente superiore all’intel¬
letto stesso; e questo è ridotto a semplice
facoltà passiva, contemplatrice e non autrice:
che è il concetto dell’intelletto nel senso de¬
teriore di questo termine: quasi una mente,
che importa bensì la presenza delle cose da
conoscere, ma non dell’uomo, non dello spirito
che le conosce, e che ha appunto questo di
proprio e di diverso rispetto alle cose: che
IL MEDIO EVO
15
non è cosa da conoscere, ma l’attività cor¬
relativa, che queste presuppongono nel loro
concetto di « cose da conoscere » : una mente,
insomma, per cui c’è il mondo, ed essa, per
cui il mondo è, non è. Che è come dire:
l’uomo, questo divino artefice di quanto è
bello e santo e vero nel mondo, di quanto
c i umilia e ci esalta, ora facendoci piegar
le ginocchia innanzi alla potenza terribile del
genio, ora sublimandoci nel gaudio di quanto
trascorre immortale i secoli e aduna nel con¬
senso d’uno spirito solo i morti coi vivi; que¬
st’uomo, annichilato. Annichilato, s’intende,
ai proprii occhi, nella coscienza che ha del
suo essere. Di un uomo così, ignaro del pro¬
prio valore, men che atomo disperso nell’in¬
finito, Chiesa ed Impero, accampatisi im¬
mediatamente come rappresentanti di Dio,
possono disporre a loro talento, come cose,
che non sono persone. Manca la coscienza, e
manca perciò l’individuo: non c’è la libertà,
come coscienza della propria legge. La legge,
come la verità, scende dall’alto.
Ma era questo il principio del cristiane¬
simo? Il cristianesimo voleva essere, al con¬
trario, la redenzione, la rivendicazione del
valore dell’uomo; voleva sollevare l’uomo a
i6
BERNARDINO TELESIO
Dio, facendo scendere Dio nell’uomo, e ren¬
dendo questo partecipe della natura divina.
Giacché in Gesù, che è l’uomo stesso nella
sua idealità, o come dev’essere concepito,
Dio stesso era uomo: con tutte le miserie j
umane, soggetto all’estrema delle miserie, la
morte; ed era Dio (quel dio, che redimeva)
in quanto questo uomo, che eroicamente af¬
frontava la morte, otteneva in questa il premio
della missione della sua vita tutta spesa uma¬
namente in un’opera d’amore. Onde l’amore
risorgeva, non più, come nel mito platonico,
contemplazione desiderosa dell’irraggiungi¬
bile, ma attività dell’uomo che crea se stesso
perennemente: e non era più la celebrazione
estatica di un mondo che è, ma la celebra¬
zione operosa, dolorosa insieme e letificante,
di un mondo, che è regno di Dio essendo
la purificazione della smessa volontà umana
nella fiamma della carità. Onde l’uomo non
è più sapere o intelletto; ma amore o vo¬
lontà, cioè creatore esso stesso della sua ve¬
rità, che è il bene: la verità che si scorge, j
insomma, quando la cerchiamo con la buona
volontà, col cuore puro, mettendo tutto l’es¬
sere nostro, sinceramente, ingenuamente nella
ricerca; e che non è più, quindi, un che di
IL MEDIO EVO
17
esterno a noi, che si presenti e s’imponga a
noi passivi, ma è il premio o il risultato del
nostro sforzo. L’uomo non è più spettatore;
ma artefice. Si desta, e sente se stesso; sente
che senza la sua volontà, senza il suo co¬
nato, senza lui, il mondo che ha valore per
lui, la felicità, la vita, Dio, non si raggiunge.
Acquista quindi davvero la coscienza della
sua personalità, e però della sua responsa¬
bilità: poiché vede che da sè dipende tutto;
e, lui caduto, tutto cade; e lui risorto, tutto
risorge. L’uomo trova dunque se stesso nel
cristianesimo.
Se questa intuizione fosse divenuta sen¬
z’altro concetto complessivo ed organico del
mondo, se questo senso nuovo del valore
dello spirito umano avesse rinnovato tutta la
concezione della vita, in cui l’uomo afferma
la sua creatrice potenza, se insomma il con-
. tenuto della nuova fede fosse assurto al vi¬
gore di una nuova filosofia, il cristianesimo
avrebbe segnato fin da principio la morte
dell’intellettualismo. Ma la fede non è ancora
filosofia: è visione immediata della verità non
integrata in sistema di pensiero. E il cri¬
stiano, quando volle pensare il suo Dio,
pensò più a Dio padre che a Dio figlio, e
G. Gentile, Bernardino Te lesto.
2
l8
BERNARDINO TELESIO
s’impigliò nella rete della metafisica aristo
telica che il principio della realtà, come mo¬
tore immobile, che è solo pensiero di se
stesso, e non d’altro, faceva estraneo alla
realtà, e poi s’affaticava invano a colmare
l’abisso tra Dio e la natura; tra la causa del
movimento, che non è movimento, e il mo¬
vimento, che non ha in sè la propria ragione
sufficiente; e quindi tra il principio del di¬
venire, che non diviene, e la natura che in
se non ha la cagione del suo perenne ge¬
nerarsi e corrompersi; e poi tra l’anima e
il corpo; e poi ancora tra l’anima che in¬
tende, ed è lo stesso intendimento in atto,
e 1 anima naturale solo capace di raggiun¬
gere la mera possibilità d’intendere, ma in¬
capace per sè d'intendere mai realmente: e,'
in generale, tra la materia, potenza, e non
più che potenza, di tutto, e la forma, realiz¬
zazione di tutto: come dire, tra l’aspirazione
alla vita e la vita: eterno destino di Tantalo!
Aristotelici o platonici, nominalisti o realisti,
averroisti o tomisti, tutti i cristiani che nel
medio evo si sono sforzati di concepire la
realtà, sono giunti a questo risultato: al de¬
stino di lantalo. Tanto più doloroso, tanto
più inquietante, in quanto era pur contenuto
IL MEDIO EVO
19
nella fede novella, che fiammeggiava a quando
a quando nei mistici, il concetto dell’imma¬
nenza di Dio nel mondo, nell’uomo, nello
spirito. La teologia, tutta la filosofia scola¬
stica, anzi tutta la scienza medievale (che non
è tutta filosofia) si costruisce come scienza di
una verità che si sente, appena il sentimento
si sveglia (basti per tutti ricordare Francesco
d'Assisi e Jacopone, il suo poeta), che si
sente, dico, estranea all’anima, lontana, oc¬
cupante per vano riflesso solo l’intelletto del¬
l'uomo, speculazione umbratile e di scuola,
che non entra nell’ intimo e non afferra e
non impegna e non riforma e non fa l’uomo.
Scienza vana per chi ravvivava in sé il senti¬
mento tutto cristiano del valore spirituale:
scienza elegante nel suo laborioso artifizio,
sottile nella pellegrinità de’ suoi tecnicismi,
delicatissima nei pazienti avvolgimenti dida¬
scalici in cui si dispiega, vasta, universale
come un mondo per quanti vi si dedicavano:
e, messovi dentro, talvolta, un intelletto di
vasto respiro e di tempra ferrea, vi si ag¬
giravano e scendevano per meati lunghis¬
simi, con ricerche, che ora ci spaventano per
la fatica di pensiero e la forza di sacrifizio
che attestano, fino a toccare l’ultimo fondo
20
BERNARDINO TEI.ESIO
delle difficoltà, in cui la filosofia antica urta
e si arresta. E basti per tutti ricordare il no¬
stro Tommaso d’Aquino: i cui sforzi possenti
per scuotersi di dosso la plumbea cappa delle
conseguenze ineluttabili dell’antica filosofia,
riempiono l’animo dello studioso moderno
di commossa ammirazione e di reverenza.
Chi vuole intendere la storia del pensiero
medievale, deve figgere lo sguardo in questo
contrasto delle maggiori forze spirituali che
vi operavano dentro: il misticismo, che, affer¬
mando immediatamente la presenza di Dio,
della verità, di quanto ha valore, nello spi¬
rito umano, nega la scienza, la cognizione
che è sviluppo e sistema, e tutte le forme
a cui lo sviluppo dello spirito dà luogo nella
scienza e nella vita; e la filosofia intellettua*
listica, che, presupponendo una realtà fuori
dello spirito che la ricerca, si affanna in una
costruzione, formalmente ricchissima e so¬
stanzialmente vuota, di quel che non può
essere verità.
O verità senza scienza, senza vita dello
spirito; — o scienza, forma elevatissima di
questa vita, senza verità, vana.
UMANESIMO E RINASCIMENTO
2 1
II
Quando il medio evo è al tramonto, un
uomo di genio raccoglie in una espressione
eloquente il senso di vuoto che l’anima cri¬
stiana provava nella scienza delle scuole: ma
un senso, che non è più schietta conseguenza
di disposizione mistica, la quale, rinunciando
alla scienza, possa trovare il suo appaga¬
mento nell’immediatezza della fede; anzi, un
senso che nasce da un vivo bisogno di sapere,
di pensare, d’intendere. Egli è un dotto, un
grande maestro di dottrina, un amante ap¬
passionato della scienza; ma aspira dal pro¬
fondo a una scienza che riempia l’anima e
appaghi i bisogni che la nuova fede ha creati
dando all'uomo la coscienza della sua inizia¬
tiva, della sua posizione centrale nel mondo:
a una scienza insomma che dia la filosofia
a questa fede. Quest’uomo, che si presenta
sulla soglia del rinascimento con la coscienza
di tale nuovo problema, e che, parlando un
linguaggio pieno di malinconica nostalgia
per un tempo che non è il suo, avvia per
una nuova strada lo spirito umano, svegliando
22
BERNARDINO TELESIO
intorno e innanzi a sè una lunga schiera e*
folta di ricercatori, che indagano con fedel
oscura ma salda una scienza nuova, che noni
essi potranno trovare, è un grande poeta,!
che fu anche un grande scrutatore deH’anima
propria colta e sensibilissima, I'rancesco le
trarca: iniziatore deH’umanesimo 2 ).
L’umanesimo ha un doppio valore storico
negativo e positivo.
È guerra alla scienza del medio evo, —
combattuta bensì con argomenti alquanto
estrinseci e con spirito assolutamente restio
per lo più, a passare attraverso a quelli
scienza per superarla: — combattuta con 1;
satira della forma letteraria, ispida, irsuta
lutulenta, aspra di terminologia creata dal
l’intelletto assottigliantesi nell’astrazione <
nella conseguente escogitazione di entità lit
tizie; alla quale si contrappone la purezz;
translucida e composta dell’arte antica prò
pria di uno spirito più ingenuo, meno affi
ticato dalla concentrazione di un contenuti
speculativo divenuto poi insufficiente alle in¬
tuizioni fondamentali del pensiero: — e co
battuta con la dimostrazione sempre facond
efficace, insinuante del vuoto, che c era sotti
il tecnicismo difficile di quella pretesa scienza
UMANESIMO E RINASCIMENTO
23
£ poiché quando la vita è sullo spegnersi,
anche la causa più piccola basta a portare
alla morte, nella civiltà viva del secolo xv,
in quella che progredisce e prepara le for-
nie ulteriori del pensiero umano, l’umane¬
simo, pur coi difetti della sua polemica, cac¬
cia di nido la scolastica. Restano le scuole
dei frati; come restano anche oggi. Si con¬
tinua a filosofare all’antica; ma è una filo¬
sofia morta, allora come ora; non c’è più un
Tommaso d’Aquino nè un Duns Scoto. Co¬
mincia l’era dei commentatori, che fossiliz¬
zano per conto loro lo spirito, che è vita
sempre nuova. E la vita è negli umanisti.
Quindi il lato positivo del loro valore sto¬
rico. L’umanesimo è filologia; ma filologia
seria, che rivive il mondo umano che vuol
conoscere: lo rivive nella fantasia e nel pen¬
siero, ma con una fantasia e con un pensiero,
che s’estraniano dal mondo circostante e si
chiudono in se stessi. Gli umanisti perciò,
rifacendosi antichi nel mondo degli studi in
cui si ritirano, possono acconciarsi alle for¬
me della vita esteriore, a cui non attribui¬
scono nessun valore. Tutta la vita reale e
storica non tocca l’animo loro: è qualche
cosa di indifferente, che si può accettare quindi
24
BERNARDINO TELESIO
qual’ è, senza critica di sorta. L’uomo, ora
per la prima volta, si spezza in due, con una
scissura, che, passato questo periodo nece»
sario di liberazione dal medio evo, non si
ristaurerà a un tratto; e in Italia, che fu la
patria degli umanisti, ossia dei primi maestri
dei primi risvegliatori dell’Europa moderna
resterà tristo legato di quell’epoca gloriosa
piaga secolare del nostro carattere spirituale
e forse il simbolo più significativo della no,
stra decadenza 3 ).
L’umanista è il primo letterato dell’eti
moderna: il letterato, il cui mondo vero è>
quello degli studi, e quell’altro, in cui purj
vive come uomo, che ha famiglia e interess
sociali, non è il suo mondo; il letterato in^
somma che non è uomo. Tale il Petrarca, i
cui sdegni contro l’avara Babilonia e il saluto
augurale ed ammonitore allo spirito gentile
sono superfetazioni retoriche della sua poe?
sia. Tale non era stato quell'Alighieri, che
fu a lui sempre incomprensibile, nel poemi
divino, contemplazione e poesia, ma di uno
spirito energico, che guarda al suo tempo,
e s’appassiona per tutte le lotte che gli si
agitano attorno, e fa tuonare da Dio la parola
che può essere la salute di tutti. Letterati
UMANESIMO E RINASCIMENTO
saranno tutti i poeti e filosofi della Italia fio¬
rentissima del rinascimento, che accetteranno
tutti la vita quale la troveranno, poiché la
loro vera vita essi se la faranno dentro, nella
fantasia e nella speculazione, nel mondo creato
da loro. La stessa religione, fissatasi al loro
sguardo nella Chiesa, che non solo associa le
anime, ma le forma e riforma, con l’ammini¬
strazione del divino commessole, con la sua
teologia e con la sua filosofia, diventa per loro
qualche cosa di estrinseco e indifferente, che
ogni cittadino nel suo paese deve accettare
come le leggi dello Stato. Cioè, in realtà, essi
non partecipano alla religione del paese; ma
ne hanno una per conto loro, il loro Dio è la
loro arte, la loro filosofia, alle quali votano tutta
infatti l’anima loro e subordinano ogni altro
interesse, almeno nell’intimo del loro spirito.
Non è, veramente, nè indifferentismo re¬
ligioso, nè tanto meno ateismo. Ma ateismo
pare verso la religiosità ufficiale di cui si
ridono, ancorché esteriormente le professino
ogni riguardo. Quindi i conflitti frequenti e
le prigioni e i roghi, che aspettano i nostri
filosofi del secolo xvi.
Il letterato, a ogni modo, stralciandosi
dalla vita comune, in cui si era consolidata,
26
BERNARDINO TE DESIO
in forma di instituzioni costrittive dell’indi¬
viduo, l'intuizione trascendente e intellettua¬
listica del medio evo, ereditata dalla filosofia
greca, ristaurava, come poteva, la libertà
dello spirito che si fa il suo mondo; e si fa
un mondo di puro pensiero, poiché non gli è
consentito di scrollare, d’un tratto, quell’altro
della comunità sociale; al quale per altro, a
suo tempo, perverrà egualmente quando il
principio suo, il principio della libertà, di¬
verrà nel secolo xvm coscienza di tutti. E
per questa sua ristaurazione, che è perfetta
ed assoluta rispetto al mondo dell’umanista,
egli, il malvisto della Chiesa, il perseguitato
nei libri che saranno proibiti, nell’insegna¬
mento che sarà vietato, nella persona' che
sarà bruciata, egli è più cristiano dei suoi
persecutori: egli è il continuatore dello spi¬
rito vero del cristianesimo. Ha infranta e
buttata via, con l’impeto. • della giovinezza,
la vecchia filosofia, la fida, l’eterna alleata
della chiesa medievale, come della chiesa
di oggi e di ogni chiesa avvenire (poiché un
medio evo bisogna che ci sia sempre); ma
non si è abbandonato, come si faceva una
volta, al misticismo; anzi celebra la potenza
dello spirito; e, poiché una filosofia sua non
UMANESIMO E RINASCIMENTO
27
ce rha (e non era facile averla, dopo il ri¬
fiuto di una filosofia opera millenaria), ei la
ricerca nell’antichità più remota. La ricerca
dove, a dir vero, era vano cercarla; perchè
quell’antichità aveva generato il medio evo;
ma l’umanista non sa questo, e non può cre¬
dere che Platone, Aristotile, quei maestri
solenni di sapienza umana, che gli scrittori
antichi a una voce lodano, possono avere in¬
sertato la dottrina di cui essi vedono la tar¬
diva e sfigurata immagine nelle scuole del
loro tempo. E poiché, in realtà, noi troviamo
solo quello che cerchiamo, gli umanisti, che
imparano il greco, e vanno a leggere nei
testi originali e traducono e commentano, col
sussidio dei più genuini commenti greci,
gli scritti di Platone ed Aristotile, scoprono
un mondo nuovo; un altro Platone e un
altro Aristotile da quelli che erano i maestri
della filosofia del medio evo; non dico di
quella filosofia, ansimante nella logica termi-
nistica degli occamisti, che sul cadere del 300
lacerava le orecchie delicate dei primi uma¬
nisti fiorentini, i quali avviarono pure i lavori
delle nuove traduzioni greche (chè codesta
è la filosofia della decadenza medioevale);
ma di quella che e la vera, la essenziale
28
bernardino telesio
filosofia dell epoca: la filosofia della trascen¬
denza e dell’intellettualismo. E non occorre
dire che, se essi non trovano più i maestri
di questa filosofia, è perchè muovono da una
condizione spirituale affatto nuova, che fa di
questo ritorno all’antico, che avviene nel 400, '
qualcosa di radicalmente diverso non solo
dalla primitiva ellenizzazione del cristiane¬
simo nel periodo alessandrino, ma anche, e
sopra tutto, da quel primo ritorno alle fonti I
greche del sapere, che era già avvenuto nel
secolo xm, nel tempo stesso di San Tom- I
maso.
Marsilio Ticino e Pico della Mirandola, in j
cui culmina la direzione platonizzante, sono j
platonici; ma sono profondamente cristiani; 1
e un aura di mistica religiosità pervade tutto 1
il loro pensiero, che vede e sente Dio per ]
tutto, e sommamente nell’anima umana; e, |
ispirandosi ai neoplatonici anzi che a Pia- J
tone, accentuano più della trascendenza, che ]
non possono negare, l’immanenza del divino I
nella realtà naturale e aspirante a ritornare ]
all Uno da cui trae sua origine: e aprono la 1
via a Leone Ebreo e a Giordano Bruno.
Pietro Pomponazzi, il maggiore aristote- 1
fico, fiorito al principio del 500 dal movimento ]
UMANESIMO E RINASCIMENTO
29
filologico sui testi di Aristotile del secolo
antecedente, scopre un Aristotile, che non è
più quello dei tomisti, nè quello degli aver-
roisti: un Aristotile che, a poco per volta,
secondo apparisce dai varii gradi attraversati
dalla speculazione stessa del Pomponazzi,
finisce col persuadersi che la materia si possa
sollevare da sè fino all’intelligenza, senza il
sussidio dell’intelletto separato; e che l’anima
umana, ultimo risultato così del processo della
natura, possa compiere in questo mondo, con
le sue forze, tutta la sua missione, che è
principalmente il ben fare, la virtù; e che
tutti poi i fatti della natura debbano pel filo¬
sofo spiegarsi meccanicamente, per le loro
cause: un Aristotile, insomma, per cui quel
che rimane di trascendente (e rimane tutto
quello che nell’Aristotile originale e nell’Ari-
stotile medievale, ossia nella scolastica, era
tale) non serve più alla ricostruzione e spie¬
gazione della realtà che sola è per il filo¬
sofo. Sicché la filologia del secolo xv riesce,
ricalcando gli antichi modelli con lo spirito
nuovo dell’umanesimo, a cavarne due intui¬
zioni generali, in cui la filosofia greca riap¬
parisce trasfigurata e come ricreata dal soffio
spirituale del cristianesimo, inteso, come ho
BERNARDINO TEI.ESIO
detto, quale autonomia e valore assoluto
della natura e dell’uomo. La nuova filo¬
sofia infatti dicesi platonica e aristotelica $
ed è cristiana, ancorché mal veduta e con-]
dannata dai rappresentanti ufficiali del cri-^
stianesimo.
Guardatela in Machiavelli, contemporaneo
di Pomponazzi e coerede suo della tradii
zione filologica del secolo xv: chè tutto il
suo realismo politico, quella concezione dello ^
spirito, della storia, dello Stato, tutta fon¬
data sulla visione della realtà effettuale e I
illuminata dalla lezione degli antichi, non è I
come il positivismo guicciardiniano un empi- I
rismo, ma è una vera e propria speculazione I
(Machiavelli è un idealista); la quale dello I
studio degli antichi si giova solo per libe- I
rare l’uomo dalle contingenze storiche, quali I
sono per lei tutte le forme e istituzioni me-j I
dievali sorrette dalla autorità di una tra- I
dizione irrazionale; e studiarlo quindi per I
quel che esso è, nelle sue forze e nelle sue I
reali attinenze col resto del mondo, come il I
vero ed unico autore della sua storia: una J
specie di naturalismo del mondo umano.
Guardate, dico, questa nuova filosofia nel I
Machiavelli. Machiavellismo sarà dopo un I
UMANESIMO E RINASCIMENTO
31
secolo, nel Campanella, sinonimo di « achito-
fellismo », negazione di ogni fede religiosa,
p l’achitofellismo, più o meno apertamente
e coraggiosamente, è la conclusione defini¬
tiva e il succo delle dottrine di tutti i pen¬
satori del 500: anzi, di tutto lo spirito italiano
del secolo: a cui l’interpretazione aristotelica
si ispira e si conforma. Giacché averroisti
e alessandristi, per diverse vie, tendono tutti
alla stessa mèta: che è la spiegazione natu¬
rale di quel che una volta pareva superiore
affatto alla natura; e gli artisti, si chiamino
Ariosto o Folengo, non conoscono altro
inondo, oltre quello naturale ed umano.
Ma negavano perciò Dio? Se Dio è quel
Dio, che, stando fuori della natura e del¬
l’uomo, rende impossibile concepire una na¬
tura divina e un uomo divino, Dio essi lo
negavano, perchè affermavano il valore as¬
soluto della natura e deH’uomo. Ma quel Dio,
che era sceso in terra, e si era fatto uomo,
e aveva redento la natura, era la radice della
religione, che, essi primi, dopo il lungo vano
travaglio medievale, ristauravano nella storia
della umanità.
Essi, infatti, per la prima volta, rivendi¬
cavano in libertà, dal misticismo e dall’ in-
32
BERNARDINO TELESIO
tellettiialismo, che ne sono per opposte ra-,
gioni la oppressione aduggiatrice, il sensi
profondo, proprio del cristianesimo, dellaI
divinità della vita che crea eternamente sj
stessa, dell essere che nella propria logica
ha eternamente la ragione del proprio traJ
formarsi e perpetuarsi trasformandosi.
Quando l’umanesimo venne per tal modo
in chi prima e in chi dopo, alla maturiti
della rinascenza, lo spirito umano potè met¬
tere quasi 1 anelito potente di una nuova;
vita, e di filologia farsi filosofia. Quando il
nuovo Platone e il nuovo Aristotile ridie¬
dero all’uomo la coscienza dell’immanente
suo valore, e l’ebbero allenato alla libertà
dell esser suo, e dell’essere naturale, cui il
suo essere appartiene, lo stesso Platone e
lo stesso Aristotile, (questi sopra tutto, che
era stato il vero signore delle scuole e il
maestro di ogni umana sapienza) dovevano
necessariamente perdere il loro prestigio di
rivelatori privilegiati delle verità naturali.]
L umanista e ancora un platonico o un
aristotelico; cerca la scienza; e non sa nè
anche come deve cercarla; e interroga gli]
antichi, che la tradizione e la fama consacra
nella generale estimazione come i soli filosofi.
UMANESIMO E RINASCIMENTO
33
il fil° s °f° c l e H a rinascenza da questi
ntichi, meglio conosciuti e studiati con lo
spirito nuovo dell’umanesimo, ha appreso
he la natura si spiega con la natura, la
toria con la storia; e che bisogna cercare
quindi nel gran libro della natura e della
realtà effettuale dei fatti umani che cosa è
la natura e che cosa è l’uomo. Gli antichi
maestri rimandavano i nuovi scolari all’os¬
servazione diretta di quel che essi avevano
osservato e inteso come era possibile a loro,
senza nessun sentore della imprescindibile
presenza del soggetto umano nel mondo del¬
l'uomo. La libertà, che gli scolari appresero
da loro, quali essi li videro coi loro occhi
nuovi, la libertà essi la affermarono ben pre¬
sto contro l’autorità dei maestri, che faceva
della verità qualche cosa di dato e di estrin¬
seco alla mente come il Dio nascosto della
teologia, come la realtà dell’intellettualismo.
E però gli umanisti, divenuti filosofi, come
parvero, e in un certo senso furono, atei e
achitofellisti, furono antiaristotelici e, in ge¬
nerale, ribelli all’autorità degli antichi. Tutti
invasi da un fantasma affatto nuovo, non in-
travvisto mai dagli antichi scrittori: quello
34
BERNARDINO TEEESIO
in cui i vecchi pensatori e sacerdoti l’avj
vano posta a sedere, quasi paralitica impoJ
tente: e si sgranchisce, e procede col tempo!
e vive di questo suo cammino pei secoli '
anzi per le menti delle generazioni, che si
succedono, e mai indarno: quasi fiamma che]
passi da una mano all’altra e mai non sii
spenga perchè accenda sempre nuovi incendiiJ
e sempre più vasti.
/ eritas jilia temporis! Gli uomini, che peri
lo innanzi avevano concepito la verità cornei
pei se stante e non come il loro lavoro, I
l’avevan sempre collocata dietro a loro', al
principio della loro vita, nel paradiso ter- ]
restie, nell età dell oro, nel vangelo rinnoJ
vatore e iniziatore di un’era nuova già fin
da principio perfetta, o, almeno (la verità acJ
cessibile a mente umana) nell’insegnamento
degli antichi, venuti crescendo perciò sempre ]
più nella venerazione dell’universale e illuni!
nandosi dell’aureola della saggezza, onde agli t
occhi dei fanciulli si ricinge sempre la canizie ,
dei vegliardi. — Sì, è vero, si comincia a dire I
sulla fine del secolo xvi : la sapienza cresci
cogli anni ; ma i vecchi siamo noi, non quelli
che furono prima di noi. — Così dice Bruno; ;
e così ripeteranno Bacone e Cartesio, Pascali
UMANESIMO E RINASCIMENTO
35
Malebranche, e poi con voce sempre più alta
tutti i filosofi moderni 4 ). I quali afferme¬
ranno con coscienza sempre più salda la
] e <Tcre del progresso del sapere e della ve¬
rità: ossia il valore serio, divino della storia,
come sviluppo, che è incremento continuo
della realtà. Onde i vegliardi di una volta
si trasfigurano in fanciulli; e i già fanciulli,
usciti di minorità, e abbandonato alla scuola
dei pedanti (come allora cominciarono a
dirsi) il culto degli antichi, acquistano il giu¬
sto orgoglio degli uomini fatti, e la coscienza
della propria capacità di concorrere al pro¬
gresso della scienza.
Che anzi questa uscita di minorità, nella
sua primitiva e ovvia forma di reazione al
lungo servaggio passato, scoppia come ribel¬
lione, e si ricompone tardi e lentamente a
equo giudizio storico delle benemerenze in¬
contestabili degli antichi. Così, se una volta,
come notava nel secolo xri Giovanni di Sa-
lisbury, Aristotile era stato il filosofo per
antonomasia 5 ), e nessuno si scandalezzava
della fanatica iperbole di Averroè che Ari¬
stotile fosse stato « la norma della natura e
quasi un modello, ond’essa avesse cercato di
esprimere il tipo dell’umana percezione 6 ) » ;
36
BERNARDINO TE DESIO
nel cinquecento continua bensì nelle grandi
edizioni di tutti i suoi scritti, voltati in latino
e commentati in uso delle tante scuole,
dove rimaneva sempre il solo testo di studio,
continua egli a godere il titolo pomjjoso di
princeps philosophorum\ e la chiesa cattolica
a lui, come a patrono invincibile della sua
dottrina, sempre valido alla repressione di
ogni libero tentativo di riscossa, si tiene]
sempre strettissima; onde ancora nel 1615
Federico Cesi badava ad avvertire il suoi
grande Galileo che a Roma « li contrari ad ,
A.i istotile sono odiatissimi ") ». Ma lungo ]
tutto il 500 è una polemica incessante pri-J
ma contro gli aristotelici, e poi contro Ari- I
stotile, preparatrice del rinnovamento baco-1
niano.
Ricorderò Mario Nizzoli (1488-1566) che |
nel suo Antibarbarus philosophìcus (1553)*
non dubita di affermare che chi si mette I
sulle orme di Aristotele, non potrà mai nec ]
recte phìlosophari nec perfecte veritatem inveM
nire. Sì, raccomanda la lettura delle opere J
aristoteliche; ma cu/n diligenti consì defaticine 1
atcjue iudicio ; ne pregia alcune; ma nella |
maggior parte della Fisica, in non pochi ]
punti della Metafisica e in tutta la Logica 1
UMANESIMO E RINASCIMENTO
37
trova cose false, o inutili, e fin ridicole. A lui
si può applicare, secondo il Nizzoli, il pro¬
verbio: Ubi bene, nikil melius : ubi male,
nihil peius 8 ). E in tutte le sue critiche con¬
tro Aristotile uno studioso inglese di Ba¬
cone 9 ) nota quell’impazienza e queU’asprezza,
che son solite negli scritti del Cancelliere
inglese. E basti vedere le due avvertenze,
che il Nizzoli, alla fine del suo libro, pro¬
pone d’imparare a memoria, chi voglia ret¬
tamente filosofare. La seconda delle quali,
nello stesso latino dell’Antibarbaro, suona:
Quamdiu in scholis philosophoi'um regnabit
Arìstoteles iste dialecticus et meiaphysicus, tam-
diit in eis et falsitatem et barbariem, si... non
linguae et oris, at certe pectoris et cordis re-
gnaturam.
Ricorderò il francese Pietro Ramo (nato
nel 15156 morto nel '72, la notte di San Bar-
tolommeo): il quale con le sue Animadver-
siones in dialecticam Aristotelis ( 1545) avrebbe
mostrato, secondo il Bruno IO ), molto eloquen¬
temente di esser poco savio; ma creò ad ogni
modo una scuola di logica nuova, esercitando
una grande efficacia anche fuori della Francia,
al suo tempo. Costui, secondo un suo bio¬
grafo, si laureò dottore d’arti a Parigi con
38
BERNARDINO TELESIO
una tesi: Quaecumque ab Aristotele dieta essent, \
commentitia esse-, fittizio, falso ogni detto di
Aristotele. Tanta fu la virulenza della sua pc
lemica contro la logica dell’antico, che il
Ramo dice non hosiem humani iudicii, sed tor\
torem ' carnificemque, da movere a sdegno i
più spregiudicati tra i moderni.
Ili
I pensatori, adunque, intorno alla metà
del sec. xvi cominciano a proporsi con intera
libertà di spirito i problemi filosofici: libertà
da preoccupazioni trascendenti e da pregiu¬
dizi di tradizione. E tra questi pensatori eccc
sorgere e grandeggiare, come il rappresen¬
tante più cospicuo della tendenza nuova, il
primo che costruisca tutta una filosofia dal
nuovo punto di vista conquistato dal rina¬
scimento, l’annunziatore del nuovo giorno,
Bernardino Telesio.
Egli incarna il tipo del filosofo letterato,
continuatore della tradizione filologica del-
l’umanismo: del filosofo, il cui mondo vere
è quello del pensiero, e l’altro non lo tocca:
che si chiude nella sua filosofia e si estrania
VITA E SCRITTI DEL TELESIO
39
111 realtà storica, che non è più vista da
f • che diviene pertanto inafferrabile alla
lui. e 1 -Il
u a filosofia, cui pure, come a scienza del
tutto, nulla dovrebbe sfuggire.
La vita di Telesio “) si racconta in poche
arole, quando si astragga dal processo del
suo pensiero, perchè è appunto la vita di
uomo, che vive tutto chiuso in se stesso;
e se vi giunge il rumore fioco del mondo
che si agita attorno al filosofo, è, tutt’al più,
il saluto benevolo degli amici, facili a chi,
non contrastando altrui nessun bene mon¬
dano, non si toglie per sè se non quello,
che, anche partecipato, non si scema; o è il
consenso o il dissenso degli studiosi, che con
lui si sequestrano dalla vita comune; o è il
malinconico ricordo della famiglia e degli
affetti e interessi domestici, che, trascurati,
diventano fonte perenne di affanni e impe¬
dimenti dolorosi al pensiero dominante del
filosofo, assediato sempre dalla immagine
raggiante di quella donna bellissima, che Ber¬
nardino amava di riprodurre sul frontespizio
dei suoi libri: tutta nuda, nel verde piano,
lungi dalle città dei mortali, le braccia aperte
aspettanti, illuminata il petto e la fronte dal
sole; e intorno il motto appassionato: ji-dva
40
BERNARDINO TELESIO
[xol »i'Xa, « sola a me cara »: la divina Verità
di cui Giordano Bruno canterà che nuda 1
de loto iaculatur corpore lucem ”);
e per la quale egli, il Telesio, nella tarda
età, raccogliendo nella sua opera maggior^
il frutto di una lunga vita a lei consacrata,
si scusava dell’audacia del suo dissentire da
Aristotele, interprete sommo, anche a suo
giudizio, della natura, ammonendo i proni
aristotelici del suo tempo, che si ricordassero i
di quel che il maestro aveva detto, o imi¬
tassero quel che aveva fatto. « Giacché Ari¬
stotile stesso vuole, che in filosofia innanzi
a tutti gli amici si onori la verità, in grazia
della quale ei non teme riprendere anche il
suo maestro ed amico. E mossi dall’amore di
essa sola, per certo, ed essa sola venerando,
noi, non sapendo acquetarci a quel che ave¬
vano insegnato gli antichi, a lungo abbiamo
scrutato la natura; e, se non c’ inganniamo;!
scopertala, l’abbiamo voluta svelare ai mor¬
tali, stimando non essere nè da uomo probo,
nè libero, occultarla al genere umano per
invidia o per tema dell’altrui invidia n ) ».
Essa sola! Fuori di questo mondo, adun¬
que, in cui egli raccoglie e critica la tradizione
VITA E SCRITTI DEL TELESIO
-H
antica e scruta da capo la natura, finché
non gli paia di scoprirne il segreto, e que¬
sto, da ultimo, si accinge a comunicare agli
altri, è vano cercare il Telesio: potete tro¬
vare un’ombra, non la persona viva. Egli è
tutto lì, nei suoi libri. Nei quali c’è bensì
un punto, che fermò già Bacone * 4 ), ma che
è sfuggito, credo, a tutti i biografi, anche
al sagace e diligentissimo Bartelli, che mi
piace nominare subito a titolo di onore, e
a sdebitarmi qui della riconoscenza che tutti
gli debbono gli studiosi del Telesio: un punto,
che è come uno spiracolo aperto in cotesto
mondo intellettuale; e attraverso di esso tra¬
sparisce vagamente qualche cosa della vita
privata dell’uomo. A proposito di certa in¬
dagine sperimentale intorno all’azione del
calore in ragione della sua quantità — in¬
dagine che il Telesio, per conto suo, ritiene
impossibile — egli esce in queste parole:
« Così vi riuscissero altri, dotati d’ingegno
più perspicace e che abbiano modo di stu¬
diare la natura con tutta tranquillità, sì da
diventare, nonché onniscienti, onnipotenti.
A noi, per confessarlo ingenuamente, d’inge¬
gno più grosso, e a cui filosofare non è stato
possibile, se non negli ultimi anni della vita
42
BERNARDINO TERESIO
(extremum vitae spatium ), e tutt’altro die li¬
beri da noie e da affanni, anzi gittati nelle
maggiori angustie e nei guai più gravi dalla
scelleratezza e inaudita crudeltà di coloro,
dai quali avremmo dovuto più essere amati, 1
onorati e favoriti, è abbastanza se possiamo
scorgere qual calore e quanto conferisca una
data disposizione a una data mole mate-!
riale » ,5 ). E accenni simili, in verità, a preoc¬
cupazioni e cure personali, e infine al dolore
acerbo, onde nel 1576 fu colpito il cuore !
del filosofo già declinante a vecchiaia pel
truce assassinio del suo giovinetto Prospero,
il primogenito, si ripetono nelle prefazioni
sue e d’un suo fido scolaro ai suoi libri: ma
suonano appunto tutti come lamenti di un
destino maligno, che turbò la vita serena,
che Bernardino avrebbe voluto vivere, rac¬
colto nella meditazione delle sue idee.
Bernardino fu il primo dei sette figli di
Giovanni e di Francesca Garofalo. Dei quali
il secondo, V alerio, fu barone di Castelfranco
e Cerisano, e non solo mantenne, ma ac¬
crebbe le avite ricchezze; e certo pensò più
a far danari, che a farsi amare, se nel 1567
i vassalli lo denunziavano al governo vice¬
regio per luterano; e, non essendo riusciti
VITA E SCRITTI DEL TELESIO
43
er questa via a toglierselo di dosso, dodici
anni dopo, cresciuto il malcontento, lo am-
azzavano. Paolo e Tommaso furono invece
ecclesiastici modesti e caritatevoli : Tommaso,
vescovo di Cosenza dal 1565 al 69, profuse
il suo a beneficio dei poveri ; e aiutò il fra¬
tello Bernardino, lontano il più del tempo da
Cosenza e distratto, com’era naturale, negli
studi, a precipitare anche lui in povertà.
Bernardino, nato nel 1509, in una casa
t li Via Padolisi, di fronte al monastero delle
Verdini, dove il ricercatore dei ricordi patrii
può scorgerne tuttavia qualche rudere; si
allontanò fanciullo da Cosenza, seguendo lo
zio Antonio, umanista dottissimo in latinità
e maestro assai valente di lettere. E con lui
era a Milano già nel 1518. Da lui dovette
apprendere non solo il latino, che egli, pur
contorcendolo al faticoso periodo della più
tarda scolastica, maneggia con sicura padro¬
nanza del materiale linguistico più puro; ma
anche il greco, poiché egli stesso afferma di
avere studiato la filosofia aristotelica più sui
testi originali che sulle traduzioni latine, il
cui gergo gli riusciva incomprensibile l6 ).
Con lo zio chiamato a insegnare nel gin¬
nasio romano, passava a Roma forse sulla
44
BERNARDINO TELESIO
fine del ’2i, certo prima del '23. E vi era nel
celebre sacco di quattro anni dopo; anzi fi,]
fatto prigione, e potè essere liberato dop 0 |
due mesi a intercessione del concittadino Beri
nardino Martirano, segretario di Filiberto
d Grange I7 ). Onde, poco stante, avendo lo zio I
avuto un insegnamento a Venezia, egli s j
recò a Padova, per continuare lì e compiere
la sua istruzione; e parecchi anni vi stette, 1
attendendo presso quello studio, allora tra
1 più celebri e frequentati di tutta Europa e
centro principale dell’aristotelismo, alla ma-,
tematica, all ottica (in cui si dice che facesse!
osservazioni nuove mirabili) e sopra tutto alla
filosofia. Quando ne sia venuto via, lo igno-1
riamo. E le congetture desunte dalla crono- j
logia dei Papi, che secondo il suo antico bio¬
grafo, il cosentino Giovanni Paolo d’Aquino,
ebbero in grande stima il filosofo, e che
sarebbero poi stati tutti quelli che pontifica¬
rono dalla giovinezza alla morte del Telesio,
sono prive di ogni ragionevole fondamento.
Ma lo stesso D’Aquino, che lesse il suo ■
elogio nell’Accademia Cosentina, poco dopo]
la molte del filosofo, di cui fu amico e potè ]
conoscere minutamente i casi, ci racconta che I
Bernardino, «per poter meglio investigare il
VITA E SCRITTI DEL TELESIO
45
ecre ti della natura, per molti anni si dis¬
giunse dalla frequenza degli uomini, e sè
liberò da ogni altro pensiero, e lasciò la
patria, i parenti, gli amici, e si raccolse in
u n monastero di frati di San Benedetto e ivi
abitò ,s ) » : molto probabilmente nella Gran-
cia di Seminara I9 ). Il che dovette accadere
poco dopo il ritorno da Padova, e qualche
anno prima del '40. Perchè durante questi
molti anni di raccoglimento e di studi sap¬
piamo da lui stesso che egli non scrisse mai
nulla 20 )‘, e solo ripigliò la penna quando si
credette arrivato in porto, e in possesso della
verità già faticosamente ma invano cercata
nei libri di Aristotile, e poi lungamente in¬
dagata nella stessa natura al lume di nuovi
principii balenatigli a un tratto alla mente.
E sappiamo che a scrivere cominciò, quando
aveva lasciato Seminara, a Napoli, ospite dei
Carafa, duchi di Nocera. E doveva aver co¬
minciato prima del '47, se il vescovo di Fano,
Ippolito Capilupi, potè dare al re Francesco I
la lieta novella che il giogo di Aristotile pre¬
sto sarebbe stato scosso, e che un italiano
« aveva cominciato a scrivere » contro la sua
dottrina. Di che si sarebbe rallegrato il Re,
e avrebbe detto al Capilupi: « Io prometto
46
BERNARDINO TELESIO
che, se costui fa quel che dice, io sono p er
dargli diecimila fiorini in entrata » 2I ).
Lasciata dunque Padova con la sconten¬
tezza nell’animo verso l’antica scienza che
durante gli stessi studi universitari, gli dovè
apparire, quale sempre la giudicò nei suoi
scritti, oscurissima, il suo pensiero si maturò
intorno al 1540 nella solitudine del chiostro.
Passato a Napoli, nella conversazione degli
ò "|
studiosi ebbe occasione e stimolo a dar corpo
e sistema alle proprie idee: e allora abbozzò
i nove libri della sua maggiore opera De re~
rum natura e alcuni opuscoli su questioni
varie di filosofia naturale: poiché gli uni e
gli altri diceva di aver pronti da un pezzo
nel 1565, quando pubblicò un primo saggio
del De rerum natura 22 ).
Nel ’55 la fama della nuova filosofia bat-.|
teva l’ale fuori del Napoletano; poiché un
altro Capilupi quell’anno rivolgeva al filosofo
novatore questa preghiera:
Telesio, voi che col veloce ingegno,
Trascorso avete in si pochi anni il mondo,
Misurando la terra e ’l ciel profondo,
Già siete giunto di saver al segno:
Mostratemi il cammin, se ne son degno,
Da seguir voi col bel lume giocondo,
Che trar mi pò dal tenebroso fondo
D’alta ignoranza, onde ho me stesso a sdegno *3), j
VITA E SCRITTI DEL TELESIO
47
Allusione evidente all’atteggiamento riso¬
luto, che già il Telesio doveva avere assunto,
di assertore di una nuova filosofia; la quale,
per la stessa avversione che incontrava
naturalmente nei tenaci prosecutori della dot¬
trina aristotelica, doveva, come suole acca¬
dere, diventare più presto famosa che cono¬
sciuta. Celebre, pel racconto che ne fa lo
stesso Telesio, il viaggio da lui intrapreso
nel 1563 ’ 4 ), per sottoporre questa sua filo¬
sofia a uno dei più illustri peripatetici di quel
tempo, ora solo ricordato per quest'aneddoto
telesiano: Giovanni Maggio, di Brescia, nella
cui lealtà spregiudicata il novatore combat¬
tuto da tutte le parti, e quel che è più, tor¬
mentato dal segreto sospetto non forse egli
si ingannasse ad attribuire tanti spropositi
a quell’Aristotile, a cui i maggiori intelletti
per tanti secoli s’erano inchinati, credette di
far sicuro affidamento. E a Brescia le sue
speranze non vennero deluse: la conversa¬
zione di quel brav’uomo gli restituì la fede
che gli era necessaria. Il Maggio lo tenne
seco parecchi giorni: lo ascoltò tranquilla¬
mente, pesò gli argomenti. Contro i prin¬
cipe non trovò che oppugnare, e le deduzioni
erano impeccabili. Argomenti da difendere
48
BERNARDINO TELESIO
in modo soddisfacente Aristotile, non potè
addurne; e confessò egli, il peripatetico il¬
lustre, che doveva farsi un punto d’onore di
salvare la riputazione del suo maestro, con¬
fessò che veramente questi aveva errato a
porre quei suoi corpi primi, senza osservare
la natura e argomentando dalle sue premesse;
confermò anche che queste premesse erano
involte in difficoltà inestricabili e senza fine,
rilevate dai seguaci stessi ; nè gli parve inop¬
portuno metterle sott’occhio al Telesio. «Uomo
nobilissimo », questi esclama nel racconto che
due anni dopo fece di quella visita al Mag¬
gio: « nobilissimo, sì, di nascita, ma assai
più di animo, cultore e ammiratore soltanto
della verità » J5 ). Da lui fu, dunque, incorag¬
giato a pubblicare la parte fondamentale del¬
l’ardita dottrina, che da così lunghi anni an¬
dava rivolgendo nell’animo e timidamente
comunicando agli amici.
Allora bensì egli sentiva le imperfezioni
che erano tuttavia nella sua opera, da cui
quasi un avverso destino gli pareva che lo
avesse a lungo distratto. E continuò negli
anni seguenti a correggere e rifare. Tornò
anche sopra i primi due libri, quando li
ristampò nel ’jo accompagnandoli con tre
VITA E SCRITTI DEL TELESIO
49
opuscoli De his quae in aere fiunt et de ter-
raetnotibus, De colorum generatìone e De mari.
Finché da ultimo si apprestava a rifonder
j| suo vasto trattato, che gli riuscì di dare
in luce intero solo nella vecchiaia avanzata.
Con l’incontentabilità propria di chi giunge
con fatica, per una via aspra e non più ten¬
tata, alla scoperta di un pensiero nuovo, e si
sforza di dargli la forma classica, onde si
avvantaggia la scienza ricevuta, con quella
incontentabilità inquieta, che uno scolaro del
Telesio attestava di lui ripubblicando, dopo
la sua morte, insieme con nuovi opuscoli di
ir.etereologia e psicologia i tre già stampati
dall’autore ma arricchiti di aggiunte e cor¬
rezioni inedite di forma e sostanza 25 ), Ber¬
nardino Telesio attorno al suo libro mag¬
giore lavorò insistentemente, instancabilmente
quasi mezzo secolo.
E vi lavorò tra affanni continui, col desi¬
derio tormentoso, sempre inappagato, di un
po' di tranquillità, sotto l’assillo di cure e
dolori domestici, che non gli diedero mai
tregua. Un raggio di luce nell’animo suo
scende nel 1553, quando il filosofo solitario,
il meditabondo indagatore della natura, si
fa una famiglia. Sposa Diana Sersale, una
G. Gentile, Bernardino Telesio.
4
50
BERNARDINO TEI.ESIO
vedova, già madre di due figli. Ma Diana morì
otto anni dopo, lasciando altri quattro figli,
di Bernardino. Quegli anni ei si fermò abi-j
tualmente a Cosenza. Oui nel '54 era sindaco
dei nobili. Qui è fama adoperasse di buon
grado la sua autorità a comporre i litigi dei
concittadini, a pacificare gli animi, amato]
come era da tutti e tenuto in somma vene-l
razione. Qui molta parte dovè prendere ai
lavori dell’Accademia Cosentina; la quale, se-J
guendo lo svolgimento generale della cultura ^
contemporanea, dalla filologia, si volse allora, ■
per opera principalmente del Telesio, alle
questioni filosofiche o naturali ; e finì con i
esser detta accademia telesiana. Sulle infe¬
lici vicende economiche di Bernardino, intera
rotte, pare, per qualche anno dall’aiuto che
al marito speculativo potè porgere la Diana,]
ma fattesi più gravi subito dopo la morte
di costei, divenendo motivo di sempre mag-i
giori dispiaceri al filosofo, perseguitato dai
creditori, non giova fermarsi. Nel '64 Pio IV
gli offre a sollievo l’arcivescovado di Cosenza»
ma egli prega il Papa che voglia conferirlo
piuttosto al fratello Tommaso: « per atten-j
dere a’ studi » , dice l’antico biografo 2? ). Ben
più accetto poteva riuscirgli l’invito di Gre-j
VITA E SCRITTI DEL TELESIO
51
?0 rio XIII (papa dal 72 aH’85) a spiegare
in Roma pubblicamente il suo libro; come
l'altro simile venutogli poscia da Napoli a8 ).
Ma vero e proprio insegnamento egli non
tenne, contento, come già Socrate, alle con¬
versazioni cogli amici, ai quali apparve mi¬
racolo di dialettica irresistibile e fu veramente
maestro pieno di fascino; contento alle dispute
coirli avversari renitenti alla nuova dottrina,
non già per partito preso, come gli ammi¬
ratori del Telesio solevano dire, ma perchè
fissi oramai in una forma mentale, in cui
quella dottrina non poteva avere più presa:
« Quando egli ragionava delle scienze e delle
dottrine», ricorda il D’Aquino, « parea che
gli ascoltanti fossero stati tutti adombrati;
così stavano taciti e sospesi ad ascoltarlo »,
E il Quattromani, che fu dei cosentini che
risentirono più il fascino di quella parola,
e un anno dopo la morte del Telesio com¬
pose un lucido compendio della sua filosofia,
scrivendo al Telesio stesso nel 1563: «Da
che mi allontanai da lei, quei spiriti che in
me erano generati dalla sua presenza, e che
mi rendevano pronto e ardito, sono tutti
spenti, e con loro anco annullato e venuto
meno ogni giudicio e ogni sapere ». D’altra
52
BERNARDINO TELESIO
parte, un motto pittoresco 29 ) rappresenta
al vivo la situazione degli aristotelici scoi*
certati dalle critiche telesiane; ai quali il car J
dinal Farnese una volta avrebbe detto: « OrJ
che non ci è il Telesio, tutti oppugnate le sue
ragioni; ma, come egli è presente, ciasche¬
duno tace e si arresta ».
Alle opposizioni e malignazioni degli ari¬
stotelici di Napoli, dove, morta Diana, ;]
Telesio tornava spesso, ospite dei CarafaJ
gli fu scudo il colto e gentile duca Fer¬
rante, che l'onorava come padre. La gloria
cominciava a dargli il suo conforto e la forza.
I due libri ristampati a Napoli nel '70, con
due degli opuscoli, erano a Firenze voltati
in volgare da Francesco Martelli, che li de- J
dicava nel '73 al Cardinal dei Medici } °). An¬
tonio Persio bandiva la dottrina nellTtalia
superiore, a Bologna, a Venezia — dove nel
75 la difendeva in una solenne disputa pub¬
blica '); — a Padova, dove diffondeva tra i
dotti gli scritti telesiani. A sollecitazione di
lui, uno dei filosofi più rinomati, Francesco
Patrizzi, nel '72, comunicava al Telesio alcune
osservazioni su vari punti di quei due libri 33 ).!
E Bernardino ne era spronato a rifarsi scovi
pre di nuovo sulla sua opera; che finalmente
VITA E SCRITTI DEI. TELESIO
53
s i risolveva a pubblicare tutta a Napoli .
nel i 5 86 -
L’anno dopo si ritraeva a Cosenza a finirvi
la sua vita di pensiero, di lavoro e di do¬
lore. Della morte del suo povero Prospero
non s’era più saputo dar pace. E irrequieto
tornava poco dopo a Napoli; poiché al 1588,
anno che il Tasso da marzo a novembre
trascorse a Napoli, — credo sia da attribuire
l'aneddoto raccontato dal Manso nella vita
del poeta; 33 ) « Fu Bernardino Telesio uomo
di acuto ingegno e di profonda dottrina e
di socratici costumi; ma non di meno sentì
acerbamente la morte di un figliuolo, che gli
fu ucciso senza Colpa. Torquato, per voler-
nelo consolare, gli addimandò se quando il
figliuolo non era al mondo, egli si doleva
che non vi fosse. Il Telesio rispose che no.
— Dunque, soggiunse il Tasso, perchè vi do¬
lete ora che non vi sia? ». Volle, commenta
il Manso, « volle contro il filosofo dispre¬
giatore degli antichi valersi degli argomenti
dei sofisti ». Povero filosofo, che s’illudeva
di non avere più posto nel cuore per nes¬
suno, dacché la Sapienza, accendendolo della
sua bellezza divina — come ei canta negli
esametri per Giovanna Castriota — l’aveva
54
BERNARDINO TELESIO
tenuto tutto, fin dai primi anni, nell’amore
di lei. La vita, che la sua filosofia escludeva,,
stritolava intanto il suo cuore di padre.
Pure cercò fin all’ultimo il suo ristoro in
quell’amore; e il D’Aquino c’ informa di opere,
che egli avrebbe scritte « intorno agli ottanta
anni »; che esso D’Aquino, poco dopo la
morte del Telesio, vedeva in Cosenza « nelle
mani di diverse persone » ; e incitava i con¬
cittadini, che pur troppo non raccolsero l’esorl
tazione, a non lasciar perire quelle preziose
scritture, clov’era « una, maniera e sorte di
logica, che senza dubbiosità e senza sofismi
ci insegna a discernere il vero dal falso; e
da esse si impara la vera astrologia, cioè di
salire con la mente al cielo, e la teologia,
che ci ammaestra a conoscere, riverire e
servire Iddio! » 34 ).
IV
Il Telesio morì nei primi dell’ottobre 1588
a Cosenza.
E qui fortuna volle si trovasse in quei
giorni un giovane domenicano, che studiava
con ardore filosofia, guardando al Telesio
come all’astro nuovo dell’orizzonte, e del
I.A FILOSOFIA DEL TELESIO *55
Xelesio doveva essere tra poco acerrimo difen¬
sore contro gli attacchi dell’aristotelico Marta
di Nap°l'» e poi uno dei maggiori continua-
tori: Tommaso Campanella. Il quale non
aveva fatto in tempo ad accostarsi al vecchio
maestro; e lo vide per la prima volta nel ca¬
tafalco, dove, pel funerale, affisse certi suoi
distici. Questi non ci sono giunti; di lui ab¬
biamo invece il duro ma fiero ed energico so¬
netto, in cui ritrasse il valore storico del
Xelesio, il «maggiore dei filosofi», lo «splen¬
dore della natura », nonché la propria filia¬
zione ideale dalla filosofia telesiana; un so¬
netto, che raccoglie attorno al maestro il
meglio della sua scuola:
Telesio, il telo della tua faretra
Uccide dei sofisti in mezzo al campo
Degli ingegni il tiranno senza scampo;
Libertà dolce a veritade impetra.
Cantan le glorie tue con nobil cetra
Il Bombino e ’l Montan nel Brezzio campo:
E il Cavalcante tuo, possente lampo,
Le rocche del nemico ancora spetra.
Il buon Gaieta la gran donna adorna
Con diafane vesti risplendenti,
Onde a bellezza naturai ritorna.
Della mia squilla per li nuovi accenti,
Nel tempio universal ella soggiorna;
Profetizza il principio e ’l fin degli enti.
56
BERNARDINO TEI.ESIO
Vincenzo Bombini, Sertorio Quattromani (il
Montano), Giulio Cavalcanti, il buon Gaeta,
che avrebbe trattato l’estetica secondo i prin-
cipii telesiani, avanzando tutti gli altri, erano
(avverte, in nota, lo stesso Campanella) ac¬
cademici cosentini.
Egli poi, secondo la stessa nota, « filosofo
dei principii e fini delle cose », avrebbe
elevato a più alto segno la nuova scuola:
« Rinnovò », com’egli dice, «la filosofia, ed
aggiunse la metafisica, e politica ecc., e la
accoppiò con la teologia » 35 ). Certo, la me¬
tafisica delle primalità campanelliana manca
nel Telesio. Ed è pur vero il giudizio di
un altro grande ammiratore del nostro co¬
sentino, Francesco Bacone, che la filosofia
telesiana in sostanza toglie di mezzo l’uomo
e la sua azione sulla natura (arles mecha-
nicae, quae materiam vexant ) per non guar¬
dare altro che la fabrica mundi, riuscendo
una specie di filosofia pastorale o arcadica,
che contempla il mondo placidamente e quasi
in ozio 36 ); filosofia, che Bacone amava met¬
tere insieme con quella dei pensatori greci
anteriori a Socrate e di taluni moderni, come
il tedesco Paracelso, il danese Severino, l’in¬
glese Gilbert, l’italiano Patrizzi, fondatori di
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
57
nuove sette filosofiche, ideatori di altri si¬
stemi astratti intorno alla natura delle cose,
senza conseguenza per ciò che concerne le
sorti umane: di quei sistemi, che egli sde¬
gnava come facili a disseppellirsi dalla tra¬
dizione dei più antichi filosofi e magari ad
inventarsi di pianta 37 ): egli, che avrebbe vo¬
luto che il filosofo guardasse con un occhio
alla natura, e con l’altro alle umane uti¬
lità 3S ). Alla filosofia telesiana è estraneo il
grande concetto del regnimi hominis, proprio
di Bacone. Ma questa filosofia pastorale per
Bacone era appunto una metafisica: una di
quelle filosofie che a lui pareva si potessero
adombrare nel mito di Cupido, dell’antico
Cupido: il primo degli dei, e anteriore a tutte
le cose, salvo il caos suo coevo; senza padre
esso, e primo principio dell'ordine che sorse
nel caos, ossia dell’origine dell’universo; una
filosofia insomma delle cause prime e delle
leggi supreme, oltre le quali non è dato pro¬
cedere.
Lasciamo stare l’analogia che Bacone,
come già il Patrizzi 39 ), vedeva tra la fisica
del vecchio Parmenide e la nuova dottrina
di Telesio: analogia da lui stesso ridotta al
suo giusto valore, quando avverte che ai
5 »
BERNARDINO TELESIO
principii parmenidei il filosofo Cosentino ag¬
giunse del proprio la materia, perchè depra¬
vato dai concetti peripatetici 4 °); che è come
dire che la dottrina telesiana, in conclusione,
non è nè parmenidea, nè peripatetica, ma te¬
lesiana. E certamente il raffronto con l’eleate
non regge per nessun verso, chi consideri il
valore della « doxa » rispetto al pensiero me¬
tafisico di Parmenide 4 '), e tenga conto del ca¬
rattere schiettamente dualistico della teoria
esposta nella « doxa », e interpetri, d’altra
parte, il pensiero telesiano in relazione a
quello che se ne può dire propriamente la
naturale matrice, la metafisica aristotelica,
già così distante dalla posizione eleatica.
Certo, senza essere una metafisica, la filo¬
sofia telesiana non avrebbe potuto esercitare
l’azione storica che esercitò, in Italia attra¬
verso Campanella, Bruno e tutto il natura¬
lismo meridionale del secolo xvir, per tutta
Europa attraverso Bacone, che lo ha sempre
presente, ora accettando, ora criticando le
particolari sue teorie, ma avendolo sempre
in gran conto come « il migliore dei mo¬
derni » 42 ). Un riformatore della filosofia,
— quale egli fu generalmente celebrato dai
contemporanei e da quelli che dopo di lui
I.A FILOSOFIA DEL TF.I.ESIO
59
sentirono il bisogno di appoggiarsi a lui per
continuare la guerra del pensiero nuovo con¬
tro J 'aristotelismo, costretto a rinchiudersi
sempre più nelle scuole della tradizione in¬
feconda, — deve, almeno implicitamente, dare
u n nuovo orientamento, e cambiare l’aspetto
della realtà tutta agli occhi dei pensatori.
E questo fece Telesio.
È pur vero che egli è, come dice Bacone,
più valente a distruggere che a costruire 43 );
ma è anche vero che la sua critica demoli¬
trice è essa stessa una costruzione.
Non possiamo ora esporre tutte le critiche
particolari, che egli con lena che non viene
mai meno rivolge alla metafisica, alla fisica,
alla psicologia, all’etica e alle minori dottrine
di Aristotile; e tanto meno possiamo seguire
l’ardito pensatore nelle singole teorie, che le
sue nuove osservazioni, e, più che tutto, rav¬
viamento generale del suo intelletto, gli fanno
sostituire alle antiche. Ma basta per questo
rispetto notare, che l’ampiezza della ricerca
e la compattezza delle soluzioni adottate in
tutti i campi, a cui si era estesa la filosofia
aristotelica, dimostrano che nel De rerum
natura contro l’aristotelismo si afferma e si
accampa una nuova intuizione del mondo:
6o
BERNARDINO TELESIO
la quale riceve infatti tutto il suo significato
storico dalla sua posizione verso l’aristote-
lismo rimesso a nuovo dalla erudizione filo¬
logica del rinascimento, e liberato dagli adat-
o
tamenti medievali della scolastica; e questo
significato conserva, nel suo assoluto valore
storico, per molti e gravi che sieno gli er¬
rori commessi a sua volta dal Telesio nella
sua nuova costruzione: poiché una filosofia
non attinge il momento suo di vita eterna
e non vive nella storia, se non pel principio
che l’anima.
A cogliere questo principio non vi affidate
alla euida dello stesso autore; non guardate
subito al titolo della sua opera; a quel titolo
che promette di farvi intendere la natura se¬
condo i suoi principii, quasi Aristotile con le
sue teorie le avesse fatto violenza, imponen¬
dole i suoi ingiustificati preconcetti. Su questo
motivo polemico il Telesio insiste; se non che
è il motivo che in varia forma si ripresenta
in ogni polemica filosofica, la quale non può
impiantarsi nella fatua pretesa di sostituire
le idee nostre a quelle degli altri, ma la ve¬
rità all’errore: e l’errore apparisce sempre
come una costruzione arbitraria della mente
soggettiva, ripugnante alla essenza propria
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
6l
della realtà, che tutti i filosofi vogliono inten¬
dere; la verità, invece, come la intuizione
diretta, la traduzione fedele la ricostruzione
genuina del reale nella purezza della sua og-
gettività. E se la natura vernini, nel suo senso
più profondo, è la realtà stessa, da Telesio
non veduta se non come natura, il titolo
di quest’opera, chi s’arrestasse all’intenzione
dell'autore, accennata nell’aggiunta iuxtapro¬
pria principia , sarebbe un titolo adatto a
tutte le opere filosofiche innovatrici, com¬
prese quelle stesse di Aristotile. Ed è, al con¬
trario, un titolo significativo e caratteristico
rispetto all’indirizzo mentale telesiano, quan¬
do si faccia convergere su di esso la luce spe¬
ciale e intima della sua filosofia.
Non vi arrestate nè meno alle proteste
metodiche, di non voler seguire altro che il
senso, quasi la filosofia telesiana dovesse riu¬
scire un puro empirismo. Gilè tale questa
filosofia non è; e se l’intonazione della sua
polemica antiaristotelica piacque all’orecchio
dell’autore del Novum Organimi , egli è che
anche Bacone, come molti altri pensatori
dopo di lui, s’illuse credendo che il metodo
sia un antecedente della filosofia, e questa un
prodotto di esso: laddove metodo e filosofia
62
BERNARDINO TELESIO
sono una cosa sola, nel senso che la filo- 1
sofia è il concreto e il metodo l’astratto: ]
onde non si ha una filosofia perchè si ha un
metodo, ma proprio l’opposto. Hn da prin¬
cipio la mente del pensatore ha, sto per
dire, una certa impostazione, quindi un certo
mondo che essa intravvede, e che l’occupa e
le pone innanzi, urgente, il suo problema:
quasi la macchia, la prima oscura intuizione
creatrice dello artista, che è già opera d’arte.
E in quel germe c’è la filosofia con la sua
logica: la filosofia, che non potrà poi avere
altro svolgimento da quello che le è asse¬
gnato per la sua logica innata.
E quanto al Telesio in particolare, il mo¬
tivo più potente, quella che può dirsi la prima
radice del suo filosofare antiaristotelico, non
consiste in una o più difficoltà che l’espe¬
rienza sensibile opponga, secondo lui, ai prin-
cipii di Aristotile; nè è codesta esperienza
la fonte, a cui egli ordinariamente ricorre per
lo sviluppo e l’elaborazione del suo pensiero.
La sua natura, è vero, è la natura sensibile,
materiale; nè egli, in quanto filosofo, conosce
realtà che possa concepirsi scevra di mole
materiale. Tutto ciò che razionalmente gli
riesce d’intendere delle funzioni spirituali,
T.A FILOSOFIA DEL TEI.ESIO
63'
è per lui bensì spirito; ma non nell’accezione
moderna di questa parola, anzi come la ma¬
teria che più sia stata assottigliata dal calore.
£ la natura materiale e sensibile non pare
possa definirsi altrimenti che per quella realtà
che è per il senso, e quindi per una filoso¬
fia che non ammetta altro organo di co¬
noscenza che il senso.
Ma anche questa determinazione è appena
la superficie della filosofia telesiana e di tutte
le altre .simili. L’affermazione del senso,
quando ha una reale importanza nella storia
della filosofia, può rispondere a un doppio
bisogno: al bisogno ideale dell’empirismo,
che nega la metafisica come scienza dell’as¬
soluto, che il senso non coglie: che è la tesi,
p. es. di Kant nella Critica della ragion pura
e la tesi a cui si arrestarono nel secolo xix
i seguaci di quel positivismo filosofico, il cui
unico valore si riduce alla negazione della
filosofia. O risponde al bisogno, che fu pro¬
prio di Bacone, e più tardi della logica nuova
della filosofia moderna, nel significato che ri¬
mase affatto oscuro nel cancelliere inglese,
pur grande animatore del pensiero europeo,
della mediazione dell’universale, della con¬
cretezza storica del pensiero, che non è quale
6 4
BERNARDINO TEI.E5IO
Platone e Aristotile lo immaginavano, una rete
bella e fatta e astratta di concetti universali,
ma vita sempre nuova, ed eterna come tale,
di essi nei particolari: ossia affermazione del¬
l’individuale di contro al generale, della lo¬
gica reale di contro a quella speculazione a
cui gli antichi trovavano adeguata soltanto
la mente divina; e Platone, in fondo, nè anche
quella, se si intende a rigore il mito delle
contemplazioni sopracelesti del Fedro.
Ma Telesio non è un empirista, alla ma¬
niera dei positivisti e molto meno di Kant.
E, d'altro lato, in lui non c’è sentore, chec¬
ché si contenesse nelle opere logiche non per¬
venute fino a noi, di una concezione storica
e realistica del pensiero. Egli è un metafi¬
sico; e un metafisico materialista. E tanto
egli rispetta il senso, quanto lo aveva rispet¬
tato il primo sistematore del materialismo,
quel Democrito, che fu uno dei primi meta¬
fisici di grande stile in Grecia, e che, per la
sua distinzione di qualità primarie e qualità
secondarie, può a buon dritto ritenersi il
vero padre dell’ idealismo, quale, movendo
dalla stessa distinzione, ripetuta dal Locke,
ebbe a concepirlo, con uno sforzo che mandò
a monte per sempre il materialismo, il Ber-
I.A FILOSOFIA DEL TELESIO
65
keley. E l’organo, con cui il Telesio costrui¬
sce la sua metafisica è quello che è servito
e servirà sempre a tutti i metafisici, il pen¬
siero puro; per cui la realtà — non l’appa¬
rente, ma la vera, 1 assoluta realtà, a cui
ogni forma reale si riduce, da cui tutto ciò
che passa proviene, e a cui tutto ciò che
passa ritorna, laddove essa sta eterna non
è punto realtà sensibile, ma realtà pensata.
Pensata sotto tre attributi o forme fonda-
mentali, il cui giuoco soltanto può farci inten¬
dere la totalità delle infinite variazioni fugaci
dell’universo sensibile: due nature agenti,
secondo l’espressione telesiana, e una pas¬
siva: il caldo, che è principio di luce, di movi¬
mento, di vita in tutte le sue forme; e il suo
contrario, principio di tenebre, di inerzia, di
morte: l’uno con l’altro in eterno contrasto
nella materia; che è il terzo principio, la mole
che occupa lo spazio. Porza e materia, come
oggi si direbbe; e la forza duplice, e in lotta
seco stessa a produrre l’alterna vicenda della
natura, che è nascere e perire continuo; ossia
un continuo nascere che è pur perire; e un
perire continuo, che è pur nascere 44 ).
Una forza e materia, che, si badi, nella
loro assoluta universalità, sono veri e propri
G. Gentile, Bernardino Telesio.
5
66
BERNARDINO TELESIO
principi! nel senso aristotelico, e non hanno
nulla di sensibile ed empirico, benché l a
loro manifestazione avvenga negli oggetti del I
senso 45 ). Che anzi l’intuizione centrale, e
come il nocciolo del pensiero telesiano è ap¬
punto una negazione più risoluta, più ener- 1
gica che non fosse in Aristotile, della empi- ^
ricità o realtà immediata di cotesti principi^
e quindi nell’affermazione del carattere rpeta-
fisico e meramente trascendentale di essi. 1
Giacché questo, a’ suoi occhi, è l’errore
aristotelico generatore di tutti gli altri da
lui a uno a uno combattuti: la separazione
di ciò che in natura è uno ed insepara¬
bile: che male aveva separato prima Pla¬
tone, e che Aristotile non era riuscito più a
unificare: la forma e la materia delle cose: J
ciò che ciascuna di queste è, e per cui si
pensa, l’idea, e quello che alla filosofia an¬
tica, come al pensiero volgare, si rappresenta
quale sostrato necessario alla realizzazione
dell’idea. Intesa la natura come divenire o
generazione continua di forme, questo dive¬
nire si schematizza come movimento, che av¬
viene nella materia, ma è l’attualità della
forma. Ora il principio del movimento, cioè
la radice delle forme, che è come dire della
I.A FILOSOFIA DEL TELESIO
67
realtà, in quanto divenire naturale, anche per
/Aristotile è in qualche cosa che, per essere
principio e non principiato, vera e assoluta
causa e non più effetto, deve trascendere ne¬
cessariamente la natura, che è movimento,
e d essere immobile. Cioè forma pura.
Onde la natura, benché concepita come
unità perenne di materia e di forma, poiché
la forma, in fondo, la riceve da fuori, per
sé, senza questa animazione estrinseca, viene
ad essere ridotta quasi a inerte materia: cioè
mera possibilità, o potenzialità astratta delle
forme. Donde quell’assenza di valore nella
natura e nell’uomo, — parte di essa, — che
abbiamo detto essere stata legata dall’an¬
tichità alla filosofia del medio evo, e che lo
spirito del cristianesimo doveva superare.
Telesio, il materialista, che cinque anni dopo
la sua morte sarà segnato all’Indice, si mette
per questa via nuova, desiderata dal cristia¬
nesimo; benché sulla nuova via, che è lunga
e non facile a percorrersi, si arresti al ma¬
terialismo, certamente insufficiente a giusti¬
ficare il valore, nonché dell’uomo, della stessa
natura. PI la sua novità può riassumersi in
questi termini: la forma che, per Aristotile,
come forma assoluta, era fuori della materia,
68
BERNARDINO TELESIO
per Telesio è dentro, e una con questa: WS
natura, che per Aristotile, come pura naturaci
era mera possibilità, e non era realizzata se *
non per cause estrinseche, per Telesio è l a
sola realtà; e però si spiega iuxta propria 1
principia. La mira, a cui questi confusamente, '
come accade sempre nelle rivoluzioni ideali j
quando tutto il mondo rientra nel caos, donde
la mente aspira tosto a ricostruire il mondo
nuovo (e di qui, la incontentabilità del Tele¬
sio, che lavora tutta la vita all’opera sua!); n
la mira, a cui egli tende, è la ristaurazioni
dell’unità, lacerata dal dualismo aristotelico.
Considerate infatti il nesso dei tre prin¬
cipi'!, materia, caldo e freddo, da lui stabiliti.
Il caldo, principio del movimento, della vita,
del senso, adempie nel suo sistema lo stesso 1
ufficio della forma in Aristotile; e se si con¬
sideri che, data la funzione assegnatagli da
Telesio, per cui il calore, principio di movi¬
mento, natura agens, non si può confondere
come entità metafisica, col calore fisico, sen¬
sibile, che è sempre una certa mole, un certo j
corpo caldo, la differenza, in questo punto,
tra Aristotile e Telesio è più nella parola
che nel concetto, sebbene al secondo la pa¬
rola prescelta paia meglio corrispondere alla
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
69
concretezza determinata e reale della sua
forma. La materia poi, Telesio stesso lo
dice, era già un principio aristotelico.
Profondo invece è il divario tra le due
filosofie nel modo di concepire il terzo prin¬
cipio: e questo divario, riverberandosi nel
concetto degli altri due, lo trasfigura e dà
a tutta la intuizione telesiana un carattere
radicalmente diverso. Il divenire naturale,
come ogni divenire, non si spiega, ammesso
pure il sostrato di esso, senza una dualità
di termini contrarii e contrariamente agenti
s n quel sostrato. Se il divenire è vivere, il
vivere non si può concepire se non come
morire, oltre che vivere; ossia come un con¬
tinuo rinascere dalla morte, una continua vitto¬
ria su quello che sarebbe la cessazione della
vita. Generazione è termine correlativo di
corruzione, secondo il linguaggio aristotelico.
Se nella superficie del gran mare dell’es¬
sere affiora una forma nuova (e questo sempre
nuovo affiorare è la natura per Aristotile),
una forma vecchia deve scomparire: la na¬
scita è sempre una morte. Ma morte di
che? Della forma no, la quale per sè è fuori
della natura e non soggiace all’alterna vicenda
del vivere o del morire, e nè anche della
70
BERNARDINO TEJ.ESIO
materia, ricettacolo della novella forma. L’una
e l’altra sono eterne. Una risposta, nella p 0 .
sizione aristotelica, che stacca materia e
forma, e fa il movimento estrinseco alla
materia, è impossibile.
Ma, se vita è morte, mistero questa, mi¬
stero quella. In che consiste quella novità,
che è l’entrar del vivente nella vita? Donde
viene egli? Che era quel suo non essere, a cui
sottentra ora il suo essere? I due problemi
sono un solo problema; appunto questo: se
l’essere è la forma, che è il non essere delle
cose? Il non essere di Aristotele non poteva
essere, e non fu un concetto, ma una parola
messa lì, dove il concetto non era possibile,
destinata a diventare, come tutte le parole
siffatte, l’enimma e il tormento dei commen¬
tatori ; la stéresis, o privaiio , come tradussero
gli scolastici. La privazione, che egli attri¬
buisce alla materia, quasi un certo desiderio
e sentore o odore della forma assente, non
è materia per se, perchè designa una rela¬
zione, non è forma, di cui è appunto la man¬
canza; e non è unità di materia e forma.
È, ripeto, una parola, ma una parola, che,
messa lì nel sistema, rende, o pare che renda,
importanti servizi al pensiero. Infatti, senza
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
71
jj essa, la vicenda delle forme non sarebbe
j n nessun modo pensabile: e il vivo sarebbe
eternamente vivo; ma di una vita identica
a lla morte, perchè senza mutamento in sè,
che è come dire senza vita.
Il terzo principio aristotelico, dice Telesio,
è meramente negativo: non ens, non agens 46 ).
Cioè, egli dice, per combatter più efficace¬
mente gli aristotelici, coi quali gli toccava
fare i conti, Aristotile non l’intese, non lo
poteva intendere così; ma così l'intendono
invece i peripatetici; e la materia invece deve
essere, più ignobile bensì, da meno della
forma, ma positiva anch’essa, perchè cooperi
con la prima alla generazione naturale; e an¬
ch’essa agente. E però il suo freddo, come egli
lo concepisce, è il contrario, il non essere del
calore; ma un non-essere, che, essendo tale
rispetto al calore, in se stesso è: nè più nè
meno del calore; e però agisce davvero, op¬
ponendosi a questo, contrastandogli il passo,
limitandolo, e concorrendo, quindi, con esso
alla vita della natura.
Poiché la forma telesiana è il caldo, quel
che precede la forma non è il nulla, la pura
privazione, ma il freddo: ciò che succede, del
pari, non è nulla, ma il freddo. Per Telesio
72
BERNARDINO TELESIO
questo precedere e questo succedere è sol 0
relativo: chè la forma, assolutamente, \ n
quanto caldo, non viene mai meno. Cioè; ,
se il freddo è negativo, ma reale quanto il
caldo, anche il caldo è reale in quanto ne¬
gativo rispetto al freddo: e la vera realtà
insomma non è mai nè caldo assoluto, nè
freddo assoluto; ma caldo che vince il freddo,
o freddo che vince il caldo: ciascuno presup¬
ponendo e limitando il suo contrario, ed es¬
sendo presupposto e limitato da esso. Onde
la realtà, è, in fondo, la loro unità nella lotta,
e a volta a volta un momento della risolu¬
zione del loro immanente contrasto, un effetto
unico della loro azione reciproca.
11 che importa che la sostituzione del fred¬
do alla privazione aristotelica è il supera¬
mento della trascendenza della forma, il di¬
fetto fondamentale della filosofia peripatetica,
anzi, nel suo significato generale, di tutta la
filosofia greca, come avvertimmo a principio.
Telesio con la sua coppia di contrarii coo¬
peranti nella materia, libera la natura, che
è la realtà a lui nota, dalla trascendenza,
e ne fonda per la prima volta, dopo lo svi¬
luppo della metafisica teistica, l’autonomia,
o com’egli diceva, la nozione iuxta propria
LA FILOSOFIA BEL TELESIO
73
principia', poiché ora possiamo intendere il
valore speciale di questo suo motto, che è
una bandiera spiegata al vento, a cui lo spi¬
rito moderno guarderà come a suo proprio
segnacolo di libertà e di gloria.
E la materia? Per Telesio non più è
il non-ente platonico e aristotelico, ma il
reale sostrato, e come a dire, la realizza¬
zione della contrarietà caldo-freddo che in
essa si attua. Le due nature agenti hanno
come loro termine correlativo, e quindi come
implicito in se medesime, cotesta natura pas¬
siva. Onde, se il caldo implica il freddo e
viceversa, entrambi implicano insieme la ma¬
teria. E la realtà, che è atto, non è tre ma
uno: e questo uno, essendo l’unità o sintesi
attuale dei tre principii, solo astrattamente
distinguibili, è la materia che è calda e non
è calda, perchè è fredda e insieme non è
fredda; è quello che è e non è insieme, la
genesi, il divenire aristotelico, restituito
alla logica del suo processo immanente.
Onde la filosofia telesiana è un naturali¬
smo monistico; la realtà è l’opposto dello
spirito, la natura che si rappresenta come
materia: ma questa materia è movimento, e
74
BERNARDINO TEI.F.SIO
in quanto movimento assume tutte le forme
mondane, dal corpo fisico al pensiero. Po¬
trebbe parere una filosofia tornata, nel bel
mezzo del secolo xvi, alla ingenua intuizione
dei filosofi ionici del vi e v secolo av. Cr.;
se questa filosofia ora non risorgesse dal
fermento della metafisica platonizzante del-
l’aristotelismo, che ha sdoppiata la realtà
fisica dei più antichi presocratici, e creata
l’idea o forma, e tutto un mondo estramon-
dano, che il filosofo della rinascenza deve
distruggere: ed è appunto nella demolizione
di questo mondo separato, ignoto ai filosofi
ionici, l’intonazione e il valore nuovo della
filosofia del Telesio, demolitrice più che co¬
struttrice (destruendo quatti ostruendo melior ):
poiché la vera costruzione all’uscire del medio
evo, quando lo spirito aspirava a sgombrare
il campo innanzi a sè, per istaurare la filo¬
sofia adeguata alla vita nuova del cristiane¬
simo, non poteva essere se non demolizione.
La filosofia del Cosentino, lungi dall affac¬
ciarsi con l’ingenuo occhio di un lalete allo
spettacolo della natura, che gli è di fronte,
sente con la riflessione del moderno, se stesso
nel flusso delle cose naturali, e nell’afferma¬
zione energica dei principi proprii, onde la
I.A FILOSOFIA DEL TELESIO
75
natura si spiega, affermazione che rivendica
la natura in libertà, prorompe l’istinto del¬
l’uomo nuovo, ricreato dall’intuizione cristiana
e portato a cercarsi dentro, come sostanza,
del proprio essere, la divinità.
Guardate a quel ragguaglio e quasi- livel¬
lamento, che Telesio fa delle operazioni su¬
periori dello spirito umano con le inferiori;
e di queste con le funzioni psicologiche degli
animali, non distinte altrimenti che per grado,
ma identiche qualitativamente; e poi del sen¬
tire col fatto fisiologico; che non è se non
movimento di uno spirito, materia estrema-
mente assottigliata dal caldo: e poi quella
sua estensione del senso, a tutto il caldo e
a tutto il freddo o come bisogna intendere,
a tutta la materia che, anche quando è fredda,
poiché il freddo è un prevalere sul caldo, è,
un po’ almeno, anche calda; e considerate
che, — negata ogni finalità intesa a mo’ di
Aristotile, ossia come mèta estrinseca del
processo naturale, rappresentata dalla forma
separata, — dell’anima umana, così naturali¬
sticamente considerata, ei raccoglie lo sforzo
supremo, che è l’attività etica, nella spontanea
tendenza alla conservazione di sé, onde non
solo l’uomo, ma tutte le cose in natura tendono
76
BERNARDINO TELESIO
a perseverare nel loro proprio essere «),■'
Ebbene: quest’autoconservazione, in cui si
assomma e concentra sostanzialmente, nella
sua espressione finale, tutta la vita della na¬
tura, è l’umanità dell’uomo, che è moralità,
ed è, insieme, tutto l’operare, anzi l’essere
attuale della natura.
Ma l’uomo la sorprende come conato istin¬
tivo in se medesimo; e se chiude gli occhi
alle forme più alte della propria spiritualità,
e si rannicchia dentro questo senso oscuro,
che può attribuire alla natura universale, egli
è perchè, non sapendo ancora in che modo
le forme superiori dello spirito possano con¬
cepirsi quasi la sostanza di tutto, compresa
quella stessa natura, che par materia, movi¬
mento e nulla più, il filosofo ha' bisogno di
affermare di sè solo quel tanto, che gli con¬
senta tutta una concezione della natura iuxta
propria principia. ,
Strano a dirsi: il filosofo, incapace ancora
di spiegarsi lo spirito, lo redime, lo afferma,
negandolo : rimpicciolendosi e stringendosi
dappresso a quella natura che cominciava a
liberare dalla trascendenza, per partecipare
al benefizio di quella prima libertà. Strano,
ma vero, per chi voglia penetrare nel segreto
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
77
jalla rinascenza: questo naturalismo materia¬
listico era la prima affermazione, con carat¬
tere schiettamente cristiano, della libertà dello
spirito.
V
È tutto ciò chiaro e netto nel pensiero di
Bernardino Telesio?
Nella Bibbia si legge che Dio, dopo aver
creato l’universo, vidi/ cuncla quae fecero./,
et erotti valde bona. Dopo di allora, ogni
volta, lo spirito creatore prima ha creato, e
poi s’è compiaciuto, come oggi Cosenza si
compiace pel Telesio, dell’opera sua. La co¬
scienza critica, che è la storia, vien dopo.
Accennammo già che Telesio, come Vico,
si travagliò tutta la vita nella sistemazione
e formulazione del suo pensiero: segno che,
come Vico, ei non pervenne mai alla vi¬
sione lucida e piena di quanto gli si agitava
nella mente. E come oggi l’oscuro pensiero
di Vico s’intende in tutto il suo valore, se
si libera da talune incoerenze, incertezze, e
ambiguità della sua forma nativa, secondo
che riesce possibile a noi, che sul suo pen¬
siero torniamo con la riflessione più ma-
7S
BERNARDINO TELESIO
tura di tutta la filosofia posteriore; nell a !
stessa guisa, leggendo Telesio, scoperta l a
logica del suo pensiero nella storia più airi- 1
pia della filosofia, che lo preparò prima e poi
lo continuò, noi possiamo vedere in lui pjj,
addentro ancora che egli non vedesse: e fare j
quindi, il giusto conto di talune oscillazioni
che intorbidano qua e là la sua vista specu¬
lativa, e hanno impedito a' suoi critici, da
Bacone in poi, di scorgere l’intima coerenza
della sua filosofia.
Il disegno suo era grandioso, poiché col
suo nuovo intuito doveva ripercorrere tutto
l’universo, armeggiando sempre contro Ari¬
stotile, che, in persona de’ suoi pedanti, fana¬
tici e petulanti seguaci, rincalzava sempre
alle spalle. Qual meraviglia che qua e là
tentenni, e gli tremi il polso? Qual meravi¬
glia, innanzi tutto, che egli non si fermi a
definire con sufficiente chiarezza la logica
del suo pensiero, quella logica che nel suo
pensiero c’era, e di cui si serviva infatti nella
polemica contro Aristotile? 11 medesimo per <
l’appunto accadde, ripeto, a Vico; e in grado
minore è accaduto sempre a tutti i filosofi.
In ciò il difetto maggiore della filosofia tele-
siana: onde vi accade di sorprenderla talvolta
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
79
irresoluta innanzi a questioni, la cui soluzione
è data irrefutabilmente dal reale principio di
essa. Mi si consenta un esempio. Tutte le
cose sentono o no? Per Campanella, che, come
ogni continuatore, è governato dalla logica
del sistema che sviluppa, non c’è dubbio.
Nel De rerum natura di Telesio, invece, ci
sono luoghi in cui, spuntata la questione più
determinata, se il caldo e il freddo sentano,
ora si dice che bisogna manifestamente attri¬
buire il senso ad entrambi; ora che bisogna
attribuirlo almeno a uno dei due 48 ). Gli faceva
intoppo infatti la difficoltà che il senso è moto
dello spirito, ossia della sostanza più atte¬
nuata dal caldo: si che se il senso dipende
dallo spirito, e però dal caldo, non può com¬
petere al freddo, che ne è il contrario: chè
altrimenti il freddo, contrastando il caldo,
verrebbe, producendo la morte, a distrug¬
gere, come senso, il senso. E il Fiorentino, che
è l’interpetre più autorevole del Telesio, si
caccia nel ginepraio anche lui, e nota a questo
punto: « Che se al freddo si volesse togliere
ogni senso, per rimuovere l’inconveniente
anzidetto, come si guarderebbe egli dal suo
avversario? Come ne respingerebbe l’attacco,
e come si trincererebbe nella propria sede?
8o
BERNARDINO TELESIO
Onesta, a parer mio, è la capitale contrad¬
dizione della fisiologia telesiana» 49 ).
Contraddizione insolubile, dico io, se il
freddo e il caldo non si riconducono all’ufficio
di principii metafisici, che essi hanno nel si-
telesiano: contraddizione, che, in una
forma o in un’altra, sarebbe poi la contrad¬
dizione di tutte le filosofie, che ammettano
un divenire o un modo cpial sia di attività,
e non mantengano rigorosamente la logica
di una tale concezione del reale. Nel caso
del Telesio essa nasce dal non badare che.
se la natura deve spiegarsi dal contrasto del
freddo e del caldo, il freddo e il caldo, presi
ciascuno per se, sono fuoii della natura, pnn-
cipii o categorie, dal cui incrociamento si ge¬
nera, anzi nella cui sintesi insuperabile consi¬
ste il reale. 11 senso, perciò, come forma ie<ì|l
della natura, non può essere una pfoprietà
nè del caldo, in quanto puro caldo, nè del
suo contrario; sibbene degli enti, delle cose
naturali, che, in quanto sempre calde e fredde
insieme, avendo sempre un qualche grado di
calore, e però uno spirito piu o meno tenuoa
non possono non avere tutte un certo gradoj
proporzionato, anzi equivalente di senso. Che
era infatti la soluzione del lelesio, quando
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
8l
attribuiva, il senso anche al freddo, che allora
intendeva non più come astratta natura agente,
f L a come questa natura agente concorrente
con la contraria nella materia, ossia come
natura agente concreta nell’unità di sè e
della sua contraria.
Da questa e simili incertezze si scorge di
sicuro che il Telesio non aveva la chiara
consapevolezza della natura metafisica de’suoi
principii, nè perciò del reale fondamento, su
cui. nel suo pensiero, appoggiavasi quella
sua bonaria satira delle formae stertenles , di
quelle forme che, secondo l'aristotelismo, rus¬
savano di qua della realtà 5 °).
Non importa: il freddo, come natura agente
positiva, ha questo valore, sostituendosi alla
privazione aristotelica. La natura deve avere
nelle sue viscere l’eterna opposizione, dal cui
travaglio si genera la vita in tutte le sue forme.
Questo è il naturalismo telesiano; per questo
naturalismo Bernardino Telesio sta all’avan¬
guardia della rinascenza, e potè a buon diritto
: esser detto il migliore di quelli che per Bacone
erano i filosofi moderni; e a ragione possiamo
dire anche noi che accenni all’età moderna.
Accenna, bensì; e resta un uomo della ri-
[ nascc.nza. La nebbia ondeggia ancora attorno
G. Gentile, Bernardino Telesio.
6
82
BERNARDINO TELESIO
alla luce del suo pensiero. La sua natura, 1
quella natura che ha in se stessa le ragioni
di tutta la sua vita, non riempie tutto i|
quadro della coscienza di Telesio. Da una
parte e dall’altra di essa c’ è qualche cosa
che non è natura, e che Bernardino non può
cancellare: e sono insieme due termini cia¬
scuno dei quali accenna all’altro, e si congiun¬
gono idealmente e adombrano, e offuscano
tutto il quadro, così luminoso a chi non tra¬
scorra a’ suoi margini, ma lo fissi nel mezzo.
Fatta comune agli uomini e ai bruti la ra¬
gione, anche questa, pel Telesio, è un pro¬
dotto naturale, una funzione dello spirito
caldo. Con questa ragione non solo si coglie
il particolare, ma si confrontano insieme i
varii particolari, si raccolgono in uno le so¬
miglianze, si costituiscono gli universali: essa
unifica il senso e l’intelletto, che Aristotile
distingueva nettamente. Ma con questa ra¬
gione non si compie lo sviluppo dell’uomo,
e della natura. Il compimento della ragione,
anima naturale, è rappresentato dall’anima
creata da Dio, e infusa nei singoli uomini,
innestata nelle totalità del corpo individuale,
e principalmente nello spirito, quasi propria
forma; onde la sostanza, che nell’uomo
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
S3
ragiona, non è, al dire del Telesio, una e sem¬
plice, ma composta dell’anima creata e dello
spirito proveniente dal seme 5I ). E in ciò con¬
siste la vera ed essenziale differenza tra la ra¬
gione umana e la belluina. Come si costi¬
tuisca l’unità dell’anima umana, posta la sua
anima naturale, che è spirito, e la sua anima
creata soprannaturale, Telesio non dice, e non
può dire; la risposta non entra nella catena
delle sue deduzioni. Se la vita dell’anima
umana si limitasse dentro i termini della
natura, dell’anima creata, che aristotelica¬
mente, e tomisticamente, viene a informare lo
spirito di ogni individuo, non ci sarebbe ra¬
gione mai di parlare. L’anima dell’uomo, che
come senso e come appetito, per la sua co¬
noscenza e per la sua finalità, dipende mec¬
canicamente dalle leggi cieche della natura,
potrebbe parer tuttavia autrice di atti pravi;
ma questi, come semplici effetti naturali, non
potrebbero incorrere nel castigo della giusti¬
zia divina, a non voler concepire Iddio come
odiatore iniquo delle sue stesse opere. Ond’ è
che il governo e il freno dello spirito, e la
responsabilità conseguente dell’uomo, — la
sua libertà, diremmo noi nel nostro linguaggio,
postulata daH’obbligo che l’uomo ha di render
8 4
BERNARDINO TERESIO
conto de’ suoi atti, — ci astringe ad ammet¬
tere l’innesto di un’anima superiore, capace
non pur di resistere all’ impeto e alle illecebre
dello spirito, ma di rattenere e reprimere lo
spirito corrente ai perversi piaceri e alle azioni
indegne, e di tendere col suo vigore al proprio
fattore, per ricongiungersi alle cognate so¬
stanze e fruire con loro della beatitudine eterna.
Giacché, dice il Telesio, l’uomo, a diffe¬
renza degli altri animali, non intende nè ap¬
petisce soltanto le cose sensibili e mortali,
che hanno attinenza unicamente alla conser¬
vazione presente di se stesso, ma intende
anche e appetisce le cose divine e immor¬
tali, spettanti alla sua conservazione eterna.
Sicché aH’uomo pare sia da attribuirsi un
doppio appetito, c un doppio intelletto: ine¬
rente, l’uno e l’altro, principalmente allo spi¬
rito: ma l’uno da ricondursi all’anima creata
da Dio. l’altro alla natura dello spirito stesso.
C’è l’appetito sensitivo proprio di questo,
e si rivolge alle cose sensibili, che paiono
beni, ancorché non siano veramente tali; e
c’è la volontà propriamente detta, indiriz¬
zata ai beni veri, futuri ed eterni.
I critici hanno osservato che le funzioni
di quest’anima creata, in quanto forma dello
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
S5
spirito, e propriamente dell’ intelletto nativo
e dell'appetito sensibile, nel Telesio sfumano
per modo da lasciar trasparire che quest’ani¬
ma piovuta dal cielo è un « soprappiù » nel
sistema telesiano; « una essenza inutile ag¬
giunta all’uomo per un certo ossequio alla
religione», una concessione fatta ai tempi,
alle tradizioni, alla fede; e che non guasta
nulla 52 ). Ma ciò non è esatto. È vero che
tutte le funzioni intellettive dell’anima im¬
mortale hanno bisogno del concorso dello
spirito, e che per Telesio non è possibile ra¬
gione, che per lui, in sostanza, è senso, che
non sia corporea M ): laddove l’altra anima per
se stessa ragiona senza bisogno di sussidio
esterno. Ma tutto ciò si riferisce al sensibile,
ossia a quanto, come oggetto di conoscenza
o di appetito, è termine del senso. La fun¬
zione specifica dell’intelletto aggiunto e della
volontà si riferisce invece al soprasensibile,
all’eterno, al divino; e al sensibile soltanto
per subordinarlo, reggendo lo spirito e le sue
native energie, ai fini oltremondani. Rispetto
a questi, lo spirito è cieco, non solo perchè
non conosce e non vagheggia il soprasensi¬
bile, ma perchè non è capace di conoscere
adeguatamente e giudicare secondo il suo
86
BERNARDINO TELESIO
giusto valore lo stesso sensibile. Non basta
che l’anima creata non abbia oggetto mon¬
dano e naturale, perchè la si dichiari una
concessione ai tempi e alla fede; quasi che
il Telesio, filosofando con maggiore libertà,
* potesse farne a meno. Ma è vero che essa
è un residuo irriducibile del suo pensiero,
rispetto al naturalismo, che è la sua vera,
viva filosofia. E vero che essa rimane nel¬
l’organismo del pensiero telesiano una idea
morta, che non può entrare, e non entra, nel
circolo del sistema.
E non è la sola, come s’è già accennato.
Quest’anima creata, che è la facoltà del di¬
vino, o il senso della religione, quella che il
Campanella, spirito assai più profondamente
religioso del Telesio, svolgerà nella impor¬
tante sua teoria della mente, si collega,
come è ovvio, con l’idea di un Dio creatore,
esterno alla natura, e al meccanismo di essa
studiato dalla filosofia telesiana: di un Dio,
che è anzi esso la ratio cognoscendi dell’anima
creata. Giacché senza Dio, l’abbiamo visto,
Telesio non si sarebbe imbattuto in quest’ani¬
ma, bastando alla vita terrena e naturale
quella che risulta dal giuoco del caldo e del
freddo. Ma chi si sforzi di sapere o di acqui-
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
87
stare la virtù ch’egli dice sapienza, non può,
secondo il Telesio, non vedersi sorgere in¬
nanzi l’idea di Dio.
La sapienza 54 ) è virtù dello spirito, ma
n0 n dello spirito solo. È cognizione che lo
spirito si procura e deve procurarsi ai fini
stessi dell’autoconservazione, di tutti gli esseri
naturali e di se medesimo e del corpo a cui
è insito, e senza di cui non potrebbe stare.
Ma è anche cognizione dello spirito integrato
e perfezionato dalla sostanza in lui immessa
da Dio; ond’è eccitato e spinto di continuo
a cercar di conoscere anche Dio e gli enti
divini o soprannaturali, che la scienza non
vedrebbe mai nella natura iuxta propria prin¬
cipia ; poiché quest’anima aggiunta, secondo
le espressioni platonizzanti usate in questo
luogo dal nostro filosofo naturalista, « sa-,
piente per sé non pure delle altre cose, ma
di Dio stesso e degli enti divini, ossia del
proprio padre e fattore e delle sostanze a
lei cognate (chi invero potrebbe dubitarne?),
ma quasi cacciata in esilio, in carcere e in
tenebre, e però orbata d’ogni conoscenza e
divenuta insipiente, aspira ansiosamente a
ritornare alla sua natura e perfezione; e
finché non l’abbia riacquistata, non può non
88
BERNARDINO TELESIO
dolersi assai e crucciarsi e dispiacere a se
stessa ». Sicché lo spirito ha la tendenza a
sapere, oltre l’oggetto suo naturale, anche
quest’oggetto trascendente, la cui cognizione,
secondo il Telesio, non conferisce alla con¬
servazione o vita dello spirito in quanto spi¬
rito, nè sarebbe mai ricercata dallo spirito,
se questo non fosse mosso dall’anima creata.
Semplice tendenza, di certo, perchè la cogni¬
zione di Dio supera di grandissimo tratto le
forze proprie dello spirito: a cui l’anima fa
sentire un bisogno superiore, ma non comu¬
nica la capacità di darvi soddisfazione. Onde
lo spirito, per il concorso di questa sostanza
psichica soprannaturale, ha un nuovo pro¬
blema senza una nuova soluzione; aspira a
speculare anche Dio; ma con la ragione non
può assolutamente: « la quale », dice Telesio,
« può giungere a spiegare, e spiega infatti il
mondo tutto; e intende inoltre tutte le cose
in esso comprese essere state create da un
Essere sapientissimo, potentissimo e ottimo».
Ma questi stessi attributi non può penetrarli
in tutta la loro grandezza; ed è lontanissima
dal conoscere gli altri. La ragione, a guar¬
dare il fulgore divino, ne resta abbagliata
e cieca, peggio dell’occhio che si affisi nel
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
89
sole. E però la vera sapienza superiore, la
celebrazione di questa virtù culminante dello
spirito umano, non è quella che vuole inten¬
dere con la ragione, ma quella, che messa
da parte la ragione, si propone di vedere Dio
e Tesser suo e i suoi attributi « nelle sacre e
divine lettere e nelle stesse parole di Dio ».
Sapienza che, in questa cima, assomiglia, dice
il Telesio, l’uomo agli enti divini, anzi, quanto
è possibile, a Dio. Ideale, cui dunque non
è dato alla ragione che spiega la natura
elevarsi da sè; ma che alla ragione per altro
è impossibile non proporsi, poiché la sua
spiegazione naturale non è senza residuo;
e quando essa scruta il suo mondo, non può
non scorgervi dentro Torma profonda della
sapiente azione creatrice di quel Dio, che
gl’ incitamenti dell’anima creata gli faranno
cercare nella rivelazione divina. «Giacché»,
conchiude il Telesio, «chi, vedendo la costru¬
zione del mondo e la costituzione degl’ indi¬
vidui, ma sopra tutto degli animali, non vede
che Dio è sapientissimo, e che delle virtù,
che noi possiamo pensare in lui, la principale
debba essere la sapienza; ei può ben dirsi
non solo empio e selvaggio ( ferus ), ma a
dirittura senza intelletto ».
90
BERNARDINO TELESIO
Ora sarebbe falsare la storia e non inten¬
dere l’anima e la mentalità di Bernardino
non vedere in questo concetto della sapienza
l’espressione sincera del suo pensiero. Ma
sarebbe anche far torto all’acume specula¬
tivo del filosofo; il quale avrebbe bensì dato
prova di più intrepida cecità materialistica
a disconoscere affatto le prove della sapienza
divina, ossia la razionalità e spiritualità di
tutta la natura, così come egli invece la
vedeva più vivamente lampeggiare nella fina¬
lità dell’organismo animale; e avrebbe potuto
dissimulare la meraviglia del caso, che il
naturai meccanismo delle nature agenti pro¬
duca il miracolo del mondo e del pensiero;
ma, per fare una costruzione più armonica
e coerente, l’avrebbe lasciata campata in aria.
Il puro meccanismo non è intelligibile.
E Telesio che a redimere la realtà dalla
trascendenza, non sa intenderla se non mec¬
canicamente, e però vuotata dello spirito che
la sorregge e l’avviva, ha bisogno di legarla
e quasi sospenderla, da un capo e dall’altro,
allo spirito, al pensiero, alla legge, che è la
sola àncora, a cui la realtà possa fermarsi.
Onde la sua natura, guardata dentro, e ri¬
condotta sì a’ suoi principii, che sono in
LA FILOSOFIA DEL TELESIO
91
lei; ma dalle prode apparisce creata da Dio
e a Dio ritornante con l’anima oltremondana.
Come la sua origine è fuori di lei, ed essa
non può sorgere da sè, così la sua fine, che
è il suo fine, non dipende da lei, e richiede
un nuovo intervento di Dio, che suggelli
l’opera sua destando nella natura una supe¬
riore e definitiva potenza, che la riporti a
lui. Onde tutta l’immanenza, che è il pen¬
siero nuovo del Telesio, resta, come doveva
restare, quasi avvolta e chiusa nel bozzolo
della vecchia trascendenza. Che sarà il destino
e il segno caratteristico della filosofia di Bruno
e di Campanella e di quanti tentativi si fecero
allora o si son fatti di poi per intendere iuxta
propria principia una natura, una realtà, che
non sia la realtà dello stesso pensiero, che
aspira a intendere: quale Cartesio la vide,
e quasi la sentì per la prima volta, quando,
sequestratosi idealmente dal gran rumore del
mondo che si dice esteriore, ascoltò l’intima
voce dell’essere che continuava a parlargli
dentro; e scoprì il mondo nuovo della filo¬
sofia moderna, il quale ha veramente in sè
tutte le ragioni del proprio essere.
Onde il mondo, a cui Telesio tenne fisso
il suo sguardo tenace per quasi cinquant’anni
92
BERNARDINO TEI.ESIO
con l’ansia nel cuore e il bisogno di com¬
penetrarlo della sua ragione, è un mondo
ormai scomparso dai nostri occhi, e non può
destare più il nostro interesse. I suoi scritti,
dentro ai quali pur s’agitò l’anima sua po¬
derósa, son divenuti desolatamente aridi per
noi, e semplici documenti per gli storici, cui
spetta di ravvivarne il senso che ebbero per
I elesio e pel tempo suo. Ma negli sforzi del
Telesio per ricostruire una natura, che avesse
in sè tutti i suoi principii, gli storici scorgono
la prima grande battaglia combattuta, sulla
soglia dell’età moderna, per rivendicare la
libertà e il valore immanente della vita; e
però essi additano nel Cosentino uno degli
eroi del pensiero umano.
NOTE
NOTE
1) Sul carattere antistorico della scienza qual’è presup¬
posta dalla logica aristotelica v. anche la mia prolusione
Il concetto detta storia della filosofia nella Rivista filoso¬
fica di Pavia del 1908.
2) V. la mia Storia detta filosofia in Italia (in corso di
pubblicazione nella collez. della Storia dei generi letterari
del Vallardi) lib. n, cap. t.
3) Su questo significato della filologia del nostro uma¬
nesimo nel sec. xv cfr. la mia Storia cit., lib. 11, cap. 11.
4) Cfr. la mia nota Veritas fitta temporis nella Miscel¬
lanea in onore di R. Renier, di prossima pubblicazione.
5) Metal., lib. n, c. 16 e Potter, vii, 6.
6) Renan, Averroes 5 , pp. 55-6.
7) Opere di G. Galilei, ed. naz., xn, 130.
8) Antibarb. ed. Leibniz, Francof., 1674, pp. 2, 5, 6.
9) Il Fowler nell’Introd. alla sua edizione del Nov. Or¬
ganimi, Oxford, 1889, p. 81.
10) Bruno, Opere italiane, ed. Gentile, 1, 196.
11) Per la vita del T., quando non siano citate altre
fonti, mi attengo al Y Orazione del D’ Aquino e alla accu¬
ratissima monografia del Bartelli (v. Bibliografia, 11), a
cui si deve la scoperta di molti documenti inediti e un
acuto esame dei ragguagli biografici antichi.
12) G. Bruno, De immenso, in Opera lai. conscr., ed.
Fiorentino, 1, il, 290.
13) De rer. natura, ni, 1; cfr. proemio alla edizione 1565
in Bibliografia, 1, 1.
14) Bacone, De principiis alque originibus secondimi
fabulas Cupidinis et Coett, in Philosophical Works, ed. Ellis
e Spedding, m, 108,
96
NOTE
15) De rer nal., 1, 17. Lo stesso luogo trovavasi nel¬
l’edizione 1570 al lib. n, c. 19. Cfr. l’accenno nel proemio
all’ed. 1565 (in Bibliografia 1, 1): « non nisi inclinata iam
aetate ».
16) Cfr. proemio all’ed. 1565 del De rer. nal. in Bi-
bliogr. i,i. E il D’ Aquino, Ora-.-, p. 21, dice che il Te-
lesio la lingua greca « la parlava, e scriveva così bene che
parea nato in Atene al tempo di Platone o di Tucidide ».
17) Su I Martirano v. la monografia di F. Pometti
(Roma, 1897 nelle Meni, della R. Acc. Lincei) e cfr. la re¬
censione del Croce in Gior. stor. d. lett. Hai., xxxi (1898),
pp. 116-22.
18) D’Aquino, Orazione 2 , p. 19.
19) Bartelli, Noie, pp. 26-27.
20) Proemio all'ed. 1565.
21) D’Aquino, p. 11, Cfr. Bartelli, p. 31.
22) Che il De rer. vai. sia stato scritto in casa dei
Carafa è detto da Bernardino nella dedica dell’opera a
Ferrante Carafa, ed. 1586. V. Bibliogr., 1. Cfr. le osser¬
vazioni del Bartelli, p. 29. E v. il proemio all’ed. 1565.
23) Lelio Capilupi, A Bernardino Telesio, son. nel
libro v delle Dime di diversi illustri signori napoletani
c di altri ingegni, Venezia, 1555, p. 424: rist. dal Daniele
in Antonii Tiiylesii Consentivi qui saec. XVI clamit
Carmina et epistolae, Neapoli, mdcccviii, p. 36 e da Luigi
Telesio in D'Aquino, Orazione 2 , p. 61.
24) Per questa data v. lett. del Quattromani cit. dal
Bartelli, p. 33.
25) V. proemio ai primi due libri De rer nal., ed. 1565,
in Bibliografia, 1, 1.
26) V. Antonio Persio in Bibliogr., 1.
27) D’Aquino, OrazP, p. io.
28) Cfr. Fiorentino, B. Telesio, 1, 103.
29) Riferito dal D’Aquino, Oras?, p. 11. Il brano del
Quattromani è citato dal Fiorentino, i, ioi.
30) Vedi un brano della ded. in Nicodemi, Addizioni co¬
piose della Bibl. nap. del doti. N. Toppi. Napoli, 1682, p. 53.
31) V. Fiorentino, o. c. i, pp. 359-60.
NOTE
97
32) V. Fiorentino, ti app. pp. 375 ss.
33) Manso, Vita di T. Tasso nelle Opere di T. T., Pisa,
1832, voi. xxxiii, p. 264.
34) « Onde tu, generosa, Città, che sai quante opere
sono rimaste delle sue da imprimersi e le vedi nelle mani
di diverse persone disperse, fa, ti prego, che un tesoro
cosi grande, e così occulto, per la tua dovuta gratitudine
risorga... Intorno agli ottanta anni fe’ queste ultime opere.
E se pure non saranno più perfette delle altre, trattarono
(sic) di nuove materie, e non mai udite insino a questo
tempo... »: D’Aquino, Oraz . 2 , pp. 3 2 " 33 * ,
35) V. son. e nota in Campanella, Opere , ed. D’An¬
cona, 1, 103.
36) De princip. atque origin ., p. no.
37) Non. Org., 1, 1 16; De augm., lib. ni. c. 4 - 3 IO -
38) De interpret. naturae, in Philos. IVorks, ed. cit.,
in, 786.
39) V. lett. del Patrizi al Telesio in Fiorentino, 11, 375 -
40) De princip. atque origin., p. no-
41) La « doxa » parmenidea è la pura fenomenologia; e
la scienza vera per Parmenide è metafisica monistica.
42) Pei rapporti tra Telesio e Bacone v. Ellis, pref.
a Bacone, Philosophical H'orks , 1, pp. 49 ' 53 -
43) Destruendo quatti ostruendo utelior; in De princ.
atque origin., p. 94 -
44) V. i primi capitoli del De rer. natura.
45) Cfr., p. e., De rer. nat., in, 2 « Rerum principia,
e quibus res Constant, cum antiquioribus fere omnibus
tum Aristoteli, tria visa sunt, agenda contraria duo et
materia una etc. » Cfr. lib. ili, c. 1.
46) De rer nat., in, 4 -
47) Per la teoria della conoscenza e l’etica telesiane
v. la tesi dello Heiland cit. nella fìibliografia , li.
48) V. De rer. nat., 1, 6: dove, dopo aver ripetuta¬
mente asserito che il senso è necessario al caldo e al freddo,
conchiude: « Nec vero, nisi caloris frigorisque, aut alte-
rius saltem, itaque caeli terraeque, aut alterius, pro-
prius sit sensus, animalibus, quae ab ipsis constituta sunt,
G. Gentile, Bernardino Telesio.
7
9«
NOTE
insit ullus: qui enim, quae nec cacio inest nec terrae, iis
quae a caelo terraque fiunt, indi queat facultas? (ed. Spam¬
panato, p. 27). Ma nell’ediz. I57o (1, 34) aveva sostenuto
« sentiendi facultatem naturae agenti utrique traditam esse,
et in ea sola caelo terram convenire; al exquisitiorem
oninino eam calori tributam esse ».
49 ) Fiorentino, lelesio, 1, 269.
50) V. De rer. noi., n, 1.
51) V. De rer. nat ., vm, 15.
52) Fiorentino, P. Potnponazzi, Firenze, 1868, un. 387
390; cfr . B . Telcsio, i, 319-20; G. S. Felici, Le do tir .
Jilos.-relig. di 7 . Campanella , p. 42.
53 ) V. De rer. nat., v, 40.
S4 ^.Y' P* rer ‘ na/ ’’ lx » 6 ’ e intorno al concetto della
necessita di un Dio creatole per spiegare l’origine del mec-
canismo, cfr. De rer . nat., i, io.
i
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
I
SCRITTI DI B. TELESIO
Bernardini Teeesii | Consentiti | De rerum natura
iuxta propria | principia liber primus, | et secundus |
Romae. | Apud Antonium Biadimi Impressorem Came-
ralem. | Anno. M.D.LXV. (Nel frontespizio e nel verso
della carta per la sottoscrizione v’è l’impresa: la fenice
tra le fiamme col motto Fit Aeterna Quibus). Pagine
177 (non ha numero la 2 n ): S innum. a princ. e 2 in
fine; in
V. Catalogo delle ediz. romane di A. Biado Asolano
ed eredi (in Indici e calai, del Ministero della P. I.)
Roma, 1896, p. 101.
A p. 176-7 un Errata-corrige segna pel Proemio qui appresso
riprodotto quattro correzioni, che si trovano già eseguite in tre copie
posseduta dalla Bibl. Coni, di Palermo (segn. i-in, C. 2) e dalla
Vittorio Emanuele di Roma (segn. 68, 13, C, 36; e 68, 13, D, 24).
cioè
Fac. prooem. Proaemicm Prooemium
iamdiu
liane
ne
ver. 25 tam diu
26 hinc
5 prooe. 23 nec
Il che dimostra che il proemio, terminata la stampa del vo¬
lume, venne ristampato
Ma il primo proemio ci è stato conservato in un importan¬
tissimo esemplare della stessa Bibl. Vittorio Emanuele di Roma,
102
APPENDICE BIIÌJ.IOGRAF1CA
segn. 71, 3, D, 26, insieme con un frontespizio finora ignoto ai
bibliografi, diverso da quello qui sopra descritto pel motto del¬
l’impresa che è: soms, kit aeterna QL'ibus, pigna igniris
URI. Importantissimo è questo esemplare, oltre che per nume¬
rose postille ed aggiunte sparse nei margini e in carte interfoliate,
anche e sopra tutto per sei carte che vi si trovano legate tra il
proemio e il primo libro, contenenti una redazione nuova dei
capitoli I-IV e xix-xxtn del primo libro. Al cap. xix precede
(c. 4 r) la didascalia: « Quae segmentar capila loco 19, 20. 21,
22 et ponendo sunti. Di molto interesse riuscirebbe un mi¬
nuto confronto di queste due primitive redazioni, documento
assai significativo (cfr. sopra pp. 48-9, 77) della irrequietezza con
cui il Telesio, fin dal primo momento che diè in luce il primo ab¬
bozzo dell’opera sua, si diè a rifarla, insoddisfatto e desideroso di
una più convincente e sicura sistemazione del proprio pensiero.
Riproduco qui appresso il proemio di questa prima edizione,
modificandone soltanto la punteggiatura.
PROOEMIUM.
Nulli quod mihi contigit evenisse unquam reor, ut
qui mortalium omnium minime ambitiosus, et minime
gloriae appetens, animoque maxime remisso, et, si quis
alius unquam, unius cognitionis grada, nullius amplius
rei, philosophiae studiis vacarim, omnium ambitiosissi-
mus videri queam tumidissimusque et vel honores vel
edam dividas aucupari; qui, non contentus Aristotelis
doctrina, quem tot iam saecula numinis instar hominum
genus universum veneratur, et, veluti a Deo ipso edoc-
tum et Dei ipsius interpretem, summa audit ’cum ad-
iniratione et cum religione edam summa, novam ipse
invehere tentem. Sed qui nostra perleget facile is, quod
re vera est, intelliget spero non alterius rei cupiditate
ab Aristotele me descivisse, quem et ipse nullo forte
ntinus multos annos colui suspexique, sed veritads tan¬
tum grada, et ipsum in hoc sequutus Aristotelem ve¬
ntateli! rebus omnibus praelionorandam praedicantem,
SCRITTI DI B. TERESIO
103
et veritatis grada amicum edam praeceptoremque suum
incusare nihil verentem. Non siquidem minima quaedam
aut abstrusa occultaque prave Aristotelem docentem, et
quorum aegre cognido liaberi queat, culpantem me vi-
debunt, sed in universo fere naturali negotio sensui et
sibi ipsi repugnantem, in plerisque igitur non a nobis
primum oppugnatum damnatumque, sed iamdiu et ab
aliis longe plurimis longeque clarissimis viris, et a suo-
rum edam multis, et longe praestandssimis, et a nullo
defensum satis. Ut, nisi vel laborem aliam indagandi viam
pertaesi homines forent, vel velutì praesdgiis capti, vel,
quod de multis suspicari edam licet, non sapientiae gra¬
da, sed se ipsos ostentandi venditandique philosophati,
contend igitur Aristotelis vel Platonis verba sentendas-
que proferre, et Aristotelis praeserdm nominis fulgore
mortalium oculorum aciem perstringere, non igitur ra-
tione ulla, nec, quod magis edam oportebat, sensu ullo
propria dogmata firmantes, at sola Aristotelis auctontate;
iamdiu defecisscnt ab homine reor omnes, et novam
hanc, sensum sequuti, indagassent viam, quae sese om¬
nibus manifestasset, et multo quam nobis prompdus acu-
tiore praeditis ingenio, et quibus ab ineunte aetate in
magno ocio philosophiae vacare licuit; nam nobis, cras-
siore tardioreque, ut ingenue fateamur, datis ingenio,
non nisi inclinata iam aetate id facere permissum est,
neque extremum hoc, nec diuturnum vitae tempus li¬
bere nulloque impedimento, sed plurimis molestissimis-
que implicitis occupadonibus, in maximas angustias
inaudito illorum scelere coniecds, a quibus summe
amari nos colique et foveri oportebat maxime. At, ut
dictum est, unius sapientiae grada philosophantes, ne-
quaquam Aristotelis dicds, ubi rebus non consentirent,
acquiescere potentes, quae praeserdm sibi ipsis dissen-
tirent; suos itaque perpetuo inter se disceptantes digla-
diantesque intuentes, et longe diversissimis delatos viis,
104
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
at quibus ipsum sequi videantur Aristotelera ; nuilam
certe rem, quam tractarent, in aperto, et veluti in luce
ponerent et sensui offerrent, quod oportebat maxime,
sensiles edocentia res, sed rationes tantum continentia,
quae veluti mentem ligarent, repugnare illis ignaram, at
assentiri nolentem, nequaquam sensui consentientes, qua-
les esse oportere, quae veritatem continent, ipse inpri-
mis admonet Aristoteles; et ncque propterea tot sua
tenebria occultantem illuni existimare potentes, quo, ut
suis placet, ignavos deterreret, quibus nimirum pulcher-
rimarum rerum invideret cognitionem, non eadem omnia
obvolventem caligine videntes, at obscuriora abstrusio-
raque quae sunt, quae igitur illustranda aperiendaque
essent maxime, adeo profunda, ut linceus nullus supe¬
rare et pervadere illapi queat, aperta magis et quae
penitus innotuisse visa sunt, nulla plerunque, valde
exili interdum, ut suspicari liceat propterea id esse
ab eo factum, ut ne, sui penitus dissimilis in dissi¬
milimi! traditione visus, non aeque omnium sciens vi-
deri queat, est et quae in nimia ponere velit luce, ut
suis edam ambidosius circa quaedam revolvi videatur,
sua ostentans, et pluribus quam opus est firmans illa
radonibus. Tum neque ignavis modo sua invidisse Ari-
stotelem intuentes, sed summe edam strenuis et summe
industriis viris, tot iam igitur saecula, tot, non inquam
viri, sed nationes illius scripta perscrutatae rimataeque,
nulla fere in re, quae fuerit hominis sentenda inspicere
potuere; digladiantur itaque, ut dictum est, inter se Pe¬
ripatetici omnes, non in duas divisi partes, sed in longe
plurimas, et nullus illius dieta explicans reliquis placet:
adsunt qui nullum e tot interpretimi milibus non dam-
nent, et ne Graecos quidem ipsos, ipsumque Aphrodi-
seum Aristotelis mentem latuisse non contendant. Et
non hoc modo, sed nullum sibi ipsi in Aristotelis scripds
explicandis satis placentem videntes, et propriae expo-
SCRITTI DI B. TELESIO
105
sitioni oranino acquiescentem, quam nimirum nullus an¬
gustiò omnibus liberam, et vel aliis Aristotelis dictis, vel
rebus etiam ipsis non repugnantem videre queat; sed
perpetuo anxios omnes intuentes haerentesque et, quot vis
soiutis nodis, ab aliis tamen retentos; nequaquam igitur
id voluisse Aristotelem suspicantes, ignavos nimirum et
caecutientes homines a suis repellere tenebris illa ob-
volventem et veluti spinò saepientem, qui nulli innotuit
unquam et neque innotescere posse ulli videtur; sed vel
aeque omnibus rerum cognitionem invidòse; quo nihil
inhumanum, impium nihil fieri queat magis, et nihil ab
Aristotelis etiam ingenio alienum magis, propria bona
propriamque pulchritudinem nequaquam obtegentis un¬
quam, neque hominum exòtimationem contemnentis, at
summe etiam illam ambientò; qui igitur si rerum causas,
et res ipsas inspexisset omnes, libens, reor, illas homini-
bus patefacisset omnibus, ut summe illuni amarent et
colerent etiam omnes solum rerum naturam intuitum et
manifestantem ipsam omnibus; vel, quod verisimile fit
magò, nequaquam propriò positionibus contentum, et
nequaquam illis confisum, sedulo, quod aliis faciendum
praeceperat, fecisse, quae scilicet non penitus innotue-
rant, summis illa obvolvisse tenebris: id volentem om-
nino, non ignota nimirum sibi illa filóse homines suspi-
cari, sed abstrusiora quam quae omnibus innotescere
et manifestari queant omnibus; se ipsos igitur damnare
omnes, illum admirari semper.
Haec suspicantes, et nequaquam, quod prius fecera-
mus, Dei ore loquutum fuisse Aristotelem amplius iudi-
cantes, potuisse itaque et ipsum errare, et in multò omnino
errasse illum, et in maximi momenti maximeque sensui
expositis rebus Galenum adeo aperte demonstrantem vi-
dentes, ut qui ulterius Aristotelis sententiam tueri in illis
velit, non pervicax modo et positionis tenax, sed stu-
pidus etiam videri queat; omissis Aristotelis decretò pia-
io6 appendice bibliografica
citisque, diu inultumque rerum naturarli et ipsas intuiti
res, alio et quae prima Aristoteli videntur corpora et re-
liqua fere omnia sese habere conspeximus, quam quo ab
Aristotele posita erant pacto; et illud itaque necessario est
visum, vel non ab illis principiis prima constimi corpora,
vel non ab omnibus. A calore porro et frigore omnia fieri
intuiti, nequaquam in hoc ab ilio dissentire visum fuit; in
eo igitur quod reliquum erat, non scilicet ab humiditate
itidem et siccitate, ut agentibus causis, quas praeser-
tim non se ipsas generare constituereque, nec se ipsas
mutuo corrumpere, sed a calore et frigore fieri cor-
rumpique, et videbamus ipsi, et alibi Aristotelem edo-
centem audiebamus. Et illud itaque insuper necessario,
duo nimirum prima esse simpliciaque corpora, et cae-
lum ex iis alterum, omnia e caeli in terram actione
constimi videntes, et summe rebus omnibus terrae op-
positum caelum; et nequaquam necessariam et neque
firmam Aristotelis rationem intuentes, qua caelo calo-
rem abnegat, sed mille labefactari aptam modis; tum et
pacto nullo calorem a caeli motu, quo Aristoteli pla¬
cet pacto, fieri posse videntes. His positis firmatisque,
mirum quam nullo fere temporis momento, quam nullo
negotio nulloque labore et rerum aliarum omnium et
animae ipsius substantia atque operatio innotuerit. Mul-
tos iam annos et laboribus vigiliisque multis quaesita
in Aristotelis libris, et inventa nunquam, ipsa sese ul¬
tra conspicienda nobis obtulit anima, et sua manifestavit
omnia; et effectuum insuper aliorum omnium causa, iis
positis principiis, visa est assignari posse pulcherrime,
quae in Aristotelis doctrina perraro conspecta est satis.
Quod igitur nunquam in animum induxeram prius,
niliil a me monumentis dignum investigari posse credens,
cogitationes et ipse meas litteris mandare constimi, nefas
putans veritatem, quae inventa visa fuerat, abdi caelari-
que {sic}', multo igitur labore iam inde a pueritia intermis-
SCRITTI DI E. TELESIO
°7
sum scribendi munus repetitum est, et integrum natu¬
rale negotium conscriptum, et ad ea deventum particu-
laria, quae nec attigere antiquiores, et neque attìngere,
reor, sperarunt unquam, nusquam a positìs, ne trans-
versum quod aiunt unguem, discedenti principiis, et
niliil asserenti unquam, quod non necessario a princi¬
piis manet fluatque. At neque adhuc mihi confisus,
cui, ut dictum est, extremum modo vitae tempus phi-
losophari licuit, et nequaquam in magno ocio magna-
que animi tranquillitate, neque in publicis inclitisque
Italiae Academiis a praestante aliquo viro edoceri, sed
in magnis plerunque solitudinibus, molestissimis op¬
presso impedimentis, Graecorum monumenta evolvere.
Latina non satis percipienti, ignotis referta vocibus. Fa¬
cile igitur suspicari vererique potenti, et revera suspi-
cantì interdum verentique deceptum me (neque enim
fieri posse, ut tot prestantissimi viri, tot natìones, at-
que adeo humanum genus universum tot iam saecula
Aristotelem coluerit in tot errantem tantisque) Madium
Brixianum adire et consulere visum est, quem et in
philosophia excellere videbamus, et cuius mihi iamdiu
animi ingenuitas innotuerat; ut, si a prestantissimo viro
cogitationes meae non improbatae forent, nequaquam
supprimerentur illae; sin minus, errores intuitus meos,
quod reliquum vitae esset, et ipse Aristotelem suspice-
rem venerarerque. Brixiam itaque ad Madium profec-
tus, et itineris mei exposita ratione, nequaquam ille,
quod multi fecerant, et quod facturum et illuni minitati
fuerant, inauditum reiecit; at summa diiigentia plures
dies, quibus apud illum fui, et summa cum animi tran¬
quillitate et audiit et perpendit omnia. Principia niliil
improbavit, et quod non e principiis flueret, videre ni-
hil potuit. Aristotelem in nullis certe satis defendere est
visus; damnavit etiam illum prima constituentem cor-
pora, nequaquam res ipsas intuitum tot illuni taliaque
toS
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
posuisse aftirmans, at proprias sequutum positiones, ne-
que igitur talia esse illa, qualia Aristoteli ponuntur, et
ipsius positiones ab innumeris, iisque inexplicabilibus
excipi difBcultatibus, quas, a suis descriptas, ostendi
nobis curavit. Vir videlicet genere quidem nobilissimus,
at multo animo magis, et nihil nisi ipsam colens su-
spiciensque veritatem, nihil, quem ipse interpretabatur,
cui igitur veluti iuramento obstrictus videri poterat, ve-
ritus Aristotelem, quin, ubi parum placeret, oppugna-
ret illum, et damnaret etiam defendi impotentem.
Nihil itaque ab ilio audiens, quod vel nostra labefacta-
ret, vel quod Aristotelis positiones a nobis oppugnatas
tueretur stabiliretque, et neque ab aliis ullis, quibus cum
multis Romae eximiis quidem viris communicare vel dis-
serere illa licuit, et a multis, ut mea ederem ■) impulsus,
nihil id facere amplius veritus sum. At a multis reiectus
impedimentis, quae me usqueadeo retardant, ut, quod ma-
thematicorum affirmant multi, suspicari interdum liceat,
quae nimirum haud contemnenda bona benigna nobis
pollicentur sidera, retardari a maligno, quae non inter-
cipiuntur, omnia, nec commentarios reliquos edere -“)
licuit, nec integrum de natura opus; sed primos tantum
libros, eosque non satis perpolitos, at tales etiam edere 3)
visum est, ut quid de illis sen^ant homines videam, et<
quae etiam obiiciant, iterum et reliquos, et hos etiam
politiores editurus, si nihil, quod nostra labefactet, obie-
ctum fuerit. Neque eqim, si hi steterint libri, et fun-
damenta in iis posita, ne stent reliqua omnia verendum
est quicquam, his innixa omnia; si ruerint haec, nihil
opus est alia edi 4), ex his fluentia nianantiaque, ut si
1) aederém.
2) aederr.
3) cledere .
4) ardi.
SCRITTI DI B. TELESIO I 09
edam perpolita essent omnia, edenda ') liaud videantur
tamen. Reliquum est, ut omnes orem atque obtester,
qui mea legere non gravabuntur, ne inimico haec in-
spiciant animo neve ut reiecturi qualiacunque sint,
veluti iuramento Aristoteli obstricti, sed amplexuri, si
arriserint, ut veritads amantes decet et illam sectantes
solam. Tum, ne cursim ut legantet veluti vorent, sed per-
pendant singula. Et illud inprimis, num quae caelo ca-
lorem dantes, et caelum terramque prima ponentes cor-
pora, et e caeli in terram actione caetera generantes
omnia, et caeli motus causam exponentes (quae omnia
in primo posita sunt explicataque commentario) recte
solutae sint, quae nos excipere videntur difficultates,
et num iis, quae sensu percipiuntur, dieta nostra con-
sentiant omnia. Tum quae haec facientem premunt
Aristotelem angustiae, in secundo expositas 1 2 3 ) commen¬
tario. Sic enim visum est nostra prius ponere, tum
aliena refellere; prius videlicet, quo res constìtutae vi¬
deantur pacto, edocere, tum alio esse non posse deco¬
rare. Hoc qui fecerit, recte is iudicium 3) de utrisque ferre
posse videtur; qui enim minora subierit incommoda,
is veritatis proximior videri debet, at nondum tamen
veritatem adeptus, quae nullas patitur angustias, diffi¬
cultates nullas, nec sibi dissentit unquam, sed penitus
sibi ipsi cohaeret, et una efficitur omnis, tum vel igna¬
vissimi crassissimisque hominibus aperit manifestatque
quaevis omnia, omnia sensui exponcns apertissime; hu-
iusmodi nulli reor Aristotelica videri queant; nostra ne
sint, ii recte iudicabunt, qui illa, quod Aristoteles facien-
dum praecepit, non ut adversarii, sed ut iudices arbi-
trique legerint consideraverintque religione, qua erga
1) aedenda.
2) Da riferirsi ancora a per pendant.
3) iuditium.
I IO
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
I
Aristotelem obstricti videntur, exsoluti, et tantisper illius
positionum decretorumque obliti. Si qui nostra oppu¬
gnare voluerint, id illos insuper rogatos velim, ne me-
cum, ut cum Aristotelico, verba faciant, sed ut cum
Aristotelis adversario, neque igitur sese illius tueantur
positionibus dictisque ullis, at sensu tantum et ratio-
nibus ab ipso habitis sensu, quibus solis in naturalibus
habenda' videtur fides. Tum ne ut nobis notas illius af-
ferrant distinctiones terminosque, quas ingenue fateor
percipere me nunquam satis potuisse, propterea, reor,
quod non sensui expositas nec huiusmodi similes con-
tinent res, sed summe a sensu remotas, et ab his etiam
quae percoepit [sic) scnsus, quales tardiore qui sunt cras-
sioreque ingenio, cuiusmodi mihi ipsi et nulla animi
molestia esse videor, percipere haud queant. Quae igi¬
tur contra nos afferent, exponant oportet, et veluti in
luce ponant, tarditatis meae, si libet, commiserti, et re¬
bus agant, non ignotis vocibus, quae, nisi res contineant,
vanae sint inanesque. Illud prò certo habere omnes
volumus, nequaquam pervicaci nos esse ingenio, aut
non unius amatores veritatis, et libenter itaque errore^
nostros animadversuros, et summas illi gratias habituros,
qui, quarn solam quaerimus colimusque, patefecerit ve¬
ntate m.
Bernardini Telesii | Consentini | De Rerum Na¬
tura iuxta propria prin | ci pia, Liber primus, & Se-
cun | dus, denuo editi. | Cum Licentia Superiorum. |
Neapoli | Apud Iosephum Cacchium | Anno MDLXX.
Il frontespizio reca la figura femminile di cui a p. 39. Sono
cc. 95 num. soltanto nel redo. V’ è soppresso il proemio della edi¬
zione pretedente; e vi sono introdotte molte modificazioni.
SCRITTI DI B. TELESIO
I I I
Gli esemplari di questa edizione si trovano sempre legati con
i tre opuscoli stampati a Napoli nel 1570.
Un esemplare, con correzioni di mano del Telesio, proveniente
dalla bibl. di Domenico Cotugno, si conserva tra i mss. della
Nazionale di Napoli (xiv, E, 68): ed è degno di considerazione
perchè attesta ad oculos come il Telesio, dopo questa 2» edizione,
che già era un rifacimento, continuasse a tormentare la sua opera
prima di ridurla alla forma definitiva, in cui la diè in luce di¬
ciottenni dopo. Le varianti (comunicatemi dall’amico prof. Spam¬
panato) concernono, la maggior parte, la forma; ma sono parti¬
colarmente notevoli le numerose cancellature di lunghi brani,
consigliate per lo piu dal disegno del nuovo assetto che l’au¬
tore intendeva dare alla materia. Così, per non dire delle brevi
frasi, vi si vedono cancellati i seguenti brani:
Lib. 1: c. 3 v 1 . 27-c. 4 r 1 . 8: siquidem ... inluebere vcluii ;
c. 6 r 1 . 29-c. 6 v 1 . 6: ibi modo... assumit uttatn\ cc. 7 r e 7 v
interamente; c. 8 r-S v tutto il cap. n; c. 9 v 11 . 5-9: videri...
viribus) c. io 1 . 19 debet... fino alla fine della facciata; c. 11 r
11. 17-19 robustioreque... possimi ; c. 11 r 1. 31-38 e c. 11 v 11.
1 _ 3 » c - *3 v 11 - 1-19; c. 14 r 11 . 19-38 e 14 v tutta; c. 16 Z/-17 r
tutto il cap. 22; c. 20 r lì. 18-24: Ai natura?... interdum ; cc.
20 7'-23 v \ i capp. 30-33 e parte del 34 fino alle parole ubi ro-
b us liu s ; c. 25 r 11. 15-28 e 25 v 1-17; e nini) c. 34 r 11. 8-14 e
19-21; c. 34 v 11. 10-15; c » 3^ r Ih 5 _ & : Al sensus... omnes ; 40 v
11 . 19-24: omnino... quaevis. Lib. 11: c. 42 /- 11 . 15-19: FA nequa-
quam... forma ; c. 42 v 11 . 35-7 Al neque mutaiionem ; c. 46 r
a 47 r: capp. 6 e 7; c. 47 z> 11, 1-5; c. 49 r e 49 v : capp. 11 e
12; c. 50 v a 51 v : cap. 14.
Ma per mostrare con un solo esempio, tratto da un luogo del
De retimi natura contenente alcuni periodi famosi (cfr. anche
in questo voi. p. 40: quei periodi in forma poco diversa erano
nel proemio del 1565, soppresso nell’ed. 1570: cfr. sopra pp. 102-3)
come il Telesio lavorasse dopo il 1570 attorno al testo della sua
opera, giova riferire il cap. 1 del lib. 11 dell’edizione Cacchi con
le correzioni autografe dell'esemplare napoletano e la redazione
corrispondente del 1588, dov’è mantenuta la più importante di
quelle correzioni.
Ecco il cap. dell’ed. Cacchi con le correzioni dell’autore:
Quoniam, quae in superiore Commentario exposita
sunt t alio omnia se habere modo Aristoteli videntur, eius
I
! 1 2 APPENDICE BIBLIOGRAFICA
omnino de singulis illis sxp/icondqw esse, cxcwiviividfini-
que sententiam.
Quoniam autem non Terra modo e sublunaribus
primum corpus Aristoteli videtur; sed et aqua itidem,
et qui nos ambit aer, et is, qui Coelo subiacet et cum
Coelo circumvolvi videtur; et unumquodque eorum non
ab unica' agente natura, sed a duplici singula illas, de-
bilitatasque, at non eas tamen modo, quae unius sint
corporis, sed omnes simul sibi ipsis commistas, cont-
plicatasque, pene et unum factas inesse; e simplicium
itaque complexu, commistioneque effecta mista Aristo¬
teli dicuntur: et nequaquam a propria Coelum natura,
propriaque calefacere substantia, caloris omnino expers,
nec calorem suscipere ullum aptum, commune sublu¬
naribus habens nihil, penitusque diversa praeditum na¬
tura, sed sublunarem aerem commovens, conterensque:
et nec a propria omnino forma '), propriaque moveri
substantia, sed ab immotìs motoribus; longe omnia a
nostris dissidentia; ipsius explicanda est, excutiendaque
de singulis sententìa: neque enim et aliorum itidem re-
censendae sunt, examinandaeque opiniones, ab ipso
satis reiectae Aristotele, et non penitus etiam notae
nobis. Utinam et cum Peripateticis liceret idem: magno
itaque vacuis labore aliena exponendi reiiciendique, no¬
stra tantum explicanda. esset sententia; at non admissis
modo illorum placitis decretisque, sed ea acceptis fide
ac religione, ut si ex ipsius naturae ore prolata essent:
non igitur rei ullius 1 2 ) amplius natura inspicienda, in-
dagandaque cuipiam videtur, at tantum quid de quaque
Aristoteles senserit, speculandum. Non id ignoscant raor-
tales rogandi, quod videlicet in singulis examinandis
1) et neqnaquam a propria Coelum.., forma, cancellato.
2) itaque rei ti ullius.
SCRITTI DI B. TKLESIO
113
Arislotelis sententiis haereamus '): at quod dissentire
ab ilio audeamus, et non illum numinis instar venere-
mur; qui si illius dicto audiant, aut factum incitentur,
nihil nobis veritatis studio illi adversantibus succenseant :
quin gratias potius habeant, et idem ipsi faciant omnes:
ipse enim Aristoteles veritatem amicis omnibus prae-
honorandam admonet, et veritatis gratia praeceptorem
etiam amicumque incusare nihil vereri videtur. Huius
certe nos amore illecti, et hanc venerantes solam, in
iis, quae ab antiquoribus tradita fuerant acquiescere
impotentes, diu rerum naturam inspeximus: et conspe-
ctam (ni fallimur) tandem aperire illam mortalibus vo-
luimus, nec liberi nec probi liominis officio fungi iudi-
cantes, si generi illam hurnano invidentes, at invidiam
ab hominibus veriti ipsi illam occultemus. Age igitur,
ut clarius illa elucescat, agentia rerum principia inqui-
rentem, et prima constituentem corpora, tum reliqua
ex iis componentem, postremo et Coeli Solisque motu
calorem generantem, et motores immotos, a quibus
Coelum moveatur, indagantem, ea omnino, quae in su¬
periore nobis tractata sunt Commentario, in quibus (ut
dictum est) omnibus summe a nobis dissentit, explican-
tem Aristotelem audiamus, eiusque dieta singula ratio-
nesque examinemus.
Ed ecco che cosa diventerà questo capitolo nella redazione
definitiva del De rer. natura (ed. Spampanato, pp. 179-81), dove
sarà il 1° del libro III.
1) Cancellato questo periodo Non id... haereamus, c corretto: {specu-
landnm) quovis labore nostro, quovis (?) ahorum itidem fastidio, singulae
eius positiones quam diligentissime et saepius eadem interdum esponen¬
do f ex am in a n daeque omnino sunt (?). Nihil si in iis tractandis plus iusto
immoremur mortales nobis ut ignoscant rogandos esse existimantcs...
G. GENTILE, Bernardino Telesio.
8
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
114
Repeluntur complura quae superioribus traditi sunt
commenlariis. Ponitur stimma positionum Aristotelìs quae
infra sunt expendendae.
Materia non una ei duplex natura agens, et unus
calor frigusque unum, mundi huius universi principia,
nec quod terrain mareque et stella? inter quodque ipsas
inter stellas locatum est ens, unam idemque et ab una
eademque universum constitutum natura, nec duo tan¬
tum prima esse corpora, nec entia reliqua a coeli so-
lisque natura e terra effecta, quemadmodum nobis, Ari¬
stoteli videntur. Ille enim sublunaria omnia una eadem¬
que e materia; quae supra lunam sunt entia, caelum
stellasque omnes, ex alia constare et quae nihil illi con-
gruat naturarumque quas illa suscipit prorsus incapax
sit; et quod inter lunae orbem terramque et mare est
ens, in duo, in ignem aéremque (ignem enim supre-
mam eius portionem quae lunae orbi subiacet, aerem
vero infimam liane quae terram ambit, appellat), divi-
sam esse affirmat. Et praeter caelum quattuor esse prima
corpora, terram, aquam, aerem, ignem, decernit: mi-
nimeque ad horum constitutionem calorem modo fri¬
gusque sed humiditatem etiam et siccitatem, ut agentes
naturas, et ad illorum singulorum constitutionem nequa-
quam earum unam sed oppositionis utriusque alteram
affert; et duplicem omnino singulis agentem assignat
naturane dictisque e quattuor corporibus, at veluti mu-
tuis vulneribus confectis afflictisque et pugnam pertaesis
tandem et sibi ipsis commixtis, pene et unum factis
omnibus, entia reliqua constituit omnia. Et caelum stel¬
lasque omnes propria natura et quae a calore frigore-
que et ab humiditate siccitateque prorsus diversa sit, do-
nat. Itaque calor qui a sale fit non ab eius natura nec a
propriis eius viribus, sed ab eius fit motu, a quo sic caelo
suppositus ignis et bona aéris pars agitetur, conteratur,
SCRITTI DI B. TELESIO
115
accendatur accensusque ad terram usque detrudatur;
et nequaquam a propria caelum natura propriaque sub¬
stantia sed ab immotis moveri motoribus statuit. Longe
tandem mutuo in omnibus fere dissentimus. Quas ob
res Aristotelis explicanda excutiendaque est de sin-
gulis sententia; nec vero et aliorum etiam opiniones,
satis ab ipso, ut videtur, reiectae et quae, nulli admis-
sae, ab ullius removendae sunt animo. Utinam cum
Peripateticis liceret idem: magno aliena exponendi rei-
ciendique labore vacuis, nostra tantum explicanda esset
sententia. At quoniam non admiserunt modo illorum
placita et decreta, sed ea acceperunt fide et religione
ac si ex ipsius naturae ore prolata essent; itaque rei
nullius amplius natura inspicienda indagandaque cuipiam
videtur. sed tantum quid de quaque Aristoteles senserit
speculandum: utique quovis labore nostro, aliorum etiam
fastidio quovis, singulae illius positiones quam diligen¬
tissime, et saepius eaedem interdum, exponendae exa-
minandaeque sunt. Nihil, si in iis tractandis plus iusto
interdum immoremur, mortales nobis ut ignoscant, sed
quod a summo naturae interprete dissentire audeamus
et non numinis instar illum veneremur, rogandos esse
existimamus: qui, si illius dictum audiant aut factum
imitentur, nihil nobis veritatis studio illi adversantibus
succenseant, quin gratias potius habeant idemque ipsi
faciant omnes. Ipse enim liber in philosophando Ari¬
stoteles veritatem amicis omnibus praehonorandam ad-
monet, et veritatis gratia praeceptorem etiam amicumque
incusare nihil veretur. Huius certe solius nos amore
illecti et hanc venerantes solam, in iis quae ab antiquo-
ribus tradita erant acquiescere impotentes, diu rerum
naturam inspeximus, et conspectam, ni fallimur, tandem
mortalibus aperire voluimus; nec liberi nec probi homi-
nis officio fungi iudicantes, si generi illam humano in-
videntes aut invidiam ab hominibus veriti, ipsi illam
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
I 16
occultaremus. Ergo, ut clarius illa eluceat, agentia re-
rum principia inquirentem et prima constituentem cor-
pora, tum reliqua ex iis componentem, postremo et
càeli'solisque motu calorem generantem et motores im-
motos, a quibus caelum moveatur, indagantem, ea de-
nique, in quibus omnibus summe a nobis dissentit,
explicantem Aristotelem audiamus, et singula eius dieta
rationesque examinemus.
3-
Bernardini Telesii Consentini De Ret urn natura \
iuxta propria principia | libri IX | ad illustriss. et Excel-
lenriss. D. Ferdinandum Carrafam Nuceriae Ducem |
Neapoli | Apud Horatium Salvianum | M.D.LXXXVI.
In f. Sul frontespizio è riprodotta la figura femminile dell’ed.
1570. Questa edizione definitiva (di cui il Graesse, vi, ij, p. 47 ri¬
corda copie con la data 1587) è riprodotta nelle due seguenti:
4-
Tractutionum pkilosophicarum tomus unus\ in quo
continentu.r:
I. Philippi Mocenic! Veneti Universaliutn Institutio-
num ad hominum perfectionem, quatcnus industria paruri
potest, contemplationcs quinque ;
II. Andreae Caesat.pini Aretini Quaestionum Peri-
pateticarum, libri v;
III. Ber. Telesii De rerum natura , libri ix.
Genevae, apud Eustach. Vignon, MDLXXXV1I1; in f.
Nè anch'io I10 potuto vedere questa edizione; che il Nicekon
(Mèmoires, xxx, 108-9) dice conforme all’ed. del 1586. Lo Spam¬
panato, pref. alla sua ed. p. xxi, erra dicendo genovese questa
ristampa e credendo relative al De rcr. fiat, le opere del Moce-
nigo e del Cesalpino.
SCRITTI DI B. TELESIO
I i;
5-
Bernardini Thelesii Consentini De rerum natura
iuxta propria principia , Coloniae, Excudebat Petrus
Moulardus, MDCXLVI.
Questa edizione è citata da L. Telesio, in Bernardini Thy-
lesii Operimi catalogus, aggiunto alla sua ristampa dell 'Orazione
del D’Aquino, p. 71.— Il Fiorentino, Pomponazzi, p. 384, cita
una edizione del De rei . natura con la data di « Neapoli 1637»:
che dice appartenuta a Ulisse Aldrovandi ed esistente nella Bibl.
Naz. di Bologna. Se non che, come m’informa l’amico prof. Flores,
questa Biblioteca possiede soltanto l’edizione 1586, e del resto
l'Aldrovandi mori nel 1605. È piuttosto da tener presente il se¬
guente luogo della Orazione 8 del D’Aquino (p. 9): « Onde de’
suoi divini scritti tanta stima ha fatto il mondo, che sono stati
dati più volte in luce, non solamente in Italia, ma in Fiandra(?)
ed in Germania: e sebbene gli Italiani hanno innalzato le sue
opere grandemente, le nazioni straniere si sono ingegnate in ciò
di avanzargli, e gli Alemanni, rimosso il primo titolo del libro,
dove egli per sua modestia ponea solamente il suo nome ed il
suggetto dell’opera, l’hanno ornato grandemente d’un altro nuovo
titolo nel quale si contiene, che quella opera è piena di molta
dottrina, e che è necessaria agli studiosi delle lettere così umane
come divine ».
6 .
Bernardini Telesii | De rerum natura \ a cura
di | Vincenzo Spampanato, | volume primo | A. F.
Formiggini editore in Modena [ 1910 ].
Pp. xxn-332 in-8«. È il 1“ volume dei Filosofi italiani, col¬
lezione promossa dalla Soc. filos. italiana, diretta da Felice Tocco.
Precede una pref. del Tocco e una dello Spampanato. Il (piale
pubblicherà in altri due volumi il resto del Ve r. nat., e forse
un 4“ e un 5» voi. contenenti dei saggi delle edizioni 1565 e 1570
e gli opuscoli. A questo i» voi. ha premesso una riproduzione
del ritratto inciso dal Morghen, pubbl. per la prima volta nella
Biografia degli uomini ili. del Regno di Napoli del Gervasi (1822).
n 8 appendice bibliografica
Riproduco qui appresso la dedica e il proemio, premessi dal
Telesio all’edizione definitiva della sua opera, secondo la stampa
del Salvianl.
a )
Illustrissimo atque exceli.entissimo
domino don Ferdinando Carrafae duci Nuceriae
Bernardinus Telesius consentinus.
Commentarios de rerum natura, quos, ut probe no-
sti, excellentissime Princeps, magnis laboribus diutur-
nisque confeceram vigiliis, edendos tandem visum cum
csset, sub tuis omnino auspiciis emittendos esse duxi-
mus; nani et domi tuae conscripti fuerant, et plurtmis
magnisque beneficiis, quae in me contuleras, debeban-
tur. Et amplius etiam, quod Aristotelis doctrinam (quam
adeo Alexander excoluit veneratusque est, et quae sub
Alexandri patrocinio adeo floruit tantoque habita fuit
in honore) ut sensui et sibi ipsi passim repugnantem
cum damnemus, aliamque et longe ab illa diversam
cum ponamus, non sub regis cuiuspiam auspiciis, qui
imperii amplitudine Alexandro conferri posset, sed sub
herois praesidio emittendos esse duximus, qui nec in-
genio nec iudicio nec animi magnitudine nec virtute
omnino ulla ab Alexandro exsuperaretur, quin qui in
multis illum exsuperaret. Et nostri temporis hominum
unus tu talis, excellentissime Princeps, non nobis modo,
sed sanis hominibus visus es omnibus, ltaque nihil ve¬
nti quod opibus potentiaque ab ilio exsupercris, sub
tuis omnino auspiciis emittendos esse decrevimus. No¬
stra siquidem doctrina quoniam nec sensui nec sibi
ipsi nec sacris etiam litteris repugnat unquam, quin
adeo bis et illi concors est, ut ex utrisque enata vi-
deri possit; quoniam omnino vera est, sese ut ab m-
vidorum calumniis tueatur et, iis reiectis, sese assidue
SCRITTI DI B. TELESIO
119
effundat amplificetque, nullis regum opibus nuliaque
potentia sed tua modo opus habet ope; qui sic animi
bonis, quae dieta sunt, nihil ab Alexandro exsuperaris,
quin in illorum multis tu illum exsuperas. Nam inge¬
nio iudicioque te ilio quam longissime praestantiorem
esse, vel doctrina, quam uterque admittendam decrevit,
manifestai. ,Quam enim ille amplexatus veneratusque
est et summis praemiis summisque dignara existimavit
honoribus, quod dictum est, et sensui et sibi etiam
ipsi, quin et Deo optimo maximo, passim repugnat.
Itaque soli calorem lucemque abnegat: et mundum
nequaquam a Deo optimo maximo constructum, sed
voluti casu quodam enatum ponit; et rerum humana-
rum administrationem cognitionemque Deo demit om-
nem. Et non sensui modo, sed, ut nostris in com-
mentariis apertissime ostensum est, sibi ipsi etiam
passim dissentit adversaturque ; ut existimare liceat
vel in praeceptoris gratiam, nihil eius fundamentis
positionibusque inspectis examinatisque, Alexandro ad-
missam fuisse, vel quam longissime illum abesse, ut
ingenio iudiciove tibi conferri possit. Nam tu doctri-
nam nostram non statim, sed ibi tandem admittendam
perdiscendamque esse duxisti, ubi sensui et sibi ipsi
universa et sacrae etiam scripturae bene concors visa
est. Ut, quod dictum est, ingenio iudicioque multo te
Alexandro praestantiorem esse necessario existiman-
dum sit. Neque enim, si, quali tu, ingenio iudiciove
donatus ille fuisset, et sensui et sibi ipsi et sacris
divinis litteris passim dissentientem Aristotelis doctri-
nam admittendam duxisset unquam. Animi porro ma¬
gnitudine fortitudineque nihil Alexandrum te prae¬
stantiorem fuisse res, a te in Peloponneso gestae,
manifestant: ubi, innumerabilibus Turcarum equitibus
in Christianorum exercitum, turbatum iam trepidan-
temque, irruentibus (qui omnino nisi a te repressi
120
APPENDICE BIBI.IOGRAFICA
reiectique fuissent, magnimi nostris incommodum illaturi
erant), non magno veteranoque cum exercitu, ut Ale¬
xander, sed perpaucis cum peditibus, in fugam iam
coniectis et a te retentis tuaque praesentia et fortitudine
confirmatis, sponte tua te opposuisti; et longe illorum
plurimis interfectis, reliquos in fugam coniecisti peni-
tusque prodigasti. Itaque Christianorum exercitum, sum-
mum iam in periculum adductum et in fugam iam con-
versum confirmasti conservastique : talem omnino te
praestitisti, ut eorum, qui pugnantem te conspexere,
nulli dubium esse posset, quin, si unquam exercitus
ductandi magnaque bella gerendi occasio tibi oblata
foret, bellicam Alexandri gloriam aequaturus et supe-
raturus etiam esses. At pares, quae dictae sunt, vir-
tutes in utroque ut sint, puriores certe in te splendent,
neque enim, quod in ilio passae interdum sunt, ab
immixtis vitiis in te obscuratae sunt unquam. Et ne-
quaquam, ut ille, deos tu colis ab hominibus effictos
multisque obnoxios vitiis; sed Deum venerans, caeli
terr:eque conditorem et qui unigeniti Filii sui morte
humanum genus servari substinuit, sanctissimaque eius
praecepta summa observas cum religione. Minus etiam
generis claritate ab Alexandro exsuperaris, siquidem Car-
raforum ■) familia multis iam saeculis plurimorum ma-
gnorumque principum coronis et regio etiam diademate
effulget (nam tuus ille Stephanus Sardiniae regnum re¬
gio cum titulo obtinuit diuque possedit), et plurimorum
magnorumque sacrorum antistitum puniceis pileis et
pontificia etiam corona exornata est: ut ambigere non
liceat, quin generis etiam claritate nihil ab Alexandro
exsupereris. Quoniam igitur, Alexandro collatus, nec
generis claritate nec ullis animi bonis inferior videri
) Spamp. Carra/arum.
SCRITTI DI B. TF.LESIO
I 2 I
potes; age, commentarios nostros (propterea in primis
tibi dicatos, quod Alexandro si ■) quidem fortuna impe-
rioque, non certe et ingenio iudiciove, nec vel magnitu¬
dine vel aliis ullis animi bonis ab ilio J ) exsuperaris, quin
in multis tu illum exsuperas) libens suscipe. Et si Aristo-
telis voluminibus, quae tantis Alexander praemiis tan-
toque digna existimavit honore, niliil deteriores tibi visi
sint; et nostri mores nostrumque ingenium, quod pe-
nitus tibi perspectum sit oportet, nihil me unquam
(cuiusmodi Aristoteles erga Alexandrum fuit) tuorum
erga me beneficiorum immemorem ingratumque futu-
rum suspicari sinent 3 ); non quidem, ut non minoribus
praemiis nos prosequaris, rogamus (quae scilicet a prae-
senti fortuna tua exspectari non possunt et quae nulla
a te expetimus, satis superque a benigni tate tua ditati),
sed ut non minore me prosequaris benevolenza et, quod
hactenus strenue fecisti, Peripatedcorum iniurias calurn-
niasque repellas. Nihil omnino, quam Aristoteles Ale¬
xandro fuit, me tibi minus carum, neque in minore,
quam ab ilio habitus fuit, nos a te in honore haberi
homines intelligant. Hoc vero, ut praestes, percupimus
et summopere te rogamus. Vale, o praesidium et dulce
decus meum.
1) Spamp. Quod si.
2) Spamp. Ab Alexandro.
3) Spamp. Sinant.
I 22
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
f>)
Bernardini Telesii Comentini De rerum natura iuxta
propria principia Liber primus:
Prooemium ').
Mandi constructionem corporumque in eo contentoram magnitu-
dinem naturamque 2) non ratione, quod antiquiorihus factum
est, inquirendam, sed sensu percipiendam et ab ipsis liaben-
dam esse rebus. ,
Qui ante nos mundi huius constructionem rerum-
que in eo contentarum naturam 3 ) perscrutati sunt, diu¬
turni quidem vigiliis magnisque illam indagasse 4) labo-
ribus, at nequaquam inspexisse videntur. Quid enim iis
illa innotuisse videri queat 5), quorum sermones omnes
et rebus et sibi etiam ipsis dissentiant adversique sint?
Id vero propterea iis evenisse existimare licet 1 2 3 4 5 6 7 ), quod,
nimis forte sibi ipsis confisi, nequaquam, quod opor-
tebat, res ipsas earumque vires intuiti, eam rebus ma-
gnitudinem ingeniumque et facultates '), quibus donatae
videntur, indidere. Sed veluti, cum Deo de sapientia
contendentes decertantesque, mundi ipsius principia et
caussas 8 ) ratione inquirere ausi, et, quae non invenerant,
inventa ea sibi esse existimantes volentesque, veluti suo
arbitratu mundum effinxere. Itaque corporibus, e quibus
1) Questo Proemio formava il cap. i del lib. i nella ediz. 1570 con
alcune varianti che saranno qui appresso indicate: rultima delle quali
assai notevole.
2) coni etti or uni naturam.
3) rerumqtu naturam.
4) indagasse illatn.
5) videri potest.
6) evenisse videtur.
7) id rebus ingenium easque facultates.
8) causas.
SCRITTI DI B. TELESIO 123
constare is videtur, nec magnitudinera positionemque,
quam sortita apparent, nec dignitatem viresque ‘), quibus
praedita videntur, sed quibus donari oportere propria
ratio dictavit, largiti sunt. Non scilicet eo usque sibi
homines piacere et eo usque animo efferri oportebat,
ut (veluti naturae praeeuntes, et Dei ipsius non sapien-
tiam modo 1 2 3 4 5 ) sed potentiam etiam i) affectantes) ea
ipsi rebus darent, quae rebus inesse intuid non forent
et quae ab ipsis omnino habenda erant rebus. Nos non
adeo nobis confisi, et tardiore ingenio et animo donati
remissiore, et humanae omnino sapientiae amatores cul-
toresque (quae quidem vel ad summum pervenisse vi-
deri debet, si, quae sensus patefecerit et quae e rerum
sensu perceptarum similitudine haberi possunt, inspe-
xerit), mundum ipsutn et singula eius partes, et partium
rerumque in eo contentarum passiones, acriones, opera-
tiones et species intueri proposuimus. IUae enim 4), recte
perspectae, propriam singulae magnitudinem, hae 5 )
verum ingenium viresque et naturam manifestabunt. Ut
si nihil divinum, nihil admiradone dignum, nihil etiam
valde acutum nostris inesse visura fuerit, at nihil ea
tamen vel rebus vel sibi ipsi repugnent unquam; sen-
suin videlicet nos et naturam, aliud praeterea nihil, se-
cud sumus, quae, perpetuo 6 ) sibi ipsi concors, idem
semper et eodem agit modo atque idem semper ope-
ratur. Nec tamen, si quid eorum, quae nobis posita
sunt, sacris litteris catholicaeve ecclesiae non cohaereat,
tenendum id, quin penitus reiciendum, asseveramus
1) ejfmxere et corporibus. e quibus constate is videtur. non ram tua-
gnUudinem eamque dignitatem et vires.
2) modo sapientiam.
3) etiam potentiam.
4) aciiones atque operationes intueri.
5) magnitudinem ac speciem, hae.
6) s unirne.
124
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
contendimusque. Nequeenim humana modo ratio quaevis,
sed ipse edam sensus illis posthabendus; et si illis non
congruat, abnegandus omnino et ipse etiam est sensus *).
7-
Bernardini | Telesii | Consentini | De hìs, quae in
Aere fiunt; et de Terrae- \ motibus. Liber (Jnicus | cum
Superiorum facultate. | Neapoli, | Apud Iosephum C'ac-
chium. | Anno MDLXX.
Carte. 14 nuin. nel redo. Sul frontespizio è la solita figura fem¬
minile, eom’è anche nei due opuscoli seguenti.
Precede questa dedica:
Illustrissimo
et Reverendissimo
Tolomeo Gallio Cardinali Comensi
ac Archiepiscopo Sipontino
Bernardinus Telesius S. P. D.
Quoniam plurimis gravissimisque, ut nosti, molestiis
oppresso detentoque, ad te, quod summe quidem sem-
per cupivi, et quo nihil mihi iucundius contingere pos-
set, venire tecumque vivere non licet; nec vero alia
ratione meam erga te observaniiam gratitudinemque ma¬
nifestare; utrumque, quo licet modo, ut efficerem, Com-
mentarium De iis quae in aère fiunt, ad te mittere
statui. Minus certe munus, quam quod tuis erga me
meritis debeo; qui scilicet cum nulla alia in re studium
voluntatemque tuam a me desiderati passus sis, tum
vero studiorum meorum egregius imprimis fautor sem-
per fuisti. Multo etiam minus quam quod virtutes tuae
expostulant, surnma integritas, summaque in omnes cha-
ritas; non illae quidem ad homines alliciendos simulatae,
1 ) Mancano i due ultimi periodi: JVec tamen... est sensus.
SCRITTI DI B. TELESIO
125
a ut segnes unquam, sed verae puraeque, et unius
honesd grada scraper vigiles semperque operantes; et
summa prudentia, rerumque omnium cognido. Emicue-
runt quidem illae, cum sub Pio IIII. Pontif. Max. Chri-
stianam Rempublicam tu imprimis tractares, administra-
resque; et ita eraicuere, ut multo spiendidius emicaturae
viderentur, si tempus unquam nactae forent, in quo
liberius splendere possent. Summam praeterea animi tui
magnitudinem quis non summopere amet summeque ve-
neretur? Qua effectum est, ut nullis bonorum quorumvis
accessionibus quicquam elatus aut immutatus omnino
esses unquam; bona scilicet quaevis, et quae virtus tibi
pararat tua, te minora semper visa sunt, et fuere me-
hercule semper minora; itaque nihil illa te extulere
unquam. Me quidem diu penitusque egregias animi tui
virtutes et mores cum sancdtatis tum vero et iucun-
ditatis plenissimos intuitum tanta illae erga te venera-
done tantoque animi tui amore desiderioque inflamma-
runt, ut nec venerari te satis, nec colere amareque,
et tecum esse satis desiderare posse videar. At multo,
ut dixi, maiora a me meritus, parvo hoc munere, scio,
contentus eris ; Deum Opt. Max. imitatus, qui non quas
non habemus opes, nec opes omnino ullas, sed veram
modo pietatem, esto et modici thuris evaporationem a
nobis poscit. Tum qualecunque id est, perpetuum erit,
spero, tuorum erga me meritorum, et meae erga te
observantiae charitatisque signum. Vale.
8 .
Bernardini | Telesii | Consentini | De color um
generatione | Opusculum. | Cum superiorum facultate |
Neapoli, | Apud Iosephum Cacchium. | Anno MDLXX.
In-4 1 cc. 7 nnmiii. nel redo. Precede la seguente dedica, in
alcuni esemplari premessa ai due libri del De t er. natura del '70
per errore di chi legò con essi questi opuscoli.
26
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
Illustr. mo Io anni Hieronymo
Aquevivio Hadrianensium Duci
Bernardini Telesius,
CONSENTINUS S. P. D.
Multos equidem iam annos surama te prosequor
veneratione, summoque tui videndi desiderio teneor.
Neque enim unus aut alter te cum caeteris animi bo-
nis virtutibusquetum vero divino sane ingenio iudicio-
que longe acerrimo praeditum disciplinisque omnibus
apprime ornatum mihi praedicavit; sed communis om¬
nium consensus, et eorum praecipue qui et te magis
norunt, et qui, quae in te sunt, bona reliquis exqui-
sitius intueri possunt: in primis Marius C/aleota (qui vir
et quantus!): hic quideni te non summis aetatis nostrae
hominibus, sed antiquis illis haeroibus ac divinis viris
conferre nihil veretur; nec vero Rempublicam vel manu
vel consilio adiuvandi occasionem nactus si sis umquam,
quin illorum gloriam exaeques, aut etiam exsuperes du-
bitat quicquam. Admirabilem scilicet intuitus naturam
tuam, et cum reliquarum honestarum disciplinarum tum
vero philosophiae studiis diu summaque excultam diligen-
tia, summa itaque erga te charitate ac veneratione sum¬
moque tui desiderio me inflammavit (rie). Quod si per mo-
lestias, quibus multos iam annos assidue opprimor, mihi
licuisset, promptius, mihi crede, ad te quani ad fortuna-
tissimos reges advolassem; et praesens animi mei propen-
sionem erga te patefecissem, ac dedidissem omnhio me
tibi. Id quando adhuc facere non licuit studiorum meo-
rum monumentum quippiam tibi offerre visum est, quod
meae erga te observantiae signum esset: itaque commen-
tarium De colorum generatione ad te mitto. Libens,
spero, munus, qualecumque est, accipies, in quo nimi-
rum hominem, qui te nunquam vidit, virtutum tuarum
pulchritudine ac fulgore incensum intuebere. Nani, si
SCRITTI DI B. TELESIO
127
probatus tibi ille fuerit, et perobscuram adhuc, ut videtur,
colorum naturarli exortumque patefecerit, id vero opi-
bus a te omnibus carius aestimatum iri certo scio; ut
qui illustrissimorum maiorum tuorum more rerum cogni-
tionem rebus omnibus ac regnis edam ipsis praehaben-
dam semper duxeris. Vale.
9-
Bernardini | Tei.esii | Consendni | De mari, \ Li-
ber Unicus. | Ad Ulustriss. Ferdinandum Carrafam | So¬
riani Comitem. | Neapoli, | Apud Iosephuin Cacchium,
1570 . In fondo all'opuscolo-. Cum Licentia Superiorum.
Sono cc. 12 numm. nel recto-, in-4®.
Precede questa dedica:
Illustriss. Ferdinando
Carraeae Soriani Comiti
Bernardini Telesius
S. P. D.
Cum primum literas tuas accepi, quibus declarabas
te in iis, quae de mari ab Aristotele tradita erant, acquie-
scere minime posse, et quid de eius natura et motibus
sentirem, ad te conscribere mandabas: etsi plurimis
(ut nosti) opprimerer molestiis, dbi tamen ut morem
gererem tuique desiderio sadsfacerem, commentari uni,
quem iam pridem de eo conscripseram, rudem adhuc,
quantum per praesentes occupadones licuit, polivi. Et
praeter morem nostrum, prius quae ab Aristotele tra¬
dita sunt, in eo exponuntur examinanturque, ut fa¬
cile homines intelligerent iure te in iis acquiescere non
potuisse: tum nostra apponuntur. Perleges vero tu il¬
luni, et si tibi probatus sit talisque visus, qui et tuo
sub nomine in lucem prodire queat, prodeat. Neque
I 28
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
enim, quae tu admittenda decreveris, alii ut damnent
vereri licet; libens certe confectum tibi opus, qualecum-
que id sit, accipies; summara in eo meam erga te
charitatem observantiamque intuitus et grati animi si-
gnum cura erga te, tum et erga illustrissimos parentes
tuos, Alfonsum Nuceriae Ducem, virum unum omnium
optimum constantissimumque, et loannam Castriotam,
quae cum maxime fortunae corporisque bonis affluat, et
tantis omnino, quantis plura ne optare quidem liceat, si
cum alias eius animi virtutes, tum vero, quae aegre si-
tnul coire videntur, lenitatem sublimitatemque summe in
ilio coniunctas, pene et unum factas quis inspiciat, vix
illorum splendorem intueatur; ut mihi quidem nostrae
aetatis homines nihil ea amabilius, nihil etiam divintus
conspicere posse videantur. Haec vero tu eius paren-
tisque tui splendorem summamque utriusque generis
claritatem ne novis luminibus non illustres dubitandum
est quicquam. Nam mihi quidem te illosque intuenti,
quae in illorum utroque corporis animique bona sunt,
ex utroque hausisse videris omnia: minimeque vel eo-
rum vel avorum gloria vel tantarum opum possessione,
totve ac tantorum populorum dominatione contentus
tuo tibi ut studio tuoque labore novum decus novos-
que honores acquiras summa attendis cum diligentia.
Age vero, qua coepisti perge, et mihi crede, non sum-
mam modo gloriam, sed veram adipisceris felicitatem,
summae nimirum fortunae summam adiicies sapientiam.
Vale.
io.
Bernardini | Telesii | Consentini | Vani de natu-
ralibus | rebus libelli \ ab Antonio Persio editi. | Quo¬
rum alii nunquam antea excusi, alii meliores | facti pro-
deunt. | Sunt autem hi | de Cometis, et | Lacteo Cir-
culo. | De liis, quae in Aere fiunt. | De Iride. | De Man.
SCRITTI DI B. TELESIO
129
| Quod Animai universum. | De Usu Respirationis. |
De Coloribus. | De Saporibus. | De Somno. | Unicuique
libello appositus est capitum Index. | Cum privilegio |
[insegna tipografica) | Venetiis M.D.XC. | Apud Felicem
Valgrisium.
Dopo la pref. Antonine Persine camiido Perfori, c’è l’ Inde a
opusculorum, diviso in due parti:
— Prima pars, in qua precipua Metereologica continentur;
_ Secunda pars, in qua, quae Parva naturalia dici possimi,
tractantur.
Nella 1“ classe sono compresi i quattro opuscoli De Cometis
et tacteo circolo, De bis quae in apre fiunl (dedicati entrambi
a Gian Iacopo Tomaie), De iride (al vescovo di Padova Luigi
Cornelio) e De mari (a Francesco Patrizio).
Nella 2 a altri cinque opuscoli : Quod animai universum ab
unica animae substantia gubernatur contro Calenum (a Giov.
Vincenzo Tinelli), De usu respirationis (a Giovanni Micheli), De
coloribus (a Benedetto Giorgi), De saporibus (a Fed. Pendasio),
De somno (a Girolamo Mercuriale).
Il volume consta di 4 carte inn. a principio, 5 parimenti inn.
in fine e dei 9 opuscoli ciascuno dei quali con numerazione a sé,
sul recto, e con frontespizio particolare; tranne il primo.
Il I- 1 I op. di cc. 26 (De Com. e De Air); il III (De ir.) di cc. 20;
il IV (De mari) di cc. 19; il V (Quod anim.) di cc. 47; il VI (De
usu) cc. 8; il VII (De color.) cc. 15; l’VIII (De sapor.) cc. 15;
il IX (De somno) cc. 15. Riporto la prefazione generale e le sin¬
gole dediche.
«)
Antonius Persius
CANDIDO LECTORI.
Novem haec Bernardini Telesii physica opuscula, quo¬
rum tria tantum antehac excusa fuerunt, eodem omnia
volumine complexa, ut publici iuris efficienda curarim
id fuit causae potissimum, Candide lector, quod, cum
paucissima eorum exempla circumferrentur, adeo ut
jpsi mihi, qui Telesio inter vivos agenti coniunctissimus,
G. Gentile, Bernardino Telesio.
9
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
1.^0
ac, ni fallor, carissimus fueram, antequani unius ex sin-
gulis compos fierem, sudandum fuerit, liuic malo quani
primum eonsulere necessarium existimarim. Timebam
enim ego duorum alierum, vel scilicet ne labores Ili
perirent omnino, vel ne quis eos tanquain proprii sibi
partum ingenii vindicans, suuni iis noinen, Telesii ex-
puncto nomine, inscriberet, et ut sua tandem in com-
mune proferret. Cuiusmodi non defuturos homines fuisse
ut milii persuaderem effecere multi, quos novi egomet
consimilem lusisse ludum. Ac profecto nostra liac tem¬
pestate, si ulla unquam alia factum est, malis hisce ar-
tibus prò sapientia uti licet.
Ut autem rem piane intelligas, erant ex his tres tan¬
tum modo, ut dixi, excusi libri, De his quae in
aere fiunt scilicet unus, alter De mari, tertius De
colorum generatione. Ac De mari quident ille non-
nullis auctior capitibus tibi datur, quae nos in ipsius
calcem omnia reiecimus. Qui vero De coloribus est,
longe prodit alius, non verbis tantum, sed et sententiis
atque opinione. Caeteri omnes nunc primum publi-
cantur. Ex iis, qui mihi a Telesio missi fuere (sunt
autem hi; De somno, De saporibus, De bis quae
in aere, De mari), hi longe aliis emendatiores exhi-
bentur; reliqui autem, quos aliunde expiscatus sum (cu-
ravit eos mihi Franciscus Mutus, praestanti vir doc-
trina ac Telesianae philosophiae cognitione liaud levi
praeditus), ii non solum alicubi imperfecti, veruni etiam
tam male exarati ac mendose exscripti erant, ut divi-
nandum mihi fuerit in plerisque locis. Cum autem in
iis exentplaribus, quae nacti sumus, loci nulli neque
Aristotelis, neque Galeni, neque aliorum, qui a I elesio
laudantur authores, neque in contextu, neque in mar¬
gine notati extarent, nos eos omnes in tuum commo-
dum, Amice Lector. ad oram cuiusque libelli rite ad-
scripsimus. Ad haec schemata quaedam in libello De
SCRITTI DI B. TET.ESIO
'.il
iride ab authore nominata, vel saltem subintellecta,
quod nullum eorum in nostris codicibus vestigium exta-
r et, accurate delineavimus, ut facilius id, quo de agitur,
intelligeres. Atque haec nos tibi tanquam in alieno solo
(ut cum nostris loquar iurisconsultis) elaboravimus, pro-
pediem te in nostro accepturi, atque ex ugello ingenioli
nostri, quae tibi forte non ingrata videantur, multo li-
beralius deprompturi. Quod reliquum est, Lector Imma¬
nissime, quo nobiscum ab illius sapientissimi viri ma-
nibus gratinili aliquam in eas, ac magis udlitati publi-
cae consulamus, si forte meliores, quam nostri sunt,
codices fuerit nactus, ut et ego meliores edere possim,
mihi eos, quaeso candidus imperti; si non, his utere
mecum. Vale.
f >)
Ai primi due opuscoli è premessa la dedica seguente:
Antonius Persius
IGANNÌ IACOBO TONIALO VIRO PRAESTANTISSIMO
S. P. D.
Quod in studio mathematices, quo maxime omnium
semper es delectatus, in primisque astronomicae facul-
tatis, totus usque sis, laudo te, mi Tomaie, vehementer,
ac vere virum censeo, qui non te otio, quod plerique
ista fortuna, hoc est opibus, abundantes homines faciunt,
corrutnpi sinas; sed, cum ingenio iudicioque cum paucis
sis conferendus, animum tuum optimis artibus perpoli-
tum nobilissima rerum excelsissimarum excolis cogni-
tione. Cui tantum detulit Aristoteles, ut eam vel imper-
fectam perfecta inferiorum rerum scientia multo duxerit
esse praestantiorem. Utere igitur fortunae bono dum per
florentem aetatem tuam licet, et viaticum senectuti para.
132
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
Collocupleta tuum solidis atque immortalibus bonis ani¬
mimi: amicitias quoque, quod facis, adiunge tibi liberali-
tate hac tua, omnique officiorum genere, quae ego abs te
expertus non vulgaria, perlibenter soleo praedicare. Et
quo extaret eoruni significano diuturnior, a me tibi nun-
cupati ut exirent duo hi Telesii nostri libelli De come-
tis et lacteo circulo unus, De iis quae in aere
fiunt alter, libentissime curavi: simul ut haberes oc¬
casionerei de rebus coelestibus, coeloque proximis, quo
te rapit astrorum studium, novam Telesii nostri dispu-
tationem alacrius legendi. Cuius tu philosophiam magno
animo amplexatus maxima cum iudicii et ingenii laude
tueris. Ac liber ille quidem, quo De iis, quae in
aere fiunt, disseritur, editus antehac est, nunc emacu-
latior prodit. Alter vero nunc primum publici iuris ef-
ficitur. Vale, et Persium tuum ex animo nunquam elabi
tuo patiare. Patavio Kalendis Aprilis. MDXC.
c)
Illustrissimo ac reverendissimo
Aloysio Cornelio episcopo
Paphiensi et Patavino designato.
Antonius Persius. S. P. D.
Post nobilem illum universae terrae cataclysmum,
ex quo Noe, cum familia servatus, humanum genus re-
paravit, apud Ethnicos quoque pervulgatum, ac Deuca-
leonearum undarum nomine a poeds significatimi, scrip¬
tum fecit Moses summi ille Dei scriba atque interpres,
Illustrissime ac Reverendissime Episcope, Deum ipsum
edidisse arcum, seu Iridem pacti indicem ac foederis
inter se atque humanum genus constituti, ut quoties id
in coelo appareret toties divinae potentiae beneficiique
nobis divinitus collati memoriam renovaret. Hoc mihi,
SCRUTI DI B. TELESIO
1 .1 ,ì
dura eximii philosophi Bernardini Telesii libellum De
iride in lucem proferre cogitarem animo repetenti cu¬
pido incessit, ut haud ita dissimilis in re simili tui erga
me animi significatio exstaret, operam dare. Est igitur
a me curatimi, ut ii, in quorum oculos haec Telesiana
Iris incurreret, de tuorum in me magnitudine merito-
rum brevi hac ad te epistola quoquo pacto admoneren-
tur. Namque, ut alia praeteream, maximorum semper
in loco beneficiorum mihi delatum putabo, quod in ali-
qua apud te grada vigeam, ac me ipse in tuorum tibi
addictissimorum numero censeri velis. Cum enim per-
crebuerit te non nisi doctos, probos ac sapientes viros,
tui scilicet simillimos, amare, fovere atque ornare so¬
lere, cum tu non solum maiorum splendore summaque
familiae nobilitate, verum edam doctrinae, probitatis ac
sapientiae laude nemini concedas (quarum quidem vir-
tutum singulare specimen in administradone Episcopatus
Patavini tibi ab amplissimo Cardinali Federico patruo
tuo, prudentissimo viro delata maximo cum ecclesiae
Patavinae fructu quotidie exhibes); quid mihi proficisci
abs te maius atque optabilius unquam posset, quam
ex tua consuetudine, qua me dignum tua esse voluit
humanitas singularis, tantarum mihi virtutum famnia,
ac nomen aliquod comparare? Quod igitur opusculum
hoc tuo sacratum nomini dicarim, id primum boni ut
consulas vehementer cupio; deinde ut tuam in me animi
propensionem, in qua maximam existimadonis meae par-
tem esse positam inteiligo, (quod facis) tueare te iterum
rogo obsecroque. Vale. Patavii.
134
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
d)
Antonius Persius
Francisco Patricio
Platonicae Philosophiae
in Ferrariensi Gymnasio
Professori Celeberrimo
S. P. D.
Meministi, eruditissime Patrici, cum Venetiis coninto-
raremur, me tibi novam Telesil Philosophiam ac phi-
losophandi rationem saepius commendare, et te hortari,
ut libros eius de natura legeres diligenter. Quod ubi
est a te factum, cum multa offenderes in iis, quae ve¬
lini Democritea Delio quopiam natatore indigerent, me
identidem tanquam in eorum lectione diutius versatuni,
ac Telesii familiarem consulebas, ego igitur libenter et
obscura quaecunque tibi essent interpretabar, et obii-
cientium sese dubitationum scrupulos eximebam, quod
poteram. Ita ad calcem usque operis cum legendo per-
venisses, tum honorifice de eo loqui caepisti, ut ipsurn
veteribus philosophis anteferres. Scripsisti quoque a me
rogatus in eam philosophiam dubitationes tuas nonnul-
las, quas ad Telesium transmisi. Ex eo candidissimus
philosophus quanti tuum lacere iudicium haud obscure
significavit, cum deinceps sua scripta ad tuum sensum
exigere non sii gravatus. Cum igitur libellum eius De
mari ab ipso primum editum, atque aliquibus ex eius-
dem scriptis ad eandcm rem pertinentibus auctum, de-
nuo imprimendum curarem, patrem ipsi ac patronum
nullum Patricio aptiorem in venire me posse existimavi,
tuaeque idcirco ipsum fidei commendare decrevi. Tu,
si constans es in summi viri laude, ut te esse mihi et
natura et consuetudo tua suadet, huiusce opusculi pa-
trocinium suscipias libenter, ac tuam in eo tuendo non
SCRITTI ni n. TELESlO
t35
vulgarein eruditionem plaudentibus omnibus explicabis.
Feceris autem mihi pergratum, si meis verbis coni-
raunem amicum ac fatniliarem Franciscum Mutum et
tuum et Telesii praeclarum propugnatorem ingenii, et
eruditionis laude ornatissimum, salutaveris, meoque ipsi
nomine dixeris, cura ego ipsius beneficio plerosque ex
iis, quos iam edo libellos, fuerim nactus, expectare, ut
eosdem idem ipse meliores, atque alios eiusdem Aucto-
ris nondum editos nobis eruat alicunde. Vale, ac mei
mutuo memor est. Patavio.
Dopo il cap. x segue quest’avvertenza (c. 13 t f ):
Tria haec, quae sequuntur capita de maris aestu,
a Telesio quidern et ipsa elucubrata sunt, sed tamen ab
eodem in prima huiusce libelli editione consulto prae-
termissa; idque ea, ut puto, de causa, quod in hac con-
teraplatione nondum sibi piane satisfaceret. Erat enim
tum in alienis, tum maxime in propriis sententiis iudi-
candis sane quam difficilis atque morosus. Itaque nihil
edere ille solebat, quod non longa adhibita discussione
lente prius ac fastidiose probasset. Nos tamen, ne ea
quidern intercidere aequum putantes, quae ipse rudia
atque imperfecta reliquerat, pauca haec de manuscripto
exemplari diligenter excepta, priusquam ea sibi aliquis
vindicaret et ut sua venditaret, in calce huiusce libelli
excudenda curavimus.
<?)
Perii.i.ustri atque omni doctiunae genere
EXCULTISSIMO VIRO
Io. VlNCENTIO PlNELLIO
Antonius Persius. S. P. D.
Nullus est in hac urbe solum, sed ne in tota qui-
dem Europa locus, quo maiores doctorum atque insi-
gnium in qualibet liberali arte virorum concursus ac
136
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
frequentiores fiant, quam ad aedes tuas, Ioannes Vin¬
centi Pinelle, nostrae decus aetatis atque ornamentum.
Confluant enim ad te quotidie ex diversis orbis regioni-
bus, qui te aut officii causa invisant, aut de gravi ali-
qua disputatione consulant, aut ignotam sibi antea fa-
ciem tuam conteniplentur. Ita fit, ut cum istic plures
eodera tempore convenerint, nullus sit dies, quo non
de quam dignissimis scitu rebus sermones habeantur.
Multique, quorum hic sedes est ac domicilium, limina
ista tua inprimis terunt. Sic enim illi, ac recte quidem,
et mecum sentiunt, nullum esse ludum, Academiam nul-
lam, unde quis doctiorem se ac prudentiorem abiisse
gloriari possit. Experior id ego in me ipse quotidie, qui
tamdiu frequento aedes tuas, neque aliud est, quo ma-
lim hic esse quam diutissime. Quicum enim honestius
atque eruditioribus colloquiis diem traducam, ne fingi qui¬
dem potest. Collocuti autem praeter caetera saepe sumus
de Telesina philosophia, quam, etsi longissime a Peri-
patetica abhorrentem, sic tamen laudas, ut admirandum
esse Auctorem eius ingenue fatearis. Quapropter amo
liberale ingenium tuum, ac te virum omni doctrina po-
litissimum quamplurimis doctissimis viris antepono, qui
non solum singulari sapientia, veruni edam animi can¬
dore ac probitate incomparabili familiam tuam clarissi-
mam maximis augeas ornamentis. Non oblitus, puto, es
te disputationes illas a Telesio adversus Galenum ha-
bitas in eo libro, quo demonstratum animai universum
ab unica animae substanda gubernari, mirifice commen¬
dare. Ea me igitur pulcherrimi operis a viro laudads-
simo profecta laus de eius libri editione cogitantem ad-
monuit, ut eum sub fulgore tui nominis in hominum
aspectum ac lucem proferrem, ut quem prius habuit lau-
datorem, eum deinceps patronum sordretur. Tuum erit
nostrum in tui optione iudicium comprobare, studiumque
agnoscere ac voluntatem in Te singularem. Vale. Patavii.
SCRITTI DI B. TÉLESlO
<37
/)
Illustrissimo Ioanni Michaelio
PATRICIO VENETO, EQU1TI PRAECLARISSIMO,
ac D. Marci Procuratori meritissimo
Antonius Persius. S. P. D.
Non ignoras, Ioannes Michaeli, Venetae Reipublicae
columen, unicum prudentiae, eruditionis, humanitatis
exemplar, Telesii, dum viveret, praeclarum de virtute tua
iudicium, atque ex iudicio studium in te singulare, quo,
etsi magnis locorum intervallis disiunctum, tanto tamen
prosequebatur ac colebat, ut, quamvis decrepitus iam
senex ; ad me saepe scripserit se Venetias tui unius in-
visendi caussa cogitare. Fecissetque ille omnino, si lon-
gior ei lucis usura contigisset, aut ex ingentibus illis
molestiarum ac perturbationum fìuctibus, ex morte fi-
lio, quem unice diligebat, a sicario quodam illata, prae-
sertim obortis, quibus extrema iam aetate est conflictatus,
emergere unquam ac se vindicare potuisset. Noverat te
ille Romae familiariler, felicibus illis atque eruditis tem¬
poribus; mirificum ex mirifica tua sapientia, eloquentia,
Gomitate fructum coeperat. Itaque iure absentis postea
desiderium non nisi cum vita deposuit. Ego igitur, qui
te non minus Telesio Venetiis ac Patavii colui, obser-
vavi observoque in dies magis ac magis tum iisdem,
quibus ille, nominibus, tum ob praeclara tua in me me¬
rita, qui me et publice et privatila disputantem aucto-
ritate tua summa protegere non sis dedignatus, ut tuae
in Telesium prius deinde in me ipsum benevolentiae
gratique utriusque nostrum in te animi significati ex-
staret aliqua diuturnior, hunc Telesiis ipsius libellum
De usu respirationis tuo nomini amplissimo dicare
operae praetium duxi. Tu prò tua sapientia et huma-
nitate, si non re, saltem utriusque nostrum animo tibi
appendice bibliografica
138
satisfacies, et mea in te officia tibi grata esse hoc tuo
officio, quoti mihi gratissimum erit, declarabis. Vale.
Patavio.
.e)
Clarissimo viro
Benedicto Georgio
Patricio Veneto
Antonius Pf.rsius S. P. D.
Tuum, Benedicte clarissime, sensum, cum meo in
amicis eligendis tam belle congruere, ut eosdem tibi
l'amiliares optaris, quibus ego per multos annos fami¬
liarissime utor, in magna felicitatis rneae parte ponen-
dum existimo. Facis enim, ut ego non eos solum, quos
tanto antea probarim, tuo iam accedente iudicio, habeam
cariores, veruni et ut de me ipso, qui tantum iudicio va-
luerim, sentiam praeclarius. Tuum enim civem Aloysium
Solinum, ac Patavinum fere civem tot annorum Patavii
incolam Paulum Aycardum, ex quo primum bue appuli,
amavi et colui ob summam rerum omnium doctrinam,
incomparabile iudicium, humanissimos ac suavissimos
mores, amore omnium atque honorificentissimo virorum
honestissimorum praeconio dignissimos. Eosdem postea
cum abs te tantopere diligi atque amari sensi, et eos
et me quoque ipsum, iudicio permotus tuo, plus quam
antea, si modo voi untati meae erga illos accessio fieri
potuit, amare coepi. Si te igitur nullo alio tuo merito,
hoc certe uno, quod ut mihi magis placeam ac tribuam
in causa fueris, sunimam debeo benevolentiam. Sed mei
in te studii atque observantiae caussae aliae multae sunt,
quibus ego impulsus libellum Telesii de colorum va¬
rietale et caussis tibi dicatum edere constitui, ut scilicet
voluntatem erga te meam illustri aliqua significatione
declararein. Ad haec, si usus venerit, ut eum tua et
SCRITTI l>l H. TELEStO
139
doctrina et eloquentia tectum sartumque praestes ab
aculeis reprehensorum, libenter curavi ut nonien tuum
clarissimum prae se ferret imprcssus. Neque enim dubito,
quin maximum apud omnes hoc tuum patrocinium sit
pondus habiturum. Perspectum iam enim est ac notum,
quanto te discipulo gloriaretur dignus ille tnagnorum
philosophorum magister Iacobus Zabarelia, nobis im¬
portuna morte praereptus. Cuius sane viri quoties mihi
venit in mentem, venit autem saepissime, toties ego
Patavinae, in qua profitebatur, Academiae ingemisco,
quae tot tantisque infra paucos annos orbata viris, ci-
vem hunc suum, qui facile omnium desiderium leniret,
rednere diutius in vita non potuerit, cum tamen ea de-
cesserit aetate, quae senectutem vix a limine attingebat.
Verum alieno quidem patriae et amicis, sibi autem,
hoc est nomini, et gloriae suae liaud quam importuno
tempore cessit e vita, relictis ingenii sui monumentis,
nunquam intermorituris. Cuius vocem porticus illae eru-
ditae Lycei Patavini frustra nunc, frustra, inquam, de-
siderant. atque eum, si possent, suum ipsae civem, qui
philosophiam non praeceptis tantum ac scriptis, verum
et factis praeclarissime exprimebat, omnium virtutum,
imprimis humanitatis ac modestiae, singulare exemplunt
erat, perpetuo lugerent ; ut eos contra philosophos ri-
derent, qui non tam in academiae porticis prò Peripa-
teticae doctrinae primatu, quam in publicis hisce, quae
promiscere ab omnibus ultro citroque commeantibus te-
runtur, prò peripatetica, hoc est, ambulatoria (ut sic
dixerim) praerogativa tanquam prò aris et focis ridi-
culc dimicant, quasi in eo sitae sint Graeciae divitiae,
si cui occurrens, caput aperias, aut interiorem Porticus
partem, videlicet parietem ambulanti concedas. Sed iam
nos iis homulis et xaipeiv dicamus et vyicuveiv. Te vero
iterum iterumque rogo, ut animum tuum familiae tuae
splendidissimae nobilitate dignissimum mihi benevolum
1 4 «
APPENDICE BIBI.IOGRAEICA
ae meae summae in te observantiae memorerà tueri,
munusculumque hoc, novum piane munus (cum libel-
lus hic it prodeat ab eodem Auctore iam pridem multis
additis, detractis, immutatis interpolatus, ut, si cum an-
tea edito conferas, mirum quantum ab eo difierre de-
prehendas) tanquam maximum a maximo ad te missum
animo gratificandi tibi suscipere ne dedigneris. Vale.
h)
Antonius Persius
Eminentissimo Phii.osopho
Federico Pendasio,. S. P. D.
Si quantum Aristoteli philosophorum filii, tantum
tibi, Federice Pendasi, philosophorum memoriae nostrae
facile princeps, ipsum debere Aristotélem dixerim, nae
ego vera praedicarim. Illustrasti etenim publicus tot an-
nos in ceteberrimis Italiae Gymnasiis interpres Aristote-
licam usque adeo philosophiam, ut non tibi minus, quam
Aristotelicorum librorum, qui situ obsiti parum ab in-
teritu aberant, erutori ac vindicatori iHi gratiae debea-
tur. Quos si nobis inimicum fatum ad exitium usque
invidisset, poteras tu novus illucere mortalibus Aristo-
teles, iacturamque tantam undequaque compensare. Ita-
que subinvideo Ascanio fratri, quod ipsi, te Bononiae
degente, Bononiae degenti fruì licet, ac de te non pu-
blicos solum, sed, quae tua in omnes privatimque in
ipsum est benignitas, domesticos haurire sermones. Fe-
rebam ego antea tui desiderium paullo lenius, dum vi-
veret alterum Italiae lumen Iacobus Zabarella philoso-
phiae scientia, ut tibi uni secundus (quem scilicet ille
sibi non solum praeferebat, sed auctorem ctiam recte
philosophandi fuisse olim praedicabat), sic caeteris omni¬
bus meo ac multorum iudicio anteponendus. Eo nunc,
SCRITTI I>! R. TEt.ESIO
M
quo familiarissime utebar, extineto, nisi tua me aliquando
usurum consuetudine sperarem, vitarn mihi profecto
acerbam putarem. Interim autem quia te libenter et stu¬
diose legere ea scripta, in quibus ingenii et eruditionis
lumina haud vulgaria conspiciantur probe novi, cuius-
modi sunt Telesii philosophica monumenta, idcirco ut
ex ungue leonem agnosceres: ad haec ut sententiarum
novitate animum tuum consuetis fessum contemplatio-
nibus recreares, liunc eius De saporibus libellum tan-
quam èvSóoipav ad reliquam ipsius philosophiam cogno-
scendam, et, ut sapiat, iudicandam ad et mittere, adeoque
tuo inscriptum nomini publicare decrevi. Accipies igi-
tur hilari fronte hanc meae in te benevolentiae atque
observantiae significationem, ut meum in te studium
nunquam in posterum obliviscaris. Vale. Patavii.
Antonius Persius
PRAECLAR 1 SSIMO MEDICO
Hieronymo Mercuriali
S. P. D.
Homericus ille Iuppiter, quod te non fugit, Hiero-
nymeMercurialis, medicorum choryphaee, ut Agamemno-
nem de sonino excitaret, misisse ipsi somnium a poeta
perhibetur. Ego vero, ne tu mihi dormias, hoc est, ne
me tibi e memoria atque ex animo excidere patiare, tui
amantissimum studiosissimumque tui nunquam oblitum,
non vanum aut mendax aliquod somnium, sed erudi-
tum ca veridicum Somnum Telesianum a Telesio tum,
cum minime dormitabat, elucubratum ad te mitto, qui
somnum arcere quovis somnio validius possit. Hunc
ego, et ut sedulum monitorem, et ut non obscurum mei
in te animi interpretem ad Te destinavi, dum aliud
*
TOSINO
U2
APPENDICE 11IBI-IOGRAEICA
quaero tibi mnemosynon, quo pateat illustrius non so¬
limi quantuni tibi ipse ego debeam deferamque, ve¬
runi edam quam ab aliis omnibus esse deferenduni
exisdniem; etsi tu unica de te clarissimae Bononiensis
Academiae existimatione (ut communem eruditorum om¬
nium sensum praetermittam) contcntus esse potes, quae
te tanto studio ac contentione ad eminentissimam me-
dicinae cathedram ingentibus atque ante te nemini pro¬
positi praemiis pertraxit. Atque hoc sapienter B0110-
nienses, ut alia omnia, sapienter te quoque ipsum, qui
condicionem acceperis, fecisse sapientissimus quisque
existimat, cum tibi in ea urbe domicilium statueris, quae
bonorum omnium ornatu ac copia comparari cum ur-
bibus' omnibus merito potest. Quo tit ut non iniuria et
te ego Bononiae, et tibi Bononiam invideam, hoc est
summorum virorum doctrinae et huraanitatis laude ce-
leberrimorum Bononiae degentium consuetudinein. Pe-
regrinos nunc taceo, ne te plus aequo legentem morer.
De civium numero unum tantum honoris caussa com-
memorabo, Camillum Palaeottum, tuorum, ut tu te me¬
rito gloriaris, principem amicorum; quem virimi pri-
mum Romae sum contemplatus, allocutus, admiratus,
cum in eo omnia maiora opinione ac fama deprehende-
rim. Itaque Alexandrum Burghium summa insignem
timi scientia et eloquentia, tum probitate virum amo
plurimum, qui ut Romae Palaeottum cognoscerem at¬
que ab eo cognoscerer et auctor et interpres mihi fuit.
Obsecro igitur te, vir preclarissime, per humanitatem et
comitatem iliam tuain, qua vel sola aegrotis restituere
valetudinem soles, ut me illi addictissimum diligentis¬
sime commendes, et a me salutem dicere ne graveris.
Te vero mei muneris ne poeniteat, siquidem id, quod
ab optimo in te est animo profectum, optimum putas.
Vale, et diu vive, ut diutius alii vivant. Patavio.
In fine della raccolta sono 3 cc. di Errata-corrige ,
SCRITTI DI B. TELESIO
43
1 I.
Due opuscoli inediti del Telesio De fulmine e Quae
et quomodo febres facilini furono per la prima volta pub¬
blicati dal Fiorentino, Telesio , n, pp. 325-374, insieme
con la risposta del Telesio al Patrizi: Soluliones Thyìesii,
pp. 391-98-
Dal Fiorentino fu anche ristampato il Carmen ad
Ioannam Castriotam del Telesio (pp. 311-2), inserito nel
volume Rime et versi in lode della illustriss. et eccel-
len/iss. S. D. Giovanna Castrio/a Carr. Duchessa dì
Nocera et Marchesa di Civita Santo Angelo , scritti in
lingua toscana, latina et spagnuota da diversi huomini
illustri in varii et diversi tempi et raccolti da Don Sci¬
pione de’ Monti, Vico Equense, 1585; già ristampato
da S. Spiriti, Memorie , pp. 92-3 e da Luigi Telesio,
o. c. pp. 55-6. Circa l’apocrifità dell’epigramma per la
storia di Scipione Mazzella v. Bartelli, Note, p. 55 n.
Manoscritti e opere smarrite.
Oltre la notizia importante dataci da Giov. Paolo
d’Aquino, riferita a p. 54, e quelle del Persio (cfr. so¬
pra pp. 130-1 e 135), è da considerare la lettera del
Quattromani, su cui richiamò già l'attenzione il Ni-
codemi nelle Addizioni copiose alla Bibl. Nap. del dott.
N. Toppi, Napoli, Castaldo, 1683, p. 53: e l’accenno
dello stesso Telesio De rer. nat., v, 1: « Tum maris
aquarumque et eorum quae im sublimi fiunt iridisque
et colorum exortus in propriis est explicatus commenta-
riis. Metallorum lapidumque et reliquorum, si quae
APPENDICI-: BIBLIOGRAFICA
144
alia supersunt, quin in superioribus manifestatus sit, pa¬
rimi cannino deesse videri potest, et alias, si coeptis
faverit Deus, manifestabitur magis ». Per un opuscolo
De pluvfis, cui si allude nel De mari, c. x, cfr. Al-
magiA, I.e dottr. geofisiche di B. Telesio, p. 333,
II
SCRITTI SU B. TELESIO*
La Filosofia di Berardino Telesio ristretta in brevità,
et scritta in lingua toscana dal Montano Accademico
Cosentino [Sertorio Quattromani] , in Napoli, ap¬
presso Giuseppe Cacchi, 1589.
Ora/ione di Gio. d‘Aquino in morte di Bernardino
Telesio, philosopho eccellentissimo, agli Accademici Cosen¬
tini. In Cosenza, per Leonardo Angrisani, 1596.
Rist. a Napoli, Fratelli Traili, MDCCCXL a cura di L[uigi)
T[klesio], Precede (pagine xxvi) una lettera del T. al marchese
di Villarosa; e seguono (p. 55) il Carme del Telesio a Giovanna
Castriota con la trad. italiana del Cavalcanti, l’epigramma a Sci¬
pione Mazze-Ila (p. 60) col distico contro Aristotile, il son. di
Lelio Capilupi (p. 61) e due poemetti di Antonio Telesio.
Sul p. Luigi Telesio prefetto della Biblioteca dei Gerolamini
v. Luigi Maria Greco, Elogio del p. L. T., negli Atti dell’Ac¬
cademia Cosentina, voi. Ili, pp. 345 sgg.
Francesco Bacone, De principiis atque originibus
secundum fabulas Cupidinis et Coeli: sive Parmenidis
et Telesii et praecipue Democriti philosophia, tractata
iti fabula de Cupidine ; in Philosophical Works edited
by Ellis and Spedding, in, pp. 63-118 (con pref. del-
l’EUis e note).
La prima volta questo opuscolo fu pubblicato da Isacco Gru-
ter in Franc. Baconi de Verulamio Scripta in naturali et uni¬
versali philosophia, Amsterdam, 1653, pp. 208 sgg.
* Sono citati gli scritti più notevoli. Delle storie generali della filo¬
sofia soltanto quelle che contengono esposizioni originali.
G. Gentile, Bernardino Telesio.
10
146
appendice bibliografica
Iohannis Imperiala Musaeum kistoricum et pky-
sicum, Venetiis, ap. Iuntas, An. MDCXL, pp. 79-80.
A p. 78 c’è un ritratto del Telesio. Pel cui valore storico si
osservi che nello stesso frontespizio del libro è detto che le ima-
gines del Museo storico sono ad vivum expressae, e nella pre¬
fazione al lettore: « Icones ad vivum ubique locorum a nobis
anxio perennique studio conquisitas, vix cogere in unum licuit
paucas, nec impensae pepercimus, nec oleo, aliquam interdum,
prout minus congrua censebatur, abolendo, aliquam reformando,
et cum probatioribus conferendo, quo studiosa cupidaque huius-
modi elegantiarum tua non falleretur fiducia».
Petri Freheri Theatrum viro rum eruditione claro-
rum, Norimbergae 1688, p. 1484.
C’è un ritratto del Telesio, riprodotto da Rixner e Sibek
innanzi al vojutne qui sotto citato.
Ioh. Georgii Lotteri De vita et philosophia Ber¬
nardini Telesii commentarmi ad illustrandas historiam
philosophicam universam et literariam saeculi XVI C/iri-
stiani sigillativi, Lipsiae, apud Bernh. Christoph. Breit-
Kopfium, 1733 in 4 0 .
Nei Nova Acla eruditorum di Lipsia, MDCCXXXI 1 I, pa¬
gine 551-3 c'è una recensione di questa monografia.
I. Bruckeri, Historia critica philosophiae, to. iv,
pars 1, Lipsiae, MDCCXXXXIII, pp. 449-460.
Mémoires pour servir à filisi, des hommes illustres
dans la republique des le/tres avec un catalogne raisonné
de leurs ouvrages par le R. P. Niceron barnabite,
to. xxx, Paris, 1734. PP- 194-1 io. H 4 -
Salvatore Spiriti, Memorie degli scrittori cosen¬
tini , Napoli, 1750, pp. 83-93.
J. G. Buhle, Gesch. d. neueren Philosopkie seit
der Epoche d. Wiederhers/ellung der Wissenschaften,
SCRITTI SU B. TELESIO
147
Gòttingen, 1800-1805, Bd. il, Abth. 11, pp. 648 ss.; trad.
frane. Jourdan, Paris, 1826, II. n, pp. 563-71.
P. L. Ginguené, Histoire littéraire d’Italie [conti¬
nuata da F. Salfi], to. vii, Paris, Michaud, 1819.
I- e PP' 5 °°* 1 4 relative al Telesio sono un’aggiunta di F. Salfi.
Rixner e Siber, Leben und Lehrmeinungen berukm-
ter Physiker am Ende des XVI und am Anfange des
XVII fakrhunder/s, Bd. ni (Sulzbach, 1820) ( B. Te¬
le sius) .
Oltre una biografia del Telesio, contiene la traduzione'(molto
libera) di molti brani del De rei' . natura.
Giuseppe Boccanera da Macerata, Bernardino Te¬
lesio, nella Biografia degli uom. illustri del Regno di
Napoli , to. vni, Napoli, N. Gervasi, 1822 (col ritr. del
Morghen).
Francesco Saverio Sai.ki , Elogio di Bernardino
Telesio, 2“ ediz., Cosenza, Migliaccio, 1838 (di pp. 48
in-16 0 ).
Ristampato in Salpi, Prose varie, Cosenza, Migliaccio, 1S42.
La prima volta era stato pubblicato nel giorn. La Fata Morgana
di Reggio Calabria, 15 marzo 1838; e contro di esso allora com¬
parve un opuscolo: Luigi Telesio, Risposta all'art. inserito nel
giorn. intitolato La Fata Morgana... Su la vita e la filosofia
dì Bernardino Telesio, in Napoli, nella Stamp. della Società
Filomatica, 1839 (cit. da F. Bartelli, Note, p. 70).
Ferdinando Scaglione, [La filosofia di B. Telesio]-,
negli Atti della Accademia Cosentina, Cosenza, pe’ tipi
di G. Migliaccio, 1842, voi. 11, pp.15-115.
In risposta al tema assegnato dall’Accademia l’anno 1838:
« Esporre con lucidezza e precisione il sistema filosofico di B. T.,
e far conoscere quale e quanta influenza abbia esercitato sul
progresso delle scienze, e quali scrittori, sian essi calabri o stra¬
nieri, abbiano maggiormente contribuito a propagare la nuova
dottrina Telesiana ».
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
148
Chr. Bartholmèss, De Bernardino Telesio, Paris,
1849.
H. Ritter, Geschichte dcr Philosopkie, r l heil (Bd. I
della Gesch. d. neutra Pkilos. ) , Hamburg, Perthes, 1850,
PP- 56 i- 7 S-
J. E. Erdmann, Grundriss der Geschichte der Phi-
losophie, 1 , Berlin, 1869, i, 243- PP- 523-26.
F. Fiorentino, Bernardino Telesio , ossia studi sto¬
rici su l’idea della natura nel Risorgimento italiano,
Firenze, Le Monnier, 2 voli. 1872, e 1874.
Della psicologia del T. il Fior, s’era occupato nel Pompo-
nazzi (v. sopra p. 98). A proposito del volume del Telesio
furono pubblicati i seguenti scritti del Ferri e del Francie.
Luigi Ferri, La filosofia della natura e le dottrine
di B. T.\ nella Filos. ileUe scuole i/al., a. 1873.
Ad. Franck, Bernard. Telesio, ou Études histort-
ques sur l’idée de la nature pendant la renaissance ita-
lienne par F. Fiorentino, in Journaldes Savanls, a. 18731
pp. 548 sgg. e 687 sgg.
M. Carriere, Die philosophische Weltanschauung der
Reformationszeit* , Leipzig, 1887, 11, 34 ss.
La prima ediz. è del 1847.
Telesio, rivista di scienze lettere ed arti, Cosenza,
a. 1, fase. 1, 28 febbr. 1886 (direttori Vincenzo Iulia e
Domenico Bianchi).
Ne conosco 3 fase., che non contengono nulla sul Telesio,
salvo un cenno neil’art. di G. M. Greco, Il Qualiromani cri¬
tico (nel fase. 3 del 30 aprile 1886, pp. 154-5) a 8 a teoria del¬
l’anima del filosofo cosentino, difesa dalle critiche del Fiorentino.
SCRITTI SI! B. TELESIO 1 49
K. Lasswitz, Geschichte der Atomisti): vom Afitte/-
alter bis Newton, Hamburg u. Leipzig, 1890, I B.,
pp. 312-14-
Karl Heiland, Erkenntnisslehre nnd Ethik des
Bernardinus Telesius ; Inaug.-Dissert., Leipzig, 1891
(pp. 52 in-8“).
A pp. 1-2 c’è una bibliografia della letteratura telesiana.
Felice Tocco, Le fonti più recenti della filosofia
del Bruno, Roma, 1892 (estr. dai Rend. Lincei).
A pp. 72-5 i rapporti del Bruno col Telesio. Cui è da ag¬
giungere l'osservazione dell' Eli.is nella pref. al De principiis
di Bacone, ed. cit., p. 75 n.
Gio. Sante Felici, Le dottrine fi/osofico-religiose di
T. Campanella con particolare riguardo alla filos. della
rinascenza italiana. Lanciano, Carabba, 1895.
A pp. 34-51 sono studiati i rapporti del Camp, col Telesio.
St. de Chiara, Bricciche lelesiane. Nozze Tancredi-
Zumbini, xix aprile mdcccxcvii (Cosenza, tip. ApreaJ,
pp. 8 in-4 0 .
Spigolature dall’archivio cosentino relative al nome della
madre del T. e ad alcuni de’ suoi figliuoli. A p. 4 n. 1, è
detto: c Un solo, il Bruckero, dice ch'egli sia nato nel 1508:
ma questo non è assolutamente possibile, perchè nel sett. del 1508,
come abhiam visto [«nelle schede del notar Benedetto Arnone,
sotto la data del 6 di sett. 1508, i capitoli di un secondo matri¬
monio, che Giovanni Telesio, padre del nostro Bernardino, con¬
trasse con la signora Vincenza Garofalo »], il padre passava a se¬
conde nozze. La data del 1509, poi, si desume anche dalla se¬
guente notizia cortesemente comunicatami dal mio nob. amico
Luciano de Matera e da lui ricavata di su un antico ms.: « A di
8 di sett. 1588 si sepelì nella sua sepultura della sua cappella
dentro la Chiesa magiore il filosofo Bernardino tilese d’età d’anni
settantanove ».
APPENDICE BIBLIOGRAFICA
150
Francesco Bartelli, Note biografiche (B. Telesio
e Galeazzo di Tarsia) Cosenza, A. Troppa, MCMVI.
Sul Telesio, pp. 7-73. È il miglior saggio biografico che si
abbia per l’esame rigoroso delle notizie e per la larga • esplora¬
zione dei documenti inediti cosentini.
I
Roberto Almagià, Le dottrine geofisiche di B. Te -
lesto: primo contributo alla storia della geografia scien¬
tifica nel cinquecento, Firenze, Ricci, 1908 (estr. dagli
Scritti di geografia e storia della geografia pubbl. in
onore di G. Dalla Vedova).
Duilio Ceci, Bernardino Telesio (con bibliografia)
ne La cultura contemporanea , Roma, a. n, n. 3, 1 feb¬
braio 1910, pp. 41-45.
Articoluccio d’occasione. Nella Bibliografia si cita: « Fran¬
cesco Bonci, Il volgarizzamento dello scritto latino di B.
(sic) T: I colori presso gli antichi Romani, Pesaro, Federici,
1894. Ma si tratta del De coloribus di Antonio Telesio.
Erminio Troilo, Bernardino Telesio, Modena, For-
miggini, 1910 (pp. 77 in-i6° picc.; col ritr. del Morghen;
N. 11 dei Profili del Formiggini).
I 53970
\
INDICE
Avvertenza..
Bernardino Telesio. »
Sommario: I. Il medio evo (9-20); II. Uma¬
nesimo e rinascimento (21-38); III, Vita e scritti
del Telesio (38-54); IV. La filosofia del Telesio
( 54 - 77 ); V. Chiarimenti (77-92).
Note. »
Appendice bibliografica. »
I. Scritti di B. Telesio. »
II. Scritti su B. Telesio. »
5
7
93
99
101
■45
GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori
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1. P. Orano — Psicologia sociale (esaurito).
•2. B. King e T. Okkv — 1/ Italia d'oggi (3» edi¬
zione) . 4,
3. E. Ciccotti — Psicologia del movimento
socialista . *
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gliare nelle Società primordiali . . * -,f>0
5. A. Martin — L’Edncazione del carattere
(esaurito).
6. G. De Lorenzo — India e Buddhismo antico
(2* edizione). * L—
7. V. Spinazzola — Le origini ed il cammino
dell’Arte.» 3,50
8. R. de Gourmont — Fisica dell’Amore. Mag¬
gio su l' istinto sessuale . » 3,50
y. C. Cassola — I sindacati industriali. Car¬
telli - Pools - Trusts . » 3,50
10. G. Marchesini — Le finzioni dell’anima.
Saggio di Etica pedagogica .... » 3, —
11. E. Kbioh — 11 Successo delle Nazioni. . » 3, —
12. C. Barbagali .0 — La fine della Grecia an¬
tica . » 5,—
13. F. Novati — Attraverso il Medio Evo . » 4,—
14. I. E. Spingarn — La critica letteraria nel
Rinascimento.. —
15. T. Carlyle — Sartor Resartus (2* edizione) » 4,—
16. F. Carabki.lbse — Nord e Sud attraverso
i secoli. » 3,—
17. B. Spaventa — Da Socrate a Hegel . . » 4,50
18. A. Labriola — Scritti vari di filosofia e
politica a cura di B, Croce. ...» 5,—
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19. A. I. Balfour — Le basi della fede . . L. 3, —
20. C. Db Freycinet — Saggio sulla Filosofia
delle Scienze ......... » 3,50
21. B. Crock — Ciò che è vivo e ciò che è morto
della filosofia di Hegel. » 3,50
22. L. Hearn — Kokoro. Cenni ed echi dell’in¬
tima vita giapponese .» 3,50
23. F. Nietzsche — Le origini della tragedia » 3,—
24. V. Imbriani — Studi letterari e bizzarrie
satiriche. » 5, —
25. L. Hearn — Spigolature nei campi di Bml-
dho .» 3,50
26. C. W. Saleeby — La Preoccupazione ossia
la malattia del secolo. » 4,—
27. K. Vossi.br — Positivismo e idealismo nella
scienza del linguaggio. » 4,—
28. G. Arcoleo — Forme vecchie, idee nuove » 3,—
29. Il pensiero dell’Abate Galiani - Antologia
di tutti i suoi scrìtti editi e inediti . » 5,—
30. B. Spaventa — La filosofia italiana nelle
sne relazioni con la filosofia europea \ 3,50
31. G. Sorbi. — Considerazioni sulla violenza » 3,50
32. A. Labriola — Socrate. Nuova edizione . » 3,—
33. G. Kohlkr Moderni problemi del Diritto » 3,—
34-1. K. Vossi.br — la Divina Commedia stu¬
diata nella sua genesi e interpretata —
Voi. I - Parte I. Storia dello svolgi¬
mento religioso-filosofico. » 4,—
34 -n. _ Voi. I - Parte lì. Storia dello svol¬
gimento etico-politico. » 4, —
35. G. Gentile — Il Modernismo e i rapporti
tra religione e filosofia.» 3,50
36. G. B. Festa — Un galateo femminile ita-
liano del trecento. » 3,—
37. S. Spaventa — La politica della destra . » 5, —
38-1. J. Royce — Lo spirito della filosofia mo¬
derna— Parte.,1. Pensatori e Problemi » 4,—
38-U. — Parte II. Prime linee d’un sistema . » 4,—
GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori
39. R. Rrnier — Svaghi critici .
40. E. Gbbhart — L’Italia mistica ■
41. A. Farinelli — Il romanticismo in Ger¬
mania .* ‘ '
42. A. Tari — Saggi (li Estetica e di Meta¬
fisica . .
43. E. Romagnoli — Musica e Poesia nell an¬
tica Grecia . ; • ‘ ’
44. F. Fiorentino — Studi e ritratti •
45. G. Fkrrarelli — Memorie militari del
Mezzogiorno d'Italia .
46. B. Spaventa - Principii di Filosofia .
47. A. Anile - Vigilie di Scienza e di Vita »
48. J. Royce — La Filosofia della Fedeltà .
49. R. W. Emerson — L’anima, la natura e la
saggezza - Saggi
50. G. Rbnsi — Il genio etico ed altri saggi
51. G. Gentile — Bernardino Telesio • • •
3,50
5-
3,50
3.50
4.50
L-
2.50
tS 39 u
I
✓
<• «. '


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