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Friday, May 31, 2024

GRICE ITALICO A/Z STUVWZ

 

Grice e Sabellio: la ragione conversazionale e l’escatologia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He struggles with the problem brought by the Galileans – from Galilea, not followers of the Florentine astronomer -- about the trinità. He argues that the three dimensions of the so-called ‘trinità’ should be understood as three modes of one single being, rather than as three separate persons. The theory, which he dubs ‘modalism,’ is soon condemned as heretical, as is he.

 

Grice e Sabinillio: la ragione conversazionale dell’accademia romana – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. A senator, who counts Plotino as his tutor, and whose doctrines he follows.

 

Grice e Sacchi: la ragione conversazionale dei lombardi e la filosofia -- filosofia longobarda – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Casa Matta di Siziano). Filosofo italiano. La sua saggistica e molto abbondante e abbraccia i campi più diversi della filosofia. A differenza di altri poligrafi del tempo la sua filosofia si basa su una solida formazione e un sapere quasi enciclopedico, per cui i suoi saggi, pur influenzati -soprattutto nella forma- dalle mode culturali del tempo, mantengono anche oggi un indubbio valore. A Pavia conduce i suoi studi, che dapprincipio si indirizzarono alla filosofia. Tra i suoi maestri vi e Romagnosi. Corrispondente di Fauriel e Gioia. Si trasfere a Milano. Collabora a varie riviste. Dirige «Cosmorama pittorico». Socio della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Saggi:  “La Storia della filosofia greca” (Pavia, Capelli) La Collezione dei Classici Metafisici, Mascheroni” (Pavia, Bizzoni);  “I Lambertazzi e i Geremei, o le fazione di Bologna – cronaca di un trovatore” (Milano, Stella); “La pianta dei sospiri” (Milano, Silvestri);  Le Antichità romaniiche d'Italia, Diritto pubblico universale, o sia Diritto di Natura e delle Genti, Biblioteca Scelta di opere dal latino); “Uomini Utili e Benefattori del Genere Umano” (Milano, Silvestri);  I voti dell'Italia. I. Cesare,  "L'Omnibus Pittoresco", La mia vita (Pavia, Bizzoni); Filosofia (Milano, Cisalpino); Elogio del sensismo, Pavia, Bizzoni, Della filosofia di Socrate” Pavia, Bizzoni,  I trovatori e le galanterie nel Medio evo, Milano, Ripamonti Carpano, Oriele o Lettere di due amanti” (Pavia, Bizzoni); “Lodi Orcesi, Milano, Silvestri, Biblioteca Braidense  Marcellina, C. Béchet, Geltrude. Romanzo italiano con note storiche, Milano, Bettoni, Diritto pubblico universale di Gio. Maria Lampredi volgarizzato, Milano, Silvestri); “I fregi simbolici di San Michele in Pavia", Antichita romantiche [romaniche] d'Italia, e Giu Milano, Stella); “Della condizione economica, morale e politica degli italiani nei bassi tempi”; “Saggio intorno all'architettura simbolica, civile e militare in Italia”’ “Saggio intorno all'origine de' Longobardi, alla loro dominazione in Italia, alla divisione dei due popoli ed ai loro usi, culto e costume” (Milano, Stella); “Della condizione economica, morale e politica degli Italiani ne' tempi municipali”; “Sulle feste, e sull'origine, stato e decadenza de' municipii italiani nel Medioevo” (Milano, Stella); “Annali universali di statistica economia pubblica, storia, viaggi e commercio; “Sull’'indole della letteratura italiana; ossia della letteratura civile, con un'appendice intorno alla poesia eroica, sacra e alle belle arti” (Pavia, Landoni); “ Intorno alle dighe marmoree o murazzi alla laguna di Venezia ed alla istituzione del porto franco” (Milano, Editori degli Annali Universali delle Scienze e dell'Industria, Miscellanea di lettere ed arti, Pavia, Bizzoni); “L'arca di Sant'Agostino: monumento in marmoora esistente nella chiesa cattedrale di Pavia, colle illustrazionii” (Pavia, Fusi); “Intorno alle costumanze, alle arti, agli uomini e alle donne illustri d'Italia” (Milano, Stella); “Intorno alla pasta, alla smania musicale del secolo, a Volta e a' progetti pel monumento da erigersegli in Como ed a qualche buona o cattiva moda della capitale: lettera inutile” (Milano, Stella); “Cose inutile” (Milano, Visaj); “Teodote: storia” (Milano, Nervetti); “Le belle arti in Milano, Nuovo Raccoglitore, Questioni sull'architettura rituale in relazione alle opinioni del conte Cordero di San Quintino e dell'avvocato Robolini", in Annali Universali di Statistica”; “Le arti e l'industria in Lombardia” (Milano, Visaj); “Del bello” (Milano, Silvestri); Instituti di beneficenza a Torino (relazione), Milano, a Società degli editori degli annali universali delle scienze e dell'industria, Lezioni d'un parroco sul cholera” (Milano, Bravetta, Gli asili dell'infanzia: loro utilità ed ordinamento. Memorie popolari italiane” (Milano, Manini); “Novelle e racconti, Milano, Manini); “L' Arco della Pace a Milano descritto e illustrato e pubblicato per la fausta inaugurazione fatta da S.M.I.R.A. Ferdinando 1, Milano, Manini; B. Luino, Cosmorama pittorico, Le streghe. Dono del folletto alle signore, Milano, Manini); “Amori e vicende dei quattro sommi poeti italiani: Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Studi storici-biografici” (Milano, Vallardi). Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Defendente Sacchi. Sacchi. Keywords: Lombardi, longobardi, filosofia lombarda – pagenismo Lombardo – lingua lombarda – simbolo Lombardo --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sacchi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sacchi: la ragione conversazionale della gastro-filosofia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Piadena). Filosofo italiano Il Platina. Garin.  Detto il Plàtina. Muore a Roma. Umanista e gastronomo italiano.   Nacque a questo paese vicino a Cremona chiamato, in latino, Platina, da cui prese il soprannome. Della sua giovinezza si conosce poco: intraprese la carriera delle armi militando al servizio di Sforza e Piccinino come mercenario, ma presto si trasferì a Mantova per avviarsi agli studi umanistici. Nella città dei Gonzaga e discepolo di Ognibene da Lonigo, che aveva assunto la guida della Casa Gioiosa dopo Iacopo da San Cassiano, succeduto a Vittorino da Feltre morto. Cominciò la sua carriera come precettore del figlio di Ludovico III Gonzaga. Al marchese dedicò il primo scritto di cui abbiamo notizia: il Bartholomaei Platinensis Divi Ludovici marchionis Mantuae somnium, un'operetta sotto forma di dialogo in lode delle cure prestate da Ludovico nella trascrizione delle opere di Virgilio.  Secondo l'uso umanistico Sacchi scelse come nom de plume quello della propria città natale, cambiandolo presto da Platinensis a Platina. Per quanto ottenesse dal duca di Milano Francesco Sforza – tramite l'intercessione della moglie di Ludovico Barbara di Brandeburgo – un salvacondotto per andare in Grecia a perfezionare le proprie conoscenze del greco antico e dell'antichità classica, mutò parere quando seppe che Giovanni Argiropulo, celebre umanista di orientamento platonico, sarebbe venuto a Firenze in qualità di docente di filosofia, preferendo stabilirsi nella città medicea. Si recò quindi a Firenze per ascoltare le lezioni dell'Argiropulo, entrando a far parte dell'ambiente culturale locale e stringendo amicizia con celebri umanisti quali FICINO, Bracciolini, Filelfo, LANDINO, ALBERTI (si veda), PICO (si veda), e molti altri. Divenne inoltre precettore presso la famiglia Medici pur legandosi alla famiglia Capponi, di parte repubblicana. Di Neri Capponi tradusse i Commentari aggiungendo una nota biografica probabilmente più tarda.  Degli autori antichi predilesse in particolare Virgilio, che studiò molto approfonditamente, curando tra l'altro una raccolta, perduta, dei modi di dire greci presenti nei testi dell'autore mantovano. A Ludovico III Gonzaga spedì un codice delle Georgiche e una copia miniata delle opere virgiliane, incitandolo a far erigere in città un monumento al suo poeta più noto.[4] Il Platina tenne l'orazione funebre di Gonzaga. Non fu solo educatore, ma anche umanista, studioso di letteratura e tradizioni popolari. Si trasferì a Roma al servizio del giovane cardinale Francesco Gonzaga, in qualità di suo segretario; divenne abbreviatore dei papi Pio II e Paolo II con alterne fortune. Venne infatti IMPRIGIONATO e sottoposto a tortura, con l'accusa di congiura contro il papa, e, assieme ad altri abbreviatori, di avere idee pagane. Per vendetta ritrasse in modo sfavorevole la personalità di Paolo II nella biografia scritta un decennio dopo.  Uscito prosciolto dal processo, vide salire le proprie fortune sotto il papato di Sisto IV, che lo nominò direttore della Biblioteca Vaticana dove scrive il Liber de vita Christi ac omnium pontificum, una raccolta delle biografie dei pontefici vissuti sino ad allora. Negli stessi anni pubblicò il De principe, il De vera nobilitate e il De falso et vero et bono.   De honesta voluptate et valetudine Il suo lavoro principale resta tuttavia un breve trattato di gastronomia, il De honesta voluptate et valetudine. Il De honesta voluptate et valetudine fu stampato una prima volta a Roma da Han, anonimo e senza note tipografiche, e subito dopo a Venezia (Platine de honesta voluptate et valetudine, Venetiis: Laurentius de Aquila, con indicazione di autore e note tipografiche. L'edizione più corretta, fra le antiche, secondo l'italianista Faccioli, rimane quella pubblicata a Cividale del Friuli, stampata da Gerardo da Fiandra. In quest'opera, S. trascrive in latino tutte le ricette - originariamente scritte in lingua volgare - di Maestro Martino, celebre, di cui S. loda l'inventiva, il talento, la cultura. La forza iconoclasta di Martino, spinge S. su inedite, quanto avveniristiche, analisi sulla gastronomia, sulla dieta, sul valore del cosiddetto "cibo del territorio" e persino sull'utilità di una regolare attività fisica. Morì a Roma, forse a causa della peste. Fu sepolto nella basilica di Santa Maria Maggiore. Altri sagi: Divi Ludovici Marchionis Mantovae somnium, cura di Portioli, Mantova, Oratio de laudibus illustris ac divi Ludovici Marchionis Mantovae, in F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, cur. Amadei, Marani, Praticò, Mantova, Vita Nerii Capponi, in Rerum Italicarum scriptores, Milano, Commentariolus de vita Victorini Feltrensis, in Il pensiero pedagogico dello Umanesimo, a cura di E. Garin, Firenze, Oratio de laudibus bonarum artium, in Vairani, Cremonensium monumenta Romae extantia, vol. I, Roma, Vita Pii Pontificis Maximi, cur. Zimolo, in Rerum Italicarum scriptores, Bologna, Dialogus de flosculis quibusdam linguae Latinae, cur. Filelfo, Milano, De honesta voluptate e valitudine, De honesta voluptate et valetudine, Venezia, Benali, Il piacere onesto e la buona cucina, cur. Faccioli, Collana NUE, Einaudi, Torino, I a De honesta voluptate et valitudine. Un trattato sui piaceri della tavola e la buona salute. Nuova edizione commentata con testo latino a fronte, cur. Schianca, B.A.R. Olschki, Firenze, Historia urbis Mantovae Gonziacaeque familiae, cur. Lambeck, Rerum Italicarum scriptores, Milano, Tractatus de laudibus pacis, in Benziger, Zur Theorie von Krieg und Frieden in der italienischen Renaissance, Frankfurt, Oratio de pace Italiae confirmanda et bello Thurcis indicendo, cur. Benziger, Panegyricus in laudem amplissimi patris Bessarionis, in Patrologia Graeca, De principe, cur. Ferraù, Palermo, De falso et vero bono, dedicato a Sisto IV, Collana Edizione nazionale testi umanistici, Storia e Letteratura, Roma, Liber de vita Christi ac omnium pontificum, prima edizione Venezia; edizione critica: Gaida, in Rerum Italicarum, scriptores, Castello; in latino, Lives of the Popes, cur. Elia, Cambridge, Mass.; edizione in latino della vita di Paolo II:  S., Paul II. An Intermediate Reader of Renaissance Latin, cur. Hendrickson et al. Oxford (OH) De optimo cive, cur. Battaglia, Bologna; Un trattato o lettera polemica contro Giudici; perduto, ma parzialmente citato in una replica successiva in Giudici, Apologia Iudaeorum; Invectiva contra S., cur. Quaglioni, Roma, Plutarco, De ira sedanda, tradotto da S., in Vairani, Cremonensium monumenta. Vita amplissimi patris Ioannis Melini, cur. Blasio, Roma, Lettere: S. custodia detenti epistulae, a cura di Vairani, Cremonensium monumenta; edizione critica: Lettere, cur. Vecchia, Roma, cur. di S.:  Flavio, Historiarum libri numero VII, Roma, Practica, traduzione e commento di Capparoni, Istituto di Storia della Medicina, Roma, Manoscritti  Libri Tres de Principe, manoscritto, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti Vocabula Bucolicorum, Vocabula Georgicorum, MS Berlin, Staatsbibliothek, Lat. Liber privilegiorum, MS Archivio segreto Vaticano, A.A. Arm. Epitome ex primo, PINIO De naturali historia, e. g. MS Siena, Biblioteca comunale, De vera nobilitate, in S., Hystoria de vitis pontificum, Venezia, foll. C5v-D3v. Dialogus de falso ac vero bono, dedicato a Paolo II, e.g. Milan, Biblioteca Trivulziana, Mss., Dialogus contra amores, de amore, in S., Hystoria de vitis pontificum, Venezia, cur. Mitarotondo, Messina, Libri Tres de Principe, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti. Per una biografia dettagliata cfr. Bauer, The Censorship and Fortuna of S.’s Lives of the Popes, Turnhout, Brepols, Su Iacopo vedi Alessandro e Napolitani, Archimede Latino. Iacopo da San Cassiano e il corpus archimedeo, Paris, Les Belles Lettres, Faccioli, Notizie biobibliografiche, in S., Il piacere onesto e la buona salute, Torino, Einaudi, Faccioli, Simon, Gonzaga. Storia e segreti, Ariccia,  Di questa edizione è stata presentata una bella riproduzione in facsimile a cura dalla Società filologica friulana. Voci correlate Sisto IV nomina S. prefetto della biblioteca Vaticana. Plàtina, Il, su Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, S., detto il-, su sapere.it, Agostini. Bauer, S., Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, S. u open MLOL, Horizons Unlimited srl., S., su Open Library, Internet Archive. su S., su Les Archives de littérature du Moyen Âge. S., in Catholic Encyclopedia, Appleton, S. - Relations with Leto, Repertorium Pomponianum, Roma nel Rinascimento Bauer, Quod adhuc extat. Le relazioni tra testo e monumento nella biografia papale del Rinascimento, QFIAB, Bauer, The Censorship and Fortuna of S.'s "Lives of the Popes,” Turnhout, Brepols, Predecessore Bibliotecario della Biblioteca Apostolica Vaticana Successore Emblem Holy See.svg Giovanni Andrea Bussi Zanobi Acciaiuoli. Portale Biografie Portale Letteratura Categorie: Umanisti italiani Gastronomi italiani Italiani Nati a PiadenaMorti a Roma Storia della cucinaUmanisti alla corte dei Gonzaga Scrittori di gastronomia italiani[altre]. Grice: “Wikipedia doesn’t have it as FILOSOFI ITALIANI, but gastronomist – so one has to be careful. We include him here just as a nod to Garin. There are gaps about FILOSOFI ROMANI, too, which has to be taken into account. Bartolomeo Sacchi. Keywords: guerra/pace, Plinio. Sacchi.

 

Grice e Sacheli: la ragione conversazionale all’isola -- implicatura axio-fenomenista dei parnasesi – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Canicattì). Filosofo italiano. Studia a Caltanissetta. Iniziato in massoneria nella loggia Cavallotti di Girgenti. Si laurea a Palermo sotto Colozza e Guastella. Insegna a Bologna, Girgenti, Caltanissetta, Bressanone, Genova, Cagliari e Messina. Con i suoi saggi da un apporto all'approfondimento all'interpretazione della filosofia di AQUINO. "La carità del natio loco" lo spinge a scrivere sulle tradizioni, i miti e le leggende di Canicattì, collaborando con Sicania e pubblicando i risultati delle sue ricerche nelle Linee di folklore canicattinese, Acireale, Popolare. Altri saggi: Indagini etiche: i criteri, il problema dell'etica, Milano, Sandron; Atto e valore, Firenze, Sansoni – cf. H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE, ACTIONS AND EVENTS --; Ragion pratica: preliminari critici, Firenze, Sansoni; Crisi della pedagogia, Roma, Perrella; Concetto di didattica, Messina, Anna; Ottaviano, Sophia: rassegna critica di filosofia e storia della filosofia, MILANI,  Gnocchini, “L'Italia dei Liberi Muratori”. Erasmo, Ferrante, Calogero. Angelo Sacheli. Sacheli. Keywords: membro dei parnasensi, parnaso di canicatti, massoneria, liberi muratori, folklore canicattinese, filosofia siciliana, loggia felice cavallotti di Girgenti, implicatura fenomenista, fenomenismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sacheli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Saitta: la ragione conversazionale all’isola -- l’animo – filosofia fascista – la romanitas di Tertuliano -- il ventennio fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Castelferrato). Filosofo italiano. Allievo di GENTILE, seguace e interprete del suo idealismo attuale. Studia a Nicosia, Monreale, e Palermo. Frequentando le lezioni di GENTILE, si accosta al suo idealismo. Si laurea in filosofia. Insegna a Terranova, Lucera, Cagliari, Sassari, Fano, Faenza, Bologna, Firenze, e Pisa. Dirigge “Vita Nuova” a Bologna, cura la rubrica Noi e gl’altri Spunto polemico, firmando i suoi interventi con lo pseudonimo di "Rustico", distinguendosi per i toni accesi e le posizioni anti-clericali e anti-concordatarie, che lo portarono a scontrarsi con cattolici. Adere infatti a una concezione movimentistica e rivoluzionaria del regime fascista, che interpreta come il compimento del valore romantico del risorgimento, intendendo la nazione italiana in senso hegeliano quale sintesi tra cittadino italiano individuale e l’universale della romanita. Col suo attivismo riusce a esercitare una forte capacità d’attrazione. Così si sviluppa quella tendenza a preferire la sua scuola di storia della filosofia dove la preparazione di tipo scolastico e le esigenze tecniche sono minori, ma dove si sente un calore ideale, una passione filosofica, un fervore per la italianita, e una forza di convinzione spesso dura, e più che dura, ma più vicina a quei sentimenti e a quelle esigenze fasciste, una decisione innovatrice suggestiva e che sembra offrire un orientamento vitale per la soluzione di quei problemi. Accogliendo la concezione gentiliana dell'atto come perenne auto-creazione dello spirito italiano che tutto comprende, sviluppa una visione attualistica dell'idealismo non riducibile a una teoria statica, bensì intesa come azione e continuo dinamismo. Questo lo porta a esaltare la libertà creativa della ragione umana contro ogni forma di oggettività e di dogmatismo. Da qui la sua accentuazione della polemica anti-religiosa, e la riscoperta, nel solco delle tesi formulate da SPAVENTA e dallo stesso GENTILE, della corrente immanentistica della filosofia rinascimentale italiana che egli pone a fondamento della genesi dell'idealismo moderno. Questo immanentismo, per il quale il divino si esprime nell'attività dello spirito umano, è un reale umanismo che rende possibile la libertà dell'individuo, nella quale consiste la coscienza illuministica, da lui contrapposta a quella tradizionale, oppressiva e decadente, della trascendenza.  Per difendere la libertà del soggetto da ogni autoritarismo e sopraffazione, si è schierato tuttavia non solo contro il dualismo dell’accademia, la teologia di impianto aquinistico e la neo-scolastica, ma in parte anche contro lo stesso idealismo di Hegel che finisce per oggettivare la ragione facendone un sistema assoluto da lui ritenuto all'origine dello schiavismo. Persino nell'attualismo di GENTILE e rimasto un retaggio del trascendente, quando esso attribuisce lo spirito ad un io assoluto anziché ai singoli individui. Sono costoro i veri creatori di valori spirituali, coloro cioè in cui va identificato il soggetto trascendentale. In tal modo intende preservare la portata stessa dell'atto creativo dello spirito dell'idealismo gentiliano, rivestendolo di significati empirici, positivistici, contigenti. Altre saggi: Lo spirito come eticità, (Bologna, Zanichelli; La coscienza illuministica, Genova, Orfini; Libertà ed esistenza, Firenze, Sansoni; L’immanenza, Bologna, Zuffi; La scolastica e la politica dei gesuiti, Torino, Bocca; Le origini dell’aquinismo, Bari, Laterza; Gioberti, Messina, Principato); Ficino (Messina, Principato); “L'educazione dell'umanesimo in Italia (Venezia, La Nuova Italia); “Filosofia italiana ed umanesimo (Venezia, La Nuova Italia); “AQUINO” (Firenze, Sansoni); “La teoria dell'amore e l'educazione del Rinascimento (Bologna, U.P.E.B.); “L'illuminismo della sofistica” (Milano, Bocca) Il pensiero italiano nell'Umanesimo e nel Rinascimento (Bologna, Zuffi); “L’Umanesimo italiano” (Bologna, Tamari). Centineo, Ricordo, Giornale critico della filosofia italiana, Firenze, Sansoni,  Sorbelli, L'Archi-ginnasio: bollettino della Biblioteca comunale di Bologna,  direzione di F. Bergonzoni, Regia tipografia dei fratelli Merlani, Università degli studi di Firenze, S. Salustri, L'Università fascista di Bologna: un modello di Accademia per il regime?, in Accademie e scuole: istituzioni, luoghi, personaggi, immagini della cultura e del potere” (Milano, Giuffrè); Pisani, Paideia, Casa Paideia, Pertici, Storia della storiografia,  Jaca, Mangoni, “L'interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo” (Bari, Laterza). Cantimori ricorda con commozione l'irrequietezza spirituale della sua scuola e la sua attenzione volta ad argomenti quasi ignorati dalla cultura Italiana – Bandini, Storia e storiografia: studi su Cantimori. Atti del convegno tenuto a Russi, Riuniti).  Cit. in Pertici, Storia della storiografia, “Forse meglio di ogni altro, intese dell'attualismo l'istanza realmente umanistica, e di un "reale umanismo” “E questa appunto volle sotto-lineare e difendere contro ogni mistificazione. Così lo vediamo ridurre tutta la dialettica gentiliana a lotta sempre risorgente fra ragione umana liberatrice e costruttrice di una società di uomini liberi, e la coscienza tradizionale cristallizzata nelle oppressioni di strutture portatrici di una filosofia di morte. Ricordo.  La filosofia come celebrazione della soggettività è quasi tutta sbozzata con Ficino. Con lui, anziché col Campanella, come da altri è stato frequentemente ripetuto, s'inizia la conoscenza illuministica, Centineo, Ricordo, Giornale critico della filosofia italiana», Firenze, Sansoni, Morra, L'immanentismo assoluto, Giornale critico della filosofia italiana», Garin, “Cronache di filosofia italiana” (Bari, Laterza); Melchiorre, Storiografi italiani (Villalba di Guidonia, Aletti). Attualismo, Filosofia rinascimentale, Idealismo italiano, Cantimori, Gentile  Ricordo.  Giuseppe Saitta. Saitta. Keywords: romanitas -- filosofia fascista, l’universita fascista di Bologna, le reviste filosofiche fasciste, Vita Nuova, immanenza e non trascendenza, lo spirito italiano, l’universale dell’italianita, l’universale della romanita, l’amore di Ficino, Campanella, Cantimori, contro la scolastica, animo, l’animo, vita nuova, contratto sociale, Rousseau, Firenze. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Saitta” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Saliceto: la ragione conversazionale del diritto bellico – la guerra è la guerra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Balsamo). Filosofo Italiano. Grice: “Since Sua Eccellenza Verri-Visconti calls himself a hyphenated philosopher, I who amn’t, shall list him under Visconti!” Esential Italian philosopher. Like Grice, he wrote on ‘happiness.’ Like Grice, he writes on ‘pleasure.’ Like Grice, he was a very clubbable man. Ritratto tagliato Barone di Rho. Consorte Marietta Castiglioni Vincenza Melzi d'Eril. Figli Teresa, Alessandro (da Marietta Castiglioni). Filosofo. Considerato tra i massimi esponenti dell'illuminismo, è altresì ritenuto il fondatore della scuola illuministica milanese. Nasce dal conte Gabriele Verri-Visconti, magistrato e politico conservatore, della nobiltà milanese. Avviati gli studi nel collegio dei gesuiti di Brera, e uno dei trasformati. Si arruola nell'esercito e prende parte alla Guerra dei VII Anni. Fermatosi a Vienna, intraprende la redazione delle Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano, che gli varranno il primo incarico di funzionario. Pubblica le Meditazioni sulla felicità. Devienne a Milano uno dei pugni, nucleo redazionale del caffè, destinato a diventare il punto di riferimento del riformismo illuministico. Tra i suoi saggi più importanti per Il Caffè si  ricordano Elementi del commercio; Commedia; “Medicina”; “I parolai”. Ha rapporto epistolari anche con gl’enciclopedisti. d'Alembert visita i pugni. Parallelamente all'impresa editoriale, intraprende la scalata del governo d’Austria allo scopo di mettere in prattica le riforme propugnate nel “Caffe”.Membro della Giunta per la revisione della "ferma" (appalto delle imposte ai privati) del Supremo Consiglio dell'Economia. Fonda la Società patriottica. “Meditazioni sull'economia politica”. Il discorso sull'indole del piacere -- e del dolore”; “i Ricordi” e le “Osservazioni sulla tortura”. Il suo è uno stile asciutto e libero, pieno di trattenuto vigore. Con Giuseppe II al trono d'Austria, gli spazi per i riformisti milanesi si riducono, e lascia ogni incarico pubblico, assumendo un atteggiamento sempre più critico. Pubblica la “Storia di Milano.” All'arrivo di Napoleone, prende parte alla fondazione della Repubblica Cisalpina, culla del tricolore italiano. Muore durante una seduta notturna della municipalità. Grazie a lui Milano divenne il più importante centro degl’illuministi. L'ipotesi di civiltà che scature da lui e forse troppo avanzata per poter essere adeguatamente raccolta dalla nostra cultura; e comunque lo colloca a pieno titolo tra le espressioni più alte degl’illuministi. Il suo grande merito e aver creato in Lombardia un centro di aggregazione illuminista: Il Caffè dei pugni, Ciò che desta curiosità rimane il titolo con cui lui scelse di intitolare la sua testata, dovuta al rilevante fenomeno della diffusione di caffè (bar), come luoghi dove poter intraprendere un libero e attuale dibattito culturale, politico e sociale. Con i suoi articoli sul dolore e il piacere, sottoscrive la dottrina di Helvétius, nonché il sensismo di Condillac, fondando sulla ricerca della felicità e del piacere l'attività degl’uomini. Gl’uomini tendeno a sé stessi al piacere e sono pervasi dal dolore. I suoi piaceri non sono altro che momentanee interruzioni del dolore. La felicità degl’uomini non è quella personale o soggetiva, ma quella a cui partecipa il “collettivo,” quasi eutimia o atarassia. Per quanto riguarda la politica e l'economia, lui è controverso. Per quanto riguarda l'ambito economico, negli Elementi del Commercio e nella sua più grande opera economica Meditazioni sull'economia politica, enuncia (anche, per primo, in forma matematica) la legge di domanda e offerta, spiega il ruolo della moneta come merce universale, appoggia il libero scambio e sostenne che l'equilibrio nella bilancia dei pagamenti è assicurato da aggiustamenti del prodotto interno lordo (quantità) e non del tasso di cambio (prezzo). Di conseguenza, può essere visto come un marginalista. Si nota, però, come assuma atteggiamenti di difesa del concetto di proprietà privata e del mercantilismo. S. ritiene che solo la libera concorrenza tra eguali possa distribuire la proprietà private. Tuttavia pare favorevole principalmente alla piccola proprietà, per evitare il risorgere delle disuguaglianze. S. con le Osservazioni sulla tortura esprime la sua contrarietà all'uso della tortura. Define ingiusto e antistorico un modello così efferato di giurisprudenza e auspicando l'abolizione di questi metodi. Non pubblica l’opuscolo per non inimicarsi, con le pesanti critiche alla magistratura in esso contenute, il senato di Milano (tribunale) presso cui si sta decidendo dell'eredità del padre. “Dei delitti e delle pene” di Beccaria prende in gran parte le mosse proprio dalle bozze delle osservazioni sulla tortura, oltre che dagli articoli de Il Caffè. E proprio a causa di questo furto di idee che i due pugni arrivano al più acceso scontro. Nella versione definitiva e aggiornata dell’Osservazioni, che sono in conclusione un invito ai magistrati a seguire la dottrina illuminista invece di irrigidirsi sulle posizioni conservatrici, la sua dialettica è cruda e basilare. La tortura è una crudeltà. Se la vittima è innocente, subisce sofferenze non necessarie. Se la vittima e colpisce un colpevole presumibile rischia di martoriare il corpo di un possibile innocente. L’accusato rinuncia nella tortura alla sua difesa naturale istintiva. Viola la legge di natura. Apre il suo saggio con la ricostruzione del processo agl’untori, presentandolo sia come documento dell'ignoranza di un secolo non guidato dai lumi, sia come emblema del modo in cui una legge sbagliata porta a una evidente ingiustizia. Questa ricostruzione forne la base per la Storia della colonna infame di Manzoni, che però la presenta come testimonianza di ciò che accade quando uomini ingiusti detenneno un grande potere, come all'epoca era quello del senato milanese. Il saggio non arrivea mai ad avere il successo che invece ebbe Dei delitti e delle pene, vuoi perché la maggior parte delle osservazioni in essa sviluppate erano già contenute nell'opera di Beccaria, vuoi per via del  suo stile, dotto e di difficile comprensione, che rendeva di per sé ardua la diffusione della sua filosofia, che pure conteneva molti ulteriori spunti rispetto all'opera del collega. La Borlanda impasticciata con la concia, e trappola de sorci composta per estro, e dedicata per bizzaria alla nobile curiosita di teste salate dall'incognito d'Eritrea Pedsol riconosciuto, festosamente raccolta, e fatta dare in luce dall'abitatore disabitato accademico bontempista, Adorna di varii poetici encomii, ed accresciuta di opportune annotazioni per opera di varii suoi co-accademici amici; “Il Gran Zoroastro ossia Astrologiche Predizioni”; “Il Mal di Milza, Diario militare,” Elementi del commercio”; “Sul tributo del sale nello Stato di Milano”; “Sulla grandezza e decadenza del commercio di Milano”; “Fronimo e Simplicio; ovvero, sul disordine delle monete nello Stato di Milano”; Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano”; “Orazione panegirica sula giurisprudenza Milanese”; “Meditazioni sulla felicità colletiva” – cfr. Grice, Notes on happiness –; “Bilancio del commercio dello stato di Milano, Il Caffè, Sull’innesto del vajuolo, Memorie storiche sulla economia pubblica dello stato di Milano, Riflessioni sulle leggi vincolanti il commercio dei grani, Meditazioni sulla economia politica con annotazioni, Consulta su la riforma delle monete dello Stato di Milano, Osservazioni sulla tortura, Ricordi a mia figlia, Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano – “Sull'indole del piacere e del dolore” -- Manoscritto da leggersi dalla mia cara figlia Teresa Verri per cui sola lo scrissi, Storia di Milano, Piano di organizzazione del Consiglio governativo ed istruzioni per il medesimo, “Precetti di Caligola e Claudio”; “Memoria cronologica dei cambiamenti pubblici dello stato di Milano”; “Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità” – felicita pubblica – felicita private --; “Pensieri di un buon vecchio che non è letterato, Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri;  L'Edizione Nazionale delle Opere, Ministero per i beni e le attività culturali ha deciso di avallare un'Edizione nazionale delle sui saggi. Il comitato, finanziato pubblicamente, dalla Fondazione Cariplo e da Banca Intesa Sanpaolo, è presieduto da C. Capra e composto da una ventina di studiosi e si basa sull'Archivio donato da S. alla Fondazione Per La Storia Del Pensiero Economico. Bartolo, Gli Scritti di argomento familiare e autobiografico; Rivista di storia della filosofia. (Firenze: Nuova Italia). Carteggio di Pietro e Alessandro Verri  Cfr. Ricuperati, Il genere della biografia, Società e storia. (Milano: F. Angeli,  "Il Caffè", Introduzione. Giordanetti, Piero, a cura di, “Sul piacere e sul dolore”. Kant discute Visconti (Milano, Unicopli); “Giordanetti, “Le arti belle. Sulla fortuna di Visconti, Visconti e il suo tempo, Capra, Bologna, Cisalpino); Renzo Villata, Gigliola, Il processo agli untori di manzioniana memoria e la testimonianza (ovvero... due volti dell'umana giustizia), Acta Histriae Storia di Milano, Cronologia della vita di S., su storiadimilano. S., Enciclopedia Treccani, su treccani. Ricordi a mia figlia, su classicitaliani. Catalogo Sellerio, su Sellerio. Salerno editrice. Scheda del libro: Delle nozioni tendenti alla pubblica felicita, su salerno editrice. Pensieri di un buon vecchio che non è letterato, su classic italiani. Capra, Risultati e prospettive, in Rivista di storia della filosofia, Scritti di economia, finanza e amministrazione, I Discorsi e altri scritti degli, Storia di Milano, Scritti di argomento familiare e autobiografico, Scritti politici, Carteggio di Pietro e Alessandro. Caffè. In Venezia, Pizzolato); “Mediazioni sulla economia politica con annotazioni, Venezia, Giovanni Battista Pasquali); “Meditazioni sulla economia politica” (Livorno, Stamperia dell'Enciclopedia Livorno); “Sull'indole del piacere e del dolore” (Milano, Marelli); “Storia di Milano” (Milano, Società tipografica de' classici italiani); “Carteggio di  Novati, Giulini, Greppi, Seregni, Milano, Cogliati, Milesi e figli, Giuffrè); “Viaggio a Parigi e Londra. Carteggio di Pietro ed Alessandro Verri, Gianmarco Gaspari, Milano, Adelphi); “Appunti di diritto bellico” (Benvenuti, Roma, Benedetto, “Visconti repubblicano: gl’articoli, Poesia, letteratura e politica, Alessandria, Edizioni dell'Orso, A. Cavanna, Da Maria Teresa a Bonaparte: il lungo viaggio, Capra, I progressi della ragione” (Bologna, Il Mulino); “Meditazioni sulla felicità, Pavia-Como, Ibis); “Discorso sull'indole del piacere e del dolore, Spada, Londra, Traettiana, Diario Militar, Milano, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Filosofico. Storia di Milano. Sua Eccellenza il conte Pietro Verri Visconti di Saliceto. Keywords: diritto bellico. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Saliceto – “Grice e Visconti: il piacere” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. #visconti. Saliceto.

 

Grice e Sallustio: la ragione conversazionale EMPEDOCLEA – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He assembles a collection of materials by and about Empedocle di Girgenti. Empedoclea.

 

Grice e Sallustio: la ragione conversazionale a Roma – la storia della filosofia romana come fonte d’essempli morali – chè cosa fa un saggio ‘romano’? -- filosofia italiana – Luigi Speranza. (Amiterno). Filosofo italiano. Storico. Può anche darsi che adere la setta dei crotonesi. Tribuno della plebe e senatore, espulso dal senato per motivi morali, e probabilmente perchè fautore di GIULIO Cesare, che lo nomina questore, pretore nella guerra africana e pro-console della Numidia. Dopo la morte di GIULIO Cesare abbandona la vita pubblica per dedicarsi completamente agli studi -- La congiura di Catilina, La guerra giugurtina, Le Storie. A lui venne rivolta l’accusa di essere stato complice dei sacrilegi di NIGIDIO (si veda) Figulo. Certamente lui spesso insiste nei suoi saggi sulla opposizione di anima e corpo. Parla di un nume divino che veglia sulla condotta dei mortali e accenna a sanzioni nell’oltretomba. È quindi probabile che allo storico debba essere identificato quel Sallustio che scrive un "Empedoclea" per esporre le dottrine del filosofo da Girgenti, tutte colorate di Pitagorismo. Cicero's letter to his brother Quintus is best known for containing the sole explicit contemporary reference to Lucretius's “De rerum natura.” But it is also notable as the source of the only extant reference of any kind to another presumably philosophical didactic poem, Sallustius's “Empedoclea” (Q. fr. 2.10(9).3= SB 14): “Lucretii poemata, ut scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis. sed, cum ueneris. uirum te putabo, si Sallusti “Empedoclea” legeris; hominem non putabo.” “Lucretius' poems are just as you write: they show many flashes of inspiration, but many of skill too. But more of that when you come. I shall think you a man, if you read Sallustius' Empedoclea; I shan't think you a human being.” In addition to the vexed but separate question as to whether the Sallustius in question is to be identified with the historian, with Cicero's friend Cn. Sallustius, or some other figure bearing that nomen, the meaning of the barbed comment on his poem has been almost as fiercely debated.The antithesis between “uir” and “homo” has been thought problematic, a difficulty formulated with characteristic brusqueness by Housman. “If one is not a human being, one cannot be a stout-hearted man nor a man of any sort; one is either above or below humanity, a god or a beast; and “uir” is not Latin for a stout-hearted god nor for a stout-hearted beast.” Housman's proposal of a lacuna following “uirum te putabo”, where a different protasis corresponding to that apodosis has dropped out, earned a place in Bailey's apparatus and a 'fort. rect.' in Watt's, but has otherwise found little favour. Most critics have been more or less satisfied that the strict illogicality should not stand in the way of the joke, though several share Housman's related feeling that “homo” would stand in more natural antithesis with god or beast. It is worth stressing that Housman is, on the question of Latinity at least, quite right that one cannot be a “uir” if one is not a “homo” (though the reverse is of course quite possible). Even the vast resources provided by concordances, the TLL, and now searchable electronic databases such as the PHI CD-Rom or the Bibliotheca Teubneriana Latina merely corroborate the accuracy of his Latinity. The juxtaposition of “uir” and “homo” is indeed a common one, and particularly so in Cicero. In many instances, the same person is (usually) praised using both nouns, each qualified with an adjective which in some cases may partially reflect the distinction between qualities appropriate to a Roman male and the more humane attributes of a Mensch (e.g. hominem honestissimum, uirum fortissimum, Font. 41; forti uiro et sapienti homini, Leg. Man.), but in others (the majority) the contrast is often so hard to draw that the words feel almost like synonymous doublets (e.g. consulari homini clarissimo uiro, Verr.). When the two words are set in antithesis, it is always clear, and indeed the point of the antithesis or a fortiori argument generally depends on the fact, that to be a “homo” is a lesser attainment than to be a “uir.” Thus the gold ring which Verres gave to a scriba proved not that the latter was a brave man, but merely that he was a rich fellow (“neque ... uirum fortem, sed hominem locupletem esse declarat, Verr.), the diminution of a proconsul's province should be guarded against not only in the case of a man of the highest standing, but even in that of a middling fellow (“neque solum summo in uiro, sed etiam mediocri in homine <ne> accidat prouidendum, Prov. cons.), and Lucius' and Patron's proto-Hobbesian philosophy describes not a good man but a cunning fellow (“se de callido homine loqui, non de bono uiro -- Att. 7.2.4 = SB 125). Taking the opposite trajectory, from mere “homo” up to “uir,” Cicero often self-consciously corrects himself, promoting his subject from the former to the latter category, as with Cato at Brut. 293 (magnum mercule hominem uel potius summum et singularem uirum) or Epicurus at Tusc. 2.44 (homo minime malus uel potius uir opti-mus). From this it is at least implicit that to be a homo is a necessary but not sufficient condition for being a uir, but that uiri are a subset of homines is absolutely clear when Cicero writes of injustices which would seem intolerable not only to a good man but more broadly to a free human being (ut non modo uiro bono, uerum omnino homini lib-ero ideatur non fuisse toleranda. Inv. rhet. 2.84).? Perhaps the closest Cicero comes to a clear distinction is in his consolatio to the exiled Sittius, where he urges him to remember that he is both things (et hominem te et uirum esse, Fam. 5.17.3 = SB 23), a homo because he is subject to the vicissitudes of all humanity, a uir because he ought to bear those vicissitudes with fortitude. Here there is no fusion or explicit overlapping of the categories; each has its specific and discrete associations. However, neither is there anything here to contradict the evidence of all the other instances or to suggest that even Sittius could be a uir but not a homo. Even with the benefit of searchable databases, it can be seen that Housman's judgement on Latinity and logic is sound. It may be, however, that the confounding of logic (and perhaps of Latinity) is the essence of humour, and so we must ask ourselves whether Cicero's transmitted judgement on Sallustius, since it isn't quite Latin, is actually funny. Even those who defend the paradosis seem vaguely apologetic about the joke which they are determined to preserve. Shackleton Bailey, in refuting Housman, writes that 'Cicero says these two things in the same breath ... because he thought it mildly amusing', and in his shorter commentary remarks, almost shame-facedly, that 'the juxtaposition is mildly funny' Of course, whether the reason lies in cultural contingency or in transhistorical unfunniness, no one who has read any quantity of Ciceronian 'jokes' would consider a failure to provoke uproarious laughter as grounds for emendation. Yet the problem with this joke is not so much that it is at best 'mildly amusing', but rather that it seems oddly arbitrary and lacking the pointedness or relevance to its context which we might expect in even the feeblest witticism. '° It is certainly possible for humour to be generated from the antithesis of uir and homo. At Terence, Hecyra 523-4, Phidippus calls to his wife Myrrina, and when she responds with an interrogative mihine, mi uir? ('Is it me you're talking to, my husband?'), he replies in turn uir ego tuos sim? tu uirum me aut hominem deputas adeo esse? ('Is it your husband I am? Do you consider me to be a husband/man or even a human being?') This is, if anything, an even clearer proof that uiri are a subset of homines, as the adeo shows, and it is on this normative relationship of the two words (in contrast to the anomalous one at Q. fr. 2.10(9).3) that the joke partly depends: if Myrrina does not consider Phidippus a homo, then a fortiori she cannot consider him a uir. However, the reference to this standard notion that one must be a homo to be a uir would have no particular point were it not wittily combined with the context-specific wordplay on uir as 'husband' (as Myrrina uses it) and 'man' ('Man? I'm not even treated like a human being!')"' To turn from the humorous potential of the uir/homo antithesis to Cicero's comedic practice elsewhere in his correspondence, it can be seen that he does make literary jokes which, however amusing or otherwise we might subjectively find them, are unquestionably pointed and tailored to the specifics of their context and subject-matter. One example is his witty and context-specific use of the poeta auctor conceit to depict Tigellius as being actually 'sold at auction' (addictum) by Calvus' mimetic lampoon, in the act of doing which he picks up and even elaborates Calvus' own conceit 'of writing a poem in the form of an auction announcement ... in which he himself took the part of the auctioneer and offered Tigellius for sale'. 2 Equally witty and pointed, and with an added touch of doctrina, is his play on the double status of Quintus' Erigona as bothtragedy and woman, mock-lamenting that she was lost on the road through Gaul despite owning a fine dog, a learned allusion to the faithful Mera who led her mistress to Icarius' body, as well as a jibe at the ineffectual Oppius. 3 The letters are also full of witty and pointed philosophical jokes and allusions, as Miriam Griffin has shown. 14 To cite but one example, Griffin argues that Cicero's ironic concern to come to see Trebatius 'before [he] flows completely from [his] mind' (antequam plane ex animo tuo effluo) subtly alludes to the Epicurean doctrine of sense-perception by means of eisha. 5 In our passage, on the other hand, we might wonder why the (dubious) antithesis of “uir” and “homo” even arises when discussing Sallustius' “Empedoclea.” There is no obvious reason why such a poem, whether as a poem or as an instantiation of Empedoclean philosophy, would suggest a play on the antithesis of 'man' and "human', let alone one which is unparalleled in extant Latin, where, as has been shown, one cannot be a “uir” without also being a “homo.” If an emendation could provide an antithesis which preserved and perhaps even enhanced the humour, but removed Housman's illogicality, and had a clear connection with the topic under discussion, it would have a good deal to recommend it. We have already noted how one of the more obvious antitheses of homo is 'god'. Among the most famous, or notorious, aspects of Empedocles's doctrine was his claim to be a god and no longer a mortal. The claim is most clearly preserved in the proem to the Katharmoi (DK B112.4-6): ¿ya & juv BEos duBpoTos, ouKéTI OUnTóS MOREQUAL MET TOOI TETILÉVOS, GTEP ¿OLKA, TOIVIOIS TE TEPIOTETTOS OTÉPEGiV TE DaREiOIS. “I come to you as an immortal god, no longer a mortal, honoured among all, as is fitting, garlanded with fillets and festive garlands”. That this doctrine was familiar in Rome is clear from Horace's explicit comment and partial translation at the climax of the “Ars Poetica” -- while Empedocles wanted to be considered an immortal god', deus immortalis haberi dum cupit Empedocles) and Lucretius's all-but-explicit reference to the poems of Empedocles "divine breast' (diuini pectoris) so that he 'seemed created from scarcely human stock' (“uix humana ideatur stirpe creates”). Noting this connection, Murley suggests 'a jest at the expense of Empedocles as well as Sallust and unpacks the implications of “homo” as ""But if, in the few days before your return, you shall have read Sallust's “Empedoclea”, I shall regard you as a hero – but, like Empedocles, *not* a human being.” Murley's interpretation is attractive, but the secondary, implicit antithesis between 'human' and 'god' sits uneasily with the explicit and problematic antithesis between 'human' and 'man'. The most economical solution would be to remove the latter antithesis and the make the former explicit. One solution which would satisfy all the requirements which we have set so far would be to emend the paradosis irum to a word meaning god, most probably either “deum” or “dium.” The juxtaposition of forms of “deus” and “homo” is extremely common in Latin, and occurs eighteen times in Cicero, albeit more frequently in the plural. Of course, for a double entendre to work, there must be a primary as well as a secondary meaning. The playful allusion to Empedocleian doctrine would be clear. But there must still be an independently comprehensible way in which Marcus can call Quintus a 'god', even if the allusion grants him a degree of licence to stretch common usage a little. Curiously, “dius” does not seem to have been used metaphorically of mortals with superhuman qualities, despite, or perhaps because of, its specific connotations of a deified mortal or an intermediate being between god and mortal, and of course its later use as the designation par excellence of apotheosised principes. There is far more evidence for the use of “deus” in this way, 'de homine ... virtute aliqua praedito', including numerous examples in Cicero's speeches, letters, rhetorical and philosophical works. Of particular relevance to our passage is the assertion by Cicero's Crassus that the godlike orator is one who does not merely use correct Latin but speaks ornate (De or.). “Si est aliter, irrident, neque eum oratorem tantummodo sed hominem non putant; quem deum, ut ita dicam, inter homines putant?” -- But if it is otherwise [than that he speaks correct Latin], they laugh at him and think him not only not an orator but not even a human being; who do they think, so to speak, a god among mortals?') Even with the qualifying ut ita dicam, it is clear from this passage (and others where there is no such qualification) that Cicero could use deus to designate a human who excels in some field or other, and did so on occasion in antithesis with homo.? As suggested above, the allusion to Empedocles (and to Sallustius) and the humorous context would help to justify a slight extension of the usage whereby the act of reading a poem ironically reflects superhuman qualities, whether of endurance or discernment. It might even be possible that a rare use of “diuus” in this metaphorical sense could be justified by a verbal echo of S., but Ciceronian and other Republican usage would tend to point towards “deus”. As for how such a corruption could have come about, a misreading of “dium” as “uirum” might seem easier than that of “deum”, but forms of “d” and “u” are not normally alike, and the cause here is far more likely to be psychological. The form could have been assimilated to the nearby “hominem”, or we might see the metamorphosis of god into man as an instance of polar error, where a scribe writes the opposite of the word he is copying. This type of corruption is not uncommon in Ciceronian manuscripts. Cicero's plea at Rosc. Am. 12 that the presiding praetor Fannius 'avenge the misdeeds with all zeal' (ut quam acerrime maleficia indecetis) became, in Naples IV B 17, a paradoxical desire that no good deed should go unpunished., as the scribe wrote beneficia for maleficia. Likewise at Mur. 73, according to the copyist of Venice, Marc. lat., the public attributes Sulpicius laying of charges against Murena for having escorts and giving voters meals and spectacles, not to his excessive zeal (in tuam nimiam diligentiam) but to his lack thereof (neglegentiam). That a copyist could likewise write “uirum” for “deum” is entirely feasible. Alternatively, with either “deus” or “dius”, a devout Christian scribe might - consciously or unconsciously - have baulked at Cicero's apotheosis of his brother in such a context and - again consciously or unconsciously - emended the offence away. There remains the question of whether Cicero is alluding to Empedocles alone or to Sallustius poetic depiction of him. As noted above, Murley sees the joke as being 'at the expense of Empedocles as well as Sallust'. It is certainly possible that the play on god and man is an allusion directly back to the “Katharmoi”. Sedley has convincingly argued that the proem of Lucretius's De rerum natura not only imitates Empedocles's proem but is meant to be recognised as so doing, and thus assumes familiarity with the latter among late Republican litterati. Even Sedley, however (incidentally using the letter as his principal evidence), allows that such familiarity could come either through direct acquaintance or through Latin translations and imitations’s -- including S.. None of Cicero's allusions to Empedocles in the philosophical works are noticeably oblique or seem to assume much prior knowledge, though the reference of his Laelius to “a certain learned man of Agrigentum” (“Agrigentinum doctum quendam uirum”) could conceivably be taken as allusive as well as faux naif. In considering Cicero's allusive practice in the letters, we might compare the witty allusion to Quintus's Erigona which cannot possibly have referred directly to the text of a tragedy which Marcus never had the chance to read, and hence must look to the original myth (and possibly the wrong myth at that), perhaps as narrated in Eratosthenes' epyllion. However, in the case of the letter, where we are dealing not with a lost text but one with which both correspondents have some familiarity, it is surely more likely that Cicero is alluding not - or not only - to Empedocles directly, but to S.’s poetic rendering of his doctrines and perhaps even his poetry. If S.’s “Empedoclea” included a Latin version of DK B1 12.4-6, it is not improbable that it might have occurred as early in the poem as those lines are in the “Katharmoi,” and hence be recognizable even by those who had not read it in its entirety. It is also quite likely that “evntos” would have been translated as “homo” (though “mortalis” is an obvious alternative possibility) and theós by either deus or dius. In favour of diuus, we might note its strict distinction from deus as referring to a minor deity (equivalent to the Soiucv which Empedocles elsewhere claimed to be) or even more specifically to a deified mortal. On the other hand, the phrase deus immortalis is not only an obvious way to render “0eos außpotos,” and far easier to fit into hexameters than diuus immortalis, with its initial cretic in the nominative and tendency to elision or hiatus in other cases, but nicely corresponds to the existing common Latin unctura, “di immortalis”, of which incidentally Cicero is particularly fond. “deus immortalis” is also the phrase used at Ars P. to render “0eos äußpotos” and it is tempting to speculate that Horace too is alluding not only to Empedocles, but to S.’s Empedocleian poem. This, of course, can only be speculation in the absence of any other trace of the poem. But it is far from improbable. Corte arguez for the influence of S.’s “Empedoclea” on the speech of Pythagoras in Metamorphoses. If OVIDIO could integrate such allusions into his depiction of a different philosopher, albeit one with some doctrines in common, it is hardly less likely that ORAZIO could allude to S. when referring to Empedocles himself. If Horace is indeed alluding to S., this might constitute one further argument in favour of Cicero's writing deum when also alluding to the Empedoclea. However, the argument does not stand or fall on the issue of Horatian allusion. To sum up, one may suggest that Cicero wrote to Quintus deum (or possibly diuum) te putabo, si Sallusti Empedoclea legeris; hominem non putabo. In doing so, he would certainly have alluded – via implicature -- wittily to Empedocles's claim to be a god and no longer a mortal at DK B112.4-6, and probably to S.'s own Latin rendering of that claim. Emended thus, the antithesis does not require the special pleading which has been made for uir/ homo and it has specific and pointed relevance to the poem under discussion. It is a matter of taste, of course, but it might also be a little more than mildly amusing. The dominant quality of S.'s moral philosophy as articulated in the preface to the Bellum Catilinae is gloria: this preoccupies much of S.’s discussion, particularly in the opening two chapters of the monograph. The text begins with an emphatic statement of the goal of life, which according to S.  is to avoid passing through life without leaving a record of one's existence: omnis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit: "for all men who set themselves to exceed the other animals, it is right to struggle with the highest effort, lest they pass through life in silence like beasts, whom nature has made supine and subject to their appetites. To this end, S. continues, man is comprised of a dual nature, body (held in common with the beasts) and mind (in common with the gods); we should make use of the resources of the mind (animus) to seek gloria. For", S. continues "the gloria of riches and beauty is variable and fragile; virtus is held to be splendid and lasting", nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeterna habetur. The separation between mind and body, according to S., is not absolute: each requires the assistance of the other, because the mind is required to plan actions, and the body to carry them out. Gaio Sallustio Crispo, Empedoclea. Sallustio.

 

Grice e Salustio: la ragione conversazionale del divino e dei divini – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The author, according to some, of Salutio’s ‘On the gods and the world order,’ dedicated to Giuliano. Accademia. Flavio Salustio.

 

Grice e Salustio: la ragione conversazionale del pitagorico che corresponde con Giuliano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Ricerca (latino: Saturninus Secundus Salustius o Salutius. Politico e filosofo romano di età imperiale appartenente ai neoplatonici. Epigrafe in latino trovata ad Amorgos e riproducente una lettera (CIL III, 459) dell'imperatore romano Giuliano a S. (Museo epigrafico di Atene) Amico dell'imperatore romano Giuliano, ne condivise il programma di restaurazione della religione romana, ma fu così equilibrato che fu prefetto del pretoriod'Oriente sotto quattro imperatori. Di una famiglia della Gallia, forse dell'Aquitania, è probabilmente un homo novus, in quanto i suoi due primi incarichi furono non senatoriali; S. è infatti, probabilmente sotto l'imperatore Costante, praeses provinciae Aquitanicae, magister memoriae, comes ordinis primi, proconsole d'Africa e comes ordinis primi intra consistorium et quaestor, come attesta l'iscrizione posta sotta la sua statua d'oro eretta nel Foro di Traiano. È inviato dall'imperatore Costanzo II, fratello del defunto Costante, al cugino e cesare d'Occidente Giuliano, come consigliere, quando era ormai già avanti con gli anni. Costanzo si insospettì dei successi di Giuliano e, attribuendoli a S., lo richiama, separandolo dal cesare di cui era divenuto amico.  Giuliano venne acclamato imperatore e l'anno successivo Costanzo II morì. Giuliano, giunto a Costantinopoli, nominò S.  prefetto del pretoriod'Oriente e presidente del tribunale che a Calcedonia processò i funzionari di Costanzo. Lascia Costantinopoli per raggiungere Giuliano ad Antiochia, da dove l'imperatore aveva intenzione di far partire la sua campagna sasanide. Qui Salustio sconsigliò a Giuliano di perseguitare i cristiani: per dargli un esempio, torturò un certo Teodoro per tutto un giorno, dimostrandogli che ne avrebbe fatto un martire. Da rifugio al vescovo di Aretusa, Marco, che aveva suscitato la rabbia di Giuliano e, pare, torturò dei pagani per vedere se la loro resistenza era comparabile a quella dei cristiani. Fu poi incaricato di preparare le forniture per l'esercito e la flotta; quando un ufficiale non riuscì a portare gli approvvigionamenti dovuti a Circesium lo fece giustiziare. Giuliano morì durante la campagna, in uno scontro con i Sasanidi (363), durante il quale anche Salustio rischiò la vita. In seguito fu scelto dai generali romani come successore del suo amico, ma declinò l'offerta, adducendo la cattiva salute e l'età avanzata, e al suo posto venne eletto il cristiano Gioviano. Sotto Gioviano rimase in carica come prefetto: il nuovo imperatore lo inviò a trattare con i Sasanidi.  Dopo la morte di Gioviano sostenne l'elezione di Valentiniano I. Quando Valentiniano cadde ammalato, S. nega che la malattia fosse stata provocata da un maleficio preparato dai sostenitori di Giuliano. Venne deposto dall'imperatore, che invitò chiunque a presentargli accuse contro Salustio, ma fu poi rimesso al suo posto dopo poco tempo.  Continua al suo posto sotto l'imperatore Valente, che il fratello Valentiniano associò all'impero; ha Callisto come assessor (assistente), e Eanzio. Venne sostituito da Nebridio, principalmente a causa dell'azione del patricius e suocero dell'imperatore Petronio, ma quando, sempre quell'anno, Nebridio venne catturato dall'usurpatore Procopio, S. venne re-integrato. Venne definitivamente congedato comunque a causa degli intrighi di Clearco. Riceve il titolo di patricius dopo il congedo. Giuliano e amico di S., cui dedica la Consolazione a sé stesso, scritta dopo la forzata separazione in Gallia da S., e il suo inno al Re Helios. S. legge e approva anche un'altra opera dell'imperatore, I Cesari. Libanio lo loda come funzionario incorruttibile, Imerio gli indirizza un'orazione in cui lo definiva vero reggitore dello stato, mentre persino i galilei ne lodavano l'equilibrio. S. è uno studioso di letteratura e FILOSOFIA, che addirittura trascura talvolta i propri uffici per coltivare i propri studi. A S. è attribuita il saggio “Περὶ θεῶν καὶ κόσμου”, una sorta di manuale di religione romana voluta dal Giuliano. La maggior parte delle idee esposte nel saggio non sono originali ma sono derivate da altri filosofi dell’accademia, come pure dalle orazioni di Giuliano, anche se S. sembra avere meno dimestichezza con Giamblico, considerando la sua demonologia meno sviluppata. In alcuni punti, tuttavia, l'autore sostiene alcune tesi inconsuete. Per esempio riguardo all'origine del male, S. afferma che nulla è male per sua natura, ma diviene male per le azioni degl’ uomini, o meglio, di alcuni uomini. Inoltre, il male non è commesso dagl’uomini per sé, ma perché si presenta falsamente sotto l'apparenza di un BENE – cf. H. P. GRICE, INCONTINENZA --, come ha già esposto in certa misura Socrate. Il male – ill-will, H. P. GRICE -- nasce sempre e solo a causa di una falsa valutazione del bene, in quanto, alla fine, è mancanza di esso. Ma come si spiega il male nel mondo se il divino e buono e compi ogni cosa? In primo luogo bisogna precisare che, se il divino e buono e compi ogni cosa, il male non ha una esistenza effettiva ma nasce per assenza di bene, come l'ombra non ha esistenza ma ha origine dall'assenza di luce. -- S. Gli dei e il mondo. Il suo nome è riportato come Saturnino Secondo nelle iscrizioni, Secondus Salutius in Ammiano Marcellino, Secondo in Libanio (Lettere), Filostorgio e Sozomeno, e infine Salutius, Salustius o Sallustius altrove. Sivan, Hagith, Ausonius of Bordeaux: Genesis of a Gallic Aristocracy, Routledge, Costanzo dubita della lealtà di Giuliano, in quanto ne uccide il padre Giulio Costanzo e il fratellastro Costanzo Gallo. Ammiano Marcellino. Lungo la strada, ad Ancira (moderna Ankara) fa incidere l'iscrizione CIL. Socrate Scolastico; Sozomeno, Ammiano Marcellino, che però lo chiama semplicemente "prefetto". Socrate Scolastico. Passio SS. Bonosii et Maximiliani, Libanio, Orazioni Ammiano Marcellino Ammiano Marcellino. Zosimo. Ammiano Marcellino; Zosimo riporta anche l'offerta della porpora al figlio di S., respinta sulla base della sua giovane età. Libanio, Orazioni, Imerio, Orazioni, Gregorio Nazianzeno, Orazioni, Azize, The Phoenician Solar Theology, Smith, Rowland, Julian's Gods: Religion and Philosophy in the Thought and Action of Julian the Apostate, Routledge, Ammiano Marcellino, Res gestae Filostorgio, Storia ecclesiastica Libanio, Lettere e Orazioni Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica Sozomeno, Storia ecclesiastica Zosimo, Storia nuova Fonti secondarie modifica Jones, Arnold Hugh Martin, John Robert Martindale, John Morris, The Prosopography of the Later Roman Empire, Cambridge University Press, Edizioni delle sue opere; Salustio, Sugli dèi e il mondo, cur. Giuseppe, Adelphi, Salustio, Gli Dei e il Mondo, cur. Vacanti, Il Leone Verde, S. neoplatonico, su Treccani, Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, S. neoplatonico, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Portale Antica Roma  Portale Biografie  Portale Filosofia Arinteo generale romano Nebridio generale romano Eusebio (praepositus sacri cubiculi) alto funzionario dell'Impero roman. Saturnino Secondo Salustio. Saluzio. Secondo Sallustio. Salustio. Keywords: il divino, i divini, l’ordine del mondo. Salustio.

 

Grice e Salutati: la ragione conversazionale d’Ercole al bivio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Stignano). Filosofo italiano. Vedo che ignori quanto sia dolce l'amor di patria. Se ciò fosse utile alla difesa e all'ampliamento della patria, non ti sembrerebbe un crimine penoso, nè un delitto scellerato, il fracassare con la scure il capo del proprio padre, o ammazzare i fratelli, o cavare con la spada dal grembo della moglie il figlio prematuro. Ad Andrea di Conte. Cancelliere di Firenze, figura culturale di riferimento dell'umanesimo a Firenze, in qualità di discepolo del BOCCACCIO e precettore di BRACCIOLINI  e BRUNI.  Considerato uno dei più importanti uomini di governo, S. come cancelliere della repubblica di Firenze, svolge un importantissimo ruolo diplomatico nel frenare le ambizioni del duca di Milano VISCONTI, intenzionato a creare uno stato comprendente l'Italia centro-settentrionale. Nel contesto di questa lotta elabora la sua dottrina della “libertas fiorentina”. Oltre all'impegno politico, svolge un importante ruolo nella diffusione dell'umanesimo petrarchesco (PETRARCA – si veda) e boccacciano, divenendone l'esponente più importante e il praeceptor della prima generazione degl’umanisti. Il suo lascito più importante presso i posteri è la codificazione civile dell'umanesimo, cioè l'uso dello spirito e dei valori dell'antichità classica all'interno dell'agone politico internazionale. Grazie a S. -- autore tra l'altro di un vastissimo epistolario e di trattati politici, filosofici e letterari -- difatti, il mito della florentina libertas, cioè di quel complesso di valori ispirati alla libertà promosso dall'ordinamento politico fiorentino, si rafforza enormemente sotto il suo cancellierato, ed e utilizzato quale strumento diplomatico per accrescere il prestigio di Firenze presso gl’altri stati d’Italia. Costretto, a pochi mesi dalla sua nascita, ad abbandonare il luogo natìo per raggiungere il padre Piero (detto dal Villani di buoni costumi e di prudenzia laudabile) a Bologna, ove il genitore serve il signore della città Pepoli, che a sua volta garantiva protezione alla famiglia. Nella città felsinea compe per volontà paterna -- ma più probabilmente di Pepoli che, morto Piero, prende sotto la sua protezione la famiglia e il giovane Coluccio in particolare --, studi, benché fosse maggiormente interessato alle discipline letterarie, e segue le lezioni di logica e di grammatica di Moglio. Lascia Bologna a causa anche della caduta di Pepoli e ritorna a Stignano, dove un rogito testimonia la sua presenza. Gl’anni successivi all'allontanamento da Bologna,  gli videro esercitare il mestiere di notaio in vari centri toscani -- specialmente in Valdinievole – coltivando lo studio dei classici, come dimostra la lettera a Gianfigliazzi, colto politico fiorentino col quale discute su Valerio Massimo e altri autori antichi. Nel frattempo, la sua carriera amministrativa lo spinse ad intraprendere anche la carriera politica: cancelliere del Comune di Todi prima, della Repubblica di Lucca poi, ed infine, dopo essere giunto a Firenze ed avervi esercitato per breve periodo l'incarico di scriba omnium scrutinorum, Cancelliere di quella città, tenne, pertanto, nelle sue mani la carica più importante della diplomazia della repubblica fiorentina, divenendo un personaggio di spicco della politica italiana. Costantemente rieletto e confermato con le stesse ingerenze, lo stesso stipendio e i soliti privilegi, lascia nell'ufficio un numero grande di minutari e registri, di lettere e istruzioni, per lo più di sua mano, e solo in parte de' suoi coadiutori, che non sembrano molti. Da questi libri e da altri della cancelleria, apparisce com'egli fosse costantemente in palazzo, presente a innumerevoli atti del comune, dei consigli, degli uffici più svariati. La frattura in seno alla chiesa cattolica spinse Urbano VI a firmare la pace coi fiorentini. Le relazioni tra santa sede all'epoca ad Avignone e la repubblica fiorentina degenerarono rapidamente a causa della volontà di Gregorio XI di ritornare a Roma e ripristinarvi l'autorità della chiesa. La paura che si formasse, nel centro Italia, un forte stato ecclesiastico allarma sia Firenze (intimorita di essere inglobata nel nuovo stato) che le città degli Stati Pontifici, che a causa della lontananza del Papato avevano acquisito una grande forza ed indipendenza. La guerra finì frettolosamente a causa della scissione interna alla Chiesa stessa tra cardinali, fatto che porta alla nascita del gravoso Scisma d'Occidente. Urbano VI assolve Firenze dalla scomunica per avere alleati contro Clemente VII.  Tra gli scomunicati, c'e anche lui, in quanto figura chiave della politica dell'epoca. Coluccium Pieri de Florentia, excellentissimum cancellarium comuni Florentie, riceve l'assoluzione da parte del Papa tramite i legati S. Pagani, vescovo di Volterra, e F. d'Orvieto, frate appartenente all'ordine degli Eremitani. Firenze, mentre stava stipulando la pace con Urbano VI, fu sconvolta dalla rivolta del popolo minuto che, già soggiogato e perseguitato dalla prepotenza politico-economica del popolo grasso, fu sobillato dagli operai salariati (i ciompi) a rivoltarsi. Si ebbero i primi scontri e i ciompi, risultati vincitori, imposero Lando quale gonfaloniere di Giustizia e riformatore della Signoria in senso democratico. L'animosità degli sconfitti si fece sentire molto presto: dopo aver chiuso gli opifici riducendo alla fame gli operai, la grande borghesia e l'aristocrazia riuscirono a trarre dalla loro parte Lando che, dopo aver disperso i capi dei ciompi, si dimise dalla carica di gonfaloniere e ridando il potere ai magnati, tra i quali primeggiarono gli Albizi che instaureranno un regime oligarchico durato fino alla venuta di Cosimo de' Medici. Dall'epistolario di Coluccio, sappiamo che egli informò D. Bandini di Arezzo dei tumulti avvenuti in città e stimando gli uomini assurti al potere quali degni e pieni di considerazione. L'atteggiamento emerso in quest'epistola, datata il mese d'agosto, si rivelerà contrario a quanto Coluccio in realtà pensasse del nuovo governo. Cirillo ci descrive lo stato d'animo del Cancelliere e la sua scelta di rimanere in tale carica nonostante l'avversione per i Ciompi. Dalle lettere di S. si evince come il cancelliere non fosse soddisfatto del governo instaurato dal Popolo Minuto, ed è probabile che il cancelliere conoscesse anche i “piani politici” di chi voleva ritornare al potere. Questo ci permette di ipotizzare che, la decisione di ritornare al proprio ufficio si legava sia alle necessità familiari dell'umanista, sia all'amore che egli nutriva per il proprio lavoro ma anche, alla conoscenza dell'imminente ritorno del Popolo Grasso al potere, unito alla convinzione della mancanza di conoscenze politiche adeguate per governare una città come Firenze da parte dei Ciompi stessi (Cirillo)  Ha un ruolo decisamente più attivo ed importante nell'animare Firenze perché si difendesse dalle ambizioni di conquista di Visconti, duca di Milano, desideroso di sottomettere l'intera Penisola al suo controllo schiacciando le resistenze delle Signorie dell'Italia Settentrionale. Visconti sposta infatti le sue attenzioni sulla Repubblica di Firenze, e S. giocò un ruolo importante in questa situazione spronando il popolo fiorentino a difendere la sua tradizionale libertà (la florentina libertas) e rispondendo egli stesso dalle accuse dei nemici attraverso l'opera Invectiva in Antonium Loscum. La situazione per i fiorentini, all'inizio del conflitto, era alquanto drammatica, in quanto si ritrovarono praticamente circondati dai domini di Visconti e solo l'ausilio di bande mercenarie, guidate da Acuto, riuscirono a frenare i piani di dominio del Visconti. La guerra, che riprese dopo una momentanea tregua, vide la formazione di una vasta coalizione antiviscontea di cui fecero parte tutti gli stati italiani del centro-nord, tenuti assieme dalla politica estera fiorentina e da quella veneziana. Nonostante gli alleati fossero stati gravemente surclassati dalle forze milanesi, i fiorentini riuscirono a salvare la loro indipendenza resistendo a dodici anni di guerra, cioè fino alla morte improvvisa di Visconti a causa della peste, lasciando Firenze in una posizione di potenza nell'Italia centro-settentrionale.  S. trascorse gli ultimi anni della sua vita terrena celebrato sia per la sua posizione di guida dell'umanesimo, sia per l'abilità politica dimostrata contro il Visconti, ma anche in grandi amarezze a causa dei lutti (morte della seconda moglie e la morte di alcuni dei suoi figli in occasione della pestilenza). Quando poi morì, la Signoria, il giorno successive, gli fece celebrare funerali solenni in Santa Maria del Fiore, ponendo sulla sua bara una ghirlanda d'alloro per le sue virtù poetiche. I suoi discepoli Bruni suo successore, Bracciolini, futuro cancelliere e Vergerio lo piansero amaramente, ricordandolo come un padre e come il più grande decoro di Firenze. Coluccio umanista La guida dell'umanesimo italiano e per trent'anni, dopo la morte del Petrarca e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi (Dionisotti)  Miniatura che ritrae proveniente da un codice della Biblioteca Laurenziana a Firenze. Alla morte del Boccaccio, sia per ragioni anagrafiche (era di una generazione sita tra quella di Petrarca e Boccaccio e la successiva degli umanisti), sia per la propria grandezza letteraria e filosofica, fu il principale esponente dell'umanesimo italiano, come ricorda infatti Dionisotti e altri studiosi, quel «trait d'union tra la generazione che aveva vissuto in prima linea il rinnovamento petrarchesco e quella dei nuovi umanisti già pienamente quattrocenteschi» Salutati ebbe, sia per il ruolo istituzionale sia per quello culturale, rapporti anche con i Paesi europei: tenne corrispondenza con un colto cortigiano di Carlo VI di Francia, Montreuil, e con l'arcivescovo di Canterbury Arundel, conosciuto mentre il presule inglese si trovava a Firenze. Fecondo scrittore, apologeta "diplomatico" della classicità contro gli attacchi degli aristotelici e di alcuni ecclesiastici ostili all'antropologia umanista, S. alterna il suo magistero culturale con quello politico, difendendo la libertà repubblicana di Firenze adottando lo stile e il genere degli antichi trattatisti.  Nonostante Lino avesse preso definitivamente l'attività notarile, come testimonia il suo primo rogito effettuato nella nativa Stignano, l'amore per la cultura e la letteratura non venne meno. Anzi, a partire dalla fine degli anni sessanta, S. divenne il segretario di Bruni, amico a sua volta di Petrarca; inizia, come esposto dalla Senile un rapporto epistolare a distanza, che permise a S. di avvicinarsi alle proposte umanistiche di Aretino. Nel periodo che intercorse tra questa prima epistola e la morte del Petrarca, S. entra sempre più nella mentalità classicista del maestro, grazie anche ai contatti che egli ha con l'altro grande umanista e allievo del Petrarca stesso, Boccaccio, quest'ultimo animatore del circolo umanista di Santo Spirito a Firenze. Seguendo la scia del maestro Boccaccio, sinceramente pianto da S. al momento del trapasso, il Cancelliere della Repubblica continua il suo magistero a Santo Spirito, tenendovi lezioni cui partecipavano umanisti non solo fiorentini -- si ricordano, tra i più importanti, Niccoli, Bruni e Bracciolini -- ma anche di altre regioni italiane -- quali il vicentino Loschi e Vergerio. Nel convento degli agostiniani S., aiutato nel suo magistero culturale dal coltissimo frate Marsili, non si fa soltanto portavoce degli ideali dell'umanesimo classicista petrarchesco, ma continua a tenere in alta considerazione ALIGHIERI (si veda), deprecato da una cerchia dei umanisti in quanto filosofo volgare e pessimo latinista. Oltre al suo compito di formazione dei umanisti che andranno a diffondere la filosofia presso gli altri centri italiani, S. ha il merito non solo di affidare le cattedre tradizionali dello studium fiorentino ad umanisti discepoli di Petrarca, quali Malpaghini, ma soprattutto quello di far rifiorire in Italia il greco. Grazie all'incontro avvenuto a Venezia tra i umanisti Rossi e Scarperia e i due colti bizantini Crisolora e Cidone, inizia, usufruendo dei poteri di Cancelliere, ad intessere rapporti con Crisolora per invitarlo ufficialmente a Firenze quale docente di greco nello studio. Questi, giunto nell'Europa Occidentale per conto dell'imperatore Manuele II Paleologo per cercare alleanze contro i turchi ottomani, cerca di instaurare rapporti di amicizia con gli stati che visita trasmettendo la conoscenza del greco ai circoli umanistici, edotti di latino ma non della lingua di Omero. Crisolora accetta l'offerta di S., rimanendo nella città toscana e lasciando in eredità ai suoi discepoli e amici fiorentini gl’Erotematà, compendi linguistici di greco caratterizzati da una sinossi COLLA GRAMMATICA LATINA. L'umanesimo incontra durante la sua diffusione, il sospetto e l'ostilità di alcuni ambienti a causa della libertà e responsabilità etica del singolo uomo che S. anda insegnando, e del suo progetto di conciliare la natura della cultura classica colle dottrine dei galilei.. I principali antagonisti dell'umanesimo fiorentino, il camaldolese Giovanni di San Miniato e il domenicano Giovanni Dominici -- quest'ultimo poi cardinale -- intendevano sostanzialmente mantenere l'istruzione e la morale rigidamente nelle mani della gerarchia, rifiutando la ventilata autonomia spirituale dei pagani e riaffermando la loro interpretazione allegorica. Le humanae litterae – litterae humaniores -- non sono anti-tetiche agli studia divinitatis (littera divinae), S., davanti a questi attacchi, sostenne la necessità, anche da parte dei laici, di avere coscienza di ciò che dicono e professano nella vita attiva, ribadendo il valore positivo di questo modello di vita e combattendo il vuoto nominalismo tomista che la cultura ecclesiastica ufficiale difende strenuamente quest'ultimo visto come nocivo perché, avendo ormai intriso la stessa Bibbia di sillogismi filosofici, allontana dalla verità gl’uomini. Senza la capacità di intendere in fondo i termini, la lingua, non si dà conoscenza della scrittura, della parola del divino. Ogni conoscenza seria è comunicazione. In tal modo, gli studia humanitatis come mezzo per ritrovare nella lettera l'inseparabile spirto, nel corpo l'anima indisgiungibile, sono strettamente connessi con gli studia divinitatis. La disputa sulla verità teologica della poesia, genere privilegiato nella conoscenza del divino, è quello che gli impegna maggiormente. Seguendo il tracciato delle Genealogie deorum gentilium del maestro Boccaccio, risponde alle accuse dell'immoralità della poesia a G. di San Miniato, in una lettera affermando non solo che ogni verità proviene da Dio stesso, ma anche che Dio ha usufruito della poesia attraverso i salmisti, Giobbe e Geremia: per cui la poesia è il genere letterario più vicino a Dio. Tale tesi verrà poi ulteriormente rinforzata nell'incompiuto De laboribus Herculis, in cui si arriva a sostenere una vera e propria poesia teologica, per cui anche gl’antichi poeti pagani, con le loro opere, si avvicinavano al divino. Il poema epico di Petrarca, per la sua incompletezza e il latino ancora un po' rozzo, suscita delusione nei simpatizzanti dell'umanesimo. Forma, impiegando gran parte delle sue retribuzioni, una biblioteca di più di 100 volumi, collezione molto grande per l'epoca e simbolo del suo fervore culturale. Possedetun manoscritto delle tragedie di Seneca ricopiato ottimamente di suo pugno con l'aggiunta dell'Ecerinide del pre-umanista padovano Mussato, ma anche esemplari di autori quali Tibullo e Catullo ed una rarissima copia delle Ad familiares di CICERONE, coperta dall'amico e cancelliere milanese Capelli a Vercelli. A questa scoperta in terra di Lombardia, si aggiunse anche le Epistole ad Atticum, rendendolo il primo dopo secoli a possedere entrambe le raccolte di lettere di Cicerone. Sabbadini riporta che, nella sua biblioteca, e il primo a possedere il “De agricultura” di CATONE, il Centimeter di SERVIO, il commento di POMPEO all'Ars maior di DONATO, le Elegie di Massimiano e le DIFFERENTIAE pseudo-ciceroniane, mentre Tateo continua elencando i Dialoghi di Gregorio Magno e l'esame dei vari manoscritti di Cicerone, di Lattanzio, di Agostino, di Seneca, di OVIDIO e di STAZIO in suo possesso. Nonostante questa passione da bibliofilo, che rese la sua biblioteca la più significativa dopo quella di Petrarca, non sfoggia mai eccellenti doti filologiche, al contrario di Petrarca stesso o del suo discepolo Bruni. Cerca, inoltre, di avere da parte di Lombardo della Seta, fedele discepolo di Petrarca, una copia dell'Africa perché fosse poi pubblicata. I suoi sforzi e dei umanisti risultarono sempre più insistenti. Lombardo ha timore a pubblicare un'opera rimasta in un testo incompiuto ed incerto, rischiando così di oscurare la gloria di Petrarca. Quando poi giunge a Firenze il sospirato poema epico d’Aretino, è afflitto dalle sospensioni, dalle lacune e certamente anche dalla pesantezza d'ala del poema tanto vantato e sognato. La delusione, trasmessa in una lettera a Brossano, spinselo a non farsi più editore e commentatore dell'opera. Intervenne anche nel campo della paleografia. Nel vivo studio dei classici, fa un'introduzione fondamentale: dopo aver adottato, per gran parte della sua vita, una scrittura cancelleresca e una libraria semi-gotica, legge e trascrive un codice delle Lettere di PLINIO MINORE contenente nessi e legature che si erano persi. L’uso di -s diritta in fine di parola, i nessi e le legature ae, ę e &, di cui si e persa memoria. Con questo esperimento inizia la storia della scrittura umanistica. L’epistolario di S., documento fondamentale di questa lunga ed efficace opera di rinnovamento culturale, tratta dei temi più disparati. Organicamente, la raccolta si divide in due filoni: le lettere private, indirizzate ad amici e conoscenti, e quelle pubbliche, scritte a nome della Repubblica di Firenze. Stilisticamente, l'epistolario di S. spicca per l'uso di uno stile che si allontana da quello delle lettere medioevali, fitte della retorica della ars dictandi, per lasciare il posto ad una serenità cordiale e del Portico che si richiama alle Familiares di CICERONE e al repertorio lessicale degl’altri autori classici, determinando così quello che è stato definito latino misto. Nella prima categoria, le lettere scritte a nome dell'umanista S. mettono in mostra le tendenze socio-culturali dell’umanesimo. Da un lato, la percezione del divario cronologico tra i contemporanei e gl’antichi, eredità diretta della sensibilità petrarchesca; dall'altro, l'esposizione in più punti del suo pensiero, dalla rivendicazione del valore della vita attiva contro i monaci e quegli ecclesiastici che sottolineano invece l'eccellenza della vita claustrale al valore della poesia. Immancabile è la tematica politica, esposta nella lunga lettera a Durazzo e ritenuta essere il sunto del pensiero politico dell’umanesimo. Le lettere dell’Epistoloario pubblico, scritte in qualità di cancelliere della Repubblica, sono di carattere puramente politico, in quanto rivolte a contrastare l'azione egemonica di Visconti. Riprendendo i modelli dei classici latini -- Seneca, SALLUSTIO, CICERONE --, S. addita Visconti quale tiranno in contrasto con la florentina libertas. Il tono di queste lettere dove essere così grave e tagliente che, secondo la tradizione, il duca di Milano risponde che un'epistola di S. e più deleteria di una sconfitta militare di Milano in campo aperto. Dal punto di vista più tecnico, il saggio  svolto presso la cancelleria di Firenze ha reso S. uno dei più noti cancellieri. Tale notorietà si deve al metodo di lavoro che egli adotta nel tempo in cui ha ricoperto tale carica. Effettivamente, i cambiamenti che S. apporta, soprattutto nel campo dell'epistolografia politica, pur non essendo certo radicali, ha una notevole influenza su molte corti. La letteratura sull'argomento è unanime nell'affermare che, S., pur utilizzando la formula prevista dall'epistolografia cancelleresca, che prevede: la “Salutatio”, il Proverbium, la Narratio, la Petitio e la Conclusio; ha modo di personalizzare ogni fase dell'epistola in base alle proprie esigenze narrative. È frequente perciò trovare nelle sue lettere una “salutatio” piuttosto breve ed un Proverbium soprattutto quando egli esprime teorie politiche piuttosto lungo. Epistola a Zabarella, filosofo padovano, il “De Tyranno” basato sull'omonimo trattato di Bartolo da Sassoferrato e sul “Polycraticus” di Giovanni di Salisbury, riflette sulla nascita della tirannide e sulla liceità dell'assassinio del tiranno stesso. Indotto a fare questa riflessione su spunto di A. dell'Aquila, che gli chiede la liceità dell'assassinio di GIULIO CESARE e dalla volontà di difendere la scelta dantesca di porre Bruto e Cassio nelle fauci di Lucifero, ammette la liceità di un tale gesto nei confronti di un despota, ma negandola però al generale romano, in quanto e un benemerito capo di stato, che e tradito dagli stessi uomini che sono stati da lui beneficiate. L’Invectiva contro Loschi, cancelliere dell'ormai defunto Visconti e autore di una “Invectiva in florentinos”, ha un tono più concreto rispetto al teorico “De Tyranno”. Nell'”Invectiva”, mostra la partigianeria repubblicana sostenitrice della “florentina libertas”, emula dell'Atene di Pericle fautrice della concordia partium tra lei e i suoi alleati. Gli ricorda come Firenze sia nel giusto perché è sottoposta alle leggi, che non possono essere violate, MENTRE A MILANO IL DIRITTO E STRUMENTO ARBITRARIO NELLE MANI DI UN VERO E PROPRIO TIRANNO, CHE STA AL DI SOPRA DELLA LEGGE. “De seculo et religione”, epistola all’amico Lapo si articola in due parti. Gl’invia una lettera d'accompagnamento insieme al testo da lui realizzato. Tratta di una esortazione assai fervida alla vita claustrale. Rivendica anche la validità della vita quale laico, in quanto strada valida nell'ambito gerarchico delle occupazioni umane, a cui egli rimane ancora legato. L'opera, esaltante la vita ritirata prendendo spunto anche da CICERONE, LIVIO, MACROBIO, e Omero, tratta anche della condanna morale di cui è afflitta Roma, dai papi fino ai predicatori. Nell’epistola “De fato et fortuna” espone l'argomento del libero arbitrio e del rapporto che esiste tra quest'ultimo e gli avvenimenti che possono ostacolarne i progetti. La tematica, assai complessa ed erede di una lunga tradizione filosofica -- i modelli sono Alberto Magno, AQUINO e il “De bona fortuna” di Aristotele -- si sviluppa nel tentativo di dimostrare come l'esistenza umana si inquadri in una causa prima, il divino la quale opera in comunione, talvolta incontrandosi, talvolta scontrandosi, con la volontà dell'uomo. In “De Nobilitate legum et medicine” propone una gerarchia del sapere, proponendo la legge come valore supremo sulla medicina, intesa come mera tecnica. Come l'anima è superiore al corpo, così la legge (che si rifanno al campo della volonta dello spirito) e superiori alla medicina, che fa parte della meccanica. La legge, infatti, regola la vita sociale, determina il con-vivere civile, stabilisce l'ordine e deve essere ottima perché puo produrre uomini migliori. Continua affermando che la legge, dal momento che appartengono alla sfera dello spiritualo e quindi celeste, e legate direttamente al divino. Gl’uomini, perciò, possono collaborare con Dio nella costruzione perfetta della società grazie al fatto che ogni uomo e ispirato dalla divinità medesima. Il “De Laboribus Herculis,” opera di grande impegno intellettuale, e un vasto saggio di poesia. Intende continuare il progetto culturale di Boccaccio della genealogia, vale a dire una difesa della poesia a livello universale basata sulle vicende terrene dell'eroe mitologico Ercole, re-interpretate in senso allegorico e indirizzate verso la via della virtù. Si basa su Ercole per la radice etimologica del nome greco, risalente ad “ερος κλερος”, cioè uomo forte e glorioso. Come già scrive a Giovanni di San Miniato, infatti, la poesia ha un valore universale in quanto il senso interpretativo supera la dimensione culturale in cui è stato scritto. Per cui la opera di un pagano, se piene di valori positivi, non devono essere rigettate, ma accolte in quanto provenienti dal divino stesso. “Carmen de morte Francisci Petrarce” e un carme commemorativo del Petrarca e accennato in varie epistole al conte di Battifolle, a Imola e a Brossano, del quale è quasi dubbio il completamento. “De verecundia” e un trattarello in forma epistolare indirizzato a Baruffaldi sulla natura positiva o negativa della verecundia, cioè il rispetto. Grazie agli studi genealogici di Novati, si puo ricostruire l'ascendenza e la discendenza del cancelliere fiorentino. Coluccio Ignota, figlia di un tal Lino Piero Lino Coluccio; Piera di Simone Riccomi, A.Corrado, Giovanni Sorella ignota, sposata a uno dei Giovannini di Stignano sposata ad uno dei Dreucci di Pistoia  Piero morto di peste, Andrea morto di peste, Bonifazio - Monna Checca de' Baldovinetti Arrigo  Margherita d'Andrea de' Medici Antonio, Duccia di Guernieri de' Rossi; Filippo, Lionardo, chierico Salutato, chierico Lorenzo. A lungo si è ritenuta corretta la data, Campana  Martelli, Nuzzo, e altri studiosi dimostrano che la data corretta è Villani, S. XXVII racconta l'ascesa politica ad una delle più prestigiose cariche politiche fiorentine. Nominato segretario grazie all'influenza del Gonfaloniere Serragli, e eletto Cancelliere in sostituzione di N. Monaci, uomo politico con cui il Serragli fu in disputa.  Si veda Epistolario per le addolorate missive inviate dal Bruni e da Poggio all'amico in comune N. Niccoli, ‘tali parente’ nell'epistola di Bruni; ‘patris nostri’ in quella di Poggio). In Ivi,  l'istriano P. Vergerio, in una lettera a F. Zabarella, lo descrive come il primo e straordinario decoro di Firenze -- urbis illius primum atque precipuum decus, Linum Colucium Salutatum -- Della stessa opinione anche: Cappelli, in cui si ricorda, al momento dei funerali, il commosso addio dell'allievo Vergerio, che lo chiama  communis omnium magister -- maestro comune di tutti noi. Luogo significativo per continuare le riunioni dei nuovi umanisti, in quanto vi viveva quel fra' Martino da Signa erede universale degli scritti del Boccaccio. Boccaccio dispose per testamento di lasciare la sua biblioteca all'agostiniano Signa con l'indicazione che alla morte del frate i volumi fossero negli armaria del convento fiorentino di Santo Spirito. Così avvenne. La grandezza di Alighieri, ma anche di Petrarca e dello stesso Boccaccio, sono messi in discussione dal più acceso degl’umanisti classicisti, Niccoli, all'interno dei Dialogi ad Petrum Histrum di Bruni. L'accusa principale consiste nella barbaria del loro latino e nel, caso di Alighieri, nel FRA-INTENDIMENTO DEL SENSO di alcuni passi di VIRGILIO. Solamente il suo intervento riesce a capovolgere la situazione, salvando Alighieri dalle accuse feroci del Niccoli. Come anche risulta da un dialogo del Bruni, che di quella polemica anti-dantesca è il documento principe, il suo intervento riusce ad assicurare la continuità, proporzionata all'età nuova, della tradizione dantesca a Firenze. I contatti tra Costantinopoli e Firenze sono facilitati dalla presenza, nella capitale bizantina, di G. da Scarperia, che decide di riaccompagnare Crisolora in patria per apprendere greco da lui stesso. La visione laica dell'umanesimo non si deve confondere con la proposta laicista, dal punto di vista etico e antropologico. Mantenendo sempre un'attenzione ossequiosa verso la Roma e una sincera devozione verso le verità romana, intende nel contempo esaltare e rivendicare la responsabilità umana al di fuori di qualsiasi determinismo meccanicista e ponendo in valore la libertà personale del singolo (Cappelli). Abbagnano sintetizza in modo più stringente il rapporto tra libero arbitrio e volontà divina, affermando che il primo e conciliabile con l'infallibile ordine del mondo stabilito dal divino.  Si è condensato, in questi due punti, l'attacco generale del mondo contro l'umanesimo. La questione sul valore della poesia riguarda la disputa con Giovanni di San Miniato (cfr. Epistolario, Fratri Johanni de Angelis; quella con Dominici riguarda il valore positivo dell'umanesimo (cfr. Epistolario, Il codice fa parte della sua biblioteca entra nelle mani del cancelliere fiorentino igrazie alle pressioni che esercita su G. de Broaspini. Della stessa opinione anche Francesco Novati che, in Epistolario, giunge alla stessa conclusione del Sabbadini in quanto vi trova delle suoi postille autografe del Salutati. L'epistola è importante perché, dopo l'elogio di Carlo per la fortunata impresa militare della conquista del Regno di Napoli e il paragone con gl’eroi antichi, enumera i doveri di un buon sovrano: cercare l'unità sacra; gestire con moderazione il potere e imparare a gestire le proprie emozioni -- incipe prius tibi quam aliis imperare; rege te ipsum, noli regendorum subditorum studium tuimet derelinquere moderamen -- per evitare di cadere nei vizi e di essere classificato come un tiranno. Esaltandolo alla virtù, alla temperanza e alla giustizia, insomma tratteggia il modello del sovrano ideale, cavalleresco, formato sull'esempio dei classici -- continua è la comparazione con gli antichi statisti e sovrani) e timorato del divino. Le informazioni, ricavate attraverso una minuziosissima ricerca d'archivio da parte del Novati, sono prese in ordine sparso da; Epistolario, Tavole genealogiche ove vengono fornite indicazioni biografiche sui nonni, genitori e figli. Per consultare le informazioni sui fratelli del cancelliere, si consulti sempre Epistolario, Riferimenti  Dionisotti. Villani. E avviato agli studî giuridici, inameni a lui che era pierius -- così foggia il suo patronimico: figlio di Pietro, e devoto alle pieridi, le muse. Eloquentissimo legum doctori domino Loygio de Gianfigliaziis. Reverendo patri et domino domino Bruni de Florentia summi pontificis secretario, domino suo, si lamenta della sua mansione di cancelliere nella cittadina umbra. Vero è che invalse l'uso di chiamare Cancelleria Fiorentina l'ufficio del quale era capo il Dettatore, che aveva la particolare ingerenza di scrivere le lettere e di trattare le faccende della politica esterna.  Unum dicam, quod emerserunt et ad tante sunt reipublice gubernacula sublimati, quos oportuit pro salute cunctorum. Dirò una cosa, cioè che al governo di una così grande repubblica emersero e vi sono uomini, i quali bisognò vi sono per la salvezza di tutti. E così favorevole al governo in quanto fu uno dei pochissimi a non essere proscritto dalle cariche istituzionali.  Siena si sottomise a Visconti in funzione anti-fiorentina, mentre il signore di Milano, duca per investitura imperiale, si allea con Lucca e altre città umbro-marchigiane. La prima epistola riportata dal Novati in cui S. risponde ad una missiva del Certaldese cfr. Epistolario Facundissimo domino Iohanni Boccacci de Certaldo ma i toni sono troppo famigliari per essere la prima epistola scambiata tra i due. Inclyte cur vates, humili sermone locutus, de te pertransis? te vulgo mille labores percelebrem faciunt: etas te nulla silebit. Perché, o celebre poeta, che hai cantato nel volgare idioma, avanzi nel corso del tempo? Mille fatiche ti rendono celebre presso il volgo: nessuna epoca tacerà sul tuo conto. Egrigio viro Franciscolo de Brossano domini Francisci Petrarce genero, Ep. ove piange sia la scomparsa del Petrarca, ma annuncia anche quella del Boccaccio. Fallebar enim, et dum Franciscum fleo, dum suis laudibus intentus decantantes, novo commento, veterum pene dimissa sententia, depingo Camenas, ecce nove lacrime nobis merore novi funeris occurrerunt, incepti cursum operis reprimentes. Vigesima quidem prima die decembris Boccaccius noster interiit. Infatti ero ingannato, e mentre piango Francesco e mentre, attento alle sue lodi, adorno le Camene con un nuovo commento, quasi tralasciata la sentenza degl’antichi, ecco che nuove lacrime si aggiunsero a noi con il dolore di una nuova morte, frenando il corso di un'opera che inizia. Il nostro Boccaccio spira. Tateo. Cappelli,  ricorda anche che e solito mettere a disposizione dei suoi allievi la sua stessa biblioteca personale. Pertanto, i luoghi di incontro erano due: Santo Spirito e l'abitazione del Cancelliere. Gl’animatori di questi incontri, il Salutati e il Marsili, l'uno nella propria casa, l'altro nella sua cella di Santo Spirito, ricevano i nobili fiorentini, e li iniziavano al gusto delle lettere antiche. Sabbadini riporta che l'erudito greco era già a Firenze. Garin sintetizza, prendendo spunto dal De saeculo et religione e dall'Epistolario, l'ideale di vita attiva propria dell'essere umano inteso come cittadino del mondo. Terrestre è la vocazione umana. L'impegno nostro è nella costruzione della città terrena, nella società. Insiste sul valore della educazione. Essa insegna a ritrovare sub corticem il valore intenzionale dei termini, smarrito nella consuetudo, penetrando l'espressione nel suo significato intimo come direzione spirituale. Parola e cosa non possono disgiungersi. Noli, venerabilis in Christo frater, sic austere me ab honestis studiis revocare. Noli putare quod, cum vel in poetis vel aliis Gentilium libris veritas queritur, in vias Domini non eatur. Omnis enim veritas a Deo est, imo, quo rectius loquar, aliquid est Dei. Non volere, o venerabile fratello in Cristo, allontanarmi in modo così austero da studi degni di ammirazione. Non voler ritenere che, quando si cerca la verità o nei poeti o in altri libri degli scrittori pagani, non si cammini lungo le vie del Signore. Ogni verità, infatti, proviene da Dio e, per parlare fino in fondo rettamente, alcuna cosa è propria di Dio. Nullum enim dicendi genus maius habet cum divinis eloquiis et ipsa divinitate commertium quam eloquium poetarum. Nessun genere letterario, infatti, ha un maggior legame con le parole divine e con la stessa divinità quanto la parola dei poeti. Il manoscritto di Vercelli fu alla fine portato a Firenze, ove rimane, unica copia carolingia esistente delle Epistole di CICERONE. Gargan ritiene che la sua filologia non fu di altissima classe. Billanovica. Fitta la corrispondenza con Seta, come testimonia la prima lettera inviata dal cancelliere fiorentino. Insigni viri Lombardo...optimo civi patavino, Cappelli Cesareo. Epistola Coluci Salutati florentina ad Carolum regem Neapolitanum. Villani riporta la veemenza con cui fulmina Gian Galeazzo con le sue lettere, riportando tra l'altro la testimonianza di E.  Piccolomini cui quest'aneddoto è attribuita la paternità. Sia la citazione che il contesto in cui fu scritto il De Tyranno sono esposti in Canfora. In altri termini, se Cesare, pur giunto al potere in modo tirannico o violento, seppe poi legittimare tale potere attraverso un esercizio virtuoso di esso (ex parte exercitii) in grado di suscitare l'approvazione popolare, la sua uccisione non fu legittima. Lo e quella di un tiranno che esercita come tale. Per la figura di Loschi, si rimanda alla voce biografica Viti.  Canfora ipotizza l'aiuto di Bruni nello sviluppare il paragone Firenze-Atene, in quanto non e  molto esperto di quella lingua e di quella cultura. Così rivolgendosi al cancelliere milanese A. Loschi, nella Invectiva in Antonium Luschum, dopo aver contrapposto i guasti del regime tirannico milanese ai vantaggi di quello libero e repubblicano di Firenze, glorifica la sua città come "fiore d'Italia" e come esempio di vita serena e armoniosa. Si riporta interamente il breve messaggio d'accompagnamento. Mitto tibi munusculum istis paucis noctibus correctionis studio lucubratum. In quo si quid proficies tu vel alii, laus sit omnium conditori Deo, cui placeat me in tuis sanctis orationibus commendare. Vale felix et diu. S. tuus. Ti mando un piccolo pensiero composto in queste poche notti dopo un'opera di revisione. Attraverso questo trattato, se tu o altri ne trarrete giovamento, la lode di tutti voi sia per lodare Dio, al quale è piaciuto che io mi affidi alle tue sante orazioni. Sta felice a lungo. Il tuo Coluccio. Nel De Nobilitate ribade, attraverso un discorso più ampio e articolato, la distinzione della medicina, designate come arte meccanica, ossia tecnica, dalla giurisprudenza, considerata scienza della vita spirituale e quindi superiore all'altra. La legge e veramente un sigillo divino, con cui dopo il primo peccato Dio ha offerto alle comunità degl’uomini la vita per riconquistare il bene. Ispirate dal divino agli uomini, inscritte nell'anima umana, la legge ha un'altra superiorità, rispetto alla legge meccanica naturale. La legge inter-soggetiva puo essere conosciuta nella sua pienezza integrale, con una certezza che non si trova mai nella scienze della natura. Si riporta, come testimonianza, quanto scritto nell'epistolario in cui annuncia a B. Imola il suo Progetto. Sed ut ad Franciscum nostrum redeam, opusculum metricum de ipsius funere iam incepi. Ma per ritornare al nostro Francesco, inizio a stendere un opuscolo metrico sulla cerimonia funeraria dello stesso. Antiche Filippo Villani, Le vite d'uomini illustri fiorentini, Mazzuchelli, Venezia, Pasquali, Moderne; Abbagnano, “La filosofia del Rinascimento” in Abbagnano, Storia della filosofia, Milano, TEA); Billanovich, Gl’inizi della fortuna di Petrarca” (Roma, Storia e Letteratura); Bischoff, “Paleografia latina. Antichità e Medioevo, Stefano Zamponi, Padova, Antenore, Bosisio, Il Basso Medioevo, in Curato, Storia Universale,  Novara, Istituto geografico De Agostini, Branca, Boccaccio: profilo biografico, Firenze, Sansoni, Campana, Lettera del cardinale padovano (Bartolomeo Uliari). Canfora, Prima di Machiavelli. Politica e cultura in età umanistica, Roma, Laterza, Cappelli, “L'Umanesimo italiano da Petrarca a Valla” (Roma, Carocci); Cesareo, “L'Epistolario ed il carteggio con Francesco Petrarca come esempio di latino umanistico: una ricerca filologico-letteraria, G. Contini, Letteratura italiana delle origini” (Firenze, Sansoni); Carrara, Lino Coluccio di Piero, in Enciclopedia Italiana,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rosa, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell' Enciclopedia Italiana, Chines, Forni, G. Ledda, Dalle Origini al Cinquecento, in Ezio Raimondi, La letteratura italiana” (Milano, Mondadori); Dionisotti, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell' Enciclopedia Italiana, Luciano Gargan, Gli umanisti e la biblioteca pubblica, in Guglielmo Cavallo, Le biblioteche, Bari, Laterza, Eugenio Garin, L'umanesimo italiano, Roma-Bari, Laterza,Martelli, Schede per S. in Interpres, Demetrio Marzi, La cancelleria della repubblica fiorentina, Rocca San Casciano, Cappelli,  Nuzzo, Coluccio Salutati. Epistole di Stato. Primo contributo all’edizione: Epistole in Letteratura Italiana Antica, Manlio Pastore Stocchi, Pagine di storia dell'Umanesimo, Milano, Angeli; Petoletti, “Boccaccio e i classici latini” in Teresa De Robertis, C. Monti, Marco Petoletti et alii, Boccaccio autore e copista, Firenze, Mandragora, Petrarca, Lettere Senili, Fracassetti,  Firenze, Le Monnier, S., Epistolario, Novati, Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, Si sono consultati: Epistolario,. Epistolario,  Epistolario,  Epistolario, Epistolario, Sabbadini, “Le scoperte dei codici latini”, Firenze, G.C. Sansoni, Achille Tartaro e Francesco Tateo, Il Quattrocento. L'età dell'umanesimo, in Muscetta, La letteratura italiana, Bari, Laterza, Si sono presi in considerazione: Tateo, La cultura umanistica e i suoi centri, Wilkins, Vita di Petrarca, Rossi e Ceserani, Milano, Feltrinelli,  Life of Petrarch, Chicago; Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, Pissavino, Milano, Mondadori, Viti, Loschi, Antonio, in Dizionario Biografico degl’italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, Palazzo Salutati Petrarca Boccaccio Umanesimo Repubblica di Bruni. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Cirillo,  “Il tiranno in S., umanista,” Biblioteca dei Classici italiani di Bonghi. Lino Coluccio Salutati. Coluccio Salutati. Salutati. Keywords: i duodici fatiche d’Ercole, gl’antichi, la legge non-naturale, la legge naturale, della buona fortuna, libero arbitrio, la vita sociale, la con-vivenza, Bruto e Cassio nell’inferno, la morte di Cesare, l’assassinio di Cesare, tirano, la libertas fiorentina, stato fiorentino, la repubblica fiorentina, la fiore d’Italia, Boccaccio, Petrarca, Aligheri, I primi umanisti, l’umanesimo laico, basato contro il determinismo ecclesiastico, la biblioteca di Salutati, Livio, Cicerone, autori latini, la lingua Latina, difesa della lingua Latina, l’interpretazione di Virgilio da Aligheri, difesa della filosofia pagana, il valore permanente della filosofia degl’antichi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Salutati” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Salutio: la ragione conversazionale del divino e dei divini – l’ordine el mondo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A close fiend of Giuliano. He is offered the emperorship on Giuliano’s death, but he declines on account of his ‘rather poor health.’ He leads an active political life and is regarded as morally incorruptible. Known to have been well-versed in philosophy, he is the author of ‘On the gods and the world order’ – which some however attribute to Salustio. The treatise is, unsurprisingly, dedicated to Giuliano. Those who argue that it us not written by Salutio claim it is the work of one contemporary of Giuliano, a Flavio Salustio. Accademia. Saturnino Secondo Salutio.

 

Grice e Salviano: la ragione conversazionale al portico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He moves from Rome to what is now known as The Galliae – and writes a ‘saggio’ in which he tries to explain why there is so much suffering in that area of the world. He takes an approach that is not only philosophical – along the lines of the Porch – but historical as well.

 

Grice e Sanctis: la ragione conversazionale dello stile filosofico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo Italiano. Essential philosopher. He considers philosophy as a branch of the belles lettres and his field of expertise is when stylists stop using an artificial Roman, and turned to ‘Italian.’ Grice: “I really do not like de Sanctis; when an author becomes philosophical, he says that he has been infested of the philosophical pest!” -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e de Sanctis," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sanctis. Keywords: storia della filosofia, il saggio filosofico, il poema filosofico, il tema filosofico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanctis” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sanseverino: la ragione conversazionale del segno naturale -- la logica scolastica --  filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Considerato uno fra i massimi precursori del neo-tomismo (AQUINO, si veda). Si trasfere a Nola per frequentare la scuola dove suo zio è rettore. Studia filosofia con l'intento di confrontare i vari sistemi filosofici, fra cui gode particolare credito in Italia, all'epoca, quello razionalista. Lo studio comparato dei vari sistemi gli permite una conoscenza più approfondita della scolastica, soprattutto d’AQUINO, e del legame intimo tra la scolastica e la [atristica. Restaura la filosofia scolastica. Insegna a Napoli. Venne incaricato da Ferdinando II di preparare un manuale ufficiale per le scuole del regno delle due Sicilie. Scrive allo scopo il manuale "I principali sistemi della filosofia del criterio”. Profondo conoscitore di AQUINO da alle stampe interessanti saggi sui filosofi moderni. Inizia ad occuparsi più specificamente di AQUINO con “L’origine del potere e il diritto di resistenza, cui fa seguito “In difesa dell'angeologia contro i sofismi”. Esce il ponderoso “I principali sistemi della filosofia del criterio” un'ampia e dottissima disquisizione sulla filosofia illuminista e su quella a lui contemporanea -- fra cui quella dello stesso GIOBERTI -- confutata sulla base della logica. Il suo capolavoro. Si tratta del celebre saggio, “Philosophia antiqua” che ha per oggetto la storia della logica. “In compendium redacta ad usum scholarum clericalium. Venne pubblicata a Napoli “Elementa”, “Antropologia”, “Teologia.  Altre saggi: “Sopra alcune questioni le più importanti della filosofia” (Napoli); “Il razionalismo” (Napoli); “I razionalisti” (Napoli); “L'origine del potere e il diritto di resistenza, (Napoli, Giannini); “In difesa dell'angeologia contro i sofismi” (Napoli, Manfredi); “Elementa philosophiae theoreticae” (Napoli, Manfredi); “Philosophia antiqua” (Napoli, Manfredi); “Institutiones seu Elementa philosophiae antiquae” (Napoli, Manfredi); “In compendium redacta ad usum scholarum” (Napoli, Manfredi); “Le dottrine de' filosofi antichi” (Napoli); Dovere, Tentativo di ricostruzione, in Doctor communis, P. Naddeo, Le origini del aquinismo” (Società italiana, Torino); Orlando, Aquino a Napoli e S., in Asprenas, Orlando, Vita e opere di S. secondo i documenti, in Aquinas, Orlando, L'Accademia d’Aquino a Napoli, storia e filosofia, in Saggi sulla rinascita d’Aquino, Roma, Ed. Pontificia Accademia teologica romana, Matarazzo, Per una rivoluzione del cuore. La visione dell'umano in Leopardi nella lettura critica di S. tra antropologia e istanze pastorali (Polidoro, Napoli). Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gaetano Sanseverino. Sanseverino. Keywords: segno naturale, Boezio, Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanseverino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Santilli: la ragione conversazionale -- dal soggettivo all’inter-soggettivo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sant’Elia Fiume Rapido). Filosofo italiano. Segue il corso liceale presso la Scuola di Murro a Napoli. Discepolo di GALLUPPI, e amico -- fra gli’altri – di SETTEMBRINI, FIORELLI, e SANCTIS. Si laurea in filosofia. Apre una scuola di diritto morale e costituzionale.  Fervente giobertiano – GIOBERTI (si veda) , e attivo propugnatore, nei circoli culturali napoletani, di un'Italia federate. A frequenti rapporti epistolari con MAMIANI, GIZZI, e COUSIN. Quest'ultimo lo introduce nel giro culturale del socialismo utopistico ma modula il suo socialismo secondo i propri valori umanitari, rifiutando la logica della lotta di classe. Ha comunque a scrivere che nel regno di Napoli occorre una savia distribuzione della ricchezza. Presidente della società dantesca (ALIGHERI – si veda) -- e prolifico filosofo. Fonda "L'Enciclopedico" in cui vivacemente sostene che occorreva occuparsi della piaga della povertà. La nazione italiana vuole pane e lo dimanda incessantemente, lo chiede nel pianto dell'indigenza, tra le sciagure della desolazione, lo chiede non a titolo di preghiera, ma diritto necessario, assoluto. Il popolo italiano non capisce la speculativa astrazione di alcune verità filosofica, non sa i titoli di libertà, di costituzione, di uguaglianza. Una riforma che dimentica affatto la fisica prosperità del popolo italiano non è che riforma di solo nome. “Le idee" e testo di studio nelle scuole di Toscana; "Sul realizzamento del pensiero"; "Sviluppo filosofico dell'autorità"; "Cenno psicologico sull'attività dello spirito"; "Individuo e Società"; "Princìpi dell'imanità razionale"; "Il socialismo in economia" e "Lavoro, industria e capitale". Si batté politicamente per l'ottenimento della Costituzione da parte di re Ferdinando II. Malvisto e considerato individuo pericoloso dalla polizia e ucciso a baionettate da soldati che fanno irruzione nella sua abitazione in Largo Monte-Oliveto, accanto a Palazzo Gravina. Venne ucciso a seguito della delazione di una donna, che lo indica come il predicatore alla soldataglia. Lo ricordano due epigrafi: una sulla facciata della sua casa natia e una sulla facciata della sua palazzina in Largo Monteoliveto. Di lui scriveno SANCTIS, PEPE, SETTEMBRINI, VANNUCCI, MASSARI, GROSSI, GUZZARDELLA, e MANDALARI -- che volle raccogliere i suoi saggi in "Memorie e Saggi” (Roma). Peruta. “Il Giornalismo Italiano del Risorgimento”; Ghiron, Peruta, “Storia del quindici maggio in Napoli; Settembrini "Memorie e saggi”; Mandalari, Memorie, Roma. Guzzardella, “Martire del Risorgimento” Milano, Ghiron, Il valore italiano, Tip. nazionale degli editori Ghione e Lovesio, Peruta, Il Giornalismo Italiano del Risorgimento, Angeli, Mambro, in Sant'Elia Fiume Rapido, il Sannio, Casinum e dintorni Roccasecca, Settembrini, Ricordanze della mia vita, Morano. Angelo Santilli. Santilli. Keywords: dal soggettivo all’inter-soggetivo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Santilli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Santorio: la ragione conversazionale del pendolo di Santorio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Capodistria). Filosofo italiano. Padre della fisiologia sperimentale. Il primo a comprendere l'importanza dell'esperimento e dell'adozione dei parametri quantitativi per valutare i quali inventa alcuni dispositivi tra cui il termometro e il tachimetro. Studia sperimentalmente la struttura della materia, di cui descrisse la struttura corpusculare e meccanica, anticipando le ricerche di GALILEI. Studia a Padova. A Venezia fa amicizia con SARPI, SAGREDO e GALILEI. Adatta il pendolo alla pratica, precedendo gli esperimenti condotti da Galilei con i pendoli. Poniere nell'impiego delle misurazioni fisiche in medicina; il suo dispositivo più famoso fu una grande bilancia usata per studiare l'equilibrio omeostatico e le trasformazioni metaboliche Tra i soggetti che si prestarono alla sperimentazione vi fu anche GALILEI. Insegna a Padova. Pubblica descrizioni di congegni termo-metrici e di precisione che divennero di largo uso nella pratica medica. Pioniere nell'impiego delle misurazioni fisiche. Il suo dispositivo più famoso fu una grande bilancia – la stadera medica -- usata per studiare le trasformazioni meta-boliche in soggetti sperimentali tra i quali vi fu lo stesso GALILEI. Pioniere nell'uso del metodo sperimentale di cui comprese l'importanza e la necessità replicando i suoi esperimentil Considerato a torto il fondatore della iatro-meccanica, ne e uttavia ispiratore con i suoi importanti studi sul meta-bolismo e sulla termo-regolazione umana. È il primo a quantificare la perspiratio insensibilis e ad usare il termometro clinico che egli stesso idea.  S. inventa anche altri strumenti – il pulsilogio, l’igrometro, il "letto artificioso", l’"eolopila medica", ed il "termometro lunare" -- intesi a tradurre in numero e determinare con esattezza matematica i para-metri vitali umani. I suoi saggi hanno numerose edizioni, diffusione europea e ampia popolarità. Classico il “De statica medica” -- uno dei saggi più importanti della storia della fisiologia; “Methodi vitandorum errorum omnium qui in arte medica contingunt liNunc primum ccessit eiusdem authoris De inventione remediorum liber (Aubert); “Ars de statica” (Leida, Haro); “Commentaria in artem Galeni”; “Nova pulsuum praxis morborum omnium diagnosim prognosim et medendi aegrotis rationem statuens, sine eorum relatione”; “Commentaria in primam fen primi libri canonis Auicennae”; “Commentaria in primam sectionem aphorismorum Hippocratis”; “Societate si politica”. Galilei -- Storia della Scienza di Firenze. Castiglioni, “Storia della Medicina” (Mondadori, Milano); Pazzini, “Storia della Medicina” (Libraria, Milano); Premuda, “Storia della Medicina” (Milani, Padova); Premuda, “Storia della fisiologia” (Del Bianco, Udine). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Santorio Santorio. Santorio. Keywords: il pendolo, il pulsi-logio, l’igro-metro, l’eolo-pila. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Santorio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Santucci: la ragione conversazionale dell’idealismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).  

 

Grice e Sanzo: la ragione conversazional tra natura ed artificio – la filosofia lizia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Insegna a Brindisi, Milano, e Salento. Fonda “Apollo Licio” o Lizio. Sube il fascino dell’esistenzialismo e il orazionalismo. Rivolve la propria attenzione ai rapporti tra filosofia, scienza e società. Si occupa di filosofi quali Becquerel, Boutruox, Corbino, Couturate Curie, Enriques, Fermi, Frola, GEYMONAT, PEANO, VAILATI. Sui fondamenti della geometria” (Brescia,  La Scuola, Collana "Il Pensiero"); “L’artificio della lingua, -- Grice: “I like that: it’s my Gricese, a language I invent and which makes me the master; there’s the arbitrary and there’s the artificial, and Sanzo, reconstructing Peano’s project, fails to distinguish this” -- Milano, Angeli, Collana di Epistemologia, Cimino; Sava, Il nucleo filosofico della scienza, Galatina, Congedo, Collana di Filosofia, Scritti di fisica-matematica, Torino, POMBA, I Classici della Scienza, Poincaré e i filosofi” (Lecce, Milella); Corbino, Scienza e società, Saggi raccolti e commentati, Manduria, Barbieri, Collana di Filosofia Hermes/Hestia, Scritti di fisica-matematica” (Milano, Mondadori, "I Classici del pensiero", Unione Tipografico, Torino, Scientia, Rivista di sintesi scientifica, “Apollo Licio”, Museo Galilei, Firenze. Ubaldo Sanzo. Sanzo. Keywords: apollo licio, trovato al ginnasio liceo di Atene, figgurante il dio in atto di riposo dopo un gran sforzo. natura ed artificio, l’artificio della lingua, convenzionalismo, filosofia della lingua.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanzo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sarapione: la ragione conversazionale al portico romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of the Porch imprisoned by the Romans, Grice: “for no other reason than the Romans deeply detesting the Porch!" Sarapione

 

Grice e Sarlo: la ragione conversazionale dell’idealismo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). De Sarlo.

 

Grice e Sarno: la ragione conversazionale del sentire – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Interprete di BRUNO e CAMPANELLA. Collabora al “Giornale critico della filosofia italiana” con saggi su BRUNO, CAMPANELLA, e VICO. Medita sulla violenza. Si suicida con un colpo di rivoltella. Si interessa a BRUNO e CAMPANELLA. Il suo punto di partenza è l’opposizione tra un sentimento sempre identico a se stesso, essenzialmente interiore -- sensus sui -- ed un sentire esteriore, che si tramuta nelle cose di cui ha esperienza, che si presta e si dona tutt’intero alle cose, affinché esse vivano in lui. Atre saggi: Pensiero e poesia (Laterza, Bari); Filosofia poetica (Laterza, Bari); Filosofia del sentire (Pescara, Tracce); Sulla violenza (Bari, Laterza); M. Perniola, “L’enigma” (Costa,  Genova); A. Marroni, Filosofo del farsi altro. Angelo, L'estetica italiana” (Laterza, Bari); Marroni, La passione per il presente in “Filosofie dell'intensità. un maestro occulto della filosofia italiana” (Mimesis, Milano); Marroni, "I carmina in foliis volitantia" in Agalma, Giornale Critico di Filosofia Italiana. Antonio Sarno. Sarno. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sarno” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sarpi: la ragione conversazionale della meta-fisica del fenice, o l’arte del bien conversar -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo Italiano. Very important Italian philosopher. Definito d’Acquapendente come oracolo, autore della celebre Istoria del Concilio tridentino, subito messa all'indice. Fermo oppositore del centralismo monarchico di Roma, difendendo le prerogative della repubblica veneziana, colpita dall'interdetto emanato da Paolo V. Rifiuta di presentarsi di fronte all'inquisizione romana che intende processarlo e sube un grave attentato che si sospetta sta organizzato dalla curia romana, "agnosco stilum Curiae romanae", che nega tuttavia ogni responsabilità.  L'infanzia e una ritiratezza in sé medesimo, un sembiante sempre penseroso, e più tosto malinconico che serio, un silenzio quasi continuato anco co' coetanei, una quiete totale, senza alcun di quei giuochi, a' quali pare che la natura stessa ineschi i fanciulli, acciò che col moto corroborino la complessione: cosa notabile che mai fosse veduto in alcuno. Poi, così serve in tutta la sua vita, et all'occasioni dice non poter capir il gusto e trattenimento di chi giuoca, se non fosse affetto d'avarizia. Un'alienazione da ogni gusto, nissuna avidità de' cibi, de' quali si nutre così poco, che restava meraviglia come stasse vivo. Nell'anno in cui proseguivano le sedute del Concilio di Trento, Carlo V e in guerra con i prìncipi protestanti tedeschi e il Parlamento inglese adotta un Libro di preghiere d'ispirazione luterana. Figlio di Francesco di Pietro S., di famiglia di lontane origini friulane -- precisamente di San Vito al Tagliamento -- e mercante a Venezia eppure, scrive Micanzio, per la sua indole violenta più dedito all'armi ch'alla mercatura. La madre, veneziana, d'aspetto umile e mite e Isabella Morelli. Rimasta vedova, fu accolta con il suo figlio e l'altra figlia Elisabetta nella casa del fratello A. Morelli, prete della collegiata di Sant'Ermagora.  Con lo zio, uomo d'antica severità di costumi, molto erudito nelle lettere d'umanità addottrinando nella grammatica e retorica molti fanciulli della nobiltà, fa i primi studi, imparando presto e con facilità. A dodici anni, nell’anno dell'istituzione, dopo la chiusura del Concilio, dell'Indice dei libri proibititra i tanti, vi finirono il Talmud e il Corano, il De Monarchia di Dante e le opere di Rabelais, Folengo, TELESIO, MACHIAVELLI, ed Erasmo, passa alla scuola di Capella, dell'Ordine dei Servi di Maria, seguace delle dottrine di Scoto. Capella gli insegna logica, filosofia e teologia, finché il ragazzo fece così rapidi progressi che il maestro istesso confessa non aver più che insegnargli. Con altri maestri veneziani apprese la matematica, la lingua greca e l'ebraica. Con la familiarità e co' studii entra Panco in desiderio di ricevere l'abito de' servi, o perché gli paresse vita conforme alla sua inclinazione ritirata e contemplativa, o perché vi fosse allettato dal suo maestro, malgrado l'opposizione della madre e dello zio che lo voleva prete nella sua chiesa, entra nel monastero veneziano dei servi di Maria. Continua ancora a studiare con il Capella, rimanendo alieno dalle distrazioni proprie della sua età finché in occasione della riunione a Mantova del capitolo generale dell'Ordine servita,  mandato in quella città «ad onorar il congresso e far vedere che gl'ordini non sono oziosi, ma spendono il tempo in sante e lodevoli operazioni, difendendo 318 delle più difficili proposizioni della filosofia naturale. Il qual carico con che felicità lo sostenesse e con che giubilo e stupore di quella venerabile corona, si può dall'evento argomentare. Essersi così distinto agli valse la nomina a teologo da parte del duca di Mantova. Prencipe di grandissimo ingegno, così profondamente erudito nello scienze, che difficilmente si discerne qual fosse maggiore, o la prudenza di governare, o l'erudizione di tutte le scienze et arti, sino nella musica, mentre il Boldrino gli affida la cattedra. Stabilito nel convento di San Barnaba, perfeziona la conoscenza della lingua ebraica e inizia, col puntiglio consueto, ad applicarsi agli studi storici. E certo a motivo di quest'interesse che a Mantova frequenta Olivo, già segretario di Gonzaga, cardinale e legato pontificio nelle ultime sessioni del concilio di Trento, la cui caduta in disgrazia presso Pio IV coinvolse anche l'Olivo che fu dagl’inquisitori molto travagliato, col tenerlo longamente in carcere dopo la morte del cardinale suo signore, ma che ora, dopo la morte del pontefice, vive privatamente in Mantova. Il gusto principale che riceva in conversare con lui e perché lo trovava d'una moderazione singolare, erudito, e che, per esser stato col cardinale a Trento, ha gran maneggio in quelle azioni e sa tutte le particolarità de' negozii più secreti, et ha anco molte memorie, nell'intendere le quali riceve molto piacere. Sono gli anni in cui in Italia continua con vigore la repressione inquisitoriale di Pio V. P. CARNESECCHI venne decapitato. Gl’brei sono espulsi dallo stato pontificio tranne che da Roma e da Ancona, nei ghetti delle quali vennero costretti a risiederee. E impiccato l'umanista A. Paleario. Il papa scomunica Elisabetta d'Inghilterra, oorganizzò la Lega contro i turchi, ottenendo la vittoria navale di Lepanto e a Parigi, a migliaia di ugonotti sono massacrati. Fa la sua professione, entrando ufficialmente nell'Ordine servita. Anche di lui l'Inquisizione si occupa seguito della denuncia di un confratello che lo accusa di sostenere che dal primo capitolo del Genesi non si può ricavare l'articolo di fede della trinità. Ma, poiché effettivamente di trinità divina non vi è traccia nel vecchio testamento, l'inquisizione gli diede ragione, archiviando il caso. Dopo aver ricevuto nel convento mantovano il titolo di baccelliere, e invitato a Milano da Borromeo il quale, dopo aver ottenuto dalle autorità contro la volontà del Senato, il riconoscimento del tribunale e della polizia diocesana, avvia un processo di riforma del clero. Ottenne di essere trasferito nel convento dell'Ordine servita di Venezia, dove e incaricato dell'insegnamento della FILOSOFIA e continua i suoi studi scientifici. Nella grande epidemia di peste, che imperversa a Venezia,  facendo 50.000 vittime tra le quali Tiziano frimase immune dal contagio. Dopo essersi addottorato a Padova, e nominato reggente del convento di Venezia e priore della provincia veneta. Durante il Capitolo a Parma, nel quale venne rieletto priore G. Tavanti, tenne una dissertazione di fronte ai cardinali protettori dell'Ordine, Farnese e Santori. Uno dei tre saggi, insieme con Franco e Giani, incaricati di preparare una riforma della regola. Il carico suo speziale e d'accommodare quella parte che tocca i sacri canoni, le riforme del concilio di Trento, allora nuove, e la forma de' giudizii quella parte tutta ove si tratta de' giudizii accommodatamente allo stato claustrale. Lascia in questo carico in Roma fama di gran sapere e di molta prudenza, non solo nelle corti de' due cardinali suddetti, co' quali, per ordine contenuto in un breve apostolico di Gregorio XIII, conviene conferire ogni legge che si fa, ma anco e necessario molte volte trattar col pontefice medesimo. Sbrigato da quale peso ritorna al suo governo. Si tenne a Bologna il nuovo Capitolo dell'Ordine servita e viene eletto procuratore generale, la suprema dignità di quell'ordine dopo il generale il carico porta seco di difender in Roma tutte le liti e controversie che vengono promosse in tutta la religione. Dove pertanto trasferirsi a Roma dove conobbe e prende strettissima familiarità col padre Bellarmino poi cardinale, e dura l'amicizia sin al fine della vita, grazie al quale forse puo prendere visione di diversa documentazione relativa alle istruzioni date ai legati pontifici durante il Concilio di Trento. Conosce anche il dottor Navarro, teologo difensore dell'arcivescovo di Toledo, B. Carranza, accusato di eresia, il gesuita Bobadilla e il cardinale Castagna, poi Urbano VII. Ha occasione di passare a Napoli per presiedere Capitoli e conversare con quel famoso ingegno Porta, il quale, anco nelle sue opere mandate in luce, fa onorata menzione del padre Paolo come di non ordinario personaggio. Scaduto il periodo di carica a procuratore generale dell'Ordine servita, ritorna a Venezia, frequentandovi i circoli intellettuali che si riunivano nella bottega di Sechini e nella casa del nobile veneziano A. Morosini, dove conobbe anche BRUNO. A Padova frequenta la casa di Pinelli, il ricetto delle muse e l'academia di tutte le virtù in quei tempi, dove iincontrare Galileo e Bruno, il quale s'intrattenne a Padova più di tre mesi, poco prima di essere arrestato a Venezia.  Si dove scegliere il generale dell'Ordine servita, e fra i due principali candidati, Baglioni e Dardano, si espresse a favore del primo. Il rancore spinse Dardano a denunciarlo al Sant'Uffizio, accusandolo di negare efficacia allo Spirito Santo, di avere rapporti sospetti con ebrei e allegando una lettera che fgli scrive da Roma, nella quale sono contenute alcune parole in discredito della corte, come che in quella si viene alle dignità con male arti, e di tenerne esso poco conto, anzi abominarla. Senza nemmeno essere chiamato a Roma per discolparsi, e subito prosciolto da ogni accusa. Ma il cardinale di Santa Severina, G. Santori, protettore dell'Ordine e capo del S. Uffizio, mostrò però implacabile indignazione autilizzando tutta la sua autorità per escludere gli amici dalli gradi et onori con maniere così strane e fini così bassi, ch'io non ardisco poner i casi che mi sono stati dati in nota, perché troppo gran scandalo arrecherebbono al mondo. Continua i suoi studi mentre non cessano le rivalità nell'Ordine servita, del quale venne eletto priore,  Montorsoli, che morì tre anni dopo, succedendogli così, Dardano, accanito avversario del S.. Questi, deciso a uscire dall'Ordine per sottrarsi all'inimicizia dalla quale si sentiva circondato, cerca di ottenere un vescovato, prima a Caorle e poi a Nona, in Dalmazia, che però gli vengono rifiutati a causa delle negative informazioni che di lui il Dardano e Gagliardi, preposito della casa veneziana dei gesuiti, diedero al papa. Esse ssente mormorare alle volte che egli con alcuni facci una scoletta piena d'errori. Non solo: nel Capitolo,  Dardano l’accusa di portare una berretta in capo contra una forma che sino sotto Gregorio XIV disse esser proscritta; che portasse le pianelle incavate alla francese, allegando falsamente esserci decreto contrario, con privazioni divote; che nel fine della messa non recita lo Salve Regina. E assolto anche da queste accuse. La Repubblica veneziana, stretta a nord dall'Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla potenza turca, e ormai avviata a quel lungo declino politico ed economico che a la sua sanzione. Alla prudente politica dei patrizi, rasseglla compromissione con l'Impero e il papato, si sostituì quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la Serenissima all'invadenza ecclesiastica nell'interno e a rilanciarne le fortune commerciali nell'Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati appoggiati dall'Impero. Iil Senato veneziano proibì la fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria. Un'altra legge proibiva l'alienazione di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già proprietari, pur essendo solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della Repubblica, e limita le competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali civili degli ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità. Avvenne che il canonico vicentino S. Saraceno, colpevole di molestie a una nobile parente, e l'aristocratico abate di Nervesa, Brandolini, reo di omicidi e di stupri, sono incarcerati. Paolo V emana due brevi richiedenti l'abrogazione delle due leggi e la consegna al nunzio pontificio dei due ecclesiastici, affinché secondo il diritto canonico fossero giudicati da un tribunale ecclesiastico.  Il nuovo doge Donà fece esaminare i due brevi da giuristi e teologi, fra i quali S., affinché trovassero modo di controbattere alle richieste della Santa Sede. Venne nominato teologo canonista proprio S. e lo stesso giorno il suo scritto: Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne inviato al Papa. Difese le ragioni della Repubblica con numerosi saggi. Sono di questi mesi la scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche, la scrittura intorno all'appellazione al concilio, la scrittura sull'alienazione dei beni laici agli ecclesiastici e altri ancora, poi raccolti nella sua successiva “Istoria dell'interdetto”. In quell saggio è contenuta anche un saggio sulla validità della scomunica, attaccato da BELLARMINO, al quale rispose allora con l'Apologia per le opposizioni do Bellarmino. Mentre Micanziosuo inizia a collaborare dopo che Paolo V scomunica il consiglio veneziano e fulminato con l'interdetto lo Ssato veneto, pubblica il protesto del monitorio del pontefice, nel quale il breve papale Superioribus mensibus è definito nullo e di nessun valore, mentre impede la pubblicazione della bolla pontificia. Obbedendo alle disposizioni del papa, i gesuiti rifiutano di celebrare le messe a Venezia e la Repubblica reage espellendoli insieme con cappuccini e teatini. Parteno la sera alle doi di notte, ciascuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo parte con loro. Concorse moltitudine di populo e quando il preposto, che ultimo entra in barca, dimanda la benedizione al vicario patriarcale si leva una voce in tutto il populo, che in lingua veneziana grida loro dicendo "Andé in malora!". A Roma si spera che l'interdetto provocasse una sollevazione contro i governanti veneziani ma i gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini licenziati, nissun altro ordine parteno, li divini uffizi sono celebrati secondo il consueto il senato e unitissimo nelle deliberazioni e le città e populi si conservano quietissimi nell'obbedienza. Venezia era alleata, in funzione anti-spagnola, con la Francia, ed era in buoni rapporti con l'Inghilterra e con la Turchia. Fingendosi veneziani, soldati spagnoli, per provocare la rottura delle relazioni turco-veneziane, sbarcano Durazzo, saccheggiandola, ma la provocazione e facilmente scoperta e i turchi offreno a Venezia l'appoggio della loro flotta contro il papa. L'Inquisizione l’intima di presentarsi a Roma per giustificare le molte cose temerarie, calunniose, scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche contenute nei suoi saggi ma naturalmente si rifiuta. Invano il papa che scomunica Sarpi e Micanziosi dichiara favorevole a portare guerra a Venezia. La sua unica alleata, la Spagna, minacciata da Francia, Inghilterra e Turchia, non puo sostenerla in quest'impresa e si giunse così alle trattative diplomatiche, favorite dalla mediazione del cardinale Joyeuse. Venezia rilascia i due ecclesiastici incarcerati e ritira il suo protesto al papa in cambio della revoca dell'interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano restarono in vigore e i gesuiti non possono rientrare nella Repubblica. Riceve Schoppe, molto intimo dei segreti affari della curia romana, il quale gli confide che il papa, come gran prencipe, ha longhe le mani, e che per tenersi da lui gravemente offeso non puo succedergli se non male, e che se sino a quell'ora avesse voluto farlo ammazzare, non gli mancavano mezzi. Ma che il pensiero del papa e averlo vivo nelle mani e farlo levare sin a Venezia e condurlo a Roma, offerendosi egli, quando volesse, di trattare la sua riconciliazione, e con qual onore avesse saputo desiderare. Asserendo d'aver in carico anco molte trattazioni co' prencipi alemanni protestanti e la loro conversione». Schoppe, ambiguo provocatore, intende convincerlo  a mettersi nelle mani dell'inquisizione come miglior partito che puo prendere, tanto parvero strane le due proposte di far ammazzare o prender vivo il padre. I disegni omicidi sono reali. Circa le 23 ore, ritornando al suo convento di San Marco a Santa Fosca, nel calare la parte del ponte verso le fondamenta, e assaltato da V assassini, parte facendo scorta e parte l'essecuzione, e resta l'innocente  ferito di tre stilettate, due nel collo et una nella faccia, ch'entrava all'orecchia destra et usciva per apunto a quella vallicella ch'è tra il naso e la destra guancia, non avendo potuto l'assassino cavar fuori lo stillo per aver passato l'osso, il quale restò piantato e molto storto. I sicari, fuggendo, trovano rifugio nella casa del nunzio pontificio e la sera s'imbarcano per Ravenna, da dove proseguirono per Ancona e di qui raggiunsero Roma. Si conoscono i loro nomi: l'esecutore materiale dell'attentato e Poma, già mercante veneziano, poi trasferitosi a Napoli e di qui a Roma, dove divenne intimo del cardinale segretario di Stato S. Caffarelli-Borghese e dello stesso Paolo V. E co-adiuvato da tre uomini d'arme, tali A. Parrasio, Giovanni da Firenze e Bitonto, mentre «a spia, o guida e Viti, solito offiziare in S. Trinità di Venezia, che non lascia dubitare quanti mesi precedessero questo bel effetto prima che fosse mandato alla luce. Poi che Viti la quadragesima antecedente, sotto specie d'aver gusto delle predicazioni del padre maestro Fulgenzio, anda ogni mattina in convento de' servi alla porta del pulpito, che risponde alla parte di dentro, e cortesemente tratta con lui, ricercandolo anco di qualche dubbio di coscienza. E continua di poi sempre a salutarlo et anco andar in convento a visitarlo, parlandogli sempre di cose spettanti all'anima. Il pugnale non ha tuttavia leso organi vitali e riusce a sopravvivere. Il chirurgo Acquapendente, che l'opera, dice di non aver mai medicato una ferita più strana, rispondendo allora con la famosa espressione. Eppure il mondo vuole che sia data stilo Romanae Curiae. Le conseguenze furono la rottura della mascella e vistose cicatrici nel volto. Il Senato, dichiarandolo persona di prestante dottrina, di gran valore e virtù gli concede una casa in piazza San Marco ove possa risiedere con il Micanzio e altri frati, e una sovvenzione affinché possa acquistare una barca e provvedere alla sua sicurezza personale. Rifiuta la casa ma si servì da allora di una barca che gli evita si pericolosi tragitti a piedi per le calli veneziane. Poco più di un anno dopo, e sventato un secondo attentato, ordito, sembra su mandato di Margotti, d’Antonio da Viterbo, i quali, fatta una copia della chiave della sua camera vuoleno secretamente introdurre nel monasterio due o più sicarii e la notte trucidare l'innocente. Inizia a corrispondere con personalità soprattutto di fede calvinista o gallicana. Fra questi ultimi, Leschassier e Gillot, che pubblica gli Actes du concile de Trente, dimostrando le pressioni papali sui vescovi riuniti a concilio, e fra gli altri l'italiano  Castrino, i francesi Villiers, Casaubon, Thou, Mornay, i tedeschi Achatius e Dohna. Attraverso il dialogo diretto con gli intellettuali  acquiesce quella straordinaria ampiezza di orizzonti e di interessi, quella solida conoscenza dei problemi dello stato che gli permite di arricchire la sua cultura storica, giuridica e scientifica e lo conduce a incidere sulla sua posizione filosofica, ad approfondirne la crisi, risolvendola poi con l'accoglimento di nuove prospettive e di nuove idealità; spalancandogli un mondo nuovo, che gli fac sentire più soffocante, più viziata, la vita italiana. Incontra a Venezia Bedell, che rifere di lui e del Micanzio come essi sono completamente dalla nostra parte nella sostanza della religione e, Dohna inviato da Cristiano I di Anhalt-Bernburg, e Diodati, per valutare la possibilità di introdurre a Venezia la Riforma. La traduzione in lingua italiana del nuovo testamento, viene diffusa a Venezia proprio in questo periodo.  Altre polemiche suscitano, le prediche quaresimali di Micanzio che vengono interpretate a Roma come un attacco alla fede cattolica. -- è anche preoccupato per la tregua stipulata tra la Spagna e i Paesi Bassi, perché vede in essa un indebolimento di questi ultimi che, o prima o dopo, resteranno sopraffatti dalle arti spagnole, mentre gli spagnoli ne potrebbero trarre beneficio anche in vista del loro dominio in Italia. Spera in un'alleanza generale di Francia, Inghilterra, principi protestanti, Paesi Bassi, Savoia e Venezia che portasse alla guerra contro l'Impero cattolico ispano-tedesco e cancellasse il dominio papale e spagnolo in Italia. Se sarà guerra in Italia, va bene per la religione; e questo Roma teme. L’inquisizione cessa e l'Evangelio ha corso. E ha bene anche per le libertà civili di Venezia: qui, anche se il giogo ecclesiastico è assai più mite che nel rimanente d'Italia, in quella parte nondimeno che tocca la stampa è l'istesso appunto che negli altri luoghi. Nessuna cosa si può stampare se non veduta e approvata dall'Inquisizione. Dove si ragiona di alcun papa, non permettono che si dica alcuna di disonore, se bene vera e notoria. Non permettono che alcuno separato dalla Chiesa romana sia lodato di qualsivoglia virtù, né nominato se non con vituperio. Secondo la versione ufficiale, sebbene sfinito, volle alzarsi per il mattutino, come al solito, e celebrare la Messa. Fatto chiamare il priore del convento, lo prega che lo raccomandasse alle preghiere dei confratelli e che gli portasse il Viatico. Gli consegna tutte le cose concesse a suo uso. Si fa vestire, si confessa e passò il resto del mattino facendosi leggere da fra Fulgenzio e da Fra Marco i Salmi e la Passione di Cristo narrata dagli Evangelisti. Gli e quindi amministrato dal priore, alla presenza della Comunità, il Viatico. E visitato dal medico che gli dice che ha poche ore di vita. Sorridendo, rispose: Sia benedetto Dio. A me piace ciò che a Lui piace. Col suo aiuto faremo bene anche quest'ultima azione -- quella di morire. E udito ripetere più volte, con soddisfazione: Orsù, andiamo dove Dio ci chiama. Secondo alcuni le sue ultime parole sarebbero state. Esto perpetua, riferendosi a Venezia (v. Bianchi-Giovini, Esistono tuttavia altre versioni della sua morte che lo fanno apparire più vicino al culto protestante. Figura assai complessa di filosofo, occupa indubbiamente un posto di primo piano nella storia della filosofia italiana. Fu uno dei più grandi filosofi. La sua prosa è una delle più maschie ed efficaci di tutta la filosofia nostra, che non conosce lenocini né fronzoli, che scolpisce le figure con raro risalto, che ha un magnifico potere ri-evocatore allorché descrive dispute e contrasti, ch'è impareggiabile nel sarcasmo, tutto contenuto in un'unica espressione, tre o quattro parole. G. Papini, parlando della Istoria del Concilio di Trento, la define un modello di lucidità narrative e di prosa semplice, esatta e rapida. Lascia orme indelebili nella filosofia, nella matematica, nell'ottica, nell'astronomia, nella medicina ecc. Galilei e suo grande amico, e non disdegna di appellarlo: Mio Maestro. Dinanzi al primo avvertimento a Galilei, lui, che non visse abbastanza a lungo per assistere alla condanna scrive. Verrà il giorno, e ne sono quasi certo, che gl’uomini, da studi resi migliori, deploreranno la disgrazia di Galileo e l'ingiustizia resa a sì grande uomo. Scopre la dilatabilità della pupilla sotto l'azione della luce e le valvole delle vene. I suoi biografi parlano anche di scoperte nel campo dell'anatomia, dell'ottica, ecc. L'invenzione del telescopio dice Bianchi-Giovini il Galilei la dovette per certo ai lumi somministratigli da lui, se pure questi non ne fu il primo inventore, come pensano alcuni. Sopra la sua sapienza matematica si cita l'autorevole giudizio di Galilei. Galilei non esita a dire della ‘fenice’: del quale posso senza iperbole alcuna affermare che niuno l'avanza in Italia in cognizione di queste scienze matematiche contro alle calunnie ed imposture diCapra, in ediz. naz., Firenze, La teoria di GALILEI delle maree, successivamente dimostratasi erronea, riprende le sue idee, esposte nei Pensieri naturali, metafisici e matematici. Porta, dopo aver dichiarato di avere appreso alcune cose da lui, lo proclama splendore ed ornamento non solo della città di Venezia e dell'Italia, ma di tutto il mondo. (Magia naturalis).  Passionei gli define dottissimo oltre ogni espressione. In uno studio il cui intento era quello di misurare il Q.I. di 300 personaggi famosi. si posiziona al quinto posto, al pari del più noto matematico Pascal. Alla grande intelligenza unì anchecome riconosciutagli da tuttiun'esemplare integrità di vita.  Jemolo, dopo essersi rivolto varie domande intorno alla sua ortodossia, da questa risposta. Gli elementi ci mancano per una risposta perentoria: noi non possiamo dissipare l'alone di mistero che lo circonda. Questo non c'impedisce di ammirare l'uomo e l'opera. Fondamentalmente lo scontro con la Curia romana e legato ad un progetto politico volto a contenere il potere di Roma in ambito esclusivamente spirituale e a pro-muovere un'alleanza tra Venezia e la Francia in un'ottica anti-imperiale. Per questo intrattenne contatti con i riformati. Inoltre la sua visione di Roma e un vago ritorno verso la chiesa primitive. Egli quindi e indotto a condannare il potere temporale, il processo di mondanizzazione del clero, la superiorità del papa sul Concilio. Stringe amicizia con Dominis, arcivescovo di Spalato, che tende all'apostasia. La sua Istoria del Concilio Tridentino costituisce il suo capolavoro storico ed offre la prima imponente ricostruzione del Concilio di Trento. L’opera e ondannata dalla Congregazione dell'Indice e quindi posta all'Indice dei libri proibiti. Sono intercettate dal nunzio pontificio a Parigi Ubaldini compromettenti carteggi di lui con l'ambasciatore veneziano Foscarini e con l'ugonotto Castrino; carteggi ben presto inviati a Roma per essere messi a disposizione del Sant'Uffizio, ma anche da utilizzare per far ammettere una buona volta al governo veneziano quanto da tempo da Roma si viene denunciando, che lui che si proclamava più cattolico del Papa e come tale difeso ufficialmente dai responsabili politici veneziani. Altri non era che un protestante, al servizio delle forze ereticali europee. Dunque infedele e ipocrita. Una taccia di ipocrisia che non da tregua alla sua figura lungo i secoli, come stanno a provare innumerevoli esempi, da Aleandro, che ricevuta da Peiresc la sua Istoria dell'Interdetto appena edita risponde all'illustre erudito francese con fare perentorio che lui e nero ministro del diavolo che si dice esser padre delle menzogna, se ben egli veramente non credeva né nel diavolo né in Dio,  al prelato friulano G. Fontanini con la sua velenosa Storia arcana della sua vita a Passionei, che crede di avere le carte per dimostrare che l'idea del furfante e di introdurre il calvinismo in Venezia, come ancora ricorda A. Mercati. Un parere analogo si trova anche nella recente Storia della Chiesa di Hertling e Bulla, dove viene definite un ipocrita che fino all'ultimo fa la parte del religioso, sebbene nel suo intimo si fosse da tempo allontanato dalla Chiesa. Saggi: “Trattato dell'interdetto di Paolo V nel quale si dimostra che non è legittimamente pubblicato”; “Apologia per le opposizioni fatte da Bellarmino ai trattati et risolutioni di G. Gersone sopra la validità delle scomuniche; Considerationi sopra le censure della santità di Paolo V contra la Serenissima Repubblica di Venezia, Istoria del Concilio Tridentino,  Il trattato dell'immunità delle chiese (De iure asylorum), Discorso dell'origine, forma, leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella città e dominio di Venezia, Trattato delle materie beneficiarie, Opinione di Servita, come debba governarsi la Repubblica Veneziana per havere il perpetuo dominio, Venezia, La storiografia recente attribuisce lo scritto al patriziato veneziano medesimo. Scritti giurisdizionalistici, Istoria del Concilio Tridentino (Geneua, Aubert); Pagnoni Editore, Milano, Gambarin, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, G. Gambarin, IScrittori d'Italia, Bari, Laterza, Gambarin, Scrittori d'Italia Bari, Laterza, Istoria del Concilio Tridentino, testo critico di Giovanni Gambarin, introduzione di Pecchioli, Collana Biblioteca, Sansoni, Firenze, Lettere a Simone Contarini ambasciatore veneto in Roma, pubblicate dagli autografi, Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione veneta di storia patria. Miscellanea, Venezia, Fratelli Visentini, Pagine scelte, Arturo Carlo Jemolo, Vallecchi, Firenze, Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia, 1, Bari, Laterza,  Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, Antologia degli scritti politici e storici. Roffarè, MILANI, Padova, “Istoria dell'Interdetto e altri scritti editi e inedita” (Scrittori d'Italia Bari, Laterza); Amerio, “Scritti filosofici e teologici” (Scrittori d'Italia, Bari, Laterza); “Pensieri naturali, metafisici e matematici. anoscritto dell'iride e del calore; Arte di ben pensare, Pensieri medico-morali, Pensieri sulla religione, Fabula e Massime e altri scritti. Edizione integrale commentate, L. Sosio, Ricciardi, Milano-Napoli, Scritti giurisdizionalistici” (Scrittori d'Italia, Bari, Laterza); “Lettere ai Gallicani, B/ Ulianich, Wiesbaden, F. Steiner,  La Repubblica di Venezia la casa d'Austria e gli Uscocchi, Bari, Laterza, Scritti scelti: Istoria dell'Interdetto, Consulti, Lettere, Pozzo, Collezione di Classici Italiani, POMBA, Torino); Storici, Politici, e Moralisti, G. Cozzi, Collana La Letteratura Italiana. Storia e Testi,  Milano-Napoli, Ricciardi, Istoria del Concilio Tridentino seguita dalla Vita, Corrado Vivanti, Collana NUE Einaudi, Torino, Collana Piccola Biblioteca. Einaudi, Torino, “Pensieri” Gaetano e Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Torino, “Considerazioni sopra le censure di Paolo V contro la Repubblica di Venezia e altri scritti sull'Interdetto”, G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, “Lettere a Gallicani e Protestanti, Relazione dello Stato della Relazione, Trattato delle Materie Beneficiarie. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Gli ultimi consulti. G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Dai Consulti, il carteggio con l'ambasciatore inglese Carleston. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Dal Trattato di pace et accomodamento e altri scritti sulla pace d'Italia. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Consulti, Corrado Pin, Pisa, Poligrafici, Letteratura e vita civile. Collana I Classici del Pensiero Italiano; Della potestà de' prencipi; Collana I Giorni, Marsilio, Venezia, Scritti filosofici inedita, tratti da un manoscritto della Marciana”; Papini, Collana Cultura dell'anima, R. Carabba, Lanciano, Manoscritti Consulti: in Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, Ceretti, Cinque pugnali non bastano a troncare la sua parola, in Historia, Touring club italiano, F. Micanzio, Vita,  in «Istoria del Concilio tridentino, Torino F. Micanzio. Scrive tra l'altro nella lettera. E che volete ch'io speri in Roma, ove li soli ruffiani, cenedi et altri ministri di piaceri o di guadagni hanno ventura? I cenedi sono gl’uomini che si prostituiscono. Micanzio, cit. G, Cozzi, Sarpi, F. Micanzio, Istoria dell'interdetto e altri scritti editi e inediti, F. Micanzio, dove stilo può significare sia stile che stiletto  Ivi  Cozzi, Lettere a Groslot de l'Isle, in «Lettere ai protestanti», Lettera a Francesco Castrino, Lettere ai protestanti, Citato in C. Rizza, Peiresc e l'Italia, Torino, Giappichelli, Pin, Senza maschera: l'avvio della lotta politica dopo l'Interdetto; L. Hertling e A. Bulla, Storia della seconda Roma La penetrazione dello spazio umano ad opera del cristianesimo” (Città Nuova, Borgna Romain, Lucien, Micanzio, Vita,  dell'ordine de' Servi e theologo della serenissima republ. di Venetia, Leida, in “Istoria del Concilio tridentino” (Torino, Einaudi); Griselini, “Memorie anedote spettanti alla vita ed agli studj del sommo filosofo e giureconsulto” (Losanna, Bousquet); Griselini, “Del suo genio in ogni facolta scientifica e nelle dottrine ortodosse tendenti alla difesa dell'originario diritto de' sovrani né loro rispettivi dominj ad intento che colle leggi dell'ordine vi rifiorisca la pubblica prosperita” (Venezia, Basaglia); Zerletti, “Storia arcana della vita servita da Fontanini  in partibus e documenti relative (Venezia); “Cassani, Le scienze matematiche naturali” (Venezia; Bianchi-Giovini, Basilea, Morghen, Getto, Firenze, Olschki; Gliozzi Relazioni scientifiche con Porta, Cozzi, Tra Venezia e l'Europa” (Collana Piccola Biblioteca, Torino, Einaudi); Frajese, “Scettico. Stato e Chiesa a Venezia, Bologna, Il Mulino); Cacciavillani, I consulti sulla Vangadizza, Padova, MILANI, Cacciavillani, Venezia, Fiore, Cacciavillani,  S.. La guerre delle scritture de la nascita della nuova Europa, Venezia, Fiore, Cacciavillani, S. giurista, Padova, Pin, Ri-pensando S., Venezia, Ateneo veneto, Concilio di Trento, Micanzio. Dizionario di storia, Dizionario biografico degl’italiani. Paolo Sarpi. Sarpi. Keywords: l’arte del bien pensar, Locke, impression, reflection, metaphysics, Bibioteca Marciana, pensieri, pensiero, logica, bien pensare, galilei, hobbes, metodo, sensismo, il fenice di Venezia, scritti filosofici inedita.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sarpi” –  peri il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Sasso: la ragione conversazionale da Crotone a Velia – la potenza e il atto in Gentile – Gentile megarico -- Lucrezio e Machiavelli – allegoria e simbolo in Vico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Studia  a Roma. Si laurea sotto ANTONI e CHABOD con Machiavelli. Studia con CARABELLESE, RUGGIERO, SCARAVELLI, NARDI, PETTAZZONI, SAPEGNO, GABETTI, PERROTTA, E SANCTIS. Insegna ad Urbino e Roma. Studia l’idealismo italiano (CROCE) e MACHIAVELLI. Si occupa di ontologia, ALIGHERI, Platone, Polibio, LUCREZIO, GUICCIARDINI, Shakespeare e Mann. Presidente della "Fondazione GENTILE", Lincei. Altri saggi: “Machiavelli e Borgia. Storia di un giudizio” (Roma, Ateneo); “Machiavelli” (Napoli, Morano); “La storia della filosofia” (Bari, Laterza); “La ricerca della dialettica” (Napoli, Morano); “Lucrezio: progresso e morte” (Bologna, Mulino); “L'illusione della dialettica” (Roma, Ateneo); “Guicciardini” (Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma); “Essere e negazione, Napoli, Morano); “Machiavelli e gl’antichi” (Milano, Ricciardi); “Tramonto di un mito: l'idea di progresso” (Bologna, Mulino); Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Croce, Bologna, Mulino); “L'essere e le differenze nel "Sofista” (Bologna, Il Mulino); “Variazioni sulla storia di una rivista italiana: "La Cultura"; Mulino); “Machiavelli, Bologna, Il Mulino, Comprende: Il pensiero politico, Napoli, IISS, Bologna, Mulino, Premio Viareggio di Saggistica, La storiografia. La fedeltà e l'esperimento, Scarpelli, Trincia e Visentin interrogano S. (Bologna, Mulino); Filosofia e idealismo, Napoli, Bibliopolis, Comprende: Croce, Gentile, Ruggiero, Calogero, Scaravelli, Paralipomeni, Secondi paralipomeni, Ultimi paralipomeni, Tempo, evento, divenire” (Bologna, Il Mulino); “Gentile: La potenza e l'atto” (Firenze, La Nuova Italia); Le due Italie di Gentile, Bologna, Il Mulino); “La verità, l'opinione, Bologna, Il Mulino, Martino fra religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis); Il guardiano della storiografia. Profilo di Chabod (Bologna, Il Mulino [Napoli, Guida, del Profilo di Chabod, Bari, Laterza); Dante. L'imperatore e Aristotele, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo); Fondamento e giudizio. Un duplice tramonto?, Napoli, Bibliopolis); Il principio, le cose, Torino, Aragno,  Delio Cantimori. Filosofia e storiografia, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore); “Dante, Guido e Francesca, Roma, Viella); “Le autobiografie di Dante, Napoli, Bibliopolis, Discorsi di Palazzo Filomarino, raccolti da Herling, premessa di Irti, Napoli, IISS, Il logo, la morte, Napoli, Bibliopolis); “Ulisse e il desiderio. Il canto XXVI dell'Inferno, Roma, Viella); “La voce dei ricordi, Napoli, Bibliopolis); “Decadenza” (Roma, Viella); “Machiavelli: I corrotti e gli inetti” (Milano, Bompiani); “Allegoria e simbolo” (Torino, Aragno); “La lingua, la Bibbia, la storia. Su "De vulgari eloquentia" (Roma, Viella); Su Machiavelli. Ultimi scritti, Roma, Carocci, Croce. “Storia d'Italia” Napoli, Bibliopolis,  La 'Storia d'Italia' di Croce.  Napoli, Bibliopolis. "Forti cose a pensar mettere in versi". Studi su Dante, Torino, Aragno, Purgatorio e Anti-purgatorio. Un'indagine dantesca, Roma, Viella,. Croce e le letterature, Napoli, Bibliopolis, Biografia e storia. Saggi e variazioni, Roma, Viella,. Mulino Riviste La Cultura, su mulino. Premio letterario Viareggio-Rèpaci, Croce. Dibattito, Il Cannocchiale, Arnaldi, Calabrò, Jannazzo, S., Stella, F. Valentini, Visentin. Arnaldi, S.: uno specialista di più specialità, in Id., Conoscenza storica e mestiere di storico, il Mulino, IISS-Napoli, A. Bellocci, Verità e doxa: la questione dello sguardo e della relazione ne Il logo, la morte; Bellocci, Laicismo della verità, della doxa e tolleranza; Leussein, Bellocci, L'impossibilità della differenza e i paradossi dell'identità; Archivio di filosofia, Bellocci, Il problema della 'non' relazione ne Il principio, le cose, Giornale critico della filosofia italiana, Bellocci, La verità, l'opinione. Lo ''specchio'' della verità e l'eterna opinione metafisica, Filosofia italiana,  R. Berutti, Annotazioni critiche sull’essere ovvero sul non essere essere del discorso che lo concerne. Il problema dell'ontologia,, Pólemos,  Capati, Paragone. Letteratura, Cardenas, L'auto-noema. Il giudizio tra attualismo e neo-eleatismo, Filosofia italiana,  Cesa, “S. interprete di Gentile”, Archivio di storia della cultura, Vicentiis, Storiografia e pensiero politico nelle "Istorie fiorentine" di Machiavelli: Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, F. Fronterotta, L'essere e le differenze. In margine al Sofista, Novecento, Herling Reale, Storia, filosofia e letteratura. Studi in onore Bibliopolis, Napoli,  G. Inglese, Machiavelli: una storia del suo pensiero politico, Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, Enciclopedia machiavelliana, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, Enciclopedia filosofica (a cura del Centro Studi Filosofici di Gallarate), Milano, Maschietti, Dire l'incontrovertibile. Intorno all'analisi filosofica, Giornale di filosofia, Mignini, Essere e negazione. Giornale critico della filosofia italiana, Crisi e critica" dello storicismo. Filosofia e storiografia, Novecento, Filosofia e storia della filosofia, Filosofia italiana, Parise, Sulla relazione. Critica della metafisica, L. Passerino Editore, Gaeta. Parise, Figure della scissione. A proposito di Allegoria e simbolo, filosofia,  Parise, L’aporia del nulla, Filosofia italiana, Perazzoli, Il concetto di laicità. in G. Perazzoli, Miligi, Laicità e filosofia, Mimesis, Milano Udine, Pietroforte, Problema del nulla e principio di non contraddizione. Intorno a "Essere e negazione" Novecento,  Salina, Neoparmenidismo e teorie della verità, Filosofia italiana, F. Scarpelli, Nulla, anamnesi, riflessivita (Il Cannocchiale, Tessitore, interprete di Croce, in Id., La ricerca dello storicismo. Mulino, IISS-Napoli,  Vander, Critica della filosofia italiana contemporanea. Dialettica e ontologia: i termini di una contrapposizione, Marietti, Genova; Visentin, Tempo e giudizio. La Cultura, Visentin, Sull'identità e sull'essenza del laicismo italiano. A proposito del "Le due Italie di Gentile", Giornale critico della filosofia italiana, Visentin, Il parmenidismo (VELIA). Considerazioni intorno alla verità, l'opinione', in Id., Il neo-parmenidismo italiano. Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Bibliopolis, Napoli,  Visentin, Aletheia e doxa oltre Parmenide, in Id., Onto-Logica: sull'essere e il senso della verità, Bibliopolis, Napoi, Zanetti, Critiche al divenire. Filosofia italiana, X S. Zurletti, Lo specchio di Perseo, Chaos Kosmos, Vico e il simbolo», «Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», costituzione mista, Croce, Dante, Discorsi sopra la prima deca di Livio, eternità del mondo, Sanctis, Lucrezio in Machiavelli, in Enciclopedia machiavelliana, Sasso, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma Dalla concordia discors alla polemica: filosofia e psicologia di una vicenda, Ripensando la Storia d'Europa, Ripensando la Storia d'Italia, in Croce e Gentile, la cultura italiana e europea, Ciliberto. Gennaro Sasso. Sasso. Keywords: Potenza ed atto in Gentile – Lucrezio in Macchiavelli, Lucrezio, simbolo ed allegoria in Vico, la scuola di Velia, veliati, veliani, parmenide, scuola di Crotone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sasso” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Saturnino: la ragione conversazionale del probabile – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo Italiano. Seguace di Sesto Empirico, della scesi pirroniana e medico, non si ricordano sue dottrine particolari, ma si può supporre che accettasse quelle fondamentali del maestro che, negando la possibilità di una scienza razionale che pretendesse di cogliere le cause nascoste delle cose, ammette la legittimità d’arti -- prima fra esse la medicina -- che si limitano a constatare empiricamente coincidenze e successioni di fenomeni per fondare così previsioni probabili per il futuro. Diogene Laerzio dice che è soprannominato Kuthenas o Cythenas. La parola è incomprensibile, ma forse indica un’origine greca. Given that Sesto teaches at Rome, we may assume Cythenas, albeit his esoteric name, is a Roman! Luigi Speranza, “Grice e Saturnino,” per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swmming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Saufeio: la ragione converesazionale dell’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Praeneste). Filosofo italiano. He comes from  a rich and privileged family. He is a close friend of Tito  POMPONIO (si veda) detto l’Attico, who intervenes to save his property from confiscation. S. us elsewhere at the time, idly studying the doctrines of the Garden. Lucio Saufeio. Luigi Speranza, “Grice e Saufeio,” per il grupo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Sava: la ragione conversazionale del dovere e dei doveri – filosofia italiana – Luigi Speranza (Belpasso). Filosofo. Enciclopedia Popolare Italiana. Saggi:“Sui pregi”, “Doveri dei medici”, A. Prezzavento. Roberto Sava. Sava. Keywords. Refs.: dovere, i doveri – pregi. Luigi Speranza, “Grice e Sava” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Scala: la ragione conversazionale e il gusto per l’antico -- filosofia italiana – filosofia siciliana – Luigi Speranza (Noto). Filosofo italiano. Membro di la commissione creata da Gregorio XIII per la riforma del calendario. Insegna a Padova. Saggi: “L'Efemeridi di S. Siciliano, per anni dodici, le quali cominciano dall'anno di Christo nostro Sig.  e finiscono nel fine di dicembre dell'anno. Alle quali sono aggiunti i canoni, ò introduttioni dell'efemeridi, ridotto all'uso delle presenti efemeridi (Venezia, Giunti); Ephemerides Iosephi S. Siculi Noetini ad annos duodecim, incipientes ab anno Domini. Vnà cum introductionibus ephemeridum ab eodem d. Iosepho S., ad vsum suarum, restitutis” (Venezia, Giunta). Col suo nome è oggi chiamato il Gruppo Astrofili di Noto  Santi Correnti, Quello che la Sicilia ha dato all'Italia. Biografia degli uomini illustri di Sicilia ornata de' loro rispettivi ritratti, Napoli, Corrado Spataro, L'astronomo netino e la nuova scienza. Calendario gregoriano. Giuseppe Scala. Scala. Keywords: calendario gregoriano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scala” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Scalea: la ragione conversazionale e il gusto per l’antico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Morano Calabro). Filosofo italiano. Studia sotto CALOPRESE. Divulga il razionalismo, difende alcuni colleghi, anche loro seguaci di Cartesio, ed ha un'accesa polemica con DORIA su Spinoza. Saggi: “Della filosofia degl’antichi” (Mosca, Napoli); “De origine mali”; “De bono”; Dizionario di filosofia, riferimenti in Mirto, Calabria letteraria, Lomonaco, Vita, e studj scritta da lui medesimo in una Lettera (Melangolo, Genova). Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Principe di Scalea, marchese di Misuraca e barone di Morano. Francesco Maria Spinelli, principe di Scalea, Scalea. Keywords: bonum, ‘il bono’ the good, filosofia degl’antichi, vico, doria, la filosofia degl’antichi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scalea” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Scalfari: la ragione conversazionale e l’implicatura di Teseo – Roma fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Civitavecchia). Filosofo italiano.  Considerato, anche dai suoi avversari, uno dei più grandi filosofi italiani. Professore, contribuì, con altri, a fondare il settimanale “L’Espresso” ed è fondatore del quotidiano “La Repubblica.” I campi principali dell'analisi di S. sono l'economia e la politica. La sua ispirazione politica è socialista liberale, azionista e radicale. Punti forti dei suoi articoli recenti sono la laicità, la questione morale, la filosofia. Frequenta il liceo Mamiani di Roma -- è a Sanremo (dove la famiglia, di origini calabresi, si era trasferita temporaneamente, essendo il padre direttore artistico del casinò) che completa gli studi liceali, al liceo classico Cassini, avendo come compagno di banco CALVINO. Sentimentalmente legato a S. Rossetti, già segretaria di redazione de L'Espresso (e poi di Repubblica), che sposerà dopo la scomparsa della moglie Simonetta.  -- è ateo.  Tra le suoi esperienze c'è “Roma Fascista” -- organo del Gruppo Fascista. Collabora con riviste e periodici legati al fascismo, come “Nuovo Occidente”. Nominato caporedattore di “Roma Fascista”, pubblica una serie di corsivi sulla prima pagina in cui lancia generiche accuse verso speculazioni da parte di gerarchi del Partito Nazionale Fascista sulla costruzione dell'EUR. Questi saggi portarono alla sua espulsione dai GUF. Di fronte al gerarca, intenzionato a perseguire gli speculatori, aveva ammesso come i suoi corsivi fossero basati su voci generiche. Si l’accusa poi di essere un imboscato, e lo prese materialmente per il ero strappandogli le mostrine dalla divisa del partito. Dopo la fine della seconda guerra mondiale entra in contatto con il Partito Liberale Italiano. Diventa collaboratore a Il Mondo e L'Europeo, di PANNUNZIO e BENEDETTI. Licenziato dalla BNL per una serie di articoli sulla Federconsorzi non graditi alla direzione. Partecipa all'atto di fondazione del Partito Radicale. Nello stesso anno nasce il settimanale L'Espresso: è direttore amministrativo e scrive articoli di economia.  Somma la carica di direttore responsabile de L'Espresso a quella di direttore amministrativo. Il settimanale arriva in cinque anni a superare il milione di copie vendute. Il successo giornalistico si fuse con il piglio imprenditoriale, dato che  continuò a gestire anche la parte organizzativa e amministrativa. Pubblica insieme  l'inchiesta sul SIFAR che fa conoscere il tentativo di colpo di stato chiamato piano Solo. Lorenzo li querela e i due giornalisti vengono condannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi di reclusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta da V. Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato. Lui e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato. Dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso. Sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Calabresi. Nel, dopo 45 anni, ammette che "quella firma era stata un errore.  In quegli anni critica accanitamente le manovre di Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da Turani, Razza padrona.  Fondazione e direzione de la Repubblica. Dopo aver già tentato inutilmente di varare un quotidiano insieme a Montanelli, che aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata, fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Mondadori, apre una nuova pagina del giornalismo. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.  L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso S. e l'ingresso di Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della scalata del titolo Mondadori Editore, finito con il lodo Mondadori, resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito) Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per averelusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta da Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di stato.  S. e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista : alle elezioni politiche S. viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Stato eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato. Dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso. Sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Calabresi. Ammette che "quella firma era stata un errore".  In quegli anni critica accanitamente le manovre di Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da S. e da Turani, “Razza padrona”. Fondazione e direzione de la Repubblica. Dopo aver già tentato inutilmente di varare un quotidiano insieme a Montanelli, che aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata, Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Mondadori  apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.  L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso S. e l'ingresso di Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del titolo Mondadori, finito con il "lodo Mondadori", resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito)  Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per avereun pronunciamento favorevole nella disputa con Benedetti per il controllo della Mondadori: tale accordo fu fortemente voluto daAndreotti, grazie all'intermediazione di Ciarrapico. Sotto la guida di S. "Repubblica" apre il filone investigativo sul caso Enimont, che dopo due anni verrà in buona parte confermato dall'inchiesta di "Mani pulite". Contro Craxi, a differenza che con Spadolini e Mita, S. s'era speso sin dall'inizio del decennio precedente, considerandolo l'archetipo della questione morale contro cui si scagliava l'anima della sinistra rappresentata da Berlinguer. Di questi invece elogiò lo "strappo" con l'Unione Sovietica in occasione del golpe polacco, pur restando essenzialmente estraneo alla tradizione comunista e rimanendo su posizioni legate all'intellettualità laica e alla tecnocrazia. In tal senso vanno lette alcune sue importanti iniziative, tutte sostenute per il tramite di "Repubblica": sponsorizza il "governo del Presidente", candidandovi il governatore della Banca d'Italia Ciampi; indica al presidente Scalfaro il commissario PSI a Milano Amato come viatico per la sua scelta a premier. Apprezza Rossi come commissario delle aziende travolte nel turbine di Tangentopoli. incomincia, dapprima in solitaria, la sua ventennale battaglia contro Berlusconi. Sconfitto Sgarbi, è il primo a percepire e ad avvertire il pubblico circa la potenziale pericolosità di Grillo --  è il primo a preconizzare una possibile, futura alleanza fra Renzi e Salvini.  Ritiro dalla direzione de la Repubblica Scalfari, padre del quotidiano la Repubblica e della sua ascesa editoriale e politico-culturale, abbandona il ruolo di direttore, dopo che già da tempo aveva ceduto, insieme a Caracciolo, la proprietà a Benedetti; gli subentra Mauro. Non scompare dalla testata del giornale, poiché continua a svolgere il ruolo di editorialista dell'edizione domenicale. I suoi editoriali sono entrati oramai nella consuetudine del giornale, tanto da essere soprannominatianche per la loro lunghezza"la messa cantata della domenica" Cura altresì una rubrica su L'Espresso (Il vetro soffiato). Venerdì di Repubblica annuncia di voler abbandonare dopo l'estate la sua storica rubrica Scalfari risponde, ringraziando i lettori per l'affetto ricevuto e gli stimoli da loro pervenuti per le sue riflessioni. Gli subentra Michele Serra.  Su RaiSat Extra è andato in onda per qualche tempo, ogni giovedì, un programma dal titolo La Scalfittura, in cui Scalfari teneva colloqui politici. Le sue "interviste" con Francesco hanno causato per due volte la smentita da parte della sala stampa vaticana in relazione alle parole attribuite da al Pontefice. S. ha ribattuto di aver scritto virgolettati come se fossero usciti dalla bocca del Papa, senza aver preso appunti o registrato durante i colloqui, sostenendo che quello era stato il suo metodo di lavoro per quasi cinquant'anni. il Vaticano ha smentito un’altra intervista di S. a papa Francesco, a seguito della pubblicazione di un suo articolo su Repubblica, negando che Francesco l’avesse rilasciato un’intervista sostenendo che il contenuto dell’articolo fosse il frutto di una sua ricostruzione. Ciononostante, Francesco continua periodicamente a concederegli interviste esclusive. Riceve varie onorificenze. Premio Trento per "Una vita dedicata al giornalismo", il "Premio Ischia" alla carriera, il Premio Guidarello al giornalismo d'autore e, di recente, il Premio Saint-Vincent -- è stato nominato Cavaliere di gran croce dal presidente della Repubblica  Oscar Luigi Scalfaro mentre  ha ricevuto una delle più prestigiose onorificenze della Repubblica francese diventando Cavaliere della Legione d'onore (successivamente è stato promosso ufficiale). Premio Viareggio. Altri saggi: Petrolio in gabbia (Bari, Laterza), I padroni della città (Bari, Laterza); “Le baronie elettriche” (Bari, Laterza); “Rapporto sul capitalismo, Bari, Laterza, Il potere economico, Bari, Laterza); “Storia segreta dell'industria elettrica, Bari, Laterza); “L'autunno della Repubblica. La mappa del potere in Italia, Milano, Etas Kompass,  Il caso Mattei. Un corsaro al servizio della repubblica, Bologna, Cappelli, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, Milano, Feltrinelli, Interviste ai potenti, Milano, Mondadori, Come andremo a incominciare?, Milano, Rizzoli, L'anno di Craxi o di Berlinguer?, Milano, Mondadori, La sera andavamo in Via Veneto. Storia di un gruppo dal Mondo alla Repubblica, Milano, Mondadori Collana Super ET, Torino, Einaudi, Incontro con Io, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, Diderot, Il sogno di d'Alembert seguito da Il sogno di una rosa, Collana La memoria, Palermo, Sellerio; Alla ricerca della morale perduta, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi; “Il labirinto, Milano, Rizzoli, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi; “L’Illuminismo”, Roma, Laterza, La ruga sulla fronte, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi,  Roma, la Repubblica,  Dibattito sul laicismo, Roma, La Biblioteca di Repubblica,  L'uomo che non crede in Dio, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Per l'alto mare aperto. La modernità e il pensiero danzante, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Scuote l'anima mia Eros, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Berlinguer, La questione morale. La storica intervista, Reggio Emilia, Aliberti, Prefazione di Luca Telese, Aliberti,. Vito Mancuso-S., Conversazioni con Carlo Maria Martini, Collana Campo dei fiori, Roma, Fazi, La passione dell'etica. Cannatà, Collezione I Meridiani, Milano, Mondadori, Francesco-S., Dialogo tra credenti e non credenti” (Torino, Einaudi); L'amore, la sfida, il destino. Il tavolo dove si gioca il senso della vita, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Racconto autobigrafico, Collana Passaggi, Torino, Einaudi, L'allegria, il pianto, la vita, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, L'ora del blu, Torino Einaudi, Il Dio unico e la società moderna. Incontri con Francesco e Martini, Torino, Einaudi, libero quotidiano, libero quotidiano news commenti-e-opinioni Vittorio feltri ritratto fuori classe_re giornalisti diversi.html. ilfoglio, il foglio uffa news benvenuti al-grand-hotel-scalfari-splendida-vista sul secolo-di-carta- la7, la7/dimartedi/video/ da-montanelli-e-scalfari-ho-imparato-che-bisogna-scrivere-per-farsi-capire-marco-travaglio Angelo Cannatà, S. e il suo tempo, Mimesis, diviso in quattro capitoli: la Politica, l'Arte, la Religione, LA FILOSOFIA.  Scheda sul  storico della Camera dei deputati, su storia.camera. Sull'amicizia tra Scalfari e Calvino leggiamo. Caro Eugenio, le tue lettere sono come manate sulla schiena e io ne ho bisogno di manate sulla schiena, specie di questi tempi. Mi viene l'acquolina in bocca pensando alle ghiotte discussioni che faremo quando ci ritroveremo insieme", cfr. Cannatà “S. e il suo tempo", Mimesis,  Guzzanti, Guzzanti vs De Benedetti. Faccia a faccia fra un gran editore e un giornalista scomodo, Aliberti. Cfr. Corriere della Sera,  La Repubblica: Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte, Milano, Corbaccio, “Ero fascista e felice”, intervista, Il Foglio, pasqualericcio. Nel corso dell'inchiesta riferisce di un colloquio avuto conAurigo. Mi disse che gli ordini (le disposizioni relative al 'Piano Solo') contemplavano anche l'ipotesi di una eventuale resistenza da parte del prefetto (gli ordini dicevano che bisognava mettere il prefetto, qualora avesse resistito a questa iniziativa dei carabinieri, in condizioni di non nuocere". Fonte: A. Cannatà, Mimesis, Calabresi e quella firma, su repubblica. Tamburini, Un siciliano a Milano, Longanesi, da ultimo citato da Bortoli su corriere della sera attacchi corriere F. Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo,  e Mazzuca, Penne al vetriolo, Bologna, Minerva,  Nei cui confronti Caracciolo e Benedetti dicono che ebbe un innamoramento, in seguito non più condiviso dallo stesso editore della Repubblica che ormai non lo considerava "un grande politico": intervista alla Stampa. Scrive S.: Gelli è Belfagor, il messaggero del diavolo; ma il diavolo, cioè Belzebù, chi è? Belzebù è, in una certa misura, lo stesso partito socialista, elemento importante di quel quadro politico e di quella inamovibilità". Cannatà, Mimesis, Caro Craxi tu lo sai chi è Belzebù, Repubblica  le invasioni barbariche Voto Renzi perché l'avversario è Grillo, you tube.com, youtube Rep, su rep.repubblica. Mauro dal pulpito di Repubblica officia la democrazia e aspira a diventare papa, Panorama. "Le interviste vanno comunque reinterpretate", su youtube.com.  ll Vaticano ha smentito un’altra intervista di S. a papa Francesco, sIl Vaticano smentisce S. che fa dire al Papa che l'inferno non esiste, su il messaggero. Rep, su rep.repubblica. 1º marzo.  Premio Viareggio, su repubblica Dettaglio Sito del Quirinale: dettaglio decorato., Quirinale:  C. Mauri, Il cittadino, Milano, SugarCo, G. Perna, una vita per il potere, Milano, Leonardo, Cannatà, S. e il suo tempo, Milano-Udine, Mimesis,  Bucci, L'intellettuale dilettante, Roma, Dante Alighieri, Pansa, La Repubblica di Barbapapà, Milano, Rcs Libri, Valentini, La Repubblica tradita, Roma, Paper First,  Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo Editore, Mazzuca, Penne al vetriolo. I grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica, Bologna, Minerva, La Repubblica Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. L'Espresso. Eugenio Scalfari. Scalfari. Keywords: l’implicatura di Teseo, il labirinto, la filosofia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scalfari” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Scarano: la ragione conversazionale e l’implicatura del scenofilace – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brindisi). Filosofo italiano. Studia a Bologna, Padova e a Venezia. Fonda l’Accademia a Venezia. Scrive il saggio “Scenophylax” (Venezia), nel quale tratta della convenienza di restituire alla tragedia e alla commedia la lingua del lazio. P. Camassa, Brindisini illustri, Brindisi, A. Sordo, Ritratti brindisini. Scarano. Keywords: scenofilace – il tragico – il comico – scenofilace, custode, sacristano, custode dei vasi -- siria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scarano” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Scaravelli: la ragione conversazionale -- tra critica e meta-fisica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Si laurea a Pissa sotto CARLINI. Insegna a Roma, e Firenze. Profondo conoscitore di Kant, approfondisce nei suoi studi pubblicati con molta riluttanza e quasi solo per esigenze concorsuali in particolare i temi relativi ai rapporti tra la filosofia kantiana e la fisica, i problemi relativi alla critica del giudizio ed anche i temi dell'idealismo.  Biblioteca personale, Villa Mirafiori. Saggi: “Critica del capire”, Firenze, Sansoni, Saggio sulla categoria kantiana della realta (Firenze, Monnier); La prima meditazione di Cartesio (Firenze, Nuova Italia); “La critica del giudizio” (Pisa, Normale); Corsi, “Critica del capire”; “L'analitica trascendentale” (Firenze, Nuova Italia); “La Biblioteca”; “L' attualità Mirri, Napoli, Sientifiche); Visentin, “Le categorie e la realtà” (Firenze, Le lettere); Sasso, L’idealismo, Napoli, Bibliopolis; La storia come metodo, Convegno a Roma); “Il problema del giudizio storico); Mannelli, Rubbettino, pensatore europeo, Biscuso e Gembillo, Messina, Siciliano, Sasso, il giudizio, in Filosofia e idealismo. Paralipomeni, Napoli, Bibliopolis,  Palermo, Tra critica e metafisica. Lettore di Kant, Pisa, ETS,   Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Biscuso, La  completa dei suoi scritti, su giornale di filosofia. Luigi Scaravelli. Scaravelli. Keywords: paralipomena, la storia della filosofia di Scaravelli, criticismo, critica del capire, giudizio storico, storia come metodo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scaravelli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Scarpelli: la ragione conversazionale della filosofia fascista – Gentile e il fascismo giuridico – Soleri --  il tropico, il clistico, il neustico, ed il frastico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo Italiano. Studioso di analisi del linguaggio. Uno dei massimi esponenti della filosofia analitica, insegnando in varie università italiane anche teoria generale del diritto, dottrine dello stato romano, filosofia morale e filosofia della politica ed occupandosi di problemi di etica e politica. La sua filosofia può essere raccolto attorno a due grandi temi: la semiotica del linguaggio prescrittivo e il metodo. Contribuisce in misura fondamentale alla cosiddetta svolta prescrittivistica in campo semiotico ed è fautore di una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico. Oltre ad approfondire lo studio del metodo del ragionamento morale, si impegna attivamente in relazione a questioni di etica e bio-etica quali per esempio l'aborto e l'eutanasia. Compiute inoltre studi sulla democrazia e i concetti di libertà politica e di partecipazione politica. Da una famiglia pugliese trasferitasi poi in Lucchesia, figlio di un magistrate, frequenta il liceo. Studia a Torino. La sua formazione è all'insegna dell’idealismo dominante in Italia e fondata, tra gli altri, su CROCE e GENTILE. Durante gli anni universitari, desta il suo interesse ALLARA, della scuola civilistica torinese, e la filosofia del diritto. Segue le lezioni del corso di filosofia del diritto di BOBBIO. Si laurea sotto SOLARI con “Il concetto di persona”. Già in questo lavoro lo ricorda BOBBIO nel ritratto dell'allievo rivela un orientamento critico verso le versioni organicistiche della filosofia al tempo in auge. Risale a questo anno la pubblicazione nella Rivista del diritto commerciale di un saggio intitolato “Scienza giuridica e analisi del linguaggio”. In questo saggio precorre il celebre saggio di BOBBIO che porta lo stesso titolo e che è considerato il manifesto della scuola analitica italiana. Prende le distanze dalle correnti filosofiche idealistiche, organicistiche ed attualistiche accreditate sul continente per accostarsi al positivismo logico e, più in generale, alla filosofia analitica e agli studi di semiotica. È tra i primi a proporne una applicazione in campo giuridico e ad evidenziare la rilevanza della analisi del linguaggio per la teoria e la dogmatica giuridica. Assistente di BOBBIO; in seguito, collabora con BOBBIO in seminari, “La giustizia nel materialismo storico” e L’interpretazione giuridica. La giustizia e il marxismo sono temi a cui dedica il saggio intitolato “Esistenzialismo e marxismo” (Taylor, Torino) il quale reca come sottotitolo “sulla giustizia”. Sostene che la filosofia e mondana, legata esclusivamente a ciò che gli uomini sono e fanno al mondo. La scelta e l’impegno sono la basi della esistenza di ciascun uomo. Insegna a Milano un seminario, “La dottrina dello stato italiano”, al fianco di TREVES. Si dedica al “Contributo alla semantica del linguaggio normativo, Accademia delle Scienze, Torino. Insegna a Perugia, Pavia, Torino. Sviluppa “La teoria generale del diritto”, dettagliata fino alla scansione dei paragrafi. Tra i saggi, “La mia meta-etica e la mia esperienza etica” dove ricercar la razionalità interna dell'etica e quella della sua fondazione. Ricopre numerose cariche in istituzioni dedite alla ricerca e partecipa a numerosi convegni, incontri di studio e simposi di rilievo nazionale ed internazionale. Membro del Centro di studi metodologici di Torino e socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino e socio dell'Istituto lombardo Accademia delle scienze e delle lettere. Direttore dell'Istituto per la Scienza per la amministrazione pubblica. Ha fatto parte dei consigli direttivi della Rivista di filosofia del diritto e di Sociologia del diritto. Entra a far parte del comitato di redazione della Rivista di filosofia di cui cura numeri monografici dedicati al concetto di libertà, alla logica deontica e alla bioetica. È stato condirettore della collana diritto e cultura moderna e direttore della collana Luoghi critici per le edizioni di Comunità. Presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica è stato vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica ed è stato nominato presidente onorario della Società italiana di filosofia analitica. Contribuisce alla nascita, dovuta all'iniziativa soprattutto di GEYMONAT, del Centro Studi metodologici di Torino. In qualità di affiliato, riceve il compito di fare una relazione sulla Enciclopedia delle scienze unificate; lavoro a cui fanno seguito negli anni Cinquanta alcuni contributi sulla analisi del linguaggio così come concepita dal movimento del positivismo logico. In questi anni S. si avvicina sempre di più alla filosofia anglosassone e in particolare agli studi oxoniensi sul linguaggio della morale e della politica, partecipando anche ad incontri di studio ad Oxford. Seguendo inizialmente le ricerche di Morris, è fra i protagonisti della cosiddetta svolta linguistica della filosofia italiana. Studia Hare. A Hare – L’IMPLICATURA CONVERSAZIONALE DI GRICE -- dedica alcuni lavori; sono da ricordare anzitutto le note, che in realtà sono ampi saggi di analisi del linguaggio normativo e contributi di meta-etica, ai due saggi di Hare. Intraprende un vivace dibattito sul concetto di libertà politica che porta alla stesura di vari lavori; tra essi, si può ricordare anzitutto il saggio dal titolo Libertà come fatto e come valore  ed il volume La libertà politica.  Si devono a Scarpelli i primi studi in Italia sulla analisi del linguaggio giuridico in cui v'è una sistematica applicazione degli strumenti della semiotica ai suoi tre livelli: la sintattica (lo studio dei rapporti tra i segni), la semantica (lo studio dei rapporti tra i segni e i significati), la pragmatica (lo studio dei rapporti tra i segni e i loro utenti). Tutta la speculazione e la produzione scientifica di S. è basata sulla tesi della grande distinzione tra linguaggio descrittivo e linguaggio prescrittivo; ma negli anni si evolve progressivamente il livello a cui è individuato il tratto differenziale tra l'uno e l'altro, individuato dapprima sul piano pragmatico e poi sul piano semantico. L'esposizione compiuta del pensiero scarpelliano sulla significanza del linguaggio prescrittivo si ha nell'opera del Semantica, morale e diritto, trasfusa nella voce Semantica giuridica. L'idea che il linguaggio prescrittivo (le norme, i comandi, gli ordini, le preghiere, ecc.) abbiano significato trae origine dalla distinzione tra il principio di significanza e il principio di verificazione. Alcuni spunti in tal senso sono rintracciabili già nel Contributo alla semantica del linguaggio normativo il cui nucleo concettuale ancora vicino al positivismo logico sta nell'intuizione che gli enunciati normativi, quantunque non possano essere verificati o falsificati, debbano nondimeno riferirsi alla realtà. Questa idea è alla base anche del libro Cos'è il positivismo giuridico in cui propone una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico, criticando sia la versione bobbiana del positivismo giuridico come approach sia la versione proposta da Hart. Altri saggi: Guastini, Variazioni su temi , Con un'appendice bibliografica, in «Materiali per una storia della cultura giuridica italiana». “Filosofia analitica”, Donatelli e Floridi (Lithos, Roma), con anche l'indicazione delle note sul “Monitore dei Tribunali” e dei saggi comparsi su alcuni giornali, quotidiani e periodici: “L'Opinione”, “Panorama”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Mondo economico”); Jori, i«Rivista idi filosofia del diritto», Bobbio, La mia Italia, Polito, Passigli, Firenze,  Semantica del linguaggio normativo, in Filosofia del diritto (Lucia), Cortina, Milana. Altri saggi: “Filosofia analitica e giurisprudenza” (Istituto Cisalpino, Milano); “Il problema della definizione e il concetto di diritto” (Istituto Cisalpino, Milano); “Filosofia analitica, norme e valori” (Comunità, Milano); “Validità, legittimità, effettività del diritto, e positivismo giuridico” (Cluep, Perugia); “Cos'è il positivismo giuridico” (Comunità, Milano); “Diritto e analisi del linguaggio” (Comunità, Milano); “Letture filosofiche e politiche. Introduzione agli studi politici” (Cisalpino-Goliardica, Milano); “Linguaggio e legge naturale. Il tempo e la pena” (Giuffrè, Milano); “L'etica senza verità” (Mulino, Bologna); “La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a  BOBBIO” (Comunità, Milano); “Il linguaggio del diritto” (Led, Milano); “Bioetica Laica” (Mori, Milano); “Scienza del diritto e analisi del linguaggio” (“Rivista del diritto commerciale”); “Giurisprudenza italiana”; “L'Unità della scienza”; Rivista di filosofia, Il giudice e la legge, Occidente; “Il potere giurisdizionale nello stato e in particolare nella costituzione italiana”; “Liberalismo e democrazia nella Costituzione italiana”; “Occidente. Rivista di studi politici”; “Elementi di analisi della proposizione giuridica”. Jus, Congresso di studi metodologici promosso dal Centro di Studi metodologici, Ramella, Torino); “Diritto naturale vigente” Occidente. Rivista di studi politici, “Alcuni problemi della teoria analitica del valore” Rivista di filosofia); “Linguaggio valutativo e prescrittivo” (Jus); “La Filosofia di Gentile” (Ramella, Torino); Responsabilità del magistrato, Occidente. Rivista di studi politici); “Behaviourism, positivismo logico e fascismo” (Rivista di cultura e di politica); “Il grande cambiamento”, Rivista di cultura e di politica, Etica e linguaggio, Rivista di filosofia, “Società e natura” (Rivista idi filosofia del diritto); “Il concetto di SEGNO” (Rivista di filosofia); “L’analisi del linguaggio, Rivista di filosofia, La natura della metodologia giuridica, Rivista di filosofia del diritto (incluso anche in Filosofia e scienza del diritto. Atti del II Congresso nazionale di filosofia del diritto (Giuffrè, Milano), La «Filosofia del diritto» di Sforza, Rivista di diritto civile, I compiti della filosofia del diritto, in La ricerca filosofica nella coscienza delle nuove generazioni, Carlo Arata e altri, Mulino, Bologna, I fondamenti e il metodo della analisi del linguaggio, in Il pensiero contemporaneo. Filosofia, epistemologia, logica, Rossi-Landi, Comunità, Milano, Retribuzione (Enciclopedia Filosofica, Sansoni, Firenze);  La definizione nel diritto, Jus); “Imperativi e asserzioni (Grice: “Or is it indicatives and imperatives?”) Rivista di filosofia, La libertà, la democrazia e il magistrato, Monitore dei Tribunali,  Relazione, in Dibattito bolognese sui valori, Edizioni di Filosofia, Torino,  Libertà, ragione e giustizia, Rivista di filosofia, Marxismo, sociologia neopositivistica e lotta delle classi, Quaderni di Sociologia, Il permesso, il dovere e la completezza degli ordinamenti normativi (a proposito di un libro di Amedeo G. Conte), Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, La dimensione normativa della libertà, Rivista di filosofia, 1Positivismo logico e società contemporanea, Rivista di filosofia, Libertà come fatto e come valore, Rivista di filosofia, Illuminismo e legislazione, La Magistratura, La proposizione giuridica come precetto re-iterato, Rivista di filosofia del diritto, Quaderni della Rivista “Il politico”; Il positivismo giuridico (Pavia), Milano, Giuffrè, L'educazione del giurista, Rivista di diritto processuale, Semantica giuridica, voce del Novissimo digesto italiano, POMBA, Torino (Semantica, morale e diritto, Giappichelli, Torino); Problemi e idee circa l'insegnamento del diritto; Gruppo di lavoro per il diritto, Pugliese, in Le scienze dell'uomo e la riforma universitaria, Laterza, Bari,  I magistrati e le tre democrazie, Rivista di diritto processuale, Le argomentazioni dei giudici: prospettive di analisi, Il Foro italiano, suppl. ai Quaderni. La formazione extralegislativa del diritto nell'esperienza italiana. Atti delle giornate di studio di Ancona, “Moore in Italia,” (cf. Luigi Speranza, “Grice in Italia”), Rivista di filosofia,  La grande divisione e la filosofia della politica, introduzione a Oppenheim, Etica e filosofia politica (Mulino, Bologna); Il metodo giuridico, Rivista di diritto processuale  (riedito come voce della Enciclopedia Feltrinelli-Fisher. Diritto, Crifò, Feltrinelli, Milano); Dovere morale, obbligo giuridico, impegno politico, Rivista di filosofia, Studi sassaresi, Giuffrè, Milano); Impegno politico e conoscenza sociologica, Quaderni di Sociologia, Il diritto nella società industriale: una strategia di accostamento, Rivista di diritto processuale; Il diritto della società industriale. Obbligazione politica e libertà di coscienza. Convegno, Società italiana di Filosofia giuridica e politica (Pergia), Giuffrè, Milano, Dizionario di filosofia, Mondadori, Milano, La facoltà di scienze politiche di Milano e il potere negativo, Politica del diritto, Autonomia e diritto di resistenza, Studi sassaresi, Giuffrè, Milano, Insegnamento del diritto, filosofia del diritto e società in trasformazione, Rivista di diritto pubblico, L'educazione giuridica, Libreria Universitaria, Perugia,  Per una sociologia del diritto come scienza, Sociologia del diritto, La sociologia del diritto: un dibattito, Giuffrè, Milano, e in Diritto e trasformazione sociale, Laterza, Bari, La conoscenza sociologica, Sociologia del diritto, Etica, linguaggio e ragione, Convegno Nazionale di Filosofia (Pavia), Società filosofica italiana, Roma, Democrazie e competenze, Amministrare (Giuffrè, Milano); Introduzione. La Filosofia. La filosofia dell'etica. La filosofia del diritto di indirizzo analitico in Italia e Introduzione all'analisi delle argomentazioni dei giudici, in Diritto e analisi del linguaggio, Milano, Comunità); Il sistema giuridico, Sociologia del diritto, Etica, linguaggio e ragione, Rivista di filosofia, Convegno del PSI di Milano, in I socialisti e la cultura. Materiali e contributi per una politica culturale alternativa (Marsilio, Venezia); Le condizioni meta-giuridiche della partecipazione, Convegno di Studi di Scienza dell'amministrazione, Giuffrè, Milano  L’entità strane dette norme” ed i guastini di Guastini, Sociologia del diritto, Romano, teorico conservatore, teorico progressista, in Le dottrine giuridiche di oggi e l'insegnamento di Romano, Biscaretti di Ruffìa, Giuffrè, Milano,  La partecipazione popolare nella Costituzione repubblicana: prevenzione sociale e controllo della criminalità. Convegno di Senigallia, Giustizia e Costituzione, IDizionario di sociologia, in Milano, Sala del Grechetto, pubblicata in POMBA Panorama di Lettere e Scienze, Hobbes e l'obbligazione politica come obbligazione in coscienza” (Giuffrè, Milano); Idea dell'università e diritto allo studio, Il diritto allo studio nel quadro dei rapporti fra Università e Regione, Quaderni della Regione Lombardia, Teoria formale o teoria strutturale del diritto. Per la dissoluzione della metafora formalistica” (Giuffrè, Milano); La partecipazione politica, Sociologia del diritto, La meta-etica e la sua rilevanza etica, Rivista di filosofia,  Intervento in Giudici separati? Magistratura, società e istituzioni, Convegno Emilio Alessandrini (Senigallia), Giustizia e Costituzione, La critica analitica a Kelsen, Rivista di filosofia (La cultura filosofico-giuridica del novecento, Roehrssen, Istituto delle Enciclopedia italiana, Roma); La responsabilità politica, Società Italiana di Filosofia giuridica e politica. Pavia (Giuffrè, Milano); Responsabilità politica o virtù repubblicana, in Garanzie processuali o responsabilità del giudice, Angeli, Milano, Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà, visione dell'uomo, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Interventi (pubblicati senza essere rivisti dall'autore) nella giornata di studi su Le ragioni della libertà: degenerazione dello stato burocratico e risposte neoliberali per l'Italia, Einaudinotiziecircolare ai soci della Fondazione Einaudi, Il tempo e la pena, in Piacere e felicità: fortuna e declino. Atti del Convegno di studiosi di Filosofia morale (Chiavari-S. Margherita Ligure), Crippa, Liviana, Padova, Filosofia e diritto, in La cultura filosofica italiana nelle sue relazioni con altri campi del sapere. Atti del convegno di Anacapri, Guida Editori, Napoli,  Leoni e l'analisi del linguaggio, Il politico. Rivista italiana di Scienze politiche,  La democrazia e il segreto, in Il segreto nella realtà giuridica italiana. Atti del convegno nazionale, Roma, Milani, Padova, La teoria generale del diritto: prospettive per un trattato, in La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Bobbio, S. Comunità, Milano,  L'interpretazione premesse alla teoria dell'interpretazione giuridica, in Società norme e valori” (Giuffrè, Milano); “Auctoritas non veritas facit legem, in Linguaggio persuasione verità: atti del Congresso nazionale di filosofia tenutosi in Verona, Milani, Padova  (anche in Rivista di filosofia,  Intervento in Il Welfare State possibile. Saggi e interventi di Barone, prefazione di Enrico Mattei, Le Monnier, 1 Scienze dell'uomo e potere sull'uomo: oltre la libertà e la dignità, in Baudrillard e altri, Sapere e potere, I, Viviana Conti, Multhipla edizioni, Milano, Un filosofo a disagio, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie, Voci: Diritto, Interpretazione, Istituzione, Norma, Validità, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, Le discipline e  I concetti (POMBA, Torino); Le porte della stalla, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, Gli orizzonti della giustificazione, Rivista di filosofia; Etica e diritto (Laterza, Roma); Scienza, sapere, sapienza, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Di alcune difficoltà culturali e di una tentazione perversa inerenti ai “diritti degli animali”, in “I diritti degli animali”. Atti del convegno nazionale Genova, Castignone e Battaglia, Centro di Bioetica, Genova, La filosofia nella Facoltà di Giurisprudenza, Rivista di filosofia, La bioetica. Alla ricerca dei principi, in Biblioteca della libertà, Un modello di ragione giuridica: il diritto reale razionale, Faralli e Pattaro (Giuffrè, Milano); Dalla legge al codice, dal codice ai principi” (Accademia delle Scienze di Torino. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche (Rivista di filosofia). La Camera di consiglio come scuola, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, Cosmo e universo, in Corpo e cosmo nell'esperienza morale. Atti del Convegno tra studiosi di Filosofia morale (Pietrasanta), Romeo Crippa, Padeia, Brescia,  Eutanasia. Intervista, Hospital,  Il concetto di libertà politica in Entreves, Rivista di filosofia del diritto, Amministrazione della giustizia, rapporti umani e funzioni del diritto, in Amministrazione della giustizia e rapporti umani. Convegno di Sassari, Maggioli, Rimini, BECCARIA e l'Italia civile, L'Indice penale, Classi logiche e discriminazione fra i sessi, Lavoro e diritto, Hobbes e lo stato totalitario, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie (intervento nella Tavola Rotonda su Attualità e presenza di Hobbes, in Hobbes oggi, A. Napoli, FrancoAngeli, Milano, Introduzione ai lavori in Interpretazione e decisione. Diritto ed economia. Atti del XVI Congresso nazionale della Società italiana di Filosofia giuridica e politica (Padova), F.  Gentile, Giuffrè, Milano, Intervento in Diritto di sciopero, autonomia collettiva ed intervento del legislatore (Viareggio), Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Il diritto pubblico italiano di S. Romano, Materiali per una storia della cultura giuridica,  Il positivismo giuridico rivisitato, Rivista di filosofia,  La bioetica: alla ricerca dei principi” (Giuffrè, Milano); Bioetica: prospettive e principi fondamentali, in La bioetica. Questioni morali e politiche per il futuro dell'uomo, Convegno, Roma, Bibliotechne, Milano, I compiti dell'etica laica nella cultura italiana di oggi, Notizie di Politeia, Relazione su  Stevenson, ‘Ethics and Language', in Il neo-illuminismo italiano. Cronache di filosofia, Pasini e Rolando, Il Saggiatore, Milano,  Diritti positivi, diritti naturali: un'analisi semiotica, in Diritti umani e civiltà giuridica. Convegno a Perugia, Caprioli e Treggiari, Stabilimento Tipografico Pliniana Perugia, Etica della libertà, Bioetica. Rivista interdisciplinare,  Filosofia del diritto, in La Filosofia,  Le filosofie speciali, diretta da Pietro Rossi, Torino, POMBA, Il linguaggio giuridico: un ideale illuministico, in Nomografia. Linguaggio e redazione delle leggi. Contributi al seminario promosso dalla Banca d'Italia e dalla prima cattedra di filosofia del diritto dell'Milano, Di Lucia (Giuffrè, Milano); La mia meta-etica e la mia esperienza etica, in Scritti per S., Gianformaggio e Jori, Giuffrè, Milano, Il linguaggio e la politica dei giuristi, Notizie di Politeia, Sui compiti della filosofia del diritto, Notizie di Politeia, Formanti, dSentenza del Tribunale di Milano, soc. Acc. Compra Vendita immobili S.A.C.V.I. c. Della Beffa, su Locazione di cose, Locazione di immobili urbani, Proroga ecc., in Giurisprudenza,  Nota a sentenza Degli effetti dell'abolizione del commissariato alloggi e di una possibile applicazione dell'azione surrogatoria, Il Foro Padano, Note bibliografiche a Renato Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Jovene, Napoli, Carattere della prestazione e carattere dell'interesse, Rivista del diritto commerciale, Tacita riconduzione e novazione, Rivista del diritto commerciale, Il cosiddetto conflitto tra diritti personali di godimento e l'art. del codice civile, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, I discorsi politici, Roma,in Quaderni di Sociologia, Recensione a Bellezza, L'esistenzialismo positivo di GENTILE, Firenze, Rivista di filosofia, Piovesan, Analisi filosofica e fenomenologia linguistica, Padova, e Lumia, Empirismo logico e positivismo giuridico, Milano, in Rivista di filosofia. Pasquinelli, Nuovi principi di epistemologia, Milano, in Rivista di filosofia, Introduzione alla semantica, Bari, in Rivista di filosofia, Recensione a Antiseri, Dopo Wittgenstein: dove va la filosofia analitica, Roma, in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Orecchia, La filosofia del diritto nelle università italiane: Saggio di bibliografia, Milano,  in Rivista di filosofia, Logica simbolica e diritto, Milano, in Rivista di filosofia. Rivista di filosofia, Recensione a FannSymposium on L. J. Austin, London, Rivista di filosofia, Recensione a Gulotta, Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano. Uberto Scarpelli. Scarpelli. Keywords: fascismo, la filosofia di Giovanni Gentile – la difensa di Scarpelli contro Solari, “Behaviourism, positivism logico e fascismo” nell “Mulino”, Hare, Stevenson, Grice -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scarpelli” –  The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Scevola: la ragione conversazionale del pontefice – divisione – dal portico? -- la nascita della giurisprudenza come rama della filosofia politca -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Questore, tribuno della plebe, pretore, console, proconsole d’Asia e si attira, per la sua giustizia e il suo disinteresse, l'affetto dei provinciali e l’odio dei cavalieri romani, che accusarono il suo legato Rutilio Rufo, che egli difese. Pontefice massimo. Cadde vittima delle lotte civili. Giurista insigne. Compose libri XVIII juris civilis, in cui per la prima volta tenta una trattazione sistematica dell’argomento, e un’opera intitolata "Horoi," che contiene definizioni di concetti e di rapporti giuridici. E molto ricercato il suo insegnamento di diritto. Insegna, derivandola, pare, da Panezio di Rodi, la distinzione di tre teologie, ripresa da Varrone: teologia poetica (falsa), teologia ufficiale (falsa) e teologia naturale (vera). Console. Giuristi romani e politici romani. Console della Repubblica romana. Gens: Mucia. Tribuno della plebe, pretore, consolae Pontificato max. Filosofo del portico, giurista e politico romano. Me ad pontificem Scaevolam contuli, quem unum nostrae civitatis et ingenio et iustitia praestantissimum audeo dicere.” Mi sono recato da Scevola pontefice, che oso dire superiore per ingegno e rettitudine a tutti i nostri concittadini. -- CICERONE, Laelius de amicitia. Appartenente alla gens Mucia, è considerato uno dei più grandi giuristi della storia del diritto romano e in parte l'artefice dell'introduzione, nella giurisprudenza romana, del metodo dialettico e diairetico, mutuato dalla filosofia. Questore, tribuno della plebe, pretore, console - insieme a Lucio Licinio Crasso, pro-console e pontefice massimo. Durante il consolato promulga la “lex Licinia Mucia”, che fissa dei rigidi limiti al conseguimento della cittadinanza da parte degl’italici. Fra le sue opere letterarie si ricordano gl’ “Horoi,” titolo in greco che corrisponde al latino definitiones, e i Libri XVIII iuris civilis. Quest'ultima opera può considerarsi il primo manuale sistematico di diritto civile basato sull'impiego delle categorie liceali di genus e species, preso a base di trattazioni civilistiche posteriori che ne seguivano la sistematica – il cosedetto “sistema muciano”), i cosedetti “libri ad Quintum Mucium”, tanto che e il più antico giurista compendiato nei “Digesta del Corpus iuris civilis” e il primo in ordine di apparizione nell'Index Florentinus.  Ce ne fornisce notizia il giurista Sesto Pomponio in un brano dell'opera “Enchiridion” conservatoci dal Digesto giustinianeo: Post hos Quintus Mucius Publii filius pontifex maximus ius civile primus constituit generatim in libros XVIII redigendo”. Sempre Pomponio annovera tra i discepoli di S. illustri giuristi romani: Aquilio Gallo, Lucio Lucilio Balbo, Sesto Papirio, Gaio Giuvenzio, e Servio Sulpicio. Venne soprannominato "Il pontefice" per distinguerlo dal cugino, S. detto l'"Augure".  Morì sotto il consolato di Gneo Papirio Carbone e Gaio Mario il Giovane, ucciso nel tempio di Vesta dai seguaci di quest'ultimo. Digesto, Pomponius libro singulari enchiridia. S. su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. S. su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore Gaio Cassio Longino e Gneo Domizio Enobarbo con Lucio Licinio Crasso Gaio Celio Caldo e Lucio Domizio Enobarbo Predecessore Pontefice massimo Successore Gneo Domizio Enobarbo Quinto Cecilio Metello Pio Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Diritto Categorie: Giuristi romani Politici romani Giuristi Consoli repubblicani romani Mucii Pontefici massimi. MUZIO. There are at least III philosophical jurists by the family name of MUZIO. The most prominent among them is S., a pontifes maximus who is consul. He is an outstanding jurist. His treatise on ius civile (DEFINITIONES) is the most important juristic work written under the republic. It is the first attempt of a systematic presentation of law and is commented on by later jurists (Gaius, Pomponius). The SISTEMA MUZIANO is adopted by several writers on ius civile. His predecessors are S., consul, ALSO a pontefice massimo, and S., consul, an AUGUR and teacher of law -- Cicerone attended his lectures. As jurists they are of lesser importance in the history of Roman jurisprudence, but as philosophical jurists, the augur’s utterance shines bright! Kübler e Münzer, RE, Orestano, NDI, Lepointe, “S.” Paris, Bruck, Sem., Kreller, ZSS on S: Münzer;  on S. the augur: Münzer . About the method of dividing the material into kinds, the excerpt from Pomponius's Handbook in Digest tells us that MUZIO becomes the first man to divide the civil law into kinds by arranging it in XVIII books. The result would eventually be - as Schiavone put it – a metaphysics of social relations, reduced to a defined number of archetypal models. Here, Pomponius' account appears reliable enough. Elsewhere examples of S.’s divisions survive. In Gaius' Teaching Manual, Lenel. S.’s division of kinds of tutela is preserved. From this it can be seen how many kinds of TUTELA there are. Some, like S., have said that there are V kinds. Others, like Servio, that there are III. Others, like Labeo, II . In Digest, from Paulus, On the Edict, Lenel, S.’s division with regard to the legal notion of “possessio” has been preserved, albeit in a hostile version. Paolo: “What S. includes among the kinds of possession is truly absurd – not just absurd.” Quinto Muzio Scevola. Keywords: sistema muziano. Scevola.

 

Grice e Scevola: la ragione conversazionale dell’augure -- MIHI AGMINA MILITVM QVIBVS CVRIAM CIRCVMSEDISTI LICET MORTEM IDENTIDEM MINITERIS NVMQVAM TAMEN EFFICIES VT PROPTER EXIGVVM SENILEMQVE SANGVINEM MEVM MARIVM A QVO VRBS ET ITALIA CONSERVATA EST HOSTEM IVDICEM – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Console della repubblica romana. Augure. Gens: Mucia. Edile, tribuno della plebe, pretore, console. Politico romano vissuto durante il periodo della repubblica ed un esperto di diritto romano. Da non confondere col pontifice, autore degl’ “Annales Maximi.” Venne educato in legge dal padre e in filosofia da Panezio di Rodi, filosofo del portico. Venne eletto tribune, edile, e pretore. Inviato come governatore nelle province dell'Asia ,inore. Tornato a Roma, dove difendersi da un'accusa di estorsione rivoltagli da Tito Albucio da cui riusce a difendersi. Venne eletto console. S. ha grande interesse per la legge e gl’affari all'interno di Roma. Trasmitte la sua conoscenza del diritto romano ad alcuni dei più famosi oratori di quei tempi, tra cui Cicerone e Attico. Difende Gaio Mario dalla mozione di Silla che lo vuole rendere nemico del popolo, asserendo che mai avrebbe approvato un tale disonore per un uomo che aveva salvato Roma. Cicerone utilizza la figura del suo maestro come interlocutore in tre opere: “De oratore”, “De amicitia”, e “De re publica”. S., su sapere.it, De Agostini. S. su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Predecessore Console romano Successore Marco Porcio Catone e Quinto Marcio Re con Lucio Cecilio Metello Diademato Quinto Fabio Massimo Eburno e Gaio Licinio Geta. Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Politici romani Consoli repubblicani romani Mucii Auguri Governatori romani dell'Asia.  Gaio Mario. Se stai cercando il figlio di Gaio Mario, vedi Gaio Mario il Giovane. Considerata la caratura del personaggio e l'abbondanza di fonti, il numero di riferimenti puntuali inseriti nel testo è particolarmente desolante Sebbene vi siano una bibliografia e/o dei collegamenti esterni, manca la contestualizzazione delle fonti con note a piè di pagina o altri riferimenti precisi che indichino puntualmente la provenienza delle informazioni. Puoi migliorare questa voce citando le fonti più precisamente. Gaio Mario, Console della Repubblica romana. Presunto busto di Gaio Mario, Gliptoteca di Monaco. Morte: Roma. Figlio: Gaio Mario il Giovane Gens: Maria Tribunato della plebe, Pretura, Legatus legionis, Consolato, Proconsolato in Africa. Nasce a Cereatae. Etnia: Romano. Dati militari Paese servito: Repubblica Romana Forza armata: Esercito romano Arma: Fanteria Grado: Imperator, Dux ovvero comandante in capo Guerre: Guerre cimbriche Guerra giugurtina Guerra sociale Guerre mitridatiche Guerra civile tra Mario e Silla. Battaglie: Battaglia di Aquae Sextiae Battaglia dei Campi Raudii Assedio di Numanzia Altre cariche: Console della Repubblica romana voci di militari;  C·MARIVS·C·F·C·N. Generale e politico romano, per VII volte console della Repubblica romana.  Lo storico Plutarco gli dedicò una delle sue Vite parallele, raffrontandolo al re d'Epiro Pirro. È comunemente noto per la rivalità con Lucio Cornelio Silla.  La carriera di Gaio Mario è particolarmente emblematica della situazione sociopolitica della tarda repubblica romana, in quanto si sviluppa attraverso fatti e circostanze che, in seguito, porteranno alla caduta della stessa. Mario era un homo novus, cioè proveniente da una famiglia italica che non faceva parte della nobiltà romana, e seppe distinguersi e giungere alla ribalta della vita pubblica di Roma per merito della propria competenza militare. L'oligarchia dominante fu perciò costretta, suo malgrado, a cooptarlo nel proprio sistema di potere. A causa del verificarsi di una situazione di grande pericolo per la minaccia di invasioni su larga scala, gli si dovette concedere un potere militare senza precedenti nella storia di Roma, e questo a scapito del rispetto delle leggi e delle tradizioni vigenti, che dovettero essere adattate alla nuova situazione di emergenza. Alla fine fu varata una profonda riforma della leva militare, che in passato raccoglieva solamente proprietari terrieri, e che da allora fu aperta anche a cittadini provenienti dalle classi dei nullatenenti. Nel lungo termine questa riforma ebbe l'effetto di cambiare in modo radicale e irreversibile la natura dei rapporti fra l'esercito e lo Stato. Gaio Mario nacque ad Arpinum, precisamente nella zona che ancora oggi porta il suo nome, Casamari -- in una zona chiamata Cereatae, nell'attuale comune di Veroli. La città, d'antica origine volsca, era stata conquistata dai Romani verso la fine del VI secolo a.C., e aveva ricevuto la cittadinanza romana senza diritto di voto -- civitas sine suffragio -- e soltanto nel 188 a.C. le vennero concessi i pieni diritti civili. Plutarco riferisce che il padre era un manovale, ma la notizia non è confermata da altre fonti, e tutto lascia pensare che sia falsa. Infatti i Marii intrattenevano importanti relazioni con gli ambienti della nobiltà romana, partecipavano da protagonisti alla vita politica della loro cittadina e appartenevano all'ordine equestre. Le difficoltà che incontrò agli esordi della sua carriera a Roma dimostrano semmai quanto fosse arduo per un homo novus affermarsi nel novero dell'alta società romana dell'epoca.  Si distinse per le notevoli attitudini militari dimostrate in occasione dell'assedio di Numanzia, in Spagna, tanto da farsi notare da Publio Cornelio Scipione Emiliano, soprannominato Africano Minore. Non è dato sapere con certezza se venne in Spagna al seguito dell'esercito di Scipione, oppure se si trovasse già in precedenza a servire nel contingente che, con scarso successo, da tempo cingeva d'assedio Numanzia. Sta di fatto che Mario parve fin dall'inizio molto interessato a far carriera politica in Roma stessa. Infatti si candidò per la carica di tribuno militare di una delle 4 prime legioni -- in tutto i tribuni elettivi sono XXIV, mentre tutti gl’altri venneno nominati dai magistrati preposti agli arruolamenti. Lo storico Sallustio ci informa che il suo nome era del tutto sconosciuto agli elettori, ma che alla fine i rappresentanti delle tribù lo elessero per merito del suo eccellente stato di servizio e su raccomandazione di Scipione Emiliano. Successivamente si ha notizia di una sua candidatura alla carica di questore ad Arpino. È probabile che egli utilizzasse le posizioni di comando ad Arpino per raccogliere dietro di sé un consistente numero di clienti su cui fare affidamento per le successive mosse che aveva in animo di compiere. Tuttavia sono solo congetture in quanto nulla si conosce della sua attività come questore. Nel 120 a.C. Mario fu eletto tribuno della plebe. A quanto sembra si era già candidato alla carica, ma senza successo. Un ruolo determinante ebbe, nell'occasione, il sostegno della potente famiglia dei Cecilii Metelli, verso i quali probabilmente aveva un rapporto di clientela. Durante il suo tribunato Mario perseguì una linea vicina alla fazione dei popolari, facendo in modo che venisse approvata, fra l'altro, una legge che limitava l'influenza delle persone di censo elevato nelle elezioni. Infatti, era stato introdotto il metodo del ballottaggio scritto nelle elezioni per le nomine dei magistrati, per l'approvazione delle leggi e per l'emanazione delle sentenze legali, in sostituzione del metodo tradizionale di votazione orale. Poiché i nobiles cercavano sistematicamente di influenzare l'esito dei ballottaggi con la minaccia di controlli e ispezioni: Mario fa approvare un'apposita legge tabellaria – “Lex Maria de suffragiis ferendis” -- per restringere i ponti sui quali passavano gli elettori per votare, in modo che non si potesse controllare la loro scheda di voto: fece costruire uno stretto corridoio da cui i votanti dovevano passare per depositare il proprio voto nell'urna, in modo che fossero al riparo dagli sguardi indiscreti degli astanti e dagli eventuali tentativi di manipolazione. Questa sua azione provocò il deteriorarsi dei rapporti tra Mario e la potente famiglia dei Metelli, di cui gli esponenti della famiglia di Mario erano clientes per tradizione. Successivamente Mario si candidò per la carica di edile plebeo, ma senza successo. Riusce, di stretta misura, a farsi eleggere pretore per l'anno successivo (a quanto pare si classificò solo al sesto posto su sei), e fu immediatamente accusato di brogli elettorali -- il termine latino è ambitus. Riuscito a malapena a farsi assolvere da questa accusa, esercitò la carica senza che si verificassero avvenimenti degni di particolare menzione. Terminato il mandato ricevette il governatorato della Spagna ulteriore, dove fu necessario intraprendere alcune campagne militari contro le popolazioni celtiberiche mai del tutto sottomesse. Il governatorato e le guerre gli fruttarono ingenti ricchezze personali, come sempre accadeva ai comandanti romani. Le vittorie ottenute gli permisero, tornato a Roma, di richiedere e ottenere il trionfo. La carriera di Mario non sembrava destinata a grandi successi. Gli è proposto un matrimonio con una giovane esponente dell'aristocrazia, Giulia Maggiore, sorella del senatore Gaio Giulio Cesare il vecchio e futura zia di Giulio Cesare. Mario accetta, divorziando dalla sua prima moglie Grania di Pozzuoli. La gens Iulia era una famiglia patrizia di antichissime origini -- fa risalire la propria discendenza a Iulo, figlio di ENEA, e Venere, dea della bellezza --, ma, nonostante ciò, i suoi appartenenti avevano, per ragioni finanziarie, notevoli difficoltà a ricoprire cariche più elevate di quella di pretore (solamente una volta, nel 157 a.C. un Giulio Cesare era stato console). Il matrimonio permise alla famiglia patrizia di rimettere in sesto le proprie finanze e diede a Mario la legittimità per candidarsi al consolato. Il figlio che ne nacque e Gaio Mario il Giovane. Legato di Metello. Moneta raffigurante Giugurta, il re numida, nemico di Roma. La famiglia di Mario era per tradizione cliente dei Metelli, e Cecilio Metello aveva appoggiato la campagna elettorale di Mario per il tribunato. Sebbene i rapporti con i Metelli si fossero in seguito deteriorati, la rottura non dovette essere definitiva, tanto è vero che Q. Cecilio Metello, console., prese con sé Mario come suo legato nella campagna militare contro Giugurta. I legati erano originariamente semplici rappresentanti del Senato, ma, gradualmente, era invalso l'uso di adibirli a compiti di comando alle dipendenze dei comandanti generali. Quindi, molto probabilmente; Metello ottenne che il Senato nominasse Mario legato, in modo che potesse servire alle sue dipendenze nella spedizione che si accingeva a compiere in Numidia. Nel lungo e dettagliato racconto che Sallustio ci fa di questa campagna militare, non si fa menzione di altri legati, e ciò lascia pensare che Mario fosse quello di rango più elevato, nonché braccio destro dello stesso Metello. Questo rapporto conveniva a entrambi, in quanto, mentre Metello si avvantaggiava dell'esperienza militare di Mario, questi rafforzava le sue possibilità di aspirare in seguito al consolato. Va osservato che, se la gravità della rottura con Metello., alla luce di quanto avvenne in seguito, fu probabilmente riferita in modo esagerato, quella che si determinò riguardo alla condotta della guerra in Numidia fu invece molto più seria e foriera di conseguenze. Mario si convinse che i tempi fossero maturi per candidarsi alla carica di console. A quanto pare chiese a Metello il permesso di recarsi a Roma per portare a termine il proprio proposito, ma Metello gli raccomandò di astenersi, e probabilmente gli consigliò di aspettare il tempo necessario per potersi candidare insieme con il figlio ventenne dello stesso Metello, cosa che avrebbe rimandato tutto di almeno venti anni. Mario fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco, ma nel frattempo, durante tutta l'estate del 108, fece in modo di guadagnarsi il favore della truppa, allentando notevolmente la rigida disciplina militare, e di accattivarsi anche i commercianti italici del posto, ansiosi di intraprendere i propri lucrosi traffici, assicurando a tutti che, se avesse avuto mano libera, avrebbe potuto, in pochi giorni e con la metà delle forze a disposizione di Metello, concludere vittoriosamente la campagna con la cattura di Giugurta.  Entrambi questi influenti gruppi si affrettarono a inviare a Roma messaggi in appoggio di Mario, con cui si suggeriva di affidargli il comando, e si criticava Metello per il modo lento e inconcludente con cui stava conducendo la campagna militare. In effetti la strategia di Metello prevedeva una lenta, metodica e capillare sottomissione di tutto il territorio. Alla fine Metello dovette cedere, rendendosi conto, a ragione, che non gli conveniva mettersi contro un subordinato tanto influente e vendicativo. In queste circostanze è facile immaginare il modo trionfale con cui Mario, alla fine del 108, fu eletto console per l'anno successivo. La sua campagna elettorale fece leva sull'accusa, rivolta a Metello, di scarsa risolutezza nel condurre la guerra contro Giugurta.  Viste le ripetute sconfitte militari subite, nonché le accuse di spudorata corruzione rivolte a molti esponenti dell'oligarchia dominante, è facile comprendere come l'onesto uomo fattosi da sé, e affermatosi percorrendo faticosamente tutti i gradini della carriera, fu eletto a furor di popolo, essendo visto come l'unica alternativa a una nobiltà divenuta corrotta e incapace. Tuttavia il Senato aveva ancora un asso nella manica. Infatti, la lex Sempronia de provinciis consularibus stabiliva che il Senato aveva facoltà di decidere ogni anno quali province dovessero essere affidate ai consoli per l'anno successivo. Alla fine dell'anno, e appena prima delle elezioni, il Senato decise di sospendere le operazioni contro Giugurta e di prorogare a Metello il comando in Numidia. Mario non si perse d'animo e si servì di un espediente già sperimentato. Si era stati, infatti, in disaccordo su chi avrebbe dovuto comandare la guerra contro Aristonico in Asia, e un tribuno aveva fatto approvare una legge che autorizzava un'apposita elezione per decidere a chi affidare il comando (per la verità c'era stato un altro precedente in occasione della seconda guerra punica). Mario fece approvare una legge simile, risultando eletto a grande maggioranza. Metello ne fu profondamente offeso, tanto che, al suo ritorno, non volle nemmeno incontrarsi con Mario, dovendosi accontentare del trionfo e del titolo di Numidico che gli vennero generosamente concessi. Moderna ricostruzione di un centurione romano. Mario riformò l'esercito dell'epoca allargando il reclutamento a tutti i cittadini romani.  Lo stesso argomento in dettaglio: Riforma mariana dell'esercito romano, Esercito romano e Legione romana. Mario aveva un estremo bisogno di raccogliere truppe fresche e, a questo scopo, introdusse una profonda riforma del sistema di reclutamento, foriera di conseguenze di un'importanza di cui lui stesso, al momento, probabilmente non comprese la portata. Tutte le riforme agrarie attuate dai Gracchi si basavano sul tradizionale principio secondo cui erano esclusi dal servizio di leva i cittadini il cui reddito era inferiore a quello stabilito per la quinta classe di censo. I Gracchi, con le loro riforme, avevano cercato di favorire i piccoli proprietari terrieri, che da sempre avevano costituito il nerbo degli eserciti romani, in modo da fare aumentare il numero di quelli che avevano i requisiti per essere arruolati. Nonostante i loro sforzi, tuttavia, la riforma agraria non risolse la crisi del sistema di arruolamento, che aveva avuto lontana origine dalle sanguinose guerre puniche del secolo precedente. Si cercò quindi di trovare una soluzione semplicemente abbassando la soglia minima di reddito per appartenere alla quinta classe da 11.000 a 3.000 sesterzi, ma nemmeno questo fu sufficiente, tanto che i consoli erano stati costretti a derogare dalle restrizioni sugli arruolamenti imposte dalle leggi graccane. Mario ruppe ogni indugio e decise di arruolare senza alcuna restrizione riguardo al censo e alle proprietà fondiarie del potenziale soldato. Da quel momento in poi le legioni di Roma furono composte prevalentemente da cittadini poveri, il cui futuro, al termine del servizio, dipendeva unicamente dai successi conseguiti dal proprio comandante, che era solito loro assegnare parte delle terre frutto delle vittorie riportate. Di conseguenza i soldati avevano il massimo interesse ad appoggiare il proprio comandante, anche quando si scontrava con i voleri del Senato, composto dai rappresentanti dell'oligarchia dominante, e anche quando andava contro il pubblico interesse, che, a quell'epoca, veniva di fatto impersonato dal Senato stesso. Va notato che Mario, persona fondamentalmente corretta e fedele alle tradizioni, non si avvalse mai di questa potenziale enorme fonte di potere, ma passeranno meno di vent'anni che il suo ex questore Silla, lo farà per imporsi contro il Senato e contro lo stesso Mario. Altri 30-40 anni e il suo esempio sarà seguito da Giulio Cesare, nipote acquisito di Mario. Cartina della Numidia all'epoca di Giugurta.  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre contro Giugurta e Bellum Iugurthinum. Ben presto Mario si rese conto che concludere la guerra non era così facile come egli stesso si era in precedenza vantato di poter fare. Dopo essere sbarcato in Africa verso la fine del 107 a.C. costrinse Giugurta a ritirarsi in direzione sud-ovest verso la Mauritania. Nel 107 suo questore era stato nominato Lucio Cornelio Silla[4], rampollo di una nobile famiglia patrizia caduta economicamente in disgrazia. A quanto pare Mario non fu contento di avere alle proprie dipendenze un simile giovane dissoluto, ma, inaspettatamente, Silla dimostrò sul campo di possedere grandi qualità di comandante militare. Nel 105 a.C. Bocco, re di Mauritania e suocero di Giugurta, nonché suo riluttante alleato, si trovò di fronte l'esercito romano in avanzata. I romani gli fecero sapere di essere disponibili a una pace separata e Bocco invitò Silla nella sua capitale per condurvi le trattative. Anche in questa circostanza Silla si dimostrò particolarmente abile e coraggioso; in effetti, Bocco rimase a lungo dubbioso se consegnare Silla a Giugurta oppure, come poi avvenne, Giugurta a Silla. Alla fine, Bocco fu convinto a tradire Giugurta, che fu subito consegnato nelle mani dello stesso Silla. La guerra era così conclusa. Poiché Mario era il comandante dotato di imperium e Silla militava alle sue dirette dipendenze, l'onore della cattura di Giugurta spettava interamente a Mario, ma era chiaro che gran parte del merito andava riconosciuto personalmente a Silla, tanto che gli fu consegnato un anello con un sigillo commemorativo dell'evento. Al momento la cosa non fece particolarmente scalpore, ma in seguito Silla si vanterà di essere stato il vero artefice della conclusione vittoriosa della guerra. Mario, intanto, si guadagnava fama di eroe del momento. Il suo valore stava per essere messo alla prova da un'altra grave emergenza che incombeva su Roma e sull'Italia. L'arrivo in Gallia del popolo germanico dei Cimbri, quasi immediatamente seguito dalla loro schiacciante vittoria sulle truppe di Marco Giunio Silano, il cui esercito venne infatti del tutto sbaragliato dall'orda nemica, aveva indotto ad un ammutinamento a catena delle tribù galliche delle regioni meridionali recentemente assoggettate dai Romani. Il console Lucio Cassio Longino venne completamente sconfitto da una tribù gallica transalpina, e l'ufficiale di grado più elevato fra quelli sopravvissuti (Gaio Popilio Lenate), figlio del console dell'anno 132, riuscì a mettere in salvo quanto restava delle forze romane solo dopo aver ceduto metà degli equipaggiamenti e aver subito l'umiliazione di far marciare il proprio esercito sotto il giogo, in mezzo allo scherno dei vincitori. L'anno successivo un altro console, Quinto Servilio Cepione, marciò contro le tribù stanziate nella zona di Tolosa, che si erano ribellate a Roma, e si impossessò di un'enorme somma di denaro custodita nei santuari dei templi -- il cosiddetto Oro di Tolosa. La maggior parte di questo tesoro sparì misteriosamente durante il trasporto verso Marsiglia e, molto probabilmente, fu lo stesso Cepione che ordinò il finto furto per impossessarsi dell'oro. Cepione fu confermato nel comando anche per l'anno successivo, mentre uno dei nuovi consoli, Gneo Mallio Massimo, si unì a lui nelle operazioni in Gallia meridionale. Al pari di Mario, anche Mallio era un uomo nuovo, e la collaborazione fra lui e Cepione si dimostrò subito impossibile. I Cimbri e i Teutoni erano entrambi composti da tribù di ceppo germanico che, nel corso delle proprie migrazioni, erano apparse sul corso del fiume Rodano proprio mentre l'esercito di Mallio si trovava nella stessa zona. Cepione, che era accampato sulla riva opposta del fiume, si rifiutò in un primo momento di venire in soccorso del collega minacciato, decidendosi ad attraversare il fiume solo dopo che il Senato gli aveva ordinato di cooperare con Mallio. Tuttavia egli si rifiutò di unire le forze dei due eserciti, e si mantenne a debita distanza dal collega. I Germani approfittarono della situazione e, dopo aver sbaragliato Cepione, distrussero anche l'esercito di Mallio il 6 ottobre del 105 a.C. presso la città di Arausio. I Romani dovettero combattere con il fiume alle spalle che li impediva la ritirata, e, stando alle cronache, furono uccisi 80.000 soldati e 40.000 ausiliari. Le perdite subite nel decennio precedente erano state molto gravi, ma questa sconfitta, provocata soprattutto dall'arroganza della nobiltà che si rifiutava di collaborare con i più capaci capi militari di rango non nobiliare, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non soltanto le perdite umane erano state enormi, ma l'Italia stessa era ormai esposta all'invasione delle orde barbariche. Il malcontento del popolo contro l'oligarchia aveva raggiunto ormai l'esasperazione.  Busto di Gaio Mario (Museo Chiaramonti). Mentre si trovava ancora in Africa, Mario fu rieletto console. L'elezione in absentia era una cosa abbastanza rara, e inoltre una legge successiva all'anno 152 a.C. imponeva un intervallo di almeno 10 anni fra due consolati successivi, mentre una del 135 a.C. sembra che proibisse addirittura che questa carica potesse essere rivestita per due volte dalla stessa persona. La grave minaccia incombente dal nord fece tuttavia passare sopra a ogni legge e consuetudine, e Mario, ritenuto il più abile comandante disponibile, fu rieletto console per ben 5 volte consecutive, cosa mai avvenuta in precedenza.  Al suo ritorno a Roma, vi celebrò il trionfo su Giugurta, che prima fu portato come un trofeo in processione, e infine morì nel Carcere Mamertino. Nel frattempo i Cimbri si erano diretti verso la Spagna, mentre i Teutoni vagavano senza una meta precisa nella Gallia settentrionale, lasciando a Mario il tempo di approntare il proprio esercito, curandone in modo molto attento l'addestramento e la disciplina. Uno dei suoi legati era ancora L. Cornelio Silla, e questo dimostra che in quel momento i rapporti fra i due non si erano ancora deteriorati. Sebbene avesse potuto continuare a comandare l'esercito in qualità di proconsole, Mario preferì farsi rieleggere console fino all'anno 100, in quanto questa posizione lo metteva al riparo da eventuali attacchi di altri consoli in carica.  L'influenza di Mario divenne in quel periodo talmente grande che era addirittura in grado di influenzare la scelta dei consoli che in ogni anno dovevano essere eletti insieme con lui, e pare che egli facesse in modo che venissero scelti quelli che riteneva più malleabili. I Germani indugiavano ancora nelle proprie scorribande in Spagna e in Gallia, e questo fatto, insieme con la morte del console collega Lucio Aurelio Oreste, consentì a Mario, che stava già marciando verso nord, di rientrare a Roma per venirvi confermato console per l'anno 102, insieme con un nuovo collega.  Francesco Saverio Altamura, Mario vincitore dei Cimbri. I Cimbri dalla Spagna tornarono in Gallia, e, insieme con i Teutoni, decisero di invadere l'Italia. Questi ultimi avrebbero dovuto puntare a sud dirigendosi verso le coste del Mediterraneo, mentre i Cimbri dovevano penetrare nell'Italia settentrionale da nord-est attraversando il passo del Brennero – “per alpes Rhaeticas”. Infine i Tigurini, la tribù celtica loro alleata che aveva sconfitto Longino pensavano di attraversare le Alpi provenendo da nord-ovest. La decisione di dividere in questo modo le loro forze si sarebbe dimostrata fatale, poiché diede ai Romani, avvantaggiati anche dalle linee di approvvigionamento molto più corte, la possibilità di affrontare separatamente i vari contingenti, concentrando le proprie forze laddove era di volta in volta necessario.  Nel frattempo Mario aveva organizzato nel migliore dei modi la propria armata. I soldati erano stati sottoposti a un addestramento che mai in precedenza si era visto, ed erano abituati a sopportare senza lamentarsi le fatiche delle lunghe marce di avvicinamento, dell'allestimento degli accampamenti e delle macchine da guerra, tanto da meritarsi il soprannome di muli di Mario. Dapprima decise di affrontare i Teutoni, che si trovavano in quel momento nella provincia della Gallia Narbonense e si stavano dirigendo verso le Alpi. In un primo momento rifiutò lo scontro, preferendo arretrare fino ad Aix en Provence, un insediamento fondato da Gaio Sestio Calvo, console nel 109 a.C., in modo da sbarrare loro il cammino. Alcuni contingenti di Ambroni, avanguardia dell'esercito dei Germani, si lanciarono avventatamente all'attacco delle posizioni romane, senza aspettare l'arrivo di rinforzi, e 30.000 di essi rimasero uccisi. Mario schierò poi un contingente di 30.000 uomini per tendere un'imboscata al grosso dell'esercito dei Germani, che presi alle spalle e attaccati frontalmente, furono completamente sterminati e persero 100.000 uomini,[6] e quasi altrettanti ne furono catturati. Il suo nome è ancor oggi ricordato non solo nell'etimologia della località, allora arpinate, di nascita, Casamari (Casa Marii, per l'appunto), ma persino nell'etimologia della regione francese della Camargue (Caii Marii Ager), come sostenuto dallo storico francese Louis-Pierre Anquetil nella sua opera "Histoire de France". La tradizione orale della città di Arpino sostiene che Mario, dopo aver sconfitto i Germani ad Aix-en-Provence e nella battaglia dei Campi Raudii, all'apogeo della sua gloria, non dimenticasse la sua patria d'origine e, disponendo della Gallia transalpina come terra di conquista, donasse ad Arpino quei territori, le cui rendite servirono a mantenere i templi e gli edifici pubblici della città.  Il collega di Mario Quinto Lutazio Càtulo, console, non ebbe altrettanta fortuna, non riuscendo a impedire che i Cimbri forzassero il passo del Brennero avanzando nell'Italia settentrionale Mario apprese la notizia mentre si trovava a Roma, dove fu rieletto console per l'anno 101 a.C. Il senato gli accordò il trionfo ma lui rifiutò perché ne voleva fare partecipe anche l'esercito, quindi lo posticipò a una vittoria contro i Cimbri. Immediatamente si mise in marcia per ricongiungersi con Catulo, il cui comando fu prorogato anche per il 101. Infine, nell'estate di quell'anno, a Vercelli, nella Gallia cisalpina, in una località allora chiamata Campi Raudii, ebbe luogo lo scontro decisivo.  Ancora una volta la ferrea disciplina dei Romani ebbe la meglio sull'impeto dei barbari, e almeno 65.000 di loro (o forse 100.000) perirono, mentre tutti i sopravvissuti furono ridotti in schiavitù. I Tigurini, a questo punto, rinunciarono al loro proposito di penetrare in Italia da nord-ovest e rientrarono nelle proprie sedi. Catulo e Mario, come consoli in carica, celebrarono insieme uno splendido trionfo, ma, nell'opinione popolare, tutto il merito venne attribuito a Mario. In seguito Catulo si trovò in contrasto con Mario, divenendone uno dei più acerrimi rivali. Come ricompensa per avere sventato il pericolo dell'invasione barbarica, Mario venne rieletto console anche per l'anno 100 a.C. Gli avvenimenti di quell'anno, tuttavia, non gli furono propizi.  Sesto consolato (100 a.C.)  Il mondo romano, al termine della seconda guerra punica (in verde), e poi attorno al 100 a.C. (arancione). Nel corso di questo anno il tribuno della plebe Lucio Appuleio Saturnino richiese con forza che si varassero riforme simili a quelle per cui si erano in passato battuti i Gracchi. Propose quindi una legge per l'assegnazione di terre ai veterani della guerra appena conclusasi e per la distribuzione da parte dello stato di grano a prezzo inferiore a quello di mercato. Il senato si oppose a queste misure, provocando così lo scoppio di violente proteste, che presto sfociarono in una vera e propria rivolta popolare, e a Mario, come console in carica, fu chiesto di reprimerla. Sebbene egli fosse vicino al partito popolare, il supremo interesse della repubblica e l'alta magistratura da lui rivestita gli imposero di assolvere, sebbene riluttante, a questo compito. Dopodiché lasciò ogni carica pubblica e partì per un viaggio in Oriente.  Guerra sociale (95-88 a.C.)  Busto di Lucio Cornelio Silla, il rivale di Mario.  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra sociale. Durante gli anni di assenza di Mario da Roma, e subito dopo il suo ritorno, Roma conobbe alcuni anni di relativa tranquillità. Nel 95 a.C., tuttavia, venne approvata una legge che decretava che tutti coloro che non fossero cittadini romani, cioè coloro che provenivano da altre città italiche, dovessero essere espulsi da Roma. Marco Livio Druso fu eletto tribuno e propose una grande distribuzione di terre appartenenti allo Stato, l'allargamento del Senato e la concessione della cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi di tutte le città italiche. Il successivo assassinio di Druso provocò l'immediata insurrezione delle città-Stato italiche contro Roma, e la Guerra sociale -- da socii, gli alleati italici. Mario e chiamato ad assumere, insieme con Silla, il comando degli eserciti chiamati a sedare la pericolosa rivolta. Finita la guerra in Italia si aprì un nuovo fronte in Asia, dove Mitridate, re del Ponto, nel tentativo di allargare verso occidente i confini del suo regno, invase la Grecia. Posto di fronte alla scelta se affidare il comando dell'inevitabile guerra contro Mitridate a Silla o Mario, il Senato, in un primo momento, scelse Silla. In seguito, tuttavia, quando il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo, appoggiato da Mario, cercò di far passare una legge per distribuire gli alleati italici nelle tribù cittadine, in modo da influenzare con il loro voto i comizi, nacque uno scontro nel quale il figlio del console Quinto Pompeo Rufo trovò la morte.  Silla, sfuggito alla confusione, si rifugiò nella casa dello stesso Mario. Intanto la legge venne approvata e le tribù che adesso contenevano anche i nuovi cittadini fecero passare una legge secondo la quale veniva affidata a Mario la guerra contro Mitridate. Intanto nell'88 a.C. Silla aveva già raggiunto l'esercito a Nola e Mario fece mandare due tribuni per riportarlo a Roma. Ma l'esercito uccise i tribuni e Silla con esso marciò alla volta di Roma. Mario, dichiarato nemico pubblico da Silla, all'arrivo di questi abbandonò precipitosamente l'Urbe, rifugiandosi in un primo tempo tra le paludi di Minturnae. I magistrati locali decretarono la sua morte per mano di uno schiavo cimbro, il quale, però, mosso a compassione o intimorito per la sua fama, non diede corso all'esecuzione. Plutarco, in Marium, scrisse che i Minturnesi, mossi a compassione, lo aiutarono a imbarcarsi sulla nave di Beleo, diretta in l'Africa, ove visse per un po' di tempo in esilio. Data l'assenza di Mario, Gneo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna furono eletti consoli nell'87 a.C., mentre Silla, nominato proconsole, si mise in marcia verso oriente con l'esercito.  Mentre Silla conduceva la sua campagna militare in Grecia, a Roma il confronto fra la fazione conservatrice di Ottavio, rimasto fedele a Silla, e quella popolare e radicale di Cinna si inasprì sfociando in aperto scontro. A questo punto, nel tentativo di avere la meglio su Ottavio, Mario, insieme con il figlio, rientrò dall'Africa con un esercito ivi raccolto e unì le proprie forze a quelle di Cinna, che aveva radunato truppe filomariane ancora impegnate in Campania contro gli ultimi socii ribelli. Gli eserciti alleati entrarono in Roma, di modo che Cinna fu eletto console per la seconda volta e Mario per la settima. Seguì una feroce repressione contro gli esponenti del partito conservatore: Silla fu proscritto, le sue case distrutte e i suoi beni confiscati. Tuttavia nel primo mese del suo mandato, Mario muore. Dopo la morte di quest'ultimo Cinna divenne di fatto il padrone della repubblica e mantenne il consolato per altri due anni di seguito per poi morire, vittima di un ammutinamento, mentre si dirigeva con l'esercito verso la Grecia. L'armata di Silla, dopo aver concluso vittoriosamente la campagna nel Ponto, rientrò in Italia sbarcando a Brindisi., e sconfisse il figlio di Mario, Gaio Mario il Giovane, che muore in combattimento a Praeneste, a circa 50 chilometri da Roma. Gaio Giulio Cesare, nipote della moglie di Mario, sposa una delle figlie di Cinna. Dopo il ritorno di Silla a Roma si instaurò un regime di restaurazione che perpetrò le più feroci repressioni, tanto che Giulio Cesare fu costretto a fuggire in Cilicia, dove rimase fino alla morte di Silla nel 78 a.C. Il busto bronzeo di Gaio Mario si trova collocato attualmente nel Municipio di Minturno. Lo storico greco riferisce anche che Gaio Mario ebbe una relazione di lunga data con un comandante che era al contempo un erudito intellettuale spiccatamente filoellenico, che gli dedicò vari epigrammi molto raffinati e a carattere omoerotico. Il praenomen "Gaio" è forma corretta rispetto al pur comune "Caio". La forma "Caio", infatti, si è diffusa a seguito di un'errata interpretazione dell'abbreviazione epigrafica "C." (vedi, tra gli altri, Gian Biagio Conte, Emilio Pianezzola, Giuliano Ranucci, Dizionario della lingua latina, Firenze, Monnier, 2000, sub voce Gaius: «il fraintendimento dell'abbr., in cui la G si scriveva, per conservazione di grafia arcaica, C., ha generato la forma "Caio"»). Encyclopædia Britannica: Gaius Marius, Roman general., su britannica.com.  Che è diffusa convinzione sul posto che derivi dall'espressione latina Casa Marii.[senza fonte]  Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo, Sesto Giulio Frontino, Strategemata, 150.000 uomini secondo altre fonti, vedi Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo, II, 12. Filmato audio Marina Mattei e Maddalena Crippa, Luce sull'archeologia - Le idi di marzo a Largo Argentina - Incontro, su Marina Mattei (Sovrintenza ai Musei Capitolini), You tube, Roma, Teatro di Roma, Appiano di Alessandria, Historia Romana Ῥωμαϊκά Internet Archive.). Aulo Gellio, Noctes Atticae. (testo latino  e traduzione inglese). Cesare, Commentarii de bello Gallico. Progetto Ovidio. Dione Cassio, Storia romana. Floro, Epitoma de LIVIO (si veda) bellorum omnium annorum DCC libri duo. Frontino, Strategemata. (testo latino  e traduzione inglese). Plutarco, Vite parallele, "Gaio Mario", "Silla" e "Giulio Cesare". Sallustio, Bellum Iugurthinum. Svetonio, De vita Caesarum libri VIII. Tacito, De origine et situ Germanorum.  Progetto Ovidio. Tacito, Annales. Tacito, Historiae. (testo latino ; traduzione italiana ; traduzione inglese qui  e qui). Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo. (testo latino  e traduzione inglese qui e qui ). Fonti storiografiche moderne Giuseppe Antonelli, Gaio Mario, Roma Carcopino, Silla, Milano 1981. Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Laterza, 1Carcopino, Giulio Cesare, traduzione di Anna Rosso Cattabiani, Rusconi Libri, Piganiol André, Le conquiste dei romani, Milano, Il Saggiatore, Scullard, Storia del mondo romano. Dalla fondazione di Roma alla morte di Nerone, Milano, BUR, Consoli repubblicani romani Gens Maria Mario, Gaio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Màrio, Gàio, su sapere.it, De Agostini. Dacre Balsdon, Gaius Marius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Gaio Mario, su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Gaio Mario, su Goodreads. Portale turistico di Minturno Scauri - Minturnae, su minturnoscauri. it. Mario e Silla, su janusquirinus.org. La vita di Gaio Mario, su jerryfielden Predecessore Console romano Successore Servio Sulpicio Galba e Lucio Ortensio107 a.C. con Lucio Cassio LonginoQuinto Servilio Cepione e Gaio Atilio SerranoI Gneo Mallio Massimo e Publio Rutilio Rufo con Gaio Flavio FimbriaLucio Aurelio Oreste e Gaio Mario IIIII Gaio Mario II e Gaio Flavio Fimbria con Lucio Aurelio OresteGaio Mario IV e Quinto Lutazio CatuloIII Lucio Aurelio Oreste e Gaio Mario III con Quinto Lutazio CatuloManlio Aquillio e Gaio Mario VIV Quinto Lutazio Catulo e Gaio Mario IV con Manlio AquillioLucio Valerio Flacco e Gaio Mario VIV Manio Aquilio e Gaio Mario V con Lucio Valerio FlaccoAulo Postumio Albino, Marco Antonio OratoreVI Lucio Cornelio Cinna I e Gneo Ottavio con Lucio Cornelio Cinna IILucio Cornelio Cinna III e Gneo Papirio CarboneVII V · D · M Gaio Giulio Cesare V · D · M Marco Tullio Cicerone V · D · M Plutarco Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Generali romaniPolitici romani del II secolo a.C.Politici romani Generali del II secolo a.C.Generali Nati ad ArpinoMorti a Roma Gaio Mario Condottieri romani antichi Consoli repubblicani romani Marii Auguri. Our concern is with the debate in the Senate on the “hostis” declaration proposed by SULLA, who presumably presided over the meeting in his capacity as consul and framed and put the “relatio.” VALERIO MASSIMO gives a graphic description of S.'s part in the proceedings. SULLA coerces the senate into adjudging Mario a “hostis”. No one ventures to oppose him except S. who, on being asked for his opinion, refuses to say anything. When Sulla begins pressing him ever more menacingly Scevola says: “You can make a display of the troops whom you have thrown around the curia, you can threaten me with death as often as you like, but you shall never force me, old and weak as I am, to adjudge Mario, the saviour of Rome and Italy, a hostis.' - Sulla ... senatum armatus coegerat ac summa cupiditate ferebatur ut C. Marius quam celerrime hostis iudicaretur. cuius voluntati nullo obviam ire audente solus Scaevola de hac re interrogatus sententiam dicere noluit. quin etiam truculentius sibi instanti Sullae 'licet' inquit MIHI AGNIMA MILITVM QVIBVS CVRIAM CIRCVMSEDISTI LICET MORTEM IDENTIDEM MINITERIS NVMQVAM TAMEN EFFICIES VT PROPTER EXIGVVM SENILEMQVE SANGVINEM MEVM MARIVM A QVO VRBS ET ITALIA CONSERVATA EST HOSTEM IVDICEM.  'mihi agmina militum, quibus curiam circumsedisti, ostentes, licet mortem identidem miniteris, numquam tamen efficies ut propter exiguum senilemque sanguinem meum Marium, a quo urbs et Italia conservata est, hostem iudicem.' S. is making two points. The first, and more obvious, is a declaration of friendship for Mario and a reminder to his audience that they are dealing with the man who had saved Italy from the Cimbri. The statement that S. stood alone against Sulla may be an exaggeration, but other names are hard to come by. The one that we should most like to know about is Q. Scevola Pontifex. At this point we merely note the highly relevant fact that of the X known names on Sulla's list, no less than V are of *non*-Roman origin, thus confirming that the focal point of the crisis was the rights of new citizens. It can be inferred that the augur stood with Mario on that issue; where the Pontifex stood remains to be seen. No one else comes into the reckoning: Crasso is dead; and M. Acilius Glabrio, the Augur's grandson and future president of the court which tried Verres, is too young.  The *other* point made by Scevola is a conceptual, philosoophical point of law or jurisprudence. It depends on the words, S. DE HAC RE INTERROGATVS SENTENTIAM DICERE NOLUIT. The words mean exactly what they say: S., being asked about this matter, refused to express an opinion. VALERIO MASSIMO is telling us that S. did not vote for or against the motion. He refuses to vote at all. The reason is that, as S. sees it, the clause in GRACCO’s law – NE DE CAPITE CIVIVM INIUSSV VESTRO INDICARETVR – means that any capital adjudication on a citizen *without* the authority of the people is prohibited, irrespective of whether it is a vote for condemnation or for acquittal. This may not have been the intention of the framers of the “hostis” declaration, for the theory behind that decree is that the “hostis” forfeits his citizenship retro-actively to the time of his treasonable act. But once there is talk of adjudication – HOSTIS INDICARETVR, HOSTEM IVDICEM --, in S.’s view there is a danger of the LEX SEMPRONIA being contravened. S. is not alone in this view. CICERONE observes that a number of populares stays away from the Catilinarian debate for the same reason as that which prompts S. to abstain from voting. VIDEO DE ISTIS QVI SE POPVLARIS HABERI VOLVNT ABESSE NON NEMINEN NE DE CAPITE VIDELICET CIVIVM ROMANORVM SENTENTIAM FERAT. S. is the first to detect this conceptual difficulty – philosophical puzzle -- in the application of the law, and he does so ex tempore, the moment the very first “hostis” declaration is proposed. It is clear that S. has this area of law at his fingertips. Our confidence in his ability to have assisted Mario with the special wording of the s. c. ultimum of C is greatly increased. Was there anything else that S. could have done to block Sulla's relatio? In particular, could S.  have used his office as an augur for which he was so famous that it was almost a cognomen? The obvious way would have been by announcing auspices unfavourable to the convention of the senate. But the question is whether that body's sessions need the taking of auspices. In Mommsen's opinion, “auspicatio” is required. But, in historical times, “auspicatio” is carried out by haruspices and pullari and the augur is only called in where there was some doubt. There is no record of acts of signal bravery by haruspices or pullarii, and it must be concluded that S. is not able to function officially in the matter. There is, however, a broader issue, and that is whether his augural skills are ever enlisted on behalf of his friend Mario. The reason for raising this is that his grandson, the S. who was tribune of the plebs, is an augur, was consulted by GIULIO CESARE on whether a praetor could conduct consular elections, and undoubtedly rules that he can. Caesar's uncle may have needed augural assistance in another matter connected with the consulship, namely his election for a second term and in absentia and the augur could have done some research then, which not only helped Mario but laid the foundation for a favourable ruling for Caesar. For all we know, GIULIO CESARE might have consulted the grandson on Bibulus' obstructive tactics. There will have been much material reflecting the augur's views in the family archives. Keywords: il concetto di stato nel diritto romano, Cicerone, Mario, Silla. He thought there were three theologies: that of the poets – fanciful and false – that of the philosophers – true but unsuitable to the masses – and that of the politicians – beneficial. Quinto Muzio Scevola.

 

Grice e Sciacca: la ragione conversazionale all’isola -- l’idea della libertà – fondamento della coscienza etico-politica – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Messina). Filosofo Italiano. Studia a Palermo sotto RENDA. Insegna a Palermo. Volge il suo interesse verso il criticismo, a cui dedica “La funzione della libertà nella formazione del sistema kantiano” a cui fece seguito, “La libertà come fondamento della coscienza etico-politica” (Palumbo, Palermo), che reproduce la memoria in appendice. Società filosofica italiana Altri saggi: “Filosofi che si confessano” (Anna, Messina); “La steresis nella filosofia dell'azione” (Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, Palermo); “Il concetto di tiranno, dagl’antichi italici a SALUTATI” (Manfredi, Palermo); La visione della vita nell'Umanesimo di SALUTATI” (Palermo); “Politica e vita spirituale” (Palumbo, Palermo); “Gli Dei in Protagora” (Palumbo); “Esistenza e realtà” (Palumbo, Palermo); “Scetticismo” (Palumbo, Palermo); Ritorno alla saggezza” (Palumbo, Palermo); “L'uomo senza Adamo” (Palumbo); “Sapere e alienazione” (Palumbo, Palermo); “Il segno -- quel Segno” (Cappelli, Bologna); Reale accademia di lettere scienze e arti", «La filosofia per cambiare il mondo», La Repubblica.  Bono, Rocca, M. K. N., la tradizione del criticisimo, in Giovanni, Le avanguardie della filosofia italiana, Angeli, Società Filosofica Italiana", Plebe, Giovanni. Giuseppe Maria Sciacca. Sciacca. Keywords: Grice, ‘Negation and Privation’, negation, privation, negatio, privatio, the use of ~ to stand for both negatio and privatio – privatio as mere negatio (~), plus implicatum -- steresis, l’idea della libertà – fondamento della coscienza etico-politica -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sciacca” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sciacca: la ragione conversazionale dell’anti-filosofia e contra-implicatura – filosofia fascista – il ventennio fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Giarre). Filosofo italiano. La filosofia non asciuga lacrime né dispensa sorrisi, ma dice la sua parola sulla verità delle lacrime e dei sorrisi. Dopo gli studi liceali classici si trasfere a Napoli, dove si laurea sotto ALIOTTA. Insegna a Napoli, Pavia, e Genova. Fonda Il Giornale di Metafisica. Molto intenso e il suo rapporto filosofico e di stima reciproca con il filosofo fascista GENTILE, un sodalizio testimoniato dalla fitta corrispondenza tra i due filosofi, da cui però ben presto S. si allontana, in particolare dal filone idealista, per condurre la sua propria ricerca filosofica in modo più ampio, tanto da condurlo a studiare per un certo periodo, grazie alle sue conoscenze pure in campo teologico, sia la corrente del misticismo che quella dello spiritualismo. Accademia di studi italo-tedeschi, Merano. Profondo conoscitore di SERBATI, promotore della fondazione del centro di studi dedicato a Serbati a Stresa. Una delle principali figure dello spiritualismo, a cui pervenne dopo i primi interessi per l'attualismo ed i successivi, più impegnativi studi sullo spiritualismo, anche interpretandolo in modo originale, delineando un particolare percorso di continuità che, rifferendo alla metafisica classica, perviene a concepire un'apertura del soggetto personale come creatur averso l'attualità assoluta dell'essere nell’integralità. E ricordato principalmente attraverso Ottonello. Saggi: “Agostino” (Morcelliana, Brescia); “L'Anima” (Morcelliana, Brescia); “Filosofia morale” (Bocca, Torino); Atto ed essere (Bocca, Torino); Interpretazioni rosminiane Marzorati, Milano); “Come si vince a Waterloo” (Marzorati, Milano); “La filosofia e la scienza nel loro sviluppo storico. Per i licei” (Cremonese, Roma); “Platone” (Marzorati, Milano); Filosofia e anti-filosofia (Marzorati, Milano);  Chiesa e civiltà (Marzorati, Milano); Critica letteraria (Marzorati, Milano); L'oscuramento dell'intelligenza (Marzorati, Milano); Studi sulla filosofia antica. Con un'appendice sulla filosofia medioevale (Marzorati, Milano); Ontologia triadica e trinitaria. Discorso metafisico-teologico Marzorati, Milano. L'Insegnamento della filosofia: atti del Convegno di studi, Messina (Peloritana, Messina); Ontologia triadica e trinitaria (Epos, Palermo); Atto ed essere (Epos, Palermo); Il magnifico oggi (Epos, Palermo); In Spirito e Verità (Epos, Palermo); La clessidra (Epos, Palermo); L'ora di Cristo (Epos, Palermo). Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G. C. Sansoni; Dizionario dei Filosofi (Firenze, Sansoni); Schiavone, L'idealismo, Negri, “Dall'atto all'integralità” (Forlì, Ethica);  Pignologni, Genesi e sviluppo del rosminianesimo, (Milano, Marzorati); Bologna, Quaderni del Giornale di Metafisica, Stresa, Rivista Rosminiana, Incontrare S., Venezia, Marsilio, Ottonello, “L'anticonformismo costruttivo” (Venezia, Marsilio); Shiavone, L'idealismo, Collana di studi filosofici rosminiani, Domodossola; Milano, Sodalitas, Ospitato su Bontadini e la metafisica. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Michele Federico Sciacca. Sciacca. Keywords: il veintennio fascista. Refs.: Grice e Sciacca” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Scipione: la ragione conversazionale del circolo degli Scipioni – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Si trova al centro del più antico portico romano. Console, distrugge Cartagine, ottenne la censura, dirige un’ambasciata in Oriente, e di nuovo console, distrugge Numanzia. È un appassionato lettore della "Ciropedia" di Senofonte e ha tendenza del Portico. Forse, anche per questo motivo, da alle sue orazioni contenuto morale e vi dipinta la corruzione. A statesman, military leader, and scholar. More a patron of philosophers than a philosopher himself, he is particularly close to Panezio. Cicerone regards him sufficiently highly to include him as character of some of his philosophical works. He is much admired for his courage and moral integrity. C UM in Africani veniftem, M. Manilio z Confuti  ad quartam legionem Tribunus , ut fcitis, mili-  tum ; nihil mihi potiusfuit, quam ut $ Mafmif-  fam convenirem, regem farri il \x noftrsejuftis decauflis  amicìfllmum * Ad quem ut veni, complexus me (enex  collacrymavit : aliquantoque polì (ulpexit in calum ,  Grate* (inquic) tibi ago, furarne Sol, vobifque,  4 rel qui Caelites ; quod, antequam ex bac vita migro,  confpicio in meo regno & histe&is P. Cornelium Sci*  pionem, cujus egO nomine ipfo recreor .* ita numquam  ex animo meo difcedit illius Optimi atque invitìiffìmi  viri memoria, Deinde ego illum de fuo regno , illemd  denofìra Repub. percontatus eft : multifque verbis ut-  tro citroque habitis, i 1 le nobis confumptus eli dies «  Poftautem regio apparatu accepti, fermcnemin mul-  tata nodem produximns; cumfenex nìtiil nifi de Afri-  cano loqueretur, omnìaque eius non fafta folnm, fed  ttiam di&a m^miniflet; deinde, ut cubitum difcedi.  mus, me & de via fefl'um, & qui ad multam noflem   vi-    t Seipio . Figliuola di Lucia  Emilio Paolo Macedonico , adot-  tato da Scipittne figliuolo dell*  Affici cano il maggiore , che di-  flrutfe Cartagine e Numanzla  nell'anno 609 Or etto nella dif-  puta di Repubblica follenea coti-  tra l' oppln Ione di Filo, che tan-  to era falfo non poterli lenza  commettere inglnftiiie la Repub-  blica governare, che anzi dicea  non poterli reggere Lina una  » fornirla gluftizia Sant* Agoftino  di clb ragiona nel libro il cap.  21. de Civltate D I, a' cui tem-  pi quelli libri di Rtpubl. fi leg-  geano , come pare , ed andavano  attorno .   1 Confuti ...... tribunus    militum . Ulata maniera , nort  Confuti . Diccafi fimilmente Ir*  gatus confuti non confuti .   I Maftnifj'am . Re d' una pat-  te d' Affrica . Solleone in prima  11 partito de* Cariaginelì contra  i Romani , nell' anno di Roma  541. Ma quattro anni apprelfo ,  avendo Scipione niello in rotta  l'armata d'Afdrubale , rimandò  fé u za prezzo di rifcatto 11 nipo-  te a MalTìnilfa ; per tale eciiero-  fo ano sì ptefo e per taf modo  fu quello principe , che poi fu  fempre cffezionjiiflimo a' Roma-  ni . Con erti congluofe l lue  forze , e nell'anno 55I. di Ro-  ma lì trovb alla battaglia , che  quelli guadagnarono contro N   SCIPIONE PARLA,-   / K .   E Sfendomi portato in Affrica, militar tribuno, co»  me fapete, alla quarta legione fotte il Confole  Manio Manilio; non ebbi cofa, che piò a cuor  mi folle, quanto il far vifita a Maflìniffa re per giu»  Hi titoli aftezionatiflìmo alla noftra cafa* Al qua! co-  me fui giunto, il vecchio abbracciatomi, versò lacri-  me : ed alquanto appreflo levò, gli occhi al cielo, e,  Grazie , difTe o fommo Sole, ti rendo , ed a voi al*  tri, celefti Dii, che, prima di pa (Tare di quella vita,  nel mio reame veggio, ed in quelli foggiorni Pubblio  Cornelio Scipione, pel cui nome i He ITo prendo riftoro:  s\e per tal modo dall’animo mio non fi diparte giam-  mai la memoriadi quell’ottimo , ed invittiffimo uomo •  Apprelìò io gli feciftudiofe ricerche del reaméluo, ed  egli Culla Repubblica noftra . Accolti pofeia in reai trat-  tamento, menammo per la lunga irragionar lioftro  fino a gran pezza di notte; conciofoffèchè il vecchio  non avelie alla lingua altro che 1* Africano, è ricor-  dane non folamente tutte le azioni di lui, mà i detti  altresì: come ci fummo fu levati per andare a letto,  e per efier dal viaggio fianco , e perché io vegliato  ayea fino a notte molto inoltrata, mi prefe cm Tonno  più ferrato, che nonfolea. In quefto a me (credo ve-  ramente da ciò procedeffe , di che avevacn parlato ;   • O o a che       Afdrubale , e dì Si face . Dopo,  la pace conci «fa tra.* Romani ed  i Carraginifi ebbe la fovfanirà  di diverfe provincle d* Affrica ,  e vide Tempre amico de* Romani .  Morì di qo. anni , e lafciò 44.  figliuoli di di vetfe conferii . Di-  cefi che nell’ ultima malartia  pregafle Mal Ho generale dcll'ar-  mata Romana, ad Inviargli il  giovane Scipione , affine d* aver  la conio lezione di morire nelle  Tue braccia , e per dargli gli op*  portunLordioi , che offcrvati vo-    lea fui rìpaftimento del fuo re-  gno .\E da quella contezza per,  avventura s* accatta I* occalìone  data al fogno .   4 Reìt^ui Calìtes . Accenna  la luna e gli altri pianeti e del-  le del elei fu premo , annoverate  dalla pift parte degli ‘ Antichi  tra gli Dei. Di che Lattanzio  ragiona nel libro III. cap. 5. de  Fal/a Religione . Platone nel  Cratilo deride sì beftiaJe oppi-  mene •     vigilaflem, ar&ior, quam folebat ; fomnuscomplexus  eft. Hic mihi (credo equidem ex hoc» quod eiamus  Jocuti : 1 fit enim fere, ut cogitationes fermonefque  noflri parfant aliquid in fonino tale, 2 quale de Ho-  mero fcribit Ennius, de quo videlicetj faepifTime vigì-  Jans folebat cogitare & loqyi) Àfricanus fe oftendit il-  la forma , qua: mihi 3 ex imagine ejm , 4 quam ex  ipfo, erat notior. Quem ut agnovi , equidem cohor-  rui. Sed ille, Ades, inquit, animo ; & orni tee timo-  rem , Scipio ; & , quae dicam , trade memori* .   IL   V Idefne ilfamurbem, qu* parere Pop. Roro. eoa da  per me, renovat priftina bella , nec poteft quiefee-  re (oftendebat aurem Carthaginem 5 de excelfo , &  pieno flellarum , illuftri , & darò quodaro loco) ad  quam tu oppugnandam nunc veois piene miles? hanc  hoc 6 biennio Conful evertes : 7 eritque cognomen id  tibi per te partum , quod habes a nobis adhuc heredi-   ta-    x Fit enim fere iti cogita-  iiona <y c . Socrate appretto Pla-  tone nel 1 bro 9. de Repub.  di quelle cagio.ù , il fognar  generanti, va nobilmente filoso-  fando .   a Squali de Homero fcribit  Bnrtiuf . Leggendo Ennio % e  meditando 1 verfi d* Omero e  fluitandone con premura Pihri-  taiiene , fognò <1* effere dive-  nu'O O nero , e che l’ anima di  colui (offe pattata m etto gia-  lla il Pitagorico domina . A ciò  allude Orai. uell’Epift.   , Ennius & f api Citi , for «*   tis (5 f alter Homerus .   ÌJt Critici dicunt , leviier  curare vìdetur .   Ut pronti fa cadant , <y fo»  mai* Pytbagorea w   v   Oc. nel Luculìo cita un etrffU-    cMo del luogo , dove Ennio >1  fuò fogno narrava . Fifus Homr.  rus adejfe poeta .   j Ex imagine ejus &c. Allu-  de a que* ritratti degli antenati,  che fottenuto a reano curut ma*  gittrato,oche tener fi folcano  appetì uell* atrio.   4 Quam ex ipfo . Vuole 11  Sigonio che nell' anno , che  trapafsò 1* avolo Scipione Af-  focano il Maggiore , venitte a  htee il nipote adottivo 1' Affo-  cano il Minore , cioè nel 571.  fotto 1 confoli Apjlo Claudio  Pulcro , e Marco Sempronio  Tuditano . Altri però lo fanno  nato due anni prima : e* pare  che ciò piò confuoni all'efpref*  fumé , che nel prefeme luogo  fi adopera .   5 De exctlf» . 1/ Affocano  parlava dal cerchio ^ della via  Latea , gremita di piccole ttel*  le , come dicono Ariftoti-   le    1  thè d* ordinario fuccede che ipenfamenti e difcorfi no*  Ari generano un non fo che di Tinnii nel Tonno , come  Ennio Tcri ve a lui Tu d’Omero avvenire, del qual fo-  vente Tolea nel Vero penfar vegliando e parlarne) in  quello, dilli, a me mi fi fe l’ Affocano vedere in quel  iembiante , che più dal ritratto di lui , che da elio  medefimo, m’era noto* Cui come ravviato l’ebbi , fen-  tii del ribrezzo. Ma egli dà qua mente, prefe a di*  re, o Scipione, e caccia via il timore; ed a memo-  ria manda quel, che dirò*    Q Uella città vedi tu, cheper opera mia cofirettaa  predare ubbidienza al popolo Romano, le guerre  prilline rinnovella , nè può racchetarli (ed ad-  ditava Cartagine da un certo alto lungo , e pien di  flelie, illuminato, ed arioTo) a cui oppugnare ora tt|  ne vieni quali faldato? quella tu interinine di due an-  ni con podellà conlolare diroccherai: e ti avrai quel  cognome per tua opera procacciato , che d^noi fina do*  ra pofliedi ereditario. Quando avrai poi fllrtag'n di*  firutto, menato trionfo , e Tara illato Cenfore, e lega-  to avrai cerco attorno T Egitto, la Siria, .T Alia , e la  Grecia , Tarai di nuovo eletto Confole Tenza cohcorre.  re, e recherai a fine una poderofiffi ma guerra, rovine*   O 0 ì rat ^   } Eritrite càgnomin &c. Di-  te 1* Affricano il Maggiore ;  t* acq unterai per tue valorofe  Opere II cognome d* Africano ,  che firtadora da me avolo tuo 1*  hai ereditarlo . Ottervano che  1* A Africano il Maggiore fu il  primiero -tra* Romani comandan-  ti , dopo terminata la feconda,  guerra Punica , che fregiato  forte del ritolo formato da na-  tiorte foggìogata da lui . Su tal  prorofi'o Liv. nel fine del llb.  3CXX. riflette . Exemplo fèittdg  hujus , tìffHaquàm V'&ori* p*-,  tei •> infignes , imaginum tiiulot  tlaraque cognomina f amili* fi*  cin •    le e Toìommeó , la qUale pef  coiai fimiglianza od apparen-  za , che ha col ìatte , fa da   Greci detta a (• Sva-   riate furono le oppiniont del-  la cagione di cotal comparfa ,  ma la piA naturai pare « quel  color fifultare dalla moltttu-  din folta di quelle piccole  «elle ..   6 Biennio tonfai . Ottervà il  Slgonio che 1* Affrica no fu ben  confole due anni appretto , ma  pattaron tre anni prima di com-  pier r imprefa , e la città di-  tteutte In carattere di proconso-  le , come egli dimoftra ue* com-  mentar j de' ratti .  . tanurn , Cum aurem Carthaginecn deleveris, trium-  phum egeris , Ceniorque fueris , & i obieris legatus  Egyptum , Syriam , Afìam, Grgciam, deligere iterum  conful x abfens, bellumque maximum conficies » Nu-  mantiam exfcindes: fed , cum eri* curru Capitolium  inve&us , offencles Renripub. perturbatane confiliis $  nepotis mei • 4 Hic tu, Africane, oflendas opcrtebit  patri» lumen animi , ingemì , confiliique tui . Sed  ejus temporis aneipitem video quafi fatorum viam •  Nam , cut» aetas tua feptenos otììes 5 t Solis anfratìus,  reditufque converterit ; duoque .hi numeri (quorum  utetque plequs , alter altera de caufla habetur) cir-  cuicu naturali fummam tibi fatalem confeceriot ; in  te unum , atque in tuuic nomen , fe tota con verter  civiras : te Senatus, te omnes boni , te focii , te La-  tini intuebuntur : tu eris unus, in quo mtatur civi-  tatis falus: ac, ne multa, 6 diélator Rempub. confti.  tuas oportet | fi impias propinquorum manus effugerìs .  7 Hic cum exclamafTet Laelius > ingemuiflentque cete-  ri vehementius , leniter arridens Scipio . Qn^fo, io*  quit , ne me e fonino excitetis ; 8 pax ; audite ce*  tera. W    *   1 Oliar is legatus . Scrive   Giuntino nel ìib. j8« che per  esplorare gli animi de* re , e  de* comuni fu mandato legato  ^con Spurio Mummio , e Lu-  cio Metello . Oc. però dice  nel I.ucullo che quella lega,  rione feguì prima della efer-  ■ cirata ceuftira , e così pur fen-  te il Sigouio . Che qui poi  prima fi accenni la ce n fura ,  fi P u h cib riportare al cumino,  do della efpouzione , alla quale  tornava piti in acconcio il mct.  terla prima .   z Abfens . Giulia la manie-  ra , d-: Ila qual parla fovente  .Livio, quando fi ragioni dell*  elezione de* magiftrad 1* ai»  fetts importa 11 non concor-  rervi ed il non proiettarli can-    • IH.   didato coll'andare in quel mi-  merò nel campo Marzo • Glb  ben ritrae fi dal conte fio di  molti luoghi degl* lftorici , ed  olcraccib il comprova la pro-  pria forza di abejj* , il qual  verbo importa non l'efier lon-  tano , ma il non efier pre-  fente .   ? Nepotis mei . Intende Ti.  berlo Gracco, figliuoi di Cor-  nelia figliuola dell* lAiTrjcano  il Maggiore , il quale , colla  legge agraria taflarsu i 5 0. ju«  ger! di poflefTo, voleva abbat-  tere lo fiato già corroborato de-  gli ottimati *11 fatto t coìrti Iti-  nio nella llorfa Romana , del  quale abtiam già fatto pai vol-  te ricordo.   4 Hic tu , Africane , Vuole   . s ui    Digitized by Google    IL SOGNO DI SCIPIONE. 58?  rai Numanzia; ma quando in cocchio farai condito  al Campidoglio, troverai la Repubblica fcompigliau  per le màcchine del nipote mio . Qui converrà che  tu, o AfFricano, facci alla patria vedere il la^reddl*  animo, ingegno ed accorgimento tuo . Ma di quel  tempo io veggio ambigua effer quafi la traccia de’ fa.  ti . Imperciocché quando la età tua voltato avrà per  otto volte fette tortuofi giri e ritorni del Sole : e   queRi due numeri (che amendue per pieni tengonfi  qual per una cagione e qual per altra) come con pe-  riodo naturale t* avranno compiuta renduto la fatai  fomnru : tutta la città in te folo rivolgeralTì , ed a|  tuo nome: in te Afferà lo (guardo il fenato, in te tut-  ti i buoni, in te gli alleati, ed i Latini: tu farai 1*  unico, nel quale la fai vezza della città foflerraffi: e,  per non farla più lunga , d’uopo è che tu dittatore  metti in buon ordine la Repubblica , fe ti verrà  fatto di fcanfare 1 * empie mani de’ tuoi parenti ♦ In  quello avendo Lelio levato alto la voce, e dato aceefi  gemiti gli altri , Scipione per maniera piacevole (or?  ridendo , deh , difTe , non mi rifcotcte dal foono :  fiate chieti : fentite il refìo .    qui il Sigonio accennato il fac-  to di Cajo Carbone tribuno  della plebe , quando condii fle  fu’roftri Scipione, ed il coftrin-  fe a dire , che gli parerle dell*  uccisone di Tiberio Graccp, al   J [uale egli con franchezza rifpo-  e , eum [iti fare cafum videri .   5 Soli* anfratti* s . Cosi no-  mina i giri del Sole per la obli-  quità del' Zodiaco , per cui vi-  gore il fole or piega a fetten-  trione ed ora a meriggio . Cosi  pur chiamanti le curve e finuo-  fe vie de* fiumi e de* lidi con  rutta proprietà latina .   8 Dittator rempub. Significa ,  che fenza fallo farebbe ft.uo  dittator creato , per acchetare  gli fcompigU della Repubblica ,  te non folle flato tolto di vita  da* parenti con infidie , ed in    O 0 4 HL   Affetto fu trovato morto fui fuo  letto .   7 Hic cum exclamafjet . Si fin-  ge che nella leena del fogno v*  Intervenirle Lelio e gli altri  perfonagoj accennati di fopra ,  che deputavano di Repubblica.  Or qui Cic. l’erba il carattere  dccorofo di Scipione . Percioc-  ché mentre alPafcoltarfi de* fu-  turi rifichi di lui gli alcolcnnci  dimoftrano conimozion d* ani-  mo: folo l’eroe, a cui appar-  tengono , ferba intrepidezza e  cofanza .   % Pa* . Voce da* Latini conci-  ci ufata ad accennare filenzio .  Terenz, Eavtont. 4. j* Unus eiì  dits , dum argentarti eripio ,  pax , ni AH amplia s . U fai la pur  Plauto .       C*ED; quo fis, Africane, alacrior adtotandamRem-  ò pub. fic habetoi omnibuJ, qui patriam conferva-  rint, adjuveriot, auxerint, certum effe incacio ac de-  finitum locum , ubi beati aevo ftmpiterno fruantur . Ni-  hil eft enim illi principi Deo , qui omnero hunc mun.  dum regie, quod quidem interrii fiat , acceptius, «pian»  concilia caetulque hominum ajure lodati, qu* civita-  tesappellantur : harum redloresS confervatores ahinc  profefti, huc revertuntur. Hic ego, etfi eram perter.  ritus non tatti metu mortis, quam infidiarum a meis,  quaefivi tamen, viveretne ìpfejPauIlus pater, salii, •  quosnos extinflos arbitraremur . Imo vero, inquit , 11  »ivunt, qui 4 exeorporum vinculis, tamquam e car-  cere evolaverunt . Veftra vero , qua; dicitur vita , mori  eft . Quin tu afpictas ad te venientem Paullum patrem .  Quem ut vidi, equidem vim lacryroarum profudi. Jl-  le autem me amplexus, atque ofculans Aere proh.be-  bat Atque ego ut primum ftetu repreflo loqui polle  1 cce-    t    1 Jure focidti . Si accennano  tutte le raguuanie , che risulta-  no dal conienio ed offervauza di  legpl . Dà buon lume all* ef-  prcllìone un luogo di Macro-  lio . Servili s quondam , die*  egli f & gladiatoria manus con-  cilia , CcBtufque hominum fue -  runt , fed non jure {odati . JUa  autem fola eli jufia multitudo ,  cujus vnitfrjitas in legum  tonfentit otfequium . E quella  definizione conviene con quella »  che Platone ci da della legitti-  ma moltitudine ne' J'hfl della  Repubblica , ed Ariflotile nel   ljb. II. de* Poikic* .   I Bine profetili Già nel llb.  de'Senec Spiegammo la fenten-  za Platonica Sulla origin di ti-  ra delle anime , ammetta pure  da Cic. Qui aggiungo in con-  ferma un patto tratto dal V. l* b »    delle Tufculane . Bumanus ani-f  ntus decerptur ex mente divi- i  *4, cum alio nullo , nifi cum \  tpfo Deo % fi hoc fas e fi diflu , \  comparar i potefi . Or in quello  luogo Spezialmente attribuisce il  ritorno in Cielo a quegli Spiri-  ti , che /landò in quella vita ,  dirittamence prefederono alle  Repubbliche .   3 Vaullus . Che fu naturai  padre di Scipione Affricano il  Minore , il quale foftiene il So-  gno . Quegli chiamoflì Lucio E-  milio Paolo , che Soggiogò Per-  feo Re di Macedonia . L* adot-  tivo fu Pubblio Scipione fi-  gliuolo dell* Affricano il Mag*  giore : quello Affricano ha da-  to principio all* iftruzione del ,  fogno ; la quale è fiata Inter.  rotta da Paolo .   4 Ex cor forum vitteulis   Ella    1    . v   IU.    M A, oAflfrictno, acciocché pibcoraggiofofii a fo-  fìcner la Repubblica , Tappi, che a tutti coloro , i  quali confervatohan la patria, aiutata, e vantaggiata ,  v’ha in cielo uo fitto e determinato luogo, dove go-  dan beati un eterna vita. Imperciocché a quelprinci-  pale Dio, che tutto queir univerfo governa, di quello,  che fi opera almen nel mondo, nulla v’ha di pih accet-  tevole , che le ragunanze ed i ceti degli uomini per  leggi aflTociati, che città fi appellano : i reggitori, e  confervatori di quelle quinci partiti, quafsh fan ritor-  no. In quello io, febbene mi trovava (paventato, non  tanto dal timor della morte, quanto dall’ infidie, che  m’ordirebbono i miei, ricercai tuttavia Te vi veflfe l’iftef-  fo mio padre Paolo , ed altri , cui noi cedevamo e-  flinti • Che anzi, loggiunfe, e(Ti vivono, i quali da’  corporali legami, come da carcere, fono via volati •  La voftra poi, che vita dicefi, ella è morte. Che an-  zi volgiti a vedere il padre Paolo, chea te ne viene.  Il qual come veduto ebbi, verfai veramente gran copia  di lacrime, Maegli abbracciatomi , ed imprimendo ba-  ci, il piangere mi vietava. Maio come prima, ripref-  fo il pianto, cominciai a poter parlare, deh, dilli , o  fintiamo, ed ottimo padre, poiché quello egli é vive-  re (come lento dire all’ Affricano) che fio a fare nel  mondo? perchè non m* affretto a venire da voi quaf.  sii ? Non va così la faccenda , replicò egli. Se quel Dio,  del quale è tutto quello profpetto, che vedi, non t'avrà  dal corporal carcere liberato, non ti fi può aprire ac-   ceffo    Ella è dottrina ed efpreltìone  Socratica . Nei Fedone di Pla-  tone Sando Socrate per ber la  cicuta, tra le altre cofc , cui  viene introdotto a dire full* a-  nlma , prefenti 1 difcepoli; af-  ferma il corpo efierc una car-  cere dello fpirlto , che ivi con  violenza dimora come legato ,  il di lui naturai luogo, e plft  puro elTere 11 cielo , e la mor-  te altro non elTere che un di-  fcloglinienro da quello carcere ,  ed un ritorno alla maggion    celefte . E coerentemente nd '  Fedone , nel Ostilo , ed in  altri dialogì di Platone il cor-  po chiamali « 7 a vi»»   cui a animi , e lèCfduvnpiOf  career . Che ami alcuni vo-  gliono che ìsutui corpus trag-  ga Parlino logica origine da   Ai? f/os , coltcch<è Ha come  Vinculum animi , ed al corpo   li a 0Uìlihp&vn 'luXt! colli »  gatus animus capi, Quasfo, inquam , pater fan&iflìme atque optime ,  quando hasc eft vita ( ut Africana m audio dicerc ) quid  - luoror in terris? quia huc ad vos venire propero ì Noti  eft ita, inquitille. NifiOc*usis, i cujus hoc templum  eft omne, quod confpicis, iftis te corporis cuftodiis Jif  beraverit, huc tibi aditus patere non poteft . Homines  cairn funt hac lege generati, qui tuerentur ilium glo-  bunri , quem 2 in hoc tempio medium vides, quae terra  dicitur . Hifque animus datus eft ex illis lempiternis  ignibu9, quas 5 fiderà & ftellas vocatis ; 4quae globo»  fae & rotundae, divi nis animata^ mentibus, circos fuos  orbefque confìciunt celeritate mirabili. Quare& tibi,  Publi. , & piis omnibus retinendus eft animus in cufto-  dia corporis: nec injuftu ejus, a quo ilie eft vobis da*  tus, ex hominum vita migrandum eft ; ne munus hu*  manti m aflìgnatum a Deo, defugifte videamini. Sedfic,  Scipio, ut avus h*ic tuus, ut ego, qui ce genui , ju-  ftitiam cole & pi età te m ; quas cum fit magna in paren-  tibus & propinqui, tum in patria maxima eft . Ea vi*  ta via eft in caelum, & in hunc ccetum eorum , qui  jam vixerunt, & corpore iaxati illum incolunt locum,  quem vides (erat autem is fplendidiflìmo candore in»  t ter ffommas circuseluceni ) quem vos, ut aGrajisac-  cepìftis, $ orbem la&eum nuncupatis. Ex quo omnia  mihb contemplanti preclara cetera & mirabilia vide»  bantur. Erant autem eae ftellas, quas numquam ex hoc  loco vidimus; & eae magnitudinesomnium, quas erte  numquam fufpicati fumus . Exquibus erat ili* minima ,  qua ultima cacio, citima terris, luce lucebat aliena.  Stellarum autem globi terrae magitudinem facile vin*  cebant . Jam ipfa terra ita mihi parva vifà eft, ut me    1 Cu fui hot templum e fi o*  mnt , Tutto il ciclo dicefi t*m~  plum con proporzione , cbe I •  luoghi rilevati , per tenere le  Kf elioni degli auguri , dicean*  v tempi a % che viene a. Tigniti*  care laogo , che da ogni par-  te ha profpetto c veduta . D*  onde nato è il verbo tontem»  flavi . Così pure Terenzio chia-  ma 11 cielo tempia nell* atto HI.  dell'Eunuco •    v*;: -1 . *' •   Ai quem Dtum , qui lem •   pia cali fumma fonitte  coifcutit .   1 In toc tempio medium .  Cioè la terra , che da ogni  parte dal cielo è circondata ,  come punto da fmifurara cir-  conferenza tujvs templi di que-  llo hnmenfo profpetto.   ì Sidera . Propriaménte fo-  no 1 fegni celefti componi di  più Itelle , quali fono T Arie-  te       ceffo quafsà . Imperciocché fono gli uomini con quella  condizion generati , che quel globo guardino, cui col*  locatovedi nel mezzo di quello profpetto , il qual globo  r dicefi terra. Ed a quelli è flato dato lo fpirito da quei fem-  piterni fuochi , cui voi codellazioni e delle chiamate ; le  quali eflendo globofe e rotonde, e da divine menti anima-  te, i cerchi e i giri Tuoi compifconocon mirabileceleri-  tà • Laonde ed a te , o Pubblio, ed a tutte le pie pedo-  ne dee lo fpirito rimanere nel carcere corporale : nèfen-  za il beneplacito di colui, da! quale vi fu compartito,  non fi deedalla vita, che menan gliuomini, diloggia*  re; per non parere di volere sfuggitela umana incom-  benza da Dio afTegnata, Ma in quefla condizione, o  Scipione, come fatto ha quello tuo avolo, ed io, che  t* ho generato, la giudizia pratica e la pietà ; la qua.  le ficcome ne* genitori efercitata e ne’ parenti è di gran  pregio, così verfo la patria è d* eflìmazione grandini*  ma. Queftotenor di vita firada è pel cielo, ed in que-  llo ceto di coloro, che viffergià, e dal corpo difciol-  ti, quel luogo abitan, cui tu vedi (ed era quello un  cerchio tra le fiamme lucente d’un candore rifplenden-  tifTimo) il qual voi, come avete da’Greci apprefo , il  chiamate la via lattea. Dal quale io ogni oggetto con*  tempiando , nobililTimemi fembravan le altrecofee ma.  ravigliofe. Erano poi quelle flelle, le quali nonabbiam  giammai da quedo luogo veduto ; e di effe tutte tali  le grandezze, quali non le ci damo immaginategiam-  mai * Infra le qua ! i quella era di minor grandezza , che  nell’ ultimo cielo , e pih vicina alla terra , rifplendeadi  luce accattata . Ma' i globi delle delle la grandezza  della terra vinceano lenza fallo. Orla terra mededma   co.    tc , l’Andromeda , 11 Leone ec.   4 . J£ud globofd . Crede Ari.  dotile che le ftelle fieno di  forma sferica , sì perchè In  qualunque lor progre filone noti  ci dinioftran couiparfa d* alcra  figura , sì ancora , perchè , fie-  come la luna , che annoverar  fi dee tra le ftelle , è di for-  ma sferica , egli è arresi vo-  rifimilc , che le altre ftelle pu-  re portin P Iftdfa figura . Ol-  tracciò gli Stoici appretto Cic.    nel lib. II. de Nat. Deorum  furon d* avvita aver le ftelle  la forma e figura ìftetta dell*  Uni verfo , perciocché quefta è  la pi fi bella, la piA univerfale,  che le altre comprende, ina fen*  za 1 difetti .   5 Orbem laHeum . Della via  httea già parlammo di (opra »  Per dottrina degl] antichi filo,  fofi quella era deftinato feggio  de* beati {pirici imperii nofì ri , quo quali punftum ejusattingimus, pae*  niteret •    IV.    Q Uam cum magis intuerer, quacfo, inquit Africa-  nus, quoufque humi defixa tuamenserit? Nonne  aipicis, quae in tempia veneris? i Novem cibi orbi*  bus , vel potius globis, connexa lune omnia, quorum  unus eft cfleftis extimus, qui reliquoSvOmnes compie-  élitur, 2 lummus ipfeDeus, arcens& continens cete*  ros; in quo infixi funt illi, qui volvuntur, ftellarum  curfus fempiterni ,• cui fubjeéli funt feptem , qui ver.  fantur retro, $ contrario morti , acque Cglum, ex qui*  bus unum globum pofTidetilIa, 4 quam in terris Satur-  niam nominane; deinde eft hominum generi profperus  & falutaris i Ile 5 fulgor, qui dicitur Jovis ; tum ruti-  Jus horribilifque terris, quem Martem dicitisi dein-  de 6 fubtermediam fere regionem Sol obtinet, dux&  princeps , & moderator luminum reliquorum , mens  mundi & 7 temperano, tanta magnitudine, ut cunéta   (uà    1 Movent tìii orbi bus . 1 cer-  chi Tono nove , comprefa la  terra , la nual non fi muove :  1* uno e 1’ altro è giuda 1*  oppìnion degli Antichi . Sicché  fopra I* -ottavo cerchio celefte  altro non ne poneano, e quel-  lo {limavano che tatti gli al-  tri comprendere e deiTe Ior  confiftcma , come Oc. viene qui  dichiarando .   1 Summus ipfe Devi . Quefta.  fuprema ed . ultima sfera rego-  latrice delle altre chiamai» Dio  per ecce llema , come Cic. ta.  lora cotal titolo attribuire ad  uomini fingolarmente valenti  in alcun genere . V. G. nel  Ut. I. de Orat. Te fetnper in  dicendo putavì Deum . Ad Art.  IV. 15. Feci idem , qvod in  Tolitia fu a Detti 'tilt nofler Fla-  to . Altri interpreti poi credo-    no ( ed è il plfi verifimile )  che qui Oc. parli fecondo l'op-  pìnione non tua . ma di molti  Antichi , che I* Onlverfo , 11  Cielo e le Stelle riputavano  divinità . Nel llb. I. de* Nat.  Deor. efponendo Clc. la fem  tema fu di cib di Platone co-  sì feri ve . Idem in Timeo  Jrcit in legiius fy murtdum  Deum effe , & célum , & 4-  Jira , fV terram , animo t .  Nell' iftetfa opplnione fu Seno-  crate , e Cleame , come ivi ri-  porta fi poco appretto.   j Contrario motu atquè Ca 0  lum . U atqtte è particola cor-  relativa di contrario , polla li»  cambio di quam .   4 jQuam in tetris Saturni dm ,  La della di Saturno » la piil  alta delie erranti : chiamata   é da' Greci QctiVCùV j Uccome   quel-    così piccola mi fembrò, che (enea mi malcontento del  noftro imperio, nel quale ne tocchiam come un punto  di quella.   IV.    L A quale io vie maggiormente riguardando, deh, l’ Af-  fricati foggiunfe, e fino a quando farà la tua men-  te in terra fida? E non vedi tu in che profpetti fei  venuto? ogni cola ti viene concatenata in nove giri .  o piuttofto globi, de 1 quali l’uno è il celefte nell’ulti-  ma efterior parte, che tutti gli altri contiene, in sé  fommo Dio, che tutti gli altri lega e comprende : nei  quale fermati fono que’ (empitemi corfi di delle, che  fi vanno aggirando; al quale fot topofìi fono i fette glo-  bi, che indietro fi volgono, con moto contrario a  quello ; che fa il cielo, de* quali un ne poftiede quella  della, che nel mondo chiaman Saturnia; fuccede ap-  pretto quel fulgore profperoe (aiutare all'uman genere,  che chiamali Giove; quindi ne viene il rodeggiante  pianeta, fpaventevole al mondo,. cui dicono Marte ;  il Sole occupa pofeia la regione, colà intorno a lotto  mezzocielo, guida, e capo, e direttore degli altri lu-  minari , fpirito, e temperamento dell’univerfo, di sì  fmifurata grandezza, che colla luce illumina, ecora-  pie ogni cola. Tengono a quedo dietro, comecompa-  gni, l’uno il camino di Venere, e l’altro di Mercu-    quella il Mercurio c/ h/?àtv •  voci latinamente per Aufonio  adoperate . Tempori qua StiU  von volvat , qua facula Pia.  i io* . Queita ftclla crederi  mandare influenze gelide e tor-  pide : oude fu rlpurato iL^la-  ncta de* vecchi,* che però ueno  tantalici e fartidiori . Com-  pie il Tuo cerchio iu anni ig.   f iorii! 1 6t. ed ore iz. Cic. pel  uo tardo procreilo nel lib. II.  de Nat. Deor. vuole che così  chiamili quod •fdturrtur attui s .  li Ricciolio peri» nell* Alme-  girto dà al dì lei corfo ip. an-  ni c ipo. giorni •   5 Fulgor , qui dieitur Jo*  v'tt . Quanto alla difporizion    rio;   grammaticale , o Jovis i ge-  nie. retto da fulgor , ovvero  è nomin. giufta 1* ufo , nel  qual era nell* antichi (limo La-  zio . Quefta rttlla fu da* Gre-  ci detta (pctttitùv da /«- •   cto , ardto . Da Latini fu detto  Jupittr Jovis da j uvando , at-  teri gi’influflì fuol temperati e  falutarl : onde da Cic. chia-   mali profperus (gf f alutaris .   6 Subttrmediam . Vocfe ot-   tima , ma pure dal Calepino  riformato non ricordata punto  nè popo . *   7 T tmperat io . Perchè il So-  le col calor fuo comcmpera il  deio e la terra.    ; •   fua luce iUuIIrer & compleat. Hunc ut cornice» conte»  quuntur alter i Veneris, alter a Mercurii curfus ; in  infirooque orbe Luna radiis Solis accenta convertitur  infra autem jam nihil ed > nifi mortale & caducum ,  praster animos generi hominum munere Deorum datos»  fupra Lunam funt aeterna omnia. Nam ea , quae  media & nona tellus, j neque movetur : infima eli ,  in eam feruntur omnia 4 nutu luo podera .    V.   Q xjk cum intuererflupens , utmerecepi, Quishic,  inquarti , quis ed, qui complet aures meas tantu$  & tam dulcis fonus < Hic eft , inquic ille , qui  intervallisconjunfìusimparibus, fed tameng prò rata  parte ratione diftin&is, ó impulfu & motu ipforum or»  r bium    t Veneris . Quello pianeta fi  difttngue per la fua lucidezza ,  e biancheria « onde avatua tut*  tl gli altri pianeti » ed è si  notabile , che in un ofcuro  luogo fpòrge ombra fenfibìle •  11 fuo luogo e tra la terra e  Mercurio . Egli accompagna  collantemente 11 Sole, e mai  non fene dilunge più di 47.  gradi . Quando quella ftcjla va  innanzi al Sole , che fi leva 9  dicefi Fosforo , Lucifero o Ilei-  la mattutina t c quando gli tien •  dietro , e che tramonta dopo  di lui, chiamali Efpero , o Vef*  per , o ftella Vefpertlna .   1 Mercurii . Il piò piccolo  de* pianerf inferiori ,< ed il piò  vicino al Sole . La mezzana  diltanza di mercurio dal Sole  per rispetto a quella della ter*  i;a al Sole tiene la proporzio-  ne di 387. a I00O. Giulia il  fentimento di Neuton , fonda-  to fulle prefe efperienze per  mezzo d* un termometro , il  calore del Sole fulla fuperficle  di Mercurio < 7 volte più In*    tenfo , che fulìa fuperficle del-  la • terra . La rivolnzion di  Mercurio attorno al Sole , ov-  vero il fuo anno compie fi in  87. giorni e 17. ore * La ri-  voluzione diurna poi , ovvero  la lunghezza del fuo giorno  non è ancora determinata . Per  iò altre contezze vedi gli A*  ronoml .  ì Neque movetur , Fa oppi*  ninne comun degli Antichi che  la terra non fi mo velie , cd  anche univerfal de* moderni ,  Ma non fono mancati filofoli  e ne* vetulll tempi , e ne' mo-  derni , che ne folteneflero il  fuo continuo moto , e fpezlal*  mente al prefcntc . Furon tra*  Filofofi ' antichi Filolao Pitta-  gorico ed Eraclide Pontico ec.  ed Ecfanto pur pittagorico ,  Clc. ' nel Lucullo riporta I*op-  plnione di Niceta da'Siracufa  con quelle parole . Nicetas Si •  racupus , ut aìt T beophrafius %  c eel urti , folem , lunam , f ìellas %  fupera dentque omnia (tare ten -  fet t neque pr^ter ieh*m , rem   ul-    «•    IL SOGNO DI SCIPIONE. 5*1 ,  rio; e nell* infimo cerchio la Luna da* raggi del Solé  accefa raggirali: di foteo poi nulla pili altro v’è, it  toon mortale, t cadevole, dalle anime in fuori , pet  grazia degli Dii all’uman genere compartite; foprala  Luna le fòftanze tutte fono immortali. Che quanto aU  la terra, eli 5 è in mezzo ed è la noni, nè muovefi t  élla è 1* infima, e verfò di ella viene ogni pefo per  propria inclinazione portato.   V.    I Quali oggetti io attonito rimirando, come in me  fui ritornato, che è egli n a*, dirti, quello sì grati*  dee sii foave fuono, che m’empie le orecchie ) Quello,  ti loggiunfe, è quel fuoho, che da intervalli dilpari  venendo a un tempo, ma con avvedimento però diflin*  ti fecondo la debita proporzione, per impullo e moto  delle orbite illelTe fi forma; il qual fuonoagli acuti  tuoni co* gravi contemperando, proporzionatamente for-  ma fvariati lonori concerti. Imperciocché movimenti  di tanta mole non poflòn ertère chetamente incitati ; e    itìlam in mundo mtverì : qud  tum circa axem jumma fe et -  licitate -tonvertat , torqueat ,  tadem effici omnia , qua , fi  fi ante terra , cdlum movéretur ,  Àtque hoc ttiam Platonem in  Timeo dicere quidam arbitran -  tur. Sed pattilo obfcwìus . Ma  «toppo pift foro i moderni, il  ■Copernico il Galileo ec. Di  quella fi fica controversa , qua-  li che fieno quinci e quindi i  fondamenti il certo fi ^ , che  ogni vero ed ubbidiente catto-  lico dee contenerli a norma  delle ordinazioni dalla Roma-  na chiefa emanate, ciò* che il  moto della terra foftenere 1-  ppteticamente fi pofiTa , in  quanto , fe tale fikppofizion fi  faccia * fi fpicgherebfcutio age-  volmente molli fenomeni del-  la natura : ma cl vieta il fo-  ftener ciò , come tefi . Ma    por-   Ì3;0 voglia che alenili non fac-  ciali pafiaggio dalPjpotcfi a di-  fender la tefi 1   4. Nutu fuo . Importa indi-  nazion , tendenza , ed affézion  naturale. E’ di frequente ufo in  Cic.   5 Pro rata parìe fattone ,  Col Gronóvlo riconofeo . quella  lezione non punto fconciata ,  perciocché ben confuona con  tutto il cancello del fentimen-  to . E viene a dire che quelli  difpari intervalli delle sfere ,  che ne* loro moti rendon fuo-  110 , fono proporzionati a* di-  ve r fi gradi de* tuoni , che for-  mano : né fono quelle diflanze  fatte a cafo , ma catione con  avvedimento , come appunto ri-  cerca la natura di quello con-  certo armonico .   6 ìmpulfu & mota . Ancor  Platone ammife quell 1 armonia   dello    s9 2 biuro conficitur; qui acuta cum gravibus temperans ,  variòs^quabiliter concentus efficit . Nec enim filentio  tanti motus incitari poffunt ; & natura fert , ut excre-  ma ex altera parte graviter, ex altera auteni acute fo.  nent. Quam ob cauflam funimus ille ftelliferi Cfli cur-  fus, cujus converfio ed concitatior , acuto & excita-  to movetur fono, graviamo autem hic lunaris arque  indmus Nam terra nona imobilis manens , ima fede  femper haeret complexa medium mundi locum . Il ! ì au-  tem o&ocurfus, inquibus eadem vis ed deorum i Mer-  curii, & Veneris, feptem efficiunt didintìos ìntervallis  fonos: qui numerus rerum omnium fere nodus ed .  Quod 2 dodi homines nervis imitati acque cantibus ,  aperuere fibi reditum ad hunc locum; ficut alii, qui   f traedantibus ingeniis in vita humana divina fludìaca-  uerunt. Hocfonitu oppletae aures hominum obfurdue-  runt; nec ed ullus hebetior fenfus in vobisjficut, ubi   Ni.    delle sfere celelH , colicchè nel  lib. X. de Repub. deputò a  tutte le eelefti orbite ciafcuna  firena , che fopra dj effe dan-  doli giraffe con quelle , accon>  pugnandone col canto loro la  rivoluzione . Altri poi appref-  fo Aridotile nel lib. 11. de  Carlo cap. 9 . c di Plin. nell*  Iftor. Nat. II. 3 . vollero que-  llo fuono non procedere dalle  celeftl orbite , ma dalle (Ielle  medefime in quelle fide , che  . nelle orbite fanno loro ri vo-  ltinone . Quindi è che i Pla-  tonici filofofi credettero che il  uiov imeneo de* corpi celefli  una vera ed effettiva armonia  formaffe s al qual errore drè  luogo la feutenza de* Pittago-  ricl , i quali per formare giu-  dizio de* tuoni ad_ altro non  aveati riguardo che alle ragio-  ni delle proporzioni efatte ,  che perfette appari van ne* nu-  meri , i quali furon 1 * ìdolo di  Pittagora , fenza punto atten-    dere al giudìzio dell' orecchiò •  Ma quella oppinione ne* con»  feguenti tempi , a proporzione  che abbracciata era la dottri-  ua Platonica , fece i Cuoi pro-  gredì . Quindi è che Filone  Ebreo , i>. Agoftino , S Am-  brogio , S. lddoro , Boezio 9  ed altri molti furono molto  impegnati per quella celcfte  armonia , cui attribuivano al-  le varie proporzionate impref-  fioni de* globi celefti , che fan 1 *  un fopra l'altro t le quali comu-  nicate per certi giudi intervalli  formano cotale armonia . Non  ut> far , dicon* efli , che sì  erminar! corpi con tanta ra-  pidità movendoli , cheti (fie-  no ed In filentio . Ed all* In-  contro 1 ' atmosfera di conti-  nuo da que' corpi fofpinta dee  produrre una ferie di fuoni  proporzionati alle itnpulfioni »  che la riceve : e per confeguen-  te , conciodìachè tutti i globi  ce ledi non facciano la medefr-   ma    «     m  perù il altura 1 ordine delle cofe, che gli eftremi fi et* *  dall* una parte rendano grave Tuono, dall’ altra poi il  rendano acuto. Per la qaale cagione i! Tu premo corio  del cielo ftellifero, la cui rivoluzione è più concitata ,  vien molto con acuto ed elevato (uono, c con gravif-  fimo quefto lunare ed infimo corfo . Che quanto alla  terra, nona d’ordine', ilandofi immobile, rimanfi Tem-  pre nel feggio infimo , occupando il luogo di* mezzo  nell 5 univerfo. Quegli otto corfi poi , infra i quali il  tuono de* due Mercurio e Venere fi èd’un tenore me.  defimo, formano Tette fuoni difpari per intervalli di-  verfi: il qual numero fi è, quali come il legamedi tut-  te le cole. Cotal concerto i dotti uomini colle corde  da Tuono avendo imitato, e co 5 canti, fiaperfero il ri-  torno a quello luogo ; ficcome altri , che per loro ec-  cellenti ingegni nella umana vita coltivarono divini  ftudj. Diquefio ftrepito ingombrate le umane orecchie  fi fono aflordite ; nè vi è in voi alcun feotimento più  ottufo : a quella guila che, dove il Nilo in quelle par-  ti, cheCatadupe fi appellano, da altiffimi monti pre-  cipita , quella gente , che intorno a quei luogo abita)   P p per    ma rivoluzione , né colla me-  desima velocità, 1 tuoni diffe-  renti t che provengono dalla di-  versità de* moti , dall* Altif-  fimo Indirizzati , formano tm  ammirabile musicale concerto •  Il difeorfo par ragionevole r  ma noni effondo foftenuco dall*  efperienza delle nostre orec-  chie , che pur parrebbe dovcSTe-  ro averne alcun femore , cosi  concludo il mio debole fen ti-  mento fu di tale oppfnione •  Quell* armonia de* cieli fe ri-  dur SI voglia a muftcal tuono  è una bella e fpeciofa favola  degli antichi fi Io Toft , che pre-  tendeano alle oppinlonl loro  dare aria e fembiania di ma-  ravlgliofe . Ma quefta celaste  muSica ed armoniofo concerto  altro non è veramente che le  proporzioni , cui I dotti mo-  derni astronomi han riprovato    nelle mifure e quantità , che fo-  co portano i movimenti di que-  sti oeleSli corpi ;   i Mer curii (f Ventri s . I  quali pianeti accompagnando il  Sole , fi comprendono elfere  dell* IfteSfo fuono t ficchè gli  otto globi formano fette diversi  fuoni .   z DoRi hominet . Ritrovato-  ri 'dell* eptacordo , cioè dei  mnltcale iftrumento di fette  corde , annoverati perciò tra »  Semidei . Macrobio e Severi-  no furono in opinione che co-  storo col numero ferteunarlo  di queftè corde IntendeSTero d*  imitare il moto armonlofo de*  fette pianeti . L* Affrlcano pe-  rò qui intende da costoro imi-  tato il. fuono delle, otto orbi-  te già divlf.ite. Su di costoro  non vo* tralafciare 1* oppiato-  ne , che n: portò Quintiliano   usi    *1    Digitized by Google    594 Nilusad illa, qu^e | Catadripa nominantur, prscipitat  CI altiflimirThontibus, ea gens» quae illum Iocura ag-  colie propter magnitudi bear fonitus > fenfu audiendi  caret. Hic vero cantu* eft totius mundi incitati rti ma,  converfioneionitus, ut euoi aures bominum capere noti  portine: ficut intuerì folem nequitis adverfum , ejufque  radiis acies vedrà (enfufque vi nei tur- Hate ego admì-  fans » referebam tamen oculos ad te&rain ideutidem.     »    V    T UM Africanus , Sentio , inquit, te fedem etiarn  dune bominum ac domum contemplali: qusefiti-  bi parva, ut et!, ita videtur, haeccaeleftia femper (pe-  lato, illa Humana contemnito. Tu enim quam cele-,  britatem fermonis hominum, aut 2 quam expetendam  gloriam confequi pote$> Vides hab tari iti terra rana  & anguftis in !oci$, & in ipfis quali maculis, ubi ha- -  bjtatur, vaftas folitudines incerje&as; hofque, qui in-,  colunt terram,»non modo interruptos ita erte, utnihil  incer Jpfos ab aliis ad alios manare portìt ; led par.  tim£ obliquos, partim 4 averfos, parcim etiam 5 ad-  verfos flare vobis ; a quibus expeéhre gloriam certe  nullam poteftis. Cernis autem terram eamdem, quali 1  quibufdam redimitami circumdatam òcingulis, equi»   ' ‘ * bus   * • t    nel lib. I. io. Claror dòmini  fapitnt'ue viros rtemo dubita*  Vtrit Jìudtofor tnuficis fuifft  tum * Vytb agoras , dtque tum  fittiti acce pt am fitte dubio an «  tiquituf opittionem vulgati*  itint f mundum ipfum tjm ra -  fiotti ifit rompo jltum , quam  Pojlta fit lyra imitata . Quin-  di cred* io che procedcfie la  cftimation grande J od anzi la  venerazione , che gli antichi  Greci Nerbavano per, |a molici!  che però I mutici dic^nfi pare  tatts e fapitttttsi e T^fepiilhcle  effendi» inesperto in toccar la  cetera , gli folte imputato a di-  fetto d* imperizia .   ' * Catadupa . Le cataratte fono    del Nilo dette da Xaf<T«J ovvric*  dt or furti cado,   2 fhfdm txptttttdam glor*am .  Cic. ne* lib? ! della Repubblica  fu di, parere , che dovefle chi  maneggia la Repubblica effe re  fomentato , ed eccitato alle ge-  nerofe imprefe colla gloria , e  credc'a che ciò folle alla Re-  pubblica vantaggio^» , - rifle Alo-  ne t che altresì de* Romani fece  S Agoftino nel Uh. V- c*.- ij. de  Cl. Ir. Dei . Or coerentemente  1 # Atfricano non condanna del  •tU'to 1' appetito della . lori a ,  ma vuole a quello rlufcire ,  che qualunque umana gloria i  pef enrro ad auguttl tifimi con-  fini rirtretta , e non pur non   e ter-    1 5 p*   per U grandezza dello flrepito, priva è d’udito. fVfa  quello Crepito di tutto l’utiiverfo con rapidiffima rivo-  luzione è di tenore sì fatto > che le umane orecchie  noi poffon comprendere: ficcome non potete fiflar gii  occhi del Sole 5 quando Ila di rincontro, e da’raggidì  lui l’acume voftro e’1 (enti mento del, vedereè lover.  chuto. Quelle cofeie con ammirazione afcoltando, ri*  volge» pure di tanto in tanto gli occhi alla terra.   Vi.   . »   . ^ ^ # i   A Llora T AfFricano , ben m’ accorgo, logp^iunfe, che  tu anche al prefente il faggio contempli e l’abita-  zione degli uomini; la quale fé piccola ti pare, com’è  ineffetto, tieni (empre rivolto l’occhio a quelle cele-  fti magioni, e quelle non curare, che umane fono • Im*  perciocché tu qual mai confeguir pool ftrepitofa fama  dell’uman ragionare, o qual gloria, che da appetir (la ?  Vedi che nel mondo abitazioni fono in rari ed retti  luoghi , ed infra quelli medefimi, come fparfe macchie,  dove fi abita valle folitudini vi fono interpone; e co-  li oro , che abitan la terea , non pure edere per tal ma-  niera feparati, che tra elTì nulla dagli uni polla trape-  lare agli altri; ma parte rifpetto a voi dare a fgem-  bo, parte alle (palle, e parte ancora di rinccntroal di  fotto ; da* quali certamente fperar non potete veruna  gloria. Vedi poi la medefima terra , come coronata di  certe zone ed intorniata, delle quali due fommamente  tra 1 or* dittanti* e quinci equjndt fugli fletti celefli po*   P p a li    eterna , cria neppur durevole lun-  go tempo. Quelli rifletti peri» a  chi per la evangelica Fede cre-  de una eterna immortai vita , in  elei prometta a chi dirittamente  opera , debbono eflere podetofi  incitamenti a . non curare la  umana gloria dei tutto , ed a  prendere àccefi ttimoli per ri-  volgere ogni aiion noltra a pro-  muovere la gloria divina   I Obliquo * . Qaefti fur detti   da* Greci 9rfpi oi xf f *   4 /ìdterfos . Coloro fono che  tfgaafd;in diverfo polo , e di-   coivi» * vvoixOt . Quelli fono ,    :hc abitano nella cont rapporta  na temperata fotto il rontrap-  pcflto paralello, ma nell* Irte fio'  fenutircolo meridiano.   5 Adterfos . Sono gli antipo-  di , così de^ti per li piedi o  veftigj , che fi rifpondono di  rincontro . t)i qoett! termini  vedine fplegazioite pift ampia  appretto gl/ A Urologi 'ed I Geo-  grafi.   6 Cittguljs . Divifa le di,*  ode zòne , delle qual! le po-  rtreme frigidi ttìme fono, la aie#  dia caldi Éfi ma .    4    /    ’ % ■>   • bus duos maxime intet fe diverfos, & iceji «ertici*  bus ipfis ex utraque parte fubnixos obnguiffe pruina  vides: medium autem lllum & maximum folis ara?'"®  torreri. a Duo funt habitabiles, quorum a udrai is «Ile  tin quo qui infiftunt, 3 adveria vobis urgent veft.gia)  4 nihil ad veftrum genus . Hic autem alter (ubieflus  Aquiloni , quecn incolitis , cerne, 5 quam tenui vospar-  te contingat • Oronis enim terra, quac coli tur a vo*  bis, 6 anguQa verticibus, 7 laterìbus latior , 8 parva  quaedam infoia eft; circumfufa ilio mari, quod Atlan-  ticum , quod Magnum , quod Oceanum appellatis m  terris: quitamen tanto nomine, quam fit parvus , vi»  des. Ex his ipfis cultis notifque terris, nutnaut tuum ,  aut cojufquam noftrum nomen , vel Caucafum nunc,  quem cernì* , trascendere pctuit , vel illum Gangem  tranfnare? Qui* in reliquis orienti*, aut abeuntis folis  ultimi*, aut. Aquilonis* Aufirive partibus tuum nomen  audiet^ Quibus amputatis, cet ni s profeto, quanti* in  .anguftiis veflragloria fedilatari velie • IpOautem, qui  de nobis loquuntur, quamdiu loquentur ?   ' * Y va ; . ' ,   Q Uinctiam fi cupiat prole* illa futurorum hominum  deincep^ laudes uniufcujSque noftrum apatribus  acceptas pofteris prodere, tamen prepter eluvio-  nes exuftitionefque terrarum, qua* accidere tempore  certo necefle eft , non modo aeternam , fod ne diu tur-  nam quidem gloriano affequi poffumus. Quid autem in   ter-    t    % Cai* Virtìcibur. Ai p»U .   1 Duo furtt Jbabit abile s . Vie*  tic efponendo le due zone  temperate intermedie quinci e  quindi da' lati t auftrale l* una  boreale 1* altra*   $ Adverfa vobis . Perciocché  dimorano dall* altra parte dell*  - cccliptica folare .   4. Niktl' ad vefitum genus .  Perciocché «è voi a loro nè  efli a voi trapalano .   5 JQuàm tenui vos parte ,  Vedi quanto fi a piccolo fpaxio  quello ) dove fi aggirano le    Volbe glorie . .   6 Angui a vertieibus * ' In   brevi parole accenna la latitu-  dine della terra fottopofta a’  Romani , la quale coi. fitte nel-  la dittatila d * un luogo dall*  Equatore ed un arco del meri-  diano , comprefo tra *1 Zenit h  del luogo, e l'Equatore. (Quin-  di la latitudine dlctfi efiere •  fettcRtrionaie 0 meridionale ,  fecondo che li luogo del qual  fi parla è fett^ntrionale , 0 me-  ridionale . Or 4a parola wr-  ticibus fignifica i poli Artica   * Afr    .; fp 7  ii pofàndo, vediefTere per la brina irrigidite ♦ equeila  di mezzo» e la più ampia edere dal folare ardore av-  vampata* D.ie le abitabili fono, delle quali l’audrale  ( dove chi dà (opra imprimon veftigj di rincontro a  noi ) alla vodra fpecie non appartiene . Di queO”  altra poi all* Aquilon foggetta , cui abitate , guar-  da come tenue parte a voi ne tocchi * Imperciocché  tutta quella parte di terra , che da voi fi abita , da ver-  tici rifìretta, più diflefa da fianchi, è come una picco-  la ifola; bagnata intorno da quel mare, che in terra  chiamate Atlantico, Magno, ed Oceano: il qual però  comecché di si gran nome, pur vedi quanto picco! fia .  Da quelle idede coltivate e note regioni o*l nome tuo,  ovvero il nome d* alcun de’ nodri potette egli forfè o  queft’Oceano valicare, cui tu vedi, o traghetfarequel  Gange? Chi mai i]\nome tuo afctìlrerà o nelle altre  parti del nafcente fole, o nefl’eftreme del medefimo  tramontate, ovvero nelle parti dell’Aquilone, edell* Au-  lirò? Le quali regioni edendo feparate, certamente fcor*  gi in che augufli fpazi la vodra gloria alpi ri ad ed'er  didefa. Quelli poi, che di noi ragionano, finoaquan*  do il faranno?   Vii. :    G HE anzi fe quella gènéraxìone di futuri uomini bràa  mera fuceeflìvamente di trafmetterea’poderi legio-  ne di ciafcun di noi da* padri loro fentite , tuttavia  ber le inondazioni, e divampamenti de'paefi, i quali  Fora* è che in determinati tempo fuccedano, nonpoflìa-  mò acquiflar gloria, non che fempiterna, ma neppuf  lungamente durevole. Or che mónta che da colorò, i  quali nafceran dappoi, fu di tefìterran difcorfi* men-   Pp - j tre    fe Aritattlco t che fono 4 ter,  mini , per cui rapporto fi mi.  fura r eftenfione della latitu-  dine • '   Ì Ut tribù s f Attor. Viene ef-  pretta la longitudine dell* Impe-  rio Romano , cioè 1* eftenfio-  ne , che area da Ponerite a Le-  vante fecondo la direzione dell'  Èquatore . E quindi fi vie-  te a concludere che maggior  nc forte ia longitudine che la    la tir udinè •   8 Par va quaJatn ihfulA efb  &c- Dal Cielo additando l'im*  perfo Romano lo dlmoftra come  una piccola ifola conirtefa e  bagnata dall* Oceano. Ma que-  lla è una mani fetta efagerazld<*  ne per efprimerne la piccolez-  za , chfe dal cielo all* Affrica*  no appariva . Aulì , a dir ve-  ro, non fi potea ncppor chia-  mar ifola .    r     tereft ab iis, qui poftea nafcentur, fermonem fore de  te, cum ab iis nuilus fuerit, qui ante nati fint ; qui  nec pauciores , & trerte 1 meliores fueruntviri? cam  pradertim apud eos ipfos, a quibus a udiri nemen no.  flrum poteft, nemo uniusanni memoriam confequi pof.  fit . Homines eoiro populariter annum tantummedo So-  Jis, ideft unius aftri rHitu metiuntur ; cum autem ad  idem, unde femel profeta funt, cun£te aftra redierint,  eamdemque tetius cadi deferiptionem longis interva!-  Jis retuleriot , tum ille 2 verevertens annusappellari  poteft; in quo vix dicere audeo, quam multa incula,  bominum teneantur- Nacnque, $ ut olimdeficereSoi  •bominibus extinguique vìfus eft , cumRomuIi animus  baec ipfa in tempia penetravi; ita quardoque eadem  parte So^ , eedemque tempore iterum defecerit , tum fi-  bus ad idem principium ftellifquerevocatis ,   ex«     1 Meliores fuerunt , I coftu-  mi degli Antichi, la fede, gli  andamenti ec. univerfalmente  dagli fcrittori commendane :  quello è vezzo comune anche  a eh! è vecchio, deferitto da  Orazio con quelle parole. Lau-  dai or tempori s afri . Onde que-  llo giudizio non Tempre al ver  corrifponde .   1 Vere verterti annus . Que-  lle maniere verterti annus ,  verterti menfis fono pagamen-  te prefe per un anno , .per un  mele trafeorfo . Altri parcirlp j  n'arreco di voce attiva in for-  za partiva alla nota 7. nella vi-  ta d* Agelìlao apprettò Nipote.  Qui però mi 'pare pift coturno-  da V interpretazione in forza  attiva , actefe tutte le parole  ed il contefto. Or qui li parla  •* dell' anno grande , che\ ebte  più e dlvcrfi titoli . Fu chiama-  to , or ma gnu s , or fidereus ,  quando mundanus , tal Hata  Platonìcus , e comprende tutta  l’efteulion di tempo, ovvero il  perìodo di tanti anni , quanti    li richiedono perchè i corpi ce-  lefti torniti tutti a Quella poli»  zion primiera , nella quale fu-  rono al principio del mondo •  Cic. acconciamente il divlfa  nel lib, 11. cap. de Nat. Deo-.  rum . Maxime vero funt ad*n i-  r abile s mot us earum quinqete  jtellarum , qua falfo vocantttr  errante s $ nihil enìm trat , quod  in omni eetemitate conferva  progreffus , regrejjus t reli-  quofque motus confante s (jf ra-  tos .... jQuatum ex dijpn-  ribus Motiombur magnurn an-  riunì mai he mutici nominate-  runt , qui tum efficitur , tum  folis fy lume , & quinque er-  rarti ium ad earrtdem itJer fé  zompar ationem.y tonfi fòt) 0 nt-  niuru fpatiis , ejl fatta conver-  go . Pare che qui nel coffo  di que(|' anno inetta in confi-  de razione i Ioli pianeti . Ma  gli alt» i fcrìttoti, e Cic. iftef-  lb nel prefen.t fogno palla .di  tu^tc le ftellc u*b ver Talmente -\  Quale poi lia il numero precifo  degli auul ella è controverfìa   non    \    1    V    *    i   $. * .     m  tre nonfen’è fatto pur parola da quelli , che negli ante-  • riori tempi vennero a luce; i qua!» nè furono in mirtor  numero, e certamente uomini furono più valenti ? maf-  fime che apprerto quegli flerti, da’ quali fi può il nome  noftro afcoltare; niiino ne può la ricordanza ottenere  d'un fole anno. Imperciocché g li uomini giulia J’efti-  mazion popolare dal rirorno (oltanfo del Sóle mifuran  l’anno, cioè d’una fola (Iella : quando poi faran tutte  le (Ielle al punto medefimo ritornate, onde una volta  fi modero ; ed avranno ne* lunghi loro intervalli ripor.  tato il drvifamento medefimo di tutto il Cielo, allora  quello fi può veramente appellare anno , che opera rivo,  lozione: nel quale appena d’efprimer ro* attento quan.  ti fecoli umani fieno comprefi. Imperciocché, ficcome  una volta agli uomini parve che il Sole foftenedè ec.  elidi , e fi ammorzarti;, quando l’anima di Romolo pe-  netrò in quelli (ledi profpetti ; coslallor quando il So-  le nella parte medefima, e nel tempo irteffo da capo  avrà (ottenuto ecclirtì, allora ertendo tutti i celetti cor*  pi, etutte le (Ielle al lor principio medefimo richiama,  re, terrai l’anno erter compiuto . E Tappi chedftjueft*  anno non n’ è per anche la‘- vigefima parte trafeoria %  Che però (e difpenerai di far ritorno in quello luogo,   ; ... y a r P p 4 nel    non per anche decffa . Clc.  Iftetfo parlando di quella rivo»  In z. ione foggi agile appreflb ..   jQuaquam longa fit , 'magna  quelito ejl , ejfe Viro cirtam  defintiam necejfe eji . Si cita  perb un frammento dell* Opera  intitolata l'Orccnfm , dove chia-  ramente efprime il fuo Tenti,  mento. 1s eft magnai & Vi-  rus annus , quod i aderti pofìtìo  cali fiderumque cum maxima  ifi , rurfum exijigt j ifque an-  nui horutn , quoi tocamui , an-  norum Xll. M DCCCC1V. com-  pie Bit ur 9 cioè dodici mila no-  vecento quatir' anni . In. cib  fono fvariatiifime le eppinioni  degli altri-, che ci danno ar-  gomento ad affermar con cer-  teira non effor ancora 1* agro-    nomia pervenata a tanto, eh»  pocefle fame probabile decifìo.  ne. Sicché quel, che fi foggiti,  gne pift innanzi in quello ci-  po , hu)us anni nondum vieeji-  matn partem itfi cot/Virj'am , fb.  vuol prendere per piccolo , c  fcarfo tempo, non per determi-  nata mifura trafeorfa . Ovvero  fe Clc. ha pretefo di far dire  * all* Affricano il preclfo fpazio del  trapalato tempo , non fi vuole  attendere in cofa cotanto incerta .   j Ut olim. Ferma il principiò  dell* anno grande dalla morte di  Romolo , cu! dicono che moriffe  nelPecliffe del fole . Per altro  da ogni punto di tempo fi pub  dare cominciamento al computo  di quello anno Platonico.     Qxpietum aonum habeco. Hujus quidem anni nóndulft  vicefimam partem fcitoeffe converfam. Quocirca fire-  ditum iit hunc locum deiperaveris , in quo omnia fune  magnis & praeflantibus viris ; quanti tandem eft ifta ho-  minuui gloria, quae pertinere vix ad unius anni par*  temexiguam poteft ? Igitur alte (pelare fi voles,. a tque  hanc fedem & aeternam domum contueri , neque te  fermonibus vulgi „ dederis , nec in praemiis humanis  fpem pofueris rerum tuarum ; fuis te oportet iilece*  brìs ipfa virtus trahat àd verum decus, Qui detealiì  loquantur, ipfi videant, fed loquentur tamen. Serma  autem omnis ilie, & augufliis cingitur iis regionum,  quas vides, nec umquam de ullo perennis fuit ; &  obruitur hominum inceritu , & oblivione pofteritatis  extinguitur.   V 1 1 L    Q UiE cumdixiflet, Ego vero, inquam, oAfricatie*  fiquidem bene mentis de patria, i quali limes ad  cali aditum patet, quamquam a pueritia vedi*  giis ingreflus patriis & tuis, decori vefìro non defui;  nunc tamen, tanto praemiopropolìto, enitar multo vi*  gilantius. Ét ille : Tu vero enitere , fitfic habeto,  non effe te mortalem , fed corpus hoc: 2 necenim i9  es, quem forma irta declarat ; fed mens cujufque, is  eft quifque,* non ea figura, qua? digito demonOrari po*  teli. 1 Deum te igitur fcitoeffe; fìquidem 4 Deused ,  qui viget, qui fentit, qui meminit , qui provider ,  qui tam regie & moderatur & movet id corpus, cui   P**-    1 lima. Sono propr la-   nterne le ftrade , che fervono di’  cfivifionc alle campagne, e per  confeguente fono od hanno an-  che T. varchi per enrrare né *  campì . Quindi fi accatta la me-  tafora , e fi trafpórca al cielo .   a Nec e» im is es , quem &C.  Qucfii rifleffì e dottrine con aU  tre , che fieguono , fono Plato-  niche. Socrate appretfb del di-  vi» filofofo dìmoftra al fuo  Alcibiade che I* uomo noli  £ il foto corpo , ne il corpo    colla mente , ma ta fola men-  te . E nell* Affoco cosi ferivi   Hgeif uiV yip tVjuiv   * «d tf VOtOZfV y tv •Sl'l/-   <7» xat$HpyfjisvGÌr Qpoupta •  Imperciocché noi pani lene V 44  stinta , immortale animale , rat •  eh tufo in mortai cufiodia . SI-  niigliantc fu 'il fenthnento d*  Arnobio e di Lattanti©. ^   ' 3 Deum te igitur jtito effe .  Gli Stoici definivano 1* nomo  animai rationale mortale , e   Diù    t   6o i   hel quale per li grandi ed eccellenti uomini v'è ogn *  bene ; alla fin fine corefta gloria degli uomini a che  valore monca , la quale appena comprender fi può in  una parte piccola d' un folo anno? Se vorrai pertanto  fi (Tare l'occhio dell’intelletto in alto, e quefto feg-  gio rimirare , e quella eterna magione , non ti farai  fervente a’ parlari del volgo, nè Tulle ricoropenle u-  mane la fperanza riporrai delle imprefe tbe ; convie-  ne , che la virtù medefima cogli allettativi fuoi ai  decoro vero ti tragga . A quello, che gli altri fieno  per parlare di te , ci penfino erti , ma pur parleran-  no . Ma ogni lor difcoirere e vien compralo tra le  anguftie delle regioni, cui vedi, nè fu d’alcun fog-  getto fu perenne giammai; e riman fepolto dal mori-  re degli uomini, e nellaoblivione della pofterità vien  meno .   * « o - t è »*’ 1 a* . Y* ~ l * i 1   » VHI.   • % - * * *   r ' , * ! * •   L E quali contezze avendomi efpofto , or io , fog.   giunfi , o Africano, giacché a’ foggetti) bene me-  fiti della patria è come quafi aperto il varco all' in-  greflo del cielo , febbene fin dalla puerizia mefTomi  ìu i paterni vefiigj e fu de’ tuoi , non ho al decoro  voftro mancato j pur nondimeno al prefence , portomi  avanti cotanto premio, con troppo maggior vigilanza  farò miei sforzi . Ed ei replicò : Metti pur tuoi sfor-  zi ; e pervaditi, cbfc tu non fei mortale, ma quello  corpo fibbene * che non fei dello , cui la fembianza  tua dimoftra; ma Io fpirito di cialcuno è quello, che  fi è ciafcuno ; non è tal la figura f che accennar fi  polla col dito * Sappi adunque che tu lei Dio: poiché  Dio è chi ha vivacità , fentimento, memoria, prov-  videnza , e che tanto regge , e modera , e muove  quello corpo, cui è a governar deputato, quanto quel  principale Dio queil* univerfo; e ficcome l'iddio eter-  no    Dio animai rationalt immorta -  ìe . Sicché giuda la loro dot*  trina 1* uomo per quella pondo*  ne di fc , ond’è immortale , non  farà da Dio differente k  4 Ùeus e fi qui Iftitulfce    la parità tra Dio e I* 'uomo  e la ragione , onde provati l*  immortalità deirefTema divina,  l’eftende a provare rìnynorta-  lità dell'anima , eziandio ante-  riore. prstpofitus ed , quam hunc tnuodum princeps ille  Deus: & ut mundum exquadam parte mortalem ipfe  Deus asterifus, fic fragile corpus animus fempirernus  nrovet. Nam i quod femper movetur, «ternani eft:  : quod autem motum affert alicui , quodque ipfum a.  gitatur aliunde, quando finem habet motus, vìvendi  *|faemUiabe*t neceflè eft. Solum igitur quod iefe mo*  •vèt , quia 1 numquam deferitur a fé , numquam ne  moverì quidem definii : quin etiam ceteris, qu« mo-  ventur, hic fons, hoc principium eft movendi. Prin-  cipio autem nulla eft origo: nam ex principio oriun-  tur omnia ; ipfum autem nulla ex re : nec enim id  efl’et principium , quod gigneretur aliunde . Quod fi  numquam oritur, uè occidit quidem umquam • Nam  principium extinàum , nec ipfum ab alio renafcefur,  nec ex fe aliud.creabit: a fiquidem neceffe eft a princi*  pio oriri omnia. Ita fit , ut motus principium ex eo  fit , quod ipfam a fe^ roovetnr ; ìd autem nec calci  poteft nec mori : v *el concidat omne caelum, om-  nifque natura confiftat necefl'e eft ; nec vira ullam  nancifcatur, qua prime impulfu moveatur.    IX.    ( *    C UM pateat igitur , aeternum id effe , quod a fe  ipfo moveatur; quiseft, qui hanc naturai» arii-  mis effe tributam neget ? Inanimum eft enim omne,  quod pulfu agitatur externo. Quod autem animai eft,  id mota cietur interiore & fuo. Nam haec eft natura  propria animi atque vis*; quae fi eft una ex omnibus ,  quae fefe moveant , oeque nata eft certe , & atterri*  eft. Hanc tu exerce in' optimis rebu 9 . Sunt autem hae  opti ma? cura? de falute patriae , quibus agitatus &  exercitatus animus, i velocius in nano fedem & do-  mum fuam pervolabit . Iraque ocyus faciet , fi iam  tu, cum erit inclufus in corpore, croincbit foras; &   ea ,      - i jQuotì femper movetur tye.  Quefto argomento lo efpóne  quafi colle iftefle parole nelle  Tumulane 1. 2 $. Latta mio   . v    ancora .lo tratta con principi  ancor più forti nel lib, VII.  cap. 8.   2 Yel tonciÀAt omne tàtìum   &c.   $    no Dio T univerlo muove per alcuna parte cadevole,  così 1’ immortale fpirito muove il fragile corpo. lm*  perciocché eterno è quello , che Tempre muovei :  quello poi , che communica moto ad altra cofa, e che  pure impulfion foftiene da altra cagione , quando il  moto ha fine, egli è di neceffieà , che al fin perven-  ga del viver Tuo . Quel foio adunque , che le Hello  muove, perciocché non è mai da sé abbandonato , nep*  pur cella giammai di muoverli ; che anzi alle, altre  cole àncora , che muovonfi , egli è origine , egli -è  principio di moto. Ma il principio non riconofce o-  rtgine i che dal principio tutte le cole traggono lor  nalcirrienio ;.e(To poi da ninna il trae ; imperciocché  non farebbe principi® quello, che generato folle d’ai*  tronde . Che fe giammai non nalce , neppur muore  giammai . Concioflìachè il principio edendo venuto  meno, nè eflo da un altro rinalcerebbe , nè di sé po-  trà creare un’ altro ;* poiché egli è forza che tutto  nafea da un principio . Per tale maniera n’avviene,  che il princìpio del moto da quello fi a , che da le  lleflb fi muove ; or quello nè nafeer può nè morire :  ovvero di necelfìtà è che rovini giù tutto il cielo ,  e l’univerfa natura fi arrefti ; nè trovi alcun vigore,  onde colla impulfion primiera fi muova.   IX.   E Sfendo pertanto manifeflo quel lo effere eterno 9  che da le ftelfo fi muove , chi negar potrà che  quella naturai proprietà fia fiata alle anime conceda»  ta ? I mperciocchè- inanimato è tutto ciò, che foftien  moto da impullo eflerno . Quello poi , che è anima*  Te , viene per interiore e proprio moto rifeoffo . Im-,  perciocché quella è la natura propria e la virtù dell*  anima ; che fe P una é infra tutte quelle nature,  che fe ftcflfe muovono, non ha certamente avuto prin-   ci-    &c. Il fentimento e le parole 1* anima più facilmente da fe   altresj, fono di Platone nel - fcocerà il mortale e torpido  Tedro. ' ' pefo del còrpo , e pift fpedita-   ; V elotius fife. Con quello niente voleranne alla celeitc ma*   cfcrdifo e moto d' ojcraiìonl gione.*.    }    éo ea, quae extra erunt, contemplans, quam maxime (e  a Corpore abftrahet . Nam eorum animi , qui (e cor-  poris voluptatibus dediderunt, earumque (e quafi mi*  ni (Ir os praebuerunt , impuifuque libidinum voluptati*  bus obedientiurti * Deorum & hominum jsra violavo*  runt , corporibus elapfi i circum terram ipfam volo,  tantur, noe in hunc locum, nifi multis exagitati (ae-  culis, revercuntur « Iile diiceffìt : ego (ornilo folutus  fum.    i Circum terrdm ipfdm . Que-  lla 6 oppiatone dì Socrate , da  Platon f ragionata nel Fedone *  dove dice che le anime de*  malvagi rimaugonfi In terra  condannate a divagare intorno  a* fepolcri , dave pagan le pe«    ne della vita malvagiamente  menata . £d alla fatta oppi*  ninne dà pure alcuna compatta  di fondamento • 1* apparire ta«  lora in si fatti luoghi fpcttrf  cd ombre «   60$  cipio dì nafci mento, ed eterna è. Quella tu eiercita  in ottime operazioni . Ed ottime lono le premure  fall* falvezza della patria, {ielle quali Panima meda  in moto ed efercìrata, piò velocemente a quello leg-  gio e magion (ua ne volerà • E ciò pib fpeditamente  farà , Te già fin d* allora , quando farà nel corpo rac-  cbiufa , fi loileverà fuori di sè, e contemplando que-  gli oggetti , che eftranei faranno , fi difiorrà, quanto  può mai , dal corpo. Imperciocché le anime di colo,  ro, che fi fono a corporali piaceri dati, e fi rendette-  v ro quafi minidri di quelli , e che , per impulfo delle  didemperate padroni a* piaceri fatti obbedienti, le leg-  gi ruppero e degli Dii e degli uomini, da' corpi ufci-  te fi vanno intorno alia terra medefima ravvolgendo,  nè io queflo luogo , fe non dopo d* edere (late tribo**  late molti fecoli, fan ritorno. Egli dipartirti; edio  mi difcoHi dai fonno.   INTERLOCUTORI P. C. SCIPIONE TENORE LUCEJO, principe de' Celtiberi SOPRANO C. LELIO, duce romano .TENORE ERNANDO, re delle isole Baleari .. BASSO BERENICE, prigioniera . SOPRANO ARMIRA, prigioniera .. SOPRANO La scena è in Cartagine nova.All'eccellenza... Scipione All'eccellenza... ...di Carlo Lenos duca di Richmond e Lenos, conte di March e Darnly, barone di Setterington e Methuen, e cavaliere del nobilissimo Ordine del bagno. My lord, nulla meno dell'eroico deve dare pubblico divertimento alla britanna nobiltà per interamente compiacerla. Gli antichi Romani sono il modello di questa in armi e in lettere floridissima nazione: e non può trovarsi soggetto più nobile delle loro gran geste, per un teatro ove la medesima vegga rappresentati i personaggi a' quali i suoi più gloriosi figli somigliano. P. C. Scipione che fu poi nomato l'africano, vittorioso, amante, e vincitor di sé stesso, comparisce   al   pubblico,   e   mi   dà   una   giusta   occasione   di   attestar   pubblicamente l'interno mio sentimento di stima e devozione verso l'e. v. con dedicarglielo. Io sin da che v. e. tornò da' suoi viaggi, la stimai, l'ammirai, ed ottenutone l'accesso ed il patrocinio, la ritrovai adorna delle più belle doti e naturali e acquistate: prestanza di persona, vivezza d'Ingegno, nobiltà di costumi, grandezza di maniere, affabilità di conversazione, conoscimento di lettere, buon gusto nelle belle arti ammirai nell'e. v. e godei vederla felice presso a nobile gentile e bella consorte. Negli affetti di padre e di marito dio prosperi il corso de' suoi floridi anni,  al quale se non mancheranno occasioni, non potranno mancar fatti che lo rendano ancor più simile   a   quegli   eroi,   che   d'uno   de'   più   Illustri   de'   quali,   io   presento   la   più ragguardevole azione all'e. v. in questo mio novo dramma. Ed ossequiosamente mi rassegno di v. e. umilissimo servitoreROLLI. P. Rolli Händel, Argomento Argomento. Publio Cornelio Scipione proconsole nelle Spagne prese per assalto Cartagine nova signoreggiata   dalli   Cartaginesi:   s'innamorò   d'una   bellissima   prigioniera,   ma trovandola già promessa a Lucejo principe de' Celtiberi, gliela rese generosamente con tutti i doni portati dal di lei padre per suo riscatto. N. B. Il solo primo motivo ed alcuni pochi versi di questo dramma sono stati tolti da un vecchio dramma del medesimo titolo. Il celebre signor Federico Handel ne compose la musica, al sommo espressiva ed armoniosa: ed il tutto fu eseguito in tre settimane. www.librettidopera.it 5 / 36 Atto primo Scipione A T T O   P R I M O [Ouverture] Scena prima Piazza con arco trionfale. Scipione su carro trionfale seguìto dall'Esercito vittorioso, Schiavi d'ambo i sessi, e Lelio duce romano. [N. 1 ­ Marcia] [N. 2 ­ Arioso] SCIPIONE Abbiam vinto: e Iberia doma, par che dica il fato a Roma, serva Egitto ancor sarà. Recitativo SCIPIONE A Tiberiolo e a Sesto porgo egualmente la mural corona, ché noto è a me, ch'ambo saliro i primi sovra il muro scalato. Lelio, al roman senato fia noto il tuo sommo valore, in tanto segno d'illustre militar decoro splendati al crin questa corona d'oro. LELIO Scipione, grazie ti rendo e del dono e del merto: ché se i doveri adempio; di tua grand'alma sol seguo l'esempio. Di tanti illustri prede, queste stimai degne di te; cui rende rare amabil beltà che i cori accende. SCIPIONE (Numi! Che gran bellezza!) Bella, nel vago petto ad un vano timor non dar ricetto: cadesti in sorte a vincitor cortese. BERENICE Ah mia sorte infelice! SCIPIONE Il nome? BERENICE Berenice. 6 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto primo SCIPIONE Non ti lagnar: tu nel bel volto porti armi che il vincitor rendon già vinto. (ad Armira) E tu chi sei? ARMIRA De' predatori all'ira tolta da Lelio illustre, io sono Armira. SCIPIONE A te duce fedel consegno queste sì preziosa spoglie. BERENICE A te Scipione confido l'onor mio: tu che le leggi sai tutte di virtù, tu lo proteggi. [N. 3 ­ Arioso] SCIPIONE Scaccia o bella dal seno il timore, di tua vaga beltà, dell'onore la virtù a difesa starà. Abbiam vinto, e Iberia doma par che dica il fato a Roma, serva Egitto ancor sarà. (parte) Recitativo BERENICE Oh Lucejo! LELIO E qual nome con dolor proferisti? BERENICE È forse noto tal nome a te? LELIO Del generoso parli principe de' Celtiberi? BERENICE Deh come t'è noto? LELIO Prigioniero un tempo io fui del re suo padre, e generoso ei volle rendermi libertade, e il cor m'avvinse. BERENICE Destinato in mio sposo egli a me fu, ma di nemica sorte il barbaro furore cangiò in dure ritorte i bei lacci d'amore. Oh prence amato che fia di me! Di te che fia! LELIO Non darti in preda al duolo. www.librettidopera.it 7 / 36 Atto primo Scipione ARMIRA Io spero, che il vincitore ancor sì generoso libere ne farà. BERENICE Misero sposo! LELIO Nella regal magion ricetto avrete vaghe illustri donzelle: nei giardin dilettosi troverete riposi al vostro affanno. BERENICE Ahi qual riposo i miei tormenti avranno? [N. 4 ­ Aria] BERENICE Un caro amante gentil costante mi diede amor, e un empio fato me 'l tolse allor che amante amato venia fedele in braccio a me. Infin che porto tal piaga al cor, senza morire al mio martire altro conforto no che non v'è. (partono) Scena seconda Lucejo in abito di soldato romano. Recitativo LUCEJO Quando vengo alle mie nozze bramate con Berenice l'idol mio, ritrovo Cartagin presa d'improvviso assalto, e cerco invan l'anima mia: mi vesto qual soldato roman: vengo alla pompa trionfal di Scipione, e per mia sorte la veggo, oh dèi! ma prigioniera. Udii che Lelio n'è custode: ne' giardini reali m'introdurrò: seconda amor la frode. Oh con quai fissi sguardi l'ammirò il vincitore! Ahi! La perdo per sempre s'ella non fuggirà. M'aita amore. 8 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto primo [N. 5 ­ Aria] LUCEJO Lamentandomi corro a volo, qual colombo che solo solo va cercando la sua diletta involata dal cacciator. E poi misero innamorato prigioniero le resta a lato, ma la gabbia pur l'alletta perché restaci il su' amor. Scena terza Giardino. Scipione, e poi Lelio. Recitativo SCIPIONE Oh quante grazie amore in quel bel viso accolse! Ma non son io già preso da quel celeste sguardo? La mia gloria è in periglio. E si dirà. LELIO Signor, le due vezzose prigioniere lodar tua cortesia. SCIPIONE Lelio, alla vaga Armira troppo spesso girar ti vidi i guardi. LELIO Perché celarlo? Il cor per lei sospira; ma il vincitor tu sei... SCIPIONE Molto l'avanza di beltà Berenice. LELIO E pur soggiace all'altra l'amor mio: d'ogni bellezza è più bel quel che piace. SCIPIONE A te la cura d'ambe già diedi. Capital delitto sia l'ingresso a tutt'altri in queste mura. Armira tua sarà. (parte) LELIO Generoso Scipione! Ecco la bella. www.librettidopera.it 9 / 36 Atto primo Scipione Scena quarta Armira e detto. LELIO Armira, e perché mesta? ARMIRA Oh quante volte in questa selvetta amena a mio diporto venni! Chi mai creduta avria le delizie cangiarsi in prigionia? LELIO Dal momento che tu fosti mia preda, che t'affanna? ARMIRA Il pensar che serva io sono. LELIO Ma di questa crudel sorte al rigore involar ti potria. ARMIRA Chi? Dillo. LELIO Amore. [N. 6 ­ Aria] ARMIRA Libera chi non è i lacci del suo piè no mai, non porta al cor. Chi adora una beltà, le renda libertà poi le domandi amor. (parte) Recitativo LELIO Indegna è inver di servitude un'alma di sì bei pregi ornata: quand'ella in mio poter sarà concessa, risolverò. Scena quinta Berenice e detto. LELIO Del vincitore, o bella, vittoria avesti co' begli occhi tuoi: che t'ami un tanto eroe vantar ti puoi. BERENICE Onde scorgesti l'amor tuo? 10 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto primo LELIO M'impose che a tutt'altri che a noi delitto capital sia qui l'ingresso. BERENICE E tal segno è d'amor? LELIO Dirne potrei altri ancor: ti consiglio a riamare il primo fra' Romani. BERENICE E ingrato sei. Che? Già ti prese oblio dell'amico Lucejo? LELIO Ah! Che diss'io! BERENICE Giunger dovea l'istesso dì, che presa fu Cartago infelice. Chi sa? Forse perì. LELIO No, Berenice: spera miglior destino, e ti conforta. BERENICE Ah! Chi scampar può mai, quando a ruina il fato inesorabile ne porta? [N. 7 ­ Aria] LELIO No non si teme d'incerto affanno quando la speme con dolce inganno l'alma che brama può lusingar. Cangian vicende il male e il bene: spesso un s'attende, e l'altro viene, se vuol temere, non disperar. (parte) [N. 8 ­ Recitativo accompagnato] BERENICE Oh sventurati, sventurati affetti! Di Cartagin col fato periro le mie gioie, cadder le mie speranze. Chi sa, chi sa, se mai rivedrete il mio bene, occhi dolenti. Continua nella pagina seguente. www.librettidopera.it 11 / 36 Atto primo Scipione BERENICE Che fortunosi eventi hanno sempre delusa la speme (o dèi!) de' puri miei diletti! Oh sventurati sventurati affetti! [N. 9 ­ Aria] BERENICE Dolci aurette che spirate, deh volate all'idol mio, poi tornate a dir, dov'è. Aure dolci se 'l trovate, velocissime tornate: oh potesse ove son io, dolci aurette, far con voi ritorno a me. Dolci aurette che spirate, deh volate all'idol mio, poi tornate a dir, dov'è. Scena sesta Lucejo dentro la scena, e detta. Arioso e recitativo LUCEJO Molli aurette v'arrestate. Sì malgrado al fato rio, idol mio, pur vengo a te. BERENICE E che ascolto! Che veggio? LUCEJO Mia Berenice. BERENICE Oh dèi! Quale ardir? Qual consiglio? LUCEJO Così accogli lo sposo? Che turba la bell'alma? BERENICE Il tuo periglio. LUCEJO Son deluse le guardie dall'abito mentito. BERENICE Ah se scoperto in finte spoglie sei, chi dall'ira di Scipion ti toglie? LUCEJO Non bramasti vedermi? BERENICE Sì vederti bramai. LUCEJO Che più, mio bene? 12 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto primo BERENICE Ma vederti tornar liberatore, e non compagno delle mie catene. Parti, se m'ami, e a quelle del mio padre unisci le tue squadre, e torna armato: e se ingiusto anche il fato il tuo zelo tradisce, e il mio desire; vedrai se o cor che nacque, se non teco goder, teco a morire. [N. 10 ­ Aria] LUCEJO Dimmi, cara, dimmi, «tu dei morir» ma, o cara, non mi dir, «parti lontan da me». Pria di vederti, sì forse potea partir: or che ti veggio, no no che non vuol non può partire il cor e il piè. Recitativo BERENICE Ah t'ascondi: non lunge veggo Scipione: ahi! di timor son morta. LUCEJO Non temer, ti conforta. BERENICE S'ami la vita mia, prence t'ascondi. LUCEJO T'ubbidirò. (si ritira) BERENICE Numi 'l celate! Ei giunge. Che improvviso timor m'ingombra l'alma! Lo scorgerà nel volto: altra cagione ne fingerò! Scena settima Scipione, e detta, e poi Lucejo. BERENICE Guardin gli dèi Scipione... SCIPIONE Bella, perché turbata ne' begli occhi sereni? Non rispondi? Perché? Forse non lice saperlo a me? BERENICE Come apparir può mai se non turbata ognor serva infelice? www.librettidopera.it 13 / 36 Atto primo Scipione SCIPIONE Deh rasserena i languidetti lumi: la servitù non ti sarà penosa. Comanda al vincitore chi tanta ha in sua beltà forza amorosa. BERENICE Ignoti senti a me ragioni. SCIPIONE Ancora a donzella di sì vago sembiante, ignoto ancora è forse il parlar d'un amante? LUCEJO Soffrir più non poss'io. BERENICE Oh ciel! SCIPIONE Qual calpestio? Che fai tu qui soldato? Chi sei? Rispondi. LUCEJO Io sono uom qual mi vedi innanzi ad un altr'uomo e se fra noi v'è differenza alcuna, non è merto, è fortuna. SCIPIONE (Sotto latine spoglie straniera è la favella.) Qui che pretendi? BERENICE (Anch'ei si scopre, oh dèi!) LUCEJO Io non pretendo in costei di te maggior ragione. SCIPIONE Grand'ardire! Chi sei? LUCEJO Sono... BERENICE Scipione, lascia, ch'io parli: e quale hai ragion sovra me? LUCEJO Sono... BERENICE Tu sei o folle o temerario, che con finto pretesto insidi l'onor mio, cerchi la preda rapire al vincitor. LUCEJO Sogno! Son desto! 14 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto primo [N. 11 ­ Aria] BERENICE Vanne, parti, audace, altiero, menzognero. Ahi! Non bastan le mie pene, ch'altri viene più infelice a farmi ancor. Taci, fuggi, non m'intendi? Mi proteggi, mi difendi o cortese vincitor. (parte) Scena ottava Lelio, e detti. Recitativo LELIO (Giunsi a tempo, si salvi.) LUCEJO (È Lelio.) LELIO Erennio, che fai qui? Vanne al campo! Signor, folle soldato ti disturbò. (a Lucejo) Non ubbidisci ancora? LUCEJO (Errai nel mio trasporto.) Ubbidirò. SCIPIONE All'accento credei fosse un ibero. LELIO Servì Publio tuo padre, e restò prigioniero, e nelle ostili tirannie perdette parte del senno, ma il mio cenno teme, ed anche è pieno di valor. SCIPIONE Gran cura prendine o Lelio nella sua sventura. Pietade inver l'amico abbi eguale al valor contro al nemico. (partono) www.librettidopera.it 15 / 36 Atto primo Scipione LUCEJO Gelosia, m'ingannasti? Gratitudin d'amico oh quanto industriosa mi scampasti! Ma! Soffrir chi potea sentir parlar d'amore alla sua bella? Non è costume ibero un rivale soffrir: ma... menzognero! Audace! Vanne! Parti! Fur sentimenti d'alma, o fur sol arti? Ahi! Con troppo diletto ella certo sentia parlar d'affetto. [N. 12 ­ Aria] LUCEJO Figlia di reo timor, freddo velen d'innamorato sen, o gelosia crudel esci dal cor, lasciami in pace. Gelo ed ardor, smania ed affanno, dubbiosa fé, nascosto inganno porti con te, e alfin così di vita e amor spegni la face. 16 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto secondo A T T O   S E C O N D O [N. 13 ­ Sinfonia] Scena prima Porto con nave approdata. Ernando padre di Berenice, che sbarca, e poi Lelio. Recitativo ERNANDO Mercé del vincitor mi fu concesso pacifico lo sbarco. Se i tutelari numi che veglian d'innocenza alla difesa, scampar la figlia dal furor di Marte, le portate ricchezze ne renderanno facile il riscatto. Vadano diligenti esploratori subito sulla traccia: ma fino a sua scoperta l'infortunio si taccia. Un roman duce s'appressa. LELIO Al forte Ernando che alle due Baleari isole impera, manda Scipion salute. ERNANDO Al proconsol romano la gloria e l'armi cedo, offro tributo, ed amistà gli chiedo. LELIO Grata a Scipione sia l'amistà d'Ernando, ma il tributo maggiore anzi il sol ch'ei ricerca, ad offrir vieni, a Roma e a lui pien d'amicizia il core. [N. 14 ­ Aria] ERNANDO Braccio sì valoroso core sì generoso il mondo vincerà. E senza usare il brando, co 'l nobil cor pugnando tutto vi cederà. www.librettidopera.it 17 / 36 Atto secondo Scipione Scena seconda Appartamenti delle due prigioniere. Berenice e poi Scipione. [N. 15 ­ Arioso] BERENICE Tutta raccolta ancor nel palpitante cor tremante ho l'alma. BERENICE Ah! pria di rivederti adorato mio sposo in tal periglio, prendi dagli occhi miei perpetuo esilio. Quanto propizia sorte ebbe il regal mio genitore Ernando non approdaro per contrario vento! Ch'abbia già Lelio il fido amico, io spero, persuasa la fuga al prence amato: ma so che disperato soffre di gelosia le pene amare, e fuggir non vorrà. Gravi tormenti alfin cadrò sotto la vostra salma. BERENICE Tutta raccolta ancor nel palpitante cor tremante ho l'alma. Recitativo SCIPIONE Di libertate il dono, prigioniera gentil, grato ti fia? BERENICE Mi renderà del donator più serva. SCIPIONE Spera, ma dimmi pria tuo vero stato: i nobili sembianti spiran grandezza. BERENICE Io son d'Ernando figlia re delle Baleari isole. SCIPIONE E come in Cartagine? BERENICE Il principe Sitalce che n'è morto a difesa, era germano della mia genitrice, ed in sua corte vissi gran tempo, ah! 18 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto secondo SCIPIONE Deh non darti in preda a vano duolo: è inesorabil morte. Libera tu sarai, ma libertà per libertà si chiede. Del suo laccio più forte per te già strinse amor. BERENICE Signor, t'arresta, non mi dir che tu sei... SCIPIONE M'odi. BERENICE No, ascolta. De' Celtiberi al prence, che meco un tempo visse, il cor già diedi. Riamar non poss'io se non... SCIPIONE (Spietato spietato mio destin! Misero core scoppierai di tormento e di furore. [N. 16a ­ Aria] SCIPIONE So gli altri debellar, ma porto nel mio cor chi mi fa guerra. Che giova trionfar, se tirannia d'amor l'onor ne atterra.) [N. 16b ­ Aria] SCIPIONE Pensa o bella alla mia speme e il desio non ingannar. (Ahi che l'alma troppo teme, e comincia a disperar.) (parte) Recitativo BERENICE Troppo qui noto è il mio natal, celarlo era timido e vano: dissimulare affetti è di me indegno. Scena terza Lelio, Lucejo, e detta. LELIO Ecco o prence la bella cagion del tuo dolore. www.librettidopera.it 19 / 36 Atto secondo Scipione LUCEJO Tu per me le favella: io non ho tanto core. BERENICE Oh numi! E questa di Lucejo è la fuga? Ah folle! Ei torna a turbar l'alma mia. LELIO (Sì mi dicesti 'l vero, o gelosia.) BERENICE Lelio, da me l'invola. LELIO E non vuoi tu? BERENICE Voglio che parta, e che non torni più. LELIO Ei brama sol... BERENICE Folle colui che vuole perdere le pupille per rivedere una sol volta il sole. LUCEJO Lelio andiam. Vado a morte. BERENICE A morte! Ah no. Lelio l'arresta. LELIO A morte. Sirena ingannatrice, che importa a te? L'amor la fé giurata son questi? E qual ragione puoi dirmi ingrata? BERENICE Ahimè! Verrà Scipione. LUCEJO Verrà il novello oggetto dell'amor tuo? BERENICE Cieco, e non vedi? LELIO Io vidi già ne' tuoi lumi infidi il cor fallace. In vana ambizion cangi il tu' amore, e il mio divien furore. Resta con quella pace che a me dai, ma la falsa alma poi tema piangere del rivale o dell'amante o d'ambo a un tempo sol, fu l'ora estrema. Ma no, risolvo abbandonar. BERENICE Rivolto ogni pensiero in te... LUCEJO Va', non t'ascolto. 20 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto secondo [N. 17 ­ Aria] LUCEJO Parto, fuggo, resta e godi di tue frodi, tu sarai felice altera, menzognera. Sventurato io resterò sventurato sol per te. Resta ingrata, e che puoi dire? Quando invece di fuggire, vuoi restar co 'l vincitore. Quest'è amore? Questa è fé? (parte) Recitativo BERENICE Seguilo o duce. L'agitata mente lo trasporterà certo al suo periglio. LELIO L'orme ne segue, e penserò allo scampo. (parte) BERENICE Misera Berenice! Ah già preveggo il fine della tragedia mia tutta infelice. [N. 18 ­ Aria] BERENICE Com'onda incalza altr'onda, pena su pena abbonda, sommersa al fine è l'alma in mar d'affanno. E tutt'i miei momenti oh come lenti lenti di dolore in dolore a morte vanno! (parte) Scena quarta Armira, e Lelio. Recitativo ARMIRA Importuno tu sei. Quando in tua man sarà il darmi libertà, penserò allora di riamarti. LELIO Ed ora perché amor non prometti? ARMIRA Sarian forzati e men sicuri affetti. www.librettidopera.it 21 / 36 Atto secondo Scipione [N. 19 ­ Aria] LELIO Temo che lusinghiero il labbro menzognero amor prometta per ingannar. Pur benché finga, sì dolce è la lusinga, che più m'alletta sempre a sperar. (parte) Recitativo ARMIRA Lusingarlo mi giova, finché del mio servaggio a Indibile il mio padre giunga l'infausta nuova, onde s'attenda soccorso tal, che libertà mi renda. [N. 20 ­ Aria] ARMIRA Voglio contenta allor serbar del piè, del cor, la cara libertà. L'amante avvezzo a dir che sol volea servir, tiranno poi si fa. Scena quinta Lucejo e detta. Recitativo LUCEJO Qui torno, e qui vuo' pria morir, che mai lasciar. ARMIRA Qui che vuoi tu? LUCEJO Vuo' quel che vuole la mia disperazione. ARMIRA Chi cerchi? LUCEJO Berenice. ARMIRA Ancor non sai, che l'adora Scipione? LUCEJO E corrisposto credi il romano amante? ARMIRA E tu qual cura ne prendi? L'ami ancor? 22 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto secondo LUCEJO Per mia sventura. ARMIRA Del vincitor latino non paventi lo sdegno? LUCEJO Alma che nacque al regno non conosce timor. ARMIRA Dimmi chi sei? LUCEJO Ora de' casi miei non mi lice dir più. ARMIRA M'offendi: in pegno di fé, la destra mia prendine. LUCEJO O bella, tu mi conforti. (si danno la mano) Scena sesta Berenice, e detti. BERENICE Bella! Mi conforti! Ah traditore! Ah indegno! LELIO Oh van sospetto! BERENICE Sospetto il ver? Ma il tuo decoro, Armira? Sì l'audace correggi? ARMIRA Lascioti sola con quest'altro amante, così titolo avrai d'insegnar di modestia a me le leggi. (parte) LUCEJO E la mancata fede? Con finta gelosia pur si colora? BERENICE Va' traditor. Scena settima Scipione, e detti. SCIPIONE Tanto s'ardisce ancora, contra gli ordini miei? LUCEJO Scipione, a te costei diede fortuna, a me la diede amore. BERENICE È quel folle soldato. www.librettidopera.it 23 / 36 Atto secondo Scipione LUCEJO Io son Lucejo de' Celtiberi il prence: un vil timore non mi celò: tentai ritor la preda, se si potea, con onorata fuga, ma la crudel non m'ascoltò. SCIPIONE Tentasti, prence, un delitto: e prigionier già sei. BERENICE Ah misera! Il previdi. LUCEJO Se qual duce roman parli, ti cedo. Ma come un mio rivale, so ch'hai nell'alma onor, se non m'abbatti; prigionier non son io: ceder non voglio fin che vivo, il mio ben. SCIPIONE Deggio al senato risponder della mia, della tua vita. LUCEJO Disperazion non t'ode: il ferro stringi. Scena ottava Lelio con Guardie che circondano Lucejo con l'aste al petto. BERENICE Numi, lo difendete... Io manco... Io moro... SCIPIONE Olà? Non m'offendete. Non temer principessa, ei salvo fia. LELIO Cedi amico quel ferro. LUCEJO Avverso fato! Lelio m'uccidi tu... Son disperato. [N. 21 ­ Aria] LUCEJO Cedo a Roma, e cedo a te. Questi dica innanzi a me, s'ebbi già romano il cor: ma in amor, no non ti cedo no, ti sfido all'armi. E se rival tu sei, esser duce più non déi: l'onor ti vieterà privar di libertà chi non disarmi. (Lucejo, Lelio e guardie partono) 24 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto secondo Recitativo BERENICE Signor, del tuo fisso pensar pavento. SCIPIONE Sì sì Roma altro sposo sceglierà del tuo merto ancor più degno. BERENICE Lucejo è nato al regno. SCIPIONE Merta però di posseder tuoi pregi un che dia legge ai regi, un romano. BERENICE In vil core han sempre forza ambizion, fortuna; nel mio non già, dove ha sol forza amore. SCIPIONE Del senato a' decreti forza è chinar la fronte, ed ubbidire. BERENICE Forzata esser non può, chi può morire. SCIPIONE Odi tanto i Romani? BERENICE Io n'ammiro il valor, n'amo il bel core, e se mia fede e l'amor mio non fosse avvinto altrui, sì n'arderei d'amore. [N. 22 ­ Aria] BERENICE Scoglio d'immota fronte nel torbido elemento, cima d'eccelso monte al tempestar del vento, è negli affetti suoi quest'alma amante. Già data è la mia fé: s'altri la meritò, non lagnisi di me; la sorte gli mancò del primo istante. www.librettidopera.it 25 / 36 Atto terzo Scipione A T T O   T E R Z O Scena prima [Sala magnifica.] Scipione e poi Lelio ed Ernando. Recitativo SCIPIONE Miseri affetti miei! Tutte le vie d'onore saranno chiuse all'amor mio? LELIO Scipione a privata udienza Ernando vedi, secondo i cenni tuoi. ERNANDO Del vincitore l'alta presenza onoro. SCIPIONE A cortesia amistà corrisponda: accetta Ernando la destra in pegno. Fortunato evento pose tua figlia in mio poter. ERNANDO Già Lelio tutto narrommi: dal tuo nobil core spero sua libertà. SCIPIONE La sua bellezza l'alma m'avvinse: in casto nodo io spero ottenerla da te. ERNANDO Sì grande onore, per mia sventura, troppo tardi è giunto. La promisi a Lucejo principe de' Celtiberi. SCIPIONE Ma questi è nostro prigionier. ERNANDO Con la sua vita la mia parola irrevocabil vive. La mia vita, il mio regno son tuoi, né per serbarli unqua io vorrei mancare all'onor mio. Corso è l'impegno, memore sino a morte animo grato n'avrò. SCIPIONE Vanne, e ci pensa. ERNANDO Ho già pensato. 26 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto terzo [N. 23 ­ Aria] ERNANDO Tutta rea la vita umana saria sol brutale e vana senza il freno dell'onor. Dar parola, è dar sua fede: e la lingua che la diede fu ministra sol del cor. (parte) Recitativo SCIPIONE Degni amici di Roma son questi Iberi. Il saguntino onore sparso di tutti è nelle vene! Vanne, qui conduci Lucejo e Berenice, e a lui dirai, che deve gir prigioniero al novo giorno a Roma. LELIO Esperienza, e senno ai più ch'io possa consigliar. Fia tosto eseguito il tuo cenno. (parte) [N. 24 ­ Recitativo accompagnato] SCIPIONE Il poter quel che brami, il bramar quel che puoi sono in tua forza, e tu goder non vuoi? Della vita i diletti non sono che momenti, se brami... pensi... e speri, fuggono come venti. Chi meno gode, vive men. Virtute è tormentosa opinion per cui muor di sete il desire al fonte appresso. Sì sì voglio... ma... no...torna in te stesso. Puoi non usar tua forza, puoi non voler, giusto perché tu puoi posseder quel che vuoi. Questo è un piacer che non avrai comune co' bruti e co' tiranni. Qual fama di virtù! Ma no. Per fama ben oprar non si dée. Ben far verace è quel ch'uom fa, perché al su' interno piace. Oh fecondo pensier, sei generoso, tu riporti, lo sento, il mio riposo. (parte) www.librettidopera.it 27 / 36 Atto terzo Scipione Scena seconda Lelio, Lucejo, in proprio abito, e Berenice e Guardie. Recitativo LELIO In questo luogo o prence, ov'io dovrei renderti quel che tu a me desti, in questo devo darti un annunzio aspro e funesto. BERENICE Numi! Che fia? LUCEJO L'alma ho maggior dei mali. Di' pur. LELIO Prence, tu devi... ah! LUCEJO Da un romano con sì lungo esitar, morte si noma? LELIO Gir prigioniero ero al nuovo giorno a Roma. LUCEJO Questo è più fier che morte. BERENICE No non andrai senza di me, mio bene. Il dolore o la mano l'alma mia scioglierà da sue catene. Ti seguirò nud'ombra. LUCEJO Oh fida! Oh cara! Di cieca gelosia perdon ti chiedo! Oh compensati affanni miei! Deh resta, deh vivi sì amorosa, e sì costante alla memoria mia sola, e poi serba serba a fato miglior tua nobil vita. Amico un solo da te aspetto, un solo segno di gratitudine infinita, deh fa che cangi il vincitore in morte l'aspra sentenza della mia partita. [N. 25 ­ Aria] LUCEJO Se mormora rivo o fronda, sussurrano venticelli, di', che i sospir son quelli, ho l'alma mia che viene, mio bene, intorno a te. Dia vita o morte il fato, fian' ambe ugual tormento: sarò sol consolato pensando alla tua fé. (parte) 28 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto terzo Recitativo LELIO Più resister non posso. Il cor si spezza. Se a sì teneri affetti, se a lacrime sì belle può resister Scipione, il cor romano ei non ha, ch'esser dée grande ed umano. (parte) [N. 26 ­ Recitativo accompagnato] BERENICE Ah! Scipion dove sei? Ascolta i pianti miei: o rendimi il mio bene, o avvinta in sue catene, mandami seco, sì spietato vieni saziati delle mie lagrime amare. Scena terza Scipione e detta. Recitativo SCIPIONE (Tenerezze del cor, cedo, son vinto.) BERENICE Non dovevo sdegnarti, ma non potevo amarti. La rea sola son io; mortal sentenza deh fa ch'io sola dal tuo labbro senta. SCIPIONE Bella non pianger più. Sarai contenta. (parte) [N. 27 ­ Aria] BERENICE Già cessata è la procella e la calma tornerà. E ne' rai d'amica stella l'amor mio scintillerà. www.librettidopera.it 29 / 36 Atto terzo Scipione Scena quarta Sala con trono. Scipione assiso che riceve Ernando preceduto da Mori che portano vari presenti d'argento e d'oro. [N. 28a – Sinfonia] [N. 28b ­ Sinfonia] Recitativo ERNANDO All'invitto proconsole romano, all'inclito Scipione, e al Campidoglio offro tributo e pace. SCIPIONE In nome del senato l'amiche offerte accetto, e patrocinio ed amistà prometto. ERNANDO Queste ancorché inuguali al tuo gran merto ricchezze accetta ancor: prezzo al riscatto della mia figlia Berenice. Oh degno cui tutto il mondo ceda, rendimi della vita il conforto migliore. SCIPIONE Venga la bella. Scena quinta Berenice e detti. ERNANDO Oh dolce figlia! BERENICE Oh genitore amato! SCIPIONE Libera sei: ma le ricchezze tutte del mondo, prezzo eguale a te non sono: ti rendo al caro genitore in dono. BERENICE Ho il cor da gioia oppresso. ERNANDO Vieni al paterno affettuoso amplesso. Cortese vincitor, pregoti almeno d'accettare in legger segno d'affetto i nostri doni. SCIPIONE Accetto le preziose offerte: ma in tuo volto tutta non veggo scintillare ancora l'anima lieta o Berenice. 30 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto terzo BERENICE È vero. Troppo timida ancor l'alma paventa. SCIPIONE Spera, non sospirar, sarai contenta. [N. 29 ­ Aria] SCIPIONE Gioia si speri sì, sol voglio in questo dì letizia e pace. Marte riposo avrà, e lieto accenderà amor la face. (partono) Scena sesta Appartamento. Lelio ed Armira. Recitativo LELIO Tu d'Indibile figlia tanto amico a' Romani? E perché mai tacermi il tuo natal? ARMIRA Bastante asilo pareami aver nel tuo cortese affetto. LELIO In risponder così, mostri chi sei. In piena libertate or vivi, ed io rimango in tue catene. ARMIRA Qual Berenice, io non ho dato ancora ad altri il cor. LELIO Se a fedeltà sincera vorrai darne possesso... ARMIRA Amami, e spera. (parte) [N. 30 ­ Aria] LELIO Del debellar, la gloria, è il bel piacer d'amor, sono del mio valor pregi immortali. Del par con la vittoria un corrisposto ardor è il sommo del gioir, ch'è senza uguali. (parte) www.librettidopera.it 31 / 36 Atto terzo Scipione Scena settima Berenice e Lucejo. Recitativo BERENICE Dove o principe amato? LUCEJO A te mio bene. BERENICE Veggoti al fianco il nobil ferro. LUCEJO Dianzi per man di Lelio, Scipion me 'l rese, ed a sé m'invitò. BERENICE La gioia intera speriam da un cor generoso. LUCEJO Oh cara, abbiasi il mondo tutto, mi lasci del tuo cor libero il dono, e il più felice io sono. BERENICE Anch'io dovea senza vederti ire a Scipione, ma volli, principe amato, rivederti pria. Vo piena di lietissima speranza. LUCEJO Oh fida! Oh dolce? Oh cara anima mia. [N. 31 ­ Aria] BERENICE Bella notte senza stelle chiaro sole senza rai tu vedrai, non il mio core senz'amore e senza te. Mancheranno al mar le sponde, mancheranno ai fiumi l'onde, pria che manchi la mia fé. (parte) Recitativo LUCEJO Squarciasi 'l fosco vel del mio sospetto, e qual fra nube il cui torbido seno rompa e dilegui il vento, veggo apparir più chiaro il ciel sereno. 32 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, 1726 Atto terzo [N. 32 ­ Aria] LUCEJO Come al natio boschetto augel che vien dal mar vola nell'arrivar, l'anima mia così impaziente già se 'n vola al caro ben. No più non è crudele la bella mia fedele: anima mia sì sì vattene innanzi a me posati nel bel sen. (parte) Scena ultima Scipione, Lelio, Ernando, Armira, Berenice, e poi Lucejo. [N. 33 ­ Arioso] SCIPIONE Dopo il nemico oppresso voglio esser di me stesso più forte vincitor. (ascende il trono) Recitativo SCIPIONE Venga Lucejo... SCIPIONE Prence, vinto dai primi sguardi arsi d'amor per la beltà che adori: la trovo tua: vinco me stesso, e illesa pronto a renderla io sono, poiché d'ambedue noi fia degno il dono premio da te si chiede a Scipio e a Roma d'amicizia e fede. Lelio all'illustre tuo scampo tentato per l'amico Lucejo tutta la lode io do d'animo grato. Ernando, i doni tuoi accettai per poter disporne poi: seguano la vezzosa Berenice al possesso del suo sposo felice. LELIO Oh magnanimo core! ERNANDO Oh virtù rara! LUCEJO Oh senza esempio anima grande! www.librettidopera.it 33 / 36 Atto terzo Scipione BERENICE Oh degno d'esser fra i numi accolto! [N. 34 ­ Recitativo accompagnato] LUCEJO In testimonio io chiamo Giove e gli eterni numi, che la mia vita e il regno a Scipione a Roma, in guerra e in pace, impegno. [N. 35 ­ Duetto] BERENICE E LUCEJO Si fuggano i tormenti, si vengano i contenti di bella fedeltà. Non più crudel timore il dolce dell'amore amareggiar potrà. Recitativo SCIPIONE Marte riposi, accenda amor la face sia questo un dì sol di letizia e pace. [N. 36 ­ Coro] CORO Faran la gioia intera vittoria pace e amor. E sia l'Iberia altera d'un tanto vincitor. 34 / 36 www.librettidopera.it P. Rolli / G. F. Händel, InterlocutoriAll'eccellenzaArgomentoAtto OuvertureScena MarciaArioso].... AriosoAriaScena AriaScena Scena Aria]........ Scena AriaRecitativo accompagnato­ Aria]........... Scena ­ AriaScena AriaScena AriaAtto SinfoniaScena AriaScena Arioso AriaAriaScena AriaAriaScena Aria] AriaScenaScena Scena Scena AriaAria]. Atto Scena AriaRecitativo accompagnato]. Scena ­ AriaRecitativo accompagnato]. .29 Scena AriaScena SinfoniaSinfoniaScena AriaScena AriaScena AriaAria Scena ultima... AriosoRecitativo accompagnato DuettoCoro Brani significativi Scipione BRANI   SIGNIFICATIVI Abbiam vinto: e Iberia doma (Scipione) Il poter quel che brami (Scipione) Scoglio d'immota fronte (Berenice) Se mormora rivo o fronda (Lucejo) PIETRO METASTASIO / WOLFGANG AMADEUS MOZART Il sogno di Scipione Azione teatrale Scipio Costanza Fortuna Publio Emilio Recitativo Fortuna Vieni e segui miei passi, O gran figlio d'Emilio. Costanza I passi miei, Vieni e siegui, o Scipion.  Scipione: Chi è mai l'audace Che turba il mio riposo?  Fortuna: Io son.  Costanza Son io; E sdegnar non ti dèi.  Fortuna Volgiti a me.  Costanza Guardami in volto.  Scipione Oh dei, Qualle abisso di luce! Quale ignota armonia! Quali sembianze Son queste mai sì luminose e liete! E in qual parte mi trovo? E voi chi siete?  Costanza Nutrice degli eroi.  Fortuna Dispensatrice Di tutto il ben che l'universo aduna.  Costanza Scipio, io son la Costanza.  Fortuna Io la Fortuna.  Scipione E da me che si vuol?  Costanza Ch'una fra noi Nel cammin della vita Tu per compagna elegga.  Fortuna Entrambe offriamo Di renderti felice.  Costanza E decider tu dèi Se a me più credi, o se più credi a lei.  Scipione Io? Ma dèe... Che dirò?  Fortuna Dubiti!  Costanza Incerto Un momento esser puoi!  Fortuna Ti porgo il crine, E a me non t'abbandoni?  Costanza Odi il mio nome, Nè vieni a me?  Fortuna Parla.  Costanza Risolvi.  Scipione E come? Se volete ch'io parli, Se risolver degg'io, lasciate all'alma Tempo da respirar, spazio onde possa Riconoscer se stessa. Ditemi dove son, chi qua mi trasse, se vero è quel ch'io veggio, Se sogno, se son desto o se vaneggio.  1. Aria Risolver non osa Confusa la mente, Che opressa si sente Da tanto stupor. Delira dubbiosa Incerta vaneggia Ogni alma che ondeggia Fra'moti del cor. Recitativo Costanza Giusta è la tua richiesta. A parte, a parte Chiedi pure, e saprai Quanto brami saper. Fortuna Si, ma sian brevi, Scipio, le tue richieste. Intollerante Di risposo son io. Loco ed aspetto Andar sempre cangiando è mio diletto.  2. Aria Fortuna Lieve sono al par del vento; Vario ho il volto, il piè fugace; Or m'adiro, e in un momento Or mi torno a serenar. Sollevar le moli oppresse Pria m'alletta, e poi mi piace D'atterrar le moli istesse Che ho sudato a sollevar. Recitativo Scipione Dunque ove son? La reggia Di Massinissa, ove poc'anzi i lumi Al sonno abbandonai, Certo questa non'. Costanza No. Lungi assai É l'Africa da noi. Sei nell'immenso Tempio del ciel.  Fortuna Non lo conosci a tante Che ti splendono intorno Lucidissime stelle? A quel che ascolti Insolito concento. Dele mobili sfere? A quel che vedi Di lucido zaffiro Orbe maggior che le rapisce in giro?  Scipione E chi mai tra le sfere, o dèe, produce Un contento sì armonico e sonoro?  Costanza L'istessa ch'è fra lorto Di moto e di misura Proporzionata ineguaglianza. Insieme Urtansi nel girar; rende ciascuna Suon dall'altro distinto; E si forma di tutti un suon concorde. Viarie così le corde Son d'una cetra; e pur ne tempra in guisa E l'orecchio e la man l'acuto e il grave, Che dan, percosse, un'armonia soave. Questo mirabil nodo, Questa ragione arcana Che i dissimili accorda, Proporzion s'appella, ordine e norma Universal delle create cose. Questa è quel che nascose, D'altro saper misterioso raggio, Entro i numeri suoi di Samo il saggio.  Scipione Ma un armonia si grande Perchè non giunge a noi? Perchè non l'ode Chi vive lá nella terrestre sede?  Costanza Troppo il poter de'vostri sensi eccede.  3. Aria Ciglio che al sol si gira Non vede il sol che mira, Confuso in quell'istesso Eccesso di splendor. Chi lá del Nil cadente Vive alle sponde apresso, Lo strepito non sente del rovinoso umor. Recitativo Scipione E quali abitatori... Fortuna assai chiedesti: Eleggi alfin.  Scipione Soffri un istante. E quali Abitatori han queste sedi eterne?  Costanza Ne han molti e vari in varie parti.  Scipione In questa, ove noi siam, chi si raccoglie mai?  Fortuna Guarda sol chi s'appressa, e lo saprai.  4. Coro Germe di cento eroi, Di Roma onor primiero, Vieni, che in ciel straniero Il nome tuo non è. Mille trovar tu puoi. Orme degli avi tuoi nel lucido sentiero Ove inoltrasti il piè. Recitativo Scipione Numi, è vero o m'inganno? Il mio grand'avo, Il domator dell'Africa rubello Quegli non è? Publio: Non dubitar, son quello.  Scipione Gelo d'orror! Dunque gli estinti....  Publio Estinto, Scipio, io non son.  Scipione Ma in cenere disciolto Tra le funebri faci, Gran tempo è giá, Roma ti pianse.  Publio Ah taci: Poco sei noto a te. Dunque tu credi Che quella man, quel volto, Quelle fragili membra onde vai cinto Siano Scipione? Ah non è vero Son queste Solo una veste tua. Quel che le avviva Puro raggio immortal, che non ha parti E scioglier non si può che vuol, che intende, Che rammenta, che pensa, Che non perde con gli anni il suo vigore, Quello, quello è Scipione: e quel non muore. troppo iniquo il destino Sraia della virtù, s'oltre la tomba Nulla di noi restasse, e s'altri beni Non vi vosser di quei Che in terra per lo più toccano a'rei. No, Scipio: la perfetta D'ogni cagion Prima Cagione ingiusta esser così non può. V'è doppo il rogo, V'è merce da sperar. Quelle che vedi Lucide eterne sedi, serbansi al merto; e la più bella è questa In cui vive con me qualunque in terra La patria amò, qualunque offri pietoso Al publico riposo i giorni sui, Chi sparse il sangue a benefizio altrui.  5. Aria Se vuoi che te raccolgano Questi soggiorni un dì, degli avi tuoi rammentati, Non ti scordar di me. Mai non cessò di vivere Chi come noi morrì: Non merito di nascere Chi vive sol per sè. Recitativo Scipione Se qui vivon gli eroi... Fortuna Se paga ancora La tua brama non è , Scipio, è giá stanca La tolleranza mia. Decidi...  Costanza Eh lascia Ch'ei chieda a voglia sua. Ciò ch'egli apprende Atto lo rende a giudicar fra noi.  Scipione Se qui vivon gli eroi Che alla patria giovar, tra queste sedi Perchè non miro il genitor guerriero?  Publio L'hai su gli occhi e nol vedi?  Scipione É vero, è vero. Perdona, errai, gran genitor; ma colpa Delle attonite ciglia É il mio tardo veder, non della mente, Che l'immagine tua sempre ha presente. Ah sei tu! Giá ritrovo L'antica in quella fronte Paterna maestá. Gia nel mirarti Risento i moti al core Di rispetto e d'amore. Oh fausti numi! Oh caro padre! Oh lieto dì. Ma come Si tranquillo m'accogli? Il tuo sembiante Sereno è ben, ma non comosso. Ah dunque non provi in rivedermi Contento eguale al mio! Emilio Figlio, il contento Fra noi serba nel Cielo altro tenore. Qui non giunge all'affanno, ed è maggiore.  Scipione Son fuor di me. Tutto quassù m'è nuovo, Tutto stupir mi fa. Emilio Depor non puoi Le false idee che ti formasti in terra, E ne stai si lontano. Abassa il ciglio: Veddi laggiù d'impure nebbie avvolto Quel picciol globo, anzi quel punto?  Scipione Oh stelle! É la terra? Emilio Il dicesti.  Scipione E tanti mari E tanti fiumi e tante selve e tante Vastissime province, opposti regni, popoli differenti? E il Tebro? E Roma?... Emilio Tutto è chiuso in quel punto.  Scipione Ah, padre amato, Che picciolo, che vano, Che misero teatro ha il fasto umano! Emilio Oh se di quel teatro Potessi, o figlio, esaminar gli attori; Se le follie, gli errori, I sogni lor veder potessi, e quale Di riso per lo più degna cagione Gli agita, gli scompone, Li rallegra, gli affligge o gl'innamora, Quanto più vil ti sembrerebbe ancora!  6. Aria Voi collogiù ridete D'un fanciullin che piange, Che la cagion vedete Del folle suo dolor. Quassù di voi si ride, Che dell'etá sul fine, tutti canuti il crine, Siete fanciulli ancor. Recitativo Scipione Publio, padre, ah lasciate Ch'io rimanga con voi. Lieto abbandono Quel soggiorno laggiù troppo infelice. Fortuna Ancor non è permesso.  Costanza Ancor non lice.  Publio Molto a viver ti resta.  Scipione Io vissi assai; Basta, basta per me. Emilio Si,ma non basta A'disegni del fato, al ben di Roma, Al mondo , al Ciel.  Publio Molto facesti e molto Di più si vuol da te. Seza mistero Non vai, Scipione, altero E degli aviti e de'paterni allori. I gloriosi tuoi primi sudori Per le campagne ibere A caso non spargesti; e non a caso Porti quel nome in fronte Che all'Africa è fatale. A me fu dato Il soggiogar sì gran nemica; e tocca Il distruggerla a te. Va, ma prepara Non meno alle sventure Che a'trionfi il tuo petto. In ogni sorte L'istessa è la virtù. L'agita, è vero, Il nemico destin, ma non l'opprime; E quando è men felice, è più sublime.  7. Aria Quercia annosa su l'erte pendici Fra'l contrasto de'venti nemici Più sicura, più salda si fa. Chè se'l verno le chiome le sfronda, Più nel suolo col piè si profonda; Forza acquista, se perde beltá. Recitativo Scipione Giacchè al voler de'Fati L'opporsi è vano, ubbidirò. Costanza Scipione, Or di scegliere è il tempo.  Fortuna Istrutto or sei; Puoi giudicar fra noi.  Scipione Publio, si vuole Ch'una di queste dèe...  Publio Tutto m'è noto. Eleggi a voglia tua.  Scipione Deh mi consiglia, Gran genitor! Emilio Ti usurperebbe, o figlio, La gloria dela scelta il mio consiglio.  Fortuna Se brami esser felice, Scipio, non mi stancar: prendi il momento In cui t'offro il crin.  Scipione Ma tu che tanto importuna mi sei, di': qual ragione Tuo seguace mi vuol? Perchè degg'io Sceglier più che l'altra?  Fortuna E che farai, s'io non secondo amica L'imprese tue? Sai quel ch'io posso? Io sono D'ogni mal, d'ogni bene L'arbitra collagiù. Questa è la mano Che sparge a suo talento e gioie e pene Ed oltraggi ed onori, E miserie e tesori. Io son collei Che fabbrica, che strugge, Che rinnova gl'imperi, Io, se mi piace, In soglio una capanna, io quando voglio, Cangio in capanna un soglio. A me soggetti Sono i turbini in cielo, Son le tempeste in mar. Delle bataglie Io regolo il destin. se fausta io sono, dalle perdite istesse Fo germogliar le palme; e s'io m'adiro, Svelgo di man gli allori Sul compir la vittoria ai vincitori. Che più? Dal regno mio non va esente il valore, Non la virtù; chè, quando vuol la Sorte, Sembra forte il più vil, vile il più forte; E a dispetto d'Astrea La colpa è giusta e l'innocenza è rea.  8. Aria A chi serena io miro Chiaro è di notte il cielo; Torna per lui nel gelo La terra a germogliar. Ma se a taluno io giro Torbido il guardo e fosco, Fronde gli niega il bosco, Onde non trova in mar. Recitativo Scipione E a sì enorme possanza Chi s'opponga non v'è? Costanza Sì, la Costanza. Io, Scipio, io sol prescrivo Limiti e leggi al suo temuto impero. Dove son io non giunge L'instabile a regnar; che in faccia mia non han luce i suoi doni, Nè orror le sue minacce. É ver che oltraggio Soffron da lei Il valor , la virtù; ma le bell'opre Vindice de'miei torti, il tempo scopre. Son io, non è costei, Che conservo gl'imperi: e gli avi tuoi, La tua Roma lo sa. Crolla ristretta da brenno, è ver, la liberta latina Nell'angusto tarpeo, ma non ruina. Dell'Aufido alle sponde Se vede, è ver, miseramente intorno Tutta perir la gioventù guerriera Il console roman, ma non dispera. Annibale s'affretta Di Roma ad ottener l'ultimo vanto E co' vessilli suoi quais l'adombra; Ma trova in Roma intanto Prezzo il terren che vincitore ingombra. Son mie prove sì belle; e a queste prove Non resiste Fortuna. Ella si stanca; E alfin cangiando aspetto, Mia suddita diventa suo dispetto.  9. Aria Biancheggia in mar lo scoglio, Par che vacilli, e pare Che lo sommerga il mare Fatto maggior di sè. Ma dura a tanto orgoglio Quel combattuto sasso; E'l mar tranquillo e basso poi gli lambisce il piè. Recitativo Scipione Non più. Bella Costanza, Guidami dove vuoi. D'altri non curo; Eccomi tuo seguace. Fortuna E i donni miei?  Scipione Non bramo e non ricuso.  Fortuna E mio furore?  Scipione Non sfido e non spavento.  Fortuna In van potresti, Scipio, pentirti un dì. Guardami in viso: Pensaci, e poi decidi.  Scipione Hò giá deciso.  10. Aria Di' che sei l'arbitra Del mondo intero, ma non pretendere Perciò l'impero D'un'alma intrepida, D'un nobil cor. Te vili adorino, Nume tiranno, Quei che non prezzano, Quei che non hanno Che il basso merito Del tuo favor. Recitativo Fortuna E v'è mortal che ardisca Negarmi i voti suoi? Che il favor mio Non procuri ottener? Scipione Sì, vi son io.  Fortuna E ben, provami avversa. Olá venite, Orribili disastri atre sventure, Ministre del mio sdegno: Quell'audace opprimete; io vel consegno.  Scipione Stelle, che fia? Quel sanguinosa luce! Che nembi! che tempeste! Che tenebre son queste? Ah qual rimbomba Per le sconvolte sfere Trerribile fragor! Cento saette Mi striscian fra le chiome; e par che tutto Vada sossopra il ciel. No, non pavento, Empia Fortuna: in van minacci; in vano Perfida, ingiusta dea... Ma chi mi scuote? Con chi parlo? Ove son? Di Massinissa Questo è pure il soggiorno. E Publio? E il padre? E gli astri? E l'Ciel? Tutto sparì. Fu sogno tutto ciò ch'io mirai? No, la Costanza Sogno non fu: meco rimase Io sento Il nume suo che mi riempie il petto. V'intendo, amici dei: l 'augurio accetto.  Licenza Recitativo Non è Scipio, o signore (ah chi potrebbe Mentir d'inanzi a te!) non è l'oggetto Scipio de'versi miei. Di te ragiono, Quando parlo di lui. Quel nome illustre É un vel di cui si copre Il rispettoso mio giusto timore. Ma Scipio esalta il labbro, e di Girolamo il core. 11a. Aria Ah perchè cercar degg'io Fra gli avanzi dell'oblio Ciò che in te ne dona il Ciel! Di virtù chi prove chiede, L'ode in quelli, in te le vede: E l'orecchio ognor del guardo É più tardo e men fedel. Coro Cento volte con lieto sembiante, Prence eccelso, dall'onde marine Torni l'alba d'un dì sì seren. E rispetti la diva incostante Quella mitra che porti sul crine, L 'alma grande che chiudi nel sen. Publio Cornelio Scipione Emiliano Africano Minore. Keywords: Silio, il sogno di Scipione.

 

Grice ed Sclavione: il lizio di Padova – filosofia italiana – Luigi Speranza (Abano). Filosofo italiano. Grice: “I like Abano; he is from my wife’s favourite part of Italy – Veneto – actually provincial di Padova – which has Gaspirated p!” – Grice: “My favourite Abano is the logician or philosopher of the lingo – Grice: “As a classicist, I can expand on Lycaeum – the weirdest word I ever came across – We don’t call them peripatetics at Oxford: we call them members of that gentlemen’s club – the Lycaeum – neutre. What does it stand for – it stands for a statue, of a seated god – Apollo --. The Italian evolution of the sound ‘lyc-’ is lizio. At Oxford, it has become a code word for “Aritotelian” – without the fallacy ad hominem!  Melodramma. Filosofo, insegnante di filosofia e a Parigi e Padova. Inoltre è considerato il primo rappresentante dell LIZIO padovano. Amico di Marco Polo, vive a lungo a Costantinopoli per imparare il greco, studiando in originale i testi di Galeno. È autore anche di varie traduzioni di saggi filosofici greci in latino: i “Problemata” di Aristotele -- ai quali aggiunse un commentario, l’ “Expositio Problematum Aristotelis”), i Problemata di Alessandro di Afrodisia, vari scritti di Galeno e Dioscoride. Si guadagna una grande fama come autore Conciliator Differentiarum, quæ inter Philosophos et Medicos Versantur. S. ispira a Giotto il complesso – e per molti versi misterioso – ciclo pittorico che orna il palazzo della ragione di Padova, andato perso in un incendio e rifatto da alcuni pittori minori seguendo lo stesso schema iconografico. Il ciclo di affreschi è suddiviso in CCC riquadri, si svolge su III fasce sovrapposte, ed è uno dei rarissimi cicli astrologici. È considerato uno dei più colti ingegni, la sua dottrina lo fa passare per un negromante.  Accusato III volte dal tribunale dell'inquisizione di magia, eresia e ateismo è prosciolto le prime II volte. L'ultima volta muore in prigione a causa delle torture subite. A seguito della condanna il suo cadavere è dissotterrato per essere arso sul rogo.  Ad A. esplicitamente si rifa, per alcuni argomenti, come l'embriologia, il filosofo Forlì [si veda]. Nel Conciliator Differentiarum, quæ inter Philosophos et Medicos Versantur A. rifere di avere parlato con Marco Polo di quello che ha osservato nella volta celeste durante i suoi viaggi. Marco racconta che durante il suo viaggio di ritorno nel mar cinese avvista quella che descrive in un disegno come una stella a forma di sacco – “ut saccoc”, on una grande coda – “magna habet caudam.” A. interpreta questa informazione come una conferma della sua teoria secondo cui nell'emisfero sud si puo osservare una stella analoga alla stella polare, ma si tratta con ogni probabilità di una cometa. Gl’astronomi sono concordi nell'affermare che non ci furono comete avvistate in Europa, ma ci sono testimonianze che una cometa venne avvistata in Cina. Questa circostanza non compare nel Milione. A. conserva il disegno nel suo “Conciliator differentiarum quæ inter philosophos et medicos versantur.” Sempre nello stesso saggio, si riporta la descrizione di un animale di grossa stazza con un corno sul muso, identificato con il rinoceronte. A. non riferisce un nome particolare assegnato da Marco a questo animale. Si pensa invece che è Rustichello a identificarlo con l'unicorno nel Milione. Questa testimonianza è stata ripresa da Jensen, quando venne messa pesantemente in dubbio la veridicità del Milione di Marco Polo.  Sempre nel Conciliator Differentiarum, A. menziona la spedizione d’Ugolino e Vadino Vivaldi genovesi verso le Indie per via mare.  "Parum ante ista tempora Januenses II paravere omnibus necessariis munitas galeas, qui per Gades Herculis in fine Hispania situatas transiere. Quid autem illis contigerit, jam spatio fère XXX ignoratur anno. Transitus tamen nunc patens est per magnos Tartaros eundo versus aquilonem, deinde se in orientem et meridiem congirando. Riconoscimenti Il Teatro Congressi di Abano Terme -- già "Cinema Teatro delle Terme" -- è a lui dedicato, come pure l'IPSSAR A. (Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione) poco distante, e altrettanto il Centro Studi Termali A., ente di ricerca del territorio Euganeo. È rappresentato a Padova in una delle LXXVIII statue di Prato della Valle e nell'alto-rilievo al di sopra di una delle IV porte d'entrata di palazzo della ragione. Ad Abano Terme a lui sono dedicati una statua nell'omonima piazza e il bassorilievo sul lato Est dello gnomone della meridiana monumentale in piazza del Sole e della Pace. Dizionario di filosofia. M. Guidi, Caratteri e modi della cultura araba, Real Accademia d'Italia. A Padova, specialmente, ferve lo studio degl’arabi, poiché A. – il quale si è servito non solo del greco, ma anche dell'arabo che è andato a studiare a Costantinopoli per poter rettificare gl’inevitabili errori delle versioni del tempo – fa della sua scuola il centro di quello che fu poi detto l'«Arabismo medico».». Ventura, Translating, commenting, re-translating: some considerations on the Latin translations of the Pseudo-Aristotelian Problemata and their readers, in Goyens, Leemans e A. Smets, Science Translated: Latin and Vernacular Translations of Scientific Treatises in Medieval Europe, Leuven; A., su galeno latino. Vico, Per una storia dell'embriologia, Guerini, Napoli, Jensen, The World's most diligent observer, Asiatische Studien, Bottin, A., Marco Polo e Giovanni da Montecorvino, in Medicina nei Secoli, Tiraboschi, Storia della letteratura italiana” (Firenze, Molini e Landi); “Conciliator differentiarum philosophorum et precipue medicorum.” Pazzini, A., in Dizionario Letterario” (Milano, Bompiani); Cadden, "Sciences/silences: the nature and languages of sodomy in A.'s problemata commentary,” in Lochrie, McCracken e Schultz, “Constructing sexualities” (University of Minnesota press, Minneapolis & London); “Médicine, astrologie et magie: autour de A.”, Boudet, Collard e Weill-Parot (Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo, Società internazionale per lo studio del medio-evo latino); Trattati di Astronomia, Lucidator dubitabilium astronomiae, De motu octavae sphaerae e altre opere, cur. Vescovini, Padova: Editoriale Programma, Loris Premuda, «Pietro d'Abano». In:  Dizionario critico della letteratura italiana, Torino: POMBA L. Norpoth, Zur Bio-Bibliographie und Wissenschaftslehre des Pietro d'Abano, Mediziners, Philosophen und Astronomen in Padua, Kyklos, Lynn Thorndike, A history of magic and experimental science, Vol. II: During the first thirteen centuries of our era. New York: Columbia university press, Sante Ferrari, I tempi, la vita, le dottrine di S.: saggio storico-filosofico, Genova: Tipografia R. Istituto Sordomuti, Pietro d'Abano, Conciliator differentiarum philosophorum et precipue medicorum, Gregorio Piaia, Pietro d'Abano. Filosofo medico e astrologo europeo, Milano, FrancoAngeli, Francesco Aldo Barcaro, L'eretico Pietro d'Abano (medico o mago?), Nuova Grafica, Vigorovea (Sant'Angelo di Piove di Sacco, PD), Voci correlate Storia della scienza Aristotelismo Taddeo Alderotti Mondino dei Liuzzi Sefer Raziel HaMalakh. Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Guido Calogero, Pietro d'Abano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Pietro d'Abano, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.Iolanda Ventura, Pietro d'Abano, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Opere di Pietro d'Abano, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.(FR) Bibliografia su S. Les Archives de littérature du Moyen Âge.Marta Cristiani, Pietro d'Abano, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pietro d'Abano, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. He is possibly the first alphabetical philosopher. But there are more! Important Italian philosopher. From Abano-Terme. “If Occam is called Occam, I should be called Harborne.”Grice. “He was an exacting editor, if ever there was onebut he failed at one thing, “Problemata physica” was never written by Aristotle!”Grice. S. nasce nella città italiana da cui prende il nome, ora Abano Terme. Guadagna la fama scrivendo "Conciliatore Differentiarum, quae tra Philosophos et Medicos Versantur." Finalmente è stato accusato di eresia e l'ateismo, ed è venuto prima della Inquisizione. Muore in carcere prima della fine del suo processo. Vive in Grecia per un periodo di tempo prima che si è trasferito e ha iniziato i suoi studi a lungo a Costantinopoli. Si trasferisce a Parigi, dove è stato promosso ai gradi di dottore in filosofia, nella pratica di cui era un grande successo, ma i suoi costi sono notevolmente alta. A Parigi divenne noto come "il grande lombarda". Si stabilì a Padov ed è stato accusato di praticare la magia: le accuse specifiche è che è tornato, con l'aiuto del diavolo, tutti i soldi che ha pagato di distanza, e che possede la pietra filosofale. Naudé, nel suo "antiquitate scholae Medicae Parisiensis," dà il seguente resoconto di lui. "Cerchiamo di prossima produciamo S. chiamato il riconciliatore, a causa del famoso saggio che ha pubblicato durante il suo soggiorno nella vostra università. E 'certo che fisica laici sepolto in Italia, scarsa noto a nessuno, incolto e disadorno, fino alla sua genio tutelare, un abitante del villaggio di Apona-Terme, destinata a liberare l'Italia dalla sua barbarie e l'ignoranza, come Camillo volta liberato Roma dall'assedio del Galli, ha fatto un'indagine diligente in quale parte del mondo della letteratura cortese è stato felicemente coltivata, la filosofia più astuzia gestito, e fisico ha insegnato con la massima solidità e la purezza; e di essere certi che sola Parigi rivendicò questo onore, là vola attualmente; dando se stesso interamente alla sua tutela, si applicò con diligenza per i misteri della filosofia e della medicina; ottenuto un grado e l'alloro in entrambi; e poi entrambi insegnato con grande applauso: e dopo un soggiorno di molti anni, loaden con la ricchezza acquisita in mezzo a voi, e, dopo essere stato il più famoso filosofo del suo tempo, torna al suo paese, dove, a giudizio del giudizioso Scardeon, è stato il primo restauratore della vera filosofia. Gratitudine, quindi, invita a riconoscere i vostri obblighi a causa di Blondus,  di Roma, che nell'ultimo impegno secolo di pubblicare il Conciliationes Physiognomicæ del proprio Aponensian, e trovando erano state composte a Parigi, e nella vostra università, ha scelto di pubblicarli nel nome, e con il patrocinio, della vostra società.  Portava le sue indagini finora nelle scienze occulte della natura astruso e nascosta, che, dopo aver dato più ampie prove, dai suoi scritti in materia di fisionomia, geomanzia, e chiromanzia, si è trasferito sulla allo studio della filosofia; che studi hanno dimostrato in modo vantaggioso per lui, che, per non parlare dei due prima, che lo presentò a tutti i papi del suo tempo, e lo ha acquisito una reputazione tra i dotti, è certo che era un grande maestro in quest'ultimo, che appare non solo dalle cifre astronomiche che aveva dipinto nella grande sala del palazzo di Padova, e le traduzioni fece dei libri del rabbino dottissimo Abraham Aben Ezra, aggiunto a quelli che si ricompose nei giorni critici, e il miglioramento di astronomia, ma dalla testimonianza del celebre matematico Regiomontano, che ha fatto un bel panegirico su di lui, in qualità di un astrologo, nell'orazione ha pronunciato pubblicamente a Padova quando ha spiegato c'è il libro di Alfragano. Steepto  scritti  Conciliatore differentiarum philosophorum et precipue medicorum Nei suoi scritti egli espone e difende i sistemi medici e filosofici di Averroè, Avicenna, ed altri scrittori. I suoi saggi più noti sono il Conciliatore differentiarum quae tra philosophos et medicos versantur e De venenis eorumque remediis, entrambi i quali sono ancora esistente in decine di manoscritti e varie edizioni a stampa. Il primo tentativo di riconciliare apparenti contraddizioni tra teoria medica e la filosofia del LIZIO, ed è stato considerato autorevole in ritardo quanto XVI secolo. E 'stato affermato che S.  anche scrive un saggio di magia chiamato "Heptameron," un manuale conciso di riti magici rituali che si occupano di evocare gli angeli specifici per i VI giorni della settimana -- da qui il titolo. Egli è anche accreditato con la scrittura De venenis eorumque remediis, che ha esposto sulle teorie arabi in materia di superstizioni, veleni e contagi.  l'Inquisizione  Generico ritratto di Petr [noi] da Abano conciliatore, <la rovesciata 'c' è un'abbreviazione corrente latina per il prefisso 'con -'> xilografia dalla Cronaca di Norimberga, E 'stato due volte portato in giudizio da parte dell'Inquisizione; per la prima volta è stato assolto, e muore prima che il secondo processo è stato completato. E 'stato trovato colpevole, però, e il suo corpo è stato ordinato di essere riesumato e bruciato; ma un amico aveva segretamente rimosso, e l'Inquisizione doveva quindi accontentarsi con la proclamazione pubblica della sua frase e la combustione di S. in effigie.  Secondo Naude:  L'opinione generale di quasi tutti gli autori è, che e il più grande mago del suo tempo; che per mezzo di sette spiriti, familiari, che tenne chiuso dell'articolo in chrystal, ha acquisito la conoscenza delle VII arti liberali, e che ha l'arte di causare il denaro che aveva fatto uso di tornare ancora in tasca. È accusato di magia e muore prima che il suo processo e finito. E stato condannato, come riporta Castellan, al fuoco; e che un fascio di paglia o vimini, che rappresenta la sua persona, è stata pubblicamente bruciato a Padova; che così rigoroso un esempio, e dalla paura di incorrere in una sanzione, come, potrebbero sopprimere la lettura dei tre saggi che ha composto su questo argomento: il primo dei quali è la nota Heptameron, o elementi magici di S, filosofo, ora esistente, e stampato alla fine di Agrippa opere s'; il secondo, quello che Trithemius chiama Elucidarium Necromanticum Petri da Abano; e un terzo, chiamato dallo stesso autore Liber experimentorum mirabilium de Annulis secundem, 28 Mansiom Lunae. Abside con il suo sarcofago. Barrett si riferisce al parere che non era sul punteggio di magia che l'Inquisizione ha condannato Pietro d'Abano-Terme a morte, ma perché ha cercato di spiegare i meravigliosi effetti nella natura dalle influenze dei corpi celesti, non attribuendole agli angeli o demoni; in modo che l'eresia, piuttosto che la magia, sotto forma di opposizione alla dottrina degli esseri spirituali, sembra aver portato alla sua persecuzione. Per citare Barrett: Il suo corpo, prese privatamente dalla sua tomba dai suoi amici, sfuggito alla vigilanza degli inquisitori, che avrebbero condannato a essere bruciato. E 'stato rimosso da un luogo all'altro, e finalmente depositato nella Chiesa di St. Augustin, senza epitaffio, o qualsiasi altro segno di onore. I suoi accusatori attribuiti opinioni incoerenti a lui; lo accusato di essere un mago, e tuttavia con negare l'esistenza degli spiriti. Aveva una tale antipatia per il latte, che vedendo chiunque prendere lo faceva vomitare.Altro lettura Francis Barrett, The Magus, J. Cadden, "Scienze / silenzi: la natura e le lingue di" sodomia "in Pietro d'Abano Problemata Commento". In: K. Lochrie e McCracken & J. Schultz, Costruire sessualità medievali, University of Minnesota Press, Minneapolis & London; L. Premuda, Dizionario della  biografia scientifica. New York: Charles Scribner Sons. L’Heptameron.IONI APOLLO Ni  Giuseppe  PIETRO  R  ADANO   MELODRAMMA  SERIO  IN  3  ATTI    PER  MUSICA  ESPRESSAMENTE  COMPOSTO maestro    da  rappresentarsi    SULLE  SCENE  DEL  GRAN  TEATRO  LA  FENICE   mIIcu  iene»  t)i/  Gauwv.  e.  a  te  perdoni  Iddio  La  colpa  inaudita  . . . (un rumore la atterrisce)   SCENA. Pietro  d’Abàno  venendo  da  parie  opposta  a  quella  ove   si  finge  la  casa  e Detta. Lui. padre mio. Benedici alla figlia. . ( confusa  e  piangendo  si  pròstra  a  lui  d'  innanzi)   a  che  di.  pianto   Cospersa  è  la  tua  got?...  ahi  I  ben  comprendo!  La  miserànda  prole  Di  tal  se’  tu,  cui  l’ire  sanguinose    PlET.    9    Perseguono  dell’  idra,   Che  umanità  si  appella:  ecco  il  mio  premio  De  lunghi  studi,  onde  al  supremo  fato  Vorrei  fosse  involato  Ogni  mortale  !  —  o  povera  infelice,   Per  la  mia  destra  Iddio  ti  benedice.  Ma  l’aura  imbruna,  e  al  prego  consueto   Appo  la  dolce  madre  io  già  t’attendo   Fra  poco  (parte)   SCENA  Luisa  sola.   Lui.  ciel,  che  intendo  1  —   Come  soave  all’anima   Scese  il  paterno  accento,   A  quai  dilette  immagini.   Rapita  ancor  mi  sento...   Mai  non  verrà  che  profuga   Dal  patrio  foco  io  mova;   %   E  Dio,  che  in  me  rinnova   Di  figlia  il  santo  amor.  ( move alla volta  della  casa in  questo  punto  di  lontano  si  leva  una  melanconica  canzone Luisa  quale  estatica  si  ferma.)   7  oce  lontana.   Di  cupo  oceano m’agita  l’onda.   Sola  è  una  vela che  tragge  a  sponda,   E  sola  un’oasi che  in  rio  cammino  Dal  sol  difende  me  peregrino.   Deserto,  oceano son  la  mia  vita,   Sei  tu  la  vela,  l’oasi  romita;   Sei  tu  il  bell’angelo che  ni* innamora, Te  solo  il  core, te  solo  adora! Lui.  ( fremendo )   Ogni  fibra  il  suo  flebile  sospiro   Dolce  e  fatai  m’ investe  ;   Oh  rio  martiro!  oh  voluttà  celeste!  (la  canzone  a  poco  a  poco  andrà  morendo,  e  se  ne  sperderà  dolcemente  la  eco  per  V aure  della  notte  —  Luisa  prorompe)   l   Vieni,  il  rimorso  orribile  Spegni  deH’alma  mia,   De' baci  tuoi  s’innebrii  Quest’ empia  a  te  fedel.   Vieni,  o  diletto,  involami;   Sparsa  è  di  fior  la  via,   Pel  cui  profumo  gli  angeli   Farien  deserto  il  ciel.  (cava  un  piego  si¬  gillato,  e  lo  reca  entro  alla  capanna.)   SCENA  VI.   Passano  varii  istanti  —  poi  sì  vede  approdare  alla  porta  diroccata  della  mura  una  navicella,  da  cui  scende  una  persona  chiusa  in  bujo  mantello,  e  dalla  riva  entra  neir  orto  —  è  Arnoldo  indi  Luisa.   ArX.  (chiamando  a  voce  sommessa :)   Luisa  !   fili,  (uscendo  agitala  dalla  capanna ,  fra  sè  :)  o  ciel  m’aita!   Arn.  anima  mia,   Presto  fuggiamo:  entrambo  ne  poiria  Perdere  un  solo  istante  :  ornai  la  queta  Onda  rischiara  il  placido  pianeta  Amico  degli  amanti,  e  spira  amore Tutto d’intorno. Lui.  ah  !  taci,  (esitando,  e con voce  Ove a’ sublimi  studi  il  genitore  tremante.)    li    Intende,  or  lì  nella  capanna  io  fui,   E,  qual  m’attorniasse  Un  àer  di  loco  santo,   M’ebbi  un  prego  sul  labbro,  al  ciglio  il  pianto...  I  padri  miei  lasciar  no,  non  poss’io...   ABX  ( con  disperazione)   Ho  udito  il  ver?  !   Eoi.  perdona,  idolo  mio! —  (si  gena   nelle  di  lui  braccia  gli  amanti  rimangono  atteggiali  in  amplesso,  e  piangendo  silenziosi  alcun  tempo,  indi  :)  Ar\.  Quando  il  tuo  labbro  angelico   A  me  giurava  amore  Estinto ogni altro palpito Io ti credeva in core;  Ma de’ tuoi padri il bacio  All’  amor  mio  preponi  ;   Tu,  cruda,  or  m’abbandoni...   D’ angoscia  io  morirò.   Lui.  (fra  sè)  Ab  !  dal  suo  labbro  angelico  Qual  mai  traspira  amore,   0  cielo,  ed  incolpevole  Vuoi  d’una  donna  il  core?!   Miei  padri,  addio!!  —  trafiggenti  L’idea  del  vostro  pianto.   Ma  l’alma  a  tale  incanto  Resistere  non  può.  (e  risoluta  soggiunge:)  Or  eh’  io  li  segua  —  vuol  la  mia  sorte,   Ar\.  IVemmen  dividerci  —  potrà  la  morte,   Lui.  (con  amoroso  delirio )   Se  ancora  estinta  —esser  dovrei,   Al  tuo  lamento  —risorgerei.   Arv.  Giuralo,  o  cara.  —Lui.  Pel  nostro  amor!! Arx.  E  tale  è  il  voto  di  questo  cor.   A  due.  Vieni,  foggiani,  beU’angelo,    12    Nel  più  deserto  loco,   Ove  a’  mortali  incognito  Avvampi  il  nostro  foco.   Per  noi  l’Eliso  appresta  Un  antro,  una  foresta,   Delle  procelle  il  fremito  Dolce  armonia  sarà,   Se  a te d’accanto vivere   i  \i   Il  tuo  r-  '  ( montano  sulla  navicella   La  tua  6  6  P°tia'  e  fungono  rapidamente.)   SCENA. Comparisce  indi  sulla  riva  del  fiume  una  squadra  di  Scherani,  i  quali  circospetti  s  internano  iteli  orto.    Coro (sommessamente) Ben fu saggio il comando supremo) Qui protetti dall’ ombre  notturne  Sul  maliardo  piombare  or  dovremo  Come  spettri  evocati  dall’  urne.   Di  tumulto  scintilla  saria   Trarlo  in  ferri  alla  luce  del  sol,   Che  dell’empio  rapito  in  balia  Va  un  fanatico  e  giovine  stuol.   (s' odono  in  distanza  suoni  e  voci  festive)  Qual  concento!   ALCUNI  ScHER.  ( uscendo alla riva)  dall’ una  all’altra  sponda  Tutta  di  barche  ricoperta  è  l’onda,   Ver  qui  son  volte...   Gli  altri  ( che  sono  nell’orlo)  Zitti,  del  maliardo  Si  schiude  la  magion.   Tutti  d’ognuno  al  guardo   Per  or  si  fugga,  e  ascosi  dalle  fronde   Non  veduti  osserviam.  —  (si  appiattano  fra  le  mac¬  chie  e  le  ruine  della  mura.)    SCENA Pietro  cì'A bàno,  Maria,  Lucio,  e  fa  migliori  con  lumi.   PlET.  (chiamando)  figlia? risponde   L  eco  soltanto,  e  dove  è  mai?...  ( rimarca  aperta   la  capanna  —  entra.)   Mar.  nel  core   Arcano  un  senso  io  provo  di  terrore!  PlET.  ( esce  pallido  in  voltoet  tiene  fra  mani  il  piego  che  fu  lasciato  da  Luisa,  e  con  voce  tremante  favella  alla  moglie)   Aprire  or  deggio?...  un  orrido  velame. Dischiudo  io  forse . ..  ( frange  con  mano  convulsa  il   sigillo  del  foglio ,  e  leggendo  al  chiarore  d'una  face ,  esclama  .)   Ella  fuggia  ! ,  l’ infame  Pietade  implora...  ahi!,  sorte  inesorata,   Qual  mai  strale,  qual  onta  è  a  noi  serbata!  ( prorompe  in  un  sordo  gemito,  e  cade  come  tramortito  —  Maria  e  gli  altri  rimangono  atteggiati  del  più  amaro  cordoglio. In  questo  punto  dalla  parte  del  fumé  si  alza  un  allegro  preludio  di  musica,  e  la  seguente) Serenata:   Coro  Come  l’opale  prezioso.   Che  ha  dell’  iride  i  color, Fra le rupi sei nascoso, 0 bell’angelo d’amor.   Per  segreta  via  profonda  Ti  scendesse  almeno in cor, Serpeggiando al par di un’onda La canzone dell'amor.   Mar.  Lue.  Qual  mai  cantica  giuliva Or che sangue geme il cor?! PlET. (scuotendosi,  e  come  trasogìiato  con  istrazio:)   \   E  per  lei,  che  fuggitiva   Si  diè  in  braccio  a turpe amor. (ricade  in  letargo  il  duolo  ammutisce  i  circostanti.)  La  serenata  continua  :   Ma  T  Eliso,  ove  t’  ascondi,   A  scoprir  ne  guida  Amor;   Dal  profumo  che  diffondi  Sei  tradito,  o  vergili  fior.   Se  di  Gerico  in  fragranza  È  la  rosa  a  te minor, Di qual giglio mai t’avanza, 0 bell’angelo, il candor? PlBT.^ (rinvenendo,  come  sopra:)   Quali  accenti  !  oh  truce  scherno  Pel  tradito  genitori  —   Empia  figlia,  dell’Eterno   Ti  persegua  l’ira  ognor.  (il  Coro  della  sere¬  nata  andrà  allontanandosi ,  e  sempre  col  ritornello  0  bell’iride  d’amor,   0  bel  giglio  di  candor.   Piet.  Mar.  Ah!  quell’ iri  di speranza Più non brilla a questo cor. Tutti ( con gemito) E svanita la fragranza Di quel  giglio  e  il  suo  candor! SCENA  ULTIMA. Dal  ripostiglio  escono  gli  Scherani  e  detti    •  i   Coro  0  Pier  d’Abano,  mago  incolpat,   Del  tuo  arresto  comando  ne  diè  La  suprema  Giustizia ...   Mar.  Lue.  %  Rio  fato!...   Piet.  Altre  folgori  il  cielo  ha  per  me  ?!   (viene  trascinato  dagli  Scherani. Maria  cade  tramortita  nelle   braccia  di  Lucio.)    Fine  dell’  atto  I.    SCENA  PRIMA.    L’interno  d’un  rustico  casolare  di  poveri  montanari  sulFApenni*  no  —  al  chiarore  di  lumicini  che  pendono  da  un  solajo  assidono  raccolte  a  veglia  varie  donne  intente  a  filare  sulla  rocca  Montanari  di  varie  età,  quali  occupati  in  lavori  d’intaglio,  quali  conversano  fra  loro  e  colle  donne.   S’ode  al  di  fuori  lo  scroscio  della  piova  e  il  sibilare   dei  venti.   Coro  Che  diluvio!  orrenda  serale  Mugge  irato  l’Aquilone!  —   Ma  che  importa  una  bufera,   Se  la  pace  in  cor  ne  sta?   Forse  accade  più  sovente  Che  de’  cor  sia  la  tenzone,   Quando  il  cielo  è  pur  ridente,   Nelle  splendide  città.  ( verranno  bussati  più  colpì   all’uscio  di  strada.)   Parte  del  Coro  (con  sorpresa)   Or  chi  è  là?   Voci  al  di  fuori:  pietosa  gente,   Due  vegliardi  ricovrate,   Che  del  turbine  fremente  Son  percossi  dal  furor. SCENA. I  montanari  aprono,  ed  entrano  coperti  di  neve  e  molli  per  la  pioggia  i  due  misteriosi  in  brune  cappe  sono  Pietro  da  Reggio,  e  Landò  il  suo  con¬  fidente.  Detti.    PlET.  D.  R.    PlET.  "  PlET.  D.  R    (  depongono    Coro.  Se  di  canna  offrirvi  un  tetto   Sol  possiamo,  perdonate...   Piet.  d.  R.  Landò.   Sì  il  tugurio  è  benedetto  Che  una  reggia  dal  Signor,  t  mantelli, che vengono  raccolti  dai  montanari.)  Ove  il  giogo  d* A pennino  E  più  sterile  e  sublime  Sol  chi  cerchi,  o  peregrino,   Rinvenir  da  te  si  può.   Un  Romito  in  tali  accenti  'avviava  a  queste  cime,   Ed  un  raggio  fra  gli  stenti  Di  conforto  a  me  brillò.   La  mia  speme,  il  voto  mio  Compia  alfin  benigno  Iddio, Che a sfidare gli elementi Per quel voto mi chiamò. (e volgendo S:  al  Coro  )  Dite,  un  giovane  albergato  Qu  iveniva?...   Sì,  da  un  anno.  Mio  nepote  è  il  disgraziato, Che una perfida ammaliò. CORO  ( rimangono  sorpresi  e  soggiungono  .)   Disperata  ella  s’  è  uccisa,  E  lui  strugge  orrendo  affanno...   ( s’ode  nelVinterno  un  lamento  .  )   Ab!   Coro  I’  udite  ?   Voce  interna  mia  Luisa  !   Coro  La  sua  mente  il  duol  turbò.   PiET.  D.  R.  (con  dolore)   Che  intendo! Arnoldo  mio  !...  (move  verso   rinterno,  chiamando  ad  alta  voce.)   SCENA  Si  spalanca  di  prospetto  un  uscio,  e  comparisce  Arnoldo  pallido,  dimesso  nelle  vesti,  e  detti.   *   Arn.  Da  quai  labbra  nomato  ora  son  io?  (nel  ravvisare   l'avo  si  atteggia  di  estrema  sorpresa.)   Piet.  D.  R.  Sì,  tu  sei  desso,  ti  rinvenni  a  Mi  ne,   Ma  in  qual  misero  stato!...   Arn.  Vittima  io  son  del  più  tremendo  fato.   A  me  ramingo  ed  orfano,   Affranto  dal  dolore,   Una  beltade  angelica  Giurava  eterno  amor,   E  di  cotale  un  giubilo  Quest’  anima  beò,   Che  nell’  Empireo  un  fremito  Di  gelosia  destò.   Quando,  fatai  memoria!!.   Smarrita  un  dì  la  mente,   Colei  mi  fugge  e  affogasi  IVell’acque  d’un  torrente...  (e  ad  un  tratto  rasserenandosi,  esclama  come  in  delirio  .•)    1S    Ma  all'amoroso  palpito  Destarla  io  ben  saprò,   Che  al  pianto  mio  rivivere    Quell'  angelo  giurò.   PlET.  I).  R.   E  in  lui  destò  sì  orribile,   Inverecondo  amore   La  figlia  di  Pier  d’Àbano...   Lo.   Un  maliardo  . . .   Coro   orrore!...   Un  reprobo,  che  ai  demoni   Lo  spirilo  donò  ?  !   Piet.  d.  R.   Ma  sterminar  quell1  empio   Un  giorno  io  ben  saprò.   Ovunque  al  fiero  eccidio  moverai   Di  quell’  uomo  infelice,   Trema,  o  crudel,  della  mia  spada  ultrice.   Quel  vile  accento  sperdasi  Di  sangue  e  di  vendetta,   Fiamma  novella,  indomita  S’  accende  nel  mio  cor.   Il  padre  tuo  difendere,   Luisa,  a  me  s’aspetta...   Del  brando  mio  paventino  [  barbari  oppressor.   JPiF/r.  b.  E.  Lo.  e  Coro   %   E  folle,  insano  il  misero,   Perverso  è  ornai  quel  cor!!  —   Piet.  d.  R.  Nel  sangue  di  Pier  d’Abano  Si  spenga  il  mio  furor!!  —   {Arnoldo  impetuosamente,  indarno  ratlenuto,  si  spinge  fuor i  dell'abituro  —  tutti  inorriditi  lo  inseguono.)    SCENA. Luogo  solitario. Notte. in  fondo  torreggia  una  città  —  da  un  lato  scalea,  che  mette  al  vestibolo  d'  un  tempio,  a  cui  attiguo  sorge  di  prospetto  antico  edilizio  sostenuto  da  ampie  gotiche  volte,  da  cui  a  traverso  cancelli  si  vede  schiaralo  fiocamente  dalla  luna  un  campo  sacro  ai  defonti  Tutto  è  silenzio. Reagendosi  a  stento  inoltra  una  donna  pallida ,  emaciata ,  con  vesti  e  chiome  discinte   è  Luisa.   Lui.  Ecco  Bologna! le  paterne  mura   Vicine  io  scorgo  I  —  o  soglia  venerata,   Varcare  io  ti  potrò??  —  la  dispietata,   Che  in  abisso  d’ infamia  e  di  sventura  Spigneva  i  padri  suoi,  forse  io  non  sono?..   Pur  m’avviva  una  speme  di  perdono.   Va,  mi  disse  il  pietoso  eremita,   Che  salvommi  dai  gorghi  dell’onda,   E  tuo  simbolo  l’agna  smarrita,   Che  de’  padri  s’attende  alTovil.   Dio  benigno,  se  è  vero  che  il  ciglio  Or  di  pianto  sincero  mi  gronda,   Al  perdono  del  prodigo  figlio  Deh  !  rinnova  portento  simìl.   E  Arnoldo  ?  !. . .  essere  estinta  Deggio  per  lui  !!  —  «  solenne  voto  al  cielo  »  Io  ne  sciogliea  ;  così  l’orrendo  crime  »  Anco  espiar  si  possa,  onde,  perduta  »  La  fè,  la  speme  del  perdon  di  Dio,   »  Pieci  dere  io  tentava  il  viver  mio.   Tal  in’  impose  il  vecchiardo  eremita,   Che  salvommi  dai gorghi  dell’onda; Or  mio  simbolo  è  l’agna  smarrita,   Che  de’ padri  s’attende  oìPovil. Dio  pietoso,  se  vero  è  die  il  ciglio  Or  di  pianto  sincero  ini  gronda,   Al  perdono  del  prodigo  figlio  Deh  !  rinnova  portento  simìl.   ($*  inginocchia  sui  gradini  della  scalea ,  e  trafelata  cade  in  sopore.)   ì  oci  confuse  nel  tempio :   Va,  fuggi,  t’ invola,  maliardo  aborrito,   Il  truce  tuo  viso  —  contamina  il  rito!  —   SCENA  V   Pietro  d’Abaino  in  cima  alla  gradinala  del  tempio,  e  detta.  PlET.  (con  ira )   Anime  inique,  un’adorata  salma  Ch’io  posi  nell’avello  a  me  impedite?!   Dalle  soglie  del  nume  io  son  rejetto...   Un  eretico  or  sono,  un  maledetto?! Indarno  adunque  V  innocenza  mia  Proclamò  il  vaticano?,  onde,  «l’orrendo  »  Carcere  a  me  dischiuso,  un  più  solenne  »  Trionfo  io  m’ebbi  che  a  Lutezia  un  giorno! . . .  »   E  Padoa  forse  fra  lo  stuol  docente  Me  non  chiama  suo  figlio  sapiente?...   Come  a  spiaggia  desiata,  sì  il  mio  spirto  Anelando  veleggia   A  te,  natia  cittade!  —  eppur  ch’io  deggia   D’un  rio  livor  soccombervi  alla  guerra   Cupo,  fatai  presagio  il  cor  mi  serra!  —  (discende  c   intoppando  nella  figlia)  Chi  è  là? una mendica. Ed.  (si  scuote,  lo  ravvisa,  c  con  isgomento  fra  sè  :)   mio  padre,  gran  Dio!...  Piet.  Chi  se’ tu,  infelice? Lei.  (si  prostra,  e  con  voce  tremola,  e  piang.)  tua  t  fig|,*a  son  j0    21   ( orrore,  indignazione  di  Pietro ,  c/ie  Za  misura  di  un  guardo  terribile,  e  wia/e  frenandosi  simula  di  non  riconoscerla j»   Lui.  Pentita  ritorno ...  —  non  m’  hai  ravvisata?...   PlET.  (con  singulto)   Non  sei  tu  mia  prole  !  —  t’arretra,  insensata  !...  A  due  poveretti  —  per  gli  anni  languenti  Rendea,  sì,  una  figlia  —  i  giorni  ridenti,   Fu  lampo,  fu  sogno  —  del  vergine  fior   L’olezzo,  e  pel  fango  —  ne  sparve  il  candor...  De’  padri  alle  soglie  —  non  mova  l’indegna...   Per  essa  l’infamia, —la  morte  vi  regna!...   Lui.  ( prorompe  con  disperazione)   0  santo  eremita,  —  l’ovile  paterno  Ripudia  la  prole!... —   Piet.  Va,  mostro  d’inferno!!  Lui.  E  in  te  così  muta  —  1’  umana  pietà  ?...   Non  cruda  cotanto  —  la  madre  sarà.  (Luisa  è  in  atto  di  partire Pietro  V  arresta  e  mette  un  sordo  gemito in  questo  punto  nell’interno dell'edifizio s'ode  una  lugubre  salmodia,  e  si  vede  attraversare  lentamente  il  fune¬  bre  campo  uno  stuolo  di  anacoreti  con  ceri,  indi  una  bara  e  popolo  a  capo  chino.  )   Coro  Eterna  requie  all’  anima   Che  abbandonò  la  terra,   A  cui  del  vero  giubilo  La  speme  or  si  disserra  ;   Del  bacio  tuo  santissimo  Confortala,  o  Signor,   E  nel  perpetuo  secolo  La  irraggi  il  tuo  splendor.   PlET.  ( trascinando  la  figlia  atterrila  ai  cancelli.)   Tetro  baglior,  funereo  Rischiara  il  cimitero,    22    Per  chi  moria  si  mormora  Un  cantico  severo!...   Or  vedi  tu  quel  feretro?  ..  .   E  lì  tua  madre  estinta,   Che  venne  al  die  novissimo  Da  te,  o  crudel,  sospinta  . .. Del  suo  tremendo  anatema  Per  me  ti  colga  il  ciel  !  !  —   Dui.  ( con  g rido  disperato ,  angoscioso  .)   Gran  dio! me  stessa  invadere   Possa  di  morte  il  gel  !  !  —  (  cade  tramortita.  Pietro  rimane immobile  insensato  contemplando  la  figlia ,  che  dopo  vari  istanti  rinvenendo  esclama  come  in  delirio  :)   0  tu,  che  sei  fra  gli  angeli  Fuggito  al  duol  terreno,   Scendi,  o  materno  spirito,   Del  genitore  in  seno,   Per  te  fia  dato  estinguere   Del  suo  corruccio  il  foco   (e  stringendo   al  padre  le  ginocchia,  e  additandogli  il  cielo)  Per  essa,  per  queir  angelo,   0  padre  mio,  t’  invoco .  ..   Perdona,  e  questa  misera  Dal  ciel  perdono  avrà  !  —   Pi  ET.  ( soggiunge  e  quale  forsennato  va  ripetendo  :)  j\è  Iddio,  nè  il  padre,  o  reprobo,   Perdono  a  te  darai!  ( momento  di  terribile  silenzio;  riprenderà  internamente  il  salmeggiare  degli  anacoreti:)   Coro  Un  cor  contrito  ed  umile  Da  te  non  sia  rejetto,   Su  me  l’issopo  aspergasi,   O  nume  benedetto,   E  immacolato,  niveo  Lo  spirto  mio  sarà. Perdona,  e  inspira  agli  uomini  Peli'  ofìensor  pietà.   ( tutto  ritorna  in  silenzio  —  Pietro  avrà  ascoltato  attentamente  la  salmodia  —  contempla  nuovamente  la  figlia  —  una  lagri¬  ma  gli  spunta  sul  ciglio  —  e  prostrandosi  in  atio  di  preghiera,  mal  suo  grado  :)   Piet.  A  che  mi  commosse  —  quel  flebile  canto?   Perchè  le  mie  ciglia  son  molli  di  pianto?  Quai  mistici  sensi  —  or  provo!*   Lui.  È  il  Signore,   Che  a  te  la  pietade infonde  nel  core...  PlET.  (piangendo)   0  salmi  pietosi,  —o  sacro  concento! Lui.  (con  anima  crescente)   Dall’  urna  materna  —  pur  esce  un  accento,   Che  all’alma  d’ un  padre  —  perdono  consiglia! Ascoltalo. ..   Pi  et.  figlia... —   Lui.  (c.  s.)  perdona...   PlET.  ( schiudendole  l'amplesso)  Mia  figlia! Lui.  Gran  dio,  forse  è  vero?!  —   Piet.  È  spento  il  furor. Qual  io  ti  perdono  —  perdoni  il  Signor!!  —   A  DUE  ( prostrati  e  con  espansione :) Oh! sia  benedetto pur  sempre  l’Eterno,   Che  all’ uomo  soccorre — nel  dì  del  dolor.   sposa,  0|.  |jeata  —  ne]  cje]0  superno  madre,   Ognor  de’ tuoi  cari  —  favella  al  Signor  !  !  —   P I ET.  ( sorgendo  esclama:)   a  11  volgo  io  derido  —  che  un  empio  mi  crede,   »  Non  più  m’atterrisce- —  dell’uomo  il  furor,   »  Se  ancora  una  figlia  —  Iddio  mi  concede,   »  E  un  tempo  m’aspetta di  gloria  e  splendor!!»  Fune  dell’  atto  II.    h    SCENA  PRIMA   Padova  —  il  Prato  della  Valle  —  baracche  d’ ogni  sorta —  da  un  lato  padiglione  all’  ingresso  di  magnifico  recinto  apparato  per  un  torneo  —  accorre  d’  ognidove  immensa  folla  di  popolo.  —   CoRo.TTripudio  e  baldoria!  —  esultino  i  cori!   Sia  gaja,  sia  splendida  —  la  Festa  dei  fiori  !  —   Dell’  aureo  carroccio  —  la  nobil  difesa,   La  giostra  del  Satiro   rammenta  un'Impresa,   Che  somma  pei  secoli,  —  ed  inclita  andrà  Ne’  fasti  che  annovera  1’  Euganea  Città.   (varii  banditori  di  storie  dispensano  fra  il  popolo  delle  pergame¬  ne  chi  legge  su  quelle,  chi  ascolta  )   Parte  del  CORO  (  leggendo  :  )   Pel  Sire  di  Svevia  —  in  Padoa  regnava  Un  Conte  Pagano  —  un’  anima  prava,   Di  vampa  amorosa  —  lo  ardea  Speronella,   Ed  esso,  l’infame!,  —  rapì  la  donzella;   Con  prodi  seguaci  —  allor  Dalesmanno   Ritolse  la  figlia,  —  sconfisse  il  tiranno  !  —   Tutti.  Tripudio  e  baldoria! esultino  i  cori  !   Sia  gaja,  sia  splendida  — la  Festa  dei  fiori!  —  Varii  del  popolo  (osservando  all’  interno  .)   Oh  come  s’avanza  —  leggiadro  il  Silvano,   Fedele  sembianza  —  del  Conte  Pagano  !  —   (intanto  varie  persone  ammantellale  si  ragunano  fra  loro ,  e  gua¬  tando  sdegnose  alla  folla  baccante ,  dicono  sommessamente  :   Or  qui  si  tripudia, —  e  ali’ alba  vegnente   Fia  spento,  fia  cenere  —  di  Padoa  il  sapiente  !    Salvarlo,  o  l’ infamia  —  di  tale  empietà   Col  sangue  de’  giudici  —  scontar  si  dovrà.   (  si  disperdono  )   SCENA  Suono  fragoroso  di  trombe  —  preceduti  da  alfieri  colle  Insegne  di  loro  casato  diffilano  i  Cavalieri  della  Marca  splendidamente  armati  —  indi  viene  il  carroccio*  sormontato  da  un  padiglione  di  porpora  con  in  cima  un’  antenna  riccamente  guernita  di  frange  d’oro,  e  avente  l’arme  della  Città  ( drago  verde  a  due  teste)  —  turbine  di  fiori  lanciati  da  giovani  nobili,  che  figu¬  rano  così  1’  assalto  del  carroccio,  a  cui  oppongono  resistenza)  con  armi  eguali  leggiadre  fanciulle,  che  ne  stanno  alla  difesa  sotto  al  padiglione  —  paggi  con  ceste  di  fiori  da  apprestarsi  agli  assalitori  continuamente  —  dietro  il  carro  nuova  schiera  di  Cavalieri,  indi  coll’Insegna  del  Satiro  una  squadra  di  ar¬  mati  in  nera  assisa  —  Scudieri,  valletti,  giullari,  popolo.  —   Lieta  marcia ,  e  Coro   Tripudio,  e  baldoria!  —esultino  i  cori!   Sia  gaja,  sia  splendida  —  la  Festa  dei  fiori  !  —  Dell’  aureo  carroccio  —  la  nobil  difesa,   La  giostra  del  Satiro  —  rammenta  un’  Impresa,  Che  somma  pei  secoli  —  ed  inclita  andrà   Ne’  fasti  che  annovera  —  1'  Euganea  Città.  (arrivato  lo  splendido  Corteo  all*  ingresso  dello  steccato ,  tutti  si  fermano  —  discendono  dal  carroccio  ì  due  consoli  in  ampio  rob-  bone  di  velluto  rosso,  e  le  dodici  donzelle  coronate  di  gigli  e  di  rose.  —  Terminato  il  Coro ,  si  udrà  nell ’  interno  la  voce  d'  un  trovatore,  che  accompagnata  mestamente  da  un  liuto,  canta .  )   Di  cupo  oceano  —m’  agita  1’  onda.   Nessuna  vela  —mi  tragge  a  sponda,   Non  veggo  un’  oasi,  che  in  rio  cammino  Dal  sol  difenda  me  peregrino;   Cor.  Qual  fiebil  melodia   Dell’ anima  ne  infesta  or  l’allegria? Voce  interna   Deserto,  oceano  —  son  la  mia  vita,   Perì  la  vela,  Y  oasi  è  svanita  !   Ben  crudo  è  1’  angelo  —  che  m’ innamora,   Se  al  giuramento  infido  è  ancora  !  SCENA. Il  menestrello  comparirà  cantando  gli  ultimi  versi   esso  è  Arnoldo.   Coro.  Sospendi,  o  menestrello,  il  tuo  lamento  ;   In  tal  giorno  di  giubilo  e  contento   Ali’  Antenoree  sponde  il  trovatore   Sol  move  a  celebrar  virtude  e  amore. Ballata   Arn.  Del  trovador  la  cetra  è  voluttuosa,   La  sua  canzone  è  tenera,  amorosa  ;   Che  vai,  se  a  lui  deserto  e  afflitto  il  core  Gema  per  sangue  intanto  e  per  dolore?   Con  un  sorriso,  che  il  suo  labbro  infiora,   E  ad  allegria  ne  finge  il  viso,  ognora   Sull’ arpa  ei  canterà:  Beato  il  core.   Cui  solo  è  vita  il  palpito  d’amore!   \   E  melodia  divina  in  ciel  rapita   Quando  la  donna  al  bacio  suo  t’  invita.   E  pur  supplizio  Amor,  se  avverso  fato  Da  te  divide  1’  angelo  adorato  !   Ma  sia  delizia  Amore  o  sia  martiro,   Per  la  sua  vampa  io  sol  vivo,  respiro,   E  sempre  canterò  :  beato  il  core,   Cui  solo  è  vita  il  palpito  d’  amore.    $7    Coro  Ben  canti,  o  trovador,  felice  il  core,   Cui  solo  è  vita  il  palpito  d’amore.  —   Tutti   Tripudio  e  baldoria!  —  esultino  i  cori'   Sia  gaja,  sia  splendida  —  la  Festa  dei  fiori.  —  ec.  ec.  ec.   POPOLO  e  Giullari  (  scherzando  attorno  l’insegna  del  Satiro)  Oli!  come  innamori,  —  leggiadro  Silvano...   Fedele  sembianza  del  conte  Pagano  !  !  —   (  tutti  entrano  nello  steccato  —  intanto  che  la  folla  va  diradan¬  dosi ,  e  s ’  allontana  il  suono  della  musica ,  le  persone  ammantel¬  late  si  ragunano  di  nuovo ,  e  c.  s.)  Or  qui  si  tripudia  —  e  all’  alba  vegnente   Fia  spento,  fia  cenere  — •  di  Padoa  il  sapiente  !  —  S  tlvarlo  ! ,  o  l’ infamia  —  di  tale  empietà  Col  sangue  de’ giudici  —  scontar  si  dovrà!   (partono)   SCENA. Cella  solitaria  —  le  pareti  e  la  volta  ne  son  piate  di  immagini  a  fresco  —  scarsa  luce  di  una  lampada.  —  Racchiuso  in  ampia  Umica  di  colore  violetto  s’  avan¬  za  un  vecchio  —  è  Pietro  da  Reggio.   Piet.  Nell’orgie  ancor,  nel  futile  tripudio  Immersa  è  la  cittade  ;  indi  fra  poco  Insensata  del  pari  e  curiosa  A  ben  altro  spettacolo  La  folla  accorrerà:  di  Pietro  d’ Abano  Al  supplizio.  —Di  te  1’  alta  facondia  Ove  ne  andò,  maliardo?.,  oh  ben  caduchi  Fur  gli  osceni  trionfi,  onde  più  volte  I  giudici  hai  schernito,   Sacrilego,  aborrito!!  —   Prepotente  un  destili  sull’  orme  tue    28    Mi  trasse  ognora,  e  giudice  di  morte  Essere  a  te  giurava  allor  eli’  io  seppi  Di  mio  nepote  infame  ammaliadrice  La  prole  tua;  io  ti  raggiunsi,  il  mio  Corruccio  alfin  ti  coglie  al  suol  natio!!   SCENA. Laindo  e  detto.   »   Piet.  d.  R.  Che  rechi?...   Laiv.  Arnoldo  . . .   Piet.  d.  R.  ( con  interesse)  R  misero   Ritrovo  alfin?...   Lan.  L’indegno   Sotto  sembianza  in  Padova  Giugnea  di  trovador.   Piet.  d.  R.  Che  parli!   Lan.  Pietro  d’Abano   Salvare  è  suo  disegno...   Piet.  d.  R.  Stolto! Lain. Con lui cospirano Ben altri. . .   Piet.  d.  R.  Oh  mio  furor  !  !   Maledetti,  alla  congiura  Qual  delirio  vi  trascina?!   Non  per  essa  men  secura  La  vendetta  mia  sarà.   Il  mio  foco  è  struggitore  Come  folgore  divina  . . .   Ben  dei  roghi  Io  splendore  Luce  e  gloria  a  me  darà.   Lan.  Sì,  dei  roghi  lo  splendore   Luce  e  gloria  a  te  darà.    SCENA  VI.    29    La  Piazza  di  Padova  —  è  il  crepuscolo  mattutino  al  mesto  rintocco  di  lugubre  campana  per  varie  bande  convengono  i  po¬  polani  —  Squadre  di  armigeri  occupano  lo  sbocco  di  ogni  con¬  trada  —  Di  lì  a  qualche  istante  dal  Palazzo  della  Ragione,  preceduto  da  pietose  fraternità,  dallo  stuolo  dei  giudici,  cir¬  condato  da  sgherri  comparisce  Pietro  d" Abano  —due  uomini  vestiti  a  bruno  ne  sorreggono  la  persona  affranta  per  la  tor¬  tura  —  Pietro  da  Reggio  con  a  lato  il  suo  confidente  è  fra  i  giudici.   Durante  questa  funerea  processione,  che  move  lentamente  al  luogo  del  supplizio,  che  si  figura  nello  interno,  si  canta  il  seguente  Coro  :   Pietà,  Signor  del  misero,   Che  impenitente  muore,   Che  sol  devota  a  Satana  Ebbe  la  mente  e  il  core;   Pria  che  del  dì  terribile  A  lui  si  squarci  il  vel.   Converti  a  te  quell’  anima,   Possente  re  del  ciel  !   Pi  ET.  ( arrivato  nel  mezzo  della  piazza ,  si  ferma  e  con  voce  fie¬  vole,  ma  secura  :  )   Qui  al  cospetto  degli  uomini,  di  Dio  Altamente  proclamo  iniqua  e  stolta  La  mia  condanna  ;  agl’  invidi  nemici  Io  muoio  perdonando  ;  e  al  mondo  invoco  Un  tempo  illuminato,  ove  s’  apprenda  Esser  divina  l’anima  dell’uomo,   Onde  ai  portenti  per  la  scienza  mia  Sol  giunsi,  che  opra  d’ infernal  malia  Estima  il  volgo  folle  ed  insensato  ....  (/a  parola   gli  muore  sul  labbro  —  lo  copre  un  pallore  dì  morte.  )  Egli  bestemmia  !    Coro.   SCENA. Picchio  di  spade  al  di  fuori ,  voci  tumultuose ,  confusio¬  ne  a  un  angolo  della  piazza  —Luisa  come  forsennata,  facendosi  largo  tra  la  folla ,  arriva  a  suo  padre.   Lui.  padre  sventurato!  1   PlET.  (  apre  languidamente  gli  occhi ,  e  a  lei  mesto  sorride  )  Ch’io  ti  serri  al  mio  sen  pria  di  morire  Iddio  concede  !...   Voci  interne  evviva  Pietro  d’  Abano! .   PlET.  ( sorgendo  )   Viva  il  suo  genio  !  ( indi  con  voce  manchevole  •)   i  ferri  declinate,   Per  una  salma  or  voi  sol  guerreggiate  .  . .   (  ricade Il  tumulto  andrà  cessando)  PlET.  D.  R.  (con  derisione)   Repressa  è  la  congiura.  .  .  (e  osservando  Pietro  '  d’  Abano  morente)   ma,  oh  furore  !,   Del  supplizio  al  dolore  Lui  sottragge  la  morte  ! ..   Piet.  «  sìj  sentendo   »  I  funerei  suoi  vanni .  . .  ella  .  .  a  me  viene  . ..   »  Dolce  amica  .  .  il  tuo  boccio ...  ed  il  sorriso  »  Di  più. . .  splendida  vita  ....  »   SCENA  ULTIMA   Impetuoso,  con  ispada  alla  mano  ,  indarno  rattenulo ,  Ap^noldo  s  innoltra,  e  scorgendo  Luisa  :   Arw.  (con  grido  di  gioia )  li  paradiso   Si  schiude?!  Lui.  (  sorpresa ,  e  sgomentata  estremamente  )   Arnoldo  !  ? .   Arn.  «  del  tuo  fido  al  pianto »  Risorgi  alfine  ?  . . Piet. d.  R. orrendo,  novo  incanto   »  Questo  è  dell’  empio,  un’  alma  trapassata  »  Ei  rivoca  !  ! . .   (orrore  generale). Lui.  dai  vortici  dell’ onde   »  Mi  salvava  un  Romito  . . .   Ar:v.  Alfin  ti  stringo   »  Ombra,  o  donna,  al  mio  seno . . .   »  Ma  . . .  tu  sei  dessa  . . .  parla  a  me  d’amore. Te  mia  sposa  consacri  il  genitore.   Lui.  ( inorridita  lo  respinge,  e  accenna  il  padre  assorto  in  agonia)   Tutti   Lui.  In  quest’  ora  di  morte tremenda Chiudi il labbro all’ accento  d’amore,   Sul  passato  un  velame  si  stenda,   Lunghi  giorni  il  mio  viver  non  ha.   Fra  i  silenzi!  di  chiostra  romita,   Ove  un  giuro  la  chiama  al  Signore,   Or  quest’  orfana,  grama,  pentita  Per  te  all’  ara  pur  supplice  andrà.   Arx.  (  disperato  )   Va,  de’  morti  la  prece  m’ intuona   Or  che  spento  hai  la  fiamma  d’  amore! Empia  lei,  che  il  suo  fido  abbandona. Mai  la  pace  dell’  anima  avrà  1 1   Pur  fra  1’ombre  del  claustro  silente,   Ove  un  Dio  ti  rapisce  al  mio  core,    32    Del  mio  spirito  1’  ombra  dolente   Le  tue  gioie  a  turbare  verrà  !  !   PlET.  (  come  invaso  da  sublime  apparizione ,  raccogliendo  tutte  r  estreme  sue  forze,  e  sorgendo  atteggiato  di  splendido  sorriso  :  )   Del  mio  genio  sui  vanni  rapita   Sento  io  T  alma  alle  sfere  lucenti . . . Ei Venezia... la grande nv addita. Salve, salve immortale città! Poi Fiorenza, e in arcane parole Mille e mille predice sapienti. Son  quei  sommi,  onde splender qual  sole  Sovra...  il  mondo  la  pa...tria  dovrà!!  —   PlET.  D. R. (fra sè confuso) Qual mai lampo balena sul viso A quel gratide nell’ora di morte? Oh! qual lampo; il mio spirto è conquiso Nella polve piombare mi fa. Coro. Egli muore! dell’erebo ardente Si disserran le orribili  porte. Santo giudice, nume clemente, Di quell’alma proterva pietà! (Pietro d'Abano è  spirato  —Luisa volge un ultimo sguardo al cadavere del padre,  e ad Arnoldo in atto di estremo congedo uno  stuolo di Suore velate a sè la accoglie Pietro da Reggio trae seco il ncpote desolato. Stupore ,  atteggiamento di tristezza generale.).FINE. Refs.: Luigi Speranza, “The reception of pseudo-Aristotle via Abano’s edition”. Abano. Keywords: filosofia del linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Abano," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Grice ed Abano #Abano. Sclavione. 

 

 

Grice e Scupoli: la ragione conversazionale della lotta coll’angelo – la lotta dell’angelo e il demonio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Otranto). Filosofo Italiano. Very important Italian philosopher. Entra nell'ordine dei teatini per ricevere gli ordini sacri. Discepolo di Avellino, appartenente al suo stesso ordine.  Risale l'accusa di violazione della regola, per cui èarrestato per un anno e sospeso a divinis. Per la sua assoluzione dove attendere quasi la morte. Intanto, sopporta l'ingiusta accusa e la pena conseguente con umiltà e umanità. Il combattimento spirituale. Con l’orazione porrai la spada in mano al divino, perché combatta e vinca per te. La preghiera è dunque l’arma di tutte le vittorie. Essa è la debolezza del divino e la forza dell’uomo perché il cuore del Padre non sa negare nulla di buono ai suoi figli. “Il combattimento spirituale – I V mezzi per raggiungere la perfezione” è un trattato di strategia spirituale che conduce l'uomo alla perfezione. Scupoli indica *cinque* mezzi per raggiungere la perfezione spirituale: sfiducia in sé, pienissima confidenza in Dio, combattimento e uso metodico delle facoltà per correggere i propri difetti, quindi per trionfare del demonio e per conquistare le virtù. Preghiera e meditazione. Comunione.   Spiritualità. Scupoli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Scupoli," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Sebasmio: la ragione conversazionale della classe romana – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Sebasmio is a philosopher mentioned on a list of philosophers belonging to the Roman aristocracy. SEBASMIO.

 

Grice e Secondo: la ragione conversazionale della gnosi romana – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to Ippolito di Roma, a gnostic who believes that the world is divided into light and darkness. Secondo.

 

Grice e Secondo: la ragione conversazionale del cinargo romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) Filosofo italiano. Tacito. A Pythagorean, he acquires the nickname on account of a vow of silence he takes. Although some regard him as a Pythagorean, he appears to have led the life of the Cinargo. Even Adriano can not get to break his vow – although S. may have provided written answers to some of the philosophical questions Adriano poses.

 

Grice e Selinunzio: la ragione conversazionale della scuola di Reggio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.

 

Grice e Sellio: la ragione conversazionale dell’allievo di Filone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Gaio Sellio. Pupil of Filo at Rome. Gaio Sellio.

 

Grice e Sellio: la ragione conversazionale del fratello – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Pupil of Filone at Rome – possibly Gaio Sellio’s brother. Lucio Sellio.

 

Grice Selvatico: la ragione conversazionale estense – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. S. Estense.

 

Grice e Semerari: la ragione conversazionale e il principio del dialogo in Socrate – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo Italiano. Grice: “Whereas it would be considered in bad taste at Oxford, the Italians pun on names – and there is an essay on the ‘seme’ of ‘semerari’ Witty!” -- Grice: “Perhaps Semerari is right and the philosopher MUST metaphorise. What better title to an essay on Carabellese than ‘La sabbia e la roccia”?” -- Grice: “I like Semerari: His ‘principio del dialogo in Socrate” is reprinted in his invaluable collection on “Dialogo.”” – Grice: “In a way, we may say that Calogero, Semerari, and myself, belong to the school of the philosophy of conversation – not to mention Apel!”. Si laurea a Roma sotto CARABELLESE. Insegna a Bari. Collabora ad Aut Aut, Critica storica, Giornale critico della filosofia italiana, Clizia, Historica, Rivista di filosofia del diritto, Rivista di filosofia, Il pensiero, Archivio di filosofia e altre riviste specialistiche. Fonda Paradigmi. Si dedica per lo più a Spinoza, a Schelling, alla fenomenologia di Husserl e Merleau-Ponty e al materialismo storico di Marx. Altri saggi: Lo spinozismo,Vecchi, Trani; Storia e storicismo: saggio sul problema della storia in CARABELLESEC, Vecchi, Trani; Storicismo e ontologismo, Lacaita, Manduria, Dialogo, storia, valori: studi di filosofia, Ciranna, Siracusa; Interpretazione di Schelling, Libreria scientifica, Napoli;  Esistenzialismo italiano (Grice: “This reminds me of parochial Warnock and his “English philosophy,” or Sorley for that matter!” -- Cressati, Bari; “Questioni di etica, Adriatica, Bari; Responsabilità e comunità umana. Ricerche etiche, Lacaita, Manduria; La filosofia come relazione, Quaderni di cultura, Sapri; Natale, Guerini, Milano; “Scienza nuova e ragione, Lacaita, Manduria; S., Guerini, Milano; Da Schelling a Merleau-Ponty; Cappelli, Bologna; La lotta per la scienza, Silva, Milano; Valerio, premessa di Papi, Guerini, Milano, Spinoza, Marzorati, Milano; Esperienze, Argalia, Urbino; La filosofia dell'esistenza in Kant, Adriatica, Bari;  Introduzione a Schelling” (Laterza, Bari); Filosofia e potere (Dedalo, Bari); Civiltà dei mezzi, civiltà dei fini. Per un razionalismo filosofico-politico, Bertani, Verona;  La scienza come problema: dai modelli teorici alla produzione di tecnologie” (Donato, Bari); “Insecuritas. Tecniche e paradigmi della salvezza, Spirali, Milano); “La sabbia e la roccia. L'ontologia critica di CARABELLESE” (Dedalo, Bari); “Dentro la storiografia filosofica” (Dedalo, Bari); Sartre. Teoria, scrittura, impegno” (Sud, Bari); Novecento filosofico italiano. Situazioni e problemi, Guida, Napoli; “Scesi. Studi husserliani” (Dedalo, Bari); Filosofia Guerini, Milano Confronti con Heidegger (Dedalo, Bari); La filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Bari, Frammenti di diario; l'anno di Istanbul, Schena, Fasano. “La cosa stessa.” Seminari fenomenologici (Dedalo, Bari); “Dommatismo e criticismo”, “Deduzione del diritto naturale” (Laterza, Bari); Pensiero e narrazioni. Modelli di storiografia filosofica” (Dedalo, Bari); Frammenti di diario; l'anno del Messico, Schena, Fasano); “Fenomenologia delle relazioni, Palomar, Bari); “Ragione e storia. Studi in memoria” Tateo, Schena, Fasano;  Dalla materia alla coscienza. Studi su Schelling in ricordo, Tatasciore, Guerini, Milano; ‘La certezza incerta” Scritti su Semerari con due inediti dell'autore, S., Guerini, Milano; Ponzio, Il significato della filosofia per S., in "BariSera", Niro, S.. Il problema morale, Atheneum, Firenze, Silvestri, Il seme umanissimo della filosofia. Sul pensiero di S. (Mimesis, Milano). Treccani  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Semerari. Semerari. Keywords: fascismo, Gentile, neo-idealismo come intrinseccamente fascista, Croce, Vico, intersoggetivo, io-tu, dialogo, dialogo autentico, comunita, valore comunitario, comunita umana, vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Semerari” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Semmola: la ragione conversazionale della filosofia come istituzione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “I find it difficult to decide if Semmola endorses formalism or informalism in his monumental “Logica.”” Grice: “While Ayer never liked it, metaphysics is very popular in Italy, as Semmola’s monumental “Metafisica” testifies.” Grice: “It’s good to see philosophy as an institution, in the Italian way of using this word, as per Semmola, “Istituzione di Filosofia.” Uno dei più grandi esponenti della scuola napoletana. Partecipa ai moti di Marigliano. Saggi: “Istituzioni di Filosofia,” “Logica,” “Metafisica”, Biblioteca, Napoli. Mente divinatrice ardente spirito investigatore che nello studio della natura morbosa dell'uomo produsse miracoli di arte e di scienza scolare e presto emulo del suo gran più ai giovann conchiuse alla novità delle dottrine una sapienza antica procacciandosi fama in patria e fuori di sommo maestro in medicina ne rifulse lo ingegno incomparabile dalla cattedra nell'università napoletana nelle accademie e negli ospedali nei consessi legislativi e nei congressi scientifici nella parola negli scritti membro della commissione legislativa riunita in Firenze principale autore di un codice sanitario italiano inviato unico plenipotenziario alla conferenza sanitaria internazionale di Vienna deputato e poi senatore nel patrio parlamento onorato due volte di medaglia d'oro dal proprio governo per le cure ai colerosi da quello del Brasile per la guarigione del suo imperatore Socio di gran numero di accademie italiane e straniere Insignito di molti tra i maggiori gradi cavallereschi. Muore nella fede catolica avita. Questo marmo per voce del comune Si fa eco della pubblica solenne onoranza cittadina. Le spoglie mortali riposano nella cappella mortuaria di famiglia ove le vollero la vedova ed i figliuoli a rendere vieppiù paghi la loro pietà ed il riconoscente affetto. Mariano Semmola. Semmola. Keywords: istituzioni di filosofia, l’istituzione della logica, l’istituzione della metafisica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Semmola” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Senea: la ragione conversazionale della scuola di Caulonia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Caulonia). Filosofo italiano. A Pythagorian cited by Giamblico.

 

Grice e Senocrate: la ragione conversazionale della scuola di Metaponto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.

 

Grice e Senofante: la ragione conversazionale della scuola di Metaponto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Pythagorean – Giamblico.

 

Grice e Serbati: la ragione conversazionale del divino nella filosofia italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rovereto). Filosofo italiano. Important Italian philosopher. Frequenta  l’imperial regio ginnasio. Studia a Padova. A questo proposito i famigliari raccontavano come, fin dalla più tenera età, legge alla luce della sua aureola.  E in occasione della venuta a Rovereto del vescovo di Chioggia per consacrare le chiese di S. Maria del Carmine e di S. Croce, appartenente all'omonimo monastero, che, prendendo parte alla cerimonia, ottenne il diaconato. Mostra una profonda inclinazione per la FILOSOFIA, incoraggiato in tal senso da Pio VII.  Si trasfere a Milano dove strinse un profondo rapporto d'amicizia con Manzoni che di lui ebbe a dire -- è una delle sei o sette intelligenze che più onorano l'umanità. Manzoni assistette S. sul letto di morte, da cui trasse il testamento spirituale "Adorare, Tacere, Gioire". La sua filosofia destarono l'ammirazione, tra gli altri, anche di Stefani, Tommaseo e Gioberti dei quali pure divenne amico. Dopo aver dovuto lasciare il Trentino, per motivi di forte ostilità per le sue posizioni incontrati da parte del vescovo di Trento fonda al Sacro Monte Calvario di Domodossola la congregazione religiosa dell'Istituto della Carità, detta dei "Rosminiani". Le Costituzioni della nuova famiglia religiosa, contenute in un libro che cura per tutta la vita, sono approvate da Gregorio XVI. A Borgomanero svolge la sua attività di insegnamento e di guida spirituale in un collegio rosminiano, il "Collegio Rosmini", regolato dalla Congregazione della Provvidenza Rosminiane. Svolge una missione diplomatica per conto del Re di Sardegna Carlo Alberto presso la Santa Sede. E presidente dell'Accademia Roveretana degl’Agiati ed il suo posto, anni dopo la sua morte fu assunto da Paoli, suo segretario ed esecutore delle volontà, già direttore di Casa S.. Tra le sue volontà del vi e anche quella di donare a Rovereto un terreno nell'attuale zona di S. Maria per costruirvi l'ospedale cittadino, e Paoli onora tale decisione. Porta avanti tesi filosofiche tese a contrastare sia l'illuminismo che il sensismo. Sottolineando l'inalienabilità dei diritti naturali della persona, fra i quali quello della proprietà privata, entrò in polemica con il socialismo e il comunismo, postulando uno Stato il cui intervento fosse ridotto ai minimi termini. Nelle sue teorie il filosofo seguì le concezioni di Agostino e AQUINO, rifacendosi anche a Platone.  I suoi esordi filosofici si ricollegano a GALLUPPI, sia pure polemicamente, in quanto S. avverte con ogni chiarezza come risulti insostenibile una posizione di integrale sensismo gnoseologico.  La necessità di concepire una funzione ordinatrice dell'esperienza, e a questa precedente, porta S. a guardare con interesse la filosofia di Kant. Tuttavia non è soddisfatto di ciò che lui chiama l'innatismo kantiano, legato ad una pluralità imbarazzante e precaria di categorie. Le quali, d'altra parte, gli sembrano fallire lo scopo di far conoscere il reale quale esso è, per la necessaria introduzione di modifiche soggettive nell'atto stesso del conoscere.  Il problema filosofico di S. si configurava perciò come quello di garantire oggettività alla conoscenza. La soluzione non potrà essere trovata, stante il rifiuto della trascendentalità kantiana e dei connessi sviluppi, se non in una ricerca ontologica, in un principio oggettivo di verità, che riesca ad illuminare l'intelligenza in quanto le si proponga con immediata evidenza, universalità e immutabilità.  Questo principio è per S. l'idea dell'essere possibile, che da indeterminato contenuto dell'intelligenza, quale originariamente è, si fa determinato allorché viene applicato ai dati forniti dal senso. Essa precede e informa di sé tutti i giudizi con cui affermiamo che qualche cosa particolare esiste. L'idea dell'essere, dunque, costituisce l'unico contenuto della mente che non abbia origine dai sensi, ed è perciò innata (“Saggio sull'origine delle idee”).  Ma qui i problemi del kantismo, che sembrano superati o almeno messi da parte, si riaffacciano con urgenza: di fronte al mero ricevere dati, di cui parlava il sensismo, ha chiarito che la mente umana nel suo uso conoscitivo formula giudizi, in cui l'idea dell'essere ha funzione di predicato, cioè di categoria, e la sensazione è il soggetto, di cui si predica qualche cosa. Nel giudizio, inoltre, il predicato si determina e la sensazione si certifica: se questa è la funzione propria del giudicare, ogni concetto non può sussistere che come predicato di un giudizio; né a questa necessità sembra potersi sottrarre il concetto di essere, che è dato solo nell'attività giudicante, come forma del giudizio.  Tuttavia non accetta tale riduzione, ed esclude proprio il predicato di esistenza della funzione del giudizio, continuando ad attribuirgli una natura oggettiva e trascendente. È l'essere trascendente che si rivela all'uomo, lo illumina e gli permette di pensare. Chi lo nega come il nichilismo cade in una vuota posizione nullista.  Accanto a questa ontologia la sua etica si sviluppa come etica caritativa (Principio della scienza morale). Dedica alla politica una breve ma intensa fase della sua vita. Seguì Pio IX riparato a Gaeta dopo la proclamazione della Repubblica Romana, ma la sua formazione attestatasi su ferme posizioni di cattolicesimo liberale e tale per cui e costretto a ritirarsi sul Lago Maggiore, a Stresa. Tuttavia, quando Pio IX vuole istituire una commissione incaricata della preparazione del testo per la definizione del dogma dell'immacolata concezione, nonostante ben due suoi saggi (Le cinque piaghe della Chiesa e La costituzione secondo la giustizia sociale) sono all'Indice. Chiamato a prendere parte a tale commissione, e favorevole allo stato liberale (vagheggiando la monarchia costituzionale), al costituzionalismo e anche alla separazione tra stato e chiesa, sebbene non assoluta. Critica lo Statuto Albertino proprio per il suo porre ancora il cattolicesimo come religione di stato, elogiandone comunque il tentativo distensivo nei confronti della Santa Sede. Critica la legge laicista ed anti-clericale. Si convince della sostanziale bontà della maggior parte delle conquiste dell'età moderna, criticandone solo le modalità: in tale ottica, critica sia la rivoluzione francese che l'Ancient Regime, riconoscendo invece la sostanziale bontà dei princìpi sanciti, distinguendoli dalle successive de-generazioni rivoluzionarie, in polemica con chi, da una parte e dall'altra, sostene una società perfettista. Continua a vivere a Stresa, fecondo nel perseguire il perfezionamento del suo sistema di pensiero con saggi come “Logica” e “Psicologia”. Ratzinger, quando la questione rosminiana era ancora ben accesa, nell'ambito di una serata organizzata a Lugano, dice. Nel confronto con le parole classiche della fede che sembrano così lontane da noi, anche il presente diventa più ricco di quanto sarebbe se rimanesse chiuso solo in se stesso. Vi sono naturalmente anche tra i teologi ortodossi molti spiriti poco illuminati e molti ripetitori di ciò che è già stato detto. Ma ciò succede ovunque; del resto la letteratura dozzinale è cresciuta in modo particolarmente rapido proprio là dove si è inneggiato più forte alla cosiddetta creatività. Io stesso per lungo tempo avevo l'impressione che i cosiddetti eretici fossero per una lettura più interessante dei teologi della chiesa, almeno nell'epoca moderna.  Ma se io ora guardo i grandi e fedeli maestri, da Mohler a Newman a Scheeben, da S. a Guardini, o nel nostro tempo de Lubac, Congar, Balthasar quanto più attuale è la loro parola rispetto a quella di coloro in cui è scomparso il soggetto comunitario della Chiesa.  In loro diventa chiaro anche qualcos'altro: il pluralismo non nasce dal fatto che uno lo cerca, ma proprio dal fatto che uno, con le sue forze e nel suo tempo, non vuole nient'altro che la verità. Per volerla davvero, si esige tuttavia anche che uno non faccia di se stesso il criterio, ma accetti il giudizio più grande, che è dato nella fede della Chiesa, come voce e via della verità.  Del resto io penso che vale la stessa regola anche per le nuove grandi correnti della teologia, che oggi sono ricercate: teologa africana, latinoamericana, asiatica, ecc. La grande teologia francese non è nata per il fatto che si voleva fare qualcosa di francese, ma perché non si presumeva di cercare nient'altro che la verità e di esprimerla più adeguatamente possibile.  E così questa teologia è diventata anche tanto francese quanto universale. La stessa cosa vale per la grande teologia italiana, tedesca, spagnola. Ciò vale sempre. Solo l'assenza di questa intenzione esplicita è fruttuosa. E di fatto non abbiamo davvero raggiunto la cosa più importante se noi ci siamo convalidati da soli, ci siamo accreditati da soli e ci siamo costruiti un monumento per noi stessi.  Abbiamo veramente raggiunto la meta più importante se siamo giunti più vicino alla verità. Essa non è mai noiosa, mai uniforme, perché il nostro spirito non la contempla che in rifrazioni parziali; tuttavia essa è nello stesso tempo la forza che ci unisce. E solo il pluralismo, che è rivolto all'unità, è veramente grande. Pio VIII dice a S., in udienza. È volontà di Dio che voi vi occupiate nella filosofia. Tale è la vostra vocazione. Ella maneggia assai bene la logica, e la Chiesa al presente ha gran bisogno di filosofi. Dico, di filosofi solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugl’uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli colla ragione, e per mezzo di questa condurli alla religione. Tenetevi certo, che voi potrete recare un vantaggio assai maggiore al prossimo occupandovi nello scrivere, che non esercitando qualunque altra opera del Sacro Ministero. Gregorio XVI, successore di Pio VIII, in risposta alla lettera che S. gli aveva indirizzato. Diletto Figlio, a te il nostro saluto e la nostra Apostolica Benedizione. Abbiamo volentieri e con animo lieto ricevuto la tua lettera con i sensi della tua devota sommissione a Noi e alla Sede Apostolica in cui ci parli della pia Società, chiamata Istituto della Carità e che con le tue fatiche è stata fondata nel territorio della diocesi di Novara con l'approvazione del Vescovo. E soprattutto ci hai anche informato che il medesimo Istituto è stato da poco chiamato anche dal Vescovo di Trento nella sua diocesi e che qui molti ecclesiastici, di provate virtù, vi hanno aderito. Per questi fatti davvero rendiamo il nostro umile grazie a Dio autore di ogni bene. E quantunque questo Istituto non sia stato ancora confermato dall'autorità di questa Santa Sede, tuttavia speriamo in bene di esso e ci allietiamo che lo stesso si dilati con il consenso dei nostri Venerabili Fratelli nell'Episcopato. Quindi, per quanto riguarda le Sante Indulgenze connesse a questo istituto, che domandi siano concesse, ricevi diletto figlio il nostro Rescritto unito a questa lettera, da cui sicuramente comprenderai che rispondiamo positivamente alla tua richiesta. Ti assicuriamo anche che ci è pervenuto il libro sopra i Principi della Dottrina Morale da te edito e mandatoci in omaggio e ti dichiariamo il grazie del nostro animo per il dono. Tuttavia per la tensione nelle gravissime fatiche del Governo Apostolico non abbiamo ancora letto lo stesso libro, ma siamo certamente persuasi che esso sia in tutto conforme alla più sana dottrina e utilissimo alla sua difesa. Continua dunque, diletto figlio, lo studio e prosegui a spendere le tue fatiche ad onore di Dio per l'utilità della Chiesa; in Cielo sarà copiosa la ricompensa per la tua opera. Frattanto la paterna carità con cui ti abbracciamo nell'umanità di Cristo sia pegno dell'apostolica benedizione, che sgorgante dall'intimo del cuore ti impartiamo.»  (Da Breve pontificio di Gregorio P.P.XVI,) Pio IX rivolgendosi al Vescovo di Cremona dopo il decreto Dimittantur opera omnia parlando di Rosmini disse:  «Non solo è un buon cattolico, ma santo: Iddio si serve dei santi per far trionfare la verità. Leone XIII, al tempo delle aspre e dolorose lotte che si svolgevano intorno al pensiero rosminiano sul finire del diciannovesimo secolo, in una lettera indirizzata agli arcivescovi di Milano, Torino e Vercelli, fra l'altro scrisse:  «Ma non vogliamo che con questo abbia a patir detrimento il religioso Sodalizio della Carità; il quale come per lo innanzi spese utilmente le sue fatiche a beneficio del prossimo, secondo lo spirito dell'Istituto, così è desiderabile che fiorisca in avvenire e prosegua a rendere ognora più abbondanti frutti. Col decreto del Sant'Uffizio "Post Obitum"  firmato da Leone XIII, vennero condannate, in quanto "non conformi alla verità cattolica", XL proposizioni contenute nelle opere del S., le quali la Sacra Congregazione romana "giudicò doversi riprovare, condannare e proscrivere, nel proprio senso dell’autore", chiarendo inoltre che non era lecito "a chicchessia di inferire, che le altre dottrine del medesimo Autore, che non vengono condannate per questo decreto, siano per veruna guisa approvate".  Giovanni XXIII, negli ultimi anni della sua vita, meditò in ritiro spirituale le rosminiane "Massime di Perfezione Cristiana", assumendole come propria regola di condotta. Anche Paolo VI prestò interesse nel S.: in occasione dell’anniversario di fondazione dell'Istituto della Carità inviò un messaggio all'allora padre generale, in cui elogiava l'intuizione del S. nel dare un grande peso alla missione caritativa già nel nome del nativo istituto religioso, appunto l'Istituto della Carità. Pubblicamente Paolo VI lo cita durante il discorso tenuto alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana  riguardante la cultura cattolica e l'Europa. Inoltre sotto il suo pontificato venne tolto il divieto di pubblicazione dell'opera Dalle Cinque Piaghe della Santa Chiesa.  Alla morte di Paolo VI venne eletto Giovanni Paolo I, laureato in sacra teologia alla Gregoriana con il saggio, “L'origine dell'anima umana”. È bene precisare che Luciani e fortemente critico nei riguardi del pensiero rosminiano, solo successivamente cambiò opinione, rivolgendo nei riguardi di S. parole di ammirazione e stima.  Tuttavia fu con il pontificato di Giovanni Paolo II che il pensiero rosminiano ha potuto liberarsi delle aspre critiche e delle condanne che accompagnavano l'Istituto della Carità fin dai tempi della sua fondazione. Nella Lettera Enciclica Fides et ratio, Giovanni Paolo II l’annoverato tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e Parola di Dio». Ne ha inoltre concesso l'introduzione della causa di beatificazione, conclusasi nella sua fase diocesana novarese.   Ratzinger da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede emana il famoso documento Nota ai Decreti dottrinali sul Rev.do sac. S.. La nota si concludeva confermando la validità del decreto Post obitum sulle quaranta proposizioni, e allo stesso tempo con la riabilitazione di S.:  «Il Decreto dottrinale Post obitum non si riferisce al giudizio sulla negazione formale di verità di fede da parte dell'Autore, ma piuttosto al fatto che il sistema filosofico-teologico del Rosmini era ritenuto insufficiente e inadeguato a custodire ed esporre alcune verità della dottrina cattolica, pur riconosciute e confessate dall'Autore stesso. Si possono attualmente considerare ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno determinato la promulgazione del Decreto Post obitum di condanna di quaranta proposizioni. E ciò a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo decreto, non appartiene in realtà alla sua autentica posizione, ma a possibili implicanze. Resta tuttavia affidata al dibattito teoretico la questione della plausibilità o meno del sistema rosminiano stesso, della sua consistenza speculativa e delle teorie o ipotesi filosofiche e teologiche in esso espresse. Nello stesso tempo rimane la validità oggettiva del Decreto Post obitum in rapporto al dettato delle proposizioni condannate, per chi le legge, al di fuori del contesto di pensiero rosminiano, in un'ottica idealista, ontologista e con un significato contrario alla fede e alla dottrina Cattolica. Il documento ribadisce la diversità di linguaggio e apparato concettuale del sistema rosminiano rispetto al tomismo, l'assenza di apparato critico nelle opere postume e la permanente "difficoltà oggettiva di interpretarne le categorie, soprattutto se lette nella prospettiva neotomista".  Benedetto XVI autorizza la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sul miracolo della guarigione di Ludovica Noè, attribuito alla sua intercessione. Tra quelli portati dalla postulazione dei padri rosminiani, si è scelto di dare maggiore impulso a quello della guarigione della suora sopracitata, poiché il medico che la curò si convertì in seguito all'accaduto.  Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, a margine del Convegno sulla sfida educativa tenuto a Milano, ha tenuto un intervento intitolato "Istanze educative e questione antropologica" in cui riconosce le sue istanze pedagogiche. A. Bagnasco ha presieduto a Stresa la celebrazione eucaristica per il suo Dies Natalis. Nel corso dell'Angelus domenicale e ricordato per la sola carità intellettuale e perché testimonia la virtù della carità in tutte le sue dimensioni e ad alto livello. Avversario del sensismo e dell'illuminismo e mentore e maestro intellettuale di quattro pontefici eletti consecutivamente: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II.  Nulla osta della Congregazione per la dottrina della fede che consente l'inizio della causa di beatificazione. Apertura del processo informativo diocesano dopo la nomina dei censori teologi e delle commissioni storiche in Novara. C. Papa diventa postulatore della causa succedendo a Belti, storico dell'Istituto e già Direttore del Centro di Studi Rosminiani di Stresa. Chiusura del Processo informativo Diocesano. Consegna del Trasunto alla Congregazione per le cause dei Santi. Apertura del Trasunto. Decreto di Validità del processo diocesano. Schema per la stesura della Positio. Consegna del lavoro sul Post obitum curato dal Postulatore. Il Relatore generale approva il lavoro sul Post obitum e il lumen oculorum tuorum Consegna del lavoro sul Post obitum alla Congregazione per la Dottrina della Fede.Il giorno dell'anniversario della morte di S. viene pubblicata sull'Osservatore Romano la Nota della Congregazione per la dottrina della fede sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del Rev.do sacerdote S., a firma del cardinal Ratzinger e di mons. Bertone.  Rilascio del Nihil obstare per la Causa di Beatificazione.  Il Relatore approva e firma la Positio.  Conclusione della stampa e consegna alla Congregazione per le cause dei santi della Positio. Consegna del Trasunto super miro alla Congregazione per le cause dei santi. Validità dell'inquisizione diocesana sul processo super miro. Presentazione fattispecie super miro. Revisa della fattispecie con firma del sotto-segretario. Relatio et vota del Congresso Storico (con esito positivo). Relatio et vota del Congresso teologico super virtutibus (con esito positivo). Ordinaria della Congregazione per le cause dei santi: esito affermativo. Ponente della Causa  Fisichella.  Benedetto XVI autorizza la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare il decreto di esercizio eroico delle virtù. La Consulta medica della Congregazione per le Cause dai Santi, si esprime con esito affermativo (all'unanimità 5 su 5) circa l'inspiegabilità scientifica dell'evento di guarigione avvenuto a Noè. Il presunto evento miracoloso è avvenuto. Al termine del dibattito, i Consultori si sono unanimemente espressi con voto affermativo (7 su 7), ravvisando nella guarigione in esame un miracolo operato da Dio per intercessione Benedetto XVI autorizza la pubblicazione da parte della Congregazione per le Cause dei Santi del riconoscimento della virtù eroica di S.. A Novara si celebra la beatificazione dando lettura del decreto di Benedetto XVI che l’iscrive tra i beati. La beatificazione è avvenuta a Novara: appositamente è stato fatto allestire il Palasport della città, unico luogo capace di raccogliere un numero di fedeli così significativo.  Con il pontificato di Benedetto XVI le beatificazioni vengono preferibilmente celebrate dai cardinali, per rendere ancora più piena la comunione tra loro e il successore di Pietro, e viene privilegiato il luogo in cui il candidato agli onori degli altari ha vissuto. Così, in qualità di delegato pontificio, la celebrazione è stata officiata da  J. Martins, allora prefetto della congregazione per le Cause dei Santi. A fianco dell'altare erano disposti gli spalti da cui hanno concelebrato circa 400 sacerdoti, non soltanto rosminiani.  A prendere parte alla processione e celebrare sull'altare, insieme al preposito generale Flynn c'era il segretario generale dell'Istituto Domenico Mariani con gli allora componenti della Curia Generalizia dell'Istituto della Carità, il Vicario per la Carità SpiritualeCrish Fuse, il Vicario per la Carità Intellettuale Taverna Patron, il Vicario per la Carità TemporaleDavid Tobin, l'allora preposito della Provincia Italiana don U. Muratore (profondo conoscitore di Rosmini) e il postulatore della Causa di Beatificazione, Papa.  Hanno partecipato alla celebrazione anche il cardinale ex prefetto della Sacra Congregazione per i vescovi Re, il cardinale arcivescovo di Torino S. Poletto, il vescovo di Novara, mons. R. Corti, l'arcivescovo di Trento, mons. Bressan, il vescovo rosminiano mons. Antonio Riboldi e fra gli altri anche G. Zaccheo (che sarebbe improvvisamente scomparso due giorni dopo), vescovo della Diocesi di Casale Monferrato, mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea (che durante la III sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II fece per primo il nome di Rosmini), l'allora segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana G. Betori, G. Lajolo, presidente del Governatorato della Città del Vaticano, l'allora rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Rino Fisichella, il Vicario Episcopale per la Vita Consacrata dell'arcidiocesi di Milano monsignor Ambrogio Piantanida e il preposito generale dei barnabiti, padre Villa.  Tra i numerosissimi fedeli (più di diecimila) accorsi da diverse parti del mondo per presenziare alla celebrazione, hanno preso parte anche personalità politiche.  Tra queste il senatore a vita Scalfaro, l'allora presidente del Senato, Marini, e Parisi, al tempo Ministro della Difesa. S. è il primo beato della Provincia del Verbano Cusio Ossola.  In occasione della beatificazione sono stati moltissimi i quotidiani e periodici italiani e esteri che hanno dedicato articoli, pagine e interi numeri alla figura di S.. Sono numerosissimi i suoi saggi. Certamente il più importante a livello ascetico e spirituale e le “Sei massime di perfezione”, su cui anche Giovanni XXIII fa delle riflessioni prima di morire. Gli costarono la messa all'Indice dei libri proibiti le opere "Delle cinque piaghe della santa chiesa" e "Dalla costituzione secondo la giustizia sociale". In filosofiia meritano di essere ricordato il “Saggio sull'origine delle idee”. Altri saggi: “Principii della scienza morale”; “Filosofia della morale”; “Antropologia in servigio della scienza morale”; “Filosofia della politica”; “Trattato della coscienza morale”; “Filosofia del diritto”; “Teodicea”; “Sull'unità d'Italia”; “Il comunismo e il socialismo”. Le sei massime di perfezione sono formulate per definire il fondamento spirituale sul quale ogno uomo puo avere un cammino nella perfezione. Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste (Matteo 5,48). Desiderare unicamente ed infinitamente di piacere a Dio, cioè di essere giusto. Orientare tutti i propri pensieri e le azioni all'incremento e alla gloria della Chiesa di Cristo.  Rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Cristo, lavorando per essa secondo la chiamata di Dio.  Abbandonare se stesso nella provvidenza di Dio.  Riconoscere intimamente il proprio nulla.  Disporre tutte le occupazioni della propria vita con uno spirito di intelligenza. Di particolare interesse e “Le cinque piaghe della santa Chiesa". Mostra odi discostarsi dall'ortodossia dell'epoca. Per tale ragione il saggio fu messo all'Indice e ne scaturì una polemica nota col nome di "questione rosminiana". L'opera eriscoperta al Concilio Vaticano II. Il primo a parlare al Concilio di S. e Bettazzi. Mi sia consentito ricordare S., molto legato ad Aquino. Ma anche studioso e amante del suo tempo, e che certamente guadagna a Cristo non pochi uomini. Tutto questo mi sembra si accordi con le cose che sono state già dette da non pochi padri su questo schema in generale, che cioè gl’uomini non si aspettano dalla Chiesa soluzioni particolari, ma piuttosto la presentazione di valori che li aiutino a trascorrere questa vita umana più nobilmente e con maggiore sicurezza. Parlando della libertà, esaltare i valori dell'umiltà. Parlando del matrimonio, il ruolo della fortezza. Parlando dei problemi economici e di molti altri problemi, l'efficacia di un certo disprezzo delle cose. Occorre dunque mettere in luce la necessità dell'ubbidienza, della castità, della povertà, non solo nella vita e nell'esempio (e nella Bozza di Documento!) dei religiosi, aiuto agl’uomini di questo tempo, perché possano vivere la loro vita umana nel modo migliore e più efficace. Il primo e principale compito dunque per gl’uomoni che coltivano la sapienza dev'essere, alla luce del Magistero, l'amore delle Scritture e l'amore di questo mondo in un colloquio franco e aperto. Paolo VI dice. I suoi saggi sono pieni di pensiero, una filosofia profondo, originale che spazia in tutti i campi: quello filosofico, morale, politico, sociale, sopra-naturale, religioso, ascetic -- filosofia degna di essere conosciuta e divulgata. È stato anche un profeta. Le Cinque piaghe della Chiesa (una volta la chiesa non aveva piacere che si mettessero in luce le sue mancanze, le sue debolezze). Previde partecipazione liturgica del popolo. La sua filosofia indica uno spirito degno di essere conosciuto, imitato e forse invocato anche come protettore dal Cielo. Ve lo auguriamo di cuore. “Delle cinque piaghe della santa chiesa” è suddiviso in cinque capitoli corrispondenti ciascuna ad una piaga, paragonata alle piaghe di Cristo. In ogni capitolo la struttura è la medesima:  un quadro ottimistico della Chiesa antica segue un fatto nuovo che cambia la situazione generale (invasioni barbariche, nascita di una società cristiana, ingresso dei vescovi nella politica) la piaga i rimedi. La prima piaga e la divisione del popolo dal clero nel culto pubblico. Nell'antichità romana, il culto era un mezzo di catechesi e formazione e il popolo partecipava al culto. Poi, le invasioni barbariche, la scomparsa della lingua dei romana, la scarsa istruzione del popolo, la tendenza del clero a formare una casta hanno eretto un muro di divisione tra il popolo e i ministri di Dio. Rimedi proposti: insegnamento della lingua romana, spiegazione delle cerimonie liturgiche, uso di messalini in italiano. La seconda piaga e l’nsufficiente educazione del clero. Se un tempo i preti erano educati dai vescovi, ora ci sono i seminari con piccoli libri e piccoli maestri: dura critica alla scolastica, ma soprattutto ai catechismi. Rimedio: necessità di unire scienza e pietà. La terza piaga e la disunione tra i vescovi. Critica serrata ai vescovi dell'ancien régime: occupazioni politiche estranee al ministero sacerdotale, ambizione, servilismo verso il governo, preoccupazione di difendere ad ogni costo i beni ecclesiastici, schiavi di uomini mollemente vestiti anziché apostoli liberi di un Cristo ignudo. Rimedi: riserve sulla difesa del patrimonio ecclesiastico, accenni espliciti di consenso alle tesi dell'Avenir sulla rinunzia alle ricchezze e allo stipendio statale per riavere la libertà. La quarta piaga e la nomina dei vescovi lasciata al potere temporale. Compie un'approfondita analisi storica sull'evoluzione del problema e critica i concordati moderni con cui la S. Sede ha ceduto la nomina al potere statale (e, accenna prudentemente, per avere compensi economici). Rimedi: propone un ritorno all'elezione dei vescovi da parte dei fedeli. La quinta piaga e la servitù dei beni ecclesiastici. Sostiene la necessità di offerte libere, non imposte d'autorità con l'appoggio dello Stato, rileva i danni del sistema beneficiale, propone la rinuncia ai privilegi e la pubblicazione dei bilanci.  A Rovereto gli ha dedicato il liceo che frequentò quando ancora si chiamava Imperiale e Regio Ginnasio. Borgomanero ospita l'Istituto Rosmini. Domodossola ospita il liceo delle Scienze Umane "S. (istituto parificato). Roma ospita la sede dell'Istituto Comprensivo. Torino ospita la biblioteca Antonio Rosmini del polo biomedico universitario che in passato fu un istituto scolastico attivo fino alla fine del XX secolo. Trento, dove si trova il liceo "S.". Farina, Prosser  Prosser Bonazza, L'Accademia Roveretana degli Agiati, su agiati, Accademia Roveretana degli Agiati, «Paoli  artefice della rinascita dell'Accademia e suo president. Ragionamento sul comunismo e socialismo, Grondona, Genova, Questa tesi fu messa in discussione da Abbà a cui S. controbatté nel Diario filosofico di Adolfo, Riv. rosminiana, Pagani Rossi. Nota sul valore dei Decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere).  Angelus: Rosmini, esempio per la Chiesa, su agensir, Biografia di S. su vatican.  Istituto S., su rosmini borgomanero. Liceo delle Scienze Umane su cercalatuascuola.istruzione. Istituto Comprensivo S., su ic-rosmini  Biblioteca S., su biomedico campusnet.unito.  su vivoscuola. M. Farina, Gl’Agiati, Brescia, Morcelliana Edizioni,  Italo Prosser, El pra' de le Móneghe: cronistoria del monastero di S. Croce nell'antico comune di Lizzana, Rovereto (Trento), Stella, Approfondimenti Sciacca, La filosofia morale di S., Torino, Bocca, Pusineri, Rosmini (Edizione riveduta e aggiornata da  Belti), Stresa, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Dossi, Profilo filosofico di S., Brescia, Morcelliana, Valle, S. Il carisma del fondatore, Rovereto, Longo Editore, Marangon, Il Risorgimento della Chiesa. Genesi e ricezione delle "Cinque piaghe" di S., collana Italia Sacra, Roma, Herder, S., Frammenti di una storia della empietà, a c. di Cattabiani con una nota filologica di Albertazzi, Trento, La Finestra, Giorgi, S. e il suo tempo. L'educazione dell'uomo moderno tra riforma della filosofia e rinnovamento della Chiesa Brescia, Morcelliana, Dossi, Il Santo Probito, La vita e il pensiero di S., Trento, Il Margine, Gomarasca, La forma morale dell'essere. La poiesi del bene come destino della metafisica, Milano, Angeli, Paoli, S., Virtù quotidiane, Verona, Edizioni Fede e Cultura, Paoli,  Maestro e profeta, Milano, Edizioni San Paolo, Sapienza, Eclissi Dell'educazione? La sfida educativa nel pensiero di S., Roma, Libreria Editrice Vaticana, Giuseppe Goisis, Il pensiero politico di S. e altri saggi fra critica ed Evangelo, S. Pietro in Cariano, Gabrielli, Comunità di San Leolino, Una profezia per la Chiesa. Verso il Vaticano II, Panzano in Chianti, Feeria-Comunità di San Leolino Muratore, S. per il Risorgimento. Tra unità e federalismo, Stresa, Rosmininane Sodalitas, Bergamaschi, S. La perfezione della vita cristiana, Stresa, Rosminiane Sodalitas, Malusa, S. per l'unità d'Italia. Tra aspirazione nazionale e fede cristiana, Milano, FrancoAngeli,. Domenico Fisichella, Il caso S. Cattolicesimo, nazione, federalismo, (Roma, Carocci); Muratore, Apologia della fedeltà. In difesa dei valori etici e spirituali, Stresa, Rosminiane Sodalitas, Malusa, Stefania Zanardi, Le lettere di S., un "cantiere" per lo studioso. Introduzione all'epistolario rosminiano, Venezia, Marsilio, Zanardi, La filosofia di S. di fronte alla Congregazione dell'Indice Milano, Franco Angeli. Treccani Dizionario di storia, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Crusca. Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati. Antonio Rosmini. Rosmini. Serbati. Keywords: gl’agiati, Agostino, Aquino, la tradizione Latina italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Rosmini e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Sereniano: la ragione conversazionale del cinargo romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Sereniano was a philosopher who visits the emperor Giuliano. He followed the doctrine of the Cinargo.

 

Grice e Sereno: la ragione conversazionale dell’ondella tranquilità dell’animo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He belongs to IL PORTICO and is a friend of Seneca. Seneca dedicates some of his works to him. In the dialogue “On the tranquility of mind,” Seneca depicts them discussing the problems S. has with maintaining his firmness of resolve. Anneo Sereno.

 

Grice e Serra: la ragione conversazionale dell’economia filosofica – storia dell’economia romana – massoneria – filosofia italiana – Luigi Speranza (Dipignano). Filosofo italiano. Mercantilista. Considerato il primo filosofo dell’economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. A lui va il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica. Poco si conosce della sua vita: laureato probabilmente in utroque, imprigionato nelle carceri della vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto architettato da CAMPANELLA per liberare la Calabria ma più probabilmente dietro accusa di falso monetario.  Mentre e in carcere compose “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere” e lo dedica al vice-ré di cui spera l'aiuto. Riusce a farsi ricevere dal nuovo viceré, III duca d’Osuna, per proporgli un programma di riforme utili al Regno. L’incontro fu infruttuoso e e ri-mandato nelle carceri della vicarìa, dove probabilmente muore. Essendo molto gravi le condizioni finanziarie del Regno di Napoli -- esausto il tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a lasciare la città per sottrarvisi -- Santis propone di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di cambio con le piazze estere. La polemica con Santis è alla base della proposta di S. Dimostra con esempi tratti dalla antica storia romana  l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi. Da ciò trae occasione per spiegare la vera causa della prosperità della nazione italiana. Analizza la causa della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e il fattore che puo invertire questa tendenza economica. Il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia commerciale incluso il bene di servizio e il bene del movimento di capitale. Spiega come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli e causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le sue scoperte e in grado di respingere l'idea per cui la scarsità di denaro e dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata al problema e indicata nella promozione attiva delle esportazioni. S. segna il distacco dalla concezione moralistiche scolastica per passare ad una spiegazione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Croce la define lampada di vita. Galiani a scoprirlo, tessendone un elogio in una nota del suo celebre trattato Della Moneta. Chiunque legge questo trattato, scrive, resta sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale ignoranza dell’economia filosofica ha S. chiare e giuste le idee della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de nostri mali e de soli rimedi efficaci. Galiani paragona S. a Melon e a Locke, considerandolo superiore per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza dell’economia filosofica.  Egli, che in vita era stato del tutto trascurato e per secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo molto tempo è stato finalmente riscoperto. Addante, Cosenza e i cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino, Martelloni, Regno di Napoli e Terra d'Otranto, Aspetti economici e sociali di una crisi, in Perrotta, La scienza è una curiosità. Scritti in onore di Cerroni, Manni, Benini, Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza. Avendo ottenuto di parlare al vice-ré duca d’Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, e udito, presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto ciarle e chiacchiere senz'altro concludere, e ri-mandato al suo carcere. Parise, Vita e pensiero del primo economista moderno, Ecra,  Destefanis, Illuministi Italiani, Galiani, Milano-Napoli, Galiani, Della moneta, Napoli, Salfi, Elogio, primo filosofo di economia civile, in Addante, Patriottismo e libertà. L'Elogio di Salfi, Cosenza, Custodi. Scrittori classici italiani di economia politica, Milano, Pecchio, Storia della economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo di Girone duca d'Ossuna vice-ré di Napoli scritti da Zazzera, Archivio storico italiano, Savarese, Trattato di economia politica, Napoli, Ferrara, Prefazione, in Trattati italiani, Torino, L. Bianchini, Della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, Andreotti, Storia dei cosentini,  Napoli, Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Cosenza; Fornari, Studii (Pavia); Amabile, Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia” (Napoli); Marco, Teorie economiche, Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, classe di lettere e scienze storiche e morali, Benini, Sulle dottrine economiche, Appunti critici, in Giornale degli economisti,  Economisti, Graziani, Bari, Arias, Il pensiero economico di S., in Politica, Croce, “Storia del Regno di Napoli” (Bari); Economisti napoletani, Tagliacozzo, Bologna,  Einaudi, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, Schumpeter, Storia dell'analisi economica, Torino, Rosa, I critici, Atti del Congresso storico calabrese, Napoli, Galasso, Economia e società nella Calabria” (Guida); Nuccio, Rivista storica del Mezzogiorno, Colapietra, Introduzione, in Problemi monetari negli economisti filosofici napoletani, Colapietra, Roma, Aquino, L’approccio monetario all'analisi della bilancia dei pagamenti, in Studi economici, Colapietra, Genovesi in Calabria, Rivista storica calabrese, Manoscritti napoletani di P. Doria, Galatina,  Toscano, La disputa sui cambi esteri del Regno di Napoli, Rivista di politica economica, Rije, ed. anast., Napoli, Ricossa, Cento trame di classici dell’economia, Milano, O. Nuccio, Il pensiero economico italiano, Sassari, Il Mezzogiorno agli inizi del Seicento, Rosa, Roma-Bari, Alle origini del pensiero economico in Italia, I, Moneta e sviluppo negli economisti napoletani, Roncaglia, Bologna, Zagari, Moneta e sviluppo, Rosselli, La teoria dei cambi,  Landolfi, Valentia, A. Placanica, Storia della Calabria (Roma); Roncaglia, Rivista italiana degli economisti, Addante, Repubblicanesimo e mito di Venezia, Istituzioni e sviluppo economico, Roncaglia, La ricchezza delle idee: storia del pensiero economico, Roma-Bari, Grilli, Visto da Grilli, Roma, Villari, Politica barocca. Inquietudini, mutamento e prudenza, Roma); Roncaglia, S., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Economia, Roma,  Villari, Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero, Milano; Parise, Vita e pensiero del primo economista moderno, Roma; L. Addante, La politica del Breve trattato (Soveria Mannelli). Mercantilismo Storia del pensiero economico. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia. Antonio Serra. Serra. Keywords: massoneria, circolazione degl’idee massoniche, mito di Venezia, economia romana, l’economia del liceo, roma antica, antica roma, Machiaveli, mercantilismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Serra” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Servio: la ragione conversazionale VIRGILIANA – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Roma). Filosofo italiano. Nei "Saturnali" di Macrobio, rivolti alla glorificazione di VIRGILIO, S. appare uno degli interlocutori. La sua attività filosofica ha per sede Roma. Predilesse Virgilio, che esalta come il maestro di ogni sapere e che commenta in un’opera di cui rimangono due redazioni. La più breve sembra tramandare lo scritto autentico di S., mentre la più ampia ("Servius auctus o plenior o Scholia Danielis", dal Daniel, che la pubblica) pare derivata dalla prima e da una riduzione del commento d’Elio Donato. Si discute se gl’appartengano l’Explanatio dell'Arte Grammaticale dello stesso Donato e tre saggi di metrica. Il commento include non poche dottrine di carattere filosofico, che però provengono dalle fonti usate da S.. Si è voluto fare di S. un seguace dell’accademia. Ma, da una parte, non è lecito attribuirgli una teoria filosofica organica, e, dall’altra, le proposizioni che dovrebbero provenire da quella scuola non sono proprie di essa, perchè appartengono all’accademia in generale, a Posidonio, o anche alle credenze mistico-religiose di quell’età: natura divina dell'anima, immortalità di essa quale principio di movimento, sue trasmigrazioni, suoi destini dopo la morte, teoria delle sfere. Quando, oltre alle tre parti dell'anima, l'anima vegetativa, l'anima sensitiva e l'anima razionale, ne ammette anche una quarta anima, l'anima vitale, principio di movimento, si allontana dalle teorie tradizionali inclusa l’accademica. Quando S. afferma che nulla esiste salvo i quattro elementi (acqua, aria, fuoco, terra) e il divino, che è uno spirito (o una mente, o un'anima) il quale, infuso in essa, genera ogni cosa, sicchè uguale è la natura di tutte, accetta in complesso la cosmologia del PORTICO esposta da VIRGILIO, che però cerca di liberare dal suo materialismo originario. Del resto, esplicitamente S. loda i filosofi del portico -- et nimiae virtutis sunt, et cultores deorum -- che contrappone ai filosofi dell’Orto, che critica spesso. In S. mancano un coerente e un indirizzo preciso, sebbene si affermino in lui le tendenze mistiche dell’età sua.  Un'edizione del XVI secolo di Virgilio con il commento di S. stampato sulla sinistra del testo. S. Mauro Onorato. Grammatico e commentatore romano.  L'appellativo Deutero-S. o S. Danielino si riferisce alla pubblicazione da parte di Daniel di un'edizione del commentario di S. all’Eneide contenente alcune aggiunte rispetto all'originale serviano. Tuttora è discussa l'autenticità del cosiddetto S. Danielino. S. ompare come uno degl’interlocutori nella “Saturnalia” di Macrobio. Alcune allusioni presenti nei saggi ed una lettera di Quinto Aurelio Simmaco indirizzata a S.. Saggi: “Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, Commentarii in Vergilii Bucolica, Commentarii in Vergilii Georgica. Del commento alle opere di Virgilio esistono due tradizioni manoscritte. Il primo è un commento relativamente breve e conciso, attribuito di per certo a S., ed è chiamato “S. Minore". A una seconda classe di manoscritti appartiene un altro commento, molto più esteso, infatti le aggiunte sono abbondanti e in contrasto con lo stile di S.. L’autore è ignoto. Questo secondo è chiamato "S. Auctus" o "S. Danielinus" da Daniel, che lo pubblica. Esiste una terza classe di manoscritti, composti in Italia, derivati dai primi due, a significare la diffusione di questi commenti.  Per quanto riguarda il "S. Minore" è in effetti l'unica edizione completa esistente di un romano scritta prima del crollo del principato in Occidente. È una vasta critica al testo di VIRGILIO, con critiche anche ai commentatori prima di lui -- in un certo qual modo ci fornisce il modo di pensare dei secoli precedenti. S. non usa un linguaggio particolarmente elevato, ma è colorito e fantasioso qualora si tratti di etimologie. Oltre all'aspetto grammaticale, i commentari di S. contengono abbondante materiale filosofico, la maggior parte del quale probabilmente è derivata da fonti di filosofi anteriori, con cui la poesia di Virgilio viene interpretata nel suo aspetto filosofico.. Commentarius in artem Donati, Raccolta di note grammaticali d’Elio Donato. De centum metris ad Albinum - Un trattato di diverse figure metriche, dedicato a Cecina Decio Albino. De finalibus ad Aquilinum - Un trattato di metrica sui finali. De metris Horatii ad Fortunatianum - Un trattato di metrica di Orazio, forse dedicato ad Atilio Fortunaziano. Vita Vergilii. Enciclopedia italiana. Funaioli, S., in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pellizzari, S.. Storia, cultura e istituzioni nell'opera di un grammatico (Firenze, Olschki); Ramires, S., Commento al libro IX dell'Eneide di Virgilio; con le aggiunte del cosiddetto S. Danielino, Bologna, Patron, su Treccani  Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. S. su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. S. su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Avogadro. S. Open Library, Internet Archive. Opere complete di S., su forum romanum.org. V · D · M Grammatici romani -- Portale Biografie   Portale Letteratura Categorie: Grammatici romani Romani. The second version was named the Egyptian, which is a puzzling name since the first reference to this particular descent/ascent concept seems to come from a commentary on Book IV of the Aeneid of Publius Vergilius Maro, or Virgil, by the commentator S. In S.’s version, each planetary sphere is associated with one of the seven major vices. The list is as follows: I avarice avarizia from Saturno; II desire for dominance and gluttony from Giove; III violent passions or anger from Marte; IV pride from the Sole; V lust from Venere; VI envy from Mercurio; and VII sluggishness from the Luna. Some philosophers differ as to *which* vice to assign to which *planet*, e. g., sluggishness is often assigned to Saturn instead of the Moon. It should be noted that each of these seven vices, are all psychological characteristics as is befitting of a soul. Roman philosopher and grammarian, commentator on Donato and Virgilio There is some doubt as to his name. The commentator on Donato in the Parisinus Latinus codex (GrL) is called _Sergio_ , as is the commentator on Virgilio in the Bernensis codex. In other manuscripts, the commentator on Virgil is called S. but no mention is made of the rest of his name (Marinone). In the Saturnalia, MACROBIO (si veda) gives a portrait of as him  an adulescens; and Daniel asserts, in a note to the Bernensis codex that he is one of Donato’s students. If these indications hold true, it would appear that he lives in Rome, where, according to MACROBIO, he belonged to the intelligentsia of the ACCADEMIA. Of considerable importance are his commentaries on Virgil's Aeneis, Eclogae and Georgica, surviving in two ms. codices of varying length. The shorter is published by Daniel, who adds several scholia -- the Scholia Danielis -- to it. It is commonly known as the S. Danielinus. Critics disagree as to the contents. Thilo holds that the additions are probably a fusion of an original text with parts of Donato’s lost commentary on Virgil. His commentaries, based for the most part on his predecessors (Donato in particular), enlarge on and enhance that tradition by virtue of the quality of the grammatical observations and the comparisons of Virgil with other philosophers. Various grammatical treatises bear his name but modern criticism unhesitatingly ascribes to him only the Commentarius in artem Donati (GrL). Prisciano mentions S. as the author in Institutio de arte grammatica (GrL). Other attributions are uncertain. The two books of the Explanationes in artem Donati (GrL) are apparently posterior to S. (Schanz-Hosius). The tract De littera de syllaba de pedibus de accentibus de distinction (GrL) gives "Sergius" as the author but seems to be an extract from the Commentarius and thus not a work intended by S. to stand alone. Criticism is divided over attributing to S. De centum metris (GrL), a treatise on metrics: Müller excludes S. as the author while Marinone defends the opposite view. The treatises De finalibus (GrL) and De metris Horatii (GrL) are similarly controversial; see Müller. In his Commentarius in artem Donati, S. brings home two points which characterize Roman grammatical thought, as seen in the artes. First, grammar is intimately connected with all the disciplines dealing with language – philosophy – GRAMMATICA FILOSOFICA – SEMANTICA FILOSOFICA -- dialectics, and esp. rhetoric (GrL). Second, grammar has a distinguishing subject matter which consists, according to S., of the analysis of the VIII parts of speech – Latin does not have an article, but it has interjection. S.’s admiration for Donato derives, in fact, from the latter's unswerving conviction that a grammatical treatise ought to begin by defining the partes orationis -- other grammarians were hesitant and inconsistent).‘That is why Donato is wiser, who starts out with VIII parts of speech that concern the grammarians – including the philosophical grammarians – specifically – UNDE PROPRIUS DONATUS EST DOCTIUS, QUI AD OCTO PARTES INCHOAVIT, QUÆ SPECIALITER AD GRAMMATICOS PERTINENT – Commentarius. S. holds, together with Donato, that the study of grammar, taken to be the study of the partes orationis, is a prerequisite for literary analysis, i. e., for commenting on poetic texts, such as Virgil’s. Although S. contributes to enriching the discussions of the grammatical distinctions formulated by Donato, by citing and criticising the work of other philosophical grammarians, S. leaves unsolved the many problems inherent in the categories handed down by tradition. For example, some grammarians considered the 'future' tense to be a separate MODVS and not a tense of the 'indicative' mode, given that, properly, one can 'INDICATE' only what one knows and not the future, by definition an un-known. “And remember I’m a philosophical grammarian!” Grice: “In Rome, grammarians simpliciter were usually slaves!”. S. expounds the question clearly (GrL), but does not venture an answer. "Martii Servii Honorati Commentarius in Artem Donati" (GrL).  "Commentarius in Artem Donati"; "De finalibus"; "De metris Horatii"; repr. Hildesheim. S. Grammatici qui feruntur in Vergilii carmina commentarii, Thilo e Hagen eds., Lipsiae. Editio Harvardiana, Rand et al. eds., Lancastriae, Ad Aeneam; Stoker/Travis eds., Oxonii (Ad Aeneam). Commento ai libri 9 e 7 dell'Eneide di Virgilio, with introd., biblio. and critical ed. by Ramires, Bologna. BARATIN, La naissance de la syntaxe à Rome, Paris. Id., CRGTL, BARWICK, "Zur S.-Frage", Philologus; BRUGNOLI, "S.", Enciclopedia Virgiliana, Roma. KASTER, "Macrobio and S., Verecundia and the grammarian's function", HSCP; MARINONE, "Per la cronologia di S.", AAT; MÜLLER, L. "Sammelsurien", Jbb. für Klass.Philologie; SCHANZ, M. e HosIus, Geschichte der römischen Literatur, München, TIMPANARO, "Note serviane, con contributi ad altri autori e a questioni di lessicografia latina", Studi urbinati di storia, filosofia e letteratura; WESSNER, "S.", RE. Keywords: Virgilio, Donato. Servio Mario Onorato. Servio.

 

Grice e Sestio: la ragione conversazionale del fallito morale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He founds his own school in Rome that draws heavily on La Setta di CROTONE and IL PORTICO. S. preaches an ascetic way of life, which includes vegetarianism, and exhorts his followers – whom he called ‘Sestiani’ – to reflect at the end of each day on their moral failings – “if any.” Upon his death, his son, also called Quinto S., inherits the school, but it does not long survive him. One of the Sestiani is SOTIONE, who becomes Seneca’s tutor – Seneca himself is influenced by the school’s teachings for some time. Quinto Sestio.

 

Grice e Sesto: la ragione conversazionale delle sentenze trasformative – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. S. is a compiler – The “Sentences of Sesto” are mainly of an ethical nature and show signs of a variety of influences including traditional wisdom literature, and IL PORTICO. They proclaim that wisdom is attained through the conquest of the passions. – Chadwick, “The sentences of Sextus,” Cambridge. Grice: “Chomsky thought that the sentences of Sextus were ‘transformational’!”

 

Grice e Sesto: la ragione conversazionale del’accademico d’Antonino – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor to Antonino. Antonino regards him as something of a role model and greatly admires the morality and humanity of both his life and his teachings. Accademia. Suda thinks that S. is of the scesi only because he confuses him with Sesto Empirico!

 

Grice e Severo: la ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He studies philosophy with Stilio (si veda). He becomes the principe di Roma when his cousin Elagabalo is assassinated. His principate is not however a success and he is himself assassinated not long after. So much for the line of succession. Severo Alessandro.

 

Grice e Severo: la ragione conversazionale del’amico lizio d’Antonino – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A lizio, friend of Antonino. Claudio Severo.

 

Grice e Severo: la ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma—filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) Filosofo italiano. Severo rules the Roman empire and it is said that he is well-versed in philosophy. Severo Settimio.

 

Grice e Settala: la ragione conversazionale dei problemi sessuali d’Aristotele -- desiderio e piacere -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo Italiano. Profisico. Studia a Brera e Pavia. Insegna a Milano. Si prodiga in occasione della famosa peste dei “I promessi sposi”. Manzoni lo nomina una prima volta  quando parla del figlio, Senatore S., medico, membro, insieme a Tadino del tribunale della sanità ai tempi della vicenda di Renzo e Lucia. È tra i primi ad accorgersi che la strana malattia che si diffonde nella zona lecchese, e la peste. Saggi: “In librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, [et] locis, commentarii V. Appositus est Graecus Hippocratis contextus ope antiquorum exemplarium, restitutus et emendatus cum indice rerum et verborum locupletissimo una cum nova eiusdem in Latinum versione” (Colonia: Ciotti); “Problemata di Aristotele” (“Commentariorum in Aristotelis problemata” -- VII primas sectiones – secundam heptadem -- continens, ab eodem Latine facta”) (Francoforte sul Meno: Wecheli, Marnio, Aubri);  “Animadversionum et cautionum medicarum libri VII quorum materiam sequens pagina indicabit” (Milano, Bidell); “De peste et pestiferis affectibus libri V (Milano, Bidell); “De ratione instituendae et gubernandae familiae libri quinque” (Milano, Bidell); “Della ragion di stato” (Milano: Bidelli); “Cura locale de' tumori pestilentiali, che sono il bubone, l'antrace, o carboncolo, ed i furoncoli contenente tutto quello che si ha da fare esteriormente nellquesti mali tolta dal libro della cura della peste” (Milano, Bidelli); “Preseruatione dalla peste” (Brescia: Fontana); “Anti-rotario romano con l'aggionta dell'elettione de semplice e prattica delle compositioni e di due trattati, vno della teriaca romana, l'altro della teriaca egittia aggiontoui in questa vltima impressione auertenze e osseruationi appartenenti alla compositione de medicamenti” (Milano: Bidelli); “Avertenze, et osservationi appartenenti al curar le ferrite” (Milano: Cardi); “Compendio per curare ogni sorte de tumori esterni et cutanee turpitudini, raccolto da osseruationi fisice, e chirurgice” (Milano: Monza); Statistica medica di Milano Milano, Guglielmini e Redaelli, Belloni, Borromeo e la Storia della Medicina, in San Carlo e il suo tempo: convegno, Milano. Edizioni di Storia e Letteratura,  Bartolomeo Corte, Notizie istoriche intorno a medici scrittori milanesi, Milano,  Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium seu acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt, Mediolani, Sangiorgio, Cenni storici sulle due Pavia e di Milano e notizie intorno ai più celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze sino all’anno. Opera postuma, Longhena, Milano, Renzi, Storia della medicina italiana, Napoli, Ferrario, Intorno alla vita ed alle opere mediche Cenni, Milano, Capparoni, Profili biobibliografici di medici e naturalisti celebri italiani, Roma, Cava, La peste di S. Carlo. Note storico mediche sulla peste, Milano, Ricerche Firenze Ferro, La peste nella cultura lombarda, Milano, Cosmacini, Il medico e il cardinale, Milano. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Firenze,  Molini,  Facchin, S.: un intellettuale barocco fra scienza e arte Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Mellerio,S., in Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, openMLOL, Horizons Unlimited srl. Patricio Milanese. Ludovicus Septalius. Ludovico Settala. Settala. Keywords: ragion di stato, lizio, sesso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Settala” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Severino: la ragione conversazionale del velino -- oltre il linguaggio, oltre l’aporia di Parmenide – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo ialiano. Intende collocarsi oltre ogni filosofia permeata dal nichilismo. Si laurea a Pavia come alunno dell'almo collegio borromeo, discutendo una tesi su metafisica, sotto la supervisione di BONTADINI. Insegna a Milano e Venezia. Lincei. Critica sia il capitalismo sia il comunismo, fonti della vita inautentica in quanto espressioni di dominio della tecnica, come d'altronde il FASCISMO, ma anche la sinistra in quanto non è più social-democrazia, rilasciando anche dichiarazioni sul suo punto di vista sul passato e sull'avvenire dell'Italia. Le spiegazioni della crisi del nostro tempo rimangono molto in superficie anche quando vogliono andare in profondità. Il fenomeno di fondo, che non viene adeguatamente affrontato, è l'abbandono, nel mondo, dei valori della tradizione occidentale; e questo mentre le forme della modernità dell'Occidente si sono affermate dovunque. Un abbandono che si porta via ogni forma di assolutoe innanzitutto Dio. Muore, dicevo, ogni forma di assolutezza e di assolutismo, dunque anche quella forma di assoluto che è lo stato, che detiene il monopolio legittimo della violenza. Questo grande turbine che si porta via tutte le forme della tradizione è guidato dalla tecnica ed è irresistibile nella misura in cui ascolta la voce che proviene dal sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo. Il turbine travolge anche le strutture statuali. Investe innanzitutto le forme più deboli di stato. La trasformazione epocale di cui parlo non è indolore: il vecchio ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto in paesi come l'Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la fase più pericolosa (non solo per l'Italia). Criticando "l'assolutismo religioso e comunista", oltre che tacciando la magistratura di "ingenuità", poiché processando una classe politica a fondo ha rivelato la contiguità anche con la criminalità organizzata, figlia della guerra fredda e, secondo  S., impossibile da debellare integralmente in pochi anni senza debellare lo Stato stesso, causando notevoli problemi.  «L'Italia è uno stato acerbo. Ha 150 anni su per giù. Ma soprattutto ha alle proprie spalle una storia di frazionamento politico-economico-sociale, dove si sono imposte forze che hanno avuto nel mondo un peso ben maggiore di quello dell'Italia unita.. Sull'evasione fiscale: Una tara storica, come prima le dicevo. L'evasione fiscale è un furto ai danni di tutti. Se c'è da costruire una strada io devo metterci anche la parte degli evasori. Certo, molti artigiani e piccoli imprenditori, se non evadessero, fallirebbero. Tutti sanno queste cose. Però conosco anche tanti cattolici ai quali molti uomini di chiesa facevano capire che se non avessero ritenuto "giusto" pagare le tasse dello stato, avrebbero fatto bene a non pagarle. Questo Papa, da buon pastore, sta cercando di cambiare le cose. Ma non vorrei che si perdesse di vista che la "corruzione" di fondo è l'"evasione" del mondo dal passato dell'Occidente. Oltre alle citate critiche, Heidegger parlando con FABRO a Roma ha a dire a proposito di "Ritornare a Parmenide" di S. Immobilizza il mio Dasein. Già da molto prima prima, alcuni appunti di lavoro heideggeriani testimoniano come Heidegger seguie S. (da uno studio di ALFIERI e HERMANN  --  è stato criticato da ODIFREDDI, in risposta a un giudizio critico su un'opera di ODIFREDDIi, ovvero l'introduzione scritta all’ABC della relatività di Russell, dove venneno citati alcuni filosofi (tra cui S. e CROCE) in maniera non congrua e "alla rinfusa l’ODIFREDDI l’ accusa invece di non considerare l'importanza della scienza, come già fecero i neo-idealisti, come CROCE e GENTILE, a differenza di filosofi che studiano a fondo alcune teorie. Nel dialogo con Chiara, “Oltre l’umano e oltre il divino” la filosofia della necessità si contrappone alla filosofia della libertà. Fa spesso riferimento a pensatori come PARMENIDE di VELIA, LEOPARDI, e GENTILE. LEOPARDI e GENTILE sono all'apice della follia del nichilismo. Considera LEOPARDI e GENTILE come i due più grandi geni che hanno portato all'estremo la concezione del mulla ovvero l'entrare e l'uscire degli enti dal nulla.  Affronta il problema dell'essere. Tutte le filosofie costituitesi precedentemente sono caratterizzate da un errore di fondo: la  fede del divenire. Sin dagli antichi, infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è) e considerato come proveniente dal nulla, dotato di esistenza e successivamente ritornante nel nulla.  Rifacendosi a VELIA,  è stato definito come un neo-veliano, di cui sarebbe l'unico esponente, peraltro criticato in senso anti-metafisico da SASSO e VISENTIN, i quali sostengono, rovesciando la sua tesi, come, contrariamente all'opinione diffusa, in VELIA esiste invece un deciso rifiuto della metafisica.. Riflettendo sull'opposizione assoluta tra essere e non-essere, dato che tra i due termini non vi è nulla in comune, ritiene evidente che l'essere non può non rimanere costantemente uguale a se stesso, evitando di rimanere alterato dall'altro da sé. Anzi, essendo l'essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro al di fuori di esso dotato di esistenza (S.rifiuta, quindi, il concetto di differenza ontologica così come è stato avanzato da Heidegger). Per S., quindi, tutta  la storia della filosofia occidentale è basata sull'errata convinzione che l'essere possa diventare un nulla, sebbene alcuni filosofi tentano di negare tale assunto.  Ma, mentre VELIA tenta di risolvere il conflitto tra il divenire e l'immutabilità dell'essere affermando l'illusorietà del divenire (negando l'esistenza delle cose del mondo e cadendo quindi in un'aporia), sceglie una via differente, portandolo a delle tesi estreme.  Dato che l'essere è, e non può mai diventare un nulla, ogni essente è eterno. Ogni cosa, ogni pensiero, ogni attimo e eterno. Il di-venire non può, quindi, che rappresentare l'apparire degli eterni stati dell'essere, così come i fotogrammi di una pellicola si susseguono sino a formare lo svolgimento completo di un film. Gl’essenti entrano ed escono del cerchio dell'apparire. Quando un essente esce dal cerchio dell'apparire, non diviene un nulla, ma si sottrae semplicemente all’inter-soggetivo. Dunque, l’essente esiste anche quando scompaie ovvero non si perceive. Vedere senza vedere, dice Sperduto in una tragicommedia. Afferma che il di-venire dell’essente è come lo scorrere dell’essente sulla superficie di uno specchio. L’essente, infatti, esiste  prima di entrare nel campo inter-soggetivo dello specchio e ovviamente continua ad esistere anche dopo esserne uscite. Il di-venire e l’ immagine inter-soggetiva dell’essere. Questo si estende anche a ogni essente che nel divenire si manifesta.  La dimostrazione dell'eternità di tutti gli essenti, si basa sostanzialmente sul principio di non contraddizione, ma non nella versione che ne dà Aristotele nel “De Interpretatione”. In essa anzi il discorso del tramonto del senso dell'essere trova la sua formulazione più rigorosa e più esplicita. Bisogna invece ritornare a VELIA correggerne l'esito aporetico, dimostrando che l'evidenza fenomenica non è in contrasto col principio di non contraddizione, ma scoprendo anche che il divenire così come uscire dal nulla e ritornare nel nulla, non appare affatto, non è affatto evidente. Di qui si potrà proseguire su una via -- quella indicata da VELIA, il sentiero del giorno. Consideriamo la proposizione di VELIA -- è infatti l'essere, il nulla non è. Tale proposizione esprime l'opposizione assoluta tra i "essente" e "non essente". Pertanto ogni essente, in quanto ent-e, è assolutamente opposto al nulla e non ci può essere uno stato in cui un ente non sia, come pensa invece il principio di non contraddizione aristotelico -- è necessario che l'essente sia, quando è, e che il non-essente non sia, quando non è". Quest'enunciato esprime il pensiero di una condizione, in cui l'essente è nulla, in cui essere = nulla. Questa impossibile ed impensabile contraddizione costituisce una follia essenziale. Infatti il pensiero occidentale pensa sì, consapevolmente, l'essente come essere, ma insieme come di-veniente, cioè che esca dal nulla e ritorni nel nulla. Ad esso sfugge invece che ciò equivale a pensare l'ente come nulla; e questo è il nichilismo più proprio, la follia che si annida nell'inconscio della filosofia. L’essere non è un ente tra gli enti. Esso rappresenta piuttosto l'apparire ontologico degli enti, e per questo motivo viene definito un transcendens rispetto all'ente. Rigetta questa concezione. Afferma che la totalità dell'essere è costituita dalla totalità degli enti. La vera differenza ontologica è quindi quella che si costituisce tra l'essere (l'ente) diveniente e quello immutabile.  L'essere che appare e scompare non è lo stesso essere immutabile, ma è anch'esso eterno. Entrambi esistono, ma in differenti dimensioni. L'essere come fondamento è una struttura eterna e non soggetta ad alcun mutamento.  Tutto è avvolto (fino alla morte) dal nichilismo Un po' tutti i filosofi che l'hanno avuto sottomano hanno inteso il nichilismo come allontanamento dalla verità, e l'hanno dunque declinato a seconda dell'idea di verità a cui stavano pensando. Nella prospettiva severiniana dell'eternità di tutte le cose, il nichilismo è dunque il credere che le cose siano mortali, ovvero che l'essere possa non essere,ed uscire e rientrare nel nulla, ovvero credere nel di-venire delle cose. Credere infatti che le cose escano dal nulla e vi ritornino equivale ad identificare l'essere con il nulla: quindi si parla di pura "follia". Al di fuori della follia appare l'eternità di ogni cosa e di ogni evento. Al di fuori del nichilismo il sopraggiungere dell'ente è il comparire o lo sparire dell'eterno. Il divenire dell'essere è un'opinione senza verità. L'Occidente non domina il mondo casualmente o perché ha una possibilità offensiva superiore; ma, al contrario, ha una possibilità offensiva superiore perché domina il mondo che crede nelle sue stesse imprescindibili idee guida (scienza, potenza, tecnica, salvezza, ecc.) e quindi in una cultura che ritiene più avanzatae dove dunque l'avanzamento non è una virtù morale, ma la capacità di capire e fare più cose per sopravvivere all'imprevedibilità dell'esistenza. Ritiene che la filosofia abbia sempre cercato riparo contro il terrore che scaturisce dall'imprevedibilità dell'esistenza perché innanzitutto si è sempre creduto nell'evidenza del divenire degli enti, del loro uscire dal nulla e rientrarvi. Anche le grandi forme di epistème che tendono a dare un ordine ed una configurazione prestabiliti all'esistenza, si muovono sullo stesso terreno.  L'intera storia della filosofia italiana è quindi storia del nichilismo. La radicale distruzione dell'epistème operata da parte della filosofia e la rapida ascesa della scienz ai vertici del sapere sono conseguenze inevitabili di questa forma di pensiero (la civiltà della tecnica è, infatti, la forma estrema di volontà di potenza). Tutto ciò che appare appare in maniera necessaria ed il progressivo manifestarsi degli eterni non segue, quindi, una sequenza casuale. Ciò significa che la libertà dell'uomo non esiste, ma appare all'interno di quell'essente (anch'esso eterno) che è il nichilismo. Ed è proprio all'interno dell'Occidente che appare il "mortale" come noi lo conosciamo.  Ma l'Occidente è destinato al tramonto, per fare spazio al destino della verità, la verità che testimonia la follia della fede nel divenire. Solo all'interno del destino della verità la morte acquista un significato inaudito: in realtà la morte è la persuasione dell'assentarsi dell'eterno.  Da quanto detto precedentemente appare chiaro come non ci sia posto per il divino comunemente inteso. Nel corso della storia della filosofia,  l'affermazione dell'esistenza di qualcosa di immutabile (tra cui il divino in tutti i diversi modi nei quali filosofia e religione lo hanno concepito) è sempre stata fatta partendo dal presupposto che il di-venire non significhi necessariamente la nascita dal nulla e il tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano. Quest'affermazione è, inoltre, sempre avvenuta con l'intento di risolvere le varie contraddizioni che quel presupposto implica e di inventare un rimedio per l'angoscia che il pensiero dell'annientamento provoca. Questo genere di immutabilità è, quindi, di segno diverso da quella che compete agli enti sulla base dell'impossibilità assoluta che qualcosa si annulli. Per questo motivo è impossibile che esista un divino. A maggior ragione è impossibile che esista un dio dotato della capacità di creare gli enti dal nulla e di mantenerli in esistenza grazie alla sua libera volontà (altrettanto libero potrebbe essere, pel divino, l'annichilimento"diverso dal concetto fisico di annichilazione -, e cioè la volontà di far cessare la durata della loro esistenza per farli ritornare nel nulla).  Essendo ogni ente eterno, non può esserci né creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio comunemente inteso. Alla luce del destino della verità, ogni ente, anche il più insignificante, acquista un significato inaudito. L'uomo si porta quindi radicalmente al di là del super-uomo e della volontà di potenza. L’uomo è un super-dio, ben più grande del divino della tradizione religiosa. L'inconciliabilità fra la dottrina dell'Essere e AQUINO è stata sostenuta da Fabro. BARZAGHI, con cui ha più volte dialogato pubblicamente, ha mostrato la possibilità di utilizzare le intuizioni  sull'eternità dell'essente proprio per affermare l'esistenza di Dio e ricondurre il pensiero del filosofo all'alveo cristiano da cui si è staccato (entrambi sono stati alunni, all'Università Cattolica, del filosofo cattolico e apologeta BONTADINI). Pur non rivedendo pubblicamente il suo punto di vista sull'esistenza del divino, apprezza ed elogia la proposta di BARZAGHI.  Con “La Gloria” giunge, tra le altre cose, alla dimostrazione necessaria dell'esistenza degli "altri". Quando Cartesio infatti scopre che la carta vincente della scienza è la conferma delle ipotesi da parte dell'esperienza, e cioè da parte della presenza certa a me da parte delle cose, si apre il problema della fondazione dell'esistenza appunto di altre dimensioni che come la mia accolgono l'accadere del mondo, ma che a differenza della mia non sono apparenti, non sono cioè da me visibili. I fallimenti dei tentativi di soluzione a tale problema (eminentemente proposti ad opera della fenomenologia, sì che questo problema fu certamente uno dei più cogenti all'interno del discorso filosofico di Husserl), a cominciare da quello di Cartesio, si determineranno essenzialmente per l'assenza del senso autentico dell'essente e del senso dell'oltrepassamento. L'oltrepassamento dell'attualità nella costellazione infinita di cerchi finiti dell'apparire del destino è necessità dell'esistenza di un altro apparire finito, diverso da quello attuale.  Nella Gloria, perviene alla fondazione del senso autentico dell'oltrepassamento, dopo aver stabilito nelle opere precedenti che il divenire autentico (cioè non nichilistico) non è il crearsi e l'annullarsi dell'essente, ma il comparire e lo sparire di ciò che è eterno. Ma è in questa sede innanzitutto fondamentale precisare, a partire da considerazioni svolte dallo stesso S. in Destino della Necessità (che le cose della "terra" (termine con il quale S. designa la dimensione degli essenti che via via appaionoe che, per contro, il nichilismo pensa come fuoriuscenti dal nulla ed al nulla ritornanti) "incominciano" ad apparire (il loro apparire esce cioè dall'ombra del non-apparire ed entra nel cerchio dell'apparire). Con "cerchio dell'apparire" si intende, qui, la totalità degli enti che appaiono: è, cioè, l'apparire in quanto ha come contenuto tutto ciò che appare (ossia è l'apparire "trascendentale"); l'apparire delle cose della terra, quell'apparire incominciante di cui sopra, è, perciò, la relazione tra il cerchio dell'apparire (l'apparire trascendentale) e una parte del suo contenuto.  È altrettanto fondamentale precisare che l'incominciare della terra (a sua volta eterna), non aggiunge alcunché al tutto eterno che è, con VELIA, appunto, “non incompiuto” (ouk atelePombaon), “non manchevole” (oulon achineton). Anche l'incominciante apparire, difatti, è eterno: il suo incominciare è il suo entrare nel cerchio dell'apparire. Entrandovi, naturalmente, apparema questo apparire dell'entrare è lo stesso entrare, ossia è quello stesso di cui si dice che, eterno, entra nel cerchio dell'apparire. E, così come ogni ente, anche l'appartenenza della terra al cerchio dell'apparire è eterna. L'eterna appartenenza al cerchio dell'apparire entra nel cerchio eterno dell'apparire. Entrandovi, appare, e quest'ultimo apparire è lo stesso apparire incominciante in cui consiste l'incominciante appartenenza della terra al cerchio dell'apparire. L'apparire incominciante è cioè apparire di sé stesso (e di tutte le altre cose che incominciano ad apparire), ed è questa autoriflessione dell'apparire incominciante ciò che entra nel cerchio dell'apparire e incomincia a far parte del contenuto di questo cerchio.  Ma ogni essente che incomincia ad apparire (ogni oltrepassante) è destinato ad essere oltrepassato: diventerebbe, altrimenti, condizione indispensabile dell'apparire degli essenti e quindi originarietà che sarebbe dovuta apparire già da sempre. Un oltrepassante che sia non oltrepassabile è impossibile, perché altrimenti esso dovrebbe iniziare ad appartenere allo sfondo (e  intende, con questo termine, quel complesso di significati, o costanti persintattiche costanti sintattiche di ogni significato –, senza i quali non apparirebbe nulla, motivo per cui non possono non essere sempre presenti. Tra questi ad esempio vi sono i significati esseree e nulla. Inoltre, la serie progressiva degli essenti che via via appaiono è necessariamente finita; infatti, se in direzione del passato fosse estensibile all'infinito, ci vorrebbe un percorso infinito, e quindi mai concluso, per giungere al momento attuale. C'è quindi un primo passo compiuto dalla terra.  La totalità attuale di ciò che è destinato ad apparire è, per quanto sopra esposto, necessariamente oltrepassata. Ma in che senso?  Essa non è, difatti, oltrepassata dall'apparire infinitogiacché l'apparire infinito (l'infinito oltrepassarsi da parte delle forme proprie dell'apparire finitodove la Gloria è proprio questo infinito dispiegarsi) non è un oltrepassamento incominciante, ma è l'oltrepassamento già da sempre ed eternamente compiuto della totalità del finito. La totalità attuale dell'incominciante è, dunque, necessariamente oltrepassata da un incomincianteil quale non può apparire attualmente, ma è tuttavia necessario che appaia (in quanto l'incominciare è incominciare ad apparire), e che quindi è necessario che appaia sopraggiungendo in un cerchio diverso, altro, dal cerchio originario dell'apparire. La totalità simpliciter degli essenti-che-sono-degli-oltrepassanti (la totalità dell'oltrepassante, cioè, che include come parte la totalità attuale dell'oltrepassante) non può essere a sua volta oltrepassata, perché ciò che la oltrepasserebbe sarebbe un oltrepassante non incluso nella totalità dell'oltrepassante; e se l'oltrepassante (cioè l'incominciante) che oltrepassa la totalità degli oltrepassanti non fosse a sua volta oltrepassato, esso sarebbe quel contenuto impossibile che è, appunto (per quanto sopra esposto), l'incominciante non-oltrepassabile.  Poiché la terra oltrepassa anche l'attualità dell'apparire del cerchio originario, sopraggiungendo in un cerchio diverso, il contenuto incominciante che appare nel cerchio originario dell'apparire attuale, è oltrepassato (infinitamente) in due direzioni:  (a) In quanto contenuto incominciante, esso è oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale del cerchio originario (o, per utilizzare il suo lessico, lungo la Gloria del dispiegamento infinito della terra che si inoltra nel cerchio originario). Ma non è in quanto tale contenuto è attuale che esso viene oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale.  (b) In quanto contenuto attuale (in quanto, cioè, alla sua attualità) il contenuto incominciante è oltrepassato invece in un altro cerchioe in un'infinità di altri cerchi dell'apparire. L'oltrepassante-incominciante, qui, entra nell'apparire non attuale. Anche questa seconda direzione dell'oltrepassamento è un dispiegamento infinito nella Gloria, ma, appunto, nella gloria che consiste nell'infinito sopraggiungere, nel cerchio originario, della costellazione infinita degli altri cerchi. La gloria è l'unità di queste due dimensioni. La dimensione dell'essente, che incomincia cioè ad apparire nel cerchio originario, è necessariamente oltrepassata da un'altra dimensione dell'essente (perché l'incominciante non può incominciare ad appartenere all'essenza dello Sfondo, non incominciante e non tramontante, del cerchio originario); ma anche l'attualità dell'essente che incomincia ad apparireossia anche l'apparire (che, in quanto tale, è apparire attuale) dell'essente che incomincia ad apparireincomincia ad apparire, sì che (per lo stesso motivo) è necessariamente oltrepassata in un altro cerchio dell'apparire; e anche la sintesi tra l'attualità del cerchio originario e l'attualità in sé dell'altro cerchio incomincia ad apparire nel cerchio originario, quando in esso incomincia ad apparire ciò che ne oltrepassa l'attualità; e dunque (per lo stesso motivo) tale sintesi è oltrepassata in un terzo cerchio (e, cioè, l'attualità in sé dell'altro cerchio non è oltrepassata solo nel cerchio originario, ma necessariamente in un terzo cerchio)e così all'infinito.  In definitiva, l'oltrepassamento dell'attualità di un cerchio non avviene solo lungo la dimensione "verticale" del singolo cerchio, ma anche lungoquella "orizzontale" della costellazione di cerchi del Destino.  L'oltrepassamento hegeliano, invece, conserva "idealmente", cioè astrattamente, ciò che oltrepassa, e non realmente, determinandone la distruzione. In un contesto siffatto è fondata l'impossibilità dell'esistenza degli "altri", perché l'altro, che è il mio oltrepassante, determinerebbe il mio superamento, e mi consegnerebbe ad una dimensione puramente ideale. Infatti nel sistema hegeliano l'esistenza degli altri significa l'esistenza di soggetti empirici, sensibili, che è quindi comunque interna all'esistenza produttiva dell'unico io. Il nichilismo è un essente che incomincia ad apparire, ed è quindi destinato ad essere oltrepassato. L'essente che oltrepassa il nichilismo è l'essente che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità. Il nichilismo è, infatti, pensare e vivere le cose come nulla in quanto delle cose non appare il legame alla struttura originaria della verità, e quindi non appare l'eternità. L'essente, o la dimensione di essenti, che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità è la gloria (cioè la manifestazione) della verità stessa. L'ampiezza dell'isolamento non coinvolge solo il legame tra i singoli essenti e la verità, ma anche il legame tra gli infiniti cerchi dell'apparire, il loro passato e il futuro del percorso che la terra è destinata a compiere in essi. Nella Gloria non si è il divino, perché il divino crea ed annienta le cose anche e soprattutto quando ama; e dunque appartiene al regno dell'errore perché l'amore è volontà e la volontà è voler alterare il senso proprio ed eterno, cancellarne l'identità. Il divino è, quindi, infinitamente meno della più umbratile tra le cose vere. Tutto è oltre il divino e oltre ogni forma di mortalità, compresa la vita umana come credenza nel poter creare e annientare gli essenti.  Saggi: “La struttura originaria” (Brescia, La Scuola; Milano, Adelphi); “Fichte” (Brescia, La Scuola, poi in Fondamento della contraddizione,  Milano, Adelphi); Filosofia della prassi, Milano, Vita e Pensiero,  Milano, Adelphi); “Ritornare a PARMENIDE di VELIA” -- Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide. Poscritto -- «Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Essenza del nichilismo. Saggi, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Gl’abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica (Roma, Armando,  Téchne); “Le radici della violenza” (Milano, Rusconi, IMilano, Rizzoli); “Legge e caso, Piccola Biblioteca Milano, Adelphi,); “Destino della necessità. Κατὰ τὸ χρεών, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi); “A Cesare e a Dio” (Milano, Rizzoli, La strada, Milano, Rizzoli); “La filosofia antica” (Milano, Rizzoli); “La filosofia moderna” (Milano, Rizzoli, “ Il parricidio mancato, Collana Saggi. Milano, Adelphi, La filosofia contemporanea. Da Schopenhauer a Wittgenstein, Milano, Rizzoli,  Traduzione e interpretazione dell'«Orestea» d’Eschilo, Milano, Rizzoli,  La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, Adelphi, “Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Biblioteca Filosofica n.6, Milano, Adelphi); “Antologia filosofica dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli); “La filosofia futura” (Milano, Rizzoli); “Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica: LEOPARDI, Milano, Rizzoli); “Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti” (Firenze, Sansoni); “Oltre il linguaggio” (Milano, Adelphi); “La guerra” (Milano, Rizzoli); “La bilancia” (Milano, Rizzoli); “Il declino del capitalismo” (Milano, Rizzoli); “Sortite -- sui rimedi e la gioia” (Milano, Rizzoli); “Metafisica” (Milano, Adelphi); “Pensieri sul Cristianesimo” (Milano, Rizzoli); “Tautótēs, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi,  La filosofia dai Greci al nostro tempo” (Milano, Rizzoli); “La follia dell'angelo” (Milano, Rizzoli); “Leopardi -- Cosa arcana e stupenda” (Milano, Rizzoli); “La tecnica” (Milano, Rizzoli); “La buona fede” (Milano, Rizzoli); “L'anello del ritorno” (Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi); “Crisi della tradizione occidentale” (Milano, Marinotti); “La legna e la cenere, ovvero, dell’esistenza” (Milano, Rizzoli); “Il mio scontro con la chiesa” (Milano, Rizzoli); “La Gloria. ἄσσα οὐκ ἔλπονται: risoluzione di destino della necessità (Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); “Oltre l'uomo e oltre Dio” (Genova, Melangolo, Lezioni sulla politica. I Greci e la tendenza fondamentale del nostro tempo” (Milano, Marinotti); Tecnica e architettura” (Milano, Cortina); Dall'Islam a Prometeo, Milano, Rizzoli); Fondamento della contraddizione, Milano, Adelphi,. Nascere. E altri problemi della coscienza (Milano, Rizzoli,  Milano, BUR,. Sull'embrione, Milano, Rizzoli, Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Milano, Rizzoli); Ricordati di santificare le feste” (Milano, AlboVersorio); “L'identità della follia” (Milano, Rizzoli). “Oltrepassare” (Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); Etica e Scienza” (Milano, Editrice San Raffaele,  Immortalità e destino, Milano, Rizzoli, La buona fede. Sui fondamenti della morale, Milano, Rizzoli, Volontà, fede e destino, Grossi, Milano-Udine, Mimesis); L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica, e sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, La ragione, la fede, Milano, AlboVersorio,  L'identità del destino. Milano, Rizzoli, Il diverso come icona del male, Torino, Boringhieri,  Democrazia, tecnica, capitalismo, Brescia, Morcelliana,  Discussioni intorno al senso della verità, Pisa, ETS, La guerra e il mortale, Taddio, Milano-Udine, Mimesis. Macigni e spirito di gravità. Riflessione sullo stato attuale del mondo, Milano, Rizzoli,. L'intima mano, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente, Perone, Torino, Rosenberg e Sellier, Istituzioni di filosofia, Brescia, Morcelliana); Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli,; Milano, BUR,. La bilancia. Milano, BUR, Del bello, Milano, Mimesis,,  La morte e la terra, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi,. Capitalismo senza futuro, Rizzoli, Milano,. Educare al pensiero, Brescia, La Scuola,. Pòlemos, Milano, Mimesis, Intorno al senso del nulla, Milano, Adelphi,. L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica. E la pena di morte, Milano, AlboVersorio, La potenza dell'errare. Sulla storia dell'Occidente, Milano, Rizzoli,. Il morire tra ragione e fede, Venezia, Marcianum, Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra Oriente ed Occidente, Milano, Jaca, Sul divenire. Modena, Mucchi,. Piazza della Loggia. Una strage politica, I. Bertoletti, Brescia, Morcelliana,. In viaggio con Leopardi. La partita sul destino dell'uomo, Milano, Rizzoli,. Dike, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi,. Cervello, mente, anima, Brescia, Morcelliana, Storia, Gioia, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi, Il tramonto della politica. Considerazioni sul futuro del mondo, Milano, Rizzoli); “L'essere e l'apparire” Brescia, Morcelliana, Dell'essere e del possibile, Milano, Mimesis,.  Sulla verità e la morte, Milano, Rizzoli, Il nichilismo e la terra, Milano, Mimesis, Testimoniando il destino, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi,  Ontologia e violenza. Milano, Mimesis,  Aristotele, I principi del divenire. Libro primo della Fisica (Brescia, La Scuola). Filosofo dell'eterno. Il mio ricordo degl’eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli,  “Parmenideo” -- VELIA, su la Repubblica,  Scianca, Addio a S.: ecco chi era il grande filosofo dell'essere, su Il Primato Nazionale,  Bovegno, il filosofo cittadino onorario, su giornale di brescia  «L'esperimento di Barzaghi è importante e va seguito con attenzione. Immerso nell'alienazione, il cristianesimo è come una casa invisibile di cui qualcuno dice, indicando un banco di nebbia: "Là c'è una casa". Che cosa si riuscirebbe a vedere se la nebbia (l'alienazione) diradasse? Forse una casa. Ma forse nulla. Nel primo caso, il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da dire, e di grande» (S., Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa).  «Rigoroso fino alla fine. Solo un po' più triste», in Brescia oggi,  Emanuele Severino, il tributo si celebrerà a Palazzo Loggia, in Bresciaoggi. Ecco perché la giovane Italia va in malora", su il Fatto Quotidiano, Odifreddi, La scienza sotto tiro, su la Repubblica, Fusaro e Didero, Filosofico. Miligi et al., "Sguardo su S.", su filosofia.)  "filosofo poetante" cf. La Guerra, occorre riconoscere che le sue posizioni, qualunque sia il giudizio che si pensa di dover dare su di esse, non sembrano aver avuto, perlomeno fino ad ora, un vero e proprio seguito tra coloro che si occupano professionalmente di filosofia.» (Cfr. Visentin, Il neo-parmenidismo italiano. Le premesse storiche e filosofiche, Napoli, Bibliopolis)  Neo-parmenidismo, su filosofia.  Se noi potessimo mai non essere, già adesso non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo si fondano la dottrina cristiana del ritorno di tutte le cose, quella induista della creazione del mondoche si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi analoghi di Platone e altri filosofi.» (A. Schopenhauer)  Sperduto, Vedere senza vedere ovvero Il crepuscolo della morte, Schena ed., Fasano di Brindisi, "Ritornare a Velia", in Essenza del Nichilismo, Brescia, Aristotele, Liber de Interpretatione, essenza del nichilismo, follia estrema ed estremamente nascosta: la persuasione che gli essenti, in quanto tali, escano dal loro non essere e vi ritornino: la persuasione che vi sia un tempo in cui l'essente (prima di essere e dopo il suo essere) sia nulla, che il non niente sia niente: la persuasione che è il culmine in cui si mantiene l'intera storia dell'Occidente. Destino della necessità, Milano, Adelphi, L'alienazione dell'Occidente. Quadrivium, Genova); “La struttura originaria, Milano, Adelphi, Sito web Amadori F., Il libero arbitrio, "Filosofia" Antonelli, Verità, nichilismo, prassi. Roma, Armando, Berto F., La dialettica della struttura originaria, Padova, Poligrafo, Crapanzano, L'immutabilità del diveniente. Roma, Gruppo Albatros Il Filo, Cusano, Capire S.. La risoluzione dell'aporetica del nulla, Milano, Mimesis Cusano N., S. Oltre il nichilismo, Brescia, Morcelliana,. Sasso, Dal divenire all'oltrepassare. La differenza ontologica, Roma, Aracne, Dal Sasso A., Creatio ex nihilo. Tra attualismo e metafisica” (Milano, Mimesis); Giovanni, Sul divenire. Gentile e S., Napoli, Scientifica, Paoli, “Furor Logicus” (Milano, Angeli); Aporia del fondamento, Napoli, Città del Sole); Fabro, L'alienazione Genova, Quadrivium, Goggi, Al cuore del destino. Milano, Mimesis Goggi, Vaticano. Magliulo, Quaestiones disputatae, Milano-Udine, Mimesis, Mauceri, La hybris originaria. Cacciari Napoli-Salerno, Orthotes, Messinese, L'apparire del mondo. sulla struttura originaria Milano, Mimesis, Messinese, Il paradiso della verità. Pisa, ETS, Messinese, Stanze della metafisica. Carlini, Bontadini, Brescia, Morcelliana,. Messinese, Né laico, né cattolico. S., la Chiesa, la filosofia, Bari, Dedalo, Petterlini, Brianese e Goggi, Le parole dell'essere. Per S., Milano, Mondadori, Poma, Necessità del divenire. Una critica a S., Pisa, ETS,. Saccardi, Metafisica e parmenidismo – I veliani, Il contributo della filosofia neoclassica, Napoli-Salerno, Orthotes,. Scilironi, Ontologia e storia, Abano Terme, Francisci, Scurati, Pensare l'identità.  Milano, Alboversorio, Simionato, Nulla e negazione. L'aporia del nulla (Pisa, Plus); Soncini, Il senso del fondamento in Genova, Marietti, Spanio, Il destino dell'essere. Brescia, Morcelliana,. Sperduto, Vedere senza vedere ovvero Il crepuscolo della morte, Fasano di Brindisi, Schena, Sperduto, Maestri futili? Annunzio, Levi, Pavese, Roma, Aracne, Sperduto, Il divenire dell'eterno. Su S. (ed ALIGHIERI), Prefazione di Messinese, Roma, Aracne,. Testoni, S., La follia dell'angelo, Milano, Mimesis, Tarca, Verità,  alienazione e metafisica. Rilettura critica della proposta filosofica di S., Treviso, Mevio Washington, Valent, Cura e salvezza. Saggi dedicati, Bergamo, Moretti &amp; Vitali, Visentin M., Tra struttura e problema. Note intorno al pensiero di E. Severino, Venezia, Marsilio [ora in Il neoparmenidismo italiano, Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Napoli, Bibliopolis, Metafisica Ontologia Episteme Nichilismo Leopardi Velia Valent Galimberti. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Associazione spazio interiore ambiente, Ursini. Emanuele Severino. Severino. Keywords: velino, velia, parmenide, zenone, scuola di velia. Zenone il velino, Parmenide il velino, divenire, GENTILE -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Severino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sforza: la ragione conversazionale dell’iustum/iussum – tra idealismo e positivismo -- filosofia italiana –  Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Direttore del Resto del Carlino. Insegna a Roma. Autore di importanti saggi di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la giurisprudenza naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e problemi di filosofia giuridica, ecc. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Widar Cesarini Sforza. Sforza. Keywords: iussum, iustum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sforza” – The Swimming-Pool Library.

Grice e Sgalambro: all’isola – la ragione conversazionale della misantropia – filosofia dell’isola di Sicilia – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lentini). Filosofo italiano. Important Italian philosopher. La sua filosofia è nichilista, definizione spesso respinta da lui stesso, ma talvolta anche accettata, e si può piuttosto definire un'originale sintesi tra la filosofia della vita di Schopenhauer e il materialismo e pessimismo di RENSI, con le influenze dell'esistenzialismo sui generis di Cioran, di alcuni temi della scolastica e della teologia empia e naturalistica di VANINI e Mauthner. Noto anche per la collaborazione con Battiato. Da una famiglia benestante (il padre era un farmacista), osserva un riserbo quasi conventuale nella sua vita privata, fornendo tuttavia alcuni elementi biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo l'infanzia trascorsa a Lentini, si trasferisce a Catania. S’iscrive a Catania. Dicedo di non iscrivermi in filosofia perché la coltivavo già autonomamente. Mi piace il diritto penale e per questo scelsi la facoltà di giurisprudenza. Inoltre non si trova d'accordo con la cultura filosofica dominante allora nelle accademie, troppo legata all'idealismo di CROCE e GENTILE. Sono loro che occupano tutto lo spazio filosofico. Ma io non mi ritrovo affatto in quei sistemi complessi e completi, dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me, filosofare e una destructio piuttosto che una costructio. Sono uno che noto le rovine, piuttosto che la bellezza. Questo e un po' scomodo, e non certamente accademico. Il reddito che proveniva da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non basta più, così sceglie di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo supplenze nelle scuole. Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui la realtà determinata entra in un individuo. Dunque il matrimonio non coincide semplicemente con l'amore per una persona, ma con la durata. Ecco dove sta l'essenza, quasi teologica, del matrimonio. E dichiaratamente ateo anche se crede nella reincarnazione, come ricordato anche da Battiato, e ha avuto un funerale religioso. Vive da solo nella sua casa catanese. Che non ci sia niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare. Ripete spesso che non possedeva titoli né lauree per i biglietti da visita e quindi come sia riuscito a diventare un filosofo e  «un mistero» che egli stesso stenta a spiegarsi. Il suo primo contatto con un saggio filosofica avviene quando legge “La formazione naturale nel fatto del sistema solare” di ARDIGÒ. Collabora a “Prisma” con un saggio, “Paralipomeni all'irrazionalismo” dove, influenzato da RENSI, sviluppa un attacco all'idealismo crociano allora in piena egemonia. S’ispira anche all'ironia di Kraus di cui ama lo stile aforistico. Se Kraus avesse scritto Il Capitale lo avrebbe fatto in tre righe. Scrive per “Incidenze”“Crepuscolo e notte” (Messina, Mesogea), un saggio di "esistenzialismo negativo". Scrive anche per la rivista Tempo presente. Decide di organizzare la sua filosofia in un saggio sistematica. Manda “La morte del sole” con un biglietto di due righe ad Adelphi. “E lì è rimasto.” “Ma siccome io sono fatto in questo modo, non ho chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata. Mi chiedevano di andare a Milano, per prendere contatto con l'editore.  Calasso mi dice che “La morte del sole” (Milano, Adelphi) non e maturo, e marcio: ed e esattamente così. Pubblica “Trattato dell'empietà: (Adelphi, Milano); Anatol (Adelphi, Milano), Del pensare breve (Adelphi, Milano) Dialogo teologico (Adelphi, Milano), Dell'indifferenza in materia di società (Adelphi, Milano), La consolazione (Adelphi, Milano), Trattato dell'età – una lezione di metafisica (Adelphi, Milano), “De mundo pessimo” (Adelphi, Milano); “La conoscenza del peggio” (Adelphi, Milano); “Del delitto” (Adelphi, Milano) e “Della misantropia” (Adelphi, Milano). Viene avvicinato al nichilismo. Talvolta ha respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel senso di un nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso. Indubbiamente questa visione è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le cose -- il Papa, MUSSOLINI, un vaso di terracotta -- si equivalgono. Questo non significa che non si ha il senso di ciò che vale. Significa piuttosto che si prova a romperlo come si può, per esempio con il martello del pensare. Intanto con alcuni amici avvia una piccola attività editoriale a Catania. Nasce così la De Martinis. All'interno di questa casa editrice, si occupa di saggistica, pubblicando un paio di propri testi – “Dialogo sul comunismo” (Martiniis, Catania) e “Contro la musica – sull’ethos del ascolto” (Martiniis, Catania) -- e ristampando VANINI e di Benda. Suscita polemiche una sua intervista a Battistini sulla mafia, dove critica anche Sciascia e il mito dell'anti-mafia militante (che tra l'altro fu criticata da Sciascia stesso. L'immagine della Sicilia. C'è, come no? Ma cercarla in faccende di Cuffaro e di Gabanelli è come cercare un tesoro fra le spine dei fichi d'India. Cercare che cosa, poi? La griglia mafiosa è una gabbia. È chiaro che ha ragione la Gabanelli e che Cuffaro vuole cancellare a suo modo la mafia, con un tratto di parole. Ma contesto che la mafiosità sia una chiave di conoscenza. Non cambio idea. La mafia è un concetto astratto. E gl’astratti si distruggono con la logica, non con la polizia. La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile. La mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di Solferino. Cose vetuste. Sciascia e lo scrittore sociale, un maestro di scuola che vuole insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come ri-leggere Pellico. La sua funzione si è esaurita. La mafia è l'unica economia reale di quest'isola. Ci sono fenomeni della storia, ricchezze che non si possono fare con le mani pulite. Qui la ricchezza è sempre stata fondiaria, senza investimenti. La ricchezza è per sua natura sporca. Basta col gioco della spartizione -- è mafioso o no? Domande da periodo di lotte religiose -- è luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati anche i laici, per fortuna. Definisce poi Fava "quel piagnone", affermando che "i famosi Cavalieri", soprannome dato dal padre di Fava a quattro imprenditori catanesi considerati collusi con Cosa nostra, erano l'unica economia possibile» per la città. -- è tornato in maniera sarcastica sull'argomento. Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne cambierei nulla. In questo senso potrei dire che mi considero un mafioso. E attaccato da  Ferrarotti che lo define un neo-reazionario e di "intolleranza aristocratica e silenzio sulla mafia. Alla sua isola ha dedicato “Teoria della Sicilia”. Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave. Vi incombe il naufragio. Oltre ai saggi per Adelphi, pubblica per Bompiani Teoria della canzone, Variazioni e capricci morali, e due raccolte di poesie, frammenti di una biografia per versi e voce e Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema), nonché L'impiegato di Filosofia, nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia ritrovandosi più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della stampa con caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita. Pubblica “Del metodo ipocondriaco” (Il Girasole, Valverde), Quaternario (racconto parigino), la raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro, e Dal ciclo della vita. La matematica è il tribunale del mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò con cui si indica lo scopo della scienza, tradisce col termine la cosa. L'ordine, già il termine ha qualcosa di bieco, che sa di polizia, adombra negli adepti le forze dell'ordine cosmico, i riti cosmici. L'autentico sentimento scientifico è impotente davanti all'universo. L'inflazione che caccia nelle mani dell'individuo, in un gesto solo, miliardi di marchi, lasciandolo più miserabile di prima, dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione collettiva. Avviene l'incontro con Battiato, del tutto casualmente, perché presentavano insieme un volume di poesie dell'amico comune Scandurra. Battiato gli chiede un appuntamento per proporgli di scrivere il libretto di “Il cavaliere dell'intelletto”. Un anno fa non ci conoscevamo neppure. Da allora non abbiamo fatto altro che lavorare insieme. Lui e anche un filosofo, ma per me è un talento che mi stimola e arricchisce. Mi sembra impossibile tornare a scrivere i testi delle mie cose. In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri che ti portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto tardi. A volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto. La questione sta nel vedere se sia possibile recuperarlo. Accetta e risponde ironicamente all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop. Tra lui e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se non sempre facile. Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia. Con Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei due, in genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano per un rigo da cambiare in una canzone. Io non accetto le esigenze della musica e per lui questo e costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai capito come si sia potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di convincerlo a levarsi, solo ora per fortuna sta tornando in se stesso. Collabora a quasi tutti i progetti di Battiato, per cui scrive:  i libretti delle opere Il cavaliere dell'intelletto su Federico II di Svevia, Socrate impazzito, Schopenhauer e TELESIO, Campi magnetici; L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata, Gommalacca, Ferro battuto, Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesame, Perduto amor, Niente è come sembra, Auguri don Gesualdo Bufalino). Benché affermasse che la canzone era per lui "una distrazione", scrive testi di canzoni anche per Pravo (Emma), Alice (Come un sigillo, Eri con me), Il movimento del dare, Marie ti amiamo, Non conosco nessun Patrizio (Facciamo finta che sia vero ed Aurora).  Dopo essere intervenuto anche ai concerti di Battiato, si cimenta lui stesso con la musica e pubblica il singolo. In una rappresentazione de L'histoire du soldat di Stravinskij interpreta la voce narrante, con Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti in quella del Diavolo.  Pubblica Fun club, prodotto da Battiato e Cosentino. Un alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo sgravare la gente dal peso del vivere, invece che dare pane e brioches. Questa volta, mi sono sgravato anch'io. E poi, la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera completa a teatro.Dà la voce all'aereo DC-9 Itavia nell'opera Ultimo volo di Pollina sulla strage di Ustica.  La canzone della galassia, cantata assieme al gruppo sardo-inglese Mab.  Torna ad esibirsi in un pub di Catania, assieme al Fazio e Cantarella. Finita l'esibizione alla presenza di Russo e Battiato, seguì il concerto delle Lilies on Mars, band formata da due ex componenti del gruppo MAB (Masia e Cristofalo), band che si era esibita con Battiato in Il vuoto.  Di passaggio (L'imboscata) recita: La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi. Interviene in Shakleton, da Gommalacca. In Invito al viaggio (da Fleurs) recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro; dormono pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi desideri. I fiori del male. Corpi in movimento, Campi magnetici, recita. Se io, come miei punti, penso quali si vogliano sistemi di cose, per esempio, il sistema: amore, legge, spazzacamino e poi non faccio altro che assumere tutti i miei assiomi come relazioni tra tali cose, allora le mie proposizioni, per esempio, il teorema di Pitagora, valgono anche per queste cose.  Hilbert, Lettera a Frege. Partecipa a quasi tutti i tour di Battiato:  Recita versi in latino sul brano di Battiato  Canzone chimica: «Bacterium flourescens liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium mesentericum, Bacterium sporagenes, Bacterium putrificus.  Esegue una nuova versione con il testo riadattato in chiave filosofica. Accetta il consiglio. Canta due brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello spavento supremo, Dieci stratagemmi di Battiato. Quello che c'è ciò che verrà ciò che siamo stati e comunque andrà tutto si dissolverà Sulle scogliere fissavo il mare che biancheggiava nell'oscurità tutto si dissolverà. La porta dello spavento supremo. Il sogno; “Teoria della canzone, Milano, Bompiani, Frammenti di una biografia per versi e voce, Bompiani, Milano, Poesie, Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Segrete (Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Opus postumissimum; Firenze, Giubbe Rosse, Dolore e poesia (Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita,  Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto) e Dialogo sul comunismo), Quaternario. Racconto parigino” (Valverde, Girasole); “Frammenti di una biografia” (Milano, Bompiani); “La consolazione, L'impiegato di filosofia” (Reggio Emilia, La Pietra Infinita); “Nell'anno della pecora di ferro” (Valverde, Girasole); Marcisce anche il pensiero. Frammenti di un poema, Opus postumissimum” (Milano, Bompiani); “Teoria della canzone” (Milano, Bompiani); Variazioni e capricci morali” Milano, Bompiani,  Dal ciclo della vita” (Valverde, Girasole); Devozione allo spazio in Raciti, Dello spazio, Catania, CUECM, Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. Scrittura e verità, Palermo, Flaccovio, Carpe veritatem, La filosofia delle università” (Milano, Adelphi); “EMPEDOCLE o della fine del ciclo cosmico” in Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà” (Catania, Maimone); “GENTILE o del pensare” in Grado, “Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà (Catania, Maimone); Post scriptum in Barcellona, Lo spazio della politica. Tecnica e democrazia” (Roma, Riuniti); “Un discorso coerente sui rapporti tra il divino  e il mondo” (Catania, De Martinis); “La filosofia dell'autorità” (Catania, De Martinis); quarta di copertina prefazione in Scandurra, Trigonometria di ragni, Milano, All'Insegna del Pesce d'Oro, La malattia dello spazio in Insulæ. L'arte dell'esilio, Genova, Costa e Nolan, “VANINI e l'empietà” VANINI, “Confutazione delle religioni” (Catania, De Martinis); “Breve introduzione in Tornatore, Una pura formalità, Catania, De Martinis, Piccola glossa al “Trattato della concupiscenza” in Bossuet, Trattato della concupiscenza, Catania, De Martinis, Klaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un gioco, Catania, De Martinis); “GENTILE e il tedio del pensare in Gentile, L'atto del pensare come atto puro” (Catania, De Martinis); S., Il bene non può fondarsi su un Dio omicida in Martini, Eco, In cosa crede chi non crede? Roma, Liberal, Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. La memoria, il futuro, Collura, Milano, Bompiani, Ottonieri, Elegia sanremese, Milano, Bompiani, La morale di un cavallo in Cappellani, La morale del cavallo, Scordia, Nadir, Cosentino, I sistemi morali, Catania, Boemi, postfazione in Trischitta. Il miraggio in celluloide, Catania, Boemi, Piccole note in margine a Basso in Basso, Dui, Catania, Prova d'Autore, Il fabbricante di chiavi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo, Catania, Prova d'Autore, postfazione in Pumo, Il destino del corpo. L'uomo e le nuove frontiere della scienza medica, Palermo, Nuova Ipsa, Sodalizio in Battiato. L'alba dentro l'imbrunire (allegato a Battiato. Parole e canzoni),  Mollica, Torino, Einaudi, Del vecchio in Mondo Turinese, Hillman. Venticinque scambi epistolari Torino, Boringhieri, I malnati, Porretta Terme, I Quaderni del Battello Ebbro, seconda di copertina, Lettera a un giovane poeta in Farruggio, Bugie estatiche, Roma, Il Filo, prefazione in Contiero, Reggio Emilia, Aliberti, Teoria della Sicilia in Guidi Guerrera, Battiato. Baiso, Verdechiaro, Falzone, Battiato. La Sicilia che profuma d'oriente, Palermo, Flaccovio, Una nota in Battiato, In fondo sono contento di aver fatto la mia conoscenza (allegato a Niente è come sembra), Milano, Bompiani, L’ethos della musica in  Monsaingeon, Incontro con Boulanger, Palermo, rue Ballu, prefazione in Vos, Il giardino persiano, Fanna (PN), Samuele, S. prefazione in Scandurra, Quadreria dei poeti passanti, Milano, Bompiani, seconda di copertina Sull'idea di nazione in Catania. Non vi sarà facile, si può fare, lo facciamo. La città, le regole, la cultura, Catania, ANCE, Dicerie in Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani, postfazione in Guarrera, Occhi aperti spalancati, Messina, Mesogea, Di un fantasma e di mari, Catania, Prova d'Autore, Nota in Bataille, W. C., A. Contiero, Massa, Transeuropa, Massa, prefazione in Bellucci, Un grappolo di rose appese al sole, Villafranca Lunigiana, Cicorivolta, prefazione in Pourparler, Catania, Prova d'Autore, Apologia del teologo in Presutti, “Deleuze e S.: dell'espressione avversa” (Catania, Prova d'Autore); Riflessione in Scuriatti, Mico è tornato coi baffi, Milano, Bietti, Presentazione in Rotoletti, Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno, Arti Grafiche Favia, Il senso della bellezza in Battiato, Jonia me genuit. Discografia leggera, discografia classica, filmografia, pittura, Firenze, Della Bezuga, Moralità plutarchee in Trischitta, Catania, Il Garufi, La città dei morti in Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran camposanto di Messina, Milano, Electa, prefazione in Bellavia, Fermo immagine, Catania, Il Garufi, Sulla mia morte in Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani); Fun club, Milano, Sony,Sony, feat. Mab, La canzone della galassia, Milano, Sony, L'ombrello e la macchina da cucire, Breve invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub, Fornicazione, Venosa, Moto browniano, Tao, Un vecchio cameriere, L'esistenza di Dio, in Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, Milano, EMI, Di passaggio, Strani giorni, La cura, Amata solitudine, Splendide previsioni, Ecco com'è che va il mondo, Memorie di Giulia, e Di passaggio in Battiato, L'imboscata, Milano, Polygram,  voce (Canzone chimica) in Battiato, L'imboscata live tour (registrazione video di un concerto), Milano, Polygram, Emma Bovary in Pravo, Notti, guai e libertà, Milano, Sony, Casta diva, Il ballo del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È stato molto bello, Quello che fu, Vite parallele, Shackleton in Battiato, Gommalacca, Milano, Polygram, Medievale, Invito al viaggio in Battiato, Fleurs. Esempi affini di scritture e simili, Milano, Universal, La quiete dopo un addio, Personalità empirica, Il cammino interminabile, Lontananze d'azzurro, Sarcofagia, Scherzo in minore, Il potere del canto, Personalità empirica in Battiato, Ferro battuto, Milano, Sony, Invasione di campo in  Invasioni, Come un sigillo in Battiato, Fleurs, Milano, Sony, Non dimenticar le mie parole in Battiato, Perduto amor, Milano, Sony, voce (Shackleton, Accetta il consiglio) in Battiato, Milano, Sony, Tra sesso e castità, Le aquile non volano a stormi, Ermeneutica, Fortezza Bastiani, Odore di polvere da sparo, Conforto alla vita, 23 coppie di cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello spavento supremo)  in Battiato, Dieci stratagemmi. Attraversare il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony, in Un soffio al cuore di natura elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano, Sony, Il vuoto, I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è come sembra, Tiepido aprile, Io chi sono?, Stati di gioia e dell'adattamento in italiano di Era l'inizio della primavera (da Tolstoj) in Battiato, Il vuoto, Milano, Universal,  Il movimento del dare, Milano, Sony, testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Del suo veloce volo (da Antony Hegarthy, Frankenstein) in Battiato, Fleurs 2, Universal, testo (Marie ti amiamo) in Consoli, Elettra, Milano, Universal, 'U cuntu in Battiato, Il tutto è più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo (Non conosco nessun Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio, Milano, Universal,  Facciamo finta che sia vero, in Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal,  Eri con me, in Alice, Samsara, Arecibo, Un irresistibile richiamo, Testamento, Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia, La polvere del branco, Caliti junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo, in Battiato, Apriti sesamo, Milano, Universal,  Strani giorni, in Battiato, Milano, Polygram, Patty Pravo, Emma Bovary, Milano, Sony, F, Battiato, Milano, Polygram, Il ballo del potere, Emma, L'incantesimo in Battiato, Milano, Polygram, Sarcofagia, In trance) in Battiato, Milano, Sony, testo in Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, Battiato feat. Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano, Universal, Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, Battiato, Passacaglia, Milano, Universal; Il cavaliere dell'intelletto, i Palermo, testi e attore in Kleist, Socrate impazzito Catania) testi e attore in Battiato, Fano, attore in Stravinskij, L'histoire du soldat, inedito, Roma,  libretto e voce, Corpi in movimento, La mer, in Battiato, Campi magnetici. I numeri non si possono amare, Milano, Sony, Firenze, voce, Volare è un'arte, Negli abissi, Pratica di mare, A tu per tu con il Mig, Verso Bologna, Simulacro, in Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, Bologna, Storie di Note, Bologna) attore Carlo Guarrera, Frammenti per versi e voce, Catania, Battiato, TELESIO, Opera in due atti e un epilogo, Milano, Sony,  Cosenza, Alliata in Battiato, Perduto amor, Giarre, L'Ottava, nobile senese, in Battiato, Musikanten, Giarre, L'Ottava, Battiato, “Niente è come sembra” (Milano, Bompiani); Intervento in Consoli, La verità sul caso del signor Ciprì e Maresco, Zelig, intervento in Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani,  intervento in Perrotta, Sicilia di sabbia, Movie Factory,  intervento in Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani,  Videoclip attore in Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, attore in Battiato, Di passaggio, attore in Battiato, Strani giorni, attore in Battiato, Shock in my town, attore in Battiato, Running against the grain, attore in Battiato, Bist du bei mir, attore in Battiato, Ermeneutica, attore in Battiato, La porta dello spavento supremo, attore in F. Battiato, Il vuoto, attore in Battiato, Inneres Auge, Battiato, Niso, Comunità dello sguardo (Torino, Giappichelli); L. Ingaliso, “Nell'antro del filosofo” (Catania, Prova d'Autore);  Cantello, Uno scherzo mimetico che possa introdurre ad una filosofia, Mas Club, L'ultimo chierico, Messina, Mesogea,  Caro misantropo. Saggi e testimonianze Carulli Iannello, Napoli, La Scuola di Pitagora, Fazio, Regressione suicida. Dell'abbandono disperato di Cioran, Barrafranca, Bonfirraro,  Breve invito all'opera, Miccione, Caltagirone,  Lettere da Qalat,  A. Carulli, Introduzione a S., Genova, Il Melangolo, Carulli, Necchi, La piccola verità. Quattro saggi (Milano, Mimesis); Zavoli, Le ombre della sera in Di questo passo. Cinquecento domande per capire dove andiamo, Torino, Nuova ERI, C. Rizzo, De consolatione theologie in Iiritano, Quinzio. Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli, Rubettino, Matteo, il dovere dell'empietà in Della fede dei laici. Il cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna, Soveria Mannelli, Rubettino, Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in Sicilia (Napoli, Guida);  Aprile, Giù al sud. Perché i terroni salveranno l'Italia, Segrate, Piemme, Risadelli, Nizza, Polisofia, Roma, Nuova Cultura, Per la critica della notte. Saggio sul Tramonto dell’Occidente (Milano, Mimesis); Arosio, Ora, il mondo in L'Espresso, Lanuzza, Il pensiero ipocondriaco in Il Ponte, Bergfleth, Finis mundi, Corda, filosofo irregolare in Arenaria, Raciti, Maestro cattivo per elezione in Ideazione, Raffaele, Intorno alla creatività filosofica. A colloquio con in Parolalibera, Nisio, l'unico che canta. Mille sguardi, II in Democrazia e diritto. Guerra e individuo, Faletra, Dialogo, Cyberzone, Presutti,  Il cavaliere dell'intelletto in Freetime. Sicilia, Faletra, La pistola,  in//peppino impastato.com/ visualizza.asp Faletra, L'azzardo del pensiero o il filosofo della crudeltà: Cyberzone Faletra, In ricordo, Artribune, Tesi di laurea Fazio, Cioran e S.: un confront, Catania, Battiato S.. Tra musica e filosofia, Palermo, L'impossibilità di essere consolati. L'itinerario tragico, Genova, Filmografia G. Cionini, Il consolatore, Cionini, Faletra, Bellone, Battiato su Storia della musica  Repubblica, adesso il filosofo diventa crooner  Intervista a Battiato e S. YouTube  Intervista a S.: Il filosofo rock che dà del “lei” a Battiato livesicilia |  l'ultima intervista  "Teoria della canzone", Bompiani, e la prefazione a "La filosofia delle università", Adelphi, il ricordo commosso di Cacciari. Con lui incontro straordinario, Il Fatto Quotidiano. A un tratto ci si accorge di quella cosa che chiamiamo pensare”: Addio a S.. La sua ultima intervista.  cfr. "De mundo pessimo", "Frammenti di storia dell'empietismo", "Trattato dell'empietà" Adelphi  GAP Speciali. Un viaggio oltre il luogo commune Rai Scuola  Mariacatena De Leo e ;  Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo con Manlio Sgalambro (Prova d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di Battiato, radiomusik, Battiato choc a Napoli. Sento la fine vicina, meglio cogliere il giorno. Il filosofo che canta il nichilismo, Tesio, "In ginocchio davanti", Tutto Libri,  "La conoscenza del peggio", Adelphi  La scrittura aforistica,  La Recherche, Calcagno, Il filosofo è uno spione da La Stampa, Battistini,  Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera, Formenti, Ferrarotti accusa: neoreazionario in “Corriere della Sera”,   Battiato: note per un filosofo (da La Stampa).  Così S. canta la sua filosofia (da La Stampa Sito ufficiale, su S. altervista.org. Meta Brainz Foundation. Il filosofo cantante maestro dell'ironia. Sono un uomo felice di stare su quest'Isola, Repubblica, Incontro in Le conversazioni di Perelandra. Manlio Sgalambro. Sgalambro. Keywords: Telesio, Vanini, Gentile, Ardigò, Croce, Empedocle, Gorgia, Lentini, Rensi, la sofistica, Girgenti, filosofia dell’autorita. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sgalambro

Grice e Siciliani: la ragione conversazionale e la critica della filosofia zoologica e la psico-genia di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina). Filosofo italiano. Studia a Otranto, Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto STUDIATI, stringendo inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con PUCCINOTTI, che influsce molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità importanti e influenti della cultura, quali: CENTOFANTI, PACINI, CAPPONI, e BUFFALINI. Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne la cattedra di filosofia nel regio liceo di Firenze. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Nominato professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche un corso di sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con CARDUCCIi, anch'egli accademico a Bologna ed entra in contatto con FIORENTINO e SPAVENTA. Dirige la Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandona la direzione per divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente, dall'impostazione eclettica che S. intende dare alla rivista e che contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da FIORENTINO. A Bologna istitue un centro di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da Gentile che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è dedicata la biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo S." la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana,  si accosta a VICO, tentando di inaugurare una filosofia mediana -- detta della terza via -- che individua una sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni filosofia contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia mediana e  dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono della filosofia per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni.  Con il saggio “Zoologia filosofica” (Napoli) approde nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfonde e da il suo contributo speculativo alle nuove discipline che muovano alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo, darwinismo e sociologia” (Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e la psicologia – “Prolegomeni alla psicogenia” (Bologna). SANCTIS confere a S. la presidenza di congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste esperienze lo portano a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla quale contribue a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (v. le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione). “Filosofia della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la statistica” (Firenze); “Della legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità organica della filosofia” (Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);” “Medicina filosofica”  (Firenze); “I principi metafisici di VICO” (Firenze); “Il triumvirato: ALIGHIERI, GALILEI, E VICO” (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); “Il criterio filosofico” (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Le fonti storiche della filosofia positiva in Italia in GALILEI (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia all’educazione in Italia (Bologna); L’educazione (Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in Italia (Firenze); “La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia (Bologna); Dei massimi problemi della pedagogia (Roma); Il sacro secondo i dettami della filosofia (Firenze); L’nsegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia (Torino); “L’educazione secondo i principi della sociologia” (Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). CALOGERO, Enciclopedia Italiana, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Invitto e Paparella, “Ri-leggere S.” (Lecce); Capone Galatinesi illustri, Guida Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina,  Carteggio familiar,  Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce,  P. S. e Pozzolini. Filosofia e Letteratura, Convegno Galatina Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica. SUL  RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA  POSITIVA IN  ITALIA PBOrESBOBB DI FILOSOFIA NELLA R. UNIVEBSITÀ DI BOLOOKA,QlX   PB0FES80BE   NEL   B.  LICEO DI FIBENZE, FIRENZE, G. BARBÈRA, PRINTBD  IN  ITALY-;atana Quest'opera  è  stata  depositata  al  Ministero  d'Agricoltura,  Industria  e  Commercio per  godere  i  diritti  accordati dalla logge sulla proprietà  letteraria. G.  BarbI'.ra. !',  (rcnuitifi  TERENZIO  MAMIANI  DELLA  ROVERE. Mio  SiQsoR  Conte. Ella  fu  primo  tra  i  moderni  italiani  a  tentare un  rinnovamento  della  filosofia  ^  e  a  Lei pure  spetta  il  vanto  d' aver  continuMa  e  compiuta la  nobile  tradizione  de'  OaUuppi^  de  Bosmini  e de'  Oióbertij  della  quale  per  fermo  rimarranno durevoli  tracce  nella  storia  dd  pensiero  nazionale. A  chi  dunque  meglio  che  dUa,  S.  V.  potrei intitolare  questo  mio  saggio j  il  quale  mira  al  fine medesimo  cui  Ella  indirizzava  il  suo  primo  lavoro? Che  se  talora^  per  quella  libertà  di  giudizio alla  quale  Ella  stessa  educò  le  nostre  menti con  le  sue  dotte  scritture^  troverà  contbaittUi  in queste  pagine  akuni  jprincijpii  da  Lei  propugnati  ^ non  vorfà  perciò  reputare  scemato  qud  senso  di schietta  riverenza  chcy  come  ai  pochi  sommi  onde si  onora  U  paese  nostro,  le  professano  tutt^  i  cid tori  degli  studi  severi.  Anzi  novella  prova  di  questa larga  tolleranza  io  m*  èbbi  testé,  quando,  con  la squisita  gentilezza  che  in  Lei  è  natura,  Le  piacque accettare  V  offerta  di  questa  mia  fatica.  La  quale io  spero  vorrà  giudicare  benignamente:  al  che  mi conforta  pure  il  ricordo  di  certe  argute  parole ch^  Ella  dicevami  ima  volta  chiudendo  un  lungo conversare  circa  le  gravi  divergenze  delle  diverse scuole  filosofiche:  «porro  unum  necessarium ! coscienza  e  fervore  nel  lavoro:  il  resto  verrà da  sé.  » Suo  deditissimo P.  Siciliani. BiTiglìano  presso  Monte  Senario In  questo  salutare  innovamento  politico  d'Italia cui  assistiamo  trepidanti,  un  libro  di  rinnovamento filosofico  dovrebbe  giugnere  opportuno  e  gradito.  Perocché se  tutti  oggi  andiamo  ripetendo  l'arguta  frase d’AZEGLIO  — fatta  ormai  V Italia,  Insogna  far  gl’taliani—  parmi  sia  d'uopo  cercare  di  rifarci  innanzi tutto  nell'intimo  di  nostra  coscienza,  nella  radice, nella  sorgente  stessa  d' ogni  umano  e  civil  progresso, eh'  è  dire  il  pensiero  filosofico.  Andare  a  Roma,  grazie agli  eventi  fortunati  e  al  nostro  buon  diritto  nazionale, non  è  stato  guari  difficile,    sarà  difficile,  speriamo, potervi  restare.  Ma  vi  staremo  senza  dubbio materialmente,  se  Roma,  la  vecchia  Roma,  il  pensiero cattolico  non  si  verrà  anch'esso  riformando  e  svecchiando. La  qual  cosa  certo  conseguiremo  per  gradi e  con  le  arti  che  dovrebbe  saperci  dare  la  sapienza politica,  civile  e  amministrativa  ;  ma  gioverà  non  dimenticar mai  come  l' espediente  più  d' ogn'  altro  efficace e  sicuro  ad  opera  siffatta,  sia  per  appunto  una rinnovata filosofia n  bisogno  di  restaurar  la  filosofia  surse  di  buon'ora neir  animo  degl’italiani  ;  il*  che  parrebb'  essere  un d^' caratteri  speciali  della  storia  della  nostra  speculazione, sino  da  quando  gli  scrittori  del  Rinascimento, scosso  il  giogo  della  scolastica,  mandavan  fuori  i  lor libri  col  titolo  De  PhilosophÙB  renovatione.    quindi è  a  meravigliare  se  cotal  necessità  sia  venuta  crescendo sempre  più  nelP  animo  e  nella  mente  nostra  col  succedersi degli  anni,  tanto  che  a  siffatta  impresa  nobilissima abbiam  visto  provarsi  gV  ingegni  più  illuminati e  fecondi:  primo  fra  tutti,  in  questo  secolo,  il  Mamiani  col  Binnovamento  della  Filosofia  antica italiana e,  poco  appresso,  SERBATI  col  Binnovamento  della Filosofia  in  Italia;  indi  il  Gioberti  con  la  Introduzione aUo  studio  dèlia  Filosofia,  con  la  quale  mirava  anch'  egli ad  una  restaurazione  filosofica  nel  nostro  paese;  e,  per ultimo,  il  professore  Spaventa  ha  procacciato  volgere anch'  egli  al  medesimo  intento  le  sue  dotte  scritture, in  ispecie  quella  su  la  Filosofia  dd  Gioberti. Se  non  che  rinnovare,  pel  filosofo  di  Pesaro,  altro non  voleva  dire  se  non  restaurare  certi  principi!  e richiamare  in  vigore  alcune  industrie  metodiche  de' filosofi appartenenti,  la  massima  parte,  all'età  gloriosa del  nostro  Risorgimento.  Talché,  quando  il  Rosmini  gli fece  toccar  con  mano  i  pericoli  ne'  quali  s' era  messo mostrandogli  come  il  Binnovamento  proposto  da  lui conducesse  diritto  ad  una  maniera  di  sensismo,  e'  venne modificando  siffattamente  le  dottrine  propugnate  nel suo  primo  libro,  che  dopo  trenta  e  più  anni  s' é  studiato nelle  Confessioni  d'un  Metafisico  d'inaugurare un  novello  Platonismo,  siccome  forma  di  filosofare acconcia  air  indole  della  mente  italiana.  H  Roveretano poi  non  solo  mirò  a  restaurar  cose  vecchie,  ma  volle produrre  altresì  qualcosa  di  nuovo.  E  pur  nullameno, chi  guardi  ben  addentro  ne'  copiosi  e  disameni  volumi che  seppe  darci  quella  mente  potentissima,  tranne  il •  problema  psicologico  eh'  ei  giunse  ad  illustrare  in guisa  davvero  originale,  ogn'  altra  cosa  in  lui  parrebbe invecchiata  e  quasi  stantia.  Della  stessa  menda  riesce offesa  la  Introduzione  del  Gioberti.  Che  V  ardente  e generoso  autore  del  Primo^  intendeva  svecchiare  (come diceva,  gloriandosene,  egli  stesso)  le  idee  cardinali  di quattro  o  cinque  filosofi  cristiani,  il  cui  sussidio  e autorità  invocava  quasi  ad  ogni  voltar  di  pagina.  Non parlo  qui  del  rinnovamento  eh'  e'  veniva  meditando nella  Protologia:  nella  quale  senza  dubbio  avremmo avuto  germi  fecondissimi  di  vera  e  solida  ristorazione filosofica,  se  a  queir  ingegno  privilegiato  e  supremamente italiano  fosse  stato  pur  conceduto  imprimere valore  diffinitivo,  forma  netta  e  coerente,  alle  diverse dottrine  che  con  ansia  febbrile  andava  saggiando  e trasmutandosele  in  sangue.  Per  contrario SPAVENTA, del  quale  abbiamo  in  grandissimo  pregio  l'ingegno  e l'amicizia,  intese  dare  anch' egli  nuovo  indirizzo  al pensiero  italiano,  ma  battendo  ben  altra  via;  la  via  del- l'Idealismo  assoluto.  E  studiossi  d'inserirci  nell'animo e  nella  mente  i  principii  dell' Hegelianismo,  per  due ragioni:    perchè  egli  pensa  esser  questo  il  vero  e  compiuto sistema  di  speculazione,  almeno  secondo  che viene  interpretato  da  lui  ;  e    perchè  gli  è  parso d'averne  rintracciato  i  germi  in  certi  nostri  filosofi a  cominciare  dal  Telesio,  per  esempio,  fino  al Gioberti. Fer  noi  rinnovare  non  vuol  dir  solamente  richiamare, instaurare,  svegliar  dalP  antico,    solamente importare  dal  di  fiiora;  che    nelF  un  caso  come  nelr  altro  il  rinnovamento,  anziché  naturale,  spontaneo, autonomo,  storico,  riescirebbe  artifiziale,  imposto,  incosciente e,  dirò  quasi,  meccanico.  Vuol  dire  bensì far  da  noi:  far  da  noi  con  elementi  che  ci  appartengano, ma  tali  che  serbino  (ciò  che  più  monta)  ^virtù  d' originalità  e  di  verace  modernità.  Vuol  dire  » insomma  esplicare;    si  può  esplicare  senza  correggere,  compiere,  inverare. Avremo  sbagliato  strada  anche  noi?  Potrebb' essere! Non  saremmo  i  primi,  e,  certo,  neanche  gli ultimi.  In  qualunque  modo .  ci  sembra  che,  pure  sbagliando, noi  non  resteremo  troppo  indietro  fra  le  mummie, né  avremo  corso  tropp'  oltre  col  pericolo  di  fiac-  \ card  '1  collo.  So  ben  io  che  i  Positivisti  fan  presto  ; ad  innovar  la  filosofia  radiandola  addirittura  da'  libri  ^ e  dandole  il  ben  servito  dalle  nostre  scuole  grandi e  mezzane,  quasi  fosse  un  trattato  di  teologia  dommatica.  Ma  costoro  avrebber  fatto  i  conti  senza  Toste. £  r  oste  in  tal  caso  é  lo  stesso  pensiero,  anzi  la mente  stessa,  dalla  quale  per  nostra  fortuna  mai  non riesciranno  a  sradicare  il  profondo  e  sempre  più  acuto bisogno  del  filosofare  :  senza  dir  già  che,  s' ei  riescissero  ne'  loro  intenti,  scambio  di  sciogliere  V  intricato nodo,  altro  non  avrebber  fatto  che  tagliarlo  di  netto  ; e  che  potessero  giugnere  a  tagliarlo  con  sicurezza ninno  il  crederà,  pensando  come  la  spada  eh'  e'  ci brandiscon  sul  viso  non  par  che  somigli  quella  del gran  discepolo  d'Aristotele! Accennato  il  carattere  generale  ed  il  proposito del  mio  saggio,  toccherò  della  sua  forma  e  del  suo disegno.  Mi  si  potrà  chiedere  :  È  egli  cotesto  vostro saggio  un  lavoro  di  genere  critico,  storico,  monografico, ovvero  dommatico? A  parlar  proprio  non  è  nulla  di  tutto  questo.  Un lavoro  d' indole  dommatica,  per  solito,  dee  racchiuder l'esigenza  d'un  sistema  nuovo,  d'una  dottrina  ori- ginale, se  pur  non  voglia  esser  vana  ripetizione  ed increscevole  imitazione  del  passato.  Ora  un  novello) sistema  filosofico  oggi  sarebbe  impresa  da  muovere a  riso,  od  a  pietà.  Sono  ormai  ventidue  secoli,  e  noi, tardi  nepoti,  ci  andiamo  pur  sempre  aggirando,  ivi sostanza,  fra  il  Platonismo,  e  l' Aristotelismo.  La  qual cosa  non  recherà  maraviglia  a  chi  consideri  bene  la storia  del  pensiero  filosofico,  nella  quale,  volta  e  gira, non  si  può  esser  che  con  l' uno  o  con  l' altro  sistema, ovvero  fra  l' uno  e  l' altro,  e  però  con  tutt'  e  due,  se pur  non  vogliamo  smarrirci  inevitabilmente  e  miseramente in  una  forma  di  scetticismo,  o  di  nullismo. Ai  di  nostri,  dunque,  un  nuovo  sistema  filosofico  p^rmi utopia,  sogno  e,  stavo  per  dire,  ciarlatanismo.  L' ingegno filosofico  oggi  deve  assumer  valore  di  funzione critica  rintegrativa,  nella  quale  si  faccia  luogo  alla concorde  attività  di  due  forze,  la  storia  e  '1  pensiero, che  vuol  dire  il  fatto  e  '1  da  fare. La  monografia  poi,  o  è  d'indole  semplicemente storica  e  obbiettiva,  ovvero  d' indole  critica.  Se  storica obbiettiva,  ella  avrebbe  a  essere,  dirò  così,  un fedel  ritratto,  una  perfetta  immagine  della  mente  d'un filosofo,  0  di  tutta  una  scuola  di  filosofi.  Or  cotesto immagini  e  ritratti,  se  da  una  parte  tornano  inutili e  infruttuosi  stantechè  non  facciano  che  ripeter  sot- t' altra  forma  cose  che  potremmo  leggere  nella  stessa lor  fonte,  dalP  altra  mi  paion  quasi  impossibili,  perchè è  impossibile  penetrar  davvero  nelle  intime  viscere del  pensiero  altrui,  e  farai  dentro  alle  occulte pieghe  della  mente  d' un  filosofo.  H  notissimo  detto di  Kant  si  può  e  devesi  applicare  anche  qui:  quidqtUd recipUur,  ad  modum  recipietUis  recipitur.  Che  se  poi la  monografia  è  di  genere  critico,  ella  riesce  assai pericolosa;  perchè  trattandosi  d'interpretare,  è  pur facilissimo  affibbiare  agli  altri  quel  che  invece  frulla nel  capo  nostro  ;  nel  qual  vizio  intoppano,  com'  è ^  noto,  gli  Hegeliani,    per  la  natura  stessa  del  loro metodo,  e    per  le  secreto  esigenze  del  loro  sistema. Da  ultimo,  un  lavoro  di  genere  puramente  istorico oggi  non  dovrebb'  essere  impresa  molto  ardua  fra tanti  libri  storici  che  ci  piovon  da  tutte  le  parti. Basterà  sposare  un  sistema,  una  dottrina  da  farla servire  qual  criterio  giudicativo;  basterà  un  po'  d' acume critico,  un  po'  di  tedesco  per  le  citazioni  obbligate a  pie  di  pagina,  e  poi  molta  e  molta  dose  di  pazienza e  di  sgobbo  per  raccogliere  e  adunar  notizie  e  teoriche da  farle  servire  al  criterio  giudicativo  che  ci torna  comodo. Per  me  l'ideale  d'un  buon  libro,  l'ideale  d'un  libro serio,  coscenzioso  e  positivo  di  genere  filosofico,  oggi dovrebb'  essere,  diciamo  così,  una  sintesi  di  tutt'  e quattro  cotesti  aspetti  o  condizioni  le  quali,  guardate disgiuntamente  e  solitariamente,  si  palesan  manchevoli  tutte  e  difettose.  Ha  da  essere  perciò,  nel medesimo  tempo,  monografico,  isterico,  critico,  e  anche dommatico  sino  a  certo  segno.  Cotesto  ideale  (negozio non  molto  agevole,  come  sanno  coloro  che  se  ne  intendono e  che  possiedono  quel  che  dicesi  gusto  de^  lavori filosofici),  non  può  essere  un  ricamo  sovra  una  stoffa altrui,  e  neanche  un  parto  assoluto  del  nostro  cervello  ; sibbene  ha  da  essere  il  risultamento  di  due  forze  com- binate, come  dicevo  poco  fa  ;  ciò  è  dire  della  mente di  chi  scrive,  e  di  chi  per  avventura  possa  più  spiccatamente rappresentare  il  corso  tradizionale  della scienza.  A  questo  sol  patto  sarà  dato  pervenire  al connubio  fra  la  teorica  e  '1  fatto,  tra  la  scienza  e  la storia  della  scienza,  portandole  entrambe  ad  un  fiato^ come  direbbe  il  filosofo  nel  quale  io  amo  attingere ispirazioni.  Laonde  chi  volesse  oggi  filosofare  con  co- scienza ,  dovrebbe  saper  costruire,  come  dicon  gli Hegeliani  (e  qui  dicon  benissimo)  ;  ma  dovrebbe  co-  ^ struire  senza  tradire,  che  è  per  V  appunto  il  gran guaio  della  critica  hegeliana. Questa  grave  difficoltà  parmi  d' averla  superata, s' io  molto  non  m' illudo,  E  mi  pare  d' averla  supe- rata, perchè  il  mio  libro  è  come  la  sintesi  e  vorre' dir  la  fusione  razionale  e  organica  de'  quattro  aspetti quassù  rammentati  ;  e  tal  sarebbe  la  novità  Cquant'  al disegno  e  alla  forma  del  lavoro)  alla  quale  vorrei pretendere,  se  avessi  coscienza  d' aver  raggiunto  lo scopo.  Cotesto  scopo,  lo  veggo  da  me,  io  non  ho potuto  raggiugnerlo,  perchè  ho  dovuto  costringere e  rannicchiare  il  mio  pensiero  entro  un  dato  numero di  pagine,  affogando  in  nota  molte  e  molte  cose  alle quali  avre'  voluto  pur  dare  ben  altro  svolgimento  e fisonomia.  Però  chiedo  un  po'  di  compatimento  quant'al modo  col  quale  ho  incarnato  il  disegno,  ma  domando severità  di  giudizio  quant'  alle  idee.  Le  quali,  medi- tate da  me  per  tempo  non  breve,  sento  di  poter difendere  contro  chi  vorrà  farmi  V  onore  d' una  critica non  leggiera,  non  velenosa,  non  da  scuola,  né da  sacristia  (alla  quale  non  saprei  rispondere,  né risponderò),  ma  d'una  critica  seria,  onesta,  profittevole. Il  Gioberti  scrisse  che  il  critico  onesto  e  co- I  scienzioso  deve  durar  la  metà  della  fatica  spesa  dal- l' autore  nel  meditare  e  scrivere  un'  opera  di  scienza. |Leibnitz  andava  molto  più  in  là,  e  richiedeva  da'lettori quasi  '1  medesimo  lavoro  sostenuto  dallo  scrittore.  Io non  pretendo,    davvero  posso  pretender  l' una  cosa, né  r  altra  :  ma  certo  potrò  desiderare  che,  chi  voglia giudicarmi  con  qualche  serietà,  debba  leggere  e  (se oggi  non  fosse  troppo)  meditare  un  po' le  cose  ch'io dico.  11  che  ho  voluto  qui  avvertire,  perché,  se  può dubitarsi  che  in  politica  esistano  le  cosi  dette  con- sorterie, certo  é  che  tra'  filosofi  cominciano  a  far capolino  certe  fratellanze  le  quali  giudicano  d' un  la- voro a  priori,  guardando  solo  al  titolo  e  al  nome  del- l'autore.  Dio  ci  liberi  dalle  fratellanze  filosofiche! Esse  per  me,  a  dirla  schietta,  sono  altrettante  Compagnie di  Gesù  negli  ordini  del  pensiero  e  della  libera speculazione  metafisica. Questo  mio  saggio,  e  l' altro  che  terrà  dietro su'  principi  della  Sociologia^  non  é  l' espressione  di nessun  partito,  di  nessuna  setta,  di  nessuna  scuola. Non  é  frutto  di  speculazioni  e  ricerche  passionate,  per- che  io  non  mi  sento  schiavo  di  nessuna  scuola,  servo di  nessun  nome,    milito  sotto  nessuna  bandiera più  0  meno  germanica,  italica  o  francese  che  sia. \Baiùmem,  quo  ea  me  cumgue  ducete  sequar:  ecco tutto.  Neanche  sarebbe  una  di  quelle  novità  sba- lorditole alle  quali  siamo  avvezzi  da  dieci  anni  a questa  parte.  Esso  anzi  è  la  più  modesta  cosa  del mondo:  che  per  quanto  il  titolo  paia  ardito,  non  sarà tale  per  chi  ripensi,  come  la  sostanza  delle  dottrine eh'  io  propugno  non  mi  appartenga  in  modo  assoluto. S'altri  mi  darà  dell' ecclettico,  risponderò  d'esser tale  precisamente,  ma  nel  profondo  significato  che costumava  dare  il  Leibnitz  a  questa  usata  e  abusata  pa- rola. E  se  qualcuno  poi  trovasse,  che  questa  o  cotesta dottrina  alla  quale  verrò  accennando  non  sia  propria- mente dell'  autore  eh'  io  dico  d' ormeggiare  nel  metodo e  Dell'indirizzo  filosofico,  tanto  meglio  per  me.  Ri- sponderò come  in  un  caso  simile  rispose  egli  medesimo a  certi  suoi  avversari  :  «  Che  se  finalmente  non  volete »  ricevere  questa  sentenza  come  di  Zcìione^  mi  dispiace »  di  darlavi  come  mia;  ma  pur  la  vi  darò  sola,  e B  non  assistita  da  nomi  grandi.  » €  Le  cose  fuori  del  loro  stato  naturale non  dnrano    s' adagiano.  »    Vico. Non  intendo  scrivere  la  storia,  e  tanto  meno  far  la crìtica  minuta  del  Positivismo;  indirizzo  che,  come  ognun sa,  non  senza  buon§  e  diverse  ragioni  invade  oggi  e  per- vadeTa  mente  di  molti  filosofi,  di  scienziati,  di  storici  e scrittori  d'ogni  maniera.  Altra  volta  m'avvenne  d'accen- nare alla  parte  debole  di  cotesto,  diciamolo  pure,  sistema filosofico.  E  allora  parvemi,  fra  1'  altro,  di  provar  que- sto: che  il  Positivismo,  secondo  il  concetto  che  se  ne sono  formati  segnatamente  i  Francesi,  non  pur  mancava di  storia,  ma  non  può  averne  avuta  di  nessuna  sorta.* Oggi  poi  dovrò  intrattenermi  a  ragionare  su  le  dir. verse  forme  che  il  Positivismo  ha  preso  e  può  prendere in  avvenire,  giacché  ormai  comincia  ad  avere  anch'egli una  storia,  per  brevissima  che  sia,  da  raccontare;  e [quindi  rilevare  certa  parentela  ch'egli  ha  con  l'Hege- 'lianismo.  Nel  quale  riscontro  probabilmente  meriterò anch'  io,  dall'  alto  giudicatorio  su  cui  siedon  gli  Hege- liani, la  solita  commiserevole  sentenza  che,  com'è  pur  [Vedi  Critica  del  Positivismo,  Bologna,  Monti]. 5ICILUM.  1 troppo  noto,  suona  così:  Pover'uomo,  non  ne  capisce niente  di  niente;  non  Im  dramma  di  potenza  speculativa,  ^ ne  briciolo  di  nerbo  dialettico!  Mostrerò,  da  ultimo,  se  . una  vera  forma  di  Positivismo,  ch'io  chiamerò  Filo-  i sofia  Positiva  italiana,  sia  per  avventura  i)ossibile;  e] in  qual  maniera  si  possa,  mercè  sua,  pervenire  a  cor- regger r  uno  e  compiere  V  altro  de'  due  sistemi  suddetti, accogliendo  quelle  parti  veramente  pregevoli  che  in essi  certamente  non  mancano. Comecché  il  Positivismo  non  sia  ne  voglia  essere  un sistema,  pure  quant' all' origine  psicologica,  per  così  dirla, non  mi  sembra  eh' e' s'abbia  a  distinguere  gran  fatto dagli  altri  sistemi  filosofici.  La  ragione  immediata  del  suo apparire  parmi  risegga  nell'  esigenza  di  contrapporsi  ad una  forma  contraria  di  filosofare  creduta  affatto  erronea  ; e  questo  filosofare  in  tal  caso  è  il  dommatismo  metafi- sico. (IJom'  è  chiaro,  cotesta  in  sostanza  è  l'origine  stessa dello  scetticismo,  secondo  che  c'insegna  tutta  una  storia di  ventidue  secoli,  ne'  quali  affermazioni  risolute  souosi contrapposte  a  risolute  e  persistenti  negazioni.  Il  Posi-j tivista,  infatti,  reputa  inconcludente  ogni  speculazione! trascendentale.  Positivismo  quindi  vuol  dire  esigenza! della  prova,  esigenza,  bisogno  della  dimostrazione;  maC della  prova  di  fatto,  della  dimostrazione  sperimentale. Se  non  che,  a  guardarci  bene,  lo  stesso  Positivismo  ma- nifesta già  senz'addarsene  un  bisogno  filosofico,  una  ten- denza speculativa,  un'attività  trascendente    dove,  per dirne  una,  procaccia  di  raggiungere  la  così  detta  comples- sità crescente  nel  coordinamento  de' fatti,  e  nel  volere imprimere  forma  gerarchica  all'insieme  delle  particolari discipline.  Col  che  non  intendo  dire  che  il  Positivismo sìa  già  una  metafisica  ;  ma  è  per  lo  meno  una  metafisica incosciente,  come  un  illustre  scrittore  francese,  non  senza cert'  aria  di  meritato  rimprovero,  ha  detto  al  Littré. Per  la  qual  cosa  paimi,  che  il  Positivista  contraddica*^ apertamente  a    stesso  quando  vien  su  gonfio  e  pettoruto a  dichiarar  guerra  sino  all'  ultimo  sangue  contro a  ogni  maniera  d'indagini  metafisiche;  tanto  che  la tendenza  de' Positivisti  a  filosofare,  tendenza  del  resto naturalissima  e  necessaria,  diventerebbe  atto,  facoltà, vo'dire  diventerebbe  metafisica  vera,  quando  potesse avverarsi  una  condizione.  Mi  spiego  subito.  Io  non  credo offendere  anima  viva  osservando  che  fra'  Positivisti irancesi  sia  un  bel  po'  difficile  trovare  un  solo  che  ab- bia studiato  con  amore,  per  esempio,  la  Ragion Pura  di Kant,  segnatamente  la  Critica  dd  giudizio:  difficilissimo poi  ritrovare  uno  solo,  fra'Positivisti  italiani  militanti  ^ sotto  le  bandiere  del Comte  o  meglio  del  Littré,  che  con pari  amore  e  spassionatezza  d' animo  abbia  letto,  per esempio,  il  Nuovo  Saggio  di SERBATI.  Prescindendo  dalle mende  svariate  di  che  non  va  esente  il  Criticismo  e nemmanco  il  metodo  psicologico  rosminiano,  io  non  so persuadermi  come,  dopo  aver  letto  e  inteso  a  dovere  lei due  scritture  mentovate,  si  possa  essere  o  dirsi  Positivi vista,  secondo  il  concetto  volgare  che  di  questa  parola ci  ha  dato  e  ci    oggi  chi  piti  ne  parla. Se  non  che  nessuno  immagini  eh'  io  qui  intenda  far  \ un  fascio  del  Positivismo  Francese,  del  Positivismo  In-  \ glese  e,  se  vogliamo,  anche  del  Positivismo  Germanico;  1 benché  quest'ultimo,  assumendo  sempre  più  forma  di schietto  e  nuovo  e  ardito  materialismo,  mostri  esser  già un  sistema  beli'  e  buono,  checché  se  ne  sia  detto  o  vo- glia dirsene  in  contrario.  Ma  di  questo,  fra  poco.  Quan- t' all'  altre  due  forme  di  Positivismo,  ninno  sarà  che  ' ignori  le  polemiche  tanto  gravi,  pacate,  esemplarmente  ' serene  fra  Stuart  Mill  e  Littré  avvenute  or  fa  un  anno.  \ E  molti  conosceranno  le  obbiezioni  che  quel  robusto ingegno  di  Herbert  Spencer  ha  saputo  muover  contro certe  dottrine  del  Comte.  Chi  abbia  vaghezza  poi  di sapere  qual  sia  il  carattere  e  il  resultato  di  queste  due maniere  di  Positivismo,  potrà  innanzi  tutto  guardare  alla forma,  al  fine,  persino  al  titolo  delle  opere  nelle  quali tale  dottrina  è  insegnata  e  propugnata.  Così,  mentre Stuart  Min  ha  fatto  una  logica,  o,  a  dir  meglio,  un  ft Sistema  di  Logica,  che  potrebbe  riguardarsi  addirittura  \ come  un  contr' altare  al  sistema  della  logica  hegeliana;  ; il  Comte,  almeno  nei  primi  volumi  delle  sue  opere,  ci ha  lasciato  (chiedo  perdono  a  tutti  gV  iddii  della  Senna) una  specie  di  rassegna,  ma  di  rassegna  ragionata,  giu- diziosa e,  dicasi  pure,  ingegnosa,  delle  particolari  disci- pliiie,  massime  di  quelle  che  a  lui  tormivan  più  familiari. Ho  detto  nei  primi  volumi,  perchè  nelle  opere  poste- riori, com'  è  noto,  desiderando  compier  V  edifizio,  egli ammannì  un  sistema  di  politica,  un  sistema  di  religione e  d' educazione,  un  sistema  di  morale  positiva,  e  financo d'igiene:  morale  senza  principio,  se  pur  non  vogliamo appellare  così  certa  regola  di  condotta  eh'  egli  espresse con  quella  brutta  parola  d' Altruismo  :  religione  senza Dio,  se  pur  non  vogliamo  piegare  il  ginocchio  e  dar  in- censo a  quella  divinità  chiamata  il  Grand*Essere;  intomo alla  quale,  com'è  noto,  il  fondatore  del  Positivismo  fran- cese finì  per  fantasticare  alla  maniera  de'  neoplatonici Alessandrini  e  del  FICINO.  Checche  ne  sia,  può  dirsi ch'egli  predicasse  bene  quant'a  metodo,  ma  razzolasse male  quant'a  sistema,  perchè  affermava,  anzi  esagerava nella  pratica  ciò  che  sdegnava  e  risolutamente  negava nella  teoria  e  nell'ordine  speculativo;  intendo  il  con- cetto dell'  unità  o  Sistematismo  nd  sapere,  secondo  il suo  linguaggio. Da  questo  primo  riscontro,  che  diremo  esteriore perchè  riflette  la  forma  generale  delle  opere  e  un po'  anche  il  valore  del  metodo  ne' due  filosofi,  si  può ai^omentare  che  Mill  guardi  la  scienza  sotto  l'aspetto subbiettivo,  cioè  come  una  serie  di  concetti,  mostrando così  d'aver  piena  fiducia  in  una  logipit  che  sia  atta  a risolvere  un  problema  distinto    cJaT  problemi  e    dal soggetto  in   che  versano  le  speciali  discipline/  Esiste infatti,  egli  dice,  una  conoscerla  scientifica  déWuomo  in quanfè  un  essere  intéUettude,  morale  e  sodale,  e  quindi una  dottrina  delie  cognidom  détta  coscienza  umana.* Agli  occhi  del  Comte,  per  contrario,  non  esiste  logica tranne  che  intrinsecata  con  la  natura  stessa  di  ciascuna scienza.  Se  volete  conoscere,  per  esempio,  la  logica  della chimica  (egli  dice),  studiate  la  chimica.  Ecco  la  scienza sotto  r  aspetto  puramente  ed  empiricamente  obbietti- vo; in  quanto  che  considera  le  cose  in  sé,  e  solamente come  oggetti.   Tal  difiFerenza,  com'  è  evidente,  non  è lieve,  massime  quando  tengasi  conto  de' risultati.  Il  ri- sultato cui  giugno  il  Positivismo  inglese  è  questo  :  la} metafisica  esser  possibile,  ma  solo  come  ricerca  logica,! come  investigazione   e   analisi  di  concetti.  Il  che,  s'  è| pregio  nella  logica  del  Mill  per  la  fede  eh'  e'  ripone nelle  forze  del  pensiero,  è  auche  il  suo  difetto  massimo, stante  che  siffattamente  ei  chiudesi  tutto  nel  formalismo  ** logico,  secondo  che  altrove  mostrai.' So  che  il  Mill  se  ne  vuol  difendere,  facendo  vedere qual  divario  corra  fra  la  logica  formale  e  quella  eh'  e'  dice logica  della  verità.  Ma  la  pecca  di  nominalista  in  lui è  chiara.  Ed  è  chiara  per  chi  abbia  convenevolmente considerato  quelle  quattro  teoriche,  nelle  quali  il  filosofo inglese  vuol  darsi  addirittura  per  innovatore:  intendo  ' le  dottrine  della  dimostrazione,  della  definizione,  degli assiomi  e  della  induzione.  In  tutto  questo  egli  è  per- *  Vedi  Stuart  Mill,  A.  Comte  et  U  Pontivitme,  Paris. Vedi  la  Ont,  del  Po9ÌHv.  innanzi  citata,  VI,  pag.  19. fetto  Baconiano,  checché  ne  dica  egli  stesso.  Perocché, se  la  inente  ne'suoi  concetti,  secondo  questo  filosofo,  è superiore  ai  fatti;  non  però  cessa  d'essere  un  artifizio, logico,  un  artifizio  psicologico,  un  intreccio  a  cui  nulla  ; d' obbiettivo  potrà  mai  rispondere.  E  di  qua  proviene  i poi  un'  altra  conseguenza,  eh'  è  questa.  Se  nella  logica la  posizione  del  Mill  riesce  evidentemente  unilaterale  e subbiettiva,  è  pur  d' uopo  eh'  ella  si  manifesti  impotente anche  nella  scienza  storica,  eh'  è  dire  nell'organamento  ^ razionale   de'fatti    storici.   Ora  se  il  metodo  positivo giunge  a  legittimar  1'  analisi  de'  concetti  e  la   critica delle  idee,  non  bisognerà  dire  che,  come  esigenza  critica, ei  contraddica  a    medesimo  quando  dichiara  di non  potere  in  alcun  modo  studiare  idee  e  concetti  nel- l'obbiettivo lor  significato?  E  donde  questa  impotenza? Dalla  natura  stessa  della  mente,  si  può  rispondere.  Ma, s'egli  è  così,  la  possibilità  della  scienza  si  traduce  in impossibilità  vera.  Che  poi  questo  non  sia  e  non  possa essere,  ne  porge  guarentigia  sicura  il  processo  istorioo delle  scienze  tutte,  e  l' incessante  progresso  ond'  elle  ci dan  prove  luminose.  La  ricerca  in  senso  obbiettivo,  adun-? que,  è  possibile;  dove  che  per  il  Mill  è  addirittura  im-* possibile.  Questa  è  la  parte  debole  del  Positivismo  inglese.  ; L' errore  opposto  è  il  Jifetto  del  Positivismo  fran- cese. Se  per  il  Mill  psicologia  e  logica  sono  scienze  che s' alimentano  di    medesime;  per  il  positivista  francese, al  contrario,  elle  non  sono  che  appendici  della  biologia, al  modo  stesso  che  la  sociologia  é  come  un  allargamento della  storia,  ciò  é  dire  una  generalizzazione   del  fatto istorico,  ma  del  fatto  verificato  mercè  la  deduzione  delle leggi  della  natura  umana.  Qui,  ripetiamo,  la  differenza è  profonda.   La   scienza   della  civil  società,  secondo  il' Positivismo  inglese,  pone  radice  nella  così  detta  Etolo- gia, li' Etologia  è  la  vera  scienza  dell'uomo,  egli  dice.  . Essa  è  una  generalizzazione  non  già  verificata,  ma sì  primiti/vamente  suggerita  dalla  deduzione  détte  leggi della  natura  umana.^  Ora  la  funzione  deduttiva,  nel Positivismo  inglese,  non  è  operazione  immediata,  non  è operazione  secondaria  alla  induzione,  com'  è  nel  Positi- vismo francese,  ma  è  funzione  a  priori,  è  funzione  i cui  risultati  vonn'  esser  giustificati  con  T  osservazione, e  con  la  scrupolosa  ricerca  delle  leggi  empiriche. Brevemente,  dunque:  pregio  singolare  del  Positivismo inglase  è  il  metodo  deduttivo-concreto  (per  usar  la  frase del  Mill)  applicato  alle  scienze  morali  in  generale.  Que- sto metodo  è  costituito  di  due  processi  che  si  svolgono, per  così  dire,  di  fronte  ;  non  già  di  due  parti  d' un  me- desimo processo,  V  una  delle  quali  sia  conseguente  al- l' altra,  com'  è  per  i  Francesi  positivisti.  Per  tal  prero- gativa massimamente  parmi  che  il  Positivismo  del  Mill mostri  accostarsi  all'  indole  della  filosofia  nostrana,  e molto  allontanarsi  dal  Baconianismo  alla  maniera  che questo  metodo  s'intende  da'più.*  Carattere  e  pregio poi  del  Positivismo  francese,  parmi  stia  nel  credere  alla j)ossibilità  d'una  filosofia  come  risultato  di  tutto  quanto il  sapere  umano,  e  quindi  nel  porre  come  inevitabile  o sua  condizione  la  necessità  della  storia.  L'indagine storica,  il  metodo  di  filiazione:  ecco  il  distintivo  del Comtismo,  eh' è  anco  il  massimo  suo  pregio.' Contro  il  Comtismo  è  facile  muovere  la  medesima difficoltà,  quantunque  in  senso  contrario ,  mossa  te- sté contro  il  Mill.  Se  infatti  è  possibile  una  ricerca  e una  critica  storica;  perchè  non  sarà  possibile  una  ri- cerca logica,  una  critica  dei  concetti,  come  tali?  Per- chè dunque  negare  una  logica  e  una  psicologia  supe- f *  Vedi  Mill,  Sy^time  de  Logique. Vedi  CoMTB,  Pha.  Pontive.  Voi.  V,  Lez.  48". . riore  alla  storia?  Se  non  che  delle  due  maniere  di Positivismo,  quella  de' Francesi  va  piii  facilmente  sog- getta a  contradizione;  la   qual  cosa  tiene  alla  doppia origine  storica  per  cui  si  distingue  cotesto  sistema.  Pa- recchi  scrittori   francesi  infatti  hanno  avvertito,  che ove  il  Comte   parla  di  natura  e   di  scienze  fisiche,  è decisamente  sensista,  materialista  e  nominalista  ;  men- tre che  ove  parla  di  filosofia  politica  e  storica  si  mo- stra panteista,  ma  senza  dar  prova  di  quella  specula- zione ingegnosa,  di  quella  mirabile  unità  razionale,  cui sanno  poggiare,  bene  o  male  che  sia,  i  Panteisti  moderni.'  Donde  tal  contraddizione?  Dall'essere  il  Comte,  } per  una  parte,  figlio  del  Sensismo  francese  ;  dall'  altra  ì poi  figlio  del  Sansimonismo,  che,  com'  è  noto,  è  forma  j grossolana  di  panteismo.  Per  questa  doppia  tendenza  | i  Positivisti  di  Francia  non  possono  salvarsi  dal  cadere  j nelle  conseguenze  d' uno  de'  due  sistemi  :  materialismo, 0  panteismo.  So  eh' e'  fan  presto  a  difendersi  dall'una taccia  come  dall'  altra.  Ma  la  logica  vale  qualcosa  più delle  parole  e  delle  calde  proteste.  E  veramente  chec- ché se  ne  possa  dire,  uno  degli  scrittori  poco  fa  citati ha  fatto  toccar  con  mano  al  Littré,  che  inevitabile  re- sultato del  Positivismo  è  il  materialismo.*  E  d'altra parte  sappiamo,  come  tutti  i  Positivisti  oggi,  e  propria-  ' mente  i  Gomtisti,  faccian  causa  comune  con  que'  della  \ sinistra  hegeliana,  co'  quali  hanno  intimo  legame,  se-l condo  che  mostreremo.  ' Ho  detto  come  per  ragion  d'origine  al  Positivismo francese  tomi  più  facile  inciampar  nelle  contraddi- zioni. Ne  poi^o  qualche  esempio.  Non  si  vuol  sapere nulla  di  cause  finali!  Ma  non  è  forse  il  medesimo  Lit- *  Vedi  Rbkocttibb,  Annuairephìl  1867  Q  nell^altro  del  1868.    Vaohb- BOT,  Metaphi9iq\w  potive.  Tom.  Ili;  Trattenim.  14.  —Jakbt,  Onte  phiL *  Vedi  Janbt,  Op.  cit.  pa^.  116  e  seg. tré  quegli  che,  mentre  grida  contro  il  principio  della finalità,  lo  afferma    ove  dice,  per  esempio,  l'essenza stessa  della  materia  oi^anizzata  esser  la  causa  prima della  finalità?  Eccoci  in  pieno  materialismo,  e  in  pieno sistema;  tutto  che  i  Positivisti  non  vogliano  esser  detti né  materialisti,    sistematici.  Ancora,  io  domando:  se  per domma  del  metodo  positivo  nulla  è  da  accettare  che  non  # sia  guarentito  immediatamente  o  mediatamente  da' fatti; perchè,  al  di    de^  fenomeni  e  dell'  esperienza  e  delle leggi  che  se  ne  traggono,  voler  credere  in  un  obbietto il  quale,  per  inconoscibile  che  sia,  é  sempre  un'  afferma- zione della  ragione?  Domando:  è  egli  atto  di  metodo positivo,  di  critica,  di  ricerca,  il  parlare  di  certo  grande oceano  qui  vieni  battre  notre  rive,  et  pour  lequd  nous n'avons  ni  barque,  ni  voiles,  mais  doni  la  dcdre  vision est  aussi  sahUaire  que  formUàble?  È  egli  atto  di  Posh tivismo  e  di  ricerca  che  sdegni  qualunque  spiraglio  di soprassensibile  e  di  soprannaturale,  parlarci  così  d'un Infinito,  comecché  non  se  ne  riconoscano  tutti  quelli  air tributi  che  il  fanno  tale?  E  se  ponete  la  possibilità  di conoscere  cotesto  vostro  inconoscibile  per  il  quale  dite di  non  aver  barca    vele  che  bastino,  ma  la  cui  cMaroi visione  é  pur  tanto  sàkiiare  al  pensiero;  in  che  maniera non  accorgervi  come  tutta  la  storia  della  filosofia  non altro  sia  stata  per  tutt'i  secoli  scorsi  fuorché  una  serie di  risposte,  per  così  dire,  a  cotesta  medesima  domanda che  neanche  voi  dite  illegittima,    strana?  Sarann'elle erronee  tali  risposte:  ne  potrò  convenire.  Ma  saran  tutte errori  da  farne  proprio  tavola  rasa? Da  siffatte  considerazioni  ci  é  dato  trarre  una  con- seguenza. Nel   Positivismo   oggi  avverasi  una  legge; quella  legge  che  accompagna  sempre  ogni  novello  indi- rizzo nella  filosofia,  eh'  é  dire  l' opposizione  nel  seno  % stesso  del  sistema.  Ecco  una  ragione  di  più  per  dichia- rare,  che  dunque  il  Positivismo  è  un  sistema  come  tutti  , gli  altri  !  La  cagione  profonda,  dice  il  Littré,  che  divide  / il  Comte  dal  Mill,  è  il  punto  di  vista  psicologico  e  logico nel  quale  s'è  messo  il  filosofo  inglese,  e  la  definizione reale,  obbiettiva,  non  già  formale    psicologica,  con  che si  presenta  la  scienza  nel  filosofo  francese.^  Ora  se  il  Po- sitivismo inglese  è  principalmente  un  formalismo  logico,  , e  il  Positivismo  francese  è  essenzialmente  un  empirismo  ! storico;  ne  viene  di  conseguenza  che,  in  virtiì  della stessa  critica  positiva,  noi  dobbiamo  riconoscer  legit-^ tima  una  terza  forma  di  Positivismo,  la  quale  sappia  sebi-    Vedi  Op.  di  Vico,  ediz.  Predar!,  pag.  762. Vedi  Op.  cit.  Risposta  al  Finetti,  pag.  40. cosmologici  sparsi  nel  LS}ro  Metafisico,  e  in  questi  attingere forza  a  meglio  interpretare  e  propugnare  le  ap- plicazioni fatte  dal  Vico  nella  Sdenisa  Nuova.  La  con- traddizione, dunque,  passata  dal  maestro  al  discepolo  * e  il  non  aver  saputo  cogliere  il  principio  cosmologico del  Vico,  fece    che  tale  polemica,  nel  modo  ch'era sostenuta  dal  Duni,  apparisse  inefficace  e  manchevole. Debole  e  manchevole  infatti  ci  sembra  questa  ma- niera di  ragionare  :  «  Voi  vorreste  che  i  primi  fondatori delle  nazioni  fossero  stati  dotati  d' innocenza  di  costumi. Ma,  caro  signor  censore,  come  potete  voi  spiegare  le origini  dell'  idolatria,  la  barbarie,  l' immanità  negli  usi delle  orride  loro  religioni  piene  di  duro  materialismo? Come  l'immanità  delie  loro  leggi  e  costumi,  le  cui  re- ligioni si  sono  per  lungo  tempo  conservate  finanche  nei tempi  della  maggior  loro  cultura,  per  qui  tacere  le  ori- gini delle  lingue,  delle  poesie,  della  frode  e  cose  simili? Come  finalmente  i  progressi  di  tali  nazioni  di  cui  ne abbiamo  le  memorie  troppo  sicure,  e  non  soggette  alla minime  dubbiezze?  Ma,  giacché  i  monumenti  e  la  sto- ria degli  antichissimi  e  de'  presenti  barbari  popoli  sono per  voi  sogni,  favole  e  delirii,  perchè  non  ci  dite  con quali  altri  principii,  origini  e  progressi  di  cose  umane debbasi  ragionare  di  questo  mondo,  degli  uomini,  deUe nazioni,  delle  tante  umane  istituzioni,  delle  origini  e progressi  delle  umane  industrie  nelle  colture  delle  co- gnizioni,alle  tante  maravigliose  invenzioni,  nei  governi e  polizia  de'  popoli  ed  in  tante  altre  maraviglie  che  os- serviamo nel  gran  teatro  di  questo  mondo  degli  uomini? Come  non  sapete  che  i  costumi  e  le  leggi  umane  deb- bano necessariamente  trarre  loro  origine  e  progressi daUe  idee  degli  stessi  uomini?  Come  potete  negare  il vario  corso  di  tali  costumi,  che  di  grado  in  grado  spogliandosi del  materialismo,  li  troviamo  di  fatto  più  puri nell'  età  avanzata  che  nella  fanciullezza  di  tutte  le  na- zioni.* » — Io  non  dico  che  tutto  ciò  non  sia  vero:  dico *  Vedi  Risp.  al  Finetti,  pag.  41. che  il  Duni,  a  difendere  invittamente  la  sentenza  del suo  maestro,  avrebbe  dovuto  movere  dai  principii  co- smologici e  psicologici,  i  cui  germi  non  mancano  cer- tamente nelle  opere  del  Vico. Gasuista  acutissimo,  quanto  insolente,  il  Finetti  sor- rideva a  sentir  elogiare  e  difendere  questa  dottrina della  Scienza  Nuova;  e  tutto  pieno  d'entusiasmo  reli- gioso rispondeva  con  XXIII  obbiezioni  cavate  dai  libri santi.'  Quindi  esclamava:  «  Dottrine  veramente  altissime  ! religiosissimi  e  ammirevoli  pensamenti  !  Tra  le  varie  cose onde  pretende  il  Vico  di  far  grandemente  spiccare  la divina  Provvidenza,  una  è  quel  capriccioso  di  lui  corso delle  nazioni  sulle  regole,  diciam  così,  del  trel  II  Duni andrà  in  estasi  a  tal  pensamento  ;  e  pure  a  me  è  sog- getto da  ridere,  spezialmente  quando  si  pretende  con à  costante  ternario  di  far  spiccare  la  divina  Provvi- denza ;  essendo  chiaro  eh'  ella  rìsplende  nella  grandezza ed  importanza  de'  fini  e  nella  idoneità  e  giusta  propor- zione dei  mezzi,  e  non  già  nel  far  correre  le  nazioni pe'  numeri  di  tre  o  quattro.  Un  tale  giuoco  non  sembra certamente  degno  dell'  infinita  sapienza  di  Dio.*  »  E  al- trove, allargando  la  sua  critica,  aggiunge  :  «  La  maniera di  filosofare  inventata  dal  Vico  è  tale,  che  può  porgere delle  armi  per  oppugnare  la  Religione....  e  non  poco corredo  a  chi  voglia  farne  uso  per  impugnare  e  met- tere in  dubbio  la  Sacra  Scrittura  e  la  divina  rivela- zione....; »  tanto  che  paragonandolo  al  Boulanger,  uno. degl'increduli  de  suoi  tempi  (com'  egli  stesso  nota),  non dubita  porre  a  riscontro  le  dottrine  dell'uno  con  quelle dell'altro  per  otto  diflferenti  capi. Com'  è  chiaro,  il  Finetti  non  ebbe  tutt'  i  torti  se  gli venne  in  grave  sospetto  la  Scienza  Nuova.  Avea  torto bensì  nel  confondere,  come  il  Romano,  tale  dottrina  del Vico  difesa  dal  Duni,  con  quella  de' filosofi  francesi  '  Vedi  Sommario  delle  oppoeizioni  del  Sietema  Ferino   di  Vico  alla Sacra  SeriUura,  de' suoi  tempi.  Ed  è  a  confessare  che  questo  mede- simo torto  hann'  avuto  di  poi  parecchi  altri  critici,  an- che viventi,  laddove  parlano  della  dottrina  su  lo  stato ferino  propugnata  nella  Sdeiiza  Nuova»  Avvertiamo  una volta  per  sempre  che  lo  stato  di  natura  del  Vico  noa ci  ha  che  vedere  con  quello  de'  giusnaturalisti  vis- suti nella  seconda  metà  del  secolo  XVII,  e  nella  prima del  XVIII.  E  tornando  al  Finetti,  a  meglio  capire  la maniera  della  sua  critica,  nonché  il  carattere  delle  sue opposizioni,  giova  qui  rammentare  certe  parole,  da  lui stesso  riferite  con  aria  di  trionfo,  d'un  personaggio"^ napoletano.  Il  quale,  stato  già  scolare  per  più  anni  del Vico,  raccontava  come  il  suo  maestro  in  Napoli  fosse ritenuto  per  uomo  veramente  dotto,  ma  che  poi  fosse stimato  pwsfjso  a  cagione  delle  sue  stravaganti  opinionL Finetti  si  degna  dirci  d' aver  chiesto  a  quel  gentiluomo partenopeo  se  quando  il  Vico  scrisse  la  Scienjsa  Nuova fosse  dotto,  0  non  più  veramente  pazzo.    ediz.  Siena,  1829. ligente  fu,  al  pari  del  Duni,  il  Pagano,  di  cui  il  solo nome  è  ricordo  pietoso  ad  ogni  anima  gentile  e  aperta ai  sensi  di  libertà.  Come  nel  Duni,  così  pure  nel  Pa- gano le  idee  vichiane  leggiamo  esposte  con  chiarezza  e facilità,  ma  anche  con  troppa  imitazione;  che  anzi  è da  confessare  come  in  lui  faccian  difetto  alcuni  pregi del  Dunf,  per  esempio    dove   pone  questi  principii  : —  che  lo  stato  della  primitiva  barbarie  non  fosse  gene- rale ;  che  la  gelosia,  piuttosto  che  un  certo  vago  senso religioso,  spingesse  T  uomo  al  matrimonio  ;  e  che  tra  la barbarie  originaria  e  la   barbarie  medievale  il  Vico non  iscorgesse  divario  di  sorta: — il  che,  come  vedre-1 mo,  a  noi  non  sembra  punto  vero.  Ma  grave  errore del  Pagano  è  quello  di  volere  interpretare  la  storia  in un  senso  troppo  fisiologico;  e  questo  tiene  alla  efficacia che  nella  sua,  mente  esercitò  la  filosofia  francese  di quell'età.  E  alla  stessa  cagione  forse   è  da  riferire s' ei  non  seppe  vedere  come  il  processo  storico  non  sia . né  possa  essere  unilaterale,  ma  complesso,  organico, dovendo  abbracciar  tutte  le  manifestazioni  e  tutti  gli elementi  d' una  data  storia  e  civiltà.  Per  le  quali  cose non  possiamo  accettare  la  sentenza  ond' altri  ha  pro- nunziato, che  i  Saggi  del  Pagano  siano  la  interpretp,- zione  più  fedele  della  Sciema  Nuova:  tanto  piii  che il  Pagano,  intendendo  in  maniera  grossolana  al  pari dello  Stellini  la  dottrina  del  corso  e  ricorso,  non  dubita sostenere  che  le  nazioni  tutte  a  per  lo  stesso  movimento onde  son  rimenate  alla  luce  della  cultura,  ricadono nelle  tenebre  della  natia  barbarie.  »  Nel  che  non  s'accorge quel  nobile  e  sventurato  ingegno  come  il  ricorso del  Vico  sia  anche  progresso,  e  come  il  suo  svolgimento abbia  luogo  in  età  diflFerente  da  quella  in  che  accade  t il  corso  della  civiltà;  mentre  al  contrario  in  un  medesimo popolo ,  per  esempio  nel  greco,  egli  vede  insieme  un  | eorso  e  un  ricorso  storico.*  Il  Pagano  dunque  non  iscorge *  Vedi  Mario  Pagano,  Op.  edlz.  Capolagro,  Gap.  VI.  Saggio  VI, il  modo  con  che  il  suo  maestro  intese  coordinare  i  diversi momenti  de'  grandi  periodi  della  storia  eh'  ei  disse  corsi e  ricorsi  storici.  Non  riesce  a  salvam  dall'errore,  nel quale  intoppò  lo  Stellini,  d'ammettere  una  prima  età storica  non  ferina,  ma  innocente.  Non  sa  vedere  l' er- rore del  Vico,  oggi  assai  grave,  delle  catastrofi  e  dei  ca- taclismi fisici  onde  gli  uomini  furon  da  prima  scossi  e menati  a  civiltà.  Finalmente,  come  origine  assoluta  delle famighe  ponendo  il  ratto  delle  donne  per  opera  degli uomini  forti,  non  s' avvede  che  nelle  dottrine  del  mae- stro, più  che-  cagione,  cotesta  era  semplice  occasione, non  altrimenti  che  le  suddette  catastrofi  e  cataclismi di  natura.  Ma  è  da  notare  che  fra  tanti  errori  egli talora  sorpassa  il  maestro,  non  che  i  mitologi  suoi  con- temporanei, quando  sostiene,  per  esempio,  che  i  Greci, \  quant'  a  mitologia,  non  facevano  che  vestir  poetica- mente racconti  d' origine  primitivamente  orientale.Né  a  quel  tempo  erasi  ancor  difi'usa  quella  febbre, che  tutti  oggi  invade,  dell'  orientalismo  indiano.  E  Vin- cenzo Cuoco,  benché  seguisse  il  Vico  nelle  esagerate ,  interpretazioni  del  suo  Platone  in  Italia,  romanzo  fatto sul  gusto  délVAnacarsi  del  Barthélemy;  ne  divina  ta- lora qualche  idea  originale  come  quando  pone,  a  dirne solo  quest'esempio,  un'origine  spontanea  anzi  che  co- municata e  artificiale  alle  manifestazioni  storiche,  reli- giose, mitologiche,  poetiche  e  poUtiche.  Così  mercé  il Pagano  e  il  Cuoco,  entrambi  ingegnosi  discepoli  del Vico,  temperavasi  quella  dottrina  del  maestro  che,  come vedremo  in  altro  luogo,  potrebb'essere  interpretata  con opposti  e  contrari  significati.  E  vuoisi  che  il  Cuoco meditasse  e  anche  scrivesse  un  lavoro  sulla  Sdenta \  Nuova,  ma  che  da    medesimo  avesse  poi  distrutto, forse  per  que'  motivi  politici  che    crudelmente  gli  fu- nestaron  l'animo,  il  quale,  non  meno  del  Pagano,  egli ebbe  pieno  di  carità  patria.  Del   Cuoco  in   sostanza *  Op.  cit.  Saggio  I,  Gap.  XXIII. non  abbiamo  ne  interpretazioni,    esplicazioni  del pensiero  che  informava  la  Sdenta  Nuova,  degne  d'esser rammentiite.  È  bene  anzi  avvertire  com'  egli  ne  acco- gliesse alcune  idee  al  tutto  erronee:  quella,  per  esem- pio, d'  un'  antichissima  sapienza  italica,  anteriore  alla romana  e  alla  greca  per  cui  riteneva  che  gli  Etruschi, sparsi  un  tempo  per  tutte  le  terre  italiane,  avessero costituito  un  popolo  solo.  Non  pertanto  il  Cuojo  dà s^ni  evidenti  d'avere  studiato  la  Scienza  Nuova  ed essersene  giovato,  chi  consideri  quanto  egli  imitasse  e ripetesse  le  idee  del  Vico,  ma  sempre  in  modo  inge- gnoso, acuto,  geniale,  sul  corso  della  civiltà,  su  la  co-l stituzione  di  Roma  e  su  la  legislazione  in  universale. Chi  dovea  più  d' ogn'  altro  valersi  del  Vico  in  fatto  I di  principii  legislativi  fa  il  Filangieri.  Il  quale,  se  stu- •  diasse  le  opere  del  nostro  filosofo,  e  se  in  grande  ve- nerazione avesse  alcuni  principii  di  lui,  ce  lo  attesta,  da  una  parte,  una  lettera  del  Goethe  scritta  da Napoli  nel  1787,*  e  dall'altra  le  citazioni  ch'egli stesso  £a  e  le  dottrine  eh'  e'  non  di  rado  toglie  dalla Sdenta  Nuova.  Dalle  opere  del  Vico  infatti  esce  lumi- nosa la  prova  dell'  esistenza  d' un  elemento  universale e  assoluto  nelle  leggi  guardate  lungo  il  processo  isto- rico,  e  per  cui  la  legislazione  nella  storia  non  è  altro che  la  incarnazione  dell'idea  del  Diritto;  della  quafe egli  aveva  additato,  come  vedremo,  il  principio  -nel- r  opera  sul  Diritto  Universale.  Perciò  nella  Scienza Nuova  avverte  che  la  filosofia  del  Diritto  considera Vuomo  guai  ddb'  essere mentre  la  legislazione  censi-  ' dera  V  uomo  quale  è  per  farne  buoni  usi  neW  umana società}  Ora  appunto  la  seconda  parte  di  questa  sen- tenza tolse  a  studiare  il  Filangieri,  e  però  diciamo  che  la . scienza  della  legislazione  altro  non  sia,  chi  ben  guardi,  ' che  un'  applicazione  di  questo  concetto  vichiano.  E  vera- mente, se  ad  applicare  ottime  leggi  al  civile  consorzio *  Vedi  nel  Cintohi,  Studi  oritiei,  ec.  pag.  276. •  Vedi  Degnità  VI,  VU. è  necessaria  l'esperienza;  e  se  l'arte  dello  sperimento non  è  possibile  in  siflFatt'  ordin  di  cose  tranne  che  me- diante la  storia;  perocché  se  la  storia  elevata  a  filo- sofia è  atta  a  mostrare  che  i  fatti  legislativi,  guardati nella  loro  idea  e  nelle  attinenze  con  altri  fatti  pos8on  essere  considerati  come  altrettanti  esperimenti  che la  civiltà  va  seco  medesima  operando:  se  tutto  ciò  è vero,    da  concludere  che  l' antecedente  logico  della Scienea  deUa  LegislcusAone  sia  per  l' appunto  la  Scienea Nuova.  Laonde  non  parmi  che  il  Lerminier  s' apponga, dicendo  il  Filangieri  seguace  del  Montesquieu,*  per  la semplice  ragione  che  il  medesimo  Filangieri  ebbe  co- scienza di  non  dover  battere  le  vie  già  con  tanta  gloria calcate  dal  filosofo  francese,  com'egli  stesso  ci  assicura. Filangieri  non  intese  a  ricercar  leggi,    a  descriver  | costumi  :  volle  anzi  levarsi  alla  teorica  dei  costumi  e  • delle  leggi.  Ora  cotesta  teorica,  come  vedremo,  è  inutile cercarla  nel  Montesquieu  ;  ed  è  inutile  cercarvela  anche per  confessione  degli  stessi  Francesi.  Ripeto  quindi  che la  Scienza  della  Legislazione,  chi  la  guardi  nella  originalità  del  suo  disegno,  è  di  fattura  tutta  italiana,  e possiamo  designarla  perciò  come  una  pagina  (splendida pagina  in  vero!)  della  Scienza  Nuova.  Ciò  non  pertanto  è  da  confessare  come  il  Filangieri talvolta  s'accosti,  forse  anche  troppo,  al  fare  del  Ro-j magnosi,  il  cui  pensiero  mostra  d'  avere  tanta  affinità con  la  filosofia  francese.  In  gran  parte  meccanica  e artificiale  riesce  infatti  la  sua  dottrina  storica,  alla quale  si  riferisce  la  legge  ch'egli  espone  su  le  Religieni e  eh'  è  pure  una  debole  imitazione  attinta  nel  Vico  ;  1 ma  è  tal  legge,  ch'io  starei  per  dirla  disorganata. Filangieri  è  da  lodare  per  piil  conti,  massime  per  aver I  saputo  cogliere  il  vero  di  quel  principio  vichiano  sulla incomunicabiUtà  originaria  dei  miti  presso  popoli  dif- ferenti: *  col  che  mostra  d'  aver  attinenze  sempre  piiì  '  ItUroduction  generai  eo.  Gap.  XV,  pag.  188. *  Vedi  Scienxa  ddla  Legialanone,  Gap.  VI. apffini  con  gli  altri  seguaci  e  imitatori  d'  un  comune maestro  e  d'  un  ispiratore  comune,  quali  abbiam  visto essere  stati  per  differenti  guise  il  Duni,  il  Cuoco,  il Pagano. Se  non  che,  come  la  tendenza  alla  pura  imitazione eccita  spesso  la  critica,  parimenti  la  critica  efficace! e  produttiva  viene  più  spesso  eccitata  dalla  critica infeconda  e  negativa.  Così  Melchiorre  Delfico  quantunque più  volte  citi  '1  Vico  e  ne  accetti  perfino  al-  ) cune  dottrine  su  la  Giurisprudenza  romana,  si  pre- senta come  negazione    lui  quando  si  pensi  che  il Vico  fu  primo  interprete  critico  del  Diritto  Romano,  e dicasi  pure  della  Storia  romana.  Il  dubbio  critico  e  fe- condo dell'uno  su  le  origini  di  Roma  e  delle  XII  Ta- vole, diventò  dubbio  scettico  nell'  altro.  Egli  infatti giunse  a  dire  che  la  comune  opinione  sulla  grandezza romana  devesi  ridurre  al  solo  ingrandimento  de' con- fini, ottenuto  spesso  con  mezzi  rei  ed  infami.*  E  se il  Gravina  appoggiandosi  all'  autorità  di  Cicerone  fin da' primordi  del  secolo  XVIII  appella  Diritto  per  ec- cellenza il  Diritto  Romano;  il  Delfico,  in  su  lo  scorcio  1 dello  stesso  secolo,  non  teme  affermare  che  Roma, tuttora  barbara  e  ignorante,  avea  già  veduto  a'  suoi fianchi  gli  Etruschi,  i  Sabini,  gli  Umbri,  celebri  già per  leggi  e  per  giustizia,  gli  Equi  e  gli  Equicoli, così  appellati  perchè  giusti.  Che  cosa  ne  fecero  i  Ro- mani se  non  distruggerli,  piuttosto  che  imitarli?'  Le grandi  lodi  poi  fatte  in  ogni  tempo  ai  frammenti delle  XII  Tavole,  egli  chiamava  letterario  fanatismo. Il  tanto  encomiato  Diritto  Civile  riguardava  come  ri- saltato delle  interpretazioni  dei  Giurisprudenti  e  delle dispute  forensi.  Incertezza,  arbitrio,  volontà  di  conservare r  aristocratico  dispotismo  diceva  essere  il  carattere proprio  del  Diritto  Romano.  Che  se  Roma  cadde, Vedi  Riocrehe  nU  vero  earattere  della  Oiurttprudenxa  Romana  e  dei  \ 9uoi  cultori.  Firenze,  2"  ediz.  1796,  Introd.  pag.  27. non  cadde  perchè  oppressa  dal  pondo  dell'  estrema  sua grandezza,  ma  per  mancanza  di  base  e  difetto  di  solida architettura  nell'edifizio.  E  conchiudendo  poi  la  prima parte  del  suo  libro,  afferma  che  :  (c  la  giustizia  di  Roma fu  in  principio  quale  può  essere  neUa  barbarie;  d'indi| quale  dev'  essere  nell'  anarchia,  nella  confusione  delle leggi,  e  nella  generale  corruzione.*  »  Talché  in  ogni  età al  pensiero  del  Delfico  Roma  si  presenta  in  antitesi  con la  ragione  e  con  la  umanità:  la  giurisprudenza  per  lui è  il  fatale  retaggio  eh'  ella  ci  lasciò,  e  i  secoli  ne  hanno moltiplicato  le  specie.*  Vedremo  altrove,  che  se  il  Vico  fu  primo  a  studiare con  riservatezza  guardinga  e  saviamente  scettica  la  storia del  popolo  e  del  Diritto  Romano  assai  cose  distrug- gendo accolte  già  e  sanzionate  dall'  autorità  di  molti secoli;  non  però  cadde  in  quell'  aperto  e  desolante  scetti- cismo che,  uccidendo  i  fatti  nella  storia,  spegne  ad  un tempo  la  fede  nell'  animo  di  chi  ne  interpreta  il  signi- ficato, com'è  appunto  il  caso  del  Delfico.  Il  Vico  anzi pervenne  a  dimostrare,  come  vedremo,  una  legge  d' in- timo progresso  nelle  successive  manifestazioni  storiche  ' del  Diritto  Romano.  E  questo  evidentemente  contraddice al  dubbio  scettico  del  Delfico. Così  può  dirsi  chiuso  il  primo  periodo  degli  scrit- tori che  han  discorso  di  questa  o  quella  dottrina  del nostro  filosofo.  Nel  qual  periodo,  ciò  che  ha  molto  valore  | per  noi,  è  la  polemica  fra  il  Duni  e  il  Finetti:  il  resto  è lavoro  d'imitazione  piii  o  meno  fedele  che  solamente  nel Filangieri  comincia  ad  assumere  forma  d' esplicazione  ' originale.  E  questa  tendenza  imitativa,  che  finisce  con  lo scetticismo  giuridico  e  storico  del  Delfico,  ci  mostra  poi quanto  sia  vera  quell'osservazione  fatta  da  parecchi  sto- rici nostrani,  che  la  snervata  filosofia  firancese  principal- mente scemasse  originalità  agli  scrittori  italiani  d' allora, togliendo  loro  il  poter  discemere  qual  novità  di  principi! avesse  introdotto  il  Vico  nel  regno  della  scienza  e  della storia  umana. Tra  il  secolo  XVIII  e  il  secolo  XIX  possiamo  dire che  corra  un  abisso.  Nell'ordine  puramente  speculativo ci  è  di  mezzo  il  Criticismo;  e  nell'ordine  delle  idee  stori-  1 che  e  giuridiche,  come  in  quello  de'  fatti  politici,  abbiamo i  filosofi  giusnaturalisti  francesi,  e  la  grande  Rivoluzio- ne. Con  la  Scienza  Nuova  noi  avevamo  già  prevenuto l'esigenza  critica,  dal  puro  mondo  dell'attività  psicolo- gica trasferendola  e  compiendola  nel  regno  dell'  attività storica;  e  nell'ordine  delle  idee  avevamo  sorpassato  al-tresì la  Rivoluzione,  perchè,  ammesso  il  processo  istorico al  quale,  secondo  la  Scienza  Nuova,  deon  soggiacere  tutti i  fatti  e  tutte  le  idee,  non  v'è  pagina  in  questo  libro  dove non  si  senta  la  necessità,  e  non  si  tocchi  con  mano,  per così  dire,  lo  scoppio  d'un  radicale  innovamento  negli  or- dini del  consorzio  civile,  politico  e  sociale.*  Brevemente: nei  tempi  moderni  veggiamo  accadere  nel  nostro  pen- siero quello  stesso  che  venne  verificandosi  nell'  età  del Risorgimento.  Co' nostri  vecchi  filosofi  noi  avevamo  arditamente sorpassato  la  Riforma,  nel  modo  stesso  che  con le  nostre  scuole  politiche  (sempre  nell'  ordine  dell'idee) *  Nella  Sociologia  mostreremo  che  co*principii  del  suo  Diritto  C7ni-1 vende  il  nostro  filosofo  Compie  la  dottrina  della  Socialità  di  Orozio, corregge  i  prìncipii  e  quindi  le  consegoonze  der  Naturalimno  speculativo  e wteta/meo  di  Spinoza,  inrera  il  Natwali«mo  empirico  di  Hobbes,  contraddice al  TeoeraiÌ9wu>  della  scuola  di  Bossuet,  alio  Scetticismo  giuridico  di  Bayle, di  Pascal  e  di  Montaigne,  e  previene  le  idee  principali  di  Montesquieaj e  di  Rousseau  legittimandole  nel  suo  concetto  istorico. avevamo  già  sorpassato  le  tendenze  nonché  i  bisogni politici  di  quell'età.* Col  primo  schiudersi  del  nuovo  secolo,  adunque,  non può  non  ischiudersi  un  periodo  novello  di  studi  assai più  severi  circa  le  dottrine  del  Vico  ;  talché  V  abisso fra' due  secoli  poco  fa  accennato  per  noi  non  esiste,  e in  ogni  modo  la  Scienza  Nuova  avrebbe  trionfato  nel- r  animo  nostro  come  nelle  nostre  menti:  avrebbe  trion- fato nella  nostra  storia  civile  come  nel  nostro  pensiero filosofico,  quand'  anche  il  gran  fatto  della  Eivoluzione non  ci  avesse  scosso.  Ci  saremmo  arrivati  da  per  noi  J forse  più  lenti,  ma  certo  più  securi.  D  segnale  dunque de' nuovi  studi  s'inaugura  cqu  coscienza  più  chiara  sul valore  delle  dottrine  vicinane,  e  tal  segnale  ci  è  dato  innanzi tutto  da  im  poeta  assai  splendido  nella  forma  quale fu  Vincenzo  Monti,  e  da  un  poeta  assai  potente  e  insieme potentissimo  prosatore  quale  si  fu  Ugo  Foscolo.  Nel  1803 in  una  delle  nostre  più  illustri  Università,  il  Monti pronunziava  quella  beUissima  sentenza  che  poi  tutti  hsìn ripetuto  e  ripetono  parlando  del  Vico:  La  Scienza Nuova  è  come  la  montagna  di  Golfonday  irta  di  scogli e  gravida  di  diamanti.  E  quindi  soggiungeva:  Chi amasse  di  chiamare  a  rivista  le  idee  generatrici  e  pro- fonde delle  quali  si  è  fatto  saccheggio  nel  Fico,  tesse- rebbe lungo  catalogo,  e  nuderebbe  a  moUe  riputa^zioni.* Ma  il  Monti  sente  la  verità  e  grandezza  delle  idee vichiane  com'  un  poeta.  Il  Foscolo    un  nuovo  passo e  va  molto  più  innanzi  allora  che  nel  1805,  nel  celebrato discorso  d'apertura  all'insegnamento  letterario  nella stessa  Università  Pavese,  piglia  a  trattare  con  l' usata  maschiezza  d'ingegno  il  vasto  soggetto  dell' origine  e dell'  ufficio  della  letteratura;  nel  quale  prova  insieme quant'  avesse  studiato  le  opere  del  nostro  filosofo,  e come  sotto  novelle  forme  si  possa  applicarne  le  dot- *  Ferbari,  Cforto  augii  aeriUori  Politiei  italiani^  pag.  846. *  V.   Monti,  Proluaùme  agli  atudi  delV  Univeraità   di  Pavia,  MUa- no,  1804.  Pag.  58  e  59. trine  anche  nei  temi  letterari.  Ugo  Foscolo  avea  colto il  valore  d'alcune  sentenze  psicologiche  sparse  nei  lihri del  filosofo  napoletano  ;  e  da  queste  appunto  ei  seppe trarre  il  concetto  posto  come  principio  fondamentale del  suo  ragionamento.  Egli,  infatti,  ricorre  ai  bisogni dell'uomo  nel  rintracciar  Torigine  delle  lettere;  e  quindi reputa  necessario  investigarne  la  natura  psicologica studiando  le  facoltà  stesse  dell'  uomo.'  Che  poi  avesse meditato  e  inteso  le  altre  dottrine  del  filosofo,  lo  mostra il  modo,  per  dire  un  esempio,  con  che  egli  discorre  \ ea  l'origine  e  su  la  natura  della  parola;  la  quale,  tra- ducendo quasi  lo  stesso  linguaggio  del  Vico,  dice  essere ingenita  in  noi  e  contemporanea  dia  formazione  dei sensi  estemi  e  delle  potente  mentali.  Seguace  del  nostro filosofo  anche  si  palesa  quand'  accenna  fuggevolmente a  certe  idee  (per  esempio  a  quelle  del  diritto  e  del dovere)  le  quali,  manifestandosi  dapprima  idoleggiate con  simboli  ed  immagini,  si  snodano  poscia  e  parlan quasi  da    stesse  nella  nuda  verità  di  ragione.  Seguace altresì  quando  tocca  delle  origini  del  consorzio  sociale e  dell'imperio  civile:  del  che  poi  egli  stesso  ci  assi- cura dove,  accennando  a' poeti  filosofi,  dice  che  delie verità  sui  principii  di  tutte  le  nazioni  vedute  dal  VicOy egli  s' è  studiato  dimostrare  e  applicare  le  conseguenze alla  storia  dei  nostri  tempi}  Dottrine  del  Vico,  finalmen- te, applica  nel  discorso  su  le  De^cazioni  nella  Chioma  ' di  Berenice,  secondo  che  confessa  da    medesimo. Ma  alla  Scienza  Nuova  volge  tosto  gli  occhi  con  ben altro  acume  di  critica  il  napoletano  Cataldo  lannelli; la  qual  critica,  come  vedremo,  esagerandosi  nel  Roma- gnosi,  finisce  per  esser  perdutamente  scettica  nel  Fer- rari. Di  tutte  le  opere  o  studi  fatti  su  la  Scienza  Nuova quella che  più  d'ogn' altra  merita  d'esser  letta  e  me-  ! ditata  è  appunto  l' opera  del  modesto  impiegato  della •  Vedi  Ditearto  delV  origine  e  deW  ufficio  detta  LettercUura^  nel  vo- lume deUe  Lesioni   Queste  osservazioni  hann'  anch'  elle  un  aspetto  di verità  ;  ma  se  il  Romagnosi  avesse  meditato  la  Sdevusa Nuova  con  più  amore  e  men  disprezzo  e  meno  boria  a  lui, del  resto,  tanto  naturale,  avrebbe  visto  che  il  Vico  altro non  intese  dire,  come  vedremo,  se  non  quello  precisa- mente eh'  egli  stesso  ha  detto  qui  assai  male  e  senz'  al- cun  metodo  filosofico.  E  perchè  poi  reputa  impossibile  la similarità  de' circoli  storici?  Perchè  intese  anch' egli, in  modo  volgare,  come  parecchi  altri,  il  valore  di  cosi fatta  legge.  Ei  non  poteva  persuadersi  come  nella  sto- ria ci  sia  ritorni  e  ripetizione  di  forma  (meccanismo); ma  non  s'avvide  che  se  pel  Vico  nella  storia  ci  è  ri- petizioni, cotesto  ripetizioni  non  sono  possibili  senza veraci  innovazioni  (dinamismo). Io  non  so  capacitarmi  come  l' ingegno  potentissimo del  Romagnosi  non  penetrasse  nell'  intimo  della  Scienza Nuova.  Non  so  capacitarmi  com'ei  facesse  una  critica Certo  U  Romafirnosi  non  TÌde  che  se  il  Vico  prevenne  Roasseau  e tutti  qnei  giasnataralisti  del  secolo  XVIII  i  quali    volentieri  ciarlavano sa  lo  ttato  di  natura,  li  prevenne  correggendoli,  cioè  legittimando  ra- zionalmente cotesto  stato  natarale,  col  porre  in  opera  ben  altri  prin- eipii  di  psicologia  e  di  storia  cho  non  eran  quelli  de' saddetti  filosofi. debole  e  scucita  cosi  che  gira  sempre  attorno  senza mai  coglier  la  sostanza  delle  dottrine  del  Vico.  U  che senza  dubbio  terrà  alla  forma  della  sua  filosofia,  della quale  il  Rosmini  pose  in  evidenza  i  molti  e  sostanziali  i difetti,  e,  nonostante  le  calde  e  lunghe  difese  del  Nova, i  giudizi  del  Roveretano  restano  pur  oggi  intatti  e  verL Il  Romagnosi,  in  ima  parola,  non  poteva  pregiar  la Scienza  Nuovii,  perchè  le  sue  dottrine  putiscon  di  meccanismo. Artificiale  e  meccanica  è  in  lui  la  dottrina  sul governo  dello  stato,  ch'ei  paragona  al  cervello  dell'ani- male. Artificiale  e  meccanica  la  dottrina  dei  Tesmo- fori  in  politica  e  in  religione  ;  le  quali  per  lui  sono bensì  strumenti  benefici  al  popolo,  ma  nelle  mani  dello stato.  E  dottrina  presso  che  meccanica  quella  de'  suoi Fattori  dell'  incivilimento.  *  Perfino  la  terminologia eh'  egli  adopera  ne  palesa  l' indole  della  mente  e  delle idee:  storia  naturale  dei  popoli,  fisiologia  degli  stati, funzioni  meccaniche  e  dinamiche  della  società,  dina- mica e  meccanica  morale,  e  simiU.  * Come  passaggio  della  critica  empirica  e  negativa del  Romagnosi  alla  critica  scettica  del  Ferrari,  si  pre- senta la  traduzione  e  l' anaUsi  che  della  Sdenjsa  Nuova die  alla  Francia  6  alla  eulta  Europa  l' illustre  Miche- let. Agli  occhi  degl'Italiani  questo  scrittore  ha  due grandi  meriti:  d' aver  fatto  conoscere  il  nostro  filosofo isin  dal  1827  fuori  d'Italia,  e,  che  più  monta,  d'averlo fatto  capire  nella  sua  verità  mercè  quell'  arte  facile, disinvolta  e  con  quel  fare  schietto  e  rapido  con  cui,  tra- ducendola, seppe  imprimere  alla  Scienga  Nuova  forma netta  e  fedele.  Se  non  che,  per  quanto  il  Michelet  non sia  crìtico  interprete  (né  egli  vi  pretende)  ma  critico espositore,  non  pertanto  i  suoi  giudizi  son  tutti  co- *  Si  yegga  la  definizione  che  ne    nello  Leggi  dtlV ineivUimento,  §  43. *  Il  Ferrari  ha  rilevato  con  molta  esattezza  la  differenza  tra  Vico e  Bomagnosi  nel  lihro  La  menu  di  Romagnoti.  E  noE  a  torto  poi  il chiarissimo  professor  Ferri  pone  il  Romagnosi  come  primo  ponHvi^ta In  Italia.    Ved.  RÌ9t.  de  la  PhU.  lud.,  Tom.  1«%  Paris  1869. scienziosi  e  pressoché  tutti  pieni  di  verità.  Eccone  un saggio.  Ci  ha  due  Scienze  Nuove,  egli  dice;  ma  se  le Scienze  Nuove  son  due,  la  prima  d' esse  è  insieme  I r  ultima  parola  dell' autore  ;  ultima  quant' alla  sostanza delle  idee.  Un'altra  osservazione  è  questa:  carattere e  intento  supremo  di  codesta  Scienza  Nuova  è  quello d'essere  una  filosofia,  e  nel  medesimo  tempo  una  storia dell'umanità.  E  un'altra  riflessione  che  merita  sia ricordata,  è  la  seguente:  il  concetto  d'una  perfezione stazionaria  accennata  dal  Vico  nella  Scienza  Nuova  e riprodottasi  poscia  in  tanti  libri,  non  riappare  altrimenti nella  seconda  Scienza  Nuova.  Mi  giova  notare  con  ispe- dalità  quest'  ultimo  pensiero  del  Michelet,  per  correg- ger la  sentenza  di  tutti  quegl'  interpreti  i  quali  per d  lungo  tempo  ci  han  detto  e  ridetto  che  dei  corsi  e ricorsi  entro  cui  il  Vico  chiuse  V  umanità  (per  dir  la parola  consacrata),  ei  non  abbia  parlato  fuorché  nella seconda  Scienza  Nuova.  Non  ne  ha  parlato  mai,  in  nes- sun libro,  in  veruna  pagina  de'  suoi  libri  I  La  staziona- rietà (sia  detto  unU  buona  volta  per  tutte)  non  è  con- cetto vichiano.  Io  noi  trovo  esplicito,    implicito  in lui  ;  e  non  iscaturisce  in  verun  modo  dall'  insieme  delle sue  dottrine.  Il  concetto  del  corso  e  ricorso  storico, adunque,  alla  maniera  volgare  ch'é  inteso  da' più,  è concetto  che  assolutamente  ripugna  al  pensiero  e  alle scritture  del  nostro  filosofo. Ma  non  tutti  i  giudizi  del  Michelet  ci  paiono  ugualmente giusti.  Ei  non  giugno  a  spiegar  convenevol- mente, per  esempio,  il  concetto  storico  del  nostro  filo- 1 sofo  su  la  forma  del  governo  monarchico;  tanto  meno que'due  principii  accennati  piii  d'una  volta  nella  iScien^^a Nuova  e  nel  DvrìUo  Universale  su  la  necessità  in  che può  ritrovarsi  un  popolo  di  consentire  a  lasciarsi  gover- nare ov'  ei  non  sappia  governarsi,  e  su  l' affidar  l' im- pero del  mondo  alla  solerte  prudenza  dei  migUorì.  Il  Michelet seppe  delle  opere  del  Duni,  ma  forse  non  potè leggerle:  così  parrebbe  almeno  dal  modo  con  che  lo SrnuAiii.  ff cita  fiiggevolmente  solo  una  volta.  Se  quindi  avesse  cono- l  scinto  il  Duni,  avrebbe  dato  al  Jus  Gentium  del  Vico  il suo  proprio  valore.  E  s'inganna  poi  quand' aflFerma,  che il  Libro  Metafisico  sia  la  sola  scrittura,  le  cui  dottrine non  fossero  state  trasportate  nella  Scienza  Nuova,  del che  lo  riprende  giustamente  il  Predari.  Ma  il  Miche- let ci  compensa  di  cotesti  erronei  giudizi  laddove  con acume  non  ordinario  confessa  di  riconoscere  nel  Vico  U metafisico  sottile  ,e  profondo.  E  poi  ci    prova  sicura d'animo  spassionato  e  libero  da  ogni  boria  nazionale, quando,  egli  francese,  francamente  dichiara  essere  il Vico  r  antagonista  per  eccdlenaa  del  CartesianismOy l'avversario  più  illuminato  e  più  eloquente  dello  spirito del  secolo  XVIII.'  Anche  quest'osservazione  è d'ogni  parte  vera  e  luminosa;  perocché  se  carattere  di quel  secolo,  come  giustamente  si  crede,  fu  la  negazione assoluta,  la  negazione  in  tutto  e  di  tutti,  distintivo,  al contrario,  delle  dottrine  del  Vico  si  fu  quello  di  tutto restaurare,  e  tutto  affermare  mercè  l'opera  del  me- todo isterico.*  E  poiché  siamo  a  parlare  de'  Francesi,  occorre  far menzione  degli  altri  che  in  quel  paese,  nell'epoca  di che  trattiamo,  non  reputarono  tempo  perso  volger  la mente  al  nostro  filosofo.  E  primo  fira  tutti  il  Lerminier, *  Vedi  Prtncipet  de  la  PhU.  de  VHiat,  traduite  de  la  Scietua  Nuova de  J.  B.  Vieoy  BruxeUes  1839,  pag.  lxxi.  — La  prima  Ediz.  è  del  1827. *  La  ridazione  fatta  dal  Michelet  détte  occasioce  iu  Italia  ad  una critica  del  Kicci    pubblicata  nolV  Antologia  del  Vieusseax  (Anno  1838»  1 N.  88,  e  92).  Il  Ricci  mostra  come  lo  storico  francese  altro  non  desse alla  Francia  che  ì  frantumi  della  Scienza  Nuova,  e  per  cinque  diversi capi  ne  rileva  la  incompiutezza.  Oltre  a  questo  pregio,  negli  articoli  del Btcci  re  n'  è  un  altro  ;  Taver  posto  in  chiaro,  meglio  forse  che  non  facess^i il  Dani,  il  significato  della  parola  Autorità^  che  ne*  libri  del  nostro  filo- sofo non  è  di  lieve  momento,  e  mostra  che  talora  egli  assume  questa parola  nel  senso  del  Gius   Komano  come  sorgiva  de*  diritti  pubblici  e privati;  talora  com*effotto  del  consenso  d*  una nazione  in  un  dato  prin- cipio; tal*  altra  come  potestà,  come  potere  ch*ò  negazione  di  ragione  e di  coscienza  speculativa.  Notiamo  altresì  come  il  Ricci  è  quegli,  fra*  cri- tici, che  più  insiste  su  l*  ufficio  del  Seneualiemo  nelle  idee  storiche  delj Vico.  Ved.  Art.  I,  pag.  85. come  quegli  che  nelle  due  principali  sue  scritture  ne discorre  sempre  con  entusiasmo,  con  amore  e  grande  ve- nerazione. Ben  s' appone  a  designar  la  Sciema  Nuova come  il  monumento  sublime  e  hieearro^  in  cui  è  viva  la impronta  delle  fofrme  e  dei  colori  dd  medio  evo,  e  che gittato  in  meeeo  ed  secolo  XVIIlj  fa  del  Vico  centro dette  antiche  tradizioni,  e  insieme  precursore  déUa  Scienza Nuova:  *  talché  non  a  torto  fino  dal  1829  lo  considerò come  il  vero  predecessore  de'  Wolf,  de'  Niebuhr,  e  degli Hegeliani.  Se  non  che  non  sempre  questo  dotto  e  simpa- tico scrittore    nel  vero,  come  quando  lo  dichiara  padre dell' JEfcfewswto  moderno,^  o  come  laddove  osserva  che nella  storia  del  mondo  egli  trasportasse  quella  di  Roma. Lerminier  non  vide  che  di  questa  seconda  istoria  ei  gio- V06SÌ  a  meglio  intender  la  natura  della  prima,  alle  storie tutte  e  perfino  alla  storia  universale  trasferendo  gli  ele- menti essenziali,  originari,  universali  costituenti  la  na- tura umana.  Assai  meglio  avrebbe  detto  d'aver  egli  tras- ferito la  psicologia  nella  storia,  anzi  che  la  storia  di questo  0  quel  popolo  alla  storia  di  altri,  ovvero  a  quella di  tutt'i  popoli  in  universale.  Né,  d'altra  parte,  il  Vico intese  applicare  una  legge  alla  storia  in  generale;  er- rore, come  vedremo,  dei  Teologisti  e  degli  Hegeliani: intese  bensì  applicarla  ai  popoli  considerati  nelle  indi- viduali lor  tradizioni  e  civiltà.  Tanto  meno  poi  é  lecito creder  eh'  egli  ponesse  identità  fra'  tempi  eroici  primi- tivi e'  '1  medio  evo:  bensì  è  vero  eh' e'  vi  discemesse  un moto  perenne  di  ripetizione  essenzialmente  progressiva. Altrove  il  Lerminier,  parlando  del  Machiavelli,  os- serva come  r  autore*  della  Scienza  Nuova  correggesse lo  spirito  storico  del  Segretario  fiorentino,  mercé  una pciitica  ideale  e  platonica.  '  Questa  sentenza  in  parte è  vera;  e  dico  in  parte,  poiché  si  può  chiedere  se co'  suoi  principii  applicabili  alla  politica,  il  Vico  abbia •  Vedi  Introd.  gin.  à  VHitioire  du  Droit,  cap.  Xm. *0p.  cit.  pag.  167. •  Vedi  JKrt.  de  la  Phtl,  du  Droit,  Tom.  U,  pag.  102. corretto,  o  non  piuttosto  compiuto  ciò  che  nel  Machia- velli è  solamente  arte  politica.  Tutt'  insieme  dunque  può dirsi,  che  se  la  critica  del  Lerminier  non  è  molto  acuta né  molto  sicura  in  alcuni  giudizi,  ella  riesce  nondimeno a  cogliere  con  lucidezza  tutta  francese  la  natura  e  '1 fine  della  mente  e  deUe  opere  del  nostro  filosofo.'  Su'  giudizi  del  Lerminier  riguardanti  le  idee  giurìdiche e  politiche  del  Vico  torneremo  in  altra  occasio- ne. Qui  giova  notare  come  in  Francia,  quasi  nel  mede- simo tempo  in  che  gli  scrittori  di  cui  abbiamo  accennato facevan  conoscere  il  nostro  filosofo,  altri  presero  a  par- lame  come  il  Gousin,  Teodoro  Jouffroy,  il  Ballanche. Tutti  ripeton  le  usate  lodi,  e  qualche  giudizio  del  Gou- sin, al  solito,  a  volerlo  sottilmente  esaminare,  non  riesce molto  esatto.  Quando  vuol fard  credere,  per  esempio, che  il  Vico,  benché  combattesse  Gartesio  ne  seguiva nuUameno  la  filosofia  generale^*  ognuno  capisce  com'ei  si studi  attaccare  al  gran  carro  del  cartesianismo  perfino il  Vico;  quasi  che,  anco  a  detta  del  francese  Miche- let, non  ne  fosse  stato  anzi  V  avversario  piii  terribile. E  va  lungi  dal  vero  quand'  osserva,  che  tutto  ciò  che è  nel  Bossuet  e  nel  Vico  trovasi  in  Herder;  '  quasi  che si  possa  ignorare  che  Fautore  della  Metacritìca  contro il  Kant  non  fosse  altro  che  un  buon  sensista,  il  quale '  perciò  non  dubitava  credere  che  dall'  organismo  pul- lulasse ogni  nostro  pensiero  e  facoltà:^  nella  quale sentenza  ci  conferma  il  suo  traduttore  francese  il  Qui- net.  U  Gousin  poi  dice  il  vero  laddove  pone  l'Herder '  come  compimento  del  Vico  quant'  al  concetto  della  na- tura e  della  efficacia  che  la  natura  dispiega  sulla  storia. Ma  avrebbe  dovuto  avvertire  che  s'egli  è  compimento  *  Eccone,  per  esempio,  una  prora  nella  seguente  arguta  osserraxione:   w/tico  più  che  scettico,  con  la  sua  critica  egli  comin- cia a  riprender  V  andamento   pacato  e  sereno   dello .  lannelli.  Il  Cattaneo  è  come  Y  anello  fra  il  Ferrari  e 'il  Tommaseo.   Noi   non  possiamo,  egli  dice,  studiare con  profitto  lo  spirito  umano  in  sé,  nella  sua  essen- za, bensì  nelle  sue  elaborazioni  storiche,  e  nelle  situa- zioni più  numerose  e  diverse  che  si  possa.  Però  biso- gna studiare  il  poliedro  ideologico  nel  fluissimo  numero di  sue  faccey  e  da  questo  terreno  tutto  storico  e  speri- metitàle  dovrà  sorgere  la  vera  cognizione  dell'uomo;  la quale  indarno  si  cerca  nei  nascondigli  della  coscienza. Lo  studio  dell'  individuo  nella  società,  V  ideologia  sodale: ecco  una  sentenza  piena  di  verità  per  cui  il  Cat- taneo si  chiarisce  assennato  seguace  del  Vico.  E  che egli  abbia  inteso  il  pensiero  del  filosofo  napoletano  lo pruova  l'altra  osservazione  su  le  successive  trasforma- zioni storiche  del  diritto,  per  cui  nella  Scienza  Nuova a  troviamo  fusa  la  dottrina  d^l'  interessi  come  cam- peggia nel  Machiavello  con  la  dottrina  della  ragione i  esposta  da  Grozio,    togliendo  eoa  la  contraddizione che   divideva  la  storia  dalla  filosofia.'  »  Che  se  anche il  Cattaneo  s'  addolora  al  pensiero  dei  Circoli  fatali^ che  il  Vico  ebbe  in  comune,  secondo  lui,  col  Machia- mipremi  principii  d'umanità,  PuDOR  e  Libbrtas,  che  sono  il  cardine  della  ' Scienza  Nuova,  e  per  cui  anch*  il  servo,  anch*  il  bimane  un  bel  giorno diventa  uomo,  personalità  ?  é'*  Cade  col  Machiavelli  nd  »iHema  delU  dué fati,  V  ima  harharay  V  altra  eivtU,  No,  introduce  nn  nuovo  sistems  nelle due  differenti  fasi,  Tuna  tpantanea  e  raltrart^faMo;  e  questo  non  è  circolo fatale,  identico,  ma  progressivo.  Dice  poi  che  il  Vico  eroit  que  la vdonU  peut  eorrompre  Vceuvre  de  la  roMon  (pag.  105).  Qui  evidente- mente il  Ferrari  non  ha  saputo,    poteva  col  suo  scetticismo,  intender* e  comporre  in  organismo  i  principii  psicologici  del  suo  maestro. *  Firbàri,  Vieo  et  VltaUe.  Paris  1889. *  CiTTRinBO,  nel  Politeonieo.  Voi.  II,  257. *  Vedi  Periodico  oit  pag.  264. velli  e  col  Campanella,  una  consonanza  mirabile  però  sa trovare  fra  i  più  recenti  sistemi  umanitari  e  quello  del Vico,  agli  occhi  del  quale  la  Provvidenza,  con  V  occa- sione degV  interessi  delle  inique  passioni,  trae  la  giustizia effettuandola  gradatamente  nel  mondo  delle  nazioni. Laonde  osserva  come  prima  di  Fichte,  segnatamente prima  di  Schelling,  a  lui  fosse  dato  riguardar  la  ragione  ' qual  facoltà  che  occasionalmente  si  sveglia  nell'uman genere.' •CONTINUA  IL  PERIODO  DE' CRITICI  E  DEGLI  ERUDITI. Co'  suoi  Studi  Critici  V  illustre  Tommaseo  segna  il passaggio  al  terzo  periodo,  e  quindi  ad  una  terza  classe di  scrittori  che  si  sono  occupati  del  Vico.  Critico  e  filosofo, infatti,  egli  stabilisce  V  anello  fra  i  puri  critici  e  gì'  in- terpreti filosofi  negli  studi  riguardanti  il  nostro  autore: Imitazione  e  riproduzione,  come  negli  scrittori  del  primo periodo,  non  era  possibile  nell'ingegno  versatile,  dut- tile, acuto  ed  elegante  del  Tommaseo;  e  tanto  meno possibile  in  lui  una  critica  scettica  alla  maniera  del Ferrari.  Piena  la  mente  e  l'anima  di  fede  e  di  pro- fondo sentire,  questo  scrittore  è  anche  filosofo,  e  vi pretende.  Egli  ha  scritto  libri  di  filosofia;  ha  inter- pretato, e  non  di  rado  con  sottigliezza  scolastica  ha difeso  il  princìpio  speculativo  del  Rosmini,  e  propu- gnatolo con  ardore  giovanile.  Nessuno  dunque  può  ne- gare a  quest'ingegno  artistico  e  severo  buona  dose di  virtù  speculativa.  Sarà  filosofo  scologizzante,  sarà filosofo  più  che  rosminiano,  ma  è  filosofo,  oltre  che critico  de'  più  sottili:  è  filosofo  e  critico,  e,  senza  con- Nel  PoUteenico  cit.,  pag.  276. trasto,  quant'  a  proprietà  di  linguaggio  occupa  oggi  1 primo  seggio  fra  i  viventi  scrittori  del  nostro  paese. Nessuno  meglio  di  lui  poteva  farsi  a  rilevar  le  bellezze nella  parte  letteraria  ed  estetica  delle  idee  del  no- stro filosofo.  E,  facile  a  spigolare  ne'  campi  altrui,  anche in  questo  egli  è  andato  scegliendo  fior  da  fiore,  e ne  presenta  cotal  mazzo  che  lascia  scorgere  l'arte  di  chi n'  ha  fatto  la  scelta.  Chi,  prima  di  lui,  avea  saputo  ritrar r  indole,  per  esempio,  di  certe  composizioni  poetiche  del Vico,  additar  la  possente  originalità  nello  stile,  la  sel- vaggia lobustezza  della  parola,  la  forma  singolare  del- l' ingegno,  e  segnatamente  l' animo  e  tutto  il  carattere morale  dell'uomo?  Una  delle  più  notevoli  pagine  della prosa  italiana,  egli  osserva,  è  la  nobile  immagine  di donna  egregia  lodata  dal  Vico  :  ed  è  verissimo  ;  e  vere  ed argute  non  meno  ci  paion  quelle  considerazioni  su  la storia  del  Caraffa,  nella  quale  spesso  questi  è  dipinto non  qncd  era  ma  guai  doveva  essere,  per  meritare  le  lodi del  Vico.  La  dignità  del  lodatore  si  vendica  per  tal  modo della  indegnità  del  lodato j  e  la  lode  diventa  condaivna.^ Ma  il  Tommaseo,  ho  detto,  è  anche  ingegno  speculativo, e  spesso  è  felice  nell'intravedere  il  vero  di  certe  idee filosofiche  del  Vico.  Ecco  un'acuta  riflessione:  Fólibio  e gli  antichi  deducono  osscì-va^ioni  generali  da*  fottio  U  Mct- chiavelli  trae  consiglif  il  Vico  determina  leggi.  Ma  le  SUE LEGGI  NON  PANNO  FORZA  ALLA  PRATICA,    anzi  egli dice  cìie  l'uomo  dee  nelle  teorie  r attenersi  come  cavallo aìiimosoy  per  poi  nelle  pratiche  cose  correr  di  maggior lena}  Altra  bella  osservazione  è  quando  nota  come  da Platone  egli  traesse  non  l'idea,    la  ispirazione  della sua  storia  ideale.  Il  che  mi  piace  avvertire  col  Tommaseo contro  chi  pretende  rimontare  sino  al  filosofo  ateniese a  ripescarvi  un  antecedente  alla  Scienza  Nuova!  Veris- simo altresì  che  le  due  Scienze  Nuove  paiono  entrambe due  grandi  edifici  secondo  la  medesima  idea  architettati  : *  Tommaseo,  Studi  Critici.  Venezia,  1843  Voi.  I,  pag.  89. 6  questo  avverta  chi  ha  creduto  vedere  nella  seconda di  esse  non  so  che  stravaganze,  follie  o  puerilità.  Con salde  ragioni  poi  contro  parecchi  critici  del  Vico  egli dimostra  come  nelle  opere  di  lui  si  manifesti  potente, vera,  chiara  l'idea  del  progresso;  perchè  se  aUe  cose umane  vide  un  corso  e  ricorso  in  orbita  fissa,  non  disse che  V  orbita  non  si  potesse  più  e  più  sempre  cól  volger de' tempi  allargare^  E  non  meno  della  critica  che riguarda  per  diretto  il  Vico,  preziose  paionmi  anche quelle  undici  appendici  indirizzate  ad  illuminare  il  testo dove  il  filosofo  napoletano  sorge  principal  figura:  dico le  appendici  sopra  lo  Stellini,  il  Grozio,  il  Romagnosi,  il Foscolo,  sul  gius  sacro  e  sul  gius  Romano,  su  le  origini sociali,  su  gli  Sciti,  Illirici,  Slavi,  sul  Niebuhr  ed  altri. Il  Tommaseo  vuol  esser  rammentato  ed  encomiato eziandio  per  un  altro  lavoro  speciale  sul  Diritto  Univer- 1 sale,^  È  un  esame  critico,  al  solito,  assai  condensato e  sparso  di  riflessioni  ingegnose,  d'opportuni  e  fedeli riscontri  e  di  felici  divinazioni  nel  penetrare  le  idee  del filosofo.  Ma  è  pur  d'uopo  confessare  che  se  come  cri- tico nessuno  può  entrargli  innanzi  per  sobrietà  e  giu- stezza di  giudizi,  come  filosofo  non  tutti  sapranno  accet- tarne ogni  sentenza.  Molte  interpretazioni  e  parecchie confutazioni  eh'  ei  move  al  Vico  noi  non  potremmo  acco- gUere:  quella  per  esempio  dove,  accennando  alla  luce metafisica  del  nostro  filosofo,  si  studia  vederci  non  pili che  Tessere  ideale  del  Rosmini,'  e  T  altra  onde  presume che  dal  concetto  della  Trinità  egli  traesse  l' ordinamento delle  facoltà  umane,  e  nel  medesimo  concetto  scorgesse radicarsi  la  metafisica,  la  morale  e  fin  la  giurispruden- •  Op.  cit.,  pag.  125.  fe  anche  del  Tommaseo  quesV  altra  bellissima osseryazionc  :  Dalle  proprie  averUure  il  Vico  dedusse  H  mondo  invecchiato  : ma  ^gìi  medesimo  ci  vieta  di   crederlOf  egli  che  pronunziò:  mundus  enim jaTenescit  adhuc;  interpretazione  luminosa  deUa  sua /rantesa  dottrina  delh* legje  de  ricorsi,  e  risposta  sufficiente  a    lo  accusa  di  negare  al  genere umano  ogni  forza  (T  avatuamenfo.    Dizionario  Estetico»  Voi.  I,  pag.  398. •  ^kudi  Filosofici,  Voi.  II.  Venezia  mdoooxl,  pag.  118  o  segg. l«  Stwli  OrUici,  Voi.  I,  pag.  30. za.*  Sbaglio  grave,  dice,  Taver  negato  la  trasmigrazione I  delle  civiltà  da  popolo  in  popolo  innalzandovi  mura di  bronzo.*  Errore  gravissimo  poi  da  restame  scandalizzati, più  che  uno,  mille  Tommasèi,  gli  par  la  sen- tenza, che  dopo  il  diluvio  gli  uomini  si  disumanas- sero 1  *  E  qui  r  illustre  critico  si  fa  forte  delle  censure ^  del  Lami,  del  Romano  e  del  Finetti  e  di  tutti  gli  opposi- tori del  primo  periodo,  co' quali  dopo  un  secolo  e  mezzo par  ch'ei  si  trovi  in  pieno  accordo.  Il  Tommaseo  non  po- teva penetrare  nelle  dottrine  speculative  del  Vico,  e  da quéste  trarre,  più  che  dai  due  o  tre  passi  d'autori  lettini o  dagli  urli  dell'uomo  bestiale  assordante  l'aria  e  le selve,  nuove  dottrine  e  vere  su  le  origini  dell'  umanità, non  discordanti  oggi  co' risultati  delle  scienze  naturali. Come  si  vede,  con  una  critica  sempre  acuta  nelle sue  osservazioni  tuttoché  non  sempre  vera  ne' suoi  giu- dizi, il  Tommaseo  è  stato  il  primo  fra  noi  ad  espri- merci '1  bisogno  d' interpretare  in  maniera  filosofica  le dottrine  del  nostro  filosofo  ;  ma  non  vi  giugne,    il poteva,  perchè  non  gliel  permettevan    le  esigenze della  fede  tanto  salda  e  vigorosa  nell'  animo  suo,    la filosofia  schiettamente  Kosminiana  nella  quale  è  uso  at- tingere i  principii  filosofici  e  i  criteri  metodici.  Usciamo ora  un'altra  volta  dal  nostro  paese,  e  vediamo  se  nel giro  degli  anni  di  che  parUamo  gli  studi,  i  giudizi  e  la stima  circa  il  nostro  filosofo  sian  venuti  sempreppiù progredendo  anche  presso  altra  letteratura  come  presso di  noi. L'illustre  Renouvier  avrebbe  stimato  manchevole la  sua  storia  della  filosofia  moderna  ove  anch'  egli  non avesse  accennato  all'autore  della  Scienza  Nuova.  11 Vico,  egli  dice  ripetendo  un'aflFermazionedel  Michelet, •  ToMMAsio,  Studi  Filotojiciy  Voi.  cit.,  pag,  129. •  Studi  Gritici,  Voi.  cit.  pag.  78. •  Due  o  tre  pa$9Ì  d*  autori  latini  e  H  troppo  reU^oto  rispetto  di  tutu torta  tradizioni  in  tali  togni  tmarrirono  tale  ingegno.    Vedi  Op.  cit. Voi.  cit.  pag.  8S. del  CDUsin,  del  Lerminier,  dello  JoufiFroy  e  d'altri  fran- cesi, ha  fatto  alla  scienza  una  rivelazione  nuova  creando la  filosofia  della  storia;  talché  dopo  la  morte  de' due martki  suoi  compatrioti  Bruno  e  Campanella,  ei  ci  si presenta  davvero  qual  rivelatore  d'un  mondo  nuovo.* Un'  altra  osservazione,  di  cui  è  bene  prender  nota,  è quella  dov'  egli  afferma  che,  quant'  a  Cartesio,  il  Vico ebbe  pieno  diritto  a  biasimarne  l'incompiutezza  del metodo,  egli  che,  considerando  come  scienze  la  poesia, ^  la  storia  e  la  filologia,  potè  gettar -le  basi  d'un metodo  novello  supremamente  sperimentale,  storico  e comprensivo.  Ma  quali  sono  propriamente  i  principii filosofici  del  Vico?  Ha  egli  una  serie  di  principii  meta- fisici? Il  Renouvier  non  risponde  a  questa  domanda,  e  si tiene  contento  nell'  affermare  solamente  eh'  egli  ama/va la  metafisica  di  Descartes. Sarebbe  questo  il  luogo  di  rammentare  il  Bouchez;  * ma,  fra  tutt'  i  francesi,  questi  è  l' unico  scrittore  che del  Nostro  abbia  parlato  in  guisa  assai  meschina,  tanto che  a  veder  come  lo  cita  e  come  n'  espone  le  idee,  farebbe sospettare  di  non  averlo  letto,  o  che  ne  abbia solamente  discorso  per  sentita  dire.«£  noi  non  avremmo tirato  fuori  il  nome  di  questo  debolissimo  filosofo  della storia  e  tenutone  conto,  se  nel  suo  libro  non  si  vedesse confermata  certa  notizia  della  quale  giova  prender  nota. Citando  un  vecchio  periodico  di  Francia,  il  Bouchez  dice come  le  opere  del  Vico  fossero  quivi  note  già  sino  dai primi  lustri  del  secolo  passato.  I  francesi  dunque  molto probabilmente  non  ignoravano  il  primo  libro  del  Diritto  \ Universale  e,  che  più  monta,  neanche  il  secondo  nel  ' quale  è  racchiusa,  com'  è  noto,  la  sostanza  della  Scienza Ifuova.  La  qual  cosa  abbiam  voluto  qui  avvertire  col fine  di  rinfiancare  vie  piii  la  sentenza  d'alcuni  critici su  l'origine  delle  molte  affinità  fra  alcune  idee  del  Vico, *  RBiroinriBB,Jfaraii««Z  de PhUot.  moderne  ;  Paris  et  Uipsig  1 842  pag.  368. '  BouoHBZ,  Inltrod.  è  la  Scietkce  de  VHiet,  ec.  Paris,  1814. e  quelle  di  certi  filosofi  e  storici  francesi  anteriori  alla rivoluzione,  massime  del  Tm^ot  e  del  Condorcet. Nel  tempo  di  cui  parliamo  (1844)  novella  traduzione comparve  in  Francia  per  opera  dell'  autrice  anonima  del Saggio  sulla  formaeUme  dd  damma  eaftólico.  E  anche qui  e'  è  progresso;  perchè  se  la  traduzione  det Michelet, come  si  disse,  è  una  riduzione  non  molto  fedele  e  man- cante di  critica,  la  traduzione  di  che  discorriamo,  oltre d'esser  propriamente  traduzione,  è  poi  fornita  d'un lungo  lavoro  su  le  opere  e  su  le  dottrine  del  Vico,  pre- gevole soprattutto  per  V  analisi  cui  è  sottoposto  il  pen- siero del  nostro  filosofo.*  L' autore  di  questa  prefazione s' accorge  subito  ov'è  il  nodo  delle  dottrine  e  del  metodo vichiano.  Cotesto  nodo,  evidentemente,  è  nella  distin- zione e  insieme  nella  relazione  tra  il  vero  e  il  certo,  tra la  ragioìie  e  Vautoritcu^  E  innanzi  tutto  osserva  come  la parola  autorità  pel  Vico  voglia  dir  volontà,  coscienza, 1  voce  interiore,  sorgente  di  quel  conoscere  ond' all'uomo non  riesce  additar  le  ragioni  scientifiche  e  universali. Brevemente;  la  coscienza  è  autorità  anzi  la  piìi  grave delle  autorità.  La  ragione  poi  è  facoltà  che  giugno  a dimostrar  la  cosa  scientificamente,  e  quindi  produce  il vero.  E  poiché  tutto  ciò  che  1'  uomo  dimostra  è  fatto da  lui  e  però  ha  natura  finita,  ne  segue  che  il  vero debb'  essere  inferiore  al  certo.  V  è  pertanto  differenza  tra il  vero  metafisico  e  '1  vero  matematico:  questo  è  nostra fattura,  e  quindi  è  vero;  quello,  in  vece,  non  ci  appar- tiene come  nostro  effetto,  e  in  conseguenza  riguardo  a noi  è  solamente  un  certo.  Ora  siccome  conoscere  vuol dire  scomporre  ed  astrarre  per  cavarne  gli  elementi; così  di  Dio  non  potremo  aver  nozione  vera,  ma  certa, stantechè  non  ne  sia  dato  scomporre  ciò  eh'  è  essenzialmente uno,    ritrovar  cause  di  ciò  che  è  causa  per  sé. È  necessario  adunque  un  modo  nuovo  di  conoscere  Dio; *  La  lunga  ed  elaborata  prefazione  a  coi  alludiamo  si  vaole  scrìtta da  un  celebre  storico  firancese  (A.  M.)  amico  della  traduttrice. *  La  Seience  NouveUe,  trad.  etc.,  Paris,  1844,  pag.  ltii. e  però  necessaria  una  nuova  facoltà.  Questa  facoltà  è  ap- punto il  volere,  che  si  rivela  col  mezzo  della  coscienza. La  nozione  di  Dio  quindi  è  un  fatto  di  coscienza  e  di  au- torità, perchè  autorità  e  coscienza  tornano  il  medesimo. Ho  voluto  accennar  brevemente  queste  osservazioni non  solo  a  mostrare  che  la  prefazione  di  cui  parliamo non  è  da  annoverarsi  fra  le  solite  ampolle  messe  in  fronte alle  traduzioni  delle  opere  di  grandi  autori,  ma  a  far Tederò  altresì  come  in  essa  racchiudansi  interpretazioni davvero  ingegnose.  Il  traduttore  poi  avverte  la  confusione fatta  dal  Vico  tra  Zenone  lo  stoico  al  quale  è attribuita  la  dottrina  del  punto  metafisico,  e  quel  Ze-I none  à^Elea  che  riguardava  i  corpi  siccome  aggregati d'infinito  numero  d^ atomi  o  di  punti.  Nota  essere  esclu- rivo  del  Vico  quel  concetto  per  cui  si  considera  il  corpo siccome  |?wn^o  metaifisico  esteso.  Osserva  (e  qui  prego  gli altri  critici  H  tener  conto  di  tale  osservazione)  che  il Vico  non  volle    poteva  respinger  l' idea  del  progresso, attesoché  avrebbe  contraddetto  alla  propria  metafisica: le$  cercle4  doni  il  entoure  Vhutnanité  doit  nécessairement marcher  en  avant.^  La  qual  sentenza,  che  cioè  nel  padre della  scienza  storica  rifulga  chiarissima,  chi  sappia  di- scemerla,  l'idea  del  progresso,  è  sostenuta  in  modo splendido  da  un  altro  francese  vivente,  dal  De  Ferron come  appresso  vedremo. Fra  le  idee  originali  del  Vico  il  traduttore  pone anche  questa  :  V  uniformità  originaria  di  civiltà  appo differenti  popoli  più  come  eftetto  della  comune  natura  e dell'  unità  di  fine  che  ne  presiede  allo  svolgimento,  anzi che  come  resultato  di  comunicazioni  dirette  avvenute fira  popoli  diversi.'  Riferisce  al  Vico  la  scoperta  de'  tipi fantastici  di  differenti  classi  d'uomini  contro  chi  non vi  sapeva  scorgere  altro  fiiorchè  personificazione  di  forze naturali.  À  lui  medesimo  riferisce  l' aver  dimostrato  sto- ricamente il  processo  delle  tre  forme  politiche  generali, [ La  Science  Nouvdle,  pag.  OVli. aristocrazia,  democrazia,  monarchia  ;  V  aver  avuto  co- scienza come    T  eloquio    la  civiltà  latina  fossero provenute  di  Grecia;  e,  anziché  divinato  (come  vorreb- bero alcuni  tedeschi),  aver  egli  dimostrato  in  gran  parte i  suoi  principii  storici,    solamente  dato  impulso  alla presente  filosofia  della  storia,  ma  avere  concorso  pro- priamente a  svolgerla,  a  costituirla:  al  qual  proposito notiamo  come  il  traduttore  giustamente  rivendichi  al Vico  il  merito  attribuito  a  Champollion,  d' aver  inter- I  pretato  e  svolto  le  conseguenze  del  celebre  passo  di  San Clemente  Alessandrino.  Fa  vedere  poi  come  in  pili  cose ei  mirasse  più  giusto  e  più  sicuro  dei  suoi  successori quant'  alla  storia  del  Diritto;  per  esempio,  su  la  tanto vitale  distinzione  fra  popolo  e  plebe,  non  veduta  da !  Livio,  e  comprovata  dopo  il  Vico  dal  Beaufort  e  da Niebuhr.  Mostra  quindi  essere  assolutamente  nuovo  il modo  con  che  V  autore  della  Scienza  Nuova  considera e  risolve  la  questione  circa  l'origine  delle  XII  Tavole; nel  che  lodiamo  la  forza  e  la  maniera  ingegnosa  ond' anch'  egli  sa  difenderne  la  verità.  Verissimo,  final- mente, quel  giudizio  su  la  dottrina  risguardante  Omero e  i  poemi  omerici,  accorgendosi  come  il  Vico  non  in- tendesse con  tal  dottrina  negare  un  Omero  personale  che 'impresse  forma  esteriore  ai  suddetti  poemi,  ma  negare bensì,  nel  che  egli  ebbe  ed  ha  ragione,  un  Omero  che fosse  creatore  de'  medesimi,  come  vedremo  a  suo  luogo. Tali  sono  i  pregi  di  quest'assennato  lavoro  critico che  va  innanzi  alla  seconda  traduzione  della  Scienza Nuova.  Ma  non  vi  mancano  difetti  ;  e  ne  cito  qualche esempio.  Come  non  iscorger  l' attinenza  fra  il  vero  e il  certo  del  Vico?  Come  non  veder  che  1'  autorità  altro non  è  che  la  stessa  ragione  considerata  quale  obbietto che  propone    a    medesima,  essendo  due  termini  co- testi che,  come  altrove  diremo,  van  soggetti  anch'essi alla  legge  di  conversione?  Se  questo  avesse  inteso  il traduttore,  non  avrebbe  affermato  che  dell'  assoluto  non si  possa  aver  nozione,  ma  sentimento.  Nella  Ragione  e jìeW Autorità  del  Vico  egli  forse  ha  voluto  scorgere  qual- cosa della  Ragion  pura  e  della  Ragion  pratica  del  Kant,  ' G  certo  non  s' è  intieramente  ingannato.  Ma  non  s' in- canna egli  quando  si  piace  di  scendere  a  conclusioni  cosi immediate  col  Criticismo?  Che  poi  tanto  in  metafisica quanto  in  geometria  il  punto  sìsl principio  d^ estensione; che  però  la  matematica,  sia  come  dire,  copia  materiale atta  a  farci  conoscere  il  tipo  immateriale  eh' è  appunto  la  r»i  avverato  dopo  la  pubUicaiione  di  tale  storia,  aTcndo  questo scrittore  poeto  il  gran  princìpio  per  cui  la  storia  è  aommesea  {dVim- pero  di  leggi  univeraali.  Ma  non  è  questa  per  1*  appunto  la  grande  sco- perta della  Scienza  Nuova  almeno  quant*al  suo  principio?  E  tutte  le leggi  su  la  costanza  de*  fatti  sociali  trovate  dal  Buckle  e  più  dal  Que- tulut,  non  sono  forse  altrettante  applicazioni  sociali  di  quel  princìpio? Ma  prima  di  procedere  innanzi  giova  rispondere  ad mia  difficoltà  non  diffìcile,  a  nascer  nella  mente  di  qualche pedante.  Si  domanderà:  perchè  insieme  co' puri  cri- tici ed  eruditi  in  questo  secondo  periodo  avete  messo  filo- sofi di  gran  nome?  La  risposta  è  facile  e  chiara:  primo, perchè  tale  è  l'ordine  cronologico  di  cotesti  filosofi; secondo,  perchè  costoro  han  parlato  o  accennato  alle dottrine  del  Vico,  adoperando  una  critica  più  presto erudita  e  storica  che  filosofica.  Qui  non  potevamo disporre  e  coordinare  gli  autori  in  ragione  delle  opere scritte  e  per  gli  studi  eh'  essi  han  coltivato  e  per  la forma  del  loro  ingegno,  bensì  pel  valore  della  critica ch'essi  hanno  esercitato  su  le  dottrine  del  nostro  filo- sofo. Nessuno  ha  dato  segno  d'elevarsi  ai  veri  prin- dpii  di  queste  dottrine,  non  perchè  non  sapessero,  ma sia  perchè  alcuni  di  essi  non  ebbero  tal  fine  parlando del  Vico,  sia  perchè  non  han  creduto  ad  una  filosofia  ' di  quest'autore.  Nondimeno  a  contar  dai  primi  fino agli  ultimi  scrittori  appartenenti  a  questo  secondo  pe- riodo, dallo  Jannelli,  per  esempio,  al  secondo  traduttore francese  della  Sdenta  Nuova,  è  evidente  un  progresso mercè  cui  la  critica  sul  nostro  filosofo,  da  erudita  e  sto-  \ rica  e  filologica,  viene  assumendo  gradatamente  valore sempre  più  filosofico;  di  modo  che  T ordine  logico,  in questo  nostro  saggio  di  storia  sulla  Scienza  Nuova, risponde  perfettamente  all'  ordine  cronologico. La  critica  nel  senso  d' interpretazione  filosofica  sarà quind'  innanzi  il  carattere  per  cui  si  distingueranno  gli autori  a' quali  verremo  accennando  nel  seguente  capitolo. periodo  degl'  interpreti  filosofi. Il  terzo  periodo  degli  studi  sul  filosofo  napoletano, se  è  vero  che  ha  da  risolversi  logicamente,  come  s'è detto,  in  una  critica  filosofica,  doveva  esser  dischiuso propriamente  da'  filosofi  come  quelli  i  quali,  più  che  fer- marsi alle  applicazioni,  costumano  anzi  risalire  ai  prin- cipii  e  alle  ragioni  di  esse.  Or  le  ragioni  e  i  principi! (  della  Scienza  Nuova  giacciono  sparsi,  quasi  germi  fe- condi, nelle  opere  latine  del  nostro  filosofo  ;  e  a  queste vediamo  accennare  più  spesso,  e  ad  esse  volgersi  più che  ad  altro  la  mente  degli  scrittori  che  noi  verremo adunando  ed  esaminando  in  questo  terzo  periodo. Primo  di  tutti,  infatti,  al  Libro  Metafisico  ricorre r  illustre  Terenzio  Mamiani  ;  e,  trovatovi  il  criterio  del vero  e  del  fatto  che  è  come  il  nodo  vitale  di  tutte  le teoriche  vichiane,  nel  Binnovamento  dell'  antica  filosofia I  italiana  viene  applicandolo  a  quella  dottrina  ch'ei  disse della  hvtuijsione.  Sennonché,  un  criterio  qual  è  questo di  valore  essenzialmente  universale,  come  vedremo,  un criterio  che  nelle  più  elevate  questioni  di  metafisica assume  qualità  e  forma  di  principio;  nelle  mani  del  filosofo pesarese  invece  piglia  natura  e  proporzioni,  per cosi  dire,  di  norma  psicologica,  o  ideologica  che  sia: né  quindi  ebbe  torto  il  Rosmini  se  in  cosiffatto  innesto operato  dal  Mamiani  vide  annidarsi  difetti  non  pochi, né  lievi  magagne,  confessate  oggi  tacitamente  e  nobil- mente dall'  autore  delle  Confessioni  d*  un  metafisico. Vedremo  a  suo  luogo  se  quando  il  Vico  propose  quel criterio,  non  intendesse    punto    poco  uscir  da'  termini della  Intuizione,  come  allora  pensavasi  '1  Ma- miani.* Il  quale,  ove  oggi  tornasse  a  parlarne,  certo ne  discorrerebbe  in  ben  altri  sensi  e  co' riguardi  di  buon platonico,  più  che  di  filosofo  naturale  seguace  della filosofia  del  comun  senso,  al  modo  che  con    acceso entusiasmo  prese  a  fare  trentacinque  anni  addietro.*  Del •  Vedi  Del  Rinnovamento  della  FU.  antica  Itah,  Parijri.  1884,  pag.  474. *  Difatto  nelle  Con/esnoni  (voi.  I,  pag.  597)  il  ManiiaDi  designa  il filosofo  napoletano  come  il  vero  e  ardito  rinnovatore  della  teorica  delle idee,  ma  non  dice  come,  non  dice  perchè,  e  non  giustifica  in  alcun  luogo ed  in  vernn  modo  tale  affermazione.    Teramente  il  poterà,  stantechè rimanente  il  merito  a  cui  egli  può  e  dee  pretendere panni  questo.  Primo  d'  ogni  altro  ei  richiamò  alla mente  degl'italiani  non  pur  la  dottrina  su  l'anzidetto criterio,  ma  eziandio  alcune  teorie  cosmologiche  sparse nel  libro  De  Antiquissima  Itàlorum  sapientia.  Tale  si  è quella  de'  punti  metafisici  come  generatori  di  solidi,  in quanto  ci  significano  una  forza  unica  che  in  ciascun corpo  meditiamo  sotto  la  concezione  d'  un  punto:  tale queir  altra  su  la  continuità  che  questa  forza  infonde  a tutte  cose:  *  tale  anco  la  idea  del  conato  motore  iden- tico per  tutto:  tale  il  concetto  della  incomunicabilità del  moto  onde  ogni  particola  materiale  si  può  dir  che possieda  in  proprio  il  principio  motivo  già  ricevuto  da tutto  il  subbietto,  talché  il  moto  sia  da  ritenere  per  al tutto  spontaneo:'  tale,  finalmente,  l'idea  della  impos- sibilità del  vuoto  assoluto,  e  1'  altra  che  il  divisibile accusi  r  indivisibile,  l' indefinito  e  l' immutabile  in  seno alle  fenomeniche  e  divise  realtà.' Ognun  vede  quant'il  Mumiani  del  Rinnovamento cogliesse  giusto  in  queste  idee  cosmologiche  del  Vico. Dopo  trenta  e  piii  anni  però  egli  è  ritornato  a  parlarne, ma  troppe  cose  nella  nuova  cosmologia  scordandosi  della vecchia.  Ristringendoci  infatti,  per  ora,  al  concetto  isto- rico,  se  dell'  antico  maestro  invocato  sei  lustri  innanzi ei  pur  si  rammenta,  se  ne  rammenta  sol  per  addolorarsi anch'  egli  che  il  Vico  fosse  stato  l' autore  della  dottrina ^  Corsi  e  ricorsi  storici  (malaugurata  dottrina!)    sa darsi  pace  pensando  come  mai  nella  mente  di  quel sommo  tal  gravissimo  errore  fosse  potuto  capire.  Al  con- trario oggi  egli  stima  d'aver  gettato  le  basi  alla  filosofia storica,  mercè  l' idea  dell'  finità  organica  del  mondo isterico.  Ma,  diciamolo  con  buona  pace   dell'illustre U  sua  teorica   neopIatoDìca  delle  idee  sia  diametralmente  opposta  a quella  che,  come  redremo,  scaturisce  dall*  insieme  delle  dottrine  richiane. *  Dd  Rinnovamento^  ec  pai|^.  297. nomo,  cotesto  a  noi  sembra  ed  è  un  concetto  assolutamente  vìchiano.  Per  tre  fattori,  infatti,  dice  il  Mamiani, il  mondo  de' popoli  forma  unità  organica;  e  sono  questi: 1*  natura  comune  e  perpetua  negli  uomini;  2  È  una  relazione *  Vedi  negli  Atti  ddV  Accademia  di  Torino,  Maggio,  1866. celesta,  tra  Kant  e  Vico,  della  quale  giova  tejier  conto;  e abbiam  voluto  farlo  citando  le  parole  del  valoroso  Bertini. Augusto  Conti,  pensatore  profondamente  cattolico e  altrettanto  onesto  e  sincero  nelle  sue  convinzioni,  ha voluto  consacrare  intera  una  lezione  alle  dottrine  del I  nostro  filosofo  nel  suo  Specchio  della  storia  generale  della filosofia.  Chi  conosce  i  principi!  filosofici  dell'  illustre  ed elegante  scrittore  toscano  saprà  indovinar  subito  quale esposizione  egli  faccia  del  Vico,  e  sospettare  in  che  senso ne  interpreti  le  dottrine.  Può  dirsi  eh'  e'  sia  il  rovescio degli  hegeliani;  perchè  si  studia  di  tirar  tutto  dalla sua  parte  l' A.  della  Scienza  Nuova,  segnalandolo  naturalmente com'  uno  de'  tanti  anelli  della  sua  filosofia  perenne. Io  non  istarò  qui  a  negare  ne  che  il  Vico  sia cattolico,    che  la  critica  del  prof,  pisano  sia  fatta male.  Sarà  anzi  critica  savia  e  coerente:  ma  è  tutto il  Vico  della  prima  maniera  quello  eh'  ei  ci  dà,  perocché niente  vi  sappia  discemere  che  non  si  ritrovi  più  o men  palesemente  in  Agostino,  in  Tommaso,  in  Anselmo e  simili.  Però  nel  Vico  nulla  ci  é  di  nuovo,  nel  senso del  filosofo  samminiatese,  salvo  che  il  concetto  d'una filosofia  civile.    potrebb'  esser  diversamente,  ammessa la  maniera  con  che  suol  procedere  in  tale  esposizione  cri- tica appoggiandosi  per  lo  pili  in  certe  aflFermazioni  gene- rali e  duttilissime  del  nostro  filosofo,  qual  è,  per  esempio, questa:  Dio,  com'è  U  principio  ddV essere,  così  è  anche del  conoscere.  Quante  mai  conseguenze  non  si  potreb- bero far  rampollare  da  cosifiatto  principio  !  Un  giobertiano,  per  esempio,  vi  mostrerebbe  com'  ei  si  sgomitoli tutto  nelle  note  formolo  e  cicli  creativi  e  concrea- tivi assoluti  e  relativi  di  cui  al  solito  egli  ha  piena  la bocca;  dovechè  un  hegeliano  non  mancherebbe  darvi pruova  di  tal  destrezza,  da  sciorinarvi  sotto  gli  occhi a  fil  di  logica  tutta  la  rete  delle  sue  leggi  dialettiche. Nel  Vico  c'è  parecchie  di  cpsi  fatte  sentenze;    al Conti  poteva  riuscir  difficile  tirarle  alla  sua  filosofia comprensiva.  Ma  egli  dice  benissimo  dove  osserva  che  i prìncipii  del  Vico,  anzi  che  condurre  al  panteismo,  lo combattono;  e  in  ciò  noi  conyeniamo  pienamente.  Or non  sarebbe  stato  mestieri  dimostrar  come  non  vi  con- dncano  e  conte  lo  possan  combattere?  Consentiamo altresì  col  dotto  scrittore  in  tutte  quelle  saggio  rifles- sioni eh' e' sa  fare  su  l'indole  comprensiva  e  storica del  metodo  vichiano.  Ma  non  sapremmo  concedergli che  la  dottrina  dei  corsi  e  ricorsi  apparisca  solo  nella seconda  Scienza  Nuova.  È  quistione  di  fatto  eh'  ei  potrà risolvere  col  ridar  un'  occhiata  al  sommario  della 1*  Scienza  Nuova.  Farà  male  anche  a  lui  cotesta  dibat- tuta e  combattuta  dottrina;  ed  è  forse  per  questo  ch'egli procaccia  di  trovar  modo  a  scusarne  l'autore:  ma,  più che  scusarlo,  avrebbe  dovuto  e  potuto  difenderlo.  Crede anch' egli  poi,  erroneamente,  come  il  Ferrari,  che  il Vico  s'ispirasse  alla  teorica  delle  monadi  di  Leibnitz;* ma  contro  il  Ferrari  mostra,  e  fa  benissimo,  quanto  il Vico  fosse  lungi  dal  confonder  la  causalità  con  l' iden-  ( tità  ideale.  Finalmente  osserviamo  che  i  principii  ond'  il Vico  resiste  al  Cartesianismo  e  che  il  Conti  riduce  a  tre, sono  da  lui  debitamente  interpretati,  meno  T  ultimo poco  fa  menzionato;  che  Dio,  cioè,  essendo  principio dell'  essere,  è  anche  principio  del  conoscere.  Accettando questa  sentenza  accetta  anco  l' altra  tanto  familiare  al Vico,  per  cui  la  metafisica,  la  matematica  e  l'etica  siano da  Dio.'  Anche  cotesta  è  afi'ermazione  generale,  onde nnlla  può  concluderai  finché  non  si  giùnga  a  mostrare come  precisamente  accada  che  quelle  scienze  rampol- lino da  Dio.  Per  ciò  medesimo  accoglie  e  ripete  quel- r  altro  pensiero  che  il  sommo  della  certezza  risegga nella  metafisica;  contraddicendo  cosi  a  ciò  eh'  egli  stesso ana  pagina  innanzi  aveva  accettato  dal  Vico  :  la  certezza somma  potersi  l'aggiugnere  unicamente  con  le matematiche.    Bisogna  pur  confessare  che  con  la  sua critica  il  Conti  ha  lasciato  il  Vico  dove  appunto  l' avean *  A.  CoNTf,  Storia  della  Filotofich  Firenze  1864,  Lez.  XX,pag.  405. '  Id«m,  eod.  pag.  420. condotto,  per  esempio,  il  Duni,  Tlannelli,  il  Tommaseo, r Amari,  il  Rosmini  e  tutti  gl'interpreti  filosofi  catto- lici. E  noi  non  sapremmo  fargliene  carico:  con  la  sua maniera  di  filosofare  non  poteva  far  diversamente. Anche  l'illustre  Franchi,  scettico  ingegnoso,  one- stissimo, sincero,  e  critico  furibondo,  pare  talora  siasi data  la  pena  di  leggere  qualche  libro  del  Vico;  e  ne  parla I  in  due  luoghi  neUe  sue  Letture  sulla  storia  della  filosofia moderna.  È  noto  come  il  Vico  più  volte  accenni  a  Ba- cone, nella  Scienza  Nuova,  nel  Libro  Metafisico,  nel- ^  r  Orojsiotie  sugli  studi,  e  fin  nelle  sue  Vindicue  contro gli  Atti  degli  eruditi  di  Lipsia.  Lo  rammenta  sempre con  parole  amorose  e  riverenti,  annoverandolo,  com'è noto,  fra'  suoi  maestri.  Il  valoroso  Ausonio  reputa  esa- gerati cotesti  elogi,  massime,  die'  egli,  quando  si  pensi a  Gralileo.  Non  possiamo  qui  intrattenerci  sul  valore speculativo  di  Bacone:  il  divario  e  le  somiglianze  fra  lui e  il  nostro  Galilei  accennammo  altrove.*  Ma  gli  elogi  del Vico  al  filosofo  che  primo  ebbe  coscienza  della  teoria sperimentale  (dico  della  teoria)  non  dovrebbero  parere esagerati  a  nessuno:  il  Franchi  anzi  avrebbe  dovuto chiamarsene  contento,  se  avesse  badato  all'indirizzo  sto- rico e  però  sperimentale  cui  è  tutta  volta  la  Scienza Nuova.    qui  giova  gran  fatto  invocar  l'autorità  di Cartesio,  dicendo  ch'ei  fece  appena  menzione  di  Ba- cone; del  Newton  che  noi  nominò  mai;  del  Locke  che lo  citò  solo  una  volta,  non  come  filosofo,  bensì  come storico.  Questa  anzi  è  una  ragione  di  più  per  apprez- zare gli  elogi  che  ne  fa  il  Vico.  Qual  è  il  motivo  princi- pale onde  r  autore  della  Scienza  Nuova  encomia  tanto spesso  r  autore  del  Nuovo  Organo?  Questo,  parmi;  l'esi- genza in  Bacone  a  dimostrar  con  esperimenti  la  verità già  concepita,  e  quasi  preveduta  col  pensiero.*  La  ragione dunque  ond'  al  Vico  piaceva  Bacone,  ci  mostra com'  egli  sapesse  intendere  e  pregiare  la  mente  del  filo- *  Vedi  la  nostra  memorìa  su  Galileo.  Bologna.  1868. *  Vico,  Vindìeke^  nve  NoUb  in  Ada  erudiUìrvm  lAptitnna,  §  9. sofo  inglese.  E  dico  intendere  e  pregiare,  perciocché -egli  non  iscorgeva  nel  Nìmvo  Organo  quel  rachitico sperimentalismo  che  ci  san  vedere  i  positivisti,  e  per  cui solamente  e  con  tanto  calore  costoro  invocano  a  maestro il  conte  di  Sant'Alban.  Di  che  proviene  poi  un'altra  ri- flessione ;  ed  è  che  dalla  citazione  del  Vico  testé  riferita è  manifesto,  come  gli  sperimenti  non  sieno  la  sorgiva, bensì  la  riproduzione,  la  conferma  di  ciò  che  in  qualche  ' maniera  si  è  innanzi  concepito  ;  e  per  cui  i  diritti  dello spiritò  restano  salvi  di  fronte  a  qualsiasi  forma  d'empirismo. D'altra  parte,  poiché  senza  sperimenti  ciò  che  s'è speculato  riesce  al  tutto  sterile  e  vuoto,  ne  segue  che  non senza  buone  ragioni  nella  Scienza  Nuova  il  metodo  di iilosofare  del  Nuovo  Organo  è  detto  essere  il  metodo più  accertato.  Avea  dunque  torto  il  Vico  nel  profondere •encomii  al  Gran  Cancelliere?  Esagerazione  é  il  dire, nell'  Autobiografia,  essere  stata  grande  fortuna  per  lui aver  avuto  notizia  del  libro  del  Signor  di  Verolamio? Ma  e'  é  di  pili.  Il  Franchi  reputa  Bacone  padre  di  quella storia  che  l' autore  del  nuovo  Organo  disse  letteraria,  e senza  cui  la  storia  del  mondo  pare  vagli  come  la  statua* di  PoUfemo  priva  dell'  occhio.  Or  come  va  che  l' acutis- simo critico  non  s' è  accorto  esser  la  Scienza  Nuova  pre- cisamente cotest'  occhio  dato  dal  Vico  al  Polifemo  di Bacone?  E  non  é  ella  cotesta  un'altra  relazione  fra' due filosofi?  E  non  è  in  questa  relazione  appunto  il  motivo degli  encomii  esagerati?    Il  Franchi  parla  del  Vico anche  a  proposito  del  Cogito  di  Cartesio.  È  noto  come l' autore  della  Scieìiea  Nuova,  ragionando  di  questo  cri- terio, facesse  menzione  altresì  del  detto  di  Sosia:  quum cogito,  equidem  certe  idem  sum  qui  semper  fui.  Ne  parla €ome  fatto  inconcusso  inverso  a  cui  le  lance  dello  Scet- ticismo, per  acutissime  che  paiano,  rimangono  spuntate appunto  perchè  il  dubbio,  essendo  anche  pensiero  e quindi  importando  identità  personale,  racchiude  certezza. Il  Franchi  domanda  (e  nel  domandare,    segno di  stupire  in  che  maniei'a  la  penna  d'un  Vico  abbia potuto  scrivere  tali  enormezzel):  che  cosa  mai  ci  ha che  vedere  il  motto  volgare  di  Plauto  col  principio filosofico  di  Cartesio?  Ma,  buonissimo  e  valoroso  Au- sonio, trattasi  per  T  appunto  di  questo  I  La  posizione Cartesiana  è  ella  davvero  un  principio,  o  no?  È  egli un  vero,  o  non  piuttosto  un  certo? Tra  i  filosofi  vi  è  anche  il  Mazzarella,  che  in  que- st'  nltim'  anni  ha  parlato  del  Vico  nella  sua  Storia della  Critica,  e  ne  ha  considerato  l'ingegno  critico  in relazione  alla  critica  anteriore  e  posteriore  all'autore della  Scienza  Nuova.  Con  la  solita  chiarezza  e  sempli- cità e  dirittura  di  pensiero  egli  ha  saputo  mostrar  che cosa  rappresenti  il  filosofo  di  Napoli  nella  Storia  della Critica  :  !•  il  disprezzo  della  critica  meramente  erudita: 2 zioni  poco  fa  rammentato,  niun  altro  fra  noi  ha  parlato  del  Diritto   Uni- vermle^  tranne  roi:rregio   prof.  Luchini  nella  sua  Critica  della  penalità^ condotta  secondo  i  principii  del  filosofo  napoletano.  Egli  ha  messo  a  ri- scontro ia  dottrina  del  Nostro  con  le  teoriche  di  Kant,  del  Bentham,  del Romagnosi,  del  Rossi  e  della  Scuola  toscana,  e  se  ne  dichiara  seguace. Vedremo  nella  «Socto^ofTtd  s'egli  siasi  apposto  nello  mterpretar  la  teorica della  penalità  dell*  autore  del  Diritto  Univtrtale, anteriori.  Di  fatto,  porre  a  fondamento  della  società  un doppio  bisogno  materiale  e  morale,  eh' è  dire  l'istinto  al bene  essenzialmente  morale  e  all'utile  tolto  nel  significato di  equo-buono;  dimostrar  Funo  anteriore  logicamente all'  altro  e  questo  mostrar  co'  fatti  anteriore  a  quello per  sola  ragion  cronologica;  trame  quindi  il  principio giuridico  ed  etico  d' una  doppia  società  (soci^as  veri  e sodetas  (squi-boni)  ;  far  consistere  la  natura  d'entrambe in  uno  scambio  di  beni  materiali  e  morali  fra  gì'  indi- vidui; porre  il  concetto  di  giustizia  come  proporzione onde  questi  beni  vonn' esser  distribuiti,  ri  che  quan- d' anco  non  esistesse  un  bene  di  genere  morale  ma  solo  * beni  materiali  ci  avrebbe  a  essere  ciò  nullamanco  una misura  secondo  la  quale  siffatti  beni  devano  andar  ripartiti, e  quindi  la  necessità  del  medesimo  concetto  di giustizia  anche  nelle  attinenze  puramente  materiali  fra gli  uomini:  presentare  siffattamente  la  scienza  del  diritto, dice  il  Franck,  vuol  dire  creare  addirittiu*a  la  filo-  ' sofia  delie  relimoni  civili  e  sociali,  la  benintesa  Sociologia. Due  sono  perciò  le  regole  fondamentali  dell'umana condotta  che  scaturiscono  da'principii  del  Vico:  ope- rare di  buona  fede  rispettando  la  verità  in  tutto,  ed esser  utile  ai  propri  simili.    ("onvien  confessare,  di- ciamolo di  passata,  che  ove  il  Franck  avesse  tenuto conto  principalmente  di  questi  criterii,  non  avrebbe speso  molte  parole  a  biasimare  il  Vico  a  proposito  del- l'esagerato  concetto  che  questi  ebbe  intorno  alla  carità, la  quale  talora,  com'è  noto,  egli  confonde  con  la  giustizia. Altro  pregio  insigne  di  questo  scrittore  è  l'aver  sa- puto cogliere  i  veri  principii  del  Diritto  punitivo  del  ' nostro  filosofo,  mostrando  com'  egli,  col  tener  d' occhio nella  sua  dottrina  non  pure  il  colpevole  ma  anche  i diritti  e  gì'  interessi  della  società,  compia  nel  medesimo tempo  le  due  opposte  teoriche  penali;  quella,  cioè,  dei sistematici  platoneggianti  che  nel  comminar  la  pena mirano  soltanto  all'  ammenda  del  colpevole,  e  l' altra degli  ntilitarii  e  positivisti  che  della  parte  morale  non  ^ sanno  tener  conto,  ne  punto,  ne  poco.  Ma  sopra  tale argomento  ci  rifaremo  altrove  di  proposito.  Seguitando intanto,  parmi  che  il  pregio  massimo  della  crìtica  di questo  scrittore  stia  nel  modo  col  quale  considera  i  principiì  delia  politica;  prìncipii  che,  quantunque  nello stato  di  germe,  possiamo  rintracciare  nel  Diritto  Um- versale.  La  politica  del  Vico,  egli  osserva  giustamente, è  tutta  fondata  sul  Diritto,  ma  in  armonia  con  la  storia. Sentenza  verissima  e  feconda,  che  il  Franck  avrebbe dovuto  rifletter  meglio  dove  censura  il  Nostro  per  al- cune applicazioni  eh'  ei  venne  facendo  alla  storia.  Laddove il  Vico,  egli  dice,  s' accinge  ad  applicare  il  metodo allo  studio  del  Diritto,  urta  evidentemente  ad  un doppio  scoglio  ;  da  una  parte,  quand'  egli  chiede  soc- corso alla  sola  ragione,  risica  di  confondere  e  spesso confonde  il  dominio  della  giurisprudenza  con  quello della  metafisica;  dall'altra  poi,  quando  chiede  aiuto alla  storia,  altro  non  fa  che  aggirarsi  in  mezzo  alle istituzioni  e  ai  destini  del  popolo  romano,  quasiché  la storia  di  questo  popolo  fosse  la  storia  universale.  In altre  parole  il  Franck  dice  così  :  il  Vico  da  una  parte , svapora  nell'a  priorismo  e    nelle  astrazioni;  mentre poi  dall'  altra  intoppa  nell'  empirismo. Il  Franck  dice  benissimo.  Nel  filosofo  napoletano questa  doppia  tendenza  è  manifesta.  Ma  anziché  difetto cotesto,  perché  non  dirlo  pregio?  Non  é  egli  stesso,  in- fatti, che  non  rifinisce  d'incelare  il  metodo  vichiano appunto  perché  consiste  nel  connubio  della  filosofia  con la  filologia,  della  metafisica  con  la  giurisprudenza,  della ragione  con  l'autorità?  Or  l'esigenza  d'un  doppio  organo, d' un  doppio  strumento  nel  metodo,  non  é  la  condizione legittima,  e  propriamente  la  parte  vitale  d' una dottrina,  doveché  gli  errori  d' appUcazione  hanno  valore Affatto  secondario?  Il  non  aver  poi  riflettuto  a  questo ha  fatto    che  il  Franck  giugnesse  ad  una  conseguenza non  vera,  dicendo  che  il  Montesquieu,  quant'al  metodo, vinca  e  superi  il  filosofo  italiano.  Paragoni,  somiglianze, analogie,   riscontri   fra  questi  due  scrittori  non  sono possibili.  Montesquieu  non  ebbe  neanche  sentore  àeV  n metodo  vichiano;  ed  ecco  perchè  l'opera  su  lo  Spirito ddle  leggi  non  è  una  filosofia  della  storia,  non  è  la  Scienza Nuova,    quindi  credo  che  lo  scrittore  francese  siasi ispirato    punto   poco  neir  italiano,  come  inchine- rebbero a  supporre  il  Lerminier,  il  Carraignani,  l'Amari ed  altri.  Il  senso  delle  storicità,  come  primo  fra  tutti osservò  il  Ferrari,  manca  affatto  nel  Montesquieu;  e manca  in  lui,  come  tutti  oggimai  ritengono,  il  compi- mento razionale  filosofico;  vi  mancano  insomma  i  principii,  0,  per  dir  la  parola  che  usano  gli  stessi  Francesi a  tal  proposito,  vi  manca  il  carattere  détta  raziofialità.^j L' ultimo  libro  nel  quale  si  parli  cou  serietà  scien- tifica del  nostro  filosofo,  è  quello  del  De  Ferron,  inge- gnoso e  abilissimo  scrittore.  Nessun  francese  meglio    1 lui  ha  saputo  cogliere  il  significato  razionale  della  Scienza  I Nuova,  comprenderne  il  metodo  isterico,  e  pome  l'autora in  quel  seggio  che  gli  spetta  fra  i  pensatori  dell'  evo moderno.   Tracciata  la  storia  dell'idea  del  progresso,^' egli  entra  a  discorrer  su  la  scienza  de'  fatti  storici qual'  era  concepita  prima  del  Vico,  sul  Diritto  Romana rispetto  alle  dottrine  di  lui,  su  la  Scienza  Nuova  di fronte  alla  critica  moderna,  e  con  erudizione  eletta, acconcia,  sobria  e  non  affollata,  prende  a  trattare  la '  Il  Canuignani  dice  benissimo  dove  affernia  che  il  metodo  del  Mon-  ) tesqaien  rassomiglia  al  microscopio,  in  mentre  che  quello  del  Vico  rende imagine  del  telescopio.  (Storia  della  FU,  del  Diritto^  lib.  III.)  Che  poi  il difetto  di  razionalità  costituisca  la  parte  debole  deiropora  del  filosofa francese,  è  cosa  ormai  detta  e  ridetta  e  provata  fino  dal  secolo  passato, e  confermata  sempreppifi  dai  moderni.  Non  potendo  trattenerci  in  questi particolari,  rimandiamo  i  lettori  al  giudizio  che  in  proposito  danno  i seguenti  scrittori,  e  che  torna  conforme  al  nostro  espresso  poco  fa:  Duxi, Saggio  mila    Giuritpr.   univ.,  pag.  57.    FlLAKOlRRI,  Se.  della  Legialaz.^ lotrod.    MaCKINTOSH,  Vige,  nur  Vétude  du  Droit  de  la  nature,  ec.  pag.  22,-t —  RoTTBSKAg,   Emil,  1.  V.    Fra  i  moderni   poi  cons.   Lebminirr,   Biat,^ ginér,   oc,   pag.   1 75.    Barkt,   Hiwf.  dea  idéen  morale»  et  politiquea  en France  en  XVI JI  Siede.    Jakrt,  Hiat.  ec.  yol.  II,  pag.  516.    DaFAO,^; De  la  méth.  d*olaervation  aux  aciencea   mor.  et  poi.,,   pag.   860,  nota  XL. Qneit*  ultimo  anzi  dice  mancare  affatto  nel  Montesquìon  una  teorica. quistione  su  Tetà  dell'oro,  e  l'altra  su  T orìgine  e  sul valore  de'  poemi  Omerici.  Il  buon  senso  del  De  Ferron nel  saper  rilevare  in  siffatte  quistioni  il  merito  del  no- stro filosofo  a  me  sembra  davvero  mirabile.  Con  dirit- tura di  giudicio  intende  la  relazione  fra  il  diritto  civile e  '1  diritto  filosofico  ;  e  con  tal  chiave  nelle  mani  riesce ad  interpretar  debitamente  la  storia  ideale  che  l' autore della  Scienza  Nuova  seppe  cogliere  nello  svolgimento  del gius  romano.  Uno  per  lui  è  il  sistema  del  Vico;  onde  le due  Scienze  Nuove  non  sono  da  riguardarsi  altrimenti che  come  detix  rédadions  éCun  ménte  sujet:  al  che  do- vrebbe por  mente  il  nostro  Cantoni.  Ritiene  egli  pure che  lo  Champollion  non  discoprisse,  bensì  confermasse pienamente  la  dottrina  del  Vico  su  la  storia  della  scrit- tura, tale  essendo  infatti  la  triplice  scrittura  egiziana geroglifica,  jeratica  e  demotica.  Dimostra  ch'egli  prima d'ogn' altri  ritrovò  e  compose  in  armonia  parecchie dottrine  accettate  oggi  e  rassodate  difinitivamente  dalla scienza,  quali  sono,  per  citarne  qualcuna,  la  formazione del  dramma  satirico  riguardato  come  sorgente  d'ogni poesia  drammatica,  l'anteriorità  del  linguaggio  poetico al  linguaggio  prosaico,  e  simili.  Da  ultimo  fa  rilevare come,  non  contento  d' avere  scoperto  la  legge  secondo cui  si  vanno  svolgendo  nel  corso  isterico  le  grandi  ci- viltà nonché  le  forme  semplici  del  reggimento  politico, profondasse  la  mente  nel  ricercare  e  determinare  il carattere  d' un'  epoca  anteriore  alla  città  ed  alle  ari- stocrazie feudali,  epoca  che  costituisce  appunto  l'età divina.  La  quale  osservazione,  fatta  da  un  francese, dovrebbero  oggimai  spassionatamente  meditare  i  posi- tivisti francesi  che  non  rifiniscon  di  celebrare  la  sco- pei'ta  della  legge  sociologica  del  loro  maestro! Ma  nel  De  Ferron  incontriamo  riflessioni  che  non ci  è  venuto  fatto  ritrovare  in  verun  critico.  Base  della città,  die'  egli,  fondamento  del  formarsi  delle  nazioni per  r  A.  della  Scienza  Nuova  non  è  Y  istinto  della  so- ciabilità, come  credevano  i  giusnatnralisti  suoi  contemporanei.  Se  tale  istinto  può  aver  creato  la  iaiiiiglia  e le  tribiì,  non  però  basta  a  fondar  la  città ,  non  riesce a  condurre  un  popolo  ad  una  data  costituzione  poli- tica. È  necessaria  dunque  una  l'orza  estrinseca,  senza cui  r  uomo  rimarrebbesi  nello  stato  pastorale.  Ora  co- tal  forza  estrinseca  e  tutta  naturale  consiste  nel  fatto del  successivo  migrare  delle  tribù  da  alcuni  centri;  nel loro  successivo  aggrupparsi  in  dati  luoghi;  nel  fissare lor  sedi,  ond'  è  resa  possibile  l'agricùltura;  e  finalmente) nel  fatto  delle  conquiste,  le  quali  hanno  virtù  di  creare e  rendere  sempre  più  stabili  e  quasi  organiche  le  nazioni sedentarie.  Tutto  questo,  dice  benissimo  il  De  Fer- ron,  scaturisce  a  fil  di  logica  dalle  dottrine  del  Vico. Diciamolo  ora  con  parole  nostre:  T  organismo  sociale,"' la  società,  è  da  natura;  è  nella  natura:  l'organisiifo  dello Stato,  in  vece,  è  sottoposto  a  processo  ;  questo  processo tiene  ad  arte;  ma  quest'  arte  è  fondata  aqch'ella  in  na- tura. La  relazione  storica,  dunque,  ecco  il  concetto  del Vico  che  il  De  Ferron  ha  interpretato  a  meraviglia.*  , Altra  osservazione  assai  notevole  parmi  questa.  Non v'è  stato    v'  è,  die' egli,  chi  i;on  abbia  celebrato  il filosofo  di  Napoli  qual  padre  della  filosofia  della  sto- ria; mais  on  se  garde  d'exposer  sa  méthode  historique, aristoteliemie,  i  cui  principii  son  oggi  venuti  applicando  , in  diverse  ricerche  storiche  il  Macaulay,  il  Michelet,  il Guizot.'  Con  queste  parole  il  De  Ferron  mostra  d' aver pienamente  compreso  il  metodo  della  Scienza  Nuova; metodo  essenzialmente  aristotelico,  checché  ne  abbian' detto  e  si  piaccian  dire  certi  hegeliani.  Ed  ecco  per- ché egli  s'  allontana  da  parecchi  altri  critici  nell*  ap- prezzare il  concetto  vichiano  sul  progresso  ;  rispetto  al quale  consente  con  Y  anonimo  traduttore  francese,  col Tommaseo,  con  lo  Spaventa  e  con  altri,  per  citare  qui '  È  uno  de'  principii  su'  quali  è  fondata  la  Sociologia  del  Comte  e ch'eglif  spesso  appella  contenBo,  cospirazione  {Coum  de  PhiU  posity  voi.  V). Sarà  anche  questa  una  scoperta  del  Positivista  francese? *  Db  Ferron,  Op.  cit.  Voi.  I,  pag.  137,  107. tre  nomi  che,  quantunque  discordanti  nel  resto,  con- vengono ciò  nondimanco  nel  credere  che  nel  Vico  esista r  idea  del  progresso.  E  a  chi  neghi  o  dubiti  che  cote- sto concetto  ritrovasi  nella  Scienza  Nuova,  il  De  Fer- ron  è  pronto  a  rispondere:  cela  parati  impassible  a PRIORI,  car  le  progrès  décovUe  de  son  sy stèrne;  mais en  otUre  U  le  prodame  formellemeYU}  Si  dirà  che  il Vico  non  vide  1'  elemento,  la  molla  principalissima  delprogresso,  cioè  la  trasformazione  dei  rapporti  econo-  spirito.  Uno  de'  suoi  pregi,  come  s' è  detto,  è  la  posi- zione del  pensiero  qual  inizio  di  scienza  indipendente da  ogni  qualunque  autorità  :  ma  di  ciò,  com'  è  noto, Cartesio  non  può  vantarsi  d' essere  stato  primo  divul- gatore e  sostenitore  nel  regno  della  scienza.' Vero  pregio,  pregio  massimo  dell'autore  delle  Me- ditazioni sta  neir  aver  considerato  come  originaria virtù  dell'anima  l'attività  stessa  del  pensiero;  aver posto  r  anima  come  il  pensiero  stesso,  e  però  come  sog- getto e  obbietto.'  Senonchè  il  pensiero  per  lui  non  era altro  che  rappresentazione,  e,  come  tale,  unione  a  dir cosi  meccanica,  incosciente,  immediata  di  due  oppositi elementi,  dell'universale  e  del  particolare,  dell'infinito  e del  finito.  Come  dunque  potev'  egli  riuscire  al  vei'o  or- ganamento del  sapere  filosofico,  posto  un  fatto  empirico, Dt$c  et  le  Cartinanimne,  Introd.    Franchi,  St.  detta  FiL  mod.,  Tol.  1, letlnrs  9,  10,  11.    Jaitbt,  (Euw,  phiL  de  LeibnitZj  ToL  I.,  Introd.  —Trn- mtiiAinf,  Su  ddla  FU,,  voi.  II,  p.  84. '  La  riforma  cartesiana,  cosa  arvertita  presso  che  da  tutti  gli  sto- riografi, non  giunse  nuova  fra  noi,  tanto  clie  la  si  riguardi  come  rinno- ramento  filosofico,  quanto  che  come  reazione  scolastica.  ATevamo  avnto già  il  Petrarca,  poi  il  Da  Vinci,  la  scuola  Telesiana,  poi  la  scuola  Gali- leiana. (Vedi  Libri,  HUt.  de»  •eienc,  math.,  t.  III.  ~  PncoiiroTTi,  Sl  della Med,^  voi.  ult.)  Potremmo  dire  altresì  che  TAconzio,  come  osserva  giustamente  il  Franck  [Diet,  de»  »eiene.  phiL)  fosse  stato  in  Italia  il  devander  \ del  metodo  cartesiano.  Avevamo  avuto  anche  il  Bruno;  e  segnatamente il  Campanella,  le  cui  opere  non  dovettero  esser  del  tutto  ignote  a  Cartesio, come  nota  il  Bitter  {Hi»t.  de  la  phU.  mod.,  voi.  I,  pag.  14, 85).  Ma  anche qui,  al  solito,  s*  inciampica  neir esagerazione  quando  si  vuol  risalire  fino a  sant'Agostino  a  ripescar  1*  antecedente  del  pronunziato  Cartesiano  !  Nò io  mi  ci  vo'  opporre,  sapendo  che  in  quel  Santo  Padre  e'  è  pur  troppo r  esigenza  cartesiana  (Vedi  per  es.:  De  Lib.  Arò.,  lib.  II,  cap.  8;  e  spe- cialmente De  Civii.  Dei,  lib.  XI,  cap.  26).  Ma  il  valore  della  posizione  è tanto  diversa  ne*  due  filosofi,  quanto  diversi  i  tempi  in  ch*ei  vissero, trattandosi  ben  più  che  di  certezza  d'esistenza.  Il  Cousin  poi,  com'è noto,  va  fino  al  No»ee  te  ipeum  di  Socrate  !  Contentiamoci  di  questo,  che non  è  poeo:  un  eclettico  ne  potrebbe  far  di  peggio. •  DiBOARTBS,  Médit.  2,  art.  7.  Lettre»,  U  II,  U».  Obi.  répotue»,  I,  4. posta  una  dualità  empìrica?  E  in  che  maniera  spiegare nel  pensiero  l'unione  del  finito  con  l'infinito?  Ma  che davvero  l' idea  di  Dio  sia  innata  e  a  priori  nella  nostra mente  com'  egli  stesso  afferma,  *  al  modo  eh'  è  innata, non  nata,  cmmcUa  l' idea  di  noi  medesimi  (ciò  eh' è  proprio la  novità  di  Cartesio)  è  ancor  cosa  da  dimostrare. È  ella  possibile  nel  nostro  pensiero  l'idea  dell'infinito veramente  detto?  L'essere  adegua  il  conoscere,  dicono certi  interpreti  hegeliani;  e  poiché  nel  conoscere  v'è r  infinito,  il  pensiero  è  dunque  infinito  :  ecco  la  novità vera  di  Cartesio,  su  la  quale  s' imbasa  propriamente  la filosofia  moderna.    Ma  il  pensiero  è  egli  propriamente l'essere,  come  si  vorrebbe  darci  ad  intendere?  Non potrebbe  stare  che  cotesta  fosse  un'affermazione  arbitraria di  Cartesio,  fatta  legittima,  più  che  altro,  dal desiderio,  nonché  dall' artifiziosa  interpretazione  che  gli hegeliani  porgono  all'entimema  cartesiano?  .Diranno non  ci  essere  artifizio  di  sorta  in  questa  loro  inter- pretazione. Ma  non  è  forse  egli  stesso,  Cartesio,  il  quale a  chiare  note  ci  dice  in  che  senso  parli  d'innatismo, afiermando,  la  natura  stessa  averci  fornito  d'una  facoltà mercé  cui  produceìido  queUPidea  possiamo  conoscere Dio?*  Checché  ne  sia,  era  d'uopo  rivedere,  chiarire  e correggere  in  gran  parte  la  posizione  cartesiana  del pensiero.  Questo  quant'  al  Descartes,  come  iniziatore  del novello  indirizzo.  Quanto  poi  agli  esplicatori  del  Carte- sianismo, in  generale,  era  d' uopo  restituire  alla  scienza'' il  concetto  delle  cause  finali  invocando  segnatamente lo  studio  della  storia;  porre  l'assoluto  come  obbietto •  Descartes,  Médit.  8«. ■  Vedi  nella  Troinhn.  oljection9f  Z"  Rép,  :  e  nella  Rép.  à  M.  Begiut. Non  ignoro  che  nella  Meditaz.  3^  e  5"  egli  dice  apei-tamente,  Tidea di  Dio  essere  innata  in  quanto  ci  ^  imprenta  da  lui  medesimo.  E  qoi  è chiara  la  contraddizione  tra  ciò  eh*  egli  afferma  in  queste  Meditazioni, e  le  illustrazioni  eh*  egli  stesso  ne    nelle  Risp.  alle  obbiezioni  poco  fa indicate.  Bisogna  dunque  levarla  di  mezzo  tale  contraddizione;  è  fuori dubbio.  Ma  perchè  pretendere  di  leTarla  con  T  identificare  Dio  e  pen- siero, facendo  contro  cosi  a  tutte  lo  esigenze  della  metafisica  cartesiana  ? anziché  come  principio  di  ricerca;  accomunare  in  un subbietto  dinamico  universale  tanto  la  costituzione  del mondo  fisico,  quanto  quella  del  mondo  morale  ;  e  quindi statuir  le  norme  d'un  metodo  non  geometrico,  non puramente  psicologico,    assolutamente  a  priori  nella, costruttura  della  Scienza  Prima. Questo  per  V  appunto  presero  a  fare  il  Leibnitz  in Germania  e,  poco  appresso,  il  Vico  in  Italia.'  Non  vorrei che  i  lettori  stimassero  inconcludente  il  ravvicinamento di  questi  due  nomi,  e  inutile  e  vuoto  un  riscontro  delle loro  dottrine.  Non  è  cotesto,  intendiamoci,  uno  de'  soliti riscontri  onde  rigurgitano  certi  libri  odierni  appo  cui non  di  rado  si    per  concreta,  storica,  reale  un'attinenza meramente  logica,  o  ideale  che  sia.  Il  riscontro  tra il  filosofo  di  Napoli  e  il  filosofo  di  Lipsia  è  tutto  ideale  ; ma  la  ragione  di  esso  pone  radice,  meglio  che  in  qual- che riposta  e  fatai  legge  dialettica,  in  queste  due  ragioni principalmente:  !•  nella  forma  e  natura  stessa  di  lor mente  :  2*  nelle  condizioni  della  filosofia  del  secolo  XVII. E  innanzi  tratto  ricordo  anche  qui,  non  esser  possibile dimostrare  che  il  filosofo  italiano  siasi  ispirato  nel  filosofo ) di  Lipsia  ormeggiandone  metodi  e  dottrine,  com'  altri hann' affermato.'  Nullamanco  l'affinità  fra  alcune  dot- *  Il  Vico  ebbe  coscienza  della  propria  posizione  specalativa,  e  sciente- mente opponevasi  alP  esagerazioni  ed  errori  cui  ruppero  le  diverse  dire- zioni e  scuole  nate  dair  indirizzo  cartesiano.  £gli  conobbe  lo  opere  di  Spi- no}^, di  Locke,  di  Malebranche,  e  Tisi  oppose.  Quant'a  Spinoza,  cfr.  Op. voi.  Ili,  12, 80,  221  ;  V,  49,  138,  573  ;  VI,  99.  --  QnanV  a  Locke,  IV,  40, U40;  VI,  5.    Quant'al  Malebranche,  II,  95,  96, 149,  161;  VI,  107,  113; lU,  232.  Non  è  dunque  niente  vero  ciò  che  è  stato  affermato  da  un hegeliano  che  il  Vico,  posto  eh*  abbia  speculato,  speculasse  incoscia- mente  e  senz"  alcuna  relazione  alla  storia  della  scienza. *  In  tutte  le  suo  scritture  ne  rammenta  il  nome  appena  appena  due volte  a  proposito,  non  già  di  qualche  dottrina  filosofica,  ma  delle  controversie fra  Newton  e  Ldbuìtz.  Una  di  queste  citazioni  è  nella  seconda Sa  meth,,  ec,  pag.  180. ■  Leibnitz,  Meth,  nova  ditte,  dpcend.  juritpr,,  P.  II,  §  29.  Amendne si  presentano  al  pubblico  con  questioni  di  metodo;   ricerca  degl* ingegni veramente  grandi,  anziché  da  filosofi  pedanti  e  scolastici,  come  si  crede. '  Nella  Ragion  degli  Hudi  v'  ha  i  criteri  per  lo  studio  della  ginrisprndenza. *  Vedi  quant' al  Leibnitz  Mimoire»  de  VAeadfmie  de  Berlin^  voi.  I,art.  1. '  Leibnitz,  Xouv.  Et»,  I,  pag.  277. il  sustrato  della  Scienza  Nuova,  si  che  vede  svolgersi cotale  idea  anche  attraverso  gli  antichi  poemi. Quant'  alla  fisica  poi,  alla  res  extensa  di  Cartesio, agli  atomi  fisici  del  Gassendi,  contrappongon  gli  (domi di  sostanza,  gli  atomi  metafisici,^  i  punti,  i  momenti  me- tafisici e  lo  sforzo  impedito  nell'essenza  stessa  dell'uni- verso.' Per  questa  medesima  ragione  entrambi  parlano linguaggio  somigliante  circa  la  natura  delle  matemati-i che.  Di  fatti  contro  Cartesiani  e  Hobbesiani  il  Leibnitz mostra  la  inefficacia  di  siffatte  scienze  nelle  indagini propriamente  filosofiche,  e  al  di    del  calcolo  aritmetico e  geometrico  crede  esserci  luogo  ad  un  altro  e  più rilevante  calcolo  che  tiene  all'  analisi  delle  idee;  stan- techè  nella  sostanza,  die' egli,  ci  abbia  sempre  qualcosa d' infinito.'  La  medesima  insufficienza  del  metodo  geo- metrico scorge  anche  il  Vico  in  più  luoghi  delle  sue  scrit- ture; e  lo  reputa  difficile,  anzi  impossibile  alla  mente del  metafisico.^  Col  che  essi  anticipano  alcune  idee  di Kant  in  proposito. *  Lbibnits!,  %ff.  noìit;.  etc,  tomo  II,  pag.  126. *  Vico,  Risp.    al  GiomaU  de'  Letterati,  L*  affinità  de*dne  filosofi, come  si  vede,  è  mirabile  anche  nel  linguaggio:  punti  metaJUici,  conato («VTf^i'X^'av)  tramezzante  la  potenza  e  Tatto  (Lbibkitz,  Op.  II,  1, pag.  19),  0,  come  direbbe  il  Vico,  la  Quiete  e  il  Moto;  per  cai  la  matte- ria, anziché  passiva,  ò  per  entrambi  una  forza  viva  (Op.  cit,  pag.  817). Anche  i  punti  matematici  per  entrambi  non  sono  che  simboli  de*  metajitici;  e  i  punti  jieiei  per  tutt'e  due  riescono  indivisibili,  ma  solo  in  apparenza. La  ragione  poi  ond*essì  adoperano  la  parola  punto  è  la  idede- sima;  ed  è,  che  il  punto  racchiude  infinito  numero  di  relazioni.  Finalmente si  potrebbe  dir  propria  anche  del  Vico  la  nota  sentenza  del  Leibnitz: eonatue  e*t  ad  motum,  ut  punctum  ad  epatium,  (Id.  eod.  II,  2,  pag.  8;  e pel  Vico  vedi  nelle  Risposte  al  Oior.  de*  Lett.). In  omnibu»  èubetantiis  aliquid  eet  infiniti;  unde  fit  ut  a  nobie  per/ecte  intelligi  potint  sciite  notionee  incompUtfr,  qualee  eunt  numeromm, figurarumj  aliorumque  hujuemodi  modorum  a  rebus  animo  abstractorum. Lkibxitz,  Op.,  ediz.  cit.,  V,  pag.  143. Vedi  neW Autobiografia,  AìtroY e  dice  che  la  matematica  è  la  più  certa di  tutte  le  scienze,  perchè  prova  per  cause  [De  Antiq,  Ital.,  cap.  I,  1), ma  il  metodo  di  essa  riesce  esiziale,  sterile  e  pericoloso  quando  si  voglia adoperare  nelle  altre  discipline  (Risp,  al  Gaeta,  pag.  99),  disastroso  poi nella  fisica,  neir  educazione  degT  ingegni  (/&»',  passim),  utile  solamente neir  ordinare  anziché  nello  scoprire  (De  Antiq.,  Ital.  cap.  VII,  §  4). Entrambi  poi  riconoscono  in  Dio  le  stesse  primalità: potenza,  volontà,  intelligenza;*  e  se  nell'uno  troviamo il  principio  che  Dio  creando  non  possa  produrre  altro che  il  migliore  e  il  più  perfetto  de' mondi,*  nel  Vico tale  dottrina  si  lascia  argomentare,  come  vedremo,  dal- l' insieme  delle  sue  dottrine.  Quant'  alla  storia,  V  un d' essi  riconosce  un  progredire  continuo  nel  tutto,  e  la possibilità  del  regresso  nelle  parti;'  dovechè  l'altro, meglio  determinando  e  dimostrando  cotal  concetto,  pone la  dottrina  dé*c(/rsi  e  ricorsi  storici,  in  cui  sono  racchiuse le  idee  di  progresso  e  regresso,  governati  da  una medesima  legge.  Che  se  è  stato  detto  esser  d'uopo risalire,  meglio  che  al  celebre  Discorso  del  Bossuet,  alla metafisica  del  Leibnitz  per  ritrovare  un  concetto  spe- !  culativo  che  fosse  come  il  vero  antecedente  della  filosofia della  storia,  s'è  detto  giusto;  atteso  che  veramente  il filosofo  di  Lipsia,  col  sommettere  al  principio  della  ragion sufficiente  l' ordine  delle  cose  fisiche  e  morali,  dischiuse la  via  alla  dottrina  del  Determinismo  universale,  perocché tutto  per  lui  si  annodi  nel  mondo,  tutto  si  corrisponda, tutto  armonizzi.  Nel  Vico  veggiamo  questa medesima  esigenza  ;  ma  nello  stesso  tempo  ne  troviamo la  correzione.  Perciocché  se  anche  per  lui  il  passato  è gravido  del  presente,  al  modo  stesso  che  il  presente partorisce  il  futuro;  non  tutto  però  nel  mondo  delle nazioni  é  avvinto  a  leggi  fatali  e  cieche,  perché  nel regno  dello  spirito  vi  è  agli  occhi  suoi  la  ragione,  v'  è pur  la  libertà,  sicché  tutto  il  processo  isterico  per l'Autore  della  Scienza  Nuova  non  é  altro,  in  sostanza, j  che  la  soluzione  del  problema  della  libertà,  sia  che  tu  la consideri  negl'  individui,  sia  che  negli  Stati.  Dinanzi  alla mente   d'entrambi,  dunque,  risplende  chiara  la  legge della  continuità  nel  giro  de' fatti  umani  e  storici. Né  si  creda  che  l' affinità  fra  ^  i  due  filosofi  non  si *  Lribnitz,  MonaU.,  Op.,  ediz.  Erd.,  pag.  705.— Vico»  De  Univ.  Jur, *  Idem,  Theod.,  8. *  Idoin,  eod.,  8. lasci  scorgere  altresì  nelle  contraddizioni  e  non  di  rado anche  nelle  strettoie  fra  cui  gi  resta  impigliata  la  co- scienza religiosa.  Ei  cominciano  a  scrivere  innanzi  d'aver fissato,  determinato  e  organato  le  proprie  idee  ;  di  modo che,  se  l' uno  fin  quasi  ai  quarant'  anni,  fino  alla  com- parsa delle  Meditazioni,*  va  fluttuando  non  libero  da incongruenze,  T  altro  va  tentennando  fino  alla  terza  edizione  della  Scienza  Nuova.  Onde  non  è  a  meravigliare se  tutt'  e  due  si  contraddicano  quant'  al  concetto di  creazione  ;  perchè,  se  V  uno  ponendo  la  moltiplicità delle  monadi  come  primitiva  ed  esistente  per  necessità metafisica,  dice  nullamanco  esser  Dio  quegli  che  sceglie r  ottimo  fra  i  mondi,  e  immagina  delle  monadi  create par  des  fidgurcUiotis  continudles  dalla  divinità;*  l'altro poi,  stabihto  il  criterio  della  conversione  in  senso  metafisico, non  dubita  parlarci  del  miracolo  della  creazione, e  dell'annullamento  del  mondo!    Quanto  aiprincipii, in  generale,  si  palesano  entrambi  eclettici  ;  ma  è  d' uopo intenderci  nell'  applicar  loro  cotesto  nome.  Sono  eclet- tici appunto  nel  significato  e  nel  valore  che  lo  stesso Leibnitz  dav'  a  tal  voce;  nel  qual  valore  ci  conferme- rebbero molte  sentenze  del  Vico.  Sono  eclettici,  io  dico, non  perchè  raccolgano  in  un  tutto  ciò  che  si  presenta come  vero  squadernato  ne'  differenti  sistemi,  eh'  è  precisamente il  fiacco  e  volgare  eclettismo  sfornito  d' ogni originalità;  ma    perchè,  aggiugnendo  anch'essi  qual- che altra  cosa  di  proprio,  riescono  a  comunicare  novello impulso  a  tutti  gli  ordini  delle  scienze.'    Rispetto alle  fonti  del  conoscere,  o  fondamenti  del  sapere,  alla doppia  sorgente  vichiana  del  vero  e  del  certo  risponde '  Meditationea  de  cognitionet  veritate  et  ideiti f  1684. Lribnitz,  Monad,f  ediz.  cit.,  pagr.  708. '  Vedi  questa  sentenza  del  Leibnitz  nelle  Lettre*  à  Rémond  de  Mont- mort,  edlz.  Erd.,  pag.  701.  e  ne*  Nouv,  £»».,  Hb.  I.  Nel  Vico  poi  troviamo molte  affermazioni  del  tenore  seguente:  Chi  ai  trae  fuori  da  questi  prin- eipii,  guardi  clC  ei  non  traggati  fuori  deìV  umanità,  E  eh*  egli  poi  sia eolettico  in  questo  senso,  anziché  nel  significato  voluto  dal  Cousin,  dal  ristica  e  popolare  col  suo  concetto  della  monade.  (La  FU.  di  Oiohertif  p.  103.) Più  chiaro  e  più  accoucio  di  tutti  sembraci  il  modo  col  quale  il  Chalibosus pone  relazione  fra'  successori  di  Leibnitz.  Kant,  egli  osserva,  col  concetto della  cosa  in  s?,  col  noumeno,  nega  Leibnitz;  la  scuola  di  Jacobi con  r  ide&  d*  un  contenuto  razionale  accessibile  solo  al  sentimento,  s' op- pone all'idealismo  critico  di  Kant,  e  nel  medesimo  tempo  all'idealismo subiettivo  di  Fichte;  mentre  la  scuola  di  Herbart  col  realismo  delle  mo- nadi e  col  realismo  psicologico,  si  oppone  all'idealismo  obbiettivo  e  as- luto  di  Schelling  e  di  HegeL  (Willm,  Op.  cit.,  p.  87.)  Questi  due  gruppi rappresentano  un  doppio  svolgimento  del  pari  esclusivo  del  concetto  mo- Men  fortunato  del  Leibnitz  il  Vico  non  ispiegò  gran- d' efficacia  in  Italia,  nettampoco  in  Europa,  per  le  ra- gioni ormai  dette  e  ridette  da' suoi  critici  ed  espositori. Ma  anche  in  questo  gioverebbe  guardarci  dal  cadere  in esagerazioni.  Posta  la  storia  della  Scienza  Nuova  da  noi tracciata,  nessuno,  crediamo,  vorrà  più  oltre  dubitare  che l'azione  del  filosofo  italiano  fosse  stata  nulla,  così  ne' suoi contemporanei,  come  ne'  suoi  seguaci.  Legami  intimi, vincoli  speculativi  necessari,  storici,  nou  vi  sono  ;  e  quindi è  inutile  cercarvi  continuità  e  processo  veramente  detto. Il  Genovesi  e  '1  Galluppi,  per  dire  un  esempio,  tutto- ché non  ignorassero,  in  ispecie  il  primo,  le  opere  di  lui, scrissero  non  pertanto  come  s' egli  non  fosse  esistito  al mondo  mai.  Verso  il  sesto  lustro  del  presente  secolo,  in quella  che  co'  seguaci  di  Hegel  comincia  a  declinare  il moto  filosofico  originale  di  Germania,  e  in  Francia  come in  Inghilterra  odonsi  i  primi  rumori  del  Positivismo, vedemmo  come  anche  fra  noi  si  cominciasse  a  sentir più  acuto  il  bisogno  al  filosofare.  E  cosi  il  Mamiani (il  Mamiani  del  Rinnovamento),  e  quasi  nel  medesimo anno  il  Rosmini,  si  provano  a  rannodar  gli  anelli  della nostra  tradizione  filosofica,  ma  con  efficacia  assai  lieve. E  dico  lieve,  perchè,  quantunque  ella  ingagliardisse  vie più  col  crescer  degU  anni  e  col  succedersi  de' nostri  filo- sofi, non  pertanto  pretendere  di  stabilire  in  essa  tradi- zione un  vero  processo  ed  una  continuità  logicamente progressiva,  a  me  sembra  vana  impresa  e,  fino  a  certo punto,  anche  infruttuosa.  Giova  ripeterlo:  a  voler  rin- tracciare alcun  filo  di  cotesta  tradizione  in  maniera  positiva, ciò  è  dire  storica,    soltanto  ideale,  io  per  me  non iscorgo  altra  via  tranne  quella  che  noi  abbiamo,  anziché percorsa,  additata;  intendo  la  via  che  dal  Vico  ci  mena ai  nostri  ultimi   filosofi,  ma  per  mezzo  de'  giusnatu- oadologico;  ma  vi  ò  certamente  un  progresso  fra  1  rappresentanti  del primo  e  qaelli  del  secondo.  Vedi  per  le  notizie  particolari  di  questo periodo  fllotollco  tedesco  il  Barohoc  dr  Ponhoem,  Hìh,  de  la  Phil.  depuU UibnitK  juMqu'à  Hegel.    BuuLE,  Hi9t.  de  la  PhU,,  voi.  Vili. ralisti,  de'sociologisti,  de'critici  e  degli  storici  attraverso i  tre  differenti  periodi  già  discorsi.  Altre  vie  ci  saranno, io  lo  so;  ma  tutte  artifiziali,  tutte  pericolose,  tutte  vuote 0  rigonfie  de'  soliti  riscontri  ideali  che  agli  occhi  dello storico  e  del  critico  positivo  valgono  fin'  a  certo  segno. Con  la  qual  cosa  non  è  a  credere  che  noi  pretendiamo dare  alla  filosofia  italiana  caratteri  e  prerogative  eh'  ella non  ha,    può  avere  di  fronte  a  quella  di  Grermania. Il  professore  Spaventa  osserva,  che  la  filosofia  italiana non  costituisce  processo,    assomiglia,  per  così  dire,  ad un  filo  che  si  sgomitoli  necessariamente  e  razionalmen- te, com'  é  quello  che  in  organismo  vivente  e  palpitante annoda  l' Idealismo  critico  con  l' Idealismo  assoluto, mercé  l'Idealismo  subbiettivo  di  Fickte  e  l'Idealismo obbiettivo  di  Schelling:  non  é,  in  somma,  unevolturìone strettamente  logica,  un  dispiegamento  serrato,  compatto, e  come  chi  dicesse  inquadrato  e  chiuso  tutto  in    medesimo com' una  severa  dimostrazione  geometrica.  Il professore  di  Napoli  dice  benissimo.  Questo  oggi  dicon tutti;  e  questo  medesimo  ripetiamo  anche  noi.  Sola- mente chiederemmo:  non  potrebbe  stare  che  cotesto filar  compatto  e  processuale;  che  coteste  filiamoni  se- riali, com' ha  detto  lo  Spencer  ai  Positivisti  francesi; che,  in  somma,  coteste  annodature  organiche,  conside- rate (già  s'intende)  nell'ordine  istorico,  fossero  per avventura  altrettante  immaginazioni  del  nostro  cervello, meglio  che  relazioni  di  fatto  a  cui  ci  spinga  la  ragione, meglio  che  attinen/ie  concrete  in  cui  ci  confermi  la storia?  Annodamenti,  giunture,  articolazioni  intime  formano di  certo  il  pregio  massimo  della  Scienza;  costi- tuiscono r  essenzial  condizione  del  sistema  ;  sono  la  vita della  ragione,  avvisata  come  funzione  filosofica  e  meta- fisica. Ma  si  vorrà  dire  che  tutto  ciò  sia  anche  pregio e  condizione  vitale  ove  dall'ordine  astratto  e  teore- tico e  individuale  si  discenda  in  quello  delle  applica- zioni e  della  storia,  per  esempio  ad  un  periodo  storico nel   quale  ci  sia  dato  assistere  all'opera  svariata  di molti  ingegni,  al  lavoro  molteplice  di  più  menti  fra  loro diverse  per  infinito  numero  di  condizioni,  condizioni differenti  per  luogo,  tempo,  educazione,  carattere  indi- viduale, e  civiltà?  È  egli  pregio,  di  grazia,  o  non  più  ve- ramente difetto  il  prendere  un  dirizzone  e  andare  sino in  fondo  diritto  come  fil  di  spada?  E  dov'è,  dunque, la  necessaria  moltiplicità  di  direzioni,  e  quella  ricchezza d'aspetti  differenti,  e  quella  varietà  di  vedute  e  di  metodi e  dottrine  in  cui  risiede,  a  dir  proprio,  il  moto  e  l' essere e  la  vita  feconda  della  storia?  I  quattro  filosofi  di  Germania costituiscono,  come  dire,  una  mente  sola,  un  sol pensiero;  formano  quasi  un  sol  uomo  che  svolga  e  deter- mini la  propria  attività:  e,  in  effetti,  come  un  sol  uomo essi  hanno  saputo  filar  sillogismi  e  tesser  la  scienza cosi  da  comporre,  sto  per  dire,  una  catena  salda  e  com- patta di  soli  quattro  anelli.*  Per  contrario  la  filosofia italiana  non  ci  pone  sott'  occhio  nulla  di  simile.  Ella  non è  un  processo,  o  al  più  è  un  processo  distratto,  rotto, saltellante,  fatt'a  pezzi  e  a  bocconi,  Qual  relazione mai  tra  Vico  e  il  Galluppi?  tra  Galluppi,  Rosmini  e Gioberti?  tra  Gioberti  e  lo  scettico  Ferrari?  fra  Ausonio critico  radicalissimo,  e  il  cattohcissimo  Conti?  fra  il  neo- platonico Mamiani  e  il  severo  storico  Bertini  ?  fra'  nostri Hegeliani  e  i  nostri  redivivi  Tomisti?  Riconosciamo  francamente  i  pregi  del  periodo  filosofico germanico;  e  non  meno  francamente  riconosciamo i  difetti  della  nostra  moderna  filosofia  considerata  sotto r  aspetto  storico.  Ma  ci  si  permetta  una  confessione,  ed  è che  noi  saremmo  tentati  a  scegliere  più  presto  questi  di- fetti, anziché  que'pregi  ;  per  la  semplice  ragione  accennata poco  fa,  che  gli  uni,  nella  mancanza  d'unità  e  d'un'euriti- mia  stecchita  e  geometrica,  ci  presentano  il  fecondo  moto *  Ecco  come  il  Remnsat  riduce  quasi  a  forma  geometrica  V  andamento progressivo  del  pensiero  germanico,  o  meglio,  de*  quattro  filosofi in  discorso  :  L*  idea^  dice  Kant,  non  prova  che  «d  «fe««a  :  V  idea^  ripigìiè Firkte^ produce  Veuere:  Videa,  soggiunte  Schelling^  riproduce  V  e«itcrc  :  V  idf^, eondwe  Hegel,,  >  Vetsere.  (De  la  Phil.  ÀUem,,  p.  45.) del  fatto  istorico,  dovecchè  gli  altri,  nell'  evoluzione serrata  e  compassata  di  loro  speculazioni,  ci  traggono  e e'  incatenano  allo  spirito  dommatico,  esclusivo,  unilate- rale del  filosofare,  e  perciò  medesimo  racchiudon  la  morte del  pensiero  appunto  perchè  presumon  di  chiudere  il circolo  dello  stesso  pensiero.  Non  dimentichino  gli  ama- tori de'  periodi  storici  filati  e  serrati,  come  la  storia della  scienza  e  delle  grandi  età,  presso  cui  rifulse  più splendido  il  pensiero  filosofico,  stia  tutta  contro  di  loro. Si  rammentino  che  nell'  età  gloriosa  del  Rinascimento  in Italia  cotesto  filar  sottile  di  speculazione,  cotesto  fitto  an- nodarsi di  più  scuole  e  stringersi  e  allacciarsi  di  più  filo- sofi impersonandosi  quasi  in  un  sol  filosofo,  non  ebbe luogo.  Non  ebbe  luogo,  checché  se  ne  dica,  nel  più  celebrato periodo  che  ci  presenti  la  storia  del  pensiero  umano,  il periodo  della  filosofia  greca,    prima    dopo  Socrate; ma  in  esso  il  critico  vede  una  moltiplicità  sempre  più crescente  e  feconda  da' primi  Ionici  agli  ultimi  Stoici,  agli ultimi  Scettici,  agU  ultimi  Neoplatonici,  tuttoché  quelle scuole  così  differenti  si  fossero  succeduta  sotto  l' impero d'una  legge  universale,  storica  e  psicologica  insieme.^ *  Questa  legge  conforme  alla  quale  si  venne  svolgendo  il  pensiero  spe- culativo nelle  scuole  greche,  possiamo  trovarla  accennata  dal  Laerzio (come  hanno  osservato  il  Brandis  e  il  Ritter)    dov^egli  afferma  che presso  quei  popolo  la  filosofia  sMniziò  con  la  nozione  d*una  pluralità^  indi venne  progredendo  con  quella  d*  un' assoluta  um'rà,  e  appresso  cercò  di stabilire  una  relazione  fra' due  concetti.  E  questi  caratteri,  in  generale, ci  additano  veramente  la  scuola  ionica  e  pitagorea,  la  scuola  eleatica e  poi  quelle  d'Anassagora  e  d'Empedocle;  ma  sempre  in  maniera  esclu- siva, grossolana,  oggettiva  e  naturale.  La  comparsa  di  Socrate  segna un  ricorto  della  medesima  legge,  ma  con  ben  altro  significato  e  indirizzo razionale.  Accanto  a  lui  vediamo  sorgere  la  Sofistica:  il  che  vuol  dire  che, oome  in  ogni  ritorno  istorico,  nel  2fi  periodo  della  filosofia  greca  ha  luogo un  doppio  lavoro  di  demolizione  e  di  ricostruzione;  l'uno  rappresentato da'  Sofisti»  l'altro  da'  Socratici.  Ond'è  che  la  sofistica    vuol  esser  avuta in  dispregio,  come' fanno  alcuni  fra'quali  il  Ritter,  e  nemmanco  esagerarne il  valore  e  l'importanza  isterica  secondochò  fanno  altri,  per  esempio l'Hermann,  col  porre  i  Sofisti  a  capo  d'un  periodo  novello  di  filoso- fare. Nella  storia  del  pensiero  greco  (passaggio  al  2o  periodo),  tanto vale  un  Sofista,  quanto  un  Socratico;  appunto  perchè  se  la  negazione  del primo  non  è  annullamento  di  speculazione,  l'affermazione  del  secondo  non Un  vincolo  storico,  reale,  positivo,  cosciente,  lo  tro- viamo fra  Platone  e  Aristotele.  Al  di  qua  e  molto  più al  di    de'  due  luminari  non  ci  ha  che  relazioni  ideali, gran  numero  delle  quali  è,  piò  che  altro,  l'effetto della  critica  armeggiona  di  certi  storiografi;  essendo già  note  le  spostature  a  comodo  che  son  venute  muli- nando certe  fantasie  hegeliane  dietro  l'esempio  del maestro,  ponendo,  per  dime  una,  dopo  la  scuola  Zeno- niana  d' Elea  quella  d'  Eraclito,  con  aperta  smentita della  storia,  de'  fatti,  della  cronologia  e  de'  dati  storici più  sicuri,  e  considerando  Socrate,  per  dirne  un'altra, come  logicamente  posteriore  ai  Sofisti,  mentre  è  noto .come  il  gran  figliuolo  dell'umile  Fenareta  fosse  loro contemporaneo!  Rammentiamoci  che  cotesti  lambicchi e  distillatoi,  cui  si  pretende  sottoporre  la  storia,  non ti  può  dir  neanche  posizione  sistematica,  ovvero  esplicazione  organica  d'nn dato  ordln  d' idee.  Ma  la  ricostmzione  rappresentata  da  Socrate  è  essen- zialmente psicologica  ed  etica,  non  più  naturale,  empirica  ed  estrinseca  ; stantechè  in  loi,  come  incontra  in  ogni  ricorto  ttoricOf  ripetesi  il  ca- rattere della  pluralità  oggettiva  (però  come  eoncetH,  i  quali  importano la  coscienza),  e  quindi  in  Platone  ed  Aristotele  si  ripetono,  ma  trasfl- gorati,  gli  altri  due  caratteri.  Platone  infatti  pone  V  unità  assoluta  in 8Ò,  mentre  che  Aristotele  si  studia  ritracciare  una  relazione  fra  quel- la mmo  e  il  moluplieet  sforzandosi  di  levare  il  dissidio  fra  1*  immanenza deU*a8ffoInto  nel  mondo,  e  la  permanenza  del  mondo  neir  assoluto  avvi- sato in    stesso.  Dopo  il  *i0  la  Log,  d^Ari»U^  T.  U,  19^. '  n  Barchou  de  Penho^ln  dice  anche  lui  non  di  rado,  come  il  Boul- lier,  qualche  enormità  tutta  francese.  Per  esempio  questa,  che  Cartesio, Spinoza  e  Malebranche  formino  una  mrd4>nlmn  icuofa^  e  una  ntf^itm  dot' trino/  — Vedi  Op.  cit.,  p.  101. discredere  ad  ogni  processo  istorico  nel  pensiero  filosofico? Tutt'  altro!  L'esigenza  del  processo,  in  tutto,  non  è meno  salda  e  men  vivace  nella  nostra,  che  nella  vostra mente.  In  noi  non  sistematici  assoluti  eli'  è  piii  vera, più  legittima,  più  pratica,  positiva  :  ecco  la  nostra  pre- tensione. Sarà  puerile  o  troppo  ardita  cotesta  pTeten- sione  :  ma,  fra  tante  pretensioni  che  c'è  al  mondo,  e  delle quali  si  mostrano  cotanto  ricchi  gli  annali  della  filosofia, non  ci  potrà  capir  anche  questa?  Un  processo  nel pensiero  filosofico,  tanto  nella  storia  universale  come ne'  suoi  differenti  periodi  e  sin  nelle  diverse  scuole  d'un sol  periodo,  ci  ha  da  essere;  e  ci  ha  da  essere  appunto perchè  la  storia,  anche  agli  occhi  nostri,  è  sempre l'opera  d'un  disegno.  Ma  poiché  l'incarnazione  di  co- testo disegno  non  è  soltanto  effetto  di  pensiero  inco- sciente, ma  è  la  risultante  di  condizioni  molte,  svariate, complesse  per  numero  e  complicate  per  natura,  fra  cui signoreggiano  le  intuizioni,  prevalgono  i  sentimenti,  pri- meggiano le  tendenze  istintive;  ne  seguita  che  il  pro- cesso non  può  manifestare,  come  si  pretenderebbe,  una forma  squisitamente  organica  e  seriale,  Ei  debb'  essere incompiuto,  com'  avviene  d' ogn'  altro  fatto  storico.  Or s'egli  è  incompiuto,  non  bisognerà  pur  compierlo?  E  chi potrà  compierlo,  chi  potrà  integrarlo  fuorché  il  pensiero che  lo  studia  e  sommette  alla  propria  speculazione? Un  processo  dunque  ci  ha  da  essere;  ma  ha  da essere  insieme  obbiettivo  e  subbiettivo,  storico  e  specu- lativo, essendo  l' opera  combinata  non  già  dalla  nostra fantasia,  com'  è  vezzo  di  certi  storiografi  che  annodano, per  esempio,  Cartesio  e  Kant  co' fili  ch'ei  sanno  mae- strevolmente rimaneggiare  a  tutto  lor  profitto,  bensì r  opera  combinata  fra  il  pensiero  che  fa,  e  il  pensiero che,  facendo,  vede,  scopre  e  progredisce  e  sale  sempre più  in  su.  Spieghiamoci  meglio.  Non  si  tratta  di  com- binare fra  loro  le  diverse  menti  de' filosofi  d'un  dato periodo:  si  tratta  di  combinar  tutto  il  periodo,  o,  per lo  meno,  i  risultati  di  tutta  la  speculazione  d' un  dato periodo  filosofico,  con  noi  medesimi,  cioè  con  la  nostra mente,  co'  bisogni  della  presente  speculazione.  Nel  primo caso,  plasmando  a  nostra  immagine  e  simiglianza  una data  serie  di  dottrine  e  di  filosofi,  la  storia  sarebbe fatta  da  noi  :  nel  secondo,  invece,  ella  sarebbe  fatta  mercè una  doppia  forza,  in  virtù  d'una  doppia  leva;  cioè  da sé  stessa,  e  anche  da  noi.  Non  è  quindi  la  storia,  la storia  come  storia,  quella  che  possa  e  deva  render  com- patto organando  appuntino  il  processo;  il  quale  perciò non  può  esser  costituito  nella  sua  forma  organica  da  più scuole  e  da  più  menti  considerate  queste  alla  maniera d'una  scuola  od' una  mente;  bensì  dev'esser  fatto  tale da  chi,  venendo  dopo,  è  deputato  a  raccoglierne  l'ere- dità. Se  non  fosse  così  che  cosa  ne  seguirebbe?  Ne seguirebbe  che  per  nessun  miracolo  al  mondo  sapremmo salvarci  da  questa  conseguenza:  che,  cioè,  la  storia della  scienza  s' identificherebbe,  si  compenetrerebbe  con la  scienza  stessa;*  e  quindi  per  inevitabil  necessità  do- vremmo giungere  ad  uno  di  questi  due  corollari:  credere, cioè,  0  che  il  sapore  filosofico  1'  avremmo  oggi beli' e  conseguito,  o  che  noi  conseguiremmo  giammai, essendo  indefiniti  i  limiti  della  storia.  Dimodoché  do- vremmo, com'è  evidente,  imbrancarci  o  con  gli  Hege- liani, ovvero  co' Positivisti.  E,  se  co'  primi,  non  avremmo torto  dijicantar  su  tutt'i  tuoni  d'aver  già  piantato  le colonne  d'Ercole;  né,  se  co' secondi,  c'inganneremmo menomamente  nel  predicare  illusorie  le  speranze  d' un sapere  propriamente  scientifico  e  metafisico.  La  condizione  dunque  del  processo  istorico  del  pensiero filosofico  non  istà  nell'esserci  fUicusione  e  continuità ne' suoi  rappresentanti:  basterà  che  ci  sia  svolgimento e  progresso,  e  quindi  vincoli  ideali  ove  sieno  impossi- bili gli  storici;  i  quali  non  di  rado  è  impresa  ben  vana il  cercare,  non  potendo  esistere,  o,  pur  esistendo,  non  *  È  questo,  coni*  è  noto,  ano  de*  dommi  supremi  deU*  Hegeliauismo, (Tedi  Hrocl,  Logique^  Introd,  §  XIII)  e  del  Positivismo,  tuttoché  il  significato ne  sia  diverso.  —-Vedi  CoirrB  e  Littbì  nelle  Op.  innanzi  citate. sarebbero  che  eccezioni.  Anche  noi  quindi  crediamo  che nella  storia  della  filosofia  c'è  attinenze;  ma  aggiungiamo che  c'è  anche  salti:  e  se  c'è  attinenze  e  salti,  la  conse- guenza (conseguenza  buona  solamente  per  noi,  anziché per  gli  aggomitolatori  e  sgomitolatori  de'  periodi  storici) è  questa,  che  una  critica  è  necessaria;  necessaria  una critica  filosofica  atta  a  scoprire  le  une,  e  colmare  gli altri.  Tornando  ora  al  proposito,  nella  storia  della  filosofia italian«r  ci  è  salti,  per  esempio,  fra  Bruno  e  il Vico,  fra  il  Vico  e  il  Galluppi,  fra  il  Galluppi  e  il Rosmini  e  il  Gioberti:  ma  non  ce  ne  maraviglieremo per  ciò,  sapendo  che  se  questo  non  è  pregio,  non  può  dirsi nemmanco  difetto.  Poiché  il  punto,  ad  ogni  modo,  sta nel  vedere  se  tomi  possibile  scoprirvi  una  progressione ideale;  e  questa  per  appunto  debb' esser  l'opera  con- corde de'  viventi  filosofi,  e  il  frutto  d' una  storia  saviamente critica. Nulla  infatti  è  inutile  nella  storia  della  scienza,  e tantp  meno  in  quella  della  filosofia.  Agli  occhi  dello storico  spiegano  egual  valore  tanto  il  moto  speculativo attuatosi  dal  Leibnitz  ad  Hegel,  quanto  quello  che,  pur con  varietà  d'indirizzi,  è  venuto  effettuandosi  fra  noi  dal Vico  al  Gioberti.  Nello  svolgersi  di*questi  due  periodi filosofici  potremo  verificare  una  gran  legge;  la  legge medesima  che  presiede  alla  storia  generale  del  pensiero filosofico.  Mi  spiego  subito  e  in  brevi  termini,  anticipando un'  idea  che  altrove  giustificherò.  Platonismo  e  Aristote- lismo sono  due  parole  di  significato  altamente  compren- sivo per  la  storia  della  filosofia  occidentale.  Non  sola- mente elle  racchiudono  una  legge  che  ritrae  la  natura del  processo  isterico  della  filosofia,*  ma  cotesta  lor  legge è  anche  principio,  un  principio  d'indole  teoretica.  Non v'  è  infatti,    v'  è  stato  filosofo,  il  quale  non  si  possa dir  seguace  dell'  uno  o  dell'  altro  indirizzo,  ovvero d'entrambi,  ma  accordati  e  accostati  insieme  in  uno *  Tedi  la  nota  di  qaesto  medesimo  Cap.  a  pa^.  196. de'  tanti  modi  tentati  e  ritentati  già  fino  da  antico,  a contare  da  Cicerone  a  Boezio,  da  Boezio  a  Bessarione, e  dagli  altri  molti  che  nel  Rinascimento  si  provarono in  simili  accordi,  fino  al  Rosmini.  D'altra  parte  chi pigli  per  poco  a  filosofare  con  serietà  scientifica  anziché da  burla,  come  par  che  vogliano  fare  oggi  critici  e positivisti,  non  può  a  meno  di  non  riconoscer  nelle  cose un  fondamento  assoluto.  Ora  tal  fondamento  assoluto  non può  esser  posto  tranne  che  in  uno  di  questi  tre  modi:  o nel  senso  dell'  idea  platonica,  o  nel  significato  della  cate- goria aristotelica,  ovvero  in  una  terza  maniera  nella  quale tomi  possibile  un  accordo  fra  l'esigenza  dell'uno,  e  quella dell'  altro  indirizzo.  Qual  debba  esser  la  natura  di  tale accordo  e  come  porlo  in  opera,  diremo  altrove.  Qui  giova avvertire  che  siffatta  legge  non  solo  racchiude  il  nodo, per  così  dire,  della  storia  della  filosofia,  tanto  guai-data neir  insieme  del  suo  svolgimento  universale  quanto  nei suoi  particolari  periodi,  ma  costituisce  ad  un  tempo  la vera  scienza  della  storia  del  pensiero  speculativo,  appunto perchè  forma  il  triplice  aspetto  sotto  cui  può  esser  con- siderata in    medesima  la  mente  del  filosofo  nella  soluzione del  problema  metafisico.  Si  dirà  per  avventura che  cotesta  maniera  di  considerare  la  storia  del  pensiero filosofico  sia  merce  hegeliana?  Può  darsi  che  in  appa- renza la  si  dimostri  tale.  Ma  fin  d'ora  avvertiamo  che cosiffatto  principio  è  superiore  all' hegelianismo  stesso, in  quanto  costituisce  il  criterio  col  quale  potrà  esser giudicato  il  valore  speculativo  di  quel  sistema. Tornando  al  proposito,  posto  il  Cartesianismo,  Leibnitz  e  Vico  non  potevan  essei-e,  e  nel  fatto  non  sono, né  puri  platonici,    puri  aristotelici.  Essi  bensì  ci  espri- mono il  conato  verso  un  accostamento  scambievoli  dei due  indirizzi;  tale  essendo  il  valore  della  loro  universa- lità, e  di  quella  sintesi  confusa  ond'  inaugurano,  come avvertimmo,  i  due  periodi  moderni  della  filosofia  te- desca e  italiana:  i  quali  perciò,  rappresentando  l'analisi, costituiscono  il  lavoro  a  cui  necessariamente  conduce  quella  sintesi.  Invero  dopo  Leibnitz  in  Germania e  dopo  il  Vico  in  Italia,  la  filosofia  assume,  tanto  nel- l'uno quanto  nell'altro  paese,  il  vecchio  contenuto,  ma sotto  novelle  forme:  da  una  parte,  la  filosofia  fondata nel  sentimento,  e  l'idealismo  assoluto;  dall'altra,  lo psicologismo  scolastico,  e  l'ontologismo:  indirizzi  più 0  meno  esagerati  del  platonismo  e  dell'  aristotelismo. E  lasciando  qui  de' due  aspetti  vieti  della  filosofia  germanica e  dell'italiana,  le  due  forme  che  in  esse  ad- dimostrano più  spiccata  originalità  rassomigliano  quasi a  due  correnti  che  riescono  a  due  punti  fra  loro  op- posti e  contrari,  e  sono  la  filosofia  ctisiologica,  e  quella dell'assoluta  identità.  Se  nella  prima  vi  è,  come  s'è detto,  processo  e  continuità  di  sviluppo  ;  nella  seconda non  manca  già  un  carattere  comune  tra  i  suoi  propugnatori, n  Teismo  fra  noi  è  venuto  assumendo  evidentemente forma  sempre  più  netta,  meno  impacciata, men  grossolana;  perchè  se  il  concetto  religioso, per  dime  un  esempio,  agli  -occhi  del  Galluppi  e  del Rosmini  e  del  Gioberti  costituisce  un  elemento  essen- ziale nell'organamento  del  loro  sistema,  la  rdigion  civile di  cui  ci  parla  il  Mamiani,  è  una  parola  com' un' altra; una  parola  che  non  dice  nulla,  o  pochissimo;  e  pure ha  fatto  e  fa  tanto  comodo  all'  autore  !  Questo  processo e  questo  risultato  della  filosofia  itaUana  è  come  una risultante  di  più  forze:  fra  cui  è  da  notare  innanzi tutto  r  educazione  storica  tradizionale  e  cattolica,  la forma  e  natura  speciale  dell'ingegno  italiano  non  così facile,  come  dissi,  a  dar  negli  estremi,  e  segnatamente gl'influssi  della  stessa  filosofia  germanica.  Queste  ed altre  cagioni  partoriscono  il  movimento  filosofico  in Italia  nel  nostro  secolo.  Il  pensiero  filosofico  nostrano (e  qui  han  ragione  gli  Hegeliani)  è  venuto  promosso, eccitato  dal  pensiero  germanico  ;  a  quel  modo,  potremmo dire,  che  le  diverse  forme  di  filosofia  nel  XV  e  XVI del  nostro  Risorgimento  vennero  eccitate  dal  sùbito risvegliarsi  della  filosofia  greca  e  platonica;  da'  com- Aatori  arabi  e  aristotelici  delle  scuole  di  Padova, /bologna,  di  Firenze.  Il  Criticismo  esercita  grande Zone  sili  GaJluppi;  e  le  tre  forme  dell'Idealismo  ger- n/anico,  subbiettivo  obbiettivo  ed  assoluto,  spiegano alla  lor  volta  influssi  potenti,  immediati  sul  Gioberti  e sul  Rosmini,  come  ci  dimostrano  la  Protologia  del  primo e  Ja  Teosofia  del  secondo,  e  anche  in  gran  parte  sul Msaniani.  Ma  se  è  vero,  com'  è  verissimo,  che  i  nostri filosofi  han  procacciato  d'ormeggiare  i  Tedeschi,  e  questi sono  valsi  ad  eccitare  in  quelli  piìi  gagliarda  la  virtù speculativa;  è  altrettanto  vero  che  gì' Italiani  mai  non cessaron  di  combattere  le  pretensioni  sistematiche  as- solute del  Germanismo;  e  questo  è  un  altro  carattere comune  che  li  distingue.  Si  può  dire,  in  somma,  che il  pensiero  italiano  sia  venuto  affilando  le  armi  nella fucina  dello  stesso  avversario:  ecco  tutto. Di  chi  sarà  il  trionfo?  Chi  canterà  gl'inni  della vittoria  ? Parliamoci  tondo  e  netto.  Il  trionfo  dell'  Ontologi- smo e  del  Neoplatonismo,  come  ci  è  dato  da'  nostri  filo- sofi, è  un'  illusione  ;  ma  non  sarà  meno  illusione  il trionfo  dell'  Idealismo  assoluto.  Noi  dunque  non  faremo festa  ne  all'  uno  ne  all'  altro,    batteremo  le  mani  alla vittoria  del  Grermanismo    dell'Italianismo,  per  la semplice  ragione  che  in  siffatt'  ordin  di  cose  le  credute vittorie  ci  paiono  sogni  di  menti  ammalate.  Queste  due scuole,  queste  due  filosofie  (ci  sia  permesso  stringerle entrambe  sotto  due  concetti  o  indirizzi  distinti)  ci  rap- presentano la  speculazione  ardita  del  nostro  secolo;  ma per  opposte  ragioni  si  dilungano  entrambe  dalla  casti- gatezza della  sintesi  ontologica,  discostandosi  in  pari tempo  dalla  severità  del  metodo  istorico  e  psicologico. Sennoncthè,  oggi  segnatamente,  chi  ben  le  guardi,  elle cercano  allearsi  e  compiersi  a  vicenda,  giusto  perchè rappresentano  e  riproducono  anch'esse  l'antica  lotta fra  r  Aristotelismo  e  il  Platonismo,  tanto  in    stessa e  nel  loro  insieme,  quanto  nelle  loro  particolari  divi- sioni,  esprìmendoci  perciò  il  bisogno  perenne  e  crescente di  quell'accordo  sperato  sempre,  ma  non  attinto  mai. Questo  panni,  dunque,  tutto  il  significato  del  loro  svolgimento; e  questo  mi  sembra  il  problema  alla  cui  soluzione elle  s' affaticano  da  un  secolo  e  mezzo  a  questa parte.  Non  è  egli  giusto  quindi  affermare  che  chi  spera nel  trionfo  assoluto  dell'una  su  l'altra  spera  invano,  e chi  s' affida  in  certi  accordi  e  temperamenti  in  sostanza esclusivi  e  unilaterali  non  ispera  peggio?  Citiamone  un esempio.  Il  Gioberti  dello  Spaventa,  lavoro  (checché  se ne  dica  dagli  hegelianissimi)  d'una  potenza  critica  vera- ramente  singolare  fra  noi  dopo  i  libri  del  Rosmini,  nelle intenzioni  dell'  autore  dovrebb'  essere  un  accordo  tra  la filosofia  italiana,  e  la  così  detta  filosofia  moderna  Europea. Lasciando  stare  quel  moderna  e  molto  piii  Y  europea (frase,  la  quale  a  me  rammenta  quella  che  han  su  la punta  della  lingua  i  Pontefici  di  Roma  quando  costoro menan  vanto  de'  creduti  e  desiderati  dugento  milioni  di cattolici),  io  chiederei,  se  il  fare  assorbire  à  quel  modo eh'  egli  ha  fatto  il  filosofo  italiano  dal  filosofo  tedesco, sia  da  dirsi  accordo,  o  non  più  veramente  un  solenne trionfo  del  secondo  sul  primo,  e  quindi  '1  trionfo  assoluto del  divenire  sul  creare? ¥*  allora  dov'è  mai  l'ac- cordo fra  le  due  filosofie? Un  accordo,  come  suona  la  parola,  è  necessario,  ed è  razionale;  che  posta  l'analisi,  posto  il  lavoro  anali- tico di  quel  doppio  indirizzo,  una  sintesi  ne  dovrà  sgor- gare di  necessità.  E  il  fatto  stesso  ce  ne  porge  prova e  guarentigia.  Il  Mamiani,  l'autore  delle  Confessioni^ ha  pronunziato,  fira  le  altre,  questa  gran  verità:  d'aver egli  concluso  e  chiuso,  fra  noi,  un  periodo  filosofico  nel quale  egli  stesso,  col  Galluppi  e  col  Rosmini  e  col  Gio- berti, è  venuto  cogliendo  allori  molti,  e  ben  meritati. L'À.  delle  Confessioni  ha  detto  benissimo:  ha  chiuso  dav- vero un  periodo  ;  ma  solo  ha  dimenticato  avvertirci  che in  esso  egU  ha  chiuso  anche    medesimo.  Chi  consi- deri infatti  il  suo  neoplatonismo,  per  quel  tanto  che contiene  di  correzione  verso  gli  altri  nostri  filosofi, l'illustre  Pesarese  ha  merito  grande;  ma  avvisato  in sé  stesso  cotesto  neoplatonismo,  specie  quant'  alla  parte psicologica,  è  già  morto  in  sul  nascere.  E  doveva  esser così,  almeno  per  chi  voglia  ammettere  che  la  storia della  filosofia  non  possa  esser  ripetizione  inutile  e  in- fruttuosa di  teoriche  trascendentali.  D'altra  parte  l'He- gelianismo,  checché  se  ne  voglia  dire,  ha  oggimai  esaurito la  propria  vitalità  con  lo  scindersi  nello  tre  note scuole  di  destra,  sinistra  e  centro.  Oggi  dunque  non  è impossibile  raccorre  i  frutti  di  così  lungo,  di  così  osti- nato lavoro,  e  di  lotte  e  contrasti  e  discussioni  infinite attuatesi  nei  due  paesi,  appo  cui  l' ingegno  europeo serba  piii  acconcia  e  vigorosa  virtù  speculativa.  A  tale impresa  hann'  influito  efficacemente  i  nostri  hegeliani, r  opera  dei  quali  riguardata  stòiicamente,  io  non  dubiterei chiamarla  provvidenziale.  Nelle  mani  di  questo infaticabile  artefice  che  appelliamo  storia,  i  nostri  he- geliani sono,  mi  si  lasci  dir  così,  un  istrumento,  un mezzo,  acciocché  nel  possibile  accordo  delle  due  filo- sofie abbia  a  trionfare  il  vero.  Più  che  apostoli  e  messia e  predicatori  della  buona  novella,  com'  essi  medesimi  si piaccion  segnalarsi,  sia  col  tradurre  le  opere  di  Hegel, come  fa  il  Vera,  sia  col  modificarne  e  interpretarne  le dottrine,  come  fa  Spaventa,  e'  mi  paion  la  condizione imprescindibile,  efficace,  perché  il  pensiero  filosofico possa  innovare    stesso  nella  pienezza  d' una  coscienza speculativa  chiara,  intima,  vivace,  sceverando  dal  vero quel  carattere  arbitrario  di  costruzioni  dommatiche  il quale  accompagna  i  pronunziati  dell'  Idealismo  assoluto. L' Hegelianismo  é  cosa  nostra:  lo  ha  detto  il  professore Spaventa;  ed  é  verissimo.  Ma  é  cosa  nostra  in quanto  è  anche  un  assoluto  realismo;  realismo  obbiettivo nel  vero  senso  della  parola,  non  già  campato  a mezz'aria,  com'è  quello  di  Hegel,  il  quale  perciò  usurpa, non  legittima  il  significato  della  obbiettività. Ripetiamolo:  se  la  filosofia  ha  bisogno  d'innovarsi esi-  i stro  \ ica.  i diventando  positiva  e  razionalmente  positiva,  tale  esi genza  del  pensiero  italiano  e  tedesco,  pia  che  dal  nostro cervello,  ha  da  scaturire  dalla  stessa  ragione  istorica Osservando  lo  svolgersi  di  queste  due  forme  del  pen- siero filosofico  moderno,  è  facile  accorgersi  com'elle assomiglino  (ci  si  permetta  un  paragone)  al  cammino di  due  linee  le  quali,  partendo  lontane  fra  loro,  nondimeno si  vadano  accostando  sempreppiù.  L'una  s'è  mossa prima  dell'  altra  ;  e  assai  più  spedita  e  più  rapida  ne'  suoi passi  e  difilatamente  ha  percorso  assai  più  lungo  tratto che  non  abbia  guadagnato  la  seconda.  Questa  poi  s' è mossa  dopo,  e  spesso  è  venuta  sviando  e  svagando  per più  e  diverse  ragioni;  ma,  non  altrimenti  che  ne' feno- meni elettrici  d'induzione,  passo  passo  ne  ha  sentito gì'  influssi,  e  le  si  è  venuta  più  e  più  avvicinando.  Un punto  di  coincidenza,  dunque,  fra  queste  due  linee  convergenti è  necessario;  ma  la  grave  difficoltà  sta  nel trovare  cotesto  punto.  Usciamo  di  figura.  Se  i  due  pe- riodi filosofici  nel  dischiudersi  per  opera  del  Leibnitz e  del  Vico  mostrano,  come  vedemmo,  cert' affinità spontanea  e  incosciente,  è  pur  mestieri  che  cotest' affi- nità s'abbia  da  palesare  altresì  nel  loro  chiudersi;  ma s' ha  da  palesare  cosciente,  riflessa,  e  quindi  promossa, eccitata,  ricercata  e  partorita  dalla  stessa  ragione  come funzione  filosofica.  E  pensiero  moderno  debbe  aver coscienza  di  tale  affinità:    può  averla  se  non  la cerca;    può  cercarla  efficacemente  se  non  la  pone.' *  Ninno  si  meraTigli  se  fra*  vari  indirìzzi  moderni  della  filosofia  noi qui  non  abbiamo  tenuto  conto  altro  cbe  della  speculazione  tedesca,  e dell*  italiana.  L' ingregno  inglese  procede  sempre  a  un  modo,  ne  da  due secoli  A  questa  parto  ò  mai  uscito  dalle  orme  segnategli  dal  suo  Bacone, e  poi  dal  Locke,  da  Hume  e  dalla  Scuola  scozzese.  Spencer  e  Mill  ce  *1 dicono  chiaramente  ;  ne*  quali  filosofi  è  pur  chiaro  un  progresso  rispetto ai  loro  antecessori,  ma  è  un  progresso  monotono,  omogeneo.  L*  ingegno francese  poi,  dopo  le  grandi  tracce  lasciategli  dal  Cartesianismo,  si  è svolto  sempre  fra  11  Sensismo  eil  un  acquoso  Spiritualismo  ;    la  scuola eclettica,  i  cut  ultimi  rappresentanti  oggi  fan  tanto  onore  alla  Francia, ha  nulla  di  veramente  originale.    una  bella  eccezione  in  quel  paese  la scuola  e  gli  studi  iniziati  dal  Main^de  Biran.  Se   dunque  originalità  di Italia  e  Glermania,  madri  d'ogni  grande  filosofia  e  dìvi- natrici  delle  più  ardite  concezioni  metafisiche,  per  ne- cessità isterica  hann'a  risalire  alle  loro  primitive  sor- genti moderne,  Leibnitz  e  Vico  ;  ma  risalirvi  (intendia- moci) con  tutta  quell'opulenta  ricchezza  che  a  noi porge  il  lavoro  di  specukzione  compiutasi  nello  spazio di  due  secoli.  Il  trionfo  ha  da  esser  comune,  perchè comune,  quantunque  diviso,  è  stato  il  lungo  lavoro. Se  non  fosse  cosi,  la  conseguenza,  per  le  menti  che con  ansia  febbrile  e  con  ignorati  e  crudeli  tormenti ma  con  altrettanta  fede  si  travagliano  invittamente nella  ricerca  d'ogni  parte  spinosa  della  verità,  sa- rebbe dura  davvero,  sarebbe  sconfortevole.  E  la  con- seguenza è,  che  la  storia  sarebbe  un'  ingiustizia  :  ingiu- stizia altrettanto  manifesta  e  insopportabile,  quanto inesplicabile.  Ancora  :  se  questi  due  periodi,  queste  due filosofie  di  cui  si  parla,  non  avessero  quelle  attinenze  e quel  valore  e  quel  fine  che  noi  diciamo,  elle  assomiglie- rebbero a  due  forze  distratte,  inconsapevoU,  naturali, sciolte  da  ogni  legge,  libere  da  ogni  ragione;    vera- mente che  le  analogie  e  le  differenze  e  l'intero  loro svolgimento  sarebbero  tutte  cose  accidentali,  estrinseche, meccaniche,  fortuite,  e  perciò  stesso  empiriche,  perciò stesso  inesplicabili,  perciò  stesso  insignificanti,  non  al- trimenti che  que'  riscontri  ingegnosi  ma  vani,  ma  incon- cludenti, che  alcuni  storici  sanno  scorgere  fi-a  la  storia d'un  popolo,  e  quella  d'un  altro,  fra  la  China,  per  esempio, e  l'Europa,  tra  Confucio  e  Pitagora,  fra  il  Celeste  Impero e  il  Teocratismo  papale,  come  fa  il  nostro  Ferrari.  Or  noi domandiamo  alla  coscienza  di  tutti  gl'indefessi  indagatori del  vero;  domandiamo  alla  coscienza  degli  amici  sinceri e  de'  sinceri  nemici  della  filosofia  :  È  egli  mai  possibile speculazione  oggi  è  possibile,  è  d' uopo  ricercarla,  quantunque  sotto forme  diverse  e  con  risultato  e  valore  differente,  nell*  ingegno  tedesco  e italiano.  So  che  gli  Hegel ianissimi  sorrideranno  di  gran  cuore  a  queste parole.  Ma  io  qui  vo* restringermi  a  chiedere,  se  da  quarantanni  a questa  parte  fuori  d*  Italia  ci  sìa  stato  filosofo  che  possa  reggere  al  para- gone dell'ingegno  del  Rosmini,  miracoloso  per  acutezxa  speculativa. che  la  storia,  massime  la  storia  del  pensiero  filosofico, abbia  da  essere,  o  un'  opera  cotanto  ingiusta,  ovvero  un artifizio  cotanto  sterile,  infruttuoso  e  meccanico? Concludo  per  ciò  che  riguarda  il  nostro  filosofo nonché  la  seconda  parte  del  nostro  lavoro.  Si  è  detto e  si  dice  che  il  Vico  non  ispiegò  efficacia  di  sorta  nel soQ.  secolo.  E  poi  s' aggiunge  che,  quand'  ei  venne  sco- perto (e  fu  vera  scoperta)  noi  già  l' avevamo  sorpassato. Sarà  vera  V  una  cosa  e  l' altra.  Ma  gli  uomini  grandi e  ì  grandi  ingegni,  se  vogliamo  stare  all'  osservazione di  Stuart  Mill,  i  quali  per  difetto  di  favorevoli  oc- casioni non  poteron  lasciare  traccia  alcuna  di    nella loro  età,  spesso  sono  stati  di  gran  valore  per  i  posteri.* Tale  per  noi  è  il  Vico;  e  tale  si  é  pure  la  sua  Scienza Nuova.  S'ei  nulla  valse  pe'  nostri  padri  (il  che  non  è vero),  vale  moltissimo  per  noi.  Solamente  in  lui  potremo rannodar  gli  anelli  della  nostra  tradizione  scientifica: in  lui  ricongiugnere  il  nostro  Rinascimento  col  nostro moderno  Risorgimento.  Per  andare  avanti  debitamente, come  suona  il  motto  volgare,  è  d' uopo  dare  un  passo indietro  :  Chi  vuol  salire,  pigli  V  aire.  Se  questo  é  vero, se  questo  é  necessario  in  tutto;  non  sarà  altrettanto vero,  altrettanto  necessario  in  filosofia? Con  sifi'atti  intendimenti  noi  prendiamo  ad  interpre- tare il  principio  filosofico  della  Scienza  Nuova.  L' acuto Littré  lia  detto  benissimo:  Tout  annonce  gu'on  ne  verrà plus  aucune  grande  éruption  métaphysigue,  comparàble à  celles  qui  otit  signaU  Vére  moderne  depuis  Descartes, et  qui  ont  abouti  à  HegeV  Ma  la  conseguenza  vera  non è  quella  che  ne  trae  il  positivista  francese,  bensì  quella che  ne  ricaviamo  noi  :  e  tal  conseguenza  é  la  necessità di  critica,  la  necessità  di  ritomo  critico  su  la  feconda speculazione  degli  ultimi  grandi  filosofi,  e  quindi  la  ne- cessità d'un  accordo  fra  essi.  '  St.  Mill.  SytL  de  Log.,  toI.  2,  pag.  545. *  LiTTRi,  Princ  de  Phtl.  Poeit.,  Pré/,,  pag.  59,  Paris,  1868, Il  concetto  della  Scienza  e  '1  concetto  del  Criterio  si richiamano  a  vicenda,  poiché  non  si  può  determinar  l'uno senza  additare  nel  medesimo  tempo  il  significato  del- l' altro.  La  prova  più  facile  e  megUo  convincente  di  tale affermazione  ci  è  data  dalla  storia  della  filosofia;  non v'essendo  sistema,  non  dottrina  filosofica,  nella  quale que'  due  concetti  non  rispondan  fra  loro  per  caratteri comuni,  e  per  note  affini  ed  omogenee.  E  poiché  applicare il  criterio  vai  come  imprimere  forma  al  conoscere,  onde poi  risulta  il  metodo;  è  naturale  che,  tanto  l' idea  della scienza,  quanto  quella  del  criterio,  abbiano  a  racchiu- dere altresì  la  nozione  del  metodo.  Se  non  che,  scienza metodo  e  criterio  sono  tre  concetti  dipendenti  dalla soluzione  d' un  medesimo  problema,  del  problema  della conoscenza:  nel  quale  perciò  si  radica  propriamente, direbbe  il  Trendelemburg,  l' ultima  differenza  de'  sistemi. Sono  dunque  tre  aspetti  diversi,  sono  tre  diverse determinazioni  d'un  medesimo  subbietto;  le  quali  noi non  possiamo  definire,  ma  espUcare,  stanteché  la  defi- nizione, secondo  il  detto  di  Campanella,  sia  come  la conclusione  e  quasi  l' epilogo  della  scienza  stessa.  Nel circolo  della  riflessione  infatti  la  mente,  ripiegandosi in    medesima  si  compie,  si  pone,  si  determina,  cioè si  definisce;  e  si  definisce  perchè  si  è  venuta  esplicando; e  con  r esplicarsi  mostra  col  fatto  che  cos'è  mai  T intendere, quali  vie  abbia  percorso,  e  con  che  guarentigie si  possa  pervenire  ai  risultamenti  più  sicuri  del  sapere. Nondimeno  ci  è  cose  che  noi  potremo  sapere  fino da  ora  ;  voglio  dire  le  condizioni  del  sapere.  In  che  mai dobbiamo  fondare  la  scienza?  In  che  porre  i  limiti  del sapere  metafisico?  I  più  de'  filosofi,  com'  è  noto,  si  fanno tosto  a  rispondere:  «  su  la  natura  e  sul  valore  dell'uomo stesso.  »  Ma  il  punto  è  precisamente  questo:  qual'  è  mai la  natura,  qual  è  il  valore  dell'  uomo  ?  La  risposta  più seria  e  positiva  a  tale  domanda,  se  non  vogliamo  per- derci nelle  solite  ciance  trascendentali,  panni  questa: che  l'uomo,  l'uomo  quale  ci  è  dato  da' fatti  e  dalla storia,  non  l' uomo  concepito  sotto  forma  di  spirito  del mondo  {der  WéUgeisf),  non  sia  tutto,  e  nemmanco  nulla  :  * di  che  ci  porgono  guarentigia  nel  medesimo  tempo  la coscienza,  l'esperienza  e  la  ragione.  Ora  se  questo  è  vero, due  conseguenze  n'emergono  innegabili;  la  prima,  che la  scienza,  tolta  nel  significato  di  sapere  metafisico, non  può  esser    propriamente  negativa,    propria- mente assoluta;  la  seconda,  che  non  si  può  esser  siste- matici e  dommatici,  non  essendo  noi  tanto  fortunati  da possedere  una  formola  assoluta  entro  cui  mostrar  chiusa la  ragione  ultima  e  propriamente  essenziale  delle  cose. Ma  diremo  perciò  che  il  filosofare  altro  non  possa  essere fuorché  una  pura  e  semplice  ricerca  sfornita  di  qual  si voglia  risultamento  metafisico  che  sia  positivo,  sicuro, determinato?'  Che  se  anche  per  noi  filosofia  suona ri- '  Homo  quia  neque  nthU  e«(,  neqite  omnia^  nee  nihil  percipit,  nec  in,' Jinitum,    De  sntiqaiss.  Italoram  sapientia,  cap.  Ili,  16. *  Filosofo  dommatieo  e  filosofo  nttematioo  a$8oluto  per  noi  suona  il medesimo,  anche  ammesso  che  un  sistema  possa  esser  costruito  per  sola Tìrtù  di  ragione,  e  innalzato  (se  fosse  possibile)  ad  evidenza  matematica, secondo  che  pretendon  gli  Hegeliani.  Il  dommatismo  volgare,  teologico, fondandosi  in  un  principio  estrinseco  alla  ragione,  è  da  ripudiarsi  per difetto;  ne  conveniamo.  Ma  il  dommatismo  sistematico  de*  metafisici  as- solati col  pretender  troppo,  anzi  tutto,  non  è  da  ripudiarsi  per  eccesso  ? Différiscon  ne'  mezzi  infinitamente,  io  lo  so  ;  ma  il  risultato  è  il  mede- cerca  e  amor  di  sapere,  nondimeno  è  ricerca  effettiva, è  ricerca  non  solo  atta  a  raccogliere  il  fatto,  ma  tale  che sia  un  fare  altresì  ella  medesima,  cioè  una  funzione  cri- tica, ma  efficace,  positiva,  attuale,  come  può  e  debb'es- sere  dopo  il  Kant;  funzione  quindi  capace  non  già  a  ri- mandarci al  futuro,  cioè  ai  risultati  della  storia,  sibbene a  saperci  dire  qualcosa  anc'  oggi  su'  grandi  e  terribili problemi  di  nostra  esistenza,  del  mondo,  della  vita,  della società.  Se  la  scienza  è  possibile,  come  alcuni,  positivisti cominciano  a  credere,*  non  vuol  essere  in  qualche  maniera attuale?  Poiché,  giova  bene  ripeterlo  anche  qui, un  possibile  che  mai  non  esca  dalla  nuda  possibilità,  in realtà  non  è  alti*o  che  un  impossibile! È  da  dire  perciò  che  tanto  V  idealista  assoluto  o l'ontologista  Giobertiano,  i  quali  in  una  formola,  tut- toché diversissima,  ti  assommano  la  ragione  d'ogni  umano e  divino  sapere,  quanto  il  positivista  e  il  puro  critico che  ogni  sapere  metafisico  dichiarano  impossibile,  escano tutti  dal  positivo,  perchè  chiudon  l'indagine,  e  spengono siffattamente  ogni  bisogno  critico  nel  pensiero.  E così  neir  uno  come  nell'  altro  caso,  la  mente  si  rimane impigliata  in  un'  affermazione  supremamente  dommatica:  dommatica  positiva  (sistematica)  nel  primo,  dom- matica  negativa  (esclusione  della  metafisica)  nel  secondo. Or  la  filosofia  intanto  può  assumere  forma  e  valore  di speculaziope  positiva,  in  quanto  riesce  a  schivare  non pure  il  donmiatismo  (il  sistema  assòluto  propriamente detto),  ma  eziandio  l'assoluto  positivismo  (scetticismo, nullismo  metafisico).  Fra  questi  contrari  il  filosofo  che Simo,  perchè  Tano  con  la  credenza  e  l'altro  con  la  dimostrazione  pre- samono  darci  tutto  il  vero.  Entrambi  quindi  negano  1*  attività  speculatÌTa; il  primo  la  nega  dichiarando  la  ragione  impotente,  il  secondo  la  nega reputandola  esauribile  anzi  esaurita  e  soddisfatta.  Che  nel]*  insieme  delle dottrine  del  Vico  non  vi  sia  pretensione  di  gUtema  propriamente  detto, Tabbiam  visto  riportando  (pag.  173)  alcune  parole  della  Conchu.  del Libro  MetaJUieot  e  meglio  si  può  vedere  laddov*egli  accenna  ai  dom- matici  del  suo  tempo  ch'erano  i  Cartesiani.—  De  Antiqui^,  etc.,  Gap.  I,  §  2. '  Vedi  la  Conclus.  dell'ultimo  libro  del  Taine  suìV Intelliyenza, voglia  esser  davvero  positivo,  sa  di  non  esser  dommatico;  ma  poi  sa  qualche  altra  cosa.  Egli  sa  di  non  poter esser  mai  dommatico,  non  mai  sistematico  assoluto. Sa  di  non  saper  tutto,  e,  che  più  monta,  può  giugnere a  conoscere  la  ragione  per  cui  deve  ignorare  qualche cosa.  È  il  caso  del  sapere  del  non  sapere,  appunto  per- chè se  ne  ha  coscienza.    E  non  è  ignoranza  cotesta? mi  si  dirà.    Sì,  certo,  è  ignoranza:  ma  è  ignoranza dotta,  direbbe  il  Cusano. Tre  ci  sembrano  adunque  le  condizioni,  tre  i  carat- teri precipui  del  filosofare  che  voglia  riescire  seriamente e  razionalmente  positivo;  e  sono  questi: A)  La  speculazione  filosofica  non  può  esser  fon- data sopra  elementi  che  non  siano  sperimentali,  ma  di esperienza  intema  ed  esterna.  Tutto  è  processo,  genesi, attività  nel  pensiero;  stantechè  tutto  in  lui  sia  generato, tutto  edotto  mercè  i  dati  sperimentali.    questo  vuol dire  sensismo,  psicologismo  grossolano,  nettampoco  materialismo ed  empirismo,  come  potrebbe  parere  a  tutta prima;  perocché  non  per  nulla  ne'  ricchi  annali  della moderna  filosofia  esistono,  chi  voglia  meditarli  sul  serio, i  Nuovi  Saggi  del  Leibnitz,  la  Critica  della  Ragion  pura e  quella  sul  Giudizio  di  Kant,  il  Nuovo  Saggio  del  Ros- mini, e  qualche  altro  libro  di  questo  genere,  ma  non certo  d' egual  valore.  Fatti  dunque  (ripetiamo  anche  noi co'  Positivisti)  e  leggi  de'  fatti  ;  ma,  aggiungiamo,  la ragione  anche  degli  uni  e  dell'altre. B)  La  filosofia  non  meriterà  titolo  di  positiva,  dove pretenda  procedere  scompagnata  dall'  altre  scienze,  e far  da  sé.  Come  nella  soluzione  de'  grandi  problemi  que- ste non  bastano  a    stesse,  parimenti  non  v'  è  ragione a  credere  che  anche  quella  da  sola  non  abbia  a  soggia- cere alla  medesima  condizione.  Che  se  mossa  da  antico orgoglio  presuma  d'essere  scienza  di  tutto,  per  ciò  appunto eli' abbisogna  di  tutto;  abbisogna  di  tutt'i  fatti, di  tutta  r  esperienza,  del  concorso  di  tutte  quante  le sfere  e  discipline  dell'  lunana  enciclopedia.  Il  perchè  non si  può  dire  in  modo  assoluto  esser  la  metafisica  quella  che generi  le  scienze;  vecchia  pretensione  del  teologismo che  ci  ricaccerebbe  nel  più  fitto  medio  evo:  ma  nean- che si  può  aflFermare  esser  le  scienze  quelle  che,  come altrove  notammo,  possano  di  per    sole  partorire  la filosofia.  A  due  patti  la  funzione  filosofica  riesce  positiva: quando  sia  generata  dalle  scienze,  e  quando,  ge- nerata che  sia  in  qual  si  voglia  modo,  possa  e  sappia come  ogni  produzione  organica  viver  da  sé,  e  far  vi- vere. Non  è  dunque  vero  che  all'altre  discipline  ella porga  principii  e  dispensi  metodi  e  partecipi  criteri.  Ri- ceve anzi  dal  di  fuori  tutte  queste  cose;  ma  per  legit- timarle, organarle,  ricrearle  :  il  che  non  può  esser  rico- nosciuto dal  positivista  conseguente  a    stesso,  senza ch'egli  inciampichi  in  contraddizioni  per  quanto  evidenti altrettanto  inevitabili. C)  Il  terzo  carattere,  conseguenza  da' due  primi,  è questo;  che  concepita  così  la  filosofia  di  fronte  alle  altre scienze,  ella  riesce  positiva,  ma  non  però  cessa  di  posse- dere un  valore  metafisico.  Diventa  metafisica,  non  meta- fisica teologica,    metafisica  a  priori  e  tutta  d'un  pezzo; orditura  dialettica  ideale  somigliante  a  rete  d' acciaio  che stringa,  affoghi  e  strozzi  tutto  ciò  che  tocca  o  ricopre. Diventa  bensì  metafisica  atta  a  costruire    stessa,  ma  in quanto  costruisce  anche  le  scienze;  in  quanto,  in  somma, é  attività  filosofica  d'un'  attività  anteriore,  dell'attività scientifica,  sperimentale,  molteplice,  essenzialmente  ana- litica e  particolare.  Non  é  quindi  lecito  confondere, né  identificare  queste  due  sorgenti  d'attività,  sia  ridu- cendo la  prima  alla  seconda,  sia  facendo  che  questa venga  tutta  assorbita  in  quella.  Evidentemente  con- traddiremmo ad  un  fatto;  contraddiremmo  al  bisogno potente  in  ogni  tempo,  in  ogni  luogo  per  la  speculazione. Perocché  non  è  possibile  (per  dirla  con  le  me- morabili parole  di  Kant)  che  V  uomo  rinunei  alla  me- tafisica, come  non  rinunzia  cMa  respiratone  anche  con la  paura  di  respirare  uri  aria  malefica. Queste  condizioni  che  noi  poniamo  alla  ricerca  filo- sofica sono,  quanto  semplici,  altrettanto  positive.  Non  è a  dirsi  eh'  elle  precludano  e  arrestino  in  modo  alcuno  la funzione  critica,  secondo  che  incontra  tanto  ai  nemici d'ogni  sistema,  quant'  ai  sistematici  assoluti.  Nel  deter- minare infatti  la  natura  e  '1  fine  della  scienza,  i  primi ci  dicono:  «  non  bisogna  tentar  V  impossibile  prefiggen- doci '1  fine  di  conoscere  VinconoscìbUe,  Tassoluto.  »  Ecco posta  al  sapere  una  condizione  essenzialmente  negativa, perchè  contraddice  alla  natura  stessa  del  pensiero  e  del- l' attività  critica.*  I  secondi  poi,  cioè  i  sistematici,  sostengono che  la  scienza  non  solo  può  e  deve  attingere r  assoluto,  ma  ha  da  ridurlo  trasparente  così  da  adequarlo, da  conoscerlo  sicuti  esty  altrimenti  vai  come  nulla conoscere.*  Ma  se  cotesto  conoscere  (metafisicamente) il  tutto,  fosse  un  bel  sogno;  non  ne  verrebbe  che  nulla *  I  poBitWisti  credono  anch*  essi  no  fatto  il  bisogrno  specalativo  ;  e come  fatto  noi  negano.  Ma  dopo  aver  distinto  quel  che  in  esso  ?*  ha  di permanente,  cioè  la  presenza  perpetua  dell'infinito  nollo  spirito,  da  ciò che  è  transeunte,  eh'  è  dire  1*  inutile  sforzo  a  risolverò  problemi  per  se medesimi  insolubili,  sogrgiungono :  e  Se  l'Assoluto  è  qualche  cosa,  non  può essere  che  una  realtà. Ora og^ni  realtà  si  conosce  mercè  l'esperienza,  la quale,  del  resto,  non  potendosi  applicare  all'Assoluto,  ci  fa  piombare  In un  circolo  senza  uscita.  Dunque  la  metafisica  e  una  fase  tratmtorta  dello •pirito  umano,  »  (Littré,  Prineip.  de  Phtl.  Posiu  Prófac.  p.  53, 1868.)  Innanzi tutto  domandiamo,  se  condizione  permanente  del  fatto,  che  nel caso  nostro  è  il  bisogno  della  speculazione,  ò  la  presenza  nel  pensiero d'un  infinito,  non  sarà  appunto  per  ciò  possibile  una  ricerca  metafisica? Quant'all'inutile  sforzo  poi  non  approda  fondarsi  nella  storia,  non  potendo in  siffatt'  ordin  di  cose  indurre  legittimamente  dal  passato  al  futuro. Finalmente,  quant'al  circolo  senz'uscita,  osserviamo  che  l'assoluto  è  reale, realissimo,  ma  non  di  realtà  sensata  e  tangibile  ;  e  non  è  vero  che  ogni realtà  non  si  possa  altrimenti  conoscere  se  non  per  l'esperienza  ;  errore capitale  del  Positivismo.  Queste  ed  altre  risposte  han  dato  al  Littré  i medesimi  francesi,  specialmente  Janet,  Caro,  Vacherot,  Rénouvier,  Pillon, Reville,  Laugel.  A  noi  piace  rammentargli  un'altra  bella  sentenza  d'un filosofo  poco  fa  citato  non  certamente  benevolo  ai  matefisici:  Una  me- tajinca  è  tempre  enttita  e  tempre  eneterà  nell*  umanità^  perche  etto  ì  ine- rente  alle  invettigagioni  della  ragione  umana  che  epecìda.    E.  Kant,  Critica ddUi  Ragion  Pura^  noli' Introd.  alla  2.*  odiz.  §  1. "  Niente  ni  conosce  te  tutto  non  ti  conotce.    Spaventa,  Lex.  di  FU. p.  154.    Vrba,  specialmente  nell' /n6  resultato  d'azioni  e  reazioni  fra  il  mondo  fisico  e quello  dello  spirito,  e  quindi  d'  una  doppia  serie  di leggi,  naturali  e  psicologiche,  modificate  dalle  diverse ,  attribuendogli  caratteri  e  valore  non  propri:  avrete  falsato  la natura  delle  scienze  ;  le  avrete  confuse  ;  ne  avrete  guasta  V  ìndole,  turbando cosi  tutta  r  economia  razionale  del  sapere. Questa  dottrina,  essenzialmente  psicologica  e  quindi  razionalmente positiva,  contraddice,  com'  è  evidente,  alla  distribuzione  enciclopedica de*  sistematici,  per  esempio  a  quella  del  Gioberti  e  di  Beerei  ;  e  nel  men- tre racchiude  i  pregi  della  classificazione  de*  Positivisti  inglesi  e  fran- cesi, ne  corregge  insieme  i  difetti.  Ma  i  pregi  e  la  verità  d*  un  criterio ordinativo  non  può  vedersi  altro  che  nelle  sue  diverse  applicazioni,  nelle •quali  non  possiamo  intrattenerci.  Solo  notiamo  che  tal  dottrina  ò  un*  in- terpretazione de*  principi!  psicologici  del  nostro  filosofo,  come  vedremo. *  T.  BuCKLS,  History  of  OivUiMation  in  England^  voi.  I,  cap.  2». fa  benissimo.  Ma  nella  sua  dottrina  cotal  distinzione  à un'inconseguenza.  La  costituzione  d'una  scienza  muove dalla  ragione  :  la  evoltmone  di  essa,  per  contrario,  è  frutto della  storia.  Or  se  F  una  cosa  non  è  V  altra,  è  da  con- cludere che  la  scienza  è  superiore  alla  storia.  Perchè dunque  compenetrarvela?  D'altra  parte,  non  è  punto  vero che,  vuoi  nella  genesi  ideale  o  psicologica  delle  scienze, vuoi  nella  lor  genesi  storica,  procedasi  dalla  parte  al tutto,  dal  semplice  al  composto,  dal  rudimentale  e  irreducibile al  complesso,  come  vogliono  i  Francesi.  È  vero bensì  che  dal  tutto  si  va  al  tutto,  cioè  dal  tutto  iniziale al  tutto  attuale,  o,  come  direbbe  lo  Spencer  in  suo  lin- guaggio, dall'  omogeneo  slVeferogeneo,^  La  genesi  storica del  sapere,  infatti,  rassomiglia  quella  della  società  stessa: nella  quale  dapprima  i  poteri  dello  Stato,  per  esempio, anziché  distinguersi  fra  loro,  formano  un  potei'e  unico  ; e,  anziché  individui  liberi,  vi  esiste  un  solo  individuo. Parimenti  le  scienze  forman  dapprima  una  scienza  ;  uno le  possiede,  uno  o  pochi  le  insegnano,  come  uno  è  quegli che  comanda.  Però  diciamo  che  la  genesi  storica  di  esse procede  per  tre  momenti  (vecchio  concetto  aristotelico) cioè  :  Sintesi  iniziale  e  confusa,  poi  Analisi,  e  poi  Sintesi finale.  Nel  primo  di  cotesti  momenti  non  s' ha  una  data serie  di  scienze,  come  dice  il  positivista  francese.  S' ha bensì  tutte  le  scienze,  ma  fomite  d' un  carattere  comu- ne ;  il  qual  carattere  sta  nel  comporre  il  sapere  traen- done le  ragioni  da  tutt'  altra  fonte  che  non  è  Y  intimità stessa  dello  spirito.  In  questo  primo  momento,  in  somma, *  La  legge  secondo  cui  lo  Spencer  chiarisce  la  sua  teorica  del  pro- gresso con  tanta  sapienza  ed  erudizione  da  lasciar  maravigliata  la  mente d*ogni  lettore,  si  potrebbe  applicare  benissimo  alla  genesi  delle  scienze intesa  storicamente.  Egli,  come  8*ò  detto,  non  ha  fatto  quest'applicazione. Ma  ci  è  da  sospettare  che,  facendola,  rieacirebbe  incompleta,  com*  è  in- completo il  principio  su  cui  è  basata.  Il  procedere  daW  omogeneo  alV  ete- rogeneo è  davvero  un  processo  :  ma  è  processo  che  non  risolve,  mancan- doci un  terzo  momento  necessario  a  compiere  il  primo  e  *1  secondo.  Oltre questo  difetto,  il  principio  dello  Spencer  ha  V  altro  di  non  esser  nuovo, anzi  vecchissimo,  perchè  risale  ad  Aristotele  :  *Aft  70?^  sv  tw  iffS^C \jncf.p^st  To  vfpÓTtpov,  De  An.  II,  m. lo  spirito  è,  come  dire,  fuori  di  sé,  nella  natura,  nelr  autorità,  e  quindi  la  scienza  è  quasi  indotta;  ma  tale induzione  dapprima  è  affatto  empirica,  naturale,  gros- solana, divina,  direbbe  il  Vico.  Nel  secondo  momento ci  ha  distinzione,  analisi,  astrazione  :  e  qui  la  mente, accostandosi  a    medesima,  deduce.  Nel  terzo,  final- mente, il  pensiero  possiede    stesso,  perchè  possiede l'altro:  egli  é  filosofia  perchè  è  scienza;  ed  è  scienza vera  perchè  è  filosofia.  Ci  è  dunque  rispondenza,  ci  è  ar- monia fra  la  genesi  ideale  e  la  genesi  stòrica  della  scien- za, non  già  compenetrazione,  come  vorrebbe  il  Comte. Anche  noi  quindi  crediamo  in  una  legge  di  succes- sione nell'attività  del  pensiero;    respingiamo  una  di- sposizione gerarchica  e  genealogica  del  sapere.  Ma  né r  uua  è  assoluta  filiazione,    1'  altra  è  composizione organica  e  compatta    che  le  scienze  che  seguono  altro non  possan  essere  fuorché  semplici  appendici  di  quelle che  precedono.  È  vero:  il  pensiero  nella  storia  as- sume innanzi  tutto  forma  teologica.  £  quando  accada eh'  egli  abbia  carattere  metafisico,  il  suo  contenuto  sarà sempre  di  natura  mitologica,  religiosa,  tradizionale,  ri- velata, essendo  sempre  un  prodotto  d' autorità.  Appresso riveste  forma  naturale  ;  stanteché  sorgano  le  scienze  le quali,  svolgendosi  com' elementi  particolari  del  papere, si  vanno  liberamente  determinando  con  metodo  appropriato a  ciascuna  di  esse.  In  un  terzo  periodo,  final- mente, piglia  forma  complessa  e  insieme  universale  come nel  primo;  toa  non  più  sotto  forma  teologica,    me- tafisica ed  a  priori,  bensì  filosofica;  appunto  perché  è deputato  a  raccoglier  la  ricca  eredità  accumulatasi  negli antecedenti  periodi.  Or  se  è  vero,  come  dicemmo,  che il  pensiero  è  superiore  alla  storia  tuttoché  emerga dalla  storia,  non  è  men  vero  che  la  speculazione  riflessa trascende  anch'olla  le  scienze,  comecché  dalle scienze  sia  venuta  germogliando.  CJondanniamo  dunque, anche  noi,  la  metafisica  che  si  presenta  com' elabora- zione teologica  riflessa.  Condanniamo,  per  dirla  col  Lit- tré,  quel  punto  di  vista  metafisico  eh' è  trasformaeiane del  punto  di  vista  teologico.  Ma  potremmo  condannare quella  metafisica  eh' è  insieme  critica  e  inveramento del  punto  di  vista  positivo?  In  altre  parole,  condan- niamo rìsolutamente  la  metafisica  fatta  a  priori;  ma non  meno  risolutamente  neghiamo  che  la  terza  fase^  il terzo  stato  della  scienza,  abbia  da  esser  positivo  nel senso  che  i  Francesi  tolgon  questa  parola.  Lo  staio positivo  de'  Gomtiani,  afferma  un  giudice  non  sospetto, non  è  che  un'ignoranza  confessata  della  causa:  an avowed  ignoring  of  cause  àltogether^  Ed  è  veramente così.  L'attività  riflessa  della  ragione  intanto  giugno  ad esser  funzione  critica  feconda  e  profittevole,  in  quanto riesce  a  superare  il  positivo  mediante  il  positivo.  Or  è tejnpo  d' interrogare  il  nostro  filosofo. Che  cosa  ci  lascia  indurre  il  Vico  tanto  riguardo al  concettx)  della  scienza  in  generale,  quanto  rispetto alla  costituzione  e  coordinamento  delle  umane  disci- pline? Rifacciamoci  da  questo  secondo  punto. Ei  non  parla  di  formolo  dommatiche,    d'alberi genealogici.  Anzi  ci  avverte  come  in  certo  senso  la metafisica  abbia  da  esser  subordinata  aUa  fisica;  la quale    per  vero  ciò  che  sperimentalmente  possiamo imitare}  Sennonché  qui  è  da  far  piìi  osservazioni.  Una scienza  è  indipendente  nel  metodo  e  autonoma  nel  pro- cesso. Questo  è  il  nostro  pensiero.  Ma  potrebb' esser '  Sprncrb,  The  daasif.  of  The  Scienc,,  2*  ed.,  p.  87. *  De  Anttq.  hai,  Sap,^  nella  Condunone,  Si  dirà  che  per  lai  la scienza  tovrana  sìa  la  teologia:  ed  è  t ero;  ma  è  sovrana  solo  in  quanto è  la  piil  oerta.  Ora  il  eerto  nelle  sue  dottrine  non  è  il  vero,  ciò  ò  dire un  prodotto  di  ragione,  bensì  un  effetto  di  persuasione,  un  prodotto di  natura  empirica  inseritoci  nell*  animo  dall*  autorità.  Quanto  egli  poi si  mostri  avverso  alle  scompartÌEioni  sistematiche  delle  scienze,  vuoi nel  senso  pontivteta,  vuoi  nel  senso  metajUieo  dommatico^  può  vedersi  là dove  con  sottile  ironia  parla  de'  Cartesiani  (dommatici  del  suo  tempo) i  quali  unum  Metaphyeicam  «Me  docent  qua  notte  indubium  det  verum^  et ab  eOf  TAKQUiM  a  fontr  teeunda  in  aUa»  teientiae  derivari.»,,  quare  metaphyeieam  eeterie  »eientu9  fundo»^  euique  9uum  aatedere  exietimant.  Op. oit,  cap.  I,  §  II,  1. anche  tale  nelle  sue  ultime  conclusioni?  No,  certo: stantechè  queste,  essendo  di  natura  universale,  hann'  a dipendere  dal  lavoro,  anziché  d^una,  di  tutte  quante le  umane  discipline.  Più  ancora:  potrebb'ella  dirsi  in- dipendente rispetto  alle  condizioni  logiche  e  formali? Nettampoco:  se  così  fosse,  tornerebbe  impossibile  l'unità della  enciclopedia.  Finalmente  si  potrebbe  osservare, con  lo  Spencer,  che  a  sapere  se  i  corpi  esistano  la fisica  non  abbisogni  nuli' affatto  della  metafisica.  Ed è  vero.  Ma  evidentemente  cotesta  notizia,  più  che  ra- zionale, è  notizia  empirica.  Or  bene,  quando  il  fisico volesse  darsi  dimostrazion  razionale  del  soggetto  o della  materia  eh'  egli  ha  fra  mano,  e  cod  legittimare il  postulato  onde  move  il  suo  pensiero,  non  diverrebbe per  ciò  solo  un  filosofo?  Diverrebbe,  io  credo.  Nel processo  della  scienza,  dunque,  v'ha  un  momento  nel quale  il  fisico,  od  altri  che  sia,  non  può  far  a  meno della  speculazione  metafisica.  Se  a  tal  esigenza  egli sappia  e  possa  per  avventura  soddisfare  da  sé,  tanto meglio  :  vuol  dire  che,  oltre  d' esser  fisico  e  fisiologo  e geologo  e  simili,  egli  è  anche  filosofo.  Ma  ov'  egli  non senta  questo  bisogno,  con  che  diritti  e  ragioni  disco- )ioscere  ogni  valore  alla  ricerca  filosofica?  Il  vincolo che  tutte  aduna  e  stringe  le  scienze  son  le  norme  logiche ;  la  necessità  logica  che  scaturisce  dall'  intima  costituzione dello  stesso  pensiero.  Intesa  quindi  come  logica, la  filosofia  precede  e  accompagna  le  sfere  diverse  del sapere;  ma,  in  quant'è  metafisica,  ella  tien  dietro  ad esse,  e  ne  é  il  risultato  finale.  E  anche  in  ciò  siamo Aristotelici.* *  Mei.,  V.  --  Tal  si  è  pure  la  sentenza  del  Vico.  In  questo  senso  egli afferma  che  ninna  geienta  bene  incomineia  »e  dalia  mektfieiea  (logica)  non prenda  i  prineipii;  perchè  ella  ì  la  eeienna  che  ripartieee  alle  altre  i  lor propri  eoggetti;  e  poichi  non  pud  (in  quanto  metafisica)  dare  U  9W>,  dà loro  immagini  del  euo.  Onde  la  Geometria  ne  prende  U  punto  e  V  dieegna  ; VArUmetiea  V  uno,  e  *l  moltiplica  ;  la  Meccanica  il  conato,  e  V  attacca  ai corpi.  (Risp.  al  Oiomale  de^Lett.)  In  queste  parole  parmi  chiaro  T  ufficio della  filosofia,  in  generale,  rispetto  alle  altre  scienze.  Filosofia  è  logica. Veniamo  al  concetto  della  scienza;  ma  gioverà  fare innanzi  tratto  un'  osservazione  storica.  Dicemmo  com'  il Vico  sia  tra  Cartesio  e  KAnt,  vuoi  storicamente,  vuoi teoreticamente.  Posizione  puramente  psicologica  è  quella del  primo;  puramente  logica  e  psicologica  quella  del secondo,  la  cui  dottrina  perciò  molto  acconciamente  è stata  detta  Idealismo  crìtico,  o  Criticismo  ideale.  Nella posizione  cartesiana,  avvertimmo  anche  questo,  il  pensiero non  è  altro  che  un  fatto  (pag.  185-86):  la  coscienza  trascendentale di  Kant  poi  tiene  doppio  rispetto;  è  una  e molteplice,  è  diflferenza  e  medesimezza,  in  quanto  importa il  doppio  elemento  formale  e  materiale  nella  cognizio- ne. Ora,  per  quanto  diverse,  queste  due  posizioni  han comune  un  carattere;  quello  d'esser  solitarie,  astratte, puramente  suhbiettive,  e  quindi  insufficienti  ;  nel  che  ci confermerebbe,  s'altro  mancasse,  il  resultato  puramente speculativo  cui  pervennero  le  scuole  diverse  inaugurate da  que'  due  filosofi.  L' analisi  della  Ragion  pura  alla  fin fine  a  che  mai  riesce  ?  A  metterci  in  guardia  dell'assoluto di  ragione,  rilevandone  i  paralogismi  e  le  antinomie,  e facendoci  assistere  scontenti  e  umiliati  a  quell'inutile ideale  che  ci  rende  immagine,  a  dir  cosi,  dell' acqua  di Tantalo  :  per  cui  s'è  detto  che  l'autore  del  Criticismo,  sempre per  quell'  esigenza  d' un  ideale  rimastogli  in  tronco, scambio  di  chiudere,  apri  anzi  le  porte  ad  una  varietà di  scetticismo,  come  osserva  il  B.  Saint-Hilaire  :  nel  che tutti  convengono,  perfino  Hegel,  il  quale  appunto  con l'idealismo  obbiettivo  e  assoluto  cercò  soddisfare  aU' in- soddisfatto bisogno  della  Ragion  pura.^  Cartesio  poi  dove psicologia,  metafisica  e  simili.  Come  logica  eli*  è  scienza  madre,  in quanto  è  universale  condizione  d*  ogni  disciplina.  Che  poi  in  senso  di metafisica  debba  riguardarsi  come  risultato  finale,  ci  è  avvertito  dnl  medesimo filosofo  dove  accenna  alla  relazione  eh*  ella  ha,  per  esempio,  cou la  geometria:  Geometria  e  Metaphy$iea  mum  verum  tMccipity  et  aecepttun (e  però  elaborato)  in  iptam  Metaphynctim  refundit.  De  Antiq.y  101.  *  Giusta  quindi,  per  tal  motivo,  Taccusa  fatta  al  Criticismo  dallo  stesso B.  Saint-Hilaire:  Kant  a  voulu /aire  une  revolution}  il  na  guère  en/anté qu'iine  anarokie  plue  fatale.  Log.  d' Axist.,  Pref.  p.  CXLVUL si  riduce  egli?  Alla  necessità  d' invocare  il  solito  Deus  ex machina,  tornatogli  insufficiente  il  criterio  delPevidenza e  deir  idea  chiara  e  distinta  ;  *  senza  dir  già  eh'  egli medesimo  annunziava  il  Cogito  qual  semplice  ritrovato atto  a  soddisfare  il  bisogno  di  sua  mente,  non  già  pel fine  d' insegnare  agli  altri  un  metodo  a  ben  governare il  pensiero  :  seulement  (son  sue  precise  parole)  de  faire voir  en  quelle  sorte  fai  tàché  de  conduire  la  mienne. Nella  posizione  del  Vico,  per  contrario,  è  schivato nel  medesimo  tempo  tanto  il  fatto  empirico  di  Carte- sio, e  quindi  V  indirizzo  dell' ecclettismo  e  di  quel  timido spiritualismo  che  da  lui  hann'oggi  redato  i  Francesi, quanto  lo  scetticismo  al  quale  pur  tiene  aperto  il  fianco  il criticismo,  nonché  quella  serie  di  posizioni  che,  nate  dal Kant,  riescono  all'  Idealismo  assoluto.  Con  qual  mezzo? Con  un  mezzo  semplicissimo.  Col  criterio  del  vero  e  del fatto  ;  ma  elevato  a  dignità  e  valore  di  principio.  L'osser- vazione che  il  Vico  fa  a  Cartesio  è,  quanto  agevole,  altrettanto efficace.  Neanche  gli  scettici  dubitano  di  pensare, egli  dice:  essi  aifermano  solo  che  del  pensiero  non  si possa  avere  scienza,  bensì  cosdensa}  Ora  il  pensiero  car- tesiano è  un  eerto,  non  già  un  vero;  quindi  ha  natura  di segno,  d'indizio  certo  (rsxfxyj/jtov),  della  cui  certezza  ninno al  mondo  non  ha  mai  saputo    voluto  dubitare.  Di  qui si  vede  come  la  sua  posizione  speculativa  non  istia  già nell'aflFermare  una  verità  di  fatto,    nell' indagarne  l'origine, la  genesi,  la  guisa:  cioè  nel  far  la  critica  del  vero che  appare  alla  coscienza,  perché  sdre  est  tenere  genus seu  formam  qua  res  fiat.  E  si  vede  come  il  criterio  vi- chiano  del  fare  il  vero  acchiuda  una  dottrina  schietta- mente aristotelica,  eh'  è  dire  la  ragion  vitale  di  quel- *  Yed.  le  bello  riflessioni  del  Rsnottvzkb  in  proposito.  EnsaU  de  Ori- tiqne  generale^  toni.  Il,  part.  3. '  I  difetti  che  nella  posizione  Cartesiana  scorge  il  nostro  filosofo  gli abbiamo  già  riferiti  (p.  186).  II  Gioberti  non  s'ingannava  nel  dire  che Oarteno  non  ebbe  il  menomo  sentore  de*  teeori  che  n  acchiudono  nel  SUO Cogito.  (Protol.  VOLTI,  p.  250.) l'artifizio  logico  secreto,  naturale,  onde  la  mente  nel discorso  rinviene  il  medio  termine.  La  mente  sa  perchè fa:  AtTtov  Sort  vójfjffef  >?  i^épytia}  Or  di  cotesta  attività occulta,  superiore  ed  essenzialmente  eduttiva,  sensisti, scettici,  empirici,  positivisti  non  hanno  coscienza.  Essi ignorano  cogikdionis  causs€e,  seu  quo  poeto  cogitalo  fiai^ *  ilTTff  ff9.ittpòit  OTt  ra  ?ov«p£i  ovra  tiQ  ivspysiav  àva- '^òiJLstfx  gUjOtcxerai.  Airtov  5'ò?i  vónii^  >j  èvipynx.  ÌItt'  $5 ève py  e  loti  >i  Sxivafii^'  xa«  Antiqui^.  ItaLf  cap.  L  §  II.  Anch'  egli  quindi  è  scettico  la  sua parte:  e  debb' essere,  in  forza  del  suo  medesimo  criterio.  Ritiene  infatti che,  quantunque  la  mente  conosca    stossa,  ignora  nondimeno  la  propria genesi  :  Dutn  «e  mens  cognoscttp  non  facit;  et  quia  non  /acit^  neacit genvs  quo  «e  cognoscit.  (Ibi,  §  I,  17.)  Con  la  qual  sentenza  potrebbe  sembrare cb'ei  cada  in  contraddizione  con    stesso;  ma  riflettendo  che  la mente  che  «»  conotce  qui  ya  intesa  non  come  facoltà,  bensì  come  potenza (della  qual  distinzione  ragioneremo  appresso),  la  contraddizione  si  dile- gua. Così  pure  è  da  intendersi  quell'altra  sentenza  ove  dice  che  l'occhio Tede  le  cose,  e  pur  non  vede    stesso;  che  a  veder  so  medesimo  egli abbisogna  d'uno  specchio;  e  però  chiama  insufficiente  l'idea  chiara  e  di- stinta di  Cartesio.  Dal  tutt' insieme  quindi  possiamo  argomentare  tre conseguenze  :    Che  la  posizione  del  Vico  non  è    dommatica    scettica, ma  essenzialmente  critica;  e  Critica  del  vero  per  eccellenza  egli  definisca, ricordiamolo  anche  qui,  la  metafìsica  :    Che  a  pervenire  al  sapere  scien- tifico non  basti  il  eerto,  il  fatto,  l'indizio,    il  criterio  che  il  vero  sia il  fatto;  ma  è  d'uopo  che  cotesto  criterio  sia  levato  anche  a  principio: 3"  Che  a  Ini  non  manca  il  nuovo  pensiero,  il  nuovo  Cogito  reoo  bum, come  vorrebbe  Spaventa;  anzi  possiede  chiara  l'esigenza,  per  lo  meno, della  critica  psicologica,  bastevole  a  prevenire  il  Kant.  Dico  esigenza, perché  il  problema  critico  a  lui  si  presenta  sotto  1'  aspetto  isterico,  ciò che  forma  la  sua  novità  ;  e  avvertimmo  come  V  aspetto  storico  importi  già r  esigenza  psicologica.  Se  poi  si  vuol  dire  che  a  lui  manchi  il  Cogit*» nel  significato  di  mediazione  assoluta  e  però  di  perfetta  trasparenza  deWes- aercf  Spaventa  ha  ragione.  Ma  questo  per  noi,  anziché  difetto,  é  pregio grandissimo.  E  qui  il  filosofo  di  Napoli  é  tanto  dappresso  a  quel  di Kcenisberg,  quant' altri  non  s' immagina.  Dommatici  e  sistematici,  hege- liani e  ontologisti  cattolici,  unisconsi  ad  una  voce  nel  battezzare  scet- tico l'autore  del  Criticismo.  Perciò  gli  Hegeliani  credono  compierlo  di- cendo, che  la  Ragion  Pratica  ò  siffattamente  collegata  con  la  Ragion Pura,  che  la  prima  in  sostanza  non  sia  altro  che  l' incarnazione,  il  com- plemento della  seconda,  ma  che  questa  di  per    stessa  inevitabilmente meni  allo  scetticismo.  Io  non  vo'  negar  tutto  questo.  Osservo  solo  che due  sono  i  grandi  concetti  di  Kant:  1*  che  non  si  possa  giungere  al vero  sistema,  alla  dottrina  propriamente  dommatica^  2*  che,  ciò  non Non  si  può  ridire  il  mal  governo  che  s' è  fatto  e  se- guita a  farsi  del  criterio  vichiano.  In  molti  libri  leg- giamo: criterio  del  vero  è  il  fatto;  e  da  tutti  è  stato  inteso  • 0  in  modo  materiale  ed  empirico,  ovvero  in  significato trascendentale  e  assoluto.  Se  così  fosse,  quel  filosofo avrebbe  consacrato,  da  una  parte,  ogni  sorta  d'empirismo e  di  materialismo  ;  e  dall'  altra  avrebbe  fatto  ragione  ad ogni  maniera  di  panteismo.  La  formula  vera,  la  vera  po- sizione della  scienza  e  del  pensiero,  per  lui,  non  è  questa: Criterio  dd  vero  essere  il  fatto  ;  bensì  quest'  altra  :  La conversione  del  vero  col  fatto.  Fra  la  prima  e  la  seconda ci  è  un  abisso  addirittura.  E  per  veder  cotesto  abisso e  ritrarsene,  è  mestieri  penetrar  Bell'insieme  delle  sue dottrine  con  la  luce  del  medesimo  principio.  La  chiave  di volta  d' ogni  positiva  speculazione,  e  quindi  il  vero  Deus intus  adest  della  mente  di  questo  filosofo,  e  però  il  bandolo a  strigar  tanti  nodi  che  avviluppano  il  suo  pensiero,  è  ap- punto cotesto  criterio,  secondo  che  noi  lo  interpretiamo. 11  criterio  ha  da  esser  egli  un  segno,  un  indizio  del vero,  0  piuttosto  un  primo  vero?  Ha  da  esprimerci  un dato,  un  fatto,  o  pur  V  essenza  del  vero,  la  condizione originaria  e  trascendente  del  conoscere? Intendendolo  al  primo  modo,  la  scienza  tornerà  impossibile, e  trionfa  lo  scetticismo  ;  perocché  non  ci  sal- veremo dal  noto  circolo  eh' è  questo:  «  per  conoscer  la ostante,  non  si  cada  nollo  scetticismo,  appunto  perchè  egli  non  crede che  il  non  esser  sistematici  Teglia  dire  essere  scettici  addirittura. (V.  Critica  dtUa  Ragion  Pura,  2*  P.,  Gap.  IV.)  Per  me  la  riyoluzione operata  dal  filosofo  prussiano  nel  regno  della  speculazione,  cioè  quanta alla  natura  del  sapere,  sta  tutta  qui.  Il  Vico  in  ciò  lo  prevenne:  almeno era  su  la  medesima  strada.  Quindi  può  dirsi  che  entrambi  condannino le  due  posizioni  esclusiye  del  Si^temaH^mo  e  dello  Soetticinno. verità  è  necessario  il  criterio;  e  per  ayer  il  criterio  è necessaria  la  verità.  »  Pigliandolo  poi  nel  secondo  modo, difficilmente  schiveremo  un  sistema  esclusivo  e  domma- tico.  Il  vero  criterio,  dunque,  ha  da  esser  Tuna  cosa  e l'altra;  indizio  e  principio.  Come  indizio,  come  postulato atto  a  conquider  lo  scetticismo  e  inaugurare  la scienza,  e' consiste  nel  porre,  come  si  è  detto,  il  fatto  qual criterio  del  vero  ;    e''  è  altra  via.*  Come  principio,  sta nel  porre,  dall'una  parte,  la  conversione  del  vero  cól fatto,  e  dall'altra,  come  appresso  mostreremo,  la  con- versione del  fatto  nd  vero,  applicandolo  all'  essere  e  a tutte  le  categorie  dell'essere.  Or  in  questa  seconda forma  assume  egli  davvero  natura  di  principio?  Di certo,  l'assume;  giusto  perchè  importa  l'essenzial  con- dizione dell'essere  stesso.  Ma  non  anticipiamo. Abbiam  detto  che  di  questa  dottrina  del  Vico  s'  è fatto  mal  governo.  Mostrammo  già  come  primo  fra  tutti ne  discorresse  il  Mamiani,  e,  poco  appresso,  il  Rosmini. Giova  qui  riassumer  le  ragioni  della  controversia  fra' due filosofi.  Il  Mamiani  accogliendo  questo  criterio,  come  si disse,  osserva  che  con  esso  il  Vico  non  intende  pro- por  nulla  che  esca  da'  termini  della  intuinone  (secon- dochè  allora  diceva  l'A.  del  Rimiovamento),  ma  considerare in  essa,  oltr'  a'  caratteri  universali,  alcune  doti più  particolari,  col  fine  di  proferire  a  un  tempo  medesimo il  criterio  della  certezza,  e  '1  criterio  della  scienza. In  altre  parole  egli  dice  :  col  suo  criterio  il  Vico  intende guardare  non  pure  al  formale  della  cognizione,  ma  ezian- dio al  materiale  obbiettivo.*  Tutto  questo  è  vero  ;  ed  è verissimo  che,  tranne  la  natura  fisica  e  quella  degli  atti del  mondo  estemo,  tutt'  altro  pel  filosofo  napoletano  sia produzione  del  pensiero,  com'avviene  dell'algebra  e  della geometria.  È  fuori  dubbio  altresì  che  il  criterio  per  lui non  pure  ha  da  esser  segno  del  vero,  ma  anche  principio. *  «  Nee  ulla  »ane  alia  patct  via  qua  eeepticit  re  ipaa  convelli  poétit,  niti ut  veri  criterium  9Ìt  id  ip»um  fecitte*  t    De  Antiquisi,  Ttaì,,  cap.  1,  §  III. •  ìiAìttAVif  Rinnovdm,  ec,  p.  474. Sennonché  FA.  del  Rinnovamento  non  vide  allora  ciò  che avria  potuto  e  dovuto  veder  oggi  V  A.  delle  Confessioni. Non  vide  che  l'aspetto  originale  di  tal  dottrina  non  istà nel  riguardare  il  criterio  vichiano  qual  semplice  segno  ed inizio  di  scienza,  ma  qual  principio,  qual  legge  dell'es- sere stesso  in  universale.  Laonde  non  avendone  còlto altro  che  il  significato  psicologico,  accadde  che  alla possente  lima  del  Rosmini  non  poteva  tornar  guari  difficile ridurre  in  polvere  cotesto  criterio  al  modo  che  ma- neggiavalo  il  Mamiani.' Se  non  che  è  da  confessare  come  neanche  il  Rosmini dal  canto  suo  valesse  a  cogUere    la  dottrina  in  discorso né  quella  parte  di  vero  che,  con  altrettanta  verità  quanto calore,  propugnava  il  Pesarese.  È  noto  che  il  criterio  pel Rosmini  ha  da  essere  un  principio,  e  dev'  esprimere  la verità  prima,  l'essenza  della  verità.  Or  qual  è  l'essenza del  vero?  Eccotelo  ricorrere  al  solito  rifugio  àeW Ente idmle!  Ma  se  cotesta  potrà  dirsi  condizione  di  cono- scenza, non  però  é  principio  di  scienza,  criterio  del  sa- pere per  via  di  scienza.  Che  cosa  potrà  insegnarci  mai con  la  sua  vuotaggine  l'essere  possibile?  l^ou  è  dunque cotesto  il  criterio  di  cui  parlava  il  Mamiani,  e  tanto meno  quello  del  Vico. — Non  potendo  indugiare  in  mi- nute osservazioni  sul  modo  con  che  il  Rosmini  interpreta la  dottrina  di  che  parliamo,  osserveremo  solamente  che sapere  il  vero,  pel  filosofo  di  Napoli,  non  é  solo  un  cono- scere il  vero,  come  vuole  il  Rosmini,  ma  è  porre,  è  fare,  é creare  il  vero;  altrimenti  per  nessun  miracolo  al  mondo giugneremmo  ad  averne  notizia.  Conoscere  pel  Vico  non *  RosMiKT,  Rinnovami,  ddla  FU.  in  Ttalia,  Milano,  1836,  cap.  XXXV. Gioverebbe  Ieg(?ere  in  questo  copioso  volarne  del  Roveretano  qnel  lungo capitolo  e  que*  prolissi  cementi  nonché  quelle  sette  conseguenze  che  la invitta  dialettica  Rosminiana  seppe  cavare  dal  criterio  secondochè  in- tendevalo  il  Mamiani.  A  lui  bastò  congegrnare,  al  solito,  una  di  quelle sue  tavole  sinottiche  nelle  quali  ei  dimostra  di  quanta  e  qual  vena  analitica fosse  ricca  la  sua  mente,  per  metter  Tavversario  col  suo  criterio accanto  ad  Elvesio,  ad  Epicuro  e  ad  altrettali!  Ved.  Tav.  Sinottica  (WSitt. FU.j  intomo  al  criterio  della  cert&ma^  voi.  cit.,  p.  318. è  vedere,  non  è  patire,  non  è  semplicemente  appren- dere. È  vedere,  patire,  apprendere,  appunto  perchè  il pensiero  è  essenzialmente  un  conoscere.  In  una  parola, se  il  vero  non  si  conosce  facendolo,  non  si  conosce nuU'aifatto;  non  s'intende.*  Quand' è  infatti  che  di- ciamo di  pensare?  Giusto  quand'abbiamo  idee.  Avere idee  importa  cólligere  dementa  rei;  ex  quibus  perfecHs- sime  exprimatur  idea.  Il  vero  è  l' idea,  ma  l' idea  in- nanzi che  sia  tale:  è  l'idea  germe,  l'idea  potenza,  la stesso  spirito  in  potenza,  il  pensiero  non  per  anche  at- tuatosi come  tale:  in  una  parola  è  il  senso  che  si  leva a  dignità  d' intelletto.  Raccolta  l' idea,  fatta  l'idea,  cioè dispiegatasi  la  meìite,  eccoti  il  vero-fatto.  Mi  si  domanderà in  che  maniera  il  Vico  chiami  esterni  gli  elementi onde  risulta  l'idea?  Perchè,  rispondo,  l'eduzione  del- l'idea suppone  la  formazione  del  concetto;  e  il  concetto suppone  una  serie  di  atti  induttivi  che  appresso  deter- mineremo. Tutto  ciò  è  come  estemo  all'idea;  è  condi- zione, non  causa  del  suo  processo. Senonchè  col  raccorre  gli  elementi  esterni  la  mente pone  qualcosa  di  proprio:  pone  se  stessa  come  pensiero; diventa  ella  stessa  le  cose  ;  diventa  tutte  le  cose.  Ond'  è agevole  vedere  come  il  criterio  del  Vico  sia  il  princi- pio del  metodo  geometrico,  che  per  lui,  ricordiamoci,, suona  genetico.  Mi  spiegherò  con  un  esempio.  Come si  hanno  gli  assiomi,  le  verità  prime  e  necessarie,  se- condo i  positivisti?  Mercè  1'  esperienza,  risponderebbe il  Mill.  L' assioma  che  due  rette   non  cTiiudono  spazio *  «  Leggere  è  raccogliere  gli  elementi  della  tcriUura  onde  le  parole  tono composte  ;  con  V  intendere  è  COLLIORBB  elbmbnta  RBI,  KX  QUIBUS  PRRrBCTis-31VA  RXPRIMATOR  IDRA.  Donde  è  lecito  conghietturare  che  gli  antichi  ittt- liani  conveniseero  in  queeto  pensiero  :  Vbrum  rssr  ipsuv  factum.»  Qual  è cotesto  fatto?  È  il  pensiero,  il  vero-fatto:  perchò  ricevuto,  indotto,  rac- colto, e  anche  edotto  dalla  mente.  In  tale  questione  il  nostro  filosofo, contro  il  solito,  non  manca  di  chiarezza.  Egli  infatti  dice:  e  AUora  il  vero 9Ì  converte  col  /atto,  quando  trae  il  9uo  essere  dalla  mente  d^  lo  eonoece  ; HI  QDOD  YERUM  00GNO8CIT0R  SUUM  K8SR  A  MBNTB  HABBAT  QUOQaR  A  QOA cooKosci'TOR.»  De  Antiqui^,,  cap.  I,  De  Origine  et  ventate  Scientiaruni.. Sgorga  immediate  dall'esperienza.  Che  se  apparentemente si  origina  dal  pensiero,  cotesto  pensiero  in  tal caso  non  è  altro  salvochè  una  ripetizione  dell'espe- rienza :  è  r  immaginazione  che  allarga  i  limiti  del  fatto. Ma  questa,  evidentemente,  se  è  una  maniera  di  sapere, non  è  il  vero  conoscere;  perchè  cotesto  conoscere  non sarebbe  una  mia  fattura,  sibbene  imitazione,  copia  del- l'esperienza.  Che  cosa,  invece,  vi  direbbe  il  Vico  a  tal proposito?  Direbbe:  non  istate  a  immaginarvi  due  rette portevi  già  dall'  esperienza  e  poi  prolungate  all'infinito: fatevele  da  per  voi  medesimi  coteste  rette.  Ma  come  farle  ? Generandole  entro  voi,  per  voi  stessi,  con  elementi  sperimentali; e  così,  più  che  l' immagine  del  fatto,  avrete  la vera  definizione,  e  però  la  genesi  del  fatto.  Concepite il  punto  come  prolungato  verso  un  altro  punto  :  eccovi  la linea.  Or  se  due  rette  hanno  in  comune  due  punti,  po- trann'elle  chiudere  spazio?  Non  potranno.  Questo  pre- cisamente è  il  vero-fatto,  il  vero  da  me  stesso  fatto,  da me  stesso  prodotto,  da  me  stesso  generato.* Per  non  chiamare  il  vero  fattura  di  nostra  mente, il  Roveretano  si  puntella  nel  solito  argomento  de'  ca- ratteri della  verità:  immutabilità,  assolutezza,  eternità, necessità,  università  e  simili.  Ma  ci  sarà  lecito  chiedere  : *  «  Men«  humana  eontinet  dementa  verorum  quce  digerere  et  eomponere poMt'ti  et  ex  quibu$  dUpontU  et  compoeitie,  exittit  verum  quod  demoiutraiU {teientice)  ut  demontiratio  eadem  ae  operatio  «i/,  et  verum  idem  ao  faetum.  > Ve  Antiq.f  cap.  Ili,  4.    Yale  che  il  RosmÌDi,  chiamando  in  soccorso lo  stesso  Vico,  dica,  questi  elementi  esser  le  idee  e  coteste  idee  crearti  ed eccitarti  da  Dio  negli  animi  degli  uomini.  Per  questa  frase  VA.,  della  Scienza iVuova  è  stato  battezzato  Malebranchiano  !  Ma  come  non  vedere  che  in quel  luogo  il  filosofo  intende  parlare  del  senso  dato  a  questa  dottrina  da coloro  che  eteogitarono  tali  locuzioni,  le  quali  ei  non  accetta  perchè  non sempre  accetta  il  significato  delle  parole  latine,  come  osserva  lo  stesso Rosmini  a  proposito  del  Verum  e  del  Faetumf  Bastino  queste  parole:  e  Par, igitur  eet  ut  qui  ha»  loeutione*  excogitarint,  ideas  in  hominum  animi*  a Deo  oreari  exeitarique  eunt  opinati,  *  Cap.  VI,  2.  Fa  meraviglia  che  il  Rosmini non  siasi  accorto  come  quattro  righe  più  giù  V  autore  contraddica apertamente  a  Malebranche  {Malebranckii  doctrina  arguitur^  ibi.,  §  4)  : e  come,  se  fosse  vera  V  interpretazione  eh*  ei  ne  dà,  il  Vico  avrebbe  sciu- pato addirittura  il  senso  verace  e  originalissimo  del  suo  criterio. una  proposizione  d' Euclide  serba  ella  questi  ed  altret- tali caratteri  perchè  ve  li  abbia  inseriti  la  mente  di Euclide  come  tale,  o  non  piuttosto  il  pensiero  medesimo, il  pensiero  in  quanto  è  identico  appo  tutt'  i  pensanti, identico  nelle  sue  leggi  essenziali,  identico  nelle  condi- zioni logiche  originarie?  Nella  proposizione  4 -j-  4  =  8 havvi  necessità.  Perchè?  Perchè  lo  stesso  pensiero ne  ha  messo  gli  elementi.  Ma  perchè  vien  fiiora  8  e non  10?  Precisamente  perchè  ci  abbiam  posto  il  4  -h  4: cangiate  questo,  e  avrete  cangiato  anche  quello.  E perchè  serberà  egli  un  valore  universale  tanto  da  non parer  fatto    d' ieri    d'oggi,    intuito  solamente in  Francia  o  in  Australia,  nell'  età  della  pietra  ripolita 0  nel  bel  mezzo  del  secolo  XIX?  Appunto  perchè  il pensiero  è  anch' egli  necessario,  universale  nelle  sue native  condizioni  in  ciascun  individuo  che  in  qual  si voglia  tempo  o  luogo  sia  capace  di  pronunziar  4  -f-  4. Le  critiche  dunque  che  altri  potrebbe  trarre  dal  RoHmini    dov'  ei  si  studia  d' interpretare  a  suo  modo la  mente  del  Vico  rispetto  al  problema  del  conoscere, tornano  tutte  vane,  tutte  manchevoli. Ma  veniamo  al  più  sodo.  Il  criterio  del  nostro  filosofo si  porge  altresì  come  il  fondamento  più  saldo  della dottrina  della  prova.  Nel  conoscere  per  cause,  egli  dice  . seguendo  lo  schietto  Aristotelismo,  sta  la  vera  scien- za: il  che  si  riduce  al  medesimo  criterio  della  conversione del  vero  col  fatto.*  Che  cos'  è  in  sostanza  il provare  per  cause?  Al  solito  è  un  raccoglier  gli  elementi della  cosa.*  Provar  dunque  per  cause,  e  con- vertire il  vero  col  fatto,  suona  il  medesimo.  Un  esem- pio. Il  principe  Alberto,  dice  St.  Mill,  morirà.  Perchè? Non  perchè  tutti  gli  uomini  (egli  risponde)  sian  mor- tali ;  si  perchè  tutti  quelli  a  me  noti  e  che  son  vissuti, *  «  Probare  per  cauMaat  e/Jhere  eat,  Effecttu  eH  verum  quod  eum  facto eonvertitur.  *  (De  Antiq.  Cap.  Ili,  2).    }TCx>j,  ri  x  fitriy^o^Tx  ti  ^caviac,  ntpi aiTcaec  xxt  ^px^i  sVtiv,  if  o^xpi^ivripa^,  -il  dn'koìjvripaiy {Mttaph.\,\), Or  questo  precisamente  ò  U  metodo  che  il  Vico,  certo  in  modo  assai confuso,  esitante,  arruffatissimo,  adopera  nelle  sue  ricerche;    quindi il  De  Ferron  s' ò  apposto  male  nel  dichiararlo,  come  vedemmo,  metodo essenzialmente  aristotelico. *  Dice  anzi  così:  H  mio  criterio  i  in  me  aeeieurato  daUa  eeienga  Hi Dio,  eiCl  fonU  e  regalia  dT  ogni  vero.  (Risp.  II  al  Oior.  de^Lett.) eh'  ella  non  possiede,  ma  che  pur  va  con  infinito  pro- cesso e  per  gradi  accostando  sempre  più.  Talché  quando sentiamo  il  metafisico  teologista  e  Tontologista  affermare la  scienza  divina  essere  norma  e  regola  dell'  umano  sapere, mostrando  credere  con  ciò  d'averne  contezza  vuoi per  virtù  d'un  rapido  volo  d'intuito,  vuoi  per  notizia chi  sa  come  e  da  chi  graziosamente  rivelataci,  e'  non dicon  nulla  di  serio,  nulla  di  positivo  addirittura.  Per affermar  tutto  questo  con  tanta  sicurezza,  non  do- vremmo possederla  cotesta  scienza?  Non  dovremmo anzi  dominarla  e  rimaneggiarla  a  nostra  posta  così  come l'agrimensore  fa  del  suo  compasso? Norma  vera,  norma  che  noi  dominiamo  davvero, norma  già  nota  al  mondo  prima  d'ogni  altra,  semplice, evidente,  inconcussa,  è  per  l'appunto  la  matematica. Della  quale  l'A.  della  Scienza  Nuova,  non  altrimenti che  Leibnitz,  Galileo,  Boezio,  Cicerone,  Aristotele,  Pla- tone, Pitagora,  è  grandemente  innamorato,  e  sempre ne  parla,  e  sempre  con  passione  viva  ne  esalta  i  pregi* La  contraddizione  ch'altri  vede  nel  porre  ch'ei  fa  qual modello  del  sapere  or  la  scienza  divina  or  la  matematica, è  affatto  apparente.  Che  nell'un  caso  parla,  o  intende parlare,  deìVidea  massima  della  scienza,  della  scienza  di- vina, la  quale  altro  non  potrà  essere  salvo  che  la  per- fetta conversione  del  Vero  col  Fatto,  la  compenetrazione assoluta  dell'oggetto  col  soggetto.  Nell'altro,  invece,  di- scorre non  già  dell'idea  massima,  bensì  d'un  tipo,  d'una forma  che,  più  d'ogni  altra  accostandosi  alla  prima,  più fedelmente  la  esprima  e  la  rappresenti.  Tal  si  è  per  appunto la  matematica.  Tipo  infatti  del  sapere  squisita- mente razionale  per  lui  è  la  scienza  dell'astratta  quan- tità; tant'è  vero  che  Dio  stesso,  die' egli  in  suo  lin- guaggio, non  altrimenti  opera  nel  mondo  delle  forme reali,  di  quel  che  faccia  il  matematico  nel  mondo  delle figure.*  Questo  parmi  '1  significato  più  acconcio  da  dare Ved.  Risp.  n  al  CHorn.  de'  LetU,  §  IV. a  tal  sentenza  del  Vico  se  non  vogliamo  farlo  cadere  in aperta  contradizione  con  seco  medesimo;  non  già  che  Dio e  la  sua  scienza  abbian  da  esser  davvero  norma  immediata, origine  e  sorgente  del  sapere  umano  1  È  un  para- gone, è  una  figura  e  nulla  più. E  poiché  intende  a  questa  maniera  la  scienza  di- vina, perciò  riesce  a  salvarsi  dagli  estremi  cui  per  vie diverse  rompon  l' idealista  assoluto  e  il  teologista  onto- logo.  Pel  primo  scienza  umana  e  scienza  divina  son  tut- t'uno:  pel  secondo  ce  n' è  tal  divario  quanto  fra  il  finito e  V  infinito.  Se  non  che  Rosmini  e  Gioberti  nelle  opere postume,  ormeggiando  gli  aprioristi,  pongono  anch'essi medesimezza  fra  V  una  e  Y  altra  scienza,  distinguendo solamente,  specie  il  Rosmini,  la  materia  dalla  forma,  e questa  reputando  identica,  e  quella  diversa  nelle  due scienze.*  Ma,  s'egli  è  così,  divario  essenziale  non  ci  è, né  ci  può  essere;  stanteché  l'essenziale  nel  conoscere, più  che  nella  materia,  stia  nella  forma.  Invece  secondo la  dottrina  del  Vico  può  dirsi,  che  se  tra  l'una  e  l' altra scienza  non  corra  assoluta  identità,  non  vi  possa  esser nemmanco  assoluta  difi'erenza.  Il  pensiero  divino  co- nosce, perché  raccoglie  gli  elementi;  e  nel  raccorli  reci' meivte  li  pone.  Il  pensiero  umano  va  raccogliendoli  an- che lui,  e  nel  raunarli  idealmente  li  pone.  E  tale  vera- mente appare  la  sua  sentenza    dove  osserva  che  il conoscere  umano  si  discerne  dal  divino  quanto  il  solido dal  piano,  quanto  1'  effige  in  rilievo  dal  monogramma.* *  Rosmini,  Teosofia^  toI.  I,  cap.  Vili.  --  Gioberti,  ProtoUy  voi.  II. *  Altra  difficoltà,  secondo  alcuni  critici,  sarebbe  questa.  Se  vero  sapere è  il  sapere  per  cagioni,  se  conoscere  Tal  produrre,  se  pensare  è  fare  ;  com*  è possibile  arere  scienza  dell*  assoluto  senza  farlo,  senza  produrlo?  Cono- scere Dìo  a  questa  maniera  non  è  un  assurdo?  anzi  una  bestemmia,  a detta  del  medesimo  Vico?    Per  tutta  risposta  io  to*  riferire  alcune  sue  pa- role le  quali  racchiudono,  panni,  il  significato  sincero  di  sua  mente,  chec- ché ne  possa  dire  in  contrario  egli  stesso:    (Hist.  rol.  I,  p.  28.)  E  altroTO,  parlando  del  perìodo della  filosofia  greca,  dice  il  suo  processo  esser  e  eon/orme  au  déveloj^- ment  iiUelìeetuel  de  Vhofinne,  don»  Vindividu  eomme  dan»  Veipèoe,  ear  la civili»ation  tend  toujour»  de  la  circonférence  au  oenlre,  »  {j>.  ibi,  157.) periodi  storici  perchè  la  materia  si  presta  a  tal  fine, come  farebb'egli,  il  Ritter,  a  rilevare  e  ponderare  ac- conciamente i  caratteri  delle  differenti  scuole  e  sistemi senza  il  sussidio  d'una  norma  anteriore  e  superiore alla  storia?  Eccoci  ricascati  nella  solita  necessità  d'un criterio  che  valga  ad  imprimere  forma  razionale  alla storia  :  senza  di  che  lo  storico  potrà  esser  pregevole  per erudizione,  prezioso  per  esattezza  storica,  saggio  e  con- scienzioso  per  fedeltà  critica,  ma  non  per  questo  avrà valicato  i  confini  dell'  empirismo.  Tale  è  il  Ritter  fra  gli storici  contemporanei  della  filosofia.  Egli  è  critico  sa- vissimo, checché  ne  dica  la  scuola  di  Hegel.  È  interprete coscienzioso,  indipendente,  scrupoloso,  accuratissimo;  ma non  è  filosofo.  A  lui  fa  paura  il  dommatismo  ;  fa  paura il  sistema  nella  interpretazione  istorica  :  e  non  ha  torto. Ma  non  si  può  essere  storico  filosofo  senz*  esser  dom- matico  e  sistematico?  Il  gran  pregio  del  Ritter  sta  nel carattere  d' indipendenza  eh'  ei    alle  differenti  scuole. Ma  un  principio  sopra  cui  s'incardini  la  sua  critica,  e gli  porga  ragione  di  tale  indipendenza,  a  lui  manca assolutamente. 11  criterio  mercè  cui  lo  storico  potrà  render  utile lo  studio  della  storia  ed  elevarla  insieme  a  dignità  scientifica, sta  neir  interpretar  la  successione  e  la  genesi  e le  attinenze  de'  sistemi  filosofici  ponendo  in  opera  il  criterio delle  tre  posizioni  che  noi  abbiamo  accennato. Queste  tre  posizioni  (e  altre  non  sono  possibili)  invocate a  chiarirci  nel  magistero  della  critica  e  della  interpre- tazione della  storia,  non  costituiscon  già  un  criterio  em- pirico, né  un  criterio  d' indole  eclettica;  tanto  meno  un criterio  dommatico,  sistematico,  ricostruttivo.  Non  è  cri- terio empirico,  perchè  non  sono  i  fatti  storici  (e  nel  caso nostro  i  fatti  storici  sono  i  sistemi  filosofici)  che  lo  partoriscano, 0  lo  spieghino;  ma  egli  stesso  è  che  spiega la  comparsa  delle^differenti  scuole  e  dottrine  filosofiche nel  regno  della  storia.  Non  è  poi  criterio  eclettico  per- chè non  iscaturisce  dalla  storia,    da' sistemi;  anzi  ci fa  capaci  d' interpretar  V  una  e  giudicar  gli  altri  senza esser  sistematici  :  sentenza  che  per  taluno  avrebbe  faccia di  paradosso,  ma  non  è.*  Finalmente  il  nostro  criterio non  è  sistematico,  perchè  non  isgorga  dalle  viscere  stesse di  alta  metafisica,    quindi  importa  ombra  di  necessità dialettiche,  a  priori,  metafisiche.  Ma  qui  dobbiamo intenderci  con  gli  storici  hegeliani. Qual  è  il  criterio  storico  di  Hegel?  È  il  principio stesso  cella  sua  filosofia;  V  identità  assoluta.  Una  infatti per  lui  è  la  filosofia,  uno  il  sistema  ;  e  le  dottrine  par- ticolari non  altro  che  forme  diverse  d'  un  medesimo contenuto.*  11  dommatismo  sistematico  nella  storia  de'  si- *  La  H;nola  del  Cousin  scimmiottando  Hegel,  com'è  noto,  Terrebbe far  germinare  la  filosofia  dalla  storia,  o  considera  perciò  come  elementi organici  necessari,  aempiici  e  irriducihili  solo  quattro  sistemi;  Sensismo, Idealismo,  Scetticismo,  Misticismo.  Da  questi  fa  risultare  la  storia  d'ogni tempo  e  ln)go;  o  da  essi  medesimi  vuol  far  germogliare  la  filosofia:  La teoria  deve  emergere  dalla  storia.  [Court  ec.  Ber.  2*  t.  II,  p.  109-353.)  Or 80  la  storia  in  ogni  grand*  età  e  in  ogni  periodo  filosofico  presenta qne*  soliti  qiattro  demetiti  organieif  ne  segue  che  la  teoria,  dovendo  pul- lulare appuiÉo  da  essi,  altro  non  potrà  esser  che  un  accozzo  eterogeneo e,  meglio  che  un  eclettismo,  un  sincretismo.  Se  gli  elementi  infatti  sono contraddittorìi  ed  eterogenei,  non  dovrà  esser  tale  altrosì  V  insieme  che ne  verrà  fuom  V  Che  se  per  tale  accozzo  è  mestieri  d*  un  criterio,  eccoci tosto  fuori  della  storia;  e  allora  non  sarà  altrimenti  vero  il  gran  domma che  la  teoria  abbia  da  emerger  dalla  stessa  storia.    Altro  difetto  del Cousin  è,  che  iella  sua  divisione  non  trovan  luogo  parecchi  sistemi,  come per  es.  il  Critclsmo,  e  Y  Idealismo  assoluto:  1*  uno  perchè  non  è  sistema, e  nemmanco  icetticismo;  l'altro  perchè,  sotto  il  riguardo  psicologico, sarebbe  P  unione  di  due  sistemi,  secondochè  avverte  egli  stesso.  Inoltre non  giunge  a  determinar  nettamente  la  fiinzione  dello  Scetticismo  nella storia,  e  distinruerla  dalla  funziono  che  esercita  il  Misticismo,  il  quale definisce,  le  eotf>  ds  désespoire  de  la  raièon  humaine:  quasi  che  il  secondo fosse  un  atto  legativo  cosciente,  com'è  il  primo,  e  non  già  positivo  in qnanto  che  imprta  fede,  contemplazione,  sentimento  e  simili.  Finalmente chi  non  vorrà  legare  p^li  Eclettici  che  il  Misticismo,  il  Sensismo  e  lo Scetticismo  siaio  da  riguardarsi  come  altrettanti  sistemi  V    Ecco  a  che mena  un  criteri)  erroneo  su  la  divisione  e  genesi  de'  sistemi  filosofici. Non  s' intende  h  storia,  e  poi  si  precipita  senza  rimedio  in  una  teoria affatto  sincretici  e  però  assurda. La  storci  della  filosofia  mani/estaf  ne*  vari  sistemi  che  sono  apparsi,  una  sola  i  medesima  filosofia  che  ha  percorso  diversi  gradi,  e  prova che  i  prineipii  particolari  di  ciascun  sittema  non  sono  che  parti  d*  un solo  e  medesimo  utto.  >  (Hbgel,  Log.  Introd.  §  XIII,  trad.  Vercu    Wilmx, stemi  non  potrebbe  risaltare  più  evidente,  più  rigoroso, più  universale,  più  assoluto.  Noi  innanzi  tutto  neghiamo risolutamente  che  le  vario  dottrine  non  possan  essere altro  fuorché  momenti  diversi  d* una  filosofia.  Dov'è  identità di  contenuto,  a  dirne  un  esempio,  fra  Idealismo  e Materialismo?  Tra  Teismo  e  Panteismo  naturale  o  ideale che  sia?  Ci  vuol  davvero  la  pupilla  lincea  degli  hege- liani a  vedere,  o  meglio,  a  travedere  siffatte  ideatità  di contenuto  !  D' altra  parte,  se  posta  la  evoluzione  della idea  0  contenuto  dello  spirito  ne  seguita  (come  dicono) che  la  filosofia  ha  da  esser  identica  alla  storia:  non  è egli  codesto  un  principio  degno  d' un  eclettico  francese? Non  è  la  negazione  più  aperta,  più  schietta  del  progresso in  filosofia,  meno,  s'intende,  fino  al  ] 831,  epoca  memo- randa in  che  con  la  sua  bacchetta  d'acciaio  il  gran negi-omante  del  Nord  ebbe  diffinitivamente  segnato  e chiuso  in  perpetuo  il  circolo  della  filosofia?  S'egli  è così,  la  dottrina  ^é*  circoli  e  de'  ricorsi  storbi  che  il Vera  dice  esser  l' errore  madornale  della  Sdenzii  NuovOj per  me  sarebbe  anzi  una  conseguenza  logica,  imme- diata, inevitabile  dell'  Hegelianisrao,  almeno  quant'  al pensiero  speculativo.* Hi9t.,  voi.  IH,  p.  439).  La  successione  istorica  de'  sistemi  perciò  riesce identica  a  quella  delle  determÌDazioui  logiche  della  Idea:  il  perchè  in fondo  a  tuttM  sistemi  non  si  occulta  altro  che  un  medesioo  oontenuto. *  Chi  consideri  bene  le  dottrine  e  applichi  con  acciiiatezza  le  esi- genze del  metodo  vichiano  alla  storia  de' sistemi,  si  accorgerà  tosto  corno nella  filosofia,  guardata  storicamente,  ci  abbia  da  esser  moIiipUcità  di  momenti, e,  che  più  monta,  diversità  di  contenuto;  del  che /a  storia  dt'Ila filosofia  greca,  come  accennammo  (pa?.  19«,  197)  porge  splendido  esempio. Ma,  si  badi,  ciò  non  toglie  punto  che  ci  abbia  da  esser»,  come  di  fatto ci  è,  differenze  di  forma.  Se  i  ritomi  e  i  rieorgi  «tarici  nm  importassero anche  in  filosofia  un  contenuto  nuovo  pur  occultato  sotto  vecchia  forma, che  cos'  altro  sarebbe  la  storia  del  pensiero  filosofico  salvo  che  an'  og- ;,Mo8a  e  sterile  ripetizione  d'un  medosiuio  uggiosissimo  spettacolo'?  Nella storia  de' sistemi,  più  che  in  altre,  il  moto  e  lo  svolgim4Qto  storico  non somiglia  ad  una  linea  retta,  come  dicono  alcuni,  e  mmmanco  ad  un circolo,  come  pretendono  altri.  La  storia  della  filosofia  3  linea  retta  e circolo  insiememente.  È  linea  retta,  chi  guardi  al  contenuto  ;  ed  è  poi circolo,  chi  consideri  la  forma,  cioè  la  parto  meccanica  do'  fatti;  giacche la  storia,  lo  dicono  e  lo  credon   tutti,  ò  fornita  alch'ella  del  suo Un'  altra  osservazione  contro  gli  Hegeliani  poiché ci  calza.  Se  V  ingegno  filosofico  (quello,  ben  inteso,  de- gl' imperturbabili  e  severi  negromanti  in  filosofia)  rac- chiude in    tanta  virtù  e  tal  vena  architettonica  da costruire  con  lavorio  tutto  a  priori  il  sistema  della scienza  dell'essere  e  del  conoscere;  la  conseguenza  parmi chiara,  irrepugnabile  :  ed  é  che  la  storia  della  filosofia non  potrà  non  riescire  affatto  inutile  e  insignificante. A  che  sciupar  tempo,  a  che  sprecar  la  nostra  attività critica  a  studiar  ne'  bozzetti  piii  o  manco  smorti  e  me- lensi e  sconci  e  abortivi  che  ci  presenta  la  storia,  se abbiamo  già  dinanzi  agli  occhi  in  marmo  vivo  e  quasi palpitante  il  Davide  e  '1  Mosè?    Dicono:  «  Noi  invo- chiamo la  storia  de' sistemi,  é  vero,  ma  per  semplice  gua- rentigia del  sistema:  la  invochiamo  com' una  riprova  di fatto,  com'  una  conferma  sperimentale....  »  Conferma  di che?  Della  costruzione  a  priori,^  Dunque  codesta  vostra costruzione  è  una  congegnatura  inefficace  !    D' altra parte,  se  il  sistema  giace  ascoso  e  beli'  e  apparecchiato nella  storia  e  non  fa  che  germinare  da  essa,  in  questo caso  non  sarà  inutile  la  vostra  costruttura  ideale,  a priori?  Brevemente,  una  delle  due:  La  costruzione  a priori  del  sistema  é  ella  assoluta?  Dimque  è  faccenda inutile  la  storia  de'  sistemi.  Il  sistema  giace  egli  beli'  e apparecchiato  nella  storia?  Dunque  inutile  ogni  alma-  meccanismo.  Ora  dunque  per  noi  il  pensiero  fllosofico  ò  daTvero  pro- gressivo; è  progressivo  sul  serio;  progressivo  noi  verace  senso  della parola  progresso,  appunto  perchè  si  svolge  anche,  e  sopratutto,  nel  suo contenuto.  £  qui,  com*  è  chiaro,  noi  rispetto  agli  Hegeliani  siamo  addirit- tura a:rU  antipodi;  e  non  è  altrimenti  il  nostro  povero  don  Giam- battista quegli  che  non  ebbe  la  fortuna  (sic)  di  scoprire  la  gran Ugge  dd  progredire  della  utnanità,  ma  è  proprio  il  loro  Hegel  cui  toccò la  sventura  (abbiano  pazienza!)  di  non  conoscerla,  anzi  di  negarla  co- testa  legge;  o  almeno,  riconosciutala  da  Talete  fino  al  1831,  Tha  poi negata  a  tutt*i  secoli  avvenire,  condannandoli  senza  scam(H>  a  ruminare eternamente  la  medesima  formola  metafisica!  Il  concetto  del  vero  prò- gre99o  è  concetto  propriamente  impossibile  nella  mente  degli  Hegeliani, come  vedremo  nella  Sociologia. »  MiOHKLiT,  Exam,  Crit,  de  la  Mèi.  d'Arisi.,  Paris,  1836,  p.  305. nacchìo  architettonico  dialettico  a  priori.  Nel  primo caso  voi  sarete  altrettanti  Dii;  e  noi  non  v'intendiamo, perchè  confessiamo  di  non  esser  capaci  d' intendere  un linguaggio  e  un  pensiero  sovrumano.  Nel  secondo  poi sarete  eclettici,  o  positivisti;  e  noi  vi  superiamo. Non  v'è scampo.  Se  la  storia  de'  sistemi  ha  da  servire  di  per  sé sola  a  darci  la  filosofia;  se,  d'altra  parte,  la  congegnatura  a  priori  ha  da  essere  assoluta  e  tutta  d'un  pezzo: come  legittimarle  entrambe?  perchè  invocar  la  neces- sità d'entrambe?  Intendo  l'eclettico  che,  non  sapendo rinvenir  filo  d' energia  speculativa  ne'  bisogni  intimi  del suo  pensiero,  viene  a  chieder  soccorso  alla  storia.  Intendo non  meno  il  positivista  che  con  le  mani  sotto  le  ascelle tutto  aspetta  dalla  storia  appunto  perchè  non  ha  briciol di  fede  nelle  native  forze  della  ragion  filosofica,  e  sorride agli  sforzi  ne'  quali  nobilmente  altri  si  prova.  Ma  come potrò  intender  gli  hegeliani  che  invocan  la  storia  nel momento  istesso  che  vantano  la  singoiar  pretensione di  costruir  l' edifizio  scientifico  a  priori  rifacendosi  dal tetto  ? Che  cosa  dunque  è  da  concludere?  Precisamente r  opposto  di  ciò  eh'  essi  pretendono  :  che  ne  la  storia contiene  il  sistema,    la  mente  può  costruirlo  e  de- durlo  a  priori.    induzione,  al  solito,    deduzione neanch'  in  quest'  ordin  di  cose.  La  possibilità  d'  una dottrina  metafisica  può  germinare  dall'  azione  combi- nata delle  due  forze;  dalla  storia  de' sistemi  interpretati a  dovere,  e  dalla  energia  intima  del  pensiero  speculativo. Or  tutto  ciò  potrebb'  egli  esser  possibile,  se  questo pensiero  non  fosse  ad  un  tempo  e  dentro  e  fuori  della storia?* *  Lo  Schmidt  divìde  la  storia  de*  sistemi  filosofici  morendo  dal  con- cetto della  filosofia  elio  per  lui  è  teienza  del  fondamento  ultimo  del  nottro pentierOf  e  delV  a$§oluto,  E  poiché  cotest'  obbietto  si  può  concepire  in  tre gaise,  cioè  obbiettivamente,  sabbio ttiv amente  e  neirun  modo  e  nell*  altro riconoscendoli  entrambi  come  identici,  però  ne  deduce  1*  opposizione de*  sistemi,  e  la  divisione  della  storia.  La  prima  e  più  generale  divisione è  questa;    filosofia  grreca  ;  2o  filosofia  nuova  avanti  Kant  ;  S*"  filosofia Il  nostro  criterio  non  è  niente  di  tutto  questo.  Non  è empirico,  non  è  eclettico,  non  è  sistematico,  non  è  dom- matico.  E  positivo,  e  razionalmente  positivo.  Ed  è  tale perchè  piglia  di  mira  non  già  i  sistemi  propriamente detti,  anzi  le  posizioni  ultime,  più  semplici,  irreducibili del  filosofare,  squadrandole  sotto  doppio  rispetto  ;  sotto il  rispetto  della  scienza,  e  del  suo  oggetto.  Le  posizioni possibili  dell'  ingegno  filosofico,  di  fronte  al  sapere  metafisico, dicemmo  esser  tre:  !•  impossibilità  della  metafisica (Scetticismo);    sua  attualità  (Sistema  beir  e  com- piuto); 3»  sua  possibilità  (Critica).  Anche  tre,  dicemmo, le  posizioni  del  suo  oggetto,  cioè  le  possibili  soluzioni  del problema  metafisico.  Dunque  tre  han  da  essere  i  sommi generi  sotto  cui  la  storia  può  venir  adunando,  disponen- do, ordinando  le  dottrine,  gì'  indirizzi,  i  metodi,  le  esigenze speculative  formanti  le  specie  e  sottospecie,  le recente  dopo  Kunt  {St,  della  FU.,  p.  16).  Innan^ù  tutto  questa  è  una  diTisione  essenzialmente  sistematica,  e  riesce  alla  filosofia  dell*  identità:  il che  solo  basterebbe  a  condannarla.  Il  concetto  inoltre  nel  quale  è  fondata •  è  superlativamente  esclusivo;  tanto  cbe  rimaui^on  fuori  del  corso  isterico interi  periodi  di  speculazione  occidentale,  per  non  parlare  della  filosofia orientale.  Così  precisamente  egli  tratta,  per  esempio,  la  scolastica:  la quale,  tuttoché  non  si  possa  dire  speculazione  metafisica,  non  però  cessa d'essere  8peéulazione,quantunque  in  servigio  della  teologia  e  del  domma. K  poi,  come  mai  dalla  filosofia  greca,  con  un  salto  più  che  mortale,  si piomba  a  Cartesio  ?  Dov*  è  qui,  non  dico  la  verità,  ma  la  realtà  del  processo storico  della  filosofia?  Un'altra  domanda.  Lo  Schmidt  pone  Videntìtà come  contrassegno  del  8^  periodo  della  filosofia.  Ma,  con  qual  diritto,  con che  verità  qualificar  tutt*  i  filosofi  di  cui  egli  parla  nel  suo  S"*  periodo  col carattere  dell*  identità  ?  Come  si  vede,  lo  Schmidt  cade  nel  1*  a  pr»art«mo hegeliano,  ma  senza  far  pompa  de*  grandi  pregi  di  Hegel.  Tranne  V  op- posizione fra'  sistemi,  nonché  la  triplice  maniera  onde  in  essi  è  concepito l'assoluto,  ei  confessa    non  saper  altro  per  via  a  priori  di  concreto,  di particolare  circa  la  storia  delle  scuole  e  delle  dottrine  filosofiche:  doveccbò  Hegel  non  pnr  move  dalla  logica,  come  s'ò  detto,  e  dalle  alture logiche  procaccia  dedurre  i  sistemi  ed  i  momenti  della  storia,  ma  più  an- cora li  costruisce;  li  costruisce  indipendentemente  dalla  storia.  Il  metodo dello  Schmitd,  quindi,  avrebbe  una  parte  accettabile,  un  aspetto  vero; che,  cioè,  r  indagine  storica,  per  lui,  non  riescirebbe  un  di  più  affatto inutile,  come  in  sostanza  dovrebb' essere  per  Hegel.  Se  non  che  cotesto bel  pregio  svanisce,  tostraf«,  appresso  il  vero  metafinoo.  Or  questa  genesi a  cui  egli  accenna,  si  applica  evidentemente  tanto  al  processo  delle  scienze, quanto  a  quello  della  filosofia;  e,  di  più,  risponde  appnntìno  alla  storia e  al  processo  ideale  de' metodi.  I  metodi  per  lui  sono  ìtq  ;V  Induzione^  il Sittogiemo,  il  Sorite.  {De  Antiquiee.,  e.  VII,  §  IV,  14.)  È  bene  avvertire com'ecfli,  discorrendo  del  Sorite^  sbagli  nell'attnbuire  a  Socrate  quella forma. d'induzione  cui  allude  nel  Libro  metafìtico;  e  non  meno  sbaglia, come  osservammo,  quando  chiama  sillogistico  il  metodo  aristotelico.  Ma questi,  com'  ò  chiaro,  sono  sbagli  di  storia,  inesattezze  di  fatto,  non  già di  dottrina.  Ciò  che  importa  è  che  sin  nel  Libro  metaJUico  egli  sa scorgere  un  vincolo,  un  processo,  e  quindi  un  progresso  fra  le  tre  posizioni metodiche  del  pensiero:  Induzione,  Dedazione,  Eduzione,  rispondenti  alla storia  delle  scienze,  come  a  quella  della  filosofia.  Giova  perciò  intenderci bene.  L' Induzione,  per  lui,  è  un  artifizio  sintetico,  ma  d'indole  empirica; ondo  la  mente  non  facendo  che  raccogliere,  adunare,  procede  dall'effetto alla  causa,  e  quindi  è  analisi,  diremmo,  sintetica.  (Inductio,  pioura  àna- lytica;  Stllooismus,  stntrtioa.  Ved.  De  Conet,  PhUologim,  cap.  IV.)  Il Sillogismo  invece  è  un  artifizio  deduttivo,  è  ainteei  analitica  per  cui  la mente  procede  dalla  cagione  all'effetto;  ma  è  incerto  nel  euo  procedimento  e  però  inetto  a  scoprire  {De  AntiquÌ9$.,  cap.  II,  VII,  4).  Questo  è quel  metodo  eh*  ei  condanna  ne'  Cartesiani,  ed  è  quel  9ÌUogi»mo  debole oÌ79iv'/ì^  i7uXXo7(7]txo;  che  Aristotele  biasimava  in  Platone  (>lna/.  Poet.,!,) Finalmente  il  Sorite,  per  lui,  è  tutt' altro  di  ciò  che  ne  dice  la  logica  or- dinaria. II  Sorite  non  è,  a  dir  proprio,    sintesi,    analisi.  Non  è  ana- lisi sintetica  che  dall'effetto  ealga  alla  cagione,  e  nemmeno  è  sintesi analitica  che  dalia  causa  eeenda  all'effetto.  Invece  è  funzione  che  oofuxitena  caute  con  caute:  Qui  utitcb  borite  gauss  ab  oaussis,  ouiqur  proxi- MAif  ATTBXIT.  {De  AntiquÌ89„  De  certa /acultate  eciendi,  15.)  Perciò  il  Sorite essendo  la  funzione  sillogistica  nella  forma  pid  compiuta,  presuppone  e racchiude  in    l'analisi  e  la  sintesi,  la  deduzione  e  l'induzione,  e  di  fronte a  queste  debb*  esser  superiore  e  posteriore.  Dunque  la  funzione  discor- siva che  egli  appella  Sorite  e  che  pone  nel  terzo  momento  della  storia Se  tutto  questo  che  noi  siamo  venuti  sin  qua  discorrendo è  vero,  quale  ne  sarà  la  conseguenza?  Sarà  che tanto  nella  storia  deUa  filosofia,  quanto  nel  succedersi de'  sistemi,  il  progresso  non  è,  come  ci  predicano  i  posi- tivisti, un'  illusione  de'  filosofi  di  mente  ammalata  e nebulosa,  ma  un  fatto  storico  e  psicologico  ad  un  tempo  ; una  storica  e  psicologica  necessità.  I  diff'erenti  sistemi,  ci dicono  i  filosofi  deW  avvenire^  possono  conferire  al  pro- gresso non  come  cagioni  determinanti,  ma  come  sem- ideale  de*  metodi,  non  è  altro  che  il  processo  ednttiro  di  cai  altrove  abl)iaino  discorso.  Neir  annodar  cau»e  con  carne  sta  V  invenzione  del  termine medio,  e  perciò  la  conversione  dd  vero  col  fatto  (p.  215-46).  Se  non che  talora  anche  in  ciò  egli  si  contraddice  !  ifferma,  per  es.*,  che  V  analisi (la  qaale  abbiam  visto  essere  per  lui  posteriore  alla  sintesi,  e  però,  come artifizio  deduttivo,  posteriore  ali*  induttivo),  sia  il  metodo  puramente  cri- tico de*  Cartesiani  ;  e  non  senza  ragione  lo  condanna,  perchè  esclusivo  e solitario.  Ma  più  volte  poi  dice  esser  tale  anche  il  Sorite;  cioè  un  ar- tifizio puramente  critico  e  analitico.  {De  AnUqxUss,^  e.  VII,  §  IV.    Ds Nos.  Temp.  Stud.  Jiat,,  Argum.    RUp,  i*  al  Glor.  de'  Lett.,  §  IV.  --  /?« Oonst.  PhiloL,  e.  XIV.    Sec.  Se.  Nuo.,  p.  239.)  Ma  non  abbiam  vist  ) com'egli  medesimo  ponga  il  Sorite  dopo  Vlnduzimie  che  è  analisi-sintetica, e  dopo  il  SiUogismò  che  è  sintesi-analitica?  Come,  dunque,  se  è  posteriore e  superiore,  potrà  esser  non  altro  che  pura  critica  e  pura  ana- lisi, e  perciò  anteriore  e  inferiore?  Non  è  contraddizione  palpabile  cotestaV A  levar  di  mezzo  siffatti  controsensi,  bisognerà  stare  alla  definizione eh' ei  medesimo  ne  porge  del  Sorite:  funzione  che  concatena  cause  con ca«we,  non  già  effetti  con  causcy  o  eause  con  effetti.  Ella  compenetra,  come dicemmo,  in  un  medesimo  circolo  l'analisi  e  la  sintesi,  l'artifizio  induttivo e  '1  deduttivo  (p.  245).  fe  insomma  il  nwtodo  ch'egli  sposso  ap- pella geometrico  (2*  Risp.  al  Oior.  de'  LcU.,  §  IV).  È,  ripetiamo,  il  metodo ednttivo,  genetico,  il  quale  non  è  geometrico  in  quanto  debba  essere tolto  cosi  com'  è  dalla  matematica,  ma  nel  senso  che  dalla  geometria s'ha  da  pigliar  la  dimostrationCf  cioè  la  guisa  per  far  la  scienza.  Lo dice  egli  stosso;  non  m^hodus  geometrica^  sed  demonsb'otio.  E  dopo  ciò auguriamoci  che  alcuni  suoi  crìtici  non  vorranno  maravigliarsi  più  oltre ch'egli  abbia  voluto  appellar  geometrico  il  metodo  proprio  della  sua Scienza  Nuova!  {i^  Se.  JVuo.,  p.  140-50).  Uno  de' continovi  lavori  di  questa scienza  d  dimostrare  FIL  PILO....  lo  spiegarsi  delle  idee  umane  (ih.  p.  44). Concludendo:  Col  porre  la  genesi  psicologica  de* metodi  e '1  processo isterico  delle  tre  funzioni  metodiche,  il  nostro  filosofo  ci  ha  dato  insieme la  dottrina  su  la  genesi  positiva  delle  scienze,  secondo  l'interpretazione che  noi  altrove  abbiamo  accennato  (p.  230),  e  sopra  questa legge  si  modella  eziandio  la  storia  ideale  della  filosofia^  com'egli  dice,  o la  storia  naturale  de' sistemi  JUoéoJtci.  Sono  germi  cotesti,  io  lo  veggo; ma  germi  fecondissimi. plici  condizioni  del  progredire;  cioè  com' errori  che  si combattano,  e  che  nel  combattersi  a  vicenda  si  correggano. —  La  contraddizione  qui  è  palpabile  ;  e  non  è  la prima    l'ultima  nella  quale  intoppino  i  positivisti. I  sistemi  filosofici  non  sono  che  errori,  e  pur  si  correggono !  Ma,  so  correggonsi,  in  clie  maniera  saran  tutti un  errore?  È  possibile  correzione  senz'una  parte  di  vero? Or  se  racchiudon  parte  di  verità,  certo  non  avrebbe  a parere  impresa  disperata  poterli  assommare;  per  la semplice  ragione  che  se  la  mente  umana  è  quella  che ha  potuto  partorirli  e  poi  di  mano  in  mano  correggerli, ella  medesima  potrà  venirli  adunando  in  organismo,  nel che,  come  si  disse,  è  necessario  un  criterio  superiore/ Abbiamo  detto  esser  triplice  il  processo  delle  cose governato  da  un  medesimo  criterio,  il  quale  perciò  as- sume valore  di  principio  :  la  Conversione  del  vero  col fatto.  Ora  il  primo  processo  a  cui  è  d'  uopo  fare  co- testa  applicazione  è  appunto  la  storia,  perocché  lo  spi- rito nasce  nella  storia,  e  la  fa.  E  poiché  nel  medesimo processo  isterico  é  racchiuso  il  processo  psicologico  il quale  n'  è  il  fondamento  più  immediato  in  quanto  é  la *  I  sistemi  si  combattono,  è  vero:  essi  rappresentano  il  transito  a verità  ;  e  anche  questo  è  verissimo.  Ma  ciò  fanno  non  tanto  perchè  sono errori,  non  tanto  perchè  lottano,  qaanto  perchè  racchiudono  in    mede- simi un  elemento  di  speculazione  e  perciò  di  verità  metafisica.  In  una parola,  essi  lottano,  ma  non  per  distruggersi  a  vicenda,    per  legittimarsi, e  compiersi.  Giova  ripeterlo  anche  qui:  Positivismo  e  Idealismo  assoluto mancano  del  vero  concetto  del  progresso  nella  storia  de'  sistemi. L*  uno  considerandoli  come  produzioni  fantastiche  della  mente,  crede che  poco  alla  volta  essi  finiscano  per  divorarsi  a  vicenda  senza  verun incomodo  degli  spettatori;  dovecchò  l'altro,  avvisandoli  come  organi  e vegetazioni  d' una  medesima  pianta,  nega  loro  ogni  ulteriore  progresso giunto  che  sia  a  vedere  sbocciato  quel  fiore  nel  quale  sono  contenuti in  atto  rami,  fronde,  foglie,  tronco  e  radici  della  pianta.  Questo  fiore, si  sa,  non  può  essere  altro  che  la  filosofia  dell'identità.  Ora  a  me  pare che,  se  hegeliani  e  positivisti  vorranno  per  poco  tenersi  conseguenti  a  sé stessi,  la  storia  della  filosofia  agli  occhi  loro  non  potrà  essere  altro che  un  caput  mortuum;  sempre  per  la  solita  ragione,  che  gli  uni  hanno intera  fiducia  nella  costruzione  ideale  della  metafisica,  mentre  gli  altri non  ne  hanno  punto,  anzi  la  negano.  Caput  mortuuml    più,    meno. La  logica  è  inesoraWle. stessa  nostra  coscienza,  perciò  la  prima  applicazione di  quel  principio  riguarda  la  genesi  psicologica.  Ma, innanzi  tutto,  che  cosa  ci  dice  la  storia  della  psicologia rispetto  al  problema  psicologico? Capitolo  Quarto. platonismo  e  aristotelismo nel  problema  psicologico. Il  nodo  al  quale  per  ragioni  più  o  manco  immediate si  rappicca  la  soluzione  de'  piii  vitali  problemi  delle scienze  morali,  e  stavo  per  dire  anche  quelli  della  me- tafisica, è  il  problema  psicologico,  che  un  moderno  filo- sofo ha  giustamente  appellato  problema  generatore.^ La  psicologia  segue  anch'  ella  una  legge  cui  vediamo soggiacere  ogn'  altra  parte  della  filosofia.  Pigliando  a considerare  il  problema  psicologico  sotto  l' aspetto  teo- retico, ci  accorgeremo  tosto  della  possibilità  d' una  dop- pia soluzione,  che  si  riferisce  a  due  sistemi  fra  loro opposti  e  contrari:  i  quali  sistemi,  per  quanto  si  voglian fregiare  di  titoli  vistosi  e  facciano  pompa  di  nomi  pili 0  meno  appariscenti,  ci  rivelano  sempre  alla  fin  fine  l'esigenza del  materialismo,  ovvero  quella  dello  spiritualismo. Se  pigliassimo  poi  a  guardare  il  medesimo  problema sotto  r  aspetto  isterico,  sarebbe  agevole  il  vedere come  quelle  due  soluzioni  mettan  capo  a'  due  maggiori filosofi  dell'antichità,  Platone  e  Aristotele,  ne'  quali  s'im- batte sempre  la  mente  dello  storico  quando  meno  se  '1 crede.  Che  se  oltr'  ai  due  massimi  filosofi  di  Grecia  togliessimo ad  esame  anche  la  teorica  psicologica  degl'  insigni rappresentanti  della  sapienza  cristiana.  Agostino e  Tommaso,  i  quali  non  fanno  che  ormeggiare  i  due Fichte,  Doetrine  de  ki  Seienetf  trad.  Grimbl^t,  pag.  110. greci  quanto  le  necessità  del  domma  comportavano, avremmo  beli'  e  fissato  l' obbietto  e  determinato  i  con- fini della  critica  intorno  alle  principali  soluzioni  date sul  problema  in  discorso,  e  fors'anco  avremmo  tirato  le somme  linee  d' un  intero  disegno  isterico  della  scienza psicologica  fino  all'  età  del  Rinascimento^  I  quattro  filo- sofi menzionati  comprendono  in  germe  tutte  le  posi- zioni psicologiche  possibili,  meno  una;  meno  quella, cioè,  che,  nulla  serbando  di  filosofico  e  di  psicologico, si  riduce  tutta  a  negozio  di  biologia,  come  vorrebbero certi  moderni  fisiologisti. Nella  storia  della  filosofia,  infatti,  avviene  quel  medesimo che  in  ogn'  altr'  ordin  di  cose  morali  :  le  prime tracce  dello  sviluppo,  i  germi  del  processo,  come  germi, s'annidan  tutti  nelle  origini.  Nelle  origini  la  virtù  spon- tanea e  divinatrice  dell'  ingegno  emerge  vigorosa  e  po- tente così  che  basta  ad  alimentare  i'  attività  analitica di  più  secoli,  ed  eccitar  1'  ansia  e  '1  bisogno  speculativo di  più  e  più  generazioni.  Le  origini .  riflesse  della  spe- culazione occidentale  pongono  lor  prima  radice  nel  pen- siero greco  ;  massime  in  quel  perìodo  in  cui  Platone  e Aristotele  rappresentando,  per  così  dire,  1'  analisi  in cui  sdoppiossi  e  ingagliardì  la  sintesi  socratica,  giun- gono a  toccar  l'apice  della  riflessione  metafisica  sotto duo  forme  distinte;  distinte  nell'idea,  diverse  nella forma  e  anco  nello  stile,  ma  atte  ad  integrarsi  e  compiersi a  vicenda.  Il  vivente  storico  inglese  della  Grecia ha  detto  che  la  speculazione  europea,  nonché  gran parte  dell'orientale,  altro  non  sia  stata  in  sostanza fuorché  un  commentario  intricato  e  perpetuo  de'  due massimi  filosofi.  A  compiere  il  concetto  avrebbe  potuto •e  dovuto  aggiugnere  che  in  cotesto  commentario,  in cotest'  analisi,  tanto  più  evidente  appare  il  progresso, quanto  più  intenso  é  lo  svolgersi  delle  dottrine,  e  più fitto  e  più  variato  il  succedersi  delle  scuole.  Chi  dunque pigliasse  a  far  la  storia  critica  del  Platonismo  e dell'Aristotelismo,  e'  sarebbe  già  in  grado  di  far  la  sto- ria  della  filosofia:  in  cui  lo  scetticismo  avrebbe  quella funzione  e  queir  ufficio  che  gli  spetta;  ufficio  senza  fallo assai  rilevante,  ma,  come  dicemmo,  di  semplice  stru- mento più  che  d' artefice;  funzione  di  mezzo,  d' espe- diente, d'incentivo  piii  che  d'elemento  vitale  della  scienza. Se  infatti  v'  ha  cosa  nella  quale  consentano  appieno i  due  massimi  filosofi,  è  questa:  che  il  concetto  del  sa- pere, del  sapere  per  via  di  scienza,  debbasi  appuntare neir  universale,  stante  che  dall'  universale  possa  emer- gere unicamente  la  possibilità  della  metafisica  (pag.  22  )) Ecco  perchè  tale  possibilità  è  già  beli'  e  dimostrata, s' altra  prova  mancasse,  dal  fatto  storico,  dalla  storia della  filosofia.  Ecco  perchè  lo  scetticismo,  siane  qualunque la  forma,  è  distrutto,  o  meglio,  è  ridotto  al  suo legittimo  valore,  dall'esistenza  atessa  e  dallo  svolgimento cui  son  venuti  soggiacendo  il  Platonismo  e  l'Aristotelismo. Ed  ecco  perchè,  ripetiamolo,  questi  due  grandi  sistemi racchiudono  un  significato  supremamente  comprensiva per  due  rispetti  diversi,  l'uno  storico  e  l'altro  teore- tico, e  per  due  diverse  ragioni  altrove  accennate  (p.  201). Sul  carattere  precipuo  del  Platonismo  ci  sarebbe  a sperare  che    critici,    storici  qund'  innanzi  avessero a  discutere  più  oltre.  Volumi  in  foglio  scrissero  antichi e  riscrissero  moderni,  sia  per  determinare  il  concetto platonico  del  Bene,  sia  per  isgroppare  que'  tanti  viluppi su  la  natura  delle  idee,  sia  per  ispecificar  l' attinenza peculiare  fra  esse  e  Dio,  o  per  lumeggiare  il  processo della  dialettica  e  chiarir  la  forma  verace  del  metodo filosofico  platonico,  o,  finalmente,  per  additare  il  rap- porto fra  '1  pensiero  e  l' obbietto  sovrassensibile  di  esso. Pare  che  i  più  oggi  consentano  a  ritenere,  il  distintivo platonico  star  nella  teorica  dell'  esemplarismo,  e  quindi nella  dottrina  (vera  o  no  che  sia)  delle  idee  avvisate oom' eteme  conoscibilità,  e  com^  eterne  e  assolute  specie delle  cose,  *  11  che  tanto  più  avrebbe  a  parer  vero,  in ^Ytìov    wjTTioòc    To  (zé^iov    (iTxpct^ityt/y.)   iS\tntv.    Tm.     Cfr. quanto  che  il  punto  attorno  a  cui  s'aggira  la  critica dello  Stagirita  sta  tutta  qui:  Videa  non  pure  esser Buperiore  alle  cose,  ma  tutta  al  di    e  tutta  al  di  fuori delle  cose.    le  tre  scuole  d' interpreti  che  hanno  a capo  Herbart  Hegel  e  Bitter,  e  che  in  Germania  oggi dividonsi  '1  campo  della  critica  sul  significato  essenziale e  speculativo  de'  dialoghi  platonici,  dissentono  guari  in- torno a  cotesto  particolare,  quantunque  tutt'  e  tre  rie- scano a  dissidii  profondi  nell'  applicar  la  critica  non tanto  erudita,  quanto  d'interpretazione  filosofica. Difficoltà  pili  gravi  porge  T  Aristotelismo  ;  col  qual nome  intendo  abbracciare  tanto  Aristotele,  quanto  la interminabile  tratta  de' suoi  commentatori.  Queste  difficoltà senza  fallo  tengono  all'  indole  stessa  della  dot- trina aristotelica,  all'esser  eUa,  per  così  dire,  bifronte, racchiudendo  i  germi  di  due  contrarie  ed  opposte  dire- zioni speculative:  cosa  che,  ove  non  fosse  universalmente riconosciuta,  basterebbe  a  comprovarcela,  s' altro  man- casse ,  la  critica  che  neanc'  oggi  ha  smesso  e  certo mai  non  ismetterà  la  speranza  di  porre  in  accordo  lo Stagirita  con    medesimo.  Eertanto,  riconosciuta  l' ambiguità e  r  indeterminatezza  del  sistema  aristotelico  nonché il  difetto  d' impasto  omogeneo  in  parecchie  sue  teoriche; considerato  come  Aristotele  uscito  del  tirocinio platonico  dovea  serbare,  come  serbò  evidenti,  alcune tendenze  già  inseritegli  nell'  animo  dalla  viva  e  potente e  drammatica  parola  di  chi  seppe  concepire  e  scrivere il  Protagora  e  '1  Filébo;  tenuto  conto  sopratutto  del- l'opposizione  gagliarda  e  severa  ch'ei  mosse  contr'al maestro  ;  e,  finalmente,  considerato  lo  svolgersi  così  va- rio, così  intricato,  così  opposto  ne' suoi  resultamenti cui  r  Aristotelismo  andò  «oggetto  attraverso  civiltà  diverse, tempi  diversi,  luoghi  divedi  :  non  avrebbe  a  parer Stallbacm,  ne*  ProUgom,  al  Parmenide,  I,  Sez.  2.    Rosmini,  Aritt.  eep. ed  esam.f  Introd.    Zkllbr,  DeU^  espogiz.  aritt,  della  fil,  di  PUxtone, c.  rV.    Tbbndelsnburo,  Plut.  de  id.,  p.  60.    H.  Mabtik,  Éhui.  mr  le Tim,,  Tol.  1,  Àrgom,    CousiN,  Du  vrai,  du  beau  et  du  bien,  loz.  IV. troppo  ardito  T  argomentare,  come  dal  tatt'  insieme  delle sue  teoriche,  in  ispecie  dalle  tendenze  molteplici  degli esegeti  d'ogni  età,  cotest' indirizzi  devan  essere  tre,  me- glio che  due.  De'  quali  indirizzi  noi  chiameremo  il  primo ip&rpsicólogko;  il  secondo.  Triturale  oàempirico;  e  il  terzo medio,  ovvero  aristotelico-platonico  propriamente  detto. Dal  significato  stesso  di  queste  parole,  ognuno  s'accor- gerà come  il  nostro  criterio  diflferenziale,  e  la  divisione riguardante  gì'  indirizzi  della  dottrina  aristotelica  nonché le  diverse  esegesi  a  cui  elle  conducono,  sia  per  noi principalmente  di  natura  psicologica;  e  non  può  non esser  tale.  Aristotele,  infatti,  non  cessando  d' essere Aristotele,  è  anche  mezzo  platonico.  Un  criterio  diflFerenziale,  dunque,  circa  le  dottrine  de'  due  filosofi,  non potrebb' essere  attinto  in  altra  sorgente  salvo  che  in quella  della  psicologia,  dove  appunto  riluce  piii  netto il  dissidio,  checché  ne  dica  il  Ravaisson,*  tra  i  due filosofi  della  Grecia.  D' altra  parte  cotesta  nostra  divi- sione non  solo  si  porge  come  criterio  a  discemere  e giudicar  le  diverse  scuole  aristoteUche,  ma  ci  sommini- stra modo  altresì  per  valutare  l' esplicazione  storica  del Platonismo  al  lume  di  quel  terzo  indirizzo  che  noi  pensatamente abbiamo  appellato  medio.  11  quale,  se  con  gli altri  due  l' abbiam  detto  aristotelico,  non  è  meno  platonico perciò.  Cotesto  indirizzo  medio,  infatti,  non  è  ori- ginario, ma  secondario.  Non  è  nato  fatto,  ma  capace di  farsi,  di  generarsi,  d'assumere  fattezze  proprie  e fisonomia  sempre  più  individuale  e  spiccata  nel  corso della  storia.  Però  più  d'uno  storico  della  filosofia  ha paragonato  1'  Aristotelismo  e  '1  Platonismo  a  due  fiumi che  risalgono  verso  due  sorgenti  diverse;  e  meglio avrebber  detto  due  correnti  distinte  d'  un  medesimo fiume,  le  quali,  scorrendo,  sempre  più  si  rimescolano e  conifondono  per  entro  a  un  medesimo  alveo.  Nel- r  Aristotelismo  quindi  ci  è  il  Platonismo,  o  meglio  ci *  E9$ai  de  Ifitaph,  d'  ÀrUt,  Tom.  I,  Introd.  p.  Y. è  germi  di  due  maniere  di  Platonismo,  legittimo  e spurio.  Il  Platonismo  spurio  in  sostanza  è  Arabismo; e  la  cagion  prossima,  X  origine  immediata  di  esso  non risale  già  alla  dottrina  platonica,  come  altri  ha  creduto cogliendo  a  frullo  qualche  sentenza  qua  e    sparsa ne' dialoghi  del  filosofo  ateniese;  ma  risale  al  medesimo Aristotele;  e  ciò  per  due  diverse  ragioni.  La  prima delle  quali,  come  ha  osservato  un  illustre  storiografo,* si  radica  nell'opposizione  che  lo  Stagirita  ingaggiò  con- tro il  maestro  ;  e  questa,  più  che  cagione,  noi  diremmo sia  stata  occasione,  incentivo  alla  dottrina  averroistica. La  seconda  poi  vuoisi  riferire,  come  toccammo,  all'indeterminatezza e  ambiguità  della  stessa  dottrina  aristotelica su  l'intelletto;  tant' è  vero  che  Alessandro d'  Afrodisea,  intendendolo  in  parte  sotto  l'aspetto  empirico, potrebbe  aver  fatto  più  sdrucciola,  per  parte  sua, la  strada  all'Averroismo.'  Se  dunque  tale  è  l'Aristo- telismo di  fronte  al  Platonismo,  si  può  dire  che,  ove  altri pigliasse  a  far  una  storia  compiuta  del  primo  conforme al  criterio  che  noi  diciamo,  farebbe  anche  la  storia del  secondo,  cioè  del  Platonismo  vero,  del  Platonismo legittimo,  appunto  perchè  nell'uno  e' è,  anche  1'  altro, ma  corretto,  o  a  dir  meglio,  compiuto  per  più  d'un rispetto.' Ora  che  i  tre  indirizzi  non  siano  per  avventura  tre fantasie  del  nostro  cervello,  potrebb'  apparir  manifesto dalle  sentenze  diverse  che  noi  potremmo  agevolmente venir  adunando  nel  medesimo  Aristotele,  se  potessimo, anche  a  far  bella  mostra  di  peregrina  ma  non  difficile erudizione,  ingolfarci  in  esami  di  esegesi  minuta  e  par- ticoleggiata,  e  se  il  Rosmini  non  avesse  già,  meglio  che *  Renan,  Averrhoé»  et  VAverr.^  pag.  42. *  Ravaisson,  op.  cit.,  toro.  IT,  p.  296  e  segg. *  Il  Bonghi  parlando  della  metafisica  d'Aristotele  osserva,  c^  tutti qtianti  %  »Ì9temi  fino  a  Carteno  ei  »%  »ono  tpecehiati  dentro^  e  ci  hanno jwù  o  meno  riconoeciuto  il  proprio  vieo,  (Lett.  al  Rosm.,  Trad.  della  Me- taf.,  p.  Vili).  Il  Nourisson  dice  fino  a  Leibnitz.  {Tabi,  de»  progrU,  ec., 2*  ediz,  1S59  nella  Condu$,)  Perchè  non  dire  fino  ad  Hegel  addirittura? ogn'  altri,  posto  in  sodo  con  maniera  davvero  magistrale r  esistenza  nello  Stagirita  de'  due  primi  indirizzi.  Ma una  prova  più  chiara  potrebbe  averla  chi  guardasse al  modo  con  che  sonosi  venute  svolgendo  e  diramando e  poi  intricando  e  vie  più  ravviluppando  fra  loro  le  va- rie scuole  aristoteUche  non  solo  per  tutte  quelle  dieci età  che  il  nostro  Patrizi  distingue  nella  storia  degli esegeti  aristotelici,  ma  eziandio  per  tutto  il  periodo che  corre  dall'  epoca  del  Rinascimento  fino  agli  ultimi critici  tedeschi  hegeUani  e  non  hegeliani,  Michelet, Franti,  Zeller,  Trendelenburg.  Da  Teofrasto,  per  eserapio,  a  Stratone  di  Lampsaco  incomincia  a  prevalere di  già  r  indirizzo  naturale,  pigliando  forma  sempre  più empirica  di  guisa  che  si  potrebbe  dire  non  v'essere stacco  assoluto  fra  questo  indirizzo  aristotehco,  e  quelle scuole  che  vi  tenner  dietro,  segnatamente  l'Epicurea e  la  Stoica.*  11  Nominalismo  del  medioevo  che  il  Ro- smini più  acconciamente  appellerebbe  Bealisfno  aristotelico, nonché  il  naturalismo  d'alcuni  peripatetici del  secolo  XV  e  XVI,  ci  palesano  anch'  essi  l' indirizzo empirico.  '  I  Positivisti,  finalmente,  credono  anch'  essi oggidì  potersi  agganciare  allo  Stagirita,  ne  in  verità avrebbero  gran  torto  se  troppo  facilmente  non  dimen- ticassero come  accanto  all'Aristotele  positivista  ci  sia un  Aristotele  filosofo  anzi  metafisico  propriamente  detto. D'altra  parte,  il  Neoplatonismo  e  più  l'interminabile serie  dei  commentatori  arabi  o  arabeggianti  che  smar- rivansi  in  quella  grossolana  forma  di  panteismo  ])sico- logico  annidatasi  nella  dottrina  dell'intelletto  agente così  balordamente  interpretata  in  Aristotele,  non  ci palesano  schiettissimo  l'indirizzo  iperpsicologico? Fra  questi  estremi  quanto  evidente  nella  storia  al- *  Ravaisson.  Op.  cit.»  tom.  II,  p.*  4",  lìb.  1,  e.  1. •  RosMiivi,  ArUu  eiip.  ed  etam.y  Introd.  pagf.  46.    Roussblot,  Étud^ tvr  la  Phil.  dan»  le  moì/en  àgef    p.*,  pa«r.  80.    Saint-RinÌ  Taillak> DntB»  Seot  Erigene  et  la  Phil,  Seolwtt.,  p.  101.  -  CousiN,  Fragni,  de  PkiU du  fnoyen  Age,  p.  72. trettanto  necessaria  in  teoria  è  la  posizione  mediana. Ella  si  studia  porre  nn  accordo  fra  l'esigenza  fondamen- tale del  Platonismo,  e  quella  dell' Aristotelismo;  fra  l'uni- Tersale  in  sé,  e  Y  universale  anche  nel  mondo.  Se  non che  è  facile  vedere  come  questa  posizione  abbia  a  ren- dere immagine,  diremmo  quasi,  del  ferro  magnetico  il quale  senza  posa  oscilla  fra  mezzo  al  polo  positivo  e al  polo  negativo.  Tale  davvero  è  l' indirizzo  medio,  un ferro  magnetico  :  per  cui  non  è  impresa  agevole  stabilire, per  esempio,  se  certi  realisti  e  certi  nominalisti dell'  evo  medio,  de'  quali  il  Rosmini  con  l' usata  pazien- tissima industria  andò  scovando  più  e  diverse  famiglie, sLin  da  dichiararsi  aristotelici  meglio  che  platonici.*  L' indirizzo  medio  nelle  dottrine  filosofiche,  massime parlando  di  Platonismo  e  d' Aristotelismo  avvisati  nel loro  svolgimento  istorico,  spicca  per  questo  contrassegno: d'  esser  la  molla  maestra,  per  così  dire,  del  progresso nello  sviluppo  del  pensiero  speculativo.  Or  s'egli  è tale,  non  debb'  esser  rappresentato  da  que'  filosofi  che *  Pretendono  alcuni  storici  ctie  il  Nominalismo  non  dlfForìsca  punto dal  Concettualismo  (per  es.  il  Cocsin,  (Euvres  cT Abelardo  Introd.,  p.  XCVI in  ciò  confutato  meritamente  dal  Rosmini,  Atìm,  ec.  p.  22.)  Meno  a?7entato  degli  altri  il  Roverotano  si  contenta  designare  il  secondo  com*  una gpecie  del  primo.  E  sia  pure.  Ma  se  fra  Tun  sistema  e  T  altro  non  fosse alcun  diyario,  dovremmo  porre  in  un  fascio,  non  diciamo  con  quanta  ve- rità, i  nomi  di  Roscellino,  di  Guglielmo  di  Champeaux  e  d'Abelardo? Per  noi  la  differenza  delle  tre  direzioni  filosofiche  medievali  è  precisa- mente quella  che  esiste  fra  le  tre  posizioni  dell'  universale  rispetto  alle cose  :  ante  rem,  in  re,  poH  rem.  Non  dico  già  che  tra  Nominalismo  e  Concettualismo corra  quel  medesimo  divario  che  pur  troppo  intercede  fra  essi presi  insieme,  e  quella  specie  di  Realismo  per  cui  si  distingue, 'per  es., Anselmo  d*  Aosta.  Ma  la  differenza  è  pur  evidente,  essendoci  differenza, parmi,  tra  V  ammettere  e  'I  negare  Vunivenalenel  concetto.  Checche  se  ne dica,  la  scuola  di  Roscellino  è  nominale  pura.  Quella  di  Guglielmo  di Champeaux  è  schiettamente  realista.  Ma  un  barlume  di  vero  progresso nella  scolastica  traluce  nel  Concettualismo.  Esso  ci  rappresenta,  almeno compera  possibile  in  quell'età  e  in  quelle  condizioni  della  scienza,  l'indirizzo aristotelico  medio.  Il  Concettualismo  è  tanto  superiore  al  Nominalismo, quanto  Io  spirito  all'esperienza,  -le  idee  ai  fatti,  il  senso  al pensiero.  Il  Rimuaat  e  il  Nouritaon  han  saputo  rilevare  a  meraviglia  i meriti  di  questo  indirizzo  nel  periodo  scolastico.  (Abìlakd,  Tom.  1,40, II,  24.    Tahleaux  de»  progrì»,  ed.  cit.  p.  257.) la  critica  non  radamente  finisce  per  battezzare  con  titoli diversi  e  disparati  e  talvolta  anche  opposti,  non  altri- menti che  gli  zoologisti  adoperano  riguardo  a  certe specie  zoologiche  le  quali,  in  via  di  formazione  specifica, non  possiedon  per  anche  caratteri  netti,  spiccati e  ben  determinati?  Tal  si  è  agli  occhi  nostri,  per  dire un  esempio,  Alessandro  Afrodisio;  il  quale,  tuttoché meritasse  titolo  di  secondo  Aristotele,  ninno  però  vorrà dichiarare  schietto  aristotelico.  S'egli  infatti,  combatte la  dottrina  atomistica  degli  Epicurei  nonché  quella delle  forme  seminali  degli  Stoici,  é  questa  una  buona ragione  perché  non  sia  detto  seguace  dell'  indirizzo  ari- stotelico empirico.  E,  inoltre,  se  contro  Avveroé  piglia a  corregger  la  dottrina  dell'  intelletto  possibile,  ciò  dimostra com'  ei  non  sia  nuli'  afiatto  un  iperpsicologista, e  per  la  stessa  ragione  non  é  a  confondersi  co' puri platonici.  Che  se,  finalmente,  opponendosi  allo  stesso Aristotele  procaccia  dimostrare  come  la  specie  anziché nell'individuo  sia  nel  pensiero,  con  ciò  si  manifesta  chia- ramente seguace  dell'indirizzo  mediano.  L' Afrodisio dunque,  se  potessi  designarlo  così,  sarebbe  il  concet- tualista per  eccellenza  fra  gli  esegeti  ellenici,  e  quindi potrebbe  rappresentarci  l'antecedente  ideale  del  Con- cettualismo mediqevale.  Egli  per  primo  nella  storia  dell' Aristotelismo  ci  esprime  il  bisogno  d' accordare  le  due opposte  direzioni  aristoteliche,  restando  egli  stesso  aristotelico, e  però  non  arabo,    sensista.    Si  potrebbe facilmente  dimostrare,  se  qui  fosse  luogo,  che  il  mede- simo indirizzo  ci  esprime  e  la  medesima  funzione  eser- cita san  Tommaso  nel  medioevo;  talché  nell'età  me- dioevale il  D' Aquino  rappresenta  ciò  che  l' Afrodisio fra'  primi  commentatori  greci.* *  Parlando  di  sau  Tommaso  il  Bonghi  dice:  Quello  che  m'ha  fatto molto  maravigliare,  e  di  cui  non  mi  $on  reso  cofUo  pienamentef  ^  come •'  accordi  in  tanti  luoghi  coW  A/roditeo^  tema  perft  citarlo  mai,  ìé  accordo ^  tale  che  non  pud  ewer  casuale.  (Op.  cìt.  LeU.  al  Rosm.«  p.  XUI.)  È  vero, san  Tommaso  non  conoscerà  che  di  nome  rAfrodisio.  Lo  conosceva  per mezzo  d*A7erroé;  eppure  tanto  spesso  trovasi  d'accordo  con  lui  neir  in- Altri  esempi  più  spiccati  potremmo  averli  nel  Ri- nascimento; esempi  di  filosofì  che  a  tutta  prima  non paiono  stare    di  qua  ne  di  là.  Tali  per  noi  sono,  a dime  questi,  il  Porzio,  lo  Zabarella,  il  Lagalla,  il  Castellani; e  non  esiteremmo  annoverarvi  anche  il  Sessano, come  quegli  che  finì  per  combatter  l'Averroismo  e dar  molto  da  pensare  a'  seguaci  dell'  indirizzo  empirico fra'  quali  in  cima  a  tutti  siede  il  Pomponazzi  *  Che  se  il Patrizzi  e  più  il  Ficino,  fra  gli  altri,  si  palesano  schietti neoplatonici,  cotesto  lor  platonismo  non  va  certamente confuso  con  l'Arabismo.  Anche  noi  crediamo  che  certi Platonici  e  certi  Peripatetici  arabeggino  la  lor  parte, e  tanto  s'assomiglino  fra  loro  quanto  due  gocciole d'acqua.  Ma  perchè  pretendere  porli  in  un  mazzo? La  lor  mente  muove  da  sorgive  diverse;  così  che,  in- terpretando a  lor  modo  Aristotele  e  Platone,  gli  uni spesso  vaporano,  come  s' è  detto,  in  una  forma  confusa di  panteismo  psicologico,  in  mentre  che  gli  altri  svo- lazzano sì  da  restare  immersi  e  balordicci  in  mezzo agli  splendori  d' un  misticismo  il  quale  se  non  è  panteismo poco  ci  corre.  Arabismo  quindi  non  è  Plato- nismo; 0,  se  si  vuole,  è  i)  fiacco,  è  il  grossolano  Plato- nismo venuto  fuori,  come  to^tommo,  attraverso  la  critica male  interpretata  d'  Aristotele  contro  il  suo  maestro. Se  dunque  la  storia  dell'Aristotelismo  è    pronta  a mostrarci  incarnate  nelle  sue  scuole  tre  diverse  tendenze, ciò  vorrà  dire  più  cose.  Vuol  dire  che  queste  tre  tendenze debbono  esistere,  ma  esistere  come  in  germe  nelle  dottrine e  nella  mente  stessa  del  Caposcuola.  Vuol  dire terpretare  il  JUo$ofo,  che  davvero  tale  consenso  non  può  esser  ccituale. Quale  n'  è,  dunque,  la  ragione  ?  Il  Bonghi  non  ne  avrebbe  fatto  le  mera- viglie se  avesse  pensato  eh*  eran  tutt'  e  due  nel  medesimo  indirizzo,  nel- r  indirizzo  aristotelico  mediOf  per  quante  possano  esser  le  differenze. *  Molti  filosofi  italiani,  che  d'ordinario  sono  mossi  iu  fascio  col  Pomponazzi 0  con  gli  schietti  averroisti  ovvero  co'  puri  platonici  (come appunto  il  Nife)  a  noi  paion  seguaci  più  o  mono  spiccati  dell'indirizzo medio,  quando  siano  interpretati  con  benignità  di  giudizio,  e  senza  le traveggole  d'una  critica  sistematica. ch'elle  hann'a  distinguersi  e  sdoppiarsi  e  correre  il  palio del  processo  istorico.  E  vuol  dire,  perciò,  che  a  questo ior  successivo  distinguersi  ha  da  presiedere  una  legge di  progresso  che  per  passi  lenti,  ma  sicuri,  valga  a  ri- condurre r  analisi  alla  verità  della  sua  sintesi  primi- tiva. Aristotelismo  e  Platonismo,  ripetiamolo,  non  sono a  dir  proprio  due  filosofie  ;    sono  due  serie  di  filosofi gli  Aristotelici  veri  ed  i  veri  Platonici.*  Sono  ben»  due filosofie  que'  due  commenti  così  opposti  fra  loro  e  contrari, che,  fondandosi  in  un  concetto  b  empiricamente naturale  o  esageratamente  iperpsicologico  del  pensièro, vennero  fabbricandosi  col  succedersi  de'  secoli,  con  l'in- calzarsi de'  filosofi,  e  con  1'  avvicendarsi  delle  scuole. Non  seguiremo  perciò,  a  questo  proposito,  la  sentenza del  Buhle,  del  Bitter,  del  Renan  tb  d'  altri  storici  che altro  divario  non  sanno  scorgere,  fra'  peripatetici  del Rinascimento,  se  non  quello  eh'  è  possibile  riconoscere fra'  commentatori  d' un  medesimo  caposcuola.  Come confonder  l'Achillini  col  Porzio?  e  il  Porzio  col  Nifo? e  il  Nifo  con  lo  Zabarella  e  col  (3ontarini?  e  tutti questi  con  lo  Zimara  e  con  altri  di  simil  tenore? Il  criterio  innanzi  stabilito  ci  può  far  comprendere perchè  mai  tutti  quelli  che  han  sempre  sospirato  un accordo  fra  l' uno  e  l' altro  sistema,  risentano  piii  del- l' indirizzo  platonico  anziché  dell'  aristotelico  ;  e  perchè accanto  a  Bessarione,  al  Mirandolano,  al  citato  Gontarini,  al  Mazzoni,  e  a  tutti  gli  altri  che  credono  toccar col  dito  il  vagheggiato  accordo,  non  manchino  i  Donato, i  Folieta.  i  Buratella  che  reputino  pazzia  cosiflFatto accordo.  I  primi  ci  dimostrandoci  fatto  che  nell'Ari- *  Una  prora  estrinseca  che  fra  il  Platonismo  e  1*  Aristotelismo  pri- mitivi non  V*  è,  masdme  in  certi  ponti  di  metafisica,  divario  sostan- ziale, potrebb*  esser  tolta  dalla  maniera  ond'  Aristotele  conduce  la  crìtica inverso  alla  fllosofia  del  sno  maestro.  Lo  Scbleiermacher  Tha  chiamata critica  da  maestro  di  scuola:  e,  per  alcuni  rispetti,  non  a  torto.  Lo  Zeller infatti  ha  mostrato  ad  evidenza  come  il  discepolo  stiracchi  non  di  rado il  maestro  per  meglio  abbatterlo.    Ved.  Op.  cìt.  trad.  dal  Bonghi  spe- cialmente nel  Cap.  iV. stotelismo  c'è  il  Platonismo,  e  però  l'indirizzo  medio; i  secondi  poi  che  nello  Stagirita  ci  ha  i  germi  delle  altre opposte  e  contrarie  direzioni.  Un  accordo  è  possibile  ; ma  non  fatto  a  maniera  ^meccanica  e  per  sovrapposizione, come  si  pensano  certi  viventi  neoplatonici  col trasferire  all'un  filosofo  ciò  che  si  crede  faccia  difetto all'  altro,  e  dando  per  esempio  ad  Aristotele  l' idea  pla- tonica, e  a  Platone  il  concetto  della  Juva^c?  o  della ytvevii  aristotelica.  Il  discepolo  ha  pur  egli  la  sua  idea, cgme  al  maestro  non  manca  la  virtù  del  fatto  e  il  valore dell'esperienza.  L'accordo  quindi  è  opera  della  storia; ed  è  r  opera  travagliosa  della  critica  rintegratrice. La  quale,  rotondando  le  sporgenze  e  ammorbidendo  le angolosità  che  pur  troppo  si  lasciano  scorger  ne' due filosofi,  li  modifica,  li  rimpasta,  li  trasfonde  1'  uno  nel- r  altro  e  li  trasfigura  siffattamente  che  ci  scompaian dagli  occhi  Aristotele  e  Platone,  senza  che  perciò  abbia a  scomparire  ed  estinguersi  quell'eterna  e  vivace  esi- genza cui  levossi  il  pensiero  indoeuropeo  fin  da' primi momenti  della  sua  riflessione  speculativa  e  metafisica. Ripetiamolo  anche  qui.  Il  risultamento  finale  dell'Aristotelismo e  del  Platonismo  non  è  già  il  trionfo dell'uno  su  l'altro,  od  al  contrario.  È  il  trionfo  d'entrambi, per  una  ragione  altrove  rammentata  a  proposito delle  due  moderne  filosofie.  E  que' critici  che  tanto sudano  e  s'  arrovellano  a  mettere  in  trono  vuoi  un Aristotele  passato  attraverso  i  lambicchi  d'una  critica infedele  ed  eunuca,  vuoi  un  Platone  rimpannucciato co' cenci  d'un  troppo  vieto  tradizionalismo,  negano, senz'  addarsene,  la  storia.  Negano  la  storia,  perchè disconoscono  gran  parte  del  lavoro  storico  già  compiutosi per  opera  degli  esegeti  ellenici,  arabi,  alessandrini, latini,  italiani  del  Risorgimento. Reca  marayiglia  davvero  il  pensare  come  in  questa  maniera  di  critica incappino  perfino,  parlando  d'Aristotele^  gli  hegeliani  più  assennati  quando affermano,  per  esempio,  che  aìVidea  topra  le  cose  di  PlaUme  AnstoteU SOSTITUÌ  Videa  delle  coae^  o  la  forma.  Basterebbe  già  la  parola  909Htu\  a  far cangiare  ftsonomia,  non  pure  airAristotelismo  e  al  Platonismo,  ma  a  tutta Premesse  queste  considerazioni  generali,  veniamo alla  quistione  psicologica.  U  problema  psicologico  al quale  si  connette  ogn' altro,  è  quello  che  risguarda  la relazione  fra  V  anima  e  '1  corpo.  Se  cotesta  relazione interviene  fra  mosso  e  movente,  per  usare  l' antico  lin- guaggio, s'ha  l'indirizzo  platonico;  il  quale  j>wò  trovar riscontro  con  la  posizione  iperpsicologica  della  esegesi de'  commentatori  averroisti.  Se  è  relazione  di  potenza  e Aleuto,  pigliando  l' atto  come  determinazione  o  semplice la  storia  della  scienza.  B  tal  si  è  infatti  il  linguaggio  tenuto  nella  ìot critica  da  Hegel,  dal  Michelet,  dal  Franti,  dallo  Zeller,  ne'  quali  attingono ispirazione  i  nostri  hegeliani.  Ma  dicendo  che  Aristotele  sostituì  oc,  non sembra  che  lo  Stagìrita  abbia  inteso  di  negare  addirittura  V  idea  platonica? Giacché  a  poter  sostituire  bisogna  innanzi  negare;  e  per  mettere qualcosa,  è  d^uopo  averne  levato  qualche  altra.  Ora  il  vero  si  è  che  Aristotele, oltre  la  specie  come  predicabile,  il  che  costituisce  proprio  la novità  sua  di  rimpetto  a  Platone,  riconosce  altresì  la  specie  separata^  la specie  in  sé,    forma  in  sé,  spoglia  di  materia.  La  qual  forma  in  sé (s  Zi  poi  aurvj  x^-^'  aur^fv  vj  uo^^tj)  è  altrettanto  chiara  in  Aristo- tele,'quanto  la  forma  mista  alla  materia  (ùtgjùti^jvvj  (uterà  rrì;  vItiq).  lì divario  fra*  due  ftlosoft  perciò  non  risguarda  la  prima,  vo*  dir  la  specie per  eccellenza,  ma  si  la  seconda,  cioè  la  cosa  contenente  la  specie.  Di  che si  vede  come  per  lo  Stagirita,  oltre  l'insieme  de' due  elementi  (to  au  voXov) ci  sia  ben  altro  ancora.  Al  di    del  to'  slSoz  sv  fn  uXv),  infatti,  vi ha  l'essere,  vi  ha  la  ragion  delle  cose,    tìSo;,  (Ved.  Metaph.  X,  2).  In- tanto, che  cosa  ti  fanno  i  critici  hegeliani  ?  Essi  pigliano  quel  che  loro toma  comodo.  Pigliano  il  to'  oùvoXov,  e  il  resto  considerano  come  un  caput mortnumj  o  sentenziano:  Ècco  qua  il  vero  Aristotele!  Che  sia  l'Aristotele del  loro  cervello,  è  chiaro,    vi  cape  ombra  di  dubbio.  Che  sia  l'Aristotele che  ci  porge  la  storia,  lo  neghiamo  risolutamente;    ci  man- cherebbe modo  a  darne  dimostrazione,  se  questo  fosse  il  luogo.  Si  dirà che  quel  caput  mortuum  sia  come  il  Deus  ex  machina    Cartesio?  una contraddizione?  Innanzi  tutto  potrebbe  stare  ch'ella  non  fosse  tale:  e  tale infatti  non  la  reputarono  i  nostri  vecchi  critici  del  Rinascimento,  né tale  è  creduta  oggi  da'  massimi  e  più  severi  interpreti  moderni,  qual  è Trendelenburg  in  Germania,  Rosmini  in  Italia,  Ravaisson  e  B.  Saint- Hilaire  in  Francia.  Checché  ne  sia,  la  critica  seria  e  feconda  starebbe appunto  nel  levar  di  mezzo  la  contraddizione,  ma  senza  negare    ra- diare in  Aristotele  l'esigenza  platonica;  se  no,  risicheremo  d'incespicare nel  solito  scoglio,  quello  cioè  di  far  la  storia  zoppicando,  e  far  cammi- nare la  macchina  con  una  sola  ruota.  Nessuno  de'  quattro  critici  poco fa  rammentati,  fra'  moderni,  e  neanche  fra  gli  antichi  il  nostro  Simone Porzio  per  esempio,  avrebbero  detto,    dicono,  sostituì.  Avrebbero  dette aggiunse,  a/mpìè,  eon-ewT,  iiirern,  t'  simili. modificazione  della  potenza,  avrai  la  posizione  empirica dell'Aristotelismo,  il  cui  rappresentante  più  logico,  più originale  nell'  età  del  risorgimento  dicemmo  essere  il Pomponaccio.  Se  cotest' attinenza,  per  ultimo,  è  quella  di forma  e  di  matefia,  ma  intesa  in  maniera  che  la  prima tuttoché  rampolli  dalla  seconda  non  però  sia  come  assorbita da  questa  e  ne  dipenda  in  modo  assoluto,  ma  anzi  la superi,  la  informi  di    e  basti  ad  alimentarsi  di    me- desima; in  tal  caso  avremo  una  terza  posizione,  la  cui  esi- genza é  pur  manifesta  in  Aristotele,  e  nella  quale  pone radice  la  soluzione  più  acconcia  del  problema  psicologico. L' indirizzo  iperpsicólogico,  nome  che  d' ordinario scambiasi  con  l'altro  di  platonico,  ha  natura  dedut- tiva, e  costituisce  il  metodo  degli  spiritualisti  di  tutt'  i tempi  :  nelle  cui  mani  la  psicologia  assorbe  siifattamente la  fisiologia,  da  ridurla  alle  umili  condizioni  di  sem- .plice  appendice  della  prima.  L'indirizzo  aristotelico empirico  ha  natura  puramente  induttiva;  ed  é  il  metodo de'mateiialisti  d'ogni  età,  nonché  di  certi  moderni biologisti  e  positivisti,  agli  occhi  de' quali  la  scienza dell'  anima  é  com'  un'  ultima  pagina,  una  modesta  ap- pendice della  fisiologia,  ovvero  una  specie  d'enume- razione, come  direbbe  Hegel,  di  ciò  che  é  l'anima,  di ciò  che  in  lei  avviene,  di  ciò  eh'  ella  opera.  *  L' indi- rizzo medio,  finalmente,  facendo  giusta  parte  e  ragione tanto  alla  psicologia  quant'  alla  fisiologia,  interpreta  il rapporto  fra  la  potenza  e  l' atto  col  sussidio  del  metodo genetico  ;  e  così  giugno  a  salvare  ad  un'  ora  medesima i  diritti  dello  spirito  e  quelli  della  materia. A  siffatto  risultamento  ci  mena  la  critica  e  la  sto- ria delle  differenti  soluzioni  date  a  quest'  arduo  pro- blema. Rifacciamoci  brevemente  dal  Platonismo. Il  concetto  psicologico  del  gran  figliuolo  d'  Aristone, se  é  parso  profondo  a  molti  in  quanto  che  mira,  come direbbe  il  Cousin,  a  congiugner  la  natura  intelligibile *  Phil,  de  VEnprit,  trad.  del  Vera,  T.  1,  1868,  p.  72. con  la  materiale  maritando  due  mondi  opposti  nell'anima razionale  e  sensitiva,*  pur  nullameno  e' riesce  manche- volissimo chi  pensi  come  anima  e  corpo  al  filosofo  di Atene  s'  affacciassero  dislegati,  scissi,  e  solamente  ap- paiati così  fra  loro  com'  il  nocchiero  col  suo  naviglio.* Nessun  vincolo  secreto,  adunque,  nessun  nodo,    ombra di  processo  nelle  funzioni  psicologiche  pel  padre  del Platonismo.'  Di  qua  proviene  che  per  lui  la  mente,  vivendo d' una  vita  superiore,  non  abbisogna,  a  dir  proprio, di  pareli^;  il  pensiero  essendo  già  per    stesso un  discorso  con    medesimo  :  Sto^UyaSat^  Perciò  stesso una  divisione  razionale  e  organica  degli  atti  psicologici teoretici  nella  dottrina  platonica  è  impossibile  :  '  laonde quant'  all'  essenza  propria  e  specificante  l' anima,  piut- tosto che  generarsi,  si  compone;  o,  come  osserva  accon- ciamente un  acuto  scrittore,  si  raccozza,  non  si  esplica.® Il  concetto  psicologico  dunque  del  primitivo  Plato- nismo é  tanto  incompiuto,  quanto  incompiuto  si  palesa quello  della  sua  cosmologia,  nonché  l' altro  delle  relazioni fra  il  mondo  e  gli  etemi  paradigmi. Il  processo  psicologico  é  assai  meglio  determinato neir  Aristotelismo.  Ed  é  tale  in  grazia  della  dottrina dell'entelechia,^  e  della  relazione  fra  la  materia  e  la *■  L'  anima  uriiana  è  formata  alla  stessa  maniera  dell*  anima  del mondo.  {Tim.,  trad.  Coubin,  voi.  12,  p.  120  e  specialmente  123  e  segrg.) È  qualcosa  d' intermedio  fra  il  mondo  sensibile  e  V  idea.  (Zeller,  Eapo- »tx.  arìatotelica  della  jUoBofia  platonica.^  p.  304.) *  Di  qui  la  celebre  definizione  dell*  uomo  alla  quale  han  fatto  e  fauno buon  viso  tutti  gli  spiritualisti:  Avro^f  tu  toO»  (Tw^aro;  OLpy^ov (àjÀo'koyTntTafisv  «vO^owttov  govai  etc.  Ved.  nel  Primo  Alcib.f  51. •  Chaigkbt,  De  la  Paycologie  de  Platon^  Paris,  1862,  p.  232  e  segg. *  Ved.  nel  Soph,,  trad.  del  Cousin,  Tom.  XI,  p.  230. '  La  classazione  accennata  nella  Repub.  (Lib.  IV  e  IX)  si  riferisce agli  atti  morali;  e  lo  stesso  può  dirsi  dell'altra  simboleggiata  nel  mito poetico  del  Fedro.  Solo  nel  Teeteto  havvi  un  principio  di  divisione  teo- retica delle  funzioni  psicologiche,  ma  anche  questa  manchevole. •  BONQHI,  Storia  del  concetto  deWAnipia  neUe  varie  scuole  antiche  e del  medio-evot  pag.  288,  nei  Saggi  di  FU,  Civile^  Genova  1852. ■'  Arist.,  2)« i4».,  II,  e.  I,  §  VI:  W\j'/ri  sanv  «vtc>«x***  **^/'**'''*' arà^y.roc  yuTtprou  Sovy.jjLH  Zwvj'v  j^^ovto?. forma.  Tale  anche  dove  si  rifletta  al  valore  che  Aristotele porge  al  senso  come  rappresentazione  com' elemento essenziale  del  pensiero,*  nonché  all'ufficio  eh'  egli  attri- buisce all'immaginazione  (>3stxaT«a)  come  facoltà  me- diana fra  senso  e  ragione;*  anticipando  così  la  dottrina su  la  relazione  che  il  Kant  stabilì  fra  questa  facoltà e  le  altre  due  estreme  funzioni  dello  spirito.  Con  que- ste idee  fondamentali,  checche  ne  dicano  coloro  che  col B.  Saint-Hilaire  non  rifiniscono  d'incelare  la  psicologia platonica,"  Aristotele  creò  la  psicologia  come  scienza indipendente  dalla  biologìa,  gettando  insieme  le  basi della  zoopsicologia  che,  nelle  mani  segnatamente  del Darwin  e  dell' Agassiz,  oggi  comincia  ad  assumere  di- gnità e  significato  razionale.  Ecco  dunque  uno  degli esplicamenti ,  una  delle  correzioni  dell'Aristotelismo verso  il  Platonismo  neU'  àmbito  delle  ricerche  psicologiche. Nel  Timeo  Platone  riguarda  l'animo  qual  moto originario  e  spontaneo  fàuToxtv»Toc);  Aristotele,  meglio avvisandosi,  estende  siffattamente  cotal  virtii  da  riferirla altresì  all'  animale.^  E  questo,  senza  dubbio,  fu  un  passo gigantesco. Ma  se  nel  filosofo  di  Stagira  vi  ha  passi  cCoro  ad ogni  pie  sospinto,  non  per  questo  vi  manca  la  scòria. La  sua  psicologia,  come  quella  del  suo  maestro,  è  manchevole ;  ed  è  manchevole,  perchè  riesce  tale  altresì  la costituzione  della  sua  cosmologia.  Il  sistema  dell'universo per  lui  è  quasi  una  catena  di  cui  gli  anelli  principali '  rappresentati  dalla  forma  e  dalla  materia,  dalla potenza  e  dall'atto  (5uvx/:xtc  ed  ivtpyéia),  si  ripetono, s' ingradano  e  moltiplicano  viepiù  col  distendersi  di  essa. *  Akist.,  Ve  An.f  lib.  I,  cai).  L  ^ *  Idem.  Ta  y.iv  ovv  e*trìvì    vokjtcxov  «v  toìc  (por.vróÌ9fia9t  voti. De  An.,  III. *  B.  SAnrr-HiLAiRK,  Tmité  de  VAme^  Introd. *  Abist.,  Melaph.  X. *  Intendiamo  accennare  a*  due  princìpii  intemi  che  per  Aristotele costituiscon  r essere  e  sono  anzi  Tessere;  a  differenza  degli  altri  4no ntemi  che  ne  costituiscono  i  Jimiti.  (Meutph.f  II,  5,  7*%*.,  II  ) È  una  scala  in  cui  per  moto  continuo,  dallo  stato  di sonno  e  di  stupore,  la  potenza  s'aderge  al  più  alto grado  dell'attività  pura.*  In  cotesta  relazione  trovasi precisamente  la  materia  corporea  di  fronte  agli  esseri vegetabili  e  sensitivi  ;  il  vegetabile  e  '1  sensitivo  rimpetto all'essere  intellettivo;  e  T intellettivo  inverso  agi' intel- ligibili.' Ma  in  che  risied'egli  cotal  passaggio?  Tutto ciò  che  agisce  non  può  non  essere  un  ente  in  atto,  cioè la  specie  che  operando  sopra  un  ente  potenziale  vien così  traendolo  dal  nulla.'  La  forma  dunque  che  germoglia dalla  materia  è  davvero  il  passo  d^oro  nella cosmologia  aristotelica;  come  il  passaggio  empirico  e al  tutto  materiale  e  puramente  generativo  dall'  uno all'  altro,  n'  è  la  parte  inaccettabile  ed  erronea.  La potenza  non  movesi  da    per  intima  energia,  ma solo  in  virtii  del  movente,  della  forma.  Il  potenziale, in  una  parola,  non  giugne  all'attualità,  salvo  che  per mozione  d'un  attuale.*  Or  com'è  possibile  che  la  potènza riesca  anteriore  all'atto,  se  in  realtà  è  sempre  un atto  quello  che  ha  da  movere  il  termine  correlativo  ? Che  se  l'atto  è  antecedente  alla  potenza  e  la  precede altresì  di  tempo  ;  ^  non  è  egli  chiaro  che  cotesta  po- tenza abbia  a  riescire  affatto  vuota  e  sterile  e  infeconda, posto  eh'  ella  abbisogni  sempre  d' un  atto  che  la  tragga ad  atto? •  Ma  c'è  di  più.  Se  l'originalità  d'Aristotele  risiede neir  aver  visto  l' elemento  formale  intrhisecarsi  col  materiale ;  e  la  forma  in  quanto  reale  costituire  perciò  la sostanza  (ouVJa);  e  questa  esser  non  altro  che  processo. V?  fuo-c;,  wTTff  rin  trvvtyjia    XavOoévscv  to'  TtsBóptov  aur&ìv  xat tÒ  ^ttjoy  wOTi/Owv  ««TTt'v.  Hi»U  Anim.f  Vili. *  Arist.,  Metaph.  Ili,  8. *  Idem,  De  Oenerat.  Aninu,  II,  1. *  "O  ffTTÌv  VI  xcv)}(7(;  «V  Tw  xtv>jTw,  Stj'koy'  i'»Ts\éyr^siwc,  7ivj(T5a£  rt):  la  parte  fiacca  di sua  dottrina,  invece  sta  nell'aver  posto,  com'ho  toccato, medesimezza  di  natura,  fra  le  due  supreme  determina- zioni degli  enti  nell'ordine  delle  sensate  realtà,  onde  poi accade  che  rimanga  difettosa  tutta  la  cosmologia.  La potenza  avvisata  in    medesima  è  Sivafii^,  In  quanto fluisce  verso  l'atto  è  tvspysia.  In  quant'è  atto,  stato, riposo,  stasi,  è  5VT«>ex«ta.  In  quanto  poi  transigi  ad atto  novello  ripiglia  valore  d' Bvspyùv.,  e  così  di  seguito. Il  moto  (KlvYiTit:),  il  conato^  come  direbbe  il  Leiljnitz, il  conato  0  lo  sforzo,  come  direbbe  il  Vico,  costituisce l'essenza  di  tutti  questi  tennini  diversi;  in  lui  s'in- centrano potenza  ed  atto;*  il  perchè  formando  fra  loro continuità,  compongono  un  sol  ente  capace  di  passare attraverso  stati  o  momenti  in    stessi  diversi  per  intrinseca eccellenza.  La  produzione  si  fa  sempre  nella medesima  specie,  ed  all'  univoco.  * Or  se  cotest'  appunto  è  la  natura  del  passaggio, non  è  egli  chiaro  che  le  cose  devan  liescire  identiche nella  sostanza?  Non  é  chiaro  che,  ov'  elle  progrediscano, cotesto  lor  progresso  altro  non  sarà  che  trasformazione, ninno  potendo  affermare  che  trasformarsi  vai  progredire ?  E  s' é  così,  a  qual  fine  e  con  che  ragioni  mover critica  al  maestro,  nella  cui  dottrina  il  mondo  non  è che  parvenza,  fenomeno,  ombra  vaniente  e  passeggera? Nella  dottrina  cosmologica  aristotelica,  dunque,  il  prò- cessus  è  al  tutto  apparente.  Apparente  e  fallace  la  spon- taneità e  r  intrinseca  attuosità  delle  forze.    san  Tommaso ebbe  torto  d' affermare,  contro  gli  arabeggianti dell'età  sua  i  quali  così  appunto  interpretavano  Aristotele, che  una  forma  sostanziale  novella  mai  non  appare, *  "iÌTxs  \sins70n   TO   'key^Biv  slvxc    xat    ivépystav    xat    fivj 9*  ecyae,  Metaph,,  XI. *  Mrtaph.  XI,  3. ove  la  vecchia  non  isparisca;  e  che  la  generazione, concepita  qual  moto  continuo  e  come  incessabile  tras- formazione d' un  subbietto  identico,  renda  le  forme  no- velle affatto  accessorie  e  accidentali.'  Se  quindi  il  genie possente  d'Aristotele  seppe  scorgere  e  dimostrare  una delle  grandi  leggi  della  realtà,  vo'  dir  la  continuità  tra forma  e  materia  (tò  (ruv-^sf),  la  relazione  intima  fra  la ^uvaj^xì;  e  r  £VTf>èX5*«»  ^  P^rò  il  profoudo  concetto  della £V5/>7sia;  non  però  giunse  a  vedere  quell'altra  condi- zione, non  meno  imprescindibile  della  prima,  la  quale seguendo  una  vecchia  frase  pitagorica  potremmo  appellar legge  ddV  intervallo  {StitTTviiia), I  medesimi  pregi  e  le  stesse  manchevolezze  nella sua  psicologia.  L' uomo  è  tu vo>ov  :  dunque  è  materia  e forma  ad  un'ora  medesima.  L'anima  intellettiva,  quindi, è  atto.  E  la  potenza  di  quest'atto?  È  il  senso....  La- sciando le  induzioni  favorevoli  che  si  potrebbero  fare circa  tal  dottrina  d'Aristotele  interpretando  il  concetto del  senso  ch'ei  chiama  generale,  si  potrebbe  domandare: in  che  sta  la  relazione,  e  qual'  è  mai  la  natura  del  passaggio fra' due  -termini?  Se  ci  è  continuità,  in  che  maniera il  senso  può  diventar  ragione,  l'esteso  inesteso, la  materia  pensiero?  Se  poi  non  v'.è  continuità  (né  ci può  essere  una  volta  eh'  ei  medesimo  invoca  la  mente dal  di  fuora^),  com'  è  che  alla  fin  fine  si  ritrovan,  por cosi  dire,  sovrapposte  le  tre  anime  che  sono  anch'  elle forma  e  materia,  atto  e  potenza? —  Trendelenburg  e Rosmini,  fra  gli  altri,  han  messo  a  nudo,  com'  è  noto •  Summay  Pars  I,  LXXXVI,  iv,  e    fe  bene  arvertire  come  gli  storiografi hegeliani,  imbattendosi  in  questa  dottrina  Aristotelica,  credano scoprir  le  Indie  e  vi  s'aggancino  tenacemente,  senz'addarsene  ch'ei  s'agganciano, anziché  al  vero  e  genuino  Aristotele,  ad  nn  tronco  arabo  !  E'  non s'accorgono  come  già  da  sette  secoli  siano  stati  mlnerati  da  quel  mo- desto fraticello  che,  primo  e  meglio  d' ogn'  altri,  mise  a  nudo  le  maga- gne dell' Averroismo  ove  dimostra  Averroè  peripatetiofn  philotopJUm  de- pravatore Ved.  Opusc.  Contra  AverroytUy  specialmente  a  pag.  225  o  segg.  ; e  nella  Sommay  q.  LXXIX. *  Aribt.,   Or  Gerterot,  Anim.,  II,  3. questo  sconcio  aristotelico.  L' un  d' essi  non  capisce  in che  maniera  lo  Stagirita  interrompesse  la  serie  pre- clara, e  però  si  studia  correggerlo  facendo  che  la  mente in  potenza  (tw  Travra  7£vsf  cor*»;),  ma  anche potenza  del  corpo  (d^jv^im  tow  jw/xaro;).'  E  nello  stesso metodo  fu  poscia  ormeggiato  da  parecchi  filosoh  del Rinascimento  :  da  quelli  segnatamente  che  tra  V  anima e  '1  corpo  introdussero  un'  attinenza  di  causalità  reci- proca, stante  clie  la  natura  partorisca  la  forma  in  quanto é  potenza  anch'  ella,  ma  potenza  attuosa  ;  e  la  forma (juinci  rigeneri  e  ravvivi  la  materia  in  quanto  la  compie. Se  non  che  il  Tomismo,  scordando  spesso  l'ottimo indirizzo  d'Aristotele,  tìgge  gli  occhi  nella  materia,  e in  questa  presume  riporre  talora  la  ragione  e  '1  principio dell'  individualità.  Errore  del  quale  secondo  alcuni  sto- rici tornerà  sempre  vano  il  voler  difendere  il  dottore Angelico,  quando  si  consideri  che  la  materia,  perchè  si '  Idem,  eoci.,  XG:  educitur  e  potentia  imtterice. *  Ib.,  LXXVI.  Ved.  ueirOp.  cit.  del  RAyAiSHUN,  T.  II,  p.  296  e  sogg. porga  qual  principio  d'individuazione,  ha  pur  bisogno d'esser  determinata,  suggellata,  segnata:  or  da  che  cosa mai  può  esser  ella  improntata  sadvo  che  dalla  forma? ciò  che  formava  appunto  il  nòcciolo  della  opposizione degli  Scotisti.*  Del  buon  indirizzo  aristotelico  inoltre  si dimentica  san  Tommaso  dove,  rasentando  l'aristote- lismo emJ)irico,  si  mostra  così  titubante  su  la  verace natura  del  senso,  che  la  potenza  per  lui  non  è  così piena  e  così  feconda  come  pur  domanderebbe  la  produzione dell'atto;  e  quindi  sente  necessità  di  chieder sussidio  a  un  lume  piovutoci  addosso  non  sai  dir  come *  Io  qui  non  intendo  propugnare  la  teorica  sa  T  indìvidnazione  di san  Tommaso.  Son  anch'  io  del  parere  che  gli  Scotistl  non  aressero  poi tatt*  i  torti  neir  opporrisi,  perchè  davvero  non mancano  sentenze  nel Tomismo  che  debbano  andar  soggette  ad  una  critica  severa.  Ma  fa  meraviglia il  pensare  come  non  tutti  che  ne  han  parlato  siansi  dati  cura d' interpretare  con  benignità  siffatta  dottrina;  e  più  meraviglia  il  vedere come  r  abbian  trattata  male  anco  i  più  versati  nella  filosofia  sco- lastica e  nello  studio  deir  Àquinate,  qual*  ò,  per  esempio,  lo  Jourdain che  tanto  nel    quanto  nel  2*  voi.  dell*  opera  poco  fa  citata,  si  mette a  sfatar  V  Angelico  in  modo  poco  serio  per  le  contraddizioni  nelle  quali secondo  lui,  cade  1*  autore  della  Somma,  e  per  V  inanUà  con  che  tratta siffatta  questione.  Si  dice  e  si  scrive  che  il  principio  d*  itulividwuione per  TAquinate  stia  nella  materia;  e  se  davvero  fosse  così,  non  s*  avrebbe torto  a  dargliene  biasimo.  Ha,  a  voler  interpretare  con  dirittura  di  giu- dizio la  dottrina  tomistica,  non  è  proprio  e  sempre  la  materia  quella in  cui  è  da  riporsi  tal  principio,  slbbene  ciò  che  in  un  ente  ha  ragione di  primo  subbietto.  Ecco  le  parole  deirAquinate:  Ulud  qntodtenet  rationem  primi  tubieeti,  est  oausa  individuationie  et  divieionin  tpeciei  in  euppoeitis.  E  qual'  è  questo  primo  «ubbietto  t  Est  id  quod  in  alio  recipi  non potesL  Or  le  forme  separate,  per  ciò  che  non  ponno  esser  ricevute  in altro,  hanno  ragion  di  primo  subbietto;  però  s'individuano;  e  però  In et«  tot  »unt  epeeies,  quot  eunt  individua,  (Ved.  De  nat.  materia,  e  8.)  Or la  materia  è  ella  principio  di  distinzione?  Si,  certo:  ma  in  quanto  e  sin dove  ha  funzione  di  primo  subbietto.  Nella  dottrina  tomistica,  dunque, il  principio  d' individuazione  non  sarebbe    la  forma    la  materia,  ma or  l'una  or  l'altra  secondo  che  quella  o  questa  esercita  funzione  di primo  subbietto.  So  che  i  dubbi  non  per  questo  si  diradano,    gli  op- positori cessano.  Ma  io,  ripeto,  non  difendo  in  tutto  tal  dottrina,  sib- bene  chiarisco  la  interpretazione  da  darsene,  e  la  critica  da  fame.  — Vedi in  proposito  le  lettere  dell'  egregrio  Aless.  Bbrntazzoli  assai  dotto  nella filosofia  di  san  Tommaso:  Di  un  ulteriore  e  definitivo  esplicamenio  ddla FlIoHofin  /tcnlasttra  ec,  Bolo^'na,  ISCl. né  perchè,*  invocando  così  un  atto  immediato  di creazione.  Se  l'anima  è  forma,  atto  puro,  potrebbe esser  generata  dal  corpo?  Non  potrebbe,  risponderà Tommaso:  ciò  eh'  è  immateriale  è  impossibile  che  ram- polli per  via  di  generazione  ;  la  quale  non  è  altro,  a  dir proprio,  che  trasformazione.  Ma  potrebb'  esser  fatta della  sostanza  divina?  Tanto  meno;  perchè  questa  non è  che  un  atto  purissimo.'  Eccotelo  dunque  anche  lui all'  intervento  del  solito  DetAS  ex  machina;  alla  neces- sità d' un  atto  peculiare  di  creazione  ex  niMlo,  Or  non vi  sarebb'egli  altra  via  al  nascimento  dell'anima  fuori di  queste  due,  generazione  o  creazione  estranea  e  divi-

na? —  CJom'è  evidente  l'A.  della  Somma  (non  altrimenti che  l'A.  della  OUtà  di  Dio  risguardo  a  Platone)  eredita, co'  grandi  pregi,  anch' i  difetti  della  dottrina  aristotelica. Il  concetto  della  individuahtà  è  concetto  capitale nella  storia  della  psicologia.  È  propriamente  la  radice prima  onde  pullula,  chi  ben  guardi,  tutto  il  pensiero moderno  filosofico,  politico,  religioso.  La  teorica  della individuazione,  perciò,  è  l' addentellato  più  acconcio  per cui,  nella  storia  delle  soluzioni  riguardanti  il  problema psicologico,  il  medioevo,  segnatamente  il  Tomismo,  si congiugne  con  l' età  e  co'  filosofi  del  Rinascimento.  Non ostante  i  pregi  e  i  meriti  grandi  che  l'Aquinate  può vantare  verso  l'Aristotelismo  e  più  verso  il  Platonismo, la  sua  dottrina  doveva  esser  corretta  mostrando  che  il principio  d' individuazione  non  istà,  a  dir  proprio,  nella forma,    tampoco  nella  materia,  ovvero  nell'una  o nell'altra  secondo  la  ragione  del  primo  suòbietto.  Meglio ponendo  il  problema  psicologico  si  dovea  mostrare  che 1'  anima  è  individuale  non  perchè  informi  una  materia, ma    perchè,  materia  ella  medesima,  diventa  forma; perchè  l' anima  si  fa  coscienza;  perchè  la  coscienza  empirica attinge  valore  d'autocoscienza  e  di  libero  pen- *  Summa,  !•  2»,  CXI,  art.  2:  impre9no  divini  luminii  in  noòw,  re- fidgentia  divincB  cIoritoiM  in  anima, •  Summa,  P.  I.  LV,  v;  XC,  ii. siero,  nel  cui  regno  non  v'  ha  materia  e  organismo  che lo  spirito  non  vinca  e  sorpassi,    fantasma  o  imma- gine eh'  ei  non  superi  e  sottoponga  a    stesso. Ora  produrre,  o  almeno  compiere  cotal  dimostrazione in  maniera  positiva  ponendola  sotto  novelli  punti  di luce,  non  era  possibile  senz'  il  concetto  della  storicità, essendoché  appunto  in  seno alla  specie,  in  seno  al  co- mune e  alla  moltiplicità  appaia  e  si  determini  e  spicchi vie  più  la  nota  della  differenza,  tuttoché  cotal  differenza germogli  nelP  individuo,  e  sempre  per  natia  virtù  dell' individuo.  A  tal'  opera  spiegarono  grand'  efficacia  in- nanzi tutto  i  nostri  filosofi  del  Risorgimento.  Altrove mostreremo  come  in  tal'  epoca  si  riproduca  il  medesimo triplice  indirizzo  della  scolastica,  ma  con  esigenza  ben diversa,  perché  la  storia  è  tale  artefice  che  mai  non ricopia    stessa.  Qui  notiamo  solamente  che  nel  medioevo le  tre  tendenze  aristoteliche,  le  quali  abbiamo appellato  iperpsicólogica,  empirica  e  media,  riproducono nel  Risorgimento  l'esigenza  del  Realismo,  del  Nomi- nalismo e  del  Concettualismo,  ma  trasformandola.  Se per  queste  tre  scuole  la  ricerca  filosofica  versava  su la  natura  dell'  universale  dapprima,  e  poi,  massime  con r  Aquinate,  su  la  natura  del  medesimo  universale  ma in  relazione  col  particolare  (principio  d' individuazione)  ; per  i  filosofi  del  Rinascimento,  in  vece,  ella  risguardava  in modo  precfpuo  la  natura  intellettiva  dell'anima,  nonché il  rapporto  fra  il  pensiero  e  l'organismo.  Essi  modifi- cano profondamente  tanto  il  Platonismo  quanto  l' Ari- stotelismo; così  che  alcuni,  specie  quelli  che  rappresentano r  indirizzo  medio ,  non  intendono  ristringere l'intelletto  nel  puro  senso,  ma  lo  allargano  si  che, 'ri- collegando il  problema  psicologico  al  problema  cosmo- logico, si  sforzano  di  rannodar  l'anima  in  quanto  intelligente con  la  natura  in  quanto  intelligibile.* *  Noi  avremmo  buono  in  mano  a  dimostrare,  se  qai  fosse  luogo,  che r  indirizzo  medio  aristotelico  nel  Rinascimento  fa  rappresentato,  sebbene in  maniera  incerta  e  assai  confusa  come  portava  il  carattere  di  quel- Il  Rinascimento  apparecchiava  la  moderna  psicolo- gia, ma  non  la  costituiva.  E  non  la  costituiva  perchè il  problema  psicologico  non  può  ricevere  acconcia  soluzione quando  sia  troppo  confinato  nelle  pure  indagini psicologiche.  V'era,  per  esempio,  chi  studiavasi  di  pro- *  vare  V  immortalità  dello  spirito  e  chiarire  le  ragioni  e i  modi  ond'  il  pensiero  nel  suo  operare  s'  addimostra indipendente  dal  corpo.  E  v'  era  poi  chi  facevasi  ad  in- vocare il  sussidio  de' soliti  influssi  divini  come  fanno anc'oggi,  a  tre  e  quattro  secoli  di  distanza,  i  nostri neoplatonici.  Or  io  non  dirò  che  il  problema  su'  destini dello  spirito  possa  esser  risoluto  così  facilmente  quan- t' altri  s' immagina.  Dirò  che  alla  psicologia  potrà dirivare  qualche  sprazzo  di  luce  non  già  mostrando (inutile  tentativo!)  che  l'anima  sia  indipendente  dal corpo,  ovvero  che  Dio  faccia  piovere  il  suo  influsso  su r  intelletto  arzigogolando  in  che  guisa  lo  irraggi,  lo  il- ^  lumini  e  lo  riscaldi;  ma  procedendo  per  altra  via;  procedendo per  una  via  men  soggetta  alle  angustie  del- l'empirismo,  0  meno  aperta  alle  facili  speculazioni dell' a  priorismo.  Se  Dio  influisce,  comunque  si  voglia, su  l'anima,  altro  ei  non  potrà  fare  che  modificarne l'operazione:  cangiarne  la  natura  non  può  davvero. Che  se,  d' altra  parte,  si  giugno  a  dimostrare  l' indi-pendenza dal  corpo,  non  per  questo  s' avrà  dimostrato ch'ella  sia  proprio  immortale,  se  pure  non  vogliamo

r  età,  da  parecchi  filosofi  ;  fra'  quali  notiamo  il  Contarini,  il  Porzio,  lo Zabarella,  il  Gaetano  (De  Vio),  il  De  Spina,  lo  Scaino  fra  gì'  interpreti, 0  anche  il  Sessano.  Il  quale,  nella  forma  ultima  da  lui  data  alla  dottrina 8U  r  anima,  si  può  dire  che  si  rannodi  col  D'Aquino  e  perciò  anche  con TAfrodisio;  onde  il  Bonghi  ha  detto  benissimo  affermando  che,  nell' in- terpretare Aristotile,  il  Sessano  segue  appunto  il  commontatore  greco {Meta/,  rf'Arwt.,  Leti,  ed  Roam.  p.  XIII).  Questi  ed  altri  vecchi  nostri  filosofi andrebbero  studiati,  interpretati,  e  naturalmente  anche  corretti  secondo il  criterio  che  abbiamo  appellajto  medio.  Specialmente  andrebbe studiato  il  povero  Nìfo  cosi  malconcio  e  sfatato  dal  nostro  collega  Fio- rentino: al  quale  il  Franck,  del  resto,  ha  saputo  dire  che  il  Sessano  non pure  fu  il  piò,  Maggio  metafisico  del  suo  tempo,  ma,  più  ancora,  che  il Pomponazzi  trovò  appunto  nel  Nifo  un  contraddittore  imbarazzante,  e d'una  grande  autorità.  — (Joum,  dee  Sav.  Magg.  1869.) acconciarci  alla  celebre  quanto  inutile  distinzione  del Pomponazzi  dell'Io  fisico  e  dell'Io  intellettivo,  e  del- l' anima  propriamente  mortale  e  impropriamente  immortale! Al  pili  potremmo  giugnere  a  dir  questo;  che r  anima  non  finisca  così  come  finisce  il  corpo,  cioè disgregandosi  e  trasformandosL.  Ma  cotesta  soluzione non  è  affatto  negativa? Tutt' insieme  dunque  la  speculazione  del  Rinasci- mento, per  quanto  riguarda  il  problema  psicologico,  era piuttosto  negazione  anziché  affermazione  :  negazione  del medioevo,  e  apparecchio  a  novelle  affermazioni.  Nean- che il  Pomponaccio,  il  più  schietto  seguace  dell'  indi- rizzo aristoteUco  naturale^  potrebb' esser  detto  materia- lista nello  stretto  senso  della  parola.  Il  significato  vero del  suo  libro  su  la  immortalità,  diciamolo  di  passata,  è quello  di  porre  sott'  occhio,  da  una  parte,  le  magagne delle  viete  dimostrazioni  su  la  natura,  e  sul  fine  e  su r  origine  dell'  anima;  e  manifestare,  dall'  altra,  il  bi- sogno di  prove  più  salde,  e  però  la  necessità  in  cui trovavasi  il  pensiero  filosofico  di  tentare  ben  altre  so- luzioni, e  schiudersi  altre  vie.  Qual'  era  una  di  queste vie?  La  durata  dello  spirito,  come  personalità,  doveva esser  indagata  nella  medesima  essenza  e  costituzione intima  del  pensiero.  £  a  tal  fine  che  cos'  era  necessario? Era  necessario  lo  studio  del  processo  isterico; appunto  perchè  l'intima  costituzione  del  pensiero  si rivela  da    medesima  nello  svolgimento  della  vita dello  spirito;  e  la  vita  dello  spirito  è  appunto  la  storia. In  altre  parole  :  era necessario  vedere  per  via  di  fatto, cioè  col  processo  storico,  come  l' essenza  dello  spirito tutta  nelP esser  egli  un  conato,  un'attività  profonda che  sempre  più  si  estrica  da'  viluppi  di  natura  e di    stesso;  che  sempre  più  si  determina  in  sé,  e  si compenetra  con  la  natura  e  con    medesimo  ;  e  come per  siffatta  qualità  egli  sia  capace  di  trascender  la natura,  di  sorpassare  l'organismo,  di  superare  anche sé  medesimo,  pur  rimanendo  sempre  una  personalità. Ed  eccoci  pervenuti  alia  conclusione  dove  in  questo capitolo desideravamo  giugnere,  e  per  la  quale  abbiam dovuto  fare    lungo  giro  da  risalire  fino  alla  doppia sorgente  storica  del  concetto  psicologico.  Se  per  più  e diverse  ragioni  ne  il  Platonismo    l'Aristotelismo  primitivi non  pervennero,  in  generale,  a  determinare  il  vero concetto  dello  spirito  quantunque  ne  apparecchiassero gli  elementi  da  secoli  molti,  il  che  non  è  poco  ;  se  i  due massimi  rappresentanti  della  filosofia  cristiana,  tuttoché introducessero  due  nuovi  concetti  in  siffatta  questione, non  però  giunsero  a  salvarsi  da  incongruenze  manifeste  ; se,  da  ultimo,  cop  lo  sdoppiarsi  dell'Aristotelismo  nel Risorgimento  fu  messa  a  nudo  la  fallacia  delle  vecchie posizioni,  l'insufficienza  d'im  argomentare  fiacco e  barcollante  esprimendoci  così  l'esigenza  di  prove novelle  in  siffatte  indagini:  è  chiaro  come  all'uscire del  medio  evo  importasse  rannodare  i  quattro  concetti attorno  a'  quali  vennero  travagliandosi  per    lunghi secoli  co'  lor  proseliti  i  quattro  filosofi  cui  siamo  venuti accennando,  correggerli,  esplicarli,  compierli,  e  statuire una  dottrina  positiva  circa  la  genesi  psicologica.  In altre  parole:  importava  accettar  l'esigenza  psicologica platonica  risguardante  il  connubio  del  doppio  mondo sensato  e  razionale:  ma  occorreva  anche  correggerlo mercé  il  concetto  della  triplicità  intima,  originaria  cui poggiò,  primo  fra  tut^i.  Agostino.  Importava  altresì  ac- cettar r  esigenza  aristotelica  del  processo  psicologico,  e nel  medesimo  tempo  modificare  profondamente  e  trarre a  maggior  compimento  il  concetto  della  generazione psichica  dello  Stagirita  mercè  il  concetto  di  creazione; il  che  tentò  fare,  e  lo  fece  da  par  suo,  l' Aquinate  :  ma più  ancora  importava  correggere  il concetto  creativo de' Tomisti  e  de' filosofi  cristiani,  in  generale,  cancel- lando in  esso  queir  immediatezza  divina  eh'  è  un  dato  di fede  anziché  di  ragione,  avvisandolo  invece  com'  essenzial condizione  dello  spirito.  Questo,  possiamo  dire,  si  studiaron  di  fare  tutt'  insieme  parecchi  filosofi  italiani  de| Rinascimento,  o  per  lo  meno  ne  sentivano  la  necessità.  ^ Nessuno  vi  riesci  compiutamente,  per  la  ragione qua  ^ dietro  accennata,  d'  aver  voluto  ristringer  tale  ricerca  ^^ negli  angusti  confini  della  psicologia.  Ad  essi  mancava un  altro  grande  concetto.  Mancava  un'altra  posizione, per  cui  si  distingue  infinitamente  il  Rinascimento  dal tempo  moderno.  Mancava  l'esigenza  di  riguardare  il pensiero  innanzi  tutto  come  genesi  psicologica,  e  questa genesi  psicologica  poi  considerare  qual  fondamento  im- mediato della  genesi  storica.  Però  non  è  da  meravi- gliare se  alla  scuola  de'  nostri  politici  facesse  difetto la  vera  nozione  del  diritto  sopra  cui  si  puntella  uni- camente la  scienza  politica,  nonché  il  concetto  vero della  individualità,  senza  cui  non  può  sorgere    perpetuarsi lo  Stato  libero.    fa  meraviglia  se  i  teologi assorbissero  il  gius  nella  morale,  e  se  una  riforma  religiosa allora  non  potesse  fra  noi  essere  effettuata  nelr  ordine  civile,  comecché  fosse  già  in  gran  parte  pe- netrata nella  mente  de'  nostri  filosofi. Mostrammo  come  il  Vico  si  colleghi  col  Cartesiani- smo; e  dicemmo  che  co'  nostri  filosofi  del  Risorgimento ei  si  congiugne  logicamente,  più  che per  le  quistioni metafisiche,  per  la  ricerca  psicologica.  In  lui  si  compie la  posizione  cartesiana,  e  si  riproducono  e  ringiovaniscono i  vecchi  principii  improntati  del  sentimento  della viva  realtà.  Vi  é  dunque  un'  attinenza  ideale,  vi  é  un legame  logico  tra  la  posizione  del  Vico,  della  Scienza Nuova,  e  quella  de' filosofi  del  Risorgimento.  Alla  ri- cerca psicologica  nuda,  astratta,  empirica  e  subbiettiva, deve  tener  dietro  necessariamente  la  ricerca  informata alla  esigenza  della  storicità.  Ecco  perchè  a  ricostruire  la storia  del pensiero  italiano  e  rannodare  il  secolo  XVIII co'  secoli  anteriori,  non  avremmo  guari  bisogno    di Cartesio    del  Cartesianismo,  se  non  fosse  per  alcune questioni  cosmologiche  e  ontologiche.  Egli  si  ricongiugne co'  filosofi  del  Rinascimento  in  tre  modi,  come  nel  pros- simo capitolo  mostreremo;  ma  di  più  li  trascende  infinitamente,  perchè  se  è  vero  che  nel  medio  evo  il  pensiero filosofico  riponeva  l'essenza  dello  spirito,  a  così dire,  furori  di  §è,  mentre  nel  Rinascimento,  attraverso forme  diverse,  inchinava  a  riporlo  sotto  di  se;  è  natu- rale che,  col  sentire  la  necessità  del  processo  istorico, novello  sentiero  egli  avesse  a  dischiudersi,  rintracciando quell'essenza  nel  seno  stesso  dello  spirito  siccome  centro e  insieme  processo  della  storia.  Gli  storici  della  filosofia italiana,  ripetiamolo  anche  qui,  non  potranno  far a  meno,  quando  voglian  discoprire  un  vincolo  ideale fra  le  due  epoche,  di  questa  relazione  alla  quale  siamo

venuti  accennando,  e  su  la  quale  ci  rifaremo  più  riposatamente in  luogo  più  acconcio. Capitolo  Quinto.

ORGANISMO    E    PROCESSO    PSICOLOGICO. {Fxmdamenio  razionale  del  processo  istorico.) I  punti  sostanziali  ne'  quali  possiamo  stringer  la dottrina  psicologica,  seguendo  le  orme  del  nostro  filo- sofo, son  questi: !•  Concepire  in  maniera  compiuta  e  vera  la  natura della  facoltà  psichica  in  generale. 2«  Distinguere  nelle  funzioni  psicologiche  due  processi, conoscitivo  e  operativo,  ma  formanti  unico  organismo, unico  circolo. 3*  Riguardar  gli  atti  psicologici  come  una  molti- plicità  di  funzioni  distinte  e  per    stesse  irreducibili; ma  nondimeno  determinate  e  recate  in  atto  dalla  virtù d'  unico  principio  originario. 4*  Finalmente,  porre  siccome  base  razionale  e  immediata del  processo  istorico  lo  stesso  processo  psico-

logico. Col  primo  di  questi  concetti  il  nostro  filosofo  si  col- lega  dirittamente  con  Aristotele,  e  con  gli  Aristotelici del  Rinascimento  seguaci  dell'  indirizzo  medio;  e  nel medesimo  tempo  corregge,  in  ordine  alla  psicologia,  quel vecchio  domma  del  falso  Aristotelismo  e  del  malinteso Platonismo  che  suona  così:  niente  moversi  da  sé, che  non  sia  mosso.  Col  secondo  e  col  terzo  imprime forma  razionale  e  organica  alla  scienza  dello  spirito tanto  contro  Averroisti  e  Neoplatonici  che  troppo  distac- cano i  due  elementi  onde  risulta  V  ente  umano,  quanto contro  quegli  Aristotelici  empirici  che,  troppo  affogando r  uno  neir  altro,  finiscono  per  confonder  la  sfera  della psicologia  con  quella  della  biologia:  ma,    nel  primo come  nel  secondo  caso,  egli  serba  Y  esigenza  psicologica platonica  che  dicemmo  consistere  nella  distinzione  dei due  elementi,  nonché  V  esigenza  aristotelica  la  quale riguarda  il  processo  nelle  funzioni  psicologiche.  CJon  gli stessi  concetti  onde  corregge  nella  quistione  psicologica il  Platonismo  e  l'Aristotelismo,  previene  l' esigenza del  Criticismo  intomo  al  doppio  ordine  della  Ragion  teo- retica e  della  Ragion  pratica,  e  insieme  la  invera  e  la compie.  Col  quarto  concetto,  finalmente,  imprime  signi- ficato razionale  e  positivo  al  fatto  storico,  e  crea  la Scienza  Nuova. Innanzi  tratto  intendiamoci  sul  metodo  acconcio  a simili  indagini. Tommaso  Buckle  osserva  che  i  filosofi,  parlando su  la  natura  dell'anima,  non  sanno  pigliar  le  mosse altro  che  o  dalle  sensazioni,  o  dalle  idee;  riuscendo  così, nell'un  modo  e  nell'  altro,  ad  un  metodo  solitario,  astratto, inefficace,  inconcludente.*  Sennonché  egli  stesso,  il  Bu- ckle, non  giugno  a  salvarsi  dal  primo  difetto.  11  suo  metodo isterico,  differente  dal  deduttivo  inverso  raccomandato dal  Mill,  é  addirittura  un  metodo  empirico;  onde inciampa  in  quel  sensismo  ch'egli  condannando  vorrebbe causare.  Checché  ne  sia,  l'osservazione  é  degna  d'un *  HUtory  of  Civilization  in  England,  voi.  I,  cap.  Ili. positivista  inglese  ;  e  noi,  pur  correggendola,  non  dubi- tiamo farla  nostra.  A  schivare  infatti  tanto  le  conseguenze d'un  gretto  empirismo,  quanto  le  arditezze  d'un magro  e  sfumante  idealismo,  è  forza  movere  non  dal  fatto della  sensazione,  eh' è  cosa  estrinseca  e  quasi  soprav- venuta allo  spirito,  e  nemmanco  dalle  ideej  le  quali  in sostanza  non  sono,  per  noi,  fiiorchè  produzioni  di  lui; ma  da  lui  stesso  ;  dallo  stesso  spirito  in  quanto  pensiero. Bisogna  movere,  in  somma,  dal  centro,  anziché  dalla circonferenza;  dalle  facoltà,  ma  dalle  facoltà  concepite quali  sono  in  realtà,  cioè  come  funzioni.  A  tal  uopo  è necessario  adoperare  un  metodo  che  non  escluda,  ma che  sappia  includer  le  esigenze  di  tutt' i  metodi;  em- pirico, naturale,  sperimentale,  psicologico  astratto,  fisio- logico, e  simili.  In  una  parola,  è  necessario  il  metodo genetico  ;  il  quale,  rispetto  alla  psicologia,  è  ciò  che  il metodo  eduttivo  è  rispetto  all'ordine  del  conoscere.' *  Il  metodo  col  qnale  i  Positiristi  presamono  di  far  la  scienza  psicolosrica  è  al  tutto  empirico  e  artificiale;  ma  qui  non  intendo  porre  in  nn fascio  psicologi  positÌYisti  inglesi  e  francesi,  com*ha  fatto  il  Vacherot. {Betf.  de»  Deux  MondeSf  die.  1869.)  Spencer,  Mill  ed  Alessandro  Bain  stimano (come  notammo  nell'Introd.,  p.  6)  che  la  psicologia  è  superiore,  indipendente dalla  biologia,  precisamente  come  la  deduzione  è  indipendent-e  e  superiore air  induzione  pel  Mill,  e  come  la  Sociologia  è  indipendente  dalla  storia tanto  pel  Mill  quanto  per  lo  Spencer.  I  Francesi,  al  contrario,  facendo della  Psicologia  una  semplice appendice  della  Biologia,  non  sanno  con- cepir r  nna  senza  1*  altra.    ri'y  a  point  de  p9yeolog%e  en  déhors  de  la biologie.  (LiTTRÉ,  A.  Oomte  et  St.  Mill,  p.  29  e  segg.)  Tale  anche  è  per la  deduzione  rispetto  air  induzione,  la  psicologia  rispetto  alla  storia, la  Dinamica  rispetto  alla  Statica  Sociale.  Sennonché,  qualunque  ne  sia la  differenza,  le  due  scuole  intoppano  in  due  errori  diversi;  nel  formalismo empirico  Tuna,  e  nel  materialismo  Tal  tra:  e  così  entrambe  rendono  im- possibile la  scienza  della  psiche.  Rifacciamoci  brevemente  dagP  Inglesi. Qual  debb*  essere,  secondo  St.  Mill,  il  fine  della  psicologia?  Non altro  che  la  ricerca  diretta  delle  ntceeeeioni  mentali,  (Sjfét,  de  Log,  tom.  II, p.  484.)  E  quaV  è  la  legge  più  semplice,  più  generale  cui  si  riducono  i fenomeni  psichici?  Quella  àéiV anaoeiazione  delle  idee;  la  grran  legge  os- serrata  da  Hume.  [La  PhU.  de  Hamilton^  cap.  Vili.)  Innanzi  tratto  si può  osservare:  La  legge  dell*  associazione  è  legge  empirica,  e  quindi  ò  un fatto:  ma  qual  n'è  la  ragione?  Senza  questa  ragione  potreste  uscire  dal-

l'empirismo?  st.  Mill  non  ispiega  cotesto  fatto,  ma  1*  accetta  dair  esperienza. —  Altro  difetto  gravissimo,  conseguenza  del  primo,  è  questo;  che Il  metodo  genetico  applicato   alla  ricerca  psicolo- gica attinge  valor  positivo  e  insieme  razionale,  quando la  legge  d*  associazione  nou  racchiude  necessità  psicologica  di  sorta.  È una  legge  men  che  empirica,  e  può  mancare.  Dunque  una  notizia  scien- tifica circa  la  natura  psicologica,  per  lui,  è  impossibile.  — 'Più  ancora:  il prodotto  ddV  anaociaziowi  è  un  fatto  «t*  generi»:  egli  stesso  ne  conviene. {DUaertation  and  DiicuMiona,  III,  104.)  Or  bene,  come  spiegare  cotesto 9ui  generi»  con  la  pura  legge  d*  associazione  ?  Ci  ò  qui  rispondenza,  ci  ò proporzione  tra  V  effetto  e  la  causa?    Finalmente,  come  spiegare  con  la semplice  associazione  il  gran  fatto  della  coscienza  f  Bisognerà  dunque concludere  che  la  legge,  la  quale  St.  Mill  dice  esser  la  più  semplice  e  ge- nerale fra  tutte  quelle  d' ordine  psichico,  importi  qualche  altro  fatto  ante- riore, 0  irreducibile.  La  psicologia  contemporanea  inglese  quindi  cade  nel formalismo  empirico.  E  se  riesce  a  distinguer  la  psicologia  dalla  biologia e  dalla  storia  (eh*  è  il  suo  pregio),  non  riesce  a  trovare  fra  V  una  e  le altro  vincolo  di  sorta.    Tocchiamo  ora  della  scuola  psicologica  de* Posi- tivisti francesi. Il  Littré  riguarda  la  psicologia  qual  semplice  appendice  ed  appli- cazione della  biologia;  e  vuol  quindi  trattarla  con  metodo  analogo.  Ma fa  una  distinzione  acuta  e  ingegnosa  di  cui  giova  tener  conto,  perchè forma  la  sua  stessa  condanna.  Egli  pone  un  divario  profondo  tra  la  fa- coltà e  il  suo  prodotto.  Logica,  ideologia,  psicologia  (egli  dice)  non  si distinguon  menomamente  dalla  biologia  quando  siano  avvisato  come funzioni;  ma,  guardate  nei  lor  prodotti,  se  ne  differenziano  in  infinito. Parimente  il  linguaggio,  come  facoltà,  è  faccenda  biologica  ;  ed  ha  la  sua ragione  in  una  delle  circonvoluzioni  anteriori  del  tessuto  cerebrale,  secondochè  ci  assicuran  oggi  gli  sperimenti  fisiologici  :  ma,  come  grammatica, se  ne  discosta  per  grand*  intervallo,  o  nou  ci  ha  che  veder  niente  con  la biologia.    Che  cosa  rispondere  ?  Rispondiamo,  troppo  antica  e  troppo vera  esser  oggimai  la  sentenza  aristotelica,  che  tra  la  natura  della  causa e  quella  dell'  effetto  non  possa  esserci  divario  essenxiaie.  Or  negli  esempi

quassù  arrecati  il  divario  essenziale  e*  è:  gli  st>essi  positivisti  non-  ardiscono dubitarne.  Come  dunque  spiegarlo  cotesto  divario?  È  egli  possibile spiegarlo  senza  riconoscer  la  differenza  fra  le  due  scienze  non solo  quant' a* prodotti  psicologici,  ma  anche  quant*alle  facoltà?  Como funziono  il  linguaggio  non  appartiene  egli  anche  al  quadrumane?  Ora  in forza  di  che  cosa  riesce  tanto  profondamente  diverso  il  risultato  nel  bimane che  ha  pur  comune  col  quadrumane  la  funzione?  Si  dirà  in  forza  del- l' unione,  del  numero,  dell*  attrito  nella  specie,  nella  società?  Ma  non vivono  in  società  anche  alcune  famiglie  di  quadrumani?  Eppure  quella funzione  non  ha  dato,  e  mai  non  darà  il  risultato  che  pur  dovrebbe!  Àn- cora: se  il  prodotto  fosse  tant^  diverso  dalla  facoltà  solo  per  ragion  del- l' associazione  e  del  contatto,  che  cosa  ne  verrebbe?  Che  1*  uomo  sarebbe fornito  di  qualità  e  doti  essenziali  non  per  so  stesso,  cioè  non  perchè individuo,  ma  per  altri  e  da  altri,  cioè  perchè  membro  della  società.  Or tutti  sanno  che  la  £eicoltà  della  parola,  cosi  intimamente  annodata  col  pensiero, non  e  dote  accidentale ìn& eÈsenziffova;i^«i!l;  \iytxaiy  to  xvpiov  in  fvTf>f;i^sta  jctc.  (Id.  Eod.)  — È  Vachu  in  aetu  degli  Aristotelici  del  Risorgimento  segnaci  deir  indi- rizzo medio,  per  esempio  ^del  Gontarini,  come  aTrertimmo. *  RàTAiBSOX,  Métaplu  d'Aritt.,  t.  I,  p.  483. psicologica.  Lo  spirito  è  essenzialmente  processo,  è  ge- nerazione, ma  non  trasformazione.  Non  va  dalla parte al  tutto,  come  avviene  delle  combinazioni  meccaniche; ma  dal  tutto  al  tutto,  dal  tutto  potenziale  al  tutto  attuale, dal  di  dentro  al  di  fuori,  da  una  sintesi  origi- naria e  confusa,  ad  una  sintesi  analizzata.*  Voglio  dire che  il  processo  psicologico  s'inaugura  non  già  con  que- sta o  cotesta  facoltà,  anzi  con  tutte  le  facoltà.  Le  quali perciò  non  sono  funzioni  determinate  e  specificate  sin dalla  loro  origine,  ma  convengon  tutte  nell'  essere  altrettante potenze,  e,  come  tali,  formano  unica  potenza originaria,  eh' è  conato  essenziale,  sforzo  incessante.* Che  cosa  sia  questo  conato,  si  vedrà  nell'  altro  capitolo. Qui  dobbiamo  considerar  le  facoltà  psicologiche come  ce  le  presenta  il  fatto,  cioè  come  una  moltiplicità  di  funzioni. Che  cos'è  la  facoltà  psicologica?  È  un  passaggio dalla  potenza  all'  atto.  Ella  ci  esprime  la  pronta  ne- cessità di  fare,  di  determinarsi,  d'  attuarsi  ;  e  quindi vuol  dire  facilità,  prontezza,  solerzia,  agevolezza  di fare.'  Or  la facoltà  intanto  significa  pronta  e  spontcmea solerzia  di  fare,  in  quanto  fa  il  proprio  obbietto;  in quanto  si  fa  come  funzione;  in  quanto  si  pone  come *  Anche  in  ciò  la  psicologia  somiglia  alla  fisiologia,  ma  non    si confonde.  L*  organogenia  s' inaugura,  meglio  che  con  uno,  con  tutti  gli  or- gani ad  un  tempo.  Per  esempio  i  centri  primitiTi  multipli  del  sistema nervoso,  che  la  microscopia  ci  pone  sott*  occhio,  chiarisce e  conferma quest'  assunto.  Cfr.  Vulpian,  Physìologie  gfn.  et  comp.  du  syaL  nere.  — LhittS,  SyH.  New.  cerebro-spinale.    Glkibbrrg,  Intinto  e  Libero  cwbitrio^ trad,  del  Langillotti,  Nap.  1868. *  Oonatum  uni  menti  attrihuimu»f  quce  libero  arbitrio  prcedita  pottH BUB8TARB....  eoque  pacto  potett  motitm  subsistrre  et  stare  in  conato  [De Univ.  LXXV,  4).  Ne*  corpi  e*  è  moto,  secondo  il  concetto  cosmologico del  Vico,  ma  nell* animo  e*  è  moto  e  eoncUo:  o  meglio,  il  moto  qui  as- sumendo natura  di  conato  è  moto  del  moto,  e  quindi  è  aetw  in  actu. *  Expedita  seu  expromtn  f'iciendi  solertia  (De  Antiquisn,  TtaU  Sap.^

cap.  VII,  1).  Facoltà  suona  anche  proprietà,  ma  proprietà  cosciente  :  di- stinzione confermataci  dal  comun  linguaggio  che  attribuisce  la  proprietà alle  cose,  ma  predica  dell*  nomo  \h  facoltà.  Vedi  le  belle  riflessioni  dello JouFPRoy  in  proposito  {^filang.  Phil.,  ed.  Bruxelles,  p.  267). attività:  FacuUaùes  sunt  eorum,  quce  fadmus.  Ecco  il  con- 1 cetto  psicologico  piìi  originale  del  Vico.  Il  germe  di  que- sto concetto  è schiettamente  aristotelico;  *  ed  è  la  chiave ond'  egli,  anticipando  la  moderna  psicologia,  preveniva il  Fichte,  e  insieme  ne  correggeva  V  esagerazione.* Dunque  la  facoltà  posta  come  funzione  psicologica che  fa    stessa  in  quanto  fa  il  proprio  obbietto,  è  il  ' passo  d'oro  del  Libro  Metafisico.  Ad  esso  rispondono altri  due  che  troviamo  nel  Diritto  Universale  e  nella Scienza  Nuova;  e  tutt'e  tre  riescono  a  comporre  l'organismo del  processo  psicologico.  Tale  organismo,  in- fatti, parmi  racchiuso  in  queste  due  sentenze:  !•  che r  uomo  è  innanzi  tutto  SensOy  appresso  Immaginazione e  quindi  Ragione:  2*»  che  l'uomo  è  un  Potere,  un  Volere e  un  Conoscere  potenzialmente  infinito.^     ÀRlST.  De  an.^  Ili,  4. •  DoTe  stanno,  a  mo*  d'esempio,  i  colori,  i  sapori, gli  odori,  il  tatto? Se  il  senso  è  facoltà,  ne  segue  che  tu  in  sostanza  hai  a  far  i  colori  nel vedere,  tu  i  sapori  nel  guastare,  tu  i  suoni  nelP  udire,  tn  gli  odori  nel- r  annusare,  tu  stesso  il  freddo  e  '1  caldo  \iel  toccare.  Nam  si  «enatu  fa- cultates  sunt,  videndo  colore»,  sapores  gustando,  sono»  nudiendo,  tangendo frigida  et  calida  rerum  facimua.  {De  Antiquisa,  e.  VII,  3.)  Parimenti  con le  immagini  e  con  le  rappresentazioni  la  yirtù  fantastica  partorisce  il proprio  obbietto,  e  si  fa;  di  modo  che  scegliendo  il  meglio  di  natura ed  elevandolo  a  valore  di  tipo,  a  questo  vien  conformando  V  opera  d*  arte. De  medio  lectam  {formam)  ttupra  fidem  extoUunt,  et  ad  eam  auos  heroaa con/ormant.  (Ibi,  2.)  E  la  memoria,  potenza  che  rifa  e  penetra  so  mede- sima, non  potrebbe  rifarsi  e  penetrarsi  ove  innanzi  non  si  fosse  fatta; ne  quindi  può  esser  quella  magra  e  sterile  ritentiva  di  che  ci  parlano i  sensisti.  L' intelletto  è  facoltà  anche  lui,  perchè  col  determinarsi  viene a  geminarsi  nel  giudizio,  e  perciò  vede  ;  e  vede,  perchè  occhio  dell'  intel- letto è  il  giudizio  :  Judicium  eat  oculus  intellectu»  ;    potrebbe  intellet- tivamente vedere,  se  non  intendesse;    intendere,  ove  anch'agli,  al solito,  non  facesse  il  proprio  obbietto.  Intellectus  verna  faeultaa est,  quo quum  quid  intelligimua,  id  verum  facimua,  (Ibi,  5).  In  tutto  questo  il Vico  ormeggia  Aristotele.  Per  es.  la  visione,  secondo  lo  Stagirita,  è  Vatto dd  colore;  l'udito  è  V  aUo  del  auono.  (Ravaisson  Metaph,  d^  Ariat.,  t.  I, p.  427.    Aeist.  De  An.  I.) •  Il  primo  di  questi  due  principii  è  evidentemente  aristotelico,  per- chè dall*  ou^SvitTiq  al  voù^,  com'  è  noto,  ricorrono  parecchi  gradi  e  sfu- mature componenti  tutte  un  unico  processo:  ^ója,  ^àvTacr|ua,  se  V  Intel- ligenee^  voi.  II,  llb.  I,  cap.  III.    Lauoel,  Probi,  de  V Atne,    Litthé, Revue  de  Phil.  Potit.,  settembre  1868.    Consulta  anche  le  op.  «it.  di VuLPiAN  e  di  Lhuts. dell'  immaginazione,  cioè  all'  intendimento,  nonché  il passaggio  dall'intendimento  alla  ragione?  Fra  il  termine sensato  dell'  intuizione  e  '1  fantasma  e'  è  un  abisso. Un  abisso  tra  il  fantasma^  tra  il  fantasma  anche  salito ad  universale  poetico^  ed  il  concetto.  Un  abisso  ancora fra  il-  concetto,  e  la  nozione,  l' idea,  V  universale  pro- priamente detto.  Bisogna  credere,  perciò,  che  dall' un gruppo  all'altro  di  funzioni  psichiche  non  esista  continuità, ma  transito  ;  non  passaggio  immediato,  ma  in- tervallo. Or  bene,  come,  altro  che  per  miracolo,  l' una facoltà  potrebbe  trasformarsi  nell'altra?  Non  è  dunque la  facoltà  che  si  trasforma  e  diventa  ;  ma  è  lo  spi- rito che  si  forma,  che  si  determina  nel  multiplo  e  me- diante il  multiplo  delle  facoltà.  Laonde  attraverso  e  al disotto  a  questa  multiplicità  di  funzioni,  è  mestieri  supporre una  facoltà  madre  che,  come  facoltà  deUe  facoltà compia  i  diversi  passaggi  e  intervalli,  e  sia  come  il principio  dinamico  dell'organismo  psicologico.  Ma  di questo  faremo  parola  nel  prossimo  capitolo  dove  ricer- cheremo la  genesi  del  processo  psicologico.  Seguitiamo. Quel  che  s'è  dettò  del  processo  conoscitivo,  dicasi pure  del  processo  operativo  e  pratico  dell' organisriio  psi- cologico. Una  medesima  legge  governa  tanto  la  genesi

del  conoscere,  quanto  quella  dell'operare.  I  diversi gradi  e  momenti  del  processo  operativo  rispondono  a' di- versi gradi  e  momenti  del  processo  conoscitivo.  L'operare infatti  è  determinato  dal  conoscere  per necessità  tutta psicologica.  Come  dunque  potrebbe  non  riprodurre  la medesima  legge?   Il  processo  pratico  suppone  il  teoretico,  stantechò  la  funzione  yo- litiva,  alla  quale  si  riferisce  ogn' altra  facoltà  d'ordine  operativo,  sia funzione  essenzialmente  secondaria.  Accenneremo  qui  i  diversi  passag^ di  questo  processo  secondo  i  tre  gruppi  (no««ey  oeU«,^oMe)  additatici  dal Vico;  ma  ci  ristringeremo  a  notarne  i  difTerenti  gradi  seguendo  l'ordine ascensi vo,  tuituraU  e,  per  cosi  dire,  cronologico. L  a)  Istinto  fisiolooigo.    Risponde  alla  Sensazione;  anzi  è  la sensazione  stessa,  ma  sotto  l'aspetto  riflesso,  attivo,  comecché  inco-

sciente. In  esso  quindi  si  ripeton  le  medesime  condizioni,  non  altro  essendo fuorché  unità  incosciente  e  confusa  fra  Vagente  e'I  motivo  dell'azione. Additato  così  con  fuggevoli  tocchi  il  doppio  aspetto onde  risulta  il  processo  psicologico,  potremo  intendere ormai  quella  dottrina  del  nostro  filosofo  a  cui  più  di

una  volta  venimmo  alludendo  nelP  abbozzar  la  storia della  Scienza  Nuova:  dico  la  dottrina  del  Vero  e  del Certo,  che  ha  riscontro  con  V  altra  della  Bagione  e  dd- VAidorità,  11  vero  è  produzione  di  Ragione;  il  certo  è produzione  d^ Autorità,^  Ma  come  nelP  ordine  conosci- b)  Istinto  uitano  (il  poste  del  Vico  nel  sao  primo  grado  empi- rico). —  Si  ripeton  le  condizioni  della  Percezione  sensata.  I  due  termini qui  cominciano  a  distingaersi  ;  ma  VigUnto  non  è  por  anche  desiderio. L'istinto  anche  qui  è  immohile,  è  cieco,  e  pnr  nonostante  è  umano.  Ed è  umano  principalmente  perchò  non  può  rimanere  istinto^  ma  dehb*  esser superato  dal  desiderio,  dee  diventar  desiderio.  e)  Dbsidebio.  ~  Risponde  alla  Rappresentazione,  e  n'  è  T  attività. Il  motivo  dell*  azione  è  determinato,  particolare.  Quindi  fra  questo  motivo e  r  agente  havvi  necessità  empirica,  immediatezza. d)  Passignk.    Risponde  ai  primi  gradi  deirimmaginazione,  e,  come questa,  è  mobile  e  varia;  e  perciò  è  meno  indeterminata  che  non  sia  il desiderio.  Il  Desiderio  è  uno,'  la  Passione  ha  più  forme.  L'obbietto  che la  determina  non  è  il  particolare,  e  neanche  il  generale.  Appartiene  al-r  individuo  considerato  non  come  individuo,  ma  com'  elemento  di  società. Segna  dunque  un  passaggio  ;  il  passaggio  dal  desiderio  al  libero  arbitrio. II.  e)  LiBRRo  ARBITRIO. — L*  obbietto  è  generale,  astratto  ;  perciò  è più  mobile  della  Passione,  e  quindi  costituisce  il  passaggio  dalla  necessità empirica  alla  necessità razionale  (libertà  volgarmente  intesa).  Risponde alla  Immaginazione  imitatrice  e  riproduttiice  eh*  è  tuttora  schiava  della natura;  al  modo  istesso  che  il  libero  arbitrio  è  dominato  da  un  motivo tuttora  eteronomo. /)  Dbtkrminazionk  (passaggio  del  libero  arbitrio  alla  Libertà).  — Risponde,  più  che  all'Immaginazione  (combinatrice),  alle  varie  forme  del- l' Intendimento.  Varietà  d*  obbietti. g)  SuK  DIVBRSR  POBMB  {contrarietàf  contraddizione j  dezione).  — Anche  qui  ha  luogo  un  processo  come  neU*  Intendimento.  L*  elezion  razionale non  ò  più  libero  arbitrio,  ma  Libertà. III.  h)  Libertà.    È  determinata  dalla  Ragione  :  perciò  importa  la necessità  razionale.  Libertà  quindi  è  dovere  appunto  perchè  è  ragione. Ma  può  tornare  ad  una  delle  tre  forme  d'arbitrio,  stantechè  la  necessità, ond'è  signoreggiata,  sia  necessità  morale. »)  Personalità.    È  T  Autorità  che  si  converte  con  la  Ragione.  È il  risultato  del  processo  psicologico,  e  rappresenta  il  circolo  delle  facoltà perchò  le  suppone  tutte,  e  le  contiene  in  atto.  1&  dunque  la  circonfe- renza, cioè  rio  pienOf  attuale.  Qual  n*è  il  centro?  (Vedi  nel  Gap.  seg.) *  n  concetto  à^ÀtUorità  è  una  delle  idee  cardinali  dell'opera  sul Piritto   UniversaJle.   Noi'  qui  ne  parliamo  per  incidenza;  perchè  questa

tivo  è  mestieri  che  il  vero  si  converta  col  fatto,  così  nelr  ordine  pratico  il  certo  fa  d'uopo  che  si  converta  col vero.  In  altre  parole,  se  il  processo  teoretico  guardato psicologicamente  è  una  conversione  del  vero  col  fatto; il  processo  operativo,  al  contrario,  guardato  storica- mente, è  una  conversione  del  certo  col  vero.  La  rela- zione che  il  Vico  pone  tra  il  Vero  e  '1  Certo,  somiglia quella  che  nell'Aristotelismo  tiene  la  forma  verso  la  ma- teria, ma  considerata  nel  processo  isterico.  Risponde altresì  alla  relazione  eh'  egli  medesimo  scorge  tra  la filologia  e  la  filosofia.  La  filologia  porge  i  placiti  del- l' umano  arbitrio  (placita  humani  arbitri)  ;  la  filosofia indaga  i  principii  necessari  di  natura  (necessaria  na- turcey  Perciò][aiferma  :  «  La  Filosofia  contempla  la  Ra- gione onde  viene  la  Scienza  del  Vero:  la  Filologia osserva  V  Autorità deW  umano  Arbitrio  onde  vien  la Coscienza  del  Certo.^n  Or  la  Ragione,  producendo  il dottrina  dovendo  esser  considerata  principalmente  sotto  T aspetto  istorico (nel  che  sta  tutto  il  suo  pregio  e  la  sua  norità),  dovrà  quindi  formare oggetto  d' interpretazione  e    studio  nella  Sociologia.  Qui  dobbiamo avvertire  solamente  che,  quantunque  i  siguiiìcati  della  parola  Autorità pel  Vico  sian  diversi  (Autorità  polìtica,  religiosa,  monastica,  incononiica, civile  e  simili)  nullameno  tutte  le  specie  d'autorità,  chi  interpreti  bene

la  sua  mente,  hanno  d' aver  per  fondamento  originario  queir An^ontò  alla quale,  propter  rerum  novitateìn^  ei  volle  dare  un  titolo  nuovo,  e  V  appellò AUCTOttlTAS  NATURALIS,  ACCTOEITAS   ì>tATURMj[De  Univ.   Jur.,   XCI).   PerciÒ la  definisce:  Humana:  natura:  proprietae  (Ib.  XC).  Perciò  non  dubita chiamarla  divina.  Perciò  la  designa  come  T  unità  vivente  delle  tre  funzioni costituenti  l' ordine  pratico  psicologico:  noBsCf  velie,  posse  (Ib.  XCU). Perciò,  finalmente,  la  dice  Suitas;  e  la  Suitas  nell'uomo  vale,  per  lui, ciò  che  in  Dio  VAseitas  (Ib.  XCUI).  Vedremo  altrove  esser  questa  una dottrina  originale  onde  l'autore  della  Scienza  Nuova  prevenne  la  moderna filosofia  del  Diritto.  Del  che  niuno  de'  critici  di  cui  parlammo  ha  avuto sentore,  tranne  il  Carmignani  e  l'Amari;  ma  l'uno,  come  dicemmo,  ne parla  superficialmente,  e  l'altro  in  senso  tutto  cattolico  e  tradizionale. *  De  Constantia  Jurispr.,  Proem.,  4. *  Sec.  Se.  Nuova,  lib.  I,  p.  98,  X.  — Si  noti  qui,  a  maggiore  schiari- mento del  metodo  vichiano,  che  la  Filosofia  è  quella  che  contempla,  e la  Filologia  quella  che  ossa-va.  Secondo  il  nostro  linguaggio,  quella  deduce, e  questa  induce.  Or  la  Scienza  Nuova  non  fa  propriamente  l'una cosa,    l' altra.  Essa  pone  in  opera  entrambe  cotoste  funzioni,  e  le couipenctra  in  una  terza  che  dicemmo  essere  il  ma),àstoro  eduttivo. vero^  costituisce  il  processo  della  coscienza  ;  in  mentre che  r Autorità,  producendo  il  certo  e  legittimandosi nella  ragione,  forma  il  processo  dell'autocoscienza,  e partorisce  il  concetto  della  personalità  (Proprietas  sui; Suikis).  Sotto  l'aspetto  isterico,  perciò,  l'Autorità  è  il libero  arbitrio  che  diventa  libertà,  e  quindi  Ragione: sotto  l'aspetto  psicologico  è  lo  stesso  libero  arbitrio già  divenuto  ragione.  Ond'  è  che  come  il  certo  non  è il  vero  ma  una  parte  del  vero^  così  V  Autorità  non  è Ragione,  ma  è  partecipe  di  ragione.*    Che  cosa  è  da concludere  da  tutto  ciò  ?  Che  il  processo  pratico,  riguar- dato psicologicamente,  comincia    ove  finisce  il  teore- tico. Questo,  infatti,  s' inaugura  col  senso,  e,  sempre  più ascendendo,  si  risolve  nella  ragione.  Quello,  invece,  move dalla  ragione  avvisata  come  semplice  colioscere,  e,  tran- sitando pel  volere,  finisce nel  potere;  ma  nel  potere divenuto  già  attività  concreta,  piena,  reale,  vivente, stantechè  il  libero  volere  importi  la  ragione.  Che  se tra  conoscere  ed  operare,  fra  coscienza  e  autocoscienza, 0  (per  usare  il  linguaggio  del  nostro  filosofo)  tra  Ra- gione e  Autorità,  fra  il  Vero  e  il  Certo  e  tra  filosofia e  filologia  havvi  un  processo;  è  necessaria,  è  inevitabile una  conversione  fra'  due  termini.  Dunque  1'  Autorità devesi  poter  elevare  a  dignità  di  Ragione;  al  modo istesso  che  la  ragione  operativa  debbe  aver  coscienza di    medesima  anche  come  ragion  conoscitiva.  Or  che è  ella  mai  cotest'  Autorità  convertitasi  in  ragione  se non  l'autocoscienza?  E  non  è  appunto  quest'Autorità autocoscente  quella  che,  assolvendo  l' uno  e  l' altro  pro- '  Ut  autem  VBRUM  constai  RATiONE,  ita  criltuu  nititur  auotoritate, vd  noHra  $en»uum  quat  dicitur  aUTO^i'a,  vel  aìtorum  dicti»,  qua  in  tpeei^e dicitur  AUOTORlTAS,  cx  quorum  alterutra  naicitur  PRRSCASIO.  Sed  ipta  aucto- RITA8  e«t  ^ar»  ^rwofrfam  RATiONis.  {De  Univ.  Jur.y  Proloq.,  7.)  Vedi  le  di- verse applicazioni  del  Vero  e  del  Certo:  (Ibi,  LXXXII,  LXXXJII,  OLII,  5.) Il  primo  scolare  del  Vico.  Emanuele  Dani,  come  arrertimmo,  fin  dal  se- colo passato  colse  giusto  in  questa  dottrina  del  suo  maestro,  massime quant*  al  valore  e  alla  relazione  de'  suddetti  concetti.   (Tedi  Saggio  di Oiuriprndenza    Unirrr^aU,  ed.   cit.,  p.  CVIII). cesso,  costituisce  l'essere  veramente  umano  (universale)? E  che  cos'  è  l' ente  umano,  che  cos'  è  VHumaniiaSj  per cui  l'individuo  è  davvero  individuo,  subbietto  verace- mente universale,  fuorché  la  personalità?  E  che  cos'è la  persona  se  non  queir  unità  vivente  e  operante  del triphce  diritto  originario  (tutèla^  dominio  e  libertà)  nella quale  s' incarna  e  s' impersona  la  triplice  funzione  del Potere,  del  Volere  e  del  Conoscere?* Col  concetto  su  la  relazione  fra  il  processo  conosci- tivo e  '1  processo  operativo  dell'organismo  psicologico il  Vico  non  solo  previene  l' esigenza  Kantiana  del  dop- pio ordine  di  ragione,  ma,  che  più  monta,  la  supera. La  previene  distinguendo  la  Ragion  pura  (Batio)  dalla

Ragion  pratica  (Autoritas).  E  dovea  distinguerla,  perchè i  due  processi  conoscitivo  e  pratico,  tuttoché  for-

manti unico  organismo,  hanno,  come  s' è  visto,  origine, natura,  e  andamento  diverso.  La  supera  poi,  in  quanto che  scorge  la  conversione  (ripetiamolo)  non  pur  fra l'una  e  l'altra  ragione,  ma  eziandio  nell'una  e  nell'altra guardate  ciascuna  in    stessa.  Come  processo  conoscitivo la  Ragione  dee  convertirsi  con    stessa;  e  non potrebbe,  ove  non  divenisse  anche  Autorità.  Come  pro- cesso pratico  l'Autorità  non  potrebbe  neanch' ella  con- vertirsi con    medesima,  s'  ella  stessa  non  divenisse Ragione.  Li  altre  parole:  il  conoscere  non  potrebb' es- ser vero  conoscere,  ove  non  fosse  un  processo,  una  con- versione de'  tre  gruppi  di  funzioni teoretiche  innanzi discorse.  L'operare  non  sarebbe  vero  operare,  se  anch'egli  non  fosse  una  conversione  de'  tre  gruppi  delle funzioni  operative.  Finalmente  il  processo  conoscitivo *  De  Univ.  Jur.  LXXXVl,  XC,  XCII.—  Di  qui  nasce  il  concetto  del gitu  e  della  libertà  secondo  le  dottrino  Yichiane,  come  altrove  mostre- remo. Ma  già  i  lettori  prevedono  qnal  uso  noi  saremo  per  fare  di  cotesta dottrina  nelle  questioni  polìtiche,  giuridiche,  religiose  e  pedagogiche. Posto  il  concetto  àdV Auctoritcu  naturalU^  e  dell*  Autorità  in  generale come  particeptf  RaHonUy  cioè  come  facoltà  che  devesi  convertire  con  la Ragione,  ognuno  saprà  argomentare  qual  valore  giuridico  abbian  per noi  r  autorità  politica  e  1*  autorità  religiosa  nelle  teoriche  sociologiche. e  '1  processo  operativo  non  sarebbero  tali,  ove  non  fos- sero essi  stessi  una  conversione  tra  se  medesimi.  Così  il circolo  è  compiuto;  e  così  rimane  sbandita  ogni  maniera di  dualismo  e  di  formalismo  nel  regno  della  psicologia. Or  la  mancanza  di  processo  è  precisamente  il  tarlo che  rode  le  dottrine  del  Kant.  Posto  il  noumeno  come un'incognita,  posta  la  conoscenza  com'una  specie  di combaciamento  meccanico  anziché  come  processo  dinamico del  fatto  con  l'idea  e  della  materia  con  la  forma; non  poteva  non  chiudersi  ogni  via  per  intendere  il  fenomeno, e  salvarsi  dal  cadere  in  quella  specie  di  scetticismo metafisico  del  quale  altrove  toccammo  (p.  238). Senza  esempio  nella  storia  della  filosofia  egli  dimostra la  necessità  di  certe  condizioni  superiori  all'  esperienza nel  fatto  del  conoscere.  Ecco  la  massima  sua  gloria.  Ma non  perviene  a  spiegar  cotesto  fatto,  perchè  non  giunge a  risolvere  il  dualismo tra  la  sensibilità  e  l' intelletto col  discoprirne  il  germe  comune  eh'  egli  stesso  )ion  dubita chiamare  sconosciuto.^  D'altra  parte,  dal  disegno della  Critica  della  Ragion  Pura  egli  trae  quello  della Critica  della  Ragiofi  Pratica,  Nell'una  move  dal  senso, e,  attraverso  l' intendimento,  giugne  alla  ragione.  Nel- r  altra  tiene  un  cammino  opposto,  perchè  dal  concetto di  libertà  scende  nelle  facoltà  inferiori.  Or  1'  errore non  istà,  certo,  in  questo  cammino,  in  questo  circolo  ; ma  piuttosto  nell'  aver  interrotto  cotesto  circolo.  Donde avrebbe  dovuto  partire  nell'  organar  1'  edifizio  della Ragion  Pratica  ?  Precisamente  da  quel  punto  ove'  pon termine  la  Ragion  Pura,  Egli  invece  fa  un  salto;  salto mortale;  perchè  voltando  le  spalle  alla  ragion  pura  (né poteva  altrimenti),  si  basa  nel  concetto  di  libera  cau- salità.* Ov'  è  dunque  il  processo  fra  l' un  ordine  e  l' al- tro? Ov'  è  r  unità,  r  organismo  del  circolo  psicologico? Nella  distinzione  Kantiana  e'  è  del  vero.  Ed  è  che la  Ragion  Pura  è  facoltà  passiva  in  quanto   ha  per *  Kant,  Orit,  de  la  Raiaon  Aire,  p.  57,  terza  ed.,  Tissot. >  Idem,  Crit.  de  la  Maieon  Pratique^  p.  98,  220, termine  il  fenomeno,  tuttoché  s'  addimostri  attiva  nel concepire  e  disporre  e  costruir  questo  fenomeno  me- diante quella  mirabile  tela  delle  categorie.*  La  Ragion pratica,  al  contrario,  è  profondamente  attiva,  stanteche  con  r  atto  del  puro  volere  ella  ponga  il  noumeno^ Se  non  che  il  grand'  uomo  non  vide  che    la  Ragion pratica  è  assolutamente  attiva,    la  Ragion  pura  è assolutamente  passiva.  Il  conoscere,  certo,  serba  carat- tere di  passività  ;  non  altrimenti  che  V  operare  ha  ca- rattere d'  attività.  Ma  sono  tali  in  modo  relativo.  Sono tali,  cioè,  in  quanto T  ordine  pratico  sopravviene  a compiere  il  teoretico,  non  già  nel  senso  che  nel  secondo abbiasi  a  conseguire  ciò  eh' è  riescito  impossibile nel  primo,  vo'dir  la*  posizione  del  noumeno.  Che  cos'è infatti  cotesto  noumeno  nell'ordine  pratico?  Perchè  la Ragion  pratica  s'  ha  da  porre  qual  puro  volere,  cioè com'un  fatto  a  priori?  Insomma,  che  cos'è  questo  ro- lere  che  vuole    stesso? A  tal  grave  quesito  il  Criticismo  non  risponde,  checché ne  abbia  detto  poco  fa  uno  della  scuola  della  Morale  In- dipendente che  in  ciò  crede  poter  ormeggiare  il  filosofo prussiano.  Che  anzi,  se  la  legge  morale  procede  dalla  libertà come  volontà  indipendente  e  superiore  a  qualsi- voglia motivo,  cioè  come  autonomia  che  trascenda  ogni eteronomia;  è  da  confessare  che  un  principio  siffatto  è condizione  ni  tutto  subbiettiva,  e  quindi  sorgente  mu- tabile appunto  perchè  assolutamente  libera.  Un  atto assofuto  di  volere,-  il  volere  come  volere,  io  non l'in- tendo. Non  intendo  il  voglio  perchè  voglio^  giusto  perchè non  capisco  un  atto  che  sia  razionale  e  insieme  scisso e  quasi  staccato  dalla  ragion  pura.  Brevemente:  non intendo  una  Ragion  pratica  che  non  sappia    possa convertirsi  con  la  Ragion  teoretica.''  Se  la  radice  del *  Kant,  Orìt,  de  la  liaison  Pure,  ed.  cit.,  p.  158  e  segg. *  Idem,  Orit,  de  la  Raiaon  Pratique,  cap.  II,  p.  325. *  Secondo  il  Kant  la  Ragion  pura,  oltr'  esser  fornita  dell*  uao  tpe- culiiivoy  ha  eziandio  un  tntereaae  pratico  ;  il  quale  consiste  semplicemente dovere  sta  nel  sapere;  la  volontà  di  sua  natura  sarà sempre  una  funzione  secondaria,  non  mai  primaria  :  si che,  ove  nel  processo  istorico  si  svolga  da  sé,  in  tal  caso ella  si  determina  non  già  come  libertà,  ma  come  potere, come  desiderio,  come  passione,  come  libero  arbitrio. Laonde  se  il  filosofo  prussiano  sente  la  necessità  d' un reale  nel  suo  formalismo  critico,  cotesta  necessità  per  lui non  può  racchiudere  il  vero  concetto  del  dovere,  perchè importa  una  tendenza  cieca.  Non  è  dunque  un  atto  etico

veramente  detto,  ma  un  bisogno  assolutamente  empirico. Dal  che  si  vede  agevolmente  non  essere  al  tutto  vero  ciò che  aflFermano  due  serie  di  critici  rispetto  alla  natura de'  due  ordini  di  ragioni  poste  dal  Criticismo.  Alcuni credono  esserci  contradizione  perchè,  mentre  Ja  Ragion pura  è  indirizzata  solamente (tuttoché  con  artifizio  for- male) a  regolare  V  esperiènza,  la  Ragion  pratica,  invece, è  destinata  a  ricostruire,  a  costituire;  e  costruisce  mercè la  posizione  del  noumeno,  del  libero  volere,  reintegrando siffattamente  i  postulati  distrutti  nell'ordine  teoretico. Altri  pensano,  fra*  quali  Spaventa,*  che  la  contraddi- zione non  istia  già  fra  le  due  Ragioni,  ma  in  ciascuna d'esse.  Per  noi  è  vera  l'una  e  l'altra  sentenza,  ma  in questo  senso;  che  la  contraddizione  del  Criticismo  non istà,  come  abbiam  detto,  nel  porre  due  sfere  diverse  di ragioni;  due  ordini  di  processi  psicologici,  ma  si  nel non  aver  risoluto  nessun  de'  due.  La  contraddizione

esiste  non  pure  in  ciascuna  delle  due  sfere,  ma  anche tra  l'una  e  l'altra  ad  un  tempo;  con  la  differenza,  che nell'  un  caso  eli' è  essenziale,  dovechè  nell'altro  è  secon- daria. Togliete  quella,  e  avrete  insieme  levato  questa. Togliete  il  dualismo  e  '1  formalismo  nella  Ragion  pura, avrete  parimente  riparato  al  formalismo  e  al  dualismo della  Ragion  pratica.  Perciò  sommettete   a  processo nel  determinaref  non  già  ne)  eogtituire  la  Ragion  pratica.  (Ibi,  p.  825.) La  Ragion  pura  pratica  »i  eoHituiace  da  «2.  Ecco  il  grave  difetto  del

Kantismo  nell* ordine  morale. «   FU,  di  Kant  e  «uà  relaxione  coUa  FU,  /tal.,  Torino,   1860,  p.  67.

Puna  e  1'  altra,  e  avrete  schivata  la  contraddizione;  e invece  delle  Idee  sulla  Storia  Universale^  idee  che  paion come  disorganate,  avrete  l'organismo  della  Scienza Nuova.^  Or  la  contraddizione,  che  per  tre  divers^e  ma- niere offende  il  Criticismo,  potrà  essere  tolta  unicamente quando  dalla  dualità,  onde  non  si  potè  liberare  il  Kant, sappiasi  risalire  all'  unità  sua.  Qual  sia  questa  radicale unità  da  cui  move,  ed  alla  quale  ritoma  il  processo psicologico,  diremo  fra  poco.  Torniamo  al  Vico. La  Ragion  pratica,  l'Autorità,  VAuctorUas  naturalis^ che  per  lui  costituisce  la  base  del  processo  pratico  in tutt'e  tre  i  momenti  in  che  questo  si  svolge,  non  è  già un  primo  staccato  da  un  altro  primo  al  tutto  formale, ma  è  un  secondo  che  si  converte  con  un  primo^  e  per tale  conversione  formano  entrambi,  anziché  dualità  irresoluta, unidualUà,  Per  l'Autore  della  Scienza  Nuova  la ragione,  in  quanto  ragione,  è  una  non  due,^  Non  due perciò  le  sorgive  onde  rampollano  i  ragionamenti  ;  bensì *  Il  significato  della  storia  pel  Kant  si  riduce  a  questo.  Come  gli uomini  si  son  costituiti  in  società  per  ischivar  la  guerra,  cosi  tutt*  i popoli  tendono  a  stabilirsi  in  federazione  universale  {Idée  de  eeque  pourrait  ètre  Vhiètoire  universelle  dana  le»  vuee  d^n  eitoyen  du  monde,  1784). La  P  sentenza  è  un  errore  degno  degli  Hobbesiaui:  la  2"  è  un'utopia la  quale  partorisce  1*  altra  della  Pctce  universnlcf  e  V  altra  ancora  d*  una Chiena  filoeofica  il  cui  fine  dovrebb'  esser  quello  di  sorvegliare  alla  mo- rale del  genere  umano  (Vedi  nella  Relig,  dana  lee  lim.  de  la  raiwn).  Sennon- ché è  impossibile  spiegar  la  stona  col  porne  V  origino  in  una  condizione accidentale,  in  una  necessità  euipirica  qual'  è  appunto  la  guerra.  II  fatto isterico  può  essere  spiegato  col  risalire  alle  leggi  psicologiche,  e  scoprirne il  processo.  Or  poteva  egli,  il  Kant,  prefiggersi  tal  fine  s*  ei  non  seppe levare  il  dissidio  fra  le  due  Ragioni  e  mostrarne  la  conversione  V  Da  ciò anche  dipende  quel  proporre,  air  attuazione  del  progresso,  mezzi  affatto artiflziali  com'è  la  federazione  universale,  la  chiesa  filosofica,  e  simili. *  «  Con  lo  apiegarai  delle  umane  idee^  i  fatti,  i  diritti  e  le  cose  umane si  andaron  sempre  più  dirozzando,  prima  dalla  acrupoloaità  delle  auperatìzioni,  poi  dalla  aolennità  degli  atti  legittimi  e  dalle  angustie  delle  parole, finalmente  da  ogni  eorpìdenxa;  per  ridursi  al  loro  puro  e  vero  principio che  è  loro  propria  aoatanza.  *  Or  qual  è  questa  aoatanza  propria,  qual  è questo  principio  vero  e  puro  àe^ fatti  e  de'  diritti  umani^  eh'  è  dire  del- l' ordine  pratico?  È  la  aoatanza  umana,  la  noatra  volontà  determinata

dalla  noatra  mente  con  la  Forza  del  Vrbo  che  ai  chiama  Coscienza. {Prima  Se.  Nuova,  lib.  II,  p,  44-5.) due  le  maniere  del  ragionare.  Di  fatto,  se  lo  spirito  in quant'  è  conoscere  (Batio)  produce  il  vero  e    la  scienza  ; e  in  quant'  è  operare  (Auctoritds)  produce  il  certo  e  cosi esplica  e  conferma  la  prima,  ovvero  la  prenunzia  e  Y  an- ticipa ;  ne  viene  che  tra  Y  ordine  teoretico  e  Y  ordine pratico  una  conversione  è  necessaria.  In  che  risiede r  intima  natura  della  volontà?  Intelletto  e  volontà,  nel- r  ordine  psicologico  spontaneo,  hanno  radice  comune: per  cui  se  r  atto  del  volere  non  è  propriamente  atto d' intendere,  e  nondimeno  lo  sforzo  d' intendere  :  è  lo stesso  conoscere,  ma  in  quanto  si  realizza  come  Ragione universale,  come  operare  umano,  autonomo,  razionale. La  ragione  dunque  è  facoltà  di  conversione  per  eccellen- za ;  e  quindi  lo  spirito  dee  conformarsi  al  naturale  ordin delle  cose.  E  che  è  mai  il  naturale  ordin  delle  cose?  È la  Datura,  l'essenza,  il  valore,  l' essere  stesso  delle  cose.* Ora,  conformarsi  all'essere  delle  cose,  non  vuol  dire convertirsi  con  lui,  diventar  lui?  Col  concetto  d' ordine adunque  il  Vico  determina  la  natura  non  del  solo  co- noscere ne  del  solo  operare,  ma  la  natura  d' entrambi; cioè  della  Ragione  vivente  e  concreta;  della  Ragione  co- mune, universale,  imiana.  La  quale,  supponendo  già  il concetto  d'ordine,  cioè  dire  supponendo  il  processo Qpnoscitivo,  importa  anche  il  processo  operativo  come risultato  necessario  dell'  essenza  umana.* *  Con/ormatìo  eum  ipso  ordine  rerum  e$t  et  dicitur  batio.  {De  Univ, Jur.^  Proem.j  7.)  Questa  con/ormatio  mentis  suppone  già  il  processo  cono- scitÌTO,  e  quindi  il  criterio  della  Convernone  del  vero  col  fatto.  Ella  dunque è  risultamento  delle  funzioni  teoretiche,  e  insieme  principio  delle  fun- zioni pratiche.  È  la  sostanza  umana  determinata  con  la  Forza  del   Vero. *  Il  Rosmini  nella  FU.  del  Diritto  (voi.  I,  sez.  II,  X)  fa  la  critica del  concetto  d*  ordine  com'  è  inteso  dal  Vico.  Il  Finetti  area  fatto  lo stesso  fin  dal  secolo  scorso  nelle  sue  polemiche  col  Dnni  e  col  Concinna. {De  Prineip.  Jur.  ec,  tom.  II,  cap.  VI.)  Ma    V  uno    1* altro  s*è  accorto come  la  facoltà,  che  per  Vico  dee  conformarsi  air  ordine  naturale,  non  sia il  puro  conoscere  e  neanche  il  solo  operare;  cioè  non  la  Ratio  e  nemmanco

VAuetoritas,  ma  la  Ragione  per  eccellenza,  la  Ragione  in  quant' è  risultato finale  e  quindi  princìpio  del  doppio  processo  psicologico.  £  la  ragione,  in- somma, in  quanto  è  conversione  essenziale  con  la  natura,  con  la  storia, con  lo  Stato,  col  supremo  suo  fine,  e  della  quale  il  Duni  dice  che  dove Concludiamo  quant'  al  processo  pratico.  La  ragion pratica  non  contraddice  alla  teoretica.  Intanto  eli' è pratica,  in  quanto  è  comando  ;  ma  è  comando  della  ragione fondata  nel  concetto  del  fine  razionale,  che  vuol dire  d' un  fine  il  quale  iraponesi  come  legge,  e  perciò come  imperativo.  Cotesto  fine  imperante,  manifestato  o imposto  dalla  ragione  (e  tutto  ciò  per  noi  è  ragion pratica),  inevitabilmente  importa  la  necessità  etica,  il cui  soggetto  è  la  volontà:  ond'  è  che  tra  la  volontà  e  il suo  fine,  eh'  è  appunto  il  bene  morale,  òorre  una  sin- tesi necessaria.  Che  se  l' imperativo  per  Kant  è  la  stessa volontà  in  quanto  è  libera  da  ogni  movente  particolare e  d'ogni  particolare  interesse;  anche  per  noi  cotesto  imperativo è  il  volere  libero  da  ogni  qualunque  motivo, meno  da  quello  che  scende  dalla  ragione,  o  per  mezzo della  ragione;  ma  di  quella  ragione  pura  o  conoscitiva la  quale,  essendo  il  vero  convertentesi  col  fatto,  intende e  legittima  il  fenomeno.  Fra  lei  e  '1  noumeno  non  esiste un  abisso,  com'  è  pur  troppo  pel  Criticismo.  E  in  questo senso  non  ha  torto  Hegel  d'affermare  che  libertà  è ragione,  e  ragione  è  libertà.  Il  motivo  dell'  azione,  in- fatti, è  intrinsecato  con  la  ragione;  scaturisce  non  già dall'  estemo,  come  incontra  nelle  azioni  di  natura  mec- canica, ma  dall' intemo.  L'agente  dunque  è  razional- mente libero;  e  però  è  liberamente  necessario.  Il  per- chè se  una  sintesi  necessaria  annoda  il  volere  col  suo fine,  è  pur  mestieri  che  la  volontà  si  converta  con  la ragione,  e  produca  la  virtù.  Così  nella  sfera  pratica, non  diversamente  che  nella  teoretica,  il  criterio  è sempre  il  medesimo  :  la  conversione  del  vero  col  fatto, eh'  è  dire  della  legge  con  la  volontà.  E  poiché  la  legge neir  ordine  etico  partorisce  il  dovere,  e  la  volontà  nel- r  ordine  giuridico  produce  il  diritto; perciò  accade  che la  Morale,  nella  dottrina  del  nostro  filosofo,  deve  stare al  Diritto  cosi  come  il  vero  sta  al  fatto,  come  la  Ra-non  c'^  uniformaziont,,  non  e'?  ragione,  (Vedi  noi    Saggio  di   Giuritprw denzn   Umvermle^  ediz,  cit.:  voi.  cit.  Gap.  VI.> gione  air  Autorità.  Sono  due  sfere  di  fatti  diversi;  due ordini  di  scienze  differenti  per  origine,  e  per  applica- zione. Il  Diritto  non  iscaturisce  dalla  Morale,  ne  tam- poco la  Morale  potrà  emerger  dal  Diritto.  Se  cosi  fosse, l'una  di  queste  scienze  annullerebbe  l'altra,  assor- bendola. Esse  dunque  non  s'identificano,  ma  si  con- vertono.* Tal  si  è,  come  rapidamente  l'abbiamo descritto,  l'or- ganismo psicologico  ne'  suoi  elementi  e  nella  sua  natura. Ma  quest'  organismo  può  e  debb'  esser  considerato  riguardo a  due  soggetti,  che  sono  l'individuo  e  la  specie, cioè  dire  psicologicamente  e  storicamente.  Nell'individuo ci  è  dato  studiarlo,  come  chi  dicesse,  nella  condizione statica,  cioè  nel  suo  equilibrio,  nella  sua  compiutezza, a  cagione  delle  mutue  relazioni  onde  i  due  processi  ri- chiamansi  a  vicenda.  Psicologicamente,  infatti,  il  pen- siero inaugura,  determina  e  compie  il  processo  pratico. Lo  inaugura  come  senso  in  quanto  eccita  il  potere:  lo determina  come  rappresentazione,  immaginazione,  in- tendimento che  sveglia  e  sprona  il  volere:  lo  compie, finalmente,  come  ragione,  la  quale  costituisce  l'essenza stessa  della  libertà.  La  Ragione  dunque  è  l'atto,  la forma  dell'Autorità;  come  l'Autorità  è  la  potenza  e  la materia  della  Ragione.*  Io  voglio  ed  opero  perchè  cono- sco :    per  altro  potrò  conoscere  se  non  perchè  debbo operare.  La  ragion  del  volere  pone  sua  radice  nel  conoscere ;  come  la  ragione  e  '1  fine  del  conoscere  altro  po- trebb'  esser  che  Y  operare.  Chi  vuol  conoscere  per  cono- scere è  un  mezz'  uomo.  E  la  scienza  per  la  scienza  è frase  ch'io  non  intendo,  come  non  la  intendeva  nem- meno Aristotele.^  I  due  processi,  adunque,  ne'  quali  si sdoppia  e  determina  l' organismo  psicologico  nell'  indi- viduo, s' importano  a  vicenda,  e  tutt'  insieme  compon- •  Sotto  il  rapporto  psicolosrico  può  dirsi,  come  più  d*una  volta  ar- verte  il  nostro  filosofo,  che  ex  Rottone  Auctontas  ipm  orta  ett.  (De  Univ. Jur.,  XCIV.) *  Rayaisson,  Em,  9ur  la  Mitaph.  ec.  T.  I,  1.  T,  cap.  II. gono  un  sol  circolo.  In  questo  circolo  per  1'  appunto  sta l'autogenesi  dello  spirito. Al  contrario  nella  storia,  che  vuol  dire  nella  specie avvisata  come  un  individuo  attraverso  il  tempo,  l'organismo psicologico  ci  è  dato  considerarlo  quasi  in  via di  formazione,  cioè  sotto  il  rapporto  dinamico,  e  perciò nelle  condizioni  del  movimento.  Avviene  infatti'  in  que- st'ordin  di  cose  quel  che  la  scuola  di  Lamarck  pen- sava del  regno  zoologico.  Nell'organismo  compiuto,  nel mammifero,  ci  è  tutta  la  scala  zoologica,  ma  in  atto; al  modo  istesso  che  nelle  differenti  specie  d'organismi inferiori  abbiamo  l'organismo  perfetto,  ma  come  squa- dernato nella  successione  seriale  de'  diversi  momenti

del  suo  sviluppo.  Se  questa  dottrina,  secondochè  altrove diremo,  non  è  al  tutto  vera  in  ordine  alla  storia

naturale,  è  verissima  nella  storia  umana.  La  condi- zione statica  non  può  verificarsi  nell'  ordine  de'  fatti, massime  de' fatti  storici.  Nel  regno  della  realtà,  anziché quiete  ed  equilibrio,  tutto  è  moto  incessante,  sviluppo, attrito,  disequilibrio  perpetuo:  onde  la  Statica  sociale de'  Sociologisti  non  è  che  un'  astrazione  del  pensiero.  Il processo  psicologico  adunque,  avvisato  staticamente,  è tipo,  è  realtà  compiuta,  alla  quale  c'innalziamo  scru- tando la  natura  dell'individuo,  investigando  le  leggi  della psicologia.  Un  processo  psicologico  in  via  di  formazione non  è  altrimenti  Statica,  ma  Dinamica.  Ora  il  processo psicologico  è  r  atto,  il  tipo  del  processo  isterico;  e  quindi vana  impresa  è  il  pretendere  d' imprimer  ÌForma  di scienza  alla  storia,  senza  porvi  a  fondamento  imme- diato la  psicologia.  La  storia  non  fa  che  ripeter  la psicologia;  ma  al  modo  che  la  circonferenza  ripete  il centro.  Che  è  mai  la  circonferenza  fuorché  lo  stesso centro  considerato,  direbbe  il  Gioberti,  fuori  di  sé?  Tal è  la  specie  rispetto  aU'  individuo  ;  tal  si  é  pure  la  storia di  fronte  alla  psicologia.*  Ciò  che  nell'  una  si  compie *  Vedi  le  belle  riflessioni  del  Noubisson  in  proposito.  (La  nature humainef  Ess.  de  Fsycol.  appliquée,  Paris  1865,  p.  431  e  se^g.) attaraverso  lunghi  secoli,  nell'  altra,  cioè  nell'  individuo, s' assolve  attraverso  una  serie  d' anni  e  di  differenti  età. E  ciò  che  sono  i  secoli  per  la  storia  e  gli  anni  e  le diverse  età  per  l' individuo,  sono  per  la  coscienza  at- tuale que'  diversi  momenti  necessari  aftinché  ella  possa recare  in  atto  la  doppia  fimzione  del  conoscere  e  del- l' operare. Ma  per  quante  sian  le  differenze,  la  legge  è  sempre una;  non  essendo  possibile  che  le  note  essenziali  alla specie  manchino  ai  membri,  manchino  agli  elementi  di essa,  ciò  è  dire  agP  individui.*  Perciò  nella  storia  tanto  il processo  teoretico  quanto  il  processo  pratico  s'inau- gura cod  come  nell'  individuo.  U  senso,  lo  vedremo  in altro  luogo,  sale  a  ragione  attraverso  le  funzioni  in- termedie dell'immaginazione  e  dell'intendimento.  Il potere,  l'istinto  (il  che  verificheremo  nella  sociologia) assume  valore  di  Ubertà  mercè  la  successione  delle moltiplici  forme  cui  soggiaccion  le  passioni  e  le  deter- minazioni del  libero  arbitrio,  e  siffattamente  crea  il Diritto  e  lo  Stato.  Così  la  storia  è  una  correzione  lenta ma  incessante,  ma  progressiva  di  due  forze  che  mai non  posano,  Autorità  e  Rag^ne.*  La  molla  occulta  del- *  Ce  qui  9e  paage  dan»  Vévolvtion  4e  Vindividu  est  la  tacine  de  ce  qui se  passe  dans  VévoìuHon  de  Vétte  eoUectii*.  (Littbé,  PatoUs  de  Phil.  Posit. 2*  ed.)  Ognan  vede  che  questo  principio  non  è,  come  ci  dicono  i  Po- sitivisti di  Francia,  una  loro  invenzione  peregrina.  È  uno  de*  con- cetti fondamentali  della  Scienza  Nuova;  ed  è  insieme  la  correzione del  Comtismo,  per  la  ragione  più  volte  rammentata  che  la  psicologia pel  Vico  non  iscatnrìsce  dalla  storia,  ma  è  anzi  la  storia,  cioè  la  scienza istorica  quella  che  dee  tórre  a  modello,  a  criterio  la  psicologia. *  Tutte  le  opere  del  Vico  sono  una  dimostrazione  continua  di quésto  concetto.  Lasciando  delle  facoltà  d*  ordine  conoscitivo,  basta meditare  le  diverse  forme  attraverso  cui  procede  VAutotità,  per  vedere come  davvero  ella  sia  potenzialmente  ragione.  Vi  è  progresso,  per  dime un  esempio,  fra  le  tre  forme  d*  autorità  monasHcOf  economica  e  eivUe  (De Univ.  Jut.  LXXIII  e  segg.)  ;  e  vi  ò  progresso  nella  storia  dell*  autorità considerata  nelle  diverso  maniere  del  reggimento  politico  {Ptima  Se,  Nuova, p.  IH  e  segg.  —Sec.  Se.  Nuova,  p.  236,  342  e  segg.,  471,611  e  segg.) Scoprire  la  conversione  dell'  Autotità  con  la  Ragione,  è  una  delle  sue principali  esigenze,  e  quindi  uno  de'  precipui  aspetti  della  Scienza  Nuova. r  umano  progredire,  infatti,  sta  nella  faticosa  conver- sione d' entrambe.  Perchè    la  storia  è  la  vita  del  ge- nere umano,*  il  processo  di  questa  vita,  lo  svolgimento  di quest'organismo  altro  non  potrà  essere  fuorché  il  ridursi di  quella  dualità  a  valore  d' unità.  Il  processo  istorico adunque  non  fa  che  ripetere,  ma  sotto  forme  sempre diverse,  il  processo  psicologico  :  talché  se  la  psicologia, come  ha  detto  il  Michelet,  é  quasi  la  storia  in  miniatura, cioè  la  storia  come  raccolta,  adunata  e  quasi  concen- trata in  un  sol  punto;  la  storia  alla  sua  volta,  secondo l'osservazione  altrove  accennata  del  Cattaneo,  altro  non sarà  che  la  psicologia  stessa  in  più  vaste  proporzioni,  e sotto  aspetti  molteplici  e  svariatissimi.  Ma  quel  punto, quel  centro  (ripetiamo  la  figura),  vai  tutta  la  circonfe- renza; vai  più  che  la  circonferenza.  Se  la  psicologia infatti  nasce  dalla  storia,  chi  vorrà  dire  che  la  prima non  possa  essere  altro  fuorché  una  semplice  appendice della  seconda?  La  psicologia  è  superiore  alla  storia, come  il  presente  è  superiore  al  passato.  E  le  leggi psichiche  sono  anteriori  a  quelle  del  fatto  istorico,  al modo  istesso  che  il  criterio  e  la  norma,  in  generale, sono  anteriori  alla  materia  interpretata  e  giudicata.' Perciò  dice  che  il  suo  libro  è  anche  nn».  JUotoJia  deW  autorità  {Sec.  Se. Nuova^  p.  148,  171)  atta  a  ridurre  a  leggi  certe  V  umano  arbitrio  di  ma natura  incertÌ9»imo  (p.  174). *  Vita  generila  humani  Hiètoria  est,  [De  Univ.  Jur.  XCXIX.) *  Il  Taine  dice  benissimo  dove  osserva  che  la  pttyeologìt  ««  à  ehaque départentent  de  Vhintoire  humaine  ce  que  l^i  physiologie  generai^  e»t  h  la phyaiologie  partictdiire.  de  ehaque  esplce  ou  doAèe  animale.  {De  Vlntelli- gence,  t.  I,  Pref.  p.  7.)  Che  oggi  la  psicolog^ia  debba  esser  condizione essenziale  alla  scienza  del  fatto  storico,  ninno  è  che  ne  dubiti.  Ma  la questióne  ò  ben  altra,  e  di  ben  altro  valore  che  non  crede  il  Taine. Come  s' ha  da  considerar  la  psicologia  rispetto  alla  storia,  e  perciò r individuo  rispetto  alla  specie'?  Ecco il  punto!  Predicarci  la  necessità della  psicologia  nella  indagine  del  fatto  storico  è  un  bel  nulla,  se  innanzi tratto  non  si  stabilisca  qual  relazione  corra  fra  le  due  scienze.  Mi  spiego subito.  Se  Io  svolgersi  delle  concezioni  religiose,  delle  creazioni  artistiche e  letterarie  e  delle  scoperte  scientifiche  in  un  dato  periodo  istorico  e presso  un  dato  popolo  non  sono  in  realtà  altro  che  un'  applicazione,  un caso  particolare  di  quelle  medesime  leggi  che  in  ogn'  istante  regolano  lo svolgimento  psicologico  di  ciascun  nomo  ;  brevemente,  se  il  fatto  storico H  nostro  filosofo  non  pure  colse,  ma  dimostrò  la  re- lazione tra  r  uno  e  V  altro  ordin  di  fatti,  e  fece  quel che  non  giunsero  a  fare  i  nostri  platonici  e  aristotelici del  Rinascimento;  ciò  che  non  fece  tutto  il  Cartesia- nismo; ciò  che  dopo  di  lui  non  seppe  fare  il  Critici- smo in  ordine  alla  storia;  ciò  che  non  han  fatto,  né sanno  fare  i  Positivisti  e  gli  Idealisti  assoluti;  i  quali trascendono  il  positivo  perchè  disconoscono  la  difficile arte  de'  confini  nella  scienza  del  mondo  e  della  storia. Alla  sua  mente  lampeggiò  il  vero  concetto  dell'  ente umano:  il  concetìo  àeW  individuo  universale  vivente, concreto,  reale;  e  sotto  doppia  forma  venne  applicando il  suo  massimo  criterio  della  conversione  del  vero  col foHo  nel  conoscere,  e  del  certo  col  vero  nell' operare. Recò  in  atto  quindi  non  una,  ma  due  grandi  leve,  la psicologia  da  una  parte,  e  la  critica  de'  fatti  storici  dal- l'altra;  la  filosofia  e  la  filologia;  e  perciò  un  a  priori  di natura  puramente  psicologica,  e  un  a  posteriori  indagato pazientemente  con  oculata  osservazione:  e  così  gettando le  basi  del  vero  metodo  storico  razionalmente  positivo, riesci  a  comporre  la  scienza  dello  spirito.  Però  Storia e  Psicologia  non  sono  due  cose,  ma  una.  Esse  formano la  vera  scienza  dello  spirito,  quando  sian  portate  ad  un fiato,  com'  egli  dice  con  significantissima  frase.  Ecco  il grande  valore  della  Sdensfa  Nuova,  per  quanti  possano essere  i  suoi  difetti  nella  forma,  n^l  disegno,  nelle  con- clusioni, nelle  applicazioni.  Lo  dichiara  egli  stesso  :  «  il mio  libro  è  wrxR  filosofia  deW umanità.  »  Perchè  filosofia? non  è  che  un'applicazione  delle  lejrgi  psicologiche:  ne  viene  che  nella psicologìa  solamente  possiamo  ritrovare  il  criterio,  il  principio,  la  teorica da  applicare  nella  intorpretaziono  del  fatto  isterico.  Dnnqne?  Danque (mi  par  chiaro)  la  psicologia  è  anteriore,  e  superiore  alla  storia.  Or  io non  so  davvero  come  siffatta  conseguenza  possa  accordarsi  co'princìpii del  Taine,  specie  con  quello  ond'ei  ci  dichiara,  che  il  fatto  della  co- scienza non  è  altro  che  vm  fantamna  metajinco!  Il  problema  storico  è problema  psicologico:  lo  sappiamo  anche  noi  da  un  secolo  e  mezzo  a questa  parte.  Quel  che  non  sappiamo  è  il  modo  col  quale  il  valoroso estetico  francese  potrà  giugnere  a  risolvere  cotesto  problema  col  suo Positivismo. perchè  ne  inve^iga  le  coffionV  Or  le  cagioni  imme- diate e  positive  del  processo  istorico,  non  s'hann'  a  ra- dicar tutte  nel  processo  psicologico,  eh'  è,  dire  nella  na- tura umana  ?  *  Volere  investigar  le  ragioni  della  storia nonché  i  principii  della  sociologia  invocando  la  dicdeUica immanente  détta  Idea  come  fan  gli  Hegeliani,  ovvero r  opera  della  Provvidenza  immediata  come  fanno  Onto- logisti  e  Teologisti  ;  è  uscir  dalla  Storia,  dalla  natura umana,  dalla  psicologia  ;  ed  è  rendere  il  processo  storico un  processo  affatto  meccanico  e  arbitrario.  Un  principio estrinseco  e  superiore  che  non  emerga  dalle  viscere stesse  della  storia,  ma  che  alla  storia  si  sovrapponga  e s'imponga,  che  cosa  dee  produrre?  Da  una  parte,  mec- canismo, e  arbitrio  dall'altra.  Ed  è  anche  un  uscir  dalla storia,  dalla  psicologia  e  dalla  natura  umana,  queir  in- vocare i  soU  fatti  siccome  leggi  empiriche  riferendole  a cagioni  tutte  estrinseche,  tutte  mutabiU  tutte  acdden- taU,  come  sono  il  clima,  la  razza,  l'educazione  e  cento e  mille  condizioni  esteriori  e  secondarie  di  cui  ci  par- lano i  positivisti  e  i  filosofi  dett*  avvenire. Il  fondamento  razionale  positivo  del  processo  istorico dunque  è  l'organismo  psicologico,  ma  ravvisato  come processo.  Questa  precisamente  è  l' esigenza  più  legitti- ma, la  condizione  più  salda  del  metodo  istorico  che  sca- turisca dalle  opere,  dalle  dottrine,  dalla  mente  del  Vico. Metodo  isterico  è  anch'esso  metodo  genetico,  metodo eduttivo.  E  metodo  genetico  vuol  dir  metodo  essenzial- mente psicologico.  Ne  segue  perciò  che  la  legge  isterica delle  tre  età  {Divina,  Eroica,   Umana),  pone  sua  ra- *  Ved.  Prim,  Se  Nuav.y  p.  248. *  Le  tre/any  o  stati  del  PositÌTismo  francese  non  sono  che  un  fatto, una  legge  empirica,  non  la  ragione,  non  il  principio  delia  storia.  Lo  con- fessa lo  stesso  Littré;  il  quale  perciò  avendo  visto  la  necessità  di  correg- gere e  compiere  anche  in  questo  il  maestro,  alle  tre  fasi  del  Comte  sosti- toisce  le  cinque  forme  di  civiltà  calcate  sopra  altrettante  facoltà  psi- cologiche. (Vedi  A.  Comte  et  la  Phil,  Pont.)  Cosi  il  Littré  ritoma  al Vico,  cioè  al  concetto  psicologico,  quantunque  sbagli  nella  scelta  della strada. dice  non  già  in  un  fatto  parHccHare  quale  sarebbe  il  na- scere, il  crescere  ed  il  perire  dell'individuo,  come  ve- demmo pretendere  il  Vera  (p.  128),  ma    neljo  stesso organismo,  nello  stesso  circolo  delle  funzioni  psicolo- giche. Ciò  che  dunque  è  processo  teoretico  e  pratico deUe  facoltà  e  quindi  conversione  del  vero  col  fatto  e  del certo  col  vero  nell'  individuo  ;  nella  specie,  nella  comu- nanza civile,  assume  forma  e  valore  d' organismo  e  di processo  isterico.  Ecco  perchè  nello  svolgimento  della storia  e  delle  diverse  civiltà,  lo  stato,  la  fase,  o  (secondo il  linguaggio  del  Vico)  V  età  divina  ritrova  sua  ragione intima,  immediata,  nel  predominio  ed  esplicazione  deUe due  funzioni  elementari,  empiriche  e  naturali,  che  sono il  Senso  ed  il  Potere.  La  fase  eroica^  per  contrario,  è V  incarnazione  del  Volere  e  dell'  Immaginazione.  E,  final- mente la  fase  umana  è  V  attuazione  e  quindi  il  trionfo e  la  signoria  della  Ragione  spiegata,  la  quale  neU'  or- dine della  vita  civile,  politica  e  sociale  si  traduce  nel trionfo  della  libertà.  La  storia  dunque  è  un  organismo come  la  psicologia;  e  quindi  le  leggi  psicologiche  sono il  criterio  interpretativo  principale  del  fatto  isterico. Questo  è  il  vero  concetto  della  VoUcer  Psycólogie  per VA.  della  Scienza  Nuova.  Dove  sta  il  difficile?  Ap- punto nel  far  cotesti  interpretazione;  appunto  nel- r  applicare  le  leggi  psicologiche  alla  storia.  In  tale applicazione  occorre  schivare  (come  vedremo  in  So- ciologia) que'  due  gravissimi  errori  ne'  quali  rompono Hegeliani  e  Positivisti:  cioè  l'universalismo  nel  com- porre la  filosofia  della  civiltà,  e  il  particolarismo  e  '1 determinismo  nel  fissarne  le  leggi.  Due  perciò  sono  le condizioni  razionali  per  la  scienza  della  storia:  V  appli- care al  fatto  isterico  le  leggi  psicologiche  ;  ma  applicar- le, non  già  all'  umanità,  come  fanno  i  seguaci  di  Hegel, bensì  a'  popoli,  alle  schiatte,  alle  tradizioni  :  2**  tener conto  delle  mille  cagioni  estrinseche  ed  irraziouaU  che in  modi  infinitamente  diversi  e  molteplici  turbano  lo svolgimento  della  storia;  ond' emerge  la  necessità,  ripe* tiamolo,  della  psicologia  e  della  crìtica  storica  nello stabilire  i  principii  deUa  filosofia  dello  spirito. Or  cotesto  metodo,  oltreché  nelle  dottrine  metafisi- che, anche  nelle  teorie  storiche  e  sociologiche  risulta logicamente,  come  vedremo,  dallMndirizzo  medio  del- l'Aristotelismo rappresentatoci,  ne'  tempi  moderni,  dalla Sdenta  Nuova.  Nella  Sdenta  Nuova,  e  perciò  nel  me- todo isterico  e  psicologico  del  Vico,  abbiamo  la  con- danna più  severa  e  la  confutazione  di  fatto  degli  estremi indirizzi  aristotelici  rinnovatisi  in  questo  secolo  per opera  dell'  Hegelianismo  e  del  Positivismo  nel  regno degli  studi  storici  e  sociologici. Ma  qual  è  la  genesi  e  quindi  la  teleologia  del  pro- cesso psicologico?  That  is  the  question! Capitolo  Sesto. genesi  e  teleologia  psicologica. Lo  spirito  ha  le  sue  leggi  come  la  natura;  ed  è anch'  egli  un  organismo  come  la  natura.  Perciò  dap- prima è  Sintesi  iniziale,  come  si  disse,  poi  Analisi,  poi Sintesi  finale.  Spencer  direbbe  che  l' organismo  psicolo- gico procede  dall'  omogeneo  indeterminato,  all'  etero- geneo; e  dall'eterogeneo  (avrebbe  dovuto  aggiungere;,  fa ritomo  all'  omogeneo,  ma  all'  omogeneo  determinato  e universale.    Fin  qui  abbiamo  studiato  la  psicologia  nel fatto.  Movendo  da  una  dualità  empirica,  cioè  dal  senso che  iniziando  il  processo  teoretico  s' eleva  a  dignità  d'in- telletto, e  A^X  potere  che  preludendo  al  processo  pratico assume  valore  di  libera  volontà,  abbiamo  sorpreso  l'orga- nismo psicologico  nel  momento  stesso  dello  sviluppo, dell'analisi,  dell'eterogeneità, della diflFerenza e  moltipli- cità  delle  sue  funzioni.  Or  è  d' uopo  rimontare  all'ori- gine psicologica.  È  d'  uopo  ricercar  la  cellula  madre  di quest'organismo.  È  d'uopo  investigare  il  centro  di  questo cìroolo,  la  sintesi  origìiiaxia  di  quest'analisi  che  a  noi porge  la  coscienza. La  genesi  dello  spirito  vuol  esser  guardata  in  tre modi,  sotto  tre  forme,  per  tre  fini  diversi  :  psicologi- camente, logicamente,  ideologicamente.  La  Psicologia studia  lo  spirito,  ma  in  quanto  è  un  multiplo  di  funzioni, d*  operazioni,  di  facoltà.  La  Logica  studia  lo  spirito,  ne ricerca  le  funzioni  psicologiche,  ma  in  quanto  producono, generano,  partoriscono.  L' Ideologia,  finalmente,  studia anch'  essa  lo  spirito,  ne  indaga  le  funzioni  psicologiche, ma  guardandole  ne'  lor  prodotti  generali  La  Logica  dun- que siede  in  mezzo  all'  una  e  all'  altra  scienza.  Ella  studia non  altro  che  relazioni  :  studia  le  relazioni  fra  la  causa e  l'effetto,  le  attinenze  tra  la  forza  e  le  sue  produzioni, e  quindi  raccoglie  leggi  universali,  attinenze  necessarie, poiché  se  lo  spirito  si  differenzia  appo  gl'individui  per attività  ed  energia  di  potenza  e  per  moltiplicità  di  risul- tati, non  differisce  menomamente  per  le  leggi  alle  quali dee  soggiacere  ciascun  individuo.  La  Logica  è  universale, obbiettiva;  e  quindi  indipendente  dal  soggetto,  non  al- trimenti che  la  matematica.  Or  queste  tre  scienze  che r  analisi  immoderata  delle  scuole  ha  ridotto  a  frantumi, non  sono  che  tre  aspetti  d'un  medesimo  subbietto:  d'un subbietto,  cioè,  avvisato  P  come  forza  e  potenza:  2**  come atto  e  risultato  ;  3**  finalmente  come  potenza  in  quanto diventa  atto,  e  però  come  relazione  dell' un  termine verso  l'altro.  Psicologia,  dunque.  Logica  e  Ideologia dovranno  condurci  ad  una  medesima  conseguenza  nel problema  su  la  gencHi  psicologica. Nel  processo  psicologico  dicemmo  esserci  un  primo ed  un  ultimo  atto.  Questo  primo  e  quest'ultimo  atto, anziché  facoltà,  come  pretendon  gU  Spiritualisti,  anzi- ché semplici  condizioni  psicologiche  riducibili  alla  fin fine  alle  funzioni  biologiche,  come  ci  predicano  i  Posi- tivisti,* sono  invece  facoltà  delle  facoltà.  E  son  tali  per- *  Per  esempio  Sr.  Mill  {La  PhU,  de  Hamilton,  trad.  CazeUes  1869, e.  Vili,  p.  188).    H.  Taink  (2>«  VintelUgence,  T.  II.  1.  1,  e.  II,  §  VIII). che  runa  d' esse  è  originaria,  e  V  altra  è  complementare  ; perchè  la  prima  è  potenza,  e  la  seconda  è  atto  :  perchè,  in somma,  quella  è  T  Io  in  quant'  è  coscienza  primitiva,  e questa  è  V  Io  in  quant'  è  pienezza  di  personalità,  auto- coscienza. Or  è  mestieri  ammettere  che  la  coscienza,  in quant' è  facoltà  détte  facoltà,  esista  dapprima  come potenza  originaria;  preesista  com' energia  irreducibile; preceda  come  atto  che  sia  tutto,  e  nulla;  e  vaglia  quindi a  costituir  la  natura  stessa  di  quell'ente  che  nella  scala zoologica  diciamo  ente  umano,  E  innanzi  tratto,  s'egli  è vero  che  le  fimzioni  psicologiche  convengon  tutte  nell'es- sere un  conato  di  natura  essenzialmente  teleologica,  è d'uopo  che,  attraverso  a  tutte  e  in  fondo  a  ciascuna,  si occulti  un  atto  rudimentale,  radicale,  comune,  essenzial- mente generatore,  contenente  universale  e  indeterminato del  doppio  processo  psicologico  teoretico  e  pratico.  D' al- tra parte,  se  il  fatto  ci  addita  una  dualità  empirica, concreta  ed  elementare,  cioè  il  senso  e  il  potere  ;  ne  viene che  queste  due  facoltà,  sia  che  le  si  guardino  nel  loro obbietto  e  natura,  sia  che  nel  fine  cui  sono  indirizzate, ci  rappresentino  due  opposti,  ci  esprimon  due  contrari; e,  come  tali,  abbisognano  d'un  soggetto  comune  in  cui (secondo  l'esigenza  dell'Aristotelismo)  elle  sussistano originariamente.  La  duaUtà  empirica  e,  per  così  dirla, sensata,  ci  rimena  infatti  $ui  una  dualità  superiore  e trascendente,  la  quale  a  sua  volta  non  può  non  essere altresì  unità,  unità  confusa,  unidualità  anteriore,  e  della quale  possiamo  dire  ciò  che  Aristotele  afferma  delle parti  avvisate  in  riguardo  al  tutto.  Se  la  parte  poten- zialmente e  cronologicamente  precede  il  tutto;  attual- mente e  logicamente  il  tutto  dee  preceder  la  parte.* ^Xou  xai  >f  uX>i  TT^c  ouVtac"  Jtar'  «vT«Xj;^tiav  5'  u^7«/oov  5«a- XxtBivroi-  y(/.p  x«t*  £vTi>JX«*av  «(T']at.  (Met.  V.)  Ecco  la  ragiono (sia  detto  di  passata)  onde  la  Psicologia  differisce  in  immenso  dalla Zoopsicologia,  checché  ne  dicano  il  Darwin,  V  Agassiz,  il  Vogt  ed  altret- tali. Neir  ordino  zoopsicologico  la  dualità  empirica  del  »etuo  e  dell'  i»Hnto esiste;  ed  è  unità  confusa,  è  unidualità:  ma  riman  sempre  tale,  sempre Questo  tutto  originario,  quest'  unità  la  quale  anche come  primigenia  è  numero,  cioè  unìdualità  e  però  facoltà déHe  facóUà,  è  ciò  che  con  antica  ma  significativa  pa- rola il  Vico  suole  appellar  mente,  mens.^ Alla  medesima  conseguenza  ci  conduce  la  logica  e r  ideologia.  Rammentiamoci  della  dottrina  su  la  cono- scenza. Se  neir  ordine  del  conoscere  il  fatto  è  il  dato,  il fenomeno,  ciò  eh'  è  posto,  la  cieca  percezione;  insomma, ciò  che  non  può  esser  conosciuto  di  per    stesso:  il vero,  per  conta'ario,  è  V  elemento  ideale,  astratto,  vuoto, formale,  a  priori  ;  ma  a  priori  in  quant'  origina  imme- diate dal  seno  stesso  del  pensiero.  In  che  sta,  dunque,  il  nello  stato  potenziale:  mentre  neir ordine  psicologico,  cioè  umano,  ella diventa  atto,  numero,  e  quindi  il  Senso  e  il  Potere  vi  assumono  anche valore  di  sentimento  e  di  coscienza.  Se  dunque  è  così,  chi  vorrà  credere che  quella  dualità  sia  puramente  animale  come  nella  Zoopsìcologia  ?  Se fosse  tale,  non  dovrehhe  restar  sempre  la  medesima,  come  incontra  nel  soar- getto  zoopsicologico?  Dunque  (la  conseguenza  parmi  chiara)  quella  dualità neir  ente  umano  deve  importare  qual  cos'altro  che  non  sia  puro  Senso, né  puro  Istinto. *  Quel  che  latinamente  egli  chiama  men«  cmimi  è  essenzialmente  pen- siero; e  pensare  per  lui  è  manifestare    a    medesimo:  Mens  cogitando se  extbet  {De  AsUiqHÌ9.,  Cap.  VI).  Or  la  mente  è  principio  unico  di  tutte le  facoltà:  principium  unum  Men»;  e  I*  occhio  di  lei  é  appunto  la  ragione: eujw  oculua  Ratio  {De  Univ.  Proem.,  4).  Dunque  ciò  eh'  è  di    e  dentro e  dietro  a  quest'  occhio  eh'  é  la  Ragione,  é  appunto  la  MenU;  la  quale perciò  è  anteriore  a  tutti  i  gradi,  a  tutti  i  momenti  del  processo  cono- scitivo. Se  non  che  lo  spirito,  in  quant'ò  menUf  vede  anch'essa;  altrimenti come  si  farebbe  a  dirla  mente?  Ma  allora  soltanto  ella  disceme,  allora soltanto  é  oechiof  e  perciò  era  visione,  quando  diventa  ragione  epiegata,  e quindi  processo  teoretico.    Per  intender  meglio  il  significato  della  mente, ricordiamoci  del  »ene%u  intemtu,  del  eennu  eui,  della  eoecienta,  cwn-eeientia, di  cui  egli  parla  in  più  luoghi  delle  sue  scritture.  In  ispecie  è  da  riflet- tere quando  afferma,  la  coscienza  essere  insieme  univereale  e  pai-ticolare  ; e  il  senso  intimo,  individuaUt  e  insieme  comune,  fi  da  riflettere  dove accenna  ad  una  facoltà  naturale  e  epontanea  ond'  é  fornita  la  eomuiune natura  degli  uomini.  È  da  riflettere,  finalmente,  e  specialmente,  ove parla  di  certi  giudizi  istintivi  eh'  egli  chiama  giudizi  fatti  sknza  bifles- 8I0NK.  (Vedi  Prim.  e  See.  Se  Nuow%  passim.)  Or  di  sotto  a  questo  lin- guaggio esce  chiara  una  conseguenza;  la  necessità,  cioè,  di  riconoscere come,  attraverso  a  tutte  le  diiferenti  forme  psicologiche,  esista  un  punto centrale  onde  s' irradiano  e  dove  si  riconducon  tutte  le  funzioni  dello  spi- rito. Quest'esigenza  psicologica  nel  Vico  parmi  evidente  per  ciò  che  s*  è detto,  e  per  ciò  che  ancora  diremo. conoscere?  Nella  conversione  de' due  elementi.  Intendere è  legere;  e  legere  è  cdligere  dementa  rei,  cioè  coUigere  il vario  sensato,  il  fatto.  Questo  fatto  dunque  vien  raccolto e  innalzato  a  dignità  di  vero  e  quindi  ad  unità,  appunto quando  la  mente,  generando    stessa,  conosca  insieme  la guisa  onéPtma  cosa  è  fatta.  Or  in  cotesta  genesi  hawi  un intimo  vincolo  per  cui  V  eiFetto  è  anche  causa,  e  la  causa eflFetto;  ed  è  questa  quella  tal  funzione  eduttiva  onde la  ragione,  annodando  cause  con  cause,  e  però  conver- tendo il  vero  col  fatto  e  viceversa,  rintraccia  il  medio termine,  e  fa  la  scienza  (pag.  242-3).  Se  intanto  il  co- noscere è  un  atto  di  sintesi  ond'il  vero  è  forma,  predi- cato, categoria,  ma  non  per  anche  attributo  e  però cognizione,  mentre  il  fatto  è  materia  e  parvenza  feno- menale; ne  segue,  esser  davvero  una  grande  scoperta della  moderna  psicologia  quella  fatta  dal  Kant  e  le- gittimata in  gran  parte  dal  Rosmini,  ma  presentita  dal nostro  filosofo;  che,  cioè,  pensare  sia  essenzialmente giudicare.*  Che  cos'  è  infatti  il  giudizio  fuorché  il  pre- dicato assumente  forma  evalore  d'attributo?  Dunque, anziché  nel  cogliere  il  puro  vero,  o  nell'  apprendere  il puro  fatto^  il  giudizio  risiede  nel  concetto.  Ma  che  è egli  mai  il  concetto  salvochè  la  conversione  del  vero col  fatto,  considerati  questi  com' elementi  essenziali nella  sfera  dell'intendimento?  *  Ora,  tornando  al  pro- posito, comecché  il  vero  e  '1  fatto,  convertendosi,  gene- rino il  concetto  e  quindi  il  giudizio,  e  col  giudizio  fac- *  Kant,  Orit.  de  la  Raùon  Pure.  Log,  Tra»cend.,  L.  1.    BosMiin, Nuo,  Sagg,  voi.  II,  Sez.  V,  e.  I. *  L' atto  del  conoscere  ò  m'rtò  di  vedere  il  tutto  di  eitueheduna  omo, e    vederlo  tutto  ineieme^  ehi  tanto  propriamente  tuona  intblliobri,  e  allora veramente  ueiam  Tintblletto.  (Vedi  Lett.  al  Sotta,  p.  12.)  È  agevole  scor- gere, por  tutto  ciò  che  abbiamo  detto  qui  e  altrove  (p.  241, 275  e  segg.), quanto  nel  Vico  sia  chiara  Tesigeriza  kantiana  deirunirà  eintetica  detTapper- eezione,  non  che  quella  della  percezione  intellettiva  Rosminiana,  e  meglio ancora  (per  qaèl  che  diremo),  V  altra  del  Sentimento  fondamentale.  Ma  in grazia  del  suo  criterio,  al  solito,  si  può  riuscire  a  schivare  il  tubbietti- viemo  e  il  formaliemo  dell'uno  e  delPaltro  filosofo  adoperando  il  metodo deduttivo. cian  possibile  ad  un  tempo  la  coscienza  e  l'esperienza; nuUamanco,  a  somiglianza  delle  funzioni  ond'  essi  ram- pollano, restan  sempre  una  dualità,  ma  dualità  origina- ria; stantechè  non  potendo  T  uno  emerger  dalP  altro, né  r  altro  dalF  uno,  debbano  coesistere  entrambi  nella coscienza.  Se  non  che,  una  dualità  originaria  non  è  forse un  assurdo?  Senza  dubbio,  un  assurdo.  Dunque  è  ne- cessaria certa  unità  iniziale,  intima,  primigenia,  appo cui  1  vero  e  il  fatto  sussistano  germinalmente  come in  grembo  ad  una  sintesi  confusa. Alla  medesima  conclusione  potrebbe  giugnere  chi pigliasse  a  guardar  Y  intero  processo  logico,  cioè  le  fun- zioni teoretiche  tanto  nel  lor  movimento,  quanto  ne'  lor risultati.  Percezione,  Giudizio  e  Sillogismo  son  tre  gradi, tre  momenti,  tre  forme  distinte  d'una  medesima  funzione eh' è  la  Mente.^  Nella  percezione  la  Mente  si  manifesta come  unità  immediata  appo  cui  oggetto  e  soggetto  sian tuttora  confasi.  Nel  giudizio,  invece,  predomina  l'analisi, la  differenza;  perchè  i  termini  standovi  fra  loro  di  fronte l'un  r  altro  e  quasi  irresoluti,  avviene  che  la  mente  deb- basi  palesare  come  dualità.  Ma  poiché  il  giudizio  im- porta necessariamente  un  ritorno  sopra    stesso,  e questo  ritomo  appunto  costituisce  il  sillogismo  ;  accade che  in  questo  ritomo,  nel  sillogismo,  la  mente  si  palesi come  unità  e  dualità  in  atto,  come  triplicità  attuale, come  mente  spiegai'a.  Or  se  T  organismo  logico  e  l'ideo- logico son  anch'essi  un  processo  non  altrimenti  che l'organismo  psicologico;  se  il  risultato  finale  di  cotesto processo,  la  funzione  terminativa  di  cotest' organismo  è •    Tre»  mentit  operationes:  Pkroiptio,  JUDIOIDM,  Batiooinatio.  Tri- bua  artilM  diriguntvr:  Topica,  Critioa,  Mbthooo.  {De  AntiquUe.?  aavT6)v,  Met.  1.  III).  E  s'aggira  poi  attorno alla  seconda,  cioè  al  senso  e  all'  esperienza,  perchè  dee  verificar  la  prima, cioè  dove  inverare  il  principio,  o,  eh'  è  il  medesimo,  dee  convertire  il  vero col  fatto^  il  voù;  potenziale  con  l'esperienza.  Perciò  il  voù;  attuale  è  la conversione  per  antonomasia,  massime  quando  assuma  valore  di  Ragione, Perciò  stesso  la  scienza,  diciamolo  anche  una  volta,  non  può  essere  un magistero  deduttivo,  nettampoco  un  artifizio  meramente  induttivo. *  e  Metaphtfatei  enim  claritat  eadem  eat  numero  ae  illa  lueÌ9  quam  non nin  per  opaca  cogno»eimu».  Si  enim  in  clathratam  fenestram  qua  lucem  in aedee  tuimittitf  intente  ac  diu  intueari»  ;  deinde  in  eorpue  omnino  opacum aciem  oculorum  eonpertae;  non  lucem  «ed  lucida  ckuhra  tibi  videre  videaria. Ad  hoc  imitar  metaphtfeieum  verum  illustre  c«(,  nullo  fink  ooNOL0Drr(TR, NTTLLA  FORMA  disorrnitur;  quia  est  infìnitìim  omnium  formorum  principium  : phy9Ìea  mtnt  opaca,  nempe  formata  et  finita  in  quibu»  metaphyeid  veri  lu- men videmue.  {De  Antiquie,  c.  Ili,  §  8.)  Come  si  vede,  anche  in  ciò  il  Vico non  fa  che  inverare  l' Aristotelismo.  Che  in  Aristotele  infatti  ci  sia  il  con- cetto del  Noùc  potenziale  come  noi  l' intendiamo,  e  però  anziché  passivo, come  parrebbe,  sia  fornito  anch'  egli  d' attività  stantechò  possieda  un oggetto  somigliante  alla  luce  che  fa  essere  in  atto  i  colori,  si  può  vedere dalla  seguente  sentenza:  xa  la  mente in  potenua  d'Aristotele,  2**  V  ettere  ideale  del  Bosmini;  ma  levando  1  difetti che  certo  non  mancano  nelle  loro  dottrine.  Difetto  d'Aristotele,  come  avver- timmo, ò  la  mente  che  vien  difuora.  Difetto  del  Bosmini,  poi,  è  V  immobilità originarla  e  la  presenza  non  legittimata  del  suo  Ente  poetibile  dinanzi  alla mente.  Anche  per  noi  la  mente  vien  di  fuori  ;  ma  questo  di  fuori  è  la  natura in  generale.  È  un  di  fuori  nel  senso  eh'  ella  serba  intimi  vincoli  con  la natura  e  col  sensibile,  e  sorge  per  virtù  propria,  ma  col  mezzo  del  sen- sibile. Tal  si  è  l'interpretazione  che  potremmo  dare  a  questa  celebre  frase aristotelica,    ci  mancherebbero  testi  in  proposito  per  confermarla;  tanto la  natura  non  può  essere  intelligibile  in  quant'  ò  sem- plice realtà,  ma  in  quant' è  potenza  attuosa,  conato, processo,  divenire.  Or  in  che  maniera  potrebb' esser tutte  queste  cose  ove  non  includesse  una  legge,  un  ritmo, una  misura,  una  forma  di  moto,  un  moto  ordinato?  Che s'ella  è  per    stessa  intelligibile  in  quanto  che  espli- candosi mostra    medesima  e  si  fa  intendere  ;  eviden- temente non  potrebbe  fai-si  intendere  ove  non  impor- tasse tre  condizioni,  ciò  è  dire  un  principio,  un  mezzo, ed  un  fine.  Se  dunque  la  natura  è  potenza  attuosa  e quindi  per    stessa  intelligibile,  ha  da  essere  altresì))otenzialmente  intelligente.  E  sarà  intelligente  attuale ove  quelle  tre  condizioni  siano  insieme  compenetrate in  unità:  quando,  cioè,  il  principio  sia  soggetto,  il  fine oggetto,  il  mezzo  relazione. Che  cos'è  dunque  lo  spirito  nell'atto  suo  radicale, nel  suo  momento  originario?  È  soggetto,  oggetto  e  relazione:  pensante,  pensato e  pensiero.  Però  l' intima  sua  struttura  è  insieme  dua- lità e  unità,  difi'erenza  e  medesimezza,  e  quindi,  come si  disse,  triplicità;  ma  triplicità  sotto  forma  di  sintesi iniziale  e  confusa.  Ne  segue  perciò  che  l' intuito,  la mente,  il  NoJ;  potenziale  altro  non  possa  essere,  per noi,  fuorché  il  momento  istesso  in  che  la  natura  di- venta pensiero;  il  momento  per  cui  l'anima  attinge forma  e  sostanza  d'intelletto.  Ora  il  primo  pensiero non  potrebb'  esser  triplicità,  non  potrebb'  esser  sintesi primitiva,  quando  non  fosse  V  intelligibile  divenuto  al- tresì intelligente.  Dunque  la  Mente  è  la  natura  in- carnatasi come  individuo;  l'intuito  è  l'individuo  che, trascendendo    medesimo,  assume  valore  di  coscienza. più  che  interpretazione  somigliante  ne  dettero  alcuni  aristotelici  del  Rina- scimento, fra  cai  meritano  d*  esser  menzionati  il  Porzio  e  lo  Zabarella come  quelli  che  considoramno  la  luce  intelligibile  quasi  di8»eminata  tuHle /arme  materiali^  e  Dio  come  influente  sa  V  irUdletto  potnbihf  non  in quanto  intéUigente,  ma  solo  in  quanto  intelligibile.  (Vedi  Kosmini,  Peieol,, voi.  I    Ddle  Sentenze  de'  FU  ec,  XX.    Rinnooam.  h.  II,  LUI.) Possiamo  dire  perciò  che  cotesto  Noù?  potenziale  ci renda  immagine  della  testa  di  Giano.  Con  una  delle  sue facce  ccrtesto  Giano  guarda  al  processo  della  sostanza; guarda  alla  natura  in  quanto  piglia  valore  d'individuo: dovechè  con  l'altra  inaugura,  geminandosi,  il  processo psicologico,  del  quale  son  due  forme  essenziali  il  processo sociologico,  e  il  processo  storico.  Se  non  che,  lasciando per  ora  del  processo  della  storia  e  della  sociologia,  im- porta notare  come  dalla  costituzione  primitiva  del  pen- siero, secondochè  noi  l'abbiamo  designata,  emergano, fra  le  altre,  alcune  conseguenze  risguardanti  l'essere individuale,  l'origine  e'I  fine  dell'anima.  lUfacciamoci dalla  prima. La  triplicità  originaria,  o,  eh'  è  il  medesimo,  il  se- creto vincolo  fra  oggetto  e  soggetto,  costituisce  la  ra- dice prima  della  individualità,  e  però  il  fondamento cardinale  della  libera  determinazione.  Se  infatti  il  N^uc potenziale  è  due  cose  e  non  una,  cioè  mente  e  luce,  ne segue  che  in  quant'è  niente  è  soggetto;  e  come  soggetto non  può-non  esser  reale,  moltiplioe,  diverso,  individuale: in  quant'è  luce,  poi,  è  oggetto;  e  come  oggetto  deve  ser- bar carattere  indeterminato,  comune,  universale.  Ora  il concetto  di  persona  risale  appunto  al  connubio  di  que- sti due  elementi  primitivi.  E  invero,  come  mai  l' in- dividuo potrebb' esser  in-dividuo  se  non  fosse  ogget- to, fornito  perciò  della  nota  d'universalità?  E  come, d'altra  parte,  potrebb' esser  davvero  universale  ove non  fosse  nello  stesso  tempo  un  soggetto  concreto,  vi- vente, particolare?  Il  particolare  è  il  fatto;  e  al  pari del  fatto  e'  sarà  vero,  quando  assuma  valore  universale, non  ismettendo  d'esser  particolare.  Similmente  l'uni- versale è  il  vero;  e  al  pari  del  vero  sarà  un  fatto, quando  rivesta,  anche  come  universale,  natura  di  par- ticolare. La  conversione  del  particolare  e  del  generale non  può  farsi  che  nell'origine  stessa  del  pensiero.  Or se  tutto  ciò  è  indubitato,  come  potranno  salvarsi  dal- l'errore più  esiziale  all'umano  consorzio,  eh' è  l'annui- lamento  del  vero  concetto  di  persona,  tutte  quelle  di- verse famiglie  di  filosofi  che  altrove  riducemmo  ai  due indirizzi  estremi  del?  Aristotelismo?  Gli  aristotelici  em- pirici e  naturalisti  e  positivisti,  infatti,  distruggon  la  per- sonalità perchè  negano  il  Nou;  potenziale  come  diverso dal  senso;  perchè  lo  riducono  al  senso.  Ma  la  distrug- gono altred  gP  iperpsicologisti  antichi  e  moderni,  cioè gli  Averroisti  e  gli  Hegeliani:  i  primi  perchè  separando i  due  elementi  credono  il  soggetto  abbia  a  partecipare deir  oggetto  posto  fuori  e  sopra  dell'individuo  ;  i  secondi perchè  fanno  assorbir  l'individuo  entro  a  quell'oceano immobile  e  sconfinato,  ch'essi  addimandano  Spirito  Uni- versale. La  quale  affinità  di  risultati  non  avrebbe  a recar  meraviglia,  chiunque  sappia  come  la  dottrina  del- l'in^eZZ^^  agente,  e  l'altra  non  meno  speciosa  dello Spirito  Vniversàlej  rappresentino,  sotto  forme  diverse di  speculazione,  T  Ipeppsicologismo  aristotelico. Da  questa  prima  conseguenza  poi  nasce  una  seconda  di massimo  rilievo.  Posto  il  Noù;  potenziale  non  già  come passivo,  anzi  come  fornito  originariamente  d'attività spontanea  in  quanto  che  nella  sua  nativa  indetermina- tezza è  pur  determinato  da  un  oggetto;  si  riesce  a  schivare così  quell'errore  supremo  a  cui  rompono,  per  vie  diverse, i  suddetti  filosofi  seguaci  de' due  opposti  indirizzi  aristo- telici, e  che  riflette  i  destini  dell'anima  e  dell'umana  per- sonalità. Se  infatti  nella  mente,  nel  NoJc  potenziale  ri- siede la  ragione  della  individualità  e  quindi  la  radice prima  della  personalità,  ne  segue  che  lo  spirito,  essendo coscienza  originaria  e  quindi  soggetto  superiore  all'orga- nismo, non  può,  tuttoché  sgorgato  dall'organismo,  finire così  come  finisce  la  funzione  organica.  Se  l'organismo, come  dicemmo,  è  numero  che  diventa  unità,  o  meglio, unione  d'indole  dinamica  (p.  316),  è  chiaro  com'ei  non possa  altrimenti  finire,  salvo  che  disgregandosi  e  trasfor- mandosi. Il  suo  fine  è  semplice  ritomo;  è  ritomo  pro- priamente detto  :  il  suo  progresso  è  regresso  nel  signifi- cato di  monotono  rifacimento.  Per  contrario  lo  spìrito è  unità  e  numero  sin  dal  momento  ìstesso  eh'  egli  è pensiero.  Dunque  non  può  altrimenti  finire  fuorché attuandosi  vie  piii  e  compiendosi  come  individuo,  come coscienza,  anziché  annullandosi  come  tale  per  vivere  in grembo  all'  universale  d' una  vita  che  non  é  vita.  Il  suo finire  non  significa  ritornare,  ma  persistere.  11  suo  pro- gredire non  è  regredire,  ma  incessante  determinarsi.  Non è  insomma  un  monotono  rifarsi,  un  ripetersi  come  la specie:  é    perpetuo  farsi:  un  perpetuo  rinnovellarsi dell'  individuo  in  sé,  e  per    medesimo.  Che  sia  così, ce  ne  fa  capaci  T  essenza  stessa  del  finito,  delle  forze, della  natura.  Perché,  davvero,  se  la  natura  é  conato essenziale,  non  verrebbe  evidentemente  a  contraddire  a sé  medesima  ov'  ella  non  superasse  il  senso  e,  trascen- dendo il  fantasma,  non  se  ne  distaccasse  rendendosene indipendente?^ *  A  questa  maniera  di  prora  intende  accennare  Platone  dove  afferma che  r  immortalità  non  è    un  eato  di  cui  saremmo  felici  ore  ci  toccasse, nò  una  aperanM  della  quale  è  pur  bollo  lusio^^are  noi  medesimi:  x3c).oV 7a/9  o'  xtv'Tuvoc,  X3tì  jr^vj    roiavra  tò^mp  ffTroé^scv  eaurù. {Fed.^  ed.  Stallbanm,  p.  42.)  Che  se  altri  ci  chiedesse  notizia  su  la  pecnliàr forma  della  nostra  esistenza  sovramondana  e  sul  modo  con  che  il  NoJ; attuale  sarà  unito  con  T  Assoluto,  noi  risponderemmo  francamente  di non  ne  saper  nulla.  WpoaithOfW  razionalmente poA/etVo,  in  siffatta  quistione in  che  consiste?  Consiste  in  ciò;  che  il  Noù;  attuale,  in  quanto  pienezza di  coscienza  e  di  personalità,  finisco  di  necessità  neir  Assoluto,  cioò finisce  col  non  finire;  e  quindi  il  soggetto  j>of«»ùifmeiUe  tn/ìntro, qual  si è  appunto  lo  spirito,  non  può  finire  come  finiscon  gli  altri  soggetti  finiti,  i quali  finiscono  appunto perchò  non  sono  propriamente  aoggeui.  Orda  cotesto pentivo  si  dipartono  tanto  coloro  che  nella  soluzione  di  siffatto  problema  ci vogliono  dar  troppo,  quanto  quegli  altri  che  finiscono  col  non  darci  nulla addirittura.  Escon  dal  positivo  razionale  o  fecondo,  per  cadere  nel  dom- matico  tradizionale,  i  Teologistt  col  loro  inferno,  paradiso,  purgatorio, eternità  delle  pene,  e  che  so  io.  Escon  parimenti  da  questo  positivo,  per cadere  neira  priorinno  dommatico  e  sistematico  .e  nel  Nullismo,  gli Hegeliani  con  la  teoria  dell*  individuo  accidentef  fenomenico  e  pataeggiero, £d  escono  finalmente  dal  positivo  gli  stessi  Positivisti  per  cadere  nel  ne- gativo, sia  che  dicano  col  Littré  esser  davvero  impossibile  indovinar  nulla intomo  a  siffatto  problema,  sia  che  affehnìno  col  Feuerback  di  saperne ogni  cosa  quando  sia  risoluto  co*  principii  dello  schietto  materialismo. 31a  sopra  questo  tema  ci  rifaremo  altrove.  Qui  ci  basti  d'aver  accennato ad  una  maniera  non  troppo  usata  di  provare  la  immanenza  necessaria della  personalità  come  coscienza  individuale. Questo  quant'al  destino  dell'anima  umana.  Che  cosa potrà  dir  la  filosofia  positiva  nuant' all' origine  sua? Tutto  nell'ordine  psicologico  move  dal  senso;  ma nulla  non  può  nascere  per  ragion  del  senso.  Se  lo  spi- rito è  essenzialmente  pensare  e  giudicare,  e  quindi, come  s' è  detto,  luce  metafisica,  intuito,  mente  e  però triplicità;  ne  conseguita  ch'ei  nasce  a    stesso,  ch'ei genera    stesso  come  pensiero.  Ecco  il  vero  significato dell'  innatismo,  dell'  idee  innate,  dell'  innate  facoltà. Questa  conclusione,  circa  l' origine  psicologica,  contrad- dice, al  solito,  tanto  al  Materialismo  che  non  sa  ele- varsi più  oltre  delle  pure  leggi  meccaniche,  quanto  a quell'astratto  e  nebuloso  Spiritualismo  che,  incapace  di scendere  nel  regno  de'  fatti,  non  sa  penetrare  nell'  espe- rienza, ed  alimentarsene.  Però  la  filosofia  positiva,  nel problema  su  l' origine  del  soggetto  psicologico,  non  vuole, non  può  accettare  il  principio  della  trasformazione della  materia  come  pretendon  gli  aristotelici  empirici rappresentati  oggidì  dagli  Hegeliani  di  parte  sinistra  ;  e non  può  del  pari  accettare  il  principio  (pur  ridotto  a forma  squisitamente  razionale  e  metafisica)  d'una  crea- zione estrinseca,  immediata,  superiore,  secondoché  sti- mano, il  tomista,  il  teologist^,  l' averroista,  il  neoplato- nico, r  ontologista.  Dottrine  ipotetiche  entrambe,  elle non  sanno  reggere  al  martello  della  critica.  La  prima riesce  insufficiente  a  spiegare  il  fatto  del  penciero:  la seconda  torna  inutile  a  legittimarne  la  natura. Tra  il  senso  e  V  intelligenza  ci  ha  intimo  nesso  ;  ma ci  ha  da  essere  pure  indipendenza  e  diversità.  Anche qui  si  verifica  ciò  che  ha  luogo  attraverso  a  tutti  i  dif- ferenti gradi  della  scala  de' sommi  generi  cui  si  riducon le  forze  di  natura:  si  verifica,  vo'dire,  quella  doppia legge  che  altrove  appellammo  della  continuità  ideale^  o degl'  intervalli  reali,  Havvi  continuità  perchè,  posto  il senso,  posta  la  natura,  è  possibile,  anzi  è  necessario l'intelletto:  si  che  può  dirsi  che  dall'uno  scaturisca l'altro.  Ma  ci  è  pure  intervalli,  perocché  se  l'intelletto germina  dal  senso,  o  meglio  nel  senso,  non  per  questo potrà  esser  lecito  confonderlo  col  senso.  Ci  spieghe- remo brevemente. Dicemmo  come  l'esigenza  massima,  il  principio  che qualifica  V  Aristotelismo  sia  quello  che  si  riferisce  alla relazione  tra  la  potenza  e  Tatto.  Gli  Aristotelici  empirici (per  esempio  gli  Hegeliani  di  parte  sinistra),  ci  dicon che  la  potenza  diventa  atto;  e,  applicando  siffatto  pnn- cipio  alla  psicologia  col  fine  di  determinare  l' attinenza fra  l'anima  e  '1  corpo,  affermano  che  l'anima  debba rampollare  dal  corpo  in  forza  della  leggQ  del  diventare. Che  cos'  è  per  essi  il  diventare?  È  il  to  7$ vo?  tolto  in significato  al  tutto  empìrico  e  sperimentale;  il  quale perciò  vuol  dire  trasformazione,  generazione,  ripetizione e  quindi  passaggio  incessante  (attraverso  infinito  nu- mero di  forme)  d'un  soggetto  identico,  d'un  fondamento universale  ma  concreto  e  sensato,  qual  è  appunto  la Materia.^ Gli  Aristotelici  iperpsicologisti  poi  (fra'  quali  sono d'annoverarsi  gli  Hegeliani  di  destra),  ci  dicono  an- '  È  questa  la  teorica  propugnata,  come  altrove  toccammo,  da*  moderni Materialisti  tedeschi.  Essa,  com'  è  noto,  è  rappresentata  dal  Feuerbach,  è divulgata  e  sostenuta  con  incredìbile  superficialità  dal  Di' BUchner  (Foror ei  Matth-e,  trad.  Gamper,  Leipzig  1868.  Science  et  Nature  etc  trad.  De- landre, Paris,  1866),  ed  è  applicata  dal  Moleschott  alle  scienze  fisiologiche. Ho  appellato  Arùtoteliei  empirici  questi  moderni  materialisti  usciti  dal fianco  sinistro  doirHegelianismo,  perchè  davvero  considerati  st>orlcamente e*  non  fanno  che  svolgere  V  indirizzo  naturale  deirAristotelismo.  Bel  qual fatto  hanno  coscienza  essi  medesimi,  segnatamente  il  Moleschott,  il  più ingegnoso  fra  tutti,  quando  afferma  che  Vunion  de  laphilosophie  et  de  la acience  ne  e^eH  rialieée  qu'une  foie  don»  ArÌ9tote,  {La  Oirculation  de  la Vie,  Paris  1866,  t.I,p.  10.)  Ora  s'intende  agevolmente  comò  pel  Moleschott questo  connubio  della  Filosofia  con  la  Scienza  nella  mente  dello  Staglrita si  compiesse  tutto  a  scapito  della  metafisica.  Aristotele,  egli  dice,  è  co- noscitore delle  .opere  d*  arte,  degli  uomini  e  degli  animali  [Ibi).  Eviden- temente il  dotto  fisiologo  riconosce  in  Aristotele  l'autore  d'una  Bettorica, d'  una  Storia  degli  animali,  e  degli  otto  libri  su  la  Politica.  Ma  perchè dimenticar  r  autore  della  Ptieologia,  della  iSi'HoywKca,  dell' £Wea  e  segna- tamente della  Metafisica  t  Non  è  vero  dunque  che  T  Aristotelismo  de' Po- sitivisti, do'  Materialisti  e  degli  Hegeliani  di  sinistra  è  addirittura  falso, erroneo,  mutilato  storicamente  o  teoreticamente  V ch'essi  che  ìsl potenza  diventa  atto;  ma  il  loro  diventai^e, anziché  grossolana  ed  empirica  trasformazione,  è,  per cosi  dire,  un' addizione  ideale,  cioè  posizione  e  contrappo- sizione, determinazione,  individuazione  progressiva,  ma d' un  soggetto  unico,  universale,  intimo,  trascendente, assoluto,  eh' è  appunto  l' Idea.^  Ora  il  soggetto  del  di- ventare, tanto  per  l'empirismo  quanto  per  l'iperpsico-' logismo  aristotelico,  cioè  tanto  per  la  sinistra  quanto per  la  destra  hegeliana,  è  sempre  uno,  sempre  iden- tico a    stesso,  chiamisi  Idea,  chiamisi  Materia.  Ecco dunque  la  ragione  per  cui  ne'  risultati,  massime  nella soluzione  del  problema  psicologico,  le  due  scuole  s' ac- cordano a  meraviglia.  Di  fatto,  l'anima'  per  gli  uni na^e  dalla  materia,  è  materia,  e  finisce  nella  materia: per  gli  altri  nasce  in  virtù  dell'  idea,  è  l' idea,  e  finisce nell'Idea.  Qual  è  dunque  il  fine  supremo  dell'anima?  Non altro  che  un  ritomo,  un  estinguersi  nell'  Idea,  o  nella Materia:  ecco  tutto.  L'intima  parentela  tra  il  Positivi- smo e  r  Hegelianismo  non  potrebb'  esser  più  evidente  I Seguaci  dell'  indirizzo  medio  dell'  Aristotelismo,  a  noi pare  che  l' interpretazione  legittima  della  sentenza  ari- stotelica in  discorso  non  sia  questa,  che  cioè  la  potenza diventi  atto;  ma  quest'  altra,  che  la  potenza  passi  ad essere  atto.  Se  non  fosse  così,  tutto  affogherebbe  sotto il  pesante  domma  dell'identità  assoluta,    vi  sarebbe differenza  di  contenuto  fra  le  cose  in  generale,  e  nem- manco  fra  il  senso  e  l'intelletto  in  particolare.  Or  se questo  fosse,  anziché  progresso  avremmo  processo;  e '  La  materia  e  la  forma,  la  pot&Ma  e  V  atto,  la  forma  e  il  contenuto, non  ooetitHÌacono  altro  che  due  momenti  deWIdea,  (Hbgsl,  Log.,  Tol.  I, §  XUI  e  segg.  Vedi  anche  neir  Introd.  del  Vera,  Cap.  XII,  XIII.)  L*  Idea perciò  s*  occulta  eeaenxialmenu  in  entrambo  i  momenti  ;  con  questo  sem- plice divario,  che  nell*  atto  essa  è  piìi  determinata,  più  individuata,  più enudeata  (direbbe  con  parola  significantissima  Vittorio. Imbriaui)  di  quel che  non  sia  nella  materia  e  nella  potenza.  Dunque,  io  concludo,  la  difTe- renia  non  istà  nel  quali,  ma  nel  qoaktvm  ;  e  perciò  diventare  non  altro Tale,  a  dir  proprio,  che  traeformanL  Ecco  il  punto  di  coincidenza  de*  due estremi  indirizzi  aristotelici;  ed  è  pur  quello  nel  quale  per  logica  necessità debbono  consentire  (checché  se  ne  dica)  la  destra  e  la  sinistra  Hegeliana. quindi  monotonia,  eterno  e  indefinito  cangiamento  di forme.  Tutto  quindi  si  ridurrebbe  ad  un  meccanismo materiale,  ovvero  ad  un  meccanismo  ideale;  e  leggo universale  del  mondo  sarebbe  o  la  necessità  empirica  e fisiologica,  ovvero  la  necessità  dialettica  :  fatalismo  cieco nell'  un  caso  come  nelF  altro.  Invece  l' essenza  del  pro- cesso cosmico  per  noi,  come  vedremo,  sta  nel  canato secondo  eh'  è  inteso  dal  Vico.  Ma  come  il  conato  po- trebb' esser  conato  ove  non  includesse  l' intervallo,  la diversità  vera,  cioè  la  diversità  di  contenuto?  Conato è  passaggio  nello  stretto  senso  della  parola  (irjìpytx otTf)>?;);  è  transito,  non  trasformazione;  eduzione  (edu* dio  entis  ad  a4ium)  ma  eduzione  intrinseca,  e  quindi conversione  del  fatto  ìid  vero,  cioè  dire  conversione della  potenza  nelP  atto ,  creazione  intima ,  creazione spontanea.  La  potenza  dunque  recasi  ad  atto  non  in quant'  è  potenza ,  ma  in  quanto  cessa  d'  esser  po- tenza, e  passa  ad  esser  atto;  cioè  in  quanVè  potenza feconda.  E  come  potrebb' esser  feconda  (tò  ^warov),  ove non  fosse  privajsfione  («rrf/jvjTc;)?»  Or  tutto  ciò,  come sarebb'  egli  possibile  senza  la  doppia  condizione  della continuità  ideale  e  dell'intervallo  reale? Torniamo  all'  assunto.  L' intelletto  nasce  dal  senso  : è  vero.  Ma  forse  che  nascere  vài  risultare?  Se  così  fosse, r  intelletto  non  essendo  altro  che  un  risultato,  starebbe rispetto  al  senso  così  oomQ  precisamente  nella  storta del  chimico  sta  un  sale  rispetto  agli  elementi  onde risulta,  cioè  all'  acido  e  alla  base.  Or  questo  (chi  noi '  Questo  è  il  senso  che  noi  diamo  al  principio  aristotelico  della  pn- «astone.  {Metaph.,  l.IX.)  Anziché  principio  negativo^  la  pr«ea«ira  posto  oggimai  nella  sua  massima  evidenza  sopratutto  dal  Rosmini.  A niuuo  è  lecito  dubitare  della  necessità  d*una  forma  oggettiva  originaria nella  sfera  de*  fatti  psicologici.  Con  salde  ragioni  il  Kant  ha  dimostra- to, contr*ogni  maniera  d'empirismo  psicologico,  che  lo  spirito  intanto pensa  in  quanto  giudica;  e  più  ancora  il  Rosmini  ha  posto  in  chiaro che  lo  spirito  giudica  appunto  perchè  è  toggeito  e  oggetto  insiememente. (Vedi  Nuo.  Saggio  passim. —  Rinnowm,^  L.  Ili,  e.  XLVII.  — Psicologia, voi.  I,  e.  IX,  X.    Introd,  alla  FU,  p.  74.)  I  difetti  della  teorica  Bo- sminiana  li  accenneremo  in  quest'altro  capitolo.  Qui  osserviamo  che  in tale  dottrina  il  filosofo  italiano  si  ricollega  con  san  Tommaso,  e,  chi volesse  andare  più  in  su,  anche  con  Alessandro  Afrodiséo,  e  quindi  con Aristotele.  Nello  Stagirita  infatti  ò  chiaro  questo  principio:  NotjtvÌ  ^i in  iTÌpcK.  do.  Ma  nem- manco  è  presupposta  al  corpo,  come  dice  lo  stesso  Pla- tone, 0  piovutagli  addosso  dal  di  fuori  e  dall'alto  in  certo mese  e  in  certo  momento  della  vita  intrauterina,  come affermano  tomisti  e  teologi,  senza  dirci  ne  come  né perchè:  e  tanto  meno  potrebb* esser  venuta  fuora  e  ve- nir fuora  qual  risultamento  di  leggi  meccaniche  e  fisio- logiche. L'anima  è  creata;  o,  per  dir  meglio,  l'anima crea    medesima  per  una  legge  profondamente  dina- mica che  si  confonde  e  compenetra  con  l' essenza  stessa della  natura  e  del  finito.  Perciò  alla  domanda,  se  fra l'anima  e  '1  corpo  come  fra  il  sentire  e  l'intendere  oi è  salti  ed  abissi,  rispondiamo  subito  che  sì;  ma  tosto aggiungiamo,  che,  a  colmare  cotesti  abissi  e  varcare cotesti  salti,    la  psicologia  positiva  ha  punto  biso- gno d' invocar  V  atto  immediato  d' un  deus  ex  machina, né  r  ideobgia  ha  mestieri  d'  un  a  priori  che,  dardeg- giando all'  anima  il  raggio  dell'  intelligibile  sovramon- dano,  svegli  ed  ecciti  in  essa  la  virtù  dell'  intelletto.  Questo,  e  solamente  questo,  noi  potevamo  dire  'quan- t' alla  genesi  e  quant'  alla  teleologia  dell'  anima  umana, puntellandoci  unicamente  (come  s'  é  visto)  su  la  na- tura dell'  atto  essenziale,  dell'  atto  radicale  onde  vuol esser  costituito  il  pensiero.  La  psicologia  non  sarebbe famMndoèi  bel  bello  diventa  miracolosamente  intelletto,  ignorando  cosi  o facendo  le  Tlste  d'ignorare  gli  studi  profondi  e  le  parti  accettabili  deUa psicologia  Bosminiana;    serva  pure:  noi  non  istaremo  a  perderci ranno  e  sapone.  Ma  non  sarà  certamente  villania  il  dover  dire  di  lui con  Aristotele:  ^uoeo;  yixp  f^fw  o  toiowtoc  y,  toéoùtoc  'A^ril davvero  positiva,  non  sarebbe  razionalmente  positiva, quand'  ella  presumesse  di  risolvere  diffinitivamente,  doni- maticamente,  sistematicamente  questi  due  problemi,  che non  senza  ragione  il  Leibnitz  appellò  terribili.  Ella,  ripe- tiamo, deve  saper  contraddire  a  due  estremi  opposti  e contrari.  Da  una  parte  dee  contraddire  allo  Spiritua- lismo e  al  Materialismo;  dall'altra  al  Positivismo.  Dee contraddire  al  volgare  spiritualista  e  al  materialista, perchè  entrambi  pretendono,  tuttoché  per  vie  e  risul- tati assai  diversi,  d'aver  risoluto  in  maniera  invincibile cotesto  doppio  problema,  mentre  nel  fatto  l'un  d'essi disconosce  il  valore  intimo,  l'autonomìa  dell'anima,  e l'altro  finisce  per  impugnanie  perfino  l'esistenza.  Deve poi  contraddire  al  Positivismo,  perchè  questo,  al  solito, non  volendo  sapere  di  siffatti  problemi,  ne  dichiara  im- possibile tal  soluzione,  e  quindi  inutile  il  parlarne.  Il filosofo  seriamente  positivo  può  fare  qualcosa  di  più che  non  sappia  il  Positivista.  Ma  confessa  di  non  saper giugnere  fin  dove,  con  volo  icario  e  fatale,  sanno  spin- gersi materialisti  e  spiritualisti,  empirici  e  tradiziona- listi, hegeliani  di  destra  ed  hegeliani  di  sinistra,  mistici e  ontologisti.  I  principìi  della  psicologia  positiva  che abbiamo  interpretato  nell'  autore  della  Sdenza  Nuova ci  possono  far  capaci  di  determinare  siffattamente  la genesi  e  la  teleologia  dello  spìrito,  da  chiuder  l'adito allo  scetticismo  e  al  nullismo.  Il  che  non  dovrebb'  esser poco,  anzi  dovrebb'  essere  moltissimo,  agli  occhi  almeno di  coloro  che  modestamente  sanno  e  voglion  ricono- scere i  confini  del  pensiero  umano. Abbiam  visto  come  la  genesi  del  processo  psicologico sia  essenzialmente  genesi  teleologica.  Ella  dunque  ci  vieta d'essere  scettici  per  sistema,  ci  vieta  d'esser  nuUisti  circa il  sapere  metafisico.  Se  il  mondo  della  natura  e  quello dello  spirito,  come  altrove  toccammo,  sono  processo  e conversione,  stantechè  il  primo  sia  numero  che  volge ad  unità  e  il  secondo  unità  che,  in    medesima  attuan- dosi, divien  numero  ;  anche  1'  assoluto,  serbando  mede- simezza di  legge,  ha  da  esser  non  altro  che  conversione, processo,  mediazione.  È  dunque  possibile  che  la  mente penetri  in  qualche  maniera  nel  regno  delle  realtà  me- tafisiche. Ma  se  la  legge  è  comune,  sarà  pur  tale  il  con- tenuto? Agli  occhi  del  modesto  indagatore  del  vero  la metafisica  è  la  scienza  de'  confini.  Or  questi  confini  ap- punto ignorano  tanto  i  Neoplatonici  quanto  i  Neoari- stotelici per  opposite  ragioni. Di  fatto  anche  qui,  e  sopratutto  qui,  navighiamo  fra Scilla  e  Gariddi:  siamo  fra  que'due  soliti  estremi,  come si  disse,  in  che  travagliasi  '1  pensiero  filosofico  fino da' tempi  in  cui  sovraneggiarono  i  due  grsmà'' istitutorì déW  uman  genere,  come  il  vivente  filosofo  berlinese  non dubita  chiamare  Platone  ed  Aristotele.'  Qual  è,  in  ge- nerale, l'esigenza  e  quindi  '1  distintivo  de' Platonici  e del  Neoplatonismo  di  tutte  l'età  nell'afifermar  l'assoluto? È  il  propugnare  la  conoscenza  immediata  e  primitiva dell'  obbietto  metafisico,  qualunque  ne  sia  1'  ampiezza, il  grado,  il  valore  dell'intùito.  Qual  è,  invece,  l'esi- genza degli  Aristotelici  e  del  Neoaristotelismo?  È  il *  1|I0HIL«T,  Metaph,  d'ArUL,  ed.  cit,  p.  243. mantenere  la  mediatezza  del  conoscere  metafisico,  ov- vero menomarla  cosi  da  renderla  inefficace,  e  talora persino  affatto  negativa.' I  metodi  de' Neoplatonici  nelP  attinger  l'assoluto '  In  armonia  con  le  idee  accennate  già  nel  Gap.  Ili  di  questo  secondo libro  sa  la  storia  generalo  del  pensiero  filosofico,  noi  togliamo  in  sig^nificato largo  le  parole  Neoplatonismo  e  Neoaristotelismo.  In  esse  comprendiamo più  e  differenti  scuole  di  filosoft.  E  quindi  non  sono  soltanto  filosofi  Neo- platonici  gli  Alestandrini  o  quelli  àeXht  scuola  Toscana  del  secolo  XY«  od altri  simili  tra' filosofi  cristiani  massime  appartenenti  a*  secoli  XIIl  e  XIV. Filosofo  neoplatonico  è  chi,  pur  modificando  il  Platonismo,  ne  sorbi,  come notammo,  due  esigenze,  di  cui  1*  una  ò  p9Ìeologtea  e  1*  altra  è  tnetaJUica. La  prima  consiste  nel  porre  un*  attinenza  primitiTa,  e  quindi  una  connes- sione originaria  Tra  la  mente  e  l'obbietto  metafisico.  Secondo  tal  criterio, fra*  neoplatonici  andrebbero  annoverati  parecchi  filosofi  arabeggianti,  av- vegnaché per  ragione  isterica  ei  risalgano,  come  toccammo,  allo  Stagirita. (p.  287,  e  segg.)  La  seconda  esigenza  poi  risiede  nel  riguardar  le  idee siccome  entità  aottanxialmente  eaemplatrici;  il  che  costituisce  davvero  il distintivo  del  Platonismo  in  generale  (p.  280).  Or  le  diverse  famiglie  o varietà  di  platonici  e  di  neoplatonici  possono  esser  coordinate,  nella  storia della  filosofia,  secondochè  queste  due  posizioni  si  presentano  più  o  meno modificate.  Per  iVeoameoCetùn  poi  intendiamo  qne'filosofi  che  contraddicono, in  generale,  ali*  anzidetta  esigenza  psicologica  e  metafisica.  E  poiché  il Platonismo,  come  dicemmo  e  come  avverte  il  Barthélemy  Saint-Hilaire {Phif9.  d*ÀrÌ9t.,  Pref.  p.  XX),  si  riproduco  e  si  trasforma  in  Aristotele  non pure  quanto  alla  filosofia  ma  eziandio  quanto  ad  ogni  altra  sfera  di  scibile, cosi  noli'  Aristotelismo  è  d*  uopo  saper  rintracciare  i  germi  del  triplice indirizzo  speculativo  da  noi  altrove  accennato,  massime  deirindirìzzo  mediof nel  quale  unicamente  è  possibile  rinvenir  la  correzione  del  Platonismo  e dell*  Aristotelismo.  Ripetiamolo  anche  qui  :  tutta  la  storia  del  pensiero filosofico  occidentale  consiste  nelJo  svolgimento  fecondo  e  svariatissimo di  questi  tre  indirizzi;  ciò  ò  dire  nella  lotta  perenne  delle  due  estreme posizioni,  e  nel  trionfo  lento  e  faticoso,  ma  immancabile,  della  posizione mediana.  Se  questo  è  vero,  ne  segue  (almeno  per  chi  serbi  alcuna  fiducia nel  progresso  della  ragion  filosofica)  che  se  nessun  filosofo  oggi  può  dirsi od  essere  un  puro  platonico  od  un  puro  aristotelico,  tutti  invece  dobbiamo essere  e  dirci  neoplatonici,  o  neoarìstotelici,  ovvero  seguaci  del  terzo  in- dirizzo; il  quale,  sia  storicamente,  sia  teoricamente,  vien  fuora  tostochè sian  dati  i  due  primi.  Noi  non  possiamo  intrattenerci  sopra  questa  ma- teria e  corredar  di  prove  isteriche  tale  assunto,  essondo  ben  altro  il compito  del  nostro  lavoro.  Ma  riteniamo  per  sicuro  che  una  storia  par- ticolare 0  generale  della  nostra  scienza,  la  quale  non  sia  condotta  con silEatti  criteri,  altro  alla  fin  fine  non  potrà  esser  che  un  lavoro  d*  in- tarsio, come  tanti  se  ne  vedono,  ovvero  un  arbitrio  sistematico,  dom- matico  e  fftntastico  dairnn  capo  ali*  altro.  (Vedi  tutto  ciò  che  abbiamo discorso  a  tal  proposito  ne*  Gap.  III  e  IV  di  questo  Lib.  II.)      ( potranno  differir  nella  forma  più  o  manoo  arbitraria con  che  ci  è  data  la  dottrina  delP  immediatezza.  Ma tutti  ci  palesan  lo  stesso  difetto:  l'esser  dommatici,  Tesser sistematici;  poiché  tutti  trascendon  T esigenza  d'un  po- sitivo e  fecondo  psicologismo.  L' esagerazione  di  cotesto indirizzo  è  rappresentato  da  chi  presume  conseguir  la notizia  dell'  assoluto  con  la  ragione,  ma  con  la  ragione che  si  lasci  guidar  dalla  fede,  e  sorreggere  dal  senti- mento. Con  siffatta  maniera  di  speculazione  noi  non  ci abbiamo  che  vedere.  Essa  ci  rappresenta  quella  posi- zione metafisica  che  altrove  appellammo  DommcUismo empirico  (p.  251).  Dobbiamo  dunque  rifiutarla.  E  dob- biamo rifiutarla,  sia  perchè  in  sostanza  ella  riesce  a negar  la  speculazione  trascendente,  ùa  perchè  s'oppone alle  condizioni  più  elementari  della  scienza,  (p.  213.)  — Le  altre  forme  di  Neoplatonismo  afferman  l'immediatezza dell'  oggetto  metafisico  ponendo  l' intùito,  ma  l' intùito che  legittima    stesso  in  quanto  che,  assumendo  virtù riflessa,  diventa  ragione.  Secondo  tale  indirizzo  appunto è  venuta  svolgendosi  la  speculazione  italiana  nel  moderno periodo  della  nostra  filosofia.  Talché  noi  dovendo,  come richiede  l'indole  stessa  del  nostro  lavoro,  tener  conto  non pur  della  ragion  teoretica,  ma  eziandio  della  ragione isterica,  verremo  accennando  alla  dottrina  del  Rosmini, del  Gioberti  e  del  Mamiani,  che  ne  sono  i  più  legittimi rappresentanti.  Rifacciamoci  dal  primo  come  quegli  che per  ragion  cronologica  e  per  valore  di  speculazione  va innanzi  a  tutti. Al  Rosmini  s'  é  voluto  dar  titolo  d' idealista  piato- nico.  *  Con  egual  ragione  altri  potrebbe  dargli  titolo  di realista  aristotelico.  Il  Roveretano  corregge  davvero  il neoplatonismo  nella  ricerca  psicologica  ;  ma  v'  è  un  punto vitale  nel  quale,  come  si  vedrà,  ei  si  palesa  più  che  ne- *  È  un  titolo  in  gran  parte  sbagliato.  Quelle  eh'  ei  dice  propriamente idee  per  lui  sono  eeemplari  delV  eetenxa  inteUigibiUf  non'  già  eeemplatrici per  «è  medeeime,  {ArieU  E«p.  ed  eeam,,  Pref.)  Come  dunque  ò  idealista platonico  ? platonico.  Con  ingegno  potentemente  analitico,  temprata alla  severa  speculazione  d' Aristotele  e  deH'  Aquinate  * egli  ha  dimostrato  ciò  che  in  modo  assai  vago  eran venuti  affermando  gli  aristotelici  su  la  necessità  d^  una forma  oggettiva  nella  mente.  Ma  egli  non  si  contenta dell'essere  in  quanto  essere:  lo  dichiara  altresì  immo- bile,  immutabile,  obbiettivo,  inalterabile,  se^nplice,  uno, immescibile,  infinito^  necessario,  insussistente,  ideale}  Ecco il  puntello  ond'  egli  s' augura  di  spiccare  il  volo  inverso ali  Assoluto.  Ma  innanzi  tutto  guardiamo  tale  dottrina sotto  il  rispetto  psicologico  eh' è  appuntò  il  tema  pre- cipuo del  presente  capitolo. Col  porre  l'Essere  come  oggetto  primitivo  della  mente, e  col  dichiararlo  fornito  del  carattere  d' universalità,  il Rosmini  taglia  i  nervi,  come  dicemmo,  ad  ogni  maniera di  sensismo,  e  nel  medesimo  tempo  corregge  il  Critici- smo: lo  corregge  non  già  mondandolo  (com'  ei  si  vanta) della  magagna  della  subbiettività  di  cui  non  sa  neppur liberare    medesimo,  bensì  dimostrando  quant*  inutile fardello  sia  quella  moltitudine  di  categorie  originarie ond' il  Kantismo  si  distingue  fra' moderni  sistemi  di filosofia.  Ecco  ciò  che  forma  l'onore  della  psicologia rosminiana.  *  Ma  qual  è  il  suo  difetto?  È  il  non  aver indagato  fino  alla  più  fonda  radice  quel  eh'  egli  stesso appella  il  minimum  della  cognizione;  e  quindi  l'aver fatto  pesare  su  l'obbietto  originario  un  ingombro  di note  e  d'attributi  cotanto  copioso,  da  fargli  smarrire affatto  il  carattere  dell' originarietà.  E,  davvero,  cotest'  og- getto è  egli  ideale?  Dunque  è  già  beli'  e  determinato. Ór  come  un  obbietto  determinato  potrà  esercitare  fun- *  Il  prof.  Paganini  ha  mostrato  1*  affinità  fra  il  Rosmini  o  san  Tom- maso quant'alla  teorica  del  lume  intellettivo.  {Sagg.  9opra  «an  Tomm, éC  Aquino  e  t7  Roeminif  Pisa  1857.) «  Vedi  Rinnovam.,  LUI,  e.  XXXìX,—  Ptieologia,  Tol.  I,  XI,  XXIIi, ed.  cit.    Nuo.  Sagg.^  voi.  II,  Sez.  II. *  Il  prof.  Spaventa  ha  pasto  in  sodo  questo  gran  merito  del  filosofo italiano  di  fronte  al  Criticismo  nel  prezioso  opuscolo  altrove  citato  so  la '  FUo9ofia  di  Kant  e  la  tua  relazione  con  la  FUotoJia  Italiana,  Torino  1860. 2Ìoni  di  Primo  psicologico?  Non  verremmo  cosi  a  tur- bare e  confonder  l'ordine  primitivo  della  conoscenza col  riflesso?  Dunque  Y  essere  ideale  nell'organismo  della psiche,  anziché  Primo  psicologico,  sarà  il  Primo  logico.* Quanto  poi  air  attributo  della  infinità,  egli  ha  ragione dove  aflerma  con  san  Tommaso,  la  natura  del  soggetto dover  partecipare  a  quella  dell'oggetto:  e  quindi  se  a questo  appartiene  il  carattere  della  infinità,  non  si  vede perchè  non  debba  appartenere  anche  a  quello.  Or  s' egli è  cosi,  è  dunque  infinito  il  pensiero?  Lasciamo  agli  hege- hani  cotesta  innocua  pretensione  finché  non  ce  n'  abbiau dato  valide  e  serie  dimostrazioni." Se,  inoltre,  cotal  forma  innata  è  immobile,  immuta- bile, immescibUe  e  inalteràbile,  perciò  non  le  sarà  dato moversi  di  per    stessa.  Ella  si  move  bensì,  ella  diventa, ma  in  virtù  d' una  determinazione,  in  forza  d' un'  op- pliccunone.  Chi  recherà  ad  atto  cotest' applicazione?  La *  Lo  Spaventa  ha  ragione  :  «  V  errore  del  Roamini  non  ì  il  fare ddV  eteere  come  eeeere  il  primo  eeientijico  o  logico,  ma  di  fame  jil  primo peiedogieo:  non  U  primo  pensabile,  ma  il  primo  eonoeeibUe,  »  (Le  prime categorie  della  Log,  di  Hegel,  p.  130,  negli  Aui  dtUa  B,  Accad,  di  Nap., voi.  I,  1864.) '  Il  Rosmini  stesso  prevede  questa  grave  difficoltà,  e  tenta  rispondere in  più  modi  riparando  al  solito  arsenale  delle  distinzioni  ;  ma  questa  volta con  assai  poca  fortuna.  {Peieologia,  voi.  I,  e.  XI,  ed.  cit)  In  altre  opere, e  anche  nel  Nuo,  Sag.,  avea  chiamato  infinito  il  pensiero,  non  però  eotto tuui  gli  aepeUi.  Ma  un  inAnito  di  cotesta  foggia  chi  vorrà  accettarlo? La  creduta  infinità  dell*  oggetto  primitivo  non  ò  infinità,  ma  indetermi- natezza, E  di  fatto  la  nota  epeeijicante  della  Ittee  metaJUiea^  secondo  la sentenza  del  Vico  altrove  riferita  (p.  851)  è  appunto  la  indeterminatezza, la  potenzialità,  ma  la  potenzialità  non  vuota  e  subbiettiva  de*  Tomisti  e de*  Peripatetici,  bensì  piena,  feconda,  oggettiva,  essendo  nella  sua  essenza un  eonato.  Or  se  questo  ò  il  carattere  dell*  oggetto,  e  se  la  natura  del soggetto  ha  da  rispondere  a  quella  della  sua  forma,  ne  seguita  che  al- reggette  indeterminato  dee  far  riscontro  una  facoltà  d*indol6  somigliante. Ma  che  cos*ò  un  pensiero  indeterminato  nel  suo  oggetto  salvo  che  un essere  potenzialmente  infinito,  un  subbietto  che  tendit  ad  infinitum,  come  lo deRnisce  lo  stesso  Vico?  Dunque  1* indeterminatezza  è  il  carattere  pre- cipuo della  luce  metafieiea,  tuttoché  in  so  stessa  ella  sia  determinata  In quanto  che  non  cessa,  ripetiamo,  d*  essere  un  oggetto;  mentre  che  la potenzialità  feconda  è  il  carattere  del  pensiero  inteso  come  soggetto. Siciliani.  2Ì ragione.  *  Or  bene,  la  ragione  non  vi  potrebb'  essere mossa  tranne  che  da    stessa,  ovvero  dal  senso.  Dal senso,  no  ;  che  saremmo  sempre  impigliati  in  una  forma più  0  meno  schietta  di  sensismo,  dal  quale  indirizzo  il filosofo  di  Rovereto  rifugge  ad  ogni  patto.  Dunque  da sé  stessa.  Ma,  si  può  chiedere:  muovesi  ella  da    in quant'  è  soggetto,  ovvero  in  quant'  é  oggetto?  In  quant'  è soggetto,  no.  Un  soggetto  spoglio  di  forma  è  una  pò* tenza  vuota;  è  la  pura  potentia,  la  purafaeultas  degli scolastici:  e  come  tale  riesce  incapace  d'esercitar  fun- zione di  Primo  psicologico.  Movesi  dunque  siccome  og- getto; movesi  in  quant' è  luce  fnetafisica.  Or  come  si  potrà movere  s' ella  é  immobile,  immutabile,  immescibUe,  iikiZ- terabile? —  Da  ultimo,  il  difetto  che  in  tale  indagine  egli ha  comune  con  parecchi  altri  aristotelici,  e  pel  quale  vuol esser  segnalato  come  neoplatonico,  risguarda  l' origine di  cotesta  forma  ideale.  Donde  mai  cotal  luce?  Piove dall'  alto,  0  piuttosto  rampolla  dal  basso?  Non  dall'alto, non  dall' assoluto  in  maniera  diretta,  egli  risponde;  net- tampoco  dal  basso,  cioè  dall'esperienza.  Il  Rosmini  qui ha  ragione:  nessuno,  crediamo,  vorrà  fargliene  carico. Donde  e  come,  dunque,  ella  viene?  ' •  Vedi  Antropologia,  cap.  VITI.    Sistema  FUotofieo,  p.  82. '  Bisogna  confessare  che  nel  punto  più  vitale  delle  sae  dottrine, eh* è  Torigine  dell*  obbietto  primitiro  della  monte,  questo  filosofo  fu  sempre titubante  anche  ne*  suoi  lavori  postumi.  In  alcune  opere  evidentemente 8*  accosta  a  san  Tommaso,  dove  dice,  per  esempio,  che  Tessere  ideale  è un  cotal  raggio  ddla  divinità,  il  quale  noi  tftdremmo  in  modo  ineffabile identijì earai  con  etaa  quando  ci  si  potesse  disvelare  la  divina  e$»enMa.  (Atto. Sagg.,  vol.  II.)  Altrove  ritiene  che  la  forma  intellettiva  non  ci  abbia  che vedere  con  Dio  ;  e    dove  pur  ci  fosse  un*  attinenza,  difficilmente  (egli sogin»?"®)  ci  salveremmo  dal  panteismo.  {FU.  dd  Diritto,  voi.  II,  p.  195.) E  con  tutfaO  questo  el  non  dubita  alTermare,  additando  la  nota  scap- patoia della  distinzione  tra  forma  reale  e  forma  idecUe,  che  Dio  si  co- munica al  pensiero  idealmeìUe,  non  già  realmente  !  Ma  che  cosa  ò  mai, e  come  avviene  cotesta  eomunieagione  ideale  f  Che  8*ella  è  possibile,  come, in  tal  caso,  potrete  salvarvi  dal  panteismo  ideale?  Il  Rosmini  parla chiaro  (Teoeojia,  voi.  Ili,  nel  cap.  su  la  Partecipazione  del  divino  nella inteUigmza)  ove  dice  che  1*  essere  iniziale  della  mente  e  1*  estere  divino sono  addirittura  identici.  Dunque  non  v*  è  scampo  :  o  egli  non  riesce  a salvarsi  dal  panteismo,  ovvero  deve  attribuire  all'  obbietto  della  mente  la 11  Rosmini  crede  potere  attinger  la  notizia  dell'  as- soluto ponendo  in  opera  alcuni  espedienti,  per  esempio il  processo  d' dimincunone,  d' intcgrcmone  e  slmili.  Ma sopra  qual  fondamento  si  basano  cotesti  processi?  Ap- punto sul  concetto  dell'Essere  ideale.  Da  cotesto  con- cetto egli  stima  possibile  trar  gli  elementi  a  comporre quello  dell'  obbietto  metafisico.  Perciò  dagli  attributi dell'  ente  ideale  vuol  concludere  a  quelli  dell'  essere  in sé:  perciò  dal  simile  vuol  procedere  al  simile.  Or  co- testo è  un  processo  senza  processo:  è  un  processo  ap- parente, illusorio,  perchè  dal  simile  non  si  procede  al simile,  ma  si  è  nel  simile.  D' altra  parte,  per  isquisiti che  si  voglian  supporre  i  metodi  eh'  egli  adopera  a  tal proposito,  mai  non  avverrà  che  gli  attributi  dell'  ente ideale  possano  porgere  quelli  del  reale.  In  che  ma- niera convertir  le  note  d'assolutezza,  d'universalità e  d'infinità,  che  son  proprie  dell'uno,  con  quelle  del- l'altro? E  dove  e  come  poi  andare  a  ripescar  l'attri- buto della  realtà?  Checché  se  ne  dica,  a  tale  domanda ei  non  risponde,  o  ricasca  nel  ginepraio  delle  viete  ar- gomentazioni scolastiche.  E  mentre  crede  compiere  o correggere  il  celebrato  argomento  di  sant'Anselmo,  non s' accorge  il  grand'  uomo  come  restino  tuttora  incrolla- bili le  gravi  difficoltà  affacciate  dal  Criticismo.  Pur  non ostante  egli  reputa  negativa  l' idea  di  Dio.  Or  come  ne- gativa se  ci  avete  saputo  disasconder  tante  peregrinità a  questo  riguardo?  E  s'ella  é  davvero  negativa,  non siamo  già  nel  Positivismo?  E  se  non  é  assolutamente negativa,  perchè  non  è  tale?  perché  non  può  esser  tale? nota  della  realtà  alla  maniera  del  Gioberti.  In  altra  opera  postuma {Ari9t,  Etp,  ed  etam,,  1.  II)  le  titubanze  non  iscemano;  perchò  quan- tunque modifichi  in  alcune  parti  la  sua  dottrina*  V  Kssere  nondimeno  ^W si  prosenta  sempre  come  ideale^  e  crede  confermar  la  propria  sentenza con  r autorità  d'Aristotele.  Dalla  prima  ali* ultima  opera  del  Rosmini, dunque,  il  problema  su  la  conoscenza  s*  aggira  sempre  nelP  equivoco  tra il  Primo  pticologieo  6  il  Primo  logico  ;  ne  qnindi  crediamo  che  T  Ideali- smo Rosminiano  siasi  di  mano  in  mano  accostato  air  Ontologismo  del Gioberti,  come  pensa  il  eh.  prof.  Ferri  {Est.  tur  VHist.  de  la  Phil.  en  Italie, t.  I,  e.  IV,  p.  489.) La  guisa  ond^  il  Boveretano  crede  poter  penetrare nel  mondo  metafisico  non  sarebbe,  a  parlar  proprio,  un processo,  una  mediazione.  Nessuna  conversione  sarà  mai possibile  fra  due  termini  simili  appunto  perchè  fra  questi, ripetiamo,  non  è  possibile  un  intervallo.  £  dato  ci  sia cotesto  intervallo,  è  poi  necessaria  una  continuità  ideale; la  quale,  unzichè  per  comunicazione  dell'  oggetto,  co- m' egli  pensa,  avviene  per  eduzione  per  parte  del  sog- getto. Né  è  maraviglia  eh'  ei  non  abbia  visto  tali  ne- cessità, chiunque  pensi  come  la  filosofia  del  Rosmini partecipa  a  quel  difetto  che,  come  altrove  notammo,  è  il verme  pia  micidiale  che  roda  il  Kantismo.  Tutto  in  lui sembra  immobile,  freddo,  sterile  come  il  suo  ente  ideale. Psicologia,  ideologia,  cosmologia,  storia,  diritto,  politica e  religione,  nel  loro  insieme,  paion  quasi  altrettanti organi,  anziché  un  organismo,  perocché  uiun  soffio vitale  imprima  forza  e  movimento  a  tutte  queste  membra. A  lui,  in  somma,  fa  difetto  V  esigenza  del  processo.*  — Eppure  air  A.  del  Nuovo  Saggio  non  sarebbe  mancato il  fondamento  positivo  sopra  cui  avrebbe  potuto  in- nalzar r  edifizio  della  psicologia,  e  apparecchiare  cori la  soluzione  d'alcuni  problemi  cosmologici.  Avrebbe avuto  una  gran  chiave  nella  sua  teorica  sai  Sentimento fondametìicde,  intomo  a  cui  nessuno,  dopo  Aristotele,  ha saputo  discorrere  con  eguale  acume  e  accuratezza,  come saggiamente  osserva  il  Ferri.^  Ma  neanche  in  questo  ei potè  pervenire  a  disascondere  quel  secreto  vincolo  che in  seno  all'unità  primigenia  del  Noù;  potenziale  annoda *  Però  il  Oioberti  non  a  torto  rassomigliò  ad  uno  ttaUauUe  il  si- stema Rosminiano.  La  forma  stessa  del  suo  iugesrno  mostra  cotal  difetto. Kcco  perchè  non  gli  fa  dato  cogliere,  come  accennammo  (p.  99, 841,  248) il  valore  del  metodo  Tichiano.  Ecco  perchè  altra  lllosoila  della  storia agli  occhi  suoi  non  dovrebb*  esser  possìbile,  fuorché  quella  d*  Agostino, del  Bossuet,  dello  Schlegel,  del  De  Maistre.  Non  altro  concetto  sociolo- gico, salro  che  quello  della  società  divina  naitirale.  Non  altra  cosmolo- gia che  quella  del  Tomismo.  Non  altra  fisiologia  e  patologia,  tranne  che quella  de*  Tocchi  vitalisti. «  Op.  cit.,  t,  I,  p.  190. la  visione  ideale,  la  percezione  empirica,  nonché  il  sen- timento fondamentale.' I  difetti  del  Rosmini  prese  a  correggere  il  Gioberti; ma  die  neir  esagerazione.  In  maniera  invitta  egli  mostrò la  fallacia  della  posizione  dell'  ente  ideale,  ma  cadde  nel- rarbitrario  anche  lui  quando  ingolfossi  nel  mare  magno del  suo  intùito.  Se  infatti  havvi  dottrina  psicologica  la quale  più  spiccatamente  contraddica  al  criterio  della conversione,  e  quindi  all'  esigenza  metodica  aristotelica della  Sdema  Nuova,  è  appunto  quella  del  Neoplatonismo che  con  entusiasmo  senza  pari,  con  ingegno  mirabile  e con  vena  fecondissma  di  speculazione  egli  prese  ad  inno- vare fra  noi  con  anima  italianamente  generosa.  A  nes- sunitaliano  oggi  potrebb'  esser  lecito  disconoscere  i grandi  meriti  del  filosofo  subalpino  :  a  nessuno  i  bene- fizi grandissimi  che  in  età  assai  triste  sepp'  egli  operar nella  mente  e  nell'animo  di  tutti  con  le  sue  scritture. '  fi  noto  come  pel  Rosmini  sia  U  tentimeruo  intimo  e  perfettamente uno  che  uniece  la  eeneitività  e  V  intelletto.  {Nuov.  Sagg.,  Bez.  V,  e.  I  ; Ariet.  eep.  ed  eaam.^  L.  I,  e  XXXTl).  Ma  in  che  maniera  poi  accordare questa  sentenza  con  quel! *  altra  ove  dice,  la  ragione  eeeer  quella  che unieee  il  eentibile  e  V  intelligibile  f  {Pncologia,  Tol.  I,  p.  124,  ed.  cit.). L*  anità  de*  due  elementi  qui  sarebbe  posteriore,  mentre  sarebbe  ante^ riore  la  dualità,  e  quindi,  come  dualità  primitiva,  inconcepibile.  Il  che ci  è  confermato  da  lui  stesso  dove  afferma,  la  vitione  ideale  non  aver relazione  di  torta  con  la  percezione  empirica,  {Antropologiaf  C.  VILI).  Ora a  me  pare  che  il  Sentimento  fondamentale  avrebbe  potuto  porgrersi  a  lui come  base  d*  una  dottrina  psicologica  razionalmente  positiva,  quando avesse  pigliato  a  considerarla  come  unità  Iniziale,  come  sintesi  origina- ria del  doppio  elemento  della  conoscenza  :  il  che  non  apparisce  in  alcun luogo  delle  sue  scritture.  Che  cos*è,  infatti,  il  Sentimento  fondamentale  f te  V  atto  onde  V  anima  vivifica  il  corpo,  {Antropohf  L.  2,  Sez.  2,  C  VII), Or  bene,  checché  se  ne  possa  dire,  cotesta  evidentemente  è  psicologia neoplatonica,  e  però  tutt' altro  che  positiva.  Invece  per  noi  il  Seneo fondamentale  ha  natura  di  conato,  e  quindi  rappresenta,  anzi  incarna  il momento  in  che  la  vita,  la  ^uvauc;  biologica,  superando  so  medesima, passa  ad  assumere  anche  valore  di  pensiero.  In  altre  parole:  l'anima pel  Rosmini  è  energia  primordiale,  ò  una  originariamente  (Ibi,  e.  IX)  ; ma  è  una  come*  anima,  non  già  come  anima  e  corpo,  come  vita  e  pen- siero. E  con  questo  difetto,  eh*  egli  ha  comune  co'  platonici  e  con  san- t'Agostino come  v^emmo  (pag.  800  e  segg.),  contraddice  evidentemente all'indirizzo  medio  arittoulico  secondochè  noi  lo  intendiamo. Ma  chi  è  oggimai  che  vorrà  propugnare  sul  serio  la sua  teorica  psicologica  tuttoché  sia  da  accogliere  e  svol- gere non  pochi  principii  della  sua  Protologia?  ^ Fra  le  molte  e  gravi  obbiezioni  mosse  contro  V  on- tologismo giobertiano,  noi  ci  restringeremo  a  ripetere quella  semplicissima  affacciata  poco  fa  contro  il  Ro- smini, e  che  con  assai  più  ragione  s' attaglia  al  Gioberti. Come  oggetto  primitivo  del  pensiero,  la  formula  del- l' Etite  creante  è  un  oggetto  determinato,  sia  che  si  tolga a  considerar  la  natura  de'  suoi  membri,  sia  che  la  spe- cie di  relazione  che  li  rannoda  in  organismo.  In  che maniera  dunque  può  essere  inizio,  principio  della  genesi psicologica?  Anziché  il  minimum  del  pensabile,  qui s' avrebbe  il  maximum  del  conoscibile.  Or  s' egli  é  così, la  scienza,  io  chiedo,  sarà  ella  generazione,  conversione, eduzione,  o  non  più  veramente  copia,  imitazione,  ri- tratto d' un  vero  che  non  ci  appartiene?  La  posizione dell'Intuito  giobertiano  è  dunque  arbitraria,  ipotetica, oscurissima,  come  primo  d'  ogn'  altri  ebbe  a  mostrare lo  stesso  Rosmini.*  Perciò  la  Formula  non  può  essere riguardata,  secondochè  pretendon  gli  ontologisti,  come sorgente  d'  ogni  scienza,  criterio  d'  ogni  scibile,  fonda- mento d'  ogni  dimostrazione,  come  Primo  ed  Ultimo  del pensiero.'  Il  Nov;  degli  ontologisti  italiani  è  la  vecchia dottrina  dell'  Intelleito  agente^  ma  passata  attraversò  la scolastica,  e  ricorretta  dal  pensiero  filosofico  cristiano. È  r  IntelligibiHtà,  la  VerUà  di  sant'Agostino,  ma  deter- minata, concreta,  reale.  È  la  Reminiscenza  platonica, ma  fatta  viva,  presente,  parlante  al  pensiero.  Egli  dun- *  Ved.  il  nostro  opusc.  Introduzione  allo  ttttdio  delle  acìenxe  naturali e  ttoriche,  Firenze,  Celi  ini,  1861,  e  IV. ■  Ved.  Vincenzo  Gioberti  e  il  Panteismo,  Lucca,  1858,  3"  ed.,  p.  42. '  Dopo  il  Gioberti  del  prof.  Spaventa  è  impossibile  difendere  V  intuito del  filosofo  di  Torino:  se  ne  persuadano  gli  ontologisti.  Noi  accettiamo  la sua  critica:  ma  chi  ?orrà  accettar  le  conseguenze  eh*  «i  ne  trae,  o  la relazioni  eh'  egli  pone  fra  Io  Ctisiologismo,  in  generale,  o  V  Idealismo assoluto?  Anche  qnant*al  concetto  creativo  della /Vo(o/o^  fra  Tuno  e r  altro  sbtema,  come  avvertimmo,  corre  un  abisso.    '    « que  è  r  esagerazione  del  Platonismo.  È  un  iperpsicologi- smo  avente  il  suo  primo  puntello  nel  catechismo,    può quindi  essere  accettata  dalla  ragion  filosofica  positiva.* Sennonché  gli  ontologisti  si  fan  forti,  come  accen- nammo, della  celebre  sentenza  vichiana  su  la  rispon- denza fra  r  ordine  logico  e  Y  ordine  ontologico." Il  nostro  filosofo  non  parla  d' ordine  logico  e  ontolo- gico, ma    d' un  Primo  logico,  e  d' un  Primo  Vero  Me- *  Qui  abbiamo  inteso  accenDare  alla  dottrina  deir  Intuito  come  ci è  data  nelle  prime  opere  del  Gioberti.  Ognuno  sa  che  nelle  scritture  pò- stnme  egli  Tiene  talora  a  modificarla    che  s*  accosta  al  Rosmini,  o  me- glio, a  san  Tommaso.  Per  esempio,  dice:    {De  Univ,  Jur.,  I,  (a)  ).  Da  questo  lemma  è  agevole  argomen- tare che  Dio  è  Primo,  sia  che  tu  lo  consideri  come  essente,  sia  che  come conoscente.  Qui  non  v*  ha  luogo  ad  interpretazioni.  Ma  vi  è  il  lemma  VII che  dice:  «  Itaque  Primum  Verum  Methaphysieum  et  Primum  Verum  Lo ' gicum,  unum  idemque  esse.  Qui  la  critica  interpretativa  è  necessaria, perchè  qui  la  contraddizione  con  l' insieme  delle  altre  sue  dottrine  è pur  troppo  evidente.  Se  la  rispondenza  cai  allude  il  Nostro  fosse  da interpretarsi  come  pretendono  ontologisti  e  nooplatonici,  olla  contrad- direbbe alla  dottrina  del  conoscere  e  del  metodo  ;  la  quale  in  siffatte ambiguità  dee  prevalere  nel  pensiero  del  critico,  come  quella  che  costi- tuisce propriamente  T  originalità  del  Vico.  Se  dunque  in  forza  del  suo criterio  la  scienza  debb*  esser  frutto  d*  uno  s?olgimonto  riflesso  e  di  ri- cerca e  di  critica  essenzialmente  eduttiva,  parmi  evidente  come  il  rap- porto fra  r  ordine  delle  cose  e  quello  delle  idee,  anziché  di  corrispondenza originaria  e  di  parallelismo  primitivo,  abbia  da  essere  invece  di  rispon- denza derivata,  e  di  parallelismo  riflesso.  In  una  parola:  cotesto  paral- lelismo,cotesta  equazione,  non  è  un  principio,  è  un  risultato.  Nel  che 11  fliosofo  di  Napoli,  com*  era  da  sospettare,  interpreta  ed  invera  il  benin- teso Aristotelismo,  perchè  è  lo  stesso  Aristotele  quegli  che  osserva  come la  radice  di  tutti  gli  errori  de' Platonici  sia  per  l'appunto  la  confusione dell'ordine  logico  con  l'ordine  dell'essere,  e  però  delle  causo  reali  del- l'essere,  con  lo  cause  formali  della  scienza:  KW  ou  TtdvroL  o€a  tu \6yù»  zjporepoiy  xaì  tVì  oÙTc'a  vipÓTspx^  {Metaph,,  XIII). tafisico,  considerandoli  entrambi  come  unum  idemque. Siamo  dunque  nel  panteismo?  ovvero  in  una  dottrina neoplatonica?  Intendiamoci.  Qual  debba  essere  per  lui il  Primo  psicologico,  s' è  visto  neir  antecedente  capi- tolo. Or  quali  han  da  essere,  in  armonia  con  le  sue dottrine  psicologiche,  il  Primo  logico  e  '1  Primo  ontolo- gico? Il  Primo  logico  sarà,    vi  cape  dubbio,  un  princi- pio mediato,  risultante,  secondario,  cioè  posteriore  al Primo  psicologico.  Se  infatti  il  processo  della  psiche s'  attua  ingradandosi  in  pili  gruppi  di  facoltà  compo- nenti fra  loro  un  organismo;  e  se  il  processo conoscitivo  importa  una  serio  di  leggi  atte  a  governare le  diveree  funzioni,  che  vuol  dire  le  facoltà  stesse  avvi- sate in  relazione  co'  loro  prodotti  (rappresentazioni,  fan- tasmi, concetti,  nozioni,  idee,  giudizi  ec.)  ;  avviene  che come,  data  una  funzione,  è  già  beli'  e  dato  logicamente il  suo  prodotto  e  quinci  una  serie  di  leggi  che  ne  regga lo^'svolgimento;  così,  posto  il  Primo  psicologico,  non  po- trebbe a  verun  patto  mancare  il  Primo  logico.  Ora  se il  Primo  psicologico  è  V  essere  indeterminato,  eh'  è  dire il  Nov;  potenziale, in  quant'  è  luce  metafisica;  quale  sarà il  Primo  logico?  Non  altro  che  V  essere  nella  sua  prima determinazione  riflessa:  l'essere  in  quanto  ideale;  il quale  perciò  suppone,  sotto  il  riguardo  cronologico,  il sensato  reale,  il  fatto  ;  stantechè  il  senso,  come  toccam- mo, resti  incluso  nel  circolo  psicologico.  L'ente  ideale adunque  è  un  primo:  qui  ha  ragione  il  Rosmini.  Ma  è anche  un  ultimo;  uUimo  psicologico,  e  primo  logico. Al  qual  proposito  giova  notare  che  ove  il  Roveretano avesse  riguardato  a  questa  maniera  1'  Ente  possibile, non  sarebbe  caduto  nell'aperta  contraddizione  di  con- siderar l'essere  come  ideale^  e  come  immobile  ad  un tempo  ;  stantechè  se  in  quanto  è  luce  metafisica,  cioè  in quanto  originario  ei  non  può  non  essere  indeterminato, come  ideale  invece  è  mobilissimo,  essendo  già  beli'  e  de- terminato, e  come  tale  ci  esprime  lo  stesso  moto  della facoltà,  la  facoltà  in  quanto  è  funzione. Quale  sarà  intanto  il  Primum  Verum  Metaphysicum? Posto  il  Primo  logico  e  quindi  '1  processo  della  logica e  r  orditura  de'  concetti,  il  lavoro  speculativo  della mente  non  può  ad  altro  pervenire  fuorché  ad  uno  di questi  due  risultati:  o  air  essere  indeterminato  riflesso qual  è,  per  esempio,  V  Indeterminato  secondo  eh'  è  po- sto dair  Hegelianismo  quasi  chiave  di  volta  dell'  edifì- rio  dialettico  ;  *  ovvero  all'  essere  determinato  mercè  Tar- tifizio  del  metodo  compositivo  sintetico,  d' integrcurìone; voglio  dire,  all'essere  pieno,  all'essere  fornito  delle  note più  eminenti  o  delle  primalità  cui  sappia  poggiare  il pensiero  speculativo  soccorso  dall'esperienza.  Ora  il Primo  vero  metafisico  al  quale  accenna  il  Vico  non  può esser  l' ente  indeterminato  inteso  come  luce  metafisica, perchè  questa,  essendo  essenzialmente  indeterminata,  cioè indeterminata  per  necessità  di  natura  in  quant'è  oggetto primitivo  della  mente,  è  quindi  un  Primo  psicologico  an- richè  metafisico.  Non  può  esser  neanco  l' Indeterminato così  detto  dialettico  al  quale,  come  voglion  gli  Hegeliani, per  un'  assclida  e  subitaifiea  astrandone  si  levi  la  mente e  vi  si  estingua,  e  in  grazia  di  siffatta  estinzione scoppi  la  prima  scintilla  dialettica.  E  non  può  essere, sia  perchè  cotesto  Indeterminato  contraddirebbe  al  con* cetto  che  il  Vico  ci  porge  dell'  Assoluto,  sia  perchè, frutto  d'un  lavoro  onninamente  astrattivo,  manca  ne- cessariamente d'ogni  condizione  d'obbiettiva  e  metafi- sica sussistenza.  Se  dunque  non  è  l' indeterminato  né come  luce  metafisica    come  posto  dall'  astrazione, che  eoe'  altro  sarà  fuorché  l' ente  concepito  come  de- terminato nelle  sue  primalità  essenziali,  1'  ente  trascen- dente, il  Nosse-Velle-Posse  infinUum?    Sennonché,  per metafisico  che  sia  cotesto  essere,  ninno  vorrà  dirlo  reale. Donde  trarre  siffatta  determinazione?  Forse  da  un  in- tuito primigenio?  Ipotesi!   Dal  regno  de' fatti  e  della '  Il  Primo  Hegeliano,  dice  Spaventa,  ò  queUo  che  non  ha  altra  deno^ minanione  che  di  non  averne  alcuna,  {Ddle  prime  Categ.  della  Log.  di  Hegti, •d.  cit,  p.  141.  ^  Hbqil,  Log.y  toI.  II,  lxxxtii,  trad.  del  Vera.) esperienza?  Impresa  vana!  Dalle  viscere  dello  stesso pensiero  per  astrazione  assolila  e  subitanea?  Illusione! D' altra  parte,  tuttoché  entità  ideale,  non  per  questo sarà  lecito  credere  che  il  Primo  metatìsico  abbia  da essere  assolutamente  astratto,  poiché  come  determinato, cioè  come  concepito  e  costruito  dalla  mente,  è  pur mestieri  eh'  e'  risponda  ad  una  realtà.  Egli  dunque  è metafisico^  ma  non  per  questo  può  cessare  d'essere identico  al  Primo  logico.  Perchè?  Perchè  da  questo appunto  lo  trae  la  virtù  speculativa.  Il  Vico  dunque ha  ragione  :  il  Primum  Veruni  Metaphysicum  è  unum idemque  col  Primum  Logicum,  giusto  perchè  il  pen- siero vien  costruendo  l'uno  mediante  l'altro.  Breve- mente: egli  è  metafisico,  perchè  ha  valore  obbiettivo; ed  è  poi  unum  idemque  con  l' essere  logico  e  però  col Primo  psicologico,  perchè  non  è,  a  dir  proprio,  una realtà,  quantunque  per  necessità  metafisica  abbia  un riferimento  alla  realtà.  Ma  qui  si  può  chiedere  :  dunque il  Primo  metafisico  non  sarà  egli    assolutamente reale,    assolutamente  ideale,    obbiettivo,    sub- biettivo?  Precisamente  così.  Non  è  l'una  cosa    l'altra, ma  è  r  una  e  l' altra  insieme,  stantechè  sia  potenzial- mente infinito.  E  poiché  come  infinito  potenziale  non è  perfetta  conversione  di    con    medesimo,  però  fugge, quasi  diremmo,    stesso.  EgU  è,  in  somma,  un  essen- zial  conato  ;  e  come  tale  non  può  non  riferirsi  necessa- riamente ad  una  realtà,  e  in  questo  senso  possiede  na- tura metafisica.  Dico  necessaria  tale  oggettività,  perchè il  Primo  metafisico,  quando  sia  determinato  dal  pen- siero speculativo,  non  è  altro  che  la  stessa  triplicità psicologica,  ma  riguardata  nella  sua  universalità.  Che cos'è  mai  cotesta  triplicità  universale?  È  mentalità  in sé,  è  dialettica  in  sé,  è  oggettività  in  sé.  Ella  dunque non  può  esser  considerata  nell'  individuo,  ma  fuori  del- l' individuo,  in  un  soggetto  appo  cui  le  primalità  del- l' essere  si  convertano  e  compenetrino:  il  che  è  davvero impossibile  nell'  individuo,  come  quello  che  non  è  il pensiero  (voùc)  ma  la  facoltà  del  pensiero  (vouc  ^wa^ust) secondo  la  sentenza  aristotelica.*  Se  il  P^imo  metafi- sico, inoltre,  fosse  indeterminato,  non  avrebbe  alcun opposto,  quantunque  serbasse  distinzione  come  oggetto di  pensiero.  Al  contrario  éoncepito  come  determinato, e'  tosto  diventa  obbiettivo  ;  e  così  da  Primo  vero  metafi- sico assume  virtù  di  Principio  metafisico.  Or  che  cos'  è questo  principio  metafisico?  Che  cos'è  la  realtà  alla quale  ei  si  riferisce?  È  l'Assoluto:  ma  l'Assoluto  che  è davvero  assoluto,  come  appresso  mostreremo.* '  ÀR1ST.,  De  An.t  li,  iv.  Cfr.  anche  la  Metaph.,  Vili. '  Secondo  l'interpretazione  che  noi  qui  abbiam  dato  alla  sentenza del  Vico  8i  può  dire  che  il  Primo  Meta/uico,  essendo  il  vero  in  attinenza col  realtf  sia  il  Fatto,  cioè  il  fatto  del  pensiero  speculativo,  il  fatto  della scienza  che  convertesi  col  Vero  assoluto,  il  quale,  come  vedremo,  è  il  Primo fatto  per  eccellenza.  Accade  perciò  che  il  Primum  Verum  Metaphysicum debba  riguardarsi  come  anello  di  congiunzione  fra  la  Logica  e  la  Me- tafisica; ond'ò  che  fra  queste  due  scienze,  anziché  esserci  quella  me- diazione Hegeliana  la  quale  in  sostanza  ò  una  compenetrazione  asso- luta, ci  è  invece  conversione;  e  la  conversione  esprime  non  già  identità nella  difTerenza,  ma  identità  e  insieme  differenza.  Vi  è,  in  altro  parole, medesimezza  di  legge,  di  forma,  e  qnìndi  continuità  ideale;  ma  ci  è  pure differenza,  differenza  essenziale,  differenza  di  contenuto,  e  però  intervallo retde.  Ecco  perchè  il  Vico,  svecchiando  un  principio  aristotelico,  afferma: «  Qìullo  eh*  è  metafisico  in  quanto  contempla  le  co»e  per  tutti  i  generi  del- V  eteere,  la  steesa  è  la  logica  in  qwanto  considera  le  cose  jìer  tutti  i  generi di  eignificarle.  »  Questa  relazione  fra  la  Logica  e  la  Metafisica  fu  dal  no- stro filosofo  incarnata  sotto  forma  simbolica  nella  IHpiniura  ;  e  nell'  Iv^ro- duzione  alla  Scienza  Nuova  la  venne  determinando  nel  concetto  del  M(»ndo DILLE  Menti  r  di  Dio.  Menti  pensiero  spirito,  e  perciò  Psicologìa  Lo- gica e  Ideologia,  come  vedemmo,  formano  tutt*un  processo.  Un  processo ha  da  essere  anche  V  Assoluto.  Ma  le  Menti  e  Dio  formano  anch'  essi un  processo,  un  organismo,  un  Mondo:  in  quanto  che  fra  que'duo termini  ci  ha  da  essere  conversione.  Questo  tutto  organico  lo  dicemmo proceeto  ideale  per  parte  del  primo  termine,  cioè  delle  Menti,  nel  senso che  ha  da  essere  mediazione  razionale,  conoscitiva.  Perciò  Primo  vero metafineo  e  Principio  metafinco.  Logica  e  Metafisica,  Menti  e  Dio,  com- pongono un  Mondo;  un  Mondo  superiore  a  quello  della  Natura  nonché  a quello  dello  Spirito,  inteso  questo  come  sviluppo  isterico,  come  storia che  è  Vita  Humani  Qeneri»,  Dal  tutt' insieme  quindi  si  vede  come  il suo  Primo  Vero  metafineo  non  sia  nient'  affatto  una  vuotaggine,  un’entità formale  e  puramente  astratta.  È  la  sua  luce  metafieica^  non  già indeterminata,  anzi  determinata  mediante    stessa;  determinata  me- diante il  processo  eduttlTO.   È  il  risultato  estremo  del  Noùc  attuale  e Veniamo  al  vivente  rappresentante  del  Neoplatoni- smo in  Italia.  L' illustre  Mamiani  ha  visto  la  necessità d'imprimere  novella  forma  e  rigor  logico  alla  dot- trina platonica  della  conoscenza,  modificando  la  teorica del  Gioberti,  e  correggendo  quella  del  Rosmim'.  A  spie- gare perciò  l'elemento  universale  del  pensiero  ei  si raccomanda  alla  solita  àncora  di  salvezza,  l'Intuito  del l'Assoluto,  ma  con  V  interposmone  delle  idee;  le  quali  per lui  somiglierebbero  quasi  ad  altrettanti  spiragli  ond'alla mente  lampeggia  la  Divinità.  Tutto  ciò,  del  resto,  non toglie  eh'  egli  abbia  da  ammettere  doppio  ordin  di  co-  ' noscenze,  percezioni  e  intellezioni,  assai  diverse  fra  loro e  pur  fra  loro  collegate  per  via  di  rappresentansia.  Ma non  potendo  intrattenerci  a  riassumer  le  ragioni  sopra cui  si  regge  cotal  dottrina,  ci  ristringiamo  a  far  poche osservazioni  guardandola  segnatamente  sotto  l'aspetto psicologico.  Due  ne  sembrano  i  difetti  principali:  T invocare l'intuito  dell'Assoluto  nello  spiegar  l'elemento universale  della  conoscenza;  2**  non  dimostrare  per  che mai  ragioni  l' ordine  delle  percezioni  abbia  a  rispondere a  quello  delle  intellezioni. Se  ne  l'intellezione,  come  vuole  il  Mamiani,  può rampollare  in  modo  alcuno  dalla  percezione,    questa ci  ha  che  vedere  con  quella  tuttoché  entrambe  devano esser  congiunte  in  armonia;  la  dottrina  psicologica  del rifleASo;  epilogo  della  scienza  psicolo^^ica,  e  però  Defìnwione  e  Principio della  Metafisica.  Or  la  luce  in  quant*  è  oggetto  del  Noù;  potenziale  no! la  dicemmo  metafitioa  perchè,  quantunque  superiore  al  sensOf  è  nondi- meno po9ta  da  natura,  ò  originaria,  e  quindi  essenzialmente  obbiettiva. La  conclusione  dunque  parmi  chiara  :  Primo  pticologico,  Primo  logico'  e Primo  vero  metaJUioo  non  sono  tre  entità  ruote  e  formali,  giuochetti d'astrazione,  indovinelli  da  algthritiij  come  direbbe  lo  stesso  Vico,  ma sono  tre  anelli  d’una  medesima  catena,  tre  momenti  dinamici  d*  una medesima  energia  essenzialmente  obbiettiva.  Questa  (per  concludere  contro i  Neoplatonici  ontologisti)  parmi  V  interpretazione  più  acconcia  del  rap- portoche  il  filosofo  di  Napoli  pone  fra  il  /Vìnto  logico  e  *1  Primo  vero meta/uieo,  e  quindi  fra  T  ordine  logico  e  T  ordine  ontologico.  Ogn' altra non  riescirebbe  a  salvarlo  dalle  contraddizioni  col  proprio  metodo,  e  tanto meno  poi  dalle  incongruenze  con  la  ragion  filosofica  positiva. Pesarese  parrebbe,  come  ad  altri  è  parsa,  una  specie d'alcliimia.  Per  quanto  diverse,  le  percezioni  e  le  intelle- zioni hann'a  convergere  si  da  appuntarsi  quasi  due  raggi in  un  centro  comune,  cKè  V unità  sostaiìzUàe  dello  spirito.^ Or  non  è  questo  precisamente  ciò  che  da  ventidue  se- coli va  chiedendo  il  pensiero  filosofico:  come  mai,  cioè, se  diverse,  elle  compongono  fra  loro  unità?  Abbiamo un  intùito  di  qua,  e  un  intùito  di  là:  la  percezione  che  av- vertendo un  termine  estriìiseco  lo  apprende  siccome  forza, e  la  visione,  l'intùito  ideale^  che  con  T interposizione delle  idee  coglie  l' Assoluto.  Non  siamo  già  in  una  for- ma di  dualismo  psicologico  che  fu  ed  è  sempre  la  pie- tra d^nciampo  d'ogni  fatta  platonici?  Non  abbiamo qui  sott'  occhio  Y  etemo  e  gravissimo  difetto  del  Neo- platonismo, la  mancanza  di  processo?  Oltre  Talchi- mia  (col  dovuto  rispetto  al  grand'  uomo)  qui  veggiamo una  macchina  a  doppio  retaggio:  senso  e  concetti, esperienza  e  luce  divina,  fatti  e  Assoluto  splendente cui  lo  spirito  inerisce  con  marginale  adesione,  e  per  via di  contatto  spiìituale.  Chi  fa  tutto  ciò?  Come  avviene tutto  ciò?  L'illustre  di  Pesaro  ci  dice  e  ripete  a  sa- zietà,che  fra  l'ordine  delle  intellezioni  e  quello  delle percezioni  ci  ha  corrdaeione  ordinata  e  continua,  ri- spondenza puntualissima^  squisitissima  armonia.*  E  sta bene  :  chi  non  è  scettico  sistematico  non  penerà  gran fatto  a  riconoscere  e  sentire  cotesta  e  ben  altre  armo- nie.Ma  quel  che  ignoriamo,  e  pur  vorremmo  sapere, è  appunto  il  motivo  di  cotesta  squisita  rispondenza.  Or questo  motivo,  non  ci  è,  o  almeno  è  impresa  non  molto agevole  rinvenirla  nelle  Confessioni  d*un  metafisico^  Pe- rocché s'io  ho  da  coglier  l'Assoluto  mercè  l'idee,  o, meglio,  se  è  r  Assoluto  quegli  che  ha  da  comunicarmele *  Mamiaki,  Con/ftioni  d'un  mttaJUieOf  Idem,  eo: €  come  avvenga  che  ad  una  data  pereenone  rieponda  una  daUx  idea?  » Voi.  cit.,  pag.  163,  §  2^. non  già  graziosamente,  anzi  inevitabilmente,  quale  ne sarà  la  conseguenza?  Sarà  che  la  ragione  onde  questa 0  cotesta  percezione  ha  da  rispondere  a  quella  o  quel- l'altra  intellezione,  in  altro  non  si  potrà  occultare fuorché  in  un  vieto  occasionalismo,  od  in  una  vieta  e grossolana  armonia  prestabilita.  Non  v'è  scampo.* '  No'  parecchi  cangiamenti  cai  è  andata  sogrgetta  la  mente  del  Ma- miani,  sol  una  dottrina  è  rimasta  immutata  nelle  sue  scrìttnre,  e  della quale  ei  si  loda  più  d*  una  volta.  È  la  dottrina  su  la  percezione,  che  il nostro  egregio  amico  prof.  Ferri  dichiara  bellissima.  Bellissima  sarà: ma  è  altrettanto  salda?  Forse  che  Ano  dal  1837  il  Rosmini  con r  acuta  lama  della  sua  crìtica  non  la  ridusse  a  polvere  nel  suo  Rinnova- mento f  Intendiamoci  bene.  La  percezione  del  Mamiani  non  è  senso,  e nemmanco,  a  dir  proprio,  giudizio.  Che  cos*ò  dunque?  È  e  im  intuire V  atto  involto  nella  8en9axione  die  congiugne  in  uno  due  termini^  oggetto eentiio  e  avvertito  come  fortOy  e  soggetto  tentenìe.  »  {Oonfeasionif  voi.  cìt, pag.  68-64;  Meditazioni  Carte»).  Or  bene,  che  è  egli  mai  co- testo intuire?  Quar  è  la  natura  intima  di  quest'atto?  È  difficile averne  risposta  ben  determinata.  L'animn,  dice  il  Mamiani  più  d*una volta,  è  dotata  d^una  veduta  it^eriore  di  ti  medeaimaj  e  questa  interior veduta  è  quasi  occhio  mentalcf  pupilla  spirituale,  anteriore  al  fatto della  percezione.  Che  cos*  è,  di  grazia,  cotest*  oeeAio,  cotesta  pupilla, cotesta  veduta  interiore  f  È  forse  un  giudizio?  No,  risponde:  che  alla funziono  giudicativa  devq  andare  innanzi  la  percezione.  {Confeenoni, voi.  cit,  p.  150).  Che  cos*ò  dunque?  Per  quanto  altri  voglia  andar  ri- cercando no'  copiosi  volumi  di  questo  Neoplatonico,  mai  non  gli  verrà fatto  ripescarne  risposta.  Ora  a  noi  pare  che  tal  veduta  interiore  di  si altro  non  possa  essere  tranne  che  un  ritorcersi,  un  geminarsi  primitivo, e  perciò  un  insieme  d'oggetto  e  di  soggetto,  una  triplicità  iniziale,  uu giudizio.  Sarà  giudizio  sui  generis;  sarà  giudino  fcUto  stnxa  riflessione come  direbbe  il  Vico;  ma,  in  sostanza,  ò  giudizio.  Se  dunque  è  tale,  non importa  un  oggetto?  Or  quale  sarà  l'oggetto  dell' infmor  veduta,  cioò  la luce  di  queir  occhio,    quella  pupilla  t  V  Ente  possibile  no,  certo  :  e  il Mamiani  con  dialettica  stringente  e  per  quattro  differenti  capi  s' accinge a  far  minare  dalle  fondamenta  la  teorica  rosminiana,  e  in  parte  vi riesce.  (Ibi,  L.  II,  e.  V).  Che  cosa  dunque  sarà?  A  quel  che  ne  pare, neanche  qui  egli  risponde.  E,  checché  possa  dirne,  certa  cosa  è  che  so l'anima  è  davvero  dotata  d'una  interna  veduta  (la  quale  perciò  è  logi- camente anteriore  alla  percezione),  a  spiegar  questa  non  si  può  prescin- dere da  quella.  Se  la  cosa  infatti  non  procedesse  così,  in  che  maniera la  percezione  verrebbe  capace  di  trascendere  i  limiti  del  puro  sensato  ? Brevemente:  l' Io  non  percepisce,  V  Io  non  avverte  un  termine  esteriore siccome /orsa,  senza  eh' e' /)ereept«ca  e  avverta  so  medesimo.  Or  che cos'  ò  il  percepire    stesso,  tranne  che  un  atto  giudicativo  ?  Dunque anteriormente  al    fatto   della  percezione   (com'  ei  la  intende),  ci  ha  da Se  non  che,  la  più  fresca  novità  delle  Confessioni è  r  intuizione  dell'  Assoluto  ;  quindi  la  invitta  prova che  ne  scende,  secondo  il  Mamiani,  su  l'esistenza  di Dio  ;  quindi  la  salda  costituzione  a  priori  della  Meta- fisica. Innanzi  tutto:  se  cotesta  intuizione  non  è  altro fuorché  una  semplice  contiguità,  un'  adesion  marginale del  pensiero  con  l'Assoluto,  non  è  chi  in  essa  non  sap- pia ravvisare  quel  toccamento  spirituale  de*  Yecchi  Neo- platonici, dottrina  rinverdita,  quindici  anni  avanti  '1  Pe- sarese, dall'illustre  neoplatonico  Pomari.*  Vero  è  che la  sentenza  la  quale  a  tal  proposito  risulterebbe  dal- l'insieme  delle  sue  dottrine  potrebb' esser  questa:  che il  suo  intùito  non  sia  già  un  atto  originario,  potenziale, essenziale,  bensì  tutt'  un  ordine  d' intuizioni  per  quante potrann' esser  le  idee  attraverso  alle  quali  avvien  che traspaia  l' Assoluto.  Or  s' egli  è  così  (né  sappiamo  dir davvero  s' e'  sia  così),  perché  aflFermare  più  d'una  volta, esser  necessaria,  inevitabile  uxìl  intuizione  perenne  e  im- mediata délV  Etite  sortitaci  da  natura  e  dalla  essenza  dd nostro  spirito?  *  Se  l' intuizione  dell'Assoluto  é  un  atto essenziale,  come  potrebbe  non  esser  primitivo?  E  s' egli é  primitivo,  non  è  a  reputarsi  anteriore  logicamente alla  percezione?  In  sostanza,  se  T'Assoluto  é  quegli  che ^presenta  al  pensiero,  e'  s'ha  a  mostrare  fino  dal  primo atto  della  mente;  la  quale  perciò  sarà  mente,  sarà  pen- essere  qualcos'altro  che  ne  sìa  la  vital  condizione.  Evidentemente r  acuta  pupilla  speculativa  del  Pesarese  non  s*  è  profondata  nolla  na- tura di  siffatta  condizione.  E  puro  con  quest*  alchimia  e'  non  dubita  cre- dere d*  avere  una  buona  volta  composto  in  armonia  1*  antica  lotta  fra Platonismo  ed  Aristotelismo  ! '  Il  Hamiani  dice  :  «  balena  con  evidenza  V  intuito  cT  una  poeitiva, immota  ed  universale  realtà^,,  indeterminata  e  inqualiJiiMta  e  perciò  oeeura e  non  deecrivibile,  >  {Meditaz,  Carte».)  Non  è  egli  cotesto  V  oh- biette  intelligibile  colto  dall*  intùito,  nulla  interpoeita  creatura,  di  che parlano,  per  esempio,  i  seguaci  di  sant*  Agostino,  e,  fra  questi,  il  For- narì?  (Ved.  VelV  Armonia  Univ.,  p.  74,  75,  ed.  cit.). *  Meditai,  Cartee, Questa  sentenza,  come  ò  chiaro,  è in  aperta  contraddizione  con  quell'altra  onde  il  Mamiani  afferma  e  ri- pete, nulla  non  v'esser  nolla  sua  dottrina  d'innato,  nulla  di  primitivo. Vedi  Riep,  al  eig,  dott,  Akt»,  Brentazzoli,  Bologna,  1866. siero,  solo  in  grazia  di  chi  le  sta  dinanzi.  Ora  se  il  yero, metafisico  o  no  che  sia,  non  è  fatto  dalla  mente,  ma  da essa  ricevuto,  evidentemente  il  Neoplatonismo  del  Ma- miani  viene  a  contraddire  alla  dottrina  psicologica  del Vico,  rompe  contro  alle  severe  obbiezioni  mosse  al  Gio- berti, e  massimamente  soggiace  a  quella  grave  difficoltà che  Aristotele  oppose  al  suo  gran  maestro  circa  la  inu* tilità  deir  esperienza  e  de'  fatti  e  delle  percezioni,  posto che  il  vero  e  l'universale,  in  che  risiede  propriamente  la scienza,  debba  ne' suoi  principii  derivarci  dall'alto  e dal  di  fuori,  meglio  che  dal  didentro/ Se  non  che,  ingegno  elegantissimo  e  ricco  di  vena  poe- tica, questo  filosofo  spesso  indovina.  Talora  infatti  sem- bra non  esser  l'Assoluto  quegli  che  determina  e  significa se  medesimo  nelle  idee;  bensì  la  mente  stessa  la  quale, generando  cotesto  idee,  determina  idealmente,  esprime e  significa  l' Assoluto  :  tanto  che  non  sarebbe  altrimenti lo  splendor  divino  che  penetrando  quasi  attraverso  gli esilissimi  spiragli  delle  idee  ne  promoverebbe  l'intùito, ma  la  stessa  virtù  riflessa  ne  verrebbe  argomentando r  esistenza  e  la  natura  per  necessità  eduttiva.*  Ora  solo *  AbisTm  M«iaph.y  Mamianì  potrebbe  dire:  il  mio  intiiito sta  in  ciò,  che  ogn*  idea,  avendo  a  significare  per  propria  natura  un  obbietto, debba  importare  un'  enistenza  etema,  ed  una  $peciaU  determinazione  ddVente aMolìtto  e  infinito.    Accettiamo  anche  questa  posizione.  Che  cosa  ne Terrà?  Poiché  gli  obbietti  tignijiecuiei  dallo  idee  non  potranno  esser  al- tro salvo  cho  determinazioni  ad  intra  o  determinazioni  ad  extra  del- r  assoluto,  sorge  la  necessità  di  spiegare  se  1*  intuito  s*  appunterà  verso le  une,  meglio  che  verso  le  altre.  Stando  alla  dottrina  della  maboinalb ADS8I0NR  e  del  toecawtento  epirituale,  V  intuito,  non  essendo  un  atto  pene- trativo, coglierebbe  le  seconde  anzi  che  le  prime:  e  quindi,  innanzi  ogni altra  determinazione  dell*  assoluto,  dovrebbe  afferrar  quella  dell*  atto creativo.  Or  se  questo  è  vero,  parmi  evidente  come  la  dottrina  del Mamiani  su  la  conoscenza  non  si  discosti  neppur  d*un  apice,  quanValla sostanza,  dalla  dottrina  del  Gioberti,  il  quale  non  ha  mai  preteso  che  il suo  intùito  abbia  da  essere  un  atto  penetrativo.    Ma  il  termine  esterno, il  sensato  (egli  dirà)  si  ha  per  via  di  percenone,    Ad  un  acuto  Qio- bortiano  qui  non  tornerebbe  guari  difAcile  cogliere  V  autore  delle  Oon- fe99ioni  in  aperta  contradizione  con  so  medesimo. *  Nelle  Con/e99Ìoni  è  sempre  T  Assoluto  quegli  che  s'affaccia  ed eccita  e  promovo  lo  spirito  al  pensiero,  e  solo  in  qualche  luogo  (per per  cotesta  via  egli  avrebbe  potuto  correggere  il  Gioberti, e  riconoscere  insieme  la  parte  di  vero  che  è  pur  nelle dottrine  Rosminiane.  Solo  per  cotesta  via  avrebb'egli inverato  il  Platonismo,  e  dischiuso  fra  noi  un  periodo novello  di  speculazione  feconda,  razionale,  positiva  e, che  più  rileva,  conseguente  alla  storia  della  scienza. E  solo  per  cotesta  via  non  sarebbe  incappato  nella  in- coerenza di  porre  l'Assoluto  come  uiroOt^tc,  e  in  un'ora medesima  dichiararlo  oggetto  d'intùito.  Perocché  se  con l'analisi  delle  idee  ci  è  dato  risalire  per  logica  neces- sità fino  a  cotesta  uttotsjc;,  a  me  pare  che  una  dottrina psicologica  0  ideologica,  la  quale  invochi  '1  sussidio  d'un intuito,  sia  un  fuor  d'opera  addirittura.    Con  ciò  stesso avrebbe  corretto  il  valor  rappresentativo  delle  idee, eh'  è  r  altra  originalità  cui  pretende  il  Neoplatonismo del  Mamiani.  Quale  attinenza  è  mai  fra  l'idea  e  l'ideato? Non  quella  di  somiglianza  come  han  creduto  balorda- mente i  Malebranchiani,  egli  risponde;  ma  si  quella d'una  vera  e  propria  significazione.  Eccolo  dunque  anche qui,  senza  addarsene,  alla  famigerata  wa/jo^ix  platonica tanto  invocata  dal  Gioberti  nella  sua  prima  maniera  di filosofare.  Nel  che  il  Pesarese,  anziché  progredire,  è  ri- masto molto  indietro  all'  autore  della  Protólogia  nella quale,  com'  é  noto,  il  concetto  della  piOiSi;  rivelasi  im- prontato d'una  forma  novella,  e,  fino  a  certo  segno,  origi- nale. Ma  lasciando  stare  del  regresso  e  dello  scadimento notevolissimo  che  nella  specuhizione  italiana  ci  segnano le  Confessioni  d' un  Metafisico  ove  si  ponga  a  riscontro lo  dottrine  del  Mamiani  con  V  ultima  forma  cui  s'  era levato  r  ingegno  potentissimo  del  Gioberti,  è  bene  qui accennare  un'ultima  osservazione  su  l' attinenza  che  il Pesarese  pone  fra  le  intellezioni  e  il  loro  obbietto. 68.  a  p.  95  e  seg.,  voi.  cit.)  fa  trasparire  la  nuora  tendenza  cni  allo- diamo.  Ma  noU*  opuscolo    risposta  ni  Bonatelli  (Bologna) questa  tendenza  è  pid  chiara,  tuttoché  manifestata  foggevolmente  e forse  Inconsapevolmente.  Dico  inconsapevolmente  perchè  nelle  Medita- zioni rinnovate  e*  ricasca  nella  solita  presenaialità,  nella  tolita  marginale ndenone^  come  ci  attestano  le  sentenze  qna  dietro  riferite. Le  idee  importano  il  divino,  egli  dice;  poiché  non sono  fuorché  altrettanti  simboli,  altrettante  significa- zioni dell'  Assoluto.  Se  questo  è  vero  ne  segue  che,  in quanto  simboli  e  segni,  elle  non  avran  valore  infino  a che  cotesti  simboli  non  siano  intesi  e  interpretati.  Macome  la  mente  potrà  giugnere  ad  intendere  e  inter- pretare siffatti  segni?  Mercé  l'ordine  delle  percezioni. Or  bene,  se  l' idea  non  basta  a  significar    medesima né  a  farsi  intendere  da  sé,  evidentemente  per  noi ell'é  come  un  chiaror  confuso,  vago,  indeterminato, insignificante,  e  quindi  al  tutto  inutile  alla  scienza. D' altra  parte,  se  l' ordin  delle  percezioni  é  di  sua  na- tura cosiffattamente  limitato  da  essere  incapace  a  darci r  universale,  non  potrà  non  riescire  anch'  egli  d'ingom- bro inutile  alla  mente.  Si  dirà  di  poter  superare  il  fe- nomeno e  attinger  la  scienza  mercé  il  connubio  dell'or- dine percettivo  con  l'intellettivo?  Questo  é  per  l'appuntò ciò  che  pretende  il  Mamiani.  Ma,  se  eoa  fosse,  non  ved- remmo ad  assomigliare  il  regno  della  scienza  e  delle  idee a  quello  di  natura  e  delle  fisiche  efficienze,  ove  se  a due  cavalli  non  vien  fatto  di  tirarsi  dietro  un  carro  vi potranno  benissimo  riescir  quattro?  Mamiani  afferma non  dimostra  la  platonica  7ra/)0Tc«:  afferma,  non  dimostra la  platonica  xotvwvèa.  E  per  tutta  dimostrazione  ci  an- nuns^ia  che  l'idea  é  significativa,  perché?  perché  havvi un  obbietto  nel  quale  debb'  ella  necessariamente  termi- nare.Or  in  che  modo  legittima  egli  cotesto  obbietto? Lo  legittima,  come  s'  é  visto,  dichiarandolo  presente^  po- nendolo presente!  Questo  é  proprio  il  nocciolo  maga- gnatodel  Neoplatonismo.  La  preserunalUà  dell'Assoluto è  un'ipotesi,  un'affermazione  arbitraria:  ecco  tutto.* *  Corte  dottrine  del  Mamiani  ci  ricacciano  addirittura  fra  i  Plotino, i  Proclo  e  gli  Ammonio,  appo  cai  facilmente  troverebbe  riscontro  il  sno concetto  del  Bene.  E  chi  pigliasse  poi  a  rovistare  attentamente  nelle antiche  scuole,  per  esempio  nel  vecchio  e  anonimo  autore  della  Teologia (Rayaibson),  potrebbe  ritrovar  più  che  un  germe della  dottrina  sn  \*influxu$  divintu  che  neir  Arabismo  e  anche  nella  Sco- Concludiamo.  Noi  abbiam  dovuto  fare  una  critica rapidissima  del  Neoplatonismo  italiano  considerandolo segnatamente  sotto  l'aspetto  psicologico,  perchè  i  tre filosofi  di  cui  abbiamo  toccato  ci  rappresentano  le  posi- zioni più  serie,  le  forme  principali  ond'il  Platonismo crede  attinger  l'obbietto  metafisico.  Rosmini  è  il  meno dommatico,  il  meno  arbitrario,  il  piii  positivo  e  quindi il  meno  platonico  fra  tutt'  i  platonici.  Egli  pecca  nel porre  l' essere  della  mente  come  ideale;  e  lo  sbaglio  di siffatta  posizione  vale  a  spiegarci  le  contraddizioni  in  cui spesso  ha  inciampato  nella  psicologia,  nonché  le  gravi manchevolezze  nel  suo  disegno  ontologico  su  le  tre  forme dell'  Essere.  Assai  piii  del  Rosmini  pecca  il  Gioberti  nella dottrina  psicologica  affermando  l'essere  come  reale  e, che  più  monta,  come  recde  determinato.  Non  meno  del Gioberti  e  del  Rosmini  pecca  il  Mamiani  ponendo  co- testo reale  come  infinito  in  se,  e  come  presente  al  pen- siero mercè  l' interposizione  delle  idee.  Si  direbbe  dunque che  il  Neoplatonismo  italiano,  in  questi  tre  filosofi,  abbia progredito  su  la  via  dell'  a  priorismo  e  dell'  iperpsico- logismo.  Essi  han  dato  tre  passi,  ma  indietreggiando sempre  più;  perchè  con  l'esagerare  l'esigenza  platonica han  trascurato  l' esigenza  aristotelica,  tuttoché  ciascun d'  essi  abbia  creduto  d' aver  impresso  oggimai  un  accordo definitivo  fra'  sistemi  de'  due  vecchi  filosofi.  L'ul- timo segnatamente,  il  Mamiani,  mostra  d'aver  progredito assai  più  del  Rosmini  e  del  Gioberti  in  questa  via.  Sotto certi  rispetti,  infatti,  il  Neoplatonismo  del  Pesarese  par che  confini  col  Teologismo:  talora  anzi  vi  si  confonde, chiunque  ripensi  a  quelle  cinque  differenti  maniere  (oltre la  sesta  della  comunione  ideale  ond' abbiamo  parlato) mercè  cui  egli  stima  debbansi  attuare  gV  influssi  divini.  E Dio  che  crea  l' anima,  e  la  fa  esistere.  Ma  è  anche  Dio che  le  fa  intendere  presentandosi  a  lei  attraverso  le  idee. È  Dio  che  le  fa  ammirare  il  bello,  e  incarnarlo.  È  Dio  che lastica  tien  luogo  del  processut.    (Vedi  lo  stesso  Rayaisson. Vachebot,  Hi8t,  critique  de  VÉcole  d'^Alexandrie,  T.  II,  iv.) le  fa  operare  il  bene  e  la  virtù.  Che  più  altro?  È  Dio  per- fino che,  disponendola  ineffabilmente,  la  eccita,  la  trae all'adorazione.  È  proprio  il  regno  di  Dio  su  questa  nostra terra  1  E  Y  illustre  Mamiani  potrebbe  oggi  ripetere  le pietose  e  calde  parole  del  Malebranche:  0  Dieu!  exaucez ma  prière,  après  que  vous  Vaurez  formée  en  mai! Capitolo  Ottavo, continua  lo  stesso  argomento. {Critica  del  NeoarigtoteUsmo), Notammo  come  il  principio  del  conoscere  metafisico immediato  ponga  radice,  per  dirla  con  le  parole  di  He- gel, nel  rapporto  d' un  nesso  primitivo  ed  essenziale  fra il  pensiero  e  T Assoluto,  fra  il  soggetto  e  T  oggetto/  Àb- biam  visto  come  il  Neoplatonismo  italiano  moderno propugni  questa  connessione  sotto  tre  forme  più  o  manco razionali;  e  come  abbia  quindi  a  tornare  assai  difficile al  Rosmini,  e  molto  più  al  Gioberti  e  al  Mamiani,  li potersi  difender  dair  accusa  di  panteismo  ideale.  Gli estremi  si  toccano  anche  qui.  Con  la  teorica  dell'  intui- zione e  deir  immediatezza  i  nostri  Neoplatonici  riescono, checché  se  ne  dica,  a'  risultati  cui  perviene  la  dottrina della  mediazimie  propugnata  dagli  altri  nostri  viventi filosofi,  seguaci  caldissimi  dell'Idealismo  germanico. Dicemmo  qual  sia  la  doppia  esigenza  onde  il  Neo- platonismo si  divaria  dal  Neoaristotelismo  quant'al  co- noscere metafisico. Per  la  natura  istessa  di questa  doppia  esigenza  avviene  che,  come  nel  primo, cosi  pure  nel  secondo  indirizzo  sono  possibili  più  forme, più  maniere,  più  metodi,  sia  che  si  tolga  di  mira  il modo  con  che  si  crede  poter  attinger  l'assoluto,  sia che  il  risultato  ultimo  a  cui  si  potrà  giugnere.   Non «  Hegel,  Log. volendo  tener  conto  di  quella  vieta  e  volgar  maniera di  mediatezza  che,  quantunque  sotto  aspetti  differenti, fa  sempre  un  salto  mortale  quando  presuma  levarsi dall'effetto  alla  causa  e  dal  dato  alla  condizione  del dato;  possiamo  ridurre  a  due  le  forme  più  generali  e comprensive  di  tal  mediazione.  Esse,  al  solito,  risal- gono a  que'  due  estremi  in  che  dicemmo  sdoppiarsi r  Aristotelismo:  perchè  anche  nella  quistione  metafisica il  primo  di  cotest'  indirizzi  ci  è  oggi  rappresentato  dal Positivismo  e  dal  Materialismo;  l'uno  affermando,  nulla mai  non  potersi  conoscer  di  metafisico,  e  l'altro  innal- zando a  dignità  d'  assoluto  la  stessa  materia,  senza legittimarne  menomamente  il  concetto.  Il  secondo  poi vuol  essei^e  anch' egli  avvisato  sotto  doppio  rispetto, potendo  assumere  due  forme  che,  per  due  differenti ragioni,  rivestano  entrambe  carattere  iperpsicologico. Si  può  infatti  mantener  la  posizione  d'  un.  immediato irradiamento  per  virtù  d'un  principio  superiore,  gene- rale e  comune^  e  s' ha  uq  indirizzo  averroistico  ;  il  quale, benché  storicamente  sìa  come  un  virgulto  sbocciato  nel giardino  dell'Aristotelismo,  può  siffattamente  svolgersi  e grandeggiare,  come  nel  fatto  è  avvenuto,  da  toccarsi  e talora  confondersi  col  Neoplatonismo.  Ma,  d'altra  parte, può  assumere  forma  squisita  di  scienza,  e  s' ha,  come ne'  tempi  moderni,  una  delle  tre  maniere  dell'Idealismo germanico  appellate  subbiettiva,  obbiettiva,  assoluta. Sennonché  è  da  notare  come  fra  tutt'  i  sistemi  quello dell'assoluta  identità  serbi  '1  distintivo  d'esser  natura- lismo e  ipei-psicologismo  insieme,  e  racchiudere,  co'  molti pregi,  i  moltissimi  difetti  dell'uno  e  dell'altro  indirizzo. In  metafisica  l'Hegeliano  è  iperpsicologista.  Perocché quantunque  non  attinga  l' assoluto  per  opera  d' un  in- tuito e  d'un'immediata  visione  più  o  meno  spiccatamente neoplatonica,  dice  e  crede  mostrare  di  poterlo  cogliere quasi  d'assalto,  come  toccammo,  cioè  per  stibitanea  ed assoluta  astraeione  dd  pensiero  puro.  Dice  e  crede  mo- strare di  poter  dedurre  a  tìl  di  logica  la  dialettica  che per  lui  costituisce  la  chiave  di  volta  d' ogni  scibile  e d' ogni  ordine  di  realtà..  Anch'  egli  dunque  trascende;  e però  anch' egli  vizia  l'esigenza  d'un  positivo  e  severo psicologismo.  Ma,  oltreché  iperpsicologista,  l'Hegeliano è  anche  naturalista.  Checche  se  ne  dica,  la  sua  logica obbiettiva,  la  dialettica  intrinsecata  e  compenetrata  con la  stessa  metafisica,  non  è  altro  alla  fin  delle  fini  che imitazione  e  ripetizione  della  stessa  natura,  delle  stesse leggi  di  natura,  tuttoché  ridotte  al  grado  più  univer- sale e  squisito  di  trasparenza  ideale,  pura,  assoluta,  per cui  la  forma  costituisce  lo  stesso  contenuto,  e  viceversa. Il  perché  se  l'Idealismo  assoluto,  come  altrove  notammo, è  stato  detto  con  felice  espressione  esser  V  àlgebra  dd naturalisino,  con  altrettanta  verità  può  dirsi  essere un'  algebra  della  psicologia,  del  pensiero  e  delle  idee  ; tanto  che  ci  sarà  lecito  designar  come  indovinello  d'alge- bristi (direbbe  il  Vico)  quell'assoluto  che  gli  Hegeliani con  miracolo  non  mai  visto  fanno  venir  fuora  dalle  neb- biose alture  della  dialettica.  Possiamo  dunque  affermare che  Positivisti  e  Idealisti  assoluti  oggi  rappresentino  gli estremi  indirizzi  dell'  Aristotelismo.  E  queste  due  forme neoaristoteliche,  tuttoché  fra  Joro  si  differenzino  toto cedo  nel  metodo  e  nel  concetto  della  scienza,  nuUameno si  toccano  ne'  risultati,  massime  in  quello  risguardante il  valore  e  '1  destino  dell'  umana  personalità.* *  Chi  tien  conto  della  necessità  d*  ìndole  tutta  fisiologica  ed  empi- rica secondochò  è  intesa  da'  positivisti  e  da*  niaterìalisti,  e  della  necessità tntta  dialettica  ideale  assoluta  com'è  concepita  dagli  Hegeliani,  tosto 8*  accorgerà  d' un*  altr*  attinenza  fra  queste  due  tendenze  della  moderna speculazione.  Il  dinamismo  noli*  essere,  nelle  cose,  nella  scienza  e  nella storia,  sparisce  cosi  per  1*  una  come  pet  1*  altra  dottrina.  Meccanismo ideale,  come  dicemmo,  e  meccanismo  fisiologico  e  materiale:  necessità logica  e  formale,  e  necessità  empirica  e  meccanica;  ecco  tutto.  Oggi dunque  potremmo  affermare  dell'una  e  dell'altra  scuola  ciò  che  Aristo- tele diceva  de' pittagorìci  e  de' platonici:  'A).Xa  yiyovi  roì  fiscBri- fixrcx.  To?c  vvv  >j  ^tXoao^ia  {Metaph,  I.)  Cosi  Hegeliani  e  Positivisti, come  avvertimmo  nella  Introduxione,  tuttoché  movano  da  due  punti  Uh loro  interamente  diversi  ed  opposti,  riescono  pur  nullamanco  fid  una  me- desima legge.  E  come  al  Platonismo  primitivo  tenne  dietro  la  scuola  di Rifacciamoci  da' Positivisti,  i  quali,  ove  discoiTono intorno  al  problema  del  conoscere  metafisico,  non  mo- strano quella  serietà  scientifica  della  quale  non  pertanto vanno  lodati  quando  parlano  de'  principi!  metodici  da  ap- plicarsi alle  scienze.  Quant'  al  problema  d'una  realtà metafisica  e' non  sofirono  d'esser  messi  in  un  fascio  con gli  scettici  sistematici  e  co'  nullisti  ;  e,  davvero,  non  han torto.  I  Positivisti  infatti  ci  parlano  d'  un  Inconoscibile. Dunque  essi  confessano  V  esistenza  d' un  obbietto  trascen- dente. Ma  come  legittimano  cotest' obbietto?  Come  ne determinano  l'idea  tosto  che  ne  parlano?  I  Positivisti francesi  ne  discorrono,  ci  piace  ripetere  anche  qui  la frase,  come  d' un  oceano  immenso^  doni  la  daire  vision est  amsi  salutaire  que  formidable.*  I  Positivisti  inglesi poi  ci  porgono  un  concetto  più  determinato  di  cotesto Deus  àbsconditus,  àicenàoìo  potenza,  forzc^  di  cui  V  uni- verso è  simbolo  e  manifestazione} Il  positivista  francese  qui,  com'  è  evidente,  s' addi- mostra pili  positivo,  0  meglio,  più  negativo  dell'inglese, e  quindi  più    timido,   più   circospetto,  più  scettico  di di  Speusippu  cbe  radiò  addirittara  il  numero  ideale  (yortroc,  sc^yjtcxo;) sostitueodoTì  il  nunioro  sensibile  appunto  perchè  queir  idea  come  astratta e  generale  parevale  cosa  inutile  (Arist.  Metaph,,  XIII.  Rataibbon,  i!^>eu- 9ippe);  parimente  oggi  Positivisti  e  Materialisti,  in  luogo  dell* /iea,  pon- gono' II  Fatto  e  la  Materia;  e  cosi  mentre  negano  V  Idealismo  assoluto, mostrano  d'arer  con  osso  doppia  ed  intima  relazione,  una  storica  e  l'altra teoretica.  La  storia  del  pensiero  filosofico  progredisce,  non  v'ha  dubbio: ma  anche  nel  progredire  si  ripete.  Ecco  qua  -una  prova,  chi  vuol  vederla. *  E.  LiTTBi,  A,  Comte  et  la  Phil.  Poeit. Per  quanto negativo,  nullameno  questo  concetto  del  Littré  su  V  Assoluto  è  una  cor- rezione deir  idea  del  Orand'  Eetere  intorno  alla  quale  con  tanta  vuotag- gine avea  finito  per  arzigogolare  il  Comte. *  H.  Spencer,  Firft  Prìnci^ee^  ed.  cit.,  e.  I.  Alcune  idee  di  questo scrittore  su  V  obbietto  metafisico  superano  quelle  di  St.  Hill.  L*  Autore del  Sietema  di  Logica  parla  del  soprannaturale,  come  notammo  in  altro luogo,  da  schietto  formalista,  senza  poterlo  quindi  legittimare  in  altra guisa  che  per  empirica  credenza.  (Ved.  A,  Comte  et  Le  Potitivitme) La  relatività  del  eonoecere  per  lui  non  è,  a  dir  proprio,  quella  di  Spencer, e  neanche  quella  de*  Positivisti  francesi.  Vedi  il  novero  eh*  egli  stesso fa  de*  diversi  modi  con  che  può  intendersi  la  relatività  della  conoscenza nella  PhiL  de  Hamilton,  ed.  cit.  e.  I. fronte  alla  scienza  :  ma  le  contraddizioni  in  che  restano entrambi  avviluppati  son  le  medesime.  Anch'  essi  in- fatti, i  Positivisti,  obbediscono  e  rendono  omaggio  al bisogno  speculativo  che  punge  ed  eccita  continuo  il  pen- siero filosofico,  stantgchè  non  solo  riconoscono  la  realtà d' un  oggetto  trascendente,  ma  lo  determinano,  lo  pon- gono, lo  specificano  in  qualche  modo.  Che  cos'è,  per esempio,  l'Inconoscibile  onde  ci  parla  l'illustre  Spencer? È  il  fondo  occulto  delle  religioni,  e  insieme  l'estremo termine  a  cui  riescono  le  scienze.  Le  religioni  pongono tale  obbietto  per  virtù  d'istinto:  le  scienze  lo  subiscon per  legge  del  proprio  svolgimento.  Tra  fede  e  ragione, perciò,  non  v'è  antagonismo:  l'Inconoscibile  n'è  l' ob- bietto comune.  Conciliarle  dunque  è  possibile,  tosto  che s'abbia  diffinito  le  idee  madri  onde  scienze  e  religioni sono  inviluppate.  E  poiché  le  une  in  sostanza  Aon  fanno che  riconoscere  ciò  che  le  altre  contengono  ed  espli- cano istintivamente,  ne  segue  che  lo  spirito  umano' per  mezzo  della  scienza  perviene    ond'  egli  stesso  era partito  con  la  fede,  cioè  all'Inconoscibile. Il  pensiero  del  filosofo  inglese  è  chiaro  e  spiccato, ma  non  altrettanto  vero.  Innanzi  tutto:  perchè  le  reli- gioni e  molto  più  le  scienze  non  potranno  pervenire  a render  conoscibile  in  alcun  modo  l' Inconoscibile  di  cui pur  confessate  la  realtà?  Forse  che  tale  impossibilità, ripetiamolo,  non  contraddice  apertamente  all'attività critica  del  vostro  pensiero  speculativo,  alla  stessa  esi- genza del  vostro  metodo  critico  e  positivo?  Non  dubi- tate affermarlo  esistente  cotesto  Inconoscibile.  Giungete anzi  a  determinarlo  come  forza  di  cui  V  universo  è  ma- nifestojsnone.  Or  bene  perchè  non  dare  un  altro  passo? Perchè  non  ispecificar  l'attinenza  eh' è  tra  l'Incono- scibile e  '1  conoscibile?  In  altre  parole,  domandiamo: col  porre  i  termini,  non  siete  già  nella  necessità  logica di  mostrarci  in  qualche  maniera  la  relazione  di  essi, dirci  quale  attinenza  interceda  per  avventura  tra  la forjsfa  e  la  sua  manifestazione,  quale  sia  il  vincolo  che annoda  insieme  la  potenza  e  l'universo  onde  quella potenza  è  simboleggiata?  Brevemente:  siete  qui  in  una forma  di  panteismo,  o  di  teismo?  Il  Positivista  non risponde;  e  pur  dovrebbe:  dovrebbe  se  davvero  amasse mostrarsi  ed  esser  positivo. Inoltre,  l'Inconoscibile  onde  move  la  fede,  e  Fin- conoscibile  cui  giugno  la  scienza,  dice  lo  Spencer,  sono una  cosa.  Ma  perchè?  Perchè  col  prodotto  confondere due  facoltà  fra  loro  diverse?  L'Inconoscibile  della  fede incontra  un  limite  invalicabile  in  questa  o  cotesta  intui- zione particolare  in  cui  l'Assoluto  è  compreso  dal  sen- timento religioso  appo  un  dato  popolo,  e  presso  una  data civiltà.  L' Inconoscibile  delle  scienze,  invece,  è  l' inco- noscibile di  ragione;  e,  come  tale,  non  può  restare  per- petuamente indeterminato,  pel  solito  motivo  che,  ove rimanesse  cosi  necessariamente,  l' indagine  positiva  an- nullerebbe sé  stossa;  e  annullerebbe    stessa  perchè r  esigenza  critica  non  sarebbe  altrimenti  un'  esigenza invitta,  naturale,  un  irresistibile  e  crescente  bisogno speculativo.  Ora  se  il  contenuto  della  fede  è  condizio- nato ad  una  forma  speciale;  se  per  la  natura  stessa della  funzione  psicologica  ond'  ei  rampolla  riman  chiuso e  quasi  cristallizzato  nella  particolarità  d'un  senti- mento: perchè,  domandiamo,  voler  condannare  alla medesima  sorte  T  Inconoscibile  delle  scienze?  Perchè così  inesorabilmente  pretendere  di  segnare  i  confini  alla ragione  ponendo  limiti  all'  attività  del  pensiero  specu- lativo, eh' è  pur  la  forza  più  libera  dell'universo?  Non è  anch'  ella,  cotesta,  una  forma  di  dommatismo? '  11  PositiTÌsto  dirà:  tosto  che  voi  pigliate  a  determinare  Vlitco- no9cihile,  siete  già  beli*  e  uscito  dalla  scienaa^  e  cadrete  nella  metafisica. Verissimo:  questo  accade,  e  questo  appunto  deve  accadere.  Altrove  mo- strammo come  ciascuna  scienza,  come  tutte  le  scienze,  riescano  inef- ftcaci  nel  tentare  la  soluzione  di  certi  problemi,  segnatamente  nel  de- terminare il  concetto  àeWAt^oluto  (lib.  II,  cap.I).  Il  Positivista  che  è  tutto scienza  e  solamente  scienza,  da  una  parte  ha  paura  della  speculazione, mentre  dall* altra  sente  il  bisogno  di  determinare  in  qualche  modo  cotesto assoluto,  e  lo  determina,  per  esempio,  alla  maniera  dello  Spencer  o  del Concludiamo  quant'  a'  Positivisti.  Il  Positivismo  fran- cese rispetto  al  conoscere  metafisico  ci    un  Immenso indeterminato  ;  un  Incondizionato  reale,  11  Positivismo  in- glese poi, facendo  un  altro  passo,  determina  vie  più  cotesta ignota  realtà,  e  giugne  ad  affermare  che  le  forze,  la materia,  il  movimento,  la  vita  e  l'universo  non  siano fuorché  simboli  e  rappresentazioni.-  Altre  affermazioni d'altre  maniere  di  Positivismo  che  pongano  T assoluto senza  penetrar  nel  regno  della  metafisica^  io  non  cono- sco;ne,  a  dir  vero,  sono  possibili.* Littré  con  offesa  apertissima  della  logica.  Ora,  chi  non  voglia  offendere non  pur  la  logica  ma  neanche  il  hnon  senso,  e  insieme  salvarsi  dalla contraddizione,  dove  altro  può  penetrare,  uscendo  dal  regno  delle  «ctetue, fuorché  in  quello  della  tiietajUiea^  ma  della  metafìsica  intesa  non  già  come scienza/>rtma,  anzi  ultimaf  Determinare  in  qualche  modo  la  Potenza  di  cui r  universo  è  manifestazione;  specificaro  questo  Immento  formidàbile  e  pvr •alutare  oltre  cui  non  sa  penetrar  rocchio  dello  Scienze  ma  della  cai realtà  nessuno  che  abbia  mente  sana  potrà  dubitare;  cotesta  impresa, diciamo,  non  è    impossibile    puerile,  altro  che  per  gli  animi  volgari, incuranti  e  stupidi.  La  relatività  nel  conoscere  non  ò  muro  di  bronzo; non  è  oceano  assolutamente  sconftnato.  Il conoscere  metafìsico  è  pos- sibile ;  ma  ò  possibile  come  aesolato  e  come  relativo  insiememente.  È  a«- eolutOf  nel  senso  che  salva  il  pensiero  dal  nullismo  metafìsico;  ed  è  re- lativoj  nel  senso  che  non  istringe  la  mente  entro  la  rigida  catena  d*  una formola  sistematica.  Se  intanto  ò  vero,  come  dice Spencer,  che  tra  V  In- conoscibile delle  religioni  e  V Inconoscibile  delle  scienze  non  esiste  antago- nismOy  no  viene  che,  fra  gli  altri  fini,  la  speculazione  metafisica  debba  pre» figgersi  anche  questo:  trasformare  la  fede,  interpretar  la  credenza,  porre a  nodo  il  germe  delFidea  che  pure  si  s  voi  ve  attraverso  le  produzioni  mi- tiche, superare  il  sentimento  riducendo  l'immaginazione  a  ragione  se- condochò  richiede  il  processo  psicologico  (Ved.  ciò  che  abbiamo  discorso nel  cap.  V,  lib.  Il),  e  siffattamente  porgere  guarentigie  sperimentali  al- l'inveramento  della  scienza  mercè  le  applicazioni  storiche  in  generale. *  In  questa  rapida  critica  su  la  tendenza  metafisica  del  Positivismo non  abbiamo  tenuto  conto  dell'  Umanismo  di  Ausonio  Franchi,  e  del suo  Dio  ddV  Umanità  che  nega  il  Dio  detta  Bibbia  {Razionalismo  del popolo,  Ginevra,  1856),  e  neanche  del  Fatto  della  vita,  àeW  Istinto  ài  cui parla  il  Ferrari  {Filosofia  della  Hivol,  voi.  11),  perchè  non  ci  paion  con- cetti scrii,    degni  di  critica  seria.  Quando  s' è  detto  che  il  Dio  Umanità^ che  la  Vita  della  storia  con  tutte  le  sue  leggi  non  sono  che  due  fatti i  quali  perciò  abbisognan  d'una  spiegazione,  s'è  detto  tutto.  Ora  a  co- testa  qualsiasi  spiegazione  non  sanno  e  non  vogliono  accostarsi  questi due  arditissimi  scrittori  per  paura  della  metafisica;  e  però  non  sono positivisti,  L' uno  è  critico,  non  Criticista,  com'  egli  pretenderebbe  giac- Or  bene,  la  filosofia  positiva,  la  speculazione  razio- nalmente positiva,  accetta,  deve  accettar  l' una  e  V  altra posizione  de'  Positivisti  inglesi  e  francesi,  perchè  ci  rap- presentano entrambe  uno  sforzo  di  metafisica,  perchè sono  entrambe  un  preludio  alla  metafisica.  Se  non  che esse  sono  una  metafisica  incosciente,  una  metafisica  ne- gativa, perchè  sentono  ma  non  soddisfano  l'esigenza speculativa.  Come  dunque  soddisfare  all'esigenza  dav- vero positiva  nella  speculazione  trascendente?  Eviden- temente bisognerà  appagarla  superando  il  negativo, superando  quel  sazievole  non  so,  quel  non  mi  preme sapere^  quel  non  si  può  sapere  che  ad  ogn'  istante  e  con incredibile  noia  ci  ripetono  i  Positivisti,  ma  nel  me- desimo tempo  restare  nel  positivo.  E  qual  è  il  positivo in  metafisica?  Lo  dicemmo  già,  e  lo  ripetiamo:  schivare gli  estremi  ;  perocché  il  nemico  mortale  della  positività metafisica  son  le  colonne  d'Ercole  del  tutto  sapere,  e del  nulla  sapere  metafisico  (cap.  I,  1.  II).  Se  quindi  la vera  filosofia  positiva  ha  da  accettare  quel  che  il  Posi- tivismo ci    e  nel  medesimo  tempo  superarlo  in  forza dello  stesso  metodo  positivo,  deve  accogliere  l' esistenza che  il  crìticista,  il  vero  Kantiano  affinchè  sia  tale,  dehb'  esser  tutto  d*un pezzo,  dero  accettare  anche  i  sommi  pronunziati  della  Ragion  Pratica, Ausonio  dunque  è  un  puro  critico,  un  critico  sottile,  è  il  doctor  mbtilissimwi de*    nostri,  abile  scaltri  mai  a  trovare  il  pel  neir  uovo  neMibri  altrui, ma  non  così  nel  dare  una  dottrina,  una  teorica  propria,  fosse  pur  la  teorica del  giudizio.  Il  Ferrari  invece  è  scettico  sistematico^  meravig^lioso  nell*  acca- tastare erudizione  come  nel  distrugger  sistemi,  ma  nullista  in  metafisica al  pari  d*  Ausonio.  Costoro  perciò  son  fuori  d*  ogni  forma  di  Platonismo e  d'ogni  forma  d'Aristotelismo;  e  se  ne  vantano;  e  se  ne  gloriano:  e si  sortano  pure!  Ma  non  sono  fuori  della  storia,  chi  sappia  che  cosa  vo- glia dire  storia  della  scienza  e  della  filosofia.  Franchi  e  Ferrari  hanno esercitato  fra  noi  quella  funzione,  parte  benefica  e  parte  malefica,  che  vie- ne esercitando  lo  scetticismo  in  certi  dati  periodi  storici;  funzione  al tutto  negativa,  ma  necessaria. Ma  la  storia  dovrebbe  insegnar loro  due  cose:  che  il  l)Ì80gno  speculativo  è  uu  gran  fatto,  e  che  la  possibiltà d' una  metafisica  positiva  non  è  un  sogno.  A  questi  critici  e  scettici,  di  cui fra  noi  oggi  non  è  penuria,  opponiamo  un  dilemma  invincibile  do)  prof.  Ber- tini  su  la  possibilità  di  rintracciare  un  principio  metafisico.  (Ved.  La\ FU,  Greca  prima  di  Socrate,  esposiz,  storico- critica) d'  un*  ignota  realtà  in  quanto  è  Potenza  e  virtù  dell'  uni- verso, ma  legittimarla.  Così  il  metodo  positivo,  assumendo valor  critico  e  razionale,  non  più  sarà  l'esagerazione  d'uno de' due  estremi  indirizzi  dell'Aristotelismo,  ne  contrad- dirà'altrimenti  alla  sua  posizione  media,  anzi  varrà  a confermarla,  ad  inverarla,  ad  esplicarla  sempre  più.* L'opposto  indirizzo  del  Neoaristotelismo  dicemmo esser  THegelianismo. L'Hegeliano  si  oppone  al  Neopla- tonico, perchè  non  accetta  veruna  sorta  d' immediatezza nel  conoscere  metafisico.  Si  oppone  al  Positivista  e  ad ogni  maniera  d' empirismo,  perchè  non  può  accoglier  la nozione  d'  un  assoluto  portoci  dalla  coscienza  volgare, empirica  o  dommatica  ch'ella  sia.  Qui  egli  ha  piena- mente ragione.  Ma  qual  è  la  sua  via?  Qual  è  il  suo metodo?  Dov'egli  mira? L'abbiamo  detto:  l'Hegeliano riconosce  l' assoluto,  ma  lo  riconosce  ponendolo,  facen- dolo;e  lo  legittima  per  necessità  tutta  dialettica.  Lo pone  e  lo  fa  non  perchè  ci  è,  anzi  perchè  ci  ha  da essere  ;  e  per  ciò  nessuno  potrà  dire  eh'  e'  ci  sia  prima che  il  pensiero  s'accinga  a  farlo.  Di  qui  una  conclu- sione singolarissima:  Tutto  ciò  che  esiste,  è  anteriore  a quello  per  cui  virtù  solamente  egU  è  possibile  e  reale!  Ma non  anticipiamo.  Che  cos'  è  dunque  l'Assoluto  per  i  neo- aristotelici iperpsicologisti?    risposta  non  è    facile per  noi  quant'  avrebbe  da  essere  per  loro.  L' Assoluto è  il  Tutto  :  è  l' assoluta  e  immanente  relazione  :  è  la relazione  della  relazione:  lo  Spirito.' *  E  così  pure  ?a  in  forno  T affermazione  del  Littbì:  c  qui  e»t  mitapKyn- e»«n,  iCe»tpa9  po9ÌiivÌ9U;  qui  ett  positiwtefn'ett  pa$  métaphyiieien,  »  (Princip, de  Phil.  Ponit.  par  A.  Comte,  Préf.  d^un  ditdple^  p.  60.) *Noa  senza  ragione  un  nostro  acutissimo  hegeliano  (Dr  Mris,  Dopo  la r^aureOf  voi.  I.)  chiama  Hegel  V  ArÌ9ioule  moderno.  Ma  qual  ò  proprio  V  Ari- stotole  rappresentato  dal  filosofo  di  Stoccarda V  Ecco  il  punto!  U  nostro valoroso  e  carissimo  professore,  questo  Oariholdi  deW Hegdianimno  come  al- trove r  abbiamo  chiamato,  non  ammette  che  un  solo  Aristotele,  il  suo Aristotele! 'L'assoluto,  dice  un  fodol  ripetitore  di  Hegel,  non  è  questo  o quello,  r  identità  o  la  differenza,  ma  il  tutto  nella  differenza  e  neil' unità tua,  E  il  conoscere  assoluto  poi  sta  nel  porre  i  termini,   nel  mostrar Sennonché,  in  cotest'  assoluta  relazione,  in  cotesto centro  eh' è  anche  circonferenza,  è  pur  d'uopo  comin- ciare. Da  qual  parte  rifarci?  Qual  è  il  Primo?  Eccoci nel  cuore  dell' Hegelianismo  :  nella  più  alta  e  nascosa fortezza  dove  già  da  un  pezzo  la  breccia  è  stata  ajiertaper  opera  degli  stessi  tedeschi,  massime  dal  Trendelen- burg.  All'assoluto,  essi  dicono,  si  perviene  solo  per medicunone.  Ma»  cotesto  lavoro  di  mediazione,  come s'inaugura  e  perchè?  A  siffatto  processo  (ripetiamo la  frase  del  medesimo  Hegel  citata  nell'  altro  capitolo) va  innanzi  un  momento  d' assóltUa  e  subitanea  astra- zione} Col  subitaneo  astrarre  il  puro  pensiero  pone. Che  cosa?  Pone  Vinse,  l'Essere,  o  meglio  l'Indeter- minato. L'indeterminato  non  è  soggetto    oggetto; non  è  pensante    pensato  :  ma  è  qualcosa  oltre  cui  non si  può  andare,  e  senza  cui  nulla  non  sarà  mai  possibile,  e mercè  cui  tutto  sarà  attuabile  :  l' idea  assoluta,  l' etema nozione  {der  ewige  Begriff.y  Ecco  Vàbsólute  Prius,  il Vero  primo,  e  però  il  vero  Fatto.* La  prima  osservazione  che  qui  sorge  spontanea  è  la seguente.  Cotesto  Indeterminato  è  cosiffatto,  che  non  si può  nemmanco  pensare:  perocché  ove  accanto  a  lui  fosse come  s*  oppongano  fra  loro,  e  come  e  perchè,  opposti,  si  concilino.  (Vkba, Introd,  alla  Log.  di  ffegel).  ~  1/ assoluto,  dico  un altro  Hegeliano,  non  è  Tldea,  non  la  Natura,  non  lo  Spirito,  ma  è  Vldea- Natura-t^rito;  la  rdoMÌone  dtlla  relaztotie;  VindifferenMa  differenxiata indifferentemente  (Spaventa,  Le»,  di  FU.)  Il  vero  abeolute  Priue  è  1*  atti- vità, il  pensiero,  lo  spirito:  non  TEnte  che  come  puro  essere  è  Premp- poHo  cominciamento  ;  ma  il  Ponente,  vero  Principio,  che  ò  lo  Spirito. {Idem,  FiL.  di  Gioberti,  p.  512). '  Spaventa  ne  chiarisce  il  pensiero  cosi:  Io  mi  levo  aU^eeeere  per una  riaoluMtone  immediata f  per  un'auoluta  a$trazione.  {Le  Categ.  della Log,  di  ffegd  ed.  cit.,  p.  129). *  Hrgbl,  Log,  voi.  I,  Jntrod.  e.  Vili,  p.  145. *  L* Indeterminato  per  Spaventa  è  il    È  proprio  uno  scherzo,  un  indovinello  da  algebristi  ! Dunque,  mi  si  chiederà,  nel  ^an  sistema  è  egli  ripudiato  V  elemento  della differenza?  Tutt*  altro.  611  Hegeliani  anzi  in  ogni  lor  libro,  in  ciascuna lor  pagina  s*  affannano  a  mostrare  e  giustificar  co*  fatti  cotesta  legge tanto  necessaria  air  organamento  della  dialettica.  Ma  quanto  i  Gesuiti non  s*  arrapinano  anch^essi  a  parlarci  di  libertà  di  pensiero  e  di  coscienza? K  pure  chi  non  sa  come  la  libertà  vera  per  costoro  sia  la  schiavitù  al Sillabo  e  al  Domma,  per  cui  la  ragione  è  libera  solo  in  quanto  è  as- sorbita dalla  fede?  Tal  si  è  il  diverso  per  gli  Hegeliani:  un  fuor  d*  opera. E*  ne  parlan  sempre,  ma  alla  fin  delle  fini  poi  si  trovano  ingoiati  nel- r  identico.  L'alterità  che  scorge  Hegel  nel  suo  pensierpuro  è  (ripeto  la sua  frase)  ineffabile  e  assolviamente  vuota.  Or  una  differenza  assoluta- mente vuota  non  è  forse  indifferenza,  cioè  non  differenza,  identità,  vuo- taggine addirittura?  E  dato  ci  sia  cotesta  differenza,  sarà  ella  di  na- tura metafisica,  o  non  piuttosto  logica?  E  una  differenza  non  metafisica, domanderò,  sarà  ella  vera  differenza  o  non  più  veramente  semplice  di- stinzione? Ecco  la  ragione  per  cui  l'Idealismo  assoluto  non  può  riescire a  dimostrare  l'oggettività  della  conoscenza,  e  salvarsi  dal  pretto  forma- lismo ond'  è  tutto  magagnato.  Che  se  poi  la  gran  pretensione  sta  nel volerci  dare  la  scienza  assoluta,  e 'sarebbe  d'uopo,  ripeto,  che  la  logica, proprio  come  logica,  fosse  la  metafisica;  talché  col  far  l'una  si  fa- rebbe anche  l'  altra,  e  così  potrebb'  esser  risoluto  l' arduo  problema  del- l' oggettività.  Invece  il  più  valoroso  de'  nostri  Hegeliani  come  rispon- d'egli  a  questo  proposito?  Se  n'esce  pel  rotto  della  cuffia  dicendo: «  Tale  oggettività  non  d  un  problema  logico:  la  logica  ami  la  presuppone,  * (Spaventa)  La  presuppone?  Mi  par  di  sognare!  Se dunque  è  così,  la  conseguenza  chiara  come  il  sole,  almeno  per  noi  im- barbogiti sempre  più  nella  vecchia  logica  aristotelica,  sarà  questa: che  la  logica,  grande  o  piccola  che  sia,  subbiettiva  od  obbiettiva  che  si voglia,  non  sarà  e  mai  non  potrà  esser  quella  che  ci  si  vuol  dare  ad intendere,  la  chiave,  cioè,  del  grand'  edlfizio,  il  fondamento  a  priori  dell'enciclopedia,  la  vera  metafisica  del  conoscere.    qui  vale  invocar  la Fenomenologia  qual  propedeutica  atta  a  dimostrare  1*  oggettività,  come fa' lo  stesso  Spaventa.  Cotesta  invocazione  anzi  è  una  ragione  di  più  per dichiarar  la  logica  degli  hegeliani  una  tela  di  ragno.  Perchè  se  la  Fenomonalogia  ha  da  esser  la  propedeutica  necessaria  della  Logica,  il  pro- cesso a  priori  e  assoluto  nel  costruire  la  scienza  diventerà  una  parola   [LIB.  H. della  nuova  loj^ica,  s' è  provato  a  schiacciarlo.  Ci  è  rie- scito?    Un  vizio  magagna  tutta  la  logica  hegeliana,  dice anch' egli;  ed  è  vizio  d'origine,  in  quanto  che  pone  ra- dice nelle  viscere  stesse  del  momento  astratto,  e  pro- priamente nel  concetto  dell'Indeterminato.  L'Indeter- minato è  un  equivalente  comune  dell'  Essere  e  del Non-essere,  dell'Idea  e  del  Pensiero,  dell'Astratto  e  del- l' Astraente.  Di  fatto,  che  cosa  mai  sono  cotesto  Essere e  cotesto  Non-essere?  Ei  son  cosa  indeterminata;  ma non  sono  lo  stesso  Indeterminato.  Se  fossero,  la  difiFe- renza  tornerebbe  davvero  impossibile  (difetto  radicale dell'Idealismo  obbiettivo  dello  Schelling),  perchè  avrebbe a  sgorgare  dall'identità.  Che  se  non  fossero  la  stessa cosa,  tornerebbe  impossibile  il  contrario,  cioè  l'iden- tità. Essere  e  Non-essere,  dunque,  sono  un  medesimo, è  vero,  ma  solo  in  quanto  indeterminati,  non  già  in quanto  indifferenti.  Essere  e  NuUa  sono  lo  stesso,  ma non  come  Essere  e  NuUa.^ Una  prima  osservazione  potrebb' esser  questa.  Se tra  r  Essere  e  '1  Nulla  havvi  identità  e  diiferenza;  iden- Yuota  di  senso,  an  a  priori  che  non  è  a  priori,  e  perciò  un*  ironia,  come dlcovamo  poco  fa..  Ancora:  se  la  Logica  in  cotesto  processo  a  priori  ha da  pretuppoire  la  Ffnomen^ogia,  ne  segrue  che  Tuna  di  queste  due scienze  non  potrà  essere  altro  che  imitazione,  ripetizione,  copia,  copia anche  ridotta  al  grado  supremo  di  trasparenza  ideale,  ma  sempre  copia deir altra;  e  quindi  s'intoppa  nella  solita  conseguenza,  che  cioè  la conge?natura  dialettica  hegeliana,  anziché  una  metafisica,  sarà  un  pretto formalismo,  un  assoluto  soggettivismo.  Che  se  la  Logica  prewpponendo necessariamente  la  Fenomenologia  non  può  non  essere  altro  che  una  co- pia trasparentissima  di  questa,  non  sappiamo  dir  davvero  che  cosa  gli Hegeliani  avranno  da  opporre  al  metodo  di  certi  Teologisti  i  quali  pi- gliano a  discorrere  della  natura  di  Dio  appoggriandosi  nelle  leggi  psico- logiche, ricopiandole,  ripetendole  e  trasportando  così  la  psicologia  nella teologia.  Del  resto,  sul  significato  e  sul-  fine  e  sul  valore  della  Fenome- nitlogiat  i  seguaci  di  Hegel,  com*è  noto,  navigano  pur  troppo  in  opposte correnti  neir  interpretar  la  mente  del  maestro.  È  d'  nopo  dunque  che innanzi  tutto  e*  s*  accordino  fra  loro  e  ci  sappian  dire  se  la  Logica  sia davvero  la  scienza  madre,  la  scienza  davvero  o  priori,  ovvero  abbia  da presupporre  qualcos'altro  dinanzi  a  sé.  In  entrambe  i  casi  le  difficoltà saranno  insormontabili. *  Spatbmta,  Le  prime  Categ,  ecc.  loc.  cit. tità  perchè  entrambi  indeterminaéi,  e  differenza  perchè entrambi  indifferenti;  io  domando:  cotesto  indifferente non  è  già  di  per    stesso  un  indeterminato,  cioè  non differente,  cioè  non  determinato?  Dìinqne  Isl  differenza di  cotesto  indifferente  è  una  parola  com' un' altra;  un pio  desiderio:  perocché,  ripetiamolo,  se  l' indifferente  è irrélativo,  sarà  per    stesso  irrazionale,  sarà  il  nulla,  sarà il  nulla  addirittura  :  quel  nulla  che,  come  dice  il  Vico, non  può  cominciar  nulla,  e  nulla  terminare  :  vuotaggi- ne, e  voragginel  *  Ora  piuttosto  che  dirlo  un  absclide Prius  cotesto  Indeterminato,  non  vuol  esser  anzi  ritenuto come  un  vero  capui  mortuum,  incapace  a  costituir  la scienza  perchè  incapace  a  far  cominciare  il  pensiero?" Sennonché  il  Professore  di  Napoli,  nel  corregger  V  Hege- lianismo,  par  che  voglia  uccidere  il  verme  velenoso  pro- cacciando mostrare  che  il  diverso  ponga  radice  nel  Nul- la, ma  nel  Nulla  inteso  non  già  com' essere  purissimo, astrattissimo,  scioperato,  bensì  come  astraente,  come NuHa-pensiero  il  quale,  perciò,  non  cessa    può  cessare d' esser  pensiero.  Or  bene,  l' illustre  uomo  così  non  ri- solve, ma  sposta  la  grave  difficoltà  del  Trendelenburg. Egli  riesce  a  mettere  un  po' di  calcina  alla  breccia,  è  vero; ma  senz'  addarsene  poi  n'  apre  un'  altra  non  meno  fatale della  prima,  perché  l' intrusione  del  diverso  è  sempre  lì duro  a  chiedergli  ragione  di  sé.  Infatti,  s'egli  considera l'Essere  come  un  in  sé,  e  considera  come  un  in  se anch' il  Non-essere;  non  v'  è  nessuna  ragione  al  mondo perchè  non  abbia  da  riguardare  anche  come  un  in  se il  connubio  de'  due  termini.  Intanto  che  cosa  fa  il  dotto filosofo  ?  Giusto  nel  momento  che  s' hann'  a  decider  le sorti  della  logica  obbiettiva,  giusto  nell'  istante  supremo *  RÌ9p,  al  Oiom,  de*  Leti.,  T,  IL. Si  dirà:  è  indeterminato  anche  il  vostro  intelli^bile,  la  {«ce  me- tafisica del  vostro  filosofo.  Verissimo,  io  rispondo:  ma  tra  il  nostro indeterminato  e  quello  degli  Hegeliani  corre  tanto  divario,  quanto  fra un  oggetto  posto  da  natura,  e  quello  colto  d'oMatto;  fra  T  oggetto  ori- ginario intuito,  e  r  oggetto  afferrato  por  risoluzione  astrattiva.  Veggasi quel  che  s*ò  discorso  nel  Gap.  V  e  VI,  di  questo  Lib.  II. in  cui  la  logica  dee  poter  rivestire  natura  e  valore  di metafisica,  egli  cangia  bruscamente  posizione,  e  invoca il  pensiero,  invoca  1'  astraente,  invoca l’astrazione,  e cosi  dileguatasi  a  un  tratto  V  obbiettività,  ci  fa  divagare nel  mondo  delle  pure  forme,  ed  eccoci  di  bel  nuovo ricacciati  e  ravviluppati  per  entro  alle  fitte  maglie  della tela  di  ragno!  Dunque  (mi  si  chiederà)  a  voler  pene- trare sul  serio  nel  regno  metafisico,  nel  mondo  delle Menti  e  di  Dio  con  metodo  razionalmente  positivo,  chg cosa  è  da  fare?  Il  da  fare  è  manifesto  :  bisognerà  che  il connubio  de'  due  termini,  cioè  il  divenire,  sia  quel  me- desimo che  sono  cotesti  suoi  termini,  dal  cui  annoda- mento esso  dee  pullulare.  In  altre  parole,  bisogna  eh'  e' sia da  sé,  che  sia  per  sé,  che  sia  mediante  se.  Fa  d' uopo,  in- somma, che  r  Essere  (ripetiamo  volentieri  la  bella  frase del  Trendelenburg)  sia  dialettico,  ma  dialettico  davvero, non  da  burla;  dialettico  nel  verace  significato  della  paro- la, e  quindi  atto  a  moversi  da    medesimo,  anche  senza il  vostro  pensare,  anche  fuori  del  vostro  pensare.  Cosi  gli Hegeliani  potrebbero  schivare  qualvogliasi  intrusione;  e così  (e  solamente  così)  potrebbero  conseguir  quella  che tanto  essi  desiderano,  la  scienza  assoluta.  Ma  questo  non ha  fatto  Hegel;  e  questo  non  ha  fatto  Spaventa  benché con  tanto  acume  siasi  adoperato  a  rammendar  lo  strappo micidiale  che  con  abilità  di  grande  maestro  ha  saputo operare  il  dottissimo  Trendelenburg  nella  logica  hegelia- na. E  perciò  il  sistema  delF  identità  assoluta  è,  e  resterà in  perpetuo,  come  é  stato  appellato  nella  stessa  Germa- nia, il  monismo  del  pensiero  (monismi^  des  Gedenkes). Abbiam  detto  che  l' impossibilità  di  mostrare  il  prin- cipio della  difierenza  nel  regno  della  logica  fa    che il  passaggio  al  mondo  della  natura  si  manifesti  arbi- trario, illusorio,  fallace.   L'idea  logica,  dice  il  Vera, è  la  Idea  cieca,  V  Idea  senza  coscienza    pensiero,  la nuda  possibilità:  in  somma  é  l'Idea,  ma  non  l'Idea dell'  Idea.  In  cotesta  imperfezione  logica  sta  proprio  la ragione  del  passaggio  alla  natura,  e  quindi  la  sua  legge, e  la  sua  necessità.*  Dunque,  in  altre  parole,  perchè r  inderminato  è  indeterminato,  perciò  diventa  determi- nato ;  perchè  è  possibile,  perciò  diventa  reale  ;  perchè  è privazione,  perciò  h posizione.  Eccoci  alla  tt-ostc?  aristo- telica. Ma  dicemmo  che  la  privazione  non  è  negazione, non  è  vaga  e  astratta  indeterminatezza,  non  è  pretta potenzialità,  ma  energia,  principio  positivo,  e  potenza feconda  (to'  ^uvarov).  Or  Videa  deìTIdea  di  cui  parla il  Vera,  è  qualcosa  d'assolutamente  potenziale  e  d'in- determinato; è  una  possibilità  logica,  il  to'  ev^e^opevov, non  già  il    ^uvktov,  e  quindi,  meglio  che  principio  po- sitivo, è  negazione  d'ogni  principio.  Come  dunque  prin- cipia e  fa  principiare?  Come  passa  e  fa  passare?  In-, somma,  com'è  che  diventa?* *  Hegel,  Log.,  Introd.  *  *  n  divenirey  osserra  il  medesimo  traduttore,  compie  la  a/era  dd- V  E98ere  e  del  Non-esaerey  e  forma  ti  passaggio  alla  sfera  ptù  concreta  del- l' Idea,  dove  per  novelle  addizioni  V  Essere  e  il  Non-essere  diventanoy  o meglio  son  divenute  {^)  qualità,  quantità,  essenza.  »  (Log..) Ma  come  fatte,  da  chi  Jhtte  e  perchè  fatte  coteste  novelle  addizioni?  Data la  sfera  dell*  Essere,  del  Non-essere  e  del  Divenire,  si  passa  tosto  e  necessa- riamente alla  sfera  concreta  del  medesimo  e  del  diverso...  Ma  come  si  passa? Chi  vi    il  diritto  d'affermare  cotal  passaggio?  Torniamo  a  domandarlo: siamo  qui  fra*  contraddittori,  ovvero  fra*  contrari?  Siamo  fra  nn  termine posto  ed  un  altro  opposto,  o  non  più  veramente  fra  il  puro  pensiero  e il  soggetto  determinatissimo  e  vivente  che  dicesì  naturai  Per  quanto  si faccia,  la  sola  relazione  logica  e  la  sola  necessità  logica  torneran  sempre inefficaci,  e  però  Hegel  (secondo  la  severa  critica  dello  Stahl)  non  giunge mai  ad  un  mondo  reale.  «  Egli  passa  dal  puro  pensiero  alla  Natura^  perchè? Perchè  l'uno  dee  negare    stesso  ponendo  l'altro,  l' opposto.  Ora  il  ca- rattere dell'opposto,  della  Natura,  non  è  la  realtà,  la  sostanzialità,  la causalità  (attribuiti  già  allo  stesso  pensiero  puro),  ma  è  la  negazione  del- l'essere  sostanziale,  reale,  causale.  Che  cosa  dunque  rimane  alla  Natura? La  semplice  determinazione  del  tempo  e  dello  spazio  (Ved.  Enciclop. §  247).  Or  per  qual  ragione  si  dovrà  ammettere  che  questa  natura  estesa e  temporanea  debba  esistere  attualmente,  che,  cioè,  sia  reale  e  non  sem- plicemente pensata  come  estesa  e  temporanea,  socondochè  ci  accade ne' sogni?  L'opposto  del  pensiero  puro  è  la  Natura  solo  come  tempora- nea ed  estesa  :  ma  per  aver  1'  opposizione  forse  che  non  basta  pensarla come  tale?  «  L^ Idealismo  oggettivo  di  Hegel  (conclude  lo  Stahl)  non  è  meno di  quello  soggettivo  di  Fichte  un  puro  mondo  di  sogni:  Tunica  differenza ì  che  vi  manca  ehi  sogna,  »  {FU.  del  Diritto. A.  quest'  ultimo e  severo  giudizio  dello  Stahl  ci  piace  qui  aggiungere  quello  d' un  altro Parlando  dell'Idealismo  assoluto  non  possiamo  di- spensarci dall' accennar  poche  cose,  quant' occorre  al nostro  proposito,  sul  suo  organamento  generale,  e  su  le sue  relazioni  storiche  col  Platonismo  e  con  V  Aristoteli- smo in  generale.  Gli  Hegeliani  riconoscono  che  il  mondo si  svolge  per  una  legge  interna  anziché  per  un  caso  o per  necessità  ineluttabile  e  geometrica,  come  pensano  gli Spinozisti  ne' tempi  moderni,  e  come  pensavano  gli  Epicurei in  antico.  L' Hegelianismo  racchiude  una  grande idea;  l'idea  del  processo,  che  vuol  dh-e  d'un  fine  da conseguire  con  pienezza  di  coscienza,  di  libertà,  di  ra- zionalità. L'Idealismo  assoluto,  quindi,  anziché  cieco meccanismo  e  fatalismo  ineluttabile,  parrebbe  un  es- senziale e  profondo  e  universale  dinamismo.  Ma  eccoci al  punto  1  Al  di    della  natura,  ci  si  dice,  è  l' Idea  che  per ogni  conto  è  indeterminata  e  potenziale  :  al  di  qua  poi ci  é  lo  Spirito,  eh'  é  l' Idea  dell'  Idea.  Ora  abbiam  visto come  la  Natura  non  si  possa  movere  per  l' Idea,  perchè ninno  potrà  mai  dare  quel  che  non  possiede.  Tanto  meno poi  si  potrà  movere  per  lo  Spirito,  perchè  lo  Spirito  vien posteriore  alla  natura,  e  le  si  sovrappone.  Ck)me  dunque movesi  cotesta  Natura?  Per  necessità  logica.  E  quale  è  il fine,  quale  il  motivo  ond'é  spinta,  eccitata,  illuminata? La  razionalità.  Or  non  è  ella  cotesta  una  forma  di  fata- lismo cieco  e  geometrico  che,  quant'  a'  risultati,  non  si  di- varia né  pur  d'un  apice  dallo  Spinozismo?  Qual  differen- aotoreTole  scrittore  su*  difetti  sostanziali  deiridealismo  assoluto.  «  Non 9%  pud  leggere  Hegel  tenxa  chieder9Ì  »*  ei  ragioni  ttd  terio.  Spesso  cade ntl  fatalismo y  nella  personificazione,  e,  leggendolo,  par  d*  assistere  alla  /or- matone d*  una  mitologia,  alla  genesi  di  un  mondo  che  somiglia  qtuilo degli  Gnostici,  in  cui  avviene  che  le  idee  piglino  corpo,  marcino^  e  subi- scano le  piti  svariate  vicende.  >  (SoBRRERt  M^langes  rf*  Histoire  religieuse, pag.  298).  A  proposito  della  Logica  hegeliana  poi  ci  sembra  notevole questa  sent-enza  d*ano  che  se  ne  intende,  e  che  per  il  solito  è  temperatis- simo  ne*  suoi  giudizi:  «  Higd  n*a  pas  renouveU  la  seience,  comme  Venthow situme  de  ses  disciples  Va  parfois  prodanU;  il  Va  dénatwée,  malgri  les avertissements  de  Kant,  et  en  la  faisant  la  premiare  des  seiences,  ou  pour mieux  dire  la  seuU  scienoe,  U  Va  tuée,*  (I.  Babthìlkmt  Saikt-Hilaibie Logique  d^Arisiote,   GL,  Pré&ce.) za,  infatti,  fra  la  necessità  dialettica  e  la  necessità  mate- matica, fra  lo  Stoico  V  Epicureo  lo  Spinoziano  e  V  Idea- lista assoluto  fuorché  la  coscienza,  in  quest'  ultimo,  della razionalità,  eh'  è  dir  la  coscienza  e  la  trasparente  vi- sione di  cotesta  superiore,  arcana,  invincibile,  inelut- tabile necessità?^ Quanto  poi  alle  sue  relazioni  storiche,  notammo  già come  r  Hegelianismo  distinguasi  da  ogni  altro  sistema per  la«pretensione  di  volerli  tutti  accordare  e  tutti  com- piere e  tutti  inverare.  E  poiché  guardando  al  modo generale  onde  si  suol  determinare  il  fondamento  asso- luto delle  cose,  tutte  quante  le  soluzioni  metafisiche possono  esser  rimenate  ai  due  indirizzi  del  Platonismo e  deir  Aristotelismo,  così  gV  Idealisti  assoluti,  con  la dottrina  delia  Idea  e  quindi  del  metodo  dialettico,  re- putano d'esser  finalmente  pervenuti  ad  accordare  l'esi- *    Tale  che  alcuni  fra  i  più  intelligenti  Hegeliani^  stimando  dMnter- pretar  meglio  la  mente  del  maestro,  riguardino  i  tre  momenti  del  processo assoluto,  nonché  i  tre  termini  del  gran  sillogismo,  come  in  un  sol  momeìUo^ cioè  nella  loro  immanenza,  nell'attuale  ed  assoluta  relazione,  vomire  nella immanenza  àeWIdea  della  Natura  e  dello  Spirito-  dandoci  così  a  credere che  cotesta  non  è  altrimenti  la  metafisica  della  Idea  immobile  e  ir- rigidita, e  neanche  della  Mente,  e  tanto  meno  poi  dell*  Ente,  ma  si  la metafisica  Tera  perchè  metafinica  dello  Spirito.  Con  Taggiugnere  al  con- cetto del  processo  e  del  reale  divenire  quello  dell’immanenza,  panni  che le  difficoltà,  anziché  scemare,  crescano.  Fra  que*tre  momenti  e  que*tre termini,  infatti,  una  relazione  caueale  è  ineyitabile,  essendo  verità  troppo antica  ed  altrettanto  irrepugnabile,  che  la  catua  ì  per  la  tua  e$9enta avanti  V  effetto  (Twv  yàp  fiéd^v^  wv  coriv  l5«  xt  etrj^oirov  xae' o/BOTfjOov,  ocva^xacov  givat    zrpórspoy  airtov  t«5v  /xct'  auro. Arist.,  Metapk.).  E  questo  principio  rlbadiscon  oggi  per  Tia  speri- mentale tutte  le  scienze  naturali  e  fisiche,  mostrando  ad  evidenza  come la  natura  fisica,  nello  svolgimento  cosmico,  preceda  alla  comparsa  del regno  vegetale,  il  vegetale  (secondo  alcuni)  all'animale,  e  air  animale rumano.  Come  dunque  persistere  a  farci  erodere  aW immanenza  del  ter- nario f  Come  scaldarsi  tanto  per  darci  ad  intendere  che  V  Idea  i  insieme Natura  e  Spirito-  e  che  la  Natura  è  insieme  Idea  e  Spirito  f  È  metafisica positiva  cotesta?  o  non  più  veramente  un  abuso  di  logica  nonché  un'in- giuria ai  pronunziati  più  sicuri  della  moderna  scienza  di  natura?  L'op- posizione più  salda,  più  seria,  più  invitta  all'  Idealismo  assoluto  la  fanno oggi  le  discipline  sperimentali.  R  pure  gli  Hegeliani  non  se  ne  accor- gono! Felicissimi  loro! genza  metafisica  dell'  uno,  con  quella  dell'altro  sistema. Or  è  in  questo  preteso  accordo  eh'  ei  si  palesano  iper- psicologisti  per  doppio  rispetto.  Osservammo  come  uno de'  massimi  concetti  dell'  Aristotelismo  sia  quello  del moto;  fondamento  e  sintesi  di  tutte  le  categorie,  ou  xoivóv.  Metaph.,  1.  VII. *  TóSe  yy.p  rt    f^soóiievov  >?   Si  xcvyjaiC}  ov.  Phys,,  IV. *  Twv  a^à^ffwv  Z"»  e)  xévvjo'cc);  oX>)  ^%p  ri  zapi  fVT£(ai (TXSìpi?  ÒLV^p7)T0Lt.  Melaph.y  I.  I. '  Tal  è,  per  esempio,  il  ciottissimo  Felice  Raraisson,  il  quale,  se- gnatamente nel  2**  yolame  dell*  opera  che  noi  più  Tolte  abbiamo  citato, si  mostra  critico  assai  poco  benigno  verso  le  teoriche  platoniche  nel porre  a  riscontro  la  Dùdettiea  e  la  Metajitùsa,  E  di  questo  difetto  è  stato giustamente  ripreso  dagli  stessi  francesi  fra*  quali  Janet.  {ÉhuL  tur  la DialecHque  dant  Platon  et  dans  Hegel,  Paris,  1861,  p.  87.) come  nota  lo  Zeller,  che  le  idee  abbiano  da  esser  lo  stesso che  i  sensibili;  onde  poi  la  conseguenza  su  l'inutilità  di ciò  che  Aristotele  chiama  sensibili  etemi,  la  facilità  di rilevare  T  assurdo  delle  essente  separate,^  il  rimprovero su  la  necessaria  vacuità  degli  eterni  parodigmi,  e  la  irrisa e,  certo,  ridevole  mitologia  delle  idee  come  reminiscenze d' un'  altra  vita.*  Ora  il  Platonismo  espostoci  da  Aristo- tele arieggia,  per  più  rispetti,  al  sistema  dell'  assoluta identità  :  di  guisa  che  ov'  altri  desiderasse  elementi per  una  severa  confutazione  della  dottrina  hegeliana, dovrebbe  intendere  Platone  così  come  lo  intese  il  suo  ce- lebre discepolo  e  come  lo  stesso  Platone  si  rivela  talvolta nel  Parmenide  e  nel  Sofista,  e  saperne  quindi  ritrarre gli  assurdi.  Anche  nel  Platonismo  passato  per  la  trafila dello  Stagirita  si  può  dire  esser  la  logica  quella  che crea  il  mondo,  essendo  la  nozione,  il  generale,  Punita indeterminata  che  pone  il  multiplo.  Fra  il  finito  e  l'tw/ì- nito,  fra  l' Ente  ed  il  Non-ente,  fra  1'  Uno  e  V Altro (rauToi,  5dÌ7spoy)  nou  ci  ha  chc  uu  rapporto  di  natura logica;  sia  che  si  parli  di  fx^juviacc,  sia  che  di  fisOf^ic, ovvero  d'una  relazione  intima  ed  essenziale  emergente  *  "Ere  Sol^iisv  av  aSiivarov  ywpc'c  stvae  tìj'v  ouT^av  xai OH  VI  o\J7iOL'  wt7«  ctw;  «y  ac  cosai  ovacat  t»v  apxyfAOiTta'» oZdOLi  X^P**"^  suv.  Metaph,,  1.  XIII. '  Quanto  al  vaJore  della  critica  Aristotelica  cons.  lo  Zbllkb  {Eapo- •inone  arittotelica  ecc.).    Vedi  anche  Tbendblbkbubq come  intende  i  n^ùròc  àpt^fAoi  {PleUonU  de  idei»  et  numerie  doetrina ex  Ariet.  iUtutrata,  Lipzia,  1826,  p.  78  e  seg.)    Stillbaum,  Prolog,  in Parmenide,  p.  129,  ove  tocca  dell*  esposizione  aristotelica.    !.  Simon, Étnd.  tur  la  Théodieée  de  Platon  et  cT  Artet,    Cuosiir, note  al  Tim.,  p.  860  dorè  Platone  è  difeso  dall*  accusa  riguardante  la causa  finale.    Jacqitks,  Thior.  dee  Idée*  réfutiee  par  Ariet,    Lkvbano, De  la  Critique  et  Ice  Idéee  Platonicienne»  par  Ariat.  au  premier  liv.  de la  Métaph.    Lrclf.bc,  Penniee  de  Platon  preceduti  da  una  Hist.  abrégie du  plaumieme,    Oggimai  dunque  le  interpretazioni  e  la  difesa  in  favore di  Platone  sono  tante  e  così  evidenti,  che  la  crìtica  aristotelica  è  ri- dotta ai  suoi  legittimi  confini.  Molte  obbiezioni  Aristotele  andò  cercando col  lumicino;  ma  alcune  reggono  e  reggeranno  contro  ogni  forma  di Platonismo  come  altrove  toccammo,  e  come  vedremo  meglio  nel  pros- simo capitolo. dalla  natura  stessa  delle  idee  secondochè  appare  nel Parmenide.  Non  è  questo  il  luogo  per  dire  qual  possa essere  il  significato  sincero  di  questo  celebre  dialogo  e quale  il  metodo  più  acconcio  onde  vuol  essere  inter- pretata la  mente  di  Platone.  Ripetiamo  che  per  lo  Sta- girita,  come  per  alcuni  critici  francesi,  sembra  che  il filosofo  Ateniese  rimonti  all'  assoluto  mercè  gli  artifizi dell'  astrazione,  dispogliando  le  cose  de'  lor  caratteri individuali,  risalendo  gradatamente  a'  rispettivi  proto- tipi, e  giugnendo  così  al  minimo  della  realtà,  cioè  al generale  che  per    stesso  è  cosa  indeterminata  e  vuo- ta.*Ora,  dare  al  Platonismo  cotesto  valore  tornava comodo  al  discepolo  per  meglio  combattere  il  maestro  ; ed  era  altresì  naturale,  atteso  che  il  metodo  adoperato da  Aristotele,  anziché  iperpsicologico  ed  astratto,  come dicevamo,  si  palesa  essenzialmente  psicologico,  speri- mentale, induttivo  nell'ampio  significato  di  questa  pa- rola, per  cui  la  sua  metafisica  riesciva  al  massimo  delle realtà  eh' è  l'Atto  puro.  Così  ciò  che  per  questi  in- terpreti è  il  minimum  pel  malinteso  Platonismo,  è  il maximum  pel  beninteso  Aristotelismo. Questo  fa  oggi  l'Idealismo  assoluto,  ma  il  fa  con quella  ricchezza  d'espedienti,  come  giustamente  osserva r  illustre  traduttore  di  Hegel,  e  con  quella  possente vena  di  speculazione,  che  sanno  dar  venti  e  più  secoli di  storia  e  di  profonda  attività  filosofica.'  L' Hegeliano condanna  il  metodo  aristotelico,  lo  dice  empirico,  e  si studia  invece  di  seguire  e  compiere  il  metodo  dialettico dell'autore  del  Parm^enide;  ma  nel  fatto  non  fa  che  per- petuare la  vuota  posizione  del  Sofista^  in  quanto  che  col TÒ  ov  di  questo  dialogo,  che  è  precisamente  il  suo  In- determinato, e'  si  riman  sempre  nelle  secche  della  logica.' '  Rayaisson.  Vera,  V Hegelianifime  tt  la  PhUoBopkie,  p.  Iò8  e  seg. •  Ma  è  poi  davvero  Y Indeterminato  la  posizione  del  Sofista?  È  egli  tale forse  r«»«er«  che  ì  realmente  e  aaeolvUamejUe :  rw  travre^wc  ovt«? {Soph.,  p.  249) L'Idealista  assoluto  non  riesce  al  minimum  platonico, è  vero  :  ma  comincia  dal  minimum  dell'  essere,  perchè salendo  di  slancio,  come  dicemmo,  air  Indeterminato, coglie  immediatamente  (es  egreift)  l'In -sé  {dans  ansich) che  è  Nulla  ed  Essere,  e  poi  con  metodo  dialettico  e  ge- nerativo egli  viene  sgomitolando,  a  così  dire,  ogni  cosa con  ritmo  costante,  immutabile,  invincibile,  matematico, monotono,  per  indi  riuscire  al  medesimo  punto  onde era  mosso  per  l' innanzi.  E  con  ciò  pensa  d'aver  con- seguito il  vantato  accordo  fra  T  Aristotelismo  e  il  Pla- tonismo, mentre  in  realtà  ad  altro  non  riesce  che  ad una  forzata  compenetrazione  e  meschianza  del  melenso e  indiscerniljile    cv  con  quel  Noùc  immobile,  solitario  e tutto  chiuso  entro    stesso  di  cui  Aristotele  parla nel  XII  libro  della  Metafisica.  L'  Hegeliano  quindi  é iperpsicologista  per  doppio  conto.  Egli  incarna,  esplica logicamente  e  compie  mirabilmente  uno  de'  due  indirizzi estremi  dell'  Aristotelismo,  e  insieme  interpreta  il  Pla- tonismo con  una  critica  che  somiglia  non  poco  a  quella d'  Aristotile. Concludiamo.  Abbiam  visto  come  la  forma  di  me- diazione onde  i  Positivisti  mostrano  d'aver  coscienza dell'  Assoluto  sia  contraddittoria.  Essi  protestano  di  non saper  nulla,  di  non  poter  nulla  sapere  di  metafisico  ;  ma nel  fatto  confessano  un  nescio  quid,  la  realtà  d' un  ob- bietto  trascendente.  Lo  confessano  in  maniera  empirica, e  si  contraddicono  anche  qui,  perché,  dichiai'andolo  In- conoscibile, negano  così  l' esigenza  più  vivace  della  ricerca,  negano  il  metodo  positivo,  negano  la  critica  severa  e feconda.  Positivisti,  Critici,  Scettici  o  com'  altrimenti  si chiamino  cotesti  filosofi  déW  avvenire,  non  hanno  e  non vogliono  aver  fede  nell'  indagine  d' un  sapere  metafisico. Essi  dunque  condannano    medesimi,  il  proprio  metodo, la  ragione  e  la  storia  della  scienza,  poiché  non  fanno che  perpetuare  un  aristotelismo  fiacco,  empirico,  unila- terale, impotente,  negativo.  Ad  un  opposto  resultato riesce  il  neoaristotelico  iperpsicolggista.  L'idealista  as- Bolnto  dice  di  conoscer  l'Assoluto,  d'intenderlo  nel  senso più  stretto  di  questa  parola,  perchè  lo  fa  solo  in  pen- sandolo, e  ripensandolo  il  rende  a    stesso  traspa- rente. Chi  conosce  Bram  è  già  Bram,  dice  il  filosofo  in- diano.* Chi  giugne  a  pensar  Dio,  l'infinito,  ci  dicon gl'Hegeliani,  egli  è  già  Dio,  è  già  l'infinito.  Ma  il  modo con  che  pervengono  a  pensarlo,  il  processo  di  mediazione, non  è  processo,  non  procede,  non  cammina,  ma    in  sé rigira,  direbbe  l'Alighieri,  poiché  riman  sempre  nel mondo  del  più  puro  pensiero,  del  subbiettivismo,  in  quel letto  di  Procuste  appellato  formalismo  logico,  come  del- l' Hegelianismo  dice  un  illustre  scrittore  vivente  di  Ger- mania.' Cotesto  processo  quindi  é  una  mediazione  bu- giarda, perchè  non  é  vera  e  legittima  conversione. Quell'ombra,  dunque,  di  dottrina  metafisica,  quel vano  conato  di  conoscenza  trascendente  che  ci  porgono  i Positivisti  col  confessare  la  realtà  d'unDews  absconditus ci  rappresenta  una  delle  forme  costituenti  la  prima  |)0- sùnone  speculativa;  la  quale  perciò,  chi  guardi  alla  legge istorica  aristotelica  secondo  cui  si  svolve  il  pensiero filosofico  (pag.  272  e  segg.),  s'addimostra  tutt' altro  che positivo,  in  quanto  che  ci  rappresenta  l'esagerazione del  Dommciismo  empirico.  La  dottrina  hegeliana  poi neir  attingere  a  modo  suo  l' Assoluto  e  nel  determinarlo, ci  rappresenta  invece  la  seconda  posizione  speculativa, ed  è  l'esagerazione  del  processo  deduttivo,  in  quanto é  Dommatismo  sistematico  assoluto;  e  neanche  questo merita  nome  di  positivo.  I  Neoaristetelici  moderni,  dun- que, sia  che  per  necessità  di  sentimento  e  d' opinione  e d'istinto  pongano  l' Inconoscibile,  sia  che  a  furia  di  spe- culazione trascendentale  pongano  l'Indeterminato  come un  absdute  Prius,  partono  dall'ignoto;  partono  dal- l' impensabile.  Essi  movono  dal  buio,  o  riescono  al buio  :  talché  rassomigliano  a  que'  filosofi  di  cui  parla  Aristotele, i  quali  fanno  nascer  tutte  cose  dalla  notte  :  ol *  CoLEBBOOKE,  PhiL  dea  HindotUf  2.  ed.,  Ess.  II. *  Gbbvihub,  Hìh,  du  IHx*Neuviéme  SihUe,  Tom.  XIX.  Paris,  1 868,  p.  86. fx  vuxTo'c  7fvvo3vTic.  Perciò  i  Neoaristotelici,  s' appellinQ Hegeliani  o  Positivisti,  meritano,  comecché  per  ragioni diflFerenti,  il  titolo  di  filosofi  della  notte  ;  mentre  i  Neo- platonici con  le  vantate  visioni,  intuizioni,  splendori, irradiamenti  e  influssi  divini,  ben  ci  figurano  i  filosofi del  giorno  e  della  luce. Il  positivo  nel  conoscere  metafisico  non  istà  nella immediatezza  de'  Neoplatonici,  e  neanche  nella  media- zione de'  Neoaristotelici.  In  che  dunque  vuol  farsi  con- sistere? Capitolo  Nono. su  LA  RICERCA  DELL'ASSOLUTO SECONDO  LA  RAGION  FILOSOFICA  POSITIVA. Altrove  notammo  come  V  Essere  s' incarni  e  sostan- zii  ne'tre  processi,  ideale^  naturale,  istoricO'Sociologko: e  come  il  Vico,  a  significare  l'indipendenza  di  ciascuno e  insieme  la  comune  legislazione,  siasi  ben  apposto  nel chiamarli  a  Mondo  delie  Menti  e  di  Dio^  Mondo  della Natura^  Mondo  dello  Spirito. Avvertimmo  al- tresì che  le  scienze  le  quali  studiano  lo  spirito  in  sé stesso  indipendentemente  dallo  svolgimento  isterico,  si adunan  tutte  nelle  tre  discipline  fra  loro  distinte  eppur connesse  in  unico  organismo,  i  cui  tre  momenti,  per così  esprimerci,  sono  il  Primo  psicologico,  il  Primo  lo- gico  e  '1  Primo  vero  metafisico. Ora  il  Processo  ideale  è  la  dialettica;  la  quale  vo- lendo essere  avvisata  sotto  doppio  rispetto,  ideologico e  metafisico,  è  davvero,  come  l'han  sempre  designata  i Platonici  ed  i  Neo platonici,  una  scala;  ma  una  scala  a doppio  congegno;  una  scala  ascensiva  e  discensiva,  come direbbero  certi  viventi  critici  francesi  nell' interpretare il  Parmenide  di  Platone,'  In  qnanto  ascensiva,  è  ideologia  ;  e  V  ideologia,  se  non  avesse  alcun  valore  dialet- tico, altro  non  sarebbe  che  una  serie  di  norme  logiche e  un  cumulo  di  leggi  e  d'attinenze  onninamente  formali. Essa  dunque  rappresenta  il  processo  eduttivo. Questo  processo  muove  dal  Primo  logico,  e  riesce  al Primo  vero  metafisico;  e  vi  riesce  col  mezzo  delle idee  (ntpi  iSé(av)  che  sono  il  medio  per  eccellenza,  lo strumento  pili  acconcio,  più  legittimo,  e  perciò  la  prova razionalmente  positiva  per  potere  attinger  la  notizia  del- l'Assoluto. In  quanto  poi  la  dialettica  è  discensiva,  è metafisica;  ed  è  metafisica  perchè,  giunti,  come  accen- nammo, al  sommo  della  scala,  il  Primo  vero  meta- fisico assume  valore  di  Principio  metafisico  che  è  an- ch'egli  .processo  e  conversione  con    e  col  fuori  di sé.  Nel  Vico  é  abbastanza  chiara  l'esigenza  di  que- sto doppio  rispetto  della  dialettica  laddove,  nella  sim- bolica Dipintura  della  Scienza  Nuova,  pone  il  pen- siero e  l'essere  come  formanti  un  organismo,  un  sol mondo,  il  Mondo  delle  Menti  e  di  Dio^  secondo  che  ci venne  fatto  d'avvertire  nell'altro  capitolo  (p.  379).' *  Vedi  per  es.  Jankt,  Étude  »ur  la  Dicdectìque  ecc.,  ed.  cit.  p.  2'28, —  Vaoherot,  HÌ9t.  critique  de  VÉcole  (TAlex.^  t.  I,  p.  64.    NoCTRlsSOir, Expo8Ìtion  de  la  Théorie  pUUonieienne  de$  idée»,  PftHs,  1862,  p.  65.  ~ Simon,  HìH.  de  VÉcole  d'Alex,,  t.  I,  L  II,  e.  II. *  Perchè  le  idee  tornino  fruttuose  han  d' avere  un  valore  dialettico. Cons.  a  questo  proposito  Plat.,  De  Rep.,  VII:  Sop}i.\  p.  253,  ed.  cit.  — Abist.,  Metaph.,  1, 6.    Proclo,  Comm,  in  Parm.,  t.  IV,  1. 1.  Il  metodo  dia- lettico beninteso  risale,  secondochò  notammo,  a  Socrate,  come  quegli  che trasferi  tale  parola  dagli  usi  della  vita  (^ta'kéyt'jBxL^  eonvereare),  agli usi  della  scienza.  Però  dialettica,  nel  suo  razionale  significato, indica  la  con- venione  della  mente,  vuoi  con    medesima,  vuoi  con  altro.  Vico  intende a  meraviglia  tale  origino  istorica,  nonché  Tapplicazione  speculativa  alla scienza,  laddove  afferma:  V  ordine  delle  umane  cote  i  d*  ouervare  le  cote SIMILI,  prima  per  ISPIROASSI,  dipoi  per  provabr  ;  e  ciò  prima  con  V  ESKM- PLO  che  ti  contenta  d*  una  coea^  finalmente  con  V  INDUZIONE  che  ne  ha  hi' eogno  di  piò:  onde  Socrate,  padre  di  tutte  le  eitte  de*filo9ofi,  introdueee la  Dialettica  con  V  Induzione  che  poi  compiè  Aristotele  col  eillogiemo eJte  rum  regge  senza  un  universale,  {Se,  Nuo,  1.  II.)  Veggasi  quel  che  abbiamo discorso  quant*  al  metodo. Ricordiamoci  che  per  noi  la  metafisica  non  ò  sdema  aeedlmUi,  bensì Il  nodo  gordiano  della  filosofia,  e  però  la  chiave della  metafisica,  son  le  idee.  Se  il  lettore  ha  badato  al processo  e  alla  genesi  psicologica  che  assai  fuggevol- mente venimmo  tratteggiando,  avrà  potuto  indurre  qual sia  e  qual  debba  essere,  secondo  V  esigenza  del  filoso- fare positivo,  r  origine  e  la  natura  delle  idee.  Coteste idee  non  sono  entità  puramente  formali,    puri  concetti dello  spirito.  Non  sono  essente  sparate,  almeno  quelle intomo  alle  quali  (come  usava  dire  il  Galilei)  possiamo *  discorrer  noi  umanamente;  e  però  non  sono  sostanze esteriori,  come  Aristotele  interpreta  i  napaStiyyiotrx  del filosofo  Ateniese.  Non  sono  concetti  innalzati  ad  univer- salita  determinata  ne^  quali  col  chiudersi  il  circolo  del- l' essere  si  esauriscano  ed  assolvano  le  ragioni  delle  cose, com'  è  per  gl'Idealisti  assoluti.  Non  sono,  a  dir  proprio, le  cose  stesse  nelle  assolute  lor  qualità.  E,  finalmente, non  sono  quasi  altrettanti  simboli,  o  spiragli  attraverso cui  si  affaccia  al  pensiero  l'Assoluto.  Le  idee  costituì-, scono  il  prodotto  del  processo  psicologico.  Elle  dunque sono  una  fattura  di  nostra  mente:  son  la  mente  stessa, direbbe  il  Vico,  ma  la  mente  in  quanto  è  Magione  spie- gata. Ecco  le  idee  umane,  sul  cui  svolgimento  s'imba&a tutto  l'edifizio  e  tutto  il  valore  della  Scienza  Nuova.* Mcienxa  ddP  à»9oIìUo  in  quanto  è  Critica  del  Vero.  Però  accettiamo  anche qui  la  sentenza  che  costituisce,  diremmo,  la  chiave  dell*  indiriuMo  medio dell*  Aristotelismo.  Per  Aristotele  la  Metafisica  è  «ciennadeU^AatolìUo;  e questa  scienza  dell'Assoluto  è  anche  logica,  logica  in  «2,  logica  in  quanto considera  l'essere  »n  «è,  realmente  :  to'  sgw  ov  xai  x^/^'^l^v. {Metaph.,  XI):  il  che  consuona  con  la  sentenza  del  Vico  riferita  altrove: Quello  che  è  metafiaica  in  quanto  contempla  le  cote  per  tutti  i  generi  delV  e»- aere,  lo  tteseo  è  la  logica  in  quanto  considera  le  coee  per  ttUti  i  generi  di Bignifienrle.  Col  pensiero  d'Aristotele  poi  rinverga  il  concetto  del  suo  mae- stro. Platone,  come  ò  noto,  appella  filosofi  quelli  a*  quali  ò  dato  asseguir  la notizia  di  ciò  che  è  costante  e  assoluto  (^cXóaoooc  jiasv  oc  toù  àcc xxT«  rauToè  wc«i»tw;  e;^ovTo;  5«và^«ovi  SfxnrtfrOxt.  Bep.y VI,  484,  A.) *  A  prima  giunta  parrebbe  che  nella  dottrina  delle  idee  il  Vico  fosse un  filosofo  arciplatonico,  ma  non  è.  La  dialettica  platonica,  intesa  in  un  certo senso,  non  può  menomamente  prescindere,  come  osserva  il  Simon,  dalla  dot- trina della  reminiscenza:  La  euppreseion  de  la  remini»cenee  en  peycologie ut  la  négation  de  la  dialectique  et  de  la  tkéorie  de»  idée»  (Op.  cit.,  t,  1, Ma  se  le  idee  sono  il  moto  stesso  e  lo  stesso  esul- tato della  energia  psichica,  e,  come  tali,  chiudono  il  cir- colo della  natura  e  dello  spirito,  non  però  chiudon  sé stesse,  anzi  dischiudonsi,  e  col  dischiudersi  ci  mostrano di  lor  natura  un  intimo  riferimento  all'  Assoluto.  Se r  uomo,  lo  spirito,  secondo  la  nozione  del  nostro  filo- sofo, non  è,  a  dir  proprio,  Y  infinito  attuale  e  nemmanco r  attuale  finito,  ma  una  potenzialità  infinita,  una  po- tenza che  tendU  ad  infinitum,  ne  seguita  che  anche, le  idee,  sue  determinazioni,  voglion  esser  fomite  del doppio  carattere  della  finità  e  della  infinità,  sia  che  le si  considerino  nelle  intime  lor  attinenze  organiche,  sia che  nella  lor  solitaria  immanenza.  Dunque  l'idea  è genm,  è  forma  metaphysica,  e,  come  tale,  somiglia  alla forma  del  plasticatore,  anziché  a  quella  del  seme.*  Ma anche  come  genere,  anche  come  forma  metafisica  l' idea è  finita  e  infinita:  finita  in  ampiezza  e  universalità;  infi- nita in  perfezione.'  Però  tiene  del  finito,  in  quanto  che un'  idea  non  è  l'altra;  e  tiene  poi  dell'infinito,  perchè  è p.  241).  Or  la  dottrina  psicologica  del  Vico,  secondo  che  noi  siamo Tennti  interpretandola,  contraddice  ad  ogni  platonica  reminiscenza,  ad ogni  maniera  d*  intùito  iperpsicologico  ;  anzi  non  mancano  luoghi  ne^qaali egli  condanni  questa  dottrina.  (De  Univ.j'ur.^  e.  1, 1.)  Quanto  alla  Scienza e  alla  Virtù,  dice  esser  cose  che  hisogna  edurle  dalla  mente  e  dairanimo come  fa  T  ostetrico  (De  Coruu  PhiL,  e.  I).  Non  è  poi  nniraffatto  plato- nica nò  quant*alla  natura,    quant*  all'  origine  delle  idee,  perchè  le  idre, per  lui,  non  sono  gli  eterni  veri  (essenze  separate  ed  esemplatriei)^  ma  sono entità  che  significano  l'Assoluto  in  quanto  si  riferiscono  a  ]uì  [De  Univ., e.  y,  1).  Non  sono  quindi  appreso  direttamente,  ma  fatte.  Vedi,  per  es., quel  che  dice  sul  generarsi  de*  generi  e  delle  forme  metafisicke,  le  quali a  nostris  pueris  primulum  bua  spontk  «xpZtcantur. E ciò  non  pertanto  gli  hegeliani  V  han  battezzato  o  seguitano  a  battezzarlo per  platonico  sviscerato  !  Neil'  altro  capitolo  vedremo  fino  a  qnal  segno e  per  qual  ragione  egli  possa  meritarsi  questo  titolo. *  Forma»  intelligo  metaphysioas  (pice  a  physieis  ita  diversce  sunti  «* forma  plaatm  a  forma  seminis.  Plastce  mim  forma  dum  ad  eam  quid  fer- matur,  manet  idem  et  semper  formato  perfeetlor  ;  forma  seminis,  dum  quo- tidie  se  esplicai,  demutixtur  ae  perjicitur  magie:  ita  ut  formfn  pkysicct  sint ex  formis  metaphysieis  formatw  {De  Antiq.).  Vedremo  fra  poco qual  valore  abbia  quest'ultima  sentenza. *  Genera  esse  formas,  non  amplitudine,  sed  perfezione  injìnitas  (Op.  cit. C.  U,  1). l'altra  e,  sotto  certo  rispetto,  tutte  le  altre.  La  legge  dia- lettica, dunque,  è  la  stessa  legge  universale  dell'  essere; legge  di  conversione;  legge  d'alterità  e  di  medesimezza. Sennonché  cotesta  conversione  ideale  non  è  semplice opposizione,  e  neanche  compenetrazione,  conciossiachè la  ragione  dell'un  termine  non  istia  solamente  nell'altro. Il  dialettismo  si  radica,  non  già  nelle  idee  come  opposte fra  loro  o  come  generate,  ma,  innanzi  tutto,  nel  soggetto che  le  genera.  Un'idea  non  è  universale  perchè  perfetta, ne  perfetta  perchè  universale.  E  non  è  finita  perchè infinita,    infinita  perchè  finita.  Questo  è  l'errore  delle dialettiche  a  priori  che,  levando  a  principio  l' opposizione per  r  opposizione,  riescono  ad  un  pretto  mecca- nismo ideale.  Un'  idea  è  infinita,  o  finita,  principalmente per  sé,  e  anche  per  l' àUra.  Se  dunque  la  lor  conversione non  è  equazione,    semplice  opposizione,  ne  consegui- tano due  cose:  V  ch'elle  non  chiudono  il  circolo; 2*"  eh'  esse  importano  l' ideato  nella  pienezza  di  sua  real- tà. Si  vorrà  supporre  che  anche  cotesto  ideato  sia un'idea?  un'idea  madre?  E  allora  avrà  luogo  il  mede- simo discorso,  e  saremo  sempre  daccapo.  Si  vorrà  giu- gnere  all'idea  dell'essere  mercè  i  soliti  lambicchi  de' raf- finamenti e  assottigliamenti  astrattivi?  E  avremo  la nuvola,  non  Giunone  !  Certo,  l' idea  dell'  essere  non  è come  le  altre,  finita  nell'ampiezza,  bensì  infinita,  uni- versale; ma  è  vuota,  è  vacua,    altro  è  capace  di  dare fuorché  yffi'kÒLi  evvoiaf.  Ella  comprende  tutto,  ma  non  rac- chiude nulla  :  è  un  Primo  logico,  non  già  un  Primo  vero metafisico.  Dunque  vuol  esser  determinata;  stanteché debba  cessar  d' essere  infinita  per  universalità,  e  assu- mer valore  d'idea  infinita  per  perfezione.  L' ascensione dialettica  perciò  è  incalzata  dallo  stesso  principio  della conversione;  e  la  mente  deve  posare  in  quell'ideato che,  a  dir  proprio,  sia  un  ideato  dialettico,  ciò  è  dire conversione  piena,  assoluta,  vivente,  reale.* *  1  Generi f  dice  il  Vico,  aono  non  per  univer»alità,  ma  per  perfezione inJiniH:  e  questo  eeeere  U  brieve  e  vero  9en§o  del  lungo  e  intricalo  F€tnn&' Se  r  idea  è  infinita  non  per  ampiegm  ma  per_per- fmone,  perciò  non  va  confusa  col  concetto;  al  modo nide  di  Platone;  e  questo  intendimento  doverti  dare  alla  famosa  Scala ddle  Idee  onde  i  Platonici  pervengono  alle  perfeUianime  ed  eteme  (Bisp.  I, al  Oiom.  de*  Lett.,  II).  Quanto  al  brieve  e  vero  senso  del  Parmenide  toc- cheremo più  giù.  Dove  poi  il  Vico  dice:  Genera  esse  formasy  non  amj^itu- dinef  sed  ptr/ectione  injinitas^  tosto  SOggiugne  :  et  quia  injinitas^  in  uno Deo  esse....  Come  va  intesa  questa  sentenza?  In  quanto  le  idee  possie- don  carattere  dMnfinità  e  d*  assoluta  perfezione,  elle  sono  in  Dio;  e sono  in  lui  perchè  forman  tutte  assoluta  unità,  e  assoluta  totalità:  unitotalità.  Lo  avea  detto GALILEI  che  non  era  un  metafisico  :  Le  idee,  perchè inJinitCf  sono  una  sola  ndV  essenza  loro  e  nella  mente  divina  (Op.,  ed.  Al- bóri, 1. 1,  Dial.  de*  Mass.  Sist,,  p.  116).  Ha  in  quanto  possiedon  Tubo  e r  altro  carattere,  elle  si  producono  e  rìseggon  nello  spirito,  nel  pensiero  ; sono  il  pensiero;  e  sono  finite  e  infinite  perchè  tale  è,  ripetiamo,  la  natura stessa  dello  spirito,  cioè  potenzialità  infinita.  Ne  viene  perciò  che,  ove  le idee  fossero  infinite  in  atto,  non  potrebbero  essere  altresì  finite.  E  dove fossero  solamente  finite  e  puramente  universali,  sarebbero  forme  vuote  e astratte,  e  però,  contraddicendo  air  intera  dottrina  psicologica  del  nostro filosofo,  cadremmo  nel  pretto  sensismo.  Or  le  idee,  le  nostre  idee,  non  sono infinite  e  perfette  perchè  siano  lo  stesso  Dio  o  pertinenze  di  Dio,  ovvero spiragli  ond*ei  s*  afikccia  al  pensiero,  come  dice  il  Mamiani  col  suo  lin- guaggio tinto  di  certo  color  poetico;  ma  son  tali  perchè  tale  per  T ap- punto è  il  soggetto  che  le  partorisce;  il  quale  perciò,  mediando    stesso come  potenziale  infinito,  deve  per  necessità  eduttiva  concludere  alla  no- tizia deir  Assoluto.  Di  qui  nasce  che  le  idee  non  possono  essere  infinite di  fatto,  e  ce  *1  dice  egli  stesso  :  enim  vero  ista  genera  nomine  tenue  infinita, homo  enim  ncque  nikil  est,  ncque  omnia.  Quare  nee  de  nihilo  nisi  per  ali- quid  negatum,  neo  de  infinito,  nisi  per  negata  finita  cogitare  potest.  Ai enim  omnis  triangulus  habet  angulos  cequales  duobus  rectis.  Ita  bene:  sed non  id  miìU  infinitum  verum,  sed  quia  habeo  trianguli  formam  in  mentGot imprcssam,  cujus  hanc  nosco  proprietatem,  et  cu  mihi  est  archetypus  cete- roruh. Fatta  dunque  Videa,  tosto  in  essa  io riconosco,  non  già  V  infinito,  ma  il  carattere  della  infinità:  hanc  proprie- totem  nosco.  Per  questa  proprietà  essa  diventa  un  archetipo,  diventa una  misura  {archetypus  ceterorum);  e  come  archetipo  e  misura  ella,  per me,  è  un  assoluto;  e  così  è  vero,  che  Vuom  tende  a  farsi  regola  deW  uni- verso,che  vuol  dire  tende  a  farsi  assoluto.  E  qui  toma  acconcio  il  ri- confermare quella  relazione  che  tra  le  opere  del  Vico  altrove  procac- ciammo chiarire.  Nella  Scienza  Nuova  Tuomo  è  regola  e  misura  in  tre maniere,  secondo  i  tre  momenti  dello  svolgimento  isterico  ;    nella  fase 0  stato  divino,  per  credenza  e  per  sentimento;    nella  fase  eroica,  per arbitrio,  forza,  potere,  volere  ;  3  nella  fase  umana,  per  magistero  logico e  scienziale,  cioè  per  la  ragione  spiegata,^eT  le  idee  {idee  umane).  Ecco dunque  una  prova  novella  che  ci  mostra  come  la  Scienza  Nuova,  anziché contraddire  al  Libro  metafisico,  lo  esplichi  e  lo  legittimi  sempreppiù,  al modo  istesso  che  questo  riassume  le  ragioni  metafisiche  di  quella. istesso  che  l'intendimento,  secondochè  mostrammo,  non è  da  confondersi  con  la  ragione.  Tanto  Videa  quanto il  concetto  sono  una  dualità,  perchè  T una  e  l'altro  sono conversione,  giudizio,  e  però  medesimezza  e  distinzione. Ma  la  dualità  dell'  idea  è  l' universalità  e  \2l  perfezione; dovechè  quella  del  concetto  è  l' estensione  e  la  compren- sione. Nel  concetto^  come  vedemmo,  ci  è  sempre  un'orma del  fantasma  (p.  321);  e  nell'  idea  v'  è  sempi-e  un'  orma del  concetto^  cioè  il  comune,  l'universale.  Or  chi  dirà che  il  concetto  abbia  carattere  d'infinità  solo  perchè  sia comune  e  universale?*  Il  circolo,  a  mo'  d'esempio,  in quanto  è  universale,  è  concetto;  ma  in  qijanto  racchiude la  nota  essenziale  ond'  e'  si  discerne  da  ogn'  altra  no- zione, è  quello  che  è  ;  è  perfettissimo  ;  è  infinito  ;  e  così lo  pensa  Dio  come  l'uomo.* '  Si  vero  id  contendane  etse  injinitum  gentu  (cioè  che  i  tre  angoli d*aii  triangolo  rettilineo  siano  eguali  a  due  retti,  eh' è  l'esempio  rife- ritopoco  fa  dallo  stesso  Vico),  quia  ad  eum  trianguli  archettfputn  accom- modari  innumeri  trianguli  po«8unt,  id  tibi  habeant  per  me  licet;  nam vocabulum  iÌ9  lubens  condono,  dum  ipti  de  re  mecum  eentiant.  Sed  enim  per- peram  loquuntur,  qui  decempedam  dixerint  injinitam,  quod  omne  extenaum ad  eam  normam  metiri  poannt,  >  {De  Antiq.) '  Galileo  nota  stupendamente  questo  privilegio  del  pensiero    dove distingue  V  intendere  extensive  dair  intendere  intensivCf  confermando  così la  dottrina  del  Vico.  Vintenèive  del  filosofo  pisano  è  il  perfettamente^ com*  egli  stesso  dichiara.  Ora  v*  ha  cognizioni,  egli  dice,  le  quali,  guar- date sotto  il  rispetto  della  inteneìtà  e  della  perfezione,  agguagliano  le  di-rine  neUa  certezza  obbiettiva^  perchè  con  essa  arriviamo  a  comprenderne la  nec€99Ìtà  sopra  la  quale  non  par  che  posta  essere  sicurezza  maggiore, {Dial.  de'  Mass.  Sist,j  loc.  cit.)  Gli  esempi  co'  quali  Galileo  procaccia  chia- rire tale  idea,  son  tolti  dalla  matematica;  e  la  matematica,  anche  per lui,  è  una  fattura  della  mente;  e  però  la  certezza  e  la  necessità  ond'ei parla  scaturisce  immediatamente  dalle  leggi  stesse  della  psicologia.  So che  il  Neoplatonico  neanche  qui  si  darà  pace,  ed  opporrà  la  solita  in- Titta  necessità  di  certi  yeri  che,  vada  o  Tenga  il  pensiero,  sono  e  saran sempre  quello  che  sono.  A  questa  difficoltà  ahhiamo  già  risposto  (p.  243  e seg.)  U  due  e  due  fan  quattro  (direbbe  un  neoplatonico  alla  Maminni) gli  è  un  yero  assoluto  e  necessario,    io  posso  pensare  il  contrario; dunque  T*ha  in  lui  qualcosa  che  non  m' appartiene  ;  e  però,o  è  Dio,  o  è pertinenza  di  Dio.  Nient' affatto!  Io  non  posso  pensare  il  contrario;  ed è  yerissimo:  ma  perchè  non  posso  pensarlo?  Perchè  non  posso  contrad- dirmi; ecco  la  ragione  immediata.  Il  regno  della  logica  non  è  il  regno Or  se  tale  è  V  organismo  delle  idee,  è  impossibile che  il  pensiero  partorisca  e  generi  un'idea  la- quale sia  infinita  così  nelF  ampiezza  come  nella  perfezione. Se  potesse,  e'  già  sarebbe  V  infinito  in  atto.  Se  potesse, egli,  col  farsi,  già  sarebbe  un  fatto.  Ma  così  non  si  con- traddirebbe? Non  annullerebbe    stesso  anche  qui? La  conseguenza,  dunque,  parmi  chiara:  il  pensiero,  que- sto nostro  pensiero  con  tutto  il  suo  ^contenuto,  non possiede  l' essere,  non  è  l'essere,  non  si  compenetra  con r  essere.  Questa  invincibile  manchevolezza  d'  essere, questa  insuperabile  impotenza  d' essere,  come  ci  si  ri- vela? quand'  è  che  ci  si  rivela?  Precisamente  nella  stessa impossibilità  d'afferrare  e  fermare  il  pensiero  nell'o/to. Ed  è  impossibile  poter  cogliere  e  fermare  quest'atto, appunto  perchè  lo  spirito,  pensando,  è  già  un  atto,  è già  faUo  (actum).  Or  se  non  è  atto,  non  ci  ha  da  esser r  atto  ?  Io  penso  l'essere;  io  son  l'essere:  eppure  non sono  la  realtà  dell'essere!  Dunque  la  stessa  impossibilità a  dedurlo  come  tale,  mi    il  diritto  a  concluderne  la realtà.  Il  che  accade  per  una  ragione  detta  e  ridetta, che,  cioè.  Essere  e  Pensiero  non  sono  l' uno  in  due  (come direbbe  lo  Spaventa),  non  sono  l' identico  nel  diverso, ma  sono  il  due  in  wwo,  sono  piuttosto  il  diverso  nel- r  identico. E  qui  ci  è  dato  scorgere  sempre  più  netta- mente V  errore  degV  intuitisti  e  ie^  mediatisti.  Cotestoro, come  vedemmo,  voglion  rintracciare  la  ragion  dell'assoluto e  dell'  infinito  nel  pensiero,  e  ricorrono  ad  espe- dienti opposti  e  contrari.  Gli  uni  ci  dicon  che  la  mente colga  immediate  1'  Assoluto  ;  gli  altri,  che  lo  faccia.  Ora chi  dice  di  vederlo,  per  me,  sogna  ad  occhi  aperti;  e senz'  addarsene  resta  impaniato  nel  panteismo.  Chi  poi dice  di  farlo,  sogna  anche  lui  e,  per  di  più,  diverte  la doli*  arbitrio.  E  perchè  poi  non  posso  contraddirmi?  Giusto  perchò  lo stesso  pensiero  è  quello  die  nel  due  e  due  fan  quattro  pone  gli  elementi e  le  condizioni  del  giudizio:  le  quali  io  non  potrei  negare,  senza  distrug- gere il  mio  stesso  pensiero.  Se  potessi,  ne  verrebbe  che  io  farei,  e  non farei:  cioè /arci  il  nulla t gente  con  indovineUi  da  algebrista,  e  finisce  per  immer- gersi nel  nulla  :  talché  anniillando  cotesto  assoluto,  la  sua deduzione  riesce  davvero  ad  \m3i  bestemmia. 11  Neoplato- nico s' affida  ad  un  intùito  ;  e  così  esagera  V  impotenza in  cui  è  il  pensiero  d' esser  V  essere.  11  Neoaristotelico hegeliano, al  contrario,  s'affida  a    stesso;  e  così  esa- gera la  potenza  del  suo  pensiero  adequandolo  all'  essere. Entrambi  dunque  deducono;  ma  l'uno  appoggiandosi neh' obbietto  intuito,  o  neW  Ideato  presente  al  pensie- ro; r  altro,  movendo  dsàV  Indeterminato  cólto  o  posto per  astrazione  immediata  e  subitanea.  Illusione  l' imme- diatezza dell' uno  !  illusione  e  arzigogolo  logico  la  me- diatezza  dell' al trol  Non  intùiti,  ne  posizioni  a  priori: non  immediatezza,    mediatezza,  ma  conversione,  ma processo  del  pensiero  con  l'essere.  Le  idee  non  sono r  Assoluto  significativo,  l' ente  in  quanto  sigtii/ica,  in quanto  presenta    stesso  al  pensiero:'  ma  é  lo  stesso pensiero  quello  che  per    medesimo  é  significativo  del- l'Assoluto,  in  quanto  é  Bagione  spiegata.  Brevemente: se  r  idea  è  mezzo,  eli'  è  il  pensiero,  ma  è  il  pensiero in  quanto  rappresenta  l'Ideato,  non  già  l'Ideato  in quanto  s' affaccia  al  pensiero.  Or  qui  si  compie  nella sua  vera  forma  la  funzione  eduttiva. Parlando  della  genesi  e  classificazione  delle  varie  discipline dicemmo,  le  scienze  eduttive  ridursi  ad  una  sola, ed  esser  la  filosofia  (p.  232).  La  filosofia  s' intrinseca  con tutte  le  scienze;  e  però  é  anch'olla  induttiva  e  deduttiva la  sua  parte.  Ma  anch'essa  é  autonoma,  anch'essa  è trascendente,  e  come  tale  è  di  natura  eduttiva  ;  poiché non  cessando  d'alimentarsi  de'  tesori  adunati  dalle  altre discipline,  nondimeno  sa  e  può  trovare  alimento  in  sé stessa,  e  per  sua  propria  virtù.  Se  le  idee  infatti  hanno lor  fondamento  in  natura,  nessuna  funzione  basterebbe *  Hine  adeo  impiat  euriontatit  notandi,  qui  Deum  Optimum  Maximum a  priori  probare  ttudeiU:  nam  tantundem  ettet,  quantum  Dei  Deum  «e  /a- oere,  et  Deum  negare,  quem  quixrunt.  (Vico»  De  Antiq.) *  Màmiani,  Lett.  al  DoU.  BrentoMMoUf  424  DILLA  DOTTBiNA  ulosoiioa.  [lib.  n. a  scioglierle  da'  viluppi  delle  sensate  apparenze,  ove  la stessa  mente  non  sapesse  pai*torirle.  Tra  il  fantasma e  l'idea,  tra  la  forma  metafisica  e  la  fisica^  c\  è  quel  me- desimo intervallo  esistente  fra  il  senso  e  la  ragione.  Or tuttoché  le  idee  pongan  radice  nella  natura  e  si  muo- vano in  questa,  nondimeno  con  lieve  soccorso  del  senso elle  possono  esser  generate  dalla  mente,  poiché  a  conce- pir r  idea  del  circolo,  o  meglio,  a  fissare  il  concetto del  circolo  nella  nota  che  costituisce  la  sua  perfezione e  trasformarla  in  idea  o  forma  metafisica,  non  v'  ha mestieri  di  prolungati  lavori  d'astrazioni  e  di  generaliz- zazioni. La  mente  perciò  nel  concepirle  fa  altrettanti giudizi  eduttivi.*  Il  giudizio  eduttivo  è  diverso,  così nella  forma  come  nel  contenuto,  dal  giudizio  induttivo, e  dal  deduttivo.  Il  suo  carattere  specificante  dicemmo radicarsi  innanzi  tutto  nella  relazione  de'  suoi  termini, e  quindi  nell'  origine  dell'  attributo.  L' attributo  non  è dato  dal  fatto;  e  però  non  è  sintetico  a  posteriori.  Non è  ricavato  dal  soggetto  e  applicato  al  soggetto  stesso come  parte  del  suo  contenuto;  e  quindi  non  è  di  natura analitica.  Non  è  ripetizione  del  medesimo  soggetto  ; e  quindi  non  è  identico.  Il  giudizio  eduttivo  serba  in- '  Se  pensare,  come  altrove  mostrammo,  è  giudicare,  e  giudicare  è un  atto  di  conversione  in  quanto  che  convertire  è  scorger  la  medesimezza e  la  differenza  ad  un  tempo;  ne  viene  che  il  giudizio  è  la  sintesi  di  due elementi,  convertione  del  vero  col  fattOf  sintesi  della  medesimezza  generica [vero)  e  della  diversità  specifica  (fatto).  Ora  guardando  alla  funzione speciale  onde  la  mente  forma  concetti  e  giudizi,  ricavammo  esser  tre i  sommi  generi  a  cui  essi  potranno  rimonarsi,  e  li  appellammo  induttivi, deduttivi,  eduttivi.  Questa  divisione  è  essenziale,  perchò  si  fonda  prin- cipalmente nella  differenza  del  contenuto  de*  giudizi,  e  perchò    origine alle  tre  funzioni  metodiche. Si  fonda  dunque  su  la  dottrina  della  cono- scenza e  della  scienza,  e  perciò  è  razionale  e  cpmpiuta.  L'atto  del  giudicare, Infatti,  ò  sempre  identico  nella  sua  forma  logica,  poiché  è  sempre una  conversione  al  pari  del  concetto  ond' emerge;  ma  differisce  nel  contenuto, ed  ecco  r origine  delle  tre  differenze  di  giudizi.  Tutte  quelle  in- numerevoli distinzioni  e  classi  e  divisioni  e  suddivisioni  di  atti  giudi- cativi fatte  da  Aristotele  sino  al  Kant  e  al  Rosmini,  sono  spartizioni secondarie,  le  quali  riguardano  l' estensione,  la  quantità,  la  relazione,  la forma  e  l'indole  de' giudizi;  ma  riescon  tutte  incompiute. dole  essenzialmente  sintetica,  e  però  sgorga  dallo  stesso pensiero  per  virtù  e  necessità  eduttiva.  Ma  qual  sorta di  sintesi  è  cotesta  ?  Non  è  sintesi  a  priori  nel  senso de' Neoplatonici,  perocché  l'obbietto  non  è  dato  da nessun  intùito  o  visione  trascendentale.  Non  è  sintesi nel  senso  dell'  Idealismo  assoluto  e  del  Criticismo,  per- chè r  obbietto  non  è  posto  per  mera  legge  dialettica, e  neanco  per  non  so  qual  cieca  necessità  subbiettiva.  * H  giudizio  eduttivo  è  un  vero  atto  sintetico,  un  atto sintetico  trascendentale  per  eccellenza  perchè  l'attributo non  è  nel  soggetto,  e  nondimeno  è  posto  dal soggetto.* Qual  è  l'oggetto  di  questa  sintesi  trascendentale? È  appunto  ciò  che  le  forme  metafisiche  possiedon  di  co- mune. È  ciò  che  nel  concetto  e  nelle  determinazioni ideali  scopriamo  d' infinito,  non  già  nell'  ampiezza,  ma sì  nella  perfezione.  La  funzione  eduttiva  dunque  è  fun- zione dialettica,  dialettica  ascensiva.  Perciò  eduzione delle  idee  non  vuol  dir  la  pura  e  semplice  generalizza- zione delle  qualità  dell'essere:  vuol  dire  accrescimento dell'  essere;  vuol  dire  concentramento  dell'  essere  nella *  I  griudizi  iintetici  a  priori  di  Kant  non  sono  propriamente  apriori, ma  si  riducono  a  giudizi  analitici. *  Il  processo  conoscitivo  è,  per  dir  così,  nna  catena,  gli  estremi della  quale  sono  due  sintesi,  e  però  due  forme  di  conversione  ;  V  una  di esse  è  originaHay  e  l'altra  finale.  Quella  precede,  come  si  disse,  ogni riflessione,  e  costituisce  il  Primo  psicologico,  Y  unidualità  primitiva  ;  la quale,  facendo  possibile  la  formazione  de'  concetti  mercè  il  processo psicologico,  toglie  queir  apparente  petizion  di  principio  tra  la  necessità per  cui  ogni  giudizio  deve  importare  il  concetto,  e  la  necessità  ondMl concetto  debb'  essere  un  atto  giudicativo.  La  sintesi  finale  poi  riesce  al Primo  vero  metafieico^i]  quale  devesi  convertire  col  Principio  metafisico. Avviene  perciò  che  la  sintesi  originaria  sia  costituita  dal  pensiero  e  dal suo  obbietto  che  è  Tessere  in  quanto  indeterminato;  e  però  è  sintesi naturale  essendo  posta  dalla  stessa  natura. La  sintesi finale  per  contrario,  ha  per  oggetto  1*  essere  determinato  ideale,  e  de- terminabile in  quanto  reale  ;  e  )»er  ciò  è  sintesi  superiore  alla  natura essendo  prodotta  dallo  stesso  pensiero.  Queste  due  sintesi  dunque  sono due  giudizi  d'indole  sintetica,  ma  diversissimo  n'è  il  contenuto  ;  per  la ragione  che,  se  nel  primo  d'essi  l'obbietto  è  posto  da  natura,  nel  secondo è  posto  dalla  stessa  mente. sua  idealità.  Or  se  tale  è  la  natura  di  questa  fun- zione^ accade  che  il  principio  ond'  ella  è  governata non  possa  esser  quello  d' identità,  di  repugnanza,  di causa  e  simili  ;  stantechè  qui  non  si  tratti  di  logica  for- male la  cui  materia  è  costituita,  in  generale,  da' giudizi deduttivi,  ne  di  logica  induttiva,  i  cui  giudizi  ri- posano sul  principio  di  causalità  e  di  sostanza  empiri- camente intesi.  Se  il  fine  della  logica  formale  sta  nel fissar  le  norme  del  ben  pensare,  e  il  fine  della  logica induttiva  nel  porgere  i  criteri  a  fruttuosamente  spe- rimentare; è  chiaro  esser  necessaria  una  logica  la  quale sappia  ritrovare  il  vero  facendolo,  se  pure  s' ammette che  la  metafisica  abbia  da  essere  una  Critica  del  vero. Ed  è  chiaro  altresì  esser  necessario  un  principio  che sappia  guidarci  nel  processo  di  siffatta  critica,  il  qual principio  è  appunto,  come  altrove  toccammo,  quello della  Conversione  (p.  250). Or  questa  funzione  eduttiva,  di  natura  essenzial- mente dialettica,  non  va  dall'effetto  alla  causa,    dalla causa  all'  effetto  :  non  va  dalla  sostanza  alla  determina- zione, né  dalla  determinazione  alla  sostanza.  Le  idee  non sono  effetti,  non  sono  risultati,   determinazioni  dell'As- soluto. Se  così  fosse,  come  sarebbe  possibile  il  transito dialettico?  Il  passaggio  dialettico  (nopsisi)  è  solamente possibile  dov'è  possibile  medesimezza  e  differenza;  do- v'è possibile  intervallo  e  continuità;  dov'è  possibile, insomma,  conversione  di  termini.  I  termini  in  quest'  or- dine di  cose,  da  una  parte,  sono  le  idea,  la  Eagiotie spiegata  ;  dall'  altra  sono  le  stesse  idee,  le  stesse  forme metafisiche,  ma  in  quanto  concludono  nel  loro  ideato, neir  ideato  come  Principio  e  Mente  reale,  nell'  ideato che  basti  a    stesso  (ro^izavov),  nell'ideato  che  nulla suppone,  ma  che  si  pone  (ro  ocvuttoOstov).  Intanto  la  ra- gione, tuttoché  secondo  le  leggi  altrove  notate  del  pro- cesso psicologibo  debba  mover  dalla  natura  e  dal  senso, nondimeno,  come  tale,  è  caussa  sui  (suitas)  ;  e  l' effetto  di tal  cagione  è  la  scienza,  le  idee,  le  quali,  in  quanto  forme metafisiche,  si  riferiscono  all'Assoluto.  E  cotesto  Asso- luto alla  sua  volta  è  Caussa  sui  (Aseitas),  ma  è  anche cagione  del  mondo  in  quanto  è  Mente;  e  l'effetto  di tal  cagione  è  lo  spirito,  non  già  come  Ragione  spiegata, come  Nove,  come  attualità,  ma  come  virtualità,  po- tenza, materia,  natura,  conato.  Ora  questa  evidente- mente è  conversione,  e  quindi  è  sintesi  eduttiva.  Ed è  tale  in  quanto  procede  da  causa  a  causa,  in  quanto concatenando  caussas  caussis  (p.  275)  le  annoda  e  di- stingue ad  un  tempo,  perchè  in  realtà  le  s'immedesimano e  si  distinguono  anche  fra  loro.  11  perchè,  se  da  una parte  qui  abbiamo  le  idee,  le  forme  metafisiche,  la  ragioìie spiegata,  la  coscienza,  il  Vero;  mentre  dall'altra  abbiamo r  Assoluto,  r  Assoluto  in  quanto  è  mente,  in  quanto è  la  Mente,  in  quanto  è  il  Fatto  per  eccellenza;  in  una parola,  se  da  una  parte  abbiamo  quel  che  il  Vico  direbbe le  Menti,  e  dall'altra  Dio:  ne  viene  che  in  questo  Motido delle  Menti  e  di  Dio,  in  quest'  organismo  del  pensiero con  r  essere,  il  passaggio  dall'  un  termine  all'  altro  non è  processo  deduttivo,    tampoco  induttivo,  ma  è  pro- cesso essenzialmente  eduttivo,  perchè  anche  qui  ha  luogo la  conversione  del  vero  col  fatto,  cioè  la  conversione  delle Menti  con  Dio,  della  logica  con  V  ontologia,  dell'  ideo- logia con  la  metafisica.  Sarà  un'  alchimia  anche  questa  ? Potrebbe  stare.  Ma  chi  ben  la  consideri,  anziché  un'al- chimia, scorgerà  in  essa  il  fondamento  della  prova  le- gittima, vera,  positiva  intorno  all'Assoluto.* *  Le  tre  ordinarie  maniere  d* argomentare  resistenza  di  Dio  furon ben  cento  volte  dimostrate  deboli,  incompiute,  fallaci,  per  la  solita  ra- gione che,  non  racchiudendo  processo,  mancano  perciò  di  valore  propria- mente dimottratico.  Il  cosi  detto  argomento  ontoìogicOf  per  es.,  qaalanque ne  sia  la  forma  datagli  da  Anselmo,  Cartesio,  Malebranche,  Fénelon,  Leib- nitz,  Gerdil,  Rosmini,  Gioberti,  Mamiani  e  simili,  non  può  concludere  alla realtà  assoluta,  perchè,  comunque  e'  si  squadri,  ha  sempre  nn  valore  dedut- tivo. Gli  argomenti  poi  dettiyì«ico,  moralcf  ootmologieOf  sono  sfomiti  d*  ogni rigor  di  prova  razionale,  in  quanto  che  si  riducono  alla  forma  induttiva, la  quale,  in  tal  caso,  racchiude  nna  petizion  di  principio.  Laonde  se  la deduzione  move  da  un /ntùtto, siamo  nella  ipotesi;  e  la  scienza  non  può accettar  le  ipotesi  come  principi],  tnttochò  se  ne  possa  e  debba  giovare È  dunque  vero,  è  verissimo  che  l' uomo  da    e  con la  propria  mente  faccia  Dio.  E  lo  fa  dapprima  col  senso, poi  con  r  immaginazione,  da  ultimo  con  la  ragione.  Col senso  lo  vede  immediatamente  nella  natura,  lo  sente  nella natura.  Con  l'immaginazione  lo  vede  attraverso  alla natura,   ma  lo  sente  in    medesimo.  Con  la  ragione lungo  il  suo  processo  come  d'altrettanti  mezzi.  Se  poi  muove  da  un  Indeter- minato f  siamo  nel  formalismo  psicologico,  nell*  arbitrio  logico,  e  però  si  riesce agi*  indovintUi  da  algebristi,  V  una  forma  di  deduzione  perciò  non  dimostra, cbè  anzi  invoca  appunto  l'Assoluto  per  dimostrare:  T altra  invece  dimostra troppo,  e  perciò  non  dimostra  nulla.  Dunque  V  argomento  eduttivo  o  della eonveraionef  che  noi  contrapponiamo  a  qualunque  forma  di  deduzione  e d*  induzi  one,  è  prova  legittima,  stantechè  racchiuda  il  vero  termine  medio, il  vero  m«szo  tra  il  mondo  e  T  Assoluto.  U  solo  Trendelenburg  ha  parlato d'  una  forma  di  prova  eh*  ei  chiama  argomento  logico,  il  quale  potrebbe avere  alcun  riscontro  col  nostro.  Ma  non  poche  sarebbero  le  difficoltà nelle  quali  intoppa  il  dotto  tedesco,  chi  guardi  al  concetto  del  moto  eh*  ei pone  a  capo  delle  categorie.  Neil*  ordine  psicologico  noi  moviamo  dal Vero  che  per  necessità  eduttiva  si  converte  col  Fatto  :  e  ne  ricaviamo  che cotesto  FaUo  non  è  già  moto,  anzi  pensiero  per  eccellenza,  mentalità assoluta.  Or  bene  s*  e*  fosse  moto,  corno  saria  possibile  una  conversione  f E  mancando  la  possibilità  della  conversione,  come  farà,  1*  illustre  autore delle  Bioerche  Logiche,  a  salvarsi  dal  pericolo  d*  un  vuoto  formalismo  ? Giova  qui  rispondere  ad  un'obbiezione.  Si  dirà:  cotesto  vostro  pe- regrino argomento,  in  somma  delle  somme,  si  riduce  ad  una  forma  d*  in- duzione. Dall' effetto,  andate  alla  causa;  dal  particolare,  al  generale; dalla  determinazione,  alla  sostanza;  dal  finito,  all'infinito.  Brevemente, dal  mondo  salite  a  Dio,  sia  che  consideriate  la  natura,  sia  che  lo  spi- rito, ovvero  le  idee. Rispondo:  induzione  pura  o  semplice,  'no;  ma  processo  induttivo: il  quale,  compiendosi  nel  processo  eduttivo,  assume  quindi  valore  d'ar- gomento razionalmente  positivo.  Dio,  a  parlar  proprio,  non  è  pura  so- stanza, causa,  essere  infinito  solitario  ;    il  mondo  è  pura  qualità  e determinazione, puro  effetto,  puro  finito  posto  dall'infinito.  Se  Dio  fosse cagione  semplicemente  presa,  il  mondo  (l'effetto)  ne  sarebbe  l'atto.  Se fosse  sostanza,  il  mondo  ne  sarebbe  la  modificazione.  Chi  ci  salverebbe dal  panteismo  ?  Se  poi  fosse  infinito  ut  «ie,  perchè,  domanderò  io,  se  basta a  so  stesso  ha  da  porre  il  finito  ?  Dio  è  tutte  queste  cose,  infinito,  causa, sostanza  e  simili,  ma  è  tale,  perchò  principalmente  è  idea,  pensiero,  men- talità. Or  non  è  anch'  egli  mente  e  pensiero  l' Universo  ?  L*  argomento della  conversione,  dunque,  non  va  dal  mondo  a  Dio,  non  procede  dal- i*  effetto  alla  causa  (ohe  non  procederebbe  davvero),  ma  va,  ma  procede da  causa  a  causa  annodandole  insieme.  E  le  annoda,  perchò  serbano  me- desimezza e  diversità;  le  annoda,  perchè  adopra  il  mezzo  delle  idee;  le annoda,  perchò  educe  le  idee,  e  perchò  queste  idee  converte  con  1*  ideato. —  Un* ultima  osservazione  che  avrei  dovuto  fare  già  in  altro  luogo:  me- Io  vede  nelle  sue  stesse  idee,  perchè  lo  fa  come  idea  ; e  così  r  uomo  (ripeto  la  ^bella  frase  del  Gioberti)  giunge a  rendere  a  Dio  la  pariglia.  L'idea  dell'Assoluto  ha  an- ch' egli  i  suoi  annali  ne'  diversi  momenti  della  storia  e del  processo  psicologico.  Ma  nel  far  cotest'idea,  e  pro- prio quando  l'abbiam  fatta,  noi  somigliamo  a  quell'arte- fice che  s'affatica  e  suda  e  si  travaglia  nell' incarnare il  tipo  che  gli  splende  dinanzi  alla  fantasia,  mentre la  stessa  natura  potrebbe  offrirglielo  vivo  e  palpitante nella  infinita  ricchezza  delle  sue  creazioni.  Novello  e arditissimo  Prometeo,  il  pensiero  del  filosofo  non  abbi- sogna d' alcuna  scintilla  :  la  scintilla  della  vita  s' agita già  vivissima  nell'opera  stessa  delle  sue  mani.  Perocché quando  il  pensiero  abbia  prodotto  l'idea  dell'Assoluto, e' tosto  s'accorge  d'aver  prodotto  quello  che  già  e'  era, quello  che  è  il  Fatto  per  eccellenza,  e  che  non  può  esser fatto  perchè  di  sua  essenza  è  il  Fare,  E  così  pure  ci  accor- giamo di  far  Dio  con  la  scienza  e  con  l' attività  riflessa, solo  perchè  è  egli  innanzi  tutto  che  fa  noi  come  potenza, perchè  siamo  potenza,  perchè  siamo  termine  del  suo  atto.  * glio  tardi  che  mai.  Il  Gioberti  accenna  una  sola  volta  (quant*  io  sappia) al  metodo  eduttivo,  e  lo  fa  consistere  nell*  andare  dal  particolare  al  par- ticolare, dal  generale  al  generale  (Protei,  voi. I,  p.  159).  £  precisamente la  funzione  deduttiva  come  la  intende,  per  esempio,  Stuart  Miìl.  La  edu- zione del  Gioberti f  com*  ò  eTìdente,  non  ci  ha  t;he  vedere  con  la  nostra. '  Questa  precisamente  è  la  facoltà  della  quale,  come  dice  Cartesio, ci  ha  saputo  fornire  la  stessa  natura,  e  con  la  quale  noi,  produeendo Videa  di  Dio,  conosciamo  Dio.  (2Ve  ossiano  forme  dell"  in- finito, e  disponendole  le  conosce,  e  in  questa  sua  cognizione  le  fa,  e  questa cognizione  d'  Iddio  è  tvMa  la  ragione  della  quale  V  uomo  /m  una  porzione per  la  sua  parte,  E  poiché  l'Ente  è  assoluta  conversione  del  Vero  col Fatto  interno  (Generato)  e  col  Fatto  propriamente  detto  (Mondo),  ne viene  che  debb*  essere  altresì  conversione  come  pensiero  e  come  forza, come  Causa  e  Mente,  appunto  percJiì  unica  causa  ^  quella  che  per  produrre V  effetXo  non%  ha  di  altra  bisogno  ;  come  quella  la  quale  contiene  dentro  di sì  gli  elementi  delle  cose  che  produce,  e  li  dispone,  e    ne  forma  e  com- prende  la  guisa,  e  comprendendola  manda  fuori  V  effetto,  (Ved.  liisp.  al Giom.  de' Leu.,  II). Per  quanto  questo  lingruaggio  possa  sembrar  vieto  e  coperto  di  muffa scolastica,  nullameno  tornerà  agevole  all'accorto  lettore  potervi  scorgere come  in  germe  la  soluzione  positiva  del  problema  metafisico.  In  queste tre  usate  e  abusate  parole.  Vero,  Generato  e  FaUo,  abbiamo,  per  così dire,  i  tre  punti  ne'  quali  s*  imperna  e  gira  il  processo  idealo  che,  con- siderato in  se  proprio,  costituisce  la  dialettica  discensiva.  Qui  è  la  so- stanza, com'  è  noto,  e,  sto  per  dire,  il  nocciolo  della  teorica  cristiana, ma  ^levata  al  supremo  valor  razionale  e  speculativo  oud'è  capace:  ed è  il  fine  (chi  ben  consideri  la  storia  della  filosofia  cristiana  e  non  cristiana, ortodossa  ed  eterodossa)  a  cui  par  che  convergano  insieme  e  riescano  il Platonismo  e  l'Aristotelismo  nello  differenti  loro  forme  isteriche.  Sennonché si  badi  a  non  pigliar  come  ripetizioni  vano  certe  analogie  e  somiglianze  di H  Vero  dunque  è  l'Essere;  e  cotesto  Essere-Vero non  sarebbe  tale,  ove,  anziché  identità  sostanziale  dei- Tessere  e  del  conoscere,  anziché  assoluta  unità  e  assoluto monismo,  non  fosse  invece  un'  essenzial  dualità  e  ^nità, essenzial  conversione  del  soggetto  con  V  oggetto,  e  quindi medesimezza  e  differenza  attuale.  Qui  dunque,  innanzi tutto,  il  nostro  filosofo  corregge  Aristotele  come  quegli  il quale  disconosce  una  condizione  eh' è  l'interna  necessità della  stessa  natura  dell'Assoluto.  Lo  Stagirita  pronunzia: ecTTtv  >j  vó>?o"ec  vovìtso;  vó/jtc?.  Ma  fo^c  che  l' eccellenza  del pensiero  starà  nel  pensar  solamente    come  sé,  e  non anche    come  altro?  ^  Una  Visione  veggente    stessa non  ^  un  atto  sterile  e  solitario?  Vedere  non  è  anche operare?  Pensare  non  è  generare?  Ov'è  dunque  il  gran linguaggio,  che  qui  il  Vico  potrebbe  aver  con  altri  filosofi.  Mi  spiego  su- bito. Per  sant'Agostino,  per  es.,  intelligibilità  e  realtà  si  compenetrano insieme,  e  danno  luogo  alla  natura  assoluta  formando  così  il  Vero-EnU fVed.  SolU?(T«oc  proprio  in  sé, e  s'  avvilirebbe  :    9st6xarov  Y.ot.1  to'  rifxtwTatov  vote,  xa/  ou fAsra^aXXci  *  «t;  ;^«t/90v  7à/9  ^  /x£Ta6o>KÌ.  Metaph.,  1.  XII,  9. pensiero  aristotelico  della  facoltà  che  pone  il  proprio obbietto  e  se  ne  distingue  ?  E  perchè,  mai  non  applicarlo anche  all' Atto,  e  soprattutto  all'Atto?*  U  Essere-Vero dunque  è  mestieri  che  sia  anche  Verbo,  anche  Fatto intemo,  anche  Generato.  Che  cos'è  il  Generato?  Non  è luce  metafisica,  non  è  oggetto  indeterminato  e  primigenio posto  da  natura,  come  nella  genesi  psicologica;  ma  è  luce e  colori,  è  oggetto  determinatissimo,  perchè  è  insieme la  natura  e  ciò  che  è  sopra  alla  natura.  È  dunque  il diverso,  il  diverso  dell'identico;  al  modo  istesso  che  il Vero  è  l'identico  del  diverso.  Perciò  è  l'intelligibile che,  mentre  adequasi  con  l' intelligente,  se  ne  distingue. Perciò  è  il  pensante  che,  convertendosi  col  pensato,  è pensiero,  e  quindi  è  in    medesimo  il  trinuno.  Se  dun- que l'Assoluto  è  generazione  e  dinamismo  interiore,  per ciò  stesso  è  Mente:  prindpium  unum,  Mens.  Or  come potrebb'  esser  mente  senza  esser  cagione,  attività,  ener- gia,e  quindi  idea,  possibilità,  relatività,  infinità,  mol- tiplicità  ideale? Ma  se  qui  il  nostro  filosofo  corregge  l'Aristotelismo, invera  nel  medesimo  tempo  il  Platonismo.  Il  Generato del  Vico,  in  quanto  è  termine  di  generazione  ad  intra, è  appunto  la  benintesa  idea  platonica.  Cote$ta  idea platonica  non  è  assoluta  Unità,    assoluta  Moltiplicità *  Ma,  si  badi:  il  difetto  metafisico  dell*  Aristotelismo  non  è  tale  che 1*  annnlli  e  distrugga  addirittara,  ed  è  appunto  per  questo  che  Aristotele non  potrà  esser  mai  in  etemo,    un  idealista  assoluto,    un  positivista, anzi  così  egli  si  presenta  come  una  confutazione  parlante  deir  Hegella- nismo,  e  del  Positivismo.  Voglio  dire  in  sostanza  che  il  principio  metafisico dello  Stagirita  non  è,  propriamente  parlando,  erroneo,  ma  incompiuto; e  però  è  tale  che  corregge  benissimo    stesso.  In  che  modo?  Se  V  Atto ha  da  esser  davvero  quello  che  dice  Aristotele,  ne  viene  che,  metafisica- mente e  logicamente,  è  impossibile  un  Actu»  pwru»  ab^olute.  Gli  Alessan- drini se  ne  accorsero;  e  questo  è  precisamente  e  principalmente  il  lor merito  di  fronte  air  Aristotelismo.  La  verità  della  Scuola  d'Alessandria e  dell* antico  Neoplatonismo  sta  chiusa  in  questo  poche  parole:  [0,in ptaiix JfiTai  Twv  ci^wv  xarà  to  tv  caurw  voitjtov  o'  vou?.  Vod.  Proclo in  Parm.  1.  V,  p.  152.  Lo  stesso  dicasi,  come  vedremo,  del  Platonismo;  e così  può  affermarsi  che  Tesigenza  della  correzione,  nel  concetto  metafi- sico deU'ano  o  dell*  altro  sistema,  sia  reciproca. in  sè.  Non  è  l'identico,  ne  il  diverso.  Non  è  il  moto,  ne la  quiete.  È  dunque  l'una  e  l'altra  cosa  ad  un  tempo istesso.  È  dunque  il    E?a/yv>?;  senza  cui  ella  riescirebbe affatto  inintelligibile,  e  assurda  ;  e  quindi  ci  significa  il Momento*  nel  quale  è  insieme  numero,  senza  cessare d'esser  altresì  unità  essenziale:  talché  costituendosi centro  e  circonferenza  ad  un  tempo,  rende  siffattamente possibile  l'accordo  de' contrari.*  E  tale  accordo  sarà  pos- sibile a  questo  sol  patto  :  che  il  Momento  sia  non  pur  la Nó»Ttc  vóvjTswc  dello  Stagirita,  ma  eziandio  Mente,  e  perciò Mente  e  Verbo,  Vero  e  Generato,  e  quindi  fornito  della virtù  onde  lo  fa  ricco  il  filosofo  Ateniese.'  Così  inter- pretando il  to'    E^otéipvvjc  (senza  confonderlo  col  fjura^y.l'kety che  sarebbe  confonder  la  condizione  col  condizionato,  il Generato  col  Fatto),  non  verremo  a  contraddire  al  con- tenuto degli  altri  dialoghi,  massime  al  Sofista  ove  la natura  dell'Assoluto  ci  è  determinata  come  pensiero,^ come  mente,  e  perciò  come  pienezza  di  vita  e  d' asso- luta realtà.' *  Il  Ficino  traduce  1*  'E^ai^vvj^  per  Mom€ntumindimduum;mii  in  qae- Bta  parola  e*  è  qualcosa  di  più,  esprimendoci  propriamente  V  istantaneo  ;  ed ecco  perchè  Platone  lo  dice  di  natura  mirabile  e  etrana:  ^ tUTcc  aroTróf  tc^. *  Partn.,  155,  E;  157,  B. *  *AjO  ouv  ìttì  to'  (xxoTTtìv  TOUTO,  sv  w  tÓt'  av  ety?,  ots  fiSTa- ^dXktfj    TToìov  5vi  ;  To'  e^at^vyj?.    ydip  i^at^vrjc  Toeòv^j  ti Jfocxf  a^juatvecv  wce?  «xatvou  ^«TaSaXXov  sìq  ixoirspov,  ov  yxp i'A  ye  Tov  io-Tavai  sttùtoì  in  asTa^séXXst,  ou5'«x  tkj;  kiwitsoì? xtvovfx«v>ic  «TI  fj.tr OL^iWti'  àW  Tn  i5at^v«c  auT>j  fvtriz  oironóz Ttf  iyìndBrirat  jExcTa^u  tt^C  xiv>jo'««c  rt  y.olI  «rTOCTEwc,  iv  XP^'*^} orjSsvi  ouTa,  xat  te;  TavTvjv  5vì  xai  e'x  TauT>JC  to  rs  xtvov'jEXffvov fjitra^oiWsi  ini    éo-Tavai  xa«    écTOc  «Vi    xivelo'dae. Kcv^uvsùst.  Kat  to  ?v  5v7,  etnsp  «a"Tv?x/  Te  xat  xivjÌTat,  /xsTa- 6a^^oi  av  if  éy.drtpOL'  fjLÓvwi  ydp  av  outo?  àp^ÒTSjoa  Trotot'y»* /xeTa6a).>ov  5'  sfat^vvjf  /xsTaéai^ft,  xac  ot£.  /xsTa€a»e£,  ev ou^evt  XP'^'^V  *^  ^^^'j  ou5«  xtvofT*  av  tòts,  ou5'  àv  ^rxirt. (Parm.  156.,  d.) *  Te  9:  ;  TO  7t7vwTXJCvì5  to  yiyvtàTìLsv^^ai  fCt.TS  noinuoc  I Tra^o;  :^  àfifòrspov;  -^  to'  asv  7ra3-/?aa  to'  ^s  5aT£^ov;  ì^  ttzv- TCCTra^tv  ou5sTg/30v  ouJiTfi^ov  TOUTwv  ^fTaXau/Savsev*  (Soph., p.  248,  D.)     ^ '    dai  itpò%  Atò;;  wc  a^>J'9'wc  x«vT7Ttv  xat  ^w>jv  xat  >/'vxiQv xa*  ^^óv>70'iv  tJ  paSi(ùi  7re£j3>jo"ò|txjOa      TravTsXw;   «?vti    /x>: Ma  se  r  Idea  è  il  Generato,  e  quindi  rispetto  al  Vero è  il  diverso  dell'identico  (tò  jts^oov),  ciò  nondimeno  rav- visata in    medesima  ella  è  un  possibile  ;  e,  in  quanto possibile,  è  anche  il  medesimo  d' un  altro  diveiso. Poiché  se  di  sua  natura  eli'  è  possibile,  deve  impor- tare una  moltiplicità  opposta,  estrinseca,  reale,  deter- minata; deve  necessariamente  importare  il  diverso,  il quale  sia  tale,  non  solo  di  fronte  all' ofóro,  cioè  rispetto al  Generato,  ma  anche  in    stesso  (tò  aXXo).  E  se  non includesse  cotesto  diverso?  Se  non  l' includesse,  finirebbe d' esser  possibile,  e  negherebbe    stesso.  Perciocché  un possibile,  il  quale  non  si  potesse  mai  recare  ad  atto, evidentemente  sarebbe  un  impossibile  addirittura,  o  al più  un  possibile  infecondo  e  fantastico.  Laonde,  poiché il  Generato  é  infinita  idealità,  e  quindi  infinita  possi- bilità, però  devesi  necessariamente  convertire  col  Fatto  : é  si  converte  in  quanto  lo  fa;  si  converte  in  quanto  lo pone.  Il  Vico  dunque  ha  detto  giustissimo:  Il  Vero  si converte  ad  intra  col  Generato,  e  ad  extra  cól  Fatto. Or  che  cos'  è  mai  cotesto  Fatto?  È  anch'  egli  il  diverso dell'  identico,  il  diverso  del  Generato  ;  ma  é  il  diverso  in sé  proprio  (tò  a).Xo),  il  mondo.  Poiché  quantunque  il  Fatto e  il  Generato  sieno  moltiplicità,  nonpertanto  l'uno  é ,  moltiplicità  reale,  e  1'  altro  ideale  ;  talché  se  la  prima  si 7r«/oetvac,  innari  K^v  aiiro  ^>j5s  (ppovelv  ùWoi  (rtfj.'^òv  zat  oiytov voùv  oux  f  §e  twv  7r/)afg&)v  xa^'  coìpidrMv  xac  à.'k'kri'Koìv  xotvwvta navrot^^v  yavTa^ópsva  no'kXd  yatvff^at  Ixa^Tov.  Qui  pare  che r  idea  8i  divida,  si  rompa,  si  spezzi  nella  moltiplicità  fenomenalef  e  co- stituisca il  positivo  del  fenomoDO,  ma  nella  forma  inadoquatadeir esten- sione: e  siamo  quasi  all'idea  hegeliana  che  passa  ad  tsaer  natura,  che si  contrappone  nella  natura,  che  jiiventa  natura.  Perciò  la  metessi  de*  pla- tonici mostra  sempre  un  carattere  di  passività  anzichò  di  attività,  ap- punto perchè  viene  di  su,  mentre  dovrebbe  partire  di  gii,  ed  estrinsecarsi per  opera  e  virtù  del  Fatto  in  quanto  è  infinita  potenzialità.  Questo  ca- rattere passivo  della  metessi  platonica  si  scorge  anche,  e  non  dovrebbe, nel  Parmenide:    elvat  ^Wo  7t  eTTtv  ri  p.:'0s5'C  ouTicz;  ^era ^povoìj  70Ù  Tra/oovTOff  (151,  E).  La  metessi  dunque  spiegherebbe  troppo; perchè  il  nesso  tra  l'idea  e  la  cosa  verrebbe  ad  esser  cotanto  immediato, da  non  farci  discernere  fra  1' una  e  l'altra  nessun  divario  essenziale;  e così  avremmo  V  identità  come  essenziale,  e  la  diversità  come  fenomenale. Or  se  l'Assolato,  perchè  davvero  sia  tale,  ha  da  ossero  innanzi  tutto  una conversione  di    con    stesso,  deve  risultare  indivisibile  e  imparabile nella  sua  stessa  moltiplicità  infinita:  e  se  il  mondo  ha  da  essere  anche  lui una  conversione  di  so  con  sé,  ne  segue  ch'egli  debb' essere  essenziale moltij^icità,  moltiplicità  in  sé,  diversità  in  sé;  tanto  che  l'unità  pro- gressiva, che  in  lui  si  agita  e  vive  e  spicca  sempre  più  ne'  diversi  gradi della  realtà  cosmica,  sia  ben  altra  cosa  dell'unità  che  dimora  in  seno all'  Assoluto.  Dunque  il  Vero  che  si  converte  col  Fatto,  cioè  (per  parlare il  linguaggio  degli  ontologisti)  l' infinito  che  pone  il  finito  è  anche  finito, ma  non  si  confonde  per  vorun  modo  con  lui.  E  non  può,  per  queste  duo semplicissime  ragioni:  1*  perchè,  se  cosi  fosse,  ne'  due  termini  avremmo una  ripetizione  sostanziale  inutile,  e  quindi  potremmo  cancellar  l'uno  o l'altro  addirittura,  e  così  finirebbe  per  aver  ragione  il  panteista;    perchè un  infinito  avrebbe  a  partorire-,  produrre  o  porre  un  altro  infinito,  e  cosi negherebbe    medesimo.  D'altra  parte,  se  il  Fatto  devesi  convertire con    medesimo  facendosi  Vero,  cioè  facendosi  infinito  essendo  poten- Mialità  in/inUaf  non  per  questo  si  potrà  credere  eh'  ei  si  possa  identificar con  lui,  per  le  due  ragioni  detto  poco  fa.  Dunque  stiamo  contenti  al  quia  ! né  identità  oMolutaf    aseotuta  diversità,  ma  conversione.  E  però  le  idee platoniche  non  sono  da  intendersi    come  7ra/9a^u7/xaTa,    come vov}^KTa,  secondo  che  vogliono  due  schiere  d'interpreti.  Se  fosse  così  ne verrebbe,  nel  primo  caso,  che  Vid^a  dovrobb'  esser  presente  alla  cosa  in maniera,  che  questa,  tanto  nella  sostanza,  quanto  nel  movimento,  tanto  nella materia,  quanto  nella  forma,  dipenderebbe  onninamente  dalla  prima, ed  altro non  sarebbe  fuorché  una  semplice  sua  copia;  e^allora  non  avremmo  bisogno d'un  Dio  artefice, non  del  SnfAioxjp'yoi  del  Timeo,  non  del  deus  ex  macchina dall'ontologista,    della  magna  Idea  degli  Hegeliani.  Nel  secondo  caso poi  r  idea  sarebbe  un  termine  del  soggetto,  ma  un  termine,  dirò  così, meramente  soggettivo:  somiglierebbe   quindi,  anzi  8areb))e  addirittura pretare  in  modo  razionale  e  positivo  l' intuizione  reli- giosa del  Ternario  cristiano. La  cognizione  immediata  e  divinativa,  in  questo  e in  ogn'  altr'  ordine  di  conoscenze,  previene,  come  V  om- bra la  persona,  i  portati  della  speculazione  metafisica. Così  prima  ancora  che  la  Scuola  d'  Alessandria  si  pro- fondasse nelle  ardite  e  vaporose  elucubrazioni  su  la triplice  ipostasi  Plotiniana,  il  mistero  della  Trinità  alberga di  già  nella  coscienza  popolare  siccome  oggetto d' intuizione,  e  cominciava  a  rivestir  forma  e  valore dommatico  *  mercè  la  Riflessione  teologica.  L' Assoluto è  uno  e  trino;  è  trinuno:  e  noi  ormai  lo  sappiamo.* Ma  è  egli  un  trino  ipostatico?  E  qual  n'è  l'essenza? L'assoluto  importa  tre  ipostasi:  ecco  il  mistero,  ed ecco  la  fede.^  Quanto  a  determinarne  l' essenza,  la  spe- culazione occidentale,  anche  sotto  forma  di  speculazione teologica,  non  poteva  non  interpretare  le  divinazioni altrettanto  spontanee  quanto  ricche  e  feconde  della coscienza  orientale  essenzialmente  religiosa,  con  l'in- V  inteìligìbUe  del  Dio  aristotelico,  con  1*  intelllgrente  formerebbe  identità essenziale;  e  allora  le  idee  non  sarebbero  essenzialmente  relative  quali appunto  sono  richieste  dall' economia  del  sistema  platonico,  e  T  esigenza vera  e  giusta  della  metafisica  platonica  sparirebbe.  Dunque  cotesto  idee plaioniche  come  s'hanno  da  intendere?  Le  idee  platoniche  sono  T'Egac^v;? stesso,  ma  concepito  come  essenzialmente  relativo  &\VaUro,  ma  iiValtro  non già  come    trspoif  puro,  assoluto,  bensì  come  70  ìrspov  in  quanto  abbia un  riferimento  necessario  al    àWo,  A  questa  maniera  non  è  altri- menti vero  che,  accettando  le  idee  platoniche,  debbasi  accettare  altresì la  dottrina  dell' avajtzvYiTcCt  come  han  detto  certi  critici  moderni:  e neanche  si  è  costretti  ad  accettarla>  nelle  forme  nuove  ond'  è  stata presentata  da'  moderni  neoplatonici,  dal  Malebranche  fino  al  Mamiani. «  SiMOX,  ffitt.  de  VEcole  d'Alex.,  v.  1,  lib.  I;  lib.  II,  e.  IV. '  Il  tre  è  il  numero  che  assolve  tutte  le  condizioni  della  perfeziono, ed  è  perciò  che  tutto  è  definito  del  tre:  to'  Tràv  y.(xt  to  Travra  rof; TùtTiTt  (fìptfTTat  (Arist.  De  Coelo,  I).  Vedi  le  belle  riflessioni  del  Gio- BRRTi  su  la  Trinità  considerata  razionalmente  {FU,  della  Rivelaz..,  XVIII) e  di  Tommaso  Rossi  {Regno  di  Dio  naturale,  ecc.  li  Studi  di  Giordano Zocehif  ed.  cit.) '  Prendiamo  la  parola  tpostcm  nel  significato:'  istiano  non  già  nel senso  neoplatonico  e  alessandrino. dirizzo,  al  solito,  dell' Aristotelismo  e  del  Platonismo. Il  peripatetico  nominalista  ripone  la  divina  realtà  ed essenza  nelle  triplicità  di  persone,  e  riguarda  l' unità come  un  puro  nome.  Tre  sostanze  indipendenti  e  sepa- rate, ma  congiunte  in  unità  mentale.  Perchè  congiunte? Perchè  fomite  d' egual  potere,  d' egual  volere,  d' egual conoscere.  Il  realista  platonico,  per  contrario,  vuol  far consistere  l'essenza  divina  nella  realtà  in  quanto  è unità  determinantesi  nella  triplicità  di  persone.  Agli occhi  del  primo,  dunque,  l' Assoluto  è  il  tre  in  uno  :  agli occhi  del  secondo  è  Vuno  in  tre:  ecco  la  lotta  interna della  riflessione  teologica  del  medioevo.  Ora  giusto  perchè questa  riflessione  è  di  natura  teologica  e  dommatica, avviene  eh'  ella  non  supera,  non  può  superare  il  senti- mento, né  trascender  l'intuizione,    solvere  il  mistero, né  disimpacciarsi  dall'aperta  contraddizione.  Laonde Nominalisti  e  Realisti  vecchi  nuovi,  avvegnaché  discordi nella  maniera  di  determinare  l' essenza  del  Ternario cristiano,  non  sanno  rimuoversi  d'una  linea  dall'inse- gnamento dommatico  su  l' unità  assoluta  nella  separa- eione  delle  tre  persone. Se  il  ternario  cristiano,  in  quanto  germina  dall'in- tuizione rehgiosa,  è  come  l'immagine  anticipata  della ragione,  in  esso  deve  acchiudersi  un  vero  che  la  ragion filosofica  dee  saper  disvelare,  correggere  e  legittimare. Questo  vero  non  risguarda  già  l'unità  nella  triplicità ipostatica:  riguarda  il  trinuno  assoluto,  l'assoluta  tri- plicità considerata,  come  abbiamo  toccato,  nella  mede- simezza di  subbietto.  Perocché  l' unità  di  sostanza  mai non  tornerà  conciliabile  con  la  pluralità  di  persone  ;  e se  così  non  fosse,  il  panteista  avrebbe  già  trionfato  nel regno  della  scienza,    io  davvero  so  dirmi  che  cosa mai  potrà  rispondere  il  sottile  teologo  all'  arguto  hege- liano, il  quale  pretende  precisamente  questo:  che  la  di- versità delle  persone  non  dimostri  nuli'  affatto  la  plu- ralità delle  sostanze.  Il  perché  pigliando  alla  lettera il  domma  della  Trinità,   la  teologia  cattolica  non  si salva  dal  precipitare  nel  tenebroso  vuoto  dell'  assoluta identità.* Il  contenuto  del  ternario  cristiano  adunque  ci  signi- fica le  tre  primalità  del  conoscere,  del  volere  e  del potere,  ma  nella  relazione  del  Vero  che,  convertendosi con    medesimo,  diventa  Generato,  e,  come  Generato, come  Verbo,  è  infinita  idealità  e  possibilità  del  Fatto. Interpretandolo  così  accade  che  l'intuizione  religiosa, generatasi  per  leggi  inerenti  allo  stesso  processo  psi- cologico, rinverghi  col  concetto  metafisico  a  cui  può elevarsi  la  ragion  filosofica  positiva;  e  quindi  può  dirsi che,  come  la  religione  è  il  preludio  naturale  e  neces- sario alla  filosofia,  di  pari  modo  la  speculazione  meta- fisica sia  la  interpretazione  critica  e  Tinveramento  delle intuizioni  spontanee  e  comuni  della  coscienza  religiosa. 11  cristianesimo  è  la  religion  razionale  per  eccellenza,  e con  essa  oggi-  chiudesi  il  corso  e  ricorso  delle  creazioni propriamente  mitologiche  e  delle  grandi  rivelazioni  e divinazioni  religiose.  Ed  è  razionale  perchè  è  in    me- desima processo,  e  svolgimento.  Che  se  anch'  ella  come tutte  le  manifestazioni  della  storia  é  un  processo,  é mestieri  applicare  ad  essa  la  universal  legge  storica  e sociologica  della  Scienza.  Guardata  infatti  nella  sua storia  ideale,  anche  la  religione  é  innanzi  tutto  divinay indi  eroica,  appresso  umana.  E  giugne  ad  essere  umana quando  la  forma  siasi  potuta  elevare  a  cotal  grado  di trasparenza,  che  il  simbolo  palesi  da    medesimo l'idea,  e  il  mito  siasi  venuto  elaborando  così  che  rac- *  Non  poco  8*  illudono  perciò  quo' filosofi  ohe,  come  il  Cusano  fra  gli antichi  e  il  Rosmini  fra  i  moderni,  si  sforzano  d'applicare  a  Dio  il  concetto delle  categorie  col  fine  di  spiegarsi  in  qualche  maniera  il  mistero  della Trinità.  Io  potrò  intendere  il  Cardinal  di  Cusa  dove  mi  dice  che  Unitcu, Iditas  e  Identità»  siano  quasi  i  tre  momenti  dialettici  interiori  dell*  assolato. R  potrei  forse  intendere  il  Roto  retano  quand'ersi  studia  mostrarmi che  Realtìk^  Jdeaìità  e  Moralità  sieno  le  tre  forme  in  che  si  determina l'essere.  Ma  come  intenderli  quando  il  primo  d'essi  afferma  che  Vvnità è  il  Padre,  VegtiaglianMa  il  Figlio  e  la  connessione  lo  Spirito,  e  quando il  secondo  applica  alle  tre  persone  quelle  sue  tre  sparute /orm«  ontologiche  f chiuda  un  vero  metafisi(X)  o  morale  che  sia.  Or  se  è tale  il  valore  del  sentimento  religioso  nello  svolgimento isterico  della  civil  società,  perchè  dirlo  morbo  della mente,  fiacchezza  della  coscienza  volgare,  abberrazione della  fantasia?  Se  dunque  la  ragion  filosofica  vorrà attingere  anche  qui  forma  razionalmente  positiva,  ella vi  potrà  giugnere  a  questo  sol  patto;  che  il  concetto metafisico  ond'  è  capace,  non  abbia  a  contraddire  in modo  assoluto  ai  portati  della  coscienza  religiosa.  £  se la  religione  dal  canto  suo  vorrà  essere  anch'  ella  po- sitiva e  razionale  e  perciò  rispettabile  e  santa,  potrà essere  tale  a  questo  sol  patto;  che  sappia  porgersi  alla ragion  filosofica  siccome  riprova  e  guarentigia,  tuttoché di  natura  istintiva  ed  empirica,  ai  pronunziati  della speculazione  metafisica.  Anche  qui  regna  la  gran  legge del  concorso  di  forze  combinate,  e  del  loro  corrispon- dersi tanto  necessario  alla  eccellenza  del  risultato.  E  in tal  caso  religione  e  filosofia,  serbando  entrambe  valor positivo  e  medesimezza  di  contenuto,  formeranno  un criterio  al  cui  lume  potrà  esser  giudicata  ogn' altra filosofia  e  religione.  Una  critica  religiosa  che  si  diparta da  questo  principio,  sarà  critica  infeconda  ed  erudita, com'  è  quella  de'  Teologisti  cattolici,  ovvero  critica  esi- ziale e  sistematica  com'  è  quella  de'  mitologi  hegeliani. Tal  si  è  precisamente  il  nostro  concetto  metafisico rispetto  al  ternario  cristiano,  che  è  il  mistero  piii  com- prensivo cui  abbia  saputo  elevarsi  la  coscienza  religiosa. L'uno  è  correzione  dell'altro,  al  modo  istesso  che  questo è,  per  così  dire,  guarentigia  sperimentale  del  primo.' *  Qui  abbiamo  dovuto  accennare  solamente  al  simbolo  della  Trinità, ma  nella  Sociologia  mostreremo  di  proposito  come  la  dottrina  del  Vico su  la  natura  ed  origine  del  mito  in  generale,  sia  fondata  anch'ella  nelle  leggri del  processo  psicologico,  e  quindi  racchiuda  il  concetto  e  la  necessità  della interpretazione  morale  nell'ordine  delle  intuizioni  religiose,  e  mitologiche; deHa  qual  necessità  il  Kant,  dopo  il  Vico,  ebbe  assai  chiara  coscienza {Rdig,  daiu  le»  lini,  de  In  raiton).  Ora  ciò  che  qui  preme  osservare questo:  s^  col  concetto  metafisico  del  nostro  filosofo  si  può  acconcia- mente interpretare  il  simbolo  del  ternario  cristiano,  ne  scendono  due Concludiamo.  Se  è  vero  che  la  metafisica  è  scienza non  assoluta  ma  dall'  assoluto,  stantechè  sia  possibile attinger  notizia  razionalmente  positiva  circa  il  fonda- conseguenze:  P  che  il  Libro  Metafisico f  nel  quale  troviamo  depositato il  germe  del  concetto  riguardante  il  procesto  ideale,  sia  intimamente  col- legato con  la  Seiema  Nuova,  appo  cui  la  teorica  sul  mito  (superiore sotto  più  riguardi,  come  vedremo,  a  quella  de*  mitologi  e  filologi  Tiventi), non  è  che  un'  applicazione  della  sua  dottrina  psicologica,  della  quale  noi ahbiamo  svolto  i  tratti  principali:    che  interpretando  col  suo  concetto metafisico  il  simbolo  cristiano,  in  generale,  e,  in  particolare,  quello  del ternario,  si  viene  a  contraddire  in  modo  serio  e  positivo  al  panteismo. Anche  per  gli  Hegeliani  il  mistero  della  Trinità,  come  ogn'  altro  mistero, shnboleggia  una  verità  filosofica.  (Heobl,  Phil.  de  VEaprit,  t.  I,  ItUrod. del  Vera);  nel  che  siamo  perfettamente  d'accordo.  Ma  l'interpretazione alla  quale  costoro  sottopongon  la  simbolica  religiosa,  anziché  legittimare in  qualche  maniera  la  credenza  elevandola  a  significato  filosofico,  l'annul- lano addirittura,  perchè  la  rendono  assai  più  inintelligìbile  e  parados- sastica  ch'ella  stessa  non  sia  come  credenza.  Idea,  Natura  e  Spirito: Padre,  Figlio  e  Spirito  Santo!  Ma  che  cosa  ci  ha  che  veder  la  Natura? Non  è  egli  questo  precisamente  ìl  vecchio  concetto  degli  Alessandrini,  di Plotino,  che  pretendeva  ritrovare  nel  Parmenide  le  tre  famigerate  ipo- stasi dell'  Unità,  del  Multiplo,  e  dell*  Unità-multiplo,  riponendo  quest'ultimo appunto  nell'anima  e  nella  natura V  {Enn.  lib.  I,  e.  8,  trad.  Boulliet). L' interpretazione  davvero  potitiva  e  non  già  fantastica  del  contenuto religioso,  non  deve  e  non  può  contraddire  al  simbolo  (almeno  per  quel tanto  che  esso  contiene  di  filosofico),  perchè  contraddirebbe  alla  stessa ragione.  Or  quest'  elemento  di  verità,  contenuto  germinalmente  nel  sim- bolo cristiano,  riguarda  per  appunto  il  ternario  considerato  in  sé;  riguarda il  ternario  assoluto,  il  ternario  com'è  richiesto  dall'esigenza metafisica  positiva,  e  non  già  il  ternario  trasportato  anche  nel  processo della  natura,  e  nello  svolgimento  della  storia.  Questa  enorme  confusione fanno  i  Teologi,  e  la  fanno  anche  gli  Hegeliani  con  la  lor  teorica  e  cri- tica della  simbolica  cristiana.  Che  cos'  è  il  Dio  che  eeende  nella  natura? Che  cos'è  il  Figlio  che  si  parte  dal  Padre  per  umanar»if  Che  cosa  mai sono  il  popolo  eletto,  i  profeti,  gl'ispirati,  il  mondo  latino-cristiano?  E che  cos'  è  la  Idea  che  dall'  astratta  mansione  dialettica  scende  anch'  ella e  passa  mediandosi  nella  natura  e  penetra  nella  storia?  Che  cosa  sono \6  funzioni  storiche  speciali  de'  popoli  privilegiati,  àQ*  privilegiati  perso- naggiy  del  mondo  cristiano-germanico?  L' Hegolianismo  è  davvero  una contraffazione  del  più  grossolano  Cattolicismo!  ò  una  mitologia  anche lui!  E  quanti  punti  di  contatto  anche  in  questo,  e  specialmente  in  que- sto, con  la  dottrina  sociologica  dei  Comtiani!  Il  Vera  ha  detto  bene: il  Positivismo  i  una  contraffazione  delV  Heyelianismo.  E  noi  alla  nostra volta  crediamo  dir  benissimo  (col  permesso  dell'  illustre  traduttore)  che r  Hegolianismo  è  una  contraffazione  evidente  del  Cattolicismo.  Ma  di  ciò basti:  ce  ne  rifnrorao  altrove  più  riposatamente. mento  e  la  ragion  delle  cose;  se  è  vero,  d'altra  parte, che  il  significato  esteriore  della  storia  della  filosofia occidentale  sta  nella  lotta  fra  il  Platonismo  e  TAri- stotelismo,  mentre  il  significato  interno  ed  essenziale  di essi  risiede  nella  correzione  vicendevole  de'  due  estremi indirizzi  aristotelici  in  quanto  concorrono  al  trionfo  del- l'indirizzo  medio:  ne  viene  che  nel  concetto  del  Pro- cesso ideale  e  nella  relazione  de'  tre  termini  costituenti la  dialettica  discensiva  che  abbiamo  sin  qui  rapida- mente interpretata  nel  nostro  filosofo,  trovasi  non  pure il  risultato  e  insieme  l' inveramento  delle  tre  posizioni unicamente  possibili  in  metafisica  delle  quali  altrove toccammo  (pag.  444),  ma  l' inveramento  altresì  della doppia  esigenza  deU'ùZga  platonica  e  della  categoria aristotelica.  Trovasi  la  correzione,  come  ci  sarà  dato meglio  vedere  fra  poco,  del  Dio  platonico  previdente  e provvidente,  e  dell'  immobile  Dio  aristotelico  che  nulla vede,  nulla  prevede  e  niente  provvede  nel  mondo.  E  per tutto  ciò  troviamo  l'accordo  fra  il  principio  della  me- desimezza che  prevale  nel  padre  della  Dialettica,  e'I principio  della  diversità  che  predomina  nel  padre  della Metafisica.  Cìotesto  accordo  per  noi  è  vero  accordo,  è vera  conciliazione,  appunto  perchè,  come  dicemmo,  è vera  correzione:  correzione  dell'Idea,  dell'essenza  che, pur  sparata,  dovrebb'  esser  l' essenza  della  cosa:  cor- rezione dell' Ji^o  il  quale,  non  ostante  l'assoluta  immo- bilità sua,  dee  muovere  il  mondo  come  causa  finale. Quest'accordo  e  questa  correzione  trovano  lor  saldo fondamento  nel  criterio  della  Conversione,  elevato  a dignità  di  Pilicipio  metafisico. E  questo  medesimo  principio  metafisico  può  e  deve assumer  natura,  come  si  disse,  di  principio  speculativo, di  norma,  di  criterio  essenzialmente  isterico,  universale e  comprensivo,  a  poter  saggiare  e  acconciamente  pon- derare la  verità  delle  soluzioni  che  intomo  al  problema metafisico  han  dato  le  diverse  scuole,  e  le  differenti filosofie.  Se  ci  fosse  dato  fermarci  in  siffatti  riscontri storici,  non  sarebbe  guari  difficile  mostrare  come  in esso  trovi  correzione,  per  dir  qualche  esempio,  1'  Ales- sandrinismo; il  cui  rappresentante,  Plotino,  interpre- tando erroneamente  il  metodo  dialettico  del  Parmmide e  abusando  dell'  Unità  parmenidea,  non  potè  coglier  la ragione  del  vincolo  che  insieme  annoda  i  suoi  diffe- renti generi  del  sensibile,  co' suoi  generi  dell'intelligi- bile, e  siffattamente  sfumò  nell'iperpsicologismo  plato- nico pur  credendo  d' inverare  l' Aristotelismo.*  Questo vincolo  e  questo  passaggio  non  potè  scorgere  l'ingegno profondo  d'Erigena  con  l'ardito  concetto  della  yuVic  e con  le  quattro  diverse  maniere  onde  per  lui  s'attua la  Natura;  poiché  giunto  all'assoluta  essenza,  com'è noto,  ei  se  ne  ritrasse  invocando  in  sussidio  la  teologia rivelata. Né  il  Cusano,  per  citare  un  esempio  del  Ri- nascimento, tuttoché  con  mirabile  acume  giugnesse  a cogliere  il  concetto  àéìT  alteritcLS  e  delle  determinazioni dell'Assoluto,  bastò  a  dedurre  acconciamente  e  neces- sariamente l'attinenza  verace  onde  il  mondo  è  a  Dio congiunto,'  e  anche  lui  finì  con  intender  l'atto  crea- tivo al  modo  che  è  posto  dalla  coscienza  religiosa.  Tanto meno  l'arditissimo  Bruno  potè  imbroccare  nel  segno,  con la  dottrina  de'  tre  intelletti,  quant' all'attinenza  tra  l'in- telletto divino  e  l'intelletto  che  tutto  fa;  *  e  quindi sfumò  in  quel  suo  naturalismo  che  potrebbe  dirsi  un aristotelismo  cui  manchi  il  concetto  dell'Atto  in  sé.  Né il  Campanella  giunse  ad  applicare  in  maniera  dialettica le  sue  tre  primajità  psicologiche  all'  Assoluto,'  come  il Vanini  non  superò  guari  la  dottrina  della  natura  e della  forma  de' peripatetici.  Nello  Spinoza  poi,  meglio che  dialettica,  ci  è  meccanica  e  geometria;  poiché  il concetto  della  sostanza  unica'  è  negazione  della  tripli- *  Simon,  BUt.  cit  lib.  U,  e  IV.  V  e  VIL *  Haubiau,  PhU.  Sool.,  ed.  cit.,  t.  I. '  Nio.  DB  Cuba,  DicU.  cU  Pot§e9t. *  Bbono,  Dial.  II,  De  Prine.j  oc. *  Camparblla,  MetapKt  lib.  I,  e.  Ili,  8. *  SpurosA,  £th.t  I,  n.  U,  7. cita  e  d' ogni  processo  intimo  e  dinamico  nelP  Assoluto  ; onde  il  pensiero,  che  è  uno  de' due  modi  universali della  sostanza,  riesce,  con  evidente  assurdo,  molto  piii che  non  sia  la  medesima  sostanza.  In  opposizione  alla sostanza  spinoziana  sta  la  monade  del  Leibnitz.  Ma  se nel  concetto  monadologico  del  filosofo  di  Lipsia  vi  è una  divinazione  originale  che  la  scienza  moderna  è  ve- nuta semprepiii  confermando,  voglio  dire  il  concetto  di- namico, niun  vincolo  razionale  e  dialettico  esiste  tra  la gran  Monade  e  T  universo  delle  monadi,  come  altrove dicemmo.'  E  per  toccare  finalmente  de' moderni,  niuno, tranne  gli  adepti,  vorrà  creder  sul  serio  che  Hegel  col suo  ternario  assoluto  ci  abbia  dato  un  concetto  meta- fisico positivo.  Egli  anzi  ha  cancellato  aftatto  il  concetto della  conversione  ad  intra^  riducendo  siffattamente  il dinamismo  ideale  ad  un  ideale  meccanismo;  talché  il processo  geometrico  della  Sostanza  spinoziana  avrebbe più  d' un' attinenza  col  processo  formale  e  dialettico dell'Idea  hegeliana.  Alla  vera  nozione  del  Processo ideale  non  sono  pervenuti  poi    il  Gioberti,    il  Ro- smini. Il  principio  ctisologico  del  primo  è  senza  dubbio un  processo,  come  vedremo  fra  poco  :  ma,  appunto  perchè processo,  non  dovrà  supporre  forse  un  altro  processo  ante- riore, e  superiore?  La  dialettica  giobertiana  é  Una  dialet- tica a  metà;  e  il  creatore  del  filosofo  subalpino  è  troppo accosto  al  suo  concreatore,  alla  sua  iitBì^ic^  al  suo  Intel- ligihile  relativo  che,  coni'  egli  dice,  è  l' Idea  redw^ata, V  Idea  per soìiificata;^  talché  potendovisi  facilmente  con- fondere, non  poteva  àgli  hegeliani  riescir  guari  difficile tirarlo  all'  Idealismo  assoluto.'  Il  Rosmini  finalmente, col  concetto  dell'  ente  iniziale  e  comunissimo  determi- *  Vedi  ciò  che  abbiamo  discorso  del  Leibnitz   e  se^. ■  Gioberti,  FU,  ddla  Rivdaz.,  p.  805. '  Al  Gioberti  manca  e  deve  mancare,  come  vedremo  fra  poco,  il  vero concetto  della  dialettica;  e  Io  confessa  egli  medesimo    dove  si  prova a  distinguere  una  dialettica  interiore,  ed  una  dialettica  esterna,  (Protologia, V.  I.,  p.  629,  ed.  cit.) nantesi  nelle  tre  forme  dialettiche,  non  è  giunto,  e  non poteva  giugnere  neanch'  egli  a  sciogliere  e  poi  rilegare il  vero  nodo  dialettico.'  Com'è  possibile  un  processo fra  quelle  sue  tre  forme?  Com'è  possibile  la  distinzione categorica  reale  del  suo  essere? Le  cose  discorse  ci  menano  a  due  conclusioni  quanto chiare, altrettanto  irrepugnabili:  P L'Assoluto  è  il  Vero che  si  converte  ad  intra  col  Generato ,  e  ad  extra  col Fatto:  dunque  la  posizione  del  Fatto  è  razionalmente, liberamente  necessaria  :  2**  U  Fatto  è  V  aUrOj  è  il  di- verso: ed  è  tale  per  doppio  rispetto;  come  termine ^05^0, cioè  come  Fatto  semplicemente  detto,  e  come  Fatto  che si  fa  ;  come  sostanza  e  come  causa  :  dunque  il  Fatto  è estemo  al  Generato,  è  indipendente  da  lui,  non  come termine  posto,  bensì  come  Fatto  che  s'invera,  come Fatto  che  si  converte  con    stesso  e  perciò  nel  Vero  ; insomma  come  sorgente  perenne  d'attività.  Diciamolo in  altre  parole.  Dio  crea  il  mondo  in  quanto  lo  pone  ; e  il  mondo,  in  quanto  è  posto  come  fatto,  si  crea.  11 mondo,  adunque,  appunto  perchè  ha  natura  di  Fatto , appunto  perchè  ha  natura  di  altro  sotto  gemino  aspetto, è  insieme  posizione  e  creazione.  È  posizione,  in  quanto è  termine  di  conversione  con  1'  altro,  ciò  è  dire  con  Dio  : ed  è  creazione,  in  quanto  è  subbietto  di  conversione  con sé  e  per    medesimo.  Perciò  se  il  Fatto  non  è  creato ma  è  postOy  ne  viene  eh'  egli  ha  da  essere  il  vero  pò- nente,  il  vero  creante    medesimo.* *  Rosmini,  Teotojia,  toL  I. '  La  parola  ponzione  è  brutta,  io  Io  veggo;  ma  qui  non  saprei  come dire  dÌTersamento  per  non  restare  avviluppato  negli  equivoci  ed  esage* razioDi  in  che  sono  caduti  gli  ontologisti  con  V  uso  ed  abaso  deUa  parolA Il  mondo  nel  processo  cosmico  ci  si  presenta  sotto  tre aspetti.  Riguardato  come  Fatto,  egli  è  in  Dio.  Riguar- dato qual  Fatto  che  s'invera  e  converte  con    stesso, è  fuori  di  Dio.  E,  finalmente,  considerato  qual  Fatto  che si  converte  col  vero  nel  regno  della  storia  e  della  psico- logia, non  si  può  dir  propriamente  eh'  e'  sia  fuori  di  Dio né  in  Dio,  ma  Dio  è  in  lui:  é  in  lui  nel  senso  che  il mondo  è  pensiero,  scienza.  Ragione  spiegata.  Ecco  la  cor- rezione e  insieme  l'accordo  del  Dualismo  e  del  Panteismo. Non  vi  é  unica  ed  assoluta  sostanza:    vi  sono  due sostanze  poste  empiricamente.  Vi  è  bensì  una  dualità formante  unità:  vi  é  due  sostanze  formanti  organismo. ertaMÌ4me.  Nel  g^reco  non  ini  pare  ci  sia  una  voce  che  possa  rendere  il  con- cetto: anzi  non  ci  può  essere^  chi  consideri  come  al  pensiero  ellenico  manchi r  idea  alla  quale  accenniamo.  Tra  VAtto  puro  e  la  dateria  prima  deir  Ari- stotelismo non  ci  è  vincolo  nel  signifioato  di  potìnofu;  ma  t*  è  solamente relazione  di  finalità,  perchò  VAtto  non  pone,  ma  attrae  ;  e  attrae  la  materia in  quanto  essa  è  jiotoiua,  cioò  in  quanto  è  opi^i^  ;  e  però  in  quanto  nelle cose  Tiene  inserito  il  deeiderio  con  perpetua  in/ueion%  che  è  1*  interpre- tazione erronea  de*  vecchi  aristotelici  e  antiaristotelici  (Rjlvaisbok,  Me- taph,  ec ,  T.  II,  pag.  552).  Neanche  nel  Platonismo  ci  è  V  idea  della  po- sizione, e  quindi    pur  la  parola  che  vi  risponda  ;  essendo  noto  come  pel filosofo  d’Atene  la  materia  sia  anche  eterna  e  al  tutto  indipendente  dal- l'ùlea,  cioè  un'assoluta  recettività,  iimeno  intendendo  Platone  come  si  fa d'ordinario:    poi  la  fii9t^i^  e  la  yLl^junii^^  come  toccammo,  bastano  ad esprimerci  il  concetto  della  conversione.  Il  pensiero  ellenico  dunque  non pervenne  a  determinar  nettamente  l'attinenza  (originaria,  non  finale) tra  l'indeterminato  e  l'Idea,  tra  V infinito  e  il  finito,  tra  la  forma  e l'Atto;  e  quindi  non  riusd,  com'ò  noto,  a  superare  il  Dualismo.  Ora trascendere  il  Dualismo  è  uno  degli  aspetti  e  però  uno  de'  fini  della  lotta fra  il  Platonismo  e  1'  Aristotelismo.  L'  Alessandrinismo  tentò  superarlo, ma  evaporò  nel  concetto  dell'  identità  assoluta  :  e  però  neanche  presso  gli Alessandrini  sarebbe  facile  trovare    il  concetto,    la  parola  che  si- gnifichi '1  vincolo  originario  tra  il  mondo  e  Dio.  Gli  Hegeliani  usano anch'essi,  fra  le  altre  non  meno  brutte,  la  parola  poeizione,  che  anzi costituisce  il  lor  pane  quotidiano.  Ma  per  l' Hegelianismo  poeizione  vale determinazione,  medùizione,  compenetrazione;  e  perciò,  checché  ne  dicano, esprime  un  rapporto  di  natura,  per  cosi  dire,  meccanica  e  formale.  La  no- stra posizione  è  diversa  dalle  loro  quanto  il  nostro  Generato  dalla  loro  Idea; quanto  la  nostra  convereione  dalla  loro  contrappoeizione^  negazione,  me- dÌ€tzione  e  che  so  io.  fe  inutile  avvertire  che  le  parole  bara,  asa,  vasàb della  letteratura  ebraica,  esprimon  tutt'  altro  concetto  di  quello  che  noi intendiamo  significare  con  la  parola  poeizione. Quest'organismo  è  vita,  non  è  morte fqueet'  organismo è  profondo  dinamismo,  non  è  meccanismo.  Ed  è  vita  e -dinamismo,  perchè  non  è  monismo  assoluto;  non  è  mo- nismo inintelligibile,  assurdo,  esiziale  alla  scienza  come alla  civil  società. E  qui  ci  corre  il  debito  di  rendere  giustizia  alla mente  straordinaria  del  Gioberti,  e  correggere  nel  me- desimo tempo  la  sua  formola  ctisologica.  Anch' egli  è tal  pasta  d' ingegno  che  si  svolge  e  s' allarga  e  s' in- vera e  si  corregge;  ma  non  per  questo  si  contraddice. La  novità  della  Protólogia  non  istà  nel  concetto  del creare  inteso  come  divenire,  secondochè  vorrebbe  Spaventa. Se  così  fosse,  egli,  in  verità,  non  avrebbe  detto nulla  di  nuovo;  come  nulla  di  nuovo  disse  nella Introdu' jrìone  col  rinverdire  la  vecchia  idea  della  creazione.  La novità  .vera,  la  nuova  esigenza  del  filosofo  subalpino  sta nel  concetto  della  concreojgione,  com'  ei  suol  dire  ;  della cancrecunone  intesa  non  già  come  fxsOf5«;  dell'Idea  verso il  mondo  e  rispetto  al  mondo,  ma  si  del  mondo  verso r Idea,  e  rispetto  all'Idea.  Perciò  l'Ontologismo  giober- tiano  va  corretto  ;  va  fatto  più  conseguente  con    stes- so :  e,  scambio  della  celebre  formola  dell'  Ente  creante l' Esistentey  è  forza  porre  la  formola  metafisica  del  Vico nella  quale  è  racchiuso  quel  vero  e  compiuto  dialettismo che  r  ardente  scrittore  del  Primato  andò  sempre  cer- cando con  ansia  febbrile,  e  non  trovò  mai  :  cioè  il  Vero che,  convertendosi  ad  intra  ed  Generato^  si  converte  anche ad  extra  col  Fatto.  La  sua  formola  teleologica,  poi,  vuol essere  anch' ella  corretta;  e  invece  d'aflFermare  che  V  esi- stente ritoma  alV  ente  (prima  maniera),  o  che  V esistente concrea  Venie  concreando  se  stesso j  è  d'uopo  dire  che  il Fatto  si  converte  nel  Vero  e  col  Vero,  e  perciò  si  crea, e  perciò  si  fa  divino.  ' *  Il  concetto  ctisolo^'oo  del  Gioberti  della  prima  maniera  (e  dico marnerà  per  dir  forma  nello  stiluppo,  non  già  diversità  di  contenuto  nella sua  dottrina,  come  Terrebbero  gli  Hegeliani),  sta  nel  presentar  V  atto  crea- tiro  siccome  prodaconte  T  esistenza  in  quanto  la  individua.  Nella  Intro- Mi  si  chiederà  :  la  seconda  forinola,  la  formola  cos- mologica esprimente  il  vero  concetto  della  creazione, cioè  il  Fatto  che  si  converte  nel  Vero,  esiste  ella  nel  Vico  ?  ' Esiste,  io  rispondo,  per  chi  la  sappia  ritrovare,  e  dedurre  ; e  dedurla  e  trovarla  è  negozio  agevolissimo.  Come  la  si deduce?  Considerando  con  accuratezza  la  sua  formola metafisica.  Quando  egli  pone  il  Fatto  siccome  termine  di duzione  il  creare  suona,  a  dir  proprio,  individuare.  Che  cosa  in£atti  ò r  individuo  ?  È  V  Idea  pasMta  dalla  potenza  alTaUo  (t.  II,  ed.  cit.  p.  195). Qui  t;*  ò  dol  neoplatonismo,  e  anche  buona  doso  di  panteismo.  Della  prima maniera  altresì  è  queir  afTermare  con  tanta  sazietà  che  T  uno  crea  ti  mi«l- tiplof  e  che  ii  tntdtiplo  ritoma  aU^tmo:  concetti  yaghi,  indeterminati  ed erronei  che  ci  fanno  pensare  a  Proclo  e  a  Plotino.  Se  il  Gioberti  fosse rimasto  qui,  non  sarebbe  stato  ingegno  potente  ed  essenzialmente  cor- rettivo di    medesimo.  Non  sarebbe  stato  ingegno  progressivo,  fecondo ed  esplicativo.  Ma  se  nella  Protologia  fosse  giunto  al  concetto  del  divenire, più  che  esplicarsi  e*  si  sarebbe  data  la  zappa  su' piedi;  si  sarebbe  cod- tradetto:  sarebbe  passato  dal  bianco  al  nero,  dal  no  al  sì,  da  Dio  alla  Idea, e  siffattamente  sarebbesi  mostrato  ingegno  leggiero,  pensatore  sghengo  e anche  un  pò*  vanesio.  Era  egli  tale  T  ingegno  del  Gioberti?  Lo  dica  chi può  !  Dunque  l' A.  della  Protologia,  se  per  nostro  conforto  fosse  vissuto, non  sarebbe  divenuto  Hegeliano;  anzi -avrebbe  inaugurato  novello  periodo filosofico  in  Italia  conforme  all'indole  di  nostra  mente;  ciò  che  non  ha fatto,  e  non  poteva  faro  il  Mamiani.  II  Ferri  ha  detto  benissimo:  la teconda  JUoaofia  del  Gioberti  {che  racchiude  non  già  un  nuovo  9Ì9tema,  eib- bene  uno  epirito  nuovo)^  inaugura  un  altro  periodo,  la  cui  aorte  i  rieeronta al  futuro  (Hist.  cit.,  voi.  II,  p.  204).  E  davvero,  se  fosse  vissuto,  ci  avrebbe dato  un  Btnnovn mento  filosofico,  al  modo  stesso  che  ci  dìo  il  RinnovametUo civile  col  quale  Inaugurò  la  nuova  Italia,  e  del  quale  Cavour,  dovremmo  es- serne ormai  convinti,  non  fece  che  attuare  il  programma.  Ciò  non  pertanto anche  nella  Protologia  si  scopre  l'uomo  vecchio,  VintuitUta,  e  però  il  neopla- tonico schietto.  Non  dubita  affermare,  per  esempio,  che  Videa  pone  il  finito, e  8i  COMUNICA  fv.  1,  p.  4S4):  che  le  idee  formino  in  Dio  una  gela,  la  quale 9Ì  «quaderna  e  pa^aa  dalV  as9oluto  ed  relativo  merde  V  atto  della  creazione (Id.,  p.  147):  che  V  infinito  attuale  e  V  infinito  potenziale,  anziché  due  cote, formino  una  sol  cosa,  ma  sotto  doppio  aspetto  (p.  440  e  seg.,  special- mente 159):  e  che  l'infinito  potenziale  non  è    il  finito    1* infinito, ma  la  sintesi  di  essi,  non  {scorgendo  il  grand'  uomo  come  finitò,  e infinità  potenziale  non  siano  già  due  cose,  ma  due  aspetti  d*un  medesimo subbit'tto,  ciò  è  dire  il  Fatto  in  quanto  è  alterità  verso  il  Generato,  e verso  se  st-csso.  Or  le  contraddizioni  da  cui  bisogna  salvare  il  Gioberti nella  sua  seconda  maniera  di  filosofare  sono  queste,  non  quelle  che  ci veggon  gli  Hegeliani.  E  bisogna  salvamelo  appunto,  per  liberarlo  dalle tracce  d* iperpsicologismo,  di  neoplatonismo,  di  alessandrinismo,  d'ara- bismo e  d' hegelianismo  che  pure  contiene. conversione  col  Generato,  cioè  il  Fatto  come  Fatto,  come posto;  con  ciò  stesso  ei  ci    questo  Fatto  come  sub- bietto  che  essenzialmente  si  converte  con    medesimo  ; cioè  come  creante  sé,  come  autogenito,  come  conato,  E come  poi  ritrovarla  cotesta  formola?  La  ritrova  chi abbia  occhi  in  fronte  ;  cioè  leggendo  la  Scienza  Nuova.  La quale  è  per  l'appunto  un'applicazione  di  essa,  ma  è  un'ap- plicazione al  mondo  de' fatti  umani,  eh' è  dire  d'ima parte,  d'un  genere,  del  sommo  genere  del  Fatto.  Che cos'è  il  Certo  che  diventa  Vero?  Che  cos'è  V Autorità che  a  grado  a  grado  assume  forma  e  valore  di  Ragione? Che  cos'  è  la  Filologia  che  diventa  Filosofia?  Che  cos'è la  storia,  l' uomo,  lo  spirito  che  dalla  fase  divina  passa alla  fase  eroica,  e  dall'eroica  all'wwana.^  Che  cos'è  il pensiero,  la  Mente  che  è  Senso^  poi  Immaginaeione  e poi  Ragione?^  Taluno  potrebbe  dire:  di  cotesta  for- mola il  Vico  non  fece  applicazione  al  mondo  della  na- tura. Neanche  questo  è  vero.  E  non  vero,  i)erchè  non solamente  quest'  applicazione  ci  è  dato  dedurla,  al  solito, dal  suo  principio  metafisico,  ma,  che  più  rileva,  ei  n'  ha lasciate  tracce  visibilissime,  germi  assai  fecondi  ne'  suoi principii  cosmologici,  come  vedremo  appresso.  Torniamo al  proposito. Dato  alla  creazione  il  significato  e  il  valore  che  noi diciamo,  ne  vengon  fuora  parecchie  conseguenze  le  quali verremo  accennando  man  mano.  La  creazione  non  è,  per parte  di  Dio,    una  deduzione,  per  dir  così,    un'  in- duzione. Per  dedurre  il  mondo,  egli  dovrebbe  cavarlo da    :  assurdo  grossolano.  Per  indurlo,  poi,  dovrebbe cavarlo  da  una  materia  preesistente,  ovvero  dal  nulla. Una  materia  preesistente  senz'  alcuna  idea,  un  ricetta- colo indeterminato,  come  lo  concepisce  il  Platonismo, riesce  inintelligibile,  e  ci  lascerebbe  in  pieno  dualismo. Dal  nulla  come  tale,  nel  che  sta  il  concetto  balordo  dal pietoso  credente,  tanto  meno.  Si  dirà  esserci  la  potenza *  Vedi  a  qaesto  proposito  quel  ohe  abbiamo  discorso  nel  Cap.  V del  Ub.  U. infinita  attuale?  Benissimo  :  quest'Atto  ha  da  esser  Oene- rato;  e,  in  quanto  è  Generato,  pone  il  fatto,  educe  il  fatto per  necessità  razionale,  e  quindi  per  legge  di  conversione. Se  dunque  lo  educe  per  necessità  intima  e  razionale,  veg-. giamo  scaturire  una  seconda  conseguenza,  ed  à  che  un mondo  particolare,  contingente  e  d' ogni  parte  finito  e mutabile  e  scorrevole,  senz'  altra  necessità  fuorché  quella d'  un  beneplacito  divino,  contraddice  apertamente  alla ragion  filosofica  positiva,  nonché  ai  risultati  sicuri  della moderna  scienza  fisica,  geologica,  cosmologica,  astrono- mica. Se  il  mondo,  anche  in    medesimo,  é  una  conver- sione di    con    stesso,  non  può  non  esser  necessario nella  sua  esplicazione  e  nelle  sue  leggi,  appunto  perché essendo  termine  di  conversione  d'una  causa  eh'  é  men- te, debb'  essere  anche  lui  causa,  mente,  razionalità.  U mondo,  in  somma,  é  posto  razionalmente.  Dunque  Tatto col  quale  Dio  pone  cotesto  mondo  é  liberamente  neces- sario, e  necessariamente  libero.* *  Dicemmo  qual  relazione  corra  fra  libertà  e  ragioue. Se  Tatto  volitivo  guardato  nella sna  radice,  secondo  la  legge  del  processo psicologico,  non  è  altro  in  generale  che  uno  «/orso  (Tintenderef  cotesto sforzo,  che  in  noi  ò  impedito  perchè  essenzial  conato,  nelP  Assolato  non  può aver  luogo,  e  quindi  è  speditissimo.  £cco  il  fondamento  della  necessità della  creazione.  Ma  la  sapienza  infinita  !  si  dirà:  chi  ne  misura  gli  abissi? Lasciamo  gli  abissi:  qui  la  faccenda  è  chiara,  perchè  ce  ne  porge  gua- rentigia la  psicologia  :  gli  abissi  ci  sono,  pur  troppo,  ma  non  qui  ;  e  qui ci  sono,  perchè  ce  Than  messi  T  ignoranza,  il  pregiudizio  e  T  immagina- zione. Nò  si  creda  che  togliendo  a  Dio  la  libertà  (anche  quella  a  n«oem(ate natura),  ella  rimanga  distrutta  altresì  nelPuomo.  Innanzi  tutto  non  è  vero che  si  tolga  a  Dio  U  libertà;  anzi  gli  si    la  libertà  vera,  dal  momento  ohe si  concepisce  come  vera  e  compiuta  ragione.  L* uomo  è  ^rt»eep«rous.*^  Non  v'è  dun- que destino  :  il  destino  è  la  natura  e  la  ragione  ;  e  ap- punto perchè  il  destino  è  natura,  perciò  è  lungi  d'esser cieca  necessità.-  Tutto  quindi  è  provvidenza  nella  mente del  Vico,  perchè  tutto  è  creazione,  attività  intima,  pro- fonda, spontanea  si  nel  mondo  fisico,  e    nel  morale; né  senza  ragione  volle  metterla  in  cima  alle  sue  discor verter  La  provvidenza  agli  occhi  suoi  apre  e  chiude il  circolo  della  scienza,  non  meno  che  il  processo  della Storia.  Ella  perciò  è  innanzi  tutto  naturale  e  divina, appresso  eroica ,  da  ultimo  umana.  La  provvidenza umana  è  la  stessa  ragione,  la  quale  non  può  non  essere libertà:  essa  dunque  importa  pienezza  di  responsabi- lità. La  provvidenza  è  il  primo  de'  tre  grandi  princi- pii,  0  sensi  comuni  ddV umanità:  ed  è  altresì  l'ultimo corollario  della  mente  del  filosofo.  La  Provvidenza  dun- que è  principio  e  fine  della  storia  umana,  al  modo istesso  eh'  è  dedica  e  conclusione  della  Scienza  Nuova.* *  E  anche  quest*  altra  :  ab  ipta  rerum  humatuxrum  natura.  (De  Oon$t, Philel  e.  XL) *  Il  coDCotto  del  Vico  è  concetto  aristotelico;  e  così  infatti  1*  Afro- dìsio  interpretava  la  neceasìtà Jinea  e  naturale  d'Aristotele.  (Ved.  Noo- BI8S0N,  De  la  UberU  et  du  Haaard,  E$8a%  sur  Alexandre  d'Aphrodina»  ec. Paris  1870,  p.  43,  98.) *  Ved.  Tavola  delle  Diteoverte  nella  Prima  Seien»a  Nuowu *  Perciò  chiama  il  soo  libro  una  teologia  civile  e  ragionata  déUa Prowedema  divina  (Sec.  Se.  Nao.,  lib.  I)  ;  e  più  d' ana  volta  si    Tanto d'aver  prodotto  una  nuova  dimostrazione,  una  dimostrazione  di  fatto ittorieo  circa  V  esistenza  di  Dio.  Che  cor'  ò  questa  dimoetratione  di  fatto ietoricot  t!  la  provvidenza  in  quanto  è  Fatto,  in  quanto  è  creazione.  & il  Fatto  che  si  converte  con  so  stesso,  e  mostra  quel  che  è,  quel  che contiene,  quel  che  debb' essere;  e  così,  mostrando    stesso,  mostra  anche Dio.  Perciò  la  provvidenza  non  ò  Dio  che  si  mostra,  Dio  che  interviene  ; ma  ò  il  mondo  delle  nazioni  che  attuandosi,  che  creandosi  e  edébrando così  la  propria  ìvatwra,  si  mostra  sensatamente,  e  si  manifesta  come  ter- mine di  conversione.  Indi  è  che  la  provvidenza  per  lui  non  può  essere un  argomento  induttivo  dimostrante  l'esistenza  di  Dio,  appunto  perchè ella  nel  mondo,  anziché  effetto,  ò  una  causa.  Questa  sua  dimostra- zione di /atto  ietorico,  dunque,  è  una  forma    eduzione,  non  già  di  sem- plice induzione  :  col  che  confermiamo  anche  una  volta  la  natura  del metodo  vichiano.  Ora  se  questo  è  il  significato  (significato  davvero  nuovo e  originale)  del  concetto  della  Prowidenaa  n^U'  A.  della  Scienza  Nuova, n  concetto  ctisologìco  inteso  al  modo  che  noi  lo  interpretiamo nel  nostro  filosofo,  si  presenta  come  il  ri- saltato del  mondo  moderno.  È  la  vita  stessa  della  scienza moderna:  è  il  gran  secreto  della  filosofia  positiva:  ed è  l'esigenza  massima  della  Sdenea  Nuova.  Chi  non Faccetta,  deve  negare  il  presente,  dee  dare  una  smentita alla  storia;  e  sarà  condannato  a  indietreggiare  sino  al medio  evo,  per  non  dir  già  sino  alla  Grecia.  La  formola cosmologica  del  nostro  filosofo  corregge  e  trascende,  anche in  questo,  il  Neoplatonismo  italiano  moderno,  ponendo non  è  a  merarigliare  s*egli  in  ciò  sia  stato  franteso  e  interpretato  assai male,  come  vedemmo,  da  certi  saoi  critici.  Notammo  già  come  lo  Jan- nelli  fosse  il  primo  ad  osserrare,  che  nella  Seiefìxa  Nuova  tale  concetto può  intendersi  in  dne  sensi  ;  e  V  acato  archeologo  napoletano  non  s' in- gannata. Talora  infatti  sembra  che  la  Provvidenza,  pel  Vico,  abbia  a consistere  solamente  nelP azione  di  Dio.  È  la  Provvidenza,  per  dirne un  esempio,  che  eccita  Atejo  Capitone  e  Lahtone;  il  primo  nella  gdoèa  e tenace  cuttodia  de^  vecchi  diritti,  e  il  secondo  nel  propugnare  interprc tOMioni  tempre  nuove  affindii  la  romana  ffiurieprudenMa  potetèc  evtdgerai. {De  Univ,  Jur,).  La  provvidenza  egli  invoca  per  iepiegare la  rapida  e  univereale  comporta  del  Cristianesimo  merco  la  civiltà  ro- mana; la  quale  perciò  altro  scopo  non  avrebbe  avuto  nel  mondo,  fuor- ché quello  di  schiuder  la  via  ali*  idea  cristiana. Or  tutto ciò  contraddice  ali*  esigenza  del  suo  metodo,  ed  è  in  aperta  opposizione con  la  sua  dottrina  metafisica.  Lo  stesso  religiosissimo  Jannelli,  il  quale del  resto  non  avea    punto    poco  subodorato  il  valore  della  filosofia  del suo  maestro,  non  dubita  affermare,  che  se  per  prowidenxa  neUa  Scienza Nuova  •»*  vuole  intendere  eolo  V  axione  di  Dio  eugli  uomini,  Mora  non  pare che  n  faccia  altro  che  una  lemone  di  teologia  poco  neeeeearia  ai  Cattolici, ami  ai  Crietiani  e  a  tutti  gli  eneeri  ragionevoli.  Provvidenza dunque,  pel  Vico,  vuol  dire  natura.  Provvedere  è  fare,  è  creare,  ò attuare  ;  dunque  è  incessante  e  vivace  conversione  del  Fatto  nel  Vero.  Per lui  quindi  è  Prowidenxa  T  itetnto,  laddove,  parlando  dell* origine  della  pa- rola 2ex,  dice  che  gli  uccelli  nidificano  pretto  le  fonti.  {De  Vniv.  Jur.)  ^  provvidenza  il  pudore,  onde  procede  la  frugalità,  la  temperanza, la  giuttÌMia,  e  simili  {De  Contt.  Juritpr.,  I[I).*È  provvidenza  la storia  della  poesia,  e  le  false  religioni.  &  provvidenza  la  forma monosillabica  delle  lingue  (XII).  È  provvidenza  lo  teoppiar  de*  primi  tu- multi deUe  plebi  nella  terza  età  del  Tempo  Oteuro. È  per  provvi- denza {rebut  iptit  dietantibut)  che  le  religioni  cominciano  a  venire  in  dis- pregio. È  prorvìdenn  {rebut  iptit  dietantibut),  1*  origine  dell* arte della  guerra  e  della  pace  (XXX).  fe  provvidenza  che  le  Centi  Minori apprendano  dalle  Centi  Maggiori;  ed  è  provvidenza  la  templieità  e  na- turalcMM  Oud*ò  condotto  U  corto  ddC  umanità  (Sec  Se.  Nuo.,  p.  882). a  nudo  le  magagne  del  concetto  creativo  del  Teologismo, nonché  dell' Hegelianiamo  e  del  Positivismo:  che  vuol dire,  al  solito,  corregge  i  due  estremi  del  filosofare,  iperpsi- cologismo  ed  empirismo.  Di  fatto  che  cos'  è  per  l' Hege- liano la  creazione?  È  V  identico  in  guanto  si  differendo. Dunque  non  è  vera  creazione,  svolgimento,  processo; ma  ripetizione  ritmica  e,  come  dire,  inquadrata  sovra un  medesimo  fondo  che  è  la  Idea.  Pel  Positivista  il moto,  la  vita  e  l' essere  delle  cose  non  è  che  trasfor- mazione di  forze,  o  di  materia;  trasformazione  fisica, meccanica,  biologica;  determinismo  affatto  meccanico, affatto  accidentale,  affatto  cieco.  Dunque  anche  per lui  la  creazione  è  ripetizione  monotona  d'un  identico subietto. Con  la  formola  cosmologica  del  nostro  filosofo,  inol- tre, si  giugne  a  conciliare  le  esigenze  legittime  del  Tei- smo e  del  Panteismo  su  la  natura  del  mondo.  Nel  Pan- teismo vi  è  un'affermazione  giusta  e  ragionevole;  ma  vi è  pure  una  negazione  iriragionevole,  erronea  ed  esiziale. L' affermazione  risguarda  lo  svolgimento  d' un  principio interno  e  divino  nel  mondo,  e  nella  natura.  La  negazione poi  riguarda  un'efficienza  sovramondana,  che  come intelletto  amore  e  potenza  ponga  il  mondo  e  la  natura, e  sia  presente  al  mondo  e  alla  natura.  U  Teismo  gros- solano e  volgare  contraddice  al  Panteismo  col  porre  l'ef- ficienza sovramondana;  ma  non  sa  intendere  per  nulla il  divino  della  natura;  non  capisce  il  divino  anche  nel mondo.  L'affermazione  del  Panteismo  è  l'esigenza  del- l'Oriente, e,  in  parte,  dell'Occidente;  della  scuole  jonica, eleatica,  pitagorea,  stoica,  alessandrina  ;  poi  delle  grandi intelligenze  d'.Erigena,  del  Bruno,  dello  Spinoza;  ed  è anche  l' esigenza  dell'  Hegelianismo.  L' affermazione  poi del  Teismo  beninteso,  è  principalmente  un  portato  della speculazione  occidentale,  perchè  è  1'  esigenza  profonda della  metafisica  platonica,  e  della  metafisica  aristotelica. Panteismo  e  Teismo,  dunque,  oggi  sono  di  fronte;  perchè essendo  pervenuti  entrambi  al  più  alto  grado  di  specu- lazione,  ci  porgono  due  forinole  nette,  chiare,  spiccate: V Essere,  il  Non-Essere  e  il  Divenire,  da  una  parte  :  D Vero,  il  Generato  e  il  Fatto,  dall'  altra.  Or  V  afferma- zione, r  esigenza  ragionevole  del  Panteismo  è  inclusa nella  formula  cosmologica  del  Vico,  e,  che  più  importa, vi  è  anche  corretta.  L'affermazione  e  l'esigenza  ragio- nevole del  Teismo,  poi,  trova  correzione  e  inveramento nella  formola  metafisica  dello  stesso  filosofo.  Quant'  alla parte  negativa,  cotesti  sistemi  sono  da  ripudiarsi  en- trambi. Se  il  Teismo  ignora  il  vero  concetto  di  natura e  però  disconosce  il  divino  e  perciò  stesso  disconosce  la creazione  autonoma  del  mondo;  il  Panteismo,  alla  sua volta,  disconosce  la  vera  natura  di  Dio,  e  perciò  disconosce la  vera  natura  dell'  uomo,  e  cosi  viene  a  distruggere la  grandezza  e  l' eccellenza  dell'  umana  personalità.^ Se  intanto  la  creazione  è  un  processo,  cioè  dire  il Fatto  che  si  converte  nel  Vero,  si  può  domandare  :  in  che maniera  s' attua  cotesto  processo?  In  altre  parole:  come avviene  che  la  creazione  diventa  provvidenza? Il  modo  con  che  s'  attua  la  creazione  potrà  dircelo solamente  1'  esperienza:  ce  lo  potran  dire  le  scienze  di natura,  e  le  discipline  istoriche  in  generale.  Ma  anche nella  soluzione  del  problema  cosmologica  sbagliano,  tanto quelli  che  tutto  vogliono  indurre,  quanto  quegli  altri  che tutto  pretendono  dedurre.  Oggi  non  è  permessa  una  dot- trinacosmologica  empirica;  e  tanto  meno  è  permessa una  cosmologia  che,  fabbricata  a  priori,  si  rimane  cam- pata a  mezz'aria.  La  filosofia  cosmologica  potrà  attinger valore  positivo  e  razionale  ad  un  sol  patto;  che,  cioè,  il pronunziato  generale  ch'ella  potrà  fornire  alle  scienze le  quali  si  travagliano  intorno  alla  ricerca  delle  leggi da  Stuart  Mill  appellate  empiriche,  sia  del  pari,  o  possa essere,  il  risultato  complessivo  e  finale  delle  scienze  stes- Giastissime  qaiodi  le  parole  d*aii  valoroso  sorltlore  moderno: «  (Tttt  ùonire  le  panthéitme  que  tou»  eeux  qui  retUM  ^i>rit  de  la  vrai grandéur  de  Vhomme  doivent  »e  riunir  et  eombattre,  >  (Tooqukvillk,  De  la VemoeraHe  en  Amerique,  Paris,  1850,  18*  ed.,  T.  Il,  P.  I,  o.  VIL) se.  La  metafisica  positiva  altro  non  sa  darci,  salvo  che la  legge  della  conversione  come  principio  della  essenzial costituzione  del  Fatto.  Quant'  al  modo  poi,  ella  non  sa, ella  non  può  assegnar    regole  ritmiche,    tricotomie a  priori  di  nessuna  sorta.  Che  se  anche  qui  per  avven- tura è  possibile  un  accordo  e  una  rispondenza  tra  la speculazione  del  filosofo  e l’osservazione  induttiva  e  de- duttiva dello  scienziato,  in  verità  non  si  cerca  di  meglio. In  cosiiFatto  accordo  si  avrà  la  guarentigia  più sicura  dell'  ottimo  indirizzo  cosi  dell'  una  come  dell'  al- tra sfera  di  scibile. Se  il  Fatto  à  il  diverso,  non  solo  considerato  qual termine  di  conversione  col  Generato,  ma  anche  avvisato in    stesso,  avviene  che,  nel  convertirsi  con    mede- simo, e' debba  manifestare  varietà  di  momenti  e  pas- saggi e  transiti,  e  quindi  intervalli  e  tjontinuità  nel- r  esplicazione  delle  sue  forze.  Vuol  essere  insomma,  ri- petiamolo, un  vero  processo,  che  è  dire  svolgimento, conversione,  creazione,  anziché  una  serie  di  semplici trasformazioni  e  d' increscevoli  rimutamenti  di  forma. Vuol  esser  quindi  un  passaggio  incessante  ed  essenzial- mente dinamico  dalla  potenza  all'atto,  dall'omogeneo all'eterogeneo,  per  usare  anche  qui  la  frase  dello  Spencer, dall'indeterminato  al  determinato,  e  però  dal  genere  alla specie,  e  dalla  specie  all'  individuo,  per  finire  nell'  indi- viduo capace  d'essere  o  di  rappresentare  insieme  nella sua  virtù  il  genere  e  la  specie.  Tre  sono  i  Sommi  Gre- neri  del  Processo  cosmico;  e  altrettante  le  fermate  o, per  così  dire,  i  momenti  dell'attività  creatrice.  Tre sono  dunque  i  processi  speciali  e  differenti  attraverso  a cui  il  Fatto  si  fa,  e  che  potremo  appellare  Fisico,  Orgor nicOf  e  Storico-sociologico  od  umano;  e  tre  sono  quindi  gli anelli  della  gran  catena;  Forza,  Vita  e  Pensiero.  Fra questi  tre  processi  ci  ha  differenza  e  medesimezza,  e però  intervalli  e  continuità:  ma    questa  continuità  è di  natura  materiale,    quell'  intervallo  é  un  semphce passaggio  alla  maniera  che  lo  intendevano  e  lo  inten- dono,  come  notammo,  gli  aristotelici  empirici,  ed  i  mo- derni materialisti. Fra  il  processo  Fisico  e  il processo  Organico,  per  esempio,  ci  è  continuità  ideale, e  quindi  intervallo  reale  ;  stantechè  non  sia  la  Forza che  diventi  Vita,    la  Vita  che  diventi  Pensiero,  ma è  la  forza  che  passa  ad  esser  vita,  e  la  vita  pensiero.  E nel  pensiero  compenetrandosi  non  già  sovrapponendosi od  assomandosi  le  prime,  abbiamo  nel  medesimo  tempo r  attuazione  della  forza,  e  della  vita.  Il  passaggio  quindi, come  accennammo,  non  è  semplice  trasformazione,  ma è  transito,  è  passaggio  nello  stretto  senso  della  parola (iyipyetò:  aTi>>i;),  eduzione  (eductio  entìs  ad  actum)y  e perciò  creazione.  Se  intanto  nel  passaggio  vi  ha  inter- vallo, cotesto  intervallo  non  è  egli  davvero  un  salto  che fa  la  natura?  L'intervallo  superato  dalla  stessa  natura è  precisamente  la  conversione  del  Fatto  nel  Vero;  è r  energia  creativa;  è  il  vero  passaggio  dal  nulla  all'  es- sere, dalla  potenza  all'  atto:  ed  ecco  il  significato  della creazione  ex  nihUo.  Dunque  l' intervallo  per  noi  non  è (come  altrove  toccammo)  quel  che  per  gli  antichi  era  i) diastema  e  il  cenon;  negazione,  vuoto,  nuUa.  È  anzi pienezza  d'essere,  attuosità  vivace,  conato  (to  Juvarov), perocché  ci  rappresenta  il  momento  in  cui  la  continuità ideale  tende  a  diventar  reale.  Ai  due  capi  della  catena poi  vedemmo  esserci  due  intervalli  ;  psicologico  l' uno, e  metafisico  l' altro.  U  primo  dicemmo  potersi  superare mercé  la  dialettica  ascensiva,  poiché  qui  il  Fatto,  già convertitosi  con    medesimo  e  perciò  divenuto  forza vita  e  pensiero,  si  converte  quinci  col  Vero,  eh'  é  dire col  Primum  Verum  metaphysicum  :  mentre  il  secondo é  superato  dall'essere  stesso  con  la  dialettica  discensiva, secondochè  ci  addimostrano  la  formola  metafisica  e  la formola  cosmologica  del  Vico. Queste  sono  le  due  leggi  universali,  o  meglio,  le  due condizioni  dell'attività  creatrice  di  natura.  In  virtù  di esse  é  possibile  una  scienza  cosmologica  razionalmente positiva,  poiché  in  esse  sta  il  nodo  di  que'  dibattati e  YÌtali  problemi  su  la  generazione,  su  la  genesi  spon- tanea, su  l'origine  delle  specie.    il  Platonismo,  né r  Aristotelismo,    alcuna  dottrina  che  risalga  a  queste due  sorgenti,  ci  potranno  dar  mai  questa  doppia  legge. Nell'uno  fa  difetto  il  concetto  del  processo;  nell'altro questo  processo,  ripetiamolo,  è  passaggio  empirico>  mec- canico, generativo,  ovvero  logico  e  formale.' Ammessa  quindi  la  legge  dell'  intervallo  nell'  atti- vità creativa  di  natura,  verremo  capaci  di  correggere il  vieto  concetto  cosmogonico  del  teologismo  e  dell'em- pirismo. Il  vecchio  naturalista  contro  il  teologista  pro- nunzia, che  natura  non  fadt  saltum.  A  salvare  il  Deus machina  il  teologo  risponde,  che  natura  fadt  sattum; e  questi  salti  per  lui  sono  altrettanti  atti  immediati del  Demiurgo.  Ora  la  verità  non  istà  dall'  una,  né dall'  altra  parte.  Naturalisti,  sperimentalisti,  determi- nisti, positivisti  hanno  ragione  a  non  credere  ai  salti; ma  non  ha  torto  il  teologo  se  dice  che  la  natura  pro- cede per  creazioni  ed  atti  creativi  diversi.  Il  positivo qui  dove  sta?  Neil'  accettar  l' una  e  l' altra  affermazione, e  correggerle  entrambe.  La  natura,  certo,  non fa  salti;  non  v'  essendo  ragione  perché  ella  non  pro- ceda continua  nella  ricchezza  e  fecondità  delle  sue  pro- duzioni Ma  eccoci  al  punto  1  Questa  continuità  (conti- nuità materiale,  fisica,  sensata)  ha  luogo  entro  la  sfera *  Ma  anche  in  questa  dottrina  Aristotele  potrebb*  essere  difeso, chi  lo  interpretasse  benignamente.  Se  pel  Platonismo  11  divenire  e  il generarsi,  ha  luogo  per  1*  essenza,  per  l' idea  che  attua  la  cosa  e  la  scorge e  la  determina;  per  Aristotele,  al  contrarlo,  1’indeterminato  procede  al tUterminato  qucdUativo  per  sua  propria  energia.  Fra  i  molti  passi  che potrei  addurre  mi  contento  di  questo  che  si  legge  nel  Lib.  VII  della Metaph.:  Uòrtpov  ouv  iv^i  tic  (Ttfatpa  uxpot.  raqSi  Xf  oixiu  vK^pct TOtc  oXcvdouC}  i  01» J*  av  aoTf  iytyvexoy  ti  ovtwc  tJv,  róSt  ri; àXXa    Toióv^c  vrifjLaivtiy  róSt    xai  (upurixivov  oux  tf(r7(v, àWà  trotcì  xac'  7evvà  ex  totJ^s  rotov^s    xat  orav  7«vv>30i7,  Ìt^i ro$t  rotòvBt.  È  nna  prova  di  più,  come  si  vede,  della  possibilità  di rintracciare  e  dimostrare  nell'Aristotelismo,  anche  in  siflbtta  ricerca, r  indirizzo  medio  della  speculazione  filosofica  contro  gì*  interpreti  empirici e  contro  gì*  iperpsicologisti  che  il  generarsi  delle  cose  in  Aristotele  trag- gono  in  due  e  contrarie  sentenze  opposite. d'una  specie,  d'un  genere,  d'un  ordine,  anziché  nel passaggio  dall'uno  all'altro.  Se  così  non  fosse,  la  na- tura non  sarebbe  guari  natura,  non  sarebbe  creazione, sibbene  ripetizione  sazievolmente  monotona  d' individui. E  non  meno  ragione  ha  il  teologo  o  il  neoplatonico  che sia,  nel  pretender  che  la  natura  proceda  a  salti;  ma non  ha  niente  ragione  a  predicarci  essere  il  Demiurgo, proprio  lui,  quegli  che  la  fa  saltare.  È  ella  stessa,  è  la stessa  potente  e  feconda  natura  che  si  muove.  E  si muove  per  qualcosa  che  non  sopraggiugne  dal  di  fuora, anzi  sgorga  dal  di  dentro. Cosi,  e  solamente  così,  è  possibile  l' autogenesi  del mondo.  Chi  non  sia  disposto  ad  accettarla,  romperà senza  rimedio  contro  Scilla,  o  Cariddi;  che  vuol  dire contro  uno  de'  due  soliti  estremi. Come  intanto  s'inaugura,  come  si  svolge  e  come  si assolve  egli  il  Processo  cosmico? Capitolo  Decimosecondo. delu  attività  creativa ne'  diversi  momenti  del  processo  cosmico. Abbiamo  detto  che  se  l’attività  creatrice  di  natura è  una  Conversione  del  FaUo  nel  Vero,  ella  non  può esplicarsi  altrimenti  che  per  gradi,  per  momenti  diversi, e  quindi  per  intervalli  e  per  continuità  ideale.  Il  Pro- cesso  cosmico,  dunque,  è  universale.  Ed  è  universale  prin- cipalmente perchè,  secondo  la  frase  del  Bruno,  racchiude in  sé,  quasi  circolo  più  ampio  altri  piccoli  circoH,  il  tri- plice processo  Fisico,  Organico  e  Sociologico.  Così  la legge  che  governa  il  tutto  come  le  parti  è  sempre  la stessa:  è  la  gran  legge  del  trasformarsi  e  del  rinte- grarsi  perpetuo,  progressivo,  incessante  delle  forze  uni- versali e  comuni  di  natura.  Perciò  è  il  numero  che Digitized  by  VjOOQIC 470  DELLA  DOTTRINA  FILOSOFICA.  [lIB.  H. sempre  più  volge  ad  unità;  è  T  indeterminato,  T  omo- geneo, l'indefinito  (tò  uopiiTòv)  che  procede  al  deter- minato, all'  eterogeneo,  al  perfetto  (tò  TsXitov).*  Se  tale dunque  è  la  natura  di  quest'  universal  movimento  che dispiegasi  nel  tempo,  in  che  maniera  potrebb'  esser  un incessante  cangiar  di  forme  e  di  fenomeni?  Se  cosi fosse,  quest'  universo  sarebb'  egli  un  cosmos^  o  non  più veramente  un  increscevole  ed  eterna  monotonia  d'ap- parenze fenomenali,  ovvero  un  caos?  La  legge  del  Pro- cesso cosmico  dunque  è  legge  di  creazione;  è  legge  di coixyersione,  anziché  di  semplice  trasformazione.  Gol Processo  fisico  si  genera  la  forza  ;  e  la  forza  è  subbietto omogeneo,  sintesi  confusa,  numero  e  unità  generale,  uni- totalità  vaga  e  indeterminata.  Cotesto  Processo  fisico si  sdoppia  nel  Processo  organico  nel  quale  si  genera  la vita;  e  la  vita  è  numero,  eterogeneità  essenziale,  essen- zial  dualità  (vegetale  e  zoologica).  Nel  Processo  istorico- sociologico,  finalmente,  si  genera  lo  spirito,  il  pensiero; ed  è  un  ritomo  all'  unità,  ma  come  triplicità.  La  forza quindi  si  converte  nella  vita,  come  la  vita  si  converte  nel pensiero.  Unità,  dualità,  dualunità:  Forza,  Vita  e  Pen- siero. Ecco  il  Processo  cosmico,  ed  è  sempre  il  Fatto  che si  converte  nel  Vero,  perocché  è  sempre  il  conato,  il  me- desimo, che  si  fa  diverso  per  intervallo.  Come  intanto *  È  il  vecchio  principio  per  cui  si  distingue  V  indirizzo  medio  aristotelico nella  dottrina  su  le  forze  fisiche,  organiche  e  organizzate: *H  $i  fxJffi^  ffivyet    aTrci^ov  *  to  fiiv  yoip  anstpov  otTtlsq,  -^ Si  «vece  «s(  K^Ttt  TsXoc  (I>e  (7en.  an.,  I).  E  più  chiaramente  ancora: 'Aft  yàp  €v  Tw  efslivii  vppxst  xo  upOTspov  {De  An.,  II,  ii).  La scienza  moderna  non  ha  fatto  e  non  fa  che  confermare  questo  principio aristotelico;  ed  è  quel  medesimo  pronunziato  che  lo  Spencer  considera  sic- come chiave  del  processo  cosmico.  Ma  avvertimmo  già  1*  aspetta  man- chevole delle  dottrine  del r  illustre  scrittore  inglese;  che,  cioè,  se  il  Pro- cesso cosmico  è  davvero  una  creazione,  è  forza  che  nella  sua  natura altro  non  possa  essere  che  uua  teleologia,  un  processo  essenzialmente teleologico,  a  partire  dall'etere,  dalla  materia  nebulare  indeterminata, e  scendere  giù  giù  fino  all'atto  estremo,  alla  forza  che  diciamo  pensiero. Questo  dato  vitalissimo  manca  allo  Spencer  nonché  ai  Positivisti e,  come  vedremo,  a'  naturalisti  Darwiniani.  E  pure,  chi  ben  rifletta,  è un  concetto  essenzialmente  poeitioo^  perchè  è  un  fatto. rivelasi  la  prima  conversione  del  Fatto?  In  altre  parole :  in  qual  modo  s' inaugura  l' attuosità  creativa  del- l'universo?  La  natura  comincia  con  Tesser  conato.*  Ella dunque  comincia  come  sintesi  iniziale  e  confusa:  ella s' inaugura  come  materia  metafisica.* '    (YiCO,  De  Antiqui^.,  III). *  La  nuiteria  tnetaJUica  alla  qaale  più  voite  accenna  confasimente il  Vico  e  che  il  Rosmini,  come  toccammo,  non  interpreta  convenevol- mente,ò  neir  ordine  cosmico  e  naturale  ciò  che  nell'  ordine  psicologico ò  la  luce  tnetaJUica.  Nel  passaggio,  nell*  intervallo^  in  generale,  ha  luogo nn  novello  conato,  eh' è  il  momento  creativo,  il  parto  {a/orno  impedito) della  natura;  e  quindi  racchiude  qualcosa  d' intimo,  d*  universale,  di metafisico,  d'iperfisico,  di  scprassensibile.  Ecco  perchè  talora  nel  Vico non  v'  ha  divario  nelle  parole  conato,  momentOf  t/orto  impedito,  luce  meta/i» nea^mcUeria  metaJÌ9Ìca,virtue^vi»,  dvvxfJLi^y  «vT«).ffXJeav,  e  simili.  Però è  facile  incontrarvi  qualche  sentenza  di  questo  tenore  :  Lux  metaphyeica §eu  eduetio  virtutum  in  actue  conatu  gignitur.  (Op.  cit.,  C  IV).  Perciò  se si  vuole  interpretare  a  dovere  la  sua  mente,  il  valore  della  parola  co- nato, nella  quale  pone  radice  la  novità  della  cosmologia  Vichiana  e  Leib- niziana,  è  questo  :  che  il  conato  per  lui  sia  il  principio  concreto,  reale, vivente  della  natura:  che  sia  perciò  relazione  la  qual  comprenda  e  annodi in  organismo  vivente  i  tre  processi,  e  per  cui  risulti  come  la  molla  secreta deir  intero  Proceeeo  eoemólogico,  È  la  relazione  concreta,  e  reale  del  Fatto col  Vero;  cioè  del  Fatto  che,  in  quanto  divereo  in  sé,  diventa  Vero.  In una  parola,  è  la  eoetanxa  della  natura,  come  fra  poco  vedremo,  e  perciò  è Vdpx^  xivKj  Tcwc  d'Aristotele  (AfetopA)  ma  corretto  profondamen- te, e  però  trasfigurato  e  legittimato,  stantechè  non  sia  altrimenti  un  prin- cipio di  movimento  ipercosmìco,  ma  nn  principio  essenzialmente  eoemico, essenzialmente  naturale  ;  e  perciò  è  lo  stesso  movimento  che,  in  quant'  è motOf  si  rivela  come  autogenito.  Il  Gioberti  che  aveva  un  senso  isterico divinativo  tutto  suo  nel  saper  cogliere  in  certe  sentenze  l'aspetto  origi- nale d*  una  dottrina,  non  dubitò  scrivere  che  la  teorica  de'  punti  e  del  i eoncUo  del  Vico  ì  il  perno  del  tuo  eietema;  aggiungendo  che  per  questa parte  egli  è  arietotelico  e  platonico  ad  un  tempo.  {Protol.,  v.  I,  p.  259).  Che la  dottrina  del  conato  sia  il  perno  della  sua  cosmologia,  nessun  dubbio; ma  la  cosmologia  non  è  la  sua  metafisica.  È  dunque  il  perno,  è  la  molla della  sua  formola  eoemoloffica,  non  già  della  sua  formola  metaJUica:  il perno  di  questa  seconda  è  ben  altro,  come  s'è  visto  ne' tre  ultimi  ca- pitoli. Che  poi  in  questo  egli  sia  aristotelico  e  platonico  insieme,  è vero;  ma  è  tale  in  quanto  corregge,  trasforma  e  compie  i  due  vecchi filosofi,  e  perciò  in  quanto  li  accorda.  Nel  Platonismo  il  concetto  del conato,  al  modo  che  è  inteso  dal  Vico,  non  ci  è,  e  non  ci  può  essere, come  si  può  ricavare  da  tutti  que'  luoghi  ne'  quali  siamo  venuti  accen- nando rapidamente  a  quel  sistema.  Può  esserci,  e  vi  è  di  fatto  in  Aristotele, ma  confuso  e  indeterminato  cosi  che  non  si  lascia  riconoscere facilmente.  Al  qual  proposito  mi  sia  qui  lecita  nn*  osservazione  isterica. Ma  se  la  natura  comincia  con  V  esser  conato,  appunto perchè  conato  ella  dev'  esser  riguardata  sotto  doppio QualcQDo  potrebbe  confondere  questo  conato  del  filosofo  napoletano con  la  monade  leibniziana,  o,  pegfifio,  con  1*  ?pe$(?  aristotelica.  Lasciamo della  prima  perchò  ne  dicemmo  qualcosa  in  altro  luog^o.  Qnant'al secondo  osserro  che  tra  Voptl^ii  dello  Stagirita  e  il  conato  àe\  nostro filosofo,  ci  è  profondo  divario.  Accennammo  già  qualcosa  riguardo  al- r aspetto  esagerato  della  «aiMo  y!iMi2«  d'Aristotele.  L'ó^e^cc  certamente è  designato  da  lui  qual  moto  9pontaneo;  e  basti  per  tutti  questo  passo: Kcvftrac  yoLp  to'  xivouufvov  t?  òpiysrat^  xat  17  xévTio'c;  rtc opsl^ti  ^  t»spytia.  {De  Xn,)!  Ma  ò  poi  veramente  tale,  voglio dire  essenzialmente  spontaneo  cotest*  opegi^  d'Aristotele?  Non  sa- rebbe più  tosto  un  residuo  del  maestro  passato  nella  mente  dello  sco- lare ?  Aristotele,  avvertimmo,  rompe  la  terie  predara  in  due  modi  ;  con 1'  intdllgibUe  venuto  di  /uorOf  BvpstOiv,  e  con  la  canea  Jinale,  cioè,  col dender€tb%le  [70  òptxTÒv  xat  to'  voutÓv).  Luce  per  ribtelligenza,  dun- que, e  calore  per  la  volontà  vengon  d'altronde;  e  però  chi  determina  tanto .  il  peneiero,  quanto  la  tendenna,  è  il  pensiero  divino.  {Eih,  Eud.^  VII,  U). Ora  dunque  1*  opeHc'c  per  Aristotele  non  può  esser  davvero  spontaneo, se  no  si  contraddice.  E  tant*è  vero  che  la  natura  per  lui  non  ò  pro- priamente attiva  per  so,  che  non  mancò,  fk'a'  vecchi  aristotelici,  chi  pi- gliasse a  dimostrare  come  in  Aristotele,  in  forza  del  suo  medesimo  si- stema, debba  aver  luogo  la  eau«a  efficiente.  Se  Dio  infatti  ò  canea  finale^ per  ciò  stesso  ha  da  essere  anche  canea  efficiente  ;  tanto  pareva  ad  Am- monio (il  primo  a  dare  tale  interpretazione)  che  Aristotele  dovesse  met- tersi in  accordo  con  Platone.  (Yed.  Rayaisson,  Op.  cit.,  T.  II,  p.  539). Dunque  V  ops^i^  noir  Aristotelismo  ò  ?^e^cc  non  per  essenza  propria, ma  in  grazia  d*  un  determinante  estrinseco,  d*  un*  infiuenza  eeteriore  ;  la quale  influenza  non  essendo  stata  chiarita  nettamente  nella  sua  natura dal  filosofo  di  Stagira,  ha  fatto  e  fa  si  che  molti  i  quali  si  studiano d*  interpretarlo  benignamente,  credano  d'aver  buono  in  mano  per  assumerne le  difese,  e  fino  a  certo  punto  riescono  ad  aver  ragione.  Sennonché  il  vero concetto  dell'o^sHcc,  che  in  parte  risponda  al  conato  del  Vico  e  rap- presenti perciò  r  indirixMo  medio  in  siffatta  quistione,  sarebbe  da  riporre piuttosto  nella  nozione  di  svipyna  aTf>>i:,  la  quale  è  appunto  attiva per  sé,  ò  attiva  per  virtù  propria,  essendo  ciò  che  esiste  in  potenza,  ma in  quanto  s'avvia  all'atto;  e  s'avvia  per    medesima,  non  per  un  al- tro; s'avvia  e  procede  per  propria  essenza:  'O^óc  ttQ  ouTiav  {Me- taph,f  lY.)  In  altre  parole  è  ciò  che,  imperfetto,  non  ha  il  fine  in  so stesso,  e  quindi  lo  cerca.  E  lo  corca  non  perchè  ne  sia  attratto  (plato- nismo 0  aristotelismo  platonico),  ma  k1  perchè  ne  ha  bisogno.  E  se  lo cerca  e  ne  abbisogna,  vuol  dire  che  questo  fine  non  potrà  essere  un'il- lusione addirittura.  Perciò  Aristotele  determina  il  concetto  del  moto cosi:  Twv  apy.^£Mv  eiv  «tt/  taipoc^^  ov^sjMca  tjXoc,  àWà  t«v tapi  To  TsXo;.  {Metapk.).    Ci  slam  voluti  intrattenere  un  mo- mento su  questo  particolare  non  solo  per  chiarire  il  concetto  del  Vico sul  conato^  ma  anche  por  mostrare  1*  attinenza  ch'esso  ha  col  concetto  del rispetto.  Anche  del  Primo  cosmologico  possiamo  dire  qael che  dicemmo  del  Primo  psicologico:  egli  è  una  testa  di Giano;  ha  due  facce.  Il  conato  adunque  è  due  cose,  non una:  è  punto  e  momento^  (cf«7ft*i^  ^^v)  materia  e  moto, estensione  e  forza:  ma  e  punto  e  momento  di  natura metafisica^  che  vuol  dir  di  natura  potenziale,  virtuale, soprassensibile,  semplice,  indivisa,  universale.  In  altre parole,  il  conato  e  attuosità  concreta  e  reale;  ma  non è,  a  dir  proprio,    moto,    estensione,  bensì  virtii  di moversi,  e  d'estendersi:  e  come  virtù,  come  potenziaUtà, esso  in  generale  é  un  soggetto  identico:  Punctum  et MoYnentum  unum  sunt,  e  quindi  é  nel  medesimo  tempo numero  e  unità,  dualità  e  unità,  polarità  originaria,  e perciò  é  unitotalità  originaria,  concreta,  universale.  Ora il  conato  in  quanto  é  punto,  materia,  cioè  in  quant'  é soggetto  potenziale,  recettivo,  indeterminato,  omogeneo, indefinito  e  indefinibile,  é  il  ro  Ssrspov;  è  la  ^wa/xcc  come pura  capacità;  in  somma  é  il  Fatto  semplicemente  detto  ; il  Fatto  in  quanto  è  termine  di  conversione  dialettica  coi Grenerato.  Al  contrario,  in  quanto  é  momento,  ciò  é dire  materia  e  moto,  estensione  e  forza,  to'  Strtpov  e to'  notilo  e  però  to  ^warov,  é  il  Fatto  in  quanto  è  ter- mine di  conversione  cosmologica;  è  il  Fatto  in  quanto  é conversione  di    con    stesso;  e  quindi  é  sostanza semplice,  sostanza  universale,  sostanza  indivisibile  in sé,  ma  divisa  nelle  cose  che  sostiene.  Brevemente:  il conato,  guardato  come  puro  Fatto,  cioè  come  termine posto,  é  potenza  in  potenza,  come  direbbe  Aristotele (^uvfltfii;  ^uvot^n);  guardato  invece  come  termine  che  si pone,  come  soggetto  che  si  fa,  egli,  per  dirla  con  le significantissime  parole  del  Vico,  é  for/pa  che  si  fa  dentro moto  aristotelico,  il  quale,  inteso  a  doTere,  nono  tale  quale  d*  ordinario Tiene  interpretato  dagli  hegeliani.  £  ci  siamo  trattenuti  anche  perchè quest'ultimi  non  abbiano  a  pigliare  il  concetto  del  conato  per  Vopt^i^ giacché  nel  conato  del  nostro  filosofo  non  ci  è  necessità  dialettiche,  nò relaiioui  di  finalità  come  neiriperpsicologismo  aristotelico  fecchio  e nuOTo.  Il  conato  del  Vico  non  è  propriamente  VEatcre,  nettampoco  il NoH-ctnrc;  dunque  non  sarà  nemmanco  U  Divenire:  ecco  tetto. di    medesima:  perchè?  precisamente  perchè  SFOR- ZARSI È  UN  CONVERTIRSI  IN    STESSO;  0  perciò è  sostanza  che  si  sforsa  a  mandar  fuori  le  cose.  Che  il  ùonato  nel  concetto  vlchiano  sìa  la  sostanza  delle  cose  e costituisca  perciò  il  nerbo  della  sna  formola  cosmologica,  si  pnò  rìca- Yare  agevolmente  da  queste  sentenze.  Che  cos*è  la  sostanza?  Sattanza, in  genertf  d  ciò  eke  »ta  9otto  e  90$tiene  la  eoaa;  indivitibile  in  «^  divisa nelle  cote  eh*  ella  fottiene,  e  $oUo  le  dìvite  cote,  quantunqtu  disuguali,  vi §ta  egualmente,  (Risp.  al  Giom.  de*  Lett,).  Questa  deflnizione  non ha  che  vedere  con  la  definizione  Spinoziana  :  id  quod  existit  a  te  et  per «e.  Sono  entrambe  definizioni  nominali,  e  però  vere  o  falso  flnchò  non se  ne  faccia  applicazione.  Dal  modo  con  che  applicolla  Spinoza,  venne fuora  il  suo  panteismo  acosmico  geometrizzato,  con  quella  lunga  sequela d*  assurdi  che  ognuna  conosce.  Il  Vico  1*  applica  al  Fatto  in  quanto  si fa  Vero,  non  già  al  Vero  che  si  converte  col  Generato;  e  perciò  riesce a  schivare  ogni  maniera  di  panteismo.  Infatti  egli  dice:  Quello  che  i moto  ne*  corpi  particolari,  neiVunivereo  moto  non  è;  perchè  V universo  non ha  con  ehi  altro  possa  mutar  vicinanze,,...  Dunque  è  una  forza  OHB  fa DRNTBO  DI    MBDESiifo  :  questo  in  s^  stesso  sforzarsi,  ì  uno  in  sa  strsso convertirsi.  Ciò  non  pud  eseere  del  corpo,  perchè  ciascuna  parte  del  corpo avrebbe  a  rivoltarsi  contro  di    medesima.  Onde  questo  sarebbe  tanto,  quanto le  parti  dd  corpo  si  replicassero.  Dunque,  dico  io,  U  CONATO  non  è  dd OORPO,  ma  deU*  UNI  Visse  del  corpo  (Ibi).  Tutto  ciò  è  chiarito  e  confer- mato da  quest'  altra  sentenza  ;  Virtus  est  extensi,  e  perciò  prior  extenso  est, soUicet  inextensa.  {De  Antiq.,  IV).  E  spiegando  altrove  il  valore  di  quest* ul- timo concetto,  dice:  Io  mi  servo  eie* vocaboli  di  virth  e  di potetaa  appunto come  se  ne  servono  i  meeeaniei,  appo  i  quali  sono  voci  oelebratissime  :  con questo  perciò  di  vario;  cA'  essi  (parla  de*  Cartesiani  seguaci  detta  dottrina meccanica)  V  attaccano  ai  corpi  particolari,  ed  io  dico  esser  dote  propria  e sola  dell*  universo.  (Risp.  al  Oiom.  de*  LeU.),  E  tornando  al  suo  concetto gradito  del  conato,  dice  plh  aperto  :  Nel  mondo  vero  e  reale  vi  ha  un che  invisibile  che  produce  tutte  le  cose.  Ancora:  Uno  è  lo sforzo  delC  universo,  prrob2  dell*  univrrbo  :  ed  è  l*  indivisibile  centro  cui non  è  lecito  trovare  neU*  universo  (esteso),  e  cAe  dentro  le  linee  deUa  sua direzione  tutti  i  disuguali  pesi  sostenendo  con  egual  forza,  tutte  le  partieo' lari  cose  sostiene  insiememente  ed  aggira.  Questa  è  la  sostanza  che  si  SFORZA mandar  fuori  le  cose. È  impossibile  commentare  queste  sentenze.  Ci  vorrebbe  un  capitolo per  parola  ;  e  alla  fin  fine  poi  non  riesciremmo  che  ad  una  freddura,  ad una  ripetizione  fiacca  e  sbiadita.  Bisogna  dunque  farle  soggetto  di  medi- tazione severa, tramutarsele  in  sangue,  e  col  loro  sussidio  interrogare! fenomeni  e  le  leggi  del  mondo  sensibile.  Posti  intanto  questi  principi! cosmologici,  ecco  alcune  norme  metodiche  per  la  filosofia  della  natura  e delle  scienze  naturali  :  In  fisica  si  trattano  le  cose  per  termini  di  eorpo  t di  moto;  in  m^afisioa  trcUtar  si  debbono  per  qudli  di  sostanza  e  di  co- nato, E  come  U  moto  non  è  altro  realmente  che  eorpo,  cosi  il  conato  altro realmsnU   non  sia   che  sostanza,   L*  altro  domma  metodico  ri- Se  questo  è  il  cardine  della  cosmologia  del  nostro  filo- sofo, le  conseguenze  e  le  applicazioni  che  se  ne  traggono riescono  supremamente  feconde,  positive,  originali  in tutte  quante  le  sfere  delle  scienze  di  natura,  dalP  astro- nomia alla  fisiologia,  dalla  meccanica  celeste  alla  zoologia e  alla  zoopsicologia.  Noi  non  possiamo  intrattenerci  in queste  applicazioni,  e  ce  ne  duole.  Ci  ristringeremo  ad  ac- cennarne qualcuna,  e  rilevarne  V  aspetto  originale;  e  in- nanzi tutto  quella  risguardante  la  dottrina  del  Cronotopo. Se  la  sostanza  cosmica  è  una,  indivisibile  e  divisa nelle  cose  a  cui  sta  sotto  egualmente  per  diseguali  che queste  siano,  i  modi  essenziali  e  primigenii  in  che  ella si  determina,  sono  lo  spazio  e  il  tempo  puri  :  punto  e momentOj  virtus  extendendi  e  virtus  movendi.  Sennonché la  virtii  d' estendersi,  logicamente,  va  innanzi  alla  virtù del  moversi,  al  contrario  di  ciò  che  pensa  il  Gioberti; poiché,  al  solito,  se  il  Fatto  come  diverso  in    vuol  es- sere un  processo  autonomo,  avviene  che  la  prima  forma di  conversione,  la  prima  individuazione  cosmica,  deb- b'  essere  il  punto  che  divien  momento;  debb' esser  la virtù  d'estendersi  che  si  gemina,  e  assume  valore  di virtù  motrice.  Perciò  la  sostanza  in  quant'  è  virtus  exten- dendi,  inquant'é  pura  capacità,  è  V  altro,  è  il  diverso, è  il  Fatto  come  posto,  e  però  è  lo  spazio  infinito,  la  cui prima  determinazione  è  ciò  che  domandasi  etere  da'  mo- derni.* In  quanto  poi  è  virtus  movendi,  cioè  atto,  diverso gniardante  lo  stadio  delle  leggi  fisiche  ò  questo  :  L*  unica  ipoteti  (cioè  fin- zione speculativa)  per  la  qwd  dalla  MetaJUica  ndla  Fisica  discenda  giam- mai ti  po99a,  netto  le  matematiche;  e  che  il  punto  geometrico  eia  una  SOMIOLIANZA  del  metafieicOf  dot  della  sostanza  ;  e  eh*  ella  aia  coea  che  vera- mente t,  ed  i  indivisibile;  che  ci    e  sostiene  distesi  uguali  con  egual /orza  :  perche  per  le  dimostnxzioni  del  Galilei  ed  altre  piene  di  meraviglittf le  disuguaglianze  quanto  si  vogliono  grandi,  ritirandoci  al  lor  principio  in- divisibile, cioì  ai  puntiy  tutte  si  perdono  e  si  confondono.  (Ibi,  174),  ti  ap- pena bisogno  d*  avvertire  che  con  la  sua  dottrina  cosmologica  ei  non  fa che  interpretare  ed  elevare  ad  altezza  metafisica  positiva  V  esigenza  del metodo  Galileiano.  Nelle  lor  relazioni  ideali  Galileo  e  Vico  si  richiamano a  vicenda.  (Ved.  il  nostro  Disc.  DanU,  Galileo  e  Vico,  Firenze,  Celliul). *  L'esistenza  déìVetere  od  abaro  (come  con  ragione  vuol  chiamarlo il  nostro  valoroso  e  valente  Colonnello  Pozzolinì)  che  per  i  fisici  è  una in  $èj  0  Fatto  ohe  si  fa,  la  sostanza  è  il  cominciamento originario,  autogenito  della  natura,  e  perciò  indipen- dente da  Dio.  Ed  è  affatto  indipendente  da  Dio  nel suo  svolgimento,  e  però  nelle  sue  leg{2p,  appunto  per- chè, come  fu  mostrato,  Dio  pone  il  mondo  non  già  come attuale,  anzi  come  potenziale.  Perchè  dunque  il  punto diventa  momento?  Per  necessità  della  propria  essenza: vo'  dire  perchè  è  diverso  in  se;  perchè  è  sformarsi  che è  uno  in    stesso  convertirsi.  Se  adunque  come  mate- ria il  conato  è  confusione,  impenetrabilità,  pura  ca- pacità; come  virtù  di  moversi,  invece,  è  cominciamento d' ordine,  inizio  di  cosmos  finteli'  atomo,  nelP  esteso  me- tafisico il  quale,  essendo  medesimezza  e  differenza  in atto,  rappresenta  perciò  la  prima  dualità  in  cui  forza e  materia  formano  un  medesimo  subbietto.* ipoteti  della  quale  non  possono  in  yenin  modo  prescindere,  nella  fonnola cosmologica  del  Vico,  invece,  assume  valore  di  teti.  Essi  non  sanno  dir che  cosa  sia  quest'eeere.  Noi  sanno  oggi^  e  noi  potranno  saper  mai: perchè?  Per  la  semplice  ragione  ch*ei  trascende  la  mente:  e  la  tra- scende in  quanto  che  riguarda  un*  attinenza  della  sostanza  come  potta, non  già  della  sostanza  come  causa,  come  forza.  Perciò  riguardando  il  dato della  creazione,  ne  Tiene  che,  por  intendere  questo  dato  in  qualche  maniera, bisognerà  filosofare;  e  per  filosofare  in  modo  serio  e  positivo  e  razio- nale bisogna  ricorrere  alla  formoUi  cotmologica  del  nostro  filosofo.  Non V*  è  scampo:  o  questa  formola,  oppure  il  concetto  inintelligibile,  gros- solano e  balordo  d*una  materia  concepita  qual  ricettacolo  assoluto  e generativo  d*  ogni  cosa  :  eh'  è  propriamente  (chiedo  perdono  a  tutti  i materialisti  e  meccanicisti  vecchi  e  nuovi)  un  concetto  da  cretini! *  Dunque  il  cronotopo  non  è,  come  pretendono  i  Leibniziani,  la  succes- sione e  coesistenza  di  punti  e  di  momenti;  teorica  al  tutto  empirica la  quale  non  ispiega  nulla  di  nulla,  perchè  non  addita  la  ragione della  coesistenza.  Non  si  può  dir  nemmeno  pertinenza  deir  Assoluto  in quanto  ì  V  Idea  ad  extr(h  Videa  come  potnbUità  infinita  (GiOBRBTi,  ProtoU, Sagg.  Ili);  ì°  perchè  non  s'intende  che  cosa  mai  sia  codest'Idea  ad extra;  2^  perchè  s*ella  è pottihilità infinita,  come  tale  appartiene  al  Fatto, il  quale  in  quanto  conato  è  precisamente  un'  infinita  po$9ÌbilitiL  Non  è poi  relazione  tra  U  finito  e  V  infinito  (FoRNABi,  DeW  Arm.  Univ.^  DiaL  I) perchè,  se  così  fosse,  dovendo  i  termini  partecipare  alla  natura  della relazione,  ci  avrebbe  a  essere  spazio  e  tempo  anche  nell' infinito!  Final- mente non  è  la  prima  e  immediata  esistenza  detta  Idea  (Spaventa,  Mem, mi  Tempo  e  tulio  Spazio,  negli  Atti  dell'  Accad.  di  Nap.),  perchè  1*  Idea è  incapace  di  rivestire  spazialità  e  temporalità  per  le  ragioni  altrove  ac- cennate. Dunque  che  cos'è  cotesto  cronotopo?  È  precisamente  il  conato; Abbiamo  detto  che  V  atomo  è  l' esteso  metafisico. Esso  dunque  è  la  compenetrazione  del  punto,  e  del  mo- mento :  è  il  punto  divenuto  momento  ;  è  la  virtù  d' esten- dersi che  s' estende  in  quanto  si  move.  Neil'  atomo  per- ciò, neir  esteso  metafisico,  trova  pienissima  applicazione il  pronunziato  del  Vico:  ptmctum  et  mofnentum  unum sunt  In  altre  parole:  che  cos'  è  V  atomo?  È  V  estrema realtà  (non  astrazione)  cui  possa  poggiar  la  mente. Dunque  è  la  prima  realtà  onde  move  la  natura.  Anche in  seno  all'atomo  quindi  si  dee  verificare  ciò  che  i  fisici oggi  riconoscono  in  molti  fenomeni;  il  principio  della polarità.  L'esteso  metafisico  è  un'essenzial  dualità;  è forza  e  materia  in  atto;  è  la  determmazione  originaria, autonoma  della  doppia  virtii  estensiva  e  motrice.  Dun- que è  la  prima  conversione  del  Fatto,  in  quanto  il Fatto  è  un  subbietto  diverso  in  sé.  Perciò  è  il  primo momento  della  creazione  propriamente  detta:  il  mo- mento solenne  in  cui  la  forza,  nascendo  nella  materia (non  dalla  materia),  si  crea.' ma  il  conato  in  qnanto  ò  polarità  essenziale,  essenzial  dualità.  È  la sostanza  stessa  del  mondo  in  quanto  ha  una  doppia  faccia:  estensione e  forza;  wirhu  extendendif  e  virtù»  movendi.  Ora  se  il  conato  è  un  su- bietto essenzialmente  duplo^  essenzialmente  polare,  ì  moderni  fisici  non possono,  non  debbono  menomamente  ripudiarne  il  concetto,  che  anzi accettandolo,  giungerebbero  a  spiegare  più  d'  una  loro  ipotesi. Chi  dunque  dice  fona,  dice  ereazione:  ecco  il  rero  dinamismo,  il dinamismo  positi?o.  Perciò  erra  tanto  il  materialista  grossolano  quando afferma  ch/D  la  forza  naaea  dalla  materia,  o  ne  sia  una  pura  e  semplice determinazione;  qnanto  il  dinamista  puro  (Hibn,  Cotuiquence»  phil.  et mHaph.  de  la  Thirmodinamique,  Paris)  che  pretende  concepire  la fona  anteriore  alla  materia!  La  forza  Don  nasce  dalla  materia,  o  per  la materia.  La  forza  si  pone,  e  perciò  si  crea  nella  materia.  Il  suo  nascere è  creare  nel  Tero  senso  della  parola;  è  uscire  ex  nihilo,  E  qual  è  il  nulla  f Il  nulla  del  filosofo  cattolico,  no:  cotesto  nuUa  ò  impossibile,  perchè  ò inconcepibile.  Dunque  è  la  materia,  ma  la  materia  considerata  come  puro Fatto,  come  pura  capaciti,  come  possibilità.  Platone  la  diceya  ricetta- colo, e  diceva  benissimo.  Dov'errava?  Errava  gravemente  nel  determinare il  modo  con  che  nel  contenente  sorga  il  contenuto.  È  precisamente  Ter- rore del  materialista  moderno.  La  forza,  dice  questi,  suppone  la  materia. Certamente!  ma  non  ò  pnra  e  semplice  trae/ormanane  o  modiJicoMione  o qualità  di  materia.  La  materia  in  qnanto  diventa  forza  è  conato  :  e  perciò (ripetiamolo)  ò  intervallo  già  superato;  ò  atto  propriamente  detto,  e Se  intanto  l'atomo  è  an'essenzial  dualità,  in  esso  è l'esigenza  dell'altro  atomo,  delle  molecole,  del  corpo,  del- l'organismo atomico.  Ma  ecco  tosto  nn  dilemma:  o  l'atomo è  semplice,  o  è  composto.  È  egli  semplice?  Dunque non  può  dare  il  composto.  È  egli  composto?  Dunque richiede  il  semplice.  Dilemma  seriissimo,  davvero. L'atomo  non  è  l'una  cosa  ne  l'altra;  o,  più  ve- ramente,, è  r  una  cosa  e  l' altra  insieme.  Se  l'atomo,  è conato,  momento  in  cui  la  materia  e  la  forza  si  com- penetrano; come  dirlo  semplice?  come  dirlo  composto? Pertanto  se  l' atomo  è  conato,  perciò  racchiude  l' esi- genza degli  altri  atomi.  Dunque?  dunque  l'atomo  non  ha figura  in  quanto  è  un  esteso  metafisico,  ma  ha  figura  in quanto  si  marita  e  si  converte  con  altro  atomo:  la  figura è  un  risultato.  Or  se  l' atomo  è  virtii  d' estensione  che  si attudij  avviene  che,  come  tale,  e' debba  essere  attrazione: e  s'egli  è  virtii  di  moversi  in  atto,  avviene  altre»  che, come  tale,  e'debb'esser  moto  essenzialmente  rotatorio} Se  dunque  1'  atomo  in  quanto  conato  è  insieme  iden- tico e  diverso,  perciò  è  in  sé,  e  fuori  di  se;  è  per  sé, e  anche  per  V  altro;  abbisogna  dell'  altro.  Per  questa comune  proprietà  gli  atomi  ci  rendon  quasi  immagine delle  idee  platoniche,  la  cui  vita  sta  nell'  essere  essen- qaindi  è  atto  naovo,  atto  creatÌTo.  — Eccoci  al  miracolo!  sento  grridarmi. Precisamente  al  miracolo  :  ma  gli  è  nn  miracolo  essensialmente  naturale, unlversaie, necessario;  e  per  consegnenza  non  ò  miracolo.  Se  dunoue  VeaUto metafinco  è  la  forza  in  quanto  si  genera  nella  mcUeriiif  ne  viene  cne  VaUnno ha  da  essere  tutt* altro  che  inerte.  Anzi  è  la  materia,  è  V etere,  è  Y  abaro,  è quel  quid  nebulare  primitivo  che,  da  unità  indeterminata,  passa  ad  essere anche  forza,  profonda  energìa  in  cui  e  per  cui  sMnaugura  il  Prooeeeo fieieo.  Se  così  non  fosse,  io  domando,  come  farebbe  il  chimico  ad  inten- der le  leggi  deir  affinità?  E  se  così  non  fosse,  la  moderna  dottrina  del- Tatonicità  non  andrebbe  in  fumo? '  Questo  è  il  moro  etemo  e  continuo  dell*  Aristotelismo,  cagione  d'ogni moto,  il  quale  perciò  non  può  non  ettere  un  moto  circolare  nello  epaxio {Phye,,  Vili,  ix),  e  come  tale  è  moto  naturale  d'un  elemento  eempliee  du non  ha  contrari,  {De  Cod.,  I,  li).  Al  Motore  motto  bisogna  sostituire  il Conato  ;  e  il  moto  circolare  non  avente  contrari  bisogna  darlo  all'  essenza stessa  deir  atomo,  dell*  eeteeo  metafieieo.  Ecco  una  delle  correzioni  vitali della  cosmologia  aristotelica  richieste  logicamente  daU'  indirimco  medio. zialmente  relative.  L' atomo  qaiadì,  in  quanto  è  medesimezza, è  attrazione;  in  quanto  è  medesimezza  e  di- versità, è  rotazione  e  circolarità.  Dunque  può  dare  ori- gine al  moto  per  induzione  e  rivoluzione,  che  à  moto secondario  e  derivato.  Or  questa  legge  si  verifica  in  una lunga  serie  di  fenomeni;  luce,  elettrico,  calorico,  magne- tico.' Si  verifica  ne'  grandi  coi*pi  dell'  universo.  Perchè non  dovrà  verificarsi  altresì,  e  principalmente,  in  seno alla  stessa  vita  intima  degli  atomi?  Attrazione  e  rota- zione, dunque,  riduconsi  ad  un  sol  fatto  primitivo,  universale, assoluto.  Il  conato  è  moto  essenzialmente  ro- tatorio ;  e  quindi  è  la  sorgente  prima  d' ogni  e  qualun- que forma  di  moto.  La  legge  di  rotazione  perciò  è  legge universale;  ed  è  la  sostanza  stessa  cosi  delle  grandi, come  delle  piccole  masse:  Questo  in  se  stesso  sforearsiy è  uno  in  se  stesso  convertirsi.* Le  conseguenze  di  questa  dottrina  cosmologica  sono evidenti,  originali,  modernissime. n  vuoto  è  un  assurdo;  perchè  è  un  assurdo  il  nulla.' Esiste  dunque  V  universo  infinito  ;  ed  è  tale  non  come mondi,  ben^i  come  conato,  come  sostanza  universale determìnantesi  ne'  due  attributi  essenziali  della  spazia- lità e  temporaneità  pure.  È  un  assurdo  il  moto  comu- nicato, perchè  è  un  assurdo  che  la  forza  si  rompa,  si scinda,  si  divida:  senza  dir  già  che,  se  è  vero  che  la  forza debb'essere  anche  materia,  la  comuniccmone  del  moto  im- porterebbe la  compenetrazione  e  insieme  la  inerzia  degli atomi,  ciò  che  costituisce  un  doppio  assurdo.    È  uYi '  Ved.  a  questo  proposito  la  bella  Mem.  del  Poxzolini  {Indumone delU  forte  finche,  Bologna,  18^8),  il  Baudrimoni,  Atomologie  (1861)  e  le tre  Memorie  eu  la  atrtUtura  cUi*  Corpi.  (Bordeaux) *  Ved.  la  Mem.  su  la  Legge  univeraale  di  rotazione  del  nostro  amico prof.  Bàrbera,  della  quale  accettiamo  in  gran  parte  la  dottrina  perchè ci  sembra  un'applicazione  rigorosa  de*principii  cosmologici  del  Vico.  Del Bàrbera  merita  esser  letto  il  discorso  stupendo  sul  Newton  e  la  Filoeofia Naturale  (Napoli,  1870).  La  Memoria  poco  fa  citata  del  Pozzolini,  come  que- sti due  scritti  del  Bàrbera,  sono  i  primi  segui  d' una  riforma  seria  delle scienze  astronomiche  e  della  filosofia  naturale  in  Italia.  Abibt.,  PAy«.,  IV,  Tiii. assurdo  che  il  moto  universale  cominci  e  finisca,  poiché è  un  assurdo  che  il  mondo,  che  è  pur  egli  necessario come  termine  di  conversione  dialettica^  abbia  principio e  fine.  È  un  assurdo  un  impulso  primitivo  impresso  da Dio  alla  materia,  ciò  che  è  V  esigenza  illegittima  del fiacco  Peripatetismo,  dell'Aristotelismo  platoneggiante: perciò  assurda  e  gratuitamente  ipotetica  la  base  nella quale  s'appoggia  la  teorica  Newtoniana  su  T origine  del moto. È  un  assurdo  che  la  materia  diventata  forza, ciò  è  dire  l’atomo,  tomi  ad  esser  pura  materia;  perciò assurdo  che  la  forza  cessi  d'esser  quella  che  è  nella  sua essenza,  e  che  si  sperda,  che  decresca,  o  si  menomi  in qual  si  voglia  modo.  Sono  dunque  un  assurdo,  sono  indovinelli da  algebrisH  quei  conti  e  racconti  di  certi facili  calcolatori  matematici  che,  come  il  teologista  e  il millenario,  segnano  già  ne'  secoli  futuri  la  fine  e  lo  spe- gnimento della  terra.  Ne' loro  problemi  essi  dimenticano che  la  forza  è  creazione:  e  dimenticano  troppo  facil- mente, che  creare  vuol  non  dire  annullamento. U  conato  adunque,  è  il  vero  motore  immobile  e  mo- bilissimo dell'universo;  è  l'universo  stesso  in  quanto  è infinita  potenzialità;  è  V  àpxrì  xcv)ic  intrinsecato,  es- senziato  con  l'universo  stesso.'  Come  tale  l'universo procede  di  numero  in  numero  (secondo  la  frase  del Bruno)  svolgendosi  come  mondi  nelle  successioni,  e perciò  è  infinito  nel  tempo;  e  come  tale  anche  l'uni- verso, come  il  pensiero  nel  formarsi  il  concetto  dell'As- soluto, rende  a  Dio  la  pariglia. Cosi  il  principio  cosmo- '  LìtìQUB,  Le  premier  moteur  et  la  nature  dame  le  tyetòme  tTArietote Paris.  V.  a  qoesto  proposito  con  che  assennatezza  crìtica  il Barthélemy  Saint-HUaire  dÌMOm  su  la  Cosmologia  aristotelica  (PAyttgiM trad,  en  /rangaie  et  aceompagnie  dCune  paraphraee  et  de  note»  perpetueUe», Paris,  Introd.  V.  L) *  Cosi  resta  lesrittimato  il  concetto  su  V  Universo  e  su  lo  Spaaio  del filosofo  Nolano.  Egli  pone  Io  spazio  come  infinito  e  però  infinito  anche r  universo  che  è  nello  spazio  [DeW  Infinito  Univereo  e  Mondi,  DinL  I.) L*  uniTerso  certamente  ò  inAnito,  ma,  ripetiamo,  ò  tale  in  quanto  è  eo- naio  ;  e  così  pure  lo  spazio.  Perciò  Mondo,  Univerto,  Spazio  ec.,  sono  in- finiti nella  successione,  che  tuoI  dire  nella  lor  potenzialità. logico,  o  meglio,  il  Primo  cosmologico  del  Vico,  in  men- tre che  corregge  la  vecchia  cosmologia  de'  Platonici  e degli  Aristotelici,  condanna  ad  un  tempo  quella  de’ neo- aristotelici empirici  e  degl'  iperpsicologisti,  legittimando r  esigenza  de'  meccanici  e  de'  dinamisti,  de'  Cartesiani  e de'Leibniziani,  che  vuol  dire  della  materia  e  della  forza.* I  moderni  cosmologi  avran  fatto  moltissimo  quando avranno  ridotto  ogni  fenomeno  ad  un  ultimo  fenomeno.* Essi  così  dimostreranno,  o  meglio,  verificheranno  la vecchia  divinazione  aristotelica.  Ma  si  dovrà  arrestar qui  la  Cosmologia  razionalmente  positiva?  No,  certo.  U suo  grande  problema  sta  nel  dimostrare  (e  dimostrare non  vai  mostrare)  come  quest'ultimo  e  irreducibile  e universal  fenomeno,  sia  precisamente  la  sostanza  stessa delle  cose,  la  vita  stessa  degli  esseri,  la  vita  dell'uni- verso che  il  Vico  rassomiglia  ad  una  fiumana  onde sgorga  acqua  sempre  nuova  e  perenne:  H(BC  est  vita rerum,  fluminis  nempe  istar  quod  idem  videtur,  et  sem- per  alia  atque  alia  aqua  profluit} Se  il  Processo  fisico  s' inaugura  col  conato  in  quanto è  un  esteso  metafisico  e  risolvesi  con  l'estrinsecazione della  forza  nel  seno  stesso  della  materia;  ne  viene  che tal  debba  essere  altresì  il  corpo  nella  sua  sostanza; È  inutile  mostrare  come  il  concetto  del  nostro  filosofo  sul  Conato  sia una  correzione  del  conato  leibniziano.  Mostrammo  già  raffiniti  tra  il  Leib- nltz  e  il  Vico.  Con  la  dottrina  del  conato  questi  filosofi  ci  rappresentano  en- trambi r  indirizzo  medio  dell*  Aristotelismo  negli  studi  cosmologici. (P.  183.)  Ma  il  Nostro  supera  quel  di  Lipsia,  perchè  il  suo  conato  è  essen- zialmente un  e«(e«o  reale,  metafisico,  non  già  fenomenico,  ed  apparente. Questo  concetto  manca  assolutamente  nella  Monadologia, *  Gens,  il  LoYR  {E§9ai  9ur  Videntité  de»  agentt  qui  produigent  ec., Paris  1861.)  Obovr  {Correlation  de»  force»  phi/9Ìque§,  trad.  Moigno,  1856). E.  Saiqry  {E8»ai»nrVunité  de»  phenomène»  nature!»,  Patìs  1867.)  A.  Sroohi {Unità  ddle  forze  fiticke  ec.  Roma  1864),  Dr  BoocHRPORif  [Du  principe generale  de  la  PhU.  naturale,  Paris  1858).  A.  Obuyrb  {Principe  de  PhU, Phyeiqtte  ec.) "  De  Antiqui»».,  p.  109.  Gom*  è  evidente,  è  il  concotto  fisico  dell*  indi- rizzo medio  aristotelico:  La  vita  universale  della  natura  non  conosce  riposo, nò  morte:  Kac  toOto  flèOxvarov  xac  an'auTrov  xinapytt  roi^  ouTtv^ otov  ^a)>j  Ttc  ouffa  toì;  fxivtt  ^uvio-tùtc  notvtv.  Phy».,  Vili,  i. Siciliani.  8f forza  attuata;  monodinafnia ;  e  però  sorgente  perenne  di forze  fisiche,  meccaniche,  chimiche,  dinamiche.  L'atomo è  sfornito  di  centro,  perchè  è  centro  egli  stesso.  Il  corpo lo  possiede  cotesto  centro  ;  ma  è  di  natura  ideale,  e  perciò rende  immagine  dell'  universo  stellare  nel  quale  il  cen- tro non  è  in  alcun  luogo,  e  pure  è  dappertutto,  il  moto nel  corpo  è  monotono  ;  è  un'  etema  produzione  di  forza  ; e  questa  forza  non  è,  a  dir  proprio,  la  vita.  Però  è  un conato  onde  V  analisi  delle  forze  omogenee  e  de'  comuni agenti  di  natura  tende  ad  elevarsi  alla  sintesi;  ed  è  (ri- petiamo) lo  sforzo  del  numero  che  volge  ad  unità.  Or  la necessità  di  questo  conato  non  importa  egli  un  altro intervallo?  Il  centro  dunque  si  manifesta  nel  vegetabile, e  s' inaugura  il  mondo  degli  organismi.  Posto  il  Processo fisico,  la  forza,  nata  già  nella  materia,  qui  nasce  in  sé stessa,  qui  rinasce,  qui  si  rinnova,  e  qui  è  vita.  Ma  neanche il  vegetabile,  a  dir  giusto,  possiede  un  centro  reale.  Dun- que il  vegetabile  non  è  vita,  bensì  passaggio,  e  quindi strumento  di  vita.  11  Processo  fisico  perciò  trae  seco  il processo  geologico;  e  la  genesi  della  forza  importa  la genesi  della  terra.  Il  processo  geogenico  alla  sua  volta importa  il  Processo  organico  (vegetale  e  animale)  e quindi  il  Processo  paleontologico,  entro  cui  si  vengono accumulando  e  sovrapponendosi  cento  e  mille  faune  e flore.  Dalla  roccia  cristallina  non  istratificata  e  non fossilifera  alle  più  recenti  produzioni  geologiche;  dal jeriodo  antizoico  al  post-pliocene  e  all'  attuale,  rivelasi tutto  un  processo  di  forza.  È  il  Fatto  che  si  fa  come forza,  ma  in  quanto  è  altresì  conato  alla  vita.' *  DaU*  epoca  eotoica  nella  qaale  a*  annunzia  la  prima  aara  vitale,  e molto  più  dair  epoca  paleozoica  alla  oenozoiea  e  da  questa  ali*  età  poti- Urxtarifi  (quaternaria),  accade  che  col  processo  fisico  e  g^logico  si  marita  il processo  paleontologico,  e  così  ci  si  manifesta  la  continuità  della  vita  at- traverso  le  forme  organiche  passate  o  presenti.  Or  se  tutto  ò  processo e  conversione  e  perciò  successione  costante  di  fatti  regrolati  da  lejrgi necessarie  ed  immutabili,  ne  viene  che  i  cataclismi,  riferiti  a  cagioni ipercosmiche,  contraddicono  evidentemente  alla  ragion  filosofica  positiva, nò  V*  ha  interpretazione  benigna  ed  ingegnosa  della  critica  teologica  che sappia  legittimare  la   cronologia  mosaica  ed  il  racconto  biblico.  Ma  a Ma  come  avviene  egli  il  passaggio  del  Processo  fisico air  organico,  e  quindi  U  passaggio  della  forza  alla  vita? Avviene  per  legge  di  conversione  ;  la  quale  perciò,  sup- ponendo r  intervallo,  importa  la  differenza.  S'invocano, al  solito,  anelli  intermedi  nel  r^no  vegetabile.  Ma  forse che  il  vegetabile  rappresenta  il  transito  eflFettivo  tra  il minerale  e  l' animale?  SMnvocf  no  analogie  esteriori  fra certi  minerali  e  certe  piante.  Ma  forse  che  accanto  alle analogie  non  sorgono  diflFerenze  profonde?  *  S' invoca  la eterogenesi,  e  se  ne  traggono  disparate  illazioni  secondo il  sistema  che  si  vuol  propugnare,  come  se  la  genera- zione spontanea  possa  soggiacere  a  dimostrazione.* noi  non  ci  ò  permesso  intrattenerci  intomo  a  questa  particolarità. Solamente  ci  preme  d*  aTfertire  che  il  concetto  del  procetio^  nella  Geo- logia e  nella  Storia  naturale,  forma  oggi  V  onore  del  Lyell  e  di  Darwin. Ma  se  la  Sdenta  Nuova  ò  la  dimostrazione,  o,  per  lo  meno,  1*  esigenza del  processo  isterico,  in  essa  è  racchiusa  la  verità  della  moderna  geo- logia e  zoologia.  Quando  il  Vico  dice  che  i  fllosoA  prima  di  lui  avefaii ricercato  Dio,  la  scienza,  il  divino  nel  mondo  della  natura  e  non  per ancho  in  quello  della  storia,  ei  s' ingannava.  La  vera  scienza  di  natura, in  generale,  sta  nel  conoscere  principalmente  due  cose:  i^  il  doppio processo  geogenico  e  organico  (paleo-zoologico),  in  modo  affatto  spe- rimentale; 2*  neir  annodarli  entrambi  in  guisa  razionale  col  processo isterico.  Or  la  scienza  di  natura  condotta  a  questa  maniera  è  posteriore a  lui,  essendo  nata  e  cresciuta  principalmente  sotto  gli  occhi  de' due dotti  inglesi  poco  fa  mentovati,  mentr'  ei  non  faceva  che  inaugurarla  pre- venendone i  grandi  risultati.  E  questi  insigni  risultati  preveniva  non già  producendo  scoperte  geologiche,  zoologiche  e  paleontologiche,  ma incarnando  i^el  processo  de*  fatti  umani  V  esigenza  del  metodo  isterico, e  gettando  i  germi  d*  una  dottrina  cosmologica  nella  quale,  come  s*  ò visto,  è  racchiusa  la  necessità  del  processo  universale,  e,  iu  questo,  la necessità  del  triplice  svolgimento  fisico,  organico  e  storico. *  I  vecchi  naturalisti  pretendevano  rintracciare  argomenti  in  favore della  continuità  reale  fra  questi  due  processi,  notando  la  struttura  mirabUe e  squisita,  per  es.,  deirArragonite  cotanto  affine  a  quella  d*uno  de* più elementari  vegetabili;  come  se  nel  cristallo  la  composizione  semplice,  uni- forme, immobile  cosi  nel  tutto  come  nelle  parti  e  senza  centri  ne’ suoi  nuclei ed  elementi,  avesse  che  vedere  col  composto  organico  più  rudimentale  ! *  Il  fatto  della  eterogenesi  è  tuttora  un*  ipoUsi,  e  probabilmente  re- sterà sempre  tale  nel  campo  della  osservazione,  ma  è  ten  nella  mente del  filosofo.  Gli  eterogenisti  s'affaticano  a  dimostrare  coi  fatto  ciò  che già  di  per  so  stesso  ò  fatto  !  La  genesi  spontanea,  appunto  perchè  tale, non  è  un  fenomeno  di  trasformazione  d*  indole  meccanica  della  /orna alla  vita:  essa  importa  già  un  transito,  e  quindi  un  intervallo.  Come Per  la  medesima  legge  avviene  il  passaggio  dal  ve- getabile air  animale.  È  vecchio  il  pregiudizio  per  cui si  è  creduto  che  Tun  ordine  d'esseri  si  congiunga  al- l' altro  col  digradarsi  del  processo  superiore,  e  col  per- fezionarsi deU'  inferiore.  Il  pesce  si  congiugne  con  l' an- fibio ;  gli  anelli  zoologici  inferiori  s'  annodano  co'  vege- tabili superiori,  e  simili  immaginazioni.  Oggimai  è  d' uopo raccomandarci  alla  paleontologia,  e  alla  geologia.  Queste scienze  ci  additano  un  processo  quasi  parallelo  ne'  due ordini  in  che  viene  sdoppiandosi  la  vita  sin  dalle  sue origini  primitive.*  Il  Processo  organico  dunque  non  può danque  potrà  esser  possibile  in  tal  caso  una  prova  sperimentale  seria e  irrepugnabile?  Ti  sono  parecchi  sperimenti,  io  lo  so.  Ma  come  fatti? Quante  e  quali  cautele  sono  state  adoperate  ?  La  questione  della  genesi spontanea  ò  mal  posta.  E  poiché  il  naturalista  non  ò  in  grado  di  porla diversamente  di  quel  che  fa,  sarà  quindi  necessario  abbandonarne  la  so- luzione ad  altro  metodo,  ad  altra  maniera  d*  investigazione.  In  somma è  una  questione  essenzialmente  filosofica:  si  diano  pace  i  travagliati seguaci  del  Pasteur  e  del  Poullet! *  Neir epoca  j9aZ«oltKeaapparÌ8con  le  grittogame  superiori  :  indi,  nel- l' epoca  nuéoUtica^  le  piante  conifere  :  appresso,  nell*  età  oenoUtica^  le  fa- nerogame ;  e,  finalmente,  nelP  età  antropolUica,  o  meglio  pott-terxiarta,  si manifesta  la  flora  attuale.  Ecco  qui  un  processo  nella  flora  primitiva.  Il medesimo  reggiamo  nello  svolgimento  della  fauna.  Co*  più  modesti  tipi vegetabili  s*  accompagnano  i  più  bassi  tipi  zoologici  negli  strati  inferiori che  ci  rappresentano  l'età  originaria;  e,  nella  medesima  epoca  negli  strati superiori  veggiamo  lu  prime  forme  di  pesci,  accanto  alle  quali  appariscon le  grittogame.  Con  le  conifere  appaiono  i  rettili  ;  e  negli  strati  superiori additatici  dal  periodo  eenolitico,  appariscon  gli  uccelli.  Ai  rettili  ed  agli uccelli,  dappresso  alle  fanerogame  teugon  dietro  e  si  manif^tano  le  forme inferiori  de’ mammiferi  ;  e  negli  strati  superiori  del  perìodo  terziario  si rivelano  le  primo  tracce  del  regno  umano.  Alla  flora  attuale  poi  s*  ac- compagrna  T attuale  fauna;  il  processo  riesce  evidente  anche  qui,  e  il  ri- scontro ne'caratteri  generali,  nella  flsonomia  e  nell*  insieme  delle  rela- zioni geografiche  e  biologiche,  toma  evidentissimo.  Vegetabile  e  Animale, dunque,  sono  due  correnti,  per  cosi  dirle,  che  movon  da  una  medesima sorgente.  Elle  si  rassomiglian  nella  semplicità  ed  omogeneità  delle  for- me primitive  ;  e  tal  riscontro  è  più  spiccato  in  ragione  che  il  panteolo- gista  ascende  verso  il  centro  comune.  Sennonché  il  processo  nella  serie zoologica  è  assai  più  compatto  e  variato;  lo  svolgersi  è  più  rapido,  e  l'at- tuarsi di  questo  svolgimento  è  più  intricato  quanto  più  ci  accostiamo  alle recenti  formazioni.  Tal  è,  per  es.,  lo  sviluppo  che  ci  palesano  gli  arti- colati e  i  vertebrati,  a  differenza  del  modo  con  che  si  vanno  svolgendo le  classi  de*  vermi,  de*  molluschi,  de*  celenterati,  degli  echinodermt non  esser  di  natura  essenzialmente  polare.  Il  vegetabile e  r  animale  ci  rappresentano  incarnata  la  legge  univer- sale della  dualità;  la  quale  movendo  dalF unità  sintetica iniziale  e  confusa  e  passando  per  V  analisi,  riesce  ad  una sintesi  concreta,  determinata,  analizzata.  La  vita  è  vita  in quanto  si  diversifica:  è  vita  in  quanto  si  etereogenizecu^ Ma  dov'è  la  radice  primitiva  ond'emerge  questa  doppia scala  in  cui  e  per  cui  la  forza,  incarnandosi,  diventa vita?  Non  si  discerne  cotesta  radice:  non  si  verifica;  né si  può  verificare.  Fin  negli  strati  primigeni  dell'  età  ar- cheolitica  vi  è  tracce  di  vita  animale  e  vegetale.  Dunque il  fatto,  r  osservazione,  ci  pone  sott'  occhio  una  dualità. Ma  una  dualità  originaria,  ripetiamolo  anche  qui,  non  è un  assurdo?  Dunque  l'analisi,  il  fatto,  suppone  già  una sintesi  rudimentale,  in  cui  sia  germinalmente  contenuta  la doppia  forma  di  vita  vegetale  ed  animale.  Or  questo  co- mune stipite,  che  con  felice  espressione  un  illustre  vivente naturalista  ha  chiamato  unità  astratta,'^  o  non  esiste  come realtà  sensata,  ovvero,  esistendo,  non  può  essere,  a  dir proprio,  ne  vegetabile,    animale,  ma  l'una  cosa  e  l'al- tra insieme.  S' ella  é  una  realtà,  è  destinata  a  scomparire dal  regno  della  vita,  appunto  perché  non  é  forza    vita. S'ella  é  una  realtà,  sarà  un  soggetto  di  natura  indeter- minata, fisica  e  organica  ad  un  tempo.  In  essa  la  forza diventa  vita;  e  quindi,  più  che  anello  di  continuità  reale, ci  rappresenta  una  continuità  ideale  ;  e  perciò  con  l' in- tervallo reale  ci  significa  la  virtù  e  l'efficacia  del  conato,* *  Ved.  H.  SpBircRR,  E$$ay$  $ei€ntifìe,  polUicalf  (md  9peeulativef  ed.  cit. Veramente  ingegnosa  è  V  analisi  che  quest*  autore  fa  circa  il  modo  con che  avviene  il  procetso  zoologico  il  quale  egli  talora  chiama  |7roee««o  di  di/- /erenziafzione  :  e  non  meno  ingegnosa  è  quella  sul  processo  geologico,  etno- logico e  paleontologico.  Jl  difetto  sta  neir  applicare  la  sua  legge  al  pro- cesso èoeiologieOf  dov*  egli  evidentemente  abusa  delle  analogie  estrinseche col.  mondo  zoologico.  Si  vegga,  per  dirne  una,  come  considera  il  fatto de*  fili  telegrafici  che  abcompagnauo  sempre  le  vie  ferrate,  in  relazione  a certe  leggi  biologiche  degli  organismi  zoologici  inferiori. *  VoQT,  Le  lib.  del  Diritto Univertale,  e  segnatamente  nella  Storia  delle  cinque  età  del  Tempo  Oscuro; dalla  quale  storia  risulta  la  legge  storica  e  sociologica  che,  portata  a pii^  largo  sviluppo,  costituisce  la  Seìenxa  Nuova.  Noi  consacreremo  appo- sito capitolo  intorno  a  questa  teorica  del  Tempo  Oécuro^  perchè  in  essa troveremo  il  fondamento  legittimo  della  sociologia  davvero  filosofica  e positiva.  L*  altro  strumento  poi  che  il  Vico  avea  fra  mano  e  sapeva maneggiare  in  guisa  che  non  ci  ò  dato    pur  sospettare  alla  lontana, costituisce  propriamente  la  parto  geniale,  originalissima  del  suo  metodo isterico;  ed  ò  quella  che  noi  dicemmo  di  natura  psicologica,  e  che  di fironte  alla  prima  serba  indole  a  priori;  ma  è  un  a  priori  positivo,  positi- vissimo,  perchè  di  natura  psicologica.  Ella  in  somma  cojitltuisce,  se  cosi potessi  esprimermi,  un  lavoro  mentale  da  geologo,  da  paleontologo.  Se  infatti  lo  spirito  dell'  uomo  in  una  data  epoca  istorìca  somiglia,  vorre*  dire, *  ad  una  caverna  ossifera,  bisognerà  studiarlo  analizzandolo,  anatomizzan- dolo, decomponendolo.  Perciò  è  necessario  dimenticar  noi  stossi,  e  lavo- rare attorno  ad  esso  in  modo  tutto  ideale  dÌ8cendendo  da  questa  no$tra umana  ingentilita  naturaf  a  queUe  affatto  fiere  ed  immani,  U  quali  oi  ^  affatto negato  d^  immaginare,  e  eolamente  a  gran  pena  ci  i  permeeeo  cT  intendere, (Sec.  Se.  Nuo.)  Breremento:  bisogna  aver  presenti  noi  stossi,  ma nel  medesimo  tempo  dimenticarci  :  bisogna  etordire  ogni  eeneo  «T  uwtanità (sono  sue  parole)  e  ridurei  in  uno  etato  di  eomma  ignoranjta  di  tutta V umana  e  divina  erudizione,  (ibi.)  Questo,  come  notammo  (p.  833  e  seg.), è  precisamente  ciò  eh*  egli  dice  portare  ad  un  fiato  il  vero  e  il  eerto,  la fiioeofia  e  la  filologia.  Questo  è  il  metodo  isterico  davvero  positivo,  che è  propriamente  metodo  di  natura  eduttiva.  E  questo  dovrebbero  mediterò ed  applicare  i  nostri  sazievolissimi  predicatori  di  certi  metodi  storici  e critici  che  al  postutto  riduconsi  ad  un  meschino  empirismo  I perciò  medesimo  è  scienza  del  presente,  scienza  del- V  oggi,  e,  fino  a  certo  segno,  anche  del  domani.  Ma senza  quella  filosofia  che  non  le  è  incorporata  ma  ch'ella presuppone  necessariamente,  cotesta  Scienza  Nuova  non sarebbe  niente  di  tutto  ciò.  Posta  infatti  la  doppia  for- mola  metafisica  e  cosmologica,  i  cui  germi  giaccion  nel Libro  Metafisico;  posta  segnatamente  la  gran  legge  del Processo  cosmico,  ella  è  davvero  un  poema,  è  un  gran poema,  un  poema  sul  serio,  ma  un  poema  sui  generis. Perchè?  Per  questa  ragione  principalmente:  perchè  è una  Storia  naturale  della  umanità  nell'uomo: perchè  in  lei  si  scruta  l'originaria  formazione  dell'  ultimo Sommo  Genere  ;  perchè  eli'  è  la  celebrazione  solenne  dello Spirito  che  si  crea  nel  regno  stesso  della  vita  ;  perchè  è la  creazione  parlante,  vivente,  reale  del  pensiero  ch'esce dal  caos  delle  forze  brute  fisiche,  meccaniche,  biologi- che ;  perchè,  insomma,  rivela  il  Fatto  che,  convertitosi con    stesso  come  forza  e  come  vita,  ora  convertesi  col Vero  come  pensiero.  Ecco  l'originalità  vera  del  pen- siero Vichiano.  È  un  pensiero  d'una  grandezza  e  d'una potenza,  sto  per  dire,  titanica  !  un  pensiero  nuovo,  nuovissimo, anche  dopo  due  secoli  I La  Scienza  Nuova,  dunque,  rappresentandoci  la  ge- nesi del  processo  storico  e  sociologico,  fra  le  altre  cose pronunzia,  legittima,  compie  e  insieme  corregge  il  Darwi- nismo. Una  delle  Degnila  su  le  quali  è  innalzato  il  suo gi*andioso  edifizio  è  lo  stato  ferino  dell'Umanità;  cagione certamente  non  puerile  delle  dispute  e  delle  sètte  de' Fe- rini e  degli  Antiferini  surte  fra  noi,  come  toccammo, sotto gli  occhi  del  Papa  e  de'  cardinali  nel  bel  mezzo  del  secolo passato. Il  suo  problema  dunque  è  il  gran problema  ond'  è  agitata  e  mossa  la  scienza  odierna.  È  lo stesso  problema  che,  con  significato  assai  pili  compren- sivo, assai  più  razionale,  assai  più  sintetico  e  profonda- mente sintetico,  agita  e  muove  sotto  gli  occhi  nostri  la filologia,  la  zoologia,  la  geologia,  la  paleontologia,  l'an- tropologia, la  sociologia,  la  filosofia  e  la  storia  del  Di- ritto,  la  filosofia  e  la*  storia  delle  arti,  la  filosofia  eia storia  delle  religioni,  come  saggiamente  ha  detto  il  De Fèrron  (p.  149  e  seg.)  Il  suo  problema  quindi  si  collega con  quello  stesso  di  Lamarck,  di  Couvier,  di  Geoffroy de  Saint-Hilaire,  di  Herbert,  di  Mathew,  d'  Omalius, d' Halloy,  di  Rafinesque,  di  Schaaffausen,  di  Hooker, de'  viventi  naturalisti,  de'  viventi  filologi,  de'  viventi  mi- tologi, e  degli  storici  d' ogni  maniera. Nella  Scienza  Nuova  infatti  il  processo  storico-so- ciologico nasce,  sorge  o  si  produce  nel  processo  zoologico; ma  nasce,  sorge  o  si  produce  creandosi.  Dunque  il  6e- stione,  r  uomo  ferino,  per  quanto  ferino  e  bestione  vo- gliasi immaginare,  importa  già  un  intervallo.*  Come  ci si  rivela  egli  cotesto  intervallo?  In  altre  parole:  com'è che  s'inaugura  il  processo  isterico?  Com'è  che  s'inizia il  regno  dell'  umanità  ?  Al  solito  s'inaugura  con  la  gi*an legge  delle  polarità,  ma  nel  medesimo  individuo:  s'inizia con  la  legge  della  dualità,  ma  nella  coscienza  stessa  dell'individuo.  Ciò  che  nell'  ordine  psicologico  è  senso  e intelligenza,  potere  e  volere.  Autorità  e  Ragione  ;  qui, nell'ordine  sociologico  e  storico,  è  Libertà  e  Pudore: ecco  i  due  Principii  éC  Umanità;  principii  essenzial- mente sociologici.* *  Lo  st-ato  ferino  pel  Vico  è  an  fatto  accidentale,  ed  è  accidentale perchè  non  è  universale  ;  ma  questa  dicemmo  essere  un*  aporta  contrad- dizione in  che  cadde  tanto  lui,  quanto  il  suo  discepolo  Duni.  Ed  ò  con- traddizione, perchè  fa  contro  non  solo  ai  suoi  principii  cosmologici,  ma anche  ali*  esigenza  stessa  del  suo  metodo,  fe-una  delle  contraddizioni  duo- que  dalla  quale  ei    libera  da  so  medesimo. *  Nessuno  prima  del  Vico  aTcva  impresso  valore  ed  importanza isterica  a  questi  due  iftm  o  prineipìi  d^umnnità.  Grozio,  per  citare un  esempio,  parla  anch*  egli- del  pudore;  ma  non  sospetta    la  neces- sità sociologica  e  istorìca  di  questo  fatto,    il  significato  psicologico di  questa  tondenza,  e  però  non  ne  fa  uso  di  sorta'.  (Ved.  Dt  Jwr.  M.  et paeitf  "2.  19,  3,  «10.)  Disse  la  libertà  madrt  di  qualsivoglia  diritto  civile;  ma  perchè  madre  ?    Citiamone  un  altro  esempio.  Anche Platone  parla  de*  due  beni.  Pudore  e  OiuetÌMÌ€L,  che  Giove  impartì  agli uomini  [Protag.,  ed.  Cousin,  T.  Ili,  p.  110):  ma  pel  filosofo  greco  tale tendenza  ò  partecipata,  è  comunicata,  mentre  pel  Vico  è  affiatto  naturale. Per  Platone  riiman»tà  si  manifesta  nella  CVttèt,  nella  iSepubò^tca;  dovecbè Qual  valore,  infatti,  qual  significato  hanno  queste  due parole  nella  mente  del  nostro  filosofo?  Considerate  sotto il  rispetto  storico  e  sociologico,  PudoreLibertas  non  sono idee,  concetti,  nozioni,  astrazioni;  sono  bensì  condizioni efficienti  originarie,  intime,  spontanee,  istintive  di  nostra natura.  Sono  i  due  prificipii  che  principian  V  umanità nell'uomo;  principii  ch'ei  pone  quasi  geni  tutelari  alle porte  ddla  storia  e  delle  cose  umane.  Sono  facoltà,  ma facoltà  involute,  potenziali;  stantechè  Tobbietto  di  esse non  sia  per  anche  fatto,  noh  sia  per  anche  elaborato. Perciò  sono  giudizi,  ma,  al  solito,  giudm  sentUij  come direbbe  egli  stesso;  giudm  fatti  senza  riflessione.  Sono dunque  tendenze  primigenie,  sono  esigenze  autogenite;  e però  ci  rappresentano  anch'elle  ima  sintesi  confusa,  entro cui  si  racchiude  infinita  virtù  esplicativa.  Qual  è  infatti  il principio  d'ogni  socialità?  Qual  è  la  radice  della  socia- lità? £  il  concetto  stesso  d' umanità.*  £  come  si  determina, come  si  esplica  dapprima  questa  tendenza  innata e  originaria  ad  umanarci?  Appunto  col  gemino  sentimento del  pudore  e  della  libertà^  Questa  originaria dualità  costituisce  la  natura  stessa  dell'uomo,  giacché r  ente  umano  intanto  è  animale  umano,  in  quanto  non è  una  cosa,  ma  due:  (ùov  fiU7Ttxoy,  e  (wov  ttoXctcxov.  £d egli  è  tale  fin  dalla  sua  prima  origine,  questa  essendo  per l'appunto  la  invitta  necessità  del  processo  iperzoolo- pel  Vico  ò  originaria,  tanto  cho  si  manifesta  anche  nello  stato  di  natura:  il quale  perciò,  come  altrove  accennammo,  non  ò  quello  do'  giusnaturalìsti del  secolo  passato.  Fra  la  ReptMdiea  del  filosofo  ateniese,  quindi,  e  la  SeienMa Nuova,  anche  per  questo  rispetto  t*  è  un  abisso,  checche  ne  abbiano detto  0  possano  dime  certi  Hegeliani.  Per  questa  medesima  ragione non  ò  da  confonder  menomamente  V  uomo  ferino  della  Seitnua  Nuova, con  gli  nomini  selvaggi  di  cui  parlavano  tanto  spesso  gli  antichi,  se- gnatamente r  A.  della  RepubUica,  Aristotele,  Cicerone  e  simili.  ^  una posizione  affatto  diversa,  a  cui  bisogna  por  mente. '  HumaniUu  ett  hominU  hominum  juvandi  affedio,  {De  Conti,  JurU- prudenHt,  0.  II,  l.) *  Sed  ex  latiori  genere  Humanitatie  heie  a  nobU  aoupta  a  duobue prineijnù  ootMtal,  Pudori  et  Libebtatk.  {Id,  eod,,  II,  2.) gico,  e  della  legge  di  conversione:  rèbus  ipsis  didantì" bus.^  Or  qual  è  la  relazione  che  stringe  insieme  i  due Principii  d'umanità?  È  quella  medesima  che,  posto  il processo  isterico  e  sociale,  congiugne  in  armonia  la  so- cietà di  ragione  (Societas  Veri),  e  la  società  dell'utile (Societas  ^qui  boni).*  È  appunto  la  relazione  che  corre fra  il  certo  e  il  vero,  tra  la  forma  e  la  materia.* Ma  se  questa  dualità  di  principii  inauguratori  del- l'umanità  nell'uomo  è  originaria,  accade  che,  appunto perchè  originaria,  debba  rivestir  forma  d'unitotalità  e d'incosciente  unità.  Or  come  potrebb' essere  unità  ove, al  solito,  non  serbasse  natura  di  conato?  Pudore  e  Libertà quindi  sono  un  conato  ;  sono  dualità  e  unità  in- sieme ;  sono  perciò  triplicità.  Se  non  che,  questa  tripli- cità non  è  inaugurazione  del  processo  psicologico  teore- tico, bensì  pratico;  non  del  processo  conoscitivo,  bensì operativo.  E  dunque  una  triplicità  originaria  di  natura pratica,  empirica,  istintiva,  e  dee  quindi  serbare,  nel medesimo  tempo,  valore  psicologico  e  sociologico.  L'ente umano  adunque  è  di  sua  natura  un  soggetto  essenzialmente relativo.  Egli  è  in  un'  ora  medesima  in    stesso,  e anche  nell'oZ^ro:  è    stesso,  e  insieme  debb'essere  anche l'altro.  Egli  insomma,  ripetiamolo,  non  è  una,  ma  due  cose in    stesso:  uomo  e  cittadino.  E  dovendo  esser  tale  fin  Qai  risiede,  come  Tedremo,  la  condanna  della  dottrina  sociologica del  Positivismo,  e  della  confusione  eh*  ella  fa  tra  la  storia  e  la  socio- logia, tra  la  sociologia  e  la  psicologia,  tra  la  psicologia  e  la  biologia, nonché  1*  erroneo  concetto  della  Statica  toeiale  de*  Positivisti  francesi. *  De  Univ.  Jwriè  PrineiptOj  LX. *  Ex  vi  ip$iu9  humanct  natura  de  duobu$  hit  HumanitcUit  prineipii» di«8eramìt$f  ^orutn  unum,  ceu  forma,  erit  Pudor,  alterum,  vduti  matebia. erit  LiherUtf,  {De  CoMt,  Jur.,  II,  8.) Trasportando  questo  concetto  dall'or- dine sociologico  a  quello  delle  idee  e  della  scienza,  possiamo  affermare  che in  tal  modo  il  Vico  abbia  posto  nella  stessa  coscienza,  nello  stesso  indi- viduo, la  distinzione,  oggi  vitalissima,  tra  la  Morale  e  *1  Diritto,  salvando così  r  autonomia  d'entrambe  queste  discipline.  Perciò    la  Morale  può dedursi  dal  Diritto,  come  farine  i  giusnaturalisti  hegeliani  e  positivisti, nò  il  Diritto  dalla  Morale,  come  usan  fare  i  teologisti  e,  in  generale,  i filosoft  neoplatonici.  Di  queste  cose  discorreremo  nella  Sociofogicu dall'  origine  sua,  fin  da  che  apparve  naturale,  sdvaggio, ferino^  bestione;  perciò  in  lui  il  Pudore  è  conato,  stan- techè  col  conato  incofninciò  in  esso  a  spuntare  la  virtù deW  animo,^  Per  la  stessa  ragione  è  tale  anche  la  Li- bertà, la  quale  è  conato  proprio  degli  agenti  liberi,,,, onde  que'  Giganti  si  ristettero  dal  veezo  cT  andar  vagando per  la  gran  sélva  della  terra,  e  s*  aweisearono  ad  un costume  ttdto  contrario,*  Ma  se  la  relazione  che  annoda i  termini  di  questa  originaria  dualità  è  quella  che  corre tra  la  forma  e  la  materia  in  generale,  avviene  che  il Pudore  sia  logicamente  anteriore  alla  Libertà,  e  la  Li- bertà, alla  sua  volta,  sia  cronologicamente,  empirica- mente anteriore  al  Pudore.' *  See,  Seitiua  Nuova,  p.  248. *  Idtmf  eod,  p.  178. Perciò  dice  ohe  il  Pudore  l  U  primo  antiehitnmo  principio  d^ uma- nità. (Sec.  Se,  Nuova^  e  VI.)  E  gaardADdo  agli  effetti  di  qoesto  senti- mento, osserva  ohe  il  Pudore  arreeta  la  vaga  venere^  origina  la  eocictà matrimonÌ€i!e,  donde  emerge  la  eoeietà  (Prim.  Se.  Nuova,  o.  VI);  e  come inizia  la  società,  così  pure  inventa  la  religione  :  Pudor  inventar  religionie. {De  Conti.  Jur.,  LXX.)  Additando  poi  la  priorità  logica  del  Pudore  di fronte  alla  Libertà,  dice:  Pudor  euetoe  jurie  naturalie  {De  Univ.  Jur,y LI,  7);  «Tura  a  Pudore  oria,  ad  Pudorem  redeunt,  et  a  eontemplatione  nata, in  eontemplatione  poetremo  deeinunt  (Ihi,  OC  Vili)  :  Pudor  omnie  divini kumanique  Jurie  parene  (Ihi,  GIV,  4):  Pudor  Jurie  naturalie /one  {e.  Ili): Pudor  exoitator  virtutie. Il  senso  di  libertà,  poi,  assume  dap- prima nna  forma  affatto  empirica  e  naturale;  assume  forma  di  potere {poeee)^  di  volere  sfornito  di  ragione,  d'arbitrio,  di  passione;  e,  come tale,  riesce  cronologicamente  anteriore  al  Pudore^    potrebb*  esser  diversa- mente ammessa  la  relazione  intima  fra  il  processo  zoologico  e  il  processo isterico.  L'  anello  vero  perciò  fra  questi  due  processi,  I*  anello  reale  fra  i due  mondi,  òr  «OMO  stesso;  ma  Tuomo  considerato  come  un  poro  poeee^ potenza,  potestà  naturale.  Sennonchò  cotesto  ò  un  momento  indiscernibile  ; è  un  intervallo  che  tosto  ò  superato,  e  il  potere  già  diventa  voUre^  e il  volere  diventa  oonoeeere  sempre  per  la  solita  legge  del  rehue  ipeie  dio- tantUnu,  àéìVipea  rerum  natura.  Libertà  e  Pudore  quindi  son  come  le due  facce  del  conato  umano:  Tuna  ò  intima,  secreta,  individuale;  Taltra ò  sensata,  estrinseca,  e  perciò  di  natura  essenzialmente  sociologica.  Or come  tale  la  libertà  ò  il  primo  punto  di  tutu  le  eoee  umane  (Sec.  Se. Nuova^  p.  1 72)  ;  e  perciò  ex  libertate  eommereiay  ex  eommereiie  humanitae excuUa,  {De  Conet,  Jur,,  c.  FV,  2.)  E  poichò  ò  una  condizione  primitiva, perciò  la  dice  dote  proprissima  dell* uomo:  NihU  hcmini  magie  proprium quam  oo2imto;  ed  essendo  proprissima  proj>rM(o^va  del  filosofare,  quanto le  forme  negative.  Ogni  maniera  di  speculazione  soccorre al  progresso  e  alla  ricostruzione  della  metafisica,  a  con- tare dalla  piiì  grossolana  affermazione  dommatica,  alla negazione  del  più  volgare  ed  em])irico  pirronista;  dalla più  ardita  formola  sistematica,  al  più  sottile  sofisma dello  scetticismo  sistematico.  Ma  neanche  qui  ci  poteva esser  concesso  dimostrare,  senza  trascendere  i  confini  del nostro  disegno,  il  modo  con  che  in  mezzo  allo  svolgersi de'  due  estremi  indirizzi  siasi  venuto  incarnando  e  pi- gliando quasi  persona  l' indirizzo  medio.  Mostrare  in- somma come  le  forme  positive  della  metafisica  siansi venute  svolgendo,  sarebbe  stato  lavoro  di  storia,  e  di crìtica:  al  modo  istesso  che  sarebbe  stato  lavoro  di esposizione  far  vedere  la  monotonia  con  che  si  sono succedute  le  forme  negative  del  filosofare. Solamente  ci  fu  mestieri  accennare  come  nell'età moderna,  dopo  le  divisioni  del  Cartesianismo  nel  quale ripetesi,  con  elementi  di  novella  speculazione,  la  vec- chia sintesi  aristotelica,  l' indirizzo  medio  ci  sia  rap-- presentato  dal  Leibnitz  in  Germania,  e,  più  spiccata- mente, dal  Vico  in  Italia;  e  come  ne' tempi  a  noi  piii vicini  siansi  ripetuti  gli  estremi,  e  si  ripetan  tuttora sotto  novelle  forme,  così  nell'uno  come  nell'altro  paese. È  iperpsicologismo  il  neoplatonismo  italiano  moderno: ma  forse  che  sarà  meno  iperpsicologismo  il  sistema jdeir  assoluta  identità  ?  È  empirismo  e  nullismo  meta- fisico il  positivismo  di  Francia  ed  il  materialismo  di Germania:  ma  sarà  meno  empirismo  lo  scetticismo  siste- matico del  Ferrari  e  certa  ibrida  forma  di  criticismo  del Franchi  e  il  nullismo  metafisico  de'  nostri  filosofi  del- P  avvenire  ?  Vedi  qael  che  altrove  abbiamo  discorso  circa  le  forme  negative  e le  forme  po»Uìve  del  filosofare  e  circa  la  storia  della  filosofia  in  generale (Gap.  III.  lib.  II.)  Lo  scetticismo  non  è  da  pigliarsi  a  gabbo,  come  par che  facciano  tutto  giorno  dommatici  e  sistematici.  La  sua  funzione  isto- rica  ha  grande  importanza,  essendo  quasi  la  molla  efficace,  tuttoché negativa,  del  progresso  in  filosofia,    y*,ha  periodo  storico  in  cui  lo  scet- ticismo non  accompagni  sempre  lo  STolgrersi  del  dommatismo.  Il  dom- matismo  è  syariatissimo  nelle  sue  forme,  e  quindi  possiede  una  storia. Lo  scetticismo  invece  è  immobile,  è  immutabile;  e  questo  è  insieme  il suo  pregio,  e  la  sua  condanna.  Perciò  lo  scetticismo  non  ha    può avere  una  storia,  appunto  perchè  non  importa  un  processo;  e  non  è processo  appunto  perchè  è  negazione.  L*  arma  dello  scettico  infatti  è sempre  identica  a    stessa.  Nel  nostro  Ausonio  rivive  Enesidemo,  e  nel nostro  Ferrari  vi  è  tutto  Sesto  Empirico.  Chi  si  voglia  quindi  provare  o siasi  provato,  come  il  Bissolati  (Ved.  Tntrod.  alle  fgtituxioni  Pirroniane^ Imola  1870),  a  fare  una  storia  dello  scetticismo,  altro  non  fa,  altro  non potrà  mai  fare,  salvochè  una  rassegna,  un  racconto  monotono  e  sazievole d'argomenti  identici.  L'esigenza  scettica,  il  metodo  teettieOf  potrà  benissimo cangiare  i  punti  di  m«(a,  come  fann'oggi  gli  schietti  positivisti, ma  la  sostanza  rimane  e  rimarrà  sempre  la  stessa.  Invece  1*  esigenza dommatica  è  un  fatto  al  pari  dell' esigenza  scettica:  ma  ò  un  fatto  che si  muove;  è  un  fatto  che    fa.  Hegel  ripete  Platone,  e  ripete  Erigena; ma  non  è    Platone,    Erigena.  Rosmini  ripete  Aristotele  o  San  Tom- maso, ma  non  è    Aristotele,    San  Tommaso.  Gioberti  ripete  Male- branche, ma  non  è  nient'affatto  Malebranche.  11  Ferrari  anch'egli  ripete; ripete  Sesto  Empirico.  Ma  come  lo  ripete?  Facendone  la  fotografia!  Ora se  il  dommatismo  conta  una  storia  essendo  un  processo  isterico,  e  lo  scet- ticismo n'é  al  tutto  sfornito,  com'è  possibile  che  il  trionfo  stia  pel  se- condo anziché  pel  primo  ?  La  funzione  isterica  dello  scetticismo  dunque è  necessaria,  essendo  »na  ruota  della  macchina;  ma  badisi  a  non  con- fonder la  macchina  con  la  ruota,,  ciò  che  costituisce  appunto  l'errore-- di  chi  spera  (vana  speranza!)  nel  trionfo  definitivo  del  Pirronismo. Se  non  che,  lasciando  del  Leibnitz  e  del  moto  filo- sofico d'  Alemagna,  peculiar  proposito  del  nostro  libro  ' era  quello  d'  additare  la  correzione  e  V  inveramento delle  due  estreme  tendenze  (scettica  e  dommatica) che  nascono  e  rinascon  parennemente  nella  storia, e  che  oggi,  assunta  forma  pia  conseguente  e  razio- nale, s^addimandano  Positivismo  e  Idealismo  assoluto. D  fondamento  di  tal  correzione  e  '1  criterio  di  sif- fatto inveramento,  per  ciò  che  spetta  al  nostro  paese, pone  radice  nelle  dottrine  del  filosofo  napoletano,  in- terpretate e  ricercate  con  metodo  critico  rintegrativo. Ma,  a  far  questo,  che  cosa  era  d'  uopo  mostrare  in- nanzi tutto?  Era  d'uopo  mostrare  la  possibilità  di  rin- venire in  lui  cotal  fondamento.  In  altre  parole,  era d'uopo  mostrare  se  in  lui  per  avventura  fosse  alcuna originalità  di  speculazione  razionalmente  positiva:  il che  ci  parve  opportuno  innanzi  tutto  far  vedere  in  ma- niera indiretta  e  per  via  storica,  abbozzando  una  storia de' critici  e  degli  espositori  delle  dottrine  vichiane.  Che poi  davvero  esistano  in  lui  germi  d'originalità  metafi- sica, r  abbiam  chiarito  nel  secondo  libro  di  quest'  opera, interpretando  le  sue  teoriche  con  una  forma  di  critica che  scaturisce  logicamente  dalla  stessa  triplice  paiii- zione  de' periodi  ne' quali  abbiam  diviso  quel  nostro saggio  istorico. Se  pertanto  un  rinnovamento  del  pensiero  filosofico italiano  è  necessario  e  inevitabile  perchè  richiesto  dalla ragion  filosofica  positiva,  perchè  domandato  dall'  esi- genza del  sapere  moderno,  e  perchè  imposto  dalle  rinno- vate condizioni  politiche,  civili,  religiose  del  nostro paese  ;  si  domanda:  come  innovarci  ?  introducendo forse  il  Positivismo,  o  perdurando  nello  Scetticismo? Evidentemente  contraddiremmo  all'indomabile  istinto verso  la  scienza:  contraddiremmo  al  bisogno  sempre più  acuto  e  profondo  di  nostra  ragione:  negheremmo la  ragione.  Vorremo  innovarci  seguitando  a  dirci  ed  essere iperpsicologisti?  In  tal  caso  dovremo  accettare  due condizioni:  costruire  la  scienza  con  la  ipotesi,  con  Va priorismo;  e  disconoscere  i  limiti  del  pensiero  e  della scienza  stessa,  dando  così  alla  ragione  un  valore  dom- matico,  sistematico,  assoluto,  anziché  critico  e  positivo. Chi  vorrà  oggimai  accettare  siffatte  condizioni?  Dunque Positivismo  e  Idealismo  assoluto,  negazione  assoluta  di sistema  e  assoluto  sistematismOy  son  le  colonne  d^  Ercole che  la  moderna  Francia  e  la  moderna  Germania  ci  vo- gliono imporre:  esse  non  ci  appartengono,  e  a  noi  sarà lecito  abbatterle,  non  per  vana  horia  nazionale,  ma  si per  necessità  di  ragione.  Forse  che  un  rinnovamento in  senso  hegeliano  non  ha  ormai  fatto  fra  noi  le  sue prove  per  quindici  anni,  per  vent'anni?  Non  è  stato  fa- vorito con  ogni  guarentigia  di  libertà?  Non  è  stato  e non  è  rappresentato  così  nel  privato  come  nel  pubblico insegnamento?  E  pure  T Idealismo  assoluto,  almeno quant^alla  peculiare  esigenza  che  lo  distingue,  cioè come  Sistema  delP  identità  assolata^  non  ci  è  passato in  sangue,  ne  poteva  ;  e  nonostante  gli  sforzi  nobilissimi di  egregi  scrittori,  egli  è  rimasto  ne' libri,  e  rimarrà ne' libri. Altrettanto  impossibile  riesce  un  rinnova- mento dsL  positivisti.  Piii  deir  Hegelianismo  il  Positivismo è  stato  accarezzato,  favorito  per  ogni  verso,  predicato privatamente,  talora  persino  officialmente.  Ma  gF  ingegni severi  vi  han  reagito,  vi  reagiscono  ;  e  T  infinita  moltitu- dine di  que' filosofanti  che  han  su  le  labbra  cotesto  nome pomposo  e  bugiardo,  è  lungi  dall' averne  ponderato  il valore,  le  conseguenze,  le  applicazioni.  Binnovamenti  di cotal  genere,  dunque,  sono  impossibili  fra  noi:  e' non sarebbero  legittimi,  coscieuti,  naturali,  autonomi,  efficaci, intimi,  storici.  —Vogliamo  finalmente  ritentare  un  rin- novamento d'iperpsicologismo  da  ontologisti  neoplato- nici? Resteremmo  quel  che  pur  troppo  siamo  stati,  e siamo:  non  andremmo  avanti;  torneremmo  indietro. Se  dunque  la  necessità  del  nostro  innovamento  filoso- fico deve  poter  germinare  dalla  passata  speculazione,  noi dobbiamo  rintracciarne  gli  elementi  nelle  opere  e  nella mente  di  chi  è  capace  di  rappresentare  non  pure  il  pas- sato, ma,  più  ancora,  il  presente  e  T avvenire.  È  d'uopo attingere  ispirazione  nelle  opere  e  nella  mente  di  chi  può soddisfare  V  esigenza  positiva  e  V  esigenza  ideale  del  sa- pere, ma  correggendole  entrambe.  È  d' uopo  invocare  gli auspici  di  chi,  incarnando  il  medio  indirizzo  della  specula- zione, valga  a  rannodarci  con  la  nostra  tradizione  scien- tifica, e  con  lo  svolgimento  dell'intera  storia  della  filosofia. Chi  potrebb'  esser  questi,  fra  noi,  salvo  che  l’Autore  deUa Scienza  Nuova?  Ecco  l'addentellato  piii  sicuro  e  tutto nostro,  dal  quale  è  mestieri  s' inauguri  il  presente  rinno- vamento filosofico  italiano.  Ma,  nell'invocame  gli  auspicii, noi  dobbiamo  interpretarlo  con  la  coscienza  del  sapere moderno  :  noi  dobbiamo  correggere  anche  lui  ;  e  correg- gendo, lui  correggeremo  poi  stessi,  e  gli  altri:  correg- geremo il  neoplatonismo,  l' hegelianismo,  il  positivismo. Brevemente:  se  rinnovarci  è  suprema  necessità,  di  tal necessità  è  d'uopo  aver  pienezza  di  sentimento  e  di coscienza  storica.  Abbiamo  dunque  bisogno  d' una  base per  muoverci,  d' un  punto  a  cui  mirare,  d' un  segno  per orientarci,  d' una  guida  tutta  nostra  in  cui  la  nostra mente  riconosca    medesima.  Chi  potrebbe  risponder meglio  a  cosiffatta  esigenza  tranne  colui  che  seppe  con- cepire il  sublime  per  quanto  rozzo  e  incompiuto  disegno d'una  Scienza  Nuova? 11  nostro  quesito  adunque  era  semplice  e  chiaro; ed  è  questo  :  Come  penserebbe  il  nostro  filosofo  ov'  ei tornasse  a  vivere  in  mezzo  a  noi,  nelle  nuove  condi- zioni politiche,  sociali,  religiose,  co'  nostri  nuovi  bisogni, con  le  nostre  nuove  tendenze?  In  altre  parole:  come farebb'  egli  a  risolvere  oggi,  col  suo  stesso  metodo,  i grandi  problemi  della  scienza?  La  risposta  riguardante i  problemi  speculativi,  è  nella  seconda  parte  del  presente libro.  La  risposta  poi  che  concerne  i  problemi  d' ordine storico,  politico,  religioso  e  pedagogico,  la  daremo  nella Sociologia.  È  che  sia  questa  per  l' appunto  l' esigenza del  suo  pensiero  ;  che  sia  questa  la  necessità  del  nostro RinnoTamento,  ce  ne  porge  guarentigia  e  conferma  la .  storia,  e  U  modo  con  che  s'è  venuto  attuando  e  svolgendo il  nostro  pensiero  filosofico.  Noi  non  possiamo  intrat- tenerci a  lumeggiare  in  qualche  maniera  cotesto  svolgi- mento. Non  possiamo  rilevarne  i  caratteri,  ritrarne  la necessità  ne' passaggi,  e  dichiararne  il  progresso  ne' diffe- renti periodi,  dando  così  forma  determinata  e  compiuta al  nostro  assunto.  Questo  faremo  quando  che  sia  con  ap- posito lavoro,  di  cui  abbiamo  già  in  pronto  la  materia. Ma  accennare  di  volo  al  risultamento  del  nostro  pensiero senza  por  tempo  in  mezzo,  è  cosa  che  possiamo  fare anche  ora;  tanto  piii,  che  tal  risultamento,  chi  ben guardi,  traesi  facilmente  dalle  cose  discorse  in  piii  luoghi del  nostro  libro. La  storia  della  filosofia  italiana,  dunque,  a  noi  sem- bra doversi  dividere  in  tre  difiFerenti  periodi,  de'  quali stringiamo  in  pochissimo  i  caratteri  e  le  tendenze  pe- culiari: Primo  Periodo {Scolast%c(hteologico), S'inaugura  con  Boezio  Severino  (Marciano Capella, Cassiodoro  ec),  e  finisce  con  San  Tommaso  (Tomisti  e Scotisti  inclusive).* *  Vi  è  chi  col  Gioberti  divide  la  storia  della  filosoRa  italiana  in cinque  epoche  (Ved.  Prìmnto,  ed.  2\  1845,  P.  II,  pag.  278);  e  v'è  chi  la divide  in  quattro  età,  cominciando  dal  VI  sec  avanti  Cristo  (Babtolom-  I M RS,  Dici,  den  teienc  philot.)  Divisioni  di  cotal  fatta  evidentemente  peccano d'eccesso,  in  quanto  che  abbracciano  più  e  diverse  civiltà,  e  però  non riescono  ad  imprimere  valor  razionale  e  forma  omo^renea  allo  svolgimento del  nostro  pensiero  fllosoftco.  La  storia  della  filosofia  italiana  s’inaugura quando  il  popolo  di  Roma,  cessando,  secondo  il  detto  di  Hegel,  d* essere essenzialmente  umanitario  e  univertale,  comincia  ad  essere  italiano.  Il suo  cominciamento  amare  il  concetto  del  me- todo, cioè  la  industria  induttiva,  ma  ne' fatti  d'ordine fisico  sensato,  e  in  parte  filologico  ed  erudito.  L'indirizzo medio  perciò  s'inaugura  con  ricercare  e  determinare  il metodo,  non  già  con  l'edificare  un  sistema.  Questo  è il  lor  merito  comune  ;  e  questo  è  anche  il  loro  difetto, stantechè  manchi  ad  essi  la  nozione  compiuta  del  me- si pretende  imprimere  ralore  a  tutta  la  storia,  quando  s*  interpreta,  cosi com*es8Ì  fanno,  la  scuola  platonica  toscana,  e  le  si  vuol  dare  quel  valore ch*ei  le  danno.  Un  altro  esempio  sono  gli  studi  dello  Spaventa  sul  Bruno e  sul  Campanella:  studi  bellissimi  e  pieni  di  vedute  profonde  dalVun  capo air  altro,  e  come  monografie  noi  H  accettiamo,  e  ne  caviamo  il  nostra prò:  ma  com*  elemento  di  storia  generale,  la  Agnra  e  la  Asonomia  del Bruno,  per  esempio,  ò  delineata  siffattamente,  che  quando  siamo  al  si- gniAcato  della  storia  generale  della  Alosofla,  si  toccan  con  mano  lo Gonsognense  sistematiche  e  parziali  della  critica  monografica.  In  una parola  io;  voglio  dir  qoesto:  la  monograAa  ò  boli*  e  buona,  ò  suprema- mente utile,  ma  è  sommamente  pericolosa;  perchò  se  come  studio  mo- nografico ella  può  esser  vera,  come  parte,  com’elemento  di  storia  pu^ riescire  falsissima.  Altrove  noi  proveremo  largamente  e  con  esempi  no- strani tale  assunto. todo  com'è  applicato  oggidì  da^ metafisici.  Se  non  che l'indirizzo  medio  nel  Rinascimento  ci  può  esser  più  convenevolmente rappresentato  da  que'  filosofi  che,  trava- gliandosi attorno  alla  quistione  delP  anima  intesa  come problema  puramente  psicologico,  fanno  ad  un  tempo  ogni sforzo  per  interpretare  con  benigna  critica  la  dottrina déiV  intdletto  possibile  e  deìVinteUetto  agente^  e  fra  questi, come  altrove  notammo,  van  rammentati  il  Nifo,  il  Porzio  ' (il  quale  non  è  nient' affatto  un  seguace  del  Pomponazzi, come  pretenderebbe  il  nostro  collega  Fiorentino),  lo IZabarella,  il  Castellani  ed  altri  di  simil  valore.  Costoro sorpassano  i  confini  del  senso;  trascendono  in  parte  la modesta  indagine  psicologica  introducendo  la  ricerca  co- smologica, e  rannodano  così  il  problema  dell'anima  intel- ligente con  r  altro  della  natura  intelligibile.  Nessuno  ha I  pensato  a  rilevar  nettamente  questo  aspetto,  e  segnalare questa  tendenza  tanto  evidente  in  parecchi  filosofi di  quell'età.  E  pur  ci  sarebbe  tanta  mèsse  da  mietere, i  quando  non  fossimo  signoreggiati  dalle  prevenzioni  siste- matiche del  Neoplatonismo,  o  dell' Hegelianismo  1 Ma  r  eterogeneità,  il  contrasto,  V  opposizione  cresce sempre  più.  Da  una  parte  ella  si  esagera,  per  esempio,  con  Zimara,  con Cesalpini,  con  Vanini  e  simili;  i  quali '  rappresentando,  diremmo  quasi,  una  mischianza  di  na- turalismo e  d' iperpsicologismo,  palesano  la. fiacchezza del  vecchio  aristotelismo  :  dall'  altra  poi  si  esagera  con que'  filosofi  che  presumon  d'interpretare  convenevolmente Aristotele  e  Platone,  mentre  arabeggiano  la  lor parie  ;  e  tali»  per  esempio,  sono  Lagalla,  Liceto  ed  I altri  di  simil  fatta.  È  il  Platonismo  toscano,  è  il  Na- turalismo di  Pomponazzi,  è  l'Arabismo  padovano  che si  prolungano  pur  sempre  svigoriti  e  indeterminati. Bruno  e  Campanella  rappresentano  anch'  essi  debolmente r  Aristotelismo  e  '1  Platonismo,  ma  per  una  ra- gione assai  diversa.  L'esigenza  psicologica,  propria  del Rinascimento,  nei  due  arditissimi  frati  assume  ben  al- tro valore,  e  si  allarga  a  sistema;  e  così  vediamo  i  due estremi  modificarsi  di  guisa,  che  Bruno  e  Campanella  ci paion  quasi  filosofi  moderni,  e  modernissimo  il  Galilei rappresentante  dell'  indirizzo  medio  nella  scienza  fisica,  in quanto  ci  esprime  assai  vivacemente  l'esigenza  induttiva nelle  discipline  sperimentali.  Bruno,  Campanella  e  Galileo, infatti,  non  ripetono  Aristotele  e  Platone,  e  neanche  in- tendono ad  accordarli  :  essi  piuttosto  tendono  a  correg- gerli, e  credono  correggerli,  come  altrove  mostreremo,  in tre  diverse  maniere.  Perciò  non  a  torto  il  filosofo  Nolano  è riguardato  oggi  siccome  antecedente  isterico  di  Spinoza; il  filosofo  di  Stilo  è  ritenuto  come  antecedente  di  Car- tesio; e  Galilei  viene  invocato  da' Positivisti  come  uno ùe'padri  del  Positivismo,  secondo  che  ci  han  fatto  grazia dirci  il  Comte  ed  il  Littré. Or  tutto  questo  sarà  vero;  sarà  vera  cotesta  novità ne'  tre  filosofi:  ma  sarà  vera  nel  senso  che  a  tutti  e  tre manchi  qualcosa.  Essi  ci  rappresentano,  vorre'  dire,  tre* esigenze  solitarie,  esclusive  e  quasi  inorganiche.  Nel  Cam- panella, per  esempio,  vi  è  il  concetto  della  coscienza  e della  storia;  ma  non  vi  è  quello  dello  spirito  come  sto- ria. Nel  Bruno  vi  è  il  gran  concetto  della  ìiatura;  ma è  un  concetto  sifl'attamente  annebbiato  e  indeterminato che  riesce  affatto  irrelativo,  e  nulla  non  ha    dietro, né  avanti  a  sé:  talché  con  l'avere  affermato  che  la  prima causa  debba  essere  insieme  efficiente,  formale  e  finale,  e'  si chiarisce  seguace,  non  già  d'Aristotele,  come  vorrebbe  Michelet,*  ma  dell'indirizzo  naturale  dell'Aristotelismo.  Il metodo  del  Galilei,  finalmente,  é  quello  che  debb'essere; un  processo  induttivo  e  critico,  ma  solamente  applicato allo  studio  delle  leggi  fisiche.  D'altro  canto  il  filosofo pisano  ha  grandissimo  valore  quando  si  pensi  com'egli, riducendo  le  leggi  di  natura  fisica  o  meccanica  a  feno- meni piÌL  0  manco  generali,  giugnesse  a  scacciare  dal regno  degli  agenti  naturali  ogni  fantasia  astrologica  del falso  Aristotehsmo:  ma  chi  dirà  eh' e' pervenne  a  darei *  Métaph,  us  ipsis  dictantibus.  Però  non  più  individui predestinati;  non- più  famiglie,    razze  privilegiate;  non più  popoli  eletti  :  ma  privilegio  dell'  intelligenza,  ma  trionfo della  libertà  in  ogni  senso  e  sotto  qualunque  forma,  nella Famiglia,  nello  Stato,  nella  Chiesa,  nella  Scuola,  nella Società.  Dunque,  formola  suprema  della  vita  e  della storia,  deUa  natura  e  della  speculazione,  de'  fatti  e  delle scienze  e  di  Dio  stesso  :  la  Conversione  del  Vero  cól Fatto,  e  del  Fatto  col  Vero. Il  terzo  periodo  della  nostra  filosofia  ci  rappresenta V  età  umana:  rappresenta  l'età  delle  idee,  l'età  della Bagione  spiegata.  Quale  sarà  dunque  la  conclusione? La  conclusione  è  chiarissima.  Questo  terzo  periodo importa  l' esigenza,  la  necessità  d'  un  Rinnovamento: racchiude  l'esigenza  e  la  necessità  d'una  filosofia  razio- nalmente positiva.  La  sintesi  confusa  del  primo  periodo si  ripete  anche  nel  terzo;  ed  ecco  le  contraddizioni  evi- denti, manifeste,  grossolane,  talvolta  puerili  del  Vico.  La medesima  sintesi  veggiamo  ripetersi  ne' nostri  ultimi  filosofi neoplatonici;  ed  ecco  le  contraddizioni  del  Rosmini, ecco  i  controsensi  del  Gioberti,  ecco  le  incongruenze del  neoplatonismo  del  Mamiani.  Ma  cotesta  sintesi  tien dietro  ad  un'analisi,  tien  dietro  all'analisi  del  Rinascimento. Dunque,  tuttoché  erronea,  ella  già  segna  un progresso.  Perciò  le  contraddizioni  dei  nostri  filosofi  si risolvono  di  per    medesime;  si  risolvono  e  correggono per  necessità  storica  :  le  risolve  e  corregge  la  storia  ella stessa;  rebt4S  ipsis  dictantibus.  In  altre  parole,  il  terzo periodo  è  un  ricorso,  direbbe  1'  Autore  della  Scienza Nuova;  è  un  ricorso  d'uà  corso,  cioè  un  ricorso  del primo  periodo.  Ma  cotesto  ricorrere  non  è  già  un  sem- plice ripetersi,  bensì  é  un  ripetersi  che  si  rinnova  neces- sariamente, ciò  è  dir  razionalmente  :  ecco  la  ragione  del suo  verace  progredire.  Quale  é  dunque  il  problema  che la  storia  del  nostro  pensiero  filosofico  tende  a  risolvere? È  sempre  l'antico,  l' antichissimo  problema,  or  divenuto novissimo:  la  correzione  e  l' accordo  della  doppia  e  vec- chia  esigenza  naturale  e  iperpsicologica,  empirica  ed a  priori,  positiva  e  ideale.  Quale  n' è  poi  il  risulta- mento?  È  il  trionfo  dell'indirizzo  medio;  è  Finvera- mento  successivo,  progressivo  e  razionalmente  neces- sario di  tale  indirizzo;  ed  è  quella  perennis phUosophia del  Leibnitz  la  quale  non  è  fatta,  ma  si  fa,  e  sempre più  si  farà. Abbiam  detto  che  in  questa  terza  età  la  Ragione sommette  l'Autorità,  trionfa  dell' Autorità,  e  la  riduce ne'  suoi  giusti  confini.  Or  nell'  ordine  de'  fatti  che  cosa veggiamo?  Ci  è  dato  osservare  (noi  fortunati  1)  la  medesima legge.  Il  grande  spirito  nazionale  trionfa  di  Roma  ; riduce  a  ragione  l'Autorità;  la  fa  ragionevole.  E  questo gran  fatto  accade  anch'  egli  per  necessità  e  provvidenza storica:  rebus  ipsis  didantìbus.  Accade  senz'av vedercene; accade  senza  grandi  rumori;  accade  senza  grandi  stre- piti guerreschi  ;  accade  senza  i  temuti  fiumi  di  sangue. Evidentemente  il  pensiero  filosofico  italiano  è  provvi- denziale I  Egli  è  già  penetrato  nella  gloriosa  ma  altret- tanto ardua,  altrettanto  spinosa  e  travagliosissima  età umana! La  legge  de'  tre  periodi,  che  noi  abbiamo  a  fugge- volissimi tocchi  tratteggiato  ne'  suoi  caratteri  essen- ziali e  differenziali,  non  è,  al  solito,  una  legge  dia- lettica, non  è  legge  a  priori,  non  è  legge  sistematicaj non  è  legge  organica  nel  significato  che  vorrebbero darle  gli  HegeUani.  È  una  legge,  ripetiamolo,  essen- zialmente storica  e  psicologica:  e  la  necessità  a  cui ella  è  informata,  anziché  dialettica,  è  anch'essa  di natura  storica  e  psicologica.  Non  è  dunque  una  trico- tomia ideale,  dialettica,  logica  e  trascendentale  applicata alla  genesi  del  nostro  pensiero  filosofico;  ma  è  una  divisione risultante  dal  fatto  stesso  della  storia,  e    è confermata  dalla  genesi  deUe  funzioni  psicologiche. Interpretando  così  la  storia  della  filosofia  italiana, il  nostro  Binnovamento  speculativo  non  pur  si  presen- terà come  un'  esigenza  della  Ragion  teoretica,  ma  come un  profondo  bisogno  altresì  della  Ragione  storica,  I fini  perciò  a'  quali  potrà  e  dovrà  pervenire  lo  storico della  nostra  filosofia  saranno  questi: 1"  Egli  così  avrà  dato  forma  razionale  al  movi- mento filosofico  del  pensiero  italiano,  a  contare  dalle sue  proprie  origini  fino  ai    nostri: Avrà  legittimato  la  Scolastica  e  la  Biflessione teologica^  facendole  servire  entrambe  allo  svolgimento isterico  del  nostro  pensiero  filosofico: 3*  Avrà  schivato  le  pretensioni  esclusive,  le  inter- pretazioni erronee,  infedeli  e  parziali  degli  storiografi hegeliani  che  altro  non  veggono,    nella  nostra  come nella  universale  storia  della  filosofia,  fuorché  il  trionfo d'un  Aristotelismo  o  d'un  Platonismo  interpretati,  ri- maneggiatie  rimpastati  a  tutto  lor  comodo  e  favore: Potrà  giustificare  la  rinnovata  Filosofia  Positiva Italiana  correggendo  l'Arabismo  vecchio  e  nuovo,  correggendoil  vecchio  e  '1  nuovo  Positivismo,  legittimando la  vera  esigenza  platonica  e  la  vera  esigenza  aristote- lica,e  dimostrando  col  fatto  il  progresso  nel  corso  del nostro  pensiero  filosofico  mercè  il  trionfo  dell'indi- rizzo medio. Finalmente  potrà  porger  modo  alla  storia  politica, alla  storia  civile  e  alla  storia  letteraria  del  nostro paese  d' attingere  significato  razionale  e  razionalmente positivo,  elevandole  a  dignità  filosofica  legittima.  Fuori di  questi  principii  è  impresa  vana  pretendere  d' impri- mervalore  scientifico  alla  storia  del  popolo  italiano. INDICE   DEGLI   AUTORI GHB     DI     PBOPOSITO     0     PER     INCIDENTE TRATTANO  DELLE  DOTTRINE  DEL  VIOO  Giornale  de*  Letterati  oT  Italia,   Osserrazioni  al  primo  libro  De  Antiqttig' eima  Italomm  Sapìentia,  T.  V,  art.  VI,  t.  VIII,  art.  X.  Venezia,  1711. G.  Clbbioo,  JBihl  anL  e  mod.  Voi.  XVIII,  p.  Il»,  art.  Vili,  1722. Concinna,  Originia  futidamenta  et  capiUi  prima  JurÌ9  Naturalie.   Pado- Ta,  Damiano  Romano,  Difeta  storica  delle  Leggi  Oreche  venute  a  Roma  contro V  opinione  moderna  del  signor  Vico,  Napoli,  1 736. —  Quattordici  Lettere  evi  terno  principio  della  Scienza  Nuota  ec.  Napoli, 1749. Ganassoni,  Memoria  in  difesa  dd  principio  dd    Vico  tu  V  origine  delle XJI  Tatcle.  Opasc.  del  Galogerà. *RoOADEl,  Saggio  del  Diritto  pubblico  o  politico  del  Regno   di  Napoli, DdV  antico  Stato  de*  popoli  d*  Italia  Cistiberina.  Vedi  anche  Colan- OELO,  Biblioteca  analitica  ec. 1  Diamo  qui  tale  indice  tanto  in  servigio  e  compimento  della  storia  e  della critica  fatta  nel  primo  libro  sn  gli  scrittori  che  han  parlato  del  Vico,  quanto per  ehi  amasse  di  ripetere  i  medesimi  studi,  e  far  le  medesimo  ricerche  da  noi fatte.  Di  alcuni  di  questi  autori,  come  aTrertìmmo,  non  ahhiam  creduto  prezzo deir opera  far  cenno;  d'altri  poi  non  abbiam  potuto,  segnatamente  d* alcuni venuti  alla  luce  quando  la  prima  parte  del  nostro  layoro  era  già  in  eorso  di stampa,  come  per  esempio  del  Qalatio,  del    luca,  del  Sarchi  (traduz.  del  Libro  ì Mstafisieo),  del  Laurent  e  di  qualcun  altro.  Tutti  gli  abbiam  letti  o  consultati 0  studiati  secondo  ohe  richiedeva  non  solo  il  proposito  di  questa  nostra  opera, ma  piti  ancora  quello  della  seconda  che  pubblicheremo  intorno  ai  Prineipii della  Sociologia.  Non  abbiam  potuto. leggere  gli  articoli  del  Wotf  e  dell' Or««t, la  Prefatiom  del  Wsbsr  alla  trad.  della  Sdenta  Nuovuy  ì  Fogli  $parsi  del  QOichet e  gli  scritti  di  C.  B.  MUller  e  del  Cauer  ;  ma  ne  abbiam  dato  giudizio  traendone notizia  da  fonti  sicure.  Disporremo  qnest'  indice,  quant'  ò  possibile,  secondo Vordine  cronologico,  affinchè  sia  fatto  più  chiaro  il  pensiero  a  cui  è  informata la  1*  Parte  del  presente  lavoro. G.  Laui,  Novelle  Letterarie,  Firenze,  1740.  Vedi  pure  nelle  note  al  Meursio. FlKETTi,  De  PrineipiU  Jurx$    Naturce   et   Oentiam   adver$tu   Bòbbeatum, Pu/endorjium,  Woljium  et  alio».  Venetiis,  Bettinellus, Sommario  delle  opposizioni  del  Sistema  Ferino  di  Vieo  alla  Sacra Scrittura.    La  faUità   dello  Stato  ferino:  Appendice  al  Diritto  di Natura  e  delle  OentU E.  DuNi,  Op.,  edi?.  completa  per  cura  del  Gennarellì.  Roma Scienza del  Coetume.    Saggio  sulla  Giurisprudenza  Universale.    Origine  e progressi  del  Cittadino  di  Roma,  1763.) A.  BuoNAFEDR,  Istoria  critica  del  moderno  diritto  di  Natura  e  delle  Genti (stampato  la  prima  volta  nel  1766:  la    ediz.  fu  fatta  a  Perugia in  sa  lo  scorcio  del  secolo  passato). I.  Stbllini,   Opera  omnia.  Padova,  1788  (specialmente  nell'Opera,  Do Ortu  et  Progressu  morum). M.  Delfico,  Ricerche  sul  vero  carattere  della  Giurisprudenza  Romana  • de*  suoi  euUori.  Napoli Pagano,  Op.  Capolago,  1887.  (I  Saggi  PoliHei  furon  pubblicati  in  Na- poli neir  ultimo  decennio  del  secolo  passato.) V.  Cuoco,  Platone  in  Italia.  Milano,  1804  (idem). G.  FiLAKGiBBl,  Scienza  della  Legislazione.  Firenze,  1865  (idem). V.  Monti,  Prolusione  agli  ttudii  ddV  Università  di  Pavia.  Milano Foscolo,  Discorso  deW  origine  e  deW  ufficio  della  letteratura,  1805. Vedi  nelle  Lezioni  d'Eloquenza,  ediz.  di  Napoli,  1838. WoLP,  nel  Museum  der  Alterthumwissenschafi.  Berlino,  1807. 6.  Orblli,  Vico  e  Niehuhr.  Museo  Svizzero,  1816. Anonimo,  DelV  antichissima  Sapienza  degli  Italiani,  versione  dal  latino. Milano,  Silvestri,  1816. C.  Iannblli,  Sulla  natura  e  necessità  della  Scienza  delle  cose  e  delle  Storie umane.  Napoli,  1817. Anonimo,  neìV  Indicatore  di  Gottinga COLANOELO,  Saggio  di  alcune  considerazioni  suUa  Scienza  Nuova  del  Vico. Napoli,  1821. G.  RoifAGKOSi,  Osservazioni  sulla  Scienza  Nuova.  1821. G.  Weber,  traduzione  della  Scienza  Nuova.  Lipsia,  1822. G.  Db  Cbsarb,  Sommario  delle  dottrine  dd  Vico,  compilato  sulla  8"  ediz. della  Scienza  Nuova  fatta  dallo  stesso  Vico  nel  1744,  e  pubblicata nelPcdiz.  dello  stesso  libro  del  1826  in  Napoli. -S.  Gallotti,  Principii  «T  una  Scienza  Nuova  di  G.  B.  Vico,  prima  edizione pubblicata  dall'Autore  il  1725  riprodotta  e  annotata.  Napoli, CHE   TBATTANO  DEL  VICO.  537 Michelet,  Prineìpca  de  la  PkiloBophic  de  VHUtoìre,  traduits  de  la  Scienza Nuova,    Paris,   1827;   ripubblicata   con   le   altre  opere  a  Bmzelles nel  1889. G.  Ricci,  néìV  Antoloffia  del  Vleussenx,  Firenze,  nei  fascicoli    88,  92 del  1828  (stadio  critico  su  la  tradazione  fatta  dal  Michelet). lìivitta  Enciclopedica f  Fascicolo  d'aprile  1828  (art.  sa  la  tradazione  del Michelet). LBBXiinEB,  Initoduction  generale  à  VBittoire  du  Vroit.  Paris,  1829. Bietoire  de  la  Philotophie  du  Droit.  Bruxelles,  1830  (nel  Tom.  II). Ballanchb,  Opere.  Paris,  1830,  voi.  IH  e  IV. T.  JouFFBOY,  Mélangea  Philo$opMqu€$.  Bruxelles,  1831. V.  CousiK,  Oaurs  ec,    serio,  tom.  II.  Paris,  1831. Introductxon  b.  VHieioire  de  la  Phil.f  Lea,  II, T.  Maviani,  Rinnovamento  della  Filonofia  antica  italiana,  Pari^,  188i. L.  T.  (LniQi  Tonti),  Saggio  aopra  la  Scienza  Xuova  di  0,  B,  Vico,  Lu- gano, 1835. '*'.  PREDABI,  Op.  del  Vico  con  traduzioni  e  commonti.  Milano,  Bravet- te,  1836. G.  Febbabi,  Op.  del  Vico  ordinate  ed  illustrate  coW  analisi  détta  MenU del  Vico  ec.  Milano,  Società  Tipografica,  1835-37. Édit.  compllte  dee  oeuvre*  de  Vico,  en  six  voi.  Paris,  1885-37. Vico  et  r Italie.  Paris,  1839. - —  Eeeai  sur  le  principe  et  le$  limites  de  la  Philoeophie  de  VBittoirt Paris,  Joubert,  1843. Vico  et  VItcdie  (nella  Recue  dee  Deux  ^fond€9,  1888), C.  Cattaneo,  Vico  e  V  Italia  (nel  Politeniico,  voi.  II). St.  MrLL,  Sifithne  de  Logique,    ediz.  (nel  voi.  II). A.  RosviNT,  Il  Rinnovamento  della  Filosofia  in  Italia  propoeto  dal  Conte Terenzio  Mamiani  della  Rovere,  Milano,  1886.  (Vedi  pure  nella  Filo- •ofìa  del  Diritto,  voi.  II,  e  nella  Filosofia  politica.) G98CHEL,  Zerstreute  Bldtter,  nella  Rivista  Giuridico-filosofica.  Schlous- Singen,  1887. A.  Cosmc,  Lettera  al  Mill  (vedi  Littrì,  Auguste  Comte  et  la  Philosoplie Positive,  Paris,  1861). P.  loLA,  Studio  sul  Vico  e  sulla  filosofia  della  Storia,  letto  nell*  Accade-miafilosofica  di  Sassari,  Torino  nel  184!. T.  Maviani,  LrUere  intomo  alla  Filosofia  del  Diritto.  Napoli,  1841. 8.  Mancini,  Intorno  alla  Filosofia  del  Diritto,  Lett.  al  conte  Terenzio Mamiani.  Napoli,  1841. C.  Re.kouvieb,  Manuel  de  PhU,  moderne.  Paris.  1842. 538  INDICE  DEGLI  AUTORI V.  Gioberti,  IiUrocU  allo  studio  della  Filosofia.  Losanna,  1848. N.  ToMMAsio,  Stridii  critici,  Venezia,  1848. Studii  filosofici,  MDCCCXL,  Venezia,  voi.  II. BonCHEZ,  Jntrod,  à  la  Science  de  VHist,  Paris,  1844. Anonimo,  La  Seienoe  nouvélle  par  Vico,  trad.  par  Tautear  de  Tessa!  sur la  formation  da  Dogme  Catholiqae.  Paris,  1844. Della  Valle,  Saggi  exdìa  Scienza  della  storia,  ossia  Santo  della  Seiema Nuova  di  Q.  B.  Vico.  Napoli,  1844. G.  Eocoo,  Elogio  storico  di  0,  B,  Vico.  Napoli,  1844. G.  La  Farina,  Storia  (T  Italia,  narrata  al  popolo  italiano.  Firenze,  Poligrafia italiana,  1846,  yoI.  I,  Prefazione. S.  Centofakti,  Una  Fortixola  logica  della  filosofici  della  storia,  Pisa,  1845. N.  TomiASào,  Notizie  sulla  vita  e  suUe  opere  di  Vico.  Vedi  nell*  edizione della  Scienza  Nuova  fatta  a  Milano  dal  Silvestri F.  CARyiGNANl,  jStona  deUe  origini  e  de*  progressi  della  Filosofia  del  Diritto, Lucca Mancini,  Intorno  alla  Nazionalità  come  fondamento  del  Diritto  delle Genti.  Torino,  1851. V.  D'Ondes  Begqio,  Introduzione  ai  principii  deUe  umane  società,  Geno- va, 1851. A.  Vannucci,  Storia  antica  d*  Italia,  Firenze,  1851  (voi.  I). C.  Marini,  Giambattista  Vico  al  cospetto  dd  secolo  XIX,  Napoli,  1852.C.  E.  MUller,  G,  B.   VicoOleine  ^c^/ten  Neuhrandehurg.  1854. F.  BouLLiKR,  Hlst.  de  la  Phil,  CartUienne,  Paris,  1864  (voi.  II). B.  Poli,  Manuale  della  Storia  della  Filosofia  del  Tenncmann,  voi.  IV, Milano. A.  De  Carlo,  Istituzione  filosofica  secondo  %  principii  di  G,  B,  Vico,  divisa in  quattro  volumi.  Napoli,  1855  (1  volarne). C.  Giani,  DeW  unico  principio  e  deW  unico  fine  dell*  universo  Diritto.  Oper.a di  G.  B.  Vico  tradotta  e  commentata  coir  aggiunte  di  appendici  relative alla  materia  dell*  opera  stessa.  Milano,  Della  eguàU  autorità  e  naturale  amicizia  di  tutte  le  scienze.  Milano, 1870. Caubr,  nel  Museo  tedesco Amari,  Critica  d*  una  Scienza  dille  Legislazioni  comparate,  Genova,  Tipografia de*  Sordo-Muti,  V.  FoRNARi,  DéW Armonia  Universale,  1*  ediz.  Napoli;    ediz.  Firenze, 1863. E.  Faonani,  Ddla  neeessità  e  ddT  uso  della  Divinanione  tettifieata  dalla Scienza  Nuova  di  G.  B.  Vico.  Alessandria,  MDCCCLVII,    voi.  Ristampata nel  1861  a  Torino. CHE  TRATTANO  DEL  VIGO.  539 V.  GiOBKRTi,  Protoloffia,  Ediz.  del  Massari  (voi.  I,  Saggio  ITI), B.  ll&zzARELLA,  La  Critica  dtUa  Scienza.  Genova,  tipi  Lavagnino,  1860. B.  Spavrnta,  Carattere  e  «viluppo  della  JUoBoJia  itàliajut  d  IL  Periodo  de'  critici  e  degli  eruditi 53 >  III.  Continua  il  periodo  de' critici  e  degli  eruditi. Periodo  degl*  interpreti  filosofi 95 »  V.  Continua  il  periodo  degV  interpreti  filosofi.  131 >  VI.  Conclusione.    (Conseguenze.    Forma   della mente,  e  carattere  delle  opere  del  Vico. Valore  della  nostra  critica.) 155 >  VII.  Vico,  Leibnitz  e  il  Cartesianismo 174 »    VIIL  Delle  due  moderne  filosofie,  Germanica  e Italiana i  .INTERPRETAZIONE  DELLA  DOTTRINA  FILOSOFICA. Preambolo  Dottrina  della  scienza  e  del  criterio  ....  IL  Del  criterio  e  del  metodo  nella  scienza  .  .  239 Òtà  INDICE  DELLE  MATERIE. Capìtolo  III.  Posizione  e  critica  del  Principio  speculativo    IV.  n  Platonismo  e  V  AHstotelismo  nel  pro- blema psicologico 278 >  V.  Organismo  e  processo  psicologico.  {Fon- damento razionale  del  processo  {storico.)  311 »  VL  Genesi  e  teleologia  psicologica. Del  conoscere  metafisico.  (Critica  de^  mo- derni Neoplatonici.) 365 >  Vin.  Continua  lo  stesso  argomento.   {Critica del  Neoaristotelismo  :  Positivismo  ed  He- gélianismo,) 388 »  IX.  Su  la  ricerca  dell* Assoluto  secondo  la  Ra- gion filosofica  positiva 415 »  X.  Del  Principio  metafisico 434 »  XL  Sul  moderno  concetto  della  Creazione  e della  Provvidenza 453 »         Xn.  Deir  attività  creativa  ne*  diversi  momenti del  Processo  cosmico 469 »       XnL  Darwinismo,  Scienza  Nuova  e  Sociologia.  492. »  XIV.  Conclusione  dell'  Opera,  e  idea  su  la  Sto- ria della  Filosofia  Italiana 514 Indice  degli  Autori  che  di  proposito  o  per  incidente trattano  delle  dottrine  del  Vico 535 ERRATA. Pag.  7,  T.  4.  operazione  immediata,  per  operazione  mediata,    Pag.  28, T.  9  e^non  potrebbe  non  rieecire,  per  e*  non  potrebbe  rietcire,    Pag.  57, T.  6.  quel  eerto  Jiloeofoy  per  certo,  quelfloeofo.    Pag.  98,  v.  12.  tuo*dirc, per  vo^  dire.    Pag.  113,  v.  18.  Crieto  quel  centro  maeeimo,  por  Cristo, qvidl  centro  massimo,    Pag.  203,  ?.  12.  jUosofia  fisiologica,  per  Jìlosofia etisologica,    Pag.  212,  T.  16.  assommano  la  ragione,  per  assommano  le ragioni,  — T&g.  221,  v.  29.  Firtz,  per  iVr««.v.  13.  degVim-, ponderabili  suW  esistenza,  per  degV imponderabili  e  deW  esistenza.    Pag.  232, V.  89.  Sft^rji  vrr(xpx,tt  to,  per  fyi?:??  V7ra^;^«e  to'.    Pag.  288, 7.  7.  Sovsifiit,  per  juva/xee.    ,  v.  9.  tovto,  per  toùto.  — Pag.247,v.84.x— Jiaviafjperxat  — Jtavoiat;.  — Pag.253,T.80,7rauTt, per  Travri.    Pag.  269,  t.  88.  affermazione  promessa,  per  affermazione promossa,    Pag.  280,  T.  37.  ù^iirpòi,  per  wc  irpò^.    Pag.  290, V.  19.  x**^'  auTvJv,  per  xar'  auTvjy.    Pag.  292.  t.  29.  Avto7s  tv, per  Auto  yt  to.    Pag.  292,  v.  40.  Sovo^iisi  Zwki'v  s^'^V^^'  ^®^ SvvdfjLii  ^w>7v  ?yovTOf.    Pag.  294,  v.3l.  rsOo^tov,  per  fAi9óptoy.  — Pag.  295,  T.  8.  tfivafjicf,  per  Svvafiig,    Pag.  297.  t.  4.  TdJ  ^9vzx 7tvgG'5a,  per  to'  nuvroc  yiviaOxAi.    Pag.  335,  v.  2S.  altro potrebb* es* sere,  per  altro  non  potrtbV  essere.    Pag.  845,  T.  80.  e  perciò  era  visione, per  e  perciò  visione.^  Pag.  351,  v.  20.  aXXov  «^eu/xaTOtiv,  per  aXXwv a?to/iaTwv.    Pag.  862,  v.  87.  tololtyi?,  per  Tuvxng.    Pag.  385, T.  2gL  Tra/DOff ta,  p«r  Tra^ou^ca.    Pag.  387,  v.  34.  che  le  fa  iìUendere, per  che  la  fa  intendere.    Pag.  408,  y.  18.  di  coglierne  concetto,  per di  coglierne  il  concetto.    Pag.  418,  t.  4.  es  egreift,  per  es  ergreift,  — Pag. 413,  V.  4.  dans  an  sich,  per  das  an  sich.    Pag.  417,  v.  35.  Jtvoljixffovt, per  ^vva/X8VG(.  — P&S*  489,  v.  41.  e  s^ avvilirebbe,  ^r  e* s* avvilirebbe. — Pag.  441,  V.  22.  ytuVe?,  per  f^J7t(.    Pag.  442.  v.25.  /*v?5>j,  per  iit$è.  — Pag.  444,  y.  4.  ^a£va-5ae,  por  yaevjo'^'at.    Pag.  444,  v.  87.  rxpoi^vy' |xaTa,  per  7ra^a?£t7fAaTa.  ^  Pag.  445,  y..20.  del  Dio  aristotelico,  con; per  del  Dio  aristotelico  che  con,    Pag.  468,  y.  40,  in  due  e  cantra- rie  sentenze  apposite,  per  in  due  apposite  e  contrarie  sentenze    Pag.  470, y.  29.  yjppxsi  ro,v^r  vnapxst  to. —Pag.  478,  y.  17.  to  (^trepov, per  TO  5«UTe/)0v.  --  Pag.  478,  y.  22.  to'  rra^Xo,  per    oiWo,    Pag.  478, V.  83.  delV  atonicità,  per  déV atomicità,    Pag.  480,  y.  19.  creare  vuol non  dire,  per  creare  non  vuol  dire.  ^  Pag.  504,  y.  12.  ci  son  addate,  por ci  son  additate.    Pag.  520.  y.  15.  e  correggendo,  lui;  per  e  correggendo lui.    Pag.  528,  y.  4.  chi,  davvero,  ragion  teologica;  per  che,  davvero, la  ragion  teologica.

Pietro Siciliani. Siciliani. Keywords: la psico-genia di Vico, ateneo felsineo, l’unita organica della filosofia, zoologia filosofica, psicogenia, “I principii metafisici di Vico”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siciliani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sidonio: la ragione conversazionale dell’implicaturis – inplicatura Lewis/Short -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Sidonio Appolinare – follows a political career. He writes a number of letters in which he makes reference to philosophers and philosophical issues. He claims, for example, that Cleante di Assus bites his nails.

 

Grice e Signa: la ragione conversazionale della ruota di Venere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Signa). Filosofo italiano. Insegna retorica (“ars dictaminis”) a Bologna e Padova. Vive ad Ancona, Venezia, Bologna, Padova, e Firenze. Tra i saggi più significativi si ricordano il saggio storico “L’assedio d’Ancona” (Viella, Roma), il “Bon Compagno”; “Rethorica novissima”; “Scacchi e il “Libellus de malo senectutis et senis”, nel quale, con spirito arguto, prende in giro le affermazioni di Cicerone che idealizzano la vecchiaia”; la “Rota Veneris” (Salerno), un saggio di epistolo-grafia amorosa; “Liber de amicitia”; “Ysagoge Boncompagnus; “Tractatus virtutum”; “Palma Oliva Cedrum Mirra Quinque tabulae salutationum”;  “Bonus Socius e Civis Bononiae. Garbini, Roma, Salerno, Gabrielli, Le epistole di Cola di Rienzo e l'epistolografia, Archivio della Società romana di storia patria, Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da S. a Bene da Lucca, Bullettino dell'Istituto storico italiano, G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, Palermo, Tateo,  Enciclopedia dantesca,  Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su ALCUIN, Ratisbona.  Wight: S.'s charter doctrine (Bologna), in: Medieval Diplomatic and the 'ars dictandi', Scrineum. Keywords: Cicerone, “ars dictaminis” – o rettorica --. Bon Compagno da Signa. Signa. Keywords: rota veneris – erotica – ermafrodita – erma: mercurio, afrodita, venere, afrodisiaco. Luigi Speranza, “Grice e Signa” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Silio: la ragione conversazionale a Roma – la maledizione di Dione – Scipione come Ercole – il sacrificio dell’eroe -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo Italiano. Avvocato, console, pro-console de principato romano. Muore in Campania. Figli: Lucio Silio Deciano. Console, Proconsole in Asia. Noto semplicemente come S. Italico è anche un poeta, avvocato e politico romano, autore dei Punicorum libri XVII, il più lungo poema epico latino pervenutoci. Abbiamo notizie di lui da una lettera di PLINIO il Giovane a Caninio RUFO, nella quale parla della sua morte. Il nome ‘Asconio’ porta a ritenere che e legato alla gens patavine. Altre brevi informazioni ci vengono da TACITO e da Marziale. Di Marziale, S. è il patrono e sappiamo che opera nel foro come avvocato difensore, probabilmente già al principato di CLAUDIO. Secondo Plinio, nel principato di Nerone, dove esercitare anche l'avvocatura d'accusa, ovvero la delazione vera e falsa per il favore del principe. Il beneficio che ne tratta e il consolato ordinario. Con la caduta e morte di Nerone, in quanto amico di Vitellio, S. partecipa alle trattative di questi con il fratello di Vespasiano, Tito Flavio Sabino, che è a Roma con il figlio di Vespasiano, Domiziano.  S. è pro-console in Asia Minore agl’ordini di VESPASIANO. Testimonianza è un'epigrafe ad Afrodisia, che riporta il suo nome completo. Allo scadere del mandato pro-consolare S. si ritira dalla vita politica attiva dedicandosi agli studi e alla stesura del suo “Punicorum libri”.  Nel Libro III vi è un riferimento al titolo di "Germanico" assunto da Domiziano e Marziale saluta l'opera nel IV libro degl’epigrammi. Anche a causa dello stato di salute aggiorna a Campania, dove compra la villa di CICERONE, il suo modello di oratoria, e la terra che custodia la tomba di VIRGILIO, di cui è un estimatore e ai cui stilemi si rifà abbondantemente nel corso dei Punica. Durante il principato di Domiziano, ha la paterna soddisfazione di vedere nominato console il figlio Lucio Silio Deciano, anche se Marziale e Plinio ci informano che, peraltro, dove subire la perdita del figlio minore. In Campania, provato da un male incurabile, si lascia morire di fame alla maniera del Portico. S. scrive i Punica, poema storico, anche se secondo una parte della critica il testo è incompiuto, in quanto si ipotizza un progetto originario in XVIII libri, parallelo alle dimensioni degl’annales d’ENNIO. La tomba di Virgilio al chiaro di luna, con S., dipinto di Wright. I Punica sono la più lunga epica romana che ci sia pervenuto. Racconta la guerra punica dalla spedizione d’Annibale in Spagna al trionfo di SCIPIONE dopo Zama. La disposizione annalistica testimonia la sua volontà di ricollegarsi alla III decade di LIVIO, ne recupera la cornice architettonica del modello. Colloca dopo il proemio il ritratto di Annibale e chiude, come LIVIO, con l'immagine del trionfo di Scipione. I Punica è concepita quale continuazione ed esplicazione dell’Eneide virgiliana. La guerra d’Annibale è, di fatto, vista come la continuazione di Virgilio, originata dalla maledizione di Didone contro ENEA, mentre dal poema virgiliano S. restaura la funzione strutturale dell'apparato mitologico, anche se lo stravolgimento anti-frastico della provvidenza virgiliana è sostituito da un'EPOPEA dal finale rassicurante.  PLINIO ha delle riserve sulle capacità di S., lo ritiene più antiquario che artista per il suo gusto per le ricostruzioni minuziose. Lo stile sembra influenzato dal gusto del tempo: "barocco", scene macabre unite al modello epico mitologico, con BANALI RIFLESSIONI ETICHE. L'opera, comunque, risulta frammentaria, poiché dà più importanza ai particolari piuttosto che non all'unità dell'opera stessa. Quindi, lo scritto di S. è importante soprattutto per la quantità di informazioni storiche e mitologiche piuttosto che per la sua poesia.  S. in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. S., in Treccani.it – Enciclopedie, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. S., su Sapere.it, De Agostini. Pollidori - Postilla a S., su gionni altervista.org. Giarratano, S. in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Epist. III, 7. Patavino: cittadino di Padova (dal latino Patăvium, nome della città di Padova. Marziale. Vinchesi, Introduzione, in Le guerre puniche, BUR, Milano, Occioni, S. e il suo poema, Firenze, Monnier, Vinchesi, Introduzione, in Le guerre puniche, BUR, Milano. S. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giarratano, S. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, S. su sapere.it, Agostini. S., Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica. Silio Italico, su ALCUIN, Ratisbona. S., su Musisque Deoque; S. su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. S., open MLOL, Horizons Unlimited, S., Open Library, Internet Archive. S. su Progetto Gutenberg. V · D · M Poeti epici antichi Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Letteratura Categorie: Poeti romani Avvocati romani Politici romani, Poeti, Consoli imperiali romani. S. has a career in politics before retiring to his villa near Napoli where he pursues his interests in philosophy. He is a follower of the Porch, and admired by Pliny Minore. S. is a  philosopher of the Porch.. S. adopts Virgil's basic concept of seeing in the Punic War a fateful step on the road to Rome's greatness, pre-ordained and hence supported by the divine. In his epic, however, S. goes further than Virgilio had done in trying to illustrate how the actions of the great Romans of the period, such as Marcellus or Scipione - reveal that harmony between pre-destination and CHOICE which is demanded by the philosophy of IL PORTICO. Romans like Marcello or Scipione remain loyal to the ancient values of Rome, which are unknown (and naturally totally foreign) to the antagonist Hannibal. S. shows both Scipione and Hannibal as trying to emulate ERCOLE, that hero whom philosophers from both IL PORTICO and IL CINARGO present as the archetype of a man whose unceasing endeavour and striving make him able to attain perfection through his own efforts. The Roman ERCOLE is, moreover, an important figure in popular religion and in Flavian principate ideology. In S.’s epic only one of the two claimants is Hercules’s legitimate successor: Scipione, whose individual striving for perfection is sub-ordinate to the summum bonum (OPTIMVM) of serving Rome, and thus in harmony with the universal order in which Rome has its divinely given place. By applying the doctrine of fate of IL PORTICO to explain the tradition of Rome's heroic past with its many Republican memories S. establishes a meaningtul connection between that tradition and the state of the principate in which he himself lives. S.’s aim is to prove that a classicising frame of mind with its orientation towards the legendary past of Rome leads to an affirmation, instead of a rejection, of contemporary reality. Tiberio Cazio Asconio Silio Italico. Keywords: SCIPIONE, l’eroe nudo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Silio, and the labours of Ercole” – per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Silla: la regione conversazionale della ta meta ta physika -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Apellicon, a member of the Lizio, acquires an extensive collection of the works of Aristotle and Teofrasto that had once belonged to Neleo, della Scessi. S. takes the collection away from him and transports it to Roma, where TIRANNIO (si veda) is put in charge of sorting it out and looking after it. Grice: “Tirannio saw a bunch of books which where obviously on physics. ‘And what are these?’ A bunch of books piled after those about physics. ‘I don’t know. I call them ‘the books that come after the books on physics’ – ta meta ta physika.”   Lucio Cornelio Silla Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.  Disambiguazione – "Lucio Silla" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Lucio Silla (disambigua).  Disambiguazione – "Silla" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Silla (disambigua).  Disambiguazione – Se stai cercando l'opera di Händel, vedi Lucio Cornelio Silla (Händel). Lucio Cornelio Silla Console e dittatore della Repubblica romana Ritratto di Silla su un denario battuto da suo nipote Quinto Pompeo Rufo Nome originale  Lucius Cornelius Sulla Nascita138 a.C. Roma Morte78 a.C. Cuma ConiugeGiulia[N 1][N 2] Elia[N 2] Clelia Cecilia Metella Dalmatica Valeria Messalla Figlida Giulia Cornelia Silla Lucio Cornelio Silla da Metella Fausto Cornelio Silla Fausta Cornelia Silla Lucio Cornelio Silla da Valeria Cornelia Postuma GensCornelia PadreLucio Cornelio Silla Questura107 a.C. Pretura97 a.C. Propretura96 a.C. in Cilicia Consolato88 a.C. 80 a.C. Proconsolato87 a.C. - 84 a.C. in Asia Dittatura82 - 79 a.C. Lucio Cornelio Silla Nascita    Roma, 138 a.C. MorteCuma, 78 a.C. Cause della mortecancro EtniaLatino ReligioneReligione romana Dati militari Paese servitorepubblica romana Forza armata           Esercitoromano GradoDux GuerreGuerra giugurtina Guerre cimbriche Guerra civile romana (83-82 a.C.) Prima guerra mitridatica BattaglieBattaglia dei Campi Raudii Assedio di Atene (87 a.C.) Battaglia di Porta Collina Battaglia di Cheronea (86 a.C.) Battaglia di Orcomeno Comandante di            Esercito romanoAltre caricheDictator voci di militari presenti su Wikipedia Manuale Lucio Cornelio Silla (in latino Lucius Cornelius Sulla Felix[1], pronuncia classica o restituta: [ˈluːkɪʊs kɔrˈneːlɪʊs ˈsʉlla ˈfeːlɪks], nelle epigrafi L·CORNELIVS·L·F·P·N·SVLLA·FELIX; Roma, 138 a.C. – Cuma, 78 a.C.) è stato un militare e dittatore romano.  Lucio Cornelio Silla naque nel 138 a.C. a Roma da un ramo della gens patrizia dei Cornelii caduto in disgrazia.[2] La motivazione è rintracciabile all'inizio del III secolo a.C.: un quadrisavolo di Silla, Publio Cornelio Rufino, nonostante fosse stato console nel 290 a.C. e nel 277 a.C., dittatore in data imprecisata e avesse celebrato il trionfo sui Sanniti, fu espulso dal Senato nel 275 a.C. perché possedeva più di dieci libbre di argenteria in casa.[3] Il figlio di Rufino, Publio Cornelio, fu nominato flamen Dialis, posizione di massima importanza in ambito religioso, ma i cui obblighi lo escludevano di fatto dalla vita politica.[4] Questi fu il primo a portare il cognomen Sulla.[5]  Nelle sue Memorie, Silla stesso scrive che il primo Sulla fu il flamine, facendo derivare la parola dal nome della Sibilla: infatti Publio Cornelio, figlio del sacerdote e bisavolo di Silla, aveva consultato i Libri sibillini per decidere se celebrare i primi ludi Apollinares;[6] questo tentativo di nobilitare il cognomen non rispetterebbe però un'antica usanza romana.[7] Tradizionalmente, infatti, il cognomen descriveva un tratto della famiglia che lo portava: in questo caso, mentre Rufinus richiamava la capigliatura rossa della famiglia, Sulla derivava da suilla, «carne di porco», e alludeva alla pelle chiara e cosparsa di lentiggini.[N 3]  Nonostante il cambiamento del cognomen, la reputazione della famiglia non migliorò e i successori del flamine non ricoprirono cariche superiori a quella pretoria.[8] Il bisavolo di Silla, Publio Cornelio, fu unitamente praetor urbanus e peregrinus nel 212 a.C.[9] e, come già detto, indisse i primi Giochi di Apollo. Avvicinandosi all'età di Silla le informazioni scarseggiano: del primogenito e nonno di Silla, omonimo di suo padre, si sa che fu pretore in Sicilia nel 186 a.C.,[10] mentre il secondogenito, Servio, ricoprì la carica in Sardegna nel 175 a.C.[11]  Del padre, Lucio Cornelio Silla, si sa ancora meno: è probabile che non fosse il primogenito di Publio e che fu amico di Mitridate il Grande,[12] per cui potrebbe essere stato promagistrato in Asia[11] o membro di una delle numerose delegazioni che venivano frequentemente inviate in Oriente.[11] Ebbe due mogli: la seconda, matrigna di Silla, era decisamente doviziosa.[13]  Gioventù  Busto virile detto Silla, copia del 40 a.C. ca. di un originale della fine del II sec. a.C. o dell'età augustea, marmo, alt. 47 cm. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek (fino al 1897 in Roma, Palazzo Barberini, collezione privata). Già dal 1642 la scultura era identificata con Silla ma, considerata la datazione (incerta), si può dire che probabilmente non lo ritrae.[14] Poco si sa della fanciullezza di Silla. Ci rimane solo una leggenda, secondo cui, poco dopo la sua nascita, una donna lo vide in grembo alla nutrice e le disse «Puer tibi et reipublicae tuae felix» (Il fanciullo [sarà] fonte di gioia per te e per lo Stato).[15] Certo è che il crollo del prestigio condizionò la situazione economica della famiglia, descritta così da Plutarco:  (GRC) «οἱ δὲ μετ’ ἐκεῖνον ἤδη ταπεινὰ πράττοντες διετέλεσαν, αὐτός τε Σύλλας ἐν οὐκ ἀφθόνοις ἐτράφη τοῖς πατρῴοις. γενόμενος δὲ μειράκιον ᾤκει παρ’ ἑτέροις ἐνοίκιον οὐ πολὺ τελῶν, ὡς ὕστερον ὠνειδίζετο παρ’ ἀξίαν εὐτυχεῖν δοκῶν. σεμνυνομένῳ μὲν γὰρ αὐτῷ καὶ μεγαληγοροῦντι μετὰ τὴν ἐν Λιβύῃ στρατείαν λέγεταί τις εἰπεῖν τῶν καλῶν τε κἀγαθῶν ἀνδρῶν· «Καὶ πῶς ἂν εἴης σὺ χρηστός, ὃς τοῦ πατρός σοι μηδὲν καταλιπόντος τοσαῦτα κέκτησαι;»»  (IT) «I suoi [di Rufino] discendenti, fin dal primo, condussero una vita mediocre e Silla stesso fu allevato in una situazione patrimoniale niente affatto invidiabile. Da adolescente abitava in casa d'altri e pagava un affitto basso; questo gli fu rinfacciato in seguito, perché sembrava aver raggiunto una fortuna superiore al merito. Si dice che, dopo la campagna in Libia, quando si faceva bello e si vantava, uno dei boni gli si rivolse con queste parole: «E come potresti essere meritevole di lodi tu, che ti sei ritrovato tante ricchezze senza che tuo padre ti abbia lasciato niente?»»  (Plutarco, Sull., 1, 2; trad. di Lucia Ghilli, p. 303.)  Il biografo greco probabilmente esagera, perché Silla non crebbe nella povertà più assoluta: era ricco agli occhi del plebeo, ma povero agli occhi del nobile, una posizione assimilabile a quella di cavaliere.[16] Nonostante l'ambiente modesto in cui visse, a Silla fu impartita un'ottima educazione, degna delle sue origini patrizie: gli furono insegnati la letteratura latina e greca,[17] il diritto, la retorica, la filosofia e l'arte e fu impregnato dei valori tradizionali del mos maiorum.[18] Con questi strumenti, Silla poteva certamente rivaleggiare con i più eruditi della sua epoca, ma per ottenere una carica gli serviva il denaro.  La speranza di ricoprire una magistratura sembrò svanire quando, verso l'età in cui indossò la toga virilis (circa 17 anni), il padre Lucio morì senza lasciargli nulla in eredità.[19] Il giovane Silla, che godeva di un reddito annuo di 9000 sesterzi, nove volte maggiore rispetto a quello di un operaio, ma decisamente umile per un aristocratico,[19] prese a frequentare i sobborghi dell'Urbe, che poco si addicevano a un patrizio, e personaggi ambigui come mimi e istrioni,[20] per cui scrisse anche alcune atellane.[21] Secondo Plutarco, in occasione delle bevute con i suoi amici plebei Silla, la cui immagine è passata alla storia come severo dittatore, mostrava il suo lato migliore:  (GRC) «[...] ἀλλ’ ἐνεργὸς ὢν καὶ σκυθρωπότερος παρὰ τὸν ἄλλον χρόνον, ἀθρόαν ἐλάμβανε μεταβολὴν ὁπότε πρῶτον ἑαυτὸν εἰς συνουσίαν καταβάλοι καὶ πότον, ὥστε μιμῳδοῖς καὶ ὀρχησταῖς τιθασὸς εἶναι καὶ πρὸς πᾶσαν ἔντευξιν ὑποχείριος καὶ κατάντης.»  (IT) «[...] sebbene fosse attivo e più accigliato per il resto del tempo, non appena si buttava nella mischia e si metteva a bere cambiava del tutto, tanto da diventare gentile con mimi cantanti e ballerini, dimesso e propenso ad accogliere ogni richiesta.»  (Plutarco, Sull., 2, 3; trad. di Lucia Ghilli, p. 309.)  Ormai pronto al matrimonio, Silla sposò una certa Ilia,[22] che potrebbe corrispondere a una Giulia, sorella di Lucio Giulio Cesare e Cesare Strabone Vopisco,[23] o una Giulia minore, sorella di Gaio Giulio Cesare, Sesto Giulio Cesare e Giulia maggiore, moglie di Gaio Mario,[24] o più probabilmente si tratta di un errore di Plutarco, per cui la figura di Ilia coinciderebbe con Elia,[25] la seconda moglie di Silla, di famiglia plebea e di cui non si sa altro che il nome[26]. In ogni caso, da Ilia Silla ebbe la sua prima figlia, Cornelia, e il primo figlio, Lucio, che morì infante.[27]  Ad ogni modo, il legame matrimoniale non gli impedì di intrattenere relazioni extraconiugali: coltivò una relazione omosessuale con l'attore Metrobio, un amore giovanile che portò con sé fino alla morte,[28] così come continuò a frequentare i circoli di buffoni. Amò anche la facoltosa Nicopoli, liberta più vecchia di lui e sua amante, che, quando spirò, lasciò al giovane Silla una grande eredità.[13] Nello stesso periodò morì anche la matrigna, da cui Silla ereditò un'altra ingente somma di denaro.[13] Fu probabilmente così che Lucio Cornelio Silla, nato da una famiglia decaduta, poté intraprendere la sua carriera politica: l'inizio della sua Felicitas.  Esordi della carriera e opposizione a Mario  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra giugurtina e Guerre cimbriche. Nel 107 a.C. Silla fu nominato questore di Gaio Mario, del quale era cognato avendo sposato la sorella minore della moglie di Mario, Giulia, nel periodo in cui questi stava assumendo il comando della spedizione militare contro Giugurta, re della Numidia. Questa guerra si protraeva ormai dal 112 a.C., con risultati addirittura umilianti per l'esercito romano, tenuto in scacco dalle forze di questo piccolo regno africano.  Alla fine Mario, nel 106 a.C., riuscì a prevalere, soprattutto grazie all'abile e coraggiosa iniziativa di Silla, che riuscì a catturare Giugurta convincendo il suocero Bocco e gli altri familiari a tradirlo e consegnarlo ai Romani. La fama che gliene derivò gli servì da trampolino di lancio per la carriera politica, ma provocò il risentimento e la gelosia di Mario nei suoi confronti. Difatti Silla continuò a servire nello Stato Maggiore di Mario fino all'elezione al consolato di Quinto Lutazio Catulo, di antica famiglia aristocratica come lui, e infine passando nello Stato Maggiore di quest'ultimo nella difficile campagna condotta in Gallia contro le tribù germaniche dei Cimbri e dei Teutoni (104 – 103 a.C.). Silla si distinse anche in questa occasione, aiutando il console Quinto Lutazio Catulo e Mario a sconfiggere i Cimbri nella Battaglia dei Campi Raudii, presso Vercelli, nel 101 a.C..  Al suo ritorno a Roma, Silla riuscì a farsi eleggere pretore urbano, e i suoi avversari non mancarono di accusarlo di aver corrotto all'uopo molti degli elettori. In seguito fu assegnato al governo della Cilicia, regione situata nell'odierna Turchia. Nel 96 a.C. si assistette a un avvenimento storico per quell'epoca. La Repubblica romana e il grande Impero dei Parti vennero a contatto in modo del tutto pacifico. Una delegazione inviata dal sovrano parto, Mitridate II, si incontrò sulle rive dell'Eufrate con il pretore Lucio Cornelio Silla, governatore della nuova provincia di Cilicia.[29]  «Dopo l'anno di pretura, [Silla] fu inviato in Cappadocia. Motivo ufficiale della sua missione era il porre di nuovo sul trono Ariobarzane I.[30] In verità egli aveva il compito di contenere e controllare l'espansione di Mitridate, che stava acquisendo nuovi domini e potenza non inferiori a quanti ne aveva ereditati.»  (Plutarco, Vita di Silla, 5.)   La missione di Silla, procuratore della Cilicia, nel 96 a.C., quando incontrò un satrapo dei Parti presso Melitene (futura fortezza legionaria).  Rovine di Aeclanum, la città del Sannio irpino conquistata da Lucio Cornelio Silla. Questo primo incontro fissò sull'Eufrate il confine tra i due imperi.[31][32] Una curiosità di quell'incontro fu che Silla cercò, anche in quella circostanza, di affermare la preminenza di Roma sulla Partia, sedendosi fra il rappresentante del Gran Re e il re di Cappadocia, come se desse udienza a dei vassalli. Una volta venuto a conoscenza dell'accaduto, il re dei Parti fece giustiziare colui che lo aveva così maldestramente sostituito all'incontro con il comandante militare romano. Ecco come racconta l'episodio Plutarco:  «Silla soggiornava lungo l'Eufrate, quando venne a trovarlo un certo Orobazo, un parto, quale ambasciatore del re degli Arsacidi. In passato non c'erano mai stati rapporti di sorta tra i due popoli. Tra le grandi fortune toccate a Silla, va ricordata anche questa. Egli fu infatti il primo romano che i Parti incontrarono, chiedendo alleanza e amicizia.[33] In questa occasione si racconta che Silla fece disporre tre sgabelli, uno per Ariobarzane I, uno per Orobazo e uno per sé, e li ricevette mettendosi al centro tra i due. Di questa situazione alcuni lodano Silla, perché ebbe un contegno fiero di fronte a due barbari, altri lo accusano di impudenza e vanità oltre misura. Il re dei Parti, da parte sua, mise poi a morte Orobazo.»  (Plutarco, Vita di Silla, 5.)  Al termine del 96 a.C. Silla lasciò il Medio Oriente e rientrò a Roma, dove si unì al partito degli oppositori di Gaio Mario. In quegli anni la Guerra Sociale (91-88 a.C.) era al suo culmine. L'aristocrazia romana si sentiva minacciata dalle ambizioni di Mario che, vicino alle posizioni del partito popolare, aveva già retto il consolato per 5 anni di seguito, dal 104 a.C. al 100 a.C. Nella repressione di quest'ultimo moto di ribellione delle popolazioni italiche alleate di Roma, Silla si mise particolarmente in luce come brillante e geniale stratega, eclissando sia Mario sia l'altro console Gneo Pompeo Strabone (padre di Gneo Pompeo Magno). Una delle sue imprese più famose fu la cattura di Aeclanum, città degli Irpini, ottenuta incendiando il muro di legno che difendeva la città assediata. Come conseguenza, nell'88 a.C., ottenne per la prima volta il consolato, insieme a Quinto Pompeo Rufo.  Occupazione militare di Roma  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile romana (83-82 a.C.). Silla, assunta la carica di console, ricevette poco dopo dal Senato l'incarico di governare la provincia d'Asia. Durante il governatorato organizzò una nuova spedizione in Oriente e combatté la prima guerra mitridatica.[34] Si lasciò tuttavia alle spalle, a Roma, una situazione assai turbolenta. Mario era ormai vecchio, ma nonostante ciò aveva ancora l'ambizione di essere lui, e non Silla, a guidare l'esercito romano contro il re del Ponto Mitridate VI. Per ottenere l'incarico, Mario convinse il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo a fare approvare una legge che sottraesse a Silla la guida, già legittimamente conferitagli, della guerra contro Mitridate e gliela attribuisse.  Appresa la notizia Silla, accampato in quel momento nell'Italia meridionale in attesa di imbarcarsi per la Grecia, scelse le 6 legioni a lui più fedeli e, alla loro testa, marciò su Roma. Nessun comandante, in precedenza, aveva mai osato violare con l'esercito il perimetro della città (il cosiddetto pomerio). La cosa era talmente contraria alle tradizioni che Silla esentò gli ufficiali dal parteciparvi. Spaventati da tanta risolutezza, Mario e i suoi seguaci fuggirono dalla città. Dopo avere preso una serie di provvedimenti per ristabilire la centralità del Senato come guida della politica romana, Silla lasciò di nuovo Roma, e riprese la strada della guerra contro Mitridate.  Guerra contro Mitridate in Oriente  Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra mitridatica.  Mitridate (I secolo d.C., oggi al museo del Louvre). Approfittando dell'assenza di Silla, sul finire dell'87 a.C. Mario riuscì a riprendere il controllo della situazione. Con il sostegno del console Lucio Cornelio Cinna (suocero di Gaio Giulio Cesare), ottenne che tutte le riforme e le leggi emanate da Silla fossero dichiarate prive di validità e che lo stesso Silla fosse ufficialmente dichiarato «nemico pubblico» e costretto perciò all'esilio. Insieme, Mario e Cinna eliminarono fisicamente un gran numero di sostenitori di Silla, e furono eletti consoli per l'anno 86 a.C. Mario morì pochi giorni dopo l'elezione e Lucio Valerio Flacco fu nominato consul suffectus al suo posto, mentre Cinna rimase a dominare incontrastato la politica romana, essendo rieletto console negli anni successivi.  Nel frattempo Silla si era recato in Grecia, dove portò alla caduta Atene nel marzo dell'86 a.C..[35][36] Il comandante romano vendicò quindi l'eccidio asiatico di Mitridate, compiuto su Italici e cittadini romani, compiendo un'autentica strage nella capitale attica. Silla proibì, invece, l'incendio della città, ma permise ai suoi legionari di saccheggiarla. Il giorno seguente il comandante romano vendette il resto della popolazione come schiavi.[36] Catturato Aristione, chiese alla città come risarcimento del danno di guerra, circa venti chili di oro e 600 libbre d'argento, prelevandole dal tesoro dell'Acropoli.[37]  Poco dopo fu la volta del porto di Atene del Pireo.[38] Da qui Archelao decise di fuggire in Tessaglia, attraverso la Beozia, dove portò ciò che era rimasto della sua iniziale armata, radunandosi presso le Termopili con quella del condottiero di origine tracia, Dromichete (o Tassile secondo Plutarco[39]). Con l'arrivo di Silla in Grecia nell'87 a.C. le sorti della guerra contro Mitridate erano quindi cambiate a favore dei Romani. Espugnata quindi Atene e il Pireo, il comandante romano ottenne due successi determinanti ai fini della guerra, prima a Cheronea,[40] dove secondo Tito Livio caddero ben 700.000 armati del regno del Ponto,[41][42][43] e infine a Orcomeno.[40][44][45][46]   Mappa dei movimenti delle armate romane, prima e durante la battaglia combattuta presso Cheronea  Mappa dei movimenti delle armate romane, durante la battaglia combattuta presso Orchomenos Contemporaneamente, agli inizi dell'85 a.C., il prefetto della cavalleria, Flavio Fimbria, dopo aver ucciso il proprio proconsole, Lucio Valerio Flacco, a Nicomedia[47] prese il comando di un secondo esercito romano.[48][49] Quest'ultimo si diresse anch'egli contro le armate di Mitridate, in Asia, uscendone più volte vincitore,[50] riuscendo a conquistare la nuova capitale di Mitridate, Pergamo,[47] e poco mancò che non riuscisse a far prigioniero lo stesso re.[51] Intanto Silla avanzava dalla Macedonia, massacrando i Traci che sulla sua strada gli si erano opposti.[52]  «Quando Mitridate seppe della sconfitta a Orcomeno, rifletté sull'immenso numero di armati che aveva mandato in Grecia fin dal principio, e il continuo e rapido disastro che li aveva colpiti. In conseguenza di ciò, decise di mandare a dire ad Archelao di trattare la pace alle migliori condizioni possibili. Quest'ultimo ebbe allora un colloquio con Silla in cui disse: Tuo padre era amico di re Mitridate, o Silla. Fu coinvolto in questa guerra a causa della rapacità degli altri comandanti romani. Egli chiede di avvalersi del tuo carattere virtuoso per ottenere la pace, se gli accorderai condizioni eque».»  (Appiano, Guerre mitridatiche, 54.)  Dopo una serie di trattative iniziali, Mitridate e Silla si incontrarono a Dardano, dove si accordarono per un trattato di pace[53], che costringeva Mitridate a ritirarsi nei confini antecedenti la guerra,[53] ma ottenendo in cambio di essere ancora una volta considerato «amico del popolo romano». Un espediente per Silla, per poter tornare nella capitale a risolvere i suoi problemi personali, interni alla Repubblica romana. Si racconta che Silla, prima di tornare in Italia, ebbe un secondo incontro con ambasciatori del re dei Parti, i quali gli predissero che «divina sarebbe stata la sua vita e la sua fama». Allora Silla decise di tornare in Italia (primavera dell'83 a.C.), sbarcando a Brindisi con 300.000 armati.[54]  Il ritorno a Roma, la dittatura e le liste di proscrizione  Lo stesso argomento in dettaglio: Proscrizione sillana.  Possibile ritratto di Silla (copia del I secolo d.C. (?) di un originale risalente al I secolo a.C., oggi conservata presso la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen). L'identificazione è stata avanzata dall'archeologo tedesco Klaus Fittschen.[55] Quando fu raggiunto dalla notizia della morte di Cinna, nell'84 a.C., lasciò l'Oriente e si mise in marcia verso Roma, ottenendo l'appoggio, tra gli altri, del giovane Gneo Pompeo Magno. Dopo un periodo iniziale di stasi delle operazioni militari, nel novembre dell'82 a.C. Silla ottenne la vittoria decisiva sconfiggendo nella Battaglia di Porta Collina un grande esercito costituito dalle legioni della fazione dei populares e dalle agguerrite truppe sannite al comando di Ponzio Telesino. L'esito di questa battaglia fu determinato in modo risolutivo dall'azione del futuro triumviro Marco Licinio Crasso che al comando dell'ala destra sbaragliò le forze nemiche, mentre Silla era in grave difficoltà sull'ala sinistra.  Subito dopo la battaglia, nel dicembre dell'82 a.C., essendo morti entrambi i consoli, Silla fu eletto dittatore[56] a tempo indeterminato dai comizi centuriati con la Lex Valeria de Sulla dictatore:[57] i suoi poteri comprendevano il diritto di vita e di morte, la possibilità di presentare leggi, di effettuare confische, di fondare città e colonie, di scegliere i magistrati.  Fu sulla base di questi poteri che Silla realizzò un'articolata serie di riforme, che, nelle sue intenzioni, dovevano risolvere la crisi in cui si dibatteva da decenni lo Stato romano. Divenuto padrone assoluto della città, Silla instaurò un vero e proprio regno del terrore, mettendo al bando e dichiarando fuori legge (prima proscrizione) tutti gli oppositori politici, offrendo ricompense a chi li avesse uccisi. I più colpiti furono i cavalieri, che erano sempre stati ostili a Silla e che presero potere grazie alla riforma del proletariato: ne furono uccisi 2.600 e i loro beni, messi all'asta a prezzi irrisori, finirono nelle tasche dei Sillani.  Il giovane Gaio Giulio Cesare, come genero di Cinna, fu costretto ad abbandonare precipitosamente la città, ma ebbe salva la vita grazie all'intercessione di alcuni amici influenti, soprattutto della cugina Cornelia, figlia di Silla, e del marito di lei Mamerco Emilio Lepido, princeps senatus. Silla annotò poi nelle proprie memorie di essersi pentito di averlo risparmiato ("e sia, lo risparmierò, ma vi avverto, in lui vedo mille volte Mario", frase citata in Svetonio, Vita di Cesare, edizioni Laterza), viste le ben note ambizioni politiche del giovane. Una vittima delle sue proscrizioni, con una morte particolarmente violenta e crudele fu Marco Mario Gratidiano, del quale si racconta che fosse decapitato da suo cognato Catilina anche se, in un frammento delle Storie, Sallustio non menziona Catilina nel descrivere la morte: a Gratidiano, dice, «la vita era sfuggita da lui pezzo per pezzo: le gambe e le braccia gli sono state spezzate e gli occhi cavati».  La circostanza che l'uccisione avvenisse presso la tomba di Catulo ha fatto pensare gli storici che si trattasse non di una semplice crudele vendetta ma di un vero e proprio sacrificio umano rituale per pacificare un antenato morto, riprendendo l'uso di sacrifici umani a Roma, documentati in tempi storici da Andrew Lintott, seppure da 15 anni fossero stati vietati.  Il nuovo ordine Ormai rimasto senza vere opposizioni, Silla attuò una serie di riforme tese a mettere il controllo dello Stato saldamente nelle mani del Senato, allargato per l'occasione da 300 a 600 senatori. La nomina a senatore fu resa, inoltre, automatica al raggiungimento della carica di questore, mentre prima era demandata alla scelta dei censori. Per evitare l'accumulo di poteri si stabilì un limite minimo di età per le varie magistrature: trent'anni per i questori, quaranta per i pretori, ecc. Il potere dei tribuni della plebe fu inoltre fortemente ridimensionato: le loro proposte dovevano essere approvate preventivamente dal Senato e il loro diritto di veto limitato. Il potere giudiziario fu restituito al Senato, sia per i reati più gravi sia per le cause di corruzione che la riforma graccana aveva demandato ai cavalieri. In definitiva tutte le sue azioni erano animate dall'intento di restituire al partito aristocratico il controllo della città. Introdusse inoltre la legge per cui i vincitori di corone militari di grado pari o superiore alla civica sarebbero stati ammessi di diritto in senato indipendentemente dall'età, questo fu il motivo per cui Gaio Giulio Cesare all'età di vent'anni ebbe accesso al Senato.  Il ritiro dalla vita politica Cronologia Vita di Lucio Cornelio Silla Circa 138 a.C.nasce a Roma 107 a.C.            nominato questore di Gaio Mario 106 a.C.    fine della Guerra Giugurtina 104 - 103 a.C.           legatus di Mario nella Gallia Ulteriore 103 a.C.        legatus di Quinto Lutazio Catulo nella Gallia Ulteriore 101 a.C.sconfigge i Cimbri nella Battaglia dei Campi Raudii (Vercelli) 97 a.C.         eletto pretore urbano 96 a.C.governatore della Cilicia[31][32] 91 - 88 a.C.    comandante nelle Guerre Sociali 88 a.C.       consolato insieme a Quinto Pompeo Rufo e successiva occupazione di Roma e messa fuori legge di Mario 87 a.C.spedizione in Medio Oriente contro Mitridate VI del Ponto 86 a.C.            messo fuori legge da Mario 82 a.C.    ritorna a Roma e la occupa con la forza per la seconda volta 82 a.C.    eletto dittatore 80 a.C. consolato insieme a Quinto Cecilio Metello Pio 79 a.C.    si dimette dal consolato e si ritira a vita privata 78 a.C.            muore per cause naturali in Campania nella sua villa di Cuma Nella sua veste di dittatore a vita Silla venne eletto console per la seconda volta nell'80 a.C. Cresceva intanto l'insofferenza verso gli eccessi compiuti dai suoi uomini. Un suo liberto fu denunciato in un processo, e sconfitto grazie alle arringhe del giovane Cicerone. Silla, sorprendendo tutti, l'anno successivo decise di abbandonare la politica per rifugiarsi nella propria villa di campagna, con l'intento di accingersi a scrivere le proprie memorie e riflessioni.  Quando si ritirò a vita privata, pare che attraversando la folla sbigottita uno dei passanti si mise a ingiuriarlo. Silla si limitò a rispondergli, beffardo: «Avresti avuto lo stesso coraggio a dirmi queste cose quando ero al potere?». E alla fine, personaggio dall'indole spietata e ironica allo stesso tempo, confidò ad uno dei suoi amici:  «Imbecille! Dopo questo gesto, non ci sarà più alcun dittatore al mondo disposto ad abbandonare il potere.[58]»  Plutarco nelle Vite parallele lo rappresenta come il vizio, narrando che fosse circondato da una variopinta corte di attori, ballerini e prostitute, fra cui un certo Metrobio, e che gli dei per punizione lo fecero ammalare di lebbra. Dopo aver terminato le sue riforme, nel 79 a.C. si ritirò a vita privata. In compagnia di questa allegra brigata, Sulla Felix fino all'ultimo respiro, morì nel 78 a.C., probabilmente di cancro. Lasciò vedova e incinta la sua ultima moglie, Valeria Messalla, che qualche mese dopo partorì una figlia, Cornelia Postuma.  Com'era allora d'uso presso i potenti di Roma, lui stesso dettò l'epitaffio che aveva voluto s'incidesse sul suo monumento funebre:  «Nessun amico mi ha reso servigio, nessun nemico mi ha recato offesa, che io non abbia ripagati in pieno.»  Conseguenze dell'operato politico di Silla I problemi politici e sociali che avevano portato alla guerra civile non erano però affatto risolti. Silla aveva ristabilito l'ordine oligarchico in virtù della forza derivatagli dagli eserciti, al cui appoggio avrebbero ricorso sia i sostenitori sia gli avversari del nuovo corso da lui instaurato. Da Silla in poi la vita politica e civile dello Stato fu perciò condizionata pesantemente dall'elemento militare: disporre di un esercito da usare contro gli avversari e, se si rivelasse necessario, contro le stesse istituzioni romane, divenne l'obiettivo principale dei più ambiziosi capi politici che aspiravano al potere. Il sistema costituzionale romano uscì distrutto dalla guerra civile. E l'esempio di Silla trovò presto un imitatore d'eccezione proprio in un uomo che aveva idee opposte alle sue: Giulio Cesare[59].  Matrimoni e discendenza Silla si sposò cinque volte:[60]  Giulia, chiamata anche Ilia[N 2]. Probabilmente una parente di Giulio Cesare, si sposarono nel 110 a.C. e lei morì nel 104 a.C., probabilmente di parto. Ebbero una figlia e un figlio: Cornelia, che fu madre di Pompea Silla, terza moglie di Giulio Cesare. Lucio Cornelio Silla, che morì giovane. Elia[N 2], da cui non ebbe figli. Clelia, da cui divorziò con l'accusa di sterilità. Cecilia Metella Dalmatica. Si sposarono nell'87 a.C. e lei morì nell'80 a.C. Ebbero due figli e una figlia: Fausto Cornelio Silla. Gemello di Fausta, questore nel 54 a.C. Fausta Cornelia. Gemella di Fausto, madre di Gaio Memmio, console suffetto nel 34 a.C. Lucio Cornelio Silla. Morì giovane poco prima della madre.[61] Valeria Messalla. Si sposarono nel 78 a.C. e fu l'ultima moglie di Silla, che morì nello stesso anno. Ebbero una figlia: Cornelia Postuma. Nata alcuni mesi dopo la morte del padre, si presume sia morta prima dell'età da matrimonio. Note Esplicative ^ Chiamata anche Ilia  Le figure di Giulia/Ilia ed Elia potrebbero coincidere (vd. infra). ^ Plutarco, Sull., 2, 1; Brizzi 2004, p. 15; Hinard 2003, pp. 15-17; contra Keaveney 1985, p. 16, secondo il quale deriverebbe da sura, «polpaccio»; cfr. Quintiliano, Inst., I 4, 25). Bibliografiche ^ Noto anche semplicemente come Silla, nome che probabilmente deriva dalla corruzione della grafia originaria del suo cognome (SVILLA). Il cognome aggiuntivo (in latino agnomen) Felix fu aggiunto quando già era al termine della carriera, a motivo della sua quasi leggendaria fortuna come condottiero. ^ Plutarco, Sull., 1, 1; Sallustio, Iug., 95, 3. ^ Plutarco, Sull., 1, 1; Brizzi 2004, p. 13; Hinard 2003, p. 14; Telford, p. 18. ^ Brizzi 2004, p. 14; Hinard 2003, p. 15. ^ Brizzi 2004, p. 14. ^ Livio, XXV 12. ^ Brizzi 2004, p. 15; Hinard 2003, p. 16. ^ Hinard 2003, p. 18; Telford, pp. 19-20. ^ Livio, XXV, 2-3. ^ Brizzi 2004, p. 15; Hinard 2003, p. 18; Keaveney 1985, p. 16.  Brizzi 2004, p. 15; Hinard 2003, p. 18. ^ Appiano, Mith., 54.  Plutarco, Sull., 2, 4; Brizzi 2004, p. 18; Hinard 2003, p. 22; Keaveney 1985, p. 19. ^ Per maggior informazioni sul busto e la sua storia si rimanda ai seguenti link: (EN) The General Publius Cornelius Scipio Africanus?, su ancientrome.ru. URL consultato il 9 gennaio 2021 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2021). (FR) The General Publius Cornelius Scipio Africanus?, su ancientrome.ru. URL consultato il 9 gennaio 2021 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2021). ^ Keaveney 1985, p. 16. ^ Hinard 2003, pp. 18-19. ^ Sallustio, Iug., 95, 3. ^ Hinard 2003, pp. 20-21; Keaveney 1985, pp. 16-17.  Brizzi 2004, p. 17; Keaveney 1985, p. 17. ^ Brizzi 2004, pp. 19-20; Hinard 2003, p. 21, suppone anche la partecipazione a un'associazione bacchica; Keaveney 1985, pp. 18-19. ^ Brizzi 2004, p. 20; Hinard 2003, p. 242; Keaveney 1985, p. 18. ^ Plutarco, Sull., 6, 11. ^ Brizzi 2004, p. 22; Hinard 2003, pp. 23-24; Keaveney 1985, p. 19. ^ Telford, pp. 30-31. ^ Brizzi 2004, p. 22; Hinard 2003, p. 24. ^ Plutarco, Sull., 6, 11; Brizzi 2004, p. 22; Hinard 2003, p. 24. ^ Hinard 2003, p. 26. ^ Plutarco, Sull., 2, 4; 36, 1; Hinard 2003, p. 21; Keaveney 1985, p. 19. ^ Sheldon 2018, p. 52. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 70.6.  Piganiol 1971, p. 298.  Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio, Bologna 1997, p. 319. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 70.7. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 22. ^ Plutarco, Vita di Silla, 16.  Appiano, Guerre mitridatiche, 38. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 39. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 40-41. ^ Plutarco, Vita di Silla, 15.1.  Floro, Compendio di Tito Livio, I, 40.11. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 82.1. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 42-45. ^ Plutarco, Vita di Silla, 16-19. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 82.2. ^ Plutarco, Vita di Silla, 21. ^ Appiano, Guerre mitridatiche, 49.  Appiano, Guerre mitridatiche, 52. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 82.4. ^ Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXX-XXXV, 104.1-6. ^ Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, II, 24.1. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 83.1. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 83.3.  Appiano, Guerre mitridatiche, 57-58. ^ Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, II, 24.3. ^ Per ulteriori informazioni: http://ancientrome.ru/art/artworken/img.htm?id=3326#sel= ^ La carica di dittatore non era stata ricoperta da alcun politico romanodal 202 a.C.; l'ultimo dittatore era stato Gaio Servilio Gemino. ^ Appiano, Guerre civili, I, 98-99. ^ Lucio Cornelio Silla, romanoimpero.com. ^ "In principio ci fu Silla. È noto che egli fu modello a Cesare per tanti aspetti del suo agire, dall’uso spregiudicato di un esercito ormai politicizzato alla marcia su Roma, dalla dittatura (sia pure a tempo indeterminato, e non perpetua) al mantenimento dell’immissione dei neocittadini italici in tutte le tribù; così, anche in campo storiografico è difficile concepire la genesi dei commentarii di Cesare senza il precedente sillano": Zecchini Giuseppe, Cesare: commentarii, historiae, vitae, Aevum: rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche: LXXXV, 1, 2011, p. 25 (Milano: Vita e Pensiero, 2011). ^ Plutarco, Vita di Silla ^ Dufallo, Basil John (1999). Ciceronian oratory and the ghosts of the past. University of Michigan: UCLA. p. 263 Bibliografia Fonti antiche (GRC) Appiano, Guerre civili, in Storia romana, I, 55-105. (QUI la versione inglese) (GRC) Appiano, Guerre mitridatiche, in Storia romana.(QUI la versione inglese Archiviato il 16 novembre 2015 in Internet Archive. (GRC) Dione Cassio, Storia romana, XXX-XXXV.QUI la versione inglese. (LA) Floro, Flori Epitomae Liber primus (testo latino) . (LA) Tito Livio, Ab Urbe condita libri CXLII, Periochae (testo latino) . (LA) Tito Livio, Periochae (testo latino) , in Ab Urbe condita libri CXLII. (GRC) Plutarco, Vita di Silla, in Vite parallele. QUI la versione inglese Plutarco, Le Vite parallele di Plutarco, volgarizzate da Marcello Adriani il Giovane, a cura di Francesco Cerroti e Giuseppe Cugnoni, traduzione di Marcello Adriani il Giovane, III, Firenze, Le Monnier, 1889, ISBN non esistente. Plutarco, Lisandro; Silla, introduzione di Luciano Canfora, traduzione e note di Federicomaria Muccioli (per Lisandro), introduzione di Arthur Keaveney, traduzione e note di Lucia Ghilli (per Silla), con contributi di Barbara Scardigli e Mario Manfredini, Milano, BUR, 2001, ISBN 88-17-12731-0. (LA) Quintiliano, Institutio oratoria. (LA) Sallustio, Bellum Iugurthinum. (GRC) Strabone, Geografia, XII. QUI la versione inglese (LA) Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri IX. QUI la versione latina. (LA) Velleio Patercolo, Historiae Romanae Ad M. Vinicium Libri Duo (testo latino) .QUI la versione inglese. Fonti storiografiche moderne Giuseppe Antonelli, Mitridate, il nemico mortale di Roma. La vicenda umana e politica del principe orientale che ha avuto il coraggio di opporsi all'imperialismo di Roma, Roma, Newton Compton, 1992. Ernst Badian, Lucius Sulla: The Deadly Reformer, Sydney, University Press, 1970. Giovanni Brizzi, Storia di Roma, I: Dalle origini ad Azio, Bologna, Patron, 1997. Giovanni Brizzi, Silla, prefazione di François Hinard, Roma, Rai-ERI, 2004. Jérôme Carcopino, Silla o la monarchia mancata, traduzione di Anna Rossi Cattabiani, introduzione di Mario Attilio Levi, consulenza storica di Federico Ceruti, 2ª ed., Milano, Rusconi, 1981 [1931], ISBN 88-18-18020-7. 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Modifica su Wikidata Mario Attilio Levi, SILLA, Lucio Cornelio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936. Modifica su Wikidata Silla, Lucio Cornelio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Ernesto Valgiglio, Sulla, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (EN) Ernesto Valgiglio, Sulla, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Lucio Cornelio Silla, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Modifica su Wikidata (EN) Lucio Cornelio Silla / Lucio Cornelio Silla (altra versione), su Goodreads. Modifica su Wikidata (FR) www.luciuscorneliussylla.fr, su luciuscorneliussylla.fr. Estratti dal libro di Carcopino su Silla", su ilpalo.com. URL consultato il 2 maggio 2007 (archiviato dall'url originale il 16 giugno 2013). (FR) L. Cornelius Sulla, " Sylla ", su noctes-gallicanae.org. URL consultato il 4 giugno 2006 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2016). (EN) Mario e Silla, su janusquirinus.org. URL consultato il 12 gennaio 2005 (archiviato dall'url originale il 21 febbraio 2004). Predecessore  Console romano Successore    Gneo Pompeo Strabone, Lucio Porcio Catone        88 a.C. con Quinto Pompeo Rufo            Lucio Cornelio Cinna I, Gneo OttavioI Gneo Cornelio Dolabella, Marco Tullio Decula 80 a.C. con Quinto Cecilio Metello Pio         Appio Claudio Pulcro, Publio Servilio Vatia Isaurico            II V · D · M Plutarco Antica Roma   Portale Biografie   Portale Ellenismo   Portale Storia Categorie: Militari romaniMilitari del II secolo a.C.Militari del I secolo a.C.Romani del II secolo a.C.Romani del I secolo a.C.Nati nel 138 a.C.Morti nel 78 a.C.Nati a RomaMorti a CumaLucio Cornelio SillaConsoli repubblicani romaniDittatori romaniSenatori romaniCorneliiAuguriTresviri monetalesGovernatori romani dell'AsiaPersone delle guerre mitridatiche[altre]   G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Attori ATTORI Lucio SILLA, dittatore TENORE GIUNIA, figlia di Cajo Mario, e promessa sposa di SOPRANO CECILIO, senatore proscritto SOPRANO Lucio CINNA, patrizio romano amico di Cecilio, e nemico occulto di Lucio Silla SOPRANO CELIA, sorella di Lucio Silla SOPRANO AUFIDIO, tribuno amico di Lucio Silla TENORE Guardie. Senatori, Nobili, Soldati, Popolo, Donzelle. La scena è in Roma nel palazzo di L. Silla, e ne' luoghi contigui al medesimo. www.librettidopera.it 3 / 52 Altezze reali Lucio Silla Altezze reali Non ommetteremmo la possibile diligenza  per sperare, che il presente spettacolo rimeritar possa il generoso gradimento delle aa. vv. rr. Degnatevi perciò di riguardarlo con quella benignità, di cui ne abbiamo tante prove, ed animati da tal lusinga con profondissimo ossequio ci protestiamo di aa. vv. rr. divotiss. obbligatiss. servitori Gli associati nel Regio­ducal teatro. 4 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Argomento Argomento Son note nell'istoria le inimicizie di Lucio Silla, e di Mario. È palese altresì il modo con cui il primo trionfò del suo emulo. Non può a Silla negarsi il vanto di gran guerriero felice in tutte le sue marziali intraprese. Ma co' la crudeltà, coll'avarizia, co' la volubilità, e co' le dissolutezze adombrò la gloria del proprio valore. I molti suoi amori lo caratterizzarono per uomo celebre nella galanteria, quanto glorioso nell'armi, e questa inclinazione, come ci assicura Plutarco, gli fu compagna fino nell'età sua più avanzata. Lucio Cinna, da esso innalzato a sommi onori co' la promessa di secondarlo, e d'assisterlo, celò poi contro di lui sotto le sembianze dell'amicizia un odio il più implacabile. Aufidio tribuno, menzognero adulatore, fu quello, che precipitar facea Silla negl'eccessi i più vergognosi. Fra l'incostanza, l'avarizia, e la crudeltà, che lo dominavano, era soggetto talora a quei rimorsi, che non si allontanano da un core, in cui per anche non si sono affatto estinti i lumi della ragione, e gl'impulsi della virtù. Odioso a tutta Roma lo resero le stragi, l'usurpatasi dittatura, la proscrizione, e la morte di tanti cittadini, ma degna fu d'ogni encomio la volontaria sua abdicazione, per cui   cedette   le   insegne   di   dittatore,   richiamando   in   Roma   tutti   i   proscritti,   e anteponendo  all'impero,  e alle  grandezze  la tranquillità  d'una oscura vita  privata. Dall'istoria non meno rilevasi, che la famiglia dei Cecili fu sempre affezionatissima al partito di Caio Mario. (Plutarco in Syll.) Da tali istorici fondamenti è tratta l'azione di questo dramma, la quale è per verità fra le più grandi, come ha sensatamente osservato il sempre celeste, e inimitabile sig. abate Pietro Metastasio, che co' la sua rara affabilità s'è degnato d'onorare il presente drammatico componimento d'una pienissima approvazione. Allorché questa proviene dalla meditazion profonda, e dalla lunga, e gloriosa esperienza dell'unico maestro dell'arte, esser deve ad un giovane autore il maggior d'ogni elogio. www.librettidopera.it 5 / 52 Atto primo Lucio Silla A T T O   P R I M O [Ouverture] Molto allegro (re maggiore) / Andante (la maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. Scena prima Solitario recinto sparso di molti alberi con rovine d'edifizi diroccati. Riva del Tebro. In distanza veduta del monte Quirinale con piccolo tempio in cima. Cecilio, indi Cinna. Recitativo CECILIO Ah ciel, l'amico Cinna qui attendo invan. L'impazienza mia cresce nel suo ritardo. Oh come mai è penoso ogn'istante al core uman se pende fra la speme, e il timor! I dubbi miei... ma non m'inganno. Ei vien. Lode agli dèi. CINNA Cecilio, oh con qual gioia pur ti riveggio! Ah lascia, che un pegno io t'offra or che son lieto appieno, d'amistate, e d'affetto in questo seno. CECILIO Quanto la tua venuta accelerò coi voti l'inquieta alma mia. Quai non produsse la tua tardanza in lei smanie, e spaventi, e quali immagini funeste s'affollano al pensier. L'alma agitata s'affanna, si confonde... CINNA Il mio ritardo altro motivo asconde. Tutto da me saprai. CECILIO Deh non t'offenda l'impazienza mia... Giunia, la cara, la fida sposa è sempre tutt'amor, tutta fé? Que' dolci affetti, ch'un tempo mi giurò, rammenta adesso? È 'l suo tenero core anche l'istesso? CINNA Ella estinto ti piange... 6 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto primo CECILIO Ah come?... Ah dimmi! Dimmi: e chi tal menzogna osò d'immaginar? CINNA L'arte di Silla per trionfar del di lei fido amore. CECILIO A consolar si voli il suo dolore. (in atto di partire) CINNA Deh, t'arresta. E non sai, che 'l tuo ritorno è così gran delitto, che guida a morte un cittadin proscritto? CECILIO Per serbarmi una vita, ch'odio senza di lei, dunque lasciar potrei la sposa in preda a un ingiusto, a un crudel? CINNA M'ascolta. E dove, di riveder tu speri la tua Giunia fedel? nel proprio tetto Silla la trasse... CECILIO E Cinna ozioso spettator soffrì?... CINNA Che mai solo tentar potea? Pur troppo è vano il contrastar con chi ha la forza in mano. CECILIO Dunque, nemici dèi di riveder la sposa più sperar non poss'io? CINNA M'odi. Non lungi da questa ignota parte il tacito recinto ergesi al ciel, che nelle mute soglie de' trapassati eroi le tombe accoglie. CECILIO Che far degg'io? CINNA Passarvi per quel sentiero ascoso, che fra l'ampie rovine a lui ne guida. CECILIO E colà che sperar? CINNA Sai che confina col palazzo di Silla. In lui sovente da' fidi suoi seguita fra 'l dì Giunia vi scende. Ivi sovente alla mest'urna accanto del genitor, la suol bagnar di pianto. Continua nella pagina seguente. www.librettidopera.it 7 / 52 Atto primo Lucio Silla CINNA Sorprenderla potrai. Potrai nel seno farle destar la speme, che già s'estinse, e consolarvi insieme. CECILIO Oh me beato! CINNA Altrove co' molti amici in tua difesa uniti frattanto io veglierò. Gli dèi oggi render sapran dopo una lunga vil servitù penosa la libertà a Roma, a te la sposa. [N. 1 ­ Aria] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CINNA Vieni ov'amor t'invita vieni, che già mi sento del tuo vicin contento gli alti presagi in sen. Non è sempre il mar cruccioso, non è sempre il ciel turbato, ride alfin, lieto e placato fra la calma, ed il seren. (parte) Scena seconda Cecilio solo. Recitativo accompagnato Andante (sol maggiore) / Allegro / Andantino / Allegro / Adagio Archi. CECILIO Dunque sperar poss'io di pascer gli occhi miei nel dolce idolo mio? Già mi figuro la sua sorpresa, il suo piacer. Già sento suonarmi intorno i nomi di mio sposo, mia vita. Il cor nel seno col palpitar mi parla de' teneri trasporti, e mi predice... Oh ciel sol fra me stesso qui di gioia deliro, e non m'affretto la sposa ad abbracciar? Ah forse adesso sul morir mio delusa priva d'ogni speranza, e di consiglio lagrime di dolor versa dal ciglio! 8 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto primo [N. 2 ­ Aria] Allegro aperto (fa maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. CECILIO Il tenero momento premio di tanto amore già mi dipinge il core fra i dolci suoi pensier. E qual sarà il contento, ch'al fianco suo m'aspetta, se tanto ora m'alletta l'idea del mio piacer? Scena terza Appartamenti destinati a Giunia, con statue delle più celebri donne romane. Silla, Celia, Aufidio, e Guardie. Recitativo SILLA A te dell'amor mio, del mio riposo Celia, lascio il pensier. Rendi più saggia l'ostinata di Mario altera figlia. E a non sprezzarmi alfin tu la consiglia. CELIA German sai, che finora tutto feci per te. Vuò lusingarmi di vederla cangiar. AUFIDIO Quella superba co' le preghiere, e coi consigli invano sia che si tenti. Un dittator sprezzato, che da Roma, e dal mondo inter s'ammira, s'altro non vale, usi la forza, e l'ira. SILLA E la forza userò. La mia clemenza non mi fruttò che sprezzi, e ingiuriose repulse d'una femmina ingrata. In questo giorno mi segua all'ara, e paghi renda gli affetti miei. O 'l nuovo sol non sorgerà per lei. CELIA Ah Silla, ah mio germano per tua cagione io tremo, se trasportar ti lasci a questo estremo. Pur troppo, ah sì pur troppo la violenza è spesso madre fatal d'ogni più nero eccesso. www.librettidopera.it 9 / 52 Atto primo Lucio Silla SILLA Da tentar che mi resta, se ostinata colei mi fugge, e sprezza? CELIA Adoprar tu sol devi arte, e dolcezza. S'è ver, che sul tuo core vantai finor qualche possanza, ah lascia, che da Giunia me n' corra. Ella fra poco da te verrà. L'ascolta forse sia che una volta cangi pensier. SILLA Di mia clemenza ancora prova farò. Giunia s'attenda, e seco, parli lo sposo in me. Ma non s'abusi dell'amor mio, di mia bontade, e tremi, se Silla alfine inesorabil reso favellerà da dittatore offeso. CELIA German di me ti fida. Oggi più saggia Giunia sarà. Finora una segreta speme forse il cor le nutrì. Se cadde estinto lo sposo suo, più non le resta omai amorosa lusinga. I preghi tuoi cauto rinnova. Un amator vicino se d'un lontan trionfa, il trionfare d'un amator, che già di vita è privo, è più agevole impresa a quel, ch'è vivo. [N. 3 ­ Aria] Grazioso (do maggiore) / Allegretto / Grazioso Archi. CELIA Se lusinghiera speme pascer non sa gli amanti anche fra i più costanti languisce fedeltà. Quel cor sì fido e tenero, ah sì quel core istesso così ostinato adesso quel cor si piegherà. (parte) 10 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto primo Scena quarta Silla, Aufidio, e Guardie. Recitativo AUFIDIO Signor, duolmi vederti ai rifiuti, agl'insulti esposto ancor. Alle preghiere umili s'abbassi un cor plebeo. Ma Silla, il fiero terror dell'Asia, il vincitor di Ponto l'arbitro del senato, e che si vide un Mitridate al suo gran piè sommesso, s'avvilirà d'una donzella appresso? SILLA Non avvilisce amore un magnanimo core, o se 'l fa vile, infra gli eroi, che le provincie estreme han debellate, e scosse, un sol non vi saria, che vil non fosse. In questo giorno, amico, sarà Giunia mia sposa. AUFIDIO Ella sen viene. Mira in quel volto espresso un ostinato amore, un odio interno, un disperato duolo. SILLA Ascoltarla vogl'io. Lasciami solo. (Aufidio parte) Scena quinta Silla, Giunia, e Guardie. SILLA Sempre dovrò vederti lagrimosa e dolente? Il tuo bel ciglio una sol volta almeno non fia che si rivolga a me sereno? Cielo! tu non rispondi? Sospiri? ti confondi? ah sì, mi svela perché così penosa t'agiti, impallidisci, e scansi ad arte d'incontrar gli occhi tuoi negli occhi miei. GIUNIA Empio, perché sol l'odio mio tu sei. SILLA Ah no, creder non posso, che a danno mio s'asconda sì fiera crudeltà nel tuo bel core. Hanno i limiti suoi l'odio, e l'amore. www.librettidopera.it 11 / 52 Atto primo Lucio Silla GIUNIA Il mio non già. Quant'amerò lo sposo, tanto Silla odierò. Se fra gli estinti l'odio giunge, e l'amor, dentro quest'alma che ad onta tua non cangerà giammai, egli il mio amor, tu l'odio mio sarai. SILLA Ma dimmi: in che t'offesi per odiarmi così? che non fec'io, Giunia, per te? La morte il genitor t'invola, ed io ti porgo nelle mie mura istesse un generoso asilo. Ogni dovere dell'ospitalità qui teco adempio, e pur segui ad odiarmi, e Silla è un empio? GIUNIA Stender dunque dovrei le braccia amanti a un nemico del padre? E ti scordasti quanto contro di lui barbaro oprasti? In doloroso esiglio fra i cittadin più degni languisce, e more alfin lo sposo mio, e chi n'è la cagione amar degg'io? Per tua pena maggior, di novo il giuro, amo Cecilio ancor. Rispetto in lui benché morto, la scelta del genitor. Se l'inuman destino dal fianco mio lo tolse per secondare il tuo perverso amore ah sì, viverà sempre in questo core. SILLA Amalo pur superba, e in me detesta un nemico tiranno. Or senti. In faccia di tanti insulti io voglio tempo lasciarti al pentimento. O scorda un forsennato orgoglio, un inutile affetto, un odio insano, o a seguir ti prepara nell'Erebo fumante, e tenebroso l'ombra del genitor, e dello sposo. GIUNIA Coll'aspetto di morte del gran Mario una figlia presumi d'avvilir? Non avria luogo nell'alma tua la speme ché oltraggia l'amor mio se provassi, inumano, di che capace è un vero cor romano. 12 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto primo SILLA Meglio al tuo rischio, o Giunia, pensa, e risolvi. Ancora un resto di pietade sol perché t'amo ascolto. Ah sì meglio risolvi... GIUNIA Ho già risolto. Del genitore estinto ognora io voglio rispettare il comando; sempre Silla aborrire, sempre adorar lo sposo, e poi morire. [N. 4 ­ Aria] Andante ma adagio (mi bemolle maggiore) / Allegro / Adagio / Allegro Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. GIUNIA Dalla sponda tenebrosa vieni o padre, o sposo amato d'una figlia, e d'una sposa a raccor l'estremo fiato. Ah tu di sdegno, o barbaro smani fra te, deliri, ma non è questa, o perfido la pena tua maggior. Io sarò paga allora di non averti accanto, tu resterai frattanto coi tuoi rimorsi al cor. (parte) Scena sesta Silla, e Guardie. Recitativo SILLA E tollerare io posso sì temerari oltraggi? A tante offese non si scuote quest'alma? E che la rese insensata a tal segno? Un dittatore così s'insulta, e sprezza da folle donna audace?... E pure, oh mio rossor! e pur mi piace! www.librettidopera.it 13 / 52 Atto primo Lucio Silla Recitativo accompagnato Allegretto (do maggiore) / Allegro assai Archi. SILLA Mi piace? E il cor di Silla della sua debolezza non arrossisce ancora? Taccia l'affetto, e la superba mora. Chi non mi cura amante disdegnoso mi tema. A suo talento crudel mi chiami. Aborra la mia destra, il mio cor, gli affetti miei, a divenir tiranno in questo dì comincerò da lei. [N. 5 ­ Aria] Allegro (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. SILLA Il desìo di vendetta, e di morte sì m'infiamma, e sì m'agita il petto, che in quest'alma ogni debole affetto disprezzato si cangia in furor. Forse nel punto estremo della fatal partita mi chiederai la vita, ma sarà il pianto inutile, inutile il dolor. Andante (fa maggiore / la minore) Archi, 2 oboe. Scena settima Luogo sepolcrale molto oscuro co' monumenti degli eroi di Roma. Cecilio solo. Recitativo accompagnato Andante (la minore) / Allegro assai / Andante / Presto / Adagio Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe. CECILIO Morte, morte fatal della tua mano ecco le prove in queste gelide tombe. Eroi, duci, regnanti che devastar la terra, angusto marmo or qui ricopre, e serra. Già in cento bocche, e cento dei lor fatti echeggiò stupito il mondo. E or qui gl'avvolge un muto orror profondo. Continua nella pagina seguente. 14 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto primo CECILIO Oh dèi!... chi mai s'appressa? Giunia... la cara sposa?... Ah non è sola; m'asconderò, ma dove? Oh stelle! in petto qual palpito!... qual gioia!... e che far deggio? Restar?... partire?... oh ciel! Dietro a quest'urna a respirar mi celo. (parte) Scena ottava S'avanza Giunia col séguito di Donzelle, e di Nobili al lugubre canto del seguente: [N. 6 ­ Coro e arioso] Andante mosso (mi bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe. CORO Fuor di queste urne dolenti deh n'uscite alme onorate, e sdegnose vendicate la romana libertà. Molto Adagio (do minore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti. GIUNIA O del padre ombra diletta se d'intorno a me t'aggiri, i miei pianti, i miei sospiri deh ti movano a pietà. Allegro (mi bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe. CORO Il superbo, che di Roma stringe i lacci in Campidoglio, rovesciato oggi dal soglio sia d'esempio ad ogni età. www.librettidopera.it 15 / 52 Atto primo Lucio Silla Recitativo accompagnato ... (mi bemolle maggiore) Archi. GIUNIA Se l'empio Silla, o padre fu sempre l'odio tuo finché vivesti, perché Giunia è tua figlia, perché il sangue romano ha nelle vene supplice innanzi all'urna tua sen viene. Tu pure ombra adorata del mio perduto ben vola, e soccorri la tua sposa fedel. Da te lontana di questa vita amara odia l'aura funesta... (esce il séguito) Scena nona Cecilio, e detta. Recitativo CECILIO Eccomi, o cara. GIUNIA Stelle!... io tremo!... che veggio? Tu sei?... forse vaneggio? Forse una larva, o pur tu stesso? Oh numi! M'ingannate, o miei lumi?... Ah non so ancor se a questa illusion soave io m'abbandono!... Dunque... tu sei... CECILIO Il tuo fedele io sono. [N. 7 ­ Duetto] Andante (la maggiore) / Molto allegro Archi, 2 oboe, 2 corni. GIUNIA D'Eliso in sen m'attendi ombra dell'idol mio, ch'a te ben presto, oh dio fia, che m'unisca il ciel. CECILIO Sposa adorata, e fida sol nel tuo caro viso ritrova il dolce Eliso quest'anima fedel. GIUNIA Sposo... oh dèi! tu ancor respiri? CECILIO Tutto fede, e tutto amor. GIUNIA E CECILIO Fortunati i miei sospiri, fortunato il mio dolor. GIUNIA Cara speme! 16 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto primo CECILIO Amato bene. (si prendon per mano) Insieme GIUNIA Or ch'al mio seno caro tu sei m'insegna il pianto degl'occhi miei ch'ha le sue lagrime anche il piacer. CECILIO Or ch'al mio seno cara tu sei m'insegna il pianto degl'occhi miei ch'ha le sue lagrime anche il piacer. www.librettidopera.it 17 / 52 Atto secondo Lucio Silla A T T O   S E C O N D O Scena prima Portico fregiato di militari trofei. Silla, Aufidio, e Guardie. Recitativo AUFIDIO Te l' predissi, o signor, che la superba più ostinata saria quanto più mostri di clemenza, e d'amor? SILLA Poco le resta da insultarmi così. Risolvi omai. Morir dovrà. L'ho tollerata assai. AUFIDIO L'amico tuo fedele può libero parlar? SILLA Parla. AUFIDIO Tu sai, ch'eroe non avvi al mondo senza gli emuli suoi. Gli Emili, e i Scipi n'ebbero anch'essi, e di sue gesta ad onta il glorioso Silla assai ne conta. SILLA Pur troppo io so. AUFIDIO Tu porgi nella morte di Giunia a rei nemici l'armi contro di te. D'un Mario è figlia, e questo Mario ancor ne' propri amici vive a tuo danno. SILLA E che far deggio? AUFIDIO In faccia al popolo, e al senato sia l'altera tua sposa. Un finto zelo di sopir gli odi antichi la violenza asconda. Al tuo volere chi s'opporrà? Di numerose schiere folto stuolo ti cinga. Ognun paventa in te l'eroe, ch'ogni civil discordia ha soggiogata, e doma e a un sguardo tuo trema il senato, e Roma. Continua nella pagina seguente. 18 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo AUFIDIO Signor del comun voto t'accerta il tuo voler. La ragion sempre segue il più forte, e chi fra mille squadre a supplicar si piega? Vuole, e comanda allorché parla, e prega. SILLA E se l'ingrata ancora mi sprezza, e mi discaccia al popolo, al senato, a Roma in faccia? Che far dovrò? AUFIDIO L'altera non s'opporrà. Quell'ostinato core ceder vedrai nel pubblico consenso del popolo roman. SILLA Seguasi, amico il tuo consiglio. Oh ciel!... sappi... io ti scopro la debolezza mia. Quando le stragi, le violenze ad eseguir m'affretto è il cor di Silla in petto da più atroci rimorsi lacerato, ed oppresso. In quei momenti fieri contrasti io provo. Inorridisco, voglio, tremo, amo, ed ardisco. AUFIDIO Quest'incostanza tua, lascia, che 'l dica, i tuoi gran merti oscura. Ogni rimorso della viltade è figlio. Ardito, e lieto il mio consiglio abbraccia, e suo malgrado la femmina fastosa costretta venga a divenir tua sposa. [N. 8 ­ Aria] Allegro (do maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. AUFIDIO Guerrier, che d'un acciaro impallidisce al lampo, a dar non vada in campo prove di sua viltà. Se or cede a un vil timore, se or cede alla speranza, e qual sarà incostanza se questa non sarà? (parte) www.librettidopera.it 19 / 52 Atto secondo Lucio Silla Scena seconda Silla, indi Celia, e Guardie. SILLA Ah non mai non credea, ch'all'uom tra 'l fasto, e le grandezze immerso tanto costasse il divenir perverso. CELIA Tutto tentai finor. Preghi, promesse, e minacce, e spaventi al cor di Giunia, sono inutili assalti. Ah mio germano immaginar non puoi come per te... SILLA So quel, che dir mi vuoi. Silla non è men grato a chi per lui anche inutil s'adopra. In man del caso se pende ogni successo, il proprio merto, all'opere non scema contrario evento. In questo dì mia sposa Giunia sarà. CELIA Giunia tua sposa? SILLA Il come non ricercar. Ti basti, che pago io sia. CELIA Perché l'arcan mi celi, e perché non rischiari un favellar sì oscuro? SILLA (Perché in donna un arcano è mal sicuro.) Il mio silenzio or non ti spiaccia, e m'odi. Te pur sposa di Cinna in questo giorno io bramo. CELIA (Oh me felice!) Lascia, ah lascia, ch' a Cinna, il tuo fido amico io rechi così lieta novella. Il labbro mio gli sveli alfin, ch'ei solo è il mio tesoro, e che ognor l'adorai come l'adoro. (parte) SILLA Ad affrettar si vada in Campidoglio la meditata impresa, e la più ascosa arte s'adopri, onde la mia nemica al talamo mi segua. Ah sì conosco, ch'ad ogni prezzo io deggio il possesso acquistar della sua mano. Rimorsi miei vi ridestate invano. (parte con le guardie) 20 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo Scena terza Cecilio senz'elmo, senza mento, e con spada nuda, che vuole inseguir Silla, e Cinna, che lo trattiene. CINNA Qual furor ti trasporta? CECILIO Il braccio mio non ritener. Su' passi del tiranno si voli. Il nudo acciaro gli squarci il sen... (in atto di partire) CINNA T'arresta. Ma donde nasce questa improvvisa ira tua? CECILIO Saper ti basti, che prolungar non deggio un sol momento il colpo... CINNA E il tuo periglio? CECILIO Non lo temo, e disprezzo ogni consiglio. CINNA Ah per pietà m'ascolta... svelami... dimmi... oh ciel! Que' tronchi accenti... que' furiosi sguardi... le disperate smanie tue... gli sforzi d'involarti da me... l'esporti ardito a un cimento fatal... Mille sospetti mi fan nascere in sen. Parla. Rispondi... CECILIO Tutto saprai... CINNA No, non sarà giammai, ch' io ti lasci partir. CECILIO Perché ritardi la vendetta comun? CINNA Sol perché bramo che dubbiosa non sia. CECILIO Dubbiosa non sarà. CINNA Dunque tu vuoi per un ardire intempestivo, e vano troncare il fil di tutti i meditati disegni miei? Giunia rivedi, e quando amar per lei di più devi la vita incauto corri ad un'impresa ardita? Più non tacer. Mi svela chi furioso a segno tal ti rende? www.librettidopera.it 21 / 52 Atto secondo Lucio Silla CECILIO L'orrida rimembranza in cor m'accende novi stimoli all'ira. Odi, e stupisci. Poiché quest'alma oppressa della mia sposa al fianco trovò dolce conforto alla sua pena, dal luogo tenebroso allontanati appena aveva Giunia i suoi passi, un legger sonno m'avvolse i lumi. Oh cielo! D'orrore ancor ne gelo! Ecco mi sembra spalancata mirar la fredda tomba, in cui l'estinte membra giaccion di Mario. In me le cavernose luci raccoglie, e 'l teschio per tre volte crollando disdegnoso, e feroce sento, che sì mi grida in fioca voce: «Cecilio a che t'arresti presso la tomba mia? Vanne, ed affretta della comun vendetta il bramato momento. Ozioso al fianco più l'acciar non ti penda. Ah se ritardi l'opra a compir, che l'ombra invendicata di Mario oggi t'impone, e ti consiglia, tu perderai la sposa, ed io la figlia.» Recitativo accompagnato Allegro assai (re minore) / Presto Archi. CECILIO Al fiero suon de' minacciosi accenti l'alma si scosse. Il sonno da sbigottiti lumi s'allontanò. M'accese improvviso furor. Strinsi l'acciaro, né il rimorso piede io più ritenni, ma 'l reo tiranno a trucidar qua venni. Ah più non m'arrestar... CINNA Ferma. Per poco dell'ira tua raffrena i feroci trasporti. Ah sei perduto, se in te Silla s'avvien... 22 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo CECILIO Paventar deggio d'un tiranno gli sguardi? Un'altra mano trucidarlo dovrà? Non mai. Mi veggio intorno ognor la bieca ombra di Mario a ricercar vendetta; e degl'accenti suoi ad ogn'istante or ch'al tuo fianco io sono mi rimbomba all'orecchie il fiero suono. Lasciami... CINNA Ah se disprezzi tanto i perigli tuoi, deh pensa almeno, che dalla vita tua pende la vita d'una sposa fedele. Oh stelle! E come per così cari giorni... CECILIO Oh Giunia!... oh nome!... Il sol pensiero, amico che perderla potrei, del mio furore ogn'impeto disarma. Ah corri, vola per me svena il tiranno... Oh numi, e intanto al mio nemico accanto resta la sposa?... ahimè!... chi la difende... ma s'ei qui giunge?... Oh dio! Qual fier contrasto, qual pena, eterni dèi! Timore, affanno, ira, speme, e furor sento in seno, né so di lor chi vincerà! che penso? E non risolvo ancora? Giunia si salvi, o al fianco suo si mora. [N. 9 ­ Aria] Allegro assai (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. CECILIO Quest'improvviso tremito che in sen di più s'avanza, non so se sia speranza, non so se sia furor. Ma fra suoi moti interni fra le mie smanie estreme, o sia furore, o speme, paventi il traditor. (parte) www.librettidopera.it 23 / 52 Atto secondo Lucio Silla Scena quarta Cinna, indi Celia. Recitativo CINNA Ah sì, s'affretti il colpo. Il ciel d'un empio se il castigo prolunga, attenderassi, che de' tarquini in lui gli scellerati eccessi sian rinnovati a nostri tempi istessi? CELIA Qual ti siede sul ciglio cura affannosa? CINNA Altrove Celia, passar degg'io. Non m'arrestare... CELIA E ognor mi fuggi? CINNA Addio. CELIA Per un istante solo m'ascolta, e partirai. CINNA Che brami? CELIA (Oh dèi! Parlar non posso, e favellar vorrei.) Sappi, che il mio german... CINNA Parla. CELIA Desìa... (Ah mi confondo, e temo, che non mi ami il crudel.) Sì, sappi... (Oh stelle! In faccia a lui che adoro perché mi perdo? Oggi sarà mio sposo, e svelargli non oso?...) CINNA Io non intendo i tronchi accenti tuoi. CELIA (Finge l'ingrato!) Or che dubbiosa io taccio non ti favella in seno il cor per me? Che dir poss'io? Pur troppo ne' languidi miei rai questo silenzio mio ti parla assai. 24 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo [N. 10 ­ Aria] Tempo grazioso (sol maggiore) Archi, 2 flauti. CELIA Se il labbro timido scoprir non osa la fiamma ascosa per lui ti parlino queste pupille per lui ti svelino tutto il mio cor. (parte) Scena quinta Cinna, indi Giunia. Recitativo CINNA Di piegarsi capace a un'amorosa debolezza l'alma non fu di Cinna ancor. Ma se da folle s'avvilisse così, no, non avria la germana d'un empio usurpatore il tributo primier di questo core. Giunia s'appressa. Ah ch'ella può soltanto la grand'opra compir, che volgo in mente. Agitata, e dolente immersa sembra fra torbidi pensier. GIUNIA Silla m'impone che al popolo, e al senato io mi presenti; l'empio che può voler? Sai ciò, che tenti? CINNA Forse più, che non credi è la morte di Silla oggi vicina per vendicar la libertà latina. GIUNIA Tutto dal ciel pietoso dunque speriam. Ma intanto alla tua cura io lascio l'amato sposo mio. Deh se ti deggio il piacer di mirarlo, poiché lo piansi estinto, ah sì per lui veglia, t'adopra, e resti al tiranno nascoso. www.librettidopera.it 25 / 52 Atto secondo Lucio Silla CINNA A me t'affida, non paventar su' giorni suoi. M'ascolta, ai padri in faccia e al popolo romano Silla sai ciò, che vuol? Vuol la tua mano. Con il consenso lor la violenza giustificar pretende. Il suo disegno tutto, o Giunia, io prevedo. GIUNIA Io son la sola arbitra di me stessa. A un vil timore ceda il senato pur, non questo core. CINNA Da te, se vuoi, dipende Giunia un gran colpo. GIUNIA E che far posso? CINNA Al letto segui l'empio tiranno ove t'invita, ma in quello per tua man lasci la vita. GIUNIA Stelle! che dici mai? Giunia potria con tradimento vil?... CINNA Folle timore. Deh sovvienti, che ognora fu l'eccidio de' rei un spettacolo grato a' sommi dèi. GIUNIA S'è d'un plebeo pur sacra fra noi la vita, e come vuoi, che in sen non mi scenda un freddo orrore nel trafiggere io stessa un dittatore? Benché tiranno, e ingiusto, sempre al senato, e a Roma Silla presiede, e di sua morte invano farmi rea tu presumi. Vittima ei sia, ma della man dei numi. CINNA Se d'offender gli dèi avesse un dì temuto la libertà non dovria Roma a Bruto. GIUNIA Ma Bruto in campo armato, non con una viltade della latina libertade infranse la catena servil. No, non fia mai ch'a' dì futuri passi il nome mio macchiato d'un tradimento vil. Serbami, amico, serbami il caro ben. Deh sol tu pensa alla salvezza sua. Della vendetta al ciel lascia il pensier. 26 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo Recitativo accompagnato Allegro (si bemolle maggiore) / Andante Archi. GIUNIA Vanne. T'affretta. Forse lungi da te potria lo sposo per un soverchio ardir... l'impetuosa alma sua ben conosci. Ah, per pietade, fa', che rimanga ad ogni sguardo ascoso. Digli, che se m'adora; digli che se m'è fido serbi i miei ne' suoi giorni. A te l'affido. [N. 11 ­ Aria] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. GIUNIA Ah se il crudel periglio del caro ben rammento tutto mi fa spavento tutto gelar mi fa. Se per sì cara vita non veglia l'amistà da chi sperare aita da chi sperar pietà? (parte) Scena sesta Cinna solo. Recitativo accompagnato Vivace (re maggiore) Archi. CINNA Ah sì, scuotasi omai l'indegno giogo. Assai si morse il fren di servitù tiranna. Se di svenar ricusa Giunia quell'empio, un braccio non mancherà, che timoroso meno il ferro micidial l'immerga in seno. www.librettidopera.it 27 / 52 Atto secondo Lucio Silla [N. 12 ­ Aria] Molto allegro (fa maggiore) Archi. CINNA Nel fortunato istante, ch'ei già co' voti affretta per la comun vendetta vuò, che mi spiri al piè. Già va una destra altera del colpo suo felice e questa destra ultrice lungi da lui non è. (parte) Scena settima Orti pensili. Silla, Aufidio, e Guardie. Recitativo AUFIDIO Signor, ai cenni tuoi il senato fia pronto. Egli fra poco t'ascolterà. D'elette squadre intorno numerosa corona ad arte io disporrò. SILLA L'amico Cinna non ignori l'arcano. Il suo soccorso è necessario all'opra. Ah che me stesso più non ritrovo in me! Dov'io mi volga della crudel l'immagine gradita mi dipinge il pensier. Mi suona ognora il caro nome suo fra i labbri miei, e tutto parla a questo cor di lei. AUFIDIO Io già ti vedo al colmo di tua felicità. Della possanza usa, che 'l ciel ti diè. Roma, il senato, e ogn'anima orgogliosa or che lo puoi fa', che pieghin la fronte a' piedi tuoi. (parte) 28 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo SILLA Ah sì, di civil sangue inonderò le vie, se Roma altera alle brame di Silla, oggi s'oppone; ho nel braccio, ho nel cor la mia ragione. Giunia?... Qual vista! In sì bel volto io scuso la debolezza mia... ma tanti oltraggi? Ah che in vederla, oh dèi! il dittatore offeso io più non sono; de' suoi sprezzi mi scordo, e le perdono. Scena ottava Giunia, Silla, e Guardie. GIUNIA (Silla? L'odiato aspetto destami orror. Si fugga!) SILLA Arresta il passo. Sentimi per pietade. Il più infelice d'ogni mortal mi rendi, se nemica mi fuggi... GIUNIA E che pretendi? Scostati, traditor! (Tremo, m'affanno per l'idol mio!) SILLA Ah no, non son tiranno come tu credi. È l'anima di Silla capace di virtù. Quel tuo bel ciglio soffrir più non poss'io così severo... GIUNIA Tu di virtù capace? Ah, menzognero! (in atto di partire) SILLA Sentimi... GIUNIA Non t'ascolto. SILLA E vuoi... GIUNIA Sì voglio detestarti, e morir. SILLA Morir? GIUNIA La morte romano cor non teme. SILLA E puoi?... GIUNIA Sì posso pria d'amarti, morir. Vanne, t'invola... SILLA Superba, morirai, ma non già sola. www.librettidopera.it 29 / 52 Atto secondo Lucio Silla [N. 13 ­ Aria] Allegro assai (do maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe, timpani. SILLA D'ogni pietà mi spoglio perfida donna audace; se di morir ti piace quell'ostinato orgoglio presto tremar vedrò. (Ma il cor mi palpita... perder chi adoro?... svenare barbaro, il mio tesoro?...) Che dissi? Ho l'anima vile a tal segno? Smanio di sdegno; morir tu brami, crudel mi chiami, tremane, o perfida, crudel sarò. (parte con le guardie) Scena nona Giunia, indi Cecilio. Recitativo GIUNIA Che intesi, eterni dèi? Qual mai funesto e spaventoso arcan ne' detti suoi? Sola non morirò? Che dir mi vuoi barbaro... ahimè! Che vedo?... lo sposo mio?... che fu?... che avvenne?... Ah dove sconsigliato t'inoltri? In queste mura sai, che non è sicura la tua vita, e non temi di respirar quest'aure comuni a' tuoi nemici? In quest'istante il tiranno partì. Tremo... deh, fuggi... Ah se dell'empio il ciglio... CECILIO Giunia, il tuo rischio è 'l mio maggior periglio. GIUNIA Deh per pietà, se mi ami, torna, mio bene, ah torna nel tenebroso asilo. Il rimirarti qual martirio è per me! CECILIO Non amareggi il tuo spavento, o cara, il mio dolce piacer. 30 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo GIUNIA Piacer funesto, se a un gelido spavento abbandona il mio cor. Se de' tuoi giorni decider può. T'ascondi. Ah da che vivo no, che angustia simile... CECILIO Sola vuoi, ch'io ti lasci in preda a un vile? So, ch' al senato in faccia il reo tiranno con violenza ingiusta al talamo vuol trarti, ed io, che t'amo restar potrò senza morir d'affanno lungi dal fianco tuo? Se invano un braccio, un acciaro si cerca per svenare un crudel, ch'odio, e detesto, quell'acciaro, quel braccio eccolo è questo. GIUNIA Ahimè! Che pensi? esporti?... Correr tu solo a un periglio estremo?... CECILIO Tu paventi di tutto, io nulla temo. Frena il timor, mia speme, e ti rammenta, ch'una soverchia tema in cor romano esser puote viltà. GIUNIA Ma il troppo ardire temerità s'appella. Ah sì ti cela, né accrescere, idol mio, nel tuo periglio nuove cagion di pianto a questo ciglio. CECILIO Eterni dèi! Lasciarti, fuggire, abbandonarti all'empie insidie, all'ira d'un traditor, ch'alle tue nozze aspira? GIUNIA E che puoi temer, se meco resta la mia costanza, e l'amor mio? Deh corri, corri donde fuggisti. Al suo dolore, a' suoi spaventi invola il cor di chi t'adora; se ciò non basta, io tel comando ancora. CECILIO E in questo giorno correndo se al tiranno io mi celo, chi veglia, o sposa, in tua difesa? GIUNIA Il cielo! CECILIO Ah che talvolta i numi... GIUNIA A che ti guida cieco furor? Ad onta de' miei timori ancor mi resti a lato? Partir non vuoi? Corro a morire, ingrato. www.librettidopera.it 31 / 52 Atto secondo Lucio Silla CECILIO Fermati... senti... Oh dèi! Così mi lasci, e brami?... GIUNIA I passi miei guardati di seguir. CECILIO Saprò morire, ma non lasciarti. GIUNIA (Oh stelle! Io lo perdo. Che fo?) CECILIO Cara, tu piangi? Ah che il tuo pianto... GIUNIA Ah sì per questo pianto per questi lumi miei di speme privi. Parti, parti da me, celati, vivi! CECILIO A che mi sforzi! GIUNIA Alfine lusingarmi poss'io di questo segno del tuo tenero affetto? Che rispondi, idol mio? CECILIO Sì tel prometto. GIUNIA Fuggi dunque, mio bene. Invan paventi, se di me temi. Ah pensa, pensa, che 'l ciel difende i giusti, e ch'io d'altri mai non sarò. Di mie promesse dell'amor mio costante ch'aborre a morte un traditore indegno, sposo, nella mia mano eccoti un pegno. Recitativo accompagnato Allegro (mi bemolle maggiore) Archi. CECILIO Chi sa, che non sia questa l'estrema volta, oh dio? ch'al sen ti stringo destra dell'idol mio, destra adorata, prova di fé sincera... GIUNIA No, non temere. Amami. Fuggi e spera. 32 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo [N. 14 ­ Aria] Adagio (mi bemolle maggiore) / Andante (do minore) / Adagio (mi bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. CECILIO Ah se a morir mi chiama il fato mio crudele seguace ombra fedele sempre sarò con te. Vorrei mostrar costanza cara, nel dirti addio ma nel lasciarti, oh dio! Sento tremarmi il piè. (parte) Scena decima Giunia, indi Celia. Recitativo GIUNIA Perché mi balzi in seno affannoso cor mio? Perché sul volto or che lo sposo io non mi vedo accanto, cade da' rai più copioso il pianto? CELIA Oh ciel! sì lagrimosa sì dolente io t'incontro? Al suo destino quell'anima ostinata alfin deh ceda e sposa al dittator Roma ti veda. GIUNIA T'accheta per pietà. CELIA Se in duro esiglio cade estinto Cecilio, a lui che giova un'inutil costanza? GIUNIA (A questo nome s'agghiaccia il cor.) CELIA Tu non mi guardi, e il labbro fra i singhiozzi, e i sospir pallido tace. Segui i consigli miei. GIUNIA Lasciami in pace. CELIA Bramo lieta vederti. Il mio germano oggi me pur felice render saprà. La mano mi promise di Cinna. Ah tu ben sai, ch'io l'adoro fedel. Più non rammento i miei sofferti affanni se sì cangiano alfin gli astri tiranni. www.librettidopera.it 33 / 52 Atto secondo Lucio Silla [N. 15 ­ Aria] Allegro (la maggiore) Archi. CELIA Quando sugl'arsi campi scende la pioggia estiva, le foglie, i fior ravviva, e il bosco, il praticello tosto si fa più bello, ritorna a verdeggiar. Così quest'alma amante fra la sua dolce speme dopo le lunghe pene comincia a respirar. (parte) Scena undicesima Giunia sola. Recitativo accompagnato Andante (re minore) / Molto allegro Archi. GIUNIA In un istante oh come s'accrebbe il mio timor! Pur troppo è questo un presagio funesto delle sventure mie! L'incauto sposo più non è forse ascoso al reo tiranno. A morte ei già lo condannò. Fra i miei spaventi, nel mio dolore estremo che fo? Che penso mai? Misera io tremo. Ah no, più non si tardi. Il senato mi vegga. Al di lui piede grazia, e pietà s'implori per lo sposo fedel. S'ei me la nega si chieda al ciel. Se il ciel l'ultimo fine dell'adorato sposo oggi prescrisse, trafigga me chi l'idol mio trafisse. 34 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo [N. 16 ­ Aria] Allegro assai (do maggiore) Archi. GIUNIA Parto, m'affretto, ma nel partire il cor si spezza. Mi manca l'anima, morir mi sento né so morire. E smanio, e gelo, e piango, e peno. Ah se potessi, potessi almeno fra tanti spasimi, morir così. Ma per maggior mio duolo verso un'amante oppressa divien la morte istessa pietosa in questo dì. (parte) Scena dodicesima Campidoglio. S'avanza Silla, ed Aufidio seguìto dai Senatori e dalle Squadre. [N. 17 ­ Coro] Allegro (fa maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. CORO Se gloria il crin ti cinse di mille squadre a fronte or la temuta fronte qui ti coroni Amor. Stringa quel braccio invitto lei, che da te s'adora. Se con i mirti ancora cresce il guerriero allor. www.librettidopera.it 35 / 52 Atto secondo Lucio Silla (compar Giunia fra i senatori) Recitativo SILLA Padri coscritti, io che pugnai per Roma, io, che vinsi per lei, io che la face della civil discordia col mio valore estinsi. Io che la pace per opra mia regnar sul Tebro or vedo d'ogni trionfo mio premio vi chiedo. GIUNIA (Soccorso, eterni dèi!) SILLA Non ignorate l'antico odio funesto e di Mario e di Silla. Il giorno è questo in cui tutto mi scordo. Alla sua figlia sacro laccio m'unisca, e il dolce nodo plachi l'ombra del padre. Un dittatore, un cittadin fra i gloriosi allori altro premio non cerca a' suoi sudori. GIUNIA (Tace il senato, e col silenzio approva d'un insano il voler?) SILLA Padri già miro ne' volti vostri espresso il consenso comun. Quei, che s'udiro festosi gridi risuonar d'intorno son del pubblico voto un certo segno. Seguimi all'ara omai... GIUNIA Scostati indegno! A tal viltà discende Roma, e 'l senato? Un ingiurioso, un folle timor l'astringe a secondar d'un empio le violenze infami? Ah che fra voi no, che non v'è chi in petto racchiuda un cor romano... SILLA Taci, e più saggia a me porgi la mano. AUFIDIO Così per bocca mia tutto il popol t'impon. SILLA Dunque mi segui... GIUNIA Non appressarti, o in seno questo ferro m'immergo. (in atto di ferirsi) SILLA Alla superba l'acciar si tolga, e segua il voler mio. 36 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo Scena tredicesima Cecilio, con spada nuda, e detti. CECILIO Sposa, ah no, non temer. SILLA (Chi vedo?) GIUNIA (Oh dio!) AUFIDIO (Cecilio?) SILLA In questa guisa son tradito da voi? Del mio divieto e delle leggi ad onta tornò Cecilio, e seco Giunia unita di toglier osa al dittator la vita? Quell'audace s'arresti! GIUNIA Incauto sposo! Signor... SILLA Taci, indegna, ch'omai solo ascolto il furore. (a Cecilio) Al novo sole per mia vendetta, o traditor, morrai. Scena quattordicesima Cinna, con spada nuda, e detti. SILLA Come? D'un ferro armato, confuso, irresoluto Cinna tu pur?... CINNA (Oh ciel, tutto è perduto; qualche scampo ah si cerchi nel cimento fatal!) Con mio stupore col nudo acciaro io vidi Cecilio infra le schiere aprirsi un varco. La sua rabbia, i fieri minacciosi occhi suoi d'un tradimento mi fecero temer. Onde salvarti da quella destra al parricidio intesa corsi, e 'l brando impugnai per tua difesa. SILLA Ah vanne, amico, e scopri se altri perfidi mai... www.librettidopera.it 37 / 52 Atto secondo Lucio Silla CINNA Sulla mia fede signor riposa, e paventar non déi. (Quasi nel fiero incontro io mi perdei!) (parte) SILLA Olà quel traditore, Aufidio si disarmi. GIUNIA Oh dio! Fermate! CECILIO Finché l'acciar mi resta saprò farlo tremar. SILLA E giunge a tanto la tua baldanza? GIUNIA (Oh dèi!) SILLA Cedi l'acciaro, o ch'io... CECILIO Lo speri invan. GIUNIA Cecilio, o caro. CECILIO Ad esser vil m'insegna la sposa mia? GIUNIA Deh, non opporti! CECILIO E vuoi?... GIUNIA Della tua tenerezza una prova vogl'io. CECILIO Dovrò? GIUNIA Dovrai nella mia fede, e nel favor del cielo affidarti, e sperar. Se ancor mio bene dubbioso ti mostri, i giusti numi, e la tua sposa offendi. CECILIO (Fremo.) T'appagherò. Barbaro, prendi! (getta la spada) SILLA Nella prigion più nera traggasi il reo. Per poco quest'aure a te vietate respirar ti vedrò. Fra le ritorte del tradimento audace tu pur ti pentirai, donna mendace. 38 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto secondo [N. 18 ­ Terzetto] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. SILLA Quell'orgoglioso sdegno oggi umiliar saprò. CECILIO Non lo sperare, indegno, l'istesso ognor sarò. GIUNIA Eccoti, o sposo, un pegno, ch'al fianco tuo morrò. SILLA Empi la vostra mano merita sol catene. Insieme GIUNIA Se mi ama il caro bene lieta a morir me n' vo. CECILIO Se mi ama il caro bene lieto a morir me n' vo. Insieme SILLA Questa costanza intrepida questo sì fido amore tutto mi strazia il core tutto avvampar mi fa. GIUNIA E CECILIO La mia costanza intrepida il mio fedele amore dolce consola il core né paventar mi fa. www.librettidopera.it 39 / 52 Atto terzo Lucio Silla A T T O   T E R Z O Scena prima Atrio, che introduce alle carceri. Cecilio incatenato, Cinna, Guardie a vista, indi Celia. Recitativo CINNA Ah sì tu solo, amico ritenesti il gran colpo. Eran non lungi al Campidoglio ascosi gli amici tuoi, gli amici miei. Seguito volea da questi infra le schiere aprirmi sanguinoso sentier. Ma la prudenza il furor moderò. Di tanti a fronte che far potea cinto da pochi? Il cielo novo ardir m'ispirò. Gli amici io lascio, tacito il ferro io stringo, e in Campidoglio m'avanzo. Allorché voglio vibrare il colpo, in te m'affiso. Il ferro nella man mi tremò. Nel tuo periglio gelossi il cor. M'arresto, mi confondo non so che dir. Quasi il segreto arcano, il tiranno svelò. Ma il suo comando, che di partir m'impose, la confusione e il mio dolore ascose. CECILIO Giacché morir degg'io morasi alfin. Sol mi spaventa, oh dèi! la sposa mia... CINNA Non paventar di lei. Entrambi io salverò. CELIA D'ascoltar Giunia men sdegnoso, e men fiero mi promise il german. CECILIO Giunia al suo piede? E perché mai? CELIA Desìa di placarne lo sdegno. CECILIO Invan lo brama. CINNA Odimi, Celia. È questo forse il momento, ond'illustrar tu puoi con opra sublime i giorni tuoi. CELIA Che far degg'io? 40 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto terzo CINNA M'è noto a prova già tutto il poter, che vanti sul cor di Silla. A lui t'affretta, e digli che aborrito dal cielo, in odio a Roma, se in sé stesso non torna, e se non scorda un cieco amore insano l'eccidio suo fatal non è lontano. CELIA Dunque il german... CINNA Incontrerà la morte se non s'arrende a un tal consiglio. CECILIO Ah tutto, tutto inutil sarà. CELIA Tentare io voglio la difficile impresa, e se aver ponno le mie preghiere il lor bramato effetto? CINNA La destra in guiderdone io ti prometto. CELIA Un così dolce premio più animosa mi fa. Me fortunata, se fra un orror sì periglioso, e tristo salvo il germano, e 'l caro amante acquisto. [N. 19 ­ Aria] Allegro (si bemolle maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CELIA Strider sento la procella né risplende amica stella pure avvolta in tanto orrore la speranza coll'amore mi sta sempre in mezzo al cor. (parte) Scena seconda Cecilio, e Cinna. Recitativo CECILIO Forse tu credi, amico che Celia giunga a raddolcir un core uso alle stragi, e che talor di sdegno ingiustamente furibondo, ed ebro fe' rosseggiar di civil sangue il Tebro? www.librettidopera.it 41 / 52 Atto terzo Lucio Silla CINNA So quanto Celia puote su quell'alma incostante, e Giunia ancora forse placar potria co' le lagrime sue... CECILIO La sposa mia a qualche insulto amaro invan s'espone. Un empio, un inumano non si cangia sì presto. Onde abbandoni il sentier del delitto ch'ei suol calcar per lungo suo costume, ci volle ognor tutto il poter d'un nume. Ah no più non mi resta né speme, né pietà. L'afflitta sposa ti raccomando, amico. In pro di lei vegli la tua amistà. Del mio nemico vittima, ah no, non sia. Nel di lui sangue vendica la mia morte, e 'l mio spirito sdegnoso nel regno degl'estinti avrà riposo. CINNA Ogni pensier di morte si allontani da te. Se il cor di Silla contro al dovere, e alla ragion s'ostina, sulla propria rovina, ne' suoi perigli estremi quell'empio solo impallidisca, e tremi. [N. 20 ­ Aria] Allegro (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CINNA De' più superbi il core se Giove irato fulmina, freddo spavento ingombra, ma d'un alloro all'ombra non palpita il pastor. Paventino i tiranni le stragi, e le ritorte, sol rida in faccia a morte chi ha senza colpe il cor. (parte) 42 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto terzo Scena terza Cecilio, indi Giunia. Recitativo CECILIO Ah no, che il fato estremo terror per me non ha. Sol piango, e gemo fra l'ingiuste catene non per la morte mia, per il mio bene. GIUNIA Ah dolce sposo... CECILIO Oh stelle! Come tu qui? GIUNIA M'aperse la via fra quest'orrore la mia fede, il mio pianto, il nostro amore. CECILIO Ma Silla... Ah parla. E Silla. GIUNIA L'empio mi lascia... Oh dio! Mi lascia, ch'io ti dia... l'ultimo addio. CECILIO Dunque non v'è per noi né pietà, né speranza? GIUNIA Al fianco tuo sol di morir m'avanza. Che non tentai finor? Querele, e pianti, sospiri, affanni, e prieghi sono inutili omai per quel core inumano che chiede o la tua morte, o la mia mano. CECILIO Della mia vita il prezzo esser può la tua man? Giunia frattanto che mai risolverà? GIUNIA Morirti accanto. CECILIO E tu per me vorrai troncar di sì be' giorni... GIUNIA E deggio, e voglio teco morir. A questo passo, o caro, m'obbliga, mi consiglia l'amor di sposa, ed il dover di figlia. www.librettidopera.it 43 / 52 Atto terzo Lucio Silla Scena quarta Aufidio con Guardie, e detti. AUFIDIO Tosto seguir tu déi Cecilio i passi miei. CECILIO Forse alla morte... parla... dimmi... AUFIDIO Non so. CECILIO Prendi, mia speme, prendi l'estremo abbraccio... GIUNIA (ad Aufidio) Rispondi... oh ciel! AUFIDIO Sempre obbedisco, e taccio. CECILIO Ah non perdiam, mia vita, un passeggero istante, che ne porge il destin. Parto, ti lascio, e in sì tenero amplesso ricevi, anima mia, tutto me stesso. GIUNIA Ah caro sposo... oh dèi! Se uccider può il martoro, perché vicina a te, perché non moro? CECILIO Quel pianto, oh dio! Ah sì quel pianto non sai come nel seno... Ahimè! ti basti, o cara sì ti basti il saper, che in questo istante più d'un morir tiranno quelle lagrime tue mi son d'affanno. [N. 21 ­ Aria] Tempo di minuetto (la maggiore) Archi. CECILIO Pupille amate non lagrimate morir mi fate pria di morir. Quest'alma fida a voi d'intorno farà ritorno sciolta in sospir. (parte con Aufidio, e guardie) 44 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto terzo Scena quinta Giunia sola. Recitativo accompagnato Allegro (do maggiore) / Andante / Allegro / Adagio / Presto Archi, 2 flauti, 2 trombe. GIUNIA Sposo... mia vita... Ah dove, dove vai? Non ti seguo? E chi ritiene i passi miei? Chi mi sa dir?... ma intorno altro, ahi lassa non vedo che silenzio, ed orror! L'istesso cielo più non m'ascolta, e m'abbandona. Ah forse, forse l'amato bene già dalle rotte vene versa l'anima, e 'l sangue... Ah pria ch'ei mora su quella spoglia esangue spirar vogl'io... che tardo? Disperata a che resto? Odo, o mi sembra udir di fioca voce languido suon, ch' a sé mi chiama? Ah sposo se i tronchi sensi estremi de' labbri tuoi son questi corro, volo a cader dove cadesti. [N. 22 ­ Aria] Andante (do minore) / Allegro Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 fagotti. GIUNIA Fra i pensier più funesti di morte veder parmi l'esangue consorte che con gelida mano m'addita la fumante sanguigna ferita e mi dice: che tardi a morir? Già vacillo, già manco, già moro e l'estinto mio sposo, ch'adoro ombra fida m'affretto a seguir. (parte) www.librettidopera.it 45 / 52 Atto terzo Lucio Silla Scena sesta Salone. Silla, Cinna, Celia e Senatori. Recitativo SILLA Celia, Cinna, non più. Roma, e 'l senato di mia giustizia, e del delitto altrui il giudice sarà. CINNA Più che non credi di Cecilio la vita necessaria esser puote. CELIA I giorni tuoi... la disperata Giunia... il suo consorte creduto estinto, e alle sue braccia or reso. SILLA So ch'ognor più l'odio comun m'han reso. Ma un dittator tradito vuol vendetta, e l'avrà. Stanco son io di temer sempre, e palpitar. La vita agitata, ed incerta fra un barbaro spavento è un viver per morire ogni momento. CELIA Ah speri invan, se speri fra un eccidio funesto, e sanguinoso trovar la sicurezza, ed il riposo. CINNA La furiosa Giunia correre tu vedrai ad assodar le vie di querele, e di lai. Destare in petto può de' nemici tuoi quel lagrimoso ciglio... SILLA Vedo più che non pensi il mio periglio. Amor, gloria, vendetta, sdegno, timore, io sento affollarmisi al cor. Ognun pretende d'acquistare l'impero. Amor lusinga. Mi rampogna la gloria. Ira m'accende. Freddo timor m'agghiaccia. M'anima la vendetta, e mi minaccia. De' fieri assalti in preda, alla difesa accinto, di Silla il cor fia vincitore, o vinto? Continua nella pagina seguente. 46 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto terzo SILLA Ma l'atto illustre alfine decider dée, s'io merto quel glorioso alloro, che mi adombra la chioma, e giudice ne voglio il mondo, e Roma. Scena settima Giunia con Guardie, e detti. GIUNIA Anima vil, da Giunia che pretendi? Che vuoi? Roma, e 'l senato nel tollerare un traditore ingegno è stupido, e insensato a questo segno? Padri coscritti innanzi a voi qui chiedo e vendetta, e pietà. Pietade implora una sposa infelice, e vuol vendetta d'un cittadino, e d'un consorte esangue l'ombra, che nuota ancora in mezzo al sangue. SILLA Calma gli sdegni tuoi, tergi il bel ciglio. Inutile è quel pianto. È vano il tuo furor. De' miei delitti della mia crudeltade a Roma in faccia spettatrice ti voglio, e in questo loco di Silla il cor conoscerai fra poco. Scena ottava Cecilio, Aufidio, Guardie, e detti. GIUNIA (Lo sposo mio?) CINNA (Che miro?) CELIA (E quale arcan?) CECILIO (Che fia?) SILLA Roma, il senato e 'l popolo m'ascolti. A voi presento un cittadin proscritto, che di sprezzar le leggi osò furtivo. Ei, che d'un ferro armato in Campidoglio alle mie squadre appresso tentò svenare il dittatore istesso. Continua nella pagina seguente. www.librettidopera.it 47 / 52 Atto terzo Lucio Silla SILLA Grazia ei non cerca. Anzi di me non teme e m'oltraggia, e detesta. Ecco il momento che decide di lui. Silla qui adopri l'autorità, che Roma al suo braccio affidò. Giunia mi senta e m'insulti, se può. Quell'empio Silla quel superbo tiranno a tutti odioso vuol che viva Cecilio, e sia tuo sposo. GIUNIA E sarà ver?... Mia vita... CECILIO Fida sposa, qual gioia... qual cangiamento è questo? AUFIDIO (Che fu?) CELIA (Lodi agli dèi.) CINNA (Stupito io resto.) SILLA Padri coscritti, or da voi cerco, e voglio quanto vergò la mano in questo foglio. De' cittadin proscritti ei tutti i nomi accoglie; ciascun ritorni alle paterne soglie. CECILIO Oh, come degno or sei del supremo splendor fra cui tu siedi! GIUNIA Costretta ad ammirarti alfin mi vedi. AUFIDIO (Ah che la mia rovina certa prevedo!) SILLA In mezzo al pubblico piacer, fra tante lodi, ch'ogni labbro sincer prodiga a Silla, e perché Cinna è il solo, che infra occulti pensier confuso giace, e diviso da me sospira, e tace? Fedele amico... (vuol abbracciarlo) CINNA Ah lascia di chiamarmi così. Per opra mia tornò Cecilio a Roma. In Campidoglio per trucidarti io corsi, e armai non lungi di cento anime audaci e la mano, e l'ardir. Io sol le faci a danni tuoi della discordia accesi... SILLA Tu abbastanza dicesti, io tutto intesi. CELIA (Dolci speranze addio!...) 48 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Atto terzo SILLA La pena or senti d'ogni trama ascosa. Celia germana mia sarà tua sposa. GIUNIA (Bella virtù!) CECILIO (Che generoso core!) CINNA E quale, oh giusto cielo, mi s'accende sul volto vergognoso rossor? Come poss'io... SILLA Quel rimorso mi basta, e tutto oblio. CELIA (Me lieta!) (a Cinna) Ah premia alfine il mio costante amor. Della clemenza mostrati degno, e di quel core umano la virtù, la pietade... CINNA Ecco la mano. SILLA Qual de' trionfi miei eguagliar potrà questo, eterni dèi? AUFIDIO Lascia, ch'a piedi tuoi grazia implori da te. De' miei consigli, delle mie lodi adulatrici or sono pentito... SILLA Aufidio, sorgi. Io ti perdono. Così lodevol opra coronisi da me. Romani, dal capo mio si tolga il rispettato alloro, e trionfale; più dittator non son, son vostro uguale. (depone l'alloro) Ecco alla patria resa la libertade. Ecco asciugato alfine il civil pianto. Ah no, che 'l maggior bene la grandezza non è. Madre soltanto è di timor, di affanni, di frodi, e tradimenti. Anzi per lei cieco mortal dalla calcata via di giustizia, e pietà spesso travìa. Ah sì conosco a prova che assai più grata all'alma d'un menzogner splendore è l'innocenza, e la virtù del core. www.librettidopera.it 49 / 52 Atto terzo Lucio Silla [N. 23 ­ Finale] Allegro (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni, 2 trombe. CORO Il gran Silla a Roma in seno che per lui respira, e gode d'ogni gloria, e d'ogni lode vincitore oggi si fa. GIUNIA E CECILIO Sol per lui l'acerba sorte è per me felicità! CINNA E SILLA E calpesta le ritorte la latina libertà. TUTTI Trionfò d'un basso amore la virtude, e la pietà. SILLA Il trofeo sul proprio core qual trionfo uguaglierà? CORO Se per Silla in Campidoglio lieta Roma esulta, gode d'ogni gloria, e d'ogni lode vincitore oggi si fa. 50 / 52 www.librettidopera.it G. De Gamerra / W. A. Mozart, 1772 Indice I N D I C E AttoriAltezze realiArgomento Atto [OuvertureScena AriaScena AriaScena AriaScena Scena Aria] Scena AriaScena Scena Coro e arioso Scena Duetto Atto Scena Aria Scena Scena AriaScena AriaScena AriaScena AriaScena Scena AriaScena AriaScena AriaScena AriaScena Coro Scena Scena TerzettoAtto Scena AriaScena AriaScena Scena Aria Scena AriaScena Scena Scena FinaleBrani significativi Lucio Silla BRANI   SIGNIFICATIVI D'Eliso in sen m'attendi (Giunia e Cecilio) Dalla sponda tenebrosa (Giunia) Fra i pensier più funesti di morte (Giunia) Fuor di queste urne dolenti (Coro e Giunia) Parto, m'affretto (Giunia) Pupille amate (Cecilio) Se lusinghiera speme (Celia)Silla. Keywords. Silla.

 

Grice e Sillo: la ragione conversazionale e il voto al divino -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. The sect being very reluctant to take an oath – invoking ‘il divino’ in vain – Sillo refused to take one, and just hand over money.

 

Grice e Simbolo: la ragione conversazionale della filosofia di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) – Filosofo italiano. Along with two other philosophers by the names of Ieroteo and Maxximiniano, he persuades Giuliano to pave the floor of Hagia Sophia with silver. However, the story is doubted, as is the existence of these three philosophers.  Grice: “It amuses me that the name of this Italian philosopher is identical with an artificial language invented by J. L. Austin, Symbolo!”

 

Grice e Simichia: la ragione conversazionale dell’élite di Crotona e la sua diaspora -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. “This is the diaspora from Crotona – as if we would have an Oxonian diaspora, provided the mayor of Oxford deems us elitists!” – ‘or the gown elitist towards the town, but surely Boris Johnson never saw himself as gown!’ – Grice.

 

Grice e Simioni: la ragione conversazionale degl’amanti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Fiosofo italiano. Tra i principali studiosi di PIRANDELLO (si veda), inizia la sua attività politica militando nelle file del socialismo. Venne espulso dal partito per indegnità morale. Collabora con l’United States Information Service. Si trasfere a Monaco di iera per approfondire gli studi per poi ritornare a Milano. Leader di un collettivo operai-studenti, mentre lavora alla Mondadori, fonda il collettivo politico metro-politano milanese. Teorizza lo scontro aperto, e si considera il progenitore delle brigate rosse. Insieme a circa settanta persone, tra cui componenti del collettivo ed elementi del dissenso, partecipa al convegno di Chiavari nella sala Marchesani, adiacente la pensione Stella Maris, nel quale un gruppo di partecipanti dichiara la propria adesione ad una visione politica. La data di questo convegno viene da taluni considerata come la data di nascita delle brigate rosse. Altri affermano che la formazionesia nata con il convegno di Pecorile (Reggio Emilia). L'ultima attività, prima di passare alla completa clandestinità, a compe come redattore di "Sinistra proletaria", l'ultimo dei quali riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero attorniante le sagome di XIV mitra. Fonda la scuola di lingue Hyperion, la quale secondo alcuni ha la funzione di una vera centrale internazionale. Si afferma che e anche il capo del Super-clan, organizzazione nata da una costola delle brigate rosse. Si insere nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gl’ambienti progressisti e divenendo vicepresidente della fondazione Pierre. E proprio quale accompagnatore di Pierre, e ricevuto da  Giovanni Paolo II in udienza privata. Si avvicina al buddhismo tibetano. Si apparta nella campagna di Truinas, nella Drôme, dove geste un B & B. Craxi, alludendo alla esistenza di un grande delle brigate rosse (l'eminenza grigia ipotizzata da alcuni che dall'estero avrebbe guidato, come un burattinaio, molte delle azioni sul suolo italiano), dichiara che costui poteva essere cercato tra quei personaggi che avevano cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi, magari sono a Parigi a lavorare per il partito armato, frase che venne da molti ritenuto indicasse come grande proprio lui. L'organizzazione di sinistra extra-parlamentare Lotta Continua lo accusa di essere un confidente della polizia e in contatto con i servizi segreti.. Durante la fase iniziale di Mani pulite, e accusato da LARINI di essere il grande, accuse respinte da lui che le ritenne parte di un'azione contro Craxi, vista la comune militanza nel socialismo. Hyperion e realmente una scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi servizi segreti?  Ferrari, In teleselezione dalla Francia gli ordini ai italiani? Corriere della Sera. Entrambi gli edifici sono proprietà della curia  Il convegno di Pecorile in Anni di Piombo. Il nucleo storico delle brigate rosse. E morto il misterioso grande, La Tribuna di Treviso, Fratini, Hyperion: scuola di lingue chiacchierata, ANSA, repubblica cronaca  news/caso moro_il_bierre_franceschini moretti una_spia_ riduttivo si sentiva_lenin. Dalla lotta al buddhismo, in Critica Sociale, Anni di piombo Superclan Hyperion (Parigi) Venezia Anni di piombo. Corrado Simioni. Simioni. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Simioni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Simmaco: la ragione conversazionale del console filosofo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of considerable wisdom, also a consul. Quinto Aurelio Simmaco.

 

Grice e Simoni: la ragione conversazionale degl’ ‘eretici’ reazionari italiani – gl’acuti – i nobili -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Studia con BENDINELLI e PALEARIO, due umanisti in dore d’eresia. Il secondo fine sul rogo a Roma. Legge sostenuto dal padre e dal patrizio veneziano MOCENIGO e peregrina nei maggiori studi d'Italia: Bologna, Pavia, Ferrara, e Napoli. Si laurea a Padova. Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da MAGGI a CARDANO, da BOLDONI a BRASAVOLA. La sua formazione e di stampo del LIZIO, come s'insegna nello studio padovano, con una forte esigenza razionalistica che ha riflessi nel campo religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a creare sospetti di eresia tra i professori e gl’studenti di quella università. Con questa preparazione, S. fa ritorno a Lucca, dove scrive saggi di argomento filosofico. Lucca ha vissuto un periodo concitato d’aperti conflitti sociali e poi di tentativi di riforme politiche, portate avanti dal gonfaloniere BURLAMACCHI e dal circolo di filosofi riuniti intorno a VERMIGLI. Quando ritorna a Lucca, quella fervida attività è già stata spenta dalla reazione cattolica guidata da GUIDICCIONI, ma certo quelle idee di riforma circolano ancora sotterraneamente, e forse lui stesso le ha già raccolte durante i suoi trascorsi nelle diverse università da lui frequentate. Sta di fatto che è chiamato dall’autorità lucchesi a dare spiegazioni sulle proprie opinioni. Per tutta risposta non fidandosi troppo delle sue forze, cerca la salvezza con la fuga. Munito solo di un cavallo e dei propri risparmi, dopo aver preso commiato dalla famiglia, fugge, accompagnato da un servitore, alla volta di Ginevra. Negl’atti ufficiali della repubblica di Lucca, la sua condanna per eresia si formalizza. A Ginevra, patria del calvinismo, si forma una numerosa colonia di emigrati italiani e tra questi non pochi sono i lucchesi. La comunità italiana è inserita in una propria chiesa e S. vi ha l'incarico di catechista. Preso a benvolere dall'influente teologo BEZA, ottenne di insegnare filosofia: un incarico dapprima senza compenso, poi retribuito insieme con la nomina a professore. Anche il padre Giovanni si stabilì a Ginevra. In quello stesso periodo gli venne aumentato lo stipendio, ottenne un alloggio gratuito e, nell'accademia è istituita appositamente per lui la cattedra. Pubblica saggi. Presso Crespin apparve il suo “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus” è il commento al “De sensu et sensibilibus” di Aristotele. In esso define la verità filosofica -- una premessa tipica del lizio padovano ma poi cerca di dimostrare che la ragione, indagando la natura, può giungere al divino, rivelando le verità di fede. In tal modo, sostiene che anche ogni questione ha natura razionale e, qualora sorgano contrasti, la ragione è in grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta interpretazione. Una conseguenza, seppure non esplicita nel commento, della prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogma espressione della tradizionale sub-ordinazione della ragione alla fede non ha motivo di esistere. Il suo LIZIO che poco concede alla teologia si conferma con i successivi commenti all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre S. condusse una lunga e dura polemica contro il filosofo Schegk. Questi, proprio all'opposto del S. usa argomenti tratti dalla scolastica per dimostrare la realtà della teoria, allora caldeggiata in ambienti luterani, della ubiquità del corpo di Cristo. S. risponde con argomenti di carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale assunto. Un olo corpo fisico non può che occupare, nello stesso tempo, un unico spazio determinato. Anche Cristo, in vita, e soggetto alla legge naturale. Dopo la morte, Cristo mantenne soltanto una natura divina. Non è sostenibile l'idea che il divinopossa mutare una legge naturale in legge trans-naturale o sovra-naturale. Ente perfetto e primo motore immobile come lo delinea Aristotele il divino agisce sulla natura unicamente attraverso la sua perfezione che indirizza al bene gl’esseri naturali. Il suo carattere collerico e l'alta considerazione che ha di sé lo porta a una lite clamorosa con BALBANI, un altro lucchese. Durante il matrimonio della figlia di questi, S. lo copre d'insulti, con grave scandalo delle autorità di Ginevra, che fanno imprigionare S. e lo espulsero dall'accademia. A nulla valsero le suoi scuse presentate -- è del resto probabile che la severità del consiglio e del Concistoro ginevrino e motivata anche dalla freddezza e dallo suo spirito d'indipendenza dimostrato che pure si dichiara calvinista in materia di religione. Tuttavia BEZA gli mantenne ancora la sua amicizia e lo forne di una lettera di raccomandazione con la quale si dirige alla volta di Parigi.  A Parigi ottenne una buona accoglienza. I calvinisti qui chiamati ugonotti sono ancora tollerati e le lusinghiere referenze gli fanno ottenere una cattedra di filosofia al collège royal, dove le sue lezioni ottenneno subito un grande concorso di pubblico. Come scrisve a BEZA, alle sue lezioni assistevano sei o settecento uomini barbati, dottori, professori, et altri di robba lunga, preti, frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini. Si ha congratulazioni di RAMO, che volle incontrarlo e lo chiama “felicissimum et praestantissimum ingenium italicum”, non però quelle del collega CHARPENTIER, che teme che fosse stato mandato da Ginevra per turbare questa scuola. Sa che la sua permanenza a Parigi è precaria. Il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome di ugonotto -- né puo valere molto la protezione del cardinale COLIGNY, passato al calvinismo. Rifere di aver rifiutato offerte sostanziose da parte cattolica per insegnare in loro collegi, a prezzo di una sua conversione, e di attendersi un prossimo editto che affronta il problema della convivenza tra cattolici e ugonotti.  Un editto effettivamente ci e, emanato da Carlo IX, con il quale si proibe ai protestanti l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi saggi che gli furono sequestrati, e costretto ad abbandonare la Francia. Si apre un nuovo periodo di difficoltà. Non potendo insegnare a Ginevra, cerca di ottenere un incarico a Zurigo e a Basilea, sollecitando in tal senso altr’emigrati italiani come l'editore PERNA e il filosofo umanista CURIONE, ma invano. I sospetti di anti-trinitarismo che gravano sul suo conto, da quando fa visita nel carcere di Berna all'eretico GENTILE  poco prima che questi venisse giustiziato, e il recente scandalo provocato a Ginevra non agevolavano il suo inserimento nelle élite filosofica delle città svizzere.  Ottenne bensì una raccomandazione da BULLINGER per un posto di insegnante a Heidelberg, ma anche qui rimane poco tempo. La sua amicizia con l'anti-trinitario ERASTO, il suo a LIZIO senza compromessi dal nulla, nulla si crea, sostenne in una pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato dal divino Padre e il suo carattere spigoloso gl’alienarono ogni simpatia e dove riprendere la via di Basilea. Ottenne una cattedra straordinaria di filosofia a Lipsia. Se puo fregiarsi della stima d’Augusto I, non eguale considerazione ottenne dai suoi colleghi, che fanno gruppo a sé e lo isolarono. Non si perde d'animo. Molto popolare tra gli studenti per la vivacità delle sue lezioni e lo spirito critico che infonde negl’allievi, fonda, all'interno dell'Università, un'accademia sul modello umanistico italiano, battezzandola degl’acuti. Degl’acuti, entra a far parte un gruppo di suoi studenti. Le discussioni dovevano vertere sulla interpretazione di passi del LIZIO i filosofi così raggruppati intorno a lui dettero ben presto dello spirito critico e dell'idea di esser superiori agl’altri, che il vivace professore finisce per insinuare nei loro animi. Pasquinate anonime contro un professore, e un litigio clamoroso tra questo e S., iniziano una serie di incidenti che ha termine con la soppressione degl’acuti. La soppressione degl’acuti, decisa dal senato universitario, testimonia i difficili rapporti intercorrenti tra l'università e lui, che per altro in città era reputato ospite illustre, professionista affermato e ricercato, uomo di mondo e di cultura dalla posizione prestigiosa, che gode della stima e del rispetto dei suoi concittadini, e la cui fama oltrepassa la frontiera del paese che gli dava ospitalità. Infatti, oltre a insegnare filosofia e ad avere allievi anche illustri, come il prìncipe RADZIWIŁL, esercita la professione medica, vantando clienti di riguardo. Pubblica il suo saggio filosofico più originale, la “De vera nobilitate”, dedicato ad Augusto I. La vera nobiltà è la virtù (ANDREIA) dell'anima umana, la quale è intesa alla maniera del LIZIO, come forma del corpo. La virtù dell'anima è perciò strettamente legata alla particolare costituzione del corpo, trasmessa nell'individuo di generazione in generazione dal seme del padre, che costituisce la causa efficiente del singolo essere. Non per nulla da ‘genere’ deriva ‘generoso’. Se pure non ogni nobile è generoso, chi è generoso è considerato nobile. Le differenze sociali tra gl’uomini e le conformazioni dei loro corpi sono egualmente corrispondenti per necessità naturale. La natura vuole infatti fare diversamente il corpo dei liberi da quelli dei servi. Questi robusti e con deformità necessarie al loro particolare utilizzo. Quelli diritti e belli, perché non desti tali fatiche, ma alla vita civile. L’educazione svolge una funzione per la formazione dell'uomo, ma resta inferiore a quella naturale. Di due uomini, di diversa estrazione sociale ma educati allo stesso modo, il nobile risulta meglio formato, in quanto la natura lo ha costituito di una materia superiore. L'educazione ha lo stesso effetto della medicina. Fa recuperare la propria condizione di salute, ma non può migliorarla oltre il limite fissato dalla natura. Viene da sé che le famiglie nobili d’Italia diano lustro alla nazione italiana, formando l'élite della società civile sotto l'aspetto culturale e politico. Questo avviene nella nazione italiana, di antica civiltà in sostanza. Presso i barbari non può esistere nobiltà. Il barbaro e giustamente detto servo per natura e in quanto servo non porta in lui nessuna virtù, essendo nato per servire sotto una tirannia e non in un regio e civile governo. La virtù dei nobili non possono consistere nell'accumulare ricchezze, ma essa e ugualmente attiva e pratica. E la virtù civili del politico, che si occupa del benessere dei cittadini, quelle del medico, che si occupa della salute degl’individui, del fisiologo, che studia la natura e infine del metafisico, che studia le cose divine. Queste ultime, insieme alla virtù della contemplazione, è però meglio riservarle nella vita che ci attende dopo la morte, quando quei problemi saranno facilmente risolti. Queste cose sono irrise dai politici, tra i quali, non tra gl’angeli, si discute di nobiltà. Nel frattempo, è opportuno dedicarsi alle cose di questo mondo ed essere utili alla società degl’uomini. Si loda Socrate il quale, trascurate le altre parti della filosofia, coltiva quella sola che era più adatta ai costumi degl’uomini e alle istituzioni civili. Che la vera nobiltà si debba esprimere nell'attività pratica e civile è ribadito più volte. La nobiltà spunta fuori dalla società civile, non dalla solitudine e la virtù spirituale, come quelle mostrate dai mistici e dai contemplativi, non e virtù nobile propria dell'essere umano. Questa virtù discende direttamente dal divino e perciò non derivano da generazione spermatica naturale del padre, non sono frutto della carne e del sangue il fondamento della vera nobiltà e non essendo ereditarie non puo essere considerata virtù nobile. Naturalmente, ai innobili non possono essere affidati incarichi di responsabilità nel governo della società, ma al più solo l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal sangue la nobiltà, non si può diventare autenticamente nobili attraverso conferimenti onorifici, anche se concessi d’un sovrano mentre, al contrario, un autentico nobile non può essere privato della fama e dell'onore, perché in lui opera sempre quella forza e quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi antenati. Dopo questa applicazione dei principi del LIZIO al vivere civile e al governo dello stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degl’ottimati, si dedica a trattare temi propriamente medici. Appare a Lipsia il suo “De partibus animalium” ove descrive la conformazione del feto, la “De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium”; l'”Artificiosa curandae pestis methodus” ; la “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium febrium natura” -- temi di drammatica attualità, a Lipsia, investita da un'epidemia di peste. Ottene il permesso di esercitare la professione medica all'interno dell'università, pur senza ottenere, oltre quella straordinaria di filosofia, anche una cattedra di medicina. Presenta ad Augusto I una proposta di riforma universitaria. S'indica la necessità di una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano dimostrare non solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità didattiche. Dovevano anche essere obbligati a tenere un maggior numero di lezioni s'imponevano multe ai professori inadempienti mentre la durata dell'anno accademico venne prolungata.  Particolare cura dedica all'insegnamento. Dovevano tenere lezioni V professori, tra i quali un chirurgo che avrebbe tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni pratiche di cura delle diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico anda migliorata. Ritene che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che sarebbero dovute essere verificate dalla pratica e dal rigore della dimostrazione dialettica. A questo proposito opina che avrebbe giovato un'accurata conoscenza delle opere del LIZIO. Non mancano poi critiche severe sull'attuale andamento a Lipsia. I rettori sono scelti grazie alle loro aderenze, si promuovevano studenti immeritevoli, vi è scarsa pulizia, la farmacia universitaria è mal tenuta. Tali proposte e simili critiche non potevano che alimentare ancor più l'ostilità dei colleghi. Egli non sembra preoccuparsene. La stima dell'Elettore Augusto si mantene immutata, se lo fa nominare Professore di filosofia e lo promuove a suo primo medico personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa luterana, la quale prepara una confessione di fede che in particolare tutti funzionari e gl’impiegati, a vario titolo, dello stato avrebbero dovuto firmare, l'elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor S., ottenendone un netto rifiuto. Racconta lo stesso S. che, avendo rifiutato costantemente di sotto-scrivere quella che i teologi sassoni denominarono Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolge il suo sdegno contro di me. Al che S. decide di andarsene e, nonostante l'Elettore cerca d'impedirlo, da l'ultimo saluto a quelle popolazioni. Si trasfere a Praga, dove venne assunto quale medico personale di Rodolfo II. Tale incarico e il carattere cattolico dell'Impero di cui era ora suddito rendeva necessario un chiarimento sulle sue posizioni religiose, poiché è nota la rottura avvenuta a Ginevra con i calvinisti e a Lipsia con i luterani. S. si adegua facilmente alla nuova situazione e abiura pubblicamente le passate convinzioni, ritratta quanto nei suoi scritti poteva esservi di eretico e abbraccia formalmente il cattolicesimo. Si tratta di una scelta di convenienza, seppure comprensibile nel clima torbido delle persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrive lui stesso all'amico Selnecker, un teologo luterano. Confesso di aver abiurato, anche se non avrei voluto farlo neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto altri comunque sono i responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti salvare la mia vita, quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter condurre con me. La moglie muore poco dopo e i tre figli rimasero affidati a Lipsia al nonno materno. Io, un italiano perseguitato a causa della religione luterana, dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del senato all'agguato di sicari. E ricorda la sorte di chi non si è piegato a compromessi. I che vidi con questi occhi il Paleologo, esule per causa di religione, condotto su richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna, e di qui trascinato in catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente arso sul rogo), io che sono circondato da ogni parte da infinite difficoltà e pericoli di ogni genere, che cosa avrei dovuto fare? Questa lettera non venne agl’occhi dei gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta conversione del filosofo famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi collaborare nella lotta agl’eretici. La loro soddisfazione non dovette però durare a lungo, o forse essi stessi credettero poco alla conversione del S., se lo storico gesuita SACCHINI puo qualificarlo di miserabile uomo che in disprezzo di ogni religione sprofonda nell'empietà, mentre tra i protestanti BEZA, alla notizia della sua conversione, commenta di essere sempre stato convinto che l'unico divino è in realtà Aristotele, del Lizio. Monau, dopo aver ricordato i suoi continui trascorsi da cattolico si è fatto calvinista, da calvinista anti-trinitario, da anti-trinitario luterano, e ora di nuovo papista. Lo stratteggia da uomo profano ed empio, come indicano sia i suoi costumi, sia i suoi discorsi, sia tutta la sua vita. Forse egli stesso sente di essere circondato da un clima di diffidenza se non di disprezzo, perché prende la risoluzione di lasciare le terre dell'impero per trasferirsi in Polonia.  Sembra che sia stato un altro italiano, BUCCELLA, medico personale del re Stefano Báthory, a raccomandarlo come medico della corte di Cracovia. BUCCELLA, di fede anabattista, gode di notevole considerazione, né la sua fama d’eretico gl’aveva pregiudicato l'esercizio della professione in quella Polonia che era ancora un paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama stessa di cui da tempo gode gl’apre le porte della migliore società. Riprese a pubblicare alcuni saggi: la “Disputatio de putredine” è una confutazione, sulla scorta di Aristotele del Lizio, delle teorie d’Erasto, mentre la “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta” è una relazione sulla morte di un borgomastro. Sulla malattia di quest'ultimo torna nel “Simonius supplex” insieme con una delle solite polemiche che lo videro ora opporsi al medico di SQUARCIALUPI. Una nuova svolta nella sua  si verifica con la malattia e la morte del re Stefano. Báthory si sente male nel suo castello di Grodno, e nel consulto tenuto da BUCCELLA e da S. emersero serie divergenze. BUCCELLA giudica molto grave le condizioni di Stefano. S. ritenne che non ci è nessun pericolo. Due giorni dopo le condizioni del re si aggravarono e i due medici si trovarono d'accordo nell'imporre un salasso al re ma in contrasto sulla dieta. S. e favorevole a fargli bere del vino, che BUCCELLA intende invece proibire. Nemmeno nella diagnosi si trovarono d'accordo. Per BUCCELLA, il re soffre di asma. Per S., d’epilessia. Sopravvenne una nuova grave crisi e il re perde conoscenza. Pur giudicando molto gravi le sue condizioni di salute, S. rassicura i circostanti, perché, a suo dire, non c'è ancora pericolo di morte. Appena pronunzia queste parole che il re spira. Lascia il castello e non volle assistere all'autopsia, sostenendo che è inutile, poiché l'epilessia “ab infernis partibus ducit originem” e non lascia tracce nel cadavere. Coordinata da BUCCELLA, l'autopsia è effettuata da Zigulitz, che accerta una grave alterazione dei due reni. La ri-cognizione dello scheletro di Báthory conferma che la morte avvenne per de-generazione renale, uremia e calcolosi. Cracovia: chiesa di San Francesco pubblica a sua difesa lo “Stephani primi sanitas, vita medica, aegritudo, mors” che e violentemente contestato dal “De morbo et obitu serenissimi magni Stephani” scritto da Chiakor su ispirazione di BUCCELLA. La polemica prosegue a lungo, coinvolgendo altr’amici di BUCCELLA, e degenerando in insulti e attacchi sulle convinzioni filosofiche dei due protagonisti. Contro S., tra gl’altri, e indirizzato l'opuscolo “Simonis Simoni lucensis, primum romani, tum calviniani, deinde lutherani, denuo romani, semper autem athei summa religio”. Alla fine, Sigismondo III ri-conferma BUCCELLA nella carica di medico curante, escludendo S. da ogni incarico di corte. Da allora, le notizie su lui si fanno scarse. Pur senza avere incarichi ufficiali, mantenne una ricca clientela e gode della considerazione di  Rodolfo, dei principi Radziwiłł, di Pavlowski e dei gesuiti, dai quali si fa ri-ilasciare un salva-condotto per rientrare in Italia e recarsi a Roma. Precauzione necessaria, con i suoi trascorsi: una precauzione maggiore e però quella di rinunciare al viaggio. La sua vita agitata ha così fine a Cracovia, come lo ricorda la lapide posta sulla sua tomba nella chiesa di S. Francesco. La data di nascita si deduce dalla lapide sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella chiesa di S. Francesco, a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni «ultimum diem clausit III.” Il testo della lapide è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste notizie biografiche si apprendono da saggio di S., “Scopae, quibus verritur confutation”. Per secoli gli storici discuteno del luogo della sua nascita. Verdigi, “S. filosofo e medico”, Madonia, “S. da Lucca”; Lucchesini, Come scrive egli stesso: S., “Synopsis brevissima” Madonia, S. da Lucca,  Tommasi, “Sommario della storia di Lucca”;  Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese”; Fabris, “La filosofia di S.” n Verdigi, S.,  S. S. a Teodoro di Beza, in Pascal, Da Lucca a Ginevra, e in Verdigi, S. S. a Beza, in Verdigi, S., Madonia, S. Pierro, La vita errabonda di uno spirito einquieto. S. S. S., “Simonius supplex”  in Madonia, S. da Lucca, Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese. Il paleo-logo e decapitato in carcere  e il cadavere arso pubblicamente a Roma, nel campo de' fiori. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo di un eretico lucchese; Sacchini, Historia Societatis Jesu, in Verdigi, S., Beza, lettera a Gwalther, in Pascal, Da Lucca a Ginevra, Monau, lettera a Crato, in Caccamo, “Eretici italiani” Pierro, La vita errabonda di uno spirito inquieto. S., Madonia, S. da Lucca. Altre saggi: “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus” (Geneva, Crispinum); “Commentariorum in Ethica Aristotelis ad Nicomachum, liber primus” (Geneva, apud Ioannem Crispinum); “Interpretatio eorum quae continentur in praefatione Simonis Simonij Lucensis, Doct. Med. et Philosophiae cuidam libello affixa, cuius inscriptio est: Declaratio eorum quae in libello D. D. Iacobi Schegkii, & c.” (Geneva, Crispinum); “Phisiologorum omnium principiis Aristotelis De anima libri III” (Lipsiae, Võgelin); Anti-schegkianorum liber I, in quo ad obiecta Schegkii respondetur, vetera etiam non nulla, dialectica et phisiologica praesertim, errata eiusdem, male defensa et excusata inculcantur, novaque quam plurima peiora prioribus deteguntur” (Basilea, Perna); “Responsum ad elegantissimam illam modestissimamque praephationem Schegkii, cui titulum fecit Prodromus antisimonii”; “Ad amicum quendam epistola, in qua vere ostenditur, quid causae fuerit, quod responsum illud, quo maledicus, et multis erroribus refertus Schegkij doctoris et professoris Tubingensis liber plene refellitur, nondum in lucem prodierit” (Pariggi, in vico Jacobaeo); “De vera nobilitate” (Lipsiae, Rhamba); “De partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter de prima foetus conformatione” (Lipsiae, Rhamba); “De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium” (Lipsiae, Bervaldi); “Artificiosa curandae pestis methodus, libellis duobus comprehensa” (Lipsiae, Steinmann); “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium frebrium natura, periodis, SIGNIS, et curatione, cuius paulo post copiosissima et accuratissima consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris brevi de humorum differentiis dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen sententiae a Brunone Seidelio latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in paradoxis suis disputavit” (Basilea, Perna); “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta” (Cracovia, Lazari); “Disputatio de putredine” (Cracovia, Lazari); “Commentariola medica et physica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli SQUARCIALUPI nunc medicum agentis in Transilvania” (Vilna, Velicef); “Simonius supplex ad incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa republica literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum Thuscum Plumbinensem triumphantem”; “Pars  in qua de peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur” (Cracovia, Rodecius); “D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis vita medica, aegritudo, mors” (Nyssae, Reinheckelii); “Responsum ad epistolam cuiusdam G. Chiakor Ungari, de morte Stephani primi”; “Responsum ad Refutationem scripti de sanitate, victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum regis, Olomutii, Scopae, quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai Buccellae Itali chirurgi anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum, errorumque purgamentis infartam postremo emiserunt (Olomutii, Milichtaler); Appendix scoparum in N. BUCCELLAM, Sacchini, Historiae Societatis Iesu” (Antverpiae, Nutii); Ciampi, “Viaggio in Polonia” (Firenze, Gallett); Lucchesini” (Lucca, Giusti); Tommasi, Sttoria di Lucca” (Firenze, Vieusseaux); Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese” -- Rivista storica italiana, Cantimori, “Un italiano a Lipsia” Studi Germanici -- Pierro, La vita errabonda di uno spirito inquieto, Minerva, Torino; Caccamo, “Eretici italiani” (Firenze, Sansoni); Firpo, “Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese S.”, “Annali della Scuola normale superiore di Pisa,  Madonia, Rinascimento, Firenze, Sansoni, Madonia, Il soggiorno in Polonia, in «Studi e ricerche I», Verdigi, Lucca, Tiraboschi su S., in Biblioteca Modenese, Modena,  Ciampi, Viaggio in Polonia, Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese,  Tommasi, Sommario della storia di Lucca,  su S. Antischegkianorum liber I. S., De vera nobilitate; S/ Artificiosa curandae pestis methodus. Simone Simoni. Simoni. Keywords: nobilitaà, eretici italiani. Luigi Speranza, “Grice e Simoni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Simonide: la ragione conversazionale e la filosofia sotto il principato di Valente. la filiale dell’Accademia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademia, well known for living a principled and disciplined life. He is, unfortunately, accused of involvement in a plot against the prince VALENTE (si veda).  S.’s refusal to betray any secret lets to him being burnt alive.

 

Grice e Sini: la ragione conversazionale e la filosofia del segno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo Italiano. Grice: “I like Sini; especially his “I segni dell’anima,” since this is, in a nutshell, what my philosophy has been all about: the signs of the soul!” Studia a Milano sotto BARIÉ e PACI, con il quale si laurea. Insegna ad Aquila e Milano. Membro per del Collegium phaenomenologicum di Perugia, della Società filosofica italiana e socio dei Lincei, dell'Istituto lombardo di scienze e lettere. Insignito per una sua opera del premio della presidenza del consiglio dello stato italiano. Collabora al Corriere della Sera e la Rai. Dirige per Versorio la collana "Pragmata", membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Premiato da Milano con l'Ambrogino d'oro. Con Grice, tra i primi a segnalare all'attenzione l'importanza della teoria del segno di Peirce. Propone un filone di ricerca sulla convergenza dei percorsi di Peirce e Heidegger sul filo dell'ermeneutica benché la sua formazione didattica fosse di orientamento prevalentemente fenomenologico. La sua proposta teoretica si concentra sul tema della scrittura e sulla centralità dell' abecedario come forma logica della filosofia nella lingua del Lazio. In “Figure dell'enciclopedia filosofica” rende conto della radicalità del gesto istitutivo di LUCREZIO e della nascita della filosofia romana in modo da illuminare la genealogia della nostra civiltà e le figure del suo destino. Questo saggio si misura con nodi problematici e profondi della nostra cultura. Si mostra la verità del gesto filosofico di LUCREZIO nel tratto tecnologico dell’abecedario che trasforma la relazione al mondo in cosità – “de rerum natura”. La pratica del concetto, infatti, in-forma il paradigma dell'oggettività – “in rerum natura” -- e traduce la sterminate antichità dell'umano all'interno dell'ambito crono-topico della visione logica elaborata dalla scansione dell’abecedario del mondo con la conseguente nascita del tempo e del sapere storico. All'educazione mitologica dei corpi dei uomini si sostituisce l'educazione dei animi nella ri-mozione delle qualità sensibili della vita vissuta. Prima operazione di ingegneria genetica che comporta sia la nascita del soggetto morale nella paideia del bio-politico -- come Nietzsche intuisce -- sia il conseguente destino nichilista rivelato dal dis-incanto. Ma l'intreccio, che dalla pre-istoria conduce ai nostri giorni, rinvia al desiderio e all'iscrizione originaria che danza nelle figure del sesso e della morte. La soglia così dischiusa, annunciata dalla verità analogica dell'evento mimato nella generazione, permette il passaggio del movente desiderante nel desiderio di vita eternal. L’ACCADEMIA e la logica disgiuntiva hegeliana rappresentano i due poli più rilevanti di questa consapevolezza lancinante. Addirittura, tutta la filosofia dell’ACCADEMIA è probabilmente da pensare come la domanda più alta e profonda che sia mai stata posta alla sapienza di BACCO.  E così, dagli ominidi alla società dell'informazione, sul filo delle pratiche che ne circoscrivono le traiettorie, la trama del senso transita al SEGNO disegnando le co-ordinate del nostro tempo e il predominio della visione scientifica e delle sue figure che dileguano la consistenza dell'inter-soggetivito, profilando nel rituale pubblico del potere finanziario, e nella conseguente imposizione dell'universalità oggettiva, un paradosso costitutivo che nasconde nuove e positive opportunità ancora tutte da scoprire -- e attualmente mascherate dalla deleteria mercificazione imperante. Delineando nuove occasioni di senso, le figure dell'enciclopedia invitano a sognare più vero, vale a dire ad abitare la conoscenza filosofica nell'esercizio dell'evento del significato nella concretezza delle sue pratiche. Ethos di una nuova scrittura della soggezione del mortale al desiderio, nell'apertura al transito della vita. Approfondisce la questione del logos -- parola, ragione -- e della tecnica facendo del primo il fondamento ultimo, della seconda l'essenza. Una posizione di rilievo e in controtendenza all´interno del panorama di questa specifica area della filosofia. Altre saggi: “I greci” ((Accademia di Belle Arti, Milano), “La funzione della filosofia” (Marsilio, Padova); “La fenomenologia” (Nigri, Milano); “Storia della filosofia” (Morano, Napoli); “Il pragmatismo (Laterza, Roma); “Segno” (Mulino, Bologna); “Passare il segno” (Saggiatore, Milano); “Kinesis: saggio d'interpretazione (Spirali, Milano)”; “Il metodo” (Unicopli, Milano); “Parola e silenzo” (Marietti, Genova); “Segni dei animi” (Laterza, Bari); “Segno ed immagine” (Spirali, Milano); “Segni dei uomini” (Egea, Milano): “L'espressione e il profondo” (Lanfranchi, Milano)”, Etica della scrittura (Il Saggiatore, Milano, Mimesis, Milano); “Pensare il Progetto” (Tranchida, Milano); “Filosofia teoretica” (Jaca, Milano) Variazioni sul foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura” (Hestia, Como), “L'incanto del ritmo” (Tranchida, Milano Filosofia e scrittura (Laterza, Roma); “Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del linguaggio” (Egea, Milano); “Teoria e pratica del foglio-mondo (Laterza, Roma-Bari) Gli abiti, le pratiche, i saperi (Jaca, Milano) Scrivere il fenomeno: fenomenologia e pratica del sapere (Morano, Napoli) Ragione (Clueb, Bologna) Idoli della conoscenza (Cortina, Milano La libertà, la finanza, la comunicazione (Spirali, Milano) La scrittura e il debito: conflitto tra culture e antropologia” (Jaca, Milano); “Il comico e la vita” (Jaca, Milano); “Figure dell'enciclopedia filosofica. Transito verità” (Jaca, Milano), “L'analogia della parola: filosofia e metafisica;  La mente e il corpo: filosofia e psicologia; Origine del significato: filosofia ed etologia; La virtù politica: filosofia e antropologia; Raccontare il mondo: filosofia e cosmologia; Le arti dinamiche: filosofia e pedagogia  La materia delle cose: filosofia e scienza dei materiali (Cuem, Milano); “La verità e la vita” (Ghibli, Milano) Del viver bene: filosofia ed economia (Cuem, Milano); “Distanza un segno: filosofia e semiotica” (Cuem, Milano); “Il gioco del silenzio (Mondadori, Milano); “Il segreto di Alicia” (AlboVersorio, Milano); “Eracle al bivio: semiotica e filosofia” (Bollati Boringhieri, Torino); “Da parte a parte. Apologia del relativo (ETS, Pisa) L'uomo, la macchina, l'automa: lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e passato remoto (Boringhieri, Torino) L'Eros dionisiaco (Versorio, Milano); “Figure d'Occidente” (Versorio, Milano); “La nascita di Eros” (Versorio, Milano); “Spinoza” (Time, Milano ); Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio della filosofia” (Ets, Pisa); “Il filosofo e le pratiche. In dialogo con S. (E.Redaelli,  BrovelliCrippa, Valle,  Redaelli), Milano, CUEM. Comerci, Filosofia e mondo. Il confronto di S., Milano, Mimesis.  Cristiano, La filosofia di S.: semiotica ed ermeneutica  (Milano, Mimesis) Collana Pragmata, in AlboVersorio, Cfr. Copia archiviata, su unimi). Logos e techne, tecnologia e filosofia, S. Noema, Treccani Enciclopedie o Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Nòema la rivista di filosofia diretta da Fabbrichesi e S., su riviste. Archivio S. il luogo ove i materiali relativi ai corsi di S. ed altro ancora. Lectio Magistralis di S. su La Différance, Arcoiris TV, Riflessioni sul Senso della Vita. Intervista di Nardi,  Riflessioni Collana Pragmata, Versorio. Carlo Sini. Sini. Keywords: segno, da Lucrezio a Cicerone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Siracusa: all’isola – la ragione conversazionale del tutore di filosofia del principe ai bagni di Pozzuoli – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Grice: “We know William is from Ockham but we call him Ockham, not William; similarly, Alcaldino is from Siracusa, and I call him Siracusa!” Vissuto vicino alla corte degl’Hohenstaufen. Studia a Salerno. Si cimenta negli studi di filosofia, raccogliendo attorno a sé una serie di seguaci. Quindi, in seguito alla conclusione del corso regolare degli studi, e scelto per fare da insegnante filosofia presso la stessa scuola salernitana.  Divenuto uno dei più stimati filosofi della scuola, e chiamato alla corte d’Enrico VI , che nel frattempo è entrato in possesso del regno di Sicilia, ed e assunto come filosofo del sovrano. Dopo la morte d’Enrico, divenne il filosofo  di lui figlio, Federico II, che lo rese degno di confidenza e apprezzamento. Fra gl’attività legate ai saggi filosofici, scrive e un saggio sui bagni minerali di Pozzuoli, il “De balneis puteolanis”. In questo poema filosofico rimato vengono descritti con precisione il luogo, le qualità e le virtù dei suddetti bagni. Scrive inoltre II opere nelle quali celebra le gesta d’Enrico VI e Federico II. “De triumphis Henrici imperatoris de his quae a Friderico II imperatore praeclare ac fortifer gesta sunt”. Panvini di S. Caterina Salvatore De Renzi, Panvini di S. Caterina, Biografia degl’uomini illustri della Sicilia, Ortolani, Napoli, S. De Renzi, “Storia documentata della scuola medica di Salerno” (Napoli). Alcaldino di Siracusa. Siracusa. Keywords: i bagni di Pozzuoli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siracusa” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sirenio: la ragione conversazionale del ‘libero’ arbitrio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo italiano. Insegna a Bologna. Altri saggi: De fato, Venezia, Ziletti. H. P. Grice, “Sugar-gree”, free fall and freedom, in Actions and events. Sirenio. Keywords: libero arbitrio, contingetia, possibilitas, necessitas, ‘secundum philosophorum opinionem” fatum, casum, il fato, il caso -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sirenio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Siro: la ragione conversazionale dell’orto a Napoli – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. S. founds a fililale of L’ORTO at Napoli. VIRGILIO attends it, as does ORAZIO. L’ORTO enjoys a great success, as S. succeeds in attracting a number of influential followers. VIRGILIO lives in the casino of L’ORTO -- but the subsequent fate of The Garden is unknown.

 

Grice e Sisenna: la ragione conversazionale dell’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He achieves acclaim as a historian. Cicerone suggests that S. is a member of L’ORTO, ‘but not a very consistent one.’ Lucio Cornelio Sisenna.

 

Grice e Solari: la ragione conversazionale dell’iustum/iussum, o il tutore fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Albino), Filosofo italiano. Frequenta il collegio S. Francesco di Lodi retto dai Barnabiti per poi proseguire gli studi a Messina, da dove poi si trasfere presso Torino. Si forma nel laboratorio di economia politica di MARTIIS, per poi scegliere la filosofia del diritto sotto la guida di CARLE. Anche membro di una tra le istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale: i lincei. Autore di un idealismo sociale e studioso di PAGANO, esponente della scuola di filosofia del diritto di Torino, dove tenne questa cattedra quando succede a CARLE all’anno in cui è sostituito da BOBBIO. Ha tra i suoi allievi lo stesso BOBBIO, TREVES, SCARPELLI, GOBETTI, ENTRÈVES, PAREYSON, FIRPO, COLLI, LEONI, EINAUDI, e GORETTI. Si dedica esclusivamente all'insegnamento universitario, rifiutando qualsiasi incarico pubblico -- non diventa nemmeno preside della sua facoltà --; le cattedre da lui ricoperte sono state nelle Messina, Cagliari e Torino. Presta il giuramento di fedeltà al FASCISMO. Saggi: Il diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche, Torino, Bocca; “L'idea individuale e l'idea sociale nel diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto” (A.T.U., Torino); “Filosofia del diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto”; “Studi storici della filosofia del diritto” (Giappichelli, Torino). Fiori, Il professorie che dice "NO" al duce, in La Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto; Carle e Solari, raccolte da Bruno” (A.T.U., Torino); “Studi storici di filosofia del diritto” (Giappichelli, Torino); “Nella cultura” (Angeli, Milano); Contu, “Questione sarda e filosofia del diritto in S.” (Giappichelli, Torino); Cugini, “Commemorazione” (Albino); “Agostino, Il problema del diritto e dello STATO nella filosofia del diritto di Hegel (Giappichelli, Torino); Firpo, La filosofia politica (Laterza, Bari). Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Lib. doc. di Filosofia del diritto nella E Università di Torino     C.     LA SCU0LA r7     DELDIRITTO NATURALE NRLLE  dottrine etico -giuridiclie dei secoli XVil e XVill     TORINO. BOCCA LIBRAI DI S. M. IL RB d'iTALIA ROMA MILANO FIRENZE   Corse. 216 Corso Vittorio Em., 21 F. Lumacbi Sucu.   Depoait. gener. per la Sicilia : O. FIORENZA, Palermo     -w«K«sp^^-  LA SCUOLA DEL DIRITTO NATURALE .NELLE DOTTRINE ETICO-GIURIDICHE DEI SECOLI XVII E XVIII. Scienza e filosofia nel XVXI secolo. La filosofia e la riforma  cartesiana. Le scienze morali e l’indirisso raiionale. Caratteri propri  dei sistemi metafisici. Valore e significato della scuola del diritto naturale. Il rapporto tra morale e diritto secondo la scuola del diritto natnrale.  La rinnovazione delle scienze giuridiche e sociali e il grande lavoro del secolo XIX. Essa segui l'applicazione dell'indagine storica e positiva allo studio dei fatti morali e  sociali.. Le condizioni però che prepararono e resero possibile  una tale rinnovazione devono rintracciarsi nel periodo metafisico delle scienze morali che segna il risveglio dell’intelletto  umano in traccia di nuove direzioni air infuori delle premesse  teologiche e dogmatiche. Le grandi idealità etico-giuridiche  che vediamo affermarsi e svolgersi nel campo dei fatti colla  rivoluzione francese trovano la loro elaborazione astratta e  ideale nei sistemi filosofici che sbocciarono vari e numerosi  in quell'epoca di rara fecondità intellettuale che abbraccia i  secoli XVII e XVIII. Lo spirito anti-teologico penetra allora  nelle manifestazioni del pensiero nella sua duplice direzione, la  scientifica e la filosofica. Ma, nonostante questo carattere comune, per molti altri rispetti filosofia e scienza tendevano a  distinguersi e a contrapporsi, generandosi tra esse un contrasto che solo in epoca vicina a noi doveva comporsi. L'origine e i motivi del contrasto devono rintracciarsi nella distinzione accentuata da Cartesio tra la mens e la res extensa,  tra lo studio della materia di cui si occupavano sopratutto  le scienze e lo studio dello spirito che parve costituire il  campo proprio della speculazione filosofica. Fin dal loro primo costituirsi le scienze bandirono ogni APRIORISMO teologico e  RAZIONALE. Esse si mantennero rigorosamente empiriche, oggettive, analitiche, né intesero l'importanza e la necessità di  una generalizzazione filosofica dei loro risultati. Del resto nò  lo sviluppo delle scienze e tale da comportare una filosofia  naturale, nell'indirizzo metafisico e razionale della filosofia  puo conciliarsi colle tendenze materialistiche della scienza.  La separazione della scienza dalla filosofia non e che l’espressione della concezione dualistica dell'uomo e della sua  natura, concezione che Cartesio e sul suo esempio i cultori  delle scienze naturali accentuano, certamente nell'intento di sfuggire alla sospettosa vigilanza della Chiesa. Sta di fatto  che dal 600 in poi le scienze incontrano sempre minori resistenze da parte della Chiesa: ciò deve in gran parte attribuirsi alla cura gelosa dei loro cultori di condurre l'indagine  scientifica con metodo rigorosamente obbiettivo evitando ogni  discussione sulle cause prime dei fenomeni studiati nonché  sulle conseguenze ultime per le quali dal campo solido e sicuro della scienza si passa nel campo infido e pericoloso  della filosofia. La scienza puo solo affermarsi e svolgersi assumendo veste e significato anti-filosofico.  La rinnovazione della filosofia iniziata da Cartesio deve  intendersi in un senso ben diverso da quello con cui  e intesa  la rinnovazione della scienza, cosi come l'anima che forma  il presupposto della filosofia e concepita come un principio  sostanzialmente diverso dalla materia, oggetto dell'indagine  scientifica. Mcntj'C neìÌQ scienze della natura contro l'autoriià non pur della fede ma della ragione stessa pre^ialse l’autorità  del fatto osservato, nella filosofia la ragione sola non sorretta  ne dalla rivelazione né dall'esperienza sensibile divenne criterio di verità. Lo spirito per altro della riforma cartesiana  e profondamente sovvertitore. Per essa la metafisica razionale assurgeva al grado di scienza prima, sostituendosi alla  teologia nel fornire alle altre scienze i principi primi: scossa  la cieca fede nell'autorità, le tendenze razionaliste e critiche  dell'intelletto umano potevano affermarsi in una serie indefinita di sistemi. Le conseguenze della riforma cartesiana  passano inavvertite finché essa non usce dal dominio teoretico e metafisico: né si deve dimenticare che il metodo cartesiano rigorosamente deduttivo ricorda nella forma lo scolastico, e della scolastica e conservata la concezione psicologica. Il carattere innovatore della riforma cartesiana comincia a farsi palese nelle sue applicazioni alle scienze morali.  I nuovi metodi in uso nelle scienze fisiche non si  comprende come potessero applicarsi alla scienze morali.  Tali metodi parvero propri delle scienze il cui oggetto e la  natura, in guisa che alle stesse menti più spregiudicate e  indipendenti da preconcetti teologici non balenò l'idea, famigliare nei tempi moderni, di considerare le scienze morali alla  stregua delle scienze fisiche e naturali. A ciò si oppone la  concezione psicologica dell'anima sostanziale, fornita di facoltà  intellettive e volitive, fondamento delle scienze teoretiche e  pratiche. Tale dottrina psicologica continua ad essere la premessa delle concezioni etico-giuridiche che si originarono dalla  riforma cartesiana. Nel 700 nel sistema del Wolff, che riassume  il lavoro filosofico anteriore, la psicologia figura ancora pressoché inalterata nelle sue basi tradizionali. Si comprende  quindi come le scienze morali dovessero assumere veste e  carattere metafisico e colla filosofia trasformarsi sulle basi del  razionalismo critico. Troviamo pertanto due elementi nelle discipline morali e giuridiche dei secoli XVII e XVIIl: un  elemento tradizionale costituito dalla concezione psicologica deiraniraa e delle facoltà concepite come forze generatrici di  tutti i fatti dello spirito: un elemento nuovo, implicito nella  riforma cartesiana, secondo cui la ragione umana e fatta  capace di trovare i principi delle scienze dello spirito all'infuori della religione e dell'autorità. È bene però fin d'ora notare  che assai prima della riforma del metodo filosofico per opera  di Cartesio, le scienze giuridiche, sotto l'influsso delle condizioni storiche e sociali mutate, hanno iniziato la loro trasformazione in senso razionale.  Le scienze morali nel loro primo costituirsi a scienze  autonome e indipendenti mostrarono la spiccata tendenza a  modellarsi sulle scienze matematiche e geometriche. Il carattere deduttivo di queste scienze, la forza di evidenza che scature dalle loro premesse e dimostrazioni le rendeva particolarmente attraenti in un'epoca in cui la speculazione anda razionalizzandosi. Meglio di ogni altra scienza esse mostrano la forza e la potenza dell'intelletto umano, fatto capace  di costruire colle sole, sue forze un edificio mirabile per precisione, simmetria, eleganza. Parve che un analogo procedimento puo applicarsi alle scienze dello spirito e che basta andar in cerca di idee chiare e distinte per trarre da  esse un sistema filosofico capace di resistere agli assalti del  dubbio e della critica. E per circa due secoli assistiamo a una  singolare fioritura di sistemi metafisici, che hanno comune  fondamento l'ipotesi, essere le leggi dello spirito umano e collettivo generalizzazioni conseguite mediante lo studio dei fatti  della coscienza individuale e collettiva. Si define l'uomo, lo  stato, la società, il diritto, il bene supremo astrattamente all'infuori della realtà psicologica e storica. Per lo più il principio  da cui si move risponde al consentimento universale o si fonda  sull’OSSERVAZIONE INTERIORE (INTROSPEZIONE) e necessariamente unilaterale  dello spirito umano: talvolta gli stessi principi tradizionali,  spogliati di ogni veste dogmatica servono di fondamento alla  deduzione che procede rigorosa sdegnando il controllo e la verifica dei fatti. La fctj ultura logica e sistematica è costante carattere al quale si riconosce la dottrina metafisica, che si  presenta in un numero grande di sistemi, riflettenti le variabili  condizioni d'animo e di mente del filosofo. Lo stesso principio  si presenta in forme e gradazioni diverse per il concorso di  cause soggettive indefinibili. La potenza dell'intelletto misura  l'altezza talvolta vertiginosa delle concezioni metafisiche, che  procedono, sotto l'azione della logica interna che le incalza,  senza limiti prestabiliti, senza freni di sorta.  A noi è facile rilevare l'errore di tali costruzióni metafisiche. Come già Aristotele e più ancora gli scolastici, questi metafisici fanno consistere la conoscenza nella  generalizzazione logica, la quale consiste nel ricondurre un  concetto più determinato a un concetto meno determinato ma  più esteso. Per essi, dice Masci – Logica, Napoli, Pierro --, la lerie logica dei concetti e la serie reale coincidono e l'universale è causa. Tale  generalizzazione ha come risultato un astratto, un genere, un'entità mentale che contiene meno dei particolari dai quali  è astratto e come tale non può servire a intendere e spiegare  la realtà complessa e concreta. Ben diversamente procede la  generalizzazione nelle matematiche e nelle scienze naturali. Una formula matematica o una legge scientifiche e una generalità  comprensiva, cioè non contengono meno ma più della formula che ne derivano, o dei casi particolari da cui la legge e indotta. Il diritto di natura, l'uomo di natura, lo stato e la  società di natura sono le idealità astratte da cui trassero  alimento i sistemi etico-giuridici dei secoli XVII e XVIII. E però errore paragonare le discussioni sul diritto naturale con quelle scolastiche sui generi e le essenze  delle cose. Le teorie sul diritto naturale acquistano un  valore speciale per l'epoca in cui sorsero, per le condizioni  sociali e politiche che le generarono, per le conseguenze che ne  derivarono. Tali teorie non sono né vane né inutili. Esse  sono l'espressione di bisogni reali, di tendenze prepotenti, d’istinti mal repressi di rivolta, di reazione contro il passato. Esse ufFermavano la volontà di sciogliersi per ciò che riguarda  la vita morale e giuridica dalle tradizioni, dall'influenza oppressiva dello stato e della Chiesa, alleati a danno doir individuo e della sua libertà esterna e interna. Esse nascondeno  un'idealità vivamente sentita che tende a tradursi nel dominio del reale. In esse si sente l'eco dell'anima moderna che  sdegna i vincoli creati dal privilegio o dall'interesse, che astrae  dalla realtà oppressiva e anela a un sogno lontano di uguaglianza, di felicità, di pace. Sotto questo aspetto la dottrina  del diritto naturale è in sommo grado significativa e può essere studiata con utilità e interesse anche nei tempi nostri  non foss'altro per la corrispondenza con le odierne idealità  sociali che preparano, come quella, nuove condizioni del vivere  collettivo.  Colla, scuola del diritto naturale acquista particolare  importanza la questione dei rapporti tra la morale. e il diritto. Sotto le parvenze di una discussione teorica essa implica  una grave questione di indole POLITICA, dalla cui soluzione  dipende il raggiungimento di quelle idealità che costituivano la ragion d'essere della scuola del diritto naturale. Il  terreno per una separazione della morale dal diritto e stato  preparato dalla Chiesa stessa, la quale per le sìie finalità religiose richiamando di continuo l'individuo alla spontaneità e  alla indipendenza della vita interiore da ogni costringimento  esterno, ha efficacemente contribuito ad acuire il senso  della personalità e della resistenza contro qualsiasi imposizione di autorità esterna fosse essa ecclesiastica o politica.  Il movimento protestante intese appunto a emancipare la coscienza individuale dalle imposizioni arbitrarie della chiesa  romana. Se la riforma e da un lato un grido di protesta contro  gl’abusi di autorità compiuti dalla chiesa a danno di quella  libertà di critica che anche in materia religiosa deve essere  riconosciuta all'individuo, la scuola del diritto naturale insorge dal canto suo contro le pretese dello stato di invadere colla sua legge il campo riservato alla religione e alla morale,  di penetrare cioè in quella sfera di interiorità che deve essere  sottratta all'azione dello stato e del diritto come quella che  costituisce la garanzia dell'individuo e della sua libertà interiore contro lo stato. La scuola del diritto naturale intuì che nella questione dei rapporti tra diritto e morale e implicita quella dei rapporti tra l'individuo e lo stato, e tale  questione in un'epoca in cui l'individuo scende in lotta  contro lo stato in difesa dei cosidetti diritti naturali, che sono in realtà i diritti di personalità, assume significato  particolare. Ciò serve in parte a spiegare l'importanza assunta dalle  dottrine giuridiche su quelle strettamente morali e teologiche  nei secoli XVII e XVIII. I principi morali non sono in discussion Ci nò si vagheggiavano riforme morali. La morale  evangelica risponde pur sempre alla coscienza etica generale: e se troviamo per parte dei filosofi tentativi diretti a  dare alla morale un fondamento razionale, bisogna riconoscere  che tali tentativi non riuscirono a scuotere la base dogmatica  della morale, in ordine alla quale la chiesa, fosse cattolica o  protestante, continua a esplicare un'azione decisiva e quasi  incontrastata. La questione dell'epoca più che morale e POLITICA e sociale. La chiesa stessa più non puo opporre eflìcace  resistenza al sorgere di nuove teorie tendenti a delimitare  l'azione dello stato nei suoi rapporti coU'individuo. Qualunque  sia il giudizio che sull'opera della scuola del diritto naturale  si può arrecare, sarà pur sempre per essa titolo esclusivo di  merito l'aver efficacemente contribuito a quel processo di  differenziazione per cui il diritto distinguendosi non pur dalla  religione ma anche dalla morale, ha acquistato un suo contenuto specifico. Epperò a nostro credere il valore e il significato delle dottrine etico-giuridiche sorte nei secoli XVII e  XVIII è misurato dal grado con cui seppero tale distinzione  porre e accentuare.  ar3W8S5Fl*«f r  che mentre regolano i rapporti di coesistenza tra le due  autorità, serveno di norma alla condotta degl’individui e  degli Stati. AQUINO (si veda) ed ALIGHIERI (si veda) personificano in sé le due  correnti e diedero alla morale e al diritto un significato rispondente al modo diverso con cui intendeno il rapporto  tra chiesa e impero. AQUINO riassunse nell'opera sua monumentale  tutti gli sforzi della scolastica diretti a conciliare il cristianesimo colla filosofia, la rivelazione colla ragione, lo spirito  colla materia, la terra col cielo. Ma tale conciliazione suona  per AQUINO subordinazione e talvolta sacrificio e disconoscimento dei diritti della ragione, degli interessi umani e  civili alle esigenze religiose e teocratiche. Ciò deve dirsi sopratutto in ordine alle scienze morali, che dovendo tradurre  nei fatto gli ideali cristiani, abbisognavano di un fondamento saldo ed incrollabile. La volontà divina è fonte per gli scolastici di ogni moralità pubblica e privata. Il rapporto tra  religione e morale non destò interesse di sorta nel Medio Evo,  tanto e universalmente radicata l'opinione che la morale  dove trarre dalla religione il suo fondamento, le sue sanzioni. Gli stessi avversari più risoluti della chiesa non sollevarono  dubbi al riguardo. Il compito della filosofia in ordine alla morale si riduce pertanto a dar forma e veste razionale alle  massime evangeliche, e tale e il lavoro compiuto d’AQUINO,  le cui dottrine morali mentre dominarono incontrastate nel  Medio Evo, sono destinate ad esser in ogni tempo abbracciate  da quanti non vogliono appagare la ragione col sacrificio delle  credenze religiose. Maggiore interesse doveva destare il rapporto tra morale e diritto, come quello che si riconnette al  dissidio tra potere laico ed ecclesiastico. Non bisogna dimenticare che nel Medio Evo il diritto appare generalmente  come l'espressione della autorità civile, mentre in fatto di morale domina incontrastata l'autorità della chiesa. Tale stato  di cose provoca un secreto dissidio tra la norme giuridica e la norma morale, dissìdio che teologi e difensori dell'Impero cercarono   **7V^-1*f"S^F)S^?^^^     siastica e laica, di cui l’una disconosce i diritti della ragione  e della società civile, l'altra troppo servile alla tradizione  romana non e riuscita a raccogliere a sistema le sue dottrine, ALIGHIERI si interpone sovrano. Come nel suo poema cerca di conciliare gl’interessi del corpo con quelli dello  spirito sulla base della mutua indipendenza e correlazione,  cosi nel risolvere la questione dei rapporti fra i due poteri  egli mette in rilievo l’azione morale della chiesa di fronte a  quella dello stato, la cui attività si esplica sopratutto mediante  il diritto. Nel campo morale ALIGHIERI, se si toglie qualche fugace  accenno ad una morale più larga e umana, si mantiene rigorosamente stretto ai principi e alle dottrine scolastiche: ma  ciò non fa che accentuare viemeglio la sua indipendenza e  originalità di criterio nel trattare la natura del diritto in  ordine ai limiti e alle funzioni dello stato. ALIGHIERI più che  giureconsulto è filosofo del diritto (1); l'importanza della definizione che di questo diede sfuggi forse a lui stesso, certo non  e compresa dai contemporanei e dovettero passare molti secoli prima che per opera di VICO il suo concetto e raccolto  e sviluppato. Per ALIGHIERI il diritto scaturisce dalle condizioni  sociali, esso è un  vinculum humanae societatis inteso a  mantenere tra gl’uomini associati l'equilibrio, che le inevitabili disuguaglianze umane tendono di continuo a rompere. Esso  non ha origini soprannaturali, più che al perfezionamento dell'uomo singolo tende al progresso della società, di cui è norma  direttiva la legge, destinata ad attuare quel concetto di misura, di proporzione, di equilibrio che sta a fondamento del  diritto. Se da un lato ALIGHIERI riconosce come precipuo scopo  della morale l'attuazione della virtù e nel suo poema si pro- [CARLE, Vita del diritto, Così Dante defiaisce il diritto : las est realis ac persona lisbomiuia  ad hominem proportio, qino servata hominnm societatem conserva t, cor-  rnpta corrumpit -- De Monarchia.  La legge è da lui deli n ita :  regala directi va vitae »: (id. I, 16) — la ginstizia poi è, secondo ALIGHIERI  € quaedam rectitado sive regala, obliqaam hinc inde abiiciens.  "^^mm^^^m.     a quelli deplorati d’ALIGHIERI in ordine alla confusione del potere laico e religioso. Tale corrispondenza accresce- valore ai  suoi argomenti, alle sue dottrine, le quali possono ancor oggi  utilmente concorrere alla soluzione della dibattuta questione.  Il tentativo d’ALIGHIERI di gettar le basi di una filosofia  giuridica, non e coronato da successo. E l'opera di un genio  che precorre i tempi. Il seme però da lui posto, gelosamente  custodito per tradizione non interrotta, e raccolto nell'età  moderna e concorse efficacemente allo sviluppo della filosofia  etico-giuridica ITALIANA. Dopo ALIGHIERI, le due correnti ripresero  ciascuna la propria via; l'ostilità si fa più viva, le differenze  più profonde. I giuristi con BARTOLO e BALDO si mantennero  sopra un terreno esclusivamente pratico, sdegnando le teorie,  e rifuggendo da qualsiasi tentativo di raccogliere a sistema  filosofico le loro idee. Libero rimase il campo alle teorie etiche  e giuridiche d’AQUINO. La Chiesa dominando sovrana nel  campo dei fatti e in quello delle intelligenze fini per creare  intorno a sé una legislazione, una scienza e un'arte a base  teologica; sull'ordine religiosa si volle foggiare non solo  l'ordine morale, ma ancora l'ordine giuridico e sociale. La teologia scolastica parve assorbire tutte le altre scienze  nella propria grandezza. Ma all'occhio dell'osservatore attento non riusce diffìcile scoprire nel seno stesso della teologia, il germe della decadenza, dovutar alla esagerazione del  principio a cui si informava. Particolarmente dissolvitrice e  l'opera dei nominalisti nelle scienze morali. Essi sono i difensori dell’indeterminismo etico, in quanto considerano la  volontà assolutamente libera, non mossa né dalla ragione né  dalla divinità, e riponeno l'eccellenza morale nella conformità tutta esteriore ai precetti religiosi e morali. Per tal modo  l'etica cristiana si laicizza, nonostante la proclamata obbedienza assoluta in materia religiosa. Duns Scotus e Gu-     (1) Carle.     ^^^->-fr'     -  -   nasconde una nuova orientazione della mente umana di fronte  ai problemi della natura e della vita.  In ordine sopratutto alle scienze morali, il naturalismo e  l’umanesimo sono tra i prodotti più notevoli del rinascimento.  La natura colla ricca varietà de' suoi fenomeni attrasse gli  spiriti irrequieti, infiammandoli di sé, e sottraendoli alla contemplazione della vita celeste. La scolastica trascura  e disprezza lo studio della natura. Gli spiriti religiosi del  Medio Evo guardano alla natura con un senso di misterioso  terrore, quasi presagissero il pericolo che dal penetrarne i  misteri puo derivare alle loro credenze. Ma per l’uomo  moderno lo studio della natura e la palestra nella quale  prima si addestra all'infuori del campo chiuso della scolastica. Tale studio dove pertanto assumere particolare carattere antireligioso e antiteologico: aprendo la via alle invenzioni e scoperte, costituiva un grave pericolo per il principio di autorità e per la rivelazione. L'umanesimo accenna alla profonda modificazione che il  concetto dell'uomo, della sua natura, della sua finalità subiva  nel Rinascimento. Il corpo rivendica impaziente i suoi diritti da secoli conculcati; le soddisfazioni dei sensi non trovano più alcun ritegno. Un senso nuovo di umanità si diffuse  in aperto contrasto coll’ascetismo medievale. La vita terrena  non più coordinata colla futura, cessa di apparire un mezzo  per acquistare una finalità sua propria. Il desiderio di vivere  in un mondo le cui bellezze si svelano sempre più attraenti  allo sguardo, di soddisfare stimoli a lungo repressi oppera  indomiti, il ridicolo gettato a larga mano sulle idealità che formano la delizia del Medio Evo, finirono per dar  vita al SENSUALISMO  morale, più che esposto nei saggi praticato nel fatto, al quale non riusci a sottrarsi neppure la  Chiesa. La filosofia dell’ORTO nella sua parte meno nobile, e nel suo  significato volgare, divenne l'ideale morale del Rinascimento. Quest'ultimo trova nello stato delle coscienze un terreno predisposto al suo sviluppo, opperò si comprende come la morale,   SI -   Le idee morali che si generarono dalla riforma e  dal rinascimento non sono raccolte a sistema  filosofico: ciò in parte si deve alla chiesa di Roma che dopo  di avere riformato sé stessa, inizia un movimento di reazione  contro lo spirito del rinascimento e il moto protestante, in  parte si deve allo spirito non meno intollerante ed ascetico  delle nuove confessioni religiose. Gl’audaci tentativi di pensatori forti e originali, quali TELESIO (si veda), BRUNO (si veda), e CAMPANELLA (si veda) sono soffocati: ad essi rimase la gloria di esser stati i precursori perseguitati e incompresi dei metodi e dei sistemi filosofici dell'età moderna. L'Etica e soprafatta dallo spiritualismo  risorgente, e rimane asservita alla-religione. Il protestantesimo  non fa che ribadire tali vincoli e ritardarne l'emancipazione. Le voci che invocano per la morale un'esistenza indipendente dalla religione non mancano. Montaigne e Charron  in Francia, BRUNO in Italia, pensano e scriveno in tal  senso. Ma passano per sovvertitori della religione e della  morale e i loro sforzi, rimasti isolati, non esercitarono azione  efficace sul progresso scientifico della morale. Su quest'ultimo  esercita un'influenza diretta e decisiva il rinnovamento delle  scienze giuridiche, le quali nel costituirsi a scienze filosofiche  indipendenti attrassero nell'orbita loro la morale, sottraendola  cosi lentamente all'azione della religione e preparandone la  definitiva emancipazione.   Nel Medio Evo non si e formato un diritto filosofico distinto dalla morale, e le scienze giuridiche propriamente dette  si riassumevano nell'opera dei pratici intesa a piegare la  norma di DIRITTO ROMANO agl’usi, consuetudini, statuti che la  scomposta vita medievale genera. Ma tale lavoro di  adattamento a misura che i tempi progredeano, e le condizioni sociali si modificano si fa sempre più diffìcile e  ingrato. Col Rinascimento sorge tutta una nuova schiera di  giureconsulti che Vico chiama FILOLOGI. Non distratti dai  bisogni della pratica, essi si preoccuparono solo di FAR RI-VIVERE IL DIRITTO ROMANO nelle sue fonti e ne' suoi testi antichi, che   2à —   )0 e degl’interpreti hanno profondamente  di revisione e di ricostruzione storico-filo-  >mpiuta, segna un'era nuova negli studii di  la se e di grande giovamento alla conoscenza  fonda dei testi dell'antico diritto, essa scredo dei pratici, accentuando la discrepanza tra  e le condizioni nuove di vita sociale, rendeva  3rso a nuovi principii giuridici. E questa e  >nza finale a cui porta la riforma combate teocratiche della chiesa e la sua azione  30 e sociale. Ma più che tutto e stimolo de-  tudio filosofico del diritto la formazione degli   toria della CONVIVENZA SOCIALE il Medio Evo  jeriodo di transizione dalla città antica allo  lotto un aspetto esso e un crogiuolo in cui si venne dissolvendo ne' suoi elementi pri-  un altro aspetto e un periodo di incubazione  ma di convivenza sociale. Il feudo prima, il  versi per origine, costituzione, carattere si  -zionarsi della sovranità in un numero grande  azioni politiche, che di fatto viveno di vita  idente. Dai feudi e dai municipii in perpetua   vennero svolgendo gradatamente organismi  t seconda della prevalenza dell'elemento feu-  5, si dissero contee, signorie, principati. Queste  associazione politica in Italia si mantennero  3 prepararono l'asservimento allo straniero;  bissate e abbattute dal potere regio risorto,  ritto di sovranità. Dall'azione concorde del  polo si formano pertanto lo STATO moderni,  itrati e con carattere nazionale. 4c Lo Stato   il Carle (1), occupa un posto di mezzo fra il   t.,     - -*   particolarismo del Medio Evo, rappresentato dai feudi e dai  municipii, e il cosmopolitismo della chiesa e dell'impero. Sorto nelle lotte tra la chiesa e l’impero, lo stato si mantenne ugualmente lontano dalle dottrine teocratiche e  dalle tradizioni romane. Né le une nò le altre potevano efficacemente concorrere al lavoro di organizzazione interna, di  unificazione legislativa, giudiziaria, amministrativa dello stato. Del tutto insufficienti apparvero quando si pose il problema dei  rapporti di reciproca convivenza fra i diversi stati, sorti dallo  sfacelo dell'unità medievale. In occasione di esso sorsero i  giureconsulti filosofi e i primi sistemi di filosofia del diritto.  La violenza, l'astuzia, la frode, come servirono a  formare lo stato, cosi costituirono l'arte di governo  a cui principi e sovrani apertamente ricorsero per consolidare  e conservare il potere, il MACHIAVELLI e maestro insuperato  di questa politica violenta e immorale che si inspira solo  alle dure necessità dei tempi. In ogni epoca l'intelletto umano  traviato dall'ambiente e dalle condizioni di vita esteriore, si  rigenera e si apre nuove vie astraendo dalla realtà, rifacendosi  a certi principii generali che rimangono pur sempre patrimonio inalienabile della natura ragionevole dell'uomo. La  ragion naturale e la fonte da cui i giureconsulti filosofi trassero  norma e criterio a regolare la vita dello stato.  Si venne per opera loro formando una scienza nuova, detta  del diritto naturale la quale, nel suo comparire, parve riconnettersi ai concetti del IVS GENTIVM e del IVS NATURALE elaborati dai giureconsulti ROMANI nell'ultima fase di sviluppo  dell'antico diritto. L'espressione jus gentium significa dapprima presso i Romani i principii di diritto che il magistrato e chiamato ad applicare quando non essendo comune alle  parti in causa la qualità di cittadino romano, e inapplicabile  lo jus civile. Praticamente, lo IVS GENTIVM comprende i principii di diritto  comunemente ammessi e riconosciuti da tutti i popoli coi quali I ROMANI sono più a contatto (1). Lo jus gentium non ha il     (2) Bitohiei Naturai righta, London,  IC     - -   3 determinato del jus civile : applicato sopra  argo, regolando rapporti più complessi dove  ispirarsi all'equità e nel fatto accostarsi al  e dì NATVRA, che I ROMANI hanno appreso  eca. Lo IVS GENTIVM fini per confondersi col jus  colTestensione progressiva della cittadinanza,  e differenze politiche tra le varie parti del-  sto xeanQ a comprendere popoli diversi per  li, leggi : allora si forma nel seno dei giure-  etto largo e generale del IVS NATVRALE che Ul-  r. QVOD NATVRA OMNIBVS ANIMALIBVS DOCVIT. generalità e indeterminatezza e suscettibile  iplicazione. In ROMA quindi lo IVS NATVRALE e  ossario delle speciali condizioni politiche dei-  si svolse per gradi dal jus IVS CIVILE e dal jus  etti di jus gentium e di jus naturale risorgono  carattere e significato diverso. Nel 500 lo jus  come in Roma la generalizzazione del diritto appresenta da un lato un indirizzo di riforma,  lisce una fonte di diritto affatto nuova, che il  i rapporti fra LO STATO ROMANO e un’altro stato, da poco tempo costi-  saria. Epperò lo IVS NATVRALE e dapprima invo-  i rapporti di pace e di guerra fra LO STATO ROMANO e un altro stato,  gentium, che corrisponde solo di nome al jus  nani, e che meglio potrebbe chiamarsi un jus  azionale. Questo nuovo IVS GENTIVM ha ca-  ie in quanto la sua norma si inspira ai  a retta e illuminata ragione voleva applicati  i diversi Stati. Se non che lo IVS NATVRALE pur  tosse da rapporti di carattere pubblico inter-  iva un nuovo metodo nel campo delle scienze  ava le basi filosofiche del diritto, e fini per  ipo del diritto privato, sottoponendone a re- morale stessa. Il perfezionamento deiruomo-individuo  interessa cosi come interessano le questioni attinenti la  olitica e giuridica degli Stati: la vita contemplativa  di apparire come l'ideale della perfezione, e si comincia  ire LA NECESSITA DI FORMARE PIU CHE L’UOMO, IL CITTADINO -- l'uomo nella pienezza de' suoi DIRITTI CIVILI E POLITICI:  moriva lo svolgersi delle dottrine giuridiche, così come  icuranza degli interessi terreni favori nel Medio Evo  fezionamento interiore dell'uomo, da cui si svolge la vita  Né solo ad una inversione del rapporto tra morale e  ) assistiamo nel passaggio dall'Evo medio al moderno,  l una totale confusione di criterii e di principii tra le  3ienze: nel Medio Evo la confusione si avvera a tutto  ^io della morale, nel 500 assistiamo al sacrificio di  ultima agli interessi del diritto. Tutte le opere sul di-  naturale presentano uno spiccato carattere di indistin-  fra la morale e il diritto, e ben può dirsi in linea ge-  ) che la scuola metafisica non riuscì a distinguerne  aente i rispettivi dominii, malgrado gli sforzi fatti da  ) de' suoi più celebri rappresentanti. Pure anche la scuola metafisica ha la sua impor-  nello studio dei rapporti tra morale e diritto. Sorta in  zione allo spìrito teologico, essa raccolse anzitutto i suoi  nel trovare alle scienze morali una base indipendente  religione. Era questo compito delicato e difficile, se si  alla natura della questione, all'opposizione vivissima  diverse chiese, cattolica e protestanti, mossero a quanti  ano in dubbio il loro diritto a regolare la condotta, alla  one grande delle tradizioni spiritualiste, che nell'età  na trovano nuovi e autorevoli rappresentanti. Né qui  5stò l'opera della scuola metafisica. Essa affronta la que-  dei rapporti tra morale e diritto, che teologi e cultori  ritto naturale continuano per cause diverse a mante-  confusi. Essa si rese esatto conto delle conseguenze ul-  che datale indistinzione puo derivare nel definire  ti dell'azione dello Stato. Il modo di intendere l'uomo e la sua natura può assumersi a  criterio di classificazione dei diversi indirizzi che in ordine al  rapporto tra morale e diritto sorsero in seno alla scuola metafisica. Grozio e la sua scuola traggono dalla natura socievole  dell'uomo il fondamento delle loro concezioni etico-giuridiche. Nella storia del rapporto tra morale e diritto essi rappresentano l'indirizzo giuridico più che filosofico. Ma il concetto da  cui movevano se giova agl’interessi del diritto, disconosce  le energie intrinseche dell'uomo da cui si svolge la vita morale. Hobbes e in genere i filosofi inglesi fondano la distinzione  tra morale e diritto sulla natura egoistica dell'uomo, e rappresentano l'indirizzo utilitario e individualista. L'indirizzo  cartesiano, che culmina in Kant, eleva e nobilita  la ragione umana, la quale cerca in sé stessa un precetto  categorico e assoluto, che possa esser posto qual fondamento  all'edifizio morale e giuridico. Da ultimo questi diversi concetti, entrando come elementi costitutivi della filosofia francese, gettano le basi di una FILOSOFIA SOCIALE, da  cui traggono vita e significato la morale e il diritto. Questi  diversi indirizzi derivano il loro carattere metafisico dal concetto imperfetto o parziale, che si formano della natura  umana: con tutto ciò si collegano strettamente colle vicende  storiche e politiche dei tempi e dei paesi che li produssero:  più particolarmente essi preparano quelle premesse teoriche  che la rivoluzione francese cerca tradurre nella realtà.     —   analizzata nella .sua essenza, ne' suoi elementi costitutivi, essa  parve fornire i principii atti a regolare la vita degl’individui  e degli Stati. Tali principii, superiori alla volontà degli uomini,  non soggetti alle mutevoli vicende storiche, trovavano nell'ordine stesso delle cose create la loro base salda e incrollabile.  Si anda cosi generalizzando il concetto del diritto naturale,  espressione ultima dell'ordine dell'universo nel campo dei  rapporti individuali e sociali. Mira costante dei cultori del  diritto naturale e di risalire, mediante un processo di astrazione rigorosamente applicato, dall'uomo storico quale nella  realtà si presenta co' suoi vizii, abitudini, pregiudizii, tradizioni, costumanze all'uomo naturale, quale appariva al lume  di una ragione illuminata, spogliato delle qualità e determinazioni successive che sono l'opera lenta ed inevitabile del  tempo e della storia. L’uomo naturale venne pertanto a contrapporsi all'uomo storico, come l'ideale al reale, l'astratto al  concreto, l'universale al particolare, l'assoluto al relativo. Si  comprende allora come il diritto dove intendersi, l'insieme  della norma e delle facoltà spettanti all'uomo naturale, e a  somiglianza di questo dove considerarsi assoluto, immutabile, universale, in contrapposto al diritto storico, quale era  inteso dai giureconsulti pratici e filologi. La ricostruzione dell'uomo naturale dischiuse la via alla  concezione dello STATO DI NATURA. Si ricostruì l'uomo collettivo cosi come si e fatto per l'uomo singolo. Le tristi condizioni politiche del 500 parvero giustificare la credenza in una  profonda alterazione della società umana quale là natura e la  ragione consigliano, opperò fa sorgere il concetto di  UNA SOCIETA IDEALE, riunione di UOMINI REGOLATI NEI LORO RECIPROCI RAPPORTI da una norma del diritto naturale e contrapposta  alla società storica e reale.   Nel concetto largo e indeterminato che dell'uomo e dello  stato di natura si formano i giureconsulti e i filosofi,  noi possiamo riscontrare la causa originaria della confusione  tra morale e diritto. Questi due concetti a misura che si allon-  realtà storica tendono a confondersi in una  iella quale scompaiono le differenze specifiche,  ridica, quando si derivi non dal concetto di  aimente organizzata, ma dall'uomo individuo e  ira, facilmente assume forma e contenuto etico,  natura, concepito all'infuori di ogni organizza-  generava rapporti di carattere morale più che  •iva lo svolgersi di doveri più che di obbliga-   iparsi del diritto naturale sono non i filosofi,  iulti. Trionfando dei tentativi e delle incertezze   Grozio inizia il nuovo indirizzo nello  tto. Contro di lui uscirono dal seno della chiesa  sitori, di cui e mira costante la conciliazione  eriche sul diritto naturale colle dottrine reli-  ali. Nelle vicende di queste due scuole, si rias-  ione giuridica nelle scienze morali,  in cui vive ed esplica la sua attività Grozio  il periodo delle lotte religiose e dei contrasti   quali lo stato parvero uscire rifatto  alle fondamenta. Tutto si rinnova nel periodo  chiude colla pace di Westfalia; il lavoro di  liversi elementi dapprima contrastanti, è com-  i di guerra, l'arte di governo, si trasformano  geniale di uomini quali Richelieu, Gustavo  ). Al succedersi non interrotto di uomini illustri  la politica nel campo dell'azione, fa riscontro   pensiero la prevalenza quasi esclusiva degli  se politiche e sociali.Grozio ha un'im-  jerto minore di quella dei grandi dell'età sua,  iicU et comaais utilitatis causa sociatus ».  della norma proposta per farla considerare giuridica. Né meno  profondamente radicata e l'idea che la vita morale si concentra nell'individuo, al cui perfezionamento interiore dove sopratutto mirare: opperò e naturale la tendenza a  considerare come giuridica ogni norma diretta a regolare  rapporti esterni sorgenti tra gli individui, o tra questi e lo  stato, o sopratutto tra Stati diversi, senza por mente che  tali norme si traevano da quello stesso principio, da cui in  epoca non di molto posteriore altri avrebbe derivato la vita  morale.   Grozio pur assecondando l'indirizzo generale favorevole alle  costruzioni astratte, tradisce la naturale tendenza del suo  ingegno verso gli studii giuridici. Grozio riconosce l'importanza  decisiva della tradizione e dell'autorità nel determinare i rapporti di natura giuridica, intravede la distinzione tra morale  e diritto quando osserva che la morale è inseparabile dalla  religione e là ove parla di un diritto nel suo vero o stretto  senso {eius juris qvtod propìzie tali nomine appellatur) e di un  diritto in un senso improprio, che noi meglio faremmo rientrare nel campo della morale. Ancora distingue Grozio tra  ciò che è dovuto per debito di giustizia e ciò che è dovuto  per motivi di liberalità, misericordia, affetto, ossia per obbligo  morale. Il dominio di sé e dei propri appetiti costituisce  per Grozio un obbligo che non può imporsi né per forza d'armi. Proleg. $ 2, n. 2: altrove osserva ohe le verità del diritto  sono tali ohe anche l'ateo è costretto ad ammetterle e praticarle.   (2) Cfr, Op. cìt. Proleg. $ 8, 9, 10: al $ 44 dice: « cum injtistitia non  aliaju naturam habeat qnam alieni umrpationem ecc. ». Con tale espressione Grozio coglie la vera natura del giusto e dell’ingiusto. Cfr. Op. cit. Lib. Il, e. ir, $ 16: « Illud quoque sciendum, si quia  quid debet non ex justitia propria sed ex virtute alia, puta liberalitate,  gratia^ misericordia, dilectioue, id sicut in foro exigi non potest, it^ nec  armis depoaci ». — Altrove fa rientrare  il dovere di allevare i figli nella sfera del diritto in seuao ampio, oasia  della morale. Si noti che Grozio non parla nell'opera sua di doveri : il  ano silenzio prova ch'egli li escludeva dal campo della filosofia giuridica,  e li considerava appartenenti alla religione o alla morale.           — —   irtù di legge. L'adempimento di tale obbligo, se può  nella sfera del diritto naturale largamente inteso,  interessare che indirettamente l'ordine giuridico-  )onde si vede che Grozio intuì le esigenze della vita  e tra i cultori di diritto naturale solo seppe evitare  :uenze estreme, a cui conduceva l'applicazione del  azionale in ordine al diritto, meritandosi giustamente  il nome di giureconsulto del genere umano,  tezza che Grozio dimostra nel distinguere la morale  to, si riflette nella determinazione dei rapporti tra  ) e Stato. Secondo la dottrina di Grozio lo Stato non  istenza e una realtà propria, distinta dagli individui  impongono. Lo stato deriva la sua esistenza da UN PATTO VOLONTARIO che gl’uomini, seguendo i dettami della  stringono tra di loro per conseguire gli scopi propri  SOCIETA RAZIONALE, la pace e la sicurezza. Di qui  zione di uno stato immutabile ne' suoi diritti e nelle  igazioni, la cui opera è intesa ad attuare l'utile co-  bene pubblico. Pur riconoscendo il carattere astratto  irio di tale concezione, non può negarsi l'idea feconda  ssa si conteneva, esser lo Stato distinto e indipen-  Llla persona del principe. Fondando la Stato sopra  3 razionale e immutabile, scuotendo dalle fondamenta  e comune al suo tempo che lo personifica nel prin-  )zio sottraeva lo stato alle vicende dei governanti,  lastie, delle forme di governo; determinando i limiti  lizioni per l'esercizio della sovranità, egli pronuncia  ,nna della tirannide e dei governi assoluti. Grande pertanto viene ad essere l'importanza di Grozio  )ria delle scienze morali. Per apprezzarlo al suo giusto     Op cit. Proleg, $ 15, 16 ove P A. afferma che IL PATTO  origiuò  civile e la società civile.   Op. cit. Libro II, e. iv, ove tratta della coudizioiie giuridica  ;i, e sopratutto il capo XIV in cui parla dei doveri e obblighi  pf, ecc.      -   valore bisogna tener conto della condizione creata alla chiesa  e*airimpero dai tempi nuovi. Le dottrine della chiesa inspi-  rate alle massime evangeliche mal potevano piegarsi a regolare rapporti d'indole politica. Lo stato e sorto in  opposizione al principio ecclesiastico, e svolgevasi all'infuori  dell'azione morale della chiesa, la quale mantene ancora  incontrastato il suo dominio nell'intimità delle coscienze individuali. E coir autorità della chiesa nei rapporti sociali  e venuta meno l'autorità dell'Imperatore, che in altri tempi  personifica in sé l'ordine sociale e politico ed e chiamato  giudice supremo delle controversie tra i popoli. La  teorica dell'illimitata volontà del sovrano in materia giuridica  e politica anda radicandosi ed estendendosi ovunque : essa  porta alla separazione assoluta tra morale e diritto, al trionfo  dell'utile, dell'egoismo, e apre la via alla tirannide più odiosa. IL POPOLO ROMANO venivano ad esser abbandonato ALL’ARBITRIO DEL PRINCIPE, e la forza e la violenza diventano sinonimi di  diritto e di giustizia. Grozio che sente vivo nell'animo il  desiderio dèi bene, l'amore alla libertà e alla giustìzia, si leva  con tutta la vigoria del suo intelletto contro il diffondersi di  tali teorie: alla volontà illimitata del principe increduli e spregiudicato Grozio oppose l'autorità eterna e immutabile della ragione. All'egoismo imperante nei rapporti tra sovrano e sudditi, e dei popoli tra loro, egli oppone la concezione di un diritto  e di uno Stato naturale, derivati dall'umana natura: nella  guerra stessa egli mostra come le leg^i non rimangono mute.  Il popolo dove pertanto riconoscere in Grozio il  primo autorevole difensore dei loro diritti, e delle loro libertà :  come tale egli precorre i razionalisti, ma di  essi non conosce le esagerazioni: passando dalle concezioni  teoriche alle applicazioni pratiche, egli ammise e adottò temperamenti, pei quali si rileva giureconsulto e uomo d'azione. Grozio esercita una notevole influenza sullo sviluppo  ulteriore delle scienze morali: egli  fa convergere nel  suo sistema due indirizzi diversi, l'indirizzo filosofico razionale,      —   amente giuridico, derivata dalla storia  sti due indirizzi, il primo più rispon-  e intorno a sé più numerosi seguaci,  va per il momento eclissarsi, e confon-  [uelle della scuola storica, che solo più  irsi nel campo delle scienze morali. Tra  nente si inspirarono alle dottrine di  e  Pufendorf. Egli appartiene  , quando l'era delle lotte  e il periodo della formazione degli Stati  imente tramontato. La questione dei  Stati aveva perduto di attualità e di  L considerare nella coscienza dei popoli  ipii proclamati da Grozio. Maggior in-  estioni attinenti la sovranità, la costi-  li Stati, i rapporti tra i sudditi e il  del diritto. Pufendorf si propone ap-  lla parte del sistema di Grozio, che  in forma di prolegomeni all'opera sua;  originale, ma di svolgimento e di siste-  tro questi confini Pufendorf riesce in-  : di Grozio egli svolge il lato filosofico  uridica, e disconoscendo la distinzione  le nel sistema di Grozio e adombrata  3nuta: subisce l'influenza de' nuovi in-  i all'epoca sua si sono affermati nelle  generale per opera di Cartesio, nelle  colare per opera di Hobbes e di Spinoza,  ja tenta senza riuscirvi l'applicazione  ) allo studio del diritto naturale (1), e  jolutiste subisce l'influenza di Hobbes,  li combatterlo e di far trionfare le idee     la jìiris unìversalìs methodo mathematlcaf Hagae      —   Per Pufendorf Toiiesto e il giusto, che sono gli elemei  generatori della vita morale e giuridica, NON HANNO ESISTENZA OBBIETTIVA: sono qualità soggettive inerenti non alle cose i  alle azioni, in quanto queste si conformano alla legge pi  scritta dalla volontà di un superiore, il quale viene pertar  ad essere la fonte della vita morale e giuridica. Morale  diritto hanno comuni le origini, e la natura. La morale este  ai rapporti sorgenti tra le persone diventa GIUSTIZIA, la e  osservanza non pur esteriore, ma intrinseca costituisce  dovere. Con Grozio ammette l'ipotesi dello stato di natui  concepito all'infuori di ogni istituzione civile, nel quale le leg  della condotta sono imposte dalla ragione in conformità al  natura socievole dell'uomo, da cui scaturisce il principio g neratore del diritto naturale, e tutta la serie dei doveri e  l'uomo ha verso sé stesso. Necessità egoistiche di sicurez  più che naturali sentimenti di benevolenza hanno indotto {  uomini a uscire dallo stato di natura, a stringere un co  tratto da cui trae origine la società civile, la legge positi^  lo Stato. Nella società civile fonte della morale e del (  ritto è la volontà del principe (5): in questa parte Pufend(     (1) Cfr. Pnfe^idorf : Dejure naturae et gentium, e. 2, $  « Honestas sive necessitas moralis et tarpitudo suut affectiones actiom  huiuaDarum, ortae ex couvenientia aut disconveuientia a norma seu le[  lex vero est inssum superioris ; non apparet qnomodo honestas aut ti  pitndo intelligi possit ante legeni et citra snperìoris impositionem »  Cfr. anche Lib. I, e. vi, $ 4 : € lex est decretum quo snperior sibi snbìecti  obligat ». Cfr. anche id. id. $ 6 e seg.   (2) Cfr, Pufendorf, Op. cit. Libro I, e. vii, $ 3 e per il conce  della giustizia cfr. id. id. $ 6, 7 e seg.   (3) L'A. tratta dello stato di natura nel Libro II, e. il, Op. cit. Vllo Stato. Cosi se da un lato disconosce completamente   natura del diritto, trasformandone la dottrina in una dottrina dei doveri dell'uomo, dall'altro fa della volontà del so-  dano la fonte di ogni obbligazione morale e giuridica col  Lcrificio incondizionato dell'individuo e delle sue naturali  ndenze agl'interessi dello Stato. A Pufendorf spetta incontrastato il merito di aver  lCCoUo a sistema il materiale che da ogni parte sulle orme   Grozio si e andato accumulando: quindi in lui i caratteri  onerali e le conseguenze ultime dell'indirizzo che mette capo  Grozio e che sul continente trovò largo seguito di cultori,   manifestano nelle forme più spiccate. Studiando Pufendorf  )i possiamo misurare tutta là portata scientifica e pratica  dio stqdio sul diritto naturale, il quale costituisce la scienza  iciale dell'epoca, intorno alla quale gli spiriti nuovi, deside-  »si di riforme si raccolgono per tentare la soluzione dei più •  ariati problemi religiosi, etici, politici. Si viene pertanto  aturando nel campo delle scienze morali una rinnovazione  laloga a quella^ che si andava dispiegando nel campo delle  ienze fisiche e naturali. Nella storia del diritto naturale,  :*ozio rappresenta la mente inspiratrice, Pufendorf la mente  ordinatrice. Si comprende allora come in Pufendorf dovesse  jcentuarsi la confusione tra morale e diritto. Anch'egli di-     ci) Op. cit. Libro VII, e. i, $ 3 o sopratutto $ 4.  (2) Op. cit. Libro VII, e. il, } 8.      -   stingue tra « forum internum et exteriium », ma quello abban-  dona alla teologia e fa materia della filosofia giuridica il vasto  campo del forum externum ossia della condotta in generale  ne' suoi rapporti esteriori (1). Nell'estensione assunta dalla  scienza del diritto naturale, svoltasi all'infuori della religione  e sopra basi razionali, tendente a quella costanza e immuta-  bilità, che in altri tempi attribuivasi alle manifestazioni della  volontà divina, si nascondeva un pericolo grave per l'avvenire  delle scienze morali. La confusione tra morale e diritto nelle  forme esagerate, ch'essa assume nei sistemi di Hobbes e di Pufendorf, minacciava risolversi nel fatto in una tirannia delle  coscienze per parte dello Stato, analoga a quella che in altri  tempi erasi deplorata per parte della Chiesa* Chi si rese per-  fetta coscienza del pericolo e corse al riparo e Thomasius.   Spirito irrequieto e veemente, ingegno satirico, sprezzante Thomasius ebbe la mania del nuovo, non però, come  spesso capita, del paradossale: che anzi il suo odio per gli  aristotelici, il suo disprezzo per la metafisica rappresentavano  in lui la reazione del senso comune contro il convenzionalismo  aristocratico della scienza ufficiale, le sottigliezze inutili e  dannose nelle quali il pensiero del suo tempo si perdeva; fu  sua mira costante rianimare la filosofia col contatto della  realtà, infonderle uno spirito nuovo, e sopratutto indirizzarla  ad uno scopo di utilità individuale e sociale (2). Era naturale  ch'egli si volgesse di preferenza verso gli studii di diritto  naturale, che rappresentavano l'indirizzo nuovo e nello stesso     (1) Vedi in proposito la critica severa che il Leìbuitz fa dei prinoipii  esposti dal Pufendorf, cli^ egli teneva in poco conto e come filosofo e  come giureconsulto. — Leibnitz : Opera, Ed. Dutens, Voi. IV, Parte in,  pag. 275 e seg.   (2) Thomasias (1655-1728) nel 1681 insognò matèrie giuridiche a  Lipsia : nel 1690 per sfuggire alle persecuzioni esalò a Berlino presso  l'Elettore Federico III, che gli offerse nel 1694 una cattedra all'Università  di Halle.     Digitized by VjOOQ IC     — 42 -   npo pratico della scienza filosofica. Anche in questo campo,  r non uscendo dall'indirizzo iniziato dal Grozio e continuato  1 Pufendorf, ebbe modo di dar prova del suo spirito originale.  \bbiamo di Thomasius due opere sul diritto naturale (1),  ritte a distanza di 17 anni, le quali misurano il progresso  to dal suo pensiero in questo periodo di tempo. Egli rias-  me quanto prima di lui si era fatto nel campo degli studii  iridici, e si fa eco delle tendenze nuove, da cui si gene-  rono riUuminismo tedesco e la filosofia kantiana. Nella  ima delle opere sopra ricordate noi possiamo scorgere tutta  ifluenza esercitata da Grozio e da Pufendorf sul suo pen-  iro: con essi concorda nel dare alla scienza del diritto  turale come fondamento la natura socievole dell'uomo sot-  lendolo ad ogni vincolo teologico (2), nell'accettare le finzioni  Ho stato di natura e del patto per la costituzione della sc-  ita civile (3), nel derivare, sull'esempio di Pufendorf, il  •itto dalla volontà di un superiore (4). Fin da questa prima  e Thomasius mostra di meglio comprendere la natura del  •itto, affermando recisamente che non si dà diritto fuori  Ila società, né società senza diritto (5) : ma non pone ancora  'suoi veri termini la questione dei rapporti tra morale e  'itto: ciò fece solo più tardi sotto la pressione di speciali  •costanze di fatto e per motivi pratici, che costituiscono la  usa intima e motrice di tutto lo sviluppo della sua dottrina.  27, — La Sassonia, in cui Thomasius viveva insegnando a  psia, era in quell'epoca teatro di aspri dibattiti religiosi,  protestantesimo attraversava in Germania una crisi labo-  )sa. Le lunghe, interminabili polemiche teologiche ne avevano     [1) InstUutiones jurisprudentiae divinoCj  — Fundamenta juris naiurae  gentium ex sensu communi deducta ecc. 1705*   [2) Cfr. InstUutiones ecc. Libro I, e. iv, $ 55 e 63.   ;3) C(r, Institutiones ecc. Libro III, e. vi, $ 12, 26, 29 e seg.   [4) Op. cit. Libro I, e. i, $ 82.   [5) Cfr. Op. cit. Libro I, e. i, $ 100, 101.     1      —   profondamente falsato il carattere: la fiducia del popolo, la  influenza sul costume erano scosse, perchè non potevano con-  ciliarsi col dogmatismo arido, intollerante, scolastico, al quale  si era ridotta la vita religiosa. Si destò allora un movimento  di reazione, noto sotto il nome di « Pietismo » che ebbe a  primo legislatore se non a promotore Spener, e che propo-  nevasi di far rinascere il sentimento religioso nelle sue forme  schiette e popolari. Le lotte tra ortodossi e Pietisti, condotte  con un'acrimonia incredibile minacciavano risolversi iii moti  separatisti: gli eccessi di misticismo, a cui i Pietisti si ab-  bondonavano, provocarono l'intervento dei principi, partigiani  dichiarati degli ortodossi: si promulgarono editti di repres-  sione, e i Pietisti furono perseguitati, processati, condannati  come colpevoli di stregonerie: la tortura, l'inquisizione per  opera dei protestanti parvero ritornare in onore. Thomasius  prese parte attiva a questi avvenimenti: nel movimento pie-  tista egli vide il ritorno ad un sentimento religioso più vero  e naturale. I Pietisti e quanti erano accusati di malia tro-  varono in lui un difensore tanto più efficace in quanto alla  sua mente di giureconsulto tali processi costituivano altret-  tanti attentati alla libertà di coscienza, un'invasione della  pubblica autorità in campo che doveva considerarsi sottratto  all'azione punitiva. In occasione di tali fatti egli si rese conto  del pericolo derivante dalla mancanza del criterio distintivo  tra ciò che era di competenza della morale e ciò che rien-r  trava nella sfera del diritto. Tali idee maturarono nell'esilio,  a cui egli stesso andò incontro e si presentano in forma de-  finita nell'opera sul diritto naturale pubblicata. — Thomasius nella sua tendenza al nuovo, ne' suoi  intendimenti pratici fu sotto molti aspetti benemerito della     (1) Thomasius combattè la tortura e i processi contro le streghe nel-  l'opera 4L De crimine magiae ». Federico II disse di lui che aveva riven-  dicato alle donne il diritto di vivere senza pericolo. La difesa dei Pietisti  e i primi accenni alla distinzione tra morale e diritto si trovjino nelVo-     -   filosofia tedesca. Prima di Kant egli intravide il nesso esistente  tra il problema conoscitivo, etico e giuridico: primo osò af-  fermare che la ragione non deve andar disgiunta dal senso,  e che solo la conoscenza dei fenomeni è fonte di certezza.   Nel rispettare ed accrescere l'essenza delle cose consiste  il bene, e la maggior felicità dell'uomo costituisce lo scopo  ultimo della morale. Nel concetto amplissimo di diritto natu-  rale Thomasius fa rientrare la morale e il diritto, ma nel  determinare il principio generatore abbandona Pufendorf, so-  stituisce al principio della socialità l'istinto alla felicità, e  ^ su di questo fonda il criterio di distinzione tra le due scienze,  di cui l'una tende ad attuare la felicità interna, l'altra la  felicità esterna.   Né solo per lo scopo diverso a cui mirano si distinguono,  secondo Tiiomasius, la morale e il diritto, ma anche e sopra-  tutto per la natura dell'obbligazione, la quale si presenta  nelle due scienze diversa per ciò che riguarda l'origine, l'og-  getto, i caratteri. L'obbligazione giuridica nasce dal comando  di un superiore, ossia trae la sua forza obbligatoria da una  forza esterna: l'obbligazione morale invece scaturisce dall'in-  timo della coscienza individuale, e più propriamente dall'ap-  prensione di un male o di un pericolo al quale l'agente si  espone nell'atto di agire.   In ordine all'oggetto, l'obbligazione giuridica si riferisce  solo a rapporti esterni sorgenti tra uomini uniti dal vincolo  di società. L'obbligazione morale invece ha una sfera di ap-  plicazione molto più larga: essa non solo comprende i rapporti  esterni, ma ancora gli interni che l'uomo ha verso sé stesso (3).     pera € Sai diritto dei principi evangelici neUe controversie teologiche ».  In questa parte non ho potato valermi, come mi valsi altrove, dell'opera  magistrale di BUFFINI sulla « Libertà religiosa ». Ed. Bocca, Torino 1901,  Voi. I, e. IV, $ 12.   (1) Cfr. Fundamenta ecc. Libro I, e. 4, $ 35 e sopratutto al e. 6, $ 21.   (2) Cfr. Op. cit. Libro I, e. 4, $ 58 e seg. e e. 5, $ 1 e seg.   (3) Cfr. Op. cIt. Libro I, e. 5, $ 17 e seg.  Precisando meglio il suo concetto Thomasius aggiui  oggetto dell'obbligazione morale possono essere Vhom  il decornun, mentre dell'obbligazione giuridica solo lo,  Sotto questi tre concetti rientrano tutti i doveri: Vhc  comprende i doveri che l'uomo ha verso sé stesso, i  riassumono nel principio di fare a sé quello che si à  altri faccia: il decorum e ìojusium abbracciano tutti  verso gli altri: ma di essi, i doveri di convenienza e  lenza rientrano nel decorwn, i doveri di giustizia nello,  11 diritto pertanto non solo non è ciò che di sua n  semplicemente onesto, ma neppure consiste in ciò e  sua natura semplicemente decoroso.   Da queste premesse deriva il carattere negativo e  dell'obbligazione giuridica, il carattere positivo e im  della obbligazione morale (1). Il diritto deve limitarsi a  quelle azioni che appaiono inconciliabili con una vita  ordinata: donde la necessità che abbia limiti fissi e celle sclei>ze fpotall.  Bacone e saa posizione nella storia del pensiero ~  Bac  e le scienze morali — Etica e scienza civile in Bacone — Il metod  Hobbes ^ 35. Hobbes e i suoi tempi — Sistema etico-giuridico di Hot  — 37. Il rapporto tra morale e diritto in Hobbes — . L'opposizione a Hobi  Cumberland — 89. Locke e i suoi tempi — 40. Morale e diritto in Locki   Da Locib a Hume — Humé e i suoi tempi — 48. Filosofia di Hum  44. Rapporto tra morale e diritto in Hume — Adam Smith e sua im]  tanza — 46. Sistema etico-giuridico di Smith — 47. Conclusione.   31. — Bacone è il profeta della nuova epoca, è il Mosè e  ha dischiuso la vista della nuova terra promessa. Questo C(  cetto espresso dal Macaulay (1) non risolve la dibattuta qi  stione risguardante il posto che Bacone occupa nella sto:  del pensiero. A risolverla conviene considerare a parte Baco  e l'opera sua, Bacone e i suoi tempi, Bacone in rapporto a  sviluppo del pensiero scientifico e filosofico posteriore.   Considerata in sé stessa l'opera di Bacone racchiude un a  significato, come quella che, sotto un'apparente riforma  metodo, prelude ad un nuovo orientamento del pensiero, ad  rinnovamento radicale del sapere. Sotto tale aspetto Bacc  occupa un posto eminente non solo nella storia delle scien  come ritiene l'Adam (2), ma ancora della filosofia. Primo e  assorse al concetto tutto moderno e per l'epoca sua prematu  dell'unità dello scibile sulle basi della filosofia naturale r  novata dal metodo induttivo. Per Bacone l'unità del metod  correlativa all'unità della scienza, e questa è a sua volta  riflesso e il prodotto della unità che si ammira nella natu  Le scienze formano un tutto unico e continuo in cui le pa  si distinguono, ma non si separano; quando una reale se]  razione si verifica, la parte divisa isterilisce e muore. T;     (1) Cfir. il noto saggio del Macaulay (Lord Bacon, EssaySf ed. Tauchn  III, pag. 144-45).   (2) Ch, Adam, Philosojìhie de Francis Bacon, 1890, ed. Alcan, p. 4     —   secolo XVII sulla via tracciata da Bacone: non la scienza,  poiché il prevalere degli studii astronomici sullo studio delle  scienze naturali propriamente dette, fece preferire il metodo  geometrico al metodo strettamente induttivo di Bacone (1):  non la filosofia che segui un metodo soggettivo ed empirico  più che positivo quale era da Bacone indicato. Nell'azione di-  retta a scuotere il giogo della teologia ben si rivela Bacone  figlio dell'epoca sua, ma tra i dogmatici e gli scettici egli si  apri una via sua propria, che non fu né la razionale di Car-  tesio né l'empirica di Hobbes. Bacone è il vero precursore di  quella filosofia positiva, che il Comte doveva nel secolo XIX  opporre alle aberrazioni metafisiche (2); di ciò può. far prova  la sua dottrina etico-giuridica. Sotto l'aspetto speciale delle scienze morali Bacone ò  non fu preso in considerazione o non fu rettamente giudicato  sia per parte di coloro che vollero derivare da lui lo svolgi-  mento del pensiero etico inglese, sia per parte di quelli che  negano alle sue dottrine morali ogni valore. Ciò si deve in  parte a Bacone stesso il quale più che un sistema etico-giu-  ridico svolto nelle sue singole parti, ci lasciò l'abbozzo di un  sistema, il quale non attrasse mai l'attenzione degli studiosi,  mentre pur permetteva la ricostruzione intera del suo pen-  siero.   Due furono le preoccupazioni costanti di Bacone in ordine  alle scienze morali : sottrarle al dominio della, teologia e della  metafisica. Col Montaigne e col Charron egli ebbe comune lo     (1) Le scienBe naturali dopo le scoperte del Vinci, del Serveto, del-  l' Harvey, subirono un arrèsto nel secolo xvii di fronte ai notevoli pro-  gressi dell'astronomia e con essa delle scienze matematiche : la geometria  in particolare divenne per oltre un secola la scienza madre, alla cui in-  iSaeDza non seppero sottrarsi le stesse scienze morali. È noto che Bacone  fa fierapiente avverso all'estensione delle matematiche allo studio della  natura.   (2) Il Comte accennando all'unificazione del sapere come allo scopo  ultimo della filosofia posi ti vn^ e costretto a ricordare le geniali intuizioni  di Bacone {Cours de philoso^hie posUivef I, p. 50 e p. 59-60 ediz. 1869).  sofi inglesi che lo seguirono, e solo può riconnettersi ai t  tativi fatti nel secolo XIX per dare alle scienze morali  fondamento positivo. Elemento generatore delle scienze moi  è per Bacone la natura, in ciò coerente al principio secoi  il quale la scienza della natura non solo è scienza madre  cui tutte le altre devono coordinarsi, ma in tanto ha valor  significato in quanto può servire a dar norma e indirizzo a  vita individuale e collettiva (1).   33. — Nella classificazione delle scienze posta da Bacoi  l'Etica e il Diritto rientrano nel largo campo delle sciei  relative all'uomo; ma mentre l'Etica è il ramo più nobile de  Filosofia umana, che studia l'uomo a sé, in quanto consta  elementi corporei e spirituali, il Diritto colla Politica cos  tuisce la parte fondamentale della filosofia civile, la qu  move dal presupposto dell'uomo associato e già eticamei  formato (2).   I rapporti e i limiti tra le due scienze sono in tal me  implicitamente segnati: l'Etica forma l'individuo, la Scien  civile mediante il diritto provvede alla prosperità e alla pi  interna di uno Stato : quindi differiscono tra loro per l'ogget  lo scopo, la sfera diversa in cui si svolgono. Niun dubbio e  il contenuto della scienza civile, risultando di elementi as$  varii e disparati, con grande difficoltà si lascia ridurre a le|     e abbia letto le sue opere. Certo conobbe Vanìni nel 1612 a Londra»  sopratntto apprezzò il Telesìo che chiama « amantem veritatis et scien  ntileni, hominam novoram primuin ».   (1) La decadenza della filosofia morale e civile è attribuita da Bacne notevole, per quanto non avvertita, nella  ndividuo segue suo malgrado il moto generale  cui riflette i sentimenti, le idee, le tendenze,  on può far assegnamento sull'azione di queste  Qè subisce i vincoli e le repressioni sociali  formazione dell'uomo interiore. Ancora l'Etica  ne interna dell'uomo, e sulla bontà dell'inten-  insiste: per la vita e per il progresso sociale  liformità esteriore degli atti alla legge, e per  D servire mezzi sensibili e materiali, l'uso dei   agli scopi della morale. Le proporzioni stesse  sua stessa perennità di esistenza, la comples-  iti che lo costituiscono sviluppano un gioco  Bazione, per cui le cause deleterie agiscono  3 insensibilmente: nei singoli individui, data  vita, e la costituzione più semplice del loro  ^uenze delle azioni disoneste si svolgono più  lutamenti nell'opinioni e nei costumi sono più  i. Per tal modo Bacone sotto colore di accen-  Ità diverse, contro cui l'Etica e la Scienza  ttare, tocca le differenze tra le due discipline,  apporti che corrono tra individuo e Stato. Le   devono tener conto delle condizioni variabi-  li vidui : le norme giuridiche valgono per l'or-  forme, perchè più vasto, dello Stato, e in esso     osserva Bacone (De Aug, Lìb. Vili, e, i) che Soggettò  è pili di ogni altro « materiae immersum^ ideoque  mata redncitur ».     ^   scompaiono le differenze dell'individuo, che è l'atomo della  vita sociale (1).   La stessa modernità di vedute Bacone dimostra nel trattare  a parte l'Etica e il Diritto (2). Dal modo di comportarsi degli  esseri in natura, egli trae la soluzione del problema teorico  relativo alla natura del bene (3). Ogni cosa in natura, esistendo  ad un tempo per sé e come parte di un tutto, tende a con-  servarsi, accrescersi, moltiplicarsi: cosi esiste per l'uomo un  bene individuale e collettivo; nello svolgere sé stesso e le  proprie facoltà in guisa da rendersi atto a far il bene del  tutto, di cui fa parte, sta la perfezione morale dell'uomo. De-  terminata la natura del bene, bisogna che l'uomo sia in grado  di raggiungerlo con una serie di mezzi, che solo può indicare  lo studio della costituzione psichica speciale di ciascuno,  variabile secondo i tempi, i luoghi, l'età, il sesso. In ciò  sta la morale pratica, nel trattare la quale il moralista deve  fare come il medico che studia il corpo umano per conoscerne  i mali e indicarne i rimedii. Lo studio del bene collettivo fa  parte dell'Etica non della filosofìa civile come a tutta prima  potrebbe p/irere. Finché prepariamo ed educhiamo l'uomo a  convivere in società, a preferire il bene comune al proprio,  la vita attiva alla contemplativa, noi non usciamo dai limiti  e dai compiti della morale (4). *     (1) I rapporti tra l'Etica e la Scienza civile sono svolti da Bacone nel  Libro vili, e. T, del De Augmentis.   (2) La dottrina etica di Bacone è contennta nel Libro VII del De Aug-  ìnentis : la dottrina giuridica nel lib. VIII, e. m, sopratatto nell' « Exemplum  iractatus de justitia universali; sive de fontibus juris > che è aggiunto come  appendice al libro Vili.   (3) Distribuisce Bacone la dottrina etica in due parti: l'una teorica  € de exemplari boni » tratta della natura del bene ; l'altra pratica « de  regimine et cultura animi » tratta delle norme atte a conformare l'animo  al bene : senza quest'oltima, la prima è come una statua « pulchra quidem  aspectu, sed motu et vita destituta » (De Aug. Lib. VII, e. in).   (4) In quella guisa che è cosa diversa fabbricare una macchina, e met-  terla in moto, così la scienza civile si distingue dalla dottrina del bene  coUettivo che conforma l'animo alla vita sociale. se-  nato moralmente l'individuo, entra in campo la Scienza   avente per oggetto l'uomo congregato. Nell'abbozzo fi-  lasciatoci da Bacone è la parte che presenta maggiori  3 e imperfezioni. Però nel trattare dell'azione dello Stato  ipporti interni fra i cittadini, azione che si esplica me-  ì il diritto, Bacone dà novella prova di larghezza e ori-  tà di vedute (1). Il diritto non è fine a sé stesso, ma   per procurare il benessere materiale e morale del po-  Nel trattare di legislazione Bacone dichiara dì voler se-  un metodo suo proprio, distinto da quello adottato dai  consulti filosofi e pratici, dei quali i primi fanno leggi  jinarie per stati immaginarli, i secondi sono schiavi  leggi e degli usi locali, non hanno la guida dei prin-  che è condizione di equanimità e sincerità nei giudizii.  :islatore deve conoscere la filosofia civile, e l'equità  ale da un lato, ed essere dall'altro esperto conoscitore  >stumi e dei bisogni del popolo, pel quale fa le leggi (2).  , varietà delle leggi può bene associarsi, secondo Ba-  alla loro unità, poiché sotto le moltiformi leggi degli  e dei popoli, non é difficile rintracciare certi principii  Lstizia costanti, su cui può elevarsi un sistema di legis-  le ideale, a cui tutte le leggi diverse si riconducono, e  i tutte discendono (3). Ma la sapienza del legislatore non  solo consistere nel conoscere e determinare le legum  ma ancora nell'applicazione della legge (4). Quest'aspetto   La dottrina deUo Stato è da Bacone distìnta in dne parti : Tiina  mo 8ive de repuhlica administranday l'altra de justitia universaUf sive  ihu8 juriSy ossia la parte politica e la giuridica (De Atig, Lib. Vili).  Xr. De Aug, Libro Vili in fine, ove dice: « philosopbi multa prò-  , dictn pulchra, sed ab usu remota. Jnrisconsnltì antem, suae qnisqne  leguin, yel etiam romanorum aut pontificiarum, placitis obnoxii,  sincero non ntnntnr, sed tanquam e vincnlis sermocinantur »'•  I!fr. De justitia univeì^sali, Aph. 6.   i La saggezza del legislatore, egli scrive, consiste non solo nellM-  li giustìzia, ma nella sua applicazione^ nel prendere in considera-  mezzi per i quali le leggi sono reso certo, le cause e 1 rimedi delle  Lcertezze ». formale del diritto, trascurato dai fìlosofl del diritto naturale,  ,ha un'importanza nell'attuare gli scopi della giustizia, che non  sfuggi a Bacone; se vario è il contenuto delle leggi, la forma  è costante e può ridursi ad assiomi; se la perfezione delle  le^i non può facilmente ottenersi, almeno devesi cercare la  certezza coi mezzi formali. Là certezza è condizione neces-  saria per conseguire VaequUasjuris, ossia l'uniforme interpre-  tazione e applicazione della legge, da cui dipende la efficacia  e l'autorità del diritto sostantivo (1).   Poco meno di due secoli dovevano trascorrere prima che le  idee di Bacone fossero accolte e applicate: certo a principio  del secolo XVII erano premature. Bacone fece come colui che  avendo trovato una nuova via vi si slancia con entusiasmo e  la percorre rapidamente fino alla fine: ma gli altri per tal via  non lo seguirono come quella che contrastava troppo alle ten-  denze e ai metodi filosofici del secolo: ailcora la mente umana  non aveva condotto il metodo razionale alle sue estreme con-  seguenze per ricredersi, e porsi sulla via più modesta, ma più  sicura aperta da Bacone alle scienze morali. Hobbes fu chiamato il primo discepolo di Bacone : tale  filiazione intellettuale, sostenuta fra gli altri dal Kuno Fischer,  fu generalmente accolta: le stesse relazioni personali che cor-  sero tra Bacone e Hobbes parvero confermarla. Il Wundt stesso  fa dell' Hobbes un continuatore di Bacone nel campo delle  scienze morali (2). Studii più recenti vennero in opposto pa-  rere, a noi crediamo col Lange, collo Jodl, col Sidgwick, che  si debba negare qualsiasi rapporto di filiazione tra Hobbes e  Bacone (3). La diversità del metodo rispettivamente usato fu  ornai posta fuori di dubbio dal Lange e dallo Jodl (4). Il Lange   (1) Il criterio deUa bontà di una legge sta in ciò ch'essa sia « intima-  tione certa,' praecepto jnsta, executione commoda, cum forma politiae  congrua, et generans virtutem in subditis * (Ib. Aph. 7).   (2) Cfr. Wnndt: Ethik, Libro II, e. ni.   (3) Cfr. Sidgwick : Outlines of the history of Ethics, 2* ediz. London,  1888, p. 158.   (4) Cfr. Jodl: Gesc'xiichte der Ethik, Voi. I, 1882, p. 109.  definisce il metodo di Bacone induttivo, quello dell' Hobbes  ipotetico-deduttivo, ossia cartesiano (1). Mentre il primo pro-  cede analiticamente movendo dall'individuo per elevarsi €\  genere e quindi giungere direttamente alle cause reali dei  fenomeni, salvo poi ricorrere alla deduzione per utilizzare e  generalizzare le verità discoperte, Descartes e sulle sue traccio  l'Hobbes procedono sinteticamente premettendo la teoria a  guisa di ipotesi, spiegando mediante essa i fenomeni, per  poi controllare la bontà della medesima facendo ricorso alla  esperienza, a cui spetta la pai'te principale e decisiva nella  dimostrazione. Ninna comunanza quindi di metodo tra Bacone  e Hobbes: entrambi ricorsero all'esperienza, ma Bacone vi  ricorse per elevare su di essa la scienza, Hobbes per con-  fermare la teoria, posta innanzi come ipotesi. Osserva il Lange  che il metodo ipotetico-deduttivo è assai più vicino al vero  processo seguito nello studio della natura che non quello  induttivo di Bacone (2): qualunque sia il valore di tale afferma-  zione, essa è vera pel secolo XVII, nel quale prevalsero l'astro-  nomia e le scienze matematiche. A questo metodo, prevalente  nel campo stesso delle scienze naturali, non ancora trasfor-  mato in razionale puro per opera dei fanatici seguaci di Car-  tesio, appartiene Hobbes. Questi contrariamente a Bacone  studiò ed apprezzò le matematiche: in istretto rapporto coi  tempi egli riconobbe e accolse senza restrizioni (ciò che non  fece Bacone) gli importanti risultati ottenuti nel campo delle  scienze naturali: e mentre a Copernico rivendicava l'onore  di aver fondato l'astronomia, a Galileo la fisica, all'Harvey la  fisiologia, sperava che altri potesse dire lo stesso di lui in  ordine alla filosofia politica. Come Cartesio egli mosse da un  presupposto teorico alla costruzione del suo sistema, e cercò  nella esperienza e osservazione fisiologica argomenti a sostegno  della sua teoria.     (1) Cfr. Lange: Histoire du matórialisme, 1877, Voi I, p. 249.   (2) Lange.  IC     p''yiHBI'PUV''^l-l'^. * — '•     - 5& -     35. — La filiazione tra Bacone e Hobbes come non e«i  I)el metodo cosi non esiste né diretta né indiretta per la (  trina. Se comune ad entrambi é l'avversione ai vieti pres  posti metafisici e teologici, nonché il sentimento di ribelli  all'autorità di Aristotele e la tendenza a secolarizzare  scienze morali, non per questo si può dire col Wundt  Hobbes continuò Bacone (1), ma solo che entrambi subir  le stesse condizioni generali dell'epoca, ciò che non impe»  Hobbes di elevare una metafisica di nuovo genere, div€  dall'antica teologica, ma non meno contraria alla filosofia  coniana. Ma se con Bacone subi l'influsso generale del ten  non da lui Hobbes trasse motivo e ispirazione a scrivere  cose morali e civili, ma direttamente dalle condizioni pa  colari dell'Inghilterra del suo tempo. Egli non assiste ind  rente e quasi ignaro come Bacone ai gravi rivolgimenti poli  e religiosi che agitavano il suo paese e che dovevano a\  una importanza decisiva sull'avvenire del popolo inglese:  vi partecipa direttamente, proponendo quella che a lui pa  la vera soluzione, e sopratutto richiamando sui problemi  rali, religiosi, politici l'attenzione degli studiosi e degli uon  di Stato che sotto l'influenza delle sue dottrine dovevano  vidersi in due campi opposti e ostili. E cosi mentre Bac  isolandosi dai suoi tempi non sollevò intorno all'opera proj  né le ire né le lodi dei contemporanei, Hobbes inspirandosi  suoi scritti direttamente ai fatti che prepararono la Gra  Rivoluzione inglese, esercitò un'influenza decisiva sull'i  rizzo e sullo sviluppo ulteriore delle scienze morali.   La rivoluzione che si andava maturando nell'Inghilt^  nella prima metà del secolo XVII, era ad un tempo ec(  mica, politica, religiosa; ma nelle sue diverse forme essa ]  presentava pur sempre l'emancipazione dell'individuo dai  coli che ne ostacolavano la libera attività. Proprio in (  secolo l'Inghilterra cessava di essere un paese esclusivam(     (1) Wundt: Op. cit., Lib. II, e. ni. -   agricolo per divenire in un certo grado paese commerciale  e manifatturiero; la proprietà mobiliare frutto del lavoro si  affermava vigorosamente di fronte alla proprietà terriera,  nata dalla conquista: cadevano le corporazioni d'arti e me-  stieri, i monopolii, i privilegi; lo Stato cominciava a legit-  timarsi in proporzione della libertà e dei vantaggi che de-  rivavano all'individuo (1). L'individualismo economico metteva  capo all'individualismo politico: una trasformazione in senso  democratico dello Stato si rendeva oramai inevitabile; a mi-  sura che la coscienza della propria forza si diffondeva nella  classe media lavoratrice cresceva l'avversione contro il lusso  smodato di Corte, contro le arbitrarie imposizioni, contro le  indebite ingerenze dello Stato, di cui volevansi ridotte al mi-  nimo le funzioni, e si voleva controllata l'azione nei rapporti  coi cittadini. L'individualismo economico e politico traeva  nuova forza dalle credenze religiose sorte dalla Riforma Pro-  testante. Il Calvinismo penetrato in Inghilterra nella sua forma  più rigida, aveva prodotto i Presbiteriani scozzesi, e i Puri-  tani inglesi. Era appunto nell'essenza del Calvinismo demo-  cratizzare le credenze religiose, porre l'uomo in rapporto di-  retto colla divinità, farne l'interprete della legge e della vo-  lontà divina, senza bisogno di intermediarii, che facevano ser-  vire la religione a scopi ambiziosi e politici.   Il trionfo dell'individualismo nelle sue diverse forme non  fu senza contrasti: esso lottò contro le tendenze reazionarie  e assolutiste del potere regio che ebbe ad alleata docile e  passiva la Chiesa anglicana o episcopale. Non rimasero i forti  pensatori dell'epoca estranei e indifferenti alla lotta: tra tutti  si distinse l'Hobbes, la cui dottrina concepita quando più acca-  nita ferveva la lotta, trovò eco profonda negli animi. E l'in-   Cfr. per le condizioni economiche deU* Inghilterra in quest'epoca il  Cnnningham, « English Commerce and Industry « (II, p. 67-97) — per  le condizioni politiche il Burgess, « Politicai Science and Comparative  Constitutional law » (Voi. I, Bk. iri, e. 1) — per le condizioni religiose  il Ruffini, « Libertà religiosa » (Voi. I, e. iii, J 11).   fluenza da lui esercitata fu in proporzione del disinteresse e^  della sincerità dell'opera sua di scrittore. All'assolutismo non  fu condotto da motivi di interesse personale, ma da quello  stesso individualismo che trionfo colla Rivoluzione, e che in  niun tempo trovò un più forte e convinto sostenitore; ma ap-  punto per ciò parve all'Hbbbes che l'assolutismo solo potesse  contenere lo sfrenato egoismo della natura umana. Il vecchio  e il nuovo vengono pertanto stranamente a incontrarsi nella  dottrina dell'Hobbes senza confondersi (l): la base psicologica  del suo sistema, rispondendo ad un lato costante della natura  umana, potè vivere di vita propria, e servir di punto di par-  tenza allo sviluppo ulteriore del pensiero etico inglese, indi-  pendentemente dalla forma politica da lui vagheggiata. Per  opera dell'Hobbes penetrava nel campo della speculazione fìlor  sofica e sopratutto delle scienze morali quell'individualismo,  che fino allora ne era stato lontano per l'influenza delle op-  poste teoriche del diritto divino, e della morale cristiana, e  vi penetrava nella sua forma più rigida senza temperamenti  di sorta. Di qui la importanza e il significato della dottrina  etico^iuridica dell'Hobbes.  Hobbes intese sopratutto col suo sistema risolvere  un problema politico, e a questo subordina come mezzo al fine  la morale e il diritto. Anche sotto tale aspetto più che a  Bacone egli deve riconnettersi a quella corrente generale di  pensiero, che originatasi dalla Riforma e svoltasi nella for-  mazione degli Stati moderni, aveva elaborato il concetto di  una legge di natura, ossia di una norma ideale, morale e giu-  ridica ad un tempo, tratta dallo studio della natura umana,  su cui dovevansi modellare i rapporti politici. Ma contraria-  mente al Grozio e ai cultori del metodo razionale, l'Hobbes  nello studio dell'uomo e nella concezione di uno stato e di  una legge di natura diffida della ragione e della storia, e si   Con frase felice U Tulloch chiama THobbes « un radicale a servizio  della reazione ».  si esclusivamente dei risultati   condotta con criterii empiri  % lui come a un precursore d  5 altri si preoccupa delle esig  lobbes con concetto assai più r   dell'operare umano, e sili i  eri, della osservazione psicolc  il suo sistema. Quindi è che   Hobbes devonsi, secondo noi,  ma fondata sull'osservazione ]  jato carattere empirico-indutti   i risultati della prima ha car  r runa l'Hobbes sopravive a' s  iza per l'elaborazione ulterio  •a partecipa alle astrazioni mei  mpo psicologico Hobbes è un  ) nell'uomo due sostanze, ma (   psichici; il moto dei corpi si  ai nostri sensi, che lo trasmett  : segue la sensazione, ossia ui  reazione dall'interno all^esteri  d allontanare l'oggetto esterno   od ostacola la vita, ossia a i  ile : effetti soggettivi concomitj  e e il dolore. Il piacere è la mis  . In questa concezione material  ra si fondano la moralità e il erò non perde nella società civile la sua perso-  ica e morale: lo Stato riposa pur sempre sul ta-  > e sulla tacita cooperazione degli individui e la  rova limiti efficaci in una saggia separazione di  )ntrollo permanente del popolo, nella legge stessa  cui le leggi civili non possono contraddire (3).  nenticare che nel sistema politico di Locke spiega  )cisiva la pubblica opinione, le cui norme rispon-  sialmente a quelle della legge di natura, modifi-  . costume e dagli usi locali, sono tali da tenere  acemente cosi le azioni dell'individuo come quelle  iti.   sistema etico-giuridico del Locke, come in quello  due diversi indirizzi convergono, l'indirizzo utili-  ;o, e l'indirizzo metafisico-razionalista, proprio dei  iritto naturale. È innegabile che nella determi-  flne e dei motivi della moralità, egli continua e  3todo di osservazione psicologica iniziato dal-  i senza allargarne i limiti fino a comprendere gli  ili tra le condizioni della felicità e i motivi di  combattere poi l'innatismo, egli rappresenta un  presso sull'Hobbes, in quanto dischiuse la via, da   non percorsa, alla conoscenza sperimentale e po-  moralità.     e. II.   e. vr, VII e viir.   cìt., e. X, Bull^Bsteusione e limiti del potere legislatÌTO.  D'altro canto nella parte ricostruttiva il Locke è un ra-  zionalista, subisce l'influenza della scuola del diritto naturale,  e segue con Cumberland l'indirizzo di Grozio distaccandosi  dall'Hobbes e dalla sua dottrina. Infatti nel Locke il concetto  della legge di natura presenta un carattere di universalità  e di obbiettività che in Hobbes originariamente non ha, e la  sua teorica del governo, scritta à giustificazione di fatti com-  piuti, e rappresentando le aspirazioni popolari è le idealità  politiche de' tempi nuovi, era destinata a esercitare un'in-  fluenza notevole in Francia ove la trasformazione sociale ed  economica in senso individualista stava iniziandosi. La con-  cezione della legge di natura, come norma razionale, il con-  cetto dell'individuo fatto sovrano ed esecutore della medesima,  i principii della sovranità popolare, d'uguaglianza, della sepa-  razione dei poteri sono dal Locke enunciati nella forma più  suggestiva e diventano patrimonio comune delle coscienze  nuove. Ma se era più consentanea alle aspirazioni^e alle esi-  genze razionali dell'epoca, la teorica del Locke mancava di  quel fondamento positivo che riscontrasi invece nell'Hobbes,  la cui dottrina dello stato di natura, fondata sull'osservazione  ristretta ma vera della natura umana, si ravvicina ne' suoi  risultati assai più che non quella del Locke alle reali condi-  zioni dell'uomo preistorico.   La teorica della legge merita speciale attenzione in Locke  come quella che rappresenta un tentativo fatto per distin-  guere la morale dal diritto e stabilirne i rapporti reciproci  sopra una base nuova, suscettiva di svolgimento e di progresso.  In omaggio alle idee dominanti il Locke assorge al concetto  di una legge di natura generatrice di ogni altra, misura ob-  biettiva, universale, immutabile della condotta in generale:  ma questa legge soddisfa ad una esigenza puramente teorica  e ha una esistenza ideale, mentre nel fatto si risolve in  legge civile e in legge del costume, che rispondono rispetti-  vamente alla legge giuridica e alla legge morale. L'ordine  naturale obbiettivo rappresentato dalla legge di natura *i operatasi in- quel secolo per parte dei non -conformisti, là  quale colla lunga oppressione scosse 1* influènza tirannica della  Chiesa ufficiale. A. misura che il dispotismo politico e religioso  perdeva terreno cresceva l'interesse per le indagini di natura  morale, e civile. Hobbes e Locke avevano posto i germi per  un nuovo orientamento degli studi morali, iniziando l'indagine  psicologica: ma mentre l'uno fu indotto dalla logica inesorabile  de' suoi principii a soffocarne i risultati nel dispotismo, l'altro  cercò temperare le premesse psicologiche, ancor sempre ri-  strette e unilaterali, facendo ricorso ad elementi razionali. Il  dualismo tra ciò che era risultato dell'analisi psicologica e le  esigenze della ragione e della pubblica opinione, si risolve  dopo Locke in due indirizzi distinti, personificati nel Clarke  e nello Schaftesbury.   Nel Clarke la ragione riacquista intero e incontrastato  quel primato nella formazione della moralità e del diritto che  la scuola empirica tendeva a scuotere in favore della volontà:  movente all'azione e criterio di moralità è l'evidenza e la cer-  tezza dei principi! morali, non innati nell'uomo o rivelantisi  intuitivamente all'intelletto, ma razionalmente dedotti dai rap-  porti immutabili e naturali delle cose. Le idee morali e giuri-  diche vengono per tal modo a confondersi colle verità intel-  lettuali, la necessità lògica si converte in necessità morale, e  il dovere diventa Passenso necessario dato alla suprema ra-  gione delle cose. Il razionalismo penetrava col Qlarke in In-  ghilterra, distinguendosi a un tempo dall'innatismo professato  anteriormente dalla scuola di Cambridge, dall'intuizionismo  posteriore del Butler e del Reid: esso rispondeva alla segreta  ispirazione di molti di trovare, secondo il concetto espresso  dal Locke, alla condotta una base cosi sicura come quella tro-  vata da Newton alla meccanica. Ma tale indirizzo inteso a  fondare le scienze morali e giuridiche su principii astratti     (l) Cfr. del Clarke Topera pubblicata nel 1705 col titolo: « A Biscourse,  concerning the Being and Jttrihutes of God ecc,  il quale, sottratto alla ragione e alla riflessione, è fondato sul  senso, divenuto capace non pur di impulsi egoistici ma anche  altruistici. Con Schaftesbury sono definitivamente acquistati  all'etica empirica due concetti nuovi: la naturalezza delle af-  fezioni socievoli, che concorrono coH'amor di sé a regolare le  azioni umane, — il senso morale, ossia un elemento tutto in-  teriore sostituito alla volontà divina e umana, alla ragione  stessa come criterio di approvazione, e fatto capace di de-  terminare all'azione. Senonchè il difetto di rigore scientifico  nelle affermazioni dello Schaftesbury, l'ottimismo esagerato che  lo anima tolsero efficacia e autorità alla sua dottrina, ugual-  mente combattuta da liberi pensatori come Mandeville e da  ortodossi. I germi da lui posti furono raccolti e innalzati a  dignità di sistema da Hutcheson, il noto fondatore della Scuola  Scozzese.   Nell'Hutcheson il problema della condotta assume l'ampio  e sistematico svolgimento, di cui dopo il Cumberland. non si  aveva avuto esempio. Anche per Hutcheson fonte origi-  naria della vita morale e giuridica è il senso morale, elevato  a criterio modellatore e ordinatore degli affetti umani, tra i  quali esso dà il primo posto alle affezioni benevoli, aventi un  grado diverso di estensione e quindi di eccellenza intrinseca.  Dalle forme della simpatia, pietà, gratitudine, amore, affetti  domestici, amicizia, patriottismo, l'affetto benevolo si eleva  gradatamente fino all'amore verso l'umanità in generale, spo-  gliandosi mano mano degli elementi impulsivi, violenti, egoi-  stici per raggiungere uno stato di calma determinazione verso  il bene di tutti (2). La ragione non spiega un'attività sua  propria nello sviluppo della vita morale ; essa deve solo con-     (1) Le opere principali di Hntoheson sono: An Inquiry into the Ori-  ginai of our ideas of Beauty and Virtm (1725-26), e qneUa postnma edita  dal figlio dell' A. nel 1755 : A System of Maral Philosophy, Ci siamo valsi  dì qaest'alttma peU'edizìone francese del 1770.   (2) Cfr. Sy steme, voi. I^ lib. I, e. IV, ove tratta del «enso morale.  ire e confermare sulle basi dell'osservazione e dell'espe-  a le naturali manifestazioni del senso morale. Dall'eser-  delle affezioni socievoli e disinteressate scaturiscono i  ri più puri e durevoli, e deriva all'uomo il massimo  : donde la perfetta armonia e corrispondenza tra virtù  icità. Il senso morale come ci fa rilevare la bontà, così  intuire il carattere del giusto nell'azione, carattere che  ^ela nelle affezioni tendenti al bene generale; vien cosi  nata la coincidenza tra bontà e giustizia, tra azione  a e giusta in guisa che basta agire bene per agire giusto,  me pertanto è il fondamento psicologico della morale e  liritto. Ma se l'intenzione è condizione necessaria perchè  :ione sia buona e giusta intrinsecamente (bontà aliate-  ), per gli scopi e le conseguenze pratiche della condotta  i, secondo Hutcheson, la bontà formale, ossia la confor-  anche solo esteriore ai dettami del senso morale (1).  ) spiega perchè Hutcheson passando dai principii teorici  costruzione concreta di un sistema di norme etico-giu-  fie si preoccupa sopratutto di assicurare la bontà for-  come quella che più interessa la convivenza sociale:  e scopo sostituisce al criterio soggettivo del senso mo-  il criterio oggettivo del bene pubblico . per determinare  oralità più propriamente la giustizia dell'azione, adot-  ) il principio che divenne in epoca posteriore la base  istemi utilitarii, ai quali prepara la formola (2). Preoc-  to quindi del bene pubblico e della bontà formale, l'Hut-  )n doveva insensibilmente esser portato a sacrificare alle  nze giuridico-sociali, gli interessi della moralità propria-  e detta : lo prova il fatto che nell'indicare le norme di     Cfr. Op. cìt.y ibid.y lib. Ili, ove spiega i concetti di giustizia e di  tizia^ di bontà materiale e formale, di diritto e di legge, di diritti  ti e imperfetti.   Ecco le parole precise di Hutcheson: « that action is best which  res the greatest happiness for the greatest numbers » . Questa for-  corrispoude a quella di Bentham.  1fVa«fr'J»K •?.!•"%     - 81 -   condotta esso segue il sistema e la classificazione dei giurisi  anziché quella dei moralisti (1). Questo costante equivoco ti  moralità e diritto si rivela ancora nella distinzione da li  posta tra diritti (e quindi obbligazioni) perfetti e imperfetl  di cui solo i primi sono assolutamente necessari alla vii  sociale, e possono essere coattivamente imposti, mentre i s  libertà ; Voi. II, lib. II, in cui tratta del governo civile (e. iv), del co  tratto sociale (o. v), delle leggi civili (e. ix).  Cfr. W. G. Miller, Laio of nature and nationa in Sootland, Edinbur  1896: saggio primo, p. 3-35 ove si tratta della filosofìa giurìdica del  Scuola scozzese, e in particolare del sistema dell' Hutcbesou,  condotta. Senonchè il fondamento  ra capace di analisi ben più pro-  lato della dottrina dell'Ha tcheson  th, per opera dei quali la teorica  lo deirosservaÉione psicologica ap-  )lsero e si perfezionarono.  'Hutcheson nel campo delle scienze  dell'Hume e dello Smith ed ebbe a  a. La rivoluzione del secolo XVII  ilterra la triplice trasformazione  ja. Col trionfo del sistema paria-  io, della libertà religiosa sull'in-  a libertà economica sul protezio-  Llismo sotto tutte le sue forme si  dominio incontrastato. Nella Scozia  storiche, la rivoluzione aveVa pre-  antesimo contro il sistema episco-  il trionfo della libertà nazionale  da un lato, dell'intransigenza re-  :ico dall'altro (I). La lotta politica  luove energie commerciali e inducata da questioni religiose: epperò  entrambi i paesi conseguita, essa  pagnata e integrata dalla libertà  necessario che l'annessione della  enuta definitivamente nel 1707, e  a rivoluzione, esplicassero i loro  esse scuotere il giogo della super-  , religiosa. Né deve far meraviglia  III, proprio quando più fioriva lo  storia del pensiero uomini come  le loro dottrine, contrarie all'in-  , non trovarono eco nella Scozia,   M)«a, Torino, Boccs^, 1901, 1, e. iii, p. mentre esercitarono grande influenza in Inghilterra, ove fu-  rono apprezzate e discusse : secondariamente Tesser essi nati  e cresciuti nell'ambiente scozzese spiega le caratteristiche  del loro intelletto, e sopratutto la natura del metodo seguito,  che «fu essenzialmente deduttivo e contrario all'induzione em^  pirica dominante in Inghilterra. Vedemmo l'Hutcheson trarre  dal postulato indimostrabile del senso morale tutto il suo  sistema filosofico: analogamente fece lo Smith movendo dalla  simpatia: l'Hume fu avversario dichiarato dell'indirizzo ba-  coniano, e subordinò costantemente il fatto all'idea (1).   Speciale importanza hanno l'Hume e lo Smith in ordine alla  determinazione del rapporto tra morale e diritto: per opera  loro il problema si avviò verso una soluzione che fu sotto  molti aspetti notevole e decisiva.   43. — L'osservazione empirica della natura umana confer-  mata dall'esperienza fece convinto l'Hume che esiste un'attività  interiore originaria e istintiva, il senso morale che determina  all'azione, e che la ragione può solo regolare ed esplicare.  L'Hume non si preoccupò tanto dì studiare direttamente  questa facoltà innata dell'uomo e di penetrarne la natura,  quanto piuttosto di rilevarne gli effetti e le manifestazioni  oggettive e soggettive. L'azione determinata dal senso morale,  ossia l'azione virtuosa è oggettivamente utile, soggettivamente  piacevole: perciò il giudizio sulla moralità dell'azione, il mo-  tivo dell'approvazione e disapprovazione morale, la determi-  nazione di ciò che l'Hume chiama il merito personale si ri-  solvono oggettivamente nella valutazione del grado di utilità  inerente all'azione, soggettivamente nell'intensità del piacere  provato. Né si creda che l'Hume limiti le manifestazioni del  senso morale all'utile e al piacere individuale : egli riesce a ge-  neralizzare e ad umanizzare i concetti dell'utile e del piacere  mediante la simpatia, per la quale ciò che è solo utile ìndi-     ci) SaUe condizioni politico-sociali della Scozia in quest'epoca e sopra-  ttutto si^l ci^rattere della filosofia scozzese cir, i} Btickle, Op. cit» 9, xx,          e piacere soggettivo e variabile diventa utile generale  e comune. Il senso morale e la simpatia vengono per tal  costituire i motivi psicologici della morale dell'Hume,  l'utile e il piacere in senso largo ne costituiscono le ma-  ioni e i criteri di valutazione pratica e immediata. Ma  l'minatezza di tali concetti allarga oltre misura il campo  3rale fino a comprendere in essa, secondo il concetto  ;uttociò che è naturale : il dissidio dell'etica cristiana  ihe è utile e piacevole e ciò che è razionale e morale, tra  ha carattere obbligatorio e ciò che è meramente spon-  istintivo è pressoché scomparso nell'etica di Hume.  Pochi come Hume hanno inteso e accentuato la distin-  a morale e diritto. L'Hume non era solo filosofo ma  ippassionato, e autorevole parve ogni qual volta emise  rere sopra questioni economiche, politiche, religiose (1).  e e diritto non hanno comunanza di origine, di natura,  >. Mentre la morale si svolge dall'intima costituzione  tura umana, la giustizia si origina per riflessione dalle  ì della civile convivenza. La giustizia non può conciliarsi  ito di natura quale era descritto dall'Hobbes, che la  resa impossibile, e neppure collo stato di natura imma-  ni Rousseau, che l'avrebbe resa superflua; essa si svolge  lente colla convivenza sociale, nella quale essa tende  to a garantire la proprietà privata. La morale si svolge  riduo, e alla felicità dell'individuo intende: i suoi pre-  nno carattere di spontaneità e di indeterminatezza,  3lli che si fondano sul senso morale, proprio di ciascun  e di natura misteriosa. La morale si vale essenzial-  jlla cooperazione dei singoli, e le fasi del suo progresso  rapporto col grado di sviluppo e di perfezione rag-  agli individui. La giustizia non trae origine dal sen-     'anno prova le sue notevoli opere storiche, e i saggi namerosi  )ta, suUa bilancia commerciale, sul credito, snU' interesse ecc.,  noto saggio : The Triturai hUtory oif religion»          iimento ma dalla ragione: essa ha costantemente di mira  l'interesse del tutto, alla cui stregua e non a quella dell'in-  dividuo le sue norme devonsi valutare e giustificare. Frutto  di calcolo e di riflessione, imposte dalla necessità della con-  vivenza, le norme di giustizia costituiscono altrettanti attentati  alla libertà e felicità dell'individuo; quindi mentre sono coat-  tive, devono essere al minimo ristrette, precise, determinate.  Le norme morali sono come le pietre ciascuna delle quali  concorre all'erezione dell'edificio; le norme di giustizia sono  come la volta che sta per la mutua cooperazione di tutte le  sue parti non per l'azione isolata delle singole pietre che la  compongono. La natura stessa della giustizia rende inevitabili  gli Stati e i governi, che la conquista e l'usurpazione più che  il consenso fanno sorgere, e che l'azione del tempo e il con-  solidarsi degli interessi finiscono per legittimare La figura di Hume ha un'importanza notevole nella storia  delle idee morali e giuridiche dell'Inghilterra: egli riassume  per molti aspetti il passato e prelude a nuovi indirizzi di pen-  siero. Concorda coU'Hobbes e col Locke nel rilevare il carattere  razionale o convenzionale delle norme di giustizia: con Hutcheson difese la morale del sentimento contro gli Intellettua-  listi : nel ridurre al minimo l'azione dello Stato, nel restringere  la giustizia alla difesa della proprietà egli subì l'influenza  dell'individualismo dominante all'epoca sua in Inghilterra:  nell'importanza data ai concetti della simpatia e dell'utile apri  la via da un lato allo Smith dall'altro lato al Bentham.   Sintomatico per il metodo è il dispregio che Hume ebbe pei  fatti (2), a cui raramente fece ricorso per confermare le sue     (1) Le dottrine etico-giuridiche deU' Hume sono contenute particolar-  mente nei seguenti saggi : 1) e An inquiry concerning the principles of  morals »; 2) « Of the origin of goyerument »; 3) « That polìtìcs may be  reduced to a scìence »; 4) « Of the first principles of government »; 5) « Of  the originai contract ».   (2) Questa è la ragione per la quale THume fu ingiustamente severo  nel giudicare Bacone* Cfr. Ektory ofEngland, Lond» 1789 t« vi, p. 194-19d«   ai quali ad ogni modo riservò un posto secondario e  aato alle idee. L'eccezionale acume e potenza d'intel-  rmise all'Hume di intuire il vero, e di trarre da' suoi  lì conseguenze non contradette dai fatti (1): per lui la   la religione, il diritto hanno un corso naturale, che  me solo può determinare, e che spesso contraddice alla  storica (2): determinare questo corso ideale delle cose  Ito precipuo della filosofia.   - L'analisi dei sentimenti in quanto sono stimoli all'o-  umano fu con larghezza e originalità di vedute conti-  la un terzo grande pensatore scozzese. Adamo Smith,  isse con metodo deduttivo tutta la sua dottrina eco-  dall'esame dei sentimenti egoistici, cosi come fece dei  inti altruistici o simpatici la base della vita morale.  > oeconomicus da un lato, l'homo eihicus dall'altro  secondo lo Smith, a movente dell'azione sentimenti   Moral sentiments e Wealih of nations anziché con-  5i, come vogliono alcuni, si completano a vicenda e  )no due esempi insuperabili di astrazione psicologica  a con logica geniale e rigorosa (3).  mpatia è un sentimento originario e irreducibile dei-  associato. Essa consiste in un accordo di sentimenti,  accordo ha luogo in noi, quando i sentimenti che  agnano l'azione nostra si accordano coi sentimenti di  30sto spettatore imparziale, che si erige a giudice in     provano le sne affermazioni geniali e confermate dagli stadi pò-  iiU' origine deUe religioni e dei governi, sulla condizione deU'uomo  1^ sai fenomeni economici ecc.   a deUe opere pili originali di Hume è The naturai history of re*  cui arriva alla conclusione vera che il politeismo ha preceduto  n monoteismo : la prova però che ne dà è essenzialmente teorica  ca.   le osservazioni del BUckle, Op. cit. e. xx, sul metodo seguito  th, e sui caratteri della sua filosofìa. Cfr. anche Lange, Histoire  aliarne f Paris, 1879, Voi. ii, p. 684-685. Lo Smith pubblicò The   moral sentiinente nel 1759 e nel 1776 pubblicò Wealth of nations. 'i«^r:     noi di noi stessi ; ha luogo fuori di noi quando il nostro sen-  timento si accorda coi motivi e col l'intenzione dell'agente da  un lato, coi sentimenti della persona che è termine dell'azione  dall'altro (1). L'Hume fece scaturire la simpatia dalla consi-  derazione degli effetti utili e piacevoli dell'azione : non tenne  conto dello stato emotivo proprio di chi compie l'azione e di  chi la riceve. Lo Smith più che agli effetti esteriori dell'azione  rivolse la sua attenzione al sustrato psicologico dell'azione  stessa, e distinse nettamente la simpatia diretta o soggettiva  coi motivi e l'intenzione dell'agente, la simpatia indiretta o  oggettiva collo stato d'animo della persona a cui l'azione si  riferisce. Dire che un'azione è conveniente o sconveniente,  buona o cattiva, significa solo simpatizzare o non simpatizzare  colla causa o coi motivi che determinarono l'agente a com-  pierla. Questo senso di simpatia diretto che nel giudicare  l'azione nostra o di altri jion tien conto delle conseguenze  dell'azione, ma dell'accordo di sentimenti di chi giudica im-  parzialmente l'azione e di chi la compie costituisce il dominio  proprio della morale (2).   46. — Il fondamento psicologico della giustizia, che Hume .  aveva disconosciuto facendo della giustizia opera esclusiva  della riflessione e della ragione, deve ricercarsi nella simpatia  indiretta o oggettiva, cioè nella simpatia che nasce dalla cor-  rispondenza coi sentimenti di chi è termine dell'azione.   L'azione benefica o dannosa fa simpatizzare col beneficato  col danneggiato e desta in questi e negli spettatori impar-  ziali un senso di gratitudine o di risentimento verso l'autore.  In questo impulso retributivo, in questo stimolo al contrac-  cambio, che dalla persona interessata si diffonde a quanti  contemplano imparzialmente l'azione, noi troviamo la ragion  d'essere del merito e del demerito, del premio e della pena,   Cfr. Theory ecc., Parte i, Seo. i, e. i.   (2) Lo Smith tratta della simpatia diretta o soggettiva nella Parte t  dell'opera sua; in occasione dei giudizi sulla proprietà delle azioni. ^^"^i^mm     erio per distinguere le azioni beneficile é le  Le manifestazioni della beneficenza sono posi-  mo limite nella loro esplicazione: il senso di  lanifesta sopratutto negativamente quando cioè  )voca la reazione e la pena. Le azioni che non  danno né vantaggio, che non meritano né premio  destano né simpatia né antipatia, o in altre pa-  Ltudine né risentimento, costituiscono la classe  giuste, in quanto rivelano in chi le compie il  intimento di giustizia, ma non l'animo disposto   1).   Smith che il senso naturale di simpatia può  ,to (2). Non sempre noi siamo in condizione di  idici imparziali e sereni delle nostre azioni: le  itutto tendono a corrompere il nostro giudizio e  Lizzare con motivi d'azione non degni di appro-  ?o canto nel giudicare le azioni da altri compiute,  3re tratti in inganno dai risultati meramente  ?imii dell'azione, dall'utile o dal piacere che ne  are. Non é a credere che lo Smith disconosca  li questi elementi estrinseci dell'azione: é prov-  e l'utile e il piacere da un lato, il successo  tino simpatia, e costituiscano un criterio pratico  ila bontà dell'azione: ma tali elementi devono  lostri giudizii, nel regolare la simpatia un posto  secondario (3).   re la serenità e imparzialità dei nostri giudizii  e il demerito dell'azione, si rendono pratica-     )atia oggettiva lo Smith tratta nella Parte ii Op. cit. in  itinieuto di merito o demerito deUe azioni. Sui rapporti  ) giustizia y. Op. cit. parte ii, sec. ii^ e. 1-3.  ò del traviamento del senso di simpatia, cfì*. parte ii,  parte in, e. 4.  3naa dell'utilità sul sentimento di approvazione, v. Op«  -8à -   inente indispensabili norme generali direttive. Queste norme,  che resp3rienza ripetuta, non l'intuizione, ha suggerito, si  presentano con caratteri e natura diversa, secondochè ten-  dono a regolare i'esplicarsi dell'attività benefica, oppure sono  dirette a impedire le lesioni del senso di giustizia: le une non  escono dal campo della morale, le altre hanno carattere pro-  priamente giuridico.   La natura della beneficenza è tale che non si presta  ad essere ridotta in formole precise e minute : il suo campo  è illimitato, opperò la norma che ne regola l'esplicazione  non può che esser vaga e indeterminata. D'altro canto il  carattere negativo della giustizia, ne restringe il campo di  esplicazione : le sue norme segnano i confini oltre i quali l'at-  tività dell'individuo, esplicandosi, lede il senso della giustizia:  pertanto devono essere precise, chiare determinate. Per ser-  virmi del paragone dello Smith, le norme di giustizia sono  come le regole di grammatica, poche, precise, determinate: le  norme di beneficenza hanno l'indeterminatezza e l'elasticità  propria delle regole del bello scrivere che ninno può precisare  e costringere in poche formole.   L'osservanza delle norme generali, sieno esse di beneficenza  di giustizia, è condizione di benessere e di sicurezza sociale.  Ma nulla è più contrario alla natura della beneficenza della  coazione: essa vive di libertà, di spontaneità. Per quanto  possa desiderarsi che i vincoli sociali traggano forza e con-  sistenza dall' affetto e dalla mutua assistenza, l'esercizio delle  virtù benevole può consigliarsi ma non coattivamente imporsi.  Ma se l'osservanza delle norme di beneficenza è condizione di  perfezionamento e di prosperità della vita sociale, l'osservanza  delle norme di giustizia è condizione di esistenza: la vita  sociale è possibile anche se i rapporti tra i suoi membri, a  somiglianza dei rapporti che sorgono tra i membri di una so-  cietà commerciale, non sono regolati dalla beneficenza, ma da  mere considerazioni di interesse: ma senza le norme della  giustizia si rende inevitabile la dissoluzione sociale, Che se sj  tien conto della naturale debolezza dei vincoli sociali di fronte  alla forza degli stimoli egoistici, si comprende come solo colla  coazione e con un ben regolato sistema di pene si può garan-  tire l'osservanza delle norme di giustizia, che rappresentano il  minimum di sacrificio individuale che la vita sociale richiede  per sussistere. Nei rapporti colla vita sociale, dice lo Smith,  lo norme di giustizia stanno alle norme di beneficenza, come  in un edificio il muro maestro sta alle decorazioni (1).   Mostrò peraltro lo Smith di avere della giustizia un concetto  non esclusivamente negativo : egli osserva che nello stato di  natura, cioè anteriore alla società costituita civilmente, tutti  essendo eguali, la giustizia non può avere che un significato  s erettamente negativo: ma nelle società civili in cui abbiamo  distinzioni di classi, in cui abbiamo superiori e inferiori, l'a-  zione dei governanti non deve solo esplicarsi nel senso di  impedire Vivjuria, ma deve promuovere la prosperità morale  dolio Stato imponendo norme positive di vera beneficenza. Se-  nonchè, osserva giustamente lo Smith, l'azione del legislatore  nel campo riservato alla beneficenza, quando non sia prudente  . e illuminato, costituisce un grave pericolo per la libertà, la  sicurezza, la giustizia (2).   Rimprovera lo Smith agli antichi di avere esteso l'indeter-  minatezza propria delle norme morali alle norme riferentisi  alla giustizia. Nel difetto opposto incorsero^ i casuisti medio-  evali nello sforzo fatto di sottoporre a regole minute e compli-  cate tutti gli atti della vita morale e giuridica degli individui.  I cultori del diritto naturale nel determinare le norme da im-  porsi coattivamente invasero bene spesso il campo riservato  alla morale. In tutti lo Smith nota la deplorevole coufusione  tra norme morali e giuridiche, il disconoscimento dei criteri  coi quali le une e le altre devono essere stabilite. Ammette  (1) Cfr. suU' origine delle norme morali, op. cit.. Parte III, e. 4 : sai  caratteri di tali norme, sui rapporti tra norme di beneficenza e di giustizia:  op» cit., Parte III, e. 5-6.   (8) Cfr, Op. cit., Parte II, Seo. II, o. 1. - &1 -^   atìcóra lo Smith la ragiofle d'essere del diritto naturale, ÓSàia  di un complesso di norme generali e costanti, capaci di fornire  una meta ideale alle leggi positive (1). .   La dottrina dello Smith è un capolavoro di analisi psico-  logica condotta con metodo deduttivo. Per la prima volta ve-  diamo la questione dei rapporti tra morale e diritto risolta al  lume della psicologia. L'aver fatto astrazione dagli elementi  egoistici concorrenti nell'operare umano, giovò a mettere in  rilievo gli elementi altruistici o simpatici, di cui vivono sopra-  ttutto i rapporti morali e sociali, ma giustificò l'accusa di unila-  teralità opposta alla sua dottrina. L'analisi della simpatia ne  avrebbe certo allargato la base, non essendovi dubbio che a  costituire la simpatia concorrono pure elementi egoistici. Ma  il difetto maggiore della teoria dello Smith, difetto che nel de-  terminare 1 rapporti tra morale e diritto si rende più evidente, è  l'assoluta mancanza della veduta storica, la quale se non poteva  distruggere le sue affermazioni psicologiche, avrebbe giovato  certamente à completarle e ad estenderle.   47. — Il progresso delle scienze morali dall'Hobbes allo Smith  fu sotto ogni riguardo notevole : esso fu parallelo alla trasfor-  mazione economica, politica, religiosa che in Inghilterra si  andò attuando nei secoli XVII e XVIII. Hobbes e Locke inte-  sero sopratutto a emancipare le scienze morali dalla teologia  e trovare loro un fondamento nuovo : al principio divino con-  siderato dalla filosofia tradizionale come fonte di moralità,  l'uno sostituì la volontà del principe, l'altro la legge di na-  tura, elaborata dalla coscienza popolare e che si concreta in  legge civile e in legge del costume. I filosofi scozzesi affer-  marono il fondamento psicologico delle scienze morali, deri-  vandole dal senso morale e dalla simpatia. Ad essi dobbiamo  i primi tentativi fatti per distinguere la morale dal diritto.     (1 Notevole a questo riguardo la Sez. IV, Parte VII, Op. cit., circa  i metodi seguiti dai diversi scrittori nel determinare le norme pratiche  di moralità.  Hobbes e Locke non intesero l'importanza teorica e pira-  tica di tale distinzione.   Le condizioni economiche e politiche dell'Inghilterra richia-  marono su di essa l'attenzione. L'invasione dello Stato o meglio  del principe nel campo riservato alla moralità, cosi come nel  campo dei rapporti economici, era norma dominante nel se-  colo XVIL La riforma protestante, lungi dallo scuotere, aveva  riaffermato tale principio. L'autorità civile in Inghilterra as-  serviva a sé la religione, mentre in Scozia ne era asservita.  In entrambi i casi il risultato era identico, il disconoscimento  (li ogni distinzione tra norme morali e giuridiche. Il movi-  mento individualista che si diffuse in Inghilterra nei secoli  XVII e XVIII rappresenta la reazione contro le indebite in-  gerenze dello Stato nei rapporti economici, religiosi e morali,  la difesa di ciò che parve patrimonio intangibile dell'indi-  viduo. La discussione circa i limiti del potere dello Stato nei  suoi rapporti coll'individuo, doveva teoricamente presentarsi  come questione concernente i rapporti tra morale e diritto,  e cosi fu intesa e trattata dall' Hume e dallo Smith. L'Hume  fa aperto avversario dell'invasione dello Stato nel campo dei  rapporti non solo economici, ma anche morali: secondo lui  l'azione dello Stato non deve esplicarsi che negativamente  e solo a difesa della proprietà, alla quale riduceva il con-  tenuto del diritto. A questo poi negava ogni origine psi-  cologica, limitandosi a giustificarne l'esistenza dal punto di  vista razionale e della necessità sociale. Lo Smith con veduta  più larga e scientifica ricerca nella natura stessa dell'uomo  un criterio di distinzione tra morale e diritto : Vimpulso re-  tributivo mentre provoca il senso di gratitudine verso l'azione  benevola, giustifica psicologicamente la reazione verso l'azione  ingiusta: né deve, secondo lui, l'azione dello Stato manife-  starsi in senso esclusivamente negativo, ma deve in deter-  minate circostanze, per quanto cautamente e colle dovute ga-  ranzie, potersi estendere a favorire il progresso morale. Se-  nonchò la storia posteriore delle scienze morali abbandona  l'indirizzo psicologico perfezionato dallo Smith, per riattaccar  all'Hume, il quale, avendo posto a criterio misuratore del bei  e del male, del giusto e dell'ingiusto il concetto dell' util  schiudeva la via a Bentham e all'indirizzo utilitarista. Ti  le cause di tale arresto devesi ricordare il metodo deduttr  seguito dallo Smith nell'indagine psicologica, metodo che i  chiedeva qualità personali di astrazione e di sintesi, poss  dute in grado eminente dallo Smith, ma non facili a riscoi  trarsi in altri. Si aggiunga che alle esigenze della prati-  parve meglio rispondere il criterio oggettivo dell'utile, ci  teneva conto delle conseguenze dell'azione, che non i crite  soggettivi fondati sui moventi psicologici o interiori dell'azioE  Che se la dottrina morale dello Smith per tali ragioni non e  venne popolare, ed esercitò scarsa influenza all'epoca sua  confronto alla dottrina utilitaria, essa però al risorgere de^  studi positivi di psicologia, fu in molte sue parti conferma  e apprezzata al suo giusto valore.   Che se vogliamo stabilire un parallelo tra la scuola d  diritto naturale in Germania, e quella empirica inglese in o  dine alla questione dei rapporti tra morale e diritto, noi tr  veremo che in entrambi i paesi essa fu provocata dalla n  cessità di difendere l'individuo contro l'ingerenza dello Sta  in materia di morale e di religione. Il movimento culmina  Germania col Thomasius, in Inghilterra con Hume e Smitl  senonchè là le resistenze furono maggiori, la questione fu sopr  tutto sollevata e con grande calore discussa dai giureconsu!  allo scopo di salvaguardare la libertà morale e religiosa, ment  irf Inghilterra l'invasione dello Stato fu sopratutto combattu  in favore della libertà economica. Ad ogni modo il risulta  finale fu in entrambi i paesi di mettere in rilievo l'import an:  teorica e pratica della questione.  §5.  Vlf>^itlxzo cmtt^mimtio ideile sclei^ze ff|otall.   SOmiABIO : 4& CftrtMlo • Tepoca ioa - 49. Cutesio • 1« loianM morali —  fio. Ma1«branoh« • V indiriuo spiritaalitta-oartMÌano nella soienae morali —  61. L'Olanda a il iitama atico-ciuridioo di Spinosa S2. Le oondiaioni poli-  tloha rali^oM dalla Qar mania nal leoolo XV^II La dottrina etico-  giuridica di Leibnia L'opera metodica del Wolff Parallelo tra  l'indiriaio flloeoflco e ginridico nelle loienae morali.   Chiunque voglia ricercare le origini prossime dei  metodi e indirizzi diversi che si riscontrano nel campo delle  scienze morali dell'età moderna, deve risalire al secolo XVII  e precisamente ai tre paesi che di tali indirizzi furono i  centri di origine e di sviluppo: l'Olanda, l'Inghilterra, la  Francia. Dove la riforma religiosa gettò più profonde radici,  dove le mutate condizioni economiche affrettarono l'avvento  dello Stato moderno, ivi si svolse vivace l'opposizione allo  spirito teologico, e le questioni d' indole morale e politica sor-  sero numerose e insistenti. La Riforma non impedi anzi per  molti riguardi accentuò V intransigenza religiosa (1): le guerre  religiose divamparono ovunque con questo solo risultato di  rendere necessario l'intervento spregiudicato dello Stato, e  di far sentire il bisogno di dottrine politiche e giuridiche  dapprima, morali poi, indipendenti da ogni presupposto Teli-  gioso. Col comporsi delle questioni religiose l'attenzione fu  rivolta allo Stato e ai rapporti sorgenti tra Stato e individuo:  gli interessi morali e giuridici vennero per tal modo ad oc-  cupare il primo posto.   Questo processo storico, comune a tutti i paesi nei quali  penetrò la Riforma, si manifestò prima che altrove in Olanda,  Inghilterra, Francia: in questi paesi abbiamo con Grozio, con  Bacone, con Cartesio i fondatori dei nuovi indirizzi di pen-  siero, dei quali alcuni, come quelli di Grozio e di Hobbes     (l) Cfr. Ifuffini, Op. cit. I, e. 1, J 5,  * «n^;v;^r--jV' "   farono direttamente determinati dalla necessità di trovare un  fondamento nuovo alle sciènze morali, mentre quelli di Bacone  e di Cartesio, mirando a un generale rinnovamento del metodo  e del sapere jOilosofico, solo indirettamente sovvertirono le basi  ti'adizionali delle scienze morali.   La Francia in particolare fu per oltre quarant'anni teatro  di sanguinose lotte religiose: la vita politica e intellettuale  del paese parve subire un arresto: più che la forza dell'armi  valse a predisporre gM animi alla conciliazione e alla tolle-  ranza lo scetticismo morale e religioso, che s' impadroni degli  animi stanchi e disillusi, e che rappresenta la reazione inerte  del buon senso, dello spirito laico e liberale contro il dogma-  tismo religioso, cattolico e protestante. Privo di ogni carat-  tere scientifico e ricostruttivo, tale scetticismo scaturiva dalla  impotenza, dalla sfiducia nella capacità intellettiva, e si svolse  sopratutto nel campo pratico per opera di quei cattolici mo-  derati, chiamati i Politici che formatisi tra l'intemperanza  e l'intransigenza dei partiti, furono efllcaci cooperatori della  politica illuminata e tollerante di Enrico IV. Rappresentanti  di questo scetticismo pratico e popolare furono il Montaigne  e lo Charron : essi non si fecero banditori di metodi e sistemi  nuovi, ma entrambi, e sopratutto lo Charron in forma garbata  si fecero a sostenere principii che in quell'epoca dovevano  sembrare rivoluzionarli, quali ad esempio che l'errore reli-  gioso non costituisce reato, che le opinioni religiose sono il  prodotto dell'abitudine, che le differenze che dividono intorno  ad esse gli uomini sono puramente formali, che è possibile la  morale senza il fondamento religioso. L'aver fatto buon viso  a quéste idee, l'esser stati i loro autori letti e apprezzati  prova non tanto che i tempi erano maturi per accogliere tali  principii, che lo spirito irreligioso e l'ateismo fossero diff*usi,  quanto piuttosto la stanchezza e l'impotenza degli animi a  reagire contro il diffondersi di tali idee che trovavano nella  storia dolorosa e recente qualche conferma. Ad ogni modo se  tala scetticismo non ebbe alcuna importanza teorica, ne ebbe     D     'VlOTQH     una grande pratica: esso preparò quello stato degli animi che  ;e possibile il trionfo di Enrico IV, l'Editto di Nantes, e  a politica inspirata non agli interessi religiosi, ma civili e  itici del paese. La politica di Enrico IV fu elevata a sa-  mie sistema dal Richelieu, di cui fu meta costante T inte-  nse dello Stato inteso come espressione dell'unità nazionale  'interno, come preminenza assoluta di fronte all'estero,  olto da ogni preoccupazione di classe, di religione, di mo-  e, umiliando all'uopo la nobiltà, reprimendo i tentativi di  lellione dei protestanti, facendo della tolleranza la base  ila politica. Al Richelieu deve la Francia nel secolo XVII  sua grandezza politica, il consolidamento dell'unità hazio-  le, il risveglio intellettuale. Ed è degno di nota che proprio  andò la politica del Richelieu aveva toccato il massimo  iluppo, appariva il « Discorso sul metodo » di Descartes, de-  nato a produrre nel campo filosofico effetti analoghi a quelli  eseguiti dal Richelieu nel campo della politica. Il successo  e l'opera di Cartesio incontrò in Fi*ancia, quando l'eco delle  te religiose non era ancor spenta, dimostra il progresso delle  je; al dubbio pratico sterile e vano sottentrava il dubbio  iagatore e scientifico L'influenza di Cartesio nella storia delle scienze  >rali supera per molti riguardi quella pur tanto notevole  ircitata da Grozio e da Bacone. A tutti fu comune l'av-  rsione verso i metodi e i sistemi tradizionali e teologici;  L se Grozio fu sopratutto preoccupato di sottrarre alla in-  enza della religione il fondamento del diritto e contrappose  metodo teologico il metodo storico-razionale che alla so-  done delle controversie giuridiche mostravasi particolar-  jnte adatto, Bacone, fatto audace dai progressi mirabili  Ila scienza, fu condotto a proclamare la generale trasfor     1) Cfr. suUe vicende religiose in Francia il Kuffini, Op. cit., I,  [V, § 15. — Sulle condizioni storiche deUa Francia U Bnckle, Op. cit.,  Viil# mazione ^el sapere filosofico e scientifico, sulla  plicazione del metodo induttivo. Ma quel dualism  e materia che costituiva l'essenza della filosofia  e che Bacone aveva attenuato nell'unità del met(  risorge per opera di Cartesio, la òui dottrina se  della metafisica manifesta evidente la tendenza  lismo, cioè verso l'unità di tutte le cose nello sp  mantiene netta la distinzione tra materia estesa  appare essenzialmente dualistica nel metodo e nel (   L'aver accentuato questo dualismo permise a Ci  ad altri del suo secolo, di essere ad un tempo file  ziato: a tale dualismo provvidenziale devesi se (  volando sul rapporto" tra il mondo psichico e il  rale potè trattare con metodo soggettivo i fatt  accogliere nello studio della natura un metodo  duttivo, che si avvicina assai più di quello di Bz  processo seguito da chi studia la natura (2). Secc  la causalità domina sovrana nella natura fisica (  questa esula ogni .concetto di finalità: tutto v  forza di proprietà immanenti nei corpi e secondi  riabili, che la scienza deve determinare non eh  particolare al generale, come proponeva Bacone,  tosto alle cause reali dei fenomeni, ma piuttostc  corso ad ipotesi da controllarsi coU'esperienza (:   L'originalità e l'importanza di Cartesio più eh  delle indagini scientifiche, si esplicò sopratutto ne     (1) Cfr. La vi osa, Filosofia scientifica del diritto in Tngh  Claiison, 1897, p. 7.   (2) L'osservazioue e la denomiuazione di metodo ipotet  del La Ugo, Histoire du matérialismef Paris, 1877, Voi. I,  mazioiitì dui Lauge è vera e trova couferma in alcaui pai  sul Metodo; ma dove completarsi col metter in rilievo il  diverso che lo stesso Cartesio proponeva per lo stadio dt  e che i>nò considerarsi psicologìco-deduttivo.   (3) Sotto questo aspetto Cartesio cooperò efficacemente  materialismo. Cfr. Lange, Op. cit., Voi. I, p. 222 e seg      -   sofico. Le scienze dello spirito, di cui le scienze morali erano  parte integrante, all'epoca di Cartesio continuavano a mante-  nere stretti legami colla teologia. In questa parte Bacone fu  e rimase per lungo tempo nell'Inghilterra stessa un solitario.  K La filosofia che si svolse in Inghilterra sulle traccio di Hob-   bes, con tendenze essenzialmente pratiche, rifletteva troppo  / strettamente il carattere e le speciali condizioni politiche e   k religiose del popolo inglese per incontrare favore sul conti-    Spinoza riasHUiue hi dottrina cartesiana relativa al nirofoii(la che egli faceva tra il mondo delle idee e il mondo dei fatli. La quarta pai-te mpie in virtù  di sentimenti che il desiderio della vita ossia il desiderio a  perseverare nell'essere fa nascere: la nozione del male e del  bene sta nella tristezza o nella gioia che accompagna il desi-  derio contrastato o soddisfatto: questo stato psicologico unito  all'esperienza genera per gradi la nostra scienza e costituisce  la causa vera del progresso morale. E coli' elevazione morale  dell'uomo va di conserva la sua elevazione intellettuale. A  misura che l'uomo si fa libero cioè obbedisce alle determina-  zioni del suo proprio essere all' infuori dell'azione degli agenti  esterni, la visione dei rapporti delle cose in Dio si fa sempre  più adeguata, finché al sommo dell'evoluzione verità e virtù  si confondono nell'amore intellettuale di Dio, sintesi della mo-  ralità, della conoscenza, della felicità.   La dottrina di Spinoza segna un progresso reale e decisivo  nella storia delle scienze morali : essa costituisce il punto di  partenza di tutti gli indirizzi di pensiero che si delinearono  nella filosofia posteriore. L'indirizzo intellettualista che vo-  leva regolata la condotta su verità eterne, immutabili stabi-  lite dalla ragione, lo spiritualismo che poneva il fondamento  della vita morale in Dio, l'empirismo edonista e utilitario che  ricercava nell'uomo la tendenza affettiva sul cui predominio  doveva elevarsi la morale, tutti si riscontrano sapientemente  coordinati nella dottrina di Spinoza in virtù del negato dua-  lismo tra spirito e materia. La sua morale si svolge nell'uomo  stesso mediante un progressivo e autonomo perfezionamento  della natura umana che non contemporaneamente ma successi-  vamente é sentimento e ragione, necessitata e libera, egoistica  e altr teistica. Facendo 4el sentimento Jo stimolo cì\e sospinge   Tuomo a sublimarsi, a spiritualizzarsi, a' conoscere il pQsto  che occupa nel gran mare dell'essere, Spinoza evitò Terrore  fondamentale del razionalismo.   Spinoza fonda l'etica sull'egoismo, né parla di tendenze psi-  cologiche di carattere sociale: a questo riguardo subì l'influenza  dell'individualismo dell'epoca. Come per Hobbes e per Male-  branche cosi anche per lo Spinoza l'unione sociale è qualcosa  di secondario: l'uomo è un modo% di Dio, non è una cellula  dell'organismo sociale: la beneficenza attiva, le tendenze so-  ciali hanno valore subordinato alla personalità dell'individuo:  il determinarsi nell'operare da considerazioni altruistiche e  simpatiche significa rendersi schiavo di emozioni passive, e  trascurare quel perfezionamento interiore, su cui sopratutto  si fonda la vita morale. Ma individualismo e utilitarismo non  significano per Spinoza oppressione del prossimo, sete di van-  taggi esteriori: l'egoismo illuminato e sapiente si identifica  coll'altruismo: il vero utile è solo ciò che è razionale.   Da ultimo^ facendo l'uomo capace di elevarsi a Dio e di vi-  vere della vita stessa di Dio, Spinoza diede alla morale un  carattere profondamente religioso: l'individuo al sommo della  evoluzione intellettuale e morale si assorbe nella contempla-  zione di Dio. Per lui come per Malebranche l'assorbimento  dell'uomo in Dio è indice di perfezione e di scienza. Ma mentre  Dio per Malebranche è un principio vivo e reale che agisce  direttamente e attivamente sull'uomo, per Spinoza è un prin-  cipio razionale indeterminato, che risponde a esigenze razio-  nali. Il panteismo di Spinoza è geometrico, quello del Male-  branche è sentimentale. La religione di Spinoza è privilegio  di poche nature elette, capaci di abbracciare i profondi rap-  porti che legano Dio all'uomo: quella di Malebranche era pur  sempre la religione tradizionale e popolare nutrita di fede e  di amore, fondata sulle audaci e immediate intuizioni del  sentimento (1).     (1) Cfr. Jodl, Op. cìt., Voi, I. e. 10, 34 Abs., § 2; 4 Abs, ove tfatt^     -   sicurezza : per forza di cose sì forma sopra il diritto naturale  e il potere dei singoli, un potere e un diritto collettivo o ci-  vile, colla funzione speciale di mantenere tutti nella sfera del  diritto e di garantirne l'esercizio. Il potere collettivo, una  volta sorto, si organizza, diventa Stato e si svolge per^ gradi  secondo le tendenze proprie di ogni essere. Con una conce-  zione ancora inadeguata de' suoi scopi e delle sue funzioni,  nella necessità di affermarsi contro la prepotenza delle pas-  sioni individuali, lo Stato deve dapprima necessariamente  assumere forma dispotica : esso concentra in sé tutti i diritti,  regola con le sue norme le manifestazioni della vita politica,  intellettuale, morale e religiosa degli individui, eccede nella  sua azione ogni limite razionale. Ma il dispotismo, come già-  l'anarchia primitiva, trova in sé stesso rimedio. Esso ri-  sponde ad una condizione di cose necessaria ma transitoria:  unica forma di governo possibile quando si deve opporre la  violenza della repressione alla violenza delle passioni, esso  diventa, a misura che la coscienza di sé si risveglia nell'in-  dividuo, uno strumento sempre più debole e pericoloso di go-  verno (1). Lo Stato non può a lungo contare sull'obbedienza  puramente esteriore degli atti, quando ad essa si accompagna  la ribellione interna dei sentimenti. Epperò il passaggio dal  dispotismo a un sistema liberale di governo, diventa condi-  zione di vita e di durata per il potere sociale e si concreta  nella lotta per la graduale emancipazione dell'individuo dalla  tutela dello Stato, ossia per la graduale differenziazione tra  i diritti naturali e soggettivi da un lato, di esclusiva spettanza  dell'individuo, in ordine ai quali l'azione dello Stato non può  essere che negativa, e deve limitarsi a garantirne la libera     (1) Ad. Menzel, MaohiavelU-Studien in Zeitacrift fUr das Privai und  offent. Bechi (Voi. XXIX, fas. 3-4) tratta dei rapporti e analogie tra Ma-  chiaveUi e Spinoza. Questi cita lo storico fiorentino dae volte (Trac, poli-  Ucu8^ e. V, § 7 e Ct X, § 1) e mQstr^ di t^i^^^^lo ^^ grande consjd^razio^e,   iiritti oggettivi dairaltro costituenti la poten-  tto proprio dello Stato e che diventano per Tin-  a osservarsi nell'interesse collettivo. In Spinoza  mente espresso il concetto che lo Stato deve  sua azione di ogni considerazione di carattere  ISO (1). Qualunque riserva altri possa fare circa  ntendere il diritto naturale (2), non vi è dubbio  '0 filosofo seppe come Spinoza affermare con  diritti del pensiero e della coscienza indivi-  allo Stato. Nella dottrina sua politica si sente  >tta che l'individuo moderno doveva sostenere  patrimonio sacro de' suoi diritti naturali, cioè  che riflettono l'esplicazione della sua perso-  contro le usurpazioni del dispotismo. Più di  non solo intese ma vivamente senti il rapporto  'a morale e diritto, il quale rientrava nel con-  > tra individuo e Stato, contrasto che fu per  nello che era stato per il Medio Evo il con-  sa e Impero. L'ideale politico di Spinoza era  rmonica dell'individuo collo Stato, dell' inte-  ri pubblico, della libertà morale colla libertà  :ione morale nell'individuo, l'evoluzione poli-  devono procedere concordi e integrarsi reci- regressivo riconoscimento da parte dello Stato  'ali, corrisponde nell'individuo una coscienza  ^ dell'interesse pubblico e una sottomissione  itanea e incondizionata alla volontà sociale,  odo gradualmente delineando quello stato di  'azione delle parti nel tutto infinito, che si     teol. pol.y e. XVIII e xx. — Cfr. Raffini, Op. cit.,   Storia della filosofia del diritto (tradazione Conforti, To-  II, Sez. I, p. 114. — Lor minio r, Philoao^hie du dvQitf  bro IV, § 7,    r     fili ijijj - U H^^     - li?-  presentava dapprima come una fanta:  gione umana (1).   La teoria teocratica del diritto di^  di Hobbes, la teoria del contratto so(  fendorf rientrano nella concezione spi  che nel suo sistema la potenza e qui]  partecipa della potenza infinita, ossi  che si genera, secondo Hobbes, dallo  sione e di guerra, secondo lo Spinoza  principio della evoluzione morale e se  la tendenza alla vita sociale sia con  tendenza a vivere, si può ben parlare  tratto tacito e spontaneo, inteso a re^  dividui e Stato, che sono poi i rappc  e giuridica. La logica dei fatti dove  delle idee: nessun altro sistema filosofi  trovò nella realtà storica tanta cor  incontrò la concezione etico- giuridic  nell'età moderna ebbe a lottare per  pregiudizio religioso, e al dispotismo  azioni ai principi di cui si fece soster  nel secolo XVII (2).   52. — Il Cartesianismo dalla Frane  fu alleato del dogma, daH'Olanda, ov  trionfo della ragione autonoma, si di  opera dei Leibniz, ingegno universale  seppe unire Tiramaginazione poetica d  e temperare gli slanci del pensiero C(  tica. Di mezzo al popolo tedesco, di  carattere, le aspirazioni, le condizion  missione, e più di ogni altro concorse a     (1) Cfr. Delbos, Op. cit., e. vir, vni.   (2) Cfr. Delbos, Op. cit., Farteli, ove tn  neU'età moderna. di Stati, ne aveva posto in evidenza l'interna debolezza; tutto  era in essi da riformare e costituire; mancavano i criterii per  regolare i rapporti tra i vari Stati, tra l'autorità civile ed ec-  clesiastica, tra le varte confessioni religiose nello stesso Stato:  sopratutto importava garantire l' individuo, la sua personalità  contro le indebite ingerenze dello Stato e della Chiesa, alleati  a' suoi danni. Gli stessi problemi, le stesse difficoltà accompa-  gnarono ovunque il sorgere degli Stati moderni, e la loro so-  luzione fu compito speciale dei giureconsulti e dei cultori dei  diritto naturale (1).   Grozio in Olanda, Hobbes in Inghilterra avevano elaborato  sistemi etico-giuridici rispondenti alle esigenze razionali del-  l'epoca, e alle tendenze individualiste dei popoli moderni. Pu-  fendorf, conciliando i principi! di entrambi, raccogliendoli a  sistema chiaro e ordinato seppe renderli famigliari e noti in  Germania, dando loro una portata pratica che altrimenti non  avrebbero avuto. La scuola del diritto. naturale soprafatta dalla  filosofia in Olanda, dalla morale in Inghilterra, si svolse ri-  gogliosa in Germania, ove mantenne più a lungo il suo carat-  tere originario, e per oltre un secolo prevalse sopra ogni altro  indirizzo di pensiero: assorta a dignità di scienza sociale, e  politica essa forni le armi all'individuo in lotta contro il dispo-  tismo dello Stato e. della Chiesa ufficiale, per rivendicare le  sue libertà politiche e civili, religiose e morali. La questione  della libertà religiosa, quella dei rapporti tra morale e diritto,  altrove trattate da .filosofi, da moralisti, o da teologi, furono  in Germania discusse dai giuristi, come quelle che erano con-  siderate questioni essenzialmente giuridiche, che rientravano     (1) Sai Damerò e attività dei giarecoasalti pratici e filologi io OteV"  mania nel secolo XVII cfr. R. Stintzìug, Geachichte der deutechen Reohu  swi88en8ohaftf Mtiuchen - Leipzig, 1880, ove però nessana parte è fatta ai  enitori del diritto natarale. Sotto qaesto aspetto, e per la giarispradenza  tedesca del secolo XVIII è da consaltarsi la contìanazione dell'opera dello  Stinzing fotta da E. Landsberg ohe pubblicò nel 1898 il volome teraso  e quarto.      —   nelle questioni più larghe dei rapporti tra Chiesa é autorità  civile da un lato, tra individuo e Stato dall'altro. E mentre i  Pietisti rappresentavano la protesta del sentimento contro le  abitudini ufficiali ed esteriori della Chiesa, nonché contro  l'esclusione della comunità dei fedeli dal governo della mede-  sima, i giuristi, giovandosi della logica giuridica, prepararono  il trionfo della libertà religiosa e di coscienza, contrapponendo  da un lato al sistema episcopale il sistema territoriale^ che  limitava i poteri del sovrano al governo esteriore della Chiesa,  contrapponendo dall'altra alla varietà discorde delle confes-  sioni religiose, il concetto unitario di una religione naturale,  sulla base di pochi dogmi di carattere morale, da tutti facil-  mente accettabili (1). D'altro canto la distinzione tra forum  internum ed externuìn elaborata dalla scuola del diritto na-  turale, offriva un criterio empirico, ma praticamente oppor-  tuno per separare la sfera giuridica da quella morale e regolare  i rapporti tra individui e Stato.   53. — Per opera dei cultori del diritto naturale e dei Pie-  tisti il movimento in favore delia libertà si era diffuso in  Germania, destando le latenti energie del popolo, avviandolo  per vie nuove verso nuovi ideali (2j. Ad agevolare l'opera del  progresso, ad assicurarne i risultati concorse efficacemente il  Leibniz, a cui l'universalità e profondità dell'ingegno, i lunghi  viaggi compiuti in Francia, in Inghilterra, in ITALIA (3), le  estese relazioni coi dotti e i principi di ogni paese, giovarono  per prender parte attiva a tutte le correnti della vita pubblica e     (1) Cfr. Raffini, Op. cit., p. 232 e seg.   (2) Cfr. quanto da noi fa detto saUa Scuola del diritto naturale in Ger-  mania al § 3.   \ji) n Leibniz soggiornò due anni in Italia (1689-90) e vi conobbe BIANCHINIa Roma,VIVIANI a Firenze, GRANDI a Pisa, MURATORI a  Modena, MALPIGHI a Bologna. Abbiamo lettere scritte da Leibniz al  FardeUa, astronomo e filosofo a Padova, e poi dietro insistenza deUo stesso  Leibniz, nominato professor© di filosofia a Napoli. II FardeUa fu maestro  di Vico. — Cfr. Foucher de Careil, Nouvelles lettrea et opusoulee de  Leibniz, 1857, Introduzione.   dell'attività scientifica del suo tempo, e per farvi partecipa  suo paese. Tutta l'attività veramente prodigiosa di Leibn  costantemente rivolta ad armonizzare le vedute esclusive  dominavano all'epoca sua in politica, in morale, in fìlos  nelle scienze. Egli polemizzò coi Cartesiani per il metodo  Locke pel problema conoscitivo, coi giansenisti e con ^i  branche per questioni teologiche, con Spinoza pe' suoi prin  metafisici ed etici, con Pufendorf sul fondamento del di  naturale. Nell'opera sua filosofica convergono le corrent  pensiero più disparate, e dopo di averne rilevato le coni  dizioni, le esagerazioni, talora le riproduce corrette e :  grate, talora le ripudia ricostruendole su altre basi: se d  iato integra le idee di Cartesio e di Locke sul metodo e si  rigine dell'idee, dall'altra parte contrappone teorie sue prc  ai sistemi di Spinoza e di Pufendorf.   li Leibniz ha stretti vincoli colla corrente teologico-cc  siana che trionfava in Francia con Malebranche: come qi  era credente sincero. A Dio lo portava il senso dell'uni  dell'armonia dell'universo, acuitosi in lui per gli studi  scoperte fatte nel campo delle scienze fisiche e matemati  L'idea di Dio non lo lasciava indilferente, ma lo riempi\  entusiasmo, di gioia serena e tranquilla, gli comunicava  senso schietto e profondo di venerazione e di amore all'in)  e al di sopra di qualsiasi confessione positiva. Il sensc  reale e della vita in tutte le sue forme lo trattenne dal m  cismo e dalle esagerazioni del Pietismo; e mentre in IS  branche teologia e filosofia si compenetrano e quasi si  fondono, in Leibniz procedono parallele e distinte (1).   Nella restaurazione dei diritti della ragione contro i   spregio in cui era tenuta dagli scolastici e dai mistici, Lei   ben può considerarsi successore e continuatore dello sp   . cartesiano: ma allo stesso tempo non crede al contrasto j     (1; Sai rapporti tra Leibniz e MalebraDche cfr. Ollé-Laprunej. da Cartesio tra ragione e fede e vi sostituisce la necessità del-  l'armonia; né partecipa alle esagerazioni dei Cartesiani del-  llepoca sua, che erigevano a dogma l'onnipotenza della ragione  e ripudiavano qualunque altra forma di conoscenza. Epperò  tra il Locke che considerava il senso esterno (sensazione)  integrato dal senso interno (riflessione) fonte di conoscenza  nel campo delle scienze morali e Cartesio che riconosceva  solo l'autorità della ragione, Leibniz si attenne a una via  intermedia, distinguendo il metodo razionale (anaZisis per  S2lium) diretto a disciplinare la ragione, a porla in grado di  sfruttare i dati del senso e dare chiarezza e precisione geo-  metrica alle verità conosciute solo imperfettamente e confu-  samente, — e il metodo naturale (analisis per gradus) che  procede per gradi dal noto all'ignoto, secondo la via offerta  dalla natura stessa, trasformando i problemi semplificandoli,  formulando leggi generali, su cui poter fondare il ragiona-  mento. L'autorità, l'esperienza storica, costituiscono un valido  aiuto per lo studio delle scienze morali, e utile freno alle  astrazioni e alle intemperanze della ragione (1).   In ordine alla dibattuta questione circa l'origine delle idee  che Locke sosteneva acquisite dal senso, i Cartesiani innate  nello spirito chiare e distinte, Leibniz sostiene che non dai  sensi e dall'esperienza solo noi deriviamo le nostre conoscenze.     1     (1) Cfr. God. Guil. Leibnitii opera philosophica quae exMant latina^ gallicaf  germanioa, edidit J. E. Erdmann (Pars prior) 1840. lu uua lettera a un  amico, 1695 (v. Erdmaun, p. 123) il Leibuiz dice,  (Erdmanzi) p. 669)« e I     -126-   e confuse dì Leibniz rispondono alle rappresentazioni adeguate  e inadeguate di Spinoza, e come questi supplisce la conoscenza  mediante Temozione, cosi Leibniz supplisce la rappresenta-  zione mediante lo sforzo, e la rappresentazione chiara mediante  uno sforzo chiaramente conscio che involge la felicità e con-  siste nell'amor di Dio e de' nostri simili. Leibniz facendo  dell'individuo specchio dell'universo e immagine di Dio veniva  a porre a ugual grado l'amor di Dio e del prossimo: e se si  pensa alla impossibilità di esercitare l'amore verso Dio, l'amor  del prossimo diventa sorgente precipua della moralità pra-  tica (1). In ciò veniva a distinguersi da Spinoza e da Male-  branche, i quali, assorti nella divinità, consideravano secon-  darie e derivate le tendenze altruistiche. Ancora distinguono  Leibniz da Spinoza l'ottimismo e l'idea di sviluppo: l'uno  procedeva dalla fiducia illimitata nelle energie inesauribili  della natura umana, l'altra dal considerare la tendenza alla  perfezione, legge fondamentale della natura e dello spirito (2).  Tali caratteri congiunti a un senso vivo di umanità che tra-  spira da tutta la sua concezione etica, spiegano l'influenza  grande che questa esercitò in Germania nel secolo XVIII.   Nel campo del diritto naturale (3) il Leibniz si pose in op-  posizione con Pufendorf, il quale dìscostandosi dalla tradizione  di Grrozio, tendeva a far del diritto l'espressione arbitraria  della volontà di un superiore, anziché derivarlo dai rapporti  eterni inerenti all'ordine naturale delle cose. La distinzione  tra forum internum ed eocternum posta dal Pufendorf per se-     (1) Cfr. Noìiveau eoe, lib. U, o. 20.   (2) Cfr. Nouveaueoc.f lib. II, e. 21.   (3) NeUa parte 3» del tomo IV, dell'edizione delle opere del Leibniz  fatta dal Datens, sono raccolte le piti note opere giuridiche del Leibniz:  ma molti altri scritti di natura giaridica rimangono inediti. L'edizione  pili recente e più completa delle opere del Leibniz è quella curata da  I. Geihardt, t Die phylosophischen Schriften von Leibniz », Berlin,  1875 1900: ma videro la luce solo sette volumi, e le opere giuridìcbe  non sono ancora pubblicate. — Cfr. sulle idee giuridiche del Leibniz il  Landsbefg,  -   era morale dalla giuridica era un criterio dì di-  trinseco e artificiale. Nell'intenzione di Pufendorf  ternum era il campo proprio del diritto naturale,  )rum internum era dominio esclusivo della filo-  sa; con ciò estendeva oltre misura la sfera Mei  ^ale, mentre confondeva la religione colla morale,  [vendica alla filosofia il forum internum, e senza   i diritti della teologia vuol costituita su basi  strina razionale dei doveri interni, ch'egli chiama  :ale: d'altro canto non crede possa limitarsi il  liritto naturale ai rapporti esteriori di condotta,  ne delle obbligazioni verso Dio che si svolgono  della coscienza. Egli rimproverava al Pufendorf  i di attitudini filosofiche, che gli impediva di ri-  ncipii di ragione e derivare da essi la dottrina   diritto (1).   di diritto naturale che formano il contenuto della  nno con le verità etiche comune l'origine e lo  in quanto procedono non dalla volontà (Pufendorf)  iza di Dio (Spinoza) ma dalla sua infinità sapienza   dai rapporti eterni e immutabili inerenti alla   cose, e si riflettono nello spirito confusamente  di intuizioni innate e di tendenze altruistiche, da  )no per gradi sempre più elevati di perfezione la  ;a e la vita sociale. La giustizia è la virtù sociale  za, e di essa è anima la generosità per cui l'uomo  ce di compiere nei rapporti con altri, azioni ra-  e della sua origine divina. Definendo la giustizia  lientis » Leibniz la fa consistere nella benevolenza  ssia nell'abito di provar piacere all'altrui felicità     2k aspra che, contro il suo costume, il Leibniz move al  •ntenuta nei « Monita quaedam ad 8, Pufendorfii principia »  >0. cit.). .  rvationes de principio juris, § 9,     -   sotto la guida della sapienza, che è la scienza della felicità  individuale e sociale (1).   Il diritto ha uno sviluppo parallelo alla vita sociale, e  coU'ampliarsi di questa quello allarga il suo contenuto. Esiste  un diritto positivo e volontario frutto del costume e del volere  dei governanti: esso comprende da un lato il jus civile che  regola la vita interiore di uno Stato, e trae la sua forza da  colui che ha nelle mani il supremo potere, dall'altro il jus  gentium che regola i rapporti tra Stati diversi e si forma per  tacito consenso di popoli. Il diritto volontario o positivo svol-  gendosi tende a modellarsi sul diritto naturale i cui principii  si estendono oltre i limiti di uno Stato particolare per abbrac-  ciare la società del genere umano, e inspirarsi alle esigenze  razionali dell'uomo astrattamente considerato, sciolto dalle  limitazioni di tempo e di luogo, che sono una conseguenza  della sua natura animale. Il diritto naturale concepito dal  Leibniz come una facoltà naturale a cui risponde una neces-  sità morale (dovere, obbligazione) si manifesta sotto tre forme  che ne costituiscono altrettanti gradi di perfezione. Nel pe-  riodo primitivo di sviluppo delle società umane, il diritto si  manifesta nella forma di jus strictum, o di giustizia commu-  nativa che si inspira al precetto: neminem laedere^ precetto  che presuppone l'uguaglianza di tutti gli uomini, e risponde  alle più elementari e imprescindibili condizioni del vivere  sociale. In un grado più elevato di sviluppo sociale, le disu-  guaglianze derivanti dalle attitudini e dai meriti diversi, dalle  distinzioni di classe e di condizione civile, fanno prevalere il  concetto deWaequitaSy q della giustizia distributiva, che in-  spirandosi al precetto: unicuique suum tribuere, genera da  un lato doveri di indole morale (gratitudine, beneficenza),  dall'altro la facoltà di chiedere ciò. che per gli altri è solo  compito di equità prestare. Vi è una terza fonte di diritti e     (l) Sai concetto di giustizia cfr. le lettere (sopratutto la VII, Vili, X)  scritte dal lueibni? a Hea. Eru. Kestnertpn (si trovano nel Dutens),     -   di obbligazioni, la pietas, che si inspira al precetto: honeste  vivere, attua i fini della giustizia divina, scaturisce dall'or-  dine e armonia delle cose: essa risponde alle esigenze della  società universale degli esseri intelligenti che hanno comune  la credenza nella immortalità dell'anima e riconoscono in Dio  il reggitore supremo dell'universo (1).   L'uomo viene pertanto, secondo il Leibniz, a far parte d'una  triplice società, della società particolare di uno Stato, della  società più ampia del genere umano, della società universale  divina:. ognuna di queste società ha il suo legislatore, i go-  vernanti, la ragione. Dio; tutte svolgono il concetto di giu-  stizia, ampliandone progressivamente il contenuto, e gene-  rando una triplice serie di norme, civili, naturali e divine.  Ciò che trattiene l'uomo nell'ambito della legge e lo spinge a  conformare le sue azioni all'interesse collettivo, che è poi  quello della giustizia, non è solo la paura, l'interesse, l'egoismo :  3gli può essere tratto al bene e al giusto anche da naturale  propensione e rettitudine dell'animo, da energie altruistiche  ben più profonde ed efficaci, dall'amore, dalla pietà. Lo studio  poi delle azioni in quanto sono giuste o ingiuste, ossia in  [juanto sono utili o dannose in rapporto alle finalità proprie  di ciascun ordine di società, è compito speciale della giurì-  sprudenza, la quale, sfruttando le tendenze altruistiche del-  IHiomo, si fa interprete dell'interesse generale nel suo triplice  ^rado di sviluppo e detta norme dirette alla conservazione  B al perfezionamento sociale : « justum est quod societatem  ratione utentium perficit » (2).     (1) La teoria del Leibniz sul diritto naturale e sulle diverse fasi di svi-  luppo del medesimo è svolta nelle due dissertazioni premesse al « Codex  diplomaticus » .   (2) Cfr. doperà giovanile di Leibniz : Nova Mvthodus disoendae dooendaeque  jurisprudentia (1667). — In essa dice (Pars II, § 14): >S55l     — 134 —   notevole è il significato e l'estensione data  naturale. Nel suo concetto questo dovrebbe  ie di filosofia pratica universale, ossia di  ^ettiva, (1) a cui spetta porre i principii  me alla natura dell'uomo e delle cose: il  ipplicazione spetta all'etica soggettiva, (2)  mezzi per i quali l'uomo bene usando delle  ^uendo la virtù conseguire la felicità e ar-  one. In questa parte soggettiva il rigore  neno ed elementi eudemonistici e utilitari  r ai seguaci di opposti indirizzi di pensiero,  portanza dell'esperienza e del senso comune,  il dolore gli stimoli direttivi dell'intelletto  cita diventa l'indice misuratore della per-  >sta tendenza a fare del perfetto l'equiva-  concepire l'ordine delle cose da un punto  e utilitario, doveva insorgere il Kant. Ac-  :gettiva il Wolff riconosce la necessità di  le del diritto civile, destinata ad adattare  ùtto naturale alle esigenze della vita so-  [10 cerchiamo nel Wolff un criterio per la  zione del diritto civile rispetto al diritto  presenta l'insieme dei principii etici. La  itto perfetto e imperfetto, posta da Tho-.  tema del Wolff importanza secondaria, né,  1 Wolff indicò il criterio per distinguere  1 non coattivi.   nel Leibniz manca la coscienza della im-  ^uere la morale dal diritto; in quella vece      oggettiva è trattata dal Wolff neUa Philoaophia   >licata uel 1739.   ni è argomento della Philosophia moralis sive Ethica   ractata pubblicata nel 1750.   i d'essere delle InMHntiones juria naturae et gentium      -   abbiamo la tendenza a ricondurre entrambi a una fonte unica,  al diritto naturale. L'interesse collettivo distinto e indipen-  dente dal benessere individuale non fu inteso dal Wolff: la vita  sociale, e quindi il diritto che ne è l'espressione, devono so-  pratutto concorrere al perfezionamento e alla felicità dell'in-  dividuo: la perfezione altrui deve intendersi subordinatamente  alla propria e come mezzo per meglio perfezionare sé stesso.  Non si può però negare che la filosofia del Wolff, spogliata  della forma scolastica di cui egli si compiacque rivestirla,  era in istrettà corrispondenza collo spirito dei tempi, e pre-  parò quel' movimento illuminista, di cui l'eudemonismo, l'ot-  timismo, il perfezionismo individuale e sociale furono i ca-  ratteri più spiccati, e che cooperò efficacemente a sollevare  l'individuo contro le oppressioni dello Stato e della società.  55. — La corrente cartesiana nelle scienze morali dalla  Francia ove ebbe le origini si estesa all'Olanda e alla Ger-  mania: quivi solo trovò terreno favorevole al suo naturale  sviluppo: il genio profondo e conciliante del Leibniz seppe  tenerla ugualmente lontana dal panteismo mistico del Male-  branche, dal panteismo razionalista dello Spinoza e dischiuse  al Wolff la via per elevare un completo sistema che tutto  abbracciasse il vasto campo del sapere filosofico. In Germania  venne per tal modo delineandosi un sistema razionalista che  ne' suoi metodi, ne' suoi principii, nelle sue finalità si con-  trappose a quello che dopo Hobbes e Locke si era venuto  jS3rmando in Inghilterra per merito sopratutto della scuola  scozzese. Nel campo etico l' indirizzo tedesco movendo dal  concetto astratto dell'uomo, considerato particolarmente come  essere razionale, aveva prodotto un intero sistema rispon-  dente ad esigenze razionali, inteso a metter in evidenza  l'ideale etico più che l'aspetto concreto e storico della morale,  riuscendo per tal via al realismo e all'ottimismo etico: l'in-  dirizzo inglese poco tenero della logica concatenazione delle  idee, ma più direttamente interessato a rilevare gli elementi  soggettivi e irrazionali dell'uomo, fu indotto a trovare nelle      —     ^ ' ''AB     dsteriose regioni del sentimento il fondamento della vita  lorale. Ma entrambe queste correnti di cui l'una mette capo   I Wolff, l'altra all'Hume, obbediscono a esigenze filosofiche  hanno di mira la soluzione di un problema etico più che   iuridico. Se hanno strette attinenze colla scuola del diritto  aturale non la costituiscono essenzialmente, e rappresentano  iuttosto l'estensione dei principii etici a regolare rapporti  iuridici e sociali, di cui non intendono quasi mai la vera  atura e che subordinano quasi costantemente alla morale.   II particolare la corrente razionalista tedesca, se giovò a  ottrarre le scienze morali alla teologia e all'empirismo, osta-  olò sotto un certo aspetto il processo di differenziazione tra  fiorale e diritto, in quanto tendeva a ricondurre alla ragione  .stratta la morale e il diritto, perdendo di vista i caratteri  iifferenziativi, per accentuare a scopo di unità e di armonia   caratteri comuni.   A questo riguardo la scuola del diritto naturale o dei giu-  econsulti filosofi iniziata da Grozio e che in Germania so-  ratutto si svolse col Pufendorf e col Thomasius, mantenen-  [osi distinta dalla corrente filosofico-cartesiana, se non sempre  ibbedi alle esigenze logiche, mostrò di apprezzare al loro  :iusto valore i problemi interessanti la vita giuridica in  lontrapposizione alla vita etica. La coscienza di tale opposi-  ;ione appare sopratutto in Thomasius, a cui si deve il primo  entativo realmente efficace per separare la sfera giuridica  [alla morale. La scuola del diritto naturale venne pertanto  n Germania a scindersi in due campi nettamente distinti e  ;he si svolsero paralleli: l'uno filosofico personificato dal  Adolfi*, l'altro più propriamente giuridico personificato dal  ?homasius: a Kant spettava riassumerli nel suo sistema e  >orre su nuove basi il problema dei rapporti tra morale e  liritto.   VICO  6 le sciet^ze elicoH^iatiolicl^e It) ITALIA  Condizioni generali d'Italia. Galileo eia  filosofia naturale. Gli studi giuridici e il rinnovaménto della filosofia  in Italia. Vicende degli studi giuridici in Italia. Gli studi giuridici  in NAPOLI: giureconsulti pratici Il  progresso degli studi giuridici in NAPOLI:  giureconsulti eruditi : ANDREA (si veda) e GRAVINA (si veda). La Vita Civile di DORIA (si veda). Bisv«glio filosofico in Napoli. Posizione di VICO in ordine agli indirizzi filosofici del suo tempo. VICO contro Cartesio e la questione del metodo nelle scienze morali. Il criterio della verità in VICO. VICO e gli studi giuridici. La filosofia  del diritto nel Vico. Il rapporto tra morale e diritto. Il diritto nella  sua formazione storica. Diritto e scienza sociale. Le sorti di Vico e  i critici. Seguaci di Vico: STELLINI (si veda)  e DUNI (si veda). Nei principali paesi d'Europa  si va delineando la struttura dello stato tra le rovine dei rapporti feudali e dei privilegi municipali, in mezzo  agli sconvolgimenti delle lotte religiose sotto l'azione unificatrice delle monarchie assolute. Inghilterra, Francia, ed Austria si presentano potentemente unificate nella persona del sovrano, i cui interessi  parvero identificarsi coli' interesse generale del popolo. La  formazione dello stato si accompagna ovunque col  sorgere della scuola del diritto naturale, a cui spetta indicare i principi giuridici adatti al nuovo ordine di cose. A  questo movimento di concentrazione e di unificazione politica  che percorse l'Europa provocando il ridestarsi di energie  nuove, di una coscienza politica e civile moderna, RIMANE INTERAMENTE ESTRANEA L’ITALIA divisa in numerosi stati, deboli e  discordi i quali come assistettero senza commuoversi alle  controversie religiose e alle guerre di prevalenza con Francia, cosi accettarono senza opporsi le nuove condizioni  create dall'Europa alla penisola col trattato di Chàteau-Cambrésis. L'umanesimo se fa ri-vivere l'Italia nel passato  glorioso classico, l'ha distratta dal presente in cui si ma-    'XTT'    gl’eventi destinati a modificare profondamente il  ll'umanità. Manca all'Italia la coscienza di un in-  )ubblico e comune, intorno a cui raccogliere le energie  3, epperò doveva ricevere dal di fuori, da autorità  nemiche forza e impulso a progredire. La reazione e l'influenza, rivolgendo ai propri scopi e   le risorse economiche e morali di altri paesi, costituirono  ;e servitù politica e religiosa, che pesa per oltre un  ille sorti del popolo italiano.   atamente il sistema di governo inaugurato da Filippo  jna, fatto per rovinare e soffocare qualunque forma di  ì, ha in sé stesso molte cause di instabilità e di  i. La potenza veramente meravigliosa raggiunta dalla  lel XVI secolo, frutto di fortunate combinazioni sto-  ^ll'abilità tutta personale dei re che si succedettero da  do il Cattolico a Filippo II, non accompagnata da un  idente elevamento della coscienza civile e dell'intel-  popolo, non puo che essere transitoria ed  La politica di Filippo li, diretta a restaurare il Medio  )ffocare ogni manifestazione di vita nuova, a contra-  rcè uno spirito protettore violento e tirannico ogni   d’emancipazione intellettuale e religiosa, se era de-  . un sicuro insuccesso nei paesi nei quali lo spirito  Torma, come in Olanda, o l'influenza del classicismo,  Italia, oppone valida resistenza, trionfò pienamente  igna, dove l'alleanza secolare degli interessi nazionali  5i, i sentimenti di fedeltà e di riverenza tradizionali   alla estrema ignoranza e superstizione, tolsero al po-  ^nolo ogni possibilità di reazione. Per tal modo     Buckle e. xv ove si fa la storia dell'intelletto spa-  » età moderna, e si mettono efficacemente in rilievo le oaase di rispetto agli altri paesi. — È sintomatico il fatto  ffini, facendola storia della libertà religiosa nei di-  ì di Earopa non nomina, evidentemente perchè questa  porse l'occasione.         ^^^'      toccò iu sorte n  lo spirito reazionario e proto  berta e del progresso. In ciò  la quale, dopo di aver riform  Concilio di Trento, e di aver  i Gesuiti e l'Inquisizione, spiej  sistematicamente inspirata a  denza nuova.   E ripetuto e si ripete tut  corrente  e della (  unica della decadenza Italia  mazione deve rettificarsi di 1  delle condizioni d'Italia nel s  cadenza politica d'Italia in e  dominio  e alla reas  cercarsi nella sopravvivenza  avevan fatto l'Italia forte e fii  delle Signorie e del Rinascin  in Italia, come altrove, contri  mento protestante e dalla for  partecipò attivamente alle g  alle grandi lotte che commos  la sua non fu immobilità, sii  e ne segnò la decade  secolo XVII le idee, le passic  secolo anteriore attenuate o a  dell'Europa iniziano un nuovo  il passato per rinnovarsi dal]  il suo corso storico e trae da     La nota pessimista prevale nei  preconcetto porta Ferrari  a considerare conio e  si produsse di notevole in Italia. 1  fondamento di tali giudizi intorno  diamo il Forti (Istituzioni civilif F      -   gli elementi per rinnovare sé stessa. Il dominio potè  affermarsi e sostenersi giovandosi dell'indifferenza politica del  popolo italiano : ma se influi sulle forme esteriori di vita, non  ne estinse le energie intime e vitali : a misura che nel corso del seicento andò perdendo di autorità, di dignità,  di potenza, Tltalia vera, quella che sembra estinta sotto il  giogo straniero si ridesta, mostra di conoscere le nuove condizioni di vita moderna, si afferma d'un tratto tra le altre nazioni,  le precorre mostrando che la servitù politica e civile non significa morte d'un popolo quando l'anima si mantiene salda e  forte. Il classicismo e pur sempre una forza viva e operante  nella vita del popolo italiano e ne costituì l'elemento unificatore, spiegando un'azione analoga a quella compiuta altrove  dalla religione o dalla monarchia.   Come il dominio, cosi la reazione cattolica, che  richiama alla mente l'Inquisizione, i roghi, le arti gesuitiche,  esplica un'azione del tutto esteriore sull'andamento generale  del pensiero italiano. La istintiva ripugnanza degl’italiani  alle guerre di religione, la indifferenza opposta al movimento  della Riforma, l'azione energica spiegata dalla chiesa secondata dai governi nel reprimere i pochi centri infetti d’eresia, LA DIVISIONE POLITICA DELL’ITALIA IN PICCOLI STATI, NUMEROSI E RIVALI,  aventi vedute diverse in fatto di politica religiosa, la presenza  del papato, che dove seguire una linea di condotta prudente  e moderatrice, se da un lato rendevano inutili le misure repressive, dall'altro tolsero loro efficacia e intensità. La reazione  dove spuntarsi contro il temperamento degl’italiani, abituati  per lunga consuetudine a quello sdoppiamento psicologico, non  privilegio di poche personalità ma proprio di quanti sono  intelligenti e colti, per cui sanno conciliare la sincerità  delle credenze colle audacie del pensiero: solo la forma esteriore del pensiero e delle opinioni dove subire restrizioni e  accomodamenti, e ciò spiega le frequenti concessioni e gli accorti espedienti a cui ricorsero anche i più alti intelletti, per  non offrire il fianco a inutili persecuzioni. E invero, nonostante il malgoverno degli Stati, lo sfruttamento permanente dell’energie produttive del paese, l'ignoranza delle plebi sistematicamente insubordinate e affamate, la mancanza di virtù pubbliche e civili, di una coscienza politica nazionale, il pensiero  italiano nelle strettoie in cui doveva muoversi, si mantenne  più che mai desto, dando novelle prove della sua inesauribile  fecondità. L'Italia, unica tra i paesi dell'Europa, offre l'esempio  nel secolo XVII di una produzione intellettuale in cui l'antico  e il moderno si associano, e mentre da un lato conserva e  perpetua la tradizione classica, dall'altro  elabora forme nuove e precorre i tempi moderni. Scienza e  filosofia trovano cultori e innovatori, il cui nome  basta per porre l'Italia al livello e al disopra delle altre  nazioni europee. L'Italia ha nel il suo Bacone in GALILEI (si veda), il suo Cartesio in CAMPANELLA (si veda), come più tardi ha il suo Grozio in VICO (si veda), il cui pensiero si educò e si  formò nell'ambiente e secondo le tendenze di quel secolo. La  Toscana e il Regno di Napoli sono rispettivamente i centri  della filosofia. La Toscana, culla dell'arte  per opera d’ALIGHIERI, e Ja culla della filosofia esperimentale per opera di GALILEI. Nulla di più inesatto, sopratutto  rispetto a GALILEI della frase di Ferrari « essere stata l'Italia  nel seicento il paese delle grandi eccezioni » : non fu una eccezione GALILEI, il quale riassunse in sé il lavoro di molte  generazioni precedenti, e e il capo d'una scuola numerosa  di seguaci che ne continuarono gloriosamente le orme. Un  secolo prima VINCI proclam l'esperienza >ola in-  terprete della natura ed iinaugura il felice connubio  della matematica coi dati sperimentali in cui propriamente  consiste il pregio e la novità del metodo galileiano. Prima di  Galilei, Telesio dice che la natura è il gran libro in     (1) Sai carattere toUerante degli Italiani in materia religiosa efr. Raffini,  —   s   cui si contiene tutta la filosofìa: Galilei addita i caratteri  coi quali il libro e scritto. Prima di Cartesio, Galilei coacepi le forze naturali come capaci di peso e di misura, e dai  rapporti ideali delle quantità cercò intuire i rapporti reali  dei fatti. Prima di Bacone egli insegna  che il senso porge la  materia greggia dell'esperimento e che dall'osservazione deve  nìuovere la ricerca scientifica. Per tal guisa Galilei se da  un lato precorre, dall'altro supera, completandoli, Bacone e  Cartesio nello studio dei fatti naturali. In lui l'esperienza e  il ragionamento, quella fondata sul senso, questo sulla ragione,  si associano e si completano a vicenda. A Bacone invece parve  sufficiente la semplice osservazione, a Cartesio la speculazione  pura. Il metodo naturale fuori d'Italia si sdoppia in due  indirizzi opposti, in Italia e più specialmente in Toscana per  opera dei continuatori di Galilei si mantenne nella sua integrità e divenne lo spirito informatore dell'Acciidemia del  Cimento. Galilei non usce dal campo dei fenomeni fisici:  sotto questo aspetto e superato da Cartesio e da Bacone, di  cui l'uno crea per le scienze speculative un metodo nuovo,  l'altro consiglia l'estensione del metodo sperimentale alle  scienze morali. Ad associare il metodo razionale e sperimentale, Bacone e Cartesio, nello studio delle scienze morali so-  pravvenne Vico che restaura la filosofia italica, come Galilei  aveva restaurato la filosofia naturale.  Il rinnovamento filosofico in Italia e assai più lento  e contrastato. Sulla scorta di Mamiani e di Gioberti noi  potremmo facilmente rintracciare in Italia fin dal secolo XV  una triplice azione diretta contro la scolastica, la teologia,  Aristotele. Né mancano nuovi sistemi che contraddicono   Sai precursori di Galilei e sul metodo galileiano ne' suoi rapporti  con quello adottato da Bacone e da Cartesio cfr. Fiorentino, Beìmardino  Tele8i0f Firenze   (2) Cfr. A. E e che r, La fisica spei'imentale dopo Galileo nella Vita italiana. Cfr. Mamiani, Del rinnovamento della filosofia antica italianaf Parigi. In quest'opera, come nelle opere più note      —   rinnovamento della filosofìa italica. Tale corrente è rappresentata dalle scienze giuridiche e morali. Altrove osservammo che nell'Europa l'impulso ad  una trasformazione filosofica deriva d’esigenze di carattere  morale e giuridico. L'Italia pur non sottraendosi a questa le^e  tenne diverso cammino. In Olanda, Inghilterra, Germania sorse  e si afferma la scuola del diritto naturale: scarsa e imperfetta  era la tradizione giuridica in questi paesi,' e del tutto insufficiente a soddisfare le nuove esigenze create dalla formazione  dello Stato. Il concetto di un jiis natiirae che permette alla ragione di sciogliersi dai vincoli dell'autorità e  della tradizione giuridica del passato, divenne il fulcro intorno  a cui si svolse una letteratura etico-giuridica copiosa, desti-  nata a dare nuove basi alle scienze morali. Ma né in Francia  né in Italia sorge una vera scuola di diritto" naturale. In  Francia e soffocata nel suo sorgere dal dispotismo reazionario  di Luigi XIV. In Italia non ha ragion d'essere per la mancata formazione dello Stato. Il diritto filosofico che  altrove procede dalla ragione in opposizione alla tradizione  giuridica, in Italia scaturisce spontaneo e per filo non interrotto dalla tradizione giuridica stessa, trasformata e adattata  alle nuove condizioni dei tempi moderni. Solo per questa via  si può spiegare la restaurazione giuridico-filosofica compiuta  da Vico, e vien meno quel carattere di eccezionalità che ancora circonda la figura del grande filosofo napoletano, a  cui spetta nel campo delle scienze morali, come a Galilei  nel campo delle scienze naturali, riassumere il passato e dischiudere l'avvenire. Le scienze giuridiche fornirono anche all'Italia occasione alla restaurazione filosofica, la quale per altra via  incontra difficoltà quasi insor/nontabili. Alla glossa  di Irnerio e di Accursio ossequente alla lettera della legge, e seguita con Bartolo e Baldo la scuola degl’interpreti, i quali applicando alle leggi la dialettica scolastica, accomodano IL DIRITTO ROMANO alle esigenze del foro e alle necessità dei tempi, ampliandone e  done il contenuto, facendo spesso opera di legislatc  di giureconsulti. Tali interpreti costituirono la  giureconsulti pratici, la quale si mantenne nume  fluente in Italia. Neil'  ignoranza e confusione delle leggi, i pratici contrib  serva CARLE, a svolgere quell'aspetto della scienza  che chiamasi ora giurisprudenza.   Sul finire del Medio Evo l'amore della critica stoi  logica applicata agli studi giuridici vi produce una  schiera di giureconsulti culti o eruditi, che astraci  sogni della pratica, deplorando le alterazioni che  dei pratici i testi del DIRITTO ROMANO hanno subito,  con ardore ammirabile a purgare la lezione dei test;  l'antico diritto « colla cura, dice CARLE, con cui si  una statua antica i cui frammenti sieno disgiunti gì  altri. Dalla scuola dei giureconsulti culti iniziat  da filologi come POLIZIANO e VALLA e da giurecom  ALCIATO, svoltasi sopratutto in Francia col Cuiacic  i primi romanisti, e i primi storici del diritto. La diversità di scopi e d’indirizzi mantenne a li  e ostili i giureconsulti pratici e colti, per quanto  cassero tentativi per conciliare e  i due indirizzi E mentre in altri paesi di Euroj     CARLE, Vita del diritto, Torino. Vico vi accenna nel De universi juris eoe. (Proloquiì   CARLE. Ricordiamo Jne italiani SIGONIO e PANCIROLO. Ricordiamo GENTILE il qnale pur appari  scuola dei giureconsulti colti ne criticò aspramente le esaj  Dialoghi siigli interpreti delle leggi (pubblicati a Londra nel  GENTILE fu ad un tempo nelle numerose sue opere pratico ed ^^:''WH.-;    —   terra di conquista e la volontà dispotica del principe tien  luogo di legge, — in cui i viceré nominati per tre anni possono impunemente violare la legge pur di arricchire nel più  breve tempo possibile, dopo di aver inviato  8,000,000  di scudi.— in cui l'educazione era affidata ai gesuiti e la  chiesa domina le coscienze e la vita civile colla superstizione, colle sue ricchezze, co' suoi privilegi, col numero enorme  di corporazioni religiose e di fondazioni — in cui il popolo  ignorante e affamato e sempre pronto alla rivolta inconsulta  — in cui l'amministrazione della giustizia e corrotta, la  distribuzione dei tributi ingiusta, il commercio insignificante,  l'agricoltura abbandonata, le campagne percorse da banditi —  in cui l'arte e la letteratura sono servili — in cui il sistema,  feudale si perpetua co' suoi abusi e la nobiltà si corrompe  nell'ozio. In questo periodo di generale decadimento l'attività filosofica si esercitai a nel foro e nelle materie giuridiche. La  giurisprudenza- e il campo aperto agli studiosi, e raccoglie intorno a sé quanto di più eletto per ingegno e coltura esi-  steva in Napoli. I pratici sono in prevalenza, ma si distingueno per acume giuridico, per l'analisi profonda dei fatti,  per la rara diligenza nel porre le questioni. L'influenza dei  curiali e l'alta considerazione in cui sono tenuti costituie  l'unica difesa contro le frodi, le ingiustizie, i disordini del mal  governo. Il giureconsulto inspirandosi all'equità naturale compie opera sociale notevole, poiché trova per tal via modo  di supplire alla insufficienza o mancanza della legge scritta. SaUe condizioDÌ generali di Napoli iu questo periodo ofr. Giano o ne,. Storia eivile del Regno di Napoli. Parlando deUo stato della giurisprudenza napoletana in questo periodo GIANNONE, e. 8, dice che « gli avvocati  di questi tempi non collocano molto studio nell'oratoria, sicché i loro  aringhi comparissero al foro luminosi e pomposi: si studiano ricavar  l'eloquenza più dalle cose che dagl’ornamenti dell'arte. Perciò i loro  discorsi in Ruota sono corti e tutto sugo: il principal loro studio e nel  porger con metodo ed energia i fatti ecc. ».    —    Caravita, Aulisio, giureconsulti di gran nome  poranei di  Vico.   Né solo gli studi giuridici attinenti alla prat  incremento e lustro Napoli, ma anche gli studi storici del diritto ce  intendimento filosofico trovano un degno rappres  Gravina. Questi porta la interpretazi  della scuola napoletana alla sua maggior perfezioi  iniziò gli studi sulla storia e sulle origini del dirit  raccogliendo tutte le conoscenze che si hanno  medesimo, indovinando il nesso tra le varie parti  le lacune, facendo opera pe' suoi tempi nuova e  Nella produzione giuridica di Gravina è evidente  far servire IL DIRITTO ROMANO a scopi filosofici. Tra  restringevano la legge naturale alla legge raziona  che ne allargano il concetto fino a derivarla dal  golanti l'universo, Gravina si attiene a una so  termedia che dove più tardi svolgere e accentu;  L'uomo, secondo Gravina, per la sua natura corporei  alia legge generale delle cose che è legge di moto  di conservazione e d’evoluzione continua : per la i  spirituale ha una legge sua propria che è legge di  di moti volontari. Per diritto naturale il senso de^  narsi alla ragione, il cui cibo è la virtù, e il cui ]  pace dell'animo, conseguita per mezzo della conosc  naie delle cose. La vita sociale si inizia colla far  flcata nel padre a cui spetta per diritto naturale Ti  mestico. Dalla necessità degli scambi sorgono i cont:     Lo riconosce il Vi 11 ari nel suo saggio sol FILANGIERI, (S  critica, politica, Firenze. I principi di filosofia giuridica di Gravina si trovane  nel juris oivilis libri treSy Napoli, Mosca, — Nel I libro fa 1  origini e del progresso del DIRITTO ROMANO pubblico e privai   (3; Gravi na. De origine juris. generano rapporti più ampi, fondati non sopra vincoli  uè, ma sulla considerazione del VANTAGGIO COMUNE, di  isura la legge, definita giustamente da Platone « distrilentis. Su questa base dell'INTERESSE COMUNE e sul-  io delle società private di commercio, si formano le  civili, di cui sono organi necessari, la legge ossia la   voluntas intesa a REGOLARE I RAPPORTI SOCIALI, e la  : potestas a cui spetta prevenire e reprimere anche  amente le violazioni delle leggi. Se l'idea dell'ONESTA mto universale e costante della legge, questa può assur  >rme diverse secondo i tempi, i luoghi, il carattere dei  inche i rapporti tra levarle società civili devono essere  L da ragione, e il diritto che ne deriva costituisce il di-  sile genti, le cui violazioni giustificano le guerre intese  ionfare nei rapporti fra due stati la ragione sugli istinti  ì antisociali (2). Come nell'interno dello stato ai saggi  mti alla ragione espressa in leggi scritte spetta gover-   ai sudditi, schiavi del senso, obbedire, così nei rapporti  zionali spetta a un stato più civili dominare e sottomet-  uno stato che violano le norme del diritto naturale. Il  a. previene Vico nella ricerca delle cause per le quali  i sorgono, si conservano, rovinano. Se non che il Gra-  )n essendo assorto al concetto di società come un tutto  ;o e considerandola solo come la somma degli individui  compongono, ricerca tali cause nell'uomo e fa dipendere  t)rio sociale dall'equilibrio di tutte le facoltà dell'indi-  ^). Precorrendo il futuro egli mostra le sue predilezioni  sverno popolare e mette in evidenza l'importanza  3 medio o terzo stato per mantenere l'ordine e l'armonia  [verse classi sociali. jNel diritto e nella costituzione     p. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. lO-lS".  r. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. 14.  r. Gravina, Lib. III, ci.  r. Gravina, Lib. III, e. 16.  r. Gravina, Lib. Ili, e. 14.      —   politica del POPOLO ROMANO, alla cui illustrazione l'opera sua  di giureconsulto è sopratutto intesa,' Gravina, come più tardi  Vico, vede l'esempio ideale da semr di guida e di insegnamento agli uomini politici e ai giuristi. La filosofia giuridica del Gravina non ha valore che per  l'epoca e le circostanze in cui sorse. In essa la funzione etica  del diritto non si distingue dalla sua funzione sociale. La legge  naturale si confonde colla legge morale, come per gl’antichi  il sommo bene è riposto nella virtù congiunta alla felicità e  acquistata colla scienza. Ma in Gravina troviamo i germi  dell'indirizzo che dove prevalere in Italia con Vico, cioè LO STUDIO STORICO DEL DIRITTO ROMANO fatto servire A ILLUSTRARE PRINCIPI TEORICI, e alla ricerca delle leggi regolanti il corso  della nazione italiana. Del risveglio effettuatosi in Napoli nelle scienze morali e giuridiche, è novella prova la Vita Civile di BORIA, alla cui pubblicazione Doria, non  ancora distratto dalle polemiche cartesiane, e forse indotto  dalla lettura delle opere di Gravina, o più probabilmente  dalla famigliarità con Caravita, nella cui casa conveniva con Vico. Doria nell'opera sua si dimostra, a differenza del     (1) Cfr. del Gravina H libro “DE ROMANO IMPERIO” - in cai tratta della costituzione dell’Mmpero romano come della COSTITUZIONE IDEALE. Le idee religiose di Gravina sono dal lato dogmatico qulle dei  cattolici del suo tempo, ma con questi e in disaccordo nel campo etico.  La sua “Hydra mistica” è una critica severa della morale gesuitica mostrando  una grande indipendenza di pensiero.   Vico conosce Gravina, lo ricorda con espressioni  di stima e di affetto nella Autobiografia. Se non ne cita le opere, ciò non  deve attribuirsi a malanimo o a distrazione come afferma Cantoni (VICO, Torino), ma al fatto che in Vico anche le idee  altrui si elaborano e si trasformavano in guisa da diventare sue pròprie  e originali.   Doria, di famiglia genovese, visse e morì  a Napoli dove erasi recato fanciullo. E amicissimo di Vico il quale lo  ricorda neXV Autobiografia, e gli dedica il iasimano quelli che vogliono ricavare la politica dalla sola pratica e  i filosofi che credono potersi governare il mondo ooll'astralta metafisica.  Nella Vita Civile dice che la politica e la morale sarebbero la stessa cosa e non vi sarebbe punto bisogno di politica qualora  le norme di moralità fossero da tutti comprese e attuate. Doria. La politica deve fondarsi sulla conoscenza della natura umana  quale appare alla ragione: solo per tal via si potrà evitare l’empirismo e ridurre la politica a sistema. Come non è vero  giureconsulto chi dalle leggi particolari del luogo non sa elevarsi  alla ragion della legge, cosi non è vero politico colui che ha  solo una naturale e raffinata malizia, spoglia di ogni conoscenza dell'uomo, de' suoi rapporti coll'ordine delle cose, dell'essenza della vita civile, di ciò che contribuisce alla felicità  degli uomini. Dalla metafisica, che per Doria significa conoscenza degli universali a scopo di applicazione pratica, deve  la politica trarre il suo fondamento scientifico. Nello studio  dell'uomo Doria segue l'indirizzo psicologico mediano proprio  della filosofia italica e che Vico dove svolgere. Rileva il  dualismo tra spirito e materia, ammette che a costituire la  vita morale concorrono la ragione e il senso, l'universale e  il particolare, che la felicità consiste nella retta conoscenza  e nel buon uso dei sensi, che naturale è l'inclinazione alla  vita sociale, che l'uomo per necessità della sua natura tende  a emendarsi, a cercar rimedio ai mali, a sollevarsi gradatamente dal senso, ossia dai particolari agl’universali principi,  cioè alle idee innate del vero e dell'onesto. Tutti questi concetti ravvalorati dalla esperienza storica ritornano in Vico.  Alla morale impossibilità dell'uomo di possedere tutte le virtù  e al fatto che tutti sono forniti di qualche virtù, supplisce la  vita civile, la cui vera essenza sta nel comporre armonicamente  insieme le energie virtuose disperse nei singoli, in guisa che  SI AIUTINO RECIPROCAMENTE, e si formi una condizione di cose  atta ad assicurare a ciascuno la felicità. Doria dopo aver RI-COSTRUITO RAZIONALMENTE o piuttosto PSCIOLOGICAMENTE L’ORIGINE E L’ESSENZA DELLA VITA CIVILE, cerca, come     Doria, Op. cit., p. 38.   (2) Cfr. il Capo II delia parte prima dove è esponila la dottrina i)sico-  logica del Doria.   (3) Cfr. Doria, Op. cit., p. 92-93.        ^z.^^?»:^:^^     -   più tardi Vico, nella storia conferma a' suoi principi. Respinta l'ipotesi di una pretesa età dell'oro, riconosce che gl’uomini, cresciuti di numero, premuti dal bisogno attravesano un periodo di lotte e di violenze, da cui uscirono raccogliendosi e organizzandosi intorno a uno di loro più forte che  li difendesse: ROMOLO. Ssi costituirono allora le famiglie e si hanno i  governi patriarcali. Quando gl’uomini non paghi della difesa  aspirarono a un genere di vita più regolare e civile, fanno  ricorso al prudente – NUMA -- che detta leggi ordinate alla umana  felicità. Colle leggi e ordinamenti si inizia la vita civile che si  svolge dapprima nelle città di ROMA, poi nei regni e si hanno le monarchie, trasformatesi col tempo in aristocrazie e in democrazie. Col  graduale estendersi e complicarsi della vita civile, l'economia  domestica si fa commercio, la difesa della casa si trasforma  in vasta arte di guerra, la naturai prudenza diventa scienza  di governo o politica. Una progressiva divisione di poteri ossia  d’ordini si rende necessaria, e si formano le classi dei guerrieri, dei legislatori, dei magistrati, i quali a loro volta vanno  distinguendosi in magistrati di politica, di giurisdizione, di  commercio. Tra i sudditi poi si vanno formando le classi dei  padroni e dei servi: da quelli si svolge la nobiltà, da questi  la ricca varietà dell'arti servili. Dalla  STORIA DI ROMA trae Doria argomenti ed ESEMPI alla dimostrazione della sua  dottrina. Passando dalla costituzione politica a descrivere le fasi del progresso sociale, quale risulta dalla storia,  Doria pone come legge regolante il corso dell'umanità il  graduale passaggio dalla vita barbara o difettosa alla vita  civile moderata da leggi e da ultimo alla vita civile  pomposa, in, cui la civiltà si accompagna col lusso e colla  magnificenza degli esteriori ornamenti. La vita pomposa genera l'ozio e il popolo ricade nella servitù. Cfr. Doria, Op. cit., I, e. in e iv.   Cfr. Doria, Op. cit., I, e. v, ove si descrivono diffusamente le  diverse fasi deUa vita civile.         4..^     —  --   Per quanto erroneo sia il concetto fondamentale della dottrina civile di Doria, noi crediamo di trovare in essa i germi  di molte idee e dottrine svolte più tardi da Vico. Il concetto che la filosofia deve tendere a scopo pratico, che anche  la politica può fondarsi su principi saldi e costanti tratti  dalla conoscenza dell'uomo e delle sue passioni, la storia e  sopratutto la romana invocata a conferma della dottrina, la  progressiva differenziazione degli ordini e dei poteri, il passaggio graduale dell'umanità dalla barbarie alla vita civile e  il ritorno fatale alla barbarie, il progresso identificato col  passaggio dal senso alla ragione, sono concetti che ritornano  in Vico svolti ed estesi a nuove e più lontane conseguenze.  L'opera di Doria, molto apprezzata ai suoi tempi, non e. senza  influenza sui principi italiani ancora infetti da machiavellismo,  incitandoli a saggie e razionali riforme. Essa precorre i tempi  e non merita l'obblio in cui è tenuta dagli storici della filosofia del diritto. Ad ogni modo essa getta viva luce su quell’ambiente di Napoli in cui e concepita e pubblicata, e nel  quale si matura il genio di Vico.   Il progresso negli studi giuridici e sociali in Napoli  non e che il riflesso  di una. ben più larga e profonda trasformazione del pensiero  napoletano al contatto delle correnti filosofiche, le  quali, penetrate in Napoli malgrado l'attenta vigilanza della chiesa, si sono rapidamente diffuse conquistando gli spiriti  oramai maturi ad accoglierle. Prime a conquistare il favore  delle nuove generazioni sono le dottrine dell’ORTO e di  Locke, come quelle che interessavano la vita pratica e schiudevano un ideale morale che e in aperto contrasto colle  idee e coi sentimenti tradizionali. La rivoluzione iniziatasi     n Vico uéìV Autoìnografia ci dice che del tempo nel quale egli  partì da Napoli si e cominciata a coltivare la filosofia dell’ORTO  sopra Piar Gassendi, e due auui dopo ebbe novella che i filosofi a tutta  voga si era data a celebrarla. Ciò conferma Doria nell'introduzione  air opera : Difesa della metafi»ioa degl’antichi contro G, Locke eco,  —   nel costume si estese al campo speculativo e l'occasione fu  offerta da Cartesio nelle cui opere filosofi, giuristi, matematici,  fisici e fisiologi trovano argomenti per un nuovo indirizzo  di metodo e di studi. Cartesio e in Napoli nome  di battaglia e di partito. Esso significa libertà di pensiero,  opposizione ad Aristotele, al principio di autorità, allo scolasticismo, all'erudizione filolcfgica e storica, all'empirismo. Esso  divenne l'arma poderosa che servi a scuotere, dice Giannone,  il durissimo giogo che la filosofia dei chiostri ha posto sopra  la cervice dei napoletani. Primo a introdurre in Napoli e  a far conoscere la dottrina di Cartesio e CORNELIO (si veda),  naturalista della scuola del Telesio,  il quale ha ad alleati influenti il giureconsulto Andrea, Capoa, e sopratutto Caloprese, che approfondi la dottrina cartesiana e primo  si da a insegnarla. Del favore che Cartesio incontra in  Napoli fa prova gli’investiganti istituiti in casa propria dal marchese dell'Arena,  allo scopo di studiare e discutere la filosofia cartesiana col  concorso e l'adesione di quanti si distinguevano in Napoli, per  coltura e ingegno nei più diversi rami della filosofia.   Al primo periodo di entusiasmo e di fanatismo, di ammirazione cieca per le nuove idee che venivano dal di fuori, succede un lungo periodo di reazione e di opposizione tendente a  richiamare le menti alle buone tradizioni della filosofia italica,  a restaurare l’accademia che e stato    -- Cfr. Giannone. Di Cornelio parla Fiorentino. Vico (Auiob,) lo chiama gran filosofo renatista. In quest'epoca abbiamo una vera ri&oritura di  gruppi di gioco in Napoli. Oltre a quello degl’investiganti ricordata da Giannone, notiamo quello fondato d’Argento alla quale convenne  Giannone; quello fondato dal duca di Medina Coeli; quello degl’infuriati ricordato da Vico nella Autobiografia, quello degl’oziosi, senza tener conto  delle numerose private. -- valido strumento di guerra contro il LIZIO e la scolastica.  Anima dell'opposizione contro Cartesio, l'idolo del giorno, e  Vico, al quale le varie correnti di filosofia che si sono  andate svolgendo in Napoli convergono. Egli potè apparire un genio solitario solo perchè e l'astro  luminoso, dice Villari, in cui si concentra la luce di tutta  uaa moltitudine di minori pianeti, perchè riassunge in sé  tutta un'epoca e sui materiali da questa forniti eleva un sistema di cui i contemporanei non possono valutare l'importanza, e di cui parve egli stesso vuole rimandare all'avvenire  la prova dei fatti. Nell'opposizione contrergli indirizzi filosofici prevalenti  all'epoca sua Vico non e solo. Egli ha ad alleati quanti per  avversione a Cartesio e allo scolasticismo miravano a restaurare la filosofia dell’accademia e a richiamare gl’ingegni al culto  della tradizione italica. Tra questi devesi ricordare Doria,  il quale dopo aver combattuto Cartesio nel campo della della metafisica, si fa sostenere l’accademia. Il suo tentativo  lascia gl’animi indifferenti. A  lui nocque il carattere polemico  delle sue opere, l'esagerazione con cui combattè senza distinzione tutti gl'indirizzi nuovi di filosofia solo perchè non rispondenti alle sue predilezioni o prejudizij. CIt. il saggio su Filangieri du Villari in Saggi di storia aHitea  e politica, Firenze. Villari, iJ Carle sono tra quelli che  cooperarono a sfatare la leggenda di genio solitario che unita all'altra di  genio incompreso si e andata dopo Ferrari creando intorno a Vico,  e che e accolta sopratntto dai critici francesi: Michelet, Michaud,  Janet. Bovio -- Conferenza su Vico in Vita i^aZiana -- dice  che Vico non e genio incompreso, ma deve annoverarsi tra i filosofi solitari, che sono quelli che hanno larghe visioni e piccola prova. Giustamente osserva Villari che tale errore nasce dall’esser generalmente poco o punto conosciuta la storia degli studi che  allora fiorisceno in Napoli.  Vico nella AtUobiografia dice che Doria frequenta con lui le  conversazioni le quali hanno luogo in casa di Caravita e di     .  Ben altra importanza ed efl  Vico. Essa trova fondamento  zione ricevuta, negli studi da 1  delle sue naturali tendenze ini  scientifiche e particolarmente n  INGEGNO SPICCATAMENTE ITALIANO. Vatolla ritorna in Napoli nel  suoi studi, e le sue opinioni fi  sono quelle che troviamo svolte  discorso sul metodo degli studi  tìquissima. In questo pei  soflche del sapere. Delle diverse  che agitano l'ambiente di ?  sfuggi all'osservazione e alla mei     Vito di Sangro. Parlando di Doria il  mira come sublime ed originale in (  e cornane negl’accademici >. Ciò fa a mi  tesiano, mentre il p.'isso di Vico prov;  tempo in maggior pregio di Vico la do  se Doria e per qualche tempo seguac  un deciso avversario. Egli comincia v  l'applicazione da lui fatta del metodo  lo combatte nel campo metafisico n  alla filosofia di Renaio des CarieSy non  loaofia di Doria con la quale si  Queste due opere gli suscitarono cont  principe della Scalea, discepolo del Gal  contro Doria nell'opera intitolata Bi  Doria oppone nello stesso auuo le su  monografia citata del Geriui:  Difesa della metafisica degl’antichi e  che in questi contrasti tra cartesiani e  di Vico: ciò deve, secondo noi, attr  in quest'epoca ne' suoi nuovi studi gii  diretta parte a questioni di carattere fil  comune il desiderio che gl’italiani delle scienze degl’oltramontani, dov  pienza in quella guisa che fecero i 1  Misantropo.  egli accolse interamente poiché era profondamente convinto  che nessuna risponde al carattere nostro nazionale e alle  esigenze delle scienze morali che costituirono il campo proprio  in cui si afferma sin dal principio il suo ingegno, e alle quali  ha sempre rivolto il pensiero sia nella scelta degli autori  da formar oggetto di studio, sia nella scelta del metodo da  seguire, sia nel porre il criterio della verità, sia nel determinare la natura e la finalità (metier) dell'uomo. Nelle sue predilezioni per l’accademia e TACITO già si intravvéde  quel dualismo tra il senso e la ragione, che dove essere il  fulcro intorno a cui si svolgono le scienze morali e il corso  storico dell'umanità. Coll’accademia lo spirito, il mondo delle idee  esce per la prima volta fuori dall'involucro mutevole del senso.  Niuno prima e dopo di lui seppe dare dell'uomo, quale dove essere secondo la sua natura razionale, un concetto  più vero e profondo. Colla guida dell’accademia Vico puo in seguito rintracciare nell'uomo e nelle sue manifestazioni individuali e collettive gl’elementi costanti e universali. TACITO descrivendo l'uomo reale dominato dai sensi e dalle  passioni, che opera spesso inconsciamente dietro lo stimolo  degli istinti, dei bisogni, delle utilità puo costituire ottima  guida per la conoscenza dell'uomo storico e di ciò che vi è  di vario e di mutevole nelle azioni umane. TACITO completa  Platone e sulla scorta di entrambi la chiave per la comprensione dell'uomo singolo e collettivo era trovata.  n carattere mentale di Vico possiamo desumere dalla serie delle  sne opere, e dalla vita scritta da lui stesso. 'NéìV Autohiografia Vico fa  sé stesso oggetto di osservazione, descrive la saa vita mentale, ci dà la  genesi delle sue opere, il procedere dela sua filosofia. Primo Carle rileva  la stretta analogia tra il Diaoorso sul metodo di Cartesio e la Vita del Vico. Ma Tanaìisi psicologix^a fatta dai due  filosofi sopra sé stessi li conduce a conseguenze opposte. Cartesio si  convinse della necessità di concentrarsi in sé stesso e di ricavar la sciènza  col proprio intelletto. H Vico invece si convince che l'uomo deve guardarsi  bene dall'esser solo a pensare una cosa^ perchè o si mata nel divino o si pone  in contraddizione col senso comune.  Per ciò che riguardava l’ordine e il metodo da seguire nello  studio dell'uomo, Vico, guidato dal suo ingegno divinatore  ferma l'attenzione su Bacone. Non dimentichiamo che le opere di Bacone passano inosservate nella stessa Inghilterra per la prevalenza incontrastata  che vi assunse il metodo soggettivo nello studio delle scienze  morali. Gli stessi enciclopedisti, ammiratori di Bacone,  lo celebrarono come fondatore del metodo induttivo, ma non  ne rilevarono l'importanza in ordine alle scienze morali. Pochi danno dvalore al suo trattato De Avg mentis che a Vico parve giustamente dischiudere un'era  nuova nello studio delle scienze morali, come quello che mentre  fa rientrare anche quest'ultime nel vasto campo delle  scienze sottraendolo all'impero della metafisica, indica alla  loro restaurazione il metodo induttivo. Nel culto per Bacone  Vico rimane a lungo solo in Italia e fuori. Vico comprende  e svolge il concetto adombrato da Bacone di porre le scienze  morali sulla salda base dell'osservazione storica e psicologica. Egli costituisce l'anello di congiunzione tra Bacone e Comte  che con piena coscienza volle restaurato tutto il sapere filosofico sulle basi del metodo induttivo. Ma se Bacone rileva le lacune del sapere umano e indicato il nuovo metodo  di indagine, non dice il modo con cui colmare tali lacune, come praticamente applicare il metodo dell'osservazione  allo studio delle scienze morali: l'una e l'altra cosa fa Vico  e puo con giusto orgoglio dire di aver creato una scienza “nuova”.   Platone, TACITO, Bacone, vengono per tal modo a personificare  i tre capisaldi della filosofia vichiana applicata agli studi  morali e sociali, la ricerca dell'universale nel particolare,  dell'idea nel mutevole succedersi delle azioni umane mediante  Vedi sopra pag. 49 e seg., saU'opera e suUe sorti di Bacone. Primi a far conoscere Bacone in Francia sono Voltaire nelle sue Lettere Persiane e Diderot nel sno discorso preliminare  all’enciclopedia. -- un procedimento di induzione. L'uomo nel concetto di Vico  deve assumersi nelle scienze morali nelle integrità della sua  natura, né deve esser lecito al filosofo di foggiarsi una natura  umana che contraddice al senso comune e alla realtà delle  cose. L'analisi psicologica non deve spingersi al punto di  far violenza alla natura. La specializzazione soverchia delle  scienze se rende gl’uomini dotti nei particolari li rende meno  atti ad abbracciare il sapere nella sua integrità. Essa poi  riesce particolarmente dannosa alle esigenze delle scienze  morali aventi carattere e scopo pratico e che presuppongono l’uomo operante nell'interezza della sua natura tra i due poli  estremi del senso e della ragione, dell'istinto e della libertà,  secondo una legge di progressivo predominio degli elementi  razionali sopra i sensibili. Le scienze morali devono valersi  di concetti sintetici e i cultori delle medesime devono essere  uomini d'ingegno, cioè, capaci di scorgere il comune tra cose  lontane e disparate.   Fermo in tali concetti  Vico dove trovarsi in disaccordo  cogli indirizzi della filosofia dominante in Napoli e che in piccole proporzioni riflettevano gl’indirizzi che in  seno alla filosofìa si erano andati delineando e che Vico riconduce genialmente a correnti di idee che hanno dominato nell'antichità. Scarsa e  difettosa e la conoscenza che Vico ha dei sistemi filosofici antichi e moderni: ma suppliva con una intuizione     lu una lettera a Gaeta Vico definisce l'indazione secondo il concetto di Bacone. Per le opere del Vico ci siamo valsi della  edizione napoletana curata da Ferrari: ad essa  ci riferiremo per le citazioni. "L^ Epistolario del Vico fa parte di quella edizione.  Vico svolge tale concetto nella sua orazione tenuta a Napoli. V orazioni di Vico ancora inedite sono pubblicate  da Galasso e formano parte dell’edizione citata. Cfr. De Antiquissima. Sappiamo che Vico conosce Platone nelle opere di FICINO,  L’ORTO In quelle di Gassendi. Egli confuse il semita Zenone del PORTICO coll’italiano Zenone  di VELIA e cadde in altri simili errori.     U      asi sempre felice, la quale gli permette di rilevare il catterò generale delle varie dottrine e sopratutto di intraverne le lontane conseguenze nel campo pratico. Senza preocparsi dei pericoli e delle inimicizie a cui egli, povero e  cora oscuro, si espone, parla un linguaggio nuovo di verità  standosi pubblicamente contro i critici compiacenti, contro  l’ostinati delle sette, contro gl’impostori che infestano il  anda degli studiosi, contro i falsi dotti che studiano per   sola utilità, e i dotti cattivi che amano più l'erudizione  Le la verità. Tra coloro che si occupano di scienze mo-  li condanna senza pietà gli stolti che non vedono né le verità  trticolari né le universali, gl’illetterati astuti abili nell'altare la scienza alla pratica, i dotti imprv/Xenti sprezzanti  realtà e tendenti a tradurre nella pratica le loro teorie.  Non e invidia o umore bilioso o spirito di parte che iniravano Vico ma profondo amore del vero, nobile risentiento contro quanti, sfruttando la scienza, ne compromeno   serietà con grave danno dell'educazione. L'intimo connubio  L'egli vagheggia tra filosofia ed educazione, lo rende avirsario delle dottrine filosofiche che non si indirizzano a  nder migliori gl’uomini e a guidarli verso la felicità indiduale e collettiva.   Dell’ORTO combatte il materialismo che non riesce a spie-  ,re le cose della mente: e la sua morale chiama morale di  iccendati CHIUSI NEI LORO ORTICELLI fatta cioè per uomini  litari NON DESTINATI A VIVERE IN SOCIETA, che pretende rego-  re i doveri della vita coi piaceri dei sensi. Morale solitaria     [1) Cfr. Orazione terza.   [2) Cfr. Orazione quarta.   [3) Cfr. Lettera a Giaoohi, Ediz. cit.,  1. VI.   '4) Cfr. il De nostri temporis eco, Il carattere pedagogico dell'opera di Vico e rilevato da Tommaseo,  ìggio 8U Vioo)\ da Flint (Vico, Edinburgh); dai Gerini {Soì^ttoH  ìagogici italiani Paravia). cioè di meditanti che studiano non sentir passione la morale del PORTICO, alleati dei Cartesiani, come qu I, § 3, 4, 7, 9), nel De Antiquisaima, nella  Risposta seconda al « G-iornale dei letterati d* Italia, nelle lettere ad Esperti, al Vitry, a Solla. Aòntamente osserva Vico che il metodo geometrico trasportato  in cose che non sono numeri e misure prova qualunque cosa {Bisp, al  Oiom, eoo»).   che può raggiungersi nelle scienze fisiche aventi un oggetto  determinato e nelle quali si cerca la causa per cui molte  cose si eflTettuano in natura, non nelle scienze morali che  hanno per oggetto i fatti degl’uomini, la cui natura è incertissima per l'intervento dell'arbitrio, in guisa, che delle molte  cause di un sol fatto non si può mai dire quale sia la vera. Porre alle scienze morali per fine il vero, bandire da esse  il verosimile è condannarle alla sterilità e all'impotenza. Vico, superando Bacone, precorre le più moderne dottrine  positive circa il metodo da seguirsi nelle scienze morali. Tra  ì cartesiani fautori della critica, che vogliono banditi i veri  secondari e pongono il primo vero fuori del senso, che vogliono  educate le menti all'analisi, logorandole in sottigliezze e minuzie senza tener conto dell'indole dell'animo umano, delle  sue tendenze alla vita civile, dei vizi, delle virtù, del carattere e del costume secondo l'età, il sesso, la condizione, la  famiglia, la nazione italiana, che si illudono di ridurre a norma tutto  ciò che si attiene alla vita e fanno troppa fidanza sulle norme  der metodo, che finiscono per ostacolare l'ingegno e distruggere la curiosità — e i fautori della topica, seguaci del LIZIO, che, paghi di un sapere empirico, si affidano ciecamente  all'autorità, Vico propugna l'unione della critica colla topica,  cioè della dimostrazione coll'invenzione, dell'analisi colla sintesi, del vero col verosimile, della ragione col senso comune.  Solò per tal via l'uniformità si consegue nell'operare e si  formano non gli scienziati, ma gl’uomini prudenti, gl’oratori,  gl’uomini di stato, che è lo scopo proprio delle scienze morali. La dottrina del metodo si completa in Vico con quella relativa al criterio di verità ch'egli contrappose al criterio cartesiano della percezione chiara e distinta ottenuta  per mezzo dell'osservazione interiore. Vico affrontando  una delle più ardue questioni di metafisica non perdette mai  La questiouò del criterio di verità è trattata da Vico nel De Antiqui88ima S. di mira le esigenze delle scienze morali, e il suo pensiero  riassunse nella formola della conversione del vero col fatto,  cioè che conoscere una cosa significa farla. Mediante l'intelletto l'uomo conosce e conoscere significa comporre insieme  tutti gl’elementi di una cosa e formarsene la perfetta idea.  L'intelligenza umana ha un potere  di comprensione limitato, poiché degl’elementi costitutivi  delle cose solo gl’esterni, e parzialmente anche questi,  riesce a combinare: opperò se l'uomo può pensare a tutte le  cose, non può che intendere quelle che fa, ossia quelle di cui  arriva a comprendere la genesi o la guisa di formazione.  La scienza per Vico è essenzialmente genetica ìr\ quanto si  riduce alla conoscenza del modo o delle cause con cui una  cosa è prodotta -- vere scire per causas scire. I limiti della  conoscenza sono quelli del potere. Di qui l'incertezza e imperfezione delle scienze morali, le quali avendo pell’oggetto  le azioni umane che non possono riprodursi e sono continuamente mutevoli, non possono proporsi a loro unico scopo il vero,  mentre le scienze sperimentali hanno un grado di verità assai  maggiore in quanto studiano la natura riproducendola, e le  scienze matematiche racchiudono il grado massimo di verità  in quanto sono prodotti mentali, vere e proprie creazioni dello  spirito.Vico parlando di produzione della cosa come sinonimo di conoscenza della cosa non intende, come mostra di  credere Cantoni, una produzione ideale, ma una produzione reale, che trova cioè un qualche riscontro nella realtà  quale appare ai nostri sensi. La chiara e distinta idea della  cosa non può assumersi a criterio del vero, come sostiene  Cartesio, poiché il pensare distintamente a una cosa non significa ancora conoscere il contenuto della medeisima, e iioh  ci autorizza ad affermare la realtà della cosa pensata,. La  certezza di pensare non é scienza ma COSCIENZA: scienza si ha    Cfr. Cantoni. La miglior interpretazione  del pensiero metafìsico del Vico ò quella data da Flint. delle cose la cui verità è dimostrata o dimostrabile, cioè delle  cose che riusciamo a fare, mentre la COSCIENZA è proprio di  quelle cose di cui non possiamo dimostrare il modo di loro e^- stenza. Neppure la scesi dubita di pensare e di esistere, ma  dichiara solo di ignorare le cagioni del pensiero, ossia come  esso ha esistenza. Il pensiero è indizio, non causa della realtà.  Una critica più acuta e stringente del principio metafìsico  cartesiano non si potrebbe immaginare e ninno prima di lui  può vantare di averla fatta. La coscienza può attestarci la  esistenza delle cose ma per intuizione non per dimostrazione. Apprendere le cose non ancora significa conoscerne la natura.  Per tal modo Vico eleva una distinzione netta tra verità di  scienza e di coscienza, tra verità di ragione e di sentimento ò  per usar la sua espressione abituale tra ciò che è vero e ciò  che è CERTO. Dell'esistenza dell'anima, dei principi  delle scienze morali possiamo avere una cognizione CERTA  ma non vera. Di quanto Vico restringe il campo del vero  di altrettanto allarga la cerchia del CERTO, pel quale riconosce  che unico criterio applicabile è il senso comune. Vico però  a differenza dei positivisti, non eleva una barriera  insuperabile tra la sfera del CERTO, delle CREDENZE e- la sfera  della verità, della scienza. Egli ammette che le verità di sentimento, di intuizione, sono capaci collo svolgersi della riflessione di trasformarsi in veri scientifici. Anzi egli pone  come legge generale dello spirito individuale e collettivo e  delle sue singole manifestazioni il graduale e progressivo passaggio dalla coscienza alla scienza, dalla autorità alla ragione,  dal certo al vero. Quanti nell'età moderna si fanno sostenitori  della relatività del sapere, accolgeno, senza ricordarlo, il prudente criterio di Vico. Ma di essi più accorto, Vico mostra     Vico usa le espressioni vero e certo in un significato speciale. Per  lui è vero ciò che si converte col fatto. Certo è tutto ciò che si fonda  sul senso comune, ossia le verità intuite ma non dimostrate. Noi invece  siamo soliti considerare termini equivalenti il vero e il certo.] di intendere e di apprezzare anche le idee e sentimenti che  hanno il loro fondamento nell'autorità del senso comune. Vico e profondamente convinto che le scienze morali non possono  astrarre dal verosimile per correr dietro a una vana e formale apparenza di vero che trova nella realtà continue smentite. Il De Antiquissima chiude il periodo filosofico-critico del  pensiero di Vico. Le dottrine in esso esposte sono in regolare  armonia colle sue opere posteriori, di cui formano il presupposto metafisico. Il Libet^ meiaphisicus ribadisce il concetto  che la vera sapienza è operativa e la filosofia non deve solo  proporsi la solitaria e sterile verità ma ancora l'utilità e la dignità della vita. Vico non si restrinse a una critica negativa, mentre critica integra: e come sul terreno metafisico  e metodico integra Bacone e Cartesio, cosi si prepara a integrare Grozio nel campo etico e giuridico. Le predilezioni di Vico per gli studi giuridici rimontano al primo periodo della sua vita, allorché imbevuto ancora  di metafisica scolastica, dietro consiglio del padre si applica àgli studi legali. La casuistica giuridica, rappresentata allora in Napoli da Verde indispone Vico, come quella che si perde nel  casi particolari senza elevarsi a principi razionali -- ottimo  esercizio di memoria, egli osserva, ma tortura dell'intelletto. La dottrina metafisica di Vico ancora aspetta di esser giudicala al  suo giusto valore. Esagerarono nelle lodi per uiì sentimento di legittimo  orgoglio nazionale, ROVERE, Gioberti, Siciliani: la snaturarono adattandola ai propri sistemi filosofici gli hegeliani -- Spaventa,  Vera, Fiorentino -- e gli spiritualisti – Serbati --: mostra di non comprenderla affatto Cantoni, che chiama W^Liher metaphiaious una strana  anomalia nella storia del pensiero di Vico. Non ci convince interamente l'affermazione di Labanca -- (6^. B, Vico e i suoi orifici oaitolioif  Napoli -- che Vico fa della metafisica dogmatica, fondandosi sul fatto che i critici la considerarono  tale e non sollevarono dubbi al riguardo.  Cfr. Autobiografia per tutte le notizie biografiche in questo paragrafo  indicate.  li interpreti antichi e gli interpreti   parve riscontrare i filosofi dell'EQUITA   storici del DIRITTO CIVILE ROMANO: fin   i di far convergere i due indirizzi a   itto filosofico. A formarsi una coltura   ale scopo, Vico attende per un periodo   li a elaborare è a fissare quei principi   lostituire il sustrato metafisico di tutte  . Non trascura Vico neppure in   giuridici. Ne abbiamo la prova nella   so sul metodo delle vicende sto-   per metterne in evidenza il carattere  )mento per un nuovo indirizzo degli  rva Vico che in Grecia la giurispru-  ntemente divisa tra filosofi, prammatici,  onevano i principi razionali attinenti   gl’altri fornivano le leggi agl’oratori  eloquenza l'equo. IN ROMA la giurispru-  origini divisa tra giureconsulti-filosofi  no dal lungo esercizio delle pubbliche  elaborazione della civil prudenza sacra  ano dalla parola allo spirito della legge  [uo, gli uni custodi del GIUSTO, gl’altri  ir età moderna le diverse parti della  assunte in una sola dottrina gli giure-  aratore, ha cessato di essere filosofo;  interesse privato, a cui giova partico-  ifica IL PUBBLICO INTERESSE, meglio tute-   1 Vico traeva motivo per insistere sulla EQUITA NATURALE colla filosofia giuridica   per lui era la dottrina del pubblico   rende i uove anni passati nlla solitndiue di   ani poi trascorsi in Napoli fino alla pubblica-      reggimento che i Greci apprendevano dai filoj  dalla pratica stessa delle cose pubbliche, mentr  Vico e trascurata tanto dai pratici preoccup  trionfare l'equo e l’utile privato, quanto dagli er  far risorgere in tutta la sua purezza il diritto;  rendersi conto delle nuove esigenze dei tempi.  Il divisamente di richiamare gli studi giurid  sua divisi tra la pratica e l'erudizione ad una b  si venne meglio determinando in Vico colla coi  di Gravina e sopratutto colla lettura di Grozio  ai tempi di Vico Grozio e pressoché ignora  Gravina mostra di non averne approfittato. Tale  verso Grozio e naturale in Italia, estranea al  mazione dello stato e strettamente lej  dizione giuridica e all'AUTORITA DEL DIRITTO ROMANO cercato reagire Grozio. Ma ben intese i  scuola del diritto naturale di cui e stato fonda  aveva efficacemente cooperato a restaurare qi  del pubblico reggimento, di cui difettavano i no  sulti. Si comprendono pertanto le sue simpatie  lui posto nel novero degli autori prediletti acca  a TACITO, a Bacone. Grozio era assorto al e    Vico neìV Autobiografia ci fa sapere che la Vita é  pubblicata  gli conciliò € la stima e l'amicizia d  letterato d'Italia Gravina col quale coltiva s  denza infiuo ch'egli morì. Le  provano che egli conosceva di fama anche prima di qu£  vina, e certamente ne aveva letto le opere, Vico p(  l'opera di Grozio nell' apparecchiarsi a Scrivere la F  L'opera di Grozio era stata messa sìlV Index Ex^  Chièsa cattolica. La sincerità delle credenze religiose no  Vico di studiare e apprezzare scrittori condannati dalla  ma per prudenza si astenne molte volte dal citarne i n  citandoli li cita vagamente e quasi di sfuggita. In leti  abbondano le citazioni di scrittori stranieri e mostra di co:  nei concetti fondamentali .  arsale sottratto a delimitazioni di tempo e di luogo,  na e immutabile di giusto che Vico coll’accademia innata e propria della natura razionale dell'uomo,   cerca far scaturire dallo STUDIO DELLA LINGUA DEI ROMANI  ed estendere alla gran  mere umano. La lettura di Grozio forni a Vico  i prender conoscenza dei divèrsi indirizzi che  del diritto naturale si sono andati svolgendo in   Germania e Francia. Di Hobbes,  yle, ricorda il nome e le opere e riassume in poche  issime l'indirizzo generale del loro pensiero in or-  lenze giuridiche e sociali. Altrove mostra co-  stemi di Selden e Pufendorf, di cui associa costan-  dottrina relativa alle origini della società umana  ii Grozio. Ma a quest'ultimo Vico direttamente  e conciliandolo colle nostre tradizioni giuridiche.  zò assorgere dal concetto dell'EQUITA NATURALE, eia-  pratici, COL SUSSIDIO DEL DIRITTO ROMANO, restaurato  i, a quell'idea eterna del GIUSTO che Grozio ha mte derivato dalla ragione umana,  ordine ai fondamenti filosofici delle scienze morali,  di Vico è per molti aspetti definitiva. Nessuna  filosofia antica e moderna sorto in seno alle scienze  mostra di ignorare : di tutti rileva acutamente le  difetti. I greci trattato della giustizia e  in termini troppo generali e astratti, I ROMANI in     '. Vno^ (Proloquium^f ove ricorda il Principe di MACHIAVELLI,  ìli' Hobbes, il Tractatua theologico-politicua dello Spiuoza, il  1 Bayle. — "SeW Autobiografia accenna ad uua corrispondenza  is, di cui mostra apprezzarne il valore. Questa conoscenza  iutte le correnti fìlosoficbe dell'epoca sna fa ri-  urie in La filosofia del diritto nello  Torino, Unione tip,  ontro coloro, sopratutto stranieri^ cbe facendo la storia del  Je non ricordano affatto Vico. —   concreto. Gl’antichi interpreti non conoscheno che le esigenze  della pratica, i nuovi astrassero da ogni indagine di carattere  filosofico per concentrarsi nello studio filologico dei testi di legge. Hobbes, Spinoza, Bayle fanno dell'utile o del piacere il  criterio del diritto, fanno del timore o del CONTRATTO IL FONDAMENTO DELLA SOCIETA, dell'arbitrio la fonte della legge. Grozio  stesso tratta del diritto naturale delle genti e trascura il  diritto civile, opperò se quello risponde a esigenze razionali, questo lo contraddice nel fatto. L’uomo di Hobbes che  agisce sotto lo stimolo dell'utile e del bisogno è condannato  dalla ragione, ma trova conferma nell'esperienza della storia.  La scienza del diritto naturale sembra dibattersi tra i due  termini opposti della ragione e del senso, dellar filosofia e della  storia senza speranza d'uscita : a risolvere la contraddizione  si accinge Vico. Il concetto di un'armonia provvidenziale  balenata alla mente del Leibniz per comporre il dualismo metafisico tra anima e corpo, ricorre per una strana coincidenza  in Vico per comporre la corrispondente contraddizione nel  campo delle scienze morali Filosofia e storia, idea e sensazione, scienza e coscienza, ragione e autorità, lungi dall'escludersi si richiamano, si integrano, si spiegano a vicenda  nell'uomo, nelle sue varie fasi di sviluppo, nelle sue manifestazioni individuali e collettive. La dottrina pertanto del  diritto naturale o universale che Vico identifica colla  dottrina civile in opposizione alla dottrina morale, si fonda  sulla duplice base del vero e del certo, ed è svolta nel De Uno  da un punto di vista puramente astratto.  L'idea del GIUSTO innata nell'uomo non è che un aspetto      Del juB civile Vico accoglie la definizione di Ulpiano -- quod  neqae in totum a j are naturali recedit, nec per omnia ei servit, sed  partim addit partim detrahit. Cfr. Ferrari. Cfr. De Uno eoe*, Proloquium. Vico pubblica il De uno universi juna principio et fine uno. VICO chiama UNIVERSALE ciò che altri chiamano diritto naturale.    scambio dei beni, che segui alla prima divisione dei campii  passa da forme violenti e arbitrarie a forme sempre più razionali e si genera il dominio. La volontà dapprima dispotica  e sfrenata, nell'usare dei beni e delle persone, facendosi sempre  più moderata e ragionevole genera la libertà. 'L’attività guidata dal senso e conservazione e tutela della vita fisica,  guidata dalla ragione divenne tutela e conservazione della  personalità intellettuale e morale. La proprietà, in quanto  è ristretta alle cose finite e corporee, la tutela in quanto è  difesa del corpo, la libertà in quanto è libera estrinsecazione  degl’affetti dell'animo costituiscono il diritto naturale primario che Ulpiano define: quod natura omnia animalia  docuìL avente CARATTERE NEGATIVO in quanto indica ciò che la  ragione non riprova ma PERMETTE, if dominio, la libertà, la  tutela, sciolti dal senso e regolati dalla ragione costituiscono  il DIRITTO NATURALE secondario o NECESSARIO, che Giustiniano  defini quod naiuralis ratio inter omnes homines constitiiit  et apud omnes gentes peraeque custoditur, in quanto vieta e  comanda conformemente all'eterno vero. Le due parti del diritto civile ne costituiscono rispettivamente la materia e la  forma, il corpo e l'anima, l'elemento mutevole ed eterno, la  ragione civile e naturale, ossia la mens legis e la RATIO LEGIS,  di cui l'una è ir certo delle leggi che spectat ad uiilitatem  qua variante variatur^ l'altra è il vero delle leggi, cioè la  conformazione della legge al fatto, che spectat ad honestaiem  qtme aeterna est.   Dalla libertà, proprietà, tutela, si genera Vauctoritas, la quale  lungi dall'essere creazione arbitraria del legislatore, come  vorrebbe Hobbes, ha il suo fondamento nella natura stessa  dell'uomo, in quanto questi conoscendo ciò che è proprio della  sua natura, lo vuole e lo attua colla mente e col corpo. Questa    Sui concetti di libertà, proprietà, difesa e loro genesi psicologica cfr.  De Uno  Sui rapporti tra diritto primario e secondario cfr. De Uno       auctoritas naturale o razionale attuata nei fatti costituisce  VauctorUas jtiris, la quale e dapprima monastica, spontanea  espressione della personalità individuale, propria degl’uomini  che vivono solitari all' infuori di qualsiasi organizzazione sociale: poi costituita la famiglia diventa domestica ed è l'espressione del dispotismo ancora rozzo e violento dei patres. Infine col formarsi dello stato romano diventa civile, ed è l'espressione  dell'intelligenza, volontà, ATTIVITA COLLETTIVA, ossia della personalità civile.   Dal diritto civile proprio del popolo romano si distingue il  diritto civile comune, ossia il diritto naturale dei giureconsulti fondato sui comuni costumi dei popoli. Abbiamo da  ultimo IL DIRITTO NATURALE DEI FILOSOFI, DEDOTTO da' principi puramente razionali e riferito alla gran città del genere umano.  Col diritto privato si svolge parallelamente il diritto pubblico.  Primo a sorgere è il governo degl’OTTIMATI, reso necessario  dalla tulela dell'ordine, proprio degl’uomini forti, poco amanti  delle conquiste ma molto della loro libertà e dignità. Esso si  regge colle costumanze e mantenendo inalterato e arcano il  diritto. Dalle repubbliche d’ottimati ROMANI, numerose ma piccole, i  popoli molli e rozzi passano alle monarchie, i popoli di ingegno  acuto ma molli cadono presto sotto i tiranni, mentre i popoli  di ingegno acuto e forti si organizzano in repubbliche libere  e popolari, sulla base dell'eguaglianza del suffragio, della libertà di opinione, dell'egual diritto agl’onori. Mediante PATTI statuti si possono costituire governi misti e temperati a  base monarchica, aristocratica o democratica. auotoritas e sue forme cfr. De Uno Vico lo chiama IVS CIVILE OMNIVM CIVITATVM COMMVNE -- De Uno, o IVS NATVRALE GENTIVM, e ad esso riferisce la definizione del IVS CIVILE data da GAIO (si veda):: OMNES POPVLI QVI LEGIBVS SEV MORIBVS REGVNTVR PARTIM ANO PROPRIO PARTIM COMMVNI OMNIAM HOMINVM IVRE VTVNTVR. Cfr. sui rapporti tra IVS NATVRALE GENTIVM ET PHILOSOPHORVM, De Uno. Sulle tre forme fondamentali di governo d’OTTIMATI, regio, libero, il De Uno ha tutti i caratteri di un vero e prò  di filosofia giuridica, che Vico con novità ec  espressione chiama CONSTANTIA IVRIS. Per esso il  una posizione netta e precisa di fronte ai tre in(  mentali che vedemmo essersi distintamente delii  alla scuola del diritto naturale e che dovevano accentuarsi e arrivare alle consegue  Ai seguaci di Hobbes, moderno ORTO, Vico  l'esclusiva importanza data agl’elementi sensibi  e perciò mutevoli del diritto. Ai cartesiani, mode  Vico contesta la possibilità di formare una teoi  del diritto colla guida esclusiva della ragione,  conto degl’appetiti, degl’affetti, degl’interes  tanta parte della vita dell'uomo e della società  due indirizzi estremi Vico si attiene all'indiriz  che tra tutti mostra di intendere la comi  natura umana e di assorgere al concetto di un dir  universale, depvandolo dalla ragione associata  e alla storia. Ma di Grozio non e Vico pediss(  come il Pufendorf Egli lo integra sotto, un dupl:  vista, filosofico e storico. Nell'uso  pretazione della tradizione e della storia Grozi  il paragone con Vico : ci basti per ora affermare  Uno Vico SUPERA IN RIGORE E PROFONDITA di concet  giuridica contenuta nel De jure belli et pacis.   In questo trattato Grozio si rivela più giur  erudito che filosofo: i suoi PRINCIPI FILOSOFICI sono BEN DETERMINATI: gli fa difetto il RIGORE LOGICO, Y  matico, la precisione nel definire e nel distingue]  cipì opposti talvolta non sa decidersi per nessun  sempre riesce a farli concorrere alla dimostrazi  assunto. Vico rileva questi difetti di Grozio     rispondenti rispettivamente ai tre concetti fondamentali de  tutelaf dominiOt libertày cfr. De UnOj rizzo mediano più rispondente alle esigenze delle scienze  etico-giuridiche, ancora imperfetta e quasi incosciente in Grozio è attuata da Vico con rigore di principi e con piena  coscienza. E mentre il suo sistema filosofico sembra coordinarsi  ai sistemi sorti in seno alla scuola del diritto naturale, nel  fatto egli non fa che continuare l'opera degli interpreti nostri  che portano l'elaborazione dell'equità naturale ad un  alto grado di perfezione. Egli ne compie e corona l'edifìzio colla  dottrina dell'equità civile. E accusato Vico di aver confuso l'etica col diritto,  di non aver chiara la coscienza dei loro rapporti e dei  loro caratteri differenziativi. L'accusa, se fondata, fa  torto al suo acume ed e in contraddizione col senso finissimo per cui egli sa sceverare IL FATTO GIURIDICO dagl’altri  fattori concorrenti. A noi pare che anche sotto questo aspetto Vico affermi la sua superiorità di fronte ai giusnaturalisti,  ponendo la questione dei rapporti tra morale e diritto sopra  nuove basi atte a facilitarne la soluzione. Prima di Thomasius  noi assistiamo per parte dei sistemi usciti dalla scuola del diritto naturale a un progressivo assorbimento del fatto morale  nella sfera giuridica. Il concetto del diritto si allarga fino a  comprendere la vita morale e vien meno ogni criterio di distinzione tra le discipline etiche e le giuridiche. Vico ha certo  coscienza di tale confusione quando afierma che per opera dei  seguaci di Hobbes e di Cartesio sono rinnovellati gli antichi  sistemi dell’ORTO e del PORTICO, di cui l’uno confonde la giustizia colla felicità e coll'utilità, l’altro colla  onestà e colla virtù morale. Non sfugge a Vico Timpo-     Cfr. Cantoni. Dei critici del Vico Cantoni  equello che mono ri usci ad afferrare la dottrina metafisica e  giuridica di Vico. Di ciò lo rimproverano SICILIANI (si veda)  e LABANCA. Cfr. Carle, La filosofia del diritto nello stato  (Torino, Unione) ove tratta da un punto di vista del tutto  nuovo della elaborazione dell'idea di GIUSTIZIA. teiiza dell’ORTO e del PORTICO ad assorgere al concetto del GIUSTO, nel quale gl’elementi dell'UTILE (neo-Trasimaco) e dell'ONESTO (neo-Socrate), dell'INTERESSE e della moralità, insieme  convengono. Da un punto di vista puramente pratico in antico  i ROMANI, gli interpreti della scuola di Bartolo e Baldo elaborano il concetto dell’ equo-bono, inteso a commisurare l'utile tra gl’uomini viventi in società  secondo le norme dell'onesto. Il diritto naturale, che l'Hobbes  deriva dall'utile e i seguaci di Cartesio tendevano a far derivare dall'onesto, è da Vico fatto scaturire dal concetto intermedio dell’equo bono. Per lui infatti il diritto naturale est utile  aeie>^no commensu acquale, cioè è l’ÆQVVM BONVM dei  giureconsulti romani e dei nostri interpreti antichi. Prima di Vico Grozio e Leibniz cercano di  svolgere il diritto naturale sull'ampia base dell'utile e d’elementi razionali di natura etica. Ma Grozio non arriva a  fondere i diversi elementi in un concetto unitario che serve  di fondamento sicuro al suo sistema, Leibniz stabili un rapporto puramente metafisico tra l'utile, il giusto, l'onesto,  astraendo dai bisogni della pratica. MANCA A GROZIO E LEIBNIZ LA BASE SALDA DELLA TRADIZIONE ROMANA su cui Vico eleva la  sua dottrina filosofica. Grozio e Leibniz trascurano il  concetto dell'equo e assorsero al concetto del giusto colla  guida esclusiva della ragione. Vico pervenne al giusto per  naturale svolgimento dell'EQUO. Per Vico il giusto è un  genere, un'astrazione, un'idea. Come tale si distingue dall'EQUO  che è l'idea del giusto tradotta nel FATTO, in quanto cioè tien  conto delle ultime circostanze dei fatti. Ninno prima di Vico tenta UNA GENESI PSICOLOGICA del  diritto nei suoi rapporti colla morale e cogli altr’elementi della    Cfr. De Uno Nel Ve Ant, Vico dopo aver detto che v&i' .  e Uno il rapporto tra diritto e morale è trattato da un punto  L vista essenzialmente metafisico: nelle opere posteriori do-iva essere svolto sulla base dell'osservazione psicologica e  )lla storia.   Nel Da Uno Vico appare il filosofo del diritto in-  so a porre i fondamenti metafisici di una dottrina civile. Il diritto ROMANO  vi si rivela nei suoi cai'atteri universali e costanti  lale espressione dell'eterno vero, rispondente alla natura  izionale dell’uomo. Puo alcuno credere che Vico avesse  ,tto opera aprioristica analoga ai sistemi usciti dalla scuola  3l diritto naturale. In realtà Vico segue diverso  immino. La sua filosofia giuridica non e opera arbitraria  della ragione, ma il risultato di una potente astrazione fatta  sopra materiali ofierti dalla storia del diritto. A Vico sa-  bbe parsa opera vana una dottrina filosofica del diritto,  le non avesse trovato nel fatto conferma. Il criterio della  mversione del vero col fatto doveva farlo convinto che il diritto filosofico se veramente risponde alla natura umana  ^trattamente considerata, non può trovarsi in contraddizione  )\ fatti e se contraddizione esiste essa è transitoria. La lo-  ca delle idee deve per essere vera identificarsi e confondersi  fila logica e l'ordine delle cose. Ma tale identificazione è  Dta e graduale. DAPPRIMA IL DIRITTO ESISTE COME FATTO POSITIVO, si attuatto l'azione della necessità e dell'UTILITA. Solo in uno stadio  ogredito di riflessione l'uomo avverte sotto le mutevoli forme  oriche il progressivo attuarsi dell'idea eterna del giusto.  Dimostrare col sussidio della filologia, cioè della storia lar-  .mente intesa la progressiva attuazione nell'ordine dei fatti  il diritto naturale, divenne la meta a cui si indirizzarono  ricerche e gli studi di Vico. Tale dimostrazione egli dove  pprima chiedere al DIRITTO ROMANO RICOSTRUITO ricostruito ne' suoi testi  nuini dai giureconsulti colti e nella sua storia da Gravina,  diritto romano appariva a lui come ai giureconsulti nostri.  Gravina, a Doria un prodotto di formaziorie naturale e  3ntanea mirabilmente atto a servir di guida e di modello per la determinazione delle leggi costanti e universali che segue  il diritto nella sua evoluzione storica. Dominato da questo concetto che risponde alle nostre più costanti tradizioni Vico  si diede nel De Constantia a ricostruire con larghezza e  originalità di vedute IL DIRITTO ROMANO per trarne argomenti  alla dimostrazione de' suoi principi filosofici. La scuola del diritto naturale fin dal suo sorgere con Grozio dichiara  GUERRA APERTA AL DIRITTO ROMANO. Descartes e si levato contro  gli studi storici e filologici. Vico posto nell'alternativa di  negare la storia o la filosofia, l'autorità o la ragione, il DIRITTO ROMANO o il diritto naturale non ha un momento di  esitazione: si attenne alla TRADIZIONE ROMANA mostrando come  da essa potessero derivarsi principi per una concezione filosofica del diritto. Egli volle essere l'anello di congiunzione tra  i metafisici e gli storici del diritto. Come vi è una fisica e una  metafisica della natura, cosi vi è un diritto fisico e metafisico. IL DIRITTO FISICO POSITIVO E IL DIRITTO ROMANO  quale esiste nella storia:  il diritto filosofico fondato sulla contemplazione astratta della  natura umana se non vuol essere arbitrario deve potersi convertire nel fatto. A questa condizione il diritto fisico per forza  naturale di cose finisce per incontrarsi e coincidere col diritto filosofico. Di qui ir rimprovero da lui mosso da un lato  all’accademia per aver confuso il giusto ideale col giusto eterno,  l'uno inconvertibile, l'altro convertibile col fatto, dall'altro a  Grozio e a Pufendorf per non aver tenuto conto della storia  e per aver foggiato un diritto filosofico che non è praticato  nel costume. LA STORIA DI ROMA S’INIZIA COLLA GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI. Da questa guerra esce la feudalità solitaria delle famiglie che comandano ai clienti e lottano contro i nomadi. Il De Constantia jurisprudentis diviso in due parti, De Constantia Philosophiae -- breve riassunto dei princìpi filosofici ampiamente esposti nel De  Uno -- e De Constantia Philologiae. Tali rimproveri si possono leggere nella Prima Scienza Nuova. Ili séguito alle rivolte dei clienti I PATRIZIJ si chiudono nelle  città, si organizzano in ordini, combattono i ribelli e dai vinti  si formano le plebi. Ma queste col tempo cresciute di numero  si rivoltano di nuovo, e l'aristocrazia è costretta a cedere, a  estendere al popolo leggi, campi, matrimoni, cittadinanza. Cogli  imperatori abolite le classi e i privilegi, le leggi appaiono  altrettante generalità filosofiche. Scompare l'antico diritto  rozzo e violento e la forza dell'autorità si confonde con quella  della ragione. L'armonia tra il senso e la ragione, tra il vero  e il certo, tra filosofia e filologia sembrava raggiunta. Ma nel  trarre dalla storia di Roma il corso ideale del diritto, Vico  dove colmare lacune, completare tradizioni, adottare un'arte  nuova di critica e di interpretazione atta a penetrare il significato di intere epoche storiche e fondata sulla osservazione  psicologica e SULLO STUDIO DELLA LINGUA LATINA. La ricostruzione storica del diritto romano dischiuse a Vico  la via alla ricostruzione storica del diritto quale si manifesta  ne' suoi caratteri costanti nel mondo della nazione italiana. Ma ben  comprende Vico che tale ricostruzione non puo dirsi completa se il fenomeno giuridico non e studiato ne' suoi rapporti colla religione, colla morale, colla politica considerati  come altrettanti prodotti storici che si svolgono parallelamente  al diritto e ne attraversano le stessi fasi di formazione.   Nella Prùna Scienza Nuova  il diritto naturale non è  più studiato come prodotto storico del popolo romano,  ma come formazione collettiva, cioè come la scienza dell'uomo  solitario che vuol la salvezza della sua natura e la conquista  per gradi nel consorzio sociale sotto la pressione delle necessità e delle utilità. Alla mancanza di documenti storici, di  tradizioni certe, di testimonianze sicure supple Vico colle  sue intuizioni audaci e divinatorie, coll'autorità del senso  comune che è la mente dell'uomo collettivo da cui traggono   E sopràtutto notevole per la formazione  storioa e sociale del diritto.    origine quelle massime di sapienza volgare in cui tutti il popolo romano convenne ed e universalmente praticato.   Dal primitivo stato di solitudine e di abbandono in cui manca  ogni freno al senso e il diritto è sinonimo di forza l'uomo  invaso da terrore religioso esce contraendo stabili unioni in  sedi fisse. La famiglia rappresenta la prima fase dello sviluppo  sociale: solidamente costituita sul principio religioso essa si  allarga fino a comprendere quanti per sfuggire ai pericoli e  alla miseria della vita nomade invocano la protezione dei  forti. Costumi, diritto, politica riflettono in questo antichissimo stadio di vita sociale lo stato mentale dell'uomo. A uomini  ignoranti e superstiziosi, privi del necessario alla vita, insofferenti di freno, amanti della solitudine, devono convenire religioni spaventose e crudeli, costumi barbari ma moderati. È  questo il periodo divino o teologico del diritto naturale in cui  mancando le leggi, i diritti si custodiscono colle religioni. I  padri sono sapienti, sacerdoti, re nelle famiglie che costituiscono una libera e assoluta monarchia. Coll’ampliarsi delle famiglie in gentes, coll’ammutinarsi dei  plebei e conseguente organizzarsi dei paires in ordini e nelle  città, sorgono i governi aristocratici e quindi i regni eroici.  Le plebi lottano per la libertà di ragione, per l’uguaglianza  dei diritti, per il possesso dei campi. I costumi sono sempre  severi ma meno feroci, il diritto eroico si mantiene rigido,  crudele, arcano, privilegiato.  Ma gl’eroi decadono convertendosi in tiranni. Nelle città i  plebei ottengono di esser parificati ai nobili nel godimento dei  diritti e si iniziano i governi civili nella forma di repubbliche  libere o di monarchie civili. I costumi si ingentiliscono e con  essi SI FA UMANOe civile IL DIRITTO NATURALE. Coll'estendersi  della NATURALE EQUITA delle leggi sorgono i filosofi a meditare   Circa i caratteri del diritto, deUa morale, della politica iu questo,  primo periodo cfr. P. S. N, Del diritto, della morale, politica eroica U Vico tratta, il vero delle cose e con essi si iniziano la metafisica e le  diverse scienze e arti. Dai rapporti fra le città si svolge il  diritto naturale delle nazioni, e dall'unione delle nazioni il  diritto universale del genere umano. Per tal modo le varie fasi di aggregazione sociale, le forme  di governo, i costumi, il diritto si succedono secondo una legge  costante riflettendo il corso delle idee espresse a loro volta  nelle lingue. I concetti di diritto civile, di, diritto naturale,  delle genti, non più considerati da un punto di vista puramente astratto, non più ristretti a un popolo determinato ci  si presentano concetti vivi e reali, formazioni storiche strettamente legate col graduale sviluppo dello spirito umano nelle sue  manifestazioni individuali e collettive. Nella Prima Scienza  Nuova l'idea predominante è pur sempre l'evoluzione storica  del diritto considerato, come dice Carle, la quintessenza  dell'aggregato sociale. IN ROMA IL DIRITTO SEMBRA ASSORBIRE TUTTI GL’ALTR’ELEMENTI DELLA VITA SOCIALE IN GUISA D’APPARIRE QUASI L’ELEMENTO ESCLUSIVO. Perciò Vico vuole porsi da un  punto di vista più elevato per meglio determinarne i caratteri,  le leggi universali e costanti del suo eterno divenire storico. Il problema relativo alla natura socievole dell'uomo,  all'origine della società e della sovranità, e stato argomento  di vivaci discussioni in seno alla scuola del diritto naturale.  Tale problema, osserva Carle, e necessariamente implicito  nel concetto da cui aveva esordito la filosofia, secondo cui l'uomo come tale, cosi come esce dalle mani  di natura e non in quanto fa parte di un qualche gruppo sociale, è capace di diritto. Dei due termini, individuo e società,  per tal modo dissociati solo al primo, nei vari sistemi usciti  dalla scuola del diritto naturale, e attribuita esistenza reale. Dei tempi umani tratta Vico Vedi Carle, Fil, del Dir, nello stato,  in cai è trattato l'argomento dell’indivìduo e della società nella  filosofia del diritto. in cui si discorre della  ipotesi di UNO STATO DI NATURA, della genesi della società e sovranità. All’individualismo religioso, filo  repoca e naturale compierne  della società. Tutti gl’indirizz:  scienze morali   pito, UNO STATO DI NATURA aiiter  l'uomo godeva di una indipende  sconfinata, e da cui sarebbe us(  lontari ACCORDI, nei quali riponev  come della sovranità. Grozio,  turalmente socievole, ammise ne  un periodo, circa un secolo, di  Yenne meno il sensimi natii7^a  homines. Tale stato di nomadi,  dette necessario ammettere per  prietà privata, e del rispetto et  tale. Lo ritenne composto di se  allo stato civile per un certo e  di famiglia. Il Pufendorf, sull'c  decaduti gentili come uomini senza aiuto divino. Hobbes i  carattere di tendenza originaria  dal senso, dagl’appetiti, dagli  natura come un vero stato ferin  stato di natura anteriore alla s  mebondi se non furibondi come \  della tradizione medioevale coni  da Grozio, Selden \  tilità decaduta non si era mai  l'intervento diretto della diviniti  con criterio diverso la storia deg  Gli stessi problemi si affacciar-     L'opera di Selden, dotto ebn  col titolo : De jure naturali et gentium   Cfr. Labanca  contrasto coi filosofi solitari o monastici, fautori  alismo egoista e razionalista, mentre riservò tutte  itie per i filosofi politici, le cui opere sono intese  ire l’uomo nella civile società. Nella sua ammira-  pistianesimo, nella sua avversione pel movimento  entra come elemento la considerazione- deirin-  ociale ch'egli giudica compromesso dallo spirito  ta che anima la Riforma. La sua ammirazione  ch'egli si compiace di chiamare sociniano (1), non  gine. Nell'avvertire i pericoli dell' individualismo  ielle scienze morali, nell'additarne le cause, nel-  L rimedi, Vico e solo ed inascoltato. Nel De Uno  natura socievole dell'uomo e delle origini e cause  3nza sociale da un punto di vista puramente astratto  ntegrare Grozio e a contrapporsi ai cartesiani  di Hobbes. Nella Seconda Scienza Nvxyoa egli si  ire del problema la dimostrazione storica e psico-  lendo a conclusioni che fanno di lui il precursore  ìza sociale. Il fatto che risalendo alle origini   dà la qualifica di sociuiano a Grozio in due passi deUa PrivMi  e in entrambi i  to degli uomini immaginati da Grozio originariamente bivoni  deboli, soli e bisognosi di tutto; Vico chiama tale ipotesi  Il Labanaca corregge l'affermazione del  >8i sul fatto che Grozio era ariuiniano e che scrìve una  contro Socino. A questo lavoro di Grozio contro Socino non  iffini neir opera citata sulla Libeì'tà religiosa: in quella vece  argomenti decitivi la stretta affinità tra la dottrina di Socino  arminiaui. Grozio, dice Rnffini, proclama alta-  bnona intesa con i Sooiuiani, coi quali e specialmente col  [ìtimo rapporto epistolare. » — L'affermazione di Vico non  destituita di fondamento. — Cfr. Ruffini, e più studiato da letterati, filosofi e storici che non da  nze morali e sociali. In generale i crìtici di Vico non ri-  to sociologico della Seconda Scienza Nuova, Vi accennano  dliani: lo dimostrò ampiamente Carle nelle sue « Lezioni  \ale » (inedite) da cui sono tratti molti concetti in questo  tenuti. più remote della storia non si ha memoria di uoi  airinfuori del consorzio civile, costituisce per il  mento decisivo in favore dell'esistenza originaria  che è quanto dire della natura socievole delì'uon  cose fuori del loro stato naturale non possono a  durare. Il presupposto della Seconda Scienza Ni  l'umanità abbia un corso uniforme ed immutabile  nata da leggi costanti, che tutti gl’uomini nor  membri di un gran corpo che non muore mai,  istante per il continuo mutare degli individui si  molteplice ed uno ad un tempo. Religioni, leggi, : altrove lo definisce: mente illii-   sbta, cuor retto e lingua fedele interprete di entrambi  mettendo in   vo l’armonia che deve esistere fra le diverse facoltà.   Tali principi assiomatici Vico chiama e dignità > e sono iu   )   ) Cfr. Dignità,  sapere il vero deHe cose si attiene nell'operare al certo, a ciò  che a lui sembra vero, al senso comune. L'uomo in qualunque stadio e condizione di vita sociale ama principalmente  l'utile proprio; a misura che la cerchia dei suoi interessisi,  allarga alla famiglia, alla città, alla nazione, al genere umano,  si estende d'altrettanto il suo egoismo. Dalle necessità e  utilità della vita regolate dal senso comune, trae sopratutto  l'uomo impulso ad operare: esse costituiscono il criterio saldo  per l'interpretazione della condotta presente e futura. A beneficare, a contrarre i vincoli sociali, ad accettare le diverse  forme di governo, le leggi, le istituzioni, sino gl’uomini sopratutto tratti dall'utile che ne ritraggono. Prima a svolgersi nell'uomo è la vita del SENSO, poi quella del sentimento,  quindi della ragione. Epperò se prima gl’uomini sentono senza  avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso,  finché da ultimo riflettono con mente pura. Il progresso morale è in stretto rapporto collo sviluppo psichico. Quando sieno  successivamente soddisfatte le necessità, le utilità, le comodità  della vita, l'uomo che npn domina gl’appetiti e non intende  la voce della ragione, si abbandona al piacere, al lusso, finché  non rovina nella dissolutezza. Tali osservazioni di psicologia  individuale Vico completa con osservazioni generali di psicologia collettiva. I popoli, come gli uomini, hanno periodi di  infanzia e di giovinezza. Fatti adulti invecchiano e quindi  muoiono. I popoli rozzi e barbari come i fanciulli favellano  per universali, sono inclini a imitare, hanno vigorosa la memoria, vivida la fantasia, debole il raziocinio, profondo il culto  delle tradizioni. Lentamente e per gradi si inducono a rinunciare alla loro libertà, ai loro patri costumi : ribelli a ogni  freno sono domati dalla religione: impenetrabili nella loro     (1) Dig., 9, 11, 12.   (2) S. S. N., lib. I, Del Metodo.   (3) mg., 80.   (4) Dig.  barie cedono alla violenza delle guerre o alle attrattive  commerci. I costumi dei popoli sono dapprima crudi. Poi  eri, quindi s’ingentiliscono, per farsi nell'ultima fase del  ) sviluppo raffinati e dissoluti .   .'osservazione psicologica si completa in Vico collo studio  oU'interpretazione della storia, ch'egli chiama la biografia  l'umanità. Gli studi storici all'epoca sua sono degnamente  presentati in Italia da Giannone e Muratori. Giannone  lon tratta dalla storia una scienza nuova, aveva certa-  ite studiato la storia con criteri nuovi. In lui troviamo non  olito espositore dei fatti politici, ma lo studioso della vita  ile e interiore dello stato : primo mostra di saper ragionare  fatti, e di trarne argomenti alla dimostrazione di una  i  Muratori fa della critica e della erudizione storica  ì a sé stessa : ricercatore e raccoglitore indefesso e sagace  )lvette, dice Manzoni, tante questioni, tanto più ne  e, ne sfrattò tante inutili e sciocche. Ma egli non penetra  •e il fatto, non raccoglie a unità tante cognizioni. Di queste  L vede né i principi né le conseguenze. Sotto questo  etto egli fu il vero contrapposto di Vico, il quale si forma     [) Dig.y 4 Giannone, appartiene a qneUa schiera di ginre-  »nlti storici ed eruditi c\t^ aU'epoca di Vico iUnstravano Napoli. Fa allievo Aulisio e frequentò la casa d’Argento,   avvocato e magistrato di Napoli. Dopo veut'anni di la-   Giannone pubblicò in Napoli la sua Storia civile del Regno  Napoli in cui si fa difensore dei diritti dello  » contro le usurpazioni deirautorità ecclC'iiastica. Vico conosce  o Giannone ma non lo ricorda per evidenti ragioni di prudenza. Muratori pubblica l'opera sua maggiore « Rerum  Icarum Soriptoros. Vico ricorda Muratori  ma lettera a Gaeta a proposito del trattato di filosofia morale  del Muratori. Manzoni, -- Opere varie, Milano,  aelli -- contrapponendo Muratori a Vico dice che  rvando i loro lavori^ par qyasi di vedere, con ammirazione e con  •lacere insieme, due. gran forze disunite, e nello stesso tempo come uu  ame d'un grand'effetto che sarebbe prodotto dalla loro riunione. della storia un largo concetto fino a comprendere in essa t  le manifestazioni umane, la interpretò agli effetti delle sci^  morali, se ne valse per la costituzione di una scienza nu  Egli spinge il suo sguardo nelle epoche più oscure, là e  più scarse e misteriose sono le memorie e le tradizioni,-  aiuta con criteri derivati dalle proprietà costanti della moli, Pierre Cfr. Labanca, Op. cit.> per le notìzie biografiche o bibliografiche  intorno ai citati critici. Thomasius, Wolff, critica la dottrina dello stato ferino del  Vico chiamandola erronea impiaque e dimostrandola contraria alla metafisica ed alla  storia latina. L'accusa di empietà solle-  vata da Pinetti colpiva non pur Vico, ma quanti ne am-  mettevano la dottrina dello stato ferino. Tra questi DUNI (si veda)  che risponde con acredine. Di qui e offerta a Finetti l'occasione di scrivere l’Apologia, in cui sottopone la Scienza  Nuova a una critica minuta. Ribadisce Finetti la critica  contro lo stato ferino, rimprovera a Vica di intendere la  Provvidenza in un modo non sempre conforme alla teologia  cattolica, di aver disconosciuto il cristianesimo, di aver preferito solo a parole la storia sacra alla  profana, di aver bandito il divino dalla storia.   I fatti posteriori rendero giustizia all'oculatezza di Finetti  nel mettere gli studiosi in guardia contro il veleno  tanto più temibile quanto meno avvertito che nella Scienza  Nuota si nasconde. In Vico non e abbastanza rilevato quel  fenomeno di sdoppiamento psicologico a cui ci hanno abituato  i, nostri grandi filosofi e che in Italia e il  mezzo più efficace per sfuggire alle persecuzioni e per conciliare la sincerità della credenza colla libertà del pensiero. Se  non si tien conto di questo fatto la figura di Vico appare  incomprensibile. In lui bisogna tener costantemente distinte  le due figure dell'uomo e del filosofo. Come UOMO Vico e    Finetti e veneto, sacerdote, censore ufficiale dei libri da proibirsi  come contrari alla fede cattolica. Cfr. Labanca. La Eisposta apologetica di Dani. E pubblicata da Finetti sotto il pseudonimo di Filandro  Miaoterio -- cioè amante dell' Mwawo e sprezzante del /mtio. Ricordiamo che  la controversia tra Duni e Finetti si e così allargata in Roma da  originare le due scuole dei ferini e anti-ferini, L’Apologia e passata  inosservata agli studiosi di Vico. Spetta a Labanca l'onore di averla  fatta 'conoscere nel suo contenuto storico -e critico.  -- sinceramente cattolico. La religiosità di Vico risulta non tanto  dalle sue insistenti dichiarazioni fatte nelle opere destinate  al pubblico, quanto dalle lettere private e da alcuni passi  dell’Autobiografia in cui non preoccupato di far pompa delle  sue credenze, manifesta intero l'animo suo. I critici del resto, Finetti stesso, non elevano dubbi al riguardo. Essi si limitano a dire che Vico non puo sempre considerarsi cattolico nelle sue dottrine. Nel distinguere l'uomo  dallo FILOSOFO essi intuirono il vero, e noi dobbiamo seguirli  per questa via premettendo che le accuse e i rimproveri dei  critici si convertono per noi in altrettanti titoli di  onore. A Vico non sfugge il pericolo che a lui e alla dua dottrina  puo derivare dalla critica, e non tralascia occasione per spuntarne gli stral. Ma questi sono abbastanza  acuti per far di lui una vittima della scienza, sebbene, osserva Labanca, non vi e da parte de' suoi critici il deliberato  proposito di esserne carnefici. Dato il temperamento di Vico  non temprato alla lotta, timido e servile al punto di abbandonarsi ad azioni poco dignitose, ad adulazioni convenzionali,  sempre incerto del domani, preoccupato di non perdere le  potenti protezioni da cui trae i mezzi per vivere e gl’aiuti  per pubblicare i suoi saggi, si comprende come la lotta sorda,  persistente dei critici, ben più di quella che possono  movergli i cartesiani, dove esser per lui motivo di continue paure e di tormenti fisici e morali. Essendo scoppiata in Napoli una congiura contro il viceré  Filippo, Vico scrive contro i faziosi l'opuscolo De parthenopea conjuratione. Con l'entrata degl’austriaci in Napoli trionfano le  idee dei congiurati. Vico e pronto a lodare i vituperati. Scrive quattro saggi intorno alle gesta diCarafa  e fa un eroe di un uomo ignobile e odiato universalmente. Vico e molto ammirato ma POCO AMATO da' suoi contemporanei. Le cause de' suoi  dolori sono in parte in lui stesso. Sappiamo che muore di infermità mentale ed e nevrastenico. Nella lettera indirizzata a Giacchi  Vico allude chiaramente ai critici quaiido parla di dotti    Se si pensa alle miserande condizioni dei liberi pensatori in Italia e Francia, ai pericoli a cui si esponeno, sopratutto  in Napoli sotto il governo austriaco, si  comprende lo stato d'animo di Vico, audace nel filosofare,  timido di carattere, portato nelle sue dottrine ad offrire ad un  tempo il fianco all'offesa e alla difesa. Malgrado le dichiarazioni contrarie di Vico, nella Scienza Nuova si trovano i  germi di una profonda rivoluzione nelle scienze morali. Lo  spirito innovatore e implicito nel titolo stesso. Vico aveva  la coscienza di aver fatto opera del tutto nuova, e nuovo e  ricercare del mondo umano le leggi sue proprie di sviluppo,  senza chiederle alla teologia.  Nuovo e rivoluzionario e far del mondo umano autore e fattore l'uomo  ad esclusione del divino. Nuovo e ardito e rintracciare  il vero nelle favole, nei miti, negl’errori della tradizione romana. Nuovo e pericoloso e fare della Provvidenza un principio IMMANENTE, panteistico, nella storia e trasformare la religione in un  mero prodotto storico, derivandola per legge naturale dal timore,  dal bisogno di vivere immortali, dall'istinto delle analogie,  dalla curiosità di spiegare i fenomeni dell'universo ; sopratutto     cattivi f % quali colle tinte di una simulata pietà lo oppnmevano, nella stessa  guisa ohe sempre han soluto rovinare coloro ohe hanno fatto- nuove disooverte, Labanca trae argomento dal fatto che i critici  non attaccarono il De Antiquissima per affermare che Vico fa  della metatisica teologica. Secondo noi il silenzio della critica  ha altre caa-te. Nelle prime opere Vico non usce dal campo  filosofico e rende servizio alla causa nel combattere Cartesio, Hobbes,  Locke. Nel De Constantia e nella Scienza Nuova egli invade il campo  dell'erudizione storica sacra e profana, facovasi egli stesso innovatore,  dove suscitare legittimi sospetti da parte di critici abituati a considerare  vero l’antico e falso il nuovo.  Basti dire che Muratori per pubblicare un saggio sulla moderazione  degli spiriti nelle cose di religione, dove pure confuta l'arminiano  Ledere, e riconosce al principe la facoltà di procedere anche con l'estremo suplicio contro gl’eretici, dove stamparlo in Francia sotto falso  nome: con tutto ciò dice il Ruffini, le diatribe degl’intransigenti gli piovvero addosso e non schiva il temuto indice se non  per il bene, chè gli vuole Benedetto XIV. gravi erano le conseguenze per il dogma dal far derivare il  genere umano da uno stato ferino di isolamento senza religione. Sono pertanto fondati i timori dei critici cattolici e  reali i pericoli da essi affacciati per la causa della fede. Solo  l'abilità di Vico nel trovar espedienti atti a tranquillizzare  gl’animi timorati, a coprire le audacie della sua filosofia, a  dar veste cattolica all'opera sua, solo le protezioni di cui  gode nell'alte sfere del mondo ecclesiastico, e la convinzione ch'e in tutti della sincerità delle sue credenze, solo  la profondità dei concetti e l'oscurità della forma, che toglie popolarità all'opera sua, poterono salvarlo dalle persecuzioni, ma non valeno a far tacere la critica. A due finzioni sopratutto Vico ricorge per temperare l’asprezze dela sua filosofia e garantirsi contro l'accusa d’eresia  e di empietà. Egli pone ogni cura nel dichiarare che la provvidenza concepita come principio trascendente, è l'architetta  del mondo delle nazioni, che queste si svolgono secondo un  disegno eterno preordinato dal creatore e che gl’uomini non  sono che mezzi e strumenti alla attuazione dei disegni divini.  in ciò sembra accogliere il dogma cattolico della divina provvidenza, ma non e che una lustra, poiché alla provvidenza  cosi concepita Vico si affretta a negare qualsiasi azione  diretta e indiretta sulla storia, la quale si svolge ESCLUSIVAMENTE PER OPERA DELL’UOMO conforme alle sue tendenze e alla  sua natura, salvo a fatti compiuti dichiarare che questi sono  in corrispondenza colla volontà del divino. La provvidenza e la  religione ritornano pur di continuo nella Scienza Nuova, ma  in un senso del tutto diverso. La provvidenza perde ogni carattere, teologico, diventa piuttosto, come già ha ad osservare    n Vico dedica la prim e la seconda edizione della  Scienza Nuova a Corsini, che in poi papa Clemente XII, evidentemente allo scopo di crearsi nn potente mecenaterin-  fatti tale dedica conserva quantonqne Corsini, ricchissimo di censo, fin  dalla prima edizione si e scusato presso lui di non potergli fornire :i  mezzi per la stampa, mezzi che Vico si provvide vendendo uà anello.    innelli, la persuasione che gl’uomini hanno del divino su loro :  religione poi perde ogni carattere positivo per divenire il  ko religioso in generale, che stimola e accompagna la ci-  ta dei popoli nei loro inizi e prepara nei tempi umani il  onfo della sapienza riposta o filosofica. Nessun accenno tro-  imo a idee intolleranti, neppure per stornare da sé le ire  cattolici. La tolleranza traspira dal concetto largo e mo-  'UO che egli si forma della religione. Vico porta un conbuto prezioso alla causa della libertà religiosa, per quanto  1 apprezzato: egli che invoca la tolleranza per sé la  èva per gl’altri. Altri potè con argomenti e teoriche ra-  naliste cooperare al trionfo della libertà religiosa. Vico  coopera trasportando le questioni religiose dal campo delle  e al campo dei fatti, mostrando l'origine e la formazione  ;urale delle religioni, traendo dai fatti la loro giustifica-  ne, astraendo da qualsiasi forma di religione particolare.  li per tal modo ponevasi da un punto di vista nuovo e che  -èva ingenerare l'equivoco: la veduta storica se lo rese da  lato fautore della religione e del culto nazionale, dall'altro  portava suo malgrado ad escludere dalla storia ogni reli-  ne rilevata : potè quindi fornire argomenti tanto ai fautori  mto agli avversari della libertà religiosa. Dena larghezza di vedute di Vico in fatto di religione fanno prova  stndl da lai fatti dei filosofi protestanti più. avverai alla Chiesa  }olica, le sue amichevoli relazioni con uomini apertamente fautori della  rtà religiosa come Ledere e Thomasius. — Avversò la Riforma  testante per una ragione storica piti che religiosa ; ne condanna le  lenze individualiste, ribeUi ad ogni freno di autorità. Non cre-  mo che Vico sìa stato deciso avversario della tolleranza religiosa  le mostra di credere Ruffini. Tale convinzione Ruffini fonda particolarmente sopra un passo della Seconda Scienza Nuova  3ui Vico dice: € le nazioni, se non sono prosciolte in un'ultima li-  ba di religione, lo che non avviene se non nella loro ultima decadenza,  [) naturalmente rattenute di ricevere dei tadi straniere. Raffini  ima paradossale e mostruoso tale principio e a ragione se Pinterpre-  one da lui data fosse la vera: ma ci sia permesso dubitarne. Il passo  luestione si legge nel libro secondo della Seconda Scienza Nuo^àf e pre-     La seconda finzione a cui ricorse Vico per evitarle inevitabili conflitti coll’EBRAISMO e quella di separare la storia  degl’ebrei da quella dei ROMANI gentili. Alla stessa finzione per lo  stesso motivo hanno fatto ricorso Grozio e Pufendorf.  Il popolo ebreo e considerato dai stessi ebrei come un popolo eletto, la cui  storia si e svolta eccezionalmente sotto la diretta azione del divino ebreo all'infuori delle leggi naturali e ordiiiarie di sviluppo   cui erano sottostati i ROMANI Gentili, che formano per altro l'umanità. Là distinzione e accolta ed accentuata da Vico, il quale     cisameute là ove Vico tratta dell’astronomia poetica. Premettiamo che il  secondo libro deUa S» S. N» si intitola « Della sapienza poetica » ed è la  ricostrnzione della storia relativa ai tempi favolosi e oscuri. Dopo di aver  discorso della metafisica, della lingua latina, della morale, della vita famigliare  e politica di quest'epoca primitiva, Vico passa a studiarne le concezioni  cosmografiche e astronomiche. L'astronomia poetica assume per Vico  un particolare significato. Essa è la storia religiosa degli antichissimi popoli italici:, gli dei e gl’eroi – ENEA, ROMOLO, SCIPIONE -- sarebbero stati trasportati dalla terra in cielo a  popolarvi i pianeti e le costellazioni, che rispettivamente dagli dei o dagl’eroi prendono nome – MARTE, padre di ROMOLO. Per agevolare la via al ritrovamento dell' aaitronomia  poetica Vico pone alcuni principi filologici e filosofici. Tra questi ultimi  troviamo quello sopracitato, il quale espresso in forma generale e riferito a tutte le nazioni senza distinzione di tempo e di luogo può far credere ad una implicita condanna della libertà religiosa. Ora noi crediaoK)  che in questo passo la religione è considerata da un punto di viata storico e non teologico, e che l'affermazione di Vico, sebbene espressa in  forma generica, vuole essere la constatazione di un fatto storico particolarmente riferito ad epoche primitive. È noto che i popoli primitivi  senza conoscere il dogma della esclusiva salvazione sono gelosissimi delle  loro credenze religiose, considerate come parte di loro stessi e precipui  fattori d’educazione e di unità nazionale. Sappiamo ancora esser stata  convinzione di Vico, assai discutibile del resto, esser le nazioni nella loro  barbarie impenetrabili, e che le infiltrazioni straniere di qualunque natura  né snaturano il carattere e sono elementi di decadenza. Interpretato storicamente il passo di Vico e non come affermazione di un principio teorico  trova fondamento nella storia di tutti i popoli antichi, ai quali del resto  la maggior parte dalle osservazioni filosofiche di Vico devono riferirsi. Certamente non troviamo nelle opere di Vico apertamente proclamato il  principio della libertà religiosa. Ciò del resto non fanno né Doria né  Giannone, i quali, osserva Kuffiui, non osando  esprimere esplicitamente le loro opinioni tolleranti ricorsero all'espediente  di lodare la tolleranza del Komani.  traddire alle nostre tradizioni e alle esigenze del nostro  LO nazionale. Sarebbe stato strano che al sistema di Vico  e mancata in Italia l'opposizione cattolica. Può invece  iar meraviglia il fatto che mancò a Vico in Italia quella  lizione che non manca ad altri capiscuola all'estero. Bi-  la per altro non dimenticare che l'Italia sopporta le  ^eguenze della duplice secolare servitù politica e religiosa,   il risveglio delle coscienze e delle menti alla vita mo-  ia manca in Italia quasi affatto nel seicento, e lento e  trastàto, e segui sotto lo stimolo di in^u^  inieri che traviarono l'intelletto italiano dalle sue naturali  iizioni. Queste però, sebbene deboli e incerte, si conservano,  3po Vico noi le possiamo rintracciare sia nelle dottrine  ora asservite alla tradizione scolastica, sia nelle dottrine  )irate agli influssi stranieri.   a dottrina di Vico trova i seguaci più fedeli.  . essi ricordiamo Stellini e Duni. Stellini svolge  3ndo il metodo e il concetto di Vico la filosofia morale,  >uni la filosofia giuridica: malgrado le loro credenze sin-  imente religiose cercano entrambi dei fatti etici e giuridici la formazione naturale, movono dallo studio dell'uomo  le appare all'osservazione psicologica e storica all'infuori  qualsiasi premessa dogmatica e religiosa. Duni è l'autore di un intero sistema di filosofia giuridica  quale le dottrine di Vico si riproducono chiare e or-  ite Vico ha posto nella vis veri il comun fonda-  ito delle scienze morali. Già Finetti ha acutamente  jrvato che non il vero in genere, ma il vero in ispecie,  le naturalis ordo rerum deve assumersi a fondamento del     ) Per ciò ohe rigaarda Stellini e la saa dottriua morale cfr. nostro  'oblema morale > Torino, Bocca, Dani nato a Matera e professore a Roma. Tra i suoi saggi ricordiamo il Saggio sulla  spradenza universale e la Scienza del oostu^e ossia sistema df  io universale diritto universale. Di questa critica del Finetti risente la  distinzione stabilita da Duni tra vero matematico, metafisico,  morale. Non il vero in genere, ma quella forma speciale di  vero che dicesi morale è il fondamento del diritto universale,  che è la scienza del costume ossia della condotta umana  largamente intesa., Sul vero morale si fondano l'etica e il diritto. Duni nel porre il criterio di distinzione tra morale e diritto, riproduce sostanzialmente la dottrina di Vico. Questi  deriva la morale dall'interno sentimento del pudore, il  diritto dallo svolgersi e dall'estrinsecarsi della libertà.  Duni  non usa i termini pudore e libertà, ma ricorre alle espressioni equivalenti, ma più generiche e comuni, di ONESTA – H. P. GRICE, “am honest chap” --  e di  giustizia. L'onesto è il vero morale riferito alla condotta interiore dell'individuo. Il giusto è il vero morale riferito alla  condotta esterna dell'uomo in quanto fa parte della società. L'uno non esce dall'individuo, l'altro SUPPONE IL CONSORZIO SOCIALE – cf. Grice, breakdown of relevance. L’uno si risolve nell'equilibrio delle facoltà umane e  nella purezza dell'intenzione, l'altro nella retta distribuzione  tra gl’uomini de' vantaggi e delle utilità. Non vi è dubbio  che Duni iutese chiaramente il rapporto tra morale e  diritto. Ma forse ne accentua troppo l'opposizione, mentre Vico insiste piuttosto sulla loro coordinazione e accanto al  pudore che è un fatto di coscienza pone il costume che è il  fatto etico COLLETTIVO che prepara ma non costituisce ancora  il fatto giuridico. Non crediamo che Duni interpreta esattamente  il concetto di Vico facendo derivare il diritto delle genti da  quelle antichissime costumanze che si andarono formando durante l'età patriarcale per l'autorevole e sovrana volontà dei  padri di famiglia e che si incontrano pressoché uniformi in   Cfr. Finetti, ediz. di Venezia, C£r. Duni, Scienza del oostume, ed, napoletana, Cfìr. QcU rapporto tra ^iuatp e onesto. Punì, Op. cit.^ lib, 11^ e. vil^     .-•-TT VavVy     -Sla-  tti i popoli. Formatesi colle città le società civili, tali co-  imanze modificate e adattate alle speciali condizioni di  npo e di luogo avrebbero costituito il diritto civile,  [n altre parole secondo Duni il diritto di natura è il diritto filosofico quale appare alla mente rischiarata dal vero,  Q ottenebrata dagl’afletti e dall'errore. Il diritto delle genti  il diritto civile sono formazioni storiche rispondenti ai due  idi di aggregazione sociale della famiglia e della città. Il  itto poi civile svolge l'equità naturale e la civile, di cui  na si ispira al privato interesse l'altra al pubblico. Nel  ni le dottrine e i principi di Vico diventano famigliari  iccessibili alle menti meno colte. È doveroso riconoscere  e le sorti di Vico in Italia sono stret-  nente legate al nome di Duni. Nei saggi, dalla cattedra  Roma per Duni tenne desto il  Ito e la tradizione di Vico negli studi giuridici. Cattolico  li stesso potè con tanta maggior efficacia difenderne la me-  )ria e i saggi contro i cattolici intransigenti, frustrandone  secreto desiderio di far condannare come eretiche e peritose le opere di Vico. Egli fa opera più di avvocato  e di critico. E più amante di Vico che della verità. Ma  si tien conto delle tristi condizioni in cui versavano le  enze morali e giuridiche in Italia, minacciate dalla reazione cattolica da un lato.  He influenze materialiste francesi dall'altro, l'opera di Duni  'Otta a far conoscere nella sua genuina purezza le dottrine  l Vico e a salvarle dalle conseguenze di una condanna ec-  isiastica non può a meno che essere altamente apprezzata. La formazione storica del diritto deUe geùti e civile è argomento. Duni, Sopra accennammo alla polemica tra Duni e Fìnetti in ordine allo  bo ferino. Qui ricorderemo che la Biaposta apologetica di Duni e stam-  a con l'approvazione del Giorgi, professore di Scrittura nell'Università  Roma e del Nerini, consultore del Sauto Officio. Si voUe così dare una  3ntita ufficiale a Finetti, il quale non volle perciò apparire l'autore  la Apologia che pubblica con altro nome. Quando in Italia e sopratutto  in Napoli gli ingegni subivano il fascino degli enciclopedisti,  la tradizione di Vico impede l'asservimento completo della nostra filosofi. Liberi pensatori come Pagano, Filangeri, e Cuoco trassero dalla Scienza Nuova gl’elementi  più originali e duraturi dei loro saggi.   Se non può pertanto sostenersi che la tradizione di Vico  sia stata svolta e apprezzata al suo giusto valore in Italia,  non può neppure ammettersi che e andata perduta. La filosofia italiana ondeggia incerto tra  la tradizione spiritualista e gl’indirizzi di origine straniera  del sensismo, dell'hegelianismo, del positivismo. Ma è notevole  il fatto che dai seguaci delle scuole più diverse l'autorità di Vico e invocata in appoggio dei loro sistemi e da tutti Vico  e considerato come il rappresentante di un indirizzo di filosofia essenzialmente italiano.  L'età classica dei capiscuola e dei sistemi di diritto  naturale si chiude con Vico, la cui dottrina se da un lato è  in rapporto colle correnti della filosofia dell'epoca,  dall'altro lato per gl’elementi storici é psicologici, di cui si  arricchisce, preannunzia sistemi e indirizzi venuti in onore  in tempi posteriori. Ben può dunque Vico considerarsi un  gigante della filosofia^ una mente comprensiva che della realtà  vide gl’aspetti più diversi e seppe fonderli, unificarli in una  dottrina che per i tempi in cui sorse può veramente chiamarsi  nuova. L'importanza di Vico sta nell'aver posto a fii^eno e a  guida della speculazione filosofica la realtà, o il fatto, come  egli dice, nell'aver intuito il metodo proprio delle scienze  morali, nell'aver dato alla sua speculazione il fondamento saldo  della psicologia e della storia, nell'aver analizzato l'uomo in  se e nella sua natura socievole, nell'aver tratto da elementi  disparati e opposti un sistema che ha tutti i caratteri di una  sintesi filosofica, storica, e sociale. Per questo l'opera sua presenta in sommo grado i caratteri della modernità e perennità .  della modernità in quanto anticipa sull'indirizzo storico, so«   - àu -   ologico, psicologico nello studio dei fatti morali; della peren-  ta in quanto a' suoi insegnamenti l'intelletto umano ritorna mpre dalle estreme, eterne aberrazioni dell'idealismo e del  lalismo. I^a SGixoim del dlfltto t^atUfale  Qe^sUol tappotti coiriliafx)li7lSfX)o e col l^aiftlsf^o.  Origine, sviluppo e caratteri deU'Iuazninisino. La scnola  del diritto naturale nei suoi rapporti coU'IllaininiBnio. L'illuminismo  in Francia e suoi caratteri.  L'Illuminismo in Germania e l'opera dei  giuristi. L'IUuminismo in Italia e suo carattere generale. La  scuola del diritto naturale nei suoi rapporti ooUa dottrina giuridica di  Kant. La scuola del diritto naturale rappresenta una nuova  ientazione filosofica in ordine ai fenomeni giuridici e  ciali. Essa e l'opera di filosofi seppe contrapporre alle istituzioni che avevano per sé la  rza dell'autorità e della tradizione le armonie ideali di una  ta conforme alla natura delle cose, ossia ai principi univerli e immutabili della ragione. A questo rivolgimento filosofico si aggiunge per opera  m di filosofi, ma di pubblicisti, letterati, uomini di Stato, un  svolgimento delle coscienze, espressione di un nuovo modo di  nsiderare il mondo sociale e morale, noto sotto il nome d’illuminismo. Tra l'Illuminismo e la Scuola del diritto naturale  rrono stretti rapporti, ma anche profonde differenze. .Agli  opi di questo saggio basta affermare che l'Illuminismo è  i fenomeno assai complesso, risultante di elementi diversi,  sieme fusi e diretti ad uno scopo ultimo di riforma sociale  politica. L'Illuminismo non può considerarsi una filiazione        tè. Non deve sembrar strano il nome di razionalisti ap-  plicato ai principali rappresentanti deirilluminismo. Tale nome  è giustificato per due motivi : anzitutto perchè le manifesta-  zioni più spiccate del materialismo del secolo XVIII presen-  tano tutti i caratteri di costruzioni razionali, nelle quali la  fantasia e il ragionamento suppliscono spesso la insufficienza  e la scarsità dei dati di fatto oflferti dalle scienze ancora in  formazione r in secondo luogo perchè le idealità sociali e giu-  ridiche, che la scuola del diritto naturale aveva elaborato,  rivivono nell'epoca dell'Illuminismo e ne costituiscono il fat-  tore aprioristico e razionale. L'origine contrattuale della so-  'cietà e dello Stato, i concetti dell'uomo e della società di natura  rappresentano il contributo che la scuola del diritto naturale  arrecò all'Illuminismo. Tali concetti che negli scrittori del  diritto naturale rispondevano essenzialmente ad una esigenza  razionale, negli Enciclopedisti ricompaiono arricchiti di un  contenuto sentimentale, in forma poetica e attraente acqui-  stando per questo solo una efficacia pratica che prima non  avevano.   Nell'Illuminismo pertanto venivano a convergere tutte le  diverse correnti della speculazióne filosofica e scientifica dei  secoli XVII e XVIII e assieme fuse vennero a costituire una  nuova più vasta corrente a intenti di riforma e di trasfor-  mazione morale, religiosa, politica, sociale. La Chiesa e lo  Stato, le due iorze maggiori che da secoli tenevano soggiogati  gli spiriti e ne impedivano ogni libera espansione furono prese  di mira: da un lato le premesse materialiste, gli stretti rap-  porti col progresso e le applicazioni delle scienze naturali  rendevano l'Illuminismo antireligioso e nelle sue ultime con-  seguenze ateo; dall'altro lato le concezioni dello stato di na-  tura e del contratto sociale battevano in breccia le teorie  del diritto divino, nonché il fondamento dei governi assoluti.  Il materialismo esplicò la sua influenza sovvertitrice nel campo  religioso e morale : la scuola del diritto naturale scosse le basi  tradizionali dell'autorità e dello Stato. Se si aggiunge che          -ài?-   l'Illuminismo non fu solo movimento di idee m;  sentimenti, che si distinse per la sua cieca fede i  del sapere, nella trasformazione della società per  scienze, nelle energie inesauribili dell'uomo, fati  creare a sé stesso i suoi propri destini, si com  esso in sé racchiudesse tutte le condizioni per  l'antico regime e preparare le condizioni della v   L'Illuminismo è un fenomeno generale del t  ovunque i popoli si destano ad una vita nuova, 1  lavoro e dalla scienza, . ovunque si acquista cosi  de' propri diritti e si avvertono i sintomi di un ;  rispondente agli ideali di giustizia e di prosperiti  e sociale, il fenomeno dell'Illuminismo' appare,  tutti i paesi si presenta cogli stessi caratteri.   La Francia fu la patria dell'Illuminismo e da ei  in altri paesi sopratatto in Germania e in Italia,  in Francia l'Illuminismo si svolge co' suoi carati  cali, ci si presenta completamente sviluppato. F  cipio del secolo XVIII in Francia lo scetticisr  Bayle aveva distolto le menti dal passato pre  ad accogliere teorie più consentanee ai tempi. A  fase di scetticismo dissolvitore , di critica nega  il periodo in cui le più elette intelligenze si fa  dere le dottrine scientifiche e filosofiche dell'Ing  è considerata la terra della libertà e del progres;  le sue forme. A questa fase risalgono i rapporti  tra la Francia e l'Inghilterra, gli scritti polemici  diretti a far trionfare in Francia il sistema di  pera del Montesquieu intesa a far conoscere  politiche e costituzionali inglesi. In un terzo  luminismo entra in una fase costruttiva; abl  lato col La Mettrie e col Cabanis i primi 1  trarre la vita intellettuale e morale dal sustra  e fisiologico dell'uomo, dall'altro col Condillac  derivare dal senso la vita dello spirito; più tar  abbozza un sistema morale informato all'egoismo e al pre-  supposto dell'uomo preoccupato solo della propria felicità:  da ultimo il barone d'Holbach in un'opera che fu il codice  la bibbia del materialismo del secolo XVIII riduce a si-  stema le leggi del mondo fisico e morale. £ parallelamente  a questa concezione naturalista e meccanicista del mondo e  della vita vediamo per opera del Diderot, del Rousseau, del  Morelly, del Mably risorgere la fede in uno stato di natura,  sinonimo di moralità e di felicità, vediamo l'opera della ragione  e della volontà invocata a dar origine e svolgimento alla  società e allo Stato. E quest'ultima corrente di natura ideale  e che aveva per se l'autorità di quasi due secoli di specula-  zione, più consentanea alle tendenze razionaliste di un'epoca  per la quale le concezioni materialiste erano premature, finì  per prevalere e per dare al movimento illuminista quel carat-  tere ideale e razionale nel quale si manifesta nella rivoluzione  francese. In Germania l'Illuminismo francese penetrò per l'in-  fluenza personale di Federico il Grande, la cui corte divenne  il ritrovo geniale delle più elette intelligenze dell'epoca. Il fa-  vore che il grande uomo di stato dimostrò per il movimento di  idee sorto dall'Illuminismo rispondeva oltreché a un bisogno  della mente, ad un alto disegno politico. Preoccupato della  rigenerazione intellettuale e morale del suo popolo Federico  il Grande comprese come l'avvenire di esso dipendeva dal  grado nel quale avrebbe partecipato alle nuove correnti di  pensiero. Ma astraendo dalle tendenze e dalle vedute politiche  personali di Federico II devesi riconoscere che il materia-  lismo inglese e francese non trovò accoglienza in Germania,  né prevalse contro l'idealismo spiritualista che poneva capo  al Leibnitz (I), per quanto non si possa negare che anche la  speculazione del Leibnitz e del Wolflf informata all'eudemo-     (1) Cfr* Lange, Hietoire du matérialisme, Paris gli studiosi delle scienze giuridiche ed economiche, i quali  possono trovare in Italia Tattuazione anticipata di quelle ri-  forme legislative e finanziarie che altrove furono provocate  dai torbidi rivoluzionari. E bisogna riconoscere che in Italia  i principi meno stretti alla tradizione, più a contatto col po-  polo seppero attuare quanto dì meglio T illuminismo in sé riu-  niva spontaneamente, con perfetta coscienza, senza attendere  la pressione degli avvenimenti. Nello studio poi deirillumi-  nismo italiano non può trascurarsi un elemento non derivato  dal di fuori ma del tutto nostro, la tradizione cioè del pen-  siero del Vico, che si rivela, come già accennammo, in tutte  le opere uscite dalle menti più elette dell'epoca e che senza  dubbio concorse a dare un indirizzo pratico, un fondamento  più saldo, una fisionomia particolare all'Illuminismo italiano.   Ma l'argomento da noi appena sfiorato dell'Illuminismo ita-  liano merita per la sua importanza una trattazione speciale,  e qui non si voleva che richiamare l'attenzione sul carattere  generale ch'esso presenta e per cui si distingue dall'Illumi-  nismo francese e tedesco. La scuola del diritto naturale non ha solo stretti  rapporti coll'Illuminismo ma rientra come elemento integrante  nel nuovo indirizzo filosofico che si personifica in Kant. Il Kantismo se fu per il suo stesso carattere critico  una reazione contro la speculazione filosofica dei secoli XVII  e XVIII, rappresenta d'altra parte uno svolgimento di quelle  idee che la scuola del diritto naturale aveva in due secoli  elaborato. Il carattere di reazione si rivela sopratutto nella  parte teoretica della speculazione kantiana. La critica della  conoscenza e della ragione umana nella ricerca del vero, che  il Kant considerava come il problema fondamentale della fi-  losofia, era implicitamente la critica e la condanna di tutti  i sistemi usciti dalle diverse scuole filosofiche, nessuno dei  quali aveva rispettato quei limiti oltre i quali la ragione  umana non può conoscere il vero. Per questa parte il Kant  si contrappone al passato e apre vie nuove alla speculazione    Stato nei suoi rapporti coirindividuo e a stabilire quella   d'interiorità che deve considerarsi interamente sottratta  alsiasi coazione esteriore e da cui si originano i cosi   diritti soggettivi dell'uomo e del cittadino.   concezione stessa di un diritto naturale non è abban-  ta dal Kant, ma è solo presentata sotto un diverso aspetto,  non cerca il fondamento del diritto naturale nella espe-  rà e nell'osservazione empirica dell'uomo come l'Hobbes  >pure nell'autorità e nell'universale consenso come Grozio,  iella ragione stessa, e riduce tutta la scienza del diritto  cognizione sistematica del diritto naturale. Da ultimo  nò che riguarda il concetto e le funzioni dello Stato, il  ; se non si foggiò uno stato di natura, vagheggiò certo  stato di ragione, ossia uno stato che i moderni chiame-  3ro piuttosto di diritto, non avente altro scopo all'infuori  lello di garantire il diritto ossia di assicurare l'accordo   libertà. Che se un siffatto concetto dello Stato non può  >ndersi collo Stato sognato dagli Illuministi e dai giusna-  listi, che ha per fine la felicità e il perfezionamento dei  dini, non vi è dubbio che nei due casi il metodo seguito  jostrurlo è identico e lo Stato giuridico di Kant è una  uzione altrettanto astratta e arbitraria quanto è più   dello Stato paterno di Thomasius e di Wolff. Sotto  atto pertanto del metodo seguito, dei risultati ottenuti  lobbiamo considerare la dottrina giuridica del Kant un  pale svolgimento della dottrina elaborata dagli spiriti  linati del secolo XVIII, che in Germania all'epoca in cui  I Kant, si confondono coi seguaci della scuola del diritto  pale.Hóbhes e Vindirizzo empirico nelle scienze  morali Bacone e sua posisione nella storia del pensiero  Bacone e le scienze morali Etica e scienza civile in Bacone Il metodo di Hobbes Hobbes e  i suoi tempi — 36. Sistema etico -^inridico di Hobbes Il  rapporto tra morale e diritto in Hobbe<t L'opposizione  a Hobbes : Cnmberland Locke e i snoi tempi Mo-  rale e diritto in Locke Da Locke a Home Hnme  ei snoi tempi Filosofia di Hnme Rapporto tra  morale e diritto in Hnme Smith e sna importanza  Sistema etico-ginridioo di Smith L'indirizzo cartesiano nelle scienze morali .Cartesio e l'epoca sna Cartesio e le scienze  morali — 50. Malebranche e l'indirizzo spiritualista-cartesiano  nelle scienze morali L'Olanda <o il sistema etico-giu-  ridico di Spinoza — 52. Le condizioni politiche e religiose  della Germania La dottrina etico-giu-  ridica di Leibniz L'opera metodica del Wolff Pa-  rallelo tra riudirizzo filosofico e giuridico nelle scienze morali. Vico e le scienze etico-giuridiche in Italia .Condizioni generali d'Italia Galileo e la filosofia naturale Gli stndl giuridici e  il rinnovamento della filosofìa in ItaliaVicende degli  studi giuridici iu Italia Gli stndl giuridici in Napoli  nella prima metà del secolo XVII: giureconsulti pratici  n progresso degli studi giuridici in Napoli : g^iureconsulti eruditi : d'Andrea e  Gravina — 62. La Vita Civile di Dorìa Risveglio  filosofico in Napoli nella seconda metà del secolo XVII —  64. Posizione di Vico in ordine agli indirizzi filosofici del suo  tempo Vico contro Cartesio e la questione del metodo  nelle scienze morali Il criterio della verità nel Vico Vico e gli studi giuridici La filosofia del diritto  nel Vico Il rapporto tra morale e diritto Il  diritto nella sua formazione storica Diritto e scienza  sociale Le sorti di Vico e i critici cattolki Se-  guaci di Vico: Stellini e Dnni La Scuola, del diritto naturale ^ne' suoi rapporti   coli' Illuminismo e col Kantismi .Origine, sviluppo e caratteri dell'Illuminismo La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti coll'Ulu-  minismo L' Illuminismo in Francia e suoi caratteri  L' Illuminismo in Germania e l'opera dei giuristi L'Illuminismo in Italia e suo carattere generale La  scuola del diritto naturale nei suoi rapporti colla dottrina  giuridica di E. Kant.  Gioele Solari. Solari. Keywords: roma antica, Giorgio Guglielmo Federico Hegel, Spaventa, hegelianismo, iustum/iussum – storia della filosofia del diritto romano – cicerone; diritto naturale, IVS NATVRALE, Gaio, citato da Vico, Giustiniano, diritto romano in eta del principato, IVS GENTIVM, IVS VNIVERSALI, sato di natura, i ferini di Vico, il metodo pirotologico di Grice – ri-costruzione razionale, Bennett, significato naturale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Solari” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Soleri: la ragione conversazionale ed implicatura conversazionale -- funzionalità veritativa dei connettivi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Macra). Filosofo italiano. Studia a Milano sotto OLGIATI. Insegna a Saluzzo. Saggi: Il problema metafisico del male, Sapienza – cf. Grice, Ill-will; Inevitabilità e decisività del problema teologico; La proprietà, S.E.I. Torino; TELESIO, La Scuola, Brescia, LUCREZIO, La Scuola, Brescia, ANTONINO, La Scuola, Brescia; L'immortalità dell'anima, S.E.I., Torino; Economia e morale, Borla, Torino; Essere, atto, valore; Il problema del valore, Morcelliana, Brescia, Incisività e decisività del problema teologico, Studia Patavina, Orizzonte della metafisica”; Ettore, “S.” (Saluzzo). Ettore Soleri. Soleri. Keywords: Telesio, Lucrezio, Antonino, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soleri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Somenzi: la ragione conversazionale del naturale, l’innaturale, il sovranaturale, ed il trasnaturale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Redondesco). Filosofo italiano. Ufficiale meteorologo dell'aeronautica. Partecipa alla Resistenza, lavora all'ufficio studi dello stato maggiore. Si divide tra la carriera militare e quella accademica, optando infine per la cattedra di filosofia a Roma. Tra i suoi allievi vi e CORDESCHI. Partendo da un interesse per l'operazionismo, dirige i suoi studi teorici alla cibernetica ed e tra i primi a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i rapporti mente-cervello e mente-macchina.  Saggi: La filosofia della scienza, Milano, Bocca, La meccanica quantistica, Milano, Bocca – H. P. Grice, the quantum; L' operazionismo, Milano, Comunità; La scienza nel suo sviluppo storico, Torino, ERI; Automi, Torino, Boringhieri; Tra fisica e filosofia, Donolato, Abano Terme, Piovan; La materia pensante, Milano, CLUP Città Studi. Rainone, Enciclopedia Italiana, riferimenti in. Saggi in onore, Roma, Union Printing, antologia e testimonianze, Mantova, Fondazione Banca agricola mantovana, Cibernetica Intelligenza artificiale  Rainone, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Un maestro del domandare, di Cd Del Bello, da Giano, sito Metodologia. Filosofo al servizio della scienza, Corriere della Sera Archivio storico. Vittorio Somenzi. Somenzi. Keywords: naturale, sovranaturale, Grice, Metaphysics in Pears, The Nature of Metaphysics. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Somenzi”. 

 

Grice e Sorano: la ragione conversazionale -- TVTELA IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET OMNES -- Roma antica – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sora) Filosofo italiano. Magistrato romano. Muore a Roma, gens Valeria, tribuno della plebe, politico romano. Originario di Sora, poeta e grammatico latino e tribuno della plebe durante la repubblica romana, soprattutto noto per essere stato giustiziato da Gneo POMPEO (si veda) per ordine del dittatore Lucio Cornelio SILLA (si veda), ufficialmente per aver pubblicamente rivelato il nome segreto della città di Roma, che avrebbe potuto essere utilizzato nel rituale di evocatio da parte dei nemici, ma probabilmente anche per ragioni politiche, dato che è legato alla fazione di Caio MARIO (si veda). Cichorius, Zur Lebensgeschichte des S., Hermes, Journal of Philology, Oxford Latin Dictionary, voce "S.”. Martino, L'identità segreta della divinità tutelare di Roma: un ri-esame dell' affaire S., Settimo Sigillo, Roma; Onorato, Commentario sull'Eneide. Denique tribunus plebei quidam S., ut ait VARRONE (si veda) et multi alii, hoc nomen ausus enuntiare ut quidam dicunt raptus a senatu et in crucem levatus est ut alii metu supplicii fugit et in Sicilia comprehensus a praetore praecepto senatus occisus est. Perseus. Servii Grammatici qui feruntur in VIRGILIO carmina commentarii, cur. Thilo e Hagen, Teubner, Hinard, Silla, Salerno. Opere su Musisque Deoque, PHI Latin Texts, Packard Humanities, Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Politici romani Politici romani. Morti a Roma Persone giustiziate. Forse segue la scuola del portico. CICERONE fa chiamare, da CRASSO, litteratissimum togatorum omnium. E in stretti rapporti con CICERONE e con VARRONE. Partecipa attivamente alla vita politica ed e tribuno della plebe. Fugge in Sicilia ove POMPEO lo fa giustiziare. Poco rimane di lui, sicchè è difficile apprezzare la sua attività filosofica. Certamente si occupa di storia letteraria e di grammatica. Dedica a Publio SCIPIONE (si veda) Nasica un saggio che non si sa se e in prosa o in versi. Compone Epoptides, che contiene principalmente interpretazioni allegoriche di nomi. II esametri che sì ricordano di S. hanno pensare al pan-teismo mmanente idel Portico e probabilmente sono inclusi in un tratatto sulla natura. From the Latin town of Sora, S. is a many-sided and esteemed philosopher in the department of linguistic and antiquarian research, and a precursor of VARRONE, who, like him, often employs the metrical form. CICERONE, de or. CRASSO says: nostri (the Romans themselves) minus student litteris quam Latini. Notwithstanding (he says) the most uneducated native Roman easily surpasses litteratissimum togatorum omnium, S., lenitate vocis alque ipso oris pressu el sono. VARRONE knows S. personally and often refers to him as a weighty authority; cf. Gell. VARRONE, questioned by Ser. Sulpicius concerning the favisae capitolinae, confesses that he knows nothing about the origin of the word, sed S. solitum dicere, etc. Lingua Latina. apud S.: vetus adagio est, o P. SCIPIONE. From this he appears to have been a contemporary of ACCIO, and it becomes probable that he is the same Valerio whom VARRONE quotes in Lingua Latina: Valerius ait. Accius Hectörem nollet facere, Hectora mallet,' further Scrupipedas dicit. Valerius a pede acscrupea. He must also be identical with the expositor of the XII tables of the same name. II hexameters of Portico character on GIOVE as the one and highest god ap. AGOSTINO In. civ. Dei, cf. Mythogr. Vat. Bode: in han sententiam eliam quosdam versus S. exponit idem VARRONE in eo libro quem seorsum ab istis de cultu deorum scripsil. PLINIO NH. praef.: hoc ante me fecit (viz. to add a table of contents to a book) in litteris nostris S. in libris quos irontidor inscripsit. His two sons, Quintus and Decimus, are called by CICERONE -- Bruto -- vicini et familiares mei, non tam in dicendo admirabiles quam docti et graecis litteris et latinis. PRE. Distinct from the litteratissimus togatorum omnium is tribunus plebei quidam S., who divulges the secret name of Rome and is punished with death by order of the Senate (V. Anno ap. Serv. Aen.; cf. PLINIO. NH. PLOT. qu. rom., EvLEUTsCH, Phil. S. THAT one was a poet, grammarian, and tribune of the people in the Roman Republic. He is executed while SULLA is dictator, ostensibly for violating a religious prohibition against speaking the arcane name of Rome, but more likely for political reasons. The cognomen S. is a toponym indicating that he is from Sora. A single elegiac couplet survives more or less intact from his body of work. The two lines address GIOVE as an all-powerful begetter who is both male and female. This androgynous, unitarian conception of deity, possibly an attempt to integrate the Porch and Orphic doctrine, makes the fragment of interest in religious studies. S. is also credited with a little-recognised literary innovation. PLINIO maggiore says that S. is the first philosopher to provide a table of contents to help readers navigate a long essay S. Is admired for his learning by CICERONE. CICERONE has an interlocutor in his “De oratore” praise S. as “most cultured of all who wear the toga,” and Cicero lists him and his brother Decimus among an educated elite of socii et Latini – i. e., those who came from allied polities on the Italian peninsula rather than from Rome, and those whose legal status is defined by a LATIN right rather than a full ROMAN citizenship. The municipality of Sora is near Cicero's native Arpinum, and he refers to the Valerii Sorani as his friends and neighbours. S. is also a friend of VARRONE and is mentioned more than once in that scholar's multi-volume work on the Latin language. The son of S. is thought to have been the Quintus Valerius ORCA, who was praetor. ORCA works for Cicero's return to public life and is among Cicero's correspondents in the Epistulae ad familiares. CICERONE presents the Valerii brothers of Sora as well schooled in literature, but less admirable for their speaking ability. As Italians, they would have been lacking to Cicero's ears in the smooth sophistication or urbanitas and faultless pronunciation of the best NATIVE ROMAN orators. This attitude of social exclusivity may account for why S., whose scholarly interests and friendships might otherwise suggest a conservative temperament, would have found his place in the civil wars on the side of the popularist MARIO rather than that of the patrician SULLA. It may also be noted that CICERONE's expression of this attitude is double-edged. Like MARIO and the Valerii Sorani, CICERONE is also a man from a municipium, and has to overcome the same obstructing biases that he adopts and expresses. In the year of his death, S. is or has been a tribunus plebis, a political office open only to those of plebeian rather than patrician birth. The fullest account of the infamous death of S. is given by SERVIO, who says that he is executed for revealing the secret name of Rome. The tribune S. dares to disclose this name, according to VARRONE and many other sources. Some say he is hauled in by the senate and strung up on a cross. Others, that he flees in fear of retribution and is apprehended by a praetor in SICILIA, where he is killed by order of the senate. SERVIO's account presents several difficulties. Crucifixion is a punishment generally reserved for a slave. Valerio Massimo, a historian in the principate, reckons that the punishment should not be inflicted on those of Roman blood ‘even if he deserved it.’ Moreover, a tribune's person is, by law, sacro-sanct. Finally, it is unclear whether the X tribunes should possess the knowledge of Rome's secret name, or in what manner S. publicises it. Among sources earlier than SERVIO, both PLINIO MAGGIORE and Plutarco note that S. is punished for this violation. It has been suggested that the name is revealed in his one work for which a title is known -- the “Epoptides”. The title, if interpreted as it sometimes is to mean tutelary deities, offers an apt context. But elsewhere SERVIO — so too MACROBIO — implies that the name remains unrecorded. S. has been identified with the Q. Valerius, described as a philologos and a philomathes, whom Plutarch says is a supporter of MARIO. This man is put to death by POMPEO in SICILIA, where he would have accompanied Carbo, the consular colleague of the recently murdered Cinna. Carbo is executed by Pompeo. Cichorius publishes an essay that organises the available evidence for the life of S. and argues that his execution is a result of the Sullan proscription. The view of his death as politically motivated prevails among scholars:  His death is thus the result of being proscribed as a supporter of MARIO, and has nothing to do with religious issues of any kind. At the same time, we know that S. writes essays of a religious-antiquarian kind, as well as verse, and is often cited by VARRONE. This link with VARRONE must be the reason for associating the revelation of Rome's secret name with S.’s violent death, for, as we saw, it is VARRONE whom SERVIO cites as his authority for linking the death with the revelation. But if VARRONE originates the story, his reasons are hard to tease out of the roiled politics of the Republic. Although VARRONE is the friend of S., in the civil war he is on the side of the Pompeians. GIULIO CESARE however, not only pardons VARRONE, but gives him significant appointments. The biases of the contemporary sources are not lost on Plutarch in his account of the killing. Furthermore, GAIO OPPIO, the friend of GIULIO CESARE, says that POMPEO treats S. also with unnatural cruelty. For, understanding that S. is a man of rare scholarship and learning, when he is brought to him, OPPIO says, POMPEO takes him aside, walks up and down with him, asks and learns what he wishes from him, and then orders his attendants to lead him away and put him to death at once. But when OPPIO discourses about the enemies or friends of GIULIO CESARE, one must be very cautious about believing him. Speaking the name could be construed as a political protest and also an act of treason, as the revelation would expose the tutelary deity and leave the city unprotected. This belief rests on the power of utterance to call forth the deity – evocation -- so that an enemy in possession of the true and secret name could divert the divine protection to themselves. The intellectual historian of the Republic Rawson ventures cautiously that S.'s motive remains unclear, but may have been political. More vigorous is the view of ALFONSI, who argues that S. reveals the name *deliberately* so that -- superstitious as S. is --  his Italian municipality of SORA could appropriate it and break Rome's monopoly of power. Another interpretation of these events, worth noting despite its fictional context, is that of historical novelist McCullough, who melds political and religious motives in a psychological characterization. In Fortune's Favorites, McCullough's S. screams aloud the arcane name because the atrocities committed during the civil war renders Rome unworthy of divine protection. Rome and all for which she stands should fall down like a shoddy building in an earthquake. S. himself believes that implicitly. So having told air and birds and horrified men Rome's secret name, S. flees to Ostia WONDERING why Rome still stands upon her seven hills. The single couplet that survives from S.’s vast work as a poet, grammarian, and antiquarian is quoted by AGOSTINO in the De civitate Dei to support his view that the tutelary deity (DEITAS, DIVINA) of Rome is the Capitoline Jupiter (GIOVE CAPITOLINO): -- IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET OMNES.The syntax of S’s couplet poses difficulties in attempts at interpretation, and there may be some corruption of the text. It seems to say something like Jupiter all-powerful, of kings and things, and of gods, the progenitor and the genetrix of gods, god that is one and all. AGOSTINO says that his source for the quotation is a work on religion by VARRONE, with whose conception of deity AGOSTINO argues throughout De civitate Dei. The view of VARRONE, and presumably of S., is that GIOVE represents the whole universe which emits and receives semina, encompassing the generative powers of earth the mother as well as sky the tather. This unitarianism is a concept of the PORTICO, and S. is usually counted among the members of the Porch of Rome, perhaps of the contemporary school of Panezio. The unity of opposites in the deity, including divine androgyny, is also characteristic of Orphic doctrine, which may have impressed itself on the Porch. The couplet may come from the Epoptides. The title is mentioned only in PLINIO, and none of the known fragments of S. can be attributed to this large-scale work with certainty. S.’s innovation in providing a table of contents  — most likely a list of capita rerum — suggests that the Epoptides is an encyclopedic or compendious saggio Alternatively, the Epoptides may have been a long didactic treatise on nature. S. is known to have written didactic poetry and is likely to have been an influence when LUCREZIO choses verse as his medium for a  philosophical subject matter such as nature is. The most extensive argument regarding the Epoptidesis is that of Köves-Zulauf. Much of what can be conjectured about the work derives from the interpretation of its title. The verb “ἐποπτεύω” has the basic meaning of to watch, to oversee, but also, literally, to become an ἐπόπτης, or initiate -- Epoptides -- the highest grade of initiate at the Eleusinian mysteries. Köves-Zulauf argues that S.’s Epoptides is an extended treatment of mystery religions, and he translates the title as Mystikerinnen. The classicist and mythographer Rose, on the contrary, insists that the epoptides has nothing to do with initiates. Rawson holds with initiated women; the Loeb offers lady initiates; Horsfall is satisfied with the watchers. Köves-Zulauf maintains that the epoptides of the title represent the conception of the PORTICO of female daimones who are guardians of humanity, such as the horae and the charites. S. integrates this concept, Zulauf says, with the “TVTELÆ”, ancient Italic protective spirits. The crime of S. is thus to reveal in this work the name of the particular TVTELA charged with protecting Rome. Works of later Roman grammarians suggest that S. Takes an interest in etymology and other linguistic matters. Conrad Cichorius, “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus,” Hermes; American Journal of Philology; Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, New York: American Philological Association; Cichorius, “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus,” Hermes -- remains the most thorough discussion of the evidence; Abstract in American Journal of Philology, Oxford Latin Dictionary (Oxford: Clarendon), entry on "Soranus," Alvar, “Matériaux pour l'étude de la formule sive deus, sive dea,” Numen; Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon; Mastrocinque, "Creating One's Own Religion: Intellectual Choices," in A Companion to Roman Religion, ed. Rüpke (Blackwell), Pliny the Elder, preface, Historia naturalis; Henderson, “Knowing Someone Through Their Books: Pliny on Uncle Pliny (Epistles 3.5),” Classical Philology, Cicero, De oratore -- litteratissimum togatorum omnium.  Cicero, Brutus, Cicero, Bruto, vicini et familiares mei; Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Varrone, De lingua latina, Gellius, Noctes Atticae, Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon); Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe (Milano); Cicero, Post reditum in senatu; Cicero, Epistulae ad familiares; discussion in Brown, Israel and Hellas: Sacred Institutions and Roman Counterparts, Berlin Gruyter Cicero, Brutus -- non tam in dicendo admirabilis quam doctus et Graecis litteris et Latinis.  Ramage, “Cicerone on EXTRA-ROMAN Speech,” Transactions and Proceedings of the American Philological Association, Brown, Israel and Hellas, Berlin, Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic, The Johns Hopkins, Klinghardt discusses the religious case in "Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion," Numen; see also Versnel, “A Parody on Hymns in Martial and Some Trinitarian Problems,” Mnemosyne. The "praetor" may be Pompey. Servius, Commentary on the Aeneid -- denique tribunus plebei quidam Valerius Soranus, ut ait Varro et multi alii, hoc nomen ausus enuntiare, ut quidam dicunt raptus a senatu et in crucem levatus est, ut alii, metu supplicii fugit et in Sicilia comprehensus a praetore praecepto senatus occisus est; from the Perseus Project's online edition of Servii Grammatici qui feruntur in Vergilii carmina commentarii, ed. Thilo e Hagen (Teubner).  Smith, Dictionary of Greek and Roman Antiquities, entry on "Crux," Bill Thayer's Lacus Curtius edition; Elizabeth Rawson, "Sallust on the Eighties?", Classical Quarterly Coleman, "Fatal Charades: Roman Executions Staged as Mythological Enactments," Journal of Roman Studies; for full discussion, see M. Hengel, Crucifixion in the Ancient World (London), especially "Crucifixion and Roman Citizens" and "The 'Slaves' Punishment," Valerius Maximus, "Tribune" at Livius; fuller discussion of the tribunate at Smith, Dictionary of Greek and Roman Antiquities, "Tribunus," Thayer's Lacus Curtius edition..  “This name and the name of the tutelary deity of Rome was handed down from one generation of Roman priests and magistrates to the succeeding one” Linderski, "The Augural Law," Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. The story of S., Linderski assumes, indicates that tribunes do know the name. The reasoning may be circular.  Pliny the Elder, Historia naturalis, Plutarch, Roman Questions, The late antique grammarian Solinus also reports that S. is killed for profaning the name of Rome, connecting the act to the Roman goddess Angerona, whose cult statue depicted her with a sealed mouth.  Köves-Zulauf, "Die Ἐπόπτιδες des Valerius Soranus," Rheinisches Museum. "Tutelary deities" is not the universal translation. See discussion under Literary Works.  Servius, Commentary on the Aeneid; Macrobius, Saturnalia; Brown, Israel & Hellas, Berlin. The ancient sources on the violation make a distinction without, in the outcome for S., a difference. Some say the arcanum not to be revealed is the secret name of Rome, and others that of Rome's tutelary deity, see L'identità segreta della divinità tutelare di Roma. Un riesame dell' affaire Sorano. Roma, Settimo Sigillo. Plutarch, Life of Pompey -- φιλόλογος ἀνὴρ καὶ φιλομαθής.  Conrad Cichorius, "Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus," Hermes, Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, New York: American Philological Association, Courtney, The Fragmentary Latin Poets, Oxford: Clarendon, Rüpke, Religion of the Romans, ed. Gordon (Cambridge: Polity), Cichorius, "Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus," Hermes. Abstract in American Journal of Philology Rüpke, Religion of the Romans, ed. Gordon (Cambridge). This view is shared by Weinstock, review of Die Geheime Schutzgottheit von Rom by Brelich, Journal of Roman Studies Political and religious motives reviewed by Brown, Israel and Hellas, Berlin, For the development of the story of S. as a cautionary tale, see Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome,” in Rituals in Ink: A Conference on Religion and Literary Production in Ancient Rome (Stuttgart), Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Plutarch, Pompey, Loeb Classical Library translation of the Lives, Cambridge), Thayer's edition at Lacus Curtius. Brown, Israel and Hellas, Berlin, citing Alfonsi, "L'importanza politico-religiosa della 'enunciazione' de Valerio Sorano," Epigraphica. Pliny says that the Romans practice evocatio when they lay siege to a city, with the priests calling out the foreign god and promising him a greater cult among them -- Historia naturalis. Macrobius even provides the charm of evocation used against Carthage (Saturnalia). The secrecy surrounding prayer formularies, particularly the correct names of gods, is characteristic also of Judaism, Egyptian syncretistic religion, mystery religions, and Christianity. See Klinghardt, “Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion,” Numen on this case; also article on "Magic and Religion: The Name of God."  Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins Alfonsi, "L'importanza politico-religiosa della enunciazione di S. (a proposito di CIL)." Epigraphica McCullough, Fortune's Favorites (HarperCollins), Cook, “The European Sky-God, The Italians,” Folklore, Grant, review of Varros Logistoricus über die Götterverehrung ("Curio de cultu deorum"), Burkhart Cardauns (Würzburg) in Classical Philology, Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Alvar, "Matériaux pour l'étude de la formule sive deus, sive dea," Numen Zeller, A History of Eclecticism in Greek 'Philos', Alleyne (Kessinger), Albrechtet al., A History of Roman Literature: From Livius Andronicus to Boethius, (Brill), Geschichte der römischen Literatur: von Andronicus bis Boethius, Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon, Mastrocinque, "Creating One's Own Religion: Intellectual Choices," in A Companion to Roman Religion (Blackwell,  pointing out that the Hymn to Zeus of Cleanthes presents a similar view of the god, and that Laevius, a likely contemporary of S., holds that Venus is both female and male (according to Macrobius, Saturnalia). Martino, in L'identità segreta della DIVINITÀ TUTELARE di Roma. Un ri-esame dell' affaire Sorano. Roma, Settimo Sigillo, believes that S. reveals the name of Roman tutelar deity, who is androgynous, GENITOR GENITRIX, Horsfall, “Roman Religion and Related Topics,” review of Köves-Zulauf, Kleine Schriften (Heidelberg), Classical Review. An innovation admired by Pliny the Elder, Historia naturalis.  Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Henderson, “Knowing Someone Through Their Books: Pliny on Uncle Pliny (Epistles),” Classical Philology, Classen, “Poetry and Rhetoric in LUCREZIO,” Transactions and Proceedings of the American Philological Association; "LUCREZIO and Callimachus, " in LUCREZIO, ed. Gale, Oxford Readings in Classical Studies (Oxford), Horsfall called the essay on a non-extant work "something of a tour de force," in “Roman Religion and Related Topics,” Classical Review Liddell and Scott, A Greek-English Lexicon (Oxford: Clarendon), entry on ἐποπτεία and related words, Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome,” in Rituals in Ink (Stuttgart), Rose, “Latin Literature for Italian Children,” Classical Review Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Rackham's translation of Pliny's Natural History (Harvard).  Horsfall, noting that the word's only other occurrence in Latin is from Cornutus, in “Roman Religion and Related Topics,” Classical Review. For instance, Aulus Gellius, citing Varro, notes that S. thinks the Latin word “flavisa” referred to the same object as the Greek-derived word thesaurus 'treasure trove', and suggests that the Latin word derives from the flata pecunia, that is 'minted money', stored there (Attic Nights = Varro, fragment  in Funaioli Grammaticae Romanae Fragmenta. Roman antiquarians often use etymology to investigate the history of objects and institutions.  Varro, De lingua latina; Alfonsi, L. "L'importanza politico-religiosa della enunciazione di V. (a proposito di CIL )." Epigraphica Argues that S. should be identified with Valerius Aedituus, a poet from the circle of Lutatius Catulus (this identification is not widely agreed upon, though both Badian, "From the Gracchi to Sulla  Historia Gabba, "Politica e cultura in Roma agl’inizi del I secolo a. C.," Athenaeum as cited by Badian, are willing to entertain the possibility) and that he revealed the name of Rome to disrupt the exclusivity of the Roman aristocracy and enable the participation of the Italic communities. (Abstract translated from L'Année philologique. Brown, John Pairman. Israel and Hellas, Berlin Gruyter, on Valerius Soranus. Cichorius, Conrad. “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus.” Hermes -- The most thorough biographical reconstruction. Abstract in American Journal of Philology Courtney, Edward. “Q. Valerius (Soranus).” The Fragmentary Latin Poets. Oxford: Clarendon Edition with commentary and biographical note. Courtney refrains from identifying some recognized fragments of S.’s work as poetry and thus omits them. See Funaioli and Morel following. De Martino, Marcello. L'identità segreta della divinità tutelare di Roma. Un riesame dell'affaire Sorano. Roma: Settimo Sigillo Funaioli, Gino. Grammaticae romanae fragmenta, Leipzig: Teubner, Testimonia and fragments of S.’s grammatical works, Horsfall, Nicholas. “Roman Religion and Related Topics.” Review of Köves-Zulauf, Kleine Schriften, ed. Achim Heinrichs (Heidelberg). Classical Review Klinghardt, Matthias. “Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion.” Numen On the case of S., Köves-Zulauf, Thomas. "Die Ἐπόπτιδες des Valerius Soranus." Rheinisches Museum Repr. Kleine Schriften, ed. Achim Heinrichs (Heidelberg). Argument summarized under Literary works. Morel, with Büchner and Blänsdorf. Fragmenta poetarum Latinorum epicorum et lyricorum praeter Ennium et Lucilium. Stuttgart: Teubner. Contains fragments of S. not presented in Courtney. Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome.” In Rituals in Ink: A Conference on Religion and Literary Production in Ancient Rome (Stuttgart), Rehearses sources for nomen transgression, with a stated interest in the significance of the story rather than its historicity. Some misapprehensions in handling primary source material. Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe. Milan. Section on S., Rüpke, Religion of the Romans. Ed. Gordon. Cambridge: Polity, Discusses the case of S. in his consideration of Rome's tutelary deity. Weinstock, Review of Die Geheime Schutzgottheit von Rom by Brelich. Journal of Roman Studies, Passing consideration of the likely political character of S.'s execution, valuable mainly because of Weinstock's auctoritas.  Omnipaedista Di Penates Terra (mythology) The personification of the Earth in ancient Roman religion and mythology Quintus Valerius Orca. Sorano. Quinto Valerio Sorano. Keywords: TVTELA. IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET OMNES. Sorano.

 

Grice e Sorano: la ragione conversazionale -- Nerone e la filosofia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.  Part of the opposition from the Portico to Nerone, S. is betrayed by his friend Publio Egnazio Celer. He is condemned to death at the same time as Trasea Peto. Barea Sorano.

 

Grice e Sordi: la ragione conversazionale -- o il club d’Aquino – filosofia italiana – Luigi Speranza (Centenaro). Filosofo italiano. Si fa religioso nella compagnia di Gesù e ben IV dei suoi fratelli seguirono il suo esempio. Entra nel seminario di Piacenza, dove frequenta le classi ginnasiali. Vince il concorso per l'ammissione al collegio Alberoni di Piacenza, dove rimane fino al quando è costretto a lasciare per motivi di salute. Ri-entra in seminario e, sotto la guida di BUZZETTI, approfonde la filosofia d’AQUINO la cui filosofia è andata in disuse. S’insegna la filosofia del secolo: SARTI, SOAVE, DRAGHETTI, CONDILLAC, WOLFE, STORKENAU. Divenne sacerdote ed entra nella compagnia di Gesù appena ricostituita, fa il noviziato nella Casa di S. Ambrogio a Genova, dove incontra AZEGLIO che attraverso i colloqui con S. conosce e stima la filosofia d’AQUINO, di cui prima sente parlare con disprezzo e incomincia a rivedere la sua formazione filosofica.  Divenne insegnante di filosofia nel collegio di Ferrara e passa a Reggio Emilia come insegnante di logica, metafisica ed etica e con la carica di prefetto della biblioteca civica. A Reggio Emilia si distinse e acquisce stima e fama tanto che il padre generale della compagnia FORTIS lo propone a PAVANI, provinciale d'Italia, come professore di logica nel collegio romano. PAVANI, però prega il padre generale di desistere dal suo proposito per motivi di opportunità si leverebbe un gran rumore tra i professori del collegio romano tanta è la prevenzione contro S perché seguace d’AQUINO. Venne mandato a Modena, al collegio S. Bartolomeo, come professore di logica, metafisica ed etica. Ispirandosi ai rivolgimenti culminati con la cattura di MENOTTI, pubblica “Catechismo delle rivoluzioni”. Stringe amicizia con PECCI. Attraverso quest'amicizia puo esercitare il suo influsso anche su suo fratello, PECCI che, divenuto poi papa, con l'enciclica “aeterni Patris” propone a tutte le scuole cattoliche le dottrine d’AQUINO. Inviato a Forlì e poi a Spoleto dove insegna. Nominato Rettore del collegio di Orvieto. Ritorna a Modena come rettore,  e poi rimane ancora a Modena come ministro e padre spirituale degl’alunni. Rettore del collegio S. Pietro di Piacenza, dove già e stato aperto anche l'Aloisianum Istituto di formazione filosofica per gesuiti dell'area Lombardo Veneta. E ancora a Piacenza, quando il collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari. Scoppiarono allora alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee qui aggiungevano i nomi or dell'uno or dell'altro padre del collegio. Così si legge nel racconto di LOMBARDINI, testimone oculare degli avvenimenti. Roothaan lo chiama a Roma, desideroso di vedere finito un testo di filosofia che realizza insieme a CARMINATI. Nominato preposto della provincia romana. Governa quella provincia con rara prudenza e grande spirito di bontà. Passa al collegio degli scrittori della civiltà cattolica con l'incarico di scrittore e padre spirituale della comunità. Contribuì al fiorire della rivista componendo con padre TAPARELLI una serie di saggi. Chiamato all'Aloisianum di Verona come prefetto degli studi dei religiosi filosofi. Uno dei più insigni rappresentanti d’AQUINO, il movimento di rinnovamento della filosofia d’AQUINO, che, partito da Piacenza con  BUZZETTI, si diffuse in tutta l'Italia tramite i fratelli S., alunni dello stesso BUZZETTI. I due fratelli, entrati nella compagnia di Gesù, portarono il rinnovamento tomista, cioè le grandi idee d’AQUINO studiate e sviluppate ai fini di rispondere agli interrogativi più profondi dell'uomo moderno. La sua azione in favore del neo-tomismo e particolarmente efficace per gli incarichi prestigiosi a lui affidati, per il suo insegnamento presso numerosi collegi dove i suoi saggi di filosofia, trascritti, venivano usati come testo. Inoltre molte delle persone da lui avviate allo studio d’AQUINO sono state i protagonisti del rinnovamento tomista e i diretti collaboratori nella preparazione dell'enciclica "Aeterni Patris" in cui Leone XIII esorta a rimettere in uso la sacra dottrina d’AQUINO e a propagarla il più largamente possibile. Il suo fratello, Domenico, diffunde AQUINO nella provincia napoletana, dove opera in varie città (Napoli, Lecce, Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al collegio massimo di Napoli e collaboratore d’AZEGLIO  promuovendo la diffusione della filosofia d’AQUINO fra gli alunni, alcuni dei quali furono protagonisti del rinnovamento della cultura cattolica. Fra questi va ricordato CURCI, fondatore della “Civiltà Cattolica”, che descrive il suo insegnante con dovizia di particolari nelle sue “Memorie” e LIBERATORE, co-fondatore del periodico “Scienza e Fede”, redattore di “La Civiltà Cattolica” e uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Altre saggi: “Appendice al capitolo XII del Catechismo del senso comune” del Rorbacher L'Amico d'Italia  (Genova); “Theses ex universa Philosophia” (Parma); “Catechismo delle Rivoluzioni” (Modena, Soliani); “Lettere intorno al nuovo saggio sull'origine delle idee di SERBATI” (Modena, Vincenzo Rossi); “I primi elementi del sistema di GIOBERTI dialogizzati tra lui e un lettore dell'opera sua – Bergamo, Natali, Allocuzione di Pio IX con in fine esposizione della materia a modo di catechismo” (Roma, Apostolica); “I misteri di Demofilo” (Torino Castellazzo) e De Gaudenzi, Circolare del R. Provinciale ai Superiori della Provincia Romana – Roma, Civ. Cattolica. De studio Theologiae in nostra societate – Roma, Civ. Cattolica,  Recensione all'opuscolo di Oddo “l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, MilanoRoma, Civ, Cattolica La libertà al tribunale della ragione Roma, Civ. Cattolica. Se per essere indipendenti abbisogna che il papa abbia il potere temporale. Di un sacerdote cattolico, Roma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione popolare in occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete galantuomo Roma Civ. Cattolica, opuscolo  Il Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo da S. della compagnia di Gesù (Verona, Vigentini e Franchini); “Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Gioberti (Piacenza, Tedeschi); “Una proposta al clero italiano”; “Ragionamenti sul gesuita moderno” (Torino, Castellazzo e De Gaudenzi); “La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera sull'Austria, Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le impugnazioni di ROSMINI  Monza. “Ontologia” (Dezza); “Theologia naturalis” (Dezza); “MANUALE DI LOGICA” (Pesce). Opere inedite riportate da Dezza in Alle origini del Neotomismo: Ethica generalis et specialis; Psicologia; Sull'origine delle idee; Sulla materia e sulla forma; Sull'evidenza; Intorno alla filosofia a noi prescritta d’Ignazio; “Esortazioni al clero (presso don Ballerini PC). Alle origini del Neotomismo, Dezza, I neotomisti; Silva, Ferriere, cenni storici, Comandini, “Nuovi contributi alla conoscenza di Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola -- saggio sulla rinascita del Tomismo”; Dezza, I neo-tomisti italiani”; Dezza, “ Alle origini del Neotomismo, Breve storia della Provincia veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostril; “La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP; Breve storia della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostri A. M. D. G C. Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber. Edit. Vaticana La Civiltà Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla conoscenza del canonico Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo Libr. Edit. Vaticana, Cordani, Una grande cultura piacentina dimenticata, PC Ed. Berti, Curci, Memorie di Curci, Barbera Editore, Cornoldi, Memorie Autobiografiche (Archivio Aloisianum), Dante, Storia della Civiltà Ed. Studium Roma .Dezza, A MI. Dezza, I neo-tomisti italiani del XIX secolo, Bocca ed. MI.  La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP); Giarelli, Storia di Piacenza dalle origini ai nostri giorni,  II Ed. Porta PC, Ferrari, S. e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico Buzzetti, PC G. Martina, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberismo, del totalitarismo, Morcelliana BS., Padovani, “Importanza della critica filosofica di S. a V. Gilbert” (“Riv. Di Filosofia Neoscolastica, MI ed. Vita e Pensiero, Monti, "La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Chieri); Giovanni Paolo II, enciclica Fides et Ratio; Panareo, L'istruzione in terra d'Otranto sotto i Borboni, Perazzoli, Studi sul Rosminianesimo nell'Ottocento, Ed. Rosminiane Sodalitas, Pozzi, S., filosofo neotomista, Studia Patavina Riv. Di Filos. e Teologia; Rolandetti, Da Buzzetti all'Aeterni Patris Conv. Intern. Tomistico (Trento); Rolandetti, Buzzetti teologo, Libr. Ed. Vat. Silva, Ferriere, cenni storici, UTEP, PC, S., Pochi e brevi cenni sulla vita menata nel secolo da P. S., man. Inedito G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini S. alla diffusione del neo-tomismo nella cultura, PC altervista. Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi. M. Volpe, I Gesuiti nel Napoletano  Aeterni Patris Aloisianum Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan Roothaan La Civiltà Cattolica, Taparelli Azeglio  Liberatore Neotomismo  S., su Treccan Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di S., Il contributo dei gesuiti piacentini, S.  alla diffusione del neotomismo nella cultura cattolica, PC su serafino sordi. altervista. La Civiltà Cattolica Taparelli d'Azeglio e il rinnovamento della Scolastica al Collegio Romano italia La Civiltà Cattolica; Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in Italia” (Taparelli e S.). La rinascita del tomismo a Napoli  (parte primaI collaboratori del Taparelli; “Il peripato in azione”; “Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione dell'enciclica “Aeterni Patris.” Serafino Sordi. Sordi. Keywords: AQUINO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sordi” – The Swimming-Pool Library. 

 

Grice e Soria: la ragione conversazionale dell’opuscolo della simpatia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lama). Filosofo italiano. La famiglia risiede da tempo a Sant'Ilario in Campo, nell'isola d'Elba. Appartenente alla corrente del sensismo. Insegna a Pisa. Combate Cartesio ed esalta GALILEI. Scrive il saggio Rationalis Philosophiae Institutiones. Direttore della Biblioteca di Pisa. Pubblica a Pisa la Raccolta di opuscoli filosofici e filologici. Il saggio comprende Dell’immaterialità delle nature intelligenti; Della potenza che ha lo spirito umano di determinar se medesimo chiamata libertà; Il virtuoso regime del proprio corpo è un bene indispensabile per la felicità della vita” e Della natural dipendenza della salute corporea dall'ilarità dello Spirito”; “Della simpatia” – “Dialogo tra un cav. francese, e un italiano” e l’”Esame del Giudizio di Monsieur Du Fresnoy circa BUONARROTI”; “Sulle metamorfosi degl'insetti”; “Degl'influssi celesti”; “Dissertazione Accademica sull'Innesto”; “La teoria de' fosfori, e de' loro divarj.” Allievo di GRANDI, segna il passaggio della scuola galileiana verso l'illuminismo. S. individua nello sviluppo economico il centro dell'interesse dell'attività politica. È sepolto nella chiesa di Sant'Andrea a Lama, in provincia di Pisa. Baldini, S. in "Dizionario biografico degl’italiani", Roma, Istituto della Enciclopedia italiana. S. è attestato anche a Livorno ed è appartenuto a una nota famiglia locale.Olschki, Firenze. Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. O violerei certamente tutte  le Leggi della convenevolezza, fe in mezzo al pubblico brio di quarti lietifftmi giorni invitato A PARLAR DI SIMPATIA, non fosse il mio ragionamento una vivace, e toccante pittura di dolci affetti, e di delicate e tenere immagini, ornate air Attica di ridenti fcherzi, e di vezzofe e follazzevoli piaccevolezze. Tale converrebbe che fotte,   io non lo nego, f ufo eh' io far dovrei di quefto tempo, s' io non par-   latti a Voi; ma avanti un tal Con (ef-   fe, tutt' altro fi vuol da me, tutt' altro io debbo. Vi piace eh' io Jafci alle   Mufe i teneri affetti, le delicate imma-   gini, i lieti fcherzi, ed i ridenti motti. Voi cligete da me, che nella mia   bocca non perda la Filofofia i fuoi diritti neppure in quefti giorni; e volete   cosi, perchè le delizie del voftro cul-   tittìmo, e vivacitfìmo Spirito fon I' in-   dagare, ed il penetrare V intima eflenza , e le fegrete cagioni di quelle cofe ,   che maravigliofe fono per femedclime ,   e d' illuftri confeguenze feraci. Or ta-   le fenza dubbio egli è ciò, che Simpa-   tia fi chiama , o prendati quetta voce   nel proprio fenfo litterale, o in fenfo   tropico e figurato. Dunque per fecondare il nobile voftro Filolofico genio,   dell' ona, e dell' altra Simpatia patitamente ragionando, ne rintraccerò la   natura, e le caufe, e gli effetti ; cioè   rammenterovvi ciò, che fu quefti inte-   rettanti Oggetti per Voi medelìmi già   fapetc. La voce “simpatia, presa in senso non figurato, ma proprio, Tuona Io lteflb, che unione di genio, vicendevolezza di affetto, benevolenza fcambievole, le quali efprcflìoni tutte fon   tra di loro (ìnonime. Quindi non può   aver luogo la Simpatia, propriamen-   te detta , fe non tra gli Ellcri fendenti , ed intelligenti . Ma i Greci   Popoli , imitati da LATINI, e dalle  Lingue che ne fon derivate , edendendo il lignificato primitivo di quel-   la parola, chiamarono in fenfo traslato, ed analogico Simpatia, la cagione   altresì, per cui dato un Corpo in certe circoftanze, ne fegue un qualche de-   terminato effetto in un' altro Corpo,   fenza che il primo agifea fui fecondo   con immediato contatto* E perchè avevano ofeura , e confufa idea delle Fillche   ragioni , onde tali effetti in Corpi non   toccanti*! accadono; quefte ragioni, o   caufe loro ignote, che Simpatia rettoricamente nominavano, sforzavanfi di fpiegarc, dicendo, che tal forta diSimparia era una vicendevole correlazione, c quafi cognazione di naturalo   una mutua coordinatone , o un fiii-   co confenfo tra corpo, e corpo in di-   ftanza. Onde a chi aveffe domandato   loro, perchè al Tuonare di una mutlca   corda» le non troppo lontane, purché   temperate all' unifono, o air ottava, o   alla quinta consonanza , rifuonino anch'   eflc,rifpofto avrebbero alia Quiftione,   che ciò avviene per Simpatia , o per una   vicendevole correlazione, e cognazione   di natura tra le corde tefe a quelle armoniche proporzioni; ficcome una fog-   già dì Simpatia, o una 6ftca cognazione, e coordinazion di natura chia-   merebbeii dagli Antichi la caufa, per   cui V Ago magnetico fi rivolge coftan-   temente verfo le Regioni Polari , e   quella per cui 1* acque de' mari più   vicine alla fovraftante Luna, più fi l'ol-   le vano verfo di lei «   f ih    Ora intorno a quefti connetti effètti tra materie , c materie didatti di luogo , ed intorno alle cagioni vere   onde nafee una tal tìiìca conneifione tra Fenomeni,* Fenomeni in divertì, e reparati (oggetti due generali  e (blenni   Verità ignoravanocomunemcntegli Anfichi , e pochi fon gli Uomini , che noti   le ignorino anch' oggi » La prima delle   quali due verità fi è, chetimi i motid'   ogoi forta, dipendenti dell' eftere da ufi   qualche corpo in dirtanta , o nafeonò   da vero urto , da vera pattfone, originata   da quel corpo dittante , per metto di   qualche frappotta materia fia vifibite,   fia invitìbile,ofon eonfeguentc neceflarie   di quelle determinate, e colanti Regole   della mutua general Gravità, daltequali neffun Corpo nel materiale Universo può fottrarlì , ed a norma delle qua-   li deve ogni Corpo, ed ogni fua parte,   fecondo le varie circolante in cui fi   trovi, oftarfi in un perfetto equilibrio di   contrapporle tendente, o tendere prepo-   tentemente piuttotto per un verfo, che   per un' altro , e piuttotto ad Un tal corpo   dittante, che ad un tal'altro, fenta che   urto o pretfìone ve lo fpinga; le quali   regole di moti, chiamanti perciò non      A i mecccaniche, cioè non derivanti da pref-   fioni, e da urti. L' altra delle due pre-   dette Verità, men cognita ancora deli'   cfpòfta, fi è, che non folo certi Feno-   meni , con certi altri determinati", appartenenti ad alcuni corpi, localmente   dilcofti , fon vicendevolmente connetti ,   o dipendenti nclT eiTere , ma tutti quanti   ne fono flati finora nel genere de* meri materiali, e quanti ne elicono in que-   llo momento, e quanti ne fon per cflcre   neir intiero giro de* Secoli , e nella e-   ftenfione intiera del materiale Universo »   tutti han del pari una veriffima cogna-   zion di natura, o tal conneflìone, e tal   mutua correlazione, per cui fi può dire   con rigorofa verità, che fe a cagion di   efempio non nafeeflero dallo itelo di   una Rofa quelle fpine precife, che ne   fpuntano, nelle circodanze nelle quali   nafeono, niente affatto di ciò che fuc-   cede nelle provincie della Terrefrre Fifica fuccederebbe , e fe non fi generarle   nelle circoftanze nelle quali pur genera   quel sì piccolo difpregìato Infetto, che   fugge di occhio, e che in ore anzi che   in giorni , muor decrepito, e Tritavo,      ed in vece di queir Infetto fi generaffc   nelle medclime circoftanze un altra co-   fa, o non fi generale nulla ,( toltoli cafo di un miracolo, da cui li prefein-   de ) il magnifìcentilfimo, V ammirabile   Univerfo intiero fi trasformerebbe in   tutt' altra cofa. Gran Paradotio agli oc-   chi de' Profani, ma grande e fublime   Vero per chi è iniziato a miftcrj dell'   alca Fiiofofia i • Imperciocché non fiam noi certi ,   che quanto accade nell' Univerfo Corporeo , tutto fi fa dalle forze motrici ,   e che tutte le forze non libere, tutti   i non liberi moti, fon* altrettante neceffarie confeguenze di quelle Finche generali Verità, che Leggi de' Corpi fi chiamano, per le quali poflono, e deb-   bon feguirc, quali preci (amente feguono tutti i Fenomeni, nelle circoftanze   nelle quali fi trovano i materiali fog-   gettiP Bifognerebbe ciTer ben nuovo, e   (rraniero nella faenza Filici per dubi-   tarne . Se dunque , a cagion di efempio, nel fecondo fieno di un Gclfotnino   tede la Natura una piccohffima intie-   ra Pianta feminale , che ricevuta poi   da conveniente terreno, crefee in adul-   ta Pianta di Ge!fomino;cgli avvien ciò, perchè lcLeggi Filkhc di Natura, pòfte le circoftanze in cui fono le remi-   ca! i materie di quel Fiore, forza è, che   quelle materie depongano in quel tal'   ordine da cui ritolta ? etfer Pianta fcminale di Gclfomino, anziché di tutt'   altro Vegetabile; e fc colaggiù nelle mi-   niere dell' Oro fi lavora dalla Natura   quel preziofo metallo, anzi che Ferro,   o Diamante; egli è perchè le Leggi de moti | nelle circoftanze in cui tono i   principi, ond'è comporlo il bell'Oro,   non poftono a meno di non difporli ,   e combinarli in quel tal predio ordine   in cui confitte V effer Oro piuttofto,   ,che un* altra cofa . V ifteflo vuoili dire   di tutti gli altri materiali Fenomeni. Dunque tanto è domandare , che un'   «f&tto corporeo nelle circoftanze precifc nelle quali fegue , o non fegua   punto, o fia divedo, quanto è domandare, che le generali Fifichc Leggi dì   Primo- 9 Natura, dette quali è figlio neceflario,   o non efiftan punto, o fien tutt' altre .   Or fe tali non fòflcro, non avrebbero   certamente potuto produrre in veruit   tempo, in verun luogo, neffuno di que-   gli innumerabili effetti , che fo*o rtati   dalla primitiva coftituzionc dell' Univerfo, fino a quefto momento, nè po-   trebbero generarne pur uno di quelli,   che attualmente effe generano in tutta l’ampiezza delle corporee cofe, e di   quelle, che nederiverannocome naturali   confeguenze loro in tutta la ferie delle Età future* Dunque non folo alcuni determinati Fenomeni , con alcuni   altri determinati hanno real conneffionc,o vicendevole correlazione nelT cf-   fcre, ma ciafeuno con tutti gli altri,   comunque fienfi varj, e di tempo», e di   luogo remoti* Perchè quantunque neffun Fenòmeno aver polla ragion di Caufa, odiEffetto, rifpetto a tutti gli altri indiftintamente, ciafeuno però in-   didimamente e una condizion ncceflaria all'efifrcnza di tutti gli altri: avendo   noi veduto in pie ni (firn a luce cfler rigo-   rofamentc vera quefta Propofuionc: Che non  io Ragionamento  non fi può torre , o mutare un Fenomeno,   date le fue circo/lanze , fenza torre , o mutare le Fificbe Leggi di Natura , e però fenza tonerò mutare per naturai confeguen*   za tutto il re Ilo nelt intiero Vniverfo cor-   poreo. Ed ecco abbatta nza fpiegate le   ragioni, e 1' eftenfiooe di quella Simpatia, eh è impropriamente tale, e che   gli Antichi chiamavano conneflìone,   confenfo , cognazione, correlazione di   natura, tra foggetti , e foggetti inani-   mati.  E' tempo ornai, gentilifsimi Udi-   tori, che cedendo alle attrattive, colle    tale aborrimento, e diftribuzioae > o difpofizionc di fuoni, allor fi chiana* una bella      Mufica, una beli* Aria, un Concerto   bello, quando quell' afsortimento 9 c   quella diftribuzione di mufiche into-   nazioni produce nell' animo noftro un   diletto. Noi abbiam dunque un' interno Tenta, che chiamar fi può conveniente-   mente fenfo del Bello viiibile, e udibile, del quàl fenfo egli è caratterirtico Attributo il fentirc un diletto, o una   molcftia, qualora vediamo una tale, o   tal' altra fcclta,e difpofizione di parti   di un Tutto vifìbile, ed ascoltiamo un   tale, o un tal' altro aflbrtimento diparti componenti un Tutto (onoro, o udibile. Han prima gli Uomini guftato   il piacere, che proprio è del fenfo del-   la Bellezza vifìbile, c udibile, di quel   che abbiam faputo quali fieno le midi-   re, quali le proporzioni, e le diftri-   buzioni delle parti, onde piacciono, o   difpiacciono i viiibili, egli udibili Og-   getti • Prima che fi fapclfe ¥ Arte Mufìca, piacevano i canti di Progne, e di   Filomena-, c prima che un qualche Fi-dia curiofamcntc mifurando detcrmi-   nate le proporzioni , e le locali correlazioni delle membra di un bel Corpo, le Veneri e f Elene, gli Adoni ed   i Paridi dilettavano i rifguardanti , ed   i Momi,e gli Efopi, e le Gabrine, e   le non fucato Alcine ributtavano.  E perchè come in tutti gli altri (enfi   avviene, cosi è vero altresì del fenfo   della Bellezza, cioè che in tutti gli   Uomini noa fon fabbricati i fenforj   di una fretta maniera; di qui è, che   dilconvengono tra loro non di rado nel   giudicar del Bello , come difeonvengono nel giudicar degli odori, e de* fapori. Non a tutti i nervi olfattori piacciono, o difpiacciono gli fletti effluvi,   producitori di quelle dilettevoli, o mo-   iette fenfazioni , che buoni, o cattivi   odori fi chiamano. L'Organo del Gutto, gli apici de* nervi , cioè, che in   folte fchiere metton capo alla fuperfi-   cie della Lingua, perchè non fono in   tutti gli Uomini di una medefima in-   triofeca ftruttura, perciò non ricevono ió Ragionamento  in tutti ugualmente grate , o ingrate   fenfazioni di fapore dagli ttefiì cibi , c   dalle ftetfe bevande. Per flmil ragione   la Muika, di cut tanto fi compiaccio-   no i Siamefi , ci farebbe correre colle   mani alle orecchie, ed eflì forfè chiamerebber fraftuoni i rroftri Concerti , e   nojofe Nenie le noftre Arie cantabili.   Il certo fi è, che tutti gli Uomini trag-   gon diletto da qualche foggia di Mufica,   ma non Io traggono ugualmente dalle   iteflc Opere di Mufica inftrumcotalc, e   vocale. Così appunto piacciono agli uni   le brevi dature , e le membra fcarfe e leggiere ; preferirono altri le perfone di al-   to taglio, e di gravi, e mafficce fattezze; gli uni fon per l' impatto candido, e   vermiglio della Cute , gli altri pel   brunetto Greco. V* fot* anzi àc' Popoli intieri, che dipingono neri vellutati i Gcnj buoni , e desinano a' Dei mali i colori di latte, e di cinabro. Ed   io qualche Regno della più eulta Europa, il pallido pagliato non fi chia-   mava egli , non ha gran tempo, il bel   pallido? E non era egli riputato la vernice la più conveniente alle delicate bellezze, onde le Dame, che cavavano di piacere , condannavano liete   colle frequenti miflioni di fanguc, ad  una perpetua convalefcenza , per acquifere l'accreditato pregio del pallore,   che nel giallognolo biancheggiava? Vero è, che folto quel Cielo fteflo non aroano ora ie guance, che di carminio,   nè fi contentano del nativo rofato; ma   non perciò diventa falfo, che il dila-   vato pallido non piacele già preferibilmente ad ogni altra cute. Noq fanno gli uni faziarfi di ammirar gli occhi neri, e fdruciti di Qiunonc; trovano altri più dolci i cerulei di Teti;   per qucfti fon più toccanti i cefii di   Minerva; per quelli gli feuretti, efeintillanti di Venere. Ma per quanto fia   vero, che il fenfo della bellezza è vario in varj, fenfo però della bellezza corporea in tutti è, ed evvi altrettanto per ciafeuno in una corporea bellezza tal mifura, e difpofizioni di parti, e tal colorito di cut*, che a quello piace, c piacendogli, c dilettandolo, ne attrae 1' animo, e in fe lo fitta   dolcemente , c ne defta voglia di rinnovar tal piacere, e cara ne rende la   caufa , che Io produce . Dunque dalla corporea bellezza ,   perchè cagion di diletto, perchè autri-   ce di compiacenza, ed eccitatrice del-   ia voglia di fc, forza è che nafea una   fpecie di affetto; e fc chi lo infpira lo   riceve altresì per fimil caufa dalla fleffa perfona in cui V infpira, fi avranno   dunque vicendevolmente cari, lì deaereranno V un l'altro, cioè la Simpa-   tia gli unirà. Gli unirà, dico, e ren-   deralli cari, V uno all' altro, fe i dolci fentimenti, che la vicendevole relativa corporea bellezza ecciterà in entrambi , non faranno combattuti , o fuperati da i ributtanti , ed alienanti affetti, o dalle moiette impreffioni , che cagionano i rincrcfcevoli vizj di mente,   i deformi vizj del cuore, e le maniere   difaggradevoli : cioè la bruttezza dell'Animo trafpirando fuori, e mofrrandofi, o nelle maniere, o ne' difeorfi, o   nelle azioni , non rifpinga da fe co'  fuoi  iuoi odioiì tratti, con forza uguale, o   maggiore di quella con cui ne alletta   colle Tue grate impreffioni la corporea   Bellezza. Dunque perchè qucfta abbia   forza durevole, bifogna che V Animo   non fia brutto, o non il ravvili per tale: nè può la Simpatia eMcr viva, coftanfc, ed alle Regole della beata Vita   conforme, fe dalle bellezze dell' Ani-   mo non tragga, fe non tutto, almeno   pretto che tutto, il foave fuo nutrimento. Ed eccoci infcnfibilmente condotti alla parte ultima del noitro Ragio-   namento, ed inueme alla migliore, e   più potente, e più dolce cagione della genial Simpatia: poiché tal caufa appunto ella è un,Anima veracemente bella . Son le bellezze dell' Animo di due   fpecic; T une appartengono all' intendimento, T altre alla volontà, o come   fuol dirli , al cuore. Allora è bella una   Mente , quando forpafla la comune portata; ed è tanto più bella, quanto fo-   no più pregiabili i fuoi talenti nativi ,  B 2 ed acquiftati. Il talento altro non è,   che un' agile, e felice attitudine di a ri alizzare, e quali notomizzar collo Spirito tutti i comporti Oggetti della mente, e di conoscere al paragone le lomiglianze, e le differenze multiplici   delle cole, e le loro meno ovvie conneffioni, e i vicendevoli rapporti loro,   quantunque ardui per i mediocri Spiriti, meno atti a condurli lungo una   ferie d' incatenati Veri, a confcguenzf   più, e più remote, immutabilmente   connette colle Verità prime, e per fe   flette evidenti . Il talento di difcernere   anche le piccole differenze tra quelle   cole, che alle Menti comuni pajono   le più limili, e di giungere a tali difeernimenti, al favore di ordinate prenozioni, e di inanellate indittolubili deduzioni di Vero da Vero , fuol chiamarli Talento Filofottco, e quefto co-   ftituifee il carattere del fublime Genio,   o vogliam dire dell'Ingegno profondo,   ed inventivo . II talento poi di ravvi*   fare agevolmente, e come in un colpo   d' occhio tra le cofe di dittinoli genere, e fpecie,i lati o gli Attributi limili,  egli   Primo. ti  egli è il Carattere, per cui chiamali chi   n' è fornito , un' Uomo di Spirito- Un $1 fatto talento potrebbe convenevol-   mente dirli Poetico, a differenza dell'   altro, che Filolofico nominammo: E   gli conviene il nome di Poetico, per-   chè non può effer fecondo in immagini, ed in figurate cfpreffioni, chi non   è agile, c deliro in oflcrvarc per quali   lati lì raflomigliano le cofe altronde   varie io natura, ficchè poflano t une,   moftratc da certe facce, fervir d' im-   magini all' altre . Chi quello Poetico   talentò pofTiedc , chiamali Uomo di bel-   la, e do vizio fa, e viva, e brillante Im-   maginazione, la quale fe congiunta iia   col Filolofico talento, o colla franca   attitudine al fublime, e profondo ed *-   fatto pcnfare,ne ritolta daqucfta unio-   nc fortunata, ciò che fi chiama una illuti re , e bcIlitTima Mente. Una tal Men-   te è fempre feconda di frutti degni di   fe, vola per ogni lato oltre i comuni   confini, ed ogni giorno più ricca di   Veri, o maraviglio!!, o belli * o inte-   rcalanti, ha f arte di lumeggiarli $\ vivamente, e di prefcntarli fatto imm  B s gì"*  Ragionamento gini sì nuove , e di ornarli con tali   grazie di eloquenza, e di difporli con   ordine sì regolare , da renderli come   vitibili alle altrui menti, e vifibili in   aria perfuadente inlìeme, e dilettevole.   Una tal -Mente, che fenza incomodare inftruifcc qualora parli, e nuove feerie apre, e nuovi profpetti alla Immaginazione di chi V afcolta, onde appa-   rirono Verità di ogni foggia, adorne   in cento guife fenfatamentc fcelte, ed   2l Tuoi foggetti proporzionate, una tal   Mente, dilli , quanto è ammirabile i   quanto ne piace il commercio i come   ne volano in tal compagnia le ore l quan-   to fe ne deiidera il ritorno. 1 La bella   Mente adunque ha una forza (impanca ,   dolce, e potente forza , che a fe ne   trac. Ma non l'ha certamente minore,   anzi e più potente, e più foave P efercita fopra gli Animi altrui un bel Cuore.  Son le Bellezze del Cuore i belli   affetti, e belli fon quegli affetti, che   rcndon pregiabilc , ed amabile il noftro morale Carattere ; e la pregiabilità di   quello, e la fua amabilità nafte tutta   dalla confederazione delle Virtù lodali , e reali, che abitualmente rifplendano in un' Animo, e ad ogni rifeontro   con tutte le irrefiftibili loro attrattive   fi manifeftino . Le morali Virtù, che   ci fon più care negli Uomini , fon quella Beneficenza, che nafee da compaf-   fìone, e da benevolo fociale affetto, 1'   officiofa Gratitudine , la fedele Amici-   zia, la modefra idea di fe medefimi,   l'obbligante rifpetto per gli altri . Quelli Attributi dell' Animo non poffon non   intereffarc ,e non dilettare l'amor proprio [H. P. GRICE, SELF-LOVE] di tutti quelli , che in un tal' Ani-   mo si fatti prcgj rifguardano. Piace   troppo il vederci e cari, e rifpettati,   quando ci rifpetta , e ci ha cari un'   Anima illuftre , delle Virtù più delicate, e più amabili poffeditrice e mi-   niftra . Piace troppo un tal' Animo ,   che i pregj proprj ravvifa appena, e rileva gli altrui, e lì compiace in rilevarli. Troppo diletta un Cuore, da cui   non afpettali giammai nè turpitudine,   nè apatia, un Cuor che fa fua voglia  B 4 dell'altrui voglia , fé Virtù lo permea   te, e che non folo fi pretta a tutti gli   atti benefici, che da lui fi domandano   ma gode a tali inviti, e quali gli atti*   ra,c i benefici ringentilifce colia alacrità, e colla gioja, colle quali fi porta ad effer' utile altrui ; un Cuor finalmente, che i ricevuti favori incide in   bronzo, e i compartiti oblia. Tale è   il vero Benefico, perchè la bella BENEFICENZA [cf. H. P. GRICE, BENEVOLENZA] non è figlia dell' interefle ,   non della vanagloria, o dell' orgoglio-   fo Amor proprio, che vuol far fentire   la Tua fuperiorità ad altrui; ma cllana-   fee da un delicato fenfo di gluteamen-   te graduata benevolenza, da una tenera compafsione per 1' Innocenza infelice, e per ogni forta di bifogno altrui , e dalla virtuofa abominazione de'   contrari affetti , come intrinfecamen-   te deformi, ed improbi, e di loro natura odiabili, e condannabili. Sì fatte   difpofizioni di Cuore, fe comuni forteto tra gli Uomini, il Poetico Secol d'   Oro diverrebbe un' Moria. Che invidiabile vita non menerebbefi ! Intende adunque ognuno, per poco che vi penfi , quanto fieno defiderabili in tutti 5 e quanto amabili, e care di natura loro l'eccellenti morali Virtù, delle quali parliamo. Ed ecco perchè diletti, ed in confeguenza perchè bello iì   chiami un Cuore, e quanto ila vero  che un Cuor sì fatto, forza è che fiaua   potente Oggetto della nOftra ammirazione > e una dolce Tergente di Simpatia- Nè reftano dentro i confini dell'Animo le bellezze del Cuore: penetra-   no i raggi loro fui volto, e gli fanno acquiftare tal' aria, che ne ricrefee maravigliofamente la bellezza , s' ci   l'abbia, o un vi libi 1 pregio gli dà, e   lo rende piacevole , quand' anche fenza   un bell'affetto del cuore efpreffo nel volto , quefto per fe medefimo tìon piaecffe. Chiamali aria del vifo quel compiei   fo di modificazioni vilibili, queirafpetto,che nafee dagli interni fentimenti   dell' animo, e che al variar degli af-   fetti fi varia con loro. Ogni affezione del cuore ha un vii© tutto fuo, una fonomia affatto propria. Altro è il   volto dell' Animo egro, altro quello   del Cuor fcreno, c contento. Si moftra r Ira ncll' Occhio torvo, e rofleg-   giante, nelle gonfie labbra , neli' accefo   colore, neli' inturgidimento de' mufeo-   Ji, nella irrequieta, e varia agitazione   delle membra. L' invidiofa malignità   impallidire il vifo, illividifcc il labbro, rappiglia le guance, vibra corte occhiate e fuggiafche , richiama ogni momento alla terra lo fguardo, nè permette che fi alzi libero, ed aperto in   faccia altrui. Porporeggia Tulle guan-   ce IaModeftia al Tuono delle Tue lodi, e il guardo inchina, e un movimen-   to di pena conduce fui volto, ma di   una pena che rifpetta chi la produce   co'plaufì, e cogli cncomj . Un vivo defiderio mirto di compiacenza, attacca   gli occhi di chi Io ha in cuore, lui caro Oggetto, che a fe lo tira, le labbra reIran focchiufe, ferme le mem-   bra , muovonfi lente , ed oblique le pupille, ma fenza deflettere da chi gì' infpira e compiacenza , e voglia. Compone la Gioja Ja bocca al rifo, ed il co-lor ravviva, diftende il fopracciglio ,   e Io innalza, c gli occhi muove tremu-   li , c brillanti . Egli è dunque innega-   bile, che ogni affetto ha il fuo vifo ,   ha un' aria tutta Tua, e che i belli affetti han V aria bella, come i truci, i   maligni, i pulìllanimi , i tetri, e perciò i difprezzabili , ed i viziofi affetti   han T aria brutta.   Tra tutte le belle arie, quella che   nafee da un' Animo pieno di nobili   {entimemi, di ogni vera battezza, e di   ogni orgoglio fchivi , che amabile macffà fuol chiamarti, quella della lieta   fcrenità di Spirito, voto di pungenti   cure, e fuor della tempeffa degli affetti , quella della tenera BENEVOLENZA, qual   fi moffra all' afpetto di chi ci giunge   carifsimo, e quella della dolce ammi-   razione, fon le più belle, gcneralmente parlando; e tutte V arie belle del   volto fon' appunto, fe ben vi fi rifletta, quel ciò che comunemente dicefi   un certo non fo che, che piace, e alletta. E fc tutti non trovano in un medctimo volto quel certo non fo che,   che più ne piace , addivien ciò , pcrchè non ogni affetto produttore di qualche beli' aria del vifo, diletta tutti ugualmente; nè ogni beli' aria può   produrre in tutti una ugualmente grata impresone: poiché il fenfo del Bello, di cui parlammo già, non è in tutti gli Uomini fomigliantiflimo. jQuindi piace più ad uno Y aria cupida, c   4§nguente , ad un'altro la vezzofa e vivàce. Ama piuttofto un terzo la ferenat grande iniieme, quella cioè, che   prender fògltono le Anime grandi; ad   un quarto è più caro 1' afpetto della bella modeftia. In mezro però a tutte quefte differenze, egli è Tempre vero, che per gli affetti belli dei Cuore y   qualche aria bella , e qualche nuovo pregio acquifta il volto, ed in confeguenza che le bellezze del; Cuore non folo ci piacciono per fc medelìme, ma affai   più grata, e più toccante ci rendano-   la bellezza corporea.  Ed ceco epilogate tutte le cagioni fiiìcbe, e morali della perfonal Simpatia. Corpo per la bruttura delle membra, e pel colorito delia cute dilettevole agli occhi , c refò ancor più toccante da qualcheduna delle beli' triff   Mente bella, tale cioè che unifica in fc   ftefla il filosofìco genio, ed il Poetico, o vogliam dire la fublime, e multiplice ed efatta cognizione delle cole , colla doviziofa , e luminofa eloquenza; e finalmente Cuor bello, cioè deU   le amabili, e delicate morali Virtù indiffolubile amante , fon tutte quelle fogge di bellezza , che riunite in una   ftclla persona lo rendono quali un' Oggetto di adorazione, una foave delizia della Vita, un Ben celeftc in Terra. Che fe pregj sì cari , e sì portenti rincon tri od in due , che iì conofcano a fondo, una Simpatia irreiiftibilc forza è , che gli aflortifea, e vicendevolmente gli Aringa. Sarà quefta durevole, e felice per   mille, e mille dolcezze, fe i pregj dell'Animo forpafTano con eccetto tutti i   pregj corporei : farà vacillante, c fugace, e fotto una dolce fuperficie, amara ed ortica, fe un bel Corpo che invogli, deforme animo, e da vizj infociali macchiato, nafeonda, o Mente   racchiuda (travolta , o abbacinata. Con   tali difetti può bene (lare un' animale-   fca paflione ,una paiTionc bella non già.   Bella, e tenera amicizia vuole un Cuore adorabile, vuole un* efquiiìto buon   fenfo , fe non un'Ingegno, ed uno Spirito trafeendentc il mediocre livello,   e fenza bella, e tenera amicizia non vi   è bella pafsione. Dunque il diletto,   che la corporea bellezza infpira, foltanto inclini il cuore , ma la Ragione   oltre la feorza trapafsi, penetri fino al centro dell' animo , c tutti gli afcoli   Attributi fuoi curiofa indagatrice, e giudice imparziale rintracci , cmifuri. Non   fupponga credula le intcriori bellezze, ma ve le veda in piena luce. Se le vede, approvi la propenfion dell’affetto, dalla corporea bellezza prima eccitato, c lafci liberi al cnore gì' innocenti fuoi   moti, che un taf Oggetto n' è degno. Ma fc al contrario, riguardando l'Anima, da un vezzofo Corpo velata, quelle bellezze non vi ravvifi, che effee debbono f unica real forgente delle belle   pafsioni, come ne fon la vita, ritenga la   favia Ragione le fconiìgliate inclinazioni del cuore verfo quel Corpo, e come   unaSfinge, un' Arpia, una Circe venefica, una feduttricc Sirena, fotto mentite   larve quella fallace fuperficial bellezza   rifguardi, e la fugga torto, e la detcfti. Se Ragione illumini, e feorga a degno   Oggetto il cuore , le Simpatie beata cofa   fono, e dono preziofo del Ciclo. Mafc   gli ertemi fentì guidano foli il cuore agli affetti, e loSpirito cede i dritti fuoi   fovrani a chi non ha conlìglio, la Simpatia è cieca, e corre forfennata colà, donde dovrebbe fuggire; vola in preda agli affanni, e al tardo pentimento, mentre incauta s' immagina di volare in braccio alla più invidiabile Felicità.   Giovanni Gualberto De Soria. Soria. Keywords: l’opuscolo, simpatia, simpatia, empatia, simpatia conversazionale, other-love, self-love, benevolenza, helpfulness, cooperation, basis, dull empiriist, enough of a rationalist, quasi-contractualist, relevance breakdown on you, one principle, rationality, cooperation. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soria” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sorrentino: la ragione conversazionale del Vico italico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Vico. Bordon, La retorica di Vico. VICO e le razze mediterranee, Bulletin italien di Bordeaux. Scrocca. Vico e un suo recente critico: in Rassegna nazionale di Firenze. Keywords: Vico, razza mediterranea, razza aria. Andrea Sorrentino.

 

Grice e Sorrentino: la ragione conversazionale e la persona come paradigma di senso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Nola). Flosofo italiano. Tra i massimi esperti italiani di teologia filosofica, ma oltre alle letture di carattere teologico-religioso, è anche ideatore di una filosofia autonoma ed originale. -- è infatti convinto che si debba ricercare una connessione tra le varie forme di sapere, spesso rinchiuse nell'ambito dei propri specialismi e pertanto sterili. Studia a Milano. Si laurea in filosofia a Napoli, dove consegue anche la laurea in teologia. Insegna a Salerno. Sviluppa tematiche come il dibattito sulla religione, inteso nel senso di una problematizzazione e di una tematizzazione del religioso nella società a partire dall’illuminismo. Cerca di inquadrare la filosofia relativa all'etica e alla religione. Da qui parte il tentativo di una tematizzazione filosofica della dimensione simbolica. Il motore della ricerca è il tentativo di giungere ad una forma di connessione dei saperi che possa superare le difficoltà e le incomprensioni del mondo contemporaneo, non solo in ambito filosofico.  Altre saggi: La teologia della secolarizzazione: chiesa, mondo e storia; La filosofia della religione, ermeneutica e filosofia trascendentale; Filosofia ed ESPERIENZA religiosa”; “Realtà del senso e universo religioso”; “Per un approccio trascendentale al fenomeno religioso”; “La dottrina della fede”; “Il valore della vita”; “Dialettica”; “Obbedire al tempo”; “L'attesa”; “La dialettica nella cultura romantica”; “Religione e religioni”; “Il prisma della rivelazione”; “Una nozione alla prova di religioni e saperi”; “L'eredità dell'illuminismo e la critica della religione”; “Diversità e rapporto tra culture”; “Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto tra le religioni”; “Nichilismo e questione del senso”; “Teologia naturale e teologia filosofica”; “La libertà in discussione”; “Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto fra le religioni, “La persona come paradigma di senso”; “Dibattito sull'eredità di Mounier”; “La teologia politica in discussione” -- Salerno, Giornale di filosofia della religione,. Sergio Sorrentino. Sorrentino. Keywords: la persona come paradigma di senso, H. P. Grice, P. F. Strawson. Luigi Speranza,”Grice e Sorrentino”.

 

Grice e Sorrentino: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Vincenzo Sorrentino.

 

Grice e Sosistrato: la ragione conversazionale della scuola di Locri – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico. Grice: “What is important to note here is the reference to Locri, because it’s quite a way from Crotona, and let’s not forget this is all part of the Crotona diaspora, as we may call it.

 

Grice e Sozione: la ragione conversazionale e la romanità nel circolo dei Sesti -- Roma antica – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Tutor of Seneca. In glossary to Roman philosophers, in Roman philosophers. Filosofo pitagorico, appartenente alla scuola dei Sestii, e accolge anche motivi etici di derivazione del Portico Vive a Roma all'epoca di OTTAVIANO e di TIBERIO e e tra i maestri di Seneca. Viene da questi citato, a proposito del vegetarianismo di ispirazione pitagorica, nelle Lettere a Lucilio. Non credi che le anime siano assegnate successivamente a corpi diversi, e che quella che chiamiamo morte sia soltanto una migrazione? Non credi che negli animali domestici o selvaggi o acquatici dimori un'anima che un tempo è stata di un uomo? Non credi che nulla si distrugge in questo mondo, ma cambia unicamente sede? Che non solo i corpi celesti compiono giri determinati, ma anche gli animali seguono dei cicli, e che le anime percorrono come un circolo? Grandi uomini hanno creduto a queste cose. Perciò, astieniti da un giudizio e lascia tutto in sospeso. SE queste teorie sono vere, l'astenersi dalle carni ci mantiene immuni da colpa; SE sono false, ci mantiene frugali. Che danno deriva dal credere in esse? Ti privo degl’alimenti dei leoni e degli avvoltoi. Traduzione di Natali in Seneca, Tutte le opere, a cura di REALE, Bompiani. Ferrero, Storia del Pitagorismo nel mondo romano dalle origini alla fine della Repubblica, Torino-Cuneo; Centrone, Introduzione ai Pitagorici, Roma-Bari. Quinto Sestio filosofo romano Ecfanto di Siracusa filosofo greco antico. Sozione pagina di disambiguazione di un progetto Wikimedia. Keywords: il circolo dei Sesti. Sozione.

 

Grice e Sozzini: la ragione conversazionale -- razionalismo, e moi -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Socinianism. Nacquero in questa casa S. letterati insigni filosofi sommi della liberta di pensiero strenui propugnatori contro il soprannaturale vindice della umana ragione fondarono una celebre scuola precorrendo le dottrine del razionalismo – I liberali senesi ammiratori reverenti questa memoria posero, Fausto. Fausto Sozzini. Lelio Sozzini. Sozzini. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Sozzini, rationalism, and moi”, Luigi Speranza, “Grice e Sozzini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Spadaro: all’isola – la ragione conversazionale e la conversazione coll’angelo – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Messina), Filosofo italiano. Laureato a Messina, entra subito dopo nel noviziato della compagnia di Gesù. Insegna lettere a Roma. Riceve l'ordinazione presbiterale e pronuncia i voti solenni nella compagnia di Gesù. Consegue la licenza in Teologia, il diploma in comunicazioni sociali, il dottorato di ricerca in teologia presso la pontificia università gregoriana di Roma. Completa la sua formazione negli stati uniti d’America, nella Provincia dei gesuiti di Chicago. Comincia a scrivere per la rivista “La Civiltà Cattolica” e entra a far parte in maniera stabile della redazione. Si occupa soprattutto di teoria della letteratura e di critica letteraria, in particolare legata ad autori contemporanei italiani (tra questi, PAVESE, BASSANI, LUZI, TONDELLI. Tra le materie che tratta vi sono anche la musica, l'arte contemporanea, il cinema e le nuove tecnologie della comunicazione e il loro impatto sul modo di vivere e pensare (in particolare su, Second Life, sulla lettura digitale, sui vari social networks, sulla filosofia hacker o sulla cyberteologia).  Ha fondato Bomba Carta, un progetto culturale che coordina iniziative di scrittura creativa, produzione video e lettura anche su internet. È curatore della collana di poesia L'Oblò delle edizioni Ancora. Insegna presso il centro inter-disciplinare di comunicazione sociale della pontificia università gregoriana --  è a capo del comitato scientifico "La sfida e l'esperienza" che raccoglie docenti e manager interessati ai temi della spiritualità e dell'innovazione. Viene incaricato di co-ordinare le attività culturali della compagnia di Gesù in Italia. -- è il relatore principale al primo evento organizzato dai Gesuiti sulla musica rock nel quale riabilita la dignità musicale (non liturgica) del genere nel suo complesso, limitandone la condanna alla valutazione di rari e singoli casi. Diviene Rettore della Comunità dei gesuiti de La Civiltà Cattolica. -- è annunciata la sua nomina a direttore della rivista. Nel numero del 1º ottobre  della rivista è apparso il suo articolo di presentazione nella nuova veste di direttore.  La sua attività in Rete è legata, oltre alla presenza nei social network, anche allun sito personale e di due blog: uno dedicato alla CyberTeologia e uno dedicato a O'Connor. Benedetto XVI lo nomina consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e anche consultore del pontificio consiglio delle comunicazioni sociali. Riceve a Caserta il prestigioso premio "Le Buone Notizie Civitas Casertana", uno dei più importanti premi di giornalismo italiani, unico nel suo genere a livello internazionale. Incontra più volte papa Francesco per conto de La Civiltà Cattolica e di altre 15 riviste della Compagnia di Gesù. Il contenuto delle conversazioni è stato pubblicato sotto forma di intervista a settembre  ed ampiamente ripreso dalla stampa internazionale.  Dedicato un articolo all’utopia. L'articolo analizza il significato di  utopia nel contesto culturale italiano, ne analizza la storia, e ne mette in evidenza pregi e limiti.  La sua conclusione è che dalla descrizione e dalle valutazioni compiute comprendiamo bene come  rappresenti un sogno illuminista di descrivere il mondo, che però si scontra con le difficoltà di accreditarsi come compendio di sapere credibile, mantenendo nel contempo anonimato, flessibilità e continua apertura a nuovi collaboratori. Nello stesso tempo questa utopia rovescia il sogno dell'enciclopedia tradizionale, intesa come costruzione autorevole, organica e integrata del sapere. Infatti  è come un organismo vivente: cresce (al ritmo del 7% ogni mese), si ammala, è sottoposta a composizioni e scomposizioni interne, ad accrescimenti e riduzioni continue. Ma soprattutto  nasconde un'altra utopia, a suo modo, ambigua. La democrazia assoluta del sapere e la collaborazione delle intelligenze molteplici che dà vita a una sorta di intelligenza collettiva. Questa utopia potrebbe nascondere una nuova forma di torre di Babele, che ha il suo tallone di Achille non solo nell'inaffidabilità, ma anche nel relativismo. Concede un'intervista a Wikinotizie,  Intervista al gesuita 2.0, nella quale commenta l'articolo e spazia sulle tematiche inerenti  e il mondo della rete internet. Altri saggi: “Tracce profonde. Il viaggio tra il reale e l'immaginario” (Roma, Città Nuova); “Radio on. Tra le colonne sonore  (Napoli, Giannini); “Lo sguardo presente. Una lettura teologica dell’amore” (Rimini, Guaraldi); “Attraversare l'attesa” (Reggio Emilia, Diabasis); “Laboratorio″. La nuova narrativa italiana (Reggio Emilia, Diabasis); “Un'acuta sensazione d'attesa” (Padova, Messaggero di Sant'Antonio); “A che cosa «serve» la letteratura?” Leumann (To)-Roma, Elle Di Ci La Civiltà Cattolica,  Premio Capri per la sezione Letteratura e Premio Crotone sezione Giovane critici italiani); “Lontano dentro se stessi. L'attesa di salvezza” (Milano, Jaca). Connessioni. Nuove forme della cultura al tempo di internet” (Bologna, Pardes); “La grazia della parola. La poesia, Milano, Jaca); Nella melodia della terra” (Milano, Jaca); “Abitare nella possibilità. L'esperienza della letteratura” (Milano, Jaca), “L'altro fuoco. L'esperienza della letteratura” (Milano, Jaca); Alla ricerca del lupo. Genio, tensioni, vanità (Bologna, Pardes); “Nell'ombra accesa. Breviario poetico di Natale (Milano, Ancora); Web 2.0 Reti di relazione, Milano, Paoline,. “Svolta di respiro. Spiritualità della vita” (Milano, Vita & Pensiero). Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete, Milano, Vita & Pensiero); “Lasciami correre via, Padova, Messaggero); “Traversate di un credente, Milano, Jaca); “La dodicesima notte (Milano, Ancora); La freschezza più cara. Poesie (Milano, Rizzoli); Canto una vita immense (Milano, Ancora); “Un Dio sempre più grande. Pregare” (Milano, Ancora). obio, su laciviltacattolica. Saggi su "La Civiltà Cattolica", su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, BombaCarta, su bombacarta.com. accesso=16 agosto.  Antonio Spadaro, L'OblòAncora, su ancoralibri. Orazio La Rocca, I gesuiti benedicono il rock: "La musica di Springsteen & Co parla all'anima", Repubblica. cogliere pienamente la sfida digitale. Cyberteologia, Nomina di consultori del Pontificio Consiglio della Cultura, Rinunce e nomine, su Bollettino della Santa Sede, Bollettino della Santa Sede.  Su La Civiltà Cattolica la mia intervista a Papa Francesco, su cyberteologia, Intervista a papa Francesco. Cyberteologia, sul  RAI Filosofia, su filosofia.rai. Antonio Spadaro. Spadaro. Keywords: conversazione coll’angelo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spadaro” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Sparti: la ragione conversazionale e il ri-conoscimento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Insegna a Siena, Pisa, Milano e Bologna. Fonda “Studi culturali. Collabora a "Iride", "Paradigmi", "Rivista di estetica", "Rassegna italiana di sociologia", ed "Intersezioni". Concentra la sua attenzione sull'estetica dell'improvvisazione.  Saggi: Se un leone potesse parlare. Indagine sul comprendere e lo spiegare” (Firenze, Sansoni); Sopprimere la lontananza uccide” “Interpretazione” (Firenze, Nuova Italia) “Epistemologia delle scienze sociali” (Roma, Nuova Italia); “Soggetti al tempo. Identità personale fra analisi filosofica e costruzione sociale” (Milano, Feltrinelli); “Identità e coscienza” (Bologna, Mulino); “Wittgenstein politico” (Milano, Feltrinelli); “Epistemologia delle scienze sociali” (Bologna, Mulino); “L'importanza di essere umani: etica del ri-conoscimento” (Milano, Feltrinelli); “Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana” (Bologna, Il Mulino); “Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz” (Torino, Bollati); “Il corpo sonoro: oralità e scrittura nel jazz” (Bologna, Il Mulino); “L'identità incompiuta: paradossi dell'improvvisazione musicale” (Bologna, Mulino); “Sul tango: l'improvvisazione intima” (Bologna, Mulino). Davide Sparti. Sparti. Keywords: identita personale, interpretare, improvvisare nella vita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sparti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Spaventa: la ragione conversazionale e l’origine italico dello spirito filosofico – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Bomba). Filosofo italiano. Nasce da un'agiata famiglia borghese. Sua madre èpro-zia di CROCE. Studia a Chieti. Ottenuto l'incarico di docente di matematica, si trasfere a Montecassino. La sua formazione continua a Napoli. Studia i filosofi tedesci in tedesco – Grice: “Which is the right thing to do – and which Ryle, or Strawson, for that matter – are unable to!”  Si avvicina ai circoli liberali e a pensatori come COLECCHI e TARI. Fonda una scuola  di filosofia. Inoltre partecipa alla redazione de “ Il Nazionale”. Dopo l'abrogazione della costituzione da parte di Ferdinando II, e costretto a lasciare Napoli. Si trasferire prima a Firenze, quindi a Torino. Divenne giornalista scrivendo su Il Progresso, Il Cimento, Il Piemonte, Rivista Contemporanea. Si avvicina al pensiero di Hegel. Polemizza con La civiltà cattolica, rifiutando l'idea del sacro come passo necessario per lo sviluppo umano.  In tal modo condivise con altri esuli napoletani gli stessi fermenti patriottici e liberali che avevano nell'idealismo hegeliano il loro motivo ispiratore. In Napoli la filosofia di Hegel penetra nelle menti de' cultori della scienza, i quali mossi come da santo amore si affratellavano e la predicano. Né i sospetti già desti della polizia, né le minacce e le persecuzioni valsero ad infievolire la fede in questi arditi difensori della indipendenza del pensiero. I numerosi studenti raccolti da tutti i punti del Regno nella grande capitale disertano le cattedre, ed accorrevano in folla ad ascoltare la nuova parola. Era un bisogno irresistibile ed universale, che li spinge ad un ignoto e splendido avvenire, all'unità organica dei diversi rami della cognizione umana. I filosofi, partecipavano al general movimento, ed ambivano soprattutto, come gl’antichi italiani, di essere veri filosofi. Chi può ridire la gioia, le speranze, l’entusiasmo di quel tempo? Chi può ridire l’affetto col quale si amano i maestri e gli allievi, e insieme procedeno alla ricerca della verità? E un culto, una religione ideale, nella quale si mostrano degni nepoti dell'infelice Nolano. BRUNO (si veda). “Studii sopra la filosofia di Hegel” (Torino) «Rivista Italiana». Insegna a Modena, Bologna e Napoli. Vuole liberare la cultura filosofica italiana dal suo provincialismo, attraverso la diffusione nella penisola dell'idealismo di Hegel. Sostene una politica laica e legata ad un forte senso di un stato unitario, considerato come sorgente dei princìpi e dei valori ispiratori di un armonioso sviluppo di civilita, da cui la comunità dei cittadini devono trarre l'alimento necessario per una crescita ordinata e corretta. Circola l’idealismo, che dimostra il percorso dinamico della filosofia e il suo ritorno in Italia dove ha origine. Riforma la dialettica hegeliana per salvare l'identità di essere e pensiero escludendo ogni presupposto oggettivo esterno al pensare. Recupera l'aspetto pratico nel processo conoscitivo che evita la caduta in un astratto idealismo. La filosofia italiana del Rinascimento, connotata dal naturalismo e dall'immanentismo, ha precorso la filosofia, giungendo attraverso Spinoza agli idealisti tedeschi Fichte, Schelling, Hegel. il ritorno in Italia della filosofia con la terza Roma e  con la riappropriazione dei filoni spiritualistici europei da parte di ROSMINI e GIOBERTI. Mentre per la critica tradizionale la filosofia italiana e caratterizzata dalla sua ininterrotta fedeltà alla linea platonica, S. cerca di dimostrare, con gli studi dedicati al umanesimo rinascimentale che la filosofia, laica e idealistica, generalmente associata alla riforma in realtà e nata in Italia. Interpreta con chiave di lettura hegeliana questo progressivo passaggio dello spirito filosofico italiano e il suo ritorno, sottolineando la continuità del razionalismo di Cartesio col principio innatistico di CAMPANELLA della cognitio abdita, dell'empirismo di Locke con la campanelliana cognitio illata o nozione acquisita, dell'immanentismo Spinoza col panteismo di BRUNO, del criticismo con la metafisica della mente di VICO. Poi GALLUPPI e ROSMINI si sarebbero riappropriati inconsciamente di quello stesso spirito permeato dal kantismo, come GIOBERTI di quello dell'idealismo. Ripigliare il sacro filo della nostra tradizione filosofica italiana, ravvivare la coscienza del nostro libero pensiero nello studio dei nostri maggiori filosofi, ricercare nelle filosofie delle altre nazioni i germi ricevuti dai primi padri della nostra filosofia italiana e poi ritornati fra noi in forma nuova e più spiegata di sistema, comprendere questa circolazione del pensiero italiano, della quale in gran parte noi avevamo smarrito il sentimento, riconoscere questo ritorno del nostro pensiero a sé stesso nel grande intuito speculativo del nostro ultimo filosofo Hegel, sapere insomma che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa dobbiamo essere nel movimento della filosofìa, non come membri isolati e scissi dalla vita universale del popolo, nè come avvinti al carro trionfale d'un popolo particolare, ma come nazione libera ed eguale nella comunità universale. Tale, o signori, è stato sempre il desiderio e l'occupazione della mia vita. Prolusione alle lezioni di Storia della filosofia a Bologna (Modena, Tipografia Governativa) Uno dei suoi propositi, giustificato dalla stessa tesi della circolazione della filosofia italiana, e il tentativo di far uscire gli intellettuali italiani dal provincialismo stagnante in cui versavano, apportando loro gli elementi più innovativi del pensiero idealistico d'oltralpe, per dare un fondamento filosofico-culturale al processo rivoluzionario dell'unificazione nazionale. La rivoluzione storica da attuare non e il programma neo-guelfo del primato morale e civile di GIBERTI che ripudia in blocco la filosofia moderna, ma anda intesa hegelianamente come sttoria della libertà, nella quale lo spiritualismo non significa un'involuzione, bensì un riallineamento alle nazioni più avanzate. Son molti ancora in Italia i quali tacciano di astratta e oscura la filosofia alemanna e, reputandola contraria alla natura speculativa dell'ingegno italiano, si accontentano di una maniera di sapere che non ha nessuna connessione con la nostra tradizione filosofica -- è un perpetuo oltraggio alla memoria de' nostri sommi ed infelici pensatori, e la principal cagione del decadimento della scienza tra noi. Costoro dimenticano la storia della filosofia italiana, della quale furono gli eroi e martiri i nostri filosofi. Non ricordano i roghi di BRUNO e di VANINI, la lunga prigionia di CAMPANELLA, e l'umile pietra che, nel tempio de' Gerolomini in Napoli, ricopre le ceneri di VICO, luce del nostro mondo intellettuale. Non i nostri filosofi degli ultimi duecento anni, ma Spinoza, Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, sono stati i veri discepoli di BRUNO, di VANINI, di CAMPANELLA, di VICO, ed altri illustri. – “Principii di Filosofia”. Non si limita a recepire passivamente l'hegelismo, ma da avvio ad una sua profonda revision. Introduce temi originali che cerca di riprendere dalla tradizione autoctona italiana.  In particolare, cerca di rispondere alle critiche di Trendelenburg, il quale non vede come dal primo momento della logica hegeliana, quello dell'essere puro e indeterminato, puo scaturire il divenire dialettico dello spirito, se non tramite un'indebita intromissione dal di fuori. Per dimostrare l'identità dell'essere col spirito, e quindi che l'Idea è intrinseca alla realtà storica, avente come scopo la libertà, sostenne l'esigenza di mentalizzare o kantianizzare» la logica di Hegel, unificando quest'ultima con la fenomenologia, cioè col percorso conoscitivo del singolo individuo umano, che diventa progressivamente auto-cosciente di avere in se stesso, nello proprio spirito, tutta la realtà assoluta logicamente articolata. Riforma così la dialettica hegeliana nell'ottica di Kant e Fichte, ritenendo prevalente l'atto soggettivo (no inter-soggetivo) della coscienza trascendentale rispetto ad ogni presupposto oggettivistico o inter-soggettivistico), valorizzando inoltre il momento finale dello spirito rispetto alle fasi precedenti della logica e della natura, situate fuori dall'auto-coscienza. È lo spirito la protagonista di ogni originaria produzione.  In maniera simile a Fischer, infatti, la deduzione hegeliana, che dalla contrapposizione di essere e nulla faceva scaturire il divenire, venne intesa in senso kantiano e fichtiano dando il primato alla sintesi unificatrice del divenire: è lo spirito, nel suo perenne fluire, che dà luogo all'essere, il quale, originariamente indeterminato e perciò in-concevibile, si rivela un non-essere, essendo posto all'interno dello spirito stesso. Per questo primato assegnato all'atto del concivere, fa da apripista all'idealismo attuale di GENTILE. Per contrastare l'avanzata del positivismo che e penetrato in Italia dopo la raggiunta unità nazionale, di fronte all'esaurirsi delle spinte ideali che caratterizzano il Risorgimento, si impegna nella valorizzazione dell'aspetto pratico del processo spirituale, per evitare la caduta in un «stratto idealismo, che non cura né pregia lo sperimento. In particolare riprende da VICO una concezione pratica e storica della metafisica dell'assoluto, intendendo l'auto-coscienza hegeliana (quale Begierde, cioè appetizione) come umanità, ovvero impeto che agisce nel soggetto umano. Analogamente puo sostenere, nel tracciare LA STORIA DELLO SPIRITO ITALIANO che è il soggetto umano a dare concretezza e coscienza di sè al processo storico. La Riforma della modernità che abolisce i vecchi principi della filosofia scolastica si basa per l'appunto sull'immanenza di Dio e sulla capacità della coscienza umana di auto-determinarsi e di accedere direttamente all'Infinito, come enunciano BRUNO e CAMPANELLA. Il riconoscimento del valore infinito dell'uomo ha ripercussioni anche sulla concezione etico-politica, stimolando studi e interessi sulla filosofia hegeliana del diritto.  Permase una viva concezione etica dello stato italiano, che lo indusse a rinvenire nell'idealismo hegeliano la sintesi tra la corrente post-illuministica, basata sull'arbitrio individuale soggetivo e su una concezione meramente contrattualistica dello stato, ed il cattolicesimo liberale, fondato viceversa sull'arbitrio divino e sull'aderenza dogmatico-confessionale al principio d'autorità. Il suo liberalismo rigetta l'individualismo o soggetivismo che privilegia l'interesse del singolo portandolo a servirsi dell'organismo universale per i propri fini, distruggendo la società. Allo stato italiano spetta dunque la funzione pedagogica di promuovere gli interessi DI TUTTI, di ogni italiano, tutelando la famiglia, in cui si forma l'individuo o soggeto, e al contempo la società civile.  La famiglia e la società civile hanno la loro verità nello stato. Dove lo stato italiano non è altro che famiglia (lo stato patriarcale italiano), o una istituzione di pubblica sicurezza (polizia italiana), non solo lo stato italiano non è il vero stato, ma né la famiglia né la società civile esistono nella loro vera forma. Lo stato italiano è l'unità del principio della famiglia e del principio della società civile (della naturalità umana e del libero volere, del diritto e della moralità). Non è una semplice associazione fondata mediante il libero arbitrio soggetivo, o il patto inter-soggetivo etc, né una associazione puramente naturale. È tutto ciò insieme. È assoluta soggettività etica dei individui.. Assoluta, perché è sostanza; soggettività, perché è saputa e voluta dagli individui liberamente come la loro stessa essenza etica e universalità. Dove manca tale sapere e volere, lo stato italiano non è libera soggettività, e l'individuo non ha vero valore (individualismo moderno). In altri termini, è la sostanza nazionale, conscia veramente e realmente di se medesima; lo spirito del popolo (come tale, come spirito etico) nella sua vera e perfetta esistenza – “Studi sull'etica hegeliana”. Poiché il potere stesso dello stato italiano può essere utilizzato da un individuo o da una classe in vista dei suoi interessi di parte, accetta il modello costituzionale, sebbene non privo di conflitti tra particolarità e universalità, nel quale la personalità dello stato italiano e elevata sopra la lotta sociale. Ripudiando l'astratto cosmopolitismo, lo stato italiano va dunque inteso come l'immanenza di dio, dell'universalità dello spirito italiano calato nella concretezza della nazionalità del popolo italiano, tutti uguali, ratelli dell'umana famiglia. È con Spaventa soprattutto che la filosofia in Italia cessa d'essere esercitazione accademica e vacua speculazione, si avvia a diventare organica visione del mondo, da cui derivi e consegua una morale, si avvia cioè a diventare religione laica, dando inizio a quel largo movimento di distacco di intellettuali dalla chiesa cattolica. -- Arfé, L'hegelismo napoletano e S., in «Società», Firenze. E uno dei maggiori teorici che si sforzarono dare un un'impronta ideale e spirituale al percorso risorgimentale verso l'unità d'Italia, non limitata all'ambito filosofico, come riconobbero in seguito storici e studiosi del Risorgimento. Con lui e SANCTIS e giunta al culmine quella motivazione politica della nazione italiana che e la caratteristica in forza della quale il movimento sorto a Napoli supera i limiti di un episodio regionale. Da noi, gl’italiani, al contrario che in Inghilterra e in Francia, l'hegelismo non è stato solo una filosofia ma un elemento della vita civile della nazione italiana nel momento culminante del suo Risorgimento. Landucci, L'hegelismo in Italia nell'età del Risorgimento, Studi storici, Roma. Influsce profondamente, attraverso la mediazione di JAJA, anche l'idealismo italiano di GENTILE, il quale porta a termine il lavoro di kantianizzazione o mentalizzazione di Hegel avviato da lui, trasformando la sua dottrina in un compiuto attualismo o filosofia dell'atto, basata cioè sul perenne dinamismo dell'atto del pensiero. GENTILE cura inoltre la pubblicazione della spaventiana prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia a Napoli, ri-nominandola significativamente La filosofia italiana, ritenendola un saggio di carattere non solamente storiografico, ma soprattutto fenomenologico, in cui cioè lo spirito della filosofia italiana esprime la sua ritrovata coscienza di sè. GENTILE si confronta ampiamente con lui nella propria riforma della dialettica hegeliana, oltre a raccogliere e sistemare alcuni suoi scritti inediti, tra cui un frammento giudicato uno snodo importante verso la genesi del proprio attualismo, contribuendo alla riscoperta e alla rinascita degli studi intorno alla dottrina spaventiana. Anche l'idealista CROCE, che dopo la morte dei genitori anda a vivere da S., segue le sue lezioni, apprezzandone soprattutto lo spirito profondamente liberale. Altri di suoi scolari, o allievi sono FIORENTINO, MATURI, JAJA, MASCI, TOCCO, LABRIOLA, ed ALFONSO. Nuovi studi sono sorti in occasione del bi-centenario della nascita di S. e SANCTIS. Altri saggi: La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana, Tipografica, Torino; Principii di filosofia, Ghio, Napoli; Studi sull'etica di Hegel, Università, Napoli; La filosofia di GIOBERTI, Tasso, Napoli; Saggi critici di filosofia, politica e religione, Bruno, Roma, La dottrina della conoscenza di BRUNO, Università, Napoli; Principi d’etica” (Pierro, Napoli); “La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea” GENTILE, Laterza, Bari. “Logica e metafisica” Gentile, Laterza, Bari. Opere, Gentile, raccolte e aggiornate da Cubeddu e Giannantoni, Classici della Filosofia, Sansoni, Firenze. Opere, saggio introduttivo, prefazioni, note e apparati di Valagussa, postfazione di Vitiello, Bompiani, Milano. Articoli sulla filosofia tedesca (Kant, Fichte, Schelling, Hegel), Petrone, Il Prato,  Edizione critica delle Opere psicologiche inedite Orsi, Lezioni di antropologia, Psiche e metafisica  Elementi di psicologia speculativa, Sulle psicopatie in generale. Cit. in Spaventa, Antologia degli scritti, Vacca, Bari, Laterza. Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, Angeli, Gentile e Spaventa, su treccani.  Il contributo italiano alla storia del pensiero, su treccani. Nel tempo che gl’ustriaci — ‘i tedeschi’ dicemo generalmente in Italia — dimorano non solo nelle contrade lombarde e venete, ma anche in Toscana, io non ho il coraggio di dire: filosofia tedesca. (nota di S.).  Principii di Filosofia, Napoli, Ghio. Le tradizioni filosofiche nell'Italia unita, di Rota.  Perone, Ferretti, Ciancio, Storia del pensiero filosofico,  Torino, SEI, Cit. di Gentile in Della vita e degli scritti di Spaventa, Scritti filosofici” (Napoli, Morano). Altri saggi: “Sulle psicopatie in generale,  o La legge del più forte, in cui si confronta tra l'altro col darwinismo.  Studi sull'etica hegeliana, Napoli, R. Università, Il concetto di nazione (nazionalità) segna in lui un superamento della filosofia hegeliana della storia basata sul susseguirsi di popoli-guida (cfr. Carratelli, Storia e civiltà della Campania (Napoli, Electa); Studii sopra la filosofia di Hegel; Unificazione nazionale ed egemonia culturale, Vacca (Bari, Laterza); Garin, La fortuna nella filosofia italiana, in  L'opera e l’eredità di Hegel, Bari, Laterza; Cubeddu, Da S. a Gentile: Kant e l’idealismo, in La tradizione kantiana in Italia, convegno della Società filosofica italiana, Messina, G. B. M.; La raccolta gentiliana delle sue opere venne riedita e curate da Cubeddu e Giannantoni, e ri-stampata da Valagussa e Vitiello. Coscienza nazionale, treccani. Gentile, S. (Firenze, Vallecchi); Vacca, Politica e filosofia (Bari, Laterza); Bartot, L'hegelismo di S. Firenze, Olschki; Cubeddu, Edizioni e studi (Firenze, Sansoni); Serra, Etica e politica (Roma, Bulzoni); Franchini, Dalla scienza della logica alla logica della scienza” (Napoli, Pironti); Garin, Filosofia e politica, Tognon, Napoli, Bibliopolis; Garin, Napoli, Bibliopolis, Gentile, Coscienza nazionale, Chieti, Noubs; Origo, Perpetuazione e difesa della filosofia italica (Roma, Bibliosofica); Savorelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia (Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana); Attualismo Hegelismo Idealismo italiano Idealismo tedesco Treccani. Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Dizionario biografico degl’italiani, Fusaro, “S.: Il far intendere Hegel all'Italia, vorrebbe dire ri-fare l'Italia”.  Gentile e S., su treccani. Scritti filosofici. Gentile. Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento. SAGGI DI S. SAGGI PUBBLICATI DA S. Sulla quantità considerata nella sua espressione, Giornale abruzzese, Napoli]. Allo stato attuale delle ricerche, è il primo saggio pubblicato da S. Un manoscritto dell’articolo — datato: Montecassino, e firmato: B. De Laurentiis — è conservato nella Biblioteca civica di Bergamo. Il saggio non sviluppa argomenti di carattere filosofico; tratta dell'oggetto e dei metodi dell’analisi matematica, richiamando l’attenzione del lettore sulla cosiddetta “serie di Taylor”, introdotta dal matematico Brook Taylor nello scritto Metbodus incrementorum diretta et inversa. Il saggio Sulla quantità è stato ristampato da Orsi nella raccolta degli Scritti inediti e rari di S. Pensieri sull'insegnamento della filosofia, Il Costituzionale, Firenze. È il primo scritto di S., fin quI conosciuto, che tratti di un argomento filosofico. E scoperto da GENTILE dopo la pubblicazione del suo S., sicché non comparve nella riordinata e accresciuta bibliografia inserita nella monografia gentiliana. I Pensieri indicano nella filosofia della storia la dottrina capace di introdurre i giovani ad una retta comprensione della filosofia hegeliana; e costituiscono un documento importante per la ricostruzione del primo “programma” filosofico di S. Sono stati ristampati da Gentile nel Giornale critico della filosofia italiana”, Opere. II Socialismo e il Comunismo -- supplemento alla storia del secolo per Stein Professore in Kiel. Prima versione dell'originale tedesco di S., Il Nazionale, Firenze, Rivista italiana, Torino. È un avviso scritto da S. allo scopo di raccogliere sottoscrizioni per la sua traduzione — forse mai pubblicata — della nota opera di L. von Stein, Der Socialismus und Communismus des heutigen Frankreichs (1842, 1848; ampliata e ripubblicata nel 1850 col titolo: Geschichte der sozialen Bewegung in Frankreich vom 1789 bis auf unsere Tage). Il testo dell’avviso pubblicato nel “Nazionale” di Firenze è stato rintracciato e ristampato da Sergio Landucci, nel saggio S. fra hegelismo e socialismo; quello apparso nella “Rivista italiana” di Torino, è stata, ripubblicato da Orsi, nella sua edizione degli Scritti inediti e rari di S. Studi sopra la filosofia di Hegel, Torino. In questo estratto sono raccolti due saggi apparsi sulla “Rivista italiana” [Torino], nuova serie, novembre e dicembre 1850. Sono firmati: Bertrando Spaventa; non sono stati mai ristampati integralmente. Gli Studi sono un documento di primaria importanza per intendere la direzione in cui si muovono le idee filosofiche di S. Offrono al lettore, nella prima parte, una “idea generale” del sistema hegeliano, costruita attraverso brevi riassunti delle opere di Hegel; nella parte seconda, propongono una traduzione — che è una parafrasi, e, sia pure in modesta misura, un commento — della Vorrede alla Fenomenologia dello spirito. La rivoluzione e l’Italia: Diritto della rivoluzione -- I filosofi -- Le conquiste della rivoluzione, in “Il Progresso” [Torino], II, nn. 130, 135 e 141; 3, 8 e 15 giugno 1851. Con questa serie di articoli si apre la collaborazione di S. al giornali torinese “Il Progresso”, un foglio di sinistra, del cui consiglio di direzione faceva parte Agostino Depretis. Un primo, importante gruppo di scritti ali S. dedicati alla polemica sulla libertà di insegnamento in Piemonte, e pubblicati sullo stesso giornale, è stato identificato e ristampato da Gentile nel volume La lbertà di insegnamento [108]; nello stesso anno (1920), Gentile ristampava nella rivista “La Critica” le False accuse contro l hegelismo, due articoli del “Progresso” dei quali l’a. aveva annunziato la ristampa, con quel titolo, nella raccolta dei suoi Saggi di critica, interrotta dopo il primo volume [107, 77]. A questi scritti rintracciati da Gentile (il quale, nel 1924, scriveva che molti altri articoli anonimi dello Spaventa sono nello stesso giornale [“Progresso”], facili a identificare per la materia e per la forma”), si aggiungono ora, con La rivoluzione e l’Italia, altri articoli identificati da I. Cubeddu, che rende conto del suo lavoro nello scritto Bertrando Spaventa pubblicista (giugno-dicembre 1851) [275]. Nello stesso articolo (p. 52 sg., nota) sono elencati alcuni scritti del “Progresso” che, per il contenuto e per lo stile, potrebbero attribuirsi a S., ma per i quali non è stato possibile trovare ragioni più persuasive della loro paternità. Gli articoli scritti per il “Progresso” costituiscono il documento più interessante delle convinzioni etico-politiche del filosofo; in quelli identificati da Cubeddu sono più evidenti le tracce della lettura del libro di Stein, Der Socialismus und Communismus, che S. si propose di tradurre. Oltre quella gentiliana, già citata, degli scritti sulla libertà di insegnamento e delle False accuse, si veda, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 66 sgg., la ristampa, con il titolo Rivoluzione e utopia, della serie La rivoluzione e l’Italia, della serie Le utopie [12], e dell’artiilo Rousseau, Hegel, Gioberti [14]. L’Armonia e l’Assemblée Nationale: I. L'idea, ILL L’uomo, in “Il Progresso” [Torino], II, nn. 137 e 138, 11 e 18 giugno 1851. Scritti in polemica con il quotidiano cattolico torinese “L’Armonia”, questi due articoli sono apparsi anonimi, e non sono stati fin qui ristampati. Il sedicente partito cattolico, in “Il Progresso” [Torino], II n. 143, 18 giugno 1851. Articolo non firmato; non è stato mai ristampato L'Accademia di filosofia italica, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 147, 24 giugno 1851. Articolo identificato da Gentile nel suo Bertrando Spaventa [204], p. 38 sg. nota (= Opere, I, pp. 32 sg. n. 2), ma non incluso poi da lui nella biblioorafia degli scritti di S. Non è stato mai ristampato; ma cfr. n. 9. Una riunione dell’Accademia di filosofia italica, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 150, 27 giugno 1851. Seguito dell’articolo precedente. Lo scritto è stato ristampato da Gentile nel volume La libertà di insegnamento [108], pp. 135-138 (= Opere, IIL pp. 765-769). La libertà di insegnamento. Gli scritti raccolti sotto questo titolo furono identificati dal Gentile, e da lui ristampati in un volume apparso nel 1920 [108]. Sono tredici articoli, tutti dedicati alla polemica sulla libertà di insegnamento in Piemonte, che apparvero nel “Progresso” del 1851 (anno II), tra il 27 luglio e T'11 dicembre. I primi cinque portano le date: 27 e 31 luglio, 7, 20 e 24 agosto; altri due articoli, destinati Az corzpilatori della “Croce di Savoia”, sono del 3 e 12 settembre; gli ultimi sei, scritti in polemica col giornale “Risorgimento” (Filosofia politico-offaciale), sono del 5, 8, 11 e 30 novembre, e del 3 e 11 dicembre. Sono probabilmente di S. altri tre articoli che riguardano la stessa materia, e che apparvero sul “Progresso” il 12 agosto (Ura lezione ai fautori della libertà di insegnamento), il 4 ottobre (La lbertà di insegnamento e il ministro della Pubblica istruzione) e il 28 ottobre (La lbertà dei gesuiti) dello stesso anno. Cfr. I Cubeddu, Bertrando Spaventa pubblicista [275], p. 52 sg., nota. False accuse contro l’hegelismo [1851]. È il titolo sotto il quale S. intendeva raccogliere e ristampare, nei Saggi di critica [77], gli articoli: L’hegelismo messo in croce, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 204, 29 agosto 1851. Lettere filosofiche. Lettera prima, in “Il Progresso” [Torino], 11, n. 239, 9 ottobre 1851. I due articoli, firmati: Uro studente di filosofia, enunciano o riprendono questioni discusse da S. dalle colonne del giornale torinese: la distinzione di socialismo, comunismo e hegelismo; il problema del rapporto tra il cosiddetto “panteismo” hegeliano e la libertà dell’individuo; quello del rapporto di religione e filosofia; l’idea della filosofia “come principio di rigenerazione nazionale”, ecc. Sono interessanti anche perché contengono molti riferimenti a testi di Hegel, di Schelling, di Giordano Bruno, di Karl L. Michelet, ecc. Il primo articolo è una risposta allo scritto di D. Berti: I/ diritto individuale e il panteismo in politica, apparso nel giornale “La Croce di Savoia”, di ispirazione cavouriana. S. non giunse a ristampare questi articoli, che furono ripubblicati dal Gentile nel 1920, con il titolo voluto dall’autore. Le utopie, in “Il Progresso” [Torino], II, nn. 206, 215, 223, 234, 237, 241; 31 agosto, II e 20 settembre, 3, 7 e II ottobre 1851. Si tratta di sei articoli non firmati che, riprendendo da L. Stein la distinzione di “utopie” e “idee storiche”, discutono il significato delle lotte politiche e sociali degli ultimi sessant’anni. La serie è stata ripubblicata nel “Giornale critico della filosofia italiana”, La scienza de’ fratelli della dottrina cristiana, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 298, 17 dicembre 1851. Anonimo, mai ristampato [cfr. n. 275]. Rousseau, Hegel, GIOBERTI, in “Il Progresso” [Torino], II, n. 305, 26 dicembre 1851. Pubblicato anonimo, questo articolo è dedicato alla discussione del rapporto che si istituisce tra “libertà oggettiva” e “libertà soggettiva” nelle dottrine di Rousseau, di Hegel e di Gioberti; e contiene interessanti riferimenti, oltre che a testi hegeliani, al Rinzovamento civile d'Italia. Le argomentazioni di S. si sviluppano secondo una linea identica a quella con cui lo stesso tema è introdotto nei precedenti Studi sopra la filosofia di Hegel [4]; lo stesso discorso svolgerà S. nel 1855, in un articolo di risposta al Tommaseo. Lo scritto Rousseau, Hegel, Gioberti è ristampato nel “Giornale critico della filosofia italiana”, Principii della filosofia pratica di Giordano Bruno, in Saggi di filosofia civile, tolti dagli Atti dell’Accademia di filosofia italica, Genova. S. aveva dato pubblica lettura di questo saggio a Torino, la sera del 24 giugno 1851, nel corso di una riunione dell’Accademia di filosofia italica, fondata da T. Mamiani. Il lavoro su Bruno - ispirato alle idee di rinnovamento politico e sociale, che S. sosteneva negli articoli pubblicati dal “Progresso” — è stato ristampato dall’a. nei suoi Saggi di critica Una lunga recensione dei  Princìpî è apparsa nell’Appendice alla filosofia delle scuole italiane di A. Franchi, Genova 1853, pp. 217-243 (la recensione è ricordata da G. Vacca, 141 bis, p. 10). Si legge a p. 217 sg. (e cfr. p. 234 sg.): “il discorso di Spaventa, l’unico in cui la filosofia apparisca trattata da un filosofo, l’unico di cui avrebbero potuto gloriarsi gli At d’un’Accademia, diventa la censura più severa, per non dire la satira più acerba, dell’Accademia italica e della sua filosofia; poiché le dottrine dell’ardito discepolo di Bruno distruggono ad una ad una le teorie monche, zoppe, tisicuzze, eunuche di Mamiani e Boncompagni”. Ma v. anche pp. 235 sgg., dove si nega l'esattezza “storica” del giudizio per il quale principio del cristia nesimo sarebbe l'identità di natura divina e natura umana; Franchi vuol sottolineare la totale divergenza di cristianesimo e “razionalismo”, l’abisso che separa le dottrine teoriche, morali, sociali del cristianesimo e la “democrazia moderna”, figlia della Rivoluzione dell’89 e della filosofia. Frammenti di studii sulla filosofia italiana del secolo XVI, in “Monitore bibliografico” [Torino] Nella sua bibliografia delle opere di S. [204], Gentile segnala che lo scritto era preceduto dalla seguente avvertenza: “L'importante articolo che pubblichiamo è parte di un lavoro dell’egregio filosofo sig. B. Spaventa sopra la filosofia del secolo XVI, particolarmente su quella di Giordano Bruno”. Lo scritto non è stato mai ristampato; ad esso accenna lo stesso S., citandone qualche brano, nella prefazione ai Principi di filosofia. La filosofia neo-cristiana e il razionalismo in Alemagna, in “Il Cimento” [Torino] È il primo scritto di rilievo [ma cfr. n. 35] stampato nel periodico “Il Cimento”, rivista di scienze, lettere e arti diretta da Zenocrate Cesari e pubblicata a Torino dal 1852 al 1856 (anno della fusione con la “Rivista contemporanea”, diretta da Luigi Chiala). Del “Cimento” S. fu assiduo collaboratore: vi stampò, oltre a numerose recensioni, e a polemiche assai note (come quella con la “Civiltà cattolica”), studi di ampio respiro sulla filosofia italiana del Rinascimento. Il saggio La filosofia neo-cristiana e il razionalismo in Alemagna, firmato con la sigla D. L. [De Laurentiis], fu scritto in occasione della traduzione italiana, a cura di Pietro Torre, della Storia della filosofia del diritto di Fr. J. Stahl (Torino, 1853); è importante per il rapporto che S. istituisce tra il pensiero di Gioberti e — attraverso Stahl — gli sviluppi della filosofia classica tedesca. Il saggio è stato ristampato da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 213-245 (= Opere, II, pp. 207-236). Recensione: Studi sopra Gans relativi al DIRITTO ROMANO, di A. Tarchiarulo Napoli 1853; in “Il Cimento” [Torino], 31 marzo 1854, Recensione anonima, non segnalata da Gentile, e attribuita a S. da A. Plebe. Campanella. [Recensione delle] Opere di Campanella, precedute da un discorso sulla vita e le dottrine dell'autore per Alessandro D'Ancona, Torino 1854; in “Il Cimento” [Torino], Recensione, non firmata, dell’edizione D'Ancona delle Opere di Campanella. Nell’indice del fascicolo l’autore della recensione è indicato con la sigla B. S. Lo scritto è stato ristampato da S. nei suoi Saggi di critica [77], pp. 3-32, come introduzione agli altri studi campanelliani [21, 46], raccolti nello stesso volume. Congratulazioni e quistioni alla “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” [Torino], 15 settembre 1854, pp. 370-376. Articolo, non firmato, con il quale si apre la serie degli scritti polemici contro la “Civiltà cattolica”. È stato ristampato da Gentile nel volume La politica dei gesuiti [101], pp. 1-16 (= Opere, Campanella. Teoria della cognizione, in “Il Cimento” [Torino], Dopo la recensione al D'Ancona [19], che intendeva inquadrare la personalità di Campanella nella storia del pensiero moderno, questi saggi sulla gnoseologia campanelliana — apparsi nel “Cimento” con la firma: Bertrando Spaventa — offrono un raffronto della dottrina del pensatore italiano con gli sviluppi della nuova filosofia (in particolare, Cartesio, Kant, Fichte, e Hegel). Lo scritto è stato ristampato da S. nei Saggi di critica [77], pp.33-101. Schelling, in “Il Cimento” [Torino], 15 ottobre 1854, pp. 521-532. Articolo non firmato, scritto in occasione della morte del filosofo tedesco. È interessante come documento delle letture che S. andava utilizzando in questi anni (tra l’altro, lo Hegels Leben [1844] di K. Rosenkranz), e per i riferimenti ai motivi “rivoluzionari” presenti nella filosofia del giovane Hegel e del primo Schelling; infine per il giudizio — negativo - sugli ultimi sviluppi del pensiero schellinghiano. Larghi brani dell’articolo sono citati da Sergio Landucci, Il giovane Spaventa tra begelismo e socialismo [282], pp. 684- 686, 688-690; il saggio è ora ristampato per intero, a cura di D. D’Orsi, negli Scritti inediti e rari di S. [123], PP. 47-58. 23. Recensioni: De immacolato Deiparae semper Vitginis Concepiti Caroli Passaglia e Societ. Jes. Commentarius Pars I, Romae MDCCCLIV (Della concezione immacolata di Maria Vergine ecc.); Elementi di filosofia del prof. Pier Antonio Corte, vol. Etica e storia della filosofia, Torino, Tip. Favale e Comp., 1854; Che cosa è il Diritto, ossia Introd. alla scienza della filosofia del diritto per Antonio Bartoli Avveduti, Firenze 1854. Dispensa 1; in “Il Cimento” [Torino], 31 ottobre 1854, pp. 660-668. Scritti non firmati, ristampati in parte (con esclusione del discorso sugli Elementi di filosofia di P. A. Corte) in La politica dei gesuiti [101], pp. 219-239 (= Opere, Nuove congratulazioni e quistioni alla “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” [Torino], 16 novembre 1854, pp. 689-704. Articolo firmato con la sigla: S.; ristampato in La politica dei gesuiti [101], (= Opere, pp. 763-796). Recensioni: Proposta di alcune difficoltà, che si oppongono alla definizione della immacolata concezione della B. Vergine Maria, Torino, Tipografia del Progresso, 1854; Lettera di un sacerdote cattolico ai Vescovi della Chiesa di Dio per rappresentar loro, che la sentenza dell’immacolata concezione della B. Vergine Maria non può essere definita dottrina di fede cattolica, Torino, Tipografia del Progresso, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 novembre 1854, pp. 763-768. Le recensioni sono firmate: SS.; e sono state ristampate dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 241-252 (= Opere, II, pp. 964-975). Recensione: L’origine e l’ufficio della filosofia dimostrati col fatto da Epifanio Fagnani, Torino 1854, Pelazza, tipografia Subalpina; in “Il Cimento” [Torino], 30 novembre 1854, pp. 866-871. Recensione firmata con la sigla: SS.; non è stata mai ristampata. Recensioni: Questioni di Stato del conte Clemente Solaro della Margarita..., Torino, tipografia Speirani e Tortone, 1854; Della responsabilità dello scrittore, orazione recitata nella ... Università di Torino al 3 novembre 1854 dall'avvocato D. Pier Alessandro Paravia..., Torino, Stamperia Reale, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 dicembre 1854, pp. 986-996. Queste recensioni, firmate: SS., sono precedute da una breve nota intitolata: Le rostre riviste e la “Civiltà cattolica”. La recensione del libro del Solaro è stata ristampata da Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 253-267 (= Opere, Il, pp. 976-988); sull'argomento della seconda recensione S. ritorna in un numero successivo del “Cimento” [34]. I Sabbati de’ Gesuiti [1855-56]. Si tratta di 29 articoli stampati — anonimi — dallo S. nell’appendice del giornale “Il Piemonte”, quotidiano politico diretto da Luigi Carlo Farini, in due serie, tra il 16 gennaio 1855 e il 28 marzo 1856 (il 30 marzo dello stesso anno, “Il Piemonte” cessava le pubblicazioni). I primi tre Sabbati sono stati ristampati dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 179-216 (= Opere, 11, pp. 909- 941); ma l’intera raccolta degli articoli si può leggere ora negli Scritti inediti e rari di S. a cura di D. D’Orsi [123], pp. 213-489. Ci limitiamo qui a riprodurre le date degli articoli: “II Piemonte”, Prospetto filosofico della storia del mondo umano di Cesare della Valle, duca di Ventignano, Napoli, Alberto Detken libraio editore, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 gennaio 1855, pp. 66-70. La recensione è firmata con la sigla: SS.; è stata ristampata in Da Socrate a Hegel [98], pp. 277-286 (= Opere, II, pp. 265-273). Del principio della riforma religiosa, politica e filosofica, in “Il Cimento” [Torino], 31 gennaio 1855, pp. 97-112; 15 marzo 1855, pp. 369-384; 15 ottobre 1859, pp. 568-577. È un ampio studio, che apparve, firmato, nel “Cimento”, e che l’a. ristampò nei suoi Saggi di critica [77], pp. 269-328, con la data: Torino, 1854-1855. II saggio, che riprende e sviluppa il tema della genesi del pensiero moderno nell’età del Rinascimento, appare interrotto con la terza puntata; nel ristamparlo, S. osservò che esso può considerarsi ancora valido come introduzione alla “moderna filosofia italiana”, e che se ne debbono considerare prosecuzione e compimento le lezioni napoletane del 1861 [68]. Una nota della “Civiltà cattolica” contro “Il Cimento”, in “Il Cimento” [Torino], 31 gennaio 1855, pp. 144-146. Articolo firmato con la sigla: S.; è stato ristampato dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 55-61, con il titolo: Lazzenti della “Civiltà cattolica” (= Opere, II, pp. 797- 803). Principi elementari di filosofia morale ad uso delle scuole secondarie, 2a edizione, Torino, tip. Paravia e comp., 1854; in “Il Cimento” [Torino], 31 gennaio 1855, pp. 158-164. La recensione, firmata: SS., non è stata mai ristampata. Del sistema della Curia romana opposto all'autonomia dello stato, in “Il Cimento” [Torino]. L’articolo, firmato SS., fu scritto in occasione della stampa della A/locuzione della Santità di Nostro Signore Pio IX del 22 gennaio 1855, seguita da una esposizione corredata di documenti, ecc., Torino, tipografia Franco, 1855. È stato ristampato dal Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 269-281 (= Opere, II, pp. 989-1005). Ancora dell’orazione sulla Responsabilità ecc. del prof. Paravia; Maria Teresa e Maria Adelaide. Squarci di lezioni del prof. Paravia, Torino, tip. Marietti, 1855; Il governo di Piemonte e la corte di Roma, per Massimo d’Azeglio, Torino, Tip. Franco, 1855; in “Il Cimento” [Torino], 28 febbraio 1855, pp. 336-344. Recensioni firmate: SS. Per la prima, cfr. n. 27. La recensione al D'Azeglio è ristampata in La politica dei gesuiti [101], pp. 283-285 (= Opere, II, pp. 1006-1008). La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” [Torino], 15 marzo 1855, pp. 438-445. L’articolo — firmato con la sigla: S. — appartiene alla serie dedicata alla polemica con la “Civiltà cattolica”. Non fu segnalato da Gentile: lo ha identificato e ristampato Domenico D’Orsi, nella raccolta degli Scritti inediti e rari di S. [523], pp. 189-202. Al D’Orsi (op. cit., pp. 181 sgg.) sembra che il contenuto di questo articolo (e quello di uno scritto successivo, anche questo da lui identificato: cfr. n. Presenti una sostanziale affinità con l’argomento di una “lettera” pubblicata dalla rivista torinese nel 1852 (A/ direttore del giornale “Il Cimento”. Frammento di una lettera sulla “Civiltà cattolica”, “Il Cimento”, I, 1852, pp. 334-338), lettera della quale dovrebbe essere considerato autore lo stesso Spaventa. Corso d’estetica, letto nell'Università di Padova nell'anno 1844-45 dal prof. Vincenzo De Castro, seconda edizione, Milano, Borroni e Scotti, 1855, vol. I; in “Il Cimento” [Torino]. La recensione, firmata con la sigla: SS., non è stata mai ristampata. Opere complete di Emm. Kant tradotte in francese da G. Barni, con introduzioni analitiche e critiche. 1. Critica della ragione pratica ecc. 2. Elementi metafisici della dottrina del diritto, Parigi, 1848-1854; G. Barni (Esposizione critica della filosofia pratica di Kant); in “Il Cimento” [Torino], 16 e 30 aprile 1855, pp. 653-659, 746-752. Recensione, firmata SS., delle traduzioni kantiane di Jules Barni, e dell’ Exazzen des Fondements de la métaphysique des moeurs et de la Critique de la raison pratique dello stesso Barni (Parigi, 1851). Lo scritto è stato ristampato da Gentile nella raccolta Da Socrate a Hegel [98], pp. 123-150, con il titolo: La filosofia pratica di Kant e Jules Barni (= Opere. Alcune considerazioni intorno alla separazione dello Stato dalla Chiesa, del sacerdote Giacomo Margotti, dottore in teologia, Torino, tip. Deagostini, 1854; in “Il Cimento” [Torino], 16 maggio 1855, pp. 849-855. Recensione firmata con la sigla: SS.; ristampata da Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 287-300 (= Opere, Gli scolastici immaginarii della “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” [Torino] Breve risposta alla “Civiltà cattolica” — firmata con la sigla: S. — a proposito della interpretazione delle dottrine politiche di Suàrez e di Mariana. Lo scritto segue immediatamente, nelle pagine del “Cimento”, alla recensione del libro del Margotti (v. n. precedente). Non è stato segnalato da Gentile; lo ha ristampato D. D’Orsi negli Scritti inediti e rari di S. [123], pp. 205-206. Hegel confutato da Rosmini. Saggio primo, in “Il Cimento” [Torino] L’articolo — firmato: B. Spaventa — denuncia i fraintendimenti sostanziali che stanno alla base di alcune critiche di Rosmini alla filosofia di Hegel. La seconda parte del saggio, che avrebbe dovuto illustrare la soluzione — dal punto di vista hegeliano — delle difficoltà sollevate da Rosmini, non fu mai pubblicata. Ma la critica di S. ebbe un seguito in un articolo contro il Tommaseo. Lo scritto su Rosmini è stato ristampato da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 151-191 (= Opere, Storia di uno studente di filosofia, di Giuseppe Piola, Milano, tip. G. Bernardoni, 1855; in “Il Cimento” [Torino], 31 maggio 1855, pp. 951-956. Recensione firmata con la sigla: SS.; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 287-298 (= Opere, II, pp. 274-284). Lo scritto ha suscitato di recente qualche interesse, per i severi rilievi di S. alle acritiche osservazioni del Piola sul socialismo (cfr. ad es. i saggi di Berti e di Landucci, nn. 255, 282).  L'Accademia di filosofia italica e Terenzio Mamiani. [Recensione dei] Saggi di filosofia civile tolti dagli atti dell’Accademia di filosofia italica, Genova, Grondona, 1855, vol. 2; in “Il Cimento” [Torino], 16 giugno 1855, pp. 1021-1033. Articolo firmato: B. Spaventa. Contiene, in fondo, un indice dei lavori pubblicati dall'Accademia, che non compare nella ristampa della recensione, inserita dall’a. nei suoi Saggi di critica [77], pp. 343-366. Dell’importanza civile del teatro drammatico, in “Il Cimento” [Torino] Il saggio è attribuito a S. da Domenico D’Orsi, che ristampa l’articolo nella sua raccolta degli Scritti inediti e rari del filosofo [123], pp. 65-88. Alla base dell’attribuzione sta il fatto che l’articolo è firmato con una sigla (= S.), che l’autore soleva apporre ad alcuni scritti pubblicati nel “Cimento”. Il saggio sembra peraltro presentarsi come stravagante, per dir così, nella produzione spaventiana di questo periodo: non tanto per l'argomento trattato, quanto per le idee che vi sono espresse (e, più che espresse, insinuate) e per la forma in cui tali idee vengono offerte al lettore. Il tema non è, di per sé, sconcertante: l’autore vuol sostenere il valore del teatro drammatico come strumento di educazione intellettuale, morale e sociale, in quanto esso è capace di presentare in veste sensibile l “idea”, di avvicinare il “popolo minuto” al mondo del sapere. Ma l’autore, nel giustificare la funzione mediatrice della letteratura drammatica, sembra inclinare verso una convinzione che mi appare alquanto distante dalle tesi difese altrove dallo S., in questi stessi anni: finisce infatti col suggerire la superiorità della “fantasia” e del “sentimento”, del “cuore” e della “fede”, sulla “ragione” e sull’ “intelletto”. E, similmente, il beneficio che la letteratura drammatica può arrecare alla società, vien fatto derivare dalla sua naturale capacità di insegnare le “vedute medie”, di additare una via che è egualmente distante da ogni estremismo. Corso sommario di filosofia razionale, del P. Vittorio Mazzini. Filosofia speculativa e filosofia morale, vol. due, Genova La scienza della lingua di Guglielmo di Humboldt e la filosofia hegeliana, per Enrico Steinthal, Berlino; in “Il Cimento” [Torino] Recensioni firmate con la sigla: SS. Non sono state mai ristampate. Metodo della “Civiltà cattolica” nel rispondere al “Cimento”, in “Il Cimento” [Torino] Articolo firmato con la sigla: SS., e ristampato da Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 63-78 (= Opere, II, pp. Campanella. III. Metafisica, in “Il Cimento” [Torino], 15 agosto 1855, pp. 189-212. L'articolo, che fa seguito alla recensione al D'Ancona e al saggio sulla gnoseologia di Campanella [19, 21], è firmato: B. Spaventa; è stato ristampato dall’autore nei Saggi di critica È un esame della metafisica campanelliana, della quale S. intende cogliere e sceverare gli elementi nuovi, attraverso un raffronto con gli ultimi sviluppi del pensiero moderno. L'analisi viene spinta fino al tentativo di un confronto con il problema della logica e della fenomenologia di Hegel. L’articolo doveva essere seguito da un saggio sulla Teoria della volontà; ma l’ultima parte di questi studi campanelliani non fu mai pubblicata (cfr. Saggi di critica, p. 135 nota).  La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”. La teocrazia, in “Il Cimento” [Torino], 31 agosto 1855, pp. 307-314. Articolo firmato con la sigla: SS.; ristampato da Gentile in La politica dei gesuiti [101], pp. 79-96 (= Opere, La logica o il problema della scienza nuovamente proposto all'Italia da Paolo Morello, in “Il Cimento” [Torino] Recensione del libro del Morello (La logica ecc.), pubblicato a Firenze (Barbera, Bianchi e Comp.) nel 1855. È firmata: B. Spaventa; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 299-321 (= Opere, Una diversa redazione della recensione è stata rintracciata da P. C. Masini; cfr. Ur “pamphlet” antidemocratica...I trionfi dei gesuiti, in “Il Cimento” [Torino], 30 settembre 1855, pp. 494-500. Articolo firmato con la sigla: AA. È ristampato in La politica dei gesuiti [101], pp. 97-110 (= Opere, II, pp. 837- 848). La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”. Gli Scolastici, in “Il Cimento” [Torino], 31 ottobre 1855, pp. 658-669. Articolo firmato con la sigla: SS. Ristampato parzialmente (manca una breve parte introduttiva) in La politica dei gesuiti [Joi], pp. 111-28 (= Opere, II, pp. 849-864). Sopra alcuni giudizi di N. Tommaseo, in “Il Cimento” [Torino], 15 novembre 1855, pp. 730-741. L’occasione a questa risposta di S. venne offerta dalla commemorazione di Rosmini, che Tommaseo aveva pubblicato nel 1855, in più puntate, nella “Rivista contemporanea” di Torino (cfr. ad es., nel fascicolo di settembre, pp. 25 sg., una chiara allusione alle argomentazioni sviluppate da S. in Hegel confutato da Rosmini [40]). L’articolo — che è firmato: B. Spaventa — è importante anche perché ribadisce il raffronto tra Hegel e Gioberti — già proposto dalle colonne del “Progresso” — a proposito dei concetti di legge, volontà generale, ecc. [Rousseau, Hegel, Gioberti: 14]; e perché riprende il motivo dell’accostamento Gioberti-Stahl [17]. Lo scritto è ristampato in Da Socrate a Hegel [98], pp. 193-212 (= Opere, II, pp. 189-206). Gli Scolastici. Suarez, in “Il Cimento” [Torino], Articoli firmati con la sigla: SS., e ristampati in La politica dei gesuiti [101], pp. 129-178 (= Opere, II, pp. 865-907). Gli Scolastici. Concetto e metodo della dottrina tomistica, in “Il Cimento” [Torino] È l’ultimo degli articoli di S., apparsi sul “Cimento”, dedicati alla interpretazione delle teorie politiche dei gesuiti del XVI secolo, in polemica con la “Civiltà cattolica”. Gentile lo aveva ristampato già nel 1905, in Da Socrate a Hegel [98], pp. 51-64 (con il titolo: Concetto e metodo della dottrina tomistica del diritto = Opere, II, pp. 57-68), prima ancora di raccogliere gli altri scritti di S. sull'argomento nel volume La politica dei gesuîti. Dell’amore dell'eterno e del divino di G. Bruno, in “Rivista enciclopedica italiana” [Torino] dispensa prima, Il saggio è dedicato alla esposizione del contenuto degli Eroici furori. È stato ristampato dall’a. nei Saggi di critica La “Civiltà cattolica” e la “Rivista contemporanea”, in “Il Piemonte” [Torino], II, n. 14, 16 gennaio 1856. L’articolo è stato ristampato dal Gentile nell’appendice (Le tribolazioni di B. Spaventa giornalista, pp. 183-193: dove sono riprodotti alcuni documenti delle vicende capitate allo S. in seguito alla fusione del “Cimento” con la “Rivista contemporanea” di Luigi Chiala) del suo Bertrando Spaventa [204], pp. 189-193 (= Opere, Della filosofia dopo Kant, ragionamenti di Michele Baldacchini, Napoli 1854; in “Il Cimento” [Torino] Recensione firmata con la sigla: SS.; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 322-337 (= Opere, II, pp. 306-319), con il titolo: La filosofia dopo Kant secondo Michele Baldacchini. Saggi sulla filosofia del Mamiani (Critica dell’infinità dell’attributo), in “Il Cimento” [Torino], febbraio 1856, pp. 122-146. Nell’articolo S. critica l’interpretazione proposta da T. Mamiani — nella prefazione alla traduzione italiana del Bruno di Schelling, a cura di M. Florenzi Waddington [1844] — della dottrina spinoziana della relazione sostanza- attributi. È da collegare agli studi che S. andava svolgendo in questi anni sulla filosofia di Spinoza, e di Giordano Bruno. L’articolo è stato ristampato dall’a. nei Saggi di critica [771], pp. 367-403. La Enciclopedia scientifica, per T. Mora e F. Lavarino, Torino 1856; in “Il Cimento” [Torino], febbraio 1856, pp. 212-220; e in “Il Piemonte” [Torino], II, n. 51, 28 febbraio 1856. Recensione, firmata con la sigla: SS., e pubblicata nell'ultimo fascicolo del “Cimento”, che quindi fu assorbito nella “Rivista contemporanea”. Nel “Piemonte”, lo scritto è firmato con la sigla: Z. Non è stato mai ristampato. Il SENSUALISMO [Recensione di] Études morales sur le temps présent, par E. Caro, prof. ecc. (Paris 1856, Hachette éditeur); in “Rivista contemporanea” [Torino], maggio 1856, anno III, vol. VI, pp. 780-793. Recensione firmata con la sigla: S.; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 247-273 (= Opere, Compendio di logica, secondo l’ultimo programma, ecc., del prof. Giuseppe Tesio (Torino, Tip. scolastica di Sebastiano Franco e Comp., 1856); in “Rivista contemporanea” [Torino], giugno 1856, anno III, vol. VII, pp. 173-176. Recensione firmata con la sigla: S. Non è stata mai ristampata. Philosophie sensualiste au dix-buitième siècle par M. Victor Cousin (troisiîme éd. revue et corrigée, Parigi 1856); in “Rivista contemporanea” [Torino], agosto 1856, anno III, vol.; VII, pp. 494-464. La recensione è firmata con la sigla: S. È stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 103-122 (= Opere, Considerazioni sulla dottrina di Socrate del prof. G. M. Bertini (estratte dalle “Memorie della R. Accademia delle scienze” di Torino, serie II, torno XVI); in “Rivista contemporanea” [Torino], settembre 1856, anno IV, vol. VIII, pp. 89-114. Lo scritto, come molte altre recensioni di S., è in realtà un ampio studio; e tratta del pensiero di Socrate secondo i principi dell’hegelismo. A questo articolo — che è firmato: B. Spaventa — doveva seguirne un secondo, mai pubblicato: cfr. le notizie di Gentile premesse alla ristampa del saggio, da lui ripubblicato in Da Socrate a Hegel [98], pp. 1-50, con il titolo: La dottrina di Socrate (= Opere, II, pp. 11-56). Logique, par A. Gratry ... (2 voll., Paris 1855); in “Rivista contemporanea” [Torino] La recensione è firmata: Bertrando Spaventa; non è stata mai ristampata. Della logica o della teoria della scienza, libri tre di Vincenzo Garelli, Oneglia, Tip. Tasso, 1856; in “Rivista contemporanea” [Torino], marzo 1857, anno V, vol. IX, pp. 474-480. È l’ultimo scritto pubblicato da S. nella “Rivista contemporanea”. Non stato mai ristampato. Articoli per la Nuova enciclopedia popolare. L’'editore Pomba prepara una nuova edizione — che cominciò a pubblicarsi in quell’anno, ed ebbe diverse ristampe — della sua Erciclopedia popolare (Torino, 1842 sgg.). A proposito della collaborazione di S. a questa iniziativa, riassumiamo in breve le notizie fornite da Gentile nella bibliografia degli scritti del filosofo inserita nel suo Bertrando Spaventa [204], pp. 204 sg. Quando, con lettera del 7 dicembre 1858, Francesco Predari, direttore dell’opera, propose a S. di collaborare all’Enciclopedia, si stava preparando il materiale relativo alla lettera E. Il primo articolo fornito da S. fu: Ellenismo; l’ultimo — a quanto pare — fu l’importante scritto su Kant [66]. S. collaborò all’Enciclopedia fino ai primi mesi del 1860. Sul verso della lettera d’invito del Predari, S. ha annotato le “voci” — articoli interamente rifatti, oppure corretti sul testo della prima edizione dell’opera — via via consegnate all'editore. Ecco l’elenco delle voci annotate: E/leziszo, Empirismo, Ente supremo, Epicuro, Epitteto, Facoltà dell'anima, Fanatismo, Fantasma, Fatalismo, Fede, Felicità, Fenomeno, Ferecide, Fichte, Ficino, Filosofia, Galluppi (un brano di questo articolo si può leggere in G. Gentile, Bertrando Spaventa [204], pp. 95 sg. = Opere, Ig pp. 83 sg.), Germanica filosofia, Giamblico, Gioberti (corrisponde in parte al capitolo su Gioberti delle lezioni napoletane del 1861: cfr. nn. 68, 99), Giudizio. È probabile, scrive Gentile, che S. abbia anche provveduto alla stesura di qualche altro articolo, compreso tra gli esponenti Giudizio e Kant. Come risulta dalla stessa lettera del Predari, S. avrebbe dovuto compilare anche gli articoli: Italica filosofia, Ermeneutica, Errore, Esegesi, Esistenza, Esoterico, Esperienza, Essenza, Essere, Eudemonismo, Evidenza. Gentile dà notizia, infine, di una lettera di Luigi Pomba allo S. del 2 gennaio 1861, che conteneva un invito a continuare la sua opera per l’Enciclopedia; e di una lettera di Antonio Tari del 28 luglio 1861, che proponeva a S. di trattare per una eventuale sua collaborazione alla stessa opera. La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana, estratto dalla Nuova enciclopedia popolare, Torino 1860, pp. 72. Cfr. n. precedente. L’articolo, che si ispira largamente all’interpretazione hegeliana di Kant, contiene un ampio raffronto, assai articolato, degli sviluppi del criticismo in Germania e in Italia. Era stato scritto da S. già nel 1856, come risulta da una sua lettera del 10 dicembre di quell’anno al fratello Silvio (Silvio Spaventa, Da/ 1848 al 1861... [125], pp. 209- 212); ma probabilmente, prima di darlo alla stampa, il filosofo ebbe modo di integrarlo e correggerlo. È stato ristampato da Gentile negli Scritti filosofici di S. [96], pp. 1-79 (= Opere, I, pp. 173-255); il saggio è composto di una breve introduzione, e di tre parti, intitolate rispettivamente: I) Principio speculativo della filosofia di Kant; 2) Il kantismo in Italia (Galluppi e Rosmini); 3) Il CHITICISINO. Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo XVI sino al nostro tempo, prolusione alle lezioni di storia della filosofia nell'Università di Bologna, Modena 1860, pp.39. È la nota prolusione in cui viene proposta la tesi della “circolazione del pensiero italiano” nel pensiero europeo, e vengono offerti i primi risultati dei nuovi studi sulla filosofia contemporanea in Italia, collegati ai lavori torinesi su Bruno e Campanella, e integrati da una nuova valutazione della dottrina di Giambattista Vico. Il discorso di S. è ristampato negli Scritti filosofici [96], pp. 115-152 (= Opere, I, pp. 293-332).Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre — 23 decembre 1861, Napoli 1862, pp. IX214. È il testo che raccoglie i risultati fondamentali delle ricerche di S. intorno al “carattere” e allo “sviluppo” della filosofia italiana dall’età del Rinascimento fino al Gioberti. La prefazione è datata: Napoli, ottobre 1862. Il volume contiene: I) la prolusione Della nazionalità nella filosofia (con una appendice sulla filosofia indiana); 2) le dieci lezioni sulla storia del pensiero italiano, dai filosofi del XVI secolo ai contemporanei; 3) lo Schizzo di una storia della logica, che rende conto dello sviluppo “della filosofia occidentale” (i.e. della filosofia tedesca) considerato “dal punto di vista logico” (sono protagonisti di questa storia Kant, Fichte, Schelling e Hegel). Una nota allo Schizzo contiene un breve scritto su Spizoza e Cartesio, che riprende alcuni temi dei primi studi torinesi su Spinoza (l’interpretazione di Mamiani, la controversia Erdmann-Fischer sul concetto di attributo, ecc.). Per il “manifesto” che annunziava la pubblicazione dell’opera, proponendone la vendita per sottoscrizione, cfr. n. 69. Il volume è stato ristampato da Gentile nel 1908 e, in terza edizione, nel 1926, sempre con il titolo: La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea (99 = Opere, IL pp. 405 sgg.). La filosofia di Gioberti, vol. I, Napoli Alla prima parte dell’ampio studio, considerato da molti critici a partire dal Gentile, che lo definì il “capolavoro” di S.) l’opera maggiore del filosofo, doveva seguire un secondo volume, che non fu mai pubblicato. Questo “primo” volume è diviso in quattro libri, che sottopongono a critica: 4) la dottrina della conoscenza di Gioberti; 5) il carattere dogmatico della costruzione della formula ideale: l’ente crea l’esistente; c) il contenuto della formula, identico al contenuto del panteismo (Gioberti = Spinoza); d) il tentativo di Gioberti di ricorrere alla “rappresentazione” religiosa, per scongiurare l'esito panteistico della dottrina. Un quinto libro, che avrebbe occupato l’intero secondo volume, doveva dimostrare il passaggio dell’ultimo Gioberti (soprattutto dell'autore delle Postuzze) all’idealismo. Nella prefazione dell’opera, datata: Napoli, ottobre 1863, l’a. dichiara che i risultati dello studio su Gioberti costituiscono il presupposto e il fondamento delle tesi esposte nelle prime lezioni napoletane [cfr. n. precedente], e che il seguito del suo lavoro sarebbe stato costruito attraverso un raffronto minuzioso tra la dottrina di Gioberti e quella di Ilegel. Della Filosofia di Gioberti usciva, nel 1870, una curiosa “edizione”: Bernardo [sic] Spaventa, La filosofia di Gioberti, volume unico, Napoli, Tipografia del Tasso (le copie del 1863 recavano l’indicazione: Napoli, Stab. tipogr. F. Vitale). Ma in questa “edizione” appare cambiato solo il frontespizio; e lo stesso deve dirsi della “seconda edizione”, Napoli, Domenico Morano, 1886. Come la Prolusione e introduzione [68], e insieme ad essa, la Filosofia di Gioberti fu pubblicata per sottoscrizione, e annunziata con un manifesto, che riproduciamo qui dalla bibliografia gentiliana del 1924 [204], pp. 206-208: “I. La Prolusione tratta della Nazionalità della Filosofia. — Sono possibili, dopo il medio evo e ne’ tempi moderni, tante filosofie nazionali, quanti sono i popoli civili di Europa? O invece quelle che si dicono filosofie nazionali non sono altro che momenti particolari dello sviluppo comune della filosofia moderna nelle diverse nazioni? Si può dire, p. e., che ci sia una filosofia italiana essenzialmente diversa da una filosofia francese, inglese, tedesca, come si dice che ci è stata una filosofia greca essenzialmente diversa da una filosofia indiana? E in generale, il genio proprio originario d’una nazione, il quale si specchia e riconosce così nettamente nella lingua, nella letteratura e nell’arte in generale, e ne’ costumi, deve e può discernersi anche — oggigiorno e in Europa — in quella forma e attività universale dello spirito, che si chiama filosofia? E discernersi in essa, non già come differenza e carattere naturale, letterario o artistico, ma come intuizione universale o pensiero della realtà delle cose: come problema, indirizzo, soluzione? “L’autore, compendiando gli ultimi risultati della storia della filosofia, ed esponendo la differenza essenziale della nazionalità moderna dall’antica, mostra che — se è vero che la filosofia indiana e la greca sono, più o meno, intimamente nazionali — comune, invece, ed unico è il carattere, lo sviluppo e l'indirizzo generale della filosofia ne’ popoli moderni; che, se ci ha una differenza tra il genio filosofico italiano e quello delle altre nazioni, o in altre parole se esso ha o almeno ebbe un privilegio sopra gli altri popoli — questo fu solo l’aver precorso due volte i due principali periodi della filosofia moderna: cioè il cartesiano ne’ filosofi del Risorgimento e specialmente in Bruno e Campanella, e il kantiano in Vico; e val quanto dire il nuovo Nazuralismo e il nuovo Spiritualismo; e che se noi vogliamo ancora e possiamo avere un privilegio, questo è quello di precorrere ed effettuare un nuovo e più largo indirizzo, una nuova e più ampia soluzione del problema dello spirito. Ma ciò a un patto; e questo è di non rigettare tutto quel che si è fatto da un gran pezzo fuori d’Italia o meglio che in Italia, ma studiarlo, comprenderlo, appropriarcelo; e solo così, entrati in più largo orizzonte, conosciuto meglio noi medesimi e ritemperata la nostra vita nella perpetua corrente della vita universale, fare un gran passo innanzi, non nel vuoto, ma colla piena coscienza delle nostre forze, del nostro cémpito, del compito comune. “E posto anche, che ci sia stata o ci sia una filosofia propria italiana, distinta essenzialmente o opposta a quelle delle altre nazioni, quale è e dove si trova ella mai? Si sa, che di libertà filosofica in Italia ce n'è stata sempre poca o niente, e chi se l’ha presa, gli è costato assai caro. Dov'è dunque la filosofia italiana, ne’ libri delle vittime o in quelli de’ persecutori? Il problema più difficile per noi — quello senza la cui soluzione noi non possiamo fare e progredire davvero — è il riconoscere qual sia e dove sia il vero pensiero italiano. Finché non si fa ciò — e il farlo non è cosa così agevole — il gridare nazionalità in ogni cosa servirà bene a eccitare e intorbidare il sentimento e talvolta anche le passioni, ma non produrrà niente di serio nella scienza. “La Introduzione è lo sviluppo e la dimostrazione della intenzione principale della Pro/ustone. L'autore espone il carattere e il progresso del pensiero italiano nei maggiori nostri filosofi dal secolo XVI sino al nostro tempo: Campanella, Bruno, Vico, Galluppi, Rosmini, Gioberti; e dimostra come questo pensiero non solo non si oppone al pensiero europeo, ma concorda schiettamente con esso; che Campanella e Bruno sono i precursori di Cartesio e Spinoza (e in parte di Locke e Leibniz); che Vico, esigendo una nuova Metafisica e fondando la filosofia della storia, anticipa il nuovo antropologismo, quello che il Gioberti chiama trascendente e identico al vero ontologismo; che Galluppi, Rosmini e Gioberti rappresentano in Italia questo nuovo indirizzo; e che Gioberti specialmente non è, come si crede, l’antitesi di tutta la filosofia moderna, ma differisce dall’ultimo gran filosofo europeo in tutt'altro che nel vero principio, metodo e risultato della sua filosofia. “IL Questa breve storia del pensiero italiano, considerato in sé stesso e nella sua intima connessione col pensiero europeo, è come una naturale introduzione alla seconda opera di maggior mole: la Filosofia di Gioberti. “Quest'opera è divisa in cinque parti; la prima delle quali concerne la teorica giobertiana della conoscenza, e le altre quattro il sistema propriamente detto. “Nella prima parte l’autore espone gli elementi del conoscere secondo Gioberti: intuito, riflessione (psicologica e ontologica), parola, sovrintelligenza; e dimostra come il concetto di questi elementi e della loro relazione (del conoscere) cangi e si sviluppi nella mente del Gioberti di maniera, che la teorica sembri una continua contradizione. E pure ciò che pare contradizione non è altro nel Gioberti, che una determinazione sempre più schietta e profonda del proprio pensiero. “Secondo l’autore, ci è nel Gioberti davvero una contradizione, radice di tutte le altre, la quale si manifesta chiaramente nella prima forma del sistema; e tutto il progresso della speculazione del nostro filosofo consiste nel risolverla. Così quel che pare contradizione e non è, è appunto la soluzione della vera contradizione. “Conforme a un tal concetto l’autore espone nelle tre altre parti questa contradizione, e considera il sistema nella sua prima forma. L'ultima parte comprende la soluzione più o meno reale della contradizione, e la seconda forma del sistema. “Tutta questa esposizione — così della teorica della conoscenza come del sistema — è fatta di maniera, che la vera e nuova forma della filosofia giobertiana apparisca come il risultato necessario della critica della prima: come una nuova posizione, che deriva per una dialettica necessaria dall’antica. Quel che nella storia della filosofia si vede comunemente solo nella successione de’ filosofi, cioè che l'uno compia l’altro risolvendo le contradizioni del suo predecessore, qui si vede in uno stesso filosofo: Gioberti nella seconda forma non fa che compiere e quasi ricreare sé stesso. — Tutta l’opera è corredata di documenti, specialmente dove l’interpretazione e la critica possono parere arbitrarie e forse troppo lontane dal modo comunemente ricevuto d’intendere il Gioberti”. 70. Le prime categorie della logica di Hegel, in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, I (1864), pp. 123-185. È il testo che racchiude il primo — e assai noto — tentativo spaventiano di interpretazione delle prime categorie della logica hegeliana [cfr., per gli altri scritti di S. sull'argomento, i nn. 76, 93, 103]. Suscitò già qualche interesse in ambiente hegeliano [cfr. n. 1441; doveva essere discusso più tardi da Gentile come documento della nascita del “nuovo idealismo” [cfr. in particolare il n. 103]. Il saggio, preceduto da una breve introduzione, si divide in tre parti: i) Esposizione de’ concetti: essere, non essere, divenire, esserci; 2) Obbiezioni e risposte; 3) Il movimento come primo (Trendelenbnrg). Fu letto all'Accademia napoletana in tre sedute, il 16 agosto, e il 6 e 30 settembre 1863. Un riassunto della memoria fu pubblicato nella “Rivista napoletana di politica, letteratura e scienze”, II (1863), nn. 1-4 (1, 10, 20 novembre, e 1 dicembre 1863). Lo scritto si può leggere ora nella raccolta gentiliana degli Scritti filosofici di S. [96], pp. 185-252 (= Opere, Spazio e tempo nella prima forma del sistema di Gioberti, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, III (1864), pp. 137-163. Nella concezione giobertiana dello spazio e del tempo appaiono manifeste le difficoltà e le contraddizioni della formula ideale, e, quindi, dell’intero sistema. È questo il tema della “nota”, letta all'Accademia di Napoli il 7 agosto 1864, e ristampata più tardi negli Scritti filosofici [96], pp. 153-184 (= Opere, I, pp. 333-365). La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, II (1865), pp. 293-348. Ristampato dall’a. nei suoi Saggi di critica [77], pp. 196- 255. Tema centrale dello scritto è l’analisi del concetto di “mente” in G. Bruno: S. si propone di mostrare che non è legittimo identificare l’intuito intellettuale di Bruno con un atto di fede, o con una forma di apprensione nondiscorsiva, mistica, dell’assoluto. Ma il saggio è noto anche perché contiene una importante e assai discussa digressione sul tema della separazione dello stato della chiesa.  Il concetto dell’infinità in Bruno, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, V (1866), pp. 155-164. Sul concetto di infinito in Bruno e Spinoza (e Hegel). L’avvio al discorso di S. è dato da una osservazione contenuta nella Storia della filosofia moderna di H. Ritter: in Bruno vi sarebbe confusione di infinito e indeterminato. Lo scritto di S. risale certamente, nel suo nucleo originario, al periodo torinese: nel ristamparlo nei Saggi di critica [77], pp. 256-267, l’a. vi appose la data: “Torino 1853. Napoli 1866”. 74. Il concetto dell’opposizione e lo spinozismo, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, VI (1867), pp. 89- 98. In Spinoza è già presente l’esigenza di attribuire alla sostanza una negatività interna, che consenta di superare gravi difficoltà della dottrina (il parallelismo degli attributi). Questa esigenza è soddisfatta dalla logica hegeliana, con il concetto di opposizione; il tema è, per l’a., ancora attuale, e viene riferito alle discussioni sul metodo delle scienze comparate. Il saggio fu letto all'Accademia napoletana il 7 luglio 1867; lo ha ristampato Gentile negli Scritti filosofici [96], pp. 277-290 (= Opere, I, pp. 463-476). La Scolastica e Cartesio, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, VI (1867), pp. 102-112. È una nota letta all'Accademia di Napoli il 18 agosto 1867. L’autore l’ha ripubblicata nei Saggi di critica [77], pp. 329-340, in appendice alla ristampa del saggio Del principio della riforma.., nel secolo XVI [30], come “chiarimento” tratto dalle lezioni bolognesi di storia della filosofia (1860- 61), e dalle lezioni napoletane del 1864-65. Principii di filosofia, vol. I, Napoli L’opera, che si pubblicava a dispense, è rimasta interrotta. Comprende una prima sezione (La conoscenza) che riassume parzialmente il contenuto della Feromzenologia (è caduta tutta la parte cosiddetta “storica” del testo hegeliano), e una seconda sezione (La logica), che riproduce liberamente il contenuto della Wisserschaft der Logik, fino alla prima parte della logica dell’essenza (capitolo secondo della prima sezione: la differenza). L'esposizione della logica hegeliana accoglie i risultati del saggio sulle Prizze categorie [70], e si appoggia spesso ai manuali più noti, circolanti in ambiente hegeliano (Kuno Fischer, Karl Rosenkranz ecc.). Nelle “aggiunte” che S. introduce nel corso dell’esposizione sono frequenti i riferimenti e i confronti con i filosofi italiani, anche contemporanei. S. aveva esposto, e continuò ad esporre più volte la Logica di Hegel nei suoi corsi napoletani: secondo una testimonianza di Maturi, raccolta da Gentile, tre volte tra il 1862 e il 1869. In base a un manoscritto affidatogli da Maturi, Gentile poté pubblicare nel 1911 l'esposizione completa della logica di Hegel fatta dallo S. (102 = Opere, III, pp. 1-429). Interessante — e assai nota — la prefazione dei Principi; nella quale l’a. rifà la storia del proprio cammino, e ribadisce le ragioni del suo idealismo, in un clima filosofico ormai mutato o prossimo a mutare radicalmente. 77. Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, vol. I, Napoli 1867, pp. VIII-403. L’a. cominciò a raccogliere e a ristampare i suoi scritti in questo primo volume di Saggi, rimasto poi unico. Una “seconda edizione” della raccolta porta la data del 1886; ma anche in questo caso, come per la Filosofia di Gioberti [69], è mutata solo l’indicazione dell’editore (Morano, anziché: Stab. tip. Ghio), e quindi il frontespizio. Nel volume sono ripubblicati, raggruppati sotto quattro titoli, i nn. 19, 21, 46 (con il titolo: Tomzzaso Campanella), 15, 54, 72, 73 (con il titolo: Giordano Bruno), 30 (con il titolo: Del principio della riforma ...), 42 e 57 (con il titolo: Terengio Mamiani) di questa bibliografia. Alle pp. VI-VIII, l’a. ci offre un elenco generale dei saggi che si proponeva di ristampare nei prossimi volumi. Oltre a quelli già compresi in questo primo, avrebbero dovuto essere ripubblicati — raggruppati, anch’essi, sotto diversi titoli — gli scritti che in questa bibliografia compaiono con i nn.: 40, 51 (titolo: Roswzini) 66, 37 (Kant) 68, 71 (Gioberti) 70, 11 (Hegel) 62 (Socrate) 67 (Carattere e sviluppo ecc.) 61, 59, 48, 29, 36, 41, 56, 58, 64, 32, 44, 55, 38, 35 (Scorse bibliografiche). Un ultimo gruppo di nove saggi, sotto il titolo: Polerzica con la “Civiltà cattolica”, doveva comprendere una scelta degli articoli pubblicati nel “Cimento”; ma i titoli forniti in questo elenco non corrispondono sempre a quelli originali. L’elenco dei saggi compilato da S. fornì a Gentile un valido strumento per rintracciare molti scritti del filosofo, ed un primo criterio generale per la sua edizione delle opere del maestro [96]. La raccolta spaventiana dei Saggi di critica è stata ristampata nel 1928 con il titolo: Rinascimento, Riforma, Controriforma [112]. 78. Paolottismo, positivismo, razionalismo, lettera al prof. A. C. De Meis, in “Rivista bolognese di scienze e lettere”, II (1868), vol. I, fasc. 5, pp. 429-441. La “lettera”, che porta la data: 8 maggio 1868, è una chiara testimonianza dell’ “umanismo” di S.;} ed è anche un attacco violento rivolto contro certe alleanze strette in quegli anni tra cattolici e positivisti. Ricca di “sarcasmo heiniano”, come notò il Gentile, ha conservato gran parte della sua freschezza, ed è uno dei documenti che più hanno attirato l’attenzione dei critici. È ristampata negli Scritti filosofici [96], pp. 291-314 (= Opere, I, pp. 477-501), con una serie di note che ne chiariscono la genesi e i numerosi riferimenti. 79. Studi sull’etica hegeliana. L’assoluto, il relativo e la relavione assoluta, in “Rivista bolognese di scienze e lettere”, III (1869), serie II, vol. I, fasc. 4, pp. 911-558. È il “proemio” agli Studi sull’etica hegeliana [cfr. n. seg.], del quale l’a. ha anticipato qui la pubblicazione. Il proemio ha, del resto, una sua autonomia: è destinato ai sostenitori del positivismo, per mostrar loro che nell’idealismo hegeliano sono già accolte, anzi soddisfatte, le esigenze fondamentali della filosofia positiva. 80. Studi sull’etica hegeliana, in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, IV (1869), pp. 271-440. Cfr. n. precedente. Libera esposizione dell’etica hegeliana, che ripercorre i motivi centrali della Filosofia del diritto. Occasione esterna dello scritto fu un rilievo di T. Mamiani, il quale osservò che la filosofia di Hegel comporta la negazione della vita morale. L’esposizione di S. si apre con un esame dei presupposti metafisici dell’etica; e contiene, nel suo sviluppo, interessanti riferimenti a questioni attuali (alle polemiche sulla pena di morte, per esempio, e alle difficoltà interne alla monarchia costituzionale). Lo scritto è stato ristampato da Gentile nel 1904 (97 = Opere, I, pp. 595 sgg.). 81. De’ limiti della cognizione, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, X (1871), pp. 71-75; e in “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, diretto da B. Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, 1872, vol. II, pp. 43-56. Nel “Giornale napoletano” alla ristampa, col titolo Su limiti della cognizione, della nota del 1871 (pp. 43-47) è aggiunta la discussione di un’opera del Savarese del 1856 (pp. 47-56). L’intero saggio è ristampato negli Scritti filosofici [96], pp. 315-332 (= Opere, I, pp. 503-521). 82. Recensione: La vita di Giordano Bruno, scritta da D. Berti, Torino 1868; in “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, diretto da B. Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, 1872, vol. I, pp. 1-25. Severa recensione dell’opera del Berti; ripubblicata da Gentile in Da Socrate a Hegel [98], pp. 65-102 (= Opere, II, pp. 71-105). 83. Sulle psicopatie in generale, in “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, diretto da B. Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, 1872, vol. I, pp. 127-136; 186- 192; 321-352; 353-377. A proposito di una lezione di Salvatore Tommasi Sulle psicopatie, il cui testo fu pubblicato nel “Morgagni” [Napoli], luglio-agosto 1871, pp. 445-458. Con questa serie di articoli S. interviene anche nella polemica nata dalle osservazioni di Luigi De Crecchio (pubblicate dallo stesso “Morgagni”), alle quali rispose Tommasi in due lettere che replicano ad altrettanti scritti polemici del De Crecchio. La lezione Sulle psicopatie e le due risposte si possono leggere in S. Tommasi, I/ naturalismo moderno, scritti vari a cura di A. Anile, Bari 1913, pp. 155-170, 171-182, 183-193. La discussione sulla natura delle psicopatie è ripresa da S. sul piano di un discorso che abbraccia il problema generale del rapporto tra fatti organici e funzioni psichiche; il filosofo vuoi mostrare che l’idealismo hegeliano ha già superato le difficoltà “metafisiche” che sembrano rinascere sul piano della scienza. L’anima si distingue certo dal corpo, non però in virtù di una distinzione reale, sostanziale, ma come “funzione” e “processo” psichico, come “senso di sé” irriducibile ad una somma di elementi fisici o chimici: in questo senso le psicopatie non possono ridursi ad una semplice alterazione fisica o chimica dell’organismo. Gli articoli di S. sono ristampati in Da Socrate a Hegel [98], pp. 339-430 (= Opere, II, pp. 321-404). La citata raccolta di scritti del Tommasi contiene in appendice un saggio di G. Gentile, La filosofia di Salvatore Tommasi (pp. 273-298), in cui sono accostate la prolusione del medico-filosofo: Il naturalismo moderno (del 15 novembre 1866), e alcune pagine dei Principi di filosofia di S4 [76]: 84. Note sulla metafisica dopo Kant, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XII (1873), pp. 87-90. È una breve nota che riprende l'argomento già introdotto nel proemio agli Studi sull’etica begeliana [79], e che fu letta all Accademia napoletana il 17 ‘agosto 1873; è stata ristampata da Gentile nella raccolta degli Scritti filosofici [96], pp. 333-338 (= Opere, I, pp. 523-529). 85. La legge del più forte, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XIII (1874), D. 75-85. Saggio breve, ma importante, che discute dal punto di vista idealistico la dottrina di Darwin. Fu letto all'Accademia napoletana il 3 settembre 1874; lo ha ristampato Gentile nella raccolta degli Scritti felosofici [96], pp. 339-352 (= Opere, I, pp. 531-544). 86. Idealismo o realismo? Nota sulla teoria della conoscenza: Kant, Herbart, Hegel, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XIII (1874), pp. 87-97. La breve nota, letta all’Accademia di Napoli il 6 settembre 1874, è stata ristampata negli Scritti filosofici [96], pp. 353-366 (= Opere, I, pp. 545-559). 86 bis. Una delle principali difficoltà della Fenomenologia dello spirito, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XV (1876), pp. 10-14. Riproduce, con lievi modifiche, alcune riflessioni che si leggono in una lettera al fratello Silvio dell’ottobre 1857 (cfr. Silvio Spaventa, Da/ 1848 al 1861... [125], 19232, pp. 239- 87. Gli spaventiani spaventati, in “Fanfulla” [Roma], 26 marzo 1876. È uno scritto satirico, in forma di lettera, documento della polemica nata dalle critiche di F. Acri allo scritto di F. Fiorentino: Considerazioni sul movimento della filosofia in Italia dopo l’ultima rivoluzione del 1860 (1874). La lettera si può leggere in F. Fiorentino, La filosofia contemporanea in Italia [158], pp. 467-471. 88. Kant e l’empirismo, in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XVI (1881), pp. 41. È un ampio studio (ristampato da Gentile negli Scritti filosofici [96], pp. 81-114 = Opere, I, pp. 257-291), nel quale si intrecciano motivi tratti da antiche riflessioni, rinnovate a contatto o in polemica con gli sviluppi del “nuovo” empirismo, nato in Germania come revisione o come critica radicale dei risultati della filosofia di Kant. Il saggio anticipa una serie di argomentazioni e di conclusioni che saranno elaborate in un manoscritto del 1881, edito nel 1915 dal Gentile con il titolo: Introduzione alla critica della psicologia empirica [105]. 89. Osservavi ioni del socio Spaventa sulla interpretazione letta dal socio Bonghi di un luogo di Platone (Repubblica, X, 611a), in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XVI (1881), pp. 7. Le Osservazioni sono ristampate in Scritti filosofici [96], pp. 367-376 (= Opere, I, pp. 561-569). Nella ristampa, Gentile fornisce chiarimenti sulla discussione sorta attorno alla memoria del Bonghi: Una prova dell'immortalità dell'anima nella “Repubblica” di Platone (pubblicata nello stesso volume degli “Atti”). 90. La sintesi a priori e il nesso causale, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (luglio-agosto 1882), pp. 14-16; e in “Giornale napoletano della domenica”, I, n. 18, 30 aprile 1882. È il sunto di una memoria letta all’Accademia di Napoli il 2 aprile 1882. È ristampato negli Scritti filosofici [96], pp. 379-382 (= Opere, L pp. 573-576); nel pubblicarlo, Gentile osserva che il sunto anticipa in forma contratta gli argomenti sviluppati nel secondo capitolo di Esperienza e metafisica [94], sicché la memoria intera si identifica con quel capitolo dell’opera di S. pubblicata postuma, nel 1888. 91. Un luogo di Galilei, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (luglio-agosto 1882), pp. 5-8. Sunto di una memoria letta all’ Accademia napoletana il 3 luglio 1882; è ristampato in Scritti filosofici [96], pp. 383- 387 (= Opere, I, pp. 577-581). Cfr. le notizie date da Gentile intorno a questo breve scritto: il luogo di Galilei riguarda il rapporto tra intelletto divino e intelletto umano, ed è tratto dalla Giornata prima, in fine, dei Dialoghi sui massimi sistemi; il sunto (e quindi la memoria) ha una evidente relazione con il capitolo XII di Esperienza e metafisica [94]. 92. Un fatto logico e un problema metafisico, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (settembre 1882), pp. 3-10. La logica formale ci insegna che da ogni determinazione del pensiero è possibile derivare sempre una nuova (anche solo formalmente) determinazione; ma è incapace di attingere il principio di questa “generazione”, di cogliere quella “produttività più alta e originaria” che sembra identificarsi con la “produttività del pensiero in generale”: così conclude S. questa nota letta all’ Accademia di Napoli il 4 settembre 1882, e ristampata poi dal Gentile negli Scritti filosofici [96], pp. 389-399 (= Opere, I, pp. 583-594). 93. Esame di un’obbieione di Teichmiiller alla dialettica di Hegel, in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XVIII (1884), pp. 28. Questa memoria apparve negli Atti dell’Accademia napoletana dopo la morte di S., ma era già uscita in estratto — riferisce Gentile, ristampandola negli Scritti filosofici [96], pp. 253-276 (= Opere, I, pp. 439-462) — l’anno stesso della scomparsa del filosofo (1883); il quale ne aveva letto un sunto il io dicembre 1882, che fu pubblicato nel “Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (novembre- dicembre 1882), pp. 23-24. La memoria riprende il problema della interpretazione della logica hegeliana, già impostato nel saggio sulle Prize categorie [70], ampliandone e in parte rinnovandone la discussione sotto lo stimolo delle riflessioni, maturate negli ultimi anni, sui progressi delle scienze naturali e della nuova psicologia. L’obbiezione alla dialettica di Hegel, a cui S. si riferisce, è nello scritto Die wirkliche und scheinbare Welt, 1882, dell’herbartiano G. Teichmiller; il quale ricorda lo scritto e la figura dello S. nella sua Religronsphilosophie, del 1886. SAGGO PUBBLICATI DALLA SCUOLA. Esperienza e metafisica. Dottrina della cognizione, Torino. Importante lavoro, pubblicato postumo a cura di Jaja, il quale rende conto dei criteri adottati per l'edizione nella prefazione indirizzata a Silvio Spaventa. Jaja accenna agli ultimi studi di S., che, a partire dal 1870, si interessò esclusivamente della nuova filosofia dell’esperienza (p. VII), e vide e volle mettere in chiaro il concetto di una “nuova” metafisica, che non è quella avversata dai positivisti. Su questa idea e sul problema della nuova metafisica Jaja ritornerà, con un riferimento diretto a S., nella sua prefazione agli Scritti filosofici [96] curati da Gentile. Il manoscritto di Esperienza e metafisica fu elaborato da S. tra il 29 novembre 1881 e i primi di dicembre del 1882; rifluiscono in esso alcuni brevi scritti dati alle stampe in precedenza [cfr. nn. 90, 91]. Nel volume è ristampato, in appendice, l’abbozzo di un saggio su Protagora del giugno- luglio 1880, che ha una evidente relazione, per la data della composizione e per il contenuto, con il frammento sulla dialettica hegeliana edito da Gentile. L’introduzione dell’a. all'opera, per la quale sembra avesse scelto egli stesso il titolo con il quale fu poi pubblicata, è un interessante bilancio della storia della filosofia negli ultimi vent'anni. La domanda, che presenta in forma semplificata il problema implicito in tutte le discussioni e in tutte le polemiche più recenti, riguarda la possibilità di una metafisica, dopo la critica kantiana. Il tema è trattato da S. attraverso una serie di riferimenti a Kant, in primo luogo, poi alla Ferorzenologia e ai problemi della logica hegeliana, a Darwin, a Spencer, a Stuart Mill, e, in generale, alle correnti e alle dottrine che confluiscono nel cosiddetto positivismo; il lavoro appare interrotto in quelle pagine nelle quali l’a. riprende il tema già abbozzato in Ur luogo di Galilei. Una legione di S. (la prima dell’anno 1864-65), pubblicata da Sebastiano Maturi, Napoli. Sul rapporto tra scienza (= scienze particolari) e filosofia (“quella sola che realizza l’umanità del sapere”). La lezione non è stata mal ristampata. SAGGI EDITI DA GENTILE. Scritti filosofici, raccolti e pubblicati con note e con un Discorso sulla vita e sulle opere dell'autore da Giovanni Gentile e preceduti da una prefazione di Donato Jaja, Napoli 1900, pp. CLII-408. Nella raccolta sono ristampati (= Opere) gli scritti di S. ordinati in questa bibliografia.La breve prefazione di Jaja (pp. VII-XVII) condensa in poche pagine una decisa — e chiara, nella sua tematica semplificata — interpretazione della filosofia di S., interpretazione che costituìù per lo stesso Jaja un presupposto del proprio pensiero, e che era destinata a passare nella rielaborazione attualistica della problematica spaventiana. Il punto di partenza della nuova filosofia è nell’idealismo kantiano (preparato da Vico: secondo la “scoperta” di S.); è, chiarisce Jaja, nel tentativo di “spiegazione o intellezione, prima che degli avvenimenti che la storia registra, del grande, unico, perenne e perpetuo avvenimento, che è l’atto stesso dell’intellezione, l’atto del conoscere, il conoscere” (p. IX). Questa è l’eredità, questo il problema dell’idealismo “nuovo” (o “post-kantiano” o “assoluto”). La filosofia si riduce all’analisi della “potenza conoscitiva”; analisi iniziata da Kant, completata, nelle linee essenziali, da Hegel, ma “aperta sempre al pensiero speculativo”, giacché “per la difficoltà sua e per la nuova soluzione che prepara a tutti i problemi della vita, deve essere un farsi e rifarsi perenne nella umana coscienza”. Conclude Jaja: “Se analisi è luce, non poca è la luce di cui si ha bisogno, perché la potenza conoscitiva, così varia e complessa nei suoi elementi e nella costituzione sua, e nondimeno una sempre e identica a se stessa in tutti i periodi di sua storica esistenza, in tutta la sua sterminata esistenza, passi dallo stato iniziale dell’esser suo al suo stadio finale, non sopprimendo alcuno dei suoi interni stimoli, ma dando a tutti una più ordinata e sana e compiuta soddisfazione. Di quest’analisi splendono gli scritti, che in questo volume si ripubblicano, di B. Spaventa, e tutti gli altri suoi” (p. XIV). Il “discorso” di Gentile Della vita e degli scritti di B. S. (pp. XXI-CLII; ristampato con integrazioni e modifiche nel 1924, cfr. 204), che si conclude con la prima bibliografia delle opere del filosofo (pp. CXLI-CLII), è diviso in sette paragrafi. Il primo (pp. XXI sgg.) raccoglie le notizie intorno agli studi e alle vicende di S. fino al 1850; va notato l’accenno all’influsso esercitato da O. Colecchi, il rilievo dato alla figura di S. Cusani (e alla sua “retta” interpretazione del concetto kantiano di categoria), infine l’assunzione delle idee espresse da Silvio S. sul “Nazionale” (“un giornale... politico filosofico arieggiante in qualche modo quelli della sinistra hegeliana tedesca”, p. XXXI) come documento delle prime convinzioni etico-politiche di S. Il secondo paragrafo (pp. XXXV sgg.) tratta degli esordi di S. scrittore a Torino (Studi sopra la filosofia di Hegel, primi lavori su Bruno, ecc.), con qualche riser va sul carattere “tra l’enfatico e il declamatorio” di questi scritti (p. XLII). Agli articoli contro la “Civiltà cattolica” è dedicato il terzo paragrafo (pp. XL11I sgg.): fornisce le notizie essenziali intorno alla polemica, e ai periodici “Il Cimento” e “Il Piemonte”, che l’ospitarono; e qualche indicazione sulle rassegne e sulle recensioni apparse sul “Cimento” e sulla “Rivista contemporanea”, nel decennio torinese di S. (1850-59). G. sottolinea il pregio anche letterario degli scritti polemici di S., nei quali l’a., “ingegno satirico”, Si serve con bravura dell’ “ironia”: un’ironia che coincide con la stessa “ironia della storia”, che veniva “ineluttabilmente trionfando degli antichi pregiudizi e interessi” della “vecchia reazione” contrapposta alle “nuove libertà” (p. LIV). Il quarto paragrafo, il più ampio di tutti (pp. LV-XC), è dedicato alla teoria della “circolazione del pensiero italiano”: che è — giudica ora G. — “il maggior titolo” di S. storico e filosofo (p. LV), un’ “intuizione geniale”, “che è, ripeto, la parte più originale dell’opera sua” (p. LKXXTX). G. distingue due parti o momenti nella costruzione della teoria, analizzandone minutamente l’elaborazione: gli studi sul Rinascimento (Bruno, Campanella, e il loro rapporto con Cartesio e Spinoza), poi quelli su Galluppi, Rosmini e Gioberti (con particolare attenzione al volume del 1863) e la posizione del rapporto Vico-Kant (che, malgrado Jacobi, non ha veri precedenti, e resta una “scoperta” autentica di S.). Nel quinto paragrafo (pp. XC-CXV) G. ricorda le vicende relative alla chiamata di S. a Napoli, introduce una rapida, netta caratterizzazione dell'ambiente napoletano (sono rimaste le pagine su “il tipo del giobertiano di Napoli”: pp. XCIII sgg.), riassume la polemica con L. Palmieri sulla “nazionalità” della filosofia. Passa quindi a trattare dei corsi di S. e dei suoi studi hegeliani, in primo luogo della memoria su Le prize categorie “dove si agita e risolve in maniera originale il problema fondamentale della dialettica hegeliana, che è pure il problema fondamentale di tutta la filosofia di Hegel” (p. CI). Lo studio di S., qui riassunto, è giudicato “assai rilevante”; G. ne richiama i precedenti (K. Werder, K. Fischer), lamentandosi — con Labriola — della scarsa attenzione che questi lavori hanno destato fuori d’Italia. Si occupa poi dei Prizcipi di filosofia e degli Studi sull’etica hegeliana, battendo sul carattere non dommatico dell’idealismo di S. (“non si chiuse mai in quell’astratto idealismo, che non cura né pregia il sapere sperimentale”, p. CVII), ricordando l'affermazione — contenuta nei Principi — del carattere pratico del sapere (“la chiave d’oro della nuova gnoseologia dopo Kant”, già individuata da Marx, e ancora da sviluppare convenientemente, p. CVIII sg.), e riferendo estesamente le discussioni sulla pena di morte e la posizione assunta da S., diversa da quella del Vera (distinto da S., secondo uno schema ormai corrente, come campione dell’ “ortodossia”). Ricorda, G., il corso di antropologia del 1863-64, e conclude: “Di tal fatta erano tutti i suoi corsi. L’anima ispiratrice era sempre l’hegelismo; ma la sentenza hegeliana riceveva il conforto della storia ed era posta a cimento con le più recenti dottrine; infine raffrontata sempre a quelle dei nostri filosofi e come italianizzata e fatta nostra” (p. CXIII). Con le notizie intorno alla fondazione del “Giornale napoletano di filosofia e lettere” e alla lotta contro il “paolottismo” fiorentino si apre il sesto paragrafo (pp. CXVI-CXXXIII); che discute ampiamente lo scritto sulle psicopatie, l’interpretazione del darwinismo (“e anche in questa accettazione del trasformismo naturale il Nostro opponevasi agli insegnamenti di Hegel”, p. CXXII), infine Esperienza e metafisica (con i testi connessi), analizzando la tematica della “nuova metafisica” (il concetto di apriori, del trascendentale, ecc.; interessante, a p. CKXXIII, la saldatura tra questi studi e il saggio sulle Prizze categorie: “Questa sintesi [i.e. la sintesi apriori “presupposta” da Kant] da Hegel è rintracciata nella sua prima origine, nella forma più astratta, indeterminata: nel concetto del divenire dell'essere che è non essere, in quanto è pensiero, come l’autore aveva dimostrato nella memoria sulle Prizze categorie”). L'ultimo paragrafo (pp. CXXXIII-CXXXTX) tratta dello scritto contro Teichmuller sulla dialettica hegeliana, e si chiude con un “ritratto” del filosofo (G. si richiama anche alla commemorazione di Fiorentino: cfr. n. 163) e con una dedica “ai giovani” del volume: che imposta «i problemi fondamentali del pensiero moderno” e offre un sicuro orientamento per il futuro sviluppo degli studi filosofici, riassumendo l’opera di S. “le nostre tradizioni genuine, donde bisogna trarre gli auspici”. Dopo la bibliografia degli scritti di S. — che G. ripresenterà, corretta anch’essa e accresciuta, nella monografia del 1924: cfr. n. 204 — il curatore introduce una breve nota per chiarire i criteri della raccolta, tracciando anche il piano dei prossimi volumi. Gl Scritti filosofici raccolgono per ora i saggi più rilevanti, e “originali”, dell’a., dispersi in atti accademici e riviste non facilmente reperibili. L’elenco dei saggi spaventiani, introdotto dal filosofo nella raccolta del 1867 [cfr. n. 77] costituì per G., oltre che una guida per la ricerca, un criterio di scelta (G. rispetta l’esclusione dalla ristampa degli Studi sopra la filosofia di Hegel, e dei Frammenti del 1852); e un criterio, infine, per l'ordinamento degli scritti. 97. Principi di etica, Napoli 1904, pp. XXIII-181. Ristampa degli Studi sull’etica hegeliana (80 = Opere, I, pp. 595 sgg.). Alle pp. 173-181, G. inserisce due brani tolti dai Principi di filosofia [76]: dalle pp. 94-97 (Concetto della filosofia. Relazione della filosofia con l’esperienza); dalle pp. 65-75 (Il processo dell’autocoscienza riconoscitiva). Nella prefazione (ristampata in G. Gentile, Saggi critici, serie prima, Napoli 1921, pp. 141-158), dopo aver difeso lo stile e il linguaggio filosofico di S., G. si sofferma su due punti di qualche importanza; il rapporto tra diritto e moralità in Hegel (e in S.), il concetto e la collocazione del “sopramondo” (arte, religione, filosofia) nel sistema. Particolarmente interessante l’intervento sulla prima questione: la precedenza — ideale — del diritto (del diritto “astratto”, che non va confuso col diritto positivo, col diritto come legge) rispetto alla morale, come suo elemento costitutivo, non autorizza l’identificazione della dottrina hegeliana con quella “associazionistica”, che fa del sentimento del dovere un semplice effetto della sanzione. La discussione di questo punto consente a G. di toccare la questione dello “stato etico”, e di respingere l’interpretazione secondo la quale Hegel fa dipendere la morale dallo stato. È lo stato, anzi, che si fonda sulla morale; “né può dirsi, che Hegel torni col suo ideale dello stato al concetto pagano, per cui l’uomo esisteva per lo stato, e non lo stato per l’uomo... [perché] uomo e stato sono unu et idem” (p. XIX = Opere, I, p. 607). G. risponde così, senza nominare l’autore, a un rilievo di F. Masci (“Kant aveva considerato lo stato come mezzo, Hegel lo concepì come fine. Retrocesse così fino al concetto pagano, che l’uomo esiste per lo stato, non lo stato per l’uomo...”: La libertà nel diritto e nella storia secondo Kant e Hegel, Napoli 1903, p. 43). 98. Da Socrate a Hegel, nuovi saggi di critica filosofica, Bari 1905, pp. XVI-430. Ristampa (cfr. ora Opere, II, pp. 1-104) degli scritti ordinati in questa bibliografia con i nn. 62, 53, 82, 61, 37, 40, 51, 17, 59, 29, 41, 48, 56, 83. La prefazione di G. (ripubblicata in G.G., Saggi critici, serie prima, Napoli 1921, pp. 167-175) spiega, in primo luogo, il sottotitolo (“nuovi saggi”): la raccolta viene presentata come “compimento” del “disegno dell’autore”, parzialmente realizzato con i Saggi del 1867 [77]. Un volume a sé costituiranno gli articoli ristampati poi sotto il titolo La politica dei gesuiti [101]; altri scritti (le False accuse contro l’hegelismo, 11) non sono stati ancora rintracciati dal curatore; G. dà notizia, infine, della scoperta dello studio Sulla quantità [I]. Non era prevista da S. la ristampa de La filosofia neocristiana e il razionalismo in Alemagna, ma il curatore ha voluto includere l’articolo, per il suo pregio intrinseco, e per la diffusione che ebbe in Italia la filosofia del diritto di J. Stahl, criticata qui da S. Concludono la prefazione alcune osservazioni sulla “forma clandestina” che ebbe l’attività letteraria del filosofo, e l'invito a riannodare, attraverso S., il “filo prezioso” della tradizione filosofica italiana; degna di rilievo la proposta — già introdotta, in forma diversa, nel Discorso del 1900 — di un parallelo S. — De Sanctis: “quello che furono per la letteratura i Saggi critici del De Sanctis, furono per la filosofia i Saggi di critica dello Spaventa” (p. XIV = Opere, II, p. 8). Tra le recensioni, va ricordata quella, positiva, di M. Losacco (Pagine sparse di B. S., “Fanfulla della domenica”, 20 maggio 1906; poi in M. L., Educazione e pensiero, Pistoia 1911, pp. 195-201), che sottolinea l’importanza degli articoli sulle psicopatie (de La frlosofia neocristiana e il razionalismo inAlemagna e di altri scritti spaventiani dedicati a Schelling discorre M. Losacco nella rassegna: La filosofia dello Schelling in Italia, in “La cultura contemporanea” [Roma], V, 1913, pp. 198-212; cfr. in particolare pp. 208-210). Una stroncatura di Giuliano il Sofista [= Giuseppe Prezzolini], in “Leonardo”, III (1905), ottobre-dicembre, pp. 204-209, denuncia il “profondo e fondamentale misticismo, accompagnato da forme teologiche e da espressioni religiose”, della dottrina di Hegel e di Spaventa. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, nuova edizione con note e appendice di documenti, Bari 1908, pp. XXII-307; terza edizione, Bari 1926, pp. XXIII-307. Ristampa, con il titolo cambiato dal curatore “in quello più determinato che era suggerito dallo stesso argomento del libro”, della Prolusione e introduzione del 1861-62 (68 = Opere, II, pp. 405-719); con l’aggiunta, in appendice, delle lettere (anch’esse del 1861-62) tratte dal carteggio tra Silvio e Bertrando S., e già pubblicate da G. nel 1901 [127]. La prefazione di G. (ristampata con il titolo La filosofia italiana e B.S. in G. G., Saggi critici, serie seconda, Firenze 1927, pp. 197-208) è particolarmente importante, per due motivi. Primo, perché G. ribadisce la continuità tra il programma spaventiano del1862 e il compito attuale della filosofia (sua giustificazione come “sapere assoluto”). La ricostruzione dei momenti attraverso i quali S. conquistò per sé, in queste lezioni, l’unità del punto di vista storico e del punto di vista scientifico (“il libro pare una polemica, ed è una ricerca; pare una mera storia, ed è una fenomenologia dello spirito, cioè vera e propria filosofia”) introduce G. alla discussione (allargata attraverso un rinvio esplicito allo scritto del 1907 I/ circolo della filosofia e della storia della filosofia) del secondo punto: identità di filosofia e storia della filosofia (grande storico è chi realizza, come S., la legge dell’identità di filosofia e storia della filosofia), identità e distinzione di storia delle idee e storia biografica, di storia delle idee e storia della civiltà. Se una riserva si può avanzare contro questa “storia” di S., essa riguarda la denuncia della responsabilità della chiesa cattolica, che avrebbe impedito il libero sviluppo del pensiero italiano del Rinascimento, e determinato il “vuoto” tra Campanella e Vico, tra Vico e Galluppi. Ma la prospettiva storiografica di S. resta, agli occhi di G., salda e valida tuttora. L’edizione del 1926 si avvale di un accurato raffronto con il testo del 1862 e scioglie e rende espliciti molti riferimenti di S. ai filosofi del Rinascimento. Tra le edizioni scolastiche della Filosofia italiana, va ricordata, in primo luogo, quella curata dallo stesso Gentile per la casa editrice Sansoni, Firenze 1937; poi un'edizione a cura di G. Tarozzi, Torino 1937; una a cura di E. Vigorita, Napoli 1938; una a cura di G. Ponzano, Padova 1941; e quella più recente curata da B. Widmar, Roma 1955. 100. Due frammenti di uno scritto inedito di B. Spaventa contro il positivismo (I. La relatività della conoscenza secondo E. Littré; II. La smaterializzazione del cervello), in “La Critica”, VII (1909), pp. 479-484; VII (1910), pp. 67-73. Si tratta di due frammenti dell’Introduzione alla critica della psicologia empirica, pubblicata per intero nel 1915 [105]. La politica dei gesuiti nel secolo XVI e nel XIX. Polemica con la “Civiltà cattolica” (1814-T1), Milano- Roma-Napoli 1911, pp. XXXIV-312. Sono ripubblicati qui, nell’ordine, gli articoli e le recensioni contrassegnate in questa bibliografia con i nn. 20, 24,31, 45, 47, 49; 50,52, 28, 23,25, 21,,33,34; 38(ctr. Opere, II, pp. 721-1020). Molto importante la prefazione (si può leggere anche in G. G,, Saggi critici, serie seconda, Firenze 1927, pp. 173- 196, dov'è ristampata con il titolo Gt scritti politici di B. S.) anche come documento della presa di posizione di Gentile, in questi anni, sulla questione dei rapporti tra lo stato e la chiesa. La prefazione si può dividere in due parti. La prima contiene una analisi delle opposte ragioni che si scontrano nelle polemiche sulla separazione della chiesa dallo stato, in Piemonte, nel decennio di preparazione. Sono due logiche che si oppongono; quella dei gesuiti, più stringente, ma 2456 formale (la logica “della morte”), e quella della politica di Cavour, la logica “della vita”, una logica forse “zoppicante”, ma conforme alla realtà, che “non è così impeccabilmente logica, come la vorrebbe la logica dei gesuiti; e si contenta, anzi vive di contraddizioni che è atta essa stessa a risolvere” (p. XI = Opere, II, p. 727). La vera religione dello Statuto era quella consentita dalla eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la religione dello stato “che non riconosce se non se stesso, e nel cittadino non vuole se non il cittadino: la religione immanente al luogo della cattolica apostolica romana” (p. XII = Opere, II, p. 728). Nella seconda parte, G. chiarisce le occasioni delle polemiche di S., ricostruisce il programma del “Cimento”, traccia un profilo dei suoi collaboratori, e riconosce a S. un gran merito: “B. S. con la sua filosofia diede alla politica cavouriana la coscienza della logica che vi era immanente: che non era propriamente la logica della separazione della chiesa dallo stato, ma della negazione (e conservazione) della chiesa nello stato” (pp. XXIX sg. = Opere, II, p. 742). La fede nella immanenza del divino in tutte le forme della vita, e quindi nello stato, in quanto tale, consentì a S. di muovere, fin dal 1854-55, “in soccorso della politica emancipatrice dello stato”; la lotta non ebbe allora pieno successo, ma dagli scritti di S. è possibile trarre ancora serie indicazioni. “E poiché la lotta non è terminata e c’è sempre una chiesa, in Italia, contro lo stato, e questo ha sempre bisogno di acquistare la coscienza distinta della propria laicità, che è la infinità stessa, di cui parlava lo Spaventa, quel che la sua opera politica non ottenne nel decennio, l’otterrà senza dubbio, senza fretta, lungo il cammino della nostra democrazia nella libertà” (p. XXXII = Opere, II p. 744). Da La politica dei gesuiti edita da Gentile dipendono due edizioni più recenti di questi articoli di S.: la scelta a cura di 2457 F. Fergnani (B. S., Polemiche coi gesuiti, Milano 1951; cfr. n. 249), e quella curata da F. Alderisio (B. S., Lo stato moderno e la libertà di insegnamento, Firenze 1962 [cfr. n. 272]). Agli studi di S. sulle dottrine dei gesuiti, anticipatori, nel secolo XVI, di Rousseau e della sovranità popolare, si riferisce in più luoghi G. Saitta, La scolastica del secolo XVI e la politica dei gesuiti, Torino 1911, pp. XI-311, soprattutto nella seconda parte (pp. 113 sgg.), in cui sono esaminate le dottrine di Suàrez, Bellarmino, Mariana. Va segnalato infine un articolo pubblicato sull’ “Avvenire d’Italia” del 28 febbraio 1935 (I/ domina dell’immacolata e B.S.) che contiene un aspro attacco contro il filosofo (ma anche grossolani errori a proposito del testo spaventiano; cfr. La leggenda dell’idealismo, “Giornale critico della filosofia italiana”, XVI, 1935, pp. 426 sg... 102. Logica e metafisica, nuova edizione con l’aggiunta di parti inedite, Bari 1911, pp. XI-456. Ristampa dei Principi di filosofia (76 = Opere, III, pp. 1- 429) con l’aggiunta dell’ultima parte, rimasta fin qui inedita. Maturi — che ebbe modo di ascoltare più volte, tra il 1862 e il 1869, il corso di logica di S. — fornì a G. una copia dell'intero testo spaventiano. “Così abbiamo finalmente in Italia una esposizione completa di questa logica, e una esposizione magistrale, che viene incontro al bisogno sempre più vivo e sempre più largamente sentito, di essere guidati a penetrare nel segreto processo di questa nuova intuizione del mondo (ancora da conquistare nella sua integrità), che è risoluzione assoluta della natura nello spirito, della realtà nella sua coscienza, dell'esperienza nella logica pura” (p. X = Opere, III, p. 6). 2458 Gentile ha curato anche una edizione scolastica di Logsca e metafisica, Firenze 1933; un’altra edizione per le scuole è quella a cura di E. Vigorita, Torino 1940. 103. Frammento inedito, in G. GENTILE, La riforma della dialettica begeliana, Messina 1913, pp. 45-71; ora in G. G., Opere, a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici, vol. XXVII, pp. 40-65. Il frammento, come ha stabilito Gentile, risale al 1880- 1881. Riprende, e conclude — anche attraverso riferimenti polemici alla Logigue de Hegel di A. Vera — la discussione sulle Prizze categorie, del 1863-64 [70], correggendo la prima interpretazione o “riforma” della dialettica hegeliana (“prima non appariva bene che il pensare è, per dir così, l’essere stesso dell’essere; appariva quasi come una funzione meramente soggettiva”, Opere, XXVII, p. 63) e richiamando nel discorso altri studi (più recenti, come lo scritto sulle psicopatie [83], pp. 52 sg., e La legge del più forte [85], p. 53; ma anche l’analisi della distinzione giobertiana di riflessione psicologica e riflessione ontologica, pp. 54 sgg). Il testo spaventiano (ora in Opere, III, pp. 431-462) è stato pubblicato da G. in appendice al primo scritto (La riforma della dialettica hegeliana e B. S., con appendice; porta la data: 1912) della raccolta, che da quel famoso studio prese il titolo generale; e viene presentato come il documento che giustifica lo schema di derivazione: Hegel- Spaventa-Gentile. Il frammento presenta una impostazione del problema della dialettica hegeliana molto prossima alla soluzione attualistica (anche nella espressione verbale: “In altri termini, lo spettatore è anco attore. O, come dice Hegel in generale: la categoria non è soltanto essenza o semplice unità dell'ente, ma è tale unità solo in quanto è attualità 2459 mentale. E attualità vuoi dire atto: l’essere è essenzialmente atto del pensare”, pp. 47 sg.; cfr. pp. 55, 60 sg.); nei paragrafi settimo e ottavo del suo studio, G. ripercorre l’intero sviluppo della riflessione di S. sull’argomento, dallo scritto del 1863-64 (dove la soluzione del filosofo sarebbe identica a quella di Fischer) alla risposta a Teichmiiller [93], e, finalmente, a questo inedito che, pur vicino all’attualismo, è gravato ancora da oscurità (cfr. p. 39: “Ebbe lo Spaventa consapevolezza della portata di questa sua scoperta? L’oscurità stessa della sua esposizione fa pensare di no...”). 104. La materia della sensazione, Palermo 1913, pp. 16. È un breve frammento dell’Introdugione 4/la critica della psicologia empirica [105], pubblicato in un opuscolo nuziale. 105. Introduzione alla critica della psicologia empirica, estratto dagli “Annali delle Università toscane”, Pisa 1915, pp. VI-98. È il testo - completo — di un manoscritto che, secondo G., fu composto da S. nell’estate del 1881: come primo abbozzo di Esperienza e metafisica [94], e come sviluppo delle indagini già avviate nella memoria Kant e l’empirismo [88]. Gentile ne aveva già pubblicati alcuni frammenti nel 1909-10 [100] e nel 1913 [104]. Interessante il giudizio di G. su questa — pur non completamente svolta — critica dell’empirismo; nella quale è documentabile l'accostamento dell’a. “alla concezione del formalismo assoluto, ossia dell’impossibilità di postulare una materia fuori dell’atto o forma del conoscere” e quindi l'intenzione sua di “risolvere... la matura, l’antico presupposto dello spirito, nell’atto spirituale... Così gli 2460 ultimi capitoli di questi frammenti cessano evidentemente di essere una polemica, e mostrano come per necessità la psicologia empirica, attraverso la teoria della conoscenza, vada a finire nella metafisica dell'anima come atto” (p. VI; cfr. ora Opere, II, pp. 463-589, e, per il luogo cit. della presentazione di Gentile, p. 469). 106. L’anima e l'organismo, in “Giornale critico della filosofia italiana”, I (1920), pp. 312-321. È il testo delle prime lezioni di un corso di antropologia, tenuto da S. nell’anno 1863-64. Per  l’esposizione dell’antropologia hegeliana — riferisce Gentile — S. teneva conto anche di sviluppi posteriori della dottrina; in particolare della Psychologie dell’hegeliano J. Schaller. Cfr. n. 115 e v. Opere, III, pp. 591-608. 107. False accuse contro l’begelismo, in “La Critica”, XVIII (1920), Pp. 246-253, 312-320. Ristampa dei due articoli ordinati in questa bibliografia con il n. 11. Nella breve introduzione, Gentile pubblica anche una lettera di S. a Eugenio Camerini, dell’11 febbraio 1860; lettera che ha consentito di rintracciare questi articoli nel quotidiano torinese “Il Progresso” (cfr. ora Opere, III, pp. 609-637). 108. La libertà d'insegnamento. Una polemica di settant'anni fa, Firenze 1920, pp. 187. Alle pp. 41-131 sono ristampati (e in Opere, III, pp. 673- 763) gli articoli ordinati in questa bibliografia con il n. lo. Nell’appendice, pp. 135-138, si può leggere l’articolo già 2461 indicato qui con il n. 9; altri documenti della polemica, in gran parte articoli di Domenico Berti, apparsi sui giornali “La Croce di Savoia” e “Il Risorgimento”, sono ristampati alle pp. 139 sgg. I documenti essenziali che servono a ricostruire le polemiche sulla libertà di insegnamento in Italia, dal 1840 fino a questi interventi di S. (1851), sono raccolti e illustrati nell'ampia prefazione di Gentile (pp. 7-40 = Opere, III, pp. 641-672), il quale dà anche importanti notizie sul programma e sui col-laboratori del giornale torinese “Il Progresso”. Una edizione più recente dei tredici articoli sulla libertà di insegnamento ha curato nel 1962 F. Alderisio [272]. 109. Pensieri sull’insegnamento della filosofia e lettere inedite, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI (1925), pp. 91-105. Ristampa (pp. 91-99) dell’articolo ordinato in questa bibliografia col n. 2. Seguono (pp. 99 sgg.) sei lettere o frammenti di lettere di S. a De Meis (cfr. n. 126 e Opere, III, pp. 831-855). D. SCRITTI PUBBLICATI DA ALTRI AUTORI 110. Una prolusione inedita di Bertrando Spaventa a un corso di diritto pubblico, a cura di A. Guzzo, in “Giornale critico della filosofia italiana”, V (1924), pp. 280-296. È il testo della prolusione di Modena del 25 novembre 1859. Alle pp. 293-296 è riprodotto uno schema delle lezioni modenesi, tratto da un altro manoscritto di S. Cfr. n. 122, 2462 111. Lezioni inedite di B. Spaventa, a cura di A. Guzzo, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI (19295), pp. 198-222, 291-295, 360-369. Il primo gruppo di questi inediti (pp. 198-222, 291-295) è costituito dagli appunti — di mano “di uno o più scolari modenesi” — relativi a cinque lezioni sulla filosofia greca dettate da S. per la parte storica del suo corso del 1859-60 (v. lo schema pubblicato da Guzzo nel 1924: cfr. n. precedente). Il secondo gruppo (pp. 360-369) raccoglie gli abbozzi, di mano dello S., di tre lezioni tenute nell'università di Bologna il 10 maggio e il 16 dicembre 1860, e 11 marzo 1861. 112. Rinascimento, Riforma, Controriforma e altri saggi critici, Venezia 1928, pp. 363. Ristampa dei Saggi di critica del 1867 [77] nella collana “Storici antichi e moderni” della Nuova Italia} con l’aggiunta di un indice dei nomi. 113. Uno scritto inedito di Bertrando Spaventa sul problema della cognizione e in generale dello spirito (1858), a cura di F. ALDERISIO, in “Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche”, serie VI, vol. IX, fasc. 7-10, luglio- ottobre 1933, pp. 564-667. . Alderisio descrive e commenta (pp. 564-583) l'importante inedito da lui scoperto in una delle buste dei manoscritti di S. conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, identificandolo con l’abbozzo in “parentesi” scritto 2463 tra il gennaio e il marzo del 1858, di cui S. dà notizia al fratello Silvio in una lettera dell’8 febbraio dello stesso anno (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861 [125], 19232, pp. 248 sgg.). Una più recente edizione dell’inedito a cura dello stesso Alderisio è: B.S., Sul problema della cognizione e in generale dello spirito, Torino 1958, pp. XLIII-156 [cfr. n. 266]. 114. Rime satiriche di B. Spaventa sul connubio Sella- Nicotera, in “Rinascita”, XI (1954), p. 32. Queste “rime” sono conservate nel fondo Spaventa della Società napoletana di storia patria. 115. E. GARIN, Felice Tocco alla scuola di Bertrando Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXXIV (1955), PP. 489-495. Si tratta di alcuni estratti di F. Tocco, relativi a lezioni sulla filosofia della natura di Hegel, tenute da S. nel 1863 (i primi appunti sono del 1° gennaio). E. Garin, nel pubblicare questi estratti da lui scoperti, discute anche dei rapporti di Tocco con il maestro. Gli estratti sono stati poi ripubblicati in E. Garin, La cultura italiana tra ‘800 e ‘900, Bari 1962, pp. 67-76. Cfr. anche n. 106. . Un “pamphlet” antidemocratico inedito di Bertrando Spaventa (1880), a cura di P. C. MASINI, in “Rivista storica del socialismo”, II (1959), pp. 304-326. Alle pp. 316-326 è riprodotto — con l’aggiunta di note 2464 esplicative — il testo di un pamphlet scritto da S. nell’agosto 1880 contro Pietro Siciliani; è intitolato: Le conferenze pedagogiche a Firenze. Lettera a Fanfulla di Minchione Chiappanuvole maestro elementare inferiore a Peretola. L’opuscolo, già pronto per la stampa, come risulta dalle bozze corrette rinvenute (insieme al manoscritto originale) nella Biblioteca comunale “Angelo Mai” di Bergamo, doveva essere pubblicato anonimo; rimase inedito per una “indiscrezione dello stampatore’, come attesta una dichiarazione sul frontespizio del figlio di S., Camillo. Presentando il testo spaventiano, che contiene aspre invettive non solo contro Siciliani, ma anche contro De Sanctis, P. C. Masini propone un riesame della collocazione politica di S., “difensore del vecchio ordine culturale e politico di stampo moderat”. Il pamphlet contribuirebbe a rivedere la proposta della “linea” S.-Labriola-Gramsci, lanciata a partire dal 1952, e a smentire il rilievo di una evoluzione dell’ultimo S. verso il positivismo o il materialismo (cfr. in particolare le pp. 310-314). La scoperta dell’opuscolo del 1880 è il frutto di una esplorazione delle carte spaventiane conservate presso la Biblioteca comunale di Bergamo; alle pp. 304-310 sono riportate notizie su manoscritti editi e inediti del filosofo, dei quali M. fornisce un primo inventario. V. su questo l’introduzione premessa a questa bibliografia, pp. 863 sg. Sul lavoro di M. cfr. E. Garin, Un ‘pamphlet’ antidemocratico inedito di B. Spaventa, “Giornale critico della filosofia italiana”, XXXVII (1959), pp. 572-574. Discutendo del testo di S. e della interpretazione di M., Garin rende noto l’annuncio di una traduzione spaventiana dell’opera di L. Stein, Der Socialismus und Communismus 2465 des heutigen Frankreichs, diffuso nel 1850 da una “Stamperia degli artisti tipografi” di Torino [cfr. n. 3]. Interessanti anche i rilievi di Garin sui rapporti di S. con i positivisti (in particolare con P. Siciliani). 117. Il lavoro e le macchine, a cura di D. D'ORSI, in “Sophia”, XXXI (1963), n. 3-4, pp. 254-259; e in “Dialoghi”, XI (1963), n. 3-5, pp. 191-197. Cfr. n. 123. 118. Rivoluzione e utopia, a cura di I CUBEDDU, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 66-93. Ristampa di dieci articoli, pubblicati nel 1851 nel giornale “Il Progresso” di Torino, e elencati in questa bibliografia con i nn. 5, 12, 14. Cfr. n. 275. 119. L'essenza metempirica del filosofare, a cura di D. D’ORSI, in “Dialoghi”, XII (1964), n. 1-3 (gennaio- ), pp. 39-50. Cfr. n. 123. 120. II Socialismo e il Comunismo in Francia — supplemento alla storia del secolo per L. Stein Professore in Kiel. Prima versione dall'originale tedesco di Bertrando Spaventa, a cura di S. LANDUCCI, in “Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinell”, VI (1963), Milano 1964, pp. 693-695. Ristampa del n. 3 di questa bibliografia. Cfr. n. 282. 121. Uno scritto ignorato e una lettera inedita di B. 2466 Spaventa, a cura di D. D’ORSI, in “Rivista abruzzese” [Lanciano], XVIII (1965), n. I, pp. 4-19. Contiene: un annuncio della traduzione di Stein [3], e una lettera di S. a P. Villari del 14 ottobre 1850 [cfr. 123, 141]. 122. Della libertà e nazionalità dei popoli, a cura di D. D’ORSI, in “Rivista abruzzese” [Lanciano], XVIII (1965), n. 3, pp. 97-114; n. 4, pp. 144-152. Edizione critica della prolusione di Modena (cfr. 110). 123. Scritti inediti e rari (1840-1880, con prefazione e note a cura di D. D’ORSI, Padova 1966, pp. XVI-590. Questa raccolta di testi editi e inediti di S. si divide in tre parti, più un’appendice di documenti. La prima parte (Scritti rari o ignorati o inediti, pp. 1-88) comprende la ristampa dello scritto Su/la quantità [1], un annuncio della traduzione dell’opera di Stein sul socialismo e il comunismo in Francia (3; pubblicato dal D’Orsi anche nella “Rivista abruzzese”, 1965 [cfr. n. 121]), il frammento I/ lavoro e le macchine (già pubblicato dal curatore nel 1963; cfr. n. 117), scritto nel 1851 sotto lo stimolo della lettura di Stein (v. p. 34), l'articolo su Schelling del 1854 [22], e finalmente un articolo sul teatro drammatico apparso anonimo nel “Cimento” [43] e qui attribuito a S. Nella seconda parte (pp. 89-178) sono raccolti tre scritti filosofici inediti: una Fenomenologia del 1865 (pp. 101-152; pubblicata contemporaneamente in “Sophia”, 1965, pp. 349-366, 1966, pp. 344-368; e v. sopra, p. 864), uno scritto del 1880, Esperienza e coscienza (pp. 157-162), e uno del dicembre 2467 dello stesso anno, L'essenza metempirica del filosofare (pp. 169-178), tratti entrambi dalle carte Spaventa della Biblioteca Nazionale di Napoli (le prefazioni del curatore a questi tre inediti erano state già pubblicate nel 1965 [285], il testo dell’ultimo inedito nel 1964 [119]). La parte terza (Scritti polemici ignorati e rari, pp. 179-489) raccoglie: due articoli pubblicati nel “Cimento”, del 1855 [cfr. nn. 35, 39], e i ventinove articoli della serie I Sabbati dei gesuiti, pubblicati nel “Piemonte” [cfr. n. 28]. Nell’appendice (pp. 491 sgg.) sono riportate trentasette lettere di S. [cfr. n. 141]. Delle singole prefazioni ai testi spaventiani, è da vedere in particolare quella dedicata alla Ferorzerologia del 1865 (pp. 93-100), un testo che, secondo D’Orsi, “finirà col modificare il tradizionale canone esegetico, invalso dal Gentile, secondo cui la lettura dell’ultimo Gioberti avrebbe indotto lo Spaventa a mutare o estinguere i suoi più radicati e appassionati interessi per la Ferorzenologia di Hegel e per le conseguenti interpretazioni via via formulate dagli esegeti tedeschi della destra hegeliana” (p. 95; sull'importanza che il curatore attribuisce al testo spaventiano, cfr. anche pp. 99 sg.). Nella prefazione generale alla raccolta, D’Orsi anticipa le linee di una sua lettura di S., molto distante dalle interpretazioni più recenti, e dalla stessa interpretazione di Gentile (si può qui segnalare l'utilizzazione di testi spaventiani nel volume di D’Orsi Lo spirito come atto puro in Giovanni Gentile, Padova 1957). Il curatore intende rivalutare una fondamentale dimensione “spiritualistica” del pensiero di S., il quale risulterebbe, nell'intero arco della sua attività, un “moderato”, sia in politica che in filosofia. Nelle polemiche contro i gesuiti, S. combatte le “esagerazioni pratiche” dell’ortodossia (dommatismo, fanatismo), non il principio cattolico (p. XII sg.); la suapolemicapuòdefinirsi “anticlericale”, ma “non antireligiosa o, peggio, ateistica” (p. 2468 XIV; per i Sabbati, cfr. p. 208: essi “stimolano la riflessione sui problemi della Politica e della Religione e assicurano come un duplice antidoto agli opposti inconvenienti della fragile fede e dell’intransi genza dommatica”; cfr. inoltre la prefazione alla terza parte della raccolta, pp. 181 sgg.). Nella prefazione a I/ lavoro e le macchine, pp. 33 sg., dichiarando la dipendenza dello scritto dall’opera di Stein, D’Orsi parla di un “chiaro atteggiamento etico-politico che, per equilibrio e serietà d’indagine, può ritenersi, nell’ambito della vexatissima questione sociale, ‘una voce di ragione tra tante grida”” (con questo titolo apparvero sul “Lucifero” di Napoli, nell’aprile-maggio 1848, alcuni articoli firmati con la sigla: Sp., che il D’Orsi attribuisce senz’altro a S.; sul “Lucifero”, giornale moderato e giobertiano prima del 15 maggio 1848, e, in seguito, conservatore, cfr. A. Zazo, I/ giornalismo politico napoletano nel 1848-9, “Archivio storico delle province napoletane”, XXXI [1947-1949], pp. 252, 289). D’Orsi rende nota (p. XVI) la sua intenzione di portare a compimento una edizione critica di tutte le opere, edite e inedite, di S., a cui seguirà la pubblicazione di una monografia sul filosofo napoletano. A p. 88 n. è annunciata intanto la prossima pubblicazione di un volume che raccoglie le Lezioni inedite di Filosofia del diritto (1859- 1860). Su questi Scritti inediti e rari curati dal D’Orsi, cfr. P. Piovani in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLVI (1967), pp. 160-161. 124. Un articolo inedito di B. Spaventa circa l’unità organica della filosofia di Bruno e circa l’attinenza di questa con la filosofia di Spinoa, a cura di F. ALDERISIO, in 2469 “Giornale critico della filosofia italiana”, XLV (1966), pp. 218-225. Alle pp. 222-224 è riprodotto il testo fin qui inedito dell’ “avvertenza” di S. a un suo articolo su Giordano Bruno, mai pubblicato. Il manoscritto dell'articolo non è stato rintracciato. Secondo A., 1’ “avvertenza” è del 1870-1872; insieme all’articolo, avrebbe costituito l’ultimo lavoro di S. dedicato a Bruno, scritto, probabilmente, per il “Giornale napoletano di filosofia e lettere”. E. CARTEGGIO 125. S. SPAVENTA, Dal 1848 al 1861. Lettere scritti documenti pubblicati da B. CROCE, Napoli 1898, pp. TX-314:; Bari 1923?, pp. XII-373. I rinvii alle pagine si riferiscono alla seconda edizione. Fondamentale raccolta di materiali — lettere, articoli, frammenti di studi ecc. — che illuminano le vicende personali e la biografia politica e intellettuale dei fratelli S. I documenti sono collegati da brevi narrazioni, chiarimenti e giudizi di Croce, che spesso riguardano da vicino anche B. S. Una aggiunta all’avvertenza del curatore nella seconda edizione — notevolmente accresciuta — porta la data: agosto 1917, Di B. S. sono riprodotte nel volume: quarantadue lettere al fratello, la prima del 22 dicembre 1847, l’ultima del 16 dicembre 1861 (p. 361, nota 2); una lettera al ministro sardo Cristoforo Mameli, del 1850 (p. 76 sg., n. 3); una lettera a Mamiani del 15 settembre 1854 (p. 210 sg., n. 2); una lettera al padre del26maggio1859 (p. 298 sg.); due lettere alla moglie, dell’8 e 10 novembre 1860 (p. 356 sg.). A p.5, n. I, 2470 si legge un brano di una “confessione” del filosofo (1876), a proposito della sua ordinazione sacerdotale. Le lettere di Silvio al fratello sono più di ottanta, e vanno dal 30 settembre 1849 al 28 ottobre 1860. Si segnalano in particolare le lettere “filosofiche” (sul pensiero italiano del Rinascimento, su Rosmini, Gioberti, sulla Ferorzenologia di Hegel, ecc.) che i fratelli si scambiarono tra il 1854 e il 1858 pp. 176-188, 202-215, 231-268). La raccolta comprende anche: una lettera di P. Villari a B. S., dell’ottobre 1850 (p. 77 sg., nota); due lettere allo stesso di Antonio Ciccone (11 luglio e 28 [?] luglio 1860, pp. 342 sg., 347); due lettere a B. S. di A. C. De Meis, del 23 luglio e del 10 novembre 1860, pp. 346 sg., 355 sg. Francesco D’Ovidio presentò il libro di Croce all Accademia di scienze morali e politiche di Napoli il 26 giugno 1898, con un discorso che è ristampato alle pp. 86- 96 della raccolta intitolata: Rirzpianti, Milano-Palermo- Napoli 1903, pp. XVI-464. Dal discorso di D’Ovidio si può ricavare qualche aneddoto o qualche coloritura diversa di notizie riguardanti la biografia di B., oltre che di Silvio, e i rapporti tra i due fratelli. Ma sul libro di D’Ovidio v. B. Croce, “La Critica”, I (1903), pp. 218-223. 126. Lettere di A. Camillo De Meis a B. Spaventa, pubblicate da G. GENTILE, Napoli 1901, pp. 32. Quattro lettere, del 9 febbraio e 4 giugno 1868, del 22 gennaio e 6 aprile 1869. Ristampate in G. Gentile, A/bori della nuova Italia, varietà e documenti, parte seconda, Lanciano 1923, pp. 145-167. 127. G. GENTILE, Per la storia aneddota della filosofia italiana nel secolo XIX, in Raccolta di studi critici dedicati 2471 a A. D'Ancona, Firenze 1901, pp. 335-358. Quattordici lettere del 1861-62, tratte dal carteggio dei fratelli S. Le lettere di B. sono undici: del 27 novembre, dell’8, 17 e 28 dicembre 1861, dell’8, lo, 21, 22 febbraio, del 22 marzo, del 16 giugno e I luglio 1862. Vedile anche ristampate in appendice a B. S., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea (99; e in Opere, II, pp. 679-719). Cfr. anche n. 139. 128. Documenti inediti sull’hegelismo napoletano. (Dal carteggio di Bertrando Spaventa), a cura di B. CROCE, in “Ia Critica”, IV (1906), pp. 223-240. Lettere a S. — corredate di notizie e schiarimenti — di F. Hoffmann (12 ottobre 1865: tentativo di promuovere in Italia la divulgazione della filosofia di F. v. Baader), di A. Angiulli (15 dicembre 1862), di H. F. Amiel (24 aprile 1868), di K. L. Michelet (6 agosto 1870), di A. Labriola (1875), di R. Hamerling (19 ottobre 1877), di T. v. Varnbiiler (17 maggio 1879), di G. Teichmiller (9 agosto 1882). 129. Documenti inediti sull’hegelismo napoletano. (Dal carteggio di Bertrando Spaventa), a cura di G. GENTILE, in “La Critica”, IV (1906), PP. 397-410, 483-496. Nella prima parte, una lettera a S. di F. del Zio (30 giugno 1861), lettere e brani di lettere allo stesso di M. Florenzi Waddington, una lettera di S. a De Meis del 13 luglio 1880. Nella seconda parte, lettere e brani di lettere di F. Fiorentino allo S., scritte tra il 1863 e il 1871. Con notizie e 2472 schiarimenti del curatore. I Documenti sono ristampati, con aggiunte, in G. Gentile, Frammenti di storia della filosofia, serie prima, Lanciano 1926, pp. 181-236. 130. B. CROCE, Ricerche e documenti desanctisiani, VII, Dal carteggio inedito di Francesco De Sanctis (5865- 28(9), puntata quarta, pp. 32; IX, Dal carteggio inedito di A. C. De Mess, pp. 36; in “Atti dell’Accademia Pontaniana” di Napoli, XLV(1915). Nel primo fascicolo sono pubblicate, in appendice (pp. 29-32), tre lettere di S. a De Meis, del zo novembre [cfr. n. 133] e del 16 dicembre 1851, del 5 agosto 1855. Nel carteggio inedito di De Meis si leggono (pp. 1-16) dodici lettere di S. allo stesso: del 13 febbraio 1856, dell’11 marzo, 19 e 20 maggio, 13 giugno 1860, del 23 giugno 1868, del 23 febbraio e 3 aprile 1869, del 30 maggio 1870, del lo luglio 1871, del 14 dicembre 1872, del 13 marzo 1874. 131. R. ZAGARIA, Per la biografia di Pasquale Villari, in “La Rassegna” [già “Rassegna bibliografica della letteratura italiana”, fondata da A. D'Ancona], serie III, vol. V, n. 6, dicembre 1920, pp. 333-379. Riporta (pp. 343-355) tredici lettere di Villari a S., le prime dodici scritte tra il 1861 e il 1869, l’ultima del 1881. Cfr. n. 140. 132. G. GENTILE, Bertrando Spaventa, Firenze s. d. [1924], pp. 217. 2473 Cfr. n. 204. Nell’appendice (pp. 181 sgg. = Opere, I, pp. 157 sgg.) sono pubblicate: una lettera di S. a De Meis del 23 febbraio 1856, una lettera di L. Chiala a S. del 4 aprile 1856, due lettere di S. a T. Mamiani (13 luglio e 10 ottobre 1854), due di Mamiani a S. (3 giugno 1852, 12 ottobre 1854). Nel testo: a pp. 55 sg. (= Opere, I, pp. 48 sg.) si legge una lettera di B. al fratello Silvio sull’abolizione delle facoltà di teologia, del io febbraio 1876; a pp. 94 sg., nota 2 (= Opere, I, p. 83) una lettera di De Meis a S. del 2 marzo 1863; alle pp. 162 sgg. (= Opere, I, pp. 140 sgg.) la lettera di S. a De Meis del 13 luglio 1880 [cfr. n. 129], e due lettere di De Ivleis a S.: la prima, s. d., in risposta alla precedente, l’altra del 10 gennaio 1881. Due lettere allo S., di L. Pomba (2 gennaio 1861) e di A. Tari (28 luglio 1861) sono segnalate nella bibliografia, p. 205 (e v. 65). 133. B. S., Pensieri sull’insegnamento della filosofia e lettere inedite, a cura di G. GENTILE, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI (1925), pp. 91-105. Cfr. nn. 2, 109. Alle pp. 99-109, sei lettere o frammenti di lettere di S. a De Meis: del 30 marzo 1850, s. d., del zo novembre 1851 ma cfr. n. 130], del 16 dicembre 1852, del 14 dicembre 1872, del maggio 1880 (= Opere, III, pp. 847-855). 134. S. SPAVENTA, Lettere politiche (1865-1893), edite da G. CASTELLANO, Bari 1926, pp. 185. Continuazione del carteggio pubblicato da B. Croce 2474 [125]. Il nucleo più importante è costituito da circa 140 lettere o brani di lettere di Silvio a B. S., scritte tra il 20 settembre 1861 e il 25 ottobre 1882; contengono interessanti ragguagli e giudizi, oltre che sulle vicende e sugli uomini politici del periodo, su alcuni casi più minuti della vita dei due fratelli (reazioni ai tumulti nell'Università di Napoli, del1862; rapporti col giovane Labriola, nel 1863; ecc.). Sono anche riprodotte dieci lettere di B. S. al fratello: del 13 giugno, del 7 e 25 luglio 1863 (pp. 56 sg.), del 9 aprile e del settembre 1866 (pp. 95 sg., 102 sg., nota), del 2 settembre 1868 (p. 116), del 21 aprile 1869 (p. 120), del 22 dicembre 1873 (p. 128), del 25 maggio e 15 giugno 1874 (pp. 130, 132 sgg.). Interessante la lettera-prefazione (datata: giugno 1925) di B. Croce al curatore, pubblicata anche su “La Critica” (XXIII, 1925, pp. 316 sgg.). Croce dissocia gli ideali politici di Silvio dal “concetto speculativo dello stato” elaborato dal fratello “senza particolare esperienza e intelligenza della materia, estraendo e compendiando la Filosofia del diritto dello Hegel” (p. 7). E intende soprattutto respingere, così, il recente tentativo di “presentare Silvio Spaventa come luomo e il pensatore politico al quale dottrinalmente risalgono la teoria e la pratica del partito ora dominante in Italia” (p.5). 135. A. ROMANO, La vita culturale italiana dopo il 1860 dal car teggio degli hegeliani meridionali, I. Un isolato: Vittorio Imbriani, in “Civiltà moderna”, V (1933), settembre-ottobre, pp. 473-483. Cfr. n. 138. Da un complesso di settantanove tra lettere e biglietti, 2475 scritti dall’Imbriani a S., l'a. sceglie e riproduce brani che contengono notizie sull'ambiente hegeliano tra il 1870 e il 1880. Le lettere riportate vanno dal dicembre 1871 al dicembre 1879. 136. B. CROCE, Voci da un ergastolo politico. Lettere inedite di Silvio Spaventa (1850-1856), in “Quaderni della Critica”, Il (1946), quad. 4, pp. 99-109. Undici lettere di Silvio al fratello, ritrovate fortunosamente dal Croce; integrano la raccolta del 1898, 1923”[.125]; 137. 123 lettere inedite di Antonio Labriola a Bertrando Spaventa, a cura di G. BERTI, in “Rinascita”, X (1953), supplemento al n. 12, pp. 713-736; XI (1954), supplemento al n.,pp.65-87. La prima lettera è del 1870-71, l'ultima del 6 gennaio 1883. Importante l’introduzione del curatore (pp. 713-718): le lettere, che contribuiscono a chiarire i modi e i tempi del passaggio di L. al socialismo, sono la testimonianza di un che corrisponde perfettamente, sul piano delle relazioni personali e private, a un rapporto di “filiazione spirituale”. Gli originali sono conservati nel fondo S. della Biblioteca della Società di storia patria di Napoli. 138. Carteggi di Vittorio Imbriani. Gli hegeliani di , a cura di N. COPPOLA, Roma 1964, pp. 582. Sono pubblicate qui (pp. 34-166) diciotto lettere di S. a V. Imbriani (26 maggio e In novembre 1869, 17 [?], 17 2476 aprile, 27 agosto, 17, 20 e 27 settembre, 7 novembre, 3, 6, 18, 19, 22 e 23 dicembre 1871, I e 6 dicembre 1872, 29 settembre 1878), e settanta circa lettere o biglietti di Imbriani a S., spesso non datati, ma scritti anch'essi a partire dal 1869. Si leggono anche qui, indirizzate allo stesso S., una lettera di F. Tocco, s. d. (p. 99 sg.), una lettera di D. Jaja del 30 novembre 1872 (p. 112 n.), e una di D. Marvasi del 9 gennaio 1875 (p. 143). Le altre lettere indirizzate all’Imbriani sono di Silvio Spaventa, A. Vera, G. B. Passerini, A. C. De Meis, P. Siciliani, F. Tocco, F. Fiorentino, D. Marvasi, A. Tari e F. Toscano. Le lettere qui raccolte fanno parte di un blocco di autografi scoperti da C. nel 1935, e la cui pubblicazione era stata già iniziata in “Accademie e biblioteche d’Italia”, X (1936), n. 5-6, pp. 403-418; XI (1937), nn. 1-2, pp. 79-94, n. 5, pp. 483-494; XIII (1938-1939), n. I, pp. 51-66. Per diversi riferimenti ai fratelli S. cfr. anche Vittorio Imbriani intimo. Lettere familiari e diari inediti, a cura di N. Coppola, Roma 1963, pp. 402. Cfr. n. 135. 139. Lettere inedite di Bertrando a Silvio Spaventa, a cura di V. MASEL-LIS, in “Critica storica”, IV (1965), pp. 691-710. Da un fondo spaventiano conservato presso l’archivio provinciale De Gemmis di Bari sono tratte le dieci lettere qui pubblicate, che portano le date: 25 gennaio, 27 marzo, 21 e 27 settembre 1861, 29 gennaio, 17 marzo, 31 maggio, 28 ottobre 1862, 19 e 31 ottobre 1864. Sono da collegare soprattutto alla raccolta, curata da Gentile, e pubblicata nel 1901 [127]. 2471 140. G. VACCA, Nuove testimoniane sull’hegelismo napoletano, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche della Società nazionale di scienze, lettere e arti inNapoli”, LXXVI (1965), pp. 26-73. La memoria è divisa in due parti. Nella prima (pp. 26-63) sono riprodotte circa cinquanta lettere o brani di lettere — la maggior parte inedite, o pubblicate solo parzialmente da precedenti editori, soprattutto da Croce [125] — di S. al fratello Silvio, scritte tra il 20 aprile 1857 e il 28 giugno 1881. Le lettere contengono giudizi e informazioni politiche, notizie relative alla attività didattica di S. (soprattutto a Modena), ai rapporti del filosofo con P. Villari (v., a pp. 55- 57, tre lettere di Villari a S. del 19 luglio 1861, del 21 marzo 1862, del 21 luglio 1868; e cfr. n. 131), a un intervento di A. Tari in favore di Labriola (v. una lettera di Taxi a S. del 23 luglio 1861, pp. 45 sg. nota 30), ecc. Nella seconda parte del lavoro (pp. 63-73) sono riprodotte lettere o brani o citazioni tratte da lettere a S. di P. Siciliani (7 giugno 1871, 29 aprile 1877), di F. Masci (1876, maggio 1881, 16 aprile 1876), di F. D’Ovidio (1871-72), di B. Labanca (4 febbraio 1872, 23 maggio e 14 giugno 1880, 26 gennaio, 29 marzo e 24 maggio 1881, 29 dicembre 1882), di F. Del Zio (15 aprile 1861). 140 bis. Dodici lettere inedite di Antonio Labriola a Bertrando Spaventa, a cura di G. VACCA, in “Studi storici”, VII (1966), pp. 757-766. Sono lettere scritte tra il 1867 e il 1882, ritrovate nell'Archivio De Gemmis di Bari [cfr. n. X39]. 141. B. S., Scuitti inediti e rari (1840-1880), con 2478 prefazione e note a cura di D. D’ORSI, Padova 1966, pp. XVI-590. Chin: 123; Nell’appendice di documenti (pp. 491-579) sono pubblicate trentasette lettere di S.: a) sedici a P. Villari (12 luglio, 14 ottobre, 1 dicembre 1850, 11 marzo 1851, 5 agosto [1851?], 1 maggio [1852?], 11 febbraio 1853, 23 marzo 1854, aprile 1854 [?], 14 gennaio 1857, ottobre 1857 [2], 28 giugno, 12 e 14 luglio, 2 agosto e 19 novembre 1869); b) una a F. Le Monnier (23 marzo 1854); c) una a E. Camerini [18562]; d) una a A. De Gubernatis (13 febbraio 1865); e) quindici a V. Imbriani (26 maggio, 11 novembre 1869, 17 [marzo?], 17 aprile, 27 agosto, 17, 20 C 27 settembre, 3 ottobre, 6 novembre 1871, 7 novembre [18712], 18 e 19 novembre, 22 C 23 dicembre 1871; alcune date coincidono con quelle di lettere già pubblicate da N. Coppola: cfr. n. 138); f) tre a T. Mamiani (11 novembre 1869, 5 marzo 1870, 15 marzo 1871). A p. 170, n. 6, è riportato un frammento di lettera (1856?) “ad un amico”, del quale non è indicato il nome. 141 bis. G. VACCA, Gli hegeliani di Napoli nella politica e nella scuola. Carteggi, estratto dagli “Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari”, 1966, pp. 91. Le lettere qui pubblicate sono state ritrovate nella biblioteca provinciale De Gemmis di Bari. La raccolta comprende: otto lettere di Bertrando al fratello Silvio, sei del 1850-54, una del 1859, una del 1862; due spezzoni di lettere del filosofo a Labriola, del 1873 e 1874; una lettera dello stesso a D. Tartaglia, del 1861; una lettera di 2479 Bertrando alla moglie, del 17 novembre 1859. Inoltre: lettere allo S. di T. Mamiani, di P. Villari, di F. Selmi, di D. Marvasi, di A. Ciccone, di S. Tommasi, di D. Tartaglia, di A. Labriola [cfr. 140 bis], di P. Acri, di V. Imbriani, di F. Masci, di F. Tocco, di L. Miraglia, di L. Barbera, di P. Siciliani, di F. Fiorentino, di D. Jaja. Infine, lettere di P. Villari a D. Marvasi, di L. Settembrini a Silvio S., di Silvio S. a E. Pessina, di F. Selmi e C. Monzani a Silvio S., di L. Barbera a R. De Cesare, di F. Tocco a F. Fiorentino, di P. DelGiudice a L. Miraglia, di F. Fiorentino a Silvio Spaventa. 142. Trenta lettere inedite di Bertrando Spaventa al fratello Silvio (1850-1861), a cura di G. VACCA, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche della Società nazionale di scienze, lettere e arti in Napoli”, LXXVIII (1967), pp. 327-395. Le lettere qui pubblicate (v. pp. 341 sgg.) sono tratte da copie di mano di Giovanni Beltrani, conservate nella biblioteca comunale Giovanni Bovio di Trani. Vanno dal gennaio 1850 all’aprile 1861; il nucleo più importante è del 1854-56, sicché la raccolta integra soprattutto il carteggio “filosofico” dei fratelli S., noto attraverso l’edizione curata da Croce [125]. Le lettere offrono nuovi dati sull’attività di S. nel periodo torinese, indicazioni sugli studi, su lavori inediti e sull'attività giornalistica del filosofo, e contengono giudizi su avvenimenti e uomini politici. I documenti più interessanti sono analizzati dal curatore alle pp. 332-340; importanti i chiarimenti di Vacca sulla complessa vicenda dell'archivio epistolare del filosofo, venduto dal figlio Camillo e solo in parte recuperato da Croce [cfr. anche 136]. 2480 PARTE SECONDA SCRITTI SU BERTRANDO SPAVENTA 143. P. LUCIANI, Del libro di B. Spaventa intitolato “La filosofia di Gioberti”. Considerazioni, Napoli 1864, pp.21. Non è un’analisi minuziosa del libro di S., né vuole esserlo (p. 44); per affrontarla, l’a. aspetta la pubblicazione del secondo volume. Ma intanto, secondo L., va segnalata subito la minaccia di “intedeschimento”. S. accoglie da Hegel gli strumenti della sua critica e finisce col travisare completamente il pensiero di Gioberti. Non ha capito, soprattutto, il significato e la funzione dell’ “intuito”, perché vuol risolvere tutto nel “soggetto”; sicché gli sfugge il senso delle “formula ideale”, e vede dappertutto contraddizioni. Cfr. n. 147. 144. K. L. MICHELET, Spaventa uber Hegel in der Akademie zu Neapel, in “Der Gedanke” [Berlino], V (1864), fasc. 2, pp. 114 117.Recensione del saggio: Le prime categorie della logica di Hegel [70], condotta sul testo del sunto pubblicato dalla “Rivista napoletana di politica, letteratura e scienze”, novembre-dicembre 1863. Nel corso dell’esposizione M. introduce due rilievi particolari. A_p. 115, afferma che è sbagliato attribuire a Hegel, come fa Trendelenburg (e S. seguendo Trendelenburg), l'intenzione di ricavare l'identità di essere e nulla dalla loro indeterminatezza (l’essere è il nulla = l’indeterminato è l’indeterminato); e rimanda, per questo punto, ad un suo intervento pubblicato nella stessa rivista (III [1862], pp. 207-210). A p. 116 osserva ancora 2481 che Hegel ha già posto in rilievo quella “differenza” nella indeterminatezza o identità di essere e nulla, di cui S. è andato in cerca nel suo saggio. Eccellente sembra tuttavia a M. la confutazione di Trendelenburg fatta da S. (da un “non hegeliano”, p. 117); ma il recensore non capisce a quali rappresentanti della scuola alluda il filosofo napoletano, quando afferma che alcuni hegeliani pretenderebbero che l’essere si muova da sé, senza il pensare. La memoria di S. è giudicata assai acuta, e ingegnosa; se tondo M., S. si muoverebbe, in questa sua interpretazione e apologia di Hegel, verso conclusioni simili a quelle raggiunte da K. F. Solger nei suoi Gespriche tber Sein, Nichtsein und Erkennen. 145. [G. SALVIA], La più bella questione surta non ha guari dalla Università di Napoli, in “Il Campo dei filosofi italiani” [Napoli], I (1864), pp. 202-208, 323-328, 389- 399, 469-477. L’articolo non è firmato, ma il nome dell’autore si ricava dall’intervento successivo di M. Tuddone [cfr. n. 148]. La “più bella questione” è quella della “nazionalità” della filosofia. Le prime pagine (202-208) riproducono i tratti essenziali della prolusione di L. Palmieri del 16 novembre 1861, e una prima parte della prolusione spaventiana Della nazionalità nella filosofia [68]; le pp. 323-328 sono dedicate ancora alla esposizione del discorso di S.; nelle puntate successive, sono svolte le considerazioni dell’a. sulle due prolusioni.Sostenerela“nazionalità”dellafilosofia (come fa Palmieri) è questione di logica o di dialettica? Sembra che non ci possa essere “nazional filosofia” con le regole del ragionare, ma solo con quelle del disputare. L’a. vuole evidentemente salvare le argomentazioni di Palmieri, 2482 correggendole tuttavia e riproponendole sul piano della scienza: “Mi viene dunque in mente di cangiare, se io potessi, l'espediente dialettico in argomentazione scientifica, trovando in certa guisa il passaggio dagli argomenti suoi [= di Palmieri], presi 44 borzinerm, e senza più individuati, agli argomenti che vi corrispondono in uso non pur della logica ma della scienza, che val sicuramente generali” (p. 474). E corregge il discorso di Palmieri distinguendo “tre capi” dell’argomentazione: 1° “impronta” e l' “indole nazionale”, le “tradizioni”, e l “atteggiamento non servile” delle arti e delle scienze. Ora, per quel che ci riguarda, l’ “impronta” e l “indole” sono “cattoliche” entrambe. La “tradizione” è quella antichissima “delle ripruove e delle discussioni” (la tradizione degli eleatici). Quanto all’ “atteggiamento non servile”, che nasce dalla piena adesione della coscienza, anche per questo motivo l’hegelismo non può essere importato tra noi (come può Hegel aver detto in coscienza che l’essere è il nulla, il bene male, e il sì no?). 146. T. STRAETER, Briefe tber die italienische Philosophie, in “Der Gedanke” [Berlino], V (1864), fasc. 4, pp. 263-267; VI (1865), fasc. 1, pp. 71-77, fasc. 2, pp. 123-135, fasc. 3, pp. 153-163, fasc. 4, pp. 230-243. Sono, in tutto, nove lettere scritte da Napoli tra il 5 dicembre 1864 e il 20 luglio 1865. La prima (1864, fasc. 4), offre un ritratto dell'ambiente universitario napoletano (si parla anche di F. Tocco, che disserta in sede di esame sulle prime categorie della logica di Hegel). L’a. esprime la convinzione che la filosofia moderna può trovare nuova vita solo a Napoli; indica poi nella teoria della “circolazione” di S. lo strumento più efficace per eliminare dalla coscienza degli italiani i residui di cattolicesimo medievale, e per 2483 favorire la costruzione di uno stato moderno. La seconda lettera (1865, fasc. 1), tratta del Volksgeist napoletano (avverso per sua natura ad ogni forma di assurda e fantastica trascendenza)eparla della prolusione spaventiana del 1861; si conclude con un ritratto del filosofo: “Er ist dabei eine màachtige, imposante Persònlichkeit, gross und stark gebaut und von jenem phlegmatisch kraftigen Temperament, dem Hegel bekanntlich die gròsste Energie und Griindlichkeit vindicirt” (p. 76). Nella terza, quarta e quinta lettera (1865, fasc. 2), l’a. ritorna ancora sull'ambiente napoletano (Vera, S.-Vera, ecc.), e ricorda la prolusione bolognese di S. È nella terza lettera che Strter introduce un raffronto fra Vera e S. (e Tari), assai fortunato (Gentile lo cita nel Discorso del 1900; Croce lo ricorda nel suo panorama della vita letteraria a Napoli dopo il 1860; ecc.): S. e Tari rappresentano a Napoli quella corrente a cui appartengono in Germania K. Fischer e i suoi scolari, e che si orienta verso una revisione della dialettica hegeliana su basi kantiane; Vera è la copia dignitosa, italo-francese, del “vecchio hegeliano” tedesco, degli “ortodossi” di stretta osservanza (p. 123). La sesta lettera (1869, fasc. 3) riassume la “circolazione” del pensiero italiano, loda il saggio sulle Prime categorie, e espone l’interpretazione spaventiana di Gioberti. Le lettere settima, ottava e nona (1865, fasc. 4), sono dedicate agli scritti di S. su Bruno e Campanella. 147. P. LUCIANI, Gioberti e la filosofia nuova italiana, 3 voll., Napoli 1866, 1869, 1872, pp. XXVIII-303, 335, 514. Cfr. n. 143. Tutti gli scritti di Gioberti — le opere “essoteriche” (miranti “più a rinverdire il passato, che a gittare i semi 2484 dell'avvenire”; che riguardano la pratica piuttosto che la teoria, e oppongono il “nazionale” al “forestiere”) e le opere “acroamatiche” (le opere postume: hanno “carattere più scientifico che pratico”; riguardano l “avvenire” della filosofia, della religione, della civiltà, e mirano a “scoprire il nuovo aspetto della scienza e del cattolicismo, la nuova forma civile d’Italia, la dialettica del secolo ventesimo”; vol. III, p. 429) — appaiono composti secondo un disegno ben preciso e trovano una collocazione esatta entro un edificio armonico, perfettamente coerente. Negando che vi sia contraddizione, in Gioberti, tra filosofia essoterica (esposta e analizzata da L. nei primi due volumi) e filosofia acroamatica (studiata nel terzo volume), l’a. intendetogliere alla ricostruzione critica resa pubblica da S. nel 1863 [69] il suo fondamento: non è vero che Gioberti si è arrestato a metà strada, lungo la via che porta a Hegel (di qui deriverebbero le contraddizioni — in realtà, inesistenti — denunciate da S.), ma, anzi, è andato “oltre” Hegel. Se si perde di vista il carattere unitario e armonico del pensiero di Gioberti, se ci si arresta al Gioberti “essoterico” (al Gioberti in apparenza “clericale”, “regressivo”, ecc.) si favorisce lo sviluppo dell’hegelismo in Italia. Se si coglie il vero senso delle Postuzze, si capirà che Gioberti è coerente, non solo, ma supera Hegel nella dottrina di Dio, dell'uomo e dell’universo (vol. III, pp. 456 sg.; e v. pp. 460-468 per un confronto Hegel-Gioberti, che va tutto a vantaggio del secondo; così come è superiore il “moto civile” italiano a quello tedesco). S. ha giudicato Gioberti dall’alto di alcuni presupposti hegeliani (identità di pensiero divino e pensiero umano; dottrina del sensibile e dell’intelligibile, e del loro rapporto, ecc.) e si è preclusa la via al retto intendimento del pensiero giobertiano; S. non capisce la soluzione “platonica” di 2485 Gioberti, non capisce la dottrina dell’ “intuito”, capace di superare lo psicologismo inaugurato da Cartesio (vol. I, pp. 96 sg.) e “concluso” da Hegel (vol. II, pp. 278 sg.), travisa — da psicologista — la distinzione giobertiana di psicologismo e ontologismo (vol. I, pp. 267 sgg.), attribuisce falsamente a Gioberti un’oscillazione tra due diversi concetti di intuito e di riflessione (vol. II, pp. 304-306), non intende l’affermazione di Gioberti: l’ente è concreto (vol. 11, pp. 306 sg.), non intende il concetto di creazione (vol. II, pp. 378 sg.), non riesce a capire quale posto occupi la Protologia nel sistema (vol. II, pp. 379 sg.), stravolge la teoria giobertiana dell’intelligibile (vol. II, pp. 320-323). Queste le critiche principali mosse dall’a. a S.; su di esse, e sul giobertismo di L., v. ora G. De Crescenzo, La fortuna di Vincenzo Gioberti nel mezzogiorno d'Italia, Brescia 1964, pp. 569 (la prima parte del volume, Pietro Luciani e il giobertitmo meridionale, è un rifacimento e approfondimento di uno studio pubblicato a Napoli nel 1960, con il titolo Pietro Luciani e il giobertismo). Si legge qui qualche riserva sul tentativo di confutare“speculativamente” Hegel in base al Gioberti; ma “... i lavori  storiografici di Pietro Luciani sul Gioberti costituiscono il validissimo precedente, purtroppo ignorato, di tutta quella odierna storiografia filosofica che ha reagito opportunamente alla artificiosa interpretazione idealistica del Gioberti, la quale, iniziatasi con Bertrando Spaventa, si è poi continuata col Fiorentino, col Gentile, col Saitta, con l’Anzilotti e col Caramella” (pp. 67 sg.). 148. La questione della nostra Università superiormente lasciata a mezzo che si ripiglia qui e si termina da M. TUDDONE, in “Il Campo dei filosofi italiani” [Napoli], 2486 III (1867), pp. 452-479. L’autore del precedente intervento [cfr. n. 145] è G. Salvia. Bisogna dargli un seguito, perché “quello che rende monca finoggi la trattazione, e bisognevole di un supplimento, si riduce a chiosare e discutere in simil guisa, per la logica un poco ma più per la dialettica le cose replicate in contrario [a Palmieri] dallo Spaventa” (p. 453). Per far questo l’a. divide la prolusione di S. in tre parti: “’’esordio con la proposizione” (concetto di filosofia nazionale), la “confermazione” (le prove storiche), la “conclusione” (la vera filosofia attuale è europea). La discussione è molto faticosa, ma la conclusione è chiara: “questo discorso sulla nazionalità della filosofia nostra è un cavalletto ben tormentoso per l’autore; il quale avria certo preferito ad essa ogni altro tema, mettendosi al sicuro dai divincolamenti, che gli convenne sopportare, e più o meno nascondere, questa prima volta che ascendea in cattedra” (p. 455). Per l’hegeliano S., è impossibile accettare l’idea di una filosofia “nazionale” italiana. 149. R. MARIANO, La pbilosophie contemporaine en Italie. Essai de philosophie hégélienne, Parigi 1868, pp. 162. Si occupa di Galluppi, Rosmini, Gioberti, A. Franchi, e, nella conclusione, di A.Vera. Ma nell’introduzione discute (pp. 13-22) la questione della filosofia “nazionale” e la tesi spaventiana della “circolazione” del pensiero italiano, per rigettarla; v. in particolare la lunga nota alle pp. 14-20. S. subordina — falsamente — l’oggetto della filosofia allo spirito nazionale, costruisce un’assurda equazione: Gioberti=Hegel, introducendo un elemento di confusione; 2487 travisa Hegel, non solo, ma la storia della filosofia e la stessa filosofia. A_p. 20 qualche riga sui Princìpi di filosofia [76], appena pubblicati: quello di S. è un linguaggio tortuoso e ambiguo, un hegelismo che non è hegelismo, una logica che vuol essere nuova, ma lo è in modo pericoloso: genera l'equivoco, la confusione e l’indisciplina delle menti. Molti anni dopo, nel vol. X degli Scritti vari (Dall’idealismo nuovo a quello di Hegel, Firenze 1908) M. accenna a S. come responsabile dei nuovi sviluppi dell’idealismo in Italia (cfr. la recensione di B. Croce, in “La Critica”, VI [1908], pp. 204-206). Un tono diverso nei giudizi di M. si coglieva nelle pagine di Uorzini e idee (vol. VII degli Scritti vari), Firenze 1905. A p. 16 sg., S. è elogiato per gli studi su Bruno; alle pp. 313 sgg. (nel “saggio biografico” su A. Vera [Napoli 1887], qui ristampato, pp. 227 sgg.) si legge che S. è stato “un logico e un metafisico di prima grandezza”, sordo alle tentazioni positivistiche, scettiche o neokantiane. La sua figura è inseparabile da quella del Vera; ma non riconobbe lo S., col Vera, il carattere solo universale della filosofia; se è vero che il pensiero moderno nasce col Rinascimento, l’interpretazione di Gioberti è tuttavia audace. Di Uomini e idee scrisse F. Tocco (Fra biografie e quadri storici, “Il Marzocco”, Firenze, 25 giugno 1905), cogliendo l’occasione per discutere dei rapporti di S. col Vera, e per ricordare l’insegnamento del maestro: v. l'introduzione di questa bibliografia, p. 873. 150. F. MORGOTT, Hegel in Italia, in “Il Campo dei filosofi italiani” [Torino], IV (1868), pp. 62-80; V (1869), pp. 16-38. Si ricava da una nota che l’a., allora professore di filosofia a Bichstadt, in Baviera, stava lavorando a una storia della 2488 fortuna di Hegel in Italia, da pubblicare in tedesco. La traduzione dell’articolo è del prof. F. Rossi. La prima parte è un’esposizione del pensiero di Vera (pp. 68 sgg) e di S. (pp. 75 sgg.); per S. l’a. si serve — e lo dichiara — dei Briefe di Straeter [146]. M. si rammarica che ci siano in Italia filosofi che hanno abbandonato la tradizione, abbracciando una filosofia straniera. Segnala tuttavia con o cimento — nella seconda parte — il vasto moto di reazione all’idrillilnto liano guidato da V. De Grazia, da M. Liberatore, dalle riviste “La scienza e la fede” e “Civiltà cattolica”, e, ancora, da T. Mamiani, da N. Toni da V. Di Giovanni, da G. Allievo e A. Galasso, da A. Conti. 151. P. SICILIANI, GX begeliani in Italia, in “Rivista bolognese di scienze e lettere”, II (1868), vol. I, fasc. 6, pp.516-549. È un’ampia rassegna, in cui si discorre dei Principi di filosofia di S. [76], del libro di De Meis: Dopo la laurea, del saggio sull’immortalità dell'anima di M. Florenzi Waddington, del Pietro Pomponazzi di F. Fiorentino, A proposito della “circolazione”, pur respingendo, almeno in soluzioni di S. (la relazione Gioberti-Hegel è estrinseca), l’a. loda l’ “accortezza” e la “prudenza” del filosofo, che ha saputo introdurre l’idealismo assoluto in Italia presentandolo come il frutto della nostra più autentica tradizione. Nel saggio sulle Prizze categorie [70], S. ha certo contribuito a rendere più “logico” il sistema di Hegel, ma non l’ha reso,perquesto, più vero; l’a. si dichiara suo conto incapace di penetrare quel buio dell’ “indeterminato”, da viti vrebbe svilupparsi la logica. Sulle Prize categorie, Siciliani ritorna anche nel libro Su/ 2489 rinnovamento della filosofia positiva in Italia, Firenze 1871, pp. XVII-542, nel quale propone “via di mezzo” tra i due estremi rappresentati dall’hegelismo e dal positivismo, appellandosi a Vico (v., ad es., pp. Il, 31). Per le Prize categorie, cfr. pp. 396 sgg.: quando S. risponde a Trendelenburg, “giusto nel momento che s’hanno a decidere le sorti della logica obbiettiva, giusto nell’istante supremo in cui la logica dee poter rivestire natura e valore di metafisica, egli cangia bruscamente posizione, e invoca il pensiero, invoca l’astraente, invoca l’astrazione, e così dileguatasi a un tratto l’obbiettività, ci fa divagare nel mondo delle pure forme, ed eccoci di bel nuovo ricacciati e ravviluppati per entro alle fitte maglie della tela di ragno!” (pp. 403 sg.). Il libro è da vedere anche per molti altri riferimenti a S.: nell’avvertenza, sul tema del “rinnovamento” della filosofia italiana, è discussa, accanto a quelle di Mamiani, Rosmini e Gioberti, la posizione di S. (specialmente della Filosofia di Gioberti; e cfr. su questa opera anche le pp. 205 sg., 374, 455). Alle pp.115 sgg., 170 sgg., si discute l’interpretazione spaventiana di Vico; sul rapporto Vera-Spaventa, v.. pp, 126 sgg.; sulla “circolazione”, pp. 189 sgg., 194 sgg.; sull’interpretazione di Rosmini 368 sgg. Siciliani fa comparire S. tra gli interlocutori della “giornata sesta” (367-492) de La critica nella filosofia zoologica del XIX secolo. Dialoghi, Napoli 1876, pp. XXXI- 555. Il dialogo si svolge tra rappresentanti, sostenitori e critici di tre scuole: quella dei cuvieristi, quella dei trasformisti e quella degli idealisti. Nel dialogo si colgono allusioni all’intervento di S. nella polemica sulle psicopatie [83], e alla sua discussione sul metodo delle scienze comparate [74]; ma la conversazione investe soprattutto le teorie esposte da De Meis ne I tipi animali; e, più in 2490 generale, il valore metodologico della dialettica hegeliana. 152. A. TAGLIAFERRI, Ur saggio della modestia e serietà filosopra dei nostri filosofi hegelisti, in “Il Campo dei filosofi italiani” Torino], IV (1868), pp. 324-352; e in A. T., Saggi di critica filosofica e religiosa, vol. I, Firenze 1882, pp. 1-28. Lo scritto di T. è una pronta replica alla “lettera” Paolottismo, positivismo, razionalismo [78]. Il tono è indignato e predicatorio; l’a. definisce “indegno” di un filosofo lo scritto di S., respinge l’aggettivo “paolotto”, denuncia l’altezzosità di S. nei confronti di Mamiani, accetta — ma a disdoro dell’hegelismo — la continuità (anzi, per T., l'identità) tra materialismo del Settecento eFiosofiahegeliana, condanna l’adorazione del Dio-stato. Respinge, ancora, il nesso Vico-Kant stabilito da S. (Vico distingueva tra intelletto divino e intelleno umano, e il verumz ipsum factum non è accettabile fuori di quella distinzione), e si duole delle “nebbie teutoniche” trapiantate in Italia. Nelle ultime pagine, si scusa della “vivacità” del proprio intervento, provocata del resto dal tono “beffardo” di S.; e dichiara di riconoscere la parte di vero che c’è in Hegel: “l'universalità e la comprensione del concepire” (ma l’universalità è dall’armonia del cosmo, non dall’unità di Dio e mondo) e la “presenzialità” del divino nel mondo e nell’uomo (che non va intesa, tuttavia, né come assoluta immedesimazione né come assoluta separazione). Cfr. anche n. 156. 153. A. C. DE MEIS, Deus creavit, in “Rivista bolognese di scienze e lettere”, III (1869), serie II, vol. I, 2491 fasc. 5-6, pp. 724-773. È un dialogo, in cui si discute il problema studiato da S. nelle Prize categorie della logica di Hegel [70]; uno degli interlocutori (Giorgio) espone e soomene la soluzione spaventiana. Gentile interpreta il Deus creavit — nelle sue Origini della filosofia contemporanea in Italia  (v. nell'edizione e nel volume citato più avanti [cfr. n. 193] le pp. 61 sgg.) — come una disputa ideale tra i due filosofi; per A. Del Vecchio Veneziani (La vita e l’opera di Angelo Camillo de Meis, Bologna 1921, pp. XXIV-333) il dialogo è nato probabilmente da una conversazione realmente avvenuta (v. pp. 118 sgg.). Il volume della Del Vecchio Veneziani è utile per seguire alcune vicende di S. attraverso la biografia dell’amico (e, per un confronto tra S. e De Meis, v. pp.320 sg.). Due pagine dell’opera di De Meis Dopo la laurea (2 voll., Bologna 1868-69; vol. I, pp. 289 sg.) sono dedicate a un elogio di S.; del De Meis si veda anche il discorso tenuto a Bologna per l’inaugurazione dell’anno accademico 1886-87, Darwin e la scienza moderna (Bologna 1886, pp. 35), in cui l’a. aderisce alla nota tesi spaventiana secondo la quale l’idealismo hegeliano è la “profezia”, cioè l’ “organismo” e la “correzione” anticipata dalla scienza moderna (v. pp. 32 sg.). Cfr. anche nn. 161, 162. 154. L. FERRI, Essaz sur l’histoire de la philosophie en Italie au dix-neuvième siècle, 2 voll, Parigi 1869, pp. IX- 496, 359. S. ha ragione come filosofo, quando cerca di trovare nell’ultimo Gioberti un punto d’incontro con la filosofia 2492 tedesca: questo punto d’incontro, di fatto, c'è (F. ne tiene conto: la discussione dell’ultimo Gioberti fa da introduzione all'esposizione dell’idealisimo italiano; il libro quinto, dedicato ai filosofi idealisti, si intitola: Derrière philosophie de Gioberti). Ma ha torto come storico, perché, come Hegel, procede del tutto apriori; la storia è, per lui, una generazione o genealogia di sistemi; S. predilige le ipotesi e ignora i fatti, l’osservazione dei fatti: di qui la debolezza della teoria della circolazione e della ricostruzione storica proposta nelle prime lezioni napoletane. Nella Filosofia di Gioberti [69] S. non discute le dottrine del filosofo tenendo conto del loro sviluppo storico; le diverse fasi del pensiero giobertiano sono per lui compresenti, e S. ha buon gioco nel moltiplicare le contraddizioni del sistema. A S. sono dedicate in particolare le pp. 193-206 del secondo volume (capitolo terzo del libro quinto). 155. P. SICILIANI, Su/ rinnovamento della filosofia positiva in Italia, Firenze 1871, pp. XVII-452. Choi. 156.A. TAGLIAFERRI, I/ materialismo plebeo e il materialismo aristocratico (1872); in A. T., Saggi di critica filosofica e religiosa, vol. I, Firenze 1882, pp. 73-100. L’articolo è datato: agosto 1872; ma non ho rintracciato indicazioni relative alla prima pubblicazione. È un’analisi della polemica sulle psicopatie [83]. Tra l’idealismo di S., il “semi-materialismo” di Tommasi e il “puro materialismo” di De Crecchio, le differenze sono solo accidentali (quello di De Crecchio è, semmai, un materialismo “plebeo” o “schietto”; il materialismo di S. è “aristocratico” © 2493 “ipocrita”). Gli autori della polemica sono concordi nel riconoscere che l’anima senza il corpo non è, e riducono l’uomo alla sua pura “esistenza fenomenica”: tanto basta a qualificarli. S. critica, e con validi argomenti, il materialismo volgare; ma il suo idealismo non gli fornisce un principio capace di scongiurarne le conseguenze morali, religiose, e sociali (l’a. accenna anche ai “comunisti” di Parigi, che hanno senz'altro ragione, se si nega l’al di là). L'hegelismo ha una parte vera e buona [cfr. n. 152], ma è viziato alla base dalla identificazione di Dio e mondo. Per avvalorare il rilievo della insufficienza della morale idealistica, T. esamina, nelle ultime pagine, la recensione di S. a La vita di G. Bruno scritta da D. Berti [82]. E conclude: “Nel vostro aristocratico materialismo, non vi lasciate vincere di lealtà e sincerità da’ materialisti plebei, che voi combattete, ma che pur sono i vostri fratelli carnali”. Dei Saggi di T. v. la recensione di B. Labanca in “La filosofia delle scuole italiane”, XIV (1883), vol. XXII, pp. 302-314. 157. F. ACRI, Critica di alcune critiche di Spaventa, Fiorentino, Imbriani su i nostri filosofi moderni. Lettera... al prof. Fiorentino, Bologna 1875, pp. 153. Cfr. n. 158. 158. F. FIORENTINO, La filosofia contemporanea in Italia. Risposta... al professore F. Acri, Napoli 1876, pp. XVI-474, Nel volume è ristampato, alle pp. 1-89, il testo italiano di uno scritto di F. del 1874: Considerazioni sul movimento della filosofia in Italia dopo l’ultima rivoluzione del 7860, 2494 già pubblicato in tedesco nel secondo volume del periodico Italia edito da K. Hillebrand (un estratto dell’articolo, che porta la data 19 settembre 1874, e che era probabilmente posseduto dallo S., è conservato presso la Biblioteca civica A. Mai di Bergamo: F. F., Die philosophische Bewegung Italiens seit 1860, Separatabdruck aus K. Hillebrands Italia, Bd. II, Lipsia, s. d., pp. 56). Alla Philosophische Bewegung Italiens replicò F. Acri con una Critica di alcune critiche... [v. oltre; e cfr. n. 157]; a cui F. fa seguire ora, alle pp. 91- 464 de La filosofia contemporanea in Italia, una Risposta al prof. F. Acri. La polemica ebbe ancora un seguito con la pubblicazione dell’opuscolo di F. Acri I critici della critica... [v. oltre; e cfr. n. 159]; nel 1911, Acri ristamperà tutti i suoi interventi nella vicenda, in una raccolta intitolata Dialettica turbata [186]. Nelle Considerazioni sul movimento della filosofia in Italia pubblicate anche in F. Fiorentino, Scritti vari di letteratura, filosofia e critica, Napoli 1876, pp. 1-75), l'a. ricorda che la ricostruzione di tutta la storia della filosofia italiana, dal Rinascimento a oggi, è opera di B. S., il cui lavoro “sta a capo di tutto quel movimento storico e critico, che dura tuttavia, e che è il carattere precipuo della nostra filosofia presente” (p. 12). Parla del gruppo dei primi hegeliani, e riassume i risultati dei lavori storici di S., soffermandosi sugli studi bruniani, sulla Filosofia di Kant, del 1860 (“il miglior modello di critica filosofica, che vanti l’Italia contemporane”, p. 23), e sull’interpretazione di Galluppi, Rosmini e Gioberti; la critica di S. a Gioberti è la più ampia e la “più profonda” tra quelle elaborate dal maestro (p. 29). S. non è un ripetitore di Hegel, ma ne ha compreso lo spirito;l’a.accenna all’originalità delle Prime categorie (p. 31), alla valutazione positiva della scuola di Herbart, per la psicologia (p. 32), e al riconoscimento della “ragionevole 2495 esigenza” del positivismo “per lo studio dei fatti storici” (ivi). S., ribadisce Fiorentino, non è un hegeliano ortodosso, e crede in una “nuova” metafisica, i cui caratteri sono delineati nella lettera del 1868 Paolottismo, positivismo, razionalismo. Alle pp. 33 sgg., F. tratta di Vera (e dei suoi rapporti con S.), di Mariano, di Franchi, di Mamiani (e del “mamianista” L. Ferri; l'a. coglie l’occasione per ribattere le obbiezioni a S. contenute nell’ Essai del 1869 [cfr. n. 154]), del Fornari, ecc. Il giudizio decisamente negativo espresso, nelle Considerazioni, sul Fornari (già attaccato da V. Imbriani per la sua “estetica”), e, più ancora, l'adesione incondizionata alle tesi storiografiche di S., provocarono la prima reazione di F. Acri. Nella Critica di alcune critiche (il libro è stato recensito favorevolmente da T. Mamiani in “La filosofia delle scuole italiane”, VII [1876], vol. XIII, pp. 138-142; v. la ristampa della recensione in Dialettica turbata cfr. n. 186], pp. 127-132), Acri sostiene che il panorama delineato da Fiorentino è altrettanto sbagliato quanto lo è la ricostruzione spaventiana della filosofia moderna: l’interpretazione di Galluppi (pp. 9-39), l'interpretazione di Rosmini (pp. 40-68) e quella di Gioberti (pp. 68-113). Acri cerca di mostrare l'infondatezza delle conclusioni di S., contrapponendo ad affermazione negazione e a negazione affermazione (come dice lo stesso a.). Va segnalato anche, in queste pagine, il tentativo dell’Acri di provare che la “lettura” spaventiana di Spinoza discende direttamente dalle pagine della Geschichte der neuern Philosophie di K. Fischer (sull'argomento Acri ritornerà in uno scritto del 1877 edito a Firenze: Una nuova esposizione del sistema di Spinoza, ristampato nel 1911 [cfr. n. 186]; vedine la recensione in “La filosofia delle scuole italiane”, VIII, 1877, vol. XVI, pp. 255-258). Alle pp. 135 sgg. della Critica, Acri si occupa 2496 dello scritto di Imbriani su V. Fornari estetico, apparso nel “Giornale napoletano” del 1872. Nella Risposta di Fiorentino al prof. Acri (La filosofia contemporanea..., pp. 91 sgg.) sono ribattuteuna per una le obbiezioni di Acri a S. (cfr. in particolare pp. 175-329). S. non intervenne direttamente in questa polemica contro Acri; cfr., nella Filosofia contemporanea, una sua lettera a Fiorentino del 10 marzo 1876 (pp. IX-XV; a p. XVI, una lettera allo stesso di V. Imbriani). Nello stesso volume, pp. 467-471, è ristampato tuttavia l’articolo scritto da S. contro Fornari e pubblicato nel 1876 dal “Fanfulla” di Roma [87]. Dell’opuscolo di Acri in risposta alla risposta di Fiorentino [cfr. n. 159]va detto che l’a. racconta, nella prima parte, un sogno, in cui S., Fiorentino e Imbriani compaiono in veste di filosofi che bisticciano (il caposcuola rampogna i discepoli per l’imprudenza dei loro attacchi); nella seconda parte l'argomento è continuato sotto forma di dialogo tra l’a. e un amico. La polemica tra gli hegeliani e F. Acri è ricordata da diversi autori (v. sopra, introd., pp. 871 sg.); ma v. le pagine di Croce ne La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900 [cfr. n. 185] e, soprattutto, il volume di L. Russo su F. De Sanctis (nell’ed. cit. al n. 210, pp. 249 sgg.). 159. F. ACRI, I critici della critica di alcune critiche, cioè i professori Spaventa, Fiorentino e Imbriani apparsi in sogno al professore Acri, Bologna 1876, pp. 44. Cfr. n. 158. 160. P. SICILIANI, La critica nella filosofia zoologica 2497 del XIX secolo. Dialoghi, Napoli 1876, pp. XXX1I-555. Christi. dl 161. R. DE CESARE, Bertrando Spaventa, in “Fanfulla della domenica” [Roma], V (1883), n. 9, 4 marzo; ristampato da G. Gentile in “Giornale critico della filosofia italiana”, VII (1926), pp. 378-382, con il titolo: Una notizia biografica di B. Spaventa. Necrologio del filosofo. De Cesare afferma, tra l’altro, che B. collaborò con articoli al giornale di Silvio, il “Nazionale”. Nel ristampare il breve profilo biografico di S., Gentile segnala l’importanza di quella indicazione, ma anche alcune inesattezze dell’a. (p. 382). Qualche anno dopo, Gentile renderà nota la fonte dell’articolo (e delle inesattezze): il testo di alcuni appunti di De Meis, consegnati a De Cesare per la pubblicazione del necrologio (A. C. De Meis, Ricordi di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXI [1940], pp. 279-281). 162. A. C. DE MEIS, Bertrando Spaventa, in “Gazzettadell'Emilia”,XXIX, 23 febbraio 1883. Il testo di questo necrologio è riprodotto a p. XVII n. I della bibliografia degli scritti di De Meis raccolta nel volume di A. Del Vecchio Veneziani [cfr. n. 153]. 163. F. FIORENTINO, Commemorazione di B. Spaventa, letta nell'aula magna dell’Università di Napoli il 22 aprile 1883, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli, XXII (1883, aprile), pp. 35-59. 2498 È il primo ampio saggio biografico su S.; citato come fonte dal Gentile nel suo Discorso del 1900 [cfr. n. 96]. F. ricorda, oltre alle vicende del filosofo, le sue opere principali, delineando in breve anche la tesi dello scritto, ancora inedito, Esperienza e metafisica [94]. Tratto fondamentale del filosofo, l’ “ingegno critico”, e l'indipendenza del pensiero; doti che ben corrispondono alla fermezza del carattere, alla severità, all’austerità e alla franchezza, talvolta “ruvida”, dell’uomo. La commemorazione è pubblicata anche nel “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, febbraio-marzo 1883, pp. 473-499, negli “Atti” dell’Accademia di Napoli, XVIII (1884; con una bibliografia e indicazioni su lavori inediti di S.), nelle Onoranze funebri a Bertrando Spaventa [164], pp. 37-63. Vedila ora in Fiorentino, Ritratti storici e saggi critici, Firenze 1935, PP. 299-319. 164. Onoranze funebri a Bertrando Spaventa, Napoli 1883, pp. 63. Contiene: una premessa di D. Jaja (pp. 3-5), il testo dei discorsi pronunciati da A. Vera (pp. 9-10), da E. Pessina (pp. 11-17), da R. Bonghi (pp. 18-19), da L. Miraglia (p. 20), da D. Jaja (p. 21), da G. Abignente (pp. 22-23), da R. Cotugno (pp. 24-25), da O. Testa (p. 26). A p. 27, il frammento di un discorso di F. D’Ovidio; alle pp. 37-63, la ristampa della commemorazione di F. Fiorentino [163]. 165. K. WERNER, Die ttalienische Philosophie des neunzehbnten fabrbunderts, 5 voll., Vienna 1884-1886, pp. XV-472, XV-426, XIV-424, IX-281, XI-427. 2499 La seconda parte (Die pantbeistischhe Transformation des Ontologismus im italienischen Hegelianismus, pp. 232-333) del terzo volume (Die kritische Zersetzunr, und speculative Umbildung des Ontologismus) è dedicata agli hegeliani. L’a., ricorda le tesi delle prime lezioni napoletane di S.,eillustra i caratteri che distinguono le due principali correnti dell’hegelismo, rappresentate da Vera e S. (Vera ortodosso; S. media Hegel con la tradizione idealistica italiana, e con le esigenze del realismo contemporaneo, antiidealistico). A_S. sono dedicate in particolare le pp. 264-287; per esporne la filosofia, W. riassume gli Studi sull’etica hegeliana [80]. 166. F. MASCI, Relazione per la proposta di un monumento a Bertrando Spaventa, s. 1., s. d. [Napoli 1885 21,pps12. Ribadisce un giudizio sul quale concordano gli scolari di S.: il filosofo napoletano fu soprattutto un ricercatore, uno spirito critico, che non trasmise dogmi ai suoi discepoli, ma volle e seppe sviluppare in loro l’attitudine alla ricerca. S. ebbe il merito di far conoscere all’Italia la filosofia di Kant, e l’idealismo assoluto; agli occhi dell’a., quest'ultimo appare come un semplice momento, certo necessario, ma ormai superato dal “ritorno” a Kant e della “vigorosa ripresa dell’empirismo” (v. in particolare pp. 7 sgg.). Una recensione dello scritto di M. si legge nella “Filosofia delle scuole italiane”, XVI (1885), vol. XXXI, pp. 303-305. 167. M. KERBAKER, Per l'inaugurazione dei monumenti a L. Settembrini e B. Spaventa, Napoli 1886, pp. 24. Nel discorso di K., Settembrini e S. sono riavvicinati e 2500 elogiati: a) per l’ “indipendenza” del loro pensiero (pp. 5 sgg.; in S. “la libera attività del pensiero era più inquisitiva che ermeneutica”; l’a. sottolinea il temperamento socratico, la capacità critica del filosofo; il miglior frutto di questa virtù è rappresentato dalle lezioni sulla filosofia italiana: “comprese pel primo lo Spaventa l’importanza del problema storico, quello cioè di scoprire le vere e genuine tradizioni filosofiche del genio italiano e quindi la sua propria attitudine e vocazione scientifica”, p. 12); b), per “il senno moderato e moderatore, il senso della giusta misura nel giudicare i fatti del mondo reale e trarne le norme regolatrici della civil convivenza”, pp. 15 sg. (cfr. pp. 17 sg.: S. “non credeva che il riscatto morale del popolo italiano fosse compiuto pel sol fatto della sua emancipazione civile e politica. Scorgeva invece e predicava la necessità che si rifacessero faticosamente i materiali dell’edificio, si sostituisse cioè a poco a poco,nellacoscienzapubblica,ilconcetto dello stato organico, operaio, intraprendente a quello dello stato meccanico, stazionario, pacifico”). 168. V. LAUREANI, Giordano Bruno e Bertrando Spaventa, Lanciano 1888, pp. 14. Sembra promettere, all’inizio, un discorso sulle interpretazioni spaventiane di Bruno; ma si esaurisce in un generico profilo del pensiero di S. 169. L. FERRI, Ur Zibro postumo di Bertrando Spaventa. La dottrina della cognizione nell’Heghelianismo, in “Rivista italiana di filosofia”, anno IV, vol. I (1889), marzo-aprile, pp. 129-158; Il problema della coscienza divina in un libro postumo di Bertrando Spaventa, in “Rivista italiana di filosofia”, anno V, vol. I (1890), 2501 maggio-giugno, pp. 257-279. Due saggi su Esperienza e metafisica [94]. Nel primo, F. dichiara di accogliere la critica spaventiana del realismo ingenuo, ma di dover rigettare la concezione idealistica della “natura del vero, ossia della relazione del pensiero con l'essere” (p. 135). S. difende contro i kantiani il concetto dell’ “assoluto metodologico inseparabile dall'andamento del pensiero in quanto esso è guidato... [dalla]... presunta e dimostrabile unità” di “assoluto naturale, dialettico e religioso” (p.. 138); respinge l’idea  spenceriana dell’inconoscibile, il concetto di “posizione assoluta” di Herbart, e la soluzione darwinistica, che poggia “sopra fatti esteriori e dati empirici” (p. 139). Crede di aver dimostrato che l’uomo è “capace di pareggiare col pensiero l'essere”, che è capace di “conseguire il pensiero assoluto, l'assoluto sapere” (p. 141). Ma il timore del dualismo spinge S. “a diminuire da una parte l’ingerenza dell'esterno, e accrescere talmente quella dell'interno nella funzione conoscitiva, che alla fine la seconda rimane sola” (p. 145; e cfr. tutta la discussione di pp. 151 sgg., dove si denuncia l’indebita identificazione idealistica di processi della coscienza e processi della conoscenza, che conduce all'affermazione della presenza dell'essere infinito nell'uomo: F. pensa che si debba mantenere un concetto “ben circoscritto” dell’ “immanenza divina”, per salvare sia la “personalità” divina, sia quella umana, pp. 156 sg.). Per F. si deve continuare a riconoscere la presenza di dati irriducibili all’attività psichica; la relatività della conoscenzanonva intesa semplicemente in relazione alla sua estensione, giacché si fonda sulla “materia” stessa del conoscere (p. 147). Nel secondo saggio, riprendendo il tema, già affrontato 2502 nella prima parte, del rapporto tra pensiero divino (“inconscio”, secondo S.) e pensiero umano (nel quale soltanto si realizzerebbe il sapere come coscienza), F. difende contro S. le ragioni del teismo. 170. S. SPAVENTA, Dal 1848 al 1861. Lettere scritti documenti pubblicati da B. Croce, Napoli 1898, pp. IX- 314; Bari 19232, pp. XII-373. Gfr: n.125, 171. G. GENTILE, Della vita e degli scritti di Bertrando Spaventa, in B. S., Scritti filosofici, raccolti e pubblicati... da G. Gentile, Napoli 1900, pp. XXI-CLII. Cfr. n. 96. 172. D. JAJA, Prefazione a B. S., Scritti filosofici, raccolti e pubblicati... da G. Gentile, Napoli 1900, pp. VILXVII. Cfr. n. 96. 173. B. VARISCO, Razionalismo e empirismo, in “Rivista di filosofia, pedagogia e scienze affini”, III (1902), vol. VI, n. 3, pp. 298-315. L’a. si propone di “esporre e di criticare i concetti fondamentali del razionalismo kantiano e dell’hegeliano; e di dimostrare la possibilità d’un empirismo, soddisfacente alle esigenze, che queste due dottrine hanno avuto il merito di mettere in luce”. Nella sua ricerca, V. tiene presenti i saggi spaventiani raccolti negli Scritti filosofici [96]. L’a. 2503 riconosce a S. il merito di aver sostenuto le ragioni del “meccanismo”, di averne ammessa la necessità per la conoscenza dei fenomeni psichici. Ma al di là di alcuni parziali riconoscimenti, va detto che è fallita la “correzione” di Kant, tentata da Hegel e da S. L'esigenza di salvare l’oggettività del conoscere non può ritenersi soddisfatta attraverso la “prova” dell'identità di essere e pensiero, escogitata da S. nelle Prizze categorie. E la radice della difficoltà va ritrovata, in fondo, nello stesso Kant, che ha considerato la sensazione come un fatto soltanto soggettivo, e non come un dato che si “impone” a noi. All’articolo di V. replica prontamente Gentile [cfr. n. 174], rivendicando a sé il diritto di rispondere in nome di S., e ribadendo, tra l’altro, la necessità di riprendere la tradizione rappresentata dal filosofo napoletano. La risposta alle difficoltà di V. è già contenuta nel saggio sulle Prize categorie. Il critico fraintende S.(eHegel), perché confonde fenomenologia e logica, confonde una questione di ordine gnoseologico con una questione di ordine logico © metafisico. Un argomento, su cui Gentile insiste per avvalorare questa sua osservazione, consiste nel rilievo della impossibilità di richiamarsi al principio di contraddizione, nella discussione del rapporto essere-nulla: impossibilità ben nota, oltre che allo S., allo stesso Trendelenburg, ma non intesa da Varisco. Alla risposta di Gentile, V. replica con lo scritto: Per /a critica, sulla stessa rivista, nel fascicolo di ottobre del medesimo anno (pp. 377-399). Gentile chiude la discussione con: Polemica hegeliana, Napoli 1902, pp. 22. I due scritti di Gentile vedili anche ristampati in Saggi critici, serie prima, Napoli 1921, pp. 45-67, 69-87. 174. G. GENTILE, Filosofia e empirismo, in “Rivista di 2504 filosofia, pedagogia e scienze affini”, III (1902), vol. VI, nn. 5-6, pp. 588-604. Cfr. n. 173. 174 bis. N. Lo PIANO, L’begelismo a Napoli, Potenza 1903, pp. 72. Nel saggio sono indicate le ragioni — politiche e religiose, oltre che filosofiche — della fioritura dell’hegelismo a Napoli, e quelle del suo arresto o della sua “mancata diffusione”. Il secondo tema è trattato — tra l’altro — attraverso il ricorso a note argomentazioni (cfr. p. 68: “Alla mente italiana, dotata da natura di forme troppo originali per soffrire qualunque maniera d’imitazione; al pensiero italiano, naturalmente bisognoso di realtà e di vita, mal si convengono le astrazioni, spesse volte, troppo vuote dei Tedeschi”); ma proprio questo taglio del discorso consente all’a. di lodare in S. la figura del mediatore (v. il paragrafo XV, pp. 69-71, Ragioni del maggior credito e fama dello Spaventa rispetto agli altri begeliani; e cfr. p. 69: “Ha seguito Hegel non da noioso ripetitore, né da fedele e servile interprete, ma se ne è assimilato lo spirito più che le formule e le parole. È l’anello di congiunzione tra l’idealismo di Gioberti e quello di Hegel; è un moderatore o meglio il termine medio tra la filosofia esclusivamente nazionale e l’hegelismo puro...”). Nei paragrafi decimo e undicesimo (pp. 45-58) l’a, riassume Ia storia della filosofia italiana elaborata da S., la sua interpretazione delle prime categorie della logica di Hegel, e le tesi di Esperienza e metafisica; in alcuni punti (v. ad es. p. 55, per il parallelo S.-Marx) il saggio sembra riflettere — ma senza espliciti riferimenti — qualche indicazione contenuta nel discorso premesso da Gentile all’edizione degli Scritti 2505 filosofici di S. [96]. 175. G. GENTILE, Prefazione a B. S., Principi di etica, Napoli 1904. Cfr. n. 97. 176. N. SCHIAVONI, Silvio e Bertrando Spaventa, lettera all'avv. Michele Crisafulli (13 dicembre 1903); in Onoranze al prof. Vincenzo Lilla, Messina 1904, pp. 311- 314. È un “ricordo” dei fratelli S.; ma riguarda soprattutto Silvio. 177. G. GENTILE, Prefazione a B. S., Da Socrate a Hegel, Bari 1905. Cfr. n. 98. 178. R. MARIANO, Uorzini e idee (vol. VIII degli Scritti vari), Firenze 1905, pp. 488. Cfr. n. 149. 179. F. TOCCO, Fra biografie e quadri storici, in “Il Marzocco” [Firenze], 25 giugno 1905. Cfr. n. 149. 180. B. CROCE, Giovanni Bovio e la poesia della filosofia, parte prima, in “La Critica”, V (1907), pp. 335- 2506 361. Contiene alcune pagine su Vito Fornari e B. S. (sullo S. v. in partico lare pp. 343-348), ristampate più tardi in B. C., La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, qui le citazioni sono tratte dalla seconda edizione (1921) del primo volume (lo scritto: V. Fornari-B. Spaventa occupa le pp. 379-391 SU 8. v. pp. 385-391). Fornari viene incontrato da C. in “una visita di congedo, se non proprio di riverenza, alla prosa italiana del buon vecchio tempo, con le sue avvizzite graziette e moine” (p. 379). S. Si schierò contro la tradizione dei “linguai e frasaioli” (p. 385), in forza del suo atteggiamento critico (anche rispetto a Hegel), e della sua attenzione alle nuove forme di pensiero. È un merito che gli va riconosciuto, “quale che sia il giudizio che si porti sulla sua filosofia” (p. 385). A Fornari S. oppone l’ “asciuttezza del discorso, che aborre la divagazione e la chiacchiera” (p. 386), e una eloquenza, che è tuttavia “virilmente semplice”. Croce ricorda il vigore polemico del vecchio hegeliano, precisando che il “suo temperamento lo portava non all’ironia, ma al sarcasmo e alla rappresentazione grottesca” (p. 388). Di questo tratto del carattere di S. costituisce un documento la lettera contro Fornari, del 1876, G/ spaventiani spaventati [87]. 181. G. BARZELLOTTI, Due filosofi italiani, Augusto Conti e Carlo Cantoni, in “Nuova Antologia”, 16 luglio 1908, pp. 177-192; e in G. B., L’opera storica della filosofia, Milano, s.d., pp. 305-334. Nelle ultime pagine dell’articolo, B. muove alcune obbiezioni al “programma” degli hegeliani di Napoli — e, in 2507 particolare, di S. — che provocarono una risposta di Gentile [cfr. n. 182]. 182. G. GENTILE, Per la sincerità della critica e per l'esattezza storica. Risposta al prof. Barzellotti, in “La Critica”, VI (1908), pp. 395-400; e in G. G., Saggi critici, serie seconda, Firenze 1927, pp. 209-216 (con il titolo: False accuse contro lo Spaventa. Risposta...). La risposta di G. all’articolo di B. [cfr. n. 181] è una difesa della tesi della “circolazione” e un richiamo a una più corretta lettura degli scritti di S. Secondo B., S. avrebbe voluto trapiantare in Italia il sistema di Hegel, questo prodotto “nazionale” della Germania, senzatenerconto delle differenze specifiche dei due linguaggi e delle due mentalità, italiana e tedesca; avrebbe mostrato, ancora, di mancare affatto di “senso storico” nella sua interpretazione di Rosmini e di Gioberti, e con la sua affermazione del carattere “solamente europeo” della filosofia moderna. Nella sua risposta, G. mostra che le accuse di B. si fondano su di una interpretazione affrettata de La filosofia italiana; e che, in particolare, l’attribuzione a S. del giudizio: la filosofia è solamente europea, nasce da un errore materiale di lettura. 183. G. GENTILE, prefazione a B. S., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Bari 1908; terza edizione, Bari 1926. Cfr. n. 99. 184. R. MARIANO, Dall’idealismo nuovo a quello di Hegel (vol. X degli Scritti vari), Firenze 1908, pp. XXXII- 2508 459. Cfr. n. 149. 185. B. CROCE, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, in “La Critica”, VII (1909), pp. 325-351, 405-423; VII (1910), pp. 211-221, 241-262. Ampio panorama (ristampato in B. C., La letteratura della nuova Italia. Saggi critici; qui si cita la sesta edizione, Bari 1954, vol. IV, pp. 267-355) della cultura universitaria e extrauniversitaria di Napoli nella seconda metà dell'Ottocento; con indicazioni ancora preziose sulla vita delle accademie e delle biblioteche, sulle riviste, sul teatro e sul giornalismo; sulla Società di storia patria, ecc. Il nome di S. vi compare più volte, e subito a p. 271 (S. rappresentò “nel modo più visibile” la “trionfante rivoluzione intellettuale”); qui il filosofo è legato al De Sanctis (e al Tari e al Settembrini) con un giudizio (erano, più che insegnanti, “educatori ed eccitatori di tutte le forze morali”, p. 295) che sarà poi ripreso e variamente accentuato da altri studiosi. Le pp. 271 sgg. offrono un quadro assai particolareggiato delle reazioni all’hegelismo di S. da parte dei giobertiani, dei seguaci di V. Fornari, e di alcuni “ultraprogressisti” in filosofia e politica (più o meno influenzati dal Mazzini). Degli scolari di S. (ma la sua scuola fu tutt'altro che una “chiesa”, p. 282) Si discorre alle pp. 281-286. Oltre alle pagine (con richiami alle testimonianze degli stranieri: di T. Straeter [cfr. n. 146], di M. Monnier, di I. Taine, ecc.) sulla vita dell’università napoletana, e sulla sua decadenzadopoil1883-85 (v. pp. 328 sgg.), sono da vedere in particolare quelle dedicate alle riviste (pp. 306-314), che contengono le indicazioni essenziali sugli scritti polemici di hegeliani e 2509 antihegeliani (polemiche di Fiorentino, Imbriani, S., con V. Fornari, F. Acri, ecc.). 186. F. ACRI, Dialettica turbata, Bologna 1911, pp. VIII-262. Nella prefazione l’a. dichiara i sentimenti (assai delicati, e malinconici) che prova nel ristampare i documenti della disputa del 1875-76. Ripubblica qui: 1) con il titolo La 7754 disputa con il Fiorentino e lo Spaventa e l’Imbriani, pp. 1- 103, la Critica di alcune critiche del 1875 [157]; 2) col titolo Un sogno di B. Spaventa, pp. 104-110, la lettera di S. Gl spaventiani spaventati [87], con commenti in parentesi; 3) col titolo: Sogno di F. Acri, e Un dialogo dopo il sogno, pp. 111-122, 123-127, lo scritto del 1876: I critici della critica... [159]; alle pp. 127-132, la recensione di Mamiani alla Critica del 1875 [158]; alle pp. 133-243, la Nuova interpretazione dello Spinoza [158], seguita, pp. 244-262, da: I/ Fiorentino e lo spirito dello Spinoza celato entro una fiammella. 187. G. GENTILE, prefazione a B. S., La politica dei gesuiti nel secolo XVI e nel XIX. Polemica con la “Civiltà cattolica” (1854-1855), Milano-Roma-Napoli 1911. Cfr. n. 101. 188. G. GENTILE, prefazione a B. S., Logica e metafisica, nuova edizione con l’aggiunta di parti inedite, Bari 1911. Cfr. n. 102. 2510 189. B. CROCE, Noterelle di critica hegeliana. I. Il “primo” o il “cominciamento”, in “La Critica”, X (1912), pp. 370-374. La breve nota (ad essa si può collegare, per un riferimento esplicito a S., la discussione dello studio di A. Moni, La dialettica positiva ossia il concetto del divenire, Teramo 1910, apparsa nella stessa annata della “Critica”, pp. 294-310; i due scritti di C. sono stati poi raccolti nel Saggio sullo Hegel, Bari 1913, pp. 177-184, più volte ristampato) precisa in termini chiari e definitivi la distanza che l’a. volle frapporre fra sé e il vecchio hegeliano (per altri giudizi di C. su S., formulati per lo più incidentalmente in pagine non dedicate al filosofo, v. l’introduzione di questa bibliografia, pp. 880 sgg.). C. non attribuisce dignità di problema alla questione del “primo scientifico” o del “cominciamento”, e rifiuta come vana ogni esercitazione, per ingegnosa che sia, sul tema delle prime categorie della logica di Hegel. Dando credito alla richiesta di una “prova” per il principio della scienza, S. ha finito con l’escogitare una soluzione davvero insostenibile: quella che fa nascere la filosofia da un dato immediato epperò non provato (il “primo” della fenomenologia), e che indica poi nell’ “idea”, assunta come maximum di intelligibilità (il “più che intelligibile”), il risultato ultimo del suo processo; sicché può dirsi che S. si muove sul piano di un duplice empirismo, “un empirismo del fenomeno e un empirismo del soprafenomeno o misticismo”. L’errore sta nel continuare a mantenere — pur dopo aver negato l’esistenza di una verità esterna al pensiero — la distinzione empirica o didascalica della fenomenologia dalla logica, e del non filosofo dal filosofo; distinzione che appare, ancora, indebitamente presupposta, quando S. indica nella “risoluzione” del ZIL1 soggetto la possibilità di un cominciamento necessario per la filosofia. 190. G. DE RUGGIERO, La filosofia contemporanea, Bari 1912, p. 485. Sullo S., v. le pp. 399-411 (nella quinta edizione in due volumi, Bari 1947, pp. 137-147 del secondo volume). Qui il giudizio di De Ruggiero è positivo, in linea con l’interpretazione di Gentile. Nelle Prime categorie S. svolge, attraverso Hegel, tutta la ricchezza del cogito cartesiano; della logica di Hegel conserva “lo scheletro”, sviluppandone il significato “più profondo”, intendendola cioè nel suo “motivo storico”, come preparazione dell’ “assoluto psicologismo” o “assoluto empirismo”. S. mantiene, certo, la partizione del sistema, distingue ancora la fenomenologia dalla logica, i.e. la verità “per noi” dalla verità “in sé”, e Si mostra, in questo senso, “platonico”, al di qua del “nuovo” idealismo. Ma c’è anche lo S.immanentista, lo S. della lettera Paolottismo, positivismo, razionalismo, e dell’introduzione ai Principi di etica, che raggiunge l'identità di pensiero in sé e di pensiero in noi, di conoscenza e scienza, e che afferma la coincidenza dell’e eterna soluzione” con l “eterno problema”: un motto, che è “linsegna della nostra vita speculativa”. Da confrontare anche l’articolo di De Ruggiero: Echi platonici nella filosofia italiana contemporanea (in “La Voce”, IV [1912], n. 51 [19 dicembre]), che accetta la linea di sviluppo: Rosmini- Gioberti-Spaventa. A S. sono dedicate le ultime pagine di G. De Ruggiero, I/ pensiero politico meridionale nei secoli XVII e XIX, Bari 1922, pp. 303. Quello di S. (e di De Meis) è “uno stato liberale secondo ragione”, che differisce dalla concezione 4312 che ne ebbe il “classico” liberalismo europeo, fondato sui diritti e la libertà dell’individuo. Ma Y “astratto razionalismo” di S. e De Meis “venne in buon punto incontro alla prassi politica dei ‘patrioti’ e formò la filosofia della Destra liberale italiana. Una dottrina che deduceva l’autorità e la legge dalla libertà, celando in un nembo la dea generatrice, doveva esser propizia all’azione storica di quelle minoranze che compirono l’unificazione ed a cui solo una finzione razionalistica poteva attribuire un titolo di rappresentanza universale. L’energica affermazione dell'autorità dello stato, dedotta dai principi stessi dell’autocoscienza, corrispondeva alla pratica dell’accentramento e della burocratizzazione; il legalismo e il costituzionalismo come criteri superiori per dirimere tutti i conflitti degli interessi particolari, erano le armi appropriate a un ceto di proprietari, cosiddetti liberali, una volta pervenuti al potere” (p. 301). Sicché “la dottrina filosofica ribadiva un complesso d’interessi conservatori e, in certa misura, reazionari”; la “grandezza storica” (compimento dell’unità) della Destra appare “quasi del tutto estranea a ciò che le ha conferito la qualifica liberale” (ivi). Nel volume della sua Storia della filosofia moderna dedicato a Hegel (Bari 1948), De Ruggiero ricorda S. solo per affermare che la sua opera è affatto inutile in un “riesame storico-critico del sistema hegeliano”. S. conserva “L’intonazione teologica” di Hegel, e non importa che il suoteologismoassuma i toni di un teologismo “laico”. La critica moderna rompe l’involucro del sistema hegeliano, per coglierne e svolgerne l’interna ricchezza; S. si muove nella direzione opposta, “verso l’involuzione del sistema” (pp. 278 sg.). 2513 191. V. FAZIO ALLMAYER, I/ compito della filosofia italiana, in “La Voce”, IV (1912), n. 51 (19 dicembre). L'articolo di F. A. è il primo di una serie di scritti su La filosofia contemporanea in Italia, tema a cui è dedicato questo numero de “La Voce” (gli altri contributi sono di G. Gentile, F. Momigliano, A. Carlini, G. Natoli, L. Salvatorelli, G. Lombardo-Radice, B. Croce, T. Parodi, G. De Ruggiero [cfr. n. 190], G. Saitta). L’impianto dell’articolo — scritto con indubbia decisione e chiarezza — riflette le —linee’essenziali del programma spaventianogentiliano (e dell’ultimo Gioberti), accentuando una tematica (necessità di riassorbire la filosofia della natura e la logica nella fenomenologia dello spirito) che l'a. ha sviluppato per suo conto nell’elaborazione del proprio idealismo. Con S. e Gentile, F. A. legge nell’autentica tradizione italiana “la più forte tendenza verso l’immanenza e la libertà”; “noi siamo avviati alla concezione della logica come storia, sviluppo dello spirito umano concreto, e quindi al rifacimento della Feromzenologia dello spirito in cui, oltrepassato il dispiegamento della coscienza particolare riferentesi all'oggetto naturale, mostrata l'identità di coscienza ed autocoscienza fin nel primo atto dello spirito, si abbia il dispiegamento della coscienza umana come atto concreativo della storia umana, del mondo umano, quindi come storia e logica allo stesso tempo. Così riporteremo ai concreti problemi della vita e della storia quell’idealismo che altrove svapora nel misticismo o si deposita nel naturalismo”. Per questo articolo, l’a. fu chiamato in causa nel corso della polemica Boine-Prezzolini; e intervenne con una breve risposta ne “La Voce”, VI (1914), n. 13 (13 luglio), pp. 30 sg. 2514 Il compito della filosofia italiana apre la raccolta degli studi ristampati nel volume di F. A. Ricerche hegeliane, con prefazione di G. Saitta, Firenze 1959, pp. XVI-325; il saggio del 1912 è qui pubblicato con un titolo diverso, (Spaventa e l’hegelismo) e “con alcune lievi modifiche dove era invecchiato per la contingenza di certe affermazioni”. Nelle Ricerche è ristampato anche, con il titolo Genzile e la riforma della dialettica hegeliana, pp. 20-42, uno studio già apparso nel “Giornale critico della filosofia italiana” del 1947 [cfr. n. 243]. Per S. v. le pp. 36-40: la riforma gentiliana non si trova già in S., il quale “è ancora legato alla partizione della Enciclopedia hegeliana e ciò a cui è arrivato è che non ci è categoria senza pensare (mentalità) oggettivo, e che il pensiero oggettivo è presente al pensiero soggettivo, senza di che questo non è pensiero. Si potrà ancora sostenere perciò che per lui c’è una esigenza realistica [qui l’a. introduce un riferimento agli studi spaventiani di F. Alderisio], la quale invece è superata dal Gentile per cui tutta la realtà si identifica con quella vita del soggetto, in cui il mondo vive, e rivive; e rivivere è vivere” (pp. 39 sg.). 191 bis. RODOLAN, Ieri e oggi. Bertrando e Silvio Spaventa, in “La Nazione” [Firenze], 7 aprile 1912. Sulle ragioni che hanno portato lo S. al sacerdozio, e sulla riconoscenza di Silvio per l’ “olocausto” del fratello. 192. G. GENTILE, La riforma della dialettica hegeliana e B. Spaventa, con appendice (1912), in G. G., La riforma della dialettica hegeliana, Messina 1913, pp. 1-71; ora in G. G., Opere, a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici, vol. XXVII, pp. 1-65. 2919 Cfr. n. 103. 193. G. GENTILE, La filosofia in Italia dopo il 1850. VI. Gli hegeliani. V. La riforma dello hegelismo (Bertrando Spaventa), in “La Critica”, XI (1913), pp. 365-384, 441-463; XII (1914), pp. 34-56, 133-146. Dei saggi gentiliani sulla filosofia italiana della seconda metà dell’Ottocento, raccolti poi dall’a. sotto il titolo: Le origini della filosofia contemporanea in Italia, viene tenuta presente in questa bibliografia l’ultima e definitiva edizione (nelle Opere complete di G. G. a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici, voll. XXXI- XXXIV) costruita attraverso il confronto delle edizioni del 1917 e del 1925 (migliorate nello stile, ma mutilate di molti riferimenti ai testi e delle bibliografie) con il testo apparso ne “La Critica” tra il 1903 e il 1914. Il saggio su S. è ristampato nel vol. XXXIV delle Opere complete, pp. 83- 189; ma sono da vedere anche i volumi precedenti: il XXXI, per alcuni riferimenti ai rapporti tra Mamiani (e il mamianista Ferri) e S., il XXXII, che contiene, nelle pagine sul Tommasi, indicazioni sulla polemica intorno alle psicopatie, e notizie sui rapporti di Angiull i e Siciliani con lo S.; infine, nel vol. XXXIII, sono da vedere il capitolo su F. Fiorentino, le pagine su F. Masci e le pagine che introducono alla storia degli hegeliani di Napoli. Il saggio su S. del 1913-14, scritto quando erano oramai acquisiti (soprattutto con la pubblicazione del Framzzzento sulla dialettica del 1880-81: cfr. n. 103) i documenti fondamentali su cui si basa l’analisi di G., fissa in termini conclusivi l’interpretazione avviata nel Discorso del 1900 [96]. Le pagine su Bertrando Spaventa e la riforma dell’hegelismo sono precedute da due capitoli, intitolati: 2516 Pietro Ceretti e la corruzione dell’hegelismo (con paragrafi dedicati a P. D’Ercole, A. Tari, e alla Florenzi Waddington) e: A. C. De Mess e la filosofia della natura (sono da vedere le pp. 59 sgg., sui rapporti De Meis-S., dove si ragiona come e perché il primo non intese “il motivo segreto e le conseguenze” degli studi spaventiani sulla logica hegeliana); e precedono l’ultimo capitolo delle Origizi, dedicato agli Scolari di Bertrando Spaventa, S. Maturi e D. Jaja, da vedere anch'esso, per il rapporto istituito tra maestro e discepoli: Maturi subisce l’influsso anche di Vera, e dà un peso eguale alle due posizioni, distinte anzi opposte nella interpretazione corrente; Jaja “s’afferra al filo che già aveva porto lo Spaventa per uscire da quel labirinto del congegno della logica hegeliana, determinato dal rapporto delle prime categorie” (p. 206) e lavora all’elaborazione della metafisica della mente (p. 208). L’ultimo paragrafo dello scritto su S.riprendeeconclude il giudizio avanzato nella dedica degli Scritti del 1900 [961: la filosofia di S. accoglie e compone “tutte le esigenze varie ed opposte che s’eran venute agitando nel pensiero italiano nella seconda metà del secolo XIX”, dando ad esse “legittima soddisfazione” (p. 187) e additando la via dell'ulteriore progresso. La ricostruzione del “punto di vista spiritualistico raggiunto dallo Spaventa” (p. 186) è preparata, in primo luogo, da una breve presentazione della figura del filosofo ($$ 1-2, pp. 83-85), lodato come “uomo di parte” orientato “verso la concretezza” storica, e opposto, così, all’ortodosso Vera (sui diversi interessi — per la filosofia della natura e della religione in Vera, per la logica e la teoria della conoscenza in S. — dei due filosofi, e per la presentazione della loro opposizione secondo lo schema: metafisica dell’ente-metafisica della mente, v. pp. 140 sgg.) e ai mistici 237 Tari e Ceretti; in secondo luogo ($$ 3-32, pp. 86-129), da una riesposizione degli studi e scritti spaventiani sul Rinascimento, su Spinoza e sulla filosofia italiana contemporanea: soprattutto della Fy/osofia di Gioberti, qui giudicata il “capolavoro” di S. Nel corso di questa riesposizione, e già a proposito dei primi studi bruniani di S., G. osserva che “questa sua storia della filosofia, che qui si viene studiando, non è che una prima immagine della sua filosofia” (p. 109); richiama cioè un problema affrontato nella prefazione a La filosofia italiana [99] già dato per risolto, in quella stessa prefazione, attraverso la costruzione teorica della identità di filosofia e storia della filosofia. Nelle Origzzi, questa teorizzazione riaffiora in più punti, e soprattutto nelle pp. 147 sgg., dove si parla della “perfetta fusione di trattazione storica e filosofica” che solo può realizzare chi, come S., ha interesse di “intendere tutto il processo, come il processo genetico del risultato” (pp. 148 sg.). Ora, approfondito e conosciuto veramente il “risultato” (e cioè “rivalutata” via via la filosofia di Galluppi, Rosmini, Gioberti), è abbandonato da S. l’astratto appello al sistema di Hegel, del 1850: il problema non era più quello “dei rapporti tra i filosofi del secolo XVI e la posteriore filosofia europea” (i.e. l’enciclopedia di Hegel), bensì “quello dei rapporti degli ultimi tre filosofi italiani... con la filosofia tedesca da Kant a Hegel”. La teoria della “circolazione del pensiero” nasce quando il processo della filosofia moderna appare a S. non più “rettilineo e centrifugo, rispetto a noi”, ma anzi “come un moto circolare, che ritorna al suo punto di partenza. Ora, l'abbandono o la correzione del programma del 1850 era reso possibile — sottolinea G. — dall’atteggiamento indipendente assunto da S. nei confronti dello stesso Hegel; “Spaventa, avendo fatto suo succo e sangue la sostanza del 2518 pensiero hegeliano, non pensava né scriveva col modello innanzi, né si faceva dei paragrafi dell’Erciclopedia la regola del proprio giudizio” (p. 129); e G. si compiace di additare almeno un luogo della Filosofia di Gioberti (1863, pp. 48 sg.) in cui S. mostra di avere, del pensiero, “un concetto conforme bensì alla Ferorzenologia hegeliana, ma non forse alla Enciclopedia, in cui il pensiero nostro, libero, personale, presuppone la logica in sé, nella stessa relazione che la riflessione giobertiana ha con l’intuito come sua base autorevole” (p. 131). Il vero significato della “circolazione” sta allora nella critica o meglio “autocritica” del processo storico del pensiero italiano che in S. si compie: “la vera importanza della critica dello Spaventa sul Galluppi, sul Rosmini e sul Gioberti è di rappresentare il progresso del pensiero italiano dopo Gioberti” (ivi). Con questo riconoscimento — e qui G. si discosta dai suoi precedenti studi, e approfondisce un’obbiezione avanzata nella prefazione a La filosofia italiana [99] — cade tuttavia lo stesso concetto della “circolazione”: “concetto, diciamolo pure, alquanto fantastico, implicando quello di una nazionalità come una sfera chiusa di vita spirituale: che, a sua volta, è concetto non sostenibile né storicamente, néfilosoficamente, fondato su una rappresentazione fantastica della nazione, come qualche cosa di esistente in sé, in conseguenza di certi dati naturali” (p. 132). Certo, lo schema “rigido” della “circolazione” fu reso da S. più flessibile con la “scoperta” del nesso Vico-Kant ($$ 36-38, pp. 134-140), anche se il filosofo non riuscì a individuare la vera origine storica della dottrina vichiana (gli sfuggì l “aspetto incontestabilmente kantiano del Deantiquissima”, p. 136) e della esigenza metafisica che pure ad essa riconobbe. Tuttavia, l’obbiezione di G. all'idea spaventiana del “circolo” resta: e viene giustificata, a) sul piano storico, 2519 attraverso numerosi riferimenti (pp. 133 sg.) che mostrano come la “circolazione” sia stata “continua” (p. 134), e h) sul piano filosofico, in virtù dell’equazione: nazione=spirito=universale (“e se la concretezza dell’universale importa le differenze, queste non cancellano mai quello: e la varietà della storia non è che l’eterna variazione dell'uno e l'eterna unificazione del vario”, p. 133). La “circolazione”, per G., è “continua”, perché coincide col dialettismo del pensiero in atto. Le pagine, già richiamate, che chiariscono il rapporto Vera-S. avviano G. allo intelligenza” dell’hegelismo spaventiano. Unico problema di S. quello della logica o teoria del conoscere, sviluppato nella linea della sinistra hegeliana (pp. 144 sgg.) così come l’intende G., nella linea cioè di una ricerca volta all’ “affermazione dell’essere come mente” (p. 141) contro le concezioni imperniate sulla rappresentazione religiosa del logo (p. 145). Ma il “problema della mente” come problema del conoscere diventa centrale in S. non attraverso una mera “riduzione” della filosofia a gnoseologia; è, infatti, sul piano storico — sul piano di quel reale processo storico che va da Kant a Hegel — che la critica del conoscere si è rivelata a S. nel suo valore: non pura gnoseologia, ma metafisica (p. 148). G. ripercorre allora ($$ 44-50, pp. 149-159) le pagine dello Schizzo di una storia della logica [68] dedicate allo svolgimento del problema della conoscenza in Kant, Fichte, Schelling, Hegel; insistendo per suo conto — ma con l’indubbio conforto dei testi — sull'importanza della lettura spaventiana di Kant (della Critica della ragion pura, non della Critica della ragion pratica né della Critica del giudizio; e, all’interno della prima Critica, dell’Analitica piuttosto che della Dialettica, p. 151), che offrì al vecchio maestro un criterio fondamentale per 2520 orientare la sua ricerca teoretica e la stessa sua interpretazione di Hegel. Il Kant di S., il Kant “inteso a dovere” (i. e. il Kant della “vera sintesi a priori”, “unità del senso e dell’intelletto, in cui consiste l’atto deiconoscere”, p. 152), “rimase per lui sempre la vera pietra di paragone dello stesso hegelismo” (p. 151), e di ogni altro idealismo; il cui problema, come è noto, è presentato, nello Schizzo, secondo questo semplice schema di sviluppo: l’unità (di senso e intelletto, di essere e pensiero) richiesta da Kant, “pensata” da Fichte (ma solo “pensata”, come processo formale) e intuita da Schelling (ma solo intuita) come processo reale, fu “provata” da Hegel. O meglio: Hegel si accinse alla “prova” (a “pensare il pensiero come l’in sé della realtà”, p. 159); S., sottolinea G., non ci appare mai persuaso che Hegel fosse riuscito nell’intento attribuitogli, così come non ci appare mai convinto di essere riuscito a condurre a termine la “prova” richiesta (ivi). G. può procedere ormai ($$ 51-58, pp. 159-171) alla individuazione del “vero” hegelismo di S., il quale accenna in più luoghi — e a volte dà inizio — ad un reale progresso da compiere rispetto a Hegel, spesso restando impigliato in difficoltà delle quali gli rimase per lo più ignota la radice. Un primo tipo di difficoltà si rende manifesto già nell’ambito delle riflessioni emergenti nello Schizzo, e sviluppate in Logica e metafisica, intorno al tema del “primo scientifico”. La “prova dell’identità” si scinde in S. (come già in Hegel; e per Hegel v. in particolare il $ 55, pp. 165- 167) in due prove, quella della fenomenologia (la “mente” non è semplice soggettività, ma è processo reale, è mente assoluta) e quella della logica (il processo della mente è logico; il logo non è oggetto d’intuito). La distinzione delle due prove comporta la separazione della logica dalla fenomenologia, e rende necessario l'abbandono del pensiero 2921 5 2% fenomenologico per attingere il pensiero logico, l’ “in sé della natura e dello spirito, destinato a non coincidere mai col “per sé” o col “per noi” (p. 165). S. volle certo affermate l’ “unità originaria” di fenomenologia e logica (pp. 166 sg.), e questo è un merito che gli va riconosciuto; ma la particolare soluzione da lui ora proposta (il principio della scienza — il “primo scientifico”, immediato in quanto primo — è mediato, provato, in quanto si identifica con l’ultimo grado della fenomenologia) appare “illusoria” e accolta solo “per effetto d’una mera abitudine scolastica”(p. 163; si ricordi un’obbiezione simile di Croce, che definisce “didascalica” la distinzione accolta da S.: cfr. n. 189). Il rilievo di G., che individua, senza appesantirne le conseguenze, l'accettazione da parte di S. del sistema hegeliano nella sua architettura fondamentale (implicante perciò l'esclusione della Fezorzenologia come semplice “propedeutica”), sembra confortato da un’osservazione precedente, in cui si parla delle “difficoltà insormontabili che [S.] incontrava sempre nel concetto della natura che non è per lui, come il logo, reale soltanto nel pensiero (ossia, analogamente, nel concetto della natura) ma in se stessa, benché non per se stessa. Su questo punto però, G. si affretta a ricorrere ai testi, in particolare alla lettera Paolottismo [78], per documentare l’avversione del filosofo al teismo e al naturalismo, egualmente travolti “dalla sua tendenza al più schietto e assoluto idealismo spiritualistico e umanistico. E a gettare una miglior luce su quelle riflessioni di S. intorno al rapporto di pensiero logico e pensiero fenomenologico, interviene l’analisi degli studi sulle prime categorie della logica hegeliana: lo scritto del 1863-64 [70], preparato dalla critica di Gioberti (p. 169), e, soprattutto, il Frazzzzento inedito del 1880-81 [103], dove l'essere è finalmente colto come “atto del pensare”; con 2322 questa “nuova soluzione lo Spaventa toccava il più alto segno a cui era indirizzata fin da principio la speculazione dell’idealismo trascendentale; e iniziava una radicale riforma dello hegelismo, ricollocando la logica al suo natural posto, al fastigio della fenomenologia, ma nella stessa fenomenologia; scrollando dalle fondamenta la nuova fortezza in cui con Hegel s’era andato a chiudere il vecchio ente — il trascendente — sotto nome di logo, sovrastante alla natura e allospirito. Un altro gruppo di paragrafi ($$ 59-70, pp. 171-185), che prepara la conclusione del saggio, è dedicato da G. agli studi di S. sul positivismo, o sul “nuovo empirismo”: l’ultima fatica del filosofo. G. vuoi giustificare la “affinità sorprendente” dell’idealismo spaventiano con l’empirismo “raccomandato” dai positivisti (p. 171); ci ricorda che lo stesso filosofo nella prefazione ai Principi del 1867 si dichiarò positivista, e volle essere riconosciuto come tale, in forza di una concezione dell’uomo (l’ “uomo è essenzialmente storia”) che ha il suo sviluppo più conseguente negli Studi sull’etica hegeliana, del 1869: dove S. oppone alle anime sensibili — a chi si compiace di separare il dover essere dall’essere, la legge dal fatto, e così via — una concezione “rigorosamente immanentista”, che si presenta con un “aspetto pauroso di cruda storicità, ossia di schietto naturalismo” (p. 174). In che senso si muove la critica di S. al positivismo, se il suo idealismo immanentistico toglie l'opposizione di assoluto e relativo, apriori e aposteriori ecc.; se può apparite, come apparve ai difensori della tradizione, una sorta di “materialismo aristocratico”? (p. 171; cfr. n. 156). “Dove s’era dunque cacciato lo spirito coi suoi imprescrittibili diritti”? (p. 176). Alla domanda, osserva G., si può rispondere solo se si sappiano collocare i concetti filosofici nel contesto del loro ptocesso storico: 2523 materialismo, naturalismo e empirismo sono momenti dell’idealismo “vero”, “storico”, introdotto da Kant come “sviluppo” dell’empirismo di Locke e di Hume (e già, per quanto riguarda S., va rilevato che la sua critica dell’intuito fatta nella Filosofia di Gioberti “è, per indiretto, la celebrazione dell’empirismo lockiano”, pp. 177). L’empirismo avversato da S. è quello che non riconosce la propria origine storica (e quindi la propria giustificazione speculativa) nello sviluppo dell’idealismo cartesiano, come critica dei “residui platonizzanti e scolastici” di quella filosofia (p. 178); è l’empirismo che non riconosce più la propria funzione nella critica dell'esperienza, contro la vecchia metafisica dell'ente (p. 179). S. ha contribuito (soprattutto in Kant e lempirismo [88], e negli scritti postumi Esperienza e metafisica [94] e Introduzione alla critica della psicologia empirica [105]) a svelare l'equivoco (astrazione dal processo storico) per cui si contrapponevano ancora, dai contemporanei, idealismo e positivismo; tenendo fede, per suo conto, a quel “principio della certezza del vero o della storicità dell’eterno, che era stato il primo motivo della filosofia cartesiana e l’idea madre del Saggio di Locke” (pp. 181 sg.). Di qui l’interpretazione spaventiana di Galileo (p. 182), ripresa in Esperienza e metafisica, nel contesto della sua critica dell’ “ontismo: della filosofia che concepisce la realtà come ente o enti (materia o idea)”, p. 183; di qui l’affermazione di un “fenomenismo” assoluto (la realtà è “fenomeno a se stessa, fenomenizzarsi eterno”, p. 184), che accoglie e legittima le esigenze del vero idealismo e del vero positivismo. Il “nuovo fenomenismo” di S., conclude G. M 71-73, pp. 185-189), fu “annunziato”, più che “svolto”, nell'opera pubblicata postuma nel 1888; ma qui il vecchio maestro giunse a rivendicare l’ “essenza spirituale del mondo, meccanizzatasi nell’astratto spiritualismo platonico 2524 e cartesiano” (p. 185). Agli occhi di G., S. raggiunse proprio in queste pagine quel “punto di vista spiritualistico” che l’attualismo era destinato a svolgere, sviluppandone coerentemente il principio. Il “preattualismo” di S. è disegnato con estrema chiarezza e decisione: per il “nuovo” fenomenismo, “gli enti son negati nella loro astrattezza, dove non è dato scorgerne se non l’ombra fissa e fallace: ma riaffermati nella vita concreta che essi vivono in seno alla realtà spirituale, come saldi momenti del pensiero. La storia è la teofania di questa filosofia: ma questa storia non è la dura storia che l’uomo si trova innanzi, già realizzata e diventata una necessità che allo spirito simponga come limite naturale; è invece la storia che l’uomo non trova mai innanzi a sé, come un passato, ma che egli realizza, creandola. Tutto quello che è già, è ente. E l'ente come tale nasce dalla riflessione e dall’analisi della vera realtà, che non è, ma diviene, facendosi da sé” (p. 185). 194. M. MISSIROLI, La monarchia socialista. Estrema destra, Bari 1914, pp. 224. Della Monarchia socialista v. anche la seconda edizione, Bologna 1922, pp. 145. Su S. Si veda specialmente il quinto capitolo (I/ pensiero della Destra, prima edizione, pp. 73-83; seconda edizione, pp. 71-79), che ricorda gli scritti sul problema del rapporto dello stato con la chiesa, quello contro Tommaseo sul tema: Rousseau-Hegel-Gioberti [51], ecc. La tesi è riassunta in modo chiaro nella prefazione alla seconda edizione: “lo stato moderno, inteso come stato etico, non è realizzabile, se non nelle nazioni, che abbiano superato l’idea cattolica mediante la Riforma protestante”. S., e con lui De Meis e Gioberti, nell’alternativa: ritorno al puro cattolicesimo e rinuncia alla rivoluzione, oppure 2525 riforma religiosa, ha scelto la seconda via (pp. 4, 10). Cfr. la recensione di G. Gentile alla prima edizione della Monarchia socialista in “La Critica”, XII (1914), pp. 234 sg. 195. Un giudizio di Bovio su B. Spaventa, in A. CARLINI, La mente di Giovanni Bovio, Bari 1914, pp. 183-184. Ristampa di uno scritto (Augusto Vera) pubblicato nel 1885 sul “Giordano Bruno” di Napoli. S. è elogiato da Bovio, come il filosofo che seppe rendere esplicito il “lato nuovo” di Hegel. Il “giudizio” offre nelle prime righe una nuova presentazione del rapporto Vera-Spaventa: “Spaventa, geometra; Vera, dotto...” (nello stesso volume, p. 185, Si legge il testo di un’epigrafe dettata da Bovio per lo Sl 196. G. GENTILE, Prefazione a B. S., Introduzione alla critica della psicologia empirica, estratto dagli “Annali delle Università toscane “, Pisa 1915. Cfr. n. 105. 197. C. CIPRIANI, La psicologia di B. Spaventa, Bologna 1916, pp. 15. Rapida esposizione e analisi delle vedute di S. intorno alle origini della percezione, ai rapporti tra fisiologia e psicologia, ecc.; il saggio segue il testo della Introduzione alla critica della psicologia empirica, pubblicato dal Gentile. FAZIO ALLMAYER, I/ problema della nazionalità nella filosofia di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, I (1920), pp. 173-190. Ricostruisce, con numerose citazioni dalle opere di S. e molti riferimenti e raffronti con le dottrine dei suoi contemporanei (Gioberti, in particolare, e Mamiani, Luigi Ferri, ecc.), la genesi e lo sviluppo dell’idea di nazionalità in S.: dalla primitiva negazione (contrapposta alla “boriosa” affermazione dei sostenitori di una tradizione propria, perché esclusiva, del pensiero italiano), al riconoscimento della necessità di una filosofia italiana nella lotta per l’unità nazionale; infine, al pieno superamento del concetto naturalistico di nazione (la nazione come “destino”) nell’idea dello “spirito che si crea in una forma determinata”. Un momento decisivo in questo itinerario di S. è rappresentato dalla elaborazione di un nuovo concetto di universale-concreto, che supera ad un tempo le posizioni di Gioberti e di Hegel; Hegel pensava “che il mondo germanico dovesse assorbire la nazionalità in quanto rappresentante della verità, e non intendeva lo spirito degli altri popoli né [la] personalità autonoma di ciascuno di essi”. Sono “indizi luminosi” di questo processo di superamento la riforma della dialettica hegeliana proposta nel 1863 e nel 1880-81, le “lunghe meditazioni sulla Fenomenologia”, il rifiuto della filosofia della natura, la criticadelrealismo e del positivismo in funzione di un idealismo “che è storia, vivezza di problemi, vera ricerca dell’identità del reale col razionale e del razionale col reale...” (p. 188). L’articolo è ristampato in V.F.A., Il problema morale come problema della costituzione del soggetto e altri saggi, Firenze 1942, pp. 131-154. 2527 199 G. GENTILE, prefazione a B. S., La libertà d'insegnamento. Una polemica di settant'anni fa, Firenze 1920. Cfr. n. 108. 200. A. DEL VECCHIO VENEZIANI, La vita e l’opera di Angelo Camillo De Meis, Bologna. CARAMELLA, Il liberalismo hegeliano del Mezzogiorno. I. Bertrando Spaventa, in “La Rivoluzione liberale”, I (1922), n. 28 (28 settembre), p. 105. Il saggio, completato con due articoli su De Meis e Silvio Spaventa già pubblicati nello stesso periodico nel 1923, è ristampato nel volume: La filosofia dello stato nel Risorgimento, Napoli 1947, pp. 90 (lo scritto su S. occupa le pp. 47-55). Come si conciliano la sovranità dell'idea e l’autonomia dell’individuo? Qual è, cioè, “la libertà propria dello stato liberale?”. Questo il problema di S., problema che investe “la legittimità del liberalismo”. Per Hegel resta incerto se lo stato integra o disindividua il singolo. La richiesta spaventiana di una “mediazione tra il singolo e l’universale, tra la storia e l'assoluto” è studiata attraverso la lettura delle polemiche coi gesuiti [101], della Libertà d'insegnamento [108] e dei Principi di etica (97; e C. attribuisce senz'altro a S. un articolo del “Nazionale” del 5 marzo 1848). S. non riesce a conciliare i due termini, e resta fermo alla 2528 conclusione “che l’individuo trova nello stato valori più alti del suo spirito pratico, e nel suo aderire allo stato riconosce in esso raturaliter il suo più vero sé. Si son fatti molti passi innanzi e chiarite molte relazioni: ma la domanda non ha avuto né avrà pià da Spaventa una risposta diretta. Lo stesso conflitto tra libertà e tradizione, stato di diritto e stato di fatto, viene risolto senza nessun riguardo all’individuo (che invece lo sente più che mai), ma solo in rapporto allo stato per sé preso”. Ma S. è anche il critico del costituzionalismo del 1821 e del ‘48; e quando afferma che la costituzione non è uno schema astratto che sisovrappone alla vita dello stato storico, positivo in quanto storico, indica una via che sarà seguita “con più coerenza” dal fratello Silvio. “L'opposizione del singolo e della collettività, della coscienza e dell’autorità, rimasta impigliata nelle maglie della dialettica in Bertrando Spaventa, troncata imperiosamente a favore del secondo termine dal De Meis, appare nel nostro [= Silvio] meno ardua perché storica...”. 202. G. DE RUGGIERO, I/ pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Bari 1922, pp. 303. Cfr. n. 190. 203. C. CURCIO, I/ pensiero politico di Bertrando Spaventa, Napoli 1924, pp. 62. È una rapida ricostruzione e, per lo pè, nella stessa intenzione dell’a., una parafrasi delle tesi esposte da S. nei Principi di etica [97], nella Politica dei gesuiti [101], nella Libertà d'insegnamento [108], ecc., a sostegno di un ideale di stato liberale, che il C. ripropone in questa forma “per mostrare... quale sia il pensiero di un liberale autentico... 2529 del cui nome si son fatto scudo molti e molti per dire cose assai diverse, nonché tra loro, da quello che fu lo spirito del filosofo meridionale”. 204. G. GENTILE, Bertrando Spaventa, Firenze, s.d. [1924]; pp:217. Nuova presentazione del Discorso premesso agli Scritti filosofici di S. (cfr. n. 96 = Opere, I, pp. 1-170). G. dichiara nella prefazione di ristampare il saggio del 1900 “con nuove cure e parecchie aggiunte, ma senza mutare una linea a quello che una volta dissi, o sapevo dire” (p. 9 = Opere, I, p. 7). L'aggiunta piè rilevante è costituita da un nuovo capitolo (VII. Contro la nuova corruzione italiana, pp. 161-171 = Opere, I, pp. 139-148), costruito con la riproduzione di una lettera di S. a De Meis del 13 luglio 1880, e di due lettere dello stesso De Meis a S., del 1880-81: tre denunce amare — e, a giudizio di G. (p. 162 = Opere,I, p. 140), parziali — del “positivismo” ormai imperante nella vita politica italiana, dopo l’avvento della Sinistra al potere. Va segnalata inoltre, nell’Appendice (pp. 181-199 = Opere, I, pp. 157-170), la pubblicazione — sotto il titolo Le tribolazioni di B. S. giornalista —di documenti relativi alla collaborazione di S. alla “Rivista contemporanea” (una lettera a De Meis del 23 febbraio 1856, un promemoria di S., una lettera a S. di L. Chiala del 4 aprile 1856, infine la ristampa dell’articolo di S. La Civiltà cattolica e la Rivista contemporanea, apparso sul “Piemonte” del 16 gennaio 1856; su queste “tribolazioni” di S. giornalista vanno confrontate ora le integrazioni e precisazioni di S. Landucci, De Sanctis e Tommaseo. Lettere inedite, “Belfagor”, XVII, 1962, pp. 207 sg., nota); e, sotto il titolo B.S. e l’Accaderzia di filosofia italica, la pubblicazione di due lettere di Mamiani 2530 a S. (3 giugno 1852, 12 ottobre 1854), e di due lettere di S. a Mamiani (13 luglio 1854, 10 ottobre 1854). Alle pp. 201-215, la Bibliografia degli scritti di B. S., accresciuta e corretta. Le “nuove cure” e le aggiunte minori (o le variazioni introdotte nel testo del 1900) sono dovute alla pubblicazione di nuovi documenti (come le Ricerche e documenti desanctisiani [cfr. n. 130] di Croce), e alla scoperta dei nuovi testi spaventiani editi dallo stesso G. tra il 1900 e il 1920 (il Framziento inedito sulla dialettica, l’Introduzione alla critica della psicologia empirica, ecc.). Così, si legge ora che la teoria della “circolazione” del pensiero italiano è “uno dei maggiori titoli scientifici del nostro filosofo” (p. 63, e cfr. p. 102 = Opere, I, pp. 55, 90) e non più, senz'altro, il maggiore (com’era detto nel testo del 1900); appare modificato il giudizio sulle Prize categorie (tentativo di soluzione, rispetto al Framzzzento del 1880-81); e così via. Degna di rilievo è infine la prefazione della monografia (pp. 7-9 = Opere, I, pp. 3-7); per la ripresa dell’accostamento S.-De Sanctis (già sottolineato nella prefazione a Da Socrate a Hegel; cfr. n. 98), che si specifica ora nel senso di una preminenza del primo sul secondo (“lo Spaventa, dalla parte sua, ridusse a concetto filosofico quello che in De Sanctis fu intuito largo, comprensivo, luminoso, ma non sempre coerente e fermo”); perle riserve mantenute a proposito della teoria della “circolazione” (cfr. allora i rilievi nelle Origini della filosofia contemporanea in Italia: n. 193; e, prima ancora, i rilievi della prefazione a La filosofia italiana, n. 99); per il compiacimento, infine, con cui G. può annunciare, dopo venti anni, il “successo” della lezione spaventiana. 2531 205. V. PICCOLI, Storia della filosofia italiana, Torino 1924, pp. VII-338. Su S. cfr. in particolare alcune pagine del ventisettesimo capitolo (La lotta delle tendenze, pp. 271 sgg.). Malgrado alcuni riconoscimenti parziali, è respinta la ricostruzione spaventiana della storia della nostra filosofia, il cui carattere fondamentale va ritrovato, afferma l’a., nell’ “esigenza di un trascendentalismo che è, necessariamente, antihegeliano” (p. 282). Il nome di S. è ricordato nel primo capitolo (La tradizione filosofica nazionale); anche qui si leggono analoghi rilievi, che interessano soltanto come documento della più ampia discussione sul problema della tradizione del pensiero italiano. 206. B. CROCE, Documenti di vita italiana. V. Silvio Spaventa, in “La Critica. È la prefazione di C. alle Lettere politiche di S. Spaventa, a cura di G. Castellano [134]. 207. C. LICITRA, La storiografia idealistica. Dal “programma” di B. Spaventa alla scuola di G. Gentile, Roma 1925, pp. 224. Nel primo capitolo (I/ programma di Bertrando Spaventa, pp. 21-31), la. ribadisce che lo schema delle lezioni napoletane di S. è ancora valido come “programma di tutta l’attività storiografica e filosofica del nostro secolo” (p. 26); si tratta tuttavia di uno schema, che nasconde in forma contratta i suoi possibili sviluppi. Si veda allora il terzo capitolo (La filosofia italiana attraverso gli studi di Giovanti Gentile, pp. 595-116), in cui si mostra come Gentile abbia ZII portato a compimento il disegno del maestro, superandone le residue incertezze (e, per l'impostazione teorica del discorso dell’a., cfr. il quinto capitolo, Criteri storiografici dell’idealismo assoluto. SAITTA, Bertrando Spaventa, in “Il Giornale della cultura italiana” [Bologna], I (1925), fasc. 1, pp. 7-8. Scritto dopo la pubblicazione della monografia gentiliana del 1924 [204], il breve articolo mette in rilievo la solidità e la “serietà” del pensiero di S., e l'attualità delle opere del filosofo meridionale. 209. G. GENTILE, Una notizia biografica di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VII (1926), pp. 378-382. Cfr. n. 161. 210. L. RUSSO, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana (1860-1885), Venezia 1928, pp. 399. Lavoro fondamentale per la ricostruzione dell'ambiente, degli schieramenti, delle polemiche, delle varie relazioni — scontri, alleanze— tra le diverse “culture” che si incontrano nello sviluppo della cultura nazionale italiana. Dell’opera viene qui seguita la terza edizione, Firenze 1959, pp. XIV- 415. Sono da vedere le pagine della prefazione alla seconda edizione — qui riprodotte, pp. XI-XIV — dove sono indicati i motivi ispiratori e le conclusioni generali della ricerca, in termini suggestivi e ancora stimolanti (De Sanctis riformatore “di uomini, cioè di indirizzi mentali e spirituali”; con lui la “cultura dell’Italia in esilio”, maturatasi 2533 tra il 1848 e il 1860, trionfa a Napoli; collocazione della cultura napoletana nella geografia culturale d’Italia; contributo di Napoli alla formazione di una “cultura nazionale”; ragioni del successo della cultura vichiana napoletana nel Novecento; ecc.). 2534 Nel primo capitolo (La decadenza dell’Università borbonica e la riforma del De Sanctis), alle pp. 30 sgg., sono rievocate le sommosse studentesche contro la nuova università, che toccarono da vicino lo S. Sul carattere dell’insegnamento e sull’ “antiaccademismo filosofico” di S. si vedano le pp. 90-102 del capitolo terzo (La nuova cultura e gli hegeliani); di seguito, alle pp. 202 sgg., è ripreso il tema dell’antitesi Vera-S. Nel sesto capitolo (Gli scienziati e la reazione alla metafisica) è ricostruita — pp. 181-184 — la polemica sulle psicopatie, tra il Tommasi e S. (accostati, poi, a p. 186: l’ “unità scientifica” promossa da Tommasi “poteva dirsi analoga a quell’altra che lo Spaventa realizzava nel campo della filosofia”). S., De Sanctis, De Meis sono riavvicinati fra loro, pp. 197 sg. (nel capitolo settimo: La cultura extrauniversitaria), in virtù del più avveduto e critico “positivismo” (“essi, che agli ebbri gerarchi del nuovo movimento, parevano già filosofi oltrepassati, ‘metafisici estetici’, ‘idealisti’, forse restavano ancora i più illuminati veggenti e teorizzatori e interpreti della nuova filosofia, maestri che, nella coscienza dei limiti di quella, precorrevano già alla sua correzione e al suo svolgimento”); dopo aver ricordato i difficili rapporti degli hegeliani con il “transfuga dell’idealismo”, P. Villari (pp. 214 sgg.), sono ribadite da R. le ragioni “morali” dell’avversione (condivisa dall’a.; v. pp. 195 sgg., 225 sg.) di S. al “facile” positivismo, alleato ai paolotti (pp. 217 sgg.). Il capitolo ottavo (Conflitti tra il vecchio e il nuovo, pp. 227 sgg.) è in gran parte dedicato alla battaglia degli hegeliani contro V. Fornari, e alle polemiche con F. Acri (per gli interventi di S. v. in particolare pp. 252 sgg.). I capitoli nono (Polerziche politiche, pp. 259 sgg.), decimo (Silvio Spaventa e il liberalismo di Destra, pp. 283 sgg.), undicesimo (L'educazione nazionale e il pensiero dei napoletani, pp. 309 2393 sgg.) e dodicesimo (I/ De Sanctis educatore politico, pp. 339 sgg.) sono dedicati alla ricostruzione delle posizioni assunte dagli esponenti della cultura napoletana sul terreno dei conflitti etico-politici; sono pagine che tendono a concludersi con un elogio di quella “medietas” politica che De Sanctis seppe dimostrare (p. 343 sg.), e il cui senso mancò agli altri hegeliani, fatta eccezione per Silvio S. (“il solo napoletano che possa stare accanto a De Sanctis” per l’ampiezza delle vedute politiche, p. 380). Silvio S. è del resto salvato dall’accusa di statolatria, e lodato (come fece già Croce) per la sua battaglia intesa “a frenare l'eccessiva ingerenza autoritaria dello stato” (p. 287). Sul De Meis, e su B. S., per le opinioni espresse da loro sul tema dell'educazione religiosa e del rapporto dello stato con la chiesa, cade un pesante giudizio di “astrattezza” e un’accusa di “confusione”. S. “dialettizzava le relazioni tra la chiesa e lo stato, come fossero due concetti puri, e si trattava invece di due istituzioni storiche; e la separazione giuridica egli interpretava come separazione dialettica...” (p. 318). S. non vedeva “il pericolo dello stato etico” da lui teorizzato: “intesa la dottrina dello stato etico, come s'intende per lo più, come uno stato che dirige, che insegna, che moralizza, che ordina culti, avremmo uno stato pedantesco e autoritario e, in fatto di religione, avremmo lo stato teologo, lo stato calvinista, o, per rimanere nell’ambito della tradizione italiana, una specie di potere temporale, in laico ammanto” (e mazziniani, democratici e neoriformatori avrebbero ragione di considerare loro maestri lo S. e il De Meis, p. 319). Il “senso etico” nello stato moderno appare meglio salvaguardato dai politici che adottarono la formula cavouriana, intuendo (come intuì Silvio S.) che “la migliore soluzione del conflitto” era la “perpetuazione del conflitto stesso”, garanzia a un tempo della libertà religiosa e della 2536 libertà di pensiero (p. 321). Il nome di S. torna ancora nelle pagine conclusive (Napoli e la cultura nazionale, pp. 383 sgg.), che riassumono i caratteri generali della cultura napoletana, “lontana e comune genitrice della nostra presente cultura nazionale. E vi torna in ogni paragrafo: sia che si tratti di ribadire la “tendenza antiletteraria e antiaccademica” di quellacultura(tendenza condivisa da S. nella sua concezione della filosofia come “consapevolezza”, “riflessione di vita”); sia che si tratti di sottolinearne l'esigenza “cosmopolitica” (ma in senso nuovo, e moderno; la scienza e la filosofia diventano veramente nazionali “per la mediazione di una coscienza europea”) o la “tendenza critica e razionalistica”; sia che si tratti infine di lodare 1’ “antiteocratismo” dei vecchi maestri — fondato su una nuova fede religiosa, immanentistica — o il loro “animus critico” (come “senso storico dei problemi”: la “riforma del sistema hegeliano avviene allora più che per trasmutati sillogismi, per energica espressione della sua sostanza storica”, p. 395). Tra le recensioni, si ricorda qui quella di A. Omodeo, in “La Critica”, XXVI (1928), pp. 355-360 (ristampata in A. O., Difesa dei Risorgimento, Torino 1955, pp. 520-526). Omodeo raccoglie e ripete le obbiezioni allo “stato etico”, che può rovesciarsi in stato autoritario; la moralità è, kantianamente, “forma”, che vive nella coscienza dell’individuo. MAZZANTINI, Lo begelismo in Italia, in Hegel nel centenario della sua morte, supplemento speciale della “Rivista di filosofia neoscolastica”, XXIII (1931), pp. 1-52. 2351 Nello sviluppo interno del pensiero di S. è prefigurato l’intero svolgimento dell’hegelismo in Italia; di quel movimento che, nato con un orientamento umanistico- storicistico, sembra destinato a rovesciarsi in un positivismo integrale. Come attestano i più recenti sviluppi del neohegelismo: malgrado le resistenze dei maestri (di Croce, con la sua distinzione di teoria e pratica, e di Gentile, con la distinzione di io empirico e io trascendentale), gli ultimi seguaci della dottrina tendono verso un fenomenismo puro o assoluto positivismo. A S. sono dedicate specialmente le pp. 1925. M. richiama i motivi centrali del suo pensiero (la storia della filosofia italiana — che viene respinta, soprattutto l’interpretazione di Rosmini —, la dottrina svolta nelle Prizzze categorie [70], ecc.), e pone in rilievo la naturale convergenza dell’ “umanismo” di S. col positivismo. S. sperò di poter costruire un “positivismo idealistico assoluto su basi hegeliane”, p. 21; ma ci sono, per l’a., antitesi inconciliabili tra idealismo e positivismo, anche se appaiono facili e suggestive certe concordanze (carattere “mondano” del filosofare, ecc.). 211 bis. D. CANTIMORI, Sulla storia del concetto di Rinascimento, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, serie seconda, I (1932), fasc. 3, pp. 229-268. Su S. vedi in particolare il paragrafo sesto (La circolazione del pensiero italiano e l’importanza del Rinascimento per la filosofia europea), pp. 255-261; e per un raffronto col De Sanctis, il paragrafo successivo, pp. 161 sgg. Scrive l’a. che per S. la filosofia del Rinascimento “non è soltanto | ‘aurora’ della Riforma religiosa, vero sole meridiano della civiltà e della filosofia, ma costituisce di per sé la ‘riforma filosofica. L’unilateralità schematica e sistematica dello 2538 Hegel e del Brucker è superata. La valutazione positiva della Riforma infatti è mantenuta, in quanto il Rinascimento acquista il suo valore dal paragone con essa, edèconsiderato come un altro aspetto storico di quella ‘rivoluzione degli spiriti’, che si manifestò come protesta e come Riforma in altri paesi. Così il concetto di ‘Riforma’ è allargato, ed il suo valore non è più derivato dalla sua significazione per la storia ecclesiastica, ma dalla sua importanza per la storia del pensiero. Anche se permangono qua e là, in S., suggestioni hegeliane (il Rinascimento come “germe indistinto e incosciente”, “torbido e inconsapevole”), il filosofo italiano ha colto, meglio di Hegel, l'intimo nesso di riforma religiosa e rivoluzione filosofica; nella storia della filosofia il pensiero del Rinascimento è “equivalente” — e non “subordinato” — alla Riforma: due aspetti di un'unica “rivoluzione spirituale”. Nello stesso paragrafo, utili indicazioni sui riflessi di questa prospettiva e “scoperta” spaventiana nella teoria della “circolazione”, e in tutta la ricostruzione storica del pensiero italiano elaborata dall’hegeliano di Napoli. 212. E. GUASTALLA, Vincenzo Gioberti nella critica di B. Spaventa, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, I (1932), fasc. 4, pp. 349-357. Ricostruisce con accuratezza i termini in cui si esprime la critica di S. alla filosofia di Gioberti. Si tratta della nota interpretazione che, dopo aver denunciato la contraddizione tra il principio o contenuto (lo spirito) e la forma o metodo (l’intuito) della metafisica giobertiana, ritrova, nelle Postume, i germi del superamento idealistico del dualismo di ente e esistente, Dio e mondo. A questa interpretazione vengono mossi dall’autrice due rilievi. In primo luogo, S. 2359 sopravvaluta le opere postume, che sono un complesso di appunti frammentari, di materiali disorganici. In secondo luogo S., chiuso come è in una sua “visione unitaria” e semplificatrice dei problemi, perde di vistatutta la ricchezza e la vitalità di quel dualismo, che è certo presente in Gioberti. “Lo Spaventa non intende ‘il fuori’ dello spirito umano, e gli sfugge quell’elemento che si oppone allo schematico dottrinarismo ed è senso naturale e spontaneo, per cui l’Uno si moltiplica ed ha due lati, l'oscuro e sovrintelligibile ed il chiaro e intelligibile: quello oggetto di fede; questo, di ragione” (p. 354). L’idealismo di Gioberti non ha mai abbandonato del tutto “il suo carattere ontologico-obbiettivo”, il riferimento all’essere immutabile, “principio fondamentale del teismo, base della distinzione sostanziale di Dio e mondo”. Il motivo profondo che si esprime nella doppia formula giobertiana è l'affermazione del valore e della necessità dell'’immanentismo e del trascendentismo, al di là di ogni tentativo di concludere per la sola trascendenza o per la sola immanenza. CARAMELLA, Urnzversalità e nazionalità nella storia della filosofia italiana, in S. C., Senso comune, teoria e pratica, Bari 1933, pp. 129-174. Il saggio era stato già pubblicato negli “Annali dell’Istituto superiore di Magistero di Messina. La teoria della “circolazione” è viziata dalla “concezionedella storia della filosofia come concatenazione dialettica di sistemi fondati sul problema della conoscenza e come derivazione di essi e dei loro problemi l’uno dall’altro”. L’a. si dimostra molto sobrio nel porre in rilievo le forzature e gli squilibri cui il disegno storiografico di S. ha dato luogo, e preoccupato piuttosto di sottolineare la necessità, che da 2540 quella critica risulta, di allargare le maglie dello schema spaventiano, tra l’altro rinsanguando la storiografia filosofica con quella politica e culturale; il che consentirebbe di presentare in forma nuova il problema spaventiano del rapporto di nazionalità e filosofia, e di prospettare una più ampia continuità tra Rinascimento e Risorgimento, individuando i caratteri distintivi della tradizione italiana nella storia del pensiero europeo (umanismo e laicismo, ma non antiteologismo, cioè conciliazione, “nel contrasto”, di filosofia e religione; storicismo, coscienza dei valori storici, piuttosto che scientismo, ecc.). 214. G. GENTILE, Hegel e il pensiero italiano, in “Leonardo”, 1933, n. 2, pp. 185-190; e in Verbandlungen des dritten Hegelkongresses vom: 19. bis 23. April 1933 in Rom, a cura di B. Wigersma, Tùbingen-Haarlem 1934, pp. 9-20. È il discorso inaugurale del terzo congresso hegeliano (Roma, 1933); vedilo anche ristampato in G. G., Merzorie italiane e problemi della filosofia e della vita, Firenze 1936, pp. 205-220. L’a. vuol chiarire in che senso noi italiani siamo hegeliani, “a modo nostro”. E si appoggia alla ricostruzione storica fatta da S. nelle lezioni napoletane del 1861 (la “prima storia della filosofia italiana”), ne ripete le grandi linee, e loda la scoperta di Vico, e la nuova concezione della dialettica introdotta da S. Interessante la presentazione del parallelo S. — De Sanctis, che offre alcune varianti rispetto a precedenti formulazioni del G. “Entrambi hegeliani, sebbene il De Sanctis, ingegno più geniale e robusto, dopo i primi passi si muovesse poi sempre con maggiore originalità e franchezza; ma entrambi sollevati dallo studio di Hegel al concetto della 2541 vita, che fu il nerbo di tutto il loro pensiero”. 215. Uno scritto inedito di Bertrando Spaventa sul problema della cognizione e in generale dello spirito (1858), a cura di F. ALDERISIO, in “Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche”, serie VI, vol. IX, fasc. 7-10, luglio- ottobre 1933, pp. 964-667. Cfr. nn. 113 e 221. 216. T. BARTOLOMEI, Bertrando Spaventa, in “Acta Pontificiae Academiae Romanae S. Thomae”, I (1934), pp. 94-125. Per S. l’uomo “è l’assoluto, l’unico e vero spirito, miscuglio d’eternità e di tempo, d’istantaneo e di successivo, d’intuito e di discorso. È questo il cavallo di battaglia di tutti i panteisti, ma anche il lato debole del loro sistema” (p. 100). Il lato debole consiste nell’ “accozzaglia di attributi contraddittori” (finito-infinito, atto potenziale-atto puro, ecc.). Gliidealisti moderni propongono, sia pure in forma rinnovata, gli stessi argomenti già in uso presso i neoplatonici, presso i panteisti indiani ecc.; e cadono sotto le stesse obbiezioni e la stessa condanna. Alle pp. 105 segg., si legge una critica di S. storico della filosofia. 217. S. CONTRI, Per una nuova interpretazione della storia dell’hegelianesimo in Italia, in “Sophia”, II (1934), pp. 125-127, 305-319. L’a, ricerca le ragioni, storiche e no, dell’atteggiamento 2542 negativo assunto dal neoidealismo italiano nei confronti del problema della costituzione della scienza, per confortare una sua tesi, qui accennata, che concilia e accorda la scienza con la filosofia (i. e. con la metafisica aristotelico-tomistica). In Hegel il problema si presenta come difficoltà del rapporto fenomenologia-logica; di fronte alla soluzione “arbitraria”, “dogmatica” dell’Hegel della maturità (autofondazione della logica o metafisica), S. (su di lui v. in particolare pp. 311 sgg.) scelse una posizione di “centro”, quella per cui si cerca di dimostrare la derivazione della logica dalla fenomenologia, ovvero la “coordinazione in ordine sistematico di gnoseologia e metafisica”. Ma l'esigenza rimase insoddisfatta (Logica e metafisica è una mera ripetizione della logica di Hegel). Gli epigoni imboccarono la strada della “sinistra”: “soppressione della logica a profittodella gnoseologia” (mentre la “destra”insiste nella presentazione “dommatica” della logica). Se è vero lo schema, l’a. spera di aver indicato “il senso di una nuova linea d’interpretazione della storia delle correnti idealiste in Italia”. 218. G. GENTILE, Bertrando Spaventa nel primo cinquantenario della sua morte, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, serie seconda, III (1934), fasc. 2, pp. 165-182. È il testo di un discorso letto nell'aula magna dell’Università di Torino il 31 gennaio 1934 (vedilo anche in G. G., Memorie italiane e problemi della filosofia e della vita, Firenze 1936, pp. 121-149). Il discorso ripropone e chiarisce i “concetti originali” introdotti dallo S. nella filosofia italiana: la teoria della “circolazione del pensiero”, la riforma della dialettica hegeliana e il nuovo concetto 2543 dell'esperienza come “esperienza attiva”, raggiunto attraverso il superamento del positivismo e dell’empirismo e naturalismo posthegeliani. GUASTALLA, La fortuna di Bertrando Spaventa nell’idealismo attualistico, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, III (1934), fasc. 4, pp. 334-346. Richiama i temi e i motivi che giustificano lo sviluppo della linea: Hegel-Spaventa-Jaja-Gentile. Ma l’autrice vuole soprattutto mostrare la necessità di abbandonare l’idealismo mistico o dogmatico per riguadagnare il senso di una problematicità più ricca e articolata (l’a. sembra rifarsi ad alcune indicazioni di A. Banfi, del quale v. l’articolo Lineamenti della tradizione speculativa italiana, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, I [1932], fasc. 2, pp. 97- 114). “La lettura attenta e diretta delle opere dello Hegel ci mette di fronte ad una implicita problematicità del reale, che scompare del tutto nello Hegel dello Spaventa, ma è appunto a quella implicita problematicità dello Hegelchedobbiamo volgere l’occhio attento...” (p. 345). 220. A. PASTORE, Sulla “Parentesi” inedita di Bertrando Spaventa, in “Archivio di storia della filosofia italiana; e in A. P., Scritti di varia filosofia, Milano 1940, pp. 197-218. A proposito della recente pubblicazione della “parentesi” del 1858 [cfr. n. 113]. Le riflessioni spaventiane del ‘58, posteriori alla prima edizione della Protologia, costituiscono il primo documento fondamentale della scoperta del vero Gioberti da parte di S. Ma questa scoperta, secondo P., si deve interpretare nel senso che fu proprio la Protologia ad 2544 “aprire la nuova via ai pensiero di Spaventa, destandolo dal suo anti-giobertismo che era un equivoco e sostanzialmente portandolo a prendere maggiore e migliore notizia di sé”. L’a. rivendica la necessità di guardare al pensiero giobertiano come a un tutto unitario; non ci sono due Gioberti, il vecchio, e quello delle Postuzze, ma uno solo: ed è quello che S. cominciò a scoprire nel 1858, scoprendo se stesso. 221. F. ALDERISIO, L'esigenza realistica nell’idealismo di B. Spaventa, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, IV (1935), fasc. 2, pp. 99-132. L’autore riprende e sviluppa alcuni temi, da lui già introdotti nella presentazione della Parentesi del 1858 [cfr. n. 113], e che ora vengono approfonditi attraverso l'esame delle ultime opere di S., soprattutto l’Introduzione alla critica della psicologia empirica [105] e Esperienza e metafisica [94]. Nei suoi ultimi lavori, S. si domanda in che senso il pensiero possa ammettersi come causa delle cose. E la risposta è complessa: ci sono per S. “due fasi dell’essere (le mezze cose, e la vera realtà attinta dall’essere rel pensiero e co/ pensiero)”; e c'è anche “un duplice porre la realtà da parte del pensiero (prima inconsapevole enaturaleepoicosciente: sintesi apriori primitiva e sintesi secondaria)” (p. 125). L’attualismo ha avuto il torto di assolutizzare — peccando così di unilateralità — l’ “esatto e importantissimo senso spirituale e idealistico” della soluzione spaventiana; amputandola della affermazione realistica, del riconoscimento della realtà delle “cose”, che S. non avrebbe mai negato, perché riteneva di non poter sacrificare “la innegabile diversità della realtà (il che di essa) dal pensiero”, da quel pensiero che ne ricerca e afferma il cos'è, e che in tal 2545 modo trae il reale alla sua verità (p. 126). S., secondo Alderisio, sarebbe più vicino a Hegel di quanto non faccia pensare la lettura gentiliana: questa convinzione verrà ribadita dall’a. in un più ampio lavoro del 1940 [232] nel quale è ristampato anche il presente articolo. 222.F. FIORENTINO, Ritratti storici e saggi critici, raccolti da Giovanni Gentile, Firenze 1935, pp. VI-361. Cfr. n. 163. 223. A. BRUERS, Pensatori antichi e moderni, Roma 1936, pp. 308. Contiene (pp. 233-237) la ristampa di uno scritto del 1926, nel quale si contesta la soluzione data da S. al problema della nazionalità della filosofia. Il “genio italiano”, dichiara B., è “sintetico”, ed ha una “tradizione specifica” che si esprime nella “formula” del “trascendentalismo”; nell’affermazione cioè della trascendenza come “legame potenziatore di tutte le dottrine e attività umane”. 224. F. ALDERISIO, Revisioni e orientamenti idealistici, in “Archivio di storia della filosofia italiana”, VI (1937), fasc. 3, pp. 201-224. Sono i primi due capitoli di un lavoro, che l’a. continuò a pubblicare nella stessa rivista (1938, 1939), e che ristampò poi in un volume del 1940: l’Esazze della riforma attualistica dell’idealismo in rapporto a Spaventa e a Hegel [232]. 225. P. CARABELLESE, L’idealismo italiano. Saggio 2546 storico-critico, Napoli 1938, pp. 379; Roma 19462, pp. XII-304. Tesi centrale del libro: l’Italia “ha una sua originalità speculativa”, che si manifesta soprattutto nel nostro “idealismo storico”; si tratta di un idealismo “oggettivo” (affermazione dell’ “immanenza dell’Oggetto vero nei soggetti certi”), che si deve distinguere e opporre all’idealismo soggettivo, così come è lecito distinguere e opporre, storicamente, il Rinascimento alla Riforma e Rosmini a Fichte e a Hegel. Per S. va tenuto presente, allora, il capitolo sesto (Caratteri dell’idealismo storico italiano; nella seconda edizione, pp. 85 sgg.) e, in particolare, il paragrafo 36: L’idealismo italiano nella filosofia europea: inversione e integrazione delle tesi di Spaventa. S. ha voluto dimostrare il carattere europeo della filosofia italiana, e si trattava di fare proprio il contrario, di commisurare la filosofia straniera a quellaitaliana; di affermare la “vitalità” del nostro pensiero nel pensiero filosofico moderno, non la “circolazione” del pensiero italiano in quello tedesco. Annotazioni particolari a p. 12 (contro S.: non è vero che dalla Controriforma in poi non ci sia stata libertà filosofica in Italia), a p. 50 (S. e Gentile hanno costruito una interpretazione sbagliata di Vico: il vero Vico sta nel De antiquissima), a p. 118 (sul rapporto S.-Gentile-Croce: nei primi due è presente almeno l’esigenza dell’oggettività, a Croce sfugge persino il senso del problema), a pp. 125 sgg. (sul rapporto S.-Gentile; per C. tra i due filosofi c'è una linea di sviluppo perfettamente coerente). 226. B. DONATI, L'insegnamento della Filosofia del diritto e l’attività didattica di Bertrando Spaventa alla Università di Modena nel 1859-60, in “Rivista 254/ internazionale di filosofia del diritto. L'articolo è, in gran parte, frutto di ricerche di archivio. Sono raccolti qui e illustrati i dati relativi al conferimento, a S., della cattedra di Filosofia del diritto nell’università di Modena, al programma del corso e all’attività didattica del filosofo, al suo trasferimento a Bologna e all’insegnamento “interinale” a Modena, in relazione alla nomina del fratello Silvio. Importante l’analisi del discorso inaugurale del 25 novembre 1859 [110], e il rilievo della sua autonomia rispetto alle altre prolusioni di S.: il discorso di Modena è il tentativo di costruire e di sostituire la “biografia della nazione” a quella delle grandi personalità. PELLEGRINI, Nazionalità e universalità della filosofia nel pensiero di B. Spaventa, Firenze 1938, pp. 45. Due modi di intendere lo svolgimento storico della filosofia: Hegel e Vico. “In Hegel, la preoccupazione che nella sua filosofia sistematica si esprime col concetto dello spirito obbiettivo dà luogo alla tipizzazione di gradi o momenti o atteggiamenti dello spirito in singole e diverse nazioni. Nel Vico la sistematicità delle forme acquista una sua concretezza nella vita di ciascun popolo” (p. 44). Nel concetto della “circolazione” del pensiero S. fa rivivere la prospettiva vichiana, che sola offre la possibilità di conciliare  l’universalità della filosofia con la sua “nazionalità”. Ma in S. è presente anche (per motivi polemici, e di “accondiscendenza storica”, p. 45) la visione hegeliana; e i due motivi non giungono a fondersi. “In lui c’è la salda preoccupazione di affermare l’elemento universale come costitutivo della filosofia e, nello stesso tempo, lo sforzo di rendere giustizia alla esigenza storicistica che è nel 2548 concetto, si potrebbe dire, nazionalistico della filosofia. Non si può dire che agli abbia potuto dare la vera risoluzione del problema, la quale avrebbe trasceso i limiti generali entro cui è contenuta tutta la speculazione spaventiana. La vera risoluzione suppone una filosofia dello spirito che faccia consapevolmente centro lo spirito come atto, e che in questo veda il determinarsi delle forme che sono della storia effettiva” (p. 42 sg.). La “realtà” della nazione va cioè, attualisticamente, “dedotta” dal pensiero, che solo può presentarla come “fatto necessario”. Sull’opuscolo v. una nota del “Giornale critico della filosofia italiana”, XX (1939), pp. 103-104, che richiama in breve i termini della discussione del problema dal punto di vista dell’attualismo. VIGORITA, Bertrando Spaventa, Napoli 1938, Di22 Cfr. n. 229. 229. E. VIGORITA, Gerovesi, Galluppi, Spaventa, Napoli 1938, pp. 173. A S. sono dedicate le pp. 87-173. Lo scritto vuol soddisfare una duplice esigenza: a) quella di “delineare lo svolgimento e illustrare le conclusioni” — “con maggior chiarezza e ampiezza che non si sia fatto fin qui dagli studiosi del filosofo abruzzese” — delle ricerche che condussero alla tesi della “circolazione”; b) quella di mostrare che, se S. non giunse a dare unità sistematica al suo pensiero, ci sono tuttavia nella sua opera “motivi originali” o “originalmente elaborati” che sono ancora da mettere in luce (p. 134). Quanto al primo punto, l’a. trascrive 2549 diligentemente dalle lezioni sulla filosofia italiana, dagli studi su Bruno e Campanella. Per il secondo punto, riassume accuratamente Logica e metafisica, le Prime categorie, il frammento sulla dialettica del 1880-81, i Principi di etica. Ne vien fuori l’immagine di uno S. che non si discosta molto da quello presentato da Gentile, sia nella valutazione della teoria della “circolazione” (equilibrio di “universalismo” e “nazionalità”, pp. 128 sgg.), sia nel giudizio complessivo sull’hegelismo del filosofo napoletano. S. si mostra indipendente da Hegel almeno in quattro punti: 1) rielaborazione in senso attuali neo della dialettica hegeliana; 2) concetto dell’apriori come “attività immanente allo spirito”, i. e. come “potenza umana”; 3) riconoscimento del valore dell’attività pratica dello spirito nel costituirsi della conoscenza; 4) risoluzione del dualismo di logica e fenomenologia sul piano di un «empirismo assoluto”: l'identità di pensiero edessere non è meramente logica, ma “viene ad identificarsi con lo stesso processo genetico della coscienza” (p. 167). Il testo di un opuscolo di V. (Bertrando S., Napoli 1938, pp. 29) presenta in forma abbreviata il contenuto dei primi tre paragrafi (pp. 89-133) del saggio su S. pubblicato nel Gerovesi, Galluppi, Spaventa. 230. A. BECCARI, Nazionalità e circolazione della filosofia italiana, in “Atti della Società italiana per il progresso delle scienze”, maggio 1939, pp. 549-554. Cfr. n. 231. 231. F. MONTALTO, Carattere nazionale della filosofia italiana nel pensiero filosofico di B. Spaventa, in 2550 “Atti della Società italiana per il progresso delle scienze. È il testo di una relazione presentata nella ventisettesima riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, Bologna 4-11 settembre 1938. S. avrebbe scoperto che “il genio italico è precursore’; l’a. sviluppa questa tesi riferendosi direttamente alla situazione politica italiana del momento (qualche richiamo a S. anche nel libro di Montalto L’intuizione e la verità di fatto, Roma 1930, specialmente nel terzo capitolo). Nello stesso fascicolo è pubblicata una relazione di A. Beccari (Nazionalità e circolazione della filosofia italiana, pp. 549-554), nella quale si afferma che S. non appare libero da pregiudizi universalistici, e dal “fanatismo per gli oltremontani” (oggi “l’esperienza storica... ci ha abituati a rifiutare simili intimità universali con nazioni con le quali preferiamo non identificarci”). S. ebbe anche il torto di affermare che la religione cattolica ha ostacolato il progresso del sapere. 232. F. ALDERISIO, Esazze della riforma attualistica dell’idealismo in rapporto a Spaventa e a Hegel, Todi s.d. [1940], pp. 163; seconda edizione accresciuta, Napoli s. d. [1959], pp.211. Alle pp. 129-162della prima (ma cfr. 224) edizione — che viene tenuta presente qui — è ristampato il saggio del 1935: L'esigenza realistica... [cfr. n. 221]. L’a. si domanda se S. sia soltanto un precorritore dell’attualismo, oppure se il suo pensiero “possa e debba... essere rivendicato a se stesso”, come “riviviscenza” — non come ripetizione — dell’hegelismo, del quale il filosofo 2551 corregge qualche punto, ma intende tuttavia e fa suo e conserva “il motore dialettico” (p. 7). Quello di S. è “il miglior punto di vista filosofico” guadagnato dal pensiero italiano; ma venne frainteso, oltre che da Gentile e dai gentiliani, da Benedetto Croce, del quale l’a. respinge i giudizi negativi (capitoli primo e secondo). Neppure gli attualisti hanno colto l’esatto senso del rapporto S.-Gentile, e cioè il carattere tutt'altro che lineare e pacifico dello “svolgimento” prospettato in quel rapporto. Solo A. Carlini ne ha tentato una revisione, accentuando il peso della trasformazione del pensiero di S. operata da Gentile, ma in un senso per cui il nesso viene pur sempre riaffermato come passaggio “da attualismo ad attualismo” (p. 18). L’analisi delle pagine dedicate da Gentile all’interpretazione di S. conferma, secondo l’a., che ci fu un “rivolgimento del pensiero del Gentile dopo il 1903” (p. 21), che rimane oscuro, ma che non è, in ogni caso, imputabile a S., proprio perché consiste nella trasformazione dell’originario idealismo realistico, hegeliano e spaventiano, a cui Gentile rimane ancora fedele nel discorso La rinascita dell’idealismo (1903), in un idealismo empirico o soggettivistico di stampo berkeleyano. Lo scritto di A. prosegue con un esame della Interpretazione e critica del Gentile al dialettismo hegeliano delle prime categorie (capitolo terzo, pp. 29 sgg.; qui si osserva che il “pensare”, in S. e in Hegel, ha un significato “cosmico, prespirituale e presoggettivo”, che Gentile volle poi negare), passa allo studio della Interpretazione gentiliana del dialettismo del Fischer (quarto capitolo, pp. 51 sgg.), poi alla discussione della Interpretazione gentiliana del dialettismo di Bertrando S.  Alle pp. 69 sgg., l’a. osserva che Gentile ha “isolato” le pagine di S. da lui analizzate nella Riforzza della dialettica hegeliana sciogliendole dai testi ai quali sono di fatto ZIIR collegate, da Esperienga e metafisica e dall’Introduzione alla critica della psicologia empirica, due scritti nei quali risulta evidente l’esigenza realistica dell'autore [cfr. nn. 103, 94, 105]. Segue un capitolo sul Frazzzzento del 1880-81 (capitolo sesto, pp. 80 sgg.). L'ultimo capitolo (pp. 102 sgg.) si intitola: Senso e valore della memoria del 1864 su le prime categorie. La “dichiarazione” finale di Spaventa in Esperienzae metafisica (1882). Nella “dichiarazione finale” S. riesce a correggere il carattere soggettivistico della soluzione del 1864, mostrando “una intelligenza acutissima ed una rielaborazione e ripresentazione, insieme personale e fedele, del punto di vista della logica di Hegel” (p. 114). Nell’epilogo (pp. 119 sgg.), A. indica le prospettive che vengono aperte da questa nuova interpretazione di S., che ne afferma il “real-idealismo”, e che lascia prosperare tutta la ricchezza del pensiero del filosofo napoletano e di Hegel: l'abbandono dell’equivoca critica alla tripartizione del sistema hegeliano, e la ripresa o la rielaborazione di tutte le “categorie logiche, naturali, spirituali” in funzione della possibile “fondazione razionale di una dottrina tanto della filosofia che della scienza” (p. 119). Nella seconda edizione sono aggiunti: un “discorso preliminare” (pp. 5-18), nel quale l’a. ripercorre la storia dei suoi studi spaventiani, e una “postilla” all’epilogo (pp. 164- 175), che discute testi crociani. 233. A. C. DE MEIS, Ricordi di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXI (1940), pp. 279-281. Cfr. n. 161. 2553 234. M. GRILLI, The Nazionality of Philosophy andBertrando Spaventa, in “Journal of the History of Ideas”, II, 3, giugno 1941, pp. 339-371. Contro le posteriori distorsioni “ultranazionalistiche” dell'idea di filofia nazionale, l’a. avvia qui un tentativo di chiarificazione, seguendo gli sviluppi del concetto di nazionalità della filosofia nel pensiero italiano del Risorgimento, e, in particolare, negli scritti di S. L'articolo riassume le posizioni dei protagonisti della nota discussione (Mamiani, Gioberti, Rosmini, Vera, Silvio Spaventa [riferendosi allo scritto del 1844, reso noto da Croce], Stanislao Gatti, e, infine, Bertrando S.), dopo averne individuato i motivi ispiratori in Herder, Fichte, Hegel (concetto di Vo/ksgeist e sua necessaria relazione al Weltgeist). Una distinzione preliminare guida l’analisi dell’a.: quella che oppone le vedute dei negatori della nazionalità della filosofia (“the universalists”, Vera) alle ragioni dei nazionalisti di stampo giobertiano, e che da entrambe dissocia “the cosmopolitan view”, affermazione della “traducibilità” delle idee pur nel riconoscimento della varietà della loro applicazione nei diversi paesi. L’a. ripercorre le fasi della formazione del pensiero di S. sull'argomento, soffermandosi sulla prolusione bolognese e, soprattutto, sulle prime lezioni napoletane. Il filosofo, sottolinea G., non fa cadere l’accento sulle differenze delle filosofie nazionali, ma cerca di individuare “la speciale funzione assegnata a ciascuna di esse nel contesto del pensiero europeo: la via di S. è quella del cosmopolitismo. “From the national to the international and back again — in the resolution of this dialectical antithesis — Spaventa, the Hegelian, sees the development of philosophy” (p. 369). Era una prospettiva destinata al 2554 successo, efficace; al di là dei limiti in cui si restringe il programma di Mamiani, al di là dell’ “esagerato” patriottismo di Gioberti e della “sterilità” di Rosmini, S. “dared to propose a clear-cut program of thoroughgoing reorganization for the future of philosophic studies in Italy” (p. 371). E nella linea indicata da questo programma si muoveranno Gentile e Croce, consapevoli degli errori di un vacuo universalismo, ma anche della necessità di partecipare al più largo moto della filosofia mondiale (p. 369). 235. F. L. MUELLER, La pensée contemporaine en Italie et l’influence de Hegel, Ginevra 1941, pp. XVII-345. La prima parte del libro (La tradition hegélienne en Italie, pp. 1-28) è dedicata agli hegeliani dell'Ottocento (S., Vera, De Sanctis, Labriola). La seconda (pp. 83-202) e la terza parte (pp. 203-304), rispettivamente, a Croce e a Gentile; l’ultima (Philosopbie et culture en Italie) alle scuole di Croce e Gentile, e alle relazioni del neoidealismo con la vita politica e sociale italiana. Su S. si vedano in particolare i capitoli primo (La philosophie è Naples et le Risorgimento, pp. 3-16), secondo (B. Spaventa interprète delaphilosophieitalienne,pp.17-25) e terzo (Spaventa contre le posttivisme, pp. 26-56) della parte prima; che contengono, nell’ordine, una rapida presentazione del filosofo e delle sue vicende, una esposizione delle tesi de La filosofia italiana (che l’a. non intende discutere singolarmente e in modo specifico, cfr. p. 96), e finalmente un riassunto degli studi sulla dialettica hegeliana; qui l’a. consente nel giudicare la soluzione di S. come una“véritableébauche” dell’attualismo. Le opere di S. sono il frutto di uno spirito critico, più che di un pensiero veramente costruttivo; l'originalità del filosofo si manifesta soprattutto nella 2399 ricostruzione della storia della filosofia italiana. A distanza di anni, S. ci appare come un vero precursore, il cui programma risulta pienamente giustificato e confermato dalla rinascita e dal successo del nuovo idealismo, nei primi anni del nostro secolo. 236. M. F. SCIACCA, La filosofia italiana, Milano 1941, pp. 150. Cfr. in particolare i capitoli secondo (La filosofia italiana secondo B. Spaventa e G. Gentile) e terzo (Critica della tesi Spaventa-Gentile), pp. 9-37. Per l’a. “non bisogna commisurare la filosofia italiana a quella europea, ma la filosofia europea a quella italiana, perché siano messi in luce e fissati nei loro momenti inconfondibili e precisi il carattere e il valore del nostro pensiero, la perenne e potente vitalità di esso entro il pensiero filosofico europeo” (pp. 35 sg.; cfr. pp. 39 sgg., dove è discussa la tesi di P. Carabellese [cfr. n. 225]). Il rifiuto degli schemi artificiosi di S. (e di Gentile) e il rilievo dell’antitesii tradizione italiana (anti immanentistica, cristiana) — idealismo tedesco, acquistano un significato più specifico nelle pagine dedicate dall’a, a Rosmini (cfr. p. es.: La filosofia morale di A. Rosmini, Roma 1938, pp. 165; Antonio Rostrini nella storiografia italiana, in AA. V V.,, Studi rosminiani, Milano), che respingono l’interpretazione soggettivistica sostenuta da S.- Gentile. Cfr. anche n. 246. 237. G. ALLINEY, I pensatori della seconda metà del secolo XIX, Milano 1942, pp. 423. Nel capitolo terzo (GL hegeliani) della seconda parte (Gt 2556 oncologi) sono dedicati a S. (e al rapporto S.-Gentile) tre paragrafi (7-9), pp. 264-294. Il paragrafo settimo (Bertrando Spaventa) espone gli studi del filosofo napoletano su Kant e sulla filosofia italiana, su Gioberti e sulle prime categorie della logica di Hegel (i saggi sulla dialettica hegeliana documentano, secondo l’a., la persistenza di un’oscillazione tra fichtismo [dialettica del pensare] e hegelismo [“magia” del sistema]). L’ottavo paragrafo (Spaventa e Gentile) richiama le difficoltà — per l’a., insuperabili — intorno a cui si affaticano invano gli epigoni di Hegel: la “condanna” dell’idealismo sta nella perdita dell’ “oggetto” (p. 284). Nel paragrafo nono (Urzanismo dello Spaventa) è respinta la teoria della “circolazione” e, con essa, il giudizio per cui S. riassumerebbe in sé tutta la problematica filosofica del secolo scorso; l’a. richiama i tratti dell’ “umanismo” di S. (il suo crudo storicismo, la sua fede immanentistica) e accentua il rilievo della sua vicinanza alle posizioni dei positivisti. Alle pp. 406-412 è collocata una bibliografia degli scritti di e su S., che non aggiorna completamente la bibliografia gentiliana del 1924 [cfr. n. 204].238. [G. BERTI], Materiali in preparazione del centenario di Antonio Labriola, in “Stato operaio” [New York], II (1942), agosto, pp. 185-189; III (1943), marzo- aprile, pp. 61-63, maggio-giugno, pp. 92-94, dicembre, pp. 122-126. L’a. cominciò a pubblicare questi Mazerzali nel fascicolo di ottobre-novembre, anno I, 1941, di “Stato operaio” (la stampa dei Materiali si arresta col numero del dicembre 1943). Qui sono indicati i fascicoli in cui si discute di S., e del rapporto S.-De Sanctis e S.-Labriola, in una prospettiva che anticipa il disegno dell’ampio studio pubblicato dal B., 2091 nel 1954, sulla rivista “Società” [255]. 239. M. BUCCELLATO, Di un saggio sulla dottrina di Socrate di B. Spaventa, in “Sophia”, XII-XIV (1944-46), ottobre-dicembre 1946, PP. 294-307. Analisi del saggio pubblicato da S. a proposito delle Considerazioni sulla dottrina di Socrate di G. M. Bertini [62]. L’a. sostiene che lo scritto di S. non fornisce nessun contributo originale, giacché dipende direttamente e passivamente dalle pagine di Hegel e, soprattutto, di Zeller (un accenno alla nessuna originalità di S. storico della filosofia si trova nello stesso fascicolo di “Sophia”, in un noto articolo di A. Tilgher sulle fonti dell’attualismo,pp.280-293). 240. A. GUZZO, Maturi, Brescia. PAPA, La storiografia filosofica hegeliana in Italia nella seconda metà del secolo XIX, in “Rivista di storia della filosofia” [in seguito: “Rivista critica di storia della filosofia” ], I (1946), fasc. 3, pp. 301-319. Gli autori studiati nell’articolo sono: S., F. Fiorentino, F. Tocco. All’interno della stessa scuola hegeliana si è determinata una reazione ai canoni  storiografici dell’idealismo, con l’abbandono delle esigenze e preoccupazioni speculative che caratterizzano la posizione di S., e con il maturarsi di una “tendenza filologica” che affiora già in Fiorentino e appare ulteriormente sviluppata da F. Tocco. 2558 242. S. CARAMELLA, La filosofia dello stato nel Risorgimento, Napoli 1947, pp. 90. Cfr. n. 201. 243. V. FAZIO ALLMAYER, La riforma della dialettica hegeliana, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXVI (1947), pp. 101-116. Cfr. n. 191. 244. E. GARIN, Storia dei generi letterari italiani. La filosofia, 2 voll., Milano 1947, pp. IX-3 8 5, VIII-687. Cfr. n. 290. 245. G. DE RUGGIERO, Hegel, Bari 1948, pp. 306. Cfr. n. 190. 246. M. F. SCIACCA, La filosofia nell'età del Risorgimento, Milano 1948; seconda edizione con il titolo: Il pensiero italiano nell’età del Risorgimento, Milano 1963, pp. 494. Su S. v. in particolare le pp. 440-450. L’a. ripete [cfr. n. 236] i rilievi contro l’interpretazione “tendenziosa” di Rosmini, di Gioberti, e, in generale, contro gli schemi della ricostruzione della storia della filosofia italiana proposta da S. Acuta e sottile, ma discutibile, è giudicata l’analisi spaventiana della sintesi apriori; incerta, la riforma della dialettica tentata nelle Prize categorie [70]. Il filosofo 2999 continua a oscillare tra soluzione soggettivistica e soluzione realistica, tra la riduzione della logica a psicologia e il riconoscimento dei diritti della metafisica. 247. F. BATTAGLIA, L'insegnamento di Bertrando Spaventa a Bologna, in “Giornale critico della filosofia italiana. Chiarisce e precisa, in base a documenti d’archivio, le vicende del passaggio di S. da Modena a Bologna, e illustra la sua attività nell’ateneo bolognese; soffermandosi tra l’altro sulla nota prolusione del 1860 [67], che nonfu letta, qui si dimostra, il 10 maggio, come è stato detto per una confusione col discorso proemiale alle lezioni di storia della filosofia. 248. A. L. DE GAETANO, Machiavelli e alcuni discepoli della scuola idealistica. La politica e lo stato dei fratelli Spaventa, in “Italica” [The Quarterly Bulletin of the American Association of Teachers of Italian, Menasha, Wisconsin. Si vedano le pp. 214-218, per un raffronto tra le teorie politiche di Bertrando S. e quelle di Machiavelli, un autore mai discusso negli scritti del filosofo meridionale. Le conclusioni si leggono a p. 218: “Quanto ai fini, non vi sono divergenze per lo Spaventa e il Machiavelli. Entrambi vogliono uno Stato forte e libero dal clero. I mezzi possono essere anche gli stessi, e Spaventa cerca di giustificarli. Le disparità si riscontrano nel confrontare due concetti diversi della verità, cioè il concetto della verità razionale dello Spaventa col concetto della verità effettuale del Machiavelli”. 2560 249. F. FERGNANI, L’opera e l'eredità di Bertrando Spaventa, in B. S., Polemiche coi gesuiti, Milano 1951, pp. TII-XXXI. Cfr. n. 101. L'introduzione di Fergnani è divisa in due parti. Nella prima (La posizione filosofica, pp. III sgg.), l’autore indica la necessità di allargare l’ “angolo visuale piuttosto ristretto” con cui Gentile guardò al filosofo hegeliano, lasciando “in ombra” la relazione Spaventa-Labriola. S. ci appare sempre orientato verso la “concretezza”, sia quando si tratti di cogliere il nesso di riflessione teorica e situazione storica, sia quando si tratti di considerare lo sviluppo storico della filosofia, o di impostare il problema del rapporto: filosofia nazionale-filosofia europea. Tanto basterebbe per comprendere perché “linsegnamento dello Spaventa sia entrato quale importante coefficiente nella elaborazione del materialismo storico compiuta da Antonio Labriola”. Ma cisono punti di contatto più specifici. Risentono della lezione spaventiana l’ispirazione “strettamente monastica della concezione labriolana della storia”, le critiche di Labriola a E. v. Hartmann e a Spencer, e ancora l'affermazione dell'identità di lavoro e di storia, di teoria e prassi. Nella formulazione dell’identità di “conoscere e fare, e nella critica dell’Assoluto trascendente che lascia fuori di sé il relativo, sono, certo, i motivi più vitali dell’insegnamento dello Spaventa passati nel Labriola e confluiti poi nel ripensamento gramsciano della filosofia della prassi” (p. XV). Solo che S. sembra restaurare nell’ “al di qua” quella trascendenza che la vecchia metafisica aveva collocato in un mondo soprannaturale e sovrintelligibile: è questo il limite dell’ “immanentismo idealistico” di S. Nella seconda parte 2561 (La concezione politica, pp. XVI sgg.), l’autore afferma la profonda unità e continuità tra opere teoriche e opere polemiche di S., e il carattere progressivo della sua concezione dello stato e del rapporto stato-chiesa, politica- filosofia. Per aver innestato “la concezione dello stato etico nelle sue esperienze e convinzioni di liberale del Risorgimento italiano” (p. XX), S. sembra anche in grado di superare i limiti “burocratico-corporativi” della filosofiastatuale di Hegel. La dottrina della eticità dello stato prospetta, naturalmente, una inversione mistificata del rapporto società civile-stato; una inversione che va rovesciata e che sarà rovesciata solo da un movimento “radicalmente innovatore”. Ma allora si renderanno plausibili ed effettivamente operanti le istanze di immanentismo e laicismo assoluto, di organicità ed unitarietà del convivere umano, che sono implicite nella concezione degli S. (p. XX1V). Nelle ultime pagine, l’autore segnala la profonda attualità delle polemiche spaventiane: oggi, dopo la “capitolazione ideologica della borghesia”, la solidarietà dell'ordine borghese con la chiesa cattolica può essere denunciata con le stesse accuse che S. rivolgeva contro la collusione di ancien régime e gesuiti, di chiesa romana e movimenti reazionari. 250. G. ARFÈ, L’begelisno napoletano e Bertrando Spaventa, in “Società”, VIII (195 2), pp. 45-62. Gentile ha deformato la figura di S., lasciando sullo sfondo o travisando il ruolo svolto dal filosofo nella cultura italiana del secolo scorso. La prospettiva gentiliana va rovesciata: l’originalità del filosofo “non è grande”, la sua opera teorica “di secondo piano”, ma importante è la battaglia politico-culturale condotta dal vecchio hegeliano, 2562 che ebbe “alta e sicura fede nella libertà”, fu animato da una “profonda religiosità laica”, e combatté per l’affermazione di un ideale giacobino dello stato, concepito come strumento per la realizzazione delle più moderne e progredite forme di vita sociale. “In Spaventa le formulazioni teoriche restano confuse, ma gli atteggiamenti pratici affermati con appassionata decisione” (p. 49). Se la posizione teorica di S. è ambigua, lo è anche nel senso che poteva dar luogo a sviluppi diversi: Labriola fu «spaventiano di sinistra». 251. Gli hbegelianid’Italia. Vera, Spaventa, Jaja, Maturi, Gentile, a cura di A. Guzzo e A. PLEBE, Torino 1953, pp. XIX-154. Antologia di testi di Vera, S. (pp. 39-72; da Logica e metafisica), Jaja, Maturi, Gentile. La scelta dei testi è curata da A. Plebe, autore anche dei brevi profili di Vera (pp. 3-8), di S. (pp. 33-38), di Jaja (pp. 75-78), di Gentile (pp. 141- 144). Guzzo ha firmato la presentazione di Maturi (pp. 101- 105), la prefazione e la prima parte dell’introduzione (pp. IX-XVIII), conclusa da Plebe (pp. XVIII sg.). Il volume è completato da una rapida nota bibliografica. L’antologia è costruita con l’intento di mostrare i tratti originali — e, complessivamente, poco “hegeliani” — dell’hegelismo italiano dell'Ottocento, fino a Gentile. Guzzo ricorda una conferenza di Gentile del 1942, “che purtroppo egli non scrisse” (cfr. l’introduzione alla raccolta La filosofia italiana fra Ottocento e Novecento, scritti di G. Tarozzi, V. Alemanni, A. Carlini, M. Marasca, U. Scatturin, A. Plebe, Torino 1954, pp. XIV-146; cfr. inoltre A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienga idealistica in Italia, Padova 1964, pp. 203: il libro è utile anche per diversi accenni a S., 2563 e ai suoi rapporti con i discepoli), e nella quale fu espressa forse la valutazione più serena di quei pensatori, e della loro importanza per il pensiero italiano: “gli hegeliani nell’ultimo ventennio dell’Ottocento raccolsero dai loro maestri e trasmisero ai loro discepoli alcuni concetti delicati e difficili che, estranei alla mentalità positivistica trionfante, sarebbero andati perduti se essi non li avessero affermati così a lungo da riuscire a dar la mano ai giovani che contribuirono alla rinascita dell’idealismo nel primo decennio del Novecento”. Tra questi concetti, in primo luogo, quello del “trascendentale” (p. XVI; per igiudizidiGuzzo su S., cfr. pp. XIV sg.). Plebe individua due caratteri specifici dell’hegelismo italiano: “il desiderio di studiare Hegel per ‘riformarlo’; l'interesse limitato ad alcuni problemi, che fa sorgere un'immagine convenzionale di Hegel, propria degli interpreti italiani” (p. XVIII; e cfr. p. XIX: abbandono dei “grandi problemi della metafisica hegeliana” — con qualche eccezione in Vera —, attenzione esclusiva per alcuni temi della logica, ecc.). Con questo programma e con questa eredità si spiega la scarsa o nessuna incidenza, nell’Italia del primo Novecento, degli studi di Dilthey, di Lasson, ecc. Nella presentazione di S., Plebe accenna alla discussione di alcuni temi (accettazione, da parte di S., dello schema: Kant- Fichte-Schelling-Hegel; impianto fenomenologico- gnoseologico della logica, ecc.) che sono sviluppati in uno scritto dello stesso anno. Plebe attira l’attenzione del lettore su una caratteristica oscillazione del vecchio maestro, che si presenta ora come riformatore, ora come ripetitore di Hegel; e sottolinea il forte interesse di S. per il positivismo. Sui rapporti degli hegeliani fra loro, sono da vedere in particolare le pp. 4 sg. (Vera e S.), 75 sg., 78 (Jaja più vicino al gnoseologismo spaventiano), 142 (Gentile erede di S. e dell’hegelismo italiano dell'Ottocento). Le 2564 pagine di Guzzo su Maturi (pp. 101 sgg.) ricordano l’evoluzione del filosofo dal gnoseologismo spaventiano a un idealismo non del tutto concorde con la lettura attualistica di S. e di Hegel. Su questo punto si veda anche il volume di Guzzo Maturi, Brescia 1946, pp. 160; in particolare le pp. 138-144, dove è impostato il problema del rapporto tra Maturi e S., nel quadro di un più ampio discorso che chiama in causa Hegel e Vera, e che è svolto in funzione di una “possibilità di sviluppo critico” del pensiero del Maturi. 252. A. PLEBE, Bertrando Spaventa a Torino, in “Filosofia. Spaventa a Napoli, in “Filosofia. Il saggio è stato ripubblicato dall’a. nel volume Spaventa e Vera, Torino 1954 (aggiuntovi uno studio su Vera, a cui si accenna più avanti); e nella raccolta: La filosofia italiana fra Ottocento e Novecento [256]. In queste pagine, P. ha voluto “delineare la figura di Spaventa come hegeliano e come filosofo”, muovendosi al di fuori dello “schema di derivazione” Hegel-S.-Gentile, “che è uno dei non pochi preconcetti inesatti che ancora dominano la storia della filosofia” (p. 624). In base ai risultati raggiunti dall’a., lo “schema di derivazione” appare meno giustificato nella prima parte (l’hegelismo di S. è assai distante dalle intenzioni e dai testi di Hegel) che nella seconda: motivi spaventiani passano senz’altro in Gentile. Ma S. non sta tutto nel Frazzzento inedito del 1880-81 [103], né si può dire che Gentile “abbia ereditato lo spirito e l’anima di Spaventa. Spaventa fu un logico, Gentile un’anima intimamente religiosa; Spaventa amava guardare il positivo, mentre Gentile amava guardare lo spirito puro” (pp. 623 sg.; e cfr. p. 618: Gentile “preferirà ignorare” 2565 quegli aspetti del pensiero dell’ultimo S., che documentano il suo orientamentoversouna forma di “idealismo positivo”, che trovò la sua migliore espressione nell'opera di D. Jaja Sentire e pensare). Le conclusioni di P. sono raggiunte attraverso vari confronti, spesso dettagliati, di scritti di S. con pagine di Hegel, o con pagine di note esposizioni o rielaborazioni del sistema hegeliano. Si tratta di raffronti operati successivamente all’interno di diverse fasi di sviluppo del pensiero di S., e che tendono pertanto a misurare la persistenza di alcuni fraintendimenti, passati definitivamente nel disegno di un idealismo soggettivistico o gnoseologistico, più fichtiano che hegeliano. Il saggio Bertrando Spaventa a Torino si apre con un'analisi degli Studi del 1850. Dalla lettura della Vorrede della Feromenologia (la sola opera di Hegel che, secondo P., il filosofo mostra di conoscere direttamente, in questi anni) S. ricava già un’idea assai personale delle intenzioni dell'autore: l’opera di Hegel sta tutta nella polemica antikantiana e antischellinghiana della Vorrede, e la logicahegeliana è, o sarà, un semplice sviluppo della fenomenologia. Le False accuse del 1851 documentano il persistere e il radicarsi di un’idea mai abbandonata da S.: l’idea “della soggettività dell’essere logico hegeliano”; e registrano ancora, come già gli Studi, l'accettazione convinta dello schema di derivazione: Kant-Fichte-Schelling-Hegel. L'articolo su Schelling (1854) mostra un notevole arricchimento delle letture spaventiane, e segna anche l’inizio di un “caratteristico ondeggiamento per cui Spaventa, da una parte, vuol riformare Hegel, dall’altra si mostra come suo docile e fedele espositore” (p. 310). In una recensione del 1854, non segnalata da Gentile [18], S. manifesta la sua “fiducia illimitata” in Gans e negli altri hegeliani tedeschi. Nello Hegel confutato da Rosmini, S. appare ormai padrone della Scienza della logica edell’Erciclopedia, ma la distinzione di Denken e Gedanke, da lui sostenuta, è ancora ispirata da preoccupazioni gnoseologistiche che non possono trovare giustificazione in Hegel. E il gnoseologismo di S. diventa sempre più dominante nella recensione al Barni (37; “Sin da ora egli è convinto della continuità di sviluppo da Kant a Hegel. Che questa sia un'idea molto suggestiva è dimostrato dal successo che ebbe non solo in Italia, ma anche in Inghilterra, ad opera dello Stirling [The secret of Hegel, 1865]; ma che essa sia una via molto pericolosa, che può portare ad un completo fraintendimento di Hegel, è stato mostrato da cinquant'anni in qua, attraverso la pubblicazione degli scritti inediti hegeliani”, p. 311) e, in generale, nelle pagine e negli studi di S. dedicati a Kant. Degli influssi degli hegeliani tedeschi P. tratta diffusamente nelle pp. 313 sgg.; segnalando le citazioni da Werder, da Erdmann, da Weissenborn, Rosenkranz, ecc., le probabili suggestioni esercitate da Karl Philipp Fischer (autore della Speculative Charakteristik und Kritik des Hegelschen Systeras, 1845, e dei Crundgtige des Systems der Philosophie, 1848), e, infine, la utilizzazione, da parte di S., della Logik und Metaphysik (1852) di Kuno Fischer, citata ben diciotto volte in Logica e metafisica, e seguita anche in pagine che semplificano eccessivamente o addirittura travisano la Scienza della logica (P. riporta alcuni esempi, tratti dall’esposizione della dialettica della parvenza, e della dialettica delle forme del giudizio). Di Fischer, S. condivide l'entusiasmo per Kant, e da Fischer accoglie le “forzature” del testo hegeliano che tendono ad attenuare o addirittura a mutare in lode la polemica antikantiana di Hegel. È nota poi l’affermazione di Fischer, secondo la quale la logica “comincia” con il Willensakt des Denkens: qui S. trova una 2567 conferma per il proprio soggettivismo, e qui siamo anche alle origini dell’attualismo gentiliano. A conforto della interpretazione soggettivistica della logica hegeliana, S. trae dai suoi studi sui filosofi italiani (soprattutto Campanella) quella idea della “mente” o “mentalità” che passerà senz'altro nella caratterizzazione spaventiana del problema della filosofia moderna. La seconda parte del saggio (Bertrando Spaventa a Napoli) è dedicata, in primo luogo, all'esame della riforma dell’hegelismo tentata da S.; al tentativo cioè di “chiarire e sviluppare un hegelismo di tipo italiano (cioè di tipo gnoseologico-soggettivistico), sistemandolo con più rigore di quel che fece Gioberti” (p. 601). Persiste anche ora l’oscillazione tra lo S. riformatore e lo S. ripetitore di Hegel, una oscillazione forse inspiegabile, ma che non impedisce, in ogni modo, di ricostruire con chiarezza le linee della singolare impresa di S. L'analisi delle Prize categorie [70] è preparata: 4) da un paragrafo, in cui P. mostra la fedeltà di S. alla “logica del giudizio” (la critica che S. muove a Kant — necessità del passaggio dal giudizio al sillogismo — “non esce essa stessa dalla mentalità diadica ed è una critica rivolta da un punto di vista non meno soggettivistico di quello kantiano”, perché “quel che importa a S., a differenza di Hegel, non è già la circolarità logica, bensì l’attività dello spirito”, p. 603); b), da alcune pagine sull’interpretazione spaventiana della logica dell'essenza, che occupano una posizione centrale nel saggio di P.; qui si rende manifesta, nella sua intera misura e nelle sue gravi conseguenze, la distanza che separa la logica di S. da quella di Hegel. Il movimento che conduce dall'essere all’essenza è visto da S. come un processo gnoseologico, e qui è l'origine del fraintendimento radicale: “se ... come voleva Hegel, Spaventa avesse visto il passaggio dall’essere all’essenza 2568 come processo di auto-internamento, di auto-giustificazione dell'essere, il problema delle prime categorie sarebbe passato in secondo piano di fronte a quelli della logica dell'essenza, che ne sono il fondamento” (p. 606). Coerente con questo fraintendimento è l’introduzione dell’attualità mentale nella logica dell’essenza, ravvisabile, secondo P., nelle pagine di S. dedicate al concetto di “esser-posto», alla discussione dell’ “identità” e del “fondamento” (pp. 607 sg.). La fedeltà alla logica del giudizio, l’ “incomprensione” della logica dell’essenza, e l’assunzione dell’ “identità” come “atto” illuminano il significato delle Prize categorie, che confermano il carattere soggettivistico e gnoscologistico della logica spaventiana, di quella logica per la quale il filosofo ha richiesto, fin dal 1850, una fondazione gnoseologica. Le ultime pagine dell’articolo sono dedicate ai rapporti di S. col positivismo (pp. 616 sgg.) e, soprattutto, a Esperienza e metafisica. Due convinzioni sempre più radicate nella mente di S., e già rese pubbliche negli scritti polemici: “l’affermazione dell’assoluta immanenza della ragione (e quindi la sua identificazione con la mente umana), e l’affermazionedella naturalità del principio di ogni cosa.” (p. 616), preparano il maturarsi di un orientamento assai favorevole al positivismo, o almeno a quella forma di “idealismo positivo” che fu poi condiviso da Jaja. Anche questa evoluzione è spiegabile con il particolare impianto dell’interpretazione di Hegel: il kantismo (o neokantismo) e il “fenomenologismo gnoseologico” che stanno a fondamento di Esperienza e metafisica hanno un’origine assai lontana. E l “aporia fondamentale” dell’ultimo scritto di S. (come può giustificarsi una metafisica che deve “stare” al “dato”?) coincide con quella dell’interpretazione spaventiana di Hegel (come è possibile fondare la logica sulla fenomenologia, “lassoluto sul 2569 relativo, l’unità sul dualismo”?; pp. 620 sg.). Se questi rilievi sono esatti, Esperienza e metafisica costituisce il vero “testamento spirituale” di S.; il Frazzzzento sulla dialettica del 1880-81 [n. 103] non aggiunge nulla, secondo P., alla riforma del 1863, anzi oscura in più punti quella soluzione. Che è stata una soluzione feconda, per un certo aspetto (per lo sviluppo dell’attualismo), ma anche piena di pericoli: “Spaventa, identificando l’essere con l’atto del pensare, rende impossibile (senza accorgersene) il consistere delle determinatezze, che vengono tutte affogate nell’unità dell’atto” (p. 623). Dell’a. si veda anche il saggio: AugustoVera,filosofodella mediazione, in “Filosofia”, V (1954), pp. 640-657 (Vera accoglie da Hegel il problema di una mediazione “metafisica” di reale e razionale, che in S. vive solo nella forma ristretta della mediazione “concettuale”; il saggio è ristampato in A. P., Spaventa e Vera, cit.). P. accenna ancora a S. (e a Esperienza e meta-fisica) nello scritto: L’empirismo come filosofia e come antifilosofia, in “Giornale critico della filosofia italiana. Cfr. inoltre di Plebe la voce “Spaventa” in Enciclopedia filosofica, vol. IV, Venezia-Roma 1957, coll. 824-827.253. F. ALDERISIO, Cownoscenza scientifica e conoscenza filosofica, Napoli. Del libro esiste una seconda edizione riveduta e accresciuta, Napoli 1963, pp. 190. Per S. è da vedere soprattutto il capitolo settimo (La gnoseologia vichiana e galileiana nella rivalutazione critica di B. Spaventa, prima edizione, pp. 85-100). L’a. discute in particolare: la “lettera” Paolottismo, positivismo, 2570 razionalismo, del 1868; Un luogo di Galilei, del 1882; Esperienza e metafisica (1888). In questi scritti spaventiani, e specialmente nell’ultimo, “risultano vigorosamente illustrati non solo il vero significato del collegamento gnoseologico tra il Vico e il Galilei, ma anche la verità e il senso più alto che si possa dare all’altro rapporto... tra la gnoseologia e metafisica del Vico e quelle tedesche del periodo da Kant a Hegel”. 254. G. ARFÈ, Labriola e Spaventa, in “Mondo operaio”, VII (1954), n. 7 (aprile), pp. 17-18. È riprodotta qui in breve la tesi già prospettata dall’a. in un articolo precedente [cfr. n. 250]. 255. G. BERTI, Bertrando Spaventa, Antonio Labriola e l’hegelismo napoletano, in “Società. La tesi centrale dello scritto di B. si lascia riassumere agevolmente: da S. (“la mente filosofica dirigente dell’hegelisrno napoletano”, p. 415) al Labriola si delinea uno sviluppo dello storicismo italiano — certo complesso, ma coerente nel suo interno svolgimento, e conforme alle tendenze già dominanti negli hegeliani più avanzati — che trova il suo naturale punto di arrivo nella prima elaborazione del marxismo, in Italia. Gli intellettuali che si raccolsero attorno a S. e a De Sanctis costituirono un gruppo omogeneo, legato da tre caratteristiche: “lo stretto legame con la vita, con la lotta politica, con la storia”; l’avversione per l’ “idealismo dommatico, ortodosso...”; infine “il tentativo, nel gruppo a tutti comune, di un superamento dell’hegelismo che avveniva in tutti in una ZIFA analoga direzione: dall’astratto al concreto, dalla metafisica delle idee a un tentativo di filosofia dell'esperienza, di filosofia del reale” (p. 411). Nella prima parte del lavoro, B. studia soprattutto le riflessioni di S. sulla “grande questione della filosofia: materialismo-idealismo” (p. 415). Sono riflessioni in cui si rispecchia lo sforzo di comprendere la necessità del passaggio dal “vecchio” al “nuovo” (v. Esperienza e metafisica), anzi lo sforzo di favorire questo passaggio, pur tra incertezze che finirono per arrestare il cammino di S. (e di De Sanctis: sull'indirizzo e sui limiti comuni al De Sanctis e allo S., v. pp. 413 sg.). Il discorso sui “limiti” di S. non è mai abbandonato dall’a. “Dare un giudizio d’insieme su B. Spaventa non è semplice” (p. 428), proprio per le “contraddizioni” che permangono nella sua opera. E come è giusto sottolineare “la contraddizione tra il drastico radicalismo del suo pensiero e il suo moderato liberalismo” (p. 419), così è necessario respingere l’idea di una evoluzione chiara ed esplicita di S. dall’idealismo al materialismo (p. 429). Tuttavia i limiti di S. si collocano ai confini estremi di una posizione già prossima al suo rovesciamento. Allo S. “giacobino”, rappresentante di un “Illuminismo sui gezeris”, di un “illuminismo dopo Hegel”, bastava avvertire “che il prius doveva consistere non nella educazione della plebe e nella sua elevazione a popolo, ma nel cambiamento dei rapporti sociali (che avrebbe esso di conseguenza portato a questa elevazione)”, per trovarsi nella posizione che fu poi di Labriola (p. 421; cfr. p. 420, e, per il “cauto” atteggiamento di S. nei confronti dell'illuminismo francese, pp. 417 sgg.). Allo stesso modo, S. appare assai prossimo al materialismo nella polemica col Tommasi: “è nello studio Sulle psicopatie in generale che Spaventa arrivò alla formulazione ultima della sua filosofia, allorquando, ZITZ criticando radicalmente la definizione spiritualistica della psicopatia del Tommasi, combattendo il concetto di una esistenzasostanziale dell'anima, affermò che lo spirito era ‘nulla senza la materia’, gli parve cioè, lo spirito, materia e nient'altro che materia, ma materia che nega e supera se stessa, ‘ed è quella che è solo in quanto la supera. Lo scritto del 1872 Si colloca nel punto estremo di “un momento decisivo” della evoluzione di S., che ha inizio nel 1864. In questi anni, guidando Labriola, S. “riprese a considerate Feuerbach” (p. 422; e B. ritorna spesso sulle tracce di un incontro Spaventa-Feuerbach, che gioverebbe, tra l’altro, a spiegare le ragioni di un rifiuto, l’identificazione di tutto il materialismo con il materialismo settecentesco). Anche qui, B. nega di voler “puramente e semplicemente instaurare un parallelo storico-filosofico tra Spaventa e Feuerbach”; suggerisce tuttavia che un tale parallelo “sarebbe... forte di molte solide ragioni” (p. 429; e v. anche pp. 605-607). In nessun modo, comunque, sarebbe possibile negare l’energica tendenza del filosofo “a non lasciarsi incasellare... nell’una scuola o nell’altra, sotto l'una o l’altra denominazione. In lui, in altri termini, l'assoluto non era più lo spirito come in Hegel... e ... nemmeno la materia ...: l'assoluto, per lui, era il divenire — ma profondamente differenziato — dell’ ‘una e unica sostanza’. Qui non regge più il paragone con gli hegeliani spiritualisti o con Feuerbach. Qui è Spaventa” (p. 430). La seconda parte del saggio è dedicata alla interpretazione neoidealistica di S. L’a. discute in breve i giudizi incerti — e viziati, in ultima analisi, “da una antipatia preconcetta” — di Croce (pp. 583-586), per affrontare partitamente i tre temi — teoria della “circolazione”, riforma della dialettica, “tentativo di una filosofia dell’esperienza come esperienza attiva” — su cui si sofferma l’interpretazione 2573 di Gentile. Quanto al primo punto: Gentile tendearovesciare la prospettiva spaventiana, attribuendo alla “circolazione” quella priorità che spetta invece al “nesso dialettico vita sociale-pensiero-storia”; sicché l’idea di S. diventa “una banale teoria dei vasi comunicanti” (pp. 589- 591). Secondo punto (pp. 591-601). La riforma della dialettica tentata da S. si costruisce in due momenti ben precisi: a) riconoscimento che “il processo dialettico avviene interamente nella natura”, dando luogo al differenziarsi di spirito e materia come forme distinte di un’unica sostanza; b) su questa base, ma solo su questa base, affermazione dell'autonomia del pensiero e trascrizione “logica” delle leggi del divenire naturale. Dato l’impianto del suo discorso, S. non avrebbe mai potuto concludere, come Gentile, che il divenire è solo divenire del pensare (p. 598; e, per un confronto S.-Engels, v. pp. 599 sg.). Infine: nel concetto di “esperienza attiva” Gentile vede anticipata la costruzione attualistica della identità di teoria e prassi. Ma la forte accentuazione spaventiana del “lato attivo” dell’uomo va interpretata tenendo presenti le indicazioni di Esperienza e meta-fisica: l’esperienza è storia, ed è storia in quanto è lavoro; qui s'incontrano S. e Labriola (pp. 601-605). Nell'ultima parte del saggio, B. richiama, in primo luogo, l’attenzione del lettore sulle dimensioni politiche delle polemiche sostenute da S. negli anni dell’esilio torinese. Sono vicende non trascrivibili interamente sul piano di una storia delle idee; non si intendono appieno, se non si ha presente il quadro dell’ “accerchiamento ideologico e politico”, il quadro delle “generali e minacciose ostilità” (p. 767) che colpirono gli hegeliani meridionali, a Torino. B. ricorda soprattutto l’attacco di Gioberti ai giovani hegeliani (democratici, quindi socialisti, comunisti) dalle pagine del Rinnovamento. La risposta di S. (nell’articolo contro 2574 Tommaseo [51]) è “abile”, se si vuole; ma va notato che mai il filosofo si difende dissociandosi dagli hegeliani di sinistra, e sottoscrivendo una professione di “fede moderata. Un’altra importante testimonianza di questo atteggiamento è offerta dalla recensione alla Storia di uno studente di filosofia di G. Piola (pp. 768 sgg.; e cfr. n. 41). Sono fatti che trovano la loro giusta interpretazione in Gramsci, e che indicano una diversa collocazione politica degli intellettuali meridionali, rispetto a quella dei liberali piemontesi e lombardi. Da “Hegel gli hegeliani napoletani avevano elaborata tutta una dottrina sulla funzione degli intellettuali ai quali sarebbe spettato il compito di elevare la plebe a popolo e di creare, quindi, le condizioni pregiudiziali per una futura democrazia: che essi vedevano possibile soltanto proiettata in un lontano avvenire. Sarà, anche questo, un limite del loro democratismo; ma intanto sta a indicare la presenza di una ispirazione democratica, che B. trova confermata nel programma politico degli hegeliani nel 1848 (“utopistico, ma non certo conservatore”) e nelle prime formulazioni dello “stato etico” (pp. 773 sgg.). Le originarie convinzioni progressiste di un De Meis non si oscureranno mai del tutto, neppure nel Sovrano; e i Princìpi di etica di S. (pp. 776-779) confermeranno, ancora, la presenza vitale di un disegno rivoluzionario (e sia pure di una “rivoluzione intellettuale”). “Dopo il ‘60 Bertrando più di Silvio sentì la necessità di conservare al liberalismo il suo slancio rivoluzionario, il suo momento di rottura col passato” (p. 780). E mantenne una pur “inconfessata collaborazione” con i positivisti più avanzati, lungo una strada percorsa anche dal Labriola, che seppe distinguerci positivismo da positivismo (pp. 782 sgg.). Anche su questo piano Labriola si incontra col vecchio maestro, e meglio di ogni altro scolaro di S. (p. 785). Le ZITI ultime pagine dello studio di B. (pp. 787 sgg.) fissano le tappe del progressivo distacco di Labriola dallo illuminismo posthegeliano” dello S. e dalla concezione dello stato etico. In una lettera del luglio 1875 [cfr. n. 137] B. individua il momento in cui, agli occhi di Labriola, appare ormai “rovesciata”, con la subordinazione della rivoluzione intellettuale alla rivoluzione sociale, la posizione del maestro. Negli anni in cui Labriola veniva via via precisando il suo orientamento verso il socialismo, non venne mai meno tuttavia l’amicizia per il vecchio hegeliano (come non venne meno, più tardi, l'amicizia per Silvio). Anche questo dato esterno conferma in qualche modo i risultati di tutta la ricerca. Sui rapporti personali di Labriola e S., cfr. le lettere pubblicate a cura di B. [137]. Per alcune pagine dello stesso autore che anticipano il discorso del 1954, cfr. n. 238. 256. La filosofia italiana fra Ottocento e Novecento, scritti di G. TAROZZI, V. ALEMANNI, A. CARLINI, M. MARESCA, U. SCATTURIN, A. PLEBE, Torino 1954, pp. XIV-146. Contiene la ristampa, col titolo Bertrando Spaventa hegeliano eflosofo (pp. 85-126), del saggio pubblicato da A. Plebe in “Filosofia”, 1953[z52]. Accennano variamente a S. i saggi qui raccolti (e anch'essi già pubblicati nella rivista “Filosofia”) di V. Alemanni (Pietro Ceretti, pp. 17 sgg.), di A. Carlini (F. Acri, pp. 33 sgg.), di M. Maresca (I/ pensiero filosofico di Filippo Nasci, pp. 51 sgg.). Cfr. inoltre n. 251. 257. P. SALVUCCI, Di alcuni recenti interessi per i 2576 neohegeliani italiani dell'’800, in “Studi Urbinati”, XXVIII (1954), n. 1-2, pp. 420-423. La rassegna è dedicata all’antologia a cura di A. Guzzo e A. Plebe [251], ai saggi di A. Plebe del 1953 [252], all’articolo di G. Arfè del 1952 [250], allo scritto di F. Battaglia del 1449 [247]. 258. P. TOGLIATTI, Per una giusta comprensione del pensiero di A. Labriola, in “Rinascita”, XI (1954), pp. 254- 256, 336-339, 387-393, 483-491. Per S., si veda il quarto paragrafo (Movimento e crisi del pensiero italiano dell'Ottocento, pp. 483-491). L’a. rileva gli aspetti “contraddittori” della posizione del filosofo (S. afferma che la filosofia nasce dalla storia, ma tenta poi una deduzione logica del processo storico; ci offre una corretta valutazione del naturalismo, e di Darwin, ma resta imbrigliato nell’interpretazione “kantiana” di Hegel e precorre, nelle Prize categorie, l’attualismo, ecc.); ma conclude segnalando quelle pagine spaventiane (in particolare, la p. 138 di Esperienza e metafisica, dove è affermata l’identità di storia e lavoro) che ci consentono di comprendere come dalla scuola del “più grande dei filosofi hegeliani d’Italia” sia potuto uscire Antonio Labriola. 259. F. ALDERISIO, R:presa spaventiana, in “Il Saggiatore”, V (1955), pp. 159-168, 325-365; VI (1956), pp. 157-208. Il saggio di A. (vedilo anche ristampato in volume: Ripresa spaventiana. Considerazioni sull'idealismo assoluto, sul materialismo evoluzionistico e sul materialismo storico,Napoli 1959, pp. 174; in questa edizione “riveduta e ZIaccresciuta” l’aggiunta più notevole è lo scritto: Ri/lessioni di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia della prassi, pp. 149 sgg.) è una rassegna assai minuziosa di recenti studi spaventiani. Nella prima parte (pp. 159-168), dopo un breve accenno al giudizio negativo sul filosofo napoletano espresso da G. De Ruggiero nel suo Hegel (1948), l'a. ripropone le linee della propria interpretazione di S., costruita a partire dal 1933 in una serie di scritti ordinati in questa bibliografia con i nn. 113, 221, 224, 232, 253. S., secondo A., non fu, né volle essere, un “riformatore” della dialettica hegeliana, nel senso voluto dall’attualismo; intese semmai proporre una migliore interpretazione della deduzione delle prime categorie della Scienza della logica. Gentile costruì il proprio idealismo attuale indipendentemente da S.; la sua lettura del Frammento inedito del 880-81 è sostanzialmente sbagliata, e costituisce, in ogni caso, un riconoscimento post festum. A. discute due scritti: quello di G. Berti, del 1954 [255], e il saggio di P. Togliatti, dello stesso anno [258]. A. respinge la tesi di una evoluzione di S. verso il materialismo, anche nella sua formulazione più cauta (S. avrebbe “vissuto” la contraddizione di idealismo e materialismo). Ma è giusto poi, secondo l’a., rivalutare, nell’opera di S., gli aspetti di un orientamento politico progressista; lo stesso Gentile, individuando nel riconoscimento spaventiano della natura “pratica” dell’autocoscienza la “chiave d’oro” della “nuova” gnoseologia, di Marx e di S., ha fornito una prima indicazione sul carattere “progressivo” di questi sviluppi paralleli di pensiero, nati da una comune ispirazione hegeliana. Su questo punto, l'a. si sofferma nel paragrafo intitolato: Breve indagine sul pensiero etico politico di Spaventa riguardante lo sviluppo storico della coscienza sociale 2578 (pp. 340 sgg.). La terza parte della Ripresa (pp. 157-208) è dedicata allo studio di Plebe: un saggio, a giudizio dell’a., “troppo denso e forse scarsamente elaborato”, che si riassume “in una critica negativa ed acerba”. Contro le stesse intenzioni del suo a. (rottura dello schema: Hegel-S.-Gentile), lo scritto di Plebe finisce per dar credito all’interpretazione gentiliana di S., solo rovesciando il giudizio di valore sui motivi dell’apprezzamento di Gentile per il vecchio maestro. A. discute e respinge via via le conclusioni di Plebe, difendendo l’autentico hegelismo di S., la sua corretta lettura dei testi e la sua interpretazione del sistema, per nulla ispirata dal proposito di una vistosa “riforma”. Né sembra giustificato, per A., assumere Esperienza e metafisica come il testo di un “idealismo positivistico”. La revisione delle analisi di Plebe, condotta attraverso una ricostruzione diversa ma altrettanto particolareggiata dei testi in discussione, e qui non riproducibile nel dettaglio, si conclude con la riaffermazione della “profonda hegelianità” del filosofo napoletano. 260. N. BADALONI, La filosofia di Giordano Bruno, Firenze 1955, pp. 369. Si veda soprattutto il capitolo quinto (Intorzo alla fama del Bruno, pp. 279-366), nel quale sono ricordati (pp. 310 sgg.) gli studi spaventiani sull’argomento. Gli scritti di S. sono accostati a quelli di Labriola e di De Sanctis (i quali seppero cogliere il “messaggio di liberazione umana” racchiuso nelle pagine del filosofo); ma all’a. sembrano poi viziati da un’analisi svolta in termini speculativi, e sorda alla comprensione del “fondo materialistico” del pensierobruniano. Si vedano anche le pp. 54. sgg. (sull’interpretazione, in S., del mito di Atteone) e le pp. 113 ZIT9 sgg., 186 sg., sulla ricostruzione spaventiana della morale e della politica di G. Bruno. 261. I CUBEDDU, Interpretazioni di Bertrando Spaventa, in “Rassegna di filosofia”, IV (1955), pp. 38-47. Breve resoconto degli scritti di G. Arfè [254], di G. Berti [255; limitato alle prime due parti del saggio], e di A. Plebe [252]. 262. E. GARIN, Cronache di filosofia italiana. 1900- 1943, Bari 1955, 19592; ristampa in due voll., Bari 1966, pp. VII-637. Cfr. n. 290. 263. E. GARIN, Felice Tocco alla scuola di Bertrando Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana. Cfr. n. 115. 264. G. FICHERA, Il problema del cominciamento logico e la categoria del divenire in Hegel e nei suoi critici, Catania 1956, pp. 166. I critici di Hegel studiati dall’autore sono K. Fischer, S. e Gentile. Sullo S., v. in particolare il capitolo quarto, L’interpretazione spaventiana, pp. 99-137, che discute le Prime categorie [70] e il Frammento inedito del 1880-81 [103]. Tesi centrale: nell’impostazione del problema del cominciamento c’è, in Hegel, un vizio di fondo, che riaffiora e permane nel discorso degli interpreti. Si vedano le pagine in cui l’autore conclude su S.: “la soluzione spaventiana vale, a nostro avviso, solo a chiarire l’insolubilità del problema del cominciamento logico e l’inconcepibilità dell'Essere, del Nulla e del Divenire come categorie, nella cui determinazione è implicito l'equivoco hegeliano di isolare i momenti strutturali della dialettica’ del pensiero (l’affermazione, la negazione, il superamento), per farne altrettante determinazioni categoriali che, come tali, presuppongono e non pongono il farsi o il dialettizzarsi del pensiero logico. Ecco perché Spaventa, allorché vuol mantenere la posizione hegeliana circa il problema del cominciamento, e parte dall’Essere come il puro Immediato, si avvolge nelle medesime aporie hegeliane di presupporre al processo del pensiero ciò che dovrebbe essere invece un suo prodotto. E quando [= nel Framzzento inedito] chiarisce l'equivoco, assumendo l’Essere come pensiero, deve sostanzialmente abbandonare il problema della deduzione del divenire: il divenire non può essere dedotto, ma è se mai implicito nell’autoriflessione dell'Essere, come pensare, essendo il pensare T'Essere stesso dell’Essere’”” (pp. 136- 137). 265. Sviluppi dello begelismo in Italia. F. De Sanctis, S. Tommasi, A. Labriola. Una antologia dagli scritti a cura di M. Rossi, Torino 1957, pp. CXI-201. A S. sono dedicate in particolare le pp. XVI-XXV dell’introduzione di Rossi, precedute da una ricostruzione dell'ambiente napoletano del 1840-48, in cui sono indicate le ragioni del prevalente interesse dei primi hegeliani per i problemi teoretico-gnoseologici, e quindi per l’interpretazione fischeriana del pensiero tedesco. All’a. la “circolazione del pensiero” appare una veduta “ingenua, semplicistica e unilaterale”, che ha avuto tuttavia il merito di sprovincializzare la nostra cultura, ponendola a contatto col pensiero europeo. Manca però in S. una reale esperienza e quindi una giusta valutazione dell’illuminismo. La riforma della dialettica hegeliana proposta da S. costituisce senz'altro la premessa da cui discende l’attualismo di Gentile. L’a. osserva che “il tentativo estremo di eliminare ogni residuo ontologico oggettivo, per quanto possa sembrare legittimo in quanto si operi sul vuoto e astratto primum che è l’essere”, si allarga fatalmente ad ogni determinatezza. Il tentativo può sembrare giustificato rispetto a Hegel, perché in Hegel c’è, appunto, anche questo aspetto; ma c’è anche l’altro, per cui la dialettica deve provarsi con il contenuto determinato delle scienze, della natura e della storia. Dall’attenzione per il lato formale nasce l’attualismo, dall’attenzione per i contenuti la nuova dialettica, della sinistra hegeliana e di Marx. S. anticipa, dunque, Gentile. Ma non trae tutte le conclusioni della sua riforma, e lascia vivere il sistema. Questa contraddizione, “positiva”, dal punto di vista di R., è il riflesso di un’altra contraddizione: tra lo S. prcattualista e lo S. liberale, l’esule, l’antigesuita, il filosofo attento all’evoluzionismo e al positivismo. L’accoglimento di Hegel corrispondeva alla volontà di uscire dal marasma intellettuale di Napoli. Ma S. “cercava la libertà e incontrò la monotriade dialettica”; “i suoi interessi etici di liberale procedettero paralleli ai suoi interessi teoretici, vi rimasero giustapposti, e con essi non s'incontrarono mai”. Tant'è vero, che nei Principi di etica S. lascia cadere la deduzione della monarchia ereditaria e ignora tutte le pagine reazionarie della Filosofia del diritto: “liberalizza” Hegel sopprimendo — semplicemente — il reazionario (a p. LIX cfr. anche un’annotazione particolare a proposito della polemica sulle psicopatie: S. ci offre una “stranissima soluzione”. che “contamina” il realismo herbartiano con la dottrina hegeliana dell’autocoscienza). Dalla linea S.-Gentile divergela linea De Sanctis- Tommasi-Labriola, la linea “umanistica” dell’hegelismo italiano già proposta da F. Lombardi nel suo Ludovico Feuerbacb (1935) e ribadita in scritti posteriori. Degli Sviluppi dell’hegelismo cfr. la recensione di N. Merher, in “Società”; e, per un successivo dibattito: G. Mastroianni, M. Rossi, N. Mediar, A proposito di alcuni studi recenti sul Labriola, in “Società”, XV (1959), pp. 1011-1032. 266. F. ALDERISIO, Introduzione a B. S., Sul problema della cognizione e in generale dello spirito, Torino 1958, pp. IX-XXXVII. Nuova presentazione dell’introduzione al testo spaventiano del 1858 [113], qui ritoccata e adattata a “finalità didattiche”. L’a. riafferma la “piena e congeniale aderenza” dello scritto di S. “col principio e senso fondamentale dell’assoluto razionalismo di Hegel. FAZIO ALLMAYER, Ricerche hegeliane, con prefazione di G. Saitta, Firenze 1959, pp. XVI-325. Cfr. n. 191. 268. F. E. MARCIANO, Storia della filosofia italiana, Romza 1959, pp. VII-425. A S. sono dedicate le ultime pagine dell’ottavo capitolo, che espone il pensiero italiano dell'Ottocento (cfr. in particolare le pp. 334-337). Ma il nome del filosofo è citato spesso nell’introduzione, che riprende e dibatte la questione della “filosofia nazionale”, e quindi del “carattere” della filosofia italiana. La tesi di S. (e di Gentile) vien fatta reagire con quelle di M. F. Sciacca [cfr. nn. 236, 246], di P. Carabellese [cfr. n. 225], e con le vedute di F. De Sarto, che l’a. è incline ad accettate (la filosofia italiana è filosofia dell'esperienza, è sperimentalismo, ha carattere realistico, ecc.). 269. Un “pamphlet” antidemocratico inedito di Bertrando Spaventa (1880), a cura di P. C. MASINI, ir “Rivista storica del socialismo”, II (1959), pp. 304-326. Cfr. n. 116270. E. GARIN, Ur “pamphlet” antidemocratico inedito di B. Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXXVIII (1959), pp. 572-574. Cfr. n. 116. 271. A. BERTONDINI, Irtorno al “Socrate” di Labriola e Spaventa, in “Studi Urbinati”, XXXV (1961), n. 2, pp. 236-248. Dalla lettura dello scritto di Labriola su Socrate è possibile far affiorare il rifiuto della impostazione speculativa che caratterizza l’analisi spaventiana [62] delle Considerazioni di G. M. Bertini. 2584 272. F. ALDERISIO, Introduzione a B. S., Lo stato moderno e la libertà d'insegnamento, Firenze 1962, pp. V- XXXVII. Cfr. nn. 101, 108. L'’introduzione contiene utili indicazioni per favorire una prima lettura delle due polemiche di S., i cui testi — si legge nella “postilla”, pp. XXXVIIT-XLI — ben si prestavano, per la loro “affinità” e “complementarità”, per la “comune ispirazione filosofica ed ideologica,tuttaprotesa verso l'ammodernamento della cultura e dell'educazione e verso il rinnovamento più profondo della filosofia e della vita politica in Italia”, ad essere presentati in un’unica raccolta antologica (tra le recensioni dell’antologia cfr. S. C. Landucci in “Critica storica”, II, 1963, n. 1, pp. 112 sg.; e L. Pinto, in “Il Baretti”, IV, 1963, n. 21, pp. 168-171). 273.S. MAZZILLI, L’hegelismo in Italia, in “Cynthia”, 1962, n. 1-2, pp. 28-32. È l'undicesima puntata di un lavoro, che ha come sottotitolo costante: La problematicità. Qui sono avanzate esplicite riserve contro la teoria della circolazione e contro l’interpretazione spaventiana di Hegel (cfr. il saggio precedente, intitolato I/ divenire Iriadico, 1961, n. 5-6, pp. 39-43: non è vero che Hegel volle “provare l'identità”, come pretende S.; ma v. anche le pagine dedicate a L’attualismo, 1962, n. 4-5, pp. 27-33: è vero che S. ebbe una concezione intellettualistica dell’“atto”, ne vide l'impotenza ad autodeterminarsi; questo, che a Gentile apparve un limite, è per l’a. un pregio della posizione di S., il quale sembra offrirci una confutazione anticipata dell’attualismo). ZAMBELLI, Tradizione nazionale italiana e sovranità etica razionale nel’ideologia degli hegeliani di Napoli, in Problemi dell’unità d'Italia, atti del secondo convegno di studi gramsciani (19-21 marzo 1960), Roma. Contiene una minuziosa analisi e ricostruzione — con ricchi riferimenti bibliografici - del pensiero etico-politico di S.: dai primi documenti (Pensieri sull’insegnamento della filosofia [2]; l’a. tocca con la dovuta cautela la questione della collaborazione di S. al “Nazionale” del fratello Silvio) ai Principi di elica [97]. La posizione di S. appare all’a. assai “avanzata”, pur nei limiti suggeriti dalla lettura delle pagine dedicateda Gramsci al Risorgimento italiano. Muovendo da una primitiva avversione al Cousin, e dai suggerimenti del fratello Silvio, S. sviluppò il disegno di una storiografia fortemente critica, ispirata da una corretta concezione del nesso che collega la filosofia con il processo storico (va riconosciuto, del resto, che “per la provincia filosofica italiana lo ‘storicismo’ hegeliano non trovò superatori fino al 1895 del primo saggio di Labriola”, p. 535); altrettanto progressive appaiono le vedute di S. sul problema della “nazionalità” della filosofia. Se è lecito riconoscere la disinvoltura “speculativa” dell'equazione: Gioberti = Hegel, assai più importante è individuare e ribadire il valore “pratico”, “efficace”, dell’operazione compiuta da S. (p. 556). Nella Libertà d'insegnamento [108] è disegnato il concetto della moralità autonoma dello stato, i. e. il concetto dello stato-guida, che prepara il momento della libertà, difendendo e promuovendo gli interessi dei cittadini (pp. 537 sg.); ci muoviamo qui su di un piano ben diverso da quello su cui Gentile affermerà il suo ideale dello “Stato forte” (cfr. p. 568: appare equivoca all’a. l'annessione di S. all’attualismo fascista; ai principi di S. si è potuto richiamare il gruppo liberale borghese più avanzato, rappresentato da Gobetti). L'analisi dei Principi di etica consente di concludere che nella prospettiva di S. “i problemi della tradizione nazionale e della autonomia razionale e etica dello stato vengono a convergere con un'impostazione che (se mantiene ovviamente il limite di classe di tutte le ideologie borghesi, che non prendono in considerazione le classi subalterne ed i loro specifici problemi, fittiziamente ridotti e dissolti nell'unità nazionale) pur rappresenta la raggiunta maturità della ideologia liberale in Italia; essa venne condivisa da tutto il gruppo d’opinione che faceva capo ai due Spaventa, a De Meis e a Francesco Fiorentino” (p. 563). Negli scritti della maturità non tornano più le rivendicazioni democratiche (l’appello alla “ragione”, che si identifica con la richiesta del suffragio universale e della gestione repubblicana dello stato) del 1850-51; ma resta e si afferma ancora l’idea dell’ “evoluzione progressiva delle costituzioni” (p. 567). S. Si muoverà certo entro prospettive “borghesi”, e nutrirà forse eccessiva fiducia negli “espedienti” costituzionali; ma vi sono, nel suo pensiero, spunti e riconoscimenti che meriteranno di passare negli scritti e nell’opera del suo allievo Labriola. Nello studio della Z. si dà notizia di una lettera inedita di S. a G. Del Re, del 12 ottobre 1850, che costituisce un altro documento relativo al progetto di traduzione del volume di L. Stein sul socialismo e il comunismo in Francia. 275. I CUBEDDU, Bertrando Spaventa pubblicista (giugno-dicermbre 1851), in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLII (1963), pp. 46-65. Lo scritto presenta la ristampa dei testi ordinati in questa bibliografia con i nn. 5, 12, 14 [e cfr. n. 118]. L’autore rende note le ragioni che consentono di attribuirne la paternità allo S. (pp. 50 sg.); riproduce i titoli di altri articoli pubblicati sul “Progresso” di Torino e attribuibili anch'essi, ma con qualche dubbio residuo, al filosofo (pp.52 sg., n. I); indica nello scritto di L. Stein Der Socialismus und Communismus des beutigen Frankreichs la fonte di alcuni articoli spaventiani (pp. 55 sgg.). L'autore conclude (pp. 62 sgg.) con una cauta valutazione di questi testi “democratici” di Spaventa, nei quali il filosofo esprime convinzioni successivamente attenuate o abbandonate. 276. S. LANDUCCI, Di un celebre paragone tra Rivolnione francese e filosofia classica tedesca, in “Belfagor”, XIII (1963), n. I, pp. 88-93. Analisi della formulazione spaventiana del nesso: Rivoluzione francese-pensiero tedesco (in Paolottismo, positivismo, razionalismo, 78), estesa dall’a. all'esame della presentazione del paragone nel discorso di De Meis Darwin e la scienza moderna. L’a. conclude per la derivazione da Heine (fonte anche del Carducci) del paragone spaventiano; e ne individua, attraverso le varianti introdotte da S., gli elementi di originalità. Si legge a p. 93 che S. — con De Meis — volle prospettare e sostenere un “idealismo filosofico” che è “il corrispettivo teoretico delle possibilità pratiche di razionalizzazione dcl mondo, di umanizzazione della realtà, potentemente messe in luce dalla Rivoluzione francese. TESSITORE, Crisi e trasformazioni dello stato, Napoli 1963, pp. 259. Si veda in particolare, nel primo capitolo (I compiti dello stato), il quinto paragrafo (I/ significato dello stato per Silvio e Bertrando Spaventa, pp. 24-44), che contiene un raffronto delle posizioni di Silvio e di B. sul concetto dello stato libetale e sul problema delle garanzie costituzionali (e cfr., per B., un’osservazione di pp. 30 sg.: lo S. “trascurava, quasi subito, l'interesse generoso di Hegel, che pur a tratti lo attirava, per le manifestazioni ‘oggettive’ del diritto, della moralità, dell’ethos, e seguiva... la via meno certa, meno hegeliana: quella di formulazioni  nell’intimo neogiusnaturalistiche, che ritrovano un’assonanza, certo non fortuita, con lo statalismo di Fichte”). 279.1. CUBEDDU, Berztrando Spaventa, Firenze 1964, pp. 306. Il libro si divide in quattro capitoli. Nei primi due (La nazione vivente, pp. 11-64; Ragione e libertà) sono studiati gli scritti spaventiani del 1850-56, dal programma degli Studi sopra la filosofia di Hegel [41] e dei Pensieri sull'insegnamento della filosofia [21], al frammento sulla riforma filosofica, politica e religiosa nel XVI secolo [30]; attraverso gli articoli pubblicati sul “Progresso” nel 1851 (è ripreso qui, pp. 70 sgg., il tema del rapporto S.- Stein), le polemiche con la “Civiltà cattolica”, gli scritti sulla libertà di insegnamento, i saggi su Bruno e Campanella. Un riepilogo di questa prima parte discute l “ampiezza e la struttura specifica... della problematica nella quale si compongono e prendono rilievo gli interessi più vivi del filosofo”, in quegli anni; si allarga “alla considerazione del rapporto di Spaventa a Hegel e agli hegeliani, del significato che è possibile attribuire agli studi sul Rinascimento, e all’atteggiamento genericamente negativo nei confronti dei filosofi italiani contemporanei”; e si conclude “con qualche osservazione sugli orientamenti pratici e politici del giovane filosofo. Quantoalprimopunto,l’a.indica in che senso e entro quali limiti le prime riflessioni e polemiche di S. presentino “uno sviluppo affine alle grandi linee della polemica di Hegel contro Schelling, contro l’empirismo e contro le filosofie della riflessione in genere” (p. 111). Nei saggi sul Rinascimento, viene messo in rilievo un “duplice orientamento” del filosofo, il quale, per un verso, tenta di rielaborare in modo autonomo i temi speculativi individuati in Bruno e Campanella, per un altro verso impegna quegli autori in un confronto esplicito con gli sviluppi dell’idealismo tedesco; con risultati non del tutto convincenti, o non ancora convincenti, prima che S. abbia raccolto i frutti degli studi su Spinoza e Jacobi, e della nuova lettura di Gioberti. I lavori sui Rinascimento vanno ricondotti tuttavia alla “più estesa prospettiva nella quale si inquadrano le esigenze e le convinzioni etico-politiche del giovane Spaventa”, che tenta di cogliere e di elaborare i primi germi di una concezione “organica” della società, nella quale sia dato finalmente “al’uomo di conciliare la propria individualità, la soggettività dei suoi impulsi e dei suoi bisogni, con la necessità della legge” (pp. 115 sg.). In quella prospettiva appaiono all’a. semplicemente riaccostati elementi attinti da diverse matrici (come per es. la critica di Rousseau, che coesisteconlapienaaffermazione della sovranità popolare). All’a. non sembra dubbio, tuttavia, che le formulazioni di S. “non costituiscono né vogliono costituire un vero e proprio programma politico chiaramente e concretamente articolato, e quindi valutabile e criticabile in quanto tale. Il quadro .... programmatico ... di quelle dichiarazioni va trasposto e interpretato su quello stesso terreno sul quale fermentano i propositi di una rigenerazione morale e intellettuale del 2590 popolo, che deve attuarsi attraverso una totale rivoluzione filosofica. Se è possibile ascrivere alla concezione di S. un limite, “che deriva dal carattere parziale della prospettiva in cui si muove il filosofo”, non sarebbe giustificato “svalutare i contributi particolari che Spaventa ha voluto apportare nella discussione di problemi concreti e attuali, come è risultato dall'esame delle polemiche sostenute in questi anni dalle colonne dei periodici piemontesi. Il terzo capitolo (Fede e sapere, pp. 119-186) esamina gli scritti spaventiani dcl 1856-59. Tra i lavori studiati in queste pagine vanno segnalati, oltre ai primi saggi su Bruno e Spinoza, l'importante articolo su La filosofia di Kant e la sua relazione con la filosofia italiana, del 1856-60 [66], un manoscritto inedito di 66 pagine intitolato a Jacobi e qui datato: 1856-57 (per l’analisi dell’inedito, v. pp.151sgg.), e la cosiddetta “parentesi” del 1858, pubblicata da F. Alderisio nel 1933 [113] e qui discussa alle pp. 167 sgg. L’ultimo capitolo (La metafisica perplessa, pp. 187 sgg.) è dedicato all'esame delle prime lezioni napoletane e della Filosofia di Gioberti. [69], il “capolavoro” di S., minuziosamente ricostruito dall’a. (pp. 197-236); segue un ampio paragrafo dedicato agli scritti sulla logica e sull’etica di Hegel (pp. 236-274); le pp. 274-289 sono dedicate a Esperienza e metafisica [94], e agli scritti sulla psicologia empirica. Un riepilogo (pp. 290 sgg.), che discute tra l’altro lo scritto del 1881: Kart e l’empirismo [88], chiude anche questa seconda parte del lavoro. Per una presentazione sintetica delle conclusioni, si vedano le pp. 290-291: “Se volessimo indicare in breve, trasponendo queste considerazioni sul piano di un bilancio complessivo, quale sia il limite che ci sembra risultare dall’analisi della produzione scientifica di Spaventa, dopo il 1860, dovremmo parlare di una riflessione critica che ha spunti e accenti fortemente originali, che abbiamo visto maturarsi sul terreno di una sostanziale armonia con gli interessi e con le esigenze espresse nel programma del 1850, ma che non è riuscita a tradursi — e a placarsi — nella elaborazione di una dottrina altrettanto autonoma e originale. Nel corso dell’ultimo capitolo abbiamo sottolineato di volta in volta quali siano le oscillazioni, le suggestioni, e soprattutto le esitazioni che è legittimo porre in rilievo attraverso la lettura delle opere più fortunate ed anche più mature di Spaventa. La considerazione non ci dispensa dal compito di giustificare, almeno in forma sintetica, il titolo che abbiamo voluto dare all’ultima parte di questo lavoro. In esso si esprime la convinzione che l’interpretazione di Spaventa data da Gentile sia sostanzialmente aderente ai motivi fondamentali e alle esigenze autentiche del pensiero del maestro. Accentuando il tema della perplessità, abbiamo inteso indicare quali e quanti tributi il filosofo ha voluto pagare all’enciclopedia hegeliana, pur continuando a prospettarsi la necessità di prolungarne e di rielaborarne, in forma originale, i risultati e l'insegnamento. Non ci è sembrato proficuo ricercare minuziosamente quali fraintendimenti si frappongano fra l’analisi di Spaventa e il testo di Hegel. L’adesione del filosofo al programma della prefazione alla Ferorzenologia e, più in generale, alle pagine nelle quali Hegel sviluppa con maggiore asprezza la sua critica dei filosofi contemporanei, avrebbe dovuto consentire al maestro — tale era l'intenzione di Spaventa — la ricostruzione della vera ‘enciclopedia giobettiana. Ma il filosofo, a nostro avviso, si è dimostrato consapevole, e fin nelle sue ultime pagine, che questo programma non era giunto al suo perfetto compimento”. I risultati ultimi della ricerca sono resi anche più espliciti nella prefazione (pp. 5- 6): “il proposito di ricondurre a unità l'insieme dei motivi che si innestano nella speculazione di Spaventa, di ricostruirne la fisionomia complessiva e di riprodurne la problematica in un linguaggio non troppo distante dalla nostra sensibilità, riesce a raggiungere il proprio scopo — è una conclusione certamentenonnuova, della quale intendiamo tuttavia assumerci la nostra parte di responsabilità — soltanto accogliendo la critica spaventiana di Gioberti come l’unico strumento che ci consenta di penetrare agevolmente il senso riposto fin nelle pagine più disperse e frammentarie del filosofo, e più lontane, fra loro, nel tempo, dai primi scritti torinesi del 1850 alle ultime polemiche contro il positivismo. Svuotata dei toni e degli accenti ormai estranei al nostro gusto e ai nostri interessi, liberata dalle incrostazioni che costituiscono l’inevitabile residuo nella produzione di un autore dotato di una personalità per molti versi fortemente recettiva, la critica di Spaventa, largamente imperniata sulla polemica con il giobertismo, è in grado di restituirci l’esatta misura dello hegelismo di cui si nutrì il filosofo; il quale seppe mostrarsi hegeliano, per quel tanto che riuscì a tenere insieme le innegabili doti e tentazioni sistematiche con una polemica aderente al “carattere” e allo “sviluppo” proprio del pensiero moderno, italiano e europeo. Questo convincimento implica che si ritenga ancora esatto e accettabile, nelle sue linee essenziali, il giudizio che sull’opera di Spaventa volle dare Giovanni Gentile; il che non significa, ovviamente, accogliere anche le conclusioni teoriche dell’attualismo, ma, più semplicemente, attribuire a Spaventa il merito o la responsabilità di aver avviato — tra incertezze e perplessità che sono pure messe in luce in queste pagine — un’interpretazione di Hegel alla cui storia il suo nome ci appare tuttora indissolubilmente legato”. CRESCENZO, La fortuna di Vincenzo Gioberti nel mezzogiorno d’Italia, Brescia 1964, pp. 569. Cfr. n. 147. 280. A. GUZZO, Cinquant'anni di esperienza idealistica in Italia, Padova 1964, pp. 203. Cfr. n. 251. 281. S. LANDUCCI, Cultura e ideologia in Francesco De Sanctis, Milano 1964, pp. 512. Cfr. n. 287. 282. S. LANDUCCI, Il giovane Spaventa fra hegelismo e socialismo, in “Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinelli”, VI (1963), Milano 1964, pp. 647-707. Il titolo non vuole indicare un’incertezza o un’oscillazione che sia da addebitare al giovane S. democratico, collaboratore del “Progresso” e autore degli Studi sopra la filosofia di Hegel. La ristampa degli articoli su La rivoluzione e l’Italia e Le utopie [118], scritti negli stessi mesi in cui il filosofo combatteva dalle colonne del giornale torinese la sua polemica sulla libertà d’insegnamento, offre ormai — secondo L. — il materiale necessario per ricostruire nella sua intera e coerente fisionomia un momento ben preciso della biografia di S.; quel momento in cui si intrecciano, sostenendosi e confermandosi a vicenda, un hegelismo “assai preciso e articolato” (anche se “‘interpretato’ o fortemente sollecitato”, p. 661) e una autentica fede democratica e repubblicana, traducibile in termini di “démocratie sociale, alla francese” (p. 657); per cui gli scritti spaventiani del 1851 vanno a collocarsi “accanto alle opere dei repubblicani non mazziniani fiorite in questi stessi anni e caratterizzate dal continuo riferimento alle vicende francesi” (p. 658). Sullo stesso terreno in cui si incontrano hegelismo, democrazia e socialismo, fermentano i propositi di rigenerazione civile e intellettuale della società italiana, che caratterizzano il primo “programma” di S.; alle discussioni di questo tema L. contribuisce anche ripubblicando un “annuncio” della traduzione spaventiana di Stein [120], rimasto finora ignoto. L’ampio saggio di L. offre al lettore,in sessanta pagine, tante analisi, riflessioni, suggerimenti,non riproducibili qui nei particolari. In generale, il discorso è sviluppato con la preoccupazione di aderire alle varie utilizzazioni — da parte di S. — delle due fonti, Hegel e Stein, nella specifica situazione politica e culturale di quegli anni; sicché il rilievo di residue “astrattezze” non nasce da un impianto già “ideologico” della lettura (cfr. p. es. p. 663: “tutte le rappresentazioni dell’hegelismo italiano che partono da pregiudiziali equazioni ‘ideologiche’ (hegelismo = speculazione, o hegelismo = conservatorismo, ecc.), talvolta non distinguendo sufficientemente neppure tra Hegel e i vari ‘hegeliani’, non possono che fallire il bersaglio”). Nelle prime pagine del saggio, L. difende le convinzioni democratiche e repubblicane di S. (anche contro le riserve di altri interpreti [cfr. n. 275], p. 655; e v. ancora, per questi dissensi interpretativi, pp. 661, 673, 704), accettando la derivazione steiniana degli articoli sul “Progresso” (p. 649), ma rivendicando l’autonomia della lettura spaventiana in molti punti (v. pp. 650, 660, 671, 682). Nel democratismo di S. cè un’ “indubbia precarietà”; c'è una “astrattezza teorica” nella posizione del filosofo che, dopo il 1851, comincia a orientarsi verso un atteggiamento da ultimo conservatore-autoritario. Gioverà tener presenti i due aspetti dell'ideologia di S. (e di molti hegeliani, con lui): l’aspetto, appunto, “conservatore” dello “stato etico”, e quello “giacobineggiante e antidottrinario”, che ha la sue radici nelle polemiche torinesi del 1850-51, e che continuerà ad operare anche dopo. Ma c'è, poi, “astrattezza” e “astrattezza”; c’è il socialismo “escatologico” e “universalistico” di La rivoluzione e Le utopie, c'è il più corposo antidottrinarismo della polemica sulla libertà d'insegnamento, in cui la prospettiva escatologica, a contatto con problemi attuali e reali, si precisa come “tentativo di sollecitare da sinistra un’evoluzione in senso più democratico della politica del Regno sardo. Gli articoli sul socialismo hanno certo un “carattere tutto teorico, ideologico’: “la formula democraticorepubblicana del popolo oppresso” non coglie gli effetti specifici del “meccanismo del profitto industriale” (p. 671); ma da Stein S. mostra di ricavare anche indicazioni sul rapporto tra das Gesellschaftliche e das Wirtschaftliche (ivi; cfr. p. 649). Nella ricerca delle dimensioni reali, storiche, che strutturano gli orientamenti del giovane S., acquistano allora particolare rilievo, per il L., le prime battaglie del filosofo: la sua critica della religione (pp. 652 sgg.; e cfr. p. 654, sull’uso “non speculativo” della dialettica hegeliana dello spirito assoluto), gli scritti sul problema della libertà d’insegnamento (contro le tesi del “Risorgimento”, organo dei cavouriani), e la polemica contro la “Civiltà cattolica”, e contro la critica cattolico-reazionaria dell’hegelismo (matrice del socialismo, del comunismo ecc.; v. soprattutto le pp. 663 sgg.). Se si tiene presente il contesto storico (anche sotto il profilo della diffusione delle idee) da cui emergono questi primi scritti di S., sarà possibile trovare una collocazione reale per il socialismo “astratto” del loro autore; la prospettiva “escatologica”, espressa in termini “ideologici”, “speculativi”, non si traduce mai in mera esercitazione “retorica”: sicché non sarebbe giusto sommergere le formulazioni spaventiane sotto il peso dell’Ideologia tedesca (cfr. pp. 651, 658, 680), né sarebbe esatto, neppure filologicamente, rintracciarne i limiti nel peso esercitato dagli schemi di una filosofia della storia già distorta in senso speculativo. Giacché l’hegelismo del primo S. è tutt’altro che “accademico”; il rapporto filosofia hegeliana-democrazia francese si costruisce, in S., attraverso il richiamo alle pagine più “progressive” di Hegel (e alle pagine della Filosofia della storia, prima ancora che a quelle della Filosofia del diritto): si vedano i rilievi di L. a proposito della concezione della libertà come libertà “categoriale”, dell’ “assunzione estremamente seria, e praticizzata, dei concetti hegeliani di Fresbeitsbewusstsein e di freie Personlichkeit”, della giustificazione delle rivoluzioni in base allo “scarto” tra “ragione” e “esistente”, tra la realtà e le (nuove) idee, tra la realtà e gli istituti giuridico-politici ormai superati (pp. 660-663). Nella critica spaventiana di Rousseau — sviata, in certa misura, dagli equivoci giudizi di Hegel — va dato rilievo all’ “intenzione giacobina, contro i criteri formalistici di rispetto delle forme liberaldemocratiche” (p. 672 sg.). Nella critica degli appelli alla natura va letto il rifiuto di quella “tipica commistione del naturalismo biblico teologico con il naturalismo ideologico della moderna economia politica” che è prospettata nel Rirzovamento di Gioberti (p. 675). “In queste prese di posizioni, non si ha se non un’accentuazione estremamente progressiva della concezione hegeliana della storia: è del tutto superata l’identità settecentesca di ratura e ragione; tra i due termini è istituita una scissione radicale, e quella razionalità reale che domina nella storia universale è considerata foto coelo diversa e opposta alla immediata natura. Questo è il grande acquisto intellettuale ormai raggiunto dallo Spaventa” (ivi). È l'acquisto “vichiano” e “hegeliano” di S., la scoperta del “lato attivo” dell’uomo, nel suo rapporto con la natura; scoperta celebrata da Marx, e da Labriola (p. 676). Tutto questo implica l'abbandono del naturalismo illuministico, in una prospettiva ancora illuministica “se per ‘illuminismo’ si vuoi semplicemente intendere, categorizzando il termine, il particolare radicalismo di una critica razionalistica dell’esistente storico” (p. 677). In che senso le pagine di Hegel riescano a confortare questo orientamento di S. — che si sostiene, tra l’altro, in base a numerosi richiami a Kant, e al Kant della Critica della ragione pratica —, L . lo ricava da un’analisi (pp. 683-693) dell’articolo su Schelling, del 1854, qui largamente riprodotto [22]. Nel necrologio diSchellingvengono alla luce le “origini” della riflessione di S., “l’ispirazione rivoluzionaria, ‘francese’, l'ispirazione della Filosofia della storia... [e la]... polemica contro l’intuizionismo irrazionalistico, la rivendicazione della ragione e delle determinatezze in contrasto col formalismo insieme intellettualistico e mistico’ (i. e. l'ispirazione della Prefazione alla Fenomenologia): i due temi (pp. 690 sg.) che strutturano gli Studi sopra la filosofia di Hegel e che rappresentano i due aspetti di una stessa polemica, contro Gioberti (pp. 692 sg.; alle pp. 687 sg. v. anche alcune osservazioni sulle radici del parallelo Rivoluzione francese — filosofia tedesca in S., per il quale cfr. n. 276). Nell’ultima parte del saggio. L. riproduce e commenta l’ “annuncio” della traduzione di Stein, da lui 2598 scoperto [cfr. n. 120]; un testo più “moderato” degli articoli del ‘51, ma che interviene anch’esso a confermare il quadro delle “origini” del pensiero di S.: le — prime — fonti hegeliane (Feromenologia e Filosofia della storia) confluiscono in una Weltgeschichte, la cui prospettiva universalistica appare anche come il riflesso del riconosciuto “carattere internazionale dei fenomeni economici e dei problemi sociali in età moderna” (p. 698). A p. 696 si legge questa osservazione: “In certo senso si potrebbe dire che la lettura dello Stein tenne il luogo, per Spaventa, di quegli studi degli economisti moderni che lo Hegel aveva compiuto in gioventù e dei quali il nostro autore poteva avere qualche sentore solo attraverso la biografia del Rosenkranz”. Ora L. conclude: “Così, attraverso questa presentazione [scil. l’ “annuncio” del 1850], l'interesse di Spaventa per lo Stein appare tutt'altro che estemporaneo nella biografia intellettuale del filosofo: in qualche modo parallelo a quello per Hegel. Da un lato una traduzione dal francese, dall’altro una traduzione dal tedesco; ma traduzioni che volevano essere interpretazioni, non ‘calchi’. Non provincialismo, ma neppure vacuo cosmopolitismo...” (p. 699). Dunque queste “origini” forniscono indicazioni concrete anche rispetto agli sviluppi posteriori del programma degli Stud:: alla teoria della “circolazione” e alle tesi sulla “nazionalità” della filosofia. Resta il problema del passaggio di S. (e deglialtri hegeliani) dal democratismo avanzato degli inizi al più tardo conservatorismo, “certo illuminato ma anche assai chiuso e non di rado arcigno” (p. 703). Lo studio di L. si chiude con un richiamo alle indicazioni di Gramsci sulle ragioni di “classe” che determinarono l'assorbimento nelle file dei moderati di quegli intellettuali democratici. 283. G. OLDRINI, Gt begeliani di Napoli. Augusto 2399 Vera e la corrente ortodossa, Milano 1964, pp. 299. La figura di Augusto Vera merita “la più attenta considerazione e il più attento esame” per “la complessa natura delle intersezioni della sua filosofia con i problemi della società contemporanea lungo tutto l’arco del Risorgimento europeo, in paesi chiave (Francia, Inghilterra, Italia) e in nodi storici culminanti (il 1848, l’unificazione italiana, la Comune, i prodromi dell’imperialismo)” (p. 13). L'impostazione e il metodo della ricerca, che tiene conto delvario e complesso intreccio di prospettive filosofiche e atteggiamenti pratici, sotto la spinta degli eventi via via maturati nella storia italiana e europea, consentono di offrire allo studioso di S. (e della sua scuola) nuove prospettive: in primo luogo, la presentazione del rapporto S.-Vera (del rapporto tra idealismo “critico” e idealismo “ortodosso”) al di fuori dello schema tradizionale, che oppone i due filosofi come rappresentanti di due diversi orientamenti speculativi, in ultima analisi come due diverse “personalità” filosofiche. Interessa lo studioso di S. e della scuola spaventiana soprattutto il secondo capitolo della parte seconda, intitolato: Le lotte filosofiche interne del circolo di Napoli. L’unità apparente (e necessariamente apparente, se si bada alle diverse “radici della formazione hegeliana di Vera”, che “non sono le stesse di quelle del gruppo spaventiano dei fuorusciti”, p. 168; ma su questo punto, si veda tutta la prima parte del lavoro, dedicata alla “genesi dell’hegelismo napoletano”, alla “formazione filosofica” e alla “svolta hegeliana” di Vera) che caratterizza il “fronte hegeliano” di Napoli fino al 1863-64, comincia a incrinarsi visibilmente nei primi scontri tra “ortodossi” e “critici” sul problema della nazionalità della filosofia; la portata e le ragioni del dissidio che 2600 contrappone l’uno all’altro i due orientamenti si rendono più esplicite attraverso l’analisi delle divergenze rilevabili nella presa di posizione di S. e di Vera sulla questione del rapporto fenomenologia-logica (pp. 172-180; cfr. pp. 177 sg.: dal momento che S. nella fenomenologia “non sottolinea come Vera — o non sottolinea accentuatamente come V era — il momento della denegazione del processo di elevazione della coscienza a scienza in favore dello sbocco nel‘sapereassoluto’, può anche mantenere nei confronti della riforma ‘auspicata da Trendelenburg un atteggiamento molto più elastico e libero... può... scorgere nel ‘movimento’ assunto come ‘primo’ ... il lato realmente attivo, positivo, che lo assimila al ‘pensiero’, poiché anche il pensiero, in se stesso, è movimento: movimento logico”). Il contrasto tra le due scuole si approfondisce sotto la spinta di nuove tendenze (naturalismo, positivismo...) che si impongono come riflesso del “progresso impetuoso dell’attività pratica” (p. 181), e che contribuiscono alla formazione di una “terza scuola” (Siciliani; Fiorentino, Tocco, poi Masci; ecc.), ancora in qualche modo controllata o almeno ispirata da S.; la nuova scuola si presenta come “fronte unico” contro l’ortodossia, e costringe gli ortodossi ad arroccarsi “in una strenua difesa a qualunque costo della filosofia della natura di Hegel” (p. 194). La paura del positivismo e del materialismo spinge sempre più decisamente Vera sulla strada che sbocca nella presentazione della scienza e della metafisica “come rigidi estremi contrapposti” (p. 197). Ma se il destino di Vera e degli ortodossi si consuma, attraverso il progressivo “isolamento” del gruppo, nella totale autodissoluzione della dottrina (pp. 228-239), il profilarsi di una “sinistra materialista” come espressione di una spinta popolare sempre più minacciosa e temuta blocca gli intellettuali borghesi meridionali più avanzati su posizioni di difesa. Per 2601 l’analisi del fenomeno, allargata all’individuazione dei suoi fattori economici e politici, si vedano le pp. 201-215. “Gli intellettuali borghesi meridionali si stabilizzano sulle proprie posizioni egemoniche di classe, cessano di rappresentare, sia nei confronti dell'evoluzione sociale del paese, sia nei confronti della classe borghese in generale, una forza viva, attiva,storicamente progressiva, e preoccupati più di non cedere terreno, di non farsi soverchiare dalla pressione popolare in crescita, che di promuovere una spinta in avanti, perdono in capacità di iniziativa, organizzazione, penetrazione” (p. 207). Matura così la formazione di una “nuova destra” (Maturi, Jaja) nel circolo di Napoli. “Come le pericolose oscillazioni della struttura quanto mai instabile della società spingono la borghesia a puntare sulla dissoluzione dei vecchi partiti politici, così altrettanto, in filosofia, la vecchia destra ‘ortodossa’ e la vecchia sinistra ‘critica’sono travolte e dissolte dal movimento della nuova generazione intellettuale; e come gli ideologi borghesi giustificano l’operazione dell’ ‘endosmosi istorica” e del ‘trasformismo’ col pretesto di sbarrare la via alla marea montante del proletariato e di salvare in questo modo il patrimonio di libertà e di civiltà faticosamente acquistato nei lunghi anni delle lotte risorgimentali, così col pretesto di salvare tutt’intera l'eredità culturale dei vecchi maestri del circolo, di Vera e di Spaventa, la tendenza trasformistica del tardo idealismo filosofico napoletano giustifica il rilancio del loro insegnamento in guisa volutamente così truccata... da presentarne l’apporto in sostanza come identico, come due facce della stessa medaglia” (pp. 215 sg.). Ma né Spaventa né De Sanctis appaiono travolti in questo processo involutivo: si vedano le pagine dedicate al loro “tentativo di un superamento ‘critico’ interno dello hegelismo” (pp. 220- 225), seguite da un paragrafo sulla “eredità spaventiana di Antonio Labriola. Riprendendo, tra l’altro, la proposta di G. Berti [cfr. n. 255], l’a. scrive: “Contro la chiusura filosofica della ‘nuova destra’, contro l’involuzione trasformistica, in politica, della Sinistra storica, De Sanctis e Spaventa attuano in filosofia e in politica, per quanto riescono, rimedi lungo un arco che va, politicamente, dalla fondazione di una ‘giovane sinistra’ costituzionale... alla lotta per la moralizzazione e la riforma dello ‘spirito di consorteria prevalente nell’andazzo di una politica governativa che alimenta discriminazioni e privilegi in favore delle classi agiate, e a una linea programmatica di rinnovamento profondamente democratico del paese, di ricambio dei quadri dirigenti, di irradiazione e diffusione della libertà, della civiltà, della cultura, di una moderna concezione laica del mondo; e che ha d’altra parte il suo correlativo, sul piano delle idee, in un forte movimento di pressione per una svolta anche filosofica a sinistra, inaugurata proprio dal tentativo di Spaventa e De Sanctis di un superamento ‘critico’ interno dello hegelistno, che in loro avviene, come si è detto, nella stessa direzione:dall’astratto al concreto, dalla metafisica delle idee a un assorbimento della metafisica nella ‘filosofia del reale. Oltre ai rimanenti, numerosi richiami a S., si veda, a p. 250, il testo di una lettera inedita di Vera a S. sul rapporto di politica e religione, lettera che è l’“unico documento epistolare che ci resta” dei rapporti tra i due filosofi. Di G. Oldrini v. anche La crisi della cultura filosofica napoletana sul declino dell'Ottocento, in “Rivista critica di storia della filosofia”, XXI (1966), pp.141-177, 264-284. 284. B. WIDMAR, Antonio Labriola, Napoli 1964, pp. Viene citato qui soprattutto per il primo capitolo (pp. 393-441) della seconda parte, dedicata a Labriola e i suoi critici; il capitolo presenta un’ampia rassegna di studi, fra i quali il saggio di Berti del 1954 [255], lo scritto di Togliatti dello stesso anno [258], gli articoli di A. Plebe del 1953-54 [252], la Ripresa spaventiana di F. Alderisio [259], gli Sviluppi dell’hegelismo di M. Rossi [265], ecc. Per i rapporti S.-Labriola vedi anche il primo capitolo della parte prima (La giovinezza di A. Labriola, pp. 9-81). L’a. tende ad attenuare il nesso S.-Labriola, rifiutando la tesi proposta da G. Berti (per il rilievo dei limiti della posizione di S., cfr. anche l’introduzione di W. All’edizione de La filosofia italiana, da lui curata [cfr. n. 99], pp. 5-19). 285. D. D'ORSI, Uxa scoperta di notevole importanza; il testo inedito della “Fenomenologia” di Bertrando Spaventa, in “Sophia”, XXXIII (1965), n. 1-2, pp. 138-147. 286. E. GARIN, Antonio Labriola e i saggi sul materialismo storico, introduzione a A. LABRIOLA, La concezione materialistica della storia, Bari, 1965, p. VII- 287. S. LANDUCCI, L’hegelismo in Italia nell’età del Risorgimento, in “Studi storici”, VI (1965), pp. 597-628. Alcuni temi già individuati in precedenti analisi [cfr. n. 276, 282] sono ripresi qui e riproposti nel più ampio disegno di “un problema autentico nostro, di noi italiani” (p. 597, n.): un problema di “tradizione”, nei confronti di quell’hegelismo che “non è stato solo un movimento accademico, di professori, ma è stato un elemento della vita civile della nazione nel momento culminante del suo Risorgimento” (p. 615). C'è una duplice “eredità teorica” dello S. La scoperta delladimensione“pratica” dell’autocoscienza, nella rielaborazione della Ferorzenologia (pp. 605 sg.); la rivalutazione del “positivo umano” (pp. 607 sgg.); la reinterpretazione della logica hegeliana nei termini di una metodologia imperniata sulla “definizione genetica” e il disegno di una antropologia filosofica, non naturalistica (p. 610): questa è l'eredità ripresa da A. Labriola. C’è anche l'eredità dell’ultimo S., raccolta da Jaja e da Gentile: la “rivendicazione dell’apriori gnoseologico”, che mette capo a “una forma di umanismo spiritualistico” (p. 611); l’ultimo S. lavora alla “conservazione del sistema [hegeliano]... con modificazioni al suo interno” (p. 614; sul “riformismo” di S. in sede di logica, cfr. pp. 603 sg., e relativa nota). Più complesso appare il discorso sullo S. politico. Per lui (come per De Sanctis, De Meis, ecc.) si “fanno subito avanti problemi di sviluppo ideologico legati allo sviluppo politico del nostro paese”; problemi che non si risolvono registrando -— semplicemente — la “conversione” di alcuni intellettuali democratici a posizioni di moderatismo variamente colorato, o rubricando, per S., le polemiche contro la “Civiltà cattolica” e le riflessioni sul rapporto stato-chiesa sotto la voce: “anticlericalismo” di moda (pp. 614, 627). Dal 1848 l’hegelismo italiano acquistò un vigore “civile” che non andò perduto dopo il 1860. “Se nacque in provincia e finì poi come fenomeno ‘europeo’, nel suo momento di maggior vigore l’hegelismo italiano fu altro: un fatto nazionale — come interpretazione della rivoluzione ‘nazionale’ che s'andava compiendo e sollecitazione per uno sviluppo moderno, avanzato, di essa; e come teoria, in una parola, della connotazione eminentemente politica che avrebbe dovuto assumere il concetto di nazionalità” (p. 616). Riaffiorano ora nel discorso di L. temi già emersi nello scritto sul giovane S. [282]: l’appello alla Filosofia della storia, il motivo hegeliano-illuministico della ragione che “rovescia l'esistente”, il superamento del cosmopolitismo astratto (Vera) e del cosmopolitismo reazionario, controriformistico (Gioberti), nelle prime lezioni napoletane. Nella teoria della “circolazione”, al di là degli schemi e delle forzature, va letto “l’avvertimento di un problema reale, e di ungrande problema, anzi la prima esatta presa di coscienza di esso in senso critico, il problema stesso al quale si ritroverà di fronte anche il Labriola in rapporto al materialismo storico”: il problema della tradizione nazionale. “Che l’hegelismo di Spaventa non sia stato solo teoria della rivoluzione nazionale, ma anche, in connessione, posizione del problema stesso della ‘tradizione nazionale’, comporta di nuovo ch’esso non risulta chiuso nella sua epoca storica, bensì lascia un’altra eredità che attraverso una linea precisa torna a giungere a noi. Inoltre, della concreta ricostruzione spaventiana rimangono indicazioni non più smentite: Bruno, Campanella, Vico” (p. 620). E restano la battaglia contro il giobertismo, contro l’ “abito retorico” e la “mentalità retrograda” dei secoli bui, resta la rivendicazione dell’Italia del “libero pensiero” contro l’Italia “dei carnefici e degli oscurantisti” (p. 621). Le ultime pagine (622 sgg.) ribadiscono il “carattere accentuatamente radicale” che l’hegelismo di S. seppe mantenere anche negli ultimi scritti dedicati alla discussione di questioni etico-politiche; i motivi ispiratori del “giovane” S. continuarono ad operare nella difesa dello stato laico, che trae “la sua legalità dalla sovranità popolare anziché dal diritto storico o da consacrazioni superiori”, e nella delineazione di un “ethos nuovo” (p. 627 sg.). Questa è l'eredità che rimane, malgrado le formulazioni “ideologiche” di cui pur appare rivestita; “se una memoria tragica si è storicamente interposta fra noi e la formula dello ‘stato etico’, ben di qui si impone di riattingere nella sua genuinità il contenuto di quell’eticità reale che allora rivendicarono, quando si costruiva una realtà nuova, i nostri hegeliani” (p. 628). Dello stesso autore va segnalato anche il volume: Cultura e ideologia in Francesco De Sanctis, Milano 1964, pp. 512. Il nome di S. è avvicinato più volte a quello del De Sanctis, per indicare i numerosi punti di contatto tra i due autori, sul piano di un comune impegno culturale sviluppato in una direzione “nazionale” e non astrattamente intellettualistica o anacronisticamente  cosmopolitica, con. la piena consapevolezza del compito “politico-pedagogico” che spetta al lavoro degli intellettuali. ALDERISIO, Ur articolo ineditodi B. Spaventa circa l’unità organica della filosofia di Bruno e circa l’attinenga di questa con la filosofia di Spinga, in “Giornale critico della filosofia italiana”, XLV (1966), pp. 218-225. 289. D. D’ORSI, prefazione a B. S., Scritti inediti e rari (1840-1880), Padova. GARIN, Storia della filosofia italiana, 3 voll., Torino 1966, pp. XIV-495, VII+496-954, VII+955-1383. Da vedere l’ “avvertenza” del 1966, per il raffronto tra questa edizione e la precedente [cfr. n. 244]. La seconda edizione presenta integrazioni e correzioni soprattutto nell’apparato delle note, “trasformato in un inizio di bibliografia essenziale ma sistematica”, che rende conto di nuove e mutate prospettive storico-critiche. Le pagine che riguardano direttamente S. appaiono sostanzialmente identiche nelle due edizioni. Si vedano, dell’introduzione del 1966 (vol. I), soprattutto le pp. 10-14 (= 1947, vol. I, pp. 7-10), dedicate alle tesi delle prime lezioni napoletane di S. (con qualche riserva sulla storiografia spaventiana “fatta di precorrimenti”, ma anche col riconoscimento della sua fecondità), nel corso di una rassegna delle diverse interpretazioni e valutazioni della tradizione filosofica italiana nella storiografia illuministica e risorgimentale, fino a Croce e Gentile e agli storici più recenti (su S., cfr. ancora pp. 22-24). Nel capitolo sugli hegeliani italiani, a S. sono dedicate dieci pagine (vol. III, pp. 1229-1238 = 1947, vol. II, pp. 627-636). L’itinerario di S. si snoda, secondo G., senza fratture lungo una linea la cui coerenza risulta soprattutto se si tengono presenti il programma di rinnovamento culturale e i bersagli polemici del maestro; le pagine sulla nazionalità, la tesi della “circolazione”, la ricerca di un hegclismo “autonomo” (S. “intendeva ascendere alla sua logica attraverso una sv4 fenomenologia”) si accordano bene con le ultime indagini sul “valore dell’esperienza”, rivalutata appieno in nome di un “assoluto umanismo”, che è “rigida aderenza all'attualità spirituale nella sua storica concretezza”. Un “epilogo” (rinascita e tramonto dell’idealismo, vol. II, pp. 1261 sgg.) aggiunto nella edizione del 1966, indica già nel titolo il taglio con cui è condotto il discorso sulla filosofia italiana del Novecento. Si conclude accennando a una “problematicanuova”, ispirata alla lezione di Gramsci; e si apre con un richiamo alle reali, autentiche esigenze di S., filosofo “della rivoluzione” negli anni giovanili, aperto più tardi a una problematica ‘positiva’, anche se antipositivistica, mai chiuso entro “limiti provinciali”; interprete, sì, di Galluppi, Rosmini e Gioberti, teorico certo della “circolazione”, ma “sotto la doppia urgenza di un processo politico in atto, e di una presa di posizione polemica all’interno di quel processo politico medesimo”. La figura di S. appare nella sua giusta luce, più che nelle interpretazioni “speculative” dei suoi scritti, nella lettura attenta delle sue pagine polemiche, contro la tradizione platonizzante della filosofia italiana, contro il “rinnovamento” del Mamiani; si disegna chiara nella «più sfumata discussione del positivismo: una discussione, questa, ben consapevole dell’importanza dell’avversario”. Qui, S. si incontra con De Sanctis. Questa insistenza sull’umanismo di S., sul carattere “positivo”, “critico” del suo filosofare; questa nuova presentazione del parallelo S.-De Sanctis (e del rapporto S.- Labriola), rimandano alla lettura di altre pagine di G. Intanto, al primo capitolo delle Cronache di filosofia italiana (nell'edizione del 1966 [Bari], pp. 1-20; cfr., in particolare, pp. 14 sgg.). Poi, allo scritto Antonio Labriola e i saggi sul materialismo storico,premesso a A. Labriola, La concezione materialistica della storia, Bari 1965, pp. VII-LXV. Sono da vedere, qui, soprattutto le’ pp. XXII-XXX, sull’insegnamento di S. dopo il 1862, e sul peso che ebbe, quell’insegnamento, nella formazione di Labriola. Il “rapporto fra Labriola e S., così come l’hegelismo e l’herbartismo coesistenti dialetticamente in Labriola, e il suo atteggiamento tanto duramente polemico contro il positivismo, e poi il suo movimento verso il marxismo, non si intendono se non si restituisce il suo volto al magistero napoletano di S. dal ‘62 in poi, così poco hegeliano ‘ortodosso’, ma anche così lontano dalle vie percorse, attraverso l’esperienza feuerbachiana, dai ‘giovani hegeliani” tedeschi” (p. XXIX). L'incontro S.-Labriola ha avuto un significato decisivo, che va ribadito, non certo “ai fini di più o meno artificiose genealogie (Hegel-S.-Labriola) o di improponibili simmetrie (Hegel-S.-Labriola, corze Hegel- Feuerbach-Marx). Quel che importa sottolineare è altro: è la trascrizione della ‘circolazione’ operata da Labriola sul terreno storico, nel senso che nell’Italia comunale si individua l’avvio della società borghese (‘comincia prima che altrove... e poi si arresta’), ponendosi così il problema dei motivi di quell’arresto, e l’esigenza di una consapevolezza, necessaria per rientrare nel circolo del processo politico europeo” (p. XX sg.). Non basta, però: c’è un passaggio reale, un legame che resta, tra il rigore critico e scientifico del maestro, e quello dello scolaro, avviatosi poi su altra strada. Da S., Labriola eredita l’ “immagine della filosofia come ‘scienza’, come elaborazione di concetti, come coscienza critica”, “contrapponendola alla ‘filosofia scientifica”; con S., Labriola vede in Hegel “un punto fermo, ma non un sistema definitivo”; più tardi, “vedrà analogamente in Marx una conquista in campi determinati, una tappa necessaria, un’acquisizione metodica essenziale, non un’ ‘onniscienza’, una enciclopedia da ripetere per sempre” (p. XXXII). In questa prospettiva si può parlare di un nesso S.-Labriola, presentato qui in pagine che vogliono servire a illuminare la figura e l’opera di entrambi i filosofi. 291. M. A. RASCHINI, Validità e limiti dell’interpretazione spaventiana del Rosmini e del Gioberti, in “Giornaledi metafisica”, XXI (1966), pp. 265-269. “Lo Spaventa afferma che la coscienza o unità originaria del conoscere come puro conoscere, in quanto è sintesi, è relazione tra i termini ad essa immanenti. In questo concetto fondamentale di relazione sta il problema attraverso cui cercare l’incontro; esso è veramente il centro della problematica post-kantiana e, per quel che ci interessa, spaventiana, rosminiana, giobertiana”. Su questo piano, che fissa i limiti entro i quali è autentico l’incontro di S. con Rosmini e Gioberti, può svilupparsi un discorso che indica nel concetto di “relazione” proposto da S., e nella dialettica che dovrebbe esprimerla, la “contrazione di una tesi più ampia”, di una più valida “mediazione” che, in Rosmini e Gioberti (e sia pure con qualche differenza tra i due autori), è aperta alla ricerca di una fondazione ontologica. 292. G. VACCA, Recenti studi  sull’hegelismo napoletano, in “Studi storici”, VII (1966), pp. 159-209. L’ampia rassegna prende in esame tutti gli studi apparsi nell’ultimo quindicennio, ma si richiama anche a lavori e prospettive meno recenti (Croce, Gentile, L. Russo...) per presentare un preciso raffronto delle diverse linee in cui si svolgono, convergendo o divergendo fra loro, le varie interpretazioni. Il discorso critico di V. — sviluppato in forma autonoma nella ricerca condotta dall’a. sul nesso di politica e filosofia nello S. [cfr. n. 295] — è ispirato dalla esigenza di riconoscere nel momento etico-politico e politico-culturale il filo conduttore di tutta l’opera del filosofo napoletano. Tra le opere richiamate o esaminate dall’a. interessa qui segnalare: gli studi di G. Arfè [254], G. Berti [255], P. Zambelli [274], I/ giovane Spaventa di S. Landucci ([282]; ma anche il lavoro su De Sanctis e la relazione del 1965 [287]), lo Spaventa e Vera di A. Plebe [252], i lavori di I. Cubeddu [275, 278] e di G. Oldrini [283]. 293. M. AGRIMI, Bertrando Spaventa e l'eredità hegeliana, in “Trimestre”, I (1967), n. I, pp. 141-153. Ampia nota, che prende l’avvio dal recente volume di G. Vacca [cfr. n. 295], “un lavoro rigoroso e certamente il più completo ad articolato sull'argomento, che inquadra l’accurata informazione critica e la dettagliata e lucida ricostruzione dello svolgimento del pensiero spaventiano in una più ampia prospettiva storiografica” (p. 150). A proposito del libro di Vacca, l’a. conclude: “Una così energica rivalutazione di Spaventa non può comunque non determinare un riesame della linea di svolgimento del pensiero italiano contemporaneo: linea peraltro in più parti indistinguibile o appena tratteggiata. Può muovere da Spaventa un filone di pensiero in direzione di una filosofia della prassi? Non è facile ammetterlo, e comunque si dovrebbe passare per mediazioni e recuperi molto difficili. Ma sono ancora ammissibili ricerche di genealogie filosofiche ‘nazionali’, in cospetto di eventi storici che ci costringono a ‘pensare mondialmente’? Gramsci, come si sa, su questo terreno urtava non di rado in contraddizioni e incertezze. Per l’a., resta aperto il problema di “stabilire le ragioni per cui, malgrado l'appassionato sforzo spaventiano, l’hegelismo non riuscì a divenire l’ideologia politica e culturale del nuovo Stato nazionale...” (p. 148; cfr. p. 152: “lhegelismo spaventiano esce dalle pagine del Vacca ricco di una carica innovatrice e progressista, che non sembra però incidere sulla vita nazionale del tempo”). Per qualche suggerimento offerto dall’a., si veda, tra l’altro, pp. 148. sg.: la teoria spaventiana della circolazione, l'adattamento dell’hegelismo “all’antica tradizione italiana” finisce col ricongiungersi — o comincia a ricongiungersi — con le intenzioni di uno storicismo pacificatore, che ha perduto il senso della lezione illuministica, il senso della “insopprimibile distanza” e dello “scontro dialettico tra ‘razionale e reale’, tra ‘verità’ e ‘storia’, tra ‘pensiero’ e ‘realtà’, condizione indispensabile di una tensione costruttiva e progressiva rivolta a trasformare la realtà...”. 294. S. ONUFRIO, Lo “stato etico” e gli hegeliani di Napoli, in “Nuovi Quaderni del Meridione”, V (1967), pp. 76-90, 171-188, 271-287, 436-457. Alle pp. 76-90 e 171-188, ampia rassegna degli studi sul pensiero politico degli hegeliani napoletani, pubblicati a partire dal 1920 (l’a. esamina tra gli altri i lavori di De Ruggicro [202], S. Caramella [201], L. Russo [210], il S/vz0 Spaventa di P. Romano [P. Alatri; 1942], gli studi della Zambelli [274] e di G. Berti [255], il volume di G. Oldrini su Vera [283]). Alle pp. 271-287 Onufrio affronta un riesame degli articoli del “Nazionale” (anche in connessione con le indicazioni di G. Vacca [295]); e nelle pagine 436- 457 offre al lettore una analisi degli scritti politici di S. — dagli articoli sul “Progresso” ai Principi di etica — che, pur accogliendo diverse indicazioni dei più recenti studi sull'argomento, si conclude con il rilievo dell’ispirazione sostanzialmente liberale della filosofia politica del vecchio hegeliano. 295. G. VACCA, Politica e filosofia in Bertrando Spaventa, Bari 1967, pp. 301. Tutti gli scritti di S. sono sorretti da “un’intenzione politico-culturale, risalente ad una precisa’ visione dell’unificazione nazionale e della necessaria ricostruzione culturale. La curvatura ideologica con cui Spaventa visse i fatti e le passioni del Risorgimento italiano, si delinea dunque come il filo rosso della sua filosofia”. L'analisi, condotta attraverso il continuo riferimento al terreno in cui si incontrano passione politica e riflessione teorica, restaura la connessione “genetica” dell’ “intero impianto” della filosofia di S. e consente la presentazione di uno S. “modernissimo e ‘europeo’, che andava smarrito nella prospettiva attualistica” (p. 7). La monografia di V. è sviluppata nella linea dei recenti studi, che tendono a recuperare la dimensione etico-politica dell’opera di S. (per una discussione di questi scritti impostata dall’a. del libro, cfr. n.292). V. disegna tuttavia con tratti più decisi la figura del primo S. democratico, ricollegando gli scritti sul “Progresso”, anche quelli ristampati nel 1963 [118], all’attività del “Nazionale”, e restaurando le linee di una “formazione politica militante” dei due S.; e rimette in discussione l’opera dello S. maturo, dello storico, del riformatore della dialettica e del critico del positivismo, che nasconde “a livelli sempre nuovi e a volte estremi di mediazione”(p. 66; cfr. pp. 119, 171), senza però abbandonarla, l’ispirazione e le esigenze originarie (l’ultimo capitolo si intitola: Storicismo e antropologia. La filosofia come fondazione metafisica della prassi). Il primo capitolo (Il “Nazionale” e il ‘48 napoletano nella formazione degli S.) si conclude con un’importante appendice (pp. 63-84), in cui l’a. affronta il problema della formazione di B. nel decennio 1840-50, riprendendo l’ipotesi della sua collaborazione attiva al “Nazionale” e alla rivista di Silvio del 1844. È evidente lo stretto rapporto (identità di temi, e finanche di espressioni letterali) che lega gli articoli di B. del 1851 a quelli del “Nazionale”, attribuiti a Silvio. Le origini delle convinzioni democratiche e repubblicane degli S., la fonte — non libresca — del socialismo (si parla però di “una non ben precisa forma di socialismo” a p. 88; e cfr. p. 90 e relativa nota 13, a p. 144) di B., piuttosto che nella lettura del noto libro di L. Stein sul socialismo e comunismo in Francia, vanno ritrovate nell’azione politica dei due fratelli, nella loro appartenenza ad “uno schieramento politico che concepiva la lotta per l'indipendenza strettamente intrecciata alla lotta per l'emancipazione politica e costituzionale, senza ancora una precisa subordinazione della seconda alla prima” (p. 13). Contro il vecchio giudizio di Croce, V. parla dello schietto “liberalismo democratico’. (e non, semplicemente, “progressista”) degli S.; i quali, quando cederanno all'iniziativa piemontese, rimarranno tuttavia sempre fedeli alla loro concezione dello stato come formazione storica destinata ad evolversi sotto la spinta di nuove idee e dì nuovi bisogni (p. 16). AI di là di una prima caratterizzazione degli schieramenti politici e delle varie correnti compresenti, anche contraddittoriamente, nella stessa redazione del “Nazionale”, la ricostruzione della linea seguita dagli S. viene precisandosi attraverso la lettura del giornale di Silvio: V. documenta le “simpatie repubblicane” del “Nazionale” (p. 28 sgg.), ravvisa nei suoi articoli la difesa di una democrazia “piena, politica e sociale’, contro il contrattualismo giusnaturalistico (p. 31), chiarisce il carattere “strumentale” dell’ “albertismo” di Silvio e dell’accostamento al programma neoguelfo (pp.33 sgg.), distingue dall’ “unitarismo” e dal “gradualismo” tattico (p. 36) un complesso di richieste illuminate da principi più avanzati. E l’analisi si concentra su due temi che saranno costantemente presenti nei primi scritti di B. a Torino: l’idea di nazione e di stato, e la sovranità popolare (pp. 36 sgg.). Quanto al primo: il rapporto fra Stato e nazione è costruito secondo una dialettica idea-esperienza, dover essere-essere, che comporta e mantiene una polarità, per cui giammai l'essere annichila il dover-essere” (pp. 39 sg.). E, per il secondo punto, V. spiega la coesistenza della difesa della sovranità popolare con la critica della “volontà generale”, riadducendo quest’ultima non ai paragrafi antigiacobini della Filosofia del diritto di Hegel, ma alla convinzione che la legge del numero, meccanicamente intesa, serve a contrabbandare una forma particolare di volontà, in luogo della volontà del popolo. Emergono ancora, a chiusura del capitolo, tre punti importanti: il rilievo di una prima critica del diritto di proprietà come diritto innato (pp. 43 sg.); quello dell’apertura alle masse popolari, come sostegno indispensabile della rivoluzione; infine, in connessione con il punto precedente, la “formulazione di una teorica politico- pedagogica dello stato — che sarà compito degli Spaventa maturi sviluppare —, nella quale è sempre più chiaramente visibile la preoccupazione di accompagnare la fondazione del nuovo Stato alla fondazione di una reale egemonia borghese. Il secondo capitolo (Politica e filosofia nel primo Spaventa, pp. 85-152), studia gli scritti spaventiani del 1850-51, rilevando il carattere “pratico” dell’hegelismo di S., accolto in origine come strumento di rottura dell’egemonia eclettica operante nel liberalismo moderato napoletano (p. 121). Questa genesi dell’idealismo spaventiano va tenuta presente per una corretta lettura delle pagine “hegeliane” di questi anni. La difesa, dalle colonne del “Progresso”, della democrazia repubblicana e l'affermazione della necessità della “riforma sociale”, condizione anch'essa della pacifica convivenza di libere nazioni, vanno ricondotte ad un’autonoma concezione della storia, in cui è accentuato “laspetto deontologico del principio della libertà e della razionalità del reale” (p. 92). La funzione degli intellettuali così come è prospettata da S. richiama l’immagine illuministica del philosophe, piuttosto che la figura dell’ “eroe” hegeliano (p. 94). La distinzione di “utopie” e “idee storiche”, e la critica delle “utopie”, si sviluppa in virtù di “un criterio di discriminazione fra filosofie teologiche e filosofie scientifiche”, conformemente al “principio di una perfetta rispondenza, sempre, del pensiero con determinate posizioni della vita”(p. 97). Quello di S. è uno “storicismo avanzato”; la realtà è storia in quanto “opera umana”, “lavoro”; e 1° “assoluta mediazione” coincide col processo infinito della prassi (p. 101). La concezione politico- pedagogica dello stato, primo nucleo dello “stato etico”, nasce da una critica degli stati liberali sorti dalle rivoluzioni borghesi; nella polemica spaventiana sulla libertà d'insegnamento è posto in primo piano il problema “dell’eguaglianza materiale delle condizioni sociali dei destinatari dell’insegnamento” (p. 106). S. mira ad “una egemonia ideale laica come portato e cemento di una moderna costruzione pubblica dell’organizzazione della cultura” (p. 114); la richiesta si fonda sulla “concezione della filosofia come coerenza e rigore di principi, come unità logica del pensare e dell’operare degli uomini”: un “dato permanente del ‘carattere’ di Spaventa” (p. 115). La fedeltà a Hegel degli scritti del 1850-51 è apparente; nel processo di “adattamento dell’hegelismo alle lotte rivoluzionarie del Risorgimento” (p. 127). Si determina una elaborazione autonoma di temi hegeliani che tocca questioni di principio e di metodo. L’a. torna ora sulla “caratterizzazione deontologica del nesso reale-razionale” (p. 125), che distingue la filosofia di S. dalle ricostruzioni speculative del processo storico; l'identità di pensiero e essere affermata negli Studi del 1850 implica che la riflessione possa “spaziare fino ad identificarsi con tutta la storia degli uomini, nel senso di costituirne e rivelarne l’unità, l’intercompenetrazione e la conoscibilità da parte dell’uomo, come conseguenza dell’essere quella opera sua” (pp. 132 sg.). La riflessione non è abbandonata al gioco dell’ “astrazione indeterminata”; S. sa che la “concretezza” del nesso delle determinazioni astratte (ma non, appunto, “generiche”) fissate dalla riflessione non riposa su una mera “autoconsapevolezza dell’unità dell'esperienza, che rifiuti, in ultima analisi, la differenza”; lo sa “per un’originaria intelligenza della dialettica come nesso del pensiero come riflessione con l’essere come lavoro umano” (p. 135), come mostrano proprio le sue pagine sul tema del lavoro, visto sempre alla luce di rapporti e relazioni concrete. Le pagine conclusive del capitolo offrono un primo quadro dei motivi che caratterizzano l’autonomia dell’hegelismo spaventiano (uso determinato della astrazione, consapevolezza del nesso storico di filosofia e vita, critica della metafisica teologica, teorizzazione del primato del fare, rifiuto, in ultima analisi, della “scissione hegeliana degli opposti”, pp. 138 sgg.). I mutamenti che affiorano nel programma di S. dopo il 1851 sono studiati nel terzo capitolo (Etica e politica della maturità, pp. 153-217), che si conclude con un’analisi degli Studi sull’etica hegeliana (pp. 192 sgg.). Negli anni in cui il filosofo dà la sua adesione alla politica ufficiale del Piemonte, va registrato un atteggiamento più distaccato — ma sempre “oggettivo” — nei confronti del socialismo (p. 157). La democrazia difesa da S. perde molti contorni specifici; il riferimento alle lotte sociali in Francia sembra abbandonato per il richiamo a un liberalismo di tipo inglese. È cambiato, del resto, il bersaglio della polemica: ora S. combatte i clericali, i fautori dell’assolutismo, anche a difesa delle “grandi conquiste della civiltà borghese”, ma “senza identificarsi”, sottolinea V., “specie sotto il profilo delle matrici culturali — con i valori della civiltà liberale” (p. 160). S. si mostra del resto ancora un giacobino nella nota discussione del rapporto religione-filosofia, stato-chiesa (e qui V. respinge i rilievi di “astrattezza” avanzati da Croce e da L. Russo [cfr. nn. 206, 210]). S. difende una “concezione dello stato ‘in termini di egemonia’, destinata ad una resa dei conti critica con l'ideologia liberale” e che “non ha nulla a che spartire con le successive ideologie totalitarie” dello stato etico (p. 162; e cfr. pp. 183, 186, 192 sgg.); è in questa prospettiva — di “critica dei limiti formalistici della democrazia liberale” (p. 170) — che vanno letti gli articoli sulla politica dei gesuiti e il rifiuto della rousseauiana volontà generale (pp. 163-170). Ed è ancora questa prospettiva che consente di far riaffiorare tutti i contorni del “disegno politico” implicito negli studi sulla filosofia italiana e sulla filosofia classica tedesca, disegno che presenta ormai in forma molto mediata, ma non stravolta, l’originaria ispirazione democratica del suo autore. “L’unificazione reale della società, che ancor il ‘51 era un compito politico, per Bertrando, è divenuto, al momento dell’unità, un compito di i/luminazione culturale e ideale” (p. 182). S. Si limita ora a “vagheggiare una missione pedagogicopolitica della scienza in quanto tale” (p. 180); elabora temi e affina strumenti “ideali” di unificazione (l’ “unità dello spirito”, della “mente”, 1’ “identità di conoscere e fare”, l “autonomia del pensiero” e la sua “infinità”) che valgono come premesse di una realtà ancora da costruire; ma abbandona, anche, le analisi storiche in termini di dialettica delle “classi”, e accorda la sua preferenza a categorie come “nazione”, “spirito nazionale”, ecc. (p. 183, e cfr. p. 189). Senza riprodurre le numerose osservazioni che riguardano gli altri scritti spaventiani (soprattutto le lezioni napoletane del 1861) vediamo come l’a. si serve di questi rilievi per la lettura degli Studi sull’etica begeliana [80, 97]. La preferenza accordata a certe categorie (la comunità nazionale, identificata senz'altro con la comunità etica) può condurre e di fatto conduce S. ad un uso non corretto della astrazione (assunzione di strutture particolari dello stato nazionale moderno come contenuto “puro” dell’ethos). Un caso macroscopico è offerto dalla deduzione della “eternità” delle classi e della divisione in classi in base allo schema generico della divisione del lavoro. Tuttavia nelle riflessioni sullo stato, ‘organoessenziale del disegno egemonico dello Spaventa” (p. 192), Si assiste “ad una più corretta combinazione del metodo dialettico. con. un uso relativamente determinato dell’astrazione” (p. 197). Lo stato è la “mediazione vivente dei processi storici che maturano nella società civile”, è l’unità-risultato “della più ampia e libera partecipazione dei singoli a formare la volontà politica che nello stato si fa soggetto” (p. 199). La concezione dello stato come funzioneverità della società civile è costruita proprio attraverso la denuncia di una serie di mediazioni mancate: come mostrano, p. es., le pagine sulla “costituzione”, nelle quali si legge la condanna di chi vorrebbe mantenere lo stato al di sopra delle lotte sociali, “mentre il problema è di fondare uno stato etico, capace di interpretare e di tradurre in istituzioni, al limite sempre nuove, tutta l’eticità di un popolo: i suoi bisogni materiali e spirituali, le sue ragioni, le ragioni della sua storia” (p. 200). Certo, l'esigenza di un legame più stretto dello stato con la società civile è in primo luogo, in questi anni, ricerca di un “consenso ideale delle masse popolari italiane al nuovo stato”, su di un piano “culturale; ma la critica del contrattualismo e della concezione sostanzialistica dello stato, costruita in virtù di una logica che sa vedere la matrice comune delle opposte teorie, liberale e assolutistica, corrisponde ancora a una concezione democratica: “purché con tale aggettivo si intenda non già riferirsi alle esperienze storiche degli stati liberal-democratici”, ma ad “una forma di stato, se si vuole originale, che abbia una funzione attiva e motrice verso la società civile, nell’intento di superare la propria scissione da essa, prodotta dalla civiltà borghese...” (p. 204). L’ultimo capitolo (pp. 219-295) è dedicato all’interpretazione della “metafisica” di S., i. e. della sua filosofia della “relazione” o “mediazione assoluta”, sviluppata attraverso una critica sempre più approfondita di Hegel e nella prospettiva di una nuova impostazione del rapporto teoriaprassi, scienza-filosofia. Nelle pp. 221-233 sono anticipate le conclusioni generali, attraverso un diretto riferimento ai risultati acquisiti nei capitoli precedenti. La costruzione della filosofia come fondazione metafisica della prassi avviene in varie tappe. La prima è individuata nella cosiddetta “parentesi” del 1858 [113], che studia il rapporto fenomenologia-logica, giungendo tuttavia a un risultato ancora “idealistico” (nel senso dell’idealismo soggettivo: il soggetto è, immediatamente, autocoscienza, e non viene superato il parallelismo di natura e pensiero; pp. 237-240). Le riflessioni sullo stesso tema raccolte nelle prime lezioni napoletane (1861) rappresentano un secondo momento della costruzione: qui S. continua ad avvertire l’insufficienza dell'identità logica di essere e pensiero (tutto è logico, ma la logica non è tutto) e cerca, invano, di uscire dallo schema della mera pensabilità attraverso “il sistema della logica e della fenomenologia, combinate”; invano, giacché la fenomenologia, che dovrebbe fondare la logica, non riesce a fondare neppure se stessa, dato che la coscienza è assunta originariamente come un fatto che non siprova(pp. 240- 244). L'identità (e l'opposizione) immediata — e quindi “inerte” — che si presenta nella coscienza, come fenomeno, si riproduce come tale sulla soglia della logica; Trendelenburg rischia di avere ragione. Tra le riflessioni del 1861 e il saggio sulle Prize categorie (quarta fase) si collocano le lezioni di antropologia del 1863-64, e la Filosofia di Gioberti (1863): in queste pagine V. rintraccia (pp. 244-249) l'acquisizione di un punto di vista (è il “vario sensibile” che “discrimina” l’esperienza del soggetto; il vero immediato-mediato è la natura, non la coscienza; e il rapporto di materia e idea è un rapporto di “continuità e compenetrazione dialettica”, p. 247) che prepara la soluzione delle Prize categorie (pp. 249-253). Qui S. afferma l’ “identità del puro pensiero-essere con il puro pensiero-volere”: autocoscienza, certo, ma come “risultato e espressione formale di quell’eterna mediazione con se stesso che è il soggetto pratico-storico”, cioè come “il più alto attributo” dell’ “uomo storico concreto” (pp. 249, 244). Il pensiero dal quale non si esce, che nella massima astrazione (l’astrazione da sé) ritrova se stesso e la conferma di sé, “non è se non la prova della infinità e della processualità del pensiero come esserci, esistenza, esperienza” (p. 251), la necessità, pensata, dell’infinita attività umana: attività, i. e. “risoluzione”, “deliberazione”, “e non certo solo giudizio” (p. 252). Ai due momenti immediatamente precedenti — che 2622 rappresentano la “fase più acutamente evolutiva” degli studi hegeliani di S. (p. 254) — si ricollega Logica e metafisica: la lettura del manuale (pp. 253-267) conferma la analisi degli scritti sull’antropologia e sulle Prizze categorie. “Le categorie che Spaventa deduce dialetticamente attraverso tutta la logica, partendo dal puro essere, sono quelle delle scienze nei loro diversi gradi e momenti. Tutte queste categorie culminano nella posizione della diade logica per eccellenza: la posizione del soggetto e dell’oggetto; e una volta posta questa, provano di dipendere da essa, che è la posizione del nesso dialettico assoluto capace di comprenderle (produrle) tutte in quanto posizione dell’uomo storico concreto. La logica prova allora la storicità di tutto il sapere, nel duplice senso che esso dipende e riceve senso e valore dalla posizione storica del soggetto umano. E la prassi umana, che è tutto il reale, è veramente tale in quanto si conosce: si fa sistema, logismo, scienza (certezza di sé)” (p. 259). E questa è l “istanza umanistica” di S. “Il suo problema è di costruire scientificamente la certezza umana del mondo in quanto mondo naturale-umano. E tale disegno la sua filosofia esegue provando questa certezza, in ultima analisi, in uno schema logico risultante dalla suprema astrazione di cui il pensiero come tale è capace rispetto a se stesso in quanto determinato” (p. 263). La filosofia come mediazione o “relazione assoluta” è “intelligenza del contesto umano nel quale le scienze particolari ricevono significato” (p. 265); non dissoluzione delle scienze, ma esigenza “di una loro integrazione umanistica, presentata in maniera speculativa” (p. 265); non “sistema” come “riduzione delmondo a filosofia” (= auto-coscienza), ma “sistema dell’esperienza in ogni momento del suo farsi”, “critica della ragione storica e scientifica” (pp. 266 sg.). Come risulta dalla lettura di Esperienza e metafisica, e degli scritti ad essa collegati (pp. 267 sgg.), le riflessioni sul rapporto scienza-filosofia, che caratterizzano l’ultima fase del pensiero di S., confermano i risultati fin qui acquisiti: S. ricerca i “princìpi che presiedono all'elaborazione delle scienze umane nella loro autonomia e distinzione dalle scienze naturali, sul piano di una metafisica delle e idee che non rinnega la continuità-distinzione di physis e psiche, ma solo colpisce le “rozze” metafisiche che vorrebbero ricondurre la psicologia, dal terreno delle scienze storico sociali, su quello del naturalismo meccanicistico. La polemica antipositivistica e antinaturalistica e la critica a Hegel appaiono, del resto, complementari: si vedano (a proposito del rapporto scienza- filosofia) le indicazioni di pp. 267 sg., 272 sg. L'appello a Kant e la difesa del “trascendentale” — in Esperienza e metafisica 6 non’ rappresentano una “ricaduta nell’epistemologismo” (pp. 274 sg.), ma continuano a ribadire “la posizione della conoscenza come assoluta produzione”. In che senso poi le ultime opere di S. accentuino e specifichino la distanza che ormai separa il filosofo da Hegel, si legge alle pp. 280 sgg. Nello scritto contro Teichmiiller, la “negazione” è difesa come semplice “ipotesi” dell’ “unità razionale” di una esperienza non defraudata dei suoi nessi empiricoprammatici (pp. 282 sg.). Ancora: la nota critica a Hegel — che rifiutò l’evoluzione naturale — investe uno dei caposaldi del sistema hegeliano: l’ “opposizione” di natura e spirito (p. 286). Riflessioni altrettanto eterodosse si leggono in Esperienza e metafisica, a proposito di Aufhebung e salto qualitativo (pp. 283 sgg.). Da queste pagine, e da quelle precedentemente esaminate, V. ricava due osservazioni: l'accoglimento del meccanismo, che scongiura la trasfigurazione dei processi naturali in processi ideali, “è la premessa di quel definitivo ripudio della filosofia come sistema analizzato in Esperienza e metafisica”. Ma è anche vero che S. non conclude senz’altro per la risoluzione della filosofia nelle scienze, “senzaresidui”;e continua a mantenere l’hegelismo come termine di confronto con le scienze. Le due osservazioni si fondono e autorizzano una conclusione: “il problema filosofico di Spaventa è sempre più chiaramente quello di provare l’unità razionale dell’esperienza e l’unità critica del sapere” (pp. 286 sg.). “Vi è perciò, in Spaventa, lo sforzo di esprimere nella filosofia il senso della scienza moderna, di rendere esplicito, in quella, l’interno problema di questa” (p. 287). S. ha scritto che la metafisica hegeliana è la “profezia” della “scienza della moderna esperienza”. Ma Hegel “avrebbe certo ricusato una tale lettura della sua filosofia” (p. 288). Tra le pubblicazioni apparse dopo il 1967 ci limitiamo a segnalare qui: BORTOT, L’hbegelismo di Bertrando Spaventa, Firenze; ONUFRIO, Vico maestro di Bertrando Spaventa, in “Nuovi Quaderni del Meridione”, VI (1968), n. 21-22, pp. 238-249; I/ primo begelismo italiano, a cura di G. Oldrini, con prefazione di E. Garin, Firenze 1969 (riproduce testi di D. Mazzoni, G. Passerini, S. Cusani, S. Gatti, F. De Sanctis, A. Vera e B. Spaventa. Di S. sono ristampati i Pensieri sull’insegnamento della filosofia [2] e, in parte, gli Studi del 1850 [4]. Molto. importante l'introduzione, che offre un quadro assai chiaro delle vicende dell’hegelismo italiano nel decennio 1840-1850; ricchissime le indicazioni bibliografiche); B. SPAVENTA, Unificazione nazionale ed egemonia culturale, a cura di G. Vacca, Bari 1969 (nell’antologia sono ristampati: un brano degli Studi sopra la filosofia di Hegel [4], alcuni articoli apparsi sul “Progresso” [cfr. 5, 10, 11, 12], lo scritto I/ lavoro e le macchine [117], una scelta dalla Politica dei gesuiti [101], lo scritto Del principio della riforma [30], brani della corrispondenza tra i fratelli S. [125], la prolusione di Modena [no], lo scritto Paolottismo, positivismo, razionalismo [78], una scelta dai Princìpi di etica [97]. Seguono tre-dici lettere inedite di A. De Meis a B. Spaventa e G. Ricciardi, già pubblicate in “Il pensiero politico”, I, 1968, fasc. 2, pp. 225-251; nella stessa annata della rivista cit., n. 3, pp. 408-437, era già apparsa, con il titolo Introduzione alla riflessione politica di B. Spaventa, l'introduzione all’antologia del 1969); G. VACCA,Lo hegelismo a Napoli, in “Rinascita”, 12 settembre 1969. Alcune Lettere inedite di B. S. a Vittorio Imbriani ha pubblicato A. Pellicani in «Realtà del mezzogiorno», ottobre 1969, pp. 881-891. Pagine di Gentile sullo S. si leggono ora in G. GENTILE, Storia della filosofia italiana, a cura di E. Garin, 2 voll., Firenze 1969 (con una notevole introduzione, che discute tra l’altro della interpretazione gentiliana dell’opera e delle tesi storiografiche di S.). Importanti, anche per seguire le vicende della stampa degli Scritti filosofici [96], le lettere di Croce a Gentile (1896-1899) pubblicate nel “Giornale critico della filosofia italiana”, XLVII (1969), pp. 1-100; e i due volumi delle lettere Gentile-Jaja (in G. GENTILE, Opere, a cura della Fondazione Gentile per gli studi filosofici, voll. I-II del Carteggio a cura di M. Sandirocco, Firenze 1969). Si ricordano infine i saggi di E. Garin, Problemi e polemiche dell’ begelismo italiano dell'ottocento (1832-1860), di V. A. Bellezza, La riforma spaventiano-gentiliana della dialettica hegeliana, di I. Cubeddu, B. Spaventa riformatore di Hegel nella cultura italiana del 900, raccolti nel volume Incidenza di Hegel (Napoli 1970), a cura di F. Tessitore -- v. anche, nella stessa opera, la bibliografia a cura di G. Cacciatore Hegel in Italia e in italiano, pp. S., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, A. MARCHESI (cur.), Minerva italica, ISTE: Opere, CUBEDDU I. (a cura di), Sansoni, Firenze 1972, 3 vol. Un frammento inedito di Bertrando Spaventa su Vico e Darwin, SAVORELLI A. (cur.), in “Bollettino del Centro di studi vichiani. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, P. OTTONELLO (a cura di), Marzorati, Milano 1974. Opere psicologiche inedite, in D. D’ORSI, Contributi alla ricostruzione integrale del pensiero di B. Spaventa: inediti, accertamenti filologici, nuovi itinerari e assetti critici, in “Le ragioni critiche”. Lezioni di antropologia, D. D'ORSI (a cura di), Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 1976. Psiche e metafisica, D. D’ORSI (a cura di), Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 1978 Una lettera di Bertrando Spaventa a Pasquale Villari, M. T. RASCAGLIA (a cura di), Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1981. Lezioni inedite di Filosofia del diritto. Modena. TOGNON (a cura di), in “Archivio storico bergamasco”, II (1982), pp. 37-60; 275-290. Esperienza e metafisica, A. SAVORELLI (a cura di), Morano, Napoli 1983. Prolusione di B. Spaventa al corso di Filosofia del diritto (Modena), G. TOGNON (a cura di), in E. GARIN, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, Bibliopolis, Napoli 1983, pp. 41-89. Nuovi testi di Bertrando Spaventa, in Rivoluzione, partiti politici e stato nazionale, R. DI ATTILIO (cur.), Giuffrè, Milano 1983. R. H. LOTZE, Elementi di psicologia speculativa, Traduzione italiana di Bertrando Spaventa, D. D’'ORSI (cur.), Casa Editrice G. D'Anna, Messina-Firenze 1983. Epistolario, RASCAGLIA M., (a cura di), Istituto poligrafico dello Stato, Roma 1995. Lettera sulla dottrina di Bruno: scritti inediti, 1853- 1854, SAVORELLI A e RASCAGLIA M. (a cura di), Bibliopolis, Napoli 2000. Giordano Bruno [edizioni per la scuola], La città del Sole, Napoli 2001. Sulle Psicopatie in generale. Con appunti e frammenti inediti, D. D'ORSI (a cura di), Cedam, Padova 2001. Studi sopra la filosofia di Hegel. Prime categoriedella logica di Hegel, E. COLOMBO (a cura di), CUSL, Firenze 2001. Le “Lezioni” sulla storia della filosofia italiana nell’anno accademico 1861-1862, F. RIZZO (a cura di), Siciliano, Messina 2001. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, SAVORELLI A. (a cura di), Storia e letteratura, Roma 2003. La filosofia del Risorgimento: le prolusioni di Bertrando Spaventa, La scuola di Pitagora, Napoli 2005. Saggi di critica filosofica, critica e religiosa, DE GIOVANNI B. (a cura di), La scuola di Pitagora, Napoli, 2008. OPERE SU SPAVENTA PUBBLICATE DAL 1970 AL 2007 R. FRANCHINI, La cultura a Napoli dal 1860 al 1960, in AAVV, Storia di Napoli, vol. X, Napoli contemporanea, E.S.I., Napoli 1971, pp. 159-217, ora anche in I/ diritto alla filosofia, SEN, Napoli 1982, pp. 307-375. Nella prima parte del saggio, dedicata alla cultura filosofica napoletana dal 1860 al 1900, si mostra grande attenzione alla prolusione, con cui iniziò l'insegnamento napoletano di Spaventa, sulla Nazionalità della filosofia. Oltre a ricordare le numerose contestazioni subite da Spaventa orchestrate dall'abate Vito Fornari, da Capocelatro, Mola e Crocchetti, si precisa che l’opposizione al pensiero del filosofo abruzzese era assai forte persino nelle aule universitarie, citando il caso di Tulelli, Professore di filosofia morale ed allievo di Galluppi e dallo stesso Tari, benché legato a Spaventa da una amicizia di vecchia data, per finire con il caso di Vera, hegeliano di prospettive radicalmente differenti da quelle di Spaventa. La superiorità di Spaventa rispetto a questi suoi rivali si manifesta, secondo, Franchini, se si tiene conto della discepolanza del filosofo di Bomba, nella quale si possono annoverare personalità come Angiulli e Labriola, quest’ultimo influenzato poi dalla corrente degli herbartiani. Franchini ricorda anche l’altra figura di grande levatura della tradizione classica napoletana, Francesco De Sanctis, che però non viene mai posto in conflitto o in contrapposizione rispetto a Spaventa. Viene menzionata, inoltre, l’esperienza del “Giornale Napoletano di filosofia e lettere”, diretto da Spaventa, Imbriani e Fiorentino. Il saggio prosegue poi analizzando le altre fasi dello sviluppo culturale della città di Napoli a partire dal periodo 1900-1940, affrontando la prima e la seconda scuola crociata, oltre al tema della filosofia nell'Università. GARIN, La “fortuna” nella filosofia italiana, in AAVV, L'eredità di Hegel dopo due secoli dalla nascita, pp. 77-89, in “Terzoprogramma”, 1971, 3. Nell’intervento di Garin la “presenza” di Hegel viene giudicata non neutrale né accademica (p. 78) e proprio per questa vittima di alterne fortune. Se Romagnosi non esitava a definire nebulosa la nozione di “spirito del mondo”, benché nemmeno Mazzini svalutasse a tal punto l’hegelismo, Spaventa e De Sanctis terranno una posizione diversa, se non addirittura opposta. A ragione si precisa quale fosse l’importanza della Filosofia della storia nella stesura del 1830-31 per la penetrazione del pensiero hegeliano in Italia: da Passerini, che ne curò la prefazione nel ‘40, a Cattaneo, molti intellettuali si accorserodelgenio del filosofo di Stoccarda. All’Hegel rivoluzionario di Napoli, segue, nel percorso spaventiano, una più attenta lettura della Fenomenologia negli anni ‘50, che lo porterà ad una nuova interpretazione della filosofia italiana ed europea: Garin ripercorre con puntualità le tappe di questa evoluzione, dai primi studi del ’50-’53, fino alla prolusione napoletana del °61, passando per le crisi e le svolte del ‘55 (comuni a Spaventa e De Sanctis). L’autentica esigenza di creare una ideologia di supporto alla rivoluzione italiana condusse all’interpretazione della filosofia hegeliana come alternativa al neotomismo in Italia. Garin sostiene che ai tempi eroici dei primi hegeliani si scivolò nell’aneddoto pittoresco: non solo Maturi, ma nemmeno Jaja riuscì a recuperare la forza di Spaventa o De Sanctis. Soltanto grazie a Croce e Gentile Hegel tornò ad essere studiato e commentato, dando vita poi nel corso del Novecento alle correnti più disparato, citato a sostegno sia dell’esistenzialismo, sia della teoria dello Stato etico. L. MALUSA, Bertrando Spaventa interprete della filosofia di G. B. Vico, in AAVV, Saggi e ricerche su Aristotele, Marsilio da Padova, M. Eckhart, Rosmini, Spaventa [etc], Editrice Antenore, Padova. La rilevanza di Spaventa nel panorama culturale italiano si coglie anche considerando la sua influenza sul modo di fare storia della filosofia. Il suo scontro con Palmieri sul ruolo della scolastica all’interno della tradizione italiana. Venendo all’analisi di Vico, si deve rilevare che l’indubbia affinità con Vico sulle questioni relative alla distinzione del mondo in natura e spirito trovano però un luogo di scontro a proposito del ruolo del cogito, sostenuto da Spaventa e avversato dal filosofo napoletano. Avendo come obiettivo quello di guadagnare grazie all’analisi del pensiero filosofico italiano progressiva indipendenza dall’autorità della Chiesa, non stupisce che Spaventa abbia svalutato il ruolo della grazia e della Provvidenza presente in Vico. Se la linea Vico- Kant-Hegel divenne quasi un dogma della filosofia neohegeliana italiana, ciò è dovuto indubbiamente all'influenza di Spaventa che per primo percorse le tracce di questo rapporto. E. GARIN, Hegel nella storia della filosofia italiana, in “De Homine. Garin rileva il che “il nome di Hegel è indissolubilmente legato alla storia d’Italia” (p. 70), considerando non solo l’hegelismo napoletano, ma anche i successivi sviluppi legati al fascismo. Riferendosi a Orestano, Gentile e Padre Agostino Gemelli, Garin mostra l’influenza della filosofia hegeliana nel dibattito culturale italiano, accennando a quel singolare destino per cui il filosofo di Stoccarda che aveva inteso la filosofia come nottola di Minerva inaugurò quella stagione in cui la filosofia contribuì ad influenzare direttamente gli eventi storici e non solo a comprenderli ex post. Proprio su questo punto decisiva è la figura di Bertrando Spaventa, che rivisitò il sistema hegeliano in chiave antigesuitica. Garin cita anche Passerini come precursore e Villari come compagno dello Spaventa in questa difficile operazione intellettuale: riportando un lungo intervento di Spaventa del 1850 Garin vuole trasmettere il clima di entusiasmo che caratterizzò l'avvento dell’hegelismo nella Napoli prequarantottesca. L'esigenza di un’ideologia del Risorgimento, avvertita da Mamiani e Gioberti, fu soddisfatta proprio da Bertrando Spaventa con l’immagine del “sacro filo della tradizione”, benché Garin rivaluti la posizione di Rosmini e Gioberti rispetto al giudizio negativo di Spaventa, il quale fu molto tentato—a giudizio di Garin — dalla soluzione dell’attualismo ed del soggettivismo. L’articolo prosegue sottolineando l’atteggiamento sarcastico assunto da Spaventa di fronte al tentativo di accostamento di Hegel a Comte: proprio l’importanza del ruolo del positivo rendeva del tutto contraddittoria la posizione del positivismo. L'intervento di Garin termina citando le posizioni di Labriola, Gentile e Croce di fronte al sistema hegeliano. M. QUARANTA, Posttivismo ed hegelismo in Italia, in GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. VI, Dall’Ottocento al Novecento, Garzanti, Milano 1971, in particolare le pagine 215-225. Le sezioni VII e VIII del saggio di Mario Quaranta sono dedicate rispettivamente alla vita e opere di Spaventa e al suo pensiero. Nella prima si analizza la vita del pensatore abruzzese e si elencano gran parte delle sue opere, nella seconda ci si concentra sui tre contributi essenziali: un riesame della tradizione filosofica italiana, in particolar modo con la teoria della circolazione; una reinterpretazione di Hegel tale da escludere qualsiasi intento materialistico o teologico; la proposta di una serie di strumenti concettuali contro il positivismo, attraverso la figura di Kant, al fine di rivalutare umanesimo. CANTIMORI, La circolazione del pensiero italiano e l’importanza del Rinascimento per la filosofia europea, in Storici e storia, Einaudi, Torino 1971, pp. 446-254. Il breve capitolo dedicato  all’interpretazione del Rinascimento di Bertrando Spaventa mostra il tentativo di superamento della visione neoguelfa di Gioberti e di maggiore profondità rispetto a quelle di Mazzini e Ferrari. In particolare si evidenzia quanto stretto sia il nesso tra la teoria della circolazione ed il concetto di nazionalità: se è vero da un lato che lo Spaventa definisce la filosofia moderna come europea, ciò non significa l’eliminazione del concetto di nazione, anzi, proprio dal contributo delle diverse nazioni si può parlare della modernità all’insegna dell'Europa. Naturalmente il Rinascimento italiano in quanto per primo ha turbato l’uniformità di pensiero imposta dalla Scolastica. In tal senso si rileva una dipendenza profonda da schemi illuministici più che dalle tesi hegeliane, che continuano comunque ad essere il panorama di riferimento. Il pensiero di Spaventa viene dunque definito come quella consapevolezza di sé che era mancata al pensiero italiano al suo primo sorgere e che fu assunta dal pensiero tedesco grazie alla Riforma protestante. Problema di Spaventa non era solo quello di superare Rosmini e Gioberti, bensì di assegnare un senso e uno scopo alla tradizione filosofica italiana. La rivendicazione dell’Italia come nazione e come tradizione filosofica mirava ad un inserimento all’interno del contesto europeo. G. TARALLI, Bertrando Spaventa tra Stato etico e democrazia, in “Trimestre. Il grande problema del rapporto tra nazionalità e libertà, già posto da Mazzini, tormenta anche il pensiero di Spaventa, con l'aggravante di una piena consapevolezza della debolezza delle istituzioni democratiche, elemento che rese assai difficile il governo della Destra storica. Taralli esponecomechiaveinterpretativa forte l’acattolicesimo spaventiano, derivante senz’altro dalla mondanizzazione dello spirito di matrice hegeliana: le aporie presenti nel pensiero spaventiano dipenderebbero in tal senso dalle tensioni irrisolte tra Illuminismo ed hegelismo; se da un lato è vero che la ragione storica avrebbe dovuto assicurare una risoluzione delle contraddizioni, il conflitto tra Spaventa e la corrente socialista testimonia una tensione irrisolta tra Stato e società, tra governo e rivoluzione. E. GARIN, Rassegna di studi spaventiani, in “Rivista critica di storia della filosofia”, XXVII, 1972, pp. 332- 335. In questo breve intervento Garin sottolinea l’importanza dell’interpretazione del pensiero di Spaventa proposta da autori quali Felice Battaglia, Italo Cubeddu, Sergio Landucci e P. C. Masini, per concludere citando i due volumi del Vacca.. S. ONUFRIO, Lo “Stato etico” e gli hegeliani di Napoli, Celebes, Milano 1972. Il testo ripropone gli interventi di Onufrio apparsi sui “Nuovi quaderni del Meridione e sulla “Rassegna di Politica e storia” n. 164 (giugno 1969), già parzialmente presenti nella bibliografia di Italo Cubeddu del 1972. Il primo capitolo riepiloga lo status quaestionis, mediante una rassegna delle tesi di De Ruggiero, Santino Caramella, Russo e Tagliacozzo. Il secondo capitolo è dedicato alla storiografia marxista e al tentativo di sostituire a Gentile la figura di Labriola come autentico discepolo ed erede di Spaventa. Il terzo capitolo si concentra sugli sviluppi della concezione dello Stato in Spaventa dall’attività giornalistica piemontese ai Principi di Etica. Il capitolo quarto prende in considerazione il tema dello Stato etico nelle riflessioni della Destra storica. L’ultimo capitolo esamina il rapporto tra Stato e nazionalismo oltre alle reazioni della Destra storica dopo l'avvento della Sinistra storica al potere. Il libro si conclude con tre appendici: G. B. Vico e il liberalismo moderato; Vico maestro di Spaventa; Unificazione nazionale ed egemonia nazionale (commento al testo di G. Vacca). I. CUBEDDU, Bibliografia in B. S., Opere, Sansoni, Firenze 1972, 3 vol. L’amplissimo studio di Cubeddu è suddiviso in duesezioni, la prima è dedicata alle opere edite di Spaventa, la seconda elenca le opere scritte sul pensiero del filosofo abruzzese fino al 1969; si compone di un’ampia introduzione, una prima parte sugli scritti di Bertrando Spaventa ed una seconda parte relativa ai saggi e gli studi sulla figura del pensatore abruzzese. F. TESSITORE, La cultura filosofica tra due rivoluzioni (1799-1860), in Storia di Napoli, vol. IX, Dalla restaurazione al crollo del Reame, E.S.I., Napoli. Il saggio di Tessitore si articola in quattro sezioni, la prima dedicata all’eco vichiana in Cuoco, Salfi, Jannelli e Delfico, all'insegna di quella umanologia che tenta di recuperare l’ “uomo intero”, secondo differenti prospettive; alla trattazione dell’eclettismo napoletano legato ai nomi di Manna, Piccolini, Borrelli e Bozzelli, segue una rapida presentazione di Galluppi e del suo rivale Collecchi. La terza sezione si concentra sul passaggio dall’eclettismo all’hegelismo e affronta le figure di Cusani e Gatti, precisando l'influenza francese nella scoperta dell’idealismo tedesco in Italia. L’ultima parte del lavoro è esplicitamente legata all’hegelismo e allo storicismo: un ruolo di primo piano è svolto da De Sanctis, di cui si sottolinea l’esigenza di purismo e la tensione verso la semplicità della lingua, atteggiamenti che lo portarono a respingere, sulla scorta della lezione vichiana, l’apriorismo del sistema ed il panteismo hegeliano. Alcuni brevi cenni alle teorie del Gioberti (che ricevettero la benedizione di Papa Pio IX) introducono la personalità di Bertrando Spaventa, fiero sostenitore di Hegel, tanto da considerarlo una sorta di demiurgo del mondo, in polemica con il Palmieri. N. SICILIANI DE CUMIS, Herbart e Herbartiani alla scuola di Bertrando S., in “Giornale Critico della Filosofia italiana. De Cumis non vuole solo mostrare l’ormai indiscutibile legame, confermato da più parti, tra Spaventa e Herbart, ma in particolare anche l’attenzione di cui questi è oggetto anche da parte del Fiorentino e del Labriola, fino a suggerire l'ipotesi che Spaventa sia stato un caposaldo nella formazione del Labriola proprio per averlo introdotto allo studio del filosofo tedesco, quasi vi fosse una “curvatura herbartiana dello hegelimso nel Labriola”. La stessa contrapposizione tra Spaventa e Herbart vorrebbe essere se non attenuata per lo meno sfumata e a sostegno di queste tesi De Cumis indica un’ampia raccolta di luoghi nei quali Spaventa parla esplicitamente delle tesi herbartiane, per sottolineare l’accordo tra i due per lo meno su alcune istanze dell’hegelismo. E. GARIN, Noterella spaventiana, in “Rivista critica di storia della filosofia. Il testo appare quasi come una recensione delle Opere di Spaventa curate da Cubeddu, sottolineandone anche alcune carenze, come ad esempio il mancato inserimento del testo Esperienza e metafisica. A questo proposito si sviluppa il tema del rapporto tra Spaventa e le nuove scoperte scientifiche del suo tempo, prima tra tutte la teoria della selezione naturale. Per rafforzare la sensazione della problematicità del rapporto si cita il frammento datato 21 luglio 1875. Obiettivo di Garin è mostrare che in Spaventa non si accetta il meccanicismo, ma vi si vuole contrapporre l’idea di disegno, di teleologia, senza con questo dover ammettere l'intervento soprannaturale. G. OLDRINI, La cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, Laterza, Bari 1973. Nel volume di Oldrini il nome di Bertrando Spaventa risulta il più citato dopo quello del De Sanctis. Alcune sezioni del testo, che tuttavia affronta un tema assai vasto, sono dedicate specificamente al filosofo, ad esempio come modello paradigmatico di intellettuale fuoriuscito da Napoli che contribuisce ad alimentare focolai rivoluzionari e liberali nel Piemonte degli anni ’50. Si segnala anche il peso dell’autore nell’evitare qualsiasi compromesso tra hegelismo ed ideologie, nella ricerca di una terza via tra realismo e idealismo. P. PIOVANI, I/ pensiero idealistico, in AAVV., Storia d’Italia, V. 2.1 I documenti,Einaudi, Torino. La figura di S. viene posta in risalto soprattutto in relazione al primo punto della trattazione, dedicato alla predicazione dell’idea hegeliana e nel terzo, in cui si mostrano i tentativi di superare l’hegelismo in nome del realismo, anche per contrastare lo strapotere del positivismo. Da ultimo, nel quinto punto, si evidenzia la differenza di interpretazione del pensiero spaventiano proposta da Croce e Gentile. G. BROCCOLINI, Vincenzo Finamore e le origini dell’hegelismo in Italia, in “De Homine”, 51-52, 1972, pp. 149-184. Per evitare di conformarsi alla vecchia interpretazione dell’idealismo napoletano secondo cui all’ortodossia di Vera si contrappone il criticismo di Spaventa, si deve tentare, secondo Broccolini, di leggere l'evoluzione della cultura filosofica napoletana indipendentemente dai suoi sviluppi economici e sociali. Broccolini sostiene l’analogia tra la legittimazione hegeliana dello Jurkertum prussiano e quella napoletana della nuova classe egemone; il parallelismo prosegue individuando in De Sanctis, Tommasi, Villari e Labriola gli Strass, Bauer, Feuerbach e Marx napoletani. Il retroterra da cui emerge l’hegelismo napoletano deve essere comunque ricercato nelle vicissitudini del 1799: l’intelligentia partenopea sfrutterà Hegel per “patinare di nuovo l'antico” (p. 160). Non sono risparmiate le critiche alla conoscenza frammentaria di Hegel da parte di Spaventa, di contro alla conoscenza integrale che poteva vantare Vera. L’analisi della Napoli prequarantottesca attraversa le figure di Colecchi, Cubani e Gatti, rispetto ai quali le elaborazioni di Spaventa sono giudicate “tardive” (p. 170). Vincenzo Finamore sl inserisce in questa rassegna e si ascrive immediatamente a questa figura la paternità della teoria della circolazione del pensiero e dell’analisi della logica hegeliana, al fine di mostrare quanti e quali punti oscuri si possono ancora rintracciare nello studio dell’hegelismo italiano. T. SERRA, Oltre la lettura idealistica di Bertrando Spaventa, in “Giornale critico della Filosofia italiana. La possibilità di un superamento dell’interpretazione idealistica di Spaventa si basa, secondo Teresa Serra, su una rivalutazione storicisticadell'autore.L'ombra nella quale rimase Spaventa anche rispetto a Rosmini e Gioberti non si può spiegare soltanto con la clandestinità della sua attività di pubblicista peraltro giustamente segnalata da Gentile: se è vero che il legame Spaventa Hegel non può essere radicalizzato, d’altra parte non può nemmeno svaporare, eliminando il carattere sistemico e logico del pensiero spaventiano. La versatilità di Spaventa ne fa un precursore dell’attualismo Gentiliano da un lato e un anticipatore del Labriola dall’altro: certamente sottolineare la forte laicità, il rigore scientifico ed il vigore storicistico consente a Teresa Serra di mostrare come il pensiero del filosofo di Bomba si presti a diverse interpretazioni. Spaventa supera l’astratto coscienzialismo, ma senza giungere alle conseguenze che la Serra definisce antispeculative, di Feurbach e Marx. Persino l’ultima fase, legata alla polemica con il positivismo, mira a riproporre l’istanza e la concretezza del sistema. P. OTTONELLO, Introduzione a B. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Marzorati, Milano 1974. Nella breve presentazione vengono sottolineati i caratteri salienti del programma di riabilitazione della filosofia italiana agli occhi del dibattito filosofico europeo: mostrare l'originaria presenza di temi filosofici tipici della modernità europea nel pensiero rinascimentale voleva produrre il duplice effetto di rivalutare la filosofia italiana e di aggiornarla al dibattito europeo. A. SAVORELLI, Ux frammento inedito di Bertrando Spaventa su Vico e Darwin, in “Bollettino del Centro di Studi vichiani. Il frammento, recuperato nella Biblioteca civica “A. Mai” di Bergamo, testimonia gli intensi studi spaventiani degli anni ’70 attorno a Vico e al problema dellascienza. È Savorelli a segnalare che Spaventa, come ogni buon hegeliano, esclude l’intervento soprannaturale, ma senza con ciò cedere ad una mera dimensione evoluzionistica, da inserire in quella totalità spirituale di cui le scienze naturali fanno parte. Duro è l’attacco verso la critica tradizionalista a Darwin, legata a Vera e alla sua scuola. Del manoscritto di diciotto pagine è riportata soltanto la seconda parte (fogli 7- 11). A. CAMILLERI, Problemi inediti dell'ultimo Spaventa, Scuola salesiana del libro, Catania 1974. Il primo ed il secondo capitolo del libro sono dedicati rispettivamente alla biografia e alla bibliografia dell’autore, mentre il terzo si dedica all’analisi di Esperienza e metafisica all’interno della parabola del pensiero spaventiano, ricordando il silenzio editoriale dal 1870 e la polemica con i positivisti che caratterizzerà i suoi ultimi dieci anni di vita. La rivalutazione del ruolo dello spirito, come attività che ricrea l’oggetto rappresenta l'elemento essenziale del pensiero spaventiano, capace di conciliare, in tal modo, teoretica e pratica. Obiettivo centrale della polemica sono teismo e materialismo, analizzati nel quarto capitolo in relazione alla nuova teoria dell’evoluzionismo: è nota la volontà di conciliare dialettica hegeliana e darwinismo, superando da un lato il dualismo proposto dal teismo, dall’altro l’insano monismo su cui si basa la concezione materialistica. Il problema della conoscenza trova nel quinto capitolo un’ampia trattazione, grazie alla quale si evidenzia l’affinità di Spaventa con la filosofia idealistica ed il suo rifiuto dell’origine biologica e psicologica del pensiero: tale tema impone di ritornare sul rapporto tra darwinismo e metafisica, già nel capitolo successivo. Attraverso un uso abbondante di citazioni da Esperienza e Metafisica Camilleri ripercorre l'itinerario di Spaventa, disposto ad accogliere quanto vi sia di valido anche nella posizione dell’avversario, senza alcun pregiudizio di carattere teoretico. Oltre alla figura di Darwin, obiettivo della critica spaventiana è il positivismo di Spencer, colpevole di concepire l Assoluto come separato dalla realtà e quindi totalmente inconoscibile: il capitolo settimo mostra l’inconciliabilità di questa posizione con l’hegelismo di Spaventa. La prospettiva si allarga sulla critica dell’empirismo in generale, dove emerge la crescente influenza della filosofia kantiana sul pensiero dell’ultimo Spaventa: si tratta quasi di un prologo al capitolo nono in cui si affronta il problema della coscienza e della conoscenza, da intendere all'insegna del processo come attività assoluta. Le considerazioni critiche finali sono precedute da una introduzione al manoscritto inedito dal titolo Che cos'èè il materialismo, riportato al termine del I. CUBEDDU, Bertrando S.. Edizioni e studi, Sansoni, Firenze 1974. Il testo ripropone per intero la bibliografia curata da Cubeddu per l'edizione Sansoni delle Opere di Spaventa, apparsa nel 1972. Si mantengono le stesse scansioni: un’ampia introduzione, seguita da una prima parte sugli scritti di spaventa e una seconda sui testi scritti sulla figura di Spaventa. Si deve aggiungere, inoltre, una appendice dedicata a Spaventa come riformatore di Hegel nella cultura italiana del Novecento, in cui sono presentate le differenti interpretazioni, da quella di Gentile a quella di Vacca, passando per Berti, Garin e Landucci. T. SERRA, Bertrando Spaventa. Etica e politica, Bulzoni Editore, Roma 1974. Il volume, introdotto da una breve presentazione di Negri nella quale si sottolinea l’immanentismo dinamico di Spaventa, mira a ridimensionare il durogiudiziodi Benedetto Croce secondo il quale l’autore abruzzese sarebbe stato soltanto un purus logicus, concentrando l’attenzione sul rapporto conoscere-fare. Innanzitutto un tratto essenziale viene individuato  nell’attenzione al religioso, benché assunto nell’immanenza del divino: per questo la visione logico-metafisica della mente viene valutata senza perdere la ricchezza dell'orizzonte storico. Si vuole rimarcare l’idealismo di Spaventa, avverso ad ogni degenerazione materialista e determinista, senza dimenticare però la sua attenzione per la scienza e la storia. Se troppo spesso il logicismo hegeliano viene interpretato come foriero di una insuperabile staticità del reale, l’interpretazione spaventiana mostra l’insostenibilità di tale tesi. Eterno è il dualismo che genera e assicura una continua evoluzione sul piano storico, scientifico e politico: in questo senso il dualismo dell’autore è contrapposto al monismo del suo più grande divulgatore e allievo (benché indiretto) Giovanni Gentile. La seconda parte del testo è dedicata specificamente a problemi di carattere politico, legati soprattutto alla contraddizione tra Stato etico ed purzanitas: il tentativo di divinizzare lo Stato da parte del filosofo di Bomba non giunge mai ad un profetismo metafisico; si mantiene sempre un atteggiamento di grande umiltà nei confronti della storia. Opere psicologiche inedite, in D. D’ORSI, Contributi alla ricostruzione integrale del pensiero di B. Spaventa: inediti, accertamenti filologici, nuovi itinerari e assetti critici, in “Le ragioni critiche. Il primo articolo si apre con una presentazione di D’Orsi nella quale si rivendica il profilo antidogmatico del pensiero spaventiano, fortemente debitore nei confronti dell’hegelismo; si evidenzia la discontinuità tra il corso del 1863 sulla Filosofia della natura rispetto a quello del ’63-°64 sull’antropologia, che raccoglieva una serie di appunti e di riflessioni cui l’autore non aveva mai dato una forma sistematica. Elemento essenziale del corso, secondo D’Orsi è la distinzione tra la meccanica ripetitività dell'animale e la possibilità di mutazioni da parte dello spirito. Citando un passo di Gentile, dove si presenta Spaventa come uomo dal pensiero tormentato sino agli ultimi giorni di vita, si sottolinea che l’inesausto tentativo di conciliare analisi e critica concerne non solo il suo ruolo di filosofo e di storico della filosofia, bensì anche quello di pensatore che si interroga di fronte ai progressi del pensiero scientifico. Il primo articolo prosegue riportando la prima parte del testo originale di Spaventa dal titolo L’arnzzza universale (pp. 465- 490); i due articoli successivi, riportano il secondo capitolo Animali e uomo, e il capitolo terzo intitolato Dall’universalità alla particolarità dell'anima. A. ASOR ROSA, La cultura, in AAVV., Storia d'Italia, IV, 2. Dall’Unità ad oggi, Einaudi, Tornino. Spaventa viene citato, insieme a Villari, come uno dei maggiori responsabili della rinascita di Campanella e Bruno (p. 844). Asor Rosa presenta anche un breve estratto di Spaventa tratto dagli Studi sopra la filosofia diHegel(p.852), ma il tema cardine rimane l'influenza dell’autore abruzzese nel dibattito sull’hegelismo all’interno della Destra storica (p. 881-882): alla sintesi speculativa per un certo verso raggiunta tra il sistema hegeliano e il liberalismo di sicuro non seguì una attuazione pratica e politica. RASCHINI, L’idealismo anglosassone, francese e italiano, in Grande antologia filosofica, vol. XXII, Il pensiero contemporaneo, Milano 1975, pp. 607-614. Spaventa è qui presentato come autore di grande vigore, all’insegna della continuità tra Kant e Hegel, a differenza di Vera. L’opera di Spaventa viene giudicata come fenomenismo che tuttavia non riuscì né a rinnovare il sistema hegeliano, né ad instaurare un proficuo dialogo con il positivismo. L. GENTILE, La Scolastica, Cartesio e Bertrando Spaventa, in “Filosofia” 1975; 26; pp. 139-148. Dal parallelismo tra Cartesio e Spaventa, entrambi contestatori della scolastica, ma altresì allievi dei Gesuiti, Gentile individua proprio nel dualismo intelletto-verità il luogo di dissidio tra Spaventa e la filosofia scolastica. Rivendicando il ruolo attivo del soggetto e l’immanenza del reale, Spaventa critica aspramente la prova ontologica di Anselmo preferendovi quella cartesiana, benché anche quest’ultima risulti imperfetta. Gentile tende a rilevare che il punto di vista dal quale Spaventa polemizza contro la Scolastica prima e Cartesio poi, può inficiare la validità stessa della critica, dal momento che l’idea di Dio come mediazione assoluta non sarebbe accettata da nessuno dei due avversari. V. CAVALLO, Note sulla cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, in “Protagora”. Il saggio di Cavallo tratteggia per sommi capi il panorama culturale napoletano, all'insegna di una rivisitazione del ruolo e della figura del De Sanctis, mediante la quale si rivaluta anche Spaventa, De Meis, Vera, Imbriani e Villari. Concentrandosi sul libro di Oldrini del °73, del quale si sottolinea la visione organica che evita di proporre trattazioni isolate dei diversi autori, un ruolo di primo piano viene ravvisato nell’analisi dell’arretratezza culturale di Napoli nell’ultima parte del XVIII secolo, dovuta alla mancanza di personalità di spicco e ad una ripresa dell’autorità religiosa appoggiatadaiBorboni per evitare il dilagare di movimenti rivoluzionari. Cavallo cita due passaggi di Spaventa sul tema della rivoluzione proprio per rilevarne la stretta relazione con la filosofia hegeliana, presente già negli anni ‘40 e affermata definitivamente solo negli anni ’60. L’articolo si conclude sottolineando la reinterpretazione in chiave speculativa del darwinismo offerta da Spaventa. D. D'ORSI, Introduzione a B. SPAVENTA, Lezioni di antropologia, Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze. Per avvalorare l’immenso lavoro filologico svolto sulle carte Spaventa al fine di correggere in alcuni tratti la versione gentiliana, D’Orsi ricorre ad una vera e propria comparazione dei luoghi in cui sono poste le differenze più significative, con l’intento di rilevare che la tensione al vero, anche in un senso filologico, contribuisce a mantenere aperto il sistema spaventiano. Oltre all’analisi di alcune interpretazioni storiche offerte da Spaventa, l’attenzione si concentra sugli effetti che il materialismo provocava nel filosofo abruzzese, sempre impegnato nell’affermare una discontinuità tra natura e spirito, non certo nell’ottica di una separazione tra le due sfere, ma nella consapevolezza che la nascita della coscienza non potesse essere spiegata in soluzione di continuità rispetto alla natura animale. S. LANDUCCI, Hegelismo e positivismo in Italia, in AAVV., Storia della filosofia contemporanea, vol. IX, Vallardi, Milano 1976, pp. 365-398. L’intervento di Lancucci si apre con una rassegna della traduzione spiritualistica, cui segue la trattazione dell’hegelismo napoletano, capitolo nel quale si nominano oltre a Passerini, Spaventa, De Meis e Vera, anche gli eredi di quella tradizione come Jaja e Gentile. Un'attenzione particolare è dedicata a Spaventa e al suo primo corsonapoletano nel quale viene presentata in forma compiuta la teoria della circolazione. Gli inizi della ripresa del pensiero scientifico sono affrontati proprio attraverso la figura di Spaventa che nel ’67 individua proprio il positivismo ed il materialismo quali nuovi avversari dell’idealismo al posto dello spiritualismo. Si accenna ‘anche alla polemica sull’eredita di Galilei, nominando la figura di Villari e Gabelli. Le sezioni successive sono dedicate al pensiero di Ardigò in connessione alla morale dei positivisti, alla psicologia e all'evoluzione cosmica. Sergio Landucci conclude con la presentazione della cultura positivistica e con il marxismo di Antonio Labriola, di cui si ricorda l'appartenenza alla scuola spaventiana. G. VILLA, Bertrando Spaventa in Piemonte (1850- 1859), in “Studi piemontesi. La rassegna del clima culturale del Piemonte degli anni ‘40, in cui si evidenzia la censura di giornali e libri, le difficoltà di Gioberti, il domino incontrastato di Rosmini, contribuisce a mostrare perché l’attività di Spaventa si stata particolarmente tormentata durante il decennio torinese. Lo scontro con il teismo di Bertini farà di S. il campione della nuova filosofia hegeliana, sui principi della quale giungerà a proporre persino una modifica dello Statuto, in nome dell’istanza nazionale. Già negli scritti del ‘54-55 il filosofo abruzzese studia le relazioni tra Risorgimento italiano e idealismo tedesco; individuando nella libertà assoluta il principio della modernità, Spaventa potrà avvalorare la tesi di un pensiero italiano costretto in catene nel XV secolo e rinato in Germania nel XIX secolo. In questa ottica sono collocate le dispute contro la logica di Rosmini, il teismo di Schelling e la disputa con i Gesuiti. L. MALUSA, La storiografia filosofica italiana nellaseconda metà dell'Ottocento, I Tra positivismo e neokantismo, Marzorati, Milano. Il volume di Malusa contiene una prima parte interamente dedicata alla scuola di Bertrando Spaventa e a Francesco Fiorentino. Di Spaventa si parla già nell’Introduzione (pp. 50-54), individuando nella sua opera uno dei maggiori contributi all'elaborazione dell’hegelismo. Degno di nota è il fatto che, insieme a Gentile e Fiorentino, Spaventa è l’autore più citato nel testo di Malusa. I primi due capitoli della prima parte, esplicitamente incentrati su Spaventa (pp. 71-95), lo presentano come il maggior pensatore del Meridione della seconda metà dell'Ottocento: indubbi restano i meriti per aver elaborato la tesi della circolazione del pensiero italiano. Il compito di aggiornare il dibattito e la cultura della penisola per dare vita ad una unità autentica viene considerato sia un impegno speculativo, sia una missione civile. Spaventa, che combatteva senza posa il dilettantismo e ogni tendenza divinatoria, non pretese mai di aver concluso la scienza, ma si sforzava sempre di sviluppare una critica capace di riaprire il sistema. Se è vero che nessun allievo seguì Spaventa sulla via troppo ardua di una storiografia speculativa, si deve ammettere che la serietà speculativa dei suoi discepoli, pur allontanando i consensi, mantenne vivo il suo pensiero, ancorché in un circolo assai ristretto di pensatori. P. PICCONE, From Spaventa to Gramsci, in “Telos. A Quarterly Journal of Radical Thought. Nel tentativo di far risalire le influenze esercitate sul pensiero di Gramsci non più soltanto ad Antonio Labriola, ma all’hegelismo napoletano della seconda metà del XIX secolo, l’autore mostra quale peso abbiano avuto le speculazioni di Bertrando Spaventa sullo storicismo assoluto di Gramsci, poco incline alle grandi astrazioni, incapaci di cogliere la multidimensionalità della vita reale. Dopo una rapida panoramica sulla ricezione di Hegel in Europa, ad esempio in Gran Bretagna grazie ai lavori di William James, Stirling e Green, si sottolinea come in Italia l’hegelismo abbia avuto un impatto non solo accademico, ma socio politico assai profondo. Per sottolineare il legame Spaventa- Gramsci si cita la famosa lettera dell’8 ottobre del 1851 in cui dice di temere di più le idee e l'influenza del papato che non i cannoni austriaci. Il pensiero hegeliano, giunto in Italia grazie alla mediazione francese (viene citato naturalmente il nome di Victor Cousin) fu bollato subito come pensiero della Rivoluzione francese, precursore dell’ateismo e del socialismo: contro questa tesi si è battuto Spaventa, cercando di mostrare la continuità tra il Rinascimento italiano e l’idealismo tedesco. Se è vero che il nazionalismo spaventiano verrà poi strumentalizzato da Gentile e dal fascismo, è anche vero che la tesi della circolazione del pensiero era l’unico modo per non presentare Hegel come pensatore straniero “piovuto dal cielo”, come afferma Piccone. Il parallelismo Spaventa- Gramsci viene ribadito sottolineando che entrambi hanno vissuto il fallimento di una rivoluzione, hanno cercato di interpretare la sconfitta in senso concettuale negli anni successivi, e sono stati apprezzati soltanto due decenni dopo la morte. L'articolo si conclude sottolineando la differenza tra hegelismo ortodosso di Vera e hegelismo critico di Spaventa, continuato idealmente da Gramsci. A. SAVORELLI, Da Darwin a Vaihinger; scienza e filosofia nell'ultimo Spaventa, “Atti dell’Accademia di scienze morali”, Napoli. Tema di fondo dell’articolo è la volontà spaventiana di garantire alla metafisica una funzione all’interno dello studio scientifico. Nonostante la fase sistematica si fosse già conclusa negli anni ’60, sarebbe errato interpretare il cedennio successivo se non alla luce di una esigenza di sistematicità. Lo stesso antipositivismo cui si ispira da principio il “Giornale napoletano di filosofia e lettere” non mirava alla rigida contrapposizione, bensì a mostrare lo sviluppo interdipendente di filosofia e scienza. Savorelli sottolineacome gli appunti di Spaventa testimonino la lettura di Leclair, Schuppe, Goring, Bagehot e Vaihinger, quest’ultimo in particolare criticato proprio perché le sue categorie empiristiche potevano essere ottenute mediante un procedimento dialettico. L’esigenza del fenomenismo di Vaihinger di trovare la legge fondamentale della realtà contraddiceva, secondo Spaventa, l’idea della sensazione come posizione assoluta. La rivisitazione persino dell’evoluzionismo in chiave hegeliana mostra un intento preciso: eliminata la trascendenza, si doveva recuperare una prospettiva teleologica per non cedere al mero determinismo meccanicistico. Savorelli segnala come l’attenzione alla scienza verrà segnalata anche dal Gentile, per il quale però soprattutto certe tematiche non costituiscono più motivo di interesse. C. CESA, Hegel in Italien. Positionen im Streit um die Interpretation der  Hegelschen  Rechtsphilosophie, in “Allgemeine Zeitschrift fur Philosophie. A differenza che in Francia, in Italia lo studio dell’hegelismo fu recepito solo all’insegna del rinnovamento della nazione e dell'idea di Sato. La prima traduzione italiana di Hegel apparve in Svizzera e solo nel 1848 i Lineamenti di filosofia del diritto furono tradotti a Napoli, città simbolo degli studi hegeliani in Italia. Dopo aver rilevato che in Spaventa e De Meis la perspicacia speculativa si univa ad una incapacità pratica (ovviamente diverso è il giudizio su De Sanctis), Cesa mostra a quali opere si deve la diffusione del pensiero politico di Hegel. Si sottolinea la l’attività giornalistica di Silvio Spaventa, anche al fine di dimostrare la differenza di opinione dei due fratelli sul concetto di Rivoluzione. Dopo aver analizzato l'influsso e la diffusione del pensiero hegeliano sulla prima generazione (significativi in tal senso gli accenni al pensiero di Vera), ci si concentra sulla seconda generazione, in particolare su Croce e Gentile. D. D’ORSI, Introduzione a B. SPAVENTA, Psiche e metafisica, Editrice G. D'Anna, Messina-Firenze. Nell’introduzione al volume D’Orsi sottolinea le significative variazioni al testo spaventiano in seguito al suo lavoro filologico, anche attraverso una valutazione comparata con i testi editati dal Gentileeutilizzati poi da Cubeddu nella edizione del 1972. Si sottolinea la sfortuna delle vicende editoriali di Spaventa, benché in chiave filosofica si possa interpretare questo fenomeno come tensione che anche a livello filologico e non solo contenutistico contribuisce a mantenere aperto il sistema. Venendo specificamente al testo, Spaventa appariva turbato dal materialismo, a motivo del fatto che l’anima doveva essere mantenuta come garante dell'unità organica e sistemica del mondo spirituale. La continuità scimmia-uomo era un elemento inaccettabile per l’autore abruzzese, sempre preoccupato di opporre al mero meccanicismo l’idea di una unità viva, tipica della concezione organicistica. F. TESSITORE, Bertrando Spaventa e il “Giornale napoletano di filosofia e lettere”, Bibliopolis, Napoli 1978. Presentando le vicissitudini dell’organizzazione si un giornale filosofico a Napoli, tentativo più volte fallito e più volte tenacemente ripetuto fino alla sua definitiva riuscita, soprattutto in risposta alla “Nuova Antologia” nata a Firenze nel 1866, Tessitore si concentra sulle polemiche suscitate dall’articolo piuttosto polemico di Spaventa sulla Vita di Giordano Bruno scritta dal Berti nel 1867. Elemento essenziale per comprendere il senso e l’intento con cui venne fondato il “Giornale napoletano di filosofia e lettere” è comprendere l’espressione di Spaventa secondo il quale si rendeva necessario “ripigliare il sacro filo della nostra tradizione filosofica”. Al termine del volume sono inserite sei lettere di Spaventa (Carte Fiorentino, 8c, busta 63) e quattro lettere di Vittorio Imbriani (Carte Filosofiche, busta B 2/5). G. BRESCIA, Editori e autori dell’idealismo. LL Bertrando Spaventa postumo nel carteggio del fratello Silvio, Donato Jaja e Benedetto Croce, in “Rivista di studi crociani”, XVII, 1, gennaio-marzo, 1980, pp. 68-76. L’articolo rileva come alla complicata vicenda della stesura degli appunti da parte di Spaventa, che secondo Gentile scrupolosamente scriveva i suoi testi senza mai pubblicarli, sia seguita una seria problematica anche nell’editarli. Il Loscher fu editore soltanto di nome, perché l'onere della pubblicazione dei manoscritti di Spaventa fu assunta dal Vecchi di Trani, con il quale si avviò una fitta corrispondenza da parte di Silvio Spaventa, Jaja e Croce. Il travaglio editoriale angustierà Spaventa e Croce per tutto l’87, anche a motivo dello smarrimento della pagina ventuno del manoscritto nella tipografia del Vecchi, puntualmente ricordata da Brescia. FRANCHINI, La storiografia filosofica da Spaventa a Gentile, in “Nord e Sud, I/ diritto alla filosofia, SEN, Napoli 1982, pp. 229-249. La “Rivista di filosofia” avviata da Silvio Spaventa viene considerata da Franchini come anticipazione della teoria della circolazione che sarà poi affermata con ben altro tenore dal fratello Bertrando quasi vent'anni dopo. Anche Silvio, non solo Bertrando, vedeva una  strettissima connessione tra la rinascita della tradizione filosofica e la rinascita nazionale. Introdurre Hegel all’interno del dibattito filosofico italiano rappresentava un azzardo, a causa delle forti resistenze del neoguelfismo e del neotomismo; l’unico modo per inserire l’idealismo tedesco in Italia, rendendolo accettabile senza farlo percepire come elemento straniero, consisteva nel rivalutare il pensiero rinascimentale italiano come anticipatore degli sviluppi della filosofia moderna. In particolare Bruno come antesignano di Spinoza ed Hegel da una parte e Vico come precursore di Kant dall’altra. Si ricorda anche lo sfortunato episodio del rifiuto dell'editore Le Monnier di pubblicare l’opera di Spaventa su Bruno, nonostante l’influenza e l’insistenza del Villari. Nazionalità e precorrimento sono i tratti tipici del pensiero di Spaventa secondo Franchini. La seconda parte dell'intervento riguarda Gentile e la sua assimilazione del concetto di storia della filosofia mutuato da Spaventa, che tuttavia non viene mai citato esplicitamente: Gentile attribuirà piuttosto molto peso all’influenza di Windelband. Il saggio si trasforma poi in una valutazione del pensiero stesso di Gentile, il cui errore principale, secondo Franchini, sarebbe stato quello di non aver distinto tra teoretica e pratica, tentando di mostrarne la profonda identità. G. MICHELI, Scienza e filosofia da Vico ad oggi, in Storia d’Italia-Annali, 3. Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal Rinascimento ad oggi, Einaudi, Torino 1980, pp. 549-675. Alla figura di Spaventa sono dedicate alcune pagine in cui si tratta la sua critica ai principi della filosofia vichiana sulla scorta del pensiero hegeliano. Si accenna anche alla sua teoria della nazionalità della filosofia, rimasta in Gentile. Forse un po’ troppo sbrigativamente si annovera il pensatore abruzzese tra coloro che adattarono il pensiero kantiano ed hegeliano alla cultura napoletana, in parte tradendone gli effettivi contenuti. Brevi cenni sull’attività di Spaventa sono presente anche nella trattazione del rapporto tra Illuminismo e positivismo. SAVORELLI, Le carte S. della biblioteca nazionale di Napoli, Bibliopolis, Napoli 1980. Il preziosissimo lavoro di catalogazione delle carte Spaventa eseguito da Savorelli trova una testimonianza editoriale in questo volume nel quale l’autore lamenta l’incompiutezza del lavoro fino a quel momento eseguito sulle carte ed in generale mostra il livello di dispersione dei lavori del filosofo abruzzese, dovuto non tanto, come voleva il Gentile, alla sua attività pubblicistica su giornali e alla mancata pubblicazione in vita dei suoi studi, quanto piuttosto ai litigi occorsi tra il fratello Silvio e il figlio Camillo. Un secondo momento di dispersione riguarda il periodo successivo alla morte del Maturi. Si accenna anche al ritrovamento di alcune carte presso la Biblioteca civica “A. Mai” di Bergamo da parte di Masini nel 1959. Sicuramente, però, la situazione più complessa è legata alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Se si tiene conto del lavoro filologico di Jaja, Masci e Maturi, oltre a quello di Gentile (che sicuramente occupa un posto di eccezione nella riscoperta del pensiero di Spaventa) e quello di D’Orsi nel dopoguerra, risulta frustrante che vi siano ancora delle notevoli lacune nello studio dell’autore: soprattutto per quanto riguarda il periodo precedente al 1850 e il primo periodo di Torino. A. GUZZO, Hegel in Italia, in “Filosofia. Nell’articolo l’importanza del Cousin per la diffusione di Hegel in Italia viene avvalorata dall’interesse del Galluppi per l’intellettuale francese. Non si dimentica la lettura di Hegel da parte di Rosmini e Gioberti, ma ci si concentra soprattutto sullo studio dell’autore tedesco, approfondito a più riprese, da parte di Spaventa: da Torino, a Modena, a Napoli. Guzzo collega la lettura di Spaventa alla nuova corrente europea inaugurata dallo Zeller con la formula “Zurick zu Kant”; in dialogo ed in polemica con questa tesi, Spaventa non accentuò mai le differenze, quanto piuttosto la continuità tra Kant ed il movimento dell’idealismo tedesco. Nella seconda parte dell’articolo l’attenzione si concentra su Gentile e Croce (di cui Guzzo riporta l’incontro con Nyman e Martinetti): le divergenze di pensiero tra i due non intaccheranno la solida amicizia, compromessa solo dopo il delitto Matteotti e la presa di posizione di Gentile a favore del fascismo. G. LANDUCCI, Scienza, cultura e ideologia nello stato unitario, in Storia della società italiana, Milano. Fin dalle premesse emerge il contributo portato da Spaventa alla riforma dell’università avviata da De Sanctis, precisando l’importanza della prolusione del 10 maggio 1860 e l’opposizione al darwinismo, appoggiata dall’amico De Meis. Due fattori sono individuati come caratteri imprescindibili del pensatore abruzzese: il riferimento alla nazionalità e la strenue lotta contro ogni forma di materialismo. Al positivismo dilagante De Sanctis e Spaventa opposero la validità della critica e della dialettica come metodo del conoscere. La presentazione della riforma intellettuale avviata dal De Sanctis precede una disamina dello scritto postumo Esperienza e metafisica, nel quale si ribadiva il rifiuto ad ogni concezione che affermasse l’inconoscibilità o peggio l'assenza dell’assoluto. Spaventa al termine è definito “l’intelletto filosofico più dignitoso che l’Italia unita aveva avuto. SAVORELLI, Alla vigilia di un centenario dieci anni di studi su Bertrando Spaventa (1971-1981), in “Cultura e società”, 1982, pp. 113-118. Nel suo breve articolo Savorelli ripercorre le linee guida della diffusione del pensiero di Spaventa, dominata per tutta la metà del XX secolo dalle tesi gentiliane, criticate soltanto nel secondo dopoguerra da interventi militanti, con l’intento di recuperare la linea Spaventa-Labriola-Gramsci. Il lavoro di Teresa Serra del ’74 mostra già l’infondatezza delle interpretazioni marxiste, mentre la lettura di Oldrini è ricordata a proposito della distinzione tra hegelismo ortodosso di Augusto Vera ed hegelismo critico di Bertrando Spaventa. Si accenna all’articolo di Cumis del ’76 sui rapporti tra Spaventa ed Herbart e alle Lezioni di Antropologia curate da D’Orsi. Al termine Savorelli propone la tesi secondo cui l’originalità ed insieme il limite di Spaventa sarebbe stato quello della rinuncia all’eclettismo in favore di un sistema che tenesse insieme le differenze. OLDRINI., L’hegelismo italiano tra Napoli e Torino, in “Filosofia. Volontà dichiarata di Oldrini è mostrare la linea di continuità tra il periodo napoletano prequarantottesco e gli sviluppi torinesi, soprattutto in virtù dello stretto rapporto tra la scientificità come metodologia filosofica e la cultura dell’Italia unita, nel senso che si reputava necessaria una trattazione scientifica del pensiero per farne emergere la nazionalità. Oldrini individua nel coscienzialismo di Galluppi e nell’eclettismo di Cousin il retroterra dello sviluppo dell’hegelismo a Napoli; dopo l’esperienza del “Museo di letteratura e filosofia” di Gatti e Cubani, il tenore culturale della città subì, se non un tracollo, per lo meno una drastica involuzione. Il processo di sviluppo dell’hegelismo continuò a Torino, soprattutto grazie all’apporto degli esuli meridionali tra i quali spiccano Spaventa e De Sanctis. TOGNON, Bertrando Spaventa. Lezioni inedite di filosofia del diritto. Modena 1860. (1) e in “Archivio storico bergamasco. L’articolo di Tognon illustra le disavventure della biblioteca dei fratelli Spaventa, trasferita a Bergamo, divisa tra Silvio e il figlio di Bertrando, Camillo, con riferimento alle carte recuperate da Croce e donate alla Biblioteca di Napoli. Si elogia il lavoro di riordino e catalogazione di Savorelli. Si riporta poi il testo parziale delle lezioni di “Filosofia del diritto” e di “Storia della filosofia” tenuti a Modena e Bologna. Alla difficoltà nel ricostruite il calendario delle lezioni supplisce una notevole chiarezza del progetto steso da Spaventa all’inizio dei corsi. Si riporta il manoscritto per i primi sei fogli. TOGNON, Bertrando Spaventa. Lezioni inedite di filosofia del diritto. Modena 1860. (2) in “Archivio storico bergamasco”, n. 2, anno II, Novembre 1982, pp. 275-290. La brevissima introduzione di Tognon ribadisce l’influenza di Hegel sulle lezioni di Spaventa, in particolare l’Hegel della Fenomenologia e dei corsi sulla Filosofia della storia. Spaventa coglie l'occasione per sottolineare che in Italia manca completamente la coscienza del diritto. Secondo Tognon “mai filosofo straniero divenne più italiano di quanto lo fu lo Hegel dello Spaventa”. Segue lo scritto di Spaventa che completa la pubblicazione. SAVORELLI, Note sul Vico di Bertrando S., in “Bollettino del Centro Studi Vichiani. Vico costituisce un caso quasi unico di riscoperte e abbandoni continui da parte degli studiosi, ed è in questo senso che Gentile poteva parlare di storia a doppia faccia, di sporadici omaggi in uno sfondo di completa dimenticanza. Merito di Spaventa è quello di aver rivalutato la figura di Vico agganciandola al panorama europeo, in quanto precursore dell’idealismo. Savorelli tende comunque a ridimensionare l’importanza della lettura spaventiana di Vico, in quanto si appoggia in larga misura a canoni e modelli di critica vichiana ottocentesca; la stessa lezione VI del corso del 61-62, dedicata a Vico, sembra inserita di getto in uno schema completamente indipendente ed autonomo. Savorelli riconosce, d’altra parte, il ruolo essenziale che la lettura di Vico ebbe nello sgretolamento delle teorie hegeliane sulla filosofia della storia: nel frammento del 1875 Spaventa giunge a considerare addirittura Vico e non Hegel come filosofo della storia. La crisi dell’idealismo cui Spaventa assiste nell’ultimo decennio della sua vita lo portò a rivalutare Vico, ma non come radicale critica dello Hegel, bensì piuttosto come interpretazione alternativa della filosofia della storia che tuttavia mantiene imprescindibile la distinzione tra mondo della natura e mondo dello spirito. M. BISCIONE, Rinascimento, Riforma, Restaurazione cattolica nel pensiero di Bertrando Spaventa, in “Clio”, XIX, 1983, pp. 277-288. A partire dalla scarsa diffusione all’estero come tratto che accomuna l’opera di De Sanctis e di Spaventa, Biscione tenta una messa a fuoco del personaggio in quanto storico della filosofia, anche per smarcarlo dall’interpretazione in chiave esclusivamente idealistica proposta da Gentile e dominante almeno per tutta la prima metà del Novecento. Se da un lato hanno un valido fondamento le critiche del Croce relative ad una trascuratezza da parte di Spaventa verso i dettagli storici in favore della prospettiva teoretica, bisogna precisare che non si tratta di puro razionalismo, bensì piuttosto di una fede moderna nella storia. Benché si tenda ad accentuare l’influenza di Michelet e di Mazzini, non si può negare una larga concessione nei confronti delle suggestioni hegeliane. La filosofia della storia proposta da Spaventa coincide, in sostanza, con la teoria della circolazione del pensiero italiano: ruolo principale è svolto dalla figura di Campanella, senz'altro tra le più studiate da Spaventa, insieme a quella di Bruno. L’interpretazione che Spaventa propone del Rinascimento e della restaurazione cattolica assume una notevole distanza rispetto alle teorie hegeliane, anzi, per certi versi le sue tesi sulla soggettività liberata anticipano di qualche anno le tesi di Burckhardt. Dal lavoro di Campanella del 1854, che l’autore definisce poco più che una osservazione supportata da alacre speranza, furono necessari anni di studio prima di giungere alla teoria della circolazione intesa come autentica metafisica della storia.  GARIN, Filosofia e politica in Bertrando S., Bibliopolis, Napoli. Il testo di Garin si apre con la citazione di una lettera del Labriola che informa Engels della connessione trovata da Spaventa tra hegelismo e darwinismo già nel 1864. Se è vero che negli sviluppi successivi della tradizione hegeliana la nottola lascia il posto alla talpa che trasforma il terreno lavorando nel sottosuolo, risulta inefficace l’idea di Passerini secondo la quale la filosofia della storia di Hegel non tiene conto del futuro: piuttosto lo spirito che si diffonde nel mondo mostra il potere del concetto che vuole ricreare la realtà. Garin precisa che Spaventa non tradì mai il suo autentico maestro, lo Hegel, a differenza di quanto accadde per il De Sanctis, cui Hegel aveva seccata l’anima: l’interpretazione originale del pensiero hegeliano, mai allinsegna di una mera ripetizione meccanica, portò Spaventa ad utilizzare gli strumenti della dialettica per ribadire l’importanza dei due soli (Rinascimento italiano e Idealismo tedesco) e per legittimare l’intima affinità tra i due, accomunati da una intrinseca avversione a qualsiasi forma di dogmatismo. In appendice è riportato un intervento di Tognon, la prolusione bolognese, di cui si sottolinea una correzione di data (30 aprile e non 10 maggio come si riporta solitamente) e infine una lettera di Bertando Spaventa al fratello Silvio datata 27 ottobre 1859. G. OLDRINI, U/tizzi contributi alla storia della cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, in “Rivista critica di storia della filosofia”, XXXVIII, 1983, pp. 325-357. Mostrando l’interconnessione tra la storia della vita reale e la storia della cultura nella Napoli dell'Ottocento, Oldrini si sofferma sul centralismo della classe dirigente italiana e sulla malformazione dello sviluppo del meridione come fattori della crisi della città negli anni ’30. Oldrini lamenta numerose lacune della storiografia sulla pubblicistica e sul vichismo napoletano, contestando la tesi di Broccolini, secondo cui Spaventa sarebbe un epigono di Finamore. Veri snodi critici sono i legami tra hegelismo e Destra storica da un lato e ridimensionamento dell’hegelismo e del vichismo in favore del positivismo dall’altro. Per questi motivi si apprezza il monumentale lavoro di Malusa del ‘77, dedicato al positivismo e al neokantismo, benché alcuni limiti siano rintracciati per esempio nell’eccesso di analisi espositive e in alcuni difetti di interpretazione sul pensiero del Fiorentino. FRANCHINI, Cozze riscoprire Bertrando Spaventa, Il Tempo, Roma. Di contro all’interpretazione comune di Bertrando Spaventa come bieco immanentista, Franchini rivendica tutto il criticismo del filosofo abruzzese, sottolineando che “non credette mai all’unicità e alla definitività della costruzione hegeliana”; oltre allo straordinario sforzo di chirificazione del pensiero di Hegel, si deve aggiungere la capacità di elevare il dibattito italiano ai livelli di quello europeo, tratto che dovrebbe delegittimare ogni tentativo di interpretare la sua esperienza filosofica all’insegna del provincialismo. Alla base del pensiero spaventiano Franchini individua l’unità del sapere, esposta nella prolusione del 1862. G. MARTANO, Bertrando S. e la filosofia del Rinascimento, in “Discorsi. La nomina di Bertrando Spaventa a Professore di Logica e Metafisica dell’Università di Napoli, voluta da De Sanctis, scandalizzò il resto del corpo docente, a causa dell’elogio del panteismo germanico proposto dal filosofo abruzzese: suo autentico obiettivo, d’altro canto, era mostrare l’intima affinità tra il pensiero idealistico tedesco e quello rinascimentale italiano. L’assunzione della realtà soltanto nel suo essere pensata costituiva il nucleo dell’insegnamento spaventiano, per cui Cusano, Valla, Pomponazzi, Telesio e lo stesso Leonardo con il suo richiamo alla sperienza dovevano essere visti quali precursori di Kant ed Hegel. Privilegiato fu il rapporto con Bruno e Spinoza, che Spaventa associò tra loro, ma non sulla base di interpretazioni teologizzanti. Da ultimo Campanella viene certamente considerato come filosofo della Restaurazione cattolica, ma non di può dimenticare il suo senzzr di sentire, l’importanza del ruolo della soggettività, benché ancora compromesso da un residuo naturalistico. Il carattere precursore di Vico rispetto all’idealismo tedesco è dichiarato da Spaventa con il preciso intento di mostrarne le affinità nella trattazione del materiale storico. Tutto questo percorso deve essere valutato alla luce della profonda fede che Spaventa nutriva verso il progresso, alimentato da costanti e continui sforzi umani. P. DI ATTILIO, Rivoluzione, partiti politici e stato nazionale. Nuovi testi di Bertrando S., Giuffrè, Milano 1983. Il primo capitolo del libro analizza la formazione del giovane Spaventa, riferendosi all’influenza di padre Testi al monastero di Montecassino; proprio in quegli anni emerge già una vocazione più pratica del fratello Silvio rispetto all'anima teoretica di Bertrando. Il capitolo secondo si concentra sulla prolusione di Modena del 1859, dove si mostrava la nuova scienza storica in contrapposizione al puro arbitrio della libertà da un lato e alla bieca necessità meccanicistica dall'altro. Nella disamina degli articoli pubblicati sul “Progresso”, all’interno del capitolo terzo, si sottolinea l’importanza e la superiorità delle idee nel creare l’unità, laddove al Dio Cannone veniva contrapposta la Dea Ragione. A. SAVORELLI, Riforma della dialettica, riforma del sistema: crisi e trasformazioni dell’'hegelismo in Spaventa (1861-1883), in B. SPAVENTA, Esperienza e metafisica, Napoli, Morano. Savorelli sottolinea che la prima fase degli anni ’60 è legata ad un utilizzo della filosofia hegeliana nel senso di una filosofia della storia che attraverso la teoria della circolazione del pensiero italiano consolida su basi metafisiche l'indipendenza e l’unità d’Italia, mentre invece già dalla seconda metà degli anni ’60 sino al 1883 S. dovette affrontare la cosiddetta crisi dell’idealismo (già un quegli anni lo Zeller si faceva promotore dell’esigenza di ritorno a Kant). I temi sollevati dalle teorie di Darwin e dal positivismo imponevano un serio confronto con il sistema della dialettica: il progressivo sgretolamento del sistema comportò per Spaventa non un abbandono del pensiero hegeliano, quanto piuttosto il consolidamento di un nucleo originario di verità metafisiche idealistiche, non certo nel senso di una rigidità dogmatica, quanto piuttosto di apertura del sistema a nuovi sviluppi che tuttavia, lungi dallo smentire, contribuivano a confermare la logica dialettica correttamente interpretata. M. LEOTTA, La filosofia di A. Tari, Istituto italiano per gli studi storici, Napoli 1983. In particolare pp. 17-84. L’opera, che analizza il pensiero di Tari secondo una triplice scansione, ossia Metafisica, Estetica e Filosofia della natura, prevede un’ampia Introduzione dove si presenta una biografia molto dettagliata dell’autore: in queste pagine il riferimento a Spaventa è assai frequente. Si ricorda la passione per la matematica che accomunava i due pensatori, l'amicizia nata nel soggiorno a Montecassino nel soggiorno tra il ‘38 ed il ’40, durante il quale Tari insegnò a Spaventa i rudimenti della lingua tedesca ed infine la collaborazione all’Università di Napoli dopo la riforma avviata da De Sanctis. Nell’introduzione sono anche riportate due lettere di Tari a Spaventa, la prima datata 18 luglio 1861 e la seconda 30 ottobre 1973, nelle quali si ringrazia il filosofo abruzzese per l’aiuto offerto in occasione della nomina di Tari rispettivamente a Professore straordinario nel 1861 e la ben più sofferta ed attesa nomina del ‘73 a Professore ordinario. Nell’ultima parte dell’Introduzione si riportano anche alcune parti della lettera con cui Tari raccomandava a Spaventa Antonio Labriola, allora giovane studente di filosofia notato da Tari per la sua vivacità intellettuale. ORSI, Introduzione a R. H. LOTZE, Elementi di psicologia speculativa, Casa Editrice G. D'Anna, Messina- Firenze 1983. La prefazione di Antimo Negri elogia D’Orsi come il più fedele studioso di Bertrando Spaventa. L’Introduzione di D’Orsi interpreta il binomio Lotze-Spaventa come anticipazione di quella collaborazione tra filosofo e psicologo tanto comune nel Novecento. Di entrambi si sottolinea l’anticonformismo rispetto al positivismo e al materialismo imperanti negli anni ‘70 e ’80. Lotze in Germania e Maine de Biran in Francia adottano una visione non riduzionistica della mente umana, privilegiando l’impenetrabilità dell’intimità dell'anima. Il recupero di un'ottica speculativa e metafisica, precisa D’Orsi, implica una ripresa della prospettiva teleologica ed una esaltazione della valenza critica della soggettività. L’affinità elettiva e speculativa tra Bertrando Spaventa e Lotze è dovuta al medesimo atteggiamento di rifiuto della trascendenza e insieme di rifiuto del mero materialismo; nel caso di Spaventa D’Orsi sottolinea quanto la vicenda personale di Spaventa, che è stato prete per circa un decennio prima dell’esilio torinese. Questa psicologia speculativa — secondo D’Orsi — appare quale autentico gioiello speculativo. All’Introduzione segue la traduzione di Bertrando Spaventa degli Elementi di psicologia, preceduta da una serie di appunti e preliminari che costituiscono il materiale preparatorio. R. ROMEO, Cavour e il suo tempo (1854-1861), Laterza, Bari. Nell’ampio studio di Romeo sulla figura di Cavour, articolato in tre libri, alcune pagine dedicate esplicitamente a Spaventa si trovano nell’ultimo volume, dove lo si presenta come autore di una nuova interpretazione di Hegel come filosofo dell’innovazione, contro le tesi che circolavano a Napoli prima del ’48 per cui il filosofo tedesco era considerato filosofo del fatto compiuto. Altri cenni sporadici a Spaventa riguardano la sua attività di scrittore su “Il Cimento”, assieme a De Sanctis ed il suo giudizio negativo sulla situazione piemontese espresso in una lettera al fratello Silvio (p. 381). F. BARONE, Bertrando Spaventa e il positivismo, in “Libro aperto”, A. 5, n. 1 (1984), pp. 25-37. Barone ricorda di aver attraversato il pensiero di Spaventa nei suoi studi sul positivismo, riferendosi in particolare alle opere psicologiche edite dal Gentile. Prendendo spunto dalla famosa lettera del Labriola ad Engels in cui Spaventa viene presentato come conciliatore tra Darwin e Hegel, Barone concorda con l’opinione di Gentile secondo la quale Spaventa fece sempre i conti onestamente con il positivismo, benché lo stesso Gentile svaluti troppo il ruolo ed il peso della scienza nel suo sistema: certamente il gran valore assegnato alle riflessioni politiche e metafisiche contribuisce a porre in secondo piano il rapporto di Spaventa con la scienza. L’elemento che ogni autore tende a sottolineare, da Cubeddu a D’Orsi passando per Vacca, è la volontà di evitare ogni riduzionismo fisiologico a proposito della psichicità, rivendicando la superiorità dell’atto rispetto al fatto da cui prende avvio ogni analisi scientifica. Barone non risparmia critiche  all’interpretazione superficiale dell’evoluzionismo darwiniano proposta da Spaventa, ma concorda sull'efficacia e l’attualità delle analisi critiche di Spaventa ai concetti utilizzati dalla fisiologia. L'articolo confluirà poi nel volume Dalla scienza della logica alla logica della scienza. F. FOCHER, Spaventa di fronte al positivismo, in “Criterio” 1984, pp. 46-61. Dopo aver presentato Spaventa come uno di quegli intellettuali convinti che la propria epoca coincidesse con la piena manifestazione del regno dello Spirito, Focher precisa che le riflessioni del filosofo abruzzese, nel tentativo di rendere popolare Hegel e non volgare, come scrisse al Villari, risultano ancora assai attuali sul piano politico, molto meno su quello scientifico, a causa delle grandi novità della scienza del XX secolo. Per recuperare il valore della critica spaventiana al positivismo, si deve quindi porre in risalto il valore che assume l’uomo nel contesto storico: la storia è positivismo, è l'assoluto fare umano. In questa chiave è possibile vedere in Spaventa un elemento di stringente attualità in quanto esalta l’uomo in quanto essere libero e assoluto. L’articolo di Focher sarà inserito tra gli interventi che compongono il libro Dalla scienza della logica alla logica della scienza. A. SAVORELLI, Hegel e Gioberti: Prime reinterpretazioni e revisioni in Bertrando Spaventa, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Il rapporto tra S. e Gioberti ha subito numerose modifiche nel corso degli anni: Savorelli rileva che al superamento di una lettura e di una comprensione generica dell’hegelismo segue una rivalutazione da parte di Spaventa del pensiero italiano ed in particolare di Gioberti. Se è vero che nel ‘49 Gioberti viene denigrato da S., già nel ’55 si assiste ad una parziali rivalutazione del suo pensiero, in quanto conciliatore della nuova visione del mondo hegeliana con il cattolicesimo. Nel ’57, tuttavia, Gioberti è di nuovo “un fanfarone” e soltanto negli anni ’60 ‘anche per consolidare la tesi di circolazione del pensiero italiano Gioberti viene definitivamente rivalutato. Savorelli, tuttavia, non accetta l’idea che l'apprezzamento per il teorico del neoguelfismo sia dovuto solo ad una esigenza del momento, ma tende piuttosto ad inserirlo all’interno di una più vasta operazione di aggiornamento del dibattito filosofico italiano. Gioberti verrebbe rivalutato anche come risposta ad Hegel: la stessa riforma della dialettica mira ad un superamento della dicotomia arbitrio/necessità all’interno della filosofia della storia. A questo proposito Savorelli avanza l'ipotesi che anche lo Schelling sia stato utilizzato da Spaventa non tanto per confutare, quanto piuttosto per integrare e consolidare le tesi hegeliane. La medesima integrazione e difesa di Hegel avviene sul campo politico: Savorelli tende a precisare che la soluzione individuata da Spaventa in questo campo è il calco di quella attuata sul piano logico e metafisico. AAVV., Bertrando Spaventa. Dalla scienza della logica alla logica della scienza, Pironti, Napoli 1986. Il volume raccoglie una serie di saggi ed è introdotto da Raffaello Franchini con un analisi sui caratteri del pensiero spaventiano in rapporto al tema della nazionalità. Il saggio di Francesco Valentini riguarda il rapporto Hegel-Spaventa in relazione alla Scienza della logica. L'intervento di Italo Cubeddu si concentra sul binomio Gentile-Spaventa e sull'importanza della circolazione a proposito della riforma della dialettica hegeliana. Vittorio Stella contribuisce a mostrare l'influenza di Spaventa sul pensiero di Gentile e di Croce, pur nella diversità delle loro interpretazioni sulla vicenda del filosofo abruzzese. Arturo Martano presenta Spaventa storico della filosofia, la cui teoria della circolazione si muove all’insegna della fede nel progresso della storia (articolo apparso in “Discorsi”, 1983, vedi sopra). Mentre Verra approfondisce i nessi tra Spaventa ed il trio di logici tedeschi Trendelenburg- Werder-Fischer, Tessitore si occupa del nesso decadenza-rinascenza, evidenziando due linee di continuità, Machiavelli-Lutero e Cartesio-Lutero, nella quale si inserisce anche la figura di Galileo. D’Orsi si sofferma sui criteri ecdotici nella ricostruzione filologica del pensiero di Spaventa. Franco Barone e Ferruccio Focher specificano il rapporto tra Spaventa e la scienza della seconda metà dell'Ottocento (rispettivamente in “Libro aperto” e “Criterio”, 1984, vedi sopra). Girolamo Cotroneo distingue all’interno della scuola spaventiana la direttrice Maturi-Jaja da quella di Tocco e Masci. Roehssen esamina la figura del fratello di Bertrando Spaventa. A questi saggi si aggiungono interventi di Pasquale Socco, Primo Di Attilio, Alessandro Savorelli, Clementina Gily Reda e Giuseppe Brescia. Al termine del volume è presentata una bibliografia di testi scritti tra il 1970 ed il 1983 su Bertrando S., curata da Savorelli, Rascaglia e Reda, come prosecuzione della bibliografia ragionata di Italo Cubeddu. CUBEDDU, Da Spaventa a Gentile: Kant e il neotdealismo, in La tradizione kantiana in Italia, Atti del convegno della Società filosofica italiana (Messina 15-17 novembre 1984), Edizioni G.B.M., Messina. Secondo Cubeddu l’interpretazione del pensiero kantiano offerta da Spaventa dipende nelle sue linee essenziali dalle critiche presenti in Fede e sapere, benché il difetto del dualismo e della “tenerezza per le cose del mondo” non impedisca al pensatore di Bomba di ammirare l’idea dell’unità della coscienza e della sintesi a priori. Assai apprezzato risulta il capolavoro su Gioberti, nel quale Kant, pur non essendo un protagonista assoluto, non è mai relegato al ruolo di semplice comprimario. Passando al Novecento, Cubeddu si sofferma sulla posizione gentiliana che aveva proposto un ritorno da Kant a Hegel, ravvisando nell’intrascendibilità del pensare il guadagno comune di entrambi. A tal proposito si cita il saggio sulla Riforzza della dialettica, dove si tenta di correggere la posizione kantiana mediante l’hegelismo, corretto esso stesso nel Sistema di logica, nel quale si propone una categoria unica del pensare. Cubeddu precisa come Spaventa non abbia mai compiuto quella riforma neohegeliana di Kant, in quanto non considerò la conoscenza come pura unità analitica della mente. P. MARCHI, Spaventa e Popper, in “Criterio. Molti sono i preamboli necessari a Marchi per introdurre questo insolito parallelismo: nonostante la diversa, per non dire opposta, interpretazione che i due autori offrono di Hegel e dell’idealismo tedesco in generale, l’elemento comune ai due pensatori è il rifiuto di qualsiasi prospettiva riduzionistica. Non è certo necessario precisare quanto Spaventa sia sensibile alle sollecitazioni delle scienze del proprio tempo, senza però mai rinunciare all'importanza dell’analisi critica, possibile solo tramite il pensiero filosofico: le sue tesi contrarie ad ogni riduzionismo dell'anima (del pensiero) al semplice cervello o ad un insieme di elementi materiali sono ben note. A partire da un percorso intellettuale decisamente differente, anche Popper si oppone alla “chiusura del mondo fisico”, dimostrandosi non molto lontano, su questo punto, dallo Spaventa di Psiche e Metafisica. Popper, particolarmente, rinvia all'esistenza di tre mondi, quello materiale, quello della coscienza e quello della cultura, interagenti tra di loro, ma di certo non riducibili al primo. Infine, mediante alcune citazioni dall'opera di Popper Lio e #/ suo cervello, si tende a sottolineare come l’autore sia convinto che l’io possieda il cervello e non viceversa, avvicinandosi molto in tal senso alle tesi spaventiane del “senso di sé” come nucleo profondo del pensare. Gli begeliani di Napoli e la costruzione dello stato unitario, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1987. Già nell’Introduzione al volume il ruolo svolto dai fratelli S. assume un'importanza centrale nella costruzione teorica e pratica dello stato unitario. Se il lungo intervento di Croce si riferisce spesso alla figura di Bertrando Spaventa, nella lettera di Strater, pubblicata per intero nel volume, appare evidente l'ammirazione nei confronti del filosofo di Bomba per aver posto in relazione pensiero italiano e pensiero europeo. La prima parte dell’opera, curata da Saverio Ricci, sottolinea il declino culturale di Napoli causato dalle emigrazioni degli intellettuali nel ’99 e nel ’21; altro elemento cruciale è la sostanziale inefficacia del tentativo di educazione delle masse che portò alla repressione del ‘49. La seconda sezione, di Maria Rascaglia, mostra quale fosse l’arretratezza del Piemonte in campo culturale rispetto a Napoli e quindi le difficoltà di De Sanctis e Spaventa, costretti all’attività di giornalisti. Ben diversa la situazione al ritorno a Napoli dove ai due protagonisti si aggiunge anche la figura di Vera. La terza parte è dedicata alla scuola di Bertrando Spaventa, in particolare a Francesco Fiorentino e Antonio Labriola. Una quarta sezione è dedicata al fratello Silvio. Il volume si conclude con due appendici di Giampiero Griffo e Piera Russo. A. SAVORELLI, Spaventa e Galileo, in Galileo a Napoli (LOMONACO e TORRINI a cura di), Guida, Napoli 1987, in particolare pp. 469-481. L’intervento di Savorelli tende a precisare che le letture spaventiane e le sue tesi sui precorrimenti, benché segnate da forti deformazioni e distorsioni, rappresentano un contributo originale e sempre innovatore rispetto al dibattito storico-filosofico dell'Ottocento. Galileo non solo non è un autore classico della trattazione spaventiana, anzi, viene citato raramente nei suoi lavori e viene studiato in maniera specifica. Spesso Spaventa attenuò il lato di modernità attribuito dalla critica a Galileo, che fu pertanto escluso dalla ricostruzione del pensiero italiano, in quanto considerato un uomo di scienza piuttosto che un intelletto speculativo; ben nota è la ritrattazione a pochi mesi dalla morte. Essenziale, secondo Savorelli, l’influenza di Natorp nella riscoperta di un Gelileo criticista e non semplice empirista: sotto questa luce Galileo fu assimilato forse troppo frettolosamente da Spaventa alla linea Kant- Hegel, accentuandone alcuni tratti, come ad esempio lo studio dell'a priori che lo distingueva dall’ingenuità dei positivisti della seconda metà dell'Ottocento. Forse eccessive sono le tesi di un Galileo precursore di Kant, anche perché lo studio di S. assume un taglio speculativo più che storico, avendo come obiettivo la confutazione di alcune tesi di Vaihinger. G. OLDRINI, Filosofia e coscienza nazionale in Bertando Spaventa, Quattroventi, Urbino. L’idea che l’assoluto avesse definitivamente perso il proprio carattere trascendente non deve condannare al determinismo immanentista, bensì aprire la strada all’idea della ragione come autentica creatrice di storia. Le due anime che si mostrano in Spaventa, ossia il demone speculativo da un lato e la necessità di una diffusione di Hegel sul piano filosofico e politico, determinano il contrasto con il neotomismo che in quegli anni voleva proporsi, grazie al sostegno di Corinaldi e Liberatore, come autentico erede della tradizione filosofica italiana. Oldrini non manifesta particolare entusiasmo per le continue alterazioni del testo spaventiano dovute a ricerche filologiche proposte da D’Orsi e sottolinea che il cuore del discorso dell’abruzzese era l’affermazione dell’hegelismo di contro al cattolicesimo neotomista. Nel volume sono presenti interventi di Alessandro Savorelli, Franco Ottonello, Luciano Malusa, Guido Oldrini, Giuseppe Tognon, Giovanni Mastroianni e Roberto Racinaro. F. TESSITORE, M:nghetti, Spaventa De Sanctis: le trasformazioni del liberalismo, in AAV., Marco Minghetti statista e pensatore politico dalla realtà italiana alla dimensione europea, GHERARDI e MATTEUCCI (a cura di), Il Mulino, Bologna. Nella triade citata il nome Spaventa si riferisce al fratello Silvio, ma la perspicacia di alcune analisi lasciano intravedere un pensamento profondo della forma Stato, nel quale non si può non ravvisare l’influenza del pensiero del fratello Bertrando. La posizione di Silvio è riassunta mediante alcune citazioni sull'unità di Italia e la necessità di una forte attività amministrativa, che si conciliava non molto bene con le tesi di Minghetti di restringimento dei compiti dello Stato. Tessitore assegna a De Sanctis il maggior rigore nel trattare la contraddizione tra libertà e governo, nella quale si ravvisa il pericolo della decadenza della cultura e dello spirito d’iniziativa della neonata nazione italiana. OTTONELLO, Pasquale Galluppi nell’ “infedele” interpretazione di Bertrando Spaventa, in “Rivista Rosminiana di Filosofia e Cultura.. L'infedeltà dello S., “senza cui non si viene a capo di nulla”, è presente anche nel commento alla filosofia del Galluppi, che il filosofo di Bomba strappò dall’oblio in cui era piombato. La critica alla teoria dell’oggettività della sensazione è fondata sull’impossibilità di percepire una esistenza esterna, benché in senso hegeliano si debba parlare di un “oggetto dell’atto chiamato coscienza”. Nella presenza di una sostanza esterna da percepire Spaventa vede ripresentarsi il fantasma del noumeno kantiano: proprio estremizzando i tratti del Galluppi, però, Spaventa riesce a trarne i germi di uno sviluppo futuro; non ripetendo mai in modo meccanico il pensiero altrui, Spaventa riesce a valorizzare le tematiche trattate, come ad esempio nel caso del famoso “luogo d’oro”. A. MARTONE, Lo scarto del linguaggio: eredità vichiane in Bertrando Spaventa, in Furor verba ministrat. Eredità vichiane e Illuminismo in alcune teorie linguistiche della cultura napoletana tra ‘700 e ‘800, Franco Angeli, Milano 1989, pp. 79-108. Spaventa viene qui presentato come pensatore intimamente legato a Vico, in quanto filosofo della storia, nello sforzo di una riunificazione del sapere e persino nel tentativo di dotare il pensiero filosofico italiano di una propria autonoma tradizione. Vico stesso fu inserito da Spaventa nella sua teoria sulla circolazione del pensiero. Rimane tuttavia una incolmabile distanza tra Vico e Spaventa, il quale sembra non essere molto sensibile alla glottogonia vichiana. SAVORELLI, Bruno Tulliano’ nell’idealismo italiano dell'Ottocento (con un inedito di B. S.), “Giornale critico della filosofia italiana”, LXXX (1989), pp. 45-77. Savorelli ribadisce il merito di Bertrando S. di aver dato impulso agli studi bruniani, seguito dai suoi discepoli Felice Tocco e Francesco Fiorentino: lo spiacevole episodio con l’editore Le Monnier testimonia, d’altra parte, l’arretratezza culturale in cui versava all’epoca l’Italia, nella quale non riuscì a trovare spazio il primo studio scientifico sulla figura del Nolano. L’inedito di Spaventa, infatti, rimane il primo saggio che tenti di analizzare il pensiero bruniano in chiave sistematica. Proprio in questo senso assume valore l’attenzione dedicata da Spaventa alle opere cosiddette lulliane o mnemotecniche, che secondo Brucker e Buhle erano da considerare la parte più oscura dei testi di Bruno. Il testo di Spaventa si fonda su una critica del Ritter e su un confronto costante con il pensiero di Lullo, Cusano e Spinoza. Certamente di grande importanza è stata l'influenza di Barholméss, la cui interpretazione indica in Bruno un anticipatore dell’idealismo tedesco: è noto quanto questa tesi sia essenziale anche rispetto alla teoria della circolazione del pensiero italiano. Savorelli precisa che ogni tentativo di porre in luce il misticismo di Bruno è considerato vano ed errato da parte del pensatore abruzzese, che dedica attenzione alle opere lulliane proprio per mostrarne la relazione con la teoria della conoscenza proposta da Bruno. Il carattere di precursore della modernità attribuito al pensatore di Nola, tuttavia, subirà lungo l’itineratio spaventiano anche drastiche limitazioni, dovute, per esempio, alla sua errata comprensione del cristianesimo. Nella trattazione del ’61-’62 Bruno non è più lullista e l’ultimo vestigio lulliano del saggio torinese è un breve saggio dei Principi di filosofia: le differenze sono dovute ai diversi intenti interpretativi secondo Savorelli. Un segno dei tempi è il progressivo disinteresse da parte di Spaventa e De Sanctis nei confronti di Bruno. Al termine dell'intervento di Savorelli si riporta una sezione del Saggio inedito di B. Spaventa su Bruno, Manoscritto conservato alla Biblioteca nazionale di Napoli. MALUSA, L'idea di tradizione nazionale nella storiografia filosofica italiana dell'Ottocento, Tilgher, Genova. La figura di S. è presente in tutto il testo, dedicato nella prima parte all'idea di “tradizione nazionale” nella storiografia filosofica e nella seconda ai rapporti tra la tradizione filosofica italiana e la “Civiltà cattolica”: ben si comprende come la personalità di Spaventa svolga un ruolo di primo piano in entrambe. Nelle pagine centrali della prima parte si sottolinea il ruolo che Spaventa attribuì al genio italico nella distruzione dell’immobilismo cui per secoli la Scolastica aveva costretto il pensiero. Il “primato” della filosofia tedesca nel panorama europeo dipendeva strettamente da quel criticismo che per la prima volta trovò in Italia la propria espressione. Inutile ribadire quali furono i risvolti politici di una tale prospettiva filosofica: il pensiero spaventiano era in grado di assicurare l'immanenza del pensiero, superando le istanze clericali, senza cadere nell’aridità dell'Illuminismo. Si citano le ricostruzioni storiografiche di Garin e la progressiva appropriazione del pensiero spaventiano sulla linea Spaventa-Labriola-Gramsci (e Togliatti), che consentì di sottrarre l’autore abruzzese all’esclusivismo dell’interpretazione attualistica. Nella seconda parte si definisce S. autentica “bestia nera” del periodico gesuita: la critica della filosofia hegeliana, principale obiettivo della rivista, non poteva esimersi da ripetuti attacchi anche nei confronti del pensatore abruzzese, quando ancora questi non aveva elaborato il proprio pensiero in maniera sistematica. Non sfugge all'analisi che all'origine dello scontro si poneva la convinzione che Tommaso d'Aquino e non Hegel dovesse essere il modello della filosofia italiana. G.  MOSSANO,  Bertrando Spaventa e la psicologizzazione dell’a priori nel neocriticismo italiano, in “Accademia di scienze morali e politiche”, Napoli. L'intervento di Mossano analizza la sostituzione dell’incantesimo idealistico mediante l’incantesimo psicologico, ossia quella comprensione della critica kantiana che scivola dall’appercezione trascendentale all’a priori come funzione ordinatrice dell’esperienza. Se ancora in S. il problema critico è inteso come problema della conoscenza sul piano trascendentale, nella generazione successiva molti sono i tentativi di fornire interpretazioni differenti della tesi kantiana. Mossano ricorda come S. avesse cercato ci riassorbire il positivismo nell’hegelismo, dal momento che il soggetto è ciò che letteralmente “fa”, costruisce il proprio oggetto. Dalle analisi del pensiero di Masci, tuttavia, si deduce come già in Spaventa “le forme kantiane siano intese in senso dinamico ed evolutivo, reale e non ideale” (p. 282). Questa tesi viene però corretta attraverso una lunga citazione tratta da La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia europea grazie alla quale si vuole dimostrare come la concezione di S. intenda il giudizio non soltanto come formativo, ma costitutivo dell'oggetto. Mossano ricorda come Masci abbia apprezzato il tentativo di sintesi del maestro tra hegelismo e darwinismo, soprattutto nelle opere dell’ultimo decennio di attività. È importante sottolineare come il nuovo empirismo proposto da Spaventa (fondato cioè sul superamento della contrapposizione tra realismo e idealismo) non distrugga il lato attivo e originario della soggettività, ma lo possa riconfermare, in una accezione in cui Kant si incontra con Hegel. Ciò che deve essere tenuto fermo, secondo il pensatore abruzzese, è il carattere non biologico, né psicologico del problema della conoscenza, che è essenzialmente critico. Analizzando il dibattito critico, Mossano individua in Tocco e Cantoni due assertori del limite intrinseco della prima Critica legato alla mancanza di una psicologia nell’architettura kantiana; diversamente Chiappelli tenta una mediazione, cercando quale tendenza psicologica si conformi maggiormente al problema del criticismo. Non mancano i riferimenti, in questo caso, alle tesi di Spencer, contro il quale, però, più volte Spaventa si espresse negativamente. Al termine si citano i giudizi del Gentile sulla errata interpretazione del criticismo offerta dal Masci. In conclusione si torna a ribadire l’esigenza si stabilire una radicale distinzione tra il lato empirico- evolutivo e quello trascendentale, ricordando come solo dopo il 1945 a psicologia si sia affrancata dalla filosofia. M. RASCAGLIA., Venti lettere inedite di Angelo Camillo de Meis a Bertrando Spaventa, in “Giornale Critico della Filosofia italiana. Nella presentazione di questo nuovo, ennesimo impegno di ricostruzione del carteggio spaventiano, Maria Rascaglia indica come preciso intento la ricostruzione delle vicende biografiche di De Meis e Spaventa, in relazione al ventennio coperto dalle venti lettere inedite. Molti sono i temi trattati, dove autentico protagonista romane la figura di De Sanctis, oggetto di continue polemiche sia sul piano politico sia sul piano del suo mestiere di critico letterario. Si sottolinea anche la tormentata vicenda della pubblicazione dell’articolo di Spaventa Paolottismo, positivismo, naturalismo: nelle lettere De Meis giustifica le correzioni apportata prima della stampa per ammorbidire almeno in parte i toni e la satira pungente dello Spaventa. Viene posta in risalto dalla Rascaglia anche la lettera del 22 luglio 1869 in cui De Meis si difende dalla accusa dell’Imbriani di “non far deduzione”. Sullo sfondo rimane una sfiducia nella gestione politica dell’unità di Italia, soltanto a volte mitigata da un cauto ottimismo, come in occasione del governo Minghetti del °73. OLDRINI, Napoli e i suoi filosofi. Protagonisti, prospettive, problemi del pensiero dell’Ottocento, FrancoAngeli, Milano 1990. Il volume raccoglie una serie di interventi di Oldrini sulla cultura filosofia napoletana dell'Ottocento. Il ruolo di Spaventa appare con grande chiarezza nel VI capitolo, dedicato all’hegelismo italiano tra Napoli e Torino (saggio apparso in “Filosofia” ) e nel VII capitolo sull’hegelismo ‘critico’ del filosofo abruzzese. Il capitolo IX, sulle ragioni dello Stato etico, inedito, confronta le posizioni di Vera con quella dei fratelli Spaventa, mostrando la loro progressiva interpretazione dell’hegelismo da supporto alle teorie rivoluzionarie a sfondo teorico del concetto di Stato etico, inteso come ciò che dà direzione, unità e senso alla dimensione economico- sociale. V. VITIELLO, Bertrando Spaventa e il problema del cominciamento, Guida Editori, Napoli. Punto focale dell’interpretazione di Vitiello è il dualismo di essere e pensare che Spaventa eredita dalla tradizione filosofica. Acquisita la novità kantiana di una conoscenza che non è più fatto, bensì attività, Spaventa mostra come Hegel sia la sintesi tra il soggettivismo radicale di Fichte e l’oggettismo schellinghiano. Punto focale proposto da Vitello è l’indeducibilità del pensare dall’essere nella filosofia antica e l’indeducibilità del reale dal possibile nella filosofia moderna (p. 16): la filosofia hegeliana vuole dar ragione a Fichte senza smentire Schelling (p. 18); su questo punto l’interpretazione di Spaventa raggiunge un'intensità che verrà persa nei suoi eredi, persino in Gentile, che rimane chiuso nella logica fichtiana. Il circolo Fenomenologia-Logica deve essere intepretato alla luce della separazione del sapere dal suo contenuto come atto di volontà: il puro essere che ne risulta, come pura relazione a sé del pensare, dovrà mostrarsi capace di dedurre da sé l’intera ricchezza degli enti. Di fronte al pensare si erge dunque un Essere che è prima e fuori del pensare (p. 51). Qui si apre l'enigma della “genesi del No, dopo e nonostante il sì. CALABRÒ, La concezione etica dello Stato in Bertrando Spaventa, in Silvio Spaventa (S. RICCI a cura di), Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1991, pp. 263-274. Il breve intervento di Calabrò riassume innanzitutto il contributo kantiano alla filosofia del diritto, in particolare sul rapporto tra morale e diritto nella cornice dello Stato. Il problema di Hegel, invece, riguarda proprio la conciliazione tra diritto e Stato in ordine al tema della volontà libera del singolo individuo. Spaventa rientra in questa trattazione, come scolaro di Hegel, definito “tutt'altro che inerte”: le sue speculazioni acquistano uno spessore mai più raggiunto dalla tradizione liberale. Spaventa sostiene che l’equilibrio di ragione e storia si trova proprio nella prospettiva dello Stato nazionale, anzi, sostiene esplicitamente che la pluralità degli Stati in quanto espressione della naturalità dovrà essere risolta in una figura ulteriore che non sarà lo Stato degli Stati, bensì è l’umanità, già attiva e perfettamente concreta. Per Spaventa, ancor più esplicitamente che in Hegel lo Stato è delimitato sia dall'alto che dal basso; centrale, sia in Spaventa che nel suo maestro ideale rimane il problema del rapporto tra individuo e Stato. Se da un lato il filosofo di Stoccarda mostra la concretezza della libertà nella prospettiva etica universale, il pensatore abruzzese rimane ad un livello più schematico e astratto, benché egli stesso avverta l'esigenza di una conciliazione tra sovranità statale e libertà individuale. MORETTI, Savio Spaventa e Villari, in Silvio S. (S. RICCI a cura di), Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1991, pp. 303-386. L’intervento di Moretti individua le tappe salienti che hanno caratterizzato il rapporto intellettuale e politico tra Silvio Spaventa e Villari, di cui si hanno notizie dettagliate grazie al loro scambio epistolare. Uno dei momenti di maggiore tensione tra i due si verifica dopo la lettera al De Meis scritta da Bertrando Spaventa nel ’68, tensione che verrà acuita in seguito al progetto di far eleggere Bertrando nel collegio di Gesso Palena nel 1870. Le frizioni tra Silvio Spaventa e Pasquale Villari rientreranno già verso la fine del 1870, mentre il rapporto con Bertrando rimarrà in gran parte compromesso. Il testo prosegue sottolineando le differenti prospettive dei due autori sul problema meridionale, sul ruolo dell'educazione e sulla riforma universitaria. SERRA, S. interprete di Galluppi, Studi galluppiani. Atti del convegno galluppiano di Tropea, Brenner. Il kantismo del filosofo di Tropea viene individuato da Teresa Serra quale autentico punto di riferimento dell’interpretazione spaventiana: tenendo presente che Galluppi lavora fino al 1831 in totale isolamento dal mondo, ritirato nelle “nuvole filosofiche”, per approdare poi a Napoli nove anni prima dell’arrivo dei fratelli Spaventa, non è difficile supporre una lettura dei suoi testi da parte di Bertrando già prima dell’esillio torinese. La nota ammirazione per il Colecchi porterà ad uno scontro con il filosofo di Tropea, che pure aveva il merito di aver superato un certo provincialismo della filosofia italiana. Già nel 1850 i giudizi su Galluppi non appaiono lusinghieri: l'influenza hegeliana porta Spaventa ad una radicale svalutazione dovuta alla mancata comprensione di Kant ed alla inaccettabile prossimità con Locke. Tale prospettiva sarà sconfessata nel 1860, nella prolusione in cui si annunciano Galluppi, Rosmini e Gioberti quali autentici filosofi italiani, ma le radici di un tale ripensamento devono essere rintracciate proprio nella svolta hegeliana del ’56, che offrì la possibilità a Spaventa di recuperare in una luce innovativa l’intero percorso del pensiero europeo: Galluppi rientra così nella filosofia cristiana, benché i tre autori dell'Ottocento non possiedano l’originalità del loro precursore Vico, di cui rappresentano soltanto una maturazione. La riabilitazione della sensibilità di Galluppi implica un suo riavvicinamento alle posizioni kantiane: in questo consiste, secondo Teresa Serra, la novità dell’ottica spaventiana, che non fu comunque immune da polemiche. CAPUTO, Prospettive real-idealistiche per una nuova metafisica, Morano, Napoli. Il testo, suddiviso in sei capitoli e una conclusione, si apre con il problema di rivalutare l’umanesimo, superando il dualismo tra scienza e filosofia, non però in senso fenomenologico, come è stato suggerito da più parti nel corso del Novecento, o mediante teorie crociane, bensì alla ricerca di un umanesimo integrale che riabiliti Vico e Hegel. Il secondo e terzo capitolo propongono una critica serrata delle principali esegesi spaventiane: dal giudizio di Garin, all’'errata comprensione del rapporto tra politica e teoresi proposta da Vacca; non viene apprezzata né l’interpretazione dualistica di Spaventa offerta da Teresa Serra, né quella di Vito Bellezza, dipendente dalla visione gentiliana. Anche il volume di Cubeddu del ’64 viene svalutato. Sui risultati dell’indagine storiografica su Spaventa si citano i lavori di Savorelli sulle riserve antignoseologiche del filosofo abruzzese; le edizioni di alcune opere curate da D’Orsi per mostrare il legame con il pensiero di Lotze, i mutamenti di prospettiva di Cubeddu. Superate, nel quarto capitolo, le interpretazioni sul teologismo di Spaventa proposte da Croce e sul misticismo legate all’opera di De Ruggiero, il capitolo quinto mostra come unica possibilità di intendere il pensiero di Spaventa il real-idelismo di Felice Alderisio, che rivaluta l’unità di realismo e idealismo soprattutto nell’ultima fase del suo pensiero, segnata dal confronto con Kant. L’attualismo gentiliano, le tesi di Guzzo, Carabellese e Calogero sono considerate deviazioni rispetto alla strada tracciata da 2686 Spaventa. L’esame delle teorie di Berti sull’assoluto di Spaventa ed i vari tentativi di interpretazione marxista da parte di Togliatti e Plebe si rivelano insufficienti secondo Caputo, almeno tanto quanto le proposte di analisi dell’hegelismo proposte da Kojève e Vitiello. La polemica contro  l’indirizzo epistemologico di Barone, il convenzionalismo di Geymonat, l’irrazionalismo di Abbagnano e l’antiidealismo proposto da Filiasi-Carcano è affrontata nell'ultimo capitolo. La conclusione propone un superamento di attualismo, marxismo e positivismo facendo riferimento ai testi cardine del pensiero di Spaventa quali Logica e metafisica da un lato ed Esperienza e metafisica dall’altro. LANDOLFI PETRONE, Un inedito di S. sul Concetto di Filosofia, Studi filosofici. La breve presentazione dello scritto Sopra Kant (Carte Spaventa 1.1.16) di Petrone si concentra sulla novità assoluta della trattazione spaventiana di Kant nel 1851-52, sottolineando che la linea Kant-Hegel rafforza l’idea dell'impronta tedesca della filosofia europea. La tematizzazione di Kant avviene circa tredici anni dopo la prima lettura della Critica della ragion pura, primo testo filosofico cui l’autore si avvicinò nel 1838-39. Spaventa rileva come la dialettica sia già in Kant il tratto centrale della riflessione come insieme di identità e non identità. Petrone sottolinea anche il rilievo dato da Spaventa alla distinzione kantiana tra filosofia e senso comune. Alla recensione segue poi il saggio spaventiano. BERTOLETTI, Dialettica del cominciamento. Un 2687 saggio di Vincenzo Vitiello su S., in “Humanitas, Il commento di Vitiello si concentra sul problema del Primo, diversamente interpretato a seconda che ci si trovi in Fenomenologia o in Logica. Al di là delle singole polemiche con Trendelenburg, nelle quali tuttavia Spaventa dimostra grande padronanza della materia logico-metafisica, l’intervento di Vitiello risulta interessante perché proietta il pensiero di Spaventa oltre lo stesso Hegel, verso un Essere che è prima e fuori dal pensiero. Lungi dall'essere la rivisitazione di un presupposto realistico, Vitiello interpreta questa posizione collegandola alla presenza di un limite del pensiero che è volontà. Esaltata la fecondità del ripensamento di S. offerto da Vitiello, Bertoletti considera le prospettive ermeneutiche che si aprono a partire da questa lettura, prospettando in Spaventa un anticipatore di Wittgenstein e Adorno. F. M. DE SANCTIS, Lorenz von Stein e il giovane Spaventa, in Dall’assolutismo alla democrazia, Giappichelli editore. Il settimo capitolo del testo di De Sanctis mostra l’interesse di Spaventa per il testo di von Stein I/ socialismo e il comunismo in Francia: la petizione per la traduzione del testo in italiano fu sostenuta dall’abruzzese in un articolo apparso sul “Nazionale” di Firenze. Si avanza l'ipotesi che i nuclei teorici dello Stein siano lo sfondo concettuale di molti articoli apparsi sul “Progresso”. E. GARIN, Tra due secoli. Socialismo e Filosofia în Italia dopo l’unità, De Donato, Bari, 1993. 2688 Non molti nomi sono citati quanto quello di Bertrando Spaventa, a dimostrazione dell'importanza e della rilevanza dell'autore nel contesto italiano dopo l’unità. Soprattutto nella prima parte, dedicata agli hegeliani dell’Ottocento, Spaventa occupa un luogo centrale, anche per l’influenza esercitata sul pensiero di Labriola. OLDRINI, La “Rinascita dell’Idealismo” e il suo Retroterra Napoletano, in “Giornale Critico della filosofia italiana. Oldrini comincia con il rilevare che il destino comune dei due grandi leader della tradizione classica napoletana, De Sanctis e Spaventa, fu quello di non avere una scuola in grado di continuare e diffondere i loro insegnamenti. La rinascita dei due autori è dovuta, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, all'operato, rispettivamente di Croce e Gentile. Di contro all’atrofia culturale che imperava in quegli anni a Napoli, questi ultimi rivendicano un ruolo decisivo all’idealismo storico, nonostante le differenze, anche radicali, sui singoli temi: in questa ottica sono interpretati da Oldrini anche gli attacchi ai letterati ed eruditi dell’epoca. L’involuzione della cultura napoletana è intesa come conseguenza del parassitismo della classe borghese e della boria accademica, cui l’idea di un idealismo storicistico promossa da Gentile e Croce impresse certamente una svolta. TUOZZOLO, Schelling e il “cominciamento” begeliano, Città del sole, Napoli 1995. Significativo è il fatto che i titoli di ben due capitoli su tre 2689 nel libro recano il nome di Spaventa. Il punto di partenza è la valutazione della critica schellinghiana al pensiero hegeliano: da qui si mostra il profondo legame Werder- Fischer-Spaventa, in quanto linea di pensiero che recupera le critiche di Schelling. La tendenza di autori come Spaventa consiste nell’identificare il primo della logica con il Dio di Schelling: non vuoto e astratto cominciamento, bensì atto di volontà pura. Si evidenzia anche  l’interpretazione spaventiana del passaggio dallo Spirito Assoluto presente al termine della Ferorzenologia e l’Essere astratto da cui comincia la Scienza della Logica: l’inizio della logica non è il depotenziamento del risultato della Fezorzerologia, bensì l’essere già ricco di differenze, dalle quali si può effettuare l’astrazione. Il problema concettuale ravvisato da Tuozzolo in Spaventa è l'impossibilità di conciliare la dottrina creazionista di Schelling con l’incrollabile caposaldo hegeliano della identità tra logica e metafisica. Per questo l'operazione di molti studiosi di Hegel, tra cui anche Spaventa, sarà quella di tentare una conciliazione ed integrazione del pensiero di Hegel mediante le ultime speculazioni di Schelling. RASCAGLIA, Introduzione a Epistolario, Istituto poligrafico dello Stato, Roma 1995. La premessa di Oldrini è seguita da un intervento di Maria Rascaglia che include un apparato bibliografico relativo alle fonti e alle prime edizioni dei carteggi. Rivendicare l’importanza del patrimonio epistolare come punto di osservazione privilegiato per comprendere la vita e l'evoluzione intellettuale dell'autore assume senso soprattutto nel caso di Bertrando Spaventa, a causa della dispersione editoriale subita dagli scritti. Se nei carteggi, in cui il fratello Silvio rimane sempre un interlocutore privilegiato, si può recuperare lo stile arguto e la vis polemica del filosofo, si deve aggiungere che emergono anche una serie di nuovi progetti editoriali, mai portati a termine, oltre alla ben nota traduzione dell’opera dello Stein. Nelle lettere rivolte al fratello soprattutto è possibile specificare meglio lo stato d’animo di Spaventa nel decennio piemontese e soprattutto le preoccupazioni dovute alle ristrettezze economiche. Maria Rascaglia rivendica l’importanza di uno studio attento dell’epistolario anche per comprendere il legame tra Spaventa e Fiorentino ad esempio, sviluppato su due livelli: al rapporto maestro- allievo ormai conosciuto, si aggiungono anche dettagli importanti sulla collaborazione in campo pubblicistico. Oltre agli attacchi e all’ironia nei confronti della “colonia romana” composta da Berti, Mamiani e Ferri, emergono anche le considerazioni sulla situazione politica e amministrativa in cui Spaventa fu coinvolto, prima come membro della Commissione di indagine del consiglio superiore della Pubblica istruzione, poi come deputato dal "70 fino alla caduta della Destra storica. In realtà molte sono le occasioni nelle quali si possono rilevare atteggiamenti di sconforto e di sfiducia nell’attività politica, rispetto alla quale il fratello Silvio diventa simbolo di una battaglia anche morale. Sulla dispersione dell’epistolario hanno influito certamente la morte prematura dello Spaventa e i diversi orientamenti assunti dai principali allievi della scuola. SICILIANI DE CUMIS, Il “tecnico” e l’ “educativo” da Spaventa a Labriola, in “Scuola e città”. De Cumis affronta da subito la vexata quaestio dei molti e diversi Spaventa proprio al fine di valutare i nessi tra Spaventa e Labriola in rapporto alla “politica immanente”. Evidenziare le conseguenze della lezione spaventiana, proprio a partire da Labriola, di cui si riporta uno stralcio della famosa lettera del ’94 indirizzata a Engels, è essenziale per mostrare la relazione tra i due. La prospettiva tecnica e meccanica in Spaventa si spiega soprattutto in rapporto alla dimensione etico-sociale, che sarà decisiva anche per la dimensione educativa del pensiero di Labriola. In realtà entrambi concordano sul carattere antipositivistico dell'educazione e sulla necessità dell'incrocio di politica e scienza. Pur sottolineando la diversità di esiti cui sarà condotto il Labriola marxista, a motivo del materialismo, della mutata concezione della storia e delle differenti concezioni metodologiche ed epistemologiche, De Cumis nota una certa affinità tra le tesi di Labriola del ’96 e quelle di Spaventa del ‘51. Certamente non si possono dimenticare le influenze del liberalismo sullo Spaventa giovane giornalista de “Il Progresso”, rispetto al diverso orientamento assunto da Labriola, per cui non si può liquidare quest’ultimo semplicemente come “allievo”. Non solo Spaventa già aspira a quella universalità delle intelligenze quale compito essenziale della filosofia politica, ma sul piano etico-politico-pedagogico le sue affermazioni risultano addirittura più ardite di quelle di Labriola: De Cumis precisa che anche Spaventa analizza la dialettica servo-signore in chiave rivoluzionaria, rintracciando in questa dinamica una lotta contro l’egoismo naturale, mentre Labriola si schiera già nell’ottica di una maggiore passività nei confronti della storia, il cui ritmo è già scandito da leggi universali ben individuate. LOSURDO, Da fratelli Spaventa a Gramsci: per una storia politico sociale della fortuna di Hegel in Italia, Città del sole, Napoli. Il testo si compone di sei capitoli nei quali si analizza l’influenze della filosofia hegeliana sul pensiero politico europeo ed in particolare su quello italiano, avendo sempre come riferimento la figura dei fratelli Spaventa. Il primo capitolo si concentra sul declino della filosofia hegeliana e sul suo totale fallimento registrato nel ‘48. Se è vero che Hegel aveva trasmesso al mondo l’assoluta mondanità e politicità dell’uomo, le vicende di Napoli saranno decisive per confutare l’interpretazione di Hegel come filosofo dello status quo. Il fallimento del °48 portò ad un abbandono della politica e ad un ritorno tra le braccia della natura, dal quale poi sarebbe scaturito il positivismo. Il secondo capitolo è dedicato al rapporto tra rivoluzione e nazione, di cui si seguono parallelamente il filone tedesco, con Strauss e Vischer, quello francese di Thiers e Guizot, ed infine quello italiano, proprio tramite i fratelli Spaventa, che mai accetteranno l’idea di una scienza positiva, ma rintracceranno nella storia l’autentico fare positivo dell’uomo, strettamente connesso alla sua nazionalità. Risultato di un tale “nazionalismo” è la teoria della circolazione del pensiero, che da un lato assume lo sfondo di filosofia della storia proposto da Hegel, dall’altro anticipa i germi del moderno, rintracciandoli nel Rinascimento italiano, più che nella Riforma,nonostante le resistenze di neoguelfi e mazziniani. Il terzo capitolo mostra il recupero europeo in chiave politica della tradizione inglese in contrapposizione allo stato etico hegeliano dopo le rivoluzioni del 48, cui si contrappone in Italia un’esperienza liberale che invece ha in Hegel, più o meno consapevolmente, il proprio teorico. Comincia in queste pagine il lavoro di Losurdo teso a smantellare la linea Hegel- Spaventa-Gentile a favore della linea Spaventa-Labriola- Gramsci. Nel quarto capitolo si riassumono i motivi principali dell'opposizione della Chiesa alle tesi hegeliane, contro cui Spaventa dovrà lottare scrivendo numerosi articoli. Soprattutto nelle tesi di Rosmini è rintracciata una teoria che, svalutando lo Stato in favore del ruolo della Chiesa, ripropone le tesi liberiste dello Stato minimo, fieramente osteggiato dai fratelli Spaventa. Il quinto capitolo si concentra sull’adesione di Gentile al fascismo intesa come progressiva separazione proprio dalle idee di Bertrando Spaventa, soprattutto rispetto all’idea del valore assoluto del singolo. Il sesto capitolo contesta alcuni stereotipi secondo cui il pensiero tedesco rappresenta una china che da Lutero giunge ad Hitler, mostrando come, più che Gentile, Gramsci ed il suo “comunismo critico” accolgano l'eredità spaventiana. A. SAVORELLI, Bertrando Spaventa e la via stretta tra Bruno e Hegel, in “Giornale critico della filosofia italiana. Il confronto Bruno-Spinoza era un luogo privilegiato del dibattito filosofico dell'Ottocento. Spaventa può associare i due sulla scorta della lezione hegeliana, evidenziandone anche i rispettivi limiti, come ad esempio l'eccessivo formalismo e l’assenza del ruolo del soggetto come fonte di movimento della realtà. Anche Fischer influenzò le tesi di Spaventa che, contro Hegel, vide in Spinoza il filosofo della differenza: Savorelli suggerisce di legare questa differente interpretazione alla riforma della dialettica hegeliana, benché rimanga alta la considerazione di Spinoza come superamento del presupposto neoplatonico e naturalista. L’idealismo, rafforzato da questi confronti tra Bruno e Spinoza, permette di affrontare con risultati migliori il positivismo che si diffondeva in quegli anni. Anche Sigwart esprime opinioni simili a quelle di Spaventa sul rapporto Bruno-Spinoza, benché il dibattito che in quegli anni animava la Germania non avrebbe poi trovato altrettanta fortuna in Italia, che pure avrebbe dovuto prestare verso tali autori un’attenzione anche maggiore di quella tedesca. L. MALUSA, I filosofi e la genesi della coscienza culturale della Nuova Italia. Stato delle ricerche e prospettive dell’interpretazione, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 1997. Benché la figura di Spaventa sia presente in molti dei saggi di cui il libro è costituito, sono essenzialmente due gli interventi dedicati esplicitamente al pensatore abruzzese. Innanzitutto il testo di Oldrini Bertrando Spaventa e l'Europa (pp. 201-212), che anticipa il saggio dal titolo L’idealismo italiano tra Napoli e l’Europa. Al testo si deve aggiungere una breve postilla di Enrico Rambaldi. L'altro saggio di Nicola Siciliani De Cumis riprende l'articolo apparso nel 1996 I/ “tecnico” e | “educativo” da Spaventa a Labriola. M. FERRARI, I/ primo volume dell’epistolario di Bertrando Spaventa, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 1998, 78 (3), pp. 451-457. Oltre a sottolineare l’indubbio merito di aver raccolto 181 lettere, Ferrari si riferisce soprattutto alla lettera indirizzata al Villari, in cui Spaventa ribadisce l’importanza dello studio del pensiero tedesco. Ferrari sottolinea quale sia il vantaggio che l’epistolario può offrire per ricostruire la vita dell’autore, soprattutto nel caso di una vita particolarmente travagliata e sconosciuta come quella di Bertrando Spaventa. Il corpus dell’epistolario sembrerebbe confermare l’ipotesi dei “molti Spaventa”. G. OLDRINI, L’idealismo italiano tra Napoli e Europa, Guerini, Milano 1998. La figura di Spaventa è presente in quasi tutti i capitoli del libro: si ricorda l'amicizia con De Meis, il rapporto col fratello Silvio, il confronto con il positivismo (suo e del suo allievo Angiulli), l’ultimo capitolo ripropone l’articolo del °94 La “rinascita dell’idealismo” e il suo retroterra napoletano, apparso sul “Giornale critico di filosofia italiana”. In particolare il capitolo quinto è dedicato alla figura di Bertrando Spaventa, nel suo rapporto con l’idea di Europa. Oldrini introduce alcune premesse per analizzare la figura del filosofo abruzzese: innanzitutto l’arretratezza politica e sociale nella quale fiorisce l’hegelismo napoletano; la sfasatura cronologica e il ritardo storico nell’assimilazione dell’idealismo; la necessità di superare il ritardo culturale dell’Italia; l'esigenza di applicare le categorie di Hegel al Risorgimento italiano; la lotta contro il provincialismo ed il materialismo; il confronto polemico con il positivismo. Oldrini critica molte delle interpretazioni del pensiero spaventiano proposte da Gianni Micheli, Asor Rosa, Franchini, Marchi e Vitiello. L'intervento di Oldrini si conclude con l’idea che l’indagine storiografica su Spaventa si trovi in un periodo di stallo e si auspica un rilancio degli studi. M. RASCAGLIA, Bruno  nell’epistolario e nei manoscritti di Bertrando Spaventa, in Brunus redivivus: momenti della fortuna di Giordano Bruno nel XIX secolo, E. CANONE (a cura di), Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa Roma 1998. Maria Rascaglia rintraccia negli Studi sopra la filosofia di Hegel il primo nucleo embrionale della ben nota tesi della circolazione del pensiero italiani, progetto confermato in una lettera a Villari del ‘51: in quelle occasioni Bruno è presente come autore di riferimento ed eroe della libertà del pensiero italiano nella fase rinascimentale. L’idea di uno studio approfondito della figura del Nolano è confermata dalla lettura di Bartholméss e Ritter, benché l’interpretazione hegeliana sarebbe rimasta dominante. Rascaglia analizza in maniera approfondità la relazione tra Spaventa e Mamiani, che comincerà a deteriorarsi proprio a causa dei dissensi sul panteismo, finché Mamiani divenne uno dei bersagli preferiti di Spaventa nelle sue polemiche. Rascaglia mostra come la lettura stessa degli scritti di Bruno segua un preciso ordine logico: il confronto tra Bruno e Spinoza obbliga Spaventa ad anticipare la lettura di De /a causa, principio et uno e di De l'infinito, universo e mondi rispetto al De rzirim0, De mondo e De immenso; tutte queste indicazioni sono essenziali se si tiene conto che l'intento di Spaventa era proprio quello di ricostruire in maniera sistematica il pensiero bruniano. Al progressivo interesse di Villari corrisponde l’indifferenza di Mariani. Dopo aver citato il famoso tentennamento di Spaventa ed il rifiuto di Le Monnier di pubblicare i tre studi su Bruno, Rascaglia precisa che il primo studio sarà pubblicato a Napoli nel 1866, il secondo su “Il Cimento” nel 1856 e l’ultimo sarebbe rimasto inedito. Se nel primo quinquennio dell’esilio torinese la figura di Bruno sarà oggetto di attenzioni sempre maggiori, negli ultimi anni il confronto con Gioberti, la parentesi fenomenologica del ’58 e la riscoperta di Kant e Vico allontaneranno Spaventa dal filosofo di Nola, salvo una sua riscoperta nei primi anni ’60. All’intervento di Rascaglia seguono circa sessanta pagine di analisi dei contributi allo studio di Bruno presenti nei manoscritti di Spaventa, di cui si riportano interi brani. CHIMIRRI, cur. La filosofia morale italiana tra neohegelismo, attualismo e spiritualismo, Mimesis, Milano. Nella presentazione di Chimirri si fa riferimento all’attualità dell’idealismo senza dimenticare la pluralità di prospettive da cui l’idealismo può essere inteso e sviluppato; dopo aver tematizzato i motivi di frizione tra l’idealismo e la scolastica, si mostra quale sia il ruolo dell’etica nel pensiero dell’idealismo, per concludere con alcune riflessioni critiche. Si riporta, proprio per esemplificare il rapporto tra etica ed idealismo, un brano dai Principi di Etica. TUOZZOLO, Dialettica e norma razionale, Giuffrè, Milano. Rispetto alle diverse polemiche sul presunto monismo spaventiano, anticipatore in qualche modo delle tesi gentiliane sulla dialettica hegeliana, Tuozzolo vuole ribadire insieme il carattere di un “pensiero incapace di sfiducia in se stesso”, ma insieme la capacità di Spaventa di non compiere mai il passo, di mantenersi nel guado, approfondendo il nucleo problematico, consapevole che ogni soluzione torna ad essere problema. Si presenta un’analisi dei principali scritti di logica di Spaventa, il saggio su Le prize categorie della logica di Hegel e Logica e Metafisica, per mostrare come progressivamente negli anni ‘70 torni la meditazione sulla scienza e sul ruolo di Kant. La logica e la fenomenologia dell’ultimo Spaventa seguono la linea di interpretazione di Alderisio, secondo cui, se è vero che Spaventa eliminò progressivamente le differenze tra Denken e Nachdenken, non giunse mai alla pura identificazione dei due, come accadde in Gentile. L’ultimo capitolo è dedicato alla presenza di un ineffabile come dimensione precedente al sistema della scienza. A SAVORELLI e M. RASCAGLIA, Introduzione, in S., Lettera sulla dottrina di Bruno. Scritti inediti 1853-1854, Bibliopolis, Napoli 2000. La costruzione dell'immagine di Hegel come profeta del nuovo immanentismo è il risultato di un lungo lavoro da parte di Spaventa. L'intenzione di trattare la personalità di Bruno affiora già in una lettera al Villari del 1851, ma verrà iniziato concretamente soltanto nel 1853, grazie alla disponibilità da parte dell’editore Le Monnier di pubblicare un’opera in tre tomi, di cui due dedicati ai testi del Nolano ed uno all’interpretazione spaventiana del filosofo di Bruno. Quello che sarebbe stato il primo studio italiano su Bruno e uno dei primi a livello europeo verrà poi rifiutato dall'editore, e rimarrà sostanzialmente sconosciuto persino alla filologia spinoziana tedesca, da sempre molto sensibile ai precorrimenti bruniani. Le fonti principali di Spaventa furono il manuale del Ritter e il testo Jordazo Bruno di Bartholmèss, ma certamente dominante è la prospettiva hegeliana: obiettivi prioritari di Spaventa furono la ricostruzione del pensiero di Bruno in chiave sistematica e anticipatrice della dialettica di Hegel. In contrapposizione alla storiografia dominante che presentava Bruno come un autore oscuro, Spaventa ne sottolinea i tratti di eroe e martire, marcando le differenze rispetto alla figura di Nicola Cusano. Indugiando sul rapporto Bruno-Spinoza, un classico filosofico dell’Ottocento, se ne rileva l’affinità, di contro all’interpretazione corrente sostenuta da Hegel e Cousin. Gli studi su Bruno si inseriranno poi nella teoria della circolazione, in cui saranno tenute insieme da un lato la continuità del pensiero italiano con quello europeo, dall'altro la valorizzazione della filosofia italiana del XIX secolo, due linee che nell’introduzione, sono definite non sempre convergenti. Da segnalare, infine, è l'evoluzione nel giudizio sulla figura di Bruno: gli studi sulla Ferorzenologia ed il recupero di Kant non consentiranno più di vedere nel filosofo di Nola una anticipazione, ma soltanto la preistoria della dialettica, analisi sulla quale si verifica una significativa convergenza con la filologia tedesca ed in particolare con Sigwart. Alla presentazione seguono la Lettera sulla dottrina di Bruno e Della coincidenza degli opposti entrambi presenti nella Biblioteca Nazionale di Napoli. L. GENTILE, Coscienza nazionale e pensiero europeo in S., Edizioni Noubs, Chieti. Il libro si articola in cinque capitoli, il primo dei quali mostra come filosofia e cultura non siano mai disgiunte nel pensiero di Spaventa: la rigorosa riflessione di carattere metafisico sul reale non è mai astratta dai concreti problemi storici e dalla situazione politica. L'analisi del rapporto tra oggettività storica e soggettività filosofica occupa l’intero secondo capitolo, nel quale si tematizza uno dei problemi maggiori dello Spaventa, ossia l'armonizzazione tra genio italiano e modernità europea. Il tentativo di rivalutare la tradizione rinascimentale italiana come anticipatrice degli sviluppi europei fino all’idealismo tedesco non poteva che sviluppare un’avversione nei confronti della scolastica. A proposito della volontà di aggiornare il dibattito filosofico italiano, nel terzo capitolo si mostra l’itinerario spaventiano, dagli studi sulla fenomenologia dello Spirito ai rapporti con Gans e Michelet, per arrivare a Darwin ed Herbart. Nel capitolo successivo si prendono in esame soprattutto le influenze di Werder e Fischer sul pensiero spaventiano, al fine di contribuire alla vexata quaestio sulla riforma della dialettica hegeliana. A conclusione si evidenzia l’attenzione che l’autore nutriva per le nuove correnti come il positivismo, lo scientismo, l’evoluzionismo, nello sforzo di reintrodurre un principio teleologico dopo il definitivo abbandono di qualsiasi fattore soprasensibile, carattere che accomuna tanto la scienza dell’apoca, quanto l’hegelismo. D. D'ORSI, Introduzione a B. SPAVENTA, Sulle Psicopatie in generale. Con appunti e frammenti inediti, Cedam, Padova 2001. L'introduzione avvia una disamina del nuovo materiale ritrovato da D’Orsi, relativamente ai cinque nuovi foglietti recuperati, alle voci dell’Erciclopedia Popolare italiana ed altri contributi. Vi è anche spazio per una polemica con Tessitore a proposito della misteriosa figura di Basilio Scalzi, che secondo D’Orsi altro non era che uno pseudonimo di S., mentre per Tessitore si trattava di un epigono della scuola di Spaventa. D’Orsi si occupa anche di stabilire un possibile nesso tra gli studi di Bertrando sulle Psicopatologie e la Psicopatologia generale di Jaspers, dal momento che entrambi si concentrano sul problema dell'unità psichica come autentico problema di carattere filosofico. Il testo include la riproduzione dei cinque foglietti stampati, le voci curate da Spaventa per l’Enciclopedia, alcuni appunti autografi e la riproduzione dei 4 articoli sulla Gita a Montecassino. G. ORIGO, Crisi e trasformazione della metafisica nel maturo Spaventa, Edizioni FERV, Roma. Tema centrale del libro è il testo postumo Esperienza e Metafisica (1888), nel quale Spaventa tenta non solo di arginare la nuova ondata di scientismo che attraversava il suo tempo sotto il nome di positivismo ed evoluzionismo, ma anche di confrontare queste due nuove linee di pensiero con la dialettica e la riflessione speculativa. Origo sottolinea che il tentativo di Spaventa non è arroccarsi nella fortezza della metafisica, quanto piuttosto evidenziare l’ingenuità dei presupposti filosofici. da cui queste nuove correnti dipendono. L’intrascendibilità del pensiero, quella stessa che Spaventa ribattezzerà ‘metafisica della mente” costituisce il patrimonio filosofico di cui l’autore abruzzese non è in alcun modo disposto a privarsi. RIZZO, S. Le lezioni sulla storia della filosofia italiana nell’anno accademico 1861-1862, Siciliano, Messina. Rizzo analizza la dipendenza dell’interpretazione del pensiero di S. dalle figure di Gentile e Croce, autori delle principali pubblicazioni con le quali l’autore abruzzese venne letteralmente riscoperto tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento. Pur prendendo in considerazione le critiche relative alla mancanza di valore storico della teoria della circolazione, troppo legata ad un accanimento speculativo, Francesca Rizzo rivendica la possibilità di sviluppare un europeismo più maturo proprio a partire dalla inattualità del pensiero di Spaventa, ingiustamente accusato di provincialismo e di eccessiva dipendenza dal sistema hegeliano. Il capitolo secondo si apre con una contestualizzazione del clima culturale nel quale spaventa tenne la sua prima lezione presso l’Università di Napoli: la trasformazione di ogni nazione in una stazione del progresso dello spirito, il cui agere non abita nessun luogo non comportano il rischio della fantasia al potere, ma si presentano come l’unico modo per evitare di costruire la storia della filosofia quasi fosse un inventario. Il capitolo terzo rifiuta l'accusa di deduttivismo storico e ripercorre le prime lezioni del corso nel quale viene stigmatizzata la dogmaticità del pensiero italiano, capace di soffocare i grandi del Rinascimento. Il capitolo quarto ripercorre le lezioni su Campanella, Bruno e Vico. Molto saggiamente il nome di Galileo è posto tra parentesi, dal momento che Spaventa ne tratterà soltanto in Esperienza e metafisica. Il capitolo quinto è dedicato all’ultima filosofia italiana, in particolare le lezioni su Galluppi, Rosmini e Gioberti, fortemente svalutati rispetto alla genialità delle intuizioni dell’idealismo. Essenziale novità per Spaventa rimane il problema della conoscenza, tema principe della filosofia da Kant in poi. Il testo prosegue con l’analisi delle interpretazioni del pensiero di Vico proposte da Francesco Fiorentino e Giovanni Gentile e si conclude riportando il testo della prima lezione del corso tenuto da  S. PORTA, Recensione a G. ORIGO, Crisi e trasformazione della metafisica nel maturo Spaventa, Edizioni FERV, Roma, in “Rinascita della scuola. La recensione tende a sottolineare il rapporto tra criticismo kantiano e neoidealismo italiano. G. GENTILE, Bertrando Spaventa, V. A. BELLEZZA (a cura di), Le lettere, Firenze. Il volume riporta quasi tutti i testi prodotti da Gentile come commenti alle opere di Spaventa in occasione delle varie pubblicazioni. La prima parte raccoglie tre complessi studi sulla figura del filosofo abruzzese: il primo coincide con la biografia inserita anche nella edizione delle Opere del ’72, il secondo riguarda la riforma dell’hegelismo, il terzo è un bilancio a cinquant'anni dalla morte del filosofo. La seconda parte riprende le prefazioni e le note di Gentile a diversi scritti spaventiani, per la maggior parte inseriti già nelle Opere del ‘72. Al termine è inserita una Appendice che raccoglie altri interventi di Gentile. Una breve nota di Vito Bellezza conclude il testo. E. COLOMBO, Introduzione a B. SPAVENTA, Studi sopra la filosofia di Hegel. Prime categorie della logica di Hegel, CUSL, 2001. Il saggio mostra i motivi di scontro con le obiezioni di Trendelenburg che tendevano a mettere in discussione la concretezza del sistema hegeliano. Anche con l’aiuto della logica di Fischer, Spaventa vuole ribadire il nucleo centrale della sua visione ossia che la logica è metafisica. L’autore sottolinea anche il ruolo essenziale che nel pensiero di Spaventa svolge la Fenomenologia quale “ancilla scientiae alla soglia del tempio”. A. SAVORELLI, Gentile editore e interprete di Spaventa. L'ultimo volume delle “Opere”, in “Giornale Critico della filosofia italiana. Savorelli attribuisce la riscoperta di S. a merito esclusivo del Gentile, il quale costrinse gli italiani a cibarsene. La mancanza di una scuola capace di sostenere e diffondere l'insegnamento di Spaventa contribuì ad un inesorabile declino: la polemica tra Gentile e Croce contribuì quantomeno a risollevare le sorti del filosofo abruzzese. È stato Gentile a interpretare in chiave squisitamente filosofica la teoria della circolazione del pensiero, benché la riforma avviata dallo Spaventa sia stata interpretata come inizio dell’attualismo più che come crisi dell’hegelismo. Savorelli aggiunge una appendice sul libro di Francesca Rizzo in cui spaventa è presentato come un classico della cultura italiana dell’unità assieme a De Sanctis, Labriola e Villari. P. DE LUCIA, Donato Jaja e il significato teoretico e storico della filosofia rosminiana, in “Filosofia oggi. Il saggio propone una disamina del rapporto tra lo spiritualismo rosminiani e l’attualismo gentiliano, anche con l'intento di valutare la consistenza della tesi sul presunto carattere cattolico del suo idealismo sottolineata già da Noce e Carabellese. Punto focale della ricerca è mostrare la dipendenza degli studi jajani dall’interpretazione spaventiana secondo la quale Rosmini sarebbe il Kant italiano. Elemento centrale che accomuna i due pensatori è la cosiddetta mentalizzazione del fondamento. S. riconobbe a Kant il merito di aver risolto il problema della conoscenza in base ad un principio superiore (l’unità sintetica originaria cui equivale il rosminiano sentimento fondamentale). Spaventa denuncia poi l’imperfezione dualistica che caratterizza tanto Kant quanto Rosmini, Jaja riprende nei suoi studi la critica spaventiana al Rosmini, il quale non colse il superamento kantiano della concezione della estraneità dello spirito rispetto alla realtà esterna. Bullia criticherà Jaja per non aver tenuto conto, all’interno di questa sua valutazione, della dottrina della creazione che svolge un ruolo essenziale nella teosofia rosminiana. Rimane dunque la possibilità di istituire un parallelo tra i due sulla base del fatto che per entrambi pensare equivale a giudicare, ma senza dimenticare le differenze nel rapporto con la realtà esterna: il giudizio di Jaja e gi sviluppi gentiliani hanno salde radici, dunque, nella lettura spaventiana. A. SAVORELLI, Introduzione a S., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Storia e letteratura, Roma. Savorelli ricorda che il testo non solo è il più discusso ed il più innovatore degli scritti di S., ma è anche l’unico che l’autore abbia condotto a termine, date le disavventure editoriali di opere quali Logica e Metafisica e la dispersione dei suoi saggi filosofici. La scelta di Gentile di modificare il titolo originario nell’attuale tende a sottolineare che l’interpretazione storica fornita da Spaventa è innanzitutto una operazione filosofica, anzi, forse l’unica autentica storia della filosofia italiana. Savorelli tenta di ricostruire le fonti cui Spaventa si è ispirato, dai testi di Cattaneo alle tesi di Gatti e Cusani, dovendo però riconoscere che l'apporto di Spaventa in termini di chiarezza e originalità è stato determinante, soprattutto grazie alla conoscenza profonda dei testi hegeliani che i suoi contemporanei non possedevano. Savorelli concentra la propria attenzione su alcuni aspetti decisivi del contributo spaventiano come la capacità di agganciare la filosofia italiana al pensiero europeo e di contrastare le tendenze neoguelfe. Dopo aver messo in luce che l’eroe della Rinascenza italiana è senz'altro Bruno, Savorelli chiarisce che l'elaborazione di una nuova prospettiva storica mediante la quale comprendere il Rinascimento non segue un percorso lineare, ma subisce una drastica rivoluzione dovuta all’approfondimento del pensiero hegeliano. A motivo della sua sincera ammirazione per l’idealismo tedesco S., benché rivaluti la filosofia italiana dell'Ottocento a integrazione della sua teoria della circolazione, non smetterà mai di evidenziarne le lacune. Savorelli conclude mostrando come Gentile abbia manifestato un chiaro dissenso su diversi punti rispetto alle tesi spaventiane, in alcuni casi fino a tradire le intenzioni del filosofo abruzzese: vero merito di S. rimane in ogni caso quello di aver fornito all’Italia una chiave di lettura della modernità, o meglio una alternativa al neoguelfismo da un lato e all’empirismo dall’altro. VITIELLO, Hegel in Italia. Dalla storia alla logica. Guerini, Milano.Vitiello individua l’hegelismo di fondo di Spaventa nell’attenzione dedicata al problema della relazione. Hegel si pone, nel pensiero del filosofo abruzzese quale risposta ad una domanda: come dare ragione a Fiche senza smentire Schelling? Tale la questione filosofica che coinvolge in realtà l’intero pensiero moderno. La risposta si trova nella reciproca fondazione di Fenomenologia e Logica (benché in realtà profonda sia la differenza tra il “primo” dell’una e dell’altra), fondazione rimasta incompresa tanto da Gentile quanto da Croce. Servendosi anche dei contributi di Fischer e Werder in quanto oppositori di Trendelenburg, Vitiello mostra quale sia lo sfondo storico di quella identità tra pensiero e realtà che si trova oltre la relazione medesima. Alla base della Logica si trova la volontà. L'analisi della contraddizione intrinseca all'essere conduce alla consapevolezza che l’Essere dell'inizio della logica non è interamente riconducibile al pensiero. Qui si avverte l’intima prossimità di S. a quel Prius di Schelling che non è pensiero, bensì volontà. Al fondo rimane l’enigma della vita, senza ragione. ORIGO, S.. Interprete della circolazione filosofica italiana, Edizioni FERV, Roma Obiettivo dichiarato di S. e quello di creare un autentico spirito nazionale rifacendosi alla tradizione filosofica rinascimentale e mostrandone il carattere precursore rispetto al pensiero europeo moderno. Il pensiero moderno non è nazionale, ma innanzitutto europeo: nel testo si sottolinea la distanza su questo punto tra Vico e Kant: benché alcune riflessioni del filosofo napoletano possano essere lette come anticipazioni del pensatore tedesco, rimane al fondo una differente consapevolezza, dal momento che Kant è conscio di inserirsi in un dibattito europeo, non così Vico. La dimensione europea del moderno non significa rinuncia, bensì valorizzazione delle componenti nazionali: il carattere della circolazione filosofica italiana è intrinsecamente hegeliano. Il progetto di una connessione tra Rinascimento e idealismo matura progressivamente durante il periodo torinese, ma trova il suo pieno e compiuto sviluppo soltanto nel periodo napoletano, anche grazie alla posizione accademica dello Spaventa, prima costretto a brevi interventi sottoforma di articoli di giornale. Oltre alla necessità di una rivalutazione del pensiero di Rosmini e Gioberti al fine di portare a termine una sorta di rivincita sul genio germanico, essenziale è individuare nelle meditazioni spaventiane un problema di logica della storia per cui furono i fatti a condannare Bruno. A. SAVORELLI, Croce e S., Giornale Critico della Filosofia Italiana. Se già nel 1907, in occasione del confronto diretto con Hegel, Croce “dovette riprendere in mano anche i testi dello zio Bertrando”, la sintonia si deteriorerà progressivamente negli anni, benché secondo Savorelli Croce non sarebbe mai giunto ad una rottura definitiva, né a pronunciare una condanna senza appello. L’ambiguità dell’atteggiamento di Croce è legato da un lato alla critica della dialettica hegeliana che dal 1912 investirà non solo Hegel, ma anche Spaventa, dall’altro alla sostanziale accondiscendenza di Croce all’interpretazione di Vico proposta da Bertrando Spaventa. S. è ancora un “gagliardo tentativo di alta cultura”, ma  si avrà, secondo Savorelli, una accelerazione critica nei suoi confronti: sottolineando le origini “clericali” e la statolatria (presupposto dell’adesione di Gentile al Fascismo), Croce prenderà le distanze dal filosofo abruzzese, benché nel ’48 la rilettura di Hegel passasse nuovamente dagli scritti di Spaventa. A. SAVORELLI, Croce e Spaventa, in A. SAVORELLI, L’aurea catena. Saggi sulla storiografia filosofica dell’idealismo italiano, Le lettere, Firenze.Il testo riprende le tesi dell’articolo apparso sul “Giornale critico della filosofia italiana”, Ja-A23 (1), 42-58. AA.VV, La filosofia del Risorgimento. Le prolusioni di Bertrando Spaventa, La scuola di Pitagora editrice, Napoli Il libro presenta la lezione proemiale al corso di filosofia del diritto letta il 4 gennaio 1860 all’Università di Modena e le due prolusioni alle lezioni rispettivamente al corso di storia della filosofia tenuto all’Università di Bologna nel 1860 e al corso di filosofia teoretica dello stesso anno, tenuto all’Università di Napoli, oltre alla “Nota alla prolusione. Introduzione alla filosofia indiana”. I testi sono preceduti dal già menzionato saggio di Garin Filosofia e politica in Bertrando Spaventa; al termine sono riportati due brevi interventi di T. Stràter e di B. Croce. ROTA, La circolazione del pensiero secondo S. Rivista di Storia della Filosofia. Gramsci, che certo non stimava Spaventa, a motivo della sua provincialità e della mancanza di stimoli da parte del suo tempo a pensare in maniera epocale, attribuisce comunque al filosofo di Bomba una certa importanza in relazione alla teoria della circolazione del pensiero. “Siamo arrivati tardi dopo essere stati i primi” è una formula che riassume con incisività e concisione il pensiero di Spaventa, che voleva superare la miseria delle gare di parte che ancora caratterizzavano il dibattito italiano per elevarlo sulla scienza europea. Per attualizzare Hegel in Italia non si poteva utilizzare la figura di Lutero, destinato comunque sempre a rimanere un forestiero. La Chiesa cattolica che per Hegel era ormai passiva nella storia, risultò per Spaventa una zavorra estremamente attiva: abbandonato Lutero, dunque, si guarda a Bruno e Vico. Rota accenna anche alla polemica con Mariano, secondo il quale il genio italico non era un tema che potesse assumere rilievo scientifico. Rota conclude precisando che, sebbene si debba a Gentile la riscoperta di Spaventa, questi non condivideva la filosofizzazione della storia attuata dal suo maestro ideale su due punti: Gentile non accettava la diagnosi di encefalogramma piatto dell’Italia del XVI e XVII secolo, rifiutando altresì la concezione ancora troppo naturalistica del concetto di nazione formulata dal filosofo abruzzese. CAPUTO, S. e la sua scuola. Saggio storico-teoretico, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli. Il libro si divide in tre parti. La prima dedicata alla delicata sintesi che Spaventa tentò di sviluppare tra hegelismo e liberalismo, in cui si sottolinea l’importanza del Collecchi nella formazione del filosofo abruzzese, l’importanza di una esegesi unitaria degli scritti spaventiani, l’importanza dell’attività di pubblicista nel periodo torinese e la parentesi sulla logica di Hegel. La seconda parte riguarda la linea mediana tra realismo e idealismo che S. cerca, dove si segnala l’importanza di una interpretazione originale della dialettica hegeliana anche rispetto al confronto con le correnti scientiste dell’epoca, senza dimenticare l’intenso studio sulla politica hegeliana e sul problema del sopramondo. L'ultima parte è dedicata alla scuola di S., in particolare in riferimento alla crisi dell’hegelismo e al binomio Croce-Gentile, cui l’autore contrappone il real-idealismo diAlderisio. Si menzionano anche le interpretazine materialistica di Labriola e l’hegelismo critico di Sebastiano Maturi, per concludere con una disamina dell’idealismo di Jaja e dello spiritualismo critico di Masci. M. RASCAGLIA, Paolottismo, positivismo, razionalismo (la stesura originaria di Maria Rascaglia), in “Giornale Critico della Filosofia Italiana. Una brevissima introduzione, dove si ricorda l’importanza del riordino dei materiali scompigliati dai bombardamenti nella sede della Società Napoletana di Storia Patria e l’importanza della figura di Meis nella corrispondenza dei fratelli S., accompagna il testo della lettera indirizzata prima a Fiorentino e poi in un secondo tempo proprio al De Meis da S. Lettera nota poi con il titolo di Paolottismo, positivismo, razionalismo. Oltre alla versione iniziale della lettera, sono state inserite i passi della minuta che consentono di comprendere il lavoro di revisione compiuto da Spaventa. G. ORIGO, Da Bruno a Spaventa. Perpetuazione e difesa della filosofia italica, Bibliosofica, Roma. L’obiettivo dichiarato di Origo è una rivalutazione della filosofia italica, mentre nell’Introduzione si rivendica l’opera di ricomposizione della tradizione italiana operata da S. di contro ad una arbitraria dissoluzione a causa della quale si sorvola troppo spesso sui nessi che legano Bruno, Campanella, Galilei e Vico. Innanzitutto mettere a fuoco il concetto di conato in Bacone e in Bruno consente a Origo di evidenziare subito l’opera di disincantamento attuata da Bruno nei confronti della teologia dogmatica che non compie alcuno sforzo filologico: l’universo come articolarsi che trascende se stesso prepara la via a Galilei, oggetto di studio del secondo capitolo del testo. La medesima volontà di superare le visioni dogmatico- esaustive muove Galilei verso una trasformazione epocale, di portata senz’altro europea: la ricostruzione dello scienziato è sempre anche costruzione, anticipando così la lezione dello stesso Vico; di nuovo l’articolazione discorsiva delle forze costituisce la chiave di lettura del gran libro della natura, benché Origo tenga a precisare come l'equilibrio tra lo scienziato ed il filosofo sia destinato a rimanere precario. L'esigenza di scandagliare ancora più a fondo i contributi scientifici del Rinascimento conduce Origo a esaminare nel terzo capitolo il ruolo di Vico, Bacone e Grozio. Vico è citato non solo per l’idea di mutamento che si realizza nelle tre età della storia, ma anche per la concezione della pubblica giurisprudenza, in connessione con la figura di Grozio e con la sua destabilizzazione ermeneutica che conduce ad una preponderanza del diritto umano su quello naturale. A tali studi, come precisa Origo, si ricollegherà Spaventa anche nella sua polemica con i Gesuiti, ulteriore occasione per sostenere l’unità riflessiva di verocerto di contro al monismo scolastico. Prima di affrontare, nel quarto capitolo, il rapporto tra storicismo vichiano e spaventiano, Origo presenta alcune indicazioni per una ricostruzione filologico-giuridica del rapporto Vico- Grozio. L’affinità tra Vico e Spaventa implica sempre, tuttavia, il riconoscimento di una essenziale distanza, dovuta all'influenza hegeliana: il progetto vichiano appare sotto molti aspetti innovativo, ma rimane incompiuto. A conclusione si vuole rimarcare la capacità della filosofia italica di scardinare la dogmatica scolastica di stampo accademico. ORIGO, Bruno visto da S., Bibliosofica, Roma. Nella prospettiva di Origo Spaventa incontra Bruno come l’allievo si imbatte nel vecchio Maestro, ponendo in evidenza in particolare le categorie del precursionismo e dell’eroicità del pensiero. Il parallelismo tra le due figure, non solo su un piano intellettuale, bensì coinvolgendo anche quello biografico, percorre i cinque capitoli in cui si snoda il testo. Essenziale è comprendere, innanzitutto, la posizione di Bruno sulla posizione fede-ragione, laddove 1° “intellego ut credam” è pensato come sforzo e tensione continua del pensiero contro ogni pregiudizio alla ricerca di Dio: già in questa luce è possibile individuare l’eroismo come tratto che caratterizza gli sforzi umani e la vittoria della filosofia sulla teologia, nel senso preciso del dubbio che inquieta il dogma. Il terreno dello scontro, attorno a cui ruota il secondo capitolo, viene individuato nell’ambito accademico, che attraversava una forte crisi in Italia già durante il XIV secolo, proprio a motivo dei contrasti tra teologia e filosofia: di fronte alla rigidità istituzionale imposta dalla Chiesa anche in ambito culturale, Origo vede in Bruno il nuovo “filologo”, capace di analizzare la realtà partendo da punti di vista differenti; inevitabile, anche in questo caso, come in quello della tolleranza accademica, discusso nel terzo capitolo, la ripresa del parallelismo tra Bruno e S. Origo pone addirittura un parallelismo esplicito tra l'università di Padova e quelle di Torino, Bologna e Modena. Superare i limiti imposti dall’autoritarismo accademico accomuna S. e Bruno, presentati come menti eroiche, di contro all’intolleranza prevaricatrice di quei grammatici e pedanti che Bruno non esita a chiamare asini, assuefatti ed abituati alla stabile quiete del reale, perché incapaci di cogliere la coincidenza degli opposti. Il progresso filosofico, reso possibile appunto da quegli sforzi eroici di pochi pensatori, rivela, all’interno del quinto capitolo, il ruolo della magia come ricerca sconfinata ed inesausta. GARIN, S., Bibliopolis, Napoli. Il testo si compone di una serie di saggi. Oltre al già menzionato Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, Noterella spaventiana e Rassegne di studi spaventiani è presente un intervento dal titolo Da ur secolo all’altro, che si apre con la famosa lettera in cui si associa Napoli alla filosofia, continuando poi citando l’altrettanto nota lettera del Villari sull'importanza della filosofia per creare l’unità d’Italia. Nel testo Felice Tocco alla scuola di S., l’alllevo è considerato come il maggior storico della filosofia del suo secolo, non solo per la vastità delle sue nozioni ma anche per l’approfondimento su questioni come la logica e l’anima intesa come intimo fonte della conoscenza del reale. A questo intervento si deve aggiungere Ur “pamphlet” antidemocratico inedito di S., incentrato sullo scritto destinato al “Fanfulla”. Di qui l'occasione per approfondire il rapporto polemico tra Spaventa e molta parte della sinistra hegeliana. Di argomento più vasto è lo scritto Filosofia a Bologna fra Ottocento Novecento, dove si mostrano pregi e difetti dell’interpretazione del Rinascimento proposta da S., anche in polemica con alcuni suoi contemporanei, desiderosi di annunciare la definitiva liquidazione di ogni metafisica. Bertrando Spaventa. Spaventa. Keywords: italianita, Englishry, Englishness, English nation, the English, the English tongue, the tongue of the English, the tongue of the Anglians, the English spirit, the English ghost.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spaventa” – The Swimming-Pool Library. Spaventa.

 

Grice e Spedalieri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei diritti dell’uomo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bronte). Filosofo italiano. Studia nell'oratorio di Neri di Bronte e nel seminario di Monreale. Insegna filosofia a Monreale. Alcune sue tesi, considerate eretiche a Palermo, sono invece approvate e stampate a Roma con il titolo di “Pro-positionum theologicarum specimen”. Trasfere a Roma. Pio VI gli da il titolo di beneficiato della basilica vaticana che comporta una modesta rendita mensilee l'incarica di scrivere la storia del prosciugamento dell'Agro pontino, “De' bonificamenti delle terre pontine”. Contro l'Enciclopedia degl’illuministi, usce la sua “Analisi dell'esame critico sulle prove di Dio”, il “Ragionamento sopra l'arte di governare”, e “Ragionamento sull’influenza del sacro nella società e nella civilita”.  Scrive la “Confutazione della dottrina della caduta dell’impero romano”, contro Gibbon che imputa la caduta all'influenza negativa del sacro. Nel saggio più importante “Dei diritti dell'uomo”, pubblicata a Roma ma, per volontà del papa, con la falsa indicazione di Assisi, si rifece alla concezioni rousseauiane relativamente alla dottrina di un CONTRATTO sociale come origine della società. Contesta la tesi di un originario stato di *natura* a cui occorrerebbe tornare, perché soltanto all'interno della società e civilta gl’uomini possono realizzare i suoi bisogni di felicità e di perfezione. Lo STATO, a cui è destinato l'uomo dalla natura, è la società e la civilta. Ciò e dimostrato e vuol dire che gl’uomini non possono rinunziare, generalmente parlando, alla società e a la civilita senz’opporsi alla sua propria natura. È parte essenziale della costituzione sociale il principato. Il popolo degl’uomini non ha diritto di disfare il principato. La forma migliore di governo è il principato. Al principe il popolo degl’uomini affida tre facoltà: giudicare, di decretare e di eseguire. Il popolo degl’uomini non può togliergli il principato a suo beneplacito, cioè quando gli pare, per motivi leggieri, senza motivi, perché violerebbe il patto sotto-scritto, a meno che il principe non violi la condizione essenziale del contratto stipulato, il “do ut facias”, a meno che il principe non faccia ciò che si era impegnato a fare in cambio della proprietà del principato, ossia, custodire i diritti naturali di ciascuno degl’uomini del popolo, e dirigere tutte le operazioni del principato alla felicità degl’uomini sudditi e cittadini. Questa è la base del contratto. Se invece il principe prende a distruggere i diritti naturali di ognuno, a sostituire il capriccio alle leggi, e ad immergere nella miseria i poveri SUDDITI, il contratto resterebbe sciolto da sé. Lo scioglimento del contratto non significa che il popolo eserciti per proprio conto il governo, ma che debba investirne un altro con auspici migliori. Ma chi deciderà che il contratto stabilito con il principe sia nullo? Intanto, osserva che il contratto siasi sciolto già da sé stesso, si dee legalmente dichiarare. Prima della quale dichiarazione, a niuno è permesso di sottrarsi dall'ubbidienza del principe. E il diritto di far tale dichiarazione non appartiene a verun privato, né alla unione di alcuni, né anco alla moltitudine. Solo un corpo che rappresenti *OGNI SUDDITO* può dichiarare lo scioglimento del patto con il principe. Questo vero corpo e formato da ogni magistrato, ogni ordine de' cittadini, ogni persona illuminata, proba, e non soggetta all'impeto del momento. La colta nazione italiana nella costituzione fondamentale, che dà a sé stessa, e che inerisce nel contratto che fa con la persona che vuole innalzare al principato, e che questa giura di mantenere, sempre, forma un corpo o sia un collegio che rappresenta permanetutti ogni cittadino. Laonde basta che la dichiarazione si faccia da questo corpo per esser legale. Qualora il principe resista e voglia mantenere il potere non più riconosciutogli, comportandosi così da tiranno. Il corpo di LA NAZIONE ITALIANA mai però un singolo cittadino italiano puo legittimamente giungere fino all'estrema soluzione di condannarlo a morte. Si mostra avverso sia al dispotismo illuminato che rifiuta tanto il principio della sovranità del popolo quanto il primato del sacro nel governo dello stato, sia i princìpi laici della rivoluzione. La garanzia di assicurare i diritti fondamentali di ogni uomo italiano è data dalla natura che ha come princìpi essenziali l'amore e la carità verso il prossimo. Polemizza anche contro i giansenisti che accusa di giacobinismo e di spirito sovvertitore dei troni.  Gli rispose con asprezza TAMBURINI in “Lettere teologico politiche”. Il riconoscimento che la sovranità deriva dal popolo degl’uomini e che questi uomini italiani, attraverso i suoi delegati, possa giungere a rovesciarne il potere, gli procurarono violente critiche e inimicizie da parte dei circoli reazionari e in parte anche moderati, e al saggio, che ha alla sua uscita una notevole diffusione, il divieto di pubblicazione in tutta Italia. Puo nuovamente circolare, anche se in Italia, mutato il clima politico e culturale, venne nuovamente ignorato. GEYMONAT, “Il pensiero filosofico-pedagogico italiano, Filosofi e pedagogisti estranei all'illuminismo in GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico” (Milano, Garzanti); Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani: o come che sia aventi relazione all'Italia. Milano: Coi torchi di Pirola, Nicolini, op. cit.., Giurintano, Società e Stato (Palermo). Pisanò, “Una teoria comunitaria dei diritti umani: i diritti dell'uomo” (Milano). bronteinsieme Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Melanzio Alcioneo, arcadi. Nicola Spedalieri. Spedalieri. Keywords:gl’arcadii, diritti degl’uomini, polemica con Gibbon, il sacro, il crollo del principato romano, Gibbon.  Refs.: Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spadalieri sul contratto conversazionale.” H. P. Grice, “A critique to conversational quasi-contrastualism.” Luigi Speranza, “Grice e Spedalieri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Speranza – implicatura ed implicatura -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Albalonga). Filosofo. Speranza, Ugo -- Speranza, Alessandro -- Speranza, Ettore -- Speranza, Gianni -- Speranza, Paola -- Speranza, Anna-Maria -- Speranza-Ghersi –Ghersi-Speranza, Anna-Maria -- Speranza lui speranza: luigi della --. Italian philosopher, attracted, for some reason, to H. P. Grice. Speranza knows St. John’s very well. He is the author of “Dorothea Oxoniensis.” He is a member of a number of cultivated Anglo-Italian societies, like H. P. Grice’s Playgroup. He is the custodian of Villa Grice, not far from Villa Speranza. He works at the Swimming-Pool Library. Cuisine is one of his hobbiesgrisottoa alla ligure, his specialty. He can be reached via H. P. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Vita ed opinion di Luigi Speranza,” par Luigi Speranza. A. M. Ghersi Speranza -- vide Ghersi-Speranza. Ghersi is a collaborator of Speranza. Grice: “It’s easy enough to list Speranza’s publications.” Speranza, like Mill, was fortunate to belong to a literary familyand he would read Descartes’s Meditations, which drew him to philosophy. His studies in logic drew him to semanticsHis first love was Oxonian analysis as summarised in Hartnack’s essay on ‘contemporary’ philosophy. One of Speranza’s earliest essays is on Plato’s Cratylus, relying mainly on Cassierer, but also drawing from Austin’s Philosophical Papesr. Spearnza’s idea is that “ … mean …” is a dyadic relation and what’s behind Plato’s theory of forms. This was Speranza’s contribution to a seminar in ancient philosophy. For his contribution on medieaval philosophy, Speranza drew on the modistae, and the Patrologia Latina for the use of ‘intentio’ in various writers, up to AquinoSperanza finds it fascinating that the earliest modistae do find a conceptual link between the ‘intentio’ and the ‘significatio.’ For a seminar on scepticism, Speranza contributed with a paper on Gricedrawing on Sextus Empiricus and Bar-Hillel. It relates to Grice’s problem with the conversational category of fortitude. Speranza concludes that a phenomenalist account is possible, but there are two other options: ‘silence’ (“not to participate in the conversational game”) or the utterance of non-alethic utterances, such as questions and commands. For a seminar on political philosophy, Speranza contributed with an essay on ‘Contractualism’ from Rousseau onwards --. For a seminar on phenomenology and the social sciences, Speranza contributed with an essay on ‘The conversational unit,’ the idea that the emic approach is preferable to the etic approach. For a seminar on argumentation theory on Habermas, Speranza contributed with a “German Grice,” the idea of a ‘strategy’ is a momer. Grice is into co-operative proceduresand those who provide taxonomies of rationality should be made aware of this. For “The Carrollian,” Speranza contributed with “Humpty Dumpty’s Impenetrability.” The idea that Davidson is right and Alice does not mean that there is a knock-down argument, or that she should change the topiche draws on Grice’s collaborator at Oxford, D. F. Pears, for his insights on “Intention and belief.” At the request of the editor of a bibliographical bulletin, M. Costa, Speranza contributed with reviews of oeuvre by R. M. Hare (“Sub-atomic particles of logic”), J. F. Thomson (“if and If”) and work on the English philosopher H. P. Grice (J. Baker, etc.). His review on Way of Words spramg from the same project, and it is an ‘invitation.’ For a congress of philosophy, Speranza presented “On the way of conversation,” playing on Grice’s “way of words”“Surely there’s more than words to conversation.” Speranza focuses on what Grice amusingly calls a ‘minro problem,’ that of expression meaningSperanza’s example: “How do you find Bologna?” “I haven’t been mugged yet” was inspired by a remark of an attendant to the conference. For a congress on conversational reasoning, Speranza contributed with “First time at Bologna?” providing twenty five possible answers“first time in the region, actually.” Etc. Speranza, following Grice, refers to this sort of reasoning as a sort of ‘brooding’to ‘brood’ is to ‘reason’ in a calculated fashion. As an invitation project, Speranza collaborated with “Rational face to rational face: a study in conversational pragmatics from a Griceian perspective.” In his essay “Post-modernist Grice,” he deals with the unary and dyadic connectors. For a congress on “Current Issues,” Speranza presented his “The feast of reason,” three steps in the critique of conversational reason. The first step is empirical, the second is quasi-contractualist, and the third is rational, undersood weakly and strongly. For an essay on relativism, Speranza presented an essay on ‘The cunning of conversational reason.’ Speranza maintains Grice’s jocular references to Kant -- the Conversational Immanuel. For an essay on desirability, Speranza explored the issues connected with mise-en-abyme and self-reflectionsome of these were published. There is published correspondence with members of what Speranza calls the Grice Club. Refs.: The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Speranza, villaThe Swimming-Pool Library, H. P. Grice’s Play Group, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e la storia della filosofia italiana.” Speranza has done crucial research on Griceianism, unearthing some documents by O.Wood, J. O. Urmson, P. H. Nowell-Smith, and many many others – not just H. P. Grice. Vide: The Grice Papers, BANC, MSS. Speranza

 

Grice e Spintaro: la ragione conversazionale della filosofia pre-romanica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Teacher – and father – of Aristosseno. Grice: “Oxonians might wonder why Italians are so obsessed with Crotona, Taranto, and the rest of them, but I SEE it: it’s all about the pre-Roman!”

 

Grice e Spirito: la filosofia dello spirito – filosofia fascista – ventennio fascista – i corpi – corpo e corporazione -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo. Studia sotto GENTILE. Firma il manifesto dei filosofi fascisti. Teorico del corporativismo. Insegna a Pisa, Messina, Genova e Roma. Tra i principali filosofi a Roma insieme con ANTONI, allievo di CROCE, CALOGERO -- filosofo del "dialogo" -- Cf. Grice – “dialogo” vs. “conversazione” -- e NARDI grande studioso di filosofia di ALIGHERI e medievale. Rinomate sono non tanto le sue lezioni quanto i suoi pomeriggi di discussione del GIOVEDÌ. Tre ore, non di lezione, ma di discussione serrata su un problema filosofico -- uno soltanto per un intero anno. Uno, per esemptio, e dedicato al concetto di sogno. Ai giovedì nell'aula grande dell'istituto di filosofia interveneno tante e diverse persone: gli studenti, i numerosi assistenti e inoltre partecipanti di convinzioni e provenienze. Ascolta tutti, rilancia e guida la discussione verso nuove prospettive interpretative. Pubblica saggi connessi a quei giovedì. Tra le altre: “Il problematicismo”; “La vita come ricerca” (Rubbettino); “La vita come amore”, “Cattolicesimo e comunismo”, fino a l’autobiografica “Vita d’un incosciente”. Volendo indicare un tratto distintivo della sua filosofia, essa consiste nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi posizione. Non esiste una parola definitiva. La ricerca della verità dove essere portata sempre ulteriormente avanti.  In questa maniera vanno interpretate le sue riflessioni che spaziano dai campi della speculazione filosofica. Tra i vari livelli di ricerca, spicca la riflessione sulle strutture dello STATO. Allontanandosi nettamente dal liberalismo filosofico, non vede alcuna contra-posizione tra la figura dell'individuo o cittadino e quella dello stato. Con un passo oltre questa interpretazione, che giudica dis-organica e arbitraria, vede LO STATO come figura entro cui i cittadini vieneno a realizzarsi. Il binomio stato/cittadino diventa così un'equazione, in cui il secondo termine viene a risolversi e quindi realizzarsi pienamente nel primo. Caratterizza lo stato non come una semplice sovra-struttura disciplinatrice, ma come un organismo che esprime UN’UNICA VOLONTÀ e compone tutti i dissidi dei cittadini. In questa maniera, l'unica via percorribile nella realizzazione di tale modello è la via corporativa in cui lo stato -- al meno due cittadini -- diventa stato di al meno due produttori. Lo stato rappresenta il luogo in cui interesse pubblico o comune ed interesse privato o soggetivo del cittadino vengono a coincidere. In esso non deve venire annullata quella sorgente di vita che sono i cittadini. Questa concezione è stata definita immanenza dei cittadini nello stato, volta alla mobilitazione dei cittadini nelle e per le strutture create dallo stato. L’economia è politica. Deve garantire la sub-ordinazione alle scelte sociali. Inquadra il ruolo che assegna allo stato in termini di intervento pubblico o comone. Ben lungi dal prospettare una situazione paragonabile al collettivismo, è lontano anche dagli eccessi dis-organici che imputa al sistema liberale. Il funzionario di stato, che in prospettiva dove andare a sostituire il capitalista privato, e giudicato non come un agente del collettivismo o del capitalismo statale -- che sappiamo cosa produce col sovietismo -- ma un semplice delegato tecnico, che si fa garante di una diversa realtà: assicurare socialmente il controllo della produzione e la stessa proprietà dei mezzi produttivi. Altre saggi: “Il diritto penale italiano”; “Il nuovo diritto penale”; “Critica dell'economia liberale, “L'idealismo italiano e i suoi critici” – Grice: “A delightfull read, especially for us Oxonians, since he manages to quote extensively from the Proceedings of the Aristotelian Society, seeing that Ryle hated idealism!” --; “I fondamenti dell'economia corporativa”; “Capitalismo e corporativismo” (Rubbettino); Scienza e filosofia”; Dall'economia liberale al corporativismo, “La vita come arte,  Critica della democrazia” (Rubbettino); “Il comunismo, Dall'attualismo al problematicismo”, Memorie d’un incosciente” (Rusconi, Milano); “Pareto” (Cadmo, Roma); “Critica della democrazia” (Luni, Milano); “Il corporativismo: dall'economia liberale al corporativismo; Rodotà, Passeggiando in bicicletta; Bighellonando dentro il Verano, Corriere della Sera, Stefano, Filosofo, Giurista, Economista, VOLPE Roma, “Individuo e stato”,  NEGRI, “Dal corporativismo comunista all'umanesimo scientifico. Itinerario teoretico” (Manduria, Lacaita); Tamassia, Roma, Russo, Positivismo e idealismo” (Roma); Dessì, “Filosofia e rivoluzione” (Milano, Luni); Russo, “Dal positivismo all'anti-scienza” (Milano, Guerini); Cavallera, “La ricerca dell'incontrovertibile, Formello, SEAM); Breschi, Spirito del Novecento. Il secolo di S. -- dal fascismo alla contestazione” (Rubbettino), Cammarana, Roma, Pagine,  Cammarana, “Teorica della reazione dialettica: filosofia del postcomunismo” (Roma). Pirro, Ricordo, in Studi Politici (Bulzoni, Roma). Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia machiavelliana, Bettineschi, L'esperienza storica e l'intrascendibilità del conoscere. Sul sapere di non sapere,  Rivista di filosofia neo-scolastica,, Problematicismo Corporativismo Fascismo Corporazione proprietaria. Treccani, Dizionario di storia, Dizionario biografico degli italiani, Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. È verità comunemente ammessa die l’economia politica o, senz’altro, l’economia sia una scienza sociale. Questo vuol dire ch’essa non studia 1’/ionio ceconomicus e i fenomeni economici, quali si possono immaginare in uno stato pre-sociale o anti-sociale, ma considera invece gli aspetti economici della vita sociale nella sua organicità essenziale. Ed è chiaro che in tanto può studiarli e intenderli sistematicamente in quanto la vita sociale abbia essa stessa un’unità, un ordine, una disciplina: sia, in altri termini, non uno stato di natura bensì un organismo politico, uno STATO. Fondamento, dunque, di ogni scienza sociale e dell'economia in particolare è IL CONCETTO DI STATO, con il correlativo problema dei rapporti tra stato e individuo. Per intendere la storia dell’economia politica e le vicende degli indirizzi predominanti -- economia liberale ed economia socialista -- è necessario indagare come le diverse scuole abbiano impostato e risolto tale problema. Se si guarda all'economia classica e in genere all’economia più comunemente intesa come scientifica, si deve convenire che essa è stata via via costruita e perfezionata dal secolo XVIII a oggi trascurando, qualche volta in modo assoluto e sempre in modo essenziale, IL PROBLEMA DELLO STATO. Dal- reconomia del baratto fino a quella complicatissima delle banche e dell’industria contemporanea, tutti i trattati sono stati concepiti in rapporto a una vita economica in cui dello Stato non si sente qua¬ si mai il bisogno di occuparsi, come se fosse realtà estrinseca e irrilevante ai fini di una vera costruzione scientifica. La spiegazione di questo fatto, evidentemente in antitesi con la qualifica di scienza sociale con cui si caratterizza l’economia, va trovata nella particolare concezione dello stato teorizzata dalla scienza politica e giuridica dal secolo XVIII in poi, e classificata ormai globalmente con l’epiteto di liberale. Essa sorge come reazione ai vecchi sistemi politici, per i quali lo Stato era una realtà diversa dagli indi¬ vidui che lo componevano e sì rappresentava quin¬ di ai loro occhi conte un’autorità meramente arbi¬ traria, con fini propri e opposti a quelli dei sud¬ diti: sorge come bisogno di distruggere un potere estrinsecoedannoso, e con tale esigenza non puòfar altro che rivendicare i sacri diritti dell’indi¬ viduo, nella cui celebrazione si vede l’unico scopo così della vita sociale come della ricerca scientifica. Allo Stato, che storicamente appariva come un limite e un ostacolo, anziché come essenza e vita deirorganismo sociale, si opponeva una negazione perentoria destinata a mutare radicalmente non solo i rapporti politici, ma anche i fondamentidi ogni scienza sociale. Si può anzi affermare che, solo in seguito a questa violenta ribellione, il pensiero scientifico acquista la libertà indispensabile per uno studio sistematico dei fenomeni sociali, e ciò vale a spiegare perché le cosiddette scienze sociali si rin¬ novino sostanzialmente, si costituiscano e cerchino di organizzarsi tra loro soltanto dopo la prima metà del Settecento. L’esigenza immediata era quella del¬ l’assoluta negazione, dalla quale ci si ritrasse uni¬ camente per le necessità irriducibili di una vita po¬ litica organizzata: il ritorno alla natura non poteva essere altro che il grido nostalgico di un ideologo. Ma se la negazione non poteva divenire totale, essa tuttavia si spinse al massimo limite consentito dai tempi, e, in sede scientifica, alla realtà dello Stato non si riconobbe se non la funzione del tutto estrin¬ seca di salvaguardare le sfere di arbitrio dei singoli individui, Se unica realtà e unico valore sono quelli dell’individuo, se al mondo non c’è altra finalità oltre quella che l’individuo si pone nel suo chiuso egoismo, ne consegue che allo Stato deve spettare 1 unico compito di determinare i confini tra quegli infiniti regni costituiti dai singoli cittadini e di sorvegliare la loro pacifica convivenza: esso non entra nella vita dell’individuo, ma ne resta al mar¬ gine come garante. Ora è chiaro che uno Stato così concepito non deliba trovar posto nella maggior parte delle scien¬ ze sociali: esso è più una realtà di diritto che non una realtà di fatto, e la sua considerazione tende a esaurirsi nelle indagini di carattere giuridico. Va¬ lori e fini sociali sono quelli dell’individuo, che si affermano e si negano indipendentemente dallo Sta¬ to, il quale ha il solo scopo di non farne turbare il libero svolgimento. Di questa funzione di tutore le scienze sociali possono e debbono, dunque, disinteressarsi, in quanto essa non modifica la realtà dei fatti sociali, ed anzi rende possibile la loro genuina attuazione. A tali presupposti ideologici e politici si deve ricondurre in particolar modo lo svolgimento della scienza economica classica. Facendo sua questa so¬ luzione del problema circa i rapporti tra individuo c Stato, essa dà allo Stato un valore positivo solo in quanto garante della libera concorrenza, ma lo ritiene perturbatore e distruttore di ricchezza ogni volta che intervenga attivamente nella vita econo¬ mica: assume poi ad oggetto della propria indagine 1 unica realtà dell individuo, considerato nella sua vita immediata e mosso esclusivamente dai suoi par¬ ticolari interessi. L homo asconomicus è per defini¬ zione extrastatale. Di qui l’equivoco fondamentale di tutta la scienza economica quale è pervenuta fino a noi. Se la scienza, infatti, non deve studiare l’organismo sociale (lo Stato) perché questo, in quanto organi¬ smo, non ha un significato e un valore proprio, non avrà, per ciò stesso, nulla da dire all’individuo sin¬ golo che di quell’organismo fa parte. L’individuo scisso dall’organismo è per definizione anarchico, e norma della sua vila non potrà essere che il suo ar¬ bitrio affatto soggettivo: la scienza non può inse¬ gnargli niente perché non può saperne niente. Per saperne qualcosa bisogna che un individuo esca dalla sua particolarità, si esprima, entri in relazione con gli altri individui e venga, dunque, a far parte di una vita sociale organica : dello Stato. Solo allora ; solo, cioè, quando Yhomn ceconomicus è diventato cittadino, la sua attività diventa intelligibile e su¬ scettibile d’investigazione scientifica. Ma la scienza economica si è voluta ostinare in questo assurdo, di considerare l’individuo pre¬ scindendo dallo Stato; e non è potuta giungere die a risultati mediocrissimi : le sue soluzioni sono, in fondo, tutte negative, e si riassumono sostanzial¬ mente nel dogma della libera concorrenza. Il quale, se ben si riflette, vuol dire solo cbe la scienza si ri¬ mette all arbitrio degli individui, e che la soluzione più perfetta del problema economico è quella che scaturisce dal cozzo indisciplinato di tutti gli infi¬ niti interessi particolari. Allo Stato la scienza dice: non fare; all'individuo: fa quel che ti pare. Questa l'essenza dell’economia classica. 1 tentativi fatti per uscire dal circolo vizioso del liberalismo tradiscono tutti il bisogno di supe¬ rare una soluzione affatto negativa del problema della scienza economica. Se non che l’incapacità di abbandonare il presupposto individualistico non ha consentito di giungere a una sistemazione scien¬ tifica che non fosse nella massima parte illusoria. E infatti, una volta ammesso il fondamento soggetti¬ vistico dell’economia, null’allro restava da fare al¬ l’economista se non aggirarsi all’infinito in quella contraddizione in termini in cui si risolve ogni ten¬ tativo di conoscere le leggi sistematiche dell’arbitrio. Se al puro e semplice « fa quel che ti pare », lo scienziato ha voluto aggiungere una sola parola di carattere positivo, lo ha potuto fare soltanto illudendosi di entrare nel mondo ermeticamente chili- so del soggetto. Così si spiegailsorgere della scuola psicologica e matematica, con la quale si è creduto di attingere il maximum della scientificità e si è condotto all assurdo il postulato classico dell'indi- vidualismo. Scuola psicologica : e cioè costrizione dell’anima umana entro schematismi arbitrari, con¬ cepiti da chi non aveva nessuna dimestichezza con gli studi di psicologia; riduzione dell’/iomo cero- nomicus all’edonista, o all’egoista, o all’altruista, e, in ogni caso, a un’etichetta di cui non sì sarebbe potuto dare nessuna giustificazione: livellamento dei soggetti e cervellotica costruzione del tipo, che rendesse uniforme e perciò intelligibile la multi¬ forme vita individuale; negazione, insomma, del vero mondo della soggettività e sostituzione ingiu¬ stificabile di una formula meramente fantastica alla realtà che si pretende conoscere. Scuola matema¬ tica: e cioè quantificazione di quegli stessi elementi soggettivi illusoriamente determinati: comparazio¬ ne di dati incomparabili perché essenzialmente di¬ versi; processo astrattivo sorto su illegittime astra¬ zioni e perciò irriducibile alla concretezza della vita; formule algebriche, dunque, che non potranno mai vestirsi di numeri effettivi. L indirizzo psicologico e matematico, sorto a correzione ed integrazione di quello liberistico, è valso solo a mettere in luce l’errore fondamentale. Gli individui nella loro particolarità sono esseri necessariamente eterogenei: i gusti, i bisogni, gli interessi, le finalilà non sono paragonabili: nessuno potrà mai dire quante volte il profumo di un fiore vale per una signora aristocratica più che per una popolana, ed io stesso, che presumo di conoscermi, non potrò mai dire quante volte il godimento da- tomi da una sensazione corrisponda a quello procu¬ ratomi da un altra, o dalla stessa in un momento diverso. Nessun tentativo dì approssimazione può essere concepito seriamente e perciò tutta la cosiddetta economia marginalistica non è suscettibile di alcuna interpretazione di carattere pratico. Concludere, come fa 1 economia liberale, che il massimo dell utilità sociale equivale alla somma dei massimi delle utilità individuali significa dire una cosa senza senso, se è vero che di addendi incomparabili — come sappiamo dalla più elementare conoscenza matematica nonè possibile fare la 6omma. Con il tentativo di passare dal massimo benes¬ sere individuale a quello sociale, si chiude il ciclo dell economia classica o liberale, e la vanità del ten¬ tativo ne conferma il definitivo dissolversi. Di un inondo concepito coinè moltitudine caotica di in¬ dividui, vivente ognuno sotto il solo impero del pro¬ prio arbitrio, è insensato voler fare la scienza. Scien¬ za vuol dire disciplina, e l’individuo che non è an¬ cora cittadino è senza disciplina; vuol dire norma, c 1 individuo non può riconoscerne alcuna oltre il suo gusto del momento; vuol dire, soprattutto, co¬ noscenza obiettiva e universale, e l’individuo del li¬ beralismo è soggettività particolare. A tale indi¬ viduo l'economista si volge solo per constatarne la natura e garantirne la primitività: lungi dal gui¬ darlo e disciplinarne gli interessi, lo abbandona al cozzo brutale della domanda e dell’offerta, in cui tutto il suo ideale si riassume. È la scienza dell’a¬ narchia. — 10 All’economia liberale si è opposta quella so¬ cialista. Tutti i presupposti della prima sembrano negati dalla seconda, che all’individuo sostituisce la classe, la società, lo Stato. Ma lo Stato di cui parla il socialismo ha lo stesso difetto di origine di quello liberale: esso, cioè, è sempre considerato come una realtà diversa dall’individuo, come limite dell’attività individuale e sua condizione estrinseca. La situazione si è invertita, ma il problema è ri¬ masto impostato nella stessa maniera, poiché l’anti¬ nomia individuo-Stato in entrambi i casi è risolta sacrificando uno dei due termini all’altro; e, in quanto il termine sacrificato ha conservato un mi¬ nimo di validità, esso rappresenta una limitazione, sia pure necessaria, della realtà del termine iposta¬ tizzato. Limite deirindividuo è Io Stato nel libera¬ lismo, limite dello Stato è l’individuo nel socialismo. L’incapacità di risolvere l’antinomia con l’iden¬ tificazione di individuo e Stato ha condotto il so¬ cialismo a concepire lo Stato burocraticamente. Se lo Stato infatti non è la realtà stessa della Nazione, ma viene entificato e opposto alla Nazione, esso non può concepirsi se non come un organismo a sé e con organi propri. Quando il socialismo nega la proprietà privata e dichiara che i mezzi di produ¬ zione appartengono allo Stato,evidentemente attri¬ buisce a questo una personalità giuridica ed econo¬ mica distinta da quella dei privati: ed è chiaro che, se lo Stato ha una personalità distinta, deve avere i anche il motlo di vivere ed agire distintamente, at¬ traverso quei determinali organi che costituiscono appunto la burocrazia. È così che la teoria socia¬ lista, negando l’individuo nello Stato, sostituisce al¬ l'economia individuale quella burocratica e fa dello Stalo, in quanto realtà giuridica diversa dagli indi¬ vidui, il proprietario, il datore di lavoro, il risparmiatore, il distributore, e via dicendo. La critica violenta e altezzosa che reconomia classica ha opposto all’economia socialista è sostan¬ zialmente giusta e irrefutabile. Se contro il libera¬ lismo ha ragione il socialismo in quanto richiama l’attenzione dall’individuo allo Stato, contro il so¬ cialismo ha egualmente ragione il liberalismo clie rivendica la superiorità dell’economia individuale rispetto a quella statale. L’economia statale è per definizione un’economia monca e patologica, poiché essa non solo accentra e quindi limita la vita economica, ma ne affida la direzione a un organo relati¬ vamente estrinseco quale è la burocrazia. Quando il liberale afferma che lo Stato è cattivo ammini¬ stratore, ha perfettamente ragione, perché per Sta¬ to s’intende appunto una realtà sopraordinata e non costruttiva della cosa amministrata. In altre pa¬ role si vuol dire che l’industriale, il quale nasce c vive con la sua industria facendo di essa la stessa ragione della sua vila, farà prosperare la sua azien¬ da indubbiamente meglio del burocrate, che nell’in¬ dustria a lui affidala vede solo la contingente espres¬ sione del suo dovere di funzionario. Ma più che antieconomica l’economia statale è livellatrice e mortificatrice delle attività indivi¬ duali. che lulte sì debbono uniformare al meccani¬ smo burocratico e perdere quella libertà di movimenti la quale costituisce la condizione prima della loro iniziativa. La comune opinione del carattere tradizionalista e conservatore della burocrazia è la più evidente conferma della sua incapacità a rinno¬ varsi con quel ritmo acceleratissimo che è proprio della industria contemporanea : l’economia statale tende per sua natura a diventare economiastatica. Il dualismo di individuo e Stato, che ha reso inadeguate le soluzioni dell’economia classica e di quella socialista, non è stato superato neppure dai tentativi compiuti, specialmente in questi ultimi de¬ cenni, per la costruzione della cosiddetta economia nazionale o di Stato (la Volkswirtschaft o Staats- wirtschafi dei Tedeschi). Anche quando tali tenta¬ tivi non si sono ridotti a concepire la vita della Na¬ zione come la somma delle vite dei singoli indivi¬ dui, e si è voluto invece considerare l’organismo so¬ ciale con caratteristiche e finalità proprie, l’econo¬ mia pubblica è rimasta sempre accanto all’econo¬ mia privata e la necessità della loro assoluta iden¬ tificazione non è stata mai dimostrata, né da socio¬ logi né da nazionalisti. I sociologi, infatti, tutti com¬ presi dal compito di descrivere le varie forme della vita, si sono preoccupati soltanto di analizzare le diverse economie, dall’individuo alla famiglia, alla classe, alla Nazione ecc., di classificarle e di studiar¬ ne estrinsecamente i rapporti; i nazionalisti, poi, infatuati dall ideologia della Nazione, non hanno saputo far altro che ipostatizzarla come una realtà superiore all’individuo, affermando in conseguenza la superiorità deireconomia nazionale e la subordi¬ nazione a essa di quella individuale. In entrambi i casi lo Stato è rimasto come una delle forme, sia pure la massima, della vita sociale; e l’economia ad esso relativa come una delle forme, sia pure la su¬ prema, delle possibili economie. E in tal guisa il — pensiero scientifico e andato oscillando dall’ideolo¬ gia anarchica del liberalismo a quella statolatria del socialismo e del nazionalismo, senza mai cogliere l’essenza del problema. Respinto a volta a volta dagli assurdi di uno dei due estremi, si è ritratto acriticamente dalle conseguenze ultime delle opposte concezioni,ed è al solito scivolato verso i mezzi ter¬ mini dell’eclettismo: il concetto di Stato è penetrato di straforo nei trattati deireconomia scientifica, e quello di individuo e di libera iniziativa nelle co¬ struzioni ideologiche degli statalisti. La soluzione integrale del problema è delinea¬ ta, se pur non ancora esplicitamente chiarita, nel- Tordinamento corporativo del regime fascista. Si tratta per ora di un’intuizione politica più che di vera consapevolezza scientifica, e anzi la lettera di alctine disposizioni legislative consacra ancora il dualismo di individuo e Stato. Nella stessa formulazione della Carta del Lavoro, alcune espressioni di principi, e soprattutto il famoso articolo 9, legitti¬ merebbero le vecchie interpretazioni liberali e so¬ cialiste, di cui abbiamo discorso. « L’intervento dello Stato nella produzione economica — dice infatti 1 articolo 9 — ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente 1 iniziativa privata o quando siano in giuoco interessi politici dello Stato. Tale inter¬ vento può assumere la forma del controllo, dell'in¬ coraggiamento o della gestione diretta ». Nulla di strano che questo articolo abbia pro¬ dotto i più svariati malintesi nell'interpretazione dell'economia corporativa. I liberali vi hanno visto a ragione la conferma delle loro dottrine, poiché gli stessi classici più ortodossi hanno sempre soste¬ nuto che, per motivi eccezionali o per superiori in¬ teressi politici, lo Stato può e deve intervenire nella vita economica del paese. 1 filosocialisti, insistendo sul maggior intervento statale che la Carta del La¬ voro promuove, 1 hanno legittimamente interpre¬ tata come un passo decisivo verso Tordinamento socialista. Gli eclettici hanno piaudito entusiastica¬ mente. illusi di veder consacrata la solita via dei mezzi termini. Gli economisti della cattedra, infine, hanno dato un'occhiaia distratta e hanno senten¬ ziato senz’altro che Teconomia corporativa non esi¬ ste, risolvendosi essa in una mera prassi politica contingente. E che Leeonoinia corporativa non esista par¬ rebbe, infatti, dimostrato dal fatto che i tentativi finora compiuti per defi nirla e sistemarla scientifi¬ camente hanno condotto alla riduzione del nuovo al vecchio n alle sterili soluzioni di compromesso tra liberalismo e socialismo. Mafortunatamente l’infe¬ lice esito dei tentativi è dovuto soltanto all’inopportuno zelo degli interpreti, i quali, per malinteso ossequio alla lettera, si sono lasciati sfuggire lo spirito più profondo della Carta del Lavoro e del fa- seismo in generale. L’imperfetta dizione dell'art. 9 fii spiega proprio per la mancanza di una sistema¬ zione scientifica del nuovo concetto dell’economia e gli interpreti avrebbero dovuto capire che la Carta del Lavoro, per il suo carattere rivoluziona¬ rio, costituisce un punto di partenza più che un punto dì arrivo, e che alla scienza spetta appunto il compito di rendere esplicita e sistematica quella visione che in essa è intuitiva. L’articolo 9, dunque, non può essere considerato come la chiave di volta e il criterio infallibile del sistema, sihbene come una delle proposizioni da interpretarsi e coordinarsi alla luce delle nuove esigenze. Le quali trovano piuttosto la loro esatta formulazione nell'articolo 1. per cui LA NAZIONE ITALIANA E UNA UNITA MORALE, politica ed economica, che si realizza integralmente nello STATO FASCISTA: nell’articolo 2, per cui « il la¬ voro. solto tutte le sue forme intellettuali, tecniche e manuali, è un dovere sociale e soprattutto nel- 1 arlicolo 7, per cui « l’organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse na¬ zionale, l’organizzatore dell’impresa è responsabile deH’indirizzn della produzione di fronte allo Sta¬ to )). È qui il motivo più profondamente rivoluzio¬ nario del fascismo, per cui si afferma l’identità so¬ stanziale di interesse pubblico e privato, di benes¬ sere dei singoli e potenza nazionale. Certo, nella Carta del Lavoro, questa identità alle volte si spezza e riappaiono i due termini dell’antinomia, ma al nuovo bisogna guardare e non al vecchio, con gli occhi ben intenti all’avvenire. Quando l’articolo 7 proclama il privato responsabile di fronte allo Sta¬ to della sua vita economica, vale a dire di ciò che per la tradizionale mentalità politica e scientifica 16 — si ritiene il più geloso attributo della sfera di arbi¬ trio dell’individuo, rende finalmente Fuorno citta¬ dino, lo trasforma in organo costitutivo dello Stato, e distrugge alla radice ogni differenza tra ciò che è privato e ciò che è pubblico. Il cittadino risponde di tutta la sua vita allo Stato cui appartiene, per¬ ché il fine della sua vita è quello stesso dello Stato; e, in quanto ne differisca, in quanto vi si opponga, o anche in quanto si presuma indipendente da esso, è illegittimo. Ma, perché Firnificazione della sfera pubblica e di quella privata sia effettiva e non illusoria, è necessario avere dello Stato un concetto heu più adeguato di quel che non abbiano i socialisti e. tanto meno, i liberali. Chi ritenesse che lo statalismo che propugna la Carta del Lavorosia sostanzialmente sullo stesso piano dell ideologia socialista non sa¬ prebbe poi come spiegare la riaffennazione della proprietà privata. Se questa non è una contraddi¬ zione vuol dire che Ira socialismo e corporativismo, e cioè tra queste due forme di statalismo, v’ha una differenza essenziale che occorre chiarire. E il chia¬ rimento dovrebbe già risultare da quanto è stato detto sul carattere burocratico dello Stato sociali¬ sta, concepito tuttavia come entità distinta dagli in¬ dividui. Il vero Stato è, al contrario, la stessa realtà dell’individuo e sì esprime quindi, non in partico¬ lari organi e istituti, sibbene nella vita stessa di ogni cittadino. La proprietà deve rimanere privata, per¬ ché essa è già assurta a finalità e caratteri pubblici con 1 elevazione del proprietario a organo costitu¬ tivo dello Stato. Credere che la proprietà da privata diventi pubblica solo se essa venga amministrata direttamente dallo Stato, significa identificare lo Stato con la burocrazia, e opporlo all’individuo; si¬ gnifica insomma arrestarsi all’ideologia liberale e socialista. Lo Stato per realizzarsi nella sua integrità non ha bisogno di livellare, disindividualizzare, annien¬ tare l’individuo e vivere della sua ^istruzione: al contrario esso si potenzia col potenziamento dell’in¬ dividuo, della sua libertà, della sua proprietà, della sua iniziativa, della sua peculiare posizione nei rapporti con gli altri individui. E tutto ciò è pos¬ sibile, in quanto 1 individuo non è più un mondo particolare e la sua libertà non si chiama più ar¬ bitrio, ma e individuo sociale che nella prosperità dell’organismo statale vede il proprio fine. I/indi- vidualisino del liberalismo e lo statalismo del socia¬ lismo sono superati, perché sono trasvalutati i ter¬ mini di individuo e Stato che avevano condotto ai due assurdi opposti. Avere coscienza precisa di tale trasvalutazione non è davvero cosa molto facile, soprattutto perché occorre vincere continuamente il pregiudizio tra¬ dizionale che ci porta a entificare lo Stato, a opporlo a noi stessi, a riconoscerlo soltanto in determinati organi e funzioni. La vecchia concezione intellettua¬ listica è ormai così radicata in noi e la stessa termi¬ nologia che siamo costretti a usare è così aderente al concetto dello Stato come personalità trascen¬ dente i cittadini, chenonci riesce agevole sfuggire a tutti i paralogismi del senso comune. E in siffatto modo si spiega l'accusa di metafisicheria che si vuole rivolgere, anche da persone non sciocche, all’iden- tificazione di Slato e individuo. Ma bisogna resistere all apparente evidenza di queste critiche e persua¬ dersi che quando un concetto ha davvero fonda¬ mento speculativo è per ciò stesso il più pratico, e vale a risolvere anche quelle difficoltà di carattere tecnico, che invano si cercherebbe di rimuovere con i vaghi concetti del senso comune, se pur questi sembrino agli occhi degli inesperti i più precisi, i più certi, i più assiomatici possibili. Negate infatti questa metafisicheria che è l'identità di individuo e Stato, e vi accorgerete che, volendo precisare sul serio il concetto apparentemente lapalissiano dello Stato e dei suoi limiti, ogni definizione riesce ina¬ deguata. e quella che sembrava una salda realtà diventa un nome senza consistenza. 11 concetto, dunque, fondamentale e sistema¬ tico dell economia corporativa è la statalità di tutti i fenomeni economici. Economia individuale ed eco¬ nomia statale sono termini assolutamente identici. Questa conclusione, così netta e perentoria, sembrerà paradossale e assurda a ogni economista che abbia tuttavia nel cervello i! più piccolo pregiu¬ dizio classicista e individualista: ma, per chiunque voglia riflettervi su, con mente aperta e con buona volonlà, dovrà pure apparire come la verità più lo¬ gica ed evidente. Le obiezioni che si possono sollevare sono prin¬ cipalmente due: Luna di carattere psicologico, la 19 — seconda in particolar modo tecnico-economica. Se¬ condo la più ovvia osservazione psicologica sembra che tra il mio interesse di privato e quello pubblico dello Stato vi sia non solo differenza, ma spesso op¬ posizione. Il cittadino, ad esempio, che investe in un modo piuttosto che in un altro i suoi risparmi, fa gli interessi propri, e le sue decisioni in proposito sono indifferenti allo Stato: il cittadino, poi, che cerca di sfuggire alle imposte fa gli interessi suoi e si oppone a quelli dello Stato. Ecco dunque due economie ben distinte e con finalità differenti: l’una individuale e l’altra statale. Senoncbé basta saggiare appena la fondatezza di queste opinioni per convincersi della loro superfi¬ cialità: e infatti è chiaro che il modo d’investire i risparmi dei cittadini non può essere indifferente allo Stato, perché non può essere indifferente allo Stato che l’indirizzo economico sia tino piuttosto che un altro, che certe industrie siano favorite o neglette, che le forze produttive siano armonica¬ mente finanziate: quanto poi airopposizione dì in¬ teressi individuali e statali che si verifica nel caso del cittadino che si sottrae alle imposte, è non me¬ no evidente ch’esso dimostra soltanto il lato abnor¬ me della vita economica e noii può essere assunta a criterio distintivo di due economie. Non si nega che il dualismo tra individuo e Stato esista, ma si vuole affermare ch’esso rappresenta l’aspetto nega¬ tivo e non quello positivo della vita sociale. Questa, nella sua essenza, importa l’unità dei due termini e può scientificamente studiarsi alla luce di tale uni¬ tà: il dualismo sempre risorgente — e necessaria¬ mente risorgente per la stessa dialettica della vita umana, che è perfezionamento e non perfezione — indica ii Iato patologico, l’ostacolo «la rimuovere, e insomma l’arbitrio fuori della legge e fuori della scienza. Cbi ipostatizza il dualismo e lo legittima facendone il fondamento di due economie, indivi¬ duale e statale, confonde il positivo col negativo, la legge con la sua infrazione, e costruisce infine due simulacri di scienza. L obiezione di carattere tecnico, che sembra legittimo sollevare contro l’assoluta identificazione di individuo c Stato, concerne la possibilità d’inter¬ vento dello Stato nell'economia individuale. Appa¬ re, infatti, evidente che, se lo Stato alle volte in¬ terviene a controllare, incoraggiare, gestire, ecc., e alle volte invece si disinteressa completamente, vuol dire eb’esso rappresenta una realtà diversa da quella su cui esercita il controllo: la possibilità dell intervento è la conferma ad oculos del dualismo. Eppure a una analisi più appropriata del pro¬ blema una simile rappresentazione dei fenomeni economici deve risultare fondamentalmente errata ed equivoca. Se infatti lo Stato non vien concepito in forma mitologica, come un organo o un insieme di organi sui generis, ma come la stessa Nazione nella sua organicità (giuridicità) essenziale, è chia¬ ro ch’esso non può intervenire perché è sempre presente, immanente in ogni manifestazione, sia pu¬ re la più trascurabile, degli individui costitutivi della Nazione. Si può intervenire negli affari degli altri, ma intervenire in quelli propri è cosa senza senso. Ogni atto economico da me compiuto s’inne¬ sta nel sistema economico della Nazione cui ap¬ partengo (vedremo poi come nella Nazione entri anche il mondo internazionale) e risulta quindi da esso condizionalo, anche se nessuna particolare nor¬ ma lo regoli esplicitamente. Questa sistematica di¬ sciplina, per cui il mio atto economico si realizza nell’organismo statale, costituisce il così detto in¬ tervento dello Stato, il quale è, per ciò stesso, asso¬ lutamente sostanziale. Pensare che possa esistere un fenomeno economico che si sottragga a questa di¬ sciplina e che viva in un mondo extrastatale, è pen¬ sare l’assurdo. Fenomeni antistatali potranno es¬ servi, e saranno appunto gli atti di arbitrio dell'in¬ dividuo che si oppone alla disciplina statale, ina fe¬ nomeni extrastatali no, perché fuori dello Stato v’c il nulla. Da un punto di vista assoluto, dunque, è illo¬ gico parlare di intervento dello Stato. Ma dell’asso¬ luto — ci oppongono gli empirici — noi non ci oc¬ cupiamo: noi intendiamo spiegarci un fenomeno molto concreto e innegabile, e cioè quello dello Sta¬ to che pone un dazio, un calmiere, sovvenziona una industria e viadicendo: di uno Stato, in altre paro¬ le, che ha una personalità distinta da quella degli individui e che, come soggetto economico diverso, compie degli atti che gli individui non possono com¬ piere. E credono così, codesti empirici, di aver ta¬ gliato la testa al toro, senza accorgersi invece che di ogni problema non ci sono due soluzioni, una filo¬ sofica e lina empirica, una assoluta e una relativa, sibbene una soluzione sola e propriamente quella giusta. La quale, in questo caso, consistendo nell as¬ soluta identità di individuo e Stato, dà a quello Stalo di cui parlano gli economisti un significato molto meglio determinato ch’essi non pensino, e cioè il significato di una delle particolari espressioni della vita dello Stato. Nessuno si sogna di negare quella realtà di fatto che è lo Stato nell’accezione più co¬ mune del vocabolo: nessuno quindi pretende nega¬ re che esista un’amministrazione centrale con un bilancio proprio (il bilancio dello Stato), con fina¬ lità sui generis, e con fenomeni economici peculiari: si vuol soltanto affermare che questa realtà non è lo Stato, bensì uno degli elementi dello Stato, la cui vita effettiva è nell’organismo integrale della Nazione, ipostatizzare quell’elemento, e vedere sol¬ tanto in esso lo Stato, significa precludersi la via a un’intelligenza adeguata dei fenomeni economici. Gli empirici, al solito, potranno esserci indul¬ genti e concederci di aver ragione circa il modo di intendere il concetto di Stato: ma — essi continue¬ ranno a opporci — sia pure elemento lo Stato di cui parliamo, noi intendiamo discutere appunto di esso quando ci riferiamo al suo intervento nella vita economica. Senonché tale soluzione del problema sarebbe affatto illusoria, come quella che ridurrebbe a una questione di parole la più sostanziale delle questioni. Ammettere, infatti, che lo Stato di cui parlano gli economisti sia un elemento dello Stato e non esaurisca la realtà di questo, significa ricono¬ scere ch’esso è appunto elemento di un organismo dal quale non può scindersi, ovvero ch’esso è coes¬ senziale a ogni altro elemento dell’organismo me¬ desimo.Per tradurre questo concetto nei termini usua¬ li, è facile osservare che il bilancio dello Stato vive in un’unità indissolubile con la vita economica della Nazione, sì che nessun fenomeno economico sfug¬ ge a un rapporto diretto o indiretto con esso. Quan¬ do lo Stato fissa un’imposta, non modifica soltanto l’economia dei colpiti dall’imposta, ma anche di quelli non colpiti: così quando lo Stato stabilisce un dazio protettore, non muta soltanto le condizio¬ ni dell’industria protetta, ma contemporaneamente quelle di tutte le altre. Ogni intervento dello Stato è globale. Credo che non vi sia ormai nessun economista che voglia contestare una verità tanto lapalissiana: ma purtroppo da essa non si è tratta ancora in ma¬ niera veramente esplicita la conseguenza inevita¬ bile, e cioè che lo Stato, per il fatto stesso di essere, interviene sempre; e che discutere quindi si può su questa o su quella forma di intervento, ma non sulla legittimità ed economicità deirintervento. Tutti gli infiniti tomi che si sono dedicati alla discussione del problema circa il valore economico dell’intervento statale, e tutta la secolare opposizione dei liberisti a ogni forma di intervento, riposano su un colossale equivoco, dipendente appunto dall’errato concetto di Stato. Discutere se sia lecito o no l’intervento dello Stato e nello stesso tempo riconoscere la ne¬ cessità del bilancio dello Stato —- vale a dire, per l’Italia, di un movimento annuo di decine di mi¬ liardi — è un assurdo che può non risultare sol¬ tanto alla cecità degli economisti puri. I quali non sanno quel che si dicano quando affermano che 1 i- deale della vita economica sarebbe quella della più perfetta libera concorrenza. Se una Nazione è tale in quanto è Stato, la libera concorrenza, quale è concepita dagli economisti, non solo non è raggiun¬ gibile, ma è negata nel modo più perentorio. Per conseguire que! presunto ideale bisognerebbe spez¬ zare 1’organismo. negare lo Stato e tornare al cozzo violento dell’anarchia di natura. 11 progresso di una Nazione, al contrario, è segnato dalla sua organi- cita sempre maggiore, e cioè dalla sempre più con¬ sapevole realtà dello Stato; il quale, in conseguen¬ za, tende a diventare sempre più immanente alla vita degli individui e sempre più costitutivo di ogni loro manifestazione. L’intervento dello Stato, in al¬ tri termini — se ancora d’intervento può parlarsi — è di fatto, e tende a diventarlo anche nella co¬ scienza comune, la realtà stessa della vita econo¬ mica. E se la scienza dell’economia auspica il trion¬ fo dell ideale opposto, è troppo palesemente fuori di strada. Allorché la Carta del Lavoro, dunque, dice all’articolo 9 che « l’intervento dello Stato nella pro¬ duzione economica ha luogo soltanto quando man¬ chi o sia insufficiente 1 iniziativa privata o quando siano in giuoco interessi politici dello Stato»,parla, evidentemente, un linguaggio d’altri tempi. Se lo Stato interviene sempre, perché è sem¬ pre presente e i suoi interessi politici investono tutta la vita della Nazione con cui si identifica, è chiaro che tutta l’economia tradizionale deve spo¬ stare il suo centro di indagine e trasformarsi fin dalle fondamenta. Il suo problema era, infatti, quel¬ lo della libera concorrenza (economia individuale), e della convenienza o meno, in certi casi, dell’inter¬ vento statale (economia prevalentemente monopo* listica): oggi diventa quello delle forme statali del- l’intervento e della organizzazione dell’economìa, nazionale. 11 binomio di libera concorrenza e mo¬ nopolio non ha più significato, e i due termini si risolvono in uno solo, quello della unità organiz¬ zata della vita economica, in cui la stessa concor¬ renza viene disciplinata. Cade così l’argomentazione degli economisti, cbe affermano essere tutte le forine della vita economica riconducibili alle due sole ipotesi della libera concorrenza e del monopolio. La forma è unica ed è quella lìbera e monopolistica insieme, in un’unità tale per cui il concetto di li¬ bertà e quello di monopolio sono radicalmente Ira¬ sformati e resi inintelligibili in quanto distinti. Gli schemi non servono più perché non rispondono a nessuna approssimazione alla realtà, e sono anzi nella loro essenza opposti alla realtà. Liberi sono gli individui, ma nella Nazione, in questo colossa¬ le monopolio in cui la loro concorrenza si effettua: questa è la realtà a cui invano si opporrebbe il tradizionale dilemma. Né si creda di sfuggire a questa conclusione passando dall’economia nazionale a quella interna¬ zionale, poiché la Nazione non va concepita anti¬ storicisticamente come un’entità limitata dai suoi confini e, nei suoi rapporti con le altre Nazioni, alla stessa guisa dell’uomo di natura rispetto agli altri individui. La Nazione include in sé il mondo internazionale, e lutto ciò cbe costituisce la vita di questo mondo non ha altra sede appunto che nel¬ la Nazione, unità suprema di là dalla quale non esiste che l’unità astratta, perché non dialettica, del¬ l’umano genere. Il compito che si deve perciò pro¬ porre la scienza è, sì, la costruzione sistematica dell’economia nazionale, nia intendendo questa come unità concreta ne] mondo internazionale, che non e, neppur esso, riconducibile alPideologia anarchi¬ ca del liberalismo, in quanto rientra nella discipli¬ na e nel sistema della Nazione. È al sistema che bi¬ sogna tener sempre fissi gli occhi, specialmente oggi che 1 organizzazione della vita economica sta in¬ cendo passi giganteschi e che, dinanzi al rapido pro¬ cesso di unificazione delle industrie, del commer¬ cio, dei mercati e delle banche, diventa sempre più anacronistico e irrisorio lo schematismo individua- listico della tradizionale economia pura. Riassumendo, possiamo ormai determinare i capisaldi della nuova economia, facendoli tutti de¬ rivare dal concetto fondamentale della statalità dì ogni fenomeno economico : Subordinazione di ogni fenomeno econo¬ mico al fine statale (essenziale politicità o storicità dell’economia). Interdipendenza dei fenomeni economici, considerata in funzione del fine statale ( sistematicità o organicità della vita economica).  Carattere pubblicistico della proprietà privata e della vita economica individuale. Obiettività dei fenomeni economici data dall obbiettività del fine statale, e quindi loro intel¬ ligibilità scientifica, in contrapposizione alla soggettività dell individualismo (ofelimità). ) Critica dei concetti di libera concorrenza e monopolio, e affermazione di un’effettiva epiù profonda libertà economica (negazione del liberi¬ smo anarchico e del vecchio statalismo burocratico). 6) Carattere internazionale della Nazione e unità essenziale del mondo economico. Questa Veconomia corporativa o senz’altro la economia. Poiché è bene intendersi una volta per sempre, ed escludere perentoriamente quel mostruo¬ so tentativo di concepire la scienza economica come una forma astratta, da adeguarsi a una qualunque delle infinite ipotesi economiche. L’ipotesi è nna sola e, cioè, quella interpretativa dell’effettiva realtà sto¬ rica: il resto non è che fantasia di puristi, abituati a scambiare le formule con la vita. La scienza dell’e¬ conomia non può essere che una, perché una è la vita ch’essa studia: e non ha bisogno dì aggettivi. Quando contrapponiamo l’economia corporativa a quella liberale o socialista o nazionalista, non inten¬ diamo dichiarare una nostra preferenza rispetto a questi possibili sistemi economici, ma vogliamo pro¬ prio affermare la scientificità della prima rispetto al carattere ideologico ed arbitrario delle altre: l’ag¬ gettivo corporativa , che noi aggiungiamo all’econo¬ mìa, ha il solo scopo di distinguere la vera dalla falsa economìa, e non un’economia da un’altra. Che poi essa si chiami corporativa e non altrimenti, vuol dire non ch’essa si identifichi immediatamente — e perciò in modo contingente — con l’ordinamento corporativo, ma soltanto che in questo ordinamenlo la consapevolezza delle sue verità si è resa più esplicita ed evidente. Che lo Stato sia costitutivo essenziale della vita individuale non è verità che si instauri col regime corporativo, né è limitata alla vita politica deiritalia di oggi : ma mai come nel¬ l’Italia di oggi questa verità è stata esplicitamente affermata : mai si è concepita la vita economica na¬ zionale come un’unità così saldamente organica. L’epiteto di corporativa non è dunque arbitrario, né menoma comunque la dignità della scienza a cui si applica oggi ai soli fini polemici contro il libera¬ lismo, il socialismo, il nazionalismo ecc. Poiché, se 1 economia corporativa è senz’altro l’economia, Io stesso non si può dire, ad esempio, di quella pre¬ sunta economia pura che è la quintessenza dell’eco¬ nomia liberale. A chi, seccato della qualifica di libe¬ rale attribuita al suo metodo scientifico, ha prote¬ stato di volersi porre al di là dei particolari indirizzi e di voler fare solo della scienza, oggi è possibile da¬ re una smentila categorica. E la smentita suona così: — fino a quando sulla prima pagina dei trattati di economia non figurerà, a guisa di postulato fon¬ damentale, il concetto di Stato, sarà vano parlare di scienza e sarà stolto negare il preconcetto seco¬ lare del liberalismo individualistico. La scienza, abbiamo detto, è una: e tutti gli indirizzi scientifici dal mercantilismo alla scuola fisiocratica e dal liberismo allo storicismo, al socialismo, al corporativismo non sono che i momenti del suo unico processo storicamente determinato. L economia corporativa vuol rappresentare soltanto lo sladio più avanzato del processo, in cui tutti i precedenti debbono risolversi trasvalutandosi. A chi fosse troppo preoccupato del pericolo di subordi ilare la scienza a fenomeni politici contingenti, possiamo rispondere che la politica non profana la scienza quando a essa ci s’avvicini con la fede dello scienziato e non con l’anima del politicante. TI pa¬ vido si ritrae per falso pudore, e nega l'obiettività della scienza col volerla troppo salvaguardare: il ricercatore spregiudicato non teme, invece, di fissar gli occhi nella realtà di cui viviamo, e di scoprire l’eterno nel contingente. II L’IDENTIFICAZIONE DI INDIVIDUO E STATO La difficoltà maggiore, che si è incontrata nel¬ la comprensione della tesi dell’identità di indivi¬ duo e Stato, è derivata generalmente dal non aver approfondito i concetti di individuo e di Stato che si ponevano a fondamento del rapporto di identificazione. È chiaro che. prima di discutere sulla va¬ lidità di tale rapporto, occorre rendersi conto del significato dei termini che siconfrontano, perché, se si suppone noto il significato stesso, si insiste evi¬ dentemente in quella concezione dell’individuo e dello Stato, che ha condotto, nello sviluppo storico del pensiero, airantinnmia da noi contestata. Stori¬ camente, vale a dire nel processo della attività spe¬ culativa come di quella pratica e politica, è certo che lo Stato si è configurato a guisa di un ente con¬ trapposto e sovrapposto all’individuo: e si è par¬ lato, quindi, di autorità di fronte a libertà, di sovra¬ nità di fronte a sudditanza, di arbitrio politico di fronte a interesse economico, e via dicendo. Lo Sta¬ to, insomma, era una sovrastruttura, sia pur neces¬ saria, della vita degli individui, e si esauriva nel compimento di particolari funzioni, dette appunto statali. Ne derivava che lo Stato poteva individuarsi in determinati organi e in determinate persone, cui erano attribuiti determinati compiti, entro una sfe¬ ra esplicitamente circoscritta e non coincidente che in minima parte con la sfera d’azione degli indivi¬ dui. A questo Stato, così concepito, gli economisti negavano e negano tuttora la possibilità di un inter¬ vento benefico nella vita economica degli individui. Ed avevano ed hanno perfettamente ragione; così come hanno torto quegli altri economisti che, senza persuadersi del mutato concetto di Stato, accedono tuttavia ecletticamente all’opinione della possibi¬ lità benefica di un certo intervento statale nell’eco¬ nomia individuale. Se lo Stato trascende, sia pure ri¬ spetto a una zona soltanto, il campo d’azione del- l’individuo, esso non può non turbarne Tequilibrio ogni volta che vi porti un mutamento. Ammettere la possibilità di un intervento benefico, di un solo, di un transitorio, di un limitatissimo, del più pic¬ colo tra tutti gli interventi immaginabili, significa ammettere la possibilità che lo Stato alteri vantag¬ giosamente con quel suo intervento tutto il sistema generale dell’equilihrio economico della vita degli individui, e cioè faccia coincidere, non limitatamen¬ te all’oggetto del particolare intervento, ma nella totalità delle determinazioni, la propria realtà con quella degli individui. Se si vuol restare nell’ipotesi che Stato e individuo siano due realtà diverse, an¬ che solo parzialmente diverse, la conclusione logica non può essere che una, e precisamente quella del liberismo intransigente: lo Stato non deve interve¬ nire mai e per nessuna ragione; il suo intervento, implicando sempre un’alterazione dell’equilibrio na¬ turale, non può essere che nocivo. Se non che la concezione storica dello Stato, che ha dato luogo a tali conseguenze nel campo del¬ la scienza economica, ha cominciato a modificarsi profondamente proprio quando, nella seconda metà del secolo XVIII, i classici dell’economia iniziava¬ no una sistemazione della loro scienza con la consa¬ pevolezza critica del carattere negativo di uno Stato trascendente. Sì che tutta la scienza dell economia si è venuta costruendo sul presupposto dell’antitesi di Stato e individuo, in funzione di quel concetto di Stato che rispondeva alla realtà storica anteriore al processo di trasformazione. E a poco a poco — quasi senza nessuna consapevolezza — si è giunti al paradossale risultato di uno svuotamento progressi¬ vo della scienza delFeconomia, svuotamento non do¬ vuto ad errore nella critica dello Stato trascendente, ma solo aU’illusione di credere ch’esso davvero esi¬ stesse e che esistesse perciò quell’individuo extra-statale, su cui la scienza aveva costruito il castello delle sue astrazioni. Il fondamento liberistico di tutta l’economia classica e della migliore economia contemporanea, e l’atteggiamento antistatale che l’accompagna, costituiscono certamente l’interna lo¬ gica e il principio sistematico di questa scienza: e possiamo aggiungere che, se lo Stato fosse quella realtà che gli economisti immaginano e se l’indivi¬ duo fosse quel soggetto economico che la scuola psi¬ cologica ha caratterizzato spingendo all’assurdo il concetto già implicito nelle teorie dei classici, la scienza dell’economia avrebbe raggiunto un grado notevole di perfezione, forse il più alto grado rag¬ giungibile sulla base di tali presupposti. Ma il guaio, o meglio la fortuna è che così quello Stato come qucll’individiio non esistono in realtà, e che col — 33 mancare dei presupposti si vanifica inesorabilmen¬ te tutla la costruzione faticosamente elaborata. È quell ìntimo anacronismo di principi e finalità che caratterizza la crisi della scienza economica con¬ temporanea, sia pure attraverso gli sforzi che da più parti si vanno facendo per superare -— in modo peraltro molto empirico — l'antinomia di cui si comincia ad avere coscienza. Né la colpa può attribuirsi completamente agli economisti, -se è vero che ancor oggi si stenta ad acquistare familiarità con i nuovi concetti fin nel campo più rigorosamen¬ te speculativo, e solo ìin'infima minoranza di gius- pubblicisti comincia a porsi con qualche precisio¬ ne problemi del genere. Tuttavia è tra gli economi¬ sti soprattutto che si nota la maggiore riluttanza ad occuparsi della questione, o addirittura l'ignoranza della sua esistenza : tra gli economisti che, per tra¬ dizione di specialismo scientifico, disdegnano di va¬ licare in qualsiasi senso gli arbitrari confini della loro scienza e credono di contaminare la purezza della economìa coordinandola con il processo della speculazione, della politica e del diritto. Si spiega perciò come essi possano tener fede dogmaticamen¬ te a concetti tanto controversi, accontentandosi di dar loro un significato empirico rispondente a pre¬ supposti teorici di altri tempi: si comprende infine come possa suonar loro strana, e anzi impertinente, la pretesa di chi chieda loro il significato dei con¬ cetti di Stato e di individuo. L’economista — essi rispondono — non pre¬ tende porsi e risolvere scientificamente questi pro¬ blemi; egli accoglie questi termini nel significato corrente e a tutti noto, e su essi costruisce i teoremi deH'economia. Che poi il significato corrente non 3 - Sunna sia rigoroso e sia anzi suscettibile di critiche più o meno radicali, è questione cbe reconoinista non di¬ scute, perché relativamente indifferente alla sua scienza: a lui hasta richiamarsi con quei termini a una realtà di fatto riconoscibile facilmente da chiunque. ') E il ragionamento non farebbe una grinza se potesse esserci veramente un significato comune precisamente determinato dei concetti di Stato e di individuo, se, cioè, noi potessimo sul se¬ rio sostituire mentalmente a quelle parole una qua¬ lunque realtà di fatto a confini netti. Ma, al contra¬ rio, è facile accorgersi cbe. quando ciò si volesse fare con sincerità, ogni sicurezza vacillerebbe, e a poco a poco all’illusione della certezza subentrereb¬ be la certezza dell’illusione, i termini diverrebbero ambigui e la presunta realtà di fatto andrebbe allar¬ gandosi o restringendosi arbitrariamente fino a com¬ prendere tutto o a ridursi a un misero moncone. Sottigliezze — si obietterà ancora incredulamente, — questioni di lana caprina, da cui resta turbato soltanto chi è abituato a spaccare in quattro il ca¬ pello, ma che non possono preoccupare sul serio ehi guarda alla realtà nelle sue manifestazioni es¬ senziali: se tutti parliamo di Stato e c’intendiamo perfeLtamente, vuol dire che, in sostanza, sappiamo *) Questo è, in sostanza, l'appunto che mi fece il Gotitii nel eno (apporlo al Congresso di Bolzano (settembre 193(1). o Lo Sialo, si disse, non può intervenire in un dato momento, perché è presente sempre. Ma non bisogna prendere la parola intervento in senso di¬ verso da quello che ormai è di uso comune » (Il procedimento spe¬ rimentale dell’economia corporativa, in « Giornale degli econo¬ misti». La risposta alle obiezioni del Gobbi dovrebhe risultare abbastanza chiara da lutto il contenuto di que¬ sto capitolo, che vorrei porre come pregiudiziale di ogni ulteriore discussione sulla validità dei principi della scienza economica. tutti che cosa esso sia. o per lo meno che cosi crediamo che sia. Ebbene, a rischio di apparire banali, abban¬ doniamo per un momento il terreno più propria¬ mente scientifico della discussione, trascuriamo cioè le attuali controversie dottrinarie, e scendiamo an¬ che noi a quel senso comune cui ci richiamano pe¬ rentoriamente alcuni economisti, quasi avessimo perso il contatto con la terra per la velleità di cor¬ rere inutilmente per i cieli. Scendiamo, dico, a ra¬ gionare all ingrosso e a determinare su per giù que¬ sto comunissimo concetto dello Stato: vediamo, in¬ somma, se è possibile giungere a una conclusione pralica qualsiasi, che ci autorizzi poi a rimanere fedeli a ciò che gli economisti dicono quando parla¬ no di Stato e individuo, di intervento, di libera concorrenza, di monopolio, ecc. Se vi perverremo, se potremo comunque pervenirvi, ogni ragione di dissenso sarà tolta, e ognuno potrà proseguire in pace il suo cammino; ma se, per avventura, ciò non fosse possibile, bisognerebbe pure che gli econo¬ misti si decidessero ad affrontare tutte le conseguen¬ ze e a mettere cioè in discussione tutti i principi della loro scienza. Tra le diverse risposte che potrebbero darsi alla domanda: «che cosa è lo Stato?», credo che un economista finirebbe col preferire quella che si ricollegasse al concetto di bilancio dello Stato: Stato è 1 ente il cui bilancio si chiama appunto bi¬ lancio dello Stato. E sarebbe ima risposta precisa, inequivocabile., perfettamente individuata nell’or- ganismo di un sistema scientifico, sì cbe ogni ulte¬ riore discussione sulla sua legittimità dovrebbe ap¬ parire inutile. Ma se gli economisti danno allo Sta¬ to questo significalo ristretto di amministrazione centrale, non è certamente a esso che si limitano quando parlano di intervento statale nell’economia individuale. Nessuno infatti crede di dover distin¬ guere l’intervento dello Stato strido sensu da quello, ad esempio, della provincia, o del comune, o di un ente pubblico in genere: e nessuno pensa a un rapporto necessario tra intervento politico e bilan¬ cio dello Stato quando si stabilisce, ad esempio, lina riduzione del numero delle osterie. Ci deve essere, dunque, un altro criterio per determinare i confini di quella realtà cbe gli economisti chiamano Stato, e studiano in rapporto ai fenomeni della libera concorrenza. A tal riguardo, oggi Stato in Italia sono senza dubbio anche l’organismo corporativo e il partito nazionale fascista, che di gran lunga tra¬ scendono la particolare vita del bilancio statale, e da cui nessuno potrebbe senza arbitrio prescinde¬ re per spiegarsi l’attuale vita economica della na¬ zione. E dunque lo Stato si allarga necessariamen¬ te, anche se ci limitiamo a questa prima considera¬ zione empirica del problema, daH’ammiiiistrazione centrale a quella periferica, da pochi organi deter¬ minati a una molteplicità indefinita di poteri rego¬ latori. Sì che l’economista deve tornare a porsi il problema da capo e andare alla ricerca di un crite¬ rio comprensivo di questa più vasta realtà cui deve riconoscere la qualifica di Stato. Non più tecnicamente rilevabile attraverso un particolare fenomeno economico come quello del bilancio statale, la distinzione di Stato e individuo deve a questo punto trascinare l’economista di là dai confini della sua scienza, e indurlo a ricercare nel campo del diritto e della politica quel concetto di Stato che gli è necessario per costruire scientifi¬ camente una teoria degli effetti economici dell’in¬ tervento statale. Lo sconfinamento è, al solito, in gran parte inconsapevole e la soluzione del proble¬ ma resta, nella letteratura della odierna scienza eco¬ nomica, affatto indeterminata ed equivoca. All’in- grosso si può dire che l’economista contrappone Stato e individuo intendendo contrapporre governo e governati. E anche questa distinzione potrebbe reputarsi precisa e perentoria, se fosse possibile in realtà individuare non arbitrariamente il concetto di governante; se fosse possibile, in altri termini, distinguere di fatto i governanti dai governati, os¬ sia la volontà e 1 azione economica dei governanti dalla volontà e dall’azione economica dei governa¬ ti. Se lo Stato, in effetti, è sinomino di governo, l’in¬ tervento statale non potrà concepirsi se non come quello esercitato da un’autorità governativa, ma, anche qui, nessun economista può essere tanto in¬ genuo da identificare tale autorità con la persona del sovrano e con il gabinetto. Anche qui è neces¬ sario scendere dal governo strido sensu al potere governativo esteso a tutte le autorità centrali e pe¬ riferiche, da quelle dei ministri a quelle degli enti locali, delle federazioni, dei sindacati, del partito, ecc. E il problema di nuovo si allarga in modo in¬ definito, senza che alEeeonomia sia possibile em¬ piricamente raggiungere i limiti dell’attività gover¬ nativa e degli uomini che la impersonano. Di gerar¬ ca in gerarca si scende tutta la scala dell’ organismo sodale, senza die sia mai possibile arrestarsi e tro¬ vare sul serio l’individuo che sia governato senza governare. Quando anche si sia scesi fino al fondo della scala e si sia raggiunta la massa degli indivi¬ dui che sembra non abbia altro compito sociale se non quello di lavorare e di obbedire, si deve pur riconoscere, e lo Stato moderno lo riconosce di fat¬ to, che la massa stessa si articola, si eleva, si spiri¬ tualizza e fa cioè sentire la sua volontà. In quanto essa è qualche cosa nel mondo sociale, è azione, e cioè governo, così come lo stesso ordinamento giu¬ ridico riconosce allorché a essa affida il compito di votare, vale a dire di porsi a tu per tu con la supre¬ ma autorità governativa, e riconoscerla o discono¬ scerla, darle o toglierle il governo, e quindi condi¬ zionare e disciplinare tutta l’azione governativa. Governo e governati vengono perciò a fondersi nel circolo della vita polìtica, e gli ultimi toccano i pri¬ mi, in un organismo unico armonicamente costitui¬ to. Quest’organismo, che tutti li comprende e che si esprime in una volontà unica, è appunto e sol¬ tanto lo Stato, con il quale l'individuo, in quanto animale sociale, non può non coincidere assolu¬ tamente. A questo nuovo concetto e a questa nuova real¬ tà dello Stato, per cui l’antinomia di Stato e indi¬ viduo si è venuta via via risolvendo, si è pervenu¬ ti a traverso un processo storico che qui non è il caso di illustrare in modo particolare. Basti dire ch’esso è il processo dello spirito umano, del pensiero del secolo XÌX e dei primi decenni del XX, 39 — della critica della vecchia trascendenza e dell’ul- tima sua forma concretatasi neìl’individualisino il¬ luministico : è il passaggio del liberalismo dalla sua forma irrazionale e anarchica a quella organica e disciplinata, è il trasformarsi dell’opposizione più o meno radicale all’autorità e alla realtà dello Sta¬ to nel riconoscimento del suo universale valore im¬ manentistico. Naturalmente le fasi dello sviluppo non si possono individuare con facilità e anzi di esse non è dato aver coscienza, se non quando si sia pervenuti alla piena comprensione dei risultati rag¬ giunti: sono fasi riconoscibili solo dall’occhio esper¬ to del cultore di studi storici e filosofici, che sa ri¬ salire alle fonti del nuovo orientamento speculati¬ vo e determinarne la necessità logica, ragione del- rineluttabile shocco nella vita pratica. E allo sto¬ rico solo è, quindi, consentito di volgersi con piena consapevolezza alla presente realtà politica per adoperare in senso non occasionale termini ed espressioni relativi a un’esperienza anch’essa non occasionale. Quando si parla, non ciarlatanesca¬ mente, di economia corporativa, non s’intende parlare né di una speciale forma di economia relativa a una contingente esperienza politica, né di una esperienza politica arbitraria da ordinare scientifi¬ camente. S’intende, invece, riconoscere storicamente e scientificamente un ulteriore sviluppo della scien¬ za economica, ossia l’erroneità di certi suoi presup¬ posti e la necessità di sostituirli con altri: e s’inten¬ de, insieme, riconoscere la razionalità di uno svi¬ luppo politico, dovuto agli stessi motivi spirituali dello sviluppo scientifico e tutt’uno con esso. Stato corporativo ed economia corporativa sono, in altri termini, frutti imprescindibili dello spirito moder- — 40 — no ed espressioni del massimo livello da esso rag¬ giunto : qualunque sia la forma clic verrà assumen¬ do 1 idea eorporativa, è eerlo che essa, per il su¬ periore concetto di Stato che rappresenta, informe¬ rà tutta la scienza e la politica deH’avvenire. Ma perché la previsione non riesca fallace è necessario saper discernere bene ciò che vi ha di essenziale nel movimento corporativo, e non con¬ fondere la sua realtà positiva con le particolari for¬ me, con i molteplici tentativi e anche con le inevi¬ tabili deviazioni della complicata prassi politica. Il che vuol dire che non bisogna considerare i fatti nella Ioto immediatezza indistinta, bensì valutarli alla stregua di un criterio storico che ne spieghi la necessità logica. Se essi sono frutto della storia non possono intendersi se non attraverso la storia, os¬ sia attraverso lo sviluppo del pensiero che nella storia si esprime, e debbono essere avviati verso quegli ulteriori ideali che sorgono dalla consapevolezza storica e scientifica. Allora l’idea corporativa può venire sul serio individuata e resa intelligi¬ bile, cioè elevata alla considerazione scientifica, non a titolo di nuovo oggetto di studio, ma come ragione interna dello stesso processo scientifico. Allo¬ ra l’idea corporativa esce dalla vaga formulazione propria di un’esperienza politica in rapidissimo movimento e si riconosce in una verità storica che è frutto di una secolare elaborazione dottrinaria e pratica : l’identità di Stato e individuo. Ora, se guardiamo all’ordinamento corporati¬ vo da questo superiore punto di vista, dobbiamo convenire che il suo effettivo significato storico sta appunto nel tentativo di rendere sempre più con¬ creta l’organicità statale della vita della nazione, e cioè di rendere lo Stato sempre più immanente alla vita dell’individuo. Nel regime corporativo lo Stato è destinato a perdere la caratteristica di un ente tra¬ scendente, a non contrapporsi, cioè, agli individui che sono soggetti alla sua autorità, ma ad estendere via via i propri confini scendendo dal vertice alla base e ricomprendendo senza residui tutta la realtà sociale. L’autorità dello Stato non è più una disci¬ plina che si impone ai cittadini dall’esterno, ma è la stessa disciplina con cui lo Stato si organizza nel suo interno: poiché nella corporazione si incontrano di fatto Stato e individuo, e reciprocamente si tra¬ sformano in un rapporto dialettico che dà significato a entramhi i termini. Cosi nel diritto come nell’eco¬ nomia rincontro, naturalmente, si esprime con la identificazione progressiva del pubblico e del pri¬ vato, e basta guardarsi intorno per convincersi del¬ la radicale e rapidissima trasformazione die questi concetti vanno subendo in tutti i rapporti della vita sociale. Parlare oggi, ad esempio, di proprietà privata, senza riconoscere anche ad essa un sostanziale carattere pubblicistico, è un assurdo che risulta evi¬ dente a ogni giurista non fossilizzato. E, se dal con¬ cetto base della proprietà scendiamo agli altri infi¬ niti che a esso si ricollegano, tanto dal punto di vi¬ sta giuridico quanto da quello economico, è facile ac¬ corgersi che tutti acquistano un significato statale al quale nella realtà non possono sottrarsi. Costi, prezzi, salari, iniziative, imprese, banche, negozi, com¬ merci, ecc., tutto è ormai, non solo implicitamente come sempre, ma anche con progressiva consapevo¬ lezza ed esplicita volontà, subordinato a una disci¬ plina statale di cui sarebbe assurdo voler segnare i confini. Ed è proprio questa impossibilità che or- mai rende chiaro, anche sul terreno della realtà politica, il progressivo svuotamento delle locuzioni tanto abituali nella letteratura della vecchia eco¬ nomia. Che cosa può mai significare oggi intervento statale nell economia individuale, quando si è reso esplicito anche ai più ciechi che non esiste alcun atto economico che non sia condizionato dall’or- ganisnio statale? Finché lo Stato si personificava in un ente e si esauriva nell opera di una burocrazia, esso poteva intervenire in una realtà che era fuori dell ente e della burocrazia: ma oggi che Io Stato non è, neppure in apparenza, un ente, né si limita a una huroerazia, perché si estende attraverso la vita sindacale a tutti gli individui, oggi finalmente è scomparso il soggetto stesso dell’intervento facendo scomparire con sé tutte le proprie particolari ma¬ nifestazioni. Per chi continuasse a sorridere scetticamente sarà opportuno portare un esempio molto noto: quello del calmiere. Non so se molti hanno riflet¬ tuto sulle vicende che ha subito il calmiere in Ita¬ lia in questi ultimi anni: a chi non lo avesse fatto e si domandasse 6e oggi in Italia esistono tuttavia dei calmieri, dovrebbe apparire chiara una sola ri¬ sposta e cioè che oggi in Italia la parola calmiere non ha più significato, è diventata anacronistica e ha seguito la sorte di quella concezione politica ed economica che il fascismo viene liquidando. An¬ cora fino a qualche anno fa si parlava di bardature economiche e della necessità di sopprimerle, an¬ cora si contrapponeva l’intervento alla libertà e si discuteva quindi sulla legittimità o meno dei cal¬ mieri. Oggi la questione è superata, non risolta né nell’uno né nell’altro senso, ma vuotata di conte-  mito attraverso la consapevolezza acquisita dell’as¬ soluta unità della vita economica italiana. Che si¬ gnificato dar piu alla parola calmiere quando in po¬ chi giorni prezzi e costi sono mutati in tutto il paese in virtù di una sola parola d’ordine? Quando con¬ tratti collettivi, stipendi, salari, prezzi di vendita all’ingrosso e al minuto, ecc., sono tutti legati da una ferrea disciplina nazionale? Che non è, si compren¬ de bene, una disciplina arbitraria e quindi antigiu¬ ridica e antieconomica, ma, almeno nella sua realtà migliore, il disciplinarsi stesso, e dairinterno, della vita economica d^l paese vista in funzione di un unico fine statale^ È lo Stato che coincide con l’indi¬ viduo e lo risolve nella propria organicità : è l’indi¬ viduo che vede nello Stato la sua ragion d’essere e lo risolve nella propria volontà. La tesi dell'identità di Stato e individuo, che teoricamente e storicamente si è venuta delineando, può ancora andare incontro — come si è già accen¬ nato — a una obiezione di carattere empirico, fon¬ data sulla constatazione di un reale contrasto tra l’attività e le finalità economiche dell’individuo e quelle dello Stato. È vero — ci si può opporre e ci si oppone in effetti da più parti — che in teoria, ossia, idealmente. Stato e individuo coincidono, ma nella concreta vita sociale è pur vero che l’opposizione o almeno la differenza c’è, e con il suo solo esserci non può non smentire la teoria. O voi dunque — si continua — vi contentate di restare in un’atmosfera di pura idealità io cui la teoria si esaurisce com¬ piutamente in se stessa, e allora potrete avere an¬ che ragione: o voi invece volete che la teoria si ade¬ gui alla realtà e serva ai suoi fini, e allora dovete riconoscere che la vita è radicalmente diversa da quella che voi andate teorizzando. Nel primo caso fate una metafisica, nel secondo lina cattiva economia. Prima di rispondere esplicitamente a questa obiezione, sarà opportuno ricercare le ragioni effet¬ tive del contrasto indubbiamente esistente e sempre risorgerne nella vita sociale tra fine pubblico e fine privato. Tale contrasto — diciamo anche noi — c’è e sarebbe stolto negarlo o porlo comunque in dub¬ bio, tanto evidente esso è nella vita di ogni giorno e nella coscienza intima di ognuno di noi. Se diminui¬ scono gli stipendi e io sono uno stipendiato, posso logicamente convincermi della necessità e quindi dell’utilità economica nazionale della riduzione, ma, se mi fosse lecito sottrarmi alla legge comune, e ot¬ tenere che il mio stipendio sfuggisse al provvedi¬ mento generale, con molta probabilità sarei lieto dell’eccezione e agirei perché essa si verificasse. Il che vuol dire che in realtà tra il mio fine indivi¬ duale e quello stalale c’è un contrasto esplicito e che l’agire economico mio non è identificabile con quello dello Stato. Ma se così è, non bisogna tuttavia arre¬ starsi al riconoscimento e occorre spiegarsi la con¬ traddizione Ira ciò che sarebbe logico e ciò che è reale. E basta appena porre il problema in questi termini per accorgersi che la ragione dell’indiscu- libile fatto è appunto contraria alla logica, è essen¬ zialmente. profondamente illogica. Il contrasto, in altri termini, c’è, ma è dovuto a una deficienza, a una negatività; esso rappresenta il lato patologico dell’effettiva realtà sociale, ossia l’elemento disgre¬ gatore e non quello unificatore della società. Se poi volessimo renderci conto della radice del male e ricercare in'quale dei due termini del rapporto Stato-individuo si verifica la ragione del contrasto, dovremmo riconoscere che non a uno solo di essi può limitarsi la colpa, poiché a fon¬ damento di entrambi è sempre una attività umana suscettibile di degenerare nelFegnismo antisociale, l’identità si spezza o almeno si attenua ogni volta che l’individuo si fa diverso dallo Stato: ogni volta insomma che lo Stato diventa sopraffattore o che l’individuo diventa ribelle. Alcune brevi osserva¬ zioni potranno chiarire il duplice modo del sorgere dell'antitesi. E cominciamo dallo Stato, contro il quale ge¬ neralmente si appuntano le critiche degli economisti, insofferenti del contrasto soltanto quando l’azione statale ne sia la fonte. Chi può negare un qualsiasi fondamento alle critiche dei liberisti contro gli in¬ terventi dello Stato nel campo dell'economia indi¬ viduale? E se non è possibile una negazione pe¬ rentoria, come si spiega il verificarsi di interventi dannosi e antieconomici? Per rispondere in modo scientificamente esatto bisogna convenire che l’azio¬ ne economica statale è nociva soltanto quando lo Stato non è veramente tale, e cioè quando rinnega la sua realtà universali zzatrice e si parti eoi arizza in determinati individui o in una determinata classe. Il modo, poi, in cui il particolarizzarsi dello Stalo può effettuarsi è duplice, a seconda che lo Stato si differenzia dalla nazione per ignoranza o per inte¬ resse. Nel primo caso lo Stato — o, per non equi- — 46 vocare, il governo in senso stretto, o, meglio ancora, gli individui che lo impersonano — interpreta ar¬ bitrariamente la volontà della nazione e agisce in senso antieconomico perché rompe l’organismo so¬ ciale, imponendo una volontà affatto individuale, disgregatrice di quella universale. È il governante che vuole agire per lo Stato, ina che in effetti opera contro lo Stato per l’incapacità di dare valore uni¬ versale alla propria volontà. Nel secondo caso, in cui il governante agisce per interesse proprio, non solo manca la capacità di universalizzarsi e di assurgere veramente a Stato, ma c è addirittura la volontà di particolarizzatsi anteponendo dolosamente la propria individualità allo Stalo. È il caso del tiranno o della classe diri¬ gente che abbassa la nazione a strumento dei propri fini particolari. Ora, è chiaro che tanto nel primo quanto nel secondo caso la tesi dell’identità d’individuo e Stato, lungi dall essere scossa e compromessa, è lumino¬ samente confermata nella sua assolutezza. Il duali¬ smo infatti è possibile in entramhi i casi non per la contemporanea esistenza di due realtà distinte che sarebbero l’individuo e lo Stato, nia per la inesi¬ stenza di una vera volonlà statale. Sono individui (Stato) che si contrappongono a individui (sudditi) in un contrasto anarchico di fini particolari: l’unità di individuo e Stato non può effettuarsi, perché inanca quella realtà universale in cui i due terniini debbono incontrarsi e sintetizzarsi; manca — rigo¬ rosamente parlando — lo Stato. E l’individuo si oppone allo Stato non perché veda in esso uno vo¬ lonlà e un fine universali contrastanti con la propria volontà particolare, ma solo perché vi scorge una — 47 volontà anch essa particolare che non ha alcuna ragione intrinseca di prevalere. Queste stesse osservazioni, fatte per dimostrare 1 origine patologica del dualismo di Stato e indivi¬ duo, valgono, presso a poco negli stessi termini, per il caso che la colpa di esso debba attribuirsi all’in¬ dividuo. È vero che 1 individuo spesso concepisce il proprio fine e il proprio interesse come contrastanti con quelli dello Stato, ma la ragione va trovata an¬ che qui o nell'ignoranza del valore del fine statale o nella volontà di sopraffare lo Stato abbassandolo a strumento del proprio interesse particolare e vio¬ lentando la volontà degli altri individui. In entram¬ bi i casi la sua condotta non si spiega con l’esistenza di due realtà distinte: individuo e Stato, ma solo con la negazione di uno dei due termini. È rindividuo che non riconosce lo Stato. Se per poco lo riconosces¬ se, se ne ritenesse giustificata l’esistenza e lo sentisse come valore da difendere, diverrebbe sua preoccupa¬ zione quella di conformare la propria volontà alla volontà dello Stato, di coordinare cioè il proprio mondo con quello dello Stato in un'unità superiore in cui i due termini si risolvessero. E insomma an¬ cora una volta si deve concludere che se di Stato può propriamente parlarsi, se lo Stato non è un nome ma una realtà effettiva, esso non può che coincidere con l’individuo. L’antinomia sussiste e sempre sussisterà, ma come il male nel processo dello spirito, vale a dire come la volontà di negare ciò che ha valore uni¬ versale, di sopprimere o di menomare lo Stato. Forse neppure dopo l’analisi del contrasto tra Stato e individuo possono ritenersi definitivamente combattute le obiezioni che si fanno alla tesi della identità dei due termini. Ebbene — ci si potrebbe ancora dire — sia pur giusto quanto voi sostenete e sia pur vero che il contrasto denota soltanto la man¬ canza o la menomazione della realtà dello Stato, ma intanto, comunque, il contrasto c’è ed è fonda- mentale, sì che da esso non è lecito prescindere, sen¬ za abbandonare la realtà concreta e smarrirsi dietro un utopistico ideale. Noi dobbiamo fare la scienza della vita quale essa storicamente ci si presenta, e non quella di un mondo astratto, fosse anche il più celestiale dei mondi possibili. A evitare ogni timore di tal sorta potremmo richiamarci al carattere radicalmente storicistico del nostro assunto: nessuno più di noi può aver l’in¬ tenzione di aderire alla realtà e di trovare in essa e soltanto in essa la norma scientifica. E perciò sarà opportuno dichiarare senz’altro perentoriamente che nessuno più di noi è convinto deH’esistenza del contrasto; che nessuno più di noi è disposto a rico¬ noscere l’impossibilità dell’eliminazione totale, sia pur fantasticata nel più lontano futuro, del contrasto stesso. L’antinomia c’è e sempre risorgerà, perché essa è nella dialettica della vita, sì che sopprimerla davvero per sempre significherebbe sopprimere con essa la vita. La quale non è perfezione ma processo I ; di perfezionamento, e perciò non identità statica dì individuale e universale, vale a dire non conquista definitiva del valore, ma sforzo continuo di adeguamento dell’individuale all'universale, ossia conqui¬ sta di valori sempre più alti. Per adeguarsi allo Sta¬ to l'individuo deve vincere se stesso, superare la propria particolarità, dominare gli impulsi, rinun¬ ciare all’arbitrio, disciplinarsi insomma attraverso una serie di sforzi, in cui il dualismo riaffiora continuamente e non può mai dirsi risolto per intero. Ma se questa è legge di vita, anzi la vita stes¬ sa nel suo svolgimento, occorre poi saper distin¬ guere entro il processo i due termini dialettici e non confondere il negativo con il positivo. L’individuo è veramente tale, è cioè una realtà positiva o un valore spirituale solo per quel tanto che riesce a universalizzarsi nello Stato: per quel tanto invece per cui resta al di qua dello Stato egli è non valore, irrazionalità, mero arbitrio disgregatore della real¬ ta sociale; è particolarità chiusa in se stessa e inca¬ pace di divenire comunque termine di rapporto, lira, è chiaro che un soggetto il quale sfugga alla possibilità di un rapporto con gli altri soggetti — se non sfuggisse, la sua particolarità sarebbe con ciò «lesso superata, e quindi l’ipotesi negata — è asso¬ lutamente negativo, ossia assolutamente inintelligibile. Volerlo considerare oggettivamente, fa¬ cendolo assurgere a contenuto di scienza, è im¬ presa tanto disperata e assurda, quanto quel¬ la di voler fare scienza dell irreale: e purtroppo in questa assurda fatica si è cimentata finora la scienza dell’economia per quel tanto per cui ha vo¬ luto tener fede ai suoi presupposti e assumere veste ^ • SniJTtì 50 — sistematica. 11 così detto homo aeconomicus è ap¬ punto l’ipotesi astratta dell’individuo visto, non in un particolare aspetto della sua attività di uomo — come erroneamente è stato ritenuto dagli economisti —, bensì nella mera negatività del soggetto considerato come particolare. Esso, dunque, non è un’ipotesi scientifica — per astratta cbe la si vo¬ glia pensare — ma proprio l’ipotesi negativa della scienza: se esistessero di fatto gli “homines æconomici”, il loro agire, per definizione, non sarebbe su¬ scettibile di sistemazione scientifica. Per quel tanto, invece, per cui l’uomo entra in rapporto con gli altri e supera la propria parti¬ colarità nell’opera di collaborazione, per quel tanto appunto esso diventa intelligibile e logicamente considerabile. La sua azione trascende, infatti, l’ar¬ bitrio e si razionalizza, il suo procedere si discipli¬ na secondo norme determinate e la sua soggettività si risolve neH’organismo della vita sociale, nello Stato. Per quel tanto, insomma, per cui individuo e Stato si identificano, il soggetto economico — In Stato cbe è individuo o l’individuo che è Stato — diventa una realtà positiva, e l’azione economica diventa suscettibile di considerazione scientifica. O si fa scienza e si riconosce l’identità sostanziale dei due termini, o si ipostatizza l’individuo consideran¬ dolo positivo nella sua particolarità e si rinuncia alla scienza. Ogni via di mezzo è fatalmente desti¬ nata all’equivoco e all’errore. A illustrare l’argomentazione potrà forse valere un esempio tratto da altre discipline: la gramma¬ tica o la sintassi. Sono discipline cbe ci indicano le leggi del parlare e dello scrivere; leggi non fis¬ sate arbitrariamente, ma ritrovate nella realtà di coloro die parlano e scrivono. Se non che, così co¬ me nel rapporto tra individuo e Stato nella vita economica, anche qui l’individuo non si adegua sempre all universale della legge e comunemente sgrammatica. Anche qui il parlar secondo gramma¬ tica è un ideale che di fatto non è mai raggiunto, né sarà mai raggiunto; eppure a nessuno viene in mente di fare la grammatica dell’individuo e di porre a fondamento di essa l’arbitrio di parlare co¬ me si desidera. Se si vuol fare scienza occorre pur considerare l'elemento positivo e non quello nega¬ tivo: occorre cioè determinare l’universale in cui gl'individui convengono e non il particolare che non riescono a superare. Ora, la scienza deH’economia ha mirato proprio a fare la grammatica dell’indivi¬ duo, e, quando non è stata arrestata lungo la china dalla forza imperiosa della realtà, è precipitata addirittura nell unica conseguenza possibile, quella dell ideale della libera concorrenza, che, mante? nendo ancora il paragone, vai quanto l’ideale del lihero parlare, ossia del parlare senza gram¬ matica. Mapotrebbe forse osservare a questo punto I economista a fondo positivisteggiante — noi non vogliamo indicare norme di vita. Noi vogliamo, cioè, indicare nella libera concorrenza non un ideale economico, ma un ipotesi economica : se si raggiun¬ gesse I ideale della lihera concorrenza quali feno¬ meni si verificherebbero? — ecco il problema. Eb¬ bene, rispondiamo ancora una volta, l’ipotesi non ha senso come non avrebbe senso lo sforzo del gram¬ matico che volesse studiare la grammatica di un ipotetico paese in cui ognuno parlasse un linguag¬ gio proprio. 0 la libera concorrenza ha una qual- siasi disciplina e si compone nella vita statale, e al¬ lora si può analizzare entro l’ambito di tale disci¬ plina; o la libera concorrenza è davvero l’incontro irrazionale di soggettività particolari, e allora non può essere cbe abbandonata a se stessa. Nelle osservazioni che precedono si è cercato di dare un concetto preciso della tesi dell’identità di individuo e Stato, e di mostrarne il carattere sto¬ ricistico, che la pone non a fondamento di una qual¬ siasi opinione scientifica, bensì come principio in¬ formatore necessario della nuova scienza economica, in quanto la si renda adeguata al livello speculativo e politico della vita contemporanea. A quali conse¬ guenze il nuovo principio conduca nella costruzione sistematica dell’economia non è possìbile illustrare se non costruendo appunto la nuova scienza; tutta¬ via deve già a questo punto risultar chiaro che le conseguenze non possono essere di carattere acces¬ sorio o particolare, ma tali da trasformare radical¬ mente la fisionomia della dottrina economica. Spo¬ stare il soggetto economico daWhomn cecoiwmicus, ossia dall’individuo particolare, all’individuo visto nella sua identità con lo Stato, significa mutare nb imis i concetti di valore, di utilità, di benessere, di bene economico, di ricchezza, di libera concorrenza, di monopolio, di intervento statale, ecc. : di tutti i concetti fondamentali, cioè, dell’economia quale si è venuta costruendo da secoli. Sarà una trasfor¬ mazione lunga e faticosa, e tanto più ardua quanto— 53 — piu ci si andrà avvicinando alla trattazione dei prò- blem, particolari, in cui è facile smarrire la coscien- za c ei presupposti e degenerare in un falso tecnici¬ smo. Ma sarà una trasformazione assolutamente ne- cessarla, alla quale converrebbe che aprissero fin da ora gli occhi quegl, economisti che si cullano tutta- via nella illusione di possedere leggi e teoremi di inoppugnabile certezza. Uno dei problemi fondamentali dell’economia, in cui la tesi dell’identità di individuo e Stato può Irovare la conferma del suo valore critico e rico¬ struttivo, è certamente quello del benessere. Preoc¬ cupazione costante della scienza è stata la ricerca delle condizioni necessarie per il raggiungimento del massimo benessere individuale e del massimo benessere sociale, e a questo supremo fine si può dire siano subordinate tutte le particolari teorie e indagini degli economisti, anche quando essi ri¬ pudiano come antiscientifico il concetto di disci¬ plina normativa. Se essi confrontano, infatti, le di¬ verse ipotesi economiche e ne studiano, sia pure astrattamente, le peculiari conseguenze, debbono avere, per il fine stesso che si propongono, un cri¬ terio di confronto, e debbono poter esprimere un giudizio comparativo di valore (economico). Vero è che Feconomista, a cui oggi si domandi se sia mi¬ gliore il regime di libera concorrenza o quello di monopolio, risponde di non potersi pronunziare in merito dovendosi limitare scientificamente a esporre 1 andamento dei fenomeni economici nei due casi indicati, ma è pur vero che tali fenomeni — presi almeno a uno a uno, — non possono chiarirsi e determinarsi se non in funzione di un concetto quantitativo (più o meno utile, maggiore o minore reddito, aumento o diminuzione della produzione, ecc.) che è implicitamente valutativo o normativo. Si potrà non concludere in favore dell’uno o del- 1 ahro regime, ma ciò dipenderà esclusivamente dal¬ l’impossibilità di sommare con esattezza tutti i prò e tutti i contro delle diverse ipotesi, non dal¬ la rinuncia a determinare i singoli prò e i sìngoli contro. Così, quando l’eoononiista afferma che la moneta cattiva scaccia la buona, condan¬ na, limitatamente al fenomeno preso in esame, la emissione di moneta cattiva, anche se poi, tenendo presenti altri fenomeni, riconosce che in determi¬ nati casi l’emissione di moneta cattiva possa essere necessaria. E deve allora risultare chiaro che la rinunzia dell economista a far diventare normativa la sua scienza va attribuita unicamente all’incapa¬ cità di una visione sistematica dei fenomeni eco¬ nomici e all impossibilità di decidersi fra regimi economici non bene determinati in tutte le conse¬ guenze. Un’economia veramente sistematica, seb¬ bene fondata su un principio affatto negativo, era 1 economia rigorosamente liberistica, che assumeva a fondamento logico della scienza la libera concor¬ renza e vedeva in essa l'ideale normativo della pras¬ si politica. Ma quando la negatività del principio si è andata a poco a poco rivelando anche ai più orto¬ dossi, il rigore sistematico si è affievolito e la scien¬ za è scivolata inavvertitamente nel frammentari¬ smo di indagini contradditorie. La ricerca è diventata più complessa e meno dogmatica, e in tal senso sì è accostata maggiormente alla vita e alle esi¬ genze dello storicismo, ma, per l'incapacità di dominare il mondo in la] guisa allargato, è caduta in un relativismo scettico scientificamente disorganico e praticamente inutile e dannoso. Si che, se oggi ci 6Ì volgesse intorno e si domandasse agli economisti quale sia la strada da percorrere per giungere al massimo benessere individuale e a quello sociale, non si potrebbero ascoltare che risposte monche, indeterminate e, peggio ancora, evasive. Gli uni ci direbbero che il problema riguarda la distribu¬ zione e non la produzione, e tenderebbero perciò a convertire il problema economico in un proble¬ ma di politica economica, per lavarsene le mani e rimettersi al prudente arbitrio delluomo polìtico; allri ci risponderebbero che la soluzione teorica è sempre quella della lihera concorrenza, la quale in aslratto garantisce il massimo di ofelimità indivi¬ duale e SQciale: ma poi aggiungerebberoche tale soluzione teorica ha bisogno, per una quantità di ragioni determinabili o indeterminabili, di correttivi più o meno radicali; altri ancora distinguerebbero tra benessere individuale più propriamente econo¬ mico e benessere sociale, determinato, invece, da motivi in gran parte di natura extraeconomica : al¬ tri, infine, si smarrirebbero nella casistica del con¬ tingente e accumulerebbero risposte su risposte, senza venire a capo di nulla. Ma tutti poi eviterebbero di affrontare o sommariamente ri¬ solverebbero il problema fondamentale di determi¬ nare sul serio il concetto di benessere individuale e sociale, e quindi tutti si porrebbero nell’impos¬ sibilità di dare una risposta scientificamente rigorosa. Poiché, al solito, l’incapacità degli odierni eco¬ nomisti di dar veste sistematica alla loro scienza sta proprio nel sorvolare sui presupposti della costru¬ zione e nell impelagarsi in una congerie disastrosa di questioni oziose o addirittura inesistenti, smar¬ rendo la nozione stessa del problema che pur si vuole affrontare. E perciò ancora una volta occorre fermarsi al limitare, e domandarsi con precisione che cosa vuol dire benessere individuale, che cosa benessere sociale, e che cosa infine il rapporto tra le due specie di benessere. Vediamo anzitutto quale significato hanno pre¬ teso di dare e quale significato hanno effettivamen¬ te dato al concetto di benessere gli economisti indi¬ vidualisti o liberali, nel tentativo più sistematico da essi compiuto per la soluzione di questo problema. Vogliamo riferirei in particolar modo alla interpretazione soggettivistica del concetto di uti¬ lità, e quindi alla cosiddetta ofelimità massima indi¬ viduale e statale. Credo che, anche limitando a que¬ sta teoria la nostra indagine critica, nessun econo¬ mista vorrà accusarci di unilateralità, perchè nessu¬ no potrebbe sul serio affermare resistenza nella scienza economica contemporanea di una conce¬ zione più comprensiva del problema in esame. Con il concetto di ofelimità la teoria classica dell economia individuale ha raggiunto il massimo rigore che le era consentito. Se il soggetto econo¬ mico è 1 individuo singolo con finalità proprie estra- nee a quelle degli altri individui, la nozione oggetti¬ va di utile va necessariamente cangiata in quella soggettiva di ofelimo: nessuno potrà affermare in astratto Futilità di un bene, perché beni per se stessi utili non esistono, essendo la loro utilità in funzione dei gusti e dei relativi bisogni degli individui, L u- tilità di un bene varia perciò da indivìduo a indivi¬ duo da momento a momento della sua vita: quello stesso bene cbe oggi è al sommo delle mie aspira¬ zioni e cbe m’induee a sacrifici notevolissimi, può diventare domani affatto irrilevante e tale da co¬ stringermi addirittura a nuovi sacrifici per disfar¬ mene. Vano era dunque il tentativo dei vecchi eco¬ nomisti di determinare il valore dei heni e di spie¬ gare obiettivamente le ragioni della loro utilità: utile è soltanto Fofelimo, vale a dire ciò cbe risponde al gusto contingente e arbitrario di dii com¬ pie la scelta economica. Tutta la cosiddetta economia marginalia ha preso le mosse da questo presupposto fondamen¬tale e si è trascinata fin qui nell'illusione — non sempre cieca e totale — che nel puro soggettivi¬ smo fosse tuttavia possibile alla scienza di porre un certo ordine, frazionando idealmente in unità ele¬ mentari i vari beni di un individuo e confrontando le unità ultime di ciascun bene tra loro. Se sog¬ gettivo è il concetto di utile, entriamo pure nell’ani¬ ma del soggetto e facciamo la sintesi delFeeonomia e della psicologia: così hanno pensato i più coerenti tra gli individualisti, giungendo infine alla conclu¬ sione alquanto lapalissiana che di veramente certo nella logica di ogni indivìduo non v’è che il biso¬ gno di procurarsi beni economici in quantità tali da rendere eguali le soddisfazioni procurate dalle uni- 0 — 59 — tà ultime dei diversi beni. Il ragionamento, a prima vista impeccabile, si è svolto in questi termini: se io vado al mercato a comprare pane e vino è chiaro che comprerò tanto pane e tanto vino da far coin¬ cidere il piacere che potrà procurarmi l’ultima parte del mio pane con quello che potrà venirmi dall’ulti¬ ma parte del mio vino. Se l’ultimo boccone del mio pane avesse per me maggiore o minor valore dell’ul- timo sorso del mio vino, la mia opera sarebbe illo¬ gica, perché rinuncerei senza ragione al massimo di utilità possibile, facendo acquisto di troppo vino o di troppo pane. Estendendo il ragionamento a tut¬ ti i miei beni e misurando la quantità di ognuno posso giungere a determinare il valore relativo di essi: posso cioè avere una nozione sperimentale del mio equilibrio economico. E se infine dalla mia persona passo a quella degli altri individui che for¬ mano la collettività, posso sempre sperimentalmente e oggettivamente giungere alla nozione di un equili¬ brio generale, che è tuttavia la risultante di molte¬ plici mondi assolutamente soggettivi. Si compie in tal guisa il miracolo della trasformazione di un’economia psicologica in un’economia matematica, e ciò che sembrava l’espressione di un arbitrio inaf¬ ferrabile e indeterminabile diventa elemento rigoro¬ samente determinato in una formula algebrica. Ma la matematica è in questo caso una cattiva consigliera e conviene aver la forza di resistere al suo fascino, per non essere trascinati in un mondo tanio più fantastico quanto più tecnicamente per¬ fetto. E dalle sue equazioni vogliamo per un istante ritrarre lo sguardo per ritornare all’mdividuo eco¬ nomico e vedere se tanta scienza possa comunque illuminarlo nel suo cammino e se, soprattutto, pos- ea comunque illuminargli la strada che gli altri individui percorrono con lui. Ora è chiaro che l’economia marginalista non può dare all’individuo nessun criterio orientativo nel mondo economico, poiché l’azione economica, qualunque essa sia, è sempre, per definizione, la migliore possihile. Se vado al mercato, compro quel hene, in quella quantità, e a quel prezzo che rispon¬ dono nel modo più infallibile all’unico criterio logi¬ co eh io possa in queiristante seguire: al criterio cioè del mio gusto e del mio bisogno. Fare libera¬ mente una cosa che non piaccia è evidentemente una contraddizione in termini, e se dunque fonda¬ mento dell’economia è l’ofelimità, ogni atto eco- mico, in quanto compiuto senza costrizioni, e ne¬ cessariamente perfetto. E se perfetto è ogni atto, perfetto sarà pure il sistema degli atti ossia tutta la vita economica, si che ogni individuo, che agisca lìberamente, non può non vivere lina vita rispon¬ dente al più allo ideale economico e non esser sem¬ pre nello stato del massimo benessere possibile. Se non che una perfezione così a buon mer¬ cato ha già dato qualche sospetto a taluno degli economisti più intelligenti e c’è stato chi, sia pure di sfuggita, dando uno sguardo più profondo alla vita del soggetto, si è accorto nientemeno che le ofe¬ limità marginali non sono confrontabili tra di loro, neppure nello stesso individuo e neppure nello stes¬ so istante. E poi si è notato che il marginalismo im¬ plica la possibilità per lo meno ideale di frazionare in unità elementari ogni bene economico e che invece tanti beni economici sfuggono necessariamen¬ te a tale procedimento. Obiezioni queste che, ag¬ giunte a molte altre, hanno cominciato a scuotere la — 61 — fede che dai pm si aveva nel rigore del principio escomi» \f a non tanto si sarebbe avvertita lL- surdita della posizione, se non si f osse tornali al p . aggio, dapprima inconsapevolmente ritenuto le- fanello* dall’equilibrio individuale a quello collettivo e cioè dal benessere del singolo a quello della società. Posto, infatti, l’individuo a centro del sistema, il massimo di ofelimità generale non ai e potuto trovare che nella somma deimassimi delle ofelimità individuali, e allora logica¬ mente il p rmin problema è sparito, in quanto rias- ?.°. r lt0 Senza ^e ® 1 l du, nel secondo: ogni individuo ubero raggiunge il suo massimo e con ciò stesso rag- giunge la somma massima la società di cui egli fa parte. Al a scienza non resta da far altro che pren- der atto del migliore dei mondi possibili. Se la scienza volesse comunque uscire da que¬ sto suo atteggiamento dì completa passività di fron¬ te al problema del massimo benessere individuale e sociale, il primo scoglio contro cui i suoi sforzi do¬ vrebbero necessariamente infrangersi sarebbe quello del confronto tra il benessere di due individui di- yersi. Abbiamo già accennato allbbiezione di chi ha dichiarato inconfrontahili le ofelimità margina- h di due beni per uno stesso individuo, ma in quel caso si era tuttavia nell’ambito del soggetto econo¬ mico e la possibilità del paragone restava in qual¬ che modo suscettibile di discussione. Ma quando si tratta di confrontare il benessere di due individui e lo stesso presupposto psicologico soggettivista che nega a P” 01 ; 1 °8 ni senso alla ricerca ed esclude la possibilità di un qualsiasi risultato. E basta appena accennare a questa conseguenza della teoria per ac¬ corgersi che la presunta soluzione del problema è affatto verbalistica e vuota. Se dire massimo di be¬ nessere sociale vuol dire somma di massimi indivi¬ duali, questa somma deve pur concepirsi possibile e gli addendi debbono pur potersi confrontare. Ma confrontare vuol dire conoscere il rapporto quanti¬ tativo della soddisfazione che un medesimo bene procura a due persone diverse e tale rapporto è pur¬ troppo impossibile per definizione. Dunque? Dun¬ que il circolo vizioso èsenza uscita di sorta e occor¬ re impostare diversamente il problema. Né, d’altra parte. l’economista potrebbe rinun¬ ziare al confronto, attenendosi per astrazione a un tipo medio di uomo, che rendesse omogenei gli addendi da sommare. In tal caso, infatti, l’unica so¬ luzione del problema sarebbe di eguagliare tutti i redditi individuali e di presumere in tal guisa rag¬ giunto il massimo benessere sociale. Il che, oltre tutto, sarebbe in netta antitesi con il criterio di libera concorrenza, che è a fondamento, assoluto o relativo, dell’economia marginalista. Ma il guaio peggiore di questa ingarbuglia- tissima situazione viene a porsi in evidenza allorché l’economista è costretto a passare dall’economia in¬ dividuale a quella della collettività (Stato, enti pub¬ blici, sindacati, società, ecc.) L’agnosticismo dello scienziato trova qui un limite assoluto ed egli non può più evitare di rispondere con precisione ai pro¬ blemi che scaturiscono dalla coesistenza delle due economie. Se lo Stato deve stabilire un’imposta, qua¬ li industrie e quali redditi colpirà e con quale cri¬ terio? È chiaro che il criterio economicamente non può essere che uno e cioè quello del massimo be¬ nessere sociale: ma intanto tale massimo può con¬ cepirsi solo in regime di libera concorrenza e Firn- posta è estranea per definizione a tale regime, e slugge necessariamente alla logica del suo sistema. imposta Sara scelta esclusivamente con criteri ex¬ tra-economici e l’economista, al solito, non solo non potrà dire la sua parola, ma non riuscirà poi in al¬ cuna maniera a misurare gli effetti di un imposta dal punto di vista del benessere sodale: egli non potrà, cioè, giudicare né a priori né a posteriori del¬ la bontà di un’imposta. Lo stesso ragionamento può ripetersi a propo¬ sito di qualsiasi intervento statale nella vita econo¬ mica del paese: anzi lo stesso problema dell’inter¬ vento acquista una nuova fisionomia e rende vanaogni attività dello scienziato in questo campo. Quan¬ do gli economisti si sono poco o molto allontanati dalla tesi rigorosamente liberista e hanno ammes¬ so la possibilità, in determinate condizioni, di un in¬ tervento statale economicamente vantaggioso, han¬ no dato, senza avvedersene, un colpo mortale alla teoria dell’ofelimità, rendendo oggettivo ciò che avevano perentoriamente affermato come soggetti¬ vo, e confrontando, sia pure in astratto e in linea di mera ipotesi, il benessere procurato da due situazioni economiche diverse. 0 si tien fede al ca¬ rattere soggettivo della ofelimità e allora bisogna lasciare 1 individuo arbitro incondizionato della sua vita economica e giudice incontrollato del suo be¬ nessere; o si ammette, anche per un attimo e con ogni sorta di limitazioni, la confrontabilità delle soddisfazioni, e allora si deve rinunziare a costrui¬ re la seienza sul fondamento della scuola psicologi¬ ca. Ma intanto convien pure riconoscere, con i sog¬ gettivisti, che il benessere procurato da una sterlina a un povero è maggiore di quello procurato a un ricco e che, in tesi generale, uno stesso bene procu¬ ra soddisfazioni diverse a diversi individui; come pure bisogna riconoscere, contro i soggettivisti, che qualunque indagine relativa ai problemi economici implica inesorabilmente la determinazione obietti¬ va di un rapporto tra diversi stati di benessere: e ingomma è necessario concludere che tra soggetti¬ vismo e oggettivismo economico esiste un'antinomia radicale, sulla quale non si è fatta la debita luce, e che perciò rende infecondi tutti gli studi e i tenta¬ tivi compiuti dagli economisti per giungere a una costruzione veramente sistematica. Il problema che vien fuori dalle considerazio¬ ni precedenti è, dunque, quello di trovare un crite¬ rio con il quale superare Tantinomia di ofelimo e utile, ossia di soggettivo e oggettivo, e dare in con¬ seguenza un significato intelligibile e non contrad¬ ditorio ai concetti di massimo benessere individuale e massimo benessere sociale. La via da seguire deve essere naturalmente quella prescelta dagli stessi economisti che hanno posto la nozione di ofelimità a fondamento della scienza, vale a dire l’analisi psicologica del soggetto economico. E non sarà cer¬ tamente colpa nostra se i confini della particolare scienza economica saranno valicati, come non è sta¬ta colpa dei puristi che sono scesi su questo terreno, anche se oggi fanno la voce grossa a chi osa parlare di rapporti tra scienza e filosofia. La distinzione tra ofelimo e utile domina ormai tutta la scienza eco-— 65 — nomica e ne spiega 1 attuale struttura: se non si vuol dunque accoglierla come le colonne d’Èrcole dello scienziato, bisogna pur che i tecnici si abbas¬ sino a discuterla, lasciando per un poco di ammi- rare e perfezionare i maestosi castelli matematici che vi hanno fondato sopra. La teoria soggettivista considera l'individuo economico, che fa una scelta, come dominato im¬ mediatamente da un gusto o da un bisogno che è quello che è: essa non si rende conto né si vuol render conto del perché di quel gusto, né del rap¬ porto tra un gusto e un altro dello stesso individuo. Vero è che di tale rapporto si parla quando si con¬ frontano tra loro le utilità marginali dei diversi be¬ ni acquistati da un individuo e si afferma ch’esse sono eguali, ma il rapporto si limita a una scelta economica puntualizzata in un dato momento della vita di un individuo e non vale in alcuna maniera a chiarire il passaggio da un equilibrio di gusti a un altro equilibrio di gusti, o, più semplicemente, da un gusto all altro. Inoltre, anche quando il rappor¬ to lo si supponga puntualizzato in una data scelta, esso non può tradursi in un’eguaglianza quantita¬ tiva se non attraverso Tarhitrio dello scienziato, per- che di fatto l’ofelìmità dei diversi beni non è con¬ frontabile dal soggetto, se per definizione questo si intenda dominato da una mera molteplicità di gu¬ sti. Per dosare un gusto e il bene atto a soddisfarlo è necessario rendersi conto di rapporti logici deter- v-u L V n S Ca de “ dlst,nzi .°. ne è stala da noi fatta nel saggio Tr ' r ?oi°n P * j 610 ’ m L, ‘ crltlca dell’economia liberale, Milano, re\es, Ì9ó0. Ad essa quindi rimandiamo il lettore che volesse ap¬ pio on ire. la questione: qui ci limitiamo a presupporla e inten¬ tino insistere invece sui criteri ricostruitivi cui essa dà luogo.  minabili con criteri che non possono ridursi al gu¬ sto stesso: in guanto semplici gusti, il gusto di un profumo e quello di un colore non sono confron¬ tabili. E fin qui è arrivato lo stesso Pareto. Se oggi vado al mercato e acquisto una deter¬ minata quantità di beni, in tanto posso far questo consapevolmente in quanto pongo un ordine nei miei gusti, e li determino e li graduo in una visione complessiva della mia vita. Così non mi abbando¬ nerò al primo capriccio cbe ini verrà in mente e non esaurirò il imo avere nella soddisfazione del primo bisogno apparentemente imperioso, ma va¬ glierò 1 oggi e il domani, i bisogni che mi è lecito soddisfare e quelli al cui appagamento debbo ri¬ nunziare, i capricci e i doveri, e insomm 3 mi spie¬ gherò la ragione dei miei gusti e agirò con la coe¬ renza logica che avrò saputo raggiungere. Sarà buo¬ na o cattiva la mia logica, ma pensare che i miei gusti possano guidarmi a caso, senza alcuna logica che li leghi, è pensare l’assurdo. Ma dire logica, significa già dire soggettività non immediata né irrelata: significa dire vita unificata e universale, significa vedere i miei gusti in rela¬ zione con quelli degli altri cbe con me vivono. Lungi daH’essere inconfrontabile, ogni mio gusto si spiega soltanto in funzione degli altri miei gusti e dei gusti degli altri, e nelPintimo della mia co¬scienza è un continuo confronto attraverso cui i miei gusti sorgono e si modificano. E vado allora al mercato e compero dei beni economici che servonoper me e per i miei, perché è anche un mio gusto e un mio bisogno che i miei soddisfino i loro gusti e i loro bisogni: e la mia scelta economica, allora, sarà certamente mia e in rapporto aH’ofelimità che — 67 — i diversi Leni per me rappresentano, ma io non sono più il soggetto che immaginano gli economisti, chiuso in una sfera assolutamente impenetrabile, bensì un individuo in rapporto ad altri individui e perciò attore di lina vita economica che si svolge in virtù di tale rapporto. Se poi cerchiamo di determi¬ nare meglio la natura del rapporto e di precisarne i limiti, ci accorgiamo ch’esso non solo lega la mia persona alla mia famiglia, ma anche agli amici, ai compagni di lavoro, alla classe, al paese e infine allo Stato in cui la mia vita si disciplina e sì potenzia. Nel mio agire economico, come in tutto il mio agire, mi propongo, dunque, un fine che è mio e che risponde ai miei gusti, ma questo fine non è arbitrario e si spiega solamente inquadrandolo nella vita dello Stato; sì che, se altro fosse lo Stato, altre sarebbero le condizioni di vita in esso esistenti, al¬ tri i gusti dei cittadini e altro, insomma, il fine che ciascuno di essi potrebbe porsi e in effetto si por¬ rebbe. Se io non sono un ladro o un farabutto, se cioè il mio agire economico non ha un valore ne¬ gativo, il fine che io ho in vista deve essere in ar¬ monia con quello dello Stato, e non perché lo Stato me lo comanda dall’esterno, ma perché la mia stessa vita individuale non ha significato senza lo Stato, e tanto più significato ha quanto più con lo Stato si identifica. Appena l’uomo supera la mera animalità e diffe¬ renzia i suoi gusti da quelli della fiera, sorgono bi¬ sogni che hanno un’origine affatto sociale: nessuno dei tanti beni economici che si son venuti creando nella storia dell’uomo sarebbe stato mai prodotto senza il fondamento della collaborazione. E collabo- rare vuol dire appunto tendere a un medesimo fine e cioè avere un medesimo gusto e un medesimo bi- sogno. Se 1 utile economico fosse veramente l’ofeli- mo, nessun bisogno potrebbe soddisfarsi, che, se mi viene il gusto di avere un’automobile, h soddisfa¬ zione di esso mi è possibile solo in quanto lo stesso insogno e stato inteso dalla società in cui vivo e in cm esistenza delle automobili, perciò, si è resa pos¬ sibile. h Se, al contrario, l’utilità delle automobili rappresentasse soltanto una mia particolare ofeli- mita, nessuna forza al mondo potrebbe valere ad ap- pagare il mio gusto, perché nessuno coìlaborerebbe con me al raggiungimento del fine propostomi. An¬ che quando da me solo, estraneo a tutti, mi costruissi un oggetto atto a soddisfare un mio specialissimo gusto non potrei rinnegare la natura sociale di esso e porlo m rapporto al giudizio di approvazione o disapprovazione degli altri individui, che sono sem¬ pre presenti nella mia coscienza di uomo, nonostante il mio proposito di prescinderne assolutamente. Sono quel che sono in forza del processo storico che m me s individua, e la mia azione deve avere sem¬ pre il carattere di universalità che è proprio della stona. Utile e ofelimo coincidono nel modo più ri¬ goroso e 1 illusione della loro differenza può sor¬ gere soltanto considerando l’aspetto negativo del- I uomo che si oppone alla logica della vita, e quindi allo Stato che di quella logica è l’espressione con¬ creta. Ma in quanto si oppone alla logica, l’ofelimo, al solito, non può essere oggetto di scienza e resta a indicare il limite della scienza come il limite della vita. L antinomia tra soggettivismo e oggettivismo economico si risolve negando ogni positività al sog¬ gettivismo che non coincida con l’oggettivismo, e cioè al procedimento puramente arbitrario e irrelativo dell’individuo. I gusti e i bisogni di cui l’eco¬ nomista può e deve occuparsi sono quelli cbe si rendono intelligibili nell organismo della vita sociale e cbe rispondono quindi a finalità essenzialmente sociali: gli altri non sono veramente gusti né bisogni, bensì piuttosto manifestazioni patologiche di un attività antisociale e vanno perciò considerati unicamente da questo punto di vista. Parlare in un Iratlato di economia dell ofelimo in quanto diverso dall'utile vai quanto occuparsi del furto o del ri¬ catto come mezzi razionali di produzione. Risolta l’antinomia tra individuo e Stato, ossia Ira ofelimo e utile, è possìbile tornare al problema del massimo benessere senza incontrarsi nelle diffi¬ colta che rendevano assurda ogni soluzione. Il con¬ cetto stesso di benessere si sposta dalla soddisfazio¬ ne del gusto immediato a quella di un gusto consa¬ pevole e logicamente determinato: il benessere non è più in relazione a uno stato naturale cbe va appa¬ gato per il fatto stesso di essere, ma in relazione a un fine da raggiungere e da far valere nell’organi- smn della vita statale. È quindi dallo Stato, e non dall’individuo in quanto concepito senza lo Stato, cbe occorre prender le mosse per intendere quale significato possa avere la ricerca del massimo be¬ nessere individuale e sociale. Non dallo Stato, tut¬ tavia, concepito come somma di individui, bensì dallo Stato cbe è volontà unica e unica finalità, ogni giorno storicamente determinata e in continuo pro¬ cesso di superamento. Ma domandarsi che cosa sia e come si raggiunga il massimo benessere dello Stato vai dunque quanto chiedersi che cosa sia e come si raggiunga il massi¬ mo ideale dello Stato stesso: ed è chiaro che a un tale quesito non nuò seguire che una sola risposta, e cioè che l’ideale di una Nazione è esso stesso pro¬ cessuale e diventa più grande e più alto via via che 10 si raggiunge, così come il massimo benessere che una Nazione può proporsi non ha limiti di sorta e s ingigantisce via via che il benessere aumenta. Se non che non ci si potrebbe arrestare a questa con¬ statazione, che pur è Tunica logica e incontroverti¬ bile, senza eliminare addirittura il problema da ri¬ solvere e senza eludere quel tanto di legittimo che pur si cela nella affannosa ricerca delle vie per rag¬ giungere il massimo benessere. Occorre, dunque, che quesla stessa constatazione si traduca in termini di scienza economica, dando una risposta non effimera a un problema sia pur malamente impostato. Se muoviamo dal concetto dell’unità dell’orga- nisnio statale, possiamo agevolmente convincerci che 11 valore dei beni economici varia, aumenta, dimi¬ nuisce, o addirittura si annulla, col variare del fine dello Stato. Se una legge stabilisce l’uso di una mer¬ ce considerata pressoché inutile fino alla formulazione della legge stessa, quella merce acquista im¬ provvisamente un valore economico che nessuno prima si sarebbe mai sognato di attribuirle. È lo Stato, che con un atto di volontà ha creato un va¬ lore economico, e conseguentemente ima ricchezza già prima esistente, ma non come ricchezza. Le quali considerazioni, si badi bene, non hanno una por- 71 tata ristretta al caso di una legge vera e propria, ché anzi con il termine legge si vuol significare ogni espressione della vita sociale, sia cli’essa giunga alla determinatezza di una norma giuridica, sia ch’essa si limiti alle vaghe linee di una opinione, di un uso, di una moda, di una convenzione, ecc. Basta assistere a una vendita all’asta per accorgersi delle vicende, a volte stranissime, dei beni economici: ciò che un tempo rappresentava un grande valore, è caduto in disuso e buttato via come cosa inutile, o di nuovo è tornato in gran pregio rispondendo a diversi bisogni spirituali. Ma è chiaro che questa vicenda non è l’espressione di un arbitrio indivi¬ duale, sibbene di un processo storico che ha una logica. Anche la moda più strana e più insulsa non si afferma se non risponde direttamente o indiret¬ tamente a un’esigenza dell’epoca e delle particolari condizioni in cui fa la sua apparizione. Quest’esi¬ genza è appunto la legge che dà vita ai valori economici, come a tutti i valori della vita, e fa nascere gusti e bisogni che non sono individuali senza per ciò stesso essere collettivi. Ne deriva che tutti i beni pennoniici, e quindi la ricchezza di una nazione, sono concepibili e sono determinabili unicamente in funzione della volontà e del fine statale. Nulla esiste che sia un bene economico in sé, bene è solo in quanto tale lo fa essere la volontà dello Stato; e la ricchezza di una nazione, quindi, può variare e varia in effetti continuamente, anche senza che muti la quantità dei beni esistenti. Il che, espresso in al¬ tri termini, vai quanto dire che non esiste una na¬ zione povera o una nazione ricca in senso assoluto, ma povera o ricca ogni nazione diventa a seconda del valore attribuito ai Leni ch’essa possiede o che essa è in grado di produrre. In questo senso ogni nazione può essere ricca, perché la ricchezza di¬ pende esclusivamente dalla sua volontà. Ora, se si conviene in queste considerazioni, e in parte almeno di esse convengono, sia pure in¬ direttamente, molti economisti, il quesito circa la via per raggiungere il massimo benessere sociale può ricevere una risposta precisa anche dal punto di vista più particolarmente economico. E la via da seguire è appunto quella che vien rivelata dalla de¬ terminazione storica dell ideale economico della nazione: determinazione cui si perviene studiando il problema economico in rapporto al problema po¬ litico e che si esprime perciò in un programma non aprioristicamente fissato una volta per sempre, ma in continuo sviluppo e perfezionamento. Il pro¬ gramma naturalmente si concreterà in un indirizzo d insieme e in direttive particolari ben precisate, e tutti i suoi aspetti si integreranno a vicenda in modo sistematico, sì che le diverse manifestazioni dell’at- tività economica non abbiano a contrastare tra di loro. E l’indirizzo potrà essere, ad esempio, preva¬ lentemente agricolo o prevalentemente industriale, tendente all incremento o alla limitazione demo¬ grafica. favorevole o contrario all’emigrazione, e via dicendo; tutto in relazione all’avvenire del paese, alla sua individualità e alle sue condizioni: le quali consentiranno poi di determinare in qualche manie¬ ra le direttive generali che dovranno essere seguite nell'attuazione delle tante iniziative della vita eco¬ nomica e come in ognuna di esse debba aversi sem¬ pre di mira il fine comune. Si comprenderà, in tal guisa, come e perché siano da favorirsi certe indu¬ strie e da vincolarsi certe altre, siano da potenziarsi 73 — al massimo le industrie più specificamente nazio¬ nali e siano da trascurarsi quelle più rispondenti ai fini e alle risorse di altri paesi; siano, infine, da crearsi gusti, bisogni diretti ai beni economici che più conviene produrre. Poiché bisogna ben convin¬ cersi che il problema del massimo benessere socia¬ le non si risolve solo creando il modo di soddisfare al massimo i gusti e i bisogni esistenti, ma soprattutto modificando, correggendo, creando gusti e bi¬ sogni in relazione all’ideale economico — ed economico in quanto politico — della nazione. E si comprende che quest’opera non deve svolgersi uni¬ camente entro i confini dello Stato, ma divenire il programma della stessa politica economica interna¬ zionale, che soprattutto airestero conviene far na¬ scere il gusto di ciò che è prodotto dell’industria na¬ zionale: possibilità questa di cui purtroppo gli Ita¬ liani hanno parecchi esempi in casa loro, dove tanti usi stranieri si son lasciati attecchire e con essi l'importazione di tante merci che fanno passare in seconda linea le nostre. Né questo solo aspetto, più propriamente pro¬ duttivo. va considerato del problema, che anzi ad esso è strettamente collegato quello distributivo, in quanto in un’economia dinamica — e può esistere un’economia non dinamica? — ripartizione dei red¬ diti e determinazione della produzione sono pre¬ cisamente la stessa cosa. È chiaro che in un’econo¬ mia nazionale ben consapevole la ripartizione dei redditi avverrà favorendo gli uomini e le industrie la cui attività produttiva sarà più in armonia con l’ideale economico del paese. Questo ideale deter¬ mina il valore dei beni e questo stesso ideale deve determinare la scala dei valori umani, clie sono in  rapporto con quei beni. Beni e uomini che ven¬ gono perciò ad acquistare un significato economico solo nel] organismo statale di cui sono espressioni, e che perciò possono essere valorizzati davvero solo se nell organismo statale sia chiara la consapevolez¬ za della loro particolare funzione e la volontà che essa si adempia nel miglior modo. Se poi, dal problema de] massimo benessere sociale, passiamo a quello del massimo individuale, la soluzione ci dovrà apparire logicamente impli¬ cita nel già detto. Sì è visto che ogni individuo vive la sua vita individuale come vita statale, e che an¬ che ciò che sembra più proprio della sua persona¬ lità ha un significato e un valore in quanto è in rap¬ porto con l’organismo sociale. Ne deriva, dunque, che il fine di ogni individuo — così politico come economico — non può essere che quello di poten¬ ziare al massimo la propria personalità in funzione del fine politico ed economico della nazione. Se sono un buon cittadino, vale a dire se la mia attività non è antisociale e negativa, il mio massimo ideale è quello di esser degno della mia nazione e di fare lutto il possibile per esserne degno. La ricchezza cui tenderò non sarà in antitesi con questo ideale, ma la consacrazione delFessermi reso degno, più dei non ricchi, della mia nazione. Se cosi non fosse, tenderei alla ricchezza senza preoccuparmi del mez¬ zo, vi tenderei soprattutto col furto. Ma se così è, le condizioni per raggiungere il mio massimo benes¬ sere individuale non possono essere che due, e cioè in primo luogo la mia decisa volontà di adeguarmi al fine statale e di contribuire nel modo migliore alla realizzazione di esso: in secondo luogo, poi, il rico¬ noscimento sociale della mia attività e il relativo compenso proporzionato. Sì che volendo giungere a una definizione : imissimo benessere dell’individuo è quello che gli proviene dall adeguazione perfetta del compenso della sua opera al valore della sua personalità vista in funzione del fine supremo dello Stato. Se poi volesse conoscersi come e quando il mas¬ simo benessere individuale possa effettivamente conseguirsi, sarebbe da osservarsi che, di fatto, esso è sempre raggiunto perché ogni individuo ha quel che si merita, dato l’ideale consapevole cui è pervenuto il suo Stato, ina che poi non è mai raggiun¬ to una volta per sempre, in quanto il livello spiri¬ tuale dello Slato è in continuo sviluppo e con esso la capacità di riconoscere più adeguatamente In¬ pera dell’individuo. Se, ad esempio, ci proponessi¬ mo il problema di conoscere se gli attuali stipendi dei professori rispondono al massimo benessere in¬ dividuale di questi, dovremmo convenire eh essi rispondono perfettamente alla consapevolezza che lo Stato ha del valore di questa funzione in rapporto alle altre della vita sociale, ma dovremmo altresì augurarci, e contribuire con la nostra opera a rag¬ giungere, la realizzazione di uno Stato, in cui la funzione culturale fosse maggiormente valorizzata e perciò meglio compensati fossero i professori a confronto di altre categorie di lavoratori. C’e sem- pre uno St a to reale e uno S ta to ideale nella 3iaiet - tica della storia, e il p roblem a del massimo bencs- sere, c osì social e come individuale, d eve av ere una soluzione che viva in questa dialettica. Basta impostare in tal guisa il problema del massimo benessere per accorgersi del significato che nella sua soluzione può avere lo Stato corporativo; il quale si differenzia dallo Stato liberale così co¬ me dall’economia liberale si differenzia la nuova economia. La soluzione scientifica non può diffe¬ rire da quella politica perché scienza e politica non possono essere che le manifestazioni di una stessa vita spirituale. Allo Stato liberale non poteva ac¬ compagnarsi che l'ideale scientifico dell’uomo ceco- nomicus, del massimo benessere sociale come som¬ ma dei massimi individuali, dell’ofelimità che si differenzia dall’utilità; allo Stato corporativo deve dar significato il principio dell’identità di individuo e Stato, del massimo benessere sociale come mas¬ simo benessere nazionale e individuale, deH’utilità che si identifica con l’ofeìimità. LA LIBERTÀ ECONOMICA 11 problema della libertà non può avere che un unica soluzione, sia che lo si consideri dal punto di vista filosofico, politico e giuridico, sia che lo si traduca in termini di scienza economica. Coloro che parlano della libera concorrenza come di una ipotesi scientifiea apolitica da porsi accanto alla opposta ipotesi del regime monopolistico, anch’essa - apoliticamente considerata, dimostrano soltanto di aver smarrito completamente la nozione storica dei concetti che adoperano, e soprattutto dei concetti di individuo, di Stato, di benessere individuale e so¬ ciale, sui quali la scienza economica deve poggia¬ re come sui suoi fondamenti primi. Avendo già di essi largamente discusso, basterà farli riaffiorare nel¬ la determinazione del concetto di libertà, quale può venir dato dall esame il più immediatamente ade¬ rente alla vita effettiva della socielà economica. Il modo comune di intendere la libertà è quel¬ lo individualistico di arbitrio, per cui ogni uomo si considera veramente libero quando ha la possibi¬ lità di fare lulto ciò che desidera, senza subordinare o comunque legare la sua volontà a quella di qual- siasi altro. Perché ciò sia logicamente possibile è necessario che 1 individuo, per dirla in termini rous- seauiani, sia unità intera e non unità frazionaria : occorre cioè che egli non faccia parte di un orga¬ nismo sociale, ma viva allo stato selvaggio, soddi¬ sfacendo da solo a tutti i suoi bisogni. Ne deriva, dunque, che l’usuale nozione di libertà si adegua soltanto all idea presociale dell’uomo-fiera. Facciamo invece il caso di due uomini o di piu uomini che, insoddisfatti dì una vita puramente animale, decidano — e anche qui restiamo nei ter¬ mini di Rousseau — di legarsi in società, divider¬ si il lavoro, e migliorare con l’unione delle forze il tenore della vita. Allora la situazione cambia ra¬ dicalmente e i collnhnralori debbono anzitutto porsi il fine comune da raggiungere, a esso subordinando le singole attività. Se prima, ad esempio, l’uomo svegliandosi al mattino poteva andare a caccia o restare ili riposo rinunciando per un giorno al cibo, ora, invece, a caccia deve andarvi in ogni caso, per¬ ché il sistema piu perfezionato di ricerca e cattu¬ ratone degli animali esige ch’egli sia al suo posto pronto ad aiutare gli altri individui con i quali si è unito in società. S’egli restasse a riposare, gli altri dovrebbero rinunziare alla sua collaborazione, e la società si spezzerebbe, perché il fine comune per cui si è costituita non potrebbe essere raggiunto. Il passaggio dalla fiera all’uomo implica dunque: la costituzione di un organismo sociale; la determinazione di un fine comune; fideiitità di questo fine comune con ì fini dei singoli; l’elevazione del fine comune a LEGGE della società e la subordinazione a essa dei singoli membri; la conseguente necessità dell’attuazione della legge e la trasformazione dell’organismo sociale in STATO; l’identità del benessere individuale e di quello statale; la rinunzia definitiva alla libertà intesa come arbìtrio. Si apre a questo punto un dilemma, al quale non vedo come si possa seriamente sfuggire: o la vita civile non è conciliabile con la libertà o della libertà occorre formarsi un concetto che non sia quello di arbitrio individuale. Prima di risolvere il dilemma, occorre elimi¬ nare ogni dubbio circa la possibilità di un terzo ter¬ mine. e precisamente di quel terzo termine escogi¬ tato dalla stessa teoria contrattualistica, secondo cui il necessario vincolo imposto dalla vita sociale do¬ vrebbe essere il minimo possibile e tale da lasciare la più ampia sfera all’arbitrio dell’individuo. È que¬ sta la teoria ebe è a fondamento dello Stato liberale e, secondo essa, l'unico arbitrio vietato al singolo sarebbe quello dell invadenza nella sfera di arbi¬ trio degli altri individui: il contenuto sociale o sta¬ tale sarebbe appunto la garanzia dei particolari ar¬ bitri. Ma e chiaro che questa teoria, equivocando sui termini di società e Stato, sposta il problema, ponendolo in termini affatto fantastici: io Stalo vien concepito come un ente distinto dalla società e la legge è ridotta al significato formale e negati¬ vo di limite. Se riportiamo, invece, la questione nei termini concreti dell’agire economico, è facile con¬ vincersi che la legge non è un limite formale, bensì una esplicita norma di produzione e di distribuzio¬ ne. che non si esaurisce in un divieto di sconfina¬ mento. ma impone un determinatissimo lavoro. Se voglio far parte della società, debbo in modo asso¬ luto occupare il posto che mi spetta e fare tutto quello che il mio posto esige. Quando sono entrato in società con il mio simile, non Tho fatto per di¬ videre la mia sfera dalla sua e segnare i confini della mia proprietà (legge limite, Stato carabiniere, ecc.) ma l'ho fatto per condurre con esso una vita mi¬ gliore, per produrre più e meglio, per raggiungere risultati impossibili alle mie sole forze (legge di azione, Stato etico). Sì che il confine posto tra la pro¬ prietà mia e quello degli altri non ha neppure esso un valore négàlivojjfi^pura“difesa''tjrrisTTpi^e^de'- ter ni ina li va-del-campo _in cui esercitare la mia ope¬ ra di collaborazione: non indica la sfera del mio arbitrio, ma il mio posto di lavoro. Né quello che io faccio, vincolato dalla società, può stare comunque accanto ad altro ch’io fac¬ cia all’infuori di questo vincolo, perché all’infuori del vincolo io non ho altra realtà oltre quella dell’a¬ nimale, e tutto quanto daH’aniinale mi distingue ho conquistato nella società, collaborando, ossia sotto¬ mettendomi alla legge del fine comune. Se oggi v’è apparentemente la possibilità di separare un’atti¬ vità libera da un’altra obbligatoria, ciò avviene solo per un equivoco di valutazione, che consiste nel considerare alcuni elementi sociali scissi dalla vita da cui sono stati originati. Ma, a guardar bene, biso¬ gna pur convincersi che nulla della nostra condotta sfugge alla legge della convivenza sociale e che an¬ che nelle questioni propriamente personali, noi agiamo secondo una volontà comune, individuale e sociale insieme, in piena identità di termini. Se mi vesto, posso apparentemente abbigliarmi come mi detta la fantasia, ma in realtà debbo pur seguire le leggi, gli usi, le tradizioni, il gusto, ecc., della so¬ cietà in cui vivo; e se, ad esempio, posso mettermi una cravatta rossa ovvero una grigia, anche questo arbitrio non è un arbitrio, ma un operare entro quel¬ la legge che nell’attuale momento storico impone varietà di colori nelle cravatte. Questa è la realtà della vita sociale, e, quanto più progredita e complicata essa diviene, tanto più ferrea è la disciplina cbe la governa e die deve ren¬ dere possìbile l’armonia di tanti elementi disparati. Le leggi, i regolamenti, le mode, gli usi, le conven¬ zioni, gli orari ecc. ecc., investono sempre più me¬ todicamente tutta la nostra vita quotidiana, da un minimo cbe è lasciato alle forme rudimentali di vi¬ ta (vita dei campi) a un massimo elle caratterizza l’azione dei maggiori esponenti della politica, della cultura, dell’industria e del commercio. Sì che assenza di arbitrio e massimo di civiltà divengono via via termini equipollenti, e la vita del più civile uomo di domani non può immaginarsi se non attra¬ verso un’adeguazione sempre più perfetta della vita e della volonlà del singolo a quella dello Stato. Ma, dunque, si potrà obiettare dai nostalgici del liberalismo vecchio stile, la vita deve diventare una schiavitù, un procedimento meccanico e ineso¬ rabile, al quale non sia possibile sottrarsi a nessun costo, per rivendicare la spensierata felicità di chi si leva al mattino arbitro incondizionato della pro¬ pria giornata? È dunque questa la vera civiltà o non conviene buttar tutto all’aria e tornare all’imme¬ diatezza della natura? Questione vecchia cotesta, almeno quanto l’o¬ pera di quel Rousseau cbe ci ha dato In spunto per discuterla : e, appunto perché vecchia, orinai risolta e superata, se pur la soluzione non abbia ancora avuto modo di pervenire agli orecchi degli econo¬ misti. Essi amano indulgere tuttavia al miraggio di d  Spinila — fe¬ lina libertà individualisticamente intesa, e non si sono neppure domandati se ormai occorra, o se sia comunque possibile, che la scienza economica dia anch'essa un altro significato al termine tradiziona¬ le. Poiché di un altro significato deve ben potersi parlare, dato che al dilemma sopra proposto non si può rispondere, evidentemente, eoi negare addi¬ rittura la libertà. Notiamo anzitutto che la libertà dei liberali è. per loro stessa eonfessione, una libertà a mezzo, la quale lia sempre qualcosa da invidiare alla com¬ pleta libertà dello stato di natura. A quell’assoluto arbitrio si è dovuto rinunziare per necessità di vita e per sicurezza reciproca, ma intanto di una rinun¬ zia pur sempre si tratta, che fa assaporare con voluttà quel giorno felice in cui, per il superiore livel¬ lo della comune moralità, sarà possibile abolire lo Stato e la sua funzione di inutile gendarme. La li¬ bertà del liberale, dunque, nessuna maggiore pro¬ fondità e spiritualità acquista con lo svolgersi della storia, che anzi essa ha lasciato alle sue spalle il pro¬ prio modello perfetto e immodificabile. Basterebbe questa considerazione per farci diffidare della giu¬ stezza della comune soluzione del problema: se li¬ bertà è sinonimo di valore, la sua realtà non può essere che nel suo approfondirsi e spiritualizzarsi continuo, sì che il suo modello possa brillare della luce dell’ideale da instaurarsi e non perdersi nel buio della preistoria. La giusta soluzione, dunque, dovrà ricercarsi nel concetto di una libertà che non si è persa, ma cbe si deve conquistare; di una libertà non sei- vaggia, ma identificabile addirittura con la vita ci¬ vile. E la via ci è indicata dalla stessa ipotesi con¬ trattualistica, da cui volutamente abbiamo preso le mosse per restare nell’ambito dei problemi cari agli ideologi del liberalismo. Quando due o più uomini deliberano di unirsi in società per migliorare le loro condizioni, liberamente si sottopongono alla legge del comune lavoro, e questa legge diventa, per ciò stesso, il contenuto del loro atto di libertà. Libertà e legge, lungi dairescludersi, si identificano senza residui. Ma la loro identificazione, si badi bene, non è accidentale, bensì essenziale, perché, se contenuto dell atto di libertà non fosse la legge, la libertà stes¬ sa tornerebbe ad essere arbitrio. Quel che distingue infatti la liberta dall arbìtrio è appunto l’univer¬ salità della prima di fronte alla particolarità del se¬ condo: il selvaggio può agire in un qualsiasi modo; 1 uomo civile, invece, deve agire secondo una volontà che, pur essendo sua, abbia insieme un valore uni¬ versale {la legge). Costitutivo, insomma, del nuovo concetto di libertà deve essere la sua identificazione con la legge, ossia la identificazione della volontà particolare con quella universale, dell’individuo con In Stato. Né si creda che il libero processo secondo cui gli individui si costituiscono in società si esauri¬ sca nell’atto della costituzione — il quale anzi non esiste ebe nella fantasia dei contrattualisti — poiché esso si perpetua in tutta la vita sociale e ne ca¬ ratterizza ogni momento. La legge cbe lega gli individui nel comune lavoro non si determina una volta 84 — per sempre meccanicizzando l’attività da essa rego¬ lata, ma si rinnova continuamente in virtù della stessa forza d’iniziativa che l’ha fatta sorgere. Ogni individuo, infatti, è indotto a perfezionare l’organi¬ smo sociale ed escogita nuovi procedimenti e ricerca nuove vie, sempre insoddisfatto dei risultati conse¬ guiti e sempre pronto a conseguirne di nuovi. Ma si comprende che in questo processo ogni iniziativa del singolo deve inserirsi nel processo unitario della vita sociale: la sua volontà deve diventare la vo¬ lontà di tutti e la sua libertà di attuarla deve coin¬ cidere con la legge che ne impone l’attuazione. Che se l’iniziativa restasse particolare e si giustapponesse a infinite altre iniziative ancli’esse particolari, tutte si intralcerehbero a vicenda spezzando l’organismo della socielà e portandolo fatalmente alla disgrega¬ zione aiomistica. Questa identificazione iniziale e processuale della volontà e libertà del singolo con l’universa¬ lità della legge risulta molto evidente dalla consi¬ derazione del funzionamento di una qualsiasi as¬ sociazione. Anche se prendiamo ad esempio il caso limite dell’associazione a delinquere, dobbia¬ mo convenire ch’essa si costituisce con un atto di libertà dei singoli membri, volonterosi di sottoporsi alla sua disciplina; che i singoli tendono al benes¬ sere dell’associazione vedendo in esso il proprio; che ogni particolare iniziativa di un membro è su¬ bordinata all’approvazione degli altri; e che insom¬ ma l’associazione tanto meglio vive, ed è capace di conseguire il fine che i singoli si sono proposti nel formarla, quanto più unitaria è la sua volontà e quanto più rigorosa la sua disciplina. Ma se dall’e¬ sempio di una singola associazione, passiamo a quel- 85 — 10 della grande società che è lo Stato, l’evidenza della identità si attenua, i termini del problema diven¬ gono indecisi e la questione arbitrariamente si spo¬ sta dando luogo agli equivoci propri dell’individua¬ lismo liberale. Ogni cittadino nello Stato, come ogni delinquente nell’associazione di cui abbiamo di¬ scorso, 6arà tanto più degno di appartenere alla so¬ cietà quanto più saprà far coincidere la sua libera volontà con quella sociale. Che se nel caso del citta¬ dino par ci sia differenza tra il benessere proprio c quello dello Stato, la ragione va trovata solo nel fatto che, per la maggiore estensione e complessità dello Stato rispetto all’associazione a delinquere, più facilmente il cittadino smarrisce la coscienza dell’or¬ ganismo e più facilmente è indotto a frodare gli al- Iri membri della società cui appartiene. Ma per ciò appunto il contrasto tra le due volontà rappresenta 11 lato negativo e non quello positivo della vita dello Sfato e tutte le forze debbono essere impegnate a eliminarlo. Anche nell’associazione a delinquere uno dei membri può sottrarsi alla disciplina sociale e averne i vantaggi senza gli oneri, ma egli sarà ap¬ punto il prepotente, l’elemento disgregatore della società e finirà col fare il danno di essa e quello proprio. In tal guisa considerata la libertà, si compren¬ de come si sia decisamente sorpassata l’ambigua so¬ luzione del problema data dal liberalismo. Il citta¬ dino non si sdoppia più in due attività opposte, nell una delle quali si conserva la libertà originaria dell' uomo di natura e nell’altra invece si riconosce Tobbligatorietà della legge: il cittadino è libero in ogni sua manifestazione a patto che tale libertà sap¬ pia conquistare dimostrando il valore dei suoi atti e facendo 1 ! perciò riconoscere dalla società di cui fa parte. La libertà per esser vera deve costare, e il suo costo è dato appunto dallo sforzo necessario a trasformarla da volontà particolare in volontà uni¬ versale. Abbiamo ora gli elementi cbe ci sono indispen¬ sabili per discutere il tormentatissimo problema del¬ la libera concorrenza e del monopolio. Secondoi termini tradizionali la libera concorrenza si esercita Ira individui cbe cercano il massimo benessere individuale, senza alcuna preoc¬ cupazione del fine sociale. L'ideale della perfetta concorrenza è appunto quello dì un giuoco di forze individuali autonome, la cui autonomia o irrelatività sia assoluta, 6Ì cbe il fenomeno economico scaturisca dall’incontro indisciplinato di interessi diversi e opposti. Ogni limite sociale, ispirato dalla visione di un fine che trascenda quello dell’arbitrio dei singoli, è considerato come una menomazione della concorrenza e come una forza antieconomica. Si consacra in tal modo nel campo delFeconomia l’assolutezza del principio della libertà come arbi¬ trio, cbe aveva dovuto trovare un limite nel ricono¬ scimento della necessità giuridica dello Stato. Quando tuttavia da questa concezione ideolo¬ gica ritorniamo all’analisi dell’effettivo processo del¬ la vita sociale, dobbiamo riconoscere cbe un tal mo¬ do di intendere l’ideale economico è intimamente incongruente. Se la società, infatti, è costituita al fine di collaborare, essa implica, come abbiamo vi- sto, una disciplina comune, una legge che neghi gli arbitri dei singoli, e cioè i loro interessi individuali in quanto altri da quelli sociali. Ne viene di conse¬ guenza che o bisogna ripudiare la libera concorren¬ za come un fenomeno essenzialmente antisociale o bisogna intenderla e promuoverla in un senso ra¬ dicalmente diverso da quello comune. Per rendere più evidente la questione sarà opportuno ritornare un momento all’esempio del- l’associazione a delinquere, e vedere in questa for¬ ma rudimentale di società il sorgere della concor¬ renza e il suo adeguarsi al fine unico della colletti¬ vità. Determinate le mansioni dei sìngoli membri, a qualcuno di essi può sembrare dì avere attitudini speciali per un compito assegnato a un altro. In tal caso egli fa la proposta di mettere a confronto le due capacità e di decidere chi dei due debba essere adibito a quel compito o anche se debbano esservi dedicati entrambi. Si inizia così nell’ambito della società un fenomeno di concorrenza, ma esso ha il peculiare carattere di essere voluto dalla società stessa e per un fine sociale: volontà e finalità che ne costituiscono l’intima legge e l’unica ragion d’es¬ sere. Lungi dall’affermarsi come un contrasto di in¬ teressi particolari, esso si realizza e sì giustifica in virtù del criterio fondamentale della società, per il quale ogni atto dei singoli membri è integralmente libero e insieme integralmente necessitato. Né diverso deve apparire l’opposto caso del monopolio, che, secondo l’interpretazione corrente, rappresenterebbe l’antitesi netta della libera con¬ correnza, perché toglierebbe ai singoli la libertà di far valere i propri interessi particolari. Ritornando anche qui all’esempio dell’associazione a delinquere, è facile dimostrare che, quando uno dei suoi com¬ ponenti abbia rivelato qualità speciali per Tadempi- mento di una funzione, l’attribuirgliene il mono¬ polio è atto libero di tutti, e, né più né meno della libera concorrenza, fondato sulla comune volon¬ tà. Libera concorrenza e monopolio, dunque, visti nella loro effettiva origine e giustificazione, si rivelano dotati della stessa libertà e della stessa neces¬ sità, e nessun elemento essenziale può comunque caratterizzarne una differenza logica. La molteplicità dei concorrenti nell’un caso e l’unità del monopoli¬ sta nell’altro sono affatto apparenti, poiché la vo¬ lontà che agisce in entrambi i casi è quella di tutti, e identici ne sono gli effetti. Questa tesi, teoricamente ineccepibile, può ap¬ parire smentita dalla realtà della vita economica, in cui concorrenza e monopolio troppo evidente¬ mente si differenziano nei caratteri costitutivi e nel¬ le conseguenze immediate. È esperienza molto ele¬ mentare quella che ci insegna il diverso determinar¬ si dei prezzi nei due casi, né alcun ragionamento potrà mai riuscire a convincerci che si tratti di un unico processo. Bisogna trovar, dunque, la ragione della differenza e vedere in che modo essa possa conciliarsi con i risultali cui siamo pervenuti. Caratteristica della libera concorrenza è l’ar¬ bitrio dei singoli non vincolati da alcuna necessità, caratteristica del monopolio la necessità eliminatri- ce di ogni libero procedimento : due fenomeni op¬ posti, entrambi in antitesi con il carattere fondamen¬ tale della società, quale è stato fin qui chiarito. Il che può subito farci avvertiti che i due fenomeni, in quanto si differenziano, non rispondono al regolare effettuarsi della vita sociale, ma ne rappresentano la radicale alterazione e trasformazione. Libera concorrenza e monopolio sono i casi limiti, patolo¬ gici e assurdi, della normale vita economica caratte¬ rizzata dairidentificazione della libertà e della legge. La prova più evidente della contraddittorietà e anormalità dei due fenomeni opposti può esserci data dalla constatazione della impossibilità di una loro effettuazione integrale. Anche il liberista più convinto è oggi d accordo nel ritenere che una vera libera concorrenza non è mai esistita né potrà mai esistere e, anche guardando ad essa come al perfetto ideale, egli si arresta alla solita soluzione a mezzo del liberalismo politico, che in tal guisa riaffiora in economia attraverso questo riconoscimento di fatto : è tutto il mondo della necessità che grava suH’arbi- trio dei singoli e finisce col distruggerlo o con Tele- vario alla vera libertà. Né altrimenti avviene per il monopolio, costretto sempre a far i conti con una concorrenza potenziale, sempre limitato dalla for¬ za della legge o dalla pressione delTopinione pubbli¬ ca, spesso evitato per vie traverse o collaterali. È la realtà effettiva che reagisce sulle sue deformazioni e lentamente o violentemente finisce con Taverne ragione. I$|W La libertà economica, dunque, non può conce¬ pirsi se non come la perentoria negazione degli op¬ posti arbitri rappresentati dalla libera concorrenza e dal monopolio, ovvero dalTanarcbia e dalla tiran¬ nia economica. E basta porre in questi termini rigo¬ rosi il problema per comprendere tutta la vanità de¬ gli sforzi compiuti dagli economisti per riportare i loro teoremi a quelle due ipotesi scientifiche. Lungi dall’essere scientifiche, quelle ipotesi esprimono la più radicale istanza antiscientifica e conducono necessariamente a una generale, continua miscompren- sione dell’essenza della vita economica. Né vale op¬ porre che tali ipotesi sono soltanto schemi irreali ed astratti, ai quali lo scienziato perviene per intende¬ re fenomeni economici in prima approssimazione: ciò che a quegli schemi si rimprovera non è l’astrat¬ tezza, bensì la netta opposizione alla realtà effettiva dei fenomeni economici sociali, i quali si svolgono normalmente fuori di quelle ipotesi e vi tendono solo in quanto degenerane*. Perché la scienza econo¬ mica possa darci il tipo astratto del fenomeno eco¬ nomico occorre che abbandoni decisamente la via finora percorsa e, al di sopra dei concetti negativi dj libera concorrenza e monopalio, ponga quello evi¬ dentissimo e concretissimo di collaborazione , Resta ora da esaminare come l’ideale della vera libertà economica debba intendersi nelle sue deter¬ minazioni pratiche e quale via debba seguirsi per la sua più profonda attuazione. Se il nuovo concet¬ to è fondato stili identità di liberta e di legge, è chia¬ ro che instaurare una maggiore libertà economica vuol dire rendere sempre più rigorosa tale identità e cioè considerare 1 individuo sempre più identico allo Stato, così nei fini della vita come nei mezzi per raggiungerli. L ideale della vita economica e di quel¬ la sociale in genere dovrà condurre a una lotta più consapevole contro tutte le forme dualistiche ten¬ denti a separare il mondo dell’individuo dalla real¬ tà dello Stato, e dovrà insemina imporre il capo- volgimento delle ideologie individualistiche del li¬ beralismo politico e del liberismo economico. Il che nel campo più strettamente economico si traduce nell'istanza scientifica e pratica di combattere con ogni mezzo 1 individualismo che ispira il dogma del¬ la libera concorrenza e insieme lo statalismo che per 10 più è a fondamento delle forme, monopolistiche. Consentire ancora che gli individui si esauriscano in una lotta destinata al soddisfacimento di parti¬ colari interessi, e non ricondurre la lotta stessa ai fini dello Stato, significa indulgere tuttavia alla più immorale e antieconomica forma di vita politica, riaffermando inconsapevolmente il trionfo del più egoistico arbitrio. Se lotta deve esserci e rimanere a fondamento del progresso, occorre ch’essa si im¬ pegni per la conquista di un più alto fine statale, e sempre con la coscienza di tendere a un benessere individuale che sia il benessere sociale: non lotta dunque di individui contro individui per il trionfo degli uni sugli altri, bensì lotta tra gli individui per 11 trionfo di un unico fine che rappresenti il massi¬ mo bene di tutti. Non si tratta di eliminare la con¬ correnza, ma di intenderla nel solo significato giu¬ sto, che è quello dell’affermazione dell’iniziativa in¬ dividuale nella ricerca del bene comune. Essa deve svolgersi nello Stato e per lo Stato, con ì limiti, la disciplina e la volontà dello Stato: la statalità deve costituirne l’essenza e il fine. Ma se convien combattere l’individualismo tra¬ dizionale della lihera concorrenza occorre poi eli¬ minare con non minore energia tutte le forme sta¬ tali che tendono a differenziarsi dagli individui. Come 1’individiio degenera nell’egoismo, così lo Sta¬ to degenera nel particolarismo della classe o degli — 92 — uomini dominanti: allora esso diventa lina forza contro altre forze, un’entità contro altre entità, e il dualismo di benessere individuale e benessere sta¬ tale si riafferma come differenza di arbitri e di egoismi. Così si spiega e si giustifica incontroverti¬ bilmente la critica del liberalismo alle forme sta¬ tali monopolistiche o comunque di intervento. Quan¬ do il monopolio, o l’azione economica delloStato, è ispirato da una volontà trascendente quella dei cittadini, quando lo Stato si differenzia dalla Na¬ zione e diventa burocrazia o governo o oligarchia o comunque un ente particolare con volontà autono¬ ma, allora 1 intervento statale è antieconomico e il monopolio distruzione di ricchezza. All’arbitrio de¬ gli individui abbandonati nella lotta egoistica si so¬ stituisce l’arbitrio di un governo che impone un pro¬ prio fine altrettanto egoistico : e in entramhi i casi la libertà economica è radicalmente legata. Il perfe¬ zionamento della vita economica non potrà essere che in forme sempre più unitarie di collaborazione, con il progressivo allargarsi degli organismi produt¬ tivi e il disciplinarsi delle varie forze nell’unico si¬ stema statale. Questa è l’intuizione fondamentale dello Stato corporativo, destinato a realizzare con progressiva consapevolezza la compenetrazione e identificazione assoluta di individuo e Stato, ossia della volontà e dell’iniziativa dell’individuo con il fine supremo dello Stato. ECONOMIA NAZIONALE ED ECONOMIA INTERNAZIONALE La critica dell’econoinia liberale e la tesi del¬ l’identità di individuo e Stato, che di quella critica è la inevitabile conclusione, hanno condotto a una impostazione radicalmente diversa dei problemi tra¬ dizionali. E la differenza fondamentale va trovata nella sostituzione del concetto di molteplicità di sog¬ getti economici — gli individui o gli homines (Econo¬ mici, arbitri del proprio mondo particolare, limita¬ to solo dalle sfere di arbitrio degli altri individui — con quello di organismo economico unico, con unica volontà e unico fine, quello statale. Nell’economia liberale la molteplicità degli individui è sostanziale e costituisce il valore base della costruzione: l’uni¬ tà del mondo economico risulta solo dalla giustap¬ posizione e conciliazione estrinseca delle diverse volontà e dei diversi fini. Nell’economia nuova, invece, l’unità dell’organismo politico è il presupposto im¬ prescindibile, e la molteplicità degli individui è ri¬ solta in essa senza dualismi di alcuna sorta. Si nega, cioè, che oltre al fine statale abbia ragion d’essere un qualsiasi fine economico individuale. Naturalmente questa differenza teorica tra le due economie ha una conseguenza pratica anchessa fondamenta¬ le, che può, all ingrosso, determinarsi contrappo¬ nendo al concetto di concorrenza e di lotta, che do¬ mina la vecchia economia individualistica, quello di collaborazione e di organizzazione che è caratteri¬ stico della nuova. La concorrenza e la lotta sono an- ch essi concetti trasvalutati : non cozzo violento di interessi diversi e contrastanti, ma sforzo e competizione per il miglior raggiungimento deirinteresse unico. La stessa nozione di equilibrio viene ad essere intimamente corretta, in quanto non si pensa più ad una risultante meccanica, ma a un processo intelligentemente voluto e guidato. Dove i soggetti sono molti, Limita è secondaria e fatale: dove il soggetto è uno, l’unità è originaria e intelligente. Ma ima grave obiezione può sollevarsi a que¬ sto punto, ed è stata difatti sollevata a difesa del¬ l’economia individualistica. Ammesso pure, si dice, che la concezione unitaria del soggetto economico si dimostri giusta e irrefutabile, quando si consideri a fondo la realtà di un'economia nazionale, non per questo il ragionamento può estendersi all’economia internazionale. Se Stato e individuo si identificano, facendo con ciò diventare unico il soggetto economi¬ co, resta tuttavia sempre una molteplicità di stati, che non possono non concepirsi come molteplicità di soggetti economici. Ne consegue — si conclude perentoriamente — che, se l’economia individua¬ listica non ha più valore per lintelligenza dei feno¬ meni economici nell’ambito di una Nazione, essa è. ciò non ostante, l'unica che ci consenta di comprendere i fenomeni dell’economia interstatale. Gli sta- I — 95 ti, infatti, diventano essi individui economici e la toro azione va considerata alla stessa stregua di quella degli individui dell’economia liberale, Criteri fondamentali per l’intelligenza della loro vita eco- nemica saranno quelli di concorrenza e di lotta : secondaria e necessaria sarà l'unità della vita econo¬ mica: meccanico e fatale l’equilibrio delle diverse forze contrastanti. E il ragionamento, a prima vista, sembra im¬ peccabile, sì da rendere vana o almeno solo parzialmente valida la tesi dell’idemità di individuo e Sta- to: la struttura dell'economia liberale e individua¬ listica resta quella che è, almeno per ciò che riguar¬ da la vita internazionale. Ma fortunatamente il ra¬ gionamento non resiste a un’indagine più accurata e profonda, e la stessa critica rivolta all’individuo cittadino finisce per valere per l’individuo Stato- I economia individualistica non può reggere in nes¬ sun caso, perché non può reggere il principio natu¬ ralistico su cui essa è fondata. Per chiarire adeguatamente la questione è ne¬ cessario approfondire il concetto di Stato e di rap- porto interstatale quale si è venuto delineando at¬ traverso la speculazione e il diritto pubblico con¬ temporaneo, Occorre precisare alcuni presupposti teorici c e servano a illuminare la concreta prassi nella vita economica. Di organismo economico inteso come unità es¬ senziale, se pur in modo affatto meccanicistico, si è — % - già parlato dai sociologi, i quali, muovendo dall’in- dividuo isolato, son passati alle diverse forme dei gruppi sociali (famiglia, tribù, società, comuni, re¬ gioni. nazioni, umanità) tutti ponendoli su di un unico piano ed eliminando ogni differenza qualita¬ tiva tra i gruppi stessi. E si parlato, quindi, di eco¬ nomia individuale, familiare, nazionale, sociale, mondiale, ecc., riconoscendo la possibilità di tante economie quante sono le forme sociali o di un unica economia che tutte le comprenda. Pur ammessa, perciò, la necessità di considerate i fenomeni eco¬ nomici nell’organismo della vita sociale, sembrereb¬ be. dal punto di vista della sociologia, affatto in¬ giustificata Videntificazione di individuo e Stato, e la riduzione dell’economia a economia statale. Per¬ ché mai arrestarsi o sollevarsi allo Stato per ricono¬ scervi il fondamento della scienza economica, se è possibile concepire una vita economica sia di grup¬ pi inferiori allo Stato sia dell’umanità che gli Stati tutti comprende? L’obiezione, anche qui, sembra inconfutabile e decisiva ; e finisce per congiungersi all’altra dell'e- conomia individualistica, in quanto riconosce, essa pure, la molteplicità degli individui sociali, o come persone fisiche o come gruppi di persone. Al solito, l’esigenza sociologica antindividualistica, e perciò antiliberale, è condotta dai suoi presupposti natu¬ ralistici agli stessi risultati della tesi che vuol su¬ perare. Ma l’obiezione, anche qui, è destinata a ca¬ dere definitivamente quando si abbia la forza di sollevarsi a un punto di vista più alto, dal quale e le persone e gli enti possano essere considerati nella loro vera essenza unitaria. Unità che non può esser data né dall’individuo particolare, in quanto uno — 97 — Ira ì tanti, né dall’umanità, in quanto sommaNi^^ wU tanti, bensì dallo Stato in cui l’individuo e Fuma- nità acquistano la loro effettiva concretezza. Il superiore punto di vista nel quale occorre metterci per giungere a questo risultato è dato dal¬ la concezione storicistica o dialettica della vita so¬ ciale, per cui allo Stato e soltanto allo Stato è con¬ sentita quella vera individualità ebe coincide con la vera universalità. E la ragione è questa: che tut¬ ti gli individui (persone o enti) che sono nello Sta¬ to, vivono, appunto, nello Stato, e sono perciò in esso risolti come momenti della sua vita; laddove al di sopra degli stati non può concepirsi un’umanità che sia organismo unitario (Stato o superstato) sen¬ za annullare, per ciò stesso, il concetto di Stato. Lo Stato, infatti, ha questo di caratteristico rispetto a tutte le altre unità sociali storicamente esistenti: di essere la suprema unità dialettica della storia, in quanto è unità differenziata rispetto alla moltepli¬ cità degli stati e non ha al di sopra nessuna unità differenziata. Lo stato-umanità è una contraddizio¬ ne in termini in quanto unità senza molteplicità, e perciò unità statica, indifferenziata e indifferenzia¬ bile, sottratta a ogni dialettica spirituale. Lo Stato non può essere che unità-molteplicità, ossia vera¬ mente sovrano, per il fatto di avere una sovranità riconosciuta dagli altri stati: se non ci fossero gli stati a riconoscere lo Stato, Io Stato non sarebbe perché non avrebbe coscienza della sua sovranità, non avendo ragione di essere sovrano. In tanto lo Stato può dettar legge ai cittadini, in quanto deve fonderli in un unità che viva e si affermi nella mol- leplicità: che, se questa molteplicità non esistesse, lo Stato non avrebbe un fine suo, ma vivrebbe per i " ■ Svinilo fini degli elementi che lo compongono: non sarebbe perciò sovrano ma strumento, e la vera sovranità competerebbe agli organismi (persone o enti) cbe vi¬ vono nello Stato; sollevati al grado di vero indivi¬ duo, unità-molteplicità, o unità dialettica. Questo primo risultato della nostra indagine ci consente di rifiutare ristanza sociologica di più eco¬ nomie sociali, a seconda delia qualità dei gruppi considerati, o di un’unica economia sociale, coinci¬ dente con l’economia dell’umanità. La vera unità storicamente concreta è quella dello Stato, e perciò l’economia scientifica non può essere cbe statale. Ma, se ! istanza sociologica è superata, non altrettanto sembra quella individualistica, cbe si fonda appunto sulla molteplicità degli stati. Che, anzi, questa se¬ conda obiezione pare rafforzata dal riconoscimento esplicito die abbiamo fatto della molteplicità degli stati, e addirittura del carattere essenziale e impre¬ scindibile di tale molteplicità. Se non cbe, guardan¬ do più a fondo, si deve convenire cbe il nostro rico¬ noscimento non può avere lo stesso significato di quello su cui si fonda l’obiezione individualistica, per il fatto cbe nel caso nostro si tratta di nna mol¬ teplicità essenziale soltanto ai fini deirunità. E la unità è lo Stato, ossia l’individuo concreto, in cui gli stati, in quanto molteplicità, si risolvono senza residuo. Per intendere con precisione questo carattere di interiorità degli stati rispetto allo Stato, occorre m ritornare al concetto di sovranità, cui abbiamo pri¬ ma accennato. Perché lo Stato sia sovrano è neces¬ sario che tale sovranità sia riconosciuta dai cittadi¬ ni, ma è necessario insieme che venga riconosciuta dalla molteplicità degli stati. Il che vuol dire che la sovranità ha due aspetti egualmente impresce- scindibili: uno interno e 1 altro esterno, rispetto ai cittadini e rispetto agli stati. E se di fronte ai primi la sovranità si esprime con ridentificazione dei fini individuali col fine statale, è necessario che anche di fronte ai secondi la sovranità abbia la stes¬ sa ragion d’essere. In altri termini, nella vita inter¬ nazionale lo Stato deve vedere negli stati altrettanti elementi del proprio organismo unitario, vale a dire altrettanti strumenti del proprio fine. Il che, si badi bene, non va inteso nel senso assurdo di un nazio¬ nalismo cieco, bensì in un senso affatto spirituale e perciò il più internazionalistico possibile. Come i cittadini, invero, sono strumenti dello Stato, non sacrificando i propri fini particolari a quello dello Stato, bensì riconoscendo che i primi si identificano col secondo e lottando per un sempre maggior riconoscimento di tale identità, così gli stati debhono trovare nel fine dello Stato gli stessi loro fini par¬ ticolari e dare incremento a una vita che, se è po¬ tenziamento dello Stato, è, per ciò stesso, potenzia¬ mento della collaborazione internazionale. Se così non fosse, se cioè lo Stato non fosse so¬ vrano così verso i cittadini come verso gli stati, non si avrebbe sovranità di sorta, perché la stessa sovra¬ nità, esercitata sui cittadini non sarebbe sovra¬ nità, in quanto necessariamente condizionata dalla realtà degli altri stati. Il che sanno bene quei giu¬ risti i quali non ammettono che il diritto internazionale sia un diritto superstatale, di natura diversa dal diritto interno. Due modi, insoninia, ni sono di intendere la vita internazionale: uno, che può dirsi liberale o individualistico, per cui esistono gli stati nella loro molteplicità atomistica, legati da un rap¬ porto estrinseco concepito come risultante della coesistenza degli stati stessi; un altro, invece, che potremmo denominare idealistico o storicistico, per cui esiste Io Stato nella sua unità assoluta, che risolve in sé dialetticamente la molteplicità degli stati, legati da un rapporto sostanziale e intrinseco che è il fine stesso dello Stato. Da una parte una vita in¬ ternazionale che è quella che è, bruto incontro di forze eterogenee e di fini particolari contrastanti; dall’altra un organismo internazionale che ha un fine consapevole e un unico centro : lo Stato. Ora, se applichiamo questo concetto dello Stato e della vita internazionale alla scienza dell’econo- mia, possiamo ripetere in questa sede la critica già svolta a proposito deireconomia liberale o indivi¬ dualistica. 0 si accetta la concezione atomistica della vita internazionale, e allora bisogna riconoscere che una scienza deireconomia non può esistere, in quan¬ to i fenomeni economici internazionali hanno la stessa illogicità (itnprevedibililà) dei fenomeni eco¬ nomici dell’individuo soggettivisticamente inteso e non possono sottrarsi alla sfera del puro arbitrio ; o, invece, si crede che una scienza deireconomia possa esistere, e allora bisogna riconoscerne il fon¬ damento in un organismo intelligibile, che è, così nella vita economica nazionale come in quella in¬ ternazionale, lo Stato nella sua concretezza storica e nella sua consapevole attualità. E lo Stato in nes¬ sun caso può venir superato o sostituito, come principio primo della scienza, senza annullare la scien¬ za stessa nella sua possibilità teorica e nella sua validità pratica. Ancora una volta l’identità di in¬ dividuo e Stato segna il punto di arrivo delle scien¬ ze sociali in genere e deireconomia politica in par¬ ticolare. Risolto il problema dei rapporti tra economia nazionale ed economia internazionale, riconducen¬ dolo al più vasto problema del concetto dello Stato, occorre ora mostrarne le conseguenze più partico¬ larmente economiche e vedere in quale senso le con¬ clusioni cui finora è pervenuta la scienza vadano rivedute e corrette. È opportuno anzitutto precisare il significato che per la scienza tradizionale ha il concetto di eco¬ nomia interstatale. Purtroppo tale precisazione non può avere che un carattere tulio negativo, in quanto a rigore per reeonomia classica un problema eco¬ nomico interslatale non può neppure sussistere. Da¬ to, infatti, il concetto di homo ce conomicus come presupposto fondamentale della scienza, tutta l’indagine si esaurisce in un’economia individualistica nella quale non v’è posto alcuno per lo Stato. Quan¬ do lo Stato ha fatto sentire la sua esigenza imprescindibile, airesigenza stessa si è tentato soddisfare individuando lo Stato in un ente particolare, con un fine e una vita economica propri, diversi da quelli degli individui. Ne è derivata, nella migliore delle ipotesi, una sottoscienza sui generis cui si è dato il nome di scienza delle finanze. Ma lo Stato vero, quello che si identifica con l’individuo, e ne costituisce la vita logica, quello non è entrato mai in questione e i fenomeni economici sono stati stu¬ diali in quanto fenomeni interindividuali. La vita economica naturale esclude lo Stato e si esprime tutta nella libera concorrenza delle forze partico¬ lari, sì che rintervento statale può essere studiato lutt’aì più come causa di deviazione dal corso na¬ turale, ossia come uno degli ostacoli alla libera estrinsecazione delle forze in contrasto. E questa conclusione non varia col passare dall’economia nazionale all’economia internazionale, per il fatto stes¬ so che lina nazione o uno Stato come unità econo¬ mica è negato a priori nel modo più categorico. Come neirambito dello Stato i fenomeni econo¬ mici si svolgono indipendentemente dallo Stato, così si svolgono pure quelli che si verificano nel più vasto mercato mondiale. Non sono, infatti, gli stati che contrattano fra loro, sibbene gli individui o i gruppi di individui che ne fanno parte, e che agi¬ scono economicamente così quando si trovano ad appartenere a una stessa nazione, come quando so¬ no cittadini dì stati diversi. I fenomeni economici che ne risultano sono precisamente gli stessi, e la scienza non ha ragione di porre un qualsiasi problema al riguardo. Problemi diversi nascono invece quando tra slato e stato si elevano delle.barriere che distìnguono il mercato interno da quello esterno. Sono le barriere doganali, espressioni tipicamente statali, che alterano tutti gli scambi facendo sorgere, anche nell’economia classica, la specifica teoria del com¬ mercio internazionale. Tuttavia bisogna star bene attenti alla natura del problema, e non credere che la scienza tradizionale abbia con ciò abbandonato o comunque menomato il presupposto individuali¬ stico. Lo Stato di cui, anche qui, discorre la teoria, è sempre quello che è oggetto della scienza delle finanze e cioè un ente a sé con particolari fini e funzioni. E la scienza in tanto lo prende in considera¬ zione in quanto esso fa deviare l'economia naturale dal suo libero corso. Se, infatti, si analizzano le co¬ muni teorie del commercio internazionale, è facile avvedersi come tutto il loro contenuto si risolva, per un verso, in un’istanza negativa, implicita o espli¬ cita, contro l'intervento degli siati (soppressione delle barriere doganali), e, per un altro verso, nel¬ l’indagine delle conseguenze che il sussistere delle barriere doganali ha nell economia degli individui appartenenti ai diversi stati. In ogni caso si resta ligi al presupposto d eWhomo ceconomicus , unico centro e ragione della vita economica, e si resta con¬ seguentemente ligi al vecchio concetto di Stato, in¬ teso come una superfetazione, sia pur necessaria, e un limite più o meno grave della libera vita dell’in¬ dividuo. Una vera economia internazionale può nascere solo col sorgere del concetto di Stato, come organi¬ smo economico di carattere universale ; lo Stato, cioè, come soggetto economico in cui si fonde tutta la vita economica dei cittadini. In che cosa consista la differenza essenziale dei due concetti di Stato nella concreta prassi economica potrà risultare molto agevolmente da un esempio notissimo. In Italia si produce meno grano di quel che non si consumi: non solo, ma io posso trovar convenienza a rinun¬ ziare alla coltivazione del grano e a importarlo dal- 1 estero. Secondo la dottrina liberale, della conve- — 104 — nienza economica di produrre grano o di importar¬ lo, sono giudice assoluto io solo: lo Stato è tenuto a disinteressarsene completamente. Nel caso di un suo intervento, questo è dovuto o a ragioni politiche concepite come extraeconomiche o al bisogno di provvedere, mercé i proventi di un dazio doganale, alle spese inerenti alle sue peculiari funzioni. 0 un problema politico, dunque, o un problema di scien¬ za delle finanze: e l’economia scientifica, in ogni caso, non ne è toccata, racchiusa come essa è nel- Tindagine dello scambio tra me, produttore e consu¬ matore, e il produttore straniero. Ma quando lo Stato cessa di essere un ente particolare per dive¬ nire la stessa nazione nella sua unità, il problema del grano diventa problema economico solo in quan¬ to problema nazionale. E come quello del grano 6Ì impostano tanti e tanti problemi — a rigore tutti i problemi economici — che non hanno significato al¬ cuno per l’economia fondata sul presupposto del- Vhomo ceconomicus. Che significato, infatti, posso¬ no avere per una concezione individualistica pro¬ blemi come quelli della ruralizzazione o industria¬ lizzazione, dell’incremento demografico, deH’emigra- 5 ) Quando considero la scienza delle finanze lucri dell'economia politica non intendo parlare di un'estraneità assoluta, bensì rela¬ tiva al particolare concetto di Stalo sul quale la scienza delle finanze finora è stata costruita. Dato uno Stalo —- essa dice — else ba particolari funzioni (pubblica sicurezza, giustizia, esercita, ecc.l, esso deve pur avere un proprio bilancio; e le sue entrale e le sue spese, come pure la loro influenza sulla vita economica dei citta¬ dini, devono esser studiate dalla scienza economica: tuttavia la vita economica dello Stato è altra cosa dalla vita economica dei citta¬ dini, sì che scienza delle finanze ed economia politica non coinci¬ dono. Cbi invece crede allo identità di indivìduo e Stato deve ne¬ cessari ante me intendere tale identità come fondamento di quella di scienza delle finanze ed economia. Ma sul problema della riforma della scienza delle finanze avremo modo di tornare in altra sede. — 105 — zione, ecc.? A ognuno, secondo i suoi gusti e le sue capacità, risponde Peconomia pura, perché per essa tali problemi sono tanti quanti gli individui. Ognuno al suo posto secondo il fine unico dello Stato, ri¬ sponde la nuova economia, perché per essa tali problemi si risolvono in uno solo. E i gusti si educano e le capacità ci creano: sì che al posto di tanti centri economici se ne mette soltanto uno, e all’incon¬ tro di tanti mondi si sostituisce un organismo con¬ sapevole. Organizzazione: ecco la grande realtà della vita civile in genere e della economia in particolare; ma organizzazione vuol dire organismo e l’organismo non può essere che unico: lo Stato. V’è poi l’organizzazione internazionale e sem¬ bra vi sia anche un organismo internazionale. E di¬ fatti esso esiste, ma in un senso diverso da quel che comunemente si crede. Se lo Stato ha un fine da raggiungere, risolve a suo modo tutti quei pro¬ blemi economici cui abbiamo prima accennato, ri¬ solvendo la vita economica dei cittadini in quella della propria unità. Ma è chiaro che il fine non sa¬ rebbe raggiunto se lo Stato non operasse egualmente con gli stati, che tutti, direttamente o indirettamen¬ te, entrano in rapporto con esso. Scendendo anche qui a un esempio concreto, possiamo notare come l’Italia per industrializzarsi deve importare alcune materie prime e trovare i mercati di esportazione per i manufatti. 11 che è possibile solo in quanto altri stati siano disposti a darci quelle e a comprare questi; vale a dire a divenire strumento di raggiun¬ gimento del fine che ci proponiamo. Ora, le condi¬ zioni necessarie perché gli altri diventino mezzi per il nostro fine sono essenzialmente due. Prima: che il fine che ci proponiamo sia davvero proposto, e cioè sia un fine consapevole; seconda: che si abbia la capacità di far divenire tale fine il fine economico degli altri stati. Perché la prima con¬ dizione si verifichi è necessario che lo Stato si iden¬ tifichi con l’individuo, ossia con la nazione, e sia organismo unico, soggetto economico unico. Perché si verifichi la seconda è necessario che lo Stato si identifichi con Tumanità, ossia con la vita interna¬ zionale, risolvendo nel proprio organismo l’organi¬ smo internazionale. La forza dunque che ci può consentire di raggiungere il nostro fine è forza organizzativa di noi e degli altri, ossia la forza di col¬ laborazione, in cui la lotta e la concorrenza vengano risolte come momenti dialettici. Vi sono, infatti, due modi di concepire la lotta e la concorrenza economica — come, in genere, ogni sorta di lotta —: l’uno per il quale il fine della lotta è la distruzione dell’avversario, l’altro, invece, per cui il fine è l’unificazione delle volontà. TI pri¬ mo è puramente negativo e infecondo, il secondo, momento necessario di ogni sviluppo e progresso. Ora, nel campo economico internazionale una lotta intesa nel primo senso non potrebbe avere alcuno scopo intelligibile all’ìnfuori di quello del distrug¬ gere per il distruggere. E ciò non può lasciar dub¬ bio di sorta se si pensa che lo stesso effetto della distruzione sarebbe raggiungihile senza il minimo sforzo chiudendo i confini e facendo divenire l’eco- nomia nazionale un’economia chiusa. Se i confini restano aperti, è segno che gli altri stati non sono ostacoli da abbattere, ma forze da utilizzare, e uti¬ lizzare vuol dire coordinare le proprie forze per procedere in un’unica direzione. Allora la concor-  rema diventa — così come nel campo nazionale — voluta, disciplinata e subordinata al fine nazionale da raggiungere: il suo scopo non è più quello di eliminare delle forze avverse, ma di convertirle a una funzione che risulti più rispondente ai bisogni dell’organismo. 11 che si ottiene non lasciando che i concorrenti si urtino a vicenda seguendo i propri fini particolari, ma regolando la competizione verso la più opportuna divisione di lavoro. Che le conclusioni, cui siamo pervenuti, noti siano arbitrarie e utopistiche, lo dimostra, a chiun¬ que abbia gli occhi per vedere, la trasformazione sempre più rapida del mondo economico nella di¬ rezione indicata. All’interno il processo di unifica¬ zione della vita economica ha fatto passi gigante¬ schi e tutto fa pensare che il cammino sarà an¬ cora più notevole nel prossimo avvenire. Il concetto di organismo economico va sostituendosi, nella real¬ tà ancor prima che nella scienza, a quello di indi¬ viduo o di homo o economicus, tra svalutando soprat¬ tutto i concetti di monopolio e di libera concorrenza. Sul terreno internazionale poi le intese e gli ac¬ cordi economici sono sempre più frequenti e l’esa¬ sperazione della lotta doganale va richiamando sem¬ pre più l’attenzione generale sulla necessità di una organizzazione più salda e profonda delle forze eco¬ nomiche dei diversi stati. E anche qui la concorren¬ za va di fatto mutando i caratteri arbitrari di una volta, per rientrare nel circolo di un sistema dalla — lofi - cui logica unità viene incanalata e corretta. È una disciplina certamente più ardua e instabile, data la immensità del mercato e la molteplicità degli ele¬ mentida controllare, ma solo i ciechi potrebbero negare 1 abisso che corre tra l’atomismo economico di alcuni decenni fa e l’ingranamento odierno d’in¬ finiti centri economici in giganteschi organismi a ca¬ rattere internazionale. Né l’urto e l’esasperazione di tanti nazionalismi sorti o rafforzati nel dopoguerra riescono ad arrestare questo processo di collabora¬ zione internazionale, che è, d’altronde, l’unico stru¬ mento di un nazionalismo non illusorio. L’economia individualistica o liberale ha fatto il suo tempo e la realtà ce lo insegna additandoci le necessità della vita economica dentro e fuori i confini. Al dogma del liberismo e alla fede nella lotta incondizionata degli arbitri dei singoli va sostituendosi la convin¬ zione critica dell’apriorità dell’organismo economi¬ co coincidente con la realtà dello Stato. E con la realtà deve ormai procedere la scienza, che, non avendo più a suo oggetto una molteplicità caotica e inintelligibile come quella presupposta dal liberismo. può cominciare a veder chiaro nella logica del- 1 organismo economico e trovare quei fondamenti sistematici che ha invano perseguito per due secoli. LIBERISMO E PROTEZIONISMO Dopo aver precisato il concetto di libertà eco¬ nomica e i rapporti tra economia nazionale ed eco¬ nomia internazionale è possibile procedere all’ana¬ lisi della secolare antinomia tra liberismo e prote¬ zionismo. Nessun problema della scienza economica e stato tanto dibattuto come questo e l immensa let¬ teratura sull argomento continua di giorno in gior¬ no ad arricchirsi di nuovi saggi, che sostanzialmente si esauriscono nella ripetizione dei motivi fonda- mentali addotti dai fisiocrati in poi in favore del- 1 una o dell altra tesi. Ma, nonostante tutta questa mole di studi, sta di fatto che l'antinomia è rimasta teoricamente e praticamente insoluta, sì che liberi¬ sti e protezionisti continuano tuttavia ad accusarsi a vicenda di sproposilare nel campo scientifico e di rovinare, in pratica, l’economia della nazione. La soluzione classica del problema — confor¬ me al motivo fondamentale della scienza dell’econo¬ mia quale si è venuta configurando dal secolo XVI1T a — è quella rigorosamente liheristica. Muo¬ vendo dal presupposto del carattere naturale della vita economica, si è giunti a fil di logica alla eonclu- sione che. così negli scambi interindividuali come in quelli internazionali, le varie forze vadano la¬ sciate affatto libere nel loro giuoco e che il risultato dell’anarchico incontrarsi e scontrarsi sia quello della loro più perfetta composizione. A tale teoria naturalistica degli scambi internazionali ha dato poi — come si è detto — nuova forza la scuola psicolo- gico-matematica, che, giungendo, col Pareto, al con¬ cetto di ofelimità e frantumando, in tal guisa, il giudizio della economicità delle azioni nella molte¬ plicità dei soggetti economici postulati, ha sottratto alla sfera di competenza dello scienziato e a quel¬ la dell’uomo politico la stessa possibilità di un giu¬ dizio obiettivo di valore. Intervenire negli scambi non si può perché si ignorano in modo assoluto le utilità soggettive di coloro che scambiano. L'opposta tesi protezionistica, invece, non ha mai trovato un fondamento ideologico così deciso e preciso e, sebbene confortata dal costante esem¬ pio storico di una politica più o meno antiliberisti- ca, è rimasta nel campo scientifico in condizioni di evidente inferiorità. Il che spiega come essa nella maggior parte dei casi non abbia assunto le carat¬ teristiche di una vera e propria teoria, ma si sia li¬ mitata a contemperare il rigore della concezione li- beristica, mettendo capo a varie forme interme¬ die. E il compromesso ha finito, in sostanza, col trionfare nella letteratura scientifica più recente, sia per l’impossibilità di eliminare in modo assolu¬ to i motivi della tesi protezionistica, sia per la sem¬ pre maggiore coscienza storicistica dei cultori dell’economia, costretti, volenti o nolenti, ad avvici¬ narsi alle nuove concezioni speculative. I tentativi di conciliazione si possono raggrup- — Ili — pare intorno a due tipi principali. Gli ortodossi bau- no mantenuto fede al postulato Veristico limitali- dosi a confinarlo nel campo della così detta econo¬ mia pura. Da un punto di vista astrattamente eco¬ nomico, essi dicono, resta incontrovertibile che ogni dazio protettore distrugge ricchezza: ciò non vuol dire, tuttavia, che in pratica sia da eliminare sem¬ pre e dovunque ogni sorta di barriere doganali; possono esservi, infatti, altre ragioni di carattere politico che consiglino l’intervento protettivo non ostante il danno economico da esso prodotto. Ma accanto agli ortodossi vi sono ormai parecchi esem¬ pi di economisti che, nello stesso ambito dell’eco¬ nomia pura, ammettono la possibilità di un dazio proficuo. Secondo essi, l'economia pura non può stabilire a priori se un dazio sia economicamente vantaggioso o dannoso: in certi casi la protezione, lungi dal distruggere ricchezza, è condizione necessaria per il suo accrescimento. A chi, direttamente o indirettamente, segua le tracce della vecchia economia sembra verità di carattere addirittura lapalissiano che con le soluzioni del problema ora prospettate si siano esaurite tutte le alternative possibili. 0 liberismo, o protezioni¬ smo o forme intermedie di compromesso: e la venta va cercata eliminando due di queste soluzioni. Ma chi ormai ci ha seguito nella critica della scien¬ za economica e nella riduzione dei diversi indi¬ rizzi a quello classico liberale, può agevolmente 112 rendesi conto dell’impossibilità di giungere a un risultato davvero conclusivo accettando i termini della questione e limitando l’indagine a una sem¬ plice scelta. Se il problema ha messo capo a queste tre alternative e fra di esse si è dibattuto per due secoli, è segno cb'esso è rimasto aderente a una de¬ terminala concezione scientifica e cbe è vano ten¬ tare ancora di risolvere l’antinomia, senza superare quella concezione e porre la questione in termini affatto diversi. Ma perché il superamento non sia illusorio e perché l’antinomia appaia nella sua as¬ soluta irriducibilità, è necessario anzitutto chiarire la sostanziale identità dei due termini opposti. Oc¬ corre, in altre parole, dimostrare che liberismo e protezionismo non sono due soluzioni cbe si ripor¬ tano a due diverse concezioni della vita economica, sì che l’errore dell'uno possa significare o per lo meno possa non escludere la verità dell'altro, bensì che l’uno e l’altro scaturiscono da uno stesso prin¬ cipio informatore e rappresentano Tantinomia interna di esso. L’errore dell’uno è lo stesso errore dell'altro, ed entrambi si spiegano con l’errore del principio di cui sono espressioni. Il principio, s’intende, è quello solito dell’in¬ dividualismo economico. Si parte dal presupposto che le forze reali siano gli indivìdui nella loro au¬ tonomia e si pretende ch’essi soddisfino i loro bi¬ sogni nel libero giuoco della concorrenza, Nel caos in cui si scontrano le infinite forze individuali ognu¬ na salvaguarda come può i propri interessi e cerca di trarre il massimo profitto possibile. Così come per la naturalistica legge della selezione, i migliori si affermano e trionfano, i peggiori sono travolti e soccombono: né mai altro equilibrio o compo- - 113 — sizione delle forze si instaura che non sia quello de¬ rivante dall urto disorganico e disordinato. Ora, in questa concezione liberistiea o individualistica del- 1 economia, la teoria protezionistica, se appare co¬ me una contraddizione alle leggi di natura e però sostanzialmente illogica dal punto di vista scienti¬ fico ortodosso, è tuttavia escogitata per servire allo stesso sistema della concorrenza di cui apparente¬ mente è la negazione. Quando un’industria chiede un dazio protettore lo faesclusivamente per vince¬ re la concorrenza, e il dazio si risolve in un aiuto a una delle forze concorrenti e non in una forza eli- minatrice della concorrenza. Anche nel caso di un dazia proibitivo il fine ultimo è quello dì spostare e non di eliminare la concorrenza: i dazi, insonuna, non sono che altrettante forze gettate sul mercato per meglio resistere allumo e vincere nella lotta. Ma, con o senza dazi, la vita economica resta sem¬ pre quella primitiva o naturale di una bruta molte¬ plicità di elementi contrastanti. Nel mercato inter¬ nazionale come nel mercato interno si incontrano soggetti economici diversi, reciprocamente estranei fino al momento deH’incontro e che dal solo atto deirincontro debbono trarre norma per l’ulteriore difesa di propri fini particolari. Ragione della con¬ correnza è quindi il persistere di una molteplici¬ tà atomistica incapace di unificarsi, e il mercato, che è appunto la classica espressione delFeeonomia liberista, rappresenta il campo di lotta di individui (persone o nazioni) fino allora chiusi in mondi non comunicanti.  ■ Ambita —  Il carattere primitivo della vita economica fon¬ data sul principio della concorrenza (compreso in questo termine l’intervento protezionistico) è do¬ vuto, dunque, alla sua disorganicità o irrazionalità. Come il liberalismo politico di cui è la necessaria conseguenza, essa è il punto di partenza per il cam¬ mino della civiltà e non l’ideale della civiltà stessa. Il trionfo assoluto della concorrenza, lungi dal rap¬ presentare, come pensano i liberisti, un ideale da raggiungere allorché sarà superata ogni sorta di pregiudizi antiscientifici, è soltanto una realtà che si perde nella notte del primitivo stato di natura, in quello stato precontrattuale che vagheggiava la mente del ginevrino. Il carattere irrazionale della vita economica fondata sulla concorrenza e sul protezionismo è da¬ to appunto dalla irrelatività primitiva degli uomini e dei paesi, i quali rimangono gli uni fuori degli altri e non possono o non vogliono fondersi in un organismo unico. Credere che ogni forza economica possa rimanere autonoma e tuttavia ottenere il mas¬ simo di utilità possibile nello spontaneo equilibrio di tutte le altre forze, significa cadere nella più grossolana delle contraddizioni, in quanto si pre¬ tende far derivare la razionalità da un processo non razionale. Se razionalità vuol dire universalità, os¬ sia unità di volere e di fine, è chiaro che il modo migliore di raggiungere il fine non potrà esser quel¬ lo di ignorarsi reciprocamente e di procedere per vie diverse. La scienza deH’economia che finora ha teorizzato la libera concorrenza o la protezione è caduta in un errore che ha tutto compromesso.’in quanto ha cercato di dare le leggi di ciò che è ex ege.. e ha lasciato fuori proprio la vita economica razionale. Libera concorrenza e protezione sono al di qua di ogni norma per il fatto stesso che sono al di qua di ogni organismo: esse rappresentano rat¬ inino, la natura, il male, il frammentarismo, la ne¬ gatività, msomma, della vita; e fare scienza di esse vai quanto fare scienza del caso. La vera vita eco¬ nomica e quindi la vera scienza può sorgere soltan¬ to allorché si comincia a uscire comunque dalla ir- relatività e a unificare i mezzi e i fini da raggiun¬ gere. Se, in apparenza, la vita degli individui e quella delle nazioni è stata finora denominata dalla concorrenza e dal protezionismo e tuttavia ha pro¬ ceduto nel cammino della civiltà, ciò è dovuto in realtà al fatto che, di là da ogni liherismo e prote¬ zionismo, si è andata sempre più affermando una intesa e una collaborazione di forze completamente sfuggita alla miopia degli scienziati. Accordo, collaborazione, organismo: ecco ì termini del problema, una volta superato il pre¬ supposto irrazionale deH’individualisnio. E tanto più è necessario porsi per questa via quanto mag¬ giore è lo sviluppo della vita economica e dei suoi elementi essenziali. Se, infatti, si resta nei limiti di iorze individuali o quasi, la cieca competizione dà luogo a danni meno appariscenti e profondi: ma quando, come nella vita contemporanea, gli orga¬ nismi economici sono diventati tanto complessi e grandiosi, andare avanti ignorando quel che fa¬ ranno gli altri significa esporsi a crolli improvvisi e spaventevoli. Superate in gran parte nella vita economica interna le forme dell’individualismo e divenute normali le forme delle società anonime, delle banche, dei trust , ecc., continuare a tener fe¬ de all’individualismo nei rapporti internazionali di¬ venta sempre più assurdo e pericoloso. La crisi eco¬ nomica mondiale è l’espressione più evidente e con¬ vincente di tale assurdo. Dunque: né liberismo, né protezionismo; nes¬ suna, insomma, di quelle soluzioni che presuppon¬gono l’autonomia radicale delle forze economiche. Anche qui l’obiezione più facile sarà quella che deriva da una grossolana ipostasi della lotta e della dialettica della vita. Ma, anche qui, è facile rispondere che c’è lot¬ ta e lotta, e che il camminodella civiltà sta appunto nel rendere sempre più elevata e spirituale la competizione e sempre più abnorme ed eccezionale la guerra. E della guerra e non della competizione hanno proprio i caratteri la concorrenza economica e la protezione, in quanto tendono a sopraffare e non a collahorare con l’avversario. La competizione che si deve instaurare è quella che ha per fine l’incie- mento dell’organismo e si svolge quindi nell’ambito deU’organismo, non quella che ha, invece, per fine l'incremento dell’individuo (persona o nazione) visto nella sua particolarità irrelata. Dalia tesi teorica è molto facile scendere alla pratica applicazione nella vita politica. La realtà urge da tutte le parti e sta già facendo giustizia dei vecchi dogmatismi scientifici. Dobbiamo rendercene 9empre più consapevoli e affrettarne il procedi¬ mento. Le forme concrete di realizzazione sono na¬ turalmente quelle die tendono all’unificazione del- 1 organismo economico mondiale. In primo luogo, lo studio internazionale delle forze economiche dei diversi paesi e delle vie più adatte alla loro colla¬ borazione e fusione. E, in conseguenza, la politica degli accordi industriali e commerciali atti a realizzare quella fusione. La traduzione in pratica della tesi non avver¬ rà tanto facilmente, né mai in forma assoluta. Ma, se questa è la mèta cui tendere, bisogna die il periodo di transizione sia informato alla coscienza del punto d arrivo. Voglio dire che nell’organizzare l’economia della nazione occorre dalle fin d’ora quella fisionomia che più risponde alla sua funzione spe¬ cifica nel sistema dell’economia mondiale. Elimi¬ nando, per quanto è possibile, ogni sterile concor¬ renza, deve cercarsi un’affermazione dell’industria che assuma un’importanza essenziale nella vita del nostro e degli altri popoli. 11 nostro orizzonte deve allargarsi e non si può più pretendere di giovare alla nostra economia senza con ciò stesso giovare al- 1 economia degli altri. Questa è la legge di ogni or¬ ganismo e a questa legge deve essere informata an¬ che la politica economica di un paese che voglia guardare sul serio all’avvenire. V è, abbiamo detto, una concorrenza superiore a quella comunemente intesa; ed essa si vince oggi ponendosi all avanguardia nel processo dell’unifica¬ zione. La grandezza economica di una nazione si instaura col darle un posto di primo ordine nell’or¬ ganismo internazionale: chi ha la consapevolezza della via da seguire può concorrere più decisamen¬ te degli altri alla creazione di un organismo in cui far valere al massimo le proprie energie. Ma a que¬ st'azione politica internazionale va accompagnata, s intende, una trasformazione adeguata della vita interna in modo da porla all’altezza di quella vita mondiale del cui rinnovamento ci si fa promotori. Per uscire dai termini generali e scendere al- 1 esempio pratico del nostro Paese, che dei fonda¬ menti della nuova economia ha tentato prima e più degli altri una concreta attuazione, è facile preci¬ sare alcune conseguenze imprescindibili da cui trar¬ re norma per l’avvenire. L’Italia è la prima na¬ zione — si può aggiungere la Russia, ma per essa dovrebbe farsi altro discorso — cbe ba proceduto alla formazione di un sistema economico nazionale, attraverso l’ordinamento corporativo: ma i suoi sforzi, per quanto innovatori e fecondi, non posso¬ no raggiungere un risultato decisivo finché il suo sistema rimarrà un centro organizzato in mezzo a una vita mondiale disorganizzata. La vera vittoria del FASCISMO o del corporativismo si avvererà il giorno in cui avremo fascistizzato o eorporativizzato tutto il mondo. Fino a quel giorno avremo la pos¬ sibilità di resistere un po’ meglio degli altri ai ma¬ rosi dell’oceano, ma rimarremo in gran parte in ba¬ lìa di essi. Primo compito, dunque, quello di per¬ suadere il mondo della verità dell’economia corpo¬ rativa e di farsi iniziatori di un sistema corporati¬ vo internazionale. Ma questo fine, a sua volta, im¬ plica la necessità di considerare fin d’ora il sistema corporativo italiano, non come un sistema a sé, chiuso e sufficiente nella sua autonomia, bensì co¬ me il sistema in cui si risolve tutta la vita econo- — 119 — mica mondiale. E alla realtà di questo più ampio sistema bisogna volgere gli occhi per la soluzione degli infiniti problemi propri della nostra nazione. Se, per esempio, nella soluzione del problema del grano consideriamo il sistema economico na¬ zionale come un sistema chiuso, è chiaro che spin¬ geremo al massimo la produzione fino al punto da non importare più un quintale dall’estero; ma se, al contrario, badiamo al sistema corporativo mon¬ diale, i nostri sforzi tenderanno a raggiungere una produzione massima per ettaro coltivato, ma insie¬ me a ridurre progressivamente la superficie colti¬ vata. È evidente che una produzione che per reg¬ gersi ha bisogno di un dazio di 75 lire a quintale oltre a varie altre provvidenze legislative, e che non può sperare di modificare sensibilmente que¬ ste condizioni nell avvenire, deve rappresentare uno stadio provvisorio nel processo dell’organismo mon¬ diale. Ben diverso è il problema dell’industria si¬ derurgica e delle industrie meccaniche nella cui soluzione non si può affatto convenire con i teorici del liberismo. (Tanto è vero che l'economia corpo-, rativa è di là da ogni liberismo o protezionismo). Le industrie siderurgiche e meccaniche sono al fon¬ damento di tutta la più alta industria moderna, e una nazione che vi rinunci, si suicida. Ma anche qui occorre non perdere d’occhio il sistema mon¬ diale e quindi indirizzare tali industrie verso quelle forme superiori in cui il tecnicismo (preparazio¬ ne e ingegno dei dirigenti e bontà della mano d'o¬ perai diventi fattore di produzione predominante fino a rendere trascurabile il maggior costo delle materie prime. Alla visione dell’avvenire, verso cui certamen- te si cammina a gran passi, contrasta la politica dell’oggi con altissime barriere doganali e con la sfrenata concorrenza. Ma se la logica è dell’avveni¬ re -— ci dicono ancora gli scettici — intanto come si va innanzi? Dobbiamo togliere le barriere e dar ra¬ gione ai liberisti, ovvero dobbiamo elevarne anco¬ ra e difenderci a tutti i costi? La vita economica sociale, si è detto, è cono¬ scibile scientificamente solo in quanto razionale e organica. Se il problema resta posto nei termini consueti della concezione individualistica, nessuna risposta può darsi ebe abbia valore di norma. Li¬ berismo e protezionismo sono le soluzioni di uno stato di guerra, di un urto violento e indisciplinato; e in guerra, si sa, ci si difende come si può. Se un individuo viene affrontato, deve uccidere o deve corazzarsi? Tutte e due le soluzioni sono buone, ma certo sarebbe meglio che i due casi fossero eli¬ minati e ebe gli avversari si dessero la mano, ri¬ solvendo in modo logico la ragione del contrasto. E così oggi nella vita economica internazionale: cerchiamo di affrettare il processo di razionalizza¬ zione, e intanto andiamo avanti con o senza bar¬ riere doganali, secondo l’urgenza del momento e le particolari condizioni economiche e politiche. L'ORDINAMENTO CORPORATIVO DELLA NAZIONE E L’INSEGNAMENTO DELL’ ECONOMIA POLITICA (Lettera operici di Rodolfo Berlini al prof. Ugo Spirilo) Chiarissimo Professore, Intorno ai problemi dell’Economia corporativa ai è formala in breve tempo una vasta letteratura, ma di ca¬ rattere — oom Ella afferma — piuttosto giornalistico, mentre i tentativi di rigorosa sistemazione scientifica della nuova materia sarebbero scarsi o poco notevoli. Di tale condizione di cose Ella chiama responsabili gli eco¬ nomisti della cattedra, i quali evitano di parlare di quei problemi, considerandoli pertinenti ad un indirizzo an¬ tieconomico e, per ciò stesso, estraneo alla scienza. Richiesto cortesemente del mio avviso, non voglio chiudermi in un silenzio che potrebbe essere interpretato come un adesione al modo di fare e di pensare, da Lei attribuito ai miei autorevoli eollegbi. Veramente, il mio tacere avrebbe avuto piuttosto lo scopo di prender tem- po, innanzi di esporre un’opinione molto radicale, la cui elaborazione non è forse arrivata a termine nel mio pro¬ prio pensiero. Ma, se non è arrivata a perfetto termine, essa ha già fatto tal cammino, che il discorrerne non parrà intempestivo o inopportuno. Le persone di spirito non la troveranno neppure irritante. Io consento in quasi tulle le riflessioni da Lei svolte nell’articolo: «Verso l’Economia corporativa» — ma vado più diritto alla sede del male. Dico dunque, senza ambagi, che alcuni economisti fanno dell'Economia teo¬ rica una mezza scienza. Non « mezza » nel significato po¬ co riguardoso di scienza superficiale, dalle conclusioni mal cucite alle premesse; ché anzi (io lo riconosco vo¬ lentieri) da certe cattedre fluiscono ragionamenti, i quali partecipano del rigore delle matematiche. Dico mezza scienza nel significato dimensivo dei termini, ossia dot¬ trina che nelle sue premesse fondamentali non ha gettato il seme diquestioni che pur le appartengono; questioni di vita della stirpe o di potenza della Nazione; questioni di interventi o non interventi dei poteri pubblici nei rap¬ porti d’interesse privato; questioni anche di scuole o di parLiti economico-politici. Certo, ogni buon professore sa trattarne, e spesso ne tratta in apposite lezioni dedi¬ cate alla politica economica, alla storia delle dottrine, ecc.; ma altro è che ne discorra fuori sistema, per la col¬ tura generale de’ suoi allievi, senza sentirsi obbligato a farlo dalla forza delle premesse; ed altro è che ne di¬ scorra, perché così esige lo sviluppo logico degli enun¬ ciati, previdentemente inseriti in uno schema introdut¬ tivo della disciplina. Ora, il problema dell’ordinamento corporativo, al pari di altri consimili, non è discusso affatto (a quanto sembra) o è discusso « fuori sistema » a titolo semplice¬ mente informativo. Esso appartiene alla... seconda metà della scienza — quella che non s’insegna come scienza, ma piuttosto come storia — e invano ne cercheremmo nella prima metà i cardini d’attacco o i motivi prenio- nilorii. Ciò dipende anzitutto, a mio avviso, dalla ripugnan¬ za che provano non porhi economisti ad accogliere nei loro preliminari scientifici il concetto dello Stato, quale fattore della produzione. Tale disposizione d'animo non si giustifica menomamente. Il processo della ricchezza è la risultante di due fasci di forze componenti : l’attività individuale, singola o associata, e l’attività dell’organiz- ’) Cfr. La critica dell'economia liberale. Milano, Treves. zazione politica, di cui lo Stato è l’espressione suprema. I punti d'applicazione di queste forze (diciamoli cosi per completare la similitudine coi fatti della meccanica) son da ricercare nella stessa ricchezza esistente al momento iniziale del processo — ricchezza in gran parte d’origine ereditaria, cioè prodotta da anteriori generazioni. Fa della scienza a metà colui che si ferma alla prima com¬ ponente e tace della seconda o l’assume come « costante » lungo tutta la linea di condotta della sua disciplina. Lo Stato, che provvede alla difesa nazionale, alla sicurezza, alla giustizia, alla viabilità, all'istruzione, ecc., e trasfor¬ ma così buona parte della ricchezza privata in potenza collettiva (che rigenera ricchezza), è un produttore con¬ tinuo di beni, servizi e ordinamenti aventi carattere di stretta complementarità coi beni, servizi e ordinamenti dell’iniziativa privata. E come questi secondi si svilup¬ pano in quantità e varietà, col progredire dell incivili¬ mento, e fanno luogo a rapporti viepiù complessi o dif¬ ferenziati tra gli individui o i gruppi, così i primi, cioè i loro complementari forniti dallo Stato, non hanno co¬ lonne d’Èrcole che li fermino ad un punto obbligato. Lo Stato è coevo all’uomo, ché la prima famiglia umana fu in embrione un impero. I caratteri di necessità e immanenza, che gli son proprii, non ammettono che si prescinda da esso per astrazione, come se fosse una circostanza secondaria, accidentale o di semplice pertur¬ bazione. Basterebbe un momento d’incertezza nella vita dello Stato per rompere tanti fili nel tessuto della so¬ cietà, da gettare il disordine in ogni specie di operazioni. Voler vedere in esso anzitutto un elemento perturbatore dell’attività spontanea dei privati e dei loro calcoli edo¬ nistici, è generalizzare solo a suo carico difetti di funzio¬ namento che non sono né più rari, né meno gravi presso i singoli individui. Si può invece assumere lo Stato come una « costante )) fin che l’assunto giovi alla soluzione di problemi in prima approssimazione; ma per conclusioni più aderenti alla realtà è mestieri rivedere da vicino il valore della costante. E allora si scorge che costante non è. Lo Stalo è un organismo in evoluzione, ad immagine degli uomini che lo compongono e soprattutto ad imma¬ gine degli uomini più rappresentativi di interessi, dì 126 ideali, di temperamenti, che esercitano una influenza sulla legislazione e si avvicendano al potere. Qui cessa d’esser valida la similitudine presa dai fatti della meccanica. Nelle scienze l’uso dei trafilati, che sono spedienti proprii delle belle lettere, vuoisi fare con cautela e sobrietà. Coloro invece che vi insistono a fondo, trattando le forze evolutive dell’uomo, come se fossero le forze rigide della fisica, non scrivono Teconomia del- 1 homo sapiens, ma dell’uomo-macchina, tutto ruote den¬ tate e molle di precisione. Può l’eeonomista addurre a sua scusa che Io studio della componente « Stato » appartiene ad altre discipli¬ ne? T.’eccezione d’incompetenza sarebbe irricevibile. Ad altre discipline spetterà di considerare lo Stato ir rela¬ zione ad altri scopi della vita, che non siano la costitu¬ zione della ricchezza; ma per questo particolare scopo, che implica la conoscenza di due variabili essenziali e interdipendenti, l’egoismo individuale e lo spirito di so¬ lidarietà nella sua più imperativa espressione che è lo Stato, sarebbe strano che il più interessato ad averla, non la volesse avere che per una delle variabili e chiamasse « pura « anziché « incompleta » la teorica innalzata su base siffatta. Ho insistito varie volte su questo punto: non esserci Ira 1 homo oer.onomicus e il cittadino ( civis ) soluzione di continuità. La moda di oggigiorno è quella di separare una figura dall altra. Ma se c’è qualità che non si possa isolare dal soggetto dell’Economia politica se non per un capriccio dialettico, è proprio quella del cittadino. Essa lo segue come l’ombra il corpo. L’individuo può essere dotto o indotto, credente o miscredente, originale o imitatore, padre o non padre di famiglia; ma cittadino lo è sempre. E come tale spiega un'influenza più o meno grande sulla formazione del costume e su quella del Di¬ ritto. L’àomo ceconomicus, dunque, inseparato dal cit¬ tadino, è creatore del Diritto. Ecco scoprirsi alla nostra veduta l’aspetto genuino della questione. Tutti veniamo al mondo con un patrimonio ereditato, che può variare da zero a qualche miliardo di no¬ stra moneta; ci presentiamo alla carriera della vita, come ad una gara di corsa, movendo da posizioni iniziali van¬ taggiose o svantaggiose. La distribuzione dei corridori in posti di partenza diversamente avanzati rispetto al tra¬ guardo, non è per anco entrata nelle regole «sportive» ma certamente fa regola nel mondo economico. Anzi, il pri¬ missimo capitolo da scrivere in Economia — dopo la de¬ finizione e un po’ di nomenclatura — dovrebb’essere pro¬ prio quello delle posizioni iniziali più o meno avanzate (leggasi: distribuzione più o meno equa della proprietà) che la sorte e la legge ci assegnano al nostro nascete, per¬ ché da esse dipendono molte cose: educazione d’ambien¬ te, modi di sentire riguardo al valore dei beni e dei ser¬ vigi, professioni preferite, capacità di resistenza nei con¬ tratti, possibilità (grazie al diritto successorio e al feno¬ meno dell’interesse del capitale) di far vivere una discen¬ denza « infinita » su una quantità « finita » di ricchezza. E così via. Ond’è con meraviglia che vediamo gran parte degli economisti e l’autore stesso della felice similitudine « posizioni iniziali » relegare la premessa in capitoli terminali dell’insegnamento o in separata sede; insomma, fare dell’Economia teorica una costruzione senza la chiave di volta, che le è necessaria per reggersi in piedi in tutta la sua interezza. I fatti dimostrano che l’uomo (chiamisi pure l’uomo economico) venuto al mondo senza i favori della sorte, cioè in posizione iniziale svantaggiosa, si industria come cittadino, a modificarla in meglio per sé o per la sua clas¬ se, influendo, come può, sulla legislazione; e se ci venne in posizione favorita s’industria, come cittadino, a conservarla. Le armi a ciò non sono tutte dell’arsenale eco¬ nomico, perché una delle parti in campo, già per ipo¬ tesi non ne possiede; se le possedesse in pieno, vorrebbe dire che disuguaglianza di posizioni non c’è, e non c’è la ragion del contrasto. Le armi, allora, sono quelle del cit¬ tadino: la scheda elettorale, la lega di resistenza, lo scio¬ pero, ecc. ; e le chiamo del cittadino, in quanto presup¬ pongono il riconoscimento di libertà e diritti che a poco a poco fanno mutare ilviso e l’animo al legislatore. Or si domanda: questo giuoco di azioni e reazioni potendo — 128 — riuscire pericoloso alla collettività, ossia agli stessi com¬ battenti e ai semplici spettatori, a chi toccherà di rego¬ larlo nell interesse della pacìfica collaborazione delle classi? A chi, se non allo Stato, a cui fanno capo tutti i problemi attinenti alla coesione sociale? Ed ecco come dalla considerazione del cittadino — qualità inseparabile dal soggetto dell’Economia politica — arriviamo al regolamento dei contrasti di classi, come ufficio di competenza dello Stato. Che il regolamento sia bene o male idealo, che il servizio valga o non valga quello che costa, sarà questione subordinata da risolvere in Economia applicata, se l’altra Economia teme di per¬ dere della sua purezza. Il fatto che il regolamento im¬ plichi un costo, non costituisce motivo perché si debba riguardarlo come un affare antieconomico ed estraneo alla scienza. Chi afferma questo, dimentica che i beni, i servizi, gli ordinamenti che lo Stato crea, non li crea ex nihilo ; il rapporto in cui stanno coi beni, servizi, ordi¬ namenti prodotti dall’iniziativa privala è di stretta com¬ plementarità, complementarità ebe deve intendersi nel duplice rispetto, delle utilità e dei costi. Gli economisti, che vedono nell'aumento di spese ge¬ nerali delle aziende una ripercussione, a tutta perdita, dell’assetto corporativo della Nazione, si mettono da un punto di vista unilaterale, quello degli imprenditori; ed anche in questo riducono la loro scienza ad una mezza scienza. L’assetto corporativo fu pensato nell’interesse di ambo le parti: imprenditori e lavoratori; meglio ancora, fu pensato nell'interesse generale del paese. La disciplina restituita al lavoro, lo spirito di concordia che va infor¬ mando ogni giorno più i contratti collettivi e il valore morale della magistratura che veglia sulla loro osservan¬ za e sui mutamenti delle condizioni del mercato, sono vantaggi, che non si misurano in moneta, come non si misurano in moneta quelli di una efficace organizzazione della giustizia, della sicurezza, dell’istruzione o della difesa nazionale. Si ripensa forse con nostalgia ad un’economia pret¬ tamente individualista? Senza dubbio essa, limitando al- 1 estremo le funzioni dello Stato, riduceva al minimum le spese dell’azienda pubblica e di riflesso alleggeriva il carico alle private imprese; ma lasciava esposti ad un maximum di rischio i buoni rapporti delle classi, Che le poche funzioni attribuite allo Stato erano giusto quelle desiderate dai cittadini delle posizioni favorite, ai quali faceva comodo che la macchina collettiva da produrre il diritto e la forza esecutiva del diritto, lavorasse a con¬ servarle. Ma era inevitabile che gli altri cittadini rumi¬ nassero a farla lavorare altrimenti, prendendone in ma¬ no le leve, di forza o di sorpresa. Quindi lotta aperta o insincera collaborazione di classi. Molti molto si aspettano da un sistema collettivista. \ogliono, dunque, un maximum di funzioni dello Stato, il sistema implicando la trasformazione, graduale o di impeto, dei servizi oggi resi dalla privata proprietà e dalla libera concorrenza in servizi pubblici. Ma quel ma¬ ximumsiaccompagnerebbe ad un minimum di rendi¬ mento del lavoro e delle libere iniziative. Tale la previ¬ sione più ragionevole. D'altronde lo sfruttamento del- 1 uomo per l’uomo, cacciato dalla porla rientrerebbe dalla finestra, perché esso è un fenomeno generale, non del- 1 officina soltanto, ma dell’ambiente stesso della famiglia, di quello delle amicizie, dei partiti politici, ecc.; ha ra¬ dici nella natura umana. 11 sistema socialistico ne svi¬ lupperebbe in un senso la fioritura, come il sistema in¬ dividualistico la sviluppava in un altro senso. L’assetto corporativo nazionale si tiene egualmente lontano dai due estremi: mira ad attuare un maximum di rendimento del lavoro con un minimum di attriti fra le classi sociali e di ritardi per il progresso civile della Na¬ zione. Se non è il sistema perfetto, è perfettibile. Avrei altro da dire, ma la lettera aperta vuol essere chiusa. Le sono quasi grato, caro professore, d’avermi indotto a scriverla. Che, alla mia età, si può anche pro¬ mettere un trattato di Nuovi principiì, ecc.; ma difficile e mantenere la promessa! Devotissimo Rodolfo Benini 5 - S m bit* La lettera che precede fu pubblicata in Nuovi Studi di diritto, economia e politica ed era seguita da un articolo di Massimo Fnvel su L’individuo e lo Stato nella scienza economica in cui si discutevano alcune mie af¬ fermazioni. Al Bellini e al Fovel rispondevo con le pagine seguenti: LA RIFORMA DELLA SCIENZA ECONOMICA E IL CONCETTO DI STATO 11 tentativo compiuto da questa rivista per un primo orientamento nello studio dell’economia corporativa comincia a dare i suoi frutti, e già si veggono chiarite alcune posizioni fondamentali, che consentono una certa disciplina nell’ulteriore ricerca. I due scritti pubblicati in questofascicolo — la lettera aperta del Benini e l’articolo del Fovel — sono due sintomatici documenti di quella svolta decisiva nella storia della scienza economica che de¬ ve ormai risultare evidente a chiunque abbia una mentalità non irretita da pregiudizi dogmatici. Ma il risultato raggiunto è soprattutto notevole perché il significato della svolta è stato reso esplicito e ìne- quivocahiìe, ed è stato posto il criterio fondamen¬ tale per le nuove costruzioni scientifiche. Si è usciti — ìai insomma dallo stato dì disagio proprio di chi, pur insofferente del vecchio, non conosce ancora la nuo¬ va via da intraprendere ; e si è posto un quesito che non può più restare senza una risposta categorica. Rodolfo Benini, con squisita ironia e con una critica che va anche al di là delle sue affermazioni esplicite, ha accusato senz’altro l’economìa teorica di essere una mezza scienza, e mezza « nel signifi¬ cato dimensivo dei termini, ossia dottrina che nelle sue premesse fondamentali non ha gettato il seme di questioni che pur le appartengono; questioni di vita della stirpe o di potenza della Nazione; que¬ stioni di interventi o non interventi dei poteri pub¬ blici nei rapporti d’interesse privato; questioni an¬ che di scuole o di partiti economico-politiei. Certo, ogni buon professore sa trattarne, e spesso ne tratta in apposite lezioni dedicate alla politica economica, alla storia delle dottrine, ecc. ; ma altro è che ne discorra filari sistema, per la coltura generale de’ suoi allievi, senza sentirsi obbligato a farlo dalla forza delle premesse; ed altro è che ne discorra, perché così esige lo sviluppo logico degli enunciati, previdentemente inseriti in uno schema introdutti¬ vo della disciplina ». « Ciò dipende », continua il Benini, « anzitutto dalla ripugnanza che provano non pochi economisti ad accogliere nei loro preli¬ minari scientifici il concetto dello Stato, quale fat¬ tore della produzione. Tale disposizione d’animo non si giustifica menomamente ». E non si giustifica perché « lo Stato è coevo all’uomo », perché tra 1 homo (Economicità e il civis non ci può essere so¬ luzione di continuità, perché infine solo « per un capriccio dialettico » è possibile isolare la qualità del cittadino dal soggetto dell’economia politica. Né meno categorico è l'atteggiamento del Fo- vel, il quale prende atto « che la scienza — ripe¬ tiamo ancora: la scienza nel suo stato più puro — è negativa di fronte alle scelte statali, le esclude da sé, non le mette neanche, a rigore, nel novero delle scelte, è, insomma, negativa di fronte allo Stato. Ciò può essere venuto per le origini antista¬ tali della scienza economica stessa; oppure per un incolpevole e vergine oblio teorico: oppure insom¬ ma (sia detto con la massima prudenza) per un er¬ rore, che la ha viziata fin qui. Lasciamo andare: il nascere del fatto poco ei importa. E ci importa, in¬ vece, il fatto stesso, che è questo: per la scienza l’ipotesi statale, o, meglio, lo Stato-ipotesi è (op¬ postamente aH’individuo-ipotesi) la non economia; e lo è solo, e solo perché la scelta statale implica per definizione, la non libera scelta individuale ». 11 quesito, dunque, che si pone oggi alla scien¬ za può formularsi brevemente così : — È lecita ed è scientificamente giustificabile una costruzione si¬ stematica dell’economia pura che prescinda dal con¬ cetto dì Stato e dal rapporto tra Stato e individuo? E in caso negativo, in quale senso tale concetto va introdotto nella scienza e a quali conseguenze teo¬ riche deve condurre? Questo, il punto di partenza per un’intelli¬ genza critica dell’economia corporativa, e ci sem¬ bra ormai che nessuno onestamente possa eludere il problema con una fin de non recevoir. Finché il corporativismo s’intende come una mera espe¬ rienza pratica, i puristi possono disinteressarsene, chiusi come sono nel loro preconcetto dualistico dei rapporti tra scienza e politica, ina quando esso si traduce in una perentoria istanza teorica, bisogna pur decidersi ad accogliere o a respingere critica- mente. E noi ci auguriamo di avere dall’esperien¬ za dei maestri un valido aiuto all’attuazionedel no¬ stro programma. Una volta posto il problema in siffatti termi¬ ni, il primo punto da chiarire e da precisare con¬ cerne, naturalmente, il significato stesso da attri¬ buirsi al termine Stato e, correlativamente, al ter¬ mine individuo. E su tale punto conviene insistere con molta perseveranza, soprattutto perché il con¬ cetto di Stato sembra a prima vista il più semplice ed evidente che ci sia, sì da poter su di esso co¬ struire senza preoccupazioni di sorta; ma la sicu¬ rezza, poi, con cui si procede su tale terreno viene subito a mancare appena si cessi dal presupporre noto il conceLto e si tenti di determinarlo effettiva¬ mente. 11 che ci sembra di poter dimostrare alla lu¬ ce degli stessi scritti sopra accennati. 11 Benini parla dello Stato, come di chi « prov¬ vede alla difesa nazionale, alla sicurezza, alla giu¬ stizia, alla viabilità, all’istruzione, ecc. », e altrove osserva che « il processo della ricchezza è la risul¬ tante di due fasci dì forze componenti: l’attività individuale, singola o associata, e l’attività della organizzazione politica, di cui LO STATO è l’espressione suprema ». Ora, questo linguaggio implica un dualismo irriducibile di Stato e individuo, e per quanto il vigile senso di concretezza che ispi¬ ra il Benini lo conduca a concepire i rapporti di complementarietà delle due forze nel modo più in- 134 timo e indissolubile, sussiste tuttavia una radicale contrapposizione di funzioni e di finalità che com¬ promette il sistema, Tanto è vero che il Benini av¬ verte infine il bisogno di mettere in guardia contro la tendenza di attribuire « un maximum di fun¬ zioni [allo] Stato », perché « quel maximum si accompagnerebbe ad un minimum di rendimento del lavoro e delle libere iniziative ». L’assetto cor¬ porativo sarebbe ottimo sol perché « si tiene egual¬ mente lontano dai due estremi ». Inutile dire che la critica contro il colletti¬ vismo, ripetuta dal Benini e mossa da tutta l’eco¬ nomia lihcrale a quella socialista, è esatta nella dia¬ gnosi e nella conclusione, ma occorre tener presente che il socialismo è superato sol perché è superato  il concetto di Stato ch’esso implica, e che è quello stesso del liberalismo, dal quale non riesce a stac¬ carsi neppure il Benini. Lo Stato, cioè, è circoscrit¬ to a un ente immaginario, in limiti imprecisabili, e con personalità essenzialmente distinta da quella degli individui che lo compongono. Si cambia cioè 10 Stato con un organo centrale, relativamente estra¬ neo alla vita della nazione e perciò sopraffattore delle energie individuali. Di quest’organo — che è poi la burocrazia — a ragione si diffida e giusta¬ mente si protesta contro l’attribuzione che a esso si voglia fare di un maximum di funzioni. Ma questo è lo Stato ancien regime, al quale 11 fascismo deve opporsi con tutte le sue forze, perché essenzialmente contrario al suo spirito; lo Stato non deve essere, non è, un organo fuori del- Torganismo, una sovranità opposta ai sudditi, una realtà sui generis diversa dal cittadino: lo Stato, insomma, non è più quello contro cui insorgeva il secolo elei lumi e che si è trascinato come misero residuo nella storia del liberalismo. Lo Stato s’iden¬ tifica con l’individuo, in una sintesi idealmente as¬ soluta, e, di fatto, sempre più realizzabile e realiz¬ zata. Se noi cercassimo infatti di precisare i confini dello Stato ci accorgeremmo subito di questo pro¬ gressivo suo immedesimarsi nella vita della nazione. Dallo Stato alle provincie, ai comuni, agli enti pa¬ rastatali, agli enti morali è tutto un lento compe¬ netrarsi della vita pubblica in quella privata, sino all’esperienza rivoluzionaria del fascismo che, pri¬ ma sul terreno più strettamente politico dell orga¬ nizzazione del partito , poi, e ben più radicalmente, su quello dell’organizzazione sindacale, ha posto decisamente l’esigenza di un combaciamento assolu¬ to della sfera dell’attività statale e di quella indi¬ viduale. Lo Stato contro il quale nacque il liberalismo è veramente morto eoi morire dello Stato pro¬ pugnato dallo stesso liberalismo. E continuare oggi a discutere dello Stato, illudendosi di poterlo in¬ dividuare entro quei limiti in cui lo si individua¬ va nel Settecento, significa perpetuare un equivoco di gravissimo pregiudizio per tutte le scienze so¬ ciali. Il potere dello Stato non ba limiti e chiunque tentasse di determinarne le funzioni resterebbe fa¬ talmente a mani vuote: ogni determinazione della sua sfera rispetto agli individui sarebbe fondamen¬ talmente erronea. Ritornando ora alle esemplificazioni del Belli¬ ni è facile spostare i termini del problema: uno Stato comequello concepito dal fascismo, non prov¬ vede soltanto « alla difesa nazionale, alla sicurez¬ za, alla giustizia, alla viabilità, all istruzione, ecc. )), ma provvede a tutto perché è immanente a tutto. Ed esso perciò non può rappresentarsi come un fascio dii forze da aggiungersi all’altro delle attività indi¬ viduali, bensì come le stesse forze individuali nella loro vita solidale. Di quest unica vita sono manife¬ stazioni tutti i poteri pubblici e privati, centrali e periferici: e, nel campo economico, il bilancio dello Stato, quello degli enti pubblici, degli enti para¬ statali e morali, delle organizzazioni di partito e sindacali, e infine di tutti i cittadini, che tutti nello e per lo Stato vìvono. Ogni barriera che si volesse porre a un punto della serie sarebbe affatto arbitra¬ ria e irragionevole. E si comprende, dunque, come 1 ideale del corporativismo non debba esser quello dì rimanere egualmente lontano dai due estremi (sopravvento dell’iniziativa privata o della pubbli¬ ca), bensì di rendere insussistente il problema eli¬ minando ogni differenza tra l’essenza delle due ini¬ ziative. Certo, se per Stato s’intende la burocrazia, affi¬ dare ad essa l’economia nazionale non può non es¬ sere una mostruosa utopia: ma lo sforzo del fa¬ scismo deve essere appunto quello di sburocratiz¬ zare lo Stato, elevando ogni cittadino al grado di funzionario pubblico. Il processo di trasformazione non è dei più facili e dei più rapidi: v’è anzi il pe¬ ricolo di periodi di transizione in cui il fenomeno burocratico si aggravi, e dia luogo a nuovi inconve¬ nienti. Si pensi che l’organizzazione sindacale e cor¬ porativa, prima di aderire in modo soddisfacente alla realtà, è destinata in gran parte a pesarvi su come una soprastruttura — vale a dire come una burocrazia. Ma gli ostacoli non debbono arrestare ilcammino, anzi debbono porre la necessità di accelerarlo, sì da superare con energia sufficiente gli inevitabili punti morti. E per accelerare il ritmo, a me sembra che uno dei mezzi {ondamentali deb¬ ba essere fornito dalla scienza, la quale deve sgombrare il terreno dai pregiudizi teorici che arrestano, con la forza della tradizione, la stessa mano del¬ l’uomo d’azione. L immedesimazione assoluta della vita dello Stato con quella dell’individuo dà il criterio pre¬ ciso della riforma della scienza economica, la quale, dunque, non è « mezza scienza nel significato di- mensivo dei termini )), vale a dire nel senso di es¬ sersi occupata dell’individuo (una delle componen¬ ti) e non dello Stato (l’altra componente), ma mez¬ za proprio nel significato deteriore di scienza fon¬ data su premesse erronee, e propriamente sull’ipo¬ stasi di un individuo e di uno Stato inconcepibili, o concepibili soltanto come manifestazioni patolo¬ giche (individuo anarchico e Stato tiranno). ÀI quale ulteriore concetto sembra accennare il Fovel nella chiusa del suo articolo quando dice che per colmare l’iato tra le scelte dette libere del¬ l’individuo e le scelte dette non libere dello Stato (( si può tentare di mostrare che anche le sedicenti scelte libere dell’individiio non sono libere, ma eco¬ nomicamente imperative, quanto quelle statali; e ciò perché sono esattamente prescritte dalle scelte pure libere degli altri individui, ossia dalla società economica. Oppure si può tentare di mostrare che anche le cosidette scelte non libere dello Stato sono libere, né più né meno che le scelte individuali; e questo perché anche le scelte dello Stato non sono altro, anch’esse, che scelte di individui nella società economica ». Senonché per il Fovel, Stato e individuo hanno ancora una loro particolare per¬ sonalità, e lo Stato conserva una fisionomia cor¬ pulenta, che rende estremamente difficile il processo di risoluzione della sua autorità nella libertà degli individui e viceversa. Quando l'iato sarà effettiva¬ mente colmato, il vero concetto di libertà economica apparirà in tutta la sua luce e le forme stereotipate della libera concorrenza e del monopolio, che re¬ stano a fondamento della costruzione del Fovel, si risolveranno in uno schema economico ben altri¬ mentiadeguatoalla realtà.II SE ESISTA, STORICAMENTE, LA PRETESA REPU- GNANZA DEGLI ECONOMISTI VERSO IL CON¬ CETTO DELLO STATO PRODUTTORE Alla lettera sopra riportala del Benini rispose anche L. Einaudi con il seguente articolo pubbli¬ cato in Nuovi Studi. Caro Renini, 1. Mi è accaduto solo adesao di leggete, una tua sug¬ gestiva lettera aperta pubblicata nel lasci colo di gen¬ naio-febbraio di quest’anno dei Nuovi Studi-, suggestiva, perché costringe a pensare e a dubitare. Le questioni « di interventi o non interventi dei poteri pubblici nei rapporti d’interesse privato; questioni anche di scuole o di partiti economico-poi itici », sarebbero di quelle questioni che dagli economisti sono discusse «fuori si¬ stema » ; apparterrebbero a quella « seconda metà della scienza, quella che non s’insegua come scienza, ma piut¬ tosto come storia ed invano ne cercheremmo nella pri¬ ma metà i cardini d’attacco o i motivi premonitorii ». Quale la spiegazione del fatto? fecondo te, eaao « dipen¬ de anzitutto dalla ripugnanza che provano non pochi economisti ad accogliere nei loro preliminari scientifici il concetto dello Stato, quale fattore della produzione ». E benissimo aggiungi: «Tale disposizione d'animo non — 140 — si giustifica menomamente. Il processo della ricchezza è la risultante di due fasci di forze componenti : l’atti¬ vità individuale, singola o associata, e l’attività dell’or¬ ganizzazione politica, di cui Io Stato è l’espressione su¬ prema... Fa della scienza a metà colui che si ferma alla prima componente c tace della seconda o l’assume come « costante » lungo tutta la linea di condotta della sua disciplina. Lo Stato, che provvede alla difesa nazionale, alla sicurezza, alla giustizia, alla viabilità, all’istruzinne, ccc., e trasformacosì Intona parte della ricchezza pri¬ vala in potenza collettiva (che rigenera ricchezza), è un produttore continuo di beni, servizi e ordinamenti aventi carattere di stretta complementarità coi beni, ser¬ vizi e ordinamenti dell’iniziativa privata ». 2. Chiudo qui la citazione, perché, altrimenti, do¬ vrei riprodurre tutta la tua bella lettera. Né la chiudo, per ridiscutere il problema della parte avuta dallo Stato nella produzione della ricchezza; ma esclusivamente per porre un problema di storia: chi sona quei cotali economisti (non pochi, dici tu, e dal contesto del di¬ scorso sarebbero i più, sicché occorre affermare con¬ tro di essi, quasi come teoria nuova, la tesi dello Stato come fattore necessario e inscindibile della produzio¬ ne), M i quali repugnerebbero ad accogliere nei loro pre- J ) Appunto perché non intendo menomamente intervenire nella sostanza della discussione aperta Ira te ed il prol. Spirito : ma soltanto porre un dubbio storico su ehi e quanti siano coloro ■ quali reputarono alla tesi da te posta, così non discuto la critica che a queeta tesi muove lo Spirito: implicare dessa, sebbene mate¬ riata di realtà, un « dualismo irriducibile di Stato ed individuo » oramai superato dalle nuove concezioni dello Stato, le quali iden¬ tificano lo Stalo con l’individuo «in una sintesi idealmente ssso- Ima, e, di latto, sempre più realizzabile e realizzata ». Vero è che, incidentalmente, lo Spirito afferma ebe il suo dualismo è implicito nel « linguaggio a da le adoperalo. Il che porterebbe a chiedersi se, per avventura, non si traiti di un contrasto — Ira la tua (e quindi fra quella degli economisti ebe io tento di dimostrare essere identica alla tua) e la tesi dello Spirito — più di linguaggio — di terminologia, che di parole. Se io possedessi la meravigliosa facoltà «he in sommo grado aveva il compianto amico Vadali di tradurre una qualunque teoria dal linguaggio geometrico in quello algebrico, da quello edonista in quello della morale kantiana, dalla termino-  limiaari scientifici il concetto Hello Stato come fattore della produzione? La domanda non è impertinente. È rosi suprema¬ mente difficile sapere chi, in economia, ha detto o non detto qualcosa, ei è dichiarato fautore od avversario di un certo indirizzo, o teoria, soxT-attutto è cosìstraordi¬ nariamente difficile riprodurre, anche usando il massi¬ mo scrupolo, esattamente il pensiero altrui che forse, penso, sarehhe opportuno non citare mai nessuno e non attribuire ad altri, neppur ricordati genericamente, un qualunque pensiero. 3. La mia impressione è che di codesti negatori o dimentichi dello Stato, non ce ne siano oggi e non ce ne siano stati mai tra gli economisti. Non bisogna scam¬ biare per negazione o repugnanza atteggiamenti men¬ tali profondamente diversi. Se l’economista intendeva compiere una ricerca del tipo che diceBi « astratto » — ed i classici conseguirono i loro maggiori successi per tal via — era ovvio ragionassero sulla base di premesse semplici, ridotte talvolta ad una sola, e giungessero a conseguenze vere nell’ambito delle premesse fatte. Se tra le premesse non aveva luogo lo Stato, sarehhe illo¬ gico tuttavia affermare che essi lo negassero o vi repu¬ gnassero. Anzi, il loro stesso procedimento logico di- logia economico pura normativa in quella applicala precettistica, potrei tentare di ritradurre la pagina dello Spirilo nella formuli- allea tua, orna economialica classica. Sarebbe un esercizio feconda, simile a quelli di cui racconta Loria, da lui intrapresi in gioventù; di RBporre 6uccessivamenie una data dimostrazione economica prima in linguaggio di Adamo Smith, e poi di Ritardo e quindi di Mar», di  Mill e di Cairnes. Ma sono esercizi che vanno, come fa¬ ceva Loria, dopo fatti, ripoBti nel cassetto. Giovano ad ingegnate la umilio ad ognuno di noi, quando per un momento ci illudiamo dì aver visto qualcosa di nuovo. Perché se questo novità poteva essere stala delta con le loro parole e inquadrarsi nel pensiero dei vecchi, segno è che quel qualcosa era contenuto in quel pensiero. Ma non posaono né devono impedire cheogni generazione usi quel linguaggio che meglio si adatta al modo suo di pensare e d’inlen- dere il mondo. Si riscrive la Binria ; perché non si dovrebbe riscri¬ vere la scienza economica, prima in termini di costo di produzione, e poi di utilità e quindi di equilibrio statico e poi di equilibrio dinamico? — 142 — mostrava che essi affermavano la esistenza dei fattori esclusi e riservavano ad allra indagine il tenerne conto. Si può criticare il metodo, si può cercare di dimostrare che con quel metodo non si può giungere alla scoperta della verità; non si può tuttavia dire, senza offesa alia verità storica, che a causa della adozione di quel me¬ todo essi negassero la esistenza dei fattori da eui in prima approssimazione astraevano. Tanto poco negava¬ no o repugnavano che, per lo più, quando esei dall’in¬ dagine astratta si voltavano alla concreta, dalla costru¬ zione di schemi ipotetici passavano allo studio dei pro¬ blemi reali, ossia complessi e vivi, essi per lo piò face¬ vano nelle loro discussioni gran parte allo Stato. 4, Si può ammettere, sebbene storicamente si deb¬ ba andare assai guardinghi nel fare affermazioni ge¬ nerali in proposito, che gli economisti, a partire dai membri della « setta » fisiocratica, attraverso allo Smith sino a Mill non compreso (e cioè gros¬ so modo, dal 1750 al 1850), siano stati contrari all’inter¬ vento dello Stato e favorevoli al laissez faire, laisser passar. Ma fu già dimostrato (c(t., per le fonti, una mia recensione del libretto The end oj laissez-faire del Kev- nee, in La Riforma Sociale) che sif¬ fatta contrarietà non era teorica, ma puramente contin¬ gente. l 'avversione all’intervento dello Stato non ave¬ va cioè alcuna connessione logica necessaria coi postu¬ lati fondamentali della dottrina economica, non faceva corpo, come dici tu, con i cardini d’attacco della scien¬ za; ma discendeva da ragioni contingenti. L’osservazio¬ ne degli effetti dannosi delle vecchie corporazioni d’arti e mestieri, e del vincolismo economico e doganale spie¬ gano abbastanza il liberalismo di Adamo Smith e dei classici. Dopo le ricerche di Nicholson in A Project oj empire (di cui il concetto dominante è che per lo Smith la considerazione delTacquisto della ricchezza deve ce¬ dere dinnanzi aquella della difesa ossia della grandezza dello Stato: de.je.nce is oj much more impor lance than opulence)-, dopo Laureo libretto dello Schùller, Les éco- nomistes classiqu.es et leurs adversaires fin cui viene di¬ mostrato, testi alla mano, che la accusa rivolta agli eco- — 143 — Doratati di avere creato un fantoccio (il eosidetto homo rp.conomicus] avulso dai luoghi, dai tempi, dalla storia, c di aver dato ad un puro strumento di indagine figura di realtà concreta o storica, è una invenzione gratuita dei loro avversari socialisti, socialisti della cattedra, eco¬ nomisti storicisti, ecc. eec.], non è più lecito attenersi ad una tesi dimostrata. all’iiifuori di ogni dubbio, contraria alla verità storica. Quegli stessi economisti, i quali affer¬ mavano i danni di certe determinate maniere di intervento dello Stato reputate feconde di male, altrettanto recisamente affermavano la necessità rii quell’azione (« azione » e non « intervento », ae la parola intervento implica il concetto che lo Stato si immischi sempre in cose non sue] nelle maniere che reputavano più con¬ facenti all’indole dello Stato e più vantaggiose alla col¬ lettività. 5. S'intende che sempre, prima e dopo il 1850, fu d’uopo non occuparsi degli imitatori, dei pedissequi, dei sicofanti i quali colgono a volo le idee che corrano nel¬ l’aria ed impasticciando scienza e pratica, un po’ di sen¬ so comune e molti pregiudizi correnti, si gittano dalla parte che è alla moda e dimentichi oggi di quel che avevano asseverato ieri, oggi sono liberisti e domani, in¬ differentemente, interventisti. Costoro non sono scien¬ tificamente nulla, sebbene siano i maggiori fabbricanti di scuole, di conventicole protezioniste, interveniste, li- beriste, cattedratiche e delle vane ingiurie che i rispet¬ tivi adepti ai scagliano l’un l'altro. 6. Dopo il 1850, la caratteristica fondamentale del pensiero degli economisti in questo particolare campo (naturalmente essi si occuparono sovratutto di problemi più difficili, che dai laici sono detti, per dispregio, tecni¬ ci e che sono e probabilmente sempre saranno i proble¬ mi economici specifici) è stato un approfondimento vie maggiore del problema dei rapporti fra Stato, indivi¬ duo, società, gruppi sociali. Da Stuart Mill a Marshall, da Marshall a Pigoli è tutta una indagine minuta e deli¬ cata, la quale talvolta diventa un ricamo tenuissimo, ri¬ volta a precisare, a limitare, a scrutare i metodi di mas-  situi 77 azione della ricchezza, del benessere, della felici¬ tà, della potenza degli uomini organizzati in società. Come è accaduto in tutte le scienze progressive, ogni passo innanzi si innesta su perfezionamenti precedenti ed è preludio a perfezionamenti successivi. Nella nostra chiesa non è di moda la parola superamento, che veg¬ go assai usata tra ì filosofi; ma ben potrebbe tale parola eesere usata ad indicare gli stadi successivi del pensie¬ ro economico, di cui ognuno non nega ma contiene e trasforma gli stadi precedenti c sarà contenuto e tra¬ sformato negli stadi fuluri. 7. Perché, caro Benini, non ricordare il contributo che taluni italiani colleghi tuoi e miei maestri hanno dato a queata meravigliosa ascesa della scienza econo¬ mica? Per ragioni scientifiche di divisione del lavoro, è toccato a quella sottospecie degli economisti, la quale studia ed insegna la cosiddetta scienza delle finanze, di occuparsi dello Stato e dell’indole teorica del suo ope¬ rare. Piace anche a me il pensiero che supera Stato ed individuo ed insieme li fonde; ma piace non meno e per la difficoltà dell’impresa soddisfa intellettualmente di più lo sforzo di coloro che hanno tentato di ficcare lo sguardo in fondo all’azione dello Stato ed hanno tenta¬ to definire in che cosa consistesse la sua azione. Scarta¬ ta la concezione errata dì uno Stato il quale interviene a cose fatte, a ricchezza prodotta e preleva l’imposta per consacrarla, ossìa distruggerla, sia pure per altis¬ simi fini pubblici (ed un ultimo vaghissimo ricordo di questa concezione lo vedo nelle tue stesse parole, lad¬ dove parli di uno Stato, il quale (( trasforma buona par¬ te della ricchezza privata in potenza collettiva », dove l’errore involontario sta nel supporre che esista una ric¬ chezza « privata » da trasformare, dopoché essa è stata prodotta, in qualcosa di collettivo, mentre la realtà è che la ricchezza che lo Stato trasforma in potenza col¬ lettiva, non fu mai privata, ma fin dall’inizio era prodot¬ ta dallo Stato, se per prodotta intendiamo cosa che non sarebbe nata se lo Stato non fosse esistito e non avesse operato secondo l’indole sua), i teorici italiani intorno al 1890 assai discussero intorno all’indole dell’apporto od azione dello Stato. Tu bene bai scritto, continuando, che nella atessa maniera come i beni, i servizi e gli or¬ dinamenti delTiniziativa privata « ai sviluppano in quantità e varietà, col progredire dell’incivilimento, e fanno luogo a rapporti viepiù complessi e differenziati Ira gli individui o i gruppi, così i [beni, servizi ed ordi¬ namenti] loro complementari forniti dallo Stato non Iranno colonne d’Eicole che li fermino ad un punto ob¬ bligata ». Quarantanni fa Ugo Mazzola aveva già scrit¬ to: c Che CROCE non comprenda l'accusa di anti¬ storicismo da me rivolta alla scienza economica, non deve certo meravigliare chiunque legga i perio¬ di ora riportati. L’economia come l’arilxnetiea non cangia quale che sia il corso della storia : l’economia è matematica anch’essa, e quattro e quattro hanno fatto e faranno sempre otto. Con quale entusiasmo accoglieranno queste parole ì nostri economisti ma¬ tematici, che giurano sulla purezza della loro scien¬ za 1 Ma che queste parole avessero dovuto suo¬ nare con tale durezza anche sulla bocca di un filo¬ sofo e di uno storico, non ci saremmo davvero aspettato. Oh, dunque, anche per il Croce la distin¬ zione tra economia pura ed economia politica è ovvia? Che ovvia sia sembrata e sembri a tanti eco¬ nomisti — non a tutti — è cosa fuori dubbio, ma non crede il Croce che io, aprendo quei tali trattati cui egli allude, abbia già dimostrato come, in real¬ tà, la distinzione non stia né in cielo né in terra, e sfugga immediatamente dalle mani, appena si cer¬ chi comunque di precisarla? Ecco, io non vorrei ritorcere l’accusa di scarsa conoscenza delle opere degli economisti, ma non so proprio come spiegar¬ mi questa fiducia illimitata che il Croce ha sull’esistenza effettiva di un’economia pura e, peggio an¬ cora, di una economia matematica che non abbia fondamenti illusori. Non si lasci intimidire dall ap¬ parente rigore delle ben collegate serie di formule, penetri un poco in questo mondo di superiore tecnicismo e veda se gli sia possibile trovare un ten¬ tativo sistematico di economìa matematica — nella possibilità e opportunità del metodo matematico nella determinazione dei rapporti di alcuni fenomeni economici non ci può esser dubbio — che non poggi su basi di creta e non si riattacchi a presup¬ posti affatto arbitrari e verbalistici. L articolo del Croce si chiude con un esempio, che dovrebbe provare ad oculos la riduzione allW surdo dell’economia attualizzata. Ma l’esempio — oltre la poco simpatica e poco generosa ironia ver¬ so un uomo che merita tanto rispetto — riesce a provare soliamo una cosa, vale a dire la poca co- scienziosilà di un critico che pretende di far giusti¬ zia di un tentativo scientifico, artificiosamente ridu- cendolo a una sua particolare espressione. Poeti giorni prima che uscisse il fascicolo de La Critica era apparsa sul Giornale critico della filosofia ita - liana la mia recensione del libro di Emilio La Boc¬ ca [Abbozzo di una interpretazione idealistica del¬ la economia politica , Perugìa-Vcnezia. «La Nuo- va Italia »): che io non intenda a quel modo l'identità di scienza e filosofia, CROCE avrebbe dovuto risultar chiaro, e che nel libro dei La Rocca io veda Io stesso pericolo che vi vede il Croce, anche questo avrehhe dovuto essere evi¬ dente a chi si fosse accinto alla discussione con animo sereno. Ma di serenità oramai il Croce non è piu capace e prima di ogni altra cosa egli cerca di convincersi che le nostre « manipolazioni pseudo- dottrinali siano più o meno direttamente a servigio di equivoci ideali », che lo autorizzino a diicuter- uè in maniera astiosa e ingiusta. Terreno, questo dell ingiuria, nel quale sarebbe vano seguirlo, sia che si cercasse di pagar della stessa moneta eia che si tentasse di persuadere dell’errore. In chi lavo¬ ra con fede, trascurando frutti che pur sarebbe fa¬ cile (e quanto facile!) raccogliere, la ripetuta insi¬ nuazione del Croce può gettare solo un’ombra di tristezza: forse un giorno, ritornando con altro ani¬ mo su queste discussioni e avendo altri elementi per giudicare gli uomini di oggi, egli sentirà il rimorso dell’ingiustizia commessa. Ed ecco la recensione del libro del La Rocca : È un audace tentativo di dominate nelle sue grandi linee tutta la scienza economica da un punto di vista rigorosamente idealistico : un tentativo che va conside¬ rato con molta attenzione da quanti sono persuasi della necessità di porre in primo piano il problema del rap¬ porto tra scienza e filosofìa. 11 La Rocca, dopo aver ac¬ cennato al principio fondamentale dell’attualismo, cer¬ co appunto di chiarire nel secondo capitolo il concetto di scienza in generale e di scienza empirica in partico¬ lare, e conclude « che se non può proprio parlarsi di identificazione perfetta tra quella che è l’attività del filosofo e quella che è l’attività dello scienziato, non deve potersi escludere tra esse una parentela molto stretta che, mutate talune circostanze, potrebbe diven¬ tare quasi tra esee una vera e propria identificazione » (pp. 19-20). In verità, questa soluzione, così schemati¬ camente riassunta, non può non apparire alquanto in¬ decisa e problematica, né tutte le argomentazioni che la precedono e la seguono valgono a farci superare ef- fettivamente lo stato di dubbia da casa ingenerato. L’Au¬ tore ai oppone con malta efficacia a una concezione ne¬ cessariamente naturalistica della scienza, ma quando si tratta di giungere alla estrema conseguenza di tale critica arretra un po’ perplesso e ripristina il dualismo che voleva eliminare: la distinzione di scienza e filo¬ sofia, dialetticamente negala con acutezza non comune, ai riafferma infine in modo categorico e nel senso forse più pericoloso. « Ma », osserva infatti il La Rocca, « se una distinzione rigorosa Ira le due non si può avere perché non può nel fatto aver luogo, non è mica detto che una distinzione dedotta dal diverso oggetto o fine che entrambe perseguirebbero non si possa avere. Si può avere di fatti, consistendo la prima nella risolu¬ zione nello spirito della realtà universale, e l'altra nella risoluzione in esso di un aspetto particolare della realtà universale » (pp. 33-34). Dove è. chiaro che la realtà universale viene abbassata a oggetto e che la filosofìa si concepisce ancora al vecchio modo intellettualistico. La soluzione non molto rigorosa del problema ha avuto le sue necessarie conseguenze nella scelta dei cri¬ teri seguiti per determinare i principi fondamentali del- 1 economia. La filosofia come scienza della realtà uni¬ versale è rimasta un presupposto di fronte all’economia che è scienza di un particolare aspetto di quella realtà, sì che la ricostruzione filosofica dell'economia è stala intesa nel senso di ricondurre ì principi scientifici alle categorie filosofiche. E il La Rocca ha potuto perciò avvicinarsi all’economia dall'esterno c tradurre i prin¬ cipi scientifici in termini altualisticì, senza preoccupar¬ si troppo della fecondità di un tale procedimento, desti¬ nata a esaurirsi in una zona di confine tra la scienza c la filosofìa, intese al vecchio modo. Concepito in tal guisa il problema, la prima preoc¬ cupazione del La Rocca è stata quella di individuare il principio primo della scienza economica, e l’indivi¬ duazione naturalmente e stata da lui cercata non sul ter¬ reno storico dell’origine c dello sviluppo della economia, bensì sul terreno filosofico della dialettica dello spirito. L a priori è stalo inteso non nell’attualità dell’esperienza scientifica, ma come la determinazione pre- scientifica del principio della scienza. E il principio è diventato allora un momento assoluto della dialettica dello spirito, astoricamente concepito. «Ma», dice infatti il La Rocca, parlando del rapporto tra economia ed etica, « se per quel che riguarda la sua legittimità filosofica esso si identifica perfettamente col principio dell’eticità, non si deve concludere insieme, che non possa avere un suo oggetto speciale c inconfondìbile pur sulla base della sua realtà etica. Es90 può ben af¬ fermare un suo originale compito: quello della spiritua¬ lizzazione-materializzazione, deH’acquisizione-alienazio- ne, della valorizzazione-degradazione, il quale non è certo il compito della eticità che, se lien l’occhio al primo termine, non lo tiene, nello stesso tempo, ad entrambi » (pag. 131). Tale procedimento dialettico non si limila alla de¬ terminazione del principio primo, ma si estende a tutti i concetti tradizionali della scienza economica, e il La Rocca tenta di dedurre apeculativamente anche i ter¬ mini di produzione, circolazione, distribuzione e con¬ sumo; e finisce infine con l’idealizzare la figura dell im¬ prenditore identificandolo addirittura con il soggetto economico. Ma per quanta fede e calore l’Autore pon¬ ga in siffatta ricostruzione, l’astrattezza del procedi¬ mento non può non colpire l’attento lettore, che vede, pur attraverso l’esigenza giustissima di cui il La Rocca è tra i primi sostenitori, il grave pericolo di un ritorno all’hegelismo o al filosofismo antiscientifico. Ho voluto insistere più sul lato negativo che su quello positivo del libro del T,a Rocca — che pur è ricco di belle pagine e di acutissime critiche — perché ritengo necessario e urgente sgombrare nettamente il campo di tutti quei preconcetti filosofici e scientifici ohe non consentono ancora di giungere all’assoluta con¬ vinzione di un’unica forma del sapere e alla conseguen¬ te ricostruzione storicistica della scienza. L idealismo attuale ha dato il colpo di grazia al concetto intellet¬ tualistico di categoria, che è vano voler fare risorgere comunque in una malintesa determinazione di prin¬ cipi assoluti. I principi di tutte le scienze non possono che ricercarsi sul terreno concreto dell esperienza sto- sebbene egli siTuìa^ R ° CCa ’ w problemi filosofie-;  narnn •of.ro « MMh> (atelier,„ (1 ]i M "r iivemlno^ne 0110  mente sinonimi. — lv enlano necessaria- d 1'~ » '•*.Srrjiar * »- IL METODO MATEMATICO IN SOCIOLOGIA E IN ECONOMIA In un articolo, Verso Veconomia corporativa , pubblicato nei Nuovi studi (1929, pp. 233-252: ora riprodotto nel volume La critica dell’economia li¬ berale, Milano, Treves, 1930) ebbi occasione di oc¬ cuparmi del professor de Pietri Tonelli e di ac¬ cennare agli errori metodologici delle sue teorie di politica economica. Esemplificando in una nota, scrivevo : « Rinviando la critica della concezione ebe il de Pietri Tonelli ha della scienza della po¬ litica economica a quando sarà pubblicato il tratta¬ to che I A. annunzia, ci limitiamo qui, in via d’e¬ sempio, a riferire una delle presunte leggi della nuova disciplina. Nella prolusione citata {Di una scienza della politica, in Rivista di politica econo¬ mica, 1929, fase. 1) si afferma perentoriamente che « gli impulsi non si possono creare, né distrugge¬ re «, che, « se gli impulsi esistono, si trovano in proporzioni diverse in tutti gli uomini, dello stesso tempo e di tempi diversi )), ecc. Non ci meraviglie¬ remmo se tutto ciò, prima o poi, fosse tradotto in termini matematici e additato come una delle eipiesaioni della scienza più pura ; ma la facilità che cobi bì dimostra di trasportare sul terreno scien¬ tifico i termini più empirici e indeterminati non può non rendere diffidenti contro le leggi dell'eco¬ nomia razionale. La mentalità è sempre la stessa, e cioè — piaccia o non piaccia l'aggettivo essen¬ zialmente dogmatica, come potrebhe riconoscere anche il de’ Pietri Tonelli, qualora provasse a do¬ mandare a uno studioso di psicologia e se Raffermare che gli impulsi non si creano né si distruggono pos¬ sa avere un qualsiasi significato men che banale » (pagg. 235-236). Come risposta a questa critica il de' Pietri Tonelli non ha trovato di meglio che recensire con troppo evidente acrimonia il volume in cui Parti- colo è stato riprodotto (Rivista di politica economi¬ ca, 31 dicembre 1930, pp. 1014-1015). Ma a una recensione che si limita a una filza di improperi non è il caso di ribattere : la polemica diventerebbe per¬ sonalistica e quindi estranea ai fini di una discus¬ sione scientifica. Sarà piuttosto opportuno prende¬ re in esame quel trattato che allora il de Pietri Tonelli ci annunciava e di cui recentemente è ap¬ parso il primo volume (Corso di politica economi¬ co, voi. I, Introduzione, Padova, Cedam, 1931, p. 216). Purtroppo le previsioni contenute nella mia nota sono state confermate dalla realtà, e sarà sufficiente qualche assaggio perché chiunque vo¬ glia giudicare con animo sereno se ne possa con¬ vincere. Dopo aver discusso in generale dell'oggetto della politica economica, 1\A. determina gli elemen¬ ti fondamentali dello studio. « Per limitare », egli scrive, « o meglio, per delimitare, il campo della ricerca politica che ci interessa e metterlo alla por¬ tata della mente dello studioso, si può cominciare con lo sceverare e considerare, in sé, e nelle loro reciproche relazioni, tre elementi fondamentali della realtà sociale, cioè della vita delle cerehie so¬ ciali. Insieme coi fatti di natura, questi clementi formano la vita deU’universo. Tali elementi sono precisamente: 1) gli impulsi, che indicheremo con I, cioè i moventi, o le determinanti, o gli stimoli, ecc., quali i bisogni, i sentimenti, gli interessi, le passioni, il raziocinio, ecc., assai vari e che si conviene debbano effettivamente esistere e operare, per indurre gli uomini ad agire e ad esprimersi ; 2) gli atti, che indicheremo con A, cioè le azioni, di diversa specie, a cui si ritengono indotti gli uomini, soprattutto dagli I; 3) le espressioni, che indiche¬ remo con E, cioè le manifestazioni di linguaggi, ge¬ stiti, verbali e scritti, riguardanti appunto gli I e gli A » (pag. 7). Tutta la costruzione del sistema è impostata su questa tripartizione della realtà sociale, sì che convien fermarsi al limitare e domandarsi quale sia il carattere e la validità scientifica di tali pre¬ supposti. È chiaro che una distinzione fra impulsi, atti ed espressioni non può avere valore sistematico se non si giustifica alla luce di tm criterio scientifi¬ co, ed è chiaro che un tale criterio non può trovar¬ si se non nella disciplina che si occupa ex professa di tali fenomeni. La distinzione, in altri termini, ha bisogno di una giustificazione logica che le ven¬ ga dalla psicologia: ogni allra giustificazione sareb¬ be di carattere empirico e però irrilevante ai fini di un sistema scientifico. Ma, intanto, dal punto di vi¬ sta psicologico, nessuno potrebbe dare un qualsiasi valore a quella distinzione, affatto arbitraria aia per la scelta degli elementi, sia per la loro defini- zione, sia per l’interferenza dei rispettivi campi, bolo chi non ha alcuna dimestichezza con questi studi può illudersi di dare un significato critico a termini così radicalmente antiscientifici. . Si P° lr ehbe, a questo punto, porre una pregiu- disiale perentoria a tutto il sistema escogitato dal de Pietri Tonelli e chieder conto di tali presuppo¬ sti, esihiti senza alcuna garanzia della loro legitti¬ mità. Ma noi vogliamo far credito all’À. e ammet¬ tere che si possa accettare, su un terreno meramen¬ te astratto, una classificazione ottenuta con un gros¬ solano senso comune. Se non che, riconosciuto nel senso connine o nell’opinione il fondamento della distinzione, è possibile pervenire da essa a risulta¬ ti che trascendano la sfera del senso comune e dell’opinione? In altri termini, se la distinzione ha carattere empirico, può da essa ricavarsi una qual¬ siasi conclusione non empirica? La risposta non do¬ vrebbe esser dubbia, e il lettore dovrebbe aspettar¬ si che nel resto del volume si continuasse a discu¬ tere mantenendosi sullo stesso terreno sul quale poggiano gli elementi fondamentali. Ma le cose, purtroppo, procedono ben diversamente, perché, appena esposta la distinzione delle tre classi, le classi stesse vengono ipostatizzate e si comincia a giuncare con esse come con quantità esattamente definite. Le tre classi a loro volta si suddistinguono m classi minori, in cui l’arbitrio della definizione e sempre più palese, ma nelle quali la rigidità del metodo appare via via più dogmatica. La molteplì- cita delle classi acquista corpulenza numerica, e tra lettere e numeri si trova subito il materiale per una trasformazione in termini matematici. Dopo poche pagine le grossolane definizioni si sono cangiate in entità aritmetiche c dalla penna tecnicamente formidabile del de Pietri Tonelli cominciano a scaturire le formule algebriche. Per chi volesse de¬ libare la bontà del metodo riportiamo il seguente periodo: « Così ad es., in 5a la ed Iy possono, ne¬ gli individui e quindi nelle C. accentuarsi, palesan¬ do individui e C materialistici; in 82 , Ix ed le pos¬ sono, negli individui e quindi nelle C, accentuarsi palesando individui c C spiritualistici; in II 2 , Ih ed le possono, negli individui c quindi nelle C, ac¬ centuarsi, palesando individui e C aperti alle no¬ vità nel campo spirituale; in 122 , Ih ed Iy possono, negli individui e quindi nelle C, accentuarsi, pale¬ sando individui e C aperti alle novità nel campo pratico; in 22 , la ed Ih possono, negli individui e quindi nelle C, accentuarsi palesando individui e C inclini a rinnovarsi nel loro interesse, poiché co¬ loro i quali hanno lai ,2 ed Ib son coloro che voglio¬ no salire nel campo economico e in quello politico e son disposti alle mutazioni necessarie » (pp. 39 - 40.) Son cose che farebbero sorridere ironicamen¬ te, se poi non atterrissero con la conseguenza di duecento pagine irte delle più complicate formule matematiche, sotto le cui lettere e i cui numeri si celano le elucubrazioni psicologiche e sociologiche del professore di Tonelli, ad ineffabile gau¬ dio dei suoi studenti. Non è il caso, naturalmente, di dimostrare ciò che ha solo bisogno di esemplificazione: casi simili di aberrazione scientifica si spiegano solo con mo¬ tivi di carattere patologico che fanno smarrire ogni contatto con la realtà e con quello stesso buon sen- so con cui la imitazione vorrebbe iniziarsi. E tanto più grave diventa la sensazione del patologico, quanto più l’A. insiste sul carattere obiettivo delle sue ricerche, facendo amene riserve sulla loro at¬ tendibilità. Come non rimanere addirittura scon¬ certati leggendo, dopo non poche costruzioni mate¬ matiche relative agli impulsi, che « ancora non sap¬ piamo se gli I siano una nostra astrazione, per co¬ prire la nostra ignoranza, non esistendo di fatto che gli A; ovvero se gli 1 siano effettivamente una realtà finora poco o nulla conosciuta »? (pag, 44). Le constatazioni ora fatte a proposito del li¬ bro del de 1 Pietri Tonelli non vogliono limitarsi a un caso particolare, ma dal caso particolare, in cui l’assurdità giunge alla massima evidenza, debbo¬ no estendersi un po’ a tutti i tentativi di mateinatiz- zare i fenomeni sociali e alla stessa economia mate¬ matica quale è comunemente intesa. L’unione della psicologia e della sociologìa con il metodo matema¬ tico è una delle espressioni più gravi della mentalità antiscientifica che domina nel campo delle scienze sociali: e non è ormai lecito ritenere comun¬ que valido uno solo dei tentativi compiuti in tal senso. Il che, si badi bene, non è dovuto a una im¬ possibilità costitutiva di applicare la matematica a siffatti fenomeni, bensì all’incapacità di ridurre a unità matematiche ì fenomeni stessi. E l’incapaci¬ tà si spiega eoi fatto che, se gli studiosi i quali si cimentano nell’impresa hanno una preparazione matematica sufficiente, non hanno poi alcuna pre¬ parazione scientifica alla intelligenza dei fenome¬ ni psicologici e non si sono resi conto delle critiche mosse alla sociologia dalla speculazione moderna. Sì che, assumendo a fondamento delle proprie ri¬ cerche concetti scelti e definiti arbitrariamente, scambiano l’oggettivo col soggettivo, il determina¬ to con 1 indeterminato, e matematizzano indifferen¬ temente tutto, senza preoccuparsi di raggiungere l’effettiva quantificazione degli elementi posti nelle loro formule. L’errore del procedimento appare con maggio¬ re evidenza nel campo delle ricerche sociologiche, dove 1 incongruenza stessa delle conclusioni basta a far giustizia dell inutile fatica degli studiosi che tuttora vi insistono. Ma purtroppo nel campo della cosiddetta economia matematica l’illusione è più saldamente radicata e le conseguenze dell’errore, meno manifeste, sono e diventano sempre più pe¬ ricolose. Siccome a nessuno può venire in niente di negare l’opportunità e la necessità di servirsi della matematica nella analisi dei fenomeni econo¬ mici, il senso del limite si smarrisce agevolmente e messici per quella china si sdrucciola a poco a poco dalla matematica utile all’economia all’economia ma¬ tematica, che è la negazione dell’economia. Per comprendere la differenza che passa tra l’uso lecito della matematica nel campo delle scien¬ ze economiche e la cosiddetta economia matemati¬ ca, è necessario distinguere la matematica come mezzo di ricerca dalla matematica come sistema in cui le ricerche vanno composte e fissate una volta per sempre. Ora, la validità del primo criterio non dimostra affatto la legittimità del secondo, che è fa- talmente destinato a fallire. La matematica come sistema, infatti, implica la necessità di quantificare non solo i fatti economici, ma anche la ragione di tali fatti; e il processo di oggettivazione, perciò, investe illecitamente il mondo della soggettività. Basta riflettere un poco sui risultati dell’econo- mia matematica del Pareto per accorgersi delle mostruose conseguenze cui dà luogo rillegittimo bi¬ sogno di presupporre quantificato o comunque quantificabile ciò che condiziona lo stesso processo di quantificazione. Perché gli economisti possano una buona volta uscire dal vicolo cieco in cui si sono andati a ficcare, occorre che si decidano ad abbandonare la loro psicologia da dilettanti e a di¬ stinguere nettamente il fatto dall’atto, vale a dire ciò che è necessario considerare in veste di numero e ciò che del numero è condizione. Allora final¬ mente si accorgeranno che l’economia matematica non è possibile, per il semplice fatto che il numero è nella vita, ma la vita non può essere numero. Per chi lavora, desideroso soltanto di allarga¬ re gli orizzonti e di aver la certezza di andare in¬ nanzi nel cammino della scienza, vi sono dei dis¬ sensi che hanno perfino maggior valore dei con¬ sensi. E sono i dissensi dei cattedratici, che, allar¬ mati e disorientati dai colpi inferti agli schemi tradizionali della loro scienza, scendono in campo uno dopo l’altro a difendere il loro regno perico¬ lante, non senza gratificare di burbanzose parole chi osa ficcarvi lo sguardo un po’ a fondo. Ne ven- gon fuori delle confutazioni, le quali, o raggiun¬ gono 1 effetto contrario per la inadeguatezza dei vecchi criteri di giudizio relativamente alle nuove teorie da combattere, o addirittura sbagliano il ber¬ saglio per la mancanza di quel tanto di buona vo¬ lontà che occorrerebbe per scorgerlo davvero, e per la fretta di liberarsi di qualcosa che inconsciamen¬ te s intuisce come un grave pericolo. Effetto con¬ trario, dico, in quanto tali critiche finiscono col fa¬ re insuperbire chi ne è oggetto e col far trascurare, in conseguenza, anche ciò che di valido può essere al fondo di siffatte negazioni globali e violente. 0 come non insuperbire, infatti, considerando lo sforzo compiuto da Contento ’) at¬ traverso ima quarantina di pagine dedicate a di¬ fendere P homo (Bconomicus dalle, mie critiche.' 1 Come non insuperbire di fronte a tanta ingenuità di argomenti e a tanta incomprensione della mia tesi? Ma è un malinconico insuperbire, come quel¬ lo di cbi pur vorrebbe convincere e far sì che la propria certezza, sempre più consapevole e salda, diventasse la certezza degli altri. Il che purtroppo non è neppur da sperare di fronte a chi troppo evi¬ dentemente è su una strada affatto diversa e parla un linguaggio che non consente la discussione. La risposta non può avere valore che per i terzi, vale a dire per quelli che, affacciandosi più spregiudi¬ catamente alla questione, sono in grado di vedere obbiettivamente e di fare quello sforzo di buona volontà che è indispensabile per comprendere ciò che si vuol giudicare. Prendendo lo spunto da quanto affermarono Alfredo Rocco e Filippo Carli nel congresso della Associazione Nazionalista del 1914, che non vè « forse un’azione economica che l’uomo compia sotto la spinta del puro interesse economico, cioè sotto l’impero del principio edonistico », il Con¬ tento giustamente fa osservare che Vhomo cecarw- micini è una astrazione scientifica per nulla com¬ promessa dall’affermazione dei nazionalisti, con la quale non si può non concordale. Dal punto di vi¬ sta scientifico una sola cosa importa ed è la preci- J ) Albo Contento, Dilesa dell'ut homo cBconomicus ». L'ahomo (Bconomicus » nello Staio corporativo, in « Ginnialo degli economisti. sazione del concetto di homo cecanomicus : preci¬ sazione alla quale 1 A. vuole addivenire dopo aver convenuto con me che « molta dell'incertezza che domina nello svolgimento e nelle conclusioni della scienza economica, derivi da una mancata defini¬ zione di quel postulato, cui si assegnano valore e li¬ miti più o meno diversi » (pag. 487). Senonché rac¬ cordo si arresta a questa constatazione, dopo la quale le vie divengono sempre più divergenti, per non incontrarsi mai più. E, per cominciare, il Contento attribuisce anche a me la mancata precisazione del concetto, quasi che fosse possibile precisare ciò che si nega in quanto imprecisabile. Io ho affermato che l’uomo osconnmicus non può valere come ipo¬ tesi scientifica, perché è un termine scientificamen¬ te tutt altro che rigoroso e determinato: chi pensa il contrario ha il dovere di mostrare la possibilità di ima definizione valida, ma non può pretenderla da me. Alla definizione, per conto suo, si è accinto il Contento, eliminando in via preliminare i comuni concetti di egoismo, edonismo e utilitarismo. Que¬ sti concetti non sono adatti a caratterizzare Y'homo (Bconomicus ed è stato un errore degli economisti aver fatto implicitamente o esplicitamente una ta¬ le confusione. La dimostrazione che ne dà l’A. non appare, in verità, gran che persuasiva, fondata cont essa è sulle definizioni dei vocabolari dello Zingarelli e del Tramatter: comunque possiamo dare per buona la conclusione e passare all'analisi del concetto che si vuol sostituire a quelli ritenuti errati. « Richiamandoci al pensiero », scrive il Con¬ tento, « di quelli che fecero dell’fi. ne. il postulato fondamentale, o la base di tutto l’edificio scienti- fico, può dirsi deva intendersi, con tale designa¬ zione. 1 individuo immaginato nella sua pura con¬ dotta economico, la quale, nei moventi e nei fini, si ritiene informata, generalmente, ad un tipo uni¬ forme corrispondente alla ricerca della massima soddisfazione col minimo di sforzo cioè all'appli- « azione integrale del principio del minimo mezzo » (pag. 488). Si comprende bene come dopo questa defini¬ zione l’A. non sappia giustificare la critica che si fa dell 5 *. ck., né sappia vedere alcuna incompatibi¬ lità tra Vh. 03. e la concezione corporativa dell’eco¬ nomia. Un individuo che cerchi di seguire il prin¬ cipio del minimo mezzo non solo è perfettamente a posto qualunque sia l’ambiente politico in cui vive, ma è anche Punico individuo concepibile nel¬ la sfera della normalità. Il che riconosce esplicita¬ mente lo stesso Contento quando afferma: « Ogni uomo vivente tende a comportarsi da h. ce., cioè misurando la convenienza dei mezzi al fine, non pure nel rampo stoltamente economico , ma in ogni campo della sua esistenza, e affermiamo che, se co¬ sì non fosse, se ognuno non cercasse di condursi, sempre, seguendo il principio della economicità, danneggerebbe, alla fine, non pure se stesso, ma la società tutta intera. Chi così non facesse, sistemati¬ camente, darcbhe prova non tanto di non essere un egoista , quanto di essere... un incosciente! » (pa¬ gina 494). E allora? Relegate nella sfera delFinco- scienza le azioni non subordinate alla legge del minimo mezzo, l’uomo è sempre Vh. ce. non pure nel campo stoltamente economico, ma in ogni cam¬ po della sua esistenza [il corsivo è mio], né resta dunque modo di distinguere mediante tale princi- pio le azioni economiche dalle non economiche. Il presupposto fondamentale della scienza economica si dissolve in una vuota generalità e la fictio del- 1 h. ce. si rivela ancora una volta assolutamente ina¬ datta a servire da ipotesi scientifica. Ex ore tuo iu- dico te: e non v’è bisogno di aggiungere altro alla confutazione che il Contento ha fatto involontaria¬ mente della sua definizione. Inutile dire che con ciò stesso viene a mancare ogni ragion d’essere alla critica mossa al Rocco e al Carli — con la quale pur avevamo convenuto — tendente a mostrare il carattere astratto dcll’ft. re.: se Yh. re. è colui che segue il principio del minimo mezzo, h. re. è l’indi¬ viduo concreto nella pienezza della sua realtà, in ogni momento. Dato un concetto così anodino di li. re., si com¬ prende come il Contento non sappia spiegarsi il suo necessario collegamento col liberalismo politi¬ co. Qualunque sia la concezione politica dell’eco¬ nomista, l’astrazione dell’/i. re. resta nella sua as¬ soluta integrità, perché rispondente a un rapporto di mezzo a fine che non muta per il mutare del fine. V’è Yh. re. nel regime liberale, come in quello auto¬ cratico come nel democratico, e Yh. re. adatterà la sua condotta all’ambiente in cui vive seguendo tuttavia in ogni caso il principio della economicità. Di qui scaturisce la seconda accusa che il Con¬ tento muove alle mie affermazioni circa l’intervento dello Stalo e il rapporto Ira individuo e Stalo. Per l’A. esistono due modi d’intendere lo Stato e, in particolare, lo Stato corporativo. « Secondo alcuni, die partono dal vecchio e normale concetto dello Stato, quale ente rappresentativo degli interessi generali dei cittadini, creato come organo ad essi su¬ periore, la figura dello Stato corporativo è una con¬ cezione che evitando i mali dello stretto individua¬ lismo, o liberalismo, come quelli del completo sta¬ talismo, riunisce di tali principi i vantaggi, crean¬ do nuove forme d'organizzazione politico-economi¬ ca, nelle quali le varie categorie ed i vari ed oppo¬ sti interessi sociali si riuniscono e con temperano, consentendo al progresso della vita civile un più armonico e intenso sviluppo. Secondo alcun altTo. come, e specialmente, lo Spirito, la differenza con¬ sisterebbe in ciò, che la nuova forma, non pure av¬ vicina e unisce, ma chiaramente accomuna e imme¬ desima Stato e cittadino, in modo da renderli un unico ente » (pag. 506). Alle due diverse teorie il Contento fa seguire i seguenti perentori giudizi: «La seconda delle ricordate concezioni è, a nostro avviso, inconsistente per lo Stato corporativo, come per ogni altro Sta¬ to. Se pur corrispondesse alla realtà, e sarebbe, evi¬ dentemente, per qualunque Stato, ciò avrebbe im¬ portanza dall aspetto filosofico, più che economico. La prima invece, fondamentalmente vera, parte da un presupposto errato, quale quello della sempli¬ ce condotta negativa dello Stato nella organizza¬ zione liberale). E il Contento conti¬ nua mostrando come anche lo Stato liberale sia sem¬ pre intervenuto, in misura maggiore o minore, nell’e- conomia della Nazione e abbia quindi influito sulle economie individuali. Con l’economia corporativa non si è mutato il problema, e l’intervento dello Stato è rimasto sostanzialmente della stessa natura. L’unica questione viva è quella dei limiti di tale intervento, e i limiti sono stati certamente spostati, richiedendo nìf individuo una limitazione più am¬ pio alla sua condona economica. Ld ecco come 1"A. può concliiudere ripetendo ancora una volta la concezione dello Stato contrattualista-liberale per cui questo, « pur frenando l’arbitrio individuale », concede all’uomo ({il massimo di libertà compati¬ bile in lina civile convivenza » (pag. 522).Ma, intanto, scartata come meramente filosofi¬ ca (che cosa mai il Contento intenderà per filo¬ sofia?) la teoria dell’identità di individuo e Stato, mito il ragionamento ha preso altra direzione e la mia tesi, che pur si voleva confutare, non è stata neppure sfiorata. Io volevo contrapporre Stato libe¬ rale e Stato corporativo in quanto il primo è con¬ cepito come Stato limite delle libertà individuali e il secondo invece come Stato potenziatore delle libertà stesse: volevo contrapporre al dualismo di individuo e Stato, e alla conseguente distinzione di economia individuale ed economia statale, l'unità dei due termini e la negazione dell economia indi¬ vidualisticamente concepita: volevo insomma ne¬ gare, insieme alla vecchia concezione economico- politica dello Stato, quel concetto di homo cecono- micus che il Contento si affanna a difendere. Ma la risposta dell'A. lascia assolutamente impregiu- dicala la questione, perché gira, senza affrontarlo, proprio il principio fondamentale della mia cri¬ tica, vale a dire quello che dà significato e valore a tutte le particolari conseguenze. Quell’ indivi¬ duo che vive nello Stato senza essere lo Stato e che perciò può venir limitato nella sua liher- tà dallo Stato stesso; quell'individuo che ha finì propri, realtà propria e diversa, sia pure in parte, dall’organismo di cui è espressione; quel- 1 individuo è appunto l’esponente del liberali¬ smo politico e del liberalismo economico, in net¬ ta antitesi col corporativismo come è stato da me teorizzato. Quell’individuo si è scientificamente dimostrato irreale, e con lui è venuto a mancare ogni fondamento alla ficiio dell’homo oeconomicus di cui è il presupposto necessario. Non avendo in¬ teso né avendo comunque analizzato questa nega¬ zione perentoria, il Contento è rimasto anche lui sulle orme del vecchio liberalismo, precludendosi la via a ogni comprensione del significato rivolu¬ zionario della concezione politica del fascismo e del corporativismo. Al quale proposito il Contento crede di scoprirmi in grossolana contraddizione, quando io, pur avendo riconosciuto proprio di ogni Stato il carattere dì immanenza all’individuo, af¬ fermo esplicitamente che solo l’economia corpora¬ tiva pttò dirsi sul serio scientifica. « Confermato così, anche su questo punto », dice infatti l’A., « il carattere di congiunzione, o di derivazione, dello Stato corporativo da quello liberale, non possiamo spiegarci come lo Spirito, che asserisce non potersi separare, nel campo economico, la concezione della vita dello Stato da quella delle economie indivi¬ duali, dato che lo Sialo interviene sempre in que¬ ste, sostenga poi che soltanto l’economia corpora¬ tiva sia degna del titolo di scientifica, scrivendo; « che lo Stato sia costitutivo essenziale della vita individuale non è verità che s’instauri col regime corporativo, né è limitata alla vita politica dell’Ita¬ lia di oggi: ma mai come nell’Italia di oggi que- sta verità è slata esplicitamente affermata, inai si è concepita la vita economica nazionale come una unità così saldamente organica ». — 11 semplicismo di questa conclusione è troppo evidente per dovervi insistere. — Sarebbe come dire che soltantoquello del 1928 fu degno del nome di inverno, per¬ ché mai come allora ci si accorse del freddo !). Ma semplicistica, a ver dire, è la osservazione del Contento ed egli stesso dovrà con¬ venirne se rifletterà sul senso preciso delle mie parole. Che la concezione copernicana del mondo sia la sola scientifica non vuol dire che prima di Copernico il mondo fosse governato da altre leg¬ gi; allo stesso modo con l’economia corporativa, o, per essere più esatti, con l’economia che riconosce l'identità di individuo e Stato (il corporativismo essendo solo l’espressione teoricamente realizzante- si di questa identità), si giunge alla consapevolezza della vera realtà dello Stato e ci si pone in grado di eliminare quegli errori teorici e pratici che osta¬ colavano la libera affermazione deH’individuo. Tra la libertà del liberalismo e quella del corporativi¬ smo bene inteso, v’è appunto la stessa differenza che passa tra Vhomo mconomicus e l’individuo vi¬ sto nella sua identità con lo Stato. RIFORMISMO 0 RIVOLUZIONE SCIENTIFICA? In «n recente articolo (1/economia corpora¬ tiva, l’individuo, lo Stato e una polemica, in Po¬ litica Sociale, maggio-giugno 1931, pp. 479-494) Massimo FoveI cerca di chiarire in qual senso egli consente e in qual senso dissente dalle tesi da me sostenute. E conclude con questa pagina che è op¬ portuno trascrivere per intero: « Identificazione ideale, dunque, fra individuo e Stato. D’accordo. Ma per quale via? Qui si affaccia la terza cosa, che si deve dire allo Spirito. Essa è che, se la sua po¬ sizione del problema è perfetta, la soluzione che egli ne dà è, dal punto di vista della scienza econo¬ mica, imperfetta. Dal punto di vista della scienza economica, noti bene Io Spirito, e non già da un altro diverso, per esempio, quello genericamente storico. Ma però, noti ancor meglio lo Spirito, dal punto di vista della scienza economica toni court. e non già di quella detta liberale. E dove sta Firn- perfezione? Non si può certo qui. nello scorcio di quest’articolo, già troppo lungo, neanche delibare la questione. Indichiamo soltanto la grande di- rettivi! di marcia. Eccola. Spirito tenta la idenli- ficuzione ideale dell'individuo e dello Stato, risol¬ vendoli entrambi in una terza nozione, che è la Nazione. Ora ci chiediamo noi. forse, qui, se questo tentativo può, scientificamente, riuscire? Ossia se la nozione di Nazione sia esprimibile in termini quantitativi? No. Si può anche aggiungere che non siamo troppo diffidenti in proposito. 0, almeno, non vi crediamo molto meno di quello che crediamo al- l'esprimibilità quantitativa dell’individuo. Ci limi¬ tiamo invece a dire clie, tentando questa via. Spi¬ rito tenta ab imis una nuova scienza economica. E che noi invece pensiamo che la identificazione possa avvenire, estendendo allo Stato lutti i dati for¬ mali dell’individuo (e viceversa), cosi come oggi la scienza economica lo concepisce. E che, così facendo, la identificazione voluta si realizza attraverso una espansione energica, ma non eversiva, della scienza economica, quale oggi si presenta. È un me¬ todo. È un metodo anche questo — esso consiste nell'innestare nuove teorìe sui vecchi principi ria¬ nalizzati e rifecondati, e che chiameremo riformista — che ha i suoi vantaggi. E che, tralasciando quelli teorici che ci trascinerebbero nel cuore della questione, ha i vanlaggi pratici seguenti. Metten¬ dosi per questa via si potrebbe marciare, almeno per un bel tratto, fianco a fianco con altri molti stu¬ diosi; quelli che anche in altri paesi pensiamo soprattutto alla nuova scienza economica dinamica americana — lavorano a rinnovare e a ricostruire, senza ripudiarla, la scienza economica accettata. Si utilizzerebbero, agli effetti della penetrazione delle nuove teorie nello spirito pubblico e sopratutto nel¬ le élites, quei sedimenti, che la tradizione sdentili- ea forma sempre, ravvivandoli senza distruggerli » (pp. 493494). Massimo FoveI, dunque, d’accordo con me con la tesi fondamentale di ricostruire la scienza eco¬ nomica alla luce del principio della identificazio¬ ne di individuo e Stato, non erede che ciò debba farsi operando una vera rivoluzione scientifica e propone un metodo riformista ebe concilii il nuo¬ vo col vecchio e utilizzi i sedimenti della tra¬ dizione. Ora, lasciando da parte i vantaggi pra¬ tici che sono e debbono essere fuori questione, bi¬ sogna riconoscere che una scienza, qualunque essa sia, non può progredire che su se stessa, svolgendo e perfezionando i principi che ne costituiscono il fondamento. È questa una verità ormai lapalissia¬ na, specialmente per chi riconosce nello storicismo il carattere precipuo della nuova scienza. Chi si proponesse a un bel tratto di arrestare il corso del¬ le cose, e ricominciare daccapo, dimostrerebbe per lo meno una grande ingenuità e sarebbe costretto suo malgrado a smentire con i fatti la sua pretesa verbalistica. Anzi, v’ha di più: a guardare bene a fondo, ogni scienza coincide con la sua storia, e in¬ tenderla e perfezionarla non si può senza intende¬ re e continuare il suo processo di formazione. E se questo avviene in generale per ogni scienza, tanto più deve verificarsi per le scienze sociali e per le- conomia politica in particolare: scienze in cui l’a¬ derenza alla vita storica è più immediata e palese e in cui le vicende politiche sono più manifesta¬ mente condizioni del sorgere e dello svilupparsi di certi problemi teorici. Né ad altro, in fondo, ha miralo lutto il lavoro eia me compiuto, con cui ho cercato di porre in chiaro il delincarsi delle nuove esigenze scientifiche alla luce de] processo storico che in esse è sboccato trasvalutondosi. Ora, è chiaro che. se questo è il nostro pro¬ gramma e il carattere fondamentale della nostra critica, porre il dilemma se convenga meglio una revisione riformistica o un’opera rivoluzionaria non può avere il significato che a] dilemma stesso si da accennando all utilizzazione dei residui tra¬ dizionali. Nessun dubhio infatti che tutto il passato vada utilizzato e inverato, e non superficial¬ mente o rapsodicamente, bensì nella sua realtà in¬ tegrale e imprescindibile. Nessun dubbio, dunque, che si debba trattare di riforma e non di negazione pura e semplice di quanto è stato fatto nel campo di questi studi: di riforma, e cioè di ulteriore pro¬ cesso che viva dell’esperienza già fatta e la conduca a nuovi e più profondi risultati. Se non che c’è riforma e riforma: quella che si svolge nel ritmo normale della vita di ogni gior¬ no e cambia il mondo quasi inavvertitamente po¬ nendo pietra su pietra; e quella, invece che segna un punto di arresto e di ripresa, perché nel lento processo di trasformazione ci si accorge a un trat¬ to che la via presa non è proprio la più adatta e che, se non si vuol precipitare, eonvien volgersi in altra e più giusta direzione. V’è, insomma, la tra¬ sformazione ordinaria e quella straordinaria, sen¬ za che tra l’una e l’altra ci sia iato o contraddizio¬ ne, che anzi il lento modificarsi delle condizioni crea a poco a poco mia nuova situazione, la quale all’improvviso si svela ed esige un nuovo orientamento. Abbiamo allora la rivoluzione, che non è, si comprende, neppur essa negazione, bensì pro¬ cesso accelerato e rapido dissolvimento di tutto il negativo che via via era andato affiorando. Una ri¬ voluzione degna di questo nome non è eversiva, non distrugge nulla che non sia già distrutto, ma toglie via le macerie perché il lavoro proceda senza im¬ pedimento. e il nuovo si affermi in tutta la sua pie¬ nezza di vita. A chi ci domandasse, a questo punto, se nella revisione della scienza economica occorra oggi una opera riformistica o rivoluzionaria, potremmo si¬ curamente rispondere, senza timore di essere frain¬ tesi. che la crisi di questa disciplina è giunta ormai a un punto culminante e che vano sarebbe aver fiducia in soluzioni non assolutamente radicali. Ma si deve, poi, aggiungere, che la rivoluzione da noi auspicata acquista un carattere storico sui generis e quasi in apparente contraddizione con quanto è stato fin qui detto. È una rivoluzione, infatti, che nega, in un certo senso, la scienza economica quale si è venuta svolgendo da due secoli a questa parte e che tende a far riprendere il cammino ex nova, per vie finora non tracciate. Contraddizione apparente, dico, perché anche qui la negazione non è sterile negazione, e cioè annullamento di qualcosa che abbia una realtà posi¬ tiva, bensì riconoscimento esplicito dell’inesistenza di ciò che si nega. E quel che si nega è addirittura la dignità di scienza airecnnomia costruita da Smith in poi: si nega, in altri termini, che sia esistito un economista capace di superare l’empiricità delle ricerche particolari per assurgere a un sistema infor¬ mato a un principio unico e organico; si nega che la sistematicità dei più famosi trattati di economia sia più che estrinseca e formale; si nega, infine, che ci sia un solo concetto fondamentale dell’economia (valore, utile, bene economico, gusto, homo ceco- nomicus, libera concorrenza, ece.) cui si attribuisca un significato non intimamente contradditorio. Si comprende bene come un’affermazione così perentoria, così grave e paradossale, debba provo¬ care il dissenso e anzi lo sdegno di ehi, educato a questi studi, ha imparato a venerare come sommi maestri Smitli e Ricardo, Stuart Mill e Pareto; ma bisogna pure una buona volta spezzare l’angusto cerchio in cui l’economista si chiude, geloso del suo tecnicismo, e reinterpretare i classici alla luce del loro tempo, dei loro presupposti speculativi e delle esigenze loro fondamentali. Occorre, insomma, far scendere gli dèi dall’olimpo in cui sono stati posti con scarsa consapevolezza storica e procurare di giudicarli con criteri più larghi e comprensivi, sen¬ za farsi deviare dall’esagerato rispetto di fame con¬ solidate troppo esotericamente. Ma perché questa opera dia i suoi frutti, è necessario pure che coloro i quali sono urtati nelle loro convinzioni o nelle loro opinioni abbiano la forza di considerare senza intolleranza i risultati che loro si offrono, e soprat¬ tutto si dispongano a sceverare ciò che nelle loro convinzioni è frutto di ricerca personale da ciò che vi si confonde come presupposto acquisito e indi¬ scutibile sol perché non discusso. Certo, agli occhi loro deve apparir strano ed assurdo che si possa du¬ bitare del valore scientifico di una siffatta discipli¬ na e che scrittori ritenuti classici nel senso più alto della parola siano di punto in bianco riportati a una non aurea mediocrità; ma essi debbono pur convenire che tutto è relativo e che con un occhio solo si è re nel inondo dei ciechi, sì che chiudendo¬ si nel mondo dell'economia non v’è da meravigliar¬ si se diventino luminosissimi soli le semplici lan¬ terne del più vasto mondo della cultura. 0 che for¬ se avrebbero nozione della loro piccolezza i lillipu¬ ziani se non conoscessero altro che il paese di Lilliput? Né, d’altra parte, è lecito pretendere che i giganti di Lilliput siano presi sul serio fuori del lo¬ ro regno. E 1’economia non è un regno che possa vivere in una beata solitudine. Uno degli esempi tipici del consolidarsi di una fama esageratamente superiore alla realtà dei me¬ riti effettvi è quello di Adamo Smith, il cosiddetto fondatore dell’economia scientifica. ) Mezzo empirista e mezzo huonsensista, incline per educazione alle vaghe ideologie, con troppa abbondanza coltivate nelle sfumature di una etica inconsistente, lo Smith era certo la persona meno adatta a dar for¬ ma scientifica a una disciplina come l’economia. >) Vero è rbe ormai i migliori Ira gli storici dellVonomia met¬ tono per lo meno in dubbio tale qualifica, ma ciononostante Smith reeta sempre in altissimo loro e in lulti i modi si certa di gon- tiare ciò che a Smith non appartiene o ciò che, a lui appartenendo, non è certamente esempio di particolare prolondilà. Tra labroAdamo Smith è diventalo il classico ohbligalorio per chi si presento agli esami di concorso per l’insegnamento dell’economia politica nelle scuole medie. A quale titolo? Sta di fatto che i candidali non lo Studiano e gli esaminatori girano al largo. Evidentemente ne gli uni nò gli altri riescono a entusiasmarli per una sì grande □para. Non sarebbe tempo di finirle? Ma, intanto, se il suo nome, per quel che rigirarti 1 etica, è stato completamente offuscato dai colossi della speculazione, a cominciare dal suo maestro ed amico David Humc, Leu altra è stata la sorte della sua opera sulla ricchezza delle nazioni, assur¬ ta, non certo per meriti superiori a quelli della sua etica, a pietra miliare o addirittura iniziale della storia della scienza economica. E il più strano è che tra le lodi più comunemente rivolte allo Smith v’è appunto quella di aver sistemato in un organismo unitario ciò che prima di lui era frammentario e disperso. Ora, se v’è cosa che salta subito agli oc¬ chi a chi legga 1 opera dello Smith, è proprio la sua radicale incapacità a porre unità nelle sue consi¬ derazioni e a dare una qualsiasi veste sistematica alle sue aprioristiche affermazioni da esscryist. Se poi dall unità passiamo alle singole teorie, la stessa indeterminatezza di limiti e di formulazione si rivela, anche là dove l’espressione verbale sembre¬ rebbe più categorica e decisiva; e da indetermina¬ to a indeterminato, si scende giù giù fino alla fine dell opera senza aver mai agio di poggiar su un terreno di una qualche solidità. Comunque — valore sistematico a parte — quale la parola nuova dettaci da Smith? Vano sarebbe cercare una risposta nella sua opera, ma anche vano cercarla negli storici e negli apologeti che ne hanno consacrato la fama. La letteratura in¬ torno a Smith è immensa, ma tutta fondamental¬ mente viziata dal pregiudizio di trovare ciò che non c’è: nulla di strano dunque che ancor oggi si di¬ scuta se Smi ili abbia seguito il metodo deduttivo ovvero quello induttivo, se la sua economia sia con¬ ciliabile con la sua etica, se l’interesse personale 15 - Spunto faccia a pugni con la simpatia, e via dicendo: re¬ stando sempre, come Fautore di cui si discute, nel campo di un’economia a base di opinioni. Che se poi si tenta di fare di Smith il teorico del libera¬ lismo economico, lo si solleva, sì, nel campo della storia, dandogli finalmente una fisionomia ben de¬ terminata, ma si commette una grande ingiustizia verso i fisiocrati che in modo ancor più perentorio e genuino erano giunti prima di lui alle stesse con¬ clusioni. Figura scialba e inconsistente, mentalità antiscientifica c mnralisteggiante, Adamo Smith è tuttavia oggi onorato come il padre o uno dei pa¬ dri dell’economia: non è certo questa una grande garanzia per la serietà di una scienza. Ma l’esempio di Smith non è un'eccezione nel¬ la storia dell’economìa, che anzi il fatto che egli stia ancora a godere una fama pressoché incontra¬ stata è la dimostrazione più evidente del livello spe¬ culativo al quale sono rimasti gli economisti poste¬ riori. Sviluppatasi sempre fuori o ai margini del movimento idealistico, l’economia politica ha rice¬ vuto a volta a volta l’impronta di filosofie di secon¬ do ordine, rese ancora più superficiali dal contat¬ to con i fenomeni empirici presi a trattare. Empi¬ risti, storicisti, scettici, positivisti, sociologi, ideologi dell’umanitarismo, e simili, si son conteso il campo, costringendo la realtà viva dei fatti econo¬ mici entro gli schematismi aprioristici di vieti dog¬ matismi. E la realtà è stata svisata e resa irricono¬ scibile, ora in nome della scienza, ora in nome di una astratta idealità sociale, senza mai uscire dal¬ l'astratto che si postulava e senza mai accostarsi alla vita per intenderla davvero e dominarla con una scienza che non fosse una pseudoscienza. Non è qui il caso di continuare in una esemplificazione che saia data in forma organica in altra sede: tan¬ to più che a questa conclusione non è opportuno arrestarsi considerando solo gli economisti che han¬ no fatto la scienza, ché anzi dagli economisti con- vien passare alla scienza per vedere se il lavoro di molti non ahhia potuto compensare la mediocrità dei migliori. Al di là della consapevolezza dei sin¬ goli. la scienza può venirsi costruendo in modo pressoché anonimo, col lento fondersi e integrarsi dei contributi degli studiosi, e quella concezione che non è stata mai chiara nella mente di ciascuno scienziato, tutt’assorto nel suo lavoro particolare, potrchhe rivelarsi all’occhio dello storico abituato a guardare dall’alto e a comprendere il molteplice nell’unità. Ma purtroppo v’ha nella storia dell’eco- nomia un vizio di origine che ha tolto finora a que¬ sta scienza la possibilità di giungere a un organi¬ smo logico e non contradditorio. È un vizio sui ge¬ neris, in quanto più che infirmare la perfezione della scienza, ne ha addirittura vietato la nascita: è un presupposto assolutamente negativo che ha sbarrato il cammino prima che si avesse modo di incamminarsi. Si è detto che si cercherebbe invano nella sto- iia dell economia un sistema informato a un prin¬ cipio unico e sistematico. Ma se questo è vero in senso positivo non è altrettanto vero in senso ne¬ gativo; e a tutti è noto, infatti, come la storia del¬ l’economia coincida in modo quasi assoluto conla storia del liberalismo economico, anche se questo, velato da un apparente obiettivismo scientifico, sia rimasto celato agli occhi di molti economisti. Un principio informatore c’è stato, dunque, e sistema¬ tica perciò deve essere stata la scienza che ad esso si è attenuta. Il che è tanto evidente da non poter temere smentita, soprattutto da parte di chi quel principio ha cercato e cerca di mettere nella mag¬ gior luce possibile, ad esso riportando anche quelle conseguenze teoriche che ai più non sembrano ne¬ cessariamente connessevi. Ma il fatto è che quel principio lungi daH’essere un principio costruttivo è meramente negativo e distruttivo, sì che proprio ad esso si deve Timpossibilità in cui l’economia si è trovata di assurgere a vera scienza. Per intendere la negatività del principio è op¬ portuno confrontare la storia dell’economia con quella del diritto, dal secolo XVIII in poi. E il con¬ fronto si rende necessario per il chiarimento di quel concetto di individuo, che è alla base di tutte le scienze sociali quali si sono svolte in questi ul¬ timi due secoli. Presupposto, infatti, di queste scien¬ ze, che, alimentate dalle ideologie illuministiche, hanno poi avuto il loro massimo sviluppo col positi¬ vismo sociologico, è l’esistenza di un individuo con¬ cepito come un microcosmo, un individuo, cioè, fine a se stesso, con volontà autonoma, con libertà di arbitrio, e insomma come un mondo chiuso in sé, col sacrosanto diritto di rimaner chiuso e di re¬ gnare indisturbato entro la sua sfera d’azione. È il presupposto liberale, ormai superato da una critica perentoria e inconfutabile, in nome di una libertà ben altrimenti profonda e coerente. Ma in¬ tanto a quel presupposto bisogna risalire per spie- garsi il valore e i limiti delle scienze sociali nella loro attuale struttura. Ora, da una libertà intesa in senso atomistico è chiaro che non può, a rigore, derivare alcuna scienza, se è vero che una scienza è tale in quanto studia dei rapporti obiettivi. Una scienza sociale può esistere solo a patto che la società costituisca un organismo e cioè un’unità intelligibile. Ma quando si sostiene a priori che la vera unità è l’in¬ dividuo e che i rapporti sociali sono disciplinati al solo fine del benessere individuale, l’oggetto della scienza si frantuma nella molteplicità di individui, per definizione irrelati e inconfrontabili. L’unica scienza che si salva è il diritto: e il perché è evidente. Se la società si costituisce e vive non per un fine sociale bensì per la salvaguardia dei fini individuali, l’unico contenuto della società sarà la difesa dei diritti reciproci e Tunico conte¬ nuto della scienza sociale sarà Io studio dei limiti delle sfere individuali: il diritto. Sarà anche que¬ sta una concezione formale ed estrinseca del dirit¬ to, inadeguata alle superiori esigenze oggi manife¬ statesi, ma intanto è certo che un contenuto speci¬ fico e positivo la scienza del diritto lo ha pur re¬ stando nell’ambito di una teoria prettamente in¬ dividualistica. E un contenuto positivo ha il dirit¬ to perché ha lo Stato cui propriamente quella fun¬ zione compete, e che in tanto lia una realtà in quan¬ to ha lo scopo di garentire le sfere degli arbitri in¬ dividuali. Si spiega, dunque, molto bene come la scienza giuridica ahhia potuto tanto svilupparsi in questi ultimi due secoli; e si spiega anche prescin¬ dendo dal fatto che al mondo giuridico si sono af¬ facciati scienziati e filosofi di ben altra forza specu- lativa che non quella dei più illustri economisti. Si può dire anzi che nel diritto si conchiude ed esau¬ risce teoricamente tutto il mondo sociale illumini¬ sticamente inteso, senza alcun margine per altra scienza che non sia affatto descrittiva. Trasportato questo stesso principio nel cam¬ po deH’economia, esso si è necessariamente mu¬ tato in principio distruttore della scienza. E, infat¬ ti, logicamente lasciata in disparte la realtà dello Stato — realtà affatto giuridica con l’esclusiva fun¬ zione di determinare i confini interindividuali — o relegata in una particolare scienza detta scienza delle finanze, l’economia ha ipostatizzato l’individuo, rendendolo assolutamente irrelato attraverso l’astrazione dell’/tomo veconomicus. Ma una volta fatta oggetto di scienza una molteplicità irrelata, nessuna via era aperta per la determinazione di un qualsiasi rapporto entro la stessa molteplicità. 0 Yhomo (Economicus è veramente arbitro e allora la relazione tra gli homines si potrà soltanto consta¬ tare a posteriori, o la relazione è in qualche modo scientificamente determinabile e allora l’arbitrio dell’individuo è negato. E la scienza economica per gran parte è stata fedele al principio individuali¬ stico giungendo a conclusioni meramente negati¬ ve (libera concorrenza), e quando se ne è scostata è caduta in una serie di contraddizioni che hanno rotto l’unità del sistema, o ne sono rimaste al margine. Peggio è avvenuto quando l’economia, raffina¬ ta metodologicamente e spinta da esigenze di mag¬ giore sistematicità, ha voluto togliere al proprio liberalismo la veste di mera ideologia politica, tra- ducendn il presupposto individualistico in termini di pura scienza. Ne è venuta fuori la scuola psico¬ logica e matematica, sboccata in quel fuoco d’arti- tìzio cbe è la teoria dell’equilibrio economico ge¬ nerale. Non è il caso di ripetere qui quanto si è detto altrove e ripetutamente di questa scuola: basterà porre in rilievo l’antinomia irriducibile tra l’esigenza di scientificità che l’ispira e l’impossibilità di soddisfarla per la natura stessa del presupposto da cui muove. Tutta la storia dell’economia è giun¬ ta al suo logico plinto di sbocco e ha segnato il fallimento di una scienza costruita su una base illu¬ soria. Alla debolezza speculativa degli uomini si è aggiunta la contradditorietà del principio informa¬ tore e l’economia ha invano tentato per due secoli di sollevarsi a un grado veramente scientifico. La scienza dell economia è ancora una speranza del- l’avvenire. Ma cbe cosa è oggi, dunque, la scienza della economia? Credo che migliore risposta non pos¬ sa esservi di quella data da Luigi Einaudi parlando della storia delle dottrine economiche, nelle pa¬ gine riportate in questo volume. Per lui tale storia « dovrebbe occuparsi solo di quelle che sono dot¬ trine economiche proprie, ossia postulati, assiomi, teoremi, corollari enunciati dagli economisti come tali e non come filosofi, o politici, o religiosi, o in¬ dustriali. Quei teoremi o corollari non sono moltis¬ simi e si chiamano prezzi di monopolio o di con¬ correnza, o dei beni congiunti, costi comparati, di- stribuzione dei metalli preziosi fra i diversi paesi del mondo, rendita del produttore, del risparmia¬ tore, del consumatore, equilibrio economico, equa¬ zione degli scambi, rapporto fra moneta propria¬ mente detta e surrogati della moneta, elasticità del¬ le curve di domanda e di offerta, traslazione e capi¬ talizzazione dell’imposta, doppia tassazione nella tassazione del risparmio, e simili astruserie, fortu¬ natamente noiose per la comune degli uomini e poco appetitose per gli uomini storici, politici, pra¬ tici esercenti banca o commercio o industria, seb¬ bene atte a formare l’unica e suprema delizia degli economisti di professione. Da qualche secolo gli economisti faticano per costruire, in questo campo chiuso, un beH’edificio astratto di teorie logiche e coerenti. Sono lontanissimi dalla meta e questa non sarà mai raggiunta, perché ad ogni passo compiuto, nuove mete, nuovi teoremi attraggono la loro at¬ tenzione. Per tanto tempo si erano industriati a creare schemi astratti statici, rappresentazioni atte a raffigurare un meccanismo in equilibrio in un dato momento. Disperavano, per la imperfezione degli strumenti di ricerca da essi posseduti, di riuscire mai a creare schemi atti a raffigurare il « mo¬ vimento » da un equilibrio a quello successivo ; os¬ sia a trasformare i loro schemi astratti relativi ad un momento del tempo in schemi pure astratti, ma relativi al susseguirsi dei momenti del tempo. Da qualche anno si sono gettati su questo terreno ver¬ gine e, nonostante la difficoltà dell’impresa, non dobbiamo disperare che un giorno un uomo di ge¬ nio, capitato a prediligere la dinamica economica, abbia da dire qualcosa ai filosofi cd ai politici che quei campi del movimento, ossia del reale e del vivo, hanno sempre, a modo loro e giustamente a modo loro, coltivato. Per ora, non sarebbe bene che noi confessassimo di non essere riusciti in tan¬ te generazioni adorne di qualche uomo di genio e di molti ingegni di prim’ordine, i quali avreb¬ bero onorato, se ci si fossero dedicati, i più illu¬ stri campi della matematica pura, della fisica, della chimica e delle altre scienze, ad uscire dal regno del ■Se, dell ipotetico , dell irreale? Non per mancanza di buona volontà; ma per sordità della materia, la quale appena ora si piega, in mano a sottilissimi statistici armati di tutti i più penetranti strumenti del calcolo, a fornire qualche pallidissima luce, per ora diffusa attraverso schemi astratti, intorno al reale, che è vita e movimento )). Confessione di fallimento, dunque, e riduzione della scienza alla molteplicità di alcuni postulati, teoremi e corollari. E questa è la parola di uno di quegli economisti che, rifiutando la qualifica di liberali, credono ancora alla saldezza scientifica di teoremi alla concezione liberale pur intrinseca¬ mente connessi. Vano sarebbe per lui fare una sto¬ ria dell economia, che fosse la storia di un principio della molteplicità delle sue derivazioni. Soltanto alla molteplicità deve badare lo storico e ricercare 1 atto di nascita dei vari teoremi che mette conto d’illustrare. Al di là dei teoremi non c’è il sistema e tanto meno la storia del sistema. E la scienza dunque non c’è se non come giustapposizione di ri¬ cerche particolari. La diagnosi è precisa, ma non altrettanto pre¬ cisa ne è l’interpretazione. La scienza non c’è per¬ ché è fallito quel principio liberistico che la negava nell atto stesso rEinformarla : oggi non sono rimasti che gli scarsi frammenti (postulati, teoremi, corol¬ lari) che vanno finalmente intesi e rifusi alla luce di un principio ricostruttivo positivo. E, se è vero che il nuovo principio deve rappresentare il supera¬ mento del vecchio, contrapponendo alla pura nega¬ tività di un individuo irrelato la positività e la con¬ cretezza deiridentificazione di individuo e Stato, non può trattarsi evidentemente di un procedere sulla via già percorsa se non nel senso di ripren¬ dere il cammino con la consapevolezza del fallimen¬ to avvenuto. Nulla di quanto si è fatto deve essere negato: e nessuno potrebbe in buona fede cancel¬ lare i tanti risultati raggiunti nella soluzione di par¬ ticolari problemi (molti, se non tutti, tra quelli ci¬ tati daH Einaiidi, e altri ancora non meno impor¬ tanti); ma soli risultati limitati a fenomeni ridotti a termini matematici, o illustrati da una sapiente sta¬ tistica, o descrittivi di momenti storici determinati: non sono la scienza, l’organismo, il sistema, in cui la luce e sempre unica perché unico il principio c il fine. Quel che si nega è appunto la scienza che non c’è, e non ci potrà essere fino a quando non sarà compiuta quella rivoluzione scientifica di cui fin qui si è discorso. CRITICHE DI FILOSOFI Tra le tante critiche rivolte alla tesi della iden¬ tità di filosofia e scienza nell’applicazione fattane nei problemi della scienza economica, meritano di essere considerate a parte quelle che ci provengono dai cultori della filosofia. Curiosa posizione, invero, la nostra, di fronte a scienziati, che loro malgrado sono indotti a occuparsi, sia pure di sbieco, di filo¬ sofia, per rispondere alle critiche di principio che loro moviamo; e di fronte a filosofi, costretti a scivo¬ lare, con evidente senso di disagio, nel campo scien¬ tifico, per salvare la filosofia da una presunta con¬ taminazione. Curiosa, perché ci troviamo a dover discutere con illustri scienziati, i quali, per evi- dente inesperienza di studi filosofici, vengon fuori con ingenuità sconcertanti e gettano un’ombra non lieve sulla stessa scienza che professano; e con non meno illustri filosofi, i quali immaginano una scienza che non esiste e con essa fanno i conti senza voler uscire dal guscio di quella pseudo uni¬ versalità di cui si ritengono depositari. E gli uni e gli altri, naturalmente, ci combattono in relazione a quella filosofìa o a quella scienza che non cono¬ scono e concordano a priori nella conclusione di ritenerci pseudofilosofi o pseudoscienziati. Ma non è colpa nostra se, stando nel mezzo, ci punge il de- siderio di sollevarci sulla reciproca incomprensione di cui gli uni e gli altri danno prova, e di dimo¬ strare come quell’universalità cbe i filosofi difen¬ dono sia verbale e apparente e come il rigore si¬ stematico di cui gli scienziati sono orgogliosi abbia la stessa consistenza delle affermazioni filosofiche che si lasciano sfuggire. A noi non resta cbe invi¬ tare ancora una volta a porsi da questo più com¬ prensivo punto di vista, dal quale è possibile una visione precisa di quel cbe siano la falsa filosofia e la falsa scienza. Armando Carlinicomincia con l’avvertire, in linea di massima, cbe « bisogna vincere il pre¬ concetto, ancora molto diffuso, cbe ci siano dei principi da riformare nelle scienze con criteri filo¬ sofici, per poi procedere alla riforma di esse. I principi sono immanenti al lavorio scientifico, il quale procede riformandosi da sé: l’enunciazione dei principi avviene dopo, non prima ». Se non che tale modo d’impostare il problema presuppone già un dualismo dogmatico di scienza e filosofia che preclude inevitabilmente la strada alla com¬ prensione del nostro tentativo. Se principi scienti¬ fici e criteri filosofici son cose diverse, se 1 enun¬ ciazione dei principi vien dopo, se il lavorio scien¬ tifico procede riformandosi da sé, vuol dire cbe la lesi dell’identità di scienza e filosofia resta fuori discussione e che rammonimento va a coloro i quali 5 ) CIr. la sua recensione del mio libro su Lo critica dell'econa- mia liberale, in Leonardo. mescolano una scienza e una filosofia intese Alla vecchia maniera. Per conto nostro non possiamo aver la pretesa di riformare i prìncipi delle scien¬ ze con criteri filosofici perché non conosciamo cri¬ teri filosofici che non siano i principi stessi delle scienze: ammettiamo che il lavorio scientifico pro¬ ceda riformandosi da sé per la semplice ragione che non conosciamo alcun altro lavorio oltre lo scien¬ tifico: e infine non possiamo ammettere che l enun- ciazione dei principi avvenga dopo per la stessa ragione per cui non possiamo ammettere che av¬ venga piìma essendo i principi, come ben osserva il Carlini stesso, immanenti al lavorio scientifico. Ma il Carlini non si arresta a queste osserva¬ zioni e riafferma il dualismo in modo ben più pe¬ rentorio. « La vita », egli scrive, « nella filosofiagentiliana è pura spiritualità e personalità del sog¬ getto: per lo scienziato, è nel divenire storico della realtà eh egli studia, e a questa cerca di adeguare i suoi concetti. La scienza, se non procede così, con questa mentalità, non è più scienza. Introdurre nella scienza una questione morale (la consape¬ volezza che quel mondo della scienza ha dei limiti, e che in noi è una ragione di vita che lo supera) è distruggere il prohlema proprio dello scienzia¬ to ». Dove è da osservare che la vita del soggetto è appunto il divenire storico della realtà ch’egli stu¬ dia; che il mondo della scienza non ha limiti, bensì li ha ogni scienza vista nella sua particolarità ; e infine che lo scienziato, il quale non avesse la con¬ sapevolezza dei limiti della sua particolare scienza, non sarebbe scienziato. Del resto, il dualismo cui si arresta il Carlini è più un residuo di vecchie teorie che non una pre- cisa convinzione. Tanto è vero ch’egli ammette la « bontà » dei miei saggi e la spiega « non con gli schemi dellTntroduzione ma con quanto l’autore vi porta di conoscenza concreta dei problemi di¬ battuti, e soprattutto con quel vivo senso della sto¬ ricità di questi problemi ch’è, nel campo della cul¬ tura in generale, specialmente per noi italiani, una delle conquiste fondamentali dell’idealismo con¬ temporaneo ». Ora, è chiaro che il senso della sto¬ ricità dei problemi discussi è appunto la consa¬ pevolezza dei limiti delle affermazioni scientifiche e sta a dimostrare, in atto, l’identità di scienza e filosofia. Che poi l’Tntroduzione si riduca a schemi irrilevanti ai fini delle affermazioni scientifiche contenute negli altri saggi, è cosa per lo meno di¬ scutibile: comunque ciò non denoterebbe la natu¬ ra filosofica dellTntroduzione in contrasto con la natura scientifica dei saggi, bensì lo scarso valore filosofico e perciò lo scarso valore scientifico della Introduzione stessa. In altri termini, in essa per¬ marrebbe alcunché di quell’astrattismo filosofico che noi ci proponiamo di combattere non meno del correlativo astrattismo scientifico. Il dualismo di scienza e filosofia è presuppo¬ sto in modo ancor più perentorio da Giulio Cola¬ marino, *) che ripetutamente ha voluto dimostrare 3 ) G. Col AM arino, Scienze e filosofìa, in Nuovi problemi, di¬ cembre 1930, pp. 97-116; recensione di U. Spirito, La eritrea della economia liberale; Scienze sociali, filosofia e scienze economica, ibid., luglio-settembre 1931, pp. 481494. 1 autonomia della scienza dando come unica legitti¬ ma una scienza non filosofica e perciò a lui. stu¬ dioso di filosofia, affatto ignota. « Ma peggio sa¬ rebbe certamente », egli osserva, « se l’idealismo assoluto volesse entrare nel dominio della scienza per migliorarla e renderla più rispondente alla vi¬ ta — come appunto sostiene il libro di cui parlia¬ mo. Non potendo la filosofia dettar legge alla scien¬ za. né costruirla come una finzione intellettuale che le rimarrebbe sempre estranea, potrebbe acca¬ dere che, col concorso di circostanze che non oc¬ corre specificare, l’invocato connubio tra scienza e filosofia, segnasse in Italia l’inizio di un periodo di grande confusione, se non nel mondo della cultu¬ ra, per lo meno in quello della scuola » (recensione cit., pag. 95). E qui, al solito, si parla di una filo¬ sofia che dovrebbe entrare nel mondo della scienza, e di un connubio di scienza e filosofia, laddove la tesi che con ciò si vuol combattere è quella di una scienza che è filosofia e che filosoficamente progre¬ disce correggendo i suoi principi. Non si tratta di unire due mondi, bensì di riconoscerne l’identità. Al che il Colamarino, finché rimarrà sulla via in¬ trapresa, non potrà certamente giungere per l’ine¬ sperienza da lui dimostrata degli studi scientifici in genere e deireconomia in ispecie. Chi dubitasse di questa mia affermazione non avrebbe che a leggere le osservazioni che il Colamarino fa sulla mia cri¬ tica del Pareto, e riflettere in particolare sul se¬ guente passo, in cui si cerca di svalutare il mio giu¬ dizio giudicandolo meramente filosofico. « Bisogna concludere perciò », egli scrive, « che di uno scien¬ ziato è troppo vano e tardivo fare la critica filo¬ sofica, dopo che tale critica si è già esercitata sulla forma del sapere scientifico, e che quella critica è poi anche fuor di luogo se deve valere per gli scien¬ ziati. Se Pareto non avesse scritto il Manuale, tutti i suoi libri pseudostorici e sociologici non sareb¬ bero valsi a ricordarlo agli scienziati, e quindi lo Spirito non avrebbe sentito il bisogno di occuparsi di lui. Ora, parlare di Pareto, come egli ha fatto, svalutando il Manuale, e concentrando tutto Tinte- resse sullo scetticismo sorto nell’animo paretiano nel vano tentativo di combinare insieme la sociolo¬ gia con l'economia, significa rimanere ai margini dell’argomento, rinunciare a parlare di scienza per eccessivo attaccamento alla filosofia » (ibid., p. 97). Se il Colamarino avesse letto davvero il Pareto e si fosse reso conto delle mie critiche, non avrebbe certamente scritto queste righe che sono la confer¬ ma decisiva dell’impossibilità in cui egli si trova di discutere il problema dei rapporti tra filosofia ed economia. Il Manuale ch’egli contrappone ai li¬ bri pseudostorici e sociologici è proprio il libro del Pareto in cui le ideologie sociologiche e pseu¬ dofilosofiche prendono il sopravvento sulla scien¬ za economica più aderente alla tradizione rappre¬ sentata dal Cours, e mettono capo a leggi e teoremi privi di qualsiasi rigore logico. Lungi dal rinun¬ ciare a parlare di scienza per eccessivo attaccamen¬ to alla filosofia, io ho voluto dimostrare Tinconsi- stenza scientifica della costruzione del Pareto do- vuta al suo impelagarsi nella filosofia (che è, s’in¬ tende bene, una cattiva filosofia). Se il Colamarino ritiene che scientificamente il Manuale rappresenti qualcosa di altro e di meglio di ciò che è stato da me filosoficamente criticato, lo dimostri, e si finisca ima buona volta dì contrapporre al mio Pa- reto un Pareto scienziato che nessuno dà prova di conoscere e di saper difendere contro un giudizio che ne investe i principi fondamentali. E qui mi occorre di dare un consiglio ai con¬ traddittori, filosofi o economisti, che siano, ma so¬ prattutto se economisti: non continuino a oppormi inutilmente vaghi filosofemi e opinioni approssi¬ mative sulla possibilità o impossibilità del mio as¬ sunto, ma cerchino di saggiare in concreto la vali¬dità deile critiche particolari e dei criteri ricostrut¬ tivi. Allora soltanto la discussione potrà riuscire feconda ed esser liberata da quel filosofismo di cui sono purtroppo infetti i miei accusatori. Delle tan¬ te pagine che il Colamarinn mi ha dedicate non in¬ teressano certo quelle che pongono una pregiudi¬ ziale filosofica: non interessano e perciò non le di¬ scuto. Interessano invece, e vorrei quindi discute¬ re, le osservazioni circa i problemi concreti della scienza economica, ma purtroppo di queste vi ha molta scarsezza negli articoli citati. L’unico punto un po’ determinato è quello che concerne l’ipotesi dell homo cp.canomic.ua, dal Colamarino riproposta a fondamento della scienza economica. Contro il Contento, ch’era della stessa opinione, e che ave¬ va definito Yhoìno mconomicus « l’inividuo imma¬ ginato nella sua pura condotta economica, la quale, nei moventi e nei fini, si ritiene informata, gene¬ ralmente, ad un tipo uniforme corrispondente alla ricerca della massima soddisfazione col minimo sforzo, cioè all’applicazione integrale del principio lfi - Suino del minimo sforzo », avevo opposto che, se tale è l’ homo cp.conomicus. l’uomo è sempre economico, in ogni campo della sua esistenza, perché sempre tende alla massima soddisfazione col minimo sfor¬ zo, e che dunque « la fictio dell’/i. ce. si rivela an¬ cora una volta assolutamente inadatta a servire da ipotesi scientifica )). Ora, su questo ragionamento, « impressionante nella sua semplicità », come dice lo stesso Colamarino, si trova modo di sofisticare distinguendone la validità scientifica da quella filo¬ sofica e concludendo che il principio si estende, sì, a tutti i campi deH'attività umana, ma acquista un particolare significato allorché si parla di econo¬ mia politica. « E qual’è », continua il Colamarino, C( l’economicità sulla quale si erge l’edificio della scienza economica? È indubbiamente l’attività che sì esercita nella produzione, nello scambio, nel con¬ sumo dei beni materiali, misurabili, trasferibili, o riducibili comunque a nozione quantitativa. E Yho- mn oeconnmicus non è altro che l’individuo che esercita tale attività: individuo che non è certo l’Io della filo sofia e neppure tutto l’individuo sociale (che allora la economia sarebbe tutta intera la scienza sociale), ma che è appunto quell’astrazione, quella fictio necessaria alla scienza dell’economia » (Scienze sociali ecc., pp. 490-491). Ma con ciò il Colamarino conferma appunto che la definizione del Contento, e di tanti altri prima, è errata, per¬ ché generica, e che il vero homo ceconomicus è in¬ vece Vindividuo che esercita la sua attività nella produzione, nello scambio, nel consumo dei benimateriali, misurabili, trasferibili, o riducibili co¬ munque a nozione quantitativa. Filosofica o scien¬ tifica che fosse, la mia obiezione era dunque vali- da e la definizione è stata cambiata. Che poi la nuova formula non abbia, neppur essa, alcun va¬ lore scientifico, è cosa che dovrebbe risultare ab¬ bastanza evidente dopo tante discussioni in pro¬ posito, ma non sono alieno dal tornarvi su, se al Colamarino, o a qualche altro in sua vece, venisse il desiderio di maggiori delucidazioni. Ciò che im¬ porta è di discutere su questa piano, senza conti¬ nuare a domandarsi se si tratti di scienza ovvero di filosofia, e cercando, semplicemente, di ragionar bene. LA NUOVA SCIENZA DELL’ECONOMIA SECONDO WERNER SOMRART À coronamento della sua grande opera di sto¬ ria economica. Werner Sonibart ha voluto com¬ piere un tentativo di sistemazione scientifica dei principi fondamentali dell’economia, e ha scritto un’opera (Die drei Nationalókonomien, Miinchen und Leipzig, Duncher und Humhlot) intenzionalmente rivoluzionaria, che non potrà non destare scandalo presso tutti gli eco¬ nomisti convinti dell'assolutezza e infallibilità del¬ le loro leggi. Ai cattedratici ortodossi che si com¬ piacciono della solidità di quel corpo di dottrine economiche messo insieme dai classici e via via per¬ fezionato dagli scienziati puri pervenuti al rigore delle discipline matematiche, il Somhart getta riso¬ lutamente in faccia l’accusa di radicale incongruen¬ za e di cieco dogmatismo. Lungi dal rappresentare una scienza esatta, l’economia si trova oggi in una « situazione disperata » (verzweifelle J.u&tand un- serer Wissenschaft) che il Somhart non teme di rappresentarsi con le fosche tinte di uno spaven¬ toso caos. Naturalmente il giudizio è confortato dallanalisi dei motivi e dalla dimostrazione inop¬ pugnabile della indeterminatezza dei principi su cui la scienza delFeeonomia è stata fondata. Si tratta di un imprecisione che ha involto lo stesso concetto di economia e poi lutti i metodi di ricerca e tutta la terminologia scientifica. Criteri estrinseci di classificazione, interferenza di motivi disparati, delimitazioni arbitrarie, presupposti infondati e concetti equivoci hanno portato la confusione nel campo degli studi economici, facendo smarrire ogni senso dei suoi confini e delle sue caratteristiche peculiari. « L’economia si è accontentata fin qui di concetti che a guisa di vagabondi si sono aggirati tra 1 confini dei vari paesi, senza Leu sapere dove avessero diritto di cittadinanza. Con tal genia er- rante e vagabonda l’economia ba voluto riempire i quadri del suo esercito di concetti: valore, biso¬ gno, bene, piacere, pena, utilità, eco., e ha persino concesso a questi vagabondi la dignità di concetti fondamentali. (Grundbegriffe) » (pag. 247). Non si tratta dunque di eliminare errori o di colmare lacune, bensì di trasformare ab imis tutta la scienza economica mediante l’assunzione di prin¬ cipi affatto diversi e a confini ben determinati. Non v’è uno solo dei concetti di cui ] a scienza eco¬ nomia oggi fa uso che non sia di carattere empi- ri co e perciò suscettibile delle infinite interpreta¬ zioni giustificate dalle contingenze del suo uso. Aver la pretesa di far della scienza rimanendo su un terreno così poco stabile è un assurdo che il Somharf riesce a mettere efficacemente in luce, mostrando l’urgenza dei rimedi. Ed egli senz’altro’ afferma, con simpatico orgoglio, di aver appunto intenzione di recare « un po’ d’ordine in questo caos )) ( p. 19) e di dar finalmente rigore scientifi¬ co a una disciplina che con troppa evidenza ha di¬ mostralo di non averne affatto. Con questo libro una nuova epoca dovrebbe, dunque, iniziarsi nella storia della scienza economica. Per chiarire la sua posizione di fronte a tutti gli altri indirizzi scientifici, il Sombart compie fin dalle prime pagine una generale ripartizione dei sistemi di economia in tre grandi tipi, caratteriz¬ zati dal metodo di ricerca: il metafisico o normati¬ vo (Tirhtende Nationalokonomie), il naturalistico o classificatorio o descrittivo (ordnende A lational- Òknnomie) e infine lo spiritualistico o critico (vpt- slehende Nationalokonomie). Del primo sarebbe rappresentante tipico Sau Tommaso, del secondo il Pareto, del terzo il Sombart (das « meinige »). E tutto il libro quindi vien ripartito in tre parti, due delle quali volte alla critica dei sistemi giudicati inadeguati (metafisico e naturalistico) e l’ultima invece destinata a porre i fondamenti della nuova costruzione spiritualistica. L’economia normativa non ba lo scopo di stu¬ diare il mondo nella sua effettiva realtà, ma di in¬ dicare ciò ch’esso deve divenire: non si riferisce all’essere ma al dover essere, e in quanto tale pone le direttive della condotta umana per l’instaurazio¬ ne dell’economia giusta. I concetti su cui essa si fonda sono perciò concetti sociologici come classe o mestiere; concetti di giustizia come giusto prez- zo, giusto salario o giusta distribuzione; concetti di valore come sfruttamento, ecc. I suoi fini sono quelli di determinare i valori assoluti, di riconnet- tcre ad essi le proposizioni scientifiche, di tradurli nella pratica della vita e di segnalare le deviazioni della realtà dall’ideale. Dopo aver esposto i vari tipi di questa econo¬ mia normativa, l’Autore si domanda se essa sia scientificamente ammissibile e se possa quindi rap¬ presentare il vero canone metodologico dello stu¬ dioso. Nella risposta si rivelali d’un tratto tutti i limiti dell’orizzonte speculativo del Sombart e si iniravvedono le difficoltà che egli dovrà superare per liberarsi, almeno in parte, dai pregiudizi della ideologia da cui prende le mosse. Ancora fedele al concetto positivistico di scienza e alla conseguente critica antifilosofica, egli distingue in modo cate¬ gorico il mondo dell’esperienza dal mondo dei va¬ lori, la scienza dalla filosofia, e alla prima ricono¬ sce la possibilità di una verità obbiettiva laddovealla seconda consente un significalo esclusivamente soggettivo. L’economia, in quanto scienza, non può indicarci l’ideale di una maggiore produzione, per¬ ché tale ideale implica la soluzione di un problema non semplicemente economico, ma totale o metafisico, quale è quello del fine sociale: implica, cioè, una particolare visione del mondo una Weltan- schauung, che trascende assolutamente i meri dati scientifici. Né è possibile, secondo il Sombart, che tale concezione integrale informi comunque di sé una scienza particolare, perché la differenza fra la parte e il tutto, ossia tra la scienza e la filosofia, non è soltanto quantitativa, bensì anche qualitativa. La filosofia è da lui intesa come intuizione re- ligiosa, come conoscenza personale e soggettiva: se essa si insegna, i] suo insegnamento non può con¬ siderarsi come 1 introduzione a una verità, ma co¬ me una suggestione personale del maestro sull’a- lunno, come un invito alla lede del maestro. La conoscenza filosofica, perciò, è essenzial¬ mente relativistica e può rivelarci un solo aspetto della realtà, mutando legittimamente da persona a persona, con pari validità per ognuno. Alla fede scientifica, originariamente positivistica, il Sombart può giustapporre, senza timore di ledere la sicu¬ rezza obiettiva dell’esperienza, una filosofia rela¬ tivistica e scettica, fornitagli a troppo buon mer¬ cato dall’indulgente Simrnel. E allora dalla scien- za si dà il bando a tutti i giudizi di valore, che. in quanto personali, non possono costrìngere logica¬ mente, ma debbono rimanere fuori dell’esperienza e dell’evidenza. 11 loro fondamento è Femore: per i valori 1 uomo vive e muore, ma i valori non co¬ nosce: essi appartengono alla sfera filosofica o reli¬ giosa, nella quale dunque può solo rientrare tutta l’economia normativa. In tal guisa vien liquidato dal Sombart uno dei tipi fondamentali della scienza economica, e il lettore non può non rimanere sorpreso dalla facilità e diciamo pure — superficialità, con cui si ripetono monotonamente la istanza scientifi¬ ca del positivismo, l’affermazione dogmatica della validità di un’esperienza e di un’evidenza logica non meglio definite, l’accusa di relativismo alla fi¬ losofia, e 1 impossibilità scientifica di un qualsiasi giudizio di valore. Se dovessimo arrestarci a que¬ sta prima parte del libro, non avremmo che a con¬ cludere in modo affatto negativo, perché se il Som- bari avesse sul serio mantenuto fede a tale pozio¬ ne iniziale, nessun motivo nuovo e nessuna nugoli esigenza sarebbero scaturiti dalla sua ricostruzione. 1] dualismo di conoscenza e fede, di fatto e valore, di oggettivo e soggettivo, ci appare finora così radi¬ cale e grossolano, da far ritenere completamente fallito il tentativo e da far per lo meno dubitare della serietà di un effettivo riordinamento della scienza economica. Più che la rozzezza dei motivi critici^ meraviglia vedere in un uomo di tanta cul¬ tura l’assoluta incapacità di prender atto dello svi¬ luppo del pensiero contemporaneo e delle infinite istanze critiche sollevate d’ogni parte al massiccio credo positivistico, cui il Sombart sostanzialmente serba ancora fede. Lo stesso Pareto, del quale egli ricalca fin qui le orme, aveva detto queste cose in ben altra e più nuova maniera: né si capisce come vi si possa ancora tanto insistere, senza porre in campo argomenti nuovi o senza impostare diversa- mente la logora questione. Si tratta, oltre tutto, an¬ che di sensibilità e di gusto. Ma fortunatamente il Sombart. pur portando attraverso tutto il libro il peso di tali presuppo¬ sti, sa presto sollevarsi a un altro livello e affac- ciare esigenze in netta antitesi con le prime affer¬ mazioni. Da una parte si affina in lui il concetto di esperienza, dall altra si attenua fin quasi a scom¬ parire il crudo dualismo di scienza e filosofia. E già nell analisi del secondo tipo di sistemi econo- mici, quello classificatorio o descrittivo, si comin¬ cia a delineare una forte istanza critica rispetto al¬ la comune concezione naturalistica della scienza. Caratteristiche della scienza della natura so¬ no la validità universale e l’assoluta obiettività dei principi e delle leggi: ma questo risultato, che è il risultato più grande raggiungibile dalla scienza, è possibile solo a patto di rimanere in una zona me¬ ramente formale. Se analizziamo, infatti, le propo¬ sizioni delle scienze naturali, ci accorgiamo ch’es¬ se si riferiscono a fenomeni morii, già realizzati fìssati e resi calcolabili attraverso un processo di elementarizzazione. Il tutto, l’essenza della natura sfugge completamente e va relegato nei campi della metafìsica: ciò che resta oggetto di scienza sono i particolari aspetti, i fatti semplici, i fenomeni mi¬ surabili, i quali vengono raccolti e ordinati secon¬ do principi formali estrinseci (concetti generali, schemi, leggi, uniformità). « La conoscenza, come viene intesa nelle moderne scienze naturali, è una comprensione esteriore delle cose; è una conoscen¬ za dal di fuori, o, come fu anche detta, particolare, vale a dire ch’essa si limita a un solo carattere: la quantità (Gròsse). Fornendoci solo la misura o il numero delle proprietà dei fenomeni, le scienze naturali hanno sostituito un rapporto formale e unilaterale all’unità complessa. Ora, v’è un modo di costruire la scienza del- reconomia, che si ispira appunto a tali criteri na¬ turalistici, poco preoccupandosi del valore conosci¬ tivo dei risultati. E il Sombart giustamente ravvisa nei seguaci di questa ordnende Nationalókonomie non solo i teorici delFoggettivismo, ma gli stessi sog¬ gettivisti, gli psicologi, i marginalisti e i seguaci delle teorie dell’equilibrio. Egli non si lascia ingannare da un presunto soggettivismo e. dopo aver osservato (pagg- 110-111) cbe esiste un modonaturalisticodi fare la scienza dell’anima e dello spirito, giunge fino a rilevare il carattere equivoco del principio di ofe¬ limità del Pareto. Una critica condotta in termini sì efficaci e ri¬ gorosi della concezione naturalistica della scienza basta a farci comprendere come la posizione piat¬ tamente positivistica dell’altra critica alla richtende Nationalókonomic non fosse sufficiente per indivi¬ duare il livello speculativo cui il Sombart è perve¬ nuto. Qui si rivela una coscienza abbastanza esatta e approfondita di tutto quel movimento di reazione idealistico alla scienza che ha caratterizzato gran parte del pensiero filosofico e scientifico degli ultimi decenni, e si dimostra a chiare note una radicale in¬ soddisfazione per rinfallibile obiettività e assolu¬ tezza di cui presumevano avere il monopolio i po¬ sitivisti. Se, quindi, si volesse nuovamente definire, limitandoci a questa seconda tappa, la concezione speculativa del Sombart. occorrerebbe cercarne i li¬ miti in quella stessa critica alla scienza cbe caratte¬ rizza le filosofie contemporanee antintellettualisti- che. E i lìmiti allora si ritroverebbero nel dualismo di natura e spirito, cbe pesa purtroppo sulla scien¬ za e sulla filosofìa come dualismo delle stesse disci¬ pline, e che fa ritenere tuttavia a molti insupera¬ bile la concezione naturalistica delle scienze natu¬ rali. L’accusa che il Sombart muove alla scienza della economia non riguarda, per sua esplicita con¬ fessione, la scienza della natura, la quale è e deve essere naturalistica, e necessariamente degenera nel¬ la metafisica quando voglia supeiare il proprio caratiere meramente formale (p. 119): il che vuol dire che scienza naturale e scienza sociale sono as¬ solutamente eterogenee, e che alla prima competono metodi di ricerca affatto diversi da quelli seguiti dalla seconda. La conseguenza ultima sarà che la scienza sociale per quel tanto che interferirà con la scienza naturale diverrà per definizione impossibile e assurda, come appunto confermerà nell’ultimo svolgimento del suo pensiero lo stesso Sombart. Egli, al solito, non sospetta che la critica alla scienza ha il solo valore di una critica alla concezione natu¬ ralistica della scienza e non pensa neppure che la scienza della natura possa farsi con altri criteri che non siano quelli estrinseci del positivismo : dalla sua critica perciò egli non perviene a una nuova visio¬ ne della scienza, in generale, bensi soltanto a un distacco arbitrario delle scienze sociali, che vorreb¬ be sottrarre alla metodologia propria delle scienze naturali. È questo certamente un passo innanzi ri¬ spetto alla comune critica alla scienza, ma è un passo fatto a costo di un dualismo che compromet¬ terà inevitabilmente la nuova costruzione. Dall’analisi compiuta della richtende Nationa- lókonomie e della ordnende Nationalókonomie so¬ no scaturiti per contrasto i caratteri che do¬ vrà avere la vera scienza dell’economia, la ver- stehende Nationalokonomie. E il problema viene a porsi in termini almeno apparentemente rigo¬ rosi, quando il Sombart affaccia l’esigenza di un cri- terio conoscitivo che sfugga per la sua obiettività al relativismo di una metafisica soggettività e non si esaurisca d altra parte in una sistemazione affatto estrinseca e classificatoria dei fenomeni sottoposti a indagine. La nuova scienza dovrà giungere alla essenza della realtà economica, pur non abbando¬ nando mai il terreno concretissimo dell’esperien¬ za. Per giungere a questo risultato il Sombart com¬ pie il maggiore sforzo speculativo che gli è possibile assumendo entusiasticamente a guida indiscussa il pensiero del nostro Vico, dal quale appunto trae argomento per ipostatizzare il dualismo, cui abbia¬ mo accennato, di scienza della natura e scienza so¬ ciale. (( lo sono disposto )), afferma risolutamente il Sombart, « a riconoscere in Giambattista Vico il pa¬ dre delle moderne scienze dello spirito e di un rela¬ tivo particolare metodo di conoscenza. Egli è. a mio modo di vedere, il primo che nei tempi moderni ab¬ bia contrapposto con coscienza le scienze storiche alle scienze naturali e abbia dimostratolanecessità perle prime di un metodo d indagine diverso dal¬ l’usuale)). E che il Vico sia proprio il padre della « verste- bende » sociologia il Sombart vuol dimostrare tra¬ scrivendo addirittura nel testo italiano il noto passo della Scienza nuova: «Questo mondo civile certa¬ mente egli è stato fatto dagli uomini: onde se ne possono, perché se ne debbono, ritrovare i Principi dentro le modificazioni della nostra medesima men¬ te umana. So che a chiunque vi rifletta sopra, deve recare una somma maraviglia, come tutti i Filosofi seriosamente si studiarono di poter conseguire la Scienza di questo Mondo naturale, del quale, per¬ ché Dio egli il fece, esso solo ne ha la Scienza ; e trascurarono di meditare su questo Mondo delle Nazio¬ ni, o sia Mondo civile, del quale, perché l’avevano fatto gli uomini, ne potevano conseguire la Scienza gli uomini ». Ora, la scienza dell’economia, come tutte le scienze sociali e la sociologia in genere — il Som- bart preferisce ancora questo termine a quello di storia — riguarda appunto il mondo fatto dagli uo¬ mini, vale a dire non il mondo della natura, bensì quello dello spirito o della Kultur : quel mondo che noi possiamo conoscere veramente perché costruito da noi. « Noi e noi soltanto siamo i creatori della cultura e ci muoviamo in questo piccolo mondo co¬ me Dio in quello grande. In questo nostro mondo noi siamo in effetti il Dio onnisciente e onnipoten¬ te », Intesa in tal modo la cultura come tutta l’opera umana in contrapposizione alla natura, si compren¬ de bene come il Sombart possa concepire una scien¬ za dell’economia spiritualistica e al tempo stesso sperimentale e obiettiva. Metafisica era la richtende Natianalòkonomie perché presumeva di conoscere un mondo trascendente il nostro pensiero: forma¬ listica era la ardnende Nationalòkonomie perché vo¬ leva arrestarsi nel campo delle scienze sociali agli stessi criteri validi per le scienze naturali : ma non più metafisica né formalistica sarà la verstehende JSationalókonomie, che potrà giungere all’essenza delle cose, senza tuttavia sconfinare in un mondo trascendente. Essa potrà divenire veramente una Erfahrungxwi.'isp.nschaff, quando sarà concepita come una Geistwissenschaft nel senso di Kulturtcissen- schaft. Con l’affermazione della verstehende Nationnl- ofconomie come sociologia il Sombart raggiunge il più alto livello che gli è consentito dai suoi presup¬ posti filosofici: e alla luce di essa ci è ota possibile ritornare alle critiche delle due prime forme scien¬ tifiche dell’economia e intravederne quel più pro¬ fondo significatico intuitivo che mal ci è apparso attraverso la rigorosa riduzione in termini logici che ne abbiamo fatto. Perché adesso ci è dato ca¬ pire come la critica grossolanamente positivistica rivolta alla richtende Natiflìialakonomie non stava a dimostrare una meschina adorazione del fatto, vi¬ sto fuori della vita dello spirito e della storia, bensì piuttosto l’insofferenza per ogni forma di scienza moralistica, volta a determinare aprioristicamente i fini dell’attività umana in genere e di quella eco¬ nomica in ispecie. Se in quella critica predominava senza dubbio il vecchio pregiudizio positivistico di un’esperienza intesa in modo affatto oggettivo, è pur vero che a esso si accompagnava una coscienza sto¬ ricistica di ben altro valore, tendente non all’elimina¬ zione dei valori spirituali, bensì al loro spostamento dall’astratto campo della metafisica moralistica alla salda e concreta realtà della storia. Che è poi la 6tessa esigenza che induce il Sombart a svalutare le scienze naturali e insieme il modo naturalistico dì costruire la scienza economica. Non che egli non creda utile una sistemazione formale dei dati dell’econoniia, che anzi ne conferma in questo stes- so libro l’opportunità e addirittura la necessità, ma non ritiene che in essa possa esaurirsi il compito di una scienza destinata allo studio di una realtà viva e progrediente quale è l’attività umana creatrice della storia. Gli economisti tanno finora oscillato tra un arbitrario moralismo e un formalismo tautolo¬ gico enon hanno mai saputo assurgere a una effet¬ tiva comprensione dei fenomeni che volevano spie¬ garsi: il Sombart ne ha visto efficacemente le ragio¬ ni ed è salito a lina forma superiore di storicismo. Lo storicismo del Sombart, infatti, è molto di¬ verso da quello tradizionale della scuola storica e si comprende come egli non ami troppo la parola, che pur è la più adatta a caratterizzare la sua po¬ sizione. Al vecchio storicismo il Sombart è giusta¬ mente contrario e la diagnosi che ne compie coglie proprio il segno. Se la scuola storica aveva avuto rintuizione delle complessità e varietà dei fenomeni economici, non aveva poi saputo elevarsi fino al loro dominio ed era finita neH’irrazionalismo : lo storicismo, come descrizione empirica dei fenomeni visti nella loro caotica molteplicità, non è la scienza ma la negazione della scienza. Lo storicismo del Sombart, invece, penetra al fondo della mutevole realtà e vuol coglierne la lo¬ gica del movimento: e questo può fare, perché, gra¬ zie a Vico, ha compreso che quella logica è la logica stessa del nostro pensiero. Ma se così è, necessaria¬ mente ne deriva che in tanto è possibile intendere un qualsiasi fenomeno della realtà — e nel caso particolare, un fenomeno economico — in quanto lo si riconduce al sistema integrale di quel pensiero che gli ha dato origine dando origine a tutto il mondo della cultura. Vano e assurdo è ogni tentativo di determinare un qualsiasi principio scien¬ tifico nel campo dell'economia, se non si tiene ben presente che il fatto economico è intelligibile sol¬ tanto in funzione di tutti gli altri aspetti della realtà in cui esso sorge e si svolge. E il significato stesso dei termini cbe si adoperano dagli economisti non è definibile se non in rapporto alle diverse condi¬ zioni storiche, continuamentevariando con il va¬ riare di queste; sì che soltanto con un atto di ar¬ bitrio ingiustificato è possibile agli economisti fis¬ sare una legge sciertifiea di presunto valore asso¬ luto, trascendente il tempo e lo spazio. L’errore più grave della scienza economica quale si è svolta fin qui è stato appunto quello di ipostatizzare alcuni termini e alcuni principi, obliando il nesso loro imprescindibile con la concreta vita storica dalla quale termini e principi avevan tratto alimento. Anche le parole di significato più generale e appa¬ rentemente affatto libere da legami con una parti¬ colare epoca storica — ad es. scambio — in effetti non significano nulla, e per diventare davvero in¬ telligibili hanno bisogno di una determinata qua¬ lificazione storica — lo scambio presso i primitivi, nell’epoca capitalistica, ecc. Il che implica che la scienza dell’economia va ricostruita ex novo, come scienza storica che utilizzi concetti storici e si pon¬ ga perciò in grado di superare l’attuale stato caotico dovuto al giustapporsi di principi originati da di¬ verse situazioni storiche e tuttavia messi su di uno stesso piano, con la pretesa di farli corrispondere a qualsiasi situazione storica. Si continuano oggi a ritenere scientifiche tante leggi dell’economia clas¬ sica, e non ci si accorge che quelle leggi non hanno più valore perché i termini in cui sono espresse 17 - Srum  hanno cambiato di significato, senza che Leconomi- sta ahhia riflettuto sulla portata di tale mutamento. E a poco a poco l'economia è diventata un lavoro di mosaico, in cui ogni pietruzza sta per conto suo, senza che neppure in tale indipendenza possa avere una fisionomia sua, suscettibile com’è di infinite co¬ lorazioni, alle diverse luci che la illuminano. 11 Somhart ha visto come pochi questa essenziale inor¬ ganicità e incongnienza della scienza economica e ha saputo scoprirne la piu profonda ragione. Senonché il Somhart non può raccogliere tutti i frutti della sua concezione per i limiti stessi entro cui rigorosamente la circoscrive arrestandosi alla dottrina dì Vico. Se l'aver riallacciato il nuovo sto¬ ricismo al pensiero del grande filosofo italiano co¬ stituisce il più gran merito del Somhart, l’aver poi creduto che si possa ancor oggi, dopo due secoli di intensissimo travaglio speculativo,impostareil pro¬ blema proprio negli 6tessi termini, è purtroppo tale un errore da compromettere in modo irrimediabile il risultato di ogni ricerca. L’errore — come si è già accennato — consiste nel dualismo vichiano di mondo umano e mondo naturale, considerati l’uno come fattura dell’uomo e l’altro di Dio. Poiché si può essere dualisti quanto si vuole, ma bisogna pur rendersi conto che, se esi¬ stono due realtà, esiste per ciò stesso il problema del loro rapporto. Ora, tale rapporto è sfuggito in gran parte alla mente del Vico, ed è appena analiz¬ zato dal Somhart che lo concepisce in modo molto estrinseco e a posteriori. Egli non si preoccupa, in¬ fatti, di ricercare 1 unità originaria dei due mondi, sì ch’essi possano rendersi intelligibili alla luce di un unico fine, ma si limita a constatarne i rapporti di coesistenza e il reciproco influsso: le due realta restano presupposte e la soluzione del problema si trasforma in un mesebino modus vivendi. Se l’uomo fosse davvero costretto a creare — secondo le parole del Somhart — il piccolo mondo della cultura lasciando nel mistero della sua essenza il grande mondo della natura creata da Dio, eviden¬ temente il grande non potrebbe non soffocare il pic¬ colo e renderlo affatto illusorio. Se viviamo nella natura, se natura siamo noi stessi venendo alla luce, se la nostra vita fisica e spirituale è costretta a svol¬ gersi nelle determinate condizioni fissate dalla na¬ tura, com’è poi possìbile comprendere l’essenza di quel che facciamo ignorando l’essenza di quel che troviamo? Se esistono due mondi, l’uno nostro e l’altro di Dio, è pur necessario che il primo sia su¬ bordinato al secondo e adegui il proprio fine a quel¬ lo dell'altro; ma se è così, o l’uomo conosce il fine di Dio, vale a dire l’essenza della natura, e allora può agire seguendone le tracce, o non lo conosce, e allora procede alla cieca senza aver coscienza della direzione del proprio cammino. E la scienza, del cui rinnovamento il Sombart giustamente si preoc¬ cupa, deve ormai decidersi ad affrontare il proble¬ ma nella sua integrità, diventando storicistica nel senso più rigoroso della parola e cioè intendendo per storia dell’uomo la storia stessa del mondo, e riconoscendo in tal guisa l’identità assoluta di sto¬ ria e di filosofia.Scienza storicistica e scienza filo¬ sofica non possono essere altro che sinonimi. Da questa conclusione rigorosa e perentoria il Sombart si è ritratto per un residuo di positivistico odio contro la filosofia e per il conseguente agno- ticismo metafisico ; ma s’egli si informasse più ade-  ^natamente dei risultati del movimento idealistico italiano finirebbe forse eoi convenire cbe, se ancora di metafisica resta traccia nella filosofia contempo¬ ranea, è proprio in cotesto agnosticismo positivisti- co, il quale, proprio perché nega la possibilità di conoscere l’essenza della natura, ammette niente¬ meno l’esistenza di un mondo trascendente e si pre¬ clude la via a una conoscenza effettiva della realtà. Perché si possa parlare di scienza è necessario cbe il nostro conoscere non abbia limiti insuperabili e cbe il mondo di Dio sia lo stesso mondo nostro: fino a quando nel concetto tedesco di cultura non sarà risolta anche la natura, esso non potrà carat¬ terizzare l’umana realtà nella sua più profonda consapevolezza. Che tale sia veramente il limite della concezio¬ ne del Sombart basterebbe a dimostrarlo la parte ricostruttiva della sua teoria, nella quale dovreb¬ bero essere tracciate le linee maestre della nuova scienza economica. Putroppo questa è la parte più scadente e irrilevante del libro, dove l’insostenibi- lità del dualismo viebiano finisce col rivelarsi a ogni passo in continua ed evidente contraddizione, e do¬ ve l’urgenza dei motivi più disparati non consente una visione organica del problema. Tutto ciò ch’era stato negato e relegato nel mondo della filosofia o della metafìsica, viene ora bruscamente fuori a riaf¬ fermare esigenze imprescindibili, e il Sombart lutto accetta rifacendo un posticino alla filosofia deH’eco- nomia, alla richtende ISationalòkonomie, alla dot¬ trina dei valori, ece., senza che nella molteplicità degli elementi giustapposti sia più possibile discer¬ nere un criterio direttivo rigorosamente determina¬ to. È la scienza che deve servire alla vita e cbe deve perciò riconciliarsi in qualche modo, attraverso una serie di compromessi, con il mondo naturale e il di¬ vino incautamente trascurato. Ma intanto Punita della visione si spezza a causa della molteplicità dei punti di vista e la scienza diventa la somma ano¬ dina di infinite constatazioni. L’esigenza storicistica è tradotta in termini po9tivistici e si muta nel bi¬ sogno di tutto includere oggeltivisticamente nel gran pozzo della scienza, dove tutto il bene e tutto il male va buttato a pari titolo per il fatto stesso di esistere. E la così detta W'ertefreiheit torna a essere ancora una volta — sia pure attraverso qualche timida smentita — il più alto ideale scientifico. Se vogliamo ora trarre le somme di quanto 6Ì è detto e indicare brevemente il risultato del tenta¬ tivo compiuto dal Somhart di giudicare tutta la scienza economica classica e contemporanea, e di gettare le fondamenta della nuova costruzione, dob¬ biamo concludere che l’istanza critica dell’opera supera di gran lunga il breve abbozzo sistematico e che il lato veramente positivo si riduce in effetti a una mera esigenza. Quel che v’è di saldo e peren¬ torio nel volume è la diagnosi, spietata ma giustis¬ sima, delle attuali condizioni della scienza. La erisi è presentata nelle sue effettive proporzioni e soprat¬ tutto nc sono indicate con grande precisione le ra¬ gioni più notevoli: dogmatismo, antistoricismo, in¬ determinatezza di principi e di terminologia, asiste¬ ma licita, metodo naturalistico, moralismo. Sono ac¬ cuse di cui gli economisti non riescono a persuader- si, ma che pure ormai dovrebbero richiamare una più profonda attenzione ed essere esaminate con mentalità più sgombra da preconcetti. A noi in par¬ ticolare, che da quattro anni andiamo precisando questa diagnosi nei Nuovi studi di diritto, econo¬ mia e politica, non può non esser gradita l’analogia dei risultati cui è pervenuto il Sombart; e tanto più interessante e fecondo sarebbe raccordo se potesse estenderei al lato più propriamente ricostruttivo del sistema. Poiché se la diagnosi della economia attuale basta a dimostrare la necessità di una visio¬ ne storicistica della scienza, non è sufficiente di ner sé sola a chiarire la peculiare forma che deve avere il nuovo storicismo. F a noi pare che il Sombart, per gli stessi presupposti speculativi da cui prende le mosse, è fatalmente destinato ad arrestarsi ad una forma di positivismo vichianeggiante in cui la vita vera della storia 9Ì frange e si acqueta tuttavia nell’eclettica stasi contemplativa della sociologia. Ugo Spirito. Spirito.Keywords: stato/cittadini, pathos romantico, romanticism e nuovo ordine, sindicalismo, fascismo da sinestra, filobolcevicco, corporativismo, attualismo, stato fascista, equilibrio liberta/autorita, gentile e spirito, i filosofi fascisti, filosofia e revoluzione, romanticismo, proprieta, filosofia come pedagogia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spirito” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Spisani: la ragione conversazionale della contestazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ferrara), Filosofo. Si laurea a Padova con una tesi di sull'attualismo italiano, Natura e spirito nell’idealismo attuale” (Milano, Fabbri). In seguito collabora a Urbino. A Bologna fonda “Rassegna di Logica”  e il centro di logica. In una lettera Carnap critica una sua decisione di non pubblicare un'opera. Morì suicida. Altri saggi: “Neutralizzazione dello spazio per sintesi produttiva” (Bologna, Cappelli); “Implicazione, endo-metria e universo del discorso” (Bologna) e “Introduzione alla teoria generale dei numeri relativi, con ingresso dei numeri moltiplicatori e divisori, legati alla logica e alla matematica trascendentale” (Bologna, Centro di logica e scienze comparate, analisi matematica). C'è una relazione divisoria che ipotizza il valore “M,” numero logico trans-infinito all'origine della neutralizzazione dello spazio trans-finito. “ℵ” va verso successivi aumenti. Ma è la relatività dei numeri, espressa nel calcolo per valori di posizione, che ne individua la direzione inversa. Spiega le sue scoperte in forma di dialogo. Tra gli interlocutori la misteriosa figura della piovra Clipso.  Logo-fenica.  Altri saggi: “Il numero nell'istanza ontologica del rapporto d'identità” (Imola, Galeati); “Logica ed esperienza” (Milano, Marzorati); “Logica della contestazione” (Bologna, Cappelli).  Sulla storia della pubblicazione della Teoria generale, importanti ricerche erano già pronte. Allora, dice: “Ne discuto con Carnap. Carnap sottopone i risultati dell'indagine. Carnap spiega anche le ragioni che mi induceno a non diffonderne le conclusioni. Carnap risponde che quella scelta gli sembra affatto ingiustificata: l'operas crises non poteva rimanere nel silenzio. Tuttavia non cambiai parere. Non avrei pubblicato, e glielo confermai. “Dai numeri naturali ai numeri relativi, moltiplicatori e divisor”. Gallo, “Un uomo genial”, Nuova Ferrara, L'ha vegliato prima di suicidarsi, di Gulotta, la Repubblica, sezione Bologna, Archivio. Franco Spisani. Spisani. Keywords: il concetto di numero, numero naturale, numero relativo, logica auto-genetica, numero relativo moltiplicatore, numero relativo divisore, opposto, contradittorio, regole e segni, contestazione, esperienza, limiti della metafisica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spisani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Spurio: la ragione conversazionale delle lettere da Corinto – Roma antica – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Fratello di Lucio Mummio, vincitore di Corinto, partecipa con SCIPIONE (si veda) Emiliano e con Lucio Metello CALVO (si veda) a un’ambasciata politica in Oriente e così puo stringere più stretti rapporti con Panezio di Rodi. Scrive lettere in versi e orazioni. CICERONE lo pone tra i IV interlocutori del "De republica." Oratore. I suoi discorsi hanno, per la loro aridità, impronta del Portico. Coltiva gli studi giuridici. A Roman soldier and writer. A legatus of his brother, and a close friend of SCIPIONE EMILIANO. This friendship garners his entrance into the Scipionic Circle. Politically, he is an aristocrat. He writes satirical and ethical epistles, describing his experiences in Corinto in humorous verse. According to the Encyclopædia Britannica, these letters, are the first examples of a distinct class of Roman poetry, the poetic epistle. "Mummii". Mek.niif. hu. Mummius M, Mortgage, ed. Peck, Harpers Dictionary of Classical Antiquities. Perseus tufts, Chisholm, ed.  "Mummius, Lucius" . Encyclopædia Britannica. Cambridge. Stub icon This article about an Ancient Roman writer. Categories: Ancient Roman writersm Romans, writers Mummii Ancient Roman people stubs European writer stubs When we turn to Rome we find that letter writing becomes a Roman literary art under Greek influence and is speedily nationalised as is the dialogue. We know that the epistolary form is used by S., who appears in CICERONE’s de republica as an intimate friend of SCIPIONE the younger. He receives a education  in the Porch, and accompanied his more famous brother to Corinto as a legatus. From Corinto he sends a number of poetic epistles to his friends. These do not receive general publicity, but are preserved in the archives of the family where they are read by CICERONE, who praises their wit. Keyword: philosophical epistle. Spurio Mummio. Grice e Mummio: il portico romano – lettera da Corinto – Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Mummio Spurio. Portico. A distinguished orator. Writes a number of letters on ethical issues.  A Roman soldier and philosopher. He was a legatus of his brother Lucio Mummio in Corinto and a close friend of Scipione (si veda) Emiliano. This friendship garns his entrance into the Scipionic Circle. Politically, he is an aristocrat. He writes satirical and ethical epistles, describing his experiences in Corinto in humorous verse. According to the Encyclopædia Britannica, these letters, which were still popular, are the first examples of a distinct class of Roman poetry, the poetic epistle. References  "Mummii". Peck, ed. "Mummius". Harpers Dictionary of Classical Antiquities.  Chisholm,. "Mummius, Lucius" . Encyclopædia Britannica, Cambridge. Authority control databases Edit this at Wikidata InternationalVIAF NationalGermany  Stub icon This article about an Ancient Roman writer is a stub. You can help Wikipedia by expanding it. Fratello di Lucio Mummio, vincitore di Corinto, partecipa con SCIPIONE (si veda) Emiliano e con Lucio Metello CALVO (si veda) a un’ambasciata politica in Oriente e così puo stringere più stretti rapporti con Panezio di Rodi. Scrive lettere in versi e orazioni. CICERONE lo pone tra i IV interlocutori del "De republica." Oratore. I suoi discorsi hanno, per la loro aridità, impronta del Portico. Coltiva gli studi giuridici. A Roman soldier and writer. A legatus of his brother, and a close friend of SCIPIONE EMILIANO. This friendship garners his entrance into the Scipionic Circle. Politically, he is an aristocrat. He writes satirical and ethical epistles, describing his experiences in Corinto in humorous verse. According to the Encyclopædia Britannica, these letters, are the first examples of a distinct class of Roman poetry, the poetic epistle. "Mummii". Mek.niif. hu. Mummius M, Mortgage, ed. Peck, Harpers Dictionary of Classical Antiquities. Perseus tufts, Chisholm, ed.  "Mummius, Lucius" . Encyclopædia Britannica. Cambridge. Stub icon This article about an Ancient Roman writer. Categories: Ancient Roman writersm Romans, writers Mummii Ancient Roman people stubs European writer stubs When we turn to Rome we find that letter writing becomes a Roman literary art under Greek influence and is speedily nationalised as is the dialogue. We know that the epistolary form is used by S., who appears in CICERONE’s de republica as an intimate friend of SCIPIONE the younger. He receives a education  in the Porch, and accompanied his more famous brother to Corinto as a legatus. From Corinto he sends a number of poetic epistles to his friends. These do not receive general publicity, but are preserved in the archives of the family where they are read by CICERONE, who praises their wit. Keyword: philosophical epistle. Spurio Mummio. Mummio Spurio. 

 

Grice e Sraffa: la ragione conversazionale della mia implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). An Italian noble -- Vitters, and Grice --  L.cited by H. P. Grice, “Some like Vitters, but Moore’s MY man.” Vienna-born philosopher trained as an enginner at Manchester. Typically referred to Wittgenstein in the style of English schoolboy slang of the time as, “Witters,” pronounced “Vitters.”“I heard Austin said once: ‘Some like Witters, but Moore’s MY man.’ Austin would open the “Philosophical Investigations,” and say, “Let’s see what Witters has to say about this.” Everybody ended up loving Witters at the playgroup.” Witters’s oeuvre was translated first into English by C. K. Ogden. There are interesting twists. Refs.: H. P. Grice, “Vitters.” Grice was sadly discomforted when one of his best friends at Oxford, D. F. Pears, dedicated so much effort to the unveiling of the mysteries of ‘Vitters.’ ‘Vitters’ was all in the air in Grice’s inner circle. Strawson had written a review of Philosophical Investigations. Austin was always mocking ‘Vitters,’ and there are other connections. For Grice, the most important is that remark in “Philosohpical Investigations,” which he never cared to check ‘in the Hun,’ about a horse not being seen ‘as a horse.’ But in “Prolegomena” he mentions Vitters in other contexts, too, and in “Causal Theory,” almost anonymouslybut usually with regard to the ‘seeing as’ puzzle. Grice would also rely on Witters’s now knowing how to use ‘know’ or vice versa. In “Method” Grice quotes verbatim: ‘No psyche without the manifestation the ascription of psyche is meant to explain,” and also to the effect that most ‘-etic’ talk of behaviour is already ‘-emic,’ via internal perspective, or just pervaded with intentionalism. One of the most original and challenging philosophical writers of the twentieth century. Born in Vienna into an assimilated family of Jewish extraction, he went to England as a student and eventually became a protégé of Russell’s at Cambridge. He returned to Austria at the beginning of The Great War I, but went back to Cambridge in 8 and taught there as a fellow and professor. Despite spending much of his professional life in England, Vitters never lost contact with his Austrian background, and his writings combine in a unique way ideas derived from both the insular and the continental European tradition. His thought is strongly marked by a deep skepticism about philosophy, but he retained the conviction that there was something important to be rescued from the traditional enterprise. In his Blue Book 8 he referred to his own work as “one of the heirs of the subject that used to be called philosophy.” What strikes readers first when they look at Vitters’s writings is the peculiar form of their composition. They are generally made up of short individual notes that are most often numbered in sequence and, in the more finished writings, evidently selected and arranged with the greatest care. Those notes range from fairly technical discussions on matters of logic, the mind, meaning, understanding, acting, seeing, mathematics, and knowledge, to aphoristic observations about ethics, culture, art, and the meaning of life. Because of their wide-ranging character, their unusual perspective on things, and their often intriguing style, Vitters’s writings have proved to appeal to both professional philosophers and those interested in philosophy in a more general way. The writings as well as his unusual life and personality have already produced a large body of interpretive literature. But given his uncompromising stand, it is questionable whether his thought will ever be fully integrated into academic philosophy. It is more likely that, like Pascal and Nietzsche, he will remain an uneasy presence in philosophy. From an early date onward Vitters was greatly influenced by the idea that philosophical problems can be resolved by paying attention to the working of language  a thought he may have gained from Fritz Mauthner’s Beiträge zu einer Kritik der Sprache 102. Vitters’s affinity to Mauthner is, indeed, evident in all phases of his philosophical development, though it is particularly noticeable in his later thinking.Until recently it has been common to divide Vitters’s work into two sharply distinct phases, separated by a prolonged period of dormancy. According to this schema the early “Tractarian” period is that of the Tractatus Logico-Philosophicus 1, which Vitters wrote in the trenches of World War I, and the later period that of the Philosophical Investigations 3, which he composed between 6 and 8. But the division of his work into these two periods has proved misleading. First, in spite of obvious changes in his thinking, Vitters remained throughout skeptical toward traditional philosophy and persisted in channeling philosophical questioning in a new direction. Second, the common view fails to account for the fact that even between 0 and 8, when Vitters abstained from actual work in philosophy, he read widely in philosophical and semiphilosophical authors, and between 8 and 6 he renewed his interest in philosophical work and wrote copiously on philosophical matters. The posthumous publication of texts such as The Blue and Brown Books, Philosophical Grammar, Philosophical Remarks, and Conversations with the Vienna Circle has led to acknowledgment of a middle period in Vitters’s development, in which he explored a large number of philosophical issues and viewpoints  a period that served as a transition between the early and the late work. Early period. As the son of a greatly successful industrialist and engineer, Vitters first studied engineering in Berlin and Manchester, and traces of that early training are evident throughout his writing. But his interest shifted soon to pure mathematics and the foundations of mathematics, and in pursuing questions about them he became acquainted with Russell and Frege and their work. The two men had a profound and lasting effect on Vitters even when he later came to criticize and reject their ideas. That influence is particularly noticeable in the Tractatus, which can be read as an attempt to reconcile Russell’s atomism with Frege’s apriorism. But the book is at the same time moved by quite different and non-technical concerns. For even before turning to systematic philosophy Vitters had been profoundly moved by Schopenhauer’s thought as it is spelled out in The World as Will and Representation, and while he was serving as a soldier in World War I, he renewed his interest in Schopenhauer’s metaphysical, ethical, aesthetic, and mystical outlook. The resulting confluence of ideas is evident in the Tractatus Logico-Philosophicus and gives the book its peculiar character. Composed in a dauntingly severe and compressed style, the book attempts to show that traditional philosophy rests entirely on a misunderstanding of “the logic of our language.” Following in Frege’s and Russell’s footsteps, Vitters argued that every meaningful sentence must have a precise logical structure. That structure may, however, be hidden beneath the clothing of the grammatical appearance of the sentence and may therefore require the most detailed analysis in order to be made evident. Such analysis, Vitters was convinced, would establish that every meaningful sentence is either a truth-functional composite of another simpler sentence or an atomic sentence consisting of a concatenation of simple names. He argued further that every atomic sentence is a logical picture of a possible state of affairs, which must, as a result, have exactly the same formal structure as the atomic sentence that depicts it. He employed this “picture theory of meaning”  as it is usually called  to derive conclusions about the nature of the world from his observations about the structure of the atomic sentences. He postulated, in particular, that the world must itself have a precise logical structure, even though we may not be able to determine it completely. He also held that the world consists primarily of facts, corresponding to the true atomic sentences, rather than of things, and that those facts, in turn, are concatenations of simple objects, corresponding to the simple names of which the atomic sentences are composed. Because he derived these metaphysical conclusions from his view of the nature of language, Vitters did not consider it essential to describe what those simple objects, their concatenations, and the facts consisting of them are actually like. As a result, there has been a great deal of uncertainty and disagreement among interpreters about their character. The propositions of the Tractatus are for the most part concerned with spelling out Vitters’s account of the logical structure of language and the world and these parts of the book have understandably been of most interest to philosophers who are primarily concerned with questions of symbolic logic and its applications. But for Vitters himself the most important part of the book consisted of the negative conclusions about philosophy that he reaches at the end of his text: in particular, that all sentences that are not atomic pictures of concatenations of objects or truth-functional composites of such are strictly speaking meaningless. Among these he included all the propositions of ethics and aesthetics, all propositions dealing with the meaning of life, all propositions of logic, indeed all philosophical propositions, and finally all the propositions of the Tractatus itself. These are all strictly meaningless; they aim at saying something important, but what they try to express in words can only show itself. As a result Vitters concluded that anyone who understood what the Tractatus was saying would finally discard its propositions as senseless, that she would throw away the ladder after climbing up on it. Someone who reached such a state would have no more temptation to pronounce philosophical propositions. She would see the world rightly and would then also recognize that the only strictly meaningful propositions are those of natural science; but those could never touch what was really important in human life, the mystical. That would have to be contemplated in silence. For “whereof one cannot speak, thereof one must be silent,” as the last proposition of the Tractatus declared. Middle period. It was only natural that Vitters should not embark on an academic career after he had completed that work. Instead he trained to be a school teacher and taught primary school for a number of years in the mountains of lower Austria. In the mid-0s he also built a house for his sister; this can be seen as an attempt to give visual expression to the logical, aesthetic, and ethical ideas of the Tractatus. In those years he developed a number of interests seminal for his later development. His school experience drew his attention to the way in which children learn language and to the whole process of enculturation. He also developed an interest in psychology and read Freud and others. Though he remained hostile to Freud’s theoretical explanations of his psychoanalytic work, he was fascinated with the analytic practice itself and later came to speak of his own work as therapeutic in character. In this period of dormancy Vitters also became acquainted with the members of the Vienna Circle, who had adopted his Tractatus as one of their key texts. For a while he even accepted the positivist principle of meaning advocated by the members of that Circle, according to which the meaning of a sentence is the method of its verification. This he would later modify into the more generous claim that the meaning of a sentence is its use. Vitters’s most decisive step in his middle period was to abandon the belief of the Tractatus that meaningful sentences must have a precise hidden logical structure and the accompanying belief that this structure corresponds to the logical structure of the facts depicted by those sentences. The Tractatus had, indeed, proceeded on the assumption that all the different symbolic devices that can describe the world must be constructed according to the same underlying logic. In a sense, there was then only one meaningful language in the Tractatus, and from it one was supposed to be able to read off the logical structure of the world. In the middle period Vitters concluded that this doctrine constituted a piece of unwarranted metaphysics and that the Tractatus was itself flawed by what it had tried to combat, i.e., the misunderstanding of the logic of language. Where he had previously held it possible to ground metaphysics on logic, he now argued that metaphysics leads the philosopher into complete darkness. Turning his attention back to language he concluded that almost everything he had said about it in the Tractatus had been in error. There were, in fact, many different languages with many different structures that could meet quite different specific needs. Language was not strictly held together by logical structure, but consisted, in fact, of a multiplicity of simpler substructures or language games. Sentences could not be taken to be logical pictures of facts and the simple components of sentences did not all function as names of simple objects. These new reflections on language served Vitters, in the first place, as an aid to thinking about the nature of the human mind, and specifically about the relation between private experience and the physical world. Against the existence of a Cartesian mental substance, he argued that the word ‘I’ did not serve as a name of anything, but occurred in expressions meant to draw attention to a particular body. For a while, at least, he also thought he could explain the difference between private experience and the physical world in terms of the existence of two languages, a primary language of experience and a secondary language of physics. This duallanguage view, which is evident in both the Philosophical Remarks and The Blue Book, Vitters was to give up later in favor of the assumption that our grasp of inner phenomena is dependent on the existence of outer criteria. From the mid-0s onward he also renewed his interest in the philosophy of mathematics. In contrast to Frege and Russell, he argued strenuously that no part of mathematics is reducible purely to logic. Instead he set out to describe mathematics as part of our natural history and as consisting of a number of diverse language games. He also insisted that the meaning of those games depended on the uses to which the mathematical formulas were put. Applying the principle of verification to mathematics, he held that the meaning of a mathematical formula lies in its proof. These remarks on the philosophy of mathematics have remained among Vitters’s most controversial and least explored writings. Later period. Vitters’s middle period was characterized by intensive philosophical work on a broad but quickly changing front. By 6, however, his thinking was finally ready to settle down once again into a steadier pattern, and he now began to elaborate the views for which he became most famous. Where he had constructed his earlier work around the logic devised by Frege and Russell, he now concerned himself mainly with the actual working of ordinary language. This brought him close to the tradition of British common sense philosophy that Moore had revived and made him one of the godfathers of the ordinary language philosophy that was to flourish in Oxford in the 0s. In the Philosophical Investigations Vitters emphasized that there are countless different uses of what we call “symbols,” “words,” and “sentences.” The task of philosophy is to gain a perspicuous view of those multiple uses and thereby to dissolve philosophical and metaphysical puzzles. These puzzles were the result of insufficient attention to the working of language and could be resolved only by carefully retracing the linguistic steps by which they had been reached. Vitters thus came to think of philosophy as a descriptive, analytic, and ultimately therapeutic practice. In the Investigations he set out to show how common philosophical views about meaning including the logical atomism of the Tractatus, about the nature of concepts, about logical necessity, about rule-following, and about the mindbody problem were all the product of an insufficient grasp of how language works. In one of the most influential passages of the book he argued that concept words do not denote sharply circumscribed concepts, but are meant to mark family resemblances between the things labeled with the concept. He also held that logical necessity results from linguistic convention and that rules cannot determine their own applications, that rule-following presupposes the existence of regular practices. Furthermore, the words of our language have meaning only insofar as there exist public criteria for their correct application. As a consequence, he argued, there cannot be a completely private language, i.e., a language that in principle can be used only to speak about one’s own inner experience. This private language argument has caused much discussion. Interpreters have disagreed not only over the structure of the argument and where it occurs in Vitters’s text, but also over the question whether he meant to say that language is necessarily social. Because he said that to speak of inner experiences there must be external and publicly available criteria, he has often been taken to be advocating a logical behaviorism, but nowhere does he, in fact, deny the existence of inner states. What he says is merely that our understanding of someone’s pain is connected to the existence of natural and linguistic expressions of pain. In the Philosophical Investigations Vitters repeatedly draws attention to the fact that language must be learned. This learning, he says, is fundamentally a process of inculcation and drill. In learning a language the child is initiated in a form of life. In Vitters’s later work the notion of form of life serves to identify the whole complex of natural and cultural circumstances presupposed by our language and by a particular understanding of the world. He elaborated those ideas in notes on which he worked between 8 and his death in 1 and which are now published under the title On Certainty. He insisted in them that every belief is always part of a system of beliefs that together constitute a worldview. All confirmation and disconfirmation of a belief presuppose such a system and are internal to the system. For all this he was not advocating a relativism, but a naturalism that assumes that the world ultimately determines which language games can be played. Vitters’s final notes vividly illustrate the continuity of his basic concerns throughout all the changes his thinking went through. For they reveal once more how he remained skeptical about all philosophical theories and how he understood his own undertaking as the attempt to undermine the need for any such theorizing. The considerations of On Certainty are evidently directed against both philosophical skeptics and those philosophers who want to refute skepticism. Against the philosophical skeptics Vitters insisted that there is real knowledge, but this knowledge is always dispersed and not necessarily reliable; it consists of things we have heard and read, of what has been drilled into us, and of our modifications of this inheritance. We have no general reason to doubt this inherited body of knowledge, we do not generally doubt it, and we are, in fact, not in a position to do so. But On Certainty also argues that it is impossible to refute skepticism by pointing to propositions that are absolutely certain, as Descartes did when he declared ‘I think, therefore I am’ indubitable, or as Moore did when he said, “I know for certain that this is a hand here.” The fact that such propositions are considered certain, Vitters argued, indicates only that they play an indispensable, normative role in our language game; they are the riverbed through which the thought of our language game flows. Such propositions cannot be taken to express metaphysical truths. Here, too, the conclusion is that all philosophical argumentation must come to an end, but that the end of such argumentation is not an absolute, self-evident truth, but a certain kind of natural human practice. Sraffa. Keywords: la mia implicatura. Refs.: H. P. Grice, “Il gesto della mano di Sraffa.” Speranza, “Sraffa’s handwave, and his impicaturum”; Luigi Speranza, “L’implicatura di Sraffa,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Stabile: la ragione conversazionale e la critica della ragione borghese – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sapri). Filosofo italiano. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia del valore, divenne ricercatore a Salerno. Pubblica saggi in "Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana. Collabora alla direzione della collana di testi e studi "Relox" di Bibliopolis di Napoli. Salerno gli dedica un convegno di studi: "La saggezza moderna. Temi e problemi”. Il fondo rappresenta sua biblioteca. Alcuni volumi sono in possesso di Salerno. I volumi del fondo sottolineano l'interesse verso la critica marxista -- moltissimi i volumi degl’Editori Riuniti. Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli” della Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo -- collane radicalmente trasformate nei successivi anni o sostituite da altre. Talora nate solamente per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito -- PCI e PSI -- e le pubblicazioni dell'istituto di filosofia a Salerno. Altri saggi: “Valore morale e società” (Salerno); “Soggetti e bisogni” (Firenze, Nuova Italia); “Saggezza e prudenza: studi per la ricostruzione di un'antropologia” (Napoli, Liguori); “Piccolo trattato sulla saggezza” (Napoli, Bibliopolis); “Umanesimo e rivoluzione” (“Prassi e teoria: rivista di filosofia della cultura”), “La saggezza moderna” (Napoli, Edizioni scientifiche italiane). Storia della filosofia, Salerno. Charron Storia della filosofia,  Salerno. Giampiero Stabile. Stabile. Keywords: Grice’s ‘Needs, need, bisogno, bisogni, bisoin, complex etymology, durf, tharf, ragione borghese -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stabile” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Stasea: la ragione conversazionale a Roma, o della virtù – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. The first lizio to take up residence at Rome. He defends the position that virtue (andreia) is not sufficient for happiness – a position on which some Lizians were prepared to compromise, in order to achieve a conciliation with the ethics of the Portico. Keywords: Lizio.

 

Grice e Statilio: la ragione conversazionale a Roma -- ogni uomo  è  stolto o pazzo -- Roma antica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Amico di CATONE. L’orto. Satura e farsa filologica. Penna. Secondo un'ipotesi allettante, con S., amico di CATONE e morto a Filippi con BRUTO. In questo contesto forse non è del tutto inutile notare che una filosofia è presente. S. being sollicited by BRUTO to make one of that noble band, who struck the god-like stroke for the liberty of Rome, refuses to accompany them, saying, that: all men are fools, or mad, and do not deserve that a wise man should trouble his head about them. Keywords: ‘All men are fools, or mad’ -- Giardino, horti epicuri – hortus epicuri. Garden. Friend of Catone Minore and Marco Bruto and a staunch opponent of Giulio Cesare.

 

Grice e Stefani: la ragione conversazionale del “senso composto” – semantica filosofica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pergola). Filosofo italiano. Grice: “I may well say that my idea of a propositional complex owes much to Stefani’s obsession with ‘sensus’ simplex or ‘divisus, and ‘sensus compositum’ –“ “The opposite of ‘com-posito’ is de-posito, though!” --  Grice: “I like his diagrammes; The Boedlian has loads of his mss!” Grice: “He has a figure for the ‘figura quadrata,’ –“. Grice: “He has a figure for ‘suppositio.’” – Il membro più noto di una famiglia di insegnanti marchigiani. Avviato alla carriera ecclesiastica nella città natale, ma presto si trasfere a Venezia. Il suo saggio più importante è il “De sensu composito et diviso”. Insegna a  Rialto. Altri saggi: “Dubia in consequentias Strodi,” “In regulas insolubilium,” “De scire e dubitare,” “Compendium logicae,” “Logica,” “Tractatus de sensu simplice, sensu composito, et sensu diviso”, Dizionario biografico degl’italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fonte: Dizionario di filosofia, riferimenti. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Stefani. Keywords: senso semplice, senso composito, senso deposito, senso diviso, dialetttica, grammatica filosofica, semantica filosofica, loquenza. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefani.”

 

Grice e Stefanini: la ragione conversazionale dell’inter-personalismo contro l’idealismo filosofico – filosofia fascista – veintennio fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Filosofo italiano. Grice: “Italians are obsessed with personalismo; I am with interpersonalismo!” “L’essere è personale.” “Tutto ciò che non è personale nell’essere ri-entra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di *comunicazione* o conversazione *tra* due persone,” “La mia prospettiva filosofica. Attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a gioventù cattolica dove assume presto l'incarico di presidente diocesano. Qui svolge la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII -- opera pure nel sindacato cattolico dei lavoratori. Dopo il diploma presso il liceo classico Canova, dove ha fra gl’altri ROTTA come insegnante di filosofia, si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia a Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del positivismo è tra le più seguite. In controtendenza, decide di scrivere la propria tesi sull’inter-personalismo, avendo ALIOTTA come relatore, con cui si laurea in filosofia . Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche il circolo di ZANELLA e inizia a insegnare. Mentre completa gli studi universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della guerra, viene comunque chiamato all’armi. Terminato il conflitto, uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, studia l’estetica di GRAVINA. Eletto consigliere del comune di Treviso ma, la violenza dello squadrismo fascista investe anche il trevigiano. Si oppone con fermezza a tale ideologia, dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua occupazione principale e che conduce sempre secondo una pedagogia ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agl’interessi degli studenti. Si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia. Conseguita la libera docenza, ottiene, per incarico, l'insegnamento a Padova. Oltre ad iscriversi al partito nazionale fascista, affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino a quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia a Messina che tiene fino a quando si trasferisce a Padova. Al contempo, tiene per incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia a Venezia, nonché sarà preside della facoltà di lettere e filosofia dell'ateneo patavino.  Nel dopoguerra, riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla ri-organizzazione della filosofia italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che divenne poi il centro di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da GIANON. Socio corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della r. accademia d'Italia per le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia, nonché è membro dei consigli direttivi della società filosofica italiana e del centro di studi filosofici di Gallarate. Fonda a Padova la “Rivista di estetica”, della quale dirigere solo il primo fascicolo e a cui gli subentrerà PAREYSON. Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova, nonché l'ex istituto magistrale di Mestre. Uno dei maggiori rappresentati dello spiritualismo, ri-esamina storicamente e criticamente diverse correnti della filosofia, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, l’idealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia della filosofia, da FIDANZA ed AQUINO a GIOBERTI, ROSMINI ed altri, sulla scia della sua prima formazione incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica.  Interessato pure all'estetica, su cui scrive molti saggi, il contributo più importante è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé, prospettiva questa che permette di concepire il singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, è concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi di base, sono affrontate nella “Metafisica della persona” – cf. Strawson, “The concept of a person” -- e “Inter-personalismo”. Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi, in continuo ripensamento e progressiva ri-visitazione.  Per quanto concerne poi la sua vasta produzione, ricordiamo solo che dà alle stampe le seguenti, notevoli saggi: “L'esistenzialismo” “Spiritualismo”, “Il dramma filosofico”; “Metafisica della persona”; “Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico”; “Inter-personalismo”; “Estetica”; “Trattato di estetica. Viene pubblicata la raccolta di scritti intitolata “Inter-Personalismo”. Dizionario Biografico degli Italiani. L. Corrieri, “Un pensiero attuale” (Prometheus, Milano). Citando sue testuali parole. L’opera di Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili anti-tesi affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive l’esitazioni e l’incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa nel divino. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta. “L'azione” (Padova). Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Piaia, cit. Altri saggi: “Il problema della conoscenza in Cartesio e GIOBERTI” (Torino, Sei); “Il problema religioso in Platone e FIDANZA: sommario storico e critica di testi” (Torino, Sei); “Idealismo cristiano” (Padova, Zannoni); Platone (Padova, Milani); “Il problema estetico nell’Accademia” (Torino, Sei); “Imaginismo come problema filosofico” (Padova, Milani); “Problemi attuali d'arte” (Padova, Milani); “La Chiesa Cattolica, (Milano-Messina, Principato); “GIOBERTI” (Vita e pensiero, Milano, Bocca); “Metafisica dell'arte” (Padova, Liviana); “La mia prospettiva filosofica” (Treviso, Canova); Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva” (Padova, Milani); Aubier, Estetica (Roma, Studium); Trattato di Estetica”; “L'arte nella sua autonomia e nel suo processo” (Brescia, Morcelliana); Personalismo educativo (Roma, Bocca). Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di S., a cura dell'Associazione filosofica trevigiana (Genova); Caimi, Educazione e persona” (Scuola, Brescia); Cappello, Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Treviso, Per una antropologia in S.: metafisica, personalismo, umanesimo, Cappello, ER. Pagotto, Padova, Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in  Frammenti di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis, Villasanta, Boni, Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione (Mimesis, Milano); Rigobello, Scritti in onore (Liviana, Padova). Rivista Rosminiana, treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Stefanini. Stefanini. Keywords: inter-personalismo, io e l’altro, l’altro da me, altro da se, alterita, other-love, self-love. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefanini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Stella: la ragione conversazionale dell’ iustum/iussum, o la causa dell’anormale come l’ implicatura d’Honorè – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sernaglia). Filosofo italiano. Grice: “What is it with Italian philosoophers that they are all into what at Oxford we would call jurisprudence?” Grice: “It seems like all Italian philosophers are like Italian versions of H. L. A. Hart!”. Studia a Treviso e Milano, sotto CRESPI. Insegna a Catania e Milano. I suoi saggi si diregeno su alcune tipologie di reati, successivamente sugl’elementi strutturali del reato.  Il suo contributo filosofico più noto, presso gl’operatori del diritto penale e la comunità accademica, è “La spiegazione causale dell’azione umana” (Milano), in cui  ricostruisce il problema del nesso di causalità prospettando il criterio della sussunzione sotto una *legge* come strumento per la soluzione di casi dubbi. Solo mediante una legge di copertura, atta a spiegare il rapport causale fra la condotta dell’attore ed il effetto e possibile formulare un giudizio sulla responsabilità dell’attore. Ad es., solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge, che l'ingestione di un determinato farmaco determina casualmente malformazioni del feto, e possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime, colpose o dolose. In difetto di questa spiegazione causale non puo formularsi alcuna responsabilità a regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione anche in un processo. Il principio venne accolto in tema di nesso causale dalla corte suprema di cassazione, anche a sezioni unite. Oggi è norma codicistica. Dirige riviste giuridiche di diritto penale ed è fra i curatori di raccolte normative di largo successo presso la comunità forense. S’interessa anche nella teoria generale del diritto e la filosofia del diritto, mediante saggi maggiormente agili rispetto ai saggi penalistici. Esercita la professione di avvocato, partecipa in qualità di difensore d’alcuni imputati, al processo del petrolchimico di Porto Marghera, dove fa applicazione, dal principio della spiegazione causale. Altri saggi: “L'alterazione di stato mediante falsità” (Milano);  “La descrizione dell'evento” (Milano); “Giustizia” (Milano); “Dei giudici” (Milano); “ll giudice corpuscolariano” (Milano); “Le ingiustizie” (Bologna); “il galantumo del diritto”, Corriere della Sera. Grice’s implicature: ‘only abnormal cases require a cause’ (Teoria causale della percezione). Federico Stella. Stella. Keywords: Grice, implicature della descrizione d’azione umana, H. L. A. Hart, Honoré, J. L. Austin, responsibity, aspets of reason, alethic reason. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stella”.

 

Grice e Stellini: la ragione conversazionale dell’ortu morum -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cividale). Filosofo italiano. La sua fama è dovuta soprattutto al “Saggio dell’origine e del progresso de’ costume e delle opinion a’ medesimi pertinenti – con quale ordine si sviluppassero le facolta degl’uomini, ed appetite ne uscissero loro connaturali” (Siena, Porri). La sua concezione morale è di stampo liceale -- e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori della sociologia. A lui è stato dedicato il liceo classico di Udine e che nella sua biblioteca contiene gli scritti autografi. Enciclopedia Treccani, su treccani. Dizionario biografico friulano, su friul. Stellini. Keywords: liceo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stellini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Stenida: la ragione conversazionale di Romolo, il primo re – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorian, cited by Giamblico – sometimes as “Stenonida.” Stobeo preserves a fragment of a work on kingship attributed to him. Keywords: re, regno, principe, Romolo.

 

Grice e Sterlich: la ragione conversazionale dei georgofili -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Chieti). Filosofo italiano. Studia a Napoli nel collegio dei nobili, gestito dalla compagnia di Gesù. È proprio questa esperienza che lo porta a concepire la sua profonda ostilità verso i gesuiti, che è uno dei tratti caratteristici della sua filosofia. La cura dei beni ereditati dal padre, di cui era l'unico figlio maschio, lo portano a dover compromettere le sue aspirazioni letterarie. Ma la filosofia rimase sempre la sua prima passione e per superare l'isolamento culturale che gli venne imposto dal dover vivere a Chieti, comincia a costituire la sua biblioteca. Questa cresce in misura esponenziale di anno in anno, divenendo così una delle migliori biblioteche del regno. Il suo intento e di mettere la stessa a disposizione di Chieti per la sua crescita culturale. Sfortunatamente il suo desiderio è reso vano dall'incuria di chi gestì la stessa dopo la sua morte. Cospicue parti della biblioteca sono stati individuate in tutta Italia: nelle biblioteche di Pescara, Chieti, Napoli, etc. Aggiornatissimo sui dibattiti filosofici e commentarista di Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e di altr’illuministi. Di questa partecipazione all’illuminismo  è testimonianza un copioso scambio di lettere con GENOVESI, BATTARRA, LAMI, BIANCHI, e TORRES. Questo carteggio è un documento prezioso per delineare l’illuminismo. Lascia anche alcune testimonianze della sua filosofia anche in due dialoghi di fra' Cipolla e la nanna. In essi trova largo spazio la sua antipatia per i gesuiti. Tramite la solida amicizia con LAMI, e membro della crusca e uno dei georgofili. L'illuminismo nell'epistolario (Sestante, Bergamo). Dei marchesi di Cermignano. Romualdo de Sterlich. Sterlich. Keywords: illuminismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sterlich” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Stertinio: la ragione conversazionale del tutore di filosofia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Tutore di Damasippo. Keywords: Damasippo.

 

Grice e Steuco: la ragione conversazionale della filosofia perenne di Pitagora, Cicerone, Ovidio, Virgilio, e Plinio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gubbio). Filosofo italiao. Acuto esegeta dei testi e profondo conoscitore della lingua romana, si oppone tenacemente alla riforma protestante e prende parte al concilio di Trento. Entra nella congregazione dell'ordine dei canonici agostiniani a Bologna, poi a Gubbio. Inviato a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza della lingua romana e l'acume filologico, gli èaffidata la biblioteca di Grimani, della quale una buona parte del patrimonio librario è appartenuto a PICO (si veda). Pubblica saggi contro Lutero (come VIO – si veda) ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la chiesa cattolica romana. Questi lavori rivelano il solido sostegno che dà alla tradizione della prima Roma. Parte della sua saggistica include un intenso lavoro filologico sull'antico testamento, culminato col “Veteris testamenti recognitio”, per il quale egli si basa su manoscritti della biblioteca Grimani, utili a correggere GEROLAMO (si veda). Nel revisionare e spiegare il testo, mai devia dal *significato letterale* e storico.  Contemporanea a quest’esegesi e la composizione di un saggio d'impianto enciclopedico, la “Cosmopœia”. La sua filosofia polemica ed esegetica destarono l'attenzione favoravole di Paolo III, e questi lo ordina  bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del vaticano. Si reca a Lucca con Paolo III e Carlo V. Adempe attivamente con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del vaticano. Nel frattempo a Roma redatta i commenti al vecchio Testamento riguardanti i salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di parte della Vulgata alla luce degl’originali ebraici. A questo periodo risale la composizione del celeberrimo saggio, “De perenni philosophia” nella quale mostra che molte delle idee esposte dai filosofi italici antichi – l’orfismo italico, la scuola di Crotone, Parmenide e i velini della scuola di Velia, Plutarco, Numenio, gl’oracoli sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici -- e essenzialmente correto. Questo saggio contiene una polemica indiretta a margine, poiché elabora un numero di quest’argomenti per sostenere molte posizioni poste in questione in Italia da riformatori e critici. Come umanista ha un profondo interesse per le rovine di Roma, e nell'operare un rinnovamento urbano dell'urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui raccomanda di ri-sistemare l'acquedotto Aqua Virgo, in modo da supplire adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città. Mandato da Paolo III a presenziare il concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna, affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Muore a Venezia durante un periodo di sospensione del concilio. “De perenni philosophia” -- concilio di Trento Esegesi biblica ermetismo (filosofia) Teosofia. Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Guido Steuchi.  Stucchi. Guido Steuco. Steuco. Keywords: Crotone, i velini – I crotonensi --. Cicerone, ovidio, Virgilio, plinio, roma, aqua virgo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Steuco” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Stilione: la ragione conversazionale del principe filosofo. – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor to Severo Alessandro, the emperor.

 

Grice e Stilone: la ragione conversazionale del proloquio del cielo -- il tutore di filosofia -- Roma antica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lanuvio). Filosofo italiano. Appartenne all'ordine equestre. Segue nell’esilio QUINTO METELLO (si veda) NUMIDICO. A Roma, è maestro e scrive discorsi per altri. I suoi discepoli più insigni sono CICERONE e VARRONE. Conoscitore sicuro della coltura latina, èil primo rappresentante notevole della scienza grammaticale o grammatica filosofica. Saggi: "Interpretatio carminum Saliorum"; "Index comœdiarum Plautinarum", "Commentarius de pro-loquiis" -- uno studio sulla sintassi di impronta del Portico. Inoltre, cura edizioni di saggi altrui. Gli è stata attribuita un’opera glossografica. The text of Svetonio (Gramm.) provides a list of the first Roman philosophers who more or less exclusively are devoted to grammar. Instruxerunt auxeruntque ab omni parte grammaticam L. Aelius Lanuvinus generque Aeli Ser. Clodius, uterque eques Romanus multique ac vari et in doctrina et in re publica usus. The first refers to the philosopher Elio Stilone, a native of Lanuvio, tutor of Cicerone and Varrone. From Gellius it is possible to gather some information about his linguistic and philological studies on PLAUTO, then resumed and developed by Varrone. In a proper linguistic field, some fragments testify to an interest for archaism, investigated both in the carmen Saliare and in the XII Tables, as well as in the ancient Italic languages. GELLIO also reports the title of a ‘saggio’ by S.: “Commentarius de proloquiis” in which, as GELLIO himself informs us, “pro-loquium” is used to render the “axioma”, a technical term of the dialectics and philosophical grammar of the Porch which indicates a simple sentence, complete in all its parts. GELLIO adds that Varrone borrows ‘pro-loquium’ from his tutor and uses it in the XXIV book of the “De lingua Latina.” Therefore, Varrone is indebted to Stilo even with regard to the syntactic terminology. However, the grammatical field in which the dependence of Varrone from S. is more widely recognised is etymology. Dahlmann, recalling a hypothesis by  Reitzenstein, suggests that in V-VII of “De lingua Latina”, VARRONE largely makes use of a  Etymologicon, of the Porch, rendered into Latin by S. VARRONE himself acknowledges his dependence on S., often quoting his master for the etymologies. Out of  CI certain fragments of Stilo's collected by FUNAIOLI, IX are quoted by VARRONE. One being ‘cælum’ < ‘celare’ since its antonym is 'to reveal,’ which makes use of a method of S. --the antiphrasis, by means of which the sense of an expression is explained by its antonym. A teacher of Varrone. A highly accomplished scholar. He was the philosophy tutor of both CICERONE and VARRONE, amongst others. Lucio Elio Stilone. Keywords: Varrone Quinto Elio Stilone. Keywords: Portico, proloquium, axioma, Cicerone, Varro, Stilone, Gellio, Svetonio.

 

Grice e Stobeo: la ragione conversazionale dell’anticuario della filosofia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An anthologist whose work is an invaluable resource for antiquarians. Giovanni Stobeo.

 

Grice e Svetonio: la ragione conversazionale del  commentario alla repubblica, più vasto dalla repubblica – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Best known for his account of the lives of the first XII emperors, his output amounts to much more than that. He writes a lengthy commentary on Cicerone’s “Republic,” which Cicerone liked ‘even if it is longer than my ‘Republic’!” Keywords: Cicerone, repubblica.

 

Grice e Suda: la ragione conversazionale del saggio e il saggista -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Long thought to be an Italian philosopher, ‘Suda’ was apparently the title ‘Suda’ gave to his book! Keywords: Suda.

 

Grice e Sura: la ragione conversazionale del corpo e dell’animo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A successful politican and general, as well as a philosopher. He was a close friend of PLINIO (si veda) Minore – Plinio Maggiore was dead by then. Plinio once infamously consults him on whether (or not) ghosts exist, citing the example of Ottaviano’s tutor, who discovered that the house he had purchased at a low prize was haunted, ultimately to find out that this was due to a corpse buried in the backyward with chains to his arms and legs. Plinio Minore was not a philosopher but knows Sura is, and wants to have a philosophical explanation of the whole debacle. Lucio Lucinio Sura. Keywords: Roman for ghost, Ottaviano, scatologia romana, corpo, animo, anima.

 

Grice e Taddio: la ragione conversazionale della fenomenologia eretica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Udine). Filosofo italiano. Si occupa in particolare di fenomenologia della percezione, ontologia e teoria della conoscenza a cavallo tra estetica e metafisica. Si laurea in Trieste. Insegna a Udine. Allievo di  BOZZI e DEROSSI.  Il suo saggio Spazi immaginali, Campanotto, con prefazione di Ferraris, è un testo di narrativa filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo magico. L’esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti dallo spazio immaginale. Tutti i suoi saggi sono di matrice realista. Fenomenologia eretica: saggio sull'esperienza immediata della cosa, Mimesis, s’incentra sull'analisi di un unico esempio considerato dall'autore paradigmatico per l'intera tradizione fenomenologica: la percezione di un cubo. L'analisi critica dell'esperienza è sviluppata, da un lato, in rapporto alla fenomenologia sperimentale e, dall'altro, in risposta alle critiche alla fenomenologia.  A partire di Magritte, ne Il mistero viene applicata la teoria della percezione diretta al problema della raffigurazione pittorica. In L'affermazione dell'architettura, Mimesis, la relazione filosofia-architettura sta al centro, come in Costruire abitare pensare, Mimesis, e Città metropoli territorio, Mimesis. Il concetto d’affermazione in architettura e preso in “aut aut”. In Verso un realismo, Jouvence, si delinea un'ontologia della meta-stabilità. Sul tema del realismo avvia un articolato confronto. Le riflessioni sul realismo si sono sviluppate in diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed epistemologia -- v. Alfabeta, aut aut, Cinema & Cie, Teoria e Modelli, e La filosofia futura. Fonda Mimesis. La società è detentrice dei marchi editoriali di Mimesis in Italia. Progetta e realizza la rivista di approfondimento culturale Scenari. Crea e dirige il festival Mimesis, territori delle idee.  A partire da una prima formazione politica di stampo liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della cultura cosmopolita in rapporto alle nuove forme di partecipazione democratica  -- interventi: festival Vicino Lontano, Pop Sophia, e Radio Radicale. Palazzo Reale, Genova. Altri saggi: La natura della rappresentazione, Mimesis;  Osservazioni sulla stabilità tra estetica e metafisica, Jouvence; Un mondo sotto osservazione, Mimesis; La guerra e il mortale (Mimesis); “Quale filosofia per il partito democratico e la sinistra, Mimesis; La terra e il sacro, Mimesis; Un metodo pericoloso, Mimesis; Manifesto per una sinistra cosmopolita, Mimesis; Radicalmente liberi, Mimesis; L'apparire della cosa, Uno scandalo per il pensiero, su  I lsole24ore, aut aut. Ma il realismo non è tutto nuovo, su corriere. È il crepuscolo delle tradizioni, su corriere. Sinistra e realismo, su alfabeta, Vuoti di sapere, su aut aut. saggiatore. Passione politica e democrazia. Marionette al potere, Curi, Marramao, Palazzo Reale Genova, Intervista. Artribune. Luca Taddio. Taddio. Keywords: fenomenologia eretica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Taddio,” The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tagliabue: la ragione conversazionale del Remo, o le strutture del trascendentale – il concetto di gusto nell’estetica italiana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Studia a Milano. Collabora a riviste. Saggi Le strutture del trascendentale: piccola inchiesta sul pensiero critico, dialettico, esistemziale, Bocca, Milano; e Il concetto dello stile: saggio di una fenomenologia dell’arte, Bocca, Milano. Insegna a Milano e Trieste. Collabora a convegni e scrive su La lettura e La rassegna d'Italia, la Rivista critica di storia della filosofia, la Rivista di filosofia, Belfagor, il giornale critico della filosofia italiana, la rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa, Lingua e stile, Studi di estetica, Studi tedeschi, aut aut, ecc. Si occupa di germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica, attraverso numerosi saggi di taglio fenomenologico. Come per BARATONO e  BANFI, la sua analisi dell'estetica e delle scelte poetiche e stilistiche degl’artisti si distacca dall'impostazione di CROCE e poi di CALOGERO per orientarsi verso l'aspetto pratico, influenzato anche dall'esistenzialismo positivo d’ABBAGNANO, del fare arte, che non può ridursi alla sola conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche come gesto manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gl’elementi formali e quelli contenutistici dell'opera -- sede, inoltre, dell'unità nel rapporto tra percezione e immaginazione. Organizza le teorie d'artista e le dottrine estetiche non tanto in senso cronologico, ma per tipi: estetica vitalistica, estetica psicologistia, estetica formalistica, estetica fenomenologica, ecc. In Linguistica e stilistica del Lizio, Ateneo, Roma, e Demetrio, dello stile, Ateneo, Roma, si occupa di retorica e stilistica antiche. Altri saggi: Il Lizio e il barocco, Bocca, Milano; Il barocco e noi; Anatomia del barocco, Æsthetica, Palermo, indagano sul barocco artistico e letterario, Bocca, Milano. Si occupa anche di estetica, del pre-criticismo, della polemica Nietzsche-Wagner, di Goethe, Musil, Roth, Kafka, ecc. Critico con la contestazione studentesca, eppure non evita il confronto con il movimento. I processi di GALILEI e l'epistemologia, Bocca, Milano; Dai romantici a noi, Marzorati, Milano; Il concetto del gusto nell'Italia, Nuova Italia, Firenze; Fenomenologia dei giudizi di valore, Istituto di filosofia, Trieste; La SEMANTICA e i suoi problemi, Istituto di Filosofia, Trieste; “La nevrosi: Saggi sul romanzo, Marietti, Monferrato; Nietzsche contro Wagner, Tesi, Pordenone; Geologia letteraria, Garzanti, Milano; Goethe e il romanzo, Einaudi, Torino: Einaudi; Il gusto nell'estetica, Centro di studi di estetica, Palermo: Arte e alienazione: il ruolo dell'artista nella societa, Marzorati, Milano; I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica, Rizzoli, Milano; Sul sentimento del bello e del sublime, Rizzoli, Milano; Sul gusto, Marietti, Genova; Esercizi filosofici, Russo, L’estetica, Æsthetica Pre-Print; Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Treccani, Istituto, Enciclopedia Italiana. Ritratto di un genio politicamente scorretto. Magris, Corriere della Sera. Guido Morpurgo-Tagliabue. Morpurgo-Tagliabue-Remo. Tagliabue. Keywords: Romolo, le strutture del trascendentale, concetto del gusto, estetica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tagliabue,” The Swimming-Pool Library. Tagliabue.

 

Grice e Tagliagambe:  la ragione conversazionale e la mediazione della re-presentazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Legnano). Filosofo italiano. Studia a Milano su GEYMONAT con cui si laurea con una tesi sull'interpretazione della meccanica quantistica. Prosegue suoi studi specializzandosi sotto la direzione di Terleckij e Fock. La sua attività si è sviluppata attraverso un variegato percorso che lo porta ad insegnare presso diversi atenei e a collaborare con differenti centri di ricerca ed enti istituzionali come consulente. Si concentra sul rapporto tra filosofia e fisica quantistica in particolare sul concetto di realtàe sui rapporti tra materialismo dialettico e fisica. Rivolve l'attenzione sui temi del rapporto tra realtà OSSERVATA e sistema OSSERVANTE, le interazioni reciproche e il ruolo del linguaggio, della comunicazione INTER-SOGGETIVA, della mediazione linguistica e della semiotica. Elabora il ruolo e il significato di interfaccia, il rapporto tra intelligenza NATURALE e intelligenza artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle tecnologie di informazione e comunicazione. Essamina i contributi sul significato del concetto di margine, sia esso su un essere vivente, un'interfaccia o il rapporto tra corpo ed anima, nei sistemi sociali e nella comunicazione. Studia le forti inter-connessioni tra artificiale e NATURALE, il senso dell'interdisciplinarità, e il saggio Il sogno di Dostoevskij: come l’anima emerge dal cervello, Cortina, Milano, attraverso una visitazione storica dal dibattito tra Dostoevskij e Secënov, fino alle scoperte della neuro-fisiologia, mettendo a fuoco il senso del rapporto tra il corpo e l’anima, il significato e la funzione dell'inconscio. Ricostrusce e interpreta l'intenso scambio dialogico tra Pauli e il fondatore della psicologia analitica Jung, nel quale emerge il rapporto tra filosofia, fisica e psicanalisi. L'analisi tra visibile e invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello spazio intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso un'esegesi di Florenskij. Le ricadute della sua filosofia sulle scienze sociali ed economiche trovano approfondimenti nei saggi dedicate all'analisi dei sistemi organizzativi socio-economici. L'attività presso la facoltà di architettura l'ho porta a riflettere sull’epistemologia del progetto, sulla relazione tra possibilità e realtà, sul rapporto tra l'io, lo spazio, il tempo – cf. Grice, “Personal Identity” --, l'ambiente, tra urbs e civitas, sul concetto di paesaggio, sul ruolo delle città globali e sul nesso tra globale e locale. Gli sviluppi delle tecnologie digitali e poi della rete come fenomeno prima tecnologico poi culturale e sociale vengono elaborati e incorporati nella sua filosofia. La sua riflessione è indirizzata anche ai temi dell'apprendimento e dell'organizzazione della conoscenza soprattutto alla luce delle reali esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione e innovazione che la coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve affrontare Dirige il rifacimento del manuale di filosofia di GEYMONAT, La realtà: ricerca filosofica, Garzanti. Collabora con il CNI per il Scintille dedicato all'innovazione a Pisa, Cagliari, Roma La Sapienza, Sassari, facoltà di architettura di Alghero, vicepresidente CRS4, ministero dell'istruzione, dell'università e della Ricerca per la Riforma, CIES, FIESEC, direttore del progetto scuola digitale della Sardegna. Vedi Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica; Scienza e marxismo in Urss; La MEDIAZIONE linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio. Epistemologia del confine; recensione Corriere della Sera che cita che con questo saggio va avanti sul progetto di esplorare una originalissima epistemologia del confine. La tecnica e il corpo. Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico. Individui e imprese: centralità delle relazioni. L'albero flessibile. La cultura della progettualità. Lo spazio intermedio, Bocconi, Milano, riprende, rielabora ed estende il concetto di confine. La didattica e la rete. Più colta e meno GENTILE. Percorsi per l'obbligo formativo; L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia, Feltrinelli, Milano; Scienza, filosofia, politica, Feltrinelli, Milano; Materialismo e dialettica, Loescher, Torino; Scienza e marxismo, Loescher, Torino, La mediazione linguistica: il rapporto pensiero-linguaggio, Feltrinelli, Milano; Lo spiritismo, Boringhieri, Torino; L'impresa tra ipotesi, miti e realtà, ISEDI, Torino; Epistemologia del confine, Saggiatore, Milano; La politica che non c'è: dee guida per un progetto tra razionalità e valori, Demos, Cagliari; Il sequestro dell'identità, CUEC, Cagliari; La città possible” Dedalo, Bari; Epistemologia del cyber-spazio, Demos, Cagliari; L'albero flessibile: la cultura della progettualità, Masson, Milano); Il profilo del tempo, Nuova civiltà delle macchine, Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico, Usai, Giuffré, Milano; La didattica e la rete, Pitagora, Bologna; La comunicazione nell'era di Internet; Etas Libri, Milano; Il destino del marxismo: dall'idolatria al rifiuto; Luiss,  Roma; La vittoria di Babele: dalla filosofia naturale alla separazione dei linguaggi; Civiltà delle machine; Filosofia della scienza, Cortina, Milano; Percorsi per l'obbligo formativo, PLUS, Pisa; L’unitario, Cultura, Teramo; Le due vie della percezione e l'epistemologia del Progetto, Angeli, Milano; Più colta e meno GENTILE: una scuola di massa e di qualità, (Armando, Roma; Florenskij, Bompiani, Milano, La tecnica e il corpo, Angeli, Milano; Individui e imprese: centralità delle relazioni, Giuffrè, Milano; Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è, Einaudi, Torino; Storia della filosofia,  Filosofi italiani, Bompiani, Milano; Storia della filosofia; Un confronto su materia e psiche, Cortina, Milano, La libertà, le lettere, il potere; Rubbettino, Soveria Mannelli; La realtà e il pensiero: la ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola.  Silvano Tagliagambe. Tagliagambe. Keywords: mediazione linguistica, naturale/artificiale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tagliagambe” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Taglialatela: la ragione conversazionale degl’istituzioni di filosofia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mondragone). Flosofo italiano. Studia a Sessa. Insegna a Cava e Napoli. S’arruolarsi nelle truppe di GARIBALDI (si veda), per predicare i nuovi ideali del movimento unitario. Dirigge una scuola privata. Riprende e sposa le tesi di GIOBERTI (si veda), che lo affascina. Su questo indirizzo filosofico è stato imperniato Istituzioni di filosofia, Diogene, Napoli, che riceve le lodi di SPAVENTA. Non manca, in seguito, avendo aderito al protestantesimo, di compiere opere missionarie, in particolare in Puglia e in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio di Pescasseroli sul quale scrisse CROCE, che segnala anche come e considerato, assieme a MAZZARELLA e CAPORALI, fra i filosofi più creativi del movimento protestante in Italia. Altre saggi: Apologia delle dottrine filosofiche di GIOBERTI, Diogene, Napoli, La scienza, la vita e SANCTIS, Diogene, Napoli, GARIBALDI, Speranza, Roma; Il papa-re nelle profezie e nella storia, Speranza, Roma, In Dio, Speranza, Roma; Fede, speranza e caritàm Speranza, Roma; Teoria evangelica della vita, Speranza, Roma, Ciampoli, T., Unione, Roma; Croce, Pescasseroli, Laterza, Bari; Fiore, Civiltà Aurunca, Iurato, T.: dalla filosofia del Gioberti all'evangelismo anti-papale, Claudiana, Torino; Gioberti, Protestantesimo in Italia, Dizionario biografico dei protestanti in Italia; Società di studi valdesi. Apologia della dottrina di Gioberti. Pietro Taglialatela. Taglialatela. Keywords: istituzioni di filosofia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Taglialatela” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tagliapietra: la ragione conversazionale e la sincerità conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo italiano. Studia al Foscarini di Venezia, e si laurea alla Foscari con una tesi discussa con SEVERINO e MADERA. Perfeziona gli studi d’ermeneutica sotto la guida di ENZO. Insegna a Sassari e Milano. Fonde nelle sue ricerche un'indagine storica sulla filosofia romana con un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle immagini e della comunicazione, allo studio del linguaggio e delle metafore, nonché all'intreccio storico e teorico fra dramma e filosofia. In quest'ultima prospettiva si orientano i suoi saggi sull'idea di sincerità e sul significato della bugia nel quadro di una costruzione drammaturgica dell'individuo, sul ridere e sulla natura del personaggio comico e l’eroe tragico. Cura per Feltrinelli, Boringhieri e Mondadori L'Apocalisse di Giovanni, raccolte di saggi sull'illuminismo e sul tema della catastrofe; il Fedone o sull’anima, Feltrinelli, Milano; L’apocalisse di FIORE (si veda), Feltrinelli, Milano; Voltaire, Rousseau, Manzoni, Volney, Feuerbach, Mercier. Cura Valent. Collabora saltuariamente al Gazzettino, il quotidiano della sua città, e a varie testate giornalistiche: Capital; Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto culturale Saturno del Fatto quotidiano, ecc., con interventi di carattere culturale o legati all'attualità sociale e politica. Con La virtù crudele: filosofia e storia della sincerità (Einaudi, Torino, vince il Viareggio - è stato conferito il Viaggio a Siracusa per FIORE (si veda) e la filosofia, Prato, Padova. È direttore del giornale critico di storia delle idee. Fonda e dirigge a Milano del centro di ricerca inter-disciplinare di storia delle idee e di Icone, un centro di ricerca di storia e teoria dell'immagine a Palazzo Arese Borromeo. Altre saggi: La metafora dello specchio: lineamenti per una storia simbolica, Feltrinelli, Milano, Boringhieri, Torino; Il velo di Alcesti: la filosofia e il teatro della morte, Feltrinelli, Milano; Filosofia della bugia: figure della menzogna nella filosofia occidentale, Mondadori, Milano; La forza del pudore: per una filosofia dell'inconfessabile, Rizzoli, Milano; l dono del filosofo: sul gesto originario della filosofia, Einaudi, Torino; Icone della fine: immagini apocalittiche, filmografie, miti, Mulino, Bologna, Sincerità, Cortina, Milano; Non ci resta che ridere, Mulino, Bologna; Alfabeto delle proprietà: filosofia in metafore, Moretti, Bergamo; Esperienza: storia di un'idea (Cortina, Milano; Filosofia dei cartoni animati, Boringhieri, Torino; Cartografia filosofica, La migrazione dello spirito” Mimesis, Milano; Tempo a termine e tempo senza fine: breve storia figurale della temporalità, Mimesis, Milano; Non desiderare la donna e la roba d'altri, Mulino, Bologna; Il senso del dolore, Raffaele, Milano; Zerologia. il vuoto e il nulla, Mulino, Bologna; Apocalisse di Giovanni, Feltrinelli, Milano; La verità e la menzogna: sulla fondazione morale della politica, Mondadori, Milano; Che cos'è l'illuminismo? la genealogia del concetto, Mondadori, Milano; Il sacro, Gallone, Milano; La catastrofe. L'illuminismo e la filosofia del disastro, Mondadori, Milano; La fine di tutte le cose, Boringhieri, Torino; La storia e l'invenzione, Prato, Padova; Le rovine, ossia meditazione sulll’impero romano, Mimesis, Milano; L'uomo è ciò che mangia, Boringhieri, Torino; Montesquieu a Marsiglia, Inschibboleth, Roma; Bisogna sempre dire la verità? Cortina, Milano; L’idea della fine, Agalma; Il rischio e il limite”; Magazine, Energia, Pearson. Il gesto di Socrate; Il pudore e l'enigma; Spazio Filosofico, Tipologia del riso, Fillide, Corpo di pazienza, Esser contro, XÁOS. Giornale di confine, Il dono della filosofia, XÁOS. Giornale di confine, Il giallo della filosofia, XÁOS. Il volto del potere, XÁOS, La Lotteria di Babele. Appunti filosofici su caso e fortuna nella società della comunicazione, XÁOS. Giornale di confine, L'apocalisse delle immagini. Esegesi del cinema a partire da Fino alla fine del mondo, XÁOS, La gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare, XÁOS. Dire la verità. L'insistenza della critica, Giornale critico di storia delle idee,  L'uomo è un animale che esita. Intervista di Dotti, in Vita, Presentazione. Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia in Inschibboleth, Presentazione. Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti Del senso della fine. Dialogo con Dotti, Communitas, Cultura: futuro, progresso e possibilità Lezione magistrale al festival di filosofia di Modena, Inganni. Finzioni di verità e storia naturale dell'intelligenza. La filosofia della sincerità, di Pinto  Il riso è il proprio dell'uomo. Commento in margine a Non ci resta che ridere di Tugnoli. Se essere sinceri è una virtù crudele. Uno studio fra storia e filosofia, Galimberti, La Repubblica, La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, Tugnoli, Dialeghestai. Rivista telematica di filosofia, Premio letterario Viareggio-Rèpaci. Giornale critico di storia dell’idee. CRISI: Centro di ricerca in storia delle idee. ICONE, Centro europeo di ricerca di storia e teoria dell'immagine, su centro palazzo borromeo. Ciclo di lezioni dette Decadi, Aula Tafuri, Palazzo Badoer, Venezia, nel quadro del laboratorio di progettazione architettonica dello IUAV diretto da Rizzi e costituente il  I, Libro dello studio, del progetto Lampedusa. La cattedrale di Solomon. Andrea Tagliapietra. Tagliapietra. Keywords: Gioacchino da Fiore, l’apocalisse, dell’anima, Manzoni, inventare, storia, sincerità. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tagliapietra” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tamburino: la ragione conversazionale all’isola -- il probabilismo tenue nella filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Caltanissetta). Flosofo italiano. Entra nella compagnia di Gesù, resta a Caltanissetta. Insegna a Messina e Palermo, e Monreale. Consigliere e qualificatore nel santo uffizio dell’inquisizione, ossia di esaminatore dei reati prima della loro attribuzione alla competenza dell'inquisizione. Durante un soggiorno romano, quale rappresentante della provincia gesuitica siciliana alla congregazione generale della compagnia di Gesù, conosce Greuter, che lavora per la casa generalizia dei gesuiti. Apprezzandone le doti, T. gli affida l'incarico di incidere le immagini della Madonna. Realizza finalmente il progetto di dare alle stampe le notizie preparate da Gajetano, riguardanti appunto i luoghi del culto mariano nell'isola, facendo illustrare l'opera con tavole riproducenti le relative icone della madonna. Accanto alle suoi saggi filosofici, restano anche edizioni, una in latino ed una in volgare, di un volume con incisioni di raro pregio per la raffinatezza di Greuter. Di queste II edizioni si trovano rari esemplari che, per le limitazioni derivanti dall'esaurimento delle matrici, sono, per buona parte, prive delle pagine in cui sono stampate le incisioni. Nella conoscenza del peccato attribuisce importanza primaria alla cognitio singulorum, cioè alla capacità di valutazione dei singoli. Diverso è, infatti, il peso delle colpe a seconda se a commettere l'infrazione è l'individuo colto oppure l'ignorante. Nel individuo colto prevale la VIS RATIOCINANDI. Nell’ignorante, la VIS SENTIENDI. Ancora differenza c'è tra l'ACTIO HUMANA e l'ACTIO HOMINIS. La prima e compiuta in perfetta consapevolezza. Nell’azione di un uomo la coscienza è spesso condizionata dal patire passionale, che può essere VIOLENTVM, COACTVM, o NECESSARIVM -- venendo così a mitigare la colpa. Nel trasporto passionale c'è dell'involontario, spesso frutto di ignoranza che rende la coscienza erronea. Il tutto si traduce in una interpretazione benignista della prudenza o epi-eìcheia, riprendendo la tradizione d’AQUINO. A sostenere questa intensa produzione sul probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di Diana, rimane. I suoi saggi hanno ampia diffusione fino al riconoscimento della validità delle tesi probabiliste d’Alfonso de' Liguori che con la sua Theologia Moralis mette sostanzialmente fine al rigorismo giansenista.  Il probabilismo incontra ostilità negl’ambienti religiosi più vicini al rigorismo dei giansenisti. A contrastare le tesi del probabilismo i più influenti furono i domenicani, che spinsero Retz, a farsi portavoce presso il papa per l'emanazione di un provvedimento di condanna. Alessandro VII, sollecitato più volte, condenna il probabilismo. Sono censurate solo le tesi più estreme. Un'altra condanna del probabilismo e promulgata da Innocenzo XI. Però questa volta T.  non sube sanzioni ad personam, così passa alla storia della morale, come padre della probabilità TENUE.Con esso si chiuse il periodo d'oro della esportazione della cultura siciliana. È sancita la completa ri-abilitazione di T. con la pubblicazione di “Verità vindicata” che NICETI da alle stampe a Roma. I suoi saggi sono stati riuniti in Methodus expeditae confessionis, Opuscola tria de confessione, Comunione et sacrificio missae, Expedita decaloghi explicatio. Libris decem digesta; De sacrificio missae Expedite celebrando libri III, Della consolazione della filosofia, Juris divini, juris naturalis et juris ecclesiastici, Expedita moralis explicatio, Complectens tractationes III, de Sacramentis, quae sunt de jure divino, DE CONTRATTIBVS, QVOS DIRIGIT IVS NATURALE; De censuris et irregularitate, quae sunt de iure ecclesiastico; Tractatus de bulla cruciata; Sanctissimae deiparae cultus in Sicilia; Nomen sublatum; Ragguagli delli ritratti della SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese nell'isola di Sicilia; Opera di Cajetano della Compagnia di Gesù; Germana doctrina R. Thomae perspicue refellens impugnationes baronii adversus illam allatas; Tractatus in V ecclesiae praecepta; Tractatus de jubileo manoscritto; Additamentum continens aliquot epistolas, et levem vindicationem contra Joannem Sinichium hybernum authorem libri Saul et Rex, bibl. Roma. Fondo Gesuitico, Traduce La consolazione della Filosofia. L'Anno dei Giorni Memorabili, da Nadasi della Compagnia di Gesù., Burgio, Il probabilismo, Catania, Soc. Storia Patria, Contenson, Theologiae mentis ob cordis, Tolosa, Deman, Probabilisme, Colonia, Hebermann, Enciclopedia cattolica, Appelton, Petrocchi, Il problema del lassismo, Roma, Storia e letteratura, Sinnichins, Saul et Pax, Lovanio, Nempaei, T., Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Tommaso Tamburino. Tamburino. Keywords: prudenza, probabilismo tenue, lassimo vs. rigorismo, Grice on rigorismo, azione di un uomo singolare, la forza del ragionare, la forza del sentire, il necesario, il costretto (co-actum), il violento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tamburino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tafuri: la ragione conversazionale del bizarro – filosofia italiana – Luigi Speranza (Soleto). Filosofo italiano. Versatile e bizzarro ingegno, che dopo studi a Napoli e la Sorbona si ritira nel natio, dove ha un cenacolo di allievi filosofi dell’accademia esoterica. Il Socrate di Soleto è una personalità eclettica ed un affascinante intellettuale, amante della conoscenza e studioso e di molteplici campi della filosofia: alchimia, astronomia, astrologia, medicina, fisiognomica, e magia naturale. Al centro dei suoi interessi vi e lo studio dei fenomeni della natura, l'anima del mondo, il miracolo, le meraviglie del creato e l'unicità irripetibile di ogni essere umano. Considerato alla stregua di un nostradamus salentino è onorato e temuto per le sue capacità divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli demonologici. Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova nel dipinto ad opera del galatinese Rosario nella navata sinistra della chiesa Matrice di Soleto. Sepolto dapprima nella chiesetta di S. Lorenzo delli T. adiacente alla sua abitazione e poi, dopo la demolizione della cappella nel monastero di S. Nicola in una cassa di legno con lo stemma della famiglia. Sull'architrave della sua casa natale è inciso il motto, Humile so et humilta me basta/dragon diventaro se alcun me tasta. Con quest'iscrizione esprime e manifesta a chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali puo trasformarsi, ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto e diffusa la consuetudine di incidere sulle architravi delle finestre, sui cornicioni dei balconi o all'interno di uno stemma, delle epigrafi con la finalità di motto. Un proverbio, una citazione, un passo letterario, filosofico, o religioso, e un pensiero personale descriveno la personalità e le attitudini del padrone di casa o invitano il passante a riflettere su un tema o un monito saggio e profondo. Lo stemma della famiglia, presente sulla porta della casa natia, è costituito da un albero di quercia con due fulmini che si scagliano contro ma non lo colpiscono. Un'aquila bicipite scolpita sopra fa pensare ad un'origine albanese della famiglia. Infatti molte famiglie albanesi e greche di confessione cristiano-ortodossa e cattolica sono costrette a fuggire ed alcune emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei turchi che occupano i loro territori. Del salentin suol gloria ed onore, lo define Tommasi. E davvero egli e, tra i filosofi che fioreno in Puglia ben noto. Partito da Soleto per Napoli per approfondirsi nella matematica dopo la preparazione ricevuta a Zollino da Stiso, vi torna famoso e pieno di gloria. Desideroso solo di pace, apre una scuola di filosofia. Tra i suoi allievi:  CAVAZZA, VERNALEONE, SCARPA, e CORRADO. Assiduo verso gl’infermi, è anche di modello coi suoi saggi, di ammirazione e rispetto coi suoi consulti e dalla ignoranza popolana ritenuto un mago perché cultore di scienze inusitate quali l'astronomia e l'astrologia. Tornando da Padova, cioè dai più grandi centri culturali del tempo, solle certo le gelosie interessate di coloro che non sanno rassegnarsi al suo prestigio professionale. A ciò si aggiunse il vigile sospetto della curia arcivescovile messa sull'avviso dal concilio di Trento. Egli che porta per tutte parti l'amore per il suolo natio col nome di Matteo da Soleto, proprio in patria ha a difendersi da accuse di stregoneria come spesso avviene a chi, filosofo, si rende filantropo. È più volte interrogato per le sue capacità di previsione del futuro divinatorie ma è sempre rilasciato innocente.  Il codice vaticano è testimonianza pressoché l'unica superstite del suo impegno speculativo. Da questo capostipite molti furono i T. medici o giureconsulti che da Soleto trasferirono poi la loro residenza a Gallipoli, Nardò e Lecce Galatone. Così troviamo nel Liber baptesimorum dell'archivio parrocchiale di Soleto un clericus physicus Honofrius Taphurus filius eccellentissimi doctori Francisci che è padrino al battesimo di Carrozzini. Il pronipote di Onofrio, Vincenzo Maria e sindaco di Gallipoli  mentre il fratello di Onofrio, dottore in giurisprudenza, vive presso la corte di Napoli. Svariati giureconsulti, medici e sindaci a Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo, Manni, La guglia, Galante, Nuove rivelazioni da un manoscritto, in 'Il filo di aracne'  -- Galatina, l'astrologo, Bernari  Istoria scrittori Regno di Napoli, Bernari. Bernari, Il mago di Soleto: T., Milano, Tommasi; G. B., Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, Napoli, del Balzo di Presenzano, A., I del Balzo ed il loro tempo, Napoli, Manni, Guida di Soleto, Galatina, Manni, La guglia di Soleto, Galatina, Manni, La guglia, l'astrologo, la macàra, Galatina, Montinari, Soleto, Fasano, T., G. B., Istoria degli scrittori del regno di Napoli, Napoli, Bacca, Personaggi del sole culturale, Lecce Alchimia Galatina Giovanni Battista Della Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia di Raimondello Soleto. G. B. Tafuri. Matteo Tafuri. Tafuri. Keywords: mago. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tafuri” – The Swimming-Pool Library.  

 

Grice e Tandasi: la ragione conversazionale del filosofo principe – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The philosophy tutor of Antonino. It is not known to which school he belongs. Grice: “As a consequence, we shouldn’t know to what school *Antonino*  does, but we do: Porch. Keywords: Porch, Antonino.

 

Grice e Tarantino: la ragione cnversazionale dell’umanesimo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gravina). Filosofo. Noto per i suoi studi sul padre e per fondare insieme la sezione dell'istituto italiano per gli studi filosofici di cui è stato anche presidente. Ha saggi sulla pedagogia, la psicologia e l'umanesimo. Dopo la laurea, diviene insegnante per i licei italiani; in particolare, insegna al liceo Federico II di Svevia di Altamura dove uno dei suoi studenti è RUBINI. Nominato dirigente scolastico del Liceo di Altamura, porta la scuola al più alto numero di studenti mai raggiunto. In qualità di dirigente scolastico, si reca a Tokyo  per una visita di incontro tra scuole. Durante la sua permanenza si verifica un violento terremoto, che gli causa paura e notevoli disagi con un volo di ritorno pagato 4000 euro e un'assistenza a quanto pare insufficiente da parte delle autorità consolari del posto. Dirigente scolastico del liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi, presidente di circoscrizione del Lions club Puglia Consigliere di Club del Lions Club Altamura Host Presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Altri saggi: “Speranze e proposte formative.  La lezione di T. (Bari); Dietro la ruota. Infanzia pregiata, Levante, Lezioni di volo, Bari,  L'inconscio e la coscienza nel pensiero di T., Bari,. L'umanesimo mediterraneo. Orizzonte storico-culturale per la costruzione di una cittadinanza cosmopolita, Storia antica e moderna dell'ordine del tempio, Nisroch, L'umanesimo di T., Aracne. Filippo Tarantino. Tarantino. Keywords: umanesimo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tarantino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tarantino: la ragione conversazionale dell’inconscio e la coscienza – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gravina). Filosofo italiano. Insegna a Pisa. Studia nel ginnasio e compì gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università della stessa città e successivamente come allievo della scuola normale superiore di Pisa. Inizia gli studi sotto la guida di FIORENTINO (si veda). Si laurea e segue a Napoli il maestro FIORENTINO. In sua memoria dedica al suo maestro “I Saggi Filosofici,” ottenne la docenza in filosofia. Inizia ad acquisire notorietà grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale Napoletano. Insegna al liceo Genovesi di Napoli. Compone il Saggio sulla volontà, Gennaro, Napoli.  Insegna al Marciano, e Pisa. Insegna anche alla scuola di pedagogia, dove tra i suoi insegnanti figura GENTILE. La sua notorietà cresce sempre più grazie ad alcuni suoi saggi critici pubblicati sulla Rivista di Filosofia Scientifica di MORSELLI, il più noto dei quali è su Locke. Tra i suoi studenti di Pisa più noti figurano NICOLA ed ACCADIA. Torna nella sua città natale, dove dona alla biblioteca Santomasi una parte cospicua dei suoi libri. A lui è stato intitolato il liceo. Altre saggi: Appunti di Filosofia, Toso, Aversa, Saggi filosofici, Napoli, Morano; Studio storico su Locke, Rivista di Filosofia, Milano-Torino, Dumolard; Saggio sul criticismo e sull'associazionismo, Napoli, Morano; In morte di CALDERONI, Vecchi, Trani; Saggio sulla volontà; Saggio sulle idee morali e politiche di Hobbes, Napoli, Giannini; Il problema della morale di fronte al positivismo e alla metafisica, Pisa, Valenti; Il principio dell'etica e la crisi morale, Napoli, Tessitore; Il concetto dello STATO ed il principio di nazionalità” (Napoli); “Discorso preposto alle traduzioni dal latino, dall’inglese e dal francese di SOTTILE, Napoli; VINCI (si veda) e la scienza della natura, Nel centenario di VINCI, La politica e la morale. Discorso, Pisa, Mariotti, Sulla riforma universitaria, Rivista di filosofia. Cfr. Turi, Gentile: una biografia, Firenze, Giunti,  Parzialmente Google Libri.) tarantino-inconscio,  tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-, Tarantino, Dibattista, Recchia-Luciani, L’inconscio e la coscienza nel pensiero di T.,  F. T., Adda, F., Speranze e proposte formative. La lezione di T., Bari, Levante, Amato, Orazione funebre in onore di T.. Giuseppe Tarantino. Tarantino. Keywords: inconscio, Gentile, Vinci, lo stato, la nazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tarantino” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Taranto: la ragione conversazionale della colomba d’Archita – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Grice: “I was insulted, if not offended, by The Cambridge Dictionary of Philosophy having ‘Anchita’ as Greek! The man as born in Taranto, Italy, and died in Taranto, Italy! – He was a Tarantoian!” – “My favourite of his philosophical tracts is “Della colomba,” – Strawson pointed out to me that since this is a mechanical (mechanical-mechanical) pigeon, I should have used ‘scare-quote’ gesture!” Filosofo, matematico e politico. Magnum in primis et præclarum virum -- Cicerone, De senectute. Appartenente alla seconda generazione della setta di Crotone, ne incarna i massimi principi secondo l'insegnamento dei suoi maestri FILOLAO ed EURITO. Figlio di Mesarco o di Estieo o di Mnesagora, nasce nella città della quale è stratego massimo, proprio nel periodo in cui Taranto raggiunge l'apice del suo sviluppo economico, politico e culturale. Conduce una vita austera, improntata a uno stretto auto-controllo nel rispetto delle rigide regole della setta di Crotone, ma non priva di umana socievolezza. Rcconta ELIANO che spesso quello s'intrattene a SCHERZARE CON I FIGLI DEI SUOI SCHIAVI e con questi stessi non disdegna di sedere assieme a banchetto. Abile uomo politico, si tramanda che è nominato per VII volte στρατηγός di Taranto, riuscendo ad essere un condottiero sempre vittorioso nelle sue battaglie. Probabilmente è anche stratego αὐτοκράτωρ della lega italiota, ricostituitasi dopo la morte di Dionisio I di Siracusa, e che ha come sede Eraclea. Non si sa se, nonostante il divieto della costituzione cittadina, è stato nominato consecutivamente. I suoi mandati vengono datati tra il II e il III viaggio di Platone, quindi potrebbero essere stati ricoperti anche uno di seguito all'altro. Attua una politica di sviluppo che porta Taranto a diventare la metropoli più ricca e importante della Magna Grecia. Con l'edificazione di monumenti, templi e edifici da nuovo lustro alla città. Potenzia il commercio stringendo relazioni con altri centri, come l'Istria, la Grecia, e l'Africa. Durante il suo governo, si dedica allo sviluppo dell'economia, favorendo l'agricoltura e insegnando egli stesso ai contadini i precetti per migliorare i raccolti. Spesso ricordava loro che Apollo non concesse altro a Falanto che fertili campi e ama ripetere. Se vi si domanda come Taranto è diventata grande, come si conservi tale, come si aumenti la sua ricchezza, voi potete con serena fronte e con gioia nel cuore rispondere: con la BUONA agricoltura, con la MIGLIORE agricoltura, con l'OTTIMA agricoltura. Nel campo legislativo promulga una legge per favorire l’equa distribuzione delle ricchezze, basandola sul principio dell'armonia matematica. Uomo di multiforme ingegno, s’interessa di scienza, musica ed astronomia e studia matematica con EUDOSSO di Cnido. La vastità di queste competenze si spiega con il fatto che la scuola di Crotone conceve la matematica, o meglio l'aritmo-geometria, fondamento della realtà naturale e l'universo come un cosmo, ordinato cioè secondo principi mistico-matematici dai quali si genera un'armonia musicale poiché la musica stessa si basa su precisi rapporti matematici. Crede che i principi delle matematiche sono i principi di tutti gl’esseri. Ora, il principi della matematiche e il numero. Pensa quindi che gl’elementi del numeoi sono elementi di tutte le cose, e che tutto quanto il cielo è armonia e numero -- Aristotele, Metafisica. Non a caso è stato il primo a proporre il raggruppamento delle discipline canoniche -- aritmetica, geometria, astronomia e musica -- nel quadrivium, l'ordinamento che riprende BOEZIO (si veda). Infine, la partecipazione alla scuola di Crotone, configurata come una setta mistica, è riservata a spiriti eletti e implica che gl’iniziati che la frequentano hanno disponibilità di tempo e denaro per trascurare ogni attività remunerativa e che puossono dedicarsi interamente alla filosofia -- da qui il carattere aristocratico del potere politico che Crotone e suoi filiali esercitano nella Magna Grecia ed Etruria fino a quando furono sostituiti dai regimi democratici. Conosce Platone quando questo soggiorna a Taranto nel suo primo viaggio verso Siracusa, dove ha un confronto piuttosto acceso con il tiranno Dionigi I sulla realizzazione di una possibile RIFORMA FILOSOFICA del suo governo. Questa'amicizia è preziosa per Platone quando compiendo questi il suo III e ultimo viaggio in Sicilia nel tentativo di realizzare la sua riforma, il tiranno Dionigi il giovane lo caccia dall'acropoli facendolo vivere nella casa di Archedemo, vicino ai mercenari che mal lo sopportano. È grazie ad Archita, il quale invia il tarantino pitagorico LAMISCO a Siracusa per convincere l'amico Dionigi a liberare Platone, che questo puo lasciare la Sicilia – “maledetta isola,” in parole di Platone.  Lo stesso Platone racconta così quegli avvenimenti in una lettera. Sembra che Archita si sia recato presso Dionisio. Perché io, prima di ripartire avevo unito Archita e i tarantini in rapporti di ospitalità e di amicizia con Dionisio. E così con un terzo invito Dionisio mi manda una trireme per agevolarmi il viaggio, e insieme manda un amico di Archita, Archedemo, che egli ritene fosse il più apprezzato da me tra quei di Sicilia, e altri siciliani a me noti. Altre lettere poi mi giungeno da parte di Archita e dei tarantini, che fanno grandi elogi dello zelo filosofico di Dionisio, e anche avverteno che, se non ando subito, avrei causato la completa rottura di quell'amicizia che io avevo creato tra loro e Dionisio, e che è di grande importanza politica. Vennero in molti da me, fra cui alcuni servi, e quindi miei concittadini. Essi mi riferivano che calunnie circolano su di me fra i peltasti, e che alcuni minacciano, se riusciano a cogliermi, di sopprimermi. Escogito allora qualche mezzo di salvezza: mando ad avvertire Archita e gl’altri amici di Taranto in che condizione mi trovo. E quelli, colto un pretesto per un'ambasceria, mandano uno dei loro, LAMISCO, con una nave e trenta rematori. Costui, appena giunto, intercede per me presso Dionisio, dicendogli che io voglio lasciar e nient'altro che lasciar Sicilia. Dionisio accondisce e mi lascia andare, dandomi i mezzi per il viaggio. Archita muore a seguito di un naufragio probabilmente nel corso d’operazioni di guerra nelle acque di fronte a Mattinata sul Gargano e lì e sepolto, come riferisce ORAZIO. TE MARIS ET TERRÆ NVMEROQVE CARENTIS HARENÆ MENSOREM COHIBENT ARCHYTA PVLVERIS EXIGVI PROPE LITVS PARVA MATINVM MVNERA. Nonostante e visto dopo Socrate, è considerato un continuatore dei filosofi piu antichi, perché appartenne alla scuola di Crotone e si mantenne aderente al pensiero di questa setta, tant'è che basa le proprie idee filosofiche, politiche e morali sulla matematica. Al riguardo, infatti, così recitano due suoi frammenti. Quando un ragionamento matematico è stato trovato, controlla le fazioni politiche e aumenta concordia quando c'è manca l'ingiustizia, e regna l'uguaglianza. Con ragionamento matematico noi lasciamo da parte le differenze l'un con l'altro nei nostri comportamenti. Attraverso essa i poveri prendono dai potenti, ed i ricchi danno ai bisognosi, entrambi hanno fiducia nella matematica per ottenere un'azione uguale -- Giamblico, de comm. Math. Per essere bene informato sulle cose che non si conoscono, o si devono imparare d’altri o bisogna scoprirle da sé. Ora imparando si deduce da qualcun altro e ciò è straniero, mentre scoprendo da sé è PROPRIO. Scoprire senza cercare è difficile e raro, ma con la ricerca è maneggevole e facile, sebbene CHI NON SA CERCARE NON PUO TROVARE. Dollo, Istituto e museo di storia della scienza Archimede, Olschki. A lui sono tradizionalmente attribuiti molti testi. Sono sopravvissuti alcuni frammenti conservati nei saggi d’Ateneo e CICERONE e provenienti dai suoi discorsi morali, che delineano un filosofo più originale nel suo pensiero etico rispetto alla dottrina di Crotone e piuttosto influenzato dall’Accademia Viene considerato l'inventore della meccanica razionale e il fondatore della meccanica. Si dice che inventa due straordinarie apparecchiature meccaniche.  Un'apparecchiatura è un uccello meccanico, la famosa colomba, l'altra sua invenzione era un sonaglio per bambini. Il primo è descritto d’Aulo GELLIO (si veda), e ne tenta la ricostruzione Schmidt. Si tratta d'una colomba di legno, vuota all'interno, riempita d'aria compressa e fornita d'una valvola che permette apertura e chiusura, regolabile per mezzo di contrappesi. Messa su un albero, la colomba vola di ramo in ramo perché, apertasi la valvola, la fuoruscita dell'aria ne provoca l'ascensione. Ma giunta ad un altro ramo, la valvola o si chiudeva da sé, o veniva chiusa da chi faceva agire i contrappesi. E così di seguito, sino alla fuoruscita totale dell'aria compressa. Il secondo giocattolo, la raganella, ha fortuna. È ancora in uso e spesso si vede nelle fiere popolari di giocattoli. Nella forma originaria è costituita da una piccola ruota dentata fissata ad un bastoncino. Sulla ruota, da dente a dente, salta una molla cui è congiunto un pezzo di legno. Aristotele consiglia questo giocattolo ai genitori perché, divertendo e captando l'attenzione dei bambini, li distoglie dal prendere e rompere oggetti domestici. Si dice anche che inventa la carrucola e la vite, anticipando Archimede. Il più importante risultato ottenuto da lui è una soluzione tri-dimensionale del problema della duplicazione del cubo. Precedentemente, Ippocrate ri-conduce questo problema ad un problema di proporzionalità. Se a è il lato del cubo che si vuole duplicare, il problema consiste nel trovare due valori x e y medi proporzionali tra a e 2a, ovvero tali che  a:x=x:y=y:2. Trovati questi due valori, x rappresenta il lato del cubo con volume doppio. La costruzione geometrica utilizzata d’Archita per risolvere questo problema è uno dei primi esempi dell'introduzione del movimento in geometria. In esso si considera una curva, conosciuta come curva d’Archita, generata dall'intersezione della superficie di un cilindro e di un semi-cerchio in rotazione rispetto a uno dei suoi estremi. Si dedica anche alla teoria delle medie, e da il nome alla media armonica o media sub-contrari). Inoltre, dimostra che tra due numeri interi che sono nel rapporto {\{\frac {n}{n+1}}} non è possibile trovare nessun altro intero che e una media geometrica. Il risultato ha applicazione alla teoria delle scale musicali. Apuleio riporta un argomento di fisica trattato d’Archita: la natura della riflessione della luce sopra uno specchio. Platone pensa che dai nostri occhi partano dei raggi luminosi che vanno a mescolarsi con quelli che colpiscono lo specchio. Archita concorda col fatto che i raggi partano dai nostri occhi, ma senza combinarsi con alcuna cosa. Più felici furono le sue deduzioni sul rumore. Egli capì che provenivano dalle vibrazioni prodotte dall'urto dei corpi nell'aria. Da tale scoperta, formula l'ipotesi che anche i corpi celesti, dotati di continuo movimento, produceno rumore. Questo rumore però, non sarebbe udibile dai sensi umani, essendo non intervallato, ovvero continuo nel tempo. Molto interessanti sono gli studi di carattere sperimentale che conduceno a conoscere le cause che diversificano i suoni acuti dai gravi, diversità che sono in funzione della rapidità della vibrazione. Tanto più rapida è la vibrazione, tanto più acuto è il suono che ne proviene, e viceversa. Esperimenti sono eseguiti con flauti, zufoli, tamburelli, e si constata come anche LA VOCE UMANA segue questo principio. Nell'ambito della teoria musicale sviluppata dalla scuola di Crotone, ed esposta per la prima volta da Filolao, III contributi sono sicuramente dovuti ad Archita.  I è la teoria secondo cui l'altezza dei suoni è determinata dalla loro velocità di propagazione. Secondo Archita, una bacchetta che oscilla più velocemente -- con frequenza più alta -- produce un suono che si propaga con maggiore velocità nell'aria, e che di conseguenza è percepito come più alto, rispetto a una bacchetta che oscilla più lentamente. Questa teoria, per quanto non corretta dal punto di vista fisico e percettivo, rappresenta il primo tentativo di attribuire parametri quantitativi alla propagazione del suono, ed è ripresa da molti autori successivi -- inclusi Platone e Aristotele. Il secondo contributo è di natura specificamente matematica. Archita conosce la relazione fra intervalli musicali e frazioni che conduce alla costruzione della scala pitagorica. Uno dei problemi teorici connessi a quella costruzione è il perché gl’intervalli sono progressivamente suddivisi secondo quelle particolari proporzioni, anziché suddividere semplicemente ogn’intervallo in due sotto-intervalli uguali. Per comprendere la natura del problema si deve ricordare che per definizione gl’intervalli musicali si compongono moltiplicando fra loro i rapporti corrispondenti – v. g. , la XVIII 2:1 si può ottenere componendo una V 3:2 con una IV 4:3, infatti 3:2 x 4:3 = 2:1). Quindi per suddividere un intervallo a:b in II parti uguali si deve trovare il medio proporzionale fra a e b, ossia il numero x tale che a:x = x:b -- ciò equivale a cercare la radice quadrata del rapporto a:b. Archità osserva che l'intervallo di doppia IV (4:1) si può suddividere in due sottointervalli uguali (rappresentati dal rapporto 2:1), ma dimostra matematicamente che nessun rapporto del tipo super-particulare {\ {\frac {n+1}{n}}} - genere a cui appartengono tutti gl’intervalli fondamentali della scala pitagorica (2:1, 3:2, 4:3, 9:8) - ammette un medio proporzionale fra i numeri interi. Quindi nessuno di quegli intervalli può essere suddiviso in due parti uguali -- se si mantiene l'ipotesi che ogni intervallo musicale corrisponda a un rapporto fra numeri interi. Infine, Archita descrive la costruzione delle scale musicali nei III generi: dia-tonico, cromatico ed en-armonico. Diversamente dalla scala pitagorica, il tetra-cordo dia-tonico proposto da Archita è formato dai rapporti 9:8, 8:7 e 28:27. Quello pitagorico contiene invece due intervalli di tono uguali, 9:8, e un semitono di 256:243. Nel tetra-cordo cromatico di Archita figurano gli intervalli 5:4, 36:35 e 28:27, e in quello enarmonico gli intervalli 32:27, 243:224 e 28:27. Questi valori sono riportati da Tolomeo, che afferma che si basa sulla necessità teorica di descrivere tutti gl’intervalli consonanti con rapporti superparticulari -- e tuttavia nel tetracordo enarmonico figurano rapporti che non appartengono a quel genere. I filosofi hanno invece ipotizzato che Archita vuole descrivere matematicamente le scale musicali effettivamente in uso nella pratica a lui contemporanea, sulla base dell'osservazione diretta delle tecniche di accordatura usate dai musicisti. Archita si propone di superare il problema dei commi musicali. Afferma che l'VIII puo essere divisa in 12 semitoni uguali ed indica un divisore che ne consentisse la partizione, cioè un numero prossimo ad un terzo di л. In effetti il divisore dell'VIII della scala temperata, la radice XII di 2 =1,0594630943592…. è prossima a л/3=1,0471975 postulato sia da lui che d’Aristosseno. La divisione dell'VIII a cui Archita pervenne è la seguente: л/3, Л 4/11, Л 3/8, Л 2/5, Л 3/7, Л 5/11, Л 9/19, л/2, Л 7/13, Л 4/7,Л 3/5 Л 7/11, nell'ordine: II min., II maggiore, III minore, III maggiore, IV giusta, IV eccedente, V giusta, VI minore, VI maggiore, VII minore, VII maggiore, VIII. Il divisore proposto d’Archita porta a differenze con la scala temperata dell'ordine delle decine di centesimi di semitono. È trattata da Archita in un passo di Eudemo da Rodinel suo commento alla “Fisica” di Aristotele, nel quale si discute il problema della dimensione dell'universo. Per Archita l'universo è infinito. Se mi trovassi all'ultimo cielo, cioè a quello delle stelle fisse, potrei stendere la mano o la bacchetta al di là di quello, o no? Ch'io non possa, è assurdo. Ma se la stendo, allora esiste un di fuori, sia corpo sia spazio -- non fa differenza. Sempre dunque si procede allo stesso modo verso il termine di volta in volta raggiunto, ripetendo la stessa domanda; e se sempre vi è altro a cui possa tendersi la bacchetta, è chiaro che anche è interminato. In Enciclopedia Garzanti di Filosofia Archita. Museo Nazionale e archeologico di Taranto. Riedweg, Pitagora: vita, dottrina e influenza, Vita e Pensiero, Ceglia, Bari. Seminario di storia della scienza, Scienziati di Puglia: Adda, CICERONE, De senectute, ELIANO, Varia istoria; Ateneo; Dizionario di filosofia, Treccani alla voce corrispondente. Pareti, Storia della regione Lucano-Bruzzia nell'Antichità, Storia e Letteratura, Juliis, Magna Grecia: l'Italia meridionale dalle origini leggendarie alla CONQUISTA ROMANA, Edipuglia. Juliis, Magna Grecia: l'Italia meridionale dalle origini leggendarie alla conquista romana, Edipuglia srl,  Ai tarantini, citato in La Voce del Popolo, Dizionario della civiltà, Gremese Editore, Nicola, Atlante illustrato di Filosofia, Giunti. “κόσμος” nasce in ambito militare per designare l'esercito schierato ordinatamente per la battaglia (in Sesto Empirico, Adv. Math.); Joost-Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull'arte, Edizioni Arkeios, Pichot, La nascita della scienza: Mesopotamia, Egitto, Grecia antica, Edizioni Dedalo,Cfr. anche Bonghi, Delle relazioni della filosofia colla società: prolusione, Vallardi. Secondo una tradizione apocrifa Archita trae dalla filosofia dell’accademia la convinzione della immortalità dell'anima. Al contrario CICERONE ritiene che Platone si reca in Sicilia per conoscere le dottrine pitagoriche che apprende da Archita e che condivide divenendo lui stesso pitagorico. Cfr. CICERONE, De Repubblica, De finibus bonorum et malorum, Tuscolanae disputationes, D. Laerzio, Platone, Lettera, Vita di Platone.  Urso, La morte d’Archita e l'alleanza fra Taranto e Archidamo di Sparta, Aevum, Taddei, I robot di Vinci: la meccanica e i nuovi automi nei codici svelati, ed. VINCI, GELLIO, Notti Attiche, Aristotele, Pol., Pitoni, Storia della fisica, Società tipografico-editrice, Boyer, Carl B., Storia della matematica, Apuleio, Apologia; Platone, Timeo, A  Giambico, in Nicom.; Ceglia, Università di Bari. Seminario di storia della scienza, Scienziati di Puglia: dda, p.1ific. Huffman, Archytas of Tarentum. Pythagorean, Philosopher and Mathematician King, Cambridge -- l'edizione più completa dei frammenti --; Cardini, I pitagorici, testimonianze e frammenti, La Nuova Italia, Firenze Platone, Lettere, Mondadori; Grande, Archita e i suoi tempi, Taranto, Cressati  Paris; Olivieri, Su Archita tarantino, memoria letta all'Accademia Pontaniana; Frajese, Attraverso la storia della Matematica, Veschi, Roma Stante, I problemi di terzo grado e Archita da Taranto,  Lecce; Tagliente, “La colomba d’Archita”, Scorpione, Taranto; Tagliente, Il mistero del trattato perduto, Scorpione, Taranto A. D. Abbaiatore, Scritture Musicali greche, Teoria armonica ed Acustica, Taranto nella civiltà, Napoli Taranto e il Mediterraneo, ISAMG Taranto, Filosofia e scienze, Napoli Eredità, Taranto, Alessandro il Molosso e i condottieri, Taranto, Teofilato, "Interpretazione di Archita" dalla rassegna Vecchio e Nuovo di Lecce; Mele, Archita, i suoi tempi e il suo pensiero, in Taranto tra Classicità e Umanesimo, Scorpione Editrice Taranto; Personalità legate a Taranto Raganella (strumento musicale) Eudosso di Cnido. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A buon diritto chiamare l'inventore de'moderni palloni arrostatici. Però un secolo prima a LANA, SCALIGERO, a proposito della colomba volante d'Archita, della quale parla ORAZIO nell e sue odi, indica il modo di costruirla. Nulla di più facile, dice. Basta comporre la sostanza con midolla di giunco, e diligentemente coprirla colla pelle adoperata dai battiloro. Mediante un facile meccanismo sipuò dar movimento alle ali. Scaligero scorda di avvertire che bisogna riscaldare l'aria interna con un lumicino quando rolevasi farla volare. Cosi trova il modo di far salire nell'aria un pallone in forma di colomba, dacchè tutto fa credere che i mezzi impiegati da questo filosofo sono gl'identici che quelli impiegati oggigiorno per levare i palloni. Quanto al ritorno della colomba, obbediente alla voce d'Archita, questa evidentemente è una favola. Sempre, a un fatto sorprendente, l'immaginazione aggiunge circostanze impossibili. Ma ciò che io credo innegabile è che l'areostato èconosciuto a tempi detti favolosi, e che, amio parere, sono reminiscenze di una civiltà perduta, che Vico chiama il regno degli dei. Quegli ignivomi draghi. SULLA COLOMBA Entre a pišivago, e più superbo volo pel regno aereo l'ali fu e spandea, e di spirto novello acquisto fea La Colomba d'Archita inverso il Polo, volgendo a caso i suoi begl’occhi al suolo del terzo ciel la vezzofetta dea, la vide, e per rapirla già scendea da quel de' dei seggio beato, e solo. Allor grido, e quafi fu per dire: Oh così fosse pur la mia. Colomba, Fattasi Citerea con gran desire, di legno fols'avvide: esserl'augello. ARCHITA. Juan. Juven. Ital. Sacr. in Tarentin. Mitrop.  Lamb. in Schol. Horat. Od.) regnasse più di un’anno. I nuove grazie adorna il suo bel volto D LLi:etasengiva in maestà reale astrea, mirando venerato, e colto fa più volte prefetto della sua patria, ancorchè le leggi comandassero, che nessuno in tempo di sua vita quel delle leggi fu e pregio immortale. Quando Prudenza, il dolce fuon disciolto, figlia d' eccelsa mente, e trionfale, non titurbar, le diffese sia tolto il primier di regnare ordine uguale. Tempo verrà che in arme, e in toga imperi più d'un'anno al suo ftuoi, mai sempre intento Archita a nuove glorie, e a bei pensieri. E a Leila Diva, in cento modi, e certo muta pur leggi, e Fafti miei primieri, Purchè Archita mio regni, io mi contento. Diogen. Laert. in Vit. Archyt. In Joan. Buno. not. ad Philip. Cluver. ARCHITA FILOSOFO PITTAGORICO, E MATEMATICO E PERITISSIMO. Odar chi mai tanto ti può, che basti, alma immortal degnissima d'impero? Chi dir di tue virtudi il volo altero, per cui fovra ogni saggio alto poggiasti? Del ciel le stelle, e i moti lor sì vasti, tu delle cose le cagioni, e'l vero, e quanto il mare, e l'universo intero circonda, e abbraccia, chiaro a noi mostrasti, tu, ch'eccedi de’ savii i bei consigli già di ogni uman pensier reso maggiore, quanto il sol delle stelle avanza irai, tu, che te stesso, e null? altro somigli, coll'auree del tuo suon note canore tu sol di tue virtù cantar potrai. Diogen. Laert. in vit. Archyt. For eft. Joan. Juven. Tarentin. Lambin in Scbol. Horat. Od. Nicol. Parth. Giannet. in Geograph. SEN. TARENTINO, Scrivendo contro il Piacere. O So, chemente all'Von dona, e Tume aquella; SENTIMENTI D'ARCHITA chi dietro alsuo piacer brutale corre, e del sensorio fà l’alma ancella, bruto diventa agli altri bruti eguale, tutto perdendo il bel, che aveva in ella. Senza lume si vago, e rilucente Joan. Juven. Tarentin.  Mente, ch'èper fuo pregio trionfale della divinità parte più bella che quando avvien, che sopra l'alma impero abbia il piacere, allor cieca è lamente è cieca la ragion, cieco è 'l pensiero. Oprano i bruti, e senza il suo primiero lume fia, chel'uom bruto anchedivente. E pur ESER,   Diogen. Lacrt. in vit. Archyt. Foreft. Joan. Juven. Tarentin. Mille a mille empj nemici, incampo scendete pure, e con terribil grido, no uche con quel dell'armi orrido lampo Fate tremar dell'onde Jonie illido. ESERCITO TARENTINO NON MAI VINTO, ESSENDO CAPITANO. Là nel Galelo col suo nobil campo Itene or lieti delle forze usate, faran del vostro suol le schiere armate, finchè Archita sia duce, alta vendetta. ARCHITA v'aspetta il bravo duce. E già lo strido de' corni i' fento, en el cercarlo scampo già cader vi vegg'io pel colpo infido, ed alla patria, che il trionfo aspetta, le tolte spoglie in vostro onormostrate. Se per ostil cadeste atra disdetta, LA, ARCHITA D'ESSER CAPITANO, PER SOTTRARSI ALL'INVIDIA, L'ESERCITO DE TARENTINI E' FATTO PRIGIONE DA NEMICI. Arme il fulgore insiem spaventa, e sfida co’luoi deftrieri i cavalier, già scende sangue da larga vena in terra infida, mira Tarento mio, quei, che fen muore, hàgli spinti l'invidia a tante pene. LASCIANDO DO di guerra sonar le trombe orrende? di come il rio Marte all'alte strida di quel drappello, e questo i cuori accende, perchè col ferro suo l'un l' altro ancidas arme, arme fre me ognun: già di tremende e quei, che'l braccio stende alle catene son dolci figli,  oimè, del tuo dolore, freme contro d'Archita il rio livore, E lull'alme innocenti il mal senviene. Diogen: Laert, in vit. Archyt. Joon. Juven. Tarentin. AR.: ad altri venduto, ed alla fine è riscattato offri; buon savio, soffri. Ecco fortuna S di mortal sfavillando atro disdegno sue forze impiega, e l'arme sue raduna, per far del tuo valor sterminio indegno, già l'empia, oime! con faccia torva, e bruna scocca saette últrici, e ben al sogno colpito hà omai; ve come in preda d'una ti dà vile ciurmaglia in fragil legno. TARENTINO ARCHIT. A peregrinando per imparare, è preso dà’ corsari, serve ma che sie; se delcuorle forti tempre Alexand. ab Alexand, Joan. Juven. Tarentin. Di. Pur non è fazia no, schiavo al servaggio Ti mena ancor, perchè nel duol di stempre il magnanimo tuo nobil coraggio rassoda più ne'colpi suoil'Vom saggio, E di sua libertà gode mai sempre, PLATONE DOPO AVER CAMMINATO L'EGITIO, VIENE IN ITALIA PER IMPARAR SOTTO LA DISCIPLINA, edesti pur, come il gran Nilo altero, da perenne sboccando occulta fonte ogni argine disprezzi, ed ogniponte, e i campi ad ipopdar si apra il sentiero e di vi asperto di sudor la fronte delle scienze falisti all' arduo monte, e ti fur quelle il solo premio intero, ed or, per sulle scienze alzare un volo sotto l’aurea d'Archita arte gentile, cerchi il Galeso, e l Tarentino luolo? Dunque in Egitto Eroenonv hà simile, CICERONE de finib. bonor. molor. Foreft: Joan. Juven. Tarentin. DOPS V D'ARCHITA TARENTINO si, vedesti l’egizio, e 'l greco impero, ARCHI. Nè ingegno in Grecia, al solo Archita, al solo suo noro ingegno, anche oltre Battro, e Tile.    A ARCHI. Pri, Fortuna, per un solmomento gl’occhi, cui buja notte orrida cuopre, e mira, le il tuo solle afproardimento contro savio maggior sua forza adopre. Questi è il gran Platone, e quegli son que cento Folle, Re Plato al tuo servil flagello ARCHITA TARENTINO RISCATTA PLATONE PRESO DA CORSARI. Empj ladron, per le cui mani, ed opre schiavo il facefti; or com 'ei sparge al vento gl’infranti lacci, e in libertà li scuopre? Com e il trionfo, che del suo servaggio ornar credesti e de' suoi guai far bello, qual peve dilegudfli al caldo raggio? Menalti, a un cenno sol d'Archita il saggio cara torna la libertà di quello. Joan. Juven.T'arentin. e  Se avvien, che della gloria i m i diftempre La bella gloria è tua, fe Plato apprese che del tuo figlio al nome accrebbe il vanto, CICERONE, de finib.bon.domal. Fiscula Joan.Juven. Tarcntin. ARCHI. ARCHITA MAESTRO DI PLATONE. C Figlio di puro core, e viva immago, che vero io canto, efoldiluimi appago, dice un giorno Atene in dolci tempre, dal tuo gran figlio Archita il pregio santo, E B alme di virtude auree contefe. ella è mia pure, e téco i fafti io canto: Poich? Ei tal lume in tutto il mondo accese, nel gaudio, el corc in fuperbito, e pago pel mio Plato or fen vada, un don si vago A te, Tarento mio, debbo mai sempre. ARCHITA CAMPA PLATONE DALLA MORTE INTENTATAGLI DA DIONISIO TIRANNO. AR,  Due Polato il scan Plato, ahimè, quel saggio, t Veloce sahi laffo a tramontar quel raggio Det rio fallir le pene: omai trionfi si bella dote, e vinca ancor sapienza. Si disse Archita; e i fieri petti, e tronfi. Placando al gran poter d'aurea eloquenza, morrà, perchè un tiranno indegno d'ostro sogna sospetti, e teme indarno oltraggio? Correrà, che dà lume al secol nostro? Ed io, perchè più viva, ancor non mostro, Non mostro, ancor dell'anima il coraggio? No, che non porterà l'alma innocenza Plato all'ombra viveade'suoi trionfi. CICERONE Tuscul. Diogen. Laert. Vit. Archyt., o Platon. Juan. Juven. Tarentin. Ital. Sacr. in Torentin. Metrop. Plutar. in Platon. Sabell. Ennead. ARCHITA TARENTINO A PLATONE. Se amica pioggia a temprar mai l'ardore scende dal ciel, non giace no più china La fronte lor, ma col nacio colore s'innalza si, che al ciel più si avvicina; lasso ! calo io restai, allor che infermo Starte neudj fra pene, o mio buon Plato senza ajuto languendo, e senza schermo. Ma or che di sua vita al primo stato fatto hai ritorno, io mi rinfranco, e fermo pertemi rendo, cfon, qual pria, beato. Q Diogen. Laert. in vit. Archyt. Joan.Juven. Tarentin. Val Yenza umor giglio languisce, o fiore, E scolorito à terra il capo inchina, questo il vermiglio onor, quello il candore Perdendo a poco a poco in sua ruina: PLA. Q A te del loro autor duce sì pio in mezzo del cammino elle si stanno, pss.) Ma giugnere alla meta orgoglio sette Ben le vedrai, fe nuovo spirto avranno, PLATONE MANDA ISUOI COMMENTARIJ AD ARCHITA TARENT INV. Veste assai più, che dell'ingegno mio, opre de'tuoi fudori, onde a be'studii delle più gloriofe alte virtudi La mia mente infiammaiti, el buon deslo, Opre dunque son elle ora imperfette. Raro è però l'onor, se a te verranno; Più raro, le giammai fien da te lette. Diogen Lacrt. in vit. Archyt. Platon.in Epist. Vengono, Archita. O: tu le leggi, e i nudi sensi del tuo saver poi mi dischiudi con quella libertà, con cui le invio, PLA, Gloria dai tuoi si provvi di sudori, soffri in regnar, grida la Patria, e uffici Mostra di quel, che sei, Signor de cuori, E tu mal grado imperi? et ila mente Non fei; la Patria hà in te parte del tutto. Non oscuro è il linguaggio; od i mia mente: O rendi alla tua Patria il ben, ch'èsuo, O del suo ben fà, ch'ella n'abbia il frutto. CICERONE de finib. bonor. comalor. la de Offic. Joan. Juven. Tarentin. in Prefate do Lib.z. Cap.2. Platon. in Epif. gi  PLATONE TÀRENTINO VN malele solo (AD ARCHITA On, a se folo no, nasce agli Amici, nasce alla patria l'uom, nasce a Maggiori, E dal bel nascer suo giorni felici speran questi, e sperar voglion tesori. Or soffri, o Figlio, o tu, che tanta elici De' gran pubblici affari? ah che sol tua SULLA AD ARCHITA TARENTINO, Del buon governo, e loro fren spogliace. O naufragar, dall'empie arti indiscrete di piggior duce a morte ria guidate: El soffriran del cuor le tempre? Ah fiamma D'amor mostrate, evoi la Patria bella Reggete: omai con quell'ardor, che infiammar così lungi da lei strage rubella Sen fuggirà, qual Cervio a i colpi, o Damma, O, che viver a voi non mai potrete; Se non vivrete ad altri se se pensate Goder mai signoria, nè servirete Alle pubbliche cose, alle private, O vacillar ben presto le vedrete E poi fia vostra gloria il ben di quella. In argument. 9. ad Epist. 9. Platon, D'ARCHITA Ad de Archita, e vidjo senza conforto E scorse fino all' ultimo confine La Terra, e il Ciel coll'arti fue divine, Archita il grande, il nostro padre è morto! Del mar le Dive usciro al pio lamento. SULLA MORTE. Pianger lo stuol da rio dolore assorto. Oimè, dicean, chi dall'Occafo all'Orto, CAdele Dell'alte sue virtudi, e pellegrine, Pallido il viso, e lacerato il crine, E in lor leggendo i gran pubblici danni Pianfero', e poi partiro, e di Tarento Giunte alla Reggia: or vesti i negri panni Da e r, bella Città: per tuo tormento Archita è morto ahi sul bel fior degli anni ! Horat. ORAZIO od. E Diede il Popot Matin l'ultime prove se'l crudo suo destino unqua vi spiacque Le bell*ossadi Lui, che tanto piacque Abbian lieve la terra; e poi partite. Horat. od. Joan.Juven. Tarentin. za SULL’INVITO A RIMIRARE IL TUMULO D'ARCHITA PRESSO AL LIDO MATINO, Ccop Urna funefta. Alme ben nate, Cui di pietà l'amabil forza muove, Deh fermatevi alquanto, e rimirate, Pria di ftendere il passo agile altrove. Qui le fante d Archita ossa onorate Giaccio n sepolte, e qui spargendo nuove: Piogge d'amaro pianto, di pietate del passato dolore in segno ah dite:. th Allor, che in mar precipitò, smarrite Sue forze, e in franto illeguo in mezzo all'acques   Di Natura le fonti più segrete; Chi dall'onda fatal raplo diLete L e naufraghe virtudi, e l ebbe accanto; Chi le vie seppe drittamonte torte, i Percui la Luna appar', el Sols’asconde,  Aili ah yoi le face offa, e'l cener fanto Di quell Almagentilahicitogliete, Che fù si chiara al Mondo, e vi godete Della vera fapienza il facro immanto. Chi a noi mostrò con tanto studio, e tanto Horat. od. Joan. Juven.Tarentin. SUL SEPOLCRO EUDOS D.ARCHITA TARENTINO. Chi 'n Terra,e 'n Ciel la ferma, e mobil sorte; chi come il foco, el Aere, el suolo, e l'onde s'abbraccin, seppe, orquìsengiace. Oń Morte, Oh duri fastí, ohcieche ombre profonde? S quanto mai di bello in Ciel fi additag; Ne panni no, ma nella mente fiede. Diogen. Laert. in vit.Eudox. Foreft. Tom.1. Lib. 8.Cap. 4  Joan. Juven, Tarentin. Q. EUDOSSO DA GNIDO FAMOSISSIMO MATEMATICO DISCEPOLO ARCHITA NON FU'RICEVUTO DA PLATONE ALLA D Mira come in udir fuo ftile adorno La tua fuperbia, e'lfollear direon danni. No, non dovevi il gran Figliuol d'Archita SUA SCUOLA,PER ESSER POVERO, Vesti, o Platon, che tu schernisti un giorno Perchè di povertà fentia gli affanni Questi è colui fe pur nol fai che intorno Del fuo grave faver difpiega i vanni, Gnido vi spenda il più bel fior degli anni; E come giusta ad immortal tuo scorno Si vilmente scacciar dalla tua fede Qualor baffamenava umile vita. Poichè virtude, onde 1 U o m farli erede. ARCHYTAS OF TARENTUM (fifth/fourth century BC) Archytas was a Pythagorean and a friend of Plato. When Plato got into trouble in Syracuse, Archytas sent Lamiscus of Tarentum to go and rescue him. His interests were wide-ranging, but lay primarily in pure and applied mathematics. It is thought that Plato acquired a great deal of what he knew about mathematics from Archytas. He made advances in geometry and contributed to musical theory. According to lamblichus of Chalcis, he took the view that parts could only be understood properly in the context of the wholes to which they belonged. However, it is not clear whether this view should properly be attributed to him as his name became attached to a number of later Pythagorean writings long after his death. Huffman, Archytas of Tarentum: Pythagorean, Philosopher and Mathematician King, Cambridge, Cambridge University Press, Huffman, 'Archytas', The Stanford Encyclopedia of Philosophy, Zalta, plato.stanford Archita.  Archita da Taranto. Taranto. Keywords: Cicerone, scuola di Crotona, scuola di Taranto, scuola di Ponto Magno, la colomba d’Archita, Platone, magna Grecia, piccione viaggiatore, il vuolo della colomba, Gellio, Notte romane. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Taranto” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tari: la ragione conversazionale e l’origine del linguaggio, o la questione spuria favorita da Grice  – filosofia italiana – Luigi Speranza (Villa Santa Maria Capua Vetere). Filosofo italiano. Di famiglia originaria di Terelle, nel Frusinate, nasce in palazzo Mazzocchi, anch'essa rientrante in Terra di Lavoro, da un impiegato che si trova lì di passaggio. Il palazzo natìo ove aveva schiuso gl’occhi anche l'archeologo Mazzocchi. Studia a Montecassino, dove conosce SPAVENTA (si veda). Si trasfere a Napoli dove si laurea. Ben presto però all'avvocatura prefere la filosofia, unendosi all'amico SPAVENTA, a CUSANO, a SANCTIS, e ad altri filosofi liberali e collaborando a vari giornali letterari partenopei. Entra per concorso nella Regia Napoli, divenendo cattedratico di estetica, nello stesso periodo in cui vi insegnano anche SANCTIS, SETTEMBRINI, SPAVENTA, E BOVIO. Si dedica a vari rami della filosofia e delle scienze del linguaggio per Detken, saggi di Brothier, Moindron  e Noel. Il suo sistema estetico, variamente criticato, in particolare per la scarsa originalità, si caratterizza per una vivacità espressiva, con ricche e talvolta variopinte esemplificazioni, che peraltro ne resero celebri e molto frequentate le lezioni. CROCE define T. il lieto giullare della filosofia. T. non ha mai nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagl’amici sia dagl’avversari, che prende a braccetto, e li mena a spasso con sé, DIVERTENDOSI A CONTRA-DIRLI -- e a sentirsi contradetto. Quasi ad avallare la definizione sopra riportata,  ha anche a rilevare che la sua bizzarra genialità gli fa trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più disparati e più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo solenne con l'aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura e stravagante miscuglio di elementi geniali. Filosofo di professione ed uomo di dottrina enciclopedica, nonostante tutta la sua perizia filosofica, la sua sterminata dottrina e il suo molto acume, e soprattutto un bizzarro artista. La sua concezione metafisica non gli concede una trattazione veramente logica dei problemi. Ma la sua personalità, vibrante di commozione innanzi alle opere dell'arte, riboccante di entusiasmo, dotata di bontà e di nobiltà di sentire, gl’ispira una filosofia che e di una specie assai rara in Italia. L'essenza giocosa si mischia, confondendosi, con un'acuta critica, che si rivolge a tutti i campi in cui l'estetica si sostanzia e, in particolare, ad una delle arti al quale e più attratto, come la musica, il melodramma, o la logica formale proposizionale del Portico. Tra il serio e il faceto, infatti, pubblica un saggio su Serietà e ludo, Regia Università, Napoli, e compone un saggio musicale, con tanto di note, dal titolo in tal senso emblematico di “Lezioni di estetica generale”. Questo indirizzo lo porta ad occuparsi anche sulla celebre pastorale di Beethoven. Altre saggi: Estetica ideale, Fibreno, Napoli, Ente spirito e reale: confessioni filosofiche, Regia Università, Napoli, Melodramma, dramma, Regia Università, Napoli, Critica, Vecchi, Trani, Estetica e metafisica, Laterza, Bari, Estetica esistenziale, Morano, Napoli, L'estetica reale, Prometheus, Milano, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni, Forni, Bologna, Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere; Licatese, Storia e monumenti di Santa Maria Capua Vetere, Stampa Sud, Curti, Storia popolare della filosofia, Detken, Napoli, Origine del linguaggio, Detken, Napoli, Il contratto, Detken, Napoli; Croce, La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici, Laterza, Bari, Lezioni d’estetica generale, Tocco, Napoli, La sinfonia pastorale, Regia Università, Napoli, Leotta, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli, Solitario, La Critica di CROCE. Contributo per un recupero, Prometheus, Milano; Solitario, Cultura filosofica, Prometheus, Milano; Treccani Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Archivi di Teatro Napoli. Antonio Tari. Tari. Keywords: ‘origine del linguaggio.” Refs. Luigi Speranza, “Grice e Tari” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tartarotti: la ragione conversazionale della differenza delle voci nella lingua italiana e la sua rilevanza filosofica, o dell’ omicidio rituale  -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Rovereto). Filosofo italiano. Divenne famoso per aver contrastato i processi contro i streghi e per aver osteggiato la devozione per il vescovo del XII secolo Adelpreto, mettendone in discussione santità e martirio. Impersona la figura del filosofo che non si lascia limitare dal luogo nel quale nasce, cioè nel Trentino, lontano dai grandi centri culturali del tempo. Sa anzi sfruttare le opportunità e le peculiarità di Rovereto, al confine tra mondo tedesco e italiano, in un periodo storico nel quale rifiorirono i commerci e i rapporti economici, grazie al suo trovarsi su una delle principali vie di comunicazione in Europa. Suo merito è la capacità di saper tessere legami con filosofi italiani che risiedevano a Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna, Innsbruck. Utrecht e Parigi.  Studia nell'imperial regio ginnasio. Si interessa di filosofia, che segue a Padova. Si interessò personalmente per far insediare nella Città della Quercia la stamperia di Berno e fonda l'Accademia dei dodonei. A Verona conosce Maffei e altri filosofi, poi ad Innsbruck, dove lavora di precettore. Si trasfere a Roma, come segretario di Passionei.  Durante le sue permanenze roveretane, vive nella stessa casa dove abita Vannetti e dove questi iniziarono a tenere un vivace SALOTTO FILOSOFICO che porta, probabilmente su ispirazione dello stesso T., alla nascita all’altra accademia, degl’agiati. Il soggiorno romano è breve, per passionati contrasti con PASSIONEI, quindi fa ritorno a Rovereto. Si trasfere a Venezia, come collaboratore di Foscarini. Ha discussioni anche con Foscarini e torna ancora una volta a Rovereto. T. si dimostra poco propenso ad accettare l'aiuto di mecenati che lo avrebbero limitato nella sua libertà e approfittò dell’occasioni che gli venivano offerte lontano da Rovereto per consultare biblioteche o incontrare filosofi. Tartarotti si dedica agli studi filosofici interessandosi per approfondire tematiche della scolastica. Infatti, scrive saggi critici nei confronti di questa. Collabora con Calogerà per la sua Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, e venne in polemica con Trento dimostrando, in una sua pubblicazione, che la città tridentina divenne sede episcopale solo nel IV secolo e non al tempo dei primi apostoli.  Pubblica “Congresso notturno delle lammie”, il suo saggio più noto, nel quale dichiara inesistente la stregoneria come la si vuole descrivere al suo tempo, e questo sulla base della FILOSOFIA. Pubblica nei “Rerum Italicarum scriptores” le sue conclusioni relative alla cronaca di Dandolo e correggendone le fonti nelle sue basi documentarie. Continua nelle indagini storiche e dimostra che era sbagliata la venerazione dei trentini per Adelpreto. La sua tesi è spiegata nella Lettera contro la santità (se non il martirio) d’Alberto. Un’altro saggio, sempre legato a questo tema sono le Notizie istorico-critiche intorno a Adalpreto.” Questo saggio venne messo al rogo su disposizione del principe d’Enno. Sempre amante della piu oscura filosofi, quando non gli fu possibile viaggiare per acquistare trattati personalmente si affida a contatti che col tempo divennero per lui preziosi per procurarseli. A Verona poté contare su Ottolini, a Brescia su Mazzucchelli, a Modena su Muratori, a Venezia su Carli. A Rovereto è molto vicino a Vannetti, degl’agiati, e anche da lui ebbe aiuti per procurasi i testi dei quali aveva bisogno per i suoi studi. A Vannetti è legato anche per altri motivi, essendo precettore del fratello di lei. Si procura libri anche grazie a donazioni, eredità e prestiti. Vannetti e Saibante si spesero dell’acquisizione culturale per Rovereto avesse successo, e l'atto di compravendita venne registrato. T. è molto attivo a Rovereto e si spese per portare una maggior apertura culturale in città facilitando l'arrivo di un tipografo, fondando l'accademia dei Dodonei, svolgendo il ruolo di precettore per due dei fondatori dell'Accademia Roveretana degli Agiati, ma non divenne mai un socio di quella istituzione.  Le ragioni del suo rifiuto di far parte di quell'accademia, che pure risponde a molte delle esigenze che sente anche sue, sono diverse. La principale è la forte inimicizia con Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere veronese entra tra i primi come socio aggregato dell'associazione. Questo fa sì che non partecipa alle riunioni del nascente sodalizio culturale roveretano. Altri saggi: “Ragionamento intorno alla poesia lirica Toscana”; “Delle disfide letterarie, o sia pubbliche difese di conclusion”; “De auctoribus ab Andrea Dandulo laudatis in Chronico Veneto”; “Apologia del Congresso notturno delle Lammie”; “Memorie antiche di Rovereto e dei luoghi circonvicini”, “Apologia delle Memorie antiche di Rovereto”; “Lettera seconda di un giornalista d'Italia ad un giornalista oltra-montano sopra il libro intitolato: Notizie istorico-critiche intorno al b. m. Adalpreto Vescovo di Trento, Alcuni saggi sono pubblicati nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici: “Relazione d'un manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni Diacono veronese”; “Dissertazione intorno all'arte critica”; “Lettera al sig. N. N. intorno alla sua tragedia intitolata ‘il Costantino’; LETTERA INTORNO ALLA DIFFERENZA DELLE VOCI NELLA LINGUA ITALIANA; “Osservazioni sopra la Sofonisba del Trissino con prefazione di Vannetti, La conclusione dei frati francescani riformati; Annotazioni al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole d'Aonio Paleario. Annotazioni  Ipotesi avanzata da Baldi, Direttore della Biblioteca civica T. e membro dell'Accademia Roveretana degli Agiati. Baldi. Farina,  Mostra T., Mostra T., Muratori, “Rerum Italicarum scriptores”. Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, Tartarotti, (check). Trinco, Mostra T., Sito Biblioteca Civica T., su biblioteca civica. Rovereto  Comune di Rovereto. Baldi, La Biblioteca civica T. di Rovereto: contributo per una storia” (Calliano,Trento); Manfrini, La letteratura italiana, Milano-Napoli, Ricciardi, Franchini, Adversum malleum maleficarum, biografia del filosofo pre-illuminista roveretano” (Rovereto, Stella); Cusumano, “Ebrei e accusa di omicidio rituale --. Il carteggio tra T. e Bonelli” (Milano, Unicopli); Farina, “Gl’Agiati” (Brescia, Morcelliana),  Filosi, La Biblioteca di T.: filosofo roveretano: Rovereto, Palazzo Alberti, Rovereto, Provincia autonoma, Servizio beni librari e archivistici, Comune di Rovereto, Biblioteca civica T., Trinco, San Marco in Rovereto: la chiesa arcipretale tra storia, arte e devozione, Mori, La grafica, Gl’agiati roveretani, Biblioteca civica T. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Girolamo Tartarotti. Tartarotti. Keywords: accusa di omicidio rituale, la differenza delle voci nella lingua italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tartarotti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tataranni: la ragione conversazionale del gusto per l’antico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Lucano di origine, esponente dell'illuminismo napoletano. Non sappiamo a quale ceto appartenesse la sua famiglia, ma sicuramente essa è fornita dei mezzi economici. Non a caso, quando è battezzato nella chiesa cattedrale di Matera, i suoi genitori scelsero come padrino il nobile Ferraù. Sin da ragazzo matura quella che è la sua vocazione, tanto che divenne prima allievo del seminario diocesano. Sebbene ha una posizione di un certo rilievo sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, non mostra alcun tentennamento nell'accettare l'invito del principe di Francavilla, che lo vuole a Napoli per affidargli la direzione della sua paggeria. Grazie a questo incarico, accrebbe ancor di più la stima di cui già gode, stringendo rapporti amichevoli con i filosofi più illustri ed autorevoli del tempo, incardinate nella reale accademia delle scienze e belle lettere. Ha la possibilità di frequentare proprio tali stimolanti dibattiti, che del resto avrebbero formato l'humus delle sue future riflessioni, in qualità prima di direttore della paggeria, poi della scuola militare del real collegio militare -- ufficialmente reale accademia militare -- fortemente voluta da Ferdinando IV, che mostra di aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni militari del suo regno. Ha l'onore di esserne il direttore, partecipando vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e moltiplicarsi dell'alveo della cultura politica riformatrice, che ancora auspica un reale cambiamento all'interno dello stesso apparato monarchico. Così, nell'arco di un settennio, pubblica dei saggi molto significativi, in cui è evidente il suo tracciato ideale di società. Tuttavia, in seguito agl’avvenimenti, quindi dopo il concordato e dopo la fallita congiura di Lauberg, le sue posizioni rispetto alla politica e allo stato cambiano tangenzialmente. Con questa disillusione coincide il silenzio del filosofo materano, che in quegl’anni si limita, a quanto noto, a proseguire i suoi studi come direttore ed al giardino. La delusione, si può ipotizzare, lo spinge a tacere fino alla proclamazione della repubblica, quando dichiara sicuro dell'importanza dell'istruzione del popolo e del nuovo cittadino, elabora il catechismo nazionale pe'l cittadino, nel quale incoraggia il popolo a difendere i principi della rivoluzione a vantaggio dell'umanità intera. Il catechismo vince il primo premio indetto dal governo e venne adottato come catechismo ufficiale della repubblica ed ha il compito di educare i SUDDITI – I SUDDITI DI ROMOLO -- a divenire CITTADINI – BRUTO E SUOI CO-CITTADINI. Alla caduta della repubblica riusce a porsi in salvo, rifugiandosi a Matera, nei cui tribunali, in tale periodo, venneno esaminate le posizioni di ben rei di stato lucani, dei quali sono condanati all'esportazione e VII a morte. Comunque, a Matera puo contare su solide relazioni interne al locale capitolo cattedrale. Più volte tiene a sottolineare l'importanza della triade divino-ragione-sentimento, in una sorta di compromesso tra illuminismo, sensismo e religione.  Inoltre, caratteristica della sua filosofia è una forte connotazione politica, mirando alla figura del sovrano quale principale esempio per i SUDDITI, capace di governare un regno che si fonda su solidi valori, legati all'importanza della famiglia, della civiltà contadina e della piccola proprietà terriera, quest'ultima ottenuta con un giusto ed onesto lavoro. È da evidenziare come il T. professa idee di una peculiare modernità, al punto da convincersi che il passaggio verso una nuova stagione dell'umanità avvenne attraverso la costituzione di una dieta universale. T. sostene, infatti, che, ad ogni rappresentante dell’organismo, esse ha espresso i giusti diritti del re (mon-arca) al fine di raggiungere la felicità COMUNE e la PUBBLICA sicurezza, ponendosi, negl’ordini e nelle attività sociali, sull'unica distinzione del merito. Notevole importanza e, poi, assegnata al ruolo dell'educazione e dell'istruzione, poiché afferma l'importanza dello studio delle litterae humaniores -- unico mezzo per riscoprire i principali temi della filosofia antica ed attualizzarli. Inoltre, T. si fa anche sostenitore dell'istruzione in geometria pura e, ancora una volta, suggere di avviare gl’alunni sin dall'età più tenera al processo educativo, seguendo le direttive di Pitagora. Il filosofo-riformatore auspica tutto questo in un contesto socio-economico che riserva particolare attenzione all'attività agraria (agrimensura) e ad una pratica religiosa semplice “pura, e brieve.” Dunque, predica il ritorno alla religione delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gl’individui, in modo che gli’uomini si rassomiglino in qualche modo all'ente supremo d'infinità bonta. Pertanto, afferma che i filosofi dovessero essere esenti dalle pubbliche cariche e che come gl’altri uomini dovessero essere soggetti alla giurisdizione dei giudici laici nelle loro cause civili. Il primo, monumentale, saggio è il Saggio d'un filosofo politico amico dell'uomo (Napoli). Con la composizione di questo saggio, T. si propone di delineare il suo tracciato ideale di società, confidando nella figura del sovrano. Infatti, già il titolo dell'opera risulta molto significativo, in quanto T. si presenta come un filosofo con atteggiamento “filantropico” nei confronti di Ferdinando IV, al fine di mostrargli la retta direzione per guidare un giusto governo ed attuare delle riforme interne allo stesso apparato monarchico, favorevoli alle idee democratiche.  La fiducia che ripone nei riguardi del monarca vienne ancora espressa nel “Ragionamento sul carattere religioso di Carlo III umiliato a Ferdinando IV re delle Due Sicilie” (Napoli). Si tratta di un panegirico riferito al *padre* del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno precedente, vienne proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso, egli si rivolge ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV nel “Ragionamento sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio umiliata alla maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie” (Napoli). Nella “Brieve memoria sull'educazione nazionale dei nobili guerrieri,” T. affronta il tema, a lui caro come direttore di istituti di formazione, dell'educazione dei militari. T. adere alla repubblica, ma, convinto dell'importanza che rivestiva la formazione del popolo e del nuovo cittadino, decide di redattare e pubblicare questo catechismo nazionale pe'l cittadino. Archivio Diocesano di Matera, Cattedrale, Battesimi Lerra. Catechismo nazionale pe’l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico. Lerra XVII.  Chiosi, Lo spirito del secolo. Politica e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo (Napoli, Giannini); Bruno, "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della repubblica partenopea -- "Studi Meridionali", Cronache di una rivoluzione: Napoli (Angeli, Milano); Lerra, L'albero e la croce: istituzioni e ceta dirigente nella Basilicata, Napoli, ESI, Bruno, Il catechismo nazionale pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana), in Scritti in onore di Trifone, Storia Meridionale,  II, Sapri, Ed. del Centro Librario, Bruno, "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea, in Studi Meridionali,  Guerci, Istruire alle verità repubblicane. La letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione” (Bologna, il Mulino); Caserta, Teologo della rivoluzione napoletana, Napoli, Vivarium, Capobianco, La pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica napoletana (Napoli, Liguori), Lerra, Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico, Manduria-Roma-Bari, Lacaita, Andria, T.: un riformatore napoletano in limine, in Sguardi sul mezzogiorno, Quaderni eretici -- studi sul dissenso politico, religioso e letterario, Illuminismo in Italia Repubblica Napoletana. Storia della Basilicata  Un'analisi dei concetti politici nel catechismo, su nuovo monitore napoletano. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale. Onofrio Tataranni. Tataranni. Keywords: filosofo principe, i sudditi e i cittadini, il popolo sovrano – sovrano e monarca, filantropia del re.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tataranni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tatiano: la ragione conversazionale -- ogni filosofo è arrogante – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He founds a sect in Rome which he calls The Encratites’ – the self-controlled ones. Ippolito claims they are more followers of the Cinargo than anything else. T. famously accuses all philosphers of arrogance – “including himself,” as IRENEO di LIONS noted in his review of the tract.

 

Grice e Taumasio: la ragione conversazionale della dialettica come anti-romana – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A pupil of Plotino and Porfirio at Rome. He finds their style of teaching – through questions and answers – to be very ‘silly,’ and ‘uncongenial to a proper Roman,’ preferring instead the old ‘formal lecture’ of his ancestors. “And right he was, too!” – H. P. Grice.

 

Grice e Teage: la ragione conversazionale degl’ottimati di Crotona  – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotona). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean, who seeks to introduce more democratic institutions into Crotone. STOBEO (si veda) preserves fragments of a little treatise T. writes on this – “On Virtue – possibly by a later philosopher, though. The treatise is not well known, and as a result of this ignorance, the sect is destroyed without a trace, by the real democrats, who think that the sect was pro-aristocratic, only!

 

Grice e Teagene: la ragione naturale del naturale, del tras-naturale,  e del sopra-naturale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. T. argues that a myth or a legend – such as a she-wolf having nurtured the founder of Rome, and his twin brother – should be interpreted *allegorically* or analogically. T. also claims that what people regard as an act of a god (say, Romolo, once divinised, or when the statue of the she-wolf is struck by a lightning – is only a natural (fisico), not trans-natural (meta-fisico) o super-natural (iper-fisico) phenomenon. Cf. Psicologia, para-psicologia.

 

Grice e Teagene: la ragione conversazionale del cinargo di Roma -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Cinargo. T. gives his seminars in the foro di Traiano. He dies, unfortunately, when he consults Attalo about a problem he is experiencing with his the liver, and for which Attalo gives him the totally wrong treatment and medication – hemlock, mixed with beans -- causing the philosopher’s death.

 

Grice e Teanor: la ragione conversazionale del filosofo come dramatis persona -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean, he appears as a character in some of the dialogues by Plutarco.

 

Grice e Tearida: la ragione conversazionale -- il principio conversazaionale è uno – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. T. composes an essay entitled, “Della natura” – where he argues that everything comes from one single first principle. Cited by Clemente of Alexandria. He may have attended the sect at Crotone. “Or not.” – Grice.

 

Grice e Telecle: la ragione conversazionale della diaspora di Crotona -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.

 

Grice e Telesio: la ragione conversazionale del filosofo sperimentale -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Cosenza). Filosofo italiano. Mentre le sue teorie naturali sono state successivamente smentite, la sua enfasi sull'osservazione fa il primo dei moderni che alla fine hanno sviluppato il metodo scientifico. Nato da genitori nobili, è istruito a Milano dallo zio, lui stesso uno studioso e poeta di eminenza, e poi a Roma e Padova. I suoi studi hanno incluso tutta la vasta gamma di argomenti, classici, scienza e FILOSOFIA, che costitusceno il curriculum degli rinascimentali sapienti. Così equipaggiata, inizia il suo attacco sul LIZIO medievale che poi fiorisce a Padova e Bologna. Fonda l’Accademia cosentina. Per un certo periodo vive nella casa del duca di Nocera. Il suo grande saggio è “Sulla natura delle cose secondo i loro propri principi,” seguito da un gran numero di saggi di importanza sussidiaria. L’opinioni eterodosse che mantenne suscitano l'ira di Roma per conto del suo amato LIZIO. Tutti i suoi saggi sono stati immessi sul “Index.” Invece di postulare materia e FORMA, T. basa l'esistenza sulla materia e FORZA. Questa forza ha due elementi opposti. Il primo elemento è il calore, che espande la materia. Il secondo è il freddo, che la contrae. Questi due processi rappresentano tutte le tipi di esistenza, mentre la MASSA su cui opera la FORZA rimane la stessa. L'armonia del tutto consiste nel fatto che ogni cosa separata sviluppa in sé e per sé conformemente alla sua natura e allo stesso tempo la sua MOSSA avvantaggia il resto. I difetti di questa teoria, che solo i sensi possono non comprendere materia o MASSA stessa. Non è chiaro come la molteplicità dei fenomeni puo derivare da queste due forze. Pensato, non è meno convincente di Aristotele caldo/freddo, secca spiegazione/umido, e che addotta alcuna prova per dimostrare l'esistenza di queste due forze, sono stati sottolineato a suo tempo. Inoltre, la sua teoria della terra fredda a riposo e il sole caldo in moto  è destinato a confutazione per mano di Copernico. Allo stesso tempo, la teoria è sufficientemente coerente per fare una grande impressione sulla filosofia italiana. Va ricordato, però, che la sua obliterazione di una distinzione tra la fisica super-lunare e la fisica sub-lunare certamente abbastanza preveggente anche se non riconosciuto dai suoi successori come particolarmente degno di nota. Quando T. continua a spiegare la relazione tra mente o anima e materia, e ancora più eterodosso. Le forze materiali sono, per ipotesi, in grado di sentire. Questione deve anche essere stato fin dal primo essere vivo dotato di coscienza. Per la coscienza, o anima, esiste, e non avrebbe potuto essere sviluppato dal nulla. Questo porta T. a una forma di ilo-zoismo. Anche in questo caso, l'anima è influenzata dalle condizioni materiali o della massa e la forza. Di conseguenza, l'anima deve avere un esistenza materiale. Inoltre, T. dichiara che tutta la conoscenza è sensazione ("non-ratione sensu sed") e che l'intelligenza è, quindi, un agglomerato di dati isolati, in sensi. Non lo fa, però, riesce a spiegare come solo i sensi possono percepire la differenza e identità. Alla fine del schema di T., probabilmente in ossequio ai pregiudizi teologici, aggiunta un elemento che e completamente estraneo, vale a dire, un impulso più alto, un'anima sovrapposta dal divino, in virtù della quale ci sforziamo di là del mondo sensibile. Questa anima divina non è affatto un concetto completamente nuovo, se visto nel contesto della teoria percettiva d’Averroe e Aquino.  L’intero sistema di T. mostra lacune nella sua tesi, e l'ignoranza dei fatti. Allo stesso tempo, T. è un precursore di tutte le successive scuole dell'empirismo e segna chiaramente il periodo di transizione da autorità e la ragione di SPERIMENTARE e individuale responsabilità. Nel ricorso ai dati sensoriali, T. è il capo del grande movimento italiano del sud, che protesta  contro l'autorità accettata della ragione astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi scientifici di CAMPANELLA (si veda) e BRUNO (si veda), e di Bacon e Descartes, con i loro risultati ampiamente divergenti. T. quindi, abbandona la sfera puramente intellettuale e ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi, dai quali ha ricoperto che tutta la vera conoscenza viene veramente. La sua teoria della percezione sensoriale è essenzialmente una ri-elaborazione della teoria di Aristotele dal De anima). Nota all'inizio del proemio del primo libro della terza edizione del De Rerum Natura Iuxta propria principia Libri Ix che la costruzione del mondo e la grandezza dei corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da ricercare non dalla ragione, come è stato fatto dagl’antichi, ma è da intendersi per mezzo di osservazione. Mundi constructionem, corporumque in eo contentorum magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum est, inquirendam, sed sensu percipiendam. Questa affermazione, che si trova sulla prima pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente considerato la filosofia di T., e spesso sembra che molti non leggere oltre per nella pagina successiva si imposta il suo caldo teoria/freddo della materia o massa informata, una teoria che non è chiaramente informata dall’osservazione. L’osservazione (sensu percipiendam) è un processo dell’anima molto più grande di una semplice registrazione dei dati. L’osservazione comprende anche l’analogia. Anche se Bacon è generalmente accreditato con la codificazione di un induttivo metodo che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura primaria per l'acquisizione di conoscenze, non è certamente il primo a suggerire che la percezione sensoriale è la fonte primaria della conoscenza. Tra i filosofi naturali del Rinascimento, questo onore è generalmente conferito a T.. Bacone si riconosce T. come il primo dei moderni. De Telesio autem bene sentimus, atque eum ut amantem veritatis, e scientiis utilem, e non nullorum Placitorum emendatorem et novorum hominum primum agnoscimus. – Bacone, “De principiis atque originibus.” Per mettere l'osservazione di sopra di tutti gl’altri metodi di acquisizione delle conoscenze sul mondo naturale. Questa frase spesso citata da Bacon, però, è fuorviante, perché semplifica eccessivamente e travisa l'opinione di Bacone di T.. La maggior parte del saggio di Bacon è un attacco a T. e questa frase, invariabilmente fuori contesto, facilita un malinteso generale della filosofia naturale di T. dando ad essa un timbro baconiana di approvazione, che era lontano dalle intenzioni originali di Bacon. Bacone vede in T. un alleato nella lotta contro l'antica autorità. Ma Bacone ha poco positivo da dire su specifiche teorie di T. della mossa della massa per la forza. Ciò che forse colpisce di più De Rerum Natura è il tentativo di T. di meccanizzare il più possibile. Si sforza di spiegare tutto chiaramente in termini di materia informati – la mossa della massa colla forza -- dalla calda e fredda e per mantenere i suoi argomenti il più semplice possibile. Quando i suoi colloqui si rivolgono agl’esseri umani, introduce un istinto di auto-conservazione per spiegare le loro motivazioni. E quando discute l’anima e mente umana e la sua capacità di ragionare in astratto su argomenti immateriali e divine, aggiunge un’anima divina. Per senza anima, tutto il pensiero, dal suo ragionamento, sarebbe limitato alle cose materiali. Ciò renderebbe il divino impensabile e chiaramente questo non è il caso, per l'osservazione dimostra che la gente pensa del divino. “De rerum natura iuxta propia principii libri IX” (Horatium Saluianum, Napoli). Altre saggi: “De Somno”;  “De la quae in aere fiunt de mari de cometis et circulo lactea respirationis. De USU. Gl’appunti Riferimenti. Deusen, Telesio: primo dei moderni. De La sua, Quae in aere Sunt, et de Terrae motibus piena.    GIOVANNI GENTILE   Fé-UL-io9    BERNARDINO TELESIO   CON APPENDICE BIBLIOGRAFICA     BARI   GIUS. LATERZA & FIGLI   TlPOGRAI'I-EDITORl-LIBRAl    191 i      PROPRIETÀ LETTERARIA    LUGLIO  MCMXI — 28189       AVVERTENZA    Questa commemorazione, scritta per imito  del Comitato per le onoranze a Bernardino  Telesio nella ricorrenza del quarto centenario  della sua nascita, e letta, tranne poche pagine,  tiel Teatro Comunale di Cosenza il 26 aprile  di quest'anno, 71011 poteva e non vuol essere  una monografia sul Telesio; ma soltanto una  caratteristica della sua personalità e della sua  filosofia guardata nel processo generale del  pensiero speculativo. Ciò spiega perche essa si  estenda un po ' largamente sulla storia degli  antecedenti.   Aggiungendovi, per questa stampa, oltre le  note necessarie, una bibliografia, 1 nè sembralo  opportuno riprodurre in essa dalle vecchie edi¬  zioni raiùssime degli scritti telesiani dediche  e proemii, che sono documenti biografici e  storici notevolissimi, poiché m'è accaduto di  vederli non di rado citati di seconda mano  pur dagli studiosi più diligenti, ai quali non  era riuscito di averli sott'occhio.    G. G.            BERNARDINO TELESIO            I    Dietro al chiarore del rinascimento, sullo  sfondo dell’orizzonte, s’addensa ancora la  nebbia medievale; e la luce nascente s’im¬  porpora dei riflessi fumiganti di quella neb¬  bia, che il sole alto, splendente nel mezzo  del cielo, spazzerà, quando all’alba della rina¬  scenza sarà successo il gran giorno dell’età  moderna. In quella prima ora le vecchie idee  sono morte; ma, pur morte, rimangono nel  pensiero umano, e l’impediscono e l’oppri¬  mono con la gravezza di ciò che, estraneo  alla vita, attraversa il processo della vita.  Le idee nuove, quelle che sono anche oggi  la sostanza del nostro spirito, si sono an¬  nunziate, anzi affermate con la vivacità im¬  petuosa e fremente, con l’entusiasmo gioioso  della giovinezza, che ha per sè l’avvenire, e  non sente il passato che si lascia alle spalle.  Ma la loro affermazione per noi è piuttosto     IO    BERNARDINO TELESIO    un annunzio: manca lo sviluppo logico, in cui  è la vita vera e concreta delle idee, e manca  l’integrazione, che il lembo della verità in-  travvista raccolga nella coscienza coerente •  del tutto, dove ogni parte ha il suo valore  organico. E lo sviluppo e l’integrazione man¬  cano, perchè il nuovo è commisto e ravvolto  nel vecchio: e si va innanzi, come infatti è  dei giovani, senza sapere distintamente che  cosa si lascia e che cosa si cerca, e quale  è il cammino: portati dall’istinto della vita,  che perverrà più tardi alla netta coscienza   del nuovo in quanto negazione del vecchio.  Perciò tutti i pensatori di questa età hanno  due facce, e ci presentano contraddizioni, che  paiono spiantare i principii stessi del loro  filosofare: e chi guarda a una sola faccia,  non riesce a più rendersi conto dell’altra; e  c’è chi di costoro ne fa gli iniziatori, a di¬  rittura, del pensiero moderno, e chi li re- '  spinge indietro, alla scolastica dei tempi di  mezzo: laddove il loro significato storico è in  questa posizione, che occupano, tra una filo¬  sofia che hanno solo virtualmente superata  e una filosofia che solo del pari virtualmente  essi affermano. Trascurare cotesto residuo  esanime, che resiste nei loro sistemi alle loro        IL MEDIO EVO    II    intuizioni innovatrici, in tutti questi filosofi,  dal Poinponazzi al Bruno e al Campanella,  non è possibile: vien meno tutto il significato  di queste medesime intuizioni, che fanno di  loro i precursori dei più grandi filosofi mo¬  derni; e non si spiegano più atteggiamenti  essenziali, parti vitali del loro pensiero; ma,  sopra tutto, diviene un mistero perchè il  germe di verità, che essi si recano in mano,  rimanga soltanto un germe, di cui la vita  s’arresti appena cominciata.   L’uomo del medio evo si era travagliato  in una contraddizione, che si può dire orga¬  nica, perchè ne dipendeva la vita stessa del  pensiero: contraddizione, i cui termini, se si  vuol considerare il processo generale della  storia ne’ suoi grandi tratti, si possono de¬  signare come la filosofia greca e la fede cri¬  stiana: due termini, che il pensiero tentò tutte  le vie, lungo più di un millennio, di conci¬  liare; ma erano inconciliabili per lui, assolu¬  tamente, sul terreno in cui egli era posto;  perchè, a dirla brevissimamente, la filosofia  sua, che avrebbe dovuto operare la conci¬  liazione, era tuttavia la filosofia greca, e cioè  uno dei due termini stessi antagonisti.     12    BERNARDINO TEI.ESIO    La filosofia greca è il pensiero che si vede  fuori di sè: e si vede perciò o come natura,  nella sua immediatezza sensibile, o come idea,  che non è atto del pensiero che pensa, ma  cosa in cui il pensiero si affisa, e che pre¬  suppone come verità eterna e ragione eterna  di tutte le cose e della sua stessa cognizione  parallela alla vicenda delle cose: in entrambi  i casi, come una realtà che è in se stessa  quella che è, indipendentemente dalla rela¬  zione in cui il pensiero entra con essa quando  la conosce. Visione la più dolorosa che l’anima  umana possa avere del proprio essere nel  mondo: perchè l’anima umana vive di verità,  ossia della fede che sia quel che essa pensa  ed afferma: e in quella visione, che è poi la  visione eterna della prima riflessione, da cui  si dovrà sempre pigliare le mosse, la verità,  quel che è veramente, non è nell’anima umana;  la cui condizione permanente ed essenziale è  raffigurata da quel sensibilissimo amatore  della verità, dell’essere eterno del mondo,  che fu Platone, nel mito di Eros: mito pre¬  gno, nella sua classica serenità, di pathos  che direi cosmico: perchè l’aspirazione fer¬  vente al divino, che è l’Amore di Platone,  e che nella sua forma più alta è la filosofia,         IL MEDIO EVO    13    non è solo lo sforzo supremo in cui si con¬  centra l’anima umana, ma culmina in questa,  e affatica tutto l’universo, tormentato dal de¬  siderio di qualche cosa che è il suo vero  essere, ma è fuori di esso. Mito, che, con  tutto il suo pathos, può essere intanto se¬  reno, perchè l’occhio dell’idealista greco è  attratto e fermato dalla bellezza dell’ideale  lontano, e gli sfugge la miseria infinita del¬  l’amante senza speranza.   In questa visione, quando, per opera prin¬  cipalmente dello stesso Platone, la verità della  natura sensibile e mortale si rifrange nelle  forme ideali, ond’essa si rivela al pensiero  ne’ suoi varii aspetti, e diventa sistema di  idee, tutta la scienza, nel suo proprio as¬  setto, come possesso adeguato della verità,  non apparisce quale il perenne lavoro della  mente e la celebrazione dell’ufficio supremo  del mondo, ma quasi un che di remoto dalla  realtà, o, come si dice, d’ideale, di cui la  cognizione umana è sempre copia imperfetta.  La scienza, di cui la logica deduttiva di Ari¬  stotile descrive mirabilmente il congegno, non  è la scienza nostra, la scienza umana, che si  fa e rifà continuamente nella storia: è la  scienza che ha principi! immediati, che in sè      14    BERNARDINO TELESIO    contengono sistematicamente tutti i concetti, I  in cui si snoda lo scibile: è pertanto la scienza  che è tale, in quanto è tutta e perfetta a un  tratto, senza possibilità di svolgimento sto¬  rico. Ossia, la scienza per ottenere la quale ]  tutto questo svolgimento, in cui è pure tutta  la vita e tutto l’essere nostro, non giova: un  ideale, al cui cospetto quel travaglio men¬  tale, che ci par tuttavia la cosa più seria  del mondo, non ha valore di sorta ').   Dentro questa visione si chiude tutta la  filosofia greca, e ogni filosofia che, come  quella del medio evo, accetta la logica, ossia  la maniera d’intendere la verità, di Aristo-  tile. Questa logica si può definire la logica  della trascendenza; o altrimenti, la logica  dell’intellettualismo: per questa logica infatti  la verità, che è termine dello intelletto, è tra¬  scendente, radicalmente superiore all’intel¬  letto stesso; e questo è ridotto a semplice  facoltà passiva, contemplatrice e non autrice:  che è il concetto dell’intelletto nel senso de¬  teriore di questo termine: quasi una mente,  che importa bensì la presenza delle cose da  conoscere, ma non dell’uomo, non dello spirito  che le conosce, e che ha appunto questo di  proprio e di diverso rispetto alle cose: che                  IL MEDIO EVO    15   non è cosa da conoscere, ma l’attività cor¬  relativa, che queste presuppongono nel loro  concetto di « cose da conoscere » : una mente,  insomma, per cui c’è il mondo, ed essa, per  cui il mondo è, non è. Che è come dire:  l’uomo, questo divino artefice di quanto è  bello e santo e vero nel mondo, di quanto  c i umilia e ci esalta, ora facendoci piegar  le ginocchia innanzi alla potenza terribile del  genio, ora sublimandoci nel gaudio di quanto  trascorre immortale i secoli e aduna nel con¬  senso d’uno spirito solo i morti coi vivi; que¬  st’uomo, annichilato. Annichilato, s’intende,  ai proprii occhi, nella coscienza che ha del  suo essere. Di un uomo così, ignaro del pro¬  prio valore, men che atomo disperso nell’in¬  finito, Chiesa ed Impero, accampatisi im¬  mediatamente come rappresentanti di Dio,  possono disporre a loro talento, come cose,  che non sono persone. Manca la coscienza, e  manca perciò l’individuo: non c’è la libertà,  come coscienza della propria legge. La legge,  come la verità, scende dall’alto.   Ma era questo il principio del cristiane¬  simo? Il cristianesimo voleva essere, al con¬  trario, la redenzione, la rivendicazione del  valore dell’uomo; voleva sollevare l’uomo a      i6    BERNARDINO TELESIO    Dio, facendo scendere Dio nell’uomo, e ren¬  dendo questo partecipe della natura divina.  Giacché in Gesù, che è l’uomo stesso nella  sua idealità, o come dev’essere concepito,  Dio stesso era uomo: con tutte le miserie j  umane, soggetto all’estrema delle miserie, la  morte; ed era Dio (quel dio, che redimeva)  in quanto questo uomo, che eroicamente af¬  frontava la morte, otteneva in questa il premio  della missione della sua vita tutta spesa uma¬  namente in un’opera d’amore. Onde l’amore  risorgeva, non più, come nel mito platonico,  contemplazione desiderosa dell’irraggiungi¬  bile, ma attività dell’uomo che crea se stesso  perennemente: e non era più la celebrazione  estatica di un mondo che è, ma la celebra¬  zione operosa, dolorosa insieme e letificante,  di un mondo, che è regno di Dio essendo  la purificazione della smessa volontà umana  nella fiamma della carità. Onde l’uomo non  è più sapere o intelletto; ma amore o vo¬  lontà, cioè creatore esso stesso della sua ve¬  rità, che è il bene: la verità che si scorge, j  insomma, quando la cerchiamo con la buona  volontà, col cuore puro, mettendo tutto l’es¬  sere nostro, sinceramente, ingenuamente nella  ricerca; e che non è più, quindi, un che di       IL MEDIO EVO    17    esterno a noi, che si presenti e s’imponga a  noi passivi, ma è il premio o il risultato del  nostro sforzo. L’uomo non è più spettatore;  ma artefice. Si desta, e sente se stesso; sente  che senza la sua volontà, senza il suo co¬  nato, senza lui, il mondo che ha valore per  lui, la felicità, la vita, Dio, non si raggiunge.  Acquista quindi davvero la coscienza della  sua personalità, e però della sua responsa¬  bilità: poiché vede che da sè dipende tutto;  e, lui caduto, tutto cade; e lui risorto, tutto  risorge. L’uomo trova dunque se stesso nel  cristianesimo.   Se questa intuizione fosse divenuta sen¬  z’altro concetto complessivo ed organico del  mondo, se questo senso nuovo del valore  dello spirito umano avesse rinnovato tutta la  concezione della vita, in cui l’uomo afferma  la sua creatrice potenza, se insomma il con-  . tenuto della nuova fede fosse assurto al vi¬  gore di una nuova filosofia, il cristianesimo  avrebbe segnato fin da principio la morte  dell’intellettualismo. Ma la fede non è ancora  filosofia: è visione immediata della verità non  integrata in sistema di pensiero. E il cri¬  stiano, quando volle pensare il suo Dio,  pensò più a Dio padre che a Dio figlio, e    G. Gentile, Bernardino Te lesto.    2       l8    BERNARDINO TELESIO    s’impigliò nella rete della metafisica aristo  telica che il principio della realtà, come mo¬  tore immobile, che è solo pensiero di se  stesso, e non d’altro, faceva estraneo alla  realtà, e poi s’affaticava invano a colmare  l’abisso tra Dio e la natura; tra la causa del  movimento, che non è movimento, e il mo¬  vimento, che non ha in sè la propria ragione  sufficiente; e quindi tra il principio del di¬  venire, che non diviene, e la natura che in  se non ha la cagione del suo perenne ge¬  nerarsi e corrompersi; e poi tra l’anima e  il corpo; e poi ancora tra l’anima che in¬  tende, ed è lo stesso intendimento in atto,  e 1 anima naturale solo capace di raggiun¬  gere la mera possibilità d’intendere, ma in¬  capace per sè d'intendere mai realmente: e,'  in generale, tra la materia, potenza, e non  più che potenza, di tutto, e la forma, realiz¬  zazione di tutto: come dire, tra l’aspirazione  alla vita e la vita: eterno destino di Tantalo!  Aristotelici o platonici, nominalisti o realisti,  averroisti o tomisti, tutti i cristiani che nel  medio evo si sono sforzati di concepire la  realtà, sono giunti a questo risultato: al de¬  stino di lantalo. Tanto più doloroso, tanto  più inquietante, in quanto era pur contenuto         IL MEDIO EVO    19    nella fede novella, che fiammeggiava a quando  a quando nei mistici, il concetto dell’imma¬  nenza di Dio nel mondo, nell’uomo, nello  spirito. La teologia, tutta la filosofia scola¬  stica, anzi tutta la scienza medievale (che non  è tutta filosofia) si costruisce come scienza di  una verità che si sente, appena il sentimento  si sveglia (basti per tutti ricordare Francesco  d'Assisi e Jacopone, il suo poeta), che si  sente, dico, estranea all’anima, lontana, oc¬  cupante per vano riflesso solo l’intelletto del¬  l'uomo, speculazione umbratile e di scuola,  che non entra nell’ intimo e non afferra e  non impegna e non riforma e non fa l’uomo.  Scienza vana per chi ravvivava in sé il senti¬  mento tutto cristiano del valore spirituale:  scienza elegante nel suo laborioso artifizio,  sottile nella pellegrinità de’ suoi tecnicismi,  delicatissima nei pazienti avvolgimenti dida¬  scalici in cui si dispiega, vasta, universale  come un mondo per quanti vi si dedicavano:  e, messovi dentro, talvolta, un intelletto di  vasto respiro e di tempra ferrea, vi si ag¬  giravano e scendevano per meati lunghis¬  simi, con ricerche, che ora ci spaventano per  la fatica di pensiero e la forza di sacrifizio  che attestano, fino a toccare l’ultimo fondo     20    BERNARDINO TEI.ESIO    delle difficoltà, in cui la filosofia antica urta  e si arresta. E basti per tutti ricordare il no¬  stro Tommaso d’Aquino: i cui sforzi possenti  per scuotersi di dosso la plumbea cappa delle  conseguenze ineluttabili dell’antica filosofia,  riempiono l’animo dello studioso moderno  di commossa ammirazione e di reverenza.  Chi vuole intendere la storia del pensiero  medievale, deve figgere lo sguardo in questo  contrasto delle maggiori forze spirituali che  vi operavano dentro: il misticismo, che, affer¬  mando immediatamente la presenza di Dio,  della verità, di quanto ha valore, nello spi¬  rito umano, nega la scienza, la cognizione  che è sviluppo e sistema, e tutte le forme  a cui lo sviluppo dello spirito dà luogo nella  scienza e nella vita; e la filosofia intellettua*  listica, che, presupponendo una realtà fuori  dello spirito che la ricerca, si affanna in una  costruzione, formalmente ricchissima e so¬  stanzialmente vuota, di quel che non può  essere verità.   O verità senza scienza, senza vita dello  spirito; — o scienza, forma elevatissima di  questa vita, senza verità, vana.     UMANESIMO E RINASCIMENTO    2 1    II   Quando il medio evo è al tramonto, un  uomo di genio raccoglie in una espressione  eloquente il senso di vuoto che l’anima cri¬  stiana provava nella scienza delle scuole: ma  un senso, che non è più schietta conseguenza  di disposizione mistica, la quale, rinunciando  alla scienza, possa trovare il suo appaga¬  mento nell’immediatezza della fede; anzi, un  senso che nasce da un vivo bisogno di sapere,  di pensare, d’intendere. Egli è un dotto, un  grande maestro di dottrina, un amante ap¬  passionato della scienza; ma aspira dal pro¬  fondo a una scienza che riempia l’anima e  appaghi i bisogni che la nuova fede ha creati  dando all'uomo la coscienza della sua inizia¬  tiva, della sua posizione centrale nel mondo:  a una scienza insomma che dia la filosofia  a questa fede. Quest’uomo, che si presenta  sulla soglia del rinascimento con la coscienza  di tale nuovo problema, e che, parlando un  linguaggio pieno di malinconica nostalgia  per un tempo che non è il suo, avvia per  una nuova strada lo spirito umano, svegliando    22    BERNARDINO TELESIO    intorno e innanzi a sè una lunga schiera e*  folta di ricercatori, che indagano con fedel  oscura ma salda una scienza nuova, che noni  essi potranno trovare, è un grande poeta,!  che fu anche un grande scrutatore deH’anima  propria colta e sensibilissima, I'rancesco le  trarca: iniziatore deH’umanesimo 2 ).   L’umanesimo ha un doppio valore storico  negativo e positivo.   È guerra alla scienza del medio evo, —  combattuta bensì con argomenti alquanto  estrinseci e con spirito assolutamente restio  per lo più, a passare attraverso a quelli  scienza per superarla: — combattuta con 1;  satira della forma letteraria, ispida, irsuta  lutulenta, aspra di terminologia creata dal  l’intelletto assottigliantesi nell’astrazione   quello degli studi, e quell’altro, in cui purj  vive come uomo, che ha famiglia e interess  sociali, non è il suo mondo; il letterato in^  somma che non è uomo. Tale il Petrarca, i  cui sdegni contro l’avara Babilonia e il saluto  augurale ed ammonitore allo spirito gentile  sono superfetazioni retoriche della sua poe?  sia. Tale non era stato quell'Alighieri, che  fu a lui sempre incomprensibile, nel poemi  divino, contemplazione e poesia, ma di uno  spirito energico, che guarda al suo tempo,  e s’appassiona per tutte le lotte che gli si  agitano attorno, e fa tuonare da Dio la parola  che può essere la salute di tutti. Letterati     UMANESIMO E RINASCIMENTO    saranno tutti i poeti e filosofi della Italia fio¬  rentissima del rinascimento, che accetteranno  tutti la vita quale la troveranno, poiché la  loro vera vita essi se la faranno dentro, nella  fantasia e nella speculazione, nel mondo creato  da loro. La stessa religione, fissatasi al loro  sguardo nella Chiesa, che non solo associa le  anime, ma le forma e riforma, con l’ammini¬  strazione del divino commessole, con la sua  teologia e con la sua filosofia, diventa per loro  qualche cosa di estrinseco e indifferente, che  ogni cittadino nel suo paese deve accettare  come le leggi dello Stato. Cioè, in realtà, essi  non partecipano alla religione del paese; ma  ne hanno una per conto loro, il loro Dio è la  loro arte, la loro filosofia, alle quali votano tutta  infatti l’anima loro e subordinano ogni altro  interesse, almeno nell’intimo del loro spirito.   Non è, veramente, nè indifferentismo re¬  ligioso, nè tanto meno ateismo. Ma ateismo  pare verso la religiosità ufficiale di cui si  ridono, ancorché esteriormente le professino  ogni riguardo. Quindi i conflitti frequenti e  le prigioni e i roghi, che aspettano i nostri  filosofi del secolo xvi.   Il letterato, a ogni modo, stralciandosi  dalla vita comune, in cui si era consolidata,     26    BERNARDINO TE DESIO    in forma di instituzioni costrittive dell’indi¬  viduo, l'intuizione trascendente e intellettua¬  listica del medio evo, ereditata dalla filosofia  greca, ristaurava, come poteva, la libertà  dello spirito che si fa il suo mondo; e si fa  un mondo di puro pensiero, poiché non gli è  consentito di scrollare, d’un tratto, quell’altro  della comunità sociale; al quale per altro, a  suo tempo, perverrà egualmente quando il  principio suo, il principio della libertà, di¬  verrà nel secolo xvm coscienza di tutti. E  per questa sua ristaurazione, che è perfetta  ed assoluta rispetto al mondo dell’umanista,  egli, il malvisto della Chiesa, il perseguitato  nei libri che saranno proibiti, nell’insegna¬  mento che sarà vietato, nella persona' che  sarà bruciata, egli è più cristiano dei suoi  persecutori: egli è il continuatore dello spi¬  rito vero del cristianesimo. Ha infranta e  buttata via, con l’impeto. • della giovinezza,  la vecchia filosofia, la fida, l’eterna alleata  della chiesa medievale, come della chiesa  di oggi e di ogni chiesa avvenire (poiché un  medio evo bisogna che ci sia sempre); ma  non si è abbandonato, come si faceva una  volta, al misticismo; anzi celebra la potenza  dello spirito; e, poiché una filosofia sua non     UMANESIMO E RINASCIMENTO    27    ce rha (e non era facile averla, dopo il ri¬  fiuto di una filosofia opera millenaria), ei la  ricerca nell’antichità più remota. La ricerca  dove, a dir vero, era vano cercarla; perchè  quell’antichità aveva generato il medio evo;  ma l’umanista non sa questo, e non può cre¬  dere che Platone, Aristotile, quei maestri  solenni di sapienza umana, che gli scrittori  antichi a una voce lodano, possono avere in¬  sertato la dottrina di cui essi vedono la tar¬  diva e sfigurata immagine nelle scuole del  loro tempo. E poiché, in realtà, noi troviamo  solo quello che cerchiamo, gli umanisti, che  imparano il greco, e vanno a leggere nei  testi originali e traducono e commentano, col  sussidio dei più genuini commenti greci,  gli scritti di Platone ed Aristotile, scoprono  un mondo nuovo; un altro Platone e un  altro Aristotile da quelli che erano i maestri  della filosofia del medio evo; non dico di  quella filosofia, ansimante nella logica termi-  nistica degli occamisti, che sul cadere del 300  lacerava le orecchie delicate dei primi uma¬  nisti fiorentini, i quali avviarono pure i lavori  delle nuove traduzioni greche (chè codesta  è la filosofia della decadenza medioevale);  ma di quella che e la vera, la essenziale          28    bernardino telesio    filosofia dell epoca: la filosofia della trascen¬  denza e dell’intellettualismo. E non occorre  dire che, se essi non trovano più i maestri  di questa filosofia, è perchè muovono da una  condizione spirituale affatto nuova, che fa di  questo ritorno all’antico, che avviene nel 400, '  qualcosa di radicalmente diverso non solo  dalla primitiva ellenizzazione del cristiane¬  simo nel periodo alessandrino, ma anche, e  sopra tutto, da quel primo ritorno alle fonti I  greche del sapere, che era già avvenuto nel  secolo xm, nel tempo stesso di San Tom- I  maso.   Marsilio Ticino e Pico della Mirandola, in j  cui culmina la direzione platonizzante, sono j  platonici; ma sono profondamente cristiani; 1  e un aura di mistica religiosità pervade tutto 1  il loro pensiero, che vede e sente Dio per ]  tutto, e sommamente nell’anima umana; e, |  ispirandosi ai neoplatonici anzi che a Pia- J  tone, accentuano più della trascendenza, che ]  non possono negare, l’immanenza del divino I  nella realtà naturale e aspirante a ritornare ]  all Uno da cui trae sua origine: e aprono la 1  via a Leone Ebreo e a Giordano Bruno.   Pietro Pomponazzi, il maggiore aristote- 1  fico, fiorito al principio del 500 dal movimento ]      UMANESIMO E RINASCIMENTO    29    filologico sui testi di Aristotile del secolo  antecedente, scopre un Aristotile, che non è  più quello dei tomisti, nè quello degli aver-  roisti: un Aristotile che, a poco per volta,  secondo apparisce dai varii gradi attraversati  dalla speculazione stessa del Pomponazzi,  finisce col persuadersi che la materia si possa  sollevare da sè fino all’intelligenza, senza il  sussidio dell’intelletto separato; e che l’anima  umana, ultimo risultato così del processo della  natura, possa compiere in questo mondo, con  le sue forze, tutta la sua missione, che è  principalmente il ben fare, la virtù; e che  tutti poi i fatti della natura debbano pel filo¬  sofo spiegarsi meccanicamente, per le loro  cause: un Aristotile, insomma, per cui quel  che rimane di trascendente (e rimane tutto  quello che nell’Aristotile originale e nell’Ari-  stotile medievale, ossia nella scolastica, era  tale) non serve più alla ricostruzione e spie¬  gazione della realtà che sola è per il filo¬  sofo. Sicché la filologia del secolo xv riesce,  ricalcando gli antichi modelli con lo spirito  nuovo dell’umanesimo, a cavarne due intui¬  zioni generali, in cui la filosofia greca riap¬  parisce trasfigurata e come ricreata dal soffio  spirituale del cristianesimo, inteso, come ho      BERNARDINO TEI.ESIO    detto, quale autonomia e valore assoluto  della natura e dell’uomo. La nuova filo¬  sofia infatti dicesi platonica e aristotelica $  ed è cristiana, ancorché mal veduta e con-]  dannata dai rappresentanti ufficiali del cri-^  stianesimo.   Guardatela in Machiavelli, contemporaneo  di Pomponazzi e coerede suo della tradii  zione filologica del secolo xv: chè tutto il  suo realismo politico, quella concezione dello ^  spirito, della storia, dello Stato, tutta fon¬  data sulla visione della realtà effettuale e I  illuminata dalla lezione degli antichi, non è I  come il positivismo guicciardiniano un empi- I  rismo, ma è una vera e propria speculazione I  (Machiavelli è un idealista); la quale dello I  studio degli antichi si giova solo per libe- I  rare l’uomo dalle contingenze storiche, quali I  sono per lei tutte le forme e istituzioni me-j I  dievali sorrette dalla autorità di una tra- I  dizione irrazionale; e studiarlo quindi per I  quel che esso è, nelle sue forze e nelle sue I  reali attinenze col resto del mondo, come il I  vero ed unico autore della sua storia: una J  specie di naturalismo del mondo umano.   Guardate, dico, questa nuova filosofia nel I  Machiavelli. Machiavellismo sarà dopo un I          UMANESIMO E RINASCIMENTO    31    secolo, nel Campanella, sinonimo di « achito-  fellismo », negazione di ogni fede religiosa,  p l’achitofellismo, più o meno apertamente  e coraggiosamente, è la conclusione defini¬  tiva e il succo delle dottrine di tutti i pen¬  satori del 500: anzi, di tutto lo spirito italiano  del secolo: a cui l’interpretazione aristotelica  si ispira e si conforma. Giacché averroisti  e alessandristi, per diverse vie, tendono tutti  alla stessa mèta: che è la spiegazione natu¬  rale di quel che una volta pareva superiore  affatto alla natura; e gli artisti, si chiamino  Ariosto o Folengo, non conoscono altro  inondo, oltre quello naturale ed umano.   Ma negavano perciò Dio? Se Dio è quel  Dio, che, stando fuori della natura e del¬  l’uomo, rende impossibile concepire una na¬  tura divina e un uomo divino, Dio essi lo  negavano, perchè affermavano il valore as¬  soluto della natura e deH’uomo. Ma quel Dio,  che era sceso in terra, e si era fatto uomo,  e aveva redento la natura, era la radice della  religione, che, essi primi, dopo il lungo vano  travaglio medievale, ristauravano nella storia  della umanità.   Essi, infatti, per la prima volta, rivendi¬  cavano in libertà, dal misticismo e dall’ in-      32    BERNARDINO TELESIO    tellettiialismo, che ne sono per opposte ra-,  gioni la oppressione aduggiatrice, il sensi  profondo, proprio del cristianesimo, dellaI  divinità della vita che crea eternamente sj  stessa, dell essere che nella propria logica  ha eternamente la ragione del proprio traJ  formarsi e perpetuarsi trasformandosi.   Quando l’umanesimo venne per tal modo  in chi prima e in chi dopo, alla maturiti  della rinascenza, lo spirito umano potè met¬  tere quasi 1 anelito potente di una nuova;  vita, e di filologia farsi filosofia. Quando il  nuovo Platone e il nuovo Aristotile ridie¬  dero all’uomo la coscienza dell’immanente  suo valore, e l’ebbero allenato alla libertà  dell esser suo, e dell’essere naturale, cui il  suo essere appartiene, lo stesso Platone e  lo stesso Aristotile, (questi sopra tutto, che  era stato il vero signore delle scuole e il  maestro di ogni umana sapienza) dovevano  necessariamente perdere il loro prestigio di  rivelatori privilegiati delle verità naturali.]   L umanista e ancora un platonico o un  aristotelico; cerca la scienza; e non sa nè  anche come deve cercarla; e interroga gli]  antichi, che la tradizione e la fama consacra  nella generale estimazione come i soli filosofi.       UMANESIMO E RINASCIMENTO    33    il fil° s °f° c l e H a rinascenza da questi  ntichi, meglio conosciuti e studiati con lo  spirito nuovo dell’umanesimo, ha appreso  he la natura si spiega con la natura, la  toria con la storia; e che bisogna cercare  quindi nel gran libro della natura e della  realtà effettuale dei fatti umani che cosa è  la natura e che cosa è l’uomo. Gli antichi  maestri rimandavano i nuovi scolari all’os¬  servazione diretta di quel che essi avevano  osservato e inteso come era possibile a loro,  senza nessun sentore della imprescindibile  presenza del soggetto umano nel mondo del¬  l'uomo. La libertà, che gli scolari appresero  da loro, quali essi li videro coi loro occhi  nuovi, la libertà essi la affermarono ben pre¬  sto contro l’autorità dei maestri, che faceva  della verità qualche cosa di dato e di estrin¬  seco alla mente come il Dio nascosto della  teologia, come la realtà dell’intellettualismo.  E però gli umanisti, divenuti filosofi, come  parvero, e in un certo senso furono, atei e  achitofellisti, furono antiaristotelici e, in ge¬  nerale, ribelli all’autorità degli antichi. Tutti  invasi da un fantasma affatto nuovo, non in-  travvisto mai dagli antichi scrittori: quello       34    BERNARDINO TEEESIO    in cui i vecchi pensatori e sacerdoti l’avj  vano posta a sedere, quasi paralitica impoJ  tente: e si sgranchisce, e procede col tempo!  e vive di questo suo cammino pei secoli '  anzi per le menti delle generazioni, che si  succedono, e mai indarno: quasi fiamma che]  passi da una mano all’altra e mai non sii  spenga perchè accenda sempre nuovi incendiiJ  e sempre più vasti.   / eritas jilia temporis! Gli uomini, che peri  lo innanzi avevano concepito la verità cornei  pei se stante e non come il loro lavoro, I  l’avevan sempre collocata dietro a loro', al  principio della loro vita, nel paradiso ter- ]  restie, nell età dell oro, nel vangelo rinnoJ  vatore e iniziatore di un’era nuova già fin  da principio perfetta, o, almeno (la verità acJ  cessibile a mente umana) nell’insegnamento  degli antichi, venuti crescendo perciò sempre ]  più nella venerazione dell’universale e illuni!  nandosi dell’aureola della saggezza, onde agli t  occhi dei fanciulli si ricinge sempre la canizie ,  dei vegliardi. — Sì, è vero, si comincia a dire I  sulla fine del secolo xvi : la sapienza cresci  cogli anni ; ma i vecchi siamo noi, non quelli  che furono prima di noi. — Così dice Bruno; ;  e così ripeteranno Bacone e Cartesio, Pascali    UMANESIMO E RINASCIMENTO    35    Malebranche, e poi con voce sempre più alta  tutti i filosofi moderni 4 ). I quali afferme¬  ranno con coscienza sempre più salda la  ] e  11, 1-5; c. 49 r e 49 v : capp. 11 e  12; c. 50 v a 51 v : cap. 14.   Ma per mostrare con un solo esempio, tratto da un luogo del  De retimi natura contenente alcuni periodi famosi (cfr. anche  in questo voi. p. 40: quei periodi in forma poco diversa erano  nel proemio del 1565, soppresso nell’ed. 1570: cfr. sopra pp. 102-3)  come il Telesio lavorasse dopo il 1570 attorno al testo della sua  opera, giova riferire il cap. 1 del lib. 11 dell’edizione Cacchi con  le correzioni autografe dell'esemplare napoletano e la redazione  corrispondente del 1588, dov’è mantenuta la più importante di  quelle correzioni.   Ecco il cap. dell’ed. Cacchi con le correzioni dell’autore:   Quoniam, quae in superiore Commentario exposita  sunt t alio omnia se habere modo Aristoteli videntur, eius    I    ! 1 2 APPENDICE BIBLIOGRAFICA   omnino de singulis illis sxp/icondqw esse, cxcwiviividfini-  que sententiam.   Quoniam autem non Terra modo e sublunaribus  primum corpus Aristoteli videtur; sed et aqua itidem,  et qui nos ambit aer, et is, qui Coelo subiacet et cum  Coelo circumvolvi videtur; et unumquodque eorum non  ab unica' agente natura, sed a duplici singula illas, de-  bilitatasque, at non eas tamen modo, quae unius sint  corporis, sed omnes simul sibi ipsis commistas, cont-  plicatasque, pene et unum factas inesse; e simplicium  itaque complexu, commistioneque effecta mista Aristo¬  teli dicuntur: et nequaquam a propria Coelum natura,  propriaque calefacere substantia, caloris omnino expers,  nec calorem suscipere ullum aptum, commune sublu¬  naribus habens nihil, penitusque diversa praeditum na¬  tura, sed sublunarem aerem commovens, conterensque:  et nec a propria omnino forma '), propriaque moveri  substantia, sed ab immotìs motoribus; longe omnia a  nostris dissidentia; ipsius explicanda est, excutiendaque  de singulis sententìa: neque enim et aliorum itidem re-  censendae sunt, examinandaeque opiniones, ab ipso  satis reiectae Aristotele, et non penitus etiam notae  nobis. Utinam et cum Peripateticis liceret idem: magno  itaque vacuis labore aliena exponendi reiiciendique, no¬  stra tantum explicanda. esset sententia; at non admissis  modo illorum placitis decretisque, sed ea acceptis fide  ac religione, ut si ex ipsius naturae ore prolata essent:  non igitur rei ullius 1 2 ) amplius natura inspicienda, in-  dagandaque cuipiam videtur, at tantum quid de quaque  Aristoteles senserit, speculandum. Non id ignoscant raor-  tales rogandi, quod videlicet in singulis examinandis    1) et neqnaquam a propria Coelum.., forma, cancellato.   2) itaque rei ti ullius.     SCRITTI DI B. TKLESIO    113    Arislotelis sententiis haereamus '): at quod dissentire  ab ilio audeamus, et non illum numinis instar venere-  mur; qui si illius dicto audiant, aut factum incitentur,  nihil nobis veritatis studio illi adversantibus succenseant :  quin gratias potius habeant, et idem ipsi faciant omnes:  ipse enim Aristoteles veritatem amicis omnibus prae-  honorandam admonet, et veritatis gratia praeceptorem  etiam amicumque incusare nihil vereri videtur. Huius  certe nos amore illecti, et hanc venerantes solam, in  iis, quae ab antiquoribus tradita fuerant acquiescere  impotentes, diu rerum naturam inspeximus: et conspe-  ctam (ni fallimur) tandem aperire illam mortalibus vo-  luimus, nec liberi nec probi liominis officio fungi iudi-  cantes, si generi illam hurnano invidentes, at invidiam  ab hominibus veriti ipsi illam occultemus. Age igitur,  ut clarius illa elucescat, agentia rerum principia inqui-  rentem, et prima constituentem corpora, tum reliqua  ex iis componentem, postremo et Coeli Solisque motu  calorem generantem, et motores immotos, a quibus  Coelum moveatur, indagantem, ea omnino, quae in su¬  periore nobis tractata sunt Commentario, in quibus (ut  dictum est) omnibus summe a nobis dissentit, explican-  tem Aristotelem audiamus, eiusque dieta singula ratio-  nesque examinemus.   Ed ecco che cosa diventerà questo capitolo nella redazione  definitiva del De rer. natura (ed. Spampanato, pp. 179-81), dove  sarà il 1° del libro III.    1) Cancellato questo periodo Non id... haereamus, c corretto: {specu-  landnm) quovis labore nostro, quovis (?) ahorum itidem fastidio, singulae  eius positiones quam diligentissime et saepius eadem interdum esponen¬  do f ex am in a n daeque omnino sunt (?). Nihil si in iis tractandis plus iusto  immoremur mortales nobis ut ignoscant rogandos esse existimantcs...    G. GENTILE, Bernardino Telesio.    8     APPENDICE BIBLIOGRAFICA    114   Repeluntur complura quae superioribus traditi sunt  commenlariis. Ponitur stimma positionum Aristotelìs quae  infra sunt expendendae.   Materia non una ei duplex natura agens, et unus  calor frigusque unum, mundi huius universi principia,  nec quod terrain mareque et stella? inter quodque ipsas  inter stellas locatum est ens, unam idemque et ab una  eademque universum constitutum natura, nec duo tan¬  tum prima esse corpora, nec entia reliqua a coeli so-  lisque natura e terra effecta, quemadmodum nobis, Ari¬  stoteli videntur. Ille enim sublunaria omnia una eadem¬  que e materia; quae supra lunam sunt entia, caelum  stellasque omnes, ex alia constare et quae nihil illi con-  gruat naturarumque quas illa suscipit prorsus incapax  sit; et quod inter lunae orbem terramque et mare est  ens, in duo, in ignem aéremque (ignem enim supre-  mam eius portionem quae lunae orbi subiacet, aerem  vero infimam liane quae terram ambit, appellat), divi-  sam esse affirmat. Et praeter caelum quattuor esse prima  corpora, terram, aquam, aerem, ignem, decernit: mi-  nimeque ad horum constitutionem calorem modo fri¬  gusque sed humiditatem etiam et siccitatem, ut agentes  naturas, et ad illorum singulorum constitutionem nequa-  quam earum unam sed oppositionis utriusque alteram  affert; et duplicem omnino singulis agentem assignat  naturane dictisque e quattuor corporibus, at veluti mu-  tuis vulneribus confectis afflictisque et pugnam pertaesis  tandem et sibi ipsis commixtis, pene et unum factis  omnibus, entia reliqua constituit omnia. Et caelum stel¬  lasque omnes propria natura et quae a calore frigore-  que et ab humiditate siccitateque prorsus diversa sit, do-  nat. Itaque calor qui a sale fit non ab eius natura nec a  propriis eius viribus, sed ab eius fit motu, a quo sic caelo  suppositus ignis et bona aéris pars agitetur, conteratur,     SCRITTI DI B. TELESIO    115    accendatur accensusque ad terram usque detrudatur;  et nequaquam a propria caelum natura propriaque sub¬  stantia sed ab immotis moveri motoribus statuit. Longe  tandem mutuo in omnibus fere dissentimus. Quas ob  res Aristotelis explicanda excutiendaque est de sin-  gulis sententia; nec vero et aliorum etiam opiniones,  satis ab ipso, ut videtur, reiectae et quae, nulli admis-  sae, ab ullius removendae sunt animo. Utinam cum  Peripateticis liceret idem: magno aliena exponendi rei-  ciendique labore vacuis, nostra tantum explicanda esset  sententia. At quoniam non admiserunt modo illorum  placita et decreta, sed ea acceperunt fide et religione  ac si ex ipsius naturae ore prolata essent; itaque rei  nullius amplius natura inspicienda indagandaque cuipiam  videtur. sed tantum quid de quaque Aristoteles senserit  speculandum: utique quovis labore nostro, aliorum etiam  fastidio quovis, singulae illius positiones quam diligen¬  tissime, et saepius eaedem interdum, exponendae exa-  minandaeque sunt. Nihil, si in iis tractandis plus iusto  interdum immoremur, mortales nobis ut ignoscant, sed  quod a summo naturae interprete dissentire audeamus  et non numinis instar illum veneremur, rogandos esse  existimamus: qui, si illius dictum audiant aut factum  imitentur, nihil nobis veritatis studio illi adversantibus  succenseant, quin gratias potius habeant idemque ipsi  faciant omnes. Ipse enim liber in philosophando Ari¬  stoteles veritatem amicis omnibus praehonorandam ad-  monet, et veritatis gratia praeceptorem etiam amicumque  incusare nihil veretur. Huius certe solius nos amore  illecti et hanc venerantes solam, in iis quae ab antiquo-  ribus tradita erant acquiescere impotentes, diu rerum  naturam inspeximus, et conspectam, ni fallimur, tandem  mortalibus aperire voluimus; nec liberi nec probi homi-  nis officio fungi iudicantes, si generi illam humano in-  videntes aut invidiam ab hominibus veriti, ipsi illam    APPENDICE BIBLIOGRAFICA    I 16   occultaremus. Ergo, ut clarius illa eluceat, agentia re-  rum principia inquirentem et prima constituentem cor-  pora, tum reliqua ex iis componentem, postremo et  càeli'solisque motu calorem generantem et motores im-  motos, a quibus caelum moveatur, indagantem, ea de-  nique, in quibus omnibus summe a nobis dissentit,  explicantem Aristotelem audiamus, et singula eius dieta  rationesque examinemus.    3-   Bernardini Telesii Consentini De Ret urn natura \  iuxta propria principia | libri IX | ad illustriss. et Excel-  lenriss. D. Ferdinandum Carrafam Nuceriae Ducem |  Neapoli | Apud Horatium Salvianum | M.D.LXXXVI.   In f. Sul frontespizio è riprodotta la figura femminile dell’ed.  1570. Questa edizione definitiva (di cui il Graesse, vi, ij, p. 47 ri¬  corda copie con la data 1587) è riprodotta nelle due seguenti:    4-   Tractutionum pkilosophicarum tomus unus\ in quo  continentu.r:   I. Philippi Mocenic! Veneti Universaliutn Institutio-  num ad hominum perfectionem, quatcnus industria paruri  potest, contemplationcs quinque ;   II. Andreae Caesat.pini Aretini Quaestionum Peri-  pateticarum, libri v;   III. Ber. Telesii De rerum natura , libri ix.   Genevae, apud Eustach. Vignon, MDLXXXV1I1; in f.   Nè anch'io I10 potuto vedere questa edizione; che il Nicekon  (Mèmoires, xxx, 108-9) dice conforme all’ed. del 1586. Lo Spam¬  panato, pref. alla sua ed. p. xxi, erra dicendo genovese questa  ristampa e credendo relative al De rcr. fiat, le opere del Moce-  nigo e del Cesalpino.    SCRITTI DI B. TELESIO    I i;    5-   Bernardini Thelesii Consentini De rerum natura  iuxta propria principia , Coloniae, Excudebat Petrus  Moulardus, MDCXLVI.   Questa edizione è citata da L. Telesio, in Bernardini Thy-  lesii Operimi catalogus, aggiunto alla sua ristampa dell 'Orazione  del D’Aquino, p. 71.— Il Fiorentino, Pomponazzi, p. 384, cita  una edizione del De rei . natura con la data di « Neapoli 1637»:  che dice appartenuta a Ulisse Aldrovandi ed esistente nella Bibl.  Naz. di Bologna. Se non che, come m’informa l’amico prof. Flores,  questa Biblioteca possiede soltanto l’edizione 1586, e del resto  l'Aldrovandi mori nel 1605. È piuttosto da tener presente il se¬  guente luogo della Orazione 8 del D’Aquino (p. 9): « Onde de’  suoi divini scritti tanta stima ha fatto il mondo, che sono stati  dati più volte in luce, non solamente in Italia, ma in Fiandra(?)  ed in Germania: e sebbene gli Italiani hanno innalzato le sue  opere grandemente, le nazioni straniere si sono ingegnate in ciò  di avanzargli, e gli Alemanni, rimosso il primo titolo del libro,  dove egli per sua modestia ponea solamente il suo nome ed il  suggetto dell’opera, l’hanno ornato grandemente d’un altro nuovo  titolo nel quale si contiene, che quella opera è piena di molta  dottrina, e che è necessaria agli studiosi delle lettere così umane  come divine ».    6 .   Bernardini Telesii | De rerum natura \ a cura  di | Vincenzo Spampanato, | volume primo | A. F.  Formiggini editore in Modena [ 1910 ].   Pp. xxn-332 in-8«. È il 1“ volume dei Filosofi italiani, col¬  lezione promossa dalla Soc. filos. italiana, diretta da Felice Tocco.  Precede una pref. del Tocco e una dello Spampanato. Il (piale  pubblicherà in altri due volumi il resto del Ve r. nat., e forse  un 4“ e un 5» voi. contenenti dei saggi delle edizioni 1565 e 1570  e gli opuscoli. A questo i» voi. ha premesso una riproduzione  del ritratto inciso dal Morghen, pubbl. per la prima volta nella  Biografia degli uomini ili. del Regno di Napoli del Gervasi (1822).    n 8 appendice bibliografica   Riproduco qui appresso la dedica e il proemio, premessi dal  Telesio all’edizione definitiva della sua opera, secondo la stampa  del Salvianl.   a )   Illustrissimo atque exceli.entissimo  domino don Ferdinando Carrafae duci Nuceriae  Bernardinus Telesius consentinus.   Commentarios de rerum natura, quos, ut probe no-  sti, excellentissime Princeps, magnis laboribus diutur-  nisque confeceram vigiliis, edendos tandem visum cum  csset, sub tuis omnino auspiciis emittendos esse duxi-  mus; nani et domi tuae conscripti fuerant, et plurtmis  magnisque beneficiis, quae in me contuleras, debeban-  tur. Et amplius etiam, quod Aristotelis doctrinam (quam  adeo Alexander excoluit veneratusque est, et quae sub  Alexandri patrocinio adeo floruit tantoque habita fuit  in honore) ut sensui et sibi ipsi passim repugnantem  cum damnemus, aliamque et longe ab illa diversam  cum ponamus, non sub regis cuiuspiam auspiciis, qui  imperii amplitudine Alexandro conferri posset, sed sub  herois praesidio emittendos esse duximus, qui nec in-  genio nec iudicio nec animi magnitudine nec virtute  omnino ulla ab Alexandro exsuperaretur, quin qui in  multis illum exsuperaret. Et nostri temporis hominum  unus tu talis, excellentissime Princeps, non nobis modo,  sed sanis hominibus visus es omnibus, ltaque nihil ve¬  nti quod opibus potentiaque ab ilio exsupercris, sub  tuis omnino auspiciis emittendos esse decrevimus. No¬  stra siquidem doctrina quoniam nec sensui nec sibi  ipsi nec sacris etiam litteris repugnat unquam, quin  adeo bis et illi concors est, ut ex utrisque enata vi-  deri possit; quoniam omnino vera est, sese ut ab m-  vidorum calumniis tueatur et, iis reiectis, sese assidue      SCRITTI DI B. TELESIO    119    effundat amplificetque, nullis regum opibus nuliaque  potentia sed tua modo opus habet ope; qui sic animi  bonis, quae dieta sunt, nihil ab Alexandro exsuperaris,  quin in illorum multis tu illum exsuperas. Nam inge¬  nio iudicioque te ilio quam longissime praestantiorem  esse, vel doctrina, quam uterque admittendam decrevit,  manifestai. ,Quam enim ille amplexatus veneratusque  est et summis praemiis summisque dignara existimavit  honoribus, quod dictum est, et sensui et sibi etiam  ipsi, quin et Deo optimo maximo, passim repugnat.  Itaque soli calorem lucemque abnegat: et mundum  nequaquam a Deo optimo maximo constructum, sed  voluti casu quodam enatum ponit; et rerum humana-  rum administrationem cognitionemque Deo demit om-  nem. Et non sensui modo, sed, ut nostris in com-  mentariis apertissime ostensum est, sibi ipsi etiam  passim dissentit adversaturque ; ut existimare liceat  vel in praeceptoris gratiam, nihil eius fundamentis  positionibusque inspectis examinatisque, Alexandro ad-  missam fuisse, vel quam longissime illum abesse, ut  ingenio iudiciove tibi conferri possit. Nam tu doctri-  nam nostram non statim, sed ibi tandem admittendam  perdiscendamque esse duxisti, ubi sensui et sibi ipsi  universa et sacrae etiam scripturae bene concors visa  est. Ut, quod dictum est, ingenio iudicioque multo te  Alexandro praestantiorem esse necessario existiman-  dum sit. Neque enim, si, quali tu, ingenio iudiciove  donatus ille fuisset, et sensui et sibi ipsi et sacris  divinis litteris passim dissentientem Aristotelis doctri-  nam admittendam duxisset unquam. Animi porro ma¬  gnitudine fortitudineque nihil Alexandrum te prae¬  stantiorem fuisse res, a te in Peloponneso gestae,  manifestant: ubi, innumerabilibus Turcarum equitibus  in Christianorum exercitum, turbatum iam trepidan-  temque, irruentibus (qui omnino nisi a te repressi        120    APPENDICE BIBI.IOGRAFICA    reiectique fuissent, magnimi nostris incommodum illaturi  erant), non magno veteranoque cum exercitu, ut Ale¬  xander, sed perpaucis cum peditibus, in fugam iam  coniectis et a te retentis tuaque praesentia et fortitudine  confirmatis, sponte tua te opposuisti; et longe illorum  plurimis interfectis, reliquos in fugam coniecisti peni-  tusque prodigasti. Itaque Christianorum exercitum, sum-  mum iam in periculum adductum et in fugam iam con-  versum confirmasti conservastique : talem omnino te  praestitisti, ut eorum, qui pugnantem te conspexere,  nulli dubium esse posset, quin, si unquam exercitus  ductandi magnaque bella gerendi occasio tibi oblata  foret, bellicam Alexandri gloriam aequaturus et supe-  raturus etiam esses. At pares, quae dictae sunt, vir-  tutes in utroque ut sint, puriores certe in te splendent,  neque enim, quod in ilio passae interdum sunt, ab  immixtis vitiis in te obscuratae sunt unquam. Et ne-  quaquam, ut ille, deos tu colis ab hominibus effictos  multisque obnoxios vitiis; sed Deum venerans, caeli  terr:eque conditorem et qui unigeniti Filii sui morte  humanum genus servari substinuit, sanctissimaque eius  praecepta summa observas cum religione. Minus etiam  generis claritate ab Alexandro exsuperaris, siquidem Car-  raforum ) familia multis iam saeculis plurimorum ma-  gnorumque principum coronis et regio etiam diademate  effulget (nam tuus ille Stephanus Sardiniae regnum re¬  gio cum titulo obtinuit diuque possedit), et plurimorum  magnorumque sacrorum antistitum puniceis pileis et  pontificia etiam corona exornata est: ut ambigere non  liceat, quin generis etiam claritate nihil ab Alexandro  exsupereris. Quoniam igitur, Alexandro collatus, nec  generis claritate nec ullis animi bonis inferior videri    ) Spamp. Carra/arum.     SCRITTI DI B. TF.LESIO    I 2 I    potes; age, commentarios nostros (propterea in primis  tibi dicatos, quod Alexandro si ) quidem fortuna impe-  rioque, non certe et ingenio iudiciove, nec vel magnitu¬  dine vel aliis ullis animi bonis ab ilio J ) exsuperaris, quin  in multis tu illum exsuperas) libens suscipe. Et si Aristo-  telis voluminibus, quae tantis Alexander praemiis tan-  toque digna existimavit honore, niliil deteriores tibi visi  sint; et nostri mores nostrumque ingenium, quod pe-  nitus tibi perspectum sit oportet, nihil me unquam  (cuiusmodi Aristoteles erga Alexandrum fuit) tuorum  erga me beneficiorum immemorem ingratumque futu-  rum suspicari sinent 3 ); non quidem, ut non minoribus  praemiis nos prosequaris, rogamus (quae scilicet a prae-  senti fortuna tua exspectari non possunt et quae nulla  a te expetimus, satis superque a benigni tate tua ditati),  sed ut non minore me prosequaris benevolenza et, quod  hactenus strenue fecisti, Peripatedcorum iniurias calurn-  niasque repellas. Nihil omnino, quam Aristoteles Ale¬  xandro fuit, me tibi minus carum, neque in minore,  quam ab ilio habitus fuit, nos a te in honore haberi  homines intelligant. Hoc vero, ut praestes, percupimus  et summopere te rogamus. Vale, o praesidium et dulce  decus meum.    1) Spamp. Quod si.   2) Spamp. Ab Alexandro.   3) Spamp. Sinant.      I 22    APPENDICE BIBLIOGRAFICA    f>)   Bernardini Telesii Comentini De rerum natura iuxta  propria principia Liber primus:   Prooemium ').   Mandi constructionem corporumque in eo contentoram magnitu-  dinem naturamque 2) non ratione, quod antiquiorihus factum  est, inquirendam, sed sensu percipiendam et ab ipsis liaben-  dam esse rebus. ,   Qui ante nos mundi huius constructionem rerum-  que in eo contentarum naturam 3 ) perscrutati sunt, diu¬  turni quidem vigiliis magnisque illam indagasse 4) labo-  ribus, at nequaquam inspexisse videntur. Quid enim iis  illa innotuisse videri queat 5), quorum sermones omnes  et rebus et sibi etiam ipsis dissentiant adversique sint?  Id vero propterea iis evenisse existimare licet 1 2 3 4 5 6 7 ), quod,  nimis forte sibi ipsis confisi, nequaquam, quod opor-  tebat, res ipsas earumque vires intuiti, eam rebus ma-  gnitudinem ingeniumque et facultates '), quibus donatae  videntur, indidere. Sed veluti, cum Deo de sapientia  contendentes decertantesque, mundi ipsius principia et  caussas 8 ) ratione inquirere ausi, et, quae non invenerant,  inventa ea sibi esse existimantes volentesque, veluti suo  arbitratu mundum effinxere. Itaque corporibus, e quibus    1) Questo Proemio formava il cap. i del lib. i nella ediz. 1570 con  alcune varianti che saranno qui appresso indicate: rultima delle quali  assai notevole.   2) coni etti or uni naturam.   3) rerumqtu naturam.   4) indagasse illatn.   5) videri potest.   6) evenisse videtur.   7) id rebus ingenium easque facultates.   8) causas.     SCRITTI DI B. TELESIO 123   constare is videtur, nec magnitudinera positionemque,  quam sortita apparent, nec dignitatem viresque ‘), quibus  praedita videntur, sed quibus donari oportere propria  ratio dictavit, largiti sunt. Non scilicet eo usque sibi  homines piacere et eo usque animo efferri oportebat,  ut (veluti naturae praeeuntes, et Dei ipsius non sapien-  tiam modo 1 2 3 4 5 ) sed potentiam etiam i) affectantes) ea  ipsi rebus darent, quae rebus inesse intuid non forent  et quae ab ipsis omnino habenda erant rebus. Nos non  adeo nobis confisi, et tardiore ingenio et animo donati  remissiore, et humanae omnino sapientiae amatores cul-  toresque (quae quidem vel ad summum pervenisse vi-  deri debet, si, quae sensus patefecerit et quae e rerum  sensu perceptarum similitudine haberi possunt, inspe-  xerit), mundum ipsutn et singula eius partes, et partium  rerumque in eo contentarum passiones, acriones, opera-  tiones et species intueri proposuimus. IUae enim 4), recte  perspectae, propriam singulae magnitudinem, hae 5 )  verum ingenium viresque et naturam manifestabunt. Ut  si nihil divinum, nihil admiradone dignum, nihil etiam  valde acutum nostris inesse visura fuerit, at nihil ea  tamen vel rebus vel sibi ipsi repugnent unquam; sen-  suin videlicet nos et naturam, aliud praeterea nihil, se-  cud sumus, quae, perpetuo 6 ) sibi ipsi concors, idem  semper et eodem agit modo atque idem semper ope-  ratur. Nec tamen, si quid eorum, quae nobis posita  sunt, sacris litteris catholicaeve ecclesiae non cohaereat,  tenendum id, quin penitus reiciendum, asseveramus    1) ejfmxere et corporibus. e quibus constate is videtur. non ram tua-  gnUudinem eamque dignitatem et vires.   2) modo sapientiam.   3) etiam potentiam.   4) aciiones atque operationes intueri.   5) magnitudinem ac speciem, hae.   6) s unirne.     124    APPENDICE BIBLIOGRAFICA    contendimusque. Nequeenim humana modo ratio quaevis,  sed ipse edam sensus illis posthabendus; et si illis non  congruat, abnegandus omnino et ipse etiam est sensus *).   7-   Bernardini | Telesii | Consentini | De hìs, quae in  Aere fiunt; et de Terrae- \ motibus. Liber (Jnicus | cum  Superiorum facultate. | Neapoli, | Apud Iosephum C'ac-  chium. | Anno MDLXX.   Carte. 14 nuin. nel redo. Sul frontespizio è la solita figura fem¬  minile, eom’è anche nei due opuscoli seguenti.   Precede questa dedica:   Illustrissimo  et Reverendissimo  Tolomeo Gallio Cardinali Comensi  ac Archiepiscopo Sipontino  Bernardinus Telesius S. P. D.   Quoniam plurimis gravissimisque, ut nosti, molestiis  oppresso detentoque, ad te, quod summe quidem sem-  per cupivi, et quo nihil mihi iucundius contingere pos-  set, venire tecumque vivere non licet; nec vero alia  ratione meam erga te observaniiam gratitudinemque ma¬  nifestare; utrumque, quo licet modo, ut efficerem, Com-  mentarium De iis quae in aère fiunt, ad te mittere  statui. Minus certe munus, quam quod tuis erga me  meritis debeo; qui scilicet cum nulla alia in re studium  voluntatemque tuam a me desiderati passus sis, tum  vero studiorum meorum egregius imprimis fautor sem-  per fuisti. Multo etiam minus quam quod virtutes tuae  expostulant, surnma integritas, summaque in omnes cha-  ritas; non illae quidem ad homines alliciendos simulatae,    1 ) Mancano i due ultimi periodi: JVec tamen... est sensus.     SCRITTI DI B. TELESIO    125    a ut segnes unquam, sed verae puraeque, et unius  honesd grada scraper vigiles semperque operantes; et  summa prudentia, rerumque omnium cognido. Emicue-  runt quidem illae, cum sub Pio IIII. Pontif. Max. Chri-  stianam Rempublicam tu imprimis tractares, administra-  resque; et ita eraicuere, ut multo spiendidius emicaturae  viderentur, si tempus unquam nactae forent, in quo  liberius splendere possent. Summam praeterea animi tui  magnitudinem quis non summopere amet summeque ve-  neretur? Qua effectum est, ut nullis bonorum quorumvis  accessionibus quicquam elatus aut immutatus omnino  esses unquam; bona scilicet quaevis, et quae virtus tibi  pararat tua, te minora semper visa sunt, et fuere me-  hercule semper minora; itaque nihil illa te extulere  unquam. Me quidem diu penitusque egregias animi tui  virtutes et mores cum sancdtatis tum vero et iucun-  ditatis plenissimos intuitum tanta illae erga te venera-  done tantoque animi tui amore desiderioque inflamma-  runt, ut nec venerari te satis, nec colere amareque,  et tecum esse satis desiderare posse videar. At multo,  ut dixi, maiora a me meritus, parvo hoc munere, scio,  contentus eris ; Deum Opt. Max. imitatus, qui non quas  non habemus opes, nec opes omnino ullas, sed veram  modo pietatem, esto et modici thuris evaporationem a  nobis poscit. Tum qualecunque id est, perpetuum erit,  spero, tuorum erga me meritorum, et meae erga te  observantiae charitatisque signum. Vale.   8 .   Bernardini | Telesii | Consentini | De color um  generatione | Opusculum. | Cum superiorum facultate |  Neapoli, | Apud Iosephum Cacchium. | Anno MDLXX.   In-4 1 cc. 7 nnmiii. nel redo. Precede la seguente dedica, in  alcuni esemplari premessa ai due libri del De t er. natura del '70  per errore di chi legò con essi questi opuscoli.     26    APPENDICE BIBLIOGRAFICA    Illustr. mo Io anni Hieronymo  Aquevivio Hadrianensium Duci  Bernardini Telesius,   CONSENTINUS S. P. D.   Multos equidem iam annos surama te prosequor  veneratione, summoque tui videndi desiderio teneor.  Neque enim unus aut alter te cum caeteris animi bo-  nis virtutibusquetum vero divino sane ingenio iudicio-  que longe acerrimo praeditum disciplinisque omnibus  apprime ornatum mihi praedicavit; sed communis om¬  nium consensus, et eorum praecipue qui et te magis  norunt, et qui, quae in te sunt, bona reliquis exqui-  sitius intueri possunt: in primis Marius C/aleota (qui vir  et quantus!): hic quideni te non summis aetatis nostrae  hominibus, sed antiquis illis haeroibus ac divinis viris  conferre nihil veretur; nec vero Rempublicam vel manu  vel consilio adiuvandi occasionem nactus si sis umquam,  quin illorum gloriam exaeques, aut etiam exsuperes du-  bitat quicquam. Admirabilem scilicet intuitus naturam  tuam, et cum reliquarum honestarum disciplinarum tum  vero philosophiae studiis diu summaque excultam diligen-  tia, summa itaque erga te charitate ac veneratione sum¬  moque tui desiderio me inflammavit (rie). Quod si per mo-  lestias, quibus multos iam annos assidue opprimor, mihi  licuisset, promptius, mihi crede, ad te quani ad fortuna-  tissimos reges advolassem; et praesens animi mei propen-  sionem erga te patefecissem, ac dedidissem omnhio me  tibi. Id quando adhuc facere non licuit studiorum meo-  rum monumentum quippiam tibi offerre visum est, quod  meae erga te observantiae signum esset: itaque commen-  tarium De colorum generatione ad te mitto. Libens,  spero, munus, qualecumque est, accipies, in quo nimi-  rum hominem, qui te nunquam vidit, virtutum tuarum  pulchritudine ac fulgore incensum intuebere. Nani, si      SCRITTI DI B. TELESIO    127     probatus tibi ille fuerit, et perobscuram adhuc, ut videtur,  colorum naturarli exortumque patefecerit, id vero opi-  bus a te omnibus carius aestimatum iri certo scio; ut  qui illustrissimorum maiorum tuorum more rerum cogni-  tionem rebus omnibus ac regnis edam ipsis praehaben-  dam semper duxeris. Vale.    9-   Bernardini | Tei.esii | Consendni | De mari, \ Li-  ber Unicus. | Ad Ulustriss. Ferdinandum Carrafam | So¬  riani Comitem. | Neapoli, | Apud Iosephuin Cacchium,  1570 . In fondo all'opuscolo-. Cum Licentia Superiorum.   Sono cc. 12 numm. nel recto-, in-4®.   Precede questa dedica:   Illustriss. Ferdinando  Carraeae Soriani Comiti  Bernardini Telesius  S. P. D.   Cum primum literas tuas accepi, quibus declarabas  te in iis, quae de mari ab Aristotele tradita erant, acquie-  scere minime posse, et quid de eius natura et motibus  sentirem, ad te conscribere mandabas: etsi plurimis  (ut nosti) opprimerer molestiis, dbi tamen ut morem  gererem tuique desiderio sadsfacerem, commentari uni,  quem iam pridem de eo conscripseram, rudem adhuc,  quantum per praesentes occupadones licuit, polivi. Et  praeter morem nostrum, prius quae ab Aristotele tra¬  dita sunt, in eo exponuntur examinanturque, ut fa¬  cile homines intelligerent iure te in iis acquiescere non  potuisse: tum nostra apponuntur. Perleges vero tu il¬  luni, et si tibi probatus sit talisque visus, qui et tuo  sub nomine in lucem prodire queat, prodeat. Neque      I 28    APPENDICE BIBLIOGRAFICA    enim, quae tu admittenda decreveris, alii ut damnent  vereri licet; libens certe confectum tibi opus, qualecum-  que id sit, accipies; summara in eo meam erga te  charitatem observantiamque intuitus et grati animi si-  gnum cura erga te, tum et erga illustrissimos parentes  tuos, Alfonsum Nuceriae Ducem, virum unum omnium  optimum constantissimumque, et loannam Castriotam,  quae cum maxime fortunae corporisque bonis affluat, et  tantis omnino, quantis plura ne optare quidem liceat, si  cum alias eius animi virtutes, tum vero, quae aegre si-  tnul coire videntur, lenitatem sublimitatemque summe in  ilio coniunctas, pene et unum factas quis inspiciat, vix  illorum splendorem intueatur; ut mihi quidem nostrae  aetatis homines nihil ea amabilius, nihil etiam divintus  conspicere posse videantur. Haec vero tu eius paren-  tisque tui splendorem summamque utriusque generis  claritatem ne novis luminibus non illustres dubitandum  est quicquam. Nam mihi quidem te illosque intuenti,  quae in illorum utroque corporis animique bona sunt,  ex utroque hausisse videris omnia: minimeque vel eo-  rum vel avorum gloria vel tantarum opum possessione,  totve ac tantorum populorum dominatione contentus  tuo tibi ut studio tuoque labore novum decus novos-  que honores acquiras summa attendis cum diligentia.  Age vero, qua coepisti perge, et mihi crede, non sum-  mam modo gloriam, sed veram adipisceris felicitatem,  summae nimirum fortunae summam adiicies sapientiam.  Vale.   io.    Bernardini | Telesii | Consentini | Vani de natu-  ralibus | rebus libelli \ ab Antonio Persio editi. | Quo¬  rum alii nunquam antea excusi, alii meliores | facti pro-  deunt. | Sunt autem hi | de Cometis, et | Lacteo Cir-  culo. | De liis, quae in Aere fiunt. | De Iride. | De Man.     SCRITTI DI B. TELESIO    129    | Quod Animai universum. | De Usu Respirationis. |  De Coloribus. | De Saporibus. | De Somno. | Unicuique  libello appositus est capitum Index. | Cum privilegio |  [insegna tipografica) | Venetiis M.D.XC. | Apud Felicem  Valgrisium.   Dopo la pref. Antonine Persine camiido Perfori, c’è l’ Inde a  opusculorum, diviso in due parti:   — Prima pars, in qua precipua Metereologica continentur;   _ Secunda pars, in qua, quae Parva naturalia dici possimi,   tractantur.   Nella 1“ classe sono compresi i quattro opuscoli De Cometis  et tacteo circolo, De bis quae in apre fiunl (dedicati entrambi  a Gian Iacopo Tomaie), De iride (al vescovo di Padova Luigi  Cornelio) e De mari (a Francesco Patrizio).   Nella 2 a altri cinque opuscoli : Quod animai universum ab  unica animae substantia gubernatur contro Calenum (a Giov.  Vincenzo Tinelli), De usu respirationis (a Giovanni Micheli), De  coloribus (a Benedetto Giorgi), De saporibus (a Fed. Pendasio),  De somno (a Girolamo Mercuriale).   Il volume consta di 4 carte inn. a principio, 5 parimenti inn.  in fine e dei 9 opuscoli ciascuno dei quali con numerazione a sé,  sul recto, e con frontespizio particolare; tranne il primo.   Il I- 1 I op. di cc. 26 (De Com. e De Air); il III (De ir.) di cc. 20;  il IV (De mari) di cc. 19; il V (Quod anim.) di cc. 47; il VI (De  usu) cc. 8; il VII (De color.) cc. 15; l’VIII (De sapor.) cc. 15;  il IX (De somno) cc. 15. Riporto la prefazione generale e le sin¬  gole dediche.    «)   Antonius Persius   CANDIDO LECTORI.   Novem haec Bernardini Telesii physica opuscula, quo¬  rum tria tantum antehac excusa fuerunt, eodem omnia  volumine complexa, ut publici iuris efficienda curarim  id fuit causae potissimum, Candide lector, quod, cum  paucissima eorum exempla circumferrentur, adeo ut  jpsi mihi, qui Telesio inter vivos agenti coniunctissimus,    G. Gentile, Bernardino Telesio.    9      APPENDICE BIBLIOGRAFICA    1.^0   ac, ni fallor, carissimus fueram, antequani unius ex sin-  gulis compos fierem, sudandum fuerit, liuic malo quani  primum eonsulere necessarium existimarim. Timebam  enim ego duorum alierum, vel scilicet ne labores Ili  perirent omnino, vel ne quis eos tanquain proprii sibi  partum ingenii vindicans, suuni iis noinen, Telesii ex-  puncto nomine, inscriberet, et ut sua tandem in com-  mune proferret. Cuiusmodi non defuturos homines fuisse  ut milii persuaderem effecere multi, quos novi egomet  consimilem lusisse ludum. Ac profecto nostra liac tem¬  pestate, si ulla unquam alia factum est, malis hisce ar-  tibus prò sapientia uti licet.   Ut autem rem piane intelligas, erant ex his tres tan¬  tum modo, ut dixi, excusi libri, De his quae in  aere fiunt scilicet unus, alter De mari, tertius De  colorum generatione. Ac De mari quident ille non-  nullis auctior capitibus tibi datur, quae nos in ipsius  calcem omnia reiecimus. Qui vero De coloribus est,  longe prodit alius, non verbis tantum, sed et sententiis  atque opinione. Caeteri omnes nunc primum publi-  cantur. Ex iis, qui mihi a Telesio missi fuere (sunt  autem hi; De somno, De saporibus, De bis quae  in aere, De mari), hi longe aliis emendatiores exhi-  bentur; reliqui autem, quos aliunde expiscatus sum (cu-  ravit eos mihi Franciscus Mutus, praestanti vir doc-  trina ac Telesianae philosophiae cognitione liaud levi  praeditus), ii non solum alicubi imperfecti, veruni etiam  tam male exarati ac mendose exscripti erant, ut divi-  nandum mihi fuerit in plerisque locis. Cum autem in  iis exentplaribus, quae nacti sumus, loci nulli neque  Aristotelis, neque Galeni, neque aliorum, qui a I elesio  laudantur authores, neque in contextu, neque in mar¬  gine notati extarent, nos eos omnes in tuum commo-  dum, Amice Lector. ad oram cuiusque libelli rite ad-  scripsimus. Ad haec schemata quaedam in libello De      SCRITTI DI B. TET.ESIO    '.il    iride ab authore nominata, vel saltem subintellecta,  quod nullum eorum in nostris codicibus vestigium exta-  r et, accurate delineavimus, ut facilius id, quo de agitur,  intelligeres. Atque haec nos tibi tanquam in alieno solo  (ut cum nostris loquar iurisconsultis) elaboravimus, pro-  pediem te in nostro accepturi, atque ex ugello ingenioli  nostri, quae tibi forte non ingrata videantur, multo li-  beralius deprompturi. Quod reliquum est, Lector Imma¬  nissime, quo nobiscum ab illius sapientissimi viri ma-  nibus gratinili aliquam in eas, ac magis udlitati publi-  cae consulamus, si forte meliores, quam nostri sunt,  codices fuerit nactus, ut et ego meliores edere possim,  mihi eos, quaeso candidus imperti; si non, his utere  mecum. Vale.    f >)   Ai primi due opuscoli è premessa la dedica seguente:   Antonius Persius   IGANNÌ IACOBO TONIALO VIRO PRAESTANTISSIMO   S. P. D.   Quod in studio mathematices, quo maxime omnium  semper es delectatus, in primisque astronomicae facul-  tatis, totus usque sis, laudo te, mi Tomaie, vehementer,  ac vere virum censeo, qui non te otio, quod plerique  ista fortuna, hoc est opibus, abundantes homines faciunt,  corrutnpi sinas; sed, cum ingenio iudicioque cum paucis  sis conferendus, animum tuum optimis artibus perpoli-  tum nobilissima rerum excelsissimarum excolis cogni-  tione. Cui tantum detulit Aristoteles, ut eam vel imper-  fectam perfecta inferiorum rerum scientia multo duxerit  esse praestantiorem. Utere igitur fortunae bono dum per  florentem aetatem tuam licet, et viaticum senectuti para.         132    APPENDICE BIBLIOGRAFICA    Collocupleta tuum solidis atque immortalibus bonis ani¬  mimi: amicitias quoque, quod facis, adiunge tibi liberali-  tate hac tua, omnique officiorum genere, quae ego abs te  expertus non vulgaria, perlibenter soleo praedicare. Et  quo extaret eoruni significano diuturnior, a me tibi nun-  cupati ut exirent duo hi Telesii nostri libelli De come-  tis et lacteo circulo unus, De iis quae in aere  fiunt alter, libentissime curavi: simul ut haberes oc¬  casionerei de rebus coelestibus, coeloque proximis, quo  te rapit astrorum studium, novam Telesii nostri dispu-  tationem alacrius legendi. Cuius tu philosophiam magno  animo amplexatus maxima cum iudicii et ingenii laude  tueris. Ac liber ille quidem, quo De iis, quae in  aere fiunt, disseritur, editus antehac est, nunc emacu-  latior prodit. Alter vero nunc primum publici iuris ef-  ficitur. Vale, et Persium tuum ex animo nunquam elabi  tuo patiare. Patavio Kalendis Aprilis. MDXC.   c)   Illustrissimo ac reverendissimo  Aloysio Cornelio episcopo  Paphiensi et Patavino designato.  Antonius Persius. S. P. D.   Post nobilem illum universae terrae cataclysmum,  ex quo Noe, cum familia servatus, humanum genus re-  paravit, apud Ethnicos quoque pervulgatum, ac Deuca-  leonearum undarum nomine a poeds significatimi, scrip¬  tum fecit Moses summi ille Dei scriba atque interpres,  Illustrissime ac Reverendissime Episcope, Deum ipsum  edidisse arcum, seu Iridem pacti indicem ac foederis  inter se atque humanum genus constituti, ut quoties id  in coelo appareret toties divinae potentiae beneficiique  nobis divinitus collati memoriam renovaret. Hoc mihi,    SCRUTI DI B. TELESIO    1 .1 ,ì    dura eximii philosophi Bernardini Telesii libellum De  iride in lucem proferre cogitarem animo repetenti cu¬  pido incessit, ut haud ita dissimilis in re simili tui erga  me animi significatio exstaret, operam dare. Est igitur  a me curatimi, ut ii, in quorum oculos haec Telesiana  Iris incurreret, de tuorum in me magnitudine merito-  rum brevi hac ad te epistola quoquo pacto admoneren-  tur. Namque, ut alia praeteream, maximorum semper  in loco beneficiorum mihi delatum putabo, quod in ali-  qua apud te grada vigeam, ac me ipse in tuorum tibi  addictissimorum numero censeri velis. Cum enim per-  crebuerit te non nisi doctos, probos ac sapientes viros,  tui scilicet simillimos, amare, fovere atque ornare so¬  lere, cum tu non solum maiorum splendore summaque  familiae nobilitate, verum edam doctrinae, probitatis ac  sapientiae laude nemini concedas (quarum quidem vir-  tutum singulare specimen in administradone Episcopatus  Patavini tibi ab amplissimo Cardinali Federico patruo  tuo, prudentissimo viro delata maximo cum ecclesiae  Patavinae fructu quotidie exhibes); quid mihi proficisci  abs te maius atque optabilius unquam posset, quam  ex tua consuetudine, qua me dignum tua esse voluit  humanitas singularis, tantarum mihi virtutum famnia,  ac nomen aliquod comparare? Quod igitur opusculum  hoc tuo sacratum nomini dicarim, id primum boni ut  consulas vehementer cupio; deinde ut tuam in me animi  propensionem, in qua maximam existimadonis meae par-  tem esse positam inteiligo, (quod facis) tueare te iterum  rogo obsecroque. Vale. Patavii.     134    APPENDICE BIBLIOGRAFICA    d)   Antonius Persius  Francisco Patricio  Platonicae Philosophiae  in Ferrariensi Gymnasio  Professori Celeberrimo  S. P. D.   Meministi, eruditissime Patrici, cum Venetiis coninto-  raremur, me tibi novam Telesil Philosophiam ac phi-  losophandi rationem saepius commendare, et te hortari,  ut libros eius de natura legeres diligenter. Quod ubi  est a te factum, cum multa offenderes in iis, quae ve¬  lini Democritea Delio quopiam natatore indigerent, me  identidem tanquam in eorum lectione diutius versatuni,  ac Telesii familiarem consulebas, ego igitur libenter et  obscura quaecunque tibi essent interpretabar, et obii-  cientium sese dubitationum scrupulos eximebam, quod  poteram. Ita ad calcem usque operis cum legendo per-  venisses, tum honorifice de eo loqui caepisti, ut ipsurn  veteribus philosophis anteferres. Scripsisti quoque a me  rogatus in eam philosophiam dubitationes tuas nonnul-  las, quas ad Telesium transmisi. Ex eo candidissimus  philosophus quanti tuum lacere iudicium haud obscure  significavit, cum deinceps sua scripta ad tuum sensum  exigere non sii gravatus. Cum igitur libellum eius De  mari ab ipso primum editum, atque aliquibus ex eius-  dem scriptis ad eandcm rem pertinentibus auctum, de-  nuo imprimendum curarem, patrem ipsi ac patronum  nullum Patricio aptiorem in venire me posse existimavi,  tuaeque idcirco ipsum fidei commendare decrevi. Tu,  si constans es in summi viri laude, ut te esse mihi et  natura et consuetudo tua suadet, huiusce opusculi pa-  trocinium suscipias libenter, ac tuam in eo tuendo non    SCRITTI ni n. TELESlO    t35   vulgarein eruditionem plaudentibus omnibus explicabis.  Feceris autem mihi pergratum, si meis verbis coni-  raunem amicum ac fatniliarem Franciscum Mutum et  tuum et Telesii praeclarum propugnatorem ingenii, et  eruditionis laude ornatissimum, salutaveris, meoque ipsi  nomine dixeris, cura ego ipsius beneficio plerosque ex  iis, quos iam edo libellos, fuerim nactus, expectare, ut  eosdem idem ipse meliores, atque alios eiusdem Aucto-  ris nondum editos nobis eruat alicunde. Vale, ac mei  mutuo memor est. Patavio.   Dopo il cap. x segue quest’avvertenza (c. 13 t f ):   Tria haec, quae sequuntur capita de maris aestu,  a Telesio quidern et ipsa elucubrata sunt, sed tamen ab  eodem in prima huiusce libelli editione consulto prae-  termissa; idque ea, ut puto, de causa, quod in hac con-  teraplatione nondum sibi piane satisfaceret. Erat enim  tum in alienis, tum maxime in propriis sententiis iudi-  candis sane quam difficilis atque morosus. Itaque nihil  edere ille solebat, quod non longa adhibita discussione  lente prius ac fastidiose probasset. Nos tamen, ne ea  quidern intercidere aequum putantes, quae ipse rudia  atque imperfecta reliquerat, pauca haec de manuscripto  exemplari diligenter excepta, priusquam ea sibi aliquis  vindicaret et ut sua venditaret, in calce huiusce libelli  excudenda curavimus.    l H. TELEStO    139    doctrina et eloquentia tectum sartumque praestes ab  aculeis reprehensorum, libenter curavi ut nonien tuum  clarissimum prae se ferret imprcssus. Neque enim dubito,  quin maximum apud omnes hoc tuum patrocinium sit  pondus habiturum. Perspectum iam enim est ac notum,  quanto te discipulo gloriaretur dignus ille tnagnorum  philosophorum magister Iacobus Zabarelia, nobis im¬  portuna morte praereptus. Cuius sane viri quoties mihi  venit in mentem, venit autem saepissime, toties ego  Patavinae, in qua profitebatur, Academiae ingemisco,  quae tot tantisque infra paucos annos orbata viris, ci-  vem hunc suum, qui facile omnium desiderium leniret,  rednere diutius in vita non potuerit, cum tamen ea de-  cesserit aetate, quae senectutem vix a limine attingebat.  Verum alieno quidem patriae et amicis, sibi autem,  hoc est nomini, et gloriae suae liaud quam importuno  tempore cessit e vita, relictis ingenii sui monumentis,  nunquam intermorituris. Cuius vocem porticus illae eru-  ditae Lycei Patavini frustra nunc, frustra, inquam, de-  siderant. atque eum, si possent, suum ipsae civem, qui  philosophiam non praeceptis tantum ac scriptis, verum  et factis praeclarissime exprimebat, omnium virtutum,  imprimis humanitatis ac modestiae, singulare exemplunt  erat, perpetuo lugerent ; ut eos contra philosophos ri-  derent, qui non tam in academiae porticis prò Peripa-  teticae doctrinae primatu, quam in publicis hisce, quae  promiscere ab omnibus ultro citroque commeantibus te-  runtur, prò peripatetica, hoc est, ambulatoria (ut sic  dixerim) praerogativa tanquam prò aris et focis ridi-  culc dimicant, quasi in eo sitae sint Graeciae divitiae,  si cui occurrens, caput aperias, aut interiorem Porticus  partem, videlicet parietem ambulanti concedas. Sed iam  nos iis homulis et xaipeiv dicamus et vyicuveiv. Te vero  iterum iterumque rogo, ut animum tuum familiae tuae  splendidissimae nobilitate dignissimum mihi benevolum       1 4 «    APPENDICE BIBI.IOGRAEICA    ae meae summae in te observantiae memorerà tueri,  munusculumque hoc, novum piane munus (cum libel-  lus hic it prodeat ab eodem Auctore iam pridem multis  additis, detractis, immutatis interpolatus, ut, si cum an-  tea edito conferas, mirum quantum ab eo difierre de-  prehendas) tanquam maximum a maximo ad te missum  animo gratificandi tibi suscipere ne dedigneris. Vale.   h)   Antonius Persius  Eminentissimo Phii.osopho  Federico Pendasio,. S. P. D.   Si quantum Aristoteli philosophorum filii, tantum  tibi, Federice Pendasi, philosophorum memoriae nostrae  facile princeps, ipsum debere Aristotélem dixerim, nae  ego vera praedicarim. Illustrasti etenim publicus tot an-  nos in ceteberrimis Italiae Gymnasiis interpres Aristote-  licam usque adeo philosophiam, ut non tibi minus, quam  Aristotelicorum librorum, qui situ obsiti parum ab in-  teritu aberant, erutori ac vindicatori iHi gratiae debea-  tur. Quos si nobis inimicum fatum ad exitium usque  invidisset, poteras tu novus illucere mortalibus Aristo-  teles, iacturamque tantam undequaque compensare. Ita-  que subinvideo Ascanio fratri, quod ipsi, te Bononiae  degente, Bononiae degenti fruì licet, ac de te non pu-  blicos solum, sed, quae tua in omnes privatimque in  ipsum est benignitas, domesticos haurire sermones. Fe-  rebam ego antea tui desiderium paullo lenius, dum vi-  veret alterum Italiae lumen Iacobus Zabarella philoso-  phiae scientia, ut tibi uni secundus (quem scilicet ille  sibi non solum praeferebat, sed auctorem ctiam recte  philosophandi fuisse olim praedicabat), sic caeteris omni¬  bus meo ac multorum iudicio anteponendus. Eo nunc,    SCRITTI I>! R. TEt.ESIO    M    quo familiarissime utebar, extineto, nisi tua me aliquando  usurum consuetudine sperarem, vitarn mihi profecto  acerbam putarem. Interim autem quia te libenter et stu¬  diose legere ea scripta, in quibus ingenii et eruditionis  lumina haud vulgaria conspiciantur probe novi, cuius-  modi sunt Telesii philosophica monumenta, idcirco ut  ex ungue leonem agnosceres: ad haec ut sententiarum  novitate animum tuum consuetis fessum contemplatio-  nibus recreares, liunc eius De saporibus libellum tan-  quam èvSóoipav ad reliquam ipsius philosophiam cogno-  scendam, et, ut sapiat, iudicandam ad et mittere, adeoque  tuo inscriptum nomini publicare decrevi. Accipies igi-  tur hilari fronte hanc meae in te benevolentiae atque  observantiae significationem, ut meum in te studium  nunquam in posterum obliviscaris. Vale. Patavii.    Antonius Persius   PRAECLAR 1 SSIMO MEDICO   Hieronymo Mercuriali  S. P. D.    Homericus ille Iuppiter, quod te non fugit, Hiero-  nymeMercurialis, medicorum choryphaee, ut Agamemno-  nem de sonino excitaret, misisse ipsi somnium a poeta  perhibetur. Ego vero, ne tu mihi dormias, hoc est, ne  me tibi e memoria atque ex animo excidere patiare, tui  amantissimum studiosissimumque tui nunquam oblitum,  non vanum aut mendax aliquod somnium, sed erudi-  tum ca veridicum Somnum Telesianum a Telesio tum,  cum minime dormitabat, elucubratum ad te mitto, qui  somnum arcere quovis somnio validius possit. Hunc  ego, et ut sedulum monitorem, et ut non obscurum mei  in te animi interpretem ad Te destinavi, dum aliud         *    TOSINO    U2    APPENDICE 11IBI-IOGRAEICA    quaero tibi mnemosynon, quo pateat illustrius non so¬  limi quantuni tibi ipse ego debeam deferamque, ve¬  runi edam quam ab aliis omnibus esse deferenduni  exisdniem; etsi tu unica de te clarissimae Bononiensis  Academiae existimatione (ut communem eruditorum om¬  nium sensum praetermittam) contcntus esse potes, quae  te tanto studio ac contentione ad eminentissimam me-  dicinae cathedram ingentibus atque ante te nemini pro¬  positi praemiis pertraxit. Atque hoc sapienter B0110-  nienses, ut alia omnia, sapienter te quoque ipsum, qui  condicionem acceperis, fecisse sapientissimus quisque  existimat, cum tibi in ea urbe domicilium statueris, quae  bonorum omnium ornatu ac copia comparari cum ur-  bibus' omnibus merito potest. Quo tit ut non iniuria et  te ego Bononiae, et tibi Bononiam invideam, hoc est  summorum virorum doctrinae et huraanitatis laude ce-  leberrimorum Bononiae degentium consuetudinein. Pe-  regrinos nunc taceo, ne te plus aequo legentem morer.  De civium numero unum tantum honoris caussa com-  memorabo, Camillum Palaeottum, tuorum, ut tu te me¬  rito gloriaris, principem amicorum; quem virimi pri-  mum Romae sum contemplatus, allocutus, admiratus,  cum in eo omnia maiora opinione ac fama deprehende-  rim. Itaque Alexandrum Burghium summa insignem  timi scientia et eloquentia, tum probitate virum amo  plurimum, qui ut Romae Palaeottum cognoscerem at¬  que ab eo cognoscerer et auctor et interpres mihi fuit.  Obsecro igitur te, vir preclarissime, per humanitatem et  comitatem iliam tuain, qua vel sola aegrotis restituere  valetudinem soles, ut me illi addictissimum diligentis¬  sime commendes, et a me salutem dicere ne graveris.  Te vero mei muneris ne poeniteat, siquidem id, quod  ab optimo in te est animo profectum, optimum putas.  Vale, et diu vive, ut diutius alii vivant. Patavio.   In fine della raccolta sono 3 cc. di Errata-corrige ,    SCRITTI DI B. TELESIO    43    1 I.   Due opuscoli inediti del Telesio De fulmine e Quae  et quomodo febres facilini furono per la prima volta pub¬  blicati dal Fiorentino, Telesio , n, pp. 325-374, insieme  con la risposta del Telesio al Patrizi: Soluliones Thyìesii,  pp. 391-98-   Dal Fiorentino fu anche ristampato il Carmen ad  Ioannam Castriotam del Telesio (pp. 311-2), inserito nel  volume Rime et versi in lode della illustriss. et eccel-  len/iss. S. D. Giovanna Castrio/a Carr. Duchessa dì  Nocera et Marchesa di Civita Santo Angelo , scritti in  lingua toscana, latina et spagnuota da diversi huomini  illustri in varii et diversi tempi et raccolti da Don Sci¬  pione de’ Monti, Vico Equense, 1585; già ristampato  da S. Spiriti, Memorie , pp. 92-3 e da Luigi Telesio,  o. c. pp. 55-6. Circa l’apocrifità dell’epigramma per la  storia di Scipione Mazzella v. Bartelli, Note, p. 55 n.    Manoscritti e opere smarrite.   Oltre la notizia importante dataci da Giov. Paolo  d’Aquino, riferita a p. 54, e quelle del Persio (cfr. so¬  pra pp. 130-1 e 135), è da considerare la lettera del  Quattromani, su cui richiamò già l'attenzione il Ni-  codemi nelle Addizioni copiose alla Bibl. Nap. del dott.  N. Toppi, Napoli, Castaldo, 1683, p. 53: e l’accenno  dello stesso Telesio De rer. nat., v, 1: « Tum maris  aquarumque et eorum quae im sublimi fiunt iridisque  et colorum exortus in propriis est explicatus commenta-  riis. Metallorum lapidumque et reliquorum, si quae      APPENDICI-: BIBLIOGRAFICA    144   alia supersunt, quin in superioribus manifestatus sit, pa¬  rimi cannino deesse videri potest, et alias, si coeptis  faverit Deus, manifestabitur magis ». Per un opuscolo  De pluvfis, cui si allude nel De mari, c. x, cfr. Al-  magiA, I.e dottr. geofisiche di B. Telesio, p. 333,    II    SCRITTI SU B. TELESIO*    La Filosofia di Berardino Telesio ristretta in brevità,  et scritta in lingua toscana dal Montano Accademico  Cosentino [Sertorio Quattromani] , in Napoli, ap¬  presso Giuseppe Cacchi, 1589.   Ora/ione di Gio. d‘Aquino in morte di Bernardino  Telesio, philosopho eccellentissimo, agli Accademici Cosen¬  tini. In Cosenza, per Leonardo Angrisani, 1596.   Rist. a Napoli, Fratelli Traili, MDCCCXL a cura di L[uigi)  T[klesio], Precede (pagine xxvi) una lettera del T. al marchese  di Villarosa; e seguono (p. 55) il Carme del Telesio a Giovanna  Castriota con la trad. italiana del Cavalcanti, l’epigramma a Sci¬  pione Mazze-Ila (p. 60) col distico contro Aristotile, il son. di  Lelio Capilupi (p. 61) e due poemetti di Antonio Telesio.   Sul p. Luigi Telesio prefetto della Biblioteca dei Gerolamini  v. Luigi Maria Greco, Elogio del p. L. T., negli Atti dell’Ac¬  cademia Cosentina, voi. Ili, pp. 345 sgg.   Francesco Bacone, De principiis atque originibus  secundum fabulas Cupidinis et Coeli: sive Parmenidis  et Telesii et praecipue Democriti philosophia, tractata  iti fabula de Cupidine ; in Philosophical Works edited  by Ellis and Spedding, in, pp. 63-118 (con pref. del-  l’EUis e note).   La prima volta questo opuscolo fu pubblicato da Isacco Gru-  ter in Franc. Baconi de Verulamio Scripta in naturali et uni¬  versali philosophia, Amsterdam, 1653, pp. 208 sgg.    * Sono citati gli scritti più notevoli. Delle storie generali della filo¬  sofia soltanto quelle che contengono esposizioni originali.    G. Gentile, Bernardino Telesio.    10     146    appendice bibliografica    Iohannis Imperiala Musaeum kistoricum et pky-  sicum, Venetiis, ap. Iuntas, An. MDCXL, pp. 79-80.   A p. 78 c’è un ritratto del Telesio. Pel cui valore storico si  osservi che nello stesso frontespizio del libro è detto che le ima-  gines del Museo storico sono ad vivum expressae, e nella pre¬  fazione al lettore: « Icones ad vivum ubique locorum a nobis  anxio perennique studio conquisitas, vix cogere in unum licuit  paucas, nec impensae pepercimus, nec oleo, aliquam interdum,  prout minus congrua censebatur, abolendo, aliquam reformando,  et cum probatioribus conferendo, quo studiosa cupidaque huius-  modi elegantiarum tua non falleretur fiducia».   Petri Freheri Theatrum viro rum eruditione claro-   rum, Norimbergae 1688, p. 1484.   C’è un ritratto del Telesio, riprodotto da Rixner e Sibek  innanzi al vojutne qui sotto citato.   Ioh. Georgii Lotteri De vita et philosophia Ber¬  nardini Telesii commentarmi ad illustrandas historiam  philosophicam universam et literariam saeculi XVI C/iri-  stiani sigillativi, Lipsiae, apud Bernh. Christoph. Breit-  Kopfium, 1733 in 4 0 .   Nei Nova Acla eruditorum di Lipsia, MDCCXXXI 1 I, pa¬  gine 551-3 c'è una recensione di questa monografia.   I. Bruckeri, Historia critica philosophiae, to. iv,  pars 1, Lipsiae, MDCCXXXXIII, pp. 449-460.   Mémoires pour servir à filisi, des hommes illustres  dans la republique des le/tres avec un catalogne raisonné  de leurs ouvrages par le R. P. Niceron barnabite,  to. xxx, Paris, 1734. PP- 194-1 io. H 4 -   Salvatore Spiriti, Memorie degli scrittori cosen¬  tini , Napoli, 1750, pp. 83-93.   J. G. Buhle, Gesch. d. neueren Philosopkie seit  der Epoche d. Wiederhers/ellung der Wissenschaften,    SCRITTI SU B. TELESIO    147    Gòttingen, 1800-1805, Bd. il, Abth. 11, pp. 648 ss.; trad.  frane. Jourdan, Paris, 1826, II. n, pp. 563-71.   P. L. Ginguené, Histoire littéraire d’Italie [conti¬  nuata da F. Salfi], to. vii, Paris, Michaud, 1819.   I- e PP' 5 °°* 1 4 relative al Telesio sono un’aggiunta di F. Salfi.   Rixner e Siber, Leben und Lehrmeinungen berukm-  ter Physiker am Ende des XVI und am Anfange des  XVII fakrhunder/s, Bd. ni (Sulzbach, 1820) ( B. Te¬  le sius) .   Oltre una biografia del Telesio, contiene la traduzione'(molto  libera) di molti brani del De rei' . natura.   Giuseppe Boccanera da Macerata, Bernardino Te¬  lesio, nella Biografia degli uom. illustri del Regno di  Napoli , to. vni, Napoli, N. Gervasi, 1822 (col ritr. del  Morghen).   Francesco Saverio Sai.ki , Elogio di Bernardino  Telesio, 2“ ediz., Cosenza, Migliaccio, 1838 (di pp. 48  in-16 0 ).   Ristampato in Salpi, Prose varie, Cosenza, Migliaccio, 1S42.  La prima volta era stato pubblicato nel giorn. La Fata Morgana  di Reggio Calabria, 15 marzo 1838; e contro di esso allora com¬  parve un opuscolo: Luigi Telesio, Risposta all'art. inserito nel  giorn. intitolato La Fata Morgana... Su la vita e la filosofia  dì Bernardino Telesio, in Napoli, nella Stamp. della Società  Filomatica, 1839 (cit. da F. Bartelli, Note, p. 70).   Ferdinando Scaglione, [La filosofia di B. Telesio]-,  negli Atti della Accademia Cosentina, Cosenza, pe’ tipi  di G. Migliaccio, 1842, voi. 11, pp.15-115.   In risposta al tema assegnato dall’Accademia l’anno 1838:  « Esporre con lucidezza e precisione il sistema filosofico di B. T.,  e far conoscere quale e quanta influenza abbia esercitato sul  progresso delle scienze, e quali scrittori, sian essi calabri o stra¬  nieri, abbiano maggiormente contribuito a propagare la nuova  dottrina Telesiana ».      APPENDICE BIBLIOGRAFICA    148   Chr. Bartholmèss, De Bernardino Telesio, Paris,  1849.   H. Ritter, Geschichte dcr Philosopkie, r l heil (Bd. I  della Gesch. d. neutra Pkilos. ) , Hamburg, Perthes, 1850,  PP- 56 i- 7 S-   J. E. Erdmann, Grundriss der Geschichte der Phi-  losophie, 1 , Berlin, 1869, i, 243- PP- 523-26.   F. Fiorentino, Bernardino Telesio , ossia studi sto¬  rici su l’idea della natura nel Risorgimento italiano,  Firenze, Le Monnier, 2 voli. 1872, e 1874.   Della psicologia del T. il Fior, s’era occupato nel Pompo-  nazzi (v. sopra p. 98). A proposito del volume del Telesio  furono pubblicati i seguenti scritti del Ferri e del Francie.   Luigi Ferri, La filosofia della natura e le dottrine  di B. T.\ nella Filos. ileUe scuole i/al., a. 1873.   Ad. Franck, Bernard. Telesio, ou Études histort-  ques sur l’idée de la nature pendant la renaissance ita-  lienne par F. Fiorentino, in Journaldes Savanls, a. 18731  pp. 548 sgg. e 687 sgg.   M. Carriere, Die philosophische Weltanschauung der  Reformationszeit* , Leipzig, 1887, 11, 34 ss.   La prima ediz. è del 1847.   Telesio, rivista di scienze lettere ed arti, Cosenza,  a. 1, fase. 1, 28 febbr. 1886 (direttori Vincenzo Iulia e  Domenico Bianchi).   Ne conosco 3 fase., che non contengono nulla sul Telesio,  salvo un cenno neil’art. di G. M. Greco, Il Qualiromani cri¬  tico (nel fase. 3 del 30 aprile 1886, pp. 154-5) a 8 a teoria del¬  l’anima del filosofo cosentino, difesa dalle critiche del Fiorentino.      SCRITTI SI! B. TELESIO 1 49   K. Lasswitz, Geschichte der Atomisti): vom Afitte/-  alter bis Newton, Hamburg u. Leipzig, 1890, I B.,  pp. 312-14-   Karl Heiland, Erkenntnisslehre nnd Ethik des  Bernardinus Telesius ; Inaug.-Dissert., Leipzig, 1891  (pp. 52 in-8“).   A pp. 1-2 c’è una bibliografia della letteratura telesiana.    Felice Tocco, Le fonti più recenti della filosofia  del Bruno, Roma, 1892 (estr. dai Rend. Lincei).   A pp. 72-5 i rapporti del Bruno col Telesio. Cui è da ag¬  giungere l'osservazione dell' Eli.is nella pref. al De principiis  di Bacone, ed. cit., p. 75 n.   Gio. Sante Felici, Le dottrine fi/osofico-religiose di  T. Campanella con particolare riguardo alla filos. della  rinascenza italiana. Lanciano, Carabba, 1895.   A pp. 34-51 sono studiati i rapporti del Camp, col Telesio.    St. de Chiara, Bricciche lelesiane. Nozze Tancredi-  Zumbini, xix aprile mdcccxcvii (Cosenza, tip. ApreaJ,  pp. 8 in-4 0 .   Spigolature dall’archivio cosentino relative al nome della  madre del T. e ad alcuni de’ suoi figliuoli. A p. 4 n. 1, è  detto: c Un solo, il Bruckero, dice ch'egli sia nato nel 1508:  ma questo non è assolutamente possibile, perchè nel sett. del 1508,  come abhiam visto [«nelle schede del notar Benedetto Arnone,  sotto la data del 6 di sett. 1508, i capitoli di un secondo matri¬  monio, che Giovanni Telesio, padre del nostro Bernardino, con¬  trasse con la signora Vincenza Garofalo »], il padre passava a se¬  conde nozze. La data del 1509, poi, si desume anche dalla se¬  guente notizia cortesemente comunicatami dal mio nob. amico  Luciano de Matera e da lui ricavata di su un antico ms.: « A di  8 di sett. 1588 si sepelì nella sua sepultura della sua cappella  dentro la Chiesa magiore il filosofo Bernardino tilese d’età d’anni  settantanove ».    APPENDICE BIBLIOGRAFICA     150    Francesco Bartelli, Note biografiche (B. Telesio  e Galeazzo di Tarsia) Cosenza, A. Troppa, MCMVI.   Sul Telesio, pp. 7-73. È il miglior saggio biografico che si  abbia per l’esame rigoroso delle notizie e per la larga • esplora¬  zione dei documenti inediti cosentini.   I   Roberto Almagià, Le dottrine geofisiche di B. Te -  lesto: primo contributo alla storia della geografia scien¬  tifica nel cinquecento, Firenze, Ricci, 1908 (estr. dagli  Scritti di geografia e storia della geografia pubbl. in  onore di G. Dalla Vedova).   Duilio Ceci, Bernardino Telesio (con bibliografia)  ne La cultura contemporanea , Roma, a. n, n. 3, 1 feb¬  braio 1910, pp. 41-45.   Articoluccio d’occasione. Nella Bibliografia si cita: « Fran¬  cesco Bonci, Il volgarizzamento dello scritto latino di B.  (sic) T: I colori presso gli antichi Romani, Pesaro, Federici,  1894. Ma si tratta del De coloribus di Antonio Telesio.    Erminio Troilo, Bernardino Telesio, Modena, For-  miggini, 1910 (pp. 77 in-i6° picc.; col ritr. del Morghen;  N. 11 dei Profili del Formiggini).   I 53970   \       INDICE    Avvertenza..   Bernardino Telesio. »   Sommario: I. Il medio evo (9-20); II. Uma¬  nesimo e rinascimento (21-38); III, Vita e scritti  del Telesio (38-54); IV. La filosofia del Telesio   ( 54 - 77 ); V. Chiarimenti (77-92).   Note. »   Appendice bibliografica. »   I. Scritti di B. Telesio. »   II. Scritti su B. Telesio. »    5   7    93   99   101   45                        GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori    BIBLIOTECA DI CULTURA MODERNA   Elegante collezione in-8    1. P. Orano — Psicologia sociale (esaurito).   •2. B. King e T. Okkv — 1/ Italia d'oggi (3» edi¬  zione) . 4,   3. E. Ciccotti — Psicologia del movimento   socialista . *   4. G. Amadori-Virgiu — L’Istituto fami¬   gliare nelle Società primordiali . . * -,f>0   5. A. Martin — L’Edncazione del carattere    (esaurito).   6. G. De Lorenzo — India e Buddhismo antico   (2* edizione). * L—   7. V. Spinazzola — Le origini ed il cammino   dell’Arte.» 3,50   8. R. de Gourmont — Fisica dell’Amore. Mag¬   gio su l' istinto sessuale . » 3,50   y. C. Cassola — I sindacati industriali. Car¬  telli - Pools - Trusts . » 3,50   10. G. Marchesini — Le finzioni dell’anima.   Saggio di Etica pedagogica .... » 3, —   11. E. Kbioh — 11 Successo delle Nazioni. . » 3, —   12. C. Barbagali .0 — La fine della Grecia an¬   tica . » 5,—   13. F. Novati — Attraverso il Medio Evo . » 4,—   14. I. E. Spingarn — La critica letteraria nel   Rinascimento.. —   15. T. Carlyle — Sartor Resartus (2* edizione) » 4,—   16. F. Carabki.lbse — Nord e Sud attraverso   i secoli. » 3,—   17. B. Spaventa — Da Socrate a Hegel . . » 4,50   18. A. Labriola — Scritti vari di filosofia e   politica a cura di B, Croce. ...» 5,—                       GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori    19. A. I. Balfour — Le basi della fede . . L. 3, —   20. C. Db Freycinet — Saggio sulla Filosofia   delle Scienze ......... » 3,50   21. B. Crock — Ciò che è vivo e ciò che è morto   della filosofia di Hegel. » 3,50   22. L. Hearn — Kokoro. Cenni ed echi dell’in¬   tima vita giapponese .» 3,50   23. F. Nietzsche — Le origini della tragedia » 3,—   24. V. Imbriani — Studi letterari e bizzarrie   satiriche. » 5, —   25. L. Hearn — Spigolature nei campi di Bml-   dho .» 3,50   26. C. W. Saleeby — La Preoccupazione ossia   la malattia del secolo. » 4,—   27. K. Vossi.br — Positivismo e idealismo nella   scienza del linguaggio. » 4,—   28. G. Arcoleo — Forme vecchie, idee nuove » 3,—   29. Il pensiero dell’Abate Galiani - Antologia   di tutti i suoi scrìtti editi e inediti . » 5,—   30. B. Spaventa — La filosofia italiana nelle   sne relazioni con la filosofia europea \ 3,50   31. G. Sorbi. — Considerazioni sulla violenza » 3,50   32. A. Labriola — Socrate. Nuova edizione . » 3,—   33. G. Kohlkr Moderni problemi del Diritto » 3,—  34-1. K. Vossi.br — la Divina Commedia stu¬  diata nella sua genesi e interpretata —   Voi. I - Parte I. Storia dello svolgi¬  mento religioso-filosofico. » 4,—   34 -n. _ Voi. I - Parte lì. Storia dello svol¬  gimento etico-politico. » 4, —   35. G. Gentile — Il Modernismo e i rapporti   tra religione e filosofia.» 3,50   36. G. B. Festa — Un galateo femminile ita-   liano del trecento. » 3,—   37. S. Spaventa — La politica della destra . » 5, —   38-1. J. Royce — Lo spirito della filosofia mo¬  derna— Parte.,1. Pensatori e Problemi » 4,—   38-U. — Parte II. Prime linee d’un sistema . » 4,—                 GIUS. LATERZA & FIGLI - Editori    39. R. Rrnier — Svaghi critici .   40. E. Gbbhart — L’Italia mistica    41. A. Farinelli Il romanticismo in Ger¬   mania .* '   42. A. Tari Saggi (li Estetica e di Meta¬   fisica . .   43. E. Romagnoli Musica e Poesia nell an¬   tica Grecia . ; ’   44. F. Fiorentino Studi e ritratti •   45. G. Fkrrarelli Memorie militari del   Mezzogiorno d'Italia .   46. B. Spaventa - Principii di Filosofia .   47. A. Anile - Vigilie di Scienza e di Vita »   48. J. Royce La Filosofia della Fedeltà .   49. R. W. Emerson — L’anima, la natura e la   saggezza - Saggi   50. G. Rbnsi — Il genio etico ed altri saggi   51. G. Gentile — Bernardino Telesio • • •      3,50   5-   3,50   3.50   4.50  L-   2.50    tS 39 u   I       <• «. ' Bernardino Telesio. Telesio. Keywords: empirismo, teoria della percezione, l’anima d’Aristotele, l’analogia, l’uomo e gl’animali, la ragione, i antici, contro i antici, osservazione, percezione, la tradizione empirista italiana, il Telesio di Bacone, sperimento, sperienza, esperienza, ex-perior, esperire – Latino ex-perior, Gr. em-pereia, osservazione, osservare – observatum, percipere – percezione per-capio. Refs.: Luigi Speranza, “Telesio e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Teocle: la ragione conversazionale della legislazione di Reggio – principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A Pytahgorean who helps produce a new code of law for Reggio. Cited by Giamblico. Unfortunately, Giamblico also mentions one Teeteto in exactly the same context – implying that they may be the same person.

 

Grice e Teodoro: la ragione conversazionale della natura rerum – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Accademia. Nato da famiglia ligure. Agostino, che gli dedica il “De beata vita”, dice che conosce bene l’Accademia, Dopo essere stato per qualche tempo avvocato, poi governatore in Africa e consolare della Macedonia e aver coperto vari uffici a corte, è praefectus praetorio delle Gallie. Si occupa dell’amministrazione dei propri beni e di studi filosofici e astronomici e scrive dialoghi su questi argomenti, STILONE lo nomina praefectus praetorio per l’Italia, l’Illirico e l'Africa. Mentre confere questo ufficio ha il consolato e in quell'occasione CLAUDIO CLAUDIANO gli dedica un panegirico. Di T. resta un saggio “De metris”, mentre si sono perduti altri, tra i quali un “De natura rerum.” Console, Consolato Prefetto del pretorio d'Italia. Di T. è noto abbastanza, grazie al panegyricus dedicatogli da CLAUDIO CLAUDIANO. Di famiglia notabile, sappiamo che è console. Il suo consolato avvenne sotto il principe ONORIO.  Prima di essere console è anche prefetto con sede a Mediolanum-Aquileia. Qui Agostino conosce T., uno degl’intellettuali accademici che incontrato appunto a Milano e, scrive “De vita beata”, dedicandolo proprio a T., che a quel tempo si è ritirato dalla corte. Di T. resta un trattato di metrica, “De metris”, uno dei migliori pervenuti, e per questo molto conosciuto e studiato. Inoltre, sempre secondo CLAUDIO CLAUDIANO, e un cultore di filosofia, astronomia e geometria e scrive diverse saggi su questi argomenti che, insieme al suo consolato, sono l'argomento del panegirico a T. dedicato da CLAUDIO CLAUDIANO.  Markus, The end of ancient Christianity, Cambridge; Keil, “Grammatici Latini”. Bonfils, C. Th. e il prefetto T., Bari, Edi puglia, consoli tardo imperiali romani Stilicone Prefettura del pretorio delle Gallie Mariano Comense Siburio Teatro romano di Milano Prefettura del pretorio d'Italia Nicomaco Flaviano (prefetto del pretorio) T., su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di T. su digi libLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. Opere di T., su Open Library, Internet Archive. Predecessore Consoli romani Successore Imperatore Cesare Flavio Honorio Augusto IV, Flavio Eutichiano T., Eutropio Aureliano, Flavio Stilicone V · D · M Grammatici romani Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Scrittori romani Grammatici romani Politici romani Scrittori Consoli imperiali romani Prefetti del pretorio d'Italia. A statesman and author who writes on a wide range of subjects. He is best known for a technical work on poetry, but he also comments philosophical works. Flavio Mallio (o Manlio) Teodoro. Keywords: de natura rerum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Teodoro”, per H. P. Grice’s gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza

 

Grice e Teodoro: la ragione conversazionale della scuola di Taranto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean cited by Giamblico.

 

Grice e Teone: la ragione conversazionale della filosofia della salute – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. He moves to Gaul to become a healer. Cited by Eunapio.

 

Grice e Teofri:  la ragione conversazionale della setta di Crotone– Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean.

 

Grice e Teoride: la ragione conversazionale da Crotone a Metaponto  – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swmming-Pool Library, Villa Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Pythagorean cited by Giamblico.

 

Grice e Terillo: all’isola – la ragione conversazionale della scuola di Siracusa -- Roma – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Plato mentions T. in his letter to Dionisio II di Siracusa. In it, T. is described as someone who divides his time between Siracusa ‘and everywhere else’ – ‘a philosopher, of much learning, too’, he adds as a joke. The authenticity of the letter is highly doubted – “and therefore, of Terillo’s own existence!” – H. P. Grice. Terillo. Keywords: filosofia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Terillo,” per H. P. Grice’s gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Tertulliano: la ragione conversazionale -- nothing is so absurd that some philosopher has not thought it – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. ‘Credo quia absurdum est’ is his life-guiding motto, which he learns from his philosophy tutor at Rome. He belongs to the Porch, and later becomes a ‘montano,’ an ascetic sect, “although,” his brother reminsices, “my brother stays away from the more extreme forms of the asceticism the sect officially promulgates.” Quinto Settimio Florente Tertulliano.

 

 

Grice e Tessitore: la ragione conversazionale del Vico di Tessitore -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Grice (Napoli). Filosofo italiano.  Grice: “If there’s Oxonian dialectic and Athenian dialectic [la scuola d’Atene], there is, to follow Tessitore, the ‘scuola napoletana.’” Si laurea in giurisprudenza -- la sua tesi ricevette dignità di stampa -- a Napoli, allievo di PIOVANI -- è libero docente per meriti eccezionali in filosofia del diritto, e professore. Insegna storia delle dottrine politiche; quindi, in poi, storia della filosofia. Preside della facoltà di magistero dell'università degli studi di Salerno. Preside della facoltà di lettere e filosofia dell'università Federico II di Napoli, della quale è stato anche rettore. Socio dell'Accademia dell'Arcadia col nome di Echione Cineriano. È inoltre socio nazionale dell'Accademia dei lincei e di numerose altr’accademie. Diregge il Centro di studi vichiani del CNR e fa parte del consiglio scientifico dello stesso centro. Presidente della Fondazione  Piovani per gli studi vichiani e del consorzio inter-universitario Civiltà del mediterraneo. Presidente del comitato tecnico scientifico della fondazione Amato onlus; socio dell'Istituto per l'Oriente Nallino di Roma; vicepresidente della fondazione Cortese. Siede inoltre nel consiglio direttivo dell'istituto italiano per gli studi storici fondato da CROE. È stato componente del consiglio scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani. Membro del consiglio universitario nazionale, in cui è stato presidente del comitato di lettere, lingue e magistero, vice presidente della Fondazione teatro di S. Carlo, componente del consiglio generale della fondazione Banco di Napoli, del Consiglio direttivo e vice presidente della CRUI, la Conferenza permanente dei Rettori delle Università italiane; cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica. Senatore della Repubblica italiana nelle file dei Democratici di Sinistra L'Ulivo e deputato nelle file del L'Ulivo. Medaglia d'oro della Scuola dell'arte e della cultura e della Scienza e della cultura. Autore di molti saggi --  ai quali sono stati assegnati numerosi premi. Saggi: Aspetti del neo-guelfismo napoletano, Morano, Napoli; Crisi e trasformazioni dello STATO: recerche sul pensiero gius-pubblicistico italiano, Morano, Napoli; Fondamenti della filosofia politica, Morano, Napoli, La storia dell’idee, Monnier, Firenze, Profilo dello storicismo politico, POMBA, Torino, Lo storicismo, Laterza, Roma, Meinecke, Laterza, Roma; Filosofia, storia e politica in CUOCO (si veda), Marco, Lungro); Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Storia e Letteratura, Roma; Interpretazione dello storicismo, Scuola Normale, Pisa; Contributi alla storiografia arabo-islamica Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); La mia Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri (Grimaldi, Napoli); Letture quotidiane, Editoriale scientifica, Napoli, che raccolgono articoli di giornali quotidiani. Trittico Anti-hegeliano da Dilthey a Weber. Contributo alla teoria dello storicismo (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma; Da CUOCO (si veda) a Weber. Contributi alla storia dello storicismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma. Fonda il “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, Archivio di Storia della Cultura, Civiltà del Mediterraneo, pontaniana. unina. Curriculum su filosofia. unina. Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Fulvio Tessitore. Tessitore. Keywords: Cuoco. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tessitore,” per H. P. Grice’s gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Testa: la ragione conversazionale e la nemica fortuna – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Tidone). Filosofo italiano. Rifiuta la cattedra filosofica a Pisa e prefere lavorare a Parma, divenendone presidente dell'area filosofica. Deputato al parlamento sabaudo. T. Storia di un povero pretazzuolo di Fausto Chiesa, pubblicato dalla libreria Romagnosi di Piacenza. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alfonso Testa. Testa. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Testa” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Thaulero: la ragione conversazionale e il problema d’una antropologia filosofica; o, autorità e risentimento -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. Abruzzese, figlio del barone Carlo, nobile di Chieti e patrizio teramano. Consigue la maturità classica al liceo Massimo di Roma. Si iscrive alla Sapienza di Roma, dove si laurea a pieni voti con una tesi in filosofia del diritto, “Una metodologia del diritto”, sotto VECCHIO come relatore, e ottenne il diploma di perfezionamento con lode in filosofia del diritto nella scuola di perfezionamento di filosofia del diritto a Roma, con la tesi “La ‘fictio juris’ in Bartolo da Sassoferrato”, con SFORZA come relatore. Assistente volontario di PERTICONE, ordinario di storia contemporanea a scienze politiche, usufruì di una borsa della Humboldt-Stiftung che gli consente studiare in Germania per approfondire sulla problematica del valore. STURZO gli affida insieme ad Addio la direzione del “Bollettino di Sociologia”, poi divenuto “Sociologia”, divenendo uno dei maggiori collaboratori dell'istituto creato dal fondatore del partito popolare italiano. Inviato al congresso di sociologia di Amsterdam e fra i fondatori della Società italiana di scienze sociali.  Consigue la libera docenza in filosofia morale e ricopre vari incarichi presso Salerno. Vince il concorso a cattedra per filosofia morale del magistero di Salerno.  Muore in un incidente automobilistico.  Gli è stata intitolata la scuola di Cologna Spiaggia a Roseto degli Abruzzi. Altri saggi: “Società e cultura” (Giuffré, Milano); “Il mare ha voce, ha voce il vento” (Storia e Letteratura, Roma); “Il darsi dell'origine nell'esperienza sociale e religiosa” (Studium, Roma); “Intorno al concetto di sociologia generale”, “Sociologia: Bollettino dell'Istituto Sturzo” (A. Giuffré, Milano); “Il problema del risentimento” – “Sociologia: Bollettino dell'Istituto Sturzo” (Giuffré, Milano); “Scienze sociali e sociologia” – “Sociologia: bollettino dell'Istituto Sturzo” (Giuffré, Milano); “La Sociologia storicista” – “Sociologia: bollettino dell'Istituto Sturzo” (A. Giuffré, Milano); “Razionalità e storia” (Civitas); “L'autorità” (“Sociologia”); “Il problema dell'autorità” -- Convegno di Cultura Europea, Bolzano; “Conoscenza e sociologia” -- in “Rivista di Sociologia”, Appunti per la settimana sociale dei cattolici d'Italia, in Rivista di Sociologia; “Sociologia religiosa”, in “Rivista di Sociologia,” “Cristianesimo e storia”, in “Rivista di Sociologia”, “Pregiudizio e religione”, “Rivista di Sociologia”,  Roma, “Metafisica della scienza e sociologia” – “Rivista di Sociologia”, Roma, “Analisi culturale ed ecumenismo” – “Rivista di Sociologia”, Roma, Religione e pregiudizio” (Cappelli, Bologna); “Il problema di un'antropologia filosofica”, Rivista di Sociologia,  Guida, Napoli, Corso di lezioni ciclostilate, con la traduzione, in appendice, di un saggio di Scheler. Religione e pregiudizio. Analisi di contenuto dei libri cattolici di insegnamento religioso in Italia (Cappelli, Bologna); “Nota introduttiva a Hartmann”, Etica -- Fenomenologia dei costumi, in Esperienze’ “Osservazioni in margine ad una ricerca su pregiudizio e religione”, in Rivista di sociologia; “Prospettive culturali e sociologiche dell'impegno sociale” -- relazione tenuta alla Consulta dei Movimenti Effettive e Seniores della Gioventù di Azione Cattolica; “Un nuovo indirizzo storiografico nella analisi della struttura socio-economica” -- relazione tenuta in occasione del convegno Rozzi e l'agricoltura, Teramo, promosso dal Centro di Studi Storici Abruzzo Teramano, in Rivista di Sociologia; Riflessione sull'Università televisiva, in Informazione Radio TV. Studi, documenti e notizie, Speciale Televisione e Istruzione, RAI, Sociologia ed esperienza religiosa e politica Ricerche di Storia sociale e religiosa. Discendente del beato Johannes Thauler. Il Tempo, V. Mathieu, Salerno, Rosa, Seconda Attesa, Vicenza, Rosa, La storia che non passa: diario politico, Mannelli, T. Vincenzo Filippone-Thaulero. Thaulero. Keywords: autorita e risentimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Thaulero” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tiberiano: la ragione conversazionale del mio tutore Priscilliano – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano.  He moves to Baetica. He is a follower of Priscilliano, writing a number of essays in defence of Priscilliano’s extremely weird views!

 

Grice e Tiberio: la ragione conversazionale del filosofo principe – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. Principe. He takes a serious interest in philosophy, and is especially drawn to the Scesi, as he calls it. His tutors are Teodoro and Trasillo. Grice: “What surprises me is that both Tiberio, Teodoro, and Trasillo bear names that start with a T. But Strawson knows better: ‘The T in Theodoro is vulgar Italian, not Latin, or Greek!”

 

Grice e Tiberio: la ragione conversazionale della filosofia e dell’anti-filosofia – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Not the prince. This one writes on philosophical subjects.

 

Grice e Tilgher: la ragione conversazionale degl’orecchie dell’aquila -- il relativismo filosofico – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Resìna). Filosofo italiano. Nato da padre vetraio Tedesco, vive a Roma dove e amico e collaboratore di BUONAIUTI, studioso di storia del cristianesimo ed esponente del modernismo italiano. Lavora come bibliotecario ad Alessandrina e collabora ad alcuni giornali -- tra gli altri, Il Mondo e il Popolo di Roma -- molti dei quali vennero poi soppressi dal regime fascista (“unsurprisingly” – Grice). I suoi principali saggi sono: “La crisi mondiale”, “Estetica”; e “La filosofia delle morali”, nella quale delinea la sua originale visione individualistica. Collabora al giornale satirico “Il Becco giallo”. E tra i firmatari del manifesto degli intellettuali – o filosofi -- anti-fascisti, redatto da CROCE (“or his secretary, rather – full of typos!” – Grice). Da ricordare, anche, tra i suoi diversi saggi anti-fascisti, “la stroncatura di GENTILE”, che, soprattutto nell'ironico e irriverente sotto-titolo, esprime un dissacrante giudizio sulla propaganda con l'eloquente frase, di ascendenza bruniana – si veda: BRUNO -- “Lo spaccio del bestione trionfante”. Opera anche come critico letterario e teatrale. E tra i primi a notare l'originalità del teatro pirandelliano (PIRANDELLO, si veda), nonostante i tentativi di contestazione da parte del regime fascista.  In ambito filosofico, afferma che non esiste una scienza morale unica bensì una pluralità di morali che emergono da un fondo caotico in virtù di un'iniziativa che in parte è creatrice di valori e in parte effetto di coincidenze casuali, anche se fortunate. In lui ri-affiora il dualismo manicheo di bene e di male, ribelle a ogni composizione dialettica propria a ogni comodo, quanto illusorio e superficiale ottimismo. Considera mitico, utopistico, il concetto del progresso che non considera come altrettanto reali "il regresso, la caduta e la colpa".  Nella nota “Antologia dei filosofi italiani del dopoguerra”, oltre a suoi saggi include brani tratti dai saggi di ALIOTTA, BUONAIUTI, EVOLA, MARTINETTI, MIGNONE, NOBILE, E RENSI. A Ercolano gli è stato intitolato l'istituto d'istruzione superiore, non inferiore, -- “as Gentile would have preferred” – Grice. Altri saggi: “Arte, conoscenza e realtà” (Torino, Bocca); “Teoria del pragmatismo trascendentale” – alla APEL (Torino, Bocca); “Filosofi antichi” (Todi, Atanor); “La crisi mondiale”, “Saggi di socialismo e marxismo” (Bologna, Zanichelli); “Voci del tempo” (Roma, Libreria di scienza e lettere); “Relativisti contemporanei” (Roma, Libreria di scienza e lettere); “Studi sul teatro contemporaneo” (Roma, Libreria di scienza e lettere); “Ricognizioni, Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “La scena e la vita” – cf. Shakespeare: for all the world’s a stage -- (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Lo spaccio del bestione trionfante: stroncatura di GENTILE. Un libro per filosofi” – GENTILE: SI VEDA (Torino, Gobetti); con un saggio di Negri, La Mandragora, prefazione di Turi (Roma, Storia e Letteratura); “La visione greca della vita” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere, Giordano); “Saggi di etica e di filosofia del diritto” (Torino, Bocca); “Homo FABER” – cf. APPIO (Roma, Libreria di Scienza e Lettere, col titolo “Storia del concetto di lavoro nella civiltà occidentale, Firenze Libri); “La poesia dialettale napoletana” – “typical work of a German, as he was!” (Grice) (Roma, Libreria di scienza e lettere), “Estetica” (Roma, Libreria di scienza e lettere); Etica di Goethe, (Roma, Maglione); Filosofi e Moralisti – Grice: For Nowell-Smith, philosophers ARE moralists! -- , Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Studi di poetica” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); Cristo e Noi, Grice: “His real name wasn’t Christ, but Jesus” (Modena, Guanda); “Critica dello storicismo” (Modena, Guanda); Antologia dei filosofi italiani del dopoguerra (Modena, Guanda) – si veda: EVOLA, MARTINETTI, ecc. ; “Filosofia delle Morali” (Roma, Libreria di scienza e lettere); “Moralità: punti di vista sulla vita e sull'uomo” (Roma, Libreria di scienza e lettere); “Le orecchie dell'aquila: studio sulle fonti dell'attualismo di Gentile” (Roma, Religio); “La filosofia di LEOPARDI [minore]” (Roma, Religio); Raoul Bruni, (Torino, Aragno) -- con l'aggiunta di altri scritti leopardiani mai riuniti in volume;  “Il casualismo critico” (Roma, Bardi); “Mistiche nuove e Mistiche antiche” – cf. SCUOLA DI MISTICA FASCISTA (Roma, Bardi); “Tempo nostro” (Roma, Bardi); “Diario politico” (Roma, Atlantica); “Marxismo, socialismo borghesia (Firenze Libri); Carteggio CROCE-T., Tarquini (Bologna, Mulino); “PIRANDELLO, con testi di GRAMSCI” (Pisa, Scuola Normale Superiore); Einstein, Trappetti e Secci, Dalia Edizioni, La Stampa di Torino. Redazione,  “Spaccio della bestia trionfante” è un saggio del BRUNO, costituita da III dialoghi di argomento morale, pubblicata a Londra. Le “bestie trionfanti” sono i segni delle costellazioni celesti, rappresentate da animali -- è necessario ‘spacciarle’, ovvero cacciarle dal cielo in quanto rappresentano vecchi vizi che occorre sostituire con moderne virtù. Una nota dell'OVRA su un presunto tentativo di contestare PIRANDELLO (si veda) nella tournée in Argentina si riferisce una grave dichiarazione confidenziale fatta dal noto letterato anti-fascista a CASSINELLI, dichiarazione che rileva non solo l'animosità biliosa di T. contro PIRANDELLO ma anche e soprattutto un piano pre-stabilito da oltre III mesi da rinnegati contro degl’italiani che si apprestano a far conoscere ai nostri co-nazionali in Argentina, le ultime novità letterarie degli autori italiani. Sedita, “PIRANDELLO, l'a-politico spiato” (Belfagor), che riproduce la nota, sottolinea l'enfasi negativa con cui in essa si presenta il noto letterato anti-fascista T. e con cui ci si sofferma soprattutto sul suo perdurante odioso atteggiamento di sfida e di ribellione al fascismo. E significativo, alla luce degli studi di CANALI, che il tramite tra la polizia politica e T. sia stato CASSINELLI. CASSINELLI divenne amico di PIRANDELLO, che ne parla con deferenza in due lettere all’Abba. Dizionario Biografico degli Italiani  Rensi, Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte” (Napoli, Orthotes); Istituto d'Istruzione Superiore T., su tilgher Grana, T. critico, in, Letteratura italiana. I critici,  V, Marzorati, Milano; R. Laz., Enciclopedia ItalianaII Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, T. com'era, Napoli, Edizioni del delfino, Buonaiuti Modernismo teologico Manifesto degli intellettuali antifascisti Traccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Adriano Tilgher. Tilgher. Keywords: le orecchie dell'aquila, lo spaccio del bestione trionfante. Refs.: Luigi Speranza, ‘Grice e Tilgher’ – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Timagora: la ragione conversazionale dell’orto di Roma – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Grupo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. Orto. Cited by CICERONE. Grice: “I would say that Cicerone should every sign of being a closet Epicureian. He knew them ALL!” Keywords: Orto.

 

Grice e Timagora: la ragione conversazionale della tutelage in Italian philosophy – Roma – filosofia italiana Grice italico – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Gela). Filosofo italiano. A pupil of Teofrasto and Stilpo. Grice: “Not a good pupil, apparently, since he needed TWO tutors. I rather would die than having to endure my four years at Oxford under TWO tutors: Hardie was MORE than enough!” – Keywords: tutelage in Italian philosophy

 

Grice e Timarato: la ragione conversazionale della legislazione di Locri – principe filosofo – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean cited by Giamblico, pupil of Pythagoras himself. T. achieves great eminence as a law-giver at Locri. However, Giamblico says exactly the same thing about a *Timares* of Locri, which is either a remarkable coincidence or a mistake (“but can’t be both” – Grice). The latter is perhaps more likely, as on both occasions Giamblico links Timares with Zaleucus – implying (“or implicating” – Grice) they are the same person. Keywords: Cuoco.

 

Grice e Timare: la ragione conversazionale della legislazione di Locri – il principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico – and an important law-giver in Locri. Some scholars think that Giamblico or someone else made a mistake and that ‘Timares of Locri’ should read ‘Timeo of Locri.’ As Plato nowhere describes Timeo specifically as a law-giver, the identification is at best inconclusive. However, Timares does seem to be the same person as *Timaratus* of Locri – “if you’ve heard of him.” Grice. Keywords: the laws of Locri. Timare.

 

Grice e Timarida: la ragione conversazionale della provvidenza divinamente decadente -- Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A pupil of Pythagoras himself, as cited by Giamblico. He is mentioned in a work by Androcide in which Timarida is shown as a strong believer in divine providence. Grice: “Which is possibly the source for Vico – the ONLY *OTHER* philosopher *I* know who believes in ‘provvidenza divina’ – Keyword: provvidenza. “Note that the ‘divine’ is decorative, since pro-videnza has more to do with fore-sight!” – Grice. Keywords: Cuoco, la filosofia italica.

 

Grice e Timasio: la ragione conversazionale dei sibariti – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Sibari) Filosofo italiano. A Pythagorean – cited by Giamblico – “‘Check other references,’ Strawson told me. I ignored him!”. Grice: Giamblico – although not an Italian his self, knew his Italy, since Sibari is hardly considered a philosopical centre – as Oxford is – but Timasio made one of it!”

 

Grice e Timeo: la ragione conversazionale di Crotone e i suoi filiali -- Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean cited by Giamblico. Grice: “Giamblico knew his Italy; he refused to call Sicily part of Italy – but then he referred to Grosse Griechland, as the Germans call it, not as Italy, either! Anyway, this Timeo was Italy-born, in Crotone, which the old Italiots called ‘Crotona,’ since a city must end with an -a, not an -e. Grice: “Timeo should not be confused with Timeo, Plato’s tutor – nor with Timeo, Empedocle’s – or Girgenti’s – pupil! Keywords: Crotone e i suoi filiali.

 

Grice e Timeo: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Locri). Filosofo italiano. T. is the lead character in a dialogue by Plato, named, of course after him. T. is described as rich, a sometime holder of high office, and a philosopher of considerable accomplishment – “which, by Plato’s standards, means a lot” – Grice. According to CICERONE, Plato meets Timeo and studies with him – “or *under* him, as the Greeks have it.” – Grice. In the dialogue, Timeo expounds a theory of how the natural world came into existence – “even if nobody asked him!” – Grice. CICERONE describes Timeo as a Pythagorean – “But everybody except himself was a Pythagorean for Cicerone!” – Grice. Giamblico in fact describes two men named Timeo as Pythagoreans (“But he wasn’t wearing glasses!” – Grice. His works are considered apocryphal – “but that is a complimentary epithet at Oxford, as Strawson well knows!” Grice: “Timeo puts Locri on the philosophical map!” Grice: But of course Cuoco is right and Pythagoras himself was possibly from Locri!” – Grice. Keywords: CICERONE.

 

Grice e Timeo: all’isola -- la ragione conversazionale dell’Etna e la filosofia -- Roma – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Taormina). Filosofo italiano (“Or should we say Sicilian?” – Grice). A historian, and a source used by Diogene Laerzio in his account of Empedocle di Girgenti. Grice: “If Diogene used Timeo as a source, it means that Diogene was two-steps removed from the Etna, whereas Timeo almost fell into it!”. Keywords: Girgenti.

 

Grice e Timossi: la ragione conversazionale e la prammatica del ragionare -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Genova). Filosofo italiano. Studia a Genova. Svolge attività di ricerca e di insegnamento seminariale presso l'ateneo genovese. I suoi principali interessi sono rivolti alle cosiddette questioni di frontiera, che riguardano la filosofia, la teologia, la storia della scienza, l'epistemologia e la religione. In questo ambito, si propone di dimostrare la possibilità di una metafisica cognitiva e in particolare di una rinnovata teologia naturale o filosofica che proceda dai rivoluzionari risultati e dalle conoscenze della scienza contemporanea.  È inoltre noto, come l’alievo di Grice, A. G. N. Flew, per i suoi studi critici sull'ateismo. Studioso di logica, ha pubblicato uno dei manuali introduttivi più letti in Italia: "Imparare a ragionare. Un manuale di logica", Marietti).  Presidente del Consiglio scientifico della scuola internazionale superiore per la ricerca inter-disciplinare; membro del comitato di gestione della fondazione Compagnia di S. Paolo di Torino. Academia ligure di scienze e lettere.  Altri saggi: “Dio è possibile? Il problema dell'esistenza di un'entità superiore” (Padova, Muzzio); “Dio e la scienza moderna: il dilemma della prima mossa” (Milano, Mondadori); “Prove logiche dell'esistenza di Dio d'Aosta a Gödel: storia critica dell'argomento ontologico” (Milano, Marietti); “L'illusione dell'ateismo: perché la scienza non nega Dio” (Cinisello Balsamo, S. Paolo); Imparare a ragionare: un manuale di logica” (Milano, Marietti); “Decidere di credere: ragionevolezza della fede” (Cinisello Balsamo, S. Paolo); “Nel segno del nulla: critica dell'ateismo” (Torino, Lindau); “Perché crediamo in Dio: le ragioni della fede" (Cinisello Balsamo, S. Paolo); “Credere per scommessa: la sfida di Pascal tra matematica e fede” (Bologna, Marietti, Centro Editoriale Dehoniano. Timossi. Keywords: ragionare, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Timossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tincari: la ragione conversazionale del iustum quia iussum – Roma -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo. Persio. Philosopher of law, Bergamo. Persio Tincari. Tincari. Keywords: iustum quia iussum, Bergamo, Pergamo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tincari” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tirannio: la ragione conversazionale del lizio di Roma – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. Primarily a grammarian. Friend of CICERONE – he held the seminars in his own house. He made copies of a number of works of Aristotle which might otherwise have been lost. Grice: “Cicerone found it boring that everytime he would pay a visit to Tirannio, he was copying some old Greek manuscript!” Grice: “I wouldn’t call Tirannio a sophist: his at-homes were, like mine, free of charge!” Keywords: grammatica filosofica, lizio.

 

Grice e Tirseno: la ragione conversazionale della tesi di Cuoco – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza  (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico. Grice: Giamblico knew his Italy. But he didn’t know what Cuoco knew. If Tirseno was philosophising in Sibari, it means there was an atmosphere for philosophical inquiries in these parts of Italy way before Pythagoras called himself an Etrurian! Keywords: Cuoco.

 

Grice e Tisia: la ragione conversazionale dell’argumento del probable, l’argumento del desirabile – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. (“Or should we say, Sicilian?” – Grice). A pioneer of rhetoric, T. emphasises the importance of an appeal to the probable in an argument. He was the tutor of Gorgia di Leonzio. Grice: “I took my inspiration for my Prob. vs. Des. – probability versus desirability – not so much from Davidson (that’s boring!) but from Tisia di Siracusa. As a tutor, I can identify, because at Oxford, I was always regarded as Strawson’s tutor – as Tisia was Gorgia’s one! Only that Gorgia travelled all the way from Leonzio to Siracusa to get tutored, whereas Strawson met me on common ground! Keywords: probability, the probable, argument.

 

Grice e Tito: la ragione conversazionale e la clemenza del principe filosofo – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). L’imperatore Tito, famoso per la sua clemenza (Mozart, La clemenza di Tito). Il suo filosofo favorito e Musonio – il principe filosofo.  INTERLOCUTORI TITO Vespasiano, imperatore di Roma TENORE VITELLIA, figlia dell'imperatore Vitellio SOPRANO SERVILIA, sorella di Sesto, amante d'Annio SOPRANO SESTO, amico di Tito, amante di Vitellia SOPRANO ANNIO, amico di Sesto, amante di Servilia SOPRANO PUBLIO, prefetto del pretorio BASSO Chorus: Senatori, Patrizi, Legati, Pretoriani, Littori, Popolo. Luogo: Roma. Epoca: Impero. Atto primo La clemenza di Tito ATTO Ouverture Allegro (do maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. Scena prima Appartamenti di Vitellia. Vitellia, Sesto. Recitativo, continuo VITELLIA Ma che? sempre l'istesso, Sesto, a dirmi verrai? So che sedotto fu Lentulo da te; che i suoi seguaci son pronti già; che il Campidoglio acceso darà moto a un tumulto. Io tutto questo già mille volte udii: la mia vendetta mai non veggo però. S'aspetta forse che Tito a Berenice in faccia mia offra d'amor insano l'usurpato mio trono, e la sua mano? Parla, di', che s'attende? SESTO Dio! VITELLIA Sospiri? SESTO Pensaci meglio, oh cara, pensaci meglio. Ah, non togliamo in Tito la sua delizia al mondo, il padre a Roma, l'amico a noi. VITELLIA Dunque a vantarmi in faccia venisti il mio nemico? e più non pensi che questo eroe clemente un soglio usurpò dal suo tolto al mio padre? Che mi ingannò, che mi sedusse, (e questo è il suo fallo maggior) quasi ad amarlo? E poi, perfido! e poi di nuovo al Tebro richiamar Berenice! Una rivale avesse scelta almeno degna di me fra le beltà di Roma: ma una barbara, Sesto, un'esule antepormi, una regina! SESTO Ah, principessa, tu sei gelosa. VITELLIA Io! 4 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo SESTO Sì. VITELLIA Gelosa io sono, se non soffro un disprezzo? SESTO Eppur... VITELLIA Eppur non hai cor d'acquistarmi. SESTO Io son... VITELLIA Tu sei sciolto d'ogni promessa. A me non manca più degno esecutor dell'odio mio. SESTO Sentimi! VITELLIA Intesi assai. SESTO Fermati! VITELLIA Addio. SESTO Ah, Vitellia, ah, mio nume, non partir! Dove vai? Perdonami, ti credo, io m'ingannai. [N. 1 ­ Duetto] Andante (fa maggiore) / Allegro Archi, flauto, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. SESTO Come ti piace imponi: regola i moti miei. Il mio destin tu sei; tutto farò per te. VITELLIA Prima che il sol tramonti, estinto io vo' l'indegno. Sai ch'egli usurpa un regno che in sorte il ciel mi diè. SESTO Già il tuo furor m'accende. VITELLIA Ebben, che più s'attende? SESTO Un dolce sguardo almeno sia premio alla mia fé! VITELLIA E SESTO Fan mille affetti insieme battaglia in me spietata. Un'alma lacerata più della mia non v'è. www.librettidopera.it 5 / 38 Atto primo La clemenza di Tito Scena seconda Annio, detti. Recitativo, continuo ANNIO Amico, il passo affretta, cesare a sé ti chiama. VITELLIA Ah, non perdete questi brevi momenti. A Berenice Tito gli usurpa. ANNIO Ingiustamente oltraggi, Vitellia, il nostro eroe: Tito ha l'impero e del mondo, e di sé. Già per suo cenno Berenice partì. SESTO Come? VITELLIA Che dici? ANNIO Voi stupite a ragion. Roma ne piange, di maraviglia, e di piacer. Io stesso quasi no 'l credo: ed io fui presente, o Vitellia, al grande addio. VITELLIA (Oh speranze!) Sesto, sospendi d'eseguire i miei cenni. Il colpo ancora non è maturo. SESTO E tu non vuoi ch'io vegga!... ch'io mi lagni, oh crudele!... VITELLIA Or che vedesti? Di che ti puoi lagnar? SESTO Di nulla! (Oh dio! chi provò mai tormento eguale al mio!) [N. 2 ­ Aria] Larghetto (sol maggiore) / Allegro Archi, 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni. VITELLIA Deh, se piacer mi vuoi, lascia i sospetti tuoi; non mi stancar con questo molesto dubitar. Chi ciecamente crede, impegna a serbar fede; chi sempre inganni aspetta, alletta ad ingannar. (parte) 6 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo Scena terza Annio, Sesto. Recitativo, continuo ANNIO Amico, ecco il momento di rendermi felice. All'amor mio Servilia promettesti. Altro non manca che d'augusto l'assenso. Ora da lui impetrarlo potresti. SESTO Ogni tua brama, Annio, m'è legge. Impaziente anch'io questo nuovo legame, Annio, desio. [N. 3 ­ Duettino] Andante (do maggiore) Archi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni. ANNIO E SESTO Deh, prendi un dolce amplesso, amico mio fedel; e ognor per me lo stesso ti serbi amico il ciel. (partono) Scena quarta Parte del foro romano magnificamente adornato d'archi, obelischi, e trofei; in faccia aspetto esteriore del Campidoglio, e magnifica strada per cui vi si ascende. Coro, Publio, Annio, Tito, Sesto. [N. 4 ­ Marcia] Maestoso (mi bemolle maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. Publio, Senatori romani, e i Legati delle province soggette, destinati a presentare al senato gli annui imposti tributi. Tito, preceduto da Littori, seguìto da Pretoriani, e circondato da numeroso Popolo, scende dal Campidoglio. www.librettidopera.it 7 / 38 Atto primo La clemenza di Tito [N. 5 ­ Coro] Allegro (mi bemolle maggiore) Archi, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni. CORO Serbate, oh dèi custodi della romana sorte, in Tito il giusto, il forte, l'onor di nostra età. Nel fine del coro suddetto, Annio e Sesto da diverse parti. Recitativo, continuo PUBLIO (a Tito) Te «della patria il padre» oggi appella il senato: e mai più giusto non fu ne' suoi decreti, oh invitto augusto. ANNIO Eccelso tempio ti destina il senato; e là si vuole, che fra divini onori anche il nume di Tito il Tebro adori. PUBLIO Quei tesori, che vedi, all'opra consacriam. Tito non sdegni questi del nostro amor pubblici segni. TITO Romani, udite: oltre l'usato terribile il Vesuvio ardenti fiumi dalle fauci eruttò; scosse le rupi, riempié di ruine i campi intorno e le città vicine. Le desolate genti fuggendo van; ma la miseria opprime quei che al foco avanzar. Serva quell'oro di tanti afflitti a riparar lo scempio. Questo, o romani, è fabbricarmi il tempio. ANNIO Oh, vero eroe! PUBLIO Quanto di te minori tutti i premi son mai tutte le lodi! TITO Basta, basta, oh miei fidi. Sesto a me s'avvicini; Annio non parta; ogn'altro s'allontani. (si ritirano tutti fuori dell'atrio, e vi rimangono Tito, Sesto ed Annio) N. 5 ­ Coro, ripresa CORO Serbate, oh dèi custodi della romana sorte, in Tito il giusto, il forte, l'onor di nostra età. 8 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo N. 4 ­ Marcia, ripresa Recitativo, continuo ANNIO (Adesso, o Sesto, parla per me.) SESTO Come, signor, potesti la tua bella regina?... TITO Ah, Sesto amico, che terribil momento! Io non credei... basta; ho vinto; partì. Tolgasi adesso a Roma ogni sospetto di vederla mia sposa. Una sua figlia vuol veder sul mio soglio, e appagarla convien. Giacché l'amore scelse invano i miei lacci, io vo', che almeno l'amicizia li scelga. Al tuo s'unisca, Sesto, il cesareo sangue. Oggi mia sposa sarà la tua germana. SESTO Servilia! TITO Appunto. ANNIO (Oh, me infelice!) SESTO (Oh dèi! Annio è perduto.) TITO Udisti? che dici? non rispondi? SESTO Tito!... ANNIO Augusto, conosco di Sesto il cor. Ma tu consiglio da lui prender non déi. Come potresti sposa elegger più degna dell'impero, e di te? Virtù, bellezza, tutto è in Servilia. Io le conobbi in volto ch'era nata a regnar. De' miei presagi l'adempimento è questo. SESTO (Annio parla così? Sogno, o son desto!) TITO Ebbene, recane a lei, Annio, tu la novella; e tu mi segui, amato Sesto; e queste tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte tu ancor nel soglio, e tanto t'innalzerò, che resterà ben poco dello spazio infinito, che frapposer gli dèi fra Sesto, e Tito. www.librettidopera.it 9 / 38 Atto primo La clemenza di Tito SESTO Questo è troppo, oh signor. Modera almeno, se ingrati non ci vuoi, modera, augusto, i benefici tuoi. TITO Ma che? (Se mi negate che benefico io sia, che mi lasciate?) [N. 6 ­ Aria] Andante (sol maggiore) Archi, 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni. TITO Del più sublime soglio l'unico frutto è questo: tutto è tormento il resto, e tutto è servitù. Che avrei, se ancor perdessi le sole ore felici ch'ho nel giovar gli oppressi, nel sollevar gli amici, nel dispensar tesori al merto, e alla virtù? (parte con Sesto) Scena quinta Annio, Servilia. Recitativo, continuo ANNIO Non ci pentiam. D'un generoso amante era questo il dover. Mio cor, deponi le tenerezze antiche. È tua sovrana chi fu l'idolo tuo. Cambiar conviene in rispetto l'amore. Eccola. Oh dèi! Mai non parve sì bella agli occhi miei. SERVILIA Mio ben... ANNIO Taci, Servilia. Ora è delitto il chiamarmi così. SERVILIA Perché? ANNIO Ti scelse cesare (che martir!) per sua consorte. A te (morir mi sento), a te m'impose di recarne l'avviso (oh pena!), ed io... io fui... (parlar non posso)... augusta, addio! SERVILIA Come! fermati. Io sposa di cesare? E perché? 10 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo ANNIO Perché non trova beltà, virtù che sia più degna d'un impero, anima... oh stelle! Che dirò? Lascia, augusta, deh lasciami partir. SERVILIA Così confusa abbandonarmi vuoi? Spiegati; dimmi: come fu? per qual via?... ANNIO Mi perdo s'io non parto, anima mia. [N. 7 ­ Duetto] Andante (la maggiore) Archi, flauto, 2 oboe, 2 fagotti. ANNIO Ah, perdona al primo affetto questo accento sconsigliato: colpa fu del labbro usato a così chiamarti ognor. SERVILIA Ah, tu fosti il primo oggetto, che finor fedel amai; e tu l'ultimo sarai ch'abbia nido in questo cor. ANNIO Cari accenti del mio bene. SERVILIA Oh mia dolce, cara speme. SERVILIA E ANNIO Più che ascolto i sensi tuoi, in me cresce più l'ardor. Quando un'alma è all'altra unita, qual piacere un cor risente! Ah, si tronchi dalla vita tutto quel che non è amor. (partono) Scena sesta Ritiro delizioso nel soggiorno imperiale sul colle Palatino. Tito, Publio. Recitativo, continuo TITO Che mi rechi in quel foglio? PUBLIO I nomi ei chiude de' rei che osar con temerari accenti de' cesari già spenti la memoria oltraggiar. www.librettidopera.it 11 / 38 Atto primo La clemenza di Tito TITO Barbara inchiesta, che agli estinti non giova, e somministra mille strade alla frode d'insidiar gl'innocenti! PUBLIO Ma v'è, signor, chi lacerate ardisce anche il tuo nome. TITO E che perciò? se 'l mosse leggerezza; no 'l curo; se follia, lo compiango; se ragion, gli son grato; e se in lui sono impeti di malizia, io gli perdono. PUBLIO Almen... Scena settima Tito, Publio, Servilia. SERVILIA Di Tito al piè... TITO Servilia! Augusta! SERVILIA Ah! signor, sì gran nome non darmi ancora. Odimi prima. Io deggio palesarti un arcan. (Publio si ritira) TITO Parla... SERVILIA Il core, signor, non è più mio. Già da gran tempo Annio me lo rapì. Valor che basti, non ho per obliarlo. Anche dal trono il solito sentiero farebbe a mio dispetto il mio pensiero. So che oppormi è delitto d'un cesare al voler; ma tutto almeno sia noto al mio sovrano: poi, se mi vuoi sua sposa, ecco la mano. TITO Grazie, o numi dei ciel! Pur si ritrova chi s'avventuri a dispiacer col vero. Alla grandezza tua la propria pace Annio pospone! Tu ricusi un trono per essergli fedele! Ed io dovrei turbar fiamme sì belle! Ah, non produce sentimenti sì rei di Tito il core. Sgombra ogni tema. Io voglio stringer nodo sì degno, e n'abbia poi cittadini la patria eguali a voi. 12 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo [N. 8 ­ Aria] Allegro (re maggiore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. TITO Ah, se fosse intorno al trono ogni cor così sincero non tormento un vasto impero, ma saria felicità. Non dovrebbero i regnanti tollerar sì grave affanno, per distinguer dall'inganno l'insidiata verità. (parte) Scena ottava Servilia, poi Vitellia. Recitativo, continuo SERVILIA Felice me! VITELLIA Posso alla mia sovrana offrir del mio rispetto i primi omaggi? Posso adorar quel volto, per cui d'amor ferito, ha perduto il riposo il cor di Tito? SERVILIA Non esser meco irata; forse la regia destra è a te serbata. (parte) Scena nona Vitellia, poi Sesto. VITELLIA Ancor mi schernisce? Questo soffrir degg'io vergognoso disprezzo? Ah, con qual fasto qui mi lascia costei! Barbaro Tito! Ti parea dunque poco Berenice antepormi? Io dunque sono l'ultima de' viventi. Ah, trema ingrato! Trema d'avermi offesa. Oggi il tuo sangue... SESTO Mia vita. VITELLIA Ebben, che rechi? Il Campidoglio è acceso? è incenerito? Lentulo dove sta? Tito è punito? www.librettidopera.it 13 / 38 Atto primo La clemenza di Tito SESTO Nulla intrapresi ancor. VITELLIA Nulla! e sì franco mi torni innanzi? SESTO È tuo comando il sospendere il colpo. VITELLIA E non udisti i miei novelli oltraggi? D'altri stimoli hai d'uopo? Sappi, che Tito amai, che del mio cor l'acquisto ei t'impedì; che se rimane in vita, si può pentir; ch'io ritornar potrei (non mi fido di me) forse ad amarlo. Or va', se non ti muove desio di gloria, ambizione, amore; se tolleri un rivale, che usurpò, che contrasta, che involar potrà gli affetti miei, degli uomini 'l più vil dirò che sei. SESTO Quante vie d'assalirmi! Basta, basta non più, già m'inspirasti, Vitellia, il tuo furore. Arder vedrai fra poco il Campidoglio; e quest'acciaro nel sen di Tito... VITELLIA Ed or che pensi? Dunque corri; che fai? Perché non parti? [N. 9 ­ Aria] Adagio (si bemolle maggiore) / Allegro Archi, 2 oboe, clarinetto solo, 2 fagotti, 2 corni. SESTO Parto; ma tu ben mio, meco ritorna in pace; sarò qual più ti piace, quel che vorrai farò. Guardami, e tutto oblio, e a vendicarti io volo; a questo sguardo solo da me sì penserà. Ah, qual poter, oh dèi! donaste alla beltà. (parte) 14 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo Scena decima Vitellia, poi Publio ed Annio. Recitativo, continuo VITELLIA Vedrai, Tito, vedrai, che alfin sì vile questo volto non è. Basta a sedurti gli amici almen, se ad invaghirti è poco. Ti pentirai... PUBLIO Tu qui, Vitellia? Ah, corri: va Tito alle tue stanze. ANNIO Vitellia, il passo affretta, cesare di te cerca. VITELLIA Cesare! PUBLIO Ancor no 'l sai? Sua consorte ti elesse. ANNIO Tu sei la nostra augusta; ed il primo omaggio già da noi ti si rende. PUBLIO Ah, principessa, andiam: cesare attende. [N. 10 ­ Terzetto] Allegro (sol maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. VITELLIA Vengo... aspettate... Sesto!... Ahimè!... Sesto!... è partito?... Oh sdegno mio funesto! Oh insano mio furor! Che angustia, che tormento! Io gelo, oh dio! d'orror. PUBLIO E ANNIO Oh come un gran contento, come confonde un cor. (partono) www.librettidopera.it 15 / 38 Atto primo La clemenza di Tito Scena undicesima Campidoglio, come prima. Sesto solo, indi Annio, Servilia, Publio, Vitellia. [N. 11 ­ Recitativo accompagnato] Allegro assai (do maggiore) / Andante / Allegro assai Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. SESTO Oh dèi, che smania è questa! Che tumulto ho nel cor! Palpito, agghiaccio: m'incammino, m'arresto: ogn'aura, ogn'ombra mi fa tremare. Io non credea, che fosse sì difficile impresa esser malvagio. Ma compirla convien. Almen si vada con valor a perir. Valore! E come può averne un traditor? Sesto infelice, tu traditor! Che orribil nome! Eppure t'affretti a meritarlo. E chi tradisci? Il più grande, il più giusto, il più clemente principe della terra, a cui tu devi quanto puoi, quanto sei. Bella mercede gli rendi in vero! Ei t'innalzò per farti il carnefice suo. M'inghiotta il suolo prima ch'io tal divenga. Ah, non ho core, Vitellia, a secondar gli sdegni tui: morrei prima del colpo in faccia a lui. Si desta nel Campidoglio un incendio che a poco a poco va crescendo. SESTO S'impedisca... ma come, arde già il Campidoglio. Un gran tumulto io sento d'armi, e d'armati; ahi! tardo è il pentimento. [N. 12 ­ Quintetto con coro] Allegro (mi bemolle maggiore) / Andante Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. SESTO Deh, conservate, oh dèi, a Roma il suo splendor, o almeno i giorni miei coi suoi troncate ancor. ANNIO Amico, dove vai? SESTO Io vado... lo saprai oh dio, per mio rossor. (ascende frettoloso nel Campidoglio) ANNIO Io Sesto non intendo... ma qui Servilia viene. 16 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto primo SERVILIA Ah, che tumulto orrendo! ANNIO Fuggi di qua mio bene. SERVILIA Si teme che l'incendio non sia dal caso nato, ma con peggior disegno ad arte suscitato. CORO in distanza Ah!... PUBLIO V'è in Roma una congiura, per Tito ahimè pavento; di questo tradimento chi mai sarà l'autor. CORO in distanza Ah!... SERVILIA, ANNIO E PUBLIO Le grida ahimè ch'io sento mi fan gelar d'orror. Scena dodicesima Vitellia entra. Allegro (do minore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. CORO in distanza Ah!... VITELLIA Chi per pietade oh dio! m'addita dov'è Sesto? (In odio a me son io ed ho di me terror.) CORO in distanza Ah!... ah!... SERVILIA, ANNIO E PUBLIO Di questo tradimento chi mai sarà l'autor. CORO in distanza Ah!... ah!... VITELLIA, SERVILIA, ANNIO E PUBLIO Le grida ahimè ch'io sento mi fan gelar d'orror. (Sesto scende dal Campidoglio) www.librettidopera.it 17 / 38 Atto primo La clemenza di Tito Scena tredicesima Sesto. SESTO (Ah, dove mai m'ascondo? Apriti, oh terra, inghiottimi, e nel tuo sen profondo rinserra un traditor.) VITELLIA Sesto! SESTO Da me che vuoi? VITELLIA Quai sguardi vibri intorno? SESTO Mi fa terror il giorno. VITELLIA Tito?... SESTO La nobil alma versò dal sen trafitto. SERVILIA, ANNIO, PUBLIO Qual destra rea macchiarsi poté d'un tal delitto? SESTO Fu l'uom più scellerato, l'orror della natura, fu... VITELLIA Taci forsennato, deh, non ti palesar. Andante (do maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. VITELLIA, SERVILIA, SESTO, ANNIO E PUBLIO Ah dunque l'astro è spento, di pace apportator. TUTTI E CORO Oh nero tradimento, oh giorno di dolor! 18 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo A T T O   S E C O N D O Scena prima Ritiro delizioso nel soggiorno imperiale sul colle Palatino. Annio, Sesto. Recitativo, continuo ANNIO Sesto, come tu credi, augusto non perì. Calma il tuo duolo; in questo punto ei torna illeso dal tumulto. SESTO Oh dèi pietosi! oh, caro prence! oh, dolce amico! Ah, lascia che a questo sen... ma non m'inganni?... ANNIO Io merto sì poca fé? Dunque tu stesso a lui corri, e 'l vedrai. SESTO Ch'io mi presenti a Tito dopo averlo tradito? ANNIO Tu lo tradisti? SESTO Io del tumulto, io sono il primo autor. ANNIO Sesto è infedele! SESTO Amico, m'ha perduto un istante. Addio. M'involo alla patria per sempre. Ricordati di me. Tito difendi da nuove insidie. Io vo ramingo, afflitto a pianger fra le selve il mio delitto. ANNIO Fermati; oh dèi! pensiamo... incolpan molti di questo incendio il caso; e la congiura non è certa finora... SESTO Ebben, che vuoi? ANNIO Che tu non parta ancora. www.librettidopera.it 19 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito [N. 13 ­ Aria] Allegretto (sol maggiore) Archi. ANNIO Torna di Tito a lato: torna, e l'error passato con replicate emenda prove di fedeltà. L'acerbo tuo dolore è segno manifesto, che di virtù nel core l'immagine ti sta. (parte) Scena seconda Sesto, poi Vitellia. Recitativo, continuo SESTO Partir deggio, o restar? Io non ho mente per distinguer consigli. VITELLIA Sesto, fuggi, conserva la tua vita, e 'l mio onor. Tu sei perduto, se alcun ti scopre, e se scoperto sei, pubblico è il mio segreto. SESTO In questo seno sepolto resterà. Nessuno il seppe: tacendolo morrò. Scena terza Publio con Guardie e detti. PUBLIO Sesto! SESTO Che chiedi? PUBLIO La tua spada. SESTO E perché? PUBLIO Colui, che cinto delle spoglie regali agli occhi tuoi, cadde trafitto al suolo, ed ingannato dall'apparenza tu credesti Tito, era Lentulo; il colpo la vita a lui non tolse, il resto intendi. Vieni. 20 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo VITELLIA (Oh, colpo fatale!) SESTO (dà la spada) Al fin, tiranna... PUBLIO Sesto, partir conviene. È già raccolto per udirti il senato; e non poss'io differir di condurti. SESTO Ingrata, addio! Scena quarta Detti. [N. 14 ­ Terzetto] Andantino (si bemolle maggiore) / Allegretto Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. SESTO Se al volto mai ti senti lieve aura che s'aggiri, gli estremi miei sospiri quell'alito sarà. VITELLIA (Per me vien tratto a morte: ah, dove mai m'ascondo! Fra poco noto al mondo il fallo mio sarà.) PUBLIO Vieni... SESTO (a Publio) Ti seguo... (a Vitellia) Addio. VITELLIA (a Sesto) Senti... mi perdo... oh dio! (a Publio) Che crudeltà! SESTO (a Vitellia, in atto di partire) Rammenta chi t'adora in questo stato ancora. Mercede al mio dolore sia almen la tua pietà. VITELLIA (Mi lacerano il core rimorso, orror, spavento! Quel che nell'alma io sento di duol morir mi fa.) PUBLIO (L'acerbo amaro pianto, che da' suoi lumi piove, l'anima mi commuove, ma vana è la pietà!) www.librettidopera.it 21 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito Publio e Sesto partono con le Guardie, e Vitellia dalla parte opposta. Scena quinta Gran sala destinata alle pubbliche udienze. Trono, sedia e tavolino. Tito, Publio, Patrizi, Pretoriani e Popolo. [N. 15 ­ Coro] Andante (fa maggiore) Archi, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni. CORO Ah, grazie si rendano al sommo fattor, che in Tito del trono salvò lo splendor. TITO Ah no, sventurato non sono cotanto, se in Roma il mio fato si trova compianto se voti per Tito si formano ancor. Recitativo, continuo PUBLIO È tutto colà d'intorno alla festiva arena il popolo raccolto; e non s'attende che la presenza tua. TITO Andremo, Publio, fra poco. Io non avrei riposo, se di Sesto il destino pria non sapessi. Avrà il senato omai le sue discolpe udite; avrà scoperto, vedrai, ch'egli è innocente; e non dovrebbe tardar molto l'avviso. Va'! chiedi che si fa, che si attende? Io voglio tutto saper pria di partir. PUBLIO Vado; ma temo di non tornar nunzio felice. TITO E puoi creder Sesto infedele? Io dal mio core il suo misuro; e un impossibil parmi ch'egli m'abbia tradito. PUBLIO Ma, signor, non han tutti il cor di Tito. 22 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo [N. 16 ­ Aria] Allegretto (do maggiore) Archi, 2 oboe, 2 corni. PUBLIO Tardi s'avvede d'un tradimento chi mai di fede mancar non sa. Un cor verace, pieno d'onore, non è portento, se ogn'altro core crede incapace d'infedeltà. (parte) Scena sesta Tito, poi Annio. Recitativo, continuo TITO No, così scellerato il mio Sesto non credo. Tanto cambiarsi un'alma non potrebbe. TITO Annio, che rechi? L'innocenza di Sesto? Consolami! ANNIO Signor! pietà per lui ad implorar io vengo. Scena settima Detti, Publio con foglio. PUBLIO Cesare, no 'l diss'io. Sesto è l'autore della trama crudel. TITO Publio, ed è vero? PUBLIO Purtroppo; ei di sua bocca tutto affermò. Co' complici il senato alle fiere il condanna. Ecco il decreto terribile, ma giusto; (dà il foglio a Tito) né vi manca, o signor, che il nome augusto. TITO Onnipossenti dèi! (si getta sedere) www.librettidopera.it 23 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito ANNIO Ah, pietoso monarca... (inginocchiandosi) TITO Annio, per ora lasciami in pace. (Annio si leva) PUBLIO Alla gran pompa unite sai che le genti omai... TITO Lo so, partite! ANNIO Deh, perdona, s'io parlo in favor d'un insano. Della mia cara sposa egli è germano. [N. 17 ­ Aria] Andante (fa maggiore) Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. ANNIO Tu fosti tradito: ei degno è di morte, ma il core di Tito pur lascia sperar. Deh prendi consiglio, signor, dal tuo core: il nostro dolore ti degna mirar. (Publio ed Annio partono) Scena ottava Tito solo a sedere. Recitativo accompagnato Allegro Archi. TITO Che orror! che tradimento! Che nera infedeltà! Fingersi amico, essermi sempre al fianco, ogni momento esiger dal mio core qualche prova d'amore; e starmi intanto preparando la morte! Ed io sospendo ancor la pena? e la sentenza non segno?... Ah! sì, lo scellerato mora! (prende la penna per sottoscrivere e poi s'arresta) Mora!... ma senza udirlo mando Sesto a morir? Sì, già l'intese abbastanza il senato. E s'egli avesse qualche arcano a svelarmi? Olà! (depone la penna, intanto entra una guardia) 24 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo TITO (S'ascolti, e poi vada al supplizio.) A me si guidi Sesto. (la guardia parte) TITO È pur di chi regna infelice il destino! (s'alza) A noi si nega ciò che a' più bassi è dato. In mezzo al bosco quel villanel mendico, a cui circonda ruvida lana il rozzo fianco, a cui è mal fido riparo dall'ingiurie del ciel tugurio informe, placido i sonni dorme, passa tranquillo i dì, molto non brama, sa chi l'odia e chi l'ama, unito o solo torna sicuro alla foresta, al monte, e vede il core ciascheduno in fronte. Scena nona Publio e Tito. Recitativo, continuo TITO Ma, Publio, ancora Sesto non viene. PUBLIO Ad eseguire il cenno già volaro i custodi. TITO Io non comprendo un sì lungo tardar. PUBLIO Pochi momenti sono scorsi, o signor. TITO Vanne tu stesso; affrettalo. PUBLIO Ubbidisco. (nel partire) I tuoi littori veggonsi comparir: Sesto dovrebbe non molto esser lontano. Eccolo. TITO Ingrato! All'udir che s'appressa, già mi parla a suo pro l'affetto antico. Ma no; trovi il suo prence e non l'amico. (siede e si compone in atto di maestà) www.librettidopera.it 25 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito Scena decima Tito, Publio, Sesto e Custodi. Sesto entrato appena, si ferma. [N. 18 ­ Terzetto] Larghetto (mi bemolle maggiore) / Allegro Archi, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni. SESTO (Quello di Tito è il volto! Ah dove, oh stelle! è andata la sua dolcezza usata! Or ei mi fa tremar!) TITO (Eterni dèi! di Sesto dunque il sembiante è questo! Oh come può un delitto un volto trasformar!) PUBLIO (Mille diversi affetti in Tito guerra fanno. S'ei prova un tale affanno, lo seguita ad amar.) TITO Avvicinati! SESTO (Oh voce che piombami sul core.) TITO Non odi? SESTO (Di sudore mi sento oh dio bagnar! Non può chi more non può di più penar.) TITO E PUBLIO (Palpita il traditore, né gli occhi ardisce alzar.) Recitativo, continuo TITO (E pur mi fa pietà.) Publio, custodi, lasciatemi con lui. (Publio e le guardie partono) SESTO (No, di quel volto non ho costanza a sostener l'impero.) 26 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo TITO (rimasto solo con Sesto, depone l'aria maestosa) Ah! Sesto, è dunque vero? Dunque vuoi la mia morte? E in che t'offese il tuo prence, il tuo padre, il tuo benefattor? Se Tito augusto hai potuto obliar, di Tito amico come non ti sovvenne? Il premio è questo della tenera cura ch'ebbe sempre di te? Di chi fidarmi in avvenir potrò, se giunse, oh dèi! anche Sesto a tradirmi? E lo potesti? E il cor te lo sofferse? SESTO (prorompe in un dirottissimo pianto e se gli getta a' piedi) Ah, Tito! ah, mio clementissimo prence! Non più, non più. Se tu veder potessi questo misero cor, spergiuro, ingrato, pur ti farei pietà. Tutte ho su gli occhi, tutte le colpe mie; tutti rammento i benefizi tuoi: soffrir non posso né l'idea di me stesso, né la presenza tua. Quel sacro volto, la voce tua, la tua clemenza istessa diventò mio supplizio. Affretta almeno, affretta il mio morir. Toglimi presto questa vita infedel; lascia ch'io versi, se pietoso esser vuoi, questo perfido sangue a' piedi tuoi. TITO Sorgi, infelice! (Sesto si leva) TITO (Il contenersi è pena a quel tenero pianto.) Or vedi a quale lagrimevole stato un delitto riduce, una sfrenata avidità d'impero! E che sperasti di trovar mai nel trono? Il sommo forse d'ogni contento? Ah! sconsigliato, osserva quai frutti io ne raccolgo; e bramalo, se puoi. SESTO No, questa brama non fu che mi sedusse. TITO Dunque che fu? SESTO La debolezza mia, la mia fatalità. TITO Più chiaro almeno spiegati. www.librettidopera.it 27 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito SESTO Oh dio! non posso. TITO Odimi, oh Sesto; siam soli; il tuo sovrano non è presente. Apri il tuo core a Tito; confidati all'amico. In contraccambio almeno d'amicizia lo chiedo. SESTO (Ecco una nuova specie di pena! o dispiacere a Tito, o Vitellia accusar.) TITO (incomincia a turbarsi) Dubiti ancora? SESTO Signore... sappi dunque... TITO Parla una volta: che mi volevi dir? SESTO Ch'io son l'oggetto dell'ira degli dèi; che la mia sorte non ho più forza a tollerar; ch'io stesso traditor mi confesso, empio mi chiamo; ch'io merito la morte, e ch'io la bramo. TITO Sconoscente! e l'avrai. Custodi! il reo toglietemi d'innanzi. (alle guardie, che saranno uscite) SESTO Il bacio estremo su quella invitta man. TITO (senza guardarlo) Parti; non è più tempo, or tuo giudice sono. SESTO Ah, sia questo, signor, l'ultimo dono. [N. 19 ­ Rondò] Adagio (la maggiore) / Allegro / Più allegro Archi, flauto, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. SESTO Deh, per questo istante solo ti ricorda il primo amor. Che morir mi fa di duolo il tuo sdegno il tuo rigor. Di pietade indegno è vero, sol spirar io deggio orror. Pur saresti men severo, se vedessi questo cor. Continua nella pagina seguente. 28 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo SESTO Disperato vado a morte; ma il morir non mi spaventa. Il pensiero mi tormenta che fui teco un traditor! (Tanto affanno soffre un core, né si more di dolor!) (parte) Scena undicesima Tito solo. Recitativo, continuo TITO Ove s'intendesse mai più contumace infedeltà? Deggio alla mia negletta disprezzata clemenza una vendetta. Vendetta!... il cor di Tito tali sensi produce?... Eh viva... invano parlan dunque le leggi? (siede) Sesto è reo; Sesto mora. (sottoscrive) Ma dunque faccio sì gran forza al mio cor. Né almen sicuro sarò ch'altri l'approvi? Ah, non si lasci il solito cammin... (lacera il foglio) Viva l'amico! Benché infedele. E se accusarmi il mondo vuol pur di qualche errore, m'accusi di pietà (getta il foglio lacerato) non di rigore. Scena dodicesima Tito, Publio. TITO Publio! PUBLIO Cesare. TITO Andiamo al popolo, che attende. PUBLIO E Sesto? TITO E Sesto, venga all'arena ancor. www.librettidopera.it 29 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito PUBLIO Dunque il suo fato?... TITO Sì, Publio, è già deciso. PUBLIO (Oh, sventurato!) [N. 20 ­ Aria] Allegro (si bemolle maggiore) / Andantino / Allegro Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni. TITO Se all'impero, amici dèi, necessario è un cor severo, o togliete a me l'impero, o a me date un altro cor. Se la fé de' regni miei coll'amor non assicuro, d'una fede non mi curo che sia frutto del timor. (parte, seguìto da Publio) Scena tredicesima Vitellia, uscendo dalla porta opposta, richiama Publio, che seguiva Tito. VITELLIA Publio, ascolta. PUBLIO (in atto di partire) Perdona; deggio a cesare appresso andar... VITELLIA Dove? PUBLIO (come sopra) All'arena. VITELLIA E Sesto? PUBLIO Anch'esso. VITELLIA Dunque morrà? PUBLIO (come sopra) Pur troppo. VITELLIA (Ahimè!) Con Tito Sesto ha parlato? PUBLIO E lungamente. VITELLIA E sai quel ch'ei dicesse? PUBLIO No. Solo con lui restar cesare volle: escluso io fui. (parte) 30 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo Scena quattordicesima Vitellia, e poi Servilia e Annio da diverse parti. VITELLIA Non giova lusingarsi; Sesto già mi scoperse: a Publio istesso si conosce sul volto. Ei non fu mai con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme di restar meco. Ah! secondato avessi gl'impulsi del mio cor. Per tempo a Tito dovea svelarmi e confessar l'errore. Sempre in bocca d'un reo, che la detesta, scema d'orror la colpa. Or questo ancora tardi saria. Seppe il delitto augusto, e non da me. Questa ragione istessa fa più grave... SERVILIA Ah, Vitellia! ANNIO Ah, principessa! SERVILIA Il misero germano... ANNIO Il caro amico... SERVILIA È condotto a morir. VITELLIA Ma che posso per lui? SERVILIA Tutto, a' tuoi prieghi Tito lo donerà. ANNIO Non può negarlo alla novella augusta. VITELLIA Annio, non sono augusta ancor. ANNIO Pria che tramonti il sole Tito sarà tuo sposo. Or, me presente, per le pompe festive il cenno ei diede. VITELLIA (Dunque Sesto ha taciuto! oh amore! oh fede!) Annio, Servilia, andiam. (Ma dove corro così senza pensar?) Partite amici, vi seguirò. www.librettidopera.it 31 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito [N. 21 ­ Aria] Tempo di minuetto (re maggiore) Archi, flauto, oboe, fagotto, corno. SERVILIA S'altro che lacrime per lui non tenti, tutto il tuo piangere non gioverà. A questa inutile pietà che senti, oh quanto è simile la crudeltà. (parte) Scena quindicesima Vitellia sola. [N. 22 ­ Recitativo accompagnato] Allegro (re maggiore) Archi. VITELLIA Ecco il punto, o Vitellia, d'esaminar la tua costanza: avrai valor che basti a rimirar esangue il Sesto tuo fedel? Sesto, che t'ama più della vita sua? Che per tua colpa divenne reo? Che t'ubbidì crudele? Che ingiusta t'adorò? Che in faccia a morte sì gran fede ti serba, e tu frattanto non ignota a te stessa, andrai tranquilla al talamo d'augusto? Ah, mi vedrei sempre Sesto d'intorno; e l'aure, e i sassi temerei che loquaci mi scoprissero a Tito. A' piedi suoi vadasi il tutto a palesar. Si scemi il delitto di Sesto, se scusar non si può, col fallo mio. D'impero e d'imenei, speranze, addio. 32 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo [N. 23 ­ Rondò] Larghetto (fa maggiore) / Allegro / Andante maestoso Archi, flauto, 2 oboe, corno di bassetto, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. VITELLIA Non più di fiori vaghe catene discenda Imene ad intrecciar. Stretta fra barbare aspre ritorte veggo la morte ver me avanzar. Infelice! qual orrore! Ah, di me che si dirà? Chi vedesse il mio dolore, pur avria di me pietà. (parte) Scena sedicesima Luogo magnifico, che introduce a vasto anfiteatro, da cui per diversi archi scopresi la parte interna. Si vedranno già nell'arena i complici della congiura condannati alle fiere. Nel tempo che si canta il coro, preceduto da' Littori, circondato da' Senatori, e Patrizi romani, e seguìto da' Pretoriani, esce Tito, e dopo Annio e Servilia da diverse parti. [N. 24 ­ Coro] Andante maestoso (sol maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. CORO Che del ciel, che degli dèi tu il pensier, l'amor tu sei, grand'eroe, nel giro angusto si mostrò di questo dì. Ma cagion di meraviglia non è già, felice augusto, che gli dèi chi lor somiglia custodiscano così. www.librettidopera.it 33 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito Recitativo, continuo TITO Pria che principio a' lieti spettacoli si dia, custodi, innanzi conducetemi il reo. (Più di perdono speme ei non ha: quanto aspettato meno, più caro esser gli dée.) ANNIO Pietà, signore! SERVILIA Signor, pietà! TITO Se a chiederla venite per Sesto, è tardi. È il suo destin deciso. ANNIO E sì tranquillo in viso lo condanni a morir? SERVILIA Di Tito il core come il dolce perdé costume antico? TITO Ei s'appressa: tacete! SERVILIA Oh Sesto! ANNIO Oh amico! Scena diciassettesima Tito, Publio e Sesto fra Littori, Annio e Servilia, poi Vitellia. TITO Sesto, de' tuoi delitti tu sai la serie, e sai qual pena ti si dée. Roma sconvolta, l'offesa maestà, le leggi offese, l'amicizia tradita, il mondo, il cielo voglion la morte tua. De' tradimenti sai pur ch'io son l'unico oggetto; or senti. VITELLIA (entrando frettolosa) Eccoti, eccelso augusto, (s'inginocchia) eccoti al piè la più confusa... TITO Ah sorgi, che fai? che brami? VITELLIA Io ti conduco innanzi l'autor dell'empia trama. TITO Ov'è? Chi mai preparò tante insidie al viver mio? VITELLIA No 'l crederai. TITO Perché? 34 / 38 www.librettidopera.it C. T. Mazzolà / W. A. Mozart, 1791 Atto secondo VITELLIA Perché son io. TITO Tu ancora! SESTO E SERVILIA Oh, stelle! ANNIO E PUBLIO Oh, numi! TITO E quanti mai, quanti siete a tradirmi? VITELLIA Io la più rea son di ciascuno; io meditai la trama; il più fedele amico io ti sedussi; io del suo cieco amore a tuo danno abusai. TITO Ma del tuo sdegno chi fu cagion? VITELLIA La tua bontà. Credei che questa fosse amor. La destra e 'l trono da te sperava in dono, e poi negletta restai due volte, e procurai vendetta. [N. 25 ­ Recitativo accompagnato] Allegro (re minore) Archi. TITO Ma che giorno è mai questo! al punto stesso che assolvo un reo, ne scopro un altro! E quando troverò, giusti numi! un'anima fedel? Congiuran gli astri, cred'io, per obbligarmi a mio dispetto, a diventar crudel. No! non avranno questo trionfo. A sostener la gara già m'impegnò la mia virtù. Vediamo se più costante sia l'altrui perfidia o la clemenza mia. Olà! Sesto si sciolga: abbian di nuovo Lentulo e suoi seguaci e vita, e libertà. Sia noto a Roma ch'io son lo stesso, e ch'io tutto so, tutti assolvo e tutto oblio. www.librettidopera.it 35 / 38 Atto secondo La clemenza di Tito [N. 26 ­ Sestetto con coro] Allegretto (do maggiore) Archi, 2 flauti, 2 oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani. SESTO Tu, è ver, m'assolvi, augusto; ma non m'assolve il core, che piangerà l'errore, finché memoria avrà. TITO Il vero pentimento, di cui tu sei capace, val più d'una verace costante fedeltà. VITELLIA, SERVILIA E ANNIO Oh generoso! oh grande! E chi mai giunse a tanto? Mi trae dagli occhi il pianto l'eccelsa tua bontà. TUTTI E CORO (senza Tito) Eterni dèi, vegliate sui sacri giorni suoi, a Roma in lui serbate la sua felicità. TITO Troncate, eterni dèi, troncate i giorni miei, quel dì che il ben di Roma mia cura non sarà. C. T. Mazzolà Mozart  Interlocutori Atto  Ouverture Scena  Duetto Scena  Aria Scena Duettino Scena  Marcia Coro Aria Scen Duetto Scena  Scena  Aria Scena  Scena  Aria Scena  Terzetto Scena Recitativo accompagnato]. .16 [N. 12 ­ Quintetto con coro Scena Scena Atto Scena ­ Aria Scena  Scena  Scena Terzetto Scena Coro Aria Scena sestaScena Aria Scena Scena Scena Terzetto RondòScena Aria Scena Scena Aria Scena Recitativo accompagnato Rondò Scena sedicesima Coro Scena Recitativo accompagnato Sestetto con coro Brani significativi La clemenza di Tito BRANI   SIGNIFICATIVI Deh, conservate, oh dèi (Sesto e Annio) Non più di fiori (Vitellia) Parto; ma tu ben mio (Sesto) 14Tito Vespasiano. Tito. Keywords: principe filosofo.

 

Grice e Toderini: la ragione conversazionale di Roma e le sue colonie – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming Pool Library, Villa Speranza (Venezia). Flosofo italiano. Discende dai conti palatini Gagliardis dalla Volta. Letterato, pubblica “Letteratura turchesca” (Venezia, Tosti), frutto della sua permanenza a Costantinopoli, la prima trattazione occidentale di storia della letteratu turca.Tra gl’altri scritti, in particolare di erudizione e di filosofia morale, si ricordano la filosofia frankliniana delle punte preservatrici dal fulmine, particolarmente applicata alle polveriere, alle navi, e a Santa Barbara in mare e “L'onesto uomo; ovvero, saggi di morale filosofia dai principii della ragione”. È ricordato in “I Dogi di Venezia nella vita pubblica e private” di Mosto, Giunti Martello. La Dogaressa Pisana muore con gran dolore del Doge circa le hore ventidue colta da una gagliarda convulsione al petto et abbattuta dalla lunga penosa malattia sofferta. Per tutti i tre giorni di esposizione si conserva così fresca e rubiconda nel volto che sembrava anziché morta assorta in un dolce riposo. È solennemente tumulata ai S.S. Giovanni e Paolo nella tomba comune dei Mocenigo. Il doge la segue dopo IX giorni di malattia in seguito a un’infezione determinata da una risipola alla gamba sinistra. Ai solenni funerali fatti alla sua statua ai S.S. Giovanni e Paolo venne commemorato da Berti ed a quelli fattigli dalla scuola di S. Rocco, cui apparteneva, da T.. Cfr. Le sue opere registrate dal «Sistema Bibliotecario Nazionale». Giambattista Toderini. Toderini. Keywords: filosofia coloniale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Toderini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tocco: la ragione conversazionale e i rendiconti della ragione pratica – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Catanzaro). Filosofo italiano. Studia a Napoli con SPAVENTA (si veda) e a Bologna, con FIORENTINO (si veda). Insegna a Roma, Pisa e Firenze. Si pose nelle sue “Ricerche platoniche” (Catanzaro) il problema della cronologia degli scritti platonici. Nella sua monografia su BRUNO (si veda) nega che il filosofo di Nola potesse essere considerato un martire del libero pensiero, quanto piuttosto l'interprete dei nuovi bisogni di razionalizzazione delle teorie filosofiche, in linea con l'impulso delle ricerche scientifiche in atto ai suoi tempi. Contribuisce alla pubblicazione dei saggi di BRUNO, individuandone tre fasi di sviluppo: una fase neo-platonica, una fase pan-teistica e una atomistica.  Sostenitore del neo-kantismo, rifiuta  ogni costruzione metafisica e privilegia le esigenze della ragione pratica. Altri saggi: “L'eresia nel Medioevo” (Firenze); “BRUNO” (R. Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze); “Le fonti più recenti della filosofia del BRUNO”, "Rendiconti della R. Accad. dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche",  “Le opere inedite di BRUNO” (Accademia di scienze morali e politiche della Società Reale, Napoli); Studi francescani (Napoli); Studi kantiani (Palermo). Ferrari, I dati dell'esperienza. Il neo-kantismo nella filosofia italiana” (Firenze, Olschki); Raio, Lezioni su Kant” (Napoli, Liguori); Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Felice Tocco. Tocco. Keywords: Bruno, ragione pratica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tocco” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tolomei: la ragione conversazionale e la filosofia della percezione – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Pistoia). Filosofo italiano. Appartenente alla Compagnia di Gesù. Nato a Villa Camberaia e di nobili origini. Studia a Firenze dove studia legge presso l'Pisa. Entra a far parte dell'ordine dei gesuiti e venne ordinato a Roma. Divenne esperto di ben undici lingue tra le quali latino, greco, ebraico, siriaco, arabo, inglese, illirico e francese.  Inizia la sua carriera teologica esponendo le sacre scritture nelle letture pubbliche presso la chiesa del Gesù a Roma. Venne eletto alla carica di procuratore generale dell'ordine dalla congregazione generale, ufficio che tenne fino a quando cioè non ottenne la cattedra di filosofia al collegio Romano. Le sue letture, che hanno sempre un vasto uditorio, vennero poi date alla stampa con il titolo “Philosophia mentis et sensuum” nella quale, pur nel pieno rispetto dell'aristotelismo del Lizeo, accolge gran parte delle scoperte naturalistiche della sua epoca, esponendole nelle sue lezioni. Le letture vennero ristampate in Germania dove ottenne l'encomio dell'Accademia di Lipsia e di Leibniz. Ottenne la cattedra di teologia alla Pontificia Università Gregoriana -- allora ancora Collegio Romano -- e rinnova le tematiche relative alla controversia sul concetto di dogma già iniziate dal cardinal Bellarmino. Le letture relative a queste lezioni furono tutte redatte in un manoscritto di ben sei volumi in folio che tuttavia non vennero mai pubblicati dall'autore. Eletto successivamente rettore del Collegio Romano e del Collegio Germanico, ricopre la carica di consultore presso la Congregazione dei Riti. Venne con sua sorpresa nominato cardinale da Clemente XI ed ottenne il titolo di S. Stefano al Monte Celio. Chiamato al servizio del Pontefice per giudicare gl’errori in materia di dogmatica si occupa della pronuncia di condanna dell'eresia del teologo francese, esponente del giansenismo Quesnel.  In qualità di cardinale è uno degli elettori del conclave di nomina di Innocenzo XIII e di Benedetto XIII.  Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. T. su Find a Grave. Opere di Catholic Encyclopedia, Appleton. Cheney, Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Battista Tolomèi, Tolomei. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tolomei” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tolomeo: la ragione conversazionale contro la gnossi -- Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza  (Roma). Filosofo italiano. According to Ippolito di Roma, a gnostic, and a follower of Valentino. Keywords: Ippolito, gnosticismo.

 

Grice e Tomatis: la ragione conversazionale e il paradosso del filosofo -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Carrù). Filosofo italiano. Insegna filosofia a Salerno. Studia a Torino, Heidelberg, Perugia e Macerata. Si laurea in filosofia a Torino con VATTIMO e PAREYSON, dottore di ricerca a Perugia, seguito da Ferretti e Riconda, di cui è stato assistente a Torino. Borsista del centro studi filosofico-religiosi Pareyson ricercatore della Alexander von Humboldt-Stiftung all'Freiburg im Breisgau, professore allo studio teologico interdiocesano di Fossano e professore ospite in alcune università europee e americane -- Madrid, Córdoba, Mendoza. Membro dei comitati scientifici del Centro studi filosofico-religiosi Pareyson di Torino, della Fondazione centro studi NOCE (si veda) di Savigliano, dell'Accademia estetica internazionale di Rapallo, dell'Istituto Tilliette, della Internationale Schelling-Gesellschaft.  Fonda a Cuneo il seminario angelus novus. Fonda la rivista “Paradosso”. Scrive sulle pagine culturali di “Avvenire”. Cura una rubrica sul mensile delle vallate occitane d'Italia “Ousitanio Vivo”, di cui è collaboratore, e collabora a “La Rivista del Club alpino italiano”. Garante scientifico internazionale dell'associazione Mountain Wilderness International. Istruttore di kung fu classico cinese, frequentando la scuola Kung Fu Chang, allievo diretto dei maestri Cuturello e Fassi. Dedicato le sue ricerche a Schelling, Nietzsche, Heidegger, PAREYSON, EINAUDI, Lao Tzu e Yang Chengfu approfondendo in particolare il problema ontologico della libertà e del male, del tempo e dell'escatologia, dei principi e del non-sapere. Elabora una filosofia esperienziale, sperimentata soprattutto in montagna, che intende l'esistenza come esperienza personale della verticalità del limite, e una filosofia ermeneutica del dialogo inter-culturale, particolarmente attenta alla teologia cristiana trinitaria e al pensiero taoista cinese. Saggi: “Kenosis del logos: ragione e rivelazione” (Città Nuova, Roma); “Ontologia del male” (Città Nuova, Roma); “L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio da AOSTA (si veda) a Schelling” (Roma, Città Nuova),  pareysoniana, Trauben, Torino, Pareyson. Vita, filosofia, Morcelliana, Brescia,  Escatologia della negazione (Roma, Città Nuova); Schelling. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo, Filosofia della montagna, Prefazione di Torno, Postfazione di Messner, Milano, Bompiani, Come leggere Nietzsche, Bompiani, Milano, Dialogo dei principi con Gesù Socrate Lao Tzu (Bompiani, Milano); Libertà di sapere. Università e dialogo interculturale, Bompiani, Milano, Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in EINAUDI (si veda) (Città Nuova, Roma); Corpo e preghiera. La Via del T'ai Chi Ch'üan, Roma, Città Nuova); La via della montagna, Bompiani, Milano, Curatele: Pareyson, Essere, libertà, ambiguità, Mursia, Milano, Riconda, Tilliette, Del male e del bene, Città Nuova Editrice, Roma, Forte, Vitiello, La vita e il suo oltre. Dialogo sulla morte, Città Nuova Editrice, Roma, Pareyson, Iniziativa e libertà, Mursia, Milano, Baudino, White-out, Museo Nazionale della Montagna, Torino, Nietzsche: su verità e menzogna, Bompiani, Milano,  Schelling, Sui principi sommi. Filosofia della rivelazione Bompiani, Milano, Pareyson, Prospettive di filosofia moderna e contemporanea, Mursia, Milano, Recensioni: Kenosis del logos. Ragione e rivelazione nell'ultimo Schelling, Pref. di Tilliette, Città Nuova, Roma -- recensito da: Forte («Avvenire», Bozzo («Il Sole-24 Ore», Giordano («La Guida»,Bogo («la masca», Pirola («La Civiltà Cattolica»); Agostini («La Stampa. Tuttolibri», Viganò («Informazione filosofica»,  Sotgiu («Diorama letterario», Forte («Asprenas», Tilliette («Gregorianum», Guglielminetti («Filosofia e teologia», Ontologia del male. L'ermeneutica di Pareyson, Pres. Di Coda, Città Nuova, Roma), recensito da Bozzo («Il Sole-24 Ore», G. Ricci («Avvenire», Ribero («AdOvest», Sotgiu («Diorama letterario», Micelli («Informazione filosofica», Russo («Acta philosophica», Garelli («La Guida»,].  L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio d’AOSTA a Schelling, Città Nuova, Roma, recensito da: Schoepflin («Avvenire», Bo («Con-tratto», Pepino («la Bisalta», pareysoniana, Trauben, Torino, recensito da:  Garelli («La Guida», Russo («Acta philosophica», Ciglia («Il Pensiero», Escatologia della negazione, Città Nuova, Roma, recensito da Garelli («La Guida», F. Pepino («la Bisalta»), Schoepflin («Avvenire Folin («Tuttolibri»,), Nino («Dialegesthai», mondodomani.  dialegesthai/)].  Pareyson. Vita, filosofia, Morcelliana, Brescia [recensito da: Aschero («La Guida»,  Schoepflin («Il Giornale», Orengo («La Stampa. Tuttolibri»,  Schoepflin («Avvenire»,  Pepino («Cuneo Provincia Granda», Russo («Acta philosophica», O argumento ontológico. A existência de Deus de Anselmo a Schelling, tr. port. bras. di Schirato, Paulus, Sâo Paulo Brasil, Filosofia della montagna, Bompiani, Milano, recensito da Reale («Corriere della sera», Billò («Unione Monregalese», Mathieu («Il Giornale», Vasta («La Sicilia», Curi («Messaggero Veneto», Caveri («Peuple Valdotain»,A. Zaccuri («Letture»),  Anghilante («Ousitanio Vivo», Lingua («Cuneo Provincia Granda», Brunod («PMNet», oin pmnet), M. Schoepflin («Il Foglio» A. Rosa («TorinoSette», A. Parodi («La Stampa), G. Pulina («Girodivite», Rigobello («L'Osservatore romano», ].  Come leggere Nietzsche, Bompiani, Milano, recensito da: Schoepflin («Jesus»), Vecchio (“Diorama letterario”), Pulina («Recensioni filosofiche»).  Dialogo dei principi con Gesù Socrate Lao Tzu, Bompiani, Milano, recensito da Iacona («Secolo d'Italia»), Billò («L'Unione monregalese»), Aschero («La Guida»), Schoepflin («Giornale di Brescia»), Schoepflin («Avvenire», Monaco («Filosofia e teologia», Libertà di sapere. Università e dialogo interculturale, Pref. di Reale, Bompiani, Milano  recensito da Giorello («Corriere della Sera. Magazine»,  Castagna («Avvenire», Iacona («Il Borghese», ), Torno («Corriere della Sera», *)].  Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in Einaudi, Città Nuova, Roma, recensito da Chittolina («La Guida», Schoepflin] («Il Giornale di Brescia», Tarantino («Secolo d'Italia»); Iacona («Il Giornale d'Italia»,  Monaco («L'occhio», Chittolina («La Voce del Popolo», Ranucci («Conquiste del lavoro»,  «Jesus»); Bondi («Panorama», Nuoscio («Europa», Anghilante («Ousitanio vivo»); Festa, («»,,// ); Bartoli («Dialegesthai», 10.7.,//mondodo mani.org/dialegesthai/; D. Monaco («Filosofia e teologia»,, 1,  ];Lubrano («Il Nostro Tempo». Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson; Studio teologico interdiocesano di Fossano  Accademia estetica internazionale di Rapallo Istituto Tilliette  Ousitanio Vivo Il Giornale  La Rivista del Club alpino italiano professore. curriculum, pubblicazioni, biografia intellettuale. Pagina docente nel sito dell'Università degli Studi di Salerno. Francesco Tomatis. Tomatis. Keywords: paradosso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tomatis” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tomitano: la ragione conversazionale o, i precetti della conversazione civile – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Padova). Filosofo italiano. Fondatore di accademie letterarie, autore di commenti alle opere d’Aristotele – lizio -- e autore di scritti di logica, alcuni dei quali ancora inediti. Da una famiglia originaria di Feltre, frequenta il corso di filosofia a Padova dove si laurea. Deputato dal senato veneto a leggere l'Organon di Aristotele alla scuola di logica di Padova. Nel periodo in cui rimane a Padova stringe amicizia, fra gli altri, con SPERONI, BEMPO, SADOLETO, GIOVIO, NAVAGERO, FRACASTORO, e MANUZIO. Fa parte degl’infiammati, il cui proposito è scrivere compiutamente in dialetto veneziano. Le discussioni degl’infiammati sono alla base dei quattro libri della lingua toscana. Scrive anche due brevi dissertazioni matematiche: il Moisè-Geometria, la dimostrazione del teorema due rette possono avvicinarsi all'infinito senza mai unirsi, intuito dal profeta ebreo per grazia divina, e “Introductio cosmographiae”, lezioni di geometria a fondamento della cosmografia tolemaica. Accusato dal S. Uffizio di eresia per la sua esposizione LETTERALE a parafrasi implicaturale al vangelo secondo Matteo. Dimostra che quella parafrasi non è sua, ma edita a sua insaputa da un nobile signore N., con cui è assai famigliare. Creduto e assolto, ma da allora in poi i suoi saggi divennero alquanto conformisti. Lascia Padova e si trasfere a Venezia. I saggi più importanti del periodo veneziano, a parte la biografia di Baglioni, sono il “De morbo gallico” e il carme encomiastico “Thetis” in onore di Enrico III. Altre saggi: “Introductio ad sophisticos elenchos Aristotelis. Eiusdem brevis methodus diluendorum paralogismorum per divisionem, praeter illa quae Aristoteles habuit in Elenchis. Quam methodum B. Tomitanus ex dialogis Platonis et ex Aristotele nuper invenit, adiecta sunt Famigerata veterum Sophismatum exernpla, ad exercitationem adolescentium” (Venezia); “Ragionamenti della lingua toscana, dove si parla del perfetto oratore e poeta volgari, dell'eccellente flosofo Tomitano, divisi in tre libri. Nel primo libro si pruova la FILOSOFIA esser necessaria allo acquistamento della retorica e della poetica. Nel secondo libro si ragiona dei precetti dell'oratore. Nel terzo libro si ragiona delle leggi appartenenti al poeta, e al bene parlare” (Venezia, Farri); Quattro libri della lingua toscana, dove si prova la filosofia esser necessaria al perfetto oratore e poeta con due libri nuouamente aggionti, de I PRECETTI RICHIESTI AL CONVERSARE con eloquenza” (Padova, Pasquati); “Sonetti e Canzoni, in Rime diverse di molti eccellentiss. autori nuovamente raccolte. Libro primo, con nuova additione ristampato” (Venezia, Ferrarii); “Esposizione letterale del testo di Mattheo Evangelista” (Venezia); “Sopra le Pistole di S. Paolo” (Venezia); “Moisè”; “Geometria (Mantova); Introductio Cosmographiea (Venezia); Prediche del reverendissimo monsignor Cornelio Musso, vescovo di Bitonto, fatte in diversi tempi, et in diversi luoghi. Nelle quali si contengono molti santi evangelici precetti, non meno utili, che necessarij alla interior fabrica dell'huomo cristiano. Con la tavola delle cose più notabili in esse contenute” (Venezia, Giolito de Ferrari); “Oratione recitata per nome de lo studio de le arti padovano ne la creatione del serenissimo Principe di Vinetia M. Marcantonio Trivisano, Venezia, Clonicus, sive de Reginaldi Poli laudibus, Venezia Consiglio sopra la peste di Vinetia. Al Magnifico M. Francesco Longo del Clarissimo M. Antonio” (Padova); Corydon, sive de Venetorum laudibus, et Carmen ad Laurentium Priolum Venetorum Principem” (Venezia, Breznicio); “Animadversiones aliquot in primum librum Posteriorum Resolutoriorum. Contradictionum solutiones in Aristotelis et Averrois dicta, in primum librum Posteriorum Resolutoriorum. In novero Averrois Quaesita demonstrativa Argumenta, Venezia, Consiglio de l'eccell. m. Bernardino Tomitano sopra la peste di Vinetia, Padova, appresso Gratioso Perchacino, De morbo gallico, inVenezia, Vita e fatti di Astorre Baglioni; “Quattro libri della lingua thoscana, ove si prova la philosophia esser necessaria al perfetto oratore et poeta con due libri nuovamenti aggionti dei precetti richiesti a lo scrivere et parlar con eloquenza” (Padova); “Thetis”; “In adventu Regis Henrici III Galliae Christianissimi et IV Poloniae Serenissimi ad felicissimam Venetiarum urbem, Venezia, Ziletti). Aristotelis opera omnia cum commentariis Averrois. Animadversiones et solutiones Et alia plura” (Venezia, Iuntas). I primi due libri sono tesi a dimostrare che la filosofia è necessaria all'oratore e al poeta. Il terzo libro ha per argomento i precetti della retorica necessari alla scrittura e all'oratoria. L'ultimo libro è dedicato alla prosa d'arte ("locutione oratoria, et de' suoi ornamenti, con la ragion de i motti, facetie et apologi"). Poppi. Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana” Poppi; “Oratione prima alli Signori de la S. Inquisitione di Venetia” (Padova); e Oratione seconda alli signori medesimi, Venezia). Quest'opera è nominata solo da Doni nella sua Prima Libraria, un repertorio dei libri italiani stampati. L'opera del T., pertanto, deve essere stata scritta. È una biografia in VIII libri su Baglioni, il capitano ucciso con Marcantonio Bragadin a Famagosta. La filosofia rimase ignota ai contemporanei del T. ed è in gran parte ancora adesso inedita. Ne sono stati stampati solo alcuni brani. Storia della letteratura italiana di Tiraboschi, della compagnia di Gesù, bibliotecario del serenissimo duca di Modena, Firenze, Molini e Landi, Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, POMBA, su sapere, De Agostini. Opere Aulo Greco, Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Bernardino Tomitano. Tomitano. Keywords: i precetti della conversazione civile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tomitano” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Toritto: la ragione conversazionale contro il Lizio -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “I like Caravita; Locke – England’s, and Oxford’s, greatest philosopher, had his sponsor, and so does Italy’s – not Bologna’s – Vico, and he was Caravita!”. Appartenente a una famiglia nobile resa illustre in passato da insigni giureconsulti. Fiscale consigliere della reale Giurisdizione. Insegna a Napoli. Compone il saggio: “Nullum ius romani pontificis in regnum neapolitanum” contro le pretese feudali dal papa sul regno di Napoli – “Niun diritto compete al sommo pontefice sul regno di Napoli: dissertazione istorico-legale illustrate con varie note” (Aletopoli, Napoli), messa all'Indice. Ha inoltre l'incarico di raccogliere tutte le leggi del regno in un codice Filippino. Il Codice Filippino, e tuttavia rimasto incompiuto per l'occupazione austriaca di Napoli. In filosofia e seguace dell'anti-aristotelismo di CAPUA (si veda). La sua abitazione divenne il centro della diffusione della filosofia di Cartesio a Napoli. Titolo di merito di Caravita, come peraltro del figlio Domenico, è l'essere stato amico e protettore di VICO (si veda), a favore del quale si adopera per fargli ottenere la cattedra di retorica e perché e accolto nell'Accademia palatina.  Altri saggi: “Ragioni a pro della fedelissima città e Regno di Napoli contr'al procedimento straordinario nelle cause del Sant'Officio, divisate in tre capi. Nel I si ragiona del grave pregiudicio della real giuridizione. Nel II si tratta dell'ordinaria maniera di giudicio, che tener si dee nel regno, e nel III si dimostra il pregiudicio, che fa alla real giuridizione, ed al regno un editto in cui si stabilisce il tribunal della 'nquisizione. Napoli. Dizionario biografico degli italiani. Ma l’ anti-marinismo ha anche, secondo la moda del tempo, il suo salotto nel palazzo Torittom nel quartiere dei Vergini. Quivi, più che nell’accademia. Armellini, Bibliotheca benedictino-casinensis. Stefano, Raccolti da don Nicolò Caravita. Napoli, Roselli, ed. Caravita was an Arcadian. Tiberius by Filippo Anastasio, Caligula, and Claudius by Paolo DORIA. The second volume continues the biographical model with essays dedicated to individual emperors. Nicolò Caravita. Niccola Caravita Nicola Caravita. Nicola Caravita dei duchi di Toritto. Caravita-Toritto. Toritto. Keywords. impiegatura da salotto, diritto, anti-popism – il laico --, anti-aristotele, contro Aristotele, concetto assolutista di sovereignty contro Aquino, quartiere dei Vergini – Capua.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caravita” – The Swimming-Pool Library. Toritto.

 

Grice e Torlonia: la ragione conversazionale, o il natale di Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma), Filosofo italiano. Figlio del duca Marino, appartene a una delle più facoltose famiglie nobiliari romane. Il padre, duca di Poli e di Guadagnolo, e titolare del feudo di Bracciano e vive a Roma nel palazzo Torlonia, in via Bocca di Leone. Sposa la figlia di Bartolomeo Ruspoli e nipote del III principe di Cerveteri Francesco. Dal loro matrimonio nacque Clemente. Nannarelli, amico intimo e su biografo così lo descrive. I capelli castani, abbondanti e finissimi, il pallore e la gracilità del volto. Ma se la fronte è di filosofo, l'occhio e d'artista, o meglio, di contemplatore. Svelto nella persona, di eccellente statura, incede frettoloso a testa alta e pensierosa. Si esprime con eleganza in francese e tedesco. Spirito avido di conoscenze, e attratto dalla chimica e dalla botanica. Nelle sue passeggiate nella campagna romana raccoglie e cataloga piante e fiori. Appassionato di archeologia, colleziona monete di epoca romana e trascrive antiche iscrizioni. Socio della Pontificia accademia di archeologia, pronuncia un discorso in occasione del natale di Roma. Religioso fervente, è introdotto da Passaglia allo studio della patrologia e delle sacre scritture. La famiglia lo tollera, ma lo considera visionario e innovatore pericoloso. Da Platone e da Plotino, approde a Kant e Fichte. Gli torna in contemplazione entusiastica, gli si face poesia. E in contatto con un gruppo di filosofi, suoi coetanei, oggi identificati come i filosofi della scuola romana che di sera si ritrovano al Caffè Nuovo, a Piazza S. Lorenzo in Lucina. Novello mecenate, ha raccolto intorno a sé questo gruppo di filosofi spinti dal comune ideale di ricondurre la filosofia agl’antichi splendori di Roma. Tra questi, ci sono GNOLI, CIAMPI, MACCARI, e NANNARELLI. Vuole riuniti idealisti e classicisti, nella fiducia che, temperata la nebulosità metafisica degl’uni e la gretta sensibilità degl’altri, e prendendo il meglio d'ambedue le scuole, puo scaturire a grado a grado una filosofia italiana, profonda e intima d'idea e di sentimento, nitida, elegante di forma. Scrive sulla filosofia dell’amore platonico, sui fiori, sulla contemplazione del divino. Ama Schiller, Goethe, Lenau, e LEOPARDI (si veda). Declama Aligheri (si veda) e Tasso (si veda). Il suo saggio meritata le lodi di Gregorovius. Suoi saggi apparvero nella raccolta “I fiori della campagna romana,” stampata a Firenze e nella “Strenna romana. Costa, Trebbiatura nella campagna Romana, A Monte Mario, nei casali Mellini, sotto l'osservatorio astronomico, apre a sue spese una scuola rurale elementare. Straordinario precursore della alfabetizzazione delle classi povere, cre una associazione promotrice delle scuole di campagna. A questa scuola rurale dedica un elogio in latino. Nannarelli accorse al suo capezzale. Lo ude recitare il Salmo 41 e versi di Lenau; e Platone, e Fichte. Raccomanda alla moglie di mandare il figlio Clemente al collegio di marina di Genova. Nannarelli tenta di raccogliere intorno a sé i poeti e filosofi della scuola romana che furono decimati nel numero, per le morti precocima si trasfere a Milano. Secondo le ferree disposizioni ricevute da T., il suo cameriere distrugge tutte le carte dell'archivio personale. GNOLI conserva i manoscritti di tre saggi di T., inedite. Negro, Seconda Roma, Vicenza, Pozza, Gnoli, op. cit. Gregorovius, Passeggiate per l’Italia. Gnoli, “I poeti e filosofi della scuola romana” (Bari, Laterza); Nannarelli, “T.” (Firenze, Le Monnier); Cugnoni, Vita di T.”  (Velletri, Cella); Ulivi, “I poeti e filosofi della scuola somana” (Bologna, Cappelli). Giovanni Torlonia. Torlonia. Keywords: il natale di Roma, la filosofia dell’amore di Platone in Fichte e Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Torlonia” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Torquato: la ragione conversazionale dell’orto a Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. L’Orto. Chosen by CICERONE to represent L’Orto in “De finibus”. Whether fairly or not, his understanding of the ‘Orto’ is portrayed as somewhat crude and superficial. He was killed during the civil war. Lucio Manlio Torquato. Keywords: Roma antica, orto, De finibus. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Torre: la ragione conversazionale e la stravaganza -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Forlì). Filosofo italiano. Grice: “I like Torre; his epitaph reads, ‘nuovo Aristotele,’ which is what it was! – “Ackrill’s just reads, ‘Aristotelian’!” There is a nice ‘via’ in Forlì after him that leads to the varsity! He was a Galen, and philosophised on both the soul and the body!” La sua fama se deve al commentario alla “Ars parva” di Galeno -- è noto, in particolare, per i suoi studi di embriologia. Infatti, dopo il recupero di Aristotele, del Lizio, le cui opere avevano spinto verso un rinnovato interesse per l'osservazione diretta, si è avviato un dibattito tra i sostenitori dell'autorevolezza degli studi antichi e i fautori dell'empiria. Questo processo si conclude proprio con T., che cerca di conciliare l'embriologia aristotelica con la fisiologia galenica. Mostra che le differenze esistenti sono di scarsa rilevanza nei confronti della medicina pratica. Insegna a Padova. Saggi: “Explicit questio de intensione et remissione formarum secundum famosissimum artium et medicine doctorem magistrum Jacobum de Forlivio qui pridie ab hac vita ad superiora migravit. Scripta vero per me fratrem Bellinum de Padua.” Si tratta della conclusione del celebre “De intensione et remissione formarum”. Saggi: “De intensione et remissione formarum”; “Expositio in Avicennae aureum capitulum de generatione embryi ac de extensione graduum formatione foetus in utero in Aphorismos Hippocratis Expositio Physica;” “Quaestiones extra-vagantes Super, Tegni Galeni. Vescovini, Medicina e filosofia a Padova, Arti e filosofia. Studi sulla tradizione aristotelica del lizio e i "moderni", Vallecchi, Firenze. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Super aphorismos Iacobi Foroliuiensis in Hippocratis Aphorismos et Galeni. Jacopo da Forlì. Giacomo da Forlì. Iacobus Foroliviensis. Jacopo della Torre. Giacomo della Torre. Torre. Keywords: stravaganza, lizio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Torre” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Trabucco: la ragione conversazionale e la filosofia della salute -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Lirary, Villa Speranza (Caltagirone). Filosofo italiano. Non abbiamo grandi notizie della sua vita, della quale sappiamo solo che esercita con successo la medicina a Caltagirone, soprattutto durante l'epidemia. Per il suo contributo è creato nobile da Fernando d'Aragona. Alcune suoi saggi sono conservate nella biblioteca comunale di Caltagirone, città che gli ha anche dedicato una strada.  Saggi:  “De Morbis puerorum et mulierum.” Chaudon,  Dictionnaire universel, historique, critique, et bibliographique, v. Amico e Statella, V. M., Dizionario topografico della Sicilia, Palermo. Libro d'oro della nobilità dell'imperial casa amoriense, Roma,  s.v. Amati, Dizionario corografico dell'Italia. Trabucco. Keywords: salute, filosofia della salute. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trabucco” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tragella: la ragione conversazionale per i caduti -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Trezzano sul Naviglio). Filosofo italiano. Studia a Gorla Minore, Milano, e Torino. Si occupa di serbare la memoria della battaglia di Magenta con la costruzione di una cappella espiatoria all'interno della chiesa per accogliere le spoglie dei caduti. Ricovero vecchi poveri Sito Lombardia Beni Culturali.  Viviani, cfr. Tunesi, Morani Le stagioni, op. cit.. T., Lettera a Murri in: Murri, L. Bedeschi, Carteggio. II. Lettere a Murri. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Le stagioni di un prete, Le stagioni di un prete, «Rivista di storia e letteratura religiosa», Viviani, Dalle ricerche la prima storia vera, Magenta, Zeisciu. Cesare Tragella. Tragella. Keywords: per i caduti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tragella” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Trapaninapola: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco i H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. Trapaninapola. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trapaninapola” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Trapè: la ragione conversazionale dell’umanità di Varrone -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Montegiorgio). Flosofo italiano. Uno dei massimi studiosi della filosofia semiotica d’Agostino. Si laurea a Roma con una “Il concorso divino in Colonna” (Tolentino). Insegna a Roma. Promosse la fondazione dell'Istituto patristico augustinianum.  Fonda la "Biblioteca agostiniana" che si occupa della volgarizzazione di Agostino (Città Nuova) e il "Corpus scriptorum augustianorum", che pubblica le opere dei filosofi scolastici agostiniani.  Altri saggi: “Introduzione ad Agostino e le grandi correnti della filosofia contemporanea”, Atti del congresso Italiano di filosofia agostiniana, Roma, Tolentino; Varro et Augustinus praecipui humanitatis cultores, Latinitas Augustinus et Varro, Atti del Congresso di studi varroniani, Rieti) – VARRONE --; “Escatologia e anti-platonismo” Augustinianum, “Agostino, filosofo e teologo dell'uomo”; Bollettino dell’Istituto di filosofia (Macerata); Agostino: L'ineffabilità di Dio, in  «La ricerca di Dio nelle religioni (EMI, Bologna); “La Aeterni Patris e la filosofia”, Atti del Congresso Tomistico, Roma; Agostino, l'uomo, il pastore, il mistico” (Roma, Città Nuova); Patrologia, Casale Monferrato, Dizionario patristico e di antichità cristiana, Casale Monferrato, Introduzione e commento alla lettera apostolica «Hipponensem episcopum», Roma, Introduzione ad Agostino, Roma,  L'amico, il maestro, il pioniere, Cremona, apostolo della cultura. Agostino Trapè. Trapè. Keywords: la semiotica d’Agostino, Varrone, humanitas. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trapè” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Trasea: la ragione conversazionale della morale romana e del diritto romano -- Roma antica – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Padova). Filosofo italiano. Nato da una famiglia illustre e agiata. Mantenne stretti legami con Padova, come dimostra la partecipazione ai festeggiamenti in onore del fondatore, Antenore. Nulla è degli inizi della carriera politica tranne contrasse matrimonio colla figlia di CECINA PETO, console suffetto. Il suocero è implicato nella rivolta di Lucio Arrunzio Camillo Scriboniano che mira ad eliminare Claudio e a RESTAURARE LA REPUBBLICA e pertanto e costretto al suicidio. Lo segue, sebbene T. avesse cercato di impedirlo, anche la moglie.  Probabilmente, dopo la morte del suocero, T. aggiunse il suo nome al proprio, prassi inconsueta per un genero, che può essere letta come un segno di opposizione al principato. Non abbiamo informazioni sulla cronologia della progressione di Trasea tra i ranghi più bassi del cursus honorum ed è possibile, ma non è affatto certo, che la sua carriera politica fosse ad un punto morto.  A seguito della morte di Claudio e l'ascesa di NERONE, l'influenza del precettore del nuovo principe, il filosofo Seneca, del Portico, gli permise T. a di divenire console suffetto acquistando nel frattempo l'importante amicizia del genero ELVIDIO PRISCO. Dopo il consolato, T. ottenne il prestigioso incarico di quindecim-vir sacris faciundis. Tale ascesa e, forse, aiutata dall'attività svolta presso le corti di giustizia né è da escludere una sua nomina come governatore provinciale in accordo alla testimonianza di PERSIO, amico e parente di T., il quale scrive di aver viaggiato con lui. Sostenne in senato la causa di concussione avanzata dai cilici contro il loro ex-governatore, COSSUZIANO CAPITONE, vicino al principe, che e condannato probabilmente proprio per l'influenza e la capacità oratoria mostrata da T.Si oppose ad una mozione con cui i siracusani chiedevano di superare il numero legale di gladiatori per i loro giochi censurando di fatto l'irrilevanza cui e giunto il senato.  Quando, poi, NERONE invia al senato una lettera – scritta da Seneca -- in cui giustifica l'appena compiuto omicidio della madre, T. e il solo ad uscire dall'aula affermando di non poter dire ciò che voleva e che non avrebbe detto quel che poteva, mentre molti dei suoi colleghi si congratulavano bassamente con Nerone. Il pretore ANTISTIO SOSIANO, che scrive poesie diffamatorie su Nerone, a accusato da Cossuziano Capitone, recentemente riabilitato in Senato su impulso del suocero di questi, TIGELLINO, di maiestatis. T. dissente dalla proposta di imporre la pena di morte sostenne la più lieve sanzione dell'esilio, conforme per il reato. La proposta è approvata con larga maggioranza nonostante il parere contrario di Nerone consultato prima della votazione ed il principe e costretto ad aderirvi per far mostra di clemenza. Al processo contro il pro-console di Creta, CLAUDIO TIMARCO, accusato dai provinciali di continui abusi, avendoli costretti a compiere frequenti voti di ringraziamento, T. censura il comportamento del pro-console. Fa approvare a maggioranza un senatoconsulto che però dove aspettare il placet del principe. E dispensato dal principe dal portargli i ringraziamenti, insieme alla delegazione del senato, per la nascita di una figlia. Tale gesto e, probabilmente, il preludio della fine anche perché TIGELLINO, tra i più influenti cortigiani di Nerone e ostile a T. essendo il suocero di Cossuziano Capitone, fatto condannare da T. stesso. Tuttavia, è noto che Nerone dice a Seneca di essersi riconciliato con T. e che Seneca si fosse congratulato perché recupera un'amicizia piuttosto che averlo costretto a chiedere clemenza. Dopo tale vicenda, T. si ritira dalla vita politica. Non sappiamo esattamente quando è presa la decisione ma TACITO fa dire a Capitone, in occasione del processo, che T. ha da oltre III anni disertato tutte le sedute del senato ma, occorre ricordare che la fonte è polemica e quindi poco affidabile. Non è noto neppure quale sia stato il catalizzatore di una tale decisione che contrasta apertamente con la sua vita precedente. Forse è la sua ultima forma di protesta al principe.  In questo lasso di tempo, T. continua a curare gl’interessi dei suoi clienti e probabilmente compose anche la sua “Vita di CATONE [si veda]”, in cui loda il sostenitore della libertà senatoriale contro GIULIO CESARE (si veda) con il quale condivide la filosofia del portico. Tale opera, oggi perduta, e una fonte importante per la biografia di Plutarco. Nerone, dopo aver violentemente represso la congiura dei Pisoni, decide di sbarazzarsi di chiunque sospettava ostile, e tra questi anche T. e Barea Sorano che da tempo detesta. Spinto da Cossuziano Capitone, decide di agire durante la visita del re Tiridate I di Armenia a Roma, come scrive sarcasticamente Tacito "quasi fosse atto da re", affinché passassero inosservate le vicende di due così illustri cittadini. L'accusa contro T. e assunta da Cossuziano Capitone e Marcello Eprio, mentre Ostorio Sabino si occupa di Barea Sorano. Dapprima Nerone esclude T. dal ricevimento in onore di Tiridate ma questi, anziché farsi prendere dal timore, chiede che gli fossero notificati i capi d'accusa e che gli fosse dato tempo di difendersi. Nerone accolge la risposta di T. con agitata premura e come mai prima d'ora comincia a temere la presenza, l'ardimento e lo spirito di libertà della sua vittima e pertanto comanda di convocare il senato. L'imputato, dopo aver consultato gl’amici, decise di non partecipare al processo per evitare che Nerone si incrudelisse anche con la moglie e la figlia e per non prestare orecchio all’ingiurie degl’accusatori. In tale occasione, inoltre, impede al tribuno ARULENO RUSTICO di porre il veto al decreto del senato affermando che una siffatta azione mette in pericolo la vita del tribuno senza salvare la sua. Il giorno del processo, il tempio di Venere Genitrice, luogo di raduno del Senato, e circondato da due coorti della guardia pretoriana. Iniziata la seduta, il questore legge una lettera del principe che, senza far nomi, accusa alcuni senatori di trascurare da tempo i loro doveri e di essere, pertanto, cattivo esempio anche per i cavalieri.  Gl’accusatori accolsero tali affermazioni come un dardo pronto per essere scagliato e subito Cossuziano si scaglia contro T. per essere seguito poi da Marcello Eprio il quale, con maggiore energia, grida che si tratta di LA SALVEZZA DELLO STATO ROMANO e che la longanimità del principe sarebbe venuta meno di fronte all'arroganza dei sottoposti e che fino ad ora troppo indulgenti sono stati i senatori nei confronti di T., di Barea Sorano, definiti faziosi ribelli. Non si ricordano discorsi della difesa ed in ogni caso i senatori, nel più profondo terrore per i reparti armati, non hanno altra alternativa che votare la condanna a morte nella forma del liberum mortis arbitrium ovvero l'ordine di suicidarsi. T. e ovviamente condannato a morte, il genero Elvidio Prisco e esiliato insieme agl’amici Paconio Agrippino e Curzio Montano. Gl’altri imputati, Barea Sorano e la figlia di lui, processati separatamente, seguirono lo stesso destino di T.. Al crepuscolo, T. intento ad intrattenere numerosi ospiti e ad ascoltare con molta attenzione il filosofo Demetrio, del CINARGO, con il quale discute della natura dell'anima e della separazione dello spirito dal corpo, riceve da uno dei suoi intimi, DOMIZIO CECILIANO, la notizia della condanna. A tal punto, esorta i più a non disperarsi e a ritirarsi in gran fretta per evitare di compromettere le loro sorti con la sua, poi persuase la moglie che, memore della madre, si prepara a seguire nella morte il marito, a restare in vita e a non privare la figlia dell'unico sostegno. Poco dopo, mentre T. si avvia al portico con un'espressione lieta, avendo saputo che il genero, Elvidio Prisco, è stato solo esiliato, giunse il questore a comunicargli ufficialmente la condanna. Si ritira, quindi, accompagnato da Demetrio e dal genero, nelle proprie camere, porse ad uno schiavo le vene di entrambe le braccia e, come il sangue scorse, lo sparse a terra libando a Giove liberatore sempre alla presenza del questore. Infine, dopo molte sofferenze, muore.  In Prato della Valle, Padova, è presente una statua che lo raffigura, opera d’ Andreosi ed eretta a cura della associazione padovana Excisa Civitas. T. è rappresentato in abito consolare, ai suoi piedi un piedistallo, simbolo della costanza con cui sostenne la sua impari lotta contro Nerone. È menzionato nel romanzo Quo Vadis di Sienkiewicz. È menzionato nel romanzo Memorie di Adriano di Yourcenar. Dione Cassio. Tacito. Plinio. Tacito, Historiae. Plutarco Moralia. Geiger. Statua di T. su digilander.libero. Cassio Dione Cocceiano, Historia Romana, libri LXVI-LXVII. Plinio il Giovane, Epistulae. Tacito, Annales. Brunt, Stoicism and the Principate, PBSR, Devillers, Le rôle des passages relatifs à Thrasea Paetus dans les Annales de Tacite, Neronia, Bruxelles, Collection Latomus Geiger, Munatius Rufus and T. on Cato the Younger, Athenaeum. Rudich, Political Dissidence under Nero, Londra, (Strunk, Saving the life of a foolish poet: Tacitus on Marcus Lepidus, T., and political action under the principate, Syllecta Classica, Syme, A Political Group, Roman Papers, Turpin, Tacitus, stoic exempla, and the praecipuum munus annalium, Classical Antiquity, Wirszubski, Libertas as a political idea in Rome in the late republic and early principate, Cambridge. T., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. MPortale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Retori romaniFilosofi romaniScrittori romaniFilosofi del I secoloScrittori del I secolo Romani Nati a Padova Morti a Roma Filosofi giustiziati Stoici Morti per suicidio. The wide circulation of the philosophy of the Porch among Romans of the upper class from the time of Panaetius to the reign of Marcus Aurelius is a familiar fact. Few Romans of note can indeed be marked down as committed ‘filosofi del portico’, and even those, like Seneca, who avowedly belongs to the school borrows ideas from other philosophies. Still, even if eclecticism is the mode, the ‘Porch’ element is dominant. The PORTICO permeates the writings of ‘filosofi’ like Virgil and Horace who professed no formal allegiance to the sect, and became part of the culture that men absorb in their early education. One might think that the Porch exercises an influence comparable, at Oxford, at in some degree with that which Christianity has often had on men ignorant or careless of the nicer points of systematic theology. It has often been supposed that it did much to humanise Roman law and government. That is a contention of which I should be rather sceptical, but it is not my present theme. I propose to examine the effects that The Porch had on men's attitudes to the Principate, the essentially monarchical form of government created by Ottavianus. Prima facie we might expect these effects to have been significant, yet it is not easy to discern exactly what they are. At the very outset an apparent contradiction confronts us. The Porch seems to be both upholders and opponents of the regime. The Stoic Atenodoro is an honoured counsellor of Ottaviano; Seneca the preceptor of Nerone and then one of his chief ministers, Marcus Aurelius Antonino a philosopher on the throne. Seneca exalts the autocratic power of the Princeps. Under Nerone, a ruler vigilant for the safety of each and all of his subjects, anxious to secure their consent, and protected by their affection, Rome (Seneca claims) enjoyed the happiest form of constitution, in which nothing is lacking to our complete freedom but the license to destroy ourselves. We may always suspect Seneca of insincere rhetoric and special pleading. But Seneca’s approval of monarchy in principle is shared by the honest Musonius, and Antonino clearly assumed that it was by divine providence that he had been called to exercise absolute power. And yet that perfect philosopher of the Porch, as Seneca calls him (Const. Sap.), Catone, died in defence of the old Republic, which Giulio Cesare had overthrown and Ottaviano had replaced. Cato’s conduct was still viewed as exemplary by philosophers of the Porch during the Principate. T. writes Catone’s life, and he is the centre of a circle, including ELVIDIO PRISCO and ARULENO RUSTICO, which offers the most intractable opposition to certain princes, opposition which was certainly ascribed to the teaching of the Porch. Nerone’s suspicions of RUBELLIO PLAUTO, a kinsman and potential pretender to the Principate, are enhanced by the allegation that he had adopted the Porch’s presumptuous creed, which made men turbulent and avid for power. Writing soon afterwards, Seneca himself admits that some thought, though erroneously, that the votaries of philosophy were 'defiant and stubborn, men who held in contempt magistrates, kings and all engaged in government', and he advises Lucilius to devote himself to philosophy, but not to boast of it, since philosophy itself, associated with arrogance and defiance, has brought many men into danger. Let it remove your faults and not reproach those of others, and let it not recoil from social conventions ('publicis moribus"), nor produce the appearance of condemning what it does not practise'? Though Seneca speaks of 'philosophy' in general, the context shows that he has in mind only that philosophy in which he thought the truth resided, the Porch. The second passage indeed may suggest that what endangers the Porch was not so much resistance to authority as censure of the behaviour common in the world, which made the Porch generally unpopular. Seneca had also admitted earlier that The Porch had the reputation, in his view undeserved, of excessive harshness, which was held to make it incapable of giving wise advice to rulers. It was under Gaius, Nero, Vespasian and Domitian that the Porch certainly suffered persecution. The last two princes actually expelled professional philosophers from Rome and Italy; Epictetus was among the exiles. Yet he too repudiates the charge that the Porch is opposed to authority. By reconciling the interests of the individual, truly conceived, with those of society, the Porch, Epitteto claims, produced concord in a state and peace among peoples. The Porch teaches men to obey the laws, but not to despise the authority of 'kings', though in his view neither laws nor kings could give or take away anything essential to a man's blessedness. On the other hand, the Stoic would not comply with the orders of 'tyrants', which conflicted with his own moral purpose. We might then infer that it was not political authority, nor monarchy as such, that the Porch rejects, but those rulers whose vile conduct made them 'tyrants',"' and that what the Porch – in a figure like T. -- admires in Catone is not his fight for the Republic but his rectitude and constancy. However, Vespasian was never reproached with tyranny, and ELVIDIO PRISCO, at least, whom Dio called a Republican, and whom Vespasian puts to death, must have had convictions by which an emperor could be judged in political as well as moral terms. The apparent inconsistency in the Porch’s attitude to monarchy is not the only ambiguity in their relations to the state. Seneca meets the charge of political defiance by replying that none are more grateful to rulers who preserve peace than philosophers who have retired from public life to the nobler activity of tranquil contemplation and teaching. Much writing of the Porch suggests that their teaching tended to promote not active resistance to government but entire withdrawal from political activity. Quintilian speaks of philosophers as men prone to neglect their civic duties. P. Suillius had contemptuously referred to Seneca's own 'studia inertia'. In the very passage in which Tacitus marks out ELVIDIO PRISCO as a Stoic he says that 'from early youth he devoted his brilliant mind to deeper studies, not as so many (plerique') do, to make the high-sounding name of philosophy a screen for indolent retirement ('segne otium'), but in order to undertake public duties, while fortified against the strokes of fortune. Evidently, in his judgement, the general tendency of philosophic training was to render men unfit for public careers by making them prefer the life of contemplation. Hence an ambitious mother, like Agricola's, would restrain her son from drinking too deeply at the philosophic spring. Indeed all writings of the Porch illustrate a certain tension between the claims of public activity and those of study and meditation (injra). We must, of course, distinguish sharply between Stoics who deliberately chose 'segne otium' from the start and those, like T., who retires from politics in such a way as to manifest their disapprobation of the government, even though such retirement could be justified by arguments that might rather have persuaded the believer never to enter the political arena. The former might by their indifference to the state deprive it of useful talent, but they constituted no danger to the regime. But we may wonder how a creed which encouraged such quietism could also be accused of making men turbulent enemies of the Princeps. To understand these apparent contradictions in the political attitudes of Stoics under the Principate, we must look more closely than historians generally do at the moral principles they embraced. All I can attempt here is naturally no more than a rather impressionistic sketch of those aspects of Stoic teaching which seem to me most relevant to their actual political behaviour, in office, opposition or retirement. This is no place for a systematic exposition of the logical and physical presuppositions of their moral creed, and indeed the Stoics of our period evinced no keen interest in the dialectical subtleties and doctrinal coherence of the system the earlier masters of their school had evolved. Rhetoric and devotion had largely replaced inquiry and argument. None the less their moral convictions continued to rest on metaphysical dogmata, however uncritically accepted. Like other philosophers, the Stoics assume that each man does and must pursue his individual happiness. This he can secure only if he conforms his life to nature, his own nature and that of the universe, of which his own is of necessity a part. In the impulses of animals and of children we can see how Nature herself directs living beings to seek what is conducive to life and to avoid what is contrary. Life itself and all that assists the proper functioning of the living creature belong to the category of things that are natural and therefore can be described as things of value. They include wealth, health and nearly all that men generally make their objects of endeavour. Now, man is endowed with reason, and reason shows that he cannot live in isolation. We are born for one another, and it is proper to our nature to prefer things of value for our fellows as well as for ourselves. However, experience teaches us that such things may not be in our power. If, then our happiness, or that of our fellows, were to depend at all on their possession, it would not necessarily be within our grasp, our minds would be filled with anxiety, and our failures to obtain what we desire would seem to be limitations on our freedom. But no man can be happy if he is not secure from anxiety and free. Now Nature must have designed our happiness, for all being is permeated by a substance the Stoics described as reason or the divine. This ruling element in the world, which causes all things to work together for good, is also present in our souls, and it is its presence that enables us in some measure to apprehend the providential order of the Universe. Our reason should also be the ruling element in our own nature, as it must be capable of directing us to that true happiness, security and freedom which nature impels us to seek, and which, given the rationality and beneficence of nature, it must be in our power to attain. Hence the so-called things of value cannot be truly good, simply because they are not always and necessarily in our reach. By contrast nothing can ever prevent us from constantly willing to do what is right, even though the resultant actions may fail to produce the effects intended; these effects are external to ourselves and do not or should not affect that permanent disposition of the soul in which our blessedness, security and freedom are to be found. The only true good, which reason prescribes, lies then in a virtuous disposition and in the activity that flows from it, and the only true evil is the lack of such a disposition, while the things of value and their contraries must alike be classed, to use the technical term, as things indifferent to us. Yet this leaves no criterion for identifying the particular acts the good or wise man will perform, and that criterion has still to be supplied by the things of value. Is The acts which were termed in Greek “KaOkovaand” in Latin “officia”, acts incumbent on men, which we may render as duties, even though the word has perhaps excessively Kantian overtones, consist in promoting states of affairs which will contain as much as possible of such secondary goods as health or wealth, and as little as possible of their contraries. We are bound to make the best calculations we can on the consequences of our acts, and to exert ourselves to the utmost in performing them. But we should always act with the reservation in our minds that what we seek may not be attainable and that its actual attainment is not per se good. A father will jump into deep water to rescue his child. But the goodness of his act is not enhanced if the child is saved, nor diminished if it drowns. Indeed, since the universe is providentially ordered, the death of the child, if it occurs, must be for the best. Chrysippus is quoted by Epictetus as saying that, so long as the consequences are not clear to me, I cling to what is best adapted to securing things that accord with nature; for the divine has created me such that I shall choose these things; but if I actually knew that it was now ordained for me to be ill, I would aim at being ill. Victrix causa deis placuit, sed victa Catoni. As a good Stoic, Catone should not have fought against Caesar, if he could have foreseen Caesar's victory. But lacking this foresight, he could still be subjectively right; and the admiration a Stoic could express for Cato is not in itself incompatible with acceptance of the regime for which Caesar's victory had prepared the way. For the Stoics only the wise man has an understanding of nature so complete and a disposition so unchangeable that he will never do what is not right, and only his actions are truly successful or good. Others may perform the same actions, but in a way that is somehow flawed. However, the wise man, as Seneca remarked, is as rare as the phoenix. Not even the great Stoic teachers pretended to the title. Most of their statements about his conduct may then be understood as the presentation of a model for others, and in fact the Stoics did not hesitate from the first to lay down rules for the guidance of ordinary beings. In such prescriptions they continued to attach value only to the purpose of moral activity, and not to success in performance. The fullest discussion we possess of their teaching on men's duties is to be found in Cicero's “de officiis,” the first two books of which are avowedly based on a treatise of Panaetius. But though Panaetius, who departed in various ways from the doctrines of his predecessors, did not care to describe the ideal sage and expressly turned to the duties of men in whom perfect wisdom was not to be found but whose conduct might still manifest the semblances of virtue ('similitudines honesti'), his concern with this topic was certainly not new. Moreover, there are some indications that Stoics extrapolated the concept of perfect virtue from the conduct of ordinary men which commanded universal approval. Orazio on the bridge could not be called truly brave, because he was no sage. Yet, his heroism gives an idea, by analogy, of what tcourage is. Thus Stoic practical morality was founded on commonly received opinions. While every man is bound to be of service to his fellows, the particular services he should render vary with his special relationships to them. From the first orthodox Stoic thinkers enjoined specific duties on the husband, father, slave-owner and so forth. Tacitus alludes to this practice when he describes ELVIDIO PRISCO as steady in performing all the duties of life, as citizen, senator, husband, son-in-law and friend. Epictetus and others conceive such duties as arising from the place in the world, the station or military post (Tá§is, statio) to which each individual is appointed, and which may limit, as it always defines, the kinds of action incumbent on him; though a life of virtue is open to all, even to slaves, what a man can do determines what he ought to do; for instance, if he is poor, he cannot hold office or endow his city with fine buildings (Ench.). But how do we identify these specific duties, which are given to us by our place in the world? If you are a town-councillor, says Epictetus, remember that you are one; if you are young, that you are young, if old, that you are old, if a father, that you are a father; on reflection each name invariably suggests the appropriate tasks. These tasks can, I think, only have been regarded as obvious if they were those conventionally expected from the persons so designated, and in fact Stoics seldom recommend acts that would have violated conventions. All that Epictetus himself tells a provincial governor is to render just decisions, to keep his hands off others' property, and to see no beauty in another man's wife or a boy or a piece of gold or silver plate. Epictetus does not go far beyond the maxims of abstinentia and integritas, always accepted, if often infringed, by the Roman ruling class. In fact he adds that we ought to look for doctrines that agree with but give additional strength to such common notions of duty. The great mind, as Seneca puts it, is intent on honourable and industrious conduct in that station in which it is placed. The good man does not change the rules, but obeys them more strictly. In another metaphor the Stoics employed the world was viewed as a stage in which each man had to play a part (persona, mpóocov). Panaetius exploited this metaphor in connexion with a doctrine he himself seems to have transferred from aesthetic to ethical theory, that there is a kind of moral beauty, called in Greek pétrov and in Latin decorum, which 'shines out' in virtuous activity, even in that of the man still imperfect in wisdom. It would not be germane to my theme to attempt to expound this doctrine in full, but two points are important. First, just as the physical beauty of a living creature must be attributed to the due relation of all the parts to the whole, so the moral beauty of a man's activity lies in the order and coherence of all his words and deeds, and just as the correct delineation of a figure in a drama depends on the suitability to his character of what he does and says, so in real life men must aim at maintaining the consistency, 'constantia'' or 'aequabilitas, of their conduct. But while the dramatist may properly portray the wicked man, on the stage of life we are all bound to play the role of rational beings subject to the moral law. None the less, the manner of the performance must vary from man to man." Besides the role which is common to all Panatius distinguished three others. The first arises from the individual's special inborn endowments, which he must develop to the full, so far as they are compatible with virtue, and his natural disabilities, which limit what he can do, the second from his position in the world, the third from the choice of a vocation that he is bound to make on the basis of his capacity and of the resources at his disposal, but which tends to commit him for the future. Thus a Roman of rank might choose to be a philosopher or a jurist, an orator or a soldier; having made his decision, he should normally carry it out to the end. For Panaetius it is only by recognizing the potentialities and limitations imposed by his own personality and circumstances that the individual can avoid those inconsistencies in conduct which would mar the moral beauty of his life. 'It is of no avail to contend with nature or to pursue an end you cannot reach'. Similarly in Epictetus' view, 'if you assume a role beyond your ability, the result is that you perform it disgracefully (hoxnuóvndas) and neglect the role you were able to fill. To thine own self be true, And it must follow, as the night the day, Thou canst not then be false to any man. Secondly, according to Panaetius, moral beauty, like physical, attracts the approval and love of other men. Indeed that approval comes to be regarded as a criterion for determining whether particular actions really do manifest 'decorum'. We ought to respect the opinions and feelings of others. Hence deportment, polite conversation and other matters of social etiquette become the subjects of moral precepts. Manual labour is condemned as unbefitting the free man. Even the liberal professions are pronounced below the dignity of an aristocrat. In general the conventions of the upper class society to which both Panaetius and Cicero belonged are unquestioningly accepted. We are told that for actions to be performed in accordance with custom and civic practices no rules need be prescribed. These practices are the rules, and no one should make the mistake of thinking that he has the same license as Socrates or Aristippus to transgress them. It was only their great and superhuman virtue that gave that privilege to them. This teaching justified Romans in treating their own traditions as equivalent to moral laws. It is no accident that the Stoic RUBELLIO PLAUTO 'respected the maxims of old generations' in the strictness of his household, or that Seneca admires the mores antiqui in which Romans had always tended to find the secret of Rome's greatness. The very use of the term “officium” to render Kankov had a similar effect. In common speech “officum” could mean both the kind of service which social conventions expected one man to render another, and the function of a magistrate, for example, or a senator. Its use in ethical theory suggested that such a service or such a function constitutes a moral obligation. Cicero illustrates Panaetius' doctrine of the special duties imposed by a man's individual personality from the suicide of Cato. Not every one would have been right to kill himself in such circumstances. Cato was justified because he had always held that it was better to die than to set eyes on a tyrant; his'constantia' left him no choice. Plutarch, who drew directly or indirectly on a firsthand account, shows that Catone consciously acted on this view. For Catone, death is the only way out. His son might live, but being also a Catone, should not serve Caesar. Others might make their peace with the victor and incur no blame. An anecdote in Plutarch's life of Cicero tells us that Catone also held in that while he himself could not honourably have abandoned his consistent opposition to Caesar, Cicero, whose past conduct had been very different, would have done better to remain neutral in the civil war. Catone’s conceptions are certainly known to the circle of T., whose own life of the hero may be Plutarch's immediate source. When they debate whether T. should appear in the senate to answer the capital charges against him, the question is essentially what course it is fitting – “deceret” -- for him to take, if he were to be true to the course of behaviour he had pursued without a break for so many years. Another man even within his circle is not bound to the same intransigence. Similarly, his friend, PACONIO, says that any one who so much as thought of going to Nero's games should go, but his own 'persona' did not allow him to consider the possibility. ELVIDIO PRISCO is for Epictetus the shining example of a man who was true to his persona. This sort of conception is indeed ascribed to men who are not known to have embraced the Stoic creed, just as the word 'persona' is sometimes used unphilosophically in a way compatible with Panaetius' doctrine but not derived from it. These are further indications that his doctrine corresponded closely with the thought and behaviour natural to traditional Romans. The concept is found in ORAZIO as well as in all the later Stoic writers, Seneca, Musonius, Epictetus and Marcus (and indeed elsewhere); though sometimes they think more of the special duties that were imposed on the individual by his place in the world or his vocation than of those which flow from his inborn propensities and disabilities, a few texts show that that part of Panaetius' doctrine was not wholly forgotten. The idea of decorum also survives in the attention still devoted to etiquette, to seemly ways of walking, talking, laughing, dressing, behaviour at the table and even in bed, for all such behaviour was considered an outward manifestation of the disposition of the soul. It is characteristic that Epictetus would rather have died than shaved off the beard that symbolized his role as a philosopher. In all these precepts we find the assumption that the moral law required performance of traditionally accepted duties and respect for conventions. After telling his readers that the poet can discover how to treat his personae appropriately by learning the duties that belong to the citizen, friend, father, brother, host, senator, judge and general, Horace adds: respicere exemplar vitae morumque iubebo doctum imitatorem et vivas hinc ducere voces. For the Stoics a virtuous disposition necessarily issued in virtuous activity. All had to perform their duties within that City of Gods and men which was not a city in any ordinary sense, nor a world-state that might one day be brought into being, but the providentially ordered Universe in which all live here and now. However, political activity could certainly be included among these duties. From the first the Stoic fathers had taught that the wise man would take part in public affairs, if there were no hindrance. Indeed it was a famous Stoic paradox that only the wise man was a king or statesman; he alone possessed the art of ruling, whether or not he had any subjects, just as only the doctor has the art of healing, even if he has no patients. His principal aim in politics would be to restrain vice and encourage virtue, ' although he would also necessarily be concerned with the 'things of value' and would treat wealth, fame, health etc. as if they were goods. But it could hardly fail to influence his attitude to such objects of endeavour that he was always to remember that his efforts to promote them might fail, and that failure or success was unimportant; they were not truly goods. As Epictetus observed, 'Caesar seems to provide us with profound peace... but can he give us peace from love or sorrow or envy? He cannot'. And yet blessedness comes only from such spiritual peace. In the real world, according to Chrysippus, all laws and constitutions were faulty. He once despairingly said that if the wise statesman pursued a bad policy he would displease the gods, if a good policy, he would displease men. So too Seneca could suggest that there was no state which could tolerate the wise man or secure his toleration. However, such pessimism did not represent the final judgement of the Stoa. It was recognized, most emphatically by Panaetius, that the state answered human material needs and fulfilled men's natural and reasonable impulse for co-operation." It would hardly have been consistent with the Stoics' faith in providence if all or most existing states had been irremediably evil. Did not the mere existence of any given form of institutions perhaps imply that those institutions served a worthy purpose in the divine economy? At any rate there is no evidence that Stoics condemned any political system as such; for instance what they disapproved of in the tyrant was not his absolute power but his abuse of it. We are told that it was particularly (though not exclusively) in states that exhibited some progress towards perfection that the wise man would be active. Progress must here be construed in a moral sense, of states that tended to imbue their citizens with virtue. Old Sparta apparently evoked Stoic admiration, because of the strict and simple life prescribed by Lycurgus. Sparta was also most often cited as an instance of that mixed or balanced constitution which won the approval of many ancient thinkers, perhaps above all for its stability. In the individual stability of purpose was for Seneca a mark of moral progress, s and perhaps stability was also a Stoic criterion for judging constitutions. Certainly we are told, without explanation, that the old Stoics preferred a mixed constitution. 6 Panaetius is often held, with no certain proof, to have commended the Republican system at Rome for its balance,' and the historical work of his illustrious successor, Posidonius, was probably biased in favour of the Roman aristocracy. At Sparta Cleomenes I, who professed to be re-establishing both the old austerities and the old political balance, enjoyed the assistance of a Stoic counsellor. Cato could probably have cited Stoic texts to justify his struggle to preserve the Republic. On the other hand Stoics did not condemn monarchy in theory. Some scholars even suppose that they gave it their special approbation. No doubt rule by a Stoic sage would have been in their eyes the best form of government. That may be one reason why several of the early Stoic masters wrote treatises on kingship. Yet, given the rarity of the sage, it must have seemed a remote possibility that if he emerged at all, he would also happen to obtain sovereign authority. Probably these treatises were intended to depict the perfect ruler as a model for contemporary kings. Conceivably, like Seneca in the de clementia, their authors did not insist over much on the gulf that divided actual rulers from their ideal. Moreover, a philosopher had the best hope, so it might seem, of effecting what he thought right as the minister of an autocrat, and since kings enjoyed great power in the Hellenistic world, Stoics who were ready to engage in political activity entered their service; this was only natural. However, once the aristocratic Roman Republic had become dominant, they were no less prepared to attend and advise men of influence at Rome. Panaetius was an intimate of Scipio Aemilianus, and Tiberius Gracchus and Cato had their Stoic counsellors. Only after Augustus did monarchy become the one system towards which for practical purposes a Stoic needed to define his attitude. The precepts and examples of the early masters of the school did not require him to reject it on doctrinal grounds; how indeed could he have done so, without impugning the dispensations of Providence? At a merely empirical level Tacitus reluctantly conceded that it was in the interest of peace that all power should be conferred on one man; he had been anticipated, a century earlier, by Strabo, who was an avowed Stoic. Seneca argued that the struggle for Republican freedom had been futile, and not only his career but those of T. and Helvidius, men of firmer resolution, indicate that their principles did not lead these Stoics to condemn the Principate as such. The wise man would not be hindered from participating in public life by any form of government, yet under any form he might conceive that he had a higher duty to a vocation of philosophic investigation and teaching his fellows by precept and example, besides fulfilling the obligations of private life." And under any form he might also see that he had no opportunity for effective political action, because of the wickedness of those in high places at the time. The doctrine that the goodness of every act lay in the disposition from which it was performed and not in its results did not require Stoics to engage in an undertaking doomed to fail ab initio; the wise man would not take a leaking ship to sea, nor, if unfit to fight, enlist in the army. Under a tyranny he simply could not do any service. As for the ordinary man, there were reasons why he might abstain from public affairs which did not apply to the sage. By definition the latter had already attained to that perfect understanding and virtue to which others at best aspired. But the pre-occupations of a busy public career might be sufficient of themselves to prevent imperfect men from ever reaching that goal. Seneca could hold at times that it was justifiable for a man to retire from long public service to private duties and to care of his own soul, at times that the whole of his life was not too long for this task, all the more because his example could be beneficial to others. The sage too was impregnable in his virtue, which he could hardly lose, but in other men moral progress might be impeded by what St. Paul calls 'evil communications' (I Cor.). Moreover, even when arguing that a man should normally undertake public duties, Seneca concedes, in a way reminiscent of Panaetius' emphasis on individual endowments, that he might be debarred not only by his physical, intellectual or pecuniary resources but also by his temperament; he might be too sensitive or insufficiently pliable for life at court, too prone to indignation, or to untimely witticisms that showed high spirit and freedom of speech but would only do the speaker harm. Again, as Panaetius had also held, he might be suited only to contemplation, not to public affairs; and 'reluctante natura, irritus labor est'. None of these considerations applied to the sage, who was omnicompetent and impervious to what others would regard as insults or injuries. Seneca's views on the propriety of a political career are self-contradictory, but the assumption that these contradictions can be explained simply by the hypothesis that he recommended otium only when his own political prospects were impaired and political activity only when himself engaged in public affairs, hardly fits the fact that we find the same antinomy in the sermons of Epictetus and the Meditations of Marcus. Seneca's advocacy of quietism reflects one important aspect of Stoic influence. Epictetus recognizes of course that men are bound to perform the duties that arise from their social relationships, but he is much more insistent on the ultimate worthlessness of all those secondary goods to which activity in the world is inevitably directed. A man of a certain station should take office, but it is wrong for him to set his heart either on holding it or on freedom from its cares; it is significant that he should think it necessary to warn his pupils against yielding to both these kinds of pestic Ofeis i a is les kiy Fallivan my police it cno doubt because no good man would submit to the humiliations on which advancement depends;? the few whose aim is to bring themselves into a right relation with the divine earn the mockery of the crowd, and they can hardly pursue their aim as procurators of Caesar. Epictetus was himself a former slave with no chance of a public career, but it is plain that his audiences were mainly drawn from the upper class, some of them aspirants to a career at Rome, like the young Arrian who took down his words.' In fact Epictetus' own low social station and the academic character of his way of life may have made him less conscious of the dangers of evil communications than Seneca had been, even though two of his diatribes are devoted to the theme (n. 69). We also find a greater serenity in his teaching than in Marcus' reflections. When Marcus looked back to the time of Vespasian or of Trajan, he saw a world in which men were engaged in flattery and boasting, suspicions and plots, praying for the death of others, murmuring at their own lot, given to sexual passions, avarice and political ambition. It was the same in his own court. More than once he dwells with loathing on the dark qualities of those who surrounded him, the emptiness of their aims, their longing for the death of 'the schoolmaster', though he had so greatly toiled, prayed and thought on their behalf; indeed death would be a release, the more merciful, the earlier it came. However, Marcus had his duty to perform; he was set over mankind as the ram over the flock or the bull over the herd (ibid). No other vocation (inó®ois) is so suited to philosophy, that is to say, to the exercise of a reason which has accurately established the rationality of nature and of all that life contains. But it is evidently by a conscious effort that Marcus reconciles himself to the place Providence has assigned him, and he can also say that his role impedes him in the pursuit of philosophy." The general character of his Meditations shows that his inclination was to ponder on the divine order and his own relation to it rather than to consume his energies in 'the daily round, the trivial task' which, nonetheless, furnished him on his own principles with all his reason required him to ask. Those principles taught him that the wise man would serve the state, if there were no external hindrance. But an autocrat could plead no hindrance, so long at least as his natural capacities permitted him to render good service. All the same we can see how a man of Marcus' temperament, set in some lower station, must have preferred that life of contemplation which in the end Seneca had pronounced the best. Thus the more seriously Stoic teaching was accepted, the more ardent in some minds must have been the desire for retirement and meditation, at most combined with the performance of inescapable private duties. Whether Stoics commonly yielded to this desire, as some of their critics averred (p. 9), we cannot say; our records can hardly be expected to commemorate lives of quiet seclusion; Sextius is a rare example, known by name (n. 10). It is with others that we must henceforth be concerned, men who thought themselves bound by their principles to enter public life, who believed what Seneca once said (ep. 96, 5),'vivere militare est', and who tried to play the part, or to occupy the station, to which they had been called by birth and ability. This Stoic concept of the individual's station was applied, as Koestermann showed long ago, to the emperor himself. Augustus seems consciously to have adopted it, probably under the influence of the Stoic Athenodorus; this was known to such panegyrical writers of the time as Ovid and Velleius. Claudius too appears to have spoken of his station, and in his reign and Nero's the notion is found in Seneca and Lucan. Tacitus referred to Vespasian's station, Pliny to Trajan's. Pius himself also employed the term. It survived into the fourth century.? Curiously, Koestermann failed to observe that the idea is implicit in Marcus' Meditations. Pius, according to Marcus, always acted in the way which had been appointed for him. He exhorts himself to let the god within him be lord of a living being, who is a male, a Roman, a ruler, who has taken up his post, as one who awaits the signal for retirement from life, fully prepared. He has to carry out the task set him like a soldier storming the breach. Similarly he speaks of his 'place' in the world, or of his 'vocation'; like all men, he has tasks to perform, proper to his own constitution and nature, and 'as Antoninus, my city and fatherland is Rome'; he must be strenuous in doing his duty, acts of piety and benefit to men, like Pius before him. He is a sort of priest and servant of the gods, and this makes him, rather like the Pope, a servant of men; he regards his life as a 'liturgy' or as 'servitude'. Long before, Antigonus Gonatas under Stoic influence had described kingship as 'noble servitude', and Seneca had applied this to Nero's position. But what were the particular duties that Stoics attached to the station or role of the emperor? According to Seneca he is to be 'vigilant for the safety of each and all'. He belongs to the state, not the state to him.® Seneca recommends Nero to win his subjects' consent, respecting public opinion 3 and freedom of speech,* and to observe the laws. Under the good ruler justice, peace, morality ('pudicitia'), security and the hierarchical social order ('dignitas') will be upheld, and economic prosperity will be assured.& The greatest stress is of course laid, for reasons not hard to discern, on clementia. But it is everywhere implicit that the emperor should be guided by traditional standards and objectives accepted by his subjects. Marcus accepted similar criteria. Marcus adjures himself to do everything as a pupil of Pius, to emulate his justice, beneficence, clemency, piety, frugality, his respect for the opinions of others combined with firmness and foresight in making his own decisions, the purity of his sexual life, his mildness and cheerfulness, his civilitas, and so forth. Marcus himself continually reflects on two themes, the providential order of the world and the duty incumbent on all men to perform acts of fellowship (praxeis koinônikai), a duty that springs from man's place in that order." This creed undoubtedly supplied him with a deeper sense of the value of the virtues that Pius had exemplified, not least his untiring devotion to work. 'Rejoice and take thy rest in one thing, proceeding from one social act to another, with God in mind' (VI 7). There was no novelty in all this. For instance, Hadrian's procurators had proclaimed the 'indefatigable care with which he is unceasingly vigilant for the interests of men'. Fergus Millar has illustrated at length the standard of personal industry which was expected of emperors, though (I suspect) not as often reached as his more unwary readers might suppose. Dio tells us that Marcus himself was a hard worker who applied himself diligently to all the duties of his office, who never said or wrote or did anything as if it were of small account, but who would spend whole days, without hurrying, on the slightest point, believing that it would bring reproach on all his actions, if he neglected any detail. The assiduity always expected of an emperor was now grounded in Marcus' own philosophic convictions. Recently a scholar has censured Marcus for speaking of the obligations we have in the universal city of gods and men without telling us what they are.? But for Marcus each man has his own station in that city: his was that of Rome's ruler. He was not writing a treatise to instruct others, but meditating privately on his own duties, and he could have learned these, in conformity with Epictetus' teaching, by merely considering the name of emperor which he bore; it told him that his task was to do what was expected of an emperor. Numerous principles of government are in fact implicit in his account of Pius, for instance in his allusion to Pius' husbandry of financial resources. The same critic rightly observes that Marcus' policy and legislation were largely traditional, and concludes that he was basically a Roman rather than a Stoic. But the antithesis is false. I suppose that it rests on a presupposition that Stoic teaching on the kinship of all men as such ought to have made genuine believers critical of the existing order and ready, when they had the power, to reform it. But at least after Zeno and Chrysippus (n. 37) no Stoic thinker drew any such practical implications from the doctrines of the school: their aim was to amend the spiritual condition of individuals, not their material lot, nor the social structure. Epictetus held that it was man's task not to change the constitution of things - 'for this is neither vouchsafed us nor is it better that it should be' - but to make his will conform with what happens." So too Marcus, vested with autocratic power, tells himself 'not to look for a Utopia, but to be content if the least thing goes forward, and even in this case to count its outcome a small matter. "3 Marcus' portrait of Pius has special value for two reasons. First, as the product of intimate familiarity and perfect sincerity, it shows us both what Pius was in the eyes of one who had long worked with him closely and what Marcus himself sought to be." It is thus infinitely more authoritative testimony to the practice of Pius and to the ideals of Marcus than we possess for any other ruler in the judgements of historians or in the propaganda of panegyrics and coins. But, in the second place, if we leave on one side a few merely personal traits and anecdotes, it presents a model that corresponds to the conventional view of the good emperor that we can construct from such evidence. The qualities that Marcus imputes to Pius are precisely those for which other emperors take credit themselves or which are lauded by their admirers or flatterers, and the judgements of later historians such as Tacitus and Dio reflect the extent to which they considered these claims justified. Augustus himself provided the prototype.'5 There is thus no sign that Marcus recognized any objectives that had not been pursued by those among his predecessors who had earned the approval of the upper classes, or that his doctrines either led him to question the established principles of imperial policy or offered him any guidance in determining the objective content of his actions. His philosophy inspired him to do what he thought to be right, but what he thought to be right was fixed by tradition. His convictions made him give the most conscientious attention to even trivial tasks, but that very absorption can have left him the less time to re-examine the content of his duties; probably it never occurred to him that such re-examination could be needed. The principles and virtues he admired in Pius are almost the same as, for instance, Pliny had ascribed to Trajan, and Pliny admits that they had been attributed to all earlier rulers, Domitian included, though with less sincerity and truth.? To take one example of the traditional character of the ideal, Pius' firmness of purpose, his self-consistency, recalls the 'constantia' of the Stoic wise man," but it was Tiberius who had proclaimed to the senate his wish to be 'far-sighted in your affairs, constant in dangers, fearless of giving offence for the public interest'. And in this same speech Tiberius re-asserted his policy of treating all Augustus' words and deeds as having the force of law. That was known even to a provincial contemporary; Strabo remarked that he had made Augustus the standard for his administration and commands.' It was by that standard that each of peror our or prided, a deo which the syst a uration of y ravis a adjustments had from time to time to be made, but it developed slowly and almost imperceptibly from a sequence of new expedients rather than from any deliberate pursuit of reform. Deliberate innovation was characteristic only of those emperors whose policy was reversed after they had been overthrown. There are certain features in Marcus' imperial ideal which are highly relevant to the attitudes that Romans of rank might be expected to adopt towards the emperor and his service. Pius had disliked pomp and adulation and treated his friends as one gentleman treats another; Marcus warned himself not to be 'Caesarified'. This civilitas may seem to be no more than a matter of etiquette, but Panaetius had already elevated sensibility for the feelings of others into a moral obligation (n. 35), and the more indes-tructibly absolute the real power of the emperor appeared, the more the upper class at Rome prized the semblance of his being no more than the first citizen. Perhaps nothing in Domitian's conduct so enraged them as his claim to be 'God and Master' and the behaviour that went with this claim. Moreover, civilitas generally accompanied and conduced to something of more political significance, the emperor's readiness to tolerate free expressions of opinion and to listen to advice. Both Pius and Marcus were notable for respecting such 'libertas' (even though there is no good reason to think that Marcus did not reserve the final decision to himself). 1a Such respect was demanded of emperors by senators, and it could be seen as an indispensable condition of their performing their own role in the service of the state. In name at least the imperial senate retained the highest responsibilities. Augustus had pretended to restore the old Republic, and it could even be said of him and of Tiberius that they had revived the maiestas of the senate. On Republican principles, as stated by Cicero, that should have meant that the senate was once again the ruling organ of the state with the magistrates as its servants;1°4 of these the princeps could no doubt be regarded as the first. In theory he was to be the public choice ('vocatus electusque a re publica'), and Tiberius expressly acknowledged that it was the senate which had entrusted him with his wide powers; like Augustus, he would not allow himself to be styled dominus, but actually addressed the senators as his 'bonos et aequos et faventes dominos', 105 In outward appearance the majesty of the senate had been enhanced by new judicial, electoral and legislative prerogatives, and the privileges of its members were sedulously preserved or extended. At his accession Tiberius had professed to desire that the functions of government discharged by Augustus should be more widely shared; later he censured the senate for casting the whole burden on the emperor; he disliked flattery, and at least pretended that senators should speak their minds; in his reign, as under Augustus, 108 there remained what Tacitus calls vestiges of free speech in the senate. Tiberius began by consulting it on all matters, however weighty;''° it was still expected to be the great council of state. Gnaeus Piso, renowned for his free speaking, urged that it would be proper ('decorum') for the senate and Equites to show that they could assume the burdens of government in the absence of the emperor.!" The reigns of terror in Tiberius' later years and under several of his successors in the first century cowed most members, but the emperors continued, however insincerely, to treat their constitutional rights as unchanged. Claudius could tell the senate that it was 'minime decorum maiestati huius ordinis' that its members should not all give their considered opinions. Pliny tells how Trajan exhorted them to resume their liberty and 'capessere quasi communis imperii curas'; we may be sure that 'quasi' was inserted as discreetly by Pliny as it had tactfully been omitted by Trajan. This was not new, as he remarks; every emperor had said the same, though none had been believed before. Thus in theory the senate remains the great council of state, and just as a conscientious emperor could conceive that he was bound to perform the traditional duties of his station as ruler, so conscientious senators could take seriously the fulfilment of the responsibilities that the emperors themselves continued to recognise as constitutionally belonging to their order. Under Nero T. saw it as his duty 'agere senatorem' , to play the role of a senator. At the outset of his reign in Nero declares that the senate should retain its ancient functions, lis and, until the conspiracy of Piso,  most senators are free from the terror that hardly abates in the previous generation. Nero's victims in these years consisted almost wholly of the few who stood too near the throne. T. has some ground for hope, not least in the influence of Seneca, that there is now a place for senatorial freedom. T.’s first recorded initiative consists in unsuccessful opposition to a motion permitting Syracuse to exceed the appointed number of gladiators for a show. T. is standing for the old order. T’s critics urge that an advocate of senatorial liberty should devote himself rather to great questions of state. T. replies that, by attention to the smallest matters, the senate shows its competence to deal with the greatest. To T., virtue is manifest in EVERY ACTIVITY ALIKE. We may recall Marcus' attention to detail and insistence that it was of value if the least thing went forward. T. also shows his care for good government by assisting the Cilicians to obtain the conviction of an oppressive governor. Yet T. is to inveigh against the 'novam provincialium superbiam', manifested in the power some subjects possessed, to secure or prevent votes of thanks to governors in provincial councils. It is  shameful that 'nunc colimus externos et adulamur'. This solicitude for the superior dignity of a senator is no more inconsistent with T’s belief in the common humanity of all men, irrespective of their status, than their failure to challenge the institution of slavery, or indeed to promote strict equality before the law among free men. They never expressed disapproval of degree, priority and place', which were such marked features of the Roman social structure and which they could not have regarded as incompatible with the providential order of the Universe. Not that T. is showing indifference to the true interests of the provincials. It is the 'praevalidi provincialium et opibus nimiis ad iniurias minorum elati' whom T seeks to check. Tacitus makes T. aver his care for good government on this very occasion. T.’s sincerity need not be doubted. And, in all probability, T.’s motion, which was approved after reference to Nero, is beneficial. Once again it only extended the principle of a senatus consultum of Augustus' time. Already T. walks out of the senate rather than assent to the congratulations it proffers to Nero on Agrippina's murder. T. also shows less enthusiasm than Nero desired for the ludi luvenales. T.’s enemies suggested that it is inconsistent that T. himself performs in the garb of a tragic actor in his home town of Padova. But the ludi cetasti which T so honours are of ancient institution, ascribed to Antenor, and it is very possible that T. does no more than tradition requires. By contrast, Nero's histrionic performances are a hated novelty. Ordinary Romans came to detest Nero no less for his breaches of convention than for his crimes; 'I began to hate you' Subrius Flavus told him: 'once you appeared as the murderer of your mother and wife, as charioteer, actor and incendiary' It was typical of a Stoic to disapprove of departures from the old mores. Yet T. still does not despair. What Seneca could excuse, T. overlooks. T. advocates a mild penalty for the praetor, Antistius, accused of treason because he had published poems libellous of the emperor. The senate should not impose sentence of death 'egregio sub principe', when it was free to make its own decision and could opt for clemency. Even flattery of Nero was justified in a good cause, and in fact Seneca's old pupil was not yet ready to disregard the maxims of his master. Long assiduous in attending the senate, T. at last withdraws, though he still performs private duties to his clients in the courts, in the manner Seneca recommends. There is no vestige of evidence that T. conspires. But T.’s retirement implies that, in his view, the regime is irretrievably corrupt, since his previous devotion to public affairs showed that it could not be set down to 'ipsius inertiae dulcedo.’ It may seem strange that his friends, Arulenus Rusticus, tribune, and Helvidius Priscus, did not retire with T. But each Stoic had to make his own decision, true to his own persona. T.’s conduct marks Nero as a tyrant. It may be construed, and genuinely felt, as a threat. Tyrannicide was esteemed in antiquity as not a crime but a noble deed. In an extreme case, according to Seneca, it was an act of mercy to the tyrant himself. The poet, Lucan, who was tinged with Stoicism, had been implicated in Piso's conspiracy,and that was the occasion for the banishment of Musonius, though there was apparently no evidence of his guilt. 12 In general, there is no ground for thinking that Stoics turned to plotting against the emperors of whom they most profoundly disapproved. Epictetus merely insists that no commands of the tyrant can affect true freedom; a man can always choose to obey God rather than Caesar. Thus he only contemplates passive resistance. T. goes no further, and perishes on that ground alone. Under DOMIZIANO too Arulenus Rusticus, called an ape of the Stoics, is said to have suffered death merely for his laudation of T., Herennius Senecio for his biography of the elder Helvidius and for failing to pursue the normal senatorial career, and Helvidius' own son for his withdrawal from politics and for alleged libels on the emperor; by what they did not do, and sometimes by what they said, these men had indicated that Domitian was a tyrant, no more, but that was sufficient offence. The elder Helvidius, T.'s son-in-law, undoubtedly went further. Exiled by Nero and recalled by Galba, he was encouraged by Vitellius' practice of consulting the senate even on minor matters to controvert the emperor's proposals, and new hope was brought by the accession of Vespasian, a friend of T.. At first Helvidius spoke of T. with honour but without insincere adulation. He judged that the time had come for independent action. The senate should indeed 'capessere rem publicam', all the more, as Gnaeus Piso had once held because the emperor was absent. Helvidius proposed that the senate should take immediate measures to remedy the deficiencies of the treasury and to restore the Capitol, a task in which Vespasian might merely be asked to assist. By selecting deputies to congratulate the new ruler it should mark out the men on whom Vespasian should rely for advice. Equally the great delators of Nero's reign, such as T.’s accuser, Eprius Marcellus, should be punished. Perhaps the motives for this demand made by Helvidius' friends as well as by himself were vindictive; we cannot read their minds. But we may see a justification that went beyond rancour, one of the same kind that lay behind the impeachments and Acts of Attainder that served to promote the development of a constitutional monarchy in our own country; the punishment of wicked ministers of the past might deter their like in the future. Helvidius' aim was surely to ensure that Vespasian and his successors should rule by the advice and consent of the senate and of those it trusted. His initiatives found insufficient support. 136 It was in the same year after Vespasian's return that the fatal conflict began. According to Dio Helvidius incurred Vespasian's hatred partly for abusing his friends - that is easy to understand, for Eprius was again in high favour - and still more for turbulence in rousing the people with denunciations of monarchy and praise of a Republican system. 138 That is not to be believed. Long ago Helvidius had consented to serve the Principate; he had recently approved of Vespasian's accession, and rabble-rousing was as alien to Stoic practice as it was futile. Probably Dio confused Helvidius' attachment to libertas, an ambiguous word, with Republican allegiance. 139 But the breach was serious: it led first to Helvidius' arrest and then to his banishment and execution, of which Vespasian himself is said to have repented. He must in the emperor's view have been guilty of treason. But in what way?Dio, in making out that Helvidius appealed to the rabble, probably associates his opposition with the expulsion of Stoic and Cynic philosophers that occurred about the same time. It is highly probably that some Cynics under the Principate did assail monarchy and the whole social order. This view indeed hardly fits the notion that there was a 'Cynic-Stoic' theory of kingship, but that notion should surely be discarded. Just as the Cynic 'citizen of the world' was a man who rejected the ties of citizenship in any particular state, so the Cynic 'king' was one who truly possessed the unfettered freedom that was falsely ascribed to autocrats; both conceptions were moral, not political.140 In any case Cynics and Stoics ought not to be confused, though some Stoics, notably Epictetus, undoubtedly admired the true Cynic's indifference to worldly goods; but not even Epictetus held that it was right, except for a few persons with a special vocation, to neglect ordinary social and political obligations. 14 But just because there was a certain measure of agreement between Stoics and Cynics, and because there were a few Stoics who could be called 'paene Cynici' (n. 37), it was easy for the enemies of aristocratic Stoics to resort to malicious misrepresentation of their attitudes. Thus the accusers of T. had suggested that his attachment to liberty was a mere pretence that concealed anarchic designs inimical to the Roman peace. Tacitus' detailed account of his actions disposes of this calumny. Unfortunately, Tacitus' evidence of Helvidius'  quarrel with Vespasian is lacking, and Dio, usually unsympathetic to philosophers, probably adopted uncritically somewhat similar allegations against him. '43 It is not in the least likely that a man of mature age whohad sought to uphold the authority of the senate and had previously been ready to serve emperors now threw over all his past convictions and engaged in attacks on the whole established order. Epictetus (n. 152) and Tacitus (n. 22) depict him as true to the last to his own role as a senator. We must then look for another explanation. Dio's epitomator collocates Helvidius' quarrel with Vespasian with an incident in which Vespasian left the senate in tears, saying that either his sons would succeed him or no one would. It is an old conjecture, which I would endorse, that Helvidius objected to Vespasian's manifest intention to pass on his power to his sons. 145 Once Titus had actually been invested with imperial power as his father's colleague in 71, Helvidius' protests could plausibly have been construed as treason. If this explanation be true, we can see that there was right on both sides. Constitutionally the choice of a princeps lay with the senate, and a man was to be chosen in the public interest as the person best fitted for the task. There was no reason to think that Titus or Domitian fulfilled this criterion. I* In practice the succession had been dynastic from the first, and it had given Rome a series of rulers, every one of whom in senatorial opinion had proved a tyrant. The crimes and follies of Nero had resulted in civil war that imperilled the very fabric of the empire. Galba (having no heir in his family) had allegedly proclaimed a very different principle: the adoption of the best man to be marked out by consent. 147 Yet from the first Flavian supporters had seen in the fact that Vespasian had two grown sons a guarantee of stability. 148 Dynastic sentiment might count for little in the senate, but it made a powerful appeal to the armies and the provinces. '4) Not one of Vespasian's successors could afford to disregard this factor. Marcus Aurelius admired Helvidius as well as Thrasea; from them he had learned, he says, the conception of a state with one law for all, adminstered by the principles of equality and free speech for all alike, and of a monarchy that valued most highly the liberty of the subjects;150 yet he too made a worthless son his successor. We need not think that this must be explained by Aristotle's dry observation that it would be an act above human virtue for an absolute king to disinherit his own son:151 dynastic succession was part of the tradition that Marcus could think it right to accept.Epictetus illustrates his thesis that every man has his own individual role to play by dramatizing a confrontation between Helvidius and Vespasian. 'When Vespasian forbade him to attend the senate, Helvidius replied, "It lies with you to exclude me from the senate, but while I am a senator, I must attend". "Then attend, but say nothing." "Do not ask my opinion and I will say nothing." "But I am bound to ask your opinion." "And I am bound to say what I think right." "But if you speak, I shall put you to death." "When then did I tell you that I was immortal: You will do your part and I mine. It is your part to put me to death, mine to die without trembling, your part to banish me, mine to depart without repining.'" What good did Helvidius do, asks Epictetus, as he stood alone? 'What good does the red stripe do the mantle? What but this? It shines out (iopÉTTE!) as red, and is there as a fine (koóv) example to the rest. Anyone but Helvidius would simply have thanked Vespasian for excusing his attendance, but then Vespasian would not have had to issue any prohibition; any one else would have sat in the senate, inanimate as a jug, or have heaped on the emperor the flatteries he wished to hear. '152 Helvidius had assumed a role, conscious of what his personality required, had prepared himself to play it, and was resolved to play it to the last. And his conception of that role was determined by constitutional principles, to which indeed most men now rendered only lip service. His stand was unsuccesstul. lo a Stoic that was of no consequence. Similarly it is no valid criticism of T. that, in disapproving of Agrippina's murder, he imperils himself without promoting the freedom of the rest. Not all men have the same duties, and in any case you could not prescribe another's conduct, nor could it affect your own blessedness. If my contentions are correct, Stoics as such had no theoretical preference for any particular form of government, monarchical or Republican. They acknowledged the value of the state, and they accepted that an individual whose position in the world and natural endowments permitted him to render the state some service had a duty to take part in public life, but only under certain conditions. His preoccupation with political activity must not be such as to impair his spiritual welfare, and even though the value of every action derived wholly from the agent's state of mind and not at all from the external consequences of the action, it was senseless for a man to involve himself in public cares, if it were certain from the start that he could achieve nothing so long as he acted as a good man should. Thus Stoic teaching may have tended to induce many of its devotees never to emerge from a quiet course of philosophic study and private duties: it certainly led others to retire from public life, or to manifest their opposition to the government, under rulers whose conduct violated moral rules. These rules were, for the Stoics, those which were endorsed by their society. It did not occur to them that the political principles that rulers were commonly expected to observe might need to be reviewed. Each man had a role to perform, a station to fill, the duties of which were fixed by general consent. The good emperor, and the good senator, were bound to carry out these duties conscientiously. It was this way of thinking that united Stoics in power and Stoics in opposition. Hence, as the good ruler, Marcus could easily recognize the merits of good subjects such as Thrasea and Helvidius, who had done their best to play their own, different, parts in public affairs. If in politics success is the standard of judgment, there was little to commend in men who did not identify outward defeat with sheer futility, who admired above all the 'iustum et tenacem propositi virum' and would have thought it praise enough to say that si fractus illabatur orbis impavidum ferient ruinae, without even admitting that there might be something unwelcome in the ruin of the world. Moralists may find some comfort that history occasionally reveals men in high places ready to do or endure anything for what they suppose to be right. The historian can note that what the Stoics supposed to be right, what they could conscientiously devote or sacrifice their lives to doing, was largely settled by the ideas and practices current in their society, and that a Helvidius or a Marcus was inspired by his beliefs not to revalue or reform the established order, but to fulfil his place within that order, in conformity with notions that men of their time and class usually accepted, at least in name, but with unusual resolution, zeal and fortitude. T. was thus a Roman politician of the Porch persuasion. As a member of the Senate, he fearlessly follows an independent line, and in the process antagonised with Nerone, who eventually pressurises the Senate into condemning him to death. T. duly commits suicide by opening his veins in the presence of his son-in-law, Elvidio Prisco and Demetrio di Roma. He was a great admirer of Catone Minore and wrote a biography of him. Publio Clodio Tràsea Peto. Keywords: portico, suicidio, vita pubblica, vita privata, virtute, ius, principe, principato, reppublica, senato, morale, diritto e moral. Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Trasea.

 

Grice e Trasea: la ragione conversazionale della filiale della setta di Crotone a Metaponto – Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. Trasea. Keywords: la setta di Crotone, filiale a Metaponto. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza

 

Grice e Trasci: la ragione conversazionale del colloquio lizio con me stesso -- filosofia italo-albanese -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Bisignano). Filosofo italiano.  “Spera in Deo”. Nato in una famiglia di origine arbëreshë. Essendo il primogenito della famiglia e, dunque, contravvenendo alle regole del maggiorascato, a causa della salute cagionevole venne avviato alla carriera ecclesiastica nel locale seminario, proseguendo gli studi a Roma e Napoli. È nella città partenopea che si lega particolarmente alla compagnia di Gesù divenendo uno dei confessori più vicini a Isabella della Rovere, principessa di Bisignano. Per non essere distolto dai propri studi filosofici si ritira volontariamente a vita privata, dapprima nella Tuscia e poi ospite nel Castello di Proceno, presso Viterbo di proprietà dei Sforza. Ancora nei primi professore una lapide marmore posta nella rocca ne ricorda la sua permanenza. Da tale esilio usce in pochissime occasioni, assistito dal nipote. Fu durante la reclusione nella rocca di Proceno che ha modo di conoscere GALILEI ospite nel palazzo durante un suo viaggio verso Roma. Dopo esser stato vescovo di Umbriatico,venne creato vescovo di Massimianopoli in partibus infidelium da Alessandro VII. Saggi: “Colloquio con me stesso”, di Antonino. Universam Aristotelis philosophiam; Summa Aristotelicha – LIZIO. Summa theologica dogmatica. Tomassetti, Cenno storico sulla vita dell’illustrissimo T. (Roma); Nutarelli, Proceno-Memorie storiche, Acquapendente, T., Amalfitani di Crucoli, erudito italo albanese Professore or mai dimenticato,  MIT Cosenza. Ferrante Marco Antonio Baffa Trasci. Ferruccio Baffa-Trasci. Trasci. Keywords: “conversazione con me stesso”, lizio, Galilei. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trasci” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Trasillo: la ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza  (Roma). Filosofo italiano. the philosophy teacher of emperor TIBERIO. A Pythagorean and member of the Accademia. Trasillo. Keywords: Tiberio, principe filosofo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Trasimede: la ragione conversazionale della filiale della setta di Crotone a Metaponto – Roma – filosofia italiana – Grice Italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. Trasimede. Keywords: setta di Crotone, filiale di Metaponto. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Trebazio: la ragione conversazionale della repubblica romana e il luogo -- antica roma -- la filosofia romana –  Roma -- filosofia italiana – Grice Italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Velia). Filosofo italiano. È molto dubbio che si debbano prendere alla lettera certe espressioni di CICERONE che accennano l’inclinazione di T. por la filosofia dell’Orto. Provenne da famiglia agiata e pare che si reca a Roma per darsi agli studi giuridici. Per raccomandazione di CICERONE, GIULIO CESARE lo conduce nelle Gallie e si serve di lui per pareri giuridici. Ritornato a Roma all’inizio della guerra civile, T. age da mediatore tra GIULIO CESARE  e CICERONE. Nel conflitto fra CESARE e POMPEO, T. si schiera col primo al quale rimase sempre fedele. Dopo la morte di GIULIO CESARE, T. si reca spesso alla villa Tuscolana di CICERONE, ove gli caddero in mano i "Topica" di Aristotele. Per contentare il suo desiderio di avere chiarimenti di quella trattazione, CICERONE scrive il saggio omonimo che dedica ed invia a T. In seguito T.  segue OTTAVIANO. ORAZIO dedica a T. una satira, in cui lo presenta come un insigne giurista. T. venne nominato cavaliere o da GIULIO CESARE o d'OTTAVIANO. T. è il maggiore giurista del tempo suo e ha come scolaro ANTISTIO LABEONE (si veda). Scrive sul diritto civile e sulle religione, ma ci restano soltanto citazioni di autori posteriori. T. probabilmente adere a un eclettismo simile in parte a quello di CICERONE con forti caratteri dell’ACCADEMIA e del PORTICO, ma non si può dire se accetta la scessi probabilista dell'ACCADEMIA. È in stretti rapporti di amicizia e confidenza con GIULIO CESARE, OTTAVIANO, ORAZIO, MECENATE, oltre che con CICERONE, col quale intrattenne un fitto epistolario e che gli dedica i “Topica”. In qualità di giureconsulto, segue GIULIO CESARE nelle sue campagne galliche, ricoprendo, anche se solo formalmente, la carica di tribuno militare. E inoltre ascoltato consigliere d’OTTAVIANO ed ha notevole fama quale maestro di MARCO ANTISTIO LABEONE (si veda), che, nella fase evolutiva che dalla Res publica al Principato, è l'artefice di quel movimento innovatore del diritto romano che e stato detto dei proculiani.  Delle sue numerose opere nulla si è conservato, se non le frequenti menzioni che di lui si trovano nelle Pandette e nelle Institutiones del Corpus iuris civilis giustinianeo. Da CICERONE e POMPONIO apprendiamo che è allievo a Roma di CORNELIO MASSIMO (si veda). Secondo POMPONIO, la perizia giuridica di T. e maggiore dell'eloquenza, arte in cui fu superato da qualcuno, come CASCELLIO, giuridicamente meno dotato di lui. Potrebbe essersi avvicinato all'ORTO tramite PANSA, una scuola dalla quale si sarebbe poi allontanato su sollecitazione di CICERONE che la considera poco consona alle virtù civili e allo studio e alla pratica del diritto. La questione ritorna poco dopo, quando CICERONE parla dei rischi del disimpegno civico di T., in relazione al suo ruolo di patrono di Ulubrae, i cui cittadini, in nome dell'amicizia tra i due, saputa della presenza dell'oratore di Arpino, si sono mobilitati nel dare un'entusiastica accoglienza. Nelle stesse righe, CICERONE già si mostra perplesso alla notizia di un suo precedente avvicinamento, sulla scia di Selius, all’ACCADEMIA di Carneade, della scessi, una tradizione filosofica un tempo seguita e apprezzata da CICERONE, ma dalla quale, come si evince indirettamente anche dalla lettera, egli aveva preso le distanze in favore di una sua particolare interpretazione del PORTICO. Ha poi una notevole reputazione come maestro di MARCO ANTISTIO LABEONE (si veda), che avrebbe ricoperto un ruolo importante nella cruciale fase di svolta che portò dalla repubblica romana al principato. Nell’accanite dispute dottrinarie che divisero in fazioni i giureconsulti dell'epoca, LABEONE è l'iniziatore di quella corrente innovatrice che sarebbe stata detta dei proculiani. La familiarità con CICERONE è testimoniata dall'intensa corrispondenza – XVII lettere - nelle quali aleggia sempre un tono umoristico e confidenziale e da cui è possibile attingere molte delle notizie sulla sua vita. Ecco come CICERONE, probabilmente ospite di T. (o forse dell'amico THALNA) a VELIA in un viaggio verso la Grecia, si rivolge all'amico assente. Tu però, se, come sei solito, darai ascolto ai miei consigli, serberai i tuoi beni paterni, né lascerai il nobile fiume Alento, né diserterai la casa dei Papiri. Cicerone. Velia, lettera a T. in Roma. Da CICERONE proviene anche qualche annotazione critica sul carattere di T., secondo lui troppo incline, a volte, ad atteggiamenti presuntuosi e giudizi tranchant: come quando CICERONE, in mezzo ai brindisi, viene messo alla berlina dall'amico sulla questione dell'esistenza o meno di una particolare tradizione dottrinaria. L'esistenza della tradizione, a cui peraltro nessuno dei due adere, vienne negata da T.. CICERONE allora, pur rientrato tardi a casa, e tra i fumi dell'alcool, trova il tempo di puntigliose ricerche in biblioteca per dimostrare la fondatezza delle sue ragioni e rinfacciarle all'amico. Tratti caratteriali che CICERONE considera evidentemente difetti e che non manca di rimproverare all'amico, in maniera anche piuttosto aspra. E ora ascoltami bene, mio caro Testa [T.]! Io non so cosa ti renda più superbo, se il denaro che ti guadagni o l'onore che GIULIO CESARE ti fa nel consultarti. Conoscendo la tua vanità, possa io crepare se non credo che tu ami più l'essere da GIULIO CESARE consultato piuttosto che da lui arricchito! -- Cicerone. Roma, Lettera a T. in Gallia. CICERONE lo raccomanda come giureconsulto a GIULIO CESARE, allora pro-console della Gallia, definendolo probo, modesto e dotato di profonda conoscenza e dottrina dello ius civile. T. si une a GIULIO CESARE nella campagna di Gallia venendo investito della carica di tribuno militare. Mostrandosi poco attratto dalle faccende militari, sembra che GIULIO CESARE, pur confermandogli la carica e la paga, lo avesse esentato dagl’oneri connessi. La stessa cautela in materie militari lo dissuase dal seguire GIULIO CESARE in Britannia, facendogli meritare ancora le frecciate di CICERONE che ironicamente si chiede come mai un accanito nuotatore come lui non abbia voluto bagnarsi nell'oceano. Poté quindi godere dei favori di GIULIO CESARE con il quale entra in grande confidenza e al cui fianco resta fedele nel corso della guerra civile. A proposito di tale confidenza è significativo un aneddoto, riportato da SVETONIO, in cui GIULIO CESARE da prova di superbia e scarso rispetto verso il senato romano ricevendo, senza neppure alzarsi, una delegazione senatoria venuta a rendergli onori presso il tempio di Venere genitrices. In quell'occasione GIULIO CESARE letteralmente fulmina T. con lo sguardo, per il solo fatto di aver letto nei suoi occhi una poco gradita esortazione ad alzarsi. Ha anche da GIULIO CESARE il delicato incarico di mediare con CICERONE e con il tentennante SERVIO SULPICIO, nel tentativo, risultato poi vano, di condurre i due dalla sua parte. Dopo l'assassinio di GIULIO CESARE alle idi di marzo, si une alla cerchia d’OTTAVIANO e MECENATE, divenendo consigliere giuridico del principe. Da POMPONIO apprendiamo che T. acquisce l'ufficio di quaestor ma che il suo cursus honorum si ferma a quel gradino per scelta deliberate. T. infatti, non volendo profittare della posizione privilegiata, rifiuta il consolato offertogli d’OTTAVIANO. Si sa ad esempio che OTTAVIANO, dopo aver dato personale attuazione a un fidecomesso formalizzato da un certo LUCIO LENTULO attraverso codicilli, incaricò una commissione di saggi, fra cui T., dall'indiscussa autorità, di pronunciarsi sulla legittimità dei codicilli stessi. Dalla stessa fonte apprendiamo che la favorevole risposta di T. e improntata a un'argomentazione molto pragmatica. I codicilli, più informali di un vero e proprio testamento, permetteno di dare efficacia anche alle disposizioni mortis causa di quei cittadini romani che, impegnati in lunghi viaggi, non potevano conformare le loro volontà nelle solenni formalità richieste al testamento. Ogni sorta di scrupolo sulla legittimità dei codicilli sarebbe svanita quando perfino il prestigioso LABEONE, allievo di T., ne avrebbe fatto personalmente uso. Questa innovazione giuridica infranse la regola secondo cui le disposizioni testamentarie dovessero essere integrate in un unico atto unitario, che disponesse simultaneamente di tutti i beni. Da allora in poi è possibile frammentare le proprie disposizioni testamentarie in una serie di singoli atti scollegati. Alla cerchia di MECENATE appartene ORAZIO che recalcitra, con tono leggero e confidente, ai pareri legali dell'amico sui rischi insiti nella mestiere di poeta satirico. C'è di quelli cui sembro nella satira troppo feroce e oltrepassare i limiti consentiti. T., dimmi tu che cosa fare. Startene quieto. Dici che non devo scriver più versi affatto? Appunto questo. Che mi prenda un malanno se non era questo il meglio. Però soffro d'insonnia. La consulenza si sposta allora su un altro terreno. Coloro che han bisogno di dormire attraversin tre volte il Tevere unti. A sera si bagnino di vino. O se tanta mania ti forza a scrivere osa cantar le imprese dell'invitto Cesare, e avrà compensi la fatica. ORAZIO insiste ancora. Non che gli manchi la voglia ma i suoi mezzi poetici non li sente all'altezza del compito. T. sembra inchiodarlo alla durezza della norma che non tollera ignoranza, ma poi si arrende agli argomenti del poeta e conclude con un'interpretazione pragmatica. Tuttavia vorrei darti il mo consiglio di stare attento, di restare in guardia che non ti porti qualche seria noia l'ignoranza di leggi inviolabili. Se qualcuno abbia scritto contro un altro versi cattivi sia condotto innanzi al tribunale e sia data sentenza. Sta bene. Se cattivi; ma se buoni qualcuno li abbia scritti e con la lode di Cesare che giudica la causa? Se qualcuno ha latrato, integro lui, dietro a un altro che è degno di disprezzo? Saranno disarmate dalle risa le leggi e tu sarai lasciato andare. -- Orazio, Satire. Gli scritti di T. annoverano un De religionibus, in almeno X libri e un “De iure civili”. Delle sue opere, che si conservavano ancora al tempo di POMPONIO, non ci è pervenuto direttamente alcun frammento. Sappiamo tuttavia che e frequentemente citato dai giuristi successivi come desumibile dalle occorrenze nelle Pandette e nelle Institutiones del Corpus iuris civilis giustinianeo. La congettura sulla data di morte si deve a Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Böhlau Verlag. Tale datazione si basa sull'identificazione del LENTULO della diatriba giuridica sui codicilli con il LUCIO CORNELIO LENTULO, pro-console d'Africa. CICERONE pone mano a questa breve opera proprio su richiesta di T. Vi si dedica, lavorando a memoria, nella tappa da VELIA a REGGIO di un suo viaggio -- Si veda: Cic. ad familiares. La decisione di intraprendere questo viaggio è maturata nelle turbolenze successive all'assassinio di GIULIO CESARE, volendo CICERONE raggiungere la Grecia attraverso una lunga e inusuale, ma più sicura navigazione litoranea che, dalle coste tirreniche, attraversasse lo stretto di Sicilia.  Cic. ad familiares. Pomp. Enchiridion, nel frammento incorporato nelle Pandette giustinianee (The Latin Library). Un accenno a una possibile vicenda epicurea di T. compare nell'epistola ad familiares 7.12 scritta dalle paludi pontine. La notizia è riferita a CICERONE dallo stesso PANSA, allora in Gallia e in procinto di diventare tribuno per il biennio 52-51 a.C. L'accenno è inserito in una sorta di canzonatura, in cui Cicerone indulge all'ironia lieve sullo scarso impegno di T. nella campagna di Gallia, quasi l'avesse scambiata per una molle vacanza tarantina. ^ Altre fonti lo indicano invece come epicureo seguace di Irzio, legato di Cesare in Gallia (che sarà console con Pansa). Si veda Gravina. Origines juris civilis (De ortu et progressu juris civilis), riportata in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napol. Ad familiares. L'accoglienza degli ulubrani intenti a rendergli onore viene comicamente resa con l'immagine fabulistica di un'orda di ranocchi gracidanti, in una lettera di poco successiva (ad familiares). Sellius, comune amico dei due, fu un oratore le cui doti non sono ritenute eccelse da Cicerone (Cic. ad familiares). Pomp. Enchiridion, in: Pandette. Il riferimento, non chiaro, a Thalna è in una lettera scritta da Vibo a Tito Pomponio Attico: ad Atticum. Dovrebbe trattarsi, in questo caso, di persona sicuramente diversa dal Thalna nominato (o pseudonimato) in ad Atticum, giudice corrotto ai tempi del famoso processo in cui Clodio fu imputato e Cicerone testimone. È anche possibile che Cicerone, nella corrispondenza, non facesse menzione dell'ospitalità offertagli a Elea da Trebazio, per non compromettere l'amico. Cic. ad familiares. La disputa, per inciso, riguardava l'esistenza di certe tradizioni giuridiche circa una facoltà, in capo all'erede, di perseguire giudizialmente un furto avvenuto prima della successione mortis causa. Cicerone tende ad imputare l'atteggiamento così titubante -- e così poco saggio -- dell'amico agli insegnamenti di Cornelio Massimo. ^ “studiosissimus homo natandi” -- così lo definisce in ad familiares. Svetonio, Vite dei Cesari. Si veda, su Lacus Curtius di Thayer. Il tentativo con Cicerone è in Plutarco, Vite parallele. Cicerone o su Lacus Curtius. La notizia su Sulpicio è tratta dal già citato Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, che riprende, anche in questo caso, il Gravina. Origines juris civilis, Vol. 1, (De ortu et progressu juris civilis). Forse identificabile con Lucio Cornelio Lentulo, console e pro-console d'Africa, morto in Provincia d'Africa (cfr. Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Böhlau Verlag, Institutiones. Sul prestigio di T. troviamo questo inciso: «cuius tunc auctoritas maxima erat». ^ Si intende meglio il consiglio se lo si confronta con l'immagine di un T. appassionato nuotatore, già ricordata in una precedente nota (ad familiares.  In questo caso Augusto. In Orazio - Tutte le opere. Versione, introduzione e note di Cetrangolo, Sansoni. Intratext Library. Macrobio, in Saturnalia cita infatti, fra gli altri, il decimo libro della sua opera. Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ruiz, T., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, T. su sapere.it, De Agostini. Opere di T. su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Giuristi romaniPolitici romani del I secolo a.C.Giuristi del I secolo a.C.Persone delle guerre galliche[altre] A lawyer and a friend of Cicerone. When he converted to The Garden, Cicerone wrote to him questioning whether being a gardener was compatible with belonging to the legal profession. Trebazio was also the author of some works about the divine and its cult. Gaio Trebiano Testa. Keywords: I topica di Cicerone, ius, legge, Ottaviao, Labeone, satira, Orazio, religione, ius civile, pragmatica del diritto. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Trebiano  la ragione conversazionale dell’orto romano – Roma – filosofia italiana – Grice Italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza  (Roma). Filosofo italiano. Friend of CICERONE. He takes an interest in philosophy and may have been a ‘Gardener.’ Trebiano. Keywords: Roma antica, l’orto. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Treves: la ragione conversazionale dei giudici e la giustizia nella filosofia italiana – ventennio fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza  (Torino). Filosofo italiano. Compie gli studi al liceo AZEGLIO (vedi) e poi nella facoltà dove entra in contatto, fra gl’altri, con BOBBIO, FOA, LUZZATI, ENTRÈVES, e simpatizza con il gruppo di giustizia e libertà abbracciando i principi del socialismo liberale. Si laurea  sotto la guida di SOLARI con una tesi su Henri de Saint-Simon. Insegna a Messina, dove viene arrestato per sospetta attività contro IL REGIME FASCISTA. Trasferito a Urbino e escluso dal concorso bandito sulla sua cattedra. Insegna a Parma, si trasfere a Milano. Protagonista della rinascita post-bellica della sociologia in Italia, co-opera attivamente col centro nazionale di prevenzione e difesa sociale e col suo segretario generale Argentine, coordinando fra l'altro una vasta ricerca su “L'amministrazione della giustizia e la società italiana in trasformazione” da cui escono volumi di vari filosofi. Presiede questo comitato facendosi attivo promotore della sociologia del diritto. Fonda  la rivista italiana della disciplina, di cui ottiene il riconoscimento accademico e che insegna a Milano. Difende una posizione filosofica relativista e prospettivista, influenzata da Mannheim, Mills e Kelsen, del quale ultimo introduce in Italia la dottrina pura del diritto positivo. Alieno dal dogmatismo e paladino di una concezione critica della scienza, rifiuta ogni visione metafisica del diritto in favore di una visione metodologica che sfocia nella sociologia del diritto intesa come scienza prevalentemente empirica, non avalutativa, ma ispirata a valori, nel suo caso quelli di libertà e giustizia sociale -- è considerato insigne maestro per un'intera generazione di filosofi e sociologi del diritto. Due sono i problemi che la sociologia del diritto deve affrontare: da un lato la posizione, la funzione e il fine del diritto nella società vista nel suo insieme. Dall'altro la società nel diritto, cioè quei comportamenti effettivi che possono essere conformi e difformi rispetto alle norme, ma comunque forniscono informazioni su come una società vive le regole che si è data. Del primo problema si sono occupate soprattutto le dottrine sociologiche e polito-logiche, mentre sul secondo si sono soffermate le dottrine giuridiche anti-formalistiche. Saggi: “Il diritto come relazione” (Torino); “Diritto e cultura” (Torino); “Spirito critico e spirito dogmatico” (Milano); “Libertà politica e verità” (Milano); “Giustizia e giudici nella società italiana” (Bari); “Introduzione alla sociologia del diritto” (Torino); “Sociologia del diritto -- Origini, ricerche, problem” (Torino); “Sociologia e socialism - ricordi e incontri” (Milano); “Dizionario biografico dei giursti italiani” (Bologna, Il Mulino); Il magistero; in La Nuova Antologia, Colombo, La lezione in La Nuova Antologia, FERRARI, FSociologo del diritto, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, in Ratio Juris,  ss. FERRARI, GHEZZI, La scienza del dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto (Mimesis, Milano-Udine), Losano, Sociologo (Unicopli, Milano); Marconi, Il legato culturale, in Sociologia del diritto, Tanzi, dalla filosofia alla sociologia del diritto, ESI, Napoli, Nitsch, T. esule in Argentina. Sociologia, filosofia sociale, storia. Con documenti inediti e la traduzione di due scritti di T., Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Sociologia del diritto, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Samuele Renato Treves. Renato Treves. Treves. Keywords: giudice, giustizia, giusto, ventennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Treves” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tria: la ragione conversazionale da Roma a Roma via Roma; o, la terza Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Laterza). Filosofo italiano. Studia filosofia a Napoli e Roma. Uditore di diritto  presso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni rimane al servizio di questa abbazia anche quando e trasferito a Roma, è nominato vicario generale di monsignor Gherardi, vescovo di Loreto e Recanati, e tale rimase. Più tardi, con monsignor Firrao, ha l'incarico di nunzio straordinario alla Corte del Portogallo.  Quando monsignor Firrao, per questione di salute, è trasferito in Svizzera, T. anda con lui a Lucerna. Durante la sua permanenza in Svizzera intraprende un'importante missione in Svezia e Germania. Eletto vescovo di Cariati e Cerenzia, entra in carica presiedendo il sinodo. Trasferito poi a Larino, partecipa al concilio di Benevento. Nominato consulente del Sacro Offizio e arcivescovo di Tiro.  Divenne esaminatore di Vescovi ed è insignito del titolo di cavaliere dell'ordine di S. Giacomo per i suoi meritori servigi resi alla Corte di Lisbona. Il suoi eruditi saggi includeno:  “Memorie storiche civili di Larino (Roma); “Accommodamento tra il papato e la corte reale di Napoli” (Roma), “Benedetto XIII”. Memorie storiche degli scrittori, regno di Napoli, Napoli, Tipografia dell'Aquila di Puzziello, Diocesi di Larino, Pietro Pollidori Giovan Battista Pollidori. Giovanni Andrea Tria. Tria. Keywords: la terza Roma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tria” – The Swimming-Pool Library. Tria.

 

Grice e Trincheri: la ragione conversazionale secondo Andrea Speranza – la filosofia italiana – Luigi Speranza (Pieve di Teco). Filosofo italiano. Nato da una famiglia benestante che ha in possesso alcuni ettari di terreno. Appassionato alli romantici, e riconosciuto e si afferma all'interno della cerchia dei letterati del suo tempo grazie alla brillante difesa in favore di Manzoni, quando quest'ultimo pubblica  la sua prima tragedia, “Il Conte di Carmagnola”. E con il sostegno del suo maestro e amico Goethe, famoso filosofo e scrittore romantico, che riusce a far valere la proprio opinione positiva nei confronti dell'autore dei Promessi sposi. Poche altre notizie biografiche si conoscono a proposito della sua vita che, a causa di un incidente in cui fere a morte il suo amico, Andrea Speranza, crolle in una situazione estremamente travagliata.  Trincheri. Keywords: Andrea Speranza. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trincheri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Troilo: la ragione conversazionale della conflagrazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Perano). Filosofo italiano. Insegna a Palermo e Padova. Lincei. Partito dal positivismo del suo tutore ARDIGÒ, pervenne a una sorta di meta-fisica, da lui chiamata realismo assoluto, che richiama il panteismo di BRUNO (vedi). L'essere eterno infinito, tutt'uno con lo spirito assoluto, è il presupposto e il principio unificatore degl’esseri relativi. Trascendente e indeterminato, l'essere si immanentizza e si determina nella realtà e negl’individui, oggettivandosi di fronte ai soggetti come assolutamente altro da questi.  Saggi: “Il misticismo”; Idee e ideali del positivism, La filosofia di BRUNO”; “Il positivismo e i diritti dello spirito”; “Figure e studi di storia della filosofia”; “Lo spirito della filosofia”; “Le ragioni della trascendenza o del realismo assoluto”. Società Filosofica Italiana Sezione di Sulmona, riferimenti in Garin, Cronache di filosofia italiana, Laterza, Roma; Pra F. Minazzi, Ragione e storia nella filosofia italiana (Rusconi, Milano); Cappelli, L'orizzonte filosofico: Idealismo e Positivismo, Pra. Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, T., biografia e  nel sito della Società Filosofica Italiana, Sezione di Sulmona "Capograssi". Erminio Troilo. Troilo. Keywords: conflagrazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Troilo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tronti: la ragione conversazionale degli spiriti liberi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Considerato uno dei principali fondatori ed esponenti del marxismo operaista teorico. Insegna a Siena, vive a Roma.  Fonda “Quaderni Rossi” e “Classe operaia”. Anima l'esperienza radicale dell'operaismo. Tale esperienza, che va considerata per molti versi la matrice della sinistra, si caratterizza per il fatto di mettere in discussione le organizzazioni del movimento operaio -- partito e sindacato -- e di collegarsi direttamente, senza intermediazioni, alla classe in sé e alle lotte di fabbrica. Influenzato da VOLPE (vedi), s’allontana di GRMASCI, o almeno dalla sua versione ufficiale promossa dal PCI togliattiano. Ri-apre la strada rivoluzionaria. Di fronte all'irruzione dell'operaio-massa sulla scena delle società, il suo operaismo propone un'analisi delle relazioni di classe. Mette l'accento sul fattore inter-soggettivo. La sua filosofia, debitrice anche all’’Operaio” di Jünger, trova una sistemazione con la pubblicazione di “Operai e capitale” (Einaudi, Torino), un saggio di forte impatto letterario che esercita un'influenza notevole sulla contestazione e più in generale sull'ondata di mobilitazione. È proprio la sconfitta della spontaneità operaia e dell'ondata di mobilitazione, colta anticipatamente da lui e non invece da altri operaisti come NEGRI (vedi) -- di qui la rottura tra loro -- a indurlo a spostare la sua riflessione sul problema del politico, ovvero della direzione e della mediazione politica. Pubblica “L’autonomia del politico” (Feltrinelli, Milano),  una teoria politica realista che, in un'originale commistione di Marx e Schmitt, e capace di colmare i limiti della inter-soggettività sociale. Si tratta di una fase più intellettuale che politica. Fonda l'influente rivista Laboratorio politico. Riavvicinatosi al PCI di Berlinguer, e finalmente riabilitato dal gruppo dirigente del partito, entrando a far parte più volte del Comitato centrale. Eletto al Senato della Repubblica nelle liste del Partito Democratico della Sinistra, membro della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali.  Non avendo condiviso le trasformazioni post-comuniste del partito, la sua filosofia assume toni pessimistici, concentrandosi sulla fine della politica moderna e sulla critica della democrazia. Presidente del Centro per la riforma dello stato. Eletto al Senato nelle liste del Partito Democratico per la Lombardia.  È tra i parlamentari a firmare un emendamento contro l'articolo del disegno di legge Cirinnà riguardante l'adozione del configlio. Altri saggi: “Hegel politico” (Istituto dell'Enciclopedia italiana, Roma); ““Soggetti, crisi, potere” (Cappelli, Bologna); “Il tempo della politica” (Riuniti, Roma); “Con le spalle al futuro: per un altro dizionario politico” (Riuniti, Roma); “Berlinguer: il principe disarmato” (Sisifo, Roma); “La politica al tramonto” (Einaudi, Torino); “Cenni di Castella” (Cadmo, Fiesole); “Teologia e politica al croce-via della storia” (Albo Versorio, Milano); Passaggio Obama. L'America, l'Europa, la Sinistra (Ediesse); “La democrazia dei cittadini: dai cittadini per l'Ulivo al Partito Democratico” (Ediesse); “Non si può accettare” (Ediesse); “Noi operaisti” (Derive Approdi); “Dall'estremo possible” (Ediesse); “Per la critica del presente” (Ediesse); “Dello spirito libero: frammenti di vita e di pensiero” (Saggiatore); “Il nano e il manichino: la teologia come lingua della politica” (Castelvecchi); “Il demone della politica” (Il Mulino); “Tra materialismo dialettico e filosofia della prassi”; “La città futura” (Feltrinelli, Milano); ““Cromwell” (Saggiatore, Milano); “Operaismo e centralità operaia” (Riuniti, Roma); “Il politico: da MACHIAVELLI a Cromwell; da Hobbes a Smith” (Feltrinelli, Milano); “Il destino dei partiti” (Ediesse); “Rileggendo "La libertà comunista", “Un altro marxismo” (Fahrenheit 451, Roma); “Classe operaia. Le identità: storia e prospettiva” (Angeli, Milano); Per la critica della democrazia politica” “Guerra e democrazia” (Manifesti, Roma); “Politica e destino” (Sossella, Roma); “Finis Europae. Una catastrofe teologico-politica” (Bibliopolis, Napoli). Ne “La politica al tramonto”, un capitolo porta il titolo “Karl und Carl”, per sotto-lineare, anche qui allusivamente, la necessità di completare Marx con Schmitt", Autobiografia filosofica, in Storia della filosofia, Filosofi italiani contemporanei, Le Grandi Opere del Corriere della Sera, Bompiani, Milano. Unioni civili: i numeri che mettono a rischio le adozioni gay, su Termometro Politico; Unioni civili, 30 senatori Pd contro le adozioni. E Gay pubblica la lista: "Scrivi al malpancista". Loro: "Squadristi", su Il Fatto Quotidiano. Le piume, le fidanzate, lo zio comunista. I 60 anni di R. Zero, Altri Mondi, Alcaro, Dellavolpismo (VOLPE) e nuova sinistra, Dedalo, Bari, Preve, La teoria in pezzi. La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia (Dedalo); Gobbi, Com'eri bella, classe operaia. Storia fatti e misfatti dell'operaismo italiano (Longanesi, Milano); Leo, Per una storia di Classe Operaia, in Bailamme, Mezzadra, Operaismo, in Esposito e Galli, Enciclopedia del pensiero politico. Autori, concetti, dottrine, Laterza, Romai; Basso, Gozzini e Sguazzino, delle opere e degli scritti. Dipartimento di Filosofia-Università degli Studi, Siena;  Berardinelli, Stili dell'estremismo. Critica del pensiero essenziale (Riuniti, Roma), Pozzi, Roggero, Borio, “Futuro anteriore: dai Quaderni rossi ai movimenti globali. Ricchezze e limiti dell'operaismo italiano, Derive Approdi, Roma, Wright, L’assalto al cielo. Per una storia dell’operaismo (Alegre, Roma); Corradi, Storia dei marxismi in Italia (Manifesto, Roma); Pozzi, Roggero, Guido Borio, Gli operaisti, Derive Approdi, Roma, Peduzzi, Lo spirito della politica e il suo destino. L'autonomia del politico, il suo tempo, Ediesse-Crs, Roma, Trotta e Milana, L'operaismo degli anni Sessanta. Da «Quaderni rossi» a «classe operaia», cd con la raccolta completa della rivista «classe operaia» (Derive Approdi, Roma); Peduzzi, A Cartagine poscia io venni incubi sulla teoria marxista, Arduino Sacco editore, Roma,; Filippini, T. e l'operaismo politico degli anni Sessanta, Euro Philosophie, Milanesi, Nel Novecento, Storia, teoria, politica nel pensiero (Mimesis, Milano); Abecedario (Formenti), Derive Approdi, Operaismo Quaderni Rossi Classe operaia (rivista) Panzieri Negri Cacciari Ingrao Centro per la Riforma dello Stato, TreccaniEnciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere su senato, Senato della Repubblica; T., su Openpolis, Associazione Openpolis.  Registrazioni di T., Radio Radicale.. Centro per la Riforma dello Stato, "Storia e critica del concetto di democrazia" -- intervento di T., disponibile anche in file audio, su global project Sitoitaliano per la filosofia:  su lgxserver uniba. Conricerca-Futuro Anteriore, su alpcub."Lotta contro gl’idoli" (intervento di T. per Rai Educational, su emsf. rai. Intervista "La lotta di classe c'è ancora", La Repubblica,  "Sono uno sconfitto, non un vinto. Abbiamo perso la guerra del '900", La Repubblica. Mario Tronti. Tronti. Keywords: L’implicatura di Hobbes, libero spirito, democrazia --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tronti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tuberone: la ragione conversazionale degl’accademici -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of CICERONE. Accademia. Enesidemo dedicates his discourses on Pirrone to him. Lucio Elio Tuberone. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza

 

Grice e Tuberone: la ragione conversazionale della repubblica romana e la storia romana— Roma -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Nipote di Lucio Emilio Paolo, tribuno della plebe, si oppone a SCIPIANO (vedi) Africano Minore e a Caio Tiberio GRACCO (vedi). Pretore. Poco lodato come oratore, si distinse per la cultura giuridica. La semplicità della sua vita e la rigidezza di suo carattere lo portano verso il ortico, la cui dottrina applica nella condotta. Conosce Panezio di Rodi e ne segue l'insegnamento. Da T. e da ECATONE gli futtono i scritti. La cosa è dubbia per l'influenza di Posidonio su T. Figlio di Emilia, sorella di SCIPIONE Emiliano. Rigido seguace dello stoico Panezio, studioso di diritto e di astronomia. Uomo rigoroso e severo oppositore di GRACCO, è bocciato all'elezione per la pretura. Console, CICERONE lo considera giurista di vaglia con una solida scientia iuris. Tutta la sua famiglia del resto gode fama di grande dottrina giuridica. Nome d'una famiglia romana, alla quale appartengono varî giuristi. Il primo è console, e di lui CICERONE loda la dottrina giuridica. Lucio Elio T. fu legato di Q. CICERONE, proconsole d'Asia. Più noto è il figlio di lui, Quinto Elio T., che col padre prende parte alla guerra fra GIULIO CESARE (vedi) e POMPEO (vedi), parteggiando per quest'ultimo, ma fu perdonato dopo Farsalo. Console, propone un senatoconsulto sul matrimonio confarreato. A parte un'opera ad Oppium, di cui si ignora l'argomento, scrive alcuni libri de officio iudicis, destinati come guida del giudice privato del processo formulare. Le sue opinioni sono citate più volte con grande rispetto dalla dottrina posteriore. Scrive anche Historiae, in XIV libri. Keywords: Cicero, iuris, portico, scessi, studied under Panezio. Quinto Elio Tuberone. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Tulelli: la ragione conversazionale e l’equilibrio conversazionale: per una metafisica dell’etica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Zagarise). Filosofo italiano. A lui sono ad oggi intitolate una via a Zagarise e una a S.Elia, e una sala della biblioteca di Catanzaro. Targa commemorativa in suo onore, inoltre, posto davanti alla casa comunale di Zagarise un busto che lo raffigura, realizzato da Calveri. Zagarise, busto creato da Calveri, installato davanti al comune di Zagarise. Figlio dal marchese Gaetano T., studia presso il convento del ritiro dei filippini a Zagarise e poi frequenta a Catanzaro il real liceo ginnasio e il corso presso il pontificio seminario teologico regionale S. Pio X. Vive a Napoli dove compì studi filosofici e apre una scuola dove insegna filosofia morale ed estetica. La richiesta di poter istituire una scuola e inviata alle autorità competenti, le quali, prima di concedere le relative autorizzazioni, chiesero al vescovo di Catanzaro dettagliate notizie in merito alla condotta morale e politica del richiedente, la risposta inviata loro fu. Elemento di condotta soda, casta e onesta. Tra gl’allievi della sua scuola molti sono appartenenti a famiglie di alto rango sociale, e tra questi, è possibile annoverare i figli del re Borbone che, in segno di stima, gli fanno dono di un orologio da camera di manifattura francese opera dei fratelli Japis. Molto amico di SETTEMBRINI (vedi), il quale lo cita nelle sue "Lezioni di letteratura italiana", gli trasmitte l’amore per la filosofia e gl’ideali patriottici.Allievo di PUOTI e di GALLUPPI del quale studia e diffunde la filosofia, evidenziando il parallelismo con Kant, così come divulga quello di altri filosofi, tra cui CAPASSO, ROSSI, e MASCI. Insegna filosofia a Napoli dietro l’impulso di SANCTIS, iniziando un periodo di vero splendore per l’ateneo napoletano. Cadde il regno delle due Sicilie e, favorevole alla formazione di uno stato unitario, porta avanti una battaglia a livello morale e giuridico per l’abolizione della pena di morte che fino ad allora era in vigore in tutti gli stati d’Europa tranne il gran ducato di Toscana. La stessa a abolita con l'adozione del codice penale del regno d'Italia -- il cosiddetto Codice ZANARDELLI. La fine della dominazione dei Borboni è colta come un’occasione di rinnovamento sociale e morale ed egli instilla nei suoi insegnamenti la consapevolezza che il rinnovamento politico dove essere accompagnato a quello morale, egli riscontra nella popolazione un’evidente scarsità intellettuale e un sentimento religioso che si manifesta mediante pratiche di culto sempre più lontane dall’essere ricche di valori spirituali e una società sempre più formalista, cerca di contrastare questa tendenza in affinità a GIOBERTI.  E un patriota e un liberale. La sua attività di filosofo fa si che la sua notorietà e la sua reputazione cresceno, e inoltre un oppositore degli hegeliani napoletani, e a capo degl’oppositori degli Spaventiani (SPAVENTA – vedi) e rappresentante del movimento filosofico del quale fanno parte GALLUPI, COLECCHI, CUSANI, e GRAZIA. Sul suo valore si sono pronunciati, fra gl’altri, anche CROCE e RUSSO. Socio ordinario dell’accademia di scienze morali e politiche di Napoli a l’accademia reale pontaniana. In relazione all'accademia di scienze morali e politiche di Napoli, T. e PESSINA, in qualità di soci dell'accademia, di collocare nell'atrio dell'Università degli Studi di Napoli un busto in marmo raffigurante GALLUPPI, realizzato da Calì è inaugurato con una cerimonia a cui prendeno parte il rettore Imbriani, dei rappresentanti e diversi studenti. Della stessa accademia oltre ad esserne socio ne è anche tesoriere come si evince dalla Gazzetta ufficiale del regno d'Italia n cui è contenuta la ri-elezione alla suddetta carica (omissis) S.M., sulla proposta del ministro della pubblica istruzione, ha, con RR. decreti fatte le nomine e disposizioni seguenti: (omissis) T. Paolo Emilio, socio della società reale di Napoli, approvata la sua ri-elezione a tesoriere dell'accademia di scienze morali e politiche della predetta Società; (omissis), socio corrispondente dell’accademia cosentina accademia di scienze, lettere e belle arti degli zelanti e dei dafnici. Vive a Napoli. Nelle sue ultime volontà traspare chiaramente un radicato e forte legame con la sua terra di origine, infatti i primi due punti del suo testamento furono: volendo lasciare una prima testimonianza di affetto a Catanzaro, col fine di promuovere e favorire nel mio nativo comune di Zagarise l’educazione morale e l’istruzione letteraria e scientifica. Dispone inoltre che è destinata una somma in dote ad una ragazza indigente di Zagarise e che il resto del patrimonio del filosofo è suddiviso tra i suoi parenti.  Il documento, disponibile presso l’archivio notarile di Napoli, e depositato nel capoluogo campano presso lo studio del notaio Mazzitelli sito in via S. Giovanni numero 19. Dondazione di libri alla città di Catanzaro al fine di fondare una biblioteca pubblica T. volle donare a Catanzaro alcuni libri affinché potessero rappresentare una base di partenza per la costituzione di una biblioteca auspicando che il suo gesto potesse rappresentare un’esortazione a contribuire al suo ampliamento, una volta istituita, da parte di altr’uomini generosi e amanti della filosofia. Catanzaro accetta il legato che, in caso contrario, si sarebbe dovuto destinare ad ampliare il patrimonio della biblioteca del real liceo di Catanzaro o ad un erede del de cuius nel caso in cui il anche direttivo del liceo non avesse accettato la donazione. I libri furono trasferiti da Napoli a Catanzaro a spese del comune, così come indicato nelle ultime volontà del filosofo, e venne istituita la biblioteca comunale che venne denominata Biblioteca Municipale di Catanzaro "Onestà e lavoro", ma che oggi è conosciuta come Biblioteca comunale F. De Nobili. Volendo lasciare una prima testimonianza di affetto a Catanzaro ove ebbi i primi semi del mio sapere e le prime aspirazioni alla libertà della patria italiana, lego al comune i miei pochi libri col fine espresso ed incondizionato di formare il primo fondo ad una biblioteca pubblica da fondarsi in loco adatto a vantaggio dei studiosi e dei cultori della filosfia. Istituzione di una rendita per far studiare un uomo meritevole del comune di Zagarise Per quanto concerne il comune natio, nell’intenzione di promuovere l’educazione morale, l’istruzione filosofica nello stesso, istituì una rendita annuale, denominata Monte o Istituto T. per far si che dei filosofi meritevoli del suddetto comune potessero studiare. A perenne ricordo di ciò egli dispose nelle sue ultime volontà che è realizzata una breve iscrizione su una lastra di marmo e che la stessa fosse posta in un luogo pubblico del comune di Zagarise. Col fine di promuovere e favorire nel mio nativo comune di Zagarise l'educazione morale e l'istruzione letteraria e scientifica e così sospingere quei miei concittadini sulla via della civiltà, istituisco un Monte o Istituto per l'educazione ed istruzione dei studiosi di detto Comune da elevarsi dal real governo in ente morale e giuridico con la dotazione di annue lire duemila di rendita al 5 per cento iscritto al gran libro dei regno d'Italia. All'uopo destino due certificati di rendita a me intestati dell'annua rendita di L. millesettecento con la data di Firenze e l'altro dell'annua rendita di L. trecento della stessa data. Sì fatta annua rendita è unicamente ed esclusivamente impiegata per l'educazione e istruzione nella filosofia di un filosofo fatto volta per volta per modo che si dirà qui appresso nato a Zagarise da genitori ivi domiciliati almeno da dieci anni compiti, dell'età non minore di anni sette, che sa almeno leggere e scrivere e mostri in generale attitudine e buona disposizione agli studi filosofici. Saggi: “I principi sostanziali ed informatori della scienza” (Napoli, Regia Università); “Dei sistemi morali e della loro possibile riduzione” (Napoli, Regia Università); “La moralità della scienza e della vita” (Napoli, Regia Università); “Elogio di V. Buonsanto” (Napoli, Fibreno); “Filadelfos di G. Gemelli: Accademia di scienze morali e politiche” (Napoli, Regia Università); “L’infallibilità della ragione umana considerata nella triplice sfera della scienza, politica, e della religione” (Napoli, Regia Università); “La morale indipendente” (Napoli, Regia Università); “L’educazione popolare in Italia” (Napoli, Vaglio); La filosofia morale (Napoli, Regia Università); “Metafisica dell’estetica” (Napoli, Regia Università); “Una formula metafisica” (Napoli,  Regia Università);  “GALLUPPI” (Napoli, Regia Università); “Papasso e Rossi” (Napoli, Cutaneo); “Libero Stato” (Napoli, Regia Università); “Estetica” (Napoli, Vaglio); “Capasso” (Napoli, Tramater); “La rosa di Gerico” (Napoli, Poligama); “Metafisica dell'etica” (Napoli, Regia Università); “Dei sistemi filosofici”; “L’equilibriio”; “La pena di morte” (Napoli, Regia Università); “Baldacchini” (Regia Università, Napoli”, Elogio di Cilento. Sulla Bella di Camarda, poema di Cappelli (Napoli); “Armonia della libertà politica e della scienza morale”; “ Preso da immenso desiderio e ardente”; “Padre, partisti, forse desolato”; “Aspirazione a Dio”. Il pensiero morale di T., C. Nardi. Società Napoletana di Storia Patria,  Lettere a Milli, F. Adamoli. Collana "Fondo Milli" il Poeta.Via a Zagarise  Via a Catanzaro. La famiglia dona a Zagarise un'opera raffigurante il filosofo. Discorso di Imbriani all'inaugurazione del busto di Galluppi posto nell'Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli  Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Zagarise e dintorni, Faragò.  Lira italiana. Marchese Cavaliere Paolo Emilio Tulelli. Paolo Emilio Tulelli. Tulelli. Keywords: filosofia italiana, l’equilibrio, metafisica dell’etica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tulelli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Turco: la ragione conversazionale dell’agnella, commedia nuova -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Asola). Flosofo italiano. Nasce da una anticha e nobile famiglie, allora fiorente cittadina della Repubblica di Venezia, dove ricopre importanti cariche politiche in qualità di deputato, oratore e avvocato della comunità.  La sua prima opera, un dialogo, “Agnella”, venne rappresentato ad Asola durante i festeggiamenti per la visita dei duchi di Nemours e Beaulieu e altri illustri francesi al loro seguito. “Agnella” venne in pubblicata in seguito prima a Treviso, poi a Venezia. Contemporaneo ed amico di MANUZIO che in una lettera encomia la sua canzone in lode di Carlo V scritta in occasione della morte di quest'ultimo. Scrive: Letta la vostra canzone scritta in morte del Gran Carlo V, veramente Signor Carlo onorato, non troppo benigna stella, essendo voi dotato di si pellegrino ingegno e di tante altre lodevoli qualità, vi condanna a scrivere dove tra molte tenebre non può risplendere la vostra virtù, con la quale potevate illustrare voi stesso ed il secolo nostro eccitando in altri il desiderio di assomigliarvi. Laddove hora, avendo voi il campo ristretto per esercitare le vostre più nobili parti, non veggo come possano apparire effetti degni di voi ed alla vostra nobile industria corrispondenti. Questa lettera è in seguito stampata in Venezia da Gavardo che, sempre a Venezia, pubblica una tragedia in versi, intitolata “Calestri”. Altre opere sono stampate anche in Il Sepolcro de la illustre signora Beatrice di Dorimbergo, Brescia Fabbio, Mangini, Storie Asolane, Lettera di MANUZIO a Turchi, Lett. Volg. Venezia. Carlo Turco. Turco. Keywords: commedia nuova, agnella. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Turco” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Turoldo: le XII fatiche della ragione conversazionale - filosofia italiana – Luigi Speranza (Coderno). Filosofo italiano. Figura profetica, resistente sostenitore delle istanze di rinnovamento culturale, di ispirazione conciliare, tenuto da alcuni uno dei più rappresentativi esponenti di un cambiamento spirituale, il che gli ha valso il titolo di coscienza inquieta. Riceve con intensità le caratteristiche della semplice cultura umana del suo ambiente nativo e prevalentemente contadino. Colse e fece propria la dignità delle condizioni povere della sua terra, che costituirono una solida radice informante tutto lo sviluppo della sua sensibilità e della sua attività futura. Accolto tra i servi di Maria nel convento di S. Maria al Cengio a Isola Vicentina, sede triveneta della casa di formazione dell'ordine servita, dove trascorse l’anno di noviziato. Emise la professione religiosa. Pronuncia i voti solenni a Vicenza. Incomincia gli studi filosofici a Venezia.  Nel santuario della Madonna di Monte Berico di Vicenza e ordinato presbitero da  Rodolfi, arcivescovo di Vicenza. Assegnato al convento di S. Maria dei servi in S. Carlo al Corso in Milano. Su invito di Schuster, arcivescovo della città, tenne la predicazione domenicale nel duomo milanese. Insieme con il suo confratello, compagno di studi durante tutto l’iter formativo nell’ordine dei servi e amico Piaz, si iscrive al corso a Milano e conseguì la laurea con una tesi dal titolo, “La fatica della ragione: Contributo per un'ontologia dell'uomo”, redatta sotto la guida di BONTADINI. Sia BONTADINI sia BO gl’offriranno il ruolo d’assistente universitario, a Milano, il secondo a Urbino. Durante l'occupazione nazista di Milano collabora attivamente con la resistenza creando e diffondendo dal suo convento il periodico clandestino l'Uomo. Il titolo testimonia la sua scelta dell'umano contro il dis-umano, perché la realizzazione della propria umanità. Questo è il solo scopo della vita. La sua militanza dura tutta la vita, interpretando il comando evangelico essere nel mondo senza essere del mondo come un essere nel sistema senza essere del sistema. Rifiuta sempre di schierarsi con un partito. Il suo impegno nel dialogo senza preconcetti e nel confronto di idee talvolta anche duro, si tradusse in particolare nel far nascere, insieme con PIAZ, il centro culturale la Corsia dei Servi -- il vecchio nome della strada che dal convento dei servi conduceva al duomo. Uno dei principali sostenitori del progetto Nomadelfia, il villaggio nato per accogliere gl’orfani di guerra con la fraternità come unica legge, fondato da SALTINI nell'ex campo di concentramento di Fossoli presso Carpi, raccogliendo fondi presso la ricca borghesia milanese. Si rende noto al grande pubblico con due raccolte di liriche “Io non ho mani” -- che gli valse il Premio letterario Saint Vincent -- e “Gl’occhi miei” lo vedranno, presentato nella collana mondadoriana Lo Specchio d’Ungaretti.  A seguito di prese di posizione assunte da politici locali e da alcune autorità ecclesiastiche, deve lasciare Milano e soggiornare in conventi dei servi dell’Austria e della iera. Venne dai superiori dell’ordine assegnato al convento della S. Annunziata di Firenze, e qui incontra personalità affini al suo modo di sentire, quali fra VANNUCCI, BALDUCCI, PIRA, e molti altri che nell’ambiente fiorentino animano un tempo in cui si accendono speranze di rinnovamento a tutti i livelli. Ma anche da Firenze è costretto ad allontanarsi e trascorre un periodo di peregrinazioni all’estero.  Ri-entrato in Italia, venne assegnato al convento di S. Maria delle Grazie, nella “sua” Udine. Ma con il ri-entro in Italia porta con sé un progetto, nato a contatto cogl’emigrati friuliani: realizzare un film che raccontasse la nobiltà della povera vita rurale del suo Friuli. Il film con il titolo “Gl’ultimi” e ispirato al racconto “Io non ero fanciullo” scritto da T. in precedenza, venne concluso con la regia di Pandolfi. Presentato a Udine, “Gl’ultimi” tuttavia fu ben presto rifiutato dall’opinione pubblica friulana, che lo ritenne addirittura offensivo. Incomincia a cercare un sito dove dare avvio a una nuova esperienza religiosa comunitaria, allargata alla partecipazione anche di laici. Questo luogo, con le indicazioni ricevute d’amici, venne individuato nell’antico Priorato cluniacense di S.Egidio in Fontanella. Ottenuto il consenso del vescovo bergamasco GADDI, vi si insedia ufficialmente. Costruì accanto allo storico edificio del Priorato una casa per l’ospitalità, la Casa di Emmaus, titolo ispirato all’episodio in cui Gesù risorto si manifesta a Emmaus alla cena nello spezzare il pane. La casa costituì un simbolico richiamo alla semplice accoglienza, senza distinzioni di censo, di religione, o altro: aspetti che caratterizzarono tutta la presenza e la sua multiforme opera. Costituì inoltre un punto di riferimento per molti protagonisti della storia culturale e civile italiana. Per molte personalità del mondo ecclesiale e d’altre confessioni cristiane; un solido incentivo al rinnovamento di linguaggi e di strutture; un laboratorio di creazioni liturgiche e celebrative, di cui continuano a essere testimoni la versione metrica per il canto dei salmi e migliaia di inni liturgici. Insieme con altri frati, impegnati particolarmente in iniziative di rinnovamento spirituale e culturale, diede avvio alla pubblicazione di una rivista, il cui titolo è ispirato all’ordine dei servi di Maria, “Servitium”, e ad altre pubblicazioni che si ricollegavano all’esperienza editoriale della Corsia dei Servi. La pubblicazione della rivista continua tuttora con cadenza bimestrale, unitamente all’edizione di altre proposte librarie edite sotto l’omonimo marchio Servitium.  Molti sono i suoi interventi sui media, dalla carta stampata alle trasmissioni radio e televisive; molti i luoghi e le circostanze in cui è stato chiamato a intervenire con la sua avvincente parola. Da ricordare in particolare i suoi “viaggi della memoria” nei luoghi della Shoah, tra cui spicca quello a Mauthausen. In quest’occasione compose una preghiera, poi recitata nella cerimonia conclusiva, pubblicata successivamente nel saggio, “Ritorniamo ai giorni del rischio”. Colpito da un tumore del pancreas, visse con lucida consapevolezza e trasparente coraggio l’ultimo periodo della vita, dando una incoraggiante testimonianza sul cammino verso “sorella morte”. Migliaia di persone sfilarono accanto alla bara in cui era esposto il corpo di padre I funerali a Milano videro la partecipazione di una numerosa folla nella chiesa di S. Carlo al Corso, dove presiedette le esequie il cardinale MARTINI, che aveva consegnato a T. il primo "Premio Lazzati", affermando la propria opinione secondo la quale la chiesa riconosce la profezia troppo tardi. Un secondo rito funebre venne celebrato nel pomeriggio a Fontanella di Sotto il Monte, presente ancora una folla che copre tutta la collina circostante l’antico priorato. Nel cimitero riposa ora sotto una semplice croce lignea, in mezzo alla sua gente. Servitium dedica perciò alla sua figura un quaderno a frate dei servi di S. Maria e ugualmente fa nel decennale.  La grande passione. Saggi: Poesia e opere letterarie «Lungo i fiumi..» I Salmi Milano, San Paolo, O sensi miei...: Poesie (Milano, Rizzoli). Sul monte la morte, Servitium, La morte ha paura, Servitium,  poesie, Milano, Garzanti Teatro, Servitium,  I giorni del rischio con Salmodia della speranza e rappresentazione in Duomo a Milano con Moni Ovadia, Servitium,   Salmi e cantici. Versione metrica per il canto di T., Servitium,  La passione di S. Lorenzo, Servitium, La terra non sarà distrutta, Servitium, Luminoso vuoto. Scritti, Servitium, David M. T., Capovilla, Nel solco di Giovanni, lettere inedite, Servitium. Saggistica e spiritualità. Lettere dalla Casa di Emmaus, Servitium, La parabola di Giobbe, Servitium, Santa Maria. Servitium, Mia chiesa, una terra sola, Servitium,  Il dramma è Dio: il divino la fede la poesia. Milano, Rizzoli, Come i primi trovadori, Servitium, Colloqui con Giovanni, Servitium, Profezia della povertà, Servitium, Chiamati ad essere, Servitium, È Natale, Servitium, Mio amico don Milani, Servitium, Pregare, Servitium, Anche Dio è infelice, S. Paolo, Amare Cinisello Balsamo, Edizioni S. Paolo, Padre del mondo, Servitium,  Povero sant’Antonio, Il Messaggero, Padova. Narrativa Mia infanzia d’oro (con “Ritratto d’autore” Servitium, e poi la morte dell'ultimo teologo Torino, Gribaudi. “Gli ultimi” Regia: Pandolfi; soggetto: T.; sceneggiatura: Pandolfi e T.. Tra le tante, ci è un'iniziativa che è tentata pochi giorni prima della morte di Moro e che è stata evocata da Craxi nel corso della sua audizione nella prima Commissione d'inchiesta. In quella circostanza, l'onorevole Craxi afferma che è chiamato da T., che gli chiedeva sostanzialmente di domandare alla nunziatura apostolica di dichiararsi disponibile come sede per far svolgere una trattativa. T. chiese II giorni di silenzio stampa e insistette molto, con veemenza, affermando che era la sola via possible. Legislatura, Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Moro, Resoconto stenografico, “Tra i memoriali di Mauthausen”, in “Ritorniamo ai giorni del rischio. Maledetto colui che non spera”, Milano, Corriere "E T. nascose le armi dei partigiani" La vita, la testimonianza Morcelliana. Piaz e la Corsia dei Servi di Milano, Morcelliana, T. e gl’organi divini. Lettura concordanziale di “O sensi miei...”, Olschki, Una vita con gli amici; Il mondo delle amicizie di T., documentario Salvi, Roma, Rai-Educational, Elia, La peregrinatio poietica prefazione di Terza, Firenze, Olschki, Cardinali, Il Dio Inseguito. Viaggio alla scoperta della poesia di T., Edizioni Pro Sanctitate, Roma, Romero Balducci, Piaz, Fabbretti. Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. David Maria Turolo. David M. Turoldo. David Turoldo. Giuseppe Turoldo. Turoldo. Keywords: gl’ultimi, le XII fatiche della ragione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Turoldo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Tuveri: la ragione conversazionale sarda -- filosofia sarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Collinas). Filosofo italiano. Grice: “Or should we say, ‘filosofo sardo’?” -- Figlio un noto avvocato. Studia a Cagliari. Di idee repubblicane comincia l'attività in polemica con molti intellettuali monarchici e conservatori. Federalista, al parlamento sub-alpino si oppose alla fusione della Sardegna col Piemonte, ed è in forte contrapposizione con GIOBERTI per le posizioni anti-repubblicane e anti-mazziniane – vedi: MAZZINI. Fonda La Gazzetta Popolare, collabora con numerosi giornali e assunse la direzione del Corriere di Sardegna. Sindaco, propose il nome di Collinas. Lotta contro il centralismo del regno di Sardegna chiedendo maggiore autonomia, soprattutto fiscale, per i piccoli comuni. Amico di CATTANEO e MAZZINI, solleva la questione sarda, promuovendo un riscatto della Sardegna e del popolo sardo contro uno stato giudicato centralista e oppressivo. Scrive numerosi saggi filosofici. Assessorato della pubblica istruzione della regione auto-noma della Sardegna  promouove la ristampa dei suoi saggi, editore Delfino, con una introduzione di BOBBIO. Saggi: “Pintor” (Torino, Cassone); “Specifici contro il codinismo, (Cagliari, Arcivescovile); “Del diritto dell'uomo alla distruzione dei cattivi governi: trattato filosofico” (Cagliari, Nazionale); “Il governo e i comuni” (Cagliari, Nazionale); “Esazione e compulsione” (Cagliari, Timon); “La questione barracellare” (Cagliari, Timon); “Della libertà e delle caste” (Cagliari, Corriere di Sardegna); “Sofismi politici” (Napoli, Rinaldi); “Il veggente: Del dritto dell'uomo alla distruzione dei cattivi governi”); Accardo, Carta, Mosso; introduzione di Bobbio; Corrias e Orru, Opuscoli politici. Saggio delle opinioni politiche del signor deputato sardo Pintor; Specifici contro il codinismo, Sotgiu, Piano e Contu, Scritti giornalistici. Questione sarda, federalismo, politica internazionale, questione religiosa, Piano, Contu e Carta, Per la vita e i tempi di T. e altre opere, Delogu,  Fonte: "Centro di studi filologi sardi". Scheda sul sito della Camera  Indipendentismo sardo. Google. Da T. all'intuizione della concorrenza istituzionale, Bomboi. Venezia; Tuveri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tuveri: implicature sarda” – The Swimming-Poo Library.

 

Grice ed Ubaldi: la ragione conversazionale della grande sintesi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Foligno). Filosofo italiano. Presenta un sistema dell'evoluzione dell'universo considerando la legge dell'evoluzione umana. Chiara i rapporti d'involuzione ed evoluzione fra le tre dimensioni della materia, dell'energia e dello spirito, in un processo d'unificazione fra le ipotesi della scienza. Cerca di spiegare il senso della vita, la funzione del dolore e la presenza del male. Candidato al premio Nobel, all'ultimo gli fu preferito Sartre. Il suo sistema filosofico e considerato da Einstein come risulta da un carteggio dolce e leggero e il suo saggio principale, “La grande sintesi”, e giudicata un quadro di filosofia scientifica e antropologica etica, che oltrepassa di molto i consimili tentative. Nato in una regione influenzata dalla vicinanza con Assisi e impregnata di spiritualità francescana, inizia la scuola, prosegue gli studi a Roma e si laurea. Fa voto di povertà e gl’appare Cristo. L'apparizione si sarebbe ripetuta insieme a Francesco di Assisi. Il giorno di Natale dello stesso anno avrebbe ricevuto il primo di numerosi messaggi. Insegna a Modica e Gubbio. Nel suo saggio “La grande sintesi” espose la sua filosofia, messo all'indice, poi ri-ammesso da Giovanni XXIII. La sua vita può essere considerata distinta in quattro periodi. Nel primo periodo cerca le risposte nella filosofia, nella religione e nella scienza senza trovarla. Il secondo periodo si caratterizza da una sperimentazione pratica a contatto col mondo, d'osservazione della realtà della vita. Nel terzo periodo scrive i volumi della sua opera pubblicati in italiano e nel quarto la parte restante. Ritiene che esiste un'unica sostanza, la cui essenza e il movimento e che si manifesta come materia statica, energia dinamica e spirito vitale. L'uomini sono chiamati ad evolversi ampliando la percezione delle sue coscienze, che da inviduale deve farsi conscienza collettiva, per farsi poi coscienza cosmica. In tale processo si delinea il futuro stato organico-unitario degl’uomini, generato da una etica, effetto di una consapevolezza razionale e non di un emotivo pacifismo. Gl’uomini si inserirebbe nel fenomeno universale dell'evoluzione tramite la reincarnazione. Considera la sua filosofia la manifestazione del proprio destino e della propria ascesa evolutiva, proponendosi attraverso di essa di arrivare ad una conoscenza utilizzabile per risolvere i problemi della vita, in maniera consapevole e dignitosa. La grande legge della vita è quella dell'amore, tale che la si dovrebbe seguire in ogni situazione: cercare ciò che unifica. Per questo fare il male significa voler andare contro la corrente del sistema, perpetuando la separazione, produttrice di sopraffazione e violenza, sino all'auto-distruzione. Fare il bene, invece, vuol dire cercare di armonizzarsi con tutto e con tutti, perseguendo quel processo di unificazione che ci riporta al centro dell'essere, che è rappresentato dalla presenza dell'ordine e della giustizia del pensiero divino. In tal senso il segreto della felicità consiste nell'inquadrarsi nell'ordine divino e la preghiera autentica consisterebbe nella docile accettazione della Legge, cooperando con la sua azione. Così pure, il lavorare rappresenterebbe il diventare cooperatori del funzionamento organico dell'universo.  Il fine dell'esistenza è rappresentato dall'evoluzione. Si tratta dell'evoluzione etica, iscritta nel movimento dell'evoluzione dell'universo. L'universo viene così inteso come un'inestinguibile volontà d'amare, di creare e di affermare, in lotta col principio opposto dell'inerzia, dell'odio e della distruzione. L'etica viene concepita come dimensione ascendente, a tante dimensioni quante sono le posizioni dell'essere lungo la scala evolutiva. In tale compito evolutivo fondamentale sono gli idealiaventi la funzione di orientamento e di guida -, aventi il compito di anticipare una realtà futura da raggiungere. In questa fase evolutiva l'impegno deve essere quello della spiritualizzazione, consistente nel seguire gli ideali, che si sono configurati storicamente nelle religioni e nelle morali. Ciò può avvenire cercando di praticare la comprensione reciproca e ricercando la fratellanza universale. Si tratta di un cammino ascensionale, frutto di libertà e volontà, attraverso le quali da un lato si struttura la nostra personalità dall'altro la vita collettiva progredisce servendosi di tali progressi. La legge delle unità collettive rappresenta un principio evolutivo fondamentale, quello per cui tendiamo ad unioni sempre più ampie: dalla coppia alla famiglia, dalle nazioni alle unioni di popoli, sino all'unione di tutti gli esseri viventi del pianeta, pur mantenendo diversità e multiformità. Per questo, la via è quella del superamento di ogni separazione: la separazione da sé stessi, dagli altri, dal mondo. L'evoluzionismo è, per tutto ciò, ben diverso da quello di Darwin. Guarda all'avvenire ed intuisce oltre l'evoluzione organica già compiuta dall'essere umano. È più ampio di quello di Teilhard de Chardin, in quanto concepisce anche un processo involutivodallo spirito, attraverso l'energia, sino alla materiache motiva e sorregge la via di ritorno, evolutiva, come processo di unificazione, che dalla presenza del divino nella materia, attraverso l'energia, ascende verso la spiritualizzazione. È caratterizzato eticamente, come tensione spirituale verso il superuomo che è presente in ognuno di noi, differentemente dal superomismo di Nietzsche, sospinto dal desiderio di espandere solo le potenzialità dell'io.  La produzione della sua opera si basa sul metodo intuitivo, attraverso il quale la coscienza, facendosi umile e ricettiva, riesce a penetrare per vie interiori l'intima essenza dei fenomeni, diversamente dal metodo obiettivo che se pur ha il vantaggio di giungere a conclusioni più universali è nato senza ali, in quanto basato sulla distinzione tra l'io e il non io, tra il soggetto e l'oggetto, tra la coscienza e il mondo esteriore. I suoi scrittiseguendo le sue stesse dichiarazionisarebbero passati da una forma ispirata, collegata ad una forma di contatto telepatico con le noùri, correnti di pensiero -- a livello super-cosciente, al controllo razionale dell'ispirazione -- metodo dell'intuizione razionalmente controllata. Tale metodo avrebbe consentito di esaminare sia la materia che lo spirito nella loro armonia, unificando scienza e fede, considerate due aspetti della stessa verità. Saggi: “La grande sintesi”; I grandi messaggi. La grande sintesi Le nouri ("correnti di pensiero") L'ascesi mistica. Frammenti di pensiero e di passione: La nuova civiltà; Problemi dell'avvenire (Il problema psicologico, filosofico, scientifico). Ascensioni umane. Dio e universo. Profezie; L'avvenire del mondo; Commentari, raccolta dei giudizi della stampa sui volumi precedenti; Problemi attuali. Il sistema; Genesi e struttura dell'universo; La grande battaglia. Evoluzione e Vangelo; La legge di Dio; La tecnica funzionale della legge di Dio; Caduta e salvezza; Principi di una nuova etica; La discesa degl’ideali; Un destino seguendo Cristo; Come orientare la propria vita; Cristo; Storia di un uomo (Bocca, Milano); Ascenzioni umane. Verso l'armonia con l'ordine cosmico” (Mediterranee, Roma); “Cristo e la sua legge” (Mediterranee, Roma); “La grande sintesi: sintesi e soluzione dei problemi della scienza e dello spirito” (Mediterranee, Roma); “Le noùri: dal superumano al piano concettuale umano” (Mediterranee, Roma); “La nuova civiltà del terzo millennio: verso la nuova era dello spirito” (Mediterranee, Roma); “Problemi dell'avvenire: la civiltà dello spirito” (Mediterranee, Roma); “L'ascesi mistica: dal piano concettuale umano al super-umano” (Mediterranee, Roma); “Dio e universo” (Mediterranee, Roma); “Storia di un uomo” (Centro italiano di PARA-PSICOLOGIA, Recco, Ge.); “Il Sistema” (Centro italiano di parapsicologia, Recco, Ge.); “La legge di Dio” (Centro italiano di parapsicologia, Recco, Ge.); “La tecnica funzionale della legge di Dio” (Centro di parapsicologia, Recco); “La discesa degl’ideali” (Om, Città di Castello); "Un destino seguendo Cristo" (Om, Città di Castello); "Evoluzione e vangelo" (Centro Ubaldi, Foligno); Arcidiacono, “U. e la scienza moderna”, Atti del Convegno, Roma); Elenjimittan, "La missione ecumenica", in Atti del Convegno su Ubaldi, Roma "I grandi iniziati del nostro tempo" (Rizzoli, Milano); Lanari, "Il pensiero" Relazioni tenute nei quattro convegni dedicati a U., Roma (Mediterranee, Roma); Lanari  "Profeta", Atti del Convegno, Roma; Liverziani, "U. e le Nòuri", in Atti dell Convegno su U., Roma); Magni, "Scienza e mistica", in Atti del Convegno, Roma; Marocchino, "U.: profeta della intesi tra la fisica e la meta-fisica", in Atti del Convegno,, Roma; Marzetti, La scala di Giacobbe, Perugia; Mollo, “Bio-sofo dell'evoluzione umana” (Mediterranee, Roma); Mollo, "La formazione dell'uomo evoluto nel pensiero di U.", in "Pedagogia e Vita”; Mollo, "La visione del mondo tra scienza e fede", in Atti del Convegno Roma; Mollo, "La visione dell'universo. La prospettiva", in "Rivista di teosofia"; Mollo, "Il rapporto tra scienza e fede. La prospettiva di U.", in "Rivista di teosofia",  Ostuni, Fisica e metafisica di U. in relazione all'uomo contemporaneo, in Atti del Convegno, Roma; Pieracci, La Grande Sintesi (Mediterranee, Roma); Pieracci, "Mistico dell'Umbria" (Eugubina, Gubbio); Pieretti, "La civiltà", Bollettino storico della città di Foligno, Splendore, "La legge ciclica in U.", in Atti del Convegno sul pensiero di U., Roma. Centro culturale di Foligno, su pietro-ubaldi Comune di Foligno per la divulgazione della sua filosofia, presieduto daMollo, su gaetano-mollo.  L'opera di U’, su cesnur.org. in Massimo Introvigne, Zoccatelli, Le religioni in Italia (sezione "Spiritismo, parapsicologia, ricerca psichica"), sul sito Cesnur. -- Centre for Studies on New Religions. Pietro Ubaldi. Ubaldi. Keywords: la grande sintesi. Refs.: Luigi Speranza, “Ubaldi e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Villa Spearnza, Liguria, Italia.

 

Grice ed Unicorno: la ragione conversazionale dell’arimmetica universale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bergamo). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher; unicorno (n.). Unicorno. Keywords: arithmos, numerus, numero, number. Opere: De l'arithmetica universale, In Venetia, Francesco senese De Francesch. Unicorno. Keywords: arimmetica universale. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Vacca: la ragione conversazionale dell’ala del silenzio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bari). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is “L’ala del silenzo” -- great title, from Alighieri about litotes and understatement. Deputato della Repubblica Italiana Legislature. Gruppo parlamentare Collegio Bari Partito Comunista Italiano, Partito Democratico della Sinistra, Partito Democratico Laurea in giurisprudenza e filosofia del diritto. Docente universitario. Si laurea in filosofia del diritto discutendo una tesi sulla filosofia politica e giuridica di CROCE. Svolge una intensa attività di organizzatore di cultura, culminata con l'impegno dedicato alla casa editrice De Donato. Membro del comitato centrale del Partito Comunista Italiano è poi stato nella direzione del Partito Democratico della Sinistra. Libero docente in storia delle dottrine politiche, vince la cattedra di tale disciplina a Bari. -- è stato nel consiglio di amministrazione della RAI. Deputato per il PCI nella IX e X Legislatura nella circoscrizione elettorale Bari-Foggia. In occasione delle elezioni comunali, si è candidato a sindaco con il sostegno della coalizione di centro-sinistra, ma è stato sconfitto da Abbrescia. Ha ricoperto incarichi di partito in Puglia e a livello nazionale. Ha rivolto poi i suoi studi alla storia del marxismo contemporaneo. Dirige la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, diventandone poi Presidente. Membro del Cda dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana presiede la Commissione scientifica dell’Edizione degli scritti di GRAMSCI. Professore di Storia delle dottrine politiche a Bari, si è occupato in particolare dell'idealismo novecentesco e dell'hegelismo italiano nella seconda metà del XIX secolo, con particolare riferimento alla genesi del marxismo in Italia. Saggi: “Politica e filosofia in SPAVENTA” (Bari, Laterza); Lukàcs o Korsch? (Bari, Donato); Marxismo e analisi sociale (Bari, Donato); Scienza, Stato e critica di classe. VOLPE (vedi) e il marxismo (Bari, Donato); Politica e teoria nel marxismo italiano, Antologia critica (Bari, Donato); PCI, Mezzogiorno e intellettuali. Dalle alleanze all'organizzazione, curatela (Bari, De Donato); Saggio su TOGLIATTI e la tradizione comunista (Bari, Donato); Osservatorio meridionale. Temi di politica culturale” (Bari, De Donato); Quale democrazia. Problemi della democrazia di transizione (Bari, Donato); Criticità e trasformazione. Korsch teorico e politico (Bari, Dedalo); Gl’intellettuali di sinistra e la crisi, curatela, Roma, Editori Riuniti, Comunicazioni di massa e democrazia, curatela, Roma, Editori Riuniti, L'informazione Roma, Editori Riuniti, Il marxismo e gl’intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai Quaderni del carcere, Roma, Editori Riuniti, Tra compromesso e solidarietà. La politica del PCI (Roma, Editori Riuniti); Gorbačëv e la sinistra europea, Roma, Editori Riuniti, Tra Italia e Europa. Politiche e cultura dell'alternativa (Milano, Angeli); “Gramsci e Togliatti” (Roma, Editori Riuniti); Dal PCI al PDS. Intervista (Bari, Delphos); Togliatti sconosciuto, Roma, l'Unità, Pensare il mondo nuovo. Verso la democrazia, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per una nuova Costituente, Milano, PasSaggi Bompiani, Vent'anni dopo. La sinistra fra mutamenti e revisioni, Torino, Einaudi, Da un secolo all'altro. Mutamenti della politica nel Novecento, Milano, Bompiani, Appuntamenti con GRAMSCI: Introduzione allo studio dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci,  GRAMSCI (Roma, Carocci); Presente futuro. Idee per lo sviluppo ecosostenibile della Puglia, Bari, Dedalo, X. Riformismo vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, In tempo reale. Cronache del decennio, Bari, Dedalo, Ritorno in Puglia. Tre anni di volontariato politico, Bari, Palomar, Federalismo, sviluppo economico e coesione sociale in Puglia, e con Masella, Lecce. Martano, L'unità dell'Europa. Rapporto sull'integrazione europea, curatela, Bari, Dedalo, Roma, Nuova iniziativa editoriale,  Il dilemma euroatlantico. Rapporto della Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, curatela, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Dalla Convenzione alla Costituzione. Rapporto della Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo,  I dilemmi dell'integrazione. Il futuro del modello sociale europeo. Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi (Bologna, Il mulino); “Il riformismo italiano: dalla fine della guerra fredda alle sfide future” (Roma, Fazi); “Gramsci tra MUSSOLINI e Stalin” (Roma, Fazi); cura di Gramsci, Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti Torino, Einaudi, Studi gramsciani nel mondo.  e con Schirru, Bologna, Il mulino,  Perché l'Europa? Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi, Bologna, Il mulino, Studi gramsciani nel mondo. Gli studi culturali, e con Capuzzo e Schirru (Bologna, Il mulino) Le forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni (vedi), e con Montanari e Papa, Napoli, Bibliopolis, Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi, e con Ricci, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Studi gramsciani nel mondo. Gramsci in America, e con Kanoussi e Schirru, Bologna, Il mulino, Vita e pensieri di Gramsci.  Collana Storia, Torino, Einaudi, Collana ET Storia, Einaudi, Moriremo demo-cristiani? La questione cattolica nella ri-costruzione della repubblica, Roma, Salerno); “Il FASCISMO in tempo reale: studi e ricerche di Tasca sulla genesi e l'evoluzione del REGIME FASCISTA, con Bidussa (Milano, Feltrinelli); Togliatti e Gramsci. Raffronti, Pisa, Edizioni della Normale, Modernità alternative. Il Novecento di Gramsci, Torino, Einaudi, Togliatti, La politica nel pensiero e nell'azione, Scritti e discorsi, V. con Ciliberto, Bompiani, Milano  Quel che resta di Marx, Salerno Editore, Roma,  L'Italia contesa. Comunisti e democristiani nel lungo dopoguerra,  Marsilio, Venezia. V., su storia.camera, Camera dei deputati. Vacca. Keywords: solidarietà conversazionale, fascismo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Vaccarino: la ragione conversazionale dell’errore del filosofo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pace del Mela). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “I appreciate his metaphor of the ‘chemistry of the mind,’ la ‘chimica del pensiero,’and the idea that philosophers commit only ONE mistake (“l’errore dei filosofi”)!” Flosofo Figlio del titolare di un importante saponificio. Laureato a Milano. Fonda “Sigma” pubblicata a Roma. Fonda “Methodos”, trimestrale di metodologia e di logica simbolica. Si occupa prevalentemente di logica ed epistemologia. Pubblica una serie di articoli sulla rivista Archimede su invito di GEYMONAT. Abilitato alla libera docenza in filosofia della scienza, ma assorbito dai suoi studi e da altre attività non si dedica all'insegnamento. Ha incarico di tenere il corso di storia della filosofia antica presso Messina. Riceve anche quello di filosofia della scienza. Nominato professore associato di filosofia della scienza, ma non ottenne mai la cattedra di ordinario. Partecipa a vari congressi. In quello di Amsterdam ha l'occasione di conoscere Bochenski e incaricarlo di dirigere la sezione di logica simbolica di Methodos. A quello di Parigi partecipa insieme con CECCATO (vedi), SOMENZI (vedi), e LANDI (vedi), con i quali era in stretti rapporti di amicizia. Contribusce alla fondazione della rivista Methodologia nata per iniziativa della Società di cultura metodologica operativa a Milano, presieduta da Accame. Molto vicino alle vedute filosofiche dei neo-positivisti, ma in seguito si capì che per dare soluzione ai problemi posti dalla tradizionale filosofia bisogna anzitutto effettuare un'indagine sul metodo scientifico onde spiegare perché è l'unico considerabile come valido. Sviluppa in questo senso sulla “Sigma” una teoria che chiama della "meta-conoscenza", in quanto ricondotta a una disciplina avente per oggetto la conoscenza. Successivamente si convince che per procedere in modo effettivamente scientifico bisogna eliminare ogni a-priorismo effettuando un'analisi sistematica dei significati di tutte le parole di cui ci avvaliamo e riconducendoli alle operazioni da cui sono costituiti. Sotto questo profilo i suoi interessi si incontrarono con quelli di CECCATO e della scuola opperativa. Ma mantenne una posizione autonoma, ritenendo che la ricerca di base deve puntare su una semantica e non su una ricerca di tipo cibernetico, come invece sostene CECCATO. Però accetta e condivide il concetto che bisogna occuparsi del modo come operiamo a livello mentale per descrivere i significati. Perciò respinge vedute allora in auge, come quelle della filosofia analitica, che riconducendo il SIGNIFICATO semplicemente all’USO che se ne fa parlando, li lascia in analizzati assumendoli implicitamente come prius, in quanto tali, dogmatici. Si dedica assiduamente a queste ricerche, pervenendo alla elaborazione di un metodo generale di analisi dei significati. Le sue ricerche conduce, tra l'altro, all'introduzione di una formulistica idonea alla definizione delle operazioni mentali, prospettando una sorta di chimica della mente. La vastità e la complessità delle sue indagini lo costringe a procedere a molti ripensamenti e revisioni.  Pubblica “La chimica della mente” (Carbone, Messina), in cui espone i principali risultati a cui e pervenuto. Vince il premio L'Inedito con il racconto “Lo sporco”, pubblicato da Marsilio. Prospetta ampliamenti e modifiche delle sue teorie nel saggio “Analisi dei significati” (Armando, Roma). Pubblica “Scienza e semantica costruttivista” (Cooperativa Libraria Universitaria del Politecnico, Milano) dedicato a una critica di correnti vedute professate da filosofi della scienza.  I suoi interessi si rivolgeno anche alla codificazione di una logica contenutistica in grado di fissare i criteri di compatibilità e incompatibilità tra i significati in riferimento alle loro operazioni costitutive. In tal modo la logica diviene una filiazione della semantica. La summa dei suoi lavori di semantica è pubblicata in “Dalle operazioni mentali alla semantica” (Ciddo, Rimini). Nella prefazione al volume Introduzione alla semantica edito da Falzea a Reggio Calabria, si lo considera l'ultimo dei grandi illuministi. Altri saggi: “L'errore dei filosofi” (D'Anna, Messina); “Introduzione alla semantica” (Falzea, Reggio Calabria); “Scienza e semantica” (Melquiades, Milano); “Prolegomeni”, “Lo sporco. Il pulito, duepunti edizioni. Repubblica  Semantica Filosofia della scienza  Centro Internazionale Di Didattica Operativa onlus, su ciddo. Methodologia on-line, su methodologia. Vaccarino. Keywords: construzione prammatica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Vaccaro – implicatura come eteropia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is ‘eteropie,’ a pun on homotopos.”  Si laurea a Palermo, inizia l'attività di docenza presso lo stesso ateneo prima come professore a contratto, poi come ricercatore e come professore associato. Titolare del corso di filosofia politica e supplente di scienza politica nella facoltà di scienze della formazione dell'ateneo palermitano.  -- è pro-rettore a Palermo per la politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo. Inoltre è condirettore della collana “Eterotopie” dell'editore Mimesis di Milano, membro fondatore della Società italiana di filosofia politica” e del Centro interdisciplinare in Bio-politica, Bio-economia e Processi di Soggettivazione a Salerno. Vicepresidente dell'ONG palermitana della Cooperazione Internazionale Sud-Sud. I suoi ambiti di ricerca si orientano sulla teoria critica (soprattutto Adorno e Benjamin della Scuola di Francoforte) e sulla decostruzione post-strutturalista francese (principalmente Foucault e Deleuze) dai quali ricava strumenti di analisi da mettere alla prova nel campo della globalizzazione, della governance e dei diritti umani. Saggi: “Decostruzione di una realtà macchinica”, in Il camaleonte e l'iscrizione, Palermo, Ila Palma); “Il capitalismo regolato statualmente”, curatela con Riccio e Caruso (Milano, Angeli); “Oltre la pace” -- saggi di critica al complesso politico militare, curatela con Magno (Milano, Angeli); “Adorno e Foucault: congiunzione disgiuntiva” (Palermo, ILA Palma); “Il pensiero (check) anarchico (Verona, Demetra); “Il secolo deleuziano” (Milano, Mimesis Edizioni); “Il pianeta unico” (Milano, Elèuthera); “Anarchismo e modernità” (Pisa, BFS); “CruciVerba: lessico per i libertari” (Milano); “Zero in condotta, Globalizzazione e diritti umani” (Milano, Mimesis); “Biopolitica e disciplina” (Milano, Mimesis); “Lo sguardo di Foucault” (Roma, Meltemi); “Governance e democrazia” (Milano, Mimesis). Vaccaro. Prof. Salvatore delegato alle politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo, su Università degli Studi di Palermo.  Mimesis Edizioni: collane. Archiviato Palermo: scheda docente., su scienze formazione.unipa. Biblioteca nazionale di Firenze: catalogo autore., su opac. bncf.firenze..  Foucault: scheda autore., su portail-michel-foucault.org. Vaccaro. Keywords: congiunzione e disgiunzione. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Vailati – la semantica filosofica di Peano– filosofia italiana – Luigi Speranza (Crema). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. an important figure in the history of formal semantics, influenced by PEANO, who in turn influenced Whitehead and Russell, and thus Grice. Si laurea a Torino. Insegna a Torino, dopo aver lavorato come assistente di PEANO e VOLTERRA. Lascia il suo posto universitario e così puo proseguire i suoi studi in modo indipendente, e si guadagna da vivere insegnando matematica. Scrive saggi e recensioni che toccano un'ampia gamma di discipline. La sua opinione nei confronti della filosofia è che essa fornisse una preparazione e gli strumenti per il lavoro scientifico. Per questa ragione, e perché la filosofia dove essere neutrale fra opposte convinzioni, concezioni, e strutture teoriche, il filosofo evita l'uso di un linguaggio tecnico specialistico, ma usa il linguaggio che la filosofia adotta in quelle aree in cui è interessata. Ciò non vuol dire che il filosofo debba soltanto accettare qualunque cosa egli trovi. Un termine del linguaggio ordinario potrebbe essere problematico, ma la sua carenza e corretta piuttosto che sostituite con qualche nuovo termine tecnico. La suo filosofia sulla verità e sul significato e influenzato da filosofi come Peirce e Mach. Con cautela, distinse fra SIGNIFICATO e verità. La questione di determinare che cosa vogliamo dire quando enunciamo una data proposizione, non solo è una questione affatto distinta da quella di decidere se essa sia vera o falsa. Tuttavia, dopo aver deciso cosa si vuole dire, l'azione di decidere se ciò è vero o falso è cruciale. V. ha una filosofia positivista moderata. La tattica adottata dai pragmatisti in questa loro guerra contro l'abuso delle astrazioni e delle unificazioni consiste nel proporre che, anche nelle questioni filosofiche si esiga, da chiunque avanzi una tesi, che egli sia in grado di indicare quali siano i fatti che, nel caso che essa fosse vera, dovrebbero, secondo lui, succedere o esser successi, e in che cosa essi differiscano dagli altri fatti che, secondo lui, dovrebbero succedere o essere successi, nel caso che la tesi non fosse vera. Le influenze e i contatti di V. sono molti e vari, e spesso e etichettato come "l'italiano pragmatista". Deve molto a Peirce e James – V. è uno dei primi a distinguere i loro pensieri --, ma subì anche l'influenza di Platone e Berkeley -- che egli vide come precursori importanti del pragmatism -- Leibniz, V. Welby-Gregory, Moore, Russell, PEANO e Brentano. V. corrispose con molti dei suoi contemporanei. La prima parte della sua filosofia comprende scritti sulla logica matematica. In questi saggi, focalizza l'attenzione sul suo ruolo in filosofia e distinguendo fra logica, psicologia ed epistemologia. La dottrina recente pone V. e il suo allievo CALDERONI (vedi) nella categoria storiografica del pragmatismo analitico italiano.  I suoi principali interessi storici riguardarono la meccanica, la logica e la geometria. Egli da un importante contributo in molti campi, compreso lo studio della meccanica post-aristotelica, dei predecessori di GALILEI (vedi), della nozione di definizione e del suo ruolo nell'opera di Platone e Euclide, delle influenze matematiche sulla logica e sull'epistemologia, e sulla geometria non-euclidea di SACCHERI. S’interessa particolarmente  ai modi in cui quelli che potrebbero essere visti come gli stessi problemi sono inquadrati e trattati in periodi differenti. Il suo lavoro di storico della scienza e strettamente connesso con quello filosofico. Per le due attività, infatti, utilizza gli stessi pensieri e metodologie di fondo. Vede lo studio storico e lo studio filosofico come differenti nell'approccio ma non nell'argomento. Crede, inoltre, che dovesse esserci cooperazione fra filosofi e scienziati nell'approfondimento degli studi storici. Ritene anche che una storia completa richiedesse che si tenesse in conto anche il background sociale pertinente. Il superamento delle teorie scientifiche, grazie a nuovi risultati, non comporta la loro distruzione, perché la loro importanza aumenta proprio per il fatto di essere superate. Ogni errore ci indica uno scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire. La posizione di V. sulla storia della scienza ricalca quella di una serrata critica al positivismo, in un contesto teorico dove il pragmatismo ammette nuovi strumenti di comprensione e anche di valutazione della scienza, come mostrano anche le vicende di CALDERONI (Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di Calderoni, Roma, IF Press) e di PEANO, il quale vanta certe affinità con il pensiero filosofico del periodo (Rinzivillo, V., Storia e metodologia delle scienze in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova Cultura, e PEANO, Contributi invisibili in Una epistemologia senza storia, Pozzoni, Il pragmatismo analitico (Villasanta, Liminamentis); PEANO, In Memoriam, Bolletino di matematica,  Pozzoni, Cent'anni di V.” (Liminamentis, Villasanta); Zan, “La formazione di V.” (Congedo, Galatina); Sava, La psicologia tra V. e Brentano, in "Il Veltro", Roma, Giordano, V., filosofo della scienza (Firenze, Le Lettere); Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di V., Liminamentis Editore, Villasanta,  Ronchetti, L'archivio in Quaderni di Acme, Bologna, Cisalpino, Scritti filosofici. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; giovanni-vailati.net. Fondo archivistico e librario conservato presso Milano, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Vailati, Vailati. Keywords: Peano. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vailati: la semantica filosofica," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Valent: la ragione conversazionale e la forma del linguaggio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Filosofo italiano.  “Some like Vitters, but Valent’s my man.”Grice. Grice: “Valent wrote the only legible introduction to Vitters’s thought!” Essential Italian philosopher. Insegna a Catania e Venezia. Si occupa di ontologia, logica dialettica, linguaggio, storia e interpretazione delle grandi categorie della filosofia. Dai primi studi sull'empirismo-scetticismo, sulla filosofia e sull'analisi del linguaggio (Wittgenstein), è giunto ad indagare attorno alla teoria della negazione e del divenire in chiave dialettica. Sulla base di tali premesse, che orientano verso una rilettura dei canoni e dei presupposti del rapporto ragione-follia, si è impegnato a ri-disegnare, insieme con un gruppo di psichiatri e psicologi del centro psico-sociale di Orzi nuovi cresciuti nel solco dell'esperienza critica inaugurata da BASAGLIA, un modello della psiche adeguato alla comprensione e alla cura della malattia mentale, dando vita a quello che è stato definito l'approccio dialettico-relazionale. Collabora con il gruppo teatrale Scena Sintetica nella messa in scena di testi filosoficamente rilevanti (VELIA, VELINO, Eraclito, Melville, SEVERINO, GALIMBERTI). Presso Moretti l'edizione delle sue opera. La sua filosofia muove da un'originale riformulazione di alcune questioni legate alla filosofia di SEVERINO (vedi), alla tradizione neo-idealistica italiana (GENTILE) ma anche neo-scolastica (BONTADINI), e dipendenti dalla riconsiderazione speculativa del concetto del negativo. Descrivendo la sua formazione si define resciuto a una scuola filosofica di ispirazione ontologica, screziata da un netto disegno dialettico e pungolata dallo scrupolo fenomenologico. Analizzando le implicazioni concettuali e pratiche della negazione così com'è stata pensata in uno dei punti più alti e rilevanti della tradizione dialettica, ovvero nella “Scienza della logica” di Hegel, critica l'idea intellettualistica della negazione intesa come esclusione, proponendo al contrario una negazione come inclusione e una filosofia animata dal principio di ospitalità. Il "no" della negazione, lungi dal dar vita a una realtà separata, è ciò che innerva il reale nella sua essenza metamorfica e vitale, nella sua splendida apertura alla novità, alla trasformazione e al cambiamento di cui il filosofo è appassionato investigatore. A questo scopo e in evidente autonomia rispetto all'impianto destinale della filosofia della necessità di SEVERINO, esplora la categoria modale della possibilità, cercando di mettere in discussione sia l'opposizione frontale tra realtà e irrealtà, sia la priorità assoluta della positività del reale nonostante la negatività dell'irreale. L'esserci e non l'essere è, per V., che legge Hegel con Wittgenstein, la determinatezza semantica e sintattica, il plesso grammaticale e vitale che ricongiunge l'esperienza intesa come luogo dell'emergere della differenza e dell'incalzare degli eventi con la teoria della razionalità quale analisi del permanere e della necessità. Ecco che di contro all'ontologia fondamentale di Severino si fa largo l'idea di una micro-ontologia intesa non come una “ontologia del piccolo”, bensì, piuttosto, nel senso che non c'è nessun evento che non si disponga per virtù propria in una peculiarità di significato, nel vigore elementare e insieme metamorfico di un qui. Ma micro-ontologia anche come ontologia del remoto, dell'avverso-diverso, dell'improbabile, dell'anonimo, del folle: di tutto ciò che insieme si ritiene minore nella capacità di realtà. Con la proposta di una micro-ontologia intendeva sottolineare l'autonomia e la resistenza del diamante della dialettica come principio di determinazione semantica fondato sulla relazione-negazione inclusiva e situato nella prospettiva strategica propria dell'esserci, rispetto al rischio delle ricadute nella mistica dell'essere e di quella totalità assoluta che, in quanto tale, appare separata e isolata, esercitando la sua imposizione distruttiva al di fuori della logica della relazione e dell'inclusione. Di contro all'autentico totalitarismo di questa idea di totalità assoluta propone la ripresa del detto eracliteo del Panta δια pánton, ossia di quel tutto attraverso il tutto che è la forma radicale della illacerabile relazionalità della vita. Solo se ogni differenza tra gli umani è un modo differente di essere il tutto allora le discriminazioni tra piccolo e grande, forte e debole, femmina e maschio, nero e bianco, ricco e povero, sano e malato, non avranno ragione d'essere (se non in quanto differenti manifestazioni dell'identico, invece che differenze di principio e di valore. Saggi: “Verità e prassi” (Vannini, Brescia); “La forma del linguaggio: studio sul Tractatus logico-philosophicus” (Francisci, Abano Terme, Padova), Invito a Wittgenstein, Mursia, Milano; “Asymmetron, Quaderni de "Il Palazzo della Grande Utopia", Milano; Dire di no. Filosofia Linguaggio Follia, Teda, Castrovillari (Cosenza); Dire di no. Scritti teorici, Opere (Moretti, Bergamo); “Asymmetron: micro-ontologie della relazione. Scritti teorici in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura, in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. La forma del linguaggio. Studio sul "Tractatus logico-philosophicus. Scritti su Wittgenstein, Sophón. Aforismi per l'anima, a. c. di Valent, con un saggio di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Opere. La filosofia, prima di ogni altra definizione dotta, è amore per la realtà. In ricordo, in "XÁOS. Giornale di confine", Dire di no. Scritti teorici, Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura. Italo Valent. Valent. Keywords: la forma del linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valent”, The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Valentino: la ragione conversazionale a Roma – Romolo divino -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He moves from elsewhere to Rome where he created a sect called ‘The Valentinians’, who Valentino described as being the only ones who would save themselves. Ippolito di Roma did not like him. Valentino. Keywords: Roma antica, Ippolito. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valeri: la ragione conversazionale dello spazio tra sè e sè – l’antropologia filosofica come ricerca dell’inter-soggetivo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Somma Lombardo). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “I especially like his idea of anthropology, alla Kant, as the search for the subject.” “Tra se e se.” Si laurea in filosofia a Pisa, quale allievo pure della scuola normale superiore, discutendo una tesi sul pensiero di Lévi-Strauss, con relatore BARONE (vedi), si rivolse agli studi di antropologia, conseguendo un dottorato di ricerca a Pisa. Le sue ricerche riguardarono molti argomenti, fra cui, i sistemi politici, la parentela e il matrimonio, la ritualità, così come l'antropologia sociale ed economica, la storia comparata degli usi e costumi dei popoli, che condusse lungo la linea di pensiero del suo maestro Lévi-Strauss. Gl’è stato assegnato per i suoi studi e le sue ricerche di antropologia culturale, il premio ”Guggenheim Fellowship“ per le scienze sociali.  Fra i molti suoi saggi, cura pure diverse voci antropologiche per l'Enciclopedia Einaudi.  Tra le sue molte saggi, il saggio “Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto” (Roma) può considerarsi una sua autobiografia intellettuale. Ghiaroni, "Società, soggetto, sacrificio. La teoria del sacrificio di V.", in Studi e materiali di storia delle religioni, Ghiaroni, ”Società, Soggetto, Sacrificio. La teoria del sacrificio di Valerio Valeri tra Hawaii e Indonesia“, Studi e materiali di storia delle religioni. Natura e cultura: introduzione alla teoria dello scambio e della parentela di Levi-Strauss, Pisa. Per notizie biografiche più esaustive, riferirsi alle  xxvii-xix dell'opera: in merito alla rilevanza di V. come studioso e ricercatore; Valerio Valeri. Valeri. Keywords: antropologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeri” per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valerio: la ragione conversazionale a Roma – morale togata – il gentiluomo romano-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of little originality, and a notorious flatterer of TIBERIO (vedi). He is best known for producing his IX books of memorable doings and sayings – the work is designed primarily as a resource for moral education by means of examples – showing how virtue is rewarded and vice punished. It preserves many otherwise lost snippets taken from a variety of sources – including newspapers. His ‘saggi’ are not much regarded today, but they were bestsellers throughout the dark ages and the Italian renaissance, “and I do find them incredibly amusing on a lazy after-noon,” – Grice. Morale pretesto. Ed Shackleton, Loeb. Skidmore, “Practical ethics for Roman Gentlemen”. Valerio Massimo. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valerio: la ragione conversazionale a Roma – alla villa -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He has a statue erected in his honour in his own villa (‘Ain’t that cute?’). Publio Avianio Valerio. Keywords: Roma antica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valla: la ragione conversazionale della volutta – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Nato da genitori di origini piacentine -- il padre era l'avvocato Luca della Valle -- riceve la sua prima educazione a Roma e Firenze, imparando il greco da Aurispa e Aretino. Lo guida lo zio Scribani, un giurista funzionario in Curia. Il  suo primo saggio e il “De comparatione CICERONIS Quintilianique” in cui elogia Quintiliano a scapito di CICERONE (vedi), andando contro all'idea corrente e mostrando già in questo primo saggio il suo gusto per la provocazione. Quando muore lo zio, spera di ottenere un impiego nella Curia Pontificia. Ma i due autorevoli segretari Loschi e Bracciolini, ferventi ammiratori di CICERONE, si opponeno all'assunzione. Grazie all'aiuto di Beccadelli, detto il Panormita, e chiamato ad insegnare retorica a Pavia, succedendo al maestro bergamasco BARZIZZA. Questi anni furono fondamentali per lo sviluppo della sua filosofia. Pavia e infatti un vivo centro culturale e puo approfondire le sue conoscenze giuridiche, osservando inoltre l'efficacia del procedimento di analisi critica dei testi, che lo studio pavese applicava con rigore. Acquire una grande reputazione con il dialogo “Della volutta”, nel quale si oppone fermamente alla morale del Portico e all'ascetismo, sostenendo la possibilità di conciliare la morale ricondotto alla sua originarietà, con l'edonismo dei filosofi dell’orto, recuperando così il senso della filosofia di LUCREZIO (vedi), che sottolinea come tutta la vita dell'uomo sia fondamentalmente volta alla volutta, intesa non come istinto, ma come calcolo dei vantaggi e svantaggi conseguenti ad ogni azione. A conclusione del “Della volutta”, sottolinea, però, come per l'uomo la suprema voluttà e la ricerca spirituale. Si tratta di un saggio considerevole. Per la prima volta, una tendenza filosofica che era rimasta confinata nell'ambito della filosofia romana classica e ri-valutata. Le polemiche che seguirono alla pubblicazione del “Della volutta”, gli costringe a lasciare Pavia.  Da allora passa da un luogo all’altro, accettando brevi incarichi e tenendo lezioni in diverse città. Fa la conoscenza d’Alfonso V al cui servizio entra. Il re ne fa il suo segretario, lo difende dagl’attacchi dei suoi nemici e lo incoraggia ad aprire una scuola a Napoli. Durante il pontificato di Eugenio IV, pubblica sulla falsa donazione di COSTANTINO, “De falso credita et ementita Constantini donatione". In esso, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostra la falsità della donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale i cattolici giustificano la propria aspirazione al potere temporale. Secondo questo documento, infatti, e lo stesso COSTANTINO, trasferendo la sede dell'impero a COSANTINO-POLI, a lasciare al pontifice massimo di ROMA il restante territorio del principato. La dimostrazione di V. è accettata e lo scritto è datato all'VIII secolo o IX secolo. “Quid, quod multo est absurdius, capit ne rerum natura, ut quis de CONSTANTINOPOLI loqueretur tanquam una patriarchalium sedium, que nondum esset, nec patriarchalis nec sedes, nec urbs nec sic nominata, nec condita nec ad condendum destinata?” “Quippe privilegium concessum est triduo, quam CONSTANTINUS esset effectus christianus, cum Byzantium adhuc erat, non Constantinopolis.” V. dimostra che anche la lettera ad Abgar V attribuita a Gesù e un falso e, sollevando dubbi sull'autenticità di altri documenti spuri e ponendo in discussione l'utilità della vita monastica e mettendone in luce anche l'ipocrisia nel “De professione religiosorum” suscita l'ira delle alte gerarchie ecclesiastiche. E obbligato, pertanto, a comparire davanti al tribunale dell'inquisizione, alle cui accuse riusce a sottrarsi soltanto grazie all'intervento del re. Visita Roma, dove i suoi avversari sono ancora molti e potenti. Riusce a salvarsi da morte certa travestendosi e ritornando a Napoli. Vengono divulgati gli “Elegantiarum libri sex”.  Il saggio raccoglie una serie straordinaria di passi desunti dai più celebri scrittori latini – CICERONE, LIVIO, VIRGILIO -- dallo studio dei quali occorre codificare i canoni linguistici, stilistici e retorici della lingua latina. Il saggio costitue la base scientifica del movimento umanista impegnato a riformare il latino sullo stile di CICERONE.  In le "Emendationes sex librorum Titi LIVII" discute, col suo modo di scrivere brillante e caustico, correzioni ai libri di LIVIO in opposizione ad altri due intellettuali della corte napoletana Panormita e Facio che non avevano il suo stesso spessore filologico. Con la morte del re, la sua fortuna inizia a volgere in meglio. Recatosi nuovamente a Roma, e ricevuto da Niccolò V. Assume il ruolo a lui più consono di professore di retorica, ma non perde nemmeno il suo spirito caustico e inizia a criticare la Vulgata, facendo confronti con l'originale greco sminuendo il ruolo di traduttore di GIROLAMO (vedi) e DONATO e giudica spuria la corrispondenza tra SENECA e Paolo. Sotto Callisto III raggiunse il culmine della carriera, divenendo segretario apostolico. È quasi impossibile farsi un'idea precisa della sua vita privata e di suo carattere, essendo i documenti nei quali vi si fa riferimento sorti in contesti polemici e, pertanto, fonte più di esagerazioni e calunnie che di testimonianze attendibili. Appare comunque come persona orgogliosa, invidiosa e irascibile, caratteristiche cui però si affiancano le qualità di elegante umanista, critico acuto e scrittore pungente nella sua continua e violenta polemica sul potere temporale dei cattolici. -- è un personaggio di eccezionale importanza soprattutto quale rappresentante del più puro umanesimo. Con le sue spietate critiche ai cattolici e un precursore di LUTERO contro VIO, ma fu anche il promotore di molte revisioni di testi. La sua filosofia si basa su una profonda padronanza della lingua latina e sulla convinzione che fosse stata proprio un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del linguaggio ambiguo di molti filosofi. V. e convinto che lo studio accurato e l'uso corretto della lingua e l'unico mezzo di acculturazione feconda e comunicazione efficace. La grammatica e un appropriato modo di esprimersi sono a suo modo di pensare alla base di ogni enunciato e, prima ancora, della stessa formulazione intellettuale. Da questo punto di vista, la sua filosofia e  tematicamente coerente, in quanto ciascuna delle parti si sofferma innanzitutto sulla lingua, sul suo impiego rigoroso e sull'individuazione delle applicazioni erronee della grammatica latina. Il profondo distacco storico ci permette di distinguere la sua filosofia in due filoni, quello filologico e quello critico. Sebbene sa mostrare eccezionali doti di storico negli saggi critici, questa capacità non è però riscontrabile nell'unico saggio definito storico, cioè nella biografia di Ferdinando d'Aragona, tutto sommato un modesto elenco di aneddoti. Il principato romano inizia a tramontare, il che si palesava non solo nell'indebolimento delle forze politiche e militari, ma anche nello sfaldamento dell'ordinamento interno e soprattutto nell'imbarbarimento della cultura. La crisi generale e l'accettazione di molte genti non italiche tra i cittadini romani provocano un lento ma significativo allontanarsi dalla lingua verso forme dialettali e meno eleganti. Si evidenzia la necessità di uno sviluppo della lingua che presuppone la canonizzazione della parlata popolare e della sua semplice grammatica. Sono i primi sintomi della nascita del volgare, che necessita di un millennio per svilupparsi pienamente. Durante questa lunghissima transizione, in tutta l’Italia ci fu un'enorme incertezza linguistica. Il romano classico cede lentamente il posto ad una mescolanza di nuovi idiomi che combatteno per la supremazia.  Gl’effetti di questo periodo di passaggio sono ben visibili soprattutto nelle traduzioni che via via nasceno dal romano verso l'italico, poché la linea di demarcazione tra il romano e il volgare e fluttuante e nessuno dei traduttori puo dirsi un vero esperto in materia. E il primo a stabilire un limite alla volgarizzazione, decidendo che un cambiamento oltre tale limite e già parte del processo di sviluppo. In questo modo, riusce non solo a salvaguardare la purezza del romano, ma pone anche le basi per lo studio e la comprensione del volgare nato dal romano.  Si pone tra i maggiori esponenti dell'umanesimo non solo per il suo costante apporto di punti di vista umanistici, bensì anche per la sua annosa avversione alla cultura scolastica.  È indicativa ad esempio la sua tesi in “Della volutta” sugli errori de PORTICO praticato dagli asceti che non avrebbero preso in debita considerazione la legge naturale. La morale consiglierebbe infatti, a suo avviso, un'esistenza allegra e godereccia che non precluderebbe in alcun modo l'aspirazione alle gioie del paradiso. Analogamente, nelle “DIALECTICAE DISPUTATIONES”, confuta il dogmatismo di Aristotele e del LIZIO e la sua arida logica che non offre insegnamenti o consigli, bensì discute solo di parole senza raffrontarle con il loro significato nella vita reale. Altrettanto critico si dimostra nelle “Adnotationes in Novum Testamentum” quando usa la sua profonda padronanza del latino per provare che sono state le traduzioni maldestre di alcuni passi del Nuovo Testamento a causare incomprensioni ed eresie.  È a lui dedicata una fondazione che in collaborazione con Mondadori, pubblica la collana dei romani i in cui vengono proposte edizioni critiche di testi classici.  L'arte della grammatica, Casciano (Milano, Mondadori); “La falsa donazione del principe Costantino”, Pepe, Firenze, Ponte alle Grazie, Scritti filosofici e religiosi, Radetti, Firenze, Sansoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, “Repastinatio dialectice et philosophie” (Padova, Antenore). Treccani enciclopedia, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia) ; Garin, "La letteratura degl’umanisti", in Cecchi-Sapegno Letteratura italiana (Milano, Garzanti); Basilica Papale SAN GIOVANNI IN LATERANO, su Vatican.  Pubblicate per la prima volta da Erasmo da Rotterdam. Antonazzi, “V. e la polemica sulla donazione di Costantino, Roma); Camporeale, Valla. Umanesimo e teologia, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Fink, Laffranchi, “Dialettica e filosofia in V.” (Milano, Vita e Pensiero); Mancini, “Vita di V.”, Firenze, Sansoni; Regoliosi, “V.. La riforma della lingua e della logica” (Atti del convegno del Comitato Nazionale, Prato); Firenze, Polistampa, Donazione di Costantino. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rita Pagnoni Sturlese. Su treccani. in Il contributo italiano alla storia del pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La falsa donazione di Costantino, su classic italiani. La tomba su Penelope uchicago, Laurentius Vallensis. Lorenzo Valla. Valla. Keywords: Cicerone, Virgilio, Quintiliano, Livio, rinascimento, grammatica, dialettica e rettorica. Refs.: Luigi Speranza, “Valla e Grice,”per la Fondazione Lorenzo Valla, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Vallauri: la ragione conversazionale e l’interpretazione giuridica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “Italians, especially noble ones, love a long surname, so this is Luigi Lombardi Vallauri. I say: if he wants to keep the Vallauri, that’s what he’ll go with by!” Grice: “He favours animal rights, as I do.” Professore universitario italiano. È stato Professore di filosofia del diritto a Milano e Firenze. Insegna all'Università degli Studi dell'Insubria e all'Università degli Studi di Sassari, dalla quale è stato chiamato per chiara fama. Nipote del predicatore gesuita Riccardo Lombardi, cugino del direttore della Sala stampa vaticana Federico Lombardi, nonché nipote di Gabrio Lombardi, si avvia alla formazione teologica alla Gregoriana di Roma. Si laurea in giurisprudenza col massimo dei voti a Roma, suo maestro è stato BETTI. Dopo la laurea perfeziona gli studi giuridici in Germania e vince molto presto il concorso per la libera docenza. Diviene professore in filosofia del diritto a Firenze, dove ha insegnato anche argomentazione giuridica e filosofia del diritto. Ottiene la cattedra in filosofia del diritto a Milano. Dopo il collocamento a riposo insegna presso le Como e Sassari. Massimo esperto di teoria dell'interpretazione giuridica, già direttore dell'Istituto per la documentazione giuridica del CNR e presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica -- è autore di saggi filosofico-giuridici. Con il suo Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre ha aperto un nuovo filone della sua ricerca, dedicato alla filosofia della religione e della spiritualità. Al saggio Nera Luce, V. ha consegnato la sua critica serrata ai dogmi del cattolicesimo e l'approdo all'apofatismo. I suoi interessi recenti riguardano la tutela giuridica dei diritti degl’animali. È vegano. Fonda e conduce, un gruppo di meditazione teso a esplorare le possibilità di una vita contemplativa all'altezza del sapere moderno. Il suo libro traduce in scrittura il seguitissimo corso di meditazioni tenuto dall'autore per Radio Tre Rai, propone una mistica laica, ossia una mistica che prescinde da rivelazioni soprannaturali coniugando il pensiero scientifico occidentale con le tecniche di meditazione tipiche delle filosofie orientali.  Allontanamento dall'Università Cattolica. Insegna filosofia del diritto presso l'Università cattolica di Milano. Tiene una conferenza a Bari e all'inizio decide di sedersi in terra, giustificandosi presso l'uditorio con la frase. Del Dio che emoziona non mi sento di parlare seduto su una sedia, quindi, mentre parlerò di questo Dio, starò seduto in terra». Sospeso dall'attività didattica a causa del suo insegnamento ritenuto eterodosso rispetto alla dottrina della chiesa cattolica. Fra i punti problematici secondo le autorità ecclesiastiche, un giudizio di V. sul dogma dell'inferno, da lui definito:  incostituzionale in quanto nessun atto per quanto grave può meritare una pena eterna e perché è contraria ai princìpi più avanzati del diritto, e specificamente del diritto influenzato dal cristianesimo, una pena che in nessun modo tenda alla rieducazione/riabilitazione del condannato. Il professore ha affermato in seguito. Quando i giudici ecclesiastici mi hanno cacciato fuori dall'Università Cattolica non riuscivano a formulare l'accusa ed io ho detto. Ve la do io, il papa è quasi infallibile nell'errare. Dopo l'esito negativo dei ricorsi giudiziari interni, si è rivolto alla corte europea dei diritti dell'uomo.  La corte si è pronunciata a favore del ricorrente, ritenendo che fossero stati lesi i suoi diritti alla libertà di espressione (per il provvedimento adottato dalla cattolica senza contraddittorio) e a un equo processo (per il rifiuto a pronunciarsi opposto dagl’organi giurisdizionali amministrativi), entrambi garantiti, rispettivamente, dagli articoli della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.  Nei suoi corsi e libri V. si è occupato di varie tematiche: filosofia del diritto, critica dei riduzionismi, filosofia della mente, misticismo, buddismo, sessualità, meditazione, diritti degli animali. Riassumeva la situazione storica attuale tramite la seguente formula: [E = (m+e) + i (ab) + fd + oid] -> [N.O.] -> [(N. e/ax/es)] + (I.P.)]  La prima parte è l’equazione del riduzionismo ontologico. L’essere è riducibile alla somma di materia, energia e informazione. L’informazione è di due specie: algoritmica e biologica. Il riduzionismo diventa poi scientismo tecnologico, con l’aggiunta di un fattore di dominazione, ossia la teoria baconiana del conoscere per dominare, e dell'organizzazione industriale del dominio portata dalla rivoluzione industriale. Le conseguenze dello scientismo sono il nichilismo ontologico, ossia la scomparsa di ogni tipo di spirito (dio angeli anima), il quale può avere due esiti antitetici: le filosofie del soggetto assoluto e quelle della morte del soggetto. L’ultima conseguenza del processo è il nichilismo etico assiologico ed esistenziale, ossia la negazione di norme e valori oggettivi. Esso genera un vuoto, che nella nostra epoca viene occupato dall’individualismo possessive, ossia la credenza che gli unici beni sono ricchezza successo e potere. Occorre dunque articolare una risposta filosofica al riduzionismo, individuando quali realtà si sottraggano alle sue pretese. L’oggetto principale che sfugge alla riduzione è la mente. Saggi: “Saggio sul diritto giurisprudenziale” (Milano); “Amicizia, carità e diritto” (Milano); Corso di filosofia del diritt (Padova); Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno (Milano) Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre, Milano. Il Meritevole di tutela, Milano, Logos dell'essere Logos della norma, Bari, Nera luce (Firenze); Riduzionismo e oltre: Dispense di filosofia per il diritto, Padova, Trattato di Bio-diritto. La questione animale, Milano,  Meditare in Occidente. Corso di mistica laica, Firenze,  Scritti animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, Gesualdo,  Note. Magister, L'inferno? Una vergogna, L'Espresso. Guadagnucci; Scritti Animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, in Visionari, Gesualdo (AV) (Gesualdo, Guadagnucci); Bosco, Cristo o l'India, Verona, Fede e Cultura, Guadagnucci. Sullo scarso fondamento dei fondamentalismi, Nuovamente. V., Neuroni, mente, anima, algoritmo: quattro ontologie, Lettura magistrale al VI congresso della Società italiana di neuroscienze,  Guadagnucci, Il filosofo degli animali, in Restiamo animali: Vivere vegan è una questione di giustizia, Milano, Terre di mezzo,  Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai. Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, Meditare in occidenteL'anima di paesaggio, ciclo di trasmissioni radio-foniche su Radio3 Rai, edizione. Conferenza/lezione tenuta dal titolo: Non-violenza e Animali: un tema antico come le montagne e sempre più ricco di futuro. Evento organizzato da Progetto Vivere Vegan,   Interviste Sì agli interventi che aiutano i nascituri, intervista di Perna, LIBERO, l'Unità, Firenze, e Rassegna stampa sul "Caso V." I Nuovi Inquisitori, di Pace, a Repubblica, A dialogo con V., di Pollastri, Phronesis, Note, di Franza, Officina sedici. Luigi Lombardi Vallauri. Vallauri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vallauri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Valletta: la ragione conversazionale dei liberali e dei libertinisti -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Eessential Italian philosopher. Grice: “He was a libertine from Naples. I like him. His oeuvre published in Firenze. Studia dapprima letteratura presso i gesuiti per poi dedicarsi al diritto. Insieme a Andrea, e fra i fondatori degl’investiganti, che da impulso al grande rinnovamento culturale che prende grande avvio. Nelle accese polemiche filosofico-scientifiche tra progressisti e conservatori, insieme a CORNELIO, ANDREA, CAPUA e agl’altri investiganti appoggia attivamente i progressisti.  Istituì a sue spese la cattedra di lingua greca a Napoli, affidando l'incarico di insegnamento al suo maestro ed amico MESSERE (vedi, illustre filosofo. Cura l'edizione napoletana delle opere e del Bacco in Toscana dello scienziato toscano REDI. Grande appassionato e conoscitore di libri, meritandosi l'appellativo di Helluo librorum et Secli Peireskius alter. Grazie all'interessamento di VICO, il fondo librario confluì nella Biblioteca dei Girolamini. Saggi: “Lettera in difesa della moderna filosofia e de' coltivatori di essa”, “Historia filosofica”.  Lombardi, Storia della letteratura italiana, Tipografia camerale. Nicolini, V., in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gl’Investiganti Andrea, Redi, V.,, nipote di V. Breve scheda biografica, Redi. Scienziato e poeta alla corte dei Medici.  Lettera   di V.,   napoletano   fn difetta della moderna Filofòfia , e  de' coltivatori di eflà ,   INDIRIZZATA ALLA SANTITÀ’   DI CLEMENTE XL   Aggiuntavi in fine un'ojf umazioni fopra '  la medefima .     IN ROVERETO   Nella Stamperia di Pierantonio Berno Libr.  ALL’ XLWSTRISS. SIC. AB. ’f   FRANCESCO PARTINI   • • * è   ;DE N AJOF,   • f + • -   Nobile Provinciale del Tirolo, ec.ec, ,     l    ♦ «   » »# » , » • * * » ,   » * • » •   Olto tempo è, Jlluflriffmo  Signor Abate , che  per darvi qualche piccio-  lo contraffegno della divo -  Zioa mia verfo di voi , io vado tra me  ftejjo meditando , qual co/ a , non del tut-  to di] pregevole , e di . voi indegna , do -  vejft offerirvi . Ed ora ufcendo da’ miei   * 5 tor-      / '    « ' *- .4 . *    * ' p t * •#    /« •. è . * »    . • * •* . •    * . - j» %    ■ T“ » 'f '' i*' *'* * -ì r .!   *orri&; la prima volta una dotta * ed  erudita Opera del Sig. Giufeppe Val*  tetra , la quale manofcritta lungamen-  te era andata per le mani de* virtuofi;  quefta appunto ho . difegnato d' indiriz-  zare a voi , sì 5 per darvi un picciolo  faggio del de fiderio ardentìjfimo > eh' io  bo d' incontrare con e fio voi ferviti , sì  ancora per fare un pubblico attediato  al mondo della /lima grande , ch'io con-  fervo della voftra ragguardevole Perfo-  ra . E nel vero fé , com * a tutt' altri  è in ufo di fare , io voleffi raccoglier  qui le glorie de * trapaffati , teffendo un  lunoo catalogo di tanti e tanti glorio fi  Antenati della vofira nobile Famiglia ,  i quali e nell' armi , e nelle . lettere rif-  plendendo , non meno il vofiro Ceppo ,  che tutta cotejìa Patria ili ufi r areno ;  certo de non ■; uno > ma ben mille moti-  osi io avrei per indurmi a ciò fare .   . Concioffiachè allora egli . mi fi farebbe  . tofto innanzi la fingolar perizia nell' ar-  mi di PIETRO , illu (Ire, e .antico ger-  irne della vofira onorati fiima Prof apia ,   * il    Digitized by Google    il quale da Galeazzo Vìfconte Duca di  Milano meritò d* ejsere fatto Condot tiere  delle fue. armi > Mi . fi prefent crebbe  fitto gli occhi il valore di quell* altro  PIET RO d' età ma ? non di merito  inferiore , a cui i eccellenza nel mefiier  te ftmil mente della guerra , acqutfiò l*  uffizio d) Capitano dell*. Imperador Maj •  fimifiano J. i , e di ALESSANDRO  altresì , che in qualità pur di Capita •  no fi morì in Ungheria . Ma molti ,  e molti ì anche fiudiof amente, trapalan-  do y come potrebbe . poi .fuggirmi dalla  vijìa la , decantata dottrina . , fingolar-  mente nell* arte Medica > e la probità 9  e integrità de' cofiumi di FRANCES-  CO P ART INI , il quale in quel feli-  ce fecola del cinquecento cotanto s* avan-  zò > e ft difiinfe , che meritò le lodi , e  gli applaufi d'uno de' maggiori letterati  di quell'età , che fu Andrea Mattioli > (i)   • e d'ef-  (i) Nell* Epiftola dedicatoria de 1 Di/cor fi /opra  Diofcoride al Principe Ferdinando d* A u Aria . Ve-  nezia 1668. E negli fte/fi Difcorfi /opra il libro 4-  di Diofcoride capitolo 80.    e d' e ([ere fatto Prot omedico dì due Ce-  fali , cioè Ferdinando I . , e - Maffimilia-  no li.'? Cèrto che i pregi di co fiat , i  quali di molto accrebbero lo fplendore del-  la vofira Stirpe -, io non potrei per mo-  do alcuno non Jommamente celebrare :  e tanto meno que' di MELCHIORE  fuo figlio i il quale dalla matura pru-  denza pur di Maffimiliano li. Impera -  dorè » di cui era ' Configliero , > fu' (celta  a far efeguire ^Imperiai comandamento  di por giù /’ armi , fattola'- judditì  del Finale in Italia '.(*) Ma io non ne  verrei sì toflo a' capo , : quando 'a’ me-  riti degli Avi'-vojìrì i.'com' -bó det-  to piuttofiò chea voi mede fimo va-  le jft riguardare . " I pregj degli ante-  nati' apportano più (limolo >3 -che lode  a' ■ (uccefiori \ , ed è molto ' mifer, abile  la condizione di colui -, ' il quale noti  po((a in altro . mod o diftinguerft , che  col! aprire i (epolcri de’ fuoi maggio-  ri » .    \ • r t    • r i n* •* a    (2) Mambrino Rofeo Storie del Mondo libro II.  a io4«    ri , e temendo nn lungo panegirico del-  le loro gloriofe azioni , far fi corona  al capo di meriti non fuoi . ■ Per la  qual cofa , ponendo da /’ • un de' lati  quelle lodi , le quali non fono sì pro-  prie dì voi , che comuni non fieno an-  cora a tutta la Famìglia , ed alle fole  voftre t in cui gli altri non v* hanno  parte alcuna rifiringendomi ; dico >  che quello , che principalmente rn ha  invogliato a procacciarmi luogo nel no-  vero de' vofìri fervidori t e che non  pojfo fe non grandemente ammirare ,  fi è quella incredibile gentilezza , ■ e  foavità di coftumi.y e di maniere ,  per mezzo della quale ben fate chia-  ramente apparire da qual . forgente  traete t origine , e i natali . h  non fo per cagion di quefla con qual  fronte poffano riguardare in voi cer-  te anime t le quali non riflettendo >  che • /’ e (fere nate nobili è fiato un  accidente , cui altro loro non appor-  ta , che impegno di ben imitare gli   antecejfori ; di tanta rufiicìtà , e   fai -    ... V3&7'   falvatkhe^za ripiene comparirono  folamente nell * afpre , ed altiere   fembr ano .avere ripofia la loro gloria .  Poi fiete certamente di un amaro rim-  provero a tutti cofioro % e C umanità  vofìra , quando attentamente vi riguar-  da Q ero , non potrebbe che riufcir loro di  jomma vergogna , e confo fione . Ma fic-  come y nè alterigia , o di / prezzo altrùi  la nobiltà della Famìglia , per chiara ,  eh' ella fi fa , è fiata giammai baftan-  te ad infpirarvi , . Così nè al fafio y o al-  la. libertà le •comodità » e gli agj > che  dalla fortuna avete : nè .alla vanaglo-  ria * o alla prefunzione le nobili quali-  tà. dell’ animo voflro , hanno giammai  potuto aprirvi la firada , Tanti rari  pregi- finalmente , tutti infieme uniti ,  non fono -fiati valevoli a feemar punto  di quella vofira naturale affabilità , e  dolcezza di tratto , la quale quanto in  altri è più rara > altrettanto in voi ab-  bondantemente appari fee t e campeggia .  Qttefta vi eccita la maraviglia di tut-  ti coloro , che di voi hanno alcuna co.   no-    • >. .   / *   't    d -    * *• 'V.    •4     ami. * - '      Digitized by Google    difienpì guefia concilia ì* amore ,  e ^uCfi^nera^iòni de- vojìri Concito adì*   . niy^ 0?quefia finalmente induce , an-  zi con una dolce violenta quaft rapi*  ffce , e sforzai cìafcbeduno a farvi un  volontario tributo de* fuoi affetti , e  del fuo cuore . Ma che dirò di quel -  i* bontà j ingoiare , con cui prendete  a protteggere qualche perfona ingiù •  fiamente oppreffa , e oltraggiata > fa-  cendo vedere , non altrimenti effervi  fenfibili- i torti > che fi fanno alla  ragione , e alla gtufiìzia , che fe a  voi me de fimo f off ero fatti ? Voi con  quel rincrefcimento fiete folito fentìre  i colpi t che la fortuna vibra con -  tra /’ onefie infelici perfine > col qua-  le gli fentirefie , fi contra voi me-  ' de (imo foffero fcagltati ; e con queir  occhio riguardate gl * infortuni » e mi-  ferie altrui , con cui riguarderefie quel-  le de* vojìri più cari congiunti . Di  qui è y che e col configlio , e con  /’ opera non mai vi mofìrate fianco  di fivvenire > e beneficare coloro >   i qua-    Digitized by Google    * quali per la loro innocenza fi ren-  dono meritevoli della vofira protezio-  ne ; ; ed avendo avvertito , che il ve-  ro carattere degli animi nobili , an-  zi quello , che piu .all' Al tifiimo ld-  dio viene ad accodarci , è * il f al-  levamento delle per fine \o dalla ma-  lignità degli uomini, >o dall' .avver-  ata della fortuna inìquamente fir ac-'  date ; voi perciò, avete creduto im -  prefa degna di voi lo fendere a que- >  fie benignamente il braccio , acciò la  Patria vofira potefse andare altiera ;  e dar fi vanto -, d'. avere >■ d mercè di  voi maifempre aperto un a filo all '  innocenza , re .fempremai pronta una  fpada cantra la malvagità , e la co*  lunnia . Con tal- mezzo voi rifiorate -  i danni , che la me de [una '.per /’ im.  matura morte dì MELCHIOR PAR-  TINI vofiro . degnifsìmo , Fratello ha  que fi* anni addietro, fifferti # e quello ~  fplendore le ritornate ,%che allora per  efser ella refiata priva -d'-uno de'-fuoi ■  più cofpicui , e qualificati Cittadini ,  ave-    aveva pèrduto l ; A che fero molto t  molto contriluifcono ancora gli altri  due vofìri meritevoli (fimi Fratelli , di -  co GIOVA M BA TJS T A 'PA RTI-  NI > Abate della Reai Badìa di  San Pietro di Loreto nell ’ Abruz-  zo , e il Padre CARLO PAR-    TINI , Definitor Perpetuo Carmelita-  no t la prudenza , e pietà di cui  è così nota , e pale/e in quefìa Cit-  tà. .y che. inut il cofa farebbe il farne  per me qui parole . Ma troppo chiaro  io m’aveggio d* avere già foverchiamen-  te la modejìia vofira offefa , non ri-  flettendo f che una delle maggiori lo-  di > che vi fi debbono , è appunto il  franco rifiuto , anzi difpregio , che  voi fate delle medefime , Solo mi re-  fia adunque di fupplicare il generofo  animo voflro a ricevere in buon grado  ia piccolezza del dono , che umilmen-  te vi offro , non alla qualità di ejfo ,  ma al de fiderio dei donatore riguardan-  do \ e pregandovi in fine a non difdir-  mi la fofpirata grazia d’effere anch' io   al-    A      >**    » * *    allogato tra i voflri   ~ fso v •          y    i , , , •    Di V.S   ♦ . /     f .    *   * i    l    Rovereto 17. Ottobre 1732;    V    *'> 1 ^ «a ^   V . o V ^      / «' • 1 . . .   . t i »    ‘ t    •• « •    V «    • 1 J    VmìUfs. Devotìfs. ObbUgatìfs. Servo   Pierantonio Berno.    lo    Digitized by Google    LO STAMPATORE   A CHI LEGGE.   * - , • .   N ON poco tempo e (Tendo , che va  per le mani degli ftudiofi una Lee*  tera manoferitta del Signor Giu »  feppe Valletta Letterato Napoletano in di-  fefa della Filofofia moderna , e d’ alquan-  ti Tuoi concittadini profeflori della medefi»  ma , .fino dal 1700. dirtela : ed avendo rav.  v ifato , com’ ella è molto avidamente ricer.  cata , e letta dagl’intendenti ; ho (limato  di far colà grata al pubblico , ed alle per*  Ione letterate , dandola fuori per mezzo  delle (lampe, sì per renderla più comune,  e sì ancora per levare la briga a chi deli*  dera averla, di farla tralcrivere.* (concia co*,  là parendomi , che un così utile lavoro ve*  nirte tuttavia contaminato, e guado dalla  trafeuraggine, e fonnolenza de’copifti. Io a»  vrei per verità molto caro avuto di abbatter*  mi (e non all’ Originai medelimo dell’ Auto-  re , almeno a qualche copia elàtta , e fedele;  il che per diligenza ufata non m* è venuta  pienamente fatto di conlèguire. Spero però,'  che mercè 1’ afliftenza da perlbne delle buo-  ne lettere amanti predatami > le quali lì fono    validamente adoperate in correggerla , rive-  dendo poco men che tutti i palli nel proprio  fonte, e togliendovi que* moiri , e quali in-  finiti errori incorfivi nelle copie ; il cottele  Lettore non avrà molto che deliberare . V*  ho in fine aggiunta un’Offervazione fopra la  medefi ma, affai tortele mente dal Sig. Gir ola-  7 ino Tartarotti Róveretano comunicatami , la  quale fono più che certo , o Lettore , che  non t’ increfcerà d’aver Ietta. Vivi felice , e  - favorirci col tuo aggradimento la buona incli-  nazione,- ch’io ho d* adoperarmi a tuo van-  taggio . La fegùente notizia , polla per più  contezza dell* Autore dell’Opera , è tratta dal  Leffico degli Eruditi del Sig. Burcardo Men.  thenio . • ’ '• '■ » •   Giufeppt Valletta Giureconfulto Italiano , na.  Io in Napoli a* 6 . d' Ottobre V anno 1 666. fece  la pratica nella fua Patria , e ranno una copio,  ftffimd libreria , injìeme con un gabinetto prezio fo  di monete antiche , in frizioni ecì Corrifponde .  va co ’ più infigni Letterati d’ Europa . Traduf-  fe alcuni libri dall ’ Inglefe in Italiano . Scriffe  un libro della necejjìtà della [olita pratica in ma-  teria di religione , come pure un ’ opera toccante  V impresone di monete move . Morì a' $. di  Marzo Vanno 17.14. ' •    BEA.    Digltized by Google    I    v   s    *    2 .    BE AT 1S S IMO   «   P A D R E.    f * » **•    ♦ » « 4    %# * • * t •    • • f f • f   l,i * • »    ; r     r* « *   I.    ’ s.    »4 I     Ntichìflìmo coftumefu  Beatissimo Pad re ,o  dir il vogliamo naturai  genio, ovvero inclina-  zione, o qual egli fi .fia avvenimento  degli uomini, i quali a’pofteri hanno  avuto in penfiero di lafciar qualche me-  moria per mezzo delle lettere, di muo-   A * verfi    Digltized by Google     %   verfi a tal opra da picciola e lieve oc-  cafione , ed. alle voi ce incominciare da  balle , e aHai deboli fondamenta , ed  indi poi pian piano p a dare più olcre fin-  ché al defiato fine fi aggiunga ; e quali  Tempre digiuni , e non mai fazj di di-  vorare fulle carte il tempo , e l’ore.  Quindi è , che veggiamo , che una fa-  - tica, la quale fui principio fu ftimara  opra di pochi fogli , tratto tratto li  avanzi » e fi accresca in tanta gran-  dezza , e mole , che a gran pena fe  ftelfa comprenda . Lo ftelfo eflere av-  ' venuto a me io già divido; ma non fo  com’egli avvenuto fia . Perocché aven-  do già per foddisfare al gènio de* Depu-  tati » incominciato a fcrivere una lette-  ra indirizzata alla Santità' Vostr a  intorno al procedimento del Santo Uf-  fìzio nella noftra città di Napoli ; cer-  to è, che io non ebbi altra intenzione^  che di raccorre breve e femplicemente  le ragioni) ch’ella ne tiene. ..Indi po>i  crefcendo da giorno in giorno , o ciò  folfe per l’ampiezza della materia > o   per    r    Digitized by Google    pér la moltitudine delle ragioni , e va»  rietà degli argumenti, e delle autorità  che fi recavano in prova; s’ è tant’ol- .  tre la fcrittura avanzata. , eh* è -per  comporre un volume intero .. Così io  mentre penfava di avere già compita  tutta la fatica , volli ancora inveftiga-  r e la cagione , el’ origine de* movimen-  ti > e tumulti della noftra città, acca»   * »   duti per tal procedimento nel tribunale  del Santo Uffizio ; quand’ecco che io  conobbi-, Ae vidi chiaramente, che la  cagione-di tai tumulti altro non fia fra-  ta c che una tal gelofia, per così dire,  di Scuole coll* occafione d' una . cer*  ta Filofpfia , nomata- comunemente  Moderna , avvegnaché dia fia anct»  chiffima , e profetata dagli uomini mi-  gliori, e più fa vj della noli r a città. £  perchè la cofa o non è pur ben intefa ,  ovvero fe intefa , per ambizione, por  aftio, o per altra cofa , è contrafiata a  campo aperto , fono forzato , come av«  vifai nella fuddetta altra fcrittura > con  quell* altra lettera , indirizzata pari-   A 2 racn-    f    i    Digitized by Google    mente alla Santità* Vostra , dimoi  Ararne apertiflinumente la verità. ( per  ordine ancora datomi da’ medefimi De-  putati ) acciocché niente li taccia per  quello , che convenevolmente appar-  tiene alla difefa così della vita » come  della fama de’ noftri cittadini ; e difen-  dere un lungo ragionamento > per far  palefe una volta > e più chiara teliimo-  nianzaal mondo dell* empietà della Fi-  iofolia Ariftotelica * « dell* innocenza  di quell* altra che chiaman Moderna;  al di cui manifeflamento ben poteano  dare opera gli altri , e non ftarfene sì  lentamente a ripofo in una caufa pub-  blica, e di tanta, importanza ,• perla  quale ne lìamo malignamente tacciati ,  echi per Eretico» e chi per Ateo» fe-  condo il livore» e l’ignoranza di quelli  banditori del Periparo; mentre vene  fono pur molti intendentilììmi di que-  lla novella Filofofta , che meglio di me»  e più profondamente l’appararono» il  che loro eforco a fare ugualmente , per  non cadere almeno nel bialìmo» che Ci-    .cerone diede a coloro , che appretto di  fefolirengon na 'corti i tefori delle let-  tere!,, fenza farne partecipi gli altri ;  così dicendo nell’orazione a favore di  Archia . Pudeat , ft qui ita fe litteris  abdiderunt , ut nibil po fjìnt ex bis , ne -  que ad communem adferre fruSìum ,  ncque in : adfpeSìum , lucemque proferì  re . Ma non con animo , che pubbli-  candoli quella fcrittura » vi lìa taluno,  che fcrivcndo full’ifteffa materia , del-  le medelìme co fe li avvagha , facen-  done un’ altro edificio , in cui non vi  ila di nuovo che una deferente figu-  ra, e dimenfione. . .   Laonde tralafciando la parte difpu-  tabile, dalla quale fempremai la veri-  tà fugge , e ne va lontana , opponen-  doli ragioni a ragioni , . argomenti ad  argomenri , e fpette volte iofifmi co*  fofifini pugnando » con aliai delibera-  to conliglio ho, fcelta la-parte idonea,  in qua ponete, argumenta licei , non  argument ari . , La quale ettendo màe-  fira della vita , e de’ tempi , e de’co-   A 3 ftu-    «   « _ _   fiumi allo ferì vere di Cicerone fteflò j   potrà affai bene acconciamente com-  parire più fchietta, e più finceramen-  te difenderli avanti la Santità* Vo-  stra la caufa oneftilfima, e il diritto  di quella Filofofia iniquilfimamente  oltraggiata dalla turba de’ Peripateti-  ci . Così furon degni di grandiffima lo-  da tanti fcrittori , e Greci , e Latini ;  i- quali all* i fioria fi appigliarono , po-  nendo perpetuo filenzio alle difpute ,  tormento degl* ingegni delle Scuole li-  cenziofiflime delle feienze : così anco-  ra fu degnilfimamente commendato an-  che dagli eretici fiefii il dottilfimoCar-  dinal Baronio , il quale dovendo fcri-  vere delle colè appartenenti alla noftra  Chiefa cattolica » lafciando a’ chioftri  le controverfie , e le quefiioni , elefie  con affai maturo , e più fano avvedi-  mento la parte ifiorica > per trarne le  confeguenze- più vere , e reali . Plus  enim Annate s Baranti > quam Contro -  verfue Bellàrmini bar etici s necuerunt .  • .£ qui io avrei già finito , nè bifb.   gne-    ; . 7  gnerebbe più dilungarmi : ma perchè   1* origine di tutto ciò è. d’ uopo che Ha  palefe , prima di paflare più oltre , e  affine , ,-cbe niente fi taccia per quello,  che appartiene alla difeia , così della  vita , come della fama de’noftri citta-  dini; egli è neceflario far noto ancora  alla Santità' Vostra, che 1 * origine  di quelli nuovi rigori dell' Inquifizio-  ne ella è data , che vedendoli pur trop-  po fuora de’chioftri dilattate le lette-,  re, e propagata nella noQra patria la  Filofofia , la quale o fia. propria fata-  lità / portando fempremai feco defla  difagj , e fyenture , come dice Boe-  zio , Atque boe ipfo affine s fuiffe vtde-  mur maleficio , quod tua imbuti dìfcU  pìtnis o Pbìlofopbia :o-fia per propria-  gelosìa delle fcuole degli altri Filofo-,  fanti ; perchè Nibil volunt inter borni'  nes credi jmlius , quam quod ipfi te w,  nent / ha cagionato a’ medefimi fai  movimenti,. che fi fon lafciati a dire,  .che quella fpffe di pregiudizio aliano*  Ara fede , perchè da’ principi d’ A-ri-,   A4. fio- .    /•»    »   Itotele lontana fia, come per la tanta  autorità data ad Arinotele , diede mo*  tivo a taluno di dire fcherzando: Se»*  %a Ariftotele noi mancavamo di molti  articoli dì fede : come fe quelli fof-  fero (tati cavati dalla dottrina d' Ari-  notele , e non dalla facra Scrittura ,  e da altro ; che tanto dir non fi po-  trebbe di S. Paolo , quanto alcuni han  detto d’ un autore gentile , quando,  come fcrifle un altro autore , e con  fenno : Sanila fanliorum non babet  _ bete Pbilofopbia .   Ma prima di venire allo fcioglinaen-  to di quelle vaniflìme oppofizioni , egli  è di bifogno ricordare alla Santità*  Vostra , quanto fia (tata commenda,  ta la Filofofia non meno da' Gentili,  che da* fanti Padri medefimi . Ecco  quel > che se diffe Tullio . Pbilofopbia  am vita parentem , & hoc parricidio fe  ( quifquam ) inquinare audet y & tam  impie ingratus effe , ut e am accufct ,  quam vereri de ber et etiamfi minus per -  cipere potuijfet ? S. Giuftino così : Pbi-   lo m    I    ! 9   lofopbìa efl revfrà maximum lonutn t  & poffeffio i & apud Deum verter abili fi  qua" ducit ad eum > &■ fi flit fola > &  fanti i , beatique Htì, qui mentem et do-  nane. E più oltre: Nemo fine Pbilofo-  pbia reti am rationem intelligit ; quare  omnes homines pbilofopbari % & barre  pracipuam fanti ione m ducere (de. San  Clemente 1* Aleflandrino n* avvifa lo  fteflò, e Sant* Agortino parimente co-  sì : Qui Pbilofopbiam fugiendam putat %  nibil ■ vult aliud , quarti noi non amara  fapientiam . E 1’ A portolo quando dif»  fe , Videte ne quii vos decipìat per Pbi-  lofopbiam t egli intefe di quella Filofo-  fia , la quale con folli argomenti da  Sofirti > e fecondo lemalfime del mon-  do 6 produce ; il che chiarirtimo fi feor-  ge dalle parole che feguono , a ut ina •  nem fallati am % fecundum traditionem  bomìnum , fecundum dementa mundi .  11 che vien dichiarato da Sant’Agoftk  no medefimo, detto luogo fpiegando:  Et quia ipfum nomen Pbiiofopbia ft con-  fiderete rem magnam , totoque animo   ap-    Digitized by Google    *°   appetendam ffgnifieat ( fiquìdem Pbiìoì  fophia e fi amof yfiudìumque f apienti* ), .  cautifftme Apcfialus h ne ab amore fapie a*,  ti* deterrere videretur , fubjeeit fecun -  d*m dementa bujus mundi .   . Egli è dunque affai ben chiaro, che  nè Satv Paolo , nè Sant* Agoftino , o  niun altro fanto Padre , Greco, o La-  tino , abbia giammai pretefo , che quel»  la apparare non fi doveffe ; anzi che  leggiamo tutto il contrario , come s’è  detto. Al che aggiugner u può - l’av-  vertimento di S. Clemente l’ Aleffan-  drino fopral lodato; Pbilofopbiam ante  Domini adventùm , Crucis ad jufiitiam  fui (fé neeeffariami nunc autem ad pei  caltum t & pietatem utilem effe (*j La   m* * » i j C|tt3e l •   ». ■ •   » » ...   " « » « ... ’ *   (*) Quello non fi vuol in terpefrar In modo, che  S* Clemente Aimafle , che I Greci fi giufti6catfe-  ro per mezzo della Filofofia .» Egli credeva , che  la Filofofia remotamente gli difndnetfe alla cogni-  zione di Crifio , dando lor notizia del vero Dio,  c fomminiftrando loro i mezzi per isfuggire gli er-  rori . Per altro fenza la Divina grazia , la fede,  la carità &c. non credette, che uom fi giuftificaf-  • fe. Vedi Naral Alefiàndro Dijfert. Vllh in Hijior . ,  E cc kf. f*c. IL    Digltlzed by Google    qual co fa ugualmente avverti il Cardi*  nal Palla vicino : La Fibfofia nelle dot-  trine Teologiche è utile come i foldati  frante ri negli eferciti; cioè in maniera  che fervano > ma non comandino . Im-  perocché a tutti fi permette la liber-  tà di fìlofofare. Bona mene ( dice Se-  neca ) omnibat patet , omnes admittit ,  omnes ad hoc fumus nobile r , nec rejicit  quemquam Pbilofopbia , nec digit > omni-  bus lue et . Tanto maggiormente che  la natuta invidiofà per così dire a li-  vellare i fuoi Segreti avarifiimaraen-  te permette , che ora una cola , ora  un* altra fi fveli , come s’ è finora  fperimentato per tante ofiervazioni  fatte e che fi fanno in molte cele-  bri Accademie dell* Europa , (copren-  doli fempremai novelli arcani » non  che nuove, e plausibili opinioni nel-  le Filosofie . Jn Pbilofopbia ( lafciò  fcritto Seneca fcefio ) re maxima , &  involai iffima , cum etìam multum atìum  fuerit , omnis tamen atas , quod agat ,  inveniet . Quindi Atenagora , che det-  tò    k*   tè un’ Apologia . a prò de’Criftiani agl*  Imperatori Antonino , e Commodo  ambeduo filofofi , dille : Nulìum in  Pbilofopbia rcdundat Crimea .. £ più  oltre così : Profeto autem bac crimine  vacat . Tutto ciò però intender fi dee  per la cognizione di quelle cole > che  dipendono da caufe naturali, non al*  tri menti foprannaturali. Il che fu con-  fiderà to dal medefimo Seneca , ancorch*  ei fofle gentile . Perfeveras ire ad bo~  nam mentem , quam fiultum ejì opta -  re, cum pojfis a te impetrare. Non fune  ad Ccelum eleva» da marnisi &c. £ pri-  ma di lui avvisò Simplicio , Eos folum  de cauffis naturalihus pbilofopbari fiata «  ifie: nequaquam autem de Ut ^ qua fa «  fra naturam exifiebant .  r : Ora fia lecito d* efaminare più efpref-  famente, fela Filofofia, che chiama»  Moderna fia d* alcun pregiudicio alla  noftra fede cattolica .   . Primieramente è neceflario, ch'io  rinnovi alla mente della Santità* Vo-  stra quei tempi più frefchi , in cui   sì    Digitized by Google    sì felicemente apparò le feienze tut-  te , e con ciò : io rinnovèlli , e rallegri  infìeme . 1* idee della prima fua età ;  perchè non v'è co fa (come ditte il  Cardinal Bentivoglio ) che maggior-  mente I’ animo ricrei , che la memo-  ria degli anni fcolarefchi , perchè ciò  egli non è altro , che un tornare a vi-  vere quella vita innocente , e piò  lieta dell’ uomo. Si ricorderà dunque  Vostra Santità» , che malamente  quefta Filofofìa fia nomata moder-  na , perocch* ella è più antica , anzi  la primiera d’ Bardefane, ed altri  difenfori della Religione, furono tutti  Platonici • Ed a chi non è palefe l’A-  leffandrina fcuola in Oriente , ripiena  di tanti fanti Padri, e tutti Platonici?  Origene, Clemente, Cirillo, Eraclio,  Dionifio , Atanafio , ed altri , io modo  che Aleflandria , non meno per lofplen»  dorè della difciplina Ecclefiaftica , che  della domina, fu dimata un’altra Ro- i  ma, e la feconda fedia Patriarcale do»  po quella di S. Pietro . Sant’Agoftino  nel libro delle Confefttoni di fe fteffo , e \  d* altri rettifica eflere flati Platonici ,   quan-    /    Digltized by Google    quando e’ narra la vilìta , che fece a Si m>  pliciano > maeftro dì Sant’ Ambrogio,  raccontandogli i libri eh' egli aveva  letto de’ Platonici , da' Vittorino Ora-  tore Romano tradotti in Latino , che  morì poco dopo d’elferfi fatto Criftia-  no . Sopra la qual cofa fè palefe anco-  ra il piacere, che ricevette Simplicia-  no in fentire , che non era caduto nel-  la lezione d'altri libri di Filofofia , pie-  ni di menzogne, e d* inganni; ma lo-  lamente in quei de' Platonici , che in*  fegnavàno la conofcenza di 'Dìo, e del  Verbo Divino , le di cui parole fono  qu ette: Gratulatiti eft ntìbi , quod non  in aliorum Pbilofopborum f cripta incidi f-  fem , piena faltaciarum , & deceptionum ,  fecundum dementa bujus mundi : in illh  autem omnibus in ftn aari Deum ' % & ejus  Verbum . Indi Agostino ileflo poi gli 1  chiamò i Filofofi di Dìo amatori ; ed  Eufebio nel libro XI. della Demolirà-  zione Evangelica , narra , commendan-  do tanto le contemplazioui di Plato-  ne, averle tratte da’facri libri degli E-'   B x brei ,    IO   *, *   brei, cioè dell’Ente primiero ndelPI-  dee , deli*, immortalità dell’ Anima ,  della produzione dell’ Univerfo ,;del  bruciamento del Mondo , del R i forgi -  mento de’ morti , della Terra cele (le*  e del Giudicio'. ultimo : il cbe vieti ri-  portato ancora da Teofilo Galeo in di-  fefa della Filofofia Platonica; ed Eu-  febio. (lefib la difugualianza tra la Fi-  lofofia Platonica ,.e T Ariftotelica in  quella maniera divisò : Mofes , Hebra't-  que Pro.pheta beate Divendi finem tn P r  ih mòdo • che fecondo  la jua dottrina il Mondo * non è già - una  monarchia , ma poliarchia y o piuttòflo  anarchia p. ciò che -San 'Gregorio Na%i.  anzeno ha' affai ben ■ condannato . *   II, Platone chiama 'Dio nofìro fovra -  no Padre:' Arinotele non conofce ver fin  Dio' per padre . 1 * «4 u«>v > -.-v. ->   III. Platone nel primo- libro della fua   Repubblica affìcura , - che Dio fia > una  fo fianca (empiici fftma : • Arinotele ah duo-  decimo della fua 'Me taf (tea , lo pone  nelC ordine degli animali > e dell' effe n^e  compone. B 3 IV-    il   . ; IV. Platone nel [e fio della fua Re-  pubblica , che Dio fta nofro fommo be-  ne : Arinotele al duodecimo, della fua  Metafiftca , che' Dio fta un bene , che  conviene folamente al primo Cielo > del  quale egli è Motore. > ,   . V. Platone nel quinto della ' fua Repub-  blica y che Dìo fta la fovraha Sapienza: .  Arinotele y che. fta un' intelligenza , che  conofcendo le cofe un he rf ali » non, f appi a  le. particolari . • •**..«   VI. Platone nel Timeo y che Dio fta   onnipotente,: Ari fot eie nell Opere fue ,  che, non abbia ' altra potenza. > che di  far muovere il Cielo. , .   VII. Platone nel.Filebo , , nel Soffia*  e nel Parmenide % thè . Dio abbia crea-  to le foftanze incorporee: Ari fatele che    tati .   ? X; Piatone , che il Mondo offendo' un  corpo , abbia . una potenza finita: Ari-,  (tot eie , che il Cielo , e il Mondo abbia-  no una potenza infinita dì muover fi .   XI. Platone y che il Cielo , e il Mon-  do^ come corporei ftano corruttìbili • A*  tintotele incorruttibili « -   = XII. Platone , che- Dìo [taf opra ogn\  e fiere , J opra ogni foftaitzai Arifioteic-y.  cbe’fìa falò foftanza .    ^ X /. . Platone che hi fogna pregare   D.io .a fiacche ci ' faccia buoni.: Anfiote -  le , , che Dio. -non .poffa- fentire, le no fi re  preghiere , non conofcendo le cofe parti»  eoi ari .   XXllvPlaton* i/ebe p uomo di buo-  na vita. i:. fta gradevole' a Dio: Art fia-  te le , che non .io gradifc4-\ t % 'non cono»  fcendolò\ «'■Vi ( , .. . . ^ viv   ■.XXIII, Platone , che dopo morte , 7*   ani-      «*    *5   anime de * malfattori fatto gafligate : ' A-  ri flot eie-, ube /’ anime e fendo corrotte  Col corpo i non -patif canti- più altro . f  ■ XX^fV.- Piatone y^ thè, i' morti rifer-  gerantio' 1 Arijìotele , che dalla privanti*  otte all'abito non vi fia "rif òr pimento .   XXK Piatone , che V anirne derub-  ili faratino collocate in luogo y dove fa-  ranno molto' felici i' Arinotele non cono-  fce alcun- luogo di quefia fori a . • '■   ' Quindi il Sidonio-difle, Explicatut  Plato, ìmpiicat ut Ari fot elei, 'e il Pei  trarca del difcorfo dell* ignoranza di  fe ftefloy e d’altri, attéfta , che Pia*  toner» Divinum, Ari fot e lem Damo» iuta  Grati nuncupabant ; e però nel Trioni»  fo della Fama, così di lui. degnamene    te canto:    A •    \ \    • t I n it    . V'olfimi dà man manca , e vidi  . Plato, .......   Cfo n quella fcbiera andò più prefr  , . fo al fegno, . s  «* 4 / ?«*/ aggiunge , a chi dal cielo  ...... ^ dat o • .. '*■ ...   E fi-    Digltized by Google    *, £ finalmente tutti concordano, che  la Filofofia di Platone fia fiata la più  favorevole > ed acconcia , e quella d*  «Ariftotele la più contraria , e pregiu-  diciale alla dottrina della nofira Chie-  fa cattolica, E Sant* Agoftino attefla.  Platonica f amili* Pbilofopbos facillìme  omnium , paucifque mutatiti r fieri poffe  Cbrifiianos , Anzi un Autore, che fé*   ce una Diftertazione del modo di ftu-   « \ 1   diare la Teologia , impreca coll’altre  di Ugone Grozio De Jìudiis inflit uendis ,  vituperando aifatto la Filofofia Ari»  fio te lica , e ragionando egli degli anti-  chi Filofofi Crifiiani , così dice \ \Qm  quis effet Arifiot elicti s , eo minus • Còri-  flianum fuiffe E, de’ Padri foggiunge :  Olir» multi viri pii , (S doElì % Origene: t  Clemens Alexandrinut , Jufiinus , Augu -  jlinu ! , & alit y ex Plafoni s fcbola ad £c-  clefiam Cbriftianamtranfierunt : f ed nul-  li y aut certe pattei ex fcbola Ariftotelis ,  qui metaphyftcis ejus fpeculationibtn , &  arguti is inferii erant . E il medefimo  Autore dice f che Pietro £amo era  -fi d’opi*    Digitized by Google    d’ opinione , che fi dovefle bandire da T  tutte le Scuole , ed Accademie la Me-t  tafifica d’ Ariftoteleu Petrus Ramasi   I   ( fono parole dello fleflò Autore ) stiri  do fi us , & perfpicacis in Philofopbia ju-  dici't ( luet Ariftotelici contra fentiant )  Tbeologiam illam , quam ? Arinotele s in  Metapbyjica docet » impietatem omnium  impie tatum maxime execrabìlem , & de->  tefiabilem effe confirmat , adeoque ex A-  cadem'ùs exterminanàam , ut a multi s fa-  flit atum efi . Avendo egli ancora propo-  fto> fecondò l'ufo dell’ Uni ver (Ita di Pa*  rigi , primach’ ei fofle creato Maeftro ,  e primachè caduto fofle nell’erefla, pub*  bliche Conclufioni,per le quali foftenne,  Qutecumque ab Ari jlot eie dì fi a funt^falfa 4  & commentiti a effer , e perciò ifuoi fcrit-  ti in Francia in grandiflimo pregio fono  tenuti . £ di Guftavolte di Svezia rap*  porta il medeflmo Autore > che Omnes  Metapbyficas a regno fuo expulit t & exfu-  Idrejuffit . Come primamente Antonino  Caracalla, conofcendo ancor egli quefra  verità , vietò affatto l’ Accademie de’   ‘ Pe-    /    Peripatetici , 'facendo bruciare ancora  tutti i Iibrrd’ Arinotele . E Pietro Poi-  ret nel libro de Deo , le diede più. che  bando dalle fcuole con quella ’ defini-  zione: Pbilofopbia e fi contemplatiti , vel  cotnpages nugarum Scbolafìicarum ) Ari -  fiotelicarutii t vel fimiVtum , ad oblivi] ce n-  dum Dettm , mentemque tumidi s tenebri! t  & inquieta - pet ulani ta implendam ; In  modo che da’ mèdefimi Eretici fi con-  feda edere la Filosofia Ariftotelica dan-  nofilfima al Criftianefitrio.    ■: £ chi potrà giammai dubitare , che  la Fftofofia Ariftotelica- fia Hata l’uni-  ca e fola cagione, anzi l’origine ftefta  di tutte 1* creile, eflendo ciò mani fe-  llo per l’autorità di tutti gl’lftorici,  e di tutti i fanti Padri , ' che in quei  tempi fiorirono, i quali erano preden-  ti alle difpute , e ne’ Concili ftefti per  confutarle ? Aezio Vefcovo d* Antio-  chia ne’ primi tempi appunto della no-  ftra Chiefa , non fu egli Eretico, e  poi foprannomato Ateo: Astìus Atbe-  usì non peraltro, fe non perchè trop-     *9   po addetto alle Categorie d* Arinote-  le egli era , come nota Svida; ed Epi-  fanio , e Gregorio Nifi'eno lo ftefio afr  fermano.. De Chrijìo magis Academico t  quant Eccleftaftico more f ape differebat .  E fattoli pertai fofifmi Eretico , e poi  Ateo, coro’ è detto,; fu. privato della  Chiefa, e la fua fetta, ,ch’è la ftefla,  che l’Eunomiana , detta da Eunomio  fuo, difcepolo , e compagno nell’erefia;  fu fino alla morte perieguitata dagl*  Imperadori Onorio „ è Arcadio ; e Te-  miftio Ariftotelico , come nota Svida  ftefio , chefcriffe fopra il trattato del-  la Fifica ». dell*. Animai» e d’altri libri  d’ Arinotele , fu Eretico, come Gio-  vanni Filopono. ; N ice foro così d’eflb  loro dicendo : Johannes ifte Philopone -  us Alexandrìnus , . ita ut diximus T rithei-  tarum i hdereticorum pr afe Bus fuit , prò-  inde atque olim Tbemiftius Pbilofopbut  jub .Valènte Agnoetarum feft & , qua conventi» lucis ad Be-  Hai? £ S. Gregorio Nazianzeno ugual-  mente ne fa molta doglianza, dicendo :  In Ecclefiam irrepftffe captiones fopbiflicas ,  ac pravum art if cium Arinotele# artìs ,  & bujus generis alia , veìut ALgyptiacas  quafdam piagar . E altrove così . Abjice  Ariflotelis minutiloquium , Jagacitatem ,  & art ifi cium: abjice mortale s illos fuper  Anima fermones,& human a illa dogmata.  Ed in altro luogo deteftando in tutto e  per tutto Ariftotele il chiama Struggit »•  re della provi de n^a Divina . Ireneo in  in quefto modo ne parla: Minutiloquium,  & fubtilitatem circa quajìiones , cum ftt  Ariflotelicum , fidei inferre conantur :  Lattanzio così ; Arijlotelem de Deo    ìpfum fecum dtfftdere , & repugnantia di-  cere t & Jentire immo Deum nec colu-  ti, % nec curavit « San Girolamo ad Eu-  ftochio feri vendo : Attende & tu fa -  tuorum fapientum princeps Ariftoteles .  In altro luogo . Omnium b*reticorum do-  ppiata fedem fthi & requiem inter Art -  fiotelif , 0 Cbryfippi [pineta reponunt ,  & Ut fub diem cunfia concludam fer mo-  ne , de illis fontibus univerfa dogmata ar -  gumentationum fuarum rivulis . trabunt .  E femprcmai.con aperto vocabolo Gi-  rolamo fteflb verfutiet chiama gli ar-  gomenti di lui. Origene ne* libri ch’ha  fatto contro Celfo , grida in più luo-  ghi contro d’ A ri Itotele come nocivo  al Criftianefimo > e la maggior parte  degli altri fanti Padri fono del mede-  limo fentimento, come Sàn Giuftino  nel Dialogo per la verità della religio-  ne Criftiana- con Trifone Giudeo : S.  Clemente PAleflandrino nelfuo avver-  timento , . che fa a’ Gentili ; Eufebio in  più luoghi delle fue Opere: Sant’Ata-  nalio contra Macedonia no : San Gre-    Digitized by Google    gorio Ni fieno eontra Cunomio : San  Gregorio Nazianzeno più voice nelle  fue Orazioni ; Sant* Epifanio ne* libri  contro l’ercfie : Sant’Ambrogio di nuo-  vo ne* libri degli Uffizi : S Gio. Grifo-  ftomo fall* Epistola a* Romani ; e fo-  pra tutto, quel» che ne feri fie Tertul»  liano in più d’un luogo nel libro delle  Prefcrìzioni , e dichiarando egli quel di  San Paolo , Ne quii tot decipiat per  Pbilofopbiam , intende egli quella d’A«  riftorele vana , e fallace per fentenza  di tutti. Quindi Cirillo l’ A leflandrU  no gridava.* Heeretici- nìbil aìiud , quarti  Arifiotelem ruSlant . E Sant’ Ambrogio  con ugual fentimento, e colle lagrime  agli occhi dicea , Reliquerunt Apofiolunt »  fequuntur Arifiotelem . E fra Moderni  Melchior Cano così ; Habent Arifiote-  lem prò Cbrtfto , Averroem prò Retro ,  & Alexandrum prò Paulo . E tant' ab  tri, i quali l'hanno riprovato, e con*  futato , foto per timore, che non s’irn-  primefle al Criftiano un carattere deb  fa fua dialettica » per efler tutta con»   *• C tra-    traria alla femplicità della fede > la qua»  le altro non richiede , che una umile  fommiffione» e totale credenza, fenza  veruno ragionamento , e difcorfo uma-  no . E finalmente lafciar non fi dee  ciò , che ne fcrifle S. Vincenzo Ferre--  rio » che fremeva contro un tanto abu-  fo nelle Scuole . Quel Predicatore io  dico tanto zelante , che introduce la  vigilanza dell’ Inquifizione .per man-  tenere la purità della fede, non appel-  la egli queft-a dottrina d’ Arinotele, e  quella d‘ Averroe fuo feguace, Pbia  ìas ir  che nell’ anno MCCIV. fotto Filip-  po ;1* Augufto , per pubblico confi-  gli©,' come dannevoli alla noftra fe-  de i libri della Metafilica , che al-  lora folamente veduti s’erano, e tut-  ti gli altri ancorché, non veduti , e  foflcro per ^comparire , fu ordinato >  che fi ì mandafiero alle fiamme . Ec-  co le : parole . , dell’ Iflorico riporta-  .te dal medefimo Padre Petavio >  in diebus .uillis .legebantur, Parifiis. li-  belli quidam ab Arinotele > ut dice ?   » C i ban-    Digltized by Google    *    bamur, compo fiti t luì aocebdnt Meta -  pbyftcatn ,  éf 4 Graco in Latinum  translati; qui quoniam non folum pre-  dilla bareft fententiis (ubtitibus occafto *  **0» prabebant , ò»/»o 6 * 4/»/ sondane  investii pr abere poter ant , jufi funt 0-  mnes comburi t & fub paena excommuni-  eationis cautum eft in eodem Concilio ,  ne quìi de cetero eoi fcribere , legere  fra fumerete vel quocumque modo b abe-  re. Esfei anni dopo che fu condanna-  ta ia Metafilica dei medeiimo , il Car-  dinal di S. Stefano mandato in Fran-  cia da Innocenzio III. in qualità di Le-  gato , proibì a* Profeffori dell* Oniver-  fità di Parigi d’ infegnare più la Fifica  del medefimo Arifrotele , il che fu con-  fermato poi per una Bolla di Gregorio  IX. come ancor prima per lo Concilio  •Tu rose fe fotto Aleflandro IIL fu pa-  rimente vietato leggerli più la Fifica  a’Religiofi ; quindi dall* Università del-  la Facultà Teologica di Parigi , c da  Francefco primo fu fcabilito > Che s*   r    Digitized    37   infognale la f 'anta Scrittura , i fanti  Canoni > i fanti Padri , la Teologia an-  tica con tutta la purità e femplicità  pofjtbile , e che fe ne sbandi (fero tutte le  vane fattigliele , come riferifce coll*  autorità di molti , M. Baillet . Alma*  rico ( narra il medefimo Ifrorico , ri*  portato dal P. Petavio (tetto ) non fu  egli eretico , come feguace de* princi*  pj d* Arifrotele? Simone de Turne ce*  iebre Profettòre di Teologia della me-  defima Univerfità di Parigi, e David  Dedinant, poco tempo dopo , non fu-  rono acculati per eretici , come trop-  po attaccati, a* fentimcnti d* Arinote-  le ? Gli Abailardi t i Lombardi , i Poi-  * tierfi, i Porretatii» come Iettatori del  medefimo , non furon eglino eretici ?  Quefte fono le parole del prologo del  libro contro le fentenze de* medefimi  condannate « Quii quii hoc legerit , non  dubitabit quatuor labyrintbos Francia ,  id efl Abaelardum , & Lombardata , Pe-  trum PìEìavìnum , & Cilbertum Porre*  tanum uno fpiritu Arijìotelico affiatos ,   C j dum    3 * .   dum ineffabtìia Trmitatis , & Incarna-   tionìs fcholaflica levitate t raffi arcnt ,  multai barefet olim vomuiffe , & adbuc  errore s pullulare. I Luteri, i Calvini ,  iMelantoni , i Buceri, i Zuinglj , e '  gli altri loro feguaci , ancorché apparen-  temente fi dimoftraflfero nemici. d’Ari-  ftotele, gettarono, e coltivarono i loro  velenofi Temi , non con altri ^principi fe  non 'con quelli d’Ariftotele ftefio . I  Pomponazj , i Porzj , ed altri traligna-  rono da’ veri fentimenti deirimmorta-  lità dell’anima, non con altro errore ,  fe non con quello d* Ariftotele medefi-  mo . I Serveti , i Socini , i Poftelli ,  non con altra direzione che di lui ftefio  divulgarono que’ loro pefiimi ritrovati ;  e fceleratifiìme innovazioni alla noftra  Religione . 11 Macchiavellifmo, ch’è  lo ftefio che l’Ateifmo Exiit ( dice il  Campanella , col fentimento ancora di  Melchior Cano , dottifiimo Spagnuolo,  ed uno de’ più facondi Scola dici del Tuo  tempo, ed il maggior ornamento della  famiglia Domenicana , degnifiimo Vef-   , co-    Digltized by Google    J9   covo nell* Ifole Canariè, e fu eziandio  uno de'Padri , che intervennero ahCon-  cilio di Trento) exiìt t torno a dire,, ex    Pcripateticifmo - Il quale aggiunge anco-  ra : Ex Arinotele nata funt in Italia pe*  fiifera illa dogmata de mori alitate animi ,  & divina circa res bumanat improvi dea-  tia. £ Seneca ancorché Stoico , perchè  la Filofofia Stoica alla Criftiana li ag-  guaglia,' come dice Girolamo il Santo  nelle Aie Epiftole » non fu valevole ar  cancellare dal cuore di Nerone Aio di-    fcepolo que* peftilènriflìmi. fentimenti,  che imprefli. gli *avea. Alèflandro d\E-  gea Aio primiero maeftra f efilofófo Pe-  ripatetico. Come Peripatetico fu ancor  ' Sergio , il maeftrcnperfidilfimodi Mau-  mety il che* vien -riferitò da Pico della  Mirandola ; avendo ancoi egli ( Arido*  tele io dico) d’ una maniera- infegnato la  fua Fitofofìa ad Alèflandro , e d’ um al-  tra in Atene, quafi che varia , ediver-  fà la.lnat ural Filofofìa infegnar fi dovef»  fe ad un Principe ciré al popolo ; del che  molto-de me. querelò «Alèflandro • cor»    4 ® . . „   Arinotele fteflb , il quale fu atnbiziofó   nel dominio delle lettere , come fa  di più mondi . £ il Carpentario , an-  corché eretico, nel principio del libro   della fua JFilofofìa libera , non dice li-   • \   bera mente così tjQuis enim ita ferver fi  genti e fi , qui mecum nitro non fatea*  tur., Pbilofophorum Principi ( d* Arino-  tele ei parla )) ut bomini multa falja »  & erronea ; : ut etbnico, & pagano mul*  ta impia , & profana ; ut primo in*  fìauratori multa . manca , & $mperfe *  fi a excictife». £ il Padre Petavio ftef-  fo , torno a dire , il genio veramente  della Teologia * e delle feienze , il qua-  le degnamente appellare fi dee il fior  degl’ ingegni , e ’1 primiero letterato  tra i Padri Gefui ti , allegando l’auto*  rità. d’Anaftafio Sinai ra, non dice egli  così ?, Anaftaftus Sinaita . in eo libro quem  Via: Ducem nominavif, tefiit e fi , ha*  reticos omnet , qui vel contra Incarna*  tionit dogma nefarium movere belìum ,  ex ilio Ari fìat elico fonte fuxiffe . Indi  egli è , che 1\ Autore fiefib della Filo-    Digitized by Google    4 * .   fofia volgare re fatata ; così contro i  fetrarj del medefimo grida : Et adbuà  Arifiotelem leghi s t interpretamini , de-  fenditi ! , & exornatis.   Quindi egli è , che da’fan ti filmi Pa-  dri medefnni , e da molti favillimi , e  dotti (fimi Autori è (lato ancora nota-  to di gravifiimi errori . S Giuftino fcrif-  fe tutto un Trattato contro i dogmi a  e le fentcnze d* Arifiotele , nel princi-  pio del quale così ragiona : It nibil dà  rebus , quas definiendas ftbi commenta -  tionibus fui f ftatuit . San Cirillo nel li-  bro contro a Giuliano fra i Filofofi »  eh’ hanno errato , principalmente ri-  pone Arinotele . E' perciò molto deri-  fo da Bafilio , e particolarmente per  quello , eh’ egliafierì intorno alla Ma-  teria prima , e che la materia abbia  una limpatia naturale d* unirli i e per-  fezionarti colla forma - Eufebio nel li-  ti ro della Preparazione dell’ Evangelio*  e in quello contro i Filofofi detefia non  (blamente la vita» i cofiumi, la Filo-  fofia morale > e naturale ; ma la fua   Me-      4 **   Metafifica, come una pelle delle Re-  pubbliche. Lattanzio Firmiano il dan-  na come Sofilla ., ed a fe fteflo contra-  rio . Ambrolio ugualmente come va-  rio, e incollante.- Come menzognero,  efavolofoil riprendono Ago (lino, Teo- ,  doreto, S. Bernardo, e il .Beato Sera-  fino da Fermo . San Tommafo allegane  do Agoftino medefimo coll’autorità del  Gcllio, prova, che fia un impoflore >  come rapporta il Campanella.. Scoio,  e Francefco Mairone , come un igno-  rante affatto della Metafifica, e che le  cofe tra effo loro repugnanti a-yefle ap-  provato . Gio. Pico della 'Mirandola ,  e Francefco Patrizio il riprendono nel-  la Geografia , e nell’ Agronomia, nel-  le Meteore , nejl’jftorie degl’ animali;  e eh* egli abbia ! malamente creduto ,  che la terra fia più elevata verfo il  Settentrione, che altrove.* che’l Da-  nubio prenda l’origine da’ Pirenei . Pie-  tro Gaflcndp lo biafima nell’errore in-  torno alla Galaflìa , all’ origine' delle  Vene, c jje* nervi del cuore t c in mol-  . . •> te    s   V   N    Digltized by Google    te altre fimili cofe . Telefio, Duran-  do , Baccone , Baffone ,. l’ Harveo >•  Cherneo , Galilei , Maurneo , e Pie-  tro Alliacenfe , e Niccola di Cufa Car-,  dinali , ed ultimamente il P. Valeria-  no Magno , piiffimo , e dottiamo au-  tore Cappuccino , che fu Miffionario  al Nord, il confutano» l’ acculano, e  lo tacciano di molte altre limili fcioc-  chezze . La fomma , e la foffanza fia,  dice il medefimo Gaffendo ,che non  v’è per fona, che fenza roffore diffen-  der lo poffa , nè fenza tema , e nota ef-  preffa d’infamia, e di vituperio , che  l'eguire lo voglia nell’ impoffibilità del-  la creazione per lo ftabilimento del fuo  principio , che noii fi faccia niente dal  niente: che il Mondo fia eterno» e l’a-  nima mortale : che la previdenza di  Dio fia talmente limitata nelle cofe ce-  letti , che non fi eftenda più di queir  lo, ch’è fopra la Luna , negando an-  corai’ idee, e confeguentemente il Ver-  bo di Dio , non che Dio fteffo auto-  re di tutte le cofe : l’efiftenza degli  . An-    ^ ^ ' -   Angeli, de* Diavoli! , l’Inferno , eia  gloria beata,, e con ciò le pene adat-  tivi, e i premj a ’ buoni . Inferni , &  Supere s , effe fabulas Legislatori! e' dif-  fe nel libro II. e XII. della fua Meta-  filica. £ tutto ciò o fia propria difav-  vedutezza , o fi a perchè fi ano fiate  trafilate , e guade le fue opere , co-  llie vogliono alcuni , perocché egli fa  uno de’ maggiori Filofofi della Grecia»  di cui molto n* hanno celebrata la fa-  ma , e la dottrina, come dice Macro-  bio : Nibil tantus vir ignorare potuit *  Certo egli è nondimeno , che leggia-  mo predo Diogene Laerzio , antichif-  fimo autore , che Cleante Stoico fin  da’fuoi tempi dir folea , Peripateticit  idem uccidere , quod litteris , qua cum  bene fonent , fé ipfas tamen non nudi*-  unt * £ che il medefimo Arifiotele fof.  fe fiato chiamato in giudicio a pena  capitale dagli Ateniefi, per non poter  (offrire anche nella loro politica , e  falfa religione quei bugiardi , e corrot-  ti principi d’ Arifiotele, diruttori per   così    Digitized by Google    così dire dell* uomo , e di Dio freffo }  la qual pena egli fchifò colla fuga .  Per la qual cofa in quella maniera fcla-  mò il Campanella di fdpra lodato; Et  nos Cbrtfiiarìt retinebimus tanquam ma -  gijlrum , ne àum tontra Patres > & Con-  cilia / aera jubentia , quod jubebant A *>  tbenienfes ; & quod jus : naturar damnat  in illis, fciolonm au£lori%abit in nobisì  Abfit Cosi il fuo difeorfo conchiu*  dendo. O Ecelefia prudente r paftores ,  & o prudente s priucipes , vefirum eft  banc domenicani perni eiem agnofeert »  & prodigate . : i .   £ quel , che maggiormente reca  maraviglia egli è , che quei medefimi,  che 1* hanno comentato , difendono  Platone , dove Aratotele lo danna , e  quei > che 1* hanno feguifato in molte  cofe , non folamente 1* hanno contrad*  detto y ma 1* hanno quali infamato .  Alberto Magno l’arguifce , Quod ani-  mai Coeli mot or e m facit . San Tomma*  fo lo beffa , Quod bine Mundi eterni-  tatem adferuit > illine animarum immor •    4 « . .   t alitatevi fili contradixerit . Scoto il fot-   tiliffimo Io. fchernifce , Quod tam in -  conflanter de anima fenferit . E quel ,  che fommamente notar fi dee egli è ,  che il mentovato Alberto Magno, tan-  to feguace d’ A ri (lo te le, per lo dubbio,  ch’egli aveva» fe bene, o male avef-  fe ragionato , in quello modo prote-  •ftandofi ne’ Tuoi comentarj , conchiu-  fe : In bis nibil.dixi fecundum opimo-  nem me am propriam ; fed juxta pofitio -  nes Peripateticorum ; & ideo illos l.au-  det , vel reprebendat , non me .   Quindi S. Tommafo fteflò, difcepo-  lo d’Alberto Magno, fi avvalfe nella  fua Teologia di quella Filofofìa , e di  .quella morale d’ Ariftotele , che più.  purgatamente fu difcefa in compendio !  da S- Gio. Damafceno , avendo da ef-   • & * % « , v - ^ * W   fo prefo un modo, più particolare, e  (incero ; e il Campanella afferma , che  S. Tommafo . Nullo palio putandum  efl Ariftotelizaffe ; fed tantum Arifìote-  lem expofuiffe , ut occurreret malis per I  Arifìotelem illatis. E S. Tommafo me-    Digltized by Google    47   defìmé^iì lamentò molto con altri Fi-    lofofi più giudiciofi del fuo tempo ,  che gli Arabi, e i Mori colà nell' Àfri-  ca avevan contaminata laFilofofia, e  T Opere tutte d’ Ariftotele , per non  faper eglino molto bene di Greco; per  la quai cofa Giovanni Lomejero nel  fuo libro della Biblioteca n* avvisò ;  Qtiod fi Graca exemplaria corrupta fue -  runt , quid de bis putandum e fi , qua  in Lattnum.converfa funt ? Sed melius  cum eo a Slum efi, qtsam cum aliis , . quo*  rum opera funditus perierunt , & ipfe  c auffa cxtitit cur multa per irent , qui  aliar um gloriam adfetraxit .. Indi  Monfignor Ciampoli chiamolla Filo-  fofia Morefca t Monfignor Minturno  Barbarica , e tutti Pagana-. E ben-  ché in «tempo poi dello /cadimento  dell* Imperio , e dell; Imperatore Pa-  leologo > venuti alla noftra Italia i  Greci filosofanti , e, fcienziati, forte ri-  fiorita; la nobiltà dell’ idioma Greco 9  delle filofofie , e delhaltrd Scienze, ap-  prettano! già eStinte* e tamraerfc coll*    ♦*   innondatone de* Barberi ; eglino parò  fi manifeftarono gagliardi difenfori del*  la Filosofia Platonica » e particolar.  mente il Cardinal BeiTarione Arcivef*  covo di Nicea , e il più dotto tra elfi  fai merito di cui tolfe il Papato laru*  fiicità dell* Arcivefcovo Perotti Tuo fa*  migliare » e concia viftaj dicendo in pri*  mo luogo contro i Peripatetici , eh* e*  glino .malamente . Conantur Ariftote •  lem ex gentili) & infitteli Apoflolum f&  sere . Quoniamfides nojlr * Religionis cum  Feripatcticorum dottrina no» convenite  Ne formò molte E pi (loie ; il quale  fu poi feguitato da' maggiori ingegni  Italiani» cioè da Marfilio Ficino , Gio.  Pico della Mirandola , e da altri cat-  tolici , e particolarmente da Niccola  di Cufa , e da Pietro Bembo ambe*  due Cardinali ; il quale contro d* Ari*  itatele così fclamò: Fovemus ferpentem  inter vifeera noftra . Di maniera che  vedeli per lo più Tempre ofiervata là  Platonica t la Democritica , e 1' Epi-  curea Filofofia « e (fendo che fono tut-  to    \    Digitlzed by Google    z. . 49   te uniformi in concedendo , che gli Ato-  mi foflero i primi principi di tutte le  co fé corporee , e che il fovrano bene  del piacere non confìtta ne’ diletti in-  degni , e brutali ; ma (blamente nell»  animo , e nella vitaonetta, e tranquil-  la della virtù : non come altrimenti  voleva Arittotele , conti* è detto . .Fu  notato bensì Epicuro per così dire pla-  giario > avendo pubblicati per fuoi i li-  bri degli Atomi di Democrito, «dan-  nata in lui l' opinione della mortalità  dell’anima . Gii altri fuoi fentimenti,  per la fua moderazione, e moralità ,  fembrarono così giutti , e ragionevoli  a Girolamo il Santo , che propofe a*  Crittiani di fuo tempo la lezione de*  fuoi libri ; e da molti fanti Padri eì fu  commendato . E San Gregorio Naziao-  zeno, così ne ragiona: jQuis crederete  Mode rat us , & cafìus dum vixit fuìt fi-  le , dogma moribui probans. E Sant’Am-.  brogio ancorché più fevero d'ognaltro  fanto Padre, e nelle Filofofie più ri-  gido» pur egli ftimò effere più cpmpa*   * . D ti*    59   tìbili gli orti d’ Epicuro , che d’ Ari-  notele i portici , come affatto danne-  voli non che pericolofì ; perocché ne*  libri degli uffizj al Cri diano apparte-  nenti » così n’ avvisò ; Epicuri Hortot  tolcrabiliorcs effe Lyceo Arinoteli; . Il  che rien confettato ancora da Lattan-  zio » e da Origene contra Cello . Ari*  Jlotelem effe deteriorerà Epicurei / . Que-  lla Filofofia adunque d’ Epicuro , o fe  altrimenti chiamar fi voglia Democri.  tica » vien molto largamente di vi fata,  e comprovata dall* incomparabile Pier  Gattendi > Canonico , e poi Propoflo  nella Chiefa di Digne fua patria , Teo-  logo , e profeffore delle Matematiche  feienze in Parigi» il quale fu di pura*  e cadiflìma vita , e uno de* più illuftri  ornamenti della Francia» o quali l’ora-  colo detto delle lettere del fecol no-  Uro» di cui giudamente dir li potreb-  be , eh* egli intorno alle cofe filofofi-  che » e feienze Matematiche ne diede  il giudicio cóme Pittagora , e fpiegol-  le come Platone . Indi il volere qui ri-  pe.    5 1   petere , anche in menoma parte quel*   10 , eh* egli medefimo n’ ha fcritto ,  farebbe un ridire miferamente ciò » eh’  egli felicemente ne diffe ; e tanto mag-  giormente , quantochè noi richiede la  prefente fcrittura, per edere il tutto  notiflìmo alla Santità' Vostra. An-  zi in qualunque altra occalione che  fofle , farebbe un cimentar la propria  ftima , ed acquetarli certamente la  rota di temerario , e d’arrogante. Ma  da lecito farne qualche parola , e dir  folo > che il Galìendi avendo apprefo  nelle, fcuole la Filofofia d’ Ariftotcle,  e da eflo poi tutti i varj fiftemi degli  antichi Filofofanti , per quanto gli fu  permeilo dalla condizione umana » e  dal fuo proprio intendimento » e abi-  lità ; volle dopo feguitare , e perfe-  zionare quella d’ Epicuro , come piti  acconcia , e proporzionata Filofofia  d’ ognaltra , ammettendo gli Atomi  principi di tutte le cole corporee ;  come fende di fe Giacomo) Colonna   11 Vefcovo al Petrarca:   Da    Se    5 *   Se le parti del corpo mio diflrutte ,  E ritornate in atomi > e faville .   Softenendo però , che Dio gli abbia  creati , e che Dio averte lor dato il  movimento) e il dirtendimeato , e la  figura.   E che il corpo umano, fia di minu-  ti ffime particelle coni porto, leggefine*  libri del diritto Civile, e propriamen-  te nel Titolo de judiciis , nella Lege  ' Proponebatur , così dicendo A 1 fono Var-  rò, gran Filofofo, e gran Giurcconful-  to, e Confole di Roma, Quod fi quis  pittar et , partibut commutati s , aliam rem  feri: f ore, ut ex ejus ratione nos ipfi non  idem eflemus , qui abbine anno fuiffemur,  fropterea quod , ut pbilofopbi dicerent , ex  quibus particul'ti mìnimts confliteremus ,  bue quoti die ex noflro corpore dee e dere nt,  aliaque extrinfecus in earum locum acce*  derent. Ouapropter, cujus rei Jpecies e a-  dem confifieret , rem quoque eandem ef-  fe exifìimari &c.   Quelta Filofofia è (lata feguitata  / v in     Digitized by Google    51   io molte i e quali innumerabili carte-  dre dell’ Europa, e ballerebbe fol di-  re, eh* ella non è altrimenti proibita  da verun Pontefice voftro predeceflb- ;  re; anziché quali in tutti i luoghi cat-  tolici pubblicamente s* infegna , ù. ap-  para , e li profèta . Sia ancor lecito  aggiungere a tante dottrine che li ad-  ducono dal mede fimo G a flcndi , e da  altri, per corroboramento di tal Filo-:  fofia, un’ altra autorità di S. Grego.:  rio Vefcovo di Nilfa, la primiera «fé-:  dia della Cappadocia, il quale viveva  nel quarto fecolo, fecondiamo di tan-  ti e tanti fanti Padri , e Dottori della  noftra Chiefa , fratello di S. Balilio il  grande , e di S» Pietro Vefcovo di Se perocché egli diffe:  Fuit fuhita , urgebat , nova rei fui fa -  bat aures . £ finalmente foggiunfe ,  Che Veritas placet , & vincit . Carte -  fius bene intelleflut, nibsl cont'met ma-  li . Onde ravvedutili gli altri , fi di-  chiararono ugualmente Cartefiani .  ^Soggiungendo ancora altriTeologi , che  fentimenti di Renato intorno all’efi»  ftenza di Dio fi conformavano con quei  medefimi di Sant* Agostino , diftefi  nel librò X. della Trinità > e -propria-   merv    5 *   mente nel capitolo X. Ed un dotti f-  fiimo Padre , di cui ne lafcia il no-  me lo fcrittore della vita di Rena-  to , vi aggiunfe molte altre limili dot-  trine > eh’ egli aveva ritrovato in pro-  va delle opinioni di Renato ; in mo-  do che ciò fu di gran gioja.a Rena-  to fteflò, in fentire, che i fuoi penile-  ri erano uniformi con quei di Sant’A-  goftino , e di Sant'Anfelmo nel libro,  detto Profologio , e d’altri fanti Padri.  E per li fentimenti dell' anima io vi  aggiungo Glaudiano Mamerto , uno  de’ più celebri fonti Padri, . che fiori  nel quarto fecolo ftefiò della noli ra  Chiefa , che compofc un divinilfimo  Trattato dell’anima t in confutando  quell’ enormilfimo errore di Faufto ,  Ve f covo di Rems nella Francia, che  tenea quella falfiffima opinione >xhe  nelle creature non vi fia niente d’ in-  corporeo; ma Solamente in Dio . Que-  llo Trattato fu dedicato. a Sidonio  Apollinare, amiciflimo di Mamerto;  .ed egli è molto elegantemente, e con   foni-    59   fommo giudicio , e finimmo • ingegno  dirtelo , in cui trattanfi le queftioni  metafifi che con ogni chiarezza , e fa-  cilità poflibile in prova dell’immorta-  lità dell’ anima in modo che non vi  è fiato chi migliore, di lui ciò abbia  comprovato . Fondando egli con ro«  bufiifiitne ragioni, che l’anima operi  tutta intera ne’ Tuoi movimenti: che  non fi mova nè verfo l’alto, .-nè ver-  fo il baffo , o altrove ; eh* ella non  fia nè lunga» nè, larga, nè più alta r  eh’ ella non abbia parti interne , nè  efierne ; e eh* ella penfi , ella fenta,  ella immagini , e penetri tutta in  tutte le fofianze : eh* ella fia tutta  intendimento , tutta fentimento , tut-  ta immaginazione , tutta di. qualità»  e non altrimenti di quantità; e final-  mente , che fia immagine di Dio »  e confeguentemente incorporea , e im-  mortale. Et quia imago Dei efi , non  e fi corpus . E che però cerchi Tempre  Dio , e defideri conofcerlo , non con al-  tra immagine di Divinità, chedelia /ua    6o   propria ; e che fola mente il corpo fi  tnifuri per lo fuo di (tendi mento in  lunghezza» larghezza, e profondità ,  e con altri fomiglianti principi , de*  quali fe la maggior parte fi veggono  nelle Meditazioni , e negli altri libri  di Renato » dir fi potrebbe , o che  Renato gli abbia stolti da Mamerto ,  ò ch’egli abbia avuto un ingegno geo»  metrico » giudo » e uguale a quello  di Mamerto . Da tutto ciò adunque  fi vede » che quelli principi di Rena»  to fiano gl’ ideili d* un Tanto Padre ,  che fu Mamerto » gran Filofofo , e  gr.and* Oratore , il quale fu giudicato  uno de’migliori, e favillimi Padri del-  la Chiefa: che meritò la dima d’ ef-  fere tenuto dotto , quanto Girolamo;  dedruttore degli errori , quanto Lat-  tanzio ; provatore della verità » quan-  to Agodino; e che fia levato in alto t  quanto Uario ; che abbia ancora fa-  vellato , come Grifodomo ; riprefo ,  come Bafilio ; confortato» come Gre-  gorio/ e che fia dato fertile » come   Òro-    «    Digitized by Google    $t   Orofio; robufto, come Ruffino; nar-  ratore, come Eufebio; dettatore, co*  me Eucherio ; declamatore , come  Paolino ; e foavitfimo , come Ambro-  gio .   Quella adunque nuova Filofofia , o  rinnovellata per dir meglio Filofofia  di Renato, è fiata feguitata, e dife-  fa dalle migliori Uniycrfità, e proviti-  eie dell'Europa, ed infegnata pubbli-  camente nelle cattedre più rinomate  del Mondo ; e i cattolici fieffi ne fo-  no difenfori , non che gli autori , e fer-  rar] ancora , così attefiando il dottif-  fimo Sorel ne’ Tuoi libri della Scienza  universale . La dottrina di Momìt Defi  cartes oggigiorno è feguitata in molte  , Accademie , e conferenze . V* ha de*  Prof e (fori di Filofofia , che /* infegnano.  Molti fe ri appagano piu , che del -  la Filofofia antica . La quale vien con-  fermata con pubbliche (lampe da mol-  ti Religiofi , che n’han divifato tanti  e tanti libri che nulla più, approvati  da’ loro Superiori , e fpeciali/fimamen-   te    Digitized by Google    te ne fono Seguaci nelle cofe più prin-  cipali i dottiifimi Padri Merfenni , e  Detei , e Niceron Minimi . IIP. Mai-  gnani, e il P. Barde : T incomparabi-  le P. Nicolle , e il P. Malebranche ,  che nel fuo libro de inquirenda Verità -  te vi pofe tutti i principi , e tutti le  parti della fua Filofofia Opera , che fi  potrebbe appellare ' 1’ ultimo sforzo  dell’ ingegno umano ; ed altri Padri  dell* Oratorio di Parigi , i quali furo-  no ancora amiciffimi di Renato, e fo-  pra ognaltro affezionati (fimo , e mol-  to famigliare di lui , e della fua JFilo-  _ rf * fofa feguace, A ntonio Arnaldo uno de»   maggiori Teologi della Sorbona , e che  M per la fublimità del fuo ingegno , ed  eccellenza della fua dottrina , fi può  - £ /giustamente chiamare l’Aquila degl*  ingegni, lo Splendore dell’età noftra,  e il più gagliardo foftenitore della fe-  ‘uWw^r^de Contro il Calvinifmo ; il quale col  __ . , , ~fuo libro della perpetuità della fede, in   ~ * cui con robufte ragioni , e con eloquen-   za veramente Grifciana ha fondata 1*   eli*     J    Digltized by Google    e fi (lenza reale di Cri (lo nella fantini**  ma Eucaristia , e poi con altri volu-  mi , autorizzando colle fentenze de*  fanti Padri e Greci, e Latini di feco-  lo in fecolo, e della Chiefa Orientale  ancora , che fervirono di ri fpofta al li-  bro di Monsù Claudio , Minirtro di  Charenton , approvati da tutti gli Ar-  ci vefcovi , Vefcovi * e Curati della  Francia > e da altri Teologi , e Dotto-  ri della Sorbona ; ha dato tal confu-  sone a'Calvinirti , colla lezione di quel*  lo , che molti d’elfi illuminati , fi fo-  no uniti alla nortra Chiefa , come il  Vefcovo della Roccella , uno degli ap-  provatoti fuddetti l’attefta: e per tan-  ti altri libri , che quali ogn’ anno di  fua vita ha dato alle (lampe , fe ne  va carco di gloria , e d* anni con  quella folitudine , propria d* un let-  terato in Olanda , dove gran tem-  po menò la fua vita ugualmente  Renato , con rifiuto magnanimo  delle cofe del Mondo . Parimen-  te furono di Renato amorevoli il   Car-    I    «4 ,   Cardinal de Bagne , e il Cardinal di  Ecrè, e il Cardinal Berul , e il Car-  dinal Barberino* quando ei fu Lega»  to alla Francia * il quale tanto fu a-  mantiflìmo delle cofe dell’anima > che  non per altro . pare * eh* egli avelie  trasportato dall’ idioma Greco al no*  Uro Italiano la vita di Marco Aure*  lio Antonino Imperadore , eh* ei def*  crifle di fe fteflb a fa fteffo * fé non  per dedicarlo all’ anima fua , come  Specchio veramente, e dottrina , quel  libro* delle cofe morali * che ponde-  rar fi debbono dall* uomo ; perciocché  tutte le cofe di quaggiù, anche in ai-  tiamo grado confiderate * fvampano  in nulla . Fu protetta » e difefa anco*  ra quefta Filofofia da tutti i Principi*  e potentati ftelfi d* Europa } e partico-  larmente dal Re di Francia* che grati-  ficò di due penfioni Renato* e dalla Re-  gina di Svezia * in cafa di cui egli mo-  ri * ed ella in grembo della Chiefa ;  coftà venuta , e fatta cattolica per o-  pera fola d’un folo Renato * com’ el-  la      65   la fteffa afferma in fua lettera , che fi  legge nella vira del medefimo; l’auto-  re della quale narra ancora , che la  iua maniera di parlare della Religio-  ne fece convertire alla noftra. Chiefa  il Marefciallo di Torrena , un Ateo ,  e due Proiettanti; e dalla Principcfla  Ehfabetta r fu nomato il refugio de’  cattolici di Olanda , ed al medefimo  furono celebrati i funerali con aflìften-  za di molti Prelati, e delì’Ambafcia.  tore di Francia -, e d* altri perfonaggi  illuftri t ed Ecclefiattici , e fu compian-  to con funeftiffime Orazioni, e lugu-  bri apparati dalle migliori Accademie,  a cui ugualmente furono rizzati più e.  pitafj e maufolei, ed impreffe medaglie  in memoria della fua pietà , e dottrina .  - Ed ancorché i Padri Gefuiti , i  quali poffono dar norma, ed efemplo  per la loro dottrina , e - fantità di  coftumi , abbiano, particolare infti-  tuto , e regola di feguitare affolu-  tamente .la . Filofofia d’ Ariftotele ;  il che vien riferito ancora da uno   E fcrit-    66   fcrittore , così dicendo : Apud Jefuitas  ie gibus fauci curii e fi , neminem in Pbilo -  fopbia prater Ariftotehm [equi , qua  caufja e(ì, cur rnjtltt Ortbodoxi non alia  de c auffa Pbilofopbiam rimentur , quam  qmd abfque ea non poffe cum Jefuitis  rette difputari ; nulladimeno vedefi ,  che molti d’ elfi di celebre .fama , e  d’ una vita efemplare , non fedamente  la FUofofia.Ariftotelica hanno trala.  fciata, ma quella novella forma difi-  lofofare hanno abbracciata , come fo-  no il P. Fabbri , • il P. Cafati , ' il P.  Grimaldi, il P Lana, il P. Pardies »  e il P. Bartoli . La qual cofa li olTer-  va per lo modo di filofofare , fpiegan-  do gli effetti della natura per mezzo  delle particelle, eh’ eglino -han tenu-  to ne’ loro libri già pubblicati alle (lam-  pe , le quali non altrimenti permettonli  fe non coll’ approvazioni d’altri Padri, ,  a ciò deflinati dal medefitno lor P.  Generale, o Provinciale . Il P. Char-  let , ugualmente Gefuita , che fu affi-  ttente Francefe del P. Generale della   Com-    Digltized by i    6 >   Compagnia, e milfionario nell’Attjefi*  ca, non fu egli amico , protettoref^é  direttore di Renato? 1} rJ*>j Giacomo*  Dinet ^Provinciale nella Francia,:^*  conf flore di Lodovico XIII. e di Lo-:  dovico XI V. non fu affezionato di Re--  nato raedefimo ? Ilr:P.:Braudin firnil-j  mente Gefuita, benché una volta, gli?  avelie contraddetto » e riprovate lo,  Meditazioni , non fu egli medefimo £>  che ravvedutoli, fi riconciliò con Re»  nato IfelTo per mezzo del medefimo P.;  Dinet ? Il P. Atanafio Kircher preoc-'  cupato una volta dall’odio contro Re-»  nato, non procacciò poi la fua amici»  zia, e corrifpondenza èri! P. Miland  ugualmente Gefuita, non fu feguace  della Filofofia. di Renato, riducendo;  in compendio le di lui Meditazioni , ed  in metodo Scolallico per infegnarle a’  fuoi difcepoli ? Anzi quello medefimo  Padre prima di partire per 1* America,  volle oflequiofamente , e con particó*  lar fentimento dar. 1* ultimo addio: a  Renato fuo amiciflìmc , quali che in   £ 2 tal    68 '   tal dipartenza non fendile altro cor-  doglio, che di lafciar Renato , non  già i Tuoi compagni , i parenti , e la  patria fteffa. Il P. Stefano' Noe! non  fu egli parziali (fimo di Renato, e fat-  to Rettore del Collegio di Chiaramon-'  te a Parigi , non dedicò i due fuoi li-  bri di Filìca a Renato , conformandoli  co’ fentimenti del medefimo ? Pren-  dendo ancor egli la difefa contro Paf-  cale per l’opinione toccante il Vacuo.  IlP.Vatier, parimente Gefuita , non  fu egli fettario di Renato , ed appro-  vante delle maniere di fpiegare il fa-  crofanto mifterio della Santilfima Eu-  cariftia, fecondo i fuoi principi, e ra-  gioni? Il P.Grandamy gli fu finalmen-  te amiciflirao i II P. Francò , il P#  Fournier furono tanto amici di lui ,  che gli dedicarono i loro libri-. Il P.  Fonfeca, benché Portoghefe , e il P.  Ciermans Fiamingo , ma ugualmente  Gefuiti, fecero un elogio alla Metafi-  lica del medefimo . In fomma tutti i '  Padri-Gefuiti de’ Collegi della Fran-  i eia    Digltized by Google    69   eia furonoapprovatori , e fettatori della  filofòfia di Renato, co’ quali egli ebbe  una continua corrifpondenza , e vicen-  devoi commercio di lettere ; e della Tua  vita ne' due libri ultimamente pubbli-  cati. Ed ancorché pochi anni fono ilP.  Rapini , Umilmente Gefuita fi fia al-  quanto allontanato da’fentimenti di Re-  nato , dicendo egli molte cofe contra lui,  ie quali quanto fian meritevoli di rifpo-  ila lo dican gli altri , noi comportando  la prefente Scrittura ; nulladimeno il  xnedefimoP Rapini, parlando egli pri-  3 fiieramente del Cavalier Digby,eflerfi  egli tròppo attratto nel fuo Trattato  dell* immortalità dell'anima , così di  .Renato favella : Le Meditazioni Meta «  .fifiche del Defcartes hanno avuto della re.  f> ut azione j perch'egli s'interna più che al -  .trinci midollo di quefte materie. Soggiun-  gendo a quefte parole l’autor della vita  di Renato . Senza eccettuarne t Gefuiti  Suarez , e Fonfeca , de* quali prima egli  aveva parlato, e che p affano per i migliori,  e più profondi Met affici delle Scuole . •   E 3 Ag-    Aggiungendoli ancora , che-veden*  do le Univerlìtà Protettami di Bafilea  e d* Olanda effer pur troppo pregi udi-  ziale la Filofofia di Renato al Calvi*  nifmo, Il concitarono tanto contro Re*   . nato , che non contenti di fori vere con-  tro la fua dottrinargli ordirono anco-  ra contro la per fona molte calunnie,  in modo che GisbertoVoezio Miniftro  d* Utrecht , per avergli oppofto con  malignità il     Ir   r»       V    ►    *   {   t    >    t   ì   |   *   *    t   .ì   r • —    74   tìamo le vivande fenza penfarci , dice  il dottiffimo Boezio , noi refpiriamo  dormendo fenza ciò considerare, e tan-  to meno faper fi, pofTono 1* altre cofe  naturali , e celefti . Jacent ( ne laSciò  fcritto Cicerone ) ita omnia crajjts oc»  calta , & circumfufa tenebris , ut nul-  la acies bumani ingenti tanta fit , qua  penetrare . in coelum , & terram intrare  pofjit i Corpora noftra non novimus , qui  fit fitus partium , quam vim unaquaque  pars , babeat ignoramus . L’Angelo del-  le Scuole manifestandone la ragione  nella fua Somma, così favella : Quia  ratio bumana in rebus bumani s ejl multum  ■ defciens , cujus fignum ejl , quia Pbilo/o-  pbi de rebus bumanis naturali invejìi-  gatione perfcrutantes in multis errave •  runt , & / ibi ipftt contraria \fenferunt ..  Il che Similmente avea detto Crifo.  Homo ; Hi ipji , qui ad omnem pom-  pam de Pbilofopbia gloriantur, multos ,  & plurimos de eifdem cauffts fcribentes  libros , non modo fimpliciter difcepta-  rmt t fed ttiam ftbi contraria pleraque  ' di »    X    1S   dixerunt . Quindi Sant’ Agoflino fteflb,  delle cole Metafifiche ragionando, con*  figliò : Noli qu^rere quid fit Veritas %  fiatim entra fé' oppone nt calìgine! imagi •  num corporalium , & " nubila ■ pban t af-  ta at a , & pertutbabunt ferenitatem t  qua primo iftu diluxit tìbi , ut dìce-  rem Veritas . • Non perchè quella non vi  lìa ; ma perchè di quella capaci non fu-  mo , dille il medelimo ! Cicerone . Ve-  ri effe al'tquìd non negamut , pertipi pof-  fe negamus : E altrove : Non enim fu-  mar ii , quibus nihil verum effe videtur ;  fed qui omnibus veris fai fa quidam a-  djunSla effe dicamus tanta fimilitudi -  ne y ut nulla inftt certa judicandi , &  difcernendi nota . £ quella è la cagio-  ne , per ria- quale tanto fi lamentava  A gofiinò medelimo dell* ignoranza u-  •mana. QUomodo hoc fcio, quando quid  fit tempus nefcioì-An forte ne feto que-  madmodum- die am quod fcio ? Hei mi-  bi , qui nefcio faltem '-quod nefeiam !  Come Plinio parimente compaifionan*  do tutto l’uomo , ftimollo in ciò piò   mi*      L          9     f    »   ' 1   $   i    an incredibili celeritate vol-  vatur : quanta fit terra crajjitudo , aut  qtitbus fundamentis librata > & ( ufpen -  fit . £' volere ciò difputare, e con-  ghietturare Lattanzio il medefimo di-  ce , non e (Ter altro , che difeorrere , e  giudicare di cofe fatte in remotifiime  parti non mai da noi vedute , o fapu-  te . Quindi il medefimo Lattanzio- ,  così ragionando , il fuo difcorfo con-  chiude : Si nobis in ea re feientiam  vendicemus , qua non potejl feirì , non-  ne infanire videamur , qui id affirmare  audeamus , *» quo revinci po/Jimus ?  Quanto, magis , qui natura Ha , qua jet*  ri ab bomine non poQunt , /city />«-  , furìofi , dementefque funt ju di-  cati di ? £ A rnobio così ; X?*»*/  incerta r fuf-  penfa ; magìfque omnia verifimilia , quam  vera , Minuzio Felice dille , Indi il  Poeta .j   In-    8 $   Incerta bac ft tu poflules '   Battone certa facere nihilo plus  ■ 1 agas >   Quam ft des operata , ut cum ra-  • tione infantai .   £d in confermamento di ciò , fs noi  riguardar vogliamo a quel, che n’han  giudicato i medelimi , e i primi fetta-  tori delle Filofofie, ritroveremo , eh’  eglino fteffi han detto > aver fondato  il filofofare fu i principi dell’ ignoran-  za medefima, comen’avvifà Arnobio  fteflo . Ipft denique principe t & feti a-  rum patres , nonne ipfa e a , qua dicunt ,  fuit eredita fufpicionibus dicunt* Zeno-  ne, e tutti gli Stoici negarono 1’ opi-  nazioni ftefle .• Opinar i entra , te feire ,  quod nefeias , non ejl fapientis , fed te-  mer a rii potius , ac fluiti . Socrate ,  Quod neque feiri quicquam poteft, nec  opinati oportet . Adunque Tota Pbilo-  fophia fublata efl , difle Lattanzio.  Ariftotele fteffo ne’ libri della Metafi-  sica così ; De bis- enìm omnibus non mo-  ** ’ Fi do    \    84   do invenire veritatem difficile ejl , verune  ncque bene ratione dubitare facile ejl .  Gli Accademici contro a’ Filici, Nul-  la m effe fcientiam , ed ogni cola proba-  bile . Democrito , che la verità delle  fcienze ftia nell’- abiflò nafcolta . Arce-  fila ( narra Epifanio ) nomato il mae-  ftro dell’ignoranza da Lattanzio ftef-  fo , niente doverli affermare di certo ,  negando all’ uomo la fcienza , riponen-  dola lolo in Dio , e Dio ftelfo Non nifi  ignorando fcire pojftmus Là onde Cice-  rone così tutto il fuo detto fiabililce :  Arcefilas ftbì otnne certamen inftituit ,  non pertinacia , aut fludìo vincendi , ut  mihì quidem videtur , fed earum tettine  ohfcuritate , qtu ad confejjionem ignora-  tionif adduxerant Socra tem , & velutì a-  mantes Socratem, Democrìtum , Anaxa-  goram , Empedoclem , orane s pane vele-  rei ; qui nìbil cognofci , nihil per dpi , ni-  hil fciri pofje dixerunt : angttjlos fenfus ,  imbecillos animoiy brevia curricula vita t  & y ut Democritus , in profundo verita-  tem effe demerfam; opinicnibus , & injìi -   tu-    S J    Digitized by Google    8 5   tutìs ornata teneri : . nìhil ■ ventati reità*  qui : deinceps omnia tenebri! circttmf ti-  fa effe dixerunt . £ della varietà di tan-  te opinioni , dell* incertezza delle fa-  enze y e della moltitudine di tanti Fi-  losofi giudiciofiffi ma  pirico così ne ragiona : Ita etiam in'  hunc mundum , velati in quamdamma -  i gnam domum , accefjìt multitudo Pbi -  lofophorum t ad quarendam veritatem ,  quam qui acceperit e fi veriftmile e am  non credere , quod reEìe conjecerit . li  quidem certe non dicit ejse \aliquid ,  quod judicetur verità! , propterea quod 4  in eorum ,r qua funt natura , nìhil pef-  ftt comprebendi . Il che vien confermato  ancora da Galeno, così dicendo: Scien-  tiam neque apud Pbilofophoi , prafertim  dum rerum naturam perfcrutantur , in-  ventai . Ammonio tanto fettario d’ A-  riftotele fteffo n’allega la ragione: Quia  diverfitate opinionum, diverfo modo rei ef-  fe verni velf alfa! : quoniam autem opinio-  ne ihominum varine funt ,& incerta , ideo  fcientiat quoque e] se variai , & incerta!, ac   F l prò -    86   proinde nuìlam effe rerum eertam f, eie ».  tiam , & veritatem. Avendo ciafcuno  il fuo fenfo , e la fua fantafia a parte,  perchè , come fi dice , quanti uomini,  tanti pareri:   m   Mille homìnum fpecies , & rerum  difcolor ufus .   Per la qual cofa è egli moltd virifimi-  le, che ognuno dipenda dalle fue fan-  tafìe, ed opinioni , Cum fit ftngulis o-  pinio affluxus diffe Empirico fletto; di  qui viene , che Eraclito nominava O-  pìnìonem facrum morbum . Quella è  quella , dalla quale fìam tocchi , e  non dalle co fe medefìme, la quale di. -  pende dalle prevenzioni , ed anticipa-  zioni della mente , Sua cuique cum (tt  animi cogitatio , colorque prior . Come  ancora per la flima fuperiore al meri-  to , eh’ ognuno fa di fe flefTo * cagio-  natagli dall’ amor proprio, eh’ è il più  cieco, ed il più violento d’ognalero,,  a niuno ceder volendo : Pbilautia enim  ejl omnium amorum violentiffìmus , cete-   .. * ToJ-    i    Digitized by Google    *7   rofque fuperat ; vien fempremai a darli  cieco , ed imperfetto il giudicio . A -  mor , ftcut odium , ventati! judicium  nefcit , ditte Bernardo il Santo. E 1*  uomo non ha altro di proprio, che il  mentire, e *1 peccare . Nemo enìmba v  het de fuo y nifi mendacium , & pecca -  tum . Per la qual cola , torno a dire  con Lattanzio fteffo: dov’eglièla Fi-  lofofia? O coll'autore de’ cinque Dia-  loghi , della Filofofia fletta parlando :  Non e fi enìm de terminisi fed de tota  profefftone coment io . Cioè, che non vi  fia affatto certa , e determinata Filo-  fotta, anche Propter natuv alerti borni -  num ad difjentiendum facilitatem . Re-  nato medefimo per primo principio  nelle fue Meditazioni non pone egli  1’ averli Tempre a dubitare nelle co-  fe filofofiche? In modo eh’ e’ con mo*  deftiflima protefiazione la Tua Filo-  fotta dirtele , confettando egli . dì fe  fletto nella IV. Meditazione così . Cum  enìm jam feiam naturam me am effe vai -  di tnfirmam , & limitatam . Ed etten*   F 4 do-    88   dogli (lato una volta afpra, ed acerba-  mente jfcritto contro da un Padre Ge-  fuita , di cui virtuofameate non volle  palefare il nome alle (lampe , fé ne la-  mentò benignamente in una lettera ,  che fcriffe al P. Dinet Tuo amico , ri-  chiedendogli , ch’ei tro valle il modo,  acciò gli fi notificaflero gli errori , per  emendargli , così dicendo-; Nibil enim  inibì cptatius efl , cjuam vel opinionum  mearum certitudinem experiri , fi forte  a magni! viris ex aminata nulla ex parte  falfa rsperiantur , vel faltem errorum  admoneri , ut ìpfos emendem . Come di  (e (teffo Agoftioo il Santo : Si ahquid  vel incautius , vel tndoSìius a me pofitum ,  ab aliis merito reprebenderetur , necm't-  randum e fi , nec dolendum ; fed pottus ì-  gnofcendum , atque gratulandum , non  quia errai um eft ; fed quia improbatum.  E pure quello Padre non aveva lette,  nè vedute l’opere di Renato ; così egli  fcrivendo nella medefi ma lettera: Etfi  enim mibi valde indignum videretur ,  hominem Rtligìofum , cum quo nulla    n    *9   mibt unquam inìmìcitia , nee quidem  notitia intercejjerat , tam . publice t  tam aperte , tam infolenter de me ma •  le dixìfje , nibilque aìiud balere excu «  f atlanti , . quota quod diceret , fe Dif*  fertationem meam de Metbodo non le*   gip-- \ •   £ tutto quello perchè ben Sapeva  non eflervi certo filtema di Filofofia,  che l’uomo Scuramente Seguitar do*  vede ; elfendo ella in tante fette di-  vifa j che Varrone fin da* Suoi tem-  pi ducento ottantotto ne conta , e  Temiftio trecento: onde Sant’Ambro-  gio gridò: lnter bas diffenfiones , qu&  veri potejl effe affina t io ? £ Lattanzio  ugualmente così : In qua ponimus ve*  ritatem ? In omnibus certe non potejl  Or che direbbero Ambrogio, e Lat-  tanzio Hello fe foffero a* tempi no-  ftri , ; vedendoli in maggior numero  Sopraggiunte , ecrelciute ? E quella fra  Religiofi (ledi , dalla Chiefa non con-  traddetta , quella io dico sì fiera , e da  non mai rappattumarli , e quietarli tra   Tom-    9  . „ . .   Tommifti» e Scotifti , Nominali , Re-  alifti, ed altri, e tutti Ariftotelici , a  fembianza degli Arabi , de* Greci , e  Latini , i quali eran difcordi in fegui-  re , ed interpetrare 1’ opinioni del me>  delimo Arinotele, come rapporta Pi-  to della Mirandola . Per la qual .cola  Teodoreto fin da* Tuoi tempi fciamò :  In litibus omne fiuditim , ornai s   nibiì denique de quo univerfi una men-  te , ac voce confentiant . £ San Bafilio  di quei , che furon tenuti i primi Savj  della Grecia, dice non efiervi nè an-  che una fola ragione ferma, e collan-  te . Nee fola quidem ratio , apud Gr ita ut eos refel-  lere nibil fit negotii , cum illi propria  dogmatibus evertendo fujficiant. E Teo-  > doreto (ledo in quella maniera favel»  la : Et Ht fiorici, & Pbilofopbi , & Po~  età tum de anima , tum de corpore ,  tum de bominis genitura , & confiit ut io-  ne inter fe litem exercent , dum olii  qttidem bac » alti vero illa pr a ferunt ,  alti rurfus & bis & - illis contrariam o-  pinionem adducunt , neque enim verità-  tìs dicentes fiudio , & defiderio teneban-  tur ; fed inani gloriola » & ambitioni  fervientes, ex quo fané faBum efi, ut  in errores multo: inciderint . Per la qual  cofa in quella maniera n’avvisò Minu-  zzo Felice : Itaque indignandum omni-  bus y indolofcendumque efi , audere quof-  dam certum aliquid de fumma rerum ,  ac majeftate decernere » de qua ab o-  mnibus faculis feftarum plurimarum uf-  que adbuc ipfa Pbilofopbia deliberat *   Ed    i t    Ed allora » che le Filofofie de’Greci in*  cominciarono a comparire al cielo Ro-  mano, i Romani ftelfi non s’appiglia*  rono a veruna d’cfle, foggi ungendo Ci-  cerone , perchè non eran sì balli gl’ in-  gegni Romani , che avelfero a foggia*  cere alle altrui difcipline ; perocché Ro-  ma t che aveva trionfato nell* armi ,  non comportava farli fervile alle lette*  re : anzi i Romani ftelfi non fi manife*  fìarono giammai fettatori d* alcuna Fi-  losofia, ed i Nobili li guardavano, co*  me da una pelle , di non efl'er tenuti  tali ; perchè certi , che avevano prò*  felfato la fetta Stoica , come Bruto ,  e Caffio ; Aruleno , e Sorano ; Sene*  ca, e Trafea , ed altri erano tutti mal  capitati , come macchinatori di congiu-  re > quantunque Seneca flelTo avelie  altrimente prote flato in una delle fue  .Epi Itole , dicendo : Non me cu'tquam  mancipavi , nttllius nomen fero , multum  magnorum ingenio virorum tribuo , ali -  quid et fi meo vindico . Onde lubito che  alcuno attendeva alla Filofofia, ca-    , 93   deva nell* ifteflo fofpetto , come di (Te   Tacito di Agricola fuo focero . E a 'tem-  pi notòri dal Re di Francia con un fuo  arrefio delli d’Ottobre 1668. fu  proibito a tutti i fuoi fudditi di chia-  marli l’un l’ altro fettario > e fpecial*  mente Gianfenitòa. I fanti Padri me-  defimi avvertirono non dover elfere  fettario 1 * uomo , e fra gli altri Cle-  mente 1’ Aleffandrino > così dicendo :  Praterea non particularìs fefia efi eli-  genda , [ed quidquìd omnes reile dixe -  runt Stoici , Platonici , Epicurei > Ariflo-  telici . Hoc totum [eie Slum dico Pbilofo-  pbiam. E Sant’Agoftino nel libro deh  le Confezioni, diffe, Non iftam , a ut  illam feti am , [ed ipfam , quacumque ef-  jet , fapientiam diligebam > q vare barn ,  & ampie Sì ebar , Quindi San Tommalo  ne’ fuoi Opufcoli infegnò con Agotòino  medefimo , Non effe adfentiendum alieni  Pbilofopbo in fcbola Cbriftiana , [ed ex  omnibus decerpendum^quodreiìe dixerint.  E fra moderni filofofanti Pietro Petito  afferma nelle Differtazioni , che fece   in-    Digitized by Google    f    »♦   incorno alla Filofofia ftelfa di Cartellò ,  doverli notare d’arroganza colui, che*  preflumcr voglia d’ alfentire più ad u-  na fetta, che ad un’altra , la ragione  egli rendendo : Ne uni precipue inba-  rentes , in alias fotte me Hot e s , iniqui,  & contumeliofi viderentur . Ed ancora  quell’ altra» perchè non puote perfo-  na veruna, benché a tutt’ uomo vi s*  applicale , apparare , e farli capace  di tutte; conciolfiecofachè non potreb-  be darne retto giudicio , lodando più  una , che un’ altra Filofofia . Omnium  ( die’ egli ) fetta rum fieri perfette pe-  ritum , humanum piane captum exce-  dit . E a fen lenza d’ Euripide .* Unus  non omnia vìdet . E Galeno così : Dif-  ficile effe , ut qui homo fit , non in  multis peccet , quadam videlìcet peni-  tus ignorando , quadam vero male in-  dicando , & quadam tandem negligen-  tius fcriptis tradendo . E quando vo-  glia alcuno vantarli di fapere , appet-  to di quel , che non fa , egli è nul-  la , dille Temiltio . Ea , qua novimuty   por-    I    i    Digitized by Google    9 $   por t ione minima contìnentur , fi .colla*  ta, & comparata bis fuerint , qua igne*  ramus. E Paganino Gaudenzio Teolo-  go , e Protonotario A poftolico nel Li-  bro degli errori delle Sette , parlando  egli delle Scuole di Zenone) di Plato-  ne , di Democrito , e d’ Arinotele ,  così n* avvisò : Illusi quoque colligendum,  in iis , in quibus nobis Cbnfiianis diffi-  derà licet > non effe exploratam verità *  tem. Magna nobis fas e fi uti liberiate  extra illa , qua arcem Re ligio ni s non  refpidunt , ut defendamus , quod nobis  probabilius videretur.   , Ora egli è vero , com’ è verini-  mo, che quei medefimi tanto fegua-  ci d’ Arinotele fono gli autori , oppu-  re gli approvatoti neflì dell* opinione  probabile nelle cofe Morali , ammet-  tendola per lo parere di due , ed an-  che alle volte d’un folo Teologo, dot-  to , e dabbene ; perchè nella Èilofofia  non ammettono ugualmente la proba-  bilità per tanti, e tanti gravifiimi au- -  tori, e Teologi , e fanti Padri medeli-   mi.      9 t   mi , dove ancora vi è la libertà di file*  fofare , fecondo Ariftotele fteffo ? Per-  chè concedere la probabilità nelle co-  fe Morali, e poi nelle Fifiche negarla?  Perchè amettere la probabilità in quel-  le co fe, che riguardano i precetti del  Decalogo, e di Cri Ilo, e poi contrad-  dirla nelle Filofofie , così incerte , e  dubbiofe? Perchè approvar , per co-  sì dire, la libertà di teologare, e poi  oppugnare la libertà nel filofofare ? In-  trodurre il probabile nelle cofe fpiri-  tuali, l’improbabile nelle feienze uma-  ne : magnifiche opinioni nel mefiiere  dell’ anima, Gretti cancelli nell* ope-  razioni dell’intelletto, argomenti nel-  la Morale, freno agl’ingegni : fetenza  nelle confcienze, confidenza nelle fet-  enze : ed in un motto , Accademici  nella ^Teologia, Dogmatici nelle Filo-  fofie : Filofofi nella Teologia , e nella  Filosofia Teologi?   Di qui neceffariamente nefegueper  forza de’ loro argomenti medefimi , o  che neghino affatto la probabilità nel-  le    97 '   le co fé Morali , o feguitandola , la con-  fe(fino .lunga certamente s’ in-  gannerebbe , perocché eflendo.fi dopo  tante fette fcòvérro, -nuove' delle, nuo-  vi pianeti , ed altri fenomeni,: e tane*  altre cofe, e quali :un nuovo Mondo *  par eh’ egli era d’uopo di nuova Filo-  fofia per inveli igarle , non badando 1*  antiche, per le quali torno 3 dire con  Seneca dedo , Multum adhuc re fìat 0-   - pe-    /    Digltized by Google    IOf   perii, multumque refìabit ; nec ulti noi  to pofl mille facula pracludetur oc c a fio  aliquid adbuc adjiciendi . E altrove c  Veniet tempus i quo po/leri nojìri tam a+  perta noi nefcìffe mirentur . Plotino  predo Teodoreto così : Multa , qua  nobis 'ohm latebant , ipfa die i invenie tJ   Ed il Poeta:   • v . * •   Multa dies 9   tabilii avi   f 4 k • • t *   Rettulit in melius   • 4 * # « * • 0 t • •   » • * ' ,» * » t   E noi fopravanzando in due mila anni  d’ efperienza , fiam piuttofto fuperio-  ri . . Indi Cicerone tteflò fin da* Tuoi  tempi vantava d* efferfi la fua etàl.u-  gualmente fatta fuperiore nell’ arti, e  nelle» feienze , perchè più finamente  refe migliori , e perfette , come ugual-  mente de’fuoi tempi affermò Tacito .•  Nec omnia apud priores meliora , fed  nojira quoque atas multa laudit > . &  art tu m imìtanda pofleris . £ che i Mo-  derni abbiano trapaflato , e fopraftat-  to gli Antichi > egli è chiaro per tanti   G 3 fpe-    variufque lai or ma-    I    102 .   fperimenti , e. nuovi inftrumenti per  elfi fatti nelle celebri Accademie di  Firenze, della Fraocia , della Germa-  nia, dell’Inghilterra , di Lipfia , ed al-  trove ; come ancora per molti libri  ciò fi comprova ,• e particolarmente per  quelli delPerhault nel paragone tragli  Antichi, e i Moderni; e del.P. Rapi-  ni nella comparazione de’ medefimi %   , * * i « V * * ' * . | * *   dottilfimi in vero , ed eloquenti Ili mi  fcrittori . Quelle fono le parole del me*  defimo P’ Malebranche : Si quis Ari-  jìoteiem , & Platonem taf allibite s fui ([e  crederet , tum ih folis dumtaxat intei «  ligendis merito • forte incumberet , [ed  quii id credat , cui faltem mens jana  fuerit ? quin ratio noe monet ìpfos no-  vi s Pbilofopbis inferiore s effe , quippe  bis mille annorum , quo tempori s fpatio  silos Pbilofophos fuperamus , experien-  ti a nos efficere debuit pe/tticres . E  più nobilmente da Renato {ledo in  quella maniera : Non eft quod anti-  quis multum. tribuamus propter antiqui-  tatem , (ed nos ■ potius jis antìquiores  .... di-    Digitized by Google    10 $    dìcendi ; jam en'rn fenior e fi mundus t  quatti tutte » major emque babemus rerum  experientiam . Il che fu detto fi foll-  mente prima dal P. Antonio Pofle-  vini dottillimo , ed eruditismo Ge«  fuita - \Quamobrem fi diutius vtxijjet  Anftotekt , vel fi jam revwifceret pofl  tot fxcttla » quibtts ali £ res innumera t  ac propemodum alter orbis emerfit , mul-  ta effet correSìurus , quia contraria not  experimur . Ed anche fulle feene dal  latiniStno Comico . • r-   I   Res y tetas , ufus » aliqtiid adpor-    ' ; tet novi y   Aliquid admoneat , ut qu quos varia de parte  Ventai éff anditi- non cernant , propte>ea  quod uni fefe Arinoteli non dediderunt  fnodo y fed adeo devoverunt , ut fi fue -  rit opus , prò dogmatibus ejus tuendit  in fierrum , fiammamque ruaUt;' in cu -  jus Pbilofopbia fi quafdam opinione s pra-  va! conce perù ut $ ut iffum , fi furgeret  e a defiomacbaturum putem &c. -E vicn  confermato ancora dal medesimo So-  rel , così dicendo .* Noi ci' prete jìia-  mo di voler men male ad Arinote-  le , che agli 'Arifiot elici . ; JZjfi fono  guelfi , che ofiinatamente #* oppongono a  cofe > ch’egli , fe vive (fé riceverebbe   con piacere , per far profitto de' nuovi  lumi , che ai .Mondo comparir vedreb-  be. Lamentandoli ancora il medefimo  P. Malebranche , che li ut piar imam,  qui adverfus quafdam Pbilofopbia veri -  ’tates : ree e ns ‘ compertas pertinacia s ob-  firepunt , quibufdam innovatìonibus in  Tbeologia detefiandis, pertinacia! a db at-  tere 1 & indulgere videntur-. Quando   i fe-    Digltized by Google    iò 5   i feguaci fteflì d” Ariftotel® , Ammo-  nio dico» e Simplicio» : antichilfimi au-  tori, avvertirono non dover effere gl»  Interpetri ^cogì attaccati a’fentimenti  delmedefimò» cornei ex tripode pro-  nunziati, e tanto meno , come fetta-  rj fcguirgti . Ammonio così: Horum  . vero explanatcr debet ; neque per bene -  volentiam afiruere conari ea , qua per -  per am funt ditta , ac velati a tripode  ea recipere t fed fuum ìpftus adferre  dicium . Simplicio in quell’ altra ma-  niera : Dignum autem Ariftotelicorum  fcriptorum expofetorem oportet , non ef-  fe vacuum undequaque magnitudine il-  lius mentis . Oportet quoque judicium  babere fwcerum^ jut neque ea , que re-  tte ditta funt , malo more fufcipiendo ,  invalida ofiendat , neque ft quid ani-  madverftone indigeat , omni contentane  inculpabilia moneret , velati in Pbilofo-  pbi fettam fe fe infcripfe/tt •   Anzi infra i Giureconfulti ancora ,  i quali a guifa di Filofofanti fi divife-  ro ugualmente in fette , chiamandole   Tul-    v    ioS   Tullio Famtlias diffentìentet ; legge fi,  ch’eglino non erano cosi pertinaci in  feguire le loro fette , che liberamen-  te non dicefiero i loro proprj lenti-  menti , ed alle volte a quei della con-  traria fcuola non aderifiero , come fi  vede praticato tra Capitone , e La-  beone > i quali furono i primi fetta-  tori affatto contrari fotto Auguflo ,*  e fotto Vefpafiano , ancorché vi folle  quella de' Proculejani , e Pegafiani ,  e l’altra de’Sabiniani, e Caffiani, af-  fai più contrarie fra efiò loro , perchè  quei 1’ Aritmetica proporzione, e quc-  fti la Geometrica feguitavano, gli uni  Stoici , e gli altri Accademici elfendo;  nulladimeno fu riguardevole la loro  modeflia in non aderire tanto fervil-  jnente alle loro famiglie , che volle  la loro modejflia avellerò apportato  freno alla libertà delle loro opinioni.  Matiifejia futi , & confpicua vtterum  Jurifconfultorum mode fi a y quod non  ita nec certa alicujus feSìa opinionibus,  nec futi quoque peculiaribus fententiis   inh il quale ragionando  di Cello; contrario alla fetta di Jabo*  leno , fotto Adriano > e Antonino Pio f  così loggiunge : Et fané videtur bh  Celfus non adeo partium fiudiis addiSlut  fuiffe ; • quintino Uberrima voluntate in  utraque verfatut barefi , & qua ( ibi ad  palatum fuere , nullo babito feSìa fua  refpetlu [elegiffe . E in ritornando al  medefimo Arinotele , leggeli nell’ O-  pere di effo lui, ch’egli non prelume-  va tanto di fe , che altri onninamen-  tefeguitar lo doveffe. Nec alìud ( dif-  fe un autore ) noi docet Arìftoteles *  quam quod etiam docuerat Plato : ni»  mirum fe ipfum refutare. Dicendo dife  quello medelimo autore. Omne equidem  genus Pbilofopbia peragravi , nulli acqui e f-  co, & quamvis ex pr : mis fludkrum rudimen-  ti! , Peripatetici , Stoici , aut Ac aderitici  audivimus, pofiremotamen fapientijjimum   quem-    IO?   f uemque Scepticam faSlum , tanquam  ffanum aliquem in fetenti* campii in -  gredientem video . E chi fece la nota  al libro del fuddetto autore, foggiun-  fe : Plato docuit Veritatem omnibus re*  bus effe anteponendam . Male ergo fibi  confulunt , qui veterum , a ut Arijlote -  ìis placitis ita ob finate inbarent , ut  tnalint cum illis .  Uro Lionardo da Capua ne’ Tuoi Pare * '■  r», e nelle Mofetc , e di Francesco Re-  di . Il nobilissimo ritrovamento dell*  argento vivo ne* cannelli per la prova  del vuoto del Torricelli , efaminata  alla lunga dal P. Bartoli Gefuita : de*  Vortici del gran Renato ; e di tanti ,  e tant* altri ritrovati del Verulamio ,  del Sorelli , del Keplero , del Gil-  berto, dello Steiliola, del Campanel-  la , del Digby , del GaSTendi , del Boy-  le , ed’ altri. Neil’ Algebra il Cardi-  nal Slulio , che non ha rinvenuto col  fuo libro Mefolabium , e il Cardinal  Ricci in quello De maximis , & mini-  mii ? Nell’ Agronomia che non hanno  fcoverto i moderni ? dimostrando i  Cieli edere fluidi, e non più orbi So-  lidi, come vollero gli antichi : i pia-  neti Stimati prima fare i loro giri in-    ili   >»   torno alla terra , muoverli intorno al  Sole; Venere mutar le lue fall , o  figure a gutfa di Luna : Mercurio ,  e Marte ancora far lo' Hello : Giove   • « t   edere circondato da quattro delle ,  chiamate Medicee, e Saturno da cin-  que altre , come ditte il Cattini .* ef-  fer la Lunà un corpo di fùperficie di-  fuguale , e montuofa : ritrovarli nel--  la faccia del Sole molte macchie di'  difuguale grandezza , e di varia dura*  zione, agli antichi affatto ignote; eia  qualità, e difpolizione delle Comete»  e d’altri corpi celelti non intefe da A-  riftotele , ed ; inveftigàte da Ticone ;  e dal" Galilei : la Zòna torrida ere-  duta inabitabile, etter abitabile, Antì-  pode! , qui imaginarìì dicelantur , nunc rt-  vera effe t & alia f excent a , ditte il noftro  Luca Tozzi nella fua Lezione: e final-  mente l’agghiacciamento de* liquori non  etter condenfazione.ma rarefazione con-  tra Ariftotele:ne’gravi cadenti accelerar-  fi il moto fecondo i numeri fpari , ed ef-  fer il tempo radice quadrata dello fpazio   de-    Digitized by Google    r    I    «   ì *   Jt   # Ir     I     t    IM '  '#1    « J    ij    V   I   1:i   r    11.    ' avverandófi  quello, che dagli antichi (ledi fu pre-  detto , e fi confeda da Cicerone anc'o^  ra : O pintori um commenta delet dies 't  natura judicia confrmat . E però egli  è vero , che quella Filofofia d’ Ari-  notele dagli Àriftotelici (ledi non è  altrimenti commendata , così dicendo 1  il ; medefimo P. • Podevini i' Deiride  monjìrandum ( id quod etiam tritura  ejì apud omnet Ariflotelicos ) nidiata-  e!}e in Arifìotelis libris fcientificam de-  fnonftrationem qua ' perfedìiffma fit y &  omnibus numeris abfoluta' it agite nàti  effe ipfius doSlrinam inconcuffam . La  quale ha avuto- tanta varietà , ed  incodanza di fortuna , óra 5 abbrac-  ciandofi , ora rifiutandoli > che nul-  la più , dome fi può- leggere Irt  quel libro di Giovanni Launoi ^ quin-  di in fimil calo ebbe a dire un au-  tore Francefe : In effetto fi vede 1 ';   che la fortuna ugualmente efercita il  fuo capricciofo impero . fopra 1‘ opinio-  ni , che jopr a /’ altre coje umane ;   . H ma    ma. non già fopra ìe mentì purìffime ,  e tétte de’ Tanti Padri, da* quali lem*  pre è (lata bìafi mata, come nociva al*  la noftra religione , e proibita da’  Sommi Pontefici , e da* Concili ltefli,  com* è detto, e da quello Lateran eTe  nella Seflìone ottava affatto vietato da  infegnarfi piu nelle Scuole, come rap-  porta il Campanella , e Giovambati-  ila Neri nel libro, detto Setta Pbilo -  fopbica , dicendo quefti ; Pracepit Con-  ciliarti Scbolajiìcìs in Pbilojopbia drijlo-  telila non immorari , quoniam babet ra-  dica infetta!.   ' J ' ' * ■ * i ■ ■ . ,   Ma Te, come poco dianzi io dilli ,  fra tanti Filofofì , i prìncipi di Rena*  to fono piìi conformi alla nollra reli-  gione, chi non dirà, che colf ui, più che  Ariftoteie .feguìr li debba ? Perocché  chiunque hlofofar voleffe fra noi Cri-  lliani co* medelimi principi di Renato,  li uniformerebbe Co’ fentimenti d’A-  goftino il. Santo , da cui o avvertito  Renato , o Renato col proprio fpirito  Criftiano, e filofofico meditandogli ,    Digltized    US   gli ha pubblicati , e dirteli. Parole del  Santo , nella Città di Dio , fecondo i  documenti -del quale compofe il fuo  Cftema Renato : Quìcumque igitur Pbi-  lofophi de -Dea fummo > & vero ifìa jen-  jerunt y quod & rerum creatarum fit  ejfefior y & lumen cognofcendarum , &  borni m agendarum » quod ab ilio nobis  ftt & princtpium'- natura meritar   doZìrin# * & felicita s vitee , five Pla-  tonici accomoda tius numupentur ? fi ve  quodlibet aliud fu a feti a. nomea impo *  nani ; five itant ammodo J onici generiti-  qui in eit precipui -fuerunt , ifìa jenfe -  rinty ficut idem Plato , & qui eum be-  ne intellexerunt : five etiam Italici prò-  pter Pytbagoram , &• Pytbagoreos , & fi  qui -forte alii: ejufdem Pententi# in ìd  idem fuerunt : -.five -. aliar um quoque gen-  tium , qui f apiente t y vel Pbilojopbi ba  li , Hi f pani. , alìique reperiuntur , qui  boQ viderint. , ac docuerint ; eos amnes.  ceterii' anteponimi •;» eofque nobis . prò  -tV* H 2 fin -    x 1 6   pìnquiores fatemsir . Chi filofofa f vo-  lt fle co’principj diRenatofi unifor-  merebbe con S. Gregorio Nifleno, di-  cendo egli nella narrazione della vira  di Moisè : Si immortalerà effe animarti  Pbilofopbus perbibet tic, & Deum effe  non negat , - creatoremque omnium , d  quo curiti a depende nt , & vere adfeve -  rat , ac rationibus quantum fieri potè fi ,  demonftrat ; propìtius nobis Dei angelus  fiet. Quella adunque è la Filofofia ve-  ramente Criftiana , e non altrimente  Pagana , come quella d’ .Arinotele  Quella è la '. Filofofia veramente cat-  ' tolica , fecondo gli avvertimenti de’  fanti Padri-.»..... .   Quella è quella Filofofia di Rena-  to, il quale fdegnando di vedere piò-  involte , e deturpate le fcuole Criftia-  ne nelle Filofofiede’ gentili, meditò,  e diltefe una Filofofia affatto lontana  dal Paganefimo , conformandola, alla,  noffra fanta religione, alla quale pa-  reagli , che folo mancafle ,* per laper •  egli molto bene , che Definitisi! erat -   - i Pia -   »    r    «7   Plato J & Arinotele } , po/l mortem Cbri - ■  fii , & eo rum I afte atta in Ecclefta pro>  nibilo' babetur , come il dottiflìmo Re-  my l’Arcirefcovo di Lione , re l’ avea  infegnato colla fentenza fuddetta; de-  liri dimando le Filosofie d’ ambedue  il piiflimo. Prudenzio , in quella ma-:  niera dicendo . ,t   ■ ■ ■ Confale barbati delir amenta Pia -  >tonis .«   Confale » & birce fot Cynicos > quos  • fomniat , Ó* quos   ■ Texit Arijloteles torta vertigine  , -nv- nervotv   • Quella .è quella Filofofìa di Re-  nato il quale confederando , che   tutta la Filofofìa Agoflino il Santo   diftinfe in due foli principi , che fo-  no 1* immortalità dell’anima , accioc-  ché noi ftelfi riconofciamo ; e 1’ efi-  lienza diDio» acciocché riconofciamo  la noftra origine . Pbilojopbi# duplex   guaflio e fi , una de Anima > altera de  Deo . Prima ejficit y ut'nofmet ipfot  nove rimas : altera originerà noflram ;   H 3 fon-    ri8   fondò i principi dei fuo fi'lofo/are fu  quefte eterne,. ed infallibili verità., v ;   .Quella è; quella Filofofia di Rena*,  to, la quale non folo , come didi, fu  > lodata da tanti e tanti Relig'tofi , ed  uomini di fantiffima vira,. -ma fpecial-  mente dal P. Merfcnni , intendentifli-  xno delle Matematiche, e 'Teologiche  fcienze , così dicendo in un' Epiflola :  Son refiato forprefo , che .un -uomo , il  quale non ha fluitato in Teologia , ab -  ha rifpofio sì fondatamente / opra punti  import antijfimi della noftra religione . lo  l'ho trovato così uniforme- collo, fpirito ,  e dottrina dì Sant' Ago fino., che. offerì  vo quaft le cofe.. medeftme negli .ferii ti  dell'uno , e dell altro . E più oltre  così : Lo . fpirito di Monsu Defcartes  infptra Soavemente l' amor di Dio , di  modo che non pojfo perfuadermi , che  la Filofofia di lui non fta , per Aornare  in bene , e in ornamento dell a.. ver a re -  ligione . Ed in un’ altra Lettera. , che  fi legge registrata nel primo Tomo  della Geometria . del medefimo P.   Mer-    Merferini, cosi feri ve à Retiatd fteffiò:'  Quibus omnibus , cum a udì am Pbyfii  cam illam 'ab eruditi: viri: adeo exo-  ptatam , prope dieta edìturum , qud  longe perfeSfius cum dofir# fdei myftfr  riis conveniat > omnium catbolicoriim  nomine iibì maxima: ,qua: poffum ,  gratids b’abtó > qui non folum Pbilofp-  pbicis » fed' edam Tbeologicìf verltatV  bus tam feliciter patrocinarli V ’ ' , .   Quella è quella Fflofófia di Ruba-  to , alla quale diedeiJtìtolo Moiìsù  Parlier Antiqua' fide:, Tbeologia no?  va perchè Vincenzo Lirinefe dicea,  Ecclefiam non dovere nova , fed nove \  Sòltenendó egli , che i principi di Re-  nato fono più acconci > ed oppdrtuni  di quelli , onde fi fervono' volgarmén-  te gli altri , in ifpiegando ì mifteij  della nolfra religióne - , ‘ e :che non "vi   fia cofa nella fua Filófofià > che non  s’accord» co* principi della hofira Chie-  fa cattolica , così il detto Parlier at-  teftando ; Ma egli ba fatto altresì ve-  dere t non avervi altra Filo fifa ,~che  d H 4 me-    1    t V !    , .1   b*      ‘H*’    •h    »•   .t    no   meglio della fu a j* accordi co’.prinìcpj  della fede della Cbiefa . : .. ...   Quella è quella Filofofia di Rena*  to , della quale il profondo , ed acu-  tilfimo ingegno 4* Monfignor Caramu*  .cle ne diede il giudizio . , e prefagio  infieme , dicendo., che 1' opinioni di  Renato faranno un giorno comuni .  ed univerfalmente ricevuta , toltene  però alcune pochiflìme cofe, copie ri*  ferifle llaut I pj;e G della vita del medefi-  mo . • Monfignor \ Caramuele ba predetto ,  che l opinioni del • DejcarW,. diverrei   * ** » « Li V. • • » »* A'i . * *   botto un.', giorno affatto comuni t e fareb»  fono univer/aìmente ricevute . ,  rr»r alcune poche . E con ciò verifican-  doli 1* altro prefagio d’Alefiandro Taf-  fone, intorno ad Arinotele Iteflò , di-  cendo cosi; i L‘ opinioni d* ziri fot ile , le  quali innanzi (e vittorie di Siila non erano  introdotte , nè conofciute in Italia , potrebbe  venir tempo , che non oftante /’ ofiin anione  degl ’ idolatri di quel Filofofo , fi vedranno  f cartate , * . / r   Quella è quella Filofofia di Renatola   * V '  Cattolica religioni*  profefftone perfeverans y me prafente , &  exbortante , mortem cum vita commu-  tanti , Cbrifti Salvator» redemtionem  petit ur us . In ipforum fidem coram Dee  tejìimonium perbibens , prafentem Aflum  fubftgnavi in Conventu SanEìi Augufli -  ni de Urbe r Rom* t die nona Ma ìì 1667.   Que-    Digitized by Google     o pur per  geiofia di gloria» da cui vien tócca, e  facilmente turbata la Repubblica de’  Letterati . E fe in alcune cofc la Tan-  ta .Sede-ha voluto , che refii donec  cpYrigatur , potrebbe alla fine la San-  tità' Vostra purgandola , fedare tan-  te liti, e difpute , ancorché il contra-,  rio malamente pretenda, e con danna-  bile temerità la famiglia d’ alcuni Re.  ligiofi , Solo per mantenere odi nata-  mente le loro opinioni nelle loro Filo-  fofie , come vien riferito dal P. Gre-  gorio di Valenza , dal Vefcovo Fra  Melchior Cano , e da altri . .   Ma refiino pur nelle , fcuole que-  lli , e sì fatti argomenti , e ragioni  intorno alla varietà delle Filofofie,  e Vostra Santità* a cui s’appartie-  ne di fiabilirne la verità./ perocché   non    **$   non ceffan mai tali contefe ; concor.  dandoci piuttofto , come Seneca ditte»  la divertirà degli orologi ne’ momenti»  che de’filofofànti le fcuole,e partico-  larmente tanto più fiere , quantochè  fono d’ ingegno ; ond’ ebbe a dire uni  certo autore: Citiut in gratiam , pojt  mutuai cladei ingerita redeunt 'regei- »'  quam partium fìudio infiammati pkilo-  fopbi . Vnaqueque enim feda ( Lat-'  tanzio ditte-) omnei aitai- evertit , ut  fe j fitaque confrmet , nec ulti - alteri  fapere conce dit , ne fe dèfipere fatea -  tur . Ita ut ( foggiunfe Eufebio  non lingua , & calamo foltim , verum  etiam manibui pralium -geratur . E  sì fiottili ? e facili in rifutando  beifando 1* una 1’ altra , com’; egli’  è più agevole il riprendere , .che 1*  insegnare ■; il convincere la bugia ,  che ritrovare la verità E. in ve--  ro che ha che fare la Filofofia u—  mana colla - ' celefte , eh’ è • la reli-  gione , così appellandola Crifnftomo  in più luoghi ? Religio Cbrijìiana  ve-    Digitized by Google    I.i6   9 0 •   vera » & caelejlìs Pbilofopbia eft . Che hi  che fare la Filofofia umana > o fia l’an-  tica , o fia la moderna colla fede , quan-  do non v,’è altra Filofofia più vera, che  la dottrina della Chiefa ?• Hanc ipfam  folata comperi efse ver am , atque utilem  Pbilofopbiam .» di/Te Giudino . C fe al-  cuna cofa di vero avellerò detto i Fi-  Iqfofi , come ingiudi pofleflòri di quel-  la-rgli riprende Agodino . Si qua Pbi-  lofopbi vera dix/rqnt , ab eis effe tan-  quam injufiis poffefforibus vindicanda .  E però 1* Apodolo delle genti , fopra  ognaltra cofa efprelfamente comandò:  Captare intelleRum in obfequium jidei  noe debere  qua rat ione demon -  firari nequeunt . Conciolfiecofachè la  nodra fede derivi da principi altiflìmi,  e fopraqnaturali . Che ha che fare la  ragione umana colla Teologia ftelfa ?  Qjtemadmodum enim ( dice il Ver u la-  mio ) Tbeologiam in Pbilofopbia qua*  rere per inde e fi , ac fi viver quarat  inter mortuos , ita contra Pbilofopbiam  in Tbeologia quarert aliud non e fi V  quarti mortuos quarere inter v'tvos . Ol-  treché la Filofofia egli è ancella , e  ferva della Teologia medefìma la  quale , come regina , delle fcienze ,  tragge dietro di fe incatenate tutte 1*  altre facoltà > e difcipline umane ; la.  qual cofa in piìi luoghi vien detta da  S. Gio Grifo domo. Ex Pbilofopbia res  divinar intelligere velie , e fi candent.  ferrant i , non forcipe yf ed digito contee  Slare . Lo fteffo in quelF altro modo .*  Nibil commune babet bumana ratio  collata in divinis ; ideoque * blafpbemia    I    \    1 '     4   *#   . |   f ■' condan-  nata per comune parere de’ mede li mi  Arillotelici , • a tellimonianza del, !*.  PolTevini di fopra lodato ; ardirono  di dire quella eflere la vera -, quella  elTere la più certa, quando mon effer-  vi niente di vero , e di certo nelle Fi*  lofofie , Porfirio dilTe : Nulium effe in  Pbilofopbia locum non dubitabìlem . Lo  Hello altrove : De rebus Pbilofopbia  multa diSla effe a Gradi , veruni ex  conjeSìura . Quindi è, che.Adexerci-  t attorie m ingenti Pbilofopbias > effe inven-  tar ,-Seneca manifellò . £d altrove co-  sì : Pbilofopbias ft elegantias , & argu-  tias dixero , reSìe cenfeam appella fj e .  Anzi dalle ciance , e favole de’ Poeti }  efler quelle originate arrelìa PlutarcOi  Omnes videlicet P biìofopborum feSlas ab  fìomero originerà fumfiffe . lpfeque Art -  fioteles fatetur Pbilefopbos natura Pbi -  lotnytbos , hoc efi fabularum fludtojos   ■ ' '/•      .--J    Digltized by Google    li*   effe. De’ quali per li loro fogni , e fe-  gni dati alle delle , diffe Manilio   Fit totum fabula Coslum — • '• .   Vuole però Macrobio-» che Nec omni-  bus f abititi Pb lo jopbia repugnai , nec o-  mnibus acquìi'fcit . E San r ’ Epifanio  fpezialmenre chiamò' la Filofofia d’A-  ri Itocele quoddam fabulamentum . Leg-  gendoli preìfo Varrone' ancora : Porre-  mo nemo agrotus quidquam (orrtniat tam  ìnfandum , quod non alìquis dìcat Pbi -  Jofopbus . E predo Cicerone lo (ledo:  Nefcto quomedo nibil tam abfurdi dici  potelì , quod non dicatur ab aliquo Pbi -  lofopbo . E parlando della barbarica  Filofofìa Clemente 1’ Aledandrino cosi  ne lafciò fcrirto: Quod hi novi Pbilo •  fopbi apud Gr fecondo il Paflavanti , diconfot-  tigliezze , e noviradi , e varie Filofo-  fie con parole miftiche , e figurate ,  che nulla conchiudono , come di Por.  firio l’Ariftotelico , tanto nemico de*  Crittiani , e della Criftiana dottrina  cantò il Petrarca:   Pot firio y .cbe d'acuti, fillogifmi  Empiè la dialettica faretra ,    Fa-    Digitized by Google    Facendo contea s / vero arme i fo-  fifmi .   Dicendo fimilmente il Petito , eh’ e-  glino (ledi non intendono quello, che  dicono, e tantomeno gli uditori. Non  ìntellìgunt neque , qua loquuntur , ne-  que de quibus affirmant . Il ,he fece  dire al Verularmo : Habet hoc ìnge -   nìum bumanum , ut cum ad folida non  fuffeccrìt , in futihbus atteratur . Po-  co o nulla badando, quando fentono  altrimeore parlare nella Teologia dell'  Evangelio , de’ Padri , de’ Concilj  Aedi, come n’avvifa il P. Malebran-  che . Nejcio tamen qua mentis per-  turbatione nonnulli eferantur , fi ali-  ter quam Arijìoteles , pbilofopbari a si-  de as , dum parum curant , an in re-  bus T beolcgicis ab Evangelio Patribus t  & Concilìis non difeedas . Il che fu  detto primamente da Monlignor Ciam-  poli , chiamandogli in primo luogo  ambizioni di parere più Peripateti-  ci , che Cattolici , poi fclamò; Che  perversione di gìudicio è quefia , volere      f    ...Il      f    f    ! i     fk •     «    ,j t|    Sì    *    Ir    134   introdurre una religione più fedele ad  Arijlotele , che a Dio ? E quel eh’ è di  maraviglia, proccurano coltoro ('dice  l’autore de’ cinque Dialoghi ) Di jof-  fogare tutte l' altre fette nella maniera  dagli Ottomani ujata , i quali non la-  j ciano vivere alcuno de’ fuoi fratelli ,  per ijlabilire sì magi fralmente i loro do-  gmi in tutte le fctiole Crìfiane . Come  riferifee d’ Arinotele fteflo il Verula-  mio. Arifìoteles more Otbomanorum re-  gnare jebaud tutopoffe putaret , nifi fra -  tres fuos omnes trucidaret . Credendo  ancora di ritrovar in quello loro mae*  Aro la falute , e di Ilare con elfo lui  sì llrettamente attaccati , come ad un  fallo, ad uno fccglio , qualìchè foffe-  ro buttati da una tempella per fuggi,  re il naufragio . E così appiccati , ed  ubbidienti , dice un altro autore alla  Filofofia del medefimo , che fembra  lor commettere un delitto di fellonia  il partirli un menomo punto da lui ,  in modo che non dicefi Peripatetico  chiunque in tutto non s’ abbandona a’   fen.    Digitized by Google    H5   feriti menti del medefimo. Eaàem men-  te ( dice il medefimo P. Malebranche  in un altro luogo ) Pbilofopbia ifta di-  scenda eji , qua leguntur bì fiori* ; fi  enìm eo licentia deveniat ut ratióne &  mente tua Utaris > ..nonefi quoà fpe-  res te evafurum effe in magnum Philo-  fopbum : oportet enim difcipulum ere.  dere > £ il giudiciofiflìmo Sorel di fo-  pra lodato , in quell’ altra maniera .*  Jntantb quefii ciechi volontari ar di) co-  no di pubblicare , che non bi fogna Sof-  frire alcuna innovazione nè' riformazione  nelle .fetenze ; benché quefio fi a il. filo  piezzo per. renderle perfette . • Ma. a chi  creder affi; piuttofio , a degli f chiavi , e  mercenari* che non. fanno jemplicemente,  che. difiribuire per gli feriti i t e per le loro  lezioni la dottrina , ch'eglino hanno tro-  fvata negli ,.fcr itti degli altri} E pi fi  oltre il medefimo Sorel così : Ci fino  delle perfine così f empiici , che credono,  che non fi debba ; rivocar pili in dubbio  quello , eh' è in Arjfiotele , che quello »  eh' è nell' Evangelio . , ■ . ..   I 4 ' Non      ■ i   ¥ '   »       I   l‘ "   .vjfl     :   l*V  « /    !>       4    1    Digitized by Google    .   Non mancandovi ancora degli altri,  ì quali per difendere cotefta lor Filo-,  fofia fi danno alle maldicenze , ed  alle fatire , poco avvertendo non ef-  fervi fatira maggiore > che quella  della ragione llefla , la quale rende  bugiardo , ed ignorante colui , che  vien convinto da fbrtifiimi argomenti ,  facendo ingiuria ancora a tanti uomi-  ni dabbene , e a tanti Religiofi, co-  me fono i Padri de’ Minimi , e i  Padri dell’ Oratorio , ed i migliori  Gefuiti , eh* han feguitato la Filo-  fofia moderna , e foraftieri , e Ita-  liani , e in Bologna particolarmente ,  dov* è Campata la Filofofia moder-  na , fotto nome Burgundi a , infegna-  ta pubblicamente a tempo , che  Vostra Santità’ era ivi Legaro . E  perciò coftui in quella maniera vien  riprefo da Sant* Agoftino : Illius [cri-  pta fumma funt , & au fioritale dignif-  ftma , qui nuìlum verbum , quod revo-  care deber et omifit . Hoc quifquis non  efi adjequutus fecundas babeat partes    *37   modeftU , quia primas non potuti ba-  lere Capti nti & catbedrar primas  ambiente s ; in quello modo con in-  crepazione favella : A deo nimirum   altercando • non modo verità f arnitti-  tur , jed caritas exjìinguitur , & dif-  pntandi modum majorum exemplo tan-  tum agreffos , nulla modeftia repagu-  la cohibent ; ; Onde Luca Holftenio  eruditilfimo Bibliotecario , -dolendoli  della difunione della Chiefa Orien-  tale , ed Occidentale ebbe a- di-  re : LuEluofum fcbtfma Orienti! , &   Occidenti s Ecclefias divìdens induxit  dijput aridi pruritus , omnia in quafito-  nem , & controverfiam > • poftb abita  cantate , adducens ; nulla venta »   ' tis cura , fed uno vincendi ftudio ;  .e a confuet udine , vel opinione aliis   legern fr^jcribens » & quod • mife-   ra ,    Digitized by Google    * 3 $   ra j ó* afflìtta fortuna duri (firn atto ha-  hjet , é? iniquijfmum efi, qttod ir, fugati-  ti um ludibriis impune pateat -, Dicendo  un altro autore : Jd nec Pbìkfophum ,  multo minus Cbrijlianum decuiffe videtur.  Nè qui termina la loro baldanza, ar-  rogandoli , ]a medelìma poteftà della  SENTITA'- Vostra in condannare quel-  lo., che non mai ha condannato nè  Vostra Santità’ , nè altro Pontefi-  ce , dico, 1’, opinare nelle Filofofie, for-  zando gl’ ingegni umani a feguir folo  ifentimenti d’un gentile. Peripatetico,  e con noyp giogo privarli di quella li-  bertà, ch’.abbiamo per diritto di na-  tura , e per legge d’ Iddio , che ci ha  Jafciato il liberamente penfarc e medi-  tare :> il che è quali l’ unica, e fola ra.  gione , colla quale provali , che l’uo-  mo lia ragionevole, e l’anima immor-  tale . Quindi è , che prefe giufta oc-  cafione Tommafo Moro ( alle di cui  lodi ogni penna è ..vile per elTer egli  chiari (fimo non meno nelle lettere ,  che nella pietà Criftiana, per la quale    *39   facrifìcò fa vita , c i beni , e la fami-  glia della ) di formare appodatamen-  te una DilTertazione intorno a que*  Teologi di fuo tempo » dandole que-  llo titolo : Differtatio Epiftolica de a-  lìquot fui tempori s Tbeologaftrorum ine •  pt'jis ; non per altro , fe non perchè  quedi co* principi d’ Aridotele difen-  dere voleano , o piuttodo offen-  dere la Teologia , • in quella ma-  niera fgridandogli : Quamobrem piane  non video qu  qui in fuo fterquilinio fuperbit > ac. extra  illa fepta fi panilo producatur longius »  illico ignota rerum omnium facies , tene-  bras > ac vertiginem offundit . E più ol-  tre il fuo dilcorfo feguendo : Et mi-  rum in modum verfa rerum vice contin-  gity ut qui prius omnes fapie ntia numeros in  argumentoja loquacitate pofuerat > jam    I    140   fenex infantijfimus omnibus rifui foret ~  nifi fluititi^ fu* fuperciliofum fuentium t  fapientia loco pratexeret ; imo potute  hoc ipfo ridìculus , quod qui fuerat  Stentore 'damo fior , taciturnior pj[ce  reddatur , & inter loquentes fedeat ,   v" * ' %   Per fon* muta > truncoque ftmìlli-   tnus Herma.   • . * '   E Umilmente Gio. Gerfone il gran  Cancelliere della Chiefa , e dell’U*  niverfità di Parigi , non potè atte-  nerli di non- querelarli ancor egli  de* Teologi di fuo tempo , in que-  lla maniera dicendo : Cur appellati-  tur Tbeologi nofìri tempori s fopbifl* ,  ut verbofi , imo & pbantafiici , nifi  quia r elidi is utilibus , intelligibilibus  prò auditorum qualìtate > transferunt  fe ad nudam Logicam , vel Metaphy •  ficam , etz/nw Mathematica™ > ubi t  & , quando non oportet , i».   ten fionc formarum , nunc de div'tfione  continui , nunc detegendo fopbifmata The-  ologicis termini s adumbrata , pri-  ori-    Digltized    oritates quafdam.in Divini! , menfuraf % '  durationes , injìantias » ftgna natura ,  éf ftmilia in medium adducentes ,   vera r & foli da effent , ficut non  funt , ad fubverfiotiem tamen magie .  audientium • , vel irriftonem , quam  re Sì am fidei adipe ationem proficiunt .   •• Come eziandio de’ filofofanti diiuO  tempo il giudiciofiflimo Niccola Le-  oni co , {limato il più dotto delia  fua età , nel Dialogo , a cui diede  il titolo di Peripatetico , così lafciò  fcritto : An non ego decem integro s   annos , borum auditori a , ne die am  ìufira , ad fidu a contrivi opera ? om -  nefque illorum ineptiat , . & futile s co-  ptionum tricas , ficcis , ut ajunt , an*  ribus ebibi ? anxie femper quteritans  fi quid inde excerpere poffem , ne va-  cui s , quod dicunt , manibus & ofei-  tans domum rtdirem . Verum , Dii  immortale s , quam rerum inanità -  tem ■ apud silos , quantam      ?    ■ u   ? r      I    y   i     r4.it:   mìb't magis fapere vifus fum , f »»  quod cum Ulti de fi pere aliquando de (li-  ti ; »  così egli' ragiona ?  Quofdàm pbilofopbantium avibus fimiles  vide ri, qui levitate quadam , & ambi-  tione ingenti e lati , alta petunt , &  Phiftca fcrutantur tantum : aliot cani-  bit t , qui laniare , & vellicare avidi *  foli Logica adbarefcunt ut pelli , & in  ea rixantur , & mentem ad ulteriora   non mittunt . Indi leggiamo predo La*  erzio , che da Euclide fofle fiata no-  mata la Logica Rabiem difputandi : e  leggiamo ancora che Arifione antichif-  firno Filofofò quelli tali Cum iis compa -  rabat , quicancros comedunt . Nam prò-  pter exiguum alimentum circa crujìas ,  & teftat diu occupantur .   Quindi Mario Nizolio, che fece un  Trattato de' veri principi , e del vero  modo di filofofare, fi lamentò non po-  co di Leonico parimente , e di Pico ,   com*    I    Digitized by Google    I    if    I    \    *     t    i    i»    ì*           4      r       1      I    com’ eglino s’aveflero folamente rifen-  tiro degl’ Intepetri e non d' Arino-  tele , origine, e caufadi tutti. i mali*  così dicendo: Hac quoque Jo Pieus Mi-  randola co» tra barbato* Ariflotelis Inter-  prete* conqueritur , & vere Me quidem t  Jed quemadmodum Leonicus , non cami-  no jujìe , quia pratermittit eum , qui tan-  forum illis errorym. c auffa fuerat , boa  eji Arijìo telem . Sed o Bice non re Sì e  faci* , cum de foli s Ini erpretibus Arifto-  teli $ quereris , ipfum autem Ariflotelem ,  qui omnium malorum cauffq , & origo f it-  iti. » omittis ; dìcen* te perdidiffe meliores  anno* , tantafque vigilia* apud Interpre-  te* Arinoteli * , & nollens illud dicere  quod erat verius , eadem ■ illa omnia te  multo ante perdidiffe apud Ariftot.elem ;  Per la qual cofa pareagli , che miglio-  re d’ ognaltro avefle fatto il Valla ,  che lafciando gl’ Interpetri fi prele la  briga in dar la colpa ad Ariftotele, co-  me vero autore, e primo fonte di tan-  ti errori , e fallita , riprendendolo a-  pertilfimamente dov* egli andò errato.   Ma-   « « • ♦ .    j.    Digilized by Google    145   Maravigliandoli grandemente il mede-   fimo Nizolio ancora della barbarie del   , .   lor favellare , Qui 5 e fi enim in fcbolit  ijiorum pbilofopbaflrorum tam parum ver*  fatti s , qui non centies audierit , potentia -  Ut atei, quidditates . entitates , ecceitates ,  univerfalitates , formalitates , materiali -  tates , & alia Jexcenta hujufmodi verbo -  rum monfira , qua qui pattilo frequentiut  ufurpant , ufquc adeo l^duntur , & per •  vert untar , ut neceffe ftt eos , non folum  valde falli, & errare in pbilojophando ,  fed etiam in loquendo , & fcrìbendo ve -  hementer fadari , & confpurcari . Co-  me ugualmente molto fé ne querelò  Apulejo per alcune novità di parole a  fuo tempo introdotte , le quali difle  egli non fervire che all’ofcurità delle  cole. Datar venia novitati ve ri or um ,  rerum obfcuritatibus fervientibm . E fi-  nalmente cosi il medefimo Nizolio  tutto il fuo difcorfo conchiufe: Qui-  bus ita monftratìs , ut tandem aliquan-  do & Caput hoc pofìremum , & totum   bttnc Librum abfolvamus , ita concludi -   K mus ,    X4$   tnuf , ut reììnquamus duo memoria man»  danda , & adfidtte diligenter cogitanda  omnibus , r^iìte pbilofopbari cupiunt ,  quorum unum e fi , Ubicumque, & quot»  Cumque Dialettici, Metaphyfìcique funt ,  ibidem , & totidem effe capitales . veri i  latti bofìes : alterum vero » Quandiu  in fcboiii pbilofopborum regnabit, Ari fio -  rrtex 7/te Dialetticus , Ó* Metapbyftcus,  fonditi in eis & falfitatem & barbari -  fi» „ fi non lingua & orit , at perocché   la     Digitized by Google    «47   la Pitagorica > nomavafi Italiana } ila  Platonica per efler egualmente Pitta*  gorica non potea (limarli , anzi piut-  tolto dottrina , e Capienza > tche •Filo*  fofia, come dipendente da quella de*  gli Ebrei. La Stoica poi , Epicurea ,  o (ìa Democritica riguarda più la Mo*  tale , e il regolamento de’coltumi .che  altro. E quella d* Arinotele io 'fon per  dire edere la medeiima con quella d*  A ree fila, (limata la più enorme ; per-  chè quelli malamente (i ferviva della  Platonica , infegnatagli da Crantore  Platonico t imbrattandola co* (odimi  di Diodorot (ottilifiuno dialettico , e  col mutabile» e fuggitivo di Pirrone*  acutiflìmo fillogilta. Indi egli è » che  dicealì di lui » come narra Plato > 'ex  pojìerioribus Pyrrbo * ex mediti Diodo •  rui ; E (eguitando Eufebio (ledo »  cosi parla di lui : H/c autem fubtìlìtch  tibus-. Diodori , qui actttui dìalefttcus  erat , . & Pirrbonis ratiocinationibus Pia*  tonte am eloquentiam feedavit ■ , & modo   K a toc y     /     I     I   >    «I *    qua ! pria ! aflruxerat ,  confutare . Erat igitur Hydra capita  fap proprio enfe amputanti nec aliquìd  habem utile » , nifi quod libenter > &  audiretur , & videretur . E dell’ of-  curità , e ftrepiro di parole , di cui  fon pieni i libri d’ Arinotele con ter-  mini vaghi , e generali , in modo che  appena rinvenire fi poflan due , an-  corché fuoi feguaci , e Tettar j , che  convenir fappiano in un medefimo   fen-     Digltized by Google    fentimento ; ecco il P. Malebranche  come ne fa chiari/lima testimonianza:  Quamvii cairn Pbilofopbiipftus do Sì ria am  fc docere adfeverent & autument , vìx  tamen duo reperientur , qui circa ejat  fententiam inter fe conjentiant ; quanti,  am revera /iriflotelis libri adeo objcurl  funt , totque fcatent termini t vagit &  generalibui , ut eorum opinione s , qunC  ipft maxime adverfantut non fine verift-  milìtudine pojfìnt ipft trtbuì . In non-  nulla illìus operibus quidlibet ipft adfcri-  bere lìcet , quia in ijs ntbil pene dicìt t  quamvts multa magno (Irepitu deblate-  ret : quemadmodum pueri campwnas fo-  ndu fuo quidlibet dicere fingunt , quia  campana ingentem edunt fonum , nec  quicquam dicunt . ' \   Quindi non fenza roSTóre de’ me-  desimi Ariftotelici Gio. Sculero nell*  Orazione per cosi dire inaugurale ,  eh’ ei fece intorno al riftauramer-  to della Filofofia con quel princi-’  pio-: .   ‘ i    diffe : Quid magli noxiura Cbrijlìanre  }uventuti Cógitarì fot e fi ,  a  tenerti audire ? Quid periculoftus quarti  tene* riniti eofum animiti > qui ad majo »  ra defìinantut , & qu bui > juo tempo •  re > fine ReìpubVtca » fitte Eoclefue ad L  tninìfiratio committenda , talia , in fi ahi»  lire , aperte Tbeologis Cbriftian qui ex prafcripto propri t inftitu-  tì \ five ex adfeSlu erga praceptores.  certi! opinionibui adharent , omnia fe-  cundum illos dtjudicanl , quacumque  auEìor ìtale y & demonflratione po fi b abi-  ta , ad eafdem trahentes quidqutd au-  diunt i qmdquid ìegunt . Il che fo al-  mamente difpiacque ancora a Rodol-  fo Agricola , uno de’ primi - letterati  del fecolo pattato, (*) che di tanti FU  lofofi 'dell’ antica età era folamente   - • * ■ * ■ * * 4 ri-   • *   • » •  m 1 , -»«. % • * • * »• » •> *   , (*} Cioè del fecolo fedicefimo, mentre il Signor  Valletta { criflfe la fua Lettera nel 1700. in pun-  tò : ma veramente Rodolfo Agricola non toccò  plinto il decin*ofefto fecolo , pbiché nacque Tan-  no *44 x.e mori l’anno 1485, come notò il Trite-  mio • * v     Ci       u   *    ir    tì   ì  1 •     f    y       v»   A'   r   (■   ’i   I    Digitlzed by Google        \   t       I    'I    Jil   f    :n       ; -ib,  pra coftui muore T ultimo Audio de*,  vecchi . ... Ecco le Aie parole ? Quid  de Ari ftotele die am ? hic gnìm prope*  modum [ohi omnium prife a alati! Pbi-  ìojopborum permanfit in manibui : hunc  [ohm , -, qui \ Pbilojopbite , defìinantur ,  attìngunt : hunc .primum pueri difeunt  buie ultimum jenum jl uditi m immori -  tur : hunc artet omnei , omnia fiu*  diorum genera terunt , trahunt,, dif*  cerptmt . Ma non già dopo che il  Cartello aprì, il vero fentiero al mi-  gliore , e più certo modo di filofo*  fare;, che ad un Criftiano convenga*.  Come ugualmente tutto ciò fu con»  fiderato dal dottilfimo Vanhelmon-  zio , dicendo ; Jndignor & merito »  quod ScboU •• Pbilofopbia ethnica ado »  lefcentet male ìmbuant . Lamentan-  doli egli fra 1* altre cofe , non ben    Digltized by Google    /    convenire la definizione pi che Ari*  Itotele diede all* uomo chiamando-  lo Animai ' Rat tonale ; , ■ • non avendo  egli conofciuto la Tua creazione > nè  T effetto d’ ella ; e perciò 1 , dice il fud«   detto autore malamente fervirfène le   * •   fcuole Criftiane Vituperai am ìtaqttc   definitìonem exìfiimo t qua homo Ani *  mal rat tonale , vel e a effenti ee defcrì-  ptione depìngitur . Siquidem ex ulti •  mato fine dejìinationum . proprietatibus  in creando - dejiniendut erat , fi .finii  fit cauffarum prima ex Arinotele . Qua-  propter nec hominii de fini fio e fonte  Pagani f mi mendicanda erat ì qui ere*  ationem , ejufque fines piane ignora*  vit , Così egli defìniendolo ; Homo  ergo eft creatura vivent in corpore • per.  a rum am immortalem oh honorem Dei *  fecundum lumen » &: ad tmaginem Ver-  bi . Quando Arinotele -diede una  definizione all* uomo che nulla va-»  le » - non 'Vedendoli in quella nè crea*  tura di Dio , nè immortalità dell*  anima , da ‘ effo lui affatto negata *    Digitized by Google    *54   come Cerna verun dubbio l’ affettano  Ciucino nella Parerteli , Teodoreto  nel Libro della natura dell* uomo ,  Gregorio Nifleno nel Libro dell* Ani-  ma Origene in più luoghi delle Tue  Opere, Gregorio Nazianzeno nella dif-  puta contro Eunomio , il Cardinal  Gaetano nel Trattato deli’ Anima ,  Plutarco y Galeno , ed infiniti altri  fcrittori profani . Per lo che non fen*  za ragione chia mai Io Tertu]]iano«?//é-  to f dicendo nel Libro delle Ptefcrizio-  ni Miferum Arijlotelem ; foggiung; ndo,  J Qui illis Diale Che am inHituit , artifi -  eem (Intendi , & defiruendi verfipellem t  in fententiìs co a Cium , in conjeCìurit  nec t allietate Panos - , oec ar*  tibusGracos, nec denique hoc ipfo bu -  jus' sentii , & terra domenica > . nativo •  que - fenftt Jtalos iffoi > & Latìnot $  fed pktate , ac religione , atque  naiionel ’•   que [uperavìmus . •• ’• • :i   E finalmente eonofeendofi ancora   dagli Ebrei , la Filofofia d’ Arinotele   ef-      li   •* *   è 1  > :   »   f     r    f     Ì-1    h    È   i    l -     i   Ir    À ,   • I   f   ./■»    t    •1    a  # •   i    li      I    Digitlzed by Google    t5*   eflere in pregiu diciò della religione ,  fa. pubblicato decreto nel Sinedrio de-  gli Afrnonei ( come fi legge nell* irto-  ria de’ loro tempi ) così dicendo .• Ma-  le diti us qui docet filium fuum Pbtlofo-  pbiam G rac am . : Il che vien riferito  ancora da Arrigo Enefiio nel fuo Li-  bro Vir fapiens . Quindi, non fia ma-  raviglia , quando leggiamo preffoCle-  mente 1’ Aleflandrino , Grata itaque •  Pbilofopbia , ut alti volunt , a Diabo-  lo mota e fi i Anzi i Giudei dopo la  venuta del noftro Salvatore, ancorché  * empj , pur dannarono la Filofofìa d’A-  riftotele ; perocché avendo pubblicato  il Re Moisè un Libro» a cui diede il  titolo 1 Mereh Nevekim , fu acculato,  dagli altri Dottori d’aver corrotta la  loro religione » per aver in effo pur  troppo mefcolata la Metafilica d’ Ari-  flotele , come narra il P. Si mone nel  fupplemcnto al Libro delle cerimonie/  e de’coftumi de’ Giudei di Leone Mo-  dena .. Ed io in finendo dirò di lui  con il gran Pico della Mirandola ;    *57   Mali prtnctpiì finis masut .   Da turco ciò , che fi è fin qui rap*  portato , potrà la Santità 1 V ostra  pienamente avvifare quànto fian da ri-  prenderti co fi oro , ì quali ardi (cono di  biafimare quefta Filofofia , che mala-  mente chiaman moderna , e nuova , e  dannarla come fcandalofa , e mala - r  quando finora nè la Santità’ Vostra*  nè gli altri fantiflìmi Pontefici antecefi»  fori * hannola giammai penfiata con-  dannare . Anzi il contrario leggiamo  riabilito dalla Santità d’Innocenzio XI»  in una Bolla ; ciò egli è * . che niuna.  cola tra filofofanti , ed altri , che fico-  lafiicamente fi contende, giammai fi'  danni o in difiputando* o fcrivendo , o  in pubblicando , che pria dalla Santa  Romana Chiefia condannata non fia ;  Ma quando anche ciò non fofie , qual  furore , o fpinto dii zelo ijpinge tant*  oltre, cofioro ad incagionar coma- rea *  e mala una Filofofia * che ha per au-  tori uomini cattolici , • dabbene , e di  integrifiìma vita ; avendo per lo con*    x$8   trario la lor Filofofia per autori fio.  mini gentili , e tra gentili i più per-  vertì, e federati ? Qual ila (iato già il  lor Padre Arinotele, e di che coftumi  l’iftorie de* Greci, e de’. Latini ne fan  piena , ed affai- ampia tedimonianza ;  Quai fentimenti , e quanto perniziofi  sì alle Repubbliche , sì alla j religione,  che a* Tuoi tempi lì tenea tra Greci ,  egli lanciato abbia a’ poderi la San-  tità' Vostra, rivolgendo l’occhio a  quello , che per 1* autorità d’ infiniti  fanti Padri , e di molti altri autori pro-  fani fi è riportato, porrà benignamen-  te giudicarlo., Non evvi Tanto Padre,  che per otto e più - fecoli riprefo - , e  biafimato non l’abbia , nè mai leggia-  mo , che alcuno l’abbia feguito, o fia  dato così dettamente legato alla di  lui dottrina , come tuttavia fon codo-  ro. Dottrina veramente tre volte per-  niziofiflìma , madre, e fonte di tante  e tante erefie + che per tanto tempo  didurbarono. ed affliflero la Chiefa ,  e di Crido la vede lacerarono . E fe  .. : rifor-    159   riforgefle il gran Bafilio, quanti equa-'  li de’ noftri tempi riprenderebbe più  fortemente, che non fece ad Eunomio^  ed agli Eunomiani- de* Tuoi tempi j t -  quali giuravano Tulle parole d* Arino-  tele, come full* Evangelo > e pofero in  ifcompigtio la Chiefa d’ Oriente? Che  diremo degli Atanasj, e degli A leffa n*  dri Vefcovi d\ Aleffandria ? . Quanti  Crilìiani taccierebbono d’ Arianifmo,  yeggendogli così attaccati ad Arinotele,  onde Tempio Ario prefe Tarmi , e le  faettc contro del Verbo ? Non farei  per mai finirla , fe voleffi addurre par*  titamente tutte Terefie , • che da’fegua*  ci d’ Arinotele fono fiate indotte nell»  Romana Chiefa per tanti fecoli , e di  giorno. in giorno van riforgendo. Baffi  fol dire , che da fei , o più. fecoli tut-  ti gli errori fian venuti da oriondi per  così dire , e figliuoli del grande Aride*  tele ... i ' «   • Ma fliafì pur colla fua pace Arido*  tele , con quella pace , che nel più cu-  po dell’ Inferno, ov’egli fea.giace, dar  > fi può    i6o   fi può- Siali ' flato Arinotele non tan-  to federato ; anzi dirò più , fiati (tato  uomo dabbene, avvegnaché gentile ei  lì (offe . Sianli Santi tutti gli Arifto-  telici, i quali hanno avuto , ed hanno  il nome di Criltiano . Siali la lor dot-  trina ottima-, e di niun pregiudicio j  non però avrà che far nulla colla no-  Itra l’anta' religione nè di buono , nè  di malo . Siali io dico , e ridico la lor  dottrina profittevole in ifpiegare gli ar-  cani della natura , la natura delle pian-  te » degli animali , e che lo io ; non  dovran perciò biafimare tutte 1’ altre  Filofofie , eh’ eglino non profèlTano ,  quando quelle niuna cola infegnano ,  che contraria lia a’ buoni collumi , al-  le leggi naturali, ed alle leggi di Cri-  Ho , e della Chiefa . Coloro, che rin-  novate l’hanno tutti fon già morti cat-  tolici , ed in feno della Chiefa , lenza  veruno fofpetto , quantunque minimo  d’ erefia . E* conceduto , che in qual-  che Libro d’ alcun Filofofo Criltiano  vi folle qualche opinione » chiaramente   con-    rii   'contraria alla verità della religione ,  fenza dubbio 'veruno toccherebbe alla  Chiefa di condannarla . Potrebbe!! pe-  rò ( parlo pieno di rifpetto, e di zelo,  con quella riverenza ed ubbidienza ,  che lì dee alla Santità* Vostra , ed  alla Santa Chiefa ) dìdimamente con-  dannare quella opinione eretica , ovve-  ro fcandalofa > come fece per molte  dichiarazioni AlelTandro VII. ed altri  Pontefici ; e non ributtarli tutto il cor-  po d’un libro , il quale lì compone d*  infinite, e varie opinioni , delle quali  la maggior parte niuno attaccamento  ha , ovvero dipendenza colla verità del-  la fede. Così leggiamo Origene , e  Tertulliano lìcuramente , avvegnaché  ambedue in molte co fe lian traviati ,  come poco ollervanti della nollra reli.  gione . Così leggiamo ancora ' San Ci-'  priano Martire , quantunque folle fia-  to d'opinione , che i battezzati dagli  eretici lì doveflero ribattezzare ; laqua-  le poi fu dannata dalla Santa Chiefa'  per mezzo d’ un Concilio > come an«   L co.    3    \    * 6 »   cora tanti altri errori di Lattanzio >d*  Arnobio» e d’altri. Or fe ciò fia lecir-  to nelle cofe di tanta importanza » cioè  nella Teologia , potrà ancora efler-Te- /  cito nelle Filosofie , le quali van de-  correndo femplicemente degli arcani  della natura .   Il filosofare , Beatissimo Padre ,  fu Tempre mai , conforme s* è dimo-  ftrato , libero , e permefiò a chi che  fia , purché contrario egli non fia alla  religione > alle leggi umane > ed a’ buo-  ni coftumi. Non han cofa gli uomini»  che fia più lontana > e men foggetta al-  le poteftà terrene, che il loro Spirito.  Nè v’ è cofa più intollerabile , cl}e  quando fi veggono rapire la libertà de*  loro penfieri ; perocché tanto è toglie-  re la libertà del filosofare ,■ quanto è  togliere la libertà dell’ opinare ftefTo,  non effendo altro le Filofofie che opi-  nazioni * Quindi è, che coloro, i qua-  li per dura legge delle genti fono fchia-  vi delle altrui volontà > pur fi riman-  gono liberi nelle loro opinioni , ed i lor   pa-   e    Digitized by Google    padroni > i quali han poteftà della lor  vita, non poflòno difporre de’ loro li*  beri fentimenti . Solamente lo fpirita  dell’ uomo a Dio è tenuto renderli av-  vinto , elfendo egli folo la prima veri-  tà per elfenza , la quale non può giam-  mai nè ingannarli , nè ingannare ; ed  iòdi poi ancora la fua Chiefa > la qua-  le ci favella da fua parte , toccando a  lei d’interpetrare gli oracoli , ed arca-  ni di Dio . Indi quella ubbidienza del-  la nollra ragione libera all* autorità  Divina fu fempre giudicata da tutti la  prima , e più grata vittima , che noi  dobbiamo offerire a Dio. Il facrifizio  certamente non è egli fanguinofo , è  ben però il più pregiato , e caro ; pe-  rocché conduce gli fpiriti nollri , na-  turalmente di ripofo impazienti a sì  felice fervi tù , principio » e mezzo d*  ogni nollro bene, e falute • Perchè li  dee in ciò ufare grandilfima diligenza,  nè legare sì llrettamente quello nollro  libero arbitrio in cofe , le quali poco ,  o nulla montano ; perocché potreb-   Lz beli    befi temere di qualche rivolgimento ,  o per così dire temerità dal vederli  sì ftretto , e incatenato . Oltreché po-  trebbeli da ciò dar luogo di penfar  malamente , che la noftra fede dipcn-  deffe da’ principi delle Filofofie, e che  la noftra religione » ed Arinotele fot  fero sì Erettamente uniti , e me (cola-  ti , che 1' una fenza l’altro non polla  da noi crederli. Sarebbe ben tre volte  incollante la noftra fede , fe ftabilita  folle fopra così balle , e poco (labili  fondamenta , ed andalfe dietro a’fogni,  ed alle frafche de’ Filofofanti . La ve-  rità vien ricercata si dalla Filofofia ,•  ed è Hata ricercata già per migliaia d*  anni ; ma non giammai però è Hata  ella ritrovata ; perocché Iddio ha vo-  luto lafciare il Mondo all’efercizio in-  nocente delle Filofolie , ed all’incerto  inveftigamento delle cole naturali , e  però alle difpute . Mundum tradidit  difputation'tbus eorum. Conforme anco-  ra va dimoftrando San Gregorio Na-  zianzeno in un difeorfo, ch’egli detta   delle    /    . *65   delle dìfpute. La Teologia fola ha ri-  trovata la verità, perch’ella fola s’ ag-  gira intorno alla vera luce , e prima 1   ferità , eh’ è Iddio , principio d’ ogni j   noftro fapere; onde gloriavafi 1* Apo-  flolo di non fapere altra cofe, cheCri-  tto crocifitto. Quefla verità ritrovata  nella Teologia altri non poffede , che 1   la noftra fanta religione , la quale quan-  tunque contrattata , ed afflitta da tan-  ti e tanti tiranni , pur fempre mai •   vìttoriofa per tanti » e tanti fecoli ha  trionferò , e trionferà per fempre più  gloriofa . Veritatem ( ditte un autore )   Pbilofopbia quper ciò fare ha volu-  to fervirfi ; perocché verfando quefte intorno  ad una caufa , la quale al prefente fi può dir  prelfochè comune, di comune , ed univerlal  difefa ancora elleno pedono molto acconcia-  mente fervire . .   . Recando adunque le molte parole fue m  una , quella nella foftanza fembra edere fia-  ta T idea di lui . Egli ha come in due parti  divifa tutta la Lettera , in una delle quali s*  è ingegnato di biafimare, e deprimere il pia  che ha potuto Ariftotile; e nell’altra lodare,  e portare alle ftelle Renato Defeartes. Egli  ha depredo Ariftotile , comparandolo prima-  mente con Platone , e inoltrando , che il  principato tra i filolòfi è di quello fecondo;   L 4 chc      *6$   che da tutti i fanti Padri molto è flato cele*  brato: che la fua filofofìa è la più favorevo-  le, ed acconcia alla Chiefà cattolica ; e che  quella d’ Ariftotile è la più contraria, e pre-  giudiziale . S’ e poi ingegnato di inoltrare ,  che Ariftotile è flato 1* origine di tutte l’ere-  fie.* eh’ è flato biafimato da tutti i fanti Pa-  dri , e finalmente tutto quello ha raccolto ,  che può fèrvire di biafimo , e di vitupero di  quello filolofo • Di qui è pallato a glorifica-  re il Defcartes . Ha mcftrato da quanti e  quali uomini e fiata la lita filofofìa appro-  vata , e ricevuta : com’ ella s’ uniforma a’fen-  timenti de’ fanti Padri : come ferve molto per  difi reggere l’erefie , e così fatte altre cofe af-  fai. Onde porta l’incertezza di tutte le filo-  fofie per cagione del corto intendimento u*  mano , e porta Umilmente la libertà di giu-  dicare , eh’ hanno gl’ intelletti nelle materie  fìlofcfiche y ha concitilo, ellère molto da ri-  provare Tattaccarfi fidamente ad Ariftotile .  C jntra il quale molte colè di nuovo adducen*  do, e moltiflime altresì a favore di Renato,  della filofofìa di cui teffe un lungo panegiri-  co ; finalmente conclude , effere forte da ri-  prendere coloro , che ardifeono biafimare la  filofofìa moderna , la quale non fido al paro  coll’ Ariftotelica può andare; ma in oltre ad  erta dee ellère antiporta , come quella , che  dalla Platonica fi deriva , e per più altre lo*    4   i6$   di, ch’egli affai minutamente, e a lungo ya  numerando.   Ora volendo (opra cosi fatta argomentazio-  ne col medefimo fine dell* autor fuo , cioè a  prò della moderna filofòfia , alcuna colà of*  fervare; dico in prima, non effere molto da  commendare Io ftabilire la difefa di effe mo-  derna filofòfia fopra la depreffione d’Arifto-  tile, e fopra la deificazione, per dir così, di  Renato delle Carte . Quantunque volte un  eccellente fcrittore ha occupato un poftocon-  fiderabile nella repubblica delle lettere, non  manca mai la fazione di quelli, che Pefàlta-  no , e di coloro , che lo deprimono fuori del  dovere . Vero è , che ci fono ancora difcreti  eftimatori delle cole, i quali il buono dal reo  feparando , quel prudente mezzo eleggono  nel dar giudicio , che fecondo dirittura di ra*  gione fi vuol tenere. Molti efèmpj io potrei  addurre per confermazione di ciò: ma perchè  fopra Ariflotile procede ilnoftro ragionamen-  to , volentieri io non mi partirò da eflo. Per  efempio adunque de’ glorificatori affettati di  quello filofofo fia Averroe , il quale in que-  llo modo lafciò fcritto di lui : j4riflotelir do *  Urina efl Stimma Veritas, quoniam ejus intei*  lelhts fuit finis bumani intclleftus ; quare bene  dicitur de ilio , quod ipfe fnit creatus , & da*  tus nobis Divina providentia , ut non ignori   mus Doffibilia feiri . E nella Prefazione alla   ..Fi-    /    I    170   Fifica; Complevii ( Ix>gicam , Ethicam -, óc  Metaphyficam ) quia nullus eorum , qui fecu *  ti funt eum ufque ad hoc tcmpus , quod efl  mille & . quingentorum annorum , quidquam ad*  didit , nec invenies in ejus verbi s errorem ali*  cujus quantitatis , # ta/ew £// per quan-  to egli raedefimo ne dice , venti anni interi  fpefi avendo iti Squadernare i libri d* Ariflo-  tile , anzi oracolo , che giudicio è da repu-  tarli . Così adunque egli fcrive nel Prolago  al libro JY. del fuo Examen vanitati* dottrir  Tue gentium : Multa apud Ariflotelem erudì . f >   tio , multa eleganti a fcribendi , inulta etiam ,   fcrtajfe verità* : fed certe non parva vanita* *   - JLo fcrutinio fin qui da noi fatto di varj ,  c oppofti giudicj intorno al medefimo fog-  getto formati, può fervir di regola nel giudi- 1   care di. tutti gli eccellenti fcrittori. Noq bifir  gna nè alla bellezza della virtù, nè alia brut-  tezza de’vizj lafciarfi cosi rollo ingannare , nè '    2   1 -    Digitized by Google    I 7 i * ■ . .   fafcinare in modo la vi (la , che fi travegga  e fi finarrilca quel fenderò dì mezzo, per cui  Tempre colla (corta della ragione dobbiamo  proccurare d* incamminarci . Ma egli fi ritro-  vano uomini d’ immaginazione tanto gagliar-  da e forte , che poiché hanno fidato la men-  te nella qualità d’ un oggetto , non (anno  tanto o quanto fidarla per dominarne le al-  tre - Conoro confederano ' le colè (blamente  per quel verfo, a cui dal moto de* (oro fpi-  riti fono portati , e di qui è, che o il bene  folo , o il male precifamente contemplano »  Quello predominio dell’ immaginazione in  nelfun’ altra opera per mio avvilo meglio fi  fcorge , quanto in quella de veris principiis ,  & vera ratione pbilofopbaudi di Mario Nizo-  iio. Quello fcrietore avendo al principio con-  ceputo della (lima verfo Cicerone, e vdeldifi  credito per • Ari dotile ,‘a poco a poco  s* è lafeiato condurre a tale , che nuli*- altro  che il lodevole in quello , e in quello nuli*  altro che il biafimevole egli vedeva . Gli è fi-  nalmente» paruto , eh’ ogni cofa , anche 1’  imperfezioni del primo roderò divinità , e le  cole anche buone del fecondo fodero vizj , e  magagne . Di qui è , che negli accennati li-  bri , egli conculca ogni opinione, e lèntenzia  d’ Arillotile, e glorifica ogni detto di Cice-  rone ; per qualunque definizione anche de-  bole , e imperfetta del quale, egli s’ ingegna   di    *    di ritrovare principi , da cui fi deduce com*  ella è giuftiflima , e vera. Quella lòrta di li-  bri può efler utile per quelli , che all* oppo-  fla parte fono dalla palfione portati / perchè  fcorgendo nella lettura di elfi il rovescio, co-  me fi dice , della medaglia , può avvenire ,  che s* inducano a dubitare di quello, che fi-  no allora aveano tenuto per fermo . Per al-  tro e T uno e 1* altro di quelli eflremi me-  rita grandilfimo biafimo , nè v’ ha colà ,che  più i retti giudici impedifca quanto quello fv la-  mento della ragione, a cui la fantafia ha tolto  la briglia di mano,. Intanto la vanità, e lafu-  perbia dell’ uomo fi palce molto di così fat-  to cibo , perchè o colla deificazione, o colla  deprelfione altrui o coll’uno e l’altro inlìeme,  fi fpera di potere llabilire la propria fama «  Egli avviene nonpertanto , che la colà il più  delle volte va tutt* all’ oppollo . Nulla è  che minor imprelfione faccia nelle menti de-  gli uomini, e che più agevolmente dimenti-  chino , quanto quelli sforzi violenti : degl’  intelletti da troppo gagliarda immaginazione  trafportati : non altrimenti appunto , che 1*  azioni llravaganti , e inufitate de’ pazzi , ap-  pena s’oflèrvano . E chi è egli , che fìlolò-  fando fi Ila giammai attenuto a’ principj di-  Mario Nizolio? lo non ritrovo appena regi-  flrato il filo nome tra i nemici d’Àrillotile .   . Ma ritornando in via, dico, che l’autore   di    Digitized by Google    !    di quella Lettera fembra effere (lato alquan*  to tocco dal prurito y di cui abbiamo fin qui  favellato , mentre con tutto lo sforzo dello  fpirito s y è ingegnato di raccogliere il polfibL.  le con tra Ariftotile, e dall* altro canto por-  tare fino alle ftelle il Delcartes ; ogni prova  facendo > e nulla intentato lalciando per ap-  pannare, e far violenza agl* intelletti de’luoi  leggitori . Per contraflegno della fila palilo*  ne , anche dentro a* cancelli di puro racco*  glitore degli altrui giudicj, offervifi il modo ,  eh* egli tiene alla pagina 34. in iftorcere vio-  lentemente contra Ariftotile alcune parole  del P. Petavio, dette ad altro intendimento,  anzi in propofito tutto conti ario. Quello Pa-  dre nel capitolo III. numero V. dei Prolago  alla fua Opera de* Dogmi Teologici , dopo  avere addotto un lungo palio di S. Bafiiio ,  nel quale lèmbra , eh* e* rigetti in tutto la  filolòfia Ariftotelica , foggiunge al fine cobi:  Ceterum iifdem in verbi * videtur Bafìlius in  totum abdicale , ac rejecijje ab fidei , Theo*  hgiécque conjortio univerfam Ariflotelis philofo*  phiam tanquam Cbriflo irrvifam , & inimicami  atque ab bofle illius Diabolo proferì am . Quam  uonmllorum opinionem refellit Clemens Ale*an-  drinus in primo Stromateon > ut alibi memini -  mus . Sed ab bujufmodi Jufpicione Bafilium  paullo pofl purgabimus . Ora il nollro autore  prende da quello palio quelle lòie parole ;   Ari m    Digitlzed by Google    Ari flotti is j>hilofophiam tanquam Chriflo invi,  fam , & inimicam i atque ab hofle illitis Dia.  bolo profeti am ; e le porta come un detto del  P. Petavio contra la fìlolòfia d’ Ariftotile. E  chi non vede però che il prurito di conculcare  quello filofofo ha fuggerito all’autore della let-  tera una sì aperta , e abominevole ftorpiatura?   E pure y fe per 1* altro verfo vogliamo ri-  guardare e Arillotile , e il Delcartes , non ci  mancherà motivo , nè fcrittori , i quali ci a-  prirànno la ftrada a deificare il primo , ed a  deprimere , e conculcare ancora il fecondo ,  lènza nè pure aver bifogno di ricorrere a tali  artificj . Ogni volta che uno fcrittore s’ha a.  cquiftato un gran nome nella repubblica del-  le lettere , e mafTìme per lungo tratto di tem-  po , ’è pazzia l’immaginarli , che tutte le co-  fe lue pollano eflère tee . Il buono làrà mi-  fto col men buono , come di tutte l’ umane  cofe , che perfette giammai non li videro j  fiiole avvenire ; e però quelli , eh’ amano dì  cogliere negli eftremi , troveranno in amen. -  due le parti da làttollarli . Il punto Uà , che  non lì lufinghino d’innalzare una fabbrica ,  che non polla eflère da alcun altro colle ilei*  fe forze diftrutta , per non ritrovarli contra  la loro efpettazione ingannati. Un altro, che  riguardi lo fteflò oggetto dal lato oppofto a  quello , che 1’ hanno riguardato efli , ritro-  verà tolto gli liromenti da dilhuggere in   quel*    !   I    176   quella fletta fucina dov’eglinò gli avevano ri.  trovati per fabbricare - Di quella difputa d’  Ugone da Siena, al tempo del Concilio , che  fi cominciò in Ferrara , riferita dall* autor  della Letteta, come cola inftituitaperefalta-  re Platone, e deprimere Ariftotile, così nel.,  la fua Cronaca lafciò fcritto Filippo da Ber-  gamo : Cumque Nicolaus Marchio , & multi  in Synodo congregati pbilofophi excellentes ad -  venijfent , cuniios in medium philofophia jocos  adduxit ( Ugo ) de quibus inter fe Plato ±  Arifloteles fuis in Operibus contendere , ac  magnopere dijfentire videntur , cdocens eamfe  partem defenfurum y quamGraci oppugnandam  ducer ent , five Platone m y fi ve alium je fequen -  dum arbitrarentur . Lo fletto atteftano Enea  Silvio nel capitolo LI I. della Dedizione delF  Europa , e Andrea. Tiraquello nel capìtolo  XXXI. del libro de Nobilitate . Ecco pertan-  to , che il fine d’ Ugone non fu V efaltazion  di Platone , e Pabbaflàmento d* Ariftotile ,  come vien fuppofta : ma fi profefsò di voler  difputare problematicamente , che vai a dire,  difendere la parte impugnata , e per confe-  guenza difendere o l’uno, o l’altro di quelli  due fUofofì . Cosi il Concilio Lateranefe V.  a torto vien portato alla facciuola 114. come  difàpprovatore , e condannatore della filofo-  fia Peripatetica nella Scffione Vili. Bafta fo-  to leggere P accennato luogo per chiarirli ,   che    f    \    Digitized by Google    *77   che quello Concilio non condannò nè Anda-  tile, nè Platone, nè alcun altro filofofo in  particolare : ma generalmente della filofòfia  ragionando , proibì primamente I* abufo a  que’ tempi introdotto di difendere nelle pub-  bliche Tefi, che circa lo dello punto, quel-  lo era da dire fecondo la filofofia , e quefto  fecondo la verità : ovvero tal colà fecondo la  filosofia e r a vera, che fecondo la fede erafal-  fa . In fecondo luogo ordinò a tutti i Lettori  pubblici delle Univerfità , chefpiegando i  fìlofòfi, avvertilfero la gioventù degli errori  loro , alla fede noftra contrari , -confutando*  gli, e riprovandogli . E finalmente (labili ,  che niunCherico doveffe dopo io ftudio della  Grammatica appigliarli a quelloodeilaPoefia,  o della Filolòfia, lènza ftudiareinfieme Teolo-  gia , e Canoni, acciocché, foggiugne, In bis  Janlìif , & utilibus profijfionibus Sacerdotes  Domini inveniant , unde infili a s Pbilofopbia ,  & Poe fi s r adice s purgare, & fanare valeant.  E tanto è lontano , che i Padri di quefto  Concilio abbiano avuto in animo d’oltraggia-  re Ariftotile, eh’ anzi lette le poco fa accen-  nate cofe , e ricercato , fe alcuno avelTè pun-  to che dire in contrario, fi levò fufo Niccolò  Lippomano Vefcovo di Bergamo, e sì difle^  Quod non pìacebat fìbi , quod Tbeoìogi impo -  nerent Pbilofopbis difputantibus de veritate in -  ielle fi us tanquam de materia po/ita de mente   M - Ari»    Digitized by Google    178 ...   .Ariflotelis y quam [ibi imponti Averroes : lieti  fecundum verità rem tali* opimo e fi fai fa . Si-  milmente di queir Aezio Vefcovo * che dall*  autor deir Epiftola è rapportato come uno *  che per troppo ftarfi attaccato alle Categorie  cT Ariftotile , cadeffe in erefia * e diventaflTe  Ateifta , Socrate nel libro II. capitolo XXXV-  della Tua fteria Ecclefiafticacosl ragion a: Hoc  aiitem facit Cat egorii s Ariflotelis ( fic liber iU  le e fi ir.fcriptus ) fidem habens * ex quibus  difputando * ac fe ipfum fallendo y non int clie-  nti y ncque a feientibus didicìty quis fìt Ari fio -  telis feopus . Ille namque propter fopbifias phi*  lofoph'ue lum illudentes id genus exerctiii con -  fcripfit y & Di al etite en per fophifmata novis  fopbiflis dicavti. Itaque Academici * qui Pia-  toni* y ac Plotini fcripta e L 9 immaginazioni belle piut-  rollo ad udirli , che fiifliftenti e fode ,  le quali fono fparfe per tutto il corpo del-  la fua filolòfia y e che tinta di fanatifmo  T hanno fatta comparire . I Vortici , che  da fonti torbidi Italiani , come fono quel-  li di Giordano Bruno Nolano , ha prefi  il . Defcartes per far girare la fila tripli-  ce materia ; fono colori , che poffono fer-  vire a fare un ritratto di lui tutto diver.  fo da quello , che ha fatto V autor del-  la Lettera * Il Padre Malebranche mede,  fimo 5 uno de* più acerrimi difenfòri , e  approvatori della dottrina di Renato , co-  sì lafciò fcritto nel libro ili. patte L  capitolo» IV. della ricerca della Verità .  Mortsù Defcartes era anch'egli uomo y fog -  getto all 9 errore , e all 9 illufione , come gli  altri . Non v 9 ha alcuna delle fue Ope-  re y non eccettuando nè pure la fua Geome*  * tri a y in cui non fi a . qualche fegno della  debolezza dello fpirito umano . Non bifo-  gna adunque fi are alla fua parola ; ma  leggerlo cautamente , com 9 egli ftejfo ci av~  vertijfe . Non fono anche mancati uomi-  ni dotti , i quali hanno fatto vedere , che  Ja fua filofofia è di pregiudicio alla fede ,    i8i   cd è contrarla a molti dogmi cattolici - AI-  cuno ha pretefo , eh * ella rinnovi V ere-  fie di Pelagio , e di Neftorio : ed altri ,  eh* ella fia la firada allo Spinofifmo , e  all* Ateifmo * Io fò , eh 5 è flato rifpo-  fto a quefli tali , e che vi fi rifponde.  rà : ^ma quello appunto è quello , che il  di fopra da noi detto conferma , e che  moftra quanto agevol colà fia o, ecceder  nella lode , o ecceder nel biafimo , quan-  do non s 9 ami di fidar V occhio che o ne*  fòli vizj , o nelle fole virtù . Non fem-  bra adunque , com > ho detto , degno di  molta lode il difegno di ftabilire la difefa  della filofofia moderna fopra le lodi , el*  efaltazione di Renato Defcartes , e fopra  i biafimi , e depreflione d * Ariftotile , fic-  oome fopra un fondamento , che fi può di-  ftruggere con quella fteflà facilità , con  cui s è innalzato : e per mezzo del quale ,  fermo e inconcuflò renando , fi verrebbe a  flabilire quello , che V autor filo medesi-  mo in alcun luogo con molte parole s 9 e  ingegnato di diftruggere , cioè il farli fè-  guace indivifibile d* alcun filofbfo partico-  lare .   Ora diciamo alcuna cofa della principal ra-  gione, fopra cui Pautor della Lettera ha pian-  tato la difefa della filofofia modèrna ; la qua-  le fi è , che derivando ella dal fonte di Pia-  rvi 3 «o*    iS z   tone, fìlofcfo fupcrioread Ariftotile, appro-  vato dagli antichi Padri, e riconofciuto come  molto vicino a’dogmi cattolici; ella non vuol  eflere riprovata , maflimamente in confronto  dell* Ariftotelica, la quale, fecondo lui, è J }a*  fa V unica , e fola cagione , anzi l y orìgine JìcJfa  di tutte V erefie.   E quanto al primo , cioè quanto al prin-  cipato ,tra Platone, ed Ariftotile ; molto dif-  ficile, molto dibattuta, e da niiino per anche  decite quiftione ha prefo a diterminare il no-  Aro autore , augnandolo al primo • La dif-  ficoltà di tal decisione procede , che molti ef-  ffendo i pregj delfinio e dell* altro filofofo ,  amendue ancora hanno le loro imperfezioni.  Secondcchè pertanto fi vogliono riguardare sì  nell* uno, che nell* altro più quelli, che ques-  te, fi ha campo ancora di antiporre , o pote  porre V uno all* altro.   Ma per quello , che riguarda il fecondo y  cioè quanto al far ufo dell* uno, o delP altro  nella Teologia , e nelle cole della religione ,  non fono pure ben d* accordo tra loro gli uo-  mini dotti qual fia da preferirli . Se per Pla-  tone fta P ufo , che moftrano averne fatto i  primi Padri della Chiete: nè anche Ariftotile  va privo in tutto di fimi! pregio , mentre al  riferire d’Eufebio nel libro VII. cap. XXXIL  della Storia Ecclefiaftica , in Aleftàndria , an-  che al tempo , che i Dottori Apoftolici rif-   pJea«    plendevano , l’Ariflotelica (cuoia fioriva. Gle-  mente Aleffandrino lib.V. Stromatam, riferita,  che Ariltobolo con molti libri provò, la (liofoba  Peripatetica dalla legge di Mosè,e dagli altri  Profeti derivarli. E Gioleffo nel lib. I. contvaAp*  pìonem , infieme col mentovato Eufebio nel lib.  IX. cap. V. de preparatane Evangelica , recano  un luogo di Clearco,ditapoIod’ Annotile, da  cui fi fcorge, come quello filofofo, eliendo m A-  fia, tenne lunghi, e fciendfici ragionamenti  con un dotto , e favio Ebreo , da cui apparo mol.  te belle, ed eccellenti cofe ne’ Divini libri con*  tenute . Anzi fu opinione d’alcuni , che lo «el-  fo filofofo , avendo avuti per mezzo d Alelìan.  dro i libri di Salamone , molte cofe da quelli rac-  coglielTe,e trafportalfene’ fuoi .Ne mancarono  fra moderni ( lafciando per ora da parteltare i  libri de vietate Arijlotelis , de f alate Anflotchs ,  ed altri limili dati fuori ) chi comparazioni tra  la Scrittura facra , ed Ariftotile facendo , s in-  segnarono a tutta lor polla di moftrarc, eh e-   alino pattano d’accordo , come Giorgio Trape-  zonzio, Giovanni Zeifoldo , AgofiinoSteuco,  ed altri . Sopra così fatta lite pertanto a muno ,  s’ io non vado errato , difpiacerà il prudente   giudiciodi Melchior Cano, (limato meritamen-  te dall’autor del la Lettera il maggior ornamen-  to della famiglia Domenicana. Divo Augufli ,  wofdice quell’ autore nel lib. X- cap. V . de loets  Tbeologicis ) Pialo fummus efl : Divo Tbom   Enea Gazeo , di Teofìlo Patriarca d’ Antio-  chia, di Lattanzio Firmiano, d’ Eufebio Ce-  fàrienfe, d’ Epifanio, di Gregorio Nazianze-  [ no , di Girolamo , di Crifoftomo , e di Teodo-  reto, ne’quali, tutti concordemente biafima-  no , e {gridano Platone , e la fua fìlofòfia , co-  me quella, ch’era fiata l’origine , ed aveva  dato palcolo, e fomento ad infiniti errori , ed  erefie. Ecco adunque , che Ariflotile non è  fiata la fola pietra dello fcandalo : ecco eh* egli   non    i    Digitlzed by Google    f    188   non è l’unica cagione di tutte V erefie : ma  Platone fenz’alcun dubbio, in quella parte lo  fupera, ed è flato guardato di malocchio da*  Padri; e l’ accollarli , ch’egli fa in qualche  modo più a noi , è ridondato in nollro mag-  gior pregiudicio . Di qui fu però , che negìi  ultimi tempi , quando Giorgio Gemillo , il  Cardinal BelTarione , il Cardinal Gufano , e  Marlilio Ficino illullrarono , e fecero rifiori-  re la Platonica limola, quali tutti nonpertan-  to {limarono miglior avvifo, o almeno minor  pericolo, attenerli tuttavia ad Ariflotile. Sen.  tali lòpra ciò 1’ avvedutiflìmo Giovan Fran-  celco Pico Mirandolano , il quale nel libro 1 V.  capitolo IL del fuo Ex amen vanìtatis dotivi,  ttee gentium , in quello modo lafciò Icritto.  Alti nihilominus , Platone poflhabito , haferunt  Arifloteli , exiflimantes illum noflr & exatìe,  fed in comuni defumta ) prxbere aditum faci -  lius po/fit , quam Arifloteles , qui rationibus ,  non fide , foleat plurìmum & fere femper inni -  ti . Ma il talento di avvallare Ariflotile , e  cacciamelo del mondo , e della memoria de-  gli uomini; non ha lalciato Icorgere all’ au-  tor della Lettera, non dico le lodi fue ; ma   nè    Digltized by Google    nè pure i biafimi, «Squali i medefimi Padri  ne’medefimi luoghi, in cui nello ripigliano,   » anche il fuo maedro fogliono non punto di-  verfamente trattare . Per cagion d y efempio  nel capitolo XJ. del Libro intitolato Regala  Monacharum , a S. Girolamo già attribuito ,  fi leggono quelle parole ; Attende , & tu fa-  tuorum fapientum princeps Arifloteles . Elleno  però fono Hate tolto notate dal nodro auto,  re , e nella lettera aliai avidamente inferite :  ma queir altre: Verum non fine labore didicu  ) fii tuam Japientiam fatuam Plato y folamente  due verfi lontane,* e quelle ancora aliai vicine;  Non banv fatuitatem doéìijjimam Athenis Plato  didicit , non Arifloteles y non Anaxagoras > non cete -  rorum fiultorum mundi fapientum turba percepita  non fono Hate avvertite da lui , nè notate ,  non altrimenti, che feo non iforitte, o rafe,  e cancellate Hate li fodero. Ma che diremo,  che dopo quel detto da lui in difcredito d* A-  f rillotilc recato , immediatamente al medefimo  . filofofo quedo elogio è teduto, o leurato fi mil-  mente, non fo come, c tolto agli occhi del  nollro autore? Et fi fueris abfque dubitano,  ne prfdigium , grandeque miraculum in tota na+  tura y cui pene videtur infufum , quicquid  naturai iter efl capax humanum genus , 43c.  Le quali parole anzi della foiocca abbjezio-  > ne , e viltà del Chiofatore Arabo, che del-  la gravità Geronimiana tenere mi fcmbra-   no    ►    Digltized by Google    r    190   no (*) Vero è però, che da tutti i Critici efl  fendo coiai opera da quelle di Girolamo fe pa-  rata , e come lavoro di più baili tempi , non   fu*   (*) Averroe nella Prefazione alla Fifica 4 parlan-  do d’ Afiftotile difTe : Talem ejfe virtutem in indi-  viduo uno tniraculofum & extra neum exifiit . A che pa-  re , che corrifpondano qtìeft e parole : Si fuerir ab -  fque dubitation e prodigi um 3 grand eque mìraculurn in  tota natura . Averroe ancora fopra il libro JL della  generazione degli animali , così lafciò fcrirto : Lau*  demur Deum , qui feparavit lune virum ab a li ir in  perfezione 5 appropriavitque ei vltimam dignità tem  bumanam ò quam non omnis homo pottft in quacum -  que £tote attingere . Alle quali parole s } accofta-  no ùmilmente quell* altre : Cui pene videtur infu -  fum , quicquid naturaliter efl capax bumanutn gsnut .  Di qui fi può formar conghiettura , che cotal Li-  bro non fia flato feri ero prima del 1150 , in cui fio-  rì Averroe . Oltre a moire voci de 9 tempi baffi , e  parecchj veftigj di fcolaftico , e Parigino idioma ,  che vi s* incontrano y e che pofTono fervire per  confermazione di quello 3 maggiormente ancora  tutto ciò fi ftabilifce dalle parole , che fi leggo*  Do nel capitolo X. Ut quafi quorundam pbilofo -  pborum videretur in eis verificavi opinio , qui unam  ponunt in bominibur univerfir animar» folam . La qual  è opinione venuta fu ne* tempi baffi ,dai rappor-  tato Averroe mefTa fuori e difefa , impugni 3 da  S. Tommafo,e finalmente condannata nel V. Con-  cilio Lateranefe alla Seffione Vili. Ma perchè per  . altra parte nel capitolo XXXIV. , e XXXViU’  dell* accennata opera fi fa menzione del pranfodo-  po nona ne’ dì di digiuno ; il qua! ufo s* è nella  Chiefa confervato fin verfo il fine del XIV. fecole 5  perciò potrebbe argomentarli 3 che il Libro non fof-    f    Digitized by Google    . *9i   fna giudicata * (**) non era da farfi arma  fuor di ragione contra lo Stajprita del  nome d’un tanto Padre . Ben piu vantag-  giofo e per V autore della Lettera , e per la  verità flato farebbe , eh’ egli nelle vere ope-  re i veri '(entimemi di sì gran Santo intorno  a ciò rintracciato , e quafi fpigolato avefle ,  mentre in quella guifa il perfeguitato Arifto-  tile dal glorificato Platone non mai guari lon-  tano ritrovato avrebbe - Come (opra il capi-  tolo X. v. XV. deir Ecclefiade . Lege Plato-  ne m : Arifloìdis revolve verfutias y & proba -  bis verum effe quod dicitar : labor flaltoram  affliget eos . Sopra il Salmo CXL v. Vi. al-  tresì. Nane ipji hareticì licet per Arìftotelern y  & Platonem videantar fimplicitatern Ecdefi  e fin dove fi debba  fèguitargli • Poflòno è vero accodarli f chi  piu , e chi meno a* dogmi della noftra re-  ligione , fecondo i fonti da* quali attinie*  ro le loro cognizioni ; ' ma non è però  giammai da fperare , che ferifcano il fe.  gno , perchè le tenebre , nelle quali vi-  veano , loro non permettevano d y arrivare  tant* alto . Altro dunque non fi può in  /quella parte , che com piagnere la mifèria,  e infelicità loro : per altro il biafimo , e  la lode non ha propriamente luogo fòpra  elfi ,?fe non quando fi confiderano • da fe,  come puri filofòfi , e fèparatamente da* do-  gmi de* Criftiani. T   Ora palliamo a dilcorrere brevemente  dell* idea generale , che P amore della  prefènte Lettera ha avuto ; il quale ha  divifato > che la difefà di Renato Defcar-  tes fia la difefa della filofofia moderna , e  la condannagione d* Ariftotiie fia la con.  dannagione cella volgare.   Incorno a ciò è da avvertire , che la mo-  derna filcfòfia non è in modoconftituita dal-  la filofofia del Defcartes, che Cartellano, e   N Mo'    Digìtized by Google    194   Moderno fìa la medefitrià cofa. E 1 ben vero,  che non fi può eflère Cartellano lènza eflère  ancora Moderno; ma non è vero, che non  fi pofla eflère Moderno fenza eflère Cartefia-  no , Per la qual cofa la filolòfia Cartefiana  fi ha alla Moderna , come la fpezie al gene-  re. Ancora è da notare, che avvegnacchè la  volgare fiJtfofia abbia voluto unicamente ac.  taccarfi ad Ariftotile , tuttavia eflèndofi ella  lèrvira per intenderlo dell* ioterpetrazioni de-  gli Arabi , i quali per l’ignoranza delle lirt^  gue, e per mancanza d’erudizione, peflima-  mente 1’ hanno iotefo: nè lette avendo gli  Scolaflici quefte interpetrazioni nell’idioma ,  .in cui da’ loro autori erano fiate fcritte ; ma  dall’Arabico trafportate in Latino , o come  alcun dice , in Ebreo dall’ Arabico , e po.  fcia dall’Ebreo in Latino trafvafate ; può et  fere per ciò aflai facilmente avvenuto , che  la mente d’ AriflotiJe per lo diritto intendi-  mento prefo , fia del. tutto oppofta a quella  degli Scolaflici, e cosi la mente degli Scola.  Ilici a quella d’Ariflotele. Ora di qui ne fé-  gue, che come vituperandoli, e condannan-  doli i modei ni , per avventura nè fi vitupe-  rerebbe , .nè fi condannerebbe il Defcartes ; '  così per l’oppoflo lodandoli, e difendendoli  il Defcartes, può eflère , che nè fi lodino ,  nè fi difendano i moderni . Similmente fi c-   come vituperandoli , e condannandoli gli Sco-  la-    Digitized by Google    lattici, è facil cotti, che nè fi vituperi, nè  fi condanni Arittotile • cosi potrebbe dare  il calo, che vituperandoli, e condannandoli  Ariftotele , nè fi vituperaflèro , nè li con-  dannaflèro gli Scolatici , eh’ è quanto dire  la filolòfia volgare. E* ben vero però, che  quell’ ultima . eiTendo colà dilEcilittima , e  preffochè imponibile ; perchè non è da cre-  dere, eh’ elfi Scolatoci perverlàmente inten-  dendo Arittotile 1’ abbiano migliorato : ma  piuttotto piggiorato affai ; cosi il vituperare,  e il condannare Arittotile pare , che provi  molto quanto al vituperare , e condannare  la filolòfia volgare . Ma per 1’ oppofta {ra-  gione il lodare, e il difendere Renato Dett  cartes non pare, che provi tanto per quello^  che fpetta al lodare , e difendere la filcfofia  moderna;.. .   Perbene adunque, e acconcia diente difen-  dere, e lodare quella filofofia, {ómbra di me*  ftieri cercare il fuo verocottitutivo, dalla bon-  tà ^.o difetto del quale, la lode , e il bia*  fimo ad eflà Umilmente fe ne derivi. Ora  quello , che fembra la filofofìa moderna  conttituire , e alla volgare degli Scolali ici  immediatamente oppofta; renderla , fi è lo  lcotimento del giogo Peripatetico , e di  qualunque altro particolar filolòfo ; e la  pura ricerca della verità. dove , e in qua-  lunque luogo ella fi fia . La ichiavitù nel.   N * la    196 . .   la quale, feguendo gli Arabi, gente d f ani*  ino baffo , e fervile , avevano pollo il loro  intelletto gli Scolaftici , per ellere dapper-  tutto fparfi , e difufi, s’era ancora dapper^  tutto difufa , e inoltrata , ed avevano cbbli*  gato tutto il mondo a non filofofare con al-  tra mente , che con quella ' d* Ariflotile •  Avvegnaché fopra infinite quiflioni di filo-  lofi a 7 col là pere* la mente di quello filofo-  fo, non fi fappia per anche nulla y tuttavia  eglino s* erano immaginati di làper tutto ♦  Nequc erìnn- Philofophum ; ( cóme dice Gio-  va n Francefco Pico ) fed Pbìlofopbi* legem  pkrique omnès arbitrobantur . Quella però è  la cagione, che fi fono veduti fopra tal qui.  ftionepiù libri, deflinati ad eliminar la men-  te d’ Ariflotile,' che a ricercare la lidia veri,  tà della colà . Molti hanno incominciato a  riflettere , che quello era un travaglio molto  penofò , e che il frutto non -iftance era aliai  tenue. Hanno offervato, che per quella via,  al più non fi’ poteva venire in cognizione che  di quanto fapeva Ariflotile , che vuol dire  di pochiflìme cofe , rifpetto a quelle, che s*  avrebbono potute fcoprire . Dove 1* altre ar-  ti al tempo de* primi ritrovatori • fono Tem-  pre comparlè rozze ,     19 7   tempi d’ A ri Rotile >' di Piatone , di Demo-  erito, e d’ Ippocrate , molto fi làpeva per  squelPctà, allo ’ncontrocol tratto del tempo  era venuto anzi perdendo che no, e le fet-  enze s* erano piuttolìo abballate , e o Taira te,  ^he illuflrate, e innalzateli , com’era di ra-  gione - Conchifero adunque , che quello mo-  ■do di filofofare degli Scolatici èra irragione-  vole , e barbaro , e non tendeva ad altro , che  a coprire tutto il mondo d’ una miferabile i-  gnoranza, mentre , come avvertì anche Sene»  .Qui aitimi fequtiur tiibil inventi , imo ne*  que quarti.. Lorenzo Valla Romano fu il pri-  , che a’ adpprò a trarre la filofofia del mi.  fero fervaggio , in cui li giaceva , inoltrando  èllere lecito fentire diverfo da Ariftotile co*  duci tre Libri Diale Elie arum difputatwmm , che  fcriflfe a ^quello fine . Anche .Giovati Francei-  co Pico Mirandolano ne’ tre .ultimi Libri del  fuo E* amen vanitati s dottrina gentium , molte  colè difputò contra lo lìdio filofofo ; e mol-  te altresì ; Lodovico iVives ne* fuoi Libri de  cauffts corrupanrm artium , per non dir nulla  delTelefio, del Patrizio i e d’altri fomiglian.  ti ,ii quali pure tennero la ll'eflà via . Die*  tro le velìigie di coltoro Galileo Galilei in  Italia, e Prancefeo Barcone, in Inghilter-  ra inftituirono Un modo di frlólòfare libero,  e del tutto oppolto, all’ antico. Scola Iti co, e  gittarono le prime fondamenta di quella ft-   r«o n ? • ■ io.    t98   lotcfia che fi chiama Moderna/ non perchè  fidamente ora Ì fuoi principi fieno /tari po.  Iti in ufo; che Tempre, e in tutti i fiecoli gli  uomini ragionevoli altra via non hanno mai  tenuto ne! tilofcfare; ma perché dopo ? in.  fezione orribile , e univerfale degii Scolaftick  iqtiali amava n meglio di fcioccheggiare coti  Ariftotile, che con altri tàggiameme'iditcop*  rere , come alcun diffe j q netti ottimi pria,  eipj fono fiati felicemente richiamati , e pa.  fti in ufo da moderni . Aperta cosi Ja fi rada  da queftì due nobili, e valorófi ingegni . «  primo de* quali fu il primo ancora , che chia.  mo in ajuto della filofofia le Matematiche,  e che con profpero avvenimento Je v’ intro-  dufie; comparvero ben tofloCartefio, e Gali   , do ?r, r £ na . altri ec.   celienti filofofì, i quali t a n te ^ e sì diverte   ecfe e in cielo *, e in terra difcóprirono , e  cosi fatto utile recarono a tutte I» altre arti ,  e fpecialmente alla Medicina , che ben fece,  ro conofcere cogli effetti, quanto infelice, e  miterevole fia la condizione di qpefti aridi ,   f d, g' 1 ™ d* Ariftotifc ; e quanta fia   la necetfita di battere altra via per ben fìioi   babugemus in Italia Galil quotiefeumque ipfi permittitur libere quo*  cumque vagari. Verumenimvcro nec argumen -  ta in oppofitum defunty pracipue quantum ad  pbilofopbiam . ^Ecce quanam plus minufve . /.  Ouod nonHdeo rerum fcìentia aequiritur y fla-  tim ac auttpfis innotefeit opimo 5 quacumque  aliter fentiendi , aut fcribendi pr aclu fa facuh  tate . Ih Qupd fape fapius temporis multum  fruflra tranfigitur , germanum vefligando prò*  prii auttoris fenfum > fpeciatim in aliquibus con-  troverfiis y quas ipfe fubobfcure refolvit : III  Hinc ea penitus non declinari y qua timentur  abfitrda , hoc efl circa opinandi libcrtatem ;  Magifler enim nonnibil acutuSy auttorem quem-  piam ad proprhtm fenfum jugiter potè fi expo -   . i ntn -    Digltized by Google    tot   tendo trabere , ita ut in eunlfis fihi patroci.  nari videatur. IV. Quod in pbilcfapbicis libe .  rum unieuique effe debeat fuopte nutu de re.  .rum natura fentire , & quod fcrutanda veri,  tati plurimum obefl ita jur are in verba dolio,  rum, ut borum auHoritatì , baudquaquam li.  eeat refragari.V-, Quod iflopotifftmum loco  Divi Atfguftinì norma m fequi cportet , adferen.  tis , quantavis auiloritate , ac fanlìitate fulge.  fit aliquis aulior, ipfi tamen indubitatum , fir.  tnumque affenfum co folum effe prabendum ,   ? to rationes ejus illum a nobis extorqent . VI.   andem Deum onice. effe , cujus auHoritati ,  nipote maino infallibili , fit tace fidendum.      «   I 3    4 t 1 » i    INE.     0 •* •           )    Digitized by Google    :t \    2O3    INDICE    ; u    • * * • M    s i    Delle cofe notabili , contenute nella  preferite Lettera , . e -nell’; ; ;  Offer vazione .■    M *    * •     » si    pone in Dio. 84. gran fbfifta. 147. 148  AriflptplicìJ Vedi Perl pitici . Tjf J   AriflotUe rfòvetchia autorità dataglida alcuni 8  . * 1 ?4- condanna Platone, e n*è riprefo. 1 j.fiioi  * : ièguaeV eretici . 30Ì 38. 15 9. pròBaMJifti . 95  venerato còme idolo. 30. i59.bia/tmatoda >  fanti Padri .. 32; 35^4. 35. 154. 158. 191  da altri . 40. 41. 45. fuoi libri condannati .  35. 36. notato di gravi errori da’ Padri , ed  r , altri. 41. 4Z. 43.,'fu uno de 9 maggiori filo-  . lòfi delia Grècia 44. fu chiamato in giu-  *5 ^icio . 44. fuoi principi bugiardi . 44.; infa-  mato da 1 fuoi feguaci lteffi ., 45-46. fe ve-  nifle ora al mondo fi difdirebbe. 103. 104  c noniftimò di dover eflère norma univerfà-  le . 107. e 1 origine di tutti gli errori de  interpetri. i^.fwacrfcurità. 148. 149. è  li ìóJò tra tanti filofofi,(:he fia ftudiatq, fxid ila  V n izio ne deIL*iTOii\c> biajtj ma|? - 1*   - immortaJi^delranima.24. 153. fua Logica  T fofìftica . 154. lodato affettatamente .169  flrabocchevolmente biafimato> 170.. 172  giudici retti fopra il medefimo . 171. non  •%• •   C Ano ( Melchior ) ; Tuo elogio •: 38. giu-  ì dicio del medefimo intorno a Piatone ,  . ; e jAnilotile. ; !.. 183   Capitone : fct raggiante i, ; ■ ... ; 106   Caramuele ( Gio. ) : ilio prelag io intorno al-  , la filofofìa Cartefiana. . {, 120   Cartefto ( Renato ): lii che fondamenti pian-  « tane il fuo fiftema - 53.. fiioi principi giu*  ili y e buoni. 55* 114. fuoi fèguaci. 56. 57  «‘ fo*! 64 . 66. 67. 68. 70. fuoi protettori 64   ; 67. .converte la Regina di Svezia . 64. e   . altri . 65. lupi fentimenti fi conformano  v «> n que , de y Padri. 57, 58. 60. 1 14. 1 15  ; 116. n8. chiamato il refu gio de J cartoli-  . • 65* onori fattigli. 65. calunniato dalle   univerfità Protettami . 70. fuoi nemici -  70. 71. 88. fiioi difenlòri . 71. 72. pone  per primo principio il dubitare . 87-fua prote-  it azione , $7. a ma d’effère corretto. 88. per-  chè fine meditate una nuova, fflofofìa. 116  lodato dal P. .Merlènni . 118.119. s’uniforma  fo’ftntimenti di Platone. 121. fuoi coltami.   : Ì21. iiz. 123. giudicio fòpra il medefi.   ino del Malebranche . 180. fua filofofia  -difefa dalle migliori univerfità d’Europa.   61. ù    Digltized by Google    »Ojr   61. fi dee antiporte a quella d* Ariftolile.  114. è veramente Criltiana . 116. lodata.  11 9. prefagio del Caramuele intorno al*  la medefima- 120. è tratta dalla Genefi •  121. perchè contraddetta da alcuni. 124  ha dato motivo a molti di dar in pazzie .  ed empietà. 179. fuoi difetti , 'i8o. 181. U  ha alla Moderna come la fpecie al genere.  194 Cartellano , e Moderno non è lo   fteflq. 19+   P. C a fati: abbraccia la fìlolòfia Moderna. 66  Caffi ni: fila oflervazione . ili   Celfo: contrario a J a bolero. 107   CeJ alpini ( Andrea ) .* fua. (coperta. 109  P. Charlet : amico del Cartello.. • . 66   Cbiefa: fua dottrina è la vera fìlolòfia . 126  è interpetre degli arcani Divini . 163. Ve-  di Teologia .   P. Cbirchero ( Atanafio ): proccura 1’ amici-  zia del Cartello . , ■ 67   Clemente ( AlefTandrino ): non iftimò, che i  Greci fi giuftificafièro per mezzo della fìlo-  lòfia. ■ .10   Cicerone ( M. Tullio ) .* divinizzato dal Nizo-  Ito. 172   Cielo : (ita grandezza , materia , e moti igno-   ti. • . . .• '• '>'••• ' 81   S. Cipriano ( Martire ): fao errore . 16 1   P.Ciermans : loda il Cartello. ■ - 68   Concilio Latermefe V. : filo luogo alla Seflìo-   ne    Digltlzed by Google         to8   Tie 8. fplegato .    D ■Daniel ( Niccola ) : impugna il Carte-    bracciata . 48. fua opinione intorno alla   i . . •   P- Detei: Cartellano . 62   Defcartes . Vedi Carte fio.   Digiuno ■: fin quanto abbia durato nella Chie-  *'• là il pranlò dopo Nona. 190   p. Di net ( Giacomo )ì amico del Cartello .   • 67. 88. >   Dio: è la prima verità. . 163   Difpute : la verità fogge da eflè . 5. fono un   tormento degl’ingegni . 6 . hanno diftrut.   * to la filolofìa . 87. 89. 90. altro lor pelfi-  -■ mo effètto. 137. Vedi Filofofi i Perìpate.    E Berardo ( Gio. ) difende il Cartello. 71  Epicuro : plagiario. 49- commendato da’  Padri . 49. 50. 53. fua filofofìa abbracciata.  48. 51. 53. anche da’ Padri . 54. 55. meri.  •• tò della medesima . 49. 53. illultrata dal     tiri) Sette.    E    Gal'    . ; 209   v ; G^irenaiv T " - ; ' 5 °   Erbe : non fi fa la loro virtù •' 80   Ereboore : ( Adriano ) : Cartellano. ■ . 7 O  Euclide: fuo detto ’ ; \ r \ * : f ’ 14 >   Eunomiam: giurano 4 filile parole d’Ariftotile.   - ^ 59 . ,   Etintìniicr: compagno d’ Aezio nell’erefia . 29   ‘ ^ fi vanta di conofcer Dio r . 7 6 : è riprefo da   ’ Bafilio. ' ’ " : i ! ' , 7* 77 .178   Eurìpo : fuoi vortici non fi fa donde derivi-   ■ ' • 81    no*. « , .   • .op * u:- t \ r r *jLvì r   r f r   *• » /i # ' »IA «4 • al * ,1 *l*v* • 1 I • #   5 " Fabbri i abbraccia la fìlofofia Moderna.   p. Farvagtie : difertfore del Cartefio. • 5^  Fede : 'richiede fommiffiorie. 34. Vedi Chic.   • *'/», ‘ : v>- ! v .   Ecmrib( S. Vincenzo ) : introduttore dell In.   '• cfuifizione. * * .. . .. . 34   Fìlopono X Giovanni ) .* eretico . ^ ' ■ 2.9   Filo fof are : è permeilo à tutti . -ir. liberta di  •' éffo . l 72. 97- 99: 1?8. die fine deb-   : bà avere.' • ^ ^ — ^*54   Filofofi'r contrari a fe medefimi .' 74. ton-  ’ dano i principi del fi lofofare foli’ igno.   •' ... .-L 'i. a_ . 1 14 fri-    • I • « »    » « t  “ « •.    ?» tii.t 22.'fonó amanti delle favole .  • i-! o *J°»    1    Digltized by Google    ZIO   330. dicono le maggiori pazzie. *3 1. fé. ne  - può trar bene, e male per la religione , 19^  non poflòno eflère biafimati di queftó *191.   • non bilbgna fperare , che parlino da Cri-   tìiani. 193. biasimo 1 e lode quando abbia,  luogo lopra euì. ' 19 )   Filofopa: commendata’ da’ Gentili ) $ da^Pa-  dii. 8. 9. io. 11. ip. non è fapienza..rV7^  : non è altro che opi nazione. 80. 162- non  . ve n'ha al mondo. . 8 3. 87. divife in mille  fette . 89. 90. 129. fua incertezza . 00. 91  130. non abborrifce Je novità * 98. fogget-  ta a nuove (coperte. 100. 101. ancella del.   . la Teologia. 127. 129. è (tata ritrovata per  efercitazion dell’ ingegno . 130. Jia avuto  t. origine dajle fàvole de’ Poeti . 130. . non è  . contraria a tutte le. favole. 131.nan.haan.   cor trovato la verità. .,-y '^64   Filofofia Antica : fua / debolezza . j Hj-è up   • giuoco fanciulldco . 199. Vedi Àrtjlotùc ~ y  . 'Peripatetici t Scelffiiai •  Fihfofià, ' Moderna : malamente n; ’4 • v - . 198     ‘ " j; - :l ;;;;i 51   Gtfitttr:' hanno partkolar irtftituto di feguita*  c re Ariftotile. 65. molti hanno abbracciato  la fìlofofìa Moderna*. 66. 69   Gianfenifla : titolo proibito in Francia. 93  G indie io : norma .da tenerli nel. dar gfridició.  .cr 171. noti bifògna dar negli cftremi. ■ 175  Giureconsulti : non fono così pertinaci , come  v : i iPcripa tctìdl*;! f: >\ fi j . vui !;; .1,06.107  Giuflino ( Martire ) : convertito per mezzo  -ideila fìlofofìa Platonica i \ :U iV *7  f. Grandamy : amico del Cartello . 68   O 2 Gran*    i    212 .    Grandini: non fi fa cóme s’ingenerino. 8r  S, 'Gregorio ( Nifleno ) fuo elogio. 53. Epi-   _ laureo. . .. 53- 54   P. Grimaldi : abbraccia la filofofia Moderna.   • L ^ •   ^ ' t   \ * ; , M • - » . • ■ \ •   «•..*# t 4 ( / 1 »» M « ^ 1 f » V •      * ' i »»•'   #..*•> « y i »    ♦ • f . r    I * *    % 4   \ * •    I Gnoranz* ì & uo panegirico. 1 -- : % V« % ’  Incendy: ne* monti , non fi fa come fi  i-ì facciano. . • *:,. ' \    r . . » .   ^ . »... » ir f-.' % » “ 1 .   «ili i • » r - •    r ■ ■» M ' • « 1 » t : ♦: io5   i Lampi : non n fa come s’ ingenerino.   .    ci. ;   P. Lupi : fi fa Cartellano. 56. perchè. 57   ,   ? . S . •   Stoici : negano 1 * opinarionì . 83. lofpetti ap-  po i Romani. -    * '    T Affitti - f Alefiàndro ^ : fuO prefagio in-  torno ad Ariftotilc verificato a 120    ■Temiflio: eretico. ’ *9   Teologi: loro> difetti- • • 1 ^ 9 - * 4 °   Teologia : le novità in eflà fimo pericolofe . 98  ammeflè dagli Scolali ici. 164.133. è regina  delle fcienze. 127. non ha che fare colla fi-  , lofofia.127. 128. ha ritrovato la verità. 165  Icolallica non fi dee riprovareperchè fa ufo  . • d* Arittotile." . » 7 ?   Terremoti : non fi là come fi facciano . 81   Terra : ignoto fu qual baie fi libri , e quanto  Ila grande. "8*   Tejt pubbliche : loro abufo al tempo del V.   Concilio Lateranelè . *77   Ticcùne: file {coperte: • ” ^   S. Tommafo ( d’ Aquino ) : come , e a che   fine iludiafle Ariftotile . 46. fuo lamento .   * . * » • • , ,   47 - ' • - _    Digltized by Google    iZlO   Tmricdli : .dio ritrovamento . . ' jio   De Turne ( Simon ) : perchè acculato d* ere-  fia. , ... 22    f   • f    V   ' “ f*** j    »' i • ■* ^   * • • ♦ I    V ' Alla ( Lorenzo .) r Tuo penfiero appro-  vato dalNizolio. 144. Fu il primo a li.  re: nega Topinazioni. 83. fua fetta  fofpetta appo i Romani. a 9 *    i • |   ' 12 FINE.   Mi 2 cZ£/o2o     «    Digltlzed by Google    1    \    /       t ' ’ \ !   « • k » / »    - . *f      .. t „ • »,   > « 4 ) * • ' • ' *• -Vr c. ..      «- 'r*. *"•   > *. • i i'* t •*...    . *"ì   r •   ♦M' .      • t •-    W .  ^     » •  4 »      r V * • • .   I • « i • }    «vi   », 9    \ ■' Wl {   i   *■ vii' ^    m «'.'i i • # . •% r • . • *   f vi • a.« 4 4 « • w • ' ^ ►    • * • - {•• * i»# » » *   i «# i» • j,    1    . ì    9 ' r   4 »    #    fi    . r • i , . « ff » »   * l «. « fc li . A,' i    A.    ■T '   ?    r    :t    t   • % « « / ► . •    r /*• # • (/ r*  i t » Il    / -5    : ^    1 /     «    V     I    .r^A:    V,      w   (    ' -    t   »   c |    <* .    4    «    \    Digitized by Google Giuseppe Valletta. Valletta Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valletta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Valore: la ragione conversazionale dell’inventario del mondo – filosofia italiana- Luigi Speranza. (Milano). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “Having philosophsided on what Italians call ‘valore,’ I admire Valore!” Si occupa di metafisica, di ontologia generale e delle implicazioni ontologiche delle teorie formali. Si interessa anche dei progetti di linguaggi artificiali e di lingue ausiliarie. Si laurea in filosofia a Milano, vi ha conseguito il dottorato di ricerca con uno studio su riferimento, rappresentazione e realta. Ricerca a Milano, dove insegna storia della filosofia. La sua prima produzione è stata dedicata principalmente a studi sulla filosofia dell'Ottocento e del Novecento e alla riabilitazione di una prospettiva trascendentalista soprattutto in metafisica. Partecipa al gruppo fondatore della rivista Problemata. Quaderni di Filosofia, di cui è stato caporedattore. Quando la Facoltà di ingegneria industriale del poli-tecnico di Milano gli ha affidato un corso di "Verità e teoria della corrispondenza", la sua ricerca si è spostata su tematiche sempre più teoriche, collegate alla filosofia analitica, alla metafisica e all'ontologia analitica. Organizza e cura il progetto. Diviene quindi professore aggregato di storia della metafisica a Milano, di filosofia teoretica al poli-tecnico con corsi dedicati all'ontologia formale e di filosofia degl’oggetti sociali (ontologia sociale) a Milano. Fonda In Koj. Interlingvistikaj Kajeroj, rivista di studio e discussione accademica sulle tematiche dei linguaggi artificiali. È stato membro del gruppo di ricerca European collaborative research finanziato dall'European science foundation e è il responsabile del progetto  per il programma Euro Scholars USA European Under-graduates Research Opportunities. Lavora su un suo progetto di ricerca di ontologia formale per il quale ha vinto una sponsorizzazione Fulbright nella categoria Fulbright Visiting Scholar. Collabora con la Rivista di storia della filosofia, è nel comitato scientifico delle riviste Materiali di estetica, Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior e Multi-linguismo e società ed è direttore delle collane di filosofia Biblioteca di Problemata (editore LED di Milano) e Ratio. Studi e testi di filosofia contemporanea (editore Polimetrica di Monza). Saggi: “Trascendentale e idea di ragione. Studio sulla fenomenologia di BANFI” (Firenze, Nuova Italia); “Rappresentazione, riferimento e realtà” (Torino, Thélème); “L'inventario del mondo. Guida allo studio dell'ontologia” (Torino, Pomba); “La sentenza di Isacco: come dire la verità senza essere realisti” (Milano-Udine, Mimesis); Curatele BANFI, Platone. Lezioni,  (Valore), Milano, Unicopli, Forma dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, Milano, Led, Paolo Va Ars experientiam recte intelligendi. Saggi filosofici, Monza, Polimetrica, Da un punto di vista logico. Saggi logico-filosofici (Milano, Cortina); Materiali per lo studio dei linguaggi artificiali (Milano, Cuem); “Questioni di metafisica” (Milano, Il Castoro); Quine (Milano, Angeli). Monaco di iera, Grin Verlag,. Pubblicato anche come “Inter-linguistica e filosofia dei linguaggi artificiali”, come numero monografico per la prima uscita del giornale accademico multilingue InKoj. Interlingvistikaj Kajeroj. Pisa, E di studio, Dispense universitarie La categoria di sostanza in Aristotele, Milano, Cuem, Introduzione al dibattito sulla distinzione tra analitico e sintetico (Milano. Cuem); Questioni di ontologia (Milano, Cusl); La struttura logico-analitica dell'ontologia di HERBART (Milano, Cusl); Laboratorio di ontologia analitica (Milano, Cusl); Verità e teoria della corrispondenza (Milano, Cusl); Philosophy of Social Objects (Milano, Bocconi); Bibliografie ragionate Ontologia, Milano, Unicopli, Verità, Milano, Unicopli, Saggi e articoli Acme,  "Idealizzazione della verità e coerentismo. Due perplessità sul realismo della 'seconda ingenuità'", in Iride. Filosofia e discussione pubblica, "La 'posizione' esistenziale e il giudizio ipotetico nell'ontologia di HERBART: il caso degl’oggetti inesistenti", in POGGI, Natura umana e individualità psichica. Scienza, filosofia e religione in Italia (Milano, Unicopli); “Sull'idea di una logica trascendentale", in Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica, "Alcune note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia contemporanea più recente", in  V., Forma dat esse rei..., "L'interpretazione semantica del trascendentale e l'ontologia del mondo reale in PRETI", in V., Forma dat esse rei...,  "Il mestiere antico e nuovo del filosofo", in la Repubblica, (Milano).  "Fisica e geometria come modelli di lavoro per l'ontologia. Un'interpretazione del metodo delle relazioni”, Dall'epistolario di PRETI a BANFI", Ad BANFI cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, "Due tipi di parsimonia. Alcune considerazioni sul costruttivismo e il nominalismo ontologico", in La filosofia e i linguaggi, Macerata, Quodlibet. "Cosa c'è che non va nell'idea di una lingua cosmica. Il caso del LINCOS di Freudenthal", in Multilingusimo e Società,  "Nothing is part of everything", in Giornale di filosofia, Ontologie, Milano, Volume recensito da Utri sulla rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica, Secretum on line. Scienze, saperi, forme di cultura,  e da Marazzi sulla Rivista di filosofia neoscolastica, Volume recensito da Gesner sulla rivista Belfagor. Rassegna di varia umanità, Volume recensito da Bianchetti, Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica,  Volume recensito da Giardino sulla Rivista di filosofia, nell'articolo "Tra i cavalli alati e la realtà" – cf. H. P. Grice, “Pegasus is Pegasus” Nomi vacui, su Il manifesto, Armezzani su SWIF Volume recensito da Corsetti su “L'esperanto. Revuo de itala esperanto-federacio”, recensito da sulla rivista web Secretum. Scienze, saperi, forme di cultura Si tratta di un Book accessibile con password. Si tratta di una replica critica all'articolo di Valduga "Filosofi all'anagrafe", pubblicato su la Repubblica, sezione Milano. Profilo accademico su immagini della mente. Elenco completo delle pubblicazioni sul sito universitario academia.edu. Paolo Valore. Valore. Keywords: Pegasus is Pegasus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valore” – per il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza

 

Grice e Vanini: la ragione conversazionale dei peripatetici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taurisano). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “If you speak Italian, you should never confuse Vanini with Vannini” -- Grice. Fra i primi esponenti di rilievo del libertinismo erudito. Nasce al casale di Terra d'Otranto, nella famiglia che il padre, uomo d'affari originario di Tresana in Toscana, costitusce sposando una Lopez de Noguera, appartenente a una famiglia appaltatrice delle regie dogane della Terra di Bari, della Terra d'Otranto, della Capitanata e della Basilicata. Anche un successivo documento scoperto nell'srchivio segreto vaticano, lo qualifica pugliese, confermando il luogo di nascita ch'egli si attribuisce nelle sue opere. Nel censimento ufficiale della popolazione del casale di Taurisano figurano solo i nomi di Giovan Battista Vanini, del figlio legittimo Alessandro, e del figlio naturale Giovan Francesco. Nessun cenno della moglie e dell'altro figlio legittimo Giulio Cesare. Si ha motivo di ritenere che il padre sia ri-entrato a Napoli. Sistemata ogni pendenza economica, entra nell'ordine carmelitano assume il nome di Gabriele e si trasfere a Padova per intraprendere gli studi. Giunge nelle terre della repubblica di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima dall'interdetto di Paolo V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno padovano entra in contatto con il gruppo capeggiato da SARPI che, con l'appoggio dell'ambasciata inglese a Venezia, alimenta la polemica anti-papale. Consegue a Napoli il titolo di dottore in utroque iure, superando l'esame che gli consente di esercitare la professione di dottore nella legge civile e canonica. Come verrà descritto in documenti posteriori, assimila una grande cultura. Parla assai bene il latino e con una grande facilità, è alto di taglia e un po' magro, ha i capelli castani, il naso aquilino, gl’occhi vivi e fisionomia gradevole ed ingegnosa. Divenuto maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della capitale erede di Giovan Battista. Con una serie di rogiti e procure notarili redatte a Napoli, inizia a sistemare ogni pendenza economica conseguente alla morte del padre. Vende una casa di sua proprietà sita in Ugento, a pochi chilometri dal suo paese d'origine. Dà mandato a uno zio di assolvere incarichi dello stesso tipo, incarica l'amico Scarciglia di recuperagli una somma e gli vende alcuni beni rimasti a Taurisano e tenuti in custodia dai due fratelli. Partecipa alle prediche quaresimali, attirandosi i sospetti delle autorità religiose. In conseguenza dei suoi atteggiamenti anti-papali, e allontanato dal convento di Padova e rinviato, in attesa di ulteriori sanzioni disciplinari, al provinciale di Terra di Lavoro con sentenza del generale dell'Ordine carmelitano, SILVIO, ma fugge in Inghilterra, insieme con il confratello genovese GENOCCHI. Nel viaggio, toccano Bologna, Milano, i grigioni svizzeri e discendono il corso del Reno sino alla costa del mare del nord, attraversando la Germania, i paesi bassi, il canale della Manica e giungendo infine a Londra e a Lambeth -- sede arcivescovile del Primato d'Inghilterra. Qui i due frati rimarranno per quasi II anni, nascondendo la loro reale identità perfino ai loro ospiti inglesi, poiché è provato che lo stesso arcivescovo di Canterbury, ABBOT, li conosceva sotto un nome diverso da quello reale. Nella chiesa londinese detta dei MERCIAI o degl’italiani, alla presenza di un folto auditorio e di Bacone, V. e il suo compagno fanno una pubblica sconfessione della loro fede cattolica, abbracciando la religione anglicana. In realtà i due frati non hanno tagliato i ponti con i loro ambienti di provenienza: infatti nel GENOCCHI viene raggiunto da una lettera molto amichevole di un amico e confratello genovese, SPINOLA. A loro volta, le autorità cattoliche vengono subito informate di questo caso. -- è il nunzio a Parigi ad avvertire la segreteria di stato vaticana che due frati veneziani non meglio identificati sono fuggiti in Inghilterra e si sono fatti ugonotti, che un vescovo italiano sta per seguirli e che lo stesso SARPI, morto il doge e privato della sua protezione, per non cadere in mano dei suoi nemici, è sul punto di fuggire in Palatinato tra i protestanti. Analoga notizia, arricchita di altri particolari, viene inoltrata dal nunzio in Fiandra al cardinale BORGHESE a Roma, che risponde mostrandosi già al corrente dei fatti e dell'esatta identità dei due frati. Sa che la fuga di V., di GENNOCHI, di SARPI, e di un non ancora identificato vescovo italiano potrebbe portare alla ricostituzione in terra protestante del gruppo di opposizione al papato già operante nella repubblica veneta al tempo dell'interdetto. Il nunzio UBALDINI da Parigi continua a inviare a Roma dettagli sulla condotta dei due frati rifugiati in Inghilterra, sulle loro predicazioni, su come sono stati accolti a corte e dalle autorità religiose, su come si continui a parlare dell'arrivo del vescovo italiano. La segreteria di stato vaticana esorta il nunzio in Francia ad attivare i suoi confidenti in Inghilterra al fine di scoprire l'identità del vescovo intenzionato a rifugiarvisi. Il cardinale UBALDINI da Parigi assicura alla segreteria di stato tutto il suo impegno in merito all'argomento dei due frati. Nello stesso dispaccio afferma che non mancherà di informare di ogni dettaglio anche il cardinale ARROGONI, che gli ha scritto in merito per conto del papa e della congregazione del sant’uffizio. Evidentemente a quella data la condotta veneziana e la successiva fuga dei due frati era già diventata argomento di discussione dell'inquisizione romana. Un'altra lettera del cardinale BORGHESE invita il nunzio in Francia ad essere vigile sulla faccenda della fuga del vescovo in Inghilterra e, nel caso egli passi per il suolo francese, a far di tutto per «farlo ritenere», come suggerisce il Papa e «come sarebbe molto a proposito». In dicembre il Nunzio UBALDINI invia da Parigi al cardinale BORGHESE notizie dettagliate e di tenore molto diverso rispetto alle precedenti sui due frati, attestando la buona reputazione di cui essi godono in Inghilterra e la fiducia che possano presto essere recuperati alla chiesa di Roma. Questa lettera viene poi trasmessa al tribunale dell'inquisizione romana che nei primi giorni del gennaio successivo inizia di fatto a istruire il processo contro V.. Nei mesi successivi si hanno varie notizie di un gran traffico di suppliche e lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite l'ambasciatore spagnolo a Londra, per ottenere il perdono del papa e il ri-entro nel cattolicesimo. Le autorità religiose inglesi ne vengono segretamente informate e dispongono un'attenta sorveglianza nei confronti dei due frati.  Tra la fine dele l'inizio del V. si reca in visita a Cambridge e poi ad OXFORD (cf. H. P. GRICE). A OXFORD, V. confida ad alcuni conoscenti la sua ormai imminente fuga dall'Inghilterra, cosicché in gennaio i due frati vengono arrestati dalla guardie dell'arcivescovo dopo una funzione religiosa nella chiesa degli Italiani e rinchiusi in case di alcuni servi dell'arcivescovo. Scoppia un grande scandalo e dell'episodio vengono informati il re e le massime autorità dello stato, in quanto nelle operazioni di recupero appaiono chiaramente coinvolti agenti di nazioni straniere accreditati nelle ambasciate a Londra. Altissime personalità cattoliche da Roma seguono la vicenda e la favoriscono con grande calore.  GENOCCHI, eludendo la sorveglianza e con l'aiuto di agenti stranieri, fugge dalla prigione e dall'Inghilterra. In conseguenza di ciò, viene trasferito in luogo più sicuro e rinchiuso nella carzel publica, ovvero nella gate-house adiacente all'abbazia di Westminster. Dilaga lo scandalo. Volano le accuse di leggerezza nei confronti dei fautori della fuga dei due frati dall'Italia, mentre cominciano a circolare apertamente i nomi del cappellano dell'ambasciatore veneto a Londra, MORAVO, e dell'ambasciatore spagnolo quali autori del clamoroso recupero. Dalla curia romana si continua a seguire la vicenda e a favorirla in ogni modo.  A Londra viene intanto istruito il processo a V. Il frate rischia una severa punizione, non il rogo come i martiri della fede -- come il carmelitano scrive con enfasi poi nelle sue opera --, ma una lunga deportazione in desolate colonie lontane, come l'arcivescovo ABBOT suggerisce al re.  Anche V. riesce a evadere di prigione e a fuggire dall'Inghilterra, sempre grazie all'aiuto degli agenti dell'ambasciatore spagnolo a Londra, incoraggiato da alte personalità romane e del cappellano dell'ambasciata della repubblica veneta, che si avvale anche dell'opera di alcuni servi dell'ambasciatore stesso, ma all'insaputa di questi.  II anni dopo, durante il processo della repubblica veneta contro l'ambasciatore FOSCARINI per spionaggio e per aver consentito ad ABBOT di sottoporre ad interrogatorio il personale dell'ambasciata, vengono alla luce anche dettagli sulla complicità della fuga di V. da Londra. V. e GENOCCHI arrivano a Bruxelles e si presentano al nunzio di Fiandra, BENTIVOGLIO, che li attende da tempo. Vengono iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per la fuga in Inghilterra e per l'apostasia e viene loro accordato di tornare in Italia e di vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l'abito religioso, ma con il vincolo dell'obbedienza al loro superiore. Forti di tali concessioni, alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per Parigi, dove devono presentarsi al nunzio di quella città, UBALDINI. All'incirca nello stesso periodo giunge a Parigi anche l'ultimo frate recuperato dall'Inghilterra, MARCHETTI. Altri due frati, invece, non ottengono il perdono dalle autorità cattoliche. A Parigi, durante la permanenza presso la sede del nunzio UBALDINI, V. si inserisce nella polemica relativa all'accettazione dei principi del concilio di Trento in Francia, che tarda ad arrivare a causa del rifiuto di parte del clero gallicano. Per orientare gl’animi nella direzione voluta dalla santa sede, scrive i Commentari in difesa del concilio di Trento, di cui egli poi intende avvalersi, come scrive UBALDINI ai suoi superiori in Roma, per dimostrare la sincerità del suo ritorno nella fede cattolica.  Riprende quindi la strada per l'Italia, dirigendosi a Roma, dove deve affrontare le difficili fasi finali del processo presso il tribunale dell'inquisizione. Dimora per qualche mese a Genova, dove ritrova l'amico GENOCCHI e si guadagna da vivere insegnando filosofia ai figli di DORIA. Nonostante le assicurazioni ricevute, il ritorno dei frati non è del tutto tranquillo. GENOCCHI viene inaspettatamente arrestato dall'inquisitore di Genova. A Ferrara accade lo stesso all'altro frate "recuperato", MARCHETTI. V. teme che gli accada la stessa sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige a Lione. Gl’esiti finali delle esperienze capitate al frate genovese e a quello ferrareseche vennero rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e restituiti alla normale vita religiosasembrano indicare che forse V. esagera il pericolo insito in queste operazioni di polizia dell'inquisizione. A Lione, pubblica l' “Amphitheatrum”, che egli intende esibire in sua difesa alle autorità romane, come si legge in un dispaccio di UBALDINI alle autorità romane. Esso è dedicato a CASTRO, ambasciatore spagnolo presso la santa sede, già collegato con la famiglia V., da cui il frate fuggiasco s'aspetta un aiuto nell'operazione della concessione del perdono da parte delle autorità romane. Poco tempo dopo, grazie anche agli appoggi acquisiti presso certi ambienti cattolici con la pubblicazione della sua opera, V. ritorna a Parigi e si ripresenta al nunzio UBALDINI, chiedendogli di intervenire in suo favore presso le autorità di Roma. Il prelato scrive al cardinale BORGHESE, chiedendo chiare indicazioni sulla sorte dell'ex-carmelitano. Non si conosce la risposta del segretario di stato. V., comunque, non ritorna più in Italia e riesce invece a trovare la strada e i mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi della nobiltà francese. V. completa un'altro suo saggio, il “De Admirandis Naturae Reginae Deaeque Mortalium Arcanis” ed l'affida a due filosofi della Sorbona perché ne autorizzino la pubblicazione, secondo le norme del tempo vigenti in Francia. Il saggio è pubblicato in settembre a Parigi. Esso è dedicato a BASSOMPIERRE, uomo potente alla corte di Maria de' MEDICI, ma è stampata da Perier, tipografo notoriamente PROTESTANTE. Il saggio vede la luce in un ambiente ricco di pubblicazioni che vengono guardate con sospetto e che provocano pesanti condanne. L'opera del V. ottiene un immediato successo presso certi ambienti della nobiltà, popolati di spiriti che guardano con interesse alle innovazioni culturali e scientifiche che vengono dall'Italia. In questo senso il “De Admirandis” costituisce una summa, esposta in modo vivace e brillante, del nuovo sapere. Dà una risposta alle esigenze del momento di questo settore della nobiltà. Diviene una specie di manifesto culturale di questi esprits forts e rappresenta per V. una possibilità di stabile permanenza negli ambienti vicini alla corte di Parigi. Tuttavia, pochi giorni dopo la pubblicazione del saggio, i due teologi della Sorbona che espressano la loro approvazione alla pubblicazione si presentano ai membri della facoltà di teologia in seduta ufficiale e li informano di aver letto, a loro tempo, certi dialoghi scritti da V. Di non avervi trovato allora niente che contrastasse con il cattolicismo; di averli restituiti muniti della loro approvazione alla stampa e con la condizione che il manoscritto da essi controfirmato fosse depositato presso di essi a pubblicazione avvenuta, a testimonianza della fedeltà del testo pubblicato a quello da loro approvato; che ciò non era avvenuto e che circola invece un testo dell'opera diverso da quello approvato e contenente alcuni errori contro la comune fede di tutti, per cui i due dottori avanzano la supplica che il saggio non circoli più con la loro approvazione e che tale richiesta venga trascritta nel libro delle conclusioni della facoltà stessa. La Sorbona accoglie tale richiesta che costituì di fatto un DIVIETO di circolazione del testo. La Sorbona, però, sembra non occuparsi più del saggio di V., non prenderne più in esame l'opera, non elencarne o denunciarne, come da prassi, gl’errori da emendare, né mai condanna il suo contenuto o il suo autore. Comunque, una condanna espressa dal vicario episcopale di Tolosa, RUDÈLE, a sottoscritta anche dall'inquisitore BILLY. Inoltre anche la congregazione dell'indice pronuncia una condanna con la quale il “De admirandis” e condannato con la formula del “donec corrigatur” -- in base alla quale il SOTOMAIOR colloca V. nella prima classe degli autori proibiti nel suo indice. La collectio judiciorum de novis erroribus qui ab initio duodecimi seculi post Incarnationem Verbi, in Ecclesia proscripti sunt et notati, di ARGENTRÉ, dottore della Sorbona e vescovo, edita a Parigi, esamina le censure e le conclusioni espresse dalla facoltà che aveva condannato l'Amphitheatrum Aeternae Sapientiae di KHUNRATH e la “De Republica Ecclesiastica” di DOMINIS) non menziona invece provvedimenti contro V..  Tutto questo porterebbe a ritenere che non vi siano stati atti ufficiali specifici di persecuzione contro V. da parte delle autorità parigine, né religiose né civili, né in questo periodo né negli anni seguenti. Ma solo proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni settori. Una condanna del saggio di V. non avrebbe trovato fondate giustificazioni, né sul piano giuridico né su quello culturale, in quanto gran parte delle teorie esposte da V. non costituivano una novità.  Fuggito da pochi mesi dall'Inghilterra, impossibilitato a ri-entrare in Italia, minacciato da alcuni settori cattolici francesi, V. vede restringersi intorno gli spazi di movimento e ridursi le possibilità di trovare stabile sistemazione nella società francese. Ha paura che venga aperto un processo contro di lui anche a Parigi, per cui fugge dalla capitale e si nasconde in Bretagna, in una delle cui abbazie, quella di Redon, è abate commendatario il suo amico e protettore, SAINT-LUC. Ma intervengono anche altri fattori di preoccupazione. Viene ucciso a Parigi CONCINI, favorito di Maria de MEDICI, uomo potentissimo e molto odiato in Francia. L'episodio, seguito poco dopo dall'allontanamento della regina dalla capitale con il suo odiato seguito di italiani, crea notevole turbolenza politica e suscita un vasto movimento di ostilità nei confronti degl’italiani residenti a corte. Altre cronache del tempo segnalano la presenza di un misterioso italiano, con un nome strano, in possesso di una grande cultura ma dall'incerto passato, ancora più a sud, in alcune città della Guienna e poi della Linguadoca ed infine a Tolosa. Nella particolare suddivisione politica della Francia, il duca di MONTMORENCY, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la duchessa italiana ORSINI, è governatore di questa regione e sembra poter accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi prudentemente nascosto. La presenza a Tolosa di questo misterioso personaggio, di cui si ignora la provenienza e la formazione culturale, ma che fa mostra di grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente e di affermazioni non sempre allineate con la morale del tempo, non passa inosservata ed attira i sospetti delle autorità, che cominciano a sorvegliarlo.  Dopo averlo ricercato per un mese, le autorità tolosane lo fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo sottopongono ad interrogatorio, cercano di scoprire chi egli sia, quali siano le sue idee in materia di di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano angolo della Francia meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma non riescono ad accertare nulla, né a farlo tradire. Il misterioso personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole e condannato al rogo. Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua difesa un passato travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai pochi amici rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua difesa, muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi FREMOND e FONTANIER. Gli viene tagliata la lingua, poi è strangolato e infine arso. Subito dopo l'esecuzione furono pubblicati due anonimi che fanno esplicitamente il nome del V. e quindi nel misterioso italiano giustiziato viene riconosciuto V., l'autore del “De Admirandis” che suscita i sospetti di alcuni settori cattolici parigini. Comparvero le Histoires memorables di ROSSET, che, con la quinta Histoire, divulga con poche modifiche il secondo dei due citati canards. RUDELE, teologo e vicario generale dell'arcivescovado di Tolosa, avverte pubblicamente di aver esaminato le due saggi di V. insieme con BILLY e di averle trovate contrarie al culto e all'accettazione del vero Dio e assertrici dell'ateismo, emettendo ufficiale ordinanza di condanna e proibendone la stampa e la vendita nella diocesi di Tolosa, territorio posto sotto la sua giurisdizione. In precedenza, La Sorbona non ha comunicato di aver adottato analogo provvedimento. Saggi: “Amphitheatrum Æternæ Providentiæ divino-magicum, christiano-physicum, necnon astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, peripateticos et stoicos” (Lione). Il saggio si compone di esercitazioni, che mirano a dimostrare l'esistenza di Dio, a definirne l'essenza, a descriverne la provvidenza, a vagliare o confutare le opinioni di Pitagora, Protagora, CICERONE (vedi), BOEZIO (vedi), AQUINO (vedi), l’orto, Aristotele, Averroè, CARDANO, i peripatetici dei LIZIO, il PORTICO, ecc., su questo argomento. “De Admirandis Naturæ Reginæ Deæque Mortalium Arcanis libri quattuor” (Parigi, Périer). Il saggio si divide in IV libri:  un Liber I de Cœlo et Aëre; un Liber II de Aqua et Terra; un Liber III de Animalia Generatione et Affectibus Quibusdam; un Liber IV de Religione Ethnicorum; in forma di dialogo -- che avvengono tra lui, nelle vesti di divulgatore del sapere, e un immaginario Alessandro, che si presta ad un gioco sottile e divertente nel corso del quale, con un atteggiamento compiacente e un po' complice, tra espressioni di meraviglia e ammirazione per la vastità del sapere di cui l'amico fa mostra, sollecita il suo interlocutore ad elencare e spiegare gli arcani della natura regina e dea che esistono intorno e all'interno dell'uomo. Così, in un misto di rilettura in nuova chiave critica del pensiero degli filosofi antichi e di divulgazione di nuove teorie scientifiche e religiose, il protagonista del lavoro discetta sulla materia, figura, colore, forma, motore ed eternità del cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul sole, sulla luna, sugli astri; sul fuoco; sulla cometa e sull'arcobaleno; sulla folgore, la neve e la pioggia; sul moto e la quiete dei proiettili nell'aria; sull'impulsione delle bombarde e delle balestre; sull'aria soffiata e ventilata; sull'aria corrotta; sull'elemento dell'acqua; sulla nascita dei fiumi; sull'incremento del Nilo; sull'eternità e la salsedine del mare; sul fragore e sul moto delle acque; sul moto dei proiettili; sulla generazione delle isole e dei monti, nonché della causa dei terremoti; sulla genesi, radice e colore delle gemme, nonché delle macchie delle pietre; sulla vita, l'alimento e la morte delle pietre; sulla forza del magnete di attrarre il ferro e sulla sua direzione verso i poli terrestri; sulle piante; sulla spiegazione da dare ad alcuni fenomeni della vita di tutti i giorni – SUL SEME GENITALE -- sulla generazione, la natura, la respirazione e la nutrizione dei pesci; sulla generazione degli uccelli; sulla generazione delle api; sulla prima generazione dell'uomo; sulle macchie contratte dai bambini nell'utero; sulla generazione del MASCHIO e della femmina; sui parti di mostri; sulla faccia dei bambini coperta da una larva; sulla crescita dell'uomo; sulla lunghezza della vita umana; sulla vista; sull'udito; sull'odorato; sul gusto; sul tatto e solletico; sugli affetti dell'uomo; su Dio; sulle apparizioni nell'aria; sugli oracoli; sulle sibille; sugli indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli àuguri; sulla guarigione delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al tempo della religione pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria; sui sogni. Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. Hölderlin. L'interpretazione naturalistica dei fenomeni soprannaturali che POMPONAZZI (vedi) chiamato da V. magister meus, divinus praeceptor meus, nostri speculi philosophorum princeps da nel “De incantationibus” “aureum opusculum”, è ripresa nel De admirandis naturae, dove, con una prosa semplice ed elegante,fa riferimento anche a CARDANO, a BORDONI e ad altri cinquecentisti.  Dio agisce sugli esseri sub-lunari (cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento. Di qui l'origine naturale e la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni sopra-naturali, dal momento che anche l'astrologia è considerata una scienza. L’esere supremo, quando incombono pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai sovrani, agli esempi dei quali il mondo si conforma. Ma i reali fondamenti dei presunti fenomeni sovrannaturali sono soprattutto la fantasia umana, capace a volte di modificare l'apparenza della realtà esterna, i fondatori delle religioni rivelate, Mosè, Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori che impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti, interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe, come insegna già MACHIAVELLI, il principe degli atei per il quale tutte le cose religiose sono false e sono finte dai principi per istruire l'ingenua plebe affinché, dove non può giungere la ragione, almeno conduca la religione. Seguendo ancora POMPONAZZI e PORZIO nella loro interpretazione dei testi aristotelici, mutuata dai commenti di Alessandro di Afrodisia, nega l'immortalità dell'anima. Anche il cosmo aristotelico-scolastico subisce il suo attacco distruttivo. Analogamente a BRUNO, nega la differenza peripatetica tra un mondo sub-lunare e un mondo celeste, affermando che entrambi sono composti della stessa materia corruttibile. Scardina nell'ambito fisico e biologico il finalismo e la dottrina ile-morfica aristotelica, e, ricollegandosi a l’orto di LUCREZIO, elabora una nuova descrizione dell'universo d'impianto meccanicistico-materialistico. Gl’organismi sono parago orology. E concepisce una prima forma di trasformismo universale delle specie viventi. Concorda con gl’aristotelici del LIZIO sull'eternità del mondo, considerando in particolare l'aspetto temporale. Ma, contro di essi, afferma il moto di rotazione terrestre e appare respingere la tesi tolemaica in favore di quella eliocentrica copernicana. Se il primo curator CORVAGLIA e lo storico RUGGIERO, ingiustamente, considerarono la sua filosofia semplicemente un centone privo di originalità e di serietà scientifica, Garasse, ben più preoccupato delle conseguenze della diffusione della sua filosofia, li giudica la filosofia più perniciosa che in fatto di ateismo fosse mai uscita negli ultimi cento anni. E stato ampiamente ri-considerato e ri-valutato dalla critica, mettendo in mostra l'originalità e le intuizioni metafisiche, fisiche, biologiche, talvolta precorritrici nei tempi, dei suoi saggi. Visto che nasconde la sua filosofia, secondo un tipico espediente della cultura del suo tempo, per evitare seri conflitti con le autorità religiose e politiche costituite, conflitti che, come paradossalmente e sfortunatamente avvenne, nonostante le cautele, lo condussero infine alla morte), l'interpretazione del suo pensiero si offre a diversi piani di lettura. Tuttavia, nella storia della filosofia, resta di lui acquisita un'immagine di miscredente e persino di ateo (il che non era). E questo perché avversario di ogni superstizione e di fede costituita (meglio un proto-agnostico), tanto da essere considerato uno dei padri del libertinismo, malgrado avesse scritto persino un'apologia del concilio di Trento. Per una sintesi della sua filosofia si deve guardare da un lato al retroterra culturale, che è quello abbastanza tipico del Rinascimento, con prevalenza di elementi dell'aristotelismo ma con forti elementi di misticismo platonico. Dall'altro lato egli trae dal Cusano dei tipici elementi panteistici, simili a quelli che si ritrovano anche in Bruno, ma più materialistici. La sua visione del mondo si basa sull'eternità della materia, sulla omogeneità sostanziale cosmica, su un Dio dentro la natura come forza che la forma, la ordina e la dirige. Tutte le forme del vivente hanno avuto origine spontanea dalla terra stessa come loro creatrice. Considerato ateo, nel titolo del suo saggio pubblicato a Lione nel Amphitheatrum aeternae providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, Peripateticos et Stoicos dimostra di non esserlo. Come precursore del libertinismo vi sono invece molti elementi che lo avvicinano al pensiero dell'ignoto autore del trattato dei tre impostori anch'egli panteista. Pensa infatti che i creatori delle tre religioni monoteiste, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, non siano altro che degl’impostori. In “De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor” stampato a Parigi nelvengono riprese le tesi dell' “Amphiteatrum” con precisazioni e sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura come sua forza propulsiva e vitale. Entrambi sono eterni. Gl’astri del cielo sono una specie di intermediari tra dio e la natura che sta nel mondo sub-lunare e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una religione della natura che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza. La sua filosofia è abbastanza frammentaria e riflette anche la complessità della sua formazione. E un filosofo, un naturalista, un religioso, ma anche un medico e un po' un mago. Ciò che ne caratterizza è la veemenza anti-clericale. Tra le cose originali della sua filosofia c'è una specie di anticipazione della teoria dell’evoluzione, perché, dopo un primo tempo in cui sostiene che le specie animali nascano per generazione spontanea dalla terra, in un secondo tempo -- lo pensa anche CARDANO -- pare convinto che esse possano trasformarsi le une nelle altre e che l'uomo derivia d’animali affini all'uomo come la bertuca, il macacho e la scimmia in genere. Appaiono due saggi che consacrano il mito del V. ateo: La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps, di GARASSE e le Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione, di MERSENNE. I due saggi, però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un ambiente che evidentemente e pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la validità delle affermazioni. Il nome di V. viene nuovamente proiettato all'attenzione della filosofia in occasione del clamoroso processo che viene celebrato contro VIAU. Il progetto di interrogatorio che il procuratore generale del re, Molé, predispone con ben articolati capi d'accusa su cui interrogare VIAU, contiene impressionanti analogie colla filosofia vaniniana, cui vien fatto esplicito riferimento mentre MERSENNE torna a martellare su V., analizzandone alcune affermazioni nel suo “L'Impiétè des Déistes, Athées et Libertins de ce temps, combatuë, et renversee de point en point par raisons tirées de la Philosophie, et de la Theologie”, nel quale porta il suo giudizio concernente CARDANO e BRUNO. Anche Leibniz, oppositore al pari di Mersenne del libertinismo, si esprime duramente contro V., considerandolo un empio, un pazzo e un ciarlatano. Je n'ai pas encore vu l'apologie de V., je ne pense pas qu'elle mérite fort d'être lue. La philosophie de ce personnage e bien peu de chose. Mais un imbécille comme lui, ou pour mieux dire, un fou ne méritoit pas d'être brûlé. On étoit seulement en droit de l'enfermer, afin qu'il ne séduisît personne -- Epist. ad Kortholtum in Opera omnia, Genève. Ancora la leggenda nera creata intorno alla figura di V. sopravvive al passare del tempo, si espande ed affascina molti studiosi, che si avvicinano alla sua filosofia e ne tentano dei profili biografici. Così anche la cultura inglese mostra interesse per il filosofo di Taurisano ed è soprattutto con BLOUNT che V.entra nella filosofia inglese ed acquista una dimensione che non abbandona mai più, quando diviene un elemento cardine del libertinismo e deismo. Un manoscritto inedito della biblioteca municipale di Avignone custodisce delle Observations sur Lucilio V. redatte da Velleron, ma fornisce solo delle incerte notizie sul filosofo, in gran parte rettificate dagli ultimi studi. Viene effettuata una copia manoscritta dell'Amphitheatrum, su commissione di Uriot, il quale la trasferisce poi nella biblioteca ducale del duca di Württemberg. Attualmente essa si trova nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un'altra copia manoscritta del saggio si trova nella Staats und Universitätbibliothek di Amburgo, a testimonianza del perdurante interesse per V. Viene data alle stampe a Londra una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal titolo “The life of ‘Lucilio’, alias V., burnt for atheism at Toulouse, with an abstract of his writings. Il saggio, pur ricollegandosi alla consueta storiografia vaniniana e quindi con i soliti errori d'origine, sottopone ad un dibattito ponderato la figura ed il pensiero del filosofo italiano, a cui riconosce qualche merito. Ma la strada per una collocazione europea di V. e del suo pensiero è ormai aperta. Saggi: “Amphitheatrum aeternae providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, Atheos, Epicureos, Peripateticos et Stoicos, Auctore Iulio Caesare Vanino, Philosopho, Theologo et Iuris utriusque Doctore, Lugduni, Apud Viduam Antonii de Harsy, ad insigne Scuti Coloniensis” (Galatina). “Iulii Caesaris Vanini, Neapoletani Theologi, Philosophi et Iuris utriusque Doctoris, De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor, LPombaiae, Apud Adrianum Perier, via Iacobaea” (Galatina). Le opere di V. e le loro fonti, Milano (Galatina,); “Opere” (Porzio, Lecce); “Anfiteatro dell'eterna Provvidenza” Galatina; “I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei mortali” Galatina); “Opere (Galatina); “Confutazione delle religioni “Anna Vasta, Catania, De Martinis & C.); “Opere” (Milano, Bompiani). Bucciantini, Lutero in Campo dei Fiori, in Il Sole 24 ORE Terzapagina. Filosofia ed ecologia per il "compleanno" di V., Una lettera dell'ambasciatore inglese a Venezia, Carleton, fa risalire l'episodio a nove anni prima. Raimondi, “V. e il libertinismo” Atti del Convegno di Studi, Taurisano (Galatina,  Raimondi, “Dal tardo Rinascimento al Libertinismo erudite” Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano Galatina, Spini, “Vaniniana” in «Rinascimento», Paola, “Il primo seicento anglo-veneto” Cutrofiano; Paola, “V. da Taurisano filosofo europeo, Fasano); Paola, “Documenti per una lettura di V., in «Bruniana & Campanelliana», Raimondi, Documenti vaniniani nell'archivio segreto vaticano, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, Il soggiorno vaniniano in Inghilterra alla luce di nuovi documenti spagnoli e londinesi, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, “La Santa Inquisizione, Taurisano, Raimondi, “L'Europa del Seicento. con una appendice documentaria, Pisa Roma. L'appendice contiene la più completa documentazione sulla biografia vaniniana: documenti dalla nascita al rogo. Fasano, Fazio, V. nella cultura filosofica (Galatina); Marcialis, “Natura e uomo in V.” in «Giornale Critico della Filosofia Italiana»; Marcialis, V. nell'Europa del Seicento, in "Rivista di Storia della Filosofia", Paganini, Le Theophrastus redivivus et V., in «Kairos»,  Papuli, Le interpretazioni di V., Galatina, Perrino, "V. nel Theophrastus redivivus", in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, V. e il "De tribus impostoribus", in «Ethos e Cultura», Padova, G. Spini, Ricerca dei libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano, Roma, Firenze); Teofilato, V. nel III Centenario del suo martirio, Milano, Tip. Ed. La Stampa d'Avanguardia. Teofilato, V., in The Connecticut Magazine, articles in English and Italian, New Britain, Conn, C. Teofilato, Vaniniana, in La puglia letteraria, mensile di storia, Roma; V., Riflessioni sul problema V., in Bertelli, Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, Vasoli, V. e il suo processo per ateismo, in Niewohner e Pluta, Atheismus im Mittelalter und in der Renaissance, Wiesbaden); V. in Inghilterra. La seguente è una lista di alcuni documenti in cui è possibile trovare riferimenti alla presenza del frate carmelitano a Lambeth a Londra. Trascrizioni complete, riassunti e contesto di questi documenti sono disponibili. "V. e il primo seicento anglo-veneto" e in "V. da Taurisano filosofo europeo", Schena Editore, Brindisi. Documenti: London Public Record Office State Papers Venice Notizie sulla Mercers' Chapel a Londra, dove V. sconfesso la sua fede cattolica e tenne vari sermoni. London Public Record Office State Papers Petizione di due Carmelitani, V. e Genocchi, a Carleton, ambasciatore inglese a Venezia, per essere accettati in Inghilterra. Venezia. London Public Record Office State Papers Lettera di Carleton a Salisbury. Da Venezia, Carleton informa Salisbury che due frati gli hanno chiesto permesso di rifugiarsi in Inghilterra per evitare persecuzioni dai loro superiori. London Public Record Office State Papers. V. a Carleton. Da Lambeth. V. manda a Carleton informazioni riguardanti alla sua ricezione a Lambeth e la buona stima di cui gode lì. London Historical Manuscripts Commission De L'Isle and Dudley Manuscripts, Sir John Throckmorton al visconte Lisle. Flushing. Corrispondenza tra i due statisti riguardo ad una missione segreta di Florio, che forse accompagnò V. e il suo compagno a Londra. London, Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berk. Papers of Trumbull. Albery a Trumbull. Londra. Albery, un mercante inglese e corrispondente di Trumbull, agente inglese a Bruxelles, manda informazioni sull'arrivo di V. e le sue esperienze a Venezia. London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers. Albery a William Trumbull. Londra. Una copia della lettera da una fonte diversa. London Public Record Office State Papers Da Spinola a Ginocchio. Genova London Public Record Office State Papers Wake a Carleton. Londra London Public Record OfficeState Papers Wake a Carleton. Londra London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthamstead Park Berk. Papers of William Trumbull the Elder Alfonse de S. Victors a William Trumbull Da Middolborg (Middelburg) London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Alfonse de St. Victor a William Trumbull. Middelborg. London Public Record Office State Papers Domestic Series Jac. Chamberlain a Carleton. Londra, London Public Record Office State Papers Carleton a Lake. Da Venezia London Public Record OfficeState PapersDomestic Series, Biondi a Carleton. Da Londra LondonPublic Record Office State Papers, Carleton a Chamberlain. Da Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder. George Abbot a William Trumbull. Da Lambeth. London Historical Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire,  Trumbull Papers, Abbot a Trumbull. Lambeth  London Public Record OfficeState Papers Carleton a Chamberlain. Venezia, London Public Record Office State Papers Carleton a Giovan Francesco Biondi. Venezia, London Public Record Office State Papers Domestic Series, Abbot a Carleton. Lambeth London Public Record Office State Papers Sarpi a Carleton. Venezia London Record Office State Sarpi a Carleton. Venezia, London Public Record OfficeState Papers Paolo Sarpi a Sir Dudley Carleton. Venezia, giugno. London Historical Manuscripts Commission Report Hastings,  Notes of speeches and proceedings in the House of Lords. London Historical Manuscripts Commission Hastings, Notes of speeches and proceedings in the House of Lords London Public Record Office State Papers Carleton a Sua Signoria l'Arcivescovo di Canterbur. Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder Abbot a Trumbull. Lambeth London Historical Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire,  IV, Trumbull Papers George Abbot, Arcivescovo di Canterbury, a William Trumbull. Lambeth Archivio di Stato di VeneziaInquisitori di Stato, Istruzioni degli Inquisitori di Stato all'ambasciatore in Inghilterra. LondonCalendar of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato, busta Venetian Archives. Gli Inquisitori di Stato a Gregorio Barbarigo,  London Calendar of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato, Venetian Archives. Examinations for Foscarini. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Londra, Interrogatorio di Lunardo Michelini sulle modalità della fuga di V. da Lambeth. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Interrogatorio di Alessandro di Giulio Forti da Volterra sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio General de Simancas fondo Inglaterra Legajo foglio privo di indicazioni. Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono arrivati sani e salvi dopo la loro fuga da Londra. Archivio General de Simancas Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono partiti verso l'Italia, come era stato concordato a Roma. Documenti inclusi nell'opera di Namer La seguente è la lista dei documenti inglesi inclusi nel lavoro Documents sur la vie de V. de Taurisano di Ėmile Namer, che può essere considerato come un utile punto di partenza per la delineazione di una biografia di Vanini, e di cui la nuova documentazione deve essere considerata un completamento. London Foreign State Papers. Venice. Carleton ad Abbot. LondonForeign State Papers. Venice.Abbot a Carleton LondonState Papers Domestic. James I.  Carleton a Chamberlain. Venezia, London Foreign State Papers. Venice. Sir D. Carleton all'Arcivescovo di Canterbury. London State Papers Domestic. James I. Chamberlain a Carleton. Londra, London State Papers Domestic. James I.  7 Chamberlain a Carleton. London Foreign State Papers. Venice Abbot a Carleton. London State Papers Domestic. James I.  Carleton a Chamberlain. London State Papers Domestic. James I. l'Arcivescovo di York al conte di Suffolk. London State Papers Domestic. James I. V. a Dudley Carleton. Da Lambeth, iLondonState Papers Domestic. James I.  Giulio Cesare Vanini a Sir Isaac Wake. Da Lambeth iLondon State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Carleton. da Londra. London State Papers Domestic. James I.  Abbot a Carleton. Lambeth London State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James I.  Biondi a Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Abbot.  London State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James I.  Abbot al vescovo di Bath Da Lambeth. London State Papers Domestic. James I.   Lake a Carleton. Dalla corte a Royston, London State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Sir Dudley Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice Carleton a Abbot London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Sir Thomas Lake. London State Papers Domestic. James I.  Abbot  a Carleton a Venezia. Lambeth, London State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Dudley Carleton. Londra, LondonForeign State Papers. Venice.  Carleton a Abbot. Archivio de Simancas, Estado,  Cardinale Millino a Alonso de Velasco, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas, Estado,  Cardinal Millino a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas, Estado,  Cardinal Bentivoglio a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles, Archivio de Simancas, Estado,  Bentivoglio a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles,V. e l'Inquisizione di Roma Elenco di alcuni documenti presenti nella corrispondenza tra alcuni Nunzi apostolici in Europa e le autorità vaticane, dove è possibile trovare informazioni relative alla fuga, permanenza e rientro segreto dall'Inghilterra del frate carmelitano. Le trascrizioni complete, i sommari e le contestualizzazioni di questi documenti sono disponibili per studiosi e lettori in V. da Taurisano filosofo europeo, Schena Editore, Fasano (Brindisi), Il pontefice Paolo V e l'Inquisizione in Roma furono informati continuamente della vicenda di V. con dispacci dei Nunzi apostolici in Venezia, Francia e Fiandra e con missive dell'ambasciatore di Spagna a Londra, a cominciare dalla sua fuga da Venezia sino al suo desiderio di rientrare nel mondo cattolico.  RomaArchivio Segreto VaticanoSegreteria di StatoNunziatura di Francia,  Ubaldini, Nunzio papale in Francia, al Borghese, Segretario di Stato di Paolo V, de Parigi.  RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Fiandra,   il Nuntio alla Segreteria, Bentivoglio, Nunzio papale in Fiandra, al Card. Borghese. (Bruxelles) Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma li Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini da Parigi a Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia,  293A, lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,  Ubaldini a Borghese Rom aA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Franci Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British Museum, Lettere di Ubaldini, nella sua Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini, membro del Sant'Uffizio, il Tribunale dell'Inquisizione di Roma. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia da Borghese, Borghese a Ubaldini. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,  Registro di Lettere della Segreteria di Stato di Paolo V al Vescovo di Montepulciano Nuntio in Francia Il Segretario Porfirio Feliciani vescovo di Foligno al Nuntio in Francia. Roma, RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini al Mellini Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese. Di Parigi RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia,  lettere scritte al Nuntio in Francia dal Card. Borghese, Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Ubaldini a Borghese Di Parigi.  RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a  Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British Museum, Lettere del Card. Ubaldini, nella sua nunziatura di Francia, Card. Ubaldini a Borghese Parigi, Bibliothèque nationale de FranceDepartement des Manuscrits, Italien Registro di Lettere della Nunziatura di Francia di Ubaldini dell'anno lettera, Ubaldini a Borghese Parigi) Roma A. S. VaticanoSegreteria di Stato Nunziature diverse, Francia,  Lettere del Sir. Card.le Ubaldini nella sua Nunciatura di Francia Ubaldini a Borghese Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Amphitheatrum e De admiandis. Raimondi Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giulio Cesare Vanini. Vanini. Keywords: Vanini, Oxford. Refs.: Luigi Speranza, “Vanini e Grice,” Villa Grice, Luigi Speranza, “La statua all’aperto di Vanini,” Luigi Speranza, “Il medaglione di Vanini a Roma.”

 

Grice e Vanni: la ragione conversazionale dell’azione e dell’inter-azione conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Città della Pieve). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Inizia la carriera a Perugia e successivamente insegna a Parma, Bologna, e Roma.  Tra i fondatori del positivismo soziale, la sua filosofia si ispira a Kant e agli principali filosofi del positivismo. A lui si deve anche una originale lettura positivista della dottrina storicistica di VICO. Il suo è stato definito un positivismo critico, che vuole distinguere cioè tra la scienza dell’uomo dalla filosofia’ dell’uomo, contestando e rifiutando l'assimilazione positivista di quest'ultima con la morale e la sociologia, dottrina nata nell'ambito del positivismo, verso la quale V. ha un interesse particolare cercando di teorizzarne il carattere scientifico differenziandola però sia dall'evoluzionismo che dalla biologia. V. considera essenziale l'autonomia teorica del ‘ius’ o devere dai rapporti con gli aspetti storici-etnografici delle istituzioni giuridiche. V. è convinto che la filosofia, come analisi concettuale, del diritto ha la funzione pratica di definire il ‘fine’ (métier) della inter-azione umana. In questo modo, V. ribade l'impostazione criticista kantiana che acquista un tono metafisico criticato dai positivisti ortodossi che lo accusano di eclettismo. Saggi: “Della consuetudine nei suoi rapporti col dritto e con la legislazione” (Perugia); “Saggi critici sulla teoria socio-logica della popolazione” (Città di Castello); “Prime linee di un programma critico di sociologia” (Perugia); “Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita ai tempi nostril” (Verona); “La filosofia del diritto” (Verona); “La funzione della filosofia considerata in sé ed in rapporto al socialismo” (Bologna); “La filosofia del diritto e la ricerca positivista” (Torino); “Il dritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca oggettiva” (Roma); “La teoria della conoscenza come induzione socio-logica e l'esigenza critica del positivismo” (Roma); “Filosofia del diritto” (Bologna); “Filosofia sociale e filosofia giuridica” (Bologna). Biografia in Scuola normale superiore, Pisa, su picus.unica. Marino, Positivismo e giurisprudenza, Napoli, Cuculo, La sociologia positivista di V., in A. Millefiorini, Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana (Nuova Cultura, Roma); Amelio, Positivismo, storicismo, materialismo storico in I. Vanni, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», Pusceddu, La sociologia positivista in Italia (Roma). siusa. archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Opere u open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere. I. Vanni. Vanni. Keywords: action, interaction, azione, interazione, Vico, positivismo, positivismo critico, etologia, ethology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza,, “Grice e Vanni: azione ed inter-azione” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vannini – il mistico – scuola di mistica -- di ‘Vitters’ – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Piero a Sieve). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “Never to be confused with the vain Vanini!” -- Grice. Dopo gli studi al ginnasio Michelangiolo di Firenze, si laurea in filosofia a Firenze, discutendo una tesi su “‘Vitters’: metafisico e mistico”! Ha vissuto nel convento agostiniano di S. Spirito a Firenze, ospite di Ciolini. Ha compiuto viaggi e soggiorni di studio in Europa. Insegna filosofia nei licei. Per un triennio storia della filosofia a Firenze e storia della mistica all'Istituto di scienze religiose a Trento.  Ha tenuto seminari e conferenze in università ed accademie italiane e straniere: Genova, Trento, Ancona, Perugia, Urbino, Pavia, Pisa, Macerata, Napoli, Fermo, Parma, Arezzo, Chieti, Roma, Avila, Strasburgo, Berlino. Considerato il maggior studioso di mistica o anche il più importante studioso italiano di Eckhart e della mistica cristiana, ha curato l'edizione italiana delle opera latine di Eckhart, nonché quelle di altri autori spirituali, come AGOSTINO, Gerson, Fénelon, Porete, Taulero, Anonimo Francofortese, Lutero, SILESIO, Czepko, Franck, Weigel, ecc.  Lungo un percorso ormai di quasi mezzo secolo, è stato traduttore e curatore di importanti testi della mistica; critico della fenomenologia, da un punto di vista teoretico e storico; filosofo della religione, soprattutto nei suoi rapporti con la ragione e con la fede. V. legge il fenomeno mistico in maniera innovativa ma, soprattutto, pone lo stesso a fondamento di ogni forma ed esperienza religiosa. Tale presupposto impone come fuori da un'esperienza diretta di questo tipo sia pressoché impossibile cogliere il senso, le modalità e le finalità delle varie dottrine e pratiche religiose.  Per V., la mistica è un sapere spirituale, inoggettivabile ma, soprattutto, un sapere che è un essere: è l'identità mistica il vero e proprio criterio per discernere il vero dal falso. Tale ermeneutica costituisce una propedeutica all'inverarsi in senso mistico della religione cristiana.  La filosofia di V. si basa su una esperienza spirituale, unitiva e teo-morfica. Centrali appaiono pertanto concetti appartenenti alla sfera semantica della divinizzazione, dell’homoiosis theo, quali vuoto, fondo dell'anima, generazione del logos, complementarità tra distacco ed amore. Tale esperienza risulta comprensibile solo quando si è fatto il vuoto nell'anima attraverso il distacco, diventando in tal modo recettivi alla luce proveniente dall'alto, tali da rendere il soggetto esso stesso luce eterna. Al vuoto in cui si perviene nel distacco corrisponde una pienezza, una traboccante ricchezza ed energia, una gioia sconfinata ed inesauribile. Il rapporto tra il divino e uomo non è quindi statico, di mutua esclusione, ma “dialettico” o dinamico, di reciproca compenetrazione. La “salvezza” viene letta nei parametri teologici di una escatologia realizzata nel presente, come immanente esperienza dello spirito. Essenziale diventa perciò il recupero della antropologia classica corpo, anima, spirito ove l'uomo è un corpo, piccola parte dell'universo; una psiche, fluttuazione infinita di pensieri, sentimenti, volizioni, soggetta al determinismo del tempo, dello spazio, delle circostanze. Ma soprattutto uno spirito universale, eterno, libero, uno nell'uno. L'attualità e l'originalità della posizione di V. ha suscitato e continua a suscitare un acceso dibattito in seno al panorama culturale italiano, filosofico e teologico: nei confronti dell'autore vari infatti sono stati i commenti, le recensioni, i contributi e gli interventi critici da parte di personalità quali (in ordine alfabetico) BOZZO, BALDINI, BIANCHI, CACCIARI, MONTICELLI, ESPOSITO, FORTE, GIVONE, MANCUSO, MUCCI, RAVASI, REALE, TORNO, VATTIMO, e VOLPI.  La particolare rilevanza della filosofia di V. può trasparire anche, ad esempio, dalle seguenti affermazioni in meritocitate in ordine sparsodi alcuni dei suddetti illustri filosofi. GIVONE: “A V., cui siamo debitori d'un lavoro filosofico estremamente prezioso, rivolgiamo questa domanda. A V. dobbiamo non soltanto edizioni impeccabili delle opere di Eckhart, Porete, Silesius, Gerson; ma anche il pensiero vigoroso e chiaro, qualunque cosa gli si posa obiettare, che la mistica è da un lato il cuore e la radice viva di ogni religione, ma dall'altro “la filosofia nel suo senso più reale e profondo”, la conoscenza e la pratica dell'essere e “la gioia dell'essere”. CACCIARI: “È un grosso debito quello che la filosofia e la teologia hanno accumulato in questi anni nei confronti di V.. Grazie al suo instancabile lavoro o sotto la sua direzione il nostro paese può oggi contare su impeccabili edizioni di Gerson, Silesius, Porete ed Eckhart. MUCCI: “In questi tempi di declino dell'ontologia, V. è certamente, in Italia, fuori dell'ambito ecclesiastico, il più illustre studioso di mistica.” REALE: “L'esperienza mistica è comunque per sua natura connessa con il religioso, come viene mostrato nella filosofia di V.i “La mistica delle religioni (Le Lettere) in questi giorni in libreria. V., uno dei massimi esperti in materia a livello nazionale e internazionale, analizza in modo dettagliato questa esperienza spirituale nell'induismo, nel buddismo, nell'ebraismo, nell'islamismo e nel cristianesimo.” TORNO: “Segnalare un livre de chevet, vale a dire una di quelle opere maneggevoli che mai dovrebbero allontanarsi dal capezzale, è diventato difficile oltre che inattuale. Eppure qualcosa circola, come prova l'ultimo delizioso saggio di V. sulla grazia». FORTE: “L'ultimo bel libro di V. su “Mistica e filosofia” rivela ancora una volta la sua straordinaria competenza di storico e interprete della mistica.” Al pensiero di V. è stato dedicato “Mistica e filosofia in V. ”  Saggi: “Lontano dal SEGNO. Saggio sul cristianesimo” (La Nuova Italia, Firenze); “Esame della certezza” (Cenacolo, Firenze); “Eckhart. Opere” (Nuova Italia, Firenze); “Dialettica della fede” (Marietti, Casale Monferrato -- Le Lettere, Firenze); “L'esperienza dello spirito” (Augustinus, Palermo); “Mistica e filosofia” (Piemme, Casale Monferrato -- prefazione di CACCIARI -- Le Lettere, Firenze); “Il volto del Dio nascosto: l'esperienza mistica dall'Iliade a Weil” (Mondadori, Milano); “Storia della mistica occidentale” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); “Introduzione alla mistica” (Morcelliana, Brescia); “La morte dell'anima: dalla mistica alla psicologia” (Lettere, Firenze); “La mistica delle grandi religioni” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); “Tesi per una riforma religiosa (Lettere, Firenze);
“La religione della ragione” (Mondadori, Milano); “Sulla grazia” (Lettere, Firenze); “Prego Dio che mi liberi da Dio: la religione come verità e come menzogna” (Bompiani, Milano); “Lessico mistico: le parole della saggezza” (Le Lettere, Firenze) – under M, ‘scuola di mistica fascista’; “Il santo spirito fra religione e mistica” (Morcelliana Brescia); “Oltre il cristianesimo: da Eckhart a Le Saux” (Bompiani, Milano); “Inchiesta su Maria: la storia vera della fanciulla che divenne mito” (Rizzoli, Milano); “Indagine sulla vita eterna” (Mondadori, Milano); “Introduzione a Eckhart -- profilo e testi” (Lettere, Firenze); “L'Anti-Cristo: storia e mito” (Mondadori, Milano); “All'ultimo papa: lettere sull'amore, la grazia, la libertà” (Saggiatore, Milano); “VIO contro Lutero e il falso evangelo” (de' Medici, Firenze); “Il muro del paradisoL dialoghi sulla religione” (Medici, Firenze); “Mistica, psicologia, teologia” (Lettere, Firenze); liceo ginnasio Michelangiolo, Firenze. Mancuso, Lutero è vivo e lotta con noi, s.a., in: <Panorama> Azzarà, su Materialismo Storico   Bio-  Givone, Luce mistica dei moderni in: «Il ManifestoAlias», in il manifesto Alias, V., Mistica e filosofia, Prefazione, Firenze, Le Lettere, Mucci, Il pensiero di V., in «La Civiltà Cattolica»; Reale, Il misticismo vive in tutte le culture. Il testo di V., le «Upanishad» riedite, su corriere. Torno, Alla ricerca della grazia nel segno di Eckhart, «Corriere della Sera», Cultura, Forte, Mistica, l’enigma dell’altro, in «Avvenire», Schiavolin, Mistica e filosofia in V. (Nerbini, Firenze). Mistica Misticismo cristiano Mistica renana Meister Eckhart Hadot Henri Le Saux. Marco Vannini. Vannini. Keywords: the mystic, das mystische, la scuola di mistica fascista. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Vannini e Grice: il mistico di ‘Vitters’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.  

 

Grice e Vario: la ragione conversazionale della filosofia della vita -- Roma – Philosophy of Life -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. L’orto. Friend of FILODEMO (vedi). A poet. One of his works, “On death,” was doubtless shaped by L’Orto. He had a significant influence on VIRGILIO (vedi). His tutor was SIRO (vedi). Lucio Vario Rufo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Varisco: la ragione conversazionale, o per un sommario di filosofia critica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Chiari). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “We all learned about the ‘gnothi seauton’ at Clifton – Varisco composed a full tract about it! Calogero has analysed the implicatures! The idea is that you need a ‘thou’ to tell ‘thou’ ‘knowest THYself” – although the oracular mystique is still there!” – Insegna filosofia a Roma e senator. La sua formazione filosofica coincide con la crisi del positivismo.  Si laurea a Pavia. Partendo da posizioni solidamente scientifiche, V. avverte sollecitamente il limite di ogni conoscenza che voglia essere esclusivamente composto di ragione, e scopre insieme la concomitante componente fideistica di ogni affermazione di verità.  Questo ricorso alla fede come sentimento del sopra-naturale è utilizzato da V. sia per affermare la preminenza della filosofia come conoscenza concreta sui processi astrattivi della scienza -- “I massimi problemi” (Milano, Libreria Editrice Milanese) -- sia per approdare ad uno spiritualismo pluralistico con forti accentuazioni teistiche -- “Dall'uomo a Dio” (Padova, Milani).  Altre saggi: “Scienza ed opinione” (Roma, Alighieri); “La patria” (Roma, Provenzani), “Conosci te stesso” (Milano, Libreria Milanese); “La scuola per la vita” (Milano, Isis); “Linee di filosofia critica” (Roma, Signorelli); “Discorsi politici” (Roma, Alberti); “Sommario di filosofia” (Roma, Signorelli). Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria cavaliere dell'Ordine della corona d'Italia, ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia. Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Varisco. Keywords: know theyself, oracular implicature, Calogero. Refs.: The H. P. Grice Papers, BANC MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Varisco: per un sommario di filosofia critica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Varrone: la ragione conversazionale della semiotica filosofica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rieti). Filosofo italiano. Grice: “I count Varrone as the first language philosopher. He woke up one day, and realised he was speaking ‘lingua latina,’ and dedicated 36 volumes to it!” --. Grice: “’Lingua latina’ has a nice Roman ring to it. In modern Italian, the ‘t’ has become an ‘z,’ as in “Lazio,  -- the calcio team from Latium – or a ‘d’ as in ‘ladino.’” Grice: “I know his Loeb edition by heart!” – Grice: “The Greeks never studied their lingo as Varro studied his! Of this Austin always reminded me: ‘We should be like Varro, analysing our tongue as a ‘fluid’ semiotic system!’”. Academic, Roman polymath, author of essays on language, agriculture, history and  philosophy, as well as satires, and principal conversationalist in CICERONE’s "Academica.” Questore della repubblica romana. Gens: Terentia. Questura in Illyricum. Pro-pretura in Spagna. Tu ci hai fatto luce su ogni epoca della patria, sulle fasi della sua cronologia, sulle norme dei suoi rituali, sulle sue cariche sacerdotali, sugli istituti civili e militari, sulla dislocazione dei suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi, su doveri e cause dei nostri affari, sia divini che umani -- CICERONE, Academica Posteriora. Detto reatino, attributo che lo distingue da “Varrone Atacino,” vissuto nello stesso periodo. Nato da una famiglia di nobili origini, ha rilevanti proprietà terriere in Sabina, dove e educato con disciplina e severità dai familiari, integrate dall'acquisto di lussuose ville a Baia e fondi terrieri a Tusculum e Cassino. A Roma compe studi avanzati presso i migliori maestri del tempo. Lucio Elio Stilone PRECONINO (vedi) lo fa appassionare anche agli studi etimologici ed oratoria. Studia la lingua italiana con Lucio ACCIO (vedi), a cui dedica “De antiquitate litterarum.” Come molti romani, compe un grand tour in Grecia, dove ascolta filosofi accademici come Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, da cui deduce una posizione filosofica di tipo eclettico. A differenza di molti altri filosofi del tempo, non si ritira dalla vita politica ma, anzi, vi prende parte attivamente accostandosi agl’optimates, forse anche influenzato dall'estrazione sociale. Dopo aver, infatti, percorso le prime tappe del cursus honorum – trium-viro capitale, questore, e legato -- e vicino a POMPEO, per il quale ricopre incarichi di grande importanza. Legato e pro-questore, combatte nella guerra contro i pirati difendendo la zona navale tra la Sicilia e Delo. Allo scoppio della guerra civile e propretore. In una guerra che vede i romani contro i romani, tenta un’incerta difesa del suo territorio che si concluse in una resa che GIULIO (vedi) CESARE (vedi), nei Commentarii de bello civili, define poco gloriosa. Dopo la disfatta dei pompeiani, si avvicina, comunque, a GIULIO CESARE, che apprezza il reatino soprattutto sul piano culturale, affidandogli la costituzione di una biblioteca. Dopo l’assassinio di GIULIO CESARE, anzi, e inserito nelle liste di proscrizione sia di MAR’ANTONIO che di OTTAVIANO -- interessati più alle sue ricchezze che a punire i congiuranti -- da cui si salva grazie all'intervento di Fufio CALENO (vedi) per poi avvicinarsi a OTTAVIANO a cui dedica il “De vita populi Romani” volto alla divinizzazione della figura di GIULIO CESARE. Ha una produzione di oltre 620 libri, suddivisi in circa settanta opere. Saggi: “De re rustica” (Varrone) e “De lingua Latina”. La sua vasta produzione è suddivisa da Girolamo in un catalogo. Le sue opere di sono verosimilmente 74, suddivise in 620 volumi, sebbene stesso egli rifere di aver scritto 490 saggi.  I suoi saggi  possono essere suddivise in vari gruppi, dalle opere di erudizione, filologia (filosofia del linguaggio, o semantica) e storia a quelle giuridiche e burocratiche, dalle opere di filosofia (filosofia del linguaggio, semantica, semiotica) e agricoltura alle opere di poesia, di linguistica e letteratura; di retorica e diritto, con ben 15 libri De iure civili; di filosofia. Di questa enorme produzione è pervenuta quasi integra solo un'opera, il “De re rustica”. Del “De lingua Latina” sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del quasi completo naufragio della immane varroniana è che, avendo compulsato tanta parte della cultura romana precedente, divenne la fonte indispensabile per i filosofi successivi, perdendosi, per così dire, per assimilazione. Della sua attività filologica fa testimonianza il cosiddetto canone varroniano, elaborato a partire da due opere, le “Quaestiones Plautinae” e il “De comoediis Plautinis”, in cui riparte il corpus plautino, che include 130 fabulae. Di queste, 21 vengono definite autentiche, 19 di origine incerta (dette "pseudo-varroniane”);  le restanti, spurie.  Si occupa soprattutto di antiquaria, con i 41 libri di “Antiquitates”, il suo capolavoro, divisi in 25 di “res humanae” e 16 di “res divinae”, fonte precipua di AGOSTINO nel “De civitate Dei.” Proprio d’AGOSTINO si evidenzia l'attenzione di V. sulla religione civile, con una compiuta disamina su culti e tradizioni, pur con acute critiche alla teologia mitica dei poeti in nome di una theologia naturalis. A questo gruppo appartiene anche l'opera, non pervenuta, “De bibliothecis”, presumibilmente legata alle incombenze come bibliotecario affidategli da GIULIO CESARE. Nell'ambito filosofico, notevoli dovevano essere “I logistorici” -- dal greco “discorsi di storia” -- in 76 libri, composta in forma di dialogo in prosa, di argomento morale e antiquario, in cui ogni libro prende il nome di un personaggio storico e un tema di cui il personaggio costituiva un modello, come il “Mario”, “de fortuna” o il “Cato”, “de liberis educandis”. Questi dialoghi storico-filosofici sono tra i modelli espositivi del “Lelio”; “de amicitia” e del “Catone maggiore”, “de senectute” di CICERONE. Al suo interesse filosofico e divulgativo, probabilmente scritte lungo tutto il corso della sua parabola culturale, riconducevano le “Saturae Menippeae”, che prendeno come modello Menippo, esponente della filosofia cinica -- da cui il nome. Le “Saturae Menippeae” si componevano di 150 libri, in prosa e in versi, di cui però ci rimangono circa 600 frammenti e novanta titoli, di argomento soprattutto filosofico, ma anche di critica dei costumi, morale, con rimpianti sui tempi antichi in contrasto con la corruzione del presente. Ciascuna satira reca un titolo, desunto da proverbi (“Cave canem” -- con allusione alla mordacità dei filosofi cinici) o dalla mitologia (“Eumenide” contro la tesi stoico-cinica per cui gl’uomini sono folli, “Trikàranos”, il mostro a tre teste, con un mordace riferimento al primo triumvirate, ed era caratterizzata da lessico popolaresco, polimetria e, come in Menippo, uno stile tragi-comico. Valerio Massimo, Aulo Gellio. Ce ne parla lui stesso in “De lingua latina”. Cicerone, Academica posteriora, Appiano, Guerre civili. Varrone, De re rustica. Svetonio, Cesare, Appiano, Ausonio, Commemoratio professorum Burdigalensium, Chronicon, ann. Aulo Gellio, Gellio, I cui frammenti sono editi nell’edizione di Cardauns: “Antiquitates rerum divinarum” Cfr. Zucchelli, V. logistoricus. Studio letterario e prosopografico, Parma, Cfr., ad esempio, il Fr. XIX Riese: "Da ragazzo, avevo solo una tunica modesta e una toga, calzature senza fascette, un cavallo non sellato; bagno giornaliero, niente e, davvero di rado, una tinozza".  Horsfall, V., in Letteratura Latina (Milano, Mondadori). Cfr. Salanitro, Le Menippee di V.: contributi esegetici e linguistici (Roma, Ateneo). Sulla satira varroniana, cfr. Alfonsi, Le Menippee di V., in "ANRW". Atti del Congresso di studi varroniani. Rieti, CENTRO DI STUDI VARRONIANI. Cenderelli, “Varroniana” Istituti e terminologia giuridica nelle opere di V. (Milano, Giuffrè); Dahlmann, “V. e la teoria della lingua” (Napoli, Loffredo), Corte, “V., il terzo gran lume romano” (Genova, Istituto universitario di Magistero); “De vita populi Romani” Introduzione e commento, Pisa; Riposati, “V. De vita populi Romani”. Fonti, esegesi, edizione critica dei frammenti (Milano, Vita e pensiero), Riposati, “V.: l'uomo e il filosofo” (Roma Istituto di studi romani); Traglia, Introduzione a V., “Opere” (Torino, POMBA), Zucchelli, “V. logistoricus: prosopo-grafica”, Parma, Istituto di lingua e letteratura latina, Satira menippea Biblioteche romane Antiquitates rerum humanarum et divinarum Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V. “De lingua Latina libri qui supersunt: cum fragmentis ejusdem” Biponti, ex typographia societatis. Biblioteca degli scrittori latini con traduzione e note: “V. quae supersunt opera” Venetiis, excudit Antonelli, “Grammaticae Romanae Fragmenta”, Gino Funaioli, Lipsiae, in aedibus Teubneri. “M. Terenti Varronis saturarum menippearum reliquiae” -- cur. Riese, Lipsiae, in aedibus Teubneri. In passing from Rome to Rieti we enter a different world. One rightly speaks of the Greco-Roman era as a period of unified civilisation around the Mediterranean area, but the respective roles of the Italotes and the Romns are dissimilar, if complementary. Without the other, the contribution of either would have been less significant and less productive. The Romans have for long enjoyed contact with Hellenic and Etrurian material culture and intellectual ideas, and further through the Greek settlements in the south of Italy: Sicily and Magna Grecia.The Romans learned to write from the western Greeks. But the Hellenic world fell progressively within the control of Rome, by now the mistress of the whole of Italia The expansion of Roman rule becomes complete, and the Roman Empire, as it now is, achieves a relatively permanent position, which, with fairly small-scale changes in Britain and on the northern and eastern frontiers, remains free of serious wars for years. The second half of this period earns Gibbon's encomium, 'If a man were called to fix the period in the history of the world during which the condition of the human race is most happy and prosperous, he would, without hesitation, name that which elapsed from the death of DOMIZIANO to the accession of COMMODO.' In taking over the Hellenic world, the Romans bring within their sway whatever they find on the way.The intellectual background of Etruria and the Hellenes and the polical unity and freedom of intercourse provided by Roman stability are the conditions in which the Roman Empire shines. To the Romans, Europe and much of the entire modern world owe the origins of their intellectual, moral, political and religious civilisation. From their earliest contacts, the Romans cheerfully acknowledge the superior pompousness of the Greeks – by which they included the Etrurians. Linguistically, this is reflected in the different languages of the eastern and the western provinces. In the western half of the Roman empire, where no contact had been made with a recognised civilization, Latin  -- which subsists in Italian – becomes he language of administration, business, law, learning, and social advancement. Ultimately, Latin displaces the former languages of most of the western provinces, and becomes in the course of linguistic evolution the modern Romance, or Neo-Latin, languages of contemporary Europe, notably French (Italian is no romance; Italian IS Latin!). In the east, however, already largely under Hellenic administration since the Hellenistic period, Greek retains the position it has already reached. Roman officials often complain about having to learn and use Greek in the course of their duties, and Hellenic philosophy was quite respected for its eccentricity. Ultimately this linguistic division is politically recognized in the splitting of the Roman Empire into the Western and the Eastern Empires, with the new eastern capital at COSTANTINO’s Constantinople enduring as the head of the Byzantine dominions through much trial and tribulation up to the beginning of the western Renaissance. The accepted view of the relation between Roman rule and Hellenic civilization is probably well represented in Vergil's summary of Rome's place and duty: let others (i.e. the Greeks) excel if they will in the arts, while Rome keeps the peace of the world. During the years in which Rome rules the western civilised world, there must have been contacts between speakers of Latin and speakers of other languages at all levels and in all places. Interpreters must have been in great demand, and the teaching and learning of Latin -- and, in the eastern provinces, of Greek --  must have been a concern for all manner of persons both in private households and in organized schools. Translations are numerous. Greek literature is systematically translated into Latin. So much did the prestige of Greek writing prevail, that Latin poetry abandons its native metres and was composed during the classical period and after in metres learned from the Greek poets. This adaptation to Latin of Greek metres find its culmination in the magnificent hexameters of VIRGILIO and the perfected elegiacs of OVIDIO. It is surprising that we know so little of the details of all this linguistic activity, and that so little writing on the various aspects of linguistic contacts is either preserved for us or known to have existed. The Romans are aware of multi-lingualism as an achievement. AULO GELLIO tells of the remarkable king Mithridates of Ponto who was able to converse with any of his subjects, who fell into more than twenty different speech communities. In linguistic science, the Roman experience is no exception to the general condition of their relations with Greek intellectual work. Roman linguistics is largely the application of Greek philosophy, Greek controversies, and Greek categories to the Latin language. The relatively similar basic structures of the two languages, together with the unity of civilization achieved in the Greco-Roman world, facilitate this meta-linguistic transfer. The introduction of linguistic studies into Rome is credited to one of those picturesque anecdotes that lighten the historian's narrative. CRATES, a philosopher of the Porch and grammarian, comes to Rome on a political delegation, and while sightseeing, falls on an open drain and is detained in bed with a broken leg. CRATES passes the time while recovering in giving lectures on literary themes to an appreciative audience. It is probable that Crates as a philosopher of the PORCH introduces mainly that doctrine in his teaching. But Greek philosophers and Greek philosophy enter the Roman world increasingly in this period, and by the time of V., both Alexandrian and Stoic opinions on language are known and discussed. V. is the first serious Latin philosopher on linguistic questions of whom we have any records. V. is a polymath, ranging in his interests through agriculture, senatorial procedure, and Roman antiquities. The number of his writings is celebrated by his contemporaries, and his "De lingua Latina", wherein he expounds his linguistic opinions, comprise XXV volumes, of which books V and VI and some fragments of the others survive. One major feature of V.’s linguistic philosophy is his lengthy exposition and formalization of the opposing views in the analogy-anomaly controversy, and a good deal of his description and analysis of Latin appears in his treatment of this problem. He is, in fact, one of the main sources for its details, and it has been claimed that he misrepresents it as a matter of permanent academic attack and counter-attack, rather than as the more probable co-existence of opposite tendencies or attitudes. V.'s style is criticised as unattractive, but on linguistic questions he is probably the most original of all the Latin philosophers. V. is much influenced by the philosophy of the Porch, including that of his own teacher STILONE. But V. is equally familiar with Alexandrian doctrine, and a fragment purporting to preserve his definition of grammar, 'the systematic knowledge of the usage of the majority of poets, historians, and orators' looks very much like a direct copy of Thrax's definition. On the other hand, V. appears to use his Greek predecessors and contemporaries rather than merely apply them with the minimum of change to Latin. His statements and conclusions are supported by argument and exposition, and by the independent investigation of earlier stages of the Latin language. V. is much admired and quoted by later philosophers, though in the main stream of linguistic theory his treatment of Latin grammar does not bring to bear the influence on the successors to antiquity that more derivative scholars such as PRISCIANO does, who set themselves to describe Latin within the framework already fixed for Greek by Thrax's Techne and the syntactic works of Apollonius. In the evaluation of V.'s work on language we are hampered by the fact that only two of the XXV books of the “De lingua Latina” survive. We have his threefold division of linguistic studies, into etymology, morphology, and syntax, and the material to judge the first and second.V. envisages language developing from an original set of primal words, imposed on things so as to refer to them, and acting productively as the source of large numbers of other words through subsequent changes in letters, or in phonetic form -- the two modes of description comes to the same thing for him.. These changes take place in the course of years. An earlier forms, such as "duellum" for classical "bellum", V. cites as an instance. At the same time, a *meaning* may change, as, for example, the meaning of “hostis”, once 'stranger', but in V.'s time, 'enemy.' These etymologico-semantic statements are supported by scholarship. But a great deal of V.’s etymology suffers from the same weakness and lack of comprehension that characterizes Hellenic work in this field. "Anas", from "nare", to swim, “vitis,” from “vis;” “cilra, “care, from “cor iirere,” are sadly typical both of V.’s philosophy and of Latin etymological studies in general. A fundamental ignorance of linguistic history is seen in V.'s references to Hellenism. A similarity in a form bearing comparable meanings in Latin and Greek is obvious. Take the first personal pronoun: 'ego.' Some similarities are the produ.ct of historical loans at various periods once the two communities made indirect and then direct contact. Other similarities are the joint descendants of an earlier common Aryan forms whose existence may be inferred and whose shape may to some extent be reconstructed by the methods of comparative and historical linguistics. But of this, V., like the rest of antiquity, has no conception. All such bunch is jointly regarded by him as a direct loan from the conquered Greek, whose place in the immediate history of Latin is misrepresented and exaggerated as a result of the Romans’ consciousness of their cultural debt to Greece and mythological associations of Greek heroes -- and their enemies, like Aeneas! -- in the story of the founding of Rome. In his conception of vocabulary growing from alterations made to the forms of primal words, V. unites two separate considerations: historical etymology and the synchronic formation of derivations and inflexions. Certain canonical members of paradigmatically associated word series are said to be primal -- all the others resulting from “declinatio”, the formal process of change. A derivational prefix is given particular attention. One must regret V.’s failure to distinguish two linguistic dimensions, because, as with other linguistic philosophers in antiquity, V.’s synchronic descriptive observations are much more informative and perceptive than his attempts at historical etymology. As an example of an apparent awareness of the distinction, one may note V.’s statement that, within Latin, "equitiittis" and "eques" -- stem "equit-" – may be associated with and descriptively referred back to "equus". But that no further explanation on the same lines is possible for "equus". Within Latin, ‘equus’ is primal. Any explanation of its form and its meaning involves a dia-chronic research into an earlier stages of the Indo-European family and cognate forms in languages other than Latin. In the field of word form variations from a single root, both derivational and inflexional, V. rehearses the arguments for and against analogy and anomaly, citing Latin examples of regularity and of irregularity. Sensibly enough, V. concludes that both the principle of analogy and the principle of anomaly must be recognized and accepted in the word formations of a language and in the meanings associated with them. In discussing the limits of strict regularity in the formation of words V. notices the pragmatic nature of language, with its vocabulary more differentiated in culturally important areas than in others. Thus "equus" and "equa" have separate forms for the male and female animal, because the sex difference is important to the Romans. But "corvus" does not, because in them the difference is not important to Romans. Once this is true of "columba" -- formerly all designated by the feminine noun. But since "columbae" are domesticated, a separate, analogical, masculine form "columbUS" is ‘coined.’ V. further recognises the possibilities open to the individual, particularly in poetic diction, of variations or anomalies beyond those sanctioned by majority usage or 'ordinary language', a conception not remote from the Saussurean interpretation of langue and parole. One of V.'s most penetrating observations in this context is the distinction between derivational and inflexional formation, a distinction not commonly made in antiquity. One of the characteristic features of inflexions is their very great generality. Inflexional paradigms contain few omissions and are mostly the same for all speakers of a single dialect or of an acknowledged standard language. This part of morphology V. calls 'declinatio naturalis’, because, given a word and its inflexional class, we can infer its other forms. By contrast, synchronic derivations vary in use and acceptability from person to person and from one word root to another. From "ovis" and "sus" are formed "ovile" and "suile.” But "bovile" is *not* acceptable to V. from "bos" -- although rustic CATONE is said to have used the form as opposed to the more standard "bubile.” The facultative and less ordered state of this part of morphology, which gives a language much of its flexibility, is distinguished by V. in what he dubs ‘declinatio VOLUNTARIA.’ V. shows himself likewise original in his proposed morphological classification of Latin words. His use in this of the morphological categories shows how V. understands and makes use of Greek sources without deliberately copying their conclusions. V. recognises, as the Greeks do, case and tense as the primary distinguishing categories of inflected words, and sets up a quadripartite system of FOUR inflexionally contrasting classes. Those with case inflexion. Those with tense inflexion. Those with case and tense inflexion. Those with neither. Noun (including Adjective). Verbs. Participle. Adverb. These IV classes are further categorised as a forms which, respectively, names, makes a statement, joins (i.e. shared in the syntax of nouns and verbs), and supports (constructed with verbs as their subordinate members). In the passages dealing with these IV classes, the adverbial examples are all morphologically derived forms -- like "docte" and "lecte". V.’s definition would apply equally well to the un-derived and mono-morphemic adverbs of Latin -- like "mox" and "eras". But these are referred to elsewhere among the uninflected, invariable or 'barren,’ sterile, words. A full classification of the invariable words of Latin would require the distinction of syntactically defined sub-classes such as Thrax used for Greek and the later Latin grammarians took over for Latin. But, from his examples, it seems clear that what was of prime interest to V. is the range of grammatically different words that may be formed on a single common root -- e.g. "lego" (VERB – CLASS II) , "lector" – NOUN, CLASS I --, "legens" – PARTICIPLE, CLASS III -- and "lecte" – ADVERB – CLASS IV. In his treatment of the verbal category of tense, Varro displays his sympathy with the doctrine of the Porch, in which two semantic functions are distinguished within the forms of the tense paradigms, time reference and ‘aspect.’ In his analysis of the VI INDICATIVE indicative tenses, active and passive, the *aspectual* division, incomplete-complete, is the more fundamental for V., as each aspect regularly shares the same stem form, and, in the passive voice the *completive* aspect tenses consists of *two* expressions, though V. claims that, erroneously, most people only consider the time reference dimension. IS Active Time past present future Aspect incomplete DISCIBAM  I was DISCO I learn DISCAM I shall learning learn complete DIDICERAM I had DIDICI I have DIDICERII I shall learned learned have learned Passive incomplete AMTIBAR I was AMOR I am AMITBOR  I shall be loved loved loved complete AMTITUS  I had AMTITUS I have AMIITUS I shall ERAM been sum been ERA have been loved loved loved The Latin future perfect is in more common use than the corresponding Greek (Attic) future perfect. V. puts the Latin perfect tense forms DIDICI, etc., in the present *completive* place, corresponding to the place of the Greek perfect tense forms. In what we have or know of his writings, V. does not appear to have allowed for one of the major differences between the Greek and Latin tense paradigms -- viz. that, in the Latin perfect tense, there is a syncretism of a simple past meaning ('I did'), and a perfect meaning ('I have done') -- corresponding to the Greek aorist and perfect respectively. The Latin perfect tense forms belong in *both* completive and non-completive aspectual categories, a point clearly made later by PRISCIANO in his exposition of a similar analysis of the Latin verbal tenses. If the difference in use and meaning between the Greek and Latin perfect tense forms seems to escape V.'s attention, the more obvious contrast between the V-term case system of Greek and the *VI*-term system of Latin forces itself on him, as it does on anyone else who learned both languages. Latin formally distinguished an ABLATIVE CASE. 'By whom an action is performed' is the gloss given by V.. THE ABLATIVE CASE shares a number of the meanings and syntactic functions of both the Greek GENITIVE and DATIVE case forms. V. takes the NOMINATIVE form not as a casus but as as the canonical word forms, from which the oblique forms -- cases -- are developed. Like his Greek colleagues across the pond, V. contents himself with fixing on one stereo-typical meaning or relationship as definitive for each case. V., who was no Cicero – ‘he is a Varro’ implicates ‘he is a know-it-all’ in Roman -- mistranslates ‘aitiatike ptosis’ by ACCUSATIVUS rather than the more correct, CAUSATIVUS. V. is probably the most independent and original philosopher on linguistic topics among the Romans. After V. we can follow discussions of existing questions by several philosophers with no great claim on our attention. Among others, GIULIO CESARE – the well-known general assassinated by the senators -- is reported to have turned his mind to the analogy-anomaly debate while crossing the Alps on a campaign. Thereafter, the controversy gradually fades away. PRISCIANO uses ‘analogia’ to mean the regular inflexion of an inflected word, without mentioning ‘anomalia’. ‘Anomalia’ appears occasionally among the late grammarians.V.'s ideas on the classification of Latin words have been noticed. But the word class system that is established in the Latin tradition enshrines in the ‘saggi’ of PRISCIANO and the late Latin ‘philosophical’ grammarians – cf. CAMPANELLA, ‘Grammatica filosofica’ -- is much closer to. the one given in Thrax's Techne. The number of classes remains now at VIII, with one change. A class of words corresponding to the Greek definite article ‘ho,’ ‘he,’ ‘to,’ does not exist in  Latin. The definite article of Italian develops later from weakened forms of the demonstrative pronoun ‘ille’ (il) and ‘illa’ (la). The Greek *relative* pronoun is morphologically similar to the article and classed with it by Thrax and Apollonius. In Latin, the relative pronoun – ‘qui’, ‘quae’, and ‘quod’ -- is morphologically akin to the interrogative pronoun – ‘quis’, ‘quid’ -- and both are classed together either with the noun or the pronoun class. In place of the article, Latin grammarians recognise the ‘interjection’ as a separate ‘pars orationis’, instead of treating it as a subclass of adverbs as Thrax and Apollonius do. PRISCIAN regards the separate status of the interjection as common practice among Latin scholars. But the first philosopher who is known to have dealt with it in this way is REMMIO PALEMONE, a grammatical and literary scholar who defines the interjection as having no statable meaning but merely indicating – via natural meaning, as H. P. Grice would have it – emotion, as in Aelfric he he versus ha ha (Roman versus English laughter). PRISCIANO lays more stress on the syntactic independence of the interjection in sentence structure. QUINTILIANO, a Spaniard, not a Roma, is PALEMONE’s pupil. This Spaniard writes extensively on education, and in his “Institutio aratoria”, wherein he expounds his opinions, he dealt briefly with ‘GRAMMATICA’ – the first of the trivial arts -- , regarding it as a propaedeutic to the full and proper appreciation of literature in a liberal education, in terms very similar to those used by Thrax at the beginning of the Techne. In a matter of detail, QUINTILIANO discusses the analysis of the Latin case system, a topic always prominent in the minds of Latin scholars who knew Greek by default (Who didn’t have a Greek slave?). QUINTILIANO suggests isolating the instrumental use of the ABLATIVE -- "gladiii" -- as case VII, since, as he notes, this instrumental use of the ablative case has nothing in common semantically with the other meanings of the ablative. A separate ‘instrumental’ case forms is found (but a Spaniard wouldn’t know) in Sanskrit, and may be inferred for unitary Indo-european, though the Greeks and Romans knew nothing of this. It was and is common practice to name the cases by reference to one of their meanings – DATIVUS,  'giving', ABLATIVUS, 'taking away', etc. -- but their formal identity as members of a VI-term paradigm rests on their meaning, or more generally, their meanings, and their syntactic functions being associated with a morphologically distinct form in at least some of the members of the case inflected word classes. PRISCIAN and DONATO see this, and in view of the absence of any morphological feature distinguishing an alleged instrumental use of the ablative case forms from their other uses, PRISCIANO explicitly reproves of such an addition to the descriptive grammar of Latin as redundant – or “supervacuum,” as he said for ‘otiose.’ The work of V., QUINTILIANO, shows the process of absorption of Greek linguistic theory, controversies, and categories, in their application to the Latin language. But Latin linguistic scholarship is best known for the formalization of descriptive Latin grammar, to become the basis of all education in later antiquity and the traditional schooling of the modern world. The Latin grammar of the present day is the direct descendants of the compilations of the later Latin grammarians, as the most cursory examination of PRISCIANO’s “Institutiones grammaticae” will show. PRISCIANO’s grammar, comprising XVIII books and running to nearly a thousand pages may be taken as representative of their work. Quite a number of writers of Latin grammars, working in different parts of the Roman Empire, are known to us. Of them DONATO and PRISCIANO are the best known. Though they differ on several points of detail, on the whole these philosopohical grammarians set out and follow the same basic system of grammatical description. For the most part, Roman philosophical grammarians show little originality, doing their best to apply the terminology and categories of the Greek grammarians to the Latin language. The Greek technical terms are given fixed translations with the nearest available Latin word. ‘onoma’, ‘NOMEN’ ‘anto-nymia,’ ‘PRO-NOMEN’ ‘syn-desmos,’ ‘CON-IUCTIO’ etc. In this procedure they had been encouraged by DIDIMO,  a voluminous scholar, who states that every feature of Greek grammar IS TO BE found in Latin. DIDIMO follows the word class system of the PORCH, which included the article (absent in Latin) and the personal pronouns in one class, so that the absence of a word form corresponding to the Greek article does not upset him or his classification. Among the Latin philosophical grammarians, MACROBIO gives an account of the 'differences and likenesses' of the Greek and the Latin verb, but it amounted to little more than a parallel listing of the forms, without any penetrating investigation of the verbal systems of the Latin language – his own, or Greek. The succession of Latin philosophical grammarians through whom the accepted grammatical description of the language is brought to completion and handed on to the Middle Ages spanned the centuries until the foundation of Oxford. This period covers the pax Romana and the unitary Greco-Roman civilization of the Mediterranean that lasts during the first two centuries, the breaking of the imperial peace in the third century, and the final shattering of the western provinces, including Italy, by invasion from beyond the earlier frontiers of the empire. Historically these centuries witness two events of permanent significance in the life of the civilized world. In the first place, Christianity – or the coming of the Galileans -- which, from a secular standpoint, starts as the religion of a small deviant sect of Jewish zealots, spread and extended its influence through the length and breadth of the empire, until, in the fourth century, after surviving repeated persecutions and attempts at its suppression, it is recognized as the official religion of the state! (Except Giuliano). Its subsequent dominance of European thought (except Luther) and of all branches of learning for the next thousand years is now assured, and neither doctrinal schisms nor heresies, nor the lapse of an emperor into apostasy could seriously check or halt its progress. As Christianity gains the upper hand and attracts to itself men of learning, the scholarship of the period shows the struggle between the old declining pagan standards of classical antiquity and the rising generations of Christian apologists, philosophers, and historians, interpreting and adapting the heritage of the past in the light of their own conceptions and requirements. The second event is a less gradual one, the splitting of the Roman world into two halves, east and west. After a century of civil turmoil and barbarian pressure, Rome ceases under DIOCLEZIANO to be the administrative capital of the empire, and his later successor COSTANTINO transfers his government to a new city, built on the old Byzantium and named Constantino-polis (literally: ‘my (kind of) town’). By the end of the fourth century, the Roman empire is formally divided into an eastern and a western realm, each governed by its own emperor (who often did not speak to each other – and for whom there was no lingua franca to be found). This division roughly corresponds to the separation of the old Hellenized area conquered by Rome but remaining Greek in culture and language, and the provinces raised from barbarism by Roman influence and Roman letters. Constantinople, assailed from the west and from the east, continues for a thousand years as the head of the Eastern Byzantine Empire, until it falls to the Turks. During and after the break-up of the Western Empire, Rome endures as the capital city of the Roman Church, while Christianity in the east gradually evolved in other directions to become the Eastern Orthodox Church. Culturally one sees as the years pass on from the so-called 'Silver Age' a decline in liberal attitudes, a gradual exhaustion of older themes, and a loss of vigour in developing new ones. Save only in the rising Christian communities, scholarship is backward-looking, taking the form of erudition devoted to the acknowledged standards of the past. This is an era of commentaries, epitomes, and dictionaries. The Latin grammarians, whose oudook is similar to that of the Alexandrian Greek scholars, like them directed their attention to the language of classical literature, for the study of which grammar serves as the introduction and foundation. The changes taking place in the spoken and the non-literary written Latin around them arise VERY little interest – ‘the plebs use it!’ --; their works are liberally exemplified with texts, all drawn from the prose and verse writers of classical Latin and their ante-classical predecessors Plautus and Terence. How different accepted written Latin is becoming may be seen by comparing the grammar and style of GIROLAMO's fourth translation of the Bible (the Vulgate), wherein several grammatical features of the Romance languages are anticipated, with the Latin preserved and described by the grammarians, one of whom, DONATO, second only to PRISCIANO in reputation, was in fact GIROLAMO’s teacher – and learned from him that God could be allowed a solecism or two! The nature and the achievement of the Latin philosophical grammarians can best be appreciated through a consideration of the work of their greatest representative, PRISCIANO, who teaches Latin grammar in Constantino-polis. Though PRISCIANO draws much from his Latin predecessors, his aim, like theirs, is to transfer as far as he could the grammatical system of Thrax's Techne and of Apollonius's writings to Latin. PRISCIANO’s admiration for Greek linguistic scholarship and his dependence on Apollonius and his son ERODIANO, in particular, 'the greatest authorities on grammar', are made clear in his introductory paragraphs and throughout his grammar. PRISCIANO works systematically through his subject, the description of the language of classical Latin literature. Pronunciation and syllable structure are covered by a description of the “littera’, defined as the smallest part of articulate speech, of which the properties are “nomen”, the name of the letter, “figura”, its written shape, and “potestas,” its phonetic value. All this had already been set out for Greek, and the phonetic descriptions of the letters as pronounced segments and of the syllable structures carry little of linguistic interest except for their partial evidence of the pronunciation of the Latin language. From phonetics PRISCIANO passes to morphology, defining the “dictio” and the “oratio” in the same terms that Thrax uses, as the minimum unit of sentence structure and the expression of a complete thought, respectively. As with the rest of western antiquity, PRISCIANO’s grammatical model is word and paradigm, and he expressly denies any linguistic significance to a division, in what would now be called morphemic analysis, *below* the word. On one of his rare entries into this field, PRISCIANO misrepresents the morphemic composition of words containing the negative prefix “in-“ -- “indoctus” -- by identifying it with the preposition “in.” These two morphemes, “in-“, negative, and “in-”, the prefixal use of the preposition, are in contrast in “invisus”, which may negate or strengthen the stem that follows (two words with two meanings, not a polysemous expression). After a review of earlier theories of Greek linguists, PRISCIANO sets out the classical system of VIII word classes laid down by Thrax and Apollonius, with the omission of the article but the separate recognition of the interjection. Each class of words is defined, and described by reference to its relevant formal category and “accidentia,” whence the later accidence for the morphology of a language, and all are copiously illustrated with examples from classical texts. All this takes up XVI of the XVIII books, the last II being devoted to syntax. PRISCIANO addresses himself (OBVIOUSLY) to readers already knowing Greek, as Greek examples are widely used and comparisons with Greek are drawn at various points, and the last hundred pages are wholly taken up with the comparison of different constructions in the two languages. Though Constantinopolis was a Greek-speaking city in a Greek-speaking area, Latin is decreed the official language when the new city was founded as the capital of the Eastern Empire. Great numbers of speakers of Greek as a first language needed Latin teaching from then on. The VIII parts of speech, or word classes, in PRISCIANO’s grammar may be compared with those in Dionysius Thrax's Techne. Reference to extant definitions in Apollonius and PRISCIANO’s expressed reliance on him allow us to infer that PRISICIANO’s definitions are substantially those of Apollonius, as is his statement that each separate class is known by its semantic content. “Nomen,” including adjectives. The property of the noun is to indicate a substance and a quality, and it assigns a common or a particular quality to every body or thing. The property of the VERBUM is to indicate an action or a being acted on; it has tense and mood forms, but is not case inflected. The PARTICIPIUM is a class of words always derivationally referable to a VERBUM, sharing the categories of verbs and a NOMEN (tenses and cases) -- and therefore distinct from both. This definition is in line with the Greek treatment of these words. The property of the PRONOMEN is its substitutability for a proper nouns and its specifiability as to person -- first, second, or third. The limitation to proper nouns, at least as far as third person pronouns are concerned, contradicts the facts of Latin. Elsewhere, PRISCIANO repeats Apollonius's statement that a specific property of the PRONOMEN is to indicate substance *without* quality, as a way of interpreting the lack of lexical restriction on the NOMEN which may be referred to anaphorically by a PRONOMEN. The property of the ADVERBIUM is to be used in construction with a VERBUM, to which it is syntactically and semantically subordinate. The property of the PRAE-POSITIO is to be used as a separate word before case inflected words and in composition before both case-inflected and non-case-inflected words. PRISCIANO, like Thrax, identifies the first part of words like “PRO-consul” and “INTER-currere”, as PRAE-POSITIO. INTER-IECTIO is a class of words syntactically independent of a VERBUM, and indicating a feeling or a state of mind. The property of the CON-IUCTIO is to join syntactically two or more members of any other word class, indicating a relationship between them. In reviewing PRISCIANO' s work as a whole, one notices that in the context in which he is writing and in the form in which he casts his description of Latin, no definition of grammar itself is found necessary. Where other late Latin grammarians do define the term, they do no more than abbreviate the definition given at the beginning of Thrax's Techne. It is clear that the place of grammar, and of linguistic studies in general, in education is the same as is precisely and deliberately set out by Thrax and summarily repeated by QUINTILIANO. PRISCIANO's omission is an indication of the long continuity of the conditions and objectives taken for granted during these centuries. PRISCIANO organises the morphological description of the forms of nouns and verbs, and of the other inflected words, by setting up canonical or basic forms, in nouns the nominative singular and in verbs the first person singular present indicative active. From these he proceeds to the other forms by a series of letter changes, the letter being for him, as for the rest of western antiquity, both the minimal graphic unit and the minimal phonological unit. The steps involved in these changes bear no relation to morphemic analysis, and are of the type that finds no favour at all in recent descriptive linguistics, though under the influence of the generative grammarians somewhat similar process terminologies are being suggested. The accidents or categories in which PRISCIANO classes the formally different word shapes of the inflected or variable words include both derivational and inflexional sets, PRISCIANO following the practice of the Greeks in not distinguishing between them. V.’s important insight is totally disregarded! But PRISCIANO is clearly informed on the theory of the establishment of categories and of the use of semantic labels to identify them. Verbs are defined by reference to action or being acted on. But PRISCIANO points out that on a deeper consideration – SI QUIS ALTIUS CONSIDERET --  such a definition would require considerable qualification; and case names are taken, for the most part, from just one relatively frequent use among a number of uses applicable to the particular case named. This is probably more prudent, if less exciting, than the insistent search for a common or basic meaning uniting all the semantic functions associated with each single set of morphologically identified case forms. The status of the VI cases of Latin nouns is shown to rest, not on the actually different case forms of any one noun or one declension of nouns, but on semantic and syntactic functions systematically correlated with differences in morphological shape at some point in the declensional paradigms of the noun class as a whole. The many-one relations found in Latin between forms and uses and between uses and forms are properly allowed for in the analysis. In describing the morphology of the Latin verb, PRISCIANO adopts the system set out by Thrax for the Greek verb, distinguishing present, past, and future, with a fourfold semantic division of the past into imperfect, perfect, plain past – aorist -- and pluperfect, and recognizing the syncretism (as V. does not) of perfect and aorist meanings in the Latin perfect tense forms. Except for the recognition of the full grammatical status of the Latin perfect tense forms, PRISCIANO’s analysis, based on that given in the Techne, is manifestly inferior to the one set out by V. under the influence of THE PORCH. The distinction between incomplete and complete aspect, correlating with differences in stem form, on which V. lays great stress, is concealed, although PRISCIANO recognises the morphological difference between the two stem forms underlying the VI tenses. Strangely, PRISCIANO seems to have misunderstood the use and meaning of the Latin future perfect, calling it the ‘future subjunctive’, though the first person singular form by which he cited it – “scripsero” -- is precisely the form which differentiates its paradigm from the perfect subjunctive paradigm – “scripserim” -- and, indeed, from any subjunctive verb form, none of which show a first person termination in -im. This seems all the more surprising because the corresponding forms in Greek --  “tetypsomai” -- are correctly identified. Possibly his reason was that his Greek predecessors had excluded the future perfect from their schematization of the tenses, in that this tense was not much used in Greek, and was felt to be an atticism. A like dependence on the Greek categorial framework probably leads Priscian to recognize both a subjunctive mood (subordinating) and an OPTATIVE mood (independent, expressing a wish) in the Latin verb, although Latin -- unlike Greek -- nowhere distinguishes these two mood forms morphologically, as PRISCIAN in fact admits, thus confounding his earlier explicit recognition of the status of a formal grammatical category. Despite such apparent misrepresentations, due primarily to an excessive trust in a point for point applicability of Thrax's and Apollonius's systematization of Greek to the Latin language, Priscian's morphology is detailed, orderly, and in most places definitive. His treatment of syntax in the last two books is much less so, and a number of the organizing features that we find in modern grammars of Latin are lacking in his account. They are added by later scholars on to the foundation of Priscianic morphology. Confidence in PRISCIANO’s syntactic theory is hardly increased by reading his assertion that the word order, most common in Latin, nominative case noun or pronoun (subject) followed by verb is the NATURAL one, because the substance (“homo”) is PRIOR to the action it performs (“currit”). Such are the dangers of philosophising on an inadequate basis of empirical fact. In the syntactic description of Latin, PRISCIANO classifies verbs on the same lines as had been worked out for Greek by the Greek grammarians, into active (transitive), passive, and neutral (intransitive), with due notice of the deponent verbs, passive in morphological form but active or intransitive in meaning and syntax and without corresponding passive tenses. Transitive verbs are those colligating with an oblique case -- “laudo te”, “noceo tibi,” “ego miserantis” -- and the absence of concord between oblique case forms and finite verbs is noted. But the terms subject and object were not in use in PRISCIANO’s time as grammatical terms, though the use of “subiectum” to designate the logical subject of a proposition is common. PRISCIANO makes mention of the ablative absolute construction, though the actual name of this construction is a later invention. PRISCIANO gives an account and examples of exactly this use of the ablative case -- me vidente puerum cecidisti -- and -- Augusto imperiitiire Alexandria provincia facta est. Of the systematic analysis of Latin syntactic structures PRISCIANO has little to say. The relation of subordination is recognized as the primary syntactic function of the relative pronoun -- qui, quae, quod -- and of similar words used to downgrade or relate a. verb or a whole clause to another, main, verb or clause. The concept of subordination is employed in distinguishing nouns (and pronouns used in their place) and verbs from all other words, in that these latter were generally used only in syntactically subordinate relations to nouns or verbs, these two classes of word being able by themselves to constitute complete sentences of the favourite, productive, type in Latin. But in the subclassification of the Latin conjunctions, the primary grammatical distinction between subordinating and coordinating conjunctions is left unmentioned, the co-ordinating “TAMEN”, being classed with the sub-ordinating “QUAMQUAM” and “QUAMSI”. – cf. Grice on ‘if’ as subordinating. Once again it must be said that it is all too easy to exercise hindsight and to point out the errors and omissions of one's predecessors. It is both more fair and more profitable to realise the extent of PRISCIANO’s achievement in compiling his extensive, detailed, and comprehensive description of the Latin language of the classical authors, which is to serve as the basis of grammatical theory for centuries and as the foundation of Latin teaching up to the present day. Such additions and corrections, particularly in the field of syntax, as later generations need to make could lie incorporated in the frame of reference that Priscian employs and expounds. Any division of linguistics (or of any other science) into sharply differentiated periods is a misrepresentation of the gradual passage of discoveries, theories, and attitudes that characterizes the greater part of man's intellectual history. But it is reasonable to close an account of Roman linguistic scholarship with PRISCIANO. In his detailed -- if in places misguided -- fitting of Greek theory and analysis to the Latin language he represents the culmination of the expressed intentions of most Roman scholars once Greek linguistic work had come to their notice. And this was wholly consonant with the general Roman attitude in intellectual and artistic fields towards 'captive Greece' who 'made captive her uncivilized captor and taught rustic Latium the finer arts. PRISCIANO’s work is more than the end of an era. It is also the bridge between antiquity and the Middle Ages in linguistic scholarship. By far the most widely used grammar, PRISCIANO’s “Institutiones grammaticae” runs to no fewer than one thousand manuscripts, and forms the basis of mediaeval Latin grammar and the foundation of mediaeval linguistic philosophy – i modisti or philosophical grammarians. PRISCIANO’s grammar is the fruit of a long period of Greco-Roman unity. This unity had already been broken by the time he writes, and in the centuries following, the Latin west is to be shattered beyond recognition. In the confusion of these times, the philosophical grammarians, their studies and their teaching, have been identified as one of the main defences of the classical heritage in the darkness of the Dark Ages. ARENS, Sprachwissenschaft: der Gang ihrer Entwicklung von der Antike bis zur Gegenwart, Freiburg. Bolgar, The classical heritage and its beneficiaries, Cambridge. J. Collart, V. grammairien latin, Paris. FEHLING, 'V. und die grammatische Lehre von der Analogie und der Flexion', Glotta, LERSCH, Die Sprachphilosophie der Alten, Bonn, H. NETTLESHIP, The study of grammar among the Romans, Journal of philology, ROBINS, Ancient and mediaeval grammatical theory in Europe, London, JSANDYS, History of classical scholarship, Cambridge, STEINTHAL, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den Griechen und Romern, Berlin. GIBBON, The decline and fall of the Roman Empire (ed. BURY), London, VERGIL, Aeneid 6, Ssi-3: Tu regere imperio populos, Romane, memento (hae tibi erunt artes), pacisque imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos. Noctes Atticae GEHMAN, The interpreters of foreign languages among the ancients, Lancaster, Pa., FEHLING, FUNAIOLI, Grammaticorum Romanorum fragmenta, Leipzig. Ars grammatica scientia est eorum quae a poetis historicis oratoribusque dicuntur ex parte maiore. De lingua Latina CHARisrus, Ars grammaticae I (KEIL, Grammatici, Leipzig). On Varro's linguistic theory in relation to modern linguistics, cp. D. LANGENDOEN, 'A note on the linguistic "theory of V.', Foundations of language 2, SUETONIUS, Caesar, GELLIUS, Noctes Atticae  PRISCIANO, Institutio de nomine pronomine et verbo 38, Institutiones grammaticae PROBUS, Instituta artium (H. KEIL, Grammatici Latini), DIONYSIUS-THRAX, Techne BEKKER, Anecdota Graeca, Berlin, APOLLONIUS DYSCOLUS, Syntax As noun, PRISCIAN as pronoun,- PROBUS, Instituta (KEIL, Grammatici APOLLONIUS, De adverbio, BEKKER, Anecdota Graeca , CHARISIUS, Ars grammaticae KEIL, Grammatici -- Nihil docibile habent, significant tamen adfectum animi. QUINTILIAN, Institutio aratoria Their works are published in KEIL, Grammatici Latini, Leipzig, PRISCIAN De figuris numerorum  PRISCIAN De differentiis et societatibus Graeci Latinique verbi, KEIL, Grammatici 5, Leipzig, Artis grammaticae maximi auctores', dedicatory preface Dictio est pars minima orationis constructae; Oratio est ordinatio dictionum congrua, sententiam perfectam demonstrans. Proprium est nominis substantiam et qualitatem significare; Nomen est pars orationis, quae unicuique subiectorum corporum seu rerum communem vel propriam qualitatem distribuit. Proprium est verbi actionem sive passionem significate; Verbum est pars orationis cum temporibus et modis, sine casu, agendi vel patiendi significativum. Participium iure separatur a verbo, quod et casus habet, quibus caret verbum, et genera ad similitudinem nominum, nee modos habet, quos continet verbum; Participium est pars orationis, quae pro verba accipitur, ex quo et derivatur naturaliter, genus et casum habens ad similitudinem nominis et accidentia verba absque discretione personarum et modorum. The problems arising from the peculiar position of the participle among the word classes, under the classification system prevailing in antiquity, are discussed there. Proprium est pronominis pro ali quo nomine proprio poni et certas significare personas; Pronomen est pars orationis, quae pro nomine proprio uniuscuiusque accipitur personasque finitas recipit. Substantiam significat sine aliqua certa qualitate. Proprium est adverbii cum verbo poni nee s·ine eo perfectam significationem posse habere; Adverbium est pars orationis indeclinabilis, cuius.significatio verbis adicitur. Praepositionis proprium est separatim quidem per appositionem casualibus praeponi coniun~tim vero per compositionem tam cum hahentibus casus quam cum non habentibus; Est praepositio pars orationis indeclinabilis, quae praeponitur aliis partibus vel appositione vel compositione. 48. IS-7·40: Videtur affectum habere in se Yerbi et plenam motus animi significationem, etiamsi non addatur verbum, demonstrare. Proprium est coniunctionis diversa nomina vel quascumque dictiones casuales vel diversa verba vel adverbia coniungere; Coniunctio est pars orationis indeclinabilis, coniunctiva aliarum partium orationis, quibus consignificat, vim vel ordinationem demons trans. so. cp. MATTHEWS, 'The inflectional component of a word-and-paradigm grammar', :Journal of linguistics HORACE, Epistles 2.1.156-7: Graecia capta ferum victorem cepit et artes Intulit agresti Latio. .LOT, La fin du monde antique et le debut du moyen age, Paris.  Marco Terenzio Varrone. He led an active and sometimes risky political life. Although he backed the wrong side in the civil war, he survived. He was a pupil of Posidonio at Rome. He was influenced by Antioco d’Ascalon. He wrote hundreds of works, most of which have since been lost. Amongst them was an extended series of fictional philosophical dialgoues, the Logistorici, in wich assorted Romans debated a variety of toipics, illustrating the arguments with examples from history. Tertulliano calls him the Roman Cynargo, perhaps because of some satires he wrote but it is highly unlikely that he was a Cinargo. Better attested is his interest in Pythagoreanism, whose cult he followed to the letter.  Marco Terenzio Varrone. Varrone. Keywords: centro di studi varroniani, idioma, idiom, lingua latina, lingua anglica, Lazio, Lazini, la lingua del Lazio, Varrone, Prisciano, Donato, Girolamo, Giulio Cesare – Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Varrone: semiotica filosofica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Varzi: la ragione conversazionale delle parole, degl’oggetti, e degl’eventi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Galliate). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Some Italians do not consider Varzi an “Italian” philosopher in that his maximal degree was earned elsewhere! If philosophy is a branch of the belles lettres, part of Varzi’s essays belong in English literature. He has written on ‘universal semantics.’ All'Trento. Grice: “Varzi rather freely uses ‘universal’ as in ‘universal semantics’ – while my own pragmatic rules have been challenged universal status, by, of all people, Elinor Ochs!” Grice: “Some Italians consider Varzi a specimen of ‘brain drain’ in more than one way: his maximal degree was obtained without Italy, not within Italy, and not in Italian – plus the fact that he is at Colombo’s Columbia!” Esponente della filosofia analitica, è noto principalmente per le sue ricerche di logica e per il suo contributo alla rinascita degli studi in ambito di metafisica e ontologia. Laureatosi a Trento con una tesi, “La logica libera” stato insignito della Targa Piazzi per la ricerca scientifica e del Premio Bozzi per l'Ontologia. Dopo un periodo dedicato soprattutto allo studio dell'immagine del mondo propria del senso comune, si è indirizzato progressivamente verso posizioni di stampo nominalista e convenzionalista, nella convinzione che buona parte della struttura che siamo soliti attribuire alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra testa, nelle nostre pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti e categorie che sottendono alla nostra rappresentazione dell'esperienza e al nostro bisogno di rappresentarla in quel modo. Noto anche per la sua attività divulgativa, spesso in collaborazione con Casati, ispirata al principio secondo cui la filosofia è una sfida in cui il pensiero parte dalla semplicità delle cose quotidiane e ne mostra la meravigliosa complessità. Saggi: “Semplicemente diaboliche” (Laterza); “L’amicizia” (Orthotes); “I colori del bene, Orthotes,. L'incertezza elettorale (Aracne). Le tribolazioni del filosofare. Comedia Metaphysica ne la quale si tratta de li errori & de le pene de l’Infero (Laterza); Il mondo messo a fuoco, Laterza, Il pianeta dove scomparivano le cose. Esercizi di immaginazione filosofica, Einaudi, Ontologia, Laterza, Semplicità insormontabili storie filosofiche, Laterza, Parole, oggetti, eventi e altri argomenti di metafisica, Carocci. “Logica” McGraw-Hill Italia,  Buchi e altre superficialità, Garzanti. Studi: Casetta e Giardino, Mettere a fuoco il mondo. Conversazioni sulla filosofia di V., Isonomia Epistemologica,  Calemi, V.. Logica, semantica, metafisica (Albo Versorio, Milano); Il mondo messo a fuoco, Laterza. Dal risvolto di copertina di Semplicità insormontabili, Laterza. Da questo libro è stato tratto lo spettacolo teatrale Insurmountable Simplicities, per la regia di Glick, presentato dall'All Gone Theatre Company all'edizione  del New York International Fringe Festival. Biografia "negativa" di V., su columbia. Intervista ad V. di Caffo, Rivista italiana di filosofia analitica. Achille Varzi. Varzi. Keywords: ‘universal’. Refs.:  Luigi Speranza, "Grice e Varzi: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Vasa: la ragione conversazionale della RAGIONE E LIBERTÀ – filosofia italiana – Luigi Speranza (Aggius). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Società Filosofica Italiana Congresso Nazionale L'Aquila. Nacque al paese della Gallura di forte e suggestivo paesaggio e di forti vicende. Compiuti in anticipo gli studi secondari, anda a studiare filosofia a Milano dove si laurea. Insegna nel liceo ginnasio “Arnaldo” di Brescia. Dove interrompere l’insegnamento a causa della sua partecipazione alla Resistenza con il gruppo che fa capo a Parri. Alla fine della guerra riprese l’insegnamento a Milano nel liceo classico Carducci nel liceo ginnasio Manzoni. Ottenne la libera docenza. Assistente volontario e poi incaricato di filosofia, Milano. Vincitore di un concorso a cattedre di filosofia teoretica, chiamato  a Cagliari e Firenze. Rimase sempre fortemente legato al paese natale. Il Comune di Aggius ne ha conservato la memoria.  Negli anni di formazione, si trova a partecipare al tentativo condotto da BONTADINI, di cui era allievo e amico, di superare la contrapposizione tra la scolastica e l’idealismo, comprendendo e assimilando quanto della metafisica hegeliana e cristiana era in questo indirizzo. In questa operazione prende una sua via personale. Abbandona l’interesse metafisico simpatizzando per l’attualismo di GENTILE (vedi) per quanto esso restituiva all’uomo dignità e responsabilità, mettendone tuttavia in luce l’impossibilità di una fondazione logica. Nacquero così le indagini sulla logica di Hegel che portarono a rilevanti osservazioni critiche riguardo all’idealismo. Con l’idea che i valori immanenti costituiscono l’orizzonte trascendentale nella prassi razionale ed etica dell’uomo vienne a cadere per V. l’opposizione di immanenza e trascendenza.  Nella comune partecipazione alla Resistenza si lega di amicizia con PRA (vedi), filosofo di profonda esperienza religiosa e sociale e innovatore della storiografia filosofica. Tramite PRA, V. entra in contatto con BANFI, che rappresenta la scuola filosofica milanese. Nel confronto con il razionalismo critico di BANFI, che mira a chiarire una struttura della ragione nel solco della tradizione kantiana, V. pensa ad un razionalismo che anda oltre ogni struttura presupposta della ragione verso un orizzonte di possibilità non ancora prevedibili. Questo comporta l’idea della ricerca di una logica della possibilità. Si pone così quella proposta filosofica detta “trascendentalismo della prassi”, radicalmente critica e programmaticamente aperta, e che venne difesa da PRA e Vn, sia nella «Rivista di storia della filosofia» fondata da PRA, sia nei Congressi della “Società filosofica italiana” ri-nata dopo lo scioglimento imposto dall’autorità del FASCISMO. Il “trascendentalismo della prassi” è contrapposto al "teoricismo", inteso come il carattere di tutta filosofia che presuppone un principio di datità del reale e del valore, cioè di tutta filosofia metafisica. Il trascendentalismo della prassi non vuole essere una teoria, ma un atteggiamento pratico possibile, effettivo, che riconosce la temporalità della prassi e ne rivendica la libertà e la responsabillità. La proposta del trascendentalismo della prassi, che è immediatamente critica del pensiero di CROCE e GENTILE, ma che investiva tutti gli indirizzi contemporanei, è il modo più radicale del domandarsi dopo la guerra, sul métier della filosofia. La «Rivista di storia della filosofia» costituì il contatto con il “neo-illuminismo”, che, animato da ABBAGNANO (vedi), avendo come centro Torino, collega e confronta in convegni periodici i nuovi indirizzi metodologici e anti-metafisici. Affermatisi gli indirizzi della fenomenologia trascendentale, della filosofia analitica e dell’empirismo. Con il suo metodo, caratterizzato dall’apertura e dalla tensione critica ad un continuo “andar oltre”, V. da di essi interpretazioni originali in numerosi studi e seminari. La sua ricerca, ora caratterizzata come razionalismo della prassi, continua a mettere in discussione ogni naturalismo limitativo della libertà della persona. Conferma così l’idea di una “via negativa alla filosofia” a cui siamo costretti in mancanza di principi universali oggettivi o di autorità universali nella prassi. Questa negazione confuta la tematizzazione ingenua del mondo, mette fra parentesi la tradizione, toglie l’unicità di senso al nostro rapporto con la realtà e, aprendo la ricerca alla prospettiva di generalizzazioni nuove, risponde al bisogno della persona di costruirsi e perseguire finalità proprie.  Per influenza dell’amico GEYMONAT, e in discussione con lui, V. vide concretamente nelle scienze in sviluppo l’orizzonte effettivo delle possibilità razionali, pertanto si cimentò nella comprensione di esse attraverso l’epistemologia e la logica. Esamina il moderno formalismo logico-matematico di Russell; l’analisi del linguaggio (formale ed ordinario) di ‘Vitters’; il convenzionalismo logico e linguistico che egli coglieva nell’empirismo di Carnap e nella discussione di Quine sull’ontologia; lo stesso svolgimento dell’epistemologia dagli inizi col circolo di Vienna ai successivi sviluppi autocritici e “liberali”; le rivoluzioni concettuali delle scienze. Sono tutti problemi che hanno all’origine e segnalano una crisi del fondamento. V. vuole chiarirli leggendovi la sollecitazione a porre fra parentesi ad aggredire o a variare all’infinito ogni “conoscenza, di spazi e tempi, di atomi, masse e cause naturali. La sua ricerca mantene così l’etica dei fini umani. La logica è anche logica della Speranza. La filosofia ritrova il senso originario di “amore della saggezza”. Saggi: “Il problema della ragione” (Bocca, Milano); “Ricerche sul razionalismo della prassi” (Sansoni, Firenze); “Logica, scienza e prassi” (Nuova Italia, Firenze); “Logica, religione e filosofia” (Angeli, Milano); “Logica, scienze della natura e mondo della vita” (Angeli, Milano); “Poeti di Aggius. Michele Andrea Tortu, Pisanu (Antologia di Lepori con prefazione, traduzione e note di V.), Nota introduttiva di Pirodda, Istituto Superiore Regionale Etnografico, Nuoro. “Il Trascendentalismo della prassi, la filosofia della Resistenza. Sandrini, Mimesis, Centro Internazionale Insubrico, Milano. In memoria di V., filosofo della modernità, La Nuova Sardegna, Treccani: V. Ragione e libertà. Saggio sul pensiero di V. V., Una discussione con Bontadini su metafisica e filosofia, in Studi di filosofia in onore di Bontadini, Vita e Pensiero, Milano I saggi di V. sono raccolti in “Logica, religione e filosofia: Scritti filosofiici”. Memoria di Gentile, in Giornale critico della filosofia italiana, Vedi Croce, Le cosiddette ‘riforme della filosofia’ e in particolare di quella hegeliana, a proposito del saggio di V. su RUGGIERO (vedi) -- Quaderni della Critica, poi in Indagini su Hegel, Laterza, Bari. Pra, La filosofia italiana oggi, Rivista critica di storia della filosofia, Sul trascendentalismo della prassi, in Il problema della filosofia oggi. Atti del Congresso nazionale di Filosofia (Bologna,  promosso dalla SFI, Bocca, Roma-Milano, Vedi: saggi come l’Introduzione alla trad. Di Husserl, L’idea della fenomenologia (Rosso), Il Saggiatore, Milano,  Logica e religione di fronte al compito di una possibile unificazione del sapere, in «Il Pensiero», L’ateismo religioso di Wittgenstein, in «Archivio di Filosofia», (Esistenza, Mito, Ermeneutica), e le lezioni raccolte nel volume Logica, scienze della natura e mondo della vita. V., Logica, scienze della natura e mondo della vita.  La frase (di V.) compare nella presentazione editoriale del volume Logica, scienza e prassi. Luporini, Casari, Pra, Geymonat, Marinotti, Ricordo di V.. Corsi, seminari, Olschki, Firenze, Natale, Storicità della filosofia e filosofia come storiografia. Un dibattito tra filosofi italiani in Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e didattica (Dedalo, Bar). Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica, Milano. Marinotti,  Handjaras, “Ragione e libertà: la filosofia di V., Prefazione di Pra (Angeli, Milano); Pra, Filosofi del Novecento, Angeli, Milano, vi è raccolto il contributo già in, Ricordo di V. (Olschki, Firenze); Monti, Religione e prassi in V., in «La Fortezza. Rivista di studi», Liberalismo etico e prospettive razionalistiche in V., Etica e scienza. Saggi di filosofia, Carocci, Roma. Sandrini e Al., V. uomo e filosofo (Atti del convegno di Aggius. Comprende: relazioni di Sandrini, “L’eredità vasiana”. Lecis, Viaggio verso una meta incerta. L’universo dei mondi possibili di V.; F. Minazzi, La strada per Megara e l’irriducibilità della libertà umana. Il problema della ragione nel trascendentalismo della prassi di V.; E. Palombi, Sul senso dell’uomo nel pensiero di V.; alcuni brevi Scritti e testi inediti,  Minazzi e Sandrini, in «Il Protagora», poi in volume con lo stesso titolo, Barbieri, Manduria. Marinotti, Ragione e prassi in V. e in Geymonat. Memoria di una discussione filosofica e di un’amicizia, in Geymonat un maestro del Novecento. Il filosofo, il partigiano e il docente, Minazzi, Unicopli, Milano; Rambaldi, La formazione di V., in Pala filosofo laico, appassionato delle scienze. Studi e testimonianze, Maiorca, Cuec, Cagliari, Rambaldi, Da Gentile a Hegel. Trascendentalismo e anti-fascismo in V.. Con un’appendice di testi e documenti, in «Rivista di storia della filosofia». Andrea Vasa. Vasa. Keywords: liberta, freedom. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vasa: ragione e liberta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vatinio: la ragione conversazionale a Roma – della setta di Crotone -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A politician, supporter of GIULIO (vedi) CESARE and a friend of CICERONE, who at different times, attacks and defends him. V. calls himself a Pythagorean, but Cicerone questions V’s right to do so on account of his dubious behaviour. Publio Vatinio. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Vattimo: la ragione conversazionale dell’implicatum come communicatum debole -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “It may be argued that what Vattimo means by ‘strong’ is what I mean by ‘weak’ and viceversa – With Popper, ‘I know’ is weaker than ‘I believe’ and ‘every x’ is weaker than ‘some (at least) one’ or ‘the’ – I have explored ‘the’ – Keyword: massima della debolezza conversazionale; massima della forza conversazionale” – Filosofo italiano. -- not one that provinicial Beaney would include in his handbooks and dictionaries. Vattimo’s philosophy shares quite a bit with Grice’s programme, as anyone familiar with both Vattimo and Grice may testify. Vattimo has philosophised on Heidegger and Nietzsche, and one of his essays is on the subject and the maskanother on reality. There is a volume in his honour. Participante del Foro Internacional por la Emancipación y la Igualdad. Partito Comunista. In precedenza: DS PdCI IdV Indipendente. Laurea in Filosofia. Torino. Filosofo, professore universitario. Tra i massimi esponenti della corrente post-moderna, è teorizzatore della filosofia debole. Il padre è un poliziotto calabrese, che muore quando V. ha I anno e mezzo. La madre è una sarta. Ha una sorella di otto anni più grande. Durante la guerra si trasferisce con la famiglia in Calabria, restandoci per II anni e ritornando a Torino. Studente del liceo classico Gioberti è attivo nella Gioventù Studentesca di Azione Cattolica, e collabora a Quartodora, rivista del movimento diretta da Straniero. Si autodefine come un cattolico militante, influenzato dalla lettura di Maritain, Mounier e dei racconti di Bernanos, portato dalla fede ad un disinteresse per il razionalismo storico, l'Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx. Allievo di PAREYSON (vedi) assieme a ECO (vedi) con cui ha condiviso amicizia e interessi, si laurea in filosofia a Torino. Lavora ai programmi culturali della Rai. Consegue la specializzazione a Heidelberg, con Löwith e Gadamer, di cui ha introdotto la filosofia in Italia. Professore incaricato e ordinario di estetica a Torino, nella quale è stato preside, della facoltà di Lettere e Filosofia. Ordinario di filosofia teoretica presso la stessa università. Professore emerito, titolo che non gli precluse lo svolgimento d’eventuali attività didattiche presso la suddetta università. Idea e condotto su Raitre il programma di divulgazione filosofica “La clessidra.” Insegnato come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto seminari in diversi atenei del mondo. Direttore della Rivista di estetica, membro di comitati scientifici di varie riviste, socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino, nonché editorialista per i quotidiani La Stampa e La Repubblica e per il settimanale L'espresso. Dirige la rivista Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica edita da Aracne Editrice. Per i suoi saggi riceve lauree honoris causa dalle La Plata, Palermo, Madrid e Lima. È stato più volte docente alle Vacances de l'Esprit. Svolge attività politica in diverse formazioni: nel Partito Radicale, Alleanza per Torino, Democratici di Sinistra, per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei Comunisti Italiani. Candidato da una lista civica a sindaco di una cittadina calabrese, San Giovanni in Fiore (Cs), per combattere la degenerazione intellettuale che affligge quel paese, ma non è riuscito ad arrivare al secondo turno. Annunciato la sua candidatura a parlamentare europeo nelle liste dell'Italia dei Valori di Pietro, rivendicando tuttavia le proprie origini comuniste, venendo eletto nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel giorno dell'anniversario della fondazione del PCd'I, annuncia la sua adesione al Partito Comunista.  Il suo ideale politico-religioso si riassume in una forma da lui definita comunismo cristiano e comunismo ermeneutico, un' ideale anti-dogmatico di comunismo debole nel pensiero e nell'essere, che si ispira alla vita comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone alla violenza delle industrializzazione pesante forzata e dello stalinismo in genere, così come anche alle tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore di una sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza. Accusato di antisemitismo, a causa delle sue dichiarazioni sul controllo ebraico di banche. "Ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild. Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, lo accusa di anti-semitismo, additando le sue dichiarazioni come "parole di odio che non aggiungono nulla di nuovo e che sono accompagnate dalla riproposizione squallida di stereotipi anti-semiti". Anche Aiello, primo rabbino donna in Italia, corrobora queste accuse, tacciando V. di antisemitismo. Rilascia un'intervista al Corriere in cui dichiara, riguardo a Israele  «bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli laggiù». La dichiarazione, riferita ai missili Qassam con cui Hamas colpisce Israele, ha suscitato molte polemiche. Il filosofo ha tuttavia chiarito che le sue prese di posizione sono rivolte contro Israele e che non hanno nulla a che vedere con l’anti-semitismo. In occasione dell'aggressione di Tartaglia a Berlusconi ha espresso a Radio Radicale la convinzione che quell'aggressione fosse stata una montatura. Afferma inoltre che se l'aggressore avesse voluto veramente fare del male a Berlusconi era preferibile usare una pistola invece di una statuetta. Si è occupato dell'ontologia ermeneutica, proponendone una propria interpretazione, che chiama “debolita”, in contrapposizione con le diverse forme di pensiero forte (fortitude) dell'hegelismo con la sua dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo. Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l'errore consiste proprio in questo gesto teoretico. Non ci sono nuovi inizi, l'errore consiste proprio nella volontà di rifondare fundamenta inconcussa che non vi possono essere. Debolita è invece un atteggiamento della postmodernità che accetta il peso dell'errore, ossia del caduco, dell'effimero, di tutto ciò che è storico e umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione umana, non viceversa. La debolita è la chiave per la democratizzazione della società, la diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della tolleranza. In questa maniera deve essere almeno segnalata la grande e decisiva importanza che assume nella sua filosofia la nozione di nichilismo, che rimette all'eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari temi vattimiani (dall'etica, alla politica, dalla religione -- l'indebolimento del divino alla teoria della comunicazione – implicatura come communicatum debole. Con i suoi saggi come “Credere di credere”  rivendica alla proprio filosofia anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la postmodernità.  Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro PAREYSON e di Quinzio, V. rifiuta l'identificazione del divino nell'essere razionale, così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di PAREYSON  e Quinzio, però, non condivide la visione religiosa tragica. Suggestionato da Girard, V. legge la vicenda di Cristo come rifiuto di ogni sacrificio, anzitutto umano ed esistenziale. La kénosis -- lett. svuotamento -- divina è a vantaggio della libertà e della pace umana.  Le posizioni di V. rappresentano una svolta, sia nella sua impostazione filosofica dell'interpretazione del presente, sia nel campo dell'attività politica. Abbandona il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il marxismo rivalutandone positivamente l'autenticità e validità dei principi progettuali, auspicando un ritorno al pensiero del filosofo di Treviri e a un comunismo epurato dagli sviluppi delle distorte politiche pubbliche sovietiche da superare dialetticamente. Per quanto la svolta possa apparire contraddittoria con le precedenti posizioni, V. rivendica la continuità delle nuove scelte con il processo di ricerca sul pensiero debole, pur ammettendo il cambiamento di "molte delle sue idee". È lo stesso filosofo a parlare di un "Marx indebolito", ovvero di una base ideologica capace di illustrare la vera natura del comunismo e adatta nella pratica politica a superare ogni tipo di pudore liberal. L'approdo al marxismo si configura quindi come una tappa dello sviluppo del pensiero debole, arricchito nella prassi da una prospettiva politica concreta.  V. ha anche espresso posizioni ambientaliste ed in particolare a favore dei diritti degli animali. In un'epoca in cui l'umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari possibilità di sopravvivenza -- la fame, la morte atomica, l'inquinamento -- la nostra radicale fratellanza con gl’animali si presenta in una luce più immediata ed evidente. Da parlamentare europeo si è battuto, tra l'altro, contro la sperimentazione animale e contro il maltrattamento degli animali negli allevamenti. Pubblicamente dichiara la sua omosessualità. Sviluppa una concezione di Cristianesimo secolarizzato, il quale, conseguentemente, non necessita di istituzioni ecclesiastiche, fondandosi sulla kénosis, ossia sull'abbassamento e sull'indebolimento dell'idea di Dio. Per V. il non riconoscimento di un "assoluto", inteso come una verità definitiva, porterebbe ad una maggiore accettazione della diversità sociale e culturale.  Il compagno di V., Mamino, storico dell'architettura, malato di tumore ai polmoni, muore nel bagno dell'aereo che lo portan nei Paesi Bassi per effettuare un'eutanasia. Ad accompagnarlo c'era con lui sull'aereo lo stesso V.  Collabora con vari quotidiani (La Stampa, L'Unità, il manifesto, Il Fatto Quotidiano), con editoriali e riflessioni critiche su vari temi di attualità, politica e cultura.  Saggi: “Il concetto di fare in Aristotele” (Giappichelli, Torino); “Essere, storia e linguaggio in Heidegger” (Filosofia, Torino); “Ipotesi su Nietzsche” (Giappichelli, Torino); “Poesia e ontologia” (Mursia, Milano); “Schleiermacher, filosofo dell'interpretazione” (Mursia, Milano); “Introduzione ad Heidegger” (Laterza, Roma); “Il soggetto e la maschera” (Bompiani, Milano); “Le avventure della differenza” (Garzanti, Milano); “Al di là del soggetto” (Feltrinelli, Milano); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); Vattimo e Rovatti); “La fine della modernità” (Garzanti, Milano); “Introduzione a Nietzsche (Laterza, Roma); “La società trasparente” (Garzanti, Milano); “Etica dell'interpretazione” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Filosofia al presente” (Garzanti, Milano); “Oltre l'interpretazione” (Laterza, Roma); “Credere di credere” (Garzanti, Milano); “Vocazione e responsabilità del filosofo” (Melangolo, Genova); “Dialogo con Nietzsche” (Garzanti, Milano); “Tecnica ed esistenza: una mappa filosofica” (Mondadori, Milano); “Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso” (Garzanti, Milano); “Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e diritto, Zabala” (Garzanti, Milano); “Il socialismo ossia l'Europa” (Trauben); “Il Futuro della Religione, S. Zabala, Garzanti, Milano, “Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e relativismo, Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa); “Non essere Dio. Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti editore, Reggio Emilia, “Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma, “Addio alla Verità, Meltemi, Introduzione all'estetica, ETS, Pisa, “Magnificat. Un'idea di montagna, Vivalda, “Della realtà, Garzanti, Milano, Pubblica presso Laterza un annuario filosofico a carattere monografico (Filosofia). La sezione Filosofia ha vinto il Premio Brancati.  V. a Lima, Perú. Pecoraro, "Dossier Vattimo", Pecoraro, in: "Alceu". Rivista del Dip. di Comunicazione. Monaco, V.. Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Ets, Pisa; Weiss, V.. Einführung. Vienna, Passagen Giovanni Giorgio, Il pensiero di V.. L'emancipazione della metafisica tra dialettica ed ermeneutica (Franco Angeli, Milano); Numero della rivista A Parte Rei (Madrid), dedicato a V.. Pensare l'attualità, cambiare il mondo, Chiurazzi, Mondadori, Milano); Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in V., Vitiello, Sini, Ets, Pisa  L'apertura del presente. Sull'ontologia ermeneutica di V., L. Bagetto, Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica. Kopić, V. Čitanka, V. Reader. Zagabria, Antibarbarus. Gutiérrez, Leiro, Rivera.  Fondazione verano centini/images/ allegati Movi100 Cent'anni di Movimento Studenti di Azione Cattolica, su movi100.azione  Gallo, V. Interview, su public seminar.; V.: viva i giustizialisti. Corro con Tonino Di Pietro. Rizzo con GRAMSCI alla Camera (il nipote omonimo) e il filosofo V., nuovi iscritti al Partito Comunista. Comitato Centrale a Livorno, su Ilpartito comunista, Angus, Interview with V.: “Only Weak Communism Can Save Us”, su MRANSA, Italian philosopher politician slammed as anti-Semite, su la gazzetta delmezzogiorno.   'Shoot those bastard Zionists': Italian scholar, su the local Corriere della Sera, Non acquistiamo i prodotti di lì, su archivio storico.corriere. Repubblica -V.: "Non sono un antisemita. Solo anti-israeliano", su torino repubblica. A Radio Radicale Il delirio di V.: «Per fargli male doveva sparare»  Il Giornale,  In questo senso Cfr, tra molti, La fine della modernità e Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e diritto, dello stesso V. e Niilismo e (Pós-Modernidade) dell'italo-brasiliano Pecoraro, libro pubblicato a Rio de Janeiro e San Paolo.  Da Animali quarto mondo, in, I diritti degl’animali, Battaglia e Castignone, Centro di Bioetica, Genova. Dichiarazione scritta sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale nell'UE, su gianni vattimo. Interrogazione scritta alla Commissione sul benessere degli animali, su Gianni vattimo. 4Vattimo: accanimento sui gay, ma io non bacio in pubblico, Corriere della Sera, su corriere.   «Il mio compagno voleva farla finita Ma morì in viaggio tra le mie braccia» Corriere della Sera, su corriere. Albo d'oro premio Brancati, su comune. zafferana etnea.ct. Pensiero debole. Blog su Gianni vattimo blog spot V., su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. su open MLOL, Horizons Unlimited srl.  V. su europarl. europa.eu, Parlamento europeo.  Registrazioni su Radio Radicale. Revista A parte rei, su personales. ya.com. Dicussion e sul Pensiero Unico su mito11settembre. Lezione di congedo dall'Torino La verità e l’evento: dal dialogo al conflitto, su teologiae liberazione. blogspot.com. Credere di credere. Genesi e significato di una conversione debole Giornale di filosofia della religione V. Un comunista postmoderno? (di Preve) RAI Filosofia, su filosofia.rai. Gianteresio “Gianni” Vattimo. Gianteresio Vattimo Gianni Vattimo. Vattimo. Keyword: debole/forte – implicatum come communicatum debole. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vattimo," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Veca: la ragione conversazional e la massima dell’altruismo conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Veca. Like me, he speaks of altruisn, and he has contributed to a collective volume, “Cooperare e competere.”” Essential Italian philosopher. Svoge un ruolo chiave nell'introduzione nel dibattito culturale italiano dell'approccio alla filosofia politica derivato dall'impostazione di Rawls, divenendo un punto di riferimento filosofico della sinistra, sia come teorico che come militante. La sua formazione di tipo analitico -- sensibile quindi alle metodologie e alle questioni della filosofia del linguaggio e della logica -- insolita rispetto alla figura del teorico politico così come tradizionalmente concepito in Italia, ha permesso alla sua riflessione di spaziare anche negli ambiti dell'epistemologia e della metafisica, indagandone le connessioni con l'ambito della filosofia morale e politica.  V. da un impulso decisive nel dibattito filosofico italiano a temi quali il realismo, il problema della completezza nelle teorie epistemiche e politiche, la giustizia globale e la sostenibilità. Studia a Milano, dove si laurea con una tesi sotto PACI (vedi) e GEYMONAT (vedi). Assistente volontario, borsista CNR e assistente incaricato presso la cattedra di filosofia teoretica a Milano. Professore incaricato di filosofia a Calabria. Professore incaricato di storia delle istituzioni e delle strutture sociali presso la facoltà di filosofia di Bologna.  Professore incaricato, professore incaricato stabilizzato e professore associato di filosofia politica presso la facoltà di scienze politiche di Milano. Professore straordinario di filosofia politica presso la facoltà di filosofia, Firenze. Professore di filosofia politica, facoltà di scienze politiche, Pavia. Vicepreside della facoltà di scienze politiche, Pavia. Presidente della Facoltà di Scienze politiche, Pavia. Membro del Comitato direttivo della Scuola Superiore IUSS di Pavia. rettore del Collegio Universitario Giasone del Maino, Pavia. Direttore del Centro Inter-Dipartimentale di Studi e Ricerche in Filosofia sociale a Pavia; prorettore per la didattica dell'Pavia; componente del Consiglio di amministrazione della Fondazione Romagnosi di Pavia e del Comitato scientifico dell’European Centre for Training and Research in Earthquake Engineering presso l'Pavia; parte del Consiglio d'amministrazione dell'Istituto italiano di scienze umane di Firenze; vicedirettore dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Coordinatore dei corsi ordinari dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Pro-rettore vicario dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Professore di Filosofia politica presso l'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Insegna Filosofia politica nelle Classi di Scienze umane e Scienze sociali dell'Istituto Universitario di Studi Superiori, Pavia. Tienne seminari e cicli di lezioni a Cambridge (Christ's), a San Paolo, Campinas, Bogotà, Evora, La Sorbonne, Grenoble, Istituto Universitario Europeo. Svolge un'intensa attività di consulenza e direzione editoriale. Ha assunto, grazie a un invito di Bo, la direzione scientifica della Fondazione Feltrinelli di Milano presidente della Fondazione Feltrinelli, promuovendo lo sviluppo del suo Centro di Scienza politica. Direttore degli "Annali" della Fondazione, impegna l'istituzione in una ampia gamma di attività di ricerca, documentazione e pubblicazione nell'ambito della teoria politica e sociale contemporanea che perseguono lo scopo di coniugare la tradizione della ricerca storico-sociale con l'innovazione dei metodi e degli esiti della teoria normativa e descrittiva della politica. Coordina le attività del Seminario annuale di Filosofia politica, promosso dalla Feltrinelli in collaborazione con il Centro Studi Politici Farneti di Torino e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Avvia il progetto della “Biblioteca europea” della Fondazione Feltrinelli, di cui è direttore. Designato Presidente onorario della Fondazione Feltrinelli ed è direttore scientifico del suo Laboratorio Expo -- è inoltre stato condirettore di Aut Aut con PACI (vedi) e ROVATTI. Dirigge la collana Readings per l'Università della Casa editrice Feltrinelli, di cui è consulente per la saggistica nel campo della filosofia e della teoria politica e sociale. Consulente della saggistica de il Saggiatore, di cui ha diretto, con Mondadori, la collana Theoria.  Fa parte del comitato scientifico o di direzione di riviste quali "Rassegna italiana di sociologia", "Teoria politica", "Biblioteca della libertà", "Transizione", "Etica degli affari", "Iride", "European Journal of Philosophy", "Filosofia e questioni pubbliche", "Reset", "Quaderni di Scienza politica", "Il Politico", "Rivista di filosofia", “Italianieuropei”. Direttore de “Il giornale di Socrate al caffè. Bimestrale di cultura e conversazione civile; curatore scientifico della Carta di Milano per Expo. Parte del Comitato direttivo di "Politeia", Centro per la ricerca e la formazione in politica ed etica di Milano, di cui è stato uno dei fondatori. Comitato etico dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano e del Comitato etico dell'Istituto Mondino di Pavia; Comitato scientifico della Fondazione Rosselli di Torino; coordinatore del Comitato Scientifico dell’Associazione per la ricerca e l'insegnamento della filosofia, parte del Consiglio direttivo nazionale della Società Filosofica italiana. Componente del Consiglio nazionale presso il Ministero dei Beni culturali e ambientali; presidente dell'Associazione “I quattro cavalieri” che ha promosso le attività dell’ensemble cameristico “I solisti di Pavia”, diretto da Dindo. Comitato generale Premi della Fondazione Balzan “Premio” di Milano. Presidente della Fondazione Campus di Lucca; direttore delle Scuole di formazione politica dell'Associazione “Libertà e giustizia; presidente della Fondazione Grassi La voce della culturadi Milano; Presidente del Comitato Generale Premi della Fondazione Balzan di Milano; membro del Comitato dei Garanti della Scuola Galileiana di Studi Superiori di Padova. Socio corrispondente residente della Classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere; consigliere della Fondazione del Centenario della BSI di Lugano. Membro del Comitato Scientifico della Fondazione Gualtiero Marchesi. Accademico corrispondente non residente della Classe di Scienze Morali dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna; designato da Pavia quale Garante dei diritti degli studenti; presidente della Casa della Cultura di Milano.  Socio corrispondente non residente dell'Accademia delle Scienze di Torino. membro effettivo dell'Istituto Lombardo di Lettere e Scienze e componente del Comitato dei Garanti del FAI. Premio Castiglioncello sezione di filosofia per il saggio “Dell'incertezza” e gli è stata conferita, con decreto del Presidente della Repubblica, la medaglia d'oro e il diploma di prima classe, riservati ai benemeriti della Scienza e della cultura. Riceve il premio dell'Accademia di Carrara per il saggio “La filosofia politica”. Premio per la filosofia “Viaggio a Siracusa” per La priorità del male e l'offerta filosofica; premio “Ponte per la cultura” della Fondazione Europea Venosta per il saggio “Etica e verità”. Medaglia d'oro di benemerenza civica dal Comune di Milano. Nella sua filosofia sono individuabili tre fasi distinte.  La prima fase della sua ricerca è stata dedicata a questioni di teoria della conoscenza o di epistemologia. Pubblica “Fondazione e modalità in Kant” e altri saggi su problemi di filosofia della logica, della matematica e della fisica in Whitehead, Frege, Cassirer e Quine. Il suo centro di interesse scientifico si sposta sulle teorie di Marx in rapporto alle scienze economiche, sociali e politiche, delineando una seconda fase i cui esiti sono formulati in “Marx e la critica dell'economia politica” e, soprattutto, “Il programma scientifico di Marx.” Si impegna in un programma di ricerca nell'ambito della filosofia politica influenzato dalla prospettiva della teoria normativa della politica. Dopo “Le mosse della ragione,” introduce la discussione sulla giustizia con “La società giusta” ed elabora e sviluppa la sua prospettiva teorica in “Questioni di giustizia” e “Una filosofia pubblica.” Dedica un saggio divulgativo agli esiti di questa fase della sua ricerca, “L'altruismo.” Gli sviluppi successivi della sua ricerca, orientata al problema dei rapporti fra teoria normativa e teoria descrittiva della politica e incentrata sulla questione del pluralismo come fatto e come valore per la teoria democratica, sono rinvenibile in “Libertà e eguaglianza.” Una prospettiva filosofica in Progetto Ottantanove, in Etica e politica e, in particolare in “Cittadinanza: riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione.” Lavora alla stesura di tre meditazioni filosofiche intorno a questioni di verità, giustizia e identità, in cui estende la gamma dei suoi interessi teorici. Sviluppando una serie di idee originariamente presentate in Questioni di vita e conversazioni filosofiche, gli esiti di questa ricerca sono contenuti in “L’incertezza.” Pubblica “L'idea di giustizia da Platone ad oggi.” Pubblica un saggio di filosofia sociale e politica, “La lealtà civile: un messaggio nella bottiglia” e un saggio dedicato alla interpretazione e alla ricostruzione della teoria politica normative, “La filosofia politica.” Pubblica “La penultima parola e altri enigmi. Questioni di filosofia” in cui sono approfonditi alcuni esiti di Dell'incertezza ed è affrontata la questione meta-teorica della relazione fra l'attività filosofica e la sua storia nel tempo. Pubblica “Il bello e gl’ppressi: l'idea di giustizia” in cui sono presentate alcune idee di base per una teoria della giustizia globale. Presenta la sua prospettiva filosofica nel saggio “Il giardino delle idee: passi nel mondo della filosofia.” In “La priorità del male e l'offerta filosofica” sviluppa e approfondisce le questioni di una teoria della giustizia globale e mette a fuoco, fra l'altro, le connessioni fra l'offerta di filosofia politica e le circostanze e i soggetti di politica.  “Le cose della vita: congetture, conversazioni e lezioni personali” estende l'esame delle questioni di vita, inteso come tentativo di autoritratto, e lo connette al problema dell'eredità intellettuale, nel senso della dimensione storica del sapere filosofico. Il “Dizionario minimo. Per la convivenza democratica,” esamina e discute alcuni temi fondamentali per l'interpretazione e la valutazione della forma di vita democratica, sulla base di una tesi sulla natura della libertà democratica. “Etica e verità” raccolge saggi incentrati sui rapporti fra la crescita dell'impresa scientifica e i nostri criteri di giudizio etico. “Quattro lezioni sull'idea di incompletezza” presenta i primi risultati di una ricerca filosofica sull'idea di incompletezza, messa a fuoco in distinti domini di applicazione, quali quello della interpretazione, della giustificazione e della dimostrazione. In “Incompletezza” espone gli esiti delle sue ricerche filosofiche cercando di esplicitarne la coerenza e la connessione con l’incertezza. In “L'immaginazione filosofica” sviluppa la tesi conclusive del contributo all'idea di incompletezza e sullo sfondo di una definizione delle principali linee della propria ricerca filosofica. In “Un'idea di laicità” propone un argomento a favore della laicità delle istituzioni e delle scelte sociali basato su un'interpretazione della natura della libertà democratica e del fatto del pluralismo. In “Non c'è alternativa. Falso!” mette a fuoco, in una prospettiva filosofica, alcuni aspetti rilevanti della crisi economica strutturale e dei rapporti fra capitalismo e democrazia rappresentativa. In “La gran città del genere umano” tratta temi differenti accomunati dalla prospettiva globale “degli occhi del resto d'umanità”. In “La barca di Neurath” affronta questioni epistemologiche, normative e meta-filosofiche sullo sfondo dell’incertezza e dell'incompletezza; curatore del volume degli Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Laboratorio Expo. “Il senso della possibilità, dove Veca, raccogliendo intuizioni sviluppate in quegli anni nelle lezioni presso la Scuola Superiore IUSS di Pavia, espone il suo interesse per la l'interpretazione filosofica delle modalità. In particolare, le questioni metafisiche delle modalità (specie il confronto tra mondo attuale e mondi possibili, esaminando le differenti posizioni di Kripke, Lewis, e Armstrong) costituirebbero la chiave di volta filosofica a cui si riconducono le questioni normative ed ontologiche relative all'epistemologia, all'etica e alla politica esposte nel saggio sull’incompletezza e sull’incertezza. In particolare, la distinzione tra mondi possibili e realtà modale, che fornirebbe una fondazione alla compatibilità tra costruttivismo griceiano e realismo, proposta in chiusura, può considerarsi l'apertura di una nuova fase di sua filosofia, stavolta di stampo prettamente metafisico, e che si ricollega peraltro all'interesse per le modalità centrale nella sua opera prima. Altre saggi: “Fondazione e modalità in Kant” (Milano, Saggiatore); “Marx e le critiche dell'economia” (Milano, Saggiatore); “Il programma scientifico di Marx” (Milano, Saggiatore); “Le mosse della ragione” (Milano, Saggiatore); “La società giusta: argomenti per il CONTRATTUALISMO” (Milano, Il Saggiatore); “Crisi della democrazia e neo-CONTRATTUALISMO” (Roma, Riuniti); “Questioni di giustizia” (Parma, Pratiche); “Co-operare e competere” (Milano, Feltrinelli); “Una filosofia pubblica” (Milano, Feltrinelli); “L'Altruismo” (Milano, Garzanti); “Etica e politica” (Milano, Garzanti); “Progetto Ottantanove” (Milano, Il Saggiatore); “Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione” (Milano, Feltrinelli); “Questioni di vita e conversazioni filosofiche” (Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli); “Questioni di giustizia. Corso di filosofia politica. Torino, Einaudi,  Europa Universitas. Tre saggi sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, Filosofia, politica, società. Annali di etica pubblica, Roma, Donzelli,  L'Idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma, Laterza, Dell'incertezza. Milano, Feltrinelli, La politica e l'amicizia, Milano, Edizioni lavoro, Della lealtà civile: un messaggio nella bottiglia. Milano, Feltrinelli, La penultima parola e altri enigmi. Roma, Laterza, La filosofia politica. Roma, Laterza, La bellezza e gli oppressi: sull'idea di giustizia. Milano, Feltrinelli,  Il giardino delle idee. Quattro passi nel mondo della filosofia. Milano, Frassinelli, collana "I libri di Arnoldo Mosca Mondadori",  La priorità del male e l'offerta filosofica” (Milano, Feltrinelli); Le cose della vita. Congetture, conversazioni e lezioni personali. Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, Dizionario minimo. Le parole della filosofia per una convivenza democratica. Milano, Frassinelli, Quattro lezioni sull'idea di incompletezza. Milano, La Scuola di Pitagora); “Etica e verità” Milano, Giampiero Casagrande editore, collana "Attualità e studi", L'idea di incompletezza. Quattro lezioni. Milano, Feltrinelli,  Sarabanda. Oratorio in tre tempi per voce sola. Milano, Feltrinelli,  Kant. Milano, Book Time,  Tolleranza. Le virtù civili. Milano, ASMEPA,  L'immaginazione filosofica” (Milano, Feltrinelli); “Un'idea di laicità. Bologna, il Mulino,  Ragione, giustizia, filosofia, scritti scelti, Antonella Besussi e Anna E. Galeotti. Milano, Feltrinelli, Omnia Mutantur. La scoperta filosofica del pluralismo culturale (Milano, Marsilio,. Non c'è alternativa. Falso! Roma, Laterza,. La gran città del genere umano. Milano, Mursia,. La barca di Neurath. SPisa, Scuola Normale Superiore,. Laboratorio Expo.  Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,. Il giardino di Camilla. Milano, Mursia,. Responsabilità-Uguaglianza-Sostenibilità. Tre parole-chiave per interpretare il futuro (Bologna, Dehoniane); Il senso della possibilità” Milano, Feltrinelli); “Le virtù cardinali: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia” (Roma, Laterza), A proposito di Marx. Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,. Quasi un diario. Socrate al caffè. Milano, Casagrande, “ Qualcosa di sinistra. Idee per una politica progressista. Milano, Feltrinelli,. Libertà. Roma, Treccani. Cura, introdotto la filosofia di Rawls, Nozick, Dahl, Easton, Nagel, Williams, Parfit, Putnam, Walzer, Berlin, Sen, Goodman, Arrow, Regan, Elster, Passmore, Pontara, Dunn, Larmore, MacIntyre, Harsanyi, Hempel, Finetti, Meade, Dworkin, Axelrod, Moore, Hampshire, Pettit, Spence, scrittore britannico  Scuola di Milano. Treccani Enciclopedie  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Socrate al Caffè, su socrate.apnetwork. Biografia. Pavia. Centro di filosofia sociale Scritti Pavia. Centro di filosofia sociale la teoria della giustizia  RAI Filosofia Presentazione del volume Ragione, Giustizia, Filosofia. Scritti in onore. Le mosse della ragione conversazionale – La mossa della ragione conversazionale – dinamica conversazionale – la dinamica della ragione conversazionale. Salvatore Veca. Keywords: altruismo, Hampshire, Hart, Grice, giustizia, cooperare e competere,  – ragione – virtu capitali, le mosse della ragione – ragione conversazionale -- -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Veca: la massima dell’altruismo conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vecchio: la ragione conversazionale -- il kantismo contro il positivismo di neo-Trasimaco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Interessi principali: Etica, filosofia del diritto, filosofia politica. Influenzato a BOBBIO. Eminente filosofo italiano del diritto. Tra gl’altri, ha influenzato BOBBIO. Famoso per il suo saggio “Giustizia.” Insegna a Ferrara, Sassari, Messina, Bologna e Roma. Rettore a Roma. Aderito al FASCISMO, come molti filosofi del diritto in Italia -- anche se lui stesso rimosso dal l'ideologia fascista nella fase iniziale. Perde la sua cattedra per due volte e per ragioni opposte. Per mano dei fascisti, perché e un ebreo. Per mano di anti-fascisti, perché è accusato di simpatizzare con il fascismo all'inizio della sua carriera. Reintegrato nell'insegnamento durante la seconda guerra mondiale, lavora con il Secolo d'Italia e la rivista Pages libero, pubblicazione regia di Panucci. Fa parte del comitato organizzatore di INSPE, un Istituto di ricerca che negli anni Cinquanta e Sessanta si è opposto alla cultura marxista, la promozione di conferenze internazionali e pubblicazioni. Fondatore e direttore del giornale internazionale di Filosofia del Diritto. Considerato tra i maggiori interpreti del kantismo. Criticato il positivismo, affermando che il concetto di ‘ius’ non può essere derivata dall'osservazione dei fenomeni giuridici. A questo proposito, le sue convinzioni concordarono con una vertenza che si svolge in Germania tra filosofia, sociologia e legale Teoria generale che sembra di ridefinire la "filosofia del diritto" a cui Vecchio ha attribuito questi tre compiti:  compito logico: costruire il concetto di ‘legge’ -- compito fenomenologico: lo studio del diritto come fenomeno sociale. Compito ontologico: la natura del ‘giusto’ --  o l'essenza del diritto come – dovere -- dovrebbe essere. Saggi: “Senso giuridico: presupposti del concetto di legge, Il concetto di legge, Il concetto di natura e il principio di diritto, Sui principi generali della legge, Giurisprudenza,  Lezioni Filosofia del diritto, La crisi della scienza del diritto, Storia della Filosofia del diritto, Mutevolezza ed Eternità della legge, Gli studi sul diritto. Treccani. “Principi generali del diritto.” Vechio: essential Italian philosopher. Grice: “Note that it is DelVecchio.” SCOPO DELLO STATO È ATTUARE LA GIUSTIZIA LUG 25, 2022  Giorgio Del Vecchio in una foto d'epoca In anni di incontrastato positivismo, la pubblicazione in successione di tre opere di Giorgio Del Vecchio, I presupposti filosofici della nozione del diritto (1905), Il concetto del diritto (1906), Il concetto della natura e il principio del diritto (1908), sconvolse il mondo degli studi filosofico-giuridici italiani. Al suo interno fermenti antipositivistici covavano, ma non trovavano la via per svilupparsi, mentre molti positivisti si risvegliarono da quello che si potrebbe chiamare kantianamente il loro sonno dogmatico. Ebbe inizio in Italia – così come in Germania con R. Stammler – quel capovolgimento dell’impostazione del problema filosofico del diritto, che vedrà quest’ultimo osservato non dalla parte dell’oggetto, come fenomeno che il pensiero passivamente conosce, bensì dalla parte del soggetto.  1. Giorgio Del Vecchio è rimasto sempre legato a Bologna, dove è nato il 26 agosto 1878, fino alla morte avvenuta nel 1970, tanto da interessarsi da ultimo anche della storia cittadina. Il trasferimento a Genova del padre – docente di statistica –, lo porta a laurearsi e a vivere in questa città, dove nel 1902 pubblica su Il Convito e sulla Rivista ligure di scienze lettere ed arti. Nello stesso periodo si dedica a due saggi scientifici, uno “L’evoluzione della ospitalità”, apparso sulla Rivista italiana di sociologia, e l’altro, “Il sentimento giuridico”, sulla Rivista italiana per le scienze giuridiche. Insegna Filosofia del diritto nel 1903 all’Università di Ferrara e pubblica Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino nella rivoluzione francese[1] .  Nel frattempo avvia alcune delle relazioni internazionali che caratterizzeranno la sua attività scientifica, frequentando l’Università di Berlino, dove conosce Lasson, Kohler e Paulsen[2]. Nel 1906 viene chiamato presso l’Università di Sassari e successivamente, nel 1909, in quella di Messina; diventato ordinario, si trasferisce dall’Università di Messina a quella di Bologna, e nel 1920 a Roma. Nel 1905 scrive I presupposti filosofici della nozione del diritto, nel 1906 Il concetto del diritto e nel 1908 Il concetto della natura e il principio del diritto, raccolte successivamente nell’opera Presupposti, concetto e principio del diritto, denominata Trilogia nel 1959, apparsa in America già nel 1914 con il titolo unitario The formal bases of law, per la Boston Book Company, inserita nel 1921 nella The modern legal philosophy series.  Presupposti, concetto e principio del dirittorappresenta a pieno titolo il pensiero filosofico-giuridico di Del Vecchio: in esso egli definisce il diritto come «la coordinazione obiettiva delle azioni possibili tra più soggetti, secondo un principio etico che le determina, escludendone l’impedimento». Gli studi su Kant e le riflessioni in un orizzonte di proiezione universale lo portano ad approfondire e ad avvicinare i neokantiani, che in Italia vede studiosi come Petrone, Bartolomei e Ravà. Il suo lavoro, in realtà, si muove tra idealità e prassi del diritto, nella ricerca costante di un’armonia che chiarifichi le distonie; l’ispirazione a Kant lo fa assimilare alla Scuola di Marburgo, mentre l’attenzione all’idealismo tedesco lo porta a criticare, in modo metodico, sia il positivismo filosofico che quello giuridico.  2. Alla filosofia del diritto Del Vecchio pone un problema preliminare: quello della possibilità della determinazione del concetto del diritto. È questa la prima delle tre ricerche proprie, come già avevano ritenuto Vanni e Petrone, della filosofia del diritto, la ricerca logica, quella fenomenologica, e quella deontologica.  Alla ricerca logica devono accompagnarsi secondo Del Vecchio quelle fenomenologica e deontologica. La ricerca fenomenologica, studio misto di filosofia della storia del diritto e di sociologia giuridica, non è fra gli aspetti più significativi del suo pensiero: essa dovrebbe consistere nella determinazione delle linee generali dello svolgimento storico del diritto, che dimostrerebbero la tendenza degli ordinamenti giuridici positivi a una progressiva adeguazione all’ideale della giustizia, in quanto nel corso del tempo emergerebbero, sarebbero riconosciute, e a poco a poco si attuerebbero le prerogative essenziali della persona umana[3].  Questo fine che Del Vecchio riconosce nello svolgimento storico del diritto – o piuttosto assegna a esso – indica quale sia la sua prospettiva riguardo al problema «deontologico», ossia di ciò che il diritto dovrebbe essere: in altre parole, al problema della giustizia. In questa materia, da un’iniziale posizione kantiana Del Vecchio via via si avvicina a quella del giusnaturalismo cattolico: mediante l’attribuzione di un significato sempre meno formale e più contenutistico del concetto di persona. Del Vecchio dichiara «legge etica fondamentale» il dovere di operare «non come mezzo o veicolo delle forze della natura, ma come essere autonomo, avente la qualità di principio e fine…, non come individuo empirico (homo phaenomenon), determinato da passioni e affezioni fisiche, ma come io razionale (homo noumenon), indipendente da esse»[4]. Il concetto, e la stessa terminologia, sono kantiani, e del resto il richiamo al Kant è esplicito.  3. Nel campo dell’«etica oggettiva», ossia del diritto, da questa concezione della natura (nel senso di essenza) dell’uomo, discende logicamente il diritto soggettivo a non essere costretto ad accettare un rapporto con altri che non dipenda anche dalla propria determinazione; e questo diritto soggettivo costituisce il «principio, o idea-limite, di un diritto proprio universalmente della persona, insito in essa e non esauribile mai in alcun rapporto concreto di convivenza»[5].  Del Vecchio non esita a chiamare tale diritto «diritto naturale», considerandolo «anteriore ad ogni applicazione e ad ogni rapporto sociale» – di cui esso è anzi la legge[6] –, ed indipendentemente dal rispetto che un ordinamento giuridico positivo ne compia. Del Vecchio sostenne sempre, seguendo un giusnaturalismo che da quello kantiano andò avvicinandosi a quello tomistico, il limite al potere dello Stato costituito dai diritti naturali dell’individuo (o della «persona»).  Nella prospettiva ideale di uno «Stato di giustizia» la cui ragione prima è la tutela di tali diritti, egli respinge ogni teoria che ponga lo Stato al di sopra o al di fuori del limite giuridico costituito dalla sua intima ragione d’essere, l’attuazione della giustizia, in quanto solo da questa sua missione esso trae la propria autorità[7]; anzi, di uno Stato che agisca in contrasto con la giustizia Del Vecchio giunge a parlare come di «Stato delinquente»[8] . La giustizia è da lui affermata perciò «valida ed efficace anche contro un sistema giuridico positivamente vigente» quando questo contrasti irreparabilmente con le esigenze elementari della giustizia che sono le ragioni della sua validità: è legittima allora «la rivendicazione del diritto naturale contro il positivo che lo rinneghi»[9].  Daniele Onori  [1] Del Vecchio, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino nella rivoluzione francese. Tra le sue opere: Il sentimento giuridico, 1902; L’etica evoluzionista, 1902; Diritto e personalità umana, 1904; I presupposti filosofici della nozione del diritto, 1905; Su la teoria del contratto sociale, 1906; Il concetto del diritto, 1906; Il concetto della natura e i principio del diritto, 1908; Sull’idea di una scienza del diritto universale comparato, 1908; Il fenomeno della guerra e l’idea della pace, 1909; Sulla positività come carattere del diritto, 1911; Sui principi generali del diritto, 1921; Sulla statualità del diritto, 1929; Stato e società degli Stati, 1932; La crisi della scienza del diritto, 1933; La crisi dello Stato, 1933; Il problema delle fonti del diritto positivo, 1934; Individuo, Stato e corporazione, 1934; Etica, diritto e Stato, 1934; Diritto ed economia, 1935; L’homo juridicus e l’insufficienza del diritto come regola della vita, 1936; Sulla involuzione nel diritto, 1938; Sul fondamento della giustizia penale, 1945; Verità e inganno nella morale e nel diritto, 1945; Dispute e conclusioni sul diritto naturale, 1948.  [2] R. Orecchia, Bibliografia di Giorgio Del Vecchio, p. 11  [3] Del Vecchio, Lezioni di filosofia del diritto, pp. 350-351 della 13 a ediz., Milano, 1965  [4] Del Vecchio, Il concetto della natura e il principio del diritto, p. 72, Torino, 1908  [5] Ivi, p.85  [6] Ivi, p. 86  [7] Del Vecchio, Etica, diritto e Stato, nel vol. Saggi intorno allo Stato, Roma, 1935, pp. 168-169. Nello stesso volume, nel saggio Individuo, Stato e corporazione, v. il tentativo di fare rientrare nel concetto di Stato di diritto lo «Stato corporativo» fascista (p. 134 ss.).  [8] Del Vecchio, Lo Stato delinquente (1962)  [9] Del Vecchio, La giustizia, pp. 121-124 della 6 a ediz., Roma, 1959. Ma le idee di Del Vecchio circa il diritto naturale appaiono in numerosi suoi scritti: fra quelli dedicati espressamente a tale argomento v. Dispute e conclusioni sul diritto naturale (1948), Essenza del diritto naturale (1952), e Mutabilità ed eternità del diritto naturale (1952), gli ultimi due ora in Studi sul diritto, I e II.Giorgio Del Vecchio. DelVecchio. Vecchio. Keywords: neo-Trasimaco, Hart, ius, kantismo, positivism, giustizia, il giusto, fascismo, Bobbio. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice, Hart, e Vecchio: il kantianismo dell’ ‘ius.’”

 

Grice e Vedovelli: la ragione conversazionale di una furtiva lagrima -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Rettore a Siena, assessore alla cultura del comune di Siena. Laureato in filosofia a Roma. Insegna a Siena, dove Precedentemente svolge attività di ricerca e di docenza a Heidelberg, Calabria, Roma, e Pavia. I suoi settori di ricerca si muovono nell'ambito della glossologia, la semiotica, la sociolinguistica e la linguistica acquisizionale. Introduce il concetto di lingua immigrata. Le sue ricerche si concentrano sull'insegnamento e apprendimento delle lingue in contesto migratorio. È autore di un commento al quadro comune europeo di riferimento per l'insegnamento delle lingue e co-autore della ricerca italiano, indagine motivazionale sui pubblici dell'italiano all'estero, realizzata  sotto la guida di Mauro. Fondatore e direttore della certificazione di italiano come lingua straniera, e del Centro di eccellenza della Ricerca Osservatorio linguistico dell'italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in Italia, istituiti a Siena. Saggi: “Lessico di frequenza dell'italiano parlato” (Milano, IBMEtas),  Italiano, I pubblici e le motivazioni dell'italiano diffuso tra stranieri (Roma, Bulzoni); Guida all'italiano per stranieri: la prospettiva del quadro comune europeo per le lingue” (Roma, Carocci); “Una furtiva lagrima: l'italiano degli stranieri – specialmente nei tenori di opera” (Roma, Carocci); Lingua in giallo. Analfabeti, criminali, sordomuti, certificazioni di lingua straniera, Perugia, Guerra, Storia linguistica dell'emigrazione italiana nel mondo, Roma, Carocci, Siena Certificazione CILS Linguistica educativa Glottodidattica Semiotica  Registrazioni di V. su Radio Radicale. Massimo Vedovelli. Vedovelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vedovelli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vegetti: la ragione conversazionale e il platonismo oxoniense di Pater – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Insegna a Pavia. Si laurea a Pavia con la tesi, “La storiografia di Tucidide,” quale alunno del collegio Ghislieri. Libero docente e successivamente professore incaricato in storia della filosofia antica. Professore di questa disciplina a Pavia dove ricopre più volte il ruolo di direttore nel dipartimento di filosofia. Docente presso la scuola superiore IUSS di Pavia e la scuola europea di studi avanzati dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Membro del Collegium Politicum e socio dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, e dell'Istituto lombardo accademia di scienze e lettere. Condivise il lavoro intellettuale e l'impegno sociale con Finzi. Si dedica alla filosofia greco-romana, secondo l'insegnamento del suo maestro GEYMONAT (vedi). Fa studi sulla medicina e sulla biologia da Ippocrate a Galeno. Il primo in Italia a impartire un corso di storia della filosofia antica che prende in considerazione i riferimenti alla storia della scienza, particolarmente in ambito greco-romano. Nella ricerca della connessione fra scienze e filosofia, segue la metodologia di GEYMONAT. Il campo d'indagine approfondito da V. consistette nello studio degl’aspetti etici e politici della filosofia, in particolare il platonismo dell’accademia, il aristotelismo del lizio, e il PORTICO, in rapporto con l'ambito sociale ed ideologico della cultura greco-romana. Relativamente all'etica, che assimila l'ordine stabilito dalla legge morale e politica con l'ordine naturale insito nel kósmos, l'universo ordinato, V. ritenne che si configurasse per la prima volta nell' “Iliade” proseguendo poi nella riflessione orfica-pitagorica sull'anima. Apprezzato per i suoi studi su Platone, Aristotele, Ippocrate, Galeno  e sull'etica. Saggi: “Il coltello e lo stilo” (Saggiatore, Milano); “Tra Edipo e Euclide” (Saggiatore, Milano); “L'etica degl’antichi” (Laterza, Roma); “La medicina platonica” (Cardo, Venezia); “La Repubblica platonica” (Napoli, Bibliopolis); “Il platonismo” (Einaudi); “Socrate incontra Marx. Lo Straniero di Treviri, ed. Guida; “Guida alla lettura della Repubblica di Platone (Laterza, Roma); “Un paradigma in cielo. Platone politico, ed. Carocci. Collabora in: “Marxismo e società antica” (Feltrinelli, Milano); “Oralità, scrittura, spettacolo” (Boringhieri, Torino); Il sapere degl’antichi” (Boringhieri, Torino); “L'esperienza religiosa antica” (Boringhieri, Torin) (con Giannantoni) La scienza ellenistica, Bibliopolis, Napoli, Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis, Napoli, Nuove antichità, "Aut Aut", "Dialoghi con gl’antichi", Sankt Augustio. Traduce  Ippocrate, Opere, Vegetti, POMBA, Torino, Aristotele, Opere biologiche, Lanza e V., POMBA, Torino, Galeno, Opere, Garofalo e Vegetti, POMBA, Torino, Platone, Repubblica, Vegetti, Libri I-III, Dipartimento di Filosofia, Pavia, "Platone, Repubblica", Vegetti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano. “Nell'ombra di Theuth: dinamiche della scrittura in Platone, in Sapere e scrittura in Grecia, Detienne (Laterza, Roma); “Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica” in Storia del sapere medico occidentale Grmek, Laterza, Roma-Bari. “L' idea del bene nella Repubblica di Platone, in "Discipline filosofiche", Passioni antiche: l'io collerico, in Storia delle passioni S. Vegetti Finzi, Laterza, Roma. Curato inoltre, per Zanichelli, “Filosofie e società.” Biografia su Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. Vegetti, Finzi, Celli, Fare società, ed. Einaudi  Entrambi collaboratori della rivista “Iride” delle edizioni del Mulino. Biografia su Enciclopedia delle scienze filosofiche, su emsf. rai. Filosofo studioso di Platone, su corriere.  Curci, Intervista a Gastaldi, in ricordo di V., la provincial pavese. Enciclopedia Treccani alla voce "Galeno" Intervista Carioti, "Critico il Platone di REALE, il marxismo non c'entra", intervista di V., Corriere della Sera, Opere su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere V. Pubblicazioni su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.  Registrazioni su Radio Radicale. L'etica e la filosofia antica, su emsf. La retorica e la persuasione, su emsf. La medicina greca. Aristotele. I pitagorici. Socrate., su emsf. L'etica in Platone e Aristotele, su emsf. V.: il primato del filosofo per Aristotele, sul  RAI filosofia. Mario Vegetti. Vegetti. Keywords: ariskant, plathegel. -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vegetti e il platonismo oxoniense di Pater” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Velino: la ragione conversazionale dei velini – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Velia). Italian philosopher Grice: “”A = A,” Parmenides says,” “Le donne sono le donne,” “La guerra è la guerra.” Enough to irritate an Italian neo-non-parmenideian“ One of the most important Italian philosophers, if only because Plato dedicated a dialogue to him!” Grice.   --   Parmenide Parmènide di Velia. Παρμενίδης, Parmenídēs. Velia. Filosofo antico. Autore di un poema sulla natura. Viene considerato il fondatore dell'ontologia, con cui ha influenzato l'intera storia della filosofia occidentale. È il filosofo dell'essere statico e immutabile, in contrasto col divenire d’Eraclito, secondo il quale viceversa, tutto cambia. A V. si deve la nascita della scuola eleatica – o velina -- a cui appartenevano anche Zenone, o ‘Senone’ nella grafia antica più correta -- di Velia e Melisso. La rivalità tra Parmenide ed Eraclito è stata reintrodotta negli odierni dibattiti sulla concezione del tempo, e della fisica moderna. Nacque a Velia, in Ascea, da una famiglia aristocratica. Della sua vita si hanno poche notizie. Secondo Speusippo, nipote di Platone, e chiamato dai suoi concittadini a re-digere la legge di Ascea. Secondo Sozione è discepolo del pitagorico AMINIA (vedi), di Crotone. Per altri, è probabilmente discepolo di Senofane di Colofone. Ad Ascea fonda inoltre una scuola o setta, insieme al suo discepolo prediletto, Zenone. Platone nel “Parmenide” riferisce di un viaggio che Parmenide intraprese alla volta di Atene, dove conosce Socrate col quale ebbe una vivace discussione. L'unica opera di Parmenide è il poema in esametri “sulla natura”, di cui alcune parti sono citate da Simplicio in “De coelo” e nei suoi commenti alla fisica del Lizio, da Sesto Empirico e da altri saggi filosofichi antichi. Di queso poema sulla natura ci sono giunti ad oggi XIX frammenti, alcuni dei quali allo stato di puro stralcio, che comprendono un proemio e una trattazione in parti II: la via della verità e la via dell'opinione. Di quest'ultima abbiamo solo pochi versi.  Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ - , ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, τὴν δή τοι φράζω παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ γὰρ ἀνυστόν - οὔτε φράσαις. ... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι. Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il DISCORSO, quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare. L’una che "è" e che non è possibile che non sia, e questo è il sentiero della persuasione -- infatti segue la verità. L’altra che "non è" e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile. Infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è -- poiché non è possibile -- né potresti esprimerlo. Infatti lo stesso è pensare ed essere. Sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'essere: immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile, eterno.  La narrazione si snoda intorno al percorso intellettuale del filosofo che racconta il suo viaggio verso la dimora della dea della giustizia la quale lo conduce al cuore inconcusso della ben rotonda verità. La dea, in quanto tutrice dell'ordine cosmico, e vista in tal senso anche come garante dell'ordine logico, cioè del corretto filosofare. La dea gli mostra la via dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità che conduce alla sapienza e all'essere -- τὸ εἶναι.  Pur non specificando cosa sia questo essere, è il che per primo ne mette a tema esplicitamente il concetto. Su di esso egli esprime soltanto una lapidaria formula, la più antica testimonianza in materia, secondo la quale l'essere è, e non può non essere. Il non-essere non è, e non può essere -- ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι … ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι -- è, e non è possibile che non sia … non è, ed è necessario che non sia»  -- Simplicio, Phys., Proclo, Comm. al Tim.). Con queste parole intende affermare che niente si crea dal niente -- ex nihilo nihil fit -- e nulla può essere distrutto nel nulla. Già i primi filosofi avevano cercato l'origine (ἀρχή) della mutevolezza dei fenomeni in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi il divenire. Ma i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura, tali per cui alcune realtà nascono, altre scompaiono, non hanno semplicemente motivo di esistere, essendo pura illusione. La vera natura del mondo, il vero essere della realtà, è statico e immobile. A tali affermazioni giunge promuovendo per la prima volta una filosofia – discorso filosofico -- basato non più su spiegazioni mitologiche del cosmo, ma su un metodo razionale, servendosi in particolare della logica formale di non-contraddizione, da cui si traggono le seguenti conclusion. L'essere è immobile perché se si muovesse sarebbe soggetto al divenire, e quindi ora sarebbe, ora non sarebbe. L'essere è uno perché non possono esserci due esseri. Se uno è l'essere, l'altro non sarebbe il primo, e sarebbe quindi non-essere. Allo stesso modo per cui, se A è l'essere, e B è diverso da A, allora B non è. Qualcosa che non sia essere non può essere, per definizione. L'essere è eterno perché non può esserci un momento in cui non è più, o non è ancora. Se l'essere è solo per un certo periodo di tempo, a un certo momento non è, e si cade in contraddizione. L'essere è dunque ingenerato e immortale, poiché in caso contrario implicherebbe il non essere. La nascita significa essere, ma è anche non essere prima di nascere. La morte significa non essere, ovvero essere solo fino a un certo momento. L'essere è indivisibile, perché altrimenti richiederebbe la presenza del non-essere come elemento separatore. L'essere risulta così vincolato dalla necessità (ἀνάγχη), che è il suo limite ma al contempo il suo fondamento costitutivo. La dominatrice necessità lo tiene nelle strettoie del limite che lo rinserra tutto intorno. Perché bisogna che l'essere non sia incompiuto. L'essere, secondo Parmenide: privo di imperfezioni e identico in ogni sua parte come una sfera paragona l'essere a una sfera perfetta, sempre uguale a se stessa nello spazio e nel tempo, chiusa e finita -- il finito è sinonimo di perfezione. La sfera è infatti l'unico solido geometrico che non ha differenze al suo interno, ed è uguale dovunque la si guardi. L’ipotesi collima suggestivamente con la teoria della relatività di Einstein. Se prendessimo un binocolo e lo puntassimo nello spazio, vedremmo una linea curva chiusa all'infinito in tutte le direzioni dello spazio, ovvero, complessivamente, una sfera. Per lo scienziato infatti l'universo è finito sebbene illimitato, fatto di uno spazio tondo ripiegato su se stesso. Fuori dell'essere non può esistere nulla, perché il non-essere, secondo logica, non è, per sua stessa definizione. Il divenire attestato dai sensi, secondo cui gl’enti ora sono e ora non sono, è una mera illusione -- che appare ma in realtà non è. La vera conoscenza dunque non deriva dai sensi, ma nasce dalla ragione. Non c'è nulla di errato nell'intelletto che prima non sia stato negli erranti sensi. Questa è la frase che d'ora in poi è attribuita a Parmenide. Il pensiero è dunque la via maestra per cogliere la verità dell'essere. Ed è lo stesso il pensare e pensare che è. Giacché senza l'essere non troverai il pensare, a indicare come l'essere si trovi nel pensiero. Pensare il nulla è difatti impossibile, il pensiero è necessariamente pensiero dell'essere. Di conseguenza, poiché è sempre l'essere a muovere il pensiero, la pensabilità di qualcosa dimostra l'esistenza dell'oggetto pensato.Tale identità immediata di essere e pensiero, a cui si giunge scartando tutte le impressioni e i falsi concetti derivanti dai sensi, abbandonando ogni dinamismo del pensiero, accomuna Parmenide alla dimensione mistica delle filosofie apofatiche orientali, come il buddhismo, il taoismo e l'induismo. Una volta stabilito che l'essere è, e il non-essere non è, restava tuttavia da spiegare come nascesse l'errore dei sensi, dato che nell'essere non ci sono imperfezioni, e perché gl’uomini tendano a prestare fede al divenire attribuendo l'essere al non-essere. Parmenide si limita ad affermare che gl’uomini si lasciano guidare dall'opinione (δόξα), anziché dalla verità. Ossia, giudicano la realtà in base all'apparenza, secondo procedimenti illogici. L'errore in definitiva è una semplice illusione, e dunque, in quanto non esiste, non si può trovargli una ragione. Compito del filosofo è unicamente quello di rivelare la nuda verità dell'essere nascosta sotto la superficie degl’inganni. Il tema è ripreso da Platone che cerca una soluzione al conflitto tra l'essere e il molteplice. Per sciogliere il dramma umano costituito dal divenire per cui tutto muta che si scontra con una ragione, altra dimensione fondamentale, che è portata a negarlo, Platone conceve il non-essere non più alla maniera di Parmenide staticamente e assolutamente contrapposto all'essere, ma come diverso dall'essere in maniera relativa, nel tentativo di dare una spiegazione razionale anche al tempo e al molteplice.  Il rigore logico di Parmenide gli valse inoltre l'appellativo di "venerando e terribile" da parte di Platone. La fiducia di Parmenide in un sapere completamente dedotto dalla ragione, e viceversa la sua totale sfiducia nei confronti dei sensi e di una conoscenza empirica, fa di lui un filosofo profondamente razionalista.  Parmenide e la scuola di Veli. Parmenide ne "La scuola di Atene", affresco di Sanzio. Parmenide è il fondatore della scuola o setta di Velia, dove ha vari discepoli, il più importante dei quali è Zenone. Il metodo usato dagli velini è la dimostrazione per assurdo, con cui confutano le tesi dellavversario giungendo a dimostrare la verità dell'essere, nonché la falsità del divenire e delle impressioni dei sensi, per una impossibilità logica di pensare altrimenti. Stupiva i contemporanei un ragionamento che scaturiva dalla radicale contrapposizione essere/non-essere e da un'immediata conseguenza del principio di non-contraddittorietà dell'essere e del pensiero, teorizzato in seguito da Aristotele nel Lizio come evidenza prima e indimostrabile alla ragione senza la quale diverrebbe impossibile qualsiasi conoscenza necessaria-filosofica, restando solo il mondo dell'opinione.  Parmenide e i velini si contrapponevano soprattutto al pensiero d’Eraclito, loro contemporaneo, filosofo del divenire che basa la conoscenza interamente sui sensi. Nella prospettiva della storia della filosofia, è quindi Hegel a concepire l'essere in maniera radicalmente opposta a Parmenide.  Anche l'atomismo democriteo intese contrapporsi alla teoria velina dell'essere -- che cerca una soluzione al problema dell'archè negando alla radice un fondamento originario al divenire -- presupponendo gl’atomi e uno spazio vuoto, diverso dagl’atomi, in cui essi potessero muoversi, ipotizzando in una certa maniera una convivenza di essere e non-essere.  In seguito furono i sofisti a cercare di confutare il pensiero dei velini, opponendo al loro sapere certo e indubitabile (επιστήμη) sia il relativismo di Protagora, sia il nichilismo di Gorgia di Leonzio. Uno dei maggiori problemi sollevati da Parmenide riguardava in particolare l'impossibilità di oggettivare l'essere, di darne un predicato, di sottrarlo all'astrattezza formale con cui egli l'enuncia, e che sembra contrastare con la pienezza totale del suo contenuto. È seguendo questa strada che Platone, nel tentativo di risolvere il problema, approde al mondo delle idee.  L'interpretazione della "doxa" REALE (vedi) ha elencato le diverse interpretazioni contemporanee sullo statuto e il significato dell'opinione ed il suo rapporto con la verità. Accanto ad una lettura che le vede contrapporre radicalmente, ne esiste una diversa, che REALE appoggia, secondo cui l'opinione (δόξα) non è da intendersi in Parmenide come negazione assoluta della verità, ma come un modo improprio di accostarsi ad essa. Non si tratterebbe cioè di puro non-essere, della via dell'errore scartata a priori, ma di una TERZA possibilità in cui i fenomeni (δοκοῦντα) sarebbero entità pensabili e quindi plausibili, se non altro come manifestazioni esteriori del fondamento occulto e autentico dell'essere. Nelle parole della dea, infatti, Parmenide è chiamato a conoscere anche le opinioni dei mortali, in cui non è certezza verace. Eppure anche questo imparerai. Come l'esistenza delle apparenze sia necessario ammetta colui che in tutti i sensi tutto indaga. Si tratta di un'interpretazione condivisa in varia misura anche da Schwabl, Untersteiner, COLLI (vedi), RUGGIU (vedi), sebbene respinta da altri, che fa di Parmenide un anticipatore della futura ontologia platonica, mentre i suoi discepoli invece mantenneno una concezione più rigorosa dell'essere, quella tradizionalmente attribuita ai velini. Tra le filosofie volte al recupero del pensiero classico in chiave attuale, in direzione del quale si sono mossi specialmente gli studi di Heidegger e di BONTADINI, l'opera di SEVERINO si segnala come una parziale ripresa della dottrina di Parmenide, e viene perciò definita neo-parmenidismo. In particolare nel suo saggio “Ritornare a Parmenide”, SEVERINO intende proporre un'originale re-interpretazione delle categorie fondamentali del pensiero alla luce della rigorosa logica del velino. Secondo Platone in “Parmenide”. Dopo che è scoperta in uno scavo ad Ascea un'erma acefala con l'iscrizione Πα[ρ]μενείδης Πύρητος Οόλιάδης φυσικός -- Parmenide figlio di Pirete medico degli Uliadai -- dove Parmenide viene cioè indicato come capo della scuola medica di Velia degli Ούλιάδαι, si ritrova in seguito la testa-ritratto con barba qui raffigurata, con la base del collo adattata ad essere sovrapposta in un'erma del tipo di quella precedentemente ritrovata con l'iscrizione citata. Altri ritengono invece che questa scultura riproduca il busto del filosofo epicureo Metrodoro di Lampsaco (Picozzi, Parmenide, Enciclopedia dell'arte antica Treccani).  Logos: rivista internazionale di filosofia, Bartelli e Verando. I paradossi di Zenone contro il movimento vennero enunciati proprio per argomentare la posizione filosofica di Parmenide. Lugiato, L'uomo e il limite, Milano, FrancoAngeli, Secondo Platone in Parmenide, Diogene Laerzio. Così Plutarco, Contro Colote. Fra questi Aristotele, (Metafisica) e Platone (Sofista) e così anche Diogene Laerzio, Vite dei filosofi. I presocratici, a cura di Giannantoni, Bari. Platone, Parmenide, Simplicio, De cœlo. Simplicio, In Aristotelis Physica commentaria. Sesto Empirico, Adversus mathematicos. Finito non da intendersi come imperfetto perché per la mentalità antica il segno di perfezione è la compiutezza, il finito. L'infinito vorrebbe dire che non è completo, che gli manca qualcosa quindi imperfetto. Sul tema del viaggio in Parmenide si veda quest'intervista a Ruggiu, tratta dall'Enciclopedia delle scienze filosofiche. Dalla raccolta I presocratici di Diels e Kranz. Jellamo, Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli. Sull'ipotesi che la dea della giustizia è interpretata da Parmenide in una maniera nuova, filosofica, cfr. Fränkel, Wege und Formen Frühgriechischen Denkens. Literarische und Philosophiegeschichtliche Studien, München, Beck -- per il quale essa veniva ora vista come dea della giustezza o esattezza (dikaiosyne), preludio di quella platonica. Sulla dike "filosofica" cfr. anche Deichgräber, Parmenides' Auffahrt zur Göttin des Rechts, Untersuchungen zum Prooimion seines Lehrgedichts, Magonza. La nascita della parola "filosofia" è molto controversa, in quanto ha diverse accezioni. Già anticamente, così come altri termini composti col suffisso "philo-" (cfr. Hadot, Che cos'è la filosofia antica?, Torino, Einaudi) essa indicava una passione, una tensione (φίλος, fìlos) verso il sapere (σοφία, sofìa). Secondo Capizzi, tuttavia, Parmenide non era un filosofo nel senso etimologico, in quanto più che al "sapere per il sapere" propende per le applicazioni politiche del sapere, ma la questione è tutt'altro che definitiva. Principio enunciato da Melisso e poi reso in latino da LUCREZIO (vedi), ma implicitamente presente in un fragmento di Parmenide (cfr. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede & Cultura. Il principio di non-contraddizione, introdotto da Parmenide per rivelare l'essere stesso, la verità essenziale, è successivamente impiegato come strumento del pensiero logicamente cogente per qualsiasi affermazione esatta. Sorsero così la logica e la dialettica -- Jaspers, I grandi filosofi, Longanesi, Milano). Della raccolta Diels e Kranz. Einstein si espresse tra l'altro in maniera sorprendentemente simile a Parmenide, in quanto anch'egli tende a negare la discontinuità del divenire e il suo svolgimento nel tempo. Secondo Popper, grandi scienziati come Boltzmann, Minkowski, Weyl, Schrödinger, Gödel e, soprattutto, Einstein hanno concepito le cose in modo similare a Parmenide e si sono espressi in termini singolarmente simili. La materia, secondo Einstein, si curverebbe su se stessa, per cui l'universo sarebbe illimitato ma finito, simile ad una sfera, che è illimitatamente percorribile anche se finita. Inoltre Einstein ritiene che non ha senso chiedersi che cosa esista fuori dell'universo (Riva, Manuale di filosofia).  Meinong, proprio come Parmenide, difese ad esempio l'idea che anche la montagna d'oro sussista poiché se ne può parlare. Diels e Kranz. Sull'analogia tra la posizione parmenidea e le filosofie dell'Oriente, cfr. Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su filosofico. Cfr. anche l'intervista a SEVERINO (Venezia, Museo Correr, Biblioteca Marciana) in Parmenide su Emsf.rai Platone, Teeteto. Un famoso esempio si ha nelle aporie note come paradossi di Zenone. Si veda La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, di Zeller, Mondolfo, Eleati, a cura di Reale, Firenze, La Nuova Italia, a cura di Girgenti, Milano, Bompiani. Dunque, Parmenide ha esposto un'opinione plausibile, oltre a quella fallace, e cerca, a suo modo, di dar conto dei fenomeni -- Reale, Storia della filosofia antica, Vita e Pensiero, Milano, trad. di Reale. Schwabl, Sein und Doxa bei Parmenides, Wiener Studien, Untersteiner, La Doxa di Parmenide, in Parmenide. Testimonianze e frammenti, Sansoni, Firenze, COLLI, Physis kryptesthai philei, ed. dell'Ateneo, Roma. Ruggiu, Saggio introduttivo e commentario filosofico, in Parmenide, Poema sulla natura: i frammenti e le testimonianze indirette, Rusconi, Milano. Di origine evidentemente iranica è il dualismo luce-tenebre che per Parmenide sta alla base della dóxa, mentre è addirittura di origine indiana il carattere puramente apparente da lui attribuito al mondo sensibile (sostenuto dalla corrente Samkya delle Upanishad nella famosa dottrina del "velo di Maya", ripresa da Schopenhauer), e lo stesso viaggio del filosofo al cospetto della dea, esposto nel proemio del poema parmenideo, ricorderebbe i viaggi degli sciamani asiatici -- West, La filosofia greca arcaica e l'Oriente (Mulino, Bologna). In esso, tuttavia, SEVERINO afferma dapprima di aver compiuto il secondo grande parmenicidio, dopo quello di Platone. Parmenide svaluta e quindi annulla i fenomeni. Ma questi appaiono, quindi esistono e, se esistono, non divengono. Ma tutti sono eterni. In secondo luogo, SEVERINO usa la logica parmenidea per confutare l'etica e la fede in Dio. Poiché il divenire non esiste, non sarebbero possibili la libera scelta morale e l'esistenza di un creatore che tragga l'essere dal nulla, creandolo ex nihilo. Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Reale con la collaborazione di Girgenti e Ramelli (Milano, Bompiani); Albertelli, Gli Eleati: testimonianze e frammenti (Bari, Laterza); Vitali, Parmenide d'Elea. Peri physeos, una ricostruzione del Poema (Faenza, Lega); Reale, Ruggiu, Parmenide. Poema sulla natura (Milano, Rusconi); Cerri, Parmenide. Poema sulla natura (Milano, BUR); Nolletti, Che cos'è l'essere di Parmenide: spiegazione di un enigma filosofico” (Teramo, La Nuova Editrice); I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Diels e Kranz, a cura di Reale (Milano, Bompiani); Untersteiner, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso. Testimonianze E Frammenti (Milano, Bompiani); Severino, Ritornare a Parmenide in Essenza del nichilismo (Paideia, Brescia); DIANO (vedi), Parmenide in Studi e saggi di filosofia antica, successivamente ne Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici (Bollati Boringhieri); Ruggiu, Parmenide (Venezia, Marsilio); Capizzi, Introduzione a Parmenide (Laterza, Roma); CAPIZZI (vedi), La porta di Parmenid: saggi per una nuova lettura del poema” (Ateneo, Roma); CALOGERO, Studi sull'eleatismo (Roma, La Nuova Italia, Firenze); Hussey, I presocratici, Rampello (Mursia, Milano); Heinrich, Parmenide e Giona: studi sul rapporto tra filosofia e mitologia” (Guida, Napoli); Casertano, Parmenide il metodo la scienza l'esperienza” (Loffredo, Napoli); Popper, “Il mondo di Parmenide: alla scoperta dell'illuminismo presocratico” (Piemme, Casale Monferrat); Heidegger,
“Parmenide”, a cura di VOLPI (vedi) (Adelphi, Milano); Gadamer, Scritti su Parmenide, a cura di Saviani (Filema, Napoli); Colli, Gorgia e Parmenide. Lezioni (Adelphi, Milano); Cordero, “By Being, It is. The Thesis of Parmenides, Parmenides Publishing, Las Vega); Pulpito, Parmenide e la negazione del tempo. Interpretazioni e problemi” (LED, Milano); Sangiacomo, La sfida di Parmenide. Verso la Rinascenza, Il Prato, Padova); Abbate, Parmenide e i neoplatonici. Dall'Essere all'Uno e al di là dell'Uno” (Edizioni dell'Orso, Alessandria); Toro, L'enigma Parmenide. Poesia e filosofia nel proemio” (Aracne, Rom); Ferrari, “Il migliore dei mondi impossibili: Parmenide e il cosmo dei Presocratici” (Aracne, Roma); Donà (vedi), Parmenide. Dell'essere e del nulla, (Alboversorio, Milano); Sperduto, Il divenire dell'eterno (Aracne, Roma); Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Parmènide (filosofo), su sapere; Agostini. Spiegazione dell'enigma dell'essere di Parmenide, su parmenide; Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su filosofico. Severino: Parmenide, su rai scuola; Sull'Essere" recitato in greco antico ricostruito, su podium-arts; Un'ampia lista degli studi dedicati a Parmenide su Parmenides; Parmenides and the Question of Being in Greek Thought, su ontology. con una bibliografia annotata degli studi recenti e delle edizioni critiche.Stanford. Refs.: H. P. Grice, “Negation and privation,” “Lectures on negation,” Wiggins, “Grice and Parmenides”. Parmenide. Keywords: Velia, velino, velini, la porta. Refs.: Luigi Speranza, “Il parmenideismo italiano,” Luigi Speranza, "Grice e Parmenide," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Velia: la ragione conversazionale -- Zenone – i veliani – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Cf. senofane, parmenide -- Velia --  (or as Strawson would prefer, Zeno). Sometimes spelt ‘Senone’ "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?” -- that is the question!” -- Grice. Italian philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ – Zeno’s paradoxes. “Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.” H. P. Grice. “Linguistic puzzles, in nature.”  H. P. Grice. four paradoxes relating to space and motion attributed to Zenone di Velia. The race-track, Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zenoe’s work is known to us through secondary sources, in particular Aristotle. The race-track paradox. If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to complete an infinite series of journeys. Therefore, the runner cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the track is -- it could be a foot or an inch or a micron away -- this argument, if sound, shows that motion is impossible. Moving to any point involves an infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles runs much faster than the tortoise. A race is arranged between them, and the tortoise is given a lead. Zenone argues that Achilles never catches up with the tortoise no matter how fast he runs and no matter how long the race goes on. For, the first thing Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But the tortoise, though slow, is unflagging. While Achilles is occupied in making up his handicap, the tortoise advances a little farther. The next thing Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While Achilles is doing this, the tortoise has gone a little farther still. However small the gap that remains, it take Achilles some time to cross it. In that tim, the tortoise creates another gap. So, however fast Achilles runs, all that the tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l, arranged in a line stretching away from one. A is moved perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l. At the same time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line to the left by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, it follows that half the time equals its double. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow occupies a space equal to itself. That is, the arrow at an instant cannot be moving, for motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point, not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything: nothing moves. Scholars disagree about what Zenone himself takes his paradoxes to show. There is no evidence that Zenone offers any “solution” to his paradoxes. One view is that the four paradoxes are part of a programme to establish that *multiplicity* -- including motion -- is an illusion of the senses, and that reality is a seamless whole. Zeno’s argument may be reconstructed like this. If you allow that reality can be successively divided into parts, you find yourself with these four insupportable paradoxes. So you must think of reality as a single indivisible one. Senza le premesse di tale discussione e problematica si precisano chiaramente nei finissimi argomenti di Zenone di Velia, discepolo e difensore di Parmenide di Velia, in cui si vede bene il taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla, e il mondo umano costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone narra che una volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad Atene. Parmenide e d'aspetto bello e nobile. Zenone, di grande statura e bell'uomo anche (“Parmenide”). Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone legge un saggio che scrive per difendere la tesi di Parmenide di Velia, ma che quel saggio Zenone compose per amor di polemica e che per giunta un tale glielo ha sottratto, per cui, Platone fa dire a Zenone. Non ha neppure il tempo di pensare se fosse o no il caso di darlo alla luce. Platone, forse, per dare avvio alla sua discussione, probabilmente nei confronti della setta di Velia, si riallaccia di proposito a Parmenide e a Zenone mettendoli in rapporto con Socrate. Può darsi, dunque, che Platone forza la notizia di Zenone e Parmenide ad Atene in un'epoca in cui sembra difficile, per ragioni cronologiche, che Parmenide sia potuto venire ad Atene. Nulla vieta, invece, di pensare che lui sia stato effettivamente ad Atene, anche se in epoca diversa. Discepolo di Parmenide, Zenone nasce a Velia. Platone (“Parmenide”) narra che Zenone e venuto con Parmenide ad Atene. Tutte le fonti lo presentano come uomo prestante e altamente intelligente, che prende attiva parte alla vita politica di Velia, dove sarebbe eroicamente morto combattendo il tiranno Ncarco, quando, preso da Nearco e torturato, per non parlare si spezza la lingua con i denti, sputandola addosso al tiranno. Sembra che la struttura originaria del saggio di Zenone, o dei suoi saggi, e anti-nomica, e che [Altro punto sospetto è che Platone dice che il saggio che Zenone scrive e stato fatto circolare senza il permesso dell'autore. Potrebbe questo essere indice che Platone, in effetto, non espone la tesi vera di Zenone, anche se, nella finzione del dialogo, lui stesso approvi, con qualche riserva, il sunto che dei punti salienti dà Socrate. Platone, nel “Parmenide” tende a dimostrare l'impossibilità di pensare l'essere di Parmenide che porta dietro di sé l'altrettanta impossibilità di pensare i molti, onde, postici sul piano di Parmenide, risulta impossibile il discorso, un qual-sivoglia giudizio. Non interessa ora la soluzione di Platone e il suo tentativo di poter pensare l'essere come dialetticità corrispondente alla dialetticità del pensiero, per cui si rende possibile porre un tutto oggettivo. come ordine dialettico e misura su cui scandire, attraverso la conoscenza di sé, lo stesso ordine politico. È tuttavia importante sottolineare che nei confronti dell'uno di Parmenide e delle opere di lui -- che accettando l'ipotesi di Parmenide e anche accettando che l'uno di Parmenide si può, all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare che altrettanto assurdo è porre unità accanto a unità, come i pitagorici, quando si ritenga che queste siano realtà per sé e non puri nomi -- la polemica di Platone chiarifica quella che storicamente dev'essere stata l'aporia fondamentale in cui si trova il lettore del saggio di Zenone. In verità - abbietta Zenone nel Parmenide di Platone - questo mio saggio vuol essere in certo modo una difesa della dottrina di Parmenide contro quelli che cercano di metterla in ridicolo sostenendo che la tesi dell'esistenza dell'uno va incontro a molte conseguenze ridicole e contraddittorie. Vuole confutare perciò questo mio saggio quelli che asseriscono l'esistenza dei molti e render loro la pariglia e anche di piu, cercando di mostrare che la loro ipotesi dell'esistenza dei molti va incontro a CONSEQUENZE ANCOR  PIU RIDICOLE di quella dell'uno se si vuole andare in fondo alla ricerca. In effetto, qui Platone corregge la sua prima affermazione che Zenone e Parmenide diceno la stessa cosa ("dite su per giu la cosa medesima”), e per i suoi intenti lascia cadere la precisazione di Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in genere, è con questi abili accenni che Platone distingue, quello che a Platone importa da quello che accantona, ma che corrisponde, quasi sempre, alla verità storica. Zenone, quaranta fossero gl’argomenti contro la tesi che sostiene il molteplice e il moto. Platone che vede in Zenone il difensore dell’Uno di Parmenide, lo chiama il "palamede eleatico" (Fedro) ] dunque, sarebbe parmenideo alla rovescia. Zenone accetta che l'uno-tutto di Parmenide porta alla finale contraddizione dell'impensabilità -- proprio sulla via del pensiero -- dell'uno stesso. Solo che la facile critica dell'annullarsi dell'uno deve tener presente che, ammessa la esistenza dei molti, di punti accanto a punti, come enti reali, si cade nelle stesse contraddizioni di chi pone l'uno. Zenone non dice mai cosa sia l'essere. Zenone nega che posti i molti come esistenti, sul piano logico i molti esistano, confermando cosi la tesi di Parmenide che i molti in quanto tali, in quanto definizioni, non sono che puri *nomi* (nel piano linguistico) o illusione (nel piano cognoscitivo). Ammessa, dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti reali costituenti le cose, bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di tali unità in quanto punto ha una grandezza, anche se minima, onde in ogni punto vi sono infiniti punti e quindi ogni punto-unità e infinitamente grande. Se il punto poi non ha gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi grandezza per l'unione dei punti, come e mai possibile che punti senza grandezza diano luogo a grandezze? Un punto dunque, se non ha grandezza, non è. Ancora: ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo in numero finito e infinito, il che è contraddittorio. Saranno in numero finito, perché non possono essere piu o meno di quante sono. Saranno in numero nfinito perché tra l'una e l'altra ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra un'altra ancora all'infinito. Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per sé, bisogna ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla nella continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita d’infiniti punti a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che ogni cosa, limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dall'altra per uno spazio. Ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Entro questa linea rientra anche il cosiddetto argomento del grano di miglio. Un grano o la decimillesima parte di un grano di miglio fa rumore. Ora, se fra un grano di miglio e un medimmo c'è proporzione, vi sarà proporzione anche tra i suoni, per cui se un medimmo di miglio fa rumore lo fa anche un solo grano (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Ma ciò non avviene. Evidentemente quest'ultimo argomento rientra nei termini dei primi. Se l'uno, o la totalità, è impensabile irrelativamente, altrettanto impensabili sono i molti qualora si pongano quali realtà accanto a realtà. Nessuna parte del molteplice costituie il limite ultimo e nessuna e senza una relazione con un'altra. Poiché i molti sono impensabili, se non determinati come variazione di quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può rappresentare come retta all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come realtà per sé, non sono. Cosi nell'ipotetica retta -- nulla è pensabile se non in quanto estensione ed estensione che si qualifica -- altrettanto inconcepibile è il moto, o meglio la possibilità dello spostamento e del passaggio da punto a punto, ché, dato, ad esempio, un segmento AB, tra A e B posta una metà A', necessariamente tra A e A', vi sarà una metà A" e cosi vita all'infinito – eis apeiron -- (argomento della dicotomia, cioè della divisione in due: Aristotele, Fisica; Simplido, Fisica). Evidentemente non vi è allora passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto ad A, onde si può dire che Achille piè veloce" in A non raggiunge mai la tartarugà che sia un passo avanti in A", ché, in effetto, logicamente, né l'uno né l'altra si muovono -- argomento dell'Achille—pie-veloce: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio), tanto piu che la linea, essendo costituita d'infiniti punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si annulla. Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo percorrere l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza -- argomento della freccia: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica; Filopono, Fisica; Temistio, Fisica). Infine, dei presunti XL argomenti con i quali Zenone dimostra la contraddittorietà in cui pone o l'esperienza sensibile o la definizione dei dati che implicano la molteplicità o il movimento, abbiamo l'argomento detto dello stadio. Considerando in uno stadio un punto mobile che va ad una certa velocità, se lo si considera rispetto ad un punto fermo andrà, ad esempio, a X chilometri l'ora. Se lo si considera invece rispetto a un altro punto mobile che vada alla sua stessa velocità in senso opposto, quello stesso mobile va a XX chilometri all'ora. Il  argomento IV - dice Aristotele - è quello delle due serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio, lungo altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le altre dalla metà, con velocità uguale. La conseguenza è che la metà del tempo è uguale al doppio (Fisica; cfr. anche Simplicio, Fisica). I celebri argomenti contro il movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il moto, con ferrea consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra come sul piano logico, contraddicendosi, non si possa se non negare il moto -- onde, appunto, Aristotele, secondo Diogene Laerzio, nel “Sofista” andato perduto - ha potuto dire che lui e padre della DIALETTICA, e non Gorgia da Leonzio -- come arte del confutare -- ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti sono proprii del saggio di Zenone, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone -- che fa intravedere solo gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità -- ne tacciono. Certo gl’argomenti contro il movimento potevano essere conseguenza di quelli sulla pluralità, che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica in termini logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE, portano anche a rendere impensabile il continuo spazio-temporale su cui si determinano, definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento divenivano rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o contraddittori. La sua polemica sembra quindi rivolta sia contro i punti-cose dei primi della setta di CROTONE (o se si vuole contro la riduzione a numeri interi delle cose da parte dei primi de quella setta), supponendo i numeri irrazionali, sia contro l'impossibilità di ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza, alla sfera della ragione e dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa vitalità. Le conseguenze della discussione di Zenone di V., tenendo presenti certe posizioni a lui contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da parte le implicazioni che vi hanno veduto certi storici, riferendo le sue tesi ad alcune delle concezioni della matematica e della fisica moderna -- sembrano potersi indicare nei seguenti punti. L’impossibilità di ridurre la fisica in termini matematici. La conseguente impossibilità di pensare, e quindi di definire, sia l'essere come totalità, sia la molteplicità. La consapevolezza che ogni ricostruzione matematica è valida, in quanto ipotetica e che altrettanto ipotetica è ogni ricostruzione fisica. Sul piano storico si determinano cosi. Posizioni diverse, a seconda di quale aspetto della problematica, impostata da Zenone, viene approfondito. O si insistito sul continuo giungendo a risolvere e ad annullare i molti (che restano come determinazioni valide su di UN PIANO PURAMENTE LINGUISTICO) nel continuo stesso, cioè nell'infinita unità (Melisso).O si è risolto l'uno su di un piano puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno dei punti della serie, né il pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e dell'altro, e che nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che spiega un'ipotesi fisica (CROTONE e TARANTO). O si è assunta l'ipotesi fisica del continuo divisibile all'infinito in infiniti punti ognuno dei quali, infinito, ha in sé tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde in ogni punto tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli infiniti punti, proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio dall'uno all'altro all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una infinita serie di limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una separazione, cioè un altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di Zenone di V., e Democrito). Infine, se da un lato la sua problematica portava a impostare l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé del reale stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava, nella consapevolezza dell'impossibilità logica dell'essere o del divenire, della verità, a rimanere sul piano dell'opinione e del discorso umani, entro i termini dello stesso mondo dègl’uomini e dei loro rapporti (Protagora, Gorgia). Senone di Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo di Parmenide di Velia, scuola di Velia, scuola di Crotone, i veliati, i veliani, Adorno, velino. Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e Grice," “Grice e Zenone” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Velleio: la ragione convresazionale a Roma –- l’orto divino -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. L’orto. Used by Cicerone as a representative of L’orto -- on the topic of the divine in “De natura deorum.” Although a senator, his philosophical views lead him to steer clear of ‘dirty’ politics. Gaio Velleio. Velleio. Keywords: Roma antica. Luigi Speranza, for H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Velleio.

 

Grice e Venanzio: la ragione conversazionale dell’estetica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Portogruaro). Essential talian philosopher. Filosofo italiano. Dov'e nato gli e dato a precettore Fortis, prete onesto, né senza ingegno. A' tredici anni studiò nel patrio seminario belle lettere e filosofia; ed è ben curioso a pensare, come a quel tempo, che pur anch'esso gloriavasi di civiltà e cominciava a combattere la tirannia de vecchii errori, non mancasse più d'uno che con ra-gionamento, meglio specioso che giusto, sentenziasse doversi apprendere prima filosofia e poscia retorica, perché, innanzi di scrivere, era debito d'imparare a pensare. Una fedele immagine di quelle scuole ci presenta lo stesso V. In retorica continue traduzioni dei classici latini, affatto pedantesche, per non dire meccaniche; della letteratura italiana neppure un cenno; Dante, Petrarca, Tasso, Ariosto, nomi ignoti; non si prefiggeva allo scrivere italiano altro modello, che il Cesarotti nei versi, ed il Thomas nella prosa; onde chi produceva versi più sonanti, o periodi più tronchi, più smozzicati, più era lodato. In FILOSOFIA, la lettura di qualche TESTO LATINO DI LOGICA E DI METAFISICA, che poscia si mandava alla memoria senza bene intenderlo; qualche libamento di fisica; le quattro operazioni fondamentali dell'aritmetica ed una occhiata al calcolo delle frazioni; le prime proposizioni d'Euclide; a ciò tutto riducevasi allora il tirocinio filosofico'». qualche cosa. Il Venanzio abbracciò coll'acutezza dell'ingegno e con solerte diligenza la filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu addottorato; e fra la gravità degli studii continui, che lo fecero prematuramente vecchio, fra le publiche cure e l'esemplare affetto alla sua famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la vita. E fu la sua veramente vita non vaga di brighe, né di mondano romore, ma quale si conviene a chiunque ami sinceramente gli studii e voglia rendersi non talso sacerdote del bello. La natura lo aveva arricchito di tutte le doti che sono richieste al filosofo e al letterato. V. abbraccia coll'acutezza dell'ingegno e con solerte diligenza la filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu addottorato; e fra la gravità degli studii continui, che lo fecero prematuramente vecchio, fra le publiche cure e l'esemplare affetto alla sua famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la lunga vita. E fu la sua veramente vita non vaga di brighe, né di mondano romore, ma quale si conviene a chiunque ami sinceramente gli studii e voglia rendersi non talso sacerdote del bello. La natura lo aveva arricchito di tutte le doti che sono richieste al filosofo e al letterato. Forza e acume d'intellet-to, tenace memoria, pronta e fervida fantasia; animo capace di sentir alto e soave. Tentata, non intelicemente, la lirica e la drammatica, non tardò a comprendere il grandissimo bisogno che di buoni prosatori, più che di poeti, aveva l'Italia. E a conseguire il nobilissimo fine stimò necessarii gli studii estetici; ai quali si siede con largo apparecchio di filosofia e filologia, apprendendo altresì con volere fermissimo il greco. Onde compose e pubblica quell'opera, che dall'amore del bello non saprei perché intitolasse Callofilia me-glio, che Filocalia. Della quale meritamente egli colse a que' giorni bellissima fama, come di lavoro d'alta natura e di sottili investiga-zioni, chiaramente e ordinatamente esposte e di certa eleganza e amenità di stile vestite.  Divide la materia in tre libri. Parla nel primo del bello naturale; e definito essere la bellezza non una verità, ma un sentimento, dimostra che in tutte le età, in tutte le condizio-ni, in tutte le sue principali tendenze l'uomo è dominato dalla forza del principio estetico, e prova sempre il bisogno di porre in movimento le proprie facoltà vitali. Famiglia, patria, religione, aspetti naturali, avvenimenti storici d'ogni maniera, tutto agita, tutto commuove, tutto modifica la sua vita. La storia de popo-li, tanto somigliante alla vita degl'individui, (poiché questi fanno per giorni ciò che quelli per secoli) ne fa certi che la brama di senti-re, di pensare, è in tutte le nazioni operosa e assidua. Ondeché, ristrignendo le osservazioni al bello e alle facoltà sensitive, pone l'autore che il bello naturale consiste nell'at-titudine che hanno gli oggetti componenti la universale natura di esercitare proporzionatamente le facoltà sensitive dell'uomo. Svolge ampiamente e sottilmente le conseguenze che se ne traggono; e, detto della differenza tra il vero, il bello e il buono, dimostra come l'accoppiamento del vario coll'uno sia il necessario generatore della bellezza. E poiché primo bisogno dell'anima nostra è, che sieno le facoltà convenientemente esercitate, ed è proprio ed essenziale uffizio della bellezza il soddisfare a questo bisogno, per quanto spetta alle facoltà sensitive, il Venanzio stabilisce i principii, secondo che si può conoscere quali tra le passioni abbiano veracemente in sé il pregio della morale bellezza, e in qual grado e per quali motivi. Di che si fa manifesto che la morale bellezza, la quale è l'esemplare della vita e la regola de' costumi, non è un ente speculativo dipendente dai pensamenti e dai capricci degli uomini, talora dagli errori oscurato, spesso alterato e contraffatto da' bisogni, dalle vicende, da ogni maniera di malvagità; ma un ente che per le sue ispirazioni può dirsi reale ed effettivo, reggentesi sul fondamento posto dalla natura e dettante le leggi sue con una voce, ch'è una in tutti. Per la qual cosa, essendo la bellezza morale riproduzione della naturale, ne segue che le stesse norme e condizioni attribuite all'una sieno da attribuire anche all'altra; onde primieramen-te e solamente la vista e l'udito sono organi della morale bellezza; della cui molteplice e ordinata varietà d'aspetti egregiamente discorre V., e ne addita la scala, che una serie di gradi progressivi d'efficacia e di forza compone. E così procedendo a faticosa e ingegnosa analisi pon fine al secondo libro.  Materia al terzo è il bello artificiale; obietto precipuo dell'opera. Quando in un uomo perfettamente costituito la bellezza genera le sue impressioni, havvi un punto, in cui la sensazione si trasforma in imagine; e per l'ettetto simultaneo della della imagine sorgono nell'anima gl'impul-si creatori e le determinazioni della volontà.  Ivi è l'origine della poesia, ch'è nel suo più ampio concetto la commozione dell'animo eccitato dalla bellezza a operare. Tutte le opere dell'uomo, nate dalle ispirazioni della bellezza, costituiscono vera e schietta poesia; ma come non tutte le azioni della vita hanno in sé l'impronta della bellezza, così alcune sono di lor natura poetiche, e altre non sono.  Senza che, varie son le maniere di presentare le inspirazioni del bello; o cercando nelle forze fisiche e morali, commosse a splendidi impeti, la via di palesare con fatti la propria commozione; o, in luogo di fatti, figurando un sentimento vero con mezzi che non son veri. Di qua l'origine della imitazione; la quale viene l'autore mirabilmente considerando in tutte le possibili relazioni e in tutte le varietà de fenomeni ch'ella presenta; né meno maestrevolmente esamina quella parte della poesia, che nella imitazione è riposta, distinguendo in essa il concetto, la composizione e la esecuzione. Molto poi sottilmente ragiona del bello ideale, che tanto e lungamente diede a pensare e discutere. E vinti tutti i sofismi, egli ammette l'esistenza di questo bello idea-le, che molti pur negano, e n'espone gli ufficii e ne dimostra i caratteri con assai giuste ragioni ed esempii autorevoli. Né con minore importanza tralascia di parlare della esecuzione, punto in cui nascono e si partono le arti imitative, onde l'ingegno rende manifesti e sensibili i suoi proprii concepimenti. E, o imiti l'artista il bello naturale per mezzo delle arti del disegno, o il bello morale per quelle dell'armonia, si troveranno spesso amendue queste parti rannodate fra loro dall'espressio-ne; santissimo vincolo della bellezza naturale colla bellezza morale. Appartiene finalmente all'estetica e alla retorica, non meno che alle pratiche istituzioni additar l'uso de' mezzi materiali, particolari a ciascun'arte; e insegnare le forme, le figure, i modi acconci ad efficacemente e nobilmente rappresentare il concetto. In fine conchiude, non essere il bello argomento di diletto e di piacevoli in-vestigazioni, ma motore principalissimo della natura morale, dalla quale e impulso e norma e qualità e misura ricevono le passioni; doversi e per importanza e per dignità agguagliare alla logica; perocché l'una mira a bene indirizzare la mente; l'altra educa il cuore; questa segue il lume della verità: quella, della bellez-za; potere insomma e l'etica e la metafisica e il diritto in generale e l'economia trarre grandissima utilità dall'amore della bellezza.Carrer. Pietose esequie per lui si celebrarono nella Basilica di S. Marco, e il dolore apparve su tutti i volti, qual era in tutti i cuori, solenne e profondo; ed il municipio di Venezia gli decreta sepoltura propria ed iscrizione monumentale nel comunale cimiterio. Così quella feconda vita innanzi tempo si spense e la gloria dell'estinto ormai più non dura che nella memoria delle sue virtù e nella splendida bellezza delle sue opere. Sventura acerbissima! che priva la patria di un cospicuo decoro e tolse alla italiana filosofia di cogliere il pieno frutto dei nobili studj di un tanto filosofo, ed a questo di godere più a lungo, dopo i sofferti infortunj, il meritato riposo e e ben conseguite ricompense. -- Dal Comentario della vita e delle opere di Carrer, in Carrer, Poesie (Le Monnier, Firenze). Sulla eccellenza dei prosatori. Chiunque alle prime origini ed alle rarie vicende della italiana filosofia volga la mente, scorgerà dì leggieri, che ogni epoca di essa è renduta dalle altre singolare da pregi non solo segnalati in se stessi, ma eziandio ai progressi della letteratura medesima in partìcolar modo accomodati; cosicché, mentre le altre nazioni la maggior loro gloria in un solo secolo ripongono, la nostra può a giusto diritto di molti egualmente vantarsi. Amore ardentissimo di patria, zelo di libertà e quel senso squisito del bello che alla prima aurora della civiltà corse a risvegliare gli animi per lungo sonno inoperosi, mossero i nostri padri del trecento a fondare la lingua e la letteratura italiana; e tanta fu la fiamma allora accesa nei petti sdegnosi dell'antica barbarie, che sursero ad un tratto quei miracoli di sapere e d'ingegno, Dante, Petrarca, e Boccaccio; ai quali tenne dietro la onorata comitiva dei Villani, dei Cavalca, dei Passavanti, dei Compagni, e di parecchi illustri Volgarizzatori, dalle cui scritture la purissima vena discorre dell'italiano favellare.  E nella eccelsa carriera, dappertutto, ed alla testa di tutti si mostra GALILEI; spirito che più che a decoro della sua patria e del suo secolo parve nato a lume ed a stupore dell'universo. Ch'egli pensò e previdde come Bacone, ma con alacrità inoltrossi pel sentiero che quegli aveva soltanto additato; dubitò come Cartesio, ma alle opinioni rivocate in dubbio non sostituì come quello vane chimere e sognate ipotesi; osservò e scoprì come Newton; ma la progressione dei tempi riservò al filosofo inglese il vanto di dare il suo nome al grande sistema per cui l'italiano aveva in gran parte approntato i materiali. Imperciocchè dopo avere in terra stabilite le leggi della caduta dei gravi, delle velocità, delle resistenze, delle percosse, e dopo aver per così dire valutati i corpi in numero, peso e misura, colla pupilla armata del telescopio da lui forse inventato e certamente perfezionato speculò arditamente nel cielo, ed ivi con invitta forza stabilì l'impero del sole ed il nostro mondo gli rese soggetto, vide valli e monti nella luna, vide di nuove stelle risplendere il firmamento, e Giove che prima per solitaria via moveva deserto fornì d'astri seguaci, ed il vaghissimo volto di Venere a seconda dei tempi e delle vicende fece che in vari aspetti ai cupid'occhi si mostrasse: felice! chè le opere ed i trovati mostrarono quanto in lui vi fosse di divino, le sole sventure quanto di mortale. Il Dizionario della Crusca è il solo da cui e precettori e discepoli trar possano norme e soccorsi, serbiamo con ogni cura intatta la fede e la dignità di questo libro reverendo; e non feriamone l'autorità coll'arme del ridicolo. Gli alti pensieri, lo stile acconcio e severo e le scelte ed accresciute parole costituiscono le qualità distintive delle prose dei buoni scrittori del seicento; per le quali la lingua italiana giunse in quel secolo ad un vigore e ad un nerbo, che fra le splendide pompe e le floride eleganze del secolo antecedente non aveva forse saputo acquistare. A niuno inferiore e superiore a molti è Redi, e sia che il proprio animo manifesti nella epistolare corrispondenza, sia che della inferma salute de' suoi ammalati discorra, sia ch'espenga le sue gravissime osservazioni alla istoria naturale pertinenti, sia che si applichi ad illustrare la patria favella ed a risolverne le più sottili questioni, dagli altri di lunga mano si distingue per la spontanea leggiadria con cui le scritture condisce senza renderle affettate o leziose, per le grazie ingenue e festive di cui le sparge, pel patrimonio prezioso di schiette e adequate parole di cui le arricchisce, esoprattutto per certi ritorcimenti e per certe giudiziose piegature con cui nuovi significati e vaghezza nuova alle voci radicali sa dare.  Girolamo Venanzio, Sulla eccellenza dei prosatori, in Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso, Andreola, Treviso. Girolamo Venanzio Venanzio. Keywords: filocallia, callofilo, il bello, l’estetica. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Venanzio” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vera: la ragione conversazionale dell’idealismo italiano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Amelia). Essential Italian philosopher. Senatore del Regno d'Italia. Filosofo italiano. Grice: “One of my own favourite unpublications is “Absolutes,” which took its inspiration from a little tract by Vera which was especially influential on Flaubert, “Il problema dell’assoluto.” Strawson remarked: “it was a boojum, you see!” Senatore del Regno d'Italia. Compe i suoi studi alla Sapienza di Roma, terminandoli alla Sorbona di Parigi. Mostra subito un immenso talento per l'insegnamento, caratterizzato da lucidità di esposizione e genuino spirito filosofico, reggendo svariate cattedre in città importanti della Francia e della Svizzera. Il colpo di stato di Napoleone III lo costrinse a rifugiarsi in Inghilterra a causa delle sue idee eterodosse. Qui intraprese la stesura in francese dell’“Introduzione alla filosofia” di Hegel. Torna in Italia, riuscendo a diventare il più geniale e originale comunicatore della filosofia di Hegel, insegnando storia della filosofia dapprima all'accademia di Milano, e poi, su invito di SANCTIS (vedi), a Napoli. Continua a intrattenere scambi fecondi con la Società filosofica di Berlino e con gl’ambienti hegeliani tedeschi e francesi. Divenne socio nazionale dell'accademia dei lincei.  E suo fedelissimo allievo MARIANO.  E durante i suoi studi con Cousin a Parigi che V. arriva a conoscere la filosofia, risentendo fortemente dell'hegelismo allora in voga, di cui divenne in Italia promotore indiscusso. Si deve infatti a V. il risveglio in Italia dell'interesse per la filosofia idealista ed hegeliana in particolare, anche se egli godette di maggior fortuna all'estero, mentre ha un influsso molto minore in patria rispetto a quello esercitato ad esempio dai lavori di SPAVENTA. A differenza di SPAVENTA, infatti, che reinterpreta la filosofia di Hegel in chiave critica, V. si mantenne sostanzialmente fedele al dettato ortodosso della dottrina.  Nei suoi saggi, che esaltano la capacità di Hegel nel collegare ogni aspetto della realtà in un sistema organico, prevale l'attenzione per il problema religioso. V. interpreta l'idea logica hegeliana in senso trascendente, come il concetto del divino venendo per questo accostato in certa misura alla destra hegeliana in Germania, sebbene una tale lettura possa apparire una forzatura.  Centrale è il primato dell'idea, che si articola nella storia come organismo spirituale, e per attingere la quale occorre trascendere la natura. L'idea esiste bensì anche nelle piante e neg’animali, ma in maniera incosciente, e nel’imperatore di Prussia in maniera consciente. Solo nell'essere umano – la persona -- essa giunge a pensarsi come idea, divenendo in tal modo storia, e rendendo possibile anche il progresso delle entità collettive di personi che sussistono come una nazione. Finché una nazione vive nella sfera del suo essere sensibile e animale, essa non si muove. Essa ripete ogni giorno la stessa vita e gli stessi eventi. Essa prova sempre gli stessi bisogni. Che se non fosse possibile trascendere questa sfera, la storia stessa non sarebbe possibile. Queste poche considerazioni ci spingono adunque a riconoscere con più pieno convincimento che solo l'idea o l'assoluto è il motore della nazione italiana e dell'umanità, ovvero il principio determinante della storia” -- “Introduzione alla filosofia della storia” (Monnier, Firenze). La sua “Introduzione alla filosofia di Hegel” influenza Flaubert nella stesura di Bouvard e Pécuchet.  In Italia invece è stato determinante per aver stimolato, insieme a SPAVENTA, la nascita dell'idealismo con CROCE e GENTILE. Il suo saggio filosofico più famoso è “Il problema dell'assoluto.” Si dedica anche a tematiche giuridiche e politiche su Cavour con Libera Chiesa in libero Stato, in cui attribuie il ritardo del processo di rinnovamento liberale in Italia alla mancanza, durante il suo rinascimento, di una riforma luterana come quella d'oltralpe. Tesi in latino: “Platonis, Aristotelis et Hegelii: de medio termino doctrina. Quaestio philosophica”. Saggi: “Amore e filosofia: orazione inaugurale nel solenne riaprimento dell'accademia (Milano); “La pena di morte” (Napoli); “Prolusioni alla storia della filosofia e alla filosofia della storia” (Napoli); “Ricerche sulla scienza speculativa e sperimentale” (Napoli); “La filosofia della storia” (Firenze); “Cavour e libera Chiesa in libero Stato” (Napoli); “Problema dell'assoluto” (Napoli); “Platone e l'immortalità dell'anima” (Napoli); “Saggi filosofici” (Napoli). Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nastrino per uniforme ordinaria. Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Enciclopedia Italiana. V., su treccani. La Civiltà cattolica, Firenze, libraio L. Manuelli. Sträter osserva in proposito che V. sembra la degna riproduzione italo-francese di quel tipo a cui in Germania usiamo dare il nome di hegeliani o anche di ortodossi di stretta osservanz -- cit. in Tortora, Le filosofie italiane,  de "Le filosofie contemporanee", Università degli Studi Federico II di Napoli. La rinascita hegeliana a Napoli, su eleaml. altervista.o.  Lezioni di V., raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano, Monnier, Firenze, Revue Flaubert, L'escatologia pitagorica nella tradizione occidentale, su rito simbolico. Cotroneo, Filosofia e storiografia, Rubbettino, Mariano, Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze, Monnier). Gentile, V. e l'ortodossismo hegeliano, in Le origini della filosofia contemporanea in Italia,  Messina, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, PLEBE, Spaventa e Vera, Torino, Edizioni di Filosofia, Oldrini, “Gli hegeliani di Napoli. V. e la corrente ortodossa” (Milano, Feltrinelli); Cricelli, V. e la filosofia hegeliana, Il Testo. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  V., Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Vita e opere di V., su malerba. Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze Monnier).  Gatti, per far meglio conoscere ai lettori della sua Rivista napoletana Augusto Vera, il pensatore illustre che insegnava già da due anni nell'Università di Napoli, ma non pare godesse la riputa-zione e la simpatia di altri professori aderenti alla stessa scuola filosofica e assai men noti fuori d'Italia, pubblicava due inediti frammenti di filosofia hegeliana del  Vera: e si accingeva quindi a voltare in italiano e a divulgare in elegante o puscolo una discussione dell'empirismo inglese, dall'autore già pubblicata a Londra nel 1856 %.  Gli pareva che le questioni toccatevi fossero cosi fondamentali e riguardassero cosi da vicino l'essenza stessa del sapere filosofico da poter giovare all'Italia non meno che all'Inghilterra, aiutando gli studi nostri ad orientarsi verso un concetto esatto della filosofia come scienza dell'assoluto, da conseguire con un metodo adeguato al suo oggetto, ossia parimenti assoluto: che era la tesi propugnata dal Vera dal punto di vista dello hegelismo, che è a come a dire l'ultima parola della scienza». Giac-ché la reazione sorta in Germania, in quegli anni, contro questa filosofia, era, agli occhi del nostro Gatti, fallita, non essendo riuscita ad opporre allo hegelismo e un altro sistema della medesima comprensione, il quale abbia potuto come quello impadronirsi di tutto il sapere e penetrarne tutte le parti». E intanto il Gatti vedeva che non c'era campo di studi che il pensiero hegeliano non avesse fecondato, « e le scienze naturali e le filologiche e le istoriche son tutte piene del suo spirito. Prova indu-bitata che quel sistema rappresenta la general maniera di pensare e le esigenze del pensiero contemporaneo e che ha le sue radici, come ogni altra filosofia le ha avute, nelle intime condizioni dello spirito stesso del secolo», Le proteste individuali erano state sopraffatte dall'energia del pensiero; e lo spirito della filosofia combattuta aveva, senza che essi lo sapessero, soggiogato i suoi stessi avver-sari, « riducendoli, quasi direi, a muoversi nella sua atmo-sfera, a respirarne l'aria, a guardare attraverso di essa le cose e i fatti e le loro relazioni e trasformazioni ».  Questa filosofia con sforzi perseveranti e con ricchezza non comune di sapere il Vera s'era studiato di diffondere, di renderla accessibile al maggior numero in Francia, «d' inocularla colle sue genuine fattezze in Italia » e d'ini-ziarvi anche l'Inghilterra. Di questa vasta filosofia il Gatti non conosceva « né più intero interprete, né più ardente propagatore, né più libero e insieme più fedel seguace; e ne tesseva l'elogio con evidente intenzione di contrapporlo a un altro interprete della stessa filosofia, che insegnava allora nella Università di Napoli accanto al Vera, e che molti pel rigore e la profondità del pensiero come pel libero atteggiamento verso l'autore del sistema propendevano a mettere al di sopra del Vera. « Con una conoscenza profonda del sistema che ha accettato, con una persuasione intima che fuori di quello non sia salvezza per la filosofia, il Vera è lontano da quella pedan-teria che fa consistere la profondità o la sostanza di un sistema in certe astruserie di formole, le quali spesso perdono il significato passando di una lingua in un'altra.  Né meno è lontano da quella affettazione d' indipendenza per la quale i discepoli più pedissequi si credono talora ambiziosamente obbligati a cercare un punto in cui si possano mostrare in disaccordo col maestro». Dove par di udire l'eco di certi giudizi privati dello stesso Vera, che, come vedremo, fu di proposito e per forza il più ortodosso degli hegeliani. Non v'ha dubbio d'altronde che egli, in perfetto accordo col Gatti, fosse convinto che la sua perfetta ortodossia non stesse per nulla a scapito della sua originalità: « Francamente e compiutamente hegeliano ha invece tutta quell'aria di originalità che viene dall'intera padronanza di una dottrina divenuta propria x 1.  2. — Pure questo franco e compiuto hegeliano, questo geniale e originale espositore di Hegel in un paese cosi ben preparato a ricevere un insegnamento di filosofia hegeliana, come forse nessun altro in Europa, insegnò a Napoli per circa un quarto di secolo senza quasi lasciarvi traccia della sua opera. E il suo nome, se vivo ancora in Francia e altrove come quello del traduttore francese dell' Enciclopedia e di parte della Filosofia della religione di Hegel, è presso che dimenticato in Italia, dove Hegel ora si può leggere in traduzioni italiane migliori e s'è spenta la fievole eco de suoi scritti. Il discepolo, l'unico discepolo del Vera, fu Raffaele Mariano che, a furia di dilucidare in prolisse elucubrazioni quei profondi concetti che gli pareva d'aver imparato a intendere alla scuoladel suo maestro, fini col non raccapezzarne più nulla 1.  E anche lui non mancò mai di fare le proteste del Gatti intorno all'originalità del maestro, sciogliendole bensi nel suo stile lungo e nella sua più libera logica. La mente dell' Hegel, disse egli, una volta, tessendo l'elogio del  Vera, «appunto per la novità, e ancora più per la vastità sintetica ed organica, era apparsa pressoché impene-trabile. Non solo fuori della Germania, ma quivi stesso la forma astrusa ed inviluppata aveva fatto intoppo  agli stessi discepoli immediati di lui, i quali in molti, e forse nei punti più essenziali, non giunsero ad affer-rarla». Ma quel che non giunsero ad afferrare gli scolari immediati, l'afferrò, miracolosamente, il Vera, che mai non vide l' Hegel; e con sapiente accorgimento poté comunicarlo a chiunque poi ne avesse voglia. * A renderla universalmente accessibile e intelligibile, era necessario spezzarne il rigido involucro formalistico, schiuderne e rivelarne lo spirito e le intime e recondite potenze. E tale è lo scopo a cui il Vera ha mirato». Egli non riprodusse, non ripeté le cose da colui insegnate; ma vi aggiunse la spontaneità ed originalità del proprio pensiero ». Come si possa aggiungere alle cose un'originalità e spontaneità di pensiero, lasciando le cose quelle cose che erano, il Mariano naturalmente non può dirci se non ripetendo, alla sua volta, la metafora del viluppo formalistico che il Vera spezzò, per assicurarci che « passando attraverso la mente di lui, l' Hegel esce rifatto, rinnovato, compiuto; non è più l'Hegel, che, nel primo intuire e manifestare i suoi nuovi e profondi concetti rimane incompreso e riesce in molta parte incomprensibile; ma è l' Hegel che, a dir così, s'è ripiegato sopra di sé, è ritornato suiconcetti suoi, e, pel ripetuto lavorio riflessivo e cogita-tivo, vi ha acquistato consapevolezza perspicua e piena ».  L'originalità non consiste « nell'avere e nel propalare una dottrina di nostro capo». La dottrina del Vera è quella di Hegel: tal quale. Ma l'essenziale dell'originalità consiste, a giudizio del Mariano, nel contribuire a mantener viva, svolgendola ed allargandola, la tradizione filosofica (anzi «la continuità» di questa tradizione):  consiste nel concorrere « a spingere, a condurre il pensiero e la ragione ad una più intima, ad una più consapevole comprensione di sé e dell'universo». O che volete che il Vera inventasse? L'invenzione non è affar della filosofia (ciò che proverebbe troppo, perché bisognerebbe allora indurne o che Hegel non ha trovato nulla di nuovo, o che quel che ha trovato, non ha che fare con la filosofia).  « Più dell'escogitare e porre nuove questioni, vale a gran pezza il dare alle antiche questioni soluzioni soluzioni più adeguate, più determinate e concrete che penetrino più addentro nella natura di quelle»* In-  somma, il Vera fu più originale di Hegel!  3. - Ma se l'originalità è stata per solito messa in dubbio, la fedeltà, invece, agl' insegnamenti dell' Hegel, la schiettezza e rigorosità dell' hegelismo da lui professato sono state sempre riconosciute universalmente; e perfino hegeliani tedeschi come il Rosenkranz lo proclamarono tra i più autorevoli e felici interpreti della dottrinaOnde spesso nei paesi di lingua latina è accaduto che detti e modi del Vera passassero per detti e modi di Hegel, e che i più trovassero comodo di cercare l'immagine del  filosofo tedesco nel suo traduttore e manipolatore italo-francese, fattosi l'apostolo ispirato e il privilegiato maestro del suo verbot. Hegel e Vera furono per molti anni due nomi inseparabili. Lo stesso Vera, rinato nello spirito hegeliano, non serbò quasi più nessuna memoria della sua vita precedente e dovette finire col persuadersi di non essere mai stato altro che illuminato da quella su-periore luce, che fu per lui l'hegelismo. Non pare che il suo scolaro e intimo amico, che se ne fece biografo, cono-  scesse direttamente i primi scritti di lui; né si può spie-gare se non come un'eco di conversazioni dello stesso Vera quel che racconta dell'esame pel dottorato sostenuto dal Vera alla Sorbona: dove gia egli si  sarebbe  presentato, nel 1845, paladino dell'idealismo assoluto.  Fu questo il momento, racconta il Mariano, in cui gli screzi già latenti tra lui e il Cousin si fecero mani-festi. L'appoggio da costui prestatogli non era valso a far velo alla mente del Vera. Le dottrine e un po' anche  il carattere, tutt'altro che schietto e sincero, dell'uomo gli avevano ispirato sin dal principio forte ripugnanza.  Ora che nella filosofia di Hegel s'era addentrato e ne aveva misurato davvero l'intimo e profondo valore,gli faceva sopra tutto nausea la guerra sleale da colui mossale, dopo averla sfruttata». Guerra che avrebbe fatto tremare un candidato meno del Vera coraggiosamente risoluto a scendere in campo per le proprie idee.  Questi invece, irremovibile nelle sue convinzioni, deciso ad affermate a viso aperto, facendo tacere considerazioni e rispetti umani e mondani, quella che egli reputava la verità, non esitò un istante a presentare due tesi pel dottorato, il Problème de la certitude e il Pla-tonis, Aristotelis et Hegeli de medio termino doctrina, delle quali il Cousin non voleva affatto sentir parlare..  Fortuna che, se il Cousin fu fieramente avverso (argo-mentando, ci assicura il Mariano, contro quelle tesi a in modo poco degno, nonché per un filosofo, ma per un uomo serio*), tutti gli altri membri della commissione furono unanimi nel dire che « da un pezzo alla Sorbona non s'era avuto un esame si splendido»; e uno di essi, il Saint-Marc-Girardin, « discutendo sull'essere e non essere, fece una specie di professione di fede hegeliana i con grande sorpresa del Saisset che lo sapeva solito ad andare a messa tutte le domeniche. Ma il Mariano lascia credere che dopo quell'esame si sarebbe voltata in Francia pel Vera la ruota della Fortuna, che vi aveva percorso piuttosto rapidamente la carriera dell'insegnamento.  Sicché il filosofo italiano avrebbe incominciato fin d'al-lora, a proprie spese, il suo apostolato, durato fin presso alla morte, incoltagli nella solitudine e nell'abbandono, a Napoli, in mezzo alla quasi indifferenza d'una nazione incapace d'apprezzare l'alto valore scientifico e morale della dottrina e dell'uomo che se n'era fatto campione.imparare da giovinetto l'inglese. Compiuti gli studi letterari nei seminari di Amelia, Spello, Todi, era passato a studiar leggi nella Università di Roma; ma non pare venisse a capo di nulla. E nell'inverno 1835 cedé agl' inviti d'un suo parente, archeologo e antiquario, che dimorava in Francia; e si recò a Parigi. Dove conobbe alcuni scrittori illustri; frequentò la Sorbona; e il 1837 poté ottenere il posto d'insegnante di latino e letteratura francese nell'Istituto di Hofwyl, presso Berna, diretto dal Fellenberg, discepolo del Pestalozzi. Vi rimase un anno, e vi studio il tedesco e la filosofia germanica, specialmente Kant; ma alla fine di quell'anno gli convenne dimettersi a causa delle sue opinioni religiose non cosi rigidamente cristiane come le avrebbe volute il direttore dell'Istituto, quantunque il Vera allora riconoscesse la divinità di Cristo. Passò in un altro istituto, a Champel, vicino a Ginevra 1; e vi comincio a insegnareanche filosofia. A Champel un suo collega hegeliano l'introdusse nella conoscenza della filosofia di Hegel.  Ma nel 1839 era tornato a Parigi, dove il Cousin cono-sciutolo e avuto con lui un colloquio intorno alle condizioni degli studi filosofici, gli avrebbe chiesto: Voules-vous vous enrôler sous ma bannière? E di li a pochi giorni gli avrebbe recato a casa egli stesso il diploma (Io settembre 1839) di professore di filosofia nel collegio comunale di Mont-de-Marsan, L'anno dopo il Cousin, ministro dell'istruzione, lo promoveva a Tolone. Donde il Vera, che intanto s'era fornito dei necessari gradi accademici, era nel 43 trasferito a Lilla. Di qui nel novembre 1845 a Limoges: dove rimase fin al 48, quando per un anno suppli il Franck in un liceo di Parigi. Da Limoges nell'aprile 49 passò a Rouen, e quindi nel settembre 1850 a Strasburgo. Che fu l'ultima tappa del suo insegnamento in Francia. Dopo il colpo di Stato, non si sa perché, lasciò questa sua seconda patria; e si recò in Inghilterra. Dove sperò da principio di ottenere una cattedra filosofica nell'Università di Londra; ma dovette contentarsi di vivere de' magri proventi di conferenze private e lavori letterari. Alla fine del 1859 torno in Italia, e nel gennaio del 1860 il Mamiani lo nominava alla cattedra di Storia della filosofia nell'Accademia scientifico-letteraria di Mi-  lano; donde il 24 ottobre dell'anno successivo il ministro  De Sanctis lo tramutava, insieme con Bertrando Spa-venta, all' Università di Napoli. E qui rimase tutto il resto della vita; e mori il 13 luglio 1885.5. - Quandera a Tolone nel maggio 1843, secondo il Mariano, egli avrebbe pubblicato nella Revue du Lyon-  nais «il suo primo scritto filosofico»: Philosophie alle-mande: Doctrine de Hégel, che dovette essere un breve articolo informativo. " Rapido schizzo», e' informa lo stesso Mariano, « della filosofia germanica da Kant ad  Hegel »: e continua:  Certo, come primo scritto, si risente dell' insufficienza degli studi. Il pensiero non vi è per anco profondo né appieno sicuro e maturo: pure, er ungue leonem: ci è uno sguardo a dir cosi fatidico sulla seconda maniera della filosofia di Schelling, che allora insegnava a Berlino. Quel che essa propriamente fosse, il Vera non mostra saperlo in modo chiaro e preciso; e, nondimeno, in una nota osserva che non potrebbe aggiungere nulla di nuovo al pensiero filosofico tedesco, il quale con Hegel aveva toccato al più alto punto di svolgimento, e che con le sue nuove speculazioni lo Schelling.  lungi di accrescersi gloria, se la sarebbe  diminuita 1  Checché ne sia di questo scritto (che io non ho potuto vedere), a leggere il giudizio che del sistema di Hegel il Vera faceva anche due anni dopo, si stenta a credere che questo sistema potesse nel '43 esser detto da lui il più alto punto di svolgimento della speculazione germa-nica. Certo, non fu quello il primo scritto di carattere filosofico pubblicato dal Vera. Nel Museo scientifico, letterario ed artistico, che si pubblicava a Torino sotto la direzione del poeta estemporaneo Luigi Cicconi (che il Vera conobbe in Francia e fu da lui presentato a Mme Louise Colet, presso la quale ebbe frequente occasione d'incontrarsi col Cousin) 3, egli aveva già inserito il 16 febbraio 1839 un articolo sulla Filosofia della storiadel Ballanche, annunziando il proposito di « scrivere alcun cenno sui più famosi sistemi che governano il movimento delle idee de tempi nostri, in Francia e in Ale-magna, al fine di « spargere in Italia alcun soffio della vita intellettuale che si vive», egli diceva, al di qua de' monti». Egli avrebbe fatto soltanto la parte dell'espo-sitore, lasciando al lettore quella del critico e riserbandosi intatta la propria opinione. Ma non cela le sue idee a tal punto da non lasciare scorgere che il Ballanche, che fu uno dei primi scrittori francesi che egli personalmente conobbe e coi quali strinse relazioni amichevoli, un forte influsso aveva esercitato sulla sua mente giovanile, Per spiegare infatti il vivo interesse cosi largamente diffuso nel periodo della restaurazione per gli studi di filosofia della storia, il Vera rappresenta coi colori proprii dei tradizionalisti cattolici del tempo il senso di sgomento onde fu presa la società in seguito all'opera demolitrice delle dottrine del sec. XVIII. Le quali avevano distrutto, anche secondo il giovane scrittore umbro, « l'edificio sociale, senza poterlo ristorare. e abbandonata  «l'umanità come perduta in una vasta solitudine senza religione, senza costumi, senza leggi ».  Il turbine della rivoluzione, dopo aver solcato il suolo di Francia e dell'Europa, dopo aver scosso e scompaginato i troni e gli altari, e offerto dappertutto olocausti di sangue umano colpevole e innocente, andava a spegnersi sulle spiaggie lontane e deserte dell'Africa. La ragione gemette allora sui suoi travia-menti, gittò uno sguardo pieno d'ansia e di dolore sul passato e sul terribile avvenire, e non vide ovunque che ruite, nazioniin aspro travaglio, credenze affievolite o spente, l'uomo avvolto nel fango del senso, dimentico di sé, di Dio e dell'alto fine a cui è creato. Ma in mezzo a questo trambusto d'opinioni.... vi furono degli uomini generosi e santi, che custodirono puro ed intatto il sacro deposito della verità e della scienza, e lo condussero a salvamento a traverso gli incendi e le ruine, e lo mostrarono qual segno di salute all' Europa attonita e sfiduciata. Si nobile officio adempirono l'illustre autore del Genio del Cristianesimo, il conte De Maistre, De Bonald e Ballanche.  Dopo la Rivoluzione, la società dovette pensare al proprio avvenire per rialzare quanto era stato demolito; e per questo bisogno sarebbe sorta questa profonda riflessione di tanti pensatori sull'andamento delle cose umane e sulle leggi che governano il corso della storia.  *Noi rigettiamo a tutta possa le dottrine del XVIII se-colo, e gli effetti che ne sono derivati. Saremmo però ingiusti e irragionevoli se ricusassimo loro il beneficio di aver risvegliato una novella energia nella società ». Anche nel 1839 dunque dopo la prima conoscenza dell' hege-lismo fatta già in Svizzera, egli era dominato dallo spirito tradizionalista e aspirava anche lui alla ristaurazione nella religione; e se inneggiava alla novella energia della ragione risvegliatasi in Francia e in Germania, (e doveva ignorare quel che intanto, più profondamente, aveva fatto in Italia il Rosmini, e già s'apprestava a fare con maggior forza il Gioberti), questa energia non gli appariva ancora nella forma più possente dell'idealismo assoluto; quantunque gli studi che in quel torno continuava sugli scrittori tedeschi gli facessero intravvedere di là dal Reno una gran luce nuova.  Caratteristico, sotto questo riguardo, l'esordio di un articolo su Koerner pubblicato nello stesso giornale, nell'aprile dell'anno dopo. In esso, ricordata la Germania di Tacito, scritta con la speranza che al paragone i concittadini avrebbero provato onta della propria degradazione e si sarebbero indotti a ristorare le vecchie e cadenti istituzioni della patria, protestava:Io non ho né la forte penna, né l'autorità dell'austero patrizio di Roma, ma ho ugual affetto pel mio paese, ugual sentimento della grandezza e dignità dell'uomo, e mi stimerei ben fortunato se questi scritti invogliassero i miei concittadini a comprendere e studiar il movimento della scienza e letteratura tedesca.  Allorché Tacito scrivea, era ben lungi dal prevedere ciò che segui.  Il settentrione fece irruzione sul mezzodi, e il giovin sangue germano scese a rinvigorire le razze vecchie e spossate degl' itali.  Ora l'umanità è più ricca d'esperienza e di previsione; e chi può e sa esaminare lo stato della società e della scienza, vede chiaramente che avvenimenti analoghi si preparano; ma ora i popoli non si rinnovellano per dir cosi fisicamente, per mezzo d'emigrazione e di grandi catastrofi, ma spiritualmente. per virtù e commercio delle idee e della scienza. E questa si e una delle più grandi, e forse la più gran differenza tra il vecchio e il nuovo mondo.  Idea non mantenuta poi interamente, dopo che ebbe meglio conosciuto Hegel; ma che già era attinta a quella stessa corrente del romanticismo tedesco, da cui era sorto il pensiero hegeliano, e che, meglio determinata più tardi in conformità delle opinioni espresse da Hegel, segnatamente nella Filosofia della storia, resterà uno degli articoli più saldi del credo del Vera.  6. - Gli articoli, che tra il 40 e il '45 dovette venite scrivendo in vari giornali, da lui stesso poi dimenticati (o rifiutati), ci aiuterebbero forse a illuminare questo periodo di formazione della sua mente, e a determinare quindi meglio il carattere del suo posteriore sviluppo.  Ma siamo costretti a saltare alla tesi francese e alla tesi latina del 45, che lo stesso Vera citò sempre nelle sue opere degli anni più tardi come contenenti dottrine hege-liane; e invece serbano alla nostra curiosità la inaspet-tata scoperta di un Vera (del più vecchio Vera, non destinato presumibilmente a sparire del tutto nel nuovo !) antihegeliano.  Vera antihegeliano! Si direbbe una contradictio in adiecto. Eppure in questi due scritti il Vera non solo combatte Hegel, dandogli battaglia sul terreno stesso della sua logica, e come nella piazza forte della sua dot-trina; ma si inspira a tutta una concezione recisamente avversa allo spirito hegeliano.  Ci sia permesso di studiare con qualche cura questo  Vera antihegeliano, nella speranza che la conoscenza di esso ci giovi ad intendere meglio il Vera di dopo, e fors'anco a darci la soluzione di quel problema storico, in cui ci siamo di sopra incontrati: di un cosi poderoso hegeliano, che per molti anni insegnò e scrisse liberamente con l'autorità di un ufficio universalmente tenuto in grande estimazione e reverenza, e in un paese già pregno di spirito hegeliano, senza lasciar quasi  nessuna  traccia dell'opera propria.  7. - Sedici pagine della tesi francese 1 contengono una rapida esposizione e una critica dei principii fondamentali della logica hegeliana; ma delle sedici, l'esposizione ne ha sole quattro. Dove si dice che, secondo Hegel, l'essere e la conoscenza, l'esistenza e la verità fanno uno: sono due forme d'una stessa unità, percorrono gli stessi gradi, si sviluppano e finiscono simultaneamente. L'essenza delle cose è la ragione, e la ragione è il pensiero puro, perché il pensiero non ha altro oggetto che se stesso, cioè la nozione o l'idea. Porre con un processo d'analisi ciò che è essenzialmente contenuto nell'idea, sviluppare  L'idea sotto tutte le sue forme, seguirla e, per cosi dire,ritrovarla ne' diversi gradi dell'esistenza, questo il compito della filosofia. Ed ecco spuntare un' interpretazione dello hegelismo, che si può certamente difendere sotto il riguardo storico, ma che può anche condurre a una radicale falsificazione del significato storico di questa filosofia. Giacché altro è dire che l'essere e la conoscenza, il reale e l'idea sono uno, altro che siano due forme, due facce di un'unità, tra loro perfettamente parallele.  Nel primo caso siamo sulla via dell'idealismo assoluto; e nel secondo siamo nello spinozismo e potremmo finire addirittura nel platonismo accentuando, come fa il Vera, l'organismo dell'idea come unico oggetto della filosofia.  L'idea, secondo il Vera, è da prima, nel suo stato astratto e assoluto, separata da ogni esistenza concreta e da ogni oggetto. Come tale si sviluppa in una serie di termini, il cui insieme costituisce la logica. Questo sviluppo ha luogo in virtù d'un movimento proprio e interno alla stessa Idea, prodotto dalla dialettica dell'Idea, ossia da una necessità inerente a questa, per cui l'Idea si nega e passa nel suo contrario, e annulla quindi l'opposizione in un terzo termine che ci dà l'unità e la conciliazione dei due primi. Con questo processo l'Idea attraversa tutte le forme logiche fino all'ultima, che è l'Idea asso-luta: con la quale si compie la logica che è «l' Idea allo stato astratto», ossia: una realtà, una forza infinita, ma una realtà, una forza che ignora se stessa ». Essa deve realizzare l'idea della sua infinità, deve acquistare la coscienza di sé: deve, per dir cosi, manifestarsi a se medesima, ponendo un oggetto alla propria attività ..  Evidentemente, qui il Vera concepisce il passaggio dall'Idea alla Natura, o dall'astratto, com'egli dice, all'esi-  stenza, come un'aggiunta anzi che  come uno sviluppo.  L'oggetto che l'Idea si dà nella natura, non par che ei lo concepisca come la stessa Idea. E vero, che chiarendo poi l'antinomia di Logica e Natura, dice: «l'Idée, DE-VENUE NATURE, se sépare en quelque sorte d'elle même»; ma, poco dopo, definisce lo Spirito (il tetzo termine in cui concilia Logica e Natura) «un idéal où l'Idée a acquis la conscience d'elle même, où, APRÈS AVOIR, pour ainsi dire, FAÇONNÉ SON OBJET el s'être retrouvée en lui, elle rentre dans son absolue antén.  Ma, e questo è più notevole, pel Vera, lo Spirito, come mediatore dell'Idea logica e della Natura, non è, logi-camente, dopo la Natura; bensi nella stessa Natura, quantunque non vi si possa realizzare. V' è dentro, ed esso (come finalità) la muove da dentro. Onde la triade vien capovolta. Non è la dialettica dell'Idea che crea il mondo. La dialettica dell'Idea hegeliana, al pari della pigra dialettica delle idee platoniche, non genera nulla, non vive, non si muove. « L'Idée ne devient pas, à pro-prement parler; car elle est éternelle et infinie.. E lo Spirito farebbe proprio le parti del demiurgo del Timeo. * Son oeurre consiste à faire descendre l'Idée dans la Nature, et puis à vamener la Nature à l'Idée par un acte pur et simple de la pensée». E cosi col divenire dello Spirito l'Idea spiegherebbe tutta la ricchezza delle sue forme, penetrando nella Natura ed entrando in possesso della sua esistenza assoluta. Per se stessa, adunque, la Logica potrebbe restare un arsenale di armi arrugginite.  Ma non è meraviglia se qui il Vera non penetrasse nell'intimo del sistema hegeliano, poiché protestava che esso «donne lieu à des graves objections», pur giudicandolo una delle più vaste e profonde concezioni della filosofia moderna. I due elementi, egli notava, di questo sistema, sono 1' Idea e il movimento dialettico, Gravi difficoltà s'affollano intorno ad entrambi. L'Idea è da principio essere puro, che trova la sua negazione nel puro niente, e la conciliazione con questo nel divenire. Ma, dice il futuro hegeliano: è proprio vero che l'essere puro contiene il niente? «L'essere puro, dice Hegel, richiama [appelle)il niente, perché non c'è in esso nessun segno, nessun carattere, e niente si può pensare né affermare di esso ».  Questa spiegazione dell'identità essere - niente più tardi apparirà anche a lui ineccepibile: qui invece non riesce a rendersene conto. L'essere, egli dice, o è, o non è. Se non è, allora tanto vale cominciare dal niente, quanto dall'essere. Se è, ci sarà soltanto l'essere, e non si vedrà il suo contrario.  Così, in due parole, la prima proposizione della Logica è bella e spacciata. Non monta che Hegel inviti a considerare che proprio lo stesso concetto dell'essere che è, puramente e semplicemente, s' identifica col non-essere, da se medesimo (e che insomma richiami l'attenzione sulla impossibilità di tener separati i due concetti di essere e non-essere). Il Vera non sa vedere altro essere che l'essere di Parmenide (l'idea stessa platonica): e però sentenzia che «l'idea del niente è qui aggiunta all'essere da un pensiero finito, anzi che esser dedotta dall'analisi pura dell'idea stessa dell'essere». E così anche il Vera, almeno qui, resta tra le corna di quello stesso dilemma, in cui si impiglio, come vedemmo, il Passerini *. E come era da prevedere, non riesce quindi a capacitarsi del terzo termine della triade: il divenire. Questo termine non si può, egli dice, dedurre legittimamente dai primi due.  Infatti, se di fronte all'essere puro c'è il puro niente, il niente annullerà l'essere, e non ci sarà punto divenire. Inoltre: di ciò che diviene si può dire che i o che non è, ma non che è e non è a un tempo; perché, se ciò che diviene è realmente a un dato momento del suo divenire, non si potrà dire di esso se non che  ¿, e il niente sarà avanti o dopo di esso. Che se al contrario si concepisce ciò che diviene come tale che in ogni momento del suo divenire non sia, tutto quello che se ne potrà dire, è che non i, e non che diviene. Ancora: da quale dei due termini il divenire è dedotto? O dall'essere o dal niente divisi, o dall'esseree dal niente congiunti. Ma non può esser dedotto dal niente, perché il niente, non essendo, non può divenire. Né dall'essere, perché l'essere è, e non diviene. Né dall'essere e dal niente presi insieme, perché, quel che non possono separati, non potranno neppure congiunti. E del resto, chi li congiunge? il divenire ? ma allora il divenire non sarà dedotto dalla loro combinazione.  Ovvero sono riuniti prima di divenire? ma allora non si vede più quale sia l'ufficio [le vôle] del divenire.  Sofismi dello stesso genere di quelli di Zenone, di Gor-gia, dei Megarici; e che avevano un grandissimo valore quando la logica era la logica degli Eleati, dell'essere che non può essere altro che essere: la logica che con Platone e Aristotele si fisso e s' irrigidi come logica dell'idea astratta; ma che dopo Hegel giova conoscere soltanto come documento dell'educazione mentale del Vera trentaduenne, indugiantesi tuttavia agli antipodi della nuova concezione dialettica hegeliana.  Procedendo, l'oscurità si addensa, com'è ovvio, al passaggio dalla Idea logica alla Natura. « Questo passaggio non è spiegato». Si dice che l'Idea nella natura si dà l'oggetto, per conoscersi poi nello spirito. Dunque, nella logica non si conosce. E come da questa idea senza oggetto e ignara di sé può ricavarsi la realtà e la cono-scenza? E se non ha un oggetto in cui conoscersi, come va che la meta di tutto lo sviluppo è la conoscenza appunto dell'Idea nella sua pura idealità logica? - Voi volete dedurre da questa Idea logica la natura e lo spirito.  Ma, quantunque sia difficile vedere come si possa, con una deduzione pura  l'intervento dell'esperienza,  cavare  l'idea della natura dall'idea logica, ad ogni modo non si potrà tirare altro da un essere logico che un essete egualmente logico: e cosi non si avrà più una natura reale, ma una natura ideale:  non si avrà esseri organizzati, qualità e una materia concrete, ma esseri organizzati, qualità e una materia astratte. E in fine sarà sempre l'Idea logica. Solamente,  I'Idea-natura espri-  merá altra cosa dell'Idea-logica, ma, in quanto Idea,non ci sarà tra loro nessuna differenza. E lo stesso si dica dello spirito, Giacché, con una simile deduzione, si avrà uno spirito ideale e non uno spirito reale e personale.  Obbiezioni, senza dubbio, tutt'altro che lievi, ma che provano appunto che egli aveva inteso la dottrina di Hegel come una nuova edizione non corretta, in verità, né riveduta della platonica: l'Idea fuori del mondo, e non come lo stesso principio interno e assoluto del mondo. La Idea hegeliana, non essendo natura né spi-rito, è astratta, pel Vera, e cioè non reale. E invece per Hegel è la stessa realtà. Onde lo sforzo maggiore che egli dovrà fare per entrare nell' hegelismo, e quasi la breccia che gli dovrà aprire il varco per introdursi in questa filosofia, consisterà proprio in questo punto: d'intendere l'idea come realtà, e fin da principio l'es-sere, non come l'idea dell'essere, ma l'essere dell'Idea.  8. - Quanto allo Spirito, ci sono altre gravi ripu-gnanze, O l'Idea, egli dice, pensa fin da principio, nello stato d'Idea logica, o pensa quando diviene Spirito.  Ma nel primo caso l'edifizio hegeliano crolla; ed Hegel infatti esclude questa alternativa. Per pensare, adunque, deve farsi Spirito. E allora o la facoltà di pensare c'era nell'Idea fin da principio, o le si viene ad aggiungere quando si trasforma in Spirito, Ma, se l'Idea come tale avesse già la facoltà di pensare, non potrebbe non pensarsi, almeno come Idea. Se questo pensiero le si aggiunge, allora il pensiero sarà altra cosa dall'Idea, e dovrà avere un'altra origine. E poiché il pensiero, non derivando dall' Idea, conterrebbe in sé l'Idea e la rea-lizzerebbe, sarebbe un principio superiore all'Idea, la quale non si potrebbe più dire essenza di tutte le cose. - Obbiezione anche questa assai grave, ma fondata sulla falsa concezione dell'Idea hegeliana come contenuto-oggetto di pensiero, e non, qual'è, forma assoluta e cioèassoluto soggetto,  sich wissende Wahrheit, come dice  Hegel: onde, se si distingue uno Spirito da un Logo, anche questo, per Hegel, è pensiero.  Se si nega, insiste il Vera, la successione di Idea, Natura e Spirito, facendone tre termini inseparabili e simultanei di un'unità, che è la pienezza dell'esistenza e la vita del mondo, viene a mancare il movimento: tutto è, e nulla diviene. Il divenire nel sistema hegeliano non è nell'Idea in sé. « Si elle devient, c'est-à-dire si elle se ma-nifeste, c'est par l'action successive de l'esprit qui la pense».  Bisogna dunque ammettere una successività, che importa nello spirito qualche cosa che non è nell'Idea: bisogna concepire questo Spirito non come l'idea dello Spirito, bensi come pensiero di un soggetto uno e indivisibile, che genera le idee e comunica loro attività e vita.  Cosi a questa unità dell'essere e del conoscere, che si pretende realizzare nell'unità dell'Idea, sfugge, e la molteplicità degli elementi riapparisce ». Anche ammesso che il pensiero possa ricavarsi dall' Idea, esso penserebbe bensi insieme i due contrari, ma distinguendoli, non unificandoli. Essere e non-essere, idea e natura, bene e male, giustizia e crimine restano nel pensiero opposti.  E del resto « lors même que la pensée pourrait effacer l'op-position des contraires, il ne suivrait pas de là nécessai-rement que l'opposition aurait disparu dans la réalité », Ora che l'opposizione non possa esser cancellata dal pensiero, si è visto per le due categorie di essere e non-  essere: ma si può dimostrare in un modo più generale «en signalant un vice qui atteint el ruine, suivant nous,  tout le système d' Hégel».  9. - Quest'ultima critica è il suggello dell'incapacità del Vera a superare, con tutto l'aiuto di Hegel, la posizione platonica. In questo sistema, egli dice, la verità e l'essere non sono principii, ma risultati. La natura e ilpensiero non sono mossi da un principio posto fuori del mondo, e in possesso della pienezza dell'essere e della verità. L'essere da sé non si muove, né muove. Il non-  essere piuttosto sollecita l'essere; e come essere e non-  essere si uniscono nel divenire, il principio non è l'essere ma il divenire. E lo stesso si dica della triade maggiore  Idea-Natura-Spirito. L'Idea in sé è morta, e non si moverebbe mai. Dev'esser negata nella Natura, perché abbia luogo la vita dello Spirito. Se mai, la Natura, non l'Idea, dovrebbe considerarsi come principio dello Spi-rito, svegliando in certo modo l'Idea e comunicandole con la sua negazione una certa energia. Ma il vero principio è lo Spirito, in cui si concilia l'opposizione di Idea e Natura; e che trascinerà nel flusso del suo divenire l'essere e il non-essere dell'Idea, ossia Idea e Natura.  E insomma: o nulla diviene facendosi l'Idea principio di una Natura come Idea-natura e di uno Spirito che è Idea-spirito; che sarebbe il partito della logica; o tutto diviene, facendosi lo Spirito principio di tutto; che sarebbe il partito dell'esperienza. Nel primo caso si hanno tre idee pure ed immobili, e non si ha il mondo, Nel secondo si ha il divenire dello Spirito, e quindi della Natura e della stessa Idea, ma non si ha più principii, né asso-luto: e lo stesso spirito del mondo, di cui parla Hegel, non sarà, in fondo, se non una generalizzazione dell'esperienza e degli spiriti finiti.  In conclusione, la principale esigenza della critica del Vera è il concetto dell'assoluto estramondano; e la legge del suo pensiero il principio astratto d'identità.  10. - Nella tesi latina (dove la dottrina hegeliana confrontata a quella platonica e a quella aristotelica del termine medio è appunto la dialettica, la cui sintesi vien considerata come termine medio tra tesi e antitesi) il Vera ripete in parte la critica che abbiamoesposta della sua tesi francese, ma formula pure la prima: e capitale obbiezione nella più schietta forma teistica, che giova a determinare nettamente la sua posizione mentale. Dice qui presupposto gratuito quello di Hegel quando ideas aeternas rerum causas el principia esse contendit!. Le idee possono aver questo valore, oppone il Vera, si cui vi, vel menti, insint, quod sensit Plato. Ciò che non è storicamente esatto, ma serve a dirci in che modo il Vera intendesse il platonismo da cui era do-minato.  E accumula contro le prime categorie altre difficoltà.  Hegel vede il niente nell'essere come una sua determinazione (o nota), perché dell'essere non si può dire se non che è. Ma questo è piuttosto una ragione perché l'essere respinga da sé il nulla. Affinché infatti si possa dire che l'essere è, non occorre che in esso ci sia determinazione di sorta: e il niente vi sarebbe se l'essere fosse in qualche modo determinato: - Poi, se tutto deve cominciare con l'essere e niente ci dev'esser prima del-  l'essere, nec vor, nec res, nec cognitio, allora prima dell'essere non ci sarà altro che il niente; e dal niente si dovrebbe cominciare piuttosto che dall'essere. Ancora: per Hegel l'essere diviene; e niente è. Ma, affinché qualche cosa divenga, bisogna che qualcosa sia, e non divenga.  Giacché se a prima vista pare che quel che diviene sia e non sia insieme, in realtà, chi consideri con più diligenza, esso non è, solamente. Giacché quel che ora diviene,dev'essere stato e non divenuto; e poiché era, diviene. - Inoltre, essere e niente son cose; il divenire, invece, è stato o proprietà d'una cosa; e non può quindi congiungere l'essere e il niente. Hae enim verum proprietatibus virtus inesse nequit. - La verità e la potenza che e è nel divenire, deve ricavarsi da quel che era e che è. Sicché l'essere dovrebbe essere alcunché di più perfetto di quel che ne deriva, realtà o cognizione. Laddove Hegel muove da un essere, che non è il primo essere, ma un essere, per così dire, passato attraverso il niente. Onde il processo va dal meno al più, dall' imperfetto al per-  fetto; il divenire invece è incremento di perfezione.  Verum haec rationi repugnant.  E c'è altro. O c'è un principio delle cose, o no. Se c'è, qualunque sia, o una forza (vis quaedam), o solo una idea (ens logicum), deve preceder tutto, rispetto alla forza, al tempo, al moto, al vero. Hegel muove dall'essere: ebbene da quest'essere, se forza, dovrà ricavarsi la forza di tutto; se idea, tutte le idee. E non si uscirà mai quindi dall'essere; il principio sarà sempre l'essere. - Che se la conclusione dovesse essere il divenire, il divenire non cessa mai, non è mai un atto esaurito: e il processo del reale e del conoscere andrebbe all'infinito. - E guardando ai rapporti non più intelligibili dell'Idea con la Natura e con lo Spirito, la tesi latina, con qualche variante dalla tesi francese, trae questo colpo finale contro la dottrina di Hegel: « Infine, se lo spirito sta di mezzo tra la natura e la idea e per ciò stesso va innanzi alle idee, le idee non sono i principii. E ammesso che siano principii, poiché lo spirito diviene, e le idee sono inerenti allo spirito, è necessario che divengano anch'esse.  Se  non che quel che diviene, non è, ma sarà; né intende, ma intenderà; sicché né spirito né idea avranno coscienza di sé, né ci sarà un fine nel mondo, ma il tutto andrà soggetto alla cieca necessità delle idee».11. - Dei quali errori tutti il Vera trova la prima origine in due cause principali. L'una, che Hegel torse la dialettica dal suo vero ufficio, che è di respingere il falso, alla scoperta e dimostrazione del vero: pretendendo di edificare con uno strumento di demolizione. L'altra, che ben vide doversi cercare nell'infinito la ragione del suo rapporto col finito, ma errò presumendo di rendersi conto del modo di questo rapporto, onde fu costretto a cercare il finito nella stessa natura necessaria dell' in-  finito: ponendo un infinito semplice che si dirompe suapte natura e quodam necessario impetu nelle cose finites, e non potendovi poi restare si sforza di tornare a sé e ri-staurare certo infinito composto, con un circolo che Hegel per altro non riesce a chiudere, perché l'infinito, una volta mescolatosi alle cose finite, non può più tornare infinito.  Egli è, insomma, che Hegel vide il vero problema della scienza; mai però appunto andò più lungi dal segno (sed ob ipsum forsan longius a vero provectum). Perché il Vera è convinto che tale problema è troppo più grave che non possa sostenere l'omero mortale. Funzione del termine medio, fulero d'ogni dimostrazione, è unire il finito con l'infinito. Ma come questa unione avvenga né Aristotele, né Hegel, né lo stesso Platone, quantunque la sua dottrina sia la più soddisfacente, han potuto ad-ditare, perché il rapporto muove dall'infinito, la cui natura sfugge alla mente umana. Si enim intelligeremus (dice il Vera riecheggiando un motivo della filosofia ales-sandrina, già accolto dal Ficino, e tornato in onore nel De antiquissima Italorum sapientia del Vico) *, Si enim intelligeremus (infiniti naturam], non solum rerum ratio, sed el quomodo res perficiuntur nobis innotesceret, neque id tantum, sed el res ipsas quodammodo perficere nobisconcessum esset. Qui enim verum vim naturamque pentus  agnoscit,  his recte uti ad res ipsas conficiendas valebit.  Isque absolute demonstrat qui non modo res intelligit, sed et intelligendo conficit. Quemadmodum summus is est artifex qui opus non modo in mente revolvit, sed et conficit et confi-ciendo sibi et aliis mentem suam patejacit et demonstrat 1.  12. - Di questo scetticismo teistico il Vera tratto di proposito nel Problème de la certitude. Dove, è superfluo dirlo, non solo Hegel, ma anche Kant è assai bistrattato.  Basti per un esempio la prima obbiezione che il Vera muove contro la Critica; ed è che la distinzione di senso, intelletto e ragione è più artificiale che reale; perché né la sensazione è altro che un giudizio, né la categoria ha caratteri diversi dalle idee. « Che l'atto intellettuale non venga ad aggiungersi [sic] all'impressione esterna, e la sensazione non avrà luogo. Essa è dunque un giudizio sollecitato da una causa esterna, ma che, come ogni altro giudizio, non può aver luogo senza l'intervento dell'in-telletto. Sicché senso e intelletto non sono due facoltà distinte; ciò che Kant stesso confessa implicitamente, allorché attribuisce certe categorie al senso non meno che all'intelletto. Infatti, il tempo e lo spazio sono concetti puri dell'intelligenza, né più né meno della causa, della sostanza, ecc., e quelli non sono meno di queste condizioni essenziali di ogni pensiero. Non si vede dunque in che differiscano queste due facoltà, poiché sono sede di nozioni della stessa natura»?. E con osservazioni della stessa forza continua a dimostrare che non c'è modo di distinguere per davvero le categorie dalle idee, fino a far sospettare che il Vera non avesse mai letto la Critica (per la quale infatti rinvia 3 alle lezioni del Cousin).In tutta la storia della filosofia non vede se non sforzi vani per superare lo scetticismo; e il suo lavoro vuol essere un nuovo saggio di teoria della conoscenza. Ogni conoscenza riguarda i fatti o i principii. Fatti sono le esistenze e le qualità fenomeniche; principii, le cause delle une e delle altre. La causa d'un fenomeno non è il fenomeno che lo precede, ma il principio interno, la natura dell'essere che si manifesta nel fenomeno: l'es-senza. Altro è la sostanza, sostrato o soggetto delle qualità; altro l'essenza, forma intelligibile della stessa sostanza. Ed è chiaro che il pensiero non può mirare di là dell'essenza alla sostanza; perché di questa che altro potrebbe cercare che l'essenza? La vera cognizione, che non si arresti al puro fenomeno, s' indirizza all'essenza. Ma l'essenza non è conoscibile, per ragioni derivanti in parte dalla natura sua, in parte dalla costituzione della nostra intelligenza.  L'essenza è una; e intanto è uopo che si moltiplichi negl' individui. Che è il problema della creazione, inespli-cabile, Si ammetterà un'essenza per le cose periture e una per le eterne? Ma quale sarà il loro rapporto? e quale la loro differenza se, come essenze, saranno pure entrambe eterne ed infinite? Si ammetteranno soltanto essenze individuali (atomismo): e allora l'essenza in sé sarà una semplice astrazione. - O si ammetterà una sola essenza; e allora tutti gli individui diverranno fenomeni transitori e apparenze. - E poi è necessario ridurre tutte le essenze a un solo principio, e che questo esista; perché quando ve ne fossero molte, dovrebbero sempre essere tra loro in un rapporto; e questo importerebbe un principio superiore, il quale sarebbe perciò il vero principio e unico. E che sarà questo principio? Gli si possono attribuire, come s'è fatto in tutti i sistemi, tanti caratteri; ma questi caratteri non ci faranno mai vedere l'intimo del principio e la sua propria natura.La natura poi della nostra mente ci toglie la possibilità di montare all'unità assoluta; perché niente possiamo pensare che non si presenti alla nostra coscienza come suo oggetto e che, sia esso Io o non-lo, non si ponga pel fatto stesso d'esser pensato come non-lo di contro al nostro Io. Né giova la pretesa intuizione intellettuale di Schelling. Perché o in essa il pensiero conserva la coscienza di sé, e allora permane la dualità: o smarrisce questa coscienza, e assorbendosi nell'oggetto, non sarà più pensiero, ma il niente del pensiero.  Ignorando l'essenza, non si possono spiegare i rapporti.  Si conoscono le esistenze e si conoscono i rapporti degli esseri; ma dal che non si passa al come. Non si può contestare che io sia, e che siano i prodotti della mia attività interna e del mio pensiero e gli oggetti e fenomeni del mondo esterno. Saranno tutti fenomeni, apparenze fugaci; ma non si potrà negar loro un certo essere e dire che non siano, almeno nel momento in cui sono. Chi si provasse a farlo, si contraddirebbe. Ma se vi sono esistenze che cominciano, che sono e non erano, e, insomma, effetti, questi effetti devono avere una causa. La quale causa o bisognerà cercarla tra le cose finite, o sarà la collezione delle cose finite, o la sostanza infinita di cui le sostanze finite siano emanazioni, o infine un principio separato dal mondo e avente esistenza propria e indivi-  duale. Le prime tre ipotesi sono da escludere.  a) E evidente che non può esser causa del finito un fini-to, che come tale è effetto, e richiede esso stesso una causa.  6) La collezione dei finiti non aggiunge ai finiti se non una unità artificiale ed astratta, esistente solo nel soggetto che la pensa. Quindi non può contenere più dei finiti, né essere altro che finita: cioè un effetto, anch'essa.  Senza dire che la collezione è risultato e non principio, e suppone una causa radunatrice degli elementi e quindi costitutiva di essa collezione.c) La sostanza che producesse eternamente le cose, effondendosi in esse senza potersene distinguere, anzi facendone parte, potrebbe essere o un Io, o una causa meccanica. Un lo, di cui le coscienze individuali fossero parti integranti, sarebbe tanto causa di queste, quanto queste di esso. Giacché in un tutto essenziale alle parti come le parti al tutto, non ci può essere efficienza o causalità vera, ma solo una causalitá logica. Che se l'Io assoluto si concepisca come una forza infinita manifestantesi negli individui, si potrà chiedere: e perché si manifesta o sviluppa? per darsi così una coscienza più chiara e più larga? ovvero per passare dalla potenza all'atto? In un caso e nell'altro l'effetto conterrebbe qualche cosa di più che la causa, e questo di più resterebbe senza causa. - O sarà la sostanza una causa cieca e meccanica? Ma la sola vera causa è la libertà. Se un corpo in movimento ne mette in moto un altro, noi diciamo impropriamente il primo causa del movimento del secondo; laddove ne è solo la condizione. Infatti esso non può non muovere il corpo, e non può non muoverlo con la velocità e la direzione con cui lo muove perché non è esso stesso la causa del proprio movimento, né quindi del movimento che ha comunicato. La vera causa del movimento non dev'esser mossa, ma deve muovere da sé: esser libera.  Sicché la causa assoluta dev'essere separata dal finito, libera, persona assoluta. Libera, in quanto indipendente dal suo effetto; ma legata bensi alla legge della sua es-senza. Questo già vede il Vera: che la necessità interna non è incompatibile con la libertà, almeno quando si tratti della causa assoluta. Perché nell'uomo, che non s'è dato il suo essere, il Vera crede bene che la necessità interna sia anche esterna; quantunque anche l'uomo che fa il bene, se fare il bene si concepisce come legge della sua natura, debba dirsi libero. La necessità, invece, della causa assoluta le è, per dir così, più intimamente interna.Il Vera, in questa tesi, non ammette nessuna reciprocità tra la causa e l'effetto. Questo richiama quella: ma «l'idea di causa, lungi dal contenere quella dell'effetto, l'esclude pel fatto stesso che è causa», Insomma, dualismo assoluto.  La causa assoluta, essendo libera, è intelligente, perché non è libertà senza intelligenza. E semplice e indivisibile; perché se il suo atto non fosse uno, e si risolvesse p. e. in due parti, una di queste agirebbe sull'altra, e la causa non sarebbe causa, e le due azioni causali, esercitandosi successivamente, darebbero luogo ad effetti a un dato istante sottratti alla causa, che cesserebbe perciò di essere assoluta causa. E l'atto uno suppone la sostanza una.  E già una sostanza composta sarebbe materiale, e non sarebbe più libera. Né occorre dire che, per essere asso-luta, la causa dev'essere universale.  La causalità conferisce realtà all'idea di sostanza, concepita come principio del finito, e conferisce realtà ugualmente a tutte le idee effettrici delle esistenze finite: al bene assoluto, causa del bene relativo, alla verità assoluta, alla bellezza assoluta, e via discorrendo. Con la sola categoria di sostanza potremo avere l'idea di Hegel, l'essere puro, come una « concezione logica ».  La causa ci fa fermare il piede nel reale; e la certezza del fenomeno si fonda sull'intuizione della causalità reale supposta dal fenomeno. * Il pensiero non comincia con l'affermazione d'una causalità astratta, ma d'una causalità reale. Il sentimento della mia finità è inseparabile dalla mia esistenza, e col primo sentimento della vita si produce a un tempo il sentimento del mio niente e d'un principio che mi ha fatto passare dal niente all'es-sere. Ecco già l'idea di causa che si manifesta a me insieme con la mia esistenza. E non è una causa astratta e possibile, ma una causa reale e attuale come il suo ef-fetto; non è una causa che deduco da un principio, mauna causa che colgo con un' intuizione semplice e imme-diata, con un atto analogo a quello col quale affermo me stesso». Nel libro non è citato mai il Gioberti; ma questa dottrina coincide a capello con quella della formola ideale, che cinque anni prima il Gioberti aveva propugnata nell'Introduzione allo studio della f-losofia.  Immediatezza della cognizione, inconoscibilità dell'es-senza, e quindi misticismo scettico; opposizione assoluta tra essere e pensiero, Dio estramondano e quindi negazione della libertà e della verità dello spirito come della spiritualità del vero; concezione conseguente della verità o idea come contenuto trascendente del pensiero, retto quindi dalla legge dell'identità, e della dialettica come funzione meramente negativa del pensiero soggettivo: tutta la somma delle dottrine essenziali alla vecchia intuizione platonica del mondo, contro le quali da secoli e secoli combatteva la filosofia moderna, e che furono definitivamente superate dal principio hegeliano, faceva intoppo nella mente del Vera all'intelligenza dello hege-lismo. La folla incomposta delle difficoltà che egli vi in-  contrava, attesta chiaramente la refrattarietà del suo spirito agli incitamenti e alle suggestioni della nuova filosofia, cosi rudemente paradossale a chi non sia preparato da un vivo affiatamento con tutta la storia del pensiero moderno (e si può dire anche del pensiero cri-stiano, in opposizione al greco) a guardare il mondo con gli occhi nuovi dello spirito conscio della sua vita assoluta.  Come fece il Vera negli anni seguenti a liberarsi dalla grave mora de vecchi pregiudizi, per rifarsi con nuovo e fresco vigore intorno allo hegelismo, romperne la dura scorza, e penetrarne l'intimo spirito? Rifece egli più metodicamente il cammino percorso dal pensiero speculativo da Cartesio a Hegel13. - Dopo il 1845, i primi lavori del Vera sono quattro articoli del 1848, scritti per una rivista La liberté de penser, fondata a Parigi dopo la rivoluzione di febbraio da alcuni giovani professori, come il Simon, il  Saisset, il Jacques e lo stesso Vera. E in essi il demolitore della logica e di tutto il sistema di Hegel ci si presenta in veste di hegeliano. Nessun documento illumina la crisi antecedente del suo pensiero; e bisogna contentarsi di osservare in questi articoli il suo primo atteggiamento nel nuovo indirizzo.  Il primo (La Religion et l'Etat) fu scritto a proposito delle discussioni dell'Assemblea Nazionale per definire i rapporti tra Stato e Chiesa; e combatte l'idea della se-  parazione. Sarà più tardi, come vedremo, uno degli argomenti su cui più si travaglierà il pensiero del Vera, senza riuscire mai a dar nettamente la soluzione del pro-blema. In questo primo saggio, forse perché lo scrittore non sente ancora tutta la difficoltà della questione, il suo pensiero tocca il massimo della chiarezza, che abbia mai raggiunto. Vede il progresso storico dei rapporti tra Chiesa e Stato indirizzato verso la libertà di coscienza; e giudica la Riforma protestante, malgrado la sua proclamazione del libero esame, inferiore a cotesto principio, per cui la ragione umana può sottrarsi alla tutela dell'autorità sacerdotale; perché la Riforma non proclamò insieme l'abolizione delle religioni di Stato. E religione di Stato significa autorità che è compressione della li-bertà, in quanto non è l'autorità della ragione invisibile e universale, conciliatrice della regola con la libertà, della disciplina col movimento, ma quell'autorità visibile e materiale, che, come imprigionata nel fatto e nella  lettera della legge, colpisce d'immobilità il pensiero, contrasta ogni espansione nuova dello spirito e riesce alla violenza e all'asservimento delle coscienze. La Rivoluzione francese ha compiuto l'opera della Riforma,ispirandosi a un principio superiore: il principio dei diritti dell'uomo in generale, onde la libertà nuova da lei proclamata non è più quella di una società particolare, ma del mondo. E abolisce la religione di Stato, presupponendo quella religione ideale e assoluta - scoperta dalla filosofia, di cui la Rivoluzione è figlia ed erede - la quale si sviluppa e manifesta successivamente nella coscienza dei popoli, domina e abbraccia tutte le religioni positive e compone ad armonia nella propria unità le credenze parziali del genere umano: la religione, in-  somma, naturale o razionale. Ma né la Francia né l'Europa eran preparate alla riforma religiosa, che questi principii, rigorosamente applicati, avrebbero richiesta: e ad essi occorre tuttavia far capo per gettare le basi della nuova carta religiosa.  In un articolo successivo, ma dello stesso anno, il Vera, accintosi ad esporre la filosofia della religione di Hegel, giudicherà con lui e rifiuterà, come idealismo ordinario, cotesto deismo prevalso nel sec. XVIII, il quale astrattamente foggiava la religione ideale e filosofica, che giace in germe nel fondo d'ogni intelligenza »1, Ma, pure appigliandosi per qualche altro particolare alla dottrina di Hegel, è fermo nella convinzione che basti svolgere razionalmente il principio posto dalla rivoluzione francese, fondato, come s'è visto, sulla dottrina della religione naturale. Segno che egli non era ancor giunto a possedere un concetto determinato della religione, né, comunque, a impadronirsi di quello di  Hegel.  Svolgere il principio della Rivoluzione, della libertà di coscienza, non era ciò che dal Lamennais in poi venivano chiedendo in Francia i cattolici, e avevano finito con invocare gli stessi gesuiti? Ecco, dice il Vera: « nellapresente questione, come nella maggior parte delle questioni sociali, la difficoltà consiste nel conciliare l'ordine e la libertà. Se si sopprime una di queste due condizioni, s' incorrerà nell' inevitabile alternativa, o di tornare all'autorità e alle religioni ufficiali, o di rinunziare a ogni azione normale ed efficace sugli spiriti ", Temeva il Vera. che se l'Impero, la Ristaurazione e la Monarchia di Luglio avevano piegato dal lato della tradizione e del-l'autorità, ora si piegasse dal lato opposto, esagerando il principio della libertà. Si preoccupava degli effetti di una libertà assoluta, che avrebbe portato all'anarchia delle coscienze, all'impossibilità di ogni governo morale e quindi d'ogni governo politico. Se la pigliava con la stessa espressione di libertà illimitata, che non può essere, diceva, se non una figura rettorica lusingatrice degli orecchi e del gusto del pubblico, non potendosi concepire potere che non sia limite della libertà. Né pertanto è ammissibile la separazione. I sostenitori della quale si rappresentano la società come una sorta di d'ag-gregato di parti unite insieme da legami estrinseci: laddove la storia e la teoria ci mettono innanzi un'unità sociale organica, in cui tutto è concatenato e la vita di una parte va di conserva con quella del tutto, e un'unità invisibile vi circola dentro. Perciò Hegel disse che le rivoluzioni politiche e religiose sono inseparabili; e un popolo che ne fa una e non fa l'altra, ha lasciato a mezzo la sua opera, mantenendo un antagonismo, che dovrà rimuovere, se non vuol soccombere. E questo basta qui al Vera per concludere che Chiesa e Stato sono insepara-bili. Quantungue non sia difficile vedere che il suo argomento supponga provato quel che è da provare: l'imma-nenza dell'elemento religioso, anzi della Chiesa, nell'organismo dello Stato.  La separazione è voluta da coloro che dividono con un taglio netto la sfera religiosa da quella del diritto:nella prima delle quali lo spirito umano si solleva all'eterno e all'infinito, laddove nella seconda l'uomo rimane stretto ai suoi bisogni passeggeri e terreni, e quindi implicato negli interessi, nelle passioni, nelle lotte, da cui si libera affatto mercé la religione. In questo argomento il Vera riconosce, a primo aspetto, un'apparenza di verità. Ma gli studi che in quel torno ei doveva fare della filosofia hegeliana, gliene additano il difetto. « Au fond, il repose sur une notion incomplète de la vie religieuse, et il se rat-tache à cette métaphysique qui ne saisit qu'un seul élément dans les êtres, el qui, en négligeant l'élément contraire, n' aboutit qu'à des abstractions ou à des inconséquences... E vero che Dio, comunque si concepisca, trascende ogni limite, ed è termine immutabile e infinito. Ma Dio è un termine solo del rapporto religioso, onde Dio si manifesta, e l'altro è l'uomo con le sue condizioni sensibili e finite. Né la religione è un fatto isolato, chiuso nella coscienza del-l'individuo, ma un'istituzione sociale, la quale ha per iscopo l'istruzione e la guida delle anime; e pertanto non può sorgere, conservarsi e svolgersi senza determinate condizioni materiali ed esterne, insegnamento orale e simbolico, associazione, disciplina, mezzi finanziari ecc.:  tutte cose che rannodano la Chiesa con lo Stato,  Ebbene, esclusa la separazione (lo stesso Vera si pro-pone, come sarà sempre suo costume, l'obbiezione), come sfuggire all'alternativa dell'oppressione della Chiesa sullo Stato, o dello Stato sulla Chiesa? Ma (come sarà pur sempre suo costume) se n'esce pel rotto della cuffia, perché non si spinge fino a una rigorosa definizione dei concetti che adopera. La soluzione qui la trova in quella astratta filosofia della religione, che ha accettata dal secolo XVIII, e che è pure quella dottrina eclettica della verità relativa di tutte le religioni positive nell'assolutaverità della religione naturale, che, nei nostri filosofi della Rinascenza (Bruno e sopra tutto Campanella, che ne è il vero fondatore, a lui, molto probabilmente, essendosi inspirato Herbert di Cherbury) ' portava logicamente alla religione di Stato. Lo Stato, pel Vera, deve sanzionare la libertà di coscienza: ma in questo stesso postulato è implicata l'attribuzione allo Stato di legiferare in materia religiosa, riconoscendo a tutte le religioni positive quella legittimità che è loro conferita dalla religione ideale in cui tutte sono comprese. Se lo Stato non s'incontrasse nella religione, non potrebbe né anche riconoscerne e garentirne la libertà. Lo Stato s' investe in questo suo atto di un principio filosofico, e la filosofia gli conferisce la potenza e il diritto di dettar legge in re-ligione. La filosofia che è « la fonte della vera libertà, perché essa sola proclama ed assicura quell'alta libertà dello spirito che è il principio di ogni libertà, e perché essa solleva continuamente l'umanità al di sopra di se medesima, e delle cose periture e finite, alla regione dell'eterno e dell'infinito». E però nell'alleanza dello Stato con la filosofia è il fondamento di ogni libertà: alleanza tutt'altro che facile, di certo, anzi, sotto certi aspetti. né possibile né desiderabile: ma perciò appunto fornita del carattere di ogni ideale, che genera il progresso in quanto meta inattingibile. «Tout progrès possible repose  sur un principe impossiblen 3.  E un altro punto, in cui il Vera non si solleva fino allo hegelismo, restando al dover essere (Sollen) kantiano, messo in derisione dal pensatore di Stoccarda. E la coscienza dell' irrealità dell'ideale limita l'astrattezza, tutta platonica, di questo Stato filosofico, in cui si rifugia ilVera, assai imbarazzato poi quando si tratta di tornare fuori, per rimettersi in rapporto con la realtà storica.  Se Stato e Chiesa sono inseparabili, il prete è, pel  Vera, un funzionario dello Stato. Dacché un culto è legalmente ammesso, esso diventa una funzione di Stato.  Funzione varia, diversa, molteplice, perché lo Stato ammette tutti i culti, quantunque non s' immedesimi con nessuna religione. E lo Stato perciò retribuirà i ministri di tutti i culti. - Ma proprio tutti? - Sì certamente, perché « tutti i culti, quali che siano le dottrine che professano e la parte di verità che contengono, devon o incontrarsi in un pensiero e in un'opera comune, dovendo tutti, sotto una forma o un'altra, per vie e gradi differenti, disciplinare le anime non soltanto a salvarsi, ma ad adempiere i loro doveri civili». Devono in - contrarsi: ma s'incontrano realmente? Lo Stato solo può giudicare se e in quel misura una dottrina religiosa soddisfi questa condizione. Che se si contesta allo Stato questa facoltà, bisognerà contestargli anche quella di concedere la libertà dei culti: poiché la libertà dei culti, ripeto, suppone questo criterio: suppone che lo Stato abbia saputo riconoscere che la verità non è prerogativa d'un solo culto, e che saprà anche distinguere, fra le dottrine nuove, quelle che bisognerà ammettere o rigettare ».  Ossia, in conclusione, saranno ammessi tutti i culti, che lo Stato con la sua filosofia approverà, poiché pare ce ne possano anche essere di quelli che non siano compatibili coi fini essenziali dello Stato. E allora? Noi crediamo, conchiude il Vera, che « nello stato presente del mondo, appartenga ai poteri civili e alla civiltà laica l'iniziativa della riforma religiosa, e che questa riforma debba essere imposta alla Chiesa nell'interesse della libertà e della Chiesa stessa ».  Ma allora abbiamo lo Stato teologo e la religione di Stato! - Parola più speciosa che vera», risponde l'au-tore. « Noi pretendiamo che lo Stato, quale l'abbiamo definito, quale l'han reso la filosofia e la Rivoluzione, sia perfettamente competente nella questione religiosa.  Lo Stato, bensì, non fa della teologia scolastica, non disserta sulla grazia, il peccato originale e la trinità.  Lascia queste dispute ai teologi e ai filosofi. Ma può dire fino a che punto una religione risponda ai bisogni della società, e studiando seriamente questi bisogni, giovandosi dei lumi della filosofia e della libera discussione, ha il diritto e il potere di imprendere la riforma delle istituzioni religiose, modificarle e ringiovanirle, facendovi penetrare i germi di verità nuova na  14. - Come possa lo Stato riformare una religione senza entrare nella teologia; come giovarsi della filosofia, senza intendere la filosofia stessa, e quindi filosofare: come proclamare la libertà dei culti e riconoscere a tutti i culti un valore, dovendone pure eventualmente respingere qualcuno con un criterio suo; come imporre una riforma alla Chiesa, rispettando il principio della libertà: sono tutti certamente punti molto oscuri, e non i soli, della soluzione caldeggiata dal Vera. Ma qui giova soltanto fermare l'attenzione sul carattere permanente di questa filosofia del Vera, malgrado il giudizio sulla Rivoluzione francese, cosi diverso da quello enunciato otto anni prima, e malgrado gli spunti hegeliani contro le astrazioni dell'intelletto. Essa evidentemente è ancora una filosofia non compenetrata dal concetto della razionalità del reale e della realtà del razionale: una filosofia di una ragione concepita come sovrapposta alla vita, alla storia, al reale. L'infinito si vuole congiunto essenzialmente col finito (e però la Chiesa con lo Stato). Ma l'infinito è infinito, e il finito è finito. Lo Stato non hainfinità (non ha valore), se non gli viene comunicata dalla Chiesa; né  esso può acquistarsela da sé, incorpo-  randosi e risolvendo in sé la Chiesa: a fine di stabilire i suoi rapporti con la Chiesa deve ricorrere alla filosofia, che non è nello Stato, e non è perciò lo Stato. Tutta la storia, come progresso compiuto in virtù d'un principio impossibile, ha il proprio valore fuori di sé: ossia, non ha valore. Questo non era il nuovo mondo di Hegel.  15. - Segui la prima parte dello studio sulla Philo-sophie de la religion de Hégel, non continuato, perché la Liberté de penser cessò di pubblicarsi. E in questo scritto il Vera espose il punto di vista di Hegel in questa parte del suo sistema e il suo concetto in generale della filosofia con manifesti segni di adesione, sebbene qui ancora non s'incontrino quell' iperbolici elogi della filosofia hegeliana che poi diverranno frequentissimi nei suoi libri. Tornò ad esporre brevemente il concetto della filosofia hegeliana col metodo stesso adoperato nelle tesi di tre anni prima, quantunque le difficoltà formidabili intorno ai punti fondamentali e preliminari che tre anni prima gli sbarravano l'adito al sistema, pare siano già come per incanto sparite: quel metodo, il quale consiste nel saltar dentro a una filosofia, dopo averla distaccata dal complesso della storia, in cui essa sorse e visse, e nel muovervisi dentro come altri può percorrere una galleria di quadri che non sappia come e donde raccolti. Il metodo più antihegeliano che ci sia. E cosi ora, così sempre: anche quando egli diventerà assai più esperto hegeliano e più fervido propugnatore di questa filosofia, Hegel sarà un filosofo, pel Vera, tutto chiuso in sé, che si lascia indietro, a mille miglia di distanza, non pure la filosofia prekantiana, ma Kant, Fichte e lo stesso Schelling: e se qualche riscontro potrà consentire, richiamerà Platone e Aristotele (che sono poi gli antesignani dell'oppostaconcezione del mondo). Per ora, non una parola di altri filosofi, e le determinazioni della filosofia hegeliana, strappate dal loro terreno storico, si presentano, com'è na-turale, in un aspetto equivoco ed incerto.  16. - La filosofia ricerca l'universale, l'infinito, l'assoluto in tutte le sfere sulle quali si esercita l'attività del pensiero»›, Definizione, che, se non è detto quale sia la natura di questo universale, eterno, infinito, può competere tanto alla filosofia di Hegel, quanto a qualunque altra. « Secondo Hegel, l'oggetto della filosofia è la conoscenza dell'Idea». Anche questo è troppo poco.  E tutto quello che segue non giova a differenziare 1 he-gelismo dal platonismo: « L'assoluto è lIdea, la quale si divide e si specifica in una serie di determinazioni, di cui ciascuna costituisce un modo della Idea, nonché un grado e una faccia dell'esistenza. Questa Idea e questa serie di idee non si producono a caso e secondo rapporti arbitrari ed esteriori, ma sono legate da rapporti necessari ed eterni, e formano un organismo interno, e come una trama indistruttibile su cui sono fondate l'unità e la vita del mondo»2. Lo stesso Vera sa che così c' è una profonda differenza tra l'idealismo « ordinario» e l'idea-lismo « assoluto » di Hegel. L'idea di quello è astratta, e l'idea di questo è concreta. Cioè? - Le idee del primo sono poste meccanicamente l'una accanto all'altra:  quelle del secondo hanno un concatenamento e una necessità interna. - Distinzione così, sulle generali, ille-gittima: perché non c'è filosofia idealistica che non miri appunto a questo intimo concatenamento delle sue idee; e in questo senso le idee di tutti gli idealisti sono state concrete. La concretezza hegeliana non consiste tantonella concatenazione delle idee, che, tutte concatenate, possono essere nondimeno tutte fisse, immobili: quanto nell'atto stesso del concatenamento, per cui l'idea non è legata più a un'altra idea, ma è l'altra; è, e non è se stessa; si muove, e movendosi, divenendo, è un'idea ed è un'altra idea. Sicché non più catena, ma medesi-mezza, coincidenza di opposti. E se non si guarda a questa concretezza, l'idealismo hegeliano smarrisce la sua fiso-nomia, e si confonde con l'antico idealismo.  17. - Il Vera nota che l'idea concreta è una triade: nè prima se stessa, poi il suo contrario, e infine la loro unità»; dove il 'prima', il 'poi' e l'infine', possono già dar luogo ad equivoci grossi. « Cosi il vero non è né nel-  Tessere, nénel non-essere, né nella causa, nénell'effetto, nénel tempo, né nello spazio ecc.  L'essere e il non-essere, la causa e l'effetto, il tempo e lo spazio sono elementi essenziali del vero, ma questo non è se non nella loro identificazione in un terzo termine: nel divenire, nel movimento ecc. essi attingono la loro completa realtà. Qui la cosa è diventata chiaris-sima, e le critiche di tre anni prima contro le prime categorie della logica hegeliana sono cose dimenticate.  Capi l'autore che egli mal si era apposto, cercando come il non-essere possa uscire dall'essere, ed essere e non-essere, messi insieme, produrre il divenire? Intende egli ora il processo logico come superamento dell'astrattezza nella realtà della sintesi? Parrebbe ora la sua interpre-tazione. Ma anche qui può risorgere il malinteso, assai più pericoloso, perché chi non se n'accorga, crederà d'essere già dentro l' hegelismo, e non sarà giunto invece né anche a Platone. Se l'essere e il non-essere sono elementi del vero, e il vero completo, la realtà è nel dive-nire, unità concreta dei due elementi, il passaggio del-l'astratto al concreto si può intendere in doppio modo:come passaggio dello stesso astratto alla propria con-  cretezza; ovvero come passaggio del pensiero che pensa la realtà e che, dopo averla pensata astrattamente ne' suoi elementi, si sforza di pensarla in concreto nella sua unità. Nel primo caso si tratta di un passaggio oggettivo, che è in fondo un passaggio soggettivo; nel secondo, di un semplice passaggio soggettivo, che importa un oggettivo non-passaggio. Giacché nel primo caso si muove, realizza od invera l'oggetto, la stessa realtà; che in tanto si muove, realizza od invera in quanto la stessa realtà è pensiero, Nel secondo invece è il pensiero, postosi di fronte alla realtà, o foggiatasi una realtà opposta a sé, che si muove nello sforzo di adeguarsi alla realtà stessa: segno che, se vi si adegua o quando vi si adegua, non avrà più bisogno di muoversi perché la realtà è immobile.  La strada eraclitea che è la stessa strada nelle opposte direzioni in su e in giù (ádóc ava váTo pía xai duTi)  dà luogo a una contrarietà e a un movimento appartenenti soltanto al soggetto: ma in sé è una, immutabile e immobile, come l'essere eleatico. L'idea (dell'essere elea-tico o del divenire eracliteo) si può concepire in due modi: o come una cogitatio (modus cogitandi, ipsum intelligere) come profondamente voleva Spinoza, o come un quid mutum instar picturae in tabula. Anche il fiume eracliteo infatti può esser dipinto! E allora non scorre, quantunque noi vi scorriamo sopra con la fantasia. Questo è stato il problema secolare del concetto del divenire, che non poteva risolversi se non nella filosofia moderna dopo il cogito (ergo sum) di Cartesio, e quell'idea che è l'ipsum intelligere di Spinoza, e il nuovo concetto leib-niziano della monade, e la sintesi di Kant, e l'Io di Fichte e l'Identità di Schelling- Se lo stesso divenire è visto come esterno al pensiero, si ferma e sta, come pictura in tabula. Il divenire è vero divenire del reale quando il reale non è di fronte al pensiero che lo pensa (movendosi  lui, o illudendosi di far muovere il reale), ma dentro il pensiero, lo stesso pensiero che pensando diviene e genera appunto quella realtà che esso è. Qui è il punto. E la costruzione difficile dell' hegelismo è cosiffatta, che molti han potuto, prima e dopo il Vera, scambiare l'Idea lo-gica hegeliana con l'Idea platonica, oggetto del pensiero solo considerando la posizione di essa di fronte alla na-  importante ed essenziale, che si la natura come lo spirito (fin allo spirito assoluto, e alla stessa filosofia del filosofo  che sta filosofando) sono la realizzazione dell' Idea stessa, e cioe la stessa Idea nel processo autonomo del suo  svolgimento.  18. - Come l'intende il Vera in questo suo primo saggio di filosofia hegeliana? Dice:  Tout le travail de la pensée consiste à poser un élément de l'idée, - moment immédiat, — à saisir dans cet élément un élément contraire, — moment de médiation, analyse — et à trouver un troisième terme qui concilie et unit les deux pre-miers, - synthèse — puis à dégager de ce troisième terme une nouvelle détermination qui enveloppe les précédentes, et qui, à son tour, engendre une détermination opposée, laquelle se trouve conciliée avec la première dans une troisième, et ainsi de suite, jusqu'à ce qu'on s'élève à une esistence, à une idée suprême qui efface et absorbe tous les moments, toutes les contradictions précédentes dans son unité. C'est là la vie et le mouvement éternels de la pensée, et, partant, la vie et le mouvement éternels de la réalité ! 1.  Il pensiero, di cui qui si narrano le gesta, è il pensiero in sé, lo stesso reale, o il pensiero che intende il reale, il pensiero del filosofo che tesse la faticosa tela della lo-gica? Nel primo caso il pensiero sarebbe la stessa idea;e la maniera in cui il Vera si esprime, facendo del pensiero l'artefice e dell'idea la materia del suo lavoro, sarebbe per lo meno molto fantastica e metaforica. Non che queste espressioni siano illegittime; ma qui dan luogo al ragionevole sospetto che l'autore abbia veramente inteso il rapporto del pensiero con l'idea in senso dua-listico, in guisa che la conchiusione (c'est là la vie et le mouvement éternels de la pénsée, et, partant, la vie et le mouvement étérnels de la réalité) non possa avere altro significato che di una dommatica inferenza, contraria del tutto allo spirito dello hegelismo. Giacché quel partant. in astratto, potrebbe avere due significati ben diversi: o dire che il processo logico è il processo della realtà, perché la realtà è pensiero (identita); o dire che il processo logico è anche il processo della realtà, perché la forma della realtà è intelligibile come pensiero, il pensie-ro si attua nella realtà, e (nella forma più rigorosa di questa concezione) ordo et connexio verum idem est ac ordo et con-nexio idearum (parallelismo, e, in fondo, duali-smo). Ma nel nostro caso l'interpretazione dualistica é confortata dalla più ovvia interpretazione dei periodi prece-denti, dove è evidente che l'autore non avrebbe mancato di richiamare esplicitamente l'attenzione sul vero e proprio rapporto del pensiero con l'idea, se egli ne fosse stato  nettamente consapevole.18. - Ed è anche confermata dal modo in cui il Vera passa ad esporre la triade Idea-Natura-Spirito, L'Idea, egli dice, è da prima in uno stato « d' indeterminazione e semplice virtualità», quando è idea logica, e contiene le determinazioni più generali degli esseri. Giunta al limite estremo della sua evoluzione logica, l'Idea e esce da questa esistenza formale e indeterminata, e si dà per sua virtù propria, e come spinta da una necessità interna, una esistenza oggettiva e determinata nella natura n.  L'Idea infatti genera la Natura; ma in questa non esiste nella sua forma logica, generale ed assoluta, nella purezza perfetta delle sue determinazioni: diviene esterna a se stessa, si spezza in prodotti particolari esposti alla contingenza e al caso. Questa contraddizione è superata in una terza forma dell'esistenza, superiore alle due prime e che le involge nella sua unità: lo Spirito, il pensiero, dove l'idea concreta e determinata, risolleva la natura all'unità ed universalità ed acquista coscienza di sé nella libertà. - Orbene: il processo nello stesso Hegel è tutt'altro che facile; e lo vedremo a suo tempo; ma ha un carattere determinato, che a chi sia penetrato, secondo le osservazioni già fatte, nello spirito dello hegelismo, non può sfuggire. Dev'essere tutto un processo logico: una via che il pensiero pensando deve necessariamente percorrere. Ora il Vera non si mette per questa via. Egli è appunto come lo spettatore della pictura in tabula: vede uscire dall'Idea la Natura, o l'Idea generare o farsi la Natura, e non sa né può sapere per quale interna necessità: non si prova nemmeno a fare (egli che è pen-siero, quella stessa idea) quel medesimo che vede fare all'idea: non si prova a pensarlo. E come potrebbe pen-sarlo, dopo aver definito il logo una semplice vir-tualità? Posta l'assolutezza del logo, se s'intende la virtualità al modo di Leibniz (ossia nel modo più fa-vorevole), donde la ragion sufficiente ?I9. — Ma il senso di questa virtualità della idea logica ci può essere svelato da scritti posteriori del Vera, il quale, sia detto qui subito, rimase fermo a questo con-cetto. Apriamo l'Introduction à la philosophie de Hégel  (1855), che è il suo lavoro più organico su Hegel, ed ebbe molta fortuna in Francia e in Italia come autorevole esposizione della filosofia hegeliana: che i più si contentarono di non conoscere altrimenti 1. In questo libro si legge che nella sfera della logica, Dio è la possibilità e la forma assoluta; è l'essere anteriore a ogni cosa creata, e che contiene perciò stesso, virtualmente, tutte le cose » 3: dove possibilità non significa altro che pensabilità, Infatti l'autore è stato trascinato innanzi a svelare e confessare quel suo segreto concetto della logica, come non la storia eterna, la gesta eterna, dell'idea, ma come la semplice scienza dell'idea, poiché intanto era germogliato il seme da noi sospettato nel saggio del 1848. Qual è, ora egli si chiede, l'oggetto della logica? La logica è « la scienza delle forme universali e assolute del pensiero e dell'esi-stenza»: forme, bensi, che non sono semplici forme, perché queste forme si compenetrano col con-  tenuto, sono le forme del contenuto, che è l'idea stessa nella serie delle sue determinazioni. Come tale, la logica è il fondamento di tutte le scienze.  La Nature et 1 Esprit costituent, il est vrai, des états, des sphères plus concrétes et plus réelles de l'Idée, et, a cet égard la Logique peut être considérée comme une science formelleou comme la science de la méthode, mais comme la science de la forme et de la méthode absolues, comme le type, le modèle intérieur, sur lequel la Nature et l'Esprit doivent se développer et s'organiser, comme la forme, en un mot, sous laquelle l'être et la vérité existent 5.  Dove si può bensi distinguere tra logica e idea, di cui la prima è la scienza; ma è chiaro che quel che il Vera dice tipo e modello della natura e dello spirito è appunto la logica e non l'idea. Non già che egli finisca nel concetto della categoria kantianamente intesa come  condizione soggettiva della costituzione dell'esperienza, e però della natura fenomenica, quale si trova nella nostra esperienza. Il Vera rimane molto più indietro di Kant.  Oscillando tra la sua ingenua interpretazione soggetti-vistica e la lettera degli scritti di Hegel, dove l'Idea é lo stesso assoluto, egli, se da una parte non sa concepire la logica se non come una elaborazione scientifica della mente contemplatrice della verità e della mente che pensa di fatto questa verità per le idee dell'essere, della qualità, della quantità, della causa ecc., dall'altra non riesce a conferire altrimenti valore oggettivo  a siffatte  condizioni della pensabilità del reale se non ipostatiz-zandole platonicamente come tipo e modello della natura e dello spirito: ai quali l'Idea fornisce - egli dice espli-cito - una parte del loro contenuto: (e chi darà il resto ?). Su questo punto il Vera si spiega chiaramente, notando che si potrebbe dire la Logica, cosi concepita, la scienza delle possibilità assolute, non nel senso che le idee logiche siano possibilitàe non realtà, ma in questo senso che niente non e possibile né può esser pensato se non per queste idee .1.  E ricorda Kant, che aveva riconosciuto le idee logiche  come « condizione necessaria di ogni esistenza e verità »; ma le aveva concepite come condizioni negative, indotto in errore dal termine stesso di condizione; laddove 1' idea  ¿ condizione come elemento integrante  e costitutivo  delle cose. La possibilità insomma, di cui parla il Vera,  ¿ possibilità rispetto alla natura e allo spirito: in sé e reale e principio di realtà. La possibilità, egli dice in fine, non può toccare i principii; perché i principii o sono o non sono. Possibile è questo individuo, questo triangolo, ma non l'essenza dell' individuo e del triangolo. I concetti universali, realizzati; ecco la logica di Hegel, pel Vera: che e per l'appunto, sostanzialmente, il mondo ideale di Platone, con la sua impossibilità di risolversi  nel mondo dell'esperienza :.  Ma nel saggio hegeliano del 1848 la conchiusione è che « la logica, la natura e lo spirito formano una triade indivisibile; sono tre termini consustanziali di cui l'idea è il fondo comune, ed è l'azione reciproca e la fusione eterna di queste tre sostanze che fanno l'unità e la vita del mondo«3. Dove quel che si vede è la tri-plicità delle sostanze, e quel che si dice di vedere l'unità  dell' idea.  Insomma, abbiamo fin qui un hegeliano che vuol esser tale, perché ha studiato Hegel e ha creduto d'intravve-dere il vasto mondo della sua filosofia, assai più sícuro rifugio dallo scetticismo del Problème de la certitude, chenon fosse quella ragnatela di teismo intuizionistico in cui dapprima gli parve di poter riparare. Ma il segreto di quella filosofia rimane ancora per lui un segreto; e il suo spirito continua a gravitare verso la trascendenza platonica.  20. - Nel terzo articolo Un mot sur la philosophie el la Revolation française, il Vera, prendendo le mosse dal giudizio dato da Hegel nella Filosofia della Storia sulla Rivoluzione, come opera del pensiero, ritorna sul tema del primo scritto, sulla libertà di coscienza che lo Stato deve garentire ispirandosi alla filosofia. Ma veniamo all'ultimo La souveraineté du peuple, che, come il Vera ci fa sapere, la direzione della Liberté de penser, all'in-domani della rivoluzione di febbraio, non credette op-portuno pubblicare perché « il aurait trop heurté les opinions du moment». Vi era infatti combattuta la sovranità del popolo e il suffragio universale, sostenendo che la vera autorità è l'autorità della ragione; che la ragione non raggiunge lo stesso grado di forza, di chiarezza in tutte le intelligenze, qui restando latente e oscura, li ma-nifestandosi in una maniera incompleta, e in pochi rag-  giungendo il maggiore sviluppo; e che pertanto l'autorità spetta alla minoranza. E guardando questo lato solo della verità che egli vedeva, difende la sua tesi con quel calore d'entusiasmo, che fu con la facilità della forma una delle cause più efficaci della riputazione conquista-tasi dallo scrittore:  Si toute vérité a son origine dans l'esprit, elle est d'abord à l'état théorique et idéal avant de revêtir une forme matérielle et de passer dans les faits. Dans cet état, elle se trouve en face de la réalité matérielle, il faut qu'elle lutte contre des intéréts et des croyances séculaires, contre des habitudes invétérées; contre les préjugés et l'ignorance. C'est cette vue antérieure et prophétique de la vérité, c'est ce combat pour le triomphe d'une idée, qui constitue l'héroisme et le génie. Or les massesne sauraient s'élever à la conception de l'idéal; car l'idéal ne se révéle qu'à la contemplation solitaire et réfléchie, il demande une culture speciale, une organisation d'élite, et cette  inspira-  tion, qui a sa source dans les profondeurs cachées de l'ame, et qui ne s'éveille que sous l'action paisible et soutenue de l'intelligence et de la volonté. Les masses sont comme emprisonnées dans la réalité visible, et par le gente de leurs travaux, par leurs goûts, leurs habitudes, et par la nécessité où elles sont de pour-voir a leurs besoins matériels, elle ne peuvent franchir les limites du fait et de l'ordre actuel des choses, ni discerner le vrai et le faux, le possibile et l'impossibile 1.  Il vero uomo di Stato non si confonde infatti col po-polo, non se ne fa strumento - che sarebbe interdirsi ogni azione durevole e salutare su di esso; non abdica alla propria individualità, ma la fa servire al bene del paese. Ebbene, se la luce nella società e perciò l'autorità, non sale ma scende dall'alto, al sommo della vita sociale ci sono tre sfere d'attività che riassumono e dominano tutte le altre: la politica la religione e la filosofia. In quale di esse risiederà l'autorità suprema? Nell'uomo politico, nel prete, o nel filosofo? Il Vera rinvia la ricerca a un altro studio; ma la risposta è implicita nel suo scritto e nel primo di questi articoli: il potere cioè spetta all'uomo politico, che prende voce e norma dal filosofo. - Con tutto l' hegelismo del Vera, siamo ancora, almeno fino a questo punto, al concetto della repubblica di Platone!  21. - L' hegelismo tuttavia, a poco per volta, divenne un credo fermissimo pel Vera; e la storia della filosofia fini con l'esser messa da parte. Non abbiamo certo Coup d'oeil sur l'Idéalismes, che dovette esser pubblicato prima che il Vera passasse in Inghilterra. E di anterioreall'Introduction à la philosophie de Hégel non ci resta che l'opuscolo inglese del 18554, scritto in proposito di  una  Teorica dell' infinito del filosofo scozzese Calder-wood (contro Hamilton) e delle Istituzioni di metafisica del Ferrier: libri che parvero notevoli al Vera perché  questi autori  si sollevavano al di sopra del solito empi-  rismo inglese e della filosofia del senso comune. Il giudizio del Ferrier su Hegel (che a guisa di gigantesco serpente boa avrebbe stretto nelle spire delle sue dottrine impenetrabili come diamante tutti gli errori correnti)  dava qui occasione al Vera di dichiarare che « ci ha nella filosofia dell' Hegel una certa natural direzione, certi tratti cosi determinati e certe principali conseguenze che non possono sfuggire a chiunque vi si sia accostato, e che formeranno d'oggi innanzi il criterio e la norma direttiva di ogni ricerca filosofica; e di accennare quindi questi punti fondamentali della filosofia hegeliana. In questi punti, evidentemente, si condensa l' hegelismo del  Vera.  In primo luogo: la filosofia è la scienza dell'assoluto: postulato indimostrabile, perché ogni dimostrazione 1o presuppone, non essendovi intendere che non sia intendimento dell'assoluto. Quindi l'assurdità di tutte le dottrine che cominciano dal negare o mettere in dubbio il valore della conoscenza.  In secondo luogo: chi dice scienza dell'assoluto, dice scienza delle idee, perché tutto si conosce per mezzo delle idee», né possiamo conoscer nulla di là dai limiti del mondo delle idee: onde, se diciamo che l'anima non è un'idea, ma una forza, una causa, una sostanza, che è semplice, immateriale ecc., anche allora, senza riflettervi « noi usiamo delle idee, e descriviamo l'oggetto come unaggregato di quelli stessi elementi che abbiamo respinti sotto un'altra forma ».  In terzo luogo: il metodo filosofico è il metodo proprio della conoscenza dell'assoluto, o delle idee: metodo as-soluto, non essendo altro che la forma dello stesso as-soluto, o la forma in cui le cose esistono e sono cono-sciute: ossia il sistema, nel suo ordinamento dialettico.  In quarto luogo: il sistema importa l'unità e la molte-plicità, elementi identici e contradittori. Il metodo assoluto o speculativo si distingue appunto per questa sua conciliazione dei contrari, onde gli elementi discordi si compongono in armonia.  Con questi concetti Hegel ha dato corpo a uno de' più comprensivi e profondi sistemi che mai vennero fuori della mente umana, il quale abbraccia tutte le parti del sapere, la logica, la filosofia dello spirito, la filosofia della natura, la politica, la filosofia dell'istoria, l'estetica, la religione. Anzi, strettamente parlando, si può dire che nell'istoria della scienza il suo sia il primo e vero sistema, imperocché né Platone, né Ari-stotele, né alcun moderno filosofo hanno avuto un cosi vasto concetto della scienza, e così abbracciato e legato insieme i diversi anelli dell'aurea catena a cui l'universo è sospeso. E uno de' tratti principali di questo maraviglioso filosofo si è che le sue più alte speculazioni hanno un carattere tutto istorico, e un risultamento positivo e una pratica applicazione. Cosi potente e cosi comprensiva era la sua mente, cosi profondo lo sguardo che egli getta nella natura delle cose 1,  E il primo inno cantato dal Vera al suo autore, che tornerà a dire nella sua prolusione napoletana (16 dicembre 1861): « quella mente prodigiosa e sovrana, che i nostri tempi hanno prodotta, e che, non esito a procla-marlo, per la profondità, per la vastità delle cognizioni, e anzitutto per la mente speculativa e sistematizzatrice tutte le altre ha vinte, ma le ha vinte in sé riepilogandolee concentrandole»*; e altrove: « le plus grand génie dont s'honore l'humanité»=; colui nella cui filosofia e' è tutto, e c'è « comme il doit y être, par là qu' il y est dans  SON existence systématique»3; e la cui  Enciclopedia si  compiacerà di considerare come una nuova Bibbia, « la Bibbia dell' hegelismo • 4, Ed è altresì la prima volta che egli enuncia come titolo singolarissimo della filosofia hegeliana questa sua prerogativa, che poi non si stancherà mai di esibire: la sua sistematicità, parendogli pregio altissimo questo di Hegel di aver trattato ex projesso tutte le parti del sistema della sua filosofia, ed esteso il suo sguardo a tutti i rami del sapere, legandoli fortemente tra loro e creando un vero sistemas: non considerando che non c'è filosofia, né pensiero mai, che non abbia la sua perfetta sistematicità; e che il sistema non consiste nella configurazione esteriore delle parti (al qual patto Wolff è più sistematico assai di Leibniz, e ogni pedante espositore dell'autore esposto), sibbene nella universalità del principio e nella profondità dell'intuizione originaria. Egli superficialmente si contentava della forma estrinseca e non cercava più in là, lasciandosi sfuggire i titoli più autentici del genio di  Hegel.22. -— Ma, tornando ai quattro punti essenziali che gli pareva di scorgere, quando già meditava la sua Intro-duzione, nella filosofia hegeliana, non occortono commenti ad assodare che il suo hegelismo era tuttavia un hegelismo abbastanza platonico; e platonico di quel platonismo della decadenza della filosofia greca, in cui, sorto già lo scetticismo contro la primitiva posizione platonica, la fede nelle idee era ristaurata con nuova e peggior forma di dommatismo. Che sono infatti quelle idee, in cui si risolvono tutte le categorie della realtà, così come il Vera ce le presenta, se non le stesse idee vuote della vecchia metafisica wolfiana, riduzione ideale evanescente del mondo, onde tutto si pensa senza nulla fare? quella specie d'oro di Mida, in cui si converte tutto il mondo del povero re, esposto alla dura sorte di morirsi di fame e di sete ?  Questa concezione rimase fitta nella mente del Vera.  Il quale, nella sua prolusione di Milano Amore e filosofia (11 novembre 186t), uno degli scritti, di cui più egli si compiacque!, ripetendo il ritornello che la filosofia è la scienza dell'assoluto, che l'assoluto è l'idea, in cui si concentrano e unificano la molteplicità e le diffe-renze, sostenne che perciò « la filosofia e la scienza delle scienze e, rigorosamente parlando, la sola scienza, e che tutte le scienze e tutte le filosofie, che lo vogliano o non lo vogliano, che lo sappiano o l'ignorino, sono parti di una sola scienza e di una sola filosofia»: o, come dirà altrove :, tutti gli uomini sono hegeliani senza saperlo. Poiché pensare e intendere è pensare e intendere idee, e non e' è altra filosofia o scienza che l'idealismo assoluto 3. Sicché il materialista, che non pensa « la materia, la forza, la na-tura senza le idee di forza, di materia e di natura», è anche lui a suo marcio dispetto dentro l'idealismo, e non se n'accorge. E come il materialista, lo scienziato, il fisico e il matematico sono idealisti senza saperlo; perché tutti maneggiano le idee; e non potrebbero fare altrimenti. E nella già citata prolusione della fine dello stesso anno ripeté le stesse cose ponendo in forma più ingenua l' inconsapevole dualismo e il conseguente dom-matismo in cui egli restava sempre impigliato. « Nella stessa guisa che non si può pensare il triangolo, o il bene, o la giustizia, o la luce, o il tempo, o lo spazio, o un altro ente qualsiasi senza l'idea che ad essi corrisponde, così non si può pensar l'assoluto senza l'idea dell'assoluto » 1.  Non si potrebbe più chiaramente confessare che questo assoluto, il quale deve generare non solo l'essere ma la cognizione dell'essere, non si sa d'altra parte concepire se non come l'obbietto della mente, in sé, perciò, estraneo alla mentalità, e l'idea della mente come altro dall'assoluto a cui deve corrispondere. E come corrispondere ?  23. - Il Vera non ebbe mai un orientamento storico degno di una filosofia come la hegeliana, che concepisce tutte le filosofie precedenti come suoi momenti. Chiusosi nello hegelismo, ei fu subito tratto instintivamente dal suo cattivo genio a tagliare i ponti con tutti gli altri sistemi e principii filosofici, di cui avrebbe invece dovuto cercare i rispettivi gradi di verità. Nelle Ricerche sulla scienza speculativa e sperimentale, combattendo l'empi-rismo inglese, si rifà dalla dottrina baconiana dell'indu-zione, e giudica a questo proposito Bacone. E lo giudica cercando se nel Novum Organum ci sia un principio nuovo.  L'induzione? Ma negli Analitici di Aristotele la natura di questo metodo, le sue leggi, i suoi limiti, le sue rela-zioni con la conoscenza oggettiva  Sono  State descritte  con quella maniera concisa ma sostanziale che è propria del filosofo greco. Né Bacone vi ha fatto alcuna giunta essenziale. Peggio: Bacone non aveva un concetto esatto della natura della scienza e delle sue esigenze, e però né anche della stessa induzione, come è dimostrato dalla sua pretesa che la scienza non si possa ottenere se non induttivamente. Bacone, troppo poco versato nella flo-soha greca, non vide che le sue novità erano vecchie: i suoi contemporanei « non meglio istruiti di lui sulle fonti originali e sul vero valore delle teoriche aristoteliche, accettarono leggermente le sue opinioni., Insomma, tutta la fama di Bacone è una fama scroccata, fondata su errori di fatto, cui basterebbe a correggere il solo voltare la pagina di un libro».  E con questi profondi criteri storici scrisse in inglese nel 57 uno studio su Bacone, in certo giornale, Emporio italiano, che egli stesso dirigeva:: dove le stesse considerazioni delle Ricerche sono svolte e confortate dall'analisi di alcune dottrine baconiane per conchiudere egualmente, che si può cancellare dalla storia del pensiero speculativo un così importante momento qual è, per chi l'intenda, questa prima affermazione, nell'età moderna, della storicità del sapere o del momento della certezza.  Il saggio finisce con una sentenza che potrebbe esser profonda, ma è piuttosto superficiale: « La scienza, anziché essere la esatta riproduzione e la copia fedele del-l'esperienza, dev'esser in certo senso l'opposto dell'espe-rienza; e quindi voler fondare la scienza sulla esperienza è andare a ritroso della scienza stessa ». Frase che, ristampando il saggio nel 1883, l'autore stesso senti il bisogno di commentare con autocorrection.cancel lunga nota, poiché gli si affac-ciò il sospetto che una volta che c'è il mondo dell'esperienza e dell'induzione, il mondo fenomenale debb'avere anch'esso la sua ragion d'essere e contenere la verità; sicché esagera negando alla cognizione empirica ogni ragione ed ogni verità». E si scusava adducendo che il suo scritto aveva carattere popolare, e che egli vi s'era proposto di mettere sopra tutto in rilievo il lato vulnerabile del-l'empirismo, e che infine la verità della cognizione empirica è una « verità subordinata, una verità, cioè, che non rinchiude in se stessa la ragione del suo essere, e suppone quindi una più alta verità; e che perciò quando l'empirismo pretende di essere il solo e vero organo della verità, «esso sconvolge l'ordine delle cose e nel fatto nega ogni verità e cognizione. Scuse troppo magre, perché queste ragioni potevano limitare, non negare il valore di Bacone.  24. - E in realtà quale sia la verità dell'empirismo né allora né poi il Vera volle mai dire 1. Nelle Ricerche, postosi sullo stesso terreno dell'empirista, l'esperienza la concepisce, per rigettarla, allo stesso modo di chi ne fa l'unica fonte della conoscenza quasi sbocco nel pensiero, di una realtà esterna. E contro Locke sostiene che tutte le idee sono innate, perché non c'è sensazione che possa essere avvertita, e cioè pensata, come una sensazionesenza un idea corrispondente; che il non esserne mai consapevoli non prova, come credette il Locke, che non esistano, come non si può dire « che non vi siano leggi che regolano le operazioni organiche del corpo perché  da prima camminiamo, mangiamo, digeriamo senza es-serne consci, ed ignorandole». L'empirista, intento ad osservare e raccoglier fatti, non s'accorge di adoperare una quantità di principii, che pur « debbono preesistere nella sua mente, e dee la sua mente concepirli, ancorché oscuramente e sotto un' incerta e confusa luce.. - Dove parrebbe di scorgere una prova che ancora il Vera non si fosse dato la pena di studiare la Critica della ragion pura, né i Nuovi Saggi sull' intelletto umano.  Di Leibniz si occupò nel 186r nella sua polemica col  Saisset e col Janet ‹, poiché il primo di questi, parlando  insieme di Leibniz e di Hegel, aveva accennato a met-tere il filosofo della Teodicea al di sopra di quello della Fenomenologia: e il nome del Leibniz, grazie all' interesse per gli studi storici suscitato e nudrito dall' impulso del Cousin, era salito in auge in Francia, e Foucher de Careil aveva dato i due volumi del carteggio di Leibniz con Bossuet, e l'Accademia aveva messo a concorso un tema sulla filosofia leibniziana, ottenendo due lavori degni del premio, uno dello stesso Foucher de Careil e l'altro del Nourrisson. Il Vera, che gia insegnava storia della filosofia, e si professava hegeliano, dice a questo pro-posito in tono tra l'ironico e lo stizzito:  J'ai moi aussi le culte des morts, qui est une religion, on l'a dit, je crois, et qui, comme toute religion, est utile aux vivants.  Aussi l'Acadentie mettrait-elle au concours la vie et les gestes de Confucius, ou de Menou qu'il faudrait lui en savoir gré. A plus forte raison, faut-il lui en savoir, lorsqu'elle fait de son mieux pour entourer d'une nouvelle auréole un nom comme celui deLeibriz. Jusque là c'est très-bien. Mais ce qui est moins bien, ce que du moins je ne puis approuver, et ce qui pourrait même au besoin m'indigner et me révolter, c'est qu'on fasse du bruit autour d'un mort pour étouffer la voix des vivants, c'est qu'on veuille donner à une ombre des proportions gigantesques pour couvrir et effacer un véritable géant.  E alzando sempre più il tono:  Voilà ce que je ne veux point, et ce que je combattrai de toutes mes forces, eusse-je devant moi l'ombre de Platon ou d'Aristote. Et, en combattant ainsi, je croirai combattre, non sculement pour la vérité et la justice, mais pour la dignité de mon siècle, et de la nature humaine.  E pare credesse sul serio che si « esumasse » Leibniz, e si « facesse chiasso» intorno a questo nome per dirci che l'epoca dei giganti è passata e siamo a quella dei  pigmei; sicché oggi « per colpire Hegel» ci serviamo di  Leibniz; domani si potrà esumare Plotino, Giamblico, per mostrare, come diceva il Saisset, che la dottrina di Hegel è quella del vecchio panteismo: et nous reculerons ainsi, s'il le faut, jusqu'au paradis terrestre1 Onde ridu-ceva la questione a questi termini:  Ainsi donc, vous nous dites, Leibniz est un grand personnage, et Hégel n'est pas un grand personnage, car c'est là, au fond, la pensée qui domine dans l'écrit de M. Saisset. À cela je repon-drai sans hésiter, si Leibniz est grand, Hégel est plus grand encore.  passi. Ma il Vera, per rendere, com'egli dice, più preciso e più sensibile il proprio pensiero, aggiunge che «se Leibniz non fosse esistito, la catena della scienza non sarebbe punto spezzata, perché noi avremmo Newton a prendere il posto lasciato da Leibniz», che è un gran matematico, ma un mediocre filosofo e un diplomatico: diplomatico non solo nelle controversie religiose, ma nella stessa filosofia. « La sua filosofia è la filosofia degli espe-dienti, delle parole e delle apparenze. Quando non intende la cosa, mette una parola al suo posto; quando una difficoltà lo stringe, non vi si sottrae attaccandola sinceramente e di fronte, ma per l'uscio di dietro ».  E della sua critica concreta basti un esempio. Che è la monade di Leibniz? Questi parte dal principio che ogni essere o ogni sostanza composta, in quanto tale, deve risolversi negli elementi componenti semplici e indivi-sibili; che sono appunto le monadi. - Ora che metodo è questo? Decomporre un tutto nelle sue parti: il metodo che aveva prodotto l'atomismo: metodo volgare, arbi-trario, che non si preoccupa niente niente di giustificarsi.  Perché si decompone? a qual fine? che si cerca? Nessuna risposta. E si può decomporre un tutto? Ma se certi elementi sono uniti in un tutto, il loro essere dipende anche dalla loro unione, e separarli è distruggerli.  Donde poi le escogitazioni puramente verbali dell'armonia prestabilita e delle fulgurazioni della monade delle mo-nadi, necessarie per ricostruire alla meglio quell'unità malamente infranta. - Critica, che è vera certamente ed hegeliana: ma ha il gravissimo difetto (e difetto tutt'altro che hegeliano!) di essere soltanto negativa, e non saper vedere il pregio grandissimo della monade leibni-ziana, come la prima concezione, nella storia del pensiero umano, dell'autonomia assoluta dello spirito.  25. - Né più penetrazione e simpatia storica ebbe per l'altro grande filosofo prussiano, E. Kant, malgrado la sua capitale importanza nella genesi dell' hegelismo.  Ogni volta che ne scrisse 1, ne disconobbe affatto il va-lore, guardando solo al lato negativo della filosofia critica,e sconvolgendo co'  suoi giudizi tutta la storia che la pre-  para. Non può intendere Kant, chi non intenda Cartesio.  E che è Cartesio pel Vera? Uno scettico, da dar dei punti a Carneade. E vero che la dottrina della versimiglianza è per l'accademico il risultato della scienza; e il dubbio è, invece, per Cartesio un punto di partenza e il mezzo di purificare la mente che deve accingersi alla ricerca della verità. « Tuttavia, questa differenza fra le sue dottrine è più apparente che reale. Imperocché ogni qual volta si fa del dubbio una condizione o un elemento essenziale della cognizione, ch'egli si mostri al punto d'arrivo...  o al punto di partenza.... il risultato è lo stesso: si colpi-sce, cioè, la scienza nella sua essenza, che è l'affermazione, e la si rende impossibile »1. E non riesce a scorgere mai né la ragione metodica del dubbio cartesiano, dimostrazione di quel carattere essenziale della conoscenza, che è la certezza, o presenza del soggetto nella verità; né della necessità di quel dubbio, per giungere all'affermazione tutta cartesiana del cogito; né il significato di questo  cogito 326. - Scettico Cartesio, due volte scettico Kant.  Contro il quale il Vera non si stancò mai di ripetere la critica hegeliana (che in Hegel ha un valore affatto in-cidentale) della assurdità di una ricerca sul valore della cognizione come necessario preliminare all'uso della cognizione stessa. Critica, sulla quale non giova insistere troppo contro Kant, che dal bisogno di una preliminare teorica della conoscenza non parte per giungere allo scet-ticismo, ma alla giustificazione di una sua positiva filo-sofia; essendo questa la natura propria di ogni filosofia, ossia della filosofia, di essere un circolo, in cui non si può muovere da un punto senza volgere le spalle a tutto il resto del cerchio che si ha da percorrere. Ma, a parte questo punto, che non fu chiaro nemmeno a Hegel, del Vera è tutta la scoperta (in un suo articolo del '60) che uno dei risultati» dell'analisi kantiana dell'intelligenza « fu, com' è noto, la discoperta di un doppio elemento in ogni atto o operazione del pensiero, di un elemento estrinseco, cioè contingente e variabile, il feno-meno, e d'un elemento intrinseco, necessario e inva-riabile, il noumeno: il quale venne da Kant suddiviso in categorie e idee:!. Confusione tra noumeno e categorie o idee (ossia di ciò che vi ha di più opposto per Kant), che non impedisce al Vera di identificare poi il noumeno con la cosa in sé, mediante l'equazione del noumeno con « Dio, l'idea, l'assoluto». Onde la sua critica di Kant culmina in quest'accusa, che in realtà, la sensazione costituisce il criterio della filosofia critica, e tutti i suoi ragionamenti vertono intorno a questo principio: l'assoluto, il noumeno, la cosa in sé (Ding an sich), come Kant la chiama, non possono esser conosciuti ed affermati, perché non possono essere sentiti e imaginati ». Così non v'ha dubbio che Kant stesso (quellosopra tutto dalla seconda edizione della Critica) si sarebbe visto camuffato da scettico!  Il Vera dovette più tardi, io credo, leggere l'opera maggiore di Kant, e della sua dottrina tornò a discorrere un po' distesamente all'Accademia delle scienze morali e politiche di Napoli nel 1882. Dopo la solita accusa di scetticismo larvato, prese ad esporte umoristicamente la teoria kantiana dell'esperienza, accennando la decomposizione dell'atto dell' intendimento in forma a priori e contenuto a posteriori, o categoria e dato sensibile. Due elementi, che non sono separati, ma uniti indivisibil-mente.  Come, adunque, S'incontrano e si uniscono? Nulla di più semplice. Quando il mondo esterno, la natura, viene col concorso della sensibilità a bussare alla porta della intelligenza, questa sorge dal suo letargo, trae fuori dal suo arsenale le categorie, e risponde alla chiamata battezzando e imponendo un nome al-l'obbietto, e impartendo con ciò a se stessa una esistenza e una realtà obbiettiva. Quindi l'esperienza è un battesimo in cui il neonato, l'obbietto esterno, riceve un nome, una forma razionale che lo trasforma in un qualché d' intelligibile 1.  E dopo questa caricatura, eccolo a far la voce seria e a rimproverare Kant di aver diviso i due elementi del-l'esperienza: chiudendo gli occhi, malgrado i magistrali lavori dello Spaventa, che c'erano stati in Italia, e malgrado le profonde interpretazioni di Schultze e di Beck prima, e poi di Fichte (che il Vera non avrebbe dovuto ignorare), su tutta l'attività creatrice dello spirito, che plasma e governa l'esperienza di Kant.  Qui, se non confonde più categorie e noumeni, continua a ritenere sinonimi nel linguaggio kantiano noumeni, cosa in sé e idee, e la ragione chiama • facoltà dei nou-  meni, cioè delle idee propriamente detten e dalla semi-passività delle categorie, la cui funzione è subordinata al concorso dell'oggetto esterno, argomenta:  Se gli elementi, o principii che costituiscono l'esperienza, sono limitati, subordinati e passivi, ne siegue ch'essi presuppongono un principio attivo che li domina, che è il loro comune prin-cipio, la loro unità, e di cui sono le differenze, i momenti. La cosa in sé, il noumeno, l'idea di Kant altro non può essere che siffatto principio. Il noumeno è principio del fenomeno, vale a dire della categoria e dell'obbietto sensibile, come anche del loro rapporto, della loro unione, cioé, nell'atto sperimentale, nel fe-  nomeno.  E cosi, per intendere la sintesi a priori guarda all'estremo opposto di quello, a cui la storia della filosofia già, continuando Kant, aveva guardato.  Eppure, nell' Introduction à la philosophie de Hégel il Vera riconobbe che accanto ai risultati negativi della critica, vi son pure in quella filosofia « des germes si fé-conds, des vues si larges et si riches, et une intuition si profonde de la science, qu'elle était destinée à susciter un grand et nouveau monvement» t. Ma li dall' indirizzo stesso della sua ricerca, in cui si proponeva di sbozzare in qualche modo il risorgimento dell'idealismo fino al suo culminare in Hegel, era stimolato a cercare in Kant l'addentellato della filosotia posteriore. Ma anche li, quali sono pel Vera i meriti di Kant? Tutto si riduce a questo: che Kant, pel primo nei tempi moderni, ha ricondotto l'idealismo sul terreno dell'ontologia, provocando cosi, dopo Platone, una nuova ricerca sulla natura delle idee.  Infatti, « movendo dal principio che ogni conoscenza si fonda su una forma primitiva del pensiero, fu condotto a seguire il pensiero in tutte le sue applicazioni e in tutte le sfere della sua attività, e a fissare per ciascuna d'esse l'elemento essenziale che la regge e determina. Dondenumerose ricerche concernenti la cerchia intera delle cognizioni, la metafisica, la morale, la natura, la religione, il diritto, l'arte, . dove Kant si sforza sempre di cogliere le leggi invariabili e assolute dell'intelligenza ». Sicché il pregio dell'idealismo kantiano consisterebbe nell'esempio dato di una indagine universale governata da unità di principii: l'unità della scienza e del metodo: « voilà le côté posilij el vraiment fécond de la philosophie de Kant, et c'est par ce côté qu'elle se rattache au monvement ulté-rieur de la philosophie allemande». Concetto che non gli potrebbe servire a una qualunque ricostruzione di questa filosofia; se egli (messo, forse, sulla strada dalla fonte di cui si doveva servire) non passasse poi a determinarlo altrimenti, facendo consistere l'unità di principio, portata da Kant in tutta la scienza, nell'idea considerata come condizione assoluta della conoscenza, e il processo speculativo da Kant ad Hegel nel passaggio dell'idea stessa da condizione della conoscenza a principio assoluto delle cose. Quel che segue infatti, dove passa a mostrare che i germi di questa trasformazione erano già in Kant, non può essere pensiero del Vera, il quale non se ne ricordo mai, in séguito, nei suoi giudizi sul criticismo. Il passaggio da Kant a Hegel era per lui oscuro, e chi sa donde è attinta questa giustissima osservazione, dove per altro talune espressioni incerte e poco esatte tradiscono una conoscenza indiretta: che « nella filosofia kantiana, quantunque essa faccia una larga parte all'esperienza, considerata come condizione all'esercizio dell'intelletto e il solo mezzo di verificare il valore oggettivo delle sue leggi, il pensiero conserva la sua superiorità sull'esperienza, e, anzi che ricevere da essa le sue leggi, gliele impone in guisa che esso foggia (jaçonne] e si assimila i fenomeni, i quali non possono giungere a lui se non attraverso le sue forme e le sue leggi»; e quest'altra idea, più profonda, che «l'atto trascendente e sintetico della coscienza, iopenso, vi è presentato come la condizione essenziale e, per dir cosi, il substratam di ogni conoscenza, e costituente l'unità della coscienza e di tutti i suoi elementi, delle sue appercezioni interne o esterne, delle categorie e delle idee come dei materiali forniti dall'esperienza ».  27. - Anche il passaggio da Kant a Fichte (il Vera pare non sappia nulla dei minori kantiani che spianano la via a Fichte) è bene rappresentato, almeno in appa-renza: osservandosi che le leggi del pensiero non sono poi elementi vuoti e inerti, ma potenze, forze che producono i fenomeni; e che il loro centro è in quell'unità profonda dell'Io («la cui forma più elevata è l'atto sintetico del pensiero i); e però dall'Io scaturisce ogni attività dell'intelletto, e quindi questo mondo esterno e oggettivo, su cui l'intelletto si esercita. Donde Fichte, che pone nell'Io l'unità delle cose. Ma le poche pagine dedicate al pensiero di Fichte sono seguite da critiche, che dimostrano la scarsa familiarità del Vera con quel pensiero in relazione ai principii più profondi della Cri-tica, e la sua incapacità di apprezzare storicamente questi punti capitali della preparazione allo hegelismo.  Tutto il progresso di Fichte è raccolto in queste tre osservazioni, superficiali o del tutto erronee: 1) che Fichte ristabili l'unità della intelligenza, che Kant aveva spezzata con la sua divisione della ragione, in pratica e spe-culativa; 2) dedusse con metodo rigoroso l'una dall'altra le varie parti della conoscenza, facendo così sentire sempre di più il bisogno e mostrando insieme la possibilità di organizzare la scienza secondo i rapporti interni delle sue parti; 3) facendo dell'Io il principio del pensiero e dell'essere, «provocava ricerche più profonde sulla natura e le leggi del pensiero e i loro rapporti con le cose, e preparava la via alla filosofia dello spirito di Hegel ».  Ma la parte negativa, al solito, supera di gran lunga lapositiva; e le censure si accumulano l'una sull'altra con una desolante inintelligenza. Eccone qualche esempio.  Le deduzioni di Fichte non penetrano gran che nella natura delle cose, di modo che non si vede né perché né come si producano le opposizioni e come si passi da un termine all'altro. — Il non-io è contenuto bensi nell'Io (anzi, dice il Vera, dans la notion même du moi) ma questo punto non è dimostrato; perché Fichte non s'era elevato a quel metodo che ricava dal concetto di una cosa la sua differenza e la sua unità. Il suo metodo era ancora accidentale ed estrinseco; e però egli ridusse tutte le opposizioni a quelle di lo e non-Io, laddove la contradizione c'è anche nel non-lo preso separatamente (bel gusto, invero, a prenderlo separatamente, dopo Fichte!). - E poi l'Io è un concetto o una forza? (domanda, che è una rivelazione o una confessione rispetto alla posizione del Vera nell'intendere la natura del movimento del pensiero nella logica hegeliana). - Ancora: I' Io di Fichte, se è un lo relativo, contingente e finito, si lascia sfuggire l'assoluto e l'infinito della scienza; se è l'Io assoluto, allora la sua tendenza, il suo sforzo infinito per attingere l'assoluto è inesplicabile. E via di questo passo, o con questi salti. Ma il più curioso è che il Vera infine dice: «Telles (0 sont les lacunes que présent la doctri-ne de Fichle et que Schelling s'efforça de faire dispa-  raitre ".  28. - E sorte non migliore, per iscarsa o nessuna conoscenza diretta e per divergenza di punto di vista, capita quindi a Schelling, di cui il Vera, non occorre dirlo, non sospetta nemmeno il reale motivo speculativo e il progresso vero su Fichte: e il cui sistema giudica, a un tratto, come « plutot une oeuvre d'arl qu'ane ocuore waiment scientifique,.. plutôt le produit de la jeunesse que de la maturité de la pensée d'une vive et riche imagi-nation que de celle intuition profonde et réféchie, qui est le résultat des procédés sevères de la sciencent.  29. - Se cosi giudicava i maggiori filosofi tedeschi, che non fossero Hegel, qual meraviglia che non tenesse in nessun conto tutti i filosofi italiani? Quanto più d' ingegno e di dottrina spiegava il suo collega napoletano  B. Spaventa a mettere, come si dice, in valore la filosofia italiana, dimostrando con le sue penetranti investigazioni i tesori di pensiero che si celavano nelle sue viscere, tanto più il Vera, la cui cultura s'era formata fuori d'Italia, e che, scrivendo in Francia, aveva finito col non dire più  'i francesi ' ma 'noi'=; e imbevutosi dell' hegelismo, non aveva più saputo guardare all'Italia con altri occhi, che quelli onde, in generale, tutti i romantici tedeschi vi guardarono commiserando 3; tanto più, il Vera, per cuidunque non esisteva il problema dello Spaventa, di edificare sulle fondamenta, e svolgere il pensiero italiano,  movendosi dentro di esso e movendosi con esso, più s' impuntava, assai poco hegelianamente, ad asserire che in Italia non s'era mai filosofato, e che bisognava rifarsi da capo. Una eccezione parve talora farla pel Bruno, celebrato da Hegel come » nobile anima, che sente in sé l' immanenza dello spirito e intende l'unità della sua essenza e dell'essenza universale come tutta la vita del pensiero 7. Nella sua prolusione a Napoli, la occasione stessa l'obbligò quasi a ricordare i due grandi nomi na-poletani: Bruno e Vico. E il primo mise al di sopra del secondo, quantunque manchi a quello « sopratutto il punto di vista, o concetto istorico, concetto importantissimo e che è il segno caratteristico, e dirò come il trionfo della filosofia moderna»: e l'abbia invece il Vico, e sia anzi la sua originalità. Pure, «Bruno è un profondo me-tafisico, a tal segno ch' è come l'eco dell'antica filosofia e il precursore della moderna». Ma non andò (né credo potesse con la cognizione che doveva averne) oltre tali e simili generalità. A cui si attenne anche lo scolaro  Raffaele Mariano in quel suo pamphlet sulla filosofia contemporanea italiana, in cui si fece, come già in altri scritti, organo del pensiero del Vera. Tra Bruno e Vico il Vera non vedeva che tenebre. Di Campanella mai una parola, che io sappia. Vico è lodato caldamente in un articoletto (L'esegesi), scritto in Inghilterra, nel 1857% con qualche accento di italianità: lodato come « genio profondo e originale», « uno dei primi, per non dire il primo, ad entrar nella carrieran in cui andarono poi tanto innanzi i tedeschi, della critica erudita e della filologia: come quegli che nel De antiquissima Italorum sapientia « ha poste le basi della critica filosofica delle lingue», nel De unico principio et fine tris (sic) « ha poste le basi della critica del diritto e nella Scienza nuova ha fondato la filosofia della storia, e quindi i principii della critica storica. e con la sua teoria sul « vero Omero » va considerato «come il punto di partenza e il motore di tutte le ricerche posteriori sulla questione omerica..  Giudizio molto modificato più tardi:, in parte corretto (in ciò che concerne il De antiquissima ne aveva bisogno), in parte peggiorato e ravvolto in un apprezzamento complessivo superficialissimo. « Vico è un mediocre me-tafisico. Trasportando l'idea platonica, e anzitutto l'idea della repubblica di Platone nella storia comprese che avervi una storia ideale. Questo intese, ma mal comprese; e mal comprese ed attuò, perché alla verità e altezza del concetto non aggiunse una facoltà vera-mente speculativa». Non seppe addentrarsi nella cognizione dell'idea, «sia con uno studio profondo delle dottrine platoniche e aristoteliche, sia con indagini proprie e veramente originali». Avrebbe dovuto costruire prima l'idea della storia, e indi desumere il fatto o storia reale delle nazioni. E invece mosse dal fatto, la storia di Roma, e però non poté intendere l'Oriente, la Grecia, il Cristianesimo e le nazioni e la storia moderna (che sono, come ognun vede dall'indice della Filosofia della Storia di Hegel, le altre parti della trattazione hegeliana, oltre la storia romana). Più tardi disse che Vico intravvide, non vide la vera idea della storia!. Viceversa, discorrendone più di proposito nella Introduzione alla filosofia della Storia :, tornava ad asserire che « il gran pregio di Vico, che niuno potrà rapirgli, sta in questo, nell'aver pel primo riconosciuto che l'idea è il principio della storia». Ma, con l'usata deplorevole confusione,  accettava l'inter-  pretazione platonica che il Vico stesso fa delle sue idee, parendogli chiaro che «studiando la teorica platonica delle idee, comprendendo, cioè, l'importanza e la funzione dell'idea dell'universo, si giunge naturalmente al punto di vista di Vico». E d'altra parte, guardando poi all'applicazione che il Vico aveva fatto della sua dottrina alla scoperta del vero Omero, dove il Vico non avrebbe inteso che l'idea non si manifesta se non incarnandosi in certi individui, non dubitava di arguirne che  *Vico non intese la vera natura dell'idea, né quella del suo rapporto con la storia e con l'individuo ».  E dopo Vico? «Vico», risponde per lui il Mariano, « è un'apparizione che non ha antecedenti e non lascia tradizione »3. E poiché Vico non ebbe coscienza della me-tafisica richiesta dal suo concetto storico della scienza, si può dire che « il pensiero italiano chiuda il suo ciclo storico con Bruno, e s'estingua, se cosi può dirsi, sul suo rogo». Doloroso a dirsi: l'Italia moderna non esiste nella storia, se esistere nella storia significa rappresentare un'idea; o esiste pel suo papato. Dall'alto di questo giudicatorio universale, che diventavano quei pigmei di un Galluppi, di un Rosmini, di un Gioberti, di cui faceva tanto caso lo Spaventa? Il Mariano risponde:  533  « A nostro avviso, i filosofi italiani degli ultimi tempi non hanno contribuito in nessuna maniera con le loro dottrine al movimento e allo sviluppo del pensiero filo-sofico; poiché, oltre a venire quando tutto lo sviluppo di questo pensiero era già compiuto, essi si chiudono in punti di vista esclusivi e subordinati. Le loro dottrine non sono siste-matiche, nascono non si potrebbe dire donde né come,  senza aver nemmeno una coscienza chiara di se stesse, né della filosofia in generale; e infine segnano un regresso e una decadenza del pensiero. La tesi dello Spa-venta, che non intendeva si potesse trapiantare in Italia una filosofia la quale non avesse nessun appiglio nella tradizione del suo pensiero, e che andava orgoglioso di aver dimostrato che tutti i nostri più grandi pensatori da Bruno a Campanella al Gioberti s'erano mossi nello stesso circolo del moderno pensiero europeo, pareva al Mariano e al Vera « falsasse il concetto della filosofia, del suo oggetto e della sua storia», uno di quei « tours de force intellettuali, che non sono rari, che sono anzi disgraziatamente troppo comuni, e consistono nel mettere in una dottrina quel che è nel nostro proprio pensiero e nel pensiero d'un altro».  Bella testa davvero quello Spaventa, che veniva a dire 'a questi asini papalini degl' Italiani, che alla fine la filosofia di Hegel non era poi l'ultima parola dello spirito speculativo, e non si doveva ripetere e commentare meccanicamente le sue deduzioni come tante formole sacramentali. « Parole sonore, ma vuote. L'essenziale è intendere quelle deduzioni e quelle formole, come piace allo Spaventa di chiamarle. Ma lo Spaventa le intende ?  Par di no, dacché identifica [e non era vero] Gioberti e Hegel. Poi che il pensiero di Hegel possa essere ulteriormente svolto e compiuto entro certi limiti, nessuno hegeliano, noi crediamo, si rifiuterà di ammetterlo. Ma se lo Spaventa avesse inteso la storia della filosofia e l'hegelismo, avrebbe visto che non sono possibili svolgimenti ulteriori deviando o uscendo dal pensiero hegeliano, e in questo senso può dirsi che la filosofia di Hegel sia per l'appunto l'ultima parola dello spirito speculativo ...  Che poteva essere magari la convinzione dello Spaventa, ove si dia a questa frase un significato rigoroso, che non era disposto di certo a darle né il Mariano né il Vera, quando questi scriveva p. e, che « la filosofia di Hegel chiude, quanto alle parti costitutive, il ciclo storico della filosofia; quantunque non vogliamo negar con ciò la possibilità di altri svolgimenti, ma sempre di un ordine particolare e subordinato, che il pensiero filosofico potrà ammettere »3. - Uomo pericoloso quello Spaventa, infido hegeliano! Quei suoi Principii di filosofia, cominciati a pubblicare nel 1867! Sempre quel suo fare d'uomo che dice e non dice (les mêmes allures contournées et de-tournées !), quell'ambiguità di linguaggio, quell' hegelismo che non è punto hegelismo: « una logica hegeliana che si dà delle arie di non sappiamo qual'altra logica: infine, una filosofia nuova, ma stranamente nuova, prima perchévi si dà per nuovo quel che Hegel stesso e dopo Hegel alcuni de suoi discepoli hanno esplicitamente e da lungo tempo insegnato, e poi, sopra tutto, perché non si potrebbe dire che cosa è, donde viene e dove va, e perché non può avere altro risultato che di creare o perpetuare l'equivoco, la confusione e l'indisciplina degli spiriti».  Cosi dal Vera aveva imparato a giudicare dello Spaventa, uno scrittorello, che, tanto per accreditare la filosofia hegeliana, rifaceva in quattro e quattr'otto e tenendosi sempre sulle generali, senza analisi di testi, né discussione di punti controversi, la storia della filosofia italiana della prima metà del sec. XIX, e sentenziava che quella specie di eclettismo del Galluppi era un « fenomeno isolato e accidentale, che non s'era accorto di venire al mondo quando il movimento filosofico tedesco con Hegel era « achevé, lorsque l'idéalisme étail une doctrine constituée» (povero Galluppi!). Il pensiero del Rosmini è più vasto e completo, ma è un vano sforzo • di risuscitare la filosofia scolastica, e, per questo rispetto, un regresso. Gioberti poi « non soltanto un'apparizione inutile nell'ordine del pensiero come in quello della storia, ma la negazione della storia e della scienza " 5  Lo Spaventa ne aveva fatto la satira anticipata. A proposito di costoro che non vedevano nulla di nulla in Italia, e la filosofia morta da due o trecento anni, e si scalmanavano a raccomandare l'idea, a rifarsi dalla idea, e sopra tutto a far come loro (e guardate a noi, fate come facciamo noi, e dite come diciamo noi: uno, due, tre; e ritornerete vivi, sani e salvi; e sarete felici »)  aveva ricordato « un tale, bravomo del resto; il quale un giorno, di pien meriggio, nel mese di luglio, non sapendo che fare e avendo accolto in casa, nel suo gabi-netto, numerosi amici, chiuse ermeticamente le impostedelle finestre e l'uscio, e all'oscuro accese subitamente un suo lumicino, e fattosi in mezzo, non per gioco, ma col maggior senno del mondo, esclamò: - Non temete; ecco, io vi riporto la luce!* E la satira conchiudeva: « Mi fu detto poi, che il brav'omo fini i suoi giorni al mani-comio, e non parlava d'altro che del lume spento e del suo lumicino » 1.  30. - Quando nel 1855 imprese la sua volgarizzazione della filosofia hegeliana, Augusto Vera non s'era proposto se non di tradurre in francese la piccola Enciclopedia di Hegel, come già erano state tradotte le opere principali di Kant, Fichte, Schelling, l' Estetica dello stesso Hegel e una parte della Logica. Ma estremamente prolisso com'era, e com'è degli scrittori che non approfondiscono il pensiero e scivolano sulle difficoltà, postosi a scrivere un proemio introduttivo alla traduzione, la materia gli crebbe ben presto tra mani fino ad imporgli la necessità di pubblicare questo scritto a parte, come formante da solo un tutto « indipendente, sotto certi aspetti, dal sistema di Hegel», le cui tre parti pensò quindi di dare poi in tre volumi distinti. Se non che, nel 1859, quando poté cominciare a pubblicare la sua traduzione, penso che se a tutta l'Enciclopedia aveva mandato innanzi una introduzione generale, una speciale per la Logica, ossia per la prima parte, da cui gli toccava di cominciare, sarebbe stata pure opportuna.  E cosi per la sola Logica occorsero già due volumi 3;come tre gliene occorsero poi per la Filosofia della natura 5  infarcita di lunghissime note, oltre la solita vasta introduzione; e due infine per la F'ilosofia dello spiritos, ma grossi: perché, pubblicato a tre anni di distanza dal primo, il secondo gli parve che non potesse andar privo di una nuova speciale introduzione. E tra introduzioni prime e seconde, avant-propos e avertissements premessi agli avant-propos, commenti perpetui, appendici, pole-miche, si esauri tutta la sua attività letteraria non impiegata nel tradurre il testo. Tutta, o quasi tutta. Quando parve proporsi un tema di trattazione originale, come il Cavour (1871) e il Problema dell'Assoluto (1872-82), in fatto continuò egualmente a discettare intorno all'uno o all'altro punto di dottrina hegeliana; e quando, come nel Problema dell Assoluto, doveva pure levar l'ala pervoglia di volare, finiva tosto per fare come il cicognino dantesco, che  non s'attenta  D'abbandonar lo nido, e giù la cala.  E lasciava interrotto il lavoro.  L'opuscolo sulla Pena di morte (1863) 1, che, per il vivo interesse che suscitava allora la questione in Italia, fu degli scritti più noti, più letti e discussi del Vera 3, è anch'esso un commento a un'opinione dell' Hegel.  L'Introduzione alla filosofia della storia (1869) sono corsi di lezioni raccolte da uno scolaro, le quali non hanno nessuna pretesa d'originalità scientifica. Lo Strauss, l'ancienne et la nouvelle foi (1873) si propone di chiarire e confermare la filosofia della religione di Hegel contro il radicalismo teologico dello Strauss. Si può dire pertanto che tutta l'opera del Vera si riduca alla traduzione e al commento dell' Enciclopedia di Hegel con speciale insistenza sulla parte che riguarda la filosofia della religione.  Opera certamente assai benemerita pei vantaggi arrecati alla cultura delle nazioni latine, principalmente della Francia e dell'Italia, in un tempo in cui la filosofia di Hegel era venuta in discredito, le sue opere apparivano in conseguenza assai più difficili che in realtà non siano, e facevano torcere il muso agli studiosi, i quali non avrebbero forse letto nulla di lui, se non avessero avuto a portata di mano quell' Hegel volgare (come avrebbero dettoi nostri antichi), così agevolmente accessibile nello sciolto francese in cui il Vera lo dilavò, e cosi largamente illustrato da chi non dubitava di parlare come l'autentico interprete dello hegelismo. Soltanto in questi ultimi anni le sue traduzioni sono state, nel rinnovato studio di Hegel, riscontrate accuratamente con l'originale; e trovate malfide. Se nella prima traduzione della Logica gli errori d'interpretazione erano frequenti, i lettori non lo seppero forse prima che ne li avvertisse lo stesso Vera quando li corresse nella seconda?. Lo stile discorsivo, senza muscoli e senza nervi, del traduttore non somigliava punto a quello di Hegel: ma chi se n'accorgeva ?  I punti più delicati ed essenziali dello hegelismo nelle interpretazioni veriane andavano alterati. Il colorito generale e il carattere fondamentale di questa filosofia attraverso quelle interpretazioni eran cancellati o apparivano troppo sbiaditi. E questo era certamente difetto ingente per la fortuna del pensiero hegeliano e il progresso speculativo. Ma non è per altro da credere che una più schietta traduzione e una interpretazione più rigorosa del pensiero hegeliano sarebbe bastato in quel ventennio tra il 186o e l'8o in cui cadde l'opera del Vera, a dare una direzione diversa allo spirito filosofico, preso com'era dalla brama dei fatti e dal disgusto d'ogni speculazione.  E d'altra parte, c'è in ogni grande filosofo e in ogni grande scrittore una folla di verità particolari, frammenti e scheggie luminose di pensiero, di cui giova pure arricchire ed accade sempre provvidenzialmente che venga arricchito il patrimonio generale della cultura, e impinguato quello che si può dire il terreno spirituale, da cui germogliano, maturate che siano le stagioni opportune,i nuovi pensieri, e da cui pur continuamente traggono il loro succo vitale tutte le forme dell'attività umana.  Chi potrebbe dire, da questo aspetto, quanto sia il be-nefizio arrecato alla cultura dalle fatiche del Vera ?  3L. - Questa fu la sua parte: la parte del commen-tatore, che si chiude nel pensiero del suo autore, quasi in un cerchio di Orbilio, e non vede come sia più possibile uscirne. Il « Commentatore» per antonomasia del medio evo disse di Aristotele, che egli era stato la regola della natura e come un modello in cui essa aveva cercato di esprimere il tipo dell'ultima perfezione; posto al più alto grado dell'eccellenza umana, cui nessun uomo mai aveva saputo pervenire: disse la sua dottrina « la verità sovrana: perché il suo intelletto è stato il limite dell'intelletto umano, sicché di lui possa a ragione dirsi esserci stato dalla Provvidenza dato per imparare tutto ciò che è possibile sapere»; e che insomma egli « è il principio di ogni filosofia: non si può differire se non nell'interpretazione delle sue parole e nelle conseguenze da ricavarne». E le stesse cose, su per giù, ripete di Hegel, come già in parte abbiamo visto, il Vera, lieto di potersi dire «un hégélien pur, un hégélien à outrance n3; pronto a protestare che gli anni e la riflessione non facevano che fortificare la sua convinzione che la philosophie de Hégel est la sente philosophie véritable, la philosophie absolue »3; che sempre Hégel a raison contre tous4, perché egli è non pure uno dei più potenti pensatori, ma il più potente forse che sia mai esistito s. Nella Introduction del 1855 riconosceva ancora un qualche valore al concetto (hegelianeggiante) *di Leibniz della philosophia perennis; ma nel 1873. polemizzando con lo Strauss « in nome della filosofia » teneva a dichiarare com'egli la intendesse. « Per me, lo confesso, quando sento parlare di una filosofia in generale, di quella filosofia che Leibniz e altri sulle sue tracce chiamano col nome sonoro di philosophia perennis, chiudo gli occhi e gli orecchi, e preferisco non vedere né sentire, che sentire e vedere mercé d'una tale filosofia». E si appellava al principio, hegeliano senza dubbio, che la filosofia non può essere che una determinata filosofia; ma continuava, distruggendo ipso facto il valore di quel principio: « E questa filosofia non mi stancherò di ripeterlo, e, per quanto è in me di dimostrarlo, è la filosofia hegeliana » *; laddove una delle determinazioni essenziali della filosofia hegeliana era appunto questa di adeguarsi alla storia della filosofia o, se si vuole, alla philosophia pe-rennis, in cui tutte le determinate filosofie sono la filosofia veramente determinata.  E da quest'angusta e in certo senso materialistica concezione della filosofia hegeliana, tutta chiusa in una individualità semifantastica, sorretta dalla rappresentazione di certi libri e di certe parole o di una certa persona vissuta in certi tempi e luoghi, il Vera era trascinato a perpetrare un vero tradimento di Hegel: da lui disarmato e consegnato, legato mani e piedi, al primo venuto dei suoi avversari. Poiché, una volta concepito un sistema filosofico come chiuso in sé, senza rapporti con gli altri sistemi, prodotto di una speciale visione del mondo, che non ha che fare con gli altri possibili punti di vista, quasi spettacolo che si goda in una stanza, e di cui non sia dato saper nulla a chi non vi entri, cotesto sistema non si può più dimostrare a chi non sia già persuaso della sua verità; perde cioè la sua universalità,la sua verità, il suo valore di pensiero, che non è mai atto di uno senza esser atto di tutti: perde la vita del pensiero che è espansione e forza invadente, conquistatrice e trionfatrice; per diventare una cosa, che sta dove la mettete, in eterno, ignara di sé, inerte, esposta al libito di chi vi si abbatta! Concezione strana, umiliante, ad accettar la quale, coraggiosamente, il Vera fu anche spinto da un profondo concetto hegeliano, da lui inteso a metà: che la verità di un sistema sta dentro il sistema e in tutto il sistema. Ma Hegel stesso andava subito incontro al pericolo d'una possibile interpretazione materialistica di questa proposizione, per cui il suo pensiero sarebbe rimasto disteso sovra un'altura inacces-sibile, concependo dapprima come una prima parte del sistema una  Fenomenologia dello spirito come autoaf-  fermazione della propria filosofia attraverso tutte le posizioni storiche e ideali del pensiero, e premettendo poi all' Enciclopedia un'introduzione critica e polemica destinata a giustificare il proprio punto di vista di fronte a quelli inferiori. Talché, se pure era nella sua dottrina,  quale si venne scolasticamente consolidando attraverso le varie redazioni dell' Enciclopedia (nata per la scuola), la tendenza a fare del sistema un dato circolo chiuso, nel quale bisognasse penetrare per non so quale grazia sovrannaturale o luce illuminante ogni privilegiato hege-liano; questa tendenza era spontaneamente frenata e corretta dalla possente vita del genio investito dalla forza della verità. Ed era intanto punto capitale della sua dottrina, che la critica di un sistema filosofico - e quindi il passaggio a un sistema superiore - non è critica soggettiva che altri possa fare movendo da principii di sistemi diversi, ma critica interna, autonoma, sgorgante dalle viscere dello stesso sistema; sicché non si sale slanciandosi in alto per aggrapparsi con la punta delle dita alla proda delle balze superiori, ma fermando bene ilpiede sul grado già raggiunto, e di li sforzandosi di salire, costretti dallo stesso disagio della via erta ed arta, - per tornare ancora una volta alle immagini dantesche. Sicchè la vera dottrina di Hegel è che la verità della sua filosofia, se, come sistema, vive nel circolo del suo pensiero siste-matico, si conquista attraverso tutte le filosofie, e si pone percio per motivi di verità che giacciono in tutti i sistemi. L' hegelismo che si chiude gli occhi e gli orec-chi, e, come la Notte di Michelangelo, vuole « non veder, non sentir, non è quell'originale hegelismo che figge per tutto il suo occhio sereno, certo che tutto che è reale è anche razionale, ma un hegelismo veriano, alquanto adulterato.  E cosi accadeva al Vera, malgrado tutta la forza del  suo hegelismo, di trovarsi come chi, in paese straniero di cui ignori la lingua, abbia bisogno di far valere le proprie ragioni, e non trovi né anche un interprete. Non sapeva parlar altro che l'« hegeliano » 1 Nella introdu-zione alla Filosofia dello spirito, dopo avere intravvedute ben sei gravi obbiezioni contro il concetto da lui esposto del sistema hegeliano, dovendo ribatterle, si ricordò della  sua  teoria dell'hegelismo chiuso, gia spiattellata tre anni prima nella nuova prefazione all' Introduction à la philosophie de Hégel, a proposito delle critiche del Foucher de Careil e del Trendelenburg; e si senti in dovere di fare questa confessione:  Nous commencerons par avouer que ces objections  nOuS  embarassent très-fort, et que nous ne voyons pas comment nous pourrions y répondre d'une manière satisfaisante, d'une manière, voulons-nous dire, qui satisfasse complètement celui qui nous les adresse. Car ce n'est pas nous autres hégéliens, bien entendu [l]. qui nous faisons ces objections, ou si nous nous les faisons, nous en trouvons aussi la solution. Seulement cette solution est valable pour nous, mais elle ne l'est pas, len général, pour les au-tres, c'est-à-dire pour les non-hégéliens (!).Et la raison en est bien simple. C'est que la solution est dans le système, et que par suite elle ne saurait être entendue et acceptée qu'autant qu'on est dans le système. Par conséquent, celui qui fait des objections, qui les fait hors du système, c'est-à-dire en se plaçant au point de vue de l'opinion, de la conscience vulgaire et irréfléchie du sens commun comme on l'appelle, et même de la philosophie de l'entendement, et qui, avant d'entrer dans le système, demande qu'on lui réponde d'une façon qui leve complètement ses doutes, demande ce qu'en réalité il n'est pas raisonnable de nous demander. Car ces doutes viennent précisément de ce qu'il demeure hors du système, et que sa pensée est impuissante à saisir la vérité systématique. Par con-séquent, tant qu'il n'aura pas franchi cette limite, et qu'il ne sera pas entré dans le système, toutes nos réponses et toutes nos explications devront nécessairement lui paraitre insuffisantes, par la même que sa pensée et notre pensée ne sont pas la même pensée 1.  Non era questo un disarmare Hegel e consegnarlo  agli avversari? Tommaso d'Aquino, convinto che oltre gli articuli fidei, ci siano anche i preambula ad articulos, aveva potuto scrivere una somma de veritate catholicae fidei contra gentiles; ma contro i gentili dell' hegelismo il nuovo apostolis gentium non vedeva come un povero diavolo d'apostolo se la potesse cavare: e badava a ri-petere il motto di Anselmo: fides quaerens intellectum,  ma senza ottemperare troppo alacremente al maggior detto dello stesso Anselmo (Cur Deus homo, c. 2): « Ne-  gligentiae mihi esse videtur, si postquam confirmali sumus in fide, non studemus, quod credimus intelligere! ». Il mo-mento della fede, come vedremo più chiaramente, era l'essenziale per lui. Questo infatti gli bastava a reggere l'opera sua di paladino di Hegel. Non confessó quel tale, che moriva in duello pel Tasso contro l'Ariosto, di non aver letto nessuno dei due ?I libri di Hegel il Vera certamente li aveva letti e ri-letti. Non tutti, forse, quando scese in campo per lui con l'Introduction, né tutti poi con la stessa attenzione e diligenza. Il Janet • notò che in quella Introduzione manca ogni menzione della Fenomenologia; e la critica che già ne abbiamo rilevata contro lo Schelling autorizza a crede che ei non avesse ancor letta la prefazione di quell'opera di Hegel. Doveva allora conoscere l'Enciclopedia e, in parte, la Filosofia della religione: in parte anche la Scienza della logica; ma così male, da non essersi ancora reso conto ben chiaro della redazione di queste opere. Cosi allora dimostrava di sconoscere che le appendici (Zusätze) ai singoli paragrafi dell' Enciclopedia non furono aggiunte da Hegel stesso, bensi dagli scolari (Henning, Mi-chelet e Boumann) che ne curarono l'edizione postuma e si giovarono di appunti del maestro e di quaderni di scuola:  Anzi, confondendo con tali appendici le osservazioni che Hegel infatti aggiunse per la prima volta nel 1827 ai singoli paragrafi, - che da soli formavano il testo della prima edizione (1817), - asseri 3 che Hegel nella seconda edizione credette di aggiungere co-teste appendici, per rendere il suo pensiero meno astratto e più accessibile. E questo errore ripeté nel '59 nell'avvertenza premessa alla Logica, aggravandolo di un'altra inesattezza che potrebbe far credere non aver egli allora col secondo e col terzo volume dell' Enciclopedia postuma (detta ordinariamente Grande Enciclopedia, per distinguerla dalla Piccola, cui mancano quelle appendici) la familiarità che dovevaaver acquistato col primo contenente la Logica: perché dice che nel 1827 Hegel non diede propriamente una seconda edizione di tutta l'Enciclopedia accresciuta delle appendici, ma della sola Logica: « Par les deux autres parties de la Grande Encyclopédie n'ont paru qu'après la mort de Hégel dans Védition complète de ses oeuvres qui a été publiée par le soin de ses disciples et de ses amis » 1.  Apparse dopo la morte di Hegel: ma già redatte da lui stesso, comprese le appendici, come il Vera tornò a dire chiaramente nell'avvertenza al primo volume della Filosofia della natura *.  Confusionis che potrebbero anche ascriversi a sbadataggine di studioso inesperto d'ogni buona usanza filologica: ma che, se in parte son pure indizio di scarsa familiarità coi testi hegeliani, in questo caso son pure da riportarsi all'indole del suo spirito, di cui abbiamo già cominciato a intendere alcuni tratti essenziali. Il Vera era cominciato mistico: scettico verso i metodi razionalisti, aveva asserito l' inconoscibilità delle essenze, e certa intuitiva rivelazione originaria di Dio, alla Jacobi.  Il mistico non può essere idealista che a mo' di Platone: per cui la verità non è processo, ma conoscenza immediata e miracolosa, presenza dell'oggetto, in cui si prescinde dal soggetto o in cui perciò il pensiero tende a risolvere e seppellire la propria soggettività. L'idea a chi cerchi una tale verità si presenta e impone da sé; è se stessa; e non può farsi, ancorché definita come processo (diventa allora idea del processo, e, come idea, immobile). In quanto sistema, diventa sistema in sé, che non forma la mente, ma è innanzi alla mente; e non è svolgimento;ma un tutto perfetto, in sé, senza passaggio da altro a esso, né da esso ad altro. E filosofia che non è la filosofia, ma una filosofia, che ha fuori di sé le altre, il pensiero volgare, l'opinione, la filosofia intellettualistica, senza un ponte da queste forme mentali a essa. - O tutto, o niente; o scetticismo, o cognizione assoluta (idest, il sistema di Hegel), come badava a ripetere il Vera. E che cosa era per lui la mente fuori dell' hegelismo? Se la verità era tutta dall'altra parte, di qua non ci restava nulla. La sua pertanto era una concezione mistica del-  1' hegelismo, per cui il rapporto dello spirito con la vera filosofia, o illuminazione mentale, veniva concepito come una unione soprarazionale, di là dalla quale si sarebbe instaurata la razionalità dello spirito. E questa tendenza mistica del Vera, se io non m' inganno, gli faceva prendere in mano i libri di Hegel e non guardare attentamente alle prefazioni, non cercare le varie edizioni, non studiare la storia dei testi: giacché in ogni tempo la misticità è stata nimica mortale di tutte le questioni concernenti la lettera, come ad esse piace di dire, e non lo spirito, quali son quelle di filologia. Pericolosissima china; giacché se questa tendenza nel Vera col dispregio della filologia portò l'impossibilità di una vera dottrina storico-filosofica, nel discepolo Mariano, che avrebbe dovuto essere di professione uno storico del cristianesimo, frutto tutta una boriosa e vuota teorica di metodo storico, che è una delle più solenni e funeste falsificazioni della dottrina hegeliana, cioè della prima filosofia venuta in luce dacché il pensiero prosegue la sua eterna fatica, a giustificare non solo, ma ad esaltare ogni forma di storia; e nella scuola del Vera, tra i suoi insegnamenti di storia della filosofia e di filosofia della storia, fu piegata goffamente a significare un pensiero rispettoso bensi a parole della storia, dello svolgimento, della determinatezza, ma, nei fatti, di una tracotante svalutazione d'ogni sincera ricerca dellastoria, ossia dei particolari più determinati, in cui pur consiste il concreto svolgimento del reale.  32. — Della quale tendenza, mistica e però antisto-rica, della mente del Vera si potrebbero raccogliere ne' suoi scritti molte manifestazioni. Il Janet, in un suo articolo sul primo volume della Filosofia della religione notava finemente che il Vera, nella lunghissima introduzione che mise di suo in quel volume per ragionare dei rapporti tra filosofia e religione, «est encore ici fort dans la discussion, vague et obscur dans la conclusion. Il ré-sume très-bien toutes les manières de se rapresenter le rap-port de la religion et de la philosophie. Mais on ne vort trop quelle est la vaie». E nel '73 lo stesso Vera contro Strauss osservava che la posizione da costui assunta era très-nette. E, soggiungeva «les positions très-nettes sont souvent, surtout dans la science, très-fausses, par la raison même qu'elles sont très-nettes, par la raison, veux-je dire, qu'elles mutilent les problèmes, et qu'en les simplifiant les faussent». Ragione hegeliana e piena di verità; ma pretesto, pel Vera, e conforto a non trarsi fuori da quel-  l'oscuro, da quel vago che il Janet gli rimproverava, e a restare irresoluto tra il sì e il no. Giacché sarebbe invero assai volgare insolenza asserire di Hegel, nuovo e pit rigoroso assertore della dialettica del sic et non, che ei si tenesse perciò di qua dalle soluzioni très-nettes! Ché se rifiutava, e metteva in satira anche lui, le soluzioni semplicistiche dell' intelletto astratto, poneva nettissime, per suo conto, quelle della ragione. E non era il Vera che potesse in nome della dialettica accamparsi contro il semplicismo e l'astrattismo dei semplificatori; egli chenon sapeva entrare nella realtà se non armato di astratte definizioni; e si scalmanava contro chi nella realtà vedeva si quei concetti, ma limitati e commisti ai loro contrari; e lo Stato reale, p. e., essere e non essere Stato: la Chiesa essere e non essere Chiesa; e l'esercito essere e non essere esercito; e cosi ogni cosa, non in quanto considerata nel mondo intelligibile, a cui egli platonicamente guardava, ma in quello reale, in cui, con tanto poco gusto (a quel che pare), era pur costretto a vivere.  Egli è piuttosto che, com'è proprio dei mistici, il Vera, da una parte, doveva dilettarsi di cotesto mondo di puri intelligibili, che appunto perché tali sono estranei alla vita dell'intelligenza e non si pongono se non per negazione o una mera affermazione immediata dell'in-telligenza, e poteva d'altra parte riuscir più nella critica e demolizione che nell'affermazione e nella dimostrazione.  Giacché questo è uno dei caratteri del misticismo: che non rifugge bensi dalla filosofia, ma si pasce di una filosofia negativa che ha per conchiusione, com' è facile scorgere nella storia della mistica, una dotta ignoranza: hoc unum scio. Così nel Problème de la certitude, della età giovanile, il verbo della speculazione veriana era stato lo scetticismo: la sua affermazione dommatica un timido e vago tentativo di filosofia dell'intuizione immediata di Dio, conosciuto come che, ma non come quale: postu-lato, non propriamente conosciuto. Quella stessa menta-lità, abbattutasi quindi a una conoscenza meno superficiale dello hegelismo, presa di ammirazione per quella  vasta sistemazione del mondo contemplato sub specie aeterni, cambiò forma, non sostanza; e sotto il nuovo abito rimase presso che immutato il vecchio Vera. L'oggetto del suo mistico intuito (conoscenza immediata, senza processo) era prima quel Dio inconoscibile e indi-  mostrabile, di cui non si poteva fare a meno; ora è il sistema hegeliano, cioè, non propriamente una filosolia,ma un xóguo vontós, e insomma Dio stesso, quello di prima, egualmente indimostrabile e irraggiungibile con un processo di pensiero.  33. — E pure nell' Introduction volle scrivere anche lui, come già tanti altri mistici, il suo itinerario della mente a Dio: o come egli disse, mettere sotto gli occhi del lettore «les recherches qui nous ont conduit nous-mêmes à l'intelligence de la philosophie hégélienne»t, Ma, posto quel concetto del sistema chiuso, che per allora covava nel profondo della sua mente, che itinerario poteva essere il suo? Sarebbe facile dimostrare che questa specie di itinerario procede, non altrimenti da tutti gli scritti consimili, per presupposizione, fin da principio, del punto d'arrivo, e per conseguente critica e negazione delle posizioni diverse: non muove da queste, e non dimostra realmente il punto a cui vuol pervenire; non è insomma  un processo.  E già noi vedemmo a che si riduca pel Vera il movimento da Kant a Hegel. Dopo un brevissimo capitolo (di tre pagine) sulla « fisonomia generale della filosofia di Hegel», in cui si coglie, ma assai estrinsecamente, un tratto senza dubbio essenziale di essa, qual è quello della storicità sua, oggettiva e soggettiva, in quanto essa concepisce il suo oggetto come manifestantesi attraverso il movimento storico e sé stessa in intima e necessaria relazione con la propria storia 1, il Vera passa subito a dimostrare quella sua tesi, che già conosciamo, tutti ifilosofi essere idealisti senza saperlo: poiché, nell'antichità e nei tempi moderni, tutti, compresi i materialisti, han sempre mirato all'idea; poiché nessun filosofo mai ha potuto fare a meno dei principii che sono al di là dell'esperienza. Basta pel Vera esser metafisico per  CS-  sere idealista; e in questo senso egli pensa che in ogni filosofia sia un germe di verità, che si deve svolgere e compiere, e non si può negare. Vale a dire, all'esclusi-vismo dei vari sistemi che ricorrono a una o più idee, bisogna sostituire una filosofia comprensiva che le accolga tutte e le organizzi; fare insomma quel che aveva fatto Platone, quantunque ora si possa fare un po' meglio.  Sicché l'oggetto della filosofia, quale egli lo concepisce, non è diverso da quello che aveva dato vita all'idealismo platonico; né egli sapeva concepire altra filosofia che sul tipo di quell'idealismo, e quasi frammento di esso. Quindi tutto il resto della sua Introduzione, prima di quel rapidissimo schizzo dell'Enciclopedia hegeliana che forma la seconda parte del volume, è tutta una polemica per determinare il concetto della filosofia, come scienza delle idee, e il metodo di essa, che all'organismo delle idee non può adeguarsi se non mercé la dialettica. Tutto 1' itine-rario, adunque, consiste nel mettersi dentro alla verità, fin da principio, e difenderla contro gli errori.  34. — Ma se la filosofia per Platone e pel mistico era pura contemplazione, parrebbe che il Vera ne avesse un concetto assai più profondo e nuovo, dove sostiene che essa è non solo una spiegazione della realtà (inten-dendo per spiegazione la contemplazione appunto di tutto il reale in idea), ma « anche e per ciò stesso, una  crea -  zione":  e una creazione, com'egli dice, nel solo e  vero senso del termine»!. Ma dal detto al fatto corre8ran  tratto; e quando deve realmente concepire questa creazione che dice di concepire, la cosa non gli riesce; perché tutto si riduce a dire che le essenze, l'assoluto, le idee sono eterne, e che di creato e generato non v'è se non i fenomeni, le esistenze particolari e finite; le quali sono create appunto, dall'assoluto, che ne è la ragion d'essere; e che la filosofia, se ha per oggetto l'assoluto, deve non solo sapere come l'assoluto genera le esistenze particolari e finite, ma deve in certo modo (d'une certaine façon»!) generarle essa stessa, perché, se non si vuol negare la scienza, bisogna ammettere «qu' il y a un point où la connaissance et l'être, la pensée et son objet coincident et se confondenti. Bisogna ammettere; ma è questo il punto: hoc opus! E il Vera si sente tanto poco di superate questo punto, che passa subito a intendere la creazione in un altro modo: nel senso cioè che la scienza, elevandosi all'assoluto e cogliendo la natura intima degli esseri, elle refait et dédouble en quelque sorte leur existence».  Sicché, «d'une certaine façon » prima, e «en quelque sorte » poi: e la creazione vera e propria «nell'unico senso del ter-mine» non si vede e non si tocca mai. Giacché, se c' è duplicità tra il processo dall'assoluto al relativo e il processo dalla conoscenza dello assoluto alla conoscenza del relativo, il due non è uno, e non solo si rinunzia alla creazione delle cose per tenersi soltanto alla cognizione delle cose, ma pare anche si abbia una certa voglia di tinunziare altresi a quell'unità del sapere e dell'essere, senza di cui pur s'intravvede non essere vero sapere.  Conchiusione innanzi alla quale si ritira sgomento il pensiero del nuovo hegeliano. Egli infatti, a questo punto, per garentire il carattere creativo della cognizione assoluta sottraendola a quell'ombra che sarebbe per lei quel doppio, contorce e trae a un significato improprio la dottrina hegeliana del rapporto della natura con lo spi-rito. La vera creazione, egli dice, non è quella che dal-l'assoluto va al particolare delle esistenze finite. Perché la natura, considerata in se stessa e indipendentemente dallo spirito, è un'esistenza morta, priva di coscienza e di pensiero, un aggregato di elementi e forze individuali e isolate, che non hanno in se stesse il loro legame, il loro principio e il loro fine; e lo spirito stesso ne' suoi gradi inferiori, per cui è a contatto della natura, in quella sua vita oscura e irriflessa in cui s'ignora e mescola e confonde tutto, e si lascia avvolgere nell'infinita varietà dei fenomeni e delle sensazioni, ha un'esistenza imperfetta, « che non risponde né all'idea della scienza, né a quella dell'assoluto». Ora questa imperfezione sparisce per opera della scienza, la quale « completa e rifa l'esistenza della natura e dello spirito, elevandoli, con la riflessione e col pensiero, fino al loro principio, dando loro la coscienza di se medesimi e ordinandoli secondo la ragione. 1.  Se non che, questo processo dall' imperfetto al perfetto, dalla natura allo spirito, e dai gradi inferiori di questo ai gradi superiori, in Hegel è, e non può essere altro che un processo ontologico, il processo dall'assoluto alla coscienza dell'assoluto, o dalla idea logica allo spirito as-soluto. Ma, per intendere qui la creatività di questa scienza che rifà, noi dovremmo ritornare sul processo stesso e ripercorrerlo, secondo la concezione del Vera. Chi gli garentisce che il secondo viaggio non sia inutile, e serva anch'esso a creare qualche cosa? Perché il processo gnoseologico creasse davvero, non dovrebbe rifare l'ontologico, mettendosi fuori di esso, come altro da esso, ma fare, semplicemente, continuando quell'identico processo; e la scienza non dovrebbe guardarsi indietro.  Il Vera non ha quest'orientamento. Il suo assoluto è dietro le sue spalle; ed è necessario che egli si rivolti.Con la scienza si corregge il fatto e la realtà materiale, con una specie di creazione continua, « per cui l'assoluto entra più profondamente nella vita del mondo per imprimervi una impronta sempre più visibile di se stesso, e farlo sempre più a sua immagine». Egli è persuaso che « sans doute, l'absolu et le monde, l'idée et le fail, la pensée et sa réalisation matérielle demeureront fowjours distinels, et même, dans une certaine mesure, opposés » 1, L'Assoluto è prima del mondo, che deve rassomigliarvisi; deve e non può, pei limiti della materia, al di sopra della quale lo spirito si solleva, per riunirsi alla sua origine ideale.  E la vecchia posizione platonica.  35. - L'essenza, inconoscibile nel Problème de la cer-titude, ora per definizione è conoscibile. E un progresso questo? Quella scepsi conteneva un bisogno e un'affer-mazione: quel bisogno e quell'affermazione che minavano da secoli l'universale astratto della filosofia greca, e che dopo Hume dovevano far nascere la critica di Kant: la realtà non si coglie con idee astratte; cento talleri si possono pensare benissimo senza che perciò esistano.  Che cosa manca loro? Cartesio aveva trovata la via: cogito ergo sum: un ergo che non è sillogismo, che non muove da idee, da quegli universali, in cui ancora il Vera faceva consistere l'assoluto. E si domandava: se di ogni essere c'è un'idea corrispondente, ne segue che quella idea sia la sua essenza? O c'è, oltre l'idea, « un'esistenza più alta e più profonda di cui l'idea non sarebbe se non la forma, una forza di cui la natura intima ci sfugge, e che avrebbe la sua radice nell'essenza divina, o che, per dir meglio, non sarebbe altro che quest'essenza stessa?». Questa era la dottrina sua del 1845. - Ora la sua risposta suona il contrario; e la ragione che gliha fatto cangiare avviso è questa: che ove si ammetta un'essenza di là dall'idea, quest'altro quid non è pensabile se non per mezzo di idee. Ma la verità è che, non avendo egli prima approfondito, attraverso Kant (che non aveva letto), il significato della esigenza a cui obbediva il suo scetticismo, ora è di troppo facile contenta-tura; togliendosi per essenza appunto quello che come mera idea gli appariva una volta ben altra cosa dall'es-senza, e rinunziando di fatto all'essenza più preziosa, che allora desiderava. E che? dice ora per consolarsi, facendo il verso al Socrate di Platone: « quando studiamo l'anima, non tale anima in particolare, ma l'anima in generale noi vogliamo conoscere, né crediamo di possedere la scienza dell'anima se non quando possediamo cotesta conoscenza»*: come se con l'anima in generale ci fosse, o ci potesse essere un'anima! Giacché il destino curioso di questo hegelismo veriano, come del platonismo, è proprio questo: che queste idee che son tutto, poi non sono niente: e pel Vera rimangono come abbiamo visto assolute possibilità o virtualità.  Ma come con un tal concetto dell'idea, che non è Thathandlung dell' Io (per usare la gran parola di Fichte), ma termine esterno o eterno presupposto del pensiero, può egli ammettere una dialettica nel senso hegeliano?  Sorvoliamo sui rapporti che il Vera vede tra la dialettica di Hegel e quella di Platone; e tocchiamo brevissimamente del suo modo d' intendere la prima nell'Introduction e nelle opere posteriori. Qui è il centro del suo hegelismo.  In tutti i suoi seritti, se si paragonano a quell'articolo del 48, che abbiamo altra volta analizzato, non c'è pro-gresso, ma sempre un medesimo concetto che torna su se stesso, si rafferma sempre maggiormente e si ribadisce.  Li egli saltò il fosso, sembratogli già abisso invalicabile,affermando, come vedemmo, la posizione, innanzi al pensiero, non dei contrari singolarmente presi in astratto, ma della loro unità. Nella Introduction dice che, se i membri della contraddizione presi separatamente sono incompleti e falsi, si contraddicono in quanto sono in rapporto tra loro mediante un terzo termine, che « non è nessuno di essi presi sia separatamente sia congiunta-mente, ma è tutto insieme se stesso e i due termini che esso involgen 1, sicché « l'essere e il non-essere si trovano identici nel divenire n. Posti cosi l'essere e il non-essere, e in generale tesi e antitesi, non come momenti, ma come elementi della sintesi, ci può essere quel movimento soggettivo, che già illustrammo: ma oggettivamente c' è la sintesi, stabile e fissa, identica a se stessa. Dei tre termini, idea logica, natura e spirito, la realtà appartiene al terzo termine, che contiene nel suo seno fin dal principio gli altri due: e dentro lo spirito ogni triade non avendo mai una tesi, da cui sia da sviluppare un'anti-tesi, è come un fiume dipinto, la cui acqua non scorre.  Tutto il congegno del movimento è arrestato da un pensiero intuitivo che impietra l'oggetto suo.  36. — Quasi tutti gli hegeliani s'erano travagliati e si travagliavano nell'intelligenza del dialettismo dell'idea hegeliana. Vedremo quali sforzi costasse questo punto a Bertrando Spaventa. Al Vera, quand'ebbe pensato che essere e non essere fanno uno nel divenire, il passaggio dall'uno all'altro apparve cosi ovvio, così semplice, che nulla più (infatti era un passaggio che non passava!).  A proposito delle critiche del Janet: « Il fant voir », diceva tutto meravigliato, «dans quel dédale inestricable de rai-sonnements M. Janet s'engage à cet égard, sans se rendre compte ni du point de départ ni du point d'arrivée».era dimenticato, a quel che pare, del suo labirinto del  1845). L'essere, che è il termine più astratto, da cui il pensiero possa muovere, non è se non l'essere: e tutto ciò che si può dire di esso è, che esso è. E anche dicendo questo, non si rappresenta il suo concetto secondo verità;  perché il pronome e la terza persona vi aggiungono elementi e gli danno una forma che gli sono estranei, e appartengono a determinazioni ulteriori dell'idea. Peggio poi se vi s' introduce il concetto del vuoto, come ha fatto l'Erdmann, o pure il pensiero, come ha fatto Kuno  Fischera. Qui noi siamo nella sfera della scienza, e l'essere è colto dal pensiero tal quale è nel suo concetto.  L'essere è nel pensiero, è l'essere pensato, ma il pensiero, per coglierlo nel suo vero concetto, deve pensarlo qui come essere e non come pensiero, perché, pensandolo come essere pensato, vi aggiunge un elemento o una proprietà, che esso, in quanto essere, non ha. Con quest'aggiunta si facilita la dimostrazione, ma non si ha più la vera dimostrazione. L'essere non è altro che l'es-sere, l'essere assolutamente indeterminato, e però non si può dire neanche che esso è, e per ciò stesso non è, o è il non-essere. Ora l'essere che non è, o che è il non-  essere, è anche il non-essere che è, ossia è il divenire.  * E la dimostrazione più semplice, più diretta e più vera del passaggio dall'essere al non essere nella loro unità, il divenire »3. Dimostrazione, la cui ingenuità salta agli (Si —occhi; perché mentre si dice che all'essere non si deve aggiungere il pensiero, si fa divenire l'essere mettendoci dentro questo pensiero: che non si possa né anche dire che esso sia, - Nella introduzione alla Logica * (1859) aveva detto: « L'essere puro è l'essere, ma l'essere che non è se non l'essere, e che, per questo fatto che non è se non l'essere, richiama il non-essere, o il non-essere dell'essere, o, se si vuole, ciò che l'essere non e.... In altri termini, i due concetti di essere e non-essere sono inse-parabili: dato l'uno, è dato anche l'altro, e quel che è uno, è l'altro. Formano, per conseguenza, un solo e stesso concetto, e questo concetto è il divenire ». Dove di chiaro non c'è se non l'unità del divenire; ma quell'essere che si tira dietro il non-essere, anch'esso, come l'altro di prima, non può farlo se non aiutato dal pensiero, che lo mette in rapporto con quel che esso non è. - In una nota al § 87 della Logica in altra forma ripete lo stesso.  « L'essere che non è se non l'essere, è l'essere assolutamente indeterminato, e per quanto è permesso di far intervenire qui la possibilità e la cosa, si potrebbe dire che esso è la possibilità assoluta di tutte le cose, ma che non è nessuna cosa, non è niente; e che quindi è il niente, il non-essere », Se non che qui ha un vago sentore di certe difficoltà; ma non le affisa di fronte, e se ne lascia sfuggire tutto il valore. In primo luogo egli si obbietta: Altro è dire che l'essere non è niente, altro dire che è il niente.  Cioè la prima volta si nega dell'essere ogni determinazione; la seconda lo stesso essere indeterminato. Ma il Vera non intende la cosa con tutto questo rigore, perché risponde che « qui si tratta del niente assolutamente astratto, o, se si vuole, del niente assoluto; di guisa che dire l'es-sere non è niente, torna lo stesso che dire: l'essere è niente o il niente. Il che non è vero, evidentemente. L'assolu-  tamente astratto, il niente, di cui si parla qui, è il non -  determinato, non già il non-indetermi-nato!. - In secondo luogo: questo niente, questa negazione prima e assolutamente astratta non  Viene qui  ad aggiungersi all'essere, dal di fuori? - E anche qui una risposta insufficiente: « Il niente non è se non il niente dell'essere: il non essere. E l'essere che si nega egli stesso ».  La risposta può avere un significato solo a un patto: che s'intenda il non-essere come non-essere dell'essere, in quanto il concetto dell'essere non può prescindere (come fu detto nell' Introduction) dal concetto del non-  essere; e che cioè il divenire è prima dell'essere e del non-essere 3. - L'essere, insisteva contro il Trendelen-burg, passa nel non-essere perché non è altro che essere, per la sua assoluta indeterminatezza e astrattezza: e nella massima astrattezza dell'essere e della sua negazione sta la difficoltà del passaggio. « Via via che si procede nell'evoluzione dell'idea, si coglie più facilmente il passaggio reciproco dei termini, perché si hanno termini più concreti, come lo stesso e l'altro, l'uno e il più, la causa e l'effetto, ecc., tra i quali si trova più facilmente un rapporto, laddove al principio non si ha se non l'essere ».  37. - Questa è certamente la via da battere per afferrare il senso segreto della dialettica hegeliana: la quale, ormai è chiaro, malgrado le proteste dei semplicisti alla maniera del Vera 3, non pervenne in Hegel alla chiaracoscienza della propria natura, come è dimostrato dal ginepraio, in cui si son trovati involti i suoi seguaci. Ma quella è una via che non spunta, o meglio riconduce alla vecchia filosofia da cui si crede di allontanarsi, se non si bada bene a considerare che non è via già bella e fatta innanzi al pensiero, e che al pensiero non resti se non di percorrere, ma è la via del pensiero, la via che esso si apre e che prolunga in eterno. Essere e non-essere sono identici (e differenti) nel divenire; ma il divenire non è niente più dell'essere che si pretende di superare, se esso stesso rimane di fronte al pensiero, e non è appunto esso il pensiero che ha negato l'essere. Perché il divenire non ha da essere giustapposizione de due momenti, ma compenetrazione e unità intima: la quale non è cosa, ma atto: non è termine di pensiero, ma pensiero; non è punto a cui il pensiero pervenga e da cui poi debba muovere, ma lo stesso movimento del pensiero; non è limite, ma posizione di limite, e opera dell' illimitato. Se il divenire si vuol concepire come l'organismo, di cui essere e non-es-sere siano le membra indivisibili, ebbene, si badi che l'organismo non è il corpo che la vita debba investire o con cui debba accoppiarsi: l'organismo in tale astrattezza esanime non vale né più né meno di un membro avulso dal resto: è la morte. L'organismo è organizzazione continua e attualità, è anima, che crea gli organi. E così il divenire, se dev'essere la risoluzione vera degli opposti, dev'essere pure l'energia creatrice di essi: cioè, come di-  cevo, il pensiero.Non basta perciò dire rapporto, anteriore ai termini: bisogna concepire questo rapporto come rapporto vivo.  E dalla logica movendo, come fa il Vera, per la natura allo spirito, non basta dire, com'egli dice, coerentemente alla sua intuizione del mondo hegeliano che a c'est l'esprit lui-même, ou l'idée en tant qu'esprit, qui pose la logique et la nature»t; e che «la pensée (= l'esprit) est l' idée active et creatrice»; e che questa attività non è l'activité qui crée accidentellement, ni l'activité qui crée hors d'elle-même un monde antre qu'elle-même, mais L'activité qui crée au dedans d'elle-même, qui crée un monde qui n'est pas autre qu'elle-même, mais l'autre d'elle-même, si l'on peut ainsi s'exprimer, et qui crée pour être elle-même, c'est-á-dire pour être dans la plénitude de sa nature et de sa réalité»: bisogna che questo non sia soltanto il pensiero in sé, il pensiero che pensa se stesso, di cui parla Aristotele, il pensiero divino: ma appunto il nostro stesso pensiero, tanto più divino quanto più nostro, colto nella realtà massima della nostra intima soggettività e indivi-dualità, dove più vibra l'attualità del mondo. E perché questo pensiero sia davvero il pensiero vivo, esso appunto bisogna che divenga, e si muova, e viva insomma, e vibri, e in esso vibri il mondo: e che non rappresenti il termine fisso d'ogni desio, la morta gora ove precipiti ogni acqua corrente dell'universo. Che se col Vera si dice  "tout devient hormis la pensée, et tout devient parce qu' il n'est pas la pensée, et pour devenir pensée, el exister en tant que pensée»3, questo pensiero diventa qualche cosa di trascendente il pensiero storico e il mondo, e però assolutamente trascendente; e quindi il suo stesso processo ideale (posizione e negazione del logo e della naturaper la posizione di se medesimo) diventa tutto un processo trascendente, come la processione dello spirito nella teologia cristiana; e tutto l' immanentismo di Hegel sfuma, e la sua dialettica s'irrigidisce nel mondo ideale, di là da ogni reale accadimento, e concepito ancora una volta, alla maniera del vecchio Platone, come natura (ancorché ideale) e non più come spirito. Il Vera vi dirà in tanti modi diversi, perché messo sull'avviso da tante esigenze interne dell' hegelismo, che «ce qui devient n'est pas étranger à la pensée» e che « il faut même dire que c'est la pensée qui pose son devenir, et que, s' il devient, c'est précisément que la pensée est en lui». Ma distinguerà allora tra pensiero in potenza e pensiero in attor e il pensiero immanente nel mondo lo portà come pensiero virtuale («sculement la pensée n'est en lui que virtuellements).  Tal quale è concepito il pensiero da Aristotele. « Tout se ment en vue de la pensée, et tout est má par la pensée». Il pensiero è il motore immoto. Perché il pensiero « atto assoluto» è unità d'intelligenza e intelligibile, come totalità dell'idea una e sistematica.  Due, dunque, i difetti capitalissimi di questa dialet-tica, a cui si solleva il Vera: 1) che il pensiero, e nel pensiero tutto il processo del reale nelle sue forme ideali o intelligibili che aristotelicamente il Vera è costretto a inchiudere nel pensiero stesso, è un pensiero trascendente, il cui processo pertanto è egualmente trascendente;  2) che, come trascendente, cotesto processo è un processo ideale senza essere un processo reale; non è un vero pro-cesso. Due difetti che sono un solo: la negazione pura e semplice della dialettica hegeliana, sfuggita dal mondo, di sopra alla testa del filosofo.38. - Situazione disperante per una filosofia che avesse mirato alla comprensione della realtà determinata, attuale, storica, del sistema, insomma, in cui è il soggetto artefice della filosofia, anzi dello stesso mondo nel sistema di esso soggetto; ma il più comodo dei piani inclinati in cui potesse scivolare un temperamento mistico, portato perciò stesso alla negazione di ogni determinatezza e della propria concreta individualità. E allora s' intende da una parte il vuoto di tutte le discussioni di Augusto  Vera intorno ai problemi storici e concreti: esempi solenni le sue lezioni di filosofia della storia, uno dei libri più flosci e vacui, che si siano mai pubblicati, pur essendovi gettati dentro, come in un sacco, taluni dei più forti pensieri che siano stati mai pensati, ma tolti dal sistema e dall'anima che li regge nella mente poderosa di Hegel; nonché quella lunga filatessa che reca il titolo di Cavour e libera Chiesa in libero Stato (1877), con annessa prefazione, apparsa la prima volta nella traduzione francese, la più strana discussione che si possa immagi-nare: rivolta a combattere il pensiero d'un uomo e un uomo e un sistema e tutta la storia d'un popolo, il tutto speculato dentro una formola (libera Chiesa ecc.), quando il più elementare buon senso richiedeva che si  cercasse  com'era nata quella formula, nel pensiero dell'uomo, nelle circostanze e dottrine che all'uomo l'avevan sug-gerita, e quali problemi, dentro quali limiti, essa mirava a risolvere, e insomma quale ne era il proprio e genuino e determinato significato. Perché egli è chiaro che l'intelligenza del Vera era la più antistorica e antibegeliana che ci potesse essere. E s'intende d'altra parte il segreto motivo della preminente importanza da lui attribuita alla questione religiosa e quel suo perpetuo bisogno di rifarsi da essa, quantunque la filosofia che aveva alle mani non gli desse modo di ottenerne una soluzione per lui molto soddisfacente.Egli è che al Vera, come a tutti i mistici, il mondo restava scisso in due mondi: uno dei quali non era il suo, e (ahimé!) era tutto. In fondo alla lunga introduzione premessa al primo volume della Filosofia della religione, dopo centocinquanta pagine di schiarimenti, sentiva che gli si sarebbe potuto opporre: - Voi dite che il pensiero è l'assoluto, e che come tale è il principio supremo e ge-neratore delle cose. Sicché, tutte le cose saranno pensieri.  Intanto, riconoscete anche voi che c'è qualche altra cosa oltre i pensieri, poiché parlate di rappresentazione, fenomeno, natura e spirito finito. Questa qualche altra cosa, avrà essa un altro principio? E com' è che l'asso-luto non basta a se stesso? E come conciliate l'idea o il pensiero con la storia? « La storia è moto, sviluppo, trasformazione, laddove l'idea, il pensiero, l'assoluto è l'assoluto precisamente perché esclude ogni trasformazione ogni cangiamento, ogni divenire. Infine voi dite che l'idea è insieme forma e contenuto. E sta bene. Ma l'idea sarà sempre un contenuto ideale, laddove il contenuto che la storia sviluppa e aggiunge incessantemente a se stessa è un contenuto sensibile, fenomenico, reale. Cosi ci sono  due mondi....». Obbiezioni che colpivano in pieno petto.  Ebbene, risponde il Vera, noi in parte abbiamo risposto  a queste obbiezioni; ma le ripiglieremo e le esamineremo nei volumi seguenti, che trattano più specialmente delle questioni a cui queste obbiezioni si riferiscono, e che si possono in generale designare come il problema storico. - Ma nel secondo volume il problema è appena accennato; gli altri volumi non vennero più; e li dove il problema è accennato, la soluzione non è una soluzione, e lascia intatto il problema.  Nous disons que si l'absolu est le devenir, il n'y a ni histoire ni absolu, si l'histoire n'est pas un moment de l'absolu lui-même.  Par consequent notre thèse est que l'histoire est un moment de l'absolu, mais qu'elle n'est qu'un moment, et qu'ainsi pendant que d'un côté, l'absolu crée et engendre l'histoire, et qu'il est lui-même dans la création et l'histoire, il s'élève, de l'autre, au-dessus de l'histoire, la nie, il est la negativité absolue......  Dove l'unico senso possibile è quello aristotelico già indicato, che è in realtà la negazione della storia: per cui cioe l'atto assoluto del pensiero è di là dalla storia.  E però ogni volta che risorgeva questo problema storico, che il Vera pur sapeva essere il segreto dell' hegelismo, era un tormento pel suo povero cervello, rimasto in pre-senza di quel Dio pronto, peggio che Saturno, a divo-rate le sue creature.  39. — Suo vero problema non era quello storico, bensi il religioso. Il suo hegelismo era cominciato, come s'e visto, con uno studio sulla Filosofia della religione di Hegel, quando non gli pareva possibile concepire altri-menti lo Stato che subordinato al divino della religione professata nella Chiesa 3, E quando con la Filosofia dello spirito ebbe condotta a termine la versione dell' Enci-clopedia, le ultime pagine di questa Filosofia lo ricon-dussero a meditare il problema religioso secondo la filo-sofia hegeliana 3 (1870). E allora scrisse il Cavour, lo Strauss, e la prefazione all'edizione francese del Cavour  (1871); e si accinse a lavorare attorno alla Filosofia della religione di Hegel, che, pubblicandone nel 1876 il primo volume, annunziava di voler accompagnare de plusieures introductions. Poiché qui si imbatteva in un arduo pro-blema: in cui egli disse di veder chiaro, ma di cui parlò tanto da dimostrare che non ci vedeva poi tutta quellachiarezza che diceva: il problema dei rapporti tra religione e filosofia: «un des problèmes les plus difficiles », come protesto una volta con tutta franchezza, « peut-être même le problème le plus difficile que l'intelligence trouve devant elle, ou, pour mieux dire, en elle-même et dans les profondeurs de sa nature ».  La soluzione hegeliana, infatti, si presenta tutt'altro che facile. Dire che la religione e la filosofia hanno lo stesso contenuto (conoscenza dell'assoluto) ma in una forma diversa (conoscendo l'una per rappresentazioni, miti, simboli, e l'altra per concetti) è porre anzi che risolvere un problema per una filosofia che non concepisce forma separabile dal contenuto, e non può porre perciò un contenuto in due forme. Questo bensi non è un problema speciale in seno allo hegelismo: ma sempre quello stesso problema che s'incontra già sulla soglia, dell'unità di identità e differenza implicita nel concetto del dive-nire. La forma della religione hegeliana non è una veste soggettiva, onde nell'anima degl' ignoranti si rivesta Iddio: è una forma dello stesso Dio. Il Dio dello spirito assoluto, che è religione, diviene il Dio dello spirito assoluto che è filosofia. Il rapporto tra religione e filosofia è il rapporto tra questi due momenti di Dio o dello spirito assoluto. Come si passa da un momento all'altro ?  O, in generale, come si passa? Ecco il problema. E il povero Vera che non era venuto a capo di questo pro-blema, se lo ritrovava avanti in fondo all'Enciclopedia; e per pronto che fosse a sobbarcarsi a svelare altrui l'enigma, badava a ripetere: « Sans donte, déterminer, saisir l'idée de la religion, et la saisir à la fois en elle-même, et dans son rapport avec l'idée de la philosophie, c'est le problème le plus ardu peut-être qui s'ofre à notre intelligence». E dopo le molte pagine spese attorno a questa difficoltà nel primo volume della Filosofia della religione, passandosi una mano sul petto, confessava:C'est celle difficulté que je me suis appliqué à lever....  L'ai-je complètement levée? Eh non! je le sais». Gli si affacciava alla mente, a confortarlo, quella bella e comoda idea che non si può ai non-hegeliani togliere le difficoltà di Hegel. E accennava anche ciò; ma soggiungeva subito con una osservazione che è una rivelazione intima: « On peut même dire qu'il est impossible de la lever [cette diffi-culté] complètement dans un livre. Un livre est toujours une ouvre imparfaite. C'est plus ou moins la lettre, ce n'est pas l'esprit. Un livre a toujours besoin d'être complété et vivifié.... 1. Osservazione, che è forse anche una reminiscenza dell'immortale discorso di Socrate nel Fedros ma è pure la sincera confessione del personal sentimento dello autore analogo a quello del poeta:  Ahi, fu una nota del poema eterno  Quel ch'io sentiva, e picciol verso or e:  quel sentimento appunto del mistico che non vede proporzione tra il picciol verso e il poema eterno, e questo gli suona dentro come ineffabile; e se gli apparisce sotto forma di problema, è un problema senza soluzione. Se la filosofia, infatti, è pensiero assoluto, se questo è di là dal divenire, qual uomo mortale che ad ora ad ora viene imparando a meglio pensare avrà la tracotanza di pre-tendersi in possesso di quel sistema dentro il quale sarebbe la soluzione? Ora è chiaro che in questa situazione di spirito la filosofia, in quanto filosofia negativa o dimostrazione dell'impossibilità di raggiungere l'assoluta cono-scenza, non può menare ad altra soluzione del problema religioso che a quella direttamente opposta professata da Hegel. Di tale soluzione, non occorre dirlo, il Vera non farà mai esplicita asserzione, non essendo tale il suo atteggiamento mentale verso la dottrina di Hegelda permettergli di questi aperti dissensi; ma non perciò essa sarà meno la base di tutti i suoi ragionamenti intorno alla questione religiosa, e il centro della sua vita spirituale.  Particolarmente significativa in questo proposito l'ultima lettera da lui scritta al suo diletto Mariano, prima di morire:  Se al vostro ritorno [gli scriveva] la Parca fatale avrà troncato il filo della mia vita, io me ne sarò andato col dolce pensiero che la mia immagine, e piú della mia immagine, il mio insegnamento mai non si cancellerà dalla vostra memoria. Perché credo che il mio insegnamento sia la vera e genuina esposizione della dottrina hegeliana. E la filosofia hegeliana è la sola e vera filosofia; e lo è anzitutto, perché è essenzialmente reli-giosa, e religiosa nel senso profondo della dottrina cristiana.  Ed è questo tratto saliente che la distingue da tutte le altre filosofie, che a lei mi attiro sin dai primi passi della mia carriera filosofica, come ne fa fede uno scritto pubblicato, se ben ricordo, il 1844 5, nella Liberté de penser. Ed anche il Cavour non ha altra origine. Perché io sono, e sono sempre stato, e per indole e per riflessione, un uomo religioso. E la religione io ho sempre considerata come uno dei più alti privilegi della natura nostra. Senza di essa l'uomo è un essere degradato e miserabile. E la dottrina hegeliana insegna ad amare ed adorare Iddio col cuore e con la mente, due cose che in una anima bene equilibrata non si esclu-dono, anzi si compiono a vicenda. E da questa via, caro Mariano, non vi scostate. Solo in essa troverete e conforto e la forza per traversare questa vita si ripiena di disinganni e di amarezze.  Perché Iddio é il sommo e il solo bene, onde, vivendo col cuore e con la mente e con tutto l'esser nostro con lui e in lui, diventiamo partecipi delle sue eterne ed immortali perfezioni 3.  Ora la filosofia hegeliana è sì una filosofia essenzialmente religiosa, ma appunto in quanto risolve in sé la religione, ed è religione: si concepisce come la rivela-zione, anzi realizzazione di Dio; e nella unità sua di sapere e saputo, concepisce tutto il suo mondo, in tutti isuoi gradi, come rivelazione o realizzazione di Dio: onde, mediando Dio, supera l'immediatezza propria della religione come tale (insufficiente coscienza che lo spirito, secondo la dottrina hegeliana, avrebbe della propria natura, e però del reale assoluto), e non lascia posto per lei, in quanto religione pura (in quanto non fi-losofia) in nessuna parte del suo mondo. Il mondo hegeliano, d'altra parte, non è soltanto il mondo della filosofia, in cui tutti i gradi anteriori siano già risoluti.  Una tale filosofia sarebbe astratta e trascendente. La sua concretezza importa, quel che il Vera non poté vedere, il suo eterno divenire, ossia l'eterno risolversi degli altri gradi in questo grado supremo del processo dialettico della realtà. Di guisa che la filosofia hegeliana è portata a concepire tutto ciò che non è filosofia e la stessa religione come momento necessario di se medesima: e in questo senso, a concepire razionale tutto il reale. La religione come tale è conservata dallo hegelismo, ma dichiarata momento della filosofia, e quindi subordinata, nella filo-sofia, a questa. Sit viva, dum non sit diva. Pertanto il filosofo hegeliano: 1) ha la sua religione nella sua filosofia;  2) riconosce che ognuno, di qua dallo hegelismo, ha la propria religione nella sua filosofia, o la filosofia nella propria religione.  40. - Le questioni adunque in cui si travagliò il Vera, se nella vita delle nazioni ci sia nulla che possa sostituire la religione (ed egli era d'avviso che non ci fosse nulla, né la scienza, né la filosofia) *: se la Chiesa debba essere subordinata allo Stato, o lo Stato alla Chiesa, o se debbano separarsi (ed egli inclinava alla seconda ipotesi, benché non sapesse poi concepire il come della subordi-nazione, né determinare la Chiesa a cui lo Stato si sarebbedovuto subordinare) *; queste e simili questioni sono questioni suscettibili, nello hegelismo, di una sola solu-zione, che è quella derivante dal concetto filosofico hegeliano della manifestazione mediata di Dio in tutto il reale e in sommo grado nella filosofia; ma anche di infinite soluzioni per tutti coloro, che non essendo hegeliani aspirano soltanto, secondo l'hegelismo, a esser tali, quantunque non lo sappiano. Ma è pur chiaro che se la verità dell' hegelismo deve valere per lui come la sola verità, egli non potrà non combattere le soluzioni diverse dalla sua, ossia tutte le altre filosofie in quanto vogliano passare per filosofia, e dominare. Il filosofo hegeliano non solo rispetterà tutte le credenze religiose, ma avrà interesse ad alimentarle come quel terreno da cui soltanto essa potrà germogliare; così come entra negli interessi dello spirito, secondo la sua filosofia, la cura della salute fisica.  Le soluzioni del Vera erano invece non per il dominio od autonomia della filosofia e di tutte le forme spirituali che entrano nel mondo della filosofia, ma per la soggezione di tutto alla religione: come di chi non ha la propria religione nella filosofia, ma la propria filosofia nella religione. Egli, insomma, per usare il linguaggio hegeliano, non si sollevò mai veramente dalla sfera della rappresentazione a quella del concetto nello spirito assoluto.  4I. - Non si poteva sollevare, pel suo radicale misti-  cismo. Al quale non mi pare contrasti la tesi presa a sostenere nella Introduction contro l'immortalità dell'anima:  onde la sua autorità d'interprete consumato dello hege-lismo era opposta poi alla Florenzi Waddington, solatra gli hegeliani d'Italia a propugnare il concetto dell'immortalità dell'anima. Giacché non è vero quello che Kant e tutti i filosofi della religione naturale sosten-gono, che la credenza nella immortalità sia un principio essenziale dello spirito religioso. Che anzi la più profonda radice della religione, nel senso più stretto del misticismo, è riposta nel senso della vanità e nullità dell'individuo, nella nichiltade cantata così fervidamente da Jacopone, nell'aspirazione al nirvana bud-distico, nell'affermazione della divinità sola; e non si capisce l'anima immortale se non si concepisce la sostanzialità assoluta dell'io individuale, senza riconoscere l'infinito nello stesso finito e insomma superare, come fa il cristianesimo, l'astrattezza della religione imme-diata. Che anzi nella incertezza del Vera nella Intro-duction circa l'interpretazione di questo punto di dottrina in conseguenza dei principii hegeliani=, la sua pro-pensione verso la tesi negativa non credo si possa altrimenti spiegare che con la sua tendenza generale a negare il finito nell'infinito, e il pensiero dell'uomo e lo spirito individuale nel divino.  42. - Alla stessa tendenza riporterei anche l'interesse da lui posto nella questione dell'abolizione della pena di morte, che a lui non si presentava tanto, come ad Hegel, come una conseguenza ferrea della dialettica della legge, che non si può volere disvolendola, e da accettare virilmente come il taglio del chirurgo che arreca la vita, quanto una delle parti più belle e più sante della filosofia della morte: poiché gli piacque considerarla più come un diritto dello Stato sull'individuo colpevole che come un logico momento del diritto, in cui si realizza la vita dello Stato insieme e dello stesso individuo, che ne è parte. E però ricondusse la legittimità della pena di morte a una questione più generale: della razionalità della morte inflitta dallo Stato; passando quindi a quella del diritto che lo Stato ha di far guerra. E scioglieva appassionati inni alla guerra, che fa sentire ai popoli quel che valgono e quel che possono operare, dà loro la coscienza dei propri diritti, sveglia tutte le energie dello spirito, è stromento di civiltà e di progresso: alla guerra, dove l'uomo non muore per sé, ma per la patria e per l'umanità, e la morte adempie a un più alto ufficio e raggiunge più alti fini della semplice morte naturale: poiché in essaL'individuo si sacrifica non ai fini naturali della specie, sì a quelli morali della civiltà. E in generale, sempre, « la morte è un bene, ora per l'individuo, ora per l'uma-nità; per l'individuo anche se tutto egli perisce con la morte: perché se la morte lo colpisce nella vecchiaia, lo colpisce quando la sua vita non ha più pregio né per lui né per gli altri; e se lo coglie nel vigor degli anni, essa lo eleva nello stesso istante al più alto grado della libertà e dell'amore. Ma sopra tutto per l'umanità la morte è un bene, sempre un bene. Infatti, la gioventù, la bellezza, la potenza, l'espansione dello Spirito suppongono la morte: dell'individuo, come dei popoli: giacché lo Spirito non si conserva, non si rafforza, non cresce che per la morte. L'individuo, per potenti che siano le sue facoltà, è uno spirito limitato pel solo fatto che vive in organi limitati; ond'è che, dopo aver con-tribuito, per la sua parte, allo svolgimento e alla vita dello Spirito, non pure ei diviene un ostacolo a nuovi svolgimenti, ma s'abbandona egli stesso, se può dirsi cosi: ciò che v' ha di profondo e di eterno nel suo pensiero gli sfugge, e cade come colpito d'atonia e d'impotenza.  E quel che è vero per l'individuo, è vero altresi per i po-poli. Cosi la Grecia e Roma, dopo aver elevato il mondo antico alla più alta civiltà, diventano un ostacolo alla civiltà nuova. - Bisogna dunque che la morte, affrancando lo Spirito dai lacci della Natura, gli permetta di vivere una vita sempre giovane e sempre nuova, e d'in-nestare sull'antico lo spirito nuovo. Cosi si spiega perché l'individuo cresce dopo la morte nella coscienza dell'u-manità, e perché la morte è considerata come la consacrazione dell'amore e il segno della riconciliazione dello spirito. E infatti come la pace, che viene dopo la guerra e la termina, la pace che è il risultato dell'esercizio di tutte le potenze della vita, val meglio, checché se ne dica, di quella pace artificiale che snerva e ammollisce il corpoe l'anima; così la morte, liberando lo spirito dalle sue pastoie, fa brillare la verità eterna di cui egli era l'organo d'un più vivo splendore, la rende più visibile agli altri spiriti, la propaga e la fortifica con la loro adesione e trionfa così della natura » 1.  Quest'argomento faceva il Vera eloquente, come corda che risuonava dal profondo del suo animo. E altrove, cantando l'amore, a mo' di Platone, come l'aspirazione allo Assoluto o filosofia, si riscaldava all' ispirazione leo-pardiana di Amore e morte, facendo della morte « il segno, la consacrazione e il trionfo dell'amore.:. E nella morte inflitta dallo Stato, vindice dell'eterna giustizia dello Spirito, egli vedeva pertanto l'olocausto dell'individuo sull'altare dello Spirito: poiché nell'individuo vedeva, come testé ci ha detto, l'organo dello Spirito, ma non lo Spirito stesso, che come tale non è individualità finita.  43. - Non era questa l'interpretazione della filosofia hegeliana, che potesse concorrere al progresso del pensiero speculativo. Ma è indubitabile che essa pure traeva  alimento da uno di quei forti amori dell'eterno e del divino, senza i quali lo spirito umano non sarebbe a volta a volta distratto dagl' interessi mondani e spinto alla ricerca filosofica. E per questo verso il Vera fu uno degli scrittori più vigorosi, più sinceri, più alacri che ci siano stati in Italia negli ultimi tempi; e non possiamo passare innanzi a lui senza inchinarci.  Il suo fu un vano sforzo di impadronirsi di quell'ideale di sistema, unità di religione e di filosofia, che Hegel gli fece balenare alla mente: vano sopra tutto per mancato orientamento nella storia della filosofia, dacui l' hegelismo aveva con stretta possente voluto spremere il succo vitale. Perciò una costante meditazione di trent'anni non valse a fargli superare definitivamente il punto di vista, da cui nel 1845 nelle sue tesi di dottorato aveva cominciato a combattere Hegel. Nell'ultimo suo scritto Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel sentiva egli stesso di « tornare ai primi e quindi vecchi amori, poiché l'argomento» che vi esaminava « non differisce in fondo da quello trattato nell'opuscolo Platonis, Aristotelis el Hegeli de medio termino doctrina», e prendeva di nuovo a studiarlo e svolgendo ed allargando la prima tratta-zione, chiarendone e correggendone alcuni punti, e in tal senso compiendola». Ma le correzioni non toccavano, in verità, la sostanza delle sue giovanili speculazioni.  Poiché egli ancora, come nel 1845, toglieva a difendere la tesi che la filosofia muove da una fede; dalla fede dell'intelligenza in se stessa; dalla fede nella conoscenza; nella conoscenza della verità; cioè dell'Assoluto o di Dio:  dalla fede dell' Efesio ady pi huntoy auniatow oin  EfEupnGEL, aveEepeivntoy Eoy xoi aopov. E se ora bensi  diceva, che questa fede è l'alfa della scienza e la sola possibilità di essa, la scienza, pur troppo, non seguiva.  Lo scritto, condotto innanzi fino al punto in cui ancora una volta il filosofo stanco si ritrovava innanzi al problema della differenza tra religione e filosofia, si arre-  stava, troncato dalla morte.Augusto Vera. Vera. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vera” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Vercellone: la ragione conversazionale del bello e l’estetico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Essentail Italian philosopher. Filosofo italiano. La sua filosofia si svolge inizialmente intorno all’ermeneutica e il concetto di ‘classico’ – as in English ‘classy’, in Loeb’s classy library --. Anche il nichilismo: la sua “Introduzione al nichilismo” edito da Laterza.  Continuando a muoversi intorno al rapporto tra estetica ed ermeneutica, il suo percorso filosofico verte in seguito su ambiti decisivi:  il rapporto tra temporalità storica e coscienza estetica, la dispersione dell'estetico; il problema del ‘pulcer’ (‘il bello’) (“Oltre il bello” – Castiglioncello, Bologna, Il Mulino); e il concetto di ‘immagine’. Soprattutto quest'ultima linea occupa le sue ricerche orientate sull'idea di un radicamento estetico. Insengna a Torino. Direttore del centro inter-universitario inter-dipartimentale di ricerca sulla morfologia dell’Udine. Presidente dell’Associazione italiana degli studiosi d’stetica. Vice-Presidente della Società italiana d’estetica. Collabora con La Stampa. Altre saggi: “Identità dell' ‘antico’ – (drawing from the antique”) – il concetto di  ‘classico’” (Torino, Rosenberg e Sellier); “Apparenza e interpretazione” (Milano, Guerini e Associati);  “Pervasività dell’arte: ermeneutica ed estetizzazione” del mondo della vita” (Milano, Guerini); “Nature del tempo. Novalis e la forma poetica del romanticismo tedesco” (Milano, Guerini); “Estetica”, Bologna, Il Mulino); “Storia dell’estetica” (Bologna, Il Mulino); “Morfologie del moderno” (Genova, Il Melangolo); “Lineamenti di storia dell’estetica. La filosofia dell’arte” (Bologna, Il Mulino); “Pensare per immagini: tra scienza e arte” (Milano, Mondadori); “Le ragioni della forma” (Milano-Udine, Mimesis); “Dopo la morte dell'arte” (Bologna, Il Mulino); “Il futuro dell'immagine” (Bologna, Il Mulino); “Simboli della fine”  (Bologna, Mulino); “Morte dell'arte e rinascita dell'immagine: saggi in onore di V.” (Roma, Aracne); Perniola, “Estetica italiana” (Bompiani; D’Angelo); “L’estetica italiana” (Laterza); Franzini, Immagini del moderno, in Bertinetto, Garelli, Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in suo onore, Roma, Aracne.  Vattimo, L'arte è morta, anzi no: è "dopo", Repubblica, Bertinetto, Garelli, Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in onore di V. Belpoliti, “Tra bello e brutto non c'è più differenza” La Stampa, Bodei, “Là dove rinasce il bello” Il Sole 24 Ore, Bodei, Salto nel vuoto dell'immagine, Il Sole 24 Ore, Mattazzi, Aprire lo sguardo. Stili della visione in grado di agire sul reale, Il Manifesto; Vallora, Nelle torri di Kiefer per trovare un senso in mezzo alle rovine, La Stampa, Università degli Studi di Torino.  La filologia, il tragico, lo spazio letterario. Per una rilettura del giovane Nietzsche, in «Rivista di estetica», 11, 1982, anno XXII, pp. 40-63.  Oriente e ornamento nell'estetica di Hegel, in «Rivista di Estetica«, 12, 1982, anno XXII, pp. 83-90.  1984)  L'Oriente romantico, in «Rivista di estetica», 16, 1984, anno XXIV, pp. 92-99, 1984, anno XXV, pp. 83-92. Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21, n.2, primavera 1981, in "Rivista di Estetica", 16, 1984, anno XXIV, pp. 152-153.  Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21, n.3, estate 1981, in "Rivista di Estetica", 16, 1984, anno XXIV, pp. 153-154 Scheda di "Revue d'Esthétique", n.1, 4, 1982, Musique présente, in "Rivista di Estetica", 18, 1984, anno XXIV, pp. 176-178. Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21, n.4, autunno 1981, in "Rivista di Estetica", 18, 1984, anno XXIV, pp. 181-182. Scheda di "Revista de estética", 1/1983, in "Rivista di Estetica", 18, 1984, anno XXIV, pp. 181-182.  1985)  Dal simbolo alla scrittura. Friedrich Creuzer, in «Rivista di estetica», 17, 1984, anno XXV, pp. 83-92. La riappropriazione del senso e l'opacità della lettera. Modelli della comprensione storica, in "Rivista di Estetica", 19, 20 1985, anno XXVI, pp. 79-92. Cura della sezione dedicata a L'Ottocento di AA.VV., Il pensiero ermeneutico, Scheda di "Revue d'Esthétique", n.8, 4, 1985, in "Rivista di Estetica", 23, 1986, anno XXVI, pp. 146-148. Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine Kunstwissenschaft Bd. XXX/I 1985, in "Rivista di Estetica", 24, 1986, anno XXVI, pp. 146-148.  14) Scheda di "Revue d'Esthétique", n. 12, 1986, in "Rivista di Estetica", 30, 1988,  anno XXVIII, pp. 146-148.  1987)  15) Al di là della lettera. Lo studio dell'antichità nel pensiero di Ast, in M. Ravera, F.  Vercellone, T. Griffero, Estetica ed ermeneutica, Palermo, Aesthetica.  16) Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine Kunstwissenschaft Bd. XXX/I  1985, in "Rivista di Estetica", 25, 1987, anno XXVI, pp. 146-148.  1988)  Identità dell'antico . L'idea del classico nella cultura tedesca del primo Ottocento, Torino, Rosenberg. L'estetica moderna. Percorsi bibliografici, in S. Givone, Storia dell'estetica, Roma- Bari, Laterza.  19) Per una storia del circolo ermeneutico in : AA. VV., Ciò che l'autore non sa, Milano, Guerini.  1989)  Apparenza e interpretazione, Milano, Guerini. Con Gianni Carchia, Premessa a Romanticismo e poesia, in "Rivista di Estetica", 31, 1989, anno XXVIII, pp. 3-4. Scheda di "The Journal of Aesthetics and Art Criticism", vol. XLIV, 4, estate 1986, in 'Rivista di Estetica", 31, 1989, anno XXVIII, pp. 3-4. 1990)  Sublime e memoria. 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L'Occidente della verità. Identità e destino della cultura europea, a cura di C. Ciancio e F. Vercellone, Milano, Guerini.  62) Arte e bellezza (testo della conferenza tenuta a Jesi, il 20.1.1998, presso il Palazzo dei Convegni di Jesi nel ciclo L'estetica e i suoi luoghi a cura del Circolo Culturale Jesino «Massimo Ferretti»), in AA.VV., L'estetica e i suoi luoghi, Jesi,  Arti Grafiche Jesine).  63) Recensione a: Maria Moneti Codignola, Moralità e soggetto in Hegel, Pisa, ETS,  1996, su «Iride», 25, dicembre 1998.64) Estetica dell'Ottocento, Bologna, Il Mulino (trad. portoghese: A estética do século  X/X Editorial Estampa, Lisbona, 2000; trad. spagnola: Estetica del siglo X/X, Madrid,  Machados., 2004.  Corpo, memoria, storia., in «Iride» nella rubrica «Libri in discussione», a proposito del volume di D. Dietrich Harth, Das Gedächtnis der Kulturwissenschaften, Dresden, Dresden University Press, 1998. Recensione al vol. di N. Humphrey, Una storia della mente, trad. it. di B. 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(versione rivista e abbreviata di 157].  183) La peste come metafora del mondo, «Iride. Filosofia e discussione pubblica» 71 (2014), pp.  206-210, ISSN 1122-7893  18der Prescione, Milal, Malisia, talk I Fi orali, a cura di G. Gareli c  La finzione necessaria. La fine dell'arte e la nascita dell'estetica, in "Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica" VII (2014), n. 1, pp. 9-28 (ISSN 2036-542X-14001) 0. Breidbach-F. Vercellone, Thinking and Imagination. Between Science and Art, transl. Wilton Kaiser, (thinking European Worlds), Aurora, Colorado, The Davies Group Publishers, pp. 170, ISBN-10: 1934542342 - ISBN :978-193542-34-7 - trad. Di L'educazione estetica nella civiltà dell'immagine. Ipotesi sul futuro prossimo, in «Annuario Filosofico», 29, 2013, Milano, Mursia, pp.21-33, ISBN 978-88-425-54 Note sul destino artistico della tenologia, in : Confini dell'estetica. Studi in onore di Roberto Salizzoni, a cura di E. Antonelli e A. 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Vercellone, rist. rivista di 122), Milano-Udine, Mimesis International- ISBN9788884838407 Chaos and Morphogenesis in German Romanticism, in Visiocrazia. Immagine e forma della legge/ Visiocracy. Image and Form of Law, Milano-Udine, Mimesis, pp, 129-134- ISSN 1970-5476 ISBN 978-88-5753-075-8- trad. Inglese con lievi modifiche del cap. 3) di 94) 20o a m, 30.201 , pe estelica Rico do di 012 riach, in «Anuario  207, Misil osare in eie ne ritrea prima pal do e ell eranza, p.  2016)  Prefazione a A. Vianello, Sapere e fede. Un confronto credibile, Udine, Forum, pp.9-12, ISBN 978-88-8420-9269 Identità a venire nello specchio del Grand Tour, in «nuova informazione bibliografica», n. 1, gennaio-febbraio 2016, pp.11-15 ISBN 978-88-1526238-7 Braco Dimitrijevic. La storia oltre la storia, in Braco Dimitrijevic, a cura di D. Eccher, pp. 19-21.ISBN 97888366336692.  210) L'universalità dell'ermeneutica nel tempo dell' "immagine del mondo". Note e riflessioni, in «Lo sguardo». Rivista di filosofia. 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Garda e S.  Forti), in Iride - Filosofia e Discussione Pubblica 82, Volume XXX - dic. 2017, pp.  643-660.  244) Dream, Geist. Strategie del Regno, in Dream - L'arte incontra i sogni - catalogo.  Skira, Roma, pp. 12-15.  In uscita o da verificare:  en el siglo XIX" / 11 al 13 agosto 2010 presso l' Universidad Internacional Menéndez  Pelayo; traduzi lituana in corso.  213) L'educazione estetica nella civiltà dell'immagine. Ipotesi sul futuro prossimo in versione spagnola negli Atti del con vegno Schiller a Madrid  215) La morfologia oltre l'estetica. Ricordo di Olaf Breidbach, trad. tedesca in Atti del convegno «Anschauen, Ordnen, Deuten, Wissen». Gedächtnissymposium zur  Erinnerung von Olaf Breidbach, Jena 9-10 luglio 2015.Federico Vercellone. Vercellone. Keywords: bello, estetico, immagine. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vercellone: l’estetico e il bello’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Verdiglione: la ragione conversazionale della congiura degl’idioti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Caulonia). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “I like Verdiglione; my favourite: his “La congiura degl’idioti” – I have used the Greek root which Boezio translated as ‘proprium’ twice in my seminar on implicature. The first time to refer to ‘kick the bucket’ as a ‘recognised idiom’ – idioma in Latin and idIoma, with stress on the i, in the Grecian; but more importantly – since ‘recognised by who?’ – in the next session I referred to a conversationalist using a one-off signaling which I referred to as a ‘signalling idiolect.’ Yes, Speranza and I can be pretty idiosyncratic!”. Vincitore di una borsa di studio nel collegio Augustinianum, studia a Milano, dove si laurea con una tesi sulla filosofia semiotica di PIRANDELLO (vedi). Formatosi con Lacan, pubblica con le case editrici Marsilio, Rizzoli, Feltrinelli e Sugarco, con cui collabora. Per quest'ultima dirige la collana "Bordi". Traduce la raccolta di testi Scilicet di Lacan per Feltrinelli e il Seminario XXII. Con la sua casa editrice, Spirali, pubblica testi come la traduzione del Malleus Maleficarum, Il martello delle streghe, il manuale dell'Inquisizione per la caccia alle streghe, e in seguito, sempre per le edizioni Spirali, pubblica alcuni testi di BRUNO, come “Le ombre delle idee” e “Cabala del cavallo pegaseo.” Traduce per Feltrinelli libri che in Francia animano il dibattito in ambito culturale, come il saggio di Irigaray Speculum. L'altra donna edito da Feltrinelli nella traduzione di Muraro, il saggio di Mannoni, Educazione impossibile. Introduce in Italia Kristeva. Incontra anche Oury, fondatore assieme a Guattari della clinica La borde, di cui pubblica “Creazione e schizophrenia”, “Psicosi e logica istituzionale”. “Il collettivo”, Babele e la Pentecoste. La Borde e la scrittura della psicosi, La psicosi e il tempo. Traduce sempre per Feltrinelli l'edizione del libro di Jean-Goux, Freud, Marx: economia e simbolico. Fonda il Movimento freudiano e la Spirali Edizioni. Con Spirali, pubblica autori come  Daniel, Lévy, Glucksmann, Halter, Arrabal, Grillet.  Esce in edicola il primo numero del mensile “Spirali: giornale di cultura”, a cui segue l'edizione francese Spirales, Il Secondo Rinascimento. V. e il Collettivo “Semiotica e psicanalisi” organizzano a Milano, in V sedi differenti, il Congresso internazionale "Sessualità e politica" seguito dai media italiani. Partecipano molte filosofi. Sempre con il Collettivo “Semiotica e psicanalisi”, organizza il congresso “La follia”, che si svolge in più sedi, tra cui il Palazzo dei Congressi e il Museo della scienza e della tecnica. Il congresso è seguito dalla stampa di vari paesi. Intanto, inventa la “cifre-matica,” la cosiddetta scienza della parola. Nell'Enciclopedia Rizzoli Larousse viene così definita la cifrematica come dottrina della parabola intesa come cifra -- dottrina elaborata da V. e utilizzata all'interno di esperienze di conversazione, lettura, ecc. Secondo la cifre-matica, ogni parabola può essere analizzata secondo la sua logica idiomatica – cfr. Grice, “Idioma, not language” -- o la sua qualità cifratica, come ‘cifrema.’ C’e logica idiomatica della relazione, dello stigma, della funzione, della operazione, e della dimensione. C’e tre 'strutture': struttura sintattica, struttura frastica e struttura pragmatica – o griceiana, secondo cui ogni expression – idioma --  può essere 'de-cifrata.’ E a Milano, su invito di V. Ionesco. In un'assemblea di intellettuali e lettori, c’e un convegno organizzato da lui, portando la testimonianza della sua vita e della sua attività filosofica, documentata nel libro Una vita di poesia.  La sua Università internazionale del Secondo Rinascimento acquista dalla famiglia Borromeo la Villa di Senago e il parco, lasciati per anni in uno stato di abbandono. I nuovi proprietari decidono pertanto di avviare un primo importante restauro che mira alla salvaguardia stessa del bene. Il restauro si è protratto nel tempo, fedele a criteri conservativi, con la collaborazione di ingegneri, esperti, architetti, tecnici, storici e filologi che hanno lavorato, insieme, sotto la direzione della sopra-intendenza ai beni ambientali ed architettonici di Milano. L'attività editoriale prosegue quanto già avviato e si indirizza soprattutto sulla dissidenza, in particolare romanzieri. Pubblica libri di Bukovskij, Zinovev, Naghibin, Maksimov e molti altri. L'interesse per la dissidenza lo porta a pubblicare saggisti come Suvorov, gl’ambasciatori russi in Italia Adamishin, Jurij, il teorico della perestrojka Jakovlev, e l'ex ministro per l'energia e leader dell'opposizione di destra Nemtsov. Oltre agl’autori, pubblica dissidenti provenienti da tutto il pianeta. In questa direzione sono stati organizzati i convegni internazionali Festival della modernità che propongono, in ciascuna edizione, diverse tematiche -- scrittura, libertà, politica.  Prosegue il lungo processo di restauro della Villa San Carlo Borromeo di Senago, restituendo all'edificio la sua originaria bellezza e trasformandolo in un palazzo del turismo culturale e artistico, nella sede dell'Università internazionale del Secondo Rinascimento e della casa editrice Spirali. In questi anni, la villa è sede di congressi, di corsi, di seminari, di riunioni di enti pubblici e privati, italiani e stranieri, di un museo permanente e di un museo per grandi mostre. V. ha totalizzato X anni e VI mesi di carcere per reati vari.  È stato condannato a IV anni e due mesi per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace. Dopo un patteggiamento è stato condannato a I anno e IV mesi. è stato di nuovo condannato in primo grado a IX anni (e la moglie a VII) per associazione a delinquere, frode fiscale, truffa alle banche e allo stato. In seguito la pena è stata ridotta a V anni. In tale occasione ha causato sofferenze bancarie per 73,4 milioni: 18,3 sono in capo a Intesa Sanpaolo, altri 25,9 milioni a Banca Etruria. Truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace V. è al centro di una serie di vicende giudiziarie (Affaire V.) relative all'attività sua, della sua fondazione e dei suoi collaboratori. Viene condannato a IV anni e due mesi di reclusione per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace, condanna che passa in giudicato. Intellettuali di vari paesi -- tra cui Lévy, Ionesco, Arrabal, Halter, Benamou, Henric, Bukovskij, Safouan, Xenakis, Zinovev, Mathé, Lanzmann -- acquistano una pagina del quotidiano “Le Monde” in cui pubblicano e sottoscrivono un appello rivolto al presidente della repubblica italiana e ai giudici milanesi, col quale denunciano un presunto clima di caccia alle streghe. Il caso V. secondo i firmatari mette in discussione le nozioni di diritto, giustizia e libertà di parola in Italia. Daniel, direttore del Nouvel Observateur, pubblica su la Repubblica una lettera, intitolata "Difendo V.", rivolta al direttore del quotidiano. Il Partito Radicale organizza un incontro internazionale in piazza Montecitorio sul Ve., a cui partecipano anche importanti esponenti del "Comitato Internazionale per V.", promosso da MORAVIA, Ionesco, Lévinas, Arrabal, Bukovskij, Lévy, Halter. La Repubblica scrive che dopo quello di Tortora ci e la sponsorizzazione da parte del PR del caso giudiziario di V.”. Il programma satirico Drive In lo fa conoscere anche al grande pubblico, attraverso la parodia del "Dottor Vermilione, psicanalista santone" impersonato da Greggio. Il caso V. è anche citato in relazione al disegno di legge per l'abolizione del reato di circonvenzione d'incapace -- articolo del codice penale. Dopo la condanna in Cassazione, la vicenda giudiziaria si conclude con il rinvio a giudizio per i capi di imputazione stralciati in occasione del primo procedimento giudiziario e con il definitivo patteggiamento a una pena di I anno e IV mesi e indennizzi di oltre 3 miliardi di lire a ex allievi. Si concludono le indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla Procura della Repubblica di Milano, Viene indagato per evasione fiscale in relazione all'emissione di fatture false, e appropriazione indebita. A seguito della richiesta avanzata dalla procura di Milano, due dimore storiche riconducibili al professore (tra cui la Villa San Carlo Borromeo di Senago) per ordinanza del Gip vengono poste sotto sequestro preventivo, pur mantenendone la disponibilità. A meno di III settimane di distanza il Tribunale del Riesame di Milano annulla i decreti di sequestro concessi dal GIP C. Mannocci al PM Albertini, e restituisce gli immobili alle proprietà, in quanto non sussiste l'accusa di evasione fiscale. Si tratta invece di neutralità fiscale, in quanto l'IVA dovuta sarebbe sempre stata pari a zero. In base alle conclusioni del giudice, sarebbero state emesse fatturazioni fittiziema regolarmente pagatetra società facenti capo a V., allo scopo di ottenere crediti presso gli istituti finanziari, potendo esibire bilanci dai quali risultano entrate ingenti, in realtà fasulle.  La giudice Marchiondelli rinvia a giudizio V. per associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale e truffa allo stato. Viene condannato a IX anni per i reati di associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale, truffa alle banche e truffa allo stato. Nel medesimo processo vengono emesse condanne anche a carico della moglie  Angeli e di due sue società, intanto fallite. Viene altresì disposta la confisca, fino ad un valore equivalente rispettivamente di 100 milioni e 10 milioni di euro, di beni come la storica dimora trecentesca Villa San Carlo Borromeo a Senago con 10 ettari di parco. La sentenza di secondo grado conferma la prima, nonostante che Procuratore generale, nella sua requisitoria, abbia chiesto l'annullamento della sentenza di primo grado per assoluta indeterminatezza e intrinseca contradditorietà delle accuse. La condanna a V anni di reclusione diventa esecutiva. Nel pieno delle inchieste giudiziarie, l'associazione da lui fondata viene definita setta dallo psicoterapeuta infantile Foti. Analoga affermazione fu fatta da Calefato, professoressa associata di sociolinguistica, che così si espresse in un'intervista per un quotidiano locale in occasione dell'incontro con Verdiglione organizzato a Bari da Ponzio, Professore di filosofia del linguaggio, intitolato "La cifra del Levante". MUSATTI, considerato il fondatore della psicanalisi italiana, prova una profonda avversione per V. che etichetta come "“il magliaro di Caulonia” e come "cialtrone". V. ha ospitato come relatori, nell'ambito di alcuni congressi organizzati alla Villa San Carlo Borromeo, autori come Duesberg, virologo statunitense, scopritore dei retrovirus, e Rasnick, biologo, che negano l'esistenza dell'AIDS, sostenendo che gli ammalati di tale morbo morissero in realtà sia a causa dell'assunzione di droghe sintetiche fortemente immune-soppressive sia a causa delle cure che erano loro imposte nella prima fase sperimentale, dove si ricorreva all'utilizzo di farmaci come l'AZT, originariamente sintetizzato a scopo anti-neoplastico e poi abbandonato per l'elevata tossicità. Saggi: “Il carcere. La questione della parola, Associazione Amici di Spirali,  Ur-kommunismus; “La paura della parola”, Associazione Amici di Spirali, “La grammatica dello spirito,” L'androgino trinitario e la bilancia dell'orrore, Associazione Amici di Spirali, “I padroni del nulla” Associazione Amici di Spirali,  L'Operazione guru, Associazione Amici di Spirali,  La rivoluzione dell'imprenditore, Associazione Amici di Spirali,  Il bilancio di guerra, Associazione Amici di Spirali,  In nome del nulla. L'accusa di blasfemia, Associazione Amici di Spirali,  Il bilancio intellettuale dell'impresa, Associazione Amici di Spirali,  Parola mia, Spirali,  La realtà intellettuale, Spirali,  L'Affaire fiscale ovvero il dispensario del tempo, Spirali,  Scrittori, artisti, Spirali, La libertà della parola, Spirali, “La politica e la sua lingua”, Spirali, La nostra salute, Spirali, Il capitale della vita, Spirali,  Master dell'art ambassador, Spirali, Master del brainworker, Spirali, Master del cifrematico, Spirali,  “L'interlocutore”, Spirali, Il Manifesto di cifrematica, Spirali, La rivoluzione cifrematica, Spirali, Artisti, Spirali, Il brainworking. La direzione intellettuale. La formazione dell'imprenditore. La ristrutturazione delle aziende, Spirali, Edipo e Cristo. La nostra saga, Spirali, La famiglia, l'impresa, la finanza, il capitalismo intellettuale, Spirali, Venere e Maria. La fiaba originaria, Spirali, MACHIAVELLI, Spirali/Vel, Vinci, Spirali/Vel, La congiura degl’idioti, -- cfr. Grice, “L’idioma dell’idiota” -- Spirali/Vel, L'albero di San Vittore, Spirali, Lettera all'eccellentissima corte di appello, Spirali, Quale accusa?, Spirali, Processo alla parola, Spirali, Il giardino dell'automa, Spirali, Manifesto del secondo rinascimento, Rizzoli, Spirali, La mia industria, Rizzoli Spirali,  Dio, Spirali, La peste, Spirali, La psicanalisi questa mia avventura, Marsilio, Spirali, La dissidenza freudiana, Feltrinelli, Spirali. E. Roudinesco, Histoire de la psychanalyse en France, Paris: Le Seuil (réédition Fayard )  dal sito web italiano per la filosofia.  il domenicale arretrati n. Domenicale miei libri Scienze umane Sociologia e comunicazione Sollers-scrittore La dissidenza della scrittura Lacan e altri, Scilicet: rivista dell'école freudienne de Paris, trad. di V., Feltrinelli, Milano, Lacan,  Il seminario, in «Ornicar? Venezia. Institor (Krämer), Sprenger, V., Il martello delle streghe. La sessualità femminile nel "transfert" degli inquisitori, Spirali, Milano, BRUNO, Caiazza, Le ombre delle idee, Spirali, Milano, BRUNO, Sini, Cabala del cavallo pegaseo, Spirali, Milano, Mannoni, Educazione impossibile, (Feltrinelli, Milano). Spirali pubblica le opere La rivoluzione del linguaggio poetico. L'avanguardia, : Lautrémont e Mallarmé e Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione  Guattari /spirali books-of-Jean+Oury. Php  Goux, Freud, Marx: economia e simbolico, introduzione e cura di V., Milano, Feltrinelli, atti del Convegno Sessualità e politica edito da Feltrinelli, 2000 partecipanti al Congresso di Psicanalisi con tema "Sessualità e Politica", svoltosi a Milano", Anquetil, "A Milan, le sage congrès de la folie", Les Nouvelles Littéraires, Dadoun, "A Milan F comme Folie", La Quinzaine littéraire,  Descamps, "A Milan au congrès de psychanalyse on a débattu (vivement) de “Sexe et politique”", La Quinzaine littéraire, Congres v Milanu, “Razprave problemi”, Maggiori, "La 'Jet Society' psychanalytique reunie a Milan", Liberation,  Italianistica, Cifrematica: di che cosa parliamo?  Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano, Mascheroni, il Giornale, Borzi, Etruria perde 26 milioni nel crack V., in Il Sole 24 ore, V. affidato al servizi sociali, la Repubblica, in Archiviola Repubblica.  "Pour V.", Le Monde, "Difendo Verdiglione", di Daniel, direttore di Le Nouvel Observateur pubblicato da la Repubblica, Caso v.: , all'hotel nazionale in piazza montecitorio, a partire dalle ore 11.45, incontro internazionale sul tema: "il caso v.". marco pann..., su radio radicale. I radicali bocciano pannella, la Repubblica, in Archivio la Repubblica legislature camera dati/leg10/lavori/ stampati Milano, 18 rinvii a giudizio per la vicenda v., Repubblica » Ricerca, non profit, v. fa lo sponsor e le associazione danno forfeit, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Turano, V. spa, in Corriere Economia, V., ovvero come sposare lo sponsor e viver felici  Corriere della Sera, su milano.corriere.  Archivio Corriere della Sera, su archivio storico.corriere. Corriere della Sera, su archivio storico.corriere.  Frode fiscale, IX anni a V. confiscati beni per 110 milioni, in Corriere della Sera. Lo psicanalista V. dai fasti al ritorno in carcere, su milano corriere.  sito dell'associazione diretta da Foti, 'V. fuori dall'Ateneo' la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Il chiaccierato V. , la Repubblica, in Archivio la Repubblica. musatti Analisi laica, su Analisi laica. Italian guru, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Szaz, La battaglia della salute, Spirali. «L'Aids non è contagioso in nessun modo, non si trasmette né attraverso rapporti eterosessuali né attraverso rapporti omosessuali e neanche senza rapporti, non si trasmette in nessun modo; l'Hiv è un retro-virus che, secondo Dusberg, è innocuo." "Muoiono per via della cura. È la cura, che li ammazza."».  Dizionario di cifrematica, su dizionario di cifrematica. V.  Com: Recenti Vicende, su tg mediaset. Armando Verdiglione. Verdiglione. Keywords: de-ciphering the cipher, cifra decrifrata, implicatura e cifra, Bruno, Machiavelli. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verdiglione e l’idioma dell’idiota” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vernia: la ragione conversazionale dei peripatetici, o del lizio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Chieti). Filosofo italiano. Grice: “I love Vernia, but then any Englishman would, especially when learning that Saint Thomas (Aquino) would have made such a fuss about him!” -- Essential Italian philosopher. Allievo a Padova di PERGOLA e Thiese e successore di quest'ultimo. Ha come collega POMPONAZZI (il Pomponaccio). Tra i suoi allievi: NIFO e PICO. Seguace dell'ermetismo imperante a Padova, cura un'edizione di Aristotele, il lizio. V. sostenne l'unità dell'intelletto -- dottrina poi abbandonata a causa di una condanna inflittagli dal vescovo di Padova --, l'autonomia della fisica rispetto alla meta-fisica, e la superiorità della scienza della natura sulle scienze dell'uomo. Saggi: “Contra perversam Averrois opinionem de unitate intellectus et de animae felicitate”; “De unitate intellectus et de animae felicitate”; “Expositio in posteriorum capitulum secundum in fine”; “Expositio in posteriorum librum priorem”; “Quaestio de gravibus et levibus”; “Quaestio de rationibus seminalibus”; “Quaestio de unitate intellectus”; “Quaestio in De anima. Bellis, “L’aristotelismo” – del lizeo (Firenze, Olscheki editore, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Esaminiamo in prima quali sieno le sue cose stampate, le quali sono poco conosciute, si perché si trovano inserite in altre opere, si perché scritte con caratteri molto fitti, danno pena all'occhio anche molto paziente. La dissertazione più conosciuta é l'ultima, contro l' unità dell'intelletto di Averroe; tanto è vero, che nella seconda iscrizione apposta al monumento trasportato dalla chiesa di S. Bartoloneo all'oratorio dell'ospedale civile di Vi-cenza, è precisamente questo ultimo scritto ricordato. Del Vernia sono stampate sei dissertazioni. La prima porta la data del 1480 (') ed è: quuestio un ens mobile sit toliusphilosopine nuturalis siljectum ('); essa si trova nel commento sul de general. et corrupt. di Aristotele, di Egidio Romano, di Marsilio Ingnen, e di Alberto di Sassonia.  La seconda é collegata colla terza, e tratta della partizione della filosofia; è una prolusione ad un corso di un anno intorno alla fisica di Aristotele. La terza è: utrum medicina jure civili sit nobilior: è come una conclusione della seconda (°); tutte e due sono nella fisica di Burleo, e sono precedute da una lettera a Sebastiano Baduario, censore di Vicenza (3), nella quale ricorda il Vernia la grandezza della di lui famiglia, di cui i capitani sono scolpiti nelle immagini del Palazzo Ducale di Venezia. Il Badua-rio fu discepolo, come il Vernia, di Paolo della Pergola, ed addivenne illustre scotista. In sua casa fu educato il compaesano del Vernia, Nicola Manupello, di Chieti, che fu fisico e medico. E qui soggiunge, che essendo stato pregato dagli stampatori di emendare il libro sulla fisica di Burleo che era corrotto e che doveva leggere agli scolari, volle premettere la divisione della filosofia e l'ampia questione de inchoatione formaruin da lui trattita, ed al Baduario dedicata. Questa ultima questione è andata perduta; almeno finora non la rinvenni. La partizione della filosofia e l'altra sulla medicina portano la data della fine di febbraro 1482 (*). La quarta dissertazione è sul  de gracibns et lucciles, dedicata a Berardo Bolderio filosofo e medico veronese; tratta se i gravi ed i leggeri inanimati si muovano da se stessi o da altro, quando sia rimosso ogni impedimento. Essa si trova nello scritto sull'intelletto contro Averroe. La data non ci è veramente segnata; ma siccome essa é citata nella quinta dis-sertazione, e non nelle altre prevedenti, è da dirsi essere la quarta. La quinta dissertazione é: questio an denter unicersalin realia, ed é premessa al commento sulla fisica di Urbano Servita, Averroista. Il Renan seguendo l'Hain, ha creduto che sia una prefazione ('); invece è una questione a se, che la poca relazione propriamente culla fisica. Antonio Alabante scrive al Vernia di leggere ed esaminare il manoscritto di Urbano Servita, e di vedere se ne sia stato l'autore Giovanni Marcanova, ovvero Ur-bano. Il Vernia risponde che il manoscritto nel primo esemplare è di Urbano: Marcanova lo copiò e fu trovato nei libro di costui senza indice: che è degno di essere stampato, jerche Urbano supera moltissimi averroisti, e non islugge le questioni le più difficili della fisica. Corrisponde alla gentilezza e stima di Alabante di Bologna con pari condutta, mandandogli la dissertazione sugli uni-versali, perché la legga e gli dica se può essere stanpata.  La lettera di accompagnamento porta la data del giugno 1492 da Padova; e la dissertazione è stata terininita nel 17 febbraio 1492 (*). Sino a questo tempo il Vernia è un pretto averroista, mostrando nei suoi scritti unlampo di razionalitá e di liberta di filosofare pregevole e rarissima a quei tempi.  Ma alla sorveglianza del Vescovo di Padova e alla • pietá di un uomo dottissimo quale era il Barozzi non poteva sfuggire il libero pensiero del Vernia. Imperocche il Barozzi nel 4 maggio 1489 aveva emanata la scomunica lutae sententiae a tutti quelli che disputavano pubblicamente quoris quaesito colore, sull'unità dell' intelletto.  Il Vernia con tutto ciò si mantiene ancora fermo ai suoi principii; sperava che essi fossero mantenuti illesi colla pubblicazione delle sue dottrine, affidata alla protezione di uomo colto ed autorevole che l'aveva accolta.  Cio non basto a salvarlo: una più severa minaccia di seo-munica direttamente al Vernia dovette venire, la quale l'obbligava a ritrattarsi. Non si puù spiegare diversamente la vicinanza delle due date, della quarta e della sesta dissertazione, nella quale ultima il Vernia si ritratta interamente del suo averroismo. La questione degli universali porta la data del 17 febbraio. La lettera poi di accompagnamento di questa dissertazione diretta ad Antonio Alabante porta la data di giugno 1492; mentre quella contro l'unità dell'intelletto è del 18 settembre, dello stesso anno, 1192.  Non dustrente ophtelmia quae me tune molestant, soggiunge il Vernia in fine: una circostanza tuti'altro favorevole a fare scrittura. Argomento da ciò, che il Vernia la dovuto affrettarsi a fare questa ritrattazione. Che la dissertazione sesta sia un po' affrettata ed un poco anche confusi, é in qualcle parte evidente. Che rimanga il dubbio di avere abbandonato l' averroismo perfettamente, e evidentissimo; ed il Barozi se n'era già accorto. Epperò non possiamo noi accettare come veridica la sua confessione, cioé, che solo per disputare e per aguzzare l'ingegno tentò di corroborare con argonenti l'opinione di Averroe intorno all'unico intelletto.  Contro tale dichiarazione sta non solo la dissertazione precedente dello stesso anno sugh universali, in cui si professa pu-ru averroista, ma anche un'altra che è sparita, intorno al-1180 nella prina questione preliminare intorno al soggetto della fisica (').  Ma la vita di insegnante per 33 anni nell' università di Padova sarebbe stata troppo scarsa di frutti intellettivi, se il Vernia si fosse limitato a queste sole sei dissertil-zioni. Giá abbiamo visto che egli emendo la fisica di Bur-leo. Anche ai tempi di Pomponazzi il Burleo godeva all-cora grande autoritá nella scienza. Ed alcune opere di lui erano già andate perdute (°). Un altro lavoro di cur-rezione di edizione lo fece intorno al de caelo et murulo del Gianduno. Il Pellenegra di Troja che insegno filosofia morale a Padova, ci da notizia di avere più accuratamente stampate le questioni del Giandono che furono emendate dal Vernia ('). Noto questa notizia molto rilevan-Imperocché sono di credere che molti hanno pubblicato dei lavori del Vernia, non originali però, ma intorno ai commenti di Aristotele, appropriandosi in tutto e per tutto gli scritti del filosofo chietino. Che il Vernia non abbia perduto il tempo sulla cattedra, si rileva dalle sue stesse parole nelle quali dice che essendo stato professore per 33 anni a Padova, credeva essere poco decoroso, se non avesse pubblicato ció che avea raccolto con diligenza per tanti anni dagli autori greci e latini. Egli non cessava tutti i giorni di forbire e ritrallare i commenti che aveva fatto su tutti i libri di Aristotele, perché potessero meritare di essere pubblicati ('). Ma mandava alla stampa in prima l'opuscolo sulla immortalità secondo la fede cattolica, aí-finché fosse esso come il conduttiero delle altre opere.  Prega inoltre Domenico Grimani di accettare questo dono durante il tempo, che egli da un'aitra mano ai coinmenti di Aristotele. Se la lettera dedicatoria è scritta nel 1499, nella quale confessa che egli ha già pronti questi commenti, ma non li pubblica perché hanno bisogno di essere ricor-secondo il tenore del suo opuscolo, cioè contraria ad Averroe, di cui era stato per tanti anni fautore. Quindi si può supporre, o che egli non li abbia pubblicati prima per la minaccia del Barozzi, ovvero che dal 1499 egli siasi messo a ritrattare tutti i commenti in senso anti-averroistico, e che non li abbia finiti per gli acciacchi della sua età. Pochissimo é stato anche il tempo dalla pubblicazione dell'opuscolo alla sua morte; quindi si può ritenere che i suoi scritti sieno andati nelle mani degli altri.  Una caratteristica quasi costante si può notare negli scritti del Vernia, la quale è duplice, materiale e formale.  Il Vernia è molto ordinato nel suo scrivere: quasi tutte le sue dissertazioni sono divise in tre parti: la prima espone tutti coloro che hanno deviato da Aristotele e dal suo commentatore, Averroe; la seconda, che cosi al buno sentito entrambi intorno al quesito proposto, e la terza contuta le opposizioni addotte dagli avversari. Questo tenore di dividere in tre parti l'argomento era però comune a tutti i tomisti e scotisti. Ciò riguarda la materia dei suoi argomenti. Circa la sua opinione, a quale cioé, dei filosofi più si accostava, è da dire in genere, che egli sebbene averroista, era piu veramente un albertista. Tomista non mai periettanente. Il suo storzo è di mostrare che l'opinione di Averroe poco differisce da quella di Al-berto. Lo dice finanche nella sua sesta questione contro l'unità dell'intelletto. Sebbene in quest'ultima sia stato costretto ad essere tonista, per avvalorare la sua ritratta-zione.  Il Vernia insegnava propriamente li tisica nell'Università di Padova ('), e non poteva sottrarsi all'esameseguace, di S. Tommaso, o di Alberto ('). Tale questione era, se l'oggetto della filosofia naturale era l'ens mobile, come disse S. Tommaso, ovvero il corpres mobile, come opinó Alberto. Osserva che Egidio Romano combatté l'o-pinione di S. Tommaso, perché la scienza naturale non è subalterna della metafisica; poiché tre sono gli abiti speculativi, il metafisico, il matematico, ed il naturale. E se la mobilità è un' accidentalità, questa non deriva punto dall' essere, in quanto questo è obbietto della metafisica.  La scienza naturale non é parte della metafisica, ma que-sta e quelle sono diverse parti della filosofia. Di S. Tom-maso la la più buona opinione, dicendolo il migliore espo-sitore tra i latini; ma pure non solo in questa, ma in altre questioni gli é spesso contrario. Lo Scoto volevi invece clie l'oggetto dalla fisica fosse la sostanza naturale, che é soggetto del moto e di altre aflezioni. Ma se per naturale s' intende il sensibile, soggiunge il Vernia, esso  è il soggetto che é principio di moto e di quiete.  Sostiene perció che il corpo mobile sia il soggetto della fisica (°). Otto sono le condizioni requisite per un subbietto di una scienza: che sia reale, uno almeno per unitá analogica, universale, adeguato, primo noto in quanto alla sua ragion formale, che abbia parti, che abbia affe-zioni, che abbia principii. Ora l'errore di Antonio Andrea è di aver posto l'essere come comune a Dio ed alla crea-tura. Queste otto condizioni si trovano nel corpo mobile,l'ammettere il noto come soggetto di scienza, risponde che quell'accidente solo non entra nella scienza, il quale non ha causa.  Due difficoltá considerevoli s'incontravano in tale de-finizione della fisica. Se il corjo mobile é il subbietto della fisica, gli angeli sono mobili, ma non sono corpi: inoltre, il cielo non é composto di materia e forma, e quindi cone può essere l'obbietto della fisica? La questione dell'an-  gelo intorbidava la liberta di filosofare nella scienza na-turale. Intorno alle specie ci era quella della plurabilita,  o moltiplicabilità dell'angelo, che non era ammessa da S.  Tommaso, perché ogni angelo rappresentava la specie tutta. Per l'anima umana invece si doveva sostenere la plu-  rabilita, altrimenti si cadeva nell'averroismo, e si ri-conosceva l'unita dell'intelletto umano. Il Vernia confessa che egli intende di parlare secondo la ragion na-turale in tale questione: e dice che gli angeli non si possono muovere con una velocita infinita, perché la ve-locita dura un certo tempo: il loro moto locale, se fosse veloce infinitamente, dovrebbe avere uno spazio infinito ; locché non conviene all'angelo. Esso é dunque una so-stanza semplice ricettiva di luogo, e quindi di moto. Era giá il primo indizio, con cui egli si dipartiva dalle veritá di fede e della teologia ('). I teologi invero volevano con-cedere all'angelo il moto infinitamente veloce, ovrero  l'ubiquità, negandogli il luogo. Locché e contraddittorrio per il Vernia (3). E se con S. Tommaso ammetteva che l'angelo rappresentando tutta la specie, era impluri-ficabile, lo stesso sosteneva rispetto all'intelletto umano (').  Ma si riserva di trattare tale questione in quella dell'in-telletto.  Se questo scritto sia stato pubblicato, non si sa: forse dovette sparire dietro la persecuzione del Barozzi; non credo però che gli fu impedito di pubblicarlo. Il Nifo pare che lo accenni. Imperocché e chiaro che la citazione sui concorda perfettamente colla dottrina che espone e che pol Il Nito combatte. Cioé, che per sostenere l' unità dell'in-telletto, disse un nuoro espositore, che una stessa forma spirituale informa subbiettivamente la fantasia e l'intel-letto. Imperocché la forma spirituale può essere una di numero in diversi soggetti, come il colore nell'acqua e nell'aria. L'intelletto in se come uno in atto informa il nostro intelletto, ed é la specie intelligibile; informa an-clie la fantasia, ed è il fantasma (*).  La seconda difficolta era: se  Averroe aveva ammes-  so che il cielo non è coinposto di materia e foria, perché é ingenerabile e pur tuttavolta è mobile, come poteva abbracciare l'idea del corpo mobile il cielo e le cose terre-stri? Il Vernia risponde che la sostanza mobile è cio che è soggetto alla triplice dimensione. Pare accostarsi per ciò all'opinione di Egidio romano che poneva identici natura nel cielo e nella terra. Ma pure non é veramente cosi; perché confessa altrove che il cielo è atto, e non si da in esso passaggio dall' essere al non essere.  Il punto di vista interessante per caratterizzare fin da ora il chietino filosofo è questo nel primo suo lavoro, di-chiarare, cioè, la fisica indipendente della metafisica: sottrarre la natura, per quanto poteva, dall'influenza della teologia. Fin di ora i fisici non stunno in accordo coi metafisici. E una linea di condotta che è troppo costante  nel Vernia.  La seconda dissertazione intorno alla partizione delli filosofia è una prolusione che fece in un anno del suo insegnamento; nel quale dovendo esporre la filosofia na-turale, esamina quali sieno le relazioni delle varie parti del sapere al tutto.  La filosofia, dice il Vernia, è la perfezione del sapere; essa è prattica, speculativa e razionale; e riducendo, è reale e razionale. Questa ultima è la logca; dando a questa il solo valore razionale e non reale, il Vernia si dichiara vero occamista: non tomista, né scotista. In tal guisa seguiva la tradizione patavina cirça la logi-ca, la quale, non solo di Nicoletto Veneto e da Nicola della Pergola era stata ritenuta come speculativa secondo Alberto, il differenza di alcuni tomisti che la dissero pratica, ma anche di valore nominale; e cio era la massima distinzione degli occanisti moderni dai logici antichi che erano o tomisti, o scotisti ('). Siccome tre sono gli atti di ragione in eni jo siano errare, tre sono le parti della logica che servono a dirigerci alla verita.  Le Categorie che Aristotele e Platone ricevettero da Archita Tarentino, servono a non attribuire id una cosa uni qualitá che conviene ad un'altra. Il libro de interpretalione tratta delle enunciazioni singole, in cui vi è la composizione, o la divisione dell'intelletto. Il terzo atto é il sillogino pertetto: ed è questa l'arte nuova che fu da Aristotele ritrovata. Questa parte é divisa nell'inventiva e nella giudicativa: quindi la topica e la sofistica. Lia giudicativa è l'analitica, di cui la prima tratta del sillogismo comune in cui si risolve la conclusione nella preinessa;la seconda é quella che riduce gli elletti alle loro cause.  La risolucione prima é relativa alla seconda ; perché quella é comune ad ogni sillogismo, questa é speciale al sillogismo che versa intorno alle cose necessarie.  Al libro dei primi analitici viene quello dei topici; e poi quello dei secondi analitici, e finalmente quello degli elen-chi. Doyo, la rettorica e la pratica.  La scienza reale poi é divisa in prattica e speculativa.  Quella in fattiva come la medicina, ed in attiva clie com-prende l'etica, l'economica e la politica. Questa com-pren Je la naturale, la matematica e la divina. La consi-derazione intorno al mobile in se è della fisica, che è pri-una tra le parti della filosofia naturale: se si considera il solo moto locale, ecco la trattzione del cielo; se verso la forina, ecco il libro della generazione; se verso il mi-sto, si la il libro dei meteorologici, e quello dei minerali : se é animato, questo o è in genere ed ecco il libro de  parcis naturalibus, o é specitico, ed e il de planlis et de animalibus.  La scienza dell' anima contiene tre parti : la prima il trattato deila vita e della morte, poi quello de respirationo e il de jucentute et seneclule, de causis  lougitulinis et bieritatzs citae, de sunate et acgrie-dine el de nutrimento, i quali due ultimi libri non ci pervennero. La seconda ciò che riguarda il motivo, de cresis motes animalium et de pingresse animalium.  La terra cio che è propriamente del sensitivo, quindi de sense et sensat), de memoria et reminiscentia, de sonno et vigiliu. Ma perché dai sinili si procede al dissimile, per-ció dopo il libro dell'anima in genere, vien quello del senso, del sonno e della veglia. L'intelletto non a. endo concretez/a nel corjo, é delle sostance separate che ap-partengono alla metatisica. Sbagliano perciò coloro che dicono soggetto del libro dell'anima il corpo animato e che l'anima sia sostanca del corpo. Perché il corpo ani-mato secondo le operazioni comuni a tutti i corpi animati,è soggetto del libro perenni animalinm: considerato poi secondo le operazioni specifiche è il soggetto dei libri de animalibus et plantis.  Il Vernia è nella dottrina dell'anima in armonia colla dottrina del cielo. L'anima è propriamente l'intelligenza, così nel cielo, come nell'uomo L'intelligenza è sostanza separata; eppero non appartiene veramente alle cose né celesti, né umane. L'anima come senso, come fantasia, appartiene alla natura, siccome la forma e la materia del cielo danno il cielo nella sua pienezza. Questa dottrina del 1482 è in pieno accordo colla dissertazione inedita del 1491, se il cielo é animato.  Di qui è chiaro l'ordine delle arti liberali: cioé, prima apprendiamo la grammatica, indi la logica e la parola, poi la filosofia naturale e la matenatica: da ultimo la divina sapienza.  Da questa seconda dissertazione non comparisce per noi nulla di notevole, salvo una mente abbastanza ordinata in mezzo a tutto il ginepraio dei trattati aristotelici. Si può ritenere che il Vernia gia si era dichiarato per l'unità dell'intelletto fin dal 1482, perché dichiara l'intelletto non avere concreteria nel corpo, essendo una potenza separata. Una dottrina che aveva per conseguenza la mortalitá dell'anima. Imperocché egli confessa che non solo la sensazione, ma anche la memoria appartengono alla vita sensitiva. Il senso non è che una specie dell'anima.  L'intelletto come unico appartiene alla metafisica. Non sappiamo se a quest'ora avesse gia pubblicato il suo traltato de unitute intellectus. Forse no: ma questa dichiarazione è già abbastanza, oltre quella che si trova nella prima dis-sertazione, per dichiararlo rigido averroista.  La terza dissertazione, se sia jiù nobile la professione della medicina o quella del dritto civile ('), ha qualcheche di spiritoso. Nissuno si deve meravigliare che il Ver-nia abbia preso a trattare quest'argomento; poichè era egli un medico e filosofo. Difatti, distingue in questo lavoro la medicina come scienza di cui parla, dalla medicina come arte, la quale dipende da quella. I medici artisti sono quelli che discreditano la nostra medicina, dice lui:  e dovrebbero essere espulsi dalle città (').  Dopo avere esposto alcuni argomenti in contrario, tra cui, che il fine del dritto è fare l'uomo virtuoso, quello della medicina conservarlo nel suo essere solamente, che con questa si sana il corpo, con quello si sana l'anima, ragiona cosi per la parte vera. La medicina riguarda la conservazione dell'individuo, che è come la sostanza migliore di ogni accidente. Il dritto si appoggia sull'autorità dei dottori, la medicina dá una certezza dimostrativa.  Essa veramente dipende immediatamente dalla filosofia na-turale. Senza di quella nulla si conoscerebbe: ed in essa consiste la felicità, anzi che nella convivenza, che è una certa felicita. Dimostra a lungo la felicità consistere nella speculazione; e gli pare clie il giurista sia più lontano dall'ultimo fine che attinge il naturalista. La medicina fu sempre avuta più in onore, epperò fu bene ricompensata.  Qui non gli mancano vari esempi dalla storia. Una scienza indeterminata e variabile non può mai essere davvero scientifica. Tale è la legge degli atti umani, in cui è impossibile dire universalmente un vero: anzi è utile in certi casi particolari osservare l'opposto di una legge (°).  I forestieri che entrano nella cittá, sono puniti: ma se questa è assediata, ed entrano per liberarla, sono degnidi premio. Cne leges cariantui secundum locorum commoditutes et ad libitum hominum. Leges enim Ju-stiniani in Gallia nihil culent. Aristotele nel V dell'etica le rassomiglia alle misure del vino e del frumento. Simi-liter non naturalia et lumana justa non eadem ubi-que. Dopo aver distinto la inedicina come scienza da quella come arte, osserva che gli scicnziati medici non solo fanno gli esperimenti, ma ricercano le cause di essi dalle cose naturali. E se ad Esculapio gli Ateniesi, ad Antonio  Musso i Romani per avere sanato Ottavio Augusto ere:-sero una statua di bronzo, che cosa dovremmo fare noi a Gerardo Bolderio di Verona, principe tra i moderni  medici? (').  Osserva clie i legislatori dei suoi tempi sono privi di cultura e li disprezza, perclé non conoscono le scienze morali, nè quelle dell'anima. Tali non furono gli antichi legislatori, come Solone ed Aristotele, che erano periti nella scienza naturale. Dopo aver riferita l'autorità di (icerone nella pro Murena, in cui dice che se Servio Sulpicio aprese dritto civile, non perciò trova aperta la via al consolato, mette in ridicolo alcune glosse che si trovano nel codice giustinianeo (*).  Fra le risoluzioni delle difficoltà poste nella prima parte della discussione, noto questa. Sebbene la virtú siapreferibile alla vita nel genere dei costumi, perchè la morte è preferibile alla vita turpe, perché è più lodevole chi muore per virti di chi vive ozioso; pure nel genere della natura non è cosi, anzi è l'opposto, essendo preferibile l'essere alla virtú. E siccome, più essenziale è il genere di natura di quello del costume, è meglio vivere cle è il fine della medicina, che essere virtuoso che è il fine della legge. Acuta riflessione! Questa dissertazione mi è apparsa la più originale tra tutte, perché, oltre che è lasciata interamente la forma scolastica, essendo scritta in maniera molto spigliata e libera, è piena di osservazioni punto, sprezzabili ('). Né si dica che era usuale a quei tempi l'invettiva dei professori di vari studi contro i legisti, i quali erano decaduti nella stima jer l'aridità delle loro dottrine (*). Imperocchè il Vernia si mostra jiuttosto inspirato ad un altissimo concetto che è vero : cioè, che la scienza della natura è la sola che ci procaccia una felicita per le verità conosciute, le quali non sono variabili come le leggi umane. Comprendo che da essa risulta pure evidente lo stato di decadimento della giuri-sprudenza a quei tempi. Ma il Vernia indica pure il modo come rinsanguare quegli studi coll' estendere la coltura a quelle sorgenti, da cui puó fluire la vita del pensiero che era rimasta assiderata nella forma e nella parola.  La questione de paritus et lecilus è di poca impor-tanza: tratta se i gravi e leggieri inanimati, rimosso l'impedimento, si muovono localmente da se, o da altro.  Espone secondo il solito, le opinioni devianti da Aristotele e le confuta, quella di Averroe che é la stessa di Ari-stotele, e finalmente risponde alle obbiezioni. Platone che pose l'anima e le cose inanimate muoversi da se, è in opposizione ad Aristotele, che volle nissuna cosa poter muovere se stessa. Alberto disse muoversi per accidente; e che non ci è bisogno del movente nel moto naturale, ma solo nel violento: e questo è l'aria. Ma osserva che ogni moto ricerca per se il movente, e tali sono i gravi. Contro S. Tommaso che disse i gravi fin-maliter si muovono da se, ed effectire dal movente, dice che per il moto in atto ci è bisogno del movente in atto.  Neppure l'opinione di Gianduno che disse il movente essere la forma, e la materia la cosa mossa, sta benc, perché allora la forma sarebbe movente e mossi, perché il moto in atto è distinto dal motore. Alcuni teologi separarono la gravità dalla sostanza; e dissero clie l'ostia consacrata cade in giù come gravità, non come sostanza.  Ma questa opinione non è naturale: e non ne parla perciò ('). Egli dice che i gravi e leggieri, dopo che sono ge-nerati, si muovono da se, rimosso l'ostacolo, ai loghi naturali propri, e fuori di essi sono mossi dall'aria per l'impeto dato dal morente violento. I proiettili sono mossi dall'aria secondo Averroe, la quale è causa della velocita.  Imperocché il mobile in fine è più veloce, perché maggiore quantità d'aria lo segue nel fine, che nel principio.Lo stesso succede per l'acqua, perché aria ed acqua sono corpi interminati, indifferenti a qualunque figura, come non é dei solidi. Cosi si spiega, perché la balista percuote più a certa distanza che vicino, perché i raggi si uniscono nello specchio a certa distanza. E curioso che si mantiene più fedele ad Averroe che ad Alberto, il quale secondo lui non ha detto bene che i gravi sono mossi dal-l'impeto ad essi dato e non dall'aria e dall'acqua, perché i gravi misti terminati non sono nati a ricevere tali vio-lenze. Altrimenti un uomo getterebbe a maggiore distanza una piuma che un pezzo di ferro; locché è contro l'e-sperienza. E se il maestro Gaetano risponde, che avendo il ferro più materia, riceve più impeto e va quindi a may-giore distanza, gli osserva il Vernia che, data una pietra ed un pezzo di ferro della stessa quantita, il ferro dovrebbe andare a maggiore distanza. Cio proviene perché la mano si applica meglio alla pietra, che alla piuma (').  Questa dissertazione fa troppo desiderare la venuta di Galileo per isciogliere questo quesito della fisica che arri-luppo nel buio le povere menti aristoteliche (*).  Nella quinta dissertazione, un dentur unirersalia vea-lia, il Vernia è ancora pretto averroista, cioè sino algiugno del 1492. Espone secondo il solito le opinioni devianti da Aristotele e dal commentatore, poi quella di questi due, e finalmente risolve un numero immenso di obbiezioni. Dice che gli universali o sono concetti puri secondo Occam, ovvero sono reali secondo Burleo nel prologo della fisica; oppure ci è la via media in quanto sono reali nella cosa singolare e formali nell'intenzione.  Il Vernia prende lo stato della questione non dai primordi della discussione, ma dalle ultine forme che aveva assunte nella scienza ('). Perché il Burleo discepolo di Occam stando alla pura questione filosofica, aseva guardato più alla parte fisica dei generi e delle specie, ed Occam aveva ridotto la soluzione al puro nominalismo. Non crede dover fare lunga discussione sugli universali ante rem, parendogli fuori proposito pei tempi della scienza. Noi che camminiamo nella via media, dice lui, affermiamo che l'essenza di ogni cosa si può considerare doppiamente, cioè in se, e nella materia, in quanto è quell'aptitudo realis che nou è particolare, perche è una essenza non di unitá di numero, ma l'unità secondo l'aptiludinem communicabilitatis. È una comunità non di materia, ma di forma. Ed é appunto questa inchoulio formae che é reale. Cosi nello sperma non cessa mai la forma umana, fin tanto chie l'nomo si perfeziona. Altrimenti la forma sarebbe creata dal niente di se. Il Vernia è un fisico, e non può trattare la questione degli universali, se non dal lato della sua scienza. Essa si può dire che si identiticacon quella dei germi della vita, sino ad un certo punto.  Occam aveva sciolto la questione degli universali negando ogni esistenza astratta e tutto riducendo il loro valore al puro termine. Ma la specie non ha valore in se? Ecco il Burleo che ammette quest' universale nella specie : il Vernia lo chiama unita di forma che é increata, eterna, appunto per negare la creazione temporanea della specie.  La difficoltà era per l'anima intellettiva, ritenendosi che essa è creata prima e poi infusa nel corpo. Sebbene ciò, dice il Vernia, é secondo la mente dei sacri teologi, non è però secondo la mente di Aristotele ('). Poichè secondo Averroe nel settimo della metafisica non può uno stesso effelto essere prodotto da due agenti che non sono subordinati nell'operare, e che non concorrono aggiustata-mente allo stesso effetto. Cosi sarebbe di Dio e di un particolare agente nella generazione di Socrate. Epperó egli é di opinione clie la dottrina di Alberto a questo punto poco differisca da quella di Averroe. Il quale volle tutte le forme prodotte ed emanate dalla potenza della materia e non per creazione, la quale credette essere impossibile (°). Quindi l'anima intellettiva non è creata, maché la volle creata. Ma cio che ha esistenza preesistente, è al aeterno.  Il Vernia nella questione dell'anima vede la cosa secondo il fatto. L'uomo genera l'uomo per l'apretito naturale clie non può essere indarno. L'agente fa la  mil-  tazione, trasmutando la materia dalla potenza all'atto, non congregando due cose jer fare l'unità di un effetto: cosi si approssima alla creazione. La forma non si crei, ma si produce per generazione. La creazione de noco non gli va. La generazione non é per trasferimento secondo Anassagora, nè per le idee secondo Platone. Per Averroe quando succede la generazione, vi è qualche cosa che si completa: la forma è il termine di essa. La forma particolare è distinta dalla essenza che la include; jercio essa non si crea, ma si genera. Se Alberto dice che è creata dal niente di se stessa, rispondo che è jer accidente ge-nerata. E se soggiunge che incomincia ad essere de noco, rispondo anche dicendo non dal niente di se stessa, ma da qualche clie di se, cioè dalla essenza che è l'incoazio-ne ed il seme nella stessa specie. E coloro che non intendono queste cose, non hanno il cervello abilitato al bene, e non sono atti a filosofare secondo i principi di Aristotele ('), il cui assioma è dal niente niente farsi. La quale dottrina fu accolta da tutti quelli che parlano na-turalmente. Ottima confessione !  Ma osserva ancora che la forma della specie non è distinta da quella dell'individuo; perché nell'uomo vi è una forma particolare che si dice l'anima cogitativa. Nello sperma da cui si ha l'uomo, non si distruggono le parti di esso, ma si generano successivamente le forme dell'uono, finchè si perfeziona la forma umana. L'incoa-tivo sene non è una potenza subbiettiva, ma potenza formale, distinta dalla materia ('). Da ciò segue darsi gli universali reali. Anzi arriva a dire che tutte le specie rimangono in ogni ora, altrimenti tutto sarebbe corrutti-bile, locché appartiene al solo singolare. Perfino il concetto di finalità nella natura non lo ammette; poiché il fine è ens rationis, il quale è ben diverso dal processo naturale, che non dipende dall'anima nostra. L'incoazio-  ne è reale, dice più prima, é nella materia, non è nell'intuizione delle cause agenti (*). Segue una immensità di obbiezioni che tralascio per brevità: qualcuna solo voglio menzionare. Con questa teoria in ogni uomo vi sarebbe qualche che dell' asino; risponde : in potenza vi é questa indifferenza della specie, in atto no. (3) Essendo questi universali separati dall'individuo, non vi sarebbe la necessita dell'intelletto agente. Risponde: questo essere necessario a produrre nell'intelletto jossibile mediante i fantasmi le intenzioni dell'intelletto in atto. Nota poi con Alberto che questi universali incorporei sono sempliciquiddità ulique eristentes, come la quantità indetermi-nata. Infine a Burleo che nega gli universali nella mente, altrimenti si andrebbe all'infinito nei concetti comuni, e cosi non vi sarebbero principi primi della scienza, rispon-de, che il concetto dell' essenza in ratione entis è singo-lare, in ratione signi è comunissimo. Un uomo e un uomo sono lo stesso rutione signi, ma differiscono mate-rialiter. Per questa dottrina egli si avvicina di molto ad Occam che è un puro terminista; ritiene con lui gli universali nella mente rutione signi, e combatte Burleo clie li negó nella mente: ma ritiene con costui la realtà degli universali come enti obbiettivi, che nego l'Occan.  In questa dissertazione vi è del buono, vi è del fal-so. Ad ogni modo è la ultima manifestazione del suo averroismo. Il Vernia nega la creazione perché riconosce in natura la sola generazione: ed arriva sino a toccare la questione nebulosa della generazione spontanea colla dottrina della indifferenza dei generi. Non fa eccezione per l'uomo e neinmeno per l'anima cogitativa, dicendola una specie non diversa dall'individuo, un' accidentalità della natura, per cui non ci è bisogno della creazione de noco. Nega l'infondersi dell'anima nel corpo umano secondo S. Tommaso, reputando sufficiente la generazione per l'appetito naturale inerente all'uomo. Questo è il lato più vero dell'arerroismo professato dal Vernia. E se ritiene gli universali separati dai singolari in quanto sono in se, non è meraviglia che sia costretto ad ammettere anche l'intelletto agente che completa nell'uomo la cognizione. Il Vernia mi pare proprio sospeso tra il cielo e la terra, tra la scolastica antica a cui non può dare un totale addio, e la nuova dottrina della realtá della natura di cui ne ha qualche presagio. E certo peró, che se altro scritto mancasse a conoscere qualche valore negli studi naturali, questa quinta dissertazione è la più valida prova del suo talento negli studi filosofici. Con questa dissertazione quinta preceduta dall'altra, se il cielo èanimato, inedita, il Vernia chiude il suo averroismo il più deciso. E si noti che è una dissertazione pubblicata dopo il 1479 in cui fu minacciato della scomunica; cioé nel giugno del 1402 ovvero tre mesi prima della sua ritrattazione, due mesi prima del trattato de intellecte del Nifo, che ne era il preludio.  Nel 26 ¡gosto (') e nel 18 settembre (°) dello stesso anno, 1492, arviene, che discepolo e maestro, cioe il Nifo prima e poi il Vernia scrivono due trattatelli contro l'unità dell'intelletto di Averroe.  Il trattato de intellectu del Nifo è molto più lungo: maci sostara e quine di io iu pablicato nel 1503, cosi quello del Vernia vidde la luce nel 1499. Il Naude ha detto che il de intellecte di Nifo fu prima di quello de unitrle del Vernia (3). É vero, perché nella dedica del libro a Sebastiano Baduario, patrizio Veneto, dice che gli avevabe procurato di stamparla, se non ci fossero stati gli invidiosi che lo accusavano di eresia. Da ció si è argomentato che nel 1491 il Nifo aveva giá fatto il trattato; e che avendo diteso il Vernia, si attirò sopra di lui accuse di eresia; epperò fu costretto a pubblicarlo nell'anno dopo, avendolo prima del tutto emendato (').  E questo ha potuto essere sino al Giugno del 1492, quando il Vernia era ancora averroista. Ma mutatosi d'opinione il maestro, si muto anche lo scolaro (%). Ki-mane la difficoltà rispetto al Vernia, che è maggiore di quella del Nifo, come dopo più di due mesi soltanto cambio opinione, cive da averroista addivenne antiaveroista col trattato de unitute intellectus contro Averroe. Di cosi subitanea mutazione la causa dovette essere la scomunica del Barozzi fattasi sentire un po' più efficacemente.  Che il Nifo ricerette dal Vernia l'indirizzo fondamentale dalla sua ritrattazione, risulta non solo dall'andamento del libro de intellecte nel tutto insieme, ma anche da un'al-tra circostanza che c' induce a credere cosi. Il Nifo confessa nella dedica del commento de anima (') al Giulio cardinale dei Medici, che tutte le cose raccolte sul de anima da lui fin da quasi fanciullo gli furono rubate e stampate a sua insaputa e col suo nome, acciocché la cosa fosse più verosimile (). Si capisce che queste cose raccolte furono sotto scuola del Vernia. E se il de intellectu a confessione del Nifo si intende per il commento de anima, e deve succedere a questo, ed è giudicato il primo parto suo giovanile, è ragionevole supporre che l'un e l'altro libro sieno stati inspirati dal suo maestro nei punti principali della ritrat-tazione.  Percorriamo ora brevemente la sesta dissertazione, per vederne il contenuto. Dice che Anassagora, Esiodo, Senofane, Melisso e Parmenide convengono nel porre che sia lo stesso Dio e l'anima intellettiva: unico Dio, unico intelletto. Di qui nacque l'errore di Averroe e di altri peripatetici che dicono uno essere l'intelletto in tutti.  Democrito e Leucippo non facendo differenza tra senso ed intelletto, ammisero l'anima fatta di atomi. Empedocle volle l'anima composta degli stessi principii delle cose, perché conosce queste cose. Costoro dunque ammettono l'anima generabile. Riferisce l'opinione di Pitagora che pose l'anima immortale per la metempsicosi, e di Platone che disse l'anima da Dio creata, infusa nei corpi. Ma Ori-gene secondo S. Tommaso volle l'anima creata de noronon eterna, rinchiusa nel corpo pel peccato originale.  Avicenna che ammise l'immortalità, disse le specie non causate dai fantasmi per l'agente intelletto, ma clie questi dispongano l'anima a ricevere le specie. Dopo ciò, magna discordia inter peripateticos, perché in Aristotele non si trova sciolta né la prima ne la seconda questione, cioe an anima intellection sit forina substantiulis humani corporis, utrunce sit in eo felicitabilis.  Alessandro ammise l'anima intellettiva essere eterna, e pose l'intelletto agente e possibile come eterni. Averroe non avendo conosciuto il horo dell'anima di Aristotele, disse l'intelletto possibile corruttibile, ed intese per intelletto possibile l'anima cogitativa. Ma se è immortale l'agente, tale è anche il possibile. La sua attitudine a tutto ricevere è in consonanza colla libertà. Qui ci è una esposizione delle ragioni per cui Averroe ammise l'unita dell'intelletto; perché è impossibile l'infinita moltitudine d'intelletti, perché non non vi è moltitudine nella stessa specie se non per la materia, perché è impossibile la creazione. E subito dopo una imprecazione ad Arerroe.  Conchiude coi peripatetici più famosi che tra Platone ed Aristotele non ci è discordia, se non nelle parole, e che l' anima sia sostanziale dans esse forinaliter corpori hurano, moltiplicata in singulis hominibus, ab acteï-no creata a deo et corporibus infusa. E ciò secundum sacrosanctam Rom. Ecclesiam et veritatem. Ma ci è qualche cosa di più: sostiene che queste cose non solo bisogna credere ex fide, sei philosoplice, non dicendo nulla di contrario ai principii di Aristotele. Arriva ad ascrivere ad Aristotele anche la creazione: locché é la cosa più strana per il Vernia, che a questo profosito si era cosi decisanente espresso cessario cambiarne altre con quella connesse. Ritiene perciò che all'anima non conviene mutazione per l'acquisto della scienza. Per l'unione ai fantasmi è l'universale co-  nosciuto. Ma il singolare non può essere conosciuto prima dall'intelletto, ma solo dal senso in cui vi è mutazione.  Nega quindi al Gianduno che l'intelletto per conoscere l'universale abbia prima bisogno della conoscenza del par-ticolare; altrimenti vi sarebbe mutazione nella scienza, e quindi alterazione nell'intelletto. Cosi spiega che l'inten-dere è per reminiscenza. Similmente circa la indivisibilità dell'anima, il cui opposto ammise Averroe, Osserva che se l'anima non fosse tale, l'uomo non sarebbe lo stesso da mane a sera. Un altro inciampo era, come l'anima intellettiva dá l'essere al corpo umano. Crede una stoltezza l'affermare col Gianduno che non può avvenire se non jer miracolo, che una forma inestesa dia l'estensione.  Qui intanto anche lui si rifugia alla fede, ut fideles po-nunt. Finalmente ne dimostra la immortalità: ciò che é indebilitabile per la esistenza dell'oggetto, è immortale.  L'intelletto è tale: è eterno, come gli universali, non è organico, jerché la sua operazione non è corporea. Un argomento spesso riprodotto dal Pomponazzi, è questo : non si va da un estremo all'altro senza un mezzo. Tri la forma astratta e la nateriale ci è la media che dá l'essere alla materiale: e jer questo conviene colla be-stia, ed è incorrutibile come la celeste natura. In mezzo a tante difficoltà che tratta, egli è però convinto che lasoluzione si trova nella fede: e e Platone si accostò alla verità, non la vidde completamente. Sei soluin ficiles inspirationis lemine fidei illuminati ceritatem attingere complete, et soli complete salisfuciunt omnies poesi-  tis in his difficultatibies.  Da questa dissertazione si vede che il Vernia mostra di aver perduto ogni vigoria speculativa, ed ogni connes sione stretta di pensare. Ed essa si può piuttosto accettare come una confessione di fede, anzi che come una vera tesi scientifica. Il rifugio nella scienza era S. Tommaso, od un Platonismo cristiano. Tale era l'intonazione che aveva dato il Bessarione venendo in Italia: e questa si seguito piuttosto a Firenze, che a Padova. E nissnn dubbio che questo indirizzo lo segue il Vernia. E credo che gli faceva coin-modo per levarsi dagli impicci che gli dava il Baroz-zi, e perché desiderava il canonicato di Aquileia, al quale avrebbe trovato ajerta la via con tale pubblica con-tessione. Ma, siccome è troppo difficile abbandonare quelle idee che sono state il nutrimento di un giovane intelletto; cosi anche qui si vede in mezzo alle imprecazioni ad Averroe ed alle eccessive dottrine di fede, una tendenza a mitigare l'averroismo, cioè a con-temperarlo colle dottrine della chiesa. Ed il Barorzi gli dice nella lettera di risposta che lui la fatto bene di fare questo opuscolo, sia che senta cosi, sia che no, perché la sua autorità è grandissima. E lo paragona a S. Paolo con-  vertito; ma pure il sospetto sulla sua fede non cessó to-talmente. Epperò egli replica la sua confessione dopo pochi mesi dalla pubblicazione del suo opuscolo nel suo testamento.  Il Nifo nella età giovane imito in tutto il suo mae.tro nella tarda etá colla sua barcollante fede nell' arerroi-smo. Cosa che il Pomponazzi gli osservò bene nel de-fensorium. Che autorità ha quest'uomo (ei dice) che mentre ora segue l'unita dell'intelletto che noi diciano essere di Averroe, prima l'ha condannata! Allude appunto al trat-se il sistema secondo il Bessarione, di non avere nissun criterio proprio. E nella prefazione al de Anima egli professa col Bessarione (') che né Platone ne Aristotele arrivarono perfettamente alla fede ortodossa; ma in loro si osserva una parvenza della nostra religione, che poi il creatore per mezzo della dottrina del suo figlio rivelò più manife-stamente. Le sentenze perció di Platone e di Aristotele si debbono accomodare a quella di Cristo. Tale fu il Ver-nia nell'eta decrepita, e tale il Nifo nella gioventi.  Il sistema era molto commodo non solo a non avere disturbi quali ebbe il Vernia, ma anche ad aprirsi una via sicura agli onori che la chiesa impartiva. Era il tempo della simonia allora: una fede anche larvata ci voleva semj re, come scala alle lucrose onorificenze.  Noi non ci meraviglieremo delia confessione del Ver-nia, o meglio della sua ritrattazione, perclé ancle il povero Pomponari fu obbligato a confessare che gli argomenti del Padre Crisostomo, dell'ordine dei predicatori, contro il suo trattato de immortalitale erano fuori ogni dubbio. E si obbliga che il suo libro non puù esser venduto senza quella aggiunzione! Solo ci possiamo meravigliare del suo discejolo che seppe imitare a proprio vantaggio ció che fu un tratto di deboleza senile del suo maestro, senza aver mai dato in tutte le sue 44 opere un lampo di ingegno un po' libero e meno servile alla chiesa.Nicoletto Vernia. Vernia. Keywords: i parepatetici, i parepatetici padovani – i parepatetici di padova, il lizio, unita, Aquino, method in philosophical psychology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vernia: viva Aristotele!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vernia.

Grice e Vero: la ragione conversazionale a Roma – il fratello d’Antonino -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.  Like Antonino, he is adopted by Antonino Pio. They share many tutors, including Erode Attico, Frontone, Apollonio, and Sesto. They both succeed the throne when their adoptive father dies. When he dies, his brother deifies him for the Roman people.   Quando Marco Aurelio , gia’ Cesare di Antonino Pio , divenne Augusto alla morte del padre adottivo , si verifico’ un fatto straordinario : l’ Impero Romano ebbe per la prima volta nella sua storia due Imperatori legittimi ; ma come si giunse a questa anomala circostanza ?  L' Imperatore Adriano aveva stabilito che alla sua morte l’ Impero passasse all’ adottato Cesare , Lucio Ceionio Commodo , meglio conosciuto come Lucio Elio Vero , non tutti i consiglieri di Adriano approvarono questa scelta , ma cosi’ fu ; Lucio Elio dopo una breve permanenza lungo la frontiera del Danubio , tipiche di questo periodo sono le monete emesse con al rovescio Pannonia , tornò a Roma per pronunciarvi il primo giorno del 138 , un discorso innanzi al Senato riunito . La notte prima del discorso però si ammalò e morì di emorragia nel corso della giornata . Il 24 gennaio del 138 Adriano scelse allora come successore Aurelio Antonino , che assunse poi l’ appellativo di Pio , obbligandolo a sua volta di adottare il futuro Imperatore Marco Aurelio e Lucio Vero il figlio di Elio Cesare .  Marco Aurelio , nato come Marco Annio Catilio Severo , divenne Marco Annio Vero , che era il nome di suo padre , al momento del matrimonio con sua cugina Faustina , figlia di Antonino , assunse quindi il nome di Marco Aurelio Cesare , figlio dell' Augusto , durante l'impero di Antonino Pio .  Marco Aurelio Antonino fu dunque , su espressa indicazione di Adriano , adottato nel 138 dal futuro suocero e zio acquisito Antonino Pio che lo nominò erede all' Impero . Alla morte di Antonino Pio il Senato voleva confermare solo Marco ma si rifiutò di entrare in carica senza che Lucio ricevesse gli stessi onori , alla fine il Senato fu costretto ad accettare e insignì anche Lucio Vero del titolo di Augustus . Marco divenne nella titolatura ufficiale , Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto mentre Lucio divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio Vero Augusto . Per la prima volta Roma veniva governata da due imperatori contemporaneamente .  Marco conservò una preminenza , dovuta al fatto che era stato Cesare dell’ ultimo Imperatore Antonino Pio , fatto che Vero non contestò mai sebbene la sua elezione ad Augusto fosse stata voluta da Adriano per onorare la memoria di Lucio Elio adottandone il figlio e al tempo stesso lasciare l' Impero anche a  Marco Aurelio di cui aveva capito le grandi qualità . A dispetto della loro uguaglianza nominale , Marco ebbe maggior autorita' di Lucio Vero e fu Console una volta di più avendo condiviso la carica già con Antonino Pio ; fu anche il solo tra i due a divenire Pontifice Massimo . In pratica l' Imperatore più anziano , Marco Aurelio aveva circa 10 anni piu' di Lucio Vero , deteneva un comando superiore al fratello più giovane .  Marco Aurelio durante l’ Impero tenuto in fratellanza con Lucio Vero ebbe diversi figli da Faustina minore ma uno solo sopravvisse , il futuro Imperatore Commodo . Apparentemente sembra che i due Imperatori regnassero in armonia con l’ unica informazione certa che Marco Aurelio non approvasse lo stile di vita del fratello adottivo in quanto da lui ritenuta troppo libertina per un Imperatore , come dimostro’ Lucio nella campagna partica nella quale affido’ in loco gran parte della guerra ai suoi generali mentre lui si divertiva in Antiochia ; Lucio ebbe anche qualche remora nel seguire Marco nella campagna in Germania essendo da poco tornato dall’ Oriente .  A questo punto della storia sorge la domanda del titolo , la morte di Lucio Vero ad Altino vicino Venezia a causa di un colpo apoplettico , fu casualita’ naturale o dovuta ad altra causa ? La domanda nasce spontanea per due motivi principali , il primo , forse meno importante , si riferisce al fatto che Cassio Dione nel narrare dei fatti di questa epoca , tace completamente sulla morte di Lucio Vero e questo fatto e’ alquanto strano aver taciuto sulla morte di un Imperatore conoscendo la serieta’ , scrupolisita’ e precisione dello storico greco , una dimenticanza ? Forse , ma rimane comunque un fatto strano .  Secondo motivo , piu’ importante , e’ che Marco Aurelio aveva quasi 10 anni in piu’ di Lucio vero e sapendo sempre tramite Cassio Dione che Marco Aurelio era di costituzione fisica non perfetta anzi cagionevole , in teoria sarebbe forse morto con molta probabilita’ prima di Lucio Vero e a quell’ epoca avere 10 anni in piu’ rispetto ad altra persona era quasi una naturale condanna a morire prima . Cio’ avrebbe comportato il fatto che Lucio Vero sarebbe rimasto un giorno unico Imperatore legittimo in carica , alla barba di Commodo figlio di Marco , oppure se questi avesse rivendicato l’ Impero anche per se , si sarebbe verificato il rischio di una guerra civile , come in seguito avvenne tra Marco e Avidio Cassio . Insomma i motivi per eliminare Lucio Vero erano seri , a Marco non piaceva il suo stile di vita e si sentiva anche legato nelle scelte di politica imperiale , inoltre lo strano assoluto silenzio di Cassio Dione sulla morte di Lucio lascia quanto meno perplessi essendo stato questi un Imperatore .  Occorre anche aggiungere che Giulio Capitolino nel narrare la Vita di Marco Aurelio riporta un passo secondo cui Marco Aurelio , nonostante le sue grandi qualita’ morali da tutti riconosciutegli , “sapesse anche abilmente fingere o almeno di essere meno leale di quanto sembrava”  Al termine di questo discorso si puo’ affermare che non esiste nulla di concreto , si ipotizza soltanto , ma le basi per avere dei blandi sospetti esistono ; naturalmente se di omicidio si tratto’ , non e’ detto che sia avvenuto per volonta' di Marco Aurelio , contrasterebbe troppo con la sua natura umana , potrebbe essere stato deciso da altra persona della cerchia imperiale , i pettegolezzi circa la sua morte , inseriti nella Vita di Lucio Vero , in questo senso non mancano .  In foto un cammeo antico in sardonice con Marco e Lucio , due busti al Museo di Londra , una moneta celebrante la Concordia degli Augusti e una di Lucio Elio con la Pannonia .Lucio Vero. Vero. Keywords: il principe filosofo. Luigi Speranza, “Grice e Vero”. Vero.

Grice e Veronelli: la ragione conversazionale del sadismo italiano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano Essential Italian philosopher. Figura centrale nella valorizzazione e diffusione del patrimonio eno-gastronomico. Antesignano di espressioni e punti di vista che poi sono entrati nell'uso comune e protagonista di caparbie battaglie per la preservazione delle diversità nel campo della produzione agricola e alimentare, attraverso la creazione delle denominazioni comunali, le battaglie a fianco delle amministrazioni locali, l'appoggio ai produttori al dettaglio. V. assieme ad alcuni sommelier F.I.S.A.R. Originario del quartiere Isola di Milano, dopo il r. ginnasio Parini, compie studi di filosofia a Milano, diventando assistente di BARIE (vedi). Si professa per tutta la vita di fede anarchica, rifacendosi anche alle ultime lezioni tenute da CROCE a Milano. Inizia l'esperienza di editore, pubblicando tre riviste: “I problemi del socialismo,” “Il pensiero”, e “Il gastronomo.” Pubblica “La questione sociale di Proudhon” e “Historiettes, contes et fabliaux di De Sade”. Per quest'ultima viene condannato, insieme a MANFREDI (autore dei disegni, poi assolto), a tre mesi di reclusione per il reato di pornografia. L’opera di De Sade e poi messa al rogo nel cortile della procura di Varese. Subisce anche una condanna di VI mesi di detenzione per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta, con l'occupazione della stazione di Asti e dell'auto-strada, per protestare contro l'indifferenza della politica per i problemi dei contadini e dei piccoli produttori. Diventa collaboratore de Il Giorno.  L'attività giornalistica lo impegna, e i suoi articoli, di stile aulico e provocatorio, ricchi di neologismi e arcaismi, faranno scuola nel giornalismo eno-gastronomico e no. Tra le testate cui collabora vanno ricordate, oltre a Il Giorno: Corriere della Sera, Class, Il Sommelier, V. EV, Carta, Panorama, Epoca, Amica, Capital, Week End, L'Espresso, Sorrisi e Canzoni TV, A Rivista Anarchica, Travel e Wine Spectator, Decanter, Gran Riserva ed Enciclopedia del Vino, The European. L'apparizione televisiva ne aumenta notevolmente la fama, in particolare A tavola alle 7, in cui conduce il programma prima a fianco di Scala e di Orsini, poi di Ave Ninchi, e il Viaggio Sentimentale nell'Italia dei Vini, dove realizza l'aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viti-coltura italiana, con inchieste, interviste, proposte che hanno scosso quel mondo.  La sua attività di ricerca e di approfondimento nel campo eno-gastronomico lo porta alla pubblicazione di alcune opere fondamentali, anche di carattere divulgativo. Da segnalare: “I Vignaioli Storici”, “Cataloghi dei Vini d'Italia”, dei “Vini del Mondo”, “Degli Spumanti e degli Champagne, delle Acquaviti e degli Oli extra-vergine”, “Alla ricerca dei cibi perduti”, “Il vino giusto”, e la collana Guide V. all'Italia piacevole. Fondamentale anche la collaborazione con Carnacina, maître e gastronomo celeberrimo e Guazzoni maître e sommelier. Ne nascono, ad esempio, “La cucina italiana” e “Il Carnacina.”  Fonda la seconda V. Editore col puntuale obiettivo di approfondire la classificazione dell'immenso patrimonio gastronomico italiano e contribuire ad accrescere la conoscenza dell’attrattive turistiche del “paese più bello del mondo,” secondo Platone. La casa editrice cessa l'attività a fine. Collabora con Derive\Approdi scrivendo le prefazioni ad alcuni libri di carattere storico, politico e gastronomico. L'intenso rapporto epistolare sulle pagine di Carta con Echaurren costituisce un forte stimolo di riflessione sulle questioni legate alla terra e alla qualità della vita materiale per il movimento contro la globalizzazione. Isieme ad alcuni centri sociali, tra cui La Chimica di Verona e il Leoncavallo di Milano, al movimento Terra e libertà. Sempre di questi anni le battaglie per le denominazioni comunali, una salvaguardia dell'origine di un prodotto; per il prezzo-sorgente, cioè l'identificazione del prezzo di un prodotto alimentare all'origine, per rendere evidenti eccessivi ricarichi nei passaggi dal produttore al consumatore; per l'olio extra vergine d'oliva, contro le prepotenze e il monopolio delle multi-nazionali e le ingiustizie della legislazione per i piccoli olive-coltori. Di idee anarchiche, si è anche interessato di questioni filosofiche, pubblicando anche articoli su A/Rivista Anarchica e saggi. Le pubblicazioni hanno subito il segno dei suoi interessi libertari, libertini, eno-gastronomici: racconti, novelle e novelline di de Sade -- che gli procurerà una denuncia e la condanna al rogo dei libri, tra gli ultimi roghi di libri avvenuti in Italia --, le poesie di Pagliarani, la rivista Il gastronomo e quella di filosofia “Il pensiero”, poi interessante per qualche anno e l'editore della rivista Problemi del socialismo, diretta da BASSO. In seguito mise un po' in disparte le questioni filosofiche per concentrarsi su quelle più propriamente eno-gastronomiche e agricole. In A-Rivista Anarchica si definisce V. l'"anarchenologo" ritenendo che l'attività di V. vada inquadrata in un ambito libertario e contro l'attività delle multi-nazionali agricole.  Gli anarchici della Cellula V., con l'intento di mostrare l'aspetto più propriamente politico di V., hanno organizzato un incontro intitolato "V. politico", a cui hanno preso parte personalità del calibro di MURA, giornalista di La Repubblica, FERRARI della Federazione Anarchica Reggiana (promotrice dell'evento biennale, ideato nella sua prima edizione insieme allo stesso Veronelli, Le cucine del popolo) e TIBALDI. Dag’anarchici è sempre stato considerato un compagno. V. e un libertario, un uomo colto, senza dogmi, senza ipocrisie, in perenne lotta contro l’armate schiaviste delle multi-nazionali (Pagliaro, Umanità Nova, Milano gli attribuisce l'ambrogino d'oro.  Rassegna stampa. A-Rivista, Lettera i giovani estremi  Proudhon: La questione sociale – V. politico. L'ultimo dei vini artigianali sarà sempre migliore del primo dei vini industriali, perché avrà un'anima -- Il canto della Terra. Il nostro anarchenologo. Un incontro inatteso. Cellula V. Veronelli politico. Circolo Cucine del Popolo, l'addio, Bosana Salsa suprema. Luigi Veronelli. Veronelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft – Luigi Speranza, “Grice e Veronelli: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Liguria.

Grice e Verrecchia: la ragione conversazionale e la falena dello spirito -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vallerotonda). Filosofo italiano Essential Italian philosopher. Studia a Torino. Trascorse un certo periodo nel parco nazionale del Gran Paradiso, considerato come il più formativo della sua vita. Lì contempla in modo disinteressato i fenomeni della natura. Fa tre università -- e solito dire -: quella vera e propria, che non mi ha dato nulla o quasi; la collaborazione alle pagine dei quotidiani come elzevirista, che mi ha costretto a leggere libri che altrimenti non avrei mai letto; e infine l'università più utile in assoluto, vale a dire il soggiorno nel Gran Paradiso a contatto con la natura. Frutto di quel soggiorno è il saggio che contiene la sua filosofia, potentemente aforistica. I manoscritti riaffiorati molto più tardi spiegano la tardività della sua pubblicazione, avvenuta presso Fògolasi tratta del Diario del Gran Paradiso. Visse poi a Berlino ed e per addetto culturale all'ambasciata d'Italia a Vienna. Collabora alle pagine culturali di giornali italiani, tra cui Il Resto del Carlino, La Stampa, Il Giornale. Collabora stranieri (Die Presse, Die Welt). Non parla volentieri della sua vita privata perché, dice, di un filosofo ciò che interessa sono gli teorie e non le vicissitudini personali. Traduttore di Lichtenberg, appassionato studioso di BRUNO e Nietzsche, nel suo orizzonte culturale, però, la figura che risalta di più è senz'altro quella di Schopenhauer, da lui considerato a tutti gl’effetti un maestro da tradurre e continuare. Elementi caratteristici dei suoi saggi sono l'irriducibile vena polemica e una sacra bilis, ma la sua prosa spicca anche per chiarezza ed energia. La sua prosa insieme a quella di CERONETTI, SGALAMBRO e GIAMETTA è stata giudicata la migliore prosa filosofica. Saggi: “L'eretico dello spirito” (Firenze: Nuova Italia); “La catastrofe di Nietzsche a Torino” (Torino: Einaudi), “La tragedia di Nietzsche a Torino: la catastrofe del filosofo che sogna un super-uomo al di là del bene e del male (Milano: Bompiani); “Incontri viennesi” (Genova: Marietti), “Cieli d'Italia (Milano: Spiral); “Diario del Gran Paradiso (Torino: Fogola), “BRUNO: la falena dello spirito” (Roma: Donzelli); “Rapsodia viennese: luoghi e personaggi celebri della capitale danubiana” (Roma: Donzelli), “Schopenhauer e la Vispa Teresa: l'Italia, le donne, le avventure” (Roma: Donzelli), “Vagabondaggi culturali” (Torino: Fogola); “La stufa dell'Anti-cristo: altri vagabondaggi culturali” (Torino: Fogola), “Batracomachia di Bayeruth: nietzschiani contro wagneriani; Padova: il prato, Lettere Mercuriali (Torino: Fògola). “Il cantore filosofo” (Firenze, Clinamen); “Il mastino del Parnaso: elzeviri e polemiche” (Firenze: Clinamen); Saggi introduttivi, traduzioni e cure Viaggio in Italia  di Mommsen (Torino: Fogola). Libretto di consolazione (Milano: Rizzoli); Le civiltà pre-colombiane (Milano: Bompiani,). Colloqui (Milano: Rizzoli), poi: “Il filosofo che ride” (Milano: Rizzoli), “Metafisica dell'amore sessuale: l'amore inganno della natura” (Milano: Rizzoli); “Sulla filosofia di Schopenhauer (Milano: TEA); “Aforismi per una vita saggia” (Milano: Fabbri); “O si pensa o si crede: sulla religione” (Milano: Rizzoli); “Lo scandaglio dell'anima” (Milano: Rizzoli); “Breviario spirituale” (Torino: POMBA). A Bogotà c'è un erede di Montaigne. Tuttolibri de La Stampa, Allora basta un rospo per finire al rogo. Tutto libri de La Stampa, MATHIEU, Tre giorni in giallo. Tutto libri de La Stampa, Risvolto di copertina della Rapsodia viennese.  Verrecchia, su digilander libero. Lanterna, V. venerando e terribile, Pulp Libri, (ora in Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen, critica Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen. Dotti, I vagabondaggi culturali di V., in rivista. Le case illustri, di Lisa Elena su archivio la stampa. Addio al filosofo V., di Sorrentino, su poesia. RAInews. L'Anticristo goloso, di Rota, su piemontemese. Anacleto Verrecchia. Verrecchia. Keywords: la metafisica dell’amore, Nietzsche a Torino, Bruno, la falena dello spirito. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verrecchia: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Viano: la ragione conversazionale del va’ pensiero – il carattere della filosofia italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Aosta). Esential Italian philosopher. Filosofo italiano. Si laurea in filosofia a Torino sotto ABBAGNANO. Insegna a Milano e Cagliari. Fa ritorno, in qualità di ordinario fuori ruolo di storia della filosofia, a Torino. Fa parte del Comitato Nazionale per la bio-etica, ed è stato membro del direttivo della “Rivista di filosofia” e socio nazionale dell'accademia delle scienze di Torino.  Insignito del premio Feltrinelli per la storia dela filosofia. Di formazione illuminista, V. si occupa di storia della filosofia antica. -- è autore di importanti studi su Aristotele (“La logica di Aristotele” (Torino, Taylor) e l’empirismo (“Dal razionalismo all'illuminismo” (Einaudi, Torino); “Il pensiero politico” (Laterza, Roma). Nel campo dell'etica, oltre a studi storici -- “L'etica” (Mondatori, Milano), “Teorie etiche” (Boringhieri, Torino) -- si dedica a promuovere la costruzione di una bio-etica e a denunciare la timidezza dei laici di fronte alle ingerenze del cristianesimo.  Da Mistretta, direttore editoriale della Laterza di Roma, gli fu affidata, la direzione di una “Storia della filosofia.” Altre saggi: “La selva delle somiglianze: il filosofo e il medico” (Torino, Einaudi); “Va' pensiero: il carattere della filosofia italiana” (Torino, Einaud); “Filosofia italiana nel dopo-guerra” (Bologna, Mulino); “Etica pubblica” (Roma/Bari, Laterza); “Le città filosofiche: per una geografia della cultura filosofica italiana” (Bologna, Il Mulino); “Le imposture degl’antichi e i miracoli dei moderni” (Torino, Einaudi); “Laici in ginocchio” (Roma/Bari, Laterza); “Stagioni filosofiche: la filosofia del Novecento fra Torino e l'Italia” (Bologna, Mulino); “La scintilla di Caino: storia della coscienza e dei suoi usi” (Torino, Boringhieri). Profilo biografico sull’accademia delle scienze. Mori, Torino ricorda V., su Torino. Cerimonia nell'accademia nazionale dei lincei, su presidenza della repubblica, Roma. Treccani Enciclopedie,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Registrazioni su Radio Radicale, Radio Radicale.  Biografia e testi sull'Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche Rassegna stampa sul Sito Italiano per la Filosofia Recensione di "Le città filosofiche" su Recensioni Filosofiche. Il lizio. Il punto di vista da cui intendiamo prendere le mosse e che ci pare adatto a permettere un proficuo studio della logica del LIZIO – tanto celelbrato a Roma -- può essere sufficientemente precisato se messo in rapporto con la tradizione storiografica concernente questo argomento. Le non molte pagine che compongono l’ “Organon” hanno suscitato interessi per secoli intieri dal tempo dei commenti romani fino ai rinnovati studi aristotelici del '500, attraverso gli studi medioevali, e fino alla logica classica dell'800. Ma una vera e propria indagine storiografica volta non a sviluppare una tecnica logica i cui principi si considerassero posti da Aristotele, bensì a comprendere il significato delle dottrine dello Stagirita e nei rapporti con gli atteggiamenti di pensiero dei suoi contemporanei e nei rapporti con gli interessi dello Stagirita stesso, sorse solo all'inizio del secolo scorso e tramontò abbastanza rapidamente: tanto che da cinquant'anni a questa parte poche e non molto significative sono le opere dedicate alla logica aristotelica.  Le ragioni di ciò si possono forse trovare nella impostazione che nella filosofia contemporanea viene data al problema logico. Infatti, nell'800 da un lato la critica kantiana presenta un' interpretazione della scienza classica servendosi proprio delle categorie della logica tradizionale come categorie proprie dell'intelletto umano, categorie di cui si serve ancora la logica hegeliana che pretende addirittura di assurgere a logica di tutta la realtà; d'altra parte il positivismo, soprattutto in Inghilterra, tenta di elaborare una logica empirica servendosi degli schemi che la logica tradizionale aveva mutuato da Aristotele; e la stessa logica formale ottocentesca finisce con il favorire lo studio di quello che i suoi cultori conside ravano come il fondatore della loro disciplina. Invece nel 'goo l'ideali-smo neo-hegeliano abbandona l' esigenza panlogistica, almeno quale si configura nello Hegel, preferendo parlare di una Coscienza assoluta più che di un'Idea che si svolga secondo una necessità logica, scoprendo perciò negli schemi cui ancora la Wissenschaft der Logik si era attenuta contraddizioni insanabili, come il Bradley, o vedendo nella logica che si attiene agli schemi aristotelici una indebita infiltrazione di schemi verbali irrigiditi nel campo del pensiero puro, come CROCE, o l' irrigidirsi del pensiero pensante nell'astratto pensiero pensato, come GENTILE. D'altra parte anche la logica della scienza tentava di liberarsi degli schemi tradizionali diventati incapaci di intendere i metodi nuovi di cui l' indagine scientifica si serviva o avvicinandosi sempre di più alla tecnica della ma-  tematica, con la logistica, o configurandosi come rigorosa analisi sintat-tica del linguaggio o servendosi delle nuove categorie che il pragmatismo offriva per l'interpretazione della scienza. In questo orizzonte gli studi sulla logica aristotelica non trovavano terreno propizio per germogliare.  Infatti gli interpreti idealisti, tra i quali il più significativo è forse CALOGERO, accettavano ben volentieri la qualificazione della logica aristotelica come logica formale, come solidificazione astratta ed artificiosa dell'opera vivente del pensiero e perciò tentavano di mostrare come essa non fosse essenziale per la comprensione del vero pensiero aristotelico in quanto costituisce un' intrusione del dianoetico nella noesi, cioè nell'atto di pensiero puro che determina i suoi contenuti immediatamente e senza ricorrere allo schema verbale del giudizio, come dimostrerebbe nel modo più lampante il libro della Metaphysica ed il frequente affiorare di questa esigenza anche nelle pagine dell'Organon, additate con molto acume e con molta perizia nella succitata opera del CALOGERO. La logistica, per bocca del Russell, prendeva un netto atteggiamento polemico nei riguardi della logica aristotelica vedendo in essa un insieme di schemi verbali non rispondenti però ad un'autentica tecnica logica, perché inficiati dal presupposto sostanzialistico, di carattere metafisico, che, riducendo tutte le enunciazioni a proposizioni della forma soggetto-predicato, preclude ogni considerazione delle relazioni. Tuttavia proprio nell'ambito della logistica doveva sorgere un altro atteggiamento verso la logica ari-stotelica, meno polemico, rappresentato soprattutto dallo Scholz, dal Becker e dal Bochénski. Comune a questi interpreti è il presupposto che la logica di Aristotele sia logica formale, cioè volta ad elaborare schemi linguistici aventi rapporti noti ed indipendenti dal valore dato alle incognite che in essi possono comparire. In questo modo, pur accettando l'osservazione del Russell che la logica aristotelica non va accettata così com'è perché deve essere integrata e sviluppata soprattutto con l'aggiunta della logica delle relazioni, essi non polemizzano più contro di essa, ma anzi la considerano come il precedente storico della logica formale contemporanea che si presenta appunto come un progresso rispetto a quella. Di conseguenza questi interpreti non mettono in problema le dottrine aristoteliche e l'impostazione da esse data al problema della logica; ma anzi accettano che quella dello Stagirita sia la vera impostazione del problema logico, la soluzione del quale consiste nello sviluppo diretto delle dottrine dell'Organon. Infatti secondo lo Scholz Aristotele avrebbe formulato un'as-siomatica che permetteva alla scienza del suo tempo di organizzarsi come un sistema di proposizioni necessariamente connesse; su questa base, da un lato, il Becker ha intrapreso una trascrizione in simboli della dottrina aristotelica della possibilità senza dare ragione delle diverse interpretazioni che di questa categoria lo Stagirita veniva dando, mentre dall'altro il Bochénski ha svolto un esame particolareggiato dell'assio-matica di cui parlava lo Scholz e della dottrina linguistica da questa pre-supposta, senza però vedere i rapporti tra questa e quella. Contro questo rapporto di derivazione diretta della logica formale contemporanea da quella aristotelica protestava il Veatch facendo però uso di argomenti non molto persuasivi. Fuori della logistica, frattanto, le difficoltà sorgenti dal tentativo di interpretare la scienza contemporanea con la logica aristotelica venivano messe in luce dal Reiser in alcuni articoli assai superficiali e disordinati, ma contenenti alcune buone osservazioni, e soprattutto dal Dewey che, con un atteggiamento ben più equilibrato, notava come la logica aristotelica presupponesse l'ontologia della sostanza alla quale era legata. Ma, facendo occasionalmente queste osservazioni in un'opera teorica, egli lasciava aperto proprio il problema di trovare i modi precisi di questo rapporto tra ontologia e logica e di determinare come l'ontologia si modelli attraverso la logica.  Dall'esame delle interpretazioni surriferite si possono trarre alcune importanti considerazioni che permettono subito di orientarsi di fronte alla logica aristotelica. Infatti lo studio della logica propria della scienza contemporanea ci fa subito avvertiti che ad essa 101 sono più applicabili gli schemi dell'Organon distruggendo così la pretesa di vedere in esso le tavole eterne, sebbene magari ancora incomplete, su cui sono segnate le leggi del pensiero umano e scoprendo le quali Aristotele avrebbe fatto l'uomo razionale, dopo che Dio lo aveva fatto semplice creatura a due gambe, come disse il Locke. Ciò posto, risulta impossibile giustificare storicamente la logica aristotelica vedendo in essa la scoperta del procedimento del pensiero in quanto tale, che è in fondo l'interpretazione del Barthélemy Saint-Hilaire, o anche solo dell’intelletto che sarà poi superato dialetticamente dalla Ragione, come sostiene lo Hegel. Ma allora il problema della logica aristotelica si presenta in tutta la sua gravità. Infatti essa non potrà più essere giustificata come insieme di regole che reggano il corso del pensiero stesso in quanto tale, ma bisognerà esaminare l'effettivo valore che essa ha per noi, i problemi che essa ci pone, gli eventuali mezzi per risolverli che essa ci offre. Ma queste sono prospettive di ricerca che ci si offrono solo in quanto alla logica aristotelica non si attribuisca una validità metastorica e si riconosca in essa un insieme di dottrine storicamente condizionate che storicamente vanno studiate. Da ciò consegue che la logica di Aristotele non potrà essere studiata come logica in quanto tale, ma dovrà essere studiata come logica aristotelica: cioè svolgere una ricerca su di essa vorrà dire giustificare il suo posto nell'insieme delle opere aristoteliche, mettere in luce quali problemi il suo autore si proponeva di risolvere e quali riusciva a risolvere con essa. Perciò le interpretazioni idealistiche e lo-  gistiche, che sopra abbiamo esaminato, non conducono a fondo l'interpretazione storica della logica aristotelica in quanto lasciano sussistere dei termini - logica formale, schema verbale - il cui significato non viene determinato nel corso dell'indagine stessa, ma presupposto ad essa. È vero che la logica di Aristotele è costruita di schemi verbali; ma l'osservare che quegli schemi verbali sono troppo limitati o che essi oggi non servono più e rimproverare ad essi di soffocare la vera vita del pensiero non serve a comprendere storicamente il pensiero dello Stagirita; piuttosto giova vedere che cosa potesse significare per Aristotele stesso « schema verbale», quale uso di esso egli giustificasse, di quali dimensioni tenesse conto e quali eliminasse per costruire proprio quella nozione.  Ed altrettanto dicasi per la qualificazione della sua logica come logica formale: in un certo senso questa attribuzione può essere sostenuta in quanto almeno gli Analytica priora si occupano di pure forme verbali in cui i termini sono rappresentati con lettere che prescindono da ogni eventuale contenuto. Ma il problema che subito si presenta è quello di determinare che significato abbia per Aristotele la « forma» e l'aggettivo « verbale» che ad essa viene attribuito. Perciò la comprensione storica della logica aristotelica ha come sua condizione la connessione delle dottrine logiche con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita: a questo modo la logica non verrà considerata come la scienza del pensiero in quanto tale, ma come la logica resa possibile da una ben determinata posizione filosofica, presupponente una ben determinata metafisica, mentre, d'altra parte, sarà aperta la via a considerare con quali mezzi logico-lin-guistici sia stato possibile costruire quella metafisica.  La connessione delle dottrine logiche con quelle metafisiche nell' interpretazione di Aristotele non è nuova e, anzi, costituisce il tema dominante di alcuni studi assai celebri. Essa è riscontrabile nelle opere appartenenti alla storiografia francese di ispirazione spiritualistica facente capo al Ravaisson, all' Hamelin ed al Bergson. Carattere comune di questi studi è la presupposizione di una certa interpretazione della metafisica aristotelica, nella quale si cerca un posto per la logica o partendo dalla quale si discutono questioni pertinenti propriamente alla logica. E anche l'interpretazione della metafisica è caratterizzabile in modo assai tipico: essa infatti viene spiegata con schemi in prevalenza neoplatonici in base ai quali si vuole vedere teorizzata l'opera di un universale che darebbe vita agli individuali senza tuttavia risolversi totalmente in essi, lasciando così sussistere quelle aporie che. secondo questi interpreti, sarebbero riscontrabili nel xoprouós delle idec platoniche. Di conseguenza le interpretazioni della logica appartenenti a questa corrente, comc quelle dello Chevalier, dell'Aslan, del Badareu, del Robin, di S. Mansion rivelano un unico schema nel quale la logica appare come la dottrina dell'universale puro ed assolutamente necessario che lascia fuori di sé il particolare esistente, nel quale la nocessità si attenua fino a diventare soltanto il per lo più: anche qui cioè spunta la difficoltà della metafisica per cui da un lato l'universale è il solo oggetto veramente conoscibile, dall'altro il particolare è il solo oggetto veramente esistente. A questa interpretazione si potrebbe obbiettare che lascia insoluto proprio il problema della logica come logica, ossia come ricerca sulla possibilità di un discorso rigoroso, in quanto in questi studi non si vede come lo stesso discorso rigoroso, per potersi costituire come tale, richieda per Aristotele una certa metafisica. Del resto è assai significativo che questi interpreti si siano cimentati ben poco con gli Analytica priora esponendone semmai la dottrina, ma accettando implicitamente la tesi che in essi è svolta una trattazione di logica formale. Lo stesso Chevalier, che più degli altri si addentra nell'analisi di questo trattato, dichiara che esso rappresenta un tentativo di costruire una logica formale -- tentativo fallito perché il sillogismo richiede come fondamento una necessità reale che è concepibile solo se le premesse sono immediatamente intuibili, perché in caso contrario la pura necessità logica diventerebbe una mera necessità ipotetica. Ma la difficoltà sta proprio qui, cioè nell'assunzione che il sillogismo sia un mero mezzo di svolgere cocrente-mente un'ipotesi, il cui unico contatto con la realta consista in un' intui-zione intellettuale.  Ben più significativo è il modo in cui il Prantl tenta di connettere la logica con la metafisica nella sua Geschichte der Logik im Abendlande. Il fondamento della mediazione logica è un Realprincip immanente alle cose stesse e costituente l'equivalente ontologico delle categorie linguistiche di cui fa uso la logica. Il merito del Prantl consiste appunto nel tentare di definire per quel che gli è possibile il principio ontologico con categorie logiche, mettendo in luce la stretta connessione che per Aristotele sussiste tra questi due aspetti. Senonché anche qui non si vede poi come non solo il Realprincip sia definibile con categorie logiche, ma come le stesse categorie logiche determinino il Realprincip costituendosi pro-prio come categorie logiche. Mentre il Prantl pone al centro della inter-pretazione il concetto che è definibile contemporaneamente con catego-rie ontologiche e con categorie logiche, il Trendelenburg preferisce par-tire dalla considerazione del giudizio nel quale prendono senso lc cate-gorie che deriverebbero dalle varie parti del discorso distinte dalla gram-matica. Da questa interpretazione prendeva l'avvio una lunga discus-sione sulla dottrina delle categorie aristoteliche condotta dal Bonitz, dall'Apelt, dal Gercke, dal Witte, dal Geyser, dal Gillespie, dal von Fritz, nel corso della quale si tenta di penetrare sei-pre meglio i precedenti academici della dottrina aristotelica e si abban-dona anche l'analogia con le categorie kantiane che in un primo tempo erano state il termine del confronto che tutte le trattazioni si sentivano in dovere di fare impedendosi cosi la comprensione del significato propria-mente aristotelico di quella dottrina. Ma il motivo della centralità del giudizio nella logica aristotelica veniva ripreso ed ampliato dal Maier che intitolava un'amplissima opera sulla logica aristotelica Die Syllogi-stik des Aristoteles, mostrando appunto di voler imperniare tutte le sue indagini sul sillogismo considerato come la base di tutte le dottrine del-l'Organon. Il Maier rifiuta nettamente l'interpretazione formalistica della logica aristotelica sostenendo che per lo Stagirita giudizio e sillogismo hanno sempre un valore logico ed un valore ontologico. Ma poi distingue il significato ontologico da quello metafisico considerando l'intrusione del metafisico nella logica come un passaggio indebito compiuto in più punti dallo stesso Aristotele. Di conseguenza la logica, anziché essere interpretata in connessione con le dottrine metafisiche di Aristotele, viene disgiunta da esse ed irrigidita in una struttura formale che a quelle è estranea: perciò solo apparentemente il Maier respinge l'interpretazione formale della logica aristotelica, in quanto la sua interpretazione si distingue da quella formalistica solo perché non riconosce valore meramente linguistico agli schemi logici, ma li trasporta nel reale stesso pur senza alterare la loro natura. Appunto perciò l'interprete non è poi in grado di mettere in luce la connessione di quegli schemi con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita, dalle quali, anzi, pretende di prescindere. Il Maier mette iu luce una esigenza che si fa veramente valere nell'indagine sull' Organon - cioè il bisogno di precisare il valore ontologico degli schemi logici —, ma non è in grado di soddi-sfarla, in quanto la distinzione dell'ontologia dalla mctafisica non regge, almeno nell'ambito delle dottrine aristoteliche, perché 1°) per Aristotele la metafisica si configura appunto come ontologia, in quanto pretende di essere la teoria dell'essere in quanto tale; 2°) l'eliminazione della metafisica dalla pura ontologia costituita dalle dottrine dell'Organon ha costretto il Maier ad espungere idealmente dalla logica aristotelica sviluppi non irrilevanti.  Poiché abbiamo visto che l'autentica comprensione storica delle dottrine logiche dello Stagirita ha come condizione la loro connessione con le dottrine metafisiche, ci pare di poter affermare che gli interpreti che si sono messi su questa via e che sopra abbiamo citato, non hanno realizzato appieno il loro proposito in quanto non hanno del tutto realizzato proprio quella condizione. Infatti o, come il Maier, hanno irrigidito la logica in una struttura che ha impedito ogni suo ulteriore collegamento  son le errin pietarite oraco, i Pro e su pisto mone nageione,  poi la logica si sarebbe dovuta adeguare. Per stabilire un più stretto legame tra logica e metafisica aristoteliche bisogna esaminare la logica con l'intento di cercarvi gli strumenti con cui Aristotele ha potuto costruire la metafisica: cioè non si deve studiare la logica presupponendo la meta-fisica, ma considerando la metafisica come punto di arrivo della logica.  Ciò tuttavia non implica che la logica si svolga senza presupposti metafisici; ché anzi le dottrine logiche si vengono precisando via via con il precisarsi delle dottrine metafisiche e presuppongono posizioni metafisiche dalle quali sono indisgiungibili. La metafisica, perciò, si costituisce come punto di arrivo della logica non perché sia separata da questa, ma perché queste stesse categoric della metafisica si configurano in modo tale da determinare anche gli strumenti con cui esse sono usabili; d'altra parte dallo studio della logica si vedrà appunto come l'uso di certi determinati strumenti logici, l'impostazione della ricerca su certe determinate dimensioni e l'eliminazione di altre, porti all'elaborazione di una certa determinata metafisica che, a sua volta, giustifica quegli strumenti ed è il loro presupposto. A questo modo è possibile trarre dallo studio della logica l'orizzonte categoriale della metafisica, vale a dire l'unità delle dottrine metafisiche stabilite in base all'uso degli strumenti ad esse ap-propriati. Solo dalla indagine delle effettive categorie di cui Aristotele fa uso e del loro modo di operare potrà così emergere l'unità della filosofia aristotelica.  Ma per far ciò non sarà più possibile considerare la logica aristotelica come dottrina del procedere naturale dell'intelligenza o dottrina della conoscenza in generale, ma bisognerà fare concreto rifcrimento al modo preciso in cui Aristotele pensò che l'intelligenza lavorasse, cioè alla sua concezione della scienza. Infatti la stretta connessione della logica con la metafisica, nel modo che sopra abbiamo illustrato, diventa la stretta connessione della logica con la scienza, in quanto la metafisica di Aristotele si presenta appunto come una scienza che ha la medesima struttura delle altre scienze. Perciò dire che l'oggetto della logica aristotelica è il discorso comune, come fa il Kapp, non è interamente vero, in quanto il discorso comune può si costituire il punto di partenza ed il materiale delle considerazioni di Aristotele il cui oggetto, però, è la costruzione di un discorso scientifico fondato sul reale. Perciò se da un lato la metafisica esige la logica come quella che può determinare gli strumenti con cui le categorie metafisiche sono usabili, d'altra parte la logica tende alla metafisica come quella che, dando un fondamento nell' essere alle categorie logiche, legittima l'uso degli strumenti che quelle presuppongono. Ed appunto perciò la logica non sarà, come la tradizione con il nome di organon ha tramandato e come lo Zeller interpreta, uno strumento essa stessa, anche se mette in luce gli strumenti con cui certe categorie possono essere usate: essa, infatti, è una struttura che è necessaria all'essere perché possa esserci un discorso che lo enunci e al discorso per potersi costituire come discorso, anche sbagliato. Perciò presentandosi come logica della scienza quella di Aristotele non si configura come inetodologia, in quanto quest'ultima è possibile solo là dove non si presupponga l'esistenza di una struttura dell'essere già costituita e gli strumenti per conoscere la quale sono stabiliti una volta per tutte e stanno originariamente nelle nostre mani. Di conseguenza l'unico precetto metodologico che dalla logica aristotelica deriva è quello di non falsare gli strumenti che possediamo e di riconoscere l'essere in quello che veramente è. Ma tutto ciò potrà veramente venire alla luce solo attraverso lo studio dei fondamenti linguistici della logica aristotelica: infatti per Aristotele, come per Eraclito, la ragione è essenzialmente lóyos, discorso, cioè capacità di cogliere e di indicare con parole l'essenza stessa dell'essere. Il linguaggio, perciò, è lo strumento essenziale con il quale le categorie aristoteliche hanno da essere usate; e la posizione che ad esso Aristotele conferisce e le possibilità che ad esso apre costituiscono i fondamenti di tutta la costruzione logica e metafisica dello Stagirita. Del resto questo lato dell'indagine risponde pienamente agli interessi cui la filosofia odierna dedica la sua attenzione. Infatti, mentre da un lato la logica e la metodologia delle scienze dedicano sempre maggiore cura all'esame delle scienze in quanto fanno uso di certi determinati linguaggi e alle possibilità e ai limiti di questi linguaggi, dall'altro la considerazione dell'elemento linguistico della ricerca filosofica ha assai contribuito ad aumentare la cautela critica di quest'ultima e l'interesse per l'indagine sulle sue reali possibilità. Dalla tendenza volta a limitare la filosofia ad un'attività critica sull'uso delle parole ad altre più propense a dare ad essa un più vasto significato, le correnti più significative della filosofia con-temporanca si rendono conto dell'importanza che ha la determinazione del tipo di discorso che la filosofia deve adottare e delle possibilità che ne può trarre; e nella stessa tecnica dell'indagine filosofia l'analisi linguistica dei termini è praticata con sempre maggior frequenza nel tentativo di eliminare quelle parole o quei significati la cui determinazione non è possibile fare con mezzi il cui comportamento sia noto e, in qualche modo, controllabile. Il linguaggio cioè non è un insieme di segni assolutamente trasparenti, capaci di riprodurre fedelmente il puro pensiero o l'essere senza nulla pregiudicare di quella ricerca che nelle parole troverebbe solo la sede adatta alle sue conclusioni, ma interviene attivamente nella ricerca rischiando di deviarla su direzioni del tutto illusorie. Questo problema è particolarmente importante per la filosofia aristotelica che pretende di rintracciare, proprio avvalendosi del discorso, una struttura dell'essere universalmente valida e che nella logica si preoccupa di mettere in luce la posizione che il linguaggio ha come mezzo per enunciare quella strut-tura. Dalla soluzione data al problema del linguaggio come mezzo per enunciare l'essere dipende la configurazione della logica come struttura necessaria e non come disciplina possibile del discorso; nel senso che i mezzi semantici di cui il discorso è costituito sono sempre adatti a mettere capo ad un insieme in cui le categorie dell'essere sono adeguatamente aggravata dal fatto che sull'autenticità di due opere del corpus logicum si sono sollevati dubbi. È nostro preciso intento trattare questo problema nella misura richiesta dall'indagine che intendiamo condurre ed esclusivamente in vista di essa. Ora, del trattato delle Categoriae ci siamo serviti solo in quanto conteneva dottrine del tutto confermate da altri scritti di sicura attribuzione, mentre più largo uso abbiamo fatto del De interpretatione. Contro le difficoltà di natura oggettiva sollevate fin dall'antichità contro il trattatello ha svolto considerazioni probanti il Maier. Quanto a noi ce ne siamo serviti per studiare dottrine che trovano sicuro riscontro negli Analytica priora (qualità e quantità dei giudizi e dottrina della modalità), salvo differenze trascurabili per il punto di vista da cui ci siamo collocati (p. es. la comparsa dei giudizi individuali non considerati dagli Analytica). La dottrina della convenzionalità non trova invece riscontro letterale in altri testi aristotelici; senonché si può osservare: 1°) la nozione di inópavas come avíleois di arópiois e xatápaois compare anche negli Analytica posteriora e la costituzione di un discorso apofantico presuppone appunto l'eliminazione del problema della semanticità, che è proprio il senso in cui abbiamo interpretato la nozione aristotelica di convenzionalità del linguaggio; 2°) la dottrina del giudizio in tutte le sue enunciazioni presuppone la convenzionalità nel senso sopra specificato; 3") la Poetica che parairasa passi del “De interpretatione” eliminando la tesi della convenzionalità è stato dimostrato dal Maier essere un'in-terpolazione tendenziosa. Perciò mentre mancano criteri oggettivi sicuri capaci di sostenere la tesi dell' inautenticità, neppure l'esito dell'esame condotto sulla concordanza dottrinale può indurrc a pronunciare l'atetesi del De interpretatione, o almeno delle parti che ci interessano.  Assai più difficile si presenta la questione della collocazione cronologica degli scritti logici. Essa fu affrontata dapprima dal Brandis che sostenne la precedenza dei Topica rispetto alle altre opere aristote-liche, tesi ripresa e completata dal Maier che ritenne di poter dividere i Topica in parti che non presuppongono la conoscenza del sillogismo e parti che la presuppongono. Altre a ciò il Maier ritenne di poter considerare il De interpreta-tiene posteriore agli Analytica, dando così un piano completo della successione delle opere logiche aristoteliche, dai più accettato e confer-mato recentemente, con uno studio sui rinvii reciproci delle singole opere, dal Tielscher. Mentre la considerazione dei libri B e H (nei ca-pitoli sopra citati) come le parti più antiche dell' Organon sembra del tutto pacifica, maggiori riserve si potrebbero sollevare di fronte alla col-locazione nello stesso periodo dei libri che eseguono un progetto tracciato all' inizio del A, sì da costituire un corpo ab-bastanza unitario nel quale si trova un rinvio ben netto alla dottrina della dimostrazione di Analytica posteriora. Se questo indizio nonè affatto sufficiente per posticipare i libri in questione, esso rivela tuttavia il tentativo di trovare, attraverso un' interpolazione, un inserimento della dialettica dei Topica nella sillogistica degli Analytica. Quanto alla posticipazione del “De interpretatione”, le ragioni più importanti addotte dal Maier - la mancanza di citazioni in altri scritti e la giustificazione del cap. go come polemica contro Diodoro Crono - non sono del tutto probanti.  L'opera iniziata dal Maier portava innanzi il Solmsen che, partendo dagli studi del Jäger, suo maestro, dava un ordinamento del tutto nuovo al corpus logicum accettando quasi integralmente le tesi del Maier per i Topica ma facendo precedere gli Analytica posteriora ai priora; ordinamento che, accettato dallo Stocks, veniva criticato con consi-derazioni ragionevoli del Ross. D'altra parte il Gohlke, prendendo in esame le dottrine della quantità e della modalità dei giudizi tentava di individuare strati diversi di composizione delle opere dell' Organon; ten-tativo parzialmente condotto anche dal Becker. In realtà nessuno di questi tentativi ha dato finora un ordine cronologico fornito di un grado apprezzabile di probabilità e stabilito su basi puramente oggettive, cioè tale da non implicare un' interpretazione filosofica della logica aristotelica.  Vista l'estrema difficoltà di stabilire un ordine cronologico filologi-camente fondato in maniera soddisfacente, abbiamo preferito rinunciare all'ordine cronologico (che sarebbe stato ben malsicuro), pur tenendo conto, dove ciò ci è parso indispensabile, dei nessi di priorità che ci sono sembrati indiscutibili. Ma, d'altra parte, abbiamo cercato di non irrigidire le dottrine di Aristotele in un sistema che non fosse il sistema stesso di Aristotele, tentando piuttosto di mettere in luce l'orizzonte in cui tutte quelle dottrine si impostano e sforzandoci di non impacciare le loro movenze pur cercando la loro unità: unità consistente appunto nel problema di rintracciare una struttura linguistica universalmente necessaria. Se essa precisa i suoi tratti con particolare evidenza nel De interpretatione e negli Analytica priora, tuttavia sta già alla base della dottrina del giudizio e del ragionamento rintracciabile nei Topica e costituisce uno dei tratti tipici dell'aristotelismo; quell'aristotelismo che è già riscontrabile nel platonisino del Aristotele dell’Accademia e non del Lizio! Viano. Keywords: la filosofia romana, il neo-tradizionalismo. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Viano: il neo-tradizionalismo” – “Viano e la filosofia romana” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Viazzi: la ragione conversazionale  della bellezza della vita – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gavi). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Apprezzato teorico e studioso di filosofia. Fra critici e interpreti di VICO, vuol esser ricordato con speciale considerazione, V.; il quale cura un'edizione della Scienza Nuova, facendola precedere d'una sua lunga prefazione, “La modernità e il positivismo di V.”, e accompagnandola con note che vorrebbero essere interpretative del testo. Comte e Spencer, Vogt e LOMBROSO, Büchner Haeckel, Ribot e Morselli, son questi i nomi cari a V. E accanto ad essi, egli pone quello del VICO, come di un sicuro e diretto loro antenato. Gli è che l'opera del VICO, fuori l'indirizze genuino dei metodi naturalistici, non può affatto intendersi, com non l'hanno intesa appunto - afferma esplicitarente il nostre nuovo interprete vichiano - tutti i metafisici, dai concettualisti pur ai neo-critici. Nè, altresì, conviene altrimenti giudicare il metod‹ vichiano, nell'idea e nell'attuazione, se non come empirico, in duttivo e psicologico, in forza del quale, è chiaro come il pen siero del filosofo, fortemente temprato dell'empiria del Bacone traesse decisamente a un sistema di sociologia o di demopsicologia. Il vero si è che VICO, accanto a Comte e Spencer, deve esser considerato come uno dei fondatori della scienza sociale; e nel modo suo di ricerca, negl'indirizzi degli studi nel loro stesso risultato, ci si rivela come il più genuino forse dei precursori dell'odierno positivismo critico, o filosofia scientifica che altri la voglia chiamare. Se è cosi, la nota dell'irreligiosità, nel sistema di dottrine di VICO, deve risonare con aperta e larga intonazione, non come un semplice motivo, chiuso chiuso, di preludio. Non si tratta più, dunque, di germi ideali ancora immaturi per il loro tempo, ma destinati poi alla fecondazione, dopo circa due se! coli d' inosservata incubazione; a spandere i loro effluvi inebbrianti sul campo rinnovellato del pensiero, che reca la piena iberta dello spirito, la suprema indipendenza della ragione. Contrariamente a ciò che opina il CROCE con i suoi, le conclusioni antireligiose dei principi vichiani sono apparse limpidamente delineate nel libero pensiero del filosofo; e inoltre sono state, esplicitamente, già dedotte dall'autore medesimo con una certa sufficienza, a chi ben osserva, e insieme con meditata parsi-monia, e, secondo l'importanza che esse hanno nell'organismo del sistema, messe nella loro vera luce, sebbene non piena e sfolgorante e a tutti accessibile. Sicché, da ogni pagina della Scienza Nuova emerge spontaneo, per una critica evoluta, il pensiero tutto vibrante di naturalità scientifica, tutto saturo di positivismo, che s'effonde con facile corso, attraverso il modo suo di ricerca, nell'indirizzo degli studi, nel loro stesso rieultato. Che se il VICO, per tal modo, ebbe a bandire estremamente, con matura persuasione e con coscienza, dall'opera sua di pensiero ogni genuina idea del divino e di religione, non poté conservare alcuna fede in fondo al suo cuore. Questo è ovvio.  Nè deve fare impressione di sorta il parlare, talvolta coperto, dell'autore, talvolta, ancora, irto di reticenze e concessioni, che sembra voglian salvare la forma d'una certa professione religiosa. Tale professione di fede (ci si fa notare) soverchiamente ripetuta, ha quasi sempre tutta la forma di un voler parere, più che altro si rifletta all'epoca ed al luogo in cui scrisse il nostro autore, e si comprenderà tutta la ragionevolezza pratica di talune concessioni'». Siamo, dunque, intesi: era una pura finzione di religiosità; una professione di fede, che doveva servire soltanto per il libero scambio nello smercio delle idee. E V. viene alle corte. A carico del VICO (s' intende, dall'aspetto del positivismo) fu quasi unanimemente posta la importanza, reputata eccessiva, non solo, ma intaccante alla base tutto il suo sistema, ch'egli dà ad una provvidenza divina regolatrice di questo mondo delle nazioni che egli prese a studiare. Ma quei che in tal guisa obbiettano, s'arrestano alla corteccia, e non penetrano con lo sguardo al midollo sottostante.  Non s'è detto, insomma, che VICO, non amante delle noie, cercava sempre, con insistente ostentazione, di allontanare il pericolo che s'addensassero, intorno alla sua opera, i sospetti e le avversioni dell'ortodossia dominante? Vico lo sente, quest'odioso freno all'espressione della sua idea, ma vi si trova costretto, e lo subisce. E incredulo qual'era nel pensiero e nel sentimento, tuttavia volle adoperare un ripiego formale che, senza dubbio, poteva giovargli di passaporto nell'epoca e nel luogo di pubblicazione del suo libro.? Si rifletta poi, in fine, che egli non era punto di apostolo.Se avesse avuto l'animo di BRUNO, si sa che le cose sarebbero procedute ben altrimenti. Cosi il nostro animoso interprete vichiano va difilato alla conclusione della sua fatica, per quel che concerne l'idea (della provvidenza divina) che domina e vivifica tutta l'esposizione dottrinale della Scienza Nuova. È chiaro, secondo lui, che anche qui la parola e l'espressione metempirica adoperate segnano un concetto prettamente positivo. Ricordiamo anzitutto come con singolare ostinazione VICO si richiami assai spesso a questo suo concetto, che il mondo delle gentili nazioni è pur certamente opera degli uomini. Questo nel campo delle idee. Nel campo ristretto della sua operosità di uomo, bisogna tener conto del fatto che VICO era obbligato a mettere i suoi libri sotto la protezione di cardinali; che scriveva prolusioni le quali non dovevano soverchiamente urtare il Corpo accademico dell'Università. Poichè in Italia si faceva professione di cattolicismo. quanto più superficiale tanto più generalmente ostentato; era utile e, più che utile, necessario, per un uomo che si trovava nelle umilissime condizioni del nostro autore dimostrare l'importanza del sentimento religioso nella vita sociale? Pio Viazzi. Viazzi. Keywords: Vico. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Viazzi” – “Il Vico di Grice e il Vico di Viazzi” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria

Grice e Vico: la ragione conversazionale dell’antichissima sapienza degl'italici -- da rintracciare nelle origini della sua lingua – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. “The best philosopher, but that’s Hampshire’s judgement!” – Grice. “Si potrebbe presentare la storia ulteriore del pensiero come un ricorso delle idee del Vico” (CROCE, La filosofia di V., Laterza, Bari). – cf. Whitehead on metaphysics as footnotes to Plato. Molte delle notizie riguardanti la vita di V. sono tratte dalla sua “Autobiografia”, scritta sul modello letterario delle “Confessioni” d’AGOSTINO. Dall’autobiografia V. cancella ogni riferimento ai suoi interessi giovanili per le dottrine atomistiche e per la filosofia di Cartesio, che hanno cominciato a diffondersi a NAPOLI, ma venneno subito repressi dalla censura delle autorità civili e religiose, che le consideravano moralmente perniciose e contrari all'indice dei libri proibiti. Nato da una famiglia di modesta estrazione sociale – il padre e un libraio – V. e un bambino molto vivace. A causa di una caduta, si procura una frattura al cranio che gli impede di frequentare la scuola per III anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali, quantunque “il cerusico ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe sopravvissuto stolido,” contribusce a sviluppare “una natura malinconica ed acre.” Ammesso agli studi di grammatica presso il collegio massimo dei gesuiti, li abbandona per dedicarsi al privato approfondimento dei testi di NICOLETTI [vide], il quale, tuttavia, rivelandosi superiore alle sue capacità, provoca l'allontanamento dall'attività intellettuale per I anno e mezzo.  Ripresa la via degli studi, V. si reca nuovamente dai gesuiti per seguire le lezioni di RICCI. Rimasto ancora una volta insoddisfatto, si apparta nuovamente a vita privata per affrontare la meta-fisica. Successivamente, per secondare il desiderio paterno, V. e “applicato agli studi legali.” Frequenta per II mesi le lezioni di VERDE, s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza, senza tuttavia seguirne i corsi, e si cimenta, come di consueto, in studi di diritto. Conseguita la laurea a SALERNO, si appassiona subito ai problemi filosofici, segno “di tutto lo studio che ha egli da porre all'indagamento de’ princìpi del diritto universal.” Lapide nella casa natale di via San Biagio dei Librai che recita: In questa cameretta nasce V.. Nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usa passare le notti nello studio. Vigilia della sua opera sublime. La città di Napoli pose.” Il periodo di tempo intercorrente e denominato dell' “auto-perfezionamento.” Difatti, nonostante l' “Auto-biografia” riporti indietro la data d'inizio del suo magistero, svolge attività di precettore dei figli del marchese ROCCA presso il castello di Vatolla nel Cilento e colà, usufruendo della grande biblioteca, ha modo di studiare l’Accademia di FICINO e PICO. Approfondisce gli studi del Lizio, nonostante la dichiarata avversione per Aristotele e la scolastica. Legge i saggi di di BOTERO e di BODIN, scoprendo al contempo TACITO (che divenne un maestro cui s'ispira la sua filosofia) e la sua “mente metafisica incomparabile con cui contempla l'uomo qual è.” Affronta per un breve periodo studi di geometria e pubblica la canzone “Affetti di un disperato,” d'ispirazione lucreziana (vide LUCREZIO). Erma del V. Ritornato a Napoli, affetto dalla tisi, rientra nella misera dimora paterna. A causa delle grosse difficoltà economiche, V. è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica. Pubblica un discorso proemiale a una crestomazia poetica dedicata alla partenza di Benavides, vice-ré e conte di S. Stefano. Compone un'orazione funebre in memoria di Cardona, madre del nuovo vice-ré. Tenta vanamente di ottenere un posto di lavoro come segretario al municipio di Napoli. Vince, con striminzita maggioranza, il concorso per la cattedra di eloquenza e retorica a Napoli, da cui non riusce, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto. -- è aggregato all'accademia palatina fondata dal vice-ré Aragón, duca di Medinaceli. Anche dopo la nomina accademica per il mantenimento del padre e dei fratelli, totalmente dipendenti da lui, apre uno studio dove dà lezioni di retorica e di grammatica e impegnarsi a lavorare su commissione alla stesura di poesie, epigrafi, orazioni funebri, e panegirici. Può finalmente prendere in affitto in vicolo dei Giganti una casa di tre camere, sala, cucina, loggia e altre comodità, come rimessa e cantina e sposar e avere VIII figli. Da quel momento non ha più la tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma prosegue ugualmente le sue meditazioni tra lo strepitio de' suoi figlioli. A questo periodo risale, inoltre, la conoscenza con DORIA (vide) e l'incontro con la filosofia di Bacone. Il governo partenopeo gli commissiona la scrittura del “Principum neapolitanorum coniuratio” e in una cena a casa di DORIA, espone le sue idee sulla filosofia della natura che lo conduceno alla composizione del “Liber physicus.” Pronunzia in latino le VI orazioni inaugurali, ossia le prolusioni all'anno accademico e, se ne aggiunge una VII, più ampia e importante, “De nostri temporis studiorum ratione,” la quale si concentra molto sul metodo degli studi giuridici, poiché sempre ha la mira a farsi merito con l'università nella giurisprudenza per altra via che di leggerla ai giovinetti. Nel “De ratione”, inoltre, è contenuta la critica al razionalismo di Cartesio e l'elogio dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché dell’ingegno produttore della META-FORA. L'insieme delle prolusioni universitarie sono rielaborate per essere raccolte in “De studiorum finibus naturae humanae convenientibus”. È aggregato all'accademia dell'Arcadia e pubblica il primo libro dell'opera dedicata a DORIA, “De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda,” recante il sottotitolo “Liber primus sive metaphysicus.” Accanto al “Liber Meta-Physicus,” l'opera comprender anche il “Liber Physicus” e un mai compost, “Liber Moralis.” Un anonimo recensisce l'opera nel “Giornale de' letterati d'Italia”, cui segue la risposta del V., accompagnata dal ristretto o ri-assunto del “Liber Meta-Physicus”. Aseguito di nuove obiezioni prodotte dall'anonimo recensore, replica con una Risposta II. Pubblica un trattatello sulle febbri ispirato alle bozze del “Liber Physicus”, recante il titolo di “De aequilibrio corporis animantis.” Inoltre, si dedica alla stesura del “De rebus gestis Antonii Caraphaei,” una biografia del maresciallo Carafa. Durante i lavori di questa opera biografica, V. si dedica alla ri-lettura del suo quarto «auttore», Grozio, cui dedicha un commento al “De iure belli ac pacis”. L'incontro di V. con la filosofia di «Ugon capo» ha un'importanza decisiva per il suo sviluppo filosofico. Da quel momento, il suo interesse e completamente assorbito dai problemi storici e giuridici. L'idea dell'esistenza di un'umanità ferina e primitiva, dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui si producono gl’ordini civili divenne centrale in tutta la sua filosofia. Vide la luce un'opera di filosofia del diritto, intitolata “De uno universi iuris principio et fine uno”, seguita dallo saggio “De constantia iurisprudentis,” diviso in II parti, “De constantia philosophiae” e “De constantia philologiae,” e che, nonostante il titolo si riferisca alla tematica giuridica, è meno incentrato sull'argomento rispetto al “De uno”. Benché le due opere si differenzino, segno di un rapido sviluppo della sua filosofia, è d'uso considerarli, come invero fece anche Vico, insieme alle notae aggiunte e le sinopsi premesse al saggio, sotto l'unico titolo di “Diritto universale”. S'iscrive al concorso per ottenere la cattedra di diritto civile a Napoli e commenta un passo delle “Quaestiones di Papiniano “davanti a un collegio di giudici, ma, con suo grande scorno, il posto e assegnato a GENTILE. Dopo la fama ottenuta dalla pubblicazione della “Scienza Nuova”, ottenne da Carlo III, la carica di storiografo regio. Tanto nuova e la sua dottrina che la cultura del tempo non puo apprezzarla. Così che V. rimanda appartato e quasi del tutto sconosciuto negl’ambienti filosofici, dovendosi accontentare di una cattedra di secondaria importanza a Napoli che lo mantene inoltre in tali ristrettezze economiche che per pubblicare il suo capolavoro, la “Scienza Nuova”, dovette toglierne alcune parti in modo che risultasse meno costoso per la stampa. Alle difficoltà economiche vissute per la pubblicazione dell'opera sua, che inficiarono la sua notorietà nel seno dell'accademia partenopea, s’accompagna una prosa involuta, pertanto di difficile penetrazione. Prima della “Scienza Nuova” V. scrive la prolusione inaugurale “De nostri temporis studiorum ratione,” il “De antiquissima italorum sapientia, EX LINGUAE LATINAE originibus eruenda” a cui si devono aggiungere le II risposte al “Giornale dei letterati di Venezia” che critica la sua filosofia, il “De uno universi iuris principio et fine uno” e il “De costantia iurisprudentis”. Afflitto da difficoltà e disgrazie familiari, V. incomincia a scrivere la sua “Autobiografia” pubblicata a Venezia. Vengono pubblicati i “Principii di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni.” Alla “Scienza nuova” lavora per tutto il corso della sua vita, con un’edizione integralmente ri-scritta anche a seguito delle critiche ricevute (cui aveva risposto nelle “Vici Vindiciae”) e, infine, rivista completamente, senza grandi modifiche, per la edizione III, pubblicata pochi mesi dopo la sua morte da suo figlio che lo aveva sostituito nell'insegnamento accademico. La morte «[incominciarono a crescere] quei malori che fin dai suoi più floridi anni l’avevano debilitato. Comincia adunque ad essere indebolito in tutto il sistema nervoso in guisa che a stento poteva camminare e, quel che più lo affligea, e di vedersi ogni giorno infiacchire la reminiscenza. Il fiaccato corpo anda in seguito ogni giorno più a debilitarsi in guisa che perde quasi interamente la memoria fino a dimenticare gl’oggetti a sé più vicini ed a scambiare i nomi delle cose più usuali. Affetto probabilmente dalla malattia di Alzheimer, all'epoca non ancora descritta scientificamente, negl’ultimi anni non riconosceva più i suoi stessi figli e e costretto ad allettarsi. Solo in punto di morte ri-acquista la coscienza come svegliandosi da un lungo sonno. Chiese i conforti religiosi e recitando i salmi di Davide muore. Per la celebrazione delle esequie nasce un contrasto tra i confratelli della congregazione di S. Sofia, alla quale V. era iscritto, e i professori di Napoli su chi dovesse tenere i fiocchi della coltre mortuaria. Non giungendo ad un accordo il feretro, che era stato calato nel cortile, e abbandonato dei membri della congregazione e e riportato in casa. Da lì finalmente, accompagnato dai colleghi dell'università, e sepolto nella chiesa dei padri dell'oratorio detta dei Gerolamini in Via dei Tribunali. Nell'ambiente culturale napoletano, molto interessato alle nuove dottrine filosofiche, V. ha modo di entrare in rapporto con il pensiero di Cartesio, Hobbes, Gassendi, Malebranche e Leibniz anche se i suoi autori di riferimento risalivano piuttosto alle dottrine neo-platoniche dell’accademia, rielaborate dalla filosofia rinascimentale di FICINO e PICO, aggiornate dalle moderne concezioni scientifiche di Bacone e GALILEI e del pensiero giusnaturalistico moderno di Grozio e Selden. Dal Portico di MALVEZZI riprende l'intuizione che il corso storico sia retto da una sua logica interna. Questa varietà di interessi fa pensare alla formazione di un pensiero eclettico in V. che invece giunse alla formulazione di un'originale sintesi tra una razionalità sperimentatrice e la tradizione platonica, accademica, e religiosa.  “De antiquissima Italorum sapientia” consta di tre parti: il “Liber Meta-Physicus”, che usce senza l'appendice riguardante la logica che, nella sua intenzione, avrebbe dovuto avere; il “Liber Physicus”, che pubblica sotto forma di opuscolo col titolo “De aequilibrio corporis animantis”, che anda smarrito, ma ampiamente riassunto nella Vita; e infine il “Liber moralis”, di cui non abbozza nemmeno il testo. Nel “De antiquissima” V., considerando il linguaggio come oggettivazione del pensiero, è convinto che dall'analisi etimologica di alcune parole si possano rintracciare originarie forme del pensiero. Applicando questo metodo, risale ad un antico sapere filosofico delle popolazioni italiche. Il fulcro di queste arcaiche concezioni filosofiche è la convinzione antichissima che “Latinis verum et factum reciprocantur, seu, ut scholarum vulgus loquitur, convertuntur” -- che cioè il criterio e la regola del vero consiste nell'averlo fatto. Per cui possiamo dire ad esempio di conoscere le proposizioni matematiche perché siamo noi a farle tramite postulati, definizioni. Ma non potremo mai dire di conoscere nello stesso modo la natura, perché non siamo noi ad averla creata.  Conoscere una cosa significa rintracciarne i principi primi, le cause, poiché, secondo l'insegnamento del Lizio, veramente la scienza è “scire per causas.” Ma questi elementi primi li possiede realmente solo chi li produce, “provare per cause una cosa equivale a farla”. Il principio del “verum ipsum factum” non e una nuova e originale scoperta di V. E già presente nell'occasionalismo, nel metodo baconiano che richiede l'esperimento come verifica della verità, nel volontarismo scolastico che, tramite la tradizione scotista, e presente nella cultura filosofica napoletana del tempo di V. La tesi fondamentale di queste concezioni filosofiche è che la piena verità di una cosa sia accessibile solo a colui che tale cosa produce. Il principio del verum-factum, proponendo la dimensione fattiva del vero, ridimensiona le pretese conoscitive del razionalismo di Cartesio che inoltre giudica insufficiente come metodo per la conoscenza della storia umana, che non può essere analizzata solo in astratto, perché essa ha sempre un margine di imprevedibilità. Si serve, però, di quel principio per avanzare in modo originale le sue obiezioni alla filosofia di Cartesio  trionfante in quel periodo. Il cogito di Cartesio infatti potrà darmi certezza della mia esistenza ma questo non vuol dire conoscenza della natura del mio essere. Coscienza non è conoscenza. Avrò coscienza di me ma non conoscenza poiché non ho prodotto il mio essere ma l'ho solo riconosciuto. L'uomo può dubitare se senta, se viva, se sia esteso, e infine in senso assoluto, se sia. A sostegno della sua argomentazione escogita un certo genio ingannatore e maligno. Ma è assolutamente impossibile che uno non sia conscio di pensare, e che da tale coscienza non concluda con certezza che egli è. Pertanto Cartesio svela che il primo vero è questo, Penso dunque sono. --“De antiquissima Italorum sapiential” in “Opere filosofiche,” a cura di Cristofolini (Firenze, Sansoni). Il criterio del metodo di Cartesio dell'evidenza procura dunque una conoscenza chiara e distinta, che però non è scienza se non è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva, dell'essere umano e della natura solo il divino, creatore di entrambi, possiede la verità.  Mentre quindi la mente umana procedendo astrattamente nelle sue costruzioni, come accade per la matematica, la geometria crea una realtà che le appartiene, essendo il risultato del suo operare, giungendo così a una verità sicura, la stessa mente non arriva alle stesse certezze per quelle scienze di cui non può costruire l'oggetto come accade per la meccanica, meno certa della matematica, la fisica meno certa della meccanica, la morale meno certa della fisica. Noi dimostriamo le verità geometriche poiché le facciamo, e se potessimo dimostrare le verità fisiche le potremmo anche fare. I latini diceno che la mente è data, immessa negl’uomini dagli dei. È dunque ragionevole congetturare che gl’autori di queste espressioni abbiano pensato che le idee negl’animi umani siano create e risvegliate dal divino. La mente umana si manifesta pensando, ma è il divino che in me pensa, dunque nel divino conosco la mia propria mente. Il valore di verità che l'uomo ricava dalle scienze e dalle arti, i cui oggetti egli costruisce, è garantito dal fatto che la mente umana, pur nella sua inferiorità, esplica un’attività che appartiene in primo luogo al divino. La mente dell'uomo è anch'essa creatrice nell'atto in cui imita la mente, le idee, del divino, partecipando metafisicamente ad esse. Imitazione e partecipazione alla mente divina avvengono ad opera di quella facoltà che V. chiama “ingegno” che è la facoltà propria del conoscere per cui l'uomo è capace di contemplare e di imitare le cose. L'ingegno è lo strumento principe, e non l'applicazione delle regole del metodo di Cartesio, per il progresso, ad esempio, della fisica che si sviluppa proprio attraverso gl’esperimenti escogitati dall'ingegno secondo il criterio del vero e del fatto.  L'ingegno dimostra, inoltre, i limiti del conoscere umano e la contemporanea presenza della verità divina che si rivela proprio attraverso l'errore. Il divino mai si allontana dalla nostra presenza, neppure quando erriamo, poiché abbracciamo il falso sotto l'aspetto del vero e i mali sotto l'apparenza dei beni. Vediamo le cose finite e ci sentiamo noi stessi finiti, ma ciò dimostra che siamo capaci di pensare l'infinito. Contro la Scessi sostiene che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al sapere metafisico. Il chiarore del vero metafisico è pari a quello della luce, che percepiamo soltanto in relazione ai corpi opachi. Tale è lo splendore del vero metafisico non circoscritto da limiti, né di forma discernibile, poiché è il principio infinito di tutte le forme. Le cose fisiche sono quei corpi opachi, cioè formati e limitati, nei quali vediamo la luce del vero metafisico. Il sapere metafisico non è il sapere in assoluto. Esso è superato dalla matematica e dalle scienze ma, d'altro canto, la metafisica è la fonte di ogni verità, che da lei discende in tutte le altre scienze. Vi è dunque un primo vero, comprensione di tutte le cause, originaria spiegazione causale di tutti gli effetti; esso è infinito e di natura spirituale poiché è antecedente a tutti i corpi e che quindi si identifica con divino. Nel divino sono presenti le forme, simili alle idee platoniche, modelli della creazione divina.  Il primo vero è nel divino, perché il divino è il primo facitore (primus factor); codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le cose; è compiutissimo, poiché mette dinanzi al divino, in quanto li contiene, gli elementi estrinseci e intrinseci delle cose. Se l'uomo non può considerarsi creatore della realtà naturale ma piuttosto di tutte quelle astrazioni che rimandano ad essa come la matematica, la stessa metafisica, vi è tuttavia un'attività creatrice che gli appartiene  questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana. L'uomo è dunque il creatore, attraverso la storia, della civiltà umana. Nella storia, l'uomo verifica il principio del “verum ipsum factum” creando così una scienza nuova che ha un valore di verità come la matematica. Una scienza che ha per oggetto una realtà creata dall'uomo e quindi più vera e, rispetto alle astrazioni matematiche, concreta. La storia rappresenta la scienza delle cose fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa mente umana che ha fatto quelle cose. La definizione dell'uomo, della sua mente non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole ridurre tutto a un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile solo riportandola al suo divenire storico. È assurdo credere, come fa Cartesio o i ne-oplatonici, che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta, sciolta da ogni condizionamento storico. La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero. La filologia osserva l'autorità dell'umano arbitrio onde viene la coscienza del certo. Questa medesima degnità o assioma dimostra aver mancato per metà così i filosofi che non accertarono le loro ragioni con l'autorità de’ filologi, come i filologi che non curarono d'avverare la loro autorità con la ragion dei filosofi. Ma la filologia da sola non basta, si ridurrebbe a una semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla filosofia. Tra filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di complementarità per cui si possa accertare il vero e inverare il certo. Compito della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla ricerca di quei principi costanti che, secondo una concezione per certi versi platonizzante, fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di una legge che ne sia a fondamento com'è per tutte le altre scienze. Poiché questo mondo di nazioni egli è stato fatto dagl’uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gl’uomini; poiché tali cose ne potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d'ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le nazioni. La storia quindi, come tutte le scienze, presenta delle leggi, dei principi universali, di un valore ideale di tipo platonico, che si ripetono costantemente allo stesso modo e che costituiscono il punto di riferimento per la nascita e il mantenimento delle nazioni. Rifarsi alla mente umana per comprendere la storia non è sufficiente. Si vedrà, attraverso il corso degli avvenimenti storici, che la stessa mente dell'uomo è guidata da un principio superiore ad essa che la regola e la indirizza ai suoi fini che vanno al di là o contrastano con quelli che gli uomini si propongono di conseguire; così accade che, mentre l'umanità si dirige al perseguimento di intenti utilitaristici e individuali, si realizzino invece obiettivi di progresso e di giustizia secondo il principio della eterogenesi dei fini. Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni, ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch'essi uomini si avevan proposti. La storia umana in quanto opera creatrice dell'uomo gli appartiene per la conoscenza e per la guida degli eventi storici ma nel medesimo tempo lo stesso uomo è guidato dalla provvidenza che prepone alla storia divina. Secondo V. il metodo storico dove procedere attraverso l'analisi delle lingue dei popoli antichi poiché i parlari volgari debono essere i testimoni più gravi degl’antichi costumi de' popoli che si celebrarono nel tempo ch'essi si formarono le lingue, e quindi tramite lo studio del diritto, che è alla base dello sviluppo storico delle nazioni civili.  Questo metodo ha fatto identificare nella storia una legge fondamentale del suo sviluppo che avviene evolvendosi in tre età:  l'età degli dei, nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gl’auspici e gli oracoli; l'età degl’eroi dove si costituiscono repubbliche aristocratiche; l'età degl’uomini nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana. La storia umana, secondo V., inizia con il diluvio universale, quando gl’uomini, giganti simili a primitivi "bestioni", vivevno vagando nelle foreste in uno stato di completa anarchia. Questa condizione bestiale e conseguenza del peccato originale, attenuata dall'intervento benevolo della provvidenza divina che immise, attraverso la paura dei fulmini, il timore degli dei nelle genti che scosse e destate da un terribile spavento d'una da essi stessi finta e creduta divinità del cielo e di Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove fermi con certe donne, per lo timore dell'appresa divinità, al coverto, con congiungimenti carnali religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero certi figlioli, e così fondarono le famiglie. E con lo star quivi fermi lunga stagione e con le sepolture degli antenati, si ritrovarono aver ivi fondati e divisi i primi domini della terra. L'uscita dallo stato di ferinità quindi avviene:  per la nascita della religione, nata dalla paura e sulla base della quale vengono elaborate le prime leggi del vivere ordinato, per l'istituzione delle nozze che danno stabilità al vivere umano con la formazione della famiglia e per l'uso della sepoltura dei morti, segno della fede nell'immortalità dell'anima che distingue l'uomo dalle bestie. Della prima età sostiene di non poter scrivere molto poiché mancano documenti su cui basarsi. Infatti quei bestioni non conoscevano la scrittura e, poiché erano muti, si esprimevano a segni o con suoni disarticolati. L'età degl’eroi ha inizio dall'accomunarsi di genti che trovavano così reciproco aiuto e sostegno per la sopravvivenza. Sorsero la città guidata dalle prime organizzazioni politiche dei signori, gl’eroi che con la forza e in nome della ragion di stato, conosciuta solo da loro, comandano su i servi che, quando rivendicano i propri diritti, si ritrovarono contro i signori che, organizzati in ordini nobiliari, danno vita allo stato aristo-cratico che caratterizza il secondo periodo della storia umana.  In questa seconda, dove predomina la fantasia, nasce il linguaggio dai caratteri mitici e poetici. Infine, la conquista dei diritti civili da parte dei servi dà luogo alla età degl’uomini e alla formazione del stato popolari (res pubblica) basato sul diritto umano dettato dalla ragione umana tutta spiegata. Sorge quindi uno stato non necessariamente demo-cratico ma che puo essere pure monarchico poiché l'essenziale è che rispetta la ragione naturale, che eguaglia tutti. La legge delle tre età costituisce la storia ideale eterna sopra la quale corrono in tempo le storie di nostra nazione. Il popolo conforma il suo corso storico a questa legge che non è solo delle genti ma anche di ogni singolo uomo che necessariamente si sviluppa passando dal primitivo senso nell'infanzia, alla fantasia nella fanciullezza, e infine alla ragione nell'età adulta. Gl’uomini prima sentono senza avvertire. Dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso. Finalmente riflettono con mente pura. Se nella storia pur tra le violenze, i disordini, appare un ordine e un progressivo sviluppo ciò è dovuto all'azione della provvidenza che immette nell'agire dell'uomo un principio di verità che si presenta in modo diverso nelle tre età. Nella prima età degl’eroi, il vero si presenta come certo gl’uomini che non sanno il vero delle cose procurano d'attenersi al certo, perché non potendo soddisfare l'intelletto con la scienza, almeno la volontà riposi sulla coscienza. Questa certezza non viene all'uomo attraverso una verità rivelata ma da una constatazione di senso comune, condivisa da tutti, per cui vi è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere umano. Vi è poi, nella seconda età della storia e dell'uomo, caratterizzata dalla fantasia, un sapere tutto particolare che V. define poetico. In questa età nasce infatti il linguaggio non ancora razionale ma molto vicino alla poesia che alle cose insensate dà senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra le mani e, trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologica-filosofica ne appruova che gl’uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti. Se vogliamo quindi conoscere la storia del antico popoli romano dobbiamo rifarci ai miti che hanno espresso nella loro cultura. Il mito o la leggenda infatti non è solo una favola e neppure una verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una verità di per sé elaborata dagl’antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, si servano di universali fantastici che, sotto spoglie poetiche, presentano modelli ideali universali. I antichi romani non definano razionalmente la prudenza ma raccontarono di ENEA, modello universale fantastico dell'uomo prudente.  V. si dedica poi a definire la poesia che innanzitutto è autonoma come forma espressiva differente dal linguaggio tradizionale. I tropi della poesia come la metafora, la metonimia, e la sineddoche, sono stati erroneamente ritenuti strumenti estetici di abbellimento del linguaggio razionale di base. Invece, la poesia è una forma espressiva naturale e originaria i cui tropi sono necessari modi di spiegarsi della nazione romana poetica. La poesia ha una funzione rivelativa, custodisce le prime immaginate verità dei primi uomini. La lingua romana non ha quindi un'origine convenzionale. Questo presupporrebbe un uso tecnico. Ma la lingua romana sorge invece spontaneamente come poesia. Poiché il linguaggio e i miti costituiscono la cultura originaria e spontanea di tutto il popolo romano, arriva alla discoverta dell’epica, l'espressione del patrimonio culturale comune di tutto il popolo romano. È comunque da respingere la interpretazione platonica dell’epica come filosofia, -- l’epica e fornita di una sublime sapienza riposte. Farsi intendere da volgo fiero e selvaggio non è certamente opera d'ingegno addomesticato ed incivilito da alcuna filosofia. Né da un animo da alcuna filosofia umanato ed impietosito potrebbe nascer quella truculenza e fierezza di stile, con cui descrive tante, sì varie e sanguinose battaglie, tante sì diverse e tutte in istravaganti guise crudelissima spezie d'ammazzamenti, che particolarmente fanno tutta la sublimità dell'epica romana. La sapienza antica ha per contenuto principi di giustizia e ordine necessari per la formazione di popoli civili. Questi contenuti si esprimono in modi diversi a seconda che siano formati dal senso o dalla fantasia o dalla ragione. Questo vuol dire che la sapienza, la verità, si manfesta in forme diverse storicamente ma che essa come verità eterna è al di sopra della storia che di volta in volta la incarna. La verità della storia è una verità metafisica nella storia. Nella storia si attua la mediazione tra l'agire umano e quello divino:  nel fare umano si manifesta il vero divino e il vero umano si realizza tramite il fare divino: la provvidenza, legge trascendente della storia, che opera attraverso e nonostante il libero arbitrio dell'uomo. Questo non comporta una concezione necessitata del corso della storia poiché è vero che la provvidenza si serve degli strumenti umani, anche i più rozzi e primitivi, per produrre un ordine ma tuttavia questo rimane nelle mani dell'uomo, affidato alla sua libertà. La storia quindi non è determinata come sostengono gli stoici e gl’epicurei che niegano la provvedenza, quelli facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso», ma si sviluppa tenendo conto della libera volontà degli uomini che, come dimostrano i ricorsi, possono anche farla regredire. Gl’uomini prima sentono il necessario; dipoi badano all'utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrapazzar di sostanze. A questa dissoluzione delle nazioni pone rimedio l'intervento della provvidenza che talora non può impedire la regressione nella barbarie, da cui si genererà un nuovo corso storico che ripercorrerà, a un livello superiore, poiché dell'epoca passata è rimasta una sia pur minima eredità, la strada precedente. Paradossalmente la criticità del progresso storico appare proprio con l'età della ragione, quando cioè questa invece dovrebbe assicurare e mantenere l'ordine civile. Accade infatti che la tutela della provvidenza che si è imposta agli uomini nei precedenti due stadi, ora invece deve ricercare il consenso della «ragione tutta spiegata che si sostituisce alla religione: Così ordenando la provvedenza: che non avendosi appresso a fare più per sensi di religione (come si erano fatte innanzi) le azioni virtuose, facesse la filosofia le virtù nella lor idea. La ragione infatti, pur con la filosofia, custode della legge ideale del vivere civile, con il suo libero giudizio, può tuttavia incorrere nell'errore o nello scetticismo per cui si diedero gli stolti dotti a calunniare la verità.  La ragione non crea la verità, poiché non può fare a meno dal senso e dalla fantasia senza le quali appare astratta e vuota. Il fine della storia infatti non è affidato alla sola ragione ma alla sintesi armonica di senso, fantasia e razionalità. La ragione poi è ispirata dalla verità divina per cui la storia è sì opera dell'uomo, ma la mente umana da sola non basta poiché occorre la provvidenza che indichi la verità. La filosofia è succeduta alla religione ma non l'ha sostituita anzi essa deve custodirla. Da tutto ciò che si è in quest'opera ragionato, è da finalmente conchiudersi che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo studio della pietà, e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser saggio. Predicavano la ragione individuale, ed egli le opponeva la tradizione, la voce del genere umano. Gl’uomini popolari, i progressisti di quel tempo, sono CAPUA, DORIA, e CALOPRESO, che stano con le idee nuove, con lo spirito del secolo. Lui e un re-trivo, con tanto di coda, come si direbbe oggi. La coltura europea e la coltura italiana s'incontravano per la prima volta, l'una maestra, l'altra ancella. Resiste. Era vanità di pedante? Era fierezza di grande uomo? Resiste a Cartesio, a Malebranche, a Pascal, i cui pensieri sono lumi sparsi, a Grozio, a Puffendorfio, a Locke, il cui saggio e la metafisica del senso. Resiste, ma li studia più che facessero i novatori. Resiste come chi sente la sua forza e non si lascia sopraffare. Accetta i problemi, combattea le soluzioni, e le cerca per le vie sue, co' suoi metodi e coi suoi studi. E la resistenza della coltura italiana, che non si lascia assorbire, e stava chiusa nel suo passato, ma resistenza del genio, che cercando nel passato trovava il mondo moderno. E il re-trivo che guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Questa e la resistenza di V. E un moderno e si sente e si crede antico, e resistendo allo spirito nuovo, riceveva quello entro di sé. SANCTIS. Fintanto che e in vita la portata e la ricezione critica del suo pensiero sono circoscritte quasi unicamente agl’ambienti intellettuali della propria città, trovando poi un ben più vasto seguito. Affermatasi la fama del pensiero vichiano, esso e conteso dalle più disparate correnti filosofiche: dal pensiero cristiano -- nonostante l'iniziale rifiuto --, dagl’idealisti -- dai quali fu proclamato precursore dell'immanentismo hegeliano --, dai positivisti, e persino da diversi marxisti. V. è ben più di un semplice filosofo tanto che in certi momenti della sua travagliatissima fama e apprezzato prevalentemente per la sua filosofia del diritto, così come in altri momenti e celebrato precursore della sociologia, della psicologia dei popoli, o come campione fra i maggiori della filosofia della storia, mentre venne ignorata la sua pur genialissima metafisica, che è ad un tempo il punto d'arrivo e il presupposto logico di tutte le ricerche da lui condotte nei più vari campi dell'operare umano. Il pensiero vichiano, le cui prime fonti s'ispirano alla tradizione filosofica che permea l'ambiente partenopeo della sua epoca, rappresenta un ponte. Nonostante V. non sia caratterizzato dall'audacia innovatrice illuminista, il suo pensiero raggiunse – come nota ABBAGNANO – alcuni risultati fondamentali che lo connettono a pieno titolo alla riforma. Tuttavia, non può tacersi il carattere conservatore della sua filosofia politico-religiosa, generato dal turbamento di chi, assistendo alla fine di un mondo famigliare, non sa scoprire i segni del sorgere di un nuovo. Ciò è dimostrato dalla giustapposizione del certo – ossia, il peso dell'autorità della tradizione -- al vero – ossia, lo sforzo innovatore della ragione -- che è il segno di una ricerca di equilibrio estranea all’illuminismo. A tali conclusioni il pensiero vichiano e condotto dalla limitatezza della sua gnoseologia e dalla polemica contro Cartesio, il quale professa, al contrario, l'eliminazione di ogni limite gnoseologico. Altri saggi: “VI Orazioni Inaugurali”: “De nostri temporis studiorum ratione”: “Orazione Inaugurale”; “Proemium”; “Risposte al giornale dei letterati Prima risposta”; “Seconda risposta”; “Institutiones oratoriae”; “De universis Juris”; “De universis juris uno principio et fine uno liber unus - include “De opera proloquium”; “De constantia jurisprudentis liber alter”; “ Notae in II libros, alterum De uno universi juris principio et fine uno, alterum De constantia jurisprudentis”; “Scienza nuova prima”; “Vici vindiciae”; “Vita di V. scritta da se medesimo, (l'«Autobiografia» («Supplemento») Scienza nuova seconda, De mente heroica, Scienza nuova terza. Edizioni: Scritti storici, V., Scienza nuova, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V., Scienza nuova seconda. 1, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V., Scienza nuova seconda. Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V., Opere a cura di Nicolini, Laterza, Bari, Orazioni inaugurali, De studiorum rationum, De antiquissima Italorum sapientia, Risposte al giornale dei letterati; Diritto universale, Scienza nuova; Scienza nuova, Autobiografia, Carteggio, Poesie varie; Scritti storici; Scritti vari e pagine disperse; Poesie, Institutiones oratoriae. V., Opere filosofiche a cura di Cristofolini, Firenze, Sansoni. V., Opere giuridiche a cura di Cristofolini, Firenze, Sansoni. V., Institutiones oratoriae, testo critico, versione e commento a cura di Crifò, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa. Il pensiero vichiano rimase quasi del tutto ignorato dalla cultura europea con una diffusione limitata nell'Italia meridionale. Ancora in età romantica V. e poco conosciuto anche se filosofi tedeschi come Herder, chiamato il V. tedesco, e Hegel presentano delle somiglianze con la dottrina vichiana per quanto riguarda il ruolo della storia nello sviluppo della filosofia.  La filosofia di V. comincia ad essere conosciuta e apprezzata nel clima del romanticismo francese e italiano: Chateaubriand e Maistre ma, soprattutto Michelet, “Principes de la philosophie de l'histoire” (Parigi) diffonde il pensiero di V. di cui apprezza la concezione della storia come sintesi di umano e divino. Comte e Marx stimarono la filosofia della storia di V. Ma furono i filosofi italiani, come SERBATTI, e soprattutto GIOBERTI, che videro in lui un maestro. Tommaseo, V. e il suo secolo, rist. Torino mette in evidenza la grande affinità del pensiero vichiano con quello di GIOBERTI. Carlo, “Istituzione Filosofica secondo i Princìpj di V.” (Napoli, Cirillo). Nuove interpretazioni basate sul principio vichiano del verum ipsum factum considerano V. un anticipatore del positivismo. FERRARI, Il genio di V., rist. Carabba, CATTANEO, Sulla 'scienza nuova' di V.” (Milano); CANTONI, “V.” (Torino); Siciliani, “Sul rinnovamento della filosofia positiva in Italia” (Civelli Firenze). Viene rivalutato il legame stringente fra il filosofo e l’illuminismo. Donati, “V., filosofo dell'Illuminismo” (Aracne). Una spinta decisiva all'apprezzamento e alla diffusione del pensiero vichiano come anticipatore di Kant e dell'idealismo, si ha in Italia a cominciare dagli studi di SPAVENTA e SANCTIS iniziatori di quella corrente dottrinale interpretativa che si ritrova soprattutto in CROCE e  GENTILE, Studi vichiani, Messina, rist. Sansoni Firenze che ne mette in luce le ascendenze neo-platoniche e rinascimentali, rifiutandone nel contempo l'interpretazione positivista, e interpretandone il verum ipsum factum in senso idealistico. Una forzatura questa, secondo alcuni critici, ripresa da  CROCE, “La filosofia di Vico” (Laterza, Bari) che ha soprattutto il merito di aver intuito in V. una definizione dell'arte come attività autonoma dello spirito e della visione storicistica dello sviluppo dello spirito da cui CROCE elimina ogni riferimento alla trascendenza della provvidenza vichiana.  Un'accurata ricerca storica su V. e operata dal crociano  Nicolini, “V.” (Laterza, Bari); Nicolini, “La religiosità di V.” (Laterza, Bari); Nicolini, Commento storico alla seconda 'Scienza Nuova (Roma); Nicolini, Saggi vichiani (Giannini, Napoli); Nicolini,  V. nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa” (Osanna Venosa). Contrari all'interpretazione immanentistica della provvidenza vichiana sono gli studi di autori cattolici che ne mettono invece in risalto la trascendenza:  Chiocchietti, La filosofia di V., Vita e Pensiero, Milano, Amerio, Introduzione allo studio di V., SEI, Torino, Bellafiore, “La dottrina della provvidenza in V., Milani, Bologna, A. Mano, “Lo storicismo di V.” (Napoli); Lanza, Saggi di poetica vichiana, Magenta, Varese, Il dibattito tra le interpretazioni laiche e cattoliche su V. si è attenuato in periodi recenti dove lo studio del pensiero vichiano si è dedicato a particolari aspetti della sua dottrina:  Fassò, I «quattro auttori» del V.. Saggio sulla genesi della Scienza nuova” (Milano, Giuffrè), non esistente. Fassò, Vico e Grozio, Napoli, Guida, Serra, Eredità e kenosi tematica della "confessio" cristiana negli scritti autobiografici di V., in Sapientia, sulla concezione della storia ad opera della quale avviene la conciliazione tra immanenza e trascendenza del pensiero vichiano:  Caponigri, Tempo e idea, Pàtron, Bologna, sulla estetica vichiana gli studi più notevoli sono quelli di Bianca, Il concetto di poesia in V.,  D'Anna, Messina, Prestipino, "La teoria del mito e la modernità di Vico", Annali della facoltà di Palermo, sugl’aspetti giuridici e sociologici: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V. e Malebranche, Firenze,  Donati, Nuovi studi sulla filosofia civile (Firenze); Bellafiore, Il diritto naturale (Milano); Pasini, Diritto, società e stato in V., Jovene, Napoli, Giannantonio, "Oltre V. - L'identità del passato a Napoli e Milano (Carabba, Lanciano); Leone, [rec. al vol. di] Giannantonio, "Oltre V. - L'identità del passato a Napoli e Milano” (Carabba. Lanciano, in Misure critiche, La Fenice, Salerno, e in "Forum Italicum", Wehle, Sulle vette di una ragione abissale: V. e l'epopea di una 'Scienza Nuova'. In: Battistini e Guaragnella, V. e l'enciclopedia dei saperi. - Lecce: Pensa multimedia (Mneme). Croce, La filosofia di Vico, Bari, Laterza, Consiglia, Napoli, Editoria clandestina e censura ecclesiastica a Napoli, in Rao, Editoria e cultura a Napoli, Napoli: Liguori, Adorno, Gregory, Verra, Storia della filosofia, Laterza, V., La scienza nuova (a cura di Rossi), Biblioteca Universale Rizzoli, V., Ferrari, La scienza nuova (a cura di Rossi), Tip. de' Classici Italiani,  Cioffi ed altri, I filosofi e le idee, Mondadori, Armando, Sanna, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Politica, Enciclopedia Italiana Treccani, Adorno, Gregory, Verra, Storia della filosofia (Laterza); Fassò, Storia della filosofia del diritto (Laterza); Abbagnano, Storia della filosofia (L'Espresso); V., La scienza nuova (Rizzoli); V., Principj di scienza nuova, di V.: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Amico,  Nicolini, V. nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa, Osanna Venosa, V. Autobiografia, ed. Nicolini (Bompiani, Milano); V., La scienza nuova (a cura di Rossi), Rizzoli, Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace (a cura di Fassò), Morano, V., La scienza nuova (Rizzoli); Liccardo, Storia irriverente di eroi, santi e tiranni di Napoli. V. che si era rivolto inutilmente per sovvenzionare la stampa dell'opera prima al cardinale Orsini, poi a Papa Clemente XII, e costretto a vendere un anello per farla pubblicare. V. scrisse in seguito che, in fondo, l'accaduto era stato un bene poiché lo aveva spinto a riscrivere l'opera in maniera più completa. Cfr. Fubini, V. Autobiografia (Torino Einaudi). La prima redazione dell'opera, andata perduta, ha il titolo di Scienza nuova in forma negative.  L'Autobiografia e pubblicata postuma  ampliata con una modifica di V..  RIVISTA DI STUDI CROCIANI, a cura della Società napoletana di storia patria, La fondazione V. voluta da Marotta, presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con sede nella Chiesa di S. Biagio Maggiore, Napoli, si occupa della promozione del pensiero vichiano e della gestione di alcuni siti vichiani come il castello Vargas di Vatolla (Salerno) e la Chiesa di S. Gennaro all'Olmo in Napoli. V., Principi di una scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni, a cura di Ferrari, Società tipografica de' Classici italiani, Milano. Candela, L'unità e la religiosità del pensiero di V., Serafico, Inesatto è altresì che V. terminasse di vivere a più di settantasei anni. Per contrario, manca ai vivi nella notte e a settantacinque anni e sette mesi precisi, in La Letteratura italiana: Storia e testi, V., Ricciardi. La storia di V., su napolit oday. Secondo notizie di stampa diffuse resti della salma di V. sarebbero stati recuperati nei sotterranei della chiesa napoletana. (Vedi: Corriere del Giorno: Ritrovata la salma di V.? I ricercatori vanno cauti Archiviato in Internet Archive. La notizia è stata comunque commentata con prudenza dagl’esperti. La scienza nuova, Biblioteca Universale Rizzoli. Nicolini, V.: saggio biografico (Il Mulino), CROCE, Nuovi saggi. Per una silloge di pensieri di MALVEZZI, Politici e moralisti, ediz. CROCE-CARAMELLA, Bari, Laterza. V. nel perduto De equilibrio corporis animantis espone una concezione secondo cui riponevo la natura delle cose nel moto per il quale, come se fossero sottoposte alla forza di un cuneo, tutte le cose vengono spinte verso il centro del loro stesso moto e, invece, sotto l'azione di una forza contraria, vengono respinte verso l'esterno; e sostenni anche che tutte le cose vivono e muoiono in virtù di sistole e diastole. Secondo un'ipotesi di Croce e Nicolini l'opera e stata concepita come appendice al “Liber Physicus” ed e donata in forma manoscritta al suo grande amico, Aulisio. La trattazione di quella teoria di ispirazione cartesiana e pre-socratica venne poi inserita più ampiamente nella Vita.  Toma, Ecco l'origine delle scienze umane: aspetti retorici di una contesa intorno al De antiquissima italorum sapienti, Bollettino del CENTRO DI STUDI VICHIANI (Roma: Edizioni di storia e letteratura).  Opere, Sansoni, Firenze -- è considerato da alcuni interpreti della sua filosofia come il primo ‘costruttivista’. Infatti, V. sostiene che l'uomo può conoscere solo ciò che può costruire, aggiungendo poi che in effetti solo il divino conosce veramente il mondo, avendolo creato lui stesso. Il mondo quindi è esperienza vissuta e al suo riguardo non vale per gl’uomini alcuna pretesa di verità ontologica. Watzlawick, La realtà inventata (Milano, Feltrinelli)  Per V. la filologia non è solo la scienza del linguaggio ma anche storia, usi e costumi, e religioni dei popoli antichi. L'età degli dei nella quale gl’uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli, che sono le più vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella quale dappertutto essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi rifiutata differenza di superior natura a quella de’ lor plebei. Finalmente, l'età degl’uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana, e perciò vi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente le monarchie, le quali entrambe sono forma di governi umane. V., Scienza Nuova, Idea dell'Opera. La RAGION DI STATO non è naturalmente conosciuta da ogni uomo ma da pochi pratici di governo. Degnità. Sull'immaginazione nei primitivi secondo la filosofia vichiana si veda: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V. e Malebranche, La rivendicazione dell'assoluta autonomia dell'arte e della poesia nei confronti delle altre attività spirituali e uno dei meriti che CROCE riconosce al pensiero vichiano. V. critica tutt'insieme le tre dottrine della poesia come esortatrice e mediatrice di verità intellettuali, come cosa di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza far danno fare a meno. La poesia non è sapienza riposta, non presuppone logica intellettuale, non contiene filosofemi. I filosofi che ritrovano queste cose nella poesia, ve le hanno introdotte essi stessi senza avvedersene. La poesia non è nata per capriccio, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è superflua ed eliminabile, che senza di essa non sorge il pensiero: è la prima operazione della mente umana. CROCE, La filosofia di V. -- qual era quello dei tempi d'Omero. V., Scienza Nuova, Conclusione  Nel senso di pietas, sentimento religioso.  V., La scienza nuova (Biblioteca Universale Rizzoli). CROCE NICOLINI Storicismo Filosofia della storia Filologia. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., su sapere, De Agostini. V., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Battistini, V., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Bertland, La Scienza nuova su letteratura italiana Opere, su biblioteca italiana integrali in più volumi dalla collana  "Scrittori d'Italia" Laterza, Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V., su academia, Firenze, Pellegrino, 'La concezione della storia di V., su centro studi LA RUNA it. CENTRO DI STUDI VICHIANI, su Consiglio nazionale delle ricerche. Fondazione V., su Fondazione gbvico Portale Vico, su giambattist avico. u treccani., in Il contributo italiano alla storia del Pensiero, Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, V., Principj di una scienza nuova di Vico: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Tip. di A. Parenti. Italian philosopher. Grice: “The Italians revere him so much that his emblem is on one of their stamps!”“It would be as having Ryle on one of ours!” Vico: He is so beloved by the Italians “that they made a stamp of him.”Grice. cited by H. P. Grice, “Vico and the origin of language.” Philosopher who founded modern philosophy of history, philosophy of culture, and philosophy of mythology. He was born and lived all his life in or near Naples, where he taught eloquence. The Inquisition was a force in Naples throughout Vico’s lifetime. A turning point in his career was his loss of the concourse for a chair of civil law. Although a disappointment and an injustice, it enabled him to produce his major philosophical work. He was appointed royal historiographer by Charles of Bourbon. Vico’s major work is “La scienza nuova”  completely revised in a second, definitive version. He published three connected works on jurisprudence, under the title Universal Law; one contains a sketch of his conception of a “new science” of the historical life of nations. Vico’s principal works preceding this are On the Study Methods of Our Time, comparing the ancients with the moderns regarding human education, and On the Most Ancient Wisdom of the Italians, attacking the Cartesian conception of metaphysics. His Autobiography inaugurates the conception of modern intellectual autobiography. Basic to Vico’s philosophy is his principle that “the true is the made” “verum ipsum factum”, that what is true is convertible with what is made. This principle is central in his conception of “science” scientia, scienza. A science is possible only for those subjects in which such a conversion is possible. There can be a science of mathematics, since mathematical truths are such because we make them. Analogously, there can be a science of the civil world of the historical life of nations. Since we make the things of the civil world, it is possible for us to have a science of them. As the makers of our own world, like God as the maker who makes by knowing and knows by making, we can have knowledge per caussas through causes, from within. In the natural sciences we can have only conscientia a kind of “consciousness”, not scientia, because things in nature are not made by the knower. Vico’s “new science” is a science of the principles whereby “men make history”; it is also a demonstration of “what providence has wrought in history.” All nations rise and fall in cycles within history corsi e ricorsi in a pattern governed by providence. The world of nations or, in the Augustinian phrase Vico uses, “the great city of the human race,” exhibits a pattern of three ages of “ideal eternal history” storia ideale eterna. Every nation passes through an age of gods when people think in terms of gods, an age of heroes when all virtues and institutions are formed through the personalities of heroes, and an age of humans when all sense of the divine is lost, life becomes luxurious and false, and thought becomes abstract and ineffective; then the cycle must begin again. In the first two ages all life and thought are governed by the primordial power of “imagination” fantasia and the world is ordered through the power of humans to form experience in terms of “imaginative universals” universali fantastici. These two ages are governed by “poetic wisdom” sapienza poetica. At the basis of Vico’s conception of history, society, and knowledge is a conception of mythical thought as the origin of the human world. Fantasia is the original power of the human mind through which the true and the made are converted to create the myths and gods that are at the basis of any cycle of history. MICHELET was the primary supporter of V.’s ideas. He made them the basis of his own philosophy of history. COLERIDGE is the principal disseminator of V.’s views in England. Joyce uses the New Science as a substructure for Finnegans Wake, making plays on V.’s name, beginning with one in Latin in the first sentence: “by a commodius vicus of recirculation.” CROCE revives V.’s philosophical thought, wishing to conceive Vico as the  Hegel. V.’s ideas have been the subject of analysis by such prominent philosophical thinkers as Horkheimer and Berlin, by anthropologists such a Leach, and by literary critics such as Wellek and Read. Refs.: S. N. Hampshire, “Vico,” in The New Yorker. Luigi Speranza, “Vico alla Villa Grice.” H. P. Grice, “Vico and language.” Danesi, Metaphor, and the Origin of Language. Serious scholars of Vico as well as glotto-geneticists will find much of value in this excellent monograph. Vico Studies. A provocative, well-researched argument which might find re-application in philosophy. Theological Book ReviewDANESI returns to Vico to create a persuasive, original account of the evolution and development of the Italian language, one of the deep mysteries of Italians. V.’s reconstruction of the origin of language is described and evaluated in light of Grice’s philosophical conversational pragmatics. Keywords: Vico e la filosofia romana, Vico, VARRONE, storia della linguistica, storia della rhetorica, glotto-genesi, la ricostruzione di V., The New Science Basic Notions. Language and the Imagination: V.’s Glottogenetic Scenario; V.’s Approach; Reconstructing the Primal Scene; After the Primal Scence; the dawn of communication: iconicita e mimesi, hypotheses The Nature of Iconicity. Imagery, Iconicita e gesto. Iconic Representation. Osmosis Hypothesis Ontogenesis From Percept al concetto. The Metaphoricity Metaphor metafora; Metaphor and Concept-Formation Mentation, Narrativity, e mito; the socio-biological-Computationist Viewpoint:A Vichian Critique; The Vichian Scenario Revisited; Revisting the Genetic Perspective; computationism. Giovanni Battista Vico. Giambattista Vico. Keywords: Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Vico e Grice,” Villa Grice, for H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

Grice e Vieri: la ragione conversazionale della filiale fiorentina dell’accademia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze) Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Di famiglia nobile. Insegna a Pisa. Dell’ACCADEMIA, molto attivo. E contestato dai colleghi per il suo vagheggiare un nuovo circolo dei filosofi dell’Accademia, improntato su PICO. Suo principale avversario e BORRI. Saggi: “Liber in quo a calumniis detractorum PHILOSOPHIA defenditur et eius praestantia demonstrator” (Roma). Grice: “The term ‘accademia’ is mostly misused, as in The British Accademy – strictly, it is Hekademos, and so, anything connected with Plato, as in V.’s case! But V. is what I call a co-philosopher. Without BORRI, or PICO, no V. – and his essay on his ‘demonstration’ of the excellence of philosophy against her detractors is hardly a best-seller!” Crusca. LEZZIO n e   DI    M.    FRANCESCO   DE'  VIERI  FIORENTINO,   detto  il  Verino  Secondo   Per  recitarla  netf ^4 ce ademi a  Fiorentina  ,   nel  Confo! afe  di  M.  Federigo  StxoYz}  l'anno  1580.   DOVE  SI  RAGIONA  DELLE  IDEE,  Et   Delle   Bellezze.   Dedicdtd  all' illu fri (?  ty  Eccellenti^,  signor  Conte  V  L 1  s  S  E  Bcntitiogli .    IN    FIORENZA,  Appretto  Giorgio  Marcfcottt  1  5  8  1.   Con  licenzi  di*  ì»*trÌ4ri .    ALL'ILLVSTRISSIMO,   ET  ECCELLENTISS.   Signore,   llSì?.  [onte  OLISSE  Hmmglì   Mto  Sig.oJJeruandifìmo     L  desiderio  mio  era  in  quella  itate  con  leg-  gere di  nuouo  all'Ac-  cademia di  Firenze  fa  tisfare  in  qualche  par-  te a  molti  &  molti  obIighi,che  io  ten-  go con  il  Magnifico  &  prudentifTimo  Signor  Confblo ,  &  con  il  letteratifli-  mo,  &  graziofiflìmo  fuo  fratello  M.  Giouambatilfca  Strozzi  ;  &  in  oltre    il  mio  difeorfo  era  da  querti,&  da  mol  ti  altri  così  intendenti ,  come  gentili  {piriti  approuato ,  &  giudicato  degno  di  cflere  vdito  &  Ietto  da  grandi,  &  da  A     2        no-    nobili ,  mandarlo  in  luce  Cotto  il  pre-  giato nome  di  V.Ecc.Ill.  la  quale  (per  quello ,  che  mi  ha  riferito  M.Aleffan-  dro  Catani ,  huomo  così  amatore  del  vero,  come  eccellenti^,  nell'arte  della  Medicina)  non  meno  è  fèmpre  difpo-  ila  a  difendere^  fauorire  le  lettere,&  le  virtù,  &  i  loro  profeflbri ,  che  ella  fi  fia  nata  nobiIe,Sc  con  nobiliffime  per-  fbnedi  nuouo  congiunta,  quello  dico  era  tutto  il  difideno  mio  Uluftrifs.  &c  Eccellentifs.  mio  Signore  :  ma  l'infer-  miti mia,  &  alcuni  negozi]  di  grandif  lima  importanza,  m'hanno  in  guifa  impedito ,  che  non  (blamente  io  non  ho  potuta  leggere  quella  mia  Lezzio-  ne,ma  ne  pure  nuederla,&ripulirla,&  nondimeno  io  non  poffo,  ne  debbo  mancare  di  tetitiare  m  qualche  modo  a  eentiliffimi  Strozzi,  &  alli  altri  gen-  cihfii'mi  fpintij&  quella  mia  fatica  di*   fiderà    fiderà  la  protezzione  di  V.Ecc.III.ElIa  dunque  l'accetti  con  pronto ,  &c  grato  animo,  come  io  prontamente,  &  con  ardentifsimo  difìderio  gnene  offero,  e  raccomando,&  come  io  fpero,  cKe  el-  la fia  per  fare .  Le  bacio  le  mani ,  &c  le  difidero  da  Dio  non  meno  ogni  felice  contento ,  che  io  mi  difideri ,  che  ella  tenga  memoria  di  me,  &  di  chiunque  rama,&:  la  nuerifce  delli  amatori  delle  virtù,  &c  delle  lettere,  fènza  le  quali  il  mondo  altro  non  {àrebbe,che  vn  foi  tifsimo  bofco  di  tenebre  per  Tignoran  za,&  vnafèlua  (pauenteuole,  &c  brut-  ta ,  mercè  di  vna  infinita  di  vizij ,  che  ci    ritrouerrebbero .   Dt  V*e.  I.&* molto  Mag,  &  gentile   Senatore  afFezzionatifsimo   Francefco  de  V ieri  detti  il  ferino  Secondo  %    1]V  qual  parte  del  del,  in  qualided  Lra  l  e f empio ,  onde  natura  tot    Quel  bel  Info  leggiadra  :  in  ch'ella  ^rolfe  Afoffrar  quaggiù  ,  quanto  la  sùpotea  ?  Qual  Ninfa  in  fonti ,  mfelue  mai  qual  Dee  chiome  d'oro  fi  fino  jc  Laura fctolfe  :  Quand'^n  cor  tante  in    lurtute  accolfe  f  Benché  lafomma  e  di  mia  morte  rea  ?  Per  diurna  bellezza  m  damo  mira  f   chi  gli  occhi  di  cosieigiamai  non  ~>tde.  Come  foauemente  ellagligira  ,  iVon  sa  come  ^morfana,  cr  come  ancide  ;  chi  non  sa  come  dolce  ella  filtra  0  M  orni  dolce  farla  ,  e  dolce  ride*    LE  ZZI  O  NE   DI  M.  FRANCESCO  DE'  VIERI»   detto  il  Verino  Secondo:   Votte  fi  ragiona  delle  Idee ,  &  delle  'Bellezza .    IL  PROEMIÒ.   É  quefto    honorato  luogo,nel  qua  le  lòno  ftati  per  tanti  &  tanti  anni  infiniti  [piriti  gentili ,  &  vi  hanno  Magnifico  Sig.Confolo,&  nobili^  fimi  Accademici,  &  Vditori,  con  i  loro  leggiadriflìmi  dilcorfi  con  no  minore  contentezza,  che  con  iftu-  pore  trattenuti. Se  quefto  luogo  di  co  è  ordinato  prima  dalla  feliciflì-  ma  memoria  del  prudentiflìmo,  &  magnanimo  Gran  Du  cail  G.D.Cofimo  de'  Medici ,  &  poi  mantenuto  dal  Se-  rcniflìmo  G.D.  Francefco  luo  figliuolo  a  quefto  fine  lòia  mente,che  molti  con  la  diligenza  del  dire  bene,&  co  or-  namento di  parole  diuenghino  ottimi  ambafeiadori ,  &  gentilifiìmi  poeti,  a  vtilita,  grandezza,  &  diletto  di  que-  fìi  ftati  &  di  loro  S.  A.  come  alcuni  fi  penfano  ;  al  Filolo-  go dunque,  il  quale  più  della  verità  delle  cole  fpecolabi-  li ,  &deli'az7Ìonihumanetien  conto  ,  che  del  graziolo  ragionamento,  non  apparterrà  falire  in  quefto  fteflb  luo-  go :  ma  fi  bene  à  quelli,i  quali  fanno  profeflìone  di  Ora-  tori ,  &  di  Poeti .  Se  più  oltre  l'Accademia  fia  ancora  inftituitai  fine  che  in  quefta  lingua  fi  eiprima  da  ogni  perfona  letterata  ogni  maniera  di  concetto^  onde  fi  gioui   A    4        à    8         Lezzione   a  quelli,  i  quali  non  hanno  potuto  con  altra  lingua  intcB  dere  £liarnhzij  degli  Oratori,  &  de  Poeti,  &  gli  alti  co  certi  Filolòfici .  quelli  Ioli  deono  qui  l'altre  de  letterari ,  &  de  Filoiolantiji  quali  da  ogni  altro  penfiero  hf.no  l'ani  mo  libero,  &  nonio,prudemiflìir:i,&  giudiziofìrTimi  Ac  cademici  Se  Vditori ,  il  quale  negli  ftudij  di  Ariitotele,  &  di  Platone  iòno  tutto  occupato  à  publica  vtilità  &  nel  la  cura  ditanta  mia  famiglia,  ricercandoli  alla  fpècola-  zione  delle  cole  ,  &  al  dire  acconciamente  ozio,  &  tran-  quillità d'animo,  con  tutto  ciò  io  fon  tanto  obliato  al  Magnifico  Sig.  Confolo ,  &  à  M.  Giouambatiitaiuo  fra-  tello, che  io  non  ho  potuto  mancare  di  non  nlalire  dopo  molti  &  molti  anni  in  quello  cosi  degno  luogo  per  fatis-  fare  per  quanto  io  potrò  a  loro  Signorie, &  a  voi  altri  no-  rbili:ìimi,&  gentikiliiru  Accademici, &  Vditori>&  perche  io  non  pollo  piacerai  con  la  grazia  del  dire  per  non  ne  fa  re  io  proiezione,  ne  con  la  fufHzienza  della  dottrina  per  le  molte  Se  molte  occupa/ ioni, &  perturbazioni,  ho  pen-  iamo di  compiacerui  con  la  nobiltà, &  grandezza  del  log-  getto,  del  quale  io  ragionerò,che  tiranno  l'Idee  delle  co  le,  che  (I  contengono  nella  mente  di  Dio,  &  le  grazie,  &  le  bellezze  di  M.  Laura  :  onde  infìeme  s'harà  più  prò  fon  da,  &  più  chiara  intelligenza  di  quel  dottiiìirno  ,  &  gra-  2 iofilfimo Sonetto  del  noiiro  M  .  Francefco  Petrarca,  il  cui  principio  e  queito  .      in  qualparte del  Cielo,  in  qual  idea  0J  Era  l'esempio  ,  onde  natura  tolfe  0,  Quel  bel  yifo  leggiadro  :  in  cWella  x>lfe  3J  MoFtrar  quaggiù ,  quanto  lifiùpotea  t  Preconi  Magnanimo  Sig.  Cordolo ,  &  voi  nobili/Timi  Accademici  &  Vditori ,  che  vi  degnate  predarmi  grata  ydienza  più  perche  cosi  conuiene  alla  dignità  del  iogget  to,che  ènobilifiìmo,&:alloiplendore  dell  animo  volito,  che  è  di  gradire  le  cole  alte  &  diuine,  che  per  alcuna  mia  iurfizienza  di  dottrina,  &  che  per  alcuna  mia  grazia  di  parole     Pi»    Del  Verino.        9   Per  precedere  con  più  facilità, &  con  più  ordinc,io  «Huiderò  tutto  quello  mio  ragionamento  in  tre  parti;  nel  la  nrima  delle  quali  fi  disputerà  ,  &  determinerà  delle  Idee, poiché  in  quello  Sonetto  il  Poeta  cene    occafio-  nemeila  feconda  per  la  medefima  ragione  decorrerò  del  le  bellerze  di  M.  Laura  ;  quanto  pero  fa  all'intelligenza  di  quello  Sonetto  ;  nella  terza  &  vltima  (  urline  che  tut-  to quello,  che  da  me  fi  farà  detto  delle  Idee,&  deila  bel-  lezza di  queib  donna  fi  conofea  elfere,  non  folo  di  pare-  re de'  più  gran  Filolòfi,  quali  fono  flati  Platone  ,  &  Ari-  stotile :  ma  ancora  di  eiYo  M.Francefco  Petrarcaa  del  qua  le  voi  fiate  cotanto  ftudiofi,  &  il  quale  cotanto  vi  e  grato  quanto  ei  merita  per  il  ilio  graziofiiìimo  poema  di  eifere  letto  &  vdito  )  10  efporrò  alcune  parole  deltcfìo,&  mo-  flrerrò  l'arti^  io,  che  quefto  Poetatiene  in  ragionare  deH'Ic[ee,&  della  bellezza  della  (uà  donna,  &  muouerò,  &  feiorrò  alcune  dubita'/ ioni .  col  faucre  dunque  di  co-  lui; il  quale  è  la  vera  iàpicn:?a,&  la  prima  verità  darò  ho-  ra  mai  principio  à  quanto  io  ho  propoflo  di  dire  .   Intorno  al  primo  punto  deiridee,toccheròbre*  «ementc  tre  capi,  il  primo  farà  lo  efporre  con  efempi  quello, che  fi  unifichino  qtieiìe  voci  Idee,  efempi,  fpezie,  &  vnmerfali ,  che  precedono  la  moltitudine  de  partico-  lari .  il  fiondo  le    danno  l'Idee,  ò  nò;  poiché  Arifloti-  le  in  tanti  luoghi  cerca  di  leuarle  via  ,  &  Platone  le  con-  cerìe quafi  in  ogni  libro  delle  lue  opere,  &  queito  noiiro  Poeca.  lMtimo  capo  farà  di  quante  &  quali  cole  fi  ritro-  uinoi'jdee:  da  quali  tre  punti  farà  facil  cola  raccorrc  quelle  ch'elle  fi  Mano.   Quanto  al ^r imo  la  cognizione  d'vna  cofa  in  quanto  ella  Terne  per  immagine  e  farne  vn'altra,  ò  à  giudicare    è  ben  tarta;&  ad  intenderla  à  punto,  fi  domanda  elèmpio  &  modello  &  Idea,come  quel  ritratto, che  ha  nella  men-  te vn'irtcfice  d'vno  artihzioio,  e  mirabile  palagio  glifer  ne  à  Hrne  cosi  bene  vno,  &  molti  &  molti  :  &  à  giudica-  re i  hUXi  ic  iòno  con  tutte  le  regole  dell'  arte  fabbricati  ò   nò,    io       Lezzione   nò ,  &  quanto  e'  vi  fi  accollino  :  quefti  medcfimi  efèmpl  in  quanto  e1  rapprefentono  le  forme,  che  danno  lo  effcre  fpeziale  al  foggetto,nel  quale  le  fi  riceuono,  come  le  for  me  nella  materia  fenfibile  &  corporale  fi  chiamano  fpe*  zie  &  forme  .  quefti  fteiTì  modelli ,  &  quefte  fteffe  noti*  zie  delle  colè  in  quato  le  Tono  vniuerfàli  di  più  cofe  par  ticolari,&  di  nature  vniuerfàli,  che  ne  particolari  fi  ritro  nano,  &  fono  come  cagioni  di  quefte  precedédole  di  pre  cedenza  di  natura,come  dell'eterne  fecondo  i  Filofofi,  ò  ancora  di  tempo ,  come  delle  cofe  temporali ,  &  nuoue»  anzi  l'Idee  ,  &  di  precedenza  di  natura ,  &  di  tempo  fon  prima  di  qua!  fi  voglia  creatura,  attefo  che  quelle  fon  sé-  piterne,&  ciò  che  è  fuori  della  diuina  effenza  di  buono  è  flato  creato  di  nuouo  quado  cominciò  iltempo,&  in  que  ila  maniera  le  fi  domadono  da  Greci  vniuerfàli  innanzi  a  molti  particolari ,  come  il  modello  nell'animo  dello  Scultore  d' vna  ftatua,  ad  efempio  del  qual  ritratto  molte  &  molte  fimiglianti  ftatue  fi  poflbn  fare .  E  ben  vero,che  il  modello  delh artefici,  ò  vero  Idea ,  &  quello ,  che  da  Platone,&  da  Ariftotile  fi  concede  in  Dio,  &  in  vn  certo  modo  ancora  nel  Cielo,  fono  tra  loro  differenti;  perche  l'Idea  dello  artefice  è  prima  prela  dalle  cofe  ben  fatte  da  altri,  come  ancoraridea,&  l'immagine,  che  riluce  nello  specchio  ,  mercè  della  cofa ,  che  glie  dauanti .  ma  l'ldea>  che  è  in  Dio  &  nel  Ciclo  precede  alle  cofe,&  è  caulà  del  le  cofe,che  d  fanno:  dipoi  l'ldea,che  è  nello  arteficemon  è  fempiterna  non  durando  fempre  l'artefice  ,  ma  fi  bene  quella ,  che  é  in  Dio  &  nel  Cielo  foftanze  incorrottibili  éc  eterne .  finalmente  l'Idea,  ò  notizia  ,  che  ha  l'artefice  «Iella  cofa  ha  due  modi  d'eflère,vno  vniuerfale  nell'ime!  letto  poffibile ,  &  l'altro  particolare  nel  fènfo  di  dentro  :  il  Pittore  efempigrazia  ha  nell'intelletto  l'Idea  in  vni-  uerlàle  di  donna  graziofiflima ,  &  nella  fantafia  di  riele-  tta ,  di  Laura ,  ò  di  qualche  altra  limile  :  il  Filofofo  natu-  rale ha  qucfto  concetto  dell'Intorno  nell'intelletto  ,  che  fa  animale  ragioneuole  &  mortale  quanto  al  corpo,  &  lo   info    Del  Verino.        m   Inferiori  potenze,  &  immortale  quanto  alta  mente,©  ve-  ro ragione  ,  &  nel  fenfo  di  dentro  ,  quando  epji  applica  quefto  concetto  à  Socrate,ò  a  Platone ,  ò  à  qualcun'uitro  particolare  :  come    caua  da  Ariftotile  nel  terzo  dell'ani  ma ,  &  nel  principio  del  primo  libro  dell'aite  del  dimo-  ftrare. fecondo  l'ordine  di  natura  le  notme  vniueriàli  precedono  le  particolarità  fecondo  l'ordine  dei  noftro  imparare  fi  fono  ritrouate  l'arti,  Se  le  fcicn7C  dalla  cogni-  zione de'  particolari  di  qui  peruenendo  alla  cognizione  vniuerfale  :  come  c'infegna  il  Filolòfo  nel  primo  libro  della  Metafifica,  ò  vero    può  dire,che  i  concetti  vniuer-  Tali  precedono  i  particolari  in  chi  impara  l'artì,&  le  feien  re  da  altri, che  di  elfe  è  perito,&  f ciéziato:  &  poi  gli  efpe  rimenta  nelle  cofe  particolari ,  le  quali  formano  di  loro  fteife  ne'  (enfi  i  particolari  concetti  :  Ma  rifpcrto  àgli  in-  uentori  dell'arti ,  &  delle  feienze  ,  prima  nafeono  i  con*  certi  particolari  ne'  fenfi ,  che  gli  apprendono  dalle  cole  come  particolari ,  poi  fene  fanno  gli  vniuerfali  per  opera  dell'intelletto  agente,  i  quali  rapprefentano  le  nature  vni  uerlali,  che  ne*  particolari  fono  nafeofte.  Ma  ritornando  alla  terza  differenza,  che  ètra l'Idee,che  lono  in  Dio,  &  quelle,  che  fono  nell'animo  delli  artefici ,  &  de*  Filofofi,  &  delli  feienziati  :  quelle  hanno  in  Dio  vn  modo  di  effe-  re,che  non  è  ne  vniuerfale  ne  (ingoiare,  come  in  noi, non  vniuerfale,perche  con  la  notizia  vniuerlale  delle  colè  ftà  l'ignoranza  de'  particolari .  può  efempigrazia  {tare  ch'io  fappia  vniuerlàlmente,  che  ognuno  degli  huomini  è  atto  a  ridere,  &  infierire  non  fappia  di  quelli,  che  fono  lonta-  ni come  in  Francia,  ò  in  Ilpagna ,  ò  al  Perù  ,  ò  altroue    fono  atti  à  ridere,  perche  io  non  so    fonohuomini  non  gli  hauendo  mai  veduti ,  ne  vditi ,  come  bene  dice  ancora  Ariftotile  nel  primo  capo  dell'arte  del  moftrare;  ma  in  Dio  non  é  lecito  porre  ignoranza ,  ò  imperfezzio-  tie  alcuna,  non  vi  fono  ancora  i  concetti  particolari  :  per-  che quefti  fono  del  Iònio ,  che  e  virtù  materiale ,  &  cor-  ruttibile ,  &  egli  è  immateriale  &  eterno  j  come  confck   fon*    1 2         LE   Z   Z   1    O    N   E   fono  1  nolln  Theologi ,  &  come  fi  di  morirà  dal  Filofofo  nell'ottauo  de"  principi) .  reità  dunque  cheridec,&  con  certi  delle  colè  (lana  in  Dio  in  vn  terzo  modo  più  perret  to,  &  tanto  eccellente,  che  in  noi,che  dall'intelletto  no-  terò non  fi  può  comprendere  ,  ne  con  voce  alcuna  efpli-  care  ad  altri:    noi  potcffimo  intendere  come  Dio  in-  tenda le  cole,  l'intelletto  noftro  farebbe  di  tanta  perfez-  ione di  quanta  è  l'intelletto  di  Dio,  come  beniflìmo  dif    il  gran  Comentatore  Auerroe  nelle  lue  difputazioni  contro  ad  Algazcle  :  (blamente  fi  può  dare  ad  intendere  ofciramente  con  alcuni  efempi ,  vno  de  quali  è  queilojfe  il  fuoco  ,  che  è  caldo  fecondo  i  Filolorì  naturali  in  otto  gradi  i\  intenderle ,  intenderebbe  inficine    clfere  parti-  cipato  fecondo  tutti  quelli  otto  gradi  da  chi  fecondo  vn  grado  folojcomc  l'acqua  tiepida,  da  chi  fecondo  due  gra  di,&  cosi  decorrendo  :  Cosi  Dio  intendendo  fé,  intende  ancora  che  la  (ùa  natura  è  partecipata  da  tutte  le  creatu-  re^ più  &  meno,  come  confeflbno  le  cole  ftelfe,  &  Ari-  stotile nel  prime  del  Cielo  al  1. 1 00.&  Dante  Aldighieri  nel  principio  del  primo  canto  del  Paradifo  cosi  dicédo       La  gloria  di  colu'h  che  tutto  mttoue,       Ver  l\nit*erfo  penetra  &  njhlende   it  In  >na  parte  più,  armeno  altrove.  Et  quefto  è Tefempio  del  gran  Comentatore  Auerroe.  Tn'altro  efempio  e  de'  Greci .  quelli  volendo  farci  com»  prendere ,  come  Dio  ,  il  quale  e  vna  natura  intellettuale  indiuifibile  intenda  infieme  le  cofe  fimilmente  indiuifi-  bili,come  lòn  gli  Angioli,  Si  le  diuilìbili  &  corporali,  co-  me fono  1  corpi  celeih  ,  &  tutte  l'altre  di  quaggiù  ,  fuori  che  l'huomo  >  Se  cflò  huomo  ancora  che  delfvna,  &  del-  l'altra natura  participa,  per  vn  mei/.o  iòio,  che  e' la  ileifo  natura  lua  impartitale ,  ci  danno  lo  elèni  pio  del  punto  di  mezzo  del  cerchio,  il  quale  è  vaio  &  indiuifibile,  &  da  ef  io  denuano  infinite  linee,  &  infiniti  punti ,  che  le  termi-  nano .  Se  quello  punto  ò  vero  centro  fulfc  vna  natura  in*  tcUcuuaie,&  fi  ia:eiideiTe,mtcadereubc  fimUmente  le  ef   ter    Del  Verino.        15   fer  caufà  di  tutte  le  lince,  che  da  elio  deriuano,&  de  pun  ti  che  le  terminano  :  cosi  Dio  a  guifa  di  quello  punto  in-  tendendo fc  ftefio,  donde  deriuano  tutte  le  creature  così  diuifibili  come  indiuifibili,&  noi  iteflì,  che  partici  piamo  della  condizione  &  di  quefre  &  di  quelle,tutte  le  inten-  de &  conolce  ,  &  cosi  noi  fteiTì  ;  è  ben  vero,  che  il  punto  è  con  la  quantità,  &  hi  fito,  ma  Dio  è  foftanza  &  lepara-  to  dal  (ito  &  da  luogo,(e  bene  e  per  tutto  come  fino  a  più  eccellenti  Filoiòh"  confeflono  come  prima  vnità  ,  donde  è  nata  ogni  moltitudine,  &  quefto  fi  caua  da  Platone  nel  Par.  come  prima  forma,  vltimo  fine  ,  &  primo  principio  produmuo  del  tutto, e  tutto  quello  ancora  ccnfefta  il  me  defimo  Fiìofofo,  parte  nel  Timeo  ,  &  parte  nelle  lue  let-  cere,&  A riftotelc  ancora  nel  primo  del  Cielo,  nell'otta-  110  de'  principij,S:  nel  1 2  della  Metafifìca  j  ancora  Dio  è  per  tutto  come  ottimo    dell'Vnii.erfo  ,  il  quale  regge  &  gouerna  col  marauielioio  ordine  ,  che  egli  ha  di  tutte  le  cole  dentro  di    .  Et  qui  èdaauuertire,  che  le  bene  Dio  fi  aììbmiglia  al  punto  del  circulo  ,  donde  deriuano  tutte  le  creature  vgualmenre  &  immediatamente:  non  pero  tutte  lono  di  vguaie  bontà, &  perfettione  dotate, ma  quali  più  &  quali  meno  ne  participano  ,  affine  che  fra  lo-  ro fufle  cosi  marauigliolo  ordine,  che  fa  allo  ctfere,&  al-  la bellezza  dell' Vniuer(o,&  iteftimonianza  dellaDiui-  na  Sapienza,  l'vfizio  della  quale  è  dare  ordine,  &  mifura  a  tutte  le  cole ,  &  ferue  per  il  cala  ad  alzare  con  la  cogni-  zione il  noftro  intelletto  di  grado  in  grado  fino  a  quelli,  il  quale  e  l'alta  cagion  prima, &  cosi  co  l'amore .  dal  qual  amore  ,  ne  furge  in  noi  ogni  atto  piufto  &  retto  concor-  rendoci però  la  Diuina  grazia  infieme  con  la  fede  con  la  Speranza  &  con  la  carità, &  con  l'altre  virtù,  &  doni  :  cosi  ancora  non  efiendo tutte  le  creature  vgualmente  buone,  non  fono  ancora  con  vguaie  amore  in  vn  certo  modo  a-  mate,  &  dico  in  vn  certo  modo  :  perche  quanto  allo  atto  dell'amare. cosi  come  Dio  èin£nito,così  co  infinito  amo»  re  tutte  l'ama:  ma  quato  a  beni  che  vuole  &  che    à  eia-  fami    14       Lezzione   fcuna  non  già  ;  ma  à  qual  più  ,  &  a  qual  meno  ò  men  de-  gni :  fecondo  che  le  cóuiene  loro,&  parlando  degli  huo-  mini  giufti,&  che    faluano,qucfti  nell'altra  vita  tutti  fa-  ranno felici  &  beati  in  Dio,  tra  gli  Angioli ,  &  in  fempi-  terno ,  ma  non  con  vgtial  mifura  intenderanno ,  &  gode-  ranno la  Diuina  Verità, &  Bontà,  ma  quegli  più  ,  che  più  di  qua  haranno  offeruato  ifuoi  fanti  comandamenti  con  fauore  della  grazia  &  quegli  meno,che  meno,come  fi  co  uiene  alla  Diuina  giuftitia,  &  quefte  fono  quei  molti  luo  ghi  ò>  molte  manfìoni ,  che  fono  nella  cafa  del  celcfte  pa-  3re,come  dirle  il  vero  Maeftro  della  verità  Chrifto  Gie-  «ù  infìeme  Dio  &  huomo  ,  &  quello  ci  lignificò  Paulo  Apoftolo  quando  ei  diflc ,  che  fi  come  le  ftelle  in  cielo  fon  differenti  di  chiarezza,  &  di  fplendore,  cosi  faranno  i  giufti  in  cielo .   Più  oltre  ancora  è  da  fàpere,che  tutte  le  creature  qua-  tto furon  prodotte  per  creatione  di  niente  ,  furon  fatte  da  Dio  folo ,  &  immediate  :  ma  poi  quelle  di  quaggiù  fi  conferuano  per  fuccefTione  di  nuoui  particolari,  concor-  rendoci ancora  i  cieli,&  le  cagioni  di  quaggiù,  perche  la  D.Bontà,come  ha  farte  partecipi  le  creature  del  bene,  &  dello  edere,  così  ha  volfuto,  che  ancora  elle  habbmo  vir-  tù di  dare  lo  eflere,&  qualche  perfezzione  ad  altri ,  per-  che ci  feopriffe  il  fuo  amore  &  i  fuoi  tanti  benefizij,6^fuf  fimo  tanto  più  tenuti  di  amarlo,  &  di  riuerirlo  fòpra  ogni  altra  poteftà  :  potrebbe  Dio  egli  folo  produrre  ogni  di  delle  creature ,  &  conlèruar  le  fpezie  lènza  l'aiuto  delle  caule  feconde  ,  come  ci  le  creò  ;  ma  per  le  cagioni  dette  non  volle:  ne  per  quefto  alcuna  mutazione  ònouitàfì  pone  in  Dio:  perche  egli  le  creò  quando  ab  eterno  ei  propofè  di  crearle,c  cosiauuerrebbe  fè'ne  creafle  di  nuo  uo,&  come  accade  dell'anime  humane.  Platonc,&  Ari-  stotile pongano  la  creazione  deH'Vniueriò ,  ma  ab  eter-  no, come  Simplicio  &  San  Tommafò  attribuirono  loro;  &  come  è  forza  di  dire  volendo  parlare  conforme  ad  al-  luce loro  autorità,  come  altrouc  io  ho  dimoftro.il  terz»    Del  Verino^        19   &  vltìmo  efempio  è  de*  Latini,  i  quali  hano  voluto  efpor  ci  l'vnità  dell'Idea  ,  &  la  fomma  Tua  eccellenza  inficme,  &  il  loro  efempio  è  d'vno  feudo  d'oro  ,  &  di  vna  gioia  di  grà  valutarquefto  fcudo,poniamo  per  cafò,  vale  cèto  era  zie  ,  &  la  ^ioia  vn  milione  di  feudi,    quefto  feudo  s'in-  tenderle intenderebbe  infìeme    valere  cento  crazic  :  &  così  le  intenderebbe  per  mezzo  della  fua  natura ,  &  non  per  concetti  di  argento, &  di  crazie:  così    la  gioia    co-  nofcefle,conof  cerebbe  quel  milione  di  feudi:  ma  non  per  la  natura  dell'oro,ò  dell'argéto,ne  per  la  figura  delli  leu*  di,ò  delle  crazie,ò  d'altra  moneta  .  Iddio  è  vno  feudo  ò  vna  gioia*  che  racchiude  in    lo  eflere,&  la  perfezzione  di  tutte  le  creature  ,  &  più  in  infinito  ,  ma  fotto  natura  di  Deità,  &  così  le  intende  ,  &  cosi  in  vn  modo  quanto  allo  effere  di  infinità ,  quanto  allo  intelletto  creato  è  incom-  prenfibile  ,  &  quanto  al  fignificarlo  ad  altri  è  ineffabile:  perche  come  fi  può  dare  ad  intédere  ad  altri  quello  ,  che  per  noi  non  polliamo  capire,  &  quello,  che  è  infinito  co-  me infinito  è  incomprenfibile  dall'intelletto  creato, &  fi-  nito,&  Dio  poiché  produce  ogni  cofa  di  niente  (  cosi  co  me  infinita  è  la  proporzione  tra  il  niente,  &  quello  ,  ch«  è  attualmente  )  cosi  è  d'infinita  poteftà ,  non  folo  quanto  al  durar  fempre  :  ma  ancora  in  vigore  .   Sino  a  qui  penfcrò  ,  che  da  voi  gentiliflìmi  (piriti  fi  fia  intelo  benifs. quello,  che  fignifìchino  qfte  voci  Idea,  vni-  ucrfale  innanzi  a  molti  particolari, &  eséplari,fegue  hora  che  io  vi  proui  breuemente,  che  l'Idee,  &  efemplari  del  le  cofe  fiano  nella  mente  di  Dio;  la  qual  verità  non  io-  lamente  è  confefTata  da  noftri  Theologi,che  non  poflbno  errare  cauandola  dalle  diurne  fcritture,  doue  fi  dice,  che  Dio  è  {àpientiiTimo,ottimo,omnipotentiffimo,  &  che  in-  tende fino  i  lègreti  del  cuore  :  ma  ancora  fi  concede  da  Platone,  &  da  Ariftotile  Principi  dellhumana  fapienza*  Platone  nel  Parmenide  pone  nell'vno,&  nel  primo  ente  l'Idee,  le  quali  participate  &  imitate,  fono  cagioni  dello  cflerc  y  &  delia  moltitudine  delle  cole  :  nel  Timeo  pon*   due.          Lezzi  "one   due  mondi ,  il  mondo  efèmplare ,  che  iòlo  con  la  mente  fi  comprende  da  noi  :  &  poi  il  ienfibile,  che  fi  conofee  an  cora  col  fenfò.Nel  Conuito  due  Venere  vna  intellettua-  le,che  é  ?ordine,&  la  grazia,che  refulta  dalla  moltitudi-  ne delle  Idee  ,  l'altra  celefte ,  che  confitte  nell'ordine  di  tutte  le  creature  del  Cielo  ,  &  deirVniuerìo  .  Cosi  Ari-  ftotile  nel  primo  della  Metafifica  dice  ,  che  la  fapienzaé  vna  cognizione  di  tutte  le  cofe  per  le  prime  cagioni ,  la  quale  principalmente  è  in  Dio  ,  &  di  Dio  :  adunque  lè-  condo  il  maeftro  ancora  di  coloro,chc  fanno, &  che  lòno  dotti  nellhumana  Filofòfia  le  Idee ,  ò  notizie  cji  tutte  le  cofe  fono  in  efio  Dio  Principe  deirVniuerib  ;  nel  deci-  mo delfEthica  dimoftra  come  à  Dio  ci  aflò migliamo  propriamente  nell'atto  dell'intendere  le  cole  diuine ,  &  ipecolabilii  come  ancora  quefto  medefimo  ci  proua  Alef  fandro  Tuo  eipofitore  nel  proemio  Jbpra  il  primo  libro  della  Priora,ò  vero  de  Sillogi  (mi  ;  &  nel  duodecimo  del  laMetafifica  ci  infognano  Ariftotile,&  AleiTandro,cheil  bene  defl'vniuerio  è  di  due  maniere  ,  come  ancora  il  be-  ne dell'elercito  de' foldati ,  l'vno  e  elio  Capitano  degli  eferciti,  nel  quale  ftà  principalmente  il  fine,  che  è  la  vit-  toria, l'altro  è  l'ordine  fenfibile  delle  file  de'  foldati,  che  pende  dall'ordine, che  quel  Generale  hi  nell'animo:  co-  ki Dio  è  bene  dell'Vniuerfo  in  quato  è  quel  ente,  &  quel  bene,  che  è  amato  &  desiderato  (òpra  ogni  coià,&  di  più  l'ordine  intelligibile,che  è  nella  mente  di  Dio  di  tutte  le  creami e,dal  quale  pende  l'ordine  ienfibile  di  elle  :  Ecco  che  fecondo  Ariftotiie  ancora  fa  di  biiògno  concedere  l'Idee:  come  ancora  con  ragione  fi  può  dimoflrarc,e  pri-  ma fé  a  Dio  fi  niega  l'atto  dell'intendere  atto  nobilifli-  mo,  che  operazione  più  nobile  le  gli  può  attribuire?  cer-  to ninna  &  così  fari  in  tutto  oziolo  :  come  bene  argo-  mentò quello  gran  Filoiòfo  nel  decimo  libro  dell'Etni-  ca^ vero  de'  coltami ,  &    egli  non  intende  tutte  le  co-  dina folo  le  ilcifojò  le  più  nobili,adunque  egli  làprà  me    di  noi ,  che  se  incendiamo  di  molte  &  moke ,  come   ar^o-    Del  Verino.        17   argomenta  Ariitotile  contro  ad  Empedocle  ,  che  voleua  che  Dio  non  intendere  la  difcordia,  &  le  cole  diicordan  ti  :  ma  folo  l'amicizia,  &  le  colè  concordi ,  oltre  che  le  fi  concede ,  che  Dio  intenda  fc  ftcflb,  fa  di  bilògno  ancora  che  egli  intenda  ih  eflère  caufa  dogri  altra  cola  da  elfo  caufata,&  dipendente,  &  la  curia,  &  cioche  pende  da  eim  fa ,  è  oppofto  per  relazione  ;  in  guila  che  chi  ne  intende  vno, intende  ancora  l'altro .    Adunque  Dio  intendendo  le  fteflò  (  come  confeflbno  Annotile,  &  il  fuo  gran  Ce-  mentatore Auerroe  nel  duodecimo  della  iuaMetafifica  altefto  ?i  )  s'intende  come  caufa  vniuerlàle  di  tutte  le,  cofe,che  da  eflò  procedono  :  &  cosi  intende  ancor  quel-  le, &quefte  notizie  ibno  l'iftefle  Idee ,  &  ritratti  delle  cofe .  Finalmente    le  cofe  delTvniuerfo  Iòn  ben  goucr-  nate  ,  &  per  i  debiti  mezzi  al  loro  debito  fine  condotte  ,  come  fi  vede ,  &  la  natura  non  intende  ;  adunque  e  retta  eia  chi  le  intédc,&  quelli  ò  è  Dio,ò  colà  fuperiore  à  Dio,  il  che  non  fi  può  pure  con  l'animo  fingere,  &  penfàrc.  La  D.  M.  dunque  intendendo  le  cofe,&  il  bene  di  ciafeu  na,&  d  quello  indinzzandolc,come  il  làettatore  la  làetta  alberzaglio  non  conofeiuto  da  lei, le  intende  ancora ,  &  le  conofee  benifiimo;  di  qui  portiamo  intendere,comc  (b  no  molto  più  arroganti  quei  Filolòfi  ;  i  quali  con  le  loro  fofifliche  argomentazioni ,  &  perche  e'  non  iànno  rilòl-  uere  alcune  obiezioni,ardifcano  didire,cheDio  non  in-  tende (è  non    ltefib,  &  che  ei  regge,  &  gouerna  tutte  le  altre  colè  come  la  natura  lènza  intenderle  :  di  qui  dico  polliamo  conofeere ,  che  quefti  tali  fono  molto  più  arro-  gacene non  furono  quelli  huomini  così  grandi  &  di  cor    &  d'animo,  che  ardirono  mettendo  monte  (opra  mon  te  di  prendere  il  Cielo:  però  che  quefti  così  facendo  fi  penfàuano  arriuare  à  celefti  corpi  :  ma  quelli  più  su  pen-  landò  di  peruenire  fino  à  Dio,  lo  priuono  dell'intelligen  la  delle  colè  .  Chi  dunque  bene  &  fottilmcnte  confide-  rà le  autorità,&  le  ragioni  non  folo  di  Platone,  ma  anco-  ra quclle,che  fi  cauano  da  AriAoulc,è  forzato  di  confcf-   B         fare,    u  8       L  n  z  z  i  *  o  n  e   Tare,  che  le  Idee  &  notizie  delle  cofe  fiano  veramente  in  Dio  :  &  ie  bene  cucilo  filofofo  in  tanti  &  tanti  luoghi,  Se  della  Logica, &  dell'Ethica,&  della  Filoibfia  naturale,  &  della  Metafifica  s'ingegna  di  leuarle  via ,  inoltrando  che  le  non  fanno  ne  alla  produzione  delle  cole  in  alcun  ge-  nere di  caule,ne  alla  cognizione, &  nel  duodecimo  della  Metafifica  fi  dice ,  che  Dio  non  intende    non  le  itefTò  :  perche  la  liia  faenza  farebbe  vile  ,  (e  ancora  fi  cftendeife  all'altre  cole,  le  quali  rilpetto  a  lui  fon  molto  vili,  &  im-  perfette :  oltre  che    tante  ,  &  tante  notizie  follerò  nel  ilio  intelletto,  come  le  fono  nel  noftro,e  non  farebbe  firn  pliciffuno  atto  ne  pura  foftanza,  ma  vn  comporto  d'intel-  letto, &  di  forme  intelligibili,  &  cosi  non  farebbe  vgual-  mente  perfettiflìmo  ,  perche  la  natura  intellettuale  in  lui  harebbe  ragione-di  potenza,  &  le  forme  di  atti,&  perfez.  7Ìoni  :  accioche  non  legnino  cotah  incouenienti  per  non  dire  impietà, &  à  fine    parli  conforme  ad  Arili  otele,chc  -vuole  3  che  in  Dio  fia  laiapienza ,  &  feienza  del  tutto,  fi  dee  dire,chc  quando  egli  niega  l'Idee,  le  mega  nel  fen  Co  cattino  &  fallo  :  nel  quale  l'erano  intelc  da  molti  :  co-  me bene  di  ciò  ciauuertilcono  i  Greci  efpofitori  :  ma  quelli  dunque  i  quali  penlano  ,  che  l'Idee  fiano  agenti  immediati  urincipali,&  fuori  delFeifenza  diuina,s'ingan  nono  non  eifendo  congiunte  con  materia ,  nella  quale    fondano  le  qualità  fenfibili ,  con  le  quali  gli  agenti  natu-  rali alterano  1  pazienti:  ma  bene  l'Idee  in  Dio  fono  agen  ti ,  che  indirizzono  le  cagioni  naturali  al  bene-,  &  retta-  mente adoperare;  cosi  chi  penfa ,  che  l'Idee  eiìendo  for-  me ieparate  fiano  Felfenza  formale  intrinseca  delle  colè>  che  fono  fuori  di  Dio  prende  grande  errore  :  ma  non  già  quelli ,  il  quale  crede  ,  che  quelle  forme,  che  hanno  vno  efiere  formale  diftinto,  &  multiplice,  dipenda  da  quelle,  che  hanno  l'eHerc  vnito  nella  diuina  Eifenza,  &  che  fia-  no multiplicate  folo  virtualmente  ,  come  di  fopra  da  me  fi è  efpoito  .   E' ancora  falfo  il  penfare ,  che  l'Idee  fiano  cagioni  finali ,  che  terminino  le  generazioni  delle  colè  :   attefo    Del  Verino.        1,9   attefò  che  cotali  fini  s'acquiftono  di  nuouo,  &  no  prece-  dono la  generazione, ma  fon  fini  per  cóformità  in  quan-  to i  fini ,  à  quali  terminano  le  generazioni  fi  confermano  con  quelli  del  mondo  ideale  ,  &  intelligibile  .  in  vltimo  quando  fi  diccua,che  Videe  non  feruono  a  conolcerc ,  &  intendere  le  cofe,  perche  noi  le  intendiamo,apprenden-  do  le  fimilitudini  da  effe  per  via  de'ièntimcnti ,  &  dello  intelletto  .  fi  dee  dire ,  che  quefto  argomento  folo  con-  chiude/che nel  noftro  intelletto  porTibile    fiano  le  no-  tizie delle  cole  ,    maniera  ,  che  il  noftro  fàpere  fia  vn  ricordarfi  come  penfauano  i  Platonici ,  percioche  l'ani-  me noftre  fono  come  tauole  non  iicritte,  &  libri  no  ilcrit  ti,doue'ii  può  fcriuere  ogni  cognizione ,  perche  fiamo  nello  flato  doue  fi  va  dalla  imperfezzione  alla  perfez-  zione ,  come  dal  non  potere  generare  al  potere,  dal  non  làpere  al  fapere  :  ma  il  primo  huomo  Adamo  cosi  come  ei  fu  creato  perfetto  quanto  al  corpo  ,  che  poteua  lubito  generare  delh  altri,  così  fu  creato  perfetto  quanto  all'ani  ma,  &  gli  furono  infufe  da  Dio  le  notizie ,  &  le  fpetie  di  tutte  le  colè  quanto  baftaua ,  acciò  potetfe  ammaestrare  gli  altri,&  perciò  potette  porre  il  nome  conueniente  an-  cora à  tutte ,  come  fi  dice  da  Mosé  nel  Genefi  ,  &  tutto  quefto  conlèntono  i  Theologi,come  SanTommafo  nel*  la  prima  parte  delia  Somma  alla  dift.^.art^ .  Non    nie  ga  dunque,  che  le  Idee  non  fiano  in  qualche  modo  in  Dio  :  anzi  è  neceifario  che  le  vi  fiano  :  come  da  me  fi  è  dimoftro ,  &    in  Dio  è  la  làpienza ,  &  cognizione  delle  colè  per  la  notizia  di    fteifo,che  è  la  prima  cagionc,co-  me  Ariftotile  confeifa  nel  primo  della  Metafifica,  &al-  troue  Platone  nel  Timeo,&  in  molti  altri  luoghi.  Et  qua  do  i  Peripatetici  opponendoli  à  quefta  fermiiììma  &  im-  portatiilìma  verità  dicono,  che  Dio  fi  auuilirebbe    egli  ìntendelie  altro,  che  le  ftcilo.  fi  dee  rifponderc,chc  Ari-  ftotile per  quefto  argomento    niega  in  tutto  &  per  tut-  to la  cognizione  dell'altre  cole  da  Dio,  come  li  è  proua-  to,  ma  la  niega  in  quel  modo,  che  ella  è  in  noi ,  &  che  la   h    z       pò-    20       Lezzione   gptreb.be  concernere  in  Dio  qualche  imperfezzionCjCO*  me  auuerrebbe  feUio  nello  intendere  dipcndelfc  dalle  cof. ,  che  fono  fuori  di  lui,  &  da  effe  apprenderle  le  noti-  zie ci  oselle ,  à  guifa  che  facciamo  noi  3  anzi  la  Icienza  di  Dio,  tra  Faltrc  differenze  ha  ancora  quella  per  la  qua-  le ella  fi  diftingue  dalla  noìtra  :  perche  la  iiia  è  caufa  del-  le cofe,  &  la  noitra  da  elle  è  cagionata  come  beniifimo  ci  in'ccnail  gran  Comentatorc  nel  duodecimo  libro  della  Mctarifica  j  ci  quella  altiflìma  verità  non  meno  è  confor-  me alla  condizione  dell'intelletto  diuino  ,  che  ella  (I  fìa  ad  Àriftptile ,  &  à  Piatene  ,  i  quali  tra  tutti  i  filosofanti  tengono  il  preircìpatò  :  e  dico  conforme  alla  condizione  di  Dio  l'intendere  per  vn  mezzo  interno,che  è  la  fua  di-  luna efTenza,  perche  al  primo, &  diuino  intelletto,  come  atto  puriffimo,  &  mafTimamcnte  non    gli  conuicne  rice  i-er  le  fpcv-ìc  da  akri,ne  hauerle  in    fteife  multiplicate  :  ma  all'intelletto  noftro  come  pura  potenza,  &  come  con  giunto  à  materia  corporale  a  ragione  conaicne  l'inten-  dei  per  le  fpezie  &  fimiglianze,  riceuute  da  diuerfe  co-  le ,  &  riformate  dall'intelletto  agente  .  cosi  ancora  l'in—  tendono  quégli  due  gran  Fìiofofì ,  come  di  (opra  fi  è  di-  pioftrato  di  Dio,&  come  del  modo  del  noftro  intendere  £  d.J  chiara  &  fi  tocca  da  Platone  nel  Filebo,doue  ei  dice,  che  l'anima  npfìra  è  come  vn  libro  non  ifcritto,&  che  gli  fcrittori  fono  i  fenfì,&  nel  fettimo  della  republica  con  lo  elèmpio  di  collii,  che  è  legato  in  vna  fpelonca  in  guiia  che  non  vede    non  le  fimilitudini ,  &  l'ombre  delle  co-  lè, &  noi  fiiiolto  le  feorge  chiariiTimamente,  ci  monVa  co  ipe  1  miprrip  dalla  notivia  delle  colè  di  quaggiù  s'alzi  al-  la cognizione  delie  cofe  diuine  ,  &  da  Ariitotile  nel  ter-  io  dell'anima:  deueper viade'fenfi  ,  &  rer virtù  dello  intellètto  agente  li  efpone  come  noi  intendiamo  tutte  le  cofe,  &  nel  icttimo  della  Metallica  fi  rende  ragione,  per  rodotte,come  determinano  beniflìmo i  Theolo-- i,&  tré'   B    j    °  gli    21         Lezzione     tefo  che  per  quello,  che  è  diritto,  &  retto  ,  fi  giudica  del  torto,&nóalcótrario,comedice  Arift.nel  1. dell'anima.  Più  oltre  molti  &  molti  affermano  che  in  Dio  ncn  fo-  no i  ritratti  degli  effetti  carnali  &  fortuiti  :  perche  cfuefti  non  procedono  le  non  da  cagioni  indcterminate,&  di  ra  «lo,  &  la  feienza  è  di  quelle  cole,  che  dipendono  dalle  lo  ro  proprie  cagioni  &  tèmpre;  &    ciò  è  vero  della  faen-  za noftra  quanto  più  della  feienza  diuina .  Ma  quefti  fi  ingannano  prefupponendo  in  pnma,cherifpetto  a  Dio  G.  dia  la  fortuna  &  il  cafo ,  &  gli  effetti  fortuiti  :  attefo  che  Pio  intende  ogni  colà,  &  rilpetto  a  lui  quefti  effetti  pro-  cedono da  cagioni  certe,  ma  R  bene  a  noi  incerte,  &  oc-  culte, $c  fon  «épre  nelle  loro  caufe,come  Jccliffe  del  So» .   le,    Del  Verino.        2$   le;&  della  Luna  nelle  loro  .  Si  penlàno  ancora  molti  de*  Platonici, che  nella  D.Sapiéza    (ìano  i  modelli  di  quel  le  colè,  che  naicono  di  putrcfaz.ione,comc  efèmpiprazia  de'  vermi,  si  perch'eglino  no  pelano  che  in  Dio  {ìano  i  ri  tratti  delle  colè  vili, si  ancora  perche  e'fi  dano  ad  intéde-  re, che  cosi  fatte  cole    fi  riduchino  fotto  l'ordine  elsé-  tiale  delle  creature  :  &  nódimeno  più  dalla  produzzione  di  cosi  fatte  cole  per  virtù  de'  lumi,  &  del  calore  celefte  proporzionato  ììamo  indotti  à  venire  in  quella  credè? a,  che  in  Dio  fiano  Y  Idee  ,  che  per  l'altre  cole  ,  perche  elio  folo  sa  quitti  gradi  di  calore  bilògna  alla  loro  generazio-  ne^ formazione,    altramente  che  l'eccellente  fabbro  sàquato  caldo  dee  elfere  il  ferro  per  introdurui  qualche  forma,&  per  farne  qualche  colà,  come  confella  il  grà  Co  mét.Auerroe:&  pili  oltre  participàdo  quelle  colè  di  qual  che  forma,  &  la  forma  è  vn  certo  bene  &  certa  perfezzio  ne  della  materia,con1e  C\  dice  nel  i.lib.de'princ.all'Si.t.  &  mercè  di  lei  la  materia  diuenta  qualche  cola  lpeziale  ;  per  qfte  cagioni  io  mi  pélo,  che  le  bene  le  lìano  vili  qua-  to  alla  materia,  che  le  siano  però  di  qualche  perfezzionc  quato  alla  forma,  &  pche  fon  buone  a  qualche  colà, no  ci'  sedo  da  Dio,e  dalla  natura  fatta  colà  alcuna  i  damo,  ma  à  qualche  fine,&  a  qualche  vtilità:  Et    pur  alcun  voglia  te  nerc,che  ciò  che  fi  genera  p  putrefazione  non  fia  dell'or  dine  efséziale  delle  colè  deH'vniuerib,  ne  di  elle  fiano  le  Idee  in  Dio, nò  perciò  legue,  che    l'intenda  per  l'Idee  di'qlle  fpezie  più  rimili, &  che  fono  dell'ordine  elséziale  del  Modo,  quale  di  quefte  due  rifpoile  fia    lòio  più  co  forme  alla  dottrina  de'  più  eccell.  Filoforanti,  ma  ancora  (&  qfto  impòrta  all'honore  della  D.M.&  alla  làlute  nra)  io  mene  rimetto  in  quello,  &  in  ogni  altra  cola  da  me    fata,detta,ò  fcntta,à  più  giudiziofi,e  lbpra  tutto  à  quello,  che  netiene,e  determina  la  S.M.Chiela  Cat.Ap.&  Rom.  Più  oltre  della  materia  prima  non  e  dicono  alcuni  Idea»  non  eiìèndo  ella  forma,ne  di  lùa  natura  colà  formata,  mi  ;  Dio  intendédo  le  forine,  infieme  intéde  il  loro  foggetto;  .   B     4        t'iwls    24        Lezziome   finalmente  de*  generi  delle  cofe  non  fi  pone  diftinta  Idea  >  confiderata  come  elèmpio  dall'Idea  delle  fpczie  :  non  fi  ritrouando  mai  i  generi  fuori  delle  lorofpezie.   Da  tutto  cjuello ,  che  da  me  C\  è  ragionato  dell'Idee  fi  può  raccorre  quello ,  che  le  fiano ,  dicendo ,  che  le  non  iòno  altro,  che  la  ilella  Diuina  efienza  non  alfolutamett-  te,  ma  in  quanto  le  fono  fimilitudini ,  ò  ragioni  delie  Tue  creature ,  &  come  quella ,  che  è  partecipata  da  efle  lotto  diuerfi  gradi  di  più  ,  ò  meno  perfezione ,  mercè  ancora  delle  quali  di  tutte  le  cole  ne  ha  ottima  prouidenza.  Puoflì  ancora  quella  dirHnizione  dell'Idee  con  quella  ra  gione  procedente  per  diu  ifione  cosi  ritronare,&  confer-  mare, argomentando  in  quella  maniera .  O  Dio  intende  le  cole,  che  fono  fuori  della  lua  diuina  eilen7a,ò  nò.  non  fi  può  dire,  che  non  l'intenda,  perche  egli  intende  le  ilef  lo,  &  cosi  fc  eifere  caula  d'ogni  cola,adunquc  egli  inten-  de ancora  ciò  che  è  fuori  di  lui .  il  dire,  che  non  intenda  aflblutamente, farebbe  non  folo  fomma  impietà ,  ma  an-  cora vna  delle  maggiori  bugie,che  fi  poteife  dire,  perche  qual  più  eccellente  operazione  Te  gli  può  attribuire,  che  lo  intendere  ?  più  oltre  le  Dio  produce  le  cofe  bene ,  Se  bene  le  regge,&  gouerna;  adunque  ancora  l'intende ,  al-  tramente da  vn'intelletto  liiperiore  iàrebbe  retto  &  gui-  dato, come  gli  linimenti  dallo  artefice,  che  sà,&  incende  quello  ch'ei  fa  con  eifi,&  eglino    :  e  dunque  colà  chia»  ra  &  fermiilìma  verità,che  Dio  intende,  &  non  lolamuc  le  fteflb,ma  ancora  l'altre  cofe,ch'egh  produce,  &  gouer  na,e  di  più  quelle,che    ha  prodotte,&  polche  Dio  l'in  fède,  e  conofce,ò  e'  fa  quello  p  vn  mezzo  chefia  fuori  di  le  fteflo,ò  che  fia  in  lui .    fuori  di  le  follò,  ò  le  fono  for  me  co  la  materia,  parlando  delle  cole  matenali,ò  le  lòno  fpezie,&  fimilitudini  attratte  dalla  materia,  no  è  ragione  noie  dire ,  che  in  alcuno  di  qfti  modi  Dio  le  intéda  si  per  che'I  Tuo  lapere  dipéderebbe  dalle  cole  come  il  noflro,6c  no  farebbe  in  tutto  perfetto,  si  ancora  poi  in  particolare  ,  perche  le  egli  incédeife  le  forme,  come  difterici  nella  ma   «cri*    Del  Verino.        2f   tenia  ad  ette  voltandola,  no  farebbe  proportione  tra  il  fuo  irttelletto,che  è  atto  puro,&  le  forme  materiali .  noi  an-  cora non  conofciamo  le  cole    non  per  mezzo  delle  fpe  zie  attratte  dalla  materia  &  fpiritali,  come  fono  i  Icnfi,&  molto  piti  l'intelletto,  fi. vilmente  non    dee  credercene  Dio  intenda  le  forme  materiali  per  le  fpczie  attratte  dal-  la materia,  &  dalle  fiic  condizioni ,  perche  ò  le  lòno  tali  per  opera  dell'intelletto  adente,  &  cosi  lopraDiobiìò-  gnerebbe  porre  vn  piu  nobile  intelletto,  che  lo  reduceffe  dalla  potenza  dello  intendere ,  &  del  lapere  allo  atto ,  &  la  dia  fcicn7a  non  farebbe  fempiterna,  ma  nuoua,  ò  vera-  mente quefte  forme  aitratte,5:  fuori  di  Dio,fòno  di  loro  natura  tari,  *:  cosi  Dio  nello  intendere  dependerebbe  da  altri ,  &  non  farebbe  perfetti/fimo  :  in  niun  modo  adun-  que Dio  intende  le  cole  per  il  mezzo  che  fia  fuori  di  lui.  Kefta  che    vegga  come  ei  le  conofea  per  vn  mezzo,  che  fia  dentro  di  lui  ;  dico  adunque  che  ò  que^e  ìono  le  for-  me,&  le  fyezie  delle  cole,ò  elfa  diuina  elfcnza,    le  fpc-  zie  delle  colè,  ò  con  la  materia ,  &  cosi  egli  farebbe  ma-  teriale, Se  non  in  tu  ito  ottimo,  &  pur:  filmo  atto    lènza  materia  come  le  immagini  fono  nello  fpecchio ,  il  quale    fulfe  natura  intelligente  per  effe  intenderebbe  le  cole,  che  iono  fuori  di  lui;m  quello  modo  ancora  non  è  da  di-  re,che  Dio  intenda  le  creature  :  però  che  egli  non  fareb-  be atto  purilTimo ,  ma  vn  comporto  della  natura  intellet-  tuale,come  potenza  &  di  effe  forme,come  atti,  fìmilmen  te  non  farebbe  in  tutto  ottimo,  &  perfettiilìmo  :  perciò  fi  dee  conchiudere,  che  Dio  intenda  tutte  ie  cofè,che  lbno  fuori  di  lui  per  la  fùa  diuina  clfenza,&  non  per  effa  come  infmìta:perche  cosi  intende  le  iìefio,  il  quale  è  inrmito,fic  le  creature  fono  finite  ;  &  quale  più  &  quai1  meno  parti-  cipa  dello  efferc,  &  della  perfezzione:  adunque  l'Idee  in  Dio  non  fono  altro,  che  eflà  diuina  ellènza,come  rap-  prefentatrici  al  D.  intelletto  delle  creature ,  &  fecondo  che  ne  partecipano  più  ò  meno  .  AgoiHno  Santo  nelli-  %ro  dcÙ'otcStatre  ouiitioni  alla  quiitione  46  le  dirHnifcf   CQH    26"         L   E   Z   Z   IO    N   E   cosi  dicendo,che  le  fono  certe  fornicò  rigioni  ftabili,& v  fempiterne,&  no  fono  formate,&  fi  contengono  nella  di  .  ulna  intelligenza, &  che  le  h  di  ino  lo  prona  cosi,  perche  .  il  Creatore  con  retta  ragione  fa  le  cofe,&  co  altra  l'huo-  mo,&  con  altra  il  cauallo  :  &  che  le  non  pollino  effer  fuo  ri  del  Creatore  è  manifefto ,  dice ,  perche  fuori  di  lui  ei .  non  cótéplaua  cofa  alcuna. L'Angelico  Dottore  S.Tom-  mafo  d'Aquino,  la  cui  dottrina  è  cotanto  reale,  ficura,  &  fanta,  ancor  egli  nella  prima  parte  della  Soma  alla  q.  1 5.  tiene,che  glie  ncceflario  porre  l'Idee  nella  méte  diuina  :  che  le  fono  più,  &  che  le  non  fono  altro,  che  ella  Diuina  cifenz.a  non  allolutamente  confiderata  :  ma  in  quanto  è  efempio ,  &  ragione  delle  cole  create  da  Dio  >  6  che  pò-  .  trebbe  creare .   Speditomi  nella  prima  parte,  dal  ragionamento  dell'Idee,  leguita  hora,che  in  quella  feconda  io  difeorra  alquanto  delle  bellezze  di  M.  Laura,  quanto  però  appar-  tiene all'intelligenza  di  quefto  Sonetto  ,  doue  fa  di  bifo-  gno  primieramente  intendere,quello  che  fi  fia  la  bellez-  ,  fca,  dipoi  di  quante  fpezie,&  terzo  in  quello,  che  le  con-  uenghino  tra  loro ,  &  in  quello  che  le  fiano  differenti .  Quanto  al  primo  punto  la  bellezza  non  è  altro  ,  che  vna  certa  proporzione  &  grazia, che  reliilta  da  più  cofe,onde  per  il  contrario  le  colè  brutte  fon  tutte  quelle ,  che  fono  fproporzionate  nelle  loro  parti,&  condizioni,&  fenza  al  cunagrazia.-quetta  difHnizione  è  più  prelto  pre(a  da  prin  cipij  interni  iolamente,  de  quali  ella  è  compofta,  che  al-  tramente, come  fono  in  cambio  di  forma  proporzione  &  grazia,&  in  cabio  di  materia  più  parti,  ò  più  condizioni  :  legno  di  ciò  che  vna  colà  fola  ,  come  vn'elemento  non  fi  domanda  bello .  Puollì  ancora  difKnire  la  bellezza  più  perfettamente  dicendo,che  ella  è  vn  fiore,  &  vna  grazia,  ò  fplendpre.di  più  bontà,&  perfezzioni  vnite,  che  è  arde  tifììmaméte  difiderata.  dicefi  fiore,grazia,&  (plédore  per  4i^inguerl4  dal  iuo  eontiario,,chc.  e  la  bruttezza  compo-  fta    Del  Verino.        27   fta  di  più  perfezzioni  defettiuc  vnitc ,  ma  {proporziona-  te, &  difcordanti .   Più  oltre  fi  aggiugnc  in  più  bontà  ,  perche  come  fi  é  detto  vna  colà  in  tutto  femplice,&  come  fcmplice  confi-  derata  non  fi  domanda  bella,  ancora  che  come  partecipe  della  forma  Tua  iemplice  fia  buona,come  fi  è'dato  l'efem-  pio  d'vno  elemento .  Terzo  ho  detto  ardentiflìmamente  difidcrata,  perche  cosi  ancora  la  bellezza  Ci  diilingue  dal  bene  come  bene,  che  none  cotanto  amato  &  difiderato,  &  quando  pure  alcuna  forte  di  bene  fia  troppo  amato,  co  .  roc  dagli  auari  fono  le  ricchezze,  dagli  ambiziofi  gli  ho-  nori ,  dal  vulgo  i  piaceri  del  fenfo,  &  che  Ci  dice  e'  ne  fo-  no innamorati ,  quefto  auuiene  per  certa  fimilitudine  di  ecceiliuo  amore  .  di  qui  fi  poflbn  cauare  le  ragioni  di  al-  cune òccultilìime  verità  .  Tvnaè,  che  la  materia  prima  perche  e  lòftanza  femplice  ,  &  non  è  buona,  non  eflendo    forma,ma  lbggetto  atto  à  riccuere  le  forme  >  non  è  bella,  ne  brutta, &  fi  dee  dire  propriamente  non  bella,&    buo  na,&  quella  medefima  cófideratacome  informata  di  tut-  te le  forme  séza  ordine, &  proporzione  è  buona:  ma  bruì  ta,  &  come  informata  delle  forme  con  ordine  &  propor.  7ione  é  beila  &  buona  .  l'altra  nafeoià  verità  è  ,  che  Dio  perche  è  Comma  bontà,  &  perche  con  iòmma ,  &  infinita  proporzione  &  graziale  contiene  tutte  in  vn  modo  per-  fettiflimo  ,  perciò  è  la  fomma,  &  infinita  bellezza,&  me-  rita di  eflere  amato  con  ardentifììmo  ,  &  infinito  amore,   6  Ce  gli  amanti  delle  terrene  &  create  bellezze  fentono  marauigliofi  diletti  lenza  alcuno  difpiacere  quando  le  ri  mirano  come  e3  vogliono  :  quanto  più  lenza  coinpara-   7  ione  ne  fentono  delimcreata,&  diurna  bellezza  gli  An  gipli  sii  in  Cielo ,  &  l'anime  beate  in  eflètto ,  &  quaggiù  ì  giufti  &  gli  eletti  per  ifperanza .   In  vltimo  fi  può  aggiugnere  alla  predetta  difhnizione  &  dire  della  bellezza  veduta  :  perciochc  fino  à  tanto  che  la  cofà  bella  no  è  veduta,  ò  con  l'occhio  corporale,  ò  eoo  quello  dell'anima,  eh  e  la  mente,  niuno  iène  innamora.   Onde    i8         L  E  Z  Z  I   O   N  È   OndeilnoftroM.  Francefco  Petrarca  quando  le  bellez-  ze della  ina  donna  gli  dauano  di!piacere,fi  doleua  d'ha-  uerla  guardata  dicendo .   j,   Occhi  pianate  accompagnate  il  core  ,  Jt  Che  divoftiofalltr  morte  foftiene  .   Et  Guido  Caualcanti  nella  lua  così  dotta,come  ofeura  Canzone  dell'amore  dice,  che  viene  da  veduta  forma,  che  s'intende.   Quanto  al  fecondo  punto,  che  era  delle  fpezie  dell'ai  more  quante  &  quali  le  fìano .    vogliamo  feguire  il  pa-  rere di  M.  Marfilio  Ficini ,  il  quale  più  copioiamente,  &  più  fottilmente,  chealcun'altro  de'  Platonici ,  ha  ragio-  nato d'Amore  fopra  Famorofo  Cóuito  di  Platone  fi  dee  dire,  che  le  fono  di  tre  maniere ,  vna  dell'animo ,  qhe  fi  conoicc  con  la  mente ,  l'altra  del  corpo,che  fi  feorge  cori  la  villa,  &  vna  delle  voci,  la  quale  fi  comprende  co  l'vdi-  to,ma    fi  riguarda  à  quello ,  che  fi  è  detto  dell'Idee  ,  &  della  bellezza  con  Platone, &  con  Ariftotele  di  fopra,  &  alle  parti  principali  dell'huomo,pare  che  le  bellezze  fie-  ro folo  di  due  maniere,  vna  del  corpo,  che  fi  conofee  col  lenfo  della  vifta>&  con  l'occhio  corporale; &  l'altra  dello  animOjche  fi  contempla  con  l'occhio  dell'anima, che  è  la  méte.Ét  volendo  difendere  il  noterò  M. Marfilio  {pudo-  re apprellb  di  noi  Latini  della  Platonica  Filofofia  fi  può  dire,  che  la  diuifione  di  Platone  nelle  due  Venere ,  cioè  nella  intelligibile,&  nella  lènfibile,  &  le  quali  in  quanto    confiderono  ncll'Vniuerfò,iòno  da  Ariitot'ile  chiama-  te ordine  delle  cofe  intelligibili  in  Dio,  &  ordine  ienfibi  le  nelle  ipezie  del  mondo  fuori  di  Dio  ,  fi  può  dico  dire*  che  quclta  diuifione  è  prefa  dalle  oppoite  bellézze,  atte-  (o  che  vna  è  immateriale  &  in  Dio,raltrafcnfib;1e,&  tuo  ri  della  diiiina  eiìenza,cos'i  è  preia  da  due  diuerie  poten-  te, che  fono  in  noi,  &  queite  (òno  l'intelletto  &  il  (enfo.  MailFicino  via  la  diuifione,  &  ibeto  diuifione  infieme  ▼olendo  dire  cosi  che  iàbellezza,  &  mafiìmamente  con-  Édérata  neU'iiuomo>ò  nella  donna,  è  ò  dell'animo  folo,^   dei    Del  Verino.        29   4.el  corpo  lòlo,  ò  dciranimo,&  del  corpo  infìeme  :  quale  è  la  bellezza,  &  la  grazia  delle  voci,  &  de1  gentili  ragio-  namenti ;  perciochc  in  quanto  concionano  all'orecchio  &all'vdito  corporale,  &con  moto  corporale  dell'aria,  é  bellezza  corporale  ,  ma  in  quanto  a'  gentili  concetti,c  nobili  affezzioni, Se  disij, che  le  fignifìcano,che  fono  nel-  l'animo, e  bellezza  interna  &  dell'animo  .  Puofli  ancora  dire,  che  le  bellezze  eflenziah  del  mondo  grande,  &  del  piccolo,  che  e  lhuomo,  fono  di  due  maniere  vna  intelli-  gibile^ l'altra  iènfibile  5  delle  quali  quefta  cosi  è  fcala,  &  mezzo  à  quella,  come  il  séfo  ierue  nelle  cófiderazioni  all'intelletto .  ma  per  accidente  poi,  perche  all'intelletto  in  noi  non  iolo  ièruc  la  vifta,ma  ancora  rvdito,perciò  an  cora  ci  fu  di  bilbgno  della  bellezza  &  grazia  delle  voci  5  Et  le  alcuno  dicerie  fefonoeuenzialmente  di  due  forti  di  bellezze,  ò  di  Venere  vna  intclligibile,&  l'altra  iènfi-  bile :  donde  nafce,che  alcuni  de*  maggiori  Platonici  pon  gono  tre  forti  d'Amori ,  vno  beftiale ,  che  è  il  defiderio  grande, che  moki  hanno  di  goder  la  bellezza  fenfibile  co  diletto  carnale  del  tatto  ;  l'altro  humano  col  quale  dama  la  medefima  bellezza  con  honeftà ,  ò  per  dir  meglio  con  minore  errore  fermandoli  in  efla;  &  il  terzo  amore  è  in-  tellettuale &  diuino  &  perfetto ,  perche  termina  alle  di-  urne bellezze,  le  quali  iole  co  le  tre  diuine  perfòne  fono  il  vero  oggetto  fruibile,  parea  ragioneuole,che  quanti  io  no  gli  amori  tante  fiano  le  Venere,ò  vero  le  bellezze  ei-  iendo  queite  cagioni  dell'amore  .  più  oltre  fi  può  cerca-  re da  qualche  bello  ipirito ,  perche  la  bellezza  fi  chiami  madre  dell'amore  ,  &  non  padre  ?  &  perche  la  fi  chiami  col  nome  di  femmina,  fendo  cola  perfetta,  &  l'amore  col  nome  di  maftio,  che  è  imperfetto,&  cógiunto  con  la  po-  uertà,  ò  mancamento .   Al  primo  dubbio  fi  dee  riipondcre,chc  fecondo  i  duoi  oggetti  dell'amore  eflenziali,  che  fono  la  bellezza  f  enfi-  bile  &  l'intelligibile,  fono  ancora  due  amori  foli  il  ienfi-  biie,&  l'intelligibile  ;  ma  per  accidente  poi;perche  alcu-   «    *6      Lezzi  o' ne   ni  hanno  dell'animale,  &  del  bruto  feguédo  i  piaceri  del  Ieri  lo  :diquìé  che  l'amor  loro  è  lènlùale  ,  &  brutale  in-  fieme  .  Al  (econdo  dico  (  rimettendomene  a  più  lottili ,  •&  à  più  intelligenti  )  che  la  bellezza  fi  domanda  madre  &  non  padre,  &  con  nome  di  femmina,&  non  di  maftio,  perche  la  bellezza  lenza  l'amante  atto  a  innamorarli ,  &  lenza  il  dilcorrerui  intorno  è  cagione  imperfetta  dell'a-  more, come  la  femmina  fenza  il  maftio  non  può  ancor  el  la  generare  ,  ne  le  ftelle  fenza  il  Iole ,    Venendo  hora  al  terzo  capo  dico, che  la  bellezza  intelligibile,  &  la  fenfibi  le  conuengono  primieramente  in  più  condizioni, poiché  tutte  e  due  lbn  grazie,  fiori ,  &  fplendori,  tutte  e  due  fo-  no di  più  perfezzioni,&  in  pili  forme,  ò  beni  fi  fondano  ,  &noninvnfolo.  Terzo  tutte  e  due  iòno  oggetti  di  po-  tenze cognoicitrici ,  &  quarto  fono  difiderate  di  amoro-  {b,  &  vehementilfimo  difiderio  .  Sono  lecondariamente  uuette  due  Venere  ò  bellezze  tra  loro  differenti  primie-  ramente perche  vna  è  di  cofe  Ipiritali ,  l'altra  corporali  :  dipoi  vna  fi  comprende  con  l'intelletto,  Faitra  col  fènfo  .  Terzo  vna  ne  guida  Tempre  al  bene  operare,che  è  l'intel  Iettuale  bellezza,  l'altra  talhora  ne  fa  cadere  in  rei  diade  rij,&  in  più  fozzi  fatti  per  difetto  però  di  noi,  &  queita  è  lalènfibile.  quarto  l'intelligibile  non  fi  conofee  da  noi  per    fterTa,&  chiaramente,  che  le  fi  vedelfe  chiaramen-  te, molto  più  ci  accenderebbe  di  amorolò  defiderio,  che  ella  non  fi,  il  vederli  chiaraméte  tocca  folo  alla  bellezza  del  corpose  però  ella  lòia  ardentimmaméte  da  noi  è  ama  ta  :  come  ne  moitral'eiperienza  in  ogni  fecolo,  come  ne  fanno  ampiflìma  tede  i'Iftorie,&  il  Petrarca  nel  Trionfo  d'Amore ,  &  come  bene  dice  il  Diuino  Platone  nel  Fe-  dro .&  la  cagione  perche  la  bellezza  fia  lommamente  amata, &  difiderata  e  perche  il  bene  è  colà  amabile, &  di-  fidcrabilc  ,  più  beni  molto  più  ,  &  le  vi  è  la  grazia  ancora  in  fommo,&  ardentifiìmamentc .   In  quella  vltinia  parte  di  quclto  mio  difeorfo  fi  dee  da  me  lpiegare  il  raara-iglielò  ordine ,  che  uenc  in  queft*   So-    Del-Verino.         51   ■Sonetto  M  .  Francesco  Petrarca  in  celebrare  le  bellezze  della  dia  Madonna  Laura  ,  &  'fi  dcono  efporre  alcu-  ne voci  deltefro  :  accioche  &  l'artifizio  ,  &  tutto  quel-  io  ,  che  qui  dal  Poeta  è  detto  della  Tua  donna,  s'inten-  da chiariflimamente  ,  &  fi  deono  muouere  Se  iicior-  re  alcune  dubitazioni  per  difefa  di  quello ,  che  fi  fa-  :rà  detto.   Quanto  all'artifizio, ò  vero  ordine  io  ci  auuertifco  tre  -cole  la  prima  che  il  Poeta  primieramente  nel  primo  qua  dernario  ragiona  delle  cagioni  delle  bellezze  della  tua  M. Laura  &  poi  nell'altro  quadernario.^  ne  due  terzetti  -parla  delle  bellezz  e  ,  ieguendo  in  ciò  l'ordine  di  natura,  fecondo  il  quale  le  cagioni  precedono  i  loro  effetti .  La  feconda  cola  che  io  ci  noto  è ,  che  queflo  Poeta  lo-  dando le  gmzie  di  lei  compitamente  dalle  loro  più  pre-  diate cagionile  celebra  prima  dalle  cagioni  anteceden-  ti, che  fono  l'ideale  bellezza ,  il  cielo, &  la  natura,  dipoi  dalla  ca^ione,che  accompagna  quella  f    donna,  che  è  il  iiio  viiòcon  legge  &  maeftria  fatto  dalla  natura  :  &  ter-  zo da  quella,  che  fegue,  che  è  il  fine,  che  fegue  all'opera  beila,&  e  per  moitrar  quaggiù  in  terra  quàto  lafsù  potea.  Vedete,vedete  vi  prego  giudiziofiflimi  Accademici, co-  me compitamente  ,  &  con  ordine  efàlti  le  bellezze  della  lui  amata  :  conforme  al  compimento  di  ciafcuna  cofa  ,  il  quale  ftà  nello  hauer  tre  parti  il  principio  ,  il  mezzo  ,  &  il  fine, come  con  tre  prcue  ci  dimoftra  Ariftotile  nel  pri-  mo del  Cielo,  cioè  dell'autorità  di  grandinimi  Filofo»  fanti,  quali  furono  i  Pitagorici ,  dai  numero  che  fi  via  in  ogni  religione  di  honorare  Dio  ,  che  é  il  numero  ternario  ,  &  dal  perfetto  modo  di  parlare  de'  Greci  al  quale  gli  induceua  la  natura  delle  cofe  .   La  terza  &  vltima  cola ,  che  fi  dee  auuertire  intorno  all'ordine  ,  che  tiene  M.Francefco  in  quelto  &  leggia-  dria.&  aitifìziofifs.  Sonetto  in  celebrare  le  marauiglioiè  bellezze  della  fu  a  donna  è,  che  egli  procede  nel  fecon-  do quadernario >  &  ne*  due  ternari;  in  quefta  maniera   te-    ff       Lezzione   facendofi  in  prima  dalla  bellezza  del  corpo  più  alta,qua-  le  e  quella  deile  chiome  corrilpondenti  a  quella  del  So-  le di  Cielo  ,  dipoi  fegue  di  dire  della  occulta,  conforme  in  qualche  parte  à  quella  del  Sole  diurno,  &  mutàbile,  &  terzo  diicende  alle  bellezze  delle  parti  più  bafle,&  pri  ma  alla  bellezza,  &  leggiadria  delli  occhi,  che  con  la  vi-  lla fi  comprende  ,  &  poi  della  bocca  diuidendola  in  tre  :  vna ,  che  ancide  per  pietadc ,  &  confitte  nel  dolce  lòfpi-  rare  :  l'altra  nel  dolce  efprimcre  de*  concetti  :  l'altra  nel  ridere  dolcemente  :  &  tutte  e  tre  appartengono  alla  bocca  polla;  di  lòtto  a  gli  occhi,  &  quelli  Iorio  nel  mez  mezzo  tra  quella ,  &  il  capo,  donde  efeono  i  capelli.  Da  tutto  quello ,  che  io  ho  detto,  potete  ingegnofiflìmi  Accademici  conofcere,chc  quello  noilro  Poeta  non  con  minore  ordine, &artifìzio,che  con  grazia,  Sgmaeflà  cele  bra,&  ammira  le  bellezze,  &  le  grazie  del  bel  vifo  di  M.  Laura,  &  infieme  di  qui  fi  può  da  voi  fapere  come  cosi  le  bellezze,  come  ogn'altro  bene,  s'ha  da  Dio  fonte  d'ogni  bontà ,  &  d'ogni  bellezza  per  mezzo  de*  celefli  lumi ,  &  della  diuina,&  ideale  bellezza .   Quanto  all'elpofizione  delle  voci  più  ofeurc  la  prima  fia  quella  qllo,che  il  Poeta  nitida  [  per  parte  del  Cielo;]  alcuni  dellielpofitori  del  Petrarca  per  parte  del  Cielo  dicono,che  egli  intefe  le  flelle  parti  più  denfe  de'  celefli  corpi,  come  i  nocchi  in  vn  legno ,  &  che  egli  parla  come  Platonico,tenendo,  che  l'anime  noftre  follerò  tutte  crea  te  ad  vn  tratto ,  &  ciaf  cuna  furie  alìegnata  alla  Tua  ftella  ;  come  racconta  Platone  nel  Timeo:  ma  a  me  piace  di  cfporre  per  parte  del  Cielo ,  tutta  quella  parte  ò  flellata,  ò  non  iftellata ,  la  quale  con  debito  modo  riguardaua  il  luogo  doue  fu  ingenerata,  &  doue  nacque  quella  fi  bella  donna  j  attelb  che  dalla  debita  fituazionc  delle  flelle  in  cotal  parte ,  come  da  caufe  vniucrfàli  nacquero  le  grazie  di  lei  :  come  vogliono  gli  Aftrologi ,  &  cosi  piace  anco-  ra à  quello  noflro  Poeta ,  come  fi  può  vedere  in  quella  £iuzone,  il  cui  principio  è  queilo .   MJ  Tdctr    D£L   VERTNO.  j|   0>  Tacer  nonpcffo,  e  temo  non  adopre   0,  Contrario  effetto  la  mia  Imgua  al  core  l  doue  nella  quinta  itanza  ei  dice  .      1/    che  coftei  nacque  eran  UJlelle  ,   ,,    Cheprodvcon  fra  voi  feliii  effetti   j,    1/7  luoghi  altt  er  eletti     Vvna  -ver  l'altra  con  amor  conuerfe .  In  quefta  parte  del  Cielo  :  come  in  cagione  efficiente,  mediante  il  lume  &  il  moto  era  il  bel  viio  di  M.  Laura ,  &  nell'Idea  come  in  eiempio  [  onde  natura  tolfe.  ]  Puoi"  fi  per  natura  intendere  la  forma  delli  agenti  naturali  :  i  quali  prendono  il  modello  dell'operare  bene  da  Dio,in  quanto  da  elfo  fono  bene  indirizzati    bene  non  inten-  dono; O  vero  per  natura  fi  dee  elporre  Dio  itelfo,donde  dipende  tutta  la  natura  ,  nel  qual  lignificato  ancora  Tin-  tele Ariitotile  quando  nel  primo  del  Cielo  ei  dice  ,  che  fa  natura  fece  bene  a  lpogliare  il  corpo  celeite  da  ogni  contrarietà,  da  che  douea  elìere  eterno,fecondo  che  e^lì    pensò,  piìi  pretto  guidato  da  ragioni  humane,che  dalle  infallibili  verità ,  che  altramente  ci  moitrano .   Più  oltre  leguitando  [  per  vn  cuore  doue  fono  unte  virtudi  accolte  ]  il  Petrarca  intende  non  il  cuore  ,  che  è  parte  corporale  prima  dell'altre  :  ma  o  Tanimo,che  rifie-  cie  nel  cuore,nel  qual  ientimento  vfìamo  di  dire  io  ho  in  bocca  cioche  io  ho  nel  cuore,  ò  vero  per  l'vno  &  l'altro  :  anelò  che  formalmente  il  cuore  èl'iiteifo  appetito  ienfi-  tiuo  :  del  quale  la  virtù  é  moderatrice,  &  delle  parti  ma-  teriali gli  fpiriti  fono  il  foggetto  delle  fpezie  di  effe  virtà  come  conofeiute,  come  d'ogni  altra  cola,  che  fi  conofee.  Quanto  alle  dubitazioni  qui  dirà  qualche  ingegnolb  fpirito  come  può  cilere,  che  il  leggiadro  vilo  di  M.  Lau»  ra  fulfe  in  qualche  parte  del  Cielo ,  &  in  qualche  Idea  ì  attefo  che  il  bel  vilo  di  lei  era  cola  particolare,  &  il  Cic-  lo, &  l'Idea  lòn  cagioni  vniuerfaii .   Dipoi  come  celebrali  Petrarca  la  bellezza  della  fu»  donna ,  &  dice ,  che  la  fomma  e  di  fua  morte  rea  ;  attclà   C        cht    54         L  E   Z   Z  I   O    N   E   che    le  grazie  dell'animo, &  quelle  del  corpo  di  lei  fon  congiurate  contro  di  luì ,  &  afpirano  à  darli  morte  ,  fon  crudeli, &  unto  più  fi  deono  biafimare,chc  lodare  quan-  to la  morte  è  cola  rea,&  la  vita  cola  buona .  Et  finalmen-  te come  può  Ilare ,  che  il  dolce  rifò  di  lei,i  dolci  foipiri,  &  il  dolce  parlare,  fiano  cagioni,  che  amori  iani,&  anci-  da,  che  iòno  effetti  contranj  ,  e  douerrebbero  nafcere  da  contrarie  cagioni,  di  maniera  che    i  dolci  fofpiri,  il  dol  ce  parlare ,  &  il  dolce  rilo  3  danno  all'amante  la  fanità  &  la  vita  ;  Tamaro  iòlpirare ,  ragionare  t  &  ridere  lo  faran-  no infermare,  &  lo  condurranno  à  morte .   Al  primo  dubbio  &  primieramente  quanto  al  Ciclo  di  co, che  egli  fi  può  confiderare  in  due  modi,in  uno  da  per  le  lenza  le  cagioni  particolari  di  quaggiù, &  fenza  la  par-  ticolare materia, &  in  vn'altro  inficine  con  quelli  agenti,  &  con  quella  materia  jnel  primo  modo  è  vero, che  il  Cie-  lo no  può  eiTerc  cauta  delle  cole  particolari, come  di  par-  ticolari leoni,  cani ,  &  huomini ,  altramente  in  damo  fa-  rebbe data  da  Dio  la  virtù  del  generare  à  quefti  inferio-  ri agenti ,  nel  fecondo  modo  è  ben  vero  :  attefo  che  ogni  mouimento  di  quaggiù  fino  all'alterazione,  perlaquale    diipone  la  materia,&  fi  generano  le  cole  pende  dal  mo  uimento  &  da  lumi  deJ  celefti  corpi,  come  ne  inoltra  co-  si l'clperienza,  come  Aristotile  ancora  nel  lècondo  della  generazione, &  della  ccrruzzione,&  nel  primo  della  Me  theora,oltre  che  la  ragione  il  medefimo  ci  confermale  -  ro  che    i  Cieli  con  il  loro  moto,&  con  il  loro  lume  non  cor  correderò  gli  agéti  di  quaggiù  alla  produzzione  del-  le cole  generali, non  conosceremo  come  Dio  fia  la  prima  &  vniuerf  ale  cagione  di  tutte  le  colè ,  &  al  Cielo  che  in-  terne con  l'intelligenze  participa  molto  più  della  bontà,  che  le  creature  di  quello  mondo  inferiore, farebbe  nega-  ta la  virtù  di  comunicarla  ad  altri,  &  all'altre  creature  mcn  buone  conceduta,&  l'vno  &  l'altro  farebbe  non  me  no  inconueniente  che  fal(o  .  Secondariamente  quanto  all'Idee ,  le  quali  fono  in  Dio  »  dico  che    bene  le  fono   ca-    Del  Verino.        $5-   cagioni  vniuerfali  delli  effetti  in  if  pezic  da  per  loro  con-  fidente ,  nondimeno  con  gli  agenti  particolari,  &  con  la  particolare  materia  ,  fono  ancora  cagioni  particolari .  Puoflì  ancora  dire  che  l'Idee, fé  fi  considerano  come  for«  me  in  Dio  che  è  caufa  vniuerfale,  in  quefta  maniera,  ioti  caule  delli  effetti  Ipeciali ,  &  vniuerfali .  ma    le  fi  con-  templano in  Dio  come  cofa  che  è  maftimamente  in  atto  come  ancora  i  particolarità  quella  maniera  Dio  intende  più  prefto  in  particolare,  che  in  vniuerfale, &  cosi  ancora  ne  è  cagione  .  più  oltre  che  cofà  non  iòlo  fallà,&  empia,  ma  ancora  ridicola  farebbe  quella  de*  Fiiofòfanti,    cre-  deflero,che  Dio  ch'e  l'ottima, Scleccellentifs.  cagione, e  che  le  foftanze  particolari, fono  più  pertette,che  Tvniuer  (ali,  come  fi  dimoftra  da  Ariftotile  nel  capitolo  della  fo-  ftanza  >  &  nondimeno  più  prefto  fi  penlàifero  che  Dio  producefTe  rvniuerfali,cheleparticolaii,&  che  più  pre-  fto di  quelle,che  di  quefteteneffe  cura,perciò  vfizio  è  di  huomo  fàuio,  pio,  &  amatore  del  vero  ,  tenere ,  che  Dio  &  in  vniuerfale,  &  in  particolare  fìa  autore  delle  cole,  &  tanto  più  in  particolare ,  che  in  vniuerfale  :  quanto  così  fono  più  perfette,che  in  quel  modo,&  cosi  deono  crede-  re dello  intendere  di  Dio  :  &  chi  non  sa  rifoluere  le  ar-  gomentazioni più  forti, che  in  contrario  fono  itate  ritro-  uate  da  fottili  ingegni,  dee  più  prefto  in  ciò  confeffare  lz  fiia  ignoranza  ,  che  per  non  fare  quefro ,  che  farebbe  fe-  gno  di  modeftia  incorrere  in  quelli  tre  grandiflìmi  vizij  di  ftoltizia  ,  di  menzogna,  &  d'impietà  .   Alla  terza  &  vkima  difficultà  fi  può  rifpódere,  che  gli  effetti  contrarij  poifon  nafeere  da  vn  medefìmo  agente,ò  da  due  agenti  contrarij'.  da  vn  medefìmo  in  più  modi,  ò  perche  egli  fìa  diuerfamente  difpotto,  ò  i  fuoi  finimenti,  ola  materia,  ò  perche  in  diuerfitépiafpiriàdiuerfìfini.  può  vn  medefìmo  agente  effere  diuerfamente  difpofto,&  così  cagionare  diuerfì  eftetti,come  il  gouernatore  &  mae  ftro  di  naue  con  la  f    pref enza ,  &  con  1  arte  fùa  faiua  la  iauc  dalle  fortune  del  mare,  &  de'  corlali ,  &  con  la  (uà   C    a        alfe*            Le  2  z  ione   fllTcn?! ,  ò  non  fapendo  ben  farti ,  è  caufa  del  contrario    umilmente    vn  medelìmo  agente  fi  lèrua  di  linimenti  diuerfi,  farà  diuerfe  operazioni  &  contrarie, con  le  tana-  glie esépi grazia  vn  legnaiuolo  caua  gli  aguti  d'vn  legno,  &  col  martello  ve  gii  ficca  ,  vn'eccell.  pittore  le  ha  buon  pennellij&  buon  colori  fa  vna  bella  figura,  le  altramente  brutta .  Che  più  oltre  vn'iftelfo  agente  ,  mercè  della  di-  vertita della  materia  faccia  contrarij  effetti ,  è  chiaro  di  qui  perche  il  Sole  indurifee  la  terra,  che  e  tenera  per  ef-  iere mefcolata  con  l'acqua,  &  intenerire  la  cera.  aelFaz.  zioni  humane  vn'iftelfo  Capitano  delli  elèrciti  Ce  ha  per  fine  la  vittoria  per  quella  Rcpubl.per  la  quale  e5  combat-  te la  può  conlèguire  .    la  perdita  &  la  rouina  ancora  di  cotanto  male  può  eifere  caufa  ;  &  cosi  la  diuerfità  de'  fini  è  caufa  ancora ,  che  da  vna  medemna  cagione  effettrice  nafehino  diuerfi  effetti,  in  vltimo,che  duoi  contrarij,có-  trarij  effetti  preduchino  è  chiaro,  il  bene  accende  in  noi  desiderio  di  le  il eifo,&  di  qui  è  che  ci  muouiamo  per  ac-  quiftarlo,il  male  cagiona  l'odio, &  il  fuggirlo. dalla  fanità  procedono  le  operazioni  naturali  Se  buone,dairinfermi-    fono  impediti, &  fatte  imperfette,  da  queita  diftinzio-  ne  è  manifefto  come  il  dolce  lòfpirare, parlare,  &  ridere  dell'amata  dia  la  làmta  all'amante,  fendo  li  ella  con  que-  fte  gra7ie  prefente,  e  l'infermi, e  dia  morte  con  la  fua  ai-  lènza,  poi  come  contrarie  cagioni  il  dolce  lòfpirare,par-»  lare  &  ridere ,  el  fare  tutto  que  :o  con  afprezza  &  sgar-  batamente, ne  lègue  ò  la  lanità  &  la  vita,  o  la  malattia,  8c  la  morte  nello  amante ,  effetti  contrarij  da  contrarie  ca-  gioni procedenti.   Da  tutto  quefto  mio  ragionamento  può  ciafeuno  di  ▼oi  gentiliduni ,  &  accortitììrni  Accademici ,  &  Vditori  haucrecomprelò,  chcilnoltro  M.  Francelco  Petrarca  non  con  minore  altezza  ni  concetti ,  ne  con  manco  beilo  ordine  hi  celebrate  le  bellezze  &  le  gra?  ie  delia  t    M.  Laura,che  con  maeità  &  grazia  di  parole,  ateeiò  che  egli  «el primo  quadernario  di  quello  Sonetto  l'eiàlta  da  tut-    Del  Verino.        %f   te  le  principali^  più  degne  cagioni,come  tra  le  irrumen  tali  è  il  Cielo  con  1  fuoi  più  benigni  lumi ,  i  quali  in  luo*  ghi  alci  &  eletti  fi  ridonarono  il  di  che  cortei  nacque ,  tra  l'elemplari  l'Idea  d'vna  graviofilTima  Donna,  tra  le  agenti  la  natura  prima, ò  vero  eifa  prima  ,  &  iuprema  ca-  gione d'ogni  colà  buona ,  &  d'ogni  rara  bellezza ,  tra  le  formali  più  notabilità  grazia  &  la  Ieggiadna,&  tra  le  ma  renali  il  vifo  di  queita  iva  donna  .  Confederando  più  ol-  tre, che  quello  &  dotto  &  gentil  Poeta  nel  lecondo  qua-  dernario lèguita,  ma  più  particolarmente  ài  renderci  ma  rauigliofele  bellezze  di  M.Laura,celebrandole  fuechio  me,  con  agguagliarle  al  finiiììmo  ore  nel  colore,  &  nello  fplendore ,  &  preponendole  alle  chiome  fparie  all'aura  di  qual    voglia  Ninfa ,  che    ritroui  ne'  fonti,&  di  qual  fi  voglia  Dea  habitatrice  delle  lelue  ,  &  credo  io  ,  che  à  più  eleuati  ingegni  intenia  di  lodarla  di  carità  attribuì»  ta  alle  Ninfe  ,  le  quali  l'ardore  delle  carnali  dilettazioni  eitinguono  con  queita  angelica  virtù,  non  altraméte,che  il  fuoco  iìa  eitinto  dall'acqua  .  cosi  voglia  Ibpra  modo  li-  gnificarci ,  che  ella  ha  in  se  raccolte  le  virtù  in  eccellen-  za ,  il  che  e  colà  rara  &  folitaria  come  quelli ,  che  per  attendere  alle  diuine  fpecolazioni ,  fuggono  le  conucr-  fazioni,  Se  li  riducono  ad  habitare  ne'  Dolchi,  &  nel-  le felue.  nelmedefimo  quadernario  magnifica  le  virtù  di  queita  dia  donna  dal  gran  numero  ,  che  ella  n'ha  rac-  colte nel  fuo  animo ,  quafi  volendo  dire  ,  che  doue  nel-  l'altre belle  ne  è  vna ,  e  óuq,  ò  poche  più  in  lei  iòn  tutte .  cosi  dalleilremo  poterebbe  l'hanno  in  lui,che  è  di  con-  durlo à  morte  per  l'infinite ,  &  grandiilune  pailìoni ,  eoa  le  quali  tutta  la  f    vita  è  mole-Hata ,  &  quello  perche  egli  non  teneua  modo  ,  ne  anfora  in  amarle,  onde  el-  la molte  volte  le  gli  moitraua  disdegnofa  ,  &  adirata;  &  quefto  li  recaua  infiniti  tormenti ,  come  per  il  contra-  rio le  benigne  accoglierne  vq  contento,^  vn  allegrézza  lenza  termine  »   Tcn#    $8      Lezzione   Terzo  &  vltimo  più  in  particolare  ci  efprimc  le  gra-  fie &  la  forza  di  alcune  parti  di  queftabelliiTima,  &  le?-  giadriflìmà  Donna:  le  quali  grazie  dico  iono  di  alcu-  ne parti  del  corpo ,  come  degli  occhi,del  cuore ,  &  del-  la bocca  ,  &  ci  annunziano  vna  maggiore  grazia ,  che  è  quella  del  Tuo  bell'animo,  quella  degli  occhi  è  di-  vina, &  confifbepiù  che  in  altro  nel  girargli  con  fua-  uità  ,  &  perche  per  gli  occhi  molto  fi  lcuoprono  altrui ,  le  qualità  dell'animo  :  come  i  più  dotti  de  Fifìonomi  ci  dimoftrano,&  refperienzaftefla  :  di  quìè,che  dalmo-  uimento  fòaue  &  gentile  degli  occhi ,  fi  può  prendere  fpedito  argomento  del  fuo  bell'animo  dal  lòfpirare  fi-  milmente  confoauità,  fi  conofee  vn'animo  appaflìona-  tOi  ma  con  certa  moderanza  comeauuicne  in  chi  mo-  dera gli  affetti  col  freno ,  &  con  la  legge  della  retta  ra-  gione .  Le  grazie  finalmente  della  bocca  Tono  il  dolce  parlare ,  che  ci  dinota  vna  moderanza  nell'appetito  ira-  labile,  che  ci  ìùole  per  la  bellezza ,  ò  per  qualche  bene^  che  è  m  noi  più  che  in  altri  inluperbire ,  &  il  dolce  riio  dolcezza  &  piaceuolezza  nel  conuerfàre ,   O  D  i  o  immortale  con  quanta  arte  ci  fai  tu  quaggiù  in  terra  &  inquefta  materia  vedere  la  tua  Bontà,  &  le  tue  bellezze,  &  con  quanto  ftupore  cosi  dottamente ,  &  con  tanta  leggiadria  di  parole  quefto  Poeta  ce  le  ha  cfprefTe  &  cantate  in  quefto  Sonetto  :  perche  non  ho  io  potuto  con  quell'altezza  di  concetti ,  con  quel  maraui-  gliofo  ordine,  &  con  quella  maeftà  di  parole,  che  fi  conueniua ,  &  che  io  più  defidcrauo  difeorrerne  digniil  fimi  Accademici ,  &  Vditori  ?  perche  dico  non  ho  io  potuto  così  celebrarle  alla  prelènza  voftra  ?  mercè  credo  io  della  debolezza  del  mio  intelletto,  &  della  rozzez-  za del  mio  dire ,  con  le  quali  imperfezzioni  è  piaciu-  to alla  DiuinaProuidenza  cheiofia,  acciò  più  illuftre  &  chiare  apparifehino  leperfezzioni,  &  le  grazie  di  molti  altri,  &atfine  che  io  comprenda,  che  tanto  più   fi    Del  Verino.        0   ri  fono  obbligato  della  grata  vdienza ,  che  come  corte*   fiiTimi  mi  hauete  data ,  quanto  meno  mi  II  conuc-   niua ,  &  perciò  con  tutto  lo  affetto  del   cuore  ve  ne  ringrazio     *         *   *   IO  HO  DETTO»   Il   Fini, Francesco Vieri. Vieri. Keywords: Pico, Accademia. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Vieri: la dialettica fiorentina”, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. 

Grice e Vigellio: la ragione conversazionale a Roma -- il portico romano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Amico ed allievo di Panezio. Stoic philosopher. A riend and pupil of Panaetius, with whom he also lives. He is noted by CICERONE in “De Oratore” to have also been a friend of Lucio Licinio CRASSIO (vide), the greatest Roman orator prior to CICERONE. All other information has been lost.  See also List of Stoic philosophers. References: Blits, “The Heart of Rome: Ancient Rome’s Political Culture”; CICERONE. The first Stoic philosopher in Rome is the famous Panezio, who joins The Scipionic Circle, lives for a while in SCIPIONE’s home and travels with him for more than a year on a public embassy to the East. Besides SCIPIONE, consul, and censor, at least six  *other* consuls study under Panaetius. They include LELIO and L. FURIO, both of whom, along with SCIPIONE and Polibio, hear the three Greek philosophers at Rome; FANNIO; Q. Elio TUBERONE, suffect consul, Q. Mucio SCEVOLA, and Rutilio RUFO. In addition, Spurio Mummio, one of the legates sent to settle Greek affairs is trained in the doctrine of il PORTICO (Cicero, “Bruto”). V., friend of CRASSIO, consul, is Panezio’s friend and pupil, and lives with him (CICERONE, “De oratore”); and Sesto POMPEO, son of the governor of Macedonia, brother of a consul, and uncle of POMPEO maggiore, withdraws from politics in order to devote himself to the philosophy of the Portico (CICERONE, Bruto, De oratore). Portico. Pupil of Panezio. Marco Vigellio. Marcus Vigellius. Luigi Speranza for H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

Grice e Vigna: la ragione conversazionale e la regola d’oro conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rosolini). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Studia filosofia a Milano, legandosi in special modo all'insegnamento di BONTADINI (vide) e SEVERINO (vide). Con SEVERINO si laurea con la tesi, ‘La logica dell'astratto – generale -- e la logica del concreto – particolare’”. Insegna filosofia a Milano e Venezia. Presidente della Società italiana di filosofia morale. Si occupa della filosofia del lizio, o peripato, e di neo-idealismo italiano. Si concentra in maniera speciale sull'ontologia, proponendo una ‘semantizzazione’ del concetto di ‘essere’ capace di risolvere la aporia del “parmenidismo” (vide VELIA) di SEVERINO, che in qualche modo grava anche sulla speculazione di BONTADINI. Questa ‘semantizzazione’ permette di leggere nel ‘divenire’ (“x divenne y”), non l'annullamento dell'ESSERE (“x e y”), ma piuttosto l’annullamento di UN ENTE. La differenza fondamentale è proprio quella che passa tra l’essere ‘assoluto’ che *non* diviene, e UN ente finito che comincia e cessa di essere – cfr. Grice, relative identity in Geach and Myro, and his schema on becoming after von Wrigt in “Actions and events.” Questa impostazione ha consentito di raffinare ulteriormente il tema della mediazione metafisica che sfrutta e compone la posizione necessaria della totalità di un essere con la posizione della totalità molteplice e mutabile dell'esperienza.  Insieme all’analisi di ontologia, si sono svolte quelle di etica (bio-etica). L'etica è intesa fondamentalmente come un’annalisi del desiderio o volere, il quale, a sua volta, è fondamentalmente desiderio di un altro desiderio (“meta-desiderio”), cioè poi di un altro essere umano – il co-conversazionalista B -- che ci desideri e ci riconosca. L'etica e così ri-condotta alle dinamiche di una relazione inter-soggettiva, che si puo descrivere secondo tre modelli basilari. Il primo modello è il modello griceiano – ariskantiano -- quello regolativo per l'etica. E quello in cui le soggettività si riconoscono reciprocamente come delle soggettività, e cioè come delle persone o degl’esseri che pensano e desiderano in modo trascendentale. Il secondo modello, piu primitive, è quello trasgressivo della ragione istrumentale. Quello in cui le soggettività confliggono e cercano di dominare il soggetto che hanno di fronte, trattandolo come un oggetto o istrumento -- o una cosa manipolabile a loro piacimento. Il terzo modello, che si colloca a mezza strada fra i due precedenti, è quello che V. definisce come modello griceiano ‘oblativo,’ in cui, mentre una delle due soggettività riconosce l'altra e si dispone a trattare l'altra secondo la cura e il rispetto che le convengono, l'altra soggettività non offre nessun riconoscimento e cerca di imporsi sulla soggettività riconoscente come soggettività dominante. Questa impostazione onto-etica si caratterizza per il tentativo di fondare la regolatività etica del modello ariskantiano di Grice su argomentazioni che partono dal rilievo irrefutabile della trascendentalità della persona, la quale si trova invece contraddetta in tutte le situazioni di rapporto inter-soggettivo ri-conducibili agl’altri due modelli (razionalita istrumentale – Modelo II --, e razionalita di oppression – Modelo III).  L’indagini di antropologia trascendentale completano e chiudono questo percorso, ponendosi come il termine medio che stringe e salda l'ontologia all'etica. Il concetto di ‘persona’ viene inteso alla Grice e Strawson come sinergia del concetto di ‘sostanza’ e di quello di relazione (la categoria della relazione di Aristotele, la relati, o il ‘pros ti’.  Sostanza (ousia, sub-stantia,  essential) è classicamente quello che permane e sta in sé. La relazione, invece, è qui il rapporto intenzionale ad altro da sé. La persona è una sinergia di sostanza e relazione perché è sia rapporto a se stesso sia rapporto all'altro da sé, in quanto è essenzialmente una intenzionalità trascendentale, ovverosia un orizzonte consistente di relazione all'altro da sé, secondo il corso illimitato del desiderio che lo abita. Saggi: “La dialettica di GENTILE” in “Giornale critico della filosofia italiana”, “La religione nella filosofia di GENTILE”, “Giornale critico della filosofia italiana”, “GENTILE, interprete di Marx”, in  Enciclopedia. La filosofia di GENTILE, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, “Ragione e religione”(CELUC, Milano); “Filosofia e marxismo” (CELUC, Milano); “Le origini del marxismo teorico in Italia: il dibattito tra LABRIOLA, CROCE, GENTILE, e Sorel sui rapporti tra marxismo e filosofia (Città Nuova, Roma); “GRAMSCI: il pensiero teorico e politico e la questione leninista” (Città Nuova, Roma); “Invito al pensiero di Aristotele” (Mursia, Milano), “Sostanza e relazione: una aporetica della persona,” in L'idea di persona, Melchiorre (Vita e Pensiero, Milano); “L'enigma del desiderio” (San Paolo, Cinisello Balsamo); “La politica e la speranza” (Lavoro, Roma); “Il frammento e l'intero: -- il toto e la parte -- indagini sul concetto di essere e sulla stabilità del sapere” (Orthotes, Napoli); “Sul trascendentale come inter-soggettività originaria”, in “Le avventure del trascendentale,” Rigobello (Rosenberg, Torino); “Sulla verità e sul bene” (Petite Plaisance, Pistoia); “Etica del desiderio come etica del riconoscimento” (Orthotes, Napoli); “Sostanza e relazione: indagini di struttura sull'umano che ci è comune” (Napoli); “Studi su GENTILE” (Orthotes, Napoli); “Studi su Marx” (Orthotes, Napoli); “Studi su Aristotele” (Orthotes, Napoli); “La ragione e la dialettica: studi su Marx e VOLPE” (Marsilio, Venezia); “Teorie della felicità” (Francisci, Abano Terme); “La qualità dell'uomo: filosofi e psicologi a confronto” (Angeli, Milano); “Dio e la ragione” (Marietti, Genova); “L'etica e il suo altro” (Angeli, Milano); “Strutture del sapere filosofico” (Cardo, Venezia); “La libertà del bene” (Vita e Pensiero, Milano); “Essere giusti con l'altro” (Rosenberg, Torino); ‘Introduzione all'etica” (Vita e Pensiero, Milano); “Etica trascendentale e intersoggettività” (Vita e Pensiero, Milano); “Multi-culturalismo e identità” (Vita e Pensiero, Milano); “La persona e i nomi dell'essere: sritti di filosofia in onore di MELCHIORRE” (Vita e Pensiero, Milano); “Libertà, giustizia e bene in una società plurale” (Vita e Pensiero, Milano); “Etiche e politiche della post-modernità” (Milano, Vita e Pensiero); “Etica del plurale: giustizia, riconoscimento, responsabilità” (Vita e Pensiero, Milano); “Affetti e legami” (Vita e Pensiero, Milano); “La REGOLA D’ORO come etica universale (Vita e Pensiero, Milano); “BONTADINI e la metafisica” (Vita e Pensiero, Milano); “Metafisica e violenza” (Vita e Pensiero, Milano); “Etica di frontiera: nuove forme del bene e del male” (Vita e Pensiero, Milano); “Di un altro genere: etica al femminile” (Vita e Pensiero, Milano); Pira. Un san Francesco nel Novecento (AVE, Roma); “Multi-culturalismo e inter-culturalità: l'etica in questione” (Vita e Pensiero, Milano); “La vita spettacolare: questioni di etica” (Orthotes, Napoli); “Etica dell'economia: idee per una critica del riduzionismo economico (Orthotes, Napoli); “Differenza di genere e differenza sessuale: un problema di etica di frontiera” (Orthotes, Napoli); “Il dovere dell'ospitalità (Orthotes, Napoli). Dell'interpretazione di GENTILE offerta da V. discutono, fra gl’altri, Berlanda, “GENTILE e l'ipoteca kantiana. Linee di formazione del primo attualismo” (Vita e Pensiero, Milano); Bettineschi, “Critica della prassi assoluta: analisi dell'idealismo di GENTILE” (Orthotes, Napoli). Si vedano anche “Studi GENTILIANI” (Orthotes, Napoli). Cfr. “Studi marxiani” (Orthotes, Napoli). Cfr. gli scritti raccolti in V., Studi aristotelici” (Orthotes, Napoli); Saccardi, Semantizzazione dell'essere e inferenza metempirica, in Pagani, “Debili postille. Lettere a V.” (Orthotes, Napoli). Cfr. anche Messinese, “L'apparire del mondo: dialogo con SEVERINO sulla ‘struttura originaria’ del sapere” (Mimesis, Milano). “V., invece, che pur si è formato alla scuola di BONTADINI e di SEVERINO, non segue più i suoi maestri, perché ormai ritiene che, se si accetta la “semantizzazione parmenidea” (vide VELIA) dell’essere, non si può evitare di estendere gl’attributi dell'essere assoluto all’ente, come precisamente è avvenuto nello svolgimento della filosofia di SEVERINO. L'errore, però, prosegue V., sta proprio in questo “aver trattato la questione dell'essere come una questione di ESSENZA.” L'errore viene eliminato convincendosi che la “semantizzazione” dell'essere coincide con la relazione d’essenza ed esistenza': questo è il 'tratto comune' tra tutti gl’enti".  Cfr. V., “Il frammento e l'intero,  Sulla semantizzazione dell'essere. L'eredità speculativa di BONTADINI, in “BONTADINI e la metafisica.” Si veda inoltre SOLLIANI, “Dell'essere come essenza: per una rivisitazione del problema a partire d'AQUINO” in Debili postille, Il frammento e l'Intero, Cfr. anche Pagani, “Una rivisitazione della via del divenire e Peratoner, Intorno alla conoscibilità di Dio, la ragione, la fede, in Debili postille,  Si veda poi Barzaghi, Percorsi di rigorizzazione della teologia naturale nella filosofia neo-classica milanese”, “Rivista di filosofia neo-scolastica”. Cfr. Vigna, Etica del desiderio umano (in nuce), in Introduzione all'etica, Aporetica dei rapporti intersoggettivi e sua risoluzione, in Etica trascendentale e inter-soggettività,  Si veda anche il saggio di Fanciullacci, “Dell'inter-soggettività e del riconoscimento, in Debili postille, Cfr. V., Sul trascendentale come inter-soggettività originaria. Venuti, La cura dell’altro come REGOLA D’ORO. Lettera aperta a V., e S. Zanardo, Sul dono della differenza, in Debili postille, Per una discussione complessiva del pensiero di V. si vedano i saggi contenuti in Pagani  Debili postille. Lettere a V.” (Orthotes, Napoli); “Sostanza e relazione: una aporetica della persona.” Si può vedere anche Bettineschi, Finità e infinità della soggettività. Lettera aperta a V., in Bettineschi, “Intenzionalità e riconoscimento: scritti di etica e antropologia trascendentale” (Orthotes, Napoli). Bergamo festival: l'intuizione, su you tube. Malato o persona?, su you tube. L'etica, you tube.com. Treccani. Intervista a V.: la filosofia morale, you tube. Tugnoli, V.: il desiderio come orizzonte trascendentale, su mondo-domani. Venezia, su unive Bollettino della Società filosofica italiana, Centro di etica generale ed applicata, su centro di etica. Centro inter-universitario per gli studi sull’etica, su venus unive. Società italiana di filosofia morale, Intervento su La Pira, su avvenire. Attualismo, problematicismo, metafisica, su filosofia. La politica e il sacro, su in schibboleth.  Bisognerebbe oggi parlare piuttosto di metafisica del male comune… Siamo infatti  dinanzi ad un certo tramonto del politico, almeno nell’Occidente post-industriale: lo siamo  nel senso che la società civile, negli ultimi decenni, ha assorbito in sé ciò che una volta era,  almeno in parte, contenuto della sfera politica; ma lo siamo soprattutto nel senso che il  compito politico sembra troppo difficile da eseguire ed è in effetti non di rado tradito da  coloro che ne sono in prima battuta responsabili. Ad una sorta di processo di disseminazio-  ne di progettualità creativa in seno alla società civile sembra corrispondere una sorta di di-  scredito e di scetticismo quanto alla sfera politica. La sfera politica sembra non riuscire più  ad occuparsi della cosa comune ed essere diventata, piuttosto, il luogo di una distribuzione  corporativa delle risorse. Quando non si giunge, come ad esempio in Italia (ma certo non  soltanto in Italia), a forme molto gravi di corruzione e di spreco. Il cittadino medio tende  perciò a ritrarsi dalla politica o semplicemente cerca di profittarne.  2. Di fronte all’ingestibilità della progettualità politica, e pure di fronte al discredito del-  la politica, si capisce perché vi sia un generale movimento di conversione dai fini ai fondamenti  della comune convivenza. Ma questa conversione a me pare, in realtà, non tanto una con-  versione dalla progettualità politica all’amministrazione della società civile, quanto una  qualche conversione dalla politica all’etica.  3. Ci si è convertiti all’etica, quasi per esaurimento della sfera politica: questo ho appena  suggerito. Ma l’etica non pare offrire uno spettacolo diverso dalla politica, nonostante oggi  la si chiami fuori, l’etica, per dirimere, quasi giudice supremo, i conflitti tra il politico, il so-  ciale e il privato; anche l’etica, infatti, ha i suoi problemi, né suscita consensi facili, quando  si va a determinare caso per caso che cosa può dirsi garantito dall’etica. Sono note ad es. le  polemiche sulla bioetica, tanto per citare uno dei temi oggi forse più rilevanti, anche per le  sue immediate ripercussioni in ambito politico. Dobbiamo dunque mettere sul conto della  nostra quotidianità una eclisse anche dell’accordo sulle convinzioni etiche? Così pare. E il  multiculturalismo spinge nello stesso senso. Fino a qualche decennio fa la trasgressione  prendeva di mira la legge politica (si ricordi la temperie sessantottina); oggi quel tipo di trasgressione sembra rientrata e sembra, appunto, presa di mira anche l’etica. Cito solo un  sintomo, ma vistoso: ciò che si discute con sempre maggiore frequenza è la possibilità di  stabilire regole per tutti che siano regole puramente convenzionali o formalistiche, anche  sul piano “etico”. L’area anglosassone, più sperimentata in fatto di multiculturalismo, ha  avanzato non poche proposte in tal senso. Ma bisogna pur dire che ogni formalismo con-  venzionalistico contiene in sé il difetto radicale di valere tanto per le cose buone quanto per  42  Carmelo Vigna  quelle malvagie (anche una organizzazione mafiosa rispetta una serie di convenzioni...),  sicché serve solo a scansare il problema fondamentale, anzi che a risolverlo. Ed è qui che  il bisogno di stare al sostanziale tende alla compensazione dell’etica, lmeno nel senso di  ricorrere ad elementi o frammenti di rimandi all’etica, per ottenere coesione e consenso.  Una certa fiducia nell’universale rispetto dell’essere umano e un certo rimando ad una fede  paiono non di rado un collante più potente di qualsiasi considerazione ideologica, visto  anche il discredito su larga scala patito dalle ideologie novecentesche.  4. Eppure, dell’etica e della politica, in realtà, nessuno può fare a meno. L’etica e la  politica, come tutte le cose “necessarie” per la vita degli uomini, si raccomandano da sole.  Come tutte le cose “necessarie”, l’etica e la politica ricompaiono e persino dominano anche  là dove le si vuole a tutti i costi esorcizzare. Solo che tutte queste cose prendono vesti di-  verse da quelle di una volta: tendono a frantumarsi in molti rivoli o assumono andamenti  carsici. Per esempio, l’etica e la politica diventano oggi cura del mondo della natura o  riscatto del femminile, lotta per l’integrazione delle etnie o sostegno per gli emigranti e gli  emarginati. Comunque, quando e a misura che appaiono onorate, queste dimensioni del  senso della vita umana sembrano rendere possibile la convivenza, perché esse si presenta-  no come custodi di ciò che accomuna gli esseri umani nel profondo. Più di quanto accada  alla semplice fattualità dell’ethos. L’etica e la politica sembrano qualcosa di infinitamente  più prezioso dell’ethos. Sono in effetti il giudizio sull’ethos a partire dalla verità del desi-  derio umano, se intendiamo per ethos ciò che appare come la realizzazione storico-fattuale  di tale desiderio.  5. Abbiamo evocato la “verità” a proposito del desiderio umano. In realtà, l’etica e la  politica, sono solitamente intese come il luogo del riferimento all’”oggettività” normativa.  Ma l’”oggettività” qui che cos’è, se non la “verità” di quel che il desiderio del singolo o  della collettività desidera? Una certa eclisse dell’etica e della politica, in particolare, sem-  bra l’eclisse della consapevolezza di questo legame originario con la verità dell’esistenza.  E allora? Come far fronte a questa “sfida” paradossale del nostro tempo, che vorrebbe fare  a meno dell’universale verità, proprio mentre la invoca per governare la frammentazione  delle esperienze dei singoli e dei molti? Semplificando non poco, io azzarderei questo tipo  di risposta. Un codice universale di natura semplicemente teorica, cioè veritativa, sembra  diventato di fatto improponibile. Questo non significa che sia impossibile. Significa sempli-  cemente che la cultura dominante, incline al relativismo e allo scetticismo, non lo cerca e  non lo vuole. In fondo, ne dispera. Eppure, tenta di rimediare a questo fallimento epocale  mediante la ricerca di un codice pratico. È degna di rilievo la circostanza che gli “ultimi fuo-  chi” della “fondazione” di qualcosa siano, nel pensiero filosofico occidentale, di tipo etico-  pratico (cfr. ad es. le proposte di Apel). Ma anche la fondazione dell’eticità, purtroppo, è…  un che di teorico. Perciò non funziona più di tanto. Ossia: anche l’etica e la filosofia della  politica dividono. Sembra che unisca, piuttosto, la pratica tout court, forse perché nella  pratica ci si deve necessariamente determinare così e così. La pratica è “reale”, si pensa, o  è almeno la riconduzione del pensiero alla realtà (laddove la teoria è la riconduzione della  realtà al pensiero e quindi sembra offrire un margine maggiore alla variazione soggettiva).  43  Per una metafisica del bene comune  Ma non ci si illude anche da questa parte? È possibile. E tuttavia la pratica, come alter-  nativo terreno di intesa, sembra più efficace della teoria, perché si orienta al reale, e il reale  tendenzialmente unifica, se e quando ci è dinanzi (almeno in qualche modo), più di quanto non  accada alla teoria, che soffre degli equivoci insuperabili della comunicazione.  6. Ma una maggiore approssimazione al nostro obbiettivo richiede una manovra ag-  giuntiva. Noi dobbiamo cercare ciò in cui gli esseri umani possono praticamente convenire,  ossia ciò che li può praticamente accomunare. Orbene, ciò che tutti desideriamo è almeno  questo: d’essere riconosciuti e onorati nella nostra umana soggettività. Detto in altri ter-  mini, ogni soggettività umana chiede d’essere riconosciuta come un orizzonte di senso  inoltrepassabile, cioè intenzionalmente infinito, perché tale essa è per via del logos che la  informa. Ma le soggettività sono molte. E come è possibile che più orizzonti intenzional-  mente infiniti coesistano? Non si riesce facilmente a capire proprio questo. Sulle prime, più  infinità, per quanto semplicemente intenzionali, sembrano incompossibili. L’una sembra  togliere all’altra proprio tale carattere (Sartre). Di qui l’impulso al conflitto e quindi alla po-  tenziale esterminazione dell’altro. E in effetti l’esito è inevitabile, se ogni soggettività viene  innanzi esigendo, anzitutto, dall’altra il riconoscimento della propria trascendentalità. Cioè  imponendolo. L’altra, per lo più, farà lo stesso con la prima. Così entrambe le soggettività  finiranno per lottare per la vita e per la morte. Non così, se ogni soggetto, anziché esigere  d’essere riconosciuto nella sua trascendentalità, viene innanzi offrendo, anzitutto, il proprio  riconoscimento della trascendentalità dell’altro. Non così, se l’altro, riconosciuto, viene in-  nanzi riconoscendo a sua volta la trascendentalità del primo. Poiché la trascendentalità in  tal caso non è predata, ma reciprocamente offerta, accade che ognuna delle due coscienze  sia riconosciuta dall’altra. E poiché ognuna liberamente riconosce, resta nella propria tra-  scendentalità anche quando lascia essere l’altra allo ste4sso modo. Due trascendentalità,  così chiasmaticamente incrociate, non sono più incompossibili, anzi si sostengono e si ali-  mentano a vicenda. L’inciampo dell’ostilità reciproca è qui tolto in via di principio.  7. Il primo codice universale e il più efficace è dunque il principio del reciproco rico-  noscimento. In effetti, il principio del reciproco riconoscimento è il codice universale più  praticabile: un gesto di riconoscimento può esser fatto da chiunque lo voglia.  8. La sequenza che ho sinora esposto si può riassumere così: possiamo tornare alla po-  litica solo se transitiamo per un’etica del riconoscimento reciproco. Ma il riconoscimento  reciproco implica inevitabilmente trattare ogni essere umano come fine in sé. Cioè come  qualcosa di inoltrepassabile. Cioè come libero dall’ambiguità delle relazioni di dominio.  La vita umana non può che abitare questo luogo, se andiamo alla sua regola secondo ve-  rità. Ma come in concreto si struttura la salvaguardia della vita umana nella società civile?  Credo che si possa agevolmente rispondere a questa domanda riproponendo nel giusto  ordine tre grandi convinzioni che da tempo immemorabile gli esseri umani hanno tentato  in un modo o nell’altro di onorare: la libertà del gesto, che fa dell’azione una azione umana  nella sua dignità, la mira del bene, che riscatta la libertà da possibili ambiguità, la giustizia  del gesto che fa della mira del bene una questione non solo della vita del singolo, ma an-  44  Carmelo Vigna  che della vita di tutti. Vediamo partitamente queste tre convinzioni, che rendono possibile  l’umana convivenza come società civile e che devono essere protette dall’umana convivenza  come società politica.  9. Il primo breve discorso che vorrei fare è quello sul bene1, perché sono convinto del  fatto che dal bene cominci propriamente la possibilità di una determinazione equilibrata  delle altre due parole: la libertà e la giustizia e perché il bene custodisce in sommo grado  la natura sacro-santa della vita umana. La vulgata precedenza della libertà sul bene e sulla  giustizia è in realtà un capovolgimento della vera sequenza teorica. Dobbiamo tale errata  precedenza alla modernità. Essa compare con solennità epocale per la prima volta nelle  parole d’ordine della rivoluzione francese: libertà, eguaglianza, fraternità. Da allora in poi  ha fatto, purtroppo, molta strada. Dico “purtroppo”, perché sono dell’avviso che, comin-  ciando dalla libertà si onora un essere umano, ma solo cominciando dal bene lo si orienta  in modo conveniente nei suoi propositi di vita, singolare o collettiva. E un essere umano è  libero soprattutto per questo, per confrontarsi col bene. Il bene è infatti il fine d’ogni azione  e nella vita pratica tutto prende senso dal fine.  10. Ma lasciamo i discorsi formali e veniamo a qualche considerazione un po’ più con-  tenutistica. Chiediamoci, anzitutto, perché nel corso della modernità il bene è stato gra-  dualmente messo da parte (il grande discrimine è il Kant della Critica della ragion pratica).  La risposta a questo interrogativo è nota ai metafisici – solo la richiamo – ed è duplice.  Prima parte: il tema del bene è stato accantonato, perché strettamente legato all’ontologia  metafisica, da Kant in poi (v. Critica della ragion pura), per comune convinzione, considerata  impossibile. L’ontologia metafisica, veicolata, specialmente da Wolff in avanti, come un  sapere sistematico, con l’aura dell’assolutezza, era simbolicamente accostata, in termini  politici, a qualcosa come la monarchia assoluta e/o il papato. Ma questo, in molti spiriti  liberi, significava inevitabilmente dispotismo, autoritarismo, inquisizione e simili. La mo-  dernità è rappresentabile, da questo punto di vista, come la rivolta della soggettività contro  un simile apparato, in nome d’un nuovo fondamento di senso: la soggettività medesima,  cui appartiene essenzialmente l’attributo trascendentale della libertà. Il cogito cartesiano  inaugura questa stagione, anche se l’emergenza della figura della libertà è da addebitare  alla stagione illuministica.  11. Ma vediamo l’altra parte. Nella modernità il riferimento al divino, cui il bene era da  molti secoli, in ultima istanza, rapportato, si attenua fortemente e gradualmente; dall’Uma-  nesimo in avanti, viene innanzi, e anche occupa per intero lo scenario, l’essere umano con  il suo mondo. Il contenuto del bene diventa proprio questo. Non è, il bene, sparito dalla  circolazione delle idee: ha solo mutato nome. E del resto non poteva sparire, perché fa parte  del modo in cui necessariamente viviamo. Dunque, il bene della soggettività moderna in rivol-  ta è la soggettività medesima: in versione singolare o in versione comunitaria. Troviamo l’espres-  sione più netta della rotazione di senso nella prima e nella terza parola della sequenza della  1 Mi permetto rimandare al vol. da me curato, AA. Vari, La libertà del bene, Vita e Pensiero, Milano 1998 e spec. al  mio saggio su Bene e male. Una riconsiderazione, ivi, pp. 55-80.  45  Per una metafisica del bene comune  rivoluzione francese: la “libertà” e la “fraternità”. A seconda che si propenda per il primato  dell’una o dell’altra parola, si avrà nel seguito il liberalismo o il collettivismo. Da allora, a  mio avviso, non è cambiato molto su questo terreno. Tutti i pensatori etico-politici moderni  e molti dei pensatori contemporanei si schierano tendenzialmente da una parte o dall’altra.  12. Direi che questa “vulgata” ha per ora pochi avversari. Ma a breve le cose potrebbero  cambiare. Timidamente si fa innanzi presso alcuni post-moderni (ad es. Foucault) e presso  alcuni esponenti radicali del pensiero verde (v. Bateson, ad es.) l’oltrepassamento della cen-  tralità del soggetto e dei soggetti, in direzione di un paganesimo cosmicizzante. Nietzsche  è il piccolo padre anche di questa nuova ondata. La cosa era forse in certo modo prevedibile.  Una volta eliminato il Dio della metafisica e della religione, il piccone della critica si è anda-  to esercitando, anzi si è andato accanendo sulla portata trascendentale della soggettività, e  ne ha decretato la fine. E allora, cosa può diventare riferimento ultimo del senso, messo da  parte Dio e l’uomo, se non il cosmo, che è poi la terza della grandi parole della metafisica,  ancora presenti nella critica kantiana come indicazioni sistematiche ideali?  13. Questa recente direzione di marcia lavora sulla fine della soggettività trascendentale  forse anche a partire da un certo fascino indotto dalla vita materiale: la durezza delle di-  namiche economiche, apparentemente incontrollabili; il trionfo della tecnologia, dilatabile,  si opina, senza limiti; il fascino della biosfera, che fa sognare una sorta di unità mistica  quanto alle forme di vita, compresa la vita umana; la rete mediatica che influisce poten-  temente sui costumi e produce condotte eteronome di massa, l’enorme flusso migratorio,  che relativizza tutto ciò che la soggettività singola ha costruito come propria storia. La  soggettività moderna, insomma, ne sembra schiacciata. Marx pensava ancora di mettere  innanzi la grandezza della specie umana per governare la storia. I contemporanei si sono  arresi, quando anche questa variante consolatoria è fallita. Le voci che fanno dell’umanità  un giocattolo in balia di mani più forti, come sono quelle della tecnologia o quelle delle  forze naturali, sono sempre più ascoltate.  14. Personalmente, resto scettico di fronte ai tentativi di oltrepassamento dell’orizzon-  te della soggettività in una neutra oggettività. Neutra, poi, non proprio, perché si colora  subito di irrazionalità, arbitrarietà, crudeltà e cinismo. Nietzsche ancora una volta ha già  predetto l’essenziale, cioè ha visto in anticipo la deriva di ciò che segue alla “morte di Dio”.  Egli voleva reagire a questa deriva, con un rinnovato umanesimo. E noi siamo forse ancora  al punto in cui egli si era fermato; dobbiamo, cioè, capire che fare quanto al nostro destino  di umani, ora che cominciamo a nutrire seri dubbi sulla capacità nostra di governare la  terra.  15. Chiedersi da che parte andare è lo stesso che chiedersi qual è il nostro bene, il bene  per noi post-moderni. S’intende: trattandosi del nostro bene, si tratta del bene non solo  di un singolo, ma anche dei molti e in una società pluralistica. Si tratta del bene comune  dell’intera umanità. A guardare le cose un po’ dall’alto, vien da dire che oggi bisognerebbe  decidere quale delle tre grandi parole della metafisica prima citate può interessare una so-  46  Carmelo Vigna  cietà pluralistica come riferimento di senso. Dico “può interessare”. Faccio, in altri termini,  un discorso di “persuasività”, non un discorso di stretta “verità”. Se dovessi fare un discor-  so di stretta verità, dovrei molto semplicemente affermare che il primo e, in certo senso,  l’unico oggetto degno dell’attenzione originaria di un essere umano è l’Assoluto. Cioè,  solo Dio è degno, in ultima istanza, dei nostri desideri e dei nostri pensieri. Nessun altro  e nient’altro. La stragrande parte degli uomini, in modo più o meno rozzo o più o meno  sofisticato, pensa spontaneamente così e in qualche modo cerca di onorare questo modo di  pensare. L’enorme impatto sulla faccia della terra delle convinzioni religiose è lì a testimo-  niarlo. Solo una sparuta minoranza, in realtà, per lo più abitante dell’Occidente opulento  e post-industriale, si permette, a questo riguardo, forme insistite o incistate di scetticismo  a trecentosessanta gradi. Se si vuol fare, tuttavia, un discorso di persuasività etico-politica,  cioè un discorso che si fonda su una serie di evidenze abbastanza facili da percepire per  i più, allora il discorso sul bene in una società pluralistica non può che essere centrato sugli  esseri umani. Non certo sulla natura, la quale deve essere, sì, oggetto di cura, perché è il no-  stro “grande corpo organico”, ma, appunto, di una cura subordinata alla cura degli umani;  non, purtroppo, su un Dio trascendente, perché non tutti lo riconoscono, perché di Lui,  comunque, nulla possiamo sapere in linea puri intellectus, eccetto l’esistenza sua, e quel che  ne diciamo quanto alla sua essenza, ci divide più di qualsiasi altra cosa. Insomma, resta  l’uomo come fine. In termini etico-politici, cioè di pragmatica possibilità di stringere accordi  potenzialmente universali, una impostazione come quella ad es. di Hans Jonas potrebbe  essere accettabile. Ma studiosi come Rawls o Habermas propongono strategie simili. Del  resto, se questo primato antropologico venisse perseguito a fondo, sarebbe più facile per  molti sentire in cuor proprio il bisogno di volgersi all’origine ontologico-metafisica della buo-  na qualità dei rapporti tra noi, anche perché una parte, almeno, dell’umanità sicuramente  continuerà a testimoniare il nesso tra la pratica della fraternità e il rimando inevitabile ad  una suprema e universale Paternità. Lì abita in ultima istanza il sacro-santo della vita. Ma  qui devo lasciare in sospeso il tema, perché andrebbe nel senso della teologia politica, su  cui è bene che sia altri a dire.  16. Ora andiamo al tema della giustizia. Come è noto, l’etica pubblica si divide tra i so-  stenitori del primato della giustizia come elemento procedurale e formale dell’architettura  della convivenza umana e i sostenitori del primato del bene o dei beni come acquisizione  “sostantiva”. Lo abbiamo accennato prima. Io credo, invece, che si tratti di due “cifre”, la  giustizia e il bene, per nulla alternative, anche perché entrambe “originarie”.  17. Se ben si riflette, appare sufficientemente chiaro che il giusto è un certo rapporto, men-  tre il bene è il termine di un rapporto. Giusto, poi è il rapporto buono, mentre il bene non si  risolve semplicemente nel rapporto giusto. Il rapporto giusto è solo uno dei beni possibili.  I due significati, dunque, non sono propriamente equivalenti (il bene, ad evidentiam, ha una  estensione maggiore), anche se l’uso linguistico tende a trattarli quasi in modo sinonimico2  .  È vero, piuttosto, che essi in qualche modo si determinano a vicenda, perché il bene non  2 È anche evidente che l’oggetto cui ci si rapporta è più importante del rapporto. Il rapporto è una realtà inten-  zionale, mentre il bene è una realtà ontologica. Naturalmente, anche la realtà intenzionale è in qualche modo  47  Per una metafisica del bene comune  può prescindere da un certo rapporto e il giusto non può fare a meno del riferimento al  bene. E tuttavia, se è vero che il bene non può fare a meno d’essere un rapporto, ciò che  nel determinare il bene importa è, in primo luogo, la natura dell’oggetto cui ci si rapporta;  parimenti, se il giusto non può fare a meno di una relazione ai beni (questo è specialmente  evidente nella giustizia di tipo distributivo, ma poi appare anche in quella di tipo commu-  tativo), la natura del bene è per il giusto relativamente indifferente. Si può stare nel giusto  con beni piccoli o con grandi beni. Conta, appunto la natura del rapporto, cioè che si tratti  di un rapporto in cui non manchi l’uguaglianza (commutativa o distributiva che sia).  18. Che ne è della giustizia in una società veramente civile? La domanda importa che  si trovi un rapporto giusto per tutti, indipendentemente da una certa identità culturale. Ora,  che cosa è anzitutto giusto per qualsiasi essere umano? Ossia: quale rapporto un essere  umano giudica come tale che non viola le proprie attese originarie di giustizia? La risposta  obbligata mi par questa: per un essere umano è anzitutto giusto o ingiusto ciò che concerne  l’immediato rapporto suo con gli altri esseri umani. E il rapporto giusto è il rapporto che  rispetta, anzi onora e quindi si prende cura della soggettività nella sua trascendentalità; è  il rapporto che lascia essere gli esseri umani come tali, cioè non li riduce a oggetti manipo-  labili; è il rapporto, per dirla kantianamente, che tratta un essere umano sempre anche come  fine e mai come semplice mezzo. Abbiamo già detto che questo, universalmente praticato, è  proprio solo del rapporto di riconoscimento reciproco, perché solo nel riconoscimento reci-  proco le due (o più) soggettività si lasciano essere come tali. Bene e giustizia, dunque, qui  convengono. Soltanto qui. E questo per il fatto che l’essenza di un essere umano è d’essere  un rapporto. Egli è, dunque il bene del rapporto e, nel contempo, il rapporto del bene, se  si rapporta riconoscendo. S’intende, secondo le forme della finitudine. Non ho inteso, con  ciò, dimenticare la complessità e la difficoltà di trovare criteri appropriati per la giusta di-  stribuzione dei beni della terra. Non v’è dubbio che il concetto di giustizia passa, innanzi  tutto e per lo più, per questa pratica quotidiana. Ma la giusta distribuzione dei beni non è  che l’effetto, in parte, e in parte l’individuazione simbolica del giusto rapporto tra noi, che è,  appunto, il rapporto di riconoscimento reciproco.  19. Giustizia dunque come riconoscimento della dignità di un essere umano, delle sue  opportunità d’ingresso alla vita e del suo onesto disegno di fioritura. È a questo punto che  può cominciare l’istruzione del tema della libertà. La libertà non può che essere l’ultima  delle tre parole, e non la prima. Questo non significa che essa non sia altrettanto originaria  delle altre due. Significa solo che è ordinata alle altre due, mentre non è vera l’affermazione  reciproca. Lo smarrimento di quest’ordine, che direi onto-etico, è forse una delle più grandi  sciagura della modernità. E noi viviamo ancora sull’onda di quella deriva. I moderni han-  no fatto della libertà una magica parola, cui tutto dovrebbe essere sottomesso; ma la libertà,  come prima ho ricordato, fa la dignità del gesto di un essere umano, non ne fa, da sola, la  bontà, anche per il fatto incontestabile che esistono, e come!, gesti di libertà cattivi.  qualcosa e quindi ha una valenza ontologica, ma l’ha di seconda battuta. Un po’ come accade alla verità rispetto  all’essere.  48  Carmelo Vigna  20. Una società veramente civile è possibile pensarla, solo se si oltrepassa la convinzione  moderna del primato assoluto e incondizionato della libertà e si accede al primato assoluto  e incondizionato del bene di e per ogni essere umano (che comprende di certo anche la sua  condizione di libero, ma non si riduce a quella). Né basta dire che la mia libertà finisce,  quando comincia la libertà dell’altro, che è lo slogan più noto della tradizione liberale.  Non basta, anzitutto, perché questo slogan confligge teoricamente con l’idea del primato  incondizionato della libertà. La libertà dell’altro invocata come limitante è, infatti, un bene  dell’altro; quindi la libertà è limitata, come dev’essere, dal bene e non è affatto incondizio-  nata. Solo il bene lo è. Non basta poi perché, riducendo il bene dell’altro alla libertà dell’al-  tro, si tace di tanti altri beni dell’altro che devono costituire, anch’essi, un limite alla mia  libertà. Non è sufficiente, infatti, che l’altro sia libero. Se l’altro è libero di morire di fame, e  io sono libero di mangiare a crepapelle, la mia libertà è la maschera penosa e vigliacca di un  delitto. Io mi approprio in esclusiva dei beni della terra che sono comuni e di fatto escludo  l’altro che ne ha gli stessi diritti. Così lo lascio morire.  21. C’è un senso, tuttavia, secondo cui la libertà può esser concepita come incondiziona-  ta, ma non è il senso difeso dalla tradizione teorica liberale: io la chiamo: la libertà del bene,  cioè la libertà di fare il bene3. Qui la libertà è incondizionata, perché gode, per una sorta di  simbiosi, dell’incondizionatezza del bene. Poiché in una società veramente civile, la libertà  come arbitrio non può avere solo l’altrui libertà come limite, ma deve avere come limite  tutti i diritti dell’altro, compreso certo anche quello della sua libertà, per questo l’umana  libertà deve farsi carico di tutto ciò che la giustizia invoca per l’altro. È questa la ragione  per cui le società liberali sono incapaci di essere veramente civili, nonostante l’abbondanza  delle dichiarazioni in contrario. Esse dimenticano facilmente, o meglio, occultano il lato  della cura e della giusta promozione dell’altro e così proteggono di fatto le situazioni di-  scriminanti, che sono poi la radice permanente della conflittualità endemica. La situazione  nordamericana è un esempio per molti versi eclatante. Sotto il manto della libertà, mes-  sicani, asiatici e neri praticano in massa gli umili mestieri che consentono ai bianchi una  vita agiata. Sono liberi d’esser poveri… Più o meno come accade in Italia per la fascia degli  immigrati extracomunitari.  22. Se la libertà del bene guida l’azione, allora la mira è il bene dell’altro, cioè l’altro come  bene. È anche il mio bene, ma di me come l’altro di un altro. Solo così io posso conseguire,  storicamente parlando, il massimo bene. Sulle prime, questa affermazione può parere per-  sino patetica: l’invocazione del “buon cuore” come regola di condotta in un mondo che il  pluralismo tende piuttosto ad indurire. Una riflessione accorta però è in grado di far vede-  re che il mio bene, cioè poi la mia fioritura di vita, può avere senso solo se il movimento del  desiderio verso l’oggetto a lui conveniente, il bene, appunto, compie il giro della referenza  immediata all’alterità e di quella all’identità in modo mediato. Mediato, appunto dall’alterità.  3 Rimando di nuovo al vol. La libertà del bene, cit., e stavolta spec. alla mia Introduzione, pp. 3-18.  49  Per una metafisica del bene comune  23. Provo a tirare in breve le fila del mio discorso. Posso anche far presto, perché tutte  le fila conducono, come si è di certo inteso, allo stesso punto: alla cifra del riconoscimento  come forma regolativa dell’esistenza degli esseri umani. Una società veramente civile infatti  è possibile, se i molti si onorano reciprocamente, cioè appunto, reciprocamente si riconoscono. È  questo il senso primo (primo per noi) del bene comune. Nel reciproco riconoscimento, ognuno è  signore dell’altro (in quanto riconosciuto nella propria trascendentalità, quindi come oriz-  zonte inoltrepassabile di senso) e ognuno è servo dell’altro (in quanto riconosce nell’altro  la signoria del senso). Le forme democratiche di vita politica tendono ad approssimarsi a  queste dinamiche più d’ogni altra forma. Nella democrazia infatti l’autorità del cittadi-  no su un altro cittadino è o dovrebbe essere semplicemente di tipo funzionale. Tutti sono  eguali, cioè tutti sono signori, ma fatti signori gli uni dagli altri, mai da se stessi.  24. All’interno della cifra del riconoscimento, come regola universale, prendono un sen-  so determinato, come si è detto, tanto il bene, quanto la giustizia e la libertà come realiz-  zazione e, insieme, protezione del bene comune. Bene significa voler ciò che consente la  mia fioritura di vita; bene è dunque volermi bene, volendo bene altri come quegli che tale  fioritura in me rende possibile. Altri, naturalmente, solo che lo si voglia o, meglio, solo che lo si  creda, può essere scritto – dovrebbe anche essere scritto – con la maiuscola (la dinamica relazionale è  la stessa). Il bene comune in una società veramente civile è questo, essenzialmente. Giustizia  significa rendere ad ognuno ciò che gli spetta (unicuique suum). Ma ciò che spetta ad ognu-  no è anzitutto d’essere trattato come una soggettività (trascendentale). Cioè come un essere  umano in totalità. La reciprocità riconoscente è dunque il luogo della massima giustizia per  ognuno di noi. Libertà significa non arbitrio incondizionato, bensì libertà di fare il bene. E  poiché il primo bene, storicamente parlando, è l’esserci d’altri per me, libertà del bene vuol  dire di nuovo libertà di riconoscere l’altro come il mio bene. Come il bene che tutti accomunaCarmelo Vigna. Vigna. Keywords: bein, essence, essenza, essere, intersoggetivo, tre tipi di intersoggetivo: trascendentale, oppressivo, istrumentale, being and becoming. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi Speranza, “Grice e Vigna: la regola d’oro conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Vignoli: la ragione conversazionale della etologia filosofica – della legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rosignano Marittimo). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “I spent quite some time observing a species of pirot: the squarrel – mainly I was in search of what Vignoli calls ‘la legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale” – his ‘saggio,’ he says, is in ‘psicologia comparata,’ but since it is vintage, I might just as well refer to is as being one in ‘philosophical ethology’!” -- Si trasfere a Milano. Insegna antropologia presso la Reale Accademia di Scienze e Lettere. Direttore del Museo di storia naturale.  I suoi saggi apparvero su “Il Politecnico” e sulla “Rivista di filosofia scientifica”. Due sue saggi hanno risonanza: “Della legge fondamentale dell'intelligenza nel regno animale: saggio di psicologia comparata” -- e “Mito e scienza”.   Nel 1863 io terminava il mio saggio in-   iiorno ad una Dottrina razionale del Progresso,  inserito con una serie di articoli nel Poli-  tecnico a Milano , diretto già da Carlo Cat-  taneo , e poi ristampato a parte , con queste  parole e in queste sentenze, risultato di tutti  gli studi e argomenti anteriori:   « Quésta libertà del pensiero cresce   ^*B 9     terello, soqo antiche e> costanti nella mia  mente. Onde due anni or sono terminava la  mia prolusione ad un corso di Antropologia  generale gratuito nella R. Accademia scien-  tifico-letteraria di Milano, al quale venni in-  vitato dall' illustre professore Ascoli , gloria  della glottologia italiana — allora Preside di  • quel chiaro istituto.   « Siamo nuovi ancora si può dire nei mo-  «• derni studi, se volgiamo lo sguardo alle  « altre nazioni che ci superarono , ma i ri-  « sultati ottenuti e che si vanno conqui-  « stando, sono augurio che sapremo perve-  « nire a quella gloria che un giorno sì chia-  \ ramente ci segnalò tra le genti. Ma molti  RBPAZioini   e per rispetto del pubblico ; e che infine fui  sempre consentaneo con i miei principi, come  tutti possono toccare con mano dalla lettura  dei brani sopra trascritti, e stesi a lunghi  intervalli e dal presente mio opùscolo stesso.  Che se V ingegno è tapino , e il sapere non  così vasto come vorrei, e come dovrebbe es-  sere, la colpa non è mia, né della mia vo-  lontà : poiché tra i tanti difetti , che in me  possono annidare, l'ozio certo, e l'ignavia non  vi si trovano:, perchè li sfuggii sempre, come  la peste più oscena, brut a e nefanda di tutte,  e la più dannosa ai privati ed alle nazioni.   Milano, 12 aprile.     CAPITOLO PRIMO     Sitixa;25Ìoiie«     Posta la nostra società odierna tra due sette te-  merarie e procaccianti) diverse d'origine, ma identi-  che di propositi nefandi e distruttori, i retrivi cleri-  cali, e i demagoghi incendiarli, non mai soverchia  riuscirà la solerzia, la virtù, la virilità di atti e di  concetti ad allontanare e vincere i mali, sociali, mo-  rali e materiali a cui esse mirano con tenacità for-  midabile. Che se Tuna vorrebbe ridotto il mondo a  un cenobio e a una triste tebaide, l'altra procaccia  che gli uomini ritornino alla selvatichezza preistorica,  e alla squisitezza sociale delle caverne. Certamente  le magnanime speranze di questi tristi non si avve-  reranno, poiché la mentalità umana, la libertà civile  e le suppellettili industriali tanto cresciute e potenti  non lo concedono, e in Italia specialmente, ove l'in-  dole, gl'istinti, il senno proprio della razza, e le ne-     14 CAPITOLO PRIMO     cessità storielle assolutamente vi si oppongono ; ma  tuttavìa è d'uopo avvisare ai pericoli^ e alle sciagure  parziali^ addottrinati dall'esempio miserando di altre  nazioni. I retrìvi e demagoghi sono gli estremi fa-  ziosi e a cosi dire l'oscena e perversa caricatura dei  due legittimi fattori della vita civile dei popoli, e del  loro intrinseco progresso, i conservatori cioè e gl'in-  novatori, necessarii entrambi al perfetto e mobile equi-  librio delle forze, e al loro dinamico esplicamento :  in quella guisa che nella compagine oi^anica, e nel-  l'esercizio delle sue funzioni, trovansi nervi modera-  tori, e stimolanti, onde resulti quella armonia di ef-  fetti che vita si appella. Imperocché come in questa  si arresterebbe immoto il circolo animatore se l'ener-  gia del freno prevalesse, e tanto si accelererebbe da  distruggere sé medésimo quando quella contraria ec-  cedesse : parimente una nazione perirebbe, se V uno  l'altro dei fattori accennati rimanesse vincitore nella  lotta, che l'uno la renderebbe mummia o cristallo^  mentre il secondo la dileguerebbe in vapore. La sa^  pienza e la scienza civile consistono quindi nel prov-  vedere che un equo temperamento intervenga fra le  due forze rivali, o a disporre le cose in guisa che  l'una a vicenda con l'altra serva all'incremento del  bene sociale, e al sempre più largo, e sincero eser-  cizio della libertà civile e politica   Ma a raggiungere questo arduo e nobile scopo l'in-  tenzione e il desiderio non bastano: vuoisi non solò  perizia grande d'uomini e di negozj, animo pronto,  profonda conoscenza dei fatti e leggi "Bociali, risolu-  tezza impavida nelle difficili prove, onestà costante  di mezzi, magnanimo sprezzo d'insulti e guerre voi-     SITUAZIONE 15     gari; ma rìohiedesi altresì vasta e chiara dottrina sto*  rica, e quel senso sicuro dei bisogni^ dell'indole^ delle  ^piraadoni legittime. del popolo^ e limpida intuizione  Clelia legge che regola i moti delle genti europee in  generale; e di quella italiana in particolare* Or qui  in Italia ì, caduti principati lasciarono copiosa eredità  di elementi conservatori e retrivi, fatti più rabbiosi  •dal prevalere delle istituzioni ed istinti democratici^  a^vviticchiàntisi con disperato amplesso al papato, che  i loro rammarichi, ire, convinzioni, speranze rese dom-  ina religioso, ultimo strumento alla assoluta sua si-  gnoria vacillante ; méntre d'altra parte le inveterate  abitudini cospiratrici, l'intempestive brame di utopie  facilmente nascenti in popoli non assuefati a libertà,  gli antagonismi regionali superstiti alla unificazione dei  varii Stati, le bieche e torbide imitazioni demagogi-  che d'altri paesi, e l'arruffio anche di tristi, tengono  la nazione incerta, rinfocolano odii di parte, e la spin-  gono soverchiamente nelle avventure : e quindi tanto  più difficile riesce l'impemare stabilmente lo Stato, e  condurlo sapientemente.   Tra queste due forze rivali, ostacolo al retto an-  damento della cosa pubblica, rimane poderósa za-  vorra, la maggioranza della nazione, la quale, aliena  in parte dai mutamenti radicali, intenta alle private  faccende, e guidata dal senso positivo delle cose, e  dagli interessi domestici, mantiene a cosi dire un mec-  canico equilibrio nelle loro lotte, e fece si che sino  ad ora né l'una, ne l'altra prevalesse : e la nazione  perciò stette, e vinse prove che sbalordirono il mondo,  e procacciò ai reggitori una gloria, che in fondo e in  parte derivava dalla sua consapevole inerzia.     16 CAPITOLO PRIMO     Né si creda che io voglia, concludere non aver ben  meritato della patria coloro^ che per vari v anni stet-  tero al timone della Bua nave.^ e che questa se noa  pericolò e. si sommerse nelle tempeste ove fu più di  lina fiata travolta^ debba soltanto la propria salute  alla indifferenza^ o agli istinti conservatori delle mol-  titudini : imperocché i fatti mi sbugiarderebbero, e  non conoscerei affatto, o confusamente la nostra sto-  ria contemporanea. Certamente Emilio Visconti- Ve-  nosta che a più riprese diresse e in condizioni so-  vente ardue e perigliose i nostri rapporti con gli stra-  nieri, seppe schivare con tatto fino, e con squisitezza^  di modi, non disgiunti da dignitosa fermezza, i rischi  che ci minacciarono, sia di lusinghe subdole, di al-  tere brame, o di tenebrose cospirazioni del Vaticano.  E potrei pure ricordare con encomio altri, che con  zelo ed onestà, si adoperarono a prò della nazione.  Né si vuole poi dimenticare il grande partito libe-  rale, erede degli intendimenti di Camillo CavQur, il  quale nei giornali, dalle cattedre, nelle concioni, nel  parlamento con costanza segui in parte quelle caute  e forti norme, che ci condussero sino ai tempi pre-  senti. Ma tutti questi saggi consigli e propositi, edi  fatti che vi corrisposero, non avrebbero certamente  salvato dai perigli la nazione, se la maggioranza de-  gli italiani col suo contegno fermo, l'indole non ec-  citabile, e col veto, a cosi dire, della passività, non  avesse resi vani i proponimenti, sventate le trame  sotterranee, e lasciati in secco gli apostoli del di-  sordine e del dispotismo : che anzi il più delle volte  scossa da evidente rischio, segnò col desiderio espresso  virilmente in mille guise, la via da tenersi dai reg-     SITUAZIONE 17     gitoli, e si può dire in un certo modo, che Ella fu  che governò il paese, con senno suo proprio, e con  quegli spiriti liberali che seppero infonderle molti va-  lenti predecessori, e il grande intelletto del più grande  ministro del secolo.   E Camillo Cavour potè essere concreatore di un  popolo,, perchè nella vasta mente raunò a cosi dire  tutti i pensieri, le idee, i concetti, e nell'animo i de-  siderii, i sentimenti, gl'istinti magnanimi di tutta la  nazione che in lui si confidò : associandosi senza tema,  o gelosa inquietudine, in momenti solenni, nell'impresa  unificatrice a Giuseppe Garibaldi, che, quale soldato  della libertà, fu a cosi dire la popolare poesia del  nostro riscatto : egli fu grande perchè conscio dell'in-  dole moderna dei popoli non si argomentò di rendere  libera e indipendente la patria con mezzi termini,  con sussidii di una o altra casta e fazione esclu-  siva, ma si armonizzando in un solo pensiero, e ad  un solo e generoso scopo tutti i ceti, tutti i par-  titi, tutte le forze vive della nazione, non pauroso  di sette, o queste trasformando in leve poderose ad  inalzare dal servaggio l' Italia : insomma ei fu grande  e riusci, perchè senti tutti gl'influssi, vasti e potenti  di un popolo intero: che sarà sempre, come per il  passato r«/n hoc signo mnces!^ di coloro, che fecero  e faranno opere generose ed immortali nel mondo.   Morto Cavour rimase al governo il partito che avevalo  ajutato in gran parte nell'opra santissima della reden-  zione della patria, il quale si propose e si argomentò  di seguire quella via, che dischiuse la mente e l'o-  perosità del grande uomo, onde si compissero i fati  della nazione, e si raggiungesse il fine desiderato. Ma     i     18 CAPITOLO PRIMO     se il concetto politico e Tindìrizzo del maestro fu com-  preso, e seguito all'ingrosso dai successori, e la na-  zione si dispose ad effettuare i suoi disegni, nessuno  però dei reggitori ebbe l'ingegno l'animo e lo spirito  del sommo cittadino, e comecché mandassimo ad ef-  fetto difficili imprese, e si conseguisse il massimo scopo  della indipendenza e unità della patria, pure alla lunga  si manifestò a poco a poco nel governo, e nel vasto  partito, d'onde visceralmente egli usciva, il difetto di  comprensione potente ed intera, e di quel senso ge-  neroso di libertà piena ed operosa, ove si mostrò l'ec-  cellenza del primo. Ne io* offendo l'amor proprio di  alcuno di quelli che mano mano vennero impugnando  le redini dello Stato, con l'asserire che non raggiunse  l'ingegno, la perizia e l'animo suo, poiché è cosa evi-  dente di per sé stessa, e l'esemplare troppo noto e  cospicuo. Ed in vero uno degli uomini che maggior-  mente fecero parlare di sé più frequentemente e sedette  in scranna al governo dello Stato, e si segnalò per varie  vicende, fu Marco Minghetti, conosciuto moltissimo  eziandio dagli stranieri. Or bene, chi non scorge a  prima vista quanto ei sia inferiore per molti versi al  Cavour? Per quanto io possa avere dei contraddittori  non mi perito dire che il Minghetti è un mediocre  uomo di Stato, in quanto gli manca ogni nota che  distingue coloro che nacquero a tanto ufficio. Mente  lucida e simmetrica, ma non acuta e profonda; bel  parlatore, ma più facondo che eloquente, animo più  ostinato, che tenace, scrittore sensato e forbito, ma  privo di nerbo e di vena inventrice ; ambizioso, certo  nobilmente, d'aura popolare, ma incapace a raggiun-  gerla : ondeggiante tra le diverse parti, non abile     SITUAZIONE 19     3f dominarle: non q;ristocraticp per proposito o arte  di governo, ma inclinato a riceverne di riverbero \^  fosforescenza : e non facile a sentire i fecondi in?  flussi del popolo. Che se per ora pronunziò raggiun^iQ  il pareggio, e gli fu attribuito come cosa sua, quando  non una legge di finanza gli è propria, e la longa-  nimità e sofferenza invece del popolo italiano ne è  il più grande fattore, la freddezza e indifferenza con  che accolse il paese questa notizia, che pure doveva  riempirlo di fervida letizia, è la miglior prova di  quanto riserbo si senta per le cose sue nell'animo degli  italiani, e come egli non abbia veramente radici nella  fede delle moltitudini. Si badi però che io parlando  si schiettamente del Minghetti, come Ministro e scrit-  tore, solo sindacabili in paese libero e dalla stampa  onesta, faccio e rendo omaggio alla sua vita priv^)t^,  a.lla nobiltà dell'animo e delFingegno — e in altra oc-  casione ne feci testimonianza — e al disinteresse per-  sonale, che spiccò sempre anche posto al governo della  cratica, osservata e giudicata con occhio scevro da  prevenzioni, e con animo non travolto da passioni o  dA interessi parziali. Né facciano illusione all^ intel-  letto alcune singole pretese, o desiderii in paesi ove     24 CAPITOLO PRIMO     da poco la legge livellatrice civile tolse i privilegi  d'ordini vecchi: imperocché tali avanzi archeologici  di tempi irremissibilmente passati^ sono a cosi dire  piante morte, alle quali s' inaridiscono le radici, e  che fra i nuovi còlti, e rampolli rimangono in piedi  senza vita e finitti, sinché cadano per intrinseco e na-  turale sfacelo. Nella sola Inghilterra, e meno altrove,  alcuni privilegi territoriaU o ereditarii mantengono  un ordine nello Stato, ma già ne vennero scrollate le  basi, e tra non molto anche colà, se ne sono veduti  i sintomi, e i desiderii legalmente espressi testé, si  dilegueranno del tutto. Quando nelle nazioni Tegua-  lità civile dei ceti si ottenne, e tutti vengono rappre-  sentati in parlamenti elettivi, e la stampa è libera,  la necessità della democrazia è già posta, e non può  tardare a vincere in un avvenire più o meno pros-  simo, a seconda dell'indole, dei costumi, e delle ra-  gioni storiche delle nazioni. GHi ordini nelle società  una volta spenti, o trasformati non si restaurano, e  mal si oppongono coloro che carezzano Tidea di un  ritorno al passato in ogni genere di istituzioni privi-  legiate ; solo provano che non sanno la storia, né com-  prendono i itempi che corrono, né antivedono quelli  avvenire. Che se nella caduta del romano imperio e  per le invasioni delleif.orde settentrionali, il sorgere  poi del feudalismo si considera come un ritorno ad  un patriziato ereditario, oltreché il paragone non regge,  poiché nella storia non si ripetono mai esattamente  le vicende e gli istituti d'altra età, or sarebbe anche  quel fatto assolutamente impossibile, dacché mancano  inteme ed esteme condizioni ad awerarlo^E chi sup-  ponesse che a ciò potesse bastare Tinflìisso in^retto^     SITUAZIONE 25     o la invasipne dei Russi; solo popolo che si accampi  formidabile di fronte all'Europa mediana e occiden-  tale, non conoscerebbe affatto le condizioni civili in  cui versa la Russia. Imperocché per l'autocrazia di per  sé stessa sempre livellatrice, lo Czar attuale anche per  intendimenti di civiltà tolse in gran parte i resti di  privilegi con Temancipazione, e la franchigia dei servi,  eguagliando) le persone dinanzi alla legge, e quindi rese  impossibili una aristocrazia dominatrice. I Russi se in-  vadesserc una parte d'Europa limitrofa al vasto impero,  recherebbero per costumi e idee piuttosto principj comu-  nistici, propri in alcune parti del loro organamento  municipale, ampliati e resi più forti per le sette che  formiolano nel suo seno, e che la rodono con mani-  festo danno. Onde é vano sperare anche stando ai  calcili meramente empirici, e all'osservazione super-  ficiae, che in Europa possa avvenire una restaura-  zioiB del patriziato, come ordine distinto per dritti  dal resto della nazione. E ducimi che qua e là in  Itala ed altrove in special modo tra giovani ram-  poli dejle vecchie, o più moderne famiglie gentilizie,  riesca in alcuni un certo spasimo e languore perle  anicaglie, e si tenti quasi con amminìl^i araldici,  dJricostituire un ceto a parte, separandosi con ridi-  cio anacronismo dal resto del popolo. La quale ubbia  aguisce una ignoranza profonda della epoca nostra,  ci una nullità prodigiosa nei nuovi, cxdtori dei ca-  selli in rovina : Ut nomine Toagnifieo segne otium  tlaret! per dirla con Tacito. Lungi da me il pen-  iero di menomare il lustro, il decoro, la fama di  tÉinte famiglie storiche nostre : sono anzi il primo a  riverire un lungo ordine di discendenti che ai se-     26 CAPITOLO PRIMO     gnalarono con la mente, o con le armi: questo è pa-  trimonio privato inviolabile } quanto altra mai prò*  prietà, e fanno bene a tenersi care e onorate le  memorie d'avi illustri, quando furono veramente il-  lustri, e vorrei che un tal culto fosse sprone ad emu-  larli nella eccellenza delle opere. Né la querela può  venire oramai da invidia, e da astio, quatdo ordini  distinti non esistono più, e tanto vale di &ccia alla  legge e alla nazione rispetto ai diritti, un ciabat-  tino che un principe. Onde la gara tra patrizj e ple-  bei non può più rinascere, in quanto > tutti aono po-  polo: e se si parla di volgo, il volgo adesso può tro-  varsi in tutti i ceti, unica norma alla stima sociale,  essendo, la Dio mercè, il valore personale. Parlo sol-  tanto di quelli, e certamente son pochi, che invece  di adoperare le loro forze, i loro ozj, le loro ricclezze  ad egregio scopo sia nelle arti, nella scienza, ielle  armi, in ogni argomento di progresso civile, si tra-  stullano con le ferraglie del medio-evo, sciupano tenpo  e decoro, e si preparano una vita squallida, vana fu-  nerea di mezzo a quella fervida che già erompe dslle  viscere della nazione, che farà cerna dei forti e nu)vi  rampolli, disperdendo, non col ferro, col sangue, o al-  tre nequizie, come gridano a squarciagola i pusila-  nimi gli astuti, ma con la ferrea necessità di la-  tura e della sua legge di selezione, i neghittosi, e ca-  boU di mente e di volontà. E tanto più desta meur  viglia questa vanagloria di festuche blasoniche in 4-  cuni, in quanto la eletta parte del patriziato italian  die largo tributo di sussidj, di sapere, di sangue A,  nostro risorgimento, e si segnalò per generosa cariti  di patria: ed anche oggi molti tra essi onorano TI-     SITUAZIONE 27     t^a e gli avi loro con operose virtù cittadine, e qual*-  cheduno con gU scritti e l'ingegno. Si ricordi che i  tre più grandi poeti della nostra epoca, animati da  fieri e virili spiriti di libertà, Alfieri, Niccolini e Leo-  pardi uscirono dalle loro fila; e del loro ceto fu pure  il più grande, e liberale Ministro della età nostra (!)•  Altri s'immagina che la democrazia sia irrazionale  mente livellatrice, e la confondono con le utopie co-  munistiche, impossibili ad effettuarsi, e non mai ef-  fettuate : onde rimpiangono i tempi passati, ove tutto  era ordine e casta distinta, e già mirano le genti* eu-  ropee in un non lontano avvenire, o mummificate ed  immote in una sterile eguaglianza assoluta; ovverà  scatenate in passioni furibonde spargere dappertutto  fiamme, mine, stragi, ed avverarsi il finimondo. Tali  piagnoai, o gufi di cattivo augurio, provano una cosa  sola, ehe non intendono nulla; prendono l'accidente  per li legge, il particolare pel generale, il deviare di  una jetta pel costume dell'universale, e i loro sogni  per i&altà. Certamente se questi conservatori dirigessero  le sirti dei popoli, le tristi scene e nefarie che non a     (1)11 giovane patrizio Alessandro Piola, seguendo Tesempio della  egr^ia e chiara famiglia, dio alla luce neirannò scorso un libro di  eeoDmia, che certamente merita di essere segnalato. Che se al-  cuil non potrà condividere tutte le idee, o ascriversi assolutamente  ai luoi principj, trovansi nel suo trattato cose ottime, e ricerche  fate con lungo studio ed amore : e fanno onore a chi le scrisse. Or  be^e nessuno intraprese a parlarne, eziandio criticandolo. Questo si-  bilo non é buon segno : V esempio era eccellente anche per Tori-  fiée e il ceto dello scrittore: nò doveva trascurarsene ropportunità^  .nche civile.     28 CAPITOLO PRIMO     guari inorriditi vedemmo in altri paesi; inevitabil-  mente accadrebbero, e con sempre più frequente ri-  petizione; ma governandoci con altri intendimenti e  con più larghi e generosi propositi, quei mali diver-  ranno sempre più rari, e impossibili. Del resto a nessuno  che abbia fior di senno verrà in mente mai, o cre-  derà, che nelle cose umane possa affatto il male evi-  tarsi, quando lo scopo a cui deve intendere ognuno,  si è il procacciare di sminuirlo con costante operosità.  L'età d'oro e di ogni bene, i miti e i poeti la posero  al principio, o alla fine del mondo; e ragionevol-  mente, perchè dell'una non ci ricordiamo,^ all'altra non  siamo ancora pervenuti.   La democrazia, intesa come vedremo, tra poco,  mentre suscita tutte le forze vive della nazione, pone  in moto tutti i valori, fa con rapidità ricircolare nel  corpo sociale i beni avvivatori, e tiene desta la mente  di tutti nella universale concorrenza a vantag^o poi  di tutti, non livella matematicamente le rjmsse, come  con eleganza di eloquio, e con dignità cristiana chia-  mano il popolo : poiché nella libera attività di i cia-  scuno, sorge una disuguaglianza proporzionale, 6 l'a-  ristocrazia legittima, cioè dell'ingegno e del valor per-  sonale ; ed appunto perchè personale non la perpetua  con violenza alla verità e alla giustizia, nei succes-  sori. Onde i timidi del livello si rassicurino ; se lunno  mente, vigore, volontà possono saUre nelle società de-  mocratiche, con più decoro, al sommo della glorii, o  del legittimo potere, quanto ai tempi dei paladin: di  Carlo Magno. Se una cosa hanno da temere, temtno  di quelle dottrine, che frapponendo violenti ostacoU  alla libera esplicazione delle potenze e attività uman^^     SITUAZIONE 29     raccolgono legna agli incendii futuri, e preparano le  bufere sanguinose delle rivoluzioni delle plebi maneg-  giate allora dagli arruffoni e dai demagoghi.   La vittoria della democrazia, e il suo regno du-  raturo nelle nazioni civili, dipende dalla natura me-  desima del principio che la informa, che è un por-  tato necessario della evoluzione sociale, e la distingue  dalle democrazie antiche , e da quelle che sussegui-  rono al rinascimento dei comuni nella età media di  Europa. La democrazia moderna è l'effetto di leggi  non solamente sociali, morali, economiche ìiella signi-  ficazione loro ordinaria , ma di leggi antropologiche,  che s'innestano, e s'immedesimano a quelle naturali,  che governano l'evoluzione intera delle cose che sono.  £ questo nesso, questa identità analogica della espli-  cazione delle razze e istituzioni umane, con le leggi  che signoreggiano la dinamica universale degU esseri  fii da tempo avvertita, e nella Grran Bretagna, Ger-  mania, Francia, Bussia stessa ed America ha validi  campioni che la sostengono, e sarà certo la scienza  sociale avvenire. Coloro, che adesso sequestrano e di-  vidono i fatti sociali, morali, storici dalla generale  forma evolutiva dei varii fenomeni, nei quali, a dirla  col grande Poeta, si squaderna la vita dell'Universo,  come se consistessero impomati in sé medesimi, e se-  parati dal mondo, non se ne intendono; e mal com-  prendono l'alto e nuovo valore della scienza attuale,  e vìvono ancora della vita postuma dei nostri arca-  voli^ E si badi che io non ripongo tra i cultori dei  nuovi metodi storici, e della nuova scuola dinamica,  i vaporosi filosofi egeliani, od affini, che sbalordi-  rono per poco il mondo con le loro teoriche sperti-     30 CAPITOLO PRIMO     caie e temerarie^ e lo stomacarono poi negli stessi  paesi ove nacque : teoriche si disformi dall'indole delle  menti italiane^ e piuttosto delirii,. che scienza; ma si  bene io intendo parlare di quelli, che mediante norme  osservatrici e sperimentali, e con la sovrana leva del-  l'induzione, virilmente applicati (secondo gli esempii  ed i canoni del divino Galileo, che primo nei moderni  tempi ruppe non solo nelle scienze fisiche, ma per  analogia in quelle organiche e morali stesse, i clau-  stri e i ceppi scolastici del pensiero, e le arbitrarie  quisquilie a priori) seppero, io dissi, ricondurre la mente  alla realtà delle cose in ogni ordine della scienza, e  dare base solida alla enciclopedia, che deve essere  l'interprete, e lo specchio sincero, e intellettivo della  jiatura.   E certo alcuno non sarà si tracotante da negare gli  splendidi effetti e le portentose applicazioni che tali me-  todi in ogni ramo d'arte, di industrie, di scienze produs-  sero, e quanto se ne avvantaggiarono eziandio quelle di-  scipline che sembrano agli uomini superficiali maggior-  mente aliene à^ quei procedimenti : poiché tutto il bene  materiale e morale e la stessa vittoria della libertà ci-  vile e politica nei presenti tempi, è dovuta per chi ha  fior di senno, a questo sovrano e indipendente indi-  rizzo della ragione. Io so che molti, che si dicono con  sorridente compiacenza di sé medesimi , positivi , e  fanno professione di arguto realismo, e canzonano co-  loro che non partecipano alla loro innata divinazione,  trattano quasi da allucinati , e di spiriti perduti nel  vano delle sottili astrazioni, quelli che dai fatti ri-  salgono alle leggi, dalla norma sensata degli atti so-  ciali ai principii che ne governano l'esplicamento ,     SITUAZIONE 31     daUa esperienza giomaUera dei negozii privati e pub^  blici, alle profonde ragioni che li rendono inevitabili.  Ma di tali Tersiti della scienza^ la scienza ha fatto  giustizia^ e non ne possono certamente arrestare il  corso trionfale. Quando ci mostreranno che la scienza^  qualunque sia il proprio obbietto, è una raccolta inor-  ganica di fatterelli, e di qualche regoluccia metodica :  che le varie discipline non abbiano tra loro alcun  rapporto, e sieno disposte una dopo Taltra, senza in-  trinseco legame, come le pietre migliari, avranno ra-  gione : e allora confesserò contrito che il manuale che  accatasta, equilibrandoli, sciolti materiali, ne sa più  di Archimede e di Newton.   Ma ritornando al nostro argomento della natura  della democrazia moderna, ripeto che ella si disforma  da quelle che con tal nome si ebbero pel passato.  Nell'antichità stavano in generale di fronte due or-  dini di cittadini, ordini più o meno distinti, gli ot-  timati e le plebi: e il valore di queste si argomen-  tava nella lotta contro i primi, che resistevano ad una  eguaglianza di diritti in parte civili, in parte pub-  blici, ereditarli nella loro classe per lungo corso di  tempo: e, condizione sociale rilevantissima, viveva  al di sotto di esse, un immane numero di schiavi, i  quali attendevano, mere macchine animah, alla pro-  duzione delle cose necessarie, utili e superflue, ed an-  che alle arti, e agli uffici indispensabili alla civile  convivenza. Nella età media le lotte dei borghesi e  dei castellani sotto altra forma è vero, ma lotte di  potenza, eguaglianza e sopreminenza politica si rin.-  novarono, e se schiavi nel significato antico non c'e-  rano, rimanevano però i vassalU e i servi della gleba :     32 CAPITOLO PRIMO     ed U lavoro stesso nelle città libere veniva in ogni  maniera vincolato dalle maestranze e dalle corpora-  zioni artificiali dei travagliatori. In tali società cer-  tamente non esisteva esplicito un principio che in-  volgesse la necessità di una vittoria definitiva della  democrazia^ e dì una forma civile di evoluzione della  operosità di tutti^ e dello Stato medesimo. Non vi ha  dubbio che fin da quelle epoche lontane il principio  generatore della democrazia moderna non operasse ; e  le condizioni intermedie non fossero per cosi dire  anelli e spire per le quali andasse svolgendosi con  irresistibile moto. Or quasi dappertutto in Europa  quelle condizioni cambiarono: gli ordini distinti si  ruppero, e si fusero in quello unico dello Stato: le  arti, le professioni divennero libere e comuni: il pa-  triziato perdette i suoi privilegi, come fu costretto a  svestirsene il clero, ed una uguaglianza perfetta e vir-  tuale dinanzi alla legge si estese dai sommi agli imi,  dal ricco al povero, dal dotto all'ignorante, dal ma-  nuale sino ai maggiori uffizii di Stato. Quindi nessun  ordine di cittadini potendo consistere e perpetuarsi  per via di privilegi, e tutti dovendo personalmente  bastare a se stessi, privi di appoggio artificiale che in  qualunque evento ne garantisse il possesso, rimane  che runico principio che informa e mantiene la so-  cietà moderna nella eguaglianza legale assoluta dei  cittadini, è il lavoro nella indefinita molteplicità delle  sue forme: il lavoro, etemo generatore di tutte le  cose, spirito vivificatore del mondo, arte divina che  tutte le cose produce, e produsse, e le spinge, le  evolve a sempre nuovi e splendidi effetti: il lavoro,  il quale elevò alla loro altezza morale e intellettuale     SITUAZIONE 33     Tuomo e la società, e li redense: conforto e premio  nel tempo stesso; causa ed effetto della democrazia  moderna, e garanzia perpetua della sua durata, e dei  suoi progressi.   Le lotte contro gli ordini- privilegiati, del popolo, e  delle plebi serve con Teguaglianza civile cessate, a poter  vivere e durare rimane a tutti e inevitabile il lavoro :  e poiché questo è libero, chi non vede , che per la  inesorabile legge della selezione naturale, il neghit-  toso dee alla lunga scomparire, anche per la radicale  divisione dei beni tra i figli, e lasciare il posto agli  operosi : provvidenziale magisterio del mondo, che una  legge fisica e organica, si trasmuti socialmente in una  giustizia morale! La democrazia moderna è invinci-  bile per* questo appunto che tutta quanta s' impema  e vive nel lavoro, reso formidabile e irresistibile nei  suoi effetti dalla eguaglianza di tutte le classi; onde  ogni specifica distinzione anteriore delle diverse forme  di Stati nel loro interno componimento sparisce, e ri-  mane splendida per tutti, chiara e nobilissima quella  di popolo, che tutti comprende, tutti inalza, tutti re-  dime in un alto e dignitoso nome : in quella guisa. che  uno pure ne resta il principio vivificatore, premio ai  buoni, minaccia ai tristi e agli ignavi che lo dispre-  giano, il lavoro. A questa conclusione di fatti e di  ragioni storiche e sociali provenne la razza nostra  per una lenta evoluzione delle sue potenze, governata  da leggi fisse organiche e morali, che poi tutte in una  si convertono, nella costante esplicazione delle forze  in ogni ordine di fenomeni dalla genesi siderale sino  alla costituzione della città moderna. Or vedasi quanto  fanno mostra di avvedimento, di senno, di sapere co-   3     34 CAPITOLO PRIMO     loro che si argomentano e sperano di ricondurre le  società presenti alla forma di quelle passate, sia va-  gheggiando le antiche repubbliche, o più tristi le mi-  serande anticaglie del medio evo. Arrestare il corso  dei firmamenti, la produttività della natura, mutar le sue  leggi, sembra a tutti impossibile, e concetto di mente  stravolta: orbene, altrettanto impossibile ò il far re-  trócedere la umana società, e rifare il cammino per-  corso, e ritornare don^de partimQio. La legge del moto  sociale è invitta ed etema ; Tonda trasformatrice della  vita passa e non rinverte — Spingete, o retrogradi,  pure rocchio d'intorno : nessuna orda selva^a, o po-  polo rozzo, che possa, invadendo, ripristinare le squi-  sitezze feudali: all'interno con F eguaglianza assoluta  e col lavoro che la nutre e la difende, nessun modo di  elevarsi a casta dominatrice : poichà se > lo tentassero,  sarebbero dispersi in pochi giorni dal genio libero e  insofferente di privilegi moderno : genio non sorto da  condizioni speciali o da particolari necessità in un  breve giro di mura, di provincia, di popolo, ma ef-  fetto e compimento di una legge eterna, in tutta la razza  nostra. Quindi sono vaghe lusinghe, sperpero di fanta-  sia, sogno sterile, e che uccide miseramente il sogna-  tore ; poiché mentre ei si travaglia in un lavoro impro-  duttivo e chimerico, altri si inalza con quello maschio e  fecondo, e rovescia chi perdeva il tempo a insidiarlo.  Alcuno potrà credere forse che in altri paesi d'Eu-  ropa la legge che noi abbiamo formulato non valga,  o sia lontana ancora dal compimento come da noi  latine nazioni, avvenne più o meno perfettamente.  S'inganna! — Della più lontana jRussia parlammo,  e vedemmo che ivi pure oramai l'eguaglianza si ef-     SITUAZIONE 35     fettuava, e con la eman■ \U 4à'"fe. iSX I     \     \     CAPITOLO n.     Ideet dello Stato.     Definita liella sua natura^ nel suo valore storico y  e per la sua genesi la moderna demoera^a^ e fatti  certi ohe ella consiste e si fonda sulla eguaglianza  assoluta dei diritti ciyili « politici di tuttì^ e sul la-  voro libero, indipendente e affatto personde, vedia-  mo quale sia la forma genkulna e necessaria dello  stato che visceralmente ne germo^a, e quale l'idea  che del medesimo se ne svolga, e si disegni. Trala  pevsonate egualmente. Quindi il diritto di proprietà     44 CAPITOLO II     è ìmplicitameiite contenuto, e identificato a cosi dire  nel diritto al libero esercizio delle personali potenze,  poiché il lavoro, che è la condizione assoluta della  vita e della libertà delle società moderne, non si con-  suma soltanto nel suo atto presente, ma si continua  negli effetti suoi, giacché in essi restarono scolpiti  inerenti, consustanziati gli atti successivi via via delle  potenze che li produssero. Imperocché se prodotto un  oggetto, od attuato un fatto qualunque economico ,  materiale o intellettivo, cessa il lavoro della facoltà,  e dell'arte nostra a produrlo, egli è perciò ancora una  emanazione della nostra persona, fa parte della me-  desima, nò potrebbe essermi tolto gratuitamente, e di  forza, senza che venga io stesso violato in una apparte-  nenza della mia propria persona : ed è appunto per questo  che TeguagUanza vera, e la condizione sua, il lavoro,  fattori della libertà privata e pubblica, presuppongono  la proprietà, e la proprietà dei prodotti: onde nel la-  voro libero, abbiamo non solo un principio economico,  ma giuridico. Ed in vero se la proprietà, prodotto  del lavoro, o la possibilità di possedere stabilmente  secondo i canoni della legge di eguaglianza, non fosse  un fatto, un diritto d'ogni singolo, eguaglianza e la-  voro sarebbero nomi vani, e la proprietà come fu du-  rante secoli molti un privilegio di pochi, e di caste.  Quindi i comunisti e socialisti che distruggono o vio-  lano per arbitrarie teoriche il diritto pieno di pro-  prietà, distruggono a un tempo eguaglianza, libertà  e lavoro, annichilando gU effetti della evoluzione ge-  nerale della società umana, *e spegnerebbero ogni  progresso. Ma l'uomo vive di libertà, e a libertà si  muovono le genti, e con la libertà alla dignità mo-     IDEA DELLO STATO 45     rale e intellettiva: senza eguaglianza di diritto^ che  piresuppone lavoro, e virtualmente proprietà, libertà  e benessere non sussistono: il principio loro quindi  riinane sempre economico, in cui implicitamente è  contenuto e connaturato il giuridico.   Le attitudini umane sono svariatissime e molte>  plici:'le indoli diverse, dissimiU i desiderii, le aspi-  razioni, gli scopi, come distinte le condizioni econo-  miclie di ciascheduno ; onde nasce e pullula una infi*-  nita varietà di lavori, di atti, di esercizio, di prodòtti,  di gara che avvivano, rimutano, conunovono e corro-  borano la società, ove lìberamente possono effettuarsi.  Ma per la ragione appunto per cui tutte queste atti-  tudini e facoltà debbono pel libero lavoro esplicarsi^  ed operare in una società d'uomini eguali virtual-  mente in ogni diritto fra loro, sorge la necessità di  rispettare reciprocamente il lavoro, e il suo prodotto  in ciascheduno: il che implica nel diritto il dovere^  e la ragione reciproca loro. Imperocché sarebbe af-  fatto vana illusione l'eguaglianza^ e con essa la  libertà del lavoro, e la proprietà dei prodotti, che  indi risultano, se a tutti vicendevolmente si conce-  desse di violare Tesercizio degli ^ altri ; ed- illusione  sarebbe pure l'effetto della legge di evoluzione sto-  rica, che in quella eguaglianza di diritti si conchiu-  deva, e sciaguratamente inutili tanti sacrificj, tanto  sangue, tante violenze sofferte € superate dai dere-  litti lungo i secoli, per conquistarla. Quindi come nel  fette economico del lavoro, era implicito, inchiuso,  consustanziato quello giuridico, cosi c'è pure involuto    fu la forza, 3 l'utilità immediata reciproca. E si badi  che io sono lontano dall'affermare — e come npl sa-  rei, se il sipposto è ridicolo? — che questa forza,  questa utiltà, causa e tutela delle prime aggrega-  zioni, foss3 voluta per deliberato proposito e cosciente  degli sciani rozzi a selvatichi : che nulla nelle ori-  gini umaae avviene per esplicito divisamente , ma  tutto pet spontanea evoluzione delle potenze nostre  nella coitorrenza e operosità loro, secondo ragioni  di luogo, di tempo, di razza. Verità che non dee mai  dimenticarsi, e canone storico da non mai trascurare  da tutti,!che desiderano raggiungere con certezza le  reali ori(ini d'ogni umana istituzione e credenza.  Quandoinvero le intelligenze dei singoli uomini pri-  mitivi fano si umili, e sì nel senso implicate, e le  volontèrsì poco esplicite per razionale valutazione di  motivi e mentre le necessità di natura, d'altra parte,  appar^nen ti tutte alla conservazione individuale gli  spingv^a ad aggregarsi, nessun altro stimolo, oltre la  legg legame che quello della forza sia di uno o di     58 CAPITOLO II     più a norma dei varii modi di ordinarsi valeva a te-  nerne stretta la convivenza. In quel primo stadio,  in quella prima forma se possa cosi chiamarsi, di  stato, nessun principio teocratico, mitico, simbolico  era sorto , dappoiché le intelligeme erano ancora  troppo chiuse, e involute e non pote-^ano sollevarsi a  quelle idee, proprie d'altre età, e coniizioni psicolo-  giche successive. In questo stadio gF Stinti animali  prevalevano, e la mente sordamente      02 CAPITOLO H     v.     \     in quando tra essi sorgono ingegni che o per senso  di umanità^ o per ambizione personale, o sete di glo-  ria si fanno campioni di più giuste leggi^ e preparano  i rirolgimenti sociali. Al di sotto di questi ordini su-  periori^ altri minori stanno sinché si giunga alle plebi,  le quaU benché non serve, pure non usufruiscono di  tutti i diritti dei primi, e per ultimo vive una mol-  titudine di servi, cose e non uomini. Or tutto questo  immenso numero di meno privilegiati, e di servi, men-  tre è materia infiammabile per chi nacque in alto, e  vuole per buono o malvagio fine adoprarla, essa stessa  é spontanea artefice d' insurrezioni o rivoluzioni so-  ciali, che conducono in ultimo alla eguaglianza delle  persone e dei cet^. E ciascuno sa, come sempre in un  modo nell' altro , continuamente ciò avvenne , per  lungo corso di Secoli : fatti che predispongono ed av-  viano lo Stato alla terza sua forma, la simbolica.   In questa novella forma in cui si risolve l'idea  dello Stato antecedente, i diversi ordini e poteri, co-  mecché permangano ancora nominalmente, cangiono  però d'origine e d'indole propria per la comune egua-  glianza che quasi si raggiunse, sancita dai nuovi co-  dici e dagli Statuti. L'investitura divina del supremo  potere, la quale a sua volta istituiva ordini, e dele-  gava uffici in virtù di questa sublime prerogativa  cessò quasi, rimanendo ancora, qualunque sia il nome  del governo, soltanto come fede pubblica, nella ele-  zione continua ed ereditaria delle famiglie regnanti  non solo per volontà nazionale , ma si per la divina  grazia. Il quale presupposto teologico però per l'in-  cremento della mentalità, ed il progresso intellettivo  della cittadinanza , ed un sentimento implicito nelle     IDEA DELLO STATO 63     classi inferiori della ' eguaglianza civilei anche quando  e dove non si rese universale , divenne piuttosto un  simbolo sociale^ . che una fede positiva ad un fatto re-  ligioso^ come per il passato. In qualunque confessione  religiosa tra i popoli civili , l'adagio che ogni potere  viene da Dio, come ogni evento è signoreggiato dal  medesimo, resta nella fede e nella abitudine generale  degli spiriti eziandio allora che il pensiero tanto si  aflfòrzò, ed emancipò da dileguare ogni mitica rappre-  sentazione, -e valutare più razionalmente le leggi della  natura e quelle che reggono i moti del mondo sociale,  dove veracemente il principio etemo si matdfesta.  Onde Tidea di un influsso divino , e di un regime  provvidenziale immediato negli ordini politici perdura  nel nuovo concetto della vita dei popoli, e cinge per  cosi dire di una aureola religiosa le persone che eser-  citano le più alte funzioni dello Stato: benché a que-  ste non presiedano più , tranne la famiglia domina-  trice, classi privilegiate, che ne ereditano gli ufficii.  La quale discrepanza tra le idee e le cose , tra gU  ufficii e le persone , tra la costituzione razionale , a  dir così, dello Stato , e le abitùdini degli spiriti nel  supporlo preordinazioni divine, dà vita appunto alla  forma simbolica, di cui discorriamo. Le leggi razio-  nalmente sono discusse e ordinate, i poteri dello Stato  si esercitano in forza di queste leggi, le persone che  gli rappresentano non sono più identificate con I me-  desimi, il sentimento della libertà umana è profondo,  e quello della eguaglianza dei cittadini dinanzi alla  legge, diviene una verità sempre più chiara, amata  e voluta; ma pure ogni grado pel quale sì ascende  dalle funzioni infime alle supreme, è vivificato da una     64 CAPITOLO U     rappresentazione simbolica ^ ove continua sotto una  certa forma fantastica e incoscente, la mitica e tee-  cratica natura dei poteri della fase anteriore. Cosi la  grazia divina pei principi, Temanazione della giusti-  zia persoi^ale, la permanenza legale, se non privile-  giato, dell'ordine patrizio, e la facoltà di aggiungere  membri al medesimo con titoli vecchi, la costituzione  dei diversi poteri come entità sostanziali, e via discor-  rendo, sono tutti simboli sociali a cui si attribuisce  un valore pubblico, mentre in sostanza le* condizioni  civili e intellettuali del popolo ripugnano a queste  credenze.   Questa forma simbolica della idea dello Stato per-  chè si effettui e si manifesti, è d'uopo che l'egua-  glianza dei cittadini nel giure civile, se non in quello  politico, sia raggiunta: poiché il simbolo sottentra ap-  punto alla personificazióne effettiva di una emana-  zione o delegazione divina neUe famiglie, o ceti pre-  posti al potere, e con esso quindi identificate : perchè  il sentimento della eguaglianza comune già esplicito  nelle moltitudini, e legittimamente stabilito nei rispetti  civili, scassina, abbatte, ruina l'idolo teocratico che  dianzi regnava: onde la forma simbolica dello Stato  è propria di quelle nazioni civili che avanzarono nella  democrazia, e preposero agli ordini e ai moti sociali  del medesimo un principio affatto razionale: come si  vede , a modo di esempio , in quasi tutti gli odierni  Stati d'Europa. E quindi mentre gl'intendimenti più  esplicitamente manifesti, verso l'eguaglianza, là libertà^  la rappresentanza nazionale prevalgono nel governo  della cosa pubblica, e nella formazione delle leggi,  contemporaneamente perdurano formolo, fatti, istituti     IDEA DBLLO STATO 65     che con quelli intendimenti sono in contraddizione^ e  che solo hanno ragione transitoria di vita, in quanto  sono meri simboli di più antiche credenze , dommi ,  costumi. Cosi molte formule di diritto e di procedura,  d'investitura agli ufficii, e via discorrendo, come crea-  zione di nobiltà nuova, distribuzione di titoli, ordini  cavallereschi, le quali cose tutte non avendo oramai  alcun valore reale e positivo, restano come meri sim-  boli nella costituzione dello Stato. Se, come dimo-  streremo, cagione e fonte di questa terza forma, fu  il principio di eguaglianza civile, ed un sentimento  più esplicito della libertà morale e giuridica, che di-  struggevano gli antichi idoli, egli è un vero progresso  di fronte alle forme antecedenti, ed una ultima pre-  parazione alla forma pura e razionale deUa democra-  zia futura, o a quella che i^oi appellammo funzione:  e già ne delineammo per sommi capi la natura, e  l'organamento. In questa ultima forma che è quella  verso cui corrono le società moderne, per adagiarvisi  completamente, effettuandone in ogni singola parte il  principio generatore, i simboli cadono, come cadde la  forza, ed il mito, e la saldezza dello Stato dipende e  rampolla da una legge naturale di esplicamento ne-  cessario delle società umane, intrecciantesi con tutte  le altre che armonicamente compongono e reggono  r ordine universale. La quale legge riassumendo in  sé stessa tutto il valore morale, giuridico, economico  della operosità singolare dell'uomo consociato in poli-  tico e civile ordinaùiento, possiede di fronte alla ra-  gione particolare e sociale quella assoluta autorità,  che per l'innanzi fondavasi in finzioni legali, o nella   forza. Imperocché nella democrazia moderna ogni po-   5     66 CAPITOLO n     tere emana legittimamente dal popolo, chiamato nei  suoi liberi comizi, come ogni delegazione di nfficii  deriva da lui direttamente o indirettamente: quindi  nella quarta forma dello Stato, ogni potere rampol-  lando dal fette concreto del suflfragio comune, ed ogni  delegazione agli ufficii per essere legittima ed auto-  revole per diretto o indiretto fecendosi dal medesimo ;  e i varii ufficii costituendo le funzioni che via via s'in-  gradano a sempre più alto valore, a comporre nell'in-  sieme loro il vivo organamento della nazione, non vi  ha più luogo a qualsiasi finzione, e cade pure la pe-  ricolosa nozione dello Stato , come astrazione legale :  la quale fu più volte cagione d'errori , di sventure ,  di tirannide mostruosa. Imperocché rese possibile Tin-  camazione dello Stato in una persona, secondo la vana  e stolta sentenza del più fastoso e pernicioso dei de-  spoti francesi; e die e dà occasione alle teoriche e  conati impossibili e micidiali della civiltà, dei comu-  nisti e socialisti di tutte le epoche storiche.   Or se riflettasi e s'indaghi quale sia stato il prin-  cipio trasformatore della costituzione dello Stato per  il lungo corso della storia in queste quattro forme  che assunse , vedremo di nuovo mostrarsi il senti-  mento, il concetto, la vittoria mano mano della egua-  glianza morale, civile e politica tra gli uomini, che a  poco a poco ridussero e spensero la prevalenza della  forza, distrussero gli ordini e i poteri privilegiati, dis-  sipano i simboli che ancor rimangono ad offuscare la  pura razionalità civile, e preparano la vittoria della  libertà e della legge in tutte le classi dei cittadini.  Onde, abbattuta ogni finzione, autorità arbitraria, mito,  simbolo, privilegio, resta a sussidio unico di esistenza.     IDBA. DELLO STATO 67     di progresso economico, intellettivo, e di libertà, il la-  voro libero, che come provammo fin da principio, è  il cardine e lo spirito creatore delle società moderne:  e quindi seguendo il corso della evoluaione storica  dello Stato in Europa, e nelle razze che la popolano,*  e che via via si allargano a vivificare le altre parti  del mondo, si pervenne alla medesima conclusione ,  cioè che il sentimento del^a eguaglianza che ha per  strumento il lavoro fisico-intellettuale, e la sua estrin-  secazione in un fatto giuridico , è il resultato, come  è il fattore di tutta la storia antecedente: e la de-  mocrazia, forma attuale e necessaria delle società mo-  derne, è l'effetto per una parte , e il principio per  l'altra, del generale incivilimento. Noi dicemmo che  le nazioni moderne riposano tutte sopra un fatto e  un principio economico , poiché riposano inevitabil-  mente e s'impemano nel lavoro , ed in questo si ri-  solve tutto quanto il valore e l'ordine della attuale  iTOLo ni     metterebbe Fatto della più violenta tirannide, e la  democrazia civile non sarebbe phe una turpe copia  di quei sistemi d'intolleranza, cui ella combatte da  secoli. Quindi ove l'eguaglianza giuridica del cit-  tadino è un fatto, e la democrazia prevalse, la li-  bertà di coscienza, o la inviolabilità del foro inte-  riore, è una condizione della sua legge, è la sua es-  senza medesima.   Noi abbiamo adunque in Italia nemico alla unità  nostra, alla indipendenza, alla libertà, il Papato, che  da pertutto d'altronde si pone come tale di fronte  alle nazioni, e al pensiero : e poiché il Papato è una  istituzione rehgiosa, la forma di un sistema spirituale  di credenze, una fede, così per lo Stato importa, come  sentimento individuale, una inviolabilità assoluta pel  principio della libertà di coscienza, condizione impre-  teribile della vera democrazia. Quindi a combatterlo  abbisognano armi adeguate alla smisurata potenza, e  che non oflFendano i diritti dei cittadini. L'unico stru-  mento, l'unico modo di lottare, e di vincere, è la.di-  visione assoluta, ma veramente assoluta dello Stato  dalla Chiesa: non ce n'è altro, né vi può essere, che  tutti si romperebbero dinanzi alla sua forza. Le per-  secuzioni, le minaccie, l'intromettersi ad ogni ora  nelle cose attinenti strettamente alla Chiesa, non lo  debilita, lo invigorisce, perchè la fede della maggio-  ranza ingigantisce nella fantasia il castigo, e lo tra-  sforma in martirio, e tronca i nervi allo Stato. Ogni  ingerenza di questo sia a favorire una parte del clero,  per abbatterne un' altra , è seme di futuro danno,  è un intricarsi in un dedalo senza uscita, è un ap-  poggio indiretto alla istituzione che vuoisi conibat-     PROPOSTE 79     tere. Lo Stato^ nella democrazia moderna, appunto  perchè sorto e informato da questa, dovendo tutelare  con forza e scrupolo la libertà di coscienza, dee es-  sere indifferente alle varie forme di fede, di culto:  tutte sono eguali dinanzi a lui: e la sua operosità  e ingerenza in queste materie dee solo versare nel-  r impedire che i varii culti con fatti si cozzino, e si  osteggino, ed offendano cosi la generale libertà di co-  scienza. GHi ordini e gli atti religiosi e civili pos-  sono nello Stato moderno vivere insieme, ma assolu-  tamente distinti, senza mai confondersi, senza mai ,  come erroneamente si crede, a vicenda rafforzarsi;  essi sono indipendenti l'uno dall'altro. La vita civile  è una cosa, quella religiosa un'altra: la loro confu-  sione è dispotismo inevitabile,, e il più tristo e il più  feroce. H matrimonio civile, i riti funebri estrinseci,  r insegnamento, l'educazione, la libera espressione del  pensiero, la costituzione delle leggi, il governo della  cosa pubbKca, sono diritti propri dello Stato e della  società laicale: né si dee permettere che tra queste  facoltà, e le correlative religiose vi sia mischianza, e  confusione mai: quantunque sia lecito alla diverse  confessioni religiose risguardare quegl'atti dal proprio  e spirituale punto di vista, ed ai cittadini il confor-  marvisi, quando non ledano l'ordine pubblico. La  Chiesa nell'esercizio dei suoi riti, del suo culto, nel-  r insegnamento religioso, in tutto ciò, in una parola,  che spetta alla sua indole interna spirituale, è libera,  e deve essere, dall'intromissione dello Stato, quando  non assalga apertamente le sue istituzioni, e non of-  fenda i suoi diritti: ma l'insegnamento pubbKco dei  cittadini, popolare, secondario, superiore, tutto, dee     80 CAPITOLO ni     essere esclusivamente per quanto concerne i gradi^ i  diplomi, i diritti che ne provengono di pertinenza as-  soluta dello Stato, e sotto la di lai unica e sola di-  rezione. Come tutti i cittadini sono eguali dinanzi  alla legge, tutte le istituzioni civili dallo Stato di-  pendono: e quindi il clero in quanto alle persone fa  parte del diritto comune: nessun privilegio sostenen-  dolo ove egli infranga le leggi : il codice e la proce-  dura penale colpiscono il sacerdote, come il laico sia  nelle transazioni civili, come in quelle d'ordine pub-  blico. La giustizia perfetta richiederebbe che lo Stato  non s' ingerisse affatto nelle rendite dei diversi culti,  ne spendesse una lira a mantenerli : poiché in un po-  polo essendo diverse le confessioni , se lo Stato ne  sussidii una sola, ne sc'ende la mostruosa consegueìiza  che taluni, come contribuenti, paghino pel culto non  proprio, e che anzi ripudiano. Ogni culto dovrebbe  sostenersi "dalla libera concorrenza e cooperazione dei  propri credenti, e lo Stato non avrebbe sulla pro-  prietà di ciascuno altro sindacato che la tutela delle  medesime, sciolte da qualunque vincolo arbitrario ,  sottoposte alle medesime leggi, e agli stessi tributi.  Questa condizione civile dei culti è V unica giusta ,  e lo Stato dee intendere ad affrettarne il compimento.  La divisione della Chiesa dallo Stato nei termini  accennati è necessaria al vercJ progresso delle nazioni,  ed è l'unico modo della sconfitta del Papato, come  ostacolo alla libertà civile dei popoli. H fondamento  alla secolarizzazione dello Stato consiste principal-  mente nella direzione esclusiva delle scuole , nelle  quali non dovrebbero immischiarsi legalmente i chie-  rici, né compartirvi nelle medesime alcun insegna-     PROPOSTE 81     mento positivo delle religioni, essendo tutte queste  fuori della cerchia delle attribuzioni dirette del go-  verno. Poiché se fosse concessa l'istruzione intomo ad  una sola nelle scuole, sia pure la più prevalente, i  cittadini che appartengono ad altre religioni verreb-  bero lesi nei loro diritti, in quanto e difetterebbero  di uno speciale insegnamento, pel quale pure pagano  il loro tributo, o sarebbero costretti ad assistere a  definizioni dommatiche che non approvano ; onde ver-  rebbe in parte lesa quella eguaglianza che è l'anima  d'ogni Stato che voglia essere civile. L'insegnamento  religioso poi affidato a laici non può riuscire che vano,  e incompleto, destituito pel fatto stesso delle persone,  di autorità, e di competenza: quindi si rischia, tenuto  conto delle varie opinioni dei docenti, che riesca più  di danno che di profitto. La dottrina elementare dom-  matìca meglio si imparte nel seno delle famiglie ,  l'autorità patema e* materna essendo più viva e sen-  tita che quella di estranei ; e più propriamente nella  Chiesa, per bocca di coloro che a ciò sono superior-  mente ordinati; ove Uberamente e con efficacia si  professa. Nelle scuole dovrebbesi diffondere, rinforzare  ad ogni occasione quel sentimento di civile onestà ,  ove consiste ogni dignità morale, comune a tutti gli  nomini, a qualunque fede appartengano. Che se, come  altri notò, il rimuovere dalle scuole l'insegnamento  religioso per mezzo dei chierici, o il toglierlo affatto,  temesi occasione di allontanamento dalle medesime di  grande copia di alunni, è questo uno dei soliti timori,  prodotti da fatti particolari innalzati dalle fantasie e  dagli interessi di vario genere, a legge, e che produ-  cono inevitabilmente questo effetto solo, cioè di non   6     82 CA.FITOLO III     osare mai avanzare, avendo paura della propria om-  bra. Quando a nessuna professione, a nessun tiroci-  nio, a nessuno utile esercizio sociale non si potesse  pervenire, od essere legalmente abilitato a goderne  i vantaggi, se non frequentando le scuole dello Stato,  sottomesso ai loro esami, e ai diritti che ne ram-  pollano , Tallontanamento non sarebbe di lunga du-  rata, e dopo qualche oscillazione, o ricalcitranza ,  tutti volentieri e senza ombra di scrupolo vi inter-  veprrebbero. Ben poco conosce gli uomini e.i tempi  nostri colui che dubiterebbe di una tal verità: gli  esempi che la testimoniano in altri ordini di fajtti,  non m^cano tutti i giorni. Certamente, e questa è  la condizione assoluta della riuscita, il governo dee  curare con assidua e scrupolosa attenzione, e ferma  volontà che le scuole dello Stato sieno le migliori di  tutte quelle che sotto altro nome possano sorgere, e  quindi i maestri dai gradi infimi ai supremi sieno  degi^ dell'alto magisterio a cui si consacrano senza  cerna partigiana, e che gli stipendi si accrescano,  onde onestamente possano vivere e con quejla dignità  e decoro atti ad infondere eziandio per sé stessi nelle  giovani menti il sentimento di autorità: poiché pur  troppo lo squallore, la miseria, gli stenti palesi , de-  gni di altissimo rispetto, quando sieno virtuosamente  sopportati , non sempre accrescono per la fralezza e  vanità umana, merito in chi ne è vittima immerite-  vole. Finché risolutamente non si porrà mano ad un  tale riordinamento radicale dell'insegnamento, e non  verrà divisa la Chiesa dallo Stato nelle pertinenze  civili, vano é lo sperare di vincere grinflussi faziosi  clericali, e la continua intromittenza loro nelle fac-     PROPOSTE 83     «ende laicali* Non oso sperare^ tanta e la nostra fiac-  chezza^ un si gran bene^ e si necessario^ prontamente,  benché sia Tunieo modo di vincere. Ma quello di cbe  sono certissimo; si è che dovrà farsi^ quando che sia,  perchè è Funico argomento per combattere il pertinace  iiiimico.   Alcuni sottilmente sillogizzando potrebbero opporre  a queste nostre dottrine l'obiezione, dimandando il  perchè lo Stato solo e nella democrazia prevalente,  può foggiare la forma interna di sé medesimo, secondo  il canone del giure civile esclusivamente , negando  questa facoltà a quello ecclesiastico, che si radica pa-  rimente nella inviolabilità personale dei cittadini. Alla  quale speciosa obiezione facile è la risposta : poiché  Fattuazione organica delle funzioni e delle leggi onde  risulta poi la nazione legalmente costituita, dipende  e si evolve da quelle facoltà e potenze individuali  che spettano all'esercizio d'atti esteriori, di fatti eco-  nonùci, di procedure eflfettive, riguardano fini essen-  zialmente terreni ed eudemonici, i di cui profitti e uti-  Utà sono per sé medesimi così definiti e certi che  acquistano spontaneamente l'assenso dell'universale :  mentre il sentimento religioso, e le formolo onde obiet-  tivamente si veste, variando da persona a persona,  e riguardando interessi, e speranze che effettivamente  qui BuUa terra non hanno compimento, se dovessero  dar forma a così dire civile, ed estrinsecarsi in un  ordine pubblico di popolo, recherebbero confusione e  anarchia , o prevalendo il più forte, ritornerebbe a  galla lo stato teocratico, che è la più bieca e turpe  tirannide. Quindi mentre il sentimento religioso che  nella democrazia vera dee risolversi nella assoluta li'     84 CAPITOLO m     berta di coscienza^ viene tutelato come diritto inalie-  nabile dallo Stato, non può^ come il fatto meramente  giuridico, assumersi a principio organatore della so-  cietà medesima, come qualunque altro sentimento del-  l'animo umano. Ma alcuno , e ce ne sono molti , più  appassionato amatore,, che fidente nei benefici effetti  della libertà , insorgerà a ripetere ciò , che si andò  ripetendo dai dottori in politica soventi volte , che^  concessa questa separazione dello Stato in tutti i suoi  ordini dalla Chiesa, basterà poi a contrapporsi vitto-  riosamente al gigante che ci sovrasta, e agli influssi  perniciosi del medesimo verso la civiltà in generale,  e la libertà della nazione in particolare? Una potenza  cosi formidabile verrà poi sconfitta, in quanto agli  effetti civili, con un tale metodo, e non userà invece  della libertà sconfinata che le concediamo, a schiac-  ciarci più prontamente? Vane paure! Se il papato  conta una vita di diciotto secoli , se la sua efficacia  penetra da per tutto, se sotto gli ordini suoi milita  una moltiforme schiera di sudditi operosi e ubbidienti,  e formolo adesso nel sillabo la teorica^ del dispotismo  teocratico, l'umanità e la razza nostra europea nu-  mera d'altra parte, ben più secoli di vita: crebbe e  si emancipò con lotte continue e pertinaci d'onde  uscivano più vive scintille di luce intellettiva, pro-  rompevano più fervidi desiderii di libertà ; si raffor-  zarono propositi più civili di vittorie futurp, che an-  davano animando mille e mille e poi milioni di adepti,  che poi si dilatavano baldi e procaci su tutta la terra^  recandovi non solo germi di verità e libertà, ma isti-  tuzioni imperiture, Ed ora non solamente nel suo va-  sto e onnipotente pensiero agita tutte le genti euro-     PROPOSTE 85     ^eO; ma ravviva metà del nuovo mondo j fascia le  bollenti terre dell'Africa, signoreggia l'Asia, ripopola  l'Oceania, e stende la mano minacciosa già sul Giap-  pone e la China, che eccita a nuovi fati, o li tras-  forma a sua immagine :£ già nell'animo e nell'intel-  ligenza sua stanno indelebili, consustanziati, e immor-  iali l'eguaglianza civile, politica e la libertà del pen-  siero : tre libertà che non si spengono , tre soli che  non vedranno tramonto, e che bastano di per sé col  tempo a sconfiggere qualunque potenza. Al sillabo noi  opponiamo il codice del libero esame, e l'immenso  jcumulo delle conquiste della natura , che sono stru-  menti poderosi non di servitù, ma di libertà, ed eman-  jcipazione: al servaggio delle menti, la vittoria vivi-  £catrice della scienza moderna, al mito il vero, alle  jsquallide e lugubri letane dei mistici, lo splendido e  stridente carro dell'incivilimento. Chi dubita della  finale vittoria, chi crede di fronte alla civiltà moderna  ultrapotente il Papato, non intese la storia, o non  comprese la legge indefettibile della nostra intrinseca  evoluzione, e non sentì nell'anima quella voce divina  che grida alla nostra umanità. Sorgi e cammina ! Che  se vuoisi opporre all'esito favorevole della lotta, an-  che la enorme virtù della unità del Papato, come  forza direttrice, tenacemente nelle sue compagini co-  stituita, e presente per tutto, si pensi che adèsso la  nostra razza omogenea e identica nei tratti suoi prin-  cipali, e animata degli stessi sentimenti, è parimente  diffusa e organizzata nel mondo, e che la sua unità  morale si va compiendo ogni giorno. Perchè per i tro-  vati meravigliosi della scienza e dell'arte, che assog-  gettarono alla volontà umana le potenti energie della     ■•*«•     86 CAPITOLO III     natura^ il pensiero che da prima esemplò sé stesso e^  scolpì nelle pietre; nei bronzi^ nelle pergamene dei  popoli separati^ o inimici^ or non solo con la stampa si  moltiplicò con la velocità quasi del concepimento in  innumerevoli copie, ma identificandosi con l'immane  rapidità deirelettrico in un istante, e in un punto  raccoglie tutto ciò che avviene su tutta la superficie  del mondo : e le merci, gli uomini , le dottrine , tra-  valicano con l'impeto della ijieteora nejla espansione  del vapore, immensi spazi di terre, perforano mon-  tagne, e sorvolano^- emulando i venti, gli oceani, ae-  oumunando prodotti materiali e intellettivi in breve  giro di giorni: onde, per la originaria parentela e  indole della stirpe or dominatrice, tutte insieme le  forze domate della natura, van componendo l'unità di  pensiero^ di scopo, di istituzioni per ogni dove : con-  trapponendo ai concili! jeratici, le splendide e prov-  vide mostre dell'industria e del sapere universale. La  quale unità, perchè effetto della spontanea e nativa  evoluzione della specie, non meccanico sistema di ar-  tificiale organismo, è assai più potente di quella pon-  tificale: ed ha nella legge che la governa, e negli  effetti che naturalmente ne rampollano , la necessità  d'infuturarsi, e la inevitabilità della vittoria. ' Di fronte  alla cattolicità dommatica e ufficiale, la cattolicità delia-  stirpe, del pensiero, delle istituzioni, della Civiltà va  costituendosi, e poderosa si accampa, libera signora  di sé medesima. Pongasi mente a questo fatto inne-  gabile, e veggasi se le paure soverchie di chi nulla  osa tentare, sieno giustificate dalle condizioni generali  del mondo. Ma si rassicurino i timorati e i timorosi,,  il sentimento ingenuo e nobile religioso non verrk     PROPOSTE 87     Spento^ ma non verrà spenta neppure quella luce pu-  rìssima di verità, quel calore di bene, quel fuoco di  libertà che crebbero, e trionfarono a costo di lacriimè,  di sangue, di stragi, di roghi infami e scellerati. Sia  libera la Chiesa, ma libero lo Stato e autonomo in  ogni ordine di sé medesimo , e sieno libere tutte le  religioni che in esso convivono : non temete, il resul-  tato finale non è dubbio, trionfo della libertà da una  parte, ed epurazione daJU altra.   Altri forse può dubitare, pur riconoscendo l'impos-  sibilità della vittoria del sillabo nel mondo, che parzial-  mente i popoli rischino secondo le proprie condizioni  civili diverse, soccombere, ed in ispecie Y Italia ove il  Papato ha la visibile sede, e regna il Pontefice.  Vero è che non tutte le nazioni avanzarono siffatta-  mente da superare e non temere gl'influssi perniciosi  del Papato, e sarebbe follia il negarlo. Ma oltre gli  aiuti che vengono loro dal di fuori per la continua  efficacia del generale incivilimento, che da per tutto  penetra e si diffonde, ciascuno di questi popoli, ap-  punto perchè affine alla comune razza europea, ha in  sé medesimo la necessità della emancipazione, la quale  può parzialmente ritardare ad effettuarsi, ma deve in  ultimo avverarsi per le ragioni discorse. In quanto  poi all' Italia in particolare, non conosce l' indole del  popolo nostro chi crede alla sua etema e congenita  servilità religiosa tramutantesi in quella civile; chi  crede che a questa posponga i suoi affetti e i suoi  interessi; che rinunzi alla terra ed ai suoi leciti go-  dimenti; voglia, parlo dell'universale, porre in non  cale la nazione , rinunziare all' indipendenza ed alla  libertà per vivere una squallida vita di chiostro, e     88 CAPITOLO m     salire per lugubre scala al paradiso. L'italiano è con-  servativo, non retrivo, per indole, e non inerte nel  pensiero; e altrettanto rapido' ad afferrare il lato giu-  sto, positivo delle dottrine, valutare con abilità in-  genita gli avvenimenti e considerare ed estimare le  sue condizioni; aperta una via, sorto un barlume di  vero alla sua mente, vi s'innoltra con prudenza si^  ma virilmente, e con tenacità la segue. Conosco, gra-  zie al cielo, il mio paese, e a palmo a palmo io posso  dire; conversai con tutti i ceti, in tutte le parti della  penisola, ed ho una chiara idea delle loro condizioni  morali; e certamente in alcune provincie tali condi-  zioni non sono liete e normali, e richiedono tutta la  sollecitudine provvida e saggia dei governanti; ma  non si illuda l'osservatore superficiale, anche fra loro,  come dappertutto, l'agitazione operosa nazionale sotto  mille forme si propagò; l'idea del riscatto politico, il  sentimento di libertà, una forma migliore e più degna  di vita, traversarono, mossero quelle menti e quegli  animi, ed all'occorrenza saprebbe deludere le cieche  mene dei retrogradi e dei demagoghi.   Cosi dunque non temasi in Italia della libertà con-  cessa alla chiesa e alle chiese, e si proceda con riso-  lutezza; si armi dei suoi diritti naturali lo Stato, e  si lasci il clero esercitare il suo ufficio, e di fare e  disfare in casa propria in quelle cose che strettamente  si attengono al suo ministerio. Contro la fazione cle-  ricale, non v'ha altra politica possibile; ogni aggres-  sione è vana, ogni minaccia non rintuzza ma fortifica  l'avversario, ed ogni ingerenza dello Stato nelle cose  interne delle chiese, riesce poi di danno a sé stesso.  I clericali, e parlo della fazione politica loro, ben     N     PROPOSTE 89     sanno del resto^ (gli abili e che hanno il mestolo in  mano) che senza lo Stato e il suo appoggio , le loro  forze sono monche e sfatate ; imperocché il giorno nel  quale in Italia^ per una ipotesi impossibile^ avessimo  un parlamento del loro colore e spirito, e quindi un  governo uscito dalle loro viscere, sarebbe l'ultima ora   * della loro fazione , poiché nessun popolo di Europa  vorrebbe e potrebbe mantenere rapporti col nero e   ' funesto governo, mentre una riscossa di tutte le gra-  dazioni dei partiti liberali della penisola fora inevi-  tabile o spaventosa. Questa i clericali sanno, e quindi  non tentano, né tenteranno l'ultima prova, e solo pro-  cacceranno di tenere Ymo zampino ed un addentellato  nel giure pubblico della nazione, perché lo Stato da  sé medesimo, per gli errori servili o erroneamente  aggressivi, si procuri una certa rovina. Quindi, qua-  lunque sia il governo che resti al timone della no-  stra patria, non devii dalle norme che ora tracciammo ;  ogni altra politica sarebbe funesta; con l'apparenza   • della forza e della libertà troncherebbe i nervi a sé  stesso. Adoperandoci di questa guisa, noi renderemo  a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che é di  Pia, secondo il detto profonda del Nazzareno ; e men-  tre daremo saldi fondamenti alla libertà ed al suo  incrementa, faremo un bene eziandio alla chiesa, poi-  ché, toltole ogni speranza d' ingerenza nelle cose civili,  e richiamata al suo morale ministerio, abbraccerà nella  carità religiosa anche la patria ; come sanno molti  buoni fra loro, i quali sentono che per conquistare,  secondo la loro fede, la'^patria celeste, bisogna amare  e difendere quella terrena.   L'altra fazione che tenta* e vorrebbe sconvolgere     90 CAPITOLO m     Fattuale ordine di cose civili, quali vennero prodotte  dal lento moto della evoluzione sociale, è la dema-  gogia anarchica e selva^ia, avente gradazioni diverse,  come diversi propositi, diffusa da per tutto,^e stretta  da vincoli, patti, associazioni, e guidate da uomini  risoluti. E da prima è d'uopo , per giusta ed equa  estimazione d'uomini e di cose, distinguere ed asso-  lutamente separare da una tale fazione il partito re-  pubblicano che si agita anch'esso da per tutto, e che  in varie parti del mondo ha vita effettiva e legale  riconoscimento. Vero è che una tale distinzione sa-  rebbe superflua e stolta, se pur troppo lo zelo im-  provvido o l'ignoranza, non spingesse molti a con-  fondere cose insociabili, e a far tutto un mazzo, sieno  buoni o rei, di quelli che a puntino non partecipano  al grado presente del loro liberalismo. Il partito re-  pubblicano, quando come in generale si mostra, segue  la legge sana della democrazia moderna, riposa sui  medesimi fondamenti giuridici e éivili dei popoli retti  a monarchia rappresentativa; mantiene saldi i principj *  • di proprietà, di famiglia, d'ordine, senza cui convi-  venza umana non è possibile, ed è una naturale e  necessaria evoluzione sociale. Quindi è d'uopo non  fraintendersi, né recare violentemente e con palese in-  giustizia le colpe, i danni, i pericoli alla forma repubbli-  cana, che sono propri esclusivamente della demagogia.  Dispregiare con puerile sussiego questa torbida fa-  zione, è follia; la fidanza di sterminarla con le sole  armi, è concetto che non può capire che in un cer-  vello da Don Chisciotte ; combatterFa con palliativi o  discorsi, è troppo ingenua bredulità. A mali morali,  profondi, tenaci, universali come quelli di cui trat-     PROPOSTE 91     tìatnO; si può ovviare soltanto con serii e virili pro-  positi, e Còli rimedi adeguati alla forza che li produce*  IEj prima condizione a sapersi schermire da un tale  nemico, è quella al solito di non farsi illusione alcuna  intorno alla sua potenza, indagarne l'origine, e non  attenuarne il pericolo. E questo si farà per noi il più  brevemente possibile, onde premunirsi in Italia anti-  cipatamente dagli influssi e danni di questo malanno,  perchè la libertà sana e la civiltà non ne soffrano  detrimento.   La demagogia o l'insurrezione anarchica delle classi  povere e proletarie non è nuova, e si può dire che  i germi sbocciarono col costituirsi delle società pri-  mitive; imperocché di fronte ai più potenti, ai più  agiati e felici, stettero sempre i derelitti dalla for-  tuna, i deboli, i miseri, qualunque ne fossero le ca-  gioni. Ma se il sentimento , il mobile , lo scopo si  mantenne identico di mezzo alle trasformazioni sociali,  la forma della demagogia cambiò, e i suoi seguaci e  proseliti crebbero spaventosamente di numero. Quindi  nell'età nostra, per quanto si estende la civiltà eu-  ropea sopra la terra, assunse una forma consuonante  con quella naturale del progresso sociale, delle con-  dizioni economiche presenti, e con l'immenso accre-  scimento della popolazione. Or noi si vide che il fon-  damento, il fatto che costituiva l'indole propria della  società moderna e dell'incivilimento stesso, è un fatto  economico, il lavoro, reso libero, scevro di qualsiasi  privilegio od ostacolo, e sostegno unico dei singoli  associati, nella moltiforme sua natura, e nella immensa  varietà dei suoi atti, dal rozzo manuale al più alto  intelletto, H sentimento di questa feconda e santa     '92 CAPITOLO m     T-erità, pel naturale svolgimento che in tutti lo pro-  dusse e lo suscitò; nacque nell'animo di tutte le classi^  vagamente le eccitò, spingendole di un salto con Tim-  maginativa agli effetti ultimi e salutari di questo  principio, valicandone i necessari intervalli per igno-  ranza da una parte , e per impeto di bisogno dal-  l'altra. Indi la foga pertinace, perseverante, ma più  calma, o Torrido assalto ^subitaneo di selvaggie ire  contro quei medesimi sostegni, quelle istituzioni che  Bono anzi i mezzi di giungete gradatamente ad una  condizione migliore di tutti. Cosi nacquero per un  verso le associazioni della cosi detta intemazionale,  o le improvvise ruine della comune. Ma nel tempo  stesso che noi dobbiamo combattere le funeste teo-  riche di queste sette, e soffocarne con pronta energia  i delirii nefandi, non bisogna, lo ripeto, fanciullesca-  mente cullarsi nella idea, che fatti cosi universali, e  che in un modo o nell'altro si mostrano per quanto  fii stende il campo civile delle nazioni, sia un mero  capriccio momentaneo d' ebbre moltitudini, vapore di  idioti, e fenomeno che non abbia fondamento di sorta  nella storia; né in se, in mezzo al profondo errore  che l'offusca, e lo insozza, un raggio e un filo di vero.  E noi vedemmo già che la demagogia ha la sua sto-  ria, antica quanto il mondo , e svolgentesi e sgomi-  tolandosi con i secoli parallela alla trasformazione  fiociale della nostra stirpe. Ed il vero, che questa fa-  zione nelle sue teòriche micidiali racchiude è questo:  che ad ogni uomo, ad ogni cittadino, sia qualunque  la nascita, l'economica condizione, incombe egualmente  l'obbligo salutare del lavoro, ed è compartecipe di  tutti i doveri che stringono autorevolmente tutti i     consociati a prò di tatti con reoiprocft operosità; im-  perocché l'ozio infecondo , e soltanto consumatore &  cormttore, è oramai agli occhi di tutti il più tristo,  squallido e vituperevole vizio sociale, la causa e il  fomite di ogni disordine e , d' (^ni ruina. Ma questo  vero, che or comincia, rispetto al suo valore sociale,  a risplendere alle menti di tutti, e che mano mano  che la società progredisce, sempre più palese si farà,  e che dee divenire la fede comune , nelle sette de-  magogiche si trasformò in ribellione ad ogni sano  principio, e divenne piuttosto sorgente di miserie e  di lutti, che fonte di prosperità per gli stessi che si  Intano in suo nome. Quindi la fallacia nella cre-  denza di poter sterminare ogni sentimento religioso^  come quello che secondo essi sostiene i perni della  . società attuale; la puerile fidanza del condividere i  beni fra tutti, e ritornare, per essere felici e mirabili,  alle delizie animalesche delle prime orde umane. II  sentimento religioso in sé , astraendo dalle forme  dommatiche che può rivestire , è in quella vece sì  connaturato all'uomo, appena gli balenò un ra^io di  intelligente attività nella mente, è un. bisogno cosi  profondo, che il supporlo nell'universale temporario  periturio, riesce un errore sì madornale, quanto il  credere che possa miù cessare il sentimento del bello,  del buono, dell'utile, e così via discorrendo. Un tal  sentimento muterà forma, materia, simbolo, a sempre  più puro e razionale aere s'innalzerà, ma rimarrà^  e quando anche in tutti si trasmutasse in effettiva  intellezione dell'ordine infinito del mondo, e dell'e-  terna energia che lo vivifica, e continua, avrà sempre  una efficacia potente negli animi umani , e una au-     94 CAPITOLO III     torità suprema nei loro atti. Quindi, sicc^ome è vano  l'assunto, è assurdo il crederlo effettuabile ; e di questo  si persuadano coloro che eccitano a simili fantaami le  moltitudini. In quanto poi alla proprietà e alla fami-  glia, sarebbe con esse distrutto l'ordine civile, ogni spe-  ranza di miglioramento, ogni libertà. Poiché l'ultimo  fatto sociale a cui" pervenne il moto evolutivo umano  è Tuniversale libero lavoro, questo senza la proprietà  non può sussistere, in quanto mancherebbe di sussidi,  e dei giusti stimoli ad esercitarsi. Che se il lavoro è  un dovere, un godimento, una dignità, la sola nobiltà  possibile oramai nel mondo, oltre avere un effetto che  giova alla generale convivenza nella reciprocanza di  ragioni e d'influssi che l'anima, è pure un modo di  rendere più lieta, agiata e amabile la vita; poiché  colui che vuole rendere l'uomo misticamente perfetto,  e che tutto versi e si travagli nella carità, e non  senta e non provi gli onesti piaceri, e rinunzi ai co-  modi, agli agi, agli utili personali, non solo disconosce  la umana natura, ma annienta la storia. Laonde la  proprietà ed in conseguenza la famiglia, sono condi-  zioni indispensabili del lavoro, e con esso della civiltà  tutta quanta, e della libertà che a tutti è si cara, e  desiderata. Questi sono i veri contro cui infuriano i  propositi dell'intemazionale, i quali se venissero ad  effetto, ogni bene sarebbe distrutto; sono errori in cui  cadono e caddero non una sola volta, quelli che, vi-  vificati da un sentimento giusto e da un vero che  balena incerto e confuso nelle loro menti, credono  raggiungere la meta sterminando gli argomenti che  vi conducono.  Egli è certo però che tali sette sono or formida-     PROPOSTE 95     bili e sparse da per tutto: hanno associazioni, pecu-  nia, giornali, conventicole e cattedre: e gl'iniziati si  mescolano in tutti gli ordini della vita, e gli arruf-  foni ne sfruttano la credulità, o ne inveleniscono, rin-  fuocano le ire: pericolo tanto più tremendo, quanto  più è avvalorato da un sentimento giusto di una ve-  rità male intesa. Or che contrapporrete a questa fiu-  mana? — La Forza? — fu tentato, ma l'idra rina-  sce: oltre, che la forza contro il sentimento e il nu-  mero non prevale, e senza un principio che la sostenga,  è vano amminicolo. Combatterlo con principii con-  trarii? — si sperimentò, risorse, e sempre più sì  estende. Con gl'influssi" religiosi? — Ma ella imper-  versò maggiormente ove le genti erano guidate e  ispirate dal clero, e si agita nei paesi, ove la fede è  più viva, poniamo che non sia la cattolica, tralasciando  anche che alcune tendenze, ire, dispetti clericali sono  fomite a queste sette, e piuttosto che attutarle, le  attizzano. Forse pej: mezzo delle esortazioni, le per«  suasioni, i libri, e i giornali? — Certamente questi  modi, e argomenii quando sieno bene appropriati e  condotti, hanno un grande valore, e maggior della  forza, e degli influssi religiosi, perchè vanno a poco  a poco componendo una opinione favorevole ai suoi  principj, e l'opinione oggi è regina, e può molto: ma  la sua efficacia è in parte frustrata dai giornali, dalle  associazioni della setta, onde è lento e stentato il be-  nefico risultamento. Dunque non hawi rimedio? —  I rimedii opportuni, i soli efficaci, e che, spero, sa-  ranno riconosciuti tali a poco a poco da tutti, se vo-  gliamo salvare la civiltà, sono di due sorta, privati e  pubblici: e ne discorreremo partitamente le loro ragioni.     96 CAPITOLO III     Odesi tutto giorno dalle persone di ogni ordine e  d'ogni ceto, tra quelli più agiati^ lamenti e querimonie  rispetto ai pericoli che ci sovrastano da parte della  demagogia universale^ e si paventa^ si trema^ s'im-  preca^ o si pronostica il finimondo. Ma sciaguratamente  tutto questo tumulto dì sgomenti^ predizioni^ spasimi  si risolve in parole, in chiacchere, in vaniloquio ef-  fervescente, e nessuno, parlo in generale, fa nulla, o  aspetta da un arcangelo la spada salvatrice, o grida  contro il governo e i governi che non uccidono a  soffocano nella culla il mostro divoratore. E mi fanno  la figura di chi, appreso lentamente il fuoco in un  canto della propria casa, corra in piazza a gemere^  a piangere la imminente ruina delle sue mura, im-  precando perchè il sindaco non distrugga i zolfanelli,  causa immediata del danno, invece di provvedere to-  sto e virilmente al pericolo, tenue da principio, con  la propria persona, o con gli ajuti che ai forti e vo-  lonterosi non mancano mai. Cosi presso a poco va la  faccenda per tutti coloro, e sono innumerevoli, che  presentendo l'avvento della cosi detta questione so-  ciale, credono rimediare al male col vociferare ai  quattro venti il prossimo diluvio, o volendo che altri  gli soccorra con modi, che neppure essi sanno in che  veramente consistono. Ma in tale maniera l'acqua arriva  alla gola, e senza rimedio, perchè il neghittoso è spia-  cevole a tutti, utile a nessuno. Egli è oramai tempo  di mutare registro, e se veramente stanno a cuore  gli averi, i diritti, la giustizia, non fosse che rispetta  ai privati vantaggi, bisogna persuadersi, perdio! che  il tempo è venuto, ove chi non opera, e fortemente  vuole e lavora, verrà travolto non solo dalla fiumana     PROPOSTE 97   impura ch^ paventano^ ma dalla indole della civiltà  presìHite, nella quale il volontarìp infingardo nozi può  trovare modo durevole di vita. E innanzi tutto la so- *  cietà è solidale d'ogni bene^ d'ogni male, e chi non  sente q^uesto alto dovere, è indegno di chiamarsi uomo  civile: e quindi ognuno è strettamente tenuto a coo-  perare al maggior benessere possibile della nazione.  E si badi che questa, di cui parlo, non è mica una  carità estrinseca e contingente, che possa a volontà  con minore o maggiore zelo esercitarsi, come avviene  in altri fatti di pubblica o privata beneficenza, ma è  una necessità intrinseca, senza la quale la società  minerebbe. La quale cosa si fa a tutti palese anche  materialmente, se riflettono ajla solidarietà, sempre  più stretta e generale che nasce fra tutti gì' interessi,  sia per associazioni a scopi diversi di utilità perso-  nale, o di prodotti, sia per la dipendenza d'ogni or-  dine di fatti economici fra loro, sia nel più vasto e  universale credito dello Stsito, da cui dipendono una  immensa varietà di fortune particolari. Quindi il la-  voro libero, ma cooperativo dei singoli, onde si con-  servino intatte e abbondanti le fonti .di ricchezza e  di sussistenza nazionale, anche per questo lato, è la-  voro necessario: che se egli allentasse, svigorisse., o  venisse meno, il popolo perirebbe senza rimedio.   Adunque tra i rimedii privati che possono contra-  stare all' ampliarsi delle sette demagogiche a danno  di tutti, è l'operosità di tutti, e in specie di quelli  che più avrebbero a perdere, e nei quali quanto è  più grande la ricchezza e l'agio, tanto più cresce e  ingigantisce il dovere dell'opera. Si persuadano che  nelle moltitudini adesso il prestigio solo delle ric-   7     98 CAPITOLO HI     chezze, o del nome; o del fasto è scemato, e va sce-  mando, grazie al cielo, rapidamente, e invano si at-  * teggerk a pavone , chi sotto le splendide penne , e  r iridiscente folgore delle piume , cela miseramente  una cornacchia. D popolo non dispregia- né nomi ,  né fasto, quando coloro che li portano, o V esercitano  senza jattanza , sono degni della civiltà nostra , la  quale consiste tutta nel lavoro, utile e generoso. Bi-  sogna adunque che coloro a    crescente onda delle mene demagogidie , è una ne-  cessità delle stesse condizioni civili deUe nazioni mo-  derne, un diritto e un dovere. '   Dichiarati brevemente i rimedi privati, conside-  riamo quali sieno ,o possano essere quelU pubblici, o  di pertinenza dello Stato, e del suo governo. Questi  a divisarli compiutamente si disbrancano in lare or-  dini, e possono essere quindi di tre specie: mo^?ali,  amministrativi e poUtìci. . Un grande rimedio aU'er-  rore, al vizio e alle miserie, è certamente V istruzione  diffusa, e più tra quelle classi che di per sé mal sa-  prebbero provvedervi, e alle quali manc^ lo stimolo  proprio ad avanzare, vale a dire alle plebi della città  e delle campagne. Che questo sia precipuo ed asso-  luto dovere di ogni governo civile, è chiaro, e sarebbe  anche più chiaro, se non fossero ancora alcuni, e non.  son pochi, nei quali si mantiene la dignitosa e gene-  rosa ctedenza, che T ignoranza delle moltitudini la-  voratrici, è un ingrediente e un sussidio nòbilissimo  di governo, e si affidano nella loro maraVigliosa atti-  tudine, di contrastare ad ogni male, puntellati all'arte  provvida di pochi, e all'uni vergfale e servile asinag-  gine. E tatLto più stupore arreca una tale saggia sen-  tenza, in qitanto di preferenza è sostenuta da quelli  — non parlo certamente di tutti — che bazzicano  frequentemente per le chiese, e fanno pompa di cri-  stiana pietà. Brutta e ridicola contraddizione, la quale  se ingenuamente* professata, indica in essi una igno-     PROPOSTE 105     ranza proporzionata al grottesco proposito; se ad afte  pensata, è iniqua e degna deff universale dispregia.  Jn ciasctm uomo come sono eguali potenzialmente i  diritti e i doveri, sono eguali i bisogni e la necessità  deiihi dignità della vita; ora in tutti in quella guisa  dello stato, e migliorare le loro condizioni economiche;  ma parlandosi di suffragio fermarsi alle porte del sal-  terio e dell'abbaco, è tale stravaganza che la maggiore  non si può immaginare; si crede d'essere' del nostro'  secolo, e viviamo delle idee dei bisarcavoli!     ^PROPOSTE 12T   Cicerone assennatamente dicera essere gF ignoranti  capaci di verità^ poiché T ignoranza ^ cioè la mente  primitiva^ non ingombra da sfumature; e il più delle  volte arruffata da un sapere rachitico, entrato a spruzzi  anarchici nel celabro, è tutt'altro che chiusa alle ve-  rità pratiche della vita ; che anzi quando queste ver-  tono intomo a positive questioni d' interessi generali,  ma consuonanti o influenti con e su quelli particolari  della famiglia, del comune, della provincia, sono pronte  a colpirne il nocciolo principale, e a scegliere le per-  sone più idonee a risolverle secondo le necessità del  momento. Se non fosse così, se noi attendessimo ad  allargare il diritto di suff'ragio che virtualmente è di  tutti, quando tutti fossero dotti, ed uomini di stato  almeno in cacchioni, io credo che si aspetterebbe in-  darno quel giorno, e si aprirebbero le universali urne  dei trapassati allo squillo finale dell'arcangelo, più  presto che quelle generali del popolo pel comune  sufeagio.   Ma ribadiscono gli oppositori : voi desiderate esten-  dere il diritto di suffragio mentre ^ nessuno, o da  pochi si chiede : attendete che il desiderio nasca, si  diffonda, giunga legalmente al parlamento, e allora  si aprirà la mano, ma sempre con prudente riserva.  E cosi, soggiungerò io, noi liberi cittadini di libero  Stato, e un governo che dalla libertà è sorto, e a que-  sta deve intendere con tenaci propositi, saremo meno  generosi, meno magnanimi dei governi dispotici ? In  questi sovente, e la storia anche contemporanea è  piena di esempj, il governo costringe spontaneamente  le moltitudini riluttanti a incivilirsi, e con violenta  mano le sforza ad accettare .riforme civili, ammini-     128 CAPITOLO ni     stratìve, economiofae : noi BEtremo il contrario: in nome  delia libertà, teleremo lontani dalle riforme utili e ne-  cessarie quelle moltitudini chC; secondo il ^iblime  concetto, persistono nella ignoranza, o nella indiffe-  renza politica. Un governo onesto di libero popola  dee spingere al meglio di proprio impulso le genti  confidate al suo senno : nò dee nelle leggi fondamen-  tali attendere che altri domandi, ma generosamente  anticipare opportune riforme. Ma se del resto tuUi  non chiedono o vogliono il diritto di suffi*agio, questi  è sorto nella coscienza dei più, emana spontanear-  mente dal nostro giure pubblico, è una necessità dei  tempi, è un dovere civile. Che se un tale dovere, per  ipotesi impossibile, non* si sentisse, o si dissimulasse,  p^r durare in un certo grado matematicamente mi-  surato, e fisso di libertà, a prò di minoranze qua quando anche,  per ipotesi, ciò avvenisse, Teffetto sólo che produr-  rebbe, fora certamente una'^pìù grande e viva ope-  rosità nei partiti liberali, e una agitazione legale più  intensa, le quali riuscirebbero in fine a risolvere più  presto e ricisamente una tale questione interna, e  scongiurare più virilmente i pericoli, onde è gravida  per la nazione. Altro benefizio che recherebbe seco  la partecipazione, larga del popolo al Suffragio, sa-  rebbe quello di stimolare, (essendo più vasto il sin-  dacato, e le possibili peripezie del voto), e costrin-  gere i- deputati ad intervenire scrupolosamente al par-  lamento^ e smettere il brutto sciopero in cui sono ca-  duti molti ripetutamente, e in modo da far credere  cronico il morbo pernicioso, che gl'infesta, e li rende  colpevoli dinanzi alla nazione. Più e più volte gli  atti e le discussioni del parlamento, d'importanza ca-  pitale per la prosperità e ordine del paese, non po-  terono aver termine necessario, o sanzione legale, per  Io scarso numero degli intervenuti, e ancKe quando  giungevano alla cifra prestabilita, di fronte alla to-  talità dei rappresentanti, erano si può dire al disotto  del decoro del parlamento.' Se coloro che pur brigano,  e fauno chiasso per essei'c assunti al grave incarico,     V     IdS CAPITOLO m     e rappresentano ciò che v'ha di più vivo nella na*  ssioney e la funzione più eccelsa di un popolo, che è  quella 4'essere il legislatore di sa medesimo^ danno  un si tristo esempio di trascuranza agli alti doveri, e  di abbandono alla alacrità civile della vita pubblica,  B0^ è da atupire, se gli aitai alla base imitano nel  laìiguote, nella cascarne, nella dimenticanza dei di-  ritti e doveri civili, i loro rappresentanti ; e «'inge-  neri nella na2doDe quell'ozio politico, che è la lue  più deleteria, e corruttrice delle viscere della mede-  sima; sintomo, se i rimedii non intervengono pronti  ed energici, di inevitabile morte. O non cercare, de-  siderare r^lezioùe e intromettersi in ogni maniera per  ottenerla, o ottenuta, attendere con lealtà e perseve-  ranza al proprio mandato, ^d esercitarlo costantemente,  risparmiando cosi un malo esempio al popolò \ intero,  un acerbo e giusto rimprovero a sé medesimi; la-  sciando aperto il corso ai più degni, e più operosi, e  non ocisasionando cosi la morale decadenza dell'auto-  rità del parlamento, come pur troppo fra noi già per  moltissimi accadeva : e che io dica il vero faccio ap-  pello alla stampa quotidiana di tutti i colori piena so-  vente di acuti, e meritati riinbrotti ai neghittosi le-  gislatori.   Bispetto al pericolo del cesarismo, che secondo altri  sarebbe il mostro che uscirebbe dal voto generale,  come quei fantocci deformi e strani, che scattano al*  Timprowiso dalla scatola magica, a stupose e terrore  dei nostri fanciulli, temerlo da senno in Italia, è cosa  che non Val la pena di confutare. Il cesarismo è  solo possibile in un paese, sconvolto ^à , sconquas'  fiato, disordinato a più riprese, e dove la furia     PROPOSTE 139     delle fazioni anaik^hicbe^ o le gare di pretendenti più  meno apocrifi, tanto scrollarono le fondamenta d'o*  gni ordine, e tanto impaurirono le maggiorante, che,  conservatrici sempre, si appigliano di iiecessità all'u-  nico modo di salvezza che si presenta, sia pute Tau-  tonta irra:dónaie della sciabola, o la potenza moi'ale  di un nome: poiché ove è questione di anarchia di  forze brute tenzonanti , il popolo si rivolge a quella  che ha maggiore probabilità di vittoria, e di ristabi-  lire quindi la pace, e la cancordia nel caos informe  sociale. Ma un tal voto," quando è generale, se ma-  nifestasi sostenitore di una forma dittatoriale in un  dato momento^ ove egli è necessario, apparisce anche  come fondatore di repubblica, quando una tal forma  di reggimento ad un dato momento, sia Tunica arra  di durevole ordine, come intervenne in Francia : nella  quale, nonostante la lunga cospirazione della caduta  assemblea, e del suo governo, retrogrado e monar-  chico, e tutto rìmmienso arrabbattarsi dei clericali, e  dei funzionari governativi, sorse testé la repubblica da  quelle Urne rurali^ che secondo i giusti estimatori del  senno delle moltitudiiii, dovevano imporre alla Francia  il -^èsaitfismo na^Kileonico^ o il lugubre spettro della  rameica tirannide legittimista. Che se invece avvenne il  contrario della comune aspettativa, si deve solo a ciò,  che tra i varii e funesti pretendenti al trono francese, e  delle loro ingenerose e tristi fazioni, il popolo senti, che  runico governo d'ordine, era il rejpubblicano, che ta-  gliava a tutti la cresta, e li poneva fuori dell'astioso e  cupido combattimento, e per la repubblica votò. In Italia  non vi sono affatto elementi per un cesarismo possi-  bile, e mancano condizioni antecedenti per un tal ri-     140 CAPITOLO ni     Bultato; qui non sfacelo, qui non anarchia^ qui non  odii; rancori^ ambizioni^ rafforzati dal sangue sparso^  da vendette nefande, da rappresaglie inique ; qui nes-  sun bisogno di salvatore, o d'incoronare col servag-  gio del popolo, un fortunato vincitore di eroiche bat-  taglie. Da noi le istituzioni, grazie al cielo, possono  per poco affievolirsi , o venire in meglio modificate,  ma legalmente operano , e sono fisse nella coscienza  pubblica, né alcuno anche dei partiti possibili più  risoluti, e accentuati, pensa a rovesciarle, perchè in  Italia c'è senso in tutti della realtà, né ci si sca-  priccia in utopie senza pratico costrutto: in Italia  la dinastia regnante è politicamente insigne pel ri-  spetto alle leggi, né vi attenta, né vi corrìe rischio,  (quando esercita il suo mandato, come ora fa) di v^e-  nire rejetta, e inimicata dalla nazione^ e F esercito  nostro, quanto valoroso, fedele^ onesto, e nel quale  in bella armonia si fusero tutti gli elementi fortf  della nazione, sia patrizi, sia popolani, se è tutela delle  leggi, dell'ordine, della integrità della patria , non è  una accolta di pretoriani, e conosce a prova quali sieno  i suoi doveri di soldato leale e devoto e quelli di  cittadino. Indi il timore e lo spauracchio di Cesari  possibili in Italia è affatto chimerico, e non conosce  certo il popolo nostro, né le nostre condizioni civili  interno in tutti i loro elementi , chi paventa di un  tale babau,   E dico adunque che si dee proporre legalmente e  stabilire una tal forma di suffragio, senza indugio^  poiché la libertà lo richiede, la dignità della nazione  lo esige, la prudenza Io consiglia. Le moltitudini eleg-  gono, non governano; immenso ' divario ; ed esse in     PROPOSTE 141     media secondo tempi, luoghi, e coadisiom sociali soel-  gono' seeipmi pia opportuni ai bisogni presenti. Io  80 a rn^AA dito tatto quello che poseono rispondere ,  e obiettAi^é coloro ohe sono di contrario avviso : e m'in-  vitératino ad inchieste del come si fanno e si fecero  le elezioni' in varie provincie della penisola, sia per  brogli, tàsir per persone e mi sopraffaranno di una  quai^tità enorme di fatti , e' di aneddoti ; ma queste  cose^ e questi riposti archivi! ,li conosciamo: ed è ap-  punto perchè U conosciamo, che invochiamo la ri-  forma del voto. Poiché il ragionamento dì alcuni fra  gli awersarii consiste a dire: il voto, nella guisa  che ora si esercita, è vero, non dà buoni restdtati,  dunque.... Voi* attendete una conclusione necessaria:  ohibò! la logica loro è più stupènda: dunque conser-  viamolo!   Altri potrebbe opporre : concesso che la moltitudine,  la gt»nde maggioranza delle nazioni sieno di fatto e  sempre conservatrici, perchè allora prevalsero via via,  e vinsero le rivoluzioni , effettuando ad onta di quel  freno costante, mutamenti radicali nel costume e nelle  idee dei popoli? La ragione e la spiegazione di un  tale fette è ovvia a trovarsi; poiché per una parte  le moltitudini, perchè conservatrici, e lontane e abor-  renti per le loro faccende, dal moto e dall'agitazione  delle minoranze, che vivono in special modo di pen-  sieiV)^ e di abitudini innovatrici, nulla iniziano spon-  taneamente, e rimangono estranee agli influssi delle  novelle idee; e dall'altra non chiamate a manifestare  legalmente i loro sentimenti, non possono arrestare,  moderare o piegare il corso degli avvenimenti, o mo^-  dificame i resultamenti sociali. Le moltitudini vivono     142 CAPITOLO m     sciolte y guardando ciascuno ai propri negozii^ e non  possono congregarsi facilmente in assemblee, in comi-  tati, in conventicole, come è facile alle minoranze ap-  punto perchè minoranze. Ma una tale inerzia, una  tale paziente annegazione, non rimane senza effetto  col tempo; inquanto se le minoranze si spinsero oltre  certi confini morali e civili e vollero trionfanti prin-  cipii che offendono il sentimento ereditario della mol-  titudine, cadono poi in seguito le loro esagerazioni  stesse, non nutrite e sostenute dall'universale, e solo  resta il progresso possibile, pratico, buono, il quale,  comechè nuovo, pure non perturbando le coscienze e  abitudini della maggioranza nazionale, viene a poco  a poco a consustanziarsi con le medesime: e cosi i po-  poli camminano e vanno perfezionandosi. E che ciò  sia vero, oltre la testimonianza palese di tutte le sto-  rie, basta fermarsi a considerare il corso delle rivo-  luzioni moderne di tutti gli Stati, perchè la realità  della dottrina nostra salti agli occhi ai più miopi.   Affine dunque che le moltitudini non per lunga e  sempre faticosa efficacia, come freni conservativi, ope-  ranti spontaneamente e fuori del giure positivo, rie-  scano immediatamente salutari all'equabile e fruttuoso  progresso dei popoli civili, è d'uopo renderle partecipi  della vita pubblica, chiamandole alla elezione di co-  loro che sono poi i legislatori della nazione, è deb-  bono guidarla alla libertà e ai beni che essa racchiude^  con ordine e operosità. Così facendo, con quei tem-  peramenti richiesti dalla moralità e dignità stessa del  voto, si otterrà una maggiore attività politica ; la na-  zione non sonnecchierà mai, né ristagnerà; i partiti  che pervengono al governo dello Stato, nella vicenda     PROPOSTE 143     continua di nuovi biefogni^ non crìstalUzzeranno^ e ri-  poseranno in una beata e grassa quiete^ ringipvaniti  e stimolati sempre dal voto popolare^ donde tutto nelle  democrazie fluisce e sorge ^ e viene legittimato; si  avrà sempre una benefica remora alle intemperanze  delle fazioni, e quello che più importa , un ostacolo,  e, si radichi bene nella mente , V unico ostacolo al-  l' imperversare della furibonda demagogia. Io non  aspiro alla divina prerogativa della infallibilità, e  lascio ad altri senza rammarico questa modesta ed  umile virtù ; ma per quello che io valgo a discernere  dopo lungo studio e lungo amore pel pubblico bene,  crèdo fermamente alla efficacia, necessità, utilità delle  mie proposte, come sono certo che quadrano a capello  con le norme positive di una scienza sociale, vera-  mente degna di questo nome. '   Tali sono le proposte, che coscienziosamente e dopo  maturo e scrupoloso esame, e modestia, venni svol-  gendo in questo mio scritto ; tali le riforme che credo  indispensabili per la durata, la esplicazione naturale  e la salute delle nostre istituzioni, e pel decoro e la  prosperità della patria. Certamente non si possono  tutte e subito attuare , e Roma non fii fatta in un  giorno; ma necessario è che gli uomini a qualunque  partito nazionale appartengano, proposti al governo  della cosa pubblica, vi si accingano con tenace pro-  posito, e vi aspirino costantemente. Un sentimento di  malessere indefinito occasionò la crisi presente, e la  nazione sta raccolta attendendo che i diversi ordini  dello Stato meglio rispondano all'indole loro e dei  tempi, e si ritemperi a vita più robusta e libera la  fibra dei cittadini; e tale è il compito di coloro che     144 CAPITOLO m     /     ora salirono; è giudicheremo dai fatti se sono da tanto.  Quelli che caddero ^ il partito cioè che fino ad o^  resse i destini d' Italia^ operò cèrto molte cose buotie^  e condusse a termine, stimolato però dalla piÙL viva '  e impaziente parte della nazione e laicamente eoa;*  diuvato da questa, Tunità territoriale e politica della  patria^ protetto da fortuna propizia e da eventi in-  sperati, trasmutanti in vittoria eziandio la sconfitta;  ma a poco a poco, ritirandosi in sé medesimo e chiuso  troppo forse agli influssi sempre salutari della mag-  gioranza del popolo, si aflSevoll ed obbliò le origini  sue, e la natura essenzialmente democratica degli  Stati moderni. L'Italia oramai è giunta a quel tem-  peramento civile ehe esclude la violenza e T illegale  intromissione di fazioni perturbatrici, ma vuole ed  esige che si avanzi e che si cammini di pari alle na-  zioni più civili; che gli uomini che la capitaneggiano  si governino con le idee nuove, e si lascino i metodi  troppo curialeschi e scolastici nell' indirizzo della cosa  pubblica. Or non è più tempo, e tra poco lo vedranno  anche i più restii e ostinati, di grette abilità e di pic-  coli e scuciti mezzi, giorno per giorno, di reggere gli  Stati ; tutte le questioni sono larghe e grandi, e non  si risolvono che con intendimenti e principj larghi e  generosi; in ogni vertenza è conflata, a cosi dire, la  vita di tutto un popolo, anche per i rapporti che  essa ha o può avere con tutte le nazioni civili. Iso-  larsi, fetcendo i suoi affari alla guisa di un agente di  fattoria, è impossibile, dannoso e indecoroso; la ne-  cessità presente spinge i popoli europa all'unità mo-  rale della razza loro, ed all'equilibrio econoiiiicO civile  e politico di tutte le membra ; ciò che non importa-     PROPOSTE 145     ima yi^ota cosmopQlitia alla maniera dei politici mi-  stici: m ogoji inombro e nazione vive deUa sua vita  particolare; ma ^n conserto di vincoli si stretti, e una  reciprocità di r^oni che costringono tutti ad avan-  z^ure perire ; poiché la selezione naturale governa  anche 1^* vita dei pppoli. Né valga il dire, come da  molti si ripete^ che il governo è, od era assai più  liberale della na:pione, e quindi ogni spinta o riforma  riuscire inutile , o inopportuna; poiché, oltre essere  questo in generale vero per tutti i governi, in quanto  sono al di sopra del sapere e del civile temperamento  delle moltitudini, suscita spontaneamente questo di-  lemma: o il governo, in uno Stato libero, possiede  minori spiriti liberi del popolo, e quindi dee, in virtù  della legge fondamentale di un libero Stato, ritirarsi,  perchè violatore moralmente della medesima; o si  confessa più liberale del paese, e allora piuttosto che  ristarsi e mantenere il grado fisso del valore civile  del medesimo, dee spingerlo innanzi e trasformarlo  alla sua immagine; che se sta, non procacciando di  eccitarlo alla riforma, è indegno dell'alto loco che oc-  cupa. Queste teoriche di accomodamenti pratici non  sono più d'uso, e solo argomentano una profonda im-  perizia del come si dirigano le società moderne, e dei  doveri effettivi dei governanti.   Sciolto da qualunque legame di disciplina, come di-  cesi, di partiti, perchè uomo affatto privato ed oscuro, e  al di sopra di questi, come debbo essere lo scrittore im-  parziale, non consigliandomi con altre norme che con  quella che io credo il giusto , scevro da qualunque am-  bizione personale, né stimolato da ire o passioni di  parte, liberamente dissi , comecché sempre con rispetto in     olle persone, ciò che stimava opportuno ed utile, devoto  in tutta la mia vita ad una cosa sola, ma quella gran-  dissima e santa, la verità. Se altri mi provi che io mi  ingannai, sarò ancora felice quando il contrario di ciò  che credetti, profitti alla mia patria. In ogni modo,  nel piccolo giro delle mie facoltà, avrò soddisfatto al-  l'obbligo di cittadino ; ciascuno dovendo servire la pa-  tria in quel modo che gli è concesso. Solo una cosa  detesto in questo ordine di fatti: la petulante vanità  dei neghittosi.     FINE.     DELLO STESSO AUTORE     S^Uo ai ierehi:   DELLK   CONDIZIONI INTELLETTUALI D.' ITALIA     ITm preparmziùHe ì     SELLA LEGGE FONDAMENTALE DELLA INTELLIGENZA     ffCL RC6II0 ANIMALC     S t'Udii di Psicologia compartita.     Se- ■   rv;.     ■ft- Tito Vignoli. Vignoli. Keywords: squirrel, squarrel, psicologia comparata, etologica filosofica, una legge della intelligenza degl’animali – mito e scienza – mitos e logos – animale, legge, legge della psicologia, psicologia comparata, etologia comparata, evoluzione. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi Speranza, “Grice e Vignoli” – “La etologia filosofica di Grice e Vignoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vinadio: la ragione conversazionale della prassi ed il valore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Grice: “Of course, Vinadio is bound to be a good dialectician, since Italian neo-idealists take Hegel’s Dialektik – or colloquenza, as the count prefers – much more seriously than the most Hegelian of Oxonians! (And I don’t mean Bradley!”) --  Grice: “I like Vinadio; but then I’m English and we like an earl!” – “My favourite of his tracts is the one about dialettica which he understood just as Plato did, only better!” -- Felice Balbo di Venadio, conte di Venadio, vide, “Il conte di Vinadio” --. Considerato una delle voci più significative della filosofia italiana e un intellettuale impegnato in un vasto progetto di ri-fondazione della filosofia politica nell'immediato secondo dopoguerra. Figlio di Enrico Balbo di V., naque in via Bogino 8, nel palazzo che e del conte Cesare Balbo, ministro di casa Savoia. Dopo la laurea, partecipa alla seconda guerra mondiale, prima come sottufficiale degll’apini, poi come membro della resistenza. Come consulente d’Einaudi cura una collana di filosofia. Insegna filosofia a Roma. Si raccolge attorno a lui un gruppo di filosofi per discutere sulla crisi dei valori nella società e sui modi di superarla mediante l'impegno sociale. Il suo impegno trova espressione inoltre con i contributi alle riviste “Cultura e realtà” e “Terza generazione”. Vicino all’organizzazioni della sinistra e al partito comunista, comprende come il mutamento centrale della società e avvenuto nel rapporto tra lavoro umano e tecnica. Assunto all'IRI presso il Servizio problemi del lavoro. Si interessa di formazione del personale. Direttore del Centro IRI per lo studio delle funzioni direttive aziendali. Saggi: “L'uomo senza miti”; “Il laboratorio dell'uomo”; “Studi in memoria di SOLARI [vide] dei discepoli” (Torino, Ramella); “La sfida storica del comunismo al cristianesimo e le sue conseguenze filosofiche” (Mulino); “Idee per una filosofia dello sviluppo umano” (Torino, Boringhieri); “Opere” (Torino, Boringhieri)’ “Essere e progresso”; “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); “Lettere a Ludovica”; Archinto. Boringhieri, “Per un umanesimo scientifico. Storia di libri, di mio padre e di noi” (Torino, Einaudi); Cavalieri, “Scienza economica e umanesimo positivo. la critica della ragione economica” (Milano, Angeli); Tassani, “La Terza Generazione: tra stato e rivoluzione” (Roma, Lavoro); Tassani, “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); Invitto, “Una filosofia pragmatica dello sviluppo” (Mulino, Bologna); Invitto, “Di fronte a fenomenologia ed esistenzialismo” (Salentina, Lecce); Invitto, “Una questione aperta, "Italia contemporanea", Dizionario storico del movimento cattolico in Italia: i protagonisti” (Marietti, Torino); Grotti (Boringhieri, Torino); Grotti, “Un altro futuro è possible” (Egeria); Possenti, “La filosofia dell'essere” (Vita e Pensiero, Milano); “Tra filosofia e società” (Angeli, Milano); Invitto, “Il superamento delle ideologie” (Roma, Studium); Ricci, “Cattolici e marxismo: filosofia e politica” (Milano, Angeli); Dal marxismo ad economia umana” (Brescia, Morcelliana); “La prassi e il valore: la filosofia dell'essere” (Roma, Aracne); “Il cristianesimo nella sfida della “modernità” su storia e futuro” -- Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Filosofi italiani del XX secolo Insegnanti italiani Professore.  IOVANNI INVITTO Le idee di Felice Balbo Una filosofia pragmatica dello sviluppo IL MULINO CAPITOLO SETTIMO L'istanza manageriale L'uscita dal PCI non determina l'ingresso di Balbo in schieramenti alternativi, ma lo porta ad assumere una azione di fiancheggiamento, di « compagno di strada » per alcune forze interne allo schieramento cattolico, in chiara antitesi alla linea degasperiana 1. Nel '51 è Dossetti ad avvicinarsi a Balbo e a subire la sua in fluenza e nel senso della visione della « catastrofe » del sistema e nel rifiuto delle tesi maritainiane, fino ad allora costante ideologica degli intellettuali cattolici di sinistra 2. L'accostamento Dos- setti-Balbo è stato importante in quanto, nel momento della dissoluzione del gruppo dossettiano, il suo leader, ma solo per una breve stagione, ha pensato di poter avere nel pensiero balbiano una integrazione teorica 3. Ben presto t Non ritengo di condividere nella sostanza quanto afferma Giura Longo: « Il Balbo, invece [di Rodano], segui altre strade, giungendo a farsi ispiratore di un gruppo di intellettuali democristiani, attraverso la rivista ` Terza generazione ' che ha dato qualche contributo (si pensi ad un Morlino) sul piano dell'impegno politico dell'attuale gruppo diri- gente democristiano » (La sinistra cattolica in Italia. Dal dopoguerra al Referendum - Storia documentaria, a cura di R. Giura Longo, Bari, 1975, p. 31). teli sembra che sia, piuttosto, un gruppo di intellettuali cat- tolici, anche impegnati nella D.C., ad interessarsi al pensiero di Balbo (che allora era ad una chiara svolta) ed a tentare di annetterlo e di mu- tuarlo. 2 Cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., pp. 352-53, 359-60. Nel convegno di Merano (agosto 1951) dei giovani democristiani, la mediazione del pen- siero di Balbo, portata da Baget-Bozzo, « consenti di ristabilire alla diri- genza giovanile DC quell'unità di linguaggio che lo scioglimento del dossettismo aveva posto in crisi. La presenza in politica dei cattolici ` in quanto tali ' era giustificata dal fatto che la Chiesa aveva conservato la filosofia perenne e, quindi, il principio della ripresa culturale e civile ». Si ebbe, cosí, il superamento del maritainismo portato da Lazzati (Ibidem, p. 369). 3 Se « Cronache Sociali » si era interessata a Balbo (cfr. A. Romanò, op. cit.; S. Lombardini scrive che Dossetti « personalmente ancora nel 1945 ebbe occasione di esprimere [a Padre Stefano Bianchi] simpatie per la sinistra cristiana » op. cit., p. 37) anche i cattolici-comunisti si erano 139  Dalla rivoluzione alla collaborazione inventiva Dossetti si accorge che il tentativo di filtrare i suoi motivi attraverso quelli balbiani non può avvenire per una na- interessati alla rivista di Dossetti (dr. P. Pombeni, Le « Cronache So- ciali » di Dossetti, cit., pp. 161, 225, 231). Anzi possiamo dire che, soprattutto con La Pira, c'erano stati accostamenti già dal '38 (A. Os- sicini, a nome del gruppo Roma-Sud di Azione Cattolica, aveva eviden- ziato a La Pira « l'urgenza di un impegno diretto nell'azione politica, e La Pira ammise che questo era necessario, anche se le forme di esso era difficile prevederle e prospettarle. Rispose esplicitamente: ` Fate; comunque, qualcosa uscirà ' »; A. Cuccchiari, op. cit., pp. 25-26). Il fu- turo sindaco di Firenze prenderà le distanze « ideologiche » necessarie, criticando i cattolici-comunisti, perché, secondo lui, il materialismo dia- lettico è « causa » del materialismo storico: « Ora l'effetto non è mai separabile dalla causa » (G. La Pira, Premesse della politica, Firenze, 1945, pp. 62-63; riportato da L. Fiorillo, Il fondamenti teorici dell'im- pegno politico di Giorgio La Pira (1926- 1945), in Novecento minore, cit., p. 209). Anche su « Cultura e realtà » era stato un dibattito sul dossettismo, attraverso un intervento di F. Rodano (l'articolo, Laicismo e Azione cattolica in Italia, n. 2, luglio-agosto 1950, era però firmato da Nino N o- vacco) e una risposta di Baget-Bonzo (cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 364). Secondo Possenti la diversità fra Balbo e Dossetti è costituita dal fatto che, mentre il torinese « manteneva aperta la possibilità di una azione civile sulla base di una cultura rinnovata », Dossetti si stava volgendo verso la tesi della estraneità del cristiano al civile e verso una visione « panmonastica » (op. cit., p. 216). Mi sembra, invece, che anche la concezione di Dossetti monaco recuperi il civile in una sfera più alta. Infine, ricordo a titolo di testimonianza che Giuseppe Dossetti, in uno scambio di battute avute con me a Bologna il 5 febbraio 1978, mi diceva che a Balbo era stato legato da profondo affetto e che Balbo « era stato molto importante in un certo periodo de lla sua vita ». Ciò non toglie la differenza di temperamento, di cultura, di problematica tra i due; differenze che sembrano determinanti a chi ha avuto lunga consuetudine con entrambi (mi riferisco a quanto mi dicevano Mar- cella e Giuseppe Glisenti). 4 Due storici della sinistra cattolica italiana, pur partendo da pre- supposti storiografici diversissimi, hanno notato che l'accostamento fra Dossetti e Balbo (che avrebbero avuto come comune « preoccupazione apologetica » quella di inserire la Chiesa fra le masse operaie, anche se proponendo vie alternative; cfr. L. Bedeschi, La sinistra cristiana ecc., cit., pp. 15-16) non è casuale nelle motivazioni, né nel tempo in cui é avvenuto. Scrive Campanini: « Nel 1951, infatti, sembra consu- marsi l'illusione, comune e insieme diversa, di Balbo e di Dossetti. La prima, quella di condizionare dall'interno il partito comunista italia- no e di potere operare in esso come cattolici; la seconda, quella di con- dizionare dall'interno la Democrazia Cristiana e di spostarla nel suo com- plesso a sinistra. L'uscita di Balbo dal PC e di Dossetti dalla DC appaiono cosí in un certo senso il segno emblematico de lla conclusione di questa vi- cenda » (G. Campanini, Fede e politica, cit., pp. 14-15). Lo stesso Campanini ricorda che nel '51 (al congresso dell'UCIIM tenuto a Camaldoli nel-140 tura diversa dei due pensieri: da una parte Balbo ribadisce il primato della tecnica filosofica, dall'altra Dossetti è fer- mo al primato della prassi, mistica o politica 5.In questa forma di gramscismo balbiano (gli intellet- tuali forza trainante nella prassi politica) è da ritrovare una chiara eredità della « corrente Politecnico », relativa al con- cetto di « eccedenza » della cultura sulla politica 6. All'in- terno della cultura cattolica la posizione di Balbo era di assoluta novità non tanto perché si contrapponeva ai due integralismi in auge: quello di destra geddiano, quello di sinistra, dossettiano, come è stato molto « schematicamen- te » definito '. La novità è costituita da lla pregnanza filo-l'agosto), Dossetti svolse una relazione che « si può considerare il suo testamento politico ». In essa, parlò del fascismo come « autobiografia della nazione » e « sbocco inevitabile del liberalismo », evidenziando « l'accostamento ad alcune tesi portate avanti in quegli stessi anni da Felice Balbo » (Ibidem, p. 90).Da testimonianze indirette, si sa che l'ultimo Dossetti, per intender- ci il.monaco che vive a Gerico, insiste nelle sue prediche sulla situazione di « catastrofe » della civiltà occidentale. Anche questo concetto, tipica- mente balbiano, può essere stato acquisito da Dossetti nel periodo del loro avvicinamento. È utile aggiungere, però, che già nel gruppo dos- settiano era presente il tema dell'« apocalittica dell'ora decisiva » (che P. Pombeni riconduce a un clima generale nell'Europa post-bellica; cfr. Il « dossettismo », cit., p. 131).5 Il tentativo di Dossetti avvenne nell'agosto del '52. Sul fallimento di questa mossa, scrive Baget-Bozzo: « Probabilmente le tesi di Balbo gli [a Dossetti] apparvero troppo esclusivamente filosofiche ed intellettua- li: una causalità assoluta e primaria della filosofia sullo sviluppo storico non era facile da accettarsi per una persona cosí legata alla concretezza dell'agire » (Op. cit., p. 356).6 Aveva scritto vittorini a Togliatti che la cultura che si adegua alle masse è politica, ed è cultura quella che si impegna nella ricerca: « Ma se tutta la cultura diventa politica, e si ferma su tutta la linea, e non vi è pii ricerca da nessuna parte, addio » (Politica e cultura, cit.).7 L'accusa di « integralismo » di sinistra a Dossetti è di A. Del Noce (Genesi e significato ecc., cit., p. 458) ed è confutata da G. Baget-Bozzo con argomenti definitivi (op. cit., pp. 361-62). Anche Pombeni prende chiara posizione contro l'ipotetico integralismo di Dossetti, aggiungendo che quasi sempre il termine si usa in maniera imprecisa e generica (Il « dossettismo », cit., pp. 128-29). A proposito del termine « integra- lismo », spesso usato phi per evitare un giudizio che non per esprimer- lo in concreto, mi viene in mente ciò che Bobbio ha scritto sul termine « borghese » e sul suo uso: « Oggi si chiama da alcuni ` borghese ' tutto quello che si vuol respingere. ` Borghese' ha soltanto piú un significato negativo, è un segno ` non ' posto di fronte a un qualunque sostantivo, e quindi privo totalmente di contenuto » (N. Bobbio, Politica e cultura, [1955], 'Torino, 1974, p. 68).L'istanza manageriale141 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivasofica della proposta di Balbo, che non si limita ad ope- rare all'interno delle masse cattoliche organizzate, ma, de- lineando un profilo della crisi umana del Novecento, ripro- pone un ribaltamento anzitutto del progetto filosofico, co- me ritorno al senso comune e, quindi, l'opzione per una via pragmatica ed anti-utopica allo sviluppo.In questa rifondazione filosofica ci si è chiesto quale sia stata la prospettiva dominante: se quella di Maritain o quella di Mounier. Del Noce dice che la sinistra cristia- na dimostra la sua simpatia prima per Maritain, poi per Teilhard de Chardin, ma aggiunge che il vero iniziatore della sinistra cristiana è stato Mounier (che sta a Mari- tain, come Gobetti sta a Croce) s. Ora bisogna dire che per Del Noce, Mounier è di molto inferiore a Maritain, e Balbo avrebbe di fatto incoraggiato la diffusione del suo pensiero in Italia 9. Questo è vero solo in parte in quanto il pensiero di Mounier, assolutamente assente dagli scritti di Balbo, è invece reperibile in esperienze culturali diverse sin dal '46, da « Il Politecnico » a « Cronache sociali » 10.Comunque l'accostamento alla cattolicità ufficiale vede da parte di questa un tentativo di « catturare » Balbo e di aiutarlo finanziariamente per un programma di elabo- razione di una « scienza dello sviluppo » 1. Il programma, che impegnerà Balbo fino al '54, sarà basato su un gruppo di ricercatori di filosofia e di scienze sociali 1`. La suddi-8 Cfr. A. Del Noce, Pensiero cristiano e comunismo ecc., cit., p. 976.9 « L'interesse [fu] portato sul tanto inferiore Mounier, in cui tut- to c`, veramente esplicito, senza germe alcuno che abbia bisogno di ma- turare; col che non intendo dire che Balbo abbia incoraggiato volonta- riamente la fortuna italiana di Mounier, ma che contribuí, per l'abban- dono dell'aspetto filosofico-politico del pensiero di Maritain, allo spo- stamento di interesse verso la sua opera » (A. Del Noce, Genesi e signi- ficato ecc., cit., p. 483).10 Su « Il Politecnico » (n. 31-32, luglio-agosto 1946, pp. 7-8) appare un articolo di E. Mounier, Agonia del Cristianesimo (il termine « ago- nia » è preso da M. de Unamuno), con presentazione di F. Fortini (Fr. F.). Su « Cronache Sociali » nel '49 (n. 10) c'è una intervista a Mou- nier; nel 1951 appaiono due articoli di P. Scoppola, uno sul filosofo francese (n. 6) ed uno su « Esprit » (n. 9). Questa linea si affianca a quella maritainiana di Lazzati.11 C. Leonarcli dice che tramite per il finanziamento fu L. Gedda (op. cit., p. 377).12 La suddivisione fatta da Balbo era in cinque settori che corrispon- 142 visione rappresenta i settori nei quali la crisi è avvenuta in maniera globale, e attraverso i quali una ripresa « ri- voluzionaria » può avvenire. Non è, però, assolutamente il caso di gonfiare l'espediente dei gruppi (che era piú una metodologia) a sistema. Il pensiero, l'impegno di Bal- bo negli anni '51-'54 non si risolvono nei « quintetti ». La crisi è per lui caduta di un rapporto di funzioni nel- l'ambito del sistema sociale globale: il sistema teoretico deve svolgere funzione di rinnovamento, il sistema etico ha funzione di sviluppo, quello economico la funzione di innovazione, quello politico la funzione di movimento, í1 sistema giuridico-statuale la funzione di conservazione 13. Sulla base di questi schemi ideali (che qualcuno definirà utopici) si svilupperà una nuova iniziativa-esperienza-ten- tativo cui partecipa Balbo: « Terza generazione ». Il grup- po balbiano cerca di conservare una « propria rilevanza pubblica » inserendosi nell'ideazione di questa rivista men- sile 14. Si è parlato molto, ma si è scritto un po' di meno su « Terza generazione ». Anzitutto c'è da definire il rapporto con il degasperismo nell'indirizzo della rivista. Sappiamo già come il distacco tra Balbo e il PCI non colmi la diffidenza e il rifiuto di Balbo nei confronti de lle tesi degasperiane. D'altra parte è appurato l'aiuto finan- ziario dato da De Gasperi a lla rivista, ma meno noto è il disinteresse pratico dello statista per « Terza genera- zione » 15. La nascita della rivista non fu ritenuta underebbero a cinque scienze autonome: diritto, economia, sociologia, morale e politica. Responsabili dei gruppi erano: C. Napoleoni, M. Motta, G. Sebregondi, U. Scassellati, N. Novacco (cfr. C. Leonardi, op. cit., pp. 377 e segg. e le Note biografiche in F. Balbo, Opere, pp. XVI-XVII).13 Cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 516. Confrontando lo schema proposto da Leonardi e quello proposto da Baget-Bozzo, troviamo l'as- similazione tra momento sociologico e momento teoretico (cfr. C. Leonar- di, op. cit., p. 377).14 Cfr. anche G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 516.15 Claudio Leonardi, che fu redattore nella rivista nella seconda fase, in una conversazione con chi scrive, nel novembre 1975, diceva che De Gasperi finanziò la rivista, ma che probabilmente non l'ha mai letta. L'interesse di De Gasperi per l'iniziativa era stato sollecitato da padre Delbono (cfr. C. Leonardi, op. cit., p. 398; l'autore riprende L. Garruccio (pseud. di L. Incisa di Camcrana), La politica era tuttoL'istanza manageriale143 Dalla rivoluzione collaborazione inventivafatte r, strutturale » ma una iniziativa « congiunturale », derivata dalle elezioni dei '53, per lo meno a quanto dice uno dei suoi responsabili ', ma ebbe ambizioni « struttu- rali » e di rifondazione ideologica. Ciccardini, nel rico- struirsi le fonti, integra le nutrici balbiane de « Il Poli- tecnico » con alcuni autori cattolici i-`, ma riafferma la congiuntura catastrofica della realtà 's. Balbo, nell'unico suo scritto sulla rivista, puntualizza il senso della crisi come crisi del modello di autosufficienza dell'individuo che andava dalla Grecia a Mara ', e il riconoscimento del fallimento di tutta la storia 0. La via che Balbo e « Terza generazione » cercano di perseguire e però una via asso- lutamente nuova rispetto a quelle tentate da lle altre forzepolitiche, culturali, economiche: la proposta di una diver- sa classe manageriale.La nuova dirigenza, scrive Balbo a Ciccardini, deve reggersi sul piano dell'invenzione e non su quello dello sfruttamento delle doti naturali; « dirigenze sociali » di nuovo tipo faranno salvi gli indici intellettuali , morali e tecnici dell'intera soviet ì 2t. La dirigenza sociale proposta(Cronache della generazione del '45), in « L'Europa », VII, 1973, n. 8-9, p. 90).to Cfr. C. Lelnardi, op. cit., p. 37S.17 « Eleggemmo a nostri maestri Maritain e Ferrero, Mounier, Dor- so, Sturzo, Giobetti e Gramsci «: B. Ciccardini, L.: politica: era tutto, in « Terza generazione », num. di presentazione, agosto 1953, pp. 1-3. Balbo aveva scritto: « Dobbiamo rifarci essenzialmente ai nomi di Go- betti e di Dorso e di Gramsci » (Cultura antifascista, cit., p. 14).is « Se non appare unsi soluzione. 1a nostri so ìer ì si :ivvi:i :alla disgregazione ed alla catastrofe » (B. Ci ecirdini, op. cit., p. 3).t^ Cfr. F. Balbo, Le soluzioni stanno ogi davanti a noi, in « Terza ge- nerazione », num. di presentazione, agosto 1953; ora in Opere. pp. 533-42, il concetto richiamato è a p.p. S36.20 Balbo scrivcral in seguito: «Comprendendo la verit:t di Mari si viene a riconoscere la fine dell'epoca moderna e il fallimento di tutta la storia fino ad oggi se non si origini uno nuovi storta a livello supe- riore »; in Per la rilevazione e l,: critica delle: scoperta essenziale d MMfart, in Studi in memoria di G. Solari, Torino, 1974, pp. 375-9t; orsin Opere, pp. 318-31; il passo cit. ` a p. 330.21 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 541. Questi originale identificazione trai imprenditore cd intellettualeun° degli spunti pití interessanti della proposta bailbiana. intatti, an- che questo il periodo in cui Balbo tentava a Torino il « Centro dì rela- zionc » c sperimentava in Irpinia. assieme ad altri ricercatori, tipi cui Achille Ardigò, un nuovo modo di impostare l'iniziativa agri olai. Quel144 da Balbo è qualcosa di diverso dall'operatore privato e dall'operatore pubblico, in tal senso è qualcosa di pii dell'imprenditore di tipo gobettiano, che è sempre l'ope- ratore privato anche . se aperto all'uso sociale dei suoi beni 2. Ciò che sollecita questa proposta ultimativa è, ancora una volta, la coscienza di una « crisi finale » del sistema storico-sociale dominante, cioè quello illuministico- democratico o individualistico che ha incluso e raggiunto ogni altro sistema. E come sistema individualistico, Balbo pone anche quello comunista per la sua « originaria e íne- liminabile ispirazione anarchica » 23. In questo senso, « Ter-za generazione » nasce dal crollo della generazione prece- dente, quella resistenziale e antifascista. C'è l'illusione nei giovani redattori de lla rivista di superare la genera- zione che « aveva dato vita al Politecnico a Cronache So- ciali ad Iniziativa Socialista » 2'. Invece, per certi versi, esiste una palese continuità tra questi fatti culturali e, ad- dirittura, alcune impostazioni redazionali di « Terza ge- nerazione » ricordano esplicitamente la rivista vittorinia- na. L'ambiguità unanimistica del nuovo tentativo è chia-periodo é ricordato come quello dei « pomodori ».Tutto ciò ci dice la fondatezza delle motivazioni di chi ha respintoun appiattimento teoreticistico del pensiero balbiano (P. Pratesi, Lafilosofia di F. Balbo, in « L'Avvenire d'Italia », 22-XI-1966, contro l'in-terpretazione di Del Noce).È anche questo il caso di Penati che, però, critica il ridimensiona-mento balbiano della teoresi (cfr. Penati, rec. Idee, in « Rivista di Fil. neoscolastica », 1962, p. 626).22 Gobetti parla di imprenditori nuovi (« i soli che abbiano diritto a chiamarsi borghesi nel senso economico della parola ») all'interno di un sistema capitalistico del quale però sia possibile un esito socialista (« Il socialismo è conquista da parte del proletariato di una relativa indispensabile autonomia economica e l'aspirazione delle masse ad af- fermarsi nella storia [...]. Anche il nostro liberalismo è socialista se si accetta il bilancio del marxismo e del socialismo da noi offerto pii volte. Basta che si accetti il principio che tutte le libertà sono solidali »). I brani sono presi, rispettivamente, da Storia dei comunisti torinesi scritta da un liberale, in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 7, 2 aprile 1922, pp. 24-26; ora in P. Gobetti, Scritti politici, cit., p. 279; e da Liberali- smo socialista, in « La Rivoluzione Liberale », III, n. 29, 15 luglio 1924, p. 114, nota non firmata a un articolo di C. Rosselli; ora in Scritti poli- tici, cit., p. 761. Sull'ultimo brano, v. pure L. Valiani, Gobetti, uno dei nostri, in « L'Espresso », XXII, n. 7, 15 febbraio 1976, p. 112.23 Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 356. u B. Ciccardini, op. cit., p. 2.L'istanza manageriale145 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaramente enunciato da Leonardi quando parla di richiami per la sinistra e per la destra (per la prima era determi- nante il carattere « utopico » della proposta di Balbo, per la seconda il superamento di fascismo e antifascismoriba- dito da Scassellati) 25. Naturalmente la critica successiva ha privilegiato una categoria o l'altra 26. Comunque non do- vrebbe esser messa più in discussione la « leadersbip » di Balbo sul gruppo 27, anche se si tratta di un primato p1625 Cfr. C. Leonardi, op. cit., p. 378. Alla discussione intorno alla ipotesi di una sostanziale utopia del pensiero balbiano è dedicato il quinto capitolo di questa seconda parte.26 Leonardi ci presenta la storia delle interpretazioni di «Terza generazione» come« fatto» di destra. Ricorda gli articoli di «Panora- ma» (Cinque per cinque, X, n. 298, 30 dicembre 1971, pp. 68·73; J profeti armati, XI, n. 299, 13 gennaio 1972, pp. 48-54) dove si parla del gruppo di «Terza generazione» come di un gruppo che stava prepa- rando una «svolta totalitaria di destra in Italia ». Ricorda pure un ar- ticolo su «Astrolabio », a cui risponde A. Paci, con la lettera Un disce- polo di Balbo, ioi, 15 febbraio 1972, pp. 9-10. Anche F. Parri rispose su « Astrolabio ». Se «Lotta Continua» ha definito Balbo «un cretino» (iI 16 dicembre 1971; cfr. C. Leonardi, op. cit., pp. 366-67), Giura Longa ba visto nella rivista «inquinamenti di carattere reazionario»Giura Longo, op. cit., p. 73). Pregiudizi partitici? Autosuggestioni? di si, se un intellettuale come N. Bobbio ha parlato di «Terza generazione» come «di un gruppo avanzato che ha gli occhi sulle cose del nostro p a e s e » (Cultura ueccbia e politica nuova, in «II Mulino », IV, 1955, n. 45; ora in N. Bobbio, Politica e cultura, p. 205). un giornalista-scrittore, che ha la destra politica ineccess,ivJ 'lU!]'alla, ha scritto di Balbo:« in Francia o in o anche income un rivoluzionario culturale in sensoNonscrittodoveconosce(G.F.in alcunesociali e dice che le Einaudi).ifosse vissuto, poniamo, sarebbe oggi riconosciuto un paese cattolico. odierno che Balbo non abbia affrontato: chiunque abbiaultimi trent'anni, pertra la società politica, se non ri- o improvvisa» fa cadere l'autore i cattolici comunisti con i cristiano- di Balbo sono state pubblicate dastoriche:27 È sempre Leonardi a riportare la criticap. 366). Lo stesso Ciugni, che dala prospettiva umanistica che costituiscebalbiano (Giugnì dice che deveduttivo «ma l'iniziativaun ordine capace di garantiresioni »; in J m i t i in cui abbiamone », num. di present., cit., p. Il). Inè presentata in maniera piti scopertaper l'organizzazione della cultura, in « Terza generazione », I, n. 2, no-146delpunto (op. cit., socialista, assume nodale del discorso non solo il lavoro pro- I'invcnzione creativa [ ...] umana in tutte le sue dimen- ii Terza generazio-l'Ipotesi balbiana immediata (cfr A. Paci, Appunti di fatto, che non per decisione esplicita,L'ipotesi chiave è la situazione di «zero alla partenza », a cui esser fedeli senza guardare il passato, sicuri che non tutto è politica, come afferma Balbo 28, e come di- ce Cìccardini nell'editoriale di presentazione 29, Ma la si- tuazione di « zero alla partenza» e il rifiuto del totus po- liticus erano già de « Il Politecnico », sulla linea, anche in ciò, di un involontario crocianesimo 30,La rivista entra, però, in serie contraddizioni. La esperienza di Scassellati alla direzione mette in crisi lo stesso Balbo perché, secondo Leonardi, aveva dimostrato il carattere utopico di fondo del suo pensiero «che era in grado di mobilitare delle forze, ma non di soddisfar- le» 31, Con l'avvento della linea di Claudio Leonardi, ab- biamo una ulteriore contraddizione «formale ed espli- cita» con lo schema balbiano, in quanto il neo responsa- bile privilegia il momento morale, rispetto alle altre tec- niche 32, Se Balbo non accetta la posizione politica divernbre 1952, pp. 33-34).Chi, tra gli altri, ha sostenuto la tesi della egemonia culturale diBalbo su «Terza generazione» è stata la Buongiorno Veroi che affer- ma essere stato Balbo il «vero animatore» della rivista (cfr. T. Buon- giorno Veroi, «Terza generazione », in «Il Veltro », 1964, n. 4, p. 670). La stessa fa dipendere la fine della rivista da una autonoma decisione di Balbo, dopo una riunione ristretta in cui il filosofo avreb- be fatto l'autocritica per l'errore pelagiano in cui si era caduti (p. 683).28 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, cit., p. 542.29 B. Ciccardini, op. cit., tra l'altro dice: «Ma nel '45 [...] la poli- tica era tutto: morale e rivoluzione, speranze e novità d'esperienze, con- servazione e poesia. Era un fatto molto vitale in cui ciascuno cercava la sua parte e vi si trovava a suo agio ».30 La polemica di Vittorini con Togliatti era basata, come si è già ricordato, sul rifiuto di una concezione della cultura come realtà totale. Poco prima della polemica in questione, Croce aveva scritto a Togliatti: «lo ripugno a diventare toius politicus come (e non la invidio perché talvolta penso che debba soffrirne) è Lei in ogni Suo gesto e parola» (la lettera è del 31 dicembre 1945, pubblicata in «Rinascita» del 22 maggio 1965, p. 22). Garin, nel commentare il brano, aggiunge che, però, Croce fu semper politicus (cfr. Intellettuali italiani del XIX seco- lo, cit., p. 66).31 C. Leonardi, op. cit., p. 406.32 Cfr. Ibidem, p. 432. « È dunque il fatto stesso di porci il problema dello sviluppo che ci obbliga immediatamente a porre il problema della moralità »; C. Leonardi, La questione prcgiudiziale, in «Terza generazione », II, n. 8, maggio 1954, p. 2).147 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaScassellati, non accetta neanche quella di Baget o di nardi, che vede legati a prospettive integralistiche 33. Cosi muore questo tentativo culturale, lasciando però, anche qui, qualche eredità balbiana 34.L'uomo cerca una sua collocazione precisa, degli stru- menti adeguati alla realizzazione delle sue intuizioni spe- culative, un modo nuovo di essere intellettuale, o meglio, di essere un filosofo non intellettuale. Il 1956 presenta, su questa linea, due avvenimenti-svolta nell'esistenza di Balbo: gli ultimi significativi fatti che, rappresentando dei momenti di professionalità, sono anche due nuovi modi di dimostrare una nuova figura di filosofo. Mi riferisco alla assunzione di Balbo presso l'IRI, per il settore « Proble- mi del lavoro» e all'incarico di Filosofia Morale avuto al Magistero di Roma. Comincia cosi a lavorare come « l'al- tra gente» 35. Se l'insegnamento universitario gli permet-33 « P e r il filosofo torinese, infatti, la dimensione ecclesiale era una condizione personale del ricercatore, che non poteva mai intervenire direttamente nel discorso storico »; G. Baget-Bozzo, op. cit., p. 531.34 Se l'inizio di «Terza generazione» era stato possibile anche gra- zie al sostegno economico di De Gasperi, la fine della rivista si ebbe un mese dopo la morte dello statista (con il n. 12, del settembre 1954). Ma neanche qui esiste un rapporto di causalità fra i due fatti. La rivista fu chiusa dopo varie riunioni indette da Balbo e dal suo gruppo «rivo- luzionario» (cfr. C. Leonardi, «Terza generazione» ecc., cit., p. 433); il filosofo torinese accusò il gruppo redazionale di eresia « semi-pelagia- na » (con un termine dossettiano); Lconardi, invece, vede nel falli- mento della rivista il limite dell'esperienza pluri-idcologica di Balbo; la velleità di partire «da zero» ingenerava componenti «moralistiche e attivistiche [Leonardi intuisce, senza il nucleo pragmatico del pensiero di Balbo?], e dunque nuove » (Ibidem, pp. 432-33).Una eredità di questa esperienza rimane anche in Baget-Bozzo, che in essa rappresentava di fatto l'alternativa teorica all'impostazione di Balbo. Dice il teologo genovese che nel periodo della rivista « L ' O r d i n e civile» (1959-1960) egli risente delle posizioni culturali che lo hanno in- fluenzato: il dossettisrno, «Terza generazione» Felice Balbo (« la no- zione della crisi della civiltà e della necessità di nuove forme di pensiero e di azione autonome dallo Stato come condizione per la stessa ripresa dell'azione dello Stato »; G. Baget-Bozzo, I l partito cristiano e l'apertura a sinistra - La DC di Fanfani e di Moro .19.54/1962, Firenze, 1977, p. 193).35 Scrive Natalia Ginzburg: «Balbo andò a vivere a Roma, e lasciò la casa editrice. Poi annaspò per anni fra progetti assurdi ed errori. Infine ebbe un vero lavoro. Imparò a lavorare come l'altra gente» (op. cit., p. 187).148    te di approfondire alcune tematiche interne ai suoi inte- ressi etico-politici36, l'impegno all'IRI, accettato per ne- cessità 37, lo porta a non considerarsi un intellettuale in senso classico in quanto rifiuta, come nota Baget, un com- pito legato solo alla parola, che è strumento di mistifica- zione 38,Nel frattempo il suo discorso tende a mettere in luce, ancora una volta, sotto prospettive diverse, la novità di Marx, ma anche i suoi sotismi. La premessa metodologica che Balbo ritiene indispensabile è riconoscere come im- prescindibile «necessità teorica e pratica» quella di un « integrale ricominciamento storico dalla filosofia alle isti- tuzioni » 3 9 , Sempre sulla linea di un marxismo italiano che privilegia i Manoscritti (vedi Della Volpe) 40, il pen-36 Argomenti dei corsi universitari di Balbo sono quelli della urna- nizzazione dell'uomo nella moderna civiltà industriale, della proprietà privata e del bene comune, del problema dell'utopia di K. Mannheim e S. Weil, il problema del diritto naturale in L. Strauss, la crisi dei valo- ri in M. Scheler (cfr. Note biografiche, cit., pp. XVII-XVIII). Il metodo d'insegnamento seguito da Balbo consisteva nel prendere spunto da fatti realmente accaduti e da questi risalire a considerazioni teoriche.37 Il dover lavorare alle dipendenze dello Stato non fu una scelta di comodo per Balbo, ma, come testimoniano le persone a lui più vicine, gli fu imposto dalla necessità di «dover vivere» (problema che prima non si era mai posto in termini concreti). Pertanto ci sembrano OlLllJLLUX:, su tale argomento, le critiche « teoreticistiche » di Lconardi a intoppo esistenziale del filosofo (« Il sistema obiettivamente mo- ralmente più forte [00']' Ci pare che la presenza di Balbo nell'Llc.L, che iniziò poco dopo, come la sua ultima produzione siano lemeno significative della sua attività, e rappresentinovistoso del suo limite laicistico »; «Terza generazione » ecc"433-34). Più aderente alla realtà, nei suoi toni l'intuizionechi afferma che Balbo «spari nel gorgo, e diversi anni pni tardi morf, ingoiato da una professione di prestigio certote accettato con la rassegnazione implicita in casi» (G.F,op, cit.). Mi piace ripetere ora una affermazione di Pombeni: «l~ malsano tentare interpretazioni del dossetìisrno traendo spunto dalle tuali vicende dei suoi personaggi» (Il «dossettismo» ecc., cit., p. 118), È un invito a non mescolare le carte e i piani del discorso ed è premessa indispensabile per ogni metodologia corretta,38 Cfr. G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere, cit, p. 3.56.39 Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 330,40 Cfr. su'questo tema G. Duso, Il nodo Hegel-Marx nel dibattitodel '48, in Gli intellettuali in trincea, cit., pp. 101-06.Pavese ci parla di «orrore» di Balbo e del gruppo romano, quandoin una riunione della Einaudi, egli aveva proposto la pubblicazione delL'istanza manaueriaie149 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivasatore torinese coglie la verità filosofica fondamentale del marxismo-leninismo nel vedere come le idee, i comporta- menti e le manifestazioni dell'uomo, in quanto prodotti,41.Mediando certi temi del marxismo con le istanze della43,Il limite del marxismo, limite teorico-pratico, è indi- viduabile nel concetto di sintesi, come fine o soppressione semplice della proprietà privata. In questo modo non si arriva, secondo Balbo, al superamento ma alla disgregazio- ne; un reale processo dialettico non dovrebbe comportare una oppressione positiva della proprietà privata, ma una forma superiore del sistema di appropriazione, « deve es- sere la nascita di istituzioni superanti (ossia superiori si- stematicamente) il nostro attuale sistema istituzionale » 45.Capitale, « estravagante », in una collana assieme alla Bibbia e a Mille Volevano linciarmi » (lettera a G. Einaudi del 7 settem- eunanote:«bre 1945, in Lettere, cit., pp. 499-500).41 Cfr. Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 319. Balbo affermache la contraddizione del marxismo è stata centrata da Della Volpe, Del Noce e Löwith (Ibidem, p. 318 e n.). Aggiunge che si rimane nell'apolo- gia del marxismo anche in casi di « altissimo livello culturale », come in Gramsci e Lukàcs (Ibidem, p. 319). É evidente che Balbo sta rivedendo il suo giudizio su Gramsci.42 « La forza-lavoro o pratica attività sensibile è indubbiamente il presupposto reale attivo (causa efficiente) della produzione come tale cosí come la natura ne è il presupposto reale passivo (causa materiale). Ma altrettanto indubbiamente non sono e non possono essere i presup- posti reali di ogni ` modo particolare ' della produzione » , escludendo cosí la peculiarità dell'uomo, cioè la produzione razionale come specifica (Ibidem, p. 323). Si ricorda su ciò una polemica con Rodano.43 Balbo sarebbe, invece, piú vicino alla visione dell'antropologia culturale, secondo la quale ogni forma storico-culturale è un prodotto umano. Cfr. S. Moravia, La ragione nascosta ecc., cit., pp. 327-37.44 Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 320. 45 Ibidem, p. 329.sottostanno alle leggi della produzioneper Balbo costituisce il sofisma marxiano è il far coinci- dere ogni forma di produzione (anche quella razionale) con la attività pratica-sensibile, cadendo nel materialismo dia- lettico 42.antropologia culturalesuo complesso ciò che include tutta la storia umana, e ciò che misura la realizzazione della natura umana: « Dove c'è produzione c'è storia e realizzazione umana, dove non c'è produzione non c'è storia né realizzazione umana » 44.150Balbo vede nella produzione nelCiò che, invece, Infatti, l'eliminazione di uno dei termini dialettici non risolve la contraddizione e rappresenta, invece, elemento di corruzione della storia esistente, in quanto conserva all'infinito la contraddizione invece di superarla ` 6. Non si tratta piú di sopprimere istituzioni, ma di crearne altre nel quadro di una espansione organica totale. Quindi non si parla di fine dello Stato, ma « della nascita di nuove dirigenze dello sviluppo continuo della società » (l'istanza manageriale), non di fine della filosofia nella rivoluzione, ma di definitiva acquisizione della indispensabilità della47.filosofia come funzione socialequesta fase del suo pensiero, Balbo ha ormai raggiunto alcune linee abbastanza precise e nei confronti del marxi- smo (che non si tratta piú di integrare, ma di correggere), e anche nei confronti di un quadro globale delle istitu- zioni sociali: riaffermazione della proprietà privata, tra- sferita su un piano di solidarietà umana non adeguatamente definita, ripresa della proposta manageriale, corroborata da una nuova figura di filosofo. L'errore essenziale di Marx sarebbe di aver voluto impostare una problematica48,« aristotelica » (o realistica) in termini hegelianirore che si accompagna alla verità delle domande poste da Marx, domande per le quali non esiste ancora, a livello storico, una filosofia adeguata. Balbo comunque dice che la via per rispondere esiste ed è l'assumere la posizione filosofica di Aristotele e di san Tommaso (non la loro filosofia, ma il loro punto di vista sul reale).In sostanza « da Marx in avanti, resta tutto da fare in teoria e in pratica » 49. Marx, affossatore e vittima della dialettica hegeliana 50, annulla la dimensione creativa del-46 Cfr. Ibidem, p. 330.47 Cfr. Ibidem, pp. 329-30.48 Cfr. Ibidem, p. 322n.49 Ibidem, p. 331.3o Balbo afferma che Marx demistifica la dialettica hegeliana, manon la rifiuta; perciò il rovesciamento della prassi riduce il marxismo a « empirismo praticistico collettivistico ». Sotto questo aspetto, gli ul- timi scritti di Stalin (probabilmente il filosofo si riferisce alle trad. it. apparsc in quegli anni di Questioni di leninismo, Roma, 1952 e di Pro- blemi economici del socialismo nell'URSS, Roma, 1953) rappresentereb- bero « il tentativo di una specie di ' revisionismo pratico ' interno alL'istanza managerialeCome si può notare, inun er-151 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventival'uomo; anche a certe interpretazioni pii disponibili per l'uomo non si può dar credito perché non sono conformi alla « norma base » della verità del sistema S 1. Una ri- presa delle tesi umanistiche non può avvenire che come ripresa filosofica: una storia priva di filosofia « a livello storico » è quella storia disumana e catastrofica, dice Bal- bo, che il marxismo ci ha svelato. Se prima la filosofia ha solo conosciuto o solo mutato la storia, ora si deve con- temporaneamente conoscerla e mutarla S2.Il filosofo che deve conoscere e mutare il mondo non è in questo autosufficiente, ma deve strumentare i suoi interventi attraverso organismi intermedi. Quello su cui la riflessione e la funzione organizzativa di Balbo si ap- puntano maggiormente è il « gruppo di lavoro ». Ogni elaborazione specifica è sempre inquadrata in una visione pití ampia e piú fondata teoricamente. Balbo afferma che il problema primario dell'ontogenesi sociale non è quello dello Stato o dell'assetto giuridico-economico della proprie- tà (come dice Marx), ma è quello della giusta forma so-ciale dei lavoro, cioè « il trascendimento effettivo del si- stema sociale da parte della persona, senza evasione », cosa che Marx addirittura nega, sostanzializzando la real- tà collettiva S3. Alla istanza etica di recupero dell'uomo va, pertanto, affiancata una tecnica adeguata , al pari di quan-marxismo e tendente ad impedire, o almeno a ritardare, le conseguenze ultime, tecnocratico-burocratiche, dell'essere teoretico tipico del marxi- smo »; (Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 327).51 Balbo si riferisce a Lenin e a Gramsci come elaboratori delle tesi « sull'umanità dell'uomo » all'interno del marxismo (Ibidem, p. 324).52 Cfr. Ibidem, p. 331.53 Cfr. Il piccolo gruppo di lavoro e la sua funzione nella grande or- ganizzazione, in Termine e concetto di Costume, Atti del II Convegno- laboratorio del Centro Intern. delle Arti e dei Costume, Venezia, 27-29 settembre 1956 (B rescia, 1957); ripubblicato con alcune varianti in « Rivista di Organizzazione aziendale », III, n. 4, 1958; ora in F. Balbo, Opere, pp. 543-64; i concetti citati sono a p. 547. G. Petrilli ha ricor- dato alcuni passi di Balbo relativi a lla pianificazione e al lavoro come« ritrovamento dell'ordine » (G. Petrilli, Dal progresso alla crescita, in « Civiltà delle macchine », n. 5, settembre-ottobre 1965).St « L'etica senza tecnica adeguata non vive, infatti, nella societ ì umana. Vive in alcuni momenti della vita degli individui, può risorgere continuamente e come intenzione pura. Ma, poichi. gli uomini non sono152 to è avvenuto in America (come fenomeno secondario e non primario). Infatti 11 vi è stata la scoperta « dell'uma- nità dell'uomo » da parte della società industriale: è stata una scoperta empirica e sperimentale della non riducibi- lità dell'uomo a « fattore economico », attraverso nuovi modi di gestione del lavoro nell'industria S5. In questo orizzonte, ci deve essere una chiara collaborazione fra me- todo sperimentale e metodo filosofico: ciò che si ottiene con l'uno, non si ottiene con l'altro, e viceversa 56. Il pic- colo gruppo di lavoro diventa quindi il risultato di unaconvergenza tra istanze filosofiche, morali, manageriali: « Il piccolo gruppo umano e in particolare il piccolo grup- po di lavoro viene considerato oggi dagli scienziati, tec- nologi ed educatori come una unità sociale primaria, aven- te realtà, proprietà e caratteri distinti da quelli dei singoli individui, che lo compongono » S'. Se il tecnicismo può es- sere liberato dai suoi vizi e dai suoi mali, questo, affermaangeli, non può esistere socialmente senza tecnica corrispondente e a livello tecnico dell'ambiente. Peggio, l'intenzione etica retta pub con- giungersi con una porzione di ambiente tecnico opposto e determinare delle vere e proprie mostruosità sociali di cui la nostra epoca è ricca » (Ibidem, p. 560).55 Balbo si riferisce all'esperimento di Elton Mayo alla Western Electric (Ibidem, p. 548). L'esperimento in questione va con il nome di « Hawthorne », perché ebbe luogo dal 1927 al 1932, negli stabilimenti Hawthorne della Western Electric C., che si trovano a Cicero, alla peri- feria di Chicago. La sostanza dell'esperimento consiste nel tentativo di scoprire il rapporto tra il rendimento dell'operaio e le condizioni « uma- ne » del lavoro. Il resoconto phi ampio di questo esperimento è nel vol. dei diretti esecutori F. J. Roethlisberger e W. J. Dickson, Manage- ment and the Worker, Boston, 1934; Cambridge, Mass., 1939. Si leggano pure E. Mayo, The human problems of an industrial civilization, New York, 1933; una sec. ed. è The social problems of an industrial civiliza- tion, Boston, 1946. Una buona esposizione è in J. Madge, Lo sviluppo dei metodi di ricerca empirica in sociologia, [1962], trad. it., Bologna,19692, pp. 221-83; a p. 279 è una bibliografia de lla critica alla scuola di Elton Mayo. Sugli stessi temi, ritornano gli scritti di A. Zaleznik, C. P. Christensen, F. J. Roethisberger, Motivazioni, produttività e soddi- sfazione nel lavoro, [ 1958], trad. it., Bologna, 1964. Per un rifiuto glo- bale delle human relations, e delle « comunità » di fabbrica come « trap- pola ormai logora », cfr. A. Illuminati, Lavoro e rivoluzione, Milano,1974; in particolare, dove l'autore vede E. Mayo inglobato nel taylorismo (p. 29).56 Cfr. 11 piccolo gruppo di lavoro ecc., cit., p. 552. S7 l bick,,,, p. 550.L'istanza manageriale153 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaBalbo, può avvenire attraverso il piccolo gruppo di lavoro, diventato generatore delle norme etiche e tecniche della grande organizzazione, che può soltanto applicarle ".È un po' la critica allo Stato etico, ribaltata a livello di impresa industriale: a Balbo interessa tanto la umanità del lavoro, quanto la produttività dello stesso 59, privile- giando il primo momento rispetto al secondo che, invece, poteva essere pii presente nell'esperimento di Hawthor- ne.Quella balbiana è una ricerca di soluzione all'interno delle strutture malate: si tratta non di modificare il si- stema, ma di giungere a forme pii umane di lavoro e quindi a una maggiore produttività. Balbo sembra essersi rassegnato al sistema capitalistico, non prospetta alter- native strutturali, ma solo terapie per l'individuo e vede nel piccolo gruppo la nuova cellula in cui ogni realtà, ogni fatto della vita del gruppo, ogni elemento del suo lavoro può essere a portata diretta dei sensi, dell'intelligenza e del fare di ogni singolo componente E 0.In questo quadro si colloca il riemergere, nel pen- siero di Balbo, delle istanze antropologiche, il riesame delle possibilità storiche dell'uomo e una definizione ot- timistica della vita terrena 61. Se si è parlato di pessimismo cristiano è stato per l'esperienza dello scarto tra la con- dizione umana di peccato .e il presentimento del possibile essere, mentre il pessimismo pagano è irreversibile in quanto parte dallo stato di decadenza e dalle perdite de- finitive dell'età dell'oro 62. II discorso di Balbo sembra rie- cheggiare il clima de « Il Politecnico », quando nota una« reciproca universale necessità di ogni uomo per ogni uomo, in quanto in ogni uomo si sostanzia l'essere urna-58 Cfr. Ibidem, p. 559.59 Cfr. Ibidem, p. 557.60 Cfr. Ibidem, p. 552.6t Balbo afferma che la vita terrena è incoativa, quella ultraterrenaé perfettiva; ma aggiunge che questo non comporta una concezione « at- tesista » e una svalutazione della vita terrena (cfr. Il futuro e l'« al di là » - Note di ricerca metafisica sull'uomo, in « Archivio di Filosofia », Metafisica ed esperienza religiosa, 1956, pp. 235-55; poi in Idee per una filosofia dello sviluppo umano, cit., pp. 464-66).62 Cfr. Ibidem, pp. 445-46. 154 no.» 63. I1 motivo dell'io umano « onni-esistenziale » è unodei pii complessi all'interno del pensiero di Balbo, inquanto ha matrici non bene definite o, al limite, può es-sere il minimo comune denominatore di fonti diverse,talvolta opposte. « Analizzando la mia esistenza intendodunque analizzare l'essere umano che è in me come inogni altro che ha la mia stessa natura » 64: dalle letterepaoline, a Croce e Gentile, si trova tutto in questa defi-nizione, ma l'ancoraggio è costituito da una solida filosofia65.ritrovata mediante la ricerca e la dimostrazione razionale, mentre la nozione religiosa è dogmatica 6. Alla fine non possono, però, divergere e Balbo definisce l'uomo come o il poter essere sussistente » dal punto di vista dinami- co, dell'azione pratica, della produttività 67. Una ripresa, ancora una volta puramente lessicale, di termini marce- liani troviamo quando il pensatore torinese enuclea le categorie antropologiche e dice che l'uomo ha bisogno di essere, di avere e di dare; ma la categoria dell'avere è quella maggiormente rilevante, per una continuità ed in- tegrazione anche a livello ontico 63. Direttamente legato63 Ibidem, p. 460. I1 riferimento a lla rivista è, in questo caso, molto mediato. Infatti su « Il Politecnico » (n. 1 del 29 settembre 1945, p. 3) appare il brano di J. Donne, premesso ai romanzo di E. Hemingway, Per chi suona la campana, [ 1940], trad. it., Milano, 1945 (l'ultima è del 1977). Sulla rivista di Vittorini è pubblicata la trad. a puntate, a cura di L. Foà e B. Zevi, con il titolo Per chi suonano le campane. Il brano di J. Donne è questo: « Nessun uomo è un'Isola in sé compiuta; ogni uomo è un frammento del Continente, una parte del tutto; se il Mare inghiotte una zolla di terra, l'Europa ne è diminuita, come se quella zolla fosse un Promontorio, o la Casa dei tuoi amici o la tua propria; la morte di ogni uomo diminuisce me, perché io sono parte dell'Umanità. E cosí non mandar mai a chiedere per chi suonano le campane: suo- nano per te » (trad. de « Il Politecnico »).64 Idee per una filosofia dello sviluppo umano, cit., p. 400.65 F. Ferrarotti scrive: « Balbo passa dall'io trascendentale de lla filo- sofia moderna all'io umano onni-esistenziale de lla filosofia dell'essere che in assoluta libertà di spirito, al di là degli schemi consueti del tomismo e della neo-scolastica, si apprestava ad elaborare: una filosofia come attività » (Op. cit., p. 16).Cfr. Il futuro e l'« al di la», cit., p. 446.67 Cfr. Ibidem, pp. 450-51.68 L'uomo « ha bisogno di avere per affermare ed espandere l'esseredell'essereL'antropologia di Balbo, a questo punto, è critica eL'istanza manageriale155 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaa questa categoria antropologica è il lavoro, fatto metafi- sicamente costitutivo dell'uomo, tanto nella fase terrena « incoativa » quanto nella fase ultraterrena « perfettiva »; ma del « lavoro » necessario pure nella vita ultraterrena non possiamo dire niente se non per rivelazione divina 69. Attraverso il lavoro si attua quella integrazione con gli altri che è sintesi nuova e non somma di elementi; perciò Balbo dice che questa sintesi nuova è un dato reale cherende essenziale l'integrazione nella ricerca dell'umanità 70. È facile riscontrare in queste affermazioni, accanto alla teorizzazione dei molteplici gruppi costituiti nelle varie esperienze culturali di Balbo, la sua nuova ipotesi di una filosofia costruibile in gruppo; cosí come, dal punto di vi- sta manageriale, si può vedere una riproposta del piccologruppo come cellula nuova dell'organismo industriale da ristrutturare.Alla base di questa speculazione è oramai chiara- mente individuabile l'impronta di una ontologia « leggi- bile » in termini aristotelico-tornisti, ma Balbo ricorda che i termini non glieli suggerisce la tradizione filosofica bensí « la fortissima vergine evidenza della verità » cui cerca di corrispondere 71. Aveva detto la stessa cosa san Tom- maso a proposito de lle sue fonti 72. Nell'ammettere un im- porsi della verità attraverso la evidenza dei principi è ilche è secondo le potenze ad esso proprie. Ha bisogno di avere per con- tinuare ad essere ciò che è e non morire. Ha anche bisogno di avere per essere ciò che non è ancora, ma che può essere» (Ibidem, p. 453).69 Cfr. Ibidem, p. 456.7° Cfr. Ibidem, p. 447. La ripresa filosofica di F. Balbo è citata in questo senso anche da C. Napoleoni (cfr. L'enigma del valore, in « Rina- scita », 21-2-78, p. 25).71 Cfr. Ibidem, p. 447.72 San Tommaso aveva pii volte ripetuto che l'argomento dell'auto- rità è il pii debole (Summa Theol., I, I, a.8; In VIII Phys., 1.III); che la sapienza non procede « propter auctoritatem dicentium », bensí « propter rationem dictorum » (Sup. I3oët. de Trinit., p. II, a.3). Infine aveva scritto: « Studium philosophiae non est ad hoc quod sciatur quid hornines senserint, sect qualiter se habeat veritas rerum » (In I De Coelo, 1.22), Erroneamente il Sertillanges (La filosofia di s. Tommaso d'Aquino,[1910, n.e. 1940] trad. it., Roma, 1957, p. 22) traduce il qualiter ... con « di sapere quello che han detto di vero », inquinando le intenzio- ni e il testo tomistici che eliminano la mediazione dei filosofi e dicono che occorre conoscere in che modo si abbia la veritil.156 tomismo di Balbo, o, come preferisce dire il filosofo del Novecento, il punto dove anche san Tommaso ha toccato la verità. Quindi tale tomismo consiste, ora, nel tema della evidenza dei principi primi pratici, « incorruttibile garanzia morale » del potere dell'uomo sul futuro. Anzi Balbo rilegge la sua prima produzione proprio sotto il tema della sinderesi 73.Lo sguardo appuntato sulla funzione dell'uomo di cul- tura ci mostra ancora un Balbo in parte legato all'im- magine dell'intellettuale che esce da lla Resistenza. Parla, infatti, di un intellettuale che « non deve appartenere a coloro che decidono, o che muovono le masse, ma a coloro che propongono, che sollecitano, che ideano e aprono nuove vie, che portano a verità l'opinione confusa e con- traddittoria, che scoprono ed enunciano nuovi bisogni, nuovi doveri, che determinano, in una parola, il primo atto in ogni processo di umanizzazione degli uomini » 74.L'autonomia, o « distinzione » dell'intellettuale nei confronti del politico, comporta un eroismo di preveg- genza 7S, una priorità di mansioni (che nello sviluppo della speculazione balbiana si riaccostano sempre piú a tema- tiche crociane a livello di « autocoscienza ») 76, e rischia di isolarlo in una casta, quando Balbo parla della neces- sità della vocazione, aggiungendo, però, che con questo7a Cfr. Il futuro e l'« al di là », cit., p. 470. Nella nota Balbo af- ferma che L'uomo senza miti, «malgrado le insufficienze e le oscillazioni, verte, in fondo, tutto sulla tematica della sinderesi ». Come ho già chia- rito prima, non è corretto parlare, a proposito del primo libro di Balbo, di tomismo, inteso come ripresa diretta di teorie torniste, quanto piut- tosto di una confluenza teorica tra la visione balbiana di un ripristino della evidenza e quella tomistica della sinderesi, cui solo dopo Balbo si avvicinerà chiaramente.74 La funzione dell'intellettuale, cit., p. 567.75 L'intellettuale, per Balbo, non deve avere il coraggio fisico delle armi, ma l'eroismo dei momenti non eroici: « La vedetta ha il suo mo- mento eroico nel resistere al sonno delI'alba, quando gli altri dormono, e non nel darsi da fare con gli altri quando la nave è finita tra gli scogli » (Ibidem, p. 568).76 a Intellettuale [non è uno status sociologico], mi pare, è chi espri- me con la parola, o manifesta con l'esempio dei valori universali nel tno- mento storico, e cioè chi produce l'autocoscienza storica del suo tempo » (Ibidem, p. 565).L'istanza managcriale15 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivatermine non vuole indicare altro che una particolare capa- cità alla funzione, al compito intellettuale n. E che l'in- tellettuale abbia un primato nei confronti del politico è, per Balbo, evidenziato dal fatto che non è mai una strut- tura organizzativa a dare la giustizia sociale, ma l'ethos trasformato e sviluppato n.Il nodo che gli intellettuali italiani, ed europei in ge- nerale, si trovano a dover affrontare e risolvere alla metà degli anni Cinquanta, dopo la destalinizzazione in Russia, è quello di un possibile dilemma tra le istanze dell'indi- vidualismo liberale e que lle di un collettivismo che ha an- nullato tutta la sua potenzialità positiva nelle forme radi- cali del regime sovietico. Balbo afferma che il dilemma tra individualismo e collettivismo non si risolve scegliendo uno dei termini, ma superando la contraddizione « in una nuova realtà che include ciò che tutti i contrari includono e ciò che la loro contrarietà esclude »". Questo tema del superamento e del rifiuto di una logica dicotomica, inteso come somma dei valori positivi inclusi nelle tesi, ridimen- siona il tema marxiano della lotta di classe che, se è vista come principio, può dare origine a una evasione perma- nente, o a una centralizzazione di tutto il potere in una classe, o in un gruppo, o in un individuo B0. Il rifiuto della lotta rivela nelle tesi del Balbo una sfiducia progressiva verso la dialettica politico-economica, ridefinisce la lotta come mezzo e non come principio perché in tal caso non dà origine « ad altra realtà che la lotta stessa » 81. Questa77 Cfr. Ibidem, p. 556.78 Cfr. Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, conf. te- nuta a lla Fac. di Magistero di Roma, il 24 maggio 1957, in u Atti della Società filosofica romana », 1957; poi in Tesi filosofiche per lo sviluppo sociale, dispense redatte da F. Balbo sul corso tenuto da lui alla Fac. di Magistero di Roma, nell'a.a. 1959-60; ora in Opere, pp. 577-627 (pub- blicazione parziale); il concetto ricordato nel testo è alle pp. 596-97.79 Il futuro e l'« al di là », cit., p. 469.sa Cfr. Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p. 594.81 Ibidem. La teoria statuale di Balbo fu ripresa in un convegno or- ganizzato a Lucca dalla Democrazia Cristiana, nel 1967. In quella sede, G. De Rosa ricordò Balbo, come un « profondo filosofo cristiano della nostra età » (cfr. R. Orfci, L'occupazione del potere, Milano, 1976, p. 222 e G. Galli, Storia della Democrazia Cristiana, Bari, 1978, p. 268.158 polemica « strisciante » con le teorizzazioni marxiste del- la società borghese, come società essenzialmente conflittua- le, è interna a tutta la revisione che Balbo ha operato della sua lettura del marxismo; revisione il cui punto centrale è costituito dallo spostamento di giudizio sulla ateologicit à che diventa « ateismo » e « antireligione mar- xista » s`. Il pensatore torinese non rinunzia, però, ancora a rintracciare, oltre l'ateismo dichiarato, « un'orma di Dio » nel desiderio di giustizia presente nel marxismo s3Da una angolazione piú chiaramente po litica, l'ideo- logo della Sinistra Cristiana, che aveva fondato la scelta di classe anche per i cattolici, ora propone la collabora- zione di classe come risultato di una certa lotta « che miri appunto all'equilibrio per integrazione di soggetti auten- tici di interessi e di poteri: si può considerare cioè che esista una lotta di classe che non cerca di sopprimere uno dei termini della lotta, che cerca anzi l'equilibrio effettivo dei termini e che quindi coincide con la collaborazione di classe » s4. L'interclassismo era stato uno dei motivi teo- rici per cui non si era realizzata la fusione tra la « Sini- stra giovanile cattolica » e il partito degasperiano nel '43Galli critica come « ovvietà tardoilluministiche » il concetto balbiano di Stato rappresentativo, gestito dai piú forti o dall'equilibrio dei gruppi phi forti: è questa, chiaramente, una banalizzazione del pensiero di Balbo sul superamento della lotta di classe). La stampa vedrà proprio nella riscoperta di Balbo l'aspetto phi interessante di quel convegno (cfr. M. Scarano, Affrontare la sfida degli anni '70, in « Il giorno », 30- IV- 67).82 Cfr. Il futuro e l'« al di la », cit., p. 458n.83 « Chiamo il ` desiderio di giustizia ' presupposto reale e non prin- cipale del marxismo, perché, mentre il marxismo non lo riconosce come elemento del proprio sistema teorico e pratico [...], esso è d'altra parte la forza senza la quale il marxismo stesso non avrebbe corso storico. Il marxismo a mio avviso ricava la sua forza storica piú profonda dal fatto di apparire come il realizzatore della desiderata giustizia, vera ed effet- tiva, e come il giustiziere della morale e del diritto ` astratti ' » (Ibidem).84 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p. 593.85 Cfr. C. F. Casula, Il Movimento dei cattolici comunisti e la Resi- stenza a- Roma, in « I1 Movimento di liberazione in Italia », ottobre- dicembre 1973, pp. 48 e segg.; poi in C. F. Casula, Cattolici- comunisti ecc., cit., pp. 63-64. Per il programma interclassista della DC i documen- ti fondamentali sono Il programma di Milano e le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, che possono essere letti nella stesura origi- naria in E. Aga Rossi, Dal Partito Popolare alla Democrazia Cristiana,L'istanza manageriale159 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaemerge ora una proposta interclassista avanzata da un Balbo che ha abbandonato i programmi massimalistici per un riformismo non ipocrita, ma comunque ambiguo ed eterogeneo al quadro della sua speculazione anteriore 86.Infatti ora il filosofo teorizza la tesi per cui è necessa- rio che « gli interessi e le classi sussistano e non si sop- primano con violenza diretta o indiretta » 87. Né riteniamo di poter accostare questo interclassismo ai temi di Gobetti nei quali il termine di « classe » era pura astrazione: quindi ci poteva essere annullamento delle classi, ma non loro collaborazione S8. Invece, per Balbo si deve instaurare un equilibrio dinamico fra le classi, « ossia un equilibrio che si fondi su di un'autonoma, effettiva e adeguata (so-stanzialmente e non solo quantitativamente) partecipazio- ne al potere in tutte le sue forme da parte di ogni classe, di ogni interesse, singolo e collettivo. Il che sarebbe ap- punto la giustizia sociale » 89. Questo interclassismo ha motivazioni antropologiche ed etiche che per certi versi richiamano temi dell'anarco-marxismo di Sartre, ma solo perché convergono nell'identificare la libertà nella libera- zione, e la integrazione creativa nel movimento 90.Bologna, 1969, pp. 331-45. P. Scoppola parla, pure, delle difficoltà in- terne alla DC, che non riusciva ad esprimere compiutamente la propo- sta interclassista « di cui la società italiana aveva bisogno » (cfr. P. Scop- pola, La proposta politica di De Gasperi, Bologna, 1977, pp. 154-56; da p. 124 esamina acutamente e attraverso documenti spesso inediti l'atteg- giamento di De Gasperi nei confronti della Sinistra Cristiana e il suo incunearsi tra essa e la Santa Sede).36 « Una collaborazione di classe che non riconosca i termini dei contrasti fondamentali e particolari di classe (nel senso assunto da que- sto termine dopo Marx), che non riconosca la esistenza, la natura e le ragioni dei contrastanti interessi sociali e delle lotte aperte o nascoste che conseguono a tali contrasti, non è una collaborazione di classe, ma la maschera ipocrita del dispotico dominio (o tentativo di dominio) di una classe sull'altra, di un interesse sull'altro » (Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p. 592)." Ibidem, p. 594.88 Ha scritto Gobetti: « Nella concreta realtà dell'atto spirituale glischemi perdono la validità loro: le classi diventano meri fantasmi » (Definizioni: la Borghesia, in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 4, 5 marzo 1922, ora in Scritti politici, cit., p. 262).89 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p. 593.9b « Gli uomini non sono liberi cd eguali in senso rigoroso se non nella loro integrazione creativa per lo sviluppo umano, per la giustizia160 prospettiva riformistica, in chiave interclassista, non può che realizzarsi tornando agli incroci tra privato e pubblico, tra momento di analisi e momento di sintesi deliberativa.Cosi Balbo, che ha cercato di correggere la struttura industriale intervenendo sui piccoli gruppi di lavoro, ri- tiene che il problema centrale della democrazia sia nelle « erme ï collettive », dove di tatto è il potere e il con- trollo delle masse; quelle entità erano diventate, dopo oltre un decennio dalla Resistenza, delle « macchine » V', senza spazi reali per le decisioni di base. Il filosofo scrive che solo con un'azione individuale e collettiva, teorica e pratica, centrale (non centralistica) e periferica di inven- zione si può realizzare un equilibrio dinamico di interessi e si può realizzare l giustizia sociale, cioè un crescente influsso di collettività di persone « sulla proprietà, sull'uso, sulla destinazione dei mezzi di produzione » y=.L'ipotesi balbiana è quella di intervenire sugli orga- nismi intermedi come strutture portanti di un regime de- mocratico; il discorso dei rapporti economici diventa, quin- di, un tema consequenziale e derivato. t un ridare il pri- mato alla politica, ma, come tiene a specificare il pensa- tore, non il primato al pensiero politico. I.l pensiero è solo « la premessa statica » dei partiti, una premessa ge- nerica e spesso mistificatrice « presa in prestito e non creata dalla loro attività », strumento di persuasione o « momento subordinato dell'organizzazione » ". Ciò chesociale » (Ibidem, p. 597). Sartre dirà che il superamento della dialettica tra soggetto e oggetto è il gruppo, .< per la sua impresa e per quel suo movimento costante d'integrazione che tende a farne una praxis pura e a sopprimere in esso tutte le forme d'inerzia » (Critica; della ragione lettica - I - Teoria degli insiemi pratici, [1960], trad. it., Milano, 1963, p. 382).91 Cfr. Note filosofiche sui problema della giustizia sociale, cit., pp. 598- 99. R. De Vita cita e illustra la teoria balbiana del « piccolo grup- po », nel suo scritto Piccoli gruppi e società in trasformazione, Milano, 1978, pp. 112- 13.92 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale, cit., p. 595.93 La sfida storica del comunismo al Cristianesimo e le sue couse- gueuze filosofico - sociali, in a Il M ulino », a.V II, n. 3, 1958; unito a Ancora su Cristianesimo, comunismo e azione politica, ivi, a.VII, n. 12,L'istanza manageriale161Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivacostituisce realmente i partiti (clic Balbo ritiene le arterie della democrazia) è l'essere strumenti di organizzazione della volontà e degli interessi politici 94.L-`rilevante sottolineare che questo tema del partito politico come struttura portante è una ulteriore caratte- rizzazione ciel pensiero filosofico di Balbo che lo pone a metà strada tra la concezione del materialismo storico e quelle, estranee ma parallele, dello storicismo crociano e della storia cone storia filosofica di Del Noce 95C'è quindi, nell'autore di L'uomo senza miti, questa esigenza esasperata di sceverare nelle sue esperienze teo- riche una linea di unificazione, anche se la sua « filosofia della storia » propende verso una accentuazione dei mo- tivi di « materialità » (o nel senso delle istituzioni, o nel senso del bisogno economico), rispetto alle urgenze puramente ideali.L'operare dall'interno del sistema, pid che rassegnazione alla sconfitta, è caparbietà pragmatica e machiavelli- ca nel voler trasformare le cose e frenare la « catastrofe ». Non sempre la proposta speculativa di Balbo è, però, ade- guata alle sue istanze.1958, è ora in Opere, con il titolo Comunismo e Cristianesimo, pp. 332-50; il brano cit. 6 a p, 339.w Cfr. ibidem.as Riguardo a questo dissenso, Del Noce afferma che fu tra le cause clic gli vietarono di aderire alle trii di Balbo, nel periodo della Sinistra Cristiana. Da ciò il sorgere tra lui e Balbo a di una discussione, che per l'uno e per l'altro era piuttosto un monologo che un dialoga; non certosensodl una sordia, ma anzi in quello di una fusione masatma,nel ,per cui ognuno combatteva nell'altro una posizione che ritenevadl aver Avissuto '(e non soltanto obiettivam ente pensato) e oltrepas - atrt^ r► (Ge netlesignificatoecc.,cii,. p. 426).162 Felice Balbo Venadio, conte di Venadio. Felice Balbo Vinadio. Vinadio. Keywords. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vinadio: being, value – and colloquenza!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Vio: la ragione conversazionale e le categorie d’Aristotele – un senso, un’analogia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gaeta). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “While the typical Englishman is more interested in the fact that Vio never thought that Henry VIII did divorce Aragon, I prefer his commentary on the ‘prae-dicamentum’ of Aristotle, via ‘Porfirio’!” -- Grice was irritated that when ‘Vio’ became a saint, the Italians list him under ‘c’. O. P. cardinale di Santa Romana Chiesa. V. riceve Lutero, Template-Cardinal. Incarichi ricoperti. Maestro generale dell'ordine dei predicatori, cardinale presbitero di San Sisto, arcivescovo metropolita di Palermo, arcivescovo-vescovo di Gaeta, cardinale presbitero di Santa Prassede. Ordinato presbitero, nominato arcivescovo da Leone X, consacrato arci-vescovo da Fieschi, creato cardinale da Leone X. Religioso domenicano, generale dell'ordine: filosofo, teologo e diplomatico pontificio. Incontro tra V. e Lutero in una stampa d'epoca. Entra tra i frati domenicani del monastero di Gaeta, e prosegue i suoi studi in filosofia a Napoli, Bologna e Padova. Insegna filosofia a Pavia e Roma. Acquisce una considerevole fama in seguito ad un pubblico dibattito con PICO a Ferrara. Generale dell'ordine e consigliere dei papi, dimostra grande zelo nel difendere il diritto del papa contro il concilio di Pisa, polemizzando contro Almain in una serie di articoli messe al bando dalla Sorbona e bruciati per ordine di Luigi XII. Leone X crea V. cardinale, e fatto arci-vescovo di Palermo. Arci-vescovo di Gaeta, inviato in Germania come legato apostolico per partecipare alla dieta di Augusta, si adopera con profitto per l'elezione di Carlo V d'Asburgo ad imperatore del sacro romano impero -- prevalendo sull'altro concorrente Francesco I -- e lì cerca di arginare la nascente riforma protestante di Lutero. Fa rientro in Roma senza essere riuscito a convincere Lutero ad abbandonare i suoi propositi di riforma. Aiuta il papa nell'estensione della bolla “Exsurge domine” rivolta a contrastare il dilagare della riforma di Lutero. Oganizza la resistenza contro i turchi. Venne fatto prigioniero durante il sacco di Roma dai Lanzichenecchi, inviati da Carlo V per punire Clemente VII per il tradimento della parola datagli. Pronuncia la sentenza definitiva di validità del matrimonio di Enrico VIII e Caterina d'Aragona, rifiutando il divorzio al sovrano inglese. Accanto alla produzione filosofica e di teologia filosofica, secondo la linee della scuola d’AQUINO, V. si distinque come esegeta. Ignora attamente l’ebraico, ma consulta esperti rabbinici e grazie alla sua familiarità con il testo greco, ubblica un commentario dei libri sacri di giuidei e galilei. L’enfasi alla Grice di V. sulla ricerca del SIGNIFICATO letterario o LITERALE dell’Eneide o altri testi pone V. alle origini della tradizione esegetica del cattolicismo contro le sette delle differenti nazioni.  Saggi: “Summula Caietani”; “Opuscula omnia” (Giunta); “Commentaria super tractatum de ente et essentia [di Aquino]”; “De nominum analogia”; “Commentaria in III libros Aristotelis de anima”; “Auctoritas pape et concilii sive ecclesie comparata” (Silber); “Oratio in secunda sessione concilii lateranensis” (Berlin); “Apologia de comparata auctoritate pape et ecclesie”; “De divina institutione pontificatus romani pontificis”; “Jentacula Nuovo Testamento, expositio LITERALIS sexaginta quatuor notabilium sententiarum Novi Testamenti” (Roma). Francesco senese De Franceschi; “In Porphyrii Isagogen ad Praedicamenta Aristotelis”; “Opera omnia”; “Scripta philosophica”; “De conceptu entis”; “De comparatione auctoritatis papae”; “Apologia”. Allaria, V.: cardinale -- Roma; Treccani, Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degl’italiani, Conferenza Episcopale Italiana. ALCUIN, Università di Ratisbona. V. philosophised extensively on free will, and had a colourful dispute with, of all people, Luther, well represented in a painting that Grice adored. Shropshire borrowed his proof for the immortality of the soul from V. Prelate and theologian. Born in Gaeta from which he take his name, he enters the Dominican order and studies philosophy at Naples, Bologna, and Padua. He becomes a cardinal, and travels to Germany, where he engages in a theological controversy with Luther. His major work is a Commentary Aquino’s Summa Theologiae, which promotes a renewal of interest in scholastic and ‘Thomistic’ philosophy. In agreement with Aquino, V. places the source of knowledge in sense perception. In contrast with Aquino, V. *denies* that the immortality of the soul and the existence of the divine as our creator may be proved. V.’s work in logic is based on the traditional syllogistic logic that he called ‘dal Lizio,’ but is original in its discussion of the notion of “analogy”. V. distinguishes *three* types of analogy: analogy of inequality, analogy of attribution, and analogy of proportion. Whereas he rejects “analogy of inequality” and “analogy of attribution” as improper, fallacious, and invalid, V. regards the analogy of proportion as valid and basic and appeals  to it in explaining how humans may come to know propositions about the divine  and how analogical reasoning, applied to both the divine, and the divine’s creatures, may avoid being aequi-vocal. Thomas de Vio Cardinalis Caietanus   DE NOMINUM ANALOGIA   CAPUT I  QUOTUPLEX SIT ANALOGIA, CUM DECLARATIONE PRIMI MODI  1. Inuitatus et ab ipsius rei obscuritate, et a nostri aeui flebili profundarum litterarum penuria, de nominuin analogia in his uacationibus tractatum edere intendo. Est siquidem eius notitia necessaria adeo, ut sine illa non possit metaphysicam quispiam discere, et multi in aliis scientiis ex eius ignorantia errores procedant. Quod si ullo usquam tempore accidit, hac aetate id euenire clara luce uidemus, dum analogiam, uel indisiunctionis, uel ordinis, uel conceptus praecisi unitate, cum inaequalis participatione constituunt. Ex dicendis namque patebit, opiniones huiusmodi a ueritate, quae ultro se offerebat, per abrupta deuiasse.  2. Analogiae igitur uocabulum proportionem siue proportionalitatem (ut a Graecis accepimus) in proposito sonat. Adeo tamen extensum distinctumque est, ut multa nomina analoga abusiue dicamus; et multarum distinctionum adunatio si fieret, confusionem pareret. Ne tamen rectum obliqui iudicio priuetur, et singularitas in loquendo accusetur, unica distinctione trimembri omnia comprehendemus, et a minus proprie analogis ad uere analoga procedemus.  3. Ad tres ergo modos analogiae omnia analoga reducuntur: scilicet ad analogiam inaequalitatis, et analogiam attributionis, et analogiam proportionalitatis. Quamuis secundum ueram uocabuli proprietatem et usum Aristotelis, ultimus modus tantum analogiam constituat, primus autem alienus ab analogia omnino sit.  4. Analoga secundum inaequalitatem uocantur, quorum nomen est commune, et ratio secundum illud nomen est omnino eadem, inaequaliter tamen participata. Et loquimur de inaequalitate perfectionis: ut corpus nomen commune est corporibus inferioribus et superioribus, et ratio omnium corporum (in quantum corpora sunt) eadem est. Quaerenti enim quid est ignis in quantum corpus, dicetur: substantia trinae dimensioni subiecta. Et similiter quaerenti: quid est caelum in quantum corpus, etc. Non tamen secundum aequalem perfectionem ratio corporeitatis est in inferioribus et superioribus corporibus.  5. Huiusmodi autem analoga Logicus uniuoca appellat, Philosophus uero aequiuoca, eo quod ille intentiones considerat nominum, iste autem naturas. Unde et in X Metaph., text. ultim. Aristoteles dicit quod corruptibili et incorruptibili nihil est commune uniuocum, despiciens unitatem rationis seu conceptus tantum. Et in VII Physic., text. 13 dicitur iuxta genus latere aequiuocationes; quia huiusmodi analogia cum unitate conceptus non dicit unam naturam simpliciter, sed multas compatitur sub se naturas, ordinem inter se habentes, ut patet inter species cuiuslibet generis, specialissimas et subalternas magis. Omne enim genus analogum hoc modo appellari potest, (licet non multum consueuerint nisi generalissima et his propinqua sic uocari), ut patet de quantitate et qualitate in praedicamentis, et corpore, etc.  6. Hanc analogiam S. Thomas, in I Sent., dist. 19 uocat analogiam secundum esse tantum, eo quod analogata parificantur in ratione significata per illud nomen commune, sed non parificantur in esse illius rationis. Perfectius enim esse habet in uno, quam in alio, cuiuscumque generis ratio, ut in Metaphysica pluries patet. Non solum enim planta est nobilior minera; sed corporeitas in planta est nobilior corporeitate in minera: et sic de aliis.  7. Perhibet quoque huic analogiae testimonium Auerroes in XII Metaph., text. 2 dicens, cum unitate generis stare prioritatem et posterioritatem eorum, quae sub genere sunt. Haec pro tanto analoga uocantur, quia considerata inaequali perfectione inferiorum, per prius et posterius ordine perfectionis de illis dicitur illud nomen commune. Et iam in usum uenit, ut quasi synonime dicamus aliquid dici analogice et dici per prius et posterius. Abusio tamen uocabulorum haec est; quoniam dici per prius et posterius, superius est ad dici analogice. In huius modi autem analogis, quomodo inueniantur unitas, abstractio, praedicatio, comparatio, demonstratio et alia huiusmodi, non oportet determinare; quoniam uniuoca sunt secundum ueritatem, et uniuocorum canones in eis seruandi sunt.  CAPUT II  ANALOGIA ATTRIBUTIONIS QUID SIT, ET QUOT MODIS FIAT, ET QUAE EIUS CONDITIONES  8. Analoga autem secundum attributionem sunt, quorum nomen commune est, ratio autem secundum illud nomen est eadem secundum terminum, et diuersa secundum habitudines ad illum: ut sanum commune nomen est medicinae, urinae et animali; et ratio omnium in quantum sana sunt, ad unum terminum (sanitatem scilicet), diuersas dicit habitudines. Si quis enim assignet quid est animal in quantum sanum, subiectum dicet sanitatis; urinam uero in quantum sanam, signum sanitatis; medicinam autem in quantum sanam, causam sanitatis proferet. Ubi clare patet, rationem sani esse nec omnino eamdem, nec omnino diuersam; sed eamdem secundum quid, et diuersam secundum quid. Est enim diuersitas habitudinum, et identitas termini illarum habitudinum.  9. Quadrupliciter autem fieri potest huiusmodi analogia, secundum quatuor genera causarum (uocando pro nunc causam exemplarem causam formalem). Contingit siquidem multa ad unum finem, et ad unum efficiens, et ad unum exemplar, et ad unum subiectum, secundum aliquam unam denominationem et attributionem diuersimode habere: ut patet ex exemplis Aristotelis, IV Metaph., text. 2. Ad causam enim finalem pertinet exemplum de sano in III Metaph., text. 2, ad efficientem uero exemplum de medicinali ibidem positum; ad materialem autem analogia entis ibidem subiuncta; ad exemplarem demum analogia boni, posita in I Ethic., cap. 7.  10. Attribuuntur autem huic analogiae multae conditiones, ordinate se consequentes: scilicet quod analogia ista sit secundum denominationem extrinsecam tantum; ita quod primum analogatorum tantum est tale formaliter, caetera autem denominantur talia extrinsece. Sanum enim ipsum animal formaliter est; urina uero, medicina et alia huiusmodi, sana denominantur, non a sanitate eis inhaerente, sed extrinsece, ab illa animalis sanitate, significatiue uel causaliter, uel alio modo. Et similiter idem est de medicatiuo et de substantia, quae sunt formaliter in primo; in caeteris uero denominatiua significatione denominantur et extrinsece. Boni quoque ratio in bono per essentiam saluata, quo exemplariter caetera denominantur bona, in solo primo bono formaliter inuenitur; reliqua uero extrinseca denominatione, secundum illud bonum, bona dicuntur.  11. Sed diligenter aduertendum est, quod haec huiusmodi analogiae conditio, scilicet quod non sit secundum genus causae formalis inhaerentis, sed semper secundum aliquid extrinsecum, est formaliter intelligenda et non materialiter: idest non est intelligendum per hoc, quod omne nomen quod est analogum per attributionem, sit commune analogatis sic, quod primo tantum conueniat formaliter, caeteris autem extrinseca denominatione, ut de sano et medicinali accidit; ista enim uniuersalis est falsa, ut patet de ente et bono; nec potest haberi ex dictis, nisi materialiter intellectis. Sed est ex hoc intelligendum, quod omne nomen analogum per attributionem ut sic, uel in quantum sic analogum, commune est analogatis sic, quod primo conuenit formaliter, reliquis autem extrinseca denominatione. Hoc siquidem uerum est, ex formali intellectu praecedentium; ex eisque manifeste sequitur. Ens enim quamuis formaliter conueniat omnibus substantiis et accidentibus etc., in quantum tamen entia, omnia dicuntur ab ente subiectiue ut sic, sola substantia est ens formaliter; caetera autem entia dicuntur, quia entis passiones uel generationes etc. sunt; licet entia formaliter alia ratione dici possint. Et simile est de bono. Licet enim omnia entia bona sint, bonitatibus sibi formaliter inhaerentibus, in quantum tamen bona dicuntur, bonitate prima effectiue aut finaliter aut exemplariter, omnia alia nonnisi extrinseca denominatione bona dicuntur: illamet bonitate, qua Deus ipse bonus formaliter in se est.  12. Et ex hac conditione statim infertur alia: scilicet quod illud unum, ad quod diuersae habitudines terminantur in huiusmodi analogis, est unum non solum ratione, sed numero. Quod dupliciter intelligi potest, secundum quod analogata dupliciter sumi possunt: scilicet uniuersaliter et particulariter.  Si enim sumantur analogata particulariter, illud unum necessario est unum numero uere et positiue. Si autem sumantur uniuersaliter, illud unum necessario est unum numero negatiue, idest non numeratur in illis analogatis ut sic, quamuis in se sit uniuersale quoddam, et non unum numero. Verbi gratia, si sumantur haec urina sana, haec medicina sana, et hoc animal sanum: haec omnia dicuntur sana a sanitate quae est in hoc animali, quam constat unam numero uere esse. Sortes enim dicitur sanus, quia habet hanc sanitatem; medicina, quia illam facit; urina, quia eamdem significat, etc. Si uero sumantur animal sanum in communi, et urina sana in communi et medicina sana in communi: sic, formaliter loquendo, sanitas a qua huiusmodi sana dicuntur, non est una numero in se: eo quod causae uniuersales effectibus uniuersalibus comparandae sunt, ut II Phys., text. 39 dicitur. Et simile est de signis, et instrumentis, et conseruatiuis, et aliis huiusmodi; sed est una numero in istis analogatis negatiue. Non enim numeratur sanitas in animali, urina et diaeta; quoniam non est alia sanitas in urina, et alia in animali, et alia in diaeta.  13. Et sequitur conditio ista ex praecedenti: quoniam commune secundum denominationem extrinsecam non numerat id a quo denominatio sumitur in denominatis, sicut uniuocum multiplicatur in suis uniuocatis; et propter hoc dicitur unum ratione tantum, et non unum numero in suis uniuocatis. Alia est enim animalitas hominis, et alia equi, et alia bouis, animalis nomine adunatae in una ratione.  14. Ex hac autem conditione infertur alia, quod scilicet primum analogatum ponitur in definitione caeterorum, secundum illud nomen analogum; quoniam caetera non suscipiunt illud nomen, nisi per attributionem ad primum, in quo formaliter saluatur eius ratio. Cadit siquidem in ratione medicinae, et diaetae, et urinae etc., in quantum sanae sunt, animalis sanitas: sine qua intelligi caetera sana non possunt. Et simile est de aliis iudicium.  15. Ex hoc autem sequitur ulterius, quod nomen sic analogum, unum certum significatum commune omnibus partialibus eius modis, seu omnibus analogatis, non habet. Et consequenter, quod nec conceptum obiectiuum, nec conceptum formalem abstrahentem a conceptibus analogatorum habet; sed sola uox cum identitate termini diuersimode respecti communis est: ita quod cum in hac analogia sint tria: uox scilicet, terminus et respectus diuersi ad illum; nomen analogum terminum quidem distincte significat, ut sanum sanitatem; respectus autem diuersos ita indeterminate et confuse importat, ut primum distincte uel quasi distincte ostendat, caeteros autem confuse, et per reductionem ad primum. Sanum enim respectus multos ad sanitatem, puta habentis, significantis, causantis, etc., sic in una uoce sanitatem distincte importante confundit, ut respectum primum scilicet habentis seu subiecti, distincte significet (Sanum enim absolute dicimus sanitatem habentem, ut subiectum); caeteros autem respectus indeterminate importat et per attributionem ad primum, sicut patet ex dictis.  16. Et propter hoc tria de huiusmodi analogo dicuntur: scilicet quod commune est omnibus analogatis non secundum uocem tantum; - et quod simpliciter prolatum stat pro primo; - et quod non est prius primo analogato, in quo tota sua ratio formaliter saluatur. Primum quidem peculiarius significat, et super omnia analogata superius significatum non habet.  17. Diuiditur autem a sancto Thoma analogia haec in analogiam duorum ad tertium, ut urinae et medicinae ad animal sanum; et in analogiam unius ad alterum, ut urinae uel medicinae ad animal sanum  18. Nec habet ista diuisio alia membra a supradictis: quoniam haec circuit analogiam secundum omnia genera causarum. Sed ad hoc facta est, ut ostendatur differenter suscipi nomen analogum, quando ponitur primum analogatum ex una parte, et caetera ex altera parte; et quando secundorum analogatorum unum hinc et alterum inde ponitur, secundum quodcumque genus causae analogia fiat. Primo enim et caeteris sic commune est analogum, ut nihil eis prius ponat aut significet: et propterea uocatur analogia unius ad alterum, ponendo omnia alia a primo, loco unius. Secundis autem analogatis sic commune est nomen analogum, ut aliquid omnibus eis prius ponat: primum scilicet ad quod omnia secunda attribuuntur. Et uocatur analogia duorum ad tertium, uel multorum ad unum: quia non inter se est attributio, sed ad primum.  19. Appellantur autem haec analoga a Logico aequiuoca, ut in principio Praedicamentorum patet, ubi animal aequiuocum dicitur ad animal uerum et animal pictum. Animal enim pictum non pure aequiuoce, sed per attributionem ad animal uerum, animal dicitur; et in ratione eius in quantum animal manifeste patet animal uerum accipi. Quaerenti enim: quid est animal pictum in eo quod animal? respondebitur: imago animalis ueri.  20. A philosophis uero Graecis, nomina ex uno, uel ad unum, aut in uno, et media inter aequiuoca et uniuoca dicuntur, ut pluries in Metaphysica patet; et expresse in I Ethic. huiusmodi nomina contra analoga distinguuntur, ut infra amplius dicetur. A Latinis autem uocantur analoga uel aequiuoca a consilio.  21. Hanc analogiam S. Thomas in I Sent., dist. 19, q. 5 a. 2 ad 1 uocat analogiam secundum intentionem, et non secundum esse: eo quod, nomen analogum non sit hic commune secundum esse, idest formaliter; sed secundum intentionem, idest secundum denominationem. Ut enim ex dictis patet, in hac analogia nomen commune non saluatur formaliter nisi in primo; de caeteris autem extrinseca denominatione dicitur. Haec ideo apud Latinos analoga dicuntur: quia proportiones diuersas ad unum dicunt, extenso proportionis nomine ad omnem habitudinem. Abusiua tamen locutio haec est, quamuis longe minor quam prima.  22. Quomodo autem de huiusmodi analogis sit scientia, et contradictiones et demonstrationes, et consequentiae et alia huiusmodi de eis fiant, ex dictis, et consuetudine Aristotelis patet. Oportet enim significationes diuersas prius distinguere (propter quod ambigua apud Arabes haec dicuntur), et deinde a primo ad alia procedere, sicut a centro ad circumferentiam diuersis proceditur uiis.  CAPUT III  DE ANALOGIA PROPORTIONALITATIS: QUID SIT ET QUOTUPLEX SIT, ET QUOD SOLA PROPRIE ANALOGIA VOCETUR  23. Ex abusiue igitur analogis ad proprie analogiam ascendendo, dicimus: analoga secundum proportionalitatem dici, quorum nomen est commune, et ratio secundum illud nomen est proportionaliter eadem. Vel sic: Analoga secundum proportionalitatem dicuntur, quorum nomen commune est, et ratio secundum illud nomen est similis secundum proportionem: ut uidere corporali uisione, et uidere intellectualiter, communi nomine uocantur uidere; quia sicut intelligere, rem animae offert, ita uidere corpori animato.  24. Quamuis autem proportio uocetur certa habitudo unius quantitatis ad aliam, secundum quod dicimus quatuor duplam proportionem habere ad duo; et proportionalitas dicatur similitudo duarum proportionum, secundum quod dicimus ita se habere octo ad quatuor quemadmodum sex ad tria: utrobique enim dupla proportio est, etc.; transtulerunt tamen Philosophi proportionis nomen ad omnem habitudinem conformitatis, commensurationis, capacitatis, etc. Et consequenter proportionalitatem extenderunt ad omnem similitudinem habitudinum. Et sic in proposito uocabulis istis utimur.  25. Fit autem duobus modis analogia haec: scilicet metaphorice et proprie. Metaphorice quidem, quando nomen illud commune absolute unam habet rationem formalem, quae in uno analogatorum saluatur, et per metaphoram de alio dicitur: ut ridere unam secundum se rationem habet, analogum tamen metaphorice est uero risui, et prato uirenti, aut fortunae successui; sic enim significamus haec se habere, quemadmodum homo ridens. Et huiusmodi analogia sacra Scriptura plena est, de Deo metaphorice notitiam tradens.  26. Proprie uero fit, quando nomen illud commune in utroque analogatorum absque metaphoris dicitur: ut principium in corde respectu animalis, et in fundamento respectu domus saluatur. Quod, ut Auerroes in comm. septimo I Ethic. ait, proportionaliter de eis dicitur.  27. Praeponitur autem analogia haec caeteris antedictis dignitate et nomine. Dignitate quidem, quia haec fit secundum genus causae formalis inhaerentis: quoniam praedicat ea, quae singulis inhaerent. Altera uero secundum extrinsecam denominationem fit.  28. Nomine autem, quia analoga nomina apud Graecos (a quibus uocabulum habuimus) haec tantum dicuntur; ut ex Aristotele etiam colligitur, qui in Metaphysica nomina quae dicimus analoga per attributionem, ex uno, uel ad unum, uel in uno uocat: ut patet in principio IV et in VII, text. 15. In V autem Metaphysicae, cap. de uno, text. 12, definiens unum secundum analogiam, ut synonimis utitur unum analogia et unum proportione; et definit ea esse, « quaecumque se habent ut aliud ad aliud »: aperte insinuans illam esse proprie analogatorum definitionem, quam diximus. Quod tamen clarius habetur in Arabica translatione, ubi dicitur: « Illa quae sunt unum secundum aequalitatem, scilicet proportionalem, sunt quorum proportio est una, sicut proportio alicuius rei ad aliam rem ». Ubi Auerroes exponens ait: « Et illa dicuntur unum, quae sunt unum secundum proportionalitatem; sicut dicitur, quod proportio rectoris ad ciuitatem et gubernatoris ad nauem, est una ». In secundo quoque Posteriorum, cap. XIII huiusmodi nomina proportionalia, analoga uocat. Et quod plus est, in I Ethic., cap. 7 distinguit supradicta nomina ad unum aut ex uno, contra analoga; dum, loquens de communitate boni ad ea quae bona dicuntur, ait: « Non assimilantur a casu aequiuocis; sed certe ei, quod est ab uno esse, uel ad unum omnia contendere, uel magis secundum analogiam ». Et subdens exemplum analogiae dicit: « Sicut enim in corpore uisus, in anima intellectus ». In quibus uerbis diligenti lectori, non solum nomen analogiae hoc, quod diximus, sonare docuit; sed praeferendam esse in praedicationibus metaphysicis hanc insinuauit analogiam (in ly magis), ut S. Thomas ibidem propter supradictam rationem optime exponit.  29. Scimus quidem secundum hanc analogiam rerum intrinsecas entitates, bonitates, ueritates etc., quod ex priori analogia non scitur. Unde sine huius analogiae notitia, processus metaphysicales absque arte dicuntur. Acciditque huiusmodi ignorantibus, quod antiquis nescientibus logicam, ut in II Elenchorum dicitur. Nec fuit forte ab Aristotelis tempore tam periculosus casus iste, sicut modo apud nos est; quoniam blasphemare fere uidetur, qui metaphysicales terminos analogos dicens, secundum proportionalitatem communes exponit. Cum tamen Auerroes dicat super praedicto textu: « Et dignius his tribus modis est, ut sit nomen boni dictum de eis secundum uiam, quae dicitur de proportionalibus ».  30. Vocatur quoque a Sancto Thoma in I Sent., dist. 19, ubi supra, analogia secundum esse et secundum intentionem; eo quod analogata ista, nec in ratione communis nominis, nec in esse illius rationis parificantur, et tamen tam in ratione illius nominis, quam in esse eiusdem, proportionaliter, conueniunt. Sed quoniam, ut dictum est, obscura et necessaria ualde res haec est, accurate distincteque dilucidanda est per plura capitula.  CAPUT IV  QUOMODO ANALOGUM AB ANALOGATIS DISTINGUATUR  31. Quoniam autem analogia media est inter aequiuocationem puram et uniuocationem, ex extremis natura medii declaranda est. Et quia in nominibus tria inueniuntur, scilicet uox, conceptus in anima, et res extra, seu conceptus obiectiuus: ideo singula perlustrando, dicendum est, quomodo analogum ab analogatis distinguatur  32. Et a rebus incipiendo, quia priores conceptibus et nominibus sunt, dicimus quod, nomine aequiuoco ita diuersae res significantur, quod ut sic non nisi uoce adunantur. Uniuoco uero diuersae res ita significantur, quod, ut sic, ad rem in se simpliciter unam abstractam et praecisam in esse cognito ab eis, adunantur. Analogo autem nomine res diuersae ita significantur, quod ut sic ad res diuersas secundum proportionem unam uniuntur. Vocatur autem in proposito res, non solum natura aliqua, sed quicumque gradus, quaecumque realitas, et quodcumque reale in rebus inuentum.  33. Unde inter uniuocationem et analogiam haec est differentia: quod res fundantes uniuocationem sunt sic ad inuicem similes, quod fundamentum similitudinis in una est eiusdem rationis omnino cum fundamento similitudinis in alia: ita quod nihil claudit in se unius ratio, quod non claudat alterius ratio. Ac per hoc fundamentum uniuocae similitudinis, in utroque extremorum aeque abstrahit ab ipsis extremis. Res autem fundantes analogiam, sic sunt similes, quod fundamentum similitudinis in una, diuersae est rationis simpliciter a fundamento illius in alia: ita quod unius ratio non claudit id quod claudit ratio alterius. Ac per hoc fundamentum analogae similitudinis, in neutro extremorum oportet esse abstractum ab ipsis extremis; sed remanent fundamenta distincta, similia tamen secundum proportionem; propter quod eadem proportionaliter uel analogice dicuntur.  34. Et ut possint omnibus praedicta patere, declarantur exemplariter in uniuocatione huius nominis animal, et analogia huius nominis ens. Homo, bos, leo et caetera animalia, quia habent in se singulas naturas sensitiuas, seu proprias animalitates, quas constat diuersas secundum rem esse, et mutuo similes: sic quod in quocumque extremo, puta homine aut leone, consideretur secundum se animalitas, quae est similitudinis fundamentum, inuenitur aequaliter abstrahens ab eo in quo est, et nihil includens in uno quod non in alio. Ideo et in rerum natura fundant secundum suas animalitates similitudinem uniuocam, quae identitas generica uocatur; et in esse cognito adunantur non ad duas uel tres animalitates, sed unam tantum, quae animalis nomine in concreto per se primo significatur, et uniuoce uocatur communi nomine animal. Omnium siquidem eorum, secundum quod naturas sensitiuas habent, indistincta omnino est ratio ab omnibus abstracta, quae illius rei, quam animalitatem uocauimus, adaequata est definitio. Substantia autem quantitas, qualitas etc., quia non habent in suis quidditatibus aliquid praedicto modo abstrahibile, puta entitatem, (quoniam supra substantialitatem nihil amplius restat), ideo nullam substantialem uniuocationem inter se compatiuntur.  35. Et quia cum hoc, quod non solum eorum quidditates sunt diuersae, sed etiam primo diuersae; retinent similitudinem in hoc, quod unumquodque eorum secundum suam proportionem habet esse; ideo et in rerum natura non secundum aliquam eiusdem rationis in extremis sed secundum proprias quidditates, ut commensuratas his propriis esse fundant analogam idest proportionalem similitudinem. Et in intellectu adunantur ad tot res, quot sunt fundamenta, proportionis similitudine unitas, significatas (propter illam similitudinem) entis nomine, et analogice communi nomine uocantur ens. Differenter ergo res adunantur sub nomine Analogo et Uniuoco.  36. Conceptus quoque mentalis non eodem modo inuenitur in uniuocis et analogis: quoniam nomen uniuocum et omnia uniuocata ut sic, unum tantum conceptum in mente habent perfecte et adaequate eis correspondentem; quia fundamentum uniuocae similitudinis (quod significatum formale est nominis uniuoci), unius omnino rationis est in omnibus uniuocatis; ac per hoc in uno repraesentato, omnia repraesentari necesse est. In analogis uero, quoniam fundamenta analogae similitudinis diuersarum rationum sunt simpliciter, et eiusdem secundum quid, idest secundum proportionem: oportet duplicem analogi mentalem conceptum distinguere, perfectum et imperfectum; et dicere quod analogo et suis analogatis respondet unus conceptus mentalis imperfectus, et tot perfecti, quot sunt analogata. Quia enim unum analogatorum ut sic, simile est alteri: consequens est, quod conceptus repraesentans unum, repraesentet alterum, iuxta illam maximam: Quidquid assimilatur simili ut sic, assimilatur etiam illi, cui illud tale est simile.  37. Quia uero talis similitudo secundum proportionem tantum est, quae diuersam rationem in altero fundamento habet: conceptus perfecte repraesentans unum analogatorum, a perfecta repraesentatione alterius deficit; et per consequens oportet alterius analogati alterum adaequatum conceptum esse. Unde et analogum unum habere mentalem conceptum, et plures habere conceptus mentales: uerum est diuersimode; quamuis simpliciter loquendo, magis debeat dici, analogi esse plures conceptus; nisi loquendi occasio aliud exigat. Dico autem hoc: quoniam cum secundum dicentes, analoga omnino carere uno conceptu mentali, sermo est; unum eorum conceptum absolute dicere non est reprehendendum. Propter quod oportet solerti discretione lectorem uti quando inuenitur scriptum, quod analogata conueniunt in una ratione, et quando inuenitur dictum alibi, quod analogata non conueniunt in una ratione.  38. Est ergo differentia inter analogiam et uniuocationem quoad conceptum mentalem, ita quod uniuoci et uniuocatorum ut sic, unus est conceptus perfecte et adaequate eis respondens, ut de conceptu animalis patet. Analogi uero et analogatorum ut sic, plures necessario sunt conceptus perfecte ea repraesentantes, et unus est conceptus imperfecte repraesentans. Non tamen ita quod sit unus conceptus adaequate respondens nomini analogo, et inadaequate analogatis: quoniam secundum ueritatem nomen illud uniuocum esset; sed ita quod conceptus unus repraesentans perfecte alterurn analogatum ut sic, imperfecte repraesentat reliquum. Quoad uocem autem, non est inter analoga et uniuoca differentia.  39. His autem praelibatis, intentum facile patere potest: quomodo scilicet disfinguitur analogum, puta ens, ab analogatis, puta substantia, quantitate et qualitate. Uniuocum enim, puta animal, distinguitur ab uniuocatis, puta homine et leone, quoad rem significatam seu conceptum obiectiuum, et quoad conceptum mentalem, sicut unum simpliciter abstractum etc., a multis simpliciter etc. Analogum uero, quoad rem, seu conceptum obiectiuum, distinguitur sicut unum proportione a multis simpliciter; uel (et idem est) sicut multa ut similia secundum proportiones a multis absolute. Verbi gratia, ens distinguitur a substantia et quantitate, non quia significat rem quamdam eis communem; sed quia substantia quidditatem tantum substantiae importat, et similiter quantitas quidditatem quantitatis absolute significat; ens autem significat ambas quidditates, ut similes secundum proportiones ad sua esse; et hoc est dicere ut easdem proportionaliter.  40. Quoad conceptum autem mentalem adaequatum, hoc quoque eodem omnino modo distinguitur. Secundum uero conceptum mentalem imperfectum, quamuis distinguatur sicut unum simpliciter a multis simpliciter; non tamen sicut unum abstrahens in repraesentando ab illis multis, quemadmodum in uniuocis contingit. Quoniam, ut ex dictis patet, conceptus ille, puta qualitatis, in quantum ens, alterius analogati, idest ipsius qualitatis, secundum quod se habet ad suum esse, est adaequate repraesentatiuus, et a qualitatis quidditate non abstrahens; caeterorum uero, puta quantitatis et substantiae, imperfecte tantum est repraesentatiuus, in quantum eis similis est proportionaliter.  CAPUT V  QUALIS SIT ABSTRACTIO ANALOGI AB ANALOGATIS  41. Oportet autem ex praemissis ostendere, qualiter analogum abstrahat ab his, quibus commune secundum analogiam dicitur, puta qualiter ens abstrahat a substantia et quantitate. Insurgit siquidem difficultas quaedam in re hac, et ex parte rerum, et ex parte conceptus. Ex parte siquidem rerum, quia uidetur analogi nominis res significata, eodem abstrahibilis et abstracta modo, quo res uniuoco nomine significata. Quoniam cum, ut in V Metaph. dicitur, unum in qualitate faciat simile, nulla apparet ratio, cur a quibusdam similibus sit una res abstrahibilis, et a quibusdam non; licet euidens ratio sit, cur ab his similibus, puta Sorte et Platone, abstrahibilis sit res magis una, et ab illis, puta homine et lapide, minus una. Unde si substantia et quantitas assimilantur in hoc, quod utraque est ens, et consequenter in eis est aliquid unum, quod est fundamentum illius similitudinis: quid uetat ab eis abstrahi rem unam utrique communem?  42. Ex parte uero conceptus, quia uidetur eodem modo conceptus analogi abstrahere ab analogatis, sicut uniuocum ab uniuocatis: eo quod analogum nomen importat in confuso singulas proportiones analogatorum, et distincte non significat nisi proportionem in communi. Verbi gratia, ens non significat habens se ad esse sic uel sic, puta ut substantia, aut ut quantitas; sed si proportionale nomen est, significare uidetur, habens se ad esse secundum aliquam proportionem, quaecumque illa sit. Hoc autem constat esse aeque abstractum a substantia et a quantitate; et consequenter per modum uniuoci in analogis abstractio conceptus apparet.  43. Ut autem euidens fiat huius ambiguitatis determinatio, sciendum est, quod licet abstrahere diuersa significet, cum dicimus intellectum abstrahere animal ab homine et equo, et cum dicimus animal abstrahere ab homine et equo: eo quod tunc significat ipsam intellectus operationem attingentem in eis unum et non alia; nunc uero significat extrinsecam denominationem ab illa intellectus operatione, qua res cognita abstracta denominatur: in unum tamen et idem semper tendit, quoniam semper sonat intelligi unum, non intellecto altero.  44. Ideoque nihil aliud est agere de abstractione analogi ab analogatis quam inquirere et determinare, quomodo res significata analogo nomine intelligi possit, non cointellectis analogatis; et quomodo conceptus illius habeatur, absque conceptibus istorum.  45. Cum igitur ex supradictis, et ex ipso analogiae uocabulo pateat, quod analogo nomine non simpliciter una res, sed res proportione una significatur, talis autem idem est quod res diuersae, ut similes proportionaliter: facile deduci potest, quod res analoga potest quidem intelligi, non cointellectis analogatis, et consequenter abstrahere ab eis.  46. Sed non sicut in uniuocis res una, (puta natura sensitiua, seu animal intelligitur, non cointellectis omnino natura humana et equina ut sic), sed sicut duae res ut proportionaliter similes intelliguntur, non cointellectis ipsismet duabus rebus secundum suas proprias naturas absolute. Ita quod analogi abstractio non consistit in cognitione unius et non cognitione alterius; sed in unius et eiusdem intellectione ut sic, et non intellectione absolute. Verbi gratia, entis abstractio non consistit in hoc, quod entitas apprehenditur, et substantia aut quantitas non; sed in hoc: quod substantia aut quantitas apprehenditur ut sic se habens ad proprium esse; (in hoc enim similitudo proportionalis attenditur) et non apprehenditur substantia, aut quantitas absolute. Et simile est de aliis rebus analogis, quales sunt fere omnes metaphysicales.  47. Unde concedi potest, rem analogam abstrahere, et non abstrahere ab analogatis diuersimode. Abstrahit quidem, pro quanto abstrahit ab eis, quemadmodum res ut sic, idest ut res similis alteri proportionaliter abstrahit a se absolute sumpta. Non abstrahit uero, pro quanto res ut sic accepta seipsam necessario includit, et absque seipsa intelligi non potest. Quod de uniuocis dici non potest: quia res uniuoca, absque aliis quibus est uniuoce communis, intelligitur sic, quod res in suo intellectu nullo modo actualiter includit ea quibus est comm unis, ut patet de animali  48. Obiectioni autem in oppositum adductae, ex analogae similitudinis natura facile satisfit, dicendo, quod cum unum multipliciter dicatur, non oportet omnem similitudinem attendi secundum unum simpliciter; sed quandoque sufficit, quod unum secundum proportionem faciat simile. Unum autem proportionaliter non est simpliciter unum; sed multa similia secundum proportiones, a quibus ideo non potest abstrahi res una simpliciter: quia similitudo ipsa proportionalis tantum est, et fundamentum non est unum nisi proportionaliter  49. De ratione siquidem unius proportionaliter est habere quatuor terminos (ut in V Ethicorum dicitur). Quoniam proportionalitas qua similitudo proportionum fit, inter quatuor ad minus, (quae duarum proportionum extrema sunt), necessario est; et consequenter unum proportione non unificatur simpliciter, sed distinctionem retinens, unum pro tanto est et dicitur, pro quanto proportionibus dissimilibus diuisum non est. Unde sicut non est alia ratio quare unum proportionaliter non est unum absolute, nisi quia ista est eius ratio formalis; ita non est quaerenda alia ratio, cur a similibus proportionaliter non potest abstrahi res una; hoc enim ideo est, quia similitudo proportionalis talem in sua ratione diuersitatem includit. Et accidit ulterius procedentibus, ut quaerant id, quod sub quaestione non cadit: ut quare homo est animal rationale, etc.  50. De abstractione quoque conceptus, eodem modo est dicendum: abstrahit enim conceptus analogi nominis non sicut unum simpliciter, sed sicut unum proportione, seu simile secundum proportiones a multis absolute.  51. Sed quia in obiciendo tangitur de abstractione conceptus analogi a specialibus conceptibus illius analogiae, et abusiue analogata ibidem uocantur partiales analogi rationes; ideo diligenter cauendum est, ne apparentia in obiectione tacta in illum errorem ducat, qui ibi tangitur. Sciendum siquidem est, quod licet in analogis secundum attributionem in hoc omnia analogata conueniant, quod eamdem formam omnino respiciunt, ita quod non solum conueniunt in uno termino, sed in hoc, quod est respicere illum: erroneum tamen est, analogo per attributionem conceptum unum respectus in communi ad illum terminum, per abstractionem a tali et tali respectu, attribuere. Verbi gratia: animal in quantum sanum, urina in quantum sana, et medicina in quantum sana, licet conueniant et in sanitate tamquam termino: cuius animal est subiectum, urina signum, et medicina causa; et conueniant in hoc, quod est respicere sanitatem (quodlibet enim eorum sanitatem respicit, licet diuersimode); ab his tamen specialibus respectibus non abstrahitur respectus in communi ad sanitatem, importatus nomine sani, in cuius conceptu omnes speciales respectus ad sanitatem, confuse et in potentia clauduntur.  52. Falsum enim est, quod sanum significet hoc quod dico, respiciens uel aliqualiter se habens ad sanitatem. Tum quia sic sani nomen uniuocum uere esset ad urinam et animal etc., ut patet ex uniuocorum definitione. Tum quia hoc est contra intentionem dicentium, urinam aut diaetam sanam. Percunctantibus siquidem, quid est urina in quantum sana, non respondetur: respiciens sanitatem; sed omnes respectum illum specificant respondentes: signum sanitatis; et similiter de diaeta respondetur, quod est conseruatiua sanitatis, etc. Tum quia contra omnes Philosophos et Logicos (hucusque a me uisos) hoc est.  53. Sicut autem in praedictis analogis praedictus cauendus est error, ita in analogis secundum proportionem (quae sola simpliciter analoga sunt) similis cauendus est error, ex simili causa apparentiae firmitatem trahens. Quia enim analogata conueniunt in hoc, quod unumquodque eorum commensuratum seu proportionatum est (licet diuersimode), credi potest quod ab his specialibus proportionibus abstrahatur proportionatum in communi, et nomine analogo significetur. Ac per hoc analogum habeat conceptum unum, in quo confuse et in potentia claudantur omnes speciales proportiones analogatorum; uerbi gratia, ut quia substantia proportionata est suo esse, et similiter quantitas et qualitas (licet diuersimode) ideo a substantia et quantitate et qualitate etc., diuersimode proportionatis suis esse, abstrahatur res seu quidditas proportionem habens ad esse, qualiscumque sit illa proportio, et hoc sit entis primarium significatum, in quo omnes speciales proportiones substantiae quantitatis et qualitatis etc., ad sua esse confuse claudantur et in potentia.  54. Sed hoc falsissimum est. Tum quia hoc quod dicitur, scilicet res proportionata ad hoc quod sit, non est res una simpliciter etiam in esse obiectiuo, nisi chimerice. Tum quia proportionalia nomina uniuoca essent (ut patet ex uniuocorum definitione), et consequenter periret proportionalitatis ratio, quae extrema unum simpliciter esse non compatitur; et sic essent proportionalia et non proportionalia: quod intellectus capere nullo modo potest. Tum quia contra Aristotelis auctoritatem, in II Poster. inferius adducendam, et adductam ex I Ethic., et S. Doctorem et Auerroem et Albertum expresse est. Unde confusio, qua analogum tam secundum attributionem quam secundum proportionem, importat speciales habitudines aut proportiones: non est confusio plurium conceptuum in uno communi conceptu; sed est confusio significationum in una uoce, licet difformiter. Quoniam in analogia attributionis uox analoga primum distincte significat, caetera autem confuse. In analogia uero proportionis, nomen analogum ad omnes suas significationes indistincte se habere permittitur.  55. Cautum tamen et attentum oportet hic esse; quia cum analogi rationes dupliciter sumi possint: scilicet secundum se, et ut eaedem et ipsae ut eaedem propter identitatis proportionalis naturam non abstrahant a seipsis, et tamen aliquid conuenit eis ratione identitatis, seu in quantum eaedem sunt, quod non conuenit eis ratione diuersitatis, ut patet de communibus eis: uidetur quod duo incompossibilia secundum apparentiam, analogi rationibus conueniant; scilicet quod ipsae ut eaedem non abstrahant a seipsis, et quod ipsae ut eaedem aliquid causent et habeant, quod non ut diuersae; reduplicarique possint ut eaedem, non reduplicatis ut diuersae sunt. Haec enim non solum compossibiliter, sed necessario sibi simul uindicat identitas proportionalis; quoniam et extrema uniri omnino non patiens, ab eis abstrahi omnino non permittit; et extrema aliqualiter indiuisa et eadem ponens, ut eadem ea considerabilia et reduplicabilia exigit.  56. Sicque fit, ut in analogo secundum identitatem in se clausam, ad diuersitatem rationum in se quoque clausam comparato, abstractio quaedam, quae non tam abstractio quam quidam abstractionis modus est inueniatur; propter quam non solum ab analogatis (puta substantia et quantitate), analogum (puta ens), abstrahere dicitur, ut supra diximus; sed ab ipsis eius rationibus, seu a diuersitate ipsarum rationum eius: puta rationis entis in substantia, et rationis entis in quantitate. Non quia quamdam rationem eis communem dicat: quia hoc est fatuum; nec quia illae rationes sint omnino eaedem, aut eas omnino uniat: quia sic non esset analogum, sed uniuocum; sed quia eas proportionaliter adunans, et ut easdem proportionaliter significans, ut easdem considerandas offert: annexa inseparabiliter, diuersitate quasi seclusa; et identitate proportionali unit, et confundit quodammodo diuersitatem rationum.  57. Sicque non sola significationum in uoce confusio, analogo conuenit, sed confusio quaedam conceptuum, seu rationum fit in identitate eorum proportionali, sic tamen ut non tam conceptus, quam eorum diuersitas confundatur. Et quoniam analogum talem identitatem praecipue importat, et tali confusione frequenter utimur; analoga nomina ab omni rationum eius diuersitate abstrahere dicentes, dum confuse pro omnibus supponere ipsum pluries exponimus, ideo non mediocri opus est uigilantia, ne in uniuocationem labi contingat.  58. Abstrahit ergo analogum a suis analogatis, puta ens a substantia et quantitate, sicut unum proportione a multis; seu sicut similia proportionaliter a seipsis absolute, tam quoad conceptum obiectiuum, quam mentalem, siue sit sermo de abstractione totali siue de formali. Hae enim abstractiones non differunt in eodem, nisi secundum praecisionem et non praecisionem, ut alibi declarauimus. Unde nihil aliud est dicere ens abstractum a naturis praedicamentorum abstractione formali, quam dicere naturas praedicamentales proportionales ad sua esse ut sic praecise; a specialibus autem seu singulis analogiae rationibus extremis, non tertio conceptu simplici, sed uoce communi et identitate proportionali earumdem, quodammodo abstrahit.  CAPUT VI  QUALIS SIT PRAEDICATIO ANALOGI DE SUIS ANALOGATIS  59. Videbitur autem forte alicui ex his, quod praedicatio analogi de suis analogatis, puta entis de substantia et quantitate, aut formae de anima et albedine etc., sit sicut praedicatio aequiuoci de suis aequiuocatis; ita quod non sit praedicatio superioris de suis inferioribus, nec communioris de minus communi, nisi sola uoce; sed eiusdem de seipso. Non est enim analogo una res significata, quae in utroque analogatorum saluetur; absque hoc autem praedicatio communioris aut superioris non inuenitur secundum intrinsecam denominationem, seu inexsistentiam. Sic enim analogum secundum proportionalitatem commune esse dictum est.  60. Fouere quoque potest non parum opinionem hanc processus iuxta I Topicorum. Aut scilicet analogum est praedicatum conuertibile, aut inconuertibile, seclusa uocis communitate. Et cum constet non esse inconuertibile, - quoniam substantia ut sic se habens ad suum esse, quod ens de substantia dictum praedicat, conuertitur cum substantia: et similiter quantitas sic commensurata suo esse, cum quantitate conuertitur, et sic de aliis, - consequens est, quod analogum tamquam superius, de analogatis praedicari non possit. Superioris enim intentionem suscipere non potest, quod conuertibile esse comprobatur.  61. Et quoniam secundum ueritatem analogum ut superius praedicatur de analogatis, et non sola uoce commune est eis, sed conceptu unico proportionaliter: cuius unitas ad hoc, quod praedicatum aliquod superioris rationem habeat, sufficit: quia superius nihil aliud sonat, quam unum praedicatum ad plura se extendens; unum autem non per accidens, neque aggregatione, sicut aceruum lapidum; sed per se, constat esse etiam unum proportione: ideo ad huius ueritatis claritatem ex extremis procedendo, sciendum est, quod quia analogum medium est inter uniuocum et pure aequiuocum: consequens est, quod analogum aliquo modo idem, et non idem aliquo modo de suis praedicet analogatis. Et quia praedicat aliquid abstrahens aliquo modo a suis analogatis, ut ex praemisso patet capite; consequens est, quod comparetur ad sua analogata ut maius ad minora, seu ut superius ad inferiora; licet non omnino unum secundum rationem sit, quod imponit.  62. Quod ut clarius pateat, figuraliter declaratur sic: Tam in uniuocis, quam in aequiuocis, quam in analogis quatuor inueniuntur, scilicet duae res ad minus, aequiuocatae, uniuocatae, aut analogatae; et duae res, seu rerum rationes, aequiuocationem, uniuocationem aut analogiam fundantes. Verbi gratia: In aequiuocatione canis inueniuntur haec quatuor: scilicet canis marinus, et canis terrestris, et ratio illius, et ratio istius secundum canis nomen. In uniuocatione quoque animalis inueniuntur quatuor: scilicet homo, et bos, et natura sensitiua hominis et natura sensitiua bouis, quae animalis uniuocationem fundant. In analogia similiter entis quatuor sunt: scilicet substantia et quantitas, et substantia in quantum commensurata suo esse, et quantitas secundum quod suo esse proportionatur.  63. Et licet prima duo, scilicet aequiuocata et analogata, eodem modo quantum ad propositum spectat in omnibus his distinguantur, quia ubilibet ex opposito condistincta sunt; altera tamen duo uniuocationem, aequiuocationem et analogiam fundantia, diuersimode unita aut distincta sunt. In aequiuocis namque rationes illae, puta canis marini et terrestris, sunt omnino diuersae secundum rationem; et propter hoc id quod praedicat canis de marino cane, nullo modo praedicat de terrestri, et e conuerso; et ideo sola uoce communius aut maius aequiuocatis dicitur et est.  64. In uniuocis uero res illae, puta animalitatis in boue et animalitatis in leone, licet et numero et specie diuersae sint, ratione tamen omnino eaedem sunt; ratio enim unius est omnino eadem quod ratio alterius, et, e conuerso; et propter hoc id quidem quod praedicat animal de homine, idem praedicat omnino de boue, et uniuocum dicitur et superius homine, leone boueque.  65. In analogis autem res analogiam fundantes (puta quantitas ut sic se habens ad esse, et substantia ut sic se habens ad esse), licet diuersae sint et numero et specie et genere; ratione tamen eaedem sunt non omnino, sed proportionaliter; quoniam unius ratio proportionaliter eadem est alteri.  66. Et propterea, id quod praedicat analogum, puta ens de quantitate, illud idem proportionaliter praedicat de substantia, et e conuerso; est enim illudmet proportionaliter id quod in substantia ponit, et e conuerso. Et propter hoc analogum, puta ens, non sola uoce communius, maius aut superius analogatis est; sed conceptu, ut dictum est, proportionaliter uno. Ita quod analogum et uniuocum conueniunt in hoc, quod utrumque communioris et superioris rationem habet. Differunt autem in hoc, quod illud est superius analogice seu proportionaliter, hoc uero uniuoce.  67. Et merito, quia fundamentum superioritatis utrobique saluatur, uniuocationis autem non. Fundatur enim superioritas super identitate rationis rei significatae, idest super hoc quod res significata inuenitur non in hoc tantum, sed illamet non numero sed ratione inuenitur in alio. Uniuocatio autem supra modo identitatis omnimodae scilicet identitate rationis rei significatae, idest super hoc quod ratio rei significatae in illo et in isto est eadem omnino.  68. Quamuis enim in analogis hic identitatis modus non inueniatur, quem in uniuocis inueniri pluries dictum est, identitas tamen ipsa rationum inuenitur. Est namque identitas proportionalis, identitas quaedam. Et ideo non minus analogum (puta ens) est praedicatum superius, quam uniuocum (puta animal), sed alio modo: analogum enim est superius proportionaliter, quia fundatur supra identitate proportionali rationis rei significatae; uniuocum autem praecise et simpliciter, quia supra omnimoda identitate rationis rei significatae eius superioritas fundatur. Propter quod S. Thomas, superioritatis fundamentum aspiciens, in V Metaph. dicit, quod ens est superius ad omnia, sicut animal ad hominem et bouem.  69. Unde obiectiones ad oppositum adductae in hoc peccant, quod inter identitatem et modum identitatis non distinguunt. Fatendum enim est, quod ad hoc, quod aliquis terminus denominetur superior aut communior, oportet ut rem unam et eamdem in utroque ponat; sed sophisma consequentis committitur inferendo ex hoc: ergo oportet quod dicat rem unam et eamdem omnino. Et est semper sermo de identitate secundum rationem, seu definitionem. Identitas enim et unitas continent sub se non solum unitatem et identitatem omnimodam, sed proportionalem, quae in analogi nominis ratione saluatur. Negandum est igitur quod in analogis non praedicetur idem de uno et de alio analogato: quoniam unum et idem proportionaliter de omnibus analogatis dicitur; et propterea inter praedicata non conuertibilia numerandum est. Quantitas enim licet adaequet ens de quantitate uerificatum secundum rationem omnino eamdem, non tamen secundum rationem illam proportionaliter: quoniam entis ratio non alia proportionaliter ad substantiam et quantitatem se extendit. Verum quia analogum sonat identitatem proportionalem, ideo huiusmodi rationibus formaliter respondendo, nullo pacto concedendum est conuerti analogum cum analogato aliquo.  70. Ad materiam tamen descendendo, potest intrepide dici, quod quia analogum rationem unam tantum proportionaliter praedicat, et unum proportionaliter plura esse proportionibus similia manifestum est; dupliciter potest secundum singulas rationes ad analogata comparari. Uno modo absolute: et sic secundum singulas rationes cum singulis analogatis conuertitur; quia nulla omnino una analogi ratio in duobus analogatis inuenitur. Alio modo secundum identitatem proportionalem, quam habet una cum altera: et sic cum nullo analogato conuertitur, quoniam omnes analogi rationes indiuisae sunt proportionaliter, et una est altera proportionaliter. Et quia, ut dictum est, analogum hanc sonat identitatem, ideo formaliter et simpliciter loquendo, analogum inconuertibile et communius praedicatum, concedendum est esse. Non tamen genus, aut species, aut proprium, aut definitio, aut differentia, aut accidens uniuersaliter est. Nec propterea Aristoteles diminutus fuit aut Porphyrius, quoniam praedicabile, quod unum est simpliciter, edocebant; ac per hoc inter aequiuoca, analoga numerarunt.  71. Ex praedictis autem manifeste patet, quod analogum non conceptum disiunctum, nec unum praecisum inaequaliter participatum, nec unum ordine; sed conceptum unum proportione dicit et praedicat. De ordine tamen in analogis incluso inferius tractabitur. Unde cum dicitur de homine, aut albedine, aut quocumque alio, quod est ens: non est sensus, quod sit substantia, uel accidens; sed sic se habens ad esse.  72. Utor autem ly sic, quoniam de propriis nominibus proportionum ad esse in actu exercito eas importantibus, disputare nolo ad praesens; quoniam Metaphysici negotii opus hoc est, et exemplariter hic de ente loquimur. Simile siquidem est de actu, potentia, forma, materia, principio, causa, et aliis huiusmodi, indicium.  CAPUT VII        QUALIS SIT ANALOGATORUM SECUNDUM ANALOGI NOMEN DEFINITIO 73. Apparere quoque alicui poterit, quod in ratione unius analogati, (puta qualitatis) secundum analogi (puta entis) nomen, alterius analogati, puta substantiae, uel quantitatis ratio secundum idem nomen analogi cadere debeat, sicut in analogia attributionis contingere dictum est. Fundamentum autem inde apparentia haec sumit: quia ratio unius analogati ut eadem proportionaliter est alteri, absque illa altera exprimi nequit complete. Dictum est autem, quod analogo nomine rationes hae importantur, ut eadem proportionaliter sunt.  74. Et confirmat hoc expositio ipsa analogiae ab Aristotele, Auerroe et S. Thoma in I Ethic. posita. Exponunt enim quod bonum, seu perfectio, analogice dicitur de uisu et intellectu, quia sicut uisus in corpore, ita intellectus in anima perfectio est. Constat autem, quod non est intelligibile hoc se habere sicut illud, nisi utrumque extremorum percipiatur. Necessario igitur uidetur, unum analogatorum secundum analogi nomen per aliud definiendum esse.  75. Ut autem liqueat huius ambiguitatis solutio, recolendum est analoga haec dupliciter inueniri, scilicet proprie et metaphorice. Diuersimode enim haec se habent ad propositam quaestionem. In analogia siquidem secundum metaphoram, oportet unum in alterius ratione poni, non indifferenter; sed proprie sumptum, in ratione sui metaphorice sumpti claudi necesse est; quoniam impossibile est intelligere quid sit aliquid secundum metaphoricum nomen, nisi cognito illo, ad cuius metaphoram dicitur. Neque enim fieri potest, ut intelligam quid sit pratum in eo quod ridens, nisi sciam quid significet risus nomen proprie sumptum, ad cuius similitudinem dicitur pratum ridere.  76. Est autem huius ratio radicalis, quia analogum metaphorice sumptum, nihil aliud praedicat, quam hoc se habere ad similitudinem illius, quod absque altero extremo intelligi nequit. Et propter hoc huiusmodi analoga prius dicuntur de his, in quibus proprie saluantur, et posterius de his, in quibus metaphorice inueniuntur et habent in hoc affinitatem cum analogis secundum attributionem, ut patet.  77. In analogia uero, in qua nominis saluatur proprietas, nullum analogi membrum per alterum definiri oportet, nisi forte gratia materiae, ut S. Thomas in qq. de Verit., q. 2, a. 11 docuit. Sunt enim analogatorum rationes secundum analogi nomen quodammodo mediae inter analoga secundum attributionem, et uniuoca. In analogis enim secundum attributionem, primum definit reliqua. In uniuocis uero neutrum alterum definit, sed unius definitio est completa alterius definitio, et e conuerso. In analogis autem neutrum alterum definit; sed unius definitio est proportionaliter alterius definitio. Et loquimur semper de ratione secundum nomen commune. Verbi gratia, in definitione cordis, secundum quod principium animalis, non ponitur fundamentum secundum quod principium domus, nec e conuerso; sed eadem proportionaliter est principii ratio utrobique, ut Commentator ubi supra dicit.  78. Duabus autem opus est distinctionibus uti in hac re: ea scilicet, quae in logica, traditur de actu signato et exercito; et ea quae a metaphysico ut plurimum tractatur, de ordine rerum sub uno nomine ex parte rei, et ex parte impositionis nominis.  79. Ex prima siquidem distinctione scimus duo. Primo, quod sicut animal dictum de homine et de equo importans uniuocationem in actu exercito, non praedicat de homine totum hoc, scilicet naturam sensitiuam eamdem omnino secundum rationem naturae sensitiuae equi et bouis, sed naturam sensitiuam simpliciter; quam tamen ad hoc, quod uniuoca sit praedicatio, oportet omnino esse eamdem secundum rationem naturae sensitiuae equi et bouis, - ita ens importans proportionalitatem in actu exercito, non praedicat de quantitate totum hoc, scilicet habens se ad esse sic proportionaliter sicut substantia, aut qualitas ad suum esse; sed habens se ad esse sic absque alia additione; quod tamen oportet, ad hoc quod analoga sit praedicatio, idem proportionaliter esse cum altero, sic se habere ad esse quod de substantia aut qualitate ens praedicat.  80. Secundo, quod sicut ex declaratione, qua manifestatur animal esse uniuocum, quia dicit unam et eamdem omnino rationem in omnibus, non fallimur, nec confundimur, nec uagamur circa hominis et bouis secundum animalis nomen rationem; sed quiescimus, intuentes quod animal exercet, quod uniuocorum definitio et expositio significat: - ita ex hoc, quod declaratur ens aut bonum, aut quodcumque aliud esse analogum, quia dicit rationes plures easdem proportionaliter, et importat hoc se habere quemadmodum proportionaliter illud se habet ad esse uel appetitum etc., non debemus turbari et inquirere in analogi nominis (puta boni) ratione significationem istam; sed sat sit, distinguendo inter actum signatum et exercitum, inspicere quod analogi nominis ratio id exercet, quod analogi ratio et declaratio significat.  81. Ex his autem duobus patere iam potest intentum, quod scilicet non oportet unum analogiae membrum per alterum definire, ex eo quod analogum significat ea esse eadem proportionaliter, quoniam haec in actu exercito significat.  82. Ex secunda uero distinctione scimus, non solum - quod praeposterus est ordo rerum et significationum quandoque sub nomine analogo, ita quod prior secundum rem ratio, posterior interdum significatione est (ut de ente et bono et aliis huiusmodi communibus Deo et creaturis accidit: ratio enim quam in Deo quodlibet horum ponit, significatione quidem posterior, re autem prior est); et quod propter alterum horum dicitur analogum praedicari de suis analogatis secundum prius et posterius ipsam analogi rationem. - Sed etiam scimus, quod quando ratio, quam ponit analogum in uno, ex ratione quam in altero ponit, exponitur: non ideo fit, quia unum in alterius ratione cadat; sed quia unius ratio posterior altera est significatione; et per priorem, utpote notiorem declaratur: ut S. Thomas in I p., q. XIII, art. 2 fecit: declarans quod, dicendo: Deus est bonus: sensus est, id quod bonitatem in creaturis dicimus, praeexsistit in Deo proportionaliter etc. Et eadem intelligendum est ratione fieri, si posterior secundum rem per priorem declaretur. Non definit ergo analogum secundum unam rationem, seipsum secundum alteram, licet exponat et declaret.  83. Obiectionibus autem in oppositum, quamuis ex dictis satisfactum sit, formaliter responderi potest, quod cognosci aliqua ut eadem proportionaliter, seu hoc se habere sicut illud, dupliciter contingit. Uno modo formaliter, idest quoad relationem identitatis et similitudinis, et sic absque extremis cognitio haec haberi non potest. Alio modo fundamentaliter, et sic in ratione unius non cadit reliquum; sed ratio unius est ratio alterius omnino, uel proportionaliter. Constat autem quod analogum nomen, puta ens aut bonum, non relationem identitatis aut similitudinis significat, sed fundamentum; et ideo obiectiones quae iuxta primum sensum procedunt, nihil concludunt contra intentum. Patet autem facillime, haec esse uera exempla de uniuocis, ponendo et applicando ad identitatem uniuocationis. Significat namque nomen uniuocum plura, in quantum eadem sunt uniuoce, seu secundum rationem omnino. Et identitatis relatio in nullo extremorum absque altero intelligibilis est.  CAPUT VIII  QUALIS SIT IN ANALOGO COMPARATIO  84. Difficultas etiam non parua, quae multos inuasit ac superauit, de comparatione in analogo, dilucidanda est. Creditum enim est a quibusdam, quod non posset, analogia posita, sermo ille nisi extorte exponi, quo unum analogatum magis aut perfectius tale secundum analogi nomen diceretur. Verbi gratia: substantia est magis, aut perfectius ens quam quantitas. Moti sunt autem ex eo, quod comparatio in uno communi, utrinque facienda est, etiam secundum grammaticos; quod in analogo non inueniri uidetur.  85. Et potest formari ratio pro eis talis: Aut comparantur analogata in una communi eis ratione, aut in suis rationibus. Non in ratione communi: quia illa analogum caret; nec in rationibus propriis: quia tunc falsum est, substantiam magis esse ens quam quantitatem. Non enim minus aut imperfectius quantitas est sua ratio, quam ens in ea ponit, quam substantia sua etc. Nullo igitur modo uidetur comparationem cum analogia saluari posse.  86. Succumbitur autem difficultati huic, quia proprium comparationis fundamentum non consideratur. Fundatur enim super identitate seu unitate rei, in qua fit comparatio, et non super modo identitatis aut unitatis; sicut de intentione superioritatis praedictum est. Unde cum analogum ex dictis constet rem unam, licet proportionaliter, dicere; nihil prohibet in ipso comparari analogata, licet non eo modo, quo uniuoca fit comparatio.  87. Ad comparationem siquidem cum requirantur et sufficiant haec tria: scilicet distinctio extremorum, et identitas eius, in quo fit comparatio, et modus essendi illius in extremis, scilicet eaque, uel magis aut minus perfecte; sub identitate autem seu unitate, proportionalis unitas seu identitas contineatur, consequens est, quod si in diuersis idem proportionaliter eaque uel magis aut minus perfecte esse habet, comparatio secundum illud proportionale fieri possit, comparatione non uniuoca, sed analoga.  88. Sicut enim, quia natura sensitiua est in boue, et illamet omnino secundum rationem est in homine, et perfectius esse habet in homine quam in boue: homo perfectius animal boue dicitur, uniuoca comparatione; sic quia sic se habere ad esse est in substantia, et hoc idem proportionaliter est in quantitate, et imperfectius esse habet in quantitate quam in substantia: dicitur substantia magis seu perfectius ens, quam quantitas, analoga comparatione. Unde S. Thomas in art. 7, quaest. VII de Potentia Dei, tripliciter comparationem fieri docens, duos modos analogicae comparationis ponit: aperte ex hoc insinuans, comparationem non solum super identitate numerali, specifica aut generica fundari, sed etiam proportionali.  89. Modi autem comparationis ibidem traditi sunt, hi scilicet secundum solam quantitatem rei participatae: et sic unum album dicitur altero albius. Vel extendendo, propter praesens propositum, hunc modum ad omnem comparationem uniuocam, dicatur quod primus attenditur secundum quantitatem rei participatae, eiusdem omnino secundum rationem, siue illa ratio sit specifica, siue generica: ut calidum magis calidum altero dicitur, et homo perfectius animal leone est.  90. Secundus uero modus attenditur secundum quod res aliqua in uno inuenitur participatiue, in altero uero est per essentiam: quemadmodum homo Platonicus longe perfectior homo esset nobis. Et abstractione intellectus utendo, quemadmodum bonitas longe melior est quocumque bono, quod participatiue bonum dicitur.  91. Tertius autem modus attenditur secundum quod res aliqua in uno inuenitur formaliter et secundum se, in altero autem uirtualiter et eleuatum ad rem superioris ordinis. Quemadmodum dicitur quod sol est magis calidus quam ignis; uel quod calor perfectius esse habet in sole, quam in igne.  92. Nec est dubium hos duos modos uniuocam comparationem impedire, ut S. Thomas ibidem dicit, et Aristoteles in I Ethic. de primo modo testatur: ubi bonum commune non uniuoce, sed secundum proportionalitatem dicendum docet, bonitati separatae et bonis caeteris per participationem. Patet igitur ex his, eadem proportionaliter ut sic esse comparabilia; quamuis, physice loquendo, in sola specie aut genere comparatio fiat.  93. Ad obiectionem autem in oppositum, dicitur quod utroque modo in analogis comparatio fit. Comparantur siquidem analogata, puta substantia et quantitas, in ratione una et communi proportionaliter, quam analogi nomen, puta ens, dicit, et addit supra analogata, ut ex dictis patet. Et comparantur secundum suas rationes, secundum tamen analogi nomen, quae earum sit perfectior, secundum quod dicimus substantiam esse perfectius ens quantitate; quia ratio entis in substantia perfectior est ratione entis in quantitate. Ita quod iuxta istam comparationem est sensus: Substantia habet, secundum entis nomen, perfectiorem rationem quam quantitas; et non quod substantia est magis aut perfectius substantia quam quantitas sit quantitas, ut quidam somniare uidentur.  94. Unde comparatio ista extenditur usque ad analoga secundum attributionem, licet in tali analogia non nisi abusiue comparatio fieri possit. Dicimus enim quod ens reale est magis et perfectius ens ente rationis, quod per attributionem ad illud ens dicitur in IV Metaph. text. com. II; quia ens reale habet, secundum entis nomen, perfectiorem rationem. Iuxta quem modum, si usus admitteret, diceremus: animal est magis sanum urina; quia perfectiorem secundum sani nomen rationem habet.  CAPUT IX  QUALIS SIT ANALOGI DIVISIO ET RESOLUTIO  95. Qualiter autem analogum diuidendum sit, ex dicendis manifestum est. Potest siquidem trifariam analogi diuisio intelligi. Primo, ut diuidatur uox in suas significationes. Dictum est enim, quod analogum plures rationes significat immediate, et haec diuisio conuenit sibi, in quantum aequiuocum quoddam est.  96. Secundo, ut diuidatur significatum eius in quasi membra eius: eo modo quo eius, quod proportionaliter unum est, sic et sic proportionatum, membra dici possunt. Dictum est enim, quod analogum non ita diuersas rationes significat, quin significet unam rationem proportionaliter. Omnes namque rationes analogo nomine immediate significatae eaedem proportionaliter sunt. Ratio autem una proportionaliter, cum constituatur ex pluribus rationibus proportionalibus, in eas secari potest. Haec autem non est diuisio analogi in sua analogata: quoniam rationes hae in ipsius analogi ratione intrinsece clauduntur, et analogata ea sunt, in quibus rationes illae saluantur, et non ipsae rationes. Entis enim analogata sunt substantia et quantitas, et non rationes entis in substantia et quantitate. Rationes enim ut dictum est, analogae sunt.  97. Unde tertio modo potest diuidi analogum, diuidendo significatum eius in sua analogata per diuersos modos, quibus analogi rationem proportionalem analogata ipsa diuersimode suscipiunt: ita quod diuisum est significatum unum proportionaliter, diuidentia sunt modi fundantes et facientes in analogatis proprias proportiones, secundum quas fit analogia; constituta autem per diuisionem, ut partes subiectiuae, sunt analogata ipsa. Verbi gratia: quando ens diuiditur in substantiam et quantitatem, diuisum est ratio entis nomine significata, quae omnes in se entis nomine significatas rationes claudit, utpote una proportionaliter; diuidentia sunt substantiuum et mensuratiuum, seu per se et in alio, sicut ex quibus substantia et quantitas habent quod diuersas entis rationes subintrent; partes autem subiectiuae sunt substantia et quantitas, quae in entis ratione analogantur.  98. Et quia haec est propria analogi diuisio, idcirco distincte explicandum est, quomodo differat diuisio haec ad uniuoca. Tripliciter siquidem differunt. Primo ex parte diuisi: quia diuisione uniuoca unum omnino secundum rationem secatur; hic autem unum proportionaliter.  99. Secundo ex parte diuidentium: quia differentiae secantes genus, extra genus sunt; modi autem secantes analogum, in ipsius analogi ratione clauduntur, quemadmodum ipsa analogata (ut in capitulo de abstractione declaratum est); propter quod in III Metaph. text. comm. X ens genus esse negatur.  100. Tertio ex parte ipsarum partium subiectiuarum, quae per diuisionem fiunt: quia partes diuisionis uniuocae, licet ordinem habeant secundum se, et originis: ut dualitas est prior trinitate; et perfectionis: ut albedo est perfectior nigredine; tamen secundum diuisi rationem, puta numeri, aut coloris, neutra altera prior, aut posterior est; sed omnes aequaliter in diuisi ratione communicant. Analogata uero, quae analoga diuisione constituuntur, non solum secundum se, sed etiam in ipsius analogi quod diuiditur ratione ordinem habent; et aliud prius aliud posterius est; adeo ut in uno eorum, tota ratio diuisi saluari dicatur; in alio autem imperfecte et secundum quid. Quod non est sic intelligendum quasi analogum habeat unam rationem, quae tota saluetur in uno, et pars eius saluetur in alio. Sed cum totum idem sit quod perfectum, et analogo nomine multae importentur rationes, quarum una simpliciter et perfecte constituit tale secundum illud nomen, et aliae imperfecte et secundum quid: ideo dicitur, quod analogum sic diuiditur, quod non tota ratio eius in omnibus analogatis saluatur, nec aequaliter participant analogi rationem, sed secundum prius et posterius.  101. Cum grano tamen salis accipiendum est, analogum simpliciter saluari in uno et secundum quid in alio. Sufficit enim hoc uerificari: uel absolute, ut patet in diuisione entis in substantiam et accidens; (illa enim absolute loquendo dicitur ens simpliciter, hoc autem secundum quid); uel in respectu, ut patet in diuisione entis in Deum et creaturam. Utrumque enim licet ens simpliciter sit et dicatur, absolute loquendo; creatura tamen in respectu ad Deum, ens secundum quid, et quasi non ens est et dicitur.  102. Circa resolutionem autem analogatorum, sciendum est: quod cum uniuersaliter, primum in compositione sit ultimum in resolutione, et per diuisionem in ea, quae actu in aliquo sunt resolutio fiat: eodem modo resoluenda sunt analogata in suum analogum, quo caetera resoluuntur, scilicet utendo diuisione praedicta (quae uocatur diuisio in partes essentiae uel rationis), et a posterioribus secundum consequentiam ad priora procedendo, si longa esset resolutio facienda.  103. Ad rationem autem analogi cum deuentum fuerit, singulis analogatis in suas rationes secundum analogi nomen resolutis: cum illa analogi ratio ex multis constituatur rationibus, ordinem inter se et proportionalem similitudinem habentibus: uel ordinate ad primam resolutio fiat, ueniendo semper ad similius et propinquius primae, et id, in quo dissimilitudo est, relinquendo. Vel si non sic ordinatas inter se contingit esse rationes illas, ad primam omnes modo praedicto reducendae sunt. Ordinem enim ad primam nulla subterfugere potest. Nec refert in proposito, an fiat resolutio ad rationem primam, significatione, uel secundum rem. Intelligenda enim sunt haec in suo ordine, scilicet, significationum aut rerum.  CAPUT X  QUALITER DE ANALOGO SIT SCIENTIA  104. Visum est autem quibusdam de analogo scientiam esse non posse, nisi quemadmodum de aequiuocis scientia habetur: eo quod plures rationes dicit licet similes. Imo fallaciam aequiuocationis committi in syllogismis, in quibus, analogo pro medio sumpto, certum analogatum subsumitur, (nisi forte gratia materiae bonus esset processus) astruunt ex eadem ratione. Nec posse ex unius analogati ratione, secundum analogi nomen, concludi alterum analogatum tale formaliter esse; sed semper praedictum incidere uitium, ratione praedicta, confirmant.  105. Verbi gratia: si ponamus sapientiam esse analogice communem Deo et homini, ex hoc quod sapientia, in homine inuenta, secundum formalem rationem praecise sumpta, dicit perfectionem simpliciter: non potest concludi: ergo Deus est formaliter sapiens, sic arguendo: Omnis perfectio simpliciter est in Deo; sapientia est perfectio simpliciter; ergo etc. Minor enim distinguenda est: et si ly sapientia pro ratione sapientiae, quae est in homine stat, argumentum est ex quatuor terminis: quia in conclusione, sapientia stat pro ratione sapientiae quam ponit in Deo, cum concluditur: ergo sapientia est in Deo. Si autem pro ratione sapientiae in Deo, stat in minore; non concluditur, ex perfectione sapientiae creatae, Deum esse sapientem; cuius oppositum et philosophi et theologi omnes clamant.  106. Decipiuntur autem isti, Scotum (cuius est ratio haec I Sent., dist. 3, q. I) sequentes: quia in analogo diuersitatem rationum inspicientes, id quod in eo unitatis et identitatis latet, non considerant. Rationes enim analogi (ut superius etiam diximus) possunt dupliciter accipi: Uno modo secundum se, in quantum ab inuicem distinguuntur, et ea quae conueniunt eis ut sic, seu ex hoc. Alio modo in quantum eadem sunt proportional iter. Primo modo acceptae, uitium aequiuocationis inducerent, si quis eis uteretur, ut patet. Secundo autem modo eis utendo, peccatum nullum incurritur: eo quod quidquid conuenit uni, conuenit et alteri proportionaliter; et quidquid negatur de una, et de altera negatur proportionaliter: quia quidquid conuenit simili, in eo quod simile, conuenit etiam illi, cui est simile, proportionalitate semper seruata.  107. Unde si ex immaterialitate animae, concluditur eam esse intellectualem; ex immaterialitate proportionaliter posita in Deo optime concluderetur, Deum esse intellectualem proportionaliter: ut quantum immaterialitas illa excedit istam, tantum intellectualitas illa excedit istam etc. Propter quod S. Thomas in quaestione II De Potentia Dei, art. 5, analogata omnia sub una analogi distributione cadere dixit. Et merito, quia unitas analogiae non esset in coordinatione unitatum numeranda, nisi unum proportionaliter, unum esset affirmabile et negabile, et consequenter distribuibile et scibile, ut subiectum, et medium, et passio.  108. Unde ad obiecta in oppositum dicitur, quod quia, ut in II Elenchorum cap. X dicitur, aequiuocatio latens in huiusmodi proportionalibus peritissimos etiam latet: ideo oportet, huiusmodi analogis nominibus utendo ex parte unitatis, semper modum proportionalitatis subintelligi; aliter in uniuocationem lapsus fieret. Nisi enim prae oculis haberetur proportionalitas, cum dicitur immateriale omne esse intellectuale, tamquam uniuoce dictum acciperetur, et latens aequiuocatio non uisa obreperet.  109. Proportionalitate autem seruata, de analogis scientiam esse: et diui Thomae processus de bono et uero et aliis huiusmodi, et quotidianum conuincit exercitium. Testatur quoque demonstratiuae artis pater Aristoteles, in II Poster., cap. XIII incipiente: Ut habeamus autem proposita (uel problemata) analogum causam adaequatam esse alicuius passionis, et in medium oportere quandoque a demonstratore assumi, dum uenationem propter quid docens, inquit: « Amplius alius modus est secundum analogiam eligere. Unum enim idem non est accipere quod oportet uocare sepion, et spinam, et os. Sunt autem quae sequuntur et hoc, tamquam natura una huiusmodi exsistente ». Et sequenti cap. ait: « Secundum autem analogiam eiusdem, et medium se habet secundum analogiam ». In quibus uerbis non solum docuit, analogum ut medium assumi quandoque in demonstrationibus; sed etiam ipsum non esse unum in se expressit, et cum hoc habere passionem adaequatam, ac si unius esset naturae.  110. Nec impedit analogia haec processum formalem ad concludendum de Deo et creaturis praedicatum aliquod eis commune: quoniam accepta sapientiae ratione, et segregatis ab ea per intellectum eis, quae sunt imperfectionis, ex hoc quod id, quod est sibi proprium formaliter sumptum, perfectionem absque imperfectione claudit, concluditur ergo sapientiae ratio non omnino alia, nec omnino haec, sed haec proportionaliter est in Deo: quia similitudo inter Deum et creaturam non est uniuoca, sed analoga.  111. Nec pari ratione potest concludi, Deum esse lapidem proportionaliter: quia ratio lapidis formaliter sumpta, quantumcumque expoliata, imperfectionem aliquam claudit, quae prohibet tam ipsam secundum se, quam ipsam proportionaliter in Deo reperiri, nisi metaphorice: quemadmodum dictum est: Petra autem erat Christus. Unde, cum fit huiusmodi processus: Omnis perfectio simpliciter est in Deo; sapientia est perfectio simpliciter; ergo etc.; in minore ly sapientia non stat pro hac uel illa ratione sapientiae, sed pro sapientia una proportionaliter, idest, pro utraque ratione sapientiae non coniunctim uel disiunctim; sed in quantum sunt indiuisae proportionaliter, et una est altera proportionaliter, et ambae unam proportionaliter constituunt rationem  112. Significantur enim analogo nomine in quantum eaedem sunt; unde non oportet analogum distinguere, ad hoc quod contradictionem fundet, et enuntiationis subiectum, aut praedicatum fiat; sed ratione identitatis preportionalis in se clausae, et quam principaliter dicit, ex se ad hoc sufficit. Contradictio enim dicitur consistere in affirmatione et negatione eiusdem de eodem etc., et non in affirmatione et negatione uniuoci de eodem uniuoco. Identitas siquidem tam rerum quam rationum, ut pluries replicatum est, ad identitatem proportionalem se extendit.  113. Ex hoc autem apparet, Scotum in I Sent., dist. 3, q. I, uel male exposuisse conceptum uniuocum uel sibi ipsi contradicere: dum, uolens uniuocationem entis fingere, alt: « Conceptum uniuocum uoco, qui ita est unus, quod eius unitas sufficit ad contradictionem, affirmando et negando ipsum de eodem ». Et sic uniuocum uult esse ens. Si enim identitas sufficiens ad contradictionem, uniuocatio dicitur; constat quod, ponendo ens esse analogum, et secundum proportionalitatem tantum unum, satisfiet uniuocationi: quod scoticae doctrinae aduersatur, tenenti ens habere conceptum unum simpliciter, et omnino indiuisum, (ut de uniuocis diximus). Si autem non omnis talis identitas sufficit ad uniuocationem, non recte igitur uniuocatio conceptus declarata est esse eam, quae ad contradictionem sufficit, quasi proportionalis identitas ad hoc non sufficiat.  CAPUT XI  DE CAUTELIS NECESSARIIS CIRCA ANALOGORUM NOMINUM INTELLECTUM ET USUM  114. Quia uero Aristoteles in praedicta ex Elenchis auctoritate, doctissimos uiros circa horum nominum conceptus errare dicit, ob latentem eorum unitatis modum: idcirco necessarium fore duximus, in fine huius tractatus cautelas quasdam tradere, quibus possit se quis ab errore multiplici in re hac praeseruare.  115. Cauendum est igitur in primis, ne ex uniuocatione ipsius nominis analogi respectu quorumdam, credamus simpliciter ipsum esse uniuocum: omnia enim fere analoga proprie, prius fuerunt uniuoca, et deinde extensione, analoga communia proportionaliter illis quibus sunt uniuoca et aliis uel alii, facta sunt. Sapientiae enim nomen primo impositum est humanae sapientiae, et uniuocum omnium hominum sapientiis erat. Deinde, ad diuinae naturae cognitionem ascendentes, proportionalemque similitudinem inter nos ut sapientes et Deum contemplantes, sapientiae nomen extenderunt ad id in Deo significandum, cui nostra sapientia proportionalis est; sicque uniuocum nobis, analogum factum est nobis et Deo. Et similiter de aliis accidit.  116. Falli autem contingit faciliter ex hoc, quia illa ratio prior, utpote notior et familiarior et prior quoad nos, semper profertur ab illustribus uiris, et ab eorum sequacibus, cum analogi significatio quaeritur; et dicitur esse tota analogi ratio, pro qua simpliciter prolatum stat, et omnia analogata illam participare: ut patet cum sapientiae ratio redditur. Assignatur enim differentialis eius conceptus pro ratione, secundum quam communis ponitur Deo et creaturis. Et similiter est in aliis. Creditur enim ex hoc, quod illa sit ipsa analogi ratio, et incaute uniuocatio acceptatur: non enim illa ratio est ratio analogi, sed eius origo quoad nos; quoniam non illa, sed illa proportionaliter in altero analogato inuenitur, ut ex dictis patet.  117. Cauendum secundo est, ne nominis unitas, aut diuersitas rationum, analogam unitatem obnubilet; hoc enim tamquam quoddam accidens, in re hac suscipiendum est. Nihil enim minus analogice idem sunt sepion, os, et spina, unum non habentia nomen, quam si unum nomen haberent. Nec magis idem essent, si unum nomen haberent, et tamen si communi nomine ossa uocarentur, ita quod defectu uocabulorum, uel rerum proportionali similitudine ossis nomen ad caetera extensum esset, crederemus eiusdem esse naturae et rationis, ossa, sepion, et spinas. Praesertim quia, ut dictum fuit, ad ea quae sunt proportionaliter eadem, consequuntur passiones tamquam si eorum esset natura una.  118. Cauendum tertio est, ne uocalis unitas rationis analogi nominis mentem inuoluat. Ex eo namque uerbi gratia, quod principium dicitur esse id ex quo res fit, aut est, aut cognoscitur; et haec ratio in omnibus quae principia dicuntur, saluatur: principii nomen uniuocum creditur. Erratur autem, quia ratio ipsa non est una simpliciter, sed proportione et uoce. Vocabula enim, ex quibus integratur, analoga sunt, ut patet; neque enim fieri, neque esse, neque cognosci, neque ly ex unius omnino est rationis, sed proportionalis saluatur. Et propterea ratio illa in omnibus utpote proportionalis saluatur: sicut et principii nomen proportionaliter commune dicitur.  119. Cauendum demum est, ne diuersa doctorum dicta de analogis nos perturbent. Considerandum quippe est quod, quia analogum medium inter uniuocum et aequiuocum est, et medium extremorum naturam sapiens: ad alterum comparatum, alterum induit; adeo ut quando medio, secundum id quod de uno extremo habet, utimur, illius extremi conditiones ei attribuamus, ut in V Physic., text. comm. 6 et 52 patet. Ideo plerumque doctores utentes analogo ex parte unitatis, quam ex uniuocis participat, uniuocorum non solum conditiones, puta abstractionem, indistinctionem, etc. sed etiam nomen ei attribuunt. Utentes uero analogo ex parte diuersitatis, quam ex aequiuocis trahit, conditiones quoque supradictis oppositas, et nomen illi imponunt aequiuoci.  120. Et ut de multis pauca dicantur, Aristoteles in II Metaph., text. comm. 4, ens et uerum uniuoca uocat; quia ex parte identitatis illis utitur, ut processus suus aperte ostendit. S. Thomas quoque pluries dicit, in ratione alicuius analogi, puta paternitatis communis diuinae et humanae paternitati, omnia contenta esse indiuisa et indistincta; et quod paternitas, uerbi gratia, abstrahit a paternitate humana et diuina: quia utitur analogo ex parte identitatis.  121. Nec tamen falsae sunt aut abusiuae praedictae utriusque locutiones et similes; sed amplae potius et largae, quemadmodum pallidum nigro contrarium est et dicitur. Saluatur siquidem in analogis identitas nominis et rationis, in qua (ut ex dictis patet) non solum analogata, sed etiam singulae analogi rationes uniuntur, et quodammodo confunduntur, utpote abstrahentes aliqualiter ab earum diuersitate.  122. Rursus pater Aristoteles in I Physic., ex parte diuersitatis ente utens contra Parmenidem et Melissum, multiplex seu aequiuocum, (ut ipsemet illum textum sic exponendum specialiter in II Elenchorum tradit) uocauit. Unde et Porphyrius, Aristotelem dicere ens esse aequiuocum accepisse uidetur, utens ente ex parte diuersitatis. Quod tamen Scotus, in I Sent., dist. 3, q. 3, in Logica Aristotelis non inueniri ideo dixit: quia praedictos textus non coniugauit. Propter quod, ibidem quoque contra textum, glossauit principium Aristotelis contra Parmenidem in I Physic., text. comm. 13, ut in Elenchis (ut dictum est) clare patet. Thomas etiam, ens prius non esse primo analogato, nihilque Deo prius secundum intellectum esse, dicit pluries: utens analogo ex parte diuersitatis rationum eius. Quaelibet siquidem eius ratio secundum se, quia proprium analogatum in se claudit, et in sui abstractione illud secum trahens, cum illo conuertitur, ut supra diximus: ideo prior secundum consequentiam, aut abstractior suo analogato negatur. Ac per hoc, primo analogato et Deo nihil est prius: quia eius ratio secundum analogi nomen, quae ipso prior secundum se non est, sed conuertitur, caeteris prior est rationibus. Cum his tamen stat, quod ratio illa in Deo ut eadem est proportionaliter alteri rationi, secundum idem nomen superior, et secundum consequentiam prior logice loquendo sit, ut ex dictis patet. Dico autem logice: quia physice loquendo, analogum nec est prius secundum consequentiam omnibus analogatis (quia ab eorum propriis abstrahere non potest, quamuis ut saluatur in uno sit prius altero), nec potest esse sine primo analogato, ubi analogata consequenter se habent.  125. Unde si quis falli non uult, solerter sermonis causam coniectet, et extremorum conditiones medio applicaturum se recolat; sic enim facile erit omnia sane exponere, et ueritatem assequi, quae a prima est Veritate. Cuius cognitio ex hoc exaltetur et firmetur Opusculo.  Completo in conuentu S. Apollinaris, Papiae suburbio, die primo Septembris MCCCCXCVIII.  EXPLICIT TRACTATUS DE NOMINUM ANALOGIA. Gaetano. Cajetanus. Caietanus Vio. Cajetano Vio. Caetano Vio. Gaetano Vio. Al secolo: Giacomo De Vio. Jacopo De Vio. Tommaso De Vio. Cardinal Caetano. Cardinal Gaetano. Tommaso De Vio da Gaeta, detto il Gaetano. Vio. Keywords: analogia, commentary on Porphyry on Aristotle’s categories, the example of ‘healthy’[sanus, corpore, medicina, excrementum], analogy in philosophical eschatology, analogy of proportion, aequivocality, Grice, “focal unity”, “Aristotle on the multiplicity of ‘being’” – ‘healthy’ – an animal is healthy – various types of analogy. Unfortunately, the Germans focus more on his, the saint’s, fight with Luther!” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e de Vio” – Luigi Speranza, “Grice e Vio: Le categorie” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

Grice e Virgilio – Roma – la ragione conversazionale e la leggenda d’Enea – filosofia italiana – Luigi Speranza (Andes). Influssi lucreziani, e, quindi, della filosofia dell’orto. Nato presso Mantova, muore a Brindisi. Studia la filosofia dell’orto sotto SIRONE. In “Catal.” prende congedo dalle muse per volgersi verso la scuola di SIRONE affinchè la filosofia gl’insegni a liberare la sua vita dalle passioni. Esprime il proponimento di dedicare alla filosofia il resto dell’esistenza. Nel “Ciris,” esaltando di nuovo l'insegnamento dei filosofi dell’ORTO, manifesta l'intenzione di filosofare sui fenomeni celesti. L’influsso dell’orto è esplicito nelle “Georgiche.” L' “Eneide", invece, nella escatologia, dipende dalle correnti orfica e pitagorica – di CROTONE --, mediata, si erede, da Posidonio, dal quale si fa derivare le rappresentazioni dell’età dell'oro e dello sviluppo della civiltà umana e alcune teorie d’impronta del PORTICO. Agl'interessi di psicologia filosofica si collegano quelli naturalistici. In una ecloga, Sileno espone una cosmogonia. Nelle "Georgiche" prega le muse d’interpretargli una serie di fenomeni naturali. Nell’ “Eneide” Iopas tratta di problemi naturalistici. Fa parte dell' “Appendix Vergiliana” il poemetto "Aetna" sullo cause e gl’effetti di queso volcano -- del quale sono incerte la paternità e la data. Fra i filosofi ai quali è stato attribuito il "Aetna", trovano adesioni soprattutto V. e LUCILIO, l’amico di SENECA. Per le teorie scientifiche particolari, l’autore dell'"Aetna" si serve principalmente di Posidonio e ciò spiega l’affinità dell'"Aetna" con le "Questioni Naturali" di Seneca che provengono dalla stessa fonte. Per la filosofia, V. mescola ecletticamente elementi svariati e non fusi, perchè espone dottrine del portico, dell’orto-lucreziane e inoltre eraclitei, democritei, ecc. Grice: “It is interesting to study Virgil as the author of what at Oxford we call “Beowulf,” an heroic narrative of origin. But in the history of philosophy, -- and the history of Roman philosophy under the principate, specifically, it was the exegesis of “Eneide” that we only have with Beowulf when it comes to Tolkien and the monsters!  On the other hand, the Roman aristocrats find in “Eneide” a fabulous source for their even more fabulous philosophisings! My favourite is Macrobio’s “Saturnalia” – it fits a gentleman’s pocket – but there are others. The idea is to produce a didaskalia, i. e. a way to deal with conceptual notions or philosophical concepts as we study one line or other from “Eneide” as we did at Clifton! However false, the philosophy behind Virgilio comprises not only a physical theory (natural philosophy) – the theory of the three ages – but a full moral theory – and one of philosophical psychology. The Eurialo/Niso episode is an interesting one as a re-creation of the old Achilles-Patroclus topos that has fascinated even Plato and the author of “Maurice,” i. e. E. M. Forster. Usually, you won’t find Virgil listed in any manual on Roman philosophy, but you should. It is fascinating also to trace the influence, via Alighieri in “Commedia” down to Mussolini, where there were few exhibitions of the Mostra della Revoluzione Fascista that would fail to quote from Enea. Note that the iconography – and I don’t mix the effeminate one by Flaxman, but the fascist one – helped!”. Publio Virgilio Marone – He spent some time in fellowship with a Garden community in Naples headed by Siro. He appears to have been a particular favourite of Siro, inheriting the villa upon his death. The extent to which the Garden influenced his poetry has long been debated. Approdato a Cuma, Enca consulta la Sibilla nell'antro presso il tempio di Apollo e la prega di guidarlo negli Inferi. La Sibilla accetta, ma l'eroe deve prima procurarsi il ramo d'oro da offrire in dono a Proserpina e dare sepoltura a un compagno morto durante la sua assenza dalle nasi. Dunque, Enea porta alla Sibilla il ramo d'oro, trovato nel bosco grazie all'aiuto di Venere, e celebra i funerali di Miseno. Giunta la notte, e compiuto il sacrificio propiziatorio alle divinità infernali, inizia il viaggio verso gli Inferi, e l'eroe varca, con la Sibilla, la soglia dell'Averno. Essi attraversano il vestibolo, pieno di mostri e simulacri di mali e malattie, e arrivano alla riva del fiume Acheronte, dove appare Caronte, il traghettatore infernale.tra i quali spicca la figura di Marcello. Infine, Enea e la Sibilla varcano la porta d'avorio e ritornano alla luce.libro 6 dell'Encide: la Sibilla cumana e la discesa agli inferiEneide: analisi Libro 6Cuma e la Sibilla nel Libro 6 dell'Eneide Lapio po de i praga da pala, le da di ad ge di and in al pre fite di Oli, nd e alce e esca cabr sua discendenza. In questa parte si distinguono le fasi di un vero e proprio percorso iniziatico: rispettare gli ordini di un sacerdote, la Sibilla dare prova della pietas celebrando i riti trovare il ramo d'oro da donare a Proserpina, per poter entrare negli Inferi. Enea viene assistito dalla madre nel recupero del ramo, mentre la Sibilla lo aiuta nel viaggio verso gli Inferi. La catabasi è preceduta da due rituali: le esequie di Miseno, e il rito propiziatorio agli dei inferi. Questi riti sottolineano la sacralità dell'impresa. La differenza fra la catabasi di Odisseo e quella di Enca sta nel fatto che quella di Odisseo non è altro che l'ennesima avventura ai confini della realtà, mentre l'eroe virgiliano intraprende un viaggio religioso per assecondare i voleri del Fato.Gli Inferi nel Libro 6 dell'Eneide Celebrati i rituali, Enea e la Sibilla entrano nel regno dei morti. Predominano le descrizioni dell'Aldilà, ma l'attenzione si sposta sull'eroe nel momento in cui entrano in scena personaggi a lui collegati. Per esempio, gli incontri con Palinuro e Didone permettono al poeta di dare spazio ad Enca e alla sua umanità. Il passo delinea la concezione virgilianadell'Oltretomba: un luogo in cui le ombre si aggirano rimpiangendo la vita perduta, e in cui i giudici infernali, Minosse e Radamanto, assegnano la dimora definitiva nel Tartaro alle anime malvagie, nei Campi Elisi ai beati.Dal Tartaro ai Campi Elisi nel Libro 6 dell'Encide un bivio: a sinistra la Sibilla mostra ad Enca il Tartaro, dove sono puniti gli empi, e poi lo conduce a destra, verso la città di Dite. Dopo essersi purificato, Enea afligge sulla porta delle case di Plutone il ramo d'oro, come dono a Proserpina. Poi prosegue con la Sibilla verso i Campi Elisi. giovane Marcello, il giovane adottato da Augusto ma morto precocemente, rappresenta un omaggio alla casa di Augusto, ma nello stesso tempo sfuma in immagini di morte la visione trionfalistica del destino di Roma. pitagorismo, l'orfismo, lo stoicismo. Nella parte finale del libro, in ogni caso, domina l'esaltazione delle glorie romane, del periodo augusteo e della missione civilizzatrice e ordinatrice di Roma. L'orgoglio di appartenere a un popolo vincitore non impedisce a Virgilio di condannare la guerra e di celebrare i valori della pace della concordia. Completata l'analisi e il riassunto del libro 6 dell'Eneide, ti potrebbero interessare altri approfondimenti dei poemi epici di Virgilio e Omero: Publio Virgilio Marone. Virgilio. Keywords: catabasi. Luigi Speranza, per il Play Group di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Virgilio.

Grice e Virno: la ragione conversazionale di una popolazione di due -- filosofia ed azione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “Virno, like me, is a semiotician.” D’orientamento operaista, insegna filosofia a Roma. Tra i principali esponenti dell'organizzazione della sinistra extra-parlamentare, Potere Operaio, il suo nome ricorse nelle cronache dei cosiddetti anni di piombo in Italia. Arrestato e detenuto in prigione. Nel corso della detenzione elabora la sua filosofia che trova espressione in Luogo comune. Democrazia è il fucile in spalla agl’operai -- slogan attribuito a Potere Operaio. “Mi sono formato politicamente a Genova, dove la mia famiglia vive e io faccio liceo. Genova e esposta all’influenza di Torino, dove vi sono le prime occupazioni. Quindi, si mobilitarono gli studenti del liceo – molto vivaci e in contatto con le organizzazioni tradizionai dei partiti, UGI e via dicendo. Come studente del liceo fondo dunque il sindacato degli studenti, che fa i primi scioperi sulla lotta all’autoritarismo, solidarietà con Grecia dopo il golpe dei colonnelli e quant’altro. Per un trasferimento di famiglia, vengo ad abitare a Roma, e di lì a non molto prendo contatti e rapporti con il gruppo che divenne Potere Operaio, che allora sostanzialmente a Roma e il gruppo delle facoltà. Entra in Potere operaio dopo gl’episodi cruciali della primavera a Torino. Lavora a Milano come insegnante all'Alfa Romeo di Arese e all'Innocenti, organizzando anche azioni collettive nelle fabbriche sino alla dissoluzione di Potere operaio. Si laurea con la tesi, Lavoro e coscienza –su Adorno, non Francesco. Partecipa attivamente alle manifestazioni ad opera dei lavoratori precari e di altri emarginati. Fonda Metropoli, organo ideologico del movimento politico. Nell'ambito dell'inchiesta giudiziaria nota come 7 aprile, la redazione di Metropoli viene accusata di appartenere in blocco all'organizzazione eversiva costituita in più bande armate variamente denominate.  “Siamo arrestati io, CASTELLANO, MAESANO, e PACE -- che però sfugge all’arresto, di nuovo, giuro, non per sagacia. Noi siamo arrestati,  poi ci fanno confluire, ritroviamo gl’altri nel cortile di Rebibbia, nel braccio speciale, stiamo un po’di mesi lì, poi c’è la diaspora, cioè il ministero ordina di mandare ognuno di questi detenuti in un carcere speciale diverso, perché ovviamente, tramite avvocati, visite, benché ci fosse il regime di braccio speciale, quello e diventato una specie di luogo in cui si elaborano documenti, lettere a giornali, si fa campagna politica, c’e state delle lotte interne. Quindi, c’è la diaspora, io vado a Novara. Oreste va a Cuneo; quell’altro va a Favignana. Quell’altro ancora da un’altra parte. Comincia questo giro negli speciali, e ci ritroviamo non tutti ma in parte nel carcere di Palmi, carcere per soli politici o per detenuti comuni completamente politicizzati, una specie di “Kesh”. Là dentro c’e una situazione curiosa, anche molto spettacolare, perché si incontrano assolutamente tutti. Infatti, per un primo periodo con i compagni delle BR o con Alunni o quelli dei NAP, si pensa anche di approfittare di questa situazione per avviare una discussione larga, di carattere costituente. Però, il problema è che anche lì c’è il fatto che i più spregiudicati di loro, come CURCIO, sono d’accordo, hanno capito di aver perso l’essenziale, cioè il cambio di paradigma, cioè il fatto che gl’operai sono non più riconducibili, altri invece no. Riassumendo in breve, la mia detenzione e un anno, poi due anni liberi in cui curai la serie continua di Metropoli, due anni ancora di carcere, condanna a 12 anni in primo grado, un anno di arresti domiciliario e l’assoluzione, insieme a tanti altri imputati, du la conferma. La travagliata esperienza politica e esistenziale di questi anni e trasfusa nella pubblicazione di “Luogo Comune,” una rivista dedicata all'analisi della vita nella situazione sociale del "postfordismo".  Lascia il lavoro di editore della rivista per insegnare filosofia a Urbino e filosofia del linguaggio, semiotica ed etica della comunicazione a Calabria da dove si trasferisce a Roma. Convinto della necessità di un nuovo linguaggio della politica che chiarisca le trasformazioni economiche, sociali e culturali che caratterizzano le società occidentali, introduce nella “Grammatica della moltitudine” una riflessione sul contrasto tra i termini di “popolo” – il “popolo” di Cicerone, S. P. Q. R -- e moltitudine che generano una accesa polemica filosofica. Quando avvenne la formazione dello stato nazionale e l’espressione “popolo” a prevalere. V. si domanda se non sia venuto il tempo di restaurare l'altro concetto della “moltitudine”. La multitude è quell'insieme di persone che nell'azione politica e in quella economica, pur agendo collettivamente, non perdono il senso della propria individualità, resistendo sempre alla riduzione a unica massa informe com'è nel termine di "popolo". La “moltitudine” è dunque la base della libertà civile – l’uno e i molti dei veliani.  Una “moltitudine” e una dualita o una pluralità che non si sintetizza nell'uno, il più grave pericolo per l'autorità di uno stato che esercita il supremo imperio.  Dopo i secoli del “popolo” e quindi dello stato -- stato-nazione, stato centralizzato, ecc. - torna infine a manifestarsi la polarità contrapposta. . La moltitudine come ultimo grido della teoria sociale, politica e filosofica? Grice: “Peacocke popularized ‘population’ in the Oxford seminar organized by Evans and McDowell. Thus, I cannot claim to have meant that p, unless ‘p’ means that p for a population – of say, me and myself!” Forse.” Saggi: “L'idea di mondo: intelletto pubblico e uso della vita” (Quodlibet); “Saggio sulla negazione: per una antropologia linguistica” (Bollati); “E così via, all'infinito: Logica e antropologia” (Boringhieri), “Motto di spirito e azione innovative: per una logica del cambiamento” (Boringhieri); “Quando il verbo si fa carne: linguaggio e natura umana” (Boringhieri); “Scienze sociali e natura umana -- facoltà di linguaggio, invariante biologico, rapporti di produzione” (Rubbettino); “Grammatica della moltitudine: per una analisi delle forme di vita contemporanee” (Derive Approdi); “Esercizi di esodo: linguaggio e azione politica” (Ombre Corte); “Il ricordo del presente: saggio sul tempo storico” (Bollati); “Parole con parole: poteri e limiti del linguaggio” (Donzelli); “Mondanità: l'idea di “mondo” tra esperienza sensibile e sfera pubblica” (Manifesto libri); “Convenzione e materialismo” (Theoria). Roma Tre  Intervista, Hecceitas. Questo termine è entrato nel linguaggio corrente per indicare un insieme di caratteristiche economiche, sociali e istituzionali del nostro presente, avvertite pessimisticamente come profondamente diverse rispetto al nostro recente passato e in genere come molto negativamente mutate. Fordismo e postfordismo. Qualche dubbio su alcune certezze della sinistra italiana. Protagonisti; “Anni di piombo: potere operaio"; Lessico postfordista: dizionario di idee della mutazione. Feltinelli, sito "Filosofico net".  Virno. Keywords: populus, res publica res populi, Cicerone, multus, unus e multi, due e moltitudine, linguaggio e azione, linguaggio, base biologica, invariante biologica, rappori di produzioni, natura umana, el verbo fatto carne. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi Speranza, “Grice e Virno”; “Grice e Virno: la conversazione: una popolazione di due!” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Viroli: la ragione conversazionale della res publica – CICERONE -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Forlì). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Actually “Viroli-Cavalieri”? Grice, “I shall be fighting soon.” “The loyalty for one’s country is not based on evidence.” Durante il settennato di Ciampi serve la presidenza della repubblica italiana. Insegna a Lugano. I suoi campi di ricerca sono la filosofia politica e la storia della filosofia politica. I suoi autori di riferimento sono MACHIAVELLI, Rousseau, MAZZINI, CROCE, ROSSELLI, e ROSSELLI. La sua ricerca si basa sul metodo contestualista di Skinner, a cui apporta alcune innovazioni. Il suoi riferimenti politico-ideali sono il repubblicanesimo e l'azionismo del partito dell’azione. Collabora ad alcune testate giornalistiche, tra cui La stampa, il Sole 24 ORE e Il fatto quotidiano. Si laurea dal liceo Calbol di Forlì. Come egli stesso racconta in L'autunno della Repubblic”, per mantenersi agli studi,  lavora come garzone di bottega, cameriere d'albergo e operaio presso lo zuccherificio. Abitavo a Forlì con i miei genitori, in via Mellini, in un appartamento angusto e freddissimo, riscaldato soltanto da una stufa a gas tenuta, per la nostra povertà, sempre con la fiammella azzurrognola al minimo. Al termine degli studi liceali si iscribe a Bologna. Si laurea con la tesi su Engels. Svolge il servizio di leva a Casarsa in Venezia Giulia.  Il ritorno alla vita civile è stato all'insegna del precariato. Perceve un piccolo salario organizzando convegni e lavorando come redattore alla rivista Problemi della transizione all’istituto Gramsci di Bologna. Studia Firenze. Di fronte alla commissione composta dai Maihofer, Skinner, BOBBIO, Cranston, e Moulakisha, discute la tesi sulla società bene ordinata, Mulino. Perfeziona la sua formazione svolgendo attività di ricerca. Insegna comunicazione politica alla Svizzera. Dirige il Laboratorio di Studi civili, Svizzera italiana.  Finanzato dal Fondo Svizzero per la Ricerca Scientifica con un progetto di ricerca che prevede l'impegno di un folto gruppo di ricercatori.  I suoi interessi di studio ruotano intorno alla filosofia politica e alla sua storia. Studia il repubblicanesimo nella sua accezione classica da MACHIAVELLI a Rousseau e in quella contemporanea. Si occupa di culto uffiziale e politica, di retorica classica, libertà e tirannide, di patriottismo e nazionalismo, di etica civile, di diritti e doveri. Pone particolare attenzione ai fondamenti della convivenza civile. I suoi periodi storici di riferimento sono il rinascimento con MACHIAVELLI, il risorgimento con MAZZINI e il FASCISMO – con sui opponenti: CROCE, ROSSELLI, e ROSSELLI. I suoi filosofi di riferimento sono Machiavelli, Rousseau, Mazzini, Croce, Rosselli e Rosselli. Come impegno civile si occupa d'educazione civica e della difesa e dell'attuazione della costituzione della repubblica italiana. Collabora colla direzione generale dell'Ufficio Scolastico Regionale per le Marche a progetti di educazione alla cittadinanza. Fonda il Master in Civic Education presso l'associazione Ethica di Asti. Coordina e diregge progetti di Educazione civica per la Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo. Dirige un progetto a San Marino. Dirige il progetto Lezioni di Casa Cervi-Scuola di Etica civile presso Casa Cervi. Prende parte attivamente alle campagne referendarie svoltesi in occasione del referendum costituzionale, contro la riforma proposta dal centro-destra, e del referendum costituzionale contro la riforma costituzionale Renzi-Boschi. Colleziona inviti e incarichi di insegnamento presso prestigiose istituzioni culturali. Insegna a Pisa, Trento, Molise, Ferrara, Catania ed Urbino. Collabora con Milano e la Scuola Superiore della pubblica amministrazione, Scuola superiore di polizia, Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, il Collegio Carlo Alberto e l'Associazione Nazionale Comuni Italiani, la Fondazione Alcide Cervi presso Casa Cervi.  Spiega la le sua posizione politica. Non sono soltanto uno studioso del repubblicanesimo, mi sento repubblicano. Amo il princìpio della reppublica e cerco di applicarli nella vita e nell’analisi dei fatti politici e sociali. Più oltre, in riferimento a Ciampi racconta. La prima volta che incontro CIAMPI provo la sensazione di trovarmi di fronte ad un uomo di straordinaria energia morale, l’esempio vero della migliore cultura del risorgimento e dell’azionismo. Rammento ancora le parole che mi dice dopo aver ascoltato con attenzione la mia considerazione sul significato del concetto di amor di patria. Quello che Ciampi dice l’ho sempre sentito e vissuto nella mia coscienza. E allora che realizzai che io sono prima uno studioso di repubblicanesimo e poi un repubblicano. Ciampi è repubblicano nell’intimo della coscienza: repubblicano e azionista. Anzi, credo, repubblicano perché azionista. Anche la lotta contro il fascismo é rilevante nel patrimonio ideale. Trovo in Croce, Rosselli, Parri, Rossi, Calamandrei -- per citare soltanto i nomi più noti -- non solo idee e argomenti in perfetta sintonia con il mio anti-fascismo assoluto e intransigente, ma anche e soprattutto le più convincenti riflessioni sulle ragioni della fragilità della libertà. Il patriottismo si oppone al nazionalismo, anzi, ne è l'antidoto. Ancora ne L'Autunno della Repubblica si legge a proposito del Per amore della patria. In Italia abbiamo una tradizione di patriottismo di straordinario valore morale e politico, la migliore che io conosca. Mi riferisco in primo luogo al patriottismo di MAZZINI, fondato sul principio che la patria non è il territorio -- bensì un principio di libertà, e al patriottismo degl’anti-fascisti di Giustizia e Libertà, concordi nell’affermare che la nostra patria coincide con il mondo morale delle persone libere non e poi idea tanto peregrina sostenere che il patriottismo repubblicano e il mezzo più efficace per combattere la marea del nazionalismo che comincia a montare. Credo sia troppo tardi. Infine, ci spiega il suo relativismo. Sulle questioni etiche sono stato sempre un convinto relativista, con comprensibile scandalo di molti. Se il dovere esiste soltanto là dove la coscienza morale personale lo riconosce come tale, segue necessariamente che ci sono persone che riconoscono quali loro doveri determinati princìpi, altre che riconoscono quali loro doveri princìpi diversi, se non del tutto opposti. Il pluralismo e il contrasto dei doveri sono sotto gl’occhi di tutti. Ad alcuni il dovere indica il servizio e la pratica della carità, ad altri la pura e semplice affermazione di sé stessi, anche a costo di usare altri esseri umani come mezzi. La ragione, tante volte invocata quale guida sicura all’agire umano, non detta i fini ma solo i mezzi. Lo spiega in modo esemplare JUVALTA (si veda). La ragione per sé non comanda nulla. Né l’egoismo né l’altruismo -- né la giustizia. La ragione cerca, e mostra, se le riesce, i mezzi che servono a conservar la vita a chi la vuol conservare, a distruggerla a chi la vuol distruggere. La ragione addita ai pietosi le vie della pietà, ai giusti le vie della giustizia, e le vie del proprio tornaconto agl’uomini senza scrupoli. Ma l’egoismo non è per sé più razionale dell’altruismo, né il regresso più razionale del progresso. Né la conservazione dell’individuo più razionale di quella della specie. Né l’utile proprio più razionale che l’utile della collettività. Razionale non e il fine, ma la relazione del mezzo al fine. Ed è così ragionevole che dia la vita per un’idea chi pregia più l’idea che la vita, come che taccia la verità per un ciondolo chi ama più i ciondoli che la verità. Consulente della Presidenza della Repubblica Italiana per le attività culturali durante il settennato di Ciampi. Collabora con la Presidenza della Camera dei Deputati durante la presidenza di Violante. Coordinatore del Comitato Nazionale per la valorizzazione della Cultura della Repubblica presso il Ministero dell'Interno.  Presidente dell'ASSOCIAZIONE MAZZINIANA. Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italianana strino per uniforme ordinaria; Ufficiale dell'ordine al merito della repubblica italiana di iniziativa del presidente della repubblica. Saggi: “Nazionalisti e patrioti” (Roma, Laterza); “Etica del servizio e etica del commando” (Napoli, Scientifica); “L’autunno della repubblica” (Roma, Laterza); “La redenzione dell’Italia: sul principe” (Roma, Laterza); “Il sorriso di Machiavelli” (Roma, Laterza); “Scegliere il principe: i consigli di MACHIAVELLI al cittadino elettore” (Roma, Laterza); “L’Intransigente” (Roma, Laterza); “Le parole del cittadino” (Roma, Laterza); “La libertà dei servi” (Roma, Laterza); “Lo scrittore di ricami” (Reggio Emilia, Diabasis); “Come se Dio ci fosse: religione e libertà nella storia d’Italia” (Torino, Einaudi); “MACHIAVELLI, filosofo della libertà” (Roma, Castelvecchi); “L’Italia dei doveri” (Milano, Rizzoli); “Il dio di Machiavelli e il problema morale dell’Italia” (Roma, Laterza); “Dialogo intorno alla repubblica” (Roma, Laterza); “Per amor alla patria: patriottismo e nazionalismo nella storia” (Roma, Laterza); “Dalla politica alla RAGION DI STATO” (Roma, Donzelli); “L’etica laica di JUVALTA” (Milano, Angeli); “La civiltà statuale’, in “Cultura civica e civiltà statuale” (Bologna, Mulino); “Libertà e profezia in MACHIAVELLI’, MACHIAVELLI e i confini del potere” (Milano, Mimesis); “La passione civile e la scienza politica di Sartori’, Protagonisti sempre. Un secolo di storia visto con gl’occhi dei ragazzi, Reggio Emilia, Imprimatur ‘Prefazione’, in Mosca, Il prefetto e l’unità nazionale, Napoli, Editoriale Scientifica. ‘Skinner’, ‘God’ and ‘Macaulay’, Enciclopedia machiavelliana” Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vita di MACHIAVELLI” (Roma, Castelvecchi); “La tradizione del Risorgimento” (Roma, Castelvecchi); “Se è libero bisogna che creda”; “Cinque variazioni sul credere” (Torino, Abele); “L’attualità del principe”; “Il principe e il suo tempo” (Roma, Complesso del Vittoriano, Salone centrale, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana); “La moralità della resistenza: l’esperienza del partigiano Bosco” (Benevento, Terre dei Gambacorta); “Dalla patria allo stato: una biografia intellettuale di SPAVENTA” (Roma, Laterza); “‘La costituzione repubblicana: un manuale di educazione civica’, in Lessico civico: teorie e pratiche della cittadinanza (Reggio Emilia, Diabasis); “Le origini meridiane del repubblicanesimo, Ethos repubblicano e pensiero meridiano” (Reggio Emilia, Diabasis); “La dimensione religiosa del risorgimento -- Cristiani d’Italia. chiese, società, stato” (Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana); “La libertà politica è un bene fragile’, Lettera internazionale.  Rivista europea; “Ragione e passioni nell’educazione civica -- Questioni civiche. Forme, simboli e confini della cittadinanza” (Reggio Emilia, Diabasis); “La costituzione: il pilastro di cristallo” (Napoli, Pitagora); “MACHIAVELLI, il carcere, Il Principe”, in Gl’anni di Firenze, Roma-Bari, in La Costituzione ieri e oggi. Roma, Atti dei Convegni Lincei (Roma, Bardi); “Etica e diritto: la forza intelligente per sconfiggere la violenza’ in Regione Piemonte, Piano regionale per la prevenzione della violenza contro le donne e per il sostegno alle vittime; “Religione e libertà nella Democratie en Amérique’, Fra libertà e democrazia: l’eredità di Tocqueville e Mill” (Milano, Angeli); “Una nuova utopia della libertà’, Quaderni del Circolo Rosselli, ‘Machiavelli’s Realism’, Constellations,  ‘Religione”; “Tutte le ragioni del liberalismo’, Dove Ratzinger sbaglia”; “MACHIAVELLI oratore”; “Machiavelli senza i Medici, scrittura del potere, potere della scrittura,” Atti del convegno di Losanna (Roma, Salerno); ‘Due concetti di religione civile’, in “Rituali civili: storie nazionali e memorie pubbliche in Europa” (Roma, Gangemi); “Patriottismo e rinascita civile’, Aspenia,  in MAZZINI, Scritti politici” (Torino, POMBA); “Che cos’è l’uomo? Raccolta di pensieri” (Senigallia, MIUR, Le Marche); “Repubblicanesimo”; “Dizionario di Politica” (Torino, POMBA); “Libertà democratica, libertà repubblicana e libertà socialista”; “Repubblicanesimo, democrazia, socialismo delle libertà”; “Incroci” per una rinnovata cultura politica” (Milano, Angeli); “Il lavoro nobilita l’uomo e l’impresa’, Impegno. Mensile di cultura sociale”; “Della lontananza’, La saggezza del vivere. Tracce di etica” (Reggio Emilia, Diabasis); “Repubblicanesimo e costituzione della repubblica’ Almanacco della Repubblica: storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane (Milano, Mondadori); ‘Europa contro America?’, Il pensiero mazziniano, ‘Dio nella costituzione’, Il pensiero mazziniano, con BOBBIO, ‘Sul rientro dei Savoia’, Il pensiero mazziniano, ‘Scrivere la costituziuone. L’esempio della storia americana’, Il pensiero mazziniano”; “Il despota e il tiranno si sono fatti furbi’, Il pensiero mazziniano, ‘Il repubblicanesimo di Machiavelli”; ‘Le ragioni di un dibattito’, Politica e cultura nelle repubbliche italiane dal medioevo all’età moderna: Firenze, Genova, Lucca, Siena, Venezia. Atti del convegno (Siena), Roma, Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea.  ‘Giù le mani da CATTANEO’, Il pensiero mazziniano, ‘Questioni attorno al repubblicanesimo”;  “Il pensiero mazziniano”; “Repubblicanesimo, liberalism. e comunitarismo”; Filosofia e questioni pubbliche; “Machiavelli’, Il pensiero politico. Idee, teorie, dottrine. Età moderna” (Torino, POMBA); “La repubblica romana’, Il pensiero mazziniano, ‘Repubblicanesimo’,  ‘La sinistra non scordi la Patria’, Il pensiero mazziniano,  ‘I guerrieri di Dio: chi sono i theo-conservatori che scendono in lotta contro aborto, eutanasia e gay’, “La Stampa”,  ‘L’arcipelago progressista: l’orgogliosa cultura liberal, fra battaglie per le minoranze, ambientalismo e progetti per riprendere il New Deal’, La Stampa, “Discussione americana e caso italiano”; “Piccole patrie, grande mondo” (Roma, Donzelli); “Il significato storico della nascita del concetto di RAGION DI STATO’, Aristotelismo politico e RAGION DI STATOr. Atti del Convegno a Torino” (Firenze, Olschki); “Patrioti o traditori?”; “L’Indice”; “Il ritorno della nazione’, I democratici,   ‘L’etica politica di CICERONE e il suo significato moderno’, Nuova Civiltà delle Macchine, ‘La cattiva retorica dell’autonomia della politica’, (Mulino); ‘Nazionalismo e patriottismo’ (Mulino); “Una filosofia civile tra comunitari e liberali’, Ragioni Critiche,  ‘Introduction’, in Skinner,  “Le origini del pensiero politico moderno” (Bologna, Mulino); “L’Indice”; “Machiavelli e Rousseau: i dilemmi della politica republicana”; “Teoria Politica, ‘“Revisionisti” e “ortodossi” nella storia delle idee politiche”, Rivista di filosofia; “Dovere morale e pluralismo etico in JUVALTA’, Rivista di Storia della Filosofia; “La “Morale dei Positivisti” e l’etica del socialismo’, L’età del positivismo” (Bologna, Mulino); “Il Marxismo e l’ideologia del socialismo italiano’, Despotismo e cittadini’, Transizione, JUVALTA e la teoria della giustizia, Rivista di filosofia,  ‘LABRIOLA, filosofo del socialismo”, Giornale critico della filosofia italiana, ‘Aspetti della recezione di Engels in Italia: tra socialismo scientifico e crisi del marxismo”; “L’Antidühring: affermazione e deformazione del marxismo? Annale della Fondazione Issoco” (Milano, Angeli); “Il problema dell’etica razionale in JUVALTA’, “Studi sulla cultura filosofica italiana” (Bologna, CLUEB); Etica e marxismo: a proposito di una recente discussione’, Problemi della Transizione”; “Socialismo e cultura, 'Studi Storici”; “Il dialogo fra Engels e LABRIOLA”; “Critica marxista”; “Nella crisi del positivismo: la ricerca teorica del divenire sociale,” “Giornale critico della filosofia italiana”; “Filosofia e politica nell’Engels di Mondolfo’, Pensiero antico e pensiero moderno” (Bologna, Cappelli); “Wellness. Storia e cultura del vivere bene” (Milano, Sperling & Kupfer); “Libertà politica e virtù [andreia] civile”; “Significati e percorsi del repubblicanesimo classico” (Torino, Agnelli); “Lezioni per la repubblica: la festa è tornata in città” (Reggio Emilia, Diabasis); “Ascesa e declino delle repubbliche” (Urbino, Quattro Venti); “L'Autunno della Repubblica” (Laterza); “Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia” (Laterza); Quirinale. blogspot issuu.com/edizioni-in-magazine/docs/forli Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche della RAI  profilo biografico da Ethica Forum profilo dall'Università della Svizzera italiana Nello Ajello, Quanti servi in giro per l'Italia, recensione a La libertà dei servi, la Repubblica, La libertà dei servi, Associazione Labini; “La libertà dei servi; L'intransigente, da Fahrenheit del Radio Tre. Grice: “At Oxford, we don’t have a republic!” -- Il repubblicanesimo è una lunga e variegata tradizione del pensiero politico che si ispira all'ideale della repubblica intesa quale comunità di cittadini sovrani fondata sul diritto e sul bene comune. Il punto di riferimento ideale più rilevante del repubblicanesimo è il concetto ciceroniano di res publica. Repubblica per CICERONE vuol dite «ciò che appartiene al popolo» (respublica respopuli), e aggiunge che non è popolo ogni moltitudine di uomini riunitasi in modo qualsiasi, bensì una società organizzata che ha per fondamento l'osservanza della giustizia e la comunanza di interessi (De re publica, 1. 25). Agli albori dell'età contemporanea un altro esponente del repubblicanesimo, Rousseau, ribadisce la medesima interpretazione del concetto di repubblica. Chiamo repubblica, scrive, «ogni Stato retto dalle leggi, qualunque sia la sua forma di amministrazione, poiché solo allora l'interesse pubblico governa e la cosa pubblica è qualcosa » (Contrat Social. Per i teorici repubblicani la repubblica è l'opposto del potere senza freno e senza regola, chiunque lo eserciti, e della tirannide, ovvero il dominio di un uomo (o di una fazione o di molti) contro l'interesse comune. La repubblica si contrappone anche alla monarchia perché la libertà sotto il re è sempre dipendente dalla volontà arbitraria di un uomo. Il re, anche nelle monarchie costituzionali, assume in virtù della nascita prerogative e poteri che sono negati agli altri cittadini e dunque viola il principio dell'uguaglianza repubblicana. Il concetto di repubblica è connesso al principio che la vera libertà politica consiste nel non essere dipendenti dalla volontà arbitraria di un uomo o di alcuni uomini ed esige l'uguaglianza dei diritti civili e politici. La vera libertà, spiega Cicerone, esiste «solo in quella repubblica in cui il popolo ha il sommo potere» e comporta «una assoluta uguaglianza di diritti», in quanto «la libertà [...] non consiste nell'avere un buon padrone, ma nel non averne affatto» (De re publica, II. 23). Questo concetto di libertà vale sia per l'individuo sia per lo stato. Uno stato può dirsi libero se non dipende dalla volontà di un altro stato e non deve ricevere da altri gli statuti e leggi o richiedere approvazione per i suoi atti.Come recitano le formule di Bartolo da Sassoferrato, le città che vivono in libertà si governano da sole («proprio regimine»). Esse non riconoscono alcun potere superiore («civitas quem superiorem non recognoscit»), e per questo il loro popolo è un popolo libero. Rousseau, ma altri esempi si potrebbero citare, racchiude in una formula precisa il concetto di libertà repubblicana: «un popolo libero obbedisce ma non serve; ha dei capi, ma non dei padroni; obbedisce alle leggi, ma solo alle leggi; ed è in virtù delle leggi che non diventa servo degli uomini» (Jean-Jacques Rousseau, Lettres écrites de la montagne, VIII). Per i filosofi politici repubblicani la libertà politica ha quale condizione necessaria il governo della legge. Essi hanno sempre sottolineato che la vera legge è un comando pubblico e universale che vale ugualmente per tutti i cittadini, o per tutti i membri del gruppo rilevante. La limitazione o l'interferenza che la legge impone sulle scelte degli individui non è dunque una restrizione della libertà ma come un freno essenziale e benefico. Se il governo della legge è scrupolosamente rispettato, nessun individuo può impone la sua volontà arbitraria ad altri individui in virtù del fatto che egli può compiere con impunità azioni che ad altri sono proibite sotto pena di sanzione. Se invece sono gli uomini e non la legge a governare, alcuni individui possono imporre la loro volontà arbitraria ad altri ed impedire ad essi di perseguire i fini che essi vorrebbero perseguire, e quindi privarli della libertà (questo vale anche nel caso in cui è la maggioranza degli uomini a governare, ovvero una democrazia). Questa interpretazione della libertà politica è descritta in modo eloquente in testi classici che diventarono il nucleo centrale del repubblicanesimo moderno, in particolare un passo in cui Livio afferma che la libertà dei romani consiste in primo luogo nel fatto che le leggi sono più potenti degli uomini (Ab urbe condita, II.I.1) e un passo di Cicerone, citato infinite volte dagli scrittori politici repubblicani: «Legum idcirco omnes servi sumus ut Liberi esse possimus» (Pro Cluentio, 146). Anche Machiavelli identifica la libertà politica con le restrizioni che il diritto impone ugualmente a tutti i cit-tadini. Se in una città vi è un cittadino che i magistrati temono, e che può rompere i vincoli delle leggi, egli scrive, la città non è libera (Discorsi, I.29). Nelle Istorie fiorentine (IV, Proemio) osserva che «si può chiamar libera» solo quella città in cui le leggi e gli ordinamenti costituzionali restringono in modo efficacie i «cattivi umori » della nobiltà e del popolo. Per contro, tutti gli esempi di oppressione che i repubblicani classici offrono nei loro scritti sono violazioni del principio del governo della legge: il tiranno che si pone al di sopra delle leggi civili e delle leggi costituzionali e quindi comanda ad arbitrio; il cittadino potente che ha ottenuto per se un privilegio che è negato ad altri cittadini; i governanti che hanno poteri discrezionali. Le restrizioni che la legge impone sulle azioni dei governanti e dei cittadini sono dunque, per i repubblicani, l'unica valida difesa contro la coercizione imposta da individui: essere liberi vuol dire vivere sotto leggi eque. L'argomento repubblicano che il governo della legge è la condizione necessaria affinché i cittadini non siano assoggettati alla volontà arbitraria di alcuni individui (o di un solo individuo), e possano pertanto vivere liberi, è il tema di fondo di uno dei più significativi dibattiti nella storia del repubblicanesimo, ovvero la risposta di James Harrington a Hobbes, che nel Leviatano (Cap. XXI) aveva sostenuto che non è affatto vero che i cittadini di una repubblica come Lucca sono più liberi dei sudditi di un sovrano assoluto come il sultano di Constantinopoli perché tanto i primi quanto i secondi sono sottomessi alle leggi. Ciò che rende i cittadini di Lucca più liberi dei sudditi di Costantinopoli, spiega Harrington, è il fatto che a Lucca tanto i governanti quanto i cittadini sono sottoposti alle leggi civili e costituzionali, mentre a Constantinopoli il sultano è al di sopra delle leggi e può disporre arbitrariamente delle proprietà e della vita dei sudditi, costringendoli in tal modo a vivere in una condizione di completa dipendenza, e dunque di mancanza di libertà. I cittadini di Lucca sono liberi «per le leggi di Lucca» («by the laws of Lucca»), perché essi sono controllati solo dalle leggi (James Harrington, The Commonwealth of Oceana and A System of Politics, a cura di J.G.A. Pocock, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, Preliminaries). Nella sua lunga storia, il repubblicanesimo si è caratterizzato non solo per gli ideali della repubblica e della libertà ma anche per l'insistenza sull'idea che l'una e l'altra hanno bisogno della virtù civile dei cittadini. Per virtù essi intendono la saggezza che fa capire ai cittadini che il loro interesse individuale è parte del bene comune, la generosità dell'animo che spinge a partecipare alla vita pubblica, la forza interiore che dà la determinazione di resistere contro i potenti e gli arroganti che vogliono opprimere. Nonostante l'autorevole opinione di Montesquieu che considerava la virtù politica una forma di rinuncia e di sacrificio, gli scrittori politici repubblicani dei secoli precedenti interpretavano la virtù come una passione che non si contrapponeva né all'interesse né alla ricchezza, ma solo all'avarizia e all'ambizione sfrenata di dominio. Il repubblicanesimo è stato il linguaggio politico dominante delle élites politiche e sociali delle repubbliche commerciali d'Europa. Anche se non mancarono, come nel caso di Girolamo Savonarola, pensatori repubblicani che teorizzarono la repubblica come una Nuova Gerusalemme abitata da uomini dediti alla virtù cristiana, il pensiero politico repubblicano, con i suoi pensatori più influenti, ha teorizzato un ideale mondano e realistico di virtù. Accanto all'ideale della virtù civile, un altro concetto fondamentale della tradizione repubblicana è il patriottismo. Per il repubblicanesimo classico l'amore della patria è una passione, e più precisamente un amore caritatevole per la repubblica (caritas reipublicae) e per i concittadini (caritas civium). Anche se rispetta i principi della giustizia e della ragione, e può quindi essere chiamato «amore razionale», l'amore della patria è un affetto particolare per una particolare repubblica e per i suoi cittadini che nasce fra i cittadini delle libere repubbliche perché essi condividono molti e importanti beni, quali le leggi, la libertà, i consigli pubblici, le pubbliche piazze, gli amici e i nemici, le memorie delle vittorie e delle sconfitte, le speranze, le paure. Essa presuppone l'eguaglianza civile e politica e si traduce in atti di servizio (officium) e di cura (cultus) per il bene comune. Infine, la caritas reipublicae è una passione che irrobustisce l'animo, dà ai cittadini la forza per compiere i loro doveri civici e ai governanti il coraggio di assolvere gli obblighi, spesso onerosi, che la difesa della libertà comune richiede. Il principio fondamentale del patriottismo repubblicano è che vera patria è solo la libera 2 repubblica in cui vivono solo cittadini liberi ed eguali. La parola patria si legge ad es. nell'Encyclopédie, non significa il luogo in cui siamo nati, come vuole la concezione volgare, bensí uno stato libero (état libre) di cui siamo membri e le cui leggi proteggono le nostre libertà e la nostra felicità (D'Alembert, Diderot, Encyclopédie, Neuchatel, Bouloiseau 1765, vol. XII, p. 178). Gli scrittori repubblicani dell'età dell'Illuminismo usavano la parola «patria» come sinonimo di «repubblica». Questa identificazione non era solo un motivo polemico; riassumeva la considerazione che sotto il giogo del despota i cittadini sono senza protezione e non possono partecipare alla vita pubblica, come se fossero stranieri, e dunque non hanno patria. Il concetto di patria è dunque strettamente connesso alla libertà e alla virtù, come scrive Jean Jacques Rousseau: «La patria non può sussistere senza la libertà, né la libertà senza la virtù, ne la virtù senza i cittadini» (Economie politique, in Oeuvres Complètes, III, p. 258). Anche MAZZINI sottolinea che la vera patria è quella che assicura a tutti i cittadini non solo i diritti civili e politici, ma anche il diritto al lavoro e all'educazione. Per Mazzini e per i repubblicani dell'Ottocento la patria è la casa comune dove viviamo con persone che capiamo e che abbiamo care perché le sentiamo simili e vicine. Ma è anche una patria accanto ad altre patrie di ugual pregio.Quando siamo nella nostra casa dobbiamo assolvere i nostri obblighi in quanto cittadini; quando siamo in casa di altri dobbiamo assolvere i doveri verso l'umanità. La difesa della libertà è l'obbligo supremo di ognuno, anche se viviamo in suolo straniero e anche se il popolo oppresso è un popolo straniero. Gli obblighi morali verso l'umanità vengono prima degli obblighi verso la patria. Prima di essere cittadini di una patria particolare, siamo esseri umani.Nonostante l'accordo sui principi della repubblica, della libertà, e del patriottismo, il repubblicanesimo non è mai diventato un corpo dottrinario sistematico e ha assunto molteplici accentuazioni legate ai diversi contesti storici e culturali nei quali si è sviluppato dall'antichità classica all'età contemporanea. Il repubblicanesimo è dunque una tradizione del pensiero politico solo nel senso che i teorici repubblicani hanno spesso elaborato le proprie analisi riprendendo concetti di scrittori politici di epoche precedenti. Ma è del pari vero che i teorici repubblicani hanno spesso rielaborato in maniera anche radicale idee di altri scrittori politici appartenenti alla medesima tradizione.Le divergenze più significative riguardano la forma di governo considerata più atta a realizzare l'ideale della repubblica. Quasi tutti i teorici repubblicani furono sostenitori del governo misto inteso quale forma di governo che contempera gli aspetti positivi delle tre forme rette: il governo di uno(monarchia), ilgoverno del pochi (aristocrazia) e il governo dei molti (governo popolare o democratico). Mentre alcuni ritenevano che nell'ambito del governo misto il popolo (il consiglio grande) dovesse avere un ruolo preponderante, altri erano favorevoli ad assegnare tale ruolo all'elemento aristocratico rappresentato da un senato, o da un consiglio ristretto. Un'altra differenza è quella fra i sostenitori della repubblica che garantisce i diritti politici alla maggioranza degli abitanti (repubblica democratica) e i sostenitori di una repubblica che garantisce i diritti politici solo ad una minoranza degli abitanti (repubblica aristocratica). Inoltre, alcuni teorici repubblicani, come Machiavelli, sostenevano la necessità dell'espansione territoriale sulla base del modello della repubblica romana (o del modello federativo etrusco); altri, ad es. Rousseau, erano convinti che la repubblica, per conservarsi incorrotta, doveva rimanere confinata entro un piccolo territorio. Vi furono pensatori repubblicani che propugnarono l'ideale di una repubblica unitaria, e pensatori che propugnarono l'ideale di una repubblica fondata sul decentramento amministrativo e sull'autogoverno, come Carlo Cattaneo. Infine, la storia del pensiero politico repubblicano presenta pensatori favorevoli ad usare la religione per rafforzare la lealtà dei cittadini verso la repubblica (Machiavelli) accanto ad altri che raccomandarono la creazione di una vera e propria religione civile (Rousseau) e altri ancora che si fecero banditori dell'idea religiosa come principio morale interiore (Mazzini). Anche a causa della molteplicità di concezioni politiche che si raccolgono all'interno del pensiero repubblicano, gli studiosi contemporanei hanno opinioni diverse su importanti problemi storici e teorici. Mentre John Pocock sostiene che il repubblicanesimo è una forma di aristotelismo politico 3 fondato sull'idea che la vita politica è la massima realizzazione dell'individuo, altri studiosi, in particolare Quentin Skinner, sottolineano il ruolo prevalente del pensiero politico e giuridico ROMANO. Anche l'interpretazione del concetto di libertà è materia di divergenze interpretative. Philip Pettit sostiene che la mancanza di libertà consiste solo nella dipendenza dalla volontà arbitraria di altri uomini; per Quentin Skinner la mancanza di libertà può essere causata sia dalla dipendenza che dall'interferenza. Vi sono inoltre autori che interpretano il repubblicanesimo come una dottrina democratica, lontana dal liberalismo, che insiste sulla partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche; altri avvicinano il repubblicanesimo al comunitarismo, altri ancora sottolineano piuttosto l'affinità fra repubblicanesimo e liberalismo radicale; altri infine ritengono che tanto il liberalismo quanto la democrazia siano derivazioni del repubblicanesimo. Nonostante le divergenze interpretative gli studiosi di storia del pensiero politico e di filosofia politica sono in larga maggioranza concordi nel riconoscere che il repubblicanesimo rappresenta un'autonoma e distinta tradizione di pensiero politico che ha svolto un ruolo di primo piano nella nascita e nella formazione delle moderne democrazie. BIBLIOGRAFIA. - H. BARON, In Search of Fiorentine Civic Humanism: Essays on the Transition from Medieval io Modern Thought, 2 voll., Princeton, Princeton University Press, 1988; G. BOCK, Q. SKINNER, M. VIROLI, Machiavelli and Republicanism, Cambridge University Press, Cambridge 1990; J. G. A. POCOCK, Il momento machiavelliano. Il pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone (1957), Il Mulino, Bologna 1980; M. SANDEL, Democracy's Discontent: America in Search of a Public Philosophy, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1996; PH. PETTIT, Repubblicanesimo (1997), a cura di M. GEUNA, Feltrinelli, Milano 2000; Q. SKINNER, The Foundations of Modem Political Thought, 2 voll. Cambridge University Press, Cambridge 1979; Le origini del pensiero politico moderno, a cura di M. VIROLI, Il Mulino, Bologna 1989; ID., Libertà prima del liberalismo (1998), a cura di M. GEUNA, Einaudi, Torino 2001; R. SMITH, Civic Ideals: Conflicting Visions of Citizenship in U.S. History, Yale University Press, New Haven, Conn. 1997; M. VIROLI, Repubblicanesimo, Laterza, Roma

 

Bari 1999. [MAURIZIO VIROLI] Da N.Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Il dizionario di Politica, UTET, Torino, 2004.Maurizio Viroli. Viroli. Keywords: Cicerone, ragion di stato, repubblica, repubblicanismo, la repubblica romana, la morte, il crollo, il fine, la caduta della repubblica romana, l’assassinio di Giulio Cesare, Catone Uticense, la repubblica romana, del re Romo alla repubblica romana, il ratto di Lucrezia – republicanism e principato, storia della repubblica di Genova, la repubblica romana, il gusto per l’antico; quasi-contratto, il sorriso di Macchiavelli. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi Speranza, “Grice e Viroli: Contrattualismo e quasi-contrattualismo” – Luigi Speranza: “Il sorriso di Viroli: Grice e Machiavelli ironista” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Vitielo: la ragione conversazionale e il segno infranto nel Vico topologico – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. “Come la lingua dell’eroe separa l’eroe dall’uomo, così la lingua volgare separa il filologo dal filosofo. La lingua italiana volgare, comune a ogni uomo, non riusce a descrivere la natura e le proprietà delle cose. Sorge la scissione tra un filosofo – come Paul Grice -- che si dettero ad investigare sulla natura delle cose, e un filologo – come H. P. Grice -- che, invece investiga sulle origini delle parole. Così la filosofia e la filologia che sono nate tutte e due dalla lingua dell’eroe, vennero ad essere divise dalla lingua volgare o commone. Essential Italian philosopher. Insegna a Salerno. Studia VICO, l'idealismo, Nietzsche e Heidegger in rapporto con la filosofia romana, elabora una teoria ermeneutica. La sua topo-logia si fonda su una re-interpretazione del concetto di spazio come orizzonte trascendentale dell'operare umano. Gli sviluppi della sua topologia riguardano in particolare la genealogia della communicazione. Affronta più volte la fede da un punto di vista laico. Fonda Paradosso. Collabora a Filosofia di Laterza e a numerose altre riviste filosofiche, tra cui “aut aut.” Dirige Il pensiero. Collabora all'annuario Filosofia e all'annuario sulla Religione. Pubblica in Teoria ed altre ancora. Svolge un’intensa attività pubblicistica su quotidiani e periodici. Tenne cicli di conferenze e seminari. Saggi: Filosofia della pratica e dottrina politica liberale in CROCE, Napoli; Etica e liberalismo in CROCE, Napoli; Il carattere DISCORSIVO del conoscere, Napoli; ANTONI, interprete di CROCE, Napoli; Storia e storiografia nella filosofia di CROCE, Scientifica, Napoli; Sentimento e relazione nell’ESPERIENZA, Napoli; Il nulla e la fondazione dello storico, Argalia, Urbino; Dialettica ed ermeneutica, Guida, Napoli; Utopia del nichilismo, Guida, Napoli; Studi heideggeriani, Roma; Ethos ed eros, ESI, Napoli; Logica e storia in Hegel, Napoli; Il problema del cominciamento, Guida, Napoli; Hegel e la comprensione;Topologia, Marietti, Genova; La voce riflessa, Logica ed etica della contraddizione, Lanfranchi, Milano; Elogio dello spazio: ermeneutica e topologia, Bompiani, Milano; Cristianesimo senza redenzione, Laterza, Roma; Non dividere il sì dal no: tra filosofia e letteratura (Laterza, Roma); Filosofia teoretica: le domande fondamentali: percorsi e interpretazioni (Milano); La favola di Cadmo (Laterza, Roma); “VICO (si veda) e la topologia” (Cronopio, Napoli); “La vita e il suo oltre: sulla morte” (Roma); “Il Dio possibile, esperienze di cristianesimo” (Città Nuova, Roma); “Hegel in Italia, Milano); “Dire Dio in segreto” (Roma); “Cristianesimo e nichilismo: Dostoevskij-Heidegger” (Morcelliana, Brescia); “Estetica e ascesi” (Modena); E pose la tenda in mezzo a noi,” Albo Versorio, Il Decalogo. Ricordati di Santificare le feste; I tempi della poesia. Ieri/oggi” (Mimesis, Milano); “Dipingere Dio” (Albo Versorio); “VICO: storia, LINGUAGGIO, natura, Storia e Letteratura, Roma); “Ri-pensare il cristianesimo” (De Europa, Ananke); “Oblio e memoria del sacro” (Moretti, Bergamo); “Grammatiche del pensiero: dalla kenosi dell'io alla logica della seconda persona, ETS, Celan; Heidegger” (Mimesis); “I comandamenti. Non dire falsa testimonianza” (Il Mulino); “L'ethos della topologia. Un itinerario di pensiero” (Lettere, Firenze); “Paolo e l'Europa: cristianesimo e filosofia” (Città Nuova, Roma); “L'immagine infranta: linguaggio e mondo in VICO” (Bompiani, Milano); “VICO: tra storia e natura,” aut aut; “Complessità e aporie del moderno”, in Filosofia politica; “Dall'ermeneutica alla topologia”,“aut aut”; “Goethe, interprete della modernità” aut aut; “Per amicizia: Epochè e metafora”; “aut aut”, “Sentire le Radici, la Terra stessa”, i“aut aut”; “Zanzotto, ovvero: la poesia come genealogia della parola”, in “aut aut”; “Redaelli, Il nodo dei nodi; L'esercizio del pensiero in VATTIMO”, V. (Sini, ETS, Pisa); “Luoghi del pensare” (Mimesis, Milano); Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche di RAI Educational; "Filosofia". Appare la "seconda" Scienza Nuova. Non è propriamente una seconda edizione dei Principj di una Scienza Nuova intorno alla Natura delle Nazioni, apparsi cinque anni innanzi. La revisione, a cui Vico ha sottoposto il testo del 1725, è tale da farne un'altra opera: basterebbe ricordare l'inserimento della "discoverta del vero Omero", argomento affatto nuovo e fondamentale che occupa un intero libro, il terzo; invero è mutata la struttura stessa del lavoro, come anche una rapida scorsa degli indici delle due edizioni mostra. Se, ciononostante, Vico ha mantenuto anche nella successiva edizione il medesimo titolo, salvo piccole varianti,2 è perché l'ampliamento e la diversa distribuzione della materia, nonché la correzione dell'"errore" d'aver egli separato, nella prima redazione, i "principi delle idee" da quelli "delle lingue", che sono "per natura tra loro uniti", non solo non hanno mutato l'orientamento di fondo dell'opera, l'hanno bensì approfondito e sviluppato, specialmente riguardo al tema del linguaggio. Tra le "novità" della seconda Scienza Nuova spicca l'immagine posta sul frontespizio dell'opera: una "dipintura allegorica" commissionata dal filosofo a Domenico Antonio Vaccaro, noto pittore napoletano, che l'aveva eseguita secondo precise indicazioni e sotto il controllo del committente. Che l'uso di accompagnare un testo filosofico o letterario con un'immagine fosse frequente al tempo di Vico è cosa nota: si citano come esempi illustri l'Organon di Francesco Bacone, il Leviathan di Hobbes, i Second Characters di Shaftesbury e da ultimo la Istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi di Francesco Bianchini. Che il filosofo napoletano ne sia stato influenzato, ben si ricava da quanto egli stesso dice nel primo capoverso dell'Introduzione, dove spiega che l'immagine sul frontespizio dell'opera serve a"ridurla più facilmente a memoria [...] dopo di averla letta".Ma che la funzione mnemonica di questa Tavola delle cose civili sia affatto secondaria, è del tutto chiaro, premurandosi Vico di dire per prima cosa che la dipintura "serv(e) al Leggitore per concepir l'idea di quest'Opera avanti di leggerla" (SN30, p. 363;SN44, p. 785). Prima di chiarire questo punto che è essenziale comprendere l'esigenza filosofica cui risponde la "dipintura", è opportuno darle uno sguardo veloce. In alto, a sinistra dell'osservatore, è dipinto un sole, al cui interno è un triangolo con dentro un occhio, dal quale parte un raggio di luce che giunge al petto della fanciulla dalle tempie alate, allegoria della Metafisica, che ha lo sguardo fisso al sole. Dal petto della fanciulla, i cui piedi poggiano sul globo terrestre, il raggio si riflette sulla statua collocata in basso a sinistra. Ai piedi della statua, che raffigura Omero, vari arnesi: та оно, un timone, un aratro, una borsa; poi una tavola con su scritte alcune lettere alfabetiche, quindi un fascio di verghe. Al lato opposto della statua un altare, su cui scorgiamo un lituo, una fiaccola, un orciuolo contenente acqua, quindi il fuoco accanto al globo su cui poggia la fanciulla alata. La fascia che cinge il globo è quella dello zodiaco, con i segni delle costellazioni della Vergine e del Leone in evidenza. In basso, a destra, un'urna cineraria, ai margini di una gran selva. Vico concepì il dipinto come "Idea dell'opera" - così nell'Introduzione dedicata alla "spiegazione della dipintura proposta al frontespizio" - e cioè come figura o immagine della Scienza Nuova, ovvero della storia: della storia ideale eterna e delle storie che "corron' in tempo". L'ampiezza e la meticolosità della "spiegazione"5 attestano l'importanza ch'egli attribuiva alla "traduzione" dei suoi argomenti in "immagine". L'immagine doveva, infatti, integrare la voce, facendo cogliere uno actu - e non in successione - i due aspetti che caratterizzano la storia: 1) la cornice stabile e permanente dell'eterna provvedenza, esemplata nel raggio di luce che parte dall'occhio divino e, toccando la metafisica, illumina e regge il mondo degli uomini, e 2) l'operare umano nel tempo, volto, anche inconsciamente, a Dio, testimoniato dallo sguardo della fanciulla alata, eternamente fisso sul triangolo solare. E, pertanto, come l'immagine serviva ad integrare la voce, così questa doveva a sua volta completare l'immagine, dacché soltanto la voce dà in successione quello che in successione accade entro l'ordine necessario della storia ideale eterna: il "correre in tempo" delle storie di tutte le nazioni "ne' loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini" (SN44, p. 903). Vico non intese questa congiunzione di voce e immagine - phonè kai schêma, per dirla con le parole del Cratilo di Platone, di cui il filosofo napoletano resta insuperato "interprete"6 - come una "novità" da lui introdotta in filosofia. Al contrario la presentava come un'operazione di restauro. Per comprenderne le ragioni, dobbiamo fare alcuni passi indietro nel tempo e leggere quella nota che lui aggiunse al Il Libro del Diritto Universale, il De constantia jurisprudentis:[...] Come prima la lingua eroica aveva diviso gli eroi dagli uomini, così dopo la lingua volgare divise i filologi dai filosofi. Il motivo di questa seconda osservazione è che, poiché la lingua volgare, in quanto comune, non riusciva a descrivere la natura e le proprietà delle cose, sorse la scissione tra i filosofi che si dettero a investigare sulla natura delle cose, e i filologi che invece investigavano sulle origini delle parole; e così la filosofia e la filologia, che erano nate tutte e due dalla lingua eroica, vennero ad essere divise dalla lingua volgare.? La lingua volgare, così detta perché lingua della comunicazione - in seguito Vico la chiamerà "pistolare" (SN44, Degnità XXVIII) -, rende solo i caratteri "comuni", "generici", delle cose, non la loro "natura", ciò che ad esse è proprio, la loro concreta, reale, determinatezza. Questo ha portato alla divisione della filologia, che s'interroga sull'origine delle parole - quindi su come siano sorte le parole generiche, vuote di determinatezza, della lingua "comune" -, dalla filosofia che, invece, investiga direttamente la natura delle cose. Ma in che modo? Non è anche la filosofia legata al linguaggio? Vico s'avvide del cul-de-sac in cui s'era cacciato. Ne uscì, con due mosse geniali. La prima fu l'abbandono del latino delle scuole, lingua di pura comunicazione di concetti, priva di vero rapporto con la vita quotidiana del popolo, fatta di eventi reali e cose concrete; scelse di scrivere in volgare - ma bisogna aver confidenza con la lingua di Vico, con il "barocco napoletano" della Scienza Nuova, per capire la portata di questo mutamento.La seconda mossa strategica fu "l'idea dell'opera": la "dipintura allegorica", con cui egli volle ricongiungere voce e immagine, o, per dirla con Nietzsche, il mondo dell'ascolto, della parola (Hörwelt), e quello della visione, dell'immagine (Schauwelt). 8 Vico operava, consapevolemente, in controtendenza rispetto all'intera tradizione occidentale e in particolare al suo tempo, che spingeva la lingua all'astrazione, secondo il modello"matematico". Vico - ho detto; ma debbo subito precisare: il filologo più che non il filosofo. Ché come filosofo non fu meno attratto dal mos geometricum di quanto lo furono Cartesio e Spinoza, se volle estendere alla storia quella mathesis universalis già da Grozio applicata al diritto. Come filologo, invece, seppe risalire alle origini lontane, remote del linguaggio, alle fonti antiche della poesia greca, con la "discoverta" del vero Omero o dei molti Omeri, e della latina, leggendo insieme con Virgilio e Lucrezio, e Orazio, Stazio, Plauto, gli "storici" e gli"eruditi", interpretando anche l'antico diritto romano qual"serioso poema" e l'antica giurisprudenza come"severa poesia". Né si fermò qui, ma piegandosi sulla lingua dei contadini, sulle loro metafore e i loro gesti, vide con l'occhio di una fervida immaginazione i primi abitanti della Terra, i forti ed empiamente pii Polifemi, atterriti dalla luce del lampo che squarcia le notti e dal cupo rimbombo del tuono che fa tremare la Terra, emettere i primi suoni inarticolati di un linguaggio "naturale", inintenzionale, prima fonte della lingua articolata dell'uomo. Scorse, talora come da dietro un vetro opaco, la nascita dell'uomo dall'animale, della mente dal corpo, della storia dall'ingens sylva, e ne descrisse lo sviluppo, non senza "salti" e "confusioni" di tempi e forme linguistiche. Philologia contra philosophia? In certo senso sì, se la filologia lo convinse non solo a trattare dei miti, ma in qualche modo a "mimarne" il gesto narrativo.10 Tentò una nuova lingua, logica e mitica ad un tempo, capace di tenere insieme narrazione e logica, la contingenza della storia e la necessità della mathesis. Anticipava con le sue folgoranti intuizioni, l'idea della Mythologie der Vernunft,11 che nacque all'incirca mezzo secolo dopo in terra germanica, ma che presto fu abbandonata, e proprio dal suo massimo rappresentante, Hegel, che, anni dopo, avrebbe esaltato il linguaggio alfabetico sulla lingua geroglifica, per essere quello costituito di nomi, che sono bildlose Vorstellungen, rappresentazioni senza immagini. Ed "è nei nomi che noi pensiamo", La "dipintura" serviva a Vico per ricostruire nella composizione di parola e immagine quella unità di voce e gesto che l'uomo storico aveva già perduto molto prima che sorgesse la lingua della comunicazione - la lingua "pistolare" della ragione riflessa -, già con la lingua eroica. Ma era, Vico, in ritardo sul suo tempo. La frattura parola/immagine era solo l'aspetto "in superficie" di una più profonda scissione.Vincenzo Vitielo. Vitielo. Keywords: la lingua dell’eroe, la lingua degl’eroi, Lazio, lazini, italiano, volgare, Lucrezio, confronto vichiano, vicho contro vico, la lingua eroica di Vico, Vico, semiotica, Croce, Vico topologico, linguaggio in Vico.  Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Vittielo” – “Topologia semiotica di Vico” – “Il Vico di Vittielo” – Vico e il segno infranto”, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Volpe: la ragione conversazionale e la logica come scienza storica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Imola). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Studia a Bologna laureandosi in filosofia sotto Mondolfo. Insegna al Galvani di Bologna, l’Alighieri di Ravenna, e a Messina.  Legato alla tradizione di GENTILE (si veda), si dedica a questioni strettamente teoretiche e storico-filosofiche, attestandosi infine su posizioni fortemente anti-idealistiche. Approda così attraverso la ri-valutazione dell’ESPERIENZA dell’empirismo e dell’UMANO dell’umanesimo, mantenendo un'impostazione fondamentalmente dialettico-materialistica in costante confronto critico e polemico soprattutto con la dialettica hegeliana e l'idealismo post-hegeliano, ma anche con le correnti positivistiche semiotica, e con l'esistenzialismo. Questa svolta, testimoniata dal Discorso sull'ineguaglianza, conduce a V.  a un sempre maggiore interesse per i problemi della filosofia politica e dell'etica, considerati comunque in stretto rapporto con le questioni semiotiche. Non abbandona comunque i propri interessi storico-filosofici. Tra i saggi quello che, oltre ad aver avuto più ampia diffusione, rappresenta il più perspicuo esempio della sua capacità di di muoversi con piena consapevolezza critica tra i piani teoretico, storico e politico, è senz'altro il saggio “Rousseau e Marx.” sul concetto di libertà (cf. Grice, “Freedom”) è perfettamente integrabile con la dottrina di Rousseau, il quale quindi non sarebbe da considerarsi né tra i teorici della rivoluzione borghese né tra i nostalgici di una società parcellizzata in piccolissime unità cittadine, ma tra i più attuali preconizzatori di una società egualitaria. Un altro dei punti nodali della sua filosofia è il tentativo di elaborare una teoria estetica rigorosamente materialista. Sottolinea il ruolo delle caratteristiche strutturali e del processo sociale di produzione dell’espressione nella formazione del giudizio estetico, in forte polemica con la dottrina dell'intuizione di CROCE -- da lui considerata in continuità con la tradizione romantica e misticheggiante, elabora il concetto di gusto come principale fonte del giudizio estetico. Presenta nella filosofia una posizione contro-corrente. Altri saggi: L'idealismo dell'atto e il problema delle categorie, Bologna, Zanichelli, Le origini e la formazione della dialettica hegeliana; Hegel, romantico e mistico, Firenze, Monnier; Il misticismo speculativo di Eckhart, Bologna, Cappelli, La filosofia dell'ESPERIENZA, Firenze, Sansoni, Espressione, Bologna, Meridiani, Il principio di contraddizione e la sostanza prima nel Lizio: contributo a una critica dei pensieri logici” Bologna, Azzoguidi; Crisi dell'estetica romantica, Messina, Anna; Critica dei principi logici, Messina, D'Anna; Discorso sull'ineguaglianza, con due saggi sull'etica dell'esistenzialismo, Roma, Ciuni; Emancipazione e tras-mutazione dei valori, Messina, Ferrara; Libertà: saggio di una critica della ragion pura pratica, Messina, Ferrara; Studi sulla dialettica mistificata; “Lo STATO RAPPRESENTATIVO, Bologna, UPEB; Umanesimo; Studi e documenti sulla dialettica materialistica, Bologna, Zuffi; Logica come scienza positiva, Messina, D'Anna; Eckhart o della filosofia mistica, Roma, Storia e letteratura; La poetica del Lizio nei commenti essenziali degl’umanisti, Bari, Laterza; Il verosimile filmico e altri scritti di estetica, Roma, Film; La nuova sinistra, Rousseau e Marx e altri saggi di critica materialistica, Roma, Riuniti; Critica del gusto, Milano, Feltrinelli; Chiave della dialettica storica, Roma, Samonà; Umanesimo ed emancipazione, Milano, Sugar; Critica dell'ideologia: saggi di teoria dialettica, Roma, Riuniti; Schizzo di una storia del gusto, Roma, Riuniti; Opere; Ambrogio, Roma, Riuniti; Violi, La Libra, Messina; Dizionario biografico degl’italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Volpe. Keywords: critica del gusto per l’antico, il gusto per gl’antichi degl’antichi, chiave della dialettica storica, la logica come storia, espressione. Refs.:  H. P. Grice, The H. P. Grice Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Volpe: l’espressione” – The Swimming-Pool Library, Liguria. Volpe.

Grice e Volpi: la ragione conversazionale dell’ESSERE univoco – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Vicenza). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. “Wild clarity” in Heidegger! Insegna a Padova. Borsista della Humboldt di Bonn, dell'Institut International de Philosophie, Parigi, dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti e dell'Accademia Olimpica di Vicenza. Insignito dei premi Montecchio e Nietzsche. Altri saggi: Heidegger e Brentano; La filosofia pratica, Francisci, Albano, Padova – Filosofia pratica e scienza politica, Francisci, Albano, Padova; Heidegger e Aristotele, Daphne, Padova, Il nichilismo, Laterza, Roma, Guida a Heidegger, Laterza, Roma; I titani: una conversazione con Jünger e Gnoli; Dizionario delle opere filosofiche, Il dio degl’acidi, conversazioni con Hofmann e Gnoli;L'ultimo sciamano, conversazioni heideggeriane con Gnoli, Storia della filosofia dall'antichità a oggi con Berti.  Per Adelphi cura opere di Schopenhauer, Heidegger e Schmitt. Collabora alla Repubblica. Mentre e in sella alla sua bicicletta a Berici, e investito da un'auto e cadde in coma irreversibile. Muore il giorno successivo. Commemorato dal preside assieme a tutto il corpo docente di Padova. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Parolin, Commozione al Bo per l'addio a V., Giornale di Vicenza.  Altri saggi: L'aristotelismo e il problema dell'univocità dell'essere in Heidegger (Milani, Padova) – cf. Grice, ‘multiplicity of ‘being’ --; Il concetto di decadenza divina; Filosofia politica; Hegel e i suoi critici, Laterza, Roma; Interprete del pensiero contemporaneo, Incontro di studio, Padova, Vicenza, Accademia Olimpica, Atti dell'incontro, comune di Lavarone; Il pudore, Brescia, Morcelliana, Opere su Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Essere, tempo, esistenza, Associazione Asia, Sul valore e la funzione della filosofia; Sul significato e lo statuto di ‘Essere e tempo’ di Heidegger”, Capurro, Rezension von V. Heidegger e Aristotele, Daphne Editrice, Padova Zuerst erschienen in: W. Schirmacher Hrsg.: Schopenhauers Aktualität. Ein Philosoph wird neu gelesen. Schopenhauer-Studien 1/2. Passagen Verlag, Wien. In seinem 1967 in der Akademie der Wissenschaften und Künste in Athen gehaltenen Vortrag schreibt Heidegger:  "Die Kunst entspricht das physis und ist gleichwohl kein Nach- und Abbild des schon Anwesenden. Physisund téchne gehören auf eine geheimnisvolle Weise zusammen. Aber das Element, worin physis und téchne zusammengehören, und der Bereich, auf den sich die Kunst einlassen muß, um als Kunst das zu werden, was sie ist, bleiben verborgen." (M. Heidegger: Denkerfahrungen, Frankfurt a.M. 1983, S. 139)Für wen bleibt dieser Bereich "verborgen"? Zumal für unsere technische Zivilisation, die sich mehr und mehr, über alle Grenzen hinweg, ausbreitet und somit sich jeder Möglichkeit einer selbstkritischen Distanz beraubt. Und dennoch: wir sind dem nicht ausgeliefert. Heidegger wird öfter bekanntlich vorgeworfen, er verfalle mit seiner Auffassung des "Seinsgeschickes" im pessimistischen Mystizismus und ergreife die Flucht in die Antike durch seinen "Schritt zurück". Nichts von alledem. Wir lesen im selben Vortrag:  "Schritt zurück heißt: Zurücktreten des Denkens vor der Weltzivilisation, im Abstand von ihr, keineswegs in ihrer Verleugnung, sich auf das einlassen, was im Anfang des abendländischen Denkens noch ungedacht bleiben müßte, aber dort gleichwohl schon genannt und so unserem Denken vorgesagt ist." (ebda.)Das Thema Heidegger scheint indessen im deutschsprachigen Raum und insbesondere in der Bundesrepublik weiterhin von aller Art von Vorurteilen belastet zu sein. Man braucht nur an die klischeeartigen Ausführungen von Jürgen Habermas in seinen Vorlesungen "Der philosoophische Diskurs der Moderne" (Frankfurt a.M. 1985) zu denken, um das Groteske dieses Mißverständnisses (falls der Versuch eines Verständnisses unterstellt wird) zu exemplifizieren. Und Aristoteles? Er gilt inzwischen für viele als "Urvater" bzw. "Urheber" der heute herrschenden Technologie, nämlich der Informationstechnologie Die Bestrebungen der "Künstlichen-Intelligenz-Forschung", etwa in der Herstellung von "Expertensystemen", haben in der aristotelischen Logik ihr Rezeptbuch gefunden. V. lädt uns mit seinem schlicht betitelten Buch Heidegger und Aristoteles zu einer Begegnung dieser Denker ein, die, ganz außerhalb von diesen Klischees, zur Sache selbst führt. Der Dialog Heideggers mit Aristoteles ist zwar ein lebenslanger Dialog gewesen, aber der Verfasser betont mit Recht drei Höhepunkte, nämlich  die frühe Anwesenheit des Aristoteles in Heideggers Seinsfrage, indem diese durch den scholastischen Filter Brentanos und Braigs zu ihm drängt und zu Aristoteles führt;die (etwa zehnjährige) Periode des Ausbrütens von Sein und Zeit, als die entscheidende Zeit des Dialogs, die sich in den Marburger Vorlesungen sowie in Sein und Zeit selbst niederschlägt;und schließlich die Anwesenheit Aristoteles' nach der "Kehre".Dementsprechend fällt  der Schwerpunkt von Volpis Ausführungen auf den zweiten Höhepunkt, der mit der Überschrift "Wahrheit, Subjekt, Zeitlichkeit" gekennzeichnet ist. Heidegger begegnet Aristoteles ausgehend von den in der Husserlschen Phänomenologie offen gelassene Frage nach der ontologischen Konstitution des menschlichen Lebens (bzw. der "Lebenswelt"). In dieser Begegnung, die auf eine kategoriale Differenzierung hinausläuft, öffnet sich der Blick für die Kantische Frage nach der Einheit des Kategorialen, die, sofern sie auf ein endliches Subjekt zurückgeführt wird, den Zusammenhang zwischen Subjektivität (bzw. "Dasein") und Zeitlichkeit offenbart. Damit kündigt sich zugleich die zentrale "These" Heideggers bezüglich des metaphysischen Seinsverständnisses im Sinne von Anwesenheit, mit der dazugehörigen Privilegierung der zeitlichen Dimension der Gegenwart an. Gegenüber einer kategorialen (bzw. "gnoseologischen") Wahrheitsauffassung sucht Heidegger (Husserl folgend) in Aristoteles die Spuren einer präkategorialen "fundierenden" Wahrheit, wobei solange man den Bereich eines endlichen Subjektes nicht verläßt, eine solche "Fundierung" auf die Einheit von sinnlicher Wahrnehmung und Verstand bezogen bleibt. Der Verfasser erläutert in klaren Umrissen die Kernpunkte der Heideggerschen Analysen aus De interpretatione sowie aus ausgewählten Stellen der Metaphysik. Es geht dabei u.a. darum zu zeigen, inwiefern die Struktur des prädikativen logos nicht nur in die Frage nach der "Wahrheit", sondern vor allem in die nach dem "Wahr-sein", also noch einem ontologischen vorprädikativen Sinne von Wahrheit mündet. Die psyche ist "in" der Wahrheit, d.h. sie ist in der Weise des "Entbergens" (aletheuein). Während es bei den prädikativen Wahrheit um die Wahrheit bzw. Falschheit der Aussage geht, geht es bei der ontologischen Ebene um das "Vernehmen" bzw. "nicht Vernehmen" (noein / agnoein) des Sich-Entbergenden. Mit anderen Worten, das Sein, temporal vorverstanden als "Anwesenheit", ermöglicht erst die Prädikation des "Wahren" und "Falschen". Dieses temporale Vorverständnis des Seins bildet, wie der Verfasser richtig bemerkt, die eigentliche "Entdeckung" Heideggers, die ihn zu einem kritischen Durchgang durch die Geschichte der Metaphysik führt. In einem zweiten Schritt erläutert Volpi die gewissen Parallelität zwischen den ontologischen Bestimmungen von "Dasein", "Zuhandenheit" und "Vorhandenheit" (als die drei Seinsmodi, die Heidegger in Sein und Zeit eingehend erörtert) und den aristotelischen Unterscheidungen zwischen praxis, poiesis und theoria, wobei, nach Ansicht Volpis, die Korrespondez praxis / "Dasein" zunächst ungewöhnlich erscheint. Hier zeigt der Verfasser, wie mir scheint, den entscheidenden Durchbruch Heideggers in seiner Kritik der bisherigen Vorherrschaft einer kognitiv-theoretisch orientierten Bestimmung des Menschen. Hier liegt auch der Anknüpfungspunkt Heideggers am "praktischen" Denken Aristoteles' in der Nikomachischen Ethik (bes. im VI. Buch), wobei man erneut die erstaunliche produktive (!) Parallelität, die aus diesem Dialog hervorgeht, feststellen kann, z.B. in Bestimmungen wie "Gewissen" / phronesis, "Sorge" / orexis,  "Entschlossenheit" / prohairesis, "Befindlichkeit" / pathe  bis hin zur Deuttung des "Verstehens" im Sinne des nous praktikós. Im Hinblick auf die Frage nach der Zeit, den dritten Schwerpunkt von Volpis Analysen dieses zweiten Höhepunktes in der Begegnung zwischen Heidegger und Aristoteles, ist die (christlich-) kairologische gegenüber der "chronologischen" Erfahrung der Zeitlichkeit für Heidegger bedeutsam.  Heidegger reift schrittweise, so Volpi, zu seiner Auffassung, daß die Zeitlichkeit die Struktur menschlichen Lebens darstellt. In diesem Reifungsprozeß setzt sich Heidegger kritisch mit der naturalistischen Auffassung der Zeit bei Aristoteles auseinander, indem er, aufgrund einer Analyse der Bestimmung der Zeit in der Physik, die aristotelische Definition als die Frage nach dem Zusammenhang zwischen der Zeit und der (zählenden) "psyche", d.h. also als die Frage nach der ontologischen Bestimmung der "psyche" nachweist. Der Rezensent kann hier nur auf den analytisch "glasklaren" Text des Verfassers hinweisen, der diese schwierige Aus-einander-setzung zwischen Heidegger und Aristoteles in einer so zentralen Frage meisterhaft bewältigt. von der aristotelischen ("vulgären") Auffassung der Zeit führt dann der Weg zur Analyse der "Zeitlichkeit" sowie der "Temporalität", von wo aus erst das primus und posterius der Bewegung in ihrer Dimensionalität (wozu auch das nunc gehört) erfaßt werden können. So gelangt Heidegger, von Aristoteles ausgehend, zur Zeitlichkeitsstruktur des "Daseins" (in Sein und Zeit). Die Anwesenheit Aristoteles' nach der "Kehre", so der Titel des letzten Teils des Buches, weist zunächst auf die Heideggersche Radikalisierung der Metaphysik (etwa in der "Physis"-Schrift), indem das (metaphysische) Projekt einer "Fundamentalontologie" verlassen wird, hin. Der Verfasser vertieft aber die Anwesenheit Aristoteles' in den Jahren 1929 bis 1931, in denen die Fragen nach dem "Ort" des 'logos' im Ereignis der Wahrheit (seine weltbildende Kraft), nach dem Sein als Anwesenheit und als Wahrheit (Sein als "energeia") bis hin zur entscheidenden Entdeckung des Seins als physis (wie es die "Vorsokratiker", vermutlich erfahren haben) und seines "Einfangens" in der techne im Vordergrund stehen. Das Phänomen der Technik wird vom 'späten' Heidegger insofern radikal in Frage gestellt, als es die (anfänglich positiv bewertete) Operationalität des "Zuhandenen" beinahe monströsen bzw. zerstörerischen Dimensionen erreicht. Demgegenüber betont aber Heidegger, daß techne bei den Griechen das eigentliche "Gegenüber" der physis darstellt, d.h. das, wodurch die physis in ihrer Offenheit und "Verborgenheit" aufgenommen wird, sowie das, wodurch die physei onta so in ihren "Formen" (eidos, idea) erkannt werden, daß man etwas Entsprechendes gegenüberstellt. Dieses "Gegenüber" von techne und physisbedeutet aber (noch) nicht den Verlust der physis in ihrer "überwältigenden" Dimension. Was Heidegger in der "Physis"-Schrift leistet, so mit Recht der Verfasser, ist eine (im doppelten Sinne des Wortes) "epochale" Auslegung des Aristoteles, nämlich eine "Über-Setzung" von Fragen, die längst überholt schienen, während sie in Wahrheit unserer modernen Auffassung von Natur und Technik buchstäblich zugrundeliegen. Darauf weist Volpi ausdrücklich im Schlußkapitel hin. Gerade für eine Analyse der "Moderne" bietet der Dialog Heidegger-Aristoteles entscheidende Anhaltspunkte. Zwei kritische Bemerkungen schließen diese Arbeit: Vollzieht tatsächlich das Wesen der modernen Technik den originären impetus des griechischen logos? Und inwiefern ist dem "Finitismus" Heideggers zuzustimmen, daß die Zeit den logos formt (und nicht umgekehrt, wie für die Griechen? V. deutet an, beide Fragen gewissermaßen vereinigend, daß es einen "polyvalenten logos" gibt, den es gegenüber einem "eindimensionalen logos" wiederzugewinnen gilt. Müßte man nicht auch von einer 'polyvalenten techne' (bzw. Technik!) sprechen? Wie steht es aber dann mit der Frage nach der Kunst? Ist nicht Eros ein großer Dämon, der zu verdolmetschen weiß? Heidegger in Dialog mit Platon?Franco Volpi. Volpi. Keywords: dizionario dell’opere filosofico: Lucrezio, Cicerone, Vico, Croce, Gentile… -- multiplicity of  being in Aristotele, univocita dell’essere; equivocita dell’essere, essere univoco, energeia, einheit, sein, als energeia, l’unita dell’essere come energeia. H. P. Grice, The Grice Papers, Bancroft, MS. Luigi Speranza, “Grice e Volpi: l’univocita dell’esere” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Volpicelli: ragione conversazionale -- corpi e corpi – maschi fascisti – colossi fascisti -- la flosofia italiana nel veintenno fascista -- filosofia fascista -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiaano. Grice: “While Volpicelli does use ‘spirito,’ he means ‘breath of air,’ since he is ultimately a naturalist, like I am.” Essential Italian philosopher. Grice: “I read with interest his “Nature and spirit.” At that time, at Oxford, there was not much of an Oxford spirit, so it spirited me.” Prende parte come sotto-tenente alla grande guerra. Si laurea in filosofia sotto GENTILE (vide). Insegna a Urbino, Pisa, e Roma. Teorico del corporativismo integrale. Direttore di Nuovi studi e Archivio di studi corporativi. Altri saggi: Natura e spirito; L'educazione politica dell'Italia; I presupposti scientifici dell'ordinamento corporativo; Corporativismo e scienza giuridica; La certezza del diritto e la crisi odierna; Dizionario di Filosofia  Franchi, Per una teoria dell'auto-governo, ESI, Napoli. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, su Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. La filosofia di V. costituisce un importante e, probabilmente, ineludibile termine di confronto onde comprendere appieno, sul terreno proprio del diritto, gli sviluppi più profondi dell'attualismo di GENTILE (si veda) e le sue possibili conclusioni teoretiche circa la possibilità di ammettere, nel suo seno, una filosofia del diritto. Il peculiare interesse per i risvolti speculativi della sua dottrina nella corretta definizione di una Rechtsphilosophie fanno, infatti, di V, un insostituibile interlocutore. Punto di partenza della sua riflessione è, per l'appunto, la definizione di una FILOSOFIA del diritto. La distinzione con una mera SCIENZA del diritto che investe in primis la speculazione. [Tale problematica viene affrontata, parallelamente, seppur da un versante più marcatamente economico e sociologico, da SPIRITO (si veda), con il quale condivide le avventure e, soprattutto, le disavventure di “Nuovi studi di diritto, economia e politica” che, raccoglie i loro principali saggi e, in particolare, il loro tentativo di indagare - sulla base dell'insegnamento di GENTILE - quegli ambiti delle scienze pratiche nei quali il complesso rapporto con una FILOSOFIA  unificatrice ed escludente come l'attualismo determina l'esigenza di un approfondimento speculativo particolare. I Nuovi studi, riprendendo la felice sintesi di Franchi, possono] [teoretica tout court, ma che poi - come si vedrà - finisce per calarsi perfettamente nella definizione del diritto e nella tipologia di analisi e studio che concernono l'esperienza giuridica nel suo insieme? Fedele trascrittore della lezione di GENTILE, V.  separa schematicamente i due campi. La FILOSOFIA è la considerazione integrale e, quindi, reale dei fenomeni singoli come individuazioni assolute dell'intero universo. Scienza, invece, e una limitazione operata sull'universale individuo, e, quindi, una considerazione parziale e astratta della realtà.  Se dunque l'UNIVERSALITA FILOSOFICA si costituisce come determinatezza assoluta, occorre asserire che l'astrazione e limitazione scientifica non si costituisce fuori o accanto, ma sul fondamento e nell'ambito della conoscenza  filosofica. Perciò essa è distinta e autonoma, ma entro il circolo invalicabile della filosofia -- e della storia d’ITALIA. Una storia da pensare, si badi, sempre e comunque come l'immanente atto del pensiero concreto. La FILOSOFIA, dunque, non costituisce un Prolog im Himmel, ossia un semplice e grezzo materiale aggregato di preliminari nozioni scientifiche, ma piuttosto il sostrato ontologico su cui la scienza può e deve modellare quelle categorie e quelle nozioni idonee a favorire l'autentica conoscenza di determinati settori della vita spirituale. Essa, in altre parole, ha il compito di realizzare un determinato percorso gnoseologico il cui sviluppo non può prescindere dalla consapevolezza che il processo di unificazione o unità conoscitiva non avviene per opera della scienza, ma avviene già nella realtà. La scienza deve solo 'attuare', con i suoi termini e i suoi concetti, una realtà che storicamente già si compie come processo unitario'. Un] [considerarsi come "il manifesto dell'attualismo applicato alle scienze sociali" (cfr. G. Franchi, Araldo Volpicelli. Per una teoria dell'autogoverno, Napoli. Sul tema pure cfr. Losano, Prefazione a Id. cur., Kelsen – V. Parlamentarismo, democrazia e corporatirismno, Torino. Sul punto cfr. Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, Milano. Cfr. Volpicelli, Orlando, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul punto cfr. Riccobono, Intervento, in La filosofia del diritto IN ITALIA; Alti del Congresso nazionale di filosofia giuridica e politica, Napoli-Sorrento, Milano, Franchi. La scienza - sentenzia altrove V. - è, infatti, vero ed effettivo conoscere (cfr. Corporativismo e scienza del diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul binomio realtà-storia V., nel già citato passaggio chiarisce così: "La realtà è una, categoricamente una ed omogenea, talché le sue distinzioni - innegabili e imprescindibili all'esistenza del mondo o, meglio, della realtà come mondo - non possono essere, e ciò per defini-zione, assolute, eterogenee; non possono cioè importare una contraddittoria moltiplicazione reale dell'unità. Le distinzioni sono e debbono essere per definizione omogenee, e non sostanziali. Ciò val quanto affermare che sono storiche, se è vero che la storia è il processo di differenziamento dell'uno: sì differenziamento e processo unitario, e cioe tale da importare l’omogeneita] [processo unitario il cui svolgimento, a sua volta, è contrassegnato da una dialettica intesa come «ritmo della realtà nella sua spirituale natura», ovvero non come essere ma come farsi.  Ciò che V. tenta di raggiungere, nell'ambito della riflessione giuridica, è la formulazione di un concetto del diritto che sia capace di incarnare l'intima e l'immediata attuazione 'scientifica' della teoria 'filosofica' dell'identità di individuo e Stato», e, al tempo stesso, di schivare il pericolo di una «arbitraria traduzione di essa nei disparati termini empirici della scienza giuridica..Dimensione ontologica della filosofia, funzione gnoseologica della scienza: sono questi i postulati da cui occorre muoversi per intraprendere la costruzione tanto di una filosofia quanto di una scienza del dintto. La realizzazione della prima passa per un confronto-scontro con CROCE (si veda), più tenue, e con VECCHIO (si veda), più violento, -- ossia con i due autori che con maggiore vigore si oppongono al positivismo filosofico di fine secolo, ma da posizioni differenti: idealista quella crociana, neo-kan-tiana quella del filosofo romano. La formazione della seconda, viceversa, parte da una revisione critica della dottrina dei due protagonisti, maestro e allievo, della pubblicistica italiana: Orlando eRomano. Il problema di fondo che V. intende affrontare è, quindi, quello di ridefinire la filosofia del diritto come scienza filosofica, ovvero come un'attività che indaga su un fenomeno particolare dell'esperienza esistenziale, ovvero il diritto. La particolarità del suo oggetto, seguendo questa impostazione, consentirebbe la possibilità di essere concepita come scienza, 'filosofica', e quindi subordinata alla filo-sofia, ovvero a quel processo speculativo che tende alla universalità.Secondo Volpicelli, infatti, un difetto ricorrente delle filosofie del diritto coeve -soprattutto quelle di matrice positivista - era quello di considerare «le filosofie par-ticolari» - e quindi quella del diritto - «come entità irrelative e intermedie tra la filosofia e la scienza. A causa della deriva sociologistica e positivistica che conduce ad una «concezione naturalistico-deterministica della realtà umana e perciò del diritto», la filosofia del diritto alla fine dell'Ottocento, «non conserva che il] [sostanziale dei suoi differenziati momenti, senza di che non c'è processo e passaggio ma statica e irrelata molteplicità naturale" (cfr. A. V. Corporativismo e scienza del diritto, Cfr. V., La teoria dell'identità di individuo e Stato, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. V., Corporativismo e scienza del diritto, V. La teoria del diritto di CROCE, in Nuovi studi di diritto, economia e politica] [nome. Il nodo cruciale è, insomma, l'impossibile distinzione tra una filosofia generale ed una speciale, come appunto si presenterebbe quella del diritto: una filosofia generale che ammette filosofia speciali non è più in grado di risolvere «sul suo terreno tutti i problemi della realtà. D'altro canto, una filosofia speciale che «ap-plica passivamente lo schema e il metodo» di una filosofia generale perde il suo compito essenziale ovvero «spiegare e necessitare il suo oggetto. Una riaffermazione di una riflessione intimamente giusfilosofica, quindi, «è possibile e intrinsecamente giustificabile» laddove si accetti il presupposto che il diritto sia «una posizione o forma assoluta dello Spirito stesso. Pertanto, oggetto e ragion d'essere della filosofia del diritto finiscono per identificarsi con «la determinazione della forma giuridica nel suo peculiare carattere e nella sua connessione intrinseca con le altre forme spirituali»"'. Solo in questo modo la filosofia del diritto «non è distinguibile dalla filosofia», ma nasce e si sviluppa «nell'ambito e nel sistema di essa» con lo scopo di perseguire due finalità essenziali: da un lato, in funzione anti-positivista, «considerare il diritto come attività dello spirito e non come «fatto» o schema»; dall'altro, in funzione anti-naturalista, «concepire storicamente il diritto come creazione incessante, progressiva ed organica. All'interno di questo quadro, V.  riconosce - in aperto contrasto col formalismo neo-kantiano - dei meriti anche a Croce: in particolar quello di aver ricomposto «il dissidio tra la filosofia e la storia, l'universalità e la concretezza, la categoria e l'esperienza» grazie al superamento del dualismo «di filosofia generale e filosofia particolari»'. Nonostante ciò, la posizione crociana va rigettata nel suo complesso per la presenza di insuperabili limiti speculativi: in particolare, in ambito filosofico-teoretico, la logica dei distinti; su un piano più specificamente giuridico, invece, la visione della legge come pseudo-concetto e la sua idea del rapporto tra società e Stato.Procediamo per gradi. Per Volpicelli, l'ipotesi di una dialettica tra i distinti è una mera contraddizione in termini in quanto le distinzioni che accompagnano la A. V. Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Si ripropone, perciò, il problema 'crociano' "dell'essere o del non essere" della filosofia del diritto "come materia d'insegnamento" (cfr. ibidem).A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto. V. La teoria del diritto di Croce, cL'errore del giusnaturalismo "non consiste nel fatto della sua «fissità», nel suo contraddire cioè alla autorevolezza delle leggi (...) ma nel carattere trascendente di esso, come presupposto e limite a priori, e, solo conseguentemente, statico e fisso, della volontà"] [costante e continua formazione dello spirito si rivelano solamente nel «processo di auto-oggettivazione dell'Io. L'attività dello spirito, prescindendo dalla sua manifestazione fenomenica, «è solo ed essenzialmente attività etica»?': per cui l'autoco-scienza - del soggetto agente - «nell'atto stesso in cui costituisce la volontà come tale, ne costituisce insieme e indistinguibilmente l'assoluto valore etico. Questa ripresa lineare e rigida della dimensione morale dell'intero processo spirituale dalla speculazione gentiliana è il presupposto che consente a Volpicelli di attaccare frontalmente «l'assurdità della distinzione spirituale tra attività economica e attività etica», poiché non è possibile concepirsi una differenza tra volontà universale e volontà individuale, ossia «tra fini che ci appagano come individui e fini che ci appagano come uomini. Due sono, dunque, le conseguenze derivanti da tali assunti: in primis, che l'utile «non è quella forma distinta di attività dello spirito, ma di un semplice, necessario modo di considerazione della volontà nel suo divenire. In secundis, che «il diritto è una forma distinta dell'attività dello spirito», che può presentarsi «come economia», ma soltanto «in virtù di una distinzione gnoseologica operantesi e risolventesi nel reale processo di svolgimento dello spirito come eticità»?.Rispetto dunque al primo punto, la critica ai 'distinti conduce ad una parziale e vaga accettazione dell'identità diritto-economia e ad una rapida e sbrigativa descrizione della relazione tra i vari momenti della praxis: diversamente da Gentile, e anche da Maggiore, in cui l'approdo alla moralità avviene in maniera graduale e complessa, in Volpicelli costituisce un dogma non approfondito, ma assiomaticamente sostenuto. V. La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana, sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic et nunc in virtù della libertà" (cfr. GENTILE, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di formazione della volontà (sul punto cfr. Maggiore, L'unità del mondo nel sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, V. La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana, sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic et nune in virtù della libertà" (cfr. G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di formazione della volontà (sul punto cfr. G. Maggiore, L'unità del mondo nel sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, Palermo: un passaggio che segna l'inizio di un lento ma inesorabile allontanamento dall'attualismo e dall'idealismo tout court che si compirà negli anni successivi. Più in ge-nerale, sull'evoluzione del pensiero di Giuseppe Maggiore si rimanda a F. D'Urso, L'emersione del giuridico' nella filosofia di Giuseppe Maggiore: da L'unità del mondo a Il diritto e il suo processo ideale, in Annali dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli.] [Il vero problema filosofico-giuridico, del resto, è rappresentato dal rapporto tra volontà e legge. Contro l'impostazione di Croce, che la vedeva semplicemente come uno pseudo-concetto della sfera pratica, Volpicelli considera la legge «regola imperativa» che costituisce la base di «un momento sui generis e irriducibile dello spirito pratico»?. Essa, perciò, «non è una costruzione arbitraria», bensì «l'immanente proiezione astrattiva e generalizzante della concreta volontà»28Se ad una prima lettura la legge appare, perciò, come «l'oggetto in cui la volontà si pone ed è reale», nel momento in cui la voluntas «se ne stacca», diviene «lo schema ideale dell'agire»; seguendo tale ragionamento, si può correttamente ritenere che «la sua dissoluzione è la condizione perché l'atto volitivo sorga e si effettui,?.Il diritto, allora, non può non identificarsi con la legge, cioè con il voluto «nella sua astrattezza e rigidezza di posizione innanzi e contro al volere»3°. Mentre la volontà etica «pone e risolve la legge nella sua libera ed intima creatività», la volontà giuridica è quella in cui «la legge è esterna però coattiva»''. Ecco il motivo per cui il diritto assume la coattività e l'esteriorità come elementi - gnoseologicamente - distinti dall'etica 32.Infine, Volpicelli intravede e contesta nel pensiero crociano una lettura 'machia-vellica' della politica: concepita come «la forma individuale o utilitaria dell'attività pratica dello spirito», essa si apre all'idea che la filosofia politica «non ha più per oggetto lo Stato» e quindi la sintesi di autorità e libertà, molteplicità e unità del va-lore33.A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfi. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p. 28) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro (1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti della filosofia del diritto, cit., p. 15).V., La filosofia della politica di Benedetto Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, V. La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.3° A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfr. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p. 28) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro (1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti della filosofia del diritto, cit., p. 15).A. Volpicelli, La filosofia della politica di Benedetto Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, VI, 1928, p. 322.479 Logica e storia: l'attualismo giuridico di V. ] [Volpicelli riconosce al formalismo giuridico di ispirazione neo-kantiana un importante merito ma, di contro, attribuisce ad esso un altrettanto decisiva responsa-bilità: il suo pregio consisterebbe nell'aver riaffermato «l'identità e l'universalità del diritto», il suo difetto nello «essersi arrestato a un concetto astratto e antistorico della categoria del diritto», 34.Il formalismo neo-kantiano, in altre parole, riaffermando «l'apriorità e categori-cità del diritto», rivendicava «legittimità ed autonomia della rispettiva indagine filo-sofica»35. Un'autonomia che, in Volpicelli, va sempre però concepita entro il perimetro della filosofia generale e mai al di fuori e all'esterno di essa36. L'insuperabile limite del neo-kantismo, allora, appare quello di inseguire un'illusione, ossia di poter sostenere «l'autonomia dottrinale di quella particolare filosofia contro i congiunti ostacoli della filosofia generale e della giurisprudenza»37.E arriviamo, così, all'analisi del maggiore e più influente esponente del neo-kan-tismo italiano, ovvero Giorgio Del Vecchio38. Volpicelli contesta due aspetti fondamentali della sua teoresi: la distinzione tra concetto e idea del diritto - che ripro-pone, sotto mentite spoglie, quella tra una giurisprudenza che studia il diritto particolare e la filosofia che studia il diritto universale3; la riproposizione, consequen-ziale, dei tre 'compiti' (gnoseologico, fenomenologico, deontologico) del diritto *".A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 241.Ivi, p. 212.Volpicelli, nel ritenere che la filosofia del diritto come "un'autonoma scienza filosofica" nasce con Thomasius, interpreta la sua distinzione tra diritto e morale come specchio della distinzione tra diritto naturale e diritto positivo (cfr. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p. 25).A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 243. Per comprendere meglio la prospettiva volpicelliana, è interessante la lettura dell'opera di Igino Petrone. Sebbene consideri la sua filosofia come "unico sforzo compiuto dal filosofismo accademico italiano per costruire una filosofia del diritto su fondamenti speculativi", in essa traspare nitidamente il fatto che l'apriori kantiano diviene "una statica e trascendente idea innata" e, di conseguenza, la realtà fenomenica come una"bruta empiria avente fuori di sé il suo principio" (cfr. Id., Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., 30-31). Pertanto, nel suo idealismo critico "permaneva, in fondo, tenace la concezione positivistica" (cfr. ivi, p. 29).Quando ci riferiamo al neo-kantismo italiano, come sostiene nella sua ricostruzione storico-filosofica Nicola Tabaroni, possiamo individuare tre autori 'per antonomasia', ovvero Igino Petrone,Adolfo Ravà e, per l'appunto, Giorgio del Vecchio; in merito cfr. N. Tabaroni, La terza via neo-kantiana. Della gius-hlosofia in Italia, Napoli 1987, pp. 5-6.Una problematica, questa, che viene approfondita da altri studiosi prossimi alla filosofia attuale, tra i quali certamente spicca Angelo Ermanno Cammarata. Si ricordi, a riguardo, soprattutto il Contributo a una critica gnoscologica della giurisprudenza (1925), in cui emerge, come scrive Teresa Serra, la necessità di "ridare legittimità alla filosofia del diritto rifiutando l'elisione idealistica della realtà del diritto" (cfr. T. Serra, Angelo Ermanno Cammarata: la critica gnoseologica della giurispru-denza, Napoli 1988, p. 61) V. Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] [In primo luogo, egli ritiene che «la fenomenologia del diritto» coincida con «la storia stessa del concetto di diritto»4: tra lo svolgimento dell'idea-diritto e la trasformazione del concetto-diritto non vi è, dunque, alcun dualismo ma piuttosto una sostanziale identità. Un'identità che consente a Volpicelli di accentuare quell'avvi-cinamento tra forma e contenuto del diritto, già riconoscibile nell'opera gentiliana e già intrapreso da Maggiore, che, pur riprendendo nozioni kantiane, le plasma e le adatta all'interno della sua speculazione a consolidamento e sostegno della posizione attualista43.La forma, per Volpicelli, è sempre «forma viva», ossia «concreta, processuale e differenziantesi»: una forma che, così intesa, può essere perfino definita come «il contenuto medesimo nella sua spiritualità»*. Una forma che non può mai identificarsi con la vuota e indifferente nozione, di derivazione neo-kantiana, dell'«univer-sale logico»*. Da qui, la seconda fondamentale critica a Del Vecchio, ossia la sua fatua distinzione tra essere e conoscere. Il fenomeno giuridico, infatti, va concepito, secondo tale lettura, come un qualcosa «che non cade fuori dall'atto che la pro-duce», ma piuttosto come una realtà «in cui si individua, e cioè si converte e rifonde senza residuo, l'universale attività concepente»*.La riconduzione dell'elemento fenomenico nell'ambito formativo del processo spirituale determina, altresì, l'identificazione della conoscenza con il valore, o meglio, dell'attività conoscitiva con quella valutativa. Lungi dall'accogliere la separazione weberiana tra giudizio di fatto e giudizio di valore, Volpicelli perviene al rifiuto dell'altra importante dicotomia nella filosofia delvecchiana, ossia quella tra idea logica e idea valutativa, da cui derivano rispettivamente il «giudizio storico-positivo» e il «giudizio deontologico-razionale»47. Per l'allievo di Gentile, «conoscere è, indi-stinguibilmente, e in sé medesimo, valutare» perché ogni valutazione avviene sempre in re, e non extra o post rem, e pertanto «è possibile e giustificabile solo nell'attoUn concetto di diritto che "non è nulla di diverso e distinto dalle sue manifestazioni, ma è proprio, assolutamente, quest'ultima" (cfr. ibidem).Il Kant 'attualista' è quello che apre all'identità hegeliana di reale e razionale attraverso il ribaltamento del rapporto tra soggetto e oggetto e la negazione della preesistenza della realtà al pensiero."Una tale conquista - osserva Franchi - che capovolge il tradizionale rapporto tra il pensiero e l'es-sere, si sarebbe però arrestata, secondo Volpicelli, con il riconoscimento di un dato che trascende il pensiero, cioè la materia, a cui il pensiero si limita a dare una forma, e che avrebbe obbligato Kant a introdurre nel suo sistema il concetto di «noumeno», elemento non conoscibile dall'intelletto, a fondamento della stessa realtà naturale" (cfr. G. Franchi, Amaldo Volpicelli, cit., p. 19).A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., pp. 42-43.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, II, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1931, II, p. 108.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I, cit., pp. 44 e 47.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] conoscitivo, e non fuori o dopo di esso»48. Il valore, dunque, finisce per identificarsi con l'essere in maniera ancora più netta rispetto al fenomeno, essendo non altro che «la stessa formale ed infinita creatività dello spirito»: un'identificazione garantita dai suoi caratteri essenziali, ovvero «l'autoposizione e l'infinità»49Il valore così definito svolge, all'interno della ricostruzione volpicelliana, un'ultima importantissima funzione, ossia quella di offrire un ulteriore e decisivo argomento contro ogni visione giusnaturalista. Non potendo, infatti, rinunciare alla sua «spirituale natura e immanenza», alla sua indole «interiore e cosciente» e alla sua«inesauribile dialettica», il valore, applicato al diritto, trasforma questo in una peculiare espressione concreta della coscienza umana, specificamente quella dell'«essere doveroso e continuo»: un diritto che «è sempre giusto»°. Alla luce di ciò, appare assolutamente inutile ipotizzare un diritto naturale a priori, eterno, immutabile, espressione di un ideale astratto sempre esterno alla realtà. Il giusnaturalismo, in ogni sua formulazione, svela sempre il suo carattere filosoficamente falso per questa sua incapacità di essere immanente e 'procedurale' all'interno della realtà dello spi-rito: idealità e realtà, in definitiva, non si traducono mai in un dualismo, bensì si rapportano sempre nell'alveo di un processo dialettico. Passando sul versante della scienza del diritto, Volpicelli legge con interesse critico tanto l'opera di Vittorio Emanuele Orlando quanto quella di Santi Romano. Il confronto con entrambi scaturisce dall'interesse per lo Stato, in particolar modo per la sua definizione e la sua funzione nell'ambito dell'esperienza giuridica. In sintesi, pur condividendo sensibilità e fini che la scienza del diritto pubblico mostra e per-segue, Volpicelli individua nella dottrina dei due giuristi siciliani degli elementi critici da cui occorre allontanarsi apertamente: in Orlando ravvisa il pericolo di una scissione tra diritto e legge con la subordinazione del primo nei confronti della seconda; in Santi Romano, invece, la riduzione dello Stato a species del genus diritto rappresenta un presupposto incauto da cui potrebbe derivare una frammentazione dell'universo giuridico e un abbandono del processo unitario che, viceversa, lo con-trassegna.Ciò che, invero, preoccupa maggiormente Volpicelli sul piano della scientia juris è quella che egli indica come «la tendenza più generale e caratteristica della giurisprudenza contemporanea», ossia quella «di determinare e porre alla base delle sue costruzioni il puro concetto di fatto giuridico»; un concetto, in altre parole, «valido**Ivi, pp. 109-110. Questa interiorità dell'atto conoscitivo, sorprendentemente, viene trovata da Volpicelli in Kant stesso, laddove "il conoscere", formandosi "secondo le forme funzionali dell'auto-coscienza" costituisce "già per ipotesi il nostro conoscere" (cfr. ibidem).49 A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] una volta per sempre e per tutti i possibili fatti»'. E necessario, perciò, una forte contrapposizione a questo formalismo che, come «mostro insaziabile», divora e annulla la scienza «nell'assurda pretesa di rendere quanto più rigorosi e universali gli schemi scientifici»52.Per Volpicelli la scienza, in generale, «non astrae dalla realtà», ma piuttosto «in funzione» di essa. In questo senso, la logica - che è in capo a qualsiasi concezione epistemologica - e la storia - che è l'incessante motore della realtà ideale - determinano due verità che non possono non coincidere. La logica, infatti, in quanto «immanente forma della realtà storica», non può mai scindersi dalla cosa in sé, dalla concretezza dello spirito, ma fondersi sempre con essa 4Ma la scienza non può 'spiegare sé stessa, dal momento che la sua intima ragione può essere definita soltanto dal di fuori, ovvero dalla speculazione filosofica, «nes-suna scienza può scientificamente dimostrare i suoi presupposti» e quindi «la scienza giuridica non può pretendere di spiegare giuridicamente il diritto»55. La genesi e i fondamenti del diritto «trascendono la competenza e la stera della scienza giuridica» perché essi hanno una «vera e genuina natura metagiuridica»56.La scienza giuridica è «distinta ed autonoma nella politica o nella storia, ma non dalla politica e dalla storia»57. Il grande torto di Orlando, come si vedrà, sarà quello di aver cercato di rendere la scienza giuridica autonoma dalla politica, ovvero dalla storia, e perciò di affrancarla dalla filosofia. Volpicelli, in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»8. Inoltre, egli sottolinea positivamente51 A. Volpicelli, Santi Romano (@, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), in Nuovi studi di diritto, economia e politica,1927, I, р. 200.54 Ivi, p. 201.SS Ivi, pp. 205-206.Ivi, p. 206.Ibidem. VITTORIO EMANUELE ORLANDO Volpicelli, in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»58. Inoltre, egli sottolinea positivamente51 A. Volpicelli, Santi Romano (I), in Nuovi studi di diritto, economia e politica, I, 1929, p. 17.52Ivi, p. 18.53A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), in Nuovi studi di diritto, economia e politica,1927, I, р. 200.Ivi, p. 201.Ivi, pp. 205-20636 Ivi, p. 206.Ibidem.A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (D), in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1927, L, p. 14. In verità, come osserva Pietro Costa, in questa riconosciuta affinità con l'impostazione orlandiana, si può riscontrare quel più generale consenso verso "quella pregiudiziale antropologica (di ispirazione anti-individualistica e organicistica) che collega Volpicelli non solo ad Orlando, ma all'intera tradizione giuspubblicistica" (cfr. P. Costa, Lo Stato immaginario. Metafore e paradigmi della cultura giuridica italiana fra Ottocento e Novecento, Milano] [l'atteggiamento dichiaratamente critico del giurista palermitano nei confronti sia del contrattualismo, sia del giusnaturalismo"".Ciò che, invece, rappresenta - come detto - uno strappo che determina il rigetto della visione orlandiana nel suo insieme è la distinzione, di matrice storicista, tra legge e diritto". Una distinzione che riproporrebbe - in altro modo - il dualismo tra diritto positivo e diritto naturale, laddove si affermi che «il diritto positivo o vigente (legge) dichiara e impone l'antecedente, genuino ed autonomo diritto so-ciale»61.In ciò non può non ravvisarsi, secondo l'interpretazione volpicelliana, uno sdoppiamento che è matrice e, a un tempo, figlia della medesima scissione tra Stato e società, già individuata e criticata - da Gentile e Maggiore - nell'hegeliana dialettica tra bürgerliche Gesellschafte Staaf2. Uno Stato che rimane mero titolare della legge con la quale riconosce e sanziona un diritto che non nasce in esso e con esso, ma in una società che precede sempre la sua formazione. Ma la società, secondo Vol-picelli, «non crea il diritto, se non in quanto Stato», assumendo in tale veste il ruolo di società politica 3.Il nesso tra diritto e politica, allora, costituisce il vero nodo da sciogliere, il terreno su cui è possibile porre le solide fondamenta della scienza giuridica, delineandone definitivamente caratteristiche e confini. Diritto e politica rappresentano l'astratto e il concreto del processo ideale che accompagna e contrassegna perpetuamente l'ente Stato. Se, perciò, il diritto può essere pensato come «l'obiettivazione astratta» del «concreto essere e operare» della politica, le scienze impegnate a studiare e definire i rispettivi oggetti sono agevolmente identificabili: la scienza del59 Orlando, infatti, da un lato considera il diritto come "una creazione spontanea, incessante ed organica della società", dall'altro sia allontana da tutte quelle dottrine che "ponevano a centro e a soggetto del mondo giuridico il puro individuo come immediatamente dotato di naturali diritti" (cfr.A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (1),cit., p. 16).Volpicelli scorge in questa separazione un retaggio diretto della scuola storica del diritto. Una corrente a cui viene riconosciuto un duplice merito: "contro il contrattualismo, riafferma l'apriorità e originarietà della società come fonte e principio del diritto; contro il giusnaturalismo, la storicità e positività di quest'ultimo" (cfr. ibidem). E, infine, "l'avversione costante e irriducibile di quella scuola alle codificazioni, che pretende di arrestare il corso storico" e alle riforme imposte "da una ragione arbitraria (perché metastorica)" (ibidem). Ciò che, al contrario, valuta come un limite è la negazione dello Stato come fuoco incessante della società: una società descritta come "una realtà piena e perfetta prima e fuori dello Stato" e quindi una realtà "immediatamente statuale e giuridica" (cfr. A. Volpicelli,Vittorio Emanuele Orlando (D), 1927, I, cit., p. 17).Cfr. A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (1), 1927, I, cit., p. 17.Il confronto di gentile con la filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riformaconfronto di gentile con la filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana (1913), Firenze 2003. La critica di Maggiore ad Hegel, invece, si sviluppa organicamente, seguendo per grandi linee la lettura gentiliana, in Maggiore, Hegel, Milano.] [diritto ha il compito di analizzare lo Stato «ipostatizzandolo e irrigidendolo», considerandolo sempre come «obiettivo e statico ordinamento istituzionale», la scienza politica ha viceversa la funzione di approcciare alla realtà statuale «nel suo divenire concreto», ovvero «nel suo interno rapporto con la progressiva e piena volontàumana» 64.In sintesi, diritto e politica - e con essi le relative scienze - sono senza dubbio distinti, ma non del tutto separati perché «non rispondono affatto a due concezioni opposte della realtà», ma piuttosto «poggiano su un fondamento ideale comune», lo Stato, di cui incarnano l'astratto e il concreto"s.L'approccio orlandiano, in questo senso, viene certamente 'salvato', dal momento che l'analisi e il valore degli istituti pubblici «nella loro giuridica realtà» costituiscono «il fine della scienza giuridica»: un fine che, tuttavia, non si persegue correttamente se questi «si staccano dal processo storico in cui si enucleano»66. Proprio qui, infatti, affiorerebbe il secondo e decisivo limite della ricerca di Orlando, ossia il tentativo impossibile «di accogliere e conciliare in un più comprensivo sistema i motivi parimente essenziali, ma inadeguati ed erronei nella loro unilateralità, delle due scuole di diritto pubblico del sec. XIX»: la scuola 'francese', che continua a dare forma «alle premesse politico-ideologiche della rivoluzione», e la scuola 'tede-sca', che al contrario «avvia e apre a sostanziali sviluppi l'assolutismo tradizionale»67Se, dunque, il legame con la scuola storica lo conduce all'inaccettabile divaricazione tra legge e diritto (rectius: società e Stato), l'attenzione al modello francofono lo porta, viceversa, verso un imprudente abbandono proprio della dimensione storica (rectius: politica) della realtà giuridica in quanto realtà statuale"8. La vera 'colpa' di Orlando, dunque, sarebbe quella di non aver realizzato la sintesi tra le due teorie, ovvero di non aver costruito una scienza giuridica capace, a un tempo, di affermare «l'autonomia e l'assoluta sovranità dello Stato», nonché «l'esigenza dello Stato giu-ridico» e «della libertà civile»6. Il suo vero fallimento è determinato dal vano sforzo di conciliare la necessità delle prerogative sovrane della realtà statuale con l'esigenza64Ivi, pp. 20-22.6Ivi, p. 21. Sul rapporto tra diritto e politica, come suggerisce Irene Stolzi, Volpicelli - insieme ad Ugo Spirito con il quale condivide fino in fondo le avventure e le disavventure dei Nuovi studi, rivendica "la netta supremazia del momento politico su quello giuridico", ossia "la necessità che la politica diventasse l'effettivo motore dello stesso diritto" (cfr. I. Stolzi, Il fascismo totalitario: il contributo della riflessione idealistica, in Historia et ius (www.historiaetius.eu), 2/2012, paper 14, p. 6).6Ivi, p. 23.6 A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 183.68 In verità, rileva Aldo Sandulli, le molteplici ascendenze culturali che caratterizzano la formazione della dottrina orlandiana, possono essere ricondotte "ad un ceppo comune culturale" rappresentato dalla "scuola storica di Savigny", dal quale poi si distanzia per seguire "gli indirizzi dei più rilevanti approdi della coeva giuspubblicistica tedesca", ovvero Gerber, Laband, e, infine, soprattutto Jellinek (cfr. A. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia (1899-1945)Milano 2009, p. 72).6 A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando] di riconoscimento della libertà politica ad ogni individuo. Volpicelli risolve questa, per lui, intollerabile giustapposizione orlandiana con la 'sintesi' dei due elementi, sovranità statuale e libertà politica, nella nozione di libertà civile che, andando a coincidere con l'autolimitazione statale, si realizza in «un congruo e determinatosistema di norme giuridiche»70.La libertà civile, intesa in senso volpicelliano, se traslata nel rapporto tra i singoli, può costituire i presupposti della libertà giuridica, cioè di quella libertà «insita e definita nello stesso diritto» che deriva «in modo indiretto, subordinato e contingente dal diritto posto» e che trova «nella empirica formulazione di legge il suo fondamento e i suoi limiti»". Mentre, quindi, l'attributo civile sembra connotare più propriamente i rapporti tra individuo e Stato, quella giuridica pare riferirsi in maniera più manifesta alle relazioni intersoggettive: due formulazioni della libertà che, da un lato, avallano una differenziazione tra ius - in quanto materializzazione dello70 Ibidem. Il problema dell'auto-limitazione dello Stato spinge Volpicelli ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale.Se la dottrina di Jellinek ha il merito di mirare alla "organica coesistenza" di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici Ibidem. Il problema dell'auto-limitazione dello Stato spinge Volpicelli ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale.Se la dottrina di Jellinek ha il merito di mirare alla "organica coesistenza" di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici soggettivi: secondo quest'ultima, infatti, "limitazione giuridica del sovrano vuol dir soltanto relazione giuridica di esso col suddito: relazione insidente nell'atto stesso onde lo Stato legifera o pone il proprio comando nella forma di legge" (cfr. A. Volpicelli, Vittorio EmanueleOrlando (III), cit., pp. 193-194).In Volpicelli, dunque, è la legge medesima a contenere in sé il senso del limite. Essa, infatti, non è mai e solo "un unilaterale comando al suddito", ma è sempre "un comando a se stesso", ossia "un continuo organizzarsi e procedere giuridicamente" (cfr. ivi, p. 194). Del resto, se 'filosoficamente'Stato e individuo si identificano, in ambito giuridico la teoria dei diritti pubblici soggettivi non è accettabile perché presuppone l'auto-poiesi di uno Stato, che si astrattizza nella fictio iuris della persona giuridica. Una fictio che poi si 'sdoppia' attraverso il riconoscimento della personalità giuridica del cittadino.La teoria dei diritti pubblici soggettivi presuppone la relazione tra due soggetti ontologicamente diversi; l'attualismo filosofico, invece, li considera come i momenti distinti di un'unica sostanza. Il legame sovrano-suddito, Stato-individuo, è sempre 'interno' e mai 'esterno'. Perciò, su un piano speculativo è inaccettabile; ma da un punto di vista della scienza, nel senso astratto datogli da Volpicelli, potrebbe anche essere accettata, quanto meno nei suoi presupposti se non in tutte le sue conclusioni.Rispetto ad Orlando, dunque, Volpicelli cerca una sorta di interpretazione attualisticamente orientata dell'opera di Jellinek e della dottrina dell'autolimitazione. Uno Jellinek il cui merito è quello di essere partito "dal puro atto legislativo ut sic, senza pretesa alcuna di assegnare e imporre allo Stato un determinato atto legislativo iniziale", evitando così lo sdoppiamento tra sovranità e popolo (cfr. ivi, p.196)."Ivi, p. 190. "Legiferare è limitarsi": pertanto, "Stato legislatore e Stato giuridico non sono, in-somma, due Stati o parti staccate ed eterogenee di un unico Stato - una originaria e sottratta al diritto (autocratica, illimitata, assoluta) e l'altra postuma, derivata e vincolata da esso", bensì "i due momenti ideali e inscindibili dell'unico Stato nel suo eterno processo di posizione e costituzione di sé" (efr. ivi,p. 195).Lo Stato legislatore, in definitiva, "è continuamente e inscindibilmente un sempre nuovo determinato Stato giuridico", cosicché la legge è l'atto che garantisce il continuo processo di produzione della giuridicità] [Stato - e lex - in quanto astrazione individuale dello spirito, fugando però il rischio della scissione perpetrata da Orlando, in cui rimane impossibile «conciliare la sta-tualità del diritto con la sua preesistenza allo Stato». In definitiva, attraverso tale duplice articolazione, Volpicelli finisce, volente o nolente, per assecondare - tramite il diritto - quella indispensabile identità gentiliana di libertà e autorità -- sovranità. Il percolo di una separazione tra Stato e società, già paventatosi in Orlando, trova, secondo Volpicelli, con l'affermarsi dell'istituzionalismo romaniano, un'ulteriore fonte di minaccia, ma anche un'apprezzabile opportunità di sviluppo. Per far sì che «la società sia l'immanente sostanza dello Stato» e che quest'ultimo si trasformi nella «coestensiva e interiore organizzazione autorevole» della societas me-desima, occorre che il diritto pubblico, lungi dal ridursi alla «figura del rapporto politico tradizionale atopicamente concepito», incominci a «svolgersi e articolarsi in un compatto sistema d'istituzioni attraverso cui circoli tutta la vita sociale»74.In questo senso, Volpicelli può ben richiamarsi a L'ordinamento giuridico nel sostenere che «il diritto non è norma o regola estrinseca di rapporti atomistici», bensì una «compatta organizzazione sociale in cui le norme e i rapporti rientrano come particolari e subordinati momenti». Ma, soprattutto, la realtà giuridica è una «organizzazione, in virtù della quale la società si articola e costituisce in un ente unitario ed autonomo rispetto ai vari elementi che lo compongono»76. In sostanza, in tale lettura si accetta, come fondamento incontestabile, l'inscindibile connubio tra ius e societas. Un connubio che trova la sua primigenia unità nell'individuum72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra autorità e libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto, Nichilismo e Stato totalitario, Napoli2007. 74A. Volpicelli, Santi Romano (I), cit., p. 10.75 Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra le azioni umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana • openstarts.units.it72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra autorità e libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto, Nichilismo e Stato totalitario, Napoli2007. 14A. Volpicelli, Santi Romano (I), cit., p. 10.75 Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra le azioni umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana che costituisce "un limite oggettivo" con "due facce assolutamente congrue" (cfr. A. Volpicelli, Santi Romano (continuo e fine), in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1929, VI, p. 363). Più in generale, l'attenzione per le teorie romaniane è un tratto comune a molti teorici appartenenti alla scuola gentiliana o comunque in qualche modo aderenti o vicini alla filosofia attualista. Oltre a Volpicelli, come ricorda Irene Stolzi, anche Maggiore e Panunzio riconobbero a Santi Romano "il merito di aver sollevato la questione della identità profonda del fenomeno giuridico e di aver chiarito come tale identità non potesse in alcun modo esser ricavata dalla mera superficie normativa, dal semplice sistema del diritto positivo" (cfr. I. Stolzi, L'ordine corporativo.Poteri organizzati e organizzazione del potere nella riflessione giuridica dell'Italia fascista, Milano2007, р. 105).76д. Volpicelli, Santi Romano] [medesimo. La società e il diritto, «nel senso più genuino e completo», sono, infatti, presenti già «nell'individuo isolato», il quale, malgrado rimanga «chiuso della sua vita interiore», in quanto espressione della soggettività concreta dello spirito, costituisce «un solido e articolato sistema di volizioni e mezzi di vita, di poteri e istituti, di garanzie e di norme, di facoltà e obblighi»; e quindi una forma di «redenzione essenziale di sé con sé», motivo per il quale va considerato, senza ombra di dubbio, come una «società formalmente piena e perfetta»"?.Tuttavia, ciò che rimane estraneo all'ortodosso attualismo volpicelliano è l'idea di un diritto oltre lo Stato8. Il diritto, infatti, «è l'obiettivazione positiva della volontà dello Stato», ossia «l'organizzazione statica e obiettiva in cui, di momento in mo-mento, si configura e conchiude il vivente processo politico dello Stato». Esso è certamente 'organizzazione' - come sostiene Santi Romano - ma soltanto quella che si incarna nella forma', ma soprattutto nella 'sostanza', dello Stato. Inoltre, è la sua presupposta mutevolezza a fornire quella solida e irrinunciabile garanzia di adeguamento continuo all'azione dello Stato e, di conseguenza, della società tout court.In definitiva, se, da un lato, viene accolta favorevolmente, in funzione anti-for-malista e anti-normativista la nozione del diritto come istituzione, dall'altro non è possibile sostenere la conseguente visione pluralista, derivante - per il vero - da una lettura accentuatamente 'progressista' e 'innovatrice' del saggio di Santi Romano8:l'istituzione, in ultima analisi, secondo Volpicelli, non può che essere lo Stato, ossia il soggetto che, per affrancarsi definitivamente dalla sua ipostatizzazione moderna,V., del resto, legge in chiave assai personale anche la crisi dello Stato moderno: nella sua ottica, il superamento dello statualismo ottocentesco rappresenta "il passaggio dalla concezione nor-mativa, e quindi individualistica e privatistica, a quella istituzionale e pubblicistica del diritto", ovvero"dalla concezione atomistica e formalistica a quella socialitaria ed organica dello Stato" (cfr. A. Vol-picelli, Santi Romano (continuo e fine), cit., p. 363).79 Ivi, p. 351.8 In realtà, la teoria di Santi Romano andrebbe letta come un tentativo di conservazione. attraverso l'adozione di un modello organicistico e anti-individualistico, dello statualismo. Uno statualismo che, tuttavia, avrebbe dovuto definitivamente accantonare le forme giuridiche ottocentesche. In tal senso, come scrive Sabino Cassese, la visione di Santi Romano rappresenta "il contrario del plurali-smo" (cfr. S. Cassese, Lo Stato, «stupenda creazione del diritto» e «vero principio e vita», nei primi anni della Rivista di diritto pubblico (1909-1911), in Quaderni fiorentini, Milano 1987, p. 507). Pertanto, seguendo le parole di Alfonso Catania, si può ulteriormente concludere che Romano "elabora una concezione giuridica che, lungi dal riflettere e comunque lungi dal mettere in evidenza anche la possibilità di una lettura conflittuale della società, giuridifica la realtà stessa, in questo senso la forma-lizza, in questo senso depotenzia il conflittualismo perché in qualche modo la visione giuridica, nella sua struttura ordinamentale-organizzatoria, tende ad esaltare tutti i momenti in cui appunto l'azione sociale si mostra fondativa e corroborativa dell'organizzazione stessa, senza che minimamente si formulino ipotesi sulla reale composizione e sul reale scontro delle organizzazioni sociali irrompenti sulla scena storico-politica" (cfr. A. Catania, Formalismo e realismo nel pensiero di Santi Romano, inId., Teoria e filosofia del diritto. Temi, problemi, figure, Torino. Sull'interpretazione della dottrina romaniana, ancora cfr. A. Sandulli, Costruire lo stato.] [cideve assumere l'attributo dell'organizzazione. L'addivenire ad una qualsiasi «teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici» rappresenterebbe «il logico corollario» di una concezione formalistica del diritto e, a un tempo, «la negazione flagrante della istituzionalità del diritto»8'. Il diritto, in altre parole, «è istituzione» solamente «se e perché il mondo dei rapporti giuridici» si origina, si sviluppa e si conserva come «una compatta unità» 82.Ciò che, dunque, finisce sotto la lente critica volpicelliana è l'ipotesi di una elaborazione dottrinaria, da parte della scienza giuridica, di una teoria che consideri «il diritto o l'istituzione ut sic, nella sua purità e generalità», e che risponda così, in maniera fatua ma pericolosa, «al più tormentoso ed insistente problema della moderna giuspubblicistica», ovvero quello di «legare o subordinare lo Stato al diritto»83Un'operazione considerata vanamente astuta perché, passando da una surrettizia e apparente identificazione tra Stato e ordinamento, si traduce in un'inaccettabile riduzione del primo termine a species del genus 'istituzione'.Nel rigettare contestualmente l'identità Stato-diritto e l'assorbimento dell'ordinamento statuale nella più ampia nozione di istituzione, Volpicelli ravvede il verificarsi di una fallacia analoga a quella naturalista. Sebbene, infatti, lo 'statualismo' sia, storicamente e filosoficamente, antitetico al giusnaturalismo perché dà al diritto «una'fonte' immanente e positiva», ovvero un «istituto», esso finisce per cadere nella stessa fallacia, ossia di «subordinare al diritto lo Stato, che da tale subordinazione trarrebbe la propria esistenza e legittimazione giuridica, 84. L'unica legittima identificazione - su un piano filosofico - di Stato e diritto è quella che vede il secondo come «l'incessante organizzazione obiettiva del concreto processo politico», laddove 'politico' corrisponde con 'etico'85.Questa familiare dialettica tra oggetto (diritto) e soggetto (Stato), tra astratto e concreto, che trova ampio riscontro nella filosofia di Gentile, in Volpicelli viene ulteriormente sviluppata attraverso l'approccio al tema del diritto internazionale. Se lo Stato è, dunque, quella «concreta realtà politica che pone e riforma e vivifica incessantemente se stesso come entità o istituzione giuridica»8, si pone il problema di definire, in maniera coerente con le premesse dell'attualismo filosofico, l'ordinamento fra Italia e il resto del mondo, ovvero rifiutando qualsiasi soluzione dualistica e, a maggior ragione, pluralistica. V. affronta la questione sostenendo che l'ordinamento fra l’Italia e il resto del mondo (no una corporazione) trascende e comprende bensì il singolo stato italiano come soggetto giuridico -- rectius: i singoli ordinamenti giuridici statuali -- ma mai e in nessun modo lo stato italiano come soggetto politico in quanto centro vitali, costruttore e riformatore.  Volpicelli, Santi Romano] [dell'organizzazione giuridica internazionale. Solo in questo senso l'ordinamento internazionale può delinearsi come «unica istituzione o organizzazione giuridica» all'interno della quale sussistano molteplici «relazioni giuridiche» che sono appunto«di ordine intra-istituzionale. Ecco, allora, svelata la ragione del mantenimento della nozione di istituzione in un sistema rigidamente identitario e monistico come quello implicitamente o esplicitamente avallato dalla filosofia 'attuale': lo Stato si identifica col diritto astratta-mente, ma non concretamente. Sia nel rapporto interno, sia nel rapporto esterno, il processo identitario a cui Volpicelli continuamente fa ricorso concerne l'analisi giuridica (e quindi scientifica), non quella politica (e quindi filosofica). Lo Stato, come realtà concreta e agente, crea sempre il diritto con cui, nell'atto creativo, va a identificarsi. Una cosa è, pertanto, lo stato fascista italiano politicamente, o meglio, eticamente, inteso, un'altra lo stato italiano nella sua obiettivazione giuridica. Alla natura distintamente ontologica o NOUMENICA del primo, corrisponde - rimanendone ineluttabilmente separata ed estranea – la mera natura fenomenica e contingentemente storica del secondo. V. Urso, V. -- Arnaldo Volpicelli. Volpicelli. Keywords: natura, spirito, corpi e corpi, corporazione. H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Volpicelli: il naturalismo,” Luigi Speranza: Grice e Volpicelli: natura e naturalismo” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Volpicelli.

Grice e Voltaggio: all’isola, la scienza della fantasia di Vico -- la ragione conversazionale del ‘vel’: p v ~p – fondamenti della logica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Essential Italian philosopher. Grice: “I enjoyed “What Leibniz actually said and not just implicated.” “Voltaggio also clarified Husserl to me.”  Filosofo italiano. Si laurea a Roma sotto ANTONI. Insegna a Roma, Mogadiscio e Macerata. Cappo ridattore di Sapere, collabora con Il manifesto, Lettera, di cui è socio fondatore, Apeiron, Janus, e Medical. Consulente di Sigma Tau di Roma e dell'istituto psico-nanalitico per le ricerche sociali, membro del seminario di filosofia di Senigallia. Altri saggi: Fondamenti di logica, Milano, Comunità; La funzione critica, Roma; Che cosa ha veramente detto Leibniz, Roma, Ubaldini; Scienza, Milano, Comunità; I filosofi e la storia, Milano, Principato; L'arte della guarigione, Torino, Bollati; Il filosofo nel bosco, Roma, Di Renzo; Scienza filosofica, Roma, Laterza; Italia mediterranea: I flussi migratori nelle principali città rivierasche, Roma, Edup; Antigone tradita: una contraddizione: libertà e STATO nazionale Roma, Internazionali; Il paradosso dell'infinito, Milano, Feltrinelli; Epistemologia e politica della ricerca, Roma, Armando; L'evoluzione di un evoluzionista, Roma, Armando; La conoscenza inespressa, Roma, Armando -- ‘a bit like my ‘tacit knowledge’ – Grice. --; L'ora della socio-biologia, Roma, Armando; L'arte della ricerca scientifica, Roma, Armando; Il potere: processi e strutture: un'analisi dall'interno, Roma, Armando; Progresso e razionalita della scienza, Radnitzky, Andersson, Armando, Roma); Verene: “VICO: La Scienza della fantasia” Armando, Roma; L'intelligenza scientifica: un'indagine sull'immaginazione creatrice dello scienziato; Roma, Armando; Filosofi per la pace, Roma, Riuniti; Galeno: Trattato sulla bile nera, Torino, Aragno. Voltaggio. Keywords: Vico, “la scienza della fantasia” fundamenti della logica – fundamenti della logica di voltaggio – veramente detto Vico – veramente impiegato Vico --. Refs.: Luigi Speranza, “Voltaggio: what Leibniz implicated, as explicated by Grice.” H. P. Grice, “Voltaggio,” BANC MSS 90/135 c. Luigi Speranza, “Grice e Voltaggio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria

Grice e Vopisco: La ragione conversazionale all’Orto di Roma– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. L’Orto. Patron of STAZIO (si veda). Grice: “When I say ‘Garden’ I mean: ‘filosofo che segue la dottrina dell’Orto” – i. e. Marius, the Epicurean! The category of ‘patron’ is more or less publicly unknown in Oxonian philosophy. The term is applied to what the stereotypical patron was applied, as when we say ‘Mecenas’ without meaning ‘Mecenas.’ Inglobati nel parco di Villa Gregoriana sono i resti di una antica villa romana. Essendo consoli a Roma Quinto Ninio Asta e V., dal genitore di V. e infatti edificata a Tivoli una villa di cui il STAZIO (si veda) ci dà conferma nelle sue “Sylvae.” Questa lussuosa villa e tanto spaziosa che si estende dall'attuale ingresso di Villa Gregoriana fino all'ex albergo Sirene. Le fonti antiche infatti ci dicono che la dimora e abbastanza articolata ed estesa. Il terreno e attraversato da un canale di acqua, proveniente dal vicino Aniene, che la divide in due parti: una era posta all'interno di Villa Gregoriana mentre l'altra e situata appunto vicino all'ex hotel Sirene. La scelta del luogo ove edificarla e influenzata dal fatto che qui si estende il bosco sacro di Tiburno, qui c'e la grotta della Sibilla, qui si ergevano i templi magnifici ed imponenti dell'acropoli. Dagli studi compiuti alcuni sostengono però che la villa Vopisco non sarebbe stata costituita da due ma da tre aree, attraversate dai canali Stipa e Chiavicone o V. i quali sono una specie di valvola di sfogo quando l'Aniene e in piena. Stipa dà luogo alla cascata del Bernini, dal Bernini che ri-struttura il canale di origine romana. STAZIO (si veda), nella sua opera, Sylvae, considera un'attrattiva della villa V. il fatto di essere fornita di acqua potabile dall'Acqua Marcia. Interessante a tal proposito è la fistola trovata in piombo. Nella villa infatti, nel corso delle esplorazioni, è stato rintracciato un acquedotto così come è documentata la presenza di una piscina utilizzata per l'allevamento ittico. Attualmente della villa rimangono solo 13 ambienti aperti e finalizzati ad essere delle sostruzioni su cui poggiare le varie parti edili della villa sovrastante. L'idea dell'architetto e che essi, guardandoli, dessero l'impressione di trovarsi davanti a delle grotte naturali e per questo motivo dove e possibile si lascia intatto il terreno roccioso. Tuttavia si suppone, basandoci sulla testimonianza di fonti, che la dimora e costituita da vari padiglioni isolati. Non è semplice oggi però la lettura di ciò che resta del complesso anche se Canina tenta di ricostruire come la villa doveva essere.Publio Manlio Vopisco. Vopisco. Keywords: la villa del filosofo. Vopisco.

Grice e Winspeare: la ragione conversazionele e l’elogio d’Antonino – “Della filosofia romana” – filosofia italiana – Luigi Speranza (Portici). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “My Italian friends do not consider me Italian, though!” Winspeare’s ancestors are from Yorkshire in a bad time. Henry VIII. “So the king’s option was clear: either your head off or move to Capri. I chose the second.” Opere: “Delle confessioni spontanee de’ rei” (Simoniana, Napoli); “L’abuso feudale” (Trani, Napoli); “Voti de’ Napolitano (Napoli); “La voce di Napodano; ossia, illustrazione del patto di Capuana e Nido” (Trani, Napoli); “Le Leggi di Cicerone” (Trani, Napoli); “Delle chiese ricettizie del regno” (Trani, Napoli); “Filosofia” (Trani, Napoli); “Dissertazioni legali” (Agrelli, Napoli); “La colonia perpetua ed il diritto feudale abolito” (Pesole, Napoli). Della filosofia romana. La filosofia romana comincia da CICERONE. A CICERONE e dovuta la lode di aver dato la cittadinanza latina alla disciplina greca, e di avere eccitato in questo studio l’emulazione de’ suoi cittadini. Di Cicerone è il vanto di avere richiamato la scienza ai principi dell’Accademia e di averla applicata alla vita si private che publica, e di darli un linguaggio che prima non aveva. Pe’quali meriti, Cicerone raccolge in se la gloria dei maestri greci. Sapiente come Socrate, eloquente come Platone, erudito come Aristotele, e austero come Zenone, Cicerone compende in se le più chiare menti di Grecia, sì che risplende nel mondo intelligente, non solamente come il luminare della filosofia latina, ma come il più ornato, il più elegante, e il più retto ingegno, che onra la spezie umana. Che se mancogli il merito dell'invenzione, ne ha bene un altro che quello eguaglia ed avanza, cioè l'essere stato tra gl’antichi il più utile alla filosofia pratica, avendo rimosso dalla speculativa la investigazione della causa naturale, e dimostralo l’unità del principio, a cui si annodano la psicologia e la morale. Infatti, avendo, come Socrate, stabilito per scopo d’ogni filosofia la conoscenza di se medesimo, da questo fa nascere la conoscenza del divino, la celeste origine delle anime umane e l’ordine morale degl’esseri creati, il fine de’ beni e de’ mali, la cognizione del sommo bene, il principio dell’obligazione naturale, e la nozione di quella eterna legge che tutto modera e governa. Avendo così dato alla filosofia un fine vero e utile alla vita umana, poco entrar volle ne’ concetti astratti, e forse disprezzogli al par di Socrate. Questo ha fatto a molti dire che Cicerone nell' esporre filosofia non sempre penetrato addentro nel suo senso, e fosse quasi rimaso straniero a quella esoterica sapienza, che taluni tanto più predicano e ammirano, quanto più di tenebroso trovano nelle sue concezioni. E qui domanderemmo, se non è arroganza de’ moderni il tassare di poca penetrazione la più luminosa mente dell'antichità. Cicerone abbraccia tutte le parti del sapere umano, svolge le più gravi questioni di filosofia intellettuale, e spogliandole de’ sofismi della dialettica le rendette facili e popolari. E vorremmo ancora sapere, se possa imputarsi a difetto di scienza l’avere ommesso quelle controversie astratte, che non solamente non contribuiscono alla perfezione della cognizione, ma la fanno in falsa parte piegare? Sarà facile il rispondere a chiunque farassi a considerare le parti singole della filosofia trattate da Cicerone, prendendole dal quadro che Cicerone stesso ne fa nella introduzione d’uno de' suoi libri filosofici. Ne’ libri accademici Cicerone vuole dimostrare la prima e più importante verità della cognizione umana, la certezza delle sorgenti delle idee. In ciò fare, origine e realità della umana segue per rispetto a' sensi la dottrina del Portico, che a quelli dato ha cognizione più che non ha concesso Aristotele, o sia define e determina il comprensibile de’ sensi ne’ termini stessi della scuola del Portico. Dal Portico Cicerone deduce, esser la verità de’ sensi una condizione necessaria della natura, comprovata dalla differenza che la natura stessa stabilito tra’l piacere e il dolore. Ma accanto al principio della sensazione, Cicerone colloca la virtù intuitiva dell’anima come affalto distinta da quello, o sieno le prime nozioni impresse dalla natura, senza le quali l’anima puo nè intendere nè ragionare -- Tuscul., De legib., Academ. --. Visum, impressum, effictumque ex eo unde esset; quale esse non possel ex eo, unde non esset. Lucullus. Circa la dottrina dell’idee, Cicerone espone storicamente il concetto di idea dell’Accademia, senza impugnarlo o sostenerlo. Cicerone narra lo strazio che fatto ne ha Aristotele, insieme co’ suoi peripatetici nel Lico; lascia da banda la questione del come le nozioni nascose e adombrate nell’anima si sviluppano, ma riconobbe come indispensabile la necessità d’un secondo principio tutto intellettuale, senza del quale e impossibile spiegare le operazioni della mente, l'astrarre, il generalizzare, l'inventare, e sopratutto il prodigioso fenomeno della memoria. Conforme a’ principi della umana cognizione e il resto del suo sistema conoscenza intellettuale, che espone nelle “Tusculane” e ne’ saggi intorno a’ fini de’ beni e di se medesimo de mali. Per la contemplazione di se medesimo, introdusce l'anima alla cognizione della immortalità ed immaterialità della sua sostanza, della origine divina da cui emana, dello scopo della vita, e del sommo bene cui debbe aspirare. E in prima, la più importante qualità dell'anima, siccome CICERONE avverte, è l'intuizione di se medesimo, la qual dote è appunto una conseguenza di quel principio d’intellezione che la natura ha in lei impresso, che non si acquista co' sensi, e che nella più matura età quando i sensi declinano, diviene più retto e perspicace. Dalla virtù (andreia), che l'animo ha di vedere se medesimo e le qualità sue, e dalla forza che ha in se di volere e di muovere, sente l'uomo essere cotesta virtù (andreia) un principio proprio, non prodotto d’altra esterna forza, e scopre essere quel principio stesso il quale muove la materia, affatto simile all’azione, che dà moto e vita all’universo; d'onde conclude non essere materiale o corporea, nè terrena o mortale, ma celeste ed eterna. Nè solamente dal principio della volontà e del moto ricava l'immortalità e l'immaterialità della sostanza sua, ma si bene dall’altre doti intellettuali, di cui scorgesi arricchita: dalla facoltà di pensare, di ritenere e di richiamare le idee e le nozioni passate, di antivedere le future, e di abbracciare col pensiero il divino, le opere sue, e l'infinito stesso, che n'è il principale attributo. In somma sviluppando il precetto di Socrate, conoscite stesso, o sia investiga quale sia l’animo tuo, Cicerone fa da quello derivare i tre primi dogmi della naturale sapienza dell' uomo, l’esistenza del divino, l'immaterialità, e l’immortalità dell’anima umana. E allorchè dall’interna investigazione dell'animo passa alla contemplazione de gl’obgetti esterni, e delle altre opere della natura, quanto più luminoso non diviene il concetto del divino, della dignità dell'uomo, della sua futura sorte, e del vero scopo della vita? Delle quali magnificenze sarebbe l'uomo muto e indifferente spettatore al pari dei bruti, se non avesse sviluppato entro di se le nozioni del proprio essere, e delle relazioni sue colle altre creature, e coll'autore stesso dell'universo Academ. “Animo ipso animum videre”. A stabilire poi la vera nozione del divino, ne’ libri “de natura deorum” vuole Cicerone esporre le principali opinioni delle scuole, l'accademica, il portico, e il giardino; e sbandita questa -- la quale dava al divino per suo unico fondamento la pratica credenza degl’uomini e rendevala affatto inutile alla vita -- dimostra come gl’accademici discordassero dai filosofi del portico nelle parole più che nella sostanza. Ciascuna di quelle due scuole non pertanto ha una parte vera: il concetto del divino, ricavato dall'opera dell'universo, e degl’accademici, i quali ereditano l'avevano dagl’accademici: l'altro della provvidenza, che tutto regge e dispone per la utilità dell'uomo, e del Portico. Ma costoro d'altra parte ammetteno dogmi, e commettevano insieme principii tra loro incompatibili, come la natura animata cogl’attributi del divino, il fato colla provvidenza e colla libertà dell’umane azioni. La stessa loro virtù (andreia), o il sommo bene non puo accomodarsi al viver pratico degl’uomini, dapoichè e collocata in un estremo tale, che per esso toglievasi ogni merito o biasimo ai fatti, buoni o tristi che sono, se pur non toccassero l'apice della perfezione. Per esso l'uomo sapiente divene un essere ideale, che non puo scontrarsi sulla terra. I doni della natura, la sanità, il vigore, la bellezza, le sostanze sono agguagliate a’ difetti e alle privazioni contrarie. Il piacere scambiassi col dolore. Le relazioni tra gl’uomini, gl’ufizi della vita, la prudenza, l’ordine, le virtù (andreia) civili, la cura de’ publici negozii, e la domestica economia, divenivano tutte qualità di convenzione, estranee alla sapienza e alla vera virtù (andreia). A rimuovere l'ostentazione di questa scabrosa virtù (andreia), dopo avere esposto le opinioni delle greche scuole, Cicerone dimostra quanto di vano fosse nelle parole e ne’ nuovi vocaboli introdotti dal Portico, e come il giusto mezzo si trova nell’emendazioni di Panezio, il quale concilia Zenone, cogl’accademici e co’ peripatetici del lieco. Tale e lo scopo de’ suoi libri intorno a’ fini de’ beni e de’ mali, insieme co’quali va letto l'altro del fato, che scrive per accordare insieme la dottrina dell'ordine della natura colla provvidenza, e colla libertà delle umane azioni -- libro, per altro, di cui ci rimane soltanto un malconcio avanzo. Non oseremmo fare la stessa apologia de’ libri intorno alla divinazione, nè sapremmo dire, se avesse Cicerone inteso sostenere la verità delle scienze divinatorie per l'autorità del portico, o per la necessità di ri spettare una dottrina popolare, a cui non avrebbe potuto impunemente contraddire. Forse la maggior lode di quella opera potrebbe ricavarsi dal filosofico concetto che in essa sovente traluce, cioè che v' ha una provvidenza conservatrice, della cui assistenza la mente umana senle il bisogno, per modo che gli stessi prestigii e le superstizioni delle arti divinatorie sono la pratica espressione di tal bisogno. Quae est causa istarum angustiarum gloriosa ostentatio in constituendo summo bono. De Finibus. Le opere sin qua esposte abbracciano tutta la filosofia speculativa di Cicerone. Non sono meno luminose quelle della filosofia pratica: i libri degl’ufizi contengono l’applicazione della dottrina del Portico, secondo le emendazioni di Panezio, a’ portamenti della vita; siccome i libri della republica e delle leggi derivarono dagli stessi principi le regole per la vita publica, e per lo civile reggimento de’ popoli. Per Cicerone, in somma, la filosofia nacque in Roma matura, senza passare per l'età dell'infanzia, siccome aveva fatto in Grecia. Negli studi della umana sapienza, la ragione romana ha per guida la sperienza, o sia la storia dell’opinioni e degl’errori del più perspicace e il luminato popolo del mondo, il quale figura come l'antesignano e il luminare di tutti gl’altri nella carriera delle lettere e delle scienze. Cicerone e eclettico, perchè altra parte non resta a chi sopraggiugne nella maturità del sapere, fuorchè il giudicare e lo scegliere. Ma l'avere esercitato il giudizio e la scelta in tutte le parti della filosofia; lavere signoreggiato i pensieri de’ greci con un criterio sempre libero e retto; e l'aver dato ai pensieri della scienza l’espressione, o sia il linguaggio di cui i romani mancavano, gli meritarono presso i suoi un primato, che altro sapiente mai non ha presso la propria nazione. In conferma di che giova osservare, che in tutta la durata del romano impero, e in mezzo a tanti sommi uomini i quali arricchirono ogni parte del sapere cogli scritti loro; non apparve più alcuno che fosse stato comparato a Cicerone, si che Cicerone è solo modello della sana filosofia tra’ latini, come Socrate tra’ greci. Della filosofia pratica sopratutto Cicerone e benemerito, dapoichè per lui la dottrina del Portico passa dalla scuola nel foro, e nel grande teatro del mondo. Da questa la giurisprudenza attinse le cardinali nozioni della giustizia, e dell’obligazioni, proprie a stringere e consolidare i legami delle civili associazioni. E sebbene nelle mani de’ giureconsulti la dottrina del portico acquistato ha una tinta di disputabile, aliena dalla sua naturale rigidezza, e avesse da Seneca ricevuto un certo orpello declamatorio; pur tuttavolta fu da Arriano nel manuale di Epitteto richiamata a’ severi principii di Zenone e di Cleanto. Certamente in Roma ottenne successi maggiori che in Grecia, per chè ivi divenne madre della sapienza civile, ed ha il vanto di aver dato al mondo due perfetti modelli di re, nelle persone di Marc’Aurelio Antonino e di Antonino. Restiamo dall’internarci negli ultimi periodi della filosofia del basso impero. Tra perchè le vecchie nazioni che il componevano, nella condizione stessa della loro vita civile trovano invincibili osta coli a’ progressi della ragione; e perchè gl’ultimi aneliti della filosofia andano in quel tempo a scontrarsi col grande avvenimento, che rinnovar doveva la religione, la coltura e i costumi di tutti i popoli. Basta dire che il ritratto dell’opinioni e de'costumi della ultima età dell'impero romano: lo scetticismo e l'indifferenza per ogni verità formano la doltrina de’ sapienti. La corruzione scioglieva ogni giorno i vincoli sociali. La superstizione e l'ignoranza hanno ottenebrato la superficie della terra. Keywords: elogio d’Antonino. Grice: “Hailing remotely from the Catholic North Riding of Yorkshire and settling in the most beautiful coastline in the world, Winspeare knew all you need to know about Cudworth, and what he calls ‘percezione.’ I would call him an Oxonian.” Grice: “My favourite Winspeare is his ‘dictionary’: obviously he found Italian furrin enough to want to organize things in a sort of thesaurum. Speranza, on the other hand, likes Winspeare’s idea of ‘volgarizzazione’ of Cicero’s ‘De Legibus.’ – one of the most boring tracts in legalese, but then at Naples at the time, you HAD to be a lawyer!” Keywords: Cicerone -- Refs.: H. P. Grice, “Winspeare, Speranza, Napoli, and me!”The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Winspeare,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria

Grice e Zabarella: la ragione conversazionale e il lizio di Poppi – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Grice: “Most philosophers are stealing the voice of Zabarella; Poppi ain’t!” Primogenito di un’antica e nobile famiglia, eredita dal padre il titolo di conte palatino. Considerato il massimo esponente del lizio padovano.  Studia a Padova, dove e allievo di ROBERTELLO, TOMITANO, E PASSERI, laureandosi in filosofia. Succedendo a Tomitano nella cattedra di semiotica nello studio padovanoDeclina l'invito del re Báthory di insegnare in Polonia, ma gli dedica un saggio, l’opera logica, stampata a Venezia. Sono pubblicate a Padova le sue Tabulae logicae e a Venezia, il suo commento agl’Analitici II del Lizio. In risposta alle critiche mosse alla sua semiotica dai suoi colleghi, PICCOLOMINI, BALDUINO, E PETRELLA, compone a Padova la “De doctrinae ordine apologia.” Apparvero rispettivamente i suoi saggi, la “De naturalis scientiæ constitutione, e i De rebus naturalibus; postumi comparvero i suoi commenti incompiuti alla fisica e al de anima di Aristotele. I libri della sua biblioteca sono conservati presso a Padova. Altri saggi: Opera logica, Venezia; De methodis; De regressu, Venezia, Bologna, Tabula logicæ, Venezia; In duos Aristotelis libros posteriores analyticos commentarii, Venezia, De doctrinae ordine apologia, Venezia, De naturalis scientiæ constitutione, Venezia, De rebus naturalibus, Venezia, In libros Aristotelis physicorum commentarii, Venezia; Opera physica, Francoforte, Verona; De generatione et corruptione et Meteorologica commentarii, Francoforte; In tres libros Aristotelis de anima commentarii, Venezia, De mente agente, De rebus naturalibus ; De sensu agente; De rebus naturalibus, Rivista di Storia della Filosofia, De inventione aeterni motoris e De rebus naturalibus, Bruniana & Campanelliana. Berti, Metafisica e dialettica nel commento di Z. agl’Analitici posteriori, Giornale di metafisica; Bottin, La teoria del regresso in Z., in Giacon, Saggi e ricerche, Padova; Bottin, “La logica in Z.”, Giornale Critico della filosofia Italiana; Cuttini, Natura, morale e seconda natura nel Lizio di Z., Padova; Pra, Un’oratio programmatica di Z. Rivista critica di storia della filosofia, Papuli, Da Balduino a Z. e Galilei: scienza e dimostrazioni, Bollettino di storia e filosofia; Poppi, La  scienza in Z. Padova; Poppi, Introduzione a lizio Padovano, Poppi, Ricerche sulla scienza nella scuola padovano, Rubbettino, Mannelli; Rossi, Il Lizio e i moderni: le ipotesi e la natura, in Lizio veneto e scienza, Padova. Tonelli; Z. ispiratore di Baumgarten; o l’origine della connessione tra ESTETICA e logica, Da Leibniz a Kant, Napoli, Treccani – Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Cantimori, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Zabarella is what I would call a proto-Griceian.” In fact, at Villa Speranza, Grice is often referred to as the English Zabarella, after Zabarella produces extensive commentaries on Grice’s favourite tract by Aristotle, “De Anima,” and “Physica” and also discusses some Aristotelian interpreters. However, Zabarella’s most original contribution is his work in semiotics: “Opera logica.” Zabarella regards semiotics as conceptual analysis. One tool Zabarella calls ‘ordine’ (cfr.  Grice, ‘be orderly’). Another tool Zabarella calls “metodo,” by far predating Cartesio. “Ordine” relates to how to organize the content of a dictum to apprehend it more easily. ‘Metodo’ relates to how to draw an illatum, or implicatum. Zabarella reduces the variety of ‘ordine’ and ‘metodo,’ classified by other interpreters, to ‘ordine compositivo’, ‘ordine resolutivo’, ‘metodo compositivo’ and ‘metodo ‘resolutivo’. The ‘ordine compositivo’ from a principle to this or that corollary applies to this or that ‘creditum.’ The ‘ordine resolutivo,’ from a desired end to the means appropriate to its achievement applies to this or that ‘volitum,’ such as ‘pragmatics’ understood as a manual of rules of etiquette. This much is already in Aristotle. However, Zabarella offers an original analysis of ‘metodo’ The ‘metodo compositivo’ infers a particular consequence or corollary from a general principle. The ‘metodo resolutivo’ INFERS an originating principle from a particular consequence, corollary, or instantiantion, as in inductive reasoning or in reasoning from effect to cause. Zabarella’s terminology influences GALILEI’s mechanics, and has been applied to Grice’s inference of the principle of conversational co-operation out from the only evidence which Grice has, which is this or that ‘dyadic’ exchange, as he calls it. In Grice’s case, his corpus is intentionally limited to conversations between two Oxonian philosophers: A: What’s that? B: A pillar box? A: What colour is it? B: Seems red to me. From such an exchange, Grice infers the principle of conversational co-operation. It clashes when a cancellation (or as Grice prefers, an annulation) is in sight: “I surely don’t mean to imply that it MIGHT actually be red.” “Then why be so guarded? I thought you were co-operating.” H. P. Grice. Grice liked to recite Zabarella’s works by heart. Saggi: Logica, Venezia, De methodis, De regressu, Venezia, Tabula logicae, Venezia, In duos Aristotelis libros Posteriores Analyticos commentarii, Venezia, De doctrinae ordine apologia, Venezia; De naturalis scientiae constitutione, Venezia; De rebus naturalibus, Venezia; In libros Aristotelis Physicorum commentarii, Venezia, Physica, Francoforte, De generatione et corruptione et Meteorologica commentarii, Francoforte, In tres libros Aristotelis De anima commentarii, Venezia. Jacopo Zabarella. Logicam dicunt  cfle  facultatem , quod  per  hanc eornm  refponfioncm  difficultas,  qui  in  pn fentianos  vrget,  non  foluitur";  quum  enim conflat  Logicam  habitum  cfle  intellectualem, & credendum  fit  plenam , Sc  fufficientem  cfle  talium  habituum  enumerationem, quam  Ariftotel.  in  6.  lib.  de  Moribusfecit, attamen  nondum  apparet,  ad  quem  ex  illis habitus  logi»  redigendus  fit : imo  nos  ad nullum  eorum  redigi  pofle  demoftrauimus: & in  fola  mentis  conceptione  confiftuntjfabricat  enim  illa  intclleftus,  vt  ijs  iuuetur ad  rerum  cognitionem  adipfcendam;  hic non  funt  nili  conceptus  animi , qui  voce  articulata fune  a nobis  fignificari;  vox  enim articulata  cft  lignum  conceptus , qui  ellin animo , duplex  autem  cft  ciufmodi  vox , vt in  huius  libri  initio  diccbamustalia  namque fignificat  conceptum  rei,  vt  homo,  animal; alia  vero  conccpcumconceptus , vt  genus, fpecies , nomen  , verbum , enuntiatio , ra-quial.ogicancquceftfcientia, neque  intel-  £ tiocinatio,  & alii  huiufmodi;  propterea le&us , neque  fapientia , neque  prudentia, neque  ars;  qui  igitur  faculratcm  cfle  dicur, fi  facultatem  alium  quendam  habitum  cfle putant  pritcr  illos  quinque,  Atiftotclem  in habituum  enumeratione  mancum, ac  diminutum faciunt;  fi  vero  nonalium,  fcd  eorum aliquem,  id  declarare  debebant , & argumenta, qui  nos  attulimus, folucre, quod ipfi  neque  fecerunt,  neque  facere,  vt  arbitror, potuerunt. hx  vocantur  fecundi  notiones ; illi  autem primi : prius  enim  mens  rem  concipit : deinde in  eo  conceptu  alium  conceptum  effingit, enmque  voce  fignificat,  qui  dicitur vox  fecundi  notionis , & eft  nomen  potius conceptus,  feu nominis,  quam  rei:  voces quidem  primi  notionis  non  funt  inftrumen ca.fed  ligna  conceptuum,  vel  falrem  ipfi  pri mi  reru  concentus  nulla  ratione  inftrumenta funt, fed  imagines  rerum,  vt  docet  Arifto telcs  in  principio  libri  de  Interpretatione; propterca i»  IacobiZabareltePataumi propterea  difciplinx  illae,  quj  in  his  vcrfantur.non  dicuntur  inftrumentales.  At  voces feciide  notionis  iaftrumenta  dicutrruriquoniam conceptus,  qui  per  eas  lignificantur. Tunc  inftrumcnta  noftri  intellectus:  nam  An-gere in  conceptibus  rerum  alios  fecundos conceptus  non  oportui/Tet. nili  aliquam  nobis vtilitate  prxllicuri  fuiiTent ; igitur  aliud non  funt,quain  inflrumenta:quouiam  ea  vtilitate  amota,  indigni  qui  a nobis  cognoicerentur.feu  formarentur,  extitiifent:fcd  quu vtiles  fint , & ad  rerum  cognitionem  capeffendam  maxime  conferant, digni  fuerfit,  de  j quibus  aliqu*  difciplinx  conllituerentur; non  quidem  per  fe  digni,  fcd propter  alia, ad  qua:  vtiles  funt:  propterea  lue  difcipline vocantur  inftrumentales:  quia  non  propter J^;^y.fe,(ed  propter  alias  tradit*  funt.  Has  ego i’.f , duas  cfTc  exiftimo, Grammaticam , & Logi- Gum**-  eam  : namvtraqueeftinftrnmencum  pliilo- i»  fophif.fed  alia,&  alia  ratione, que  difteren- *'“■  tia  breuiter declaranda eft.  Mentishumane officium  eft,  tum  humanam  fpeciem  confti- tuere.taquam  proprie  eius  forme,  tum  etia proprias  hominis  edere  operationes,  quaru prxftanrisfima  eft  contemplari,  & cognofce re:deindc  vero,  & adionibus  noftris  pr$ef- Gramt-  fe,5clnfpiccre  quid  a nobis  eligendum  quid tkt  mti-  ve  fugiendum  fit.  Sed  caeftipfiusinfirmi- tas.vr  ipfa  per  fe.abfque  alieno  auxilio,  tum ’ in  contemplatione , tum  in  adione  parum proficere  queat, & nemo  hadenus  fuerit  in- uentus.qui  folus  ipfe  cogitando, & ratioci- nando plenam, & feiendarum  & agendarum rerum  cognitionem  fuerit  conlequutus-.fed artes oinnes  feientic  ab  hominibus  per additamentum  inuente,&  pierfede  funtjpri mus  quidem  aliquis  in  aliqua  difciplinaali-  i quid  inuenittid  tamen  rude»&  iniperfedu ; alius  pofteaco  principio  adiutus , aliquid aliud  inuenit:deindealiusaliud  adiecit,  do nec  ad  perfedionem  per  multorum  operam dudafit;quifque  igitur  noftrum  dodorc  in- diget,ad  plenam  eorum  notiriam  aflequen- dam.qux  homini  humanis  viribus  vtentico gnofccrc  datum  eft , difeimus  autem  ab  alio aut  prf  fente>&  per  vocem  docente ; aut  ab- fente,&perlitetas,qu{  loco  vocum  funt;  id- circo quum  Scabalijs  intelligi.&intcllige- re quid alij dicant, & feribant,  & addifeen-  j dum , &ad  docendum  omnino  ncceifarium fuerit,Grammatica  inuenta  eft.quf  concin- ne loqui,&  feribere  doceret;  cuius  quidem difeiplin;  cognitio,  fi  omnes  vno  atque  eo- dem idiomate  vteremur,  minus  fortafle  ne- ceffaria,  licet  non  omnind  inutilis  nobis  ef- fer,quum  fepe  videamus  rudes, & imperitos homines  ilia , que  ab  eruditis  dicuntur, vel feribunturin  eodem  idiomate  non  inrelli- gere : fed  propter  linguarum  varietatem  eft penitus neceliaru,  quum  neque  iiccraci  viri , ea, que  ab  alijS:aiio  idiomate  dicuntur. intel digere  queant, nifi  illius  linget  intelligeutii per  Grammaticam  fuerint  aifccutj:  propte- rea non  eft  eadem  jpud  omnes  Grammati- ca,quia  neque  ecdem  voccs,neque  exdem  Ii terx,  vt  ait  Ariftot.  iq  principio  libri  de  In- terpretationejverfacur  enim  Grammatica  in fola  vocum  , quibus  conceptus  animi  figni- fkantur,  limationc;&  quutn  ad  omnium  di- fcipiinarum  intelligentiam  vtilis  fit , preci- pue  adomnium  prfllantisfimamcofert.que philofophia  eft , eiusque  porisfimum  gratia  ^•s»***» inuentaro  ac  traditam  fuifle  credendum  eft . Logica  vero  alia  rationeinftrumentum  di- citur:quoniam  non  in  polienda  locutione, fed  in  conceptibus  ordinandis  tota  eius  na- tura confiftit;  propterea  vn  a,  & eade  eft  om- nibus getibus,&  nationibus: quiaapud om nes  homines  idem  funt  conceptus , tametfi no  ijfdem  vocibus,  neq;  ijfdem  literis  apud omnes  fignificentur : ideo  Logica  eget  Gra- matica.eaque  pofterioreft,  quia  intelligere aliorum  conceptus  non  po(rumus,nifi  voces eoru  fignificatricesintelligamus.quare  om- , nium  difciplinarum  prima  debet  dfe  Gram- ' matica:quia  omnes  ea  egent,  vt  intelligere, acjntelligipoifunt.  Ob  aliam  quoque  ra- tionem Logica  Grammatica  liquitur:  quo- niam ipfius  Logicsrconftitutio  a nomine, & verbo  exordiumluniit.quc  a Grammati-  *(•««  di- co videtur  accipcreLogicus.quamqua  alia,  ^ & alia  eft  horum  coniideratio  in  Grammati ca ,&  in  Logica;  Gramaticus  enim  voces  re- rumfignificatrices alias  vocans  nomina,  & alias  verba;  has  & reliquas  orationis  partes tradar, vt  partes  locl:tionis;conceptum  autem  lignificatum  non  cofidcrat,  nifi  propter vocem  fignificantem  ; Logicus  vero  concc- ptusabeis  fignificatos  contemplatur,  ipfas autem  voces  fignificantes  non  conliderat, nifi  propter  conceptus  fignificatos, quod  di ferimen  in  definitionibus  nominis,  & verbi a Grammatico, & a Logico  traditis.infpici potcfl;Logicus  enim  primario  cocepru  s re- fpicit,  fecundario  voces ; contra  Gramma- ticus primario  voces, conceptus  fecudarid. Exijs,qtix  diximus,  manifeftumeil  Logica vnacumGrainaticafub  intcllcduali  inftru- mento,tanquam  fub proximo  genere  conti- neri, vtraque  enim  eft  difciplina  inftrumen- talis,feu  habitus  animi  inftrumentarius,  & nobis  inferuiensad  omnium  aliarum  difciplinarum,& habituum  acquiGtionem,  precipue  verd  ad  prxeipuas  difciplinas , & ad habitus  omnium  prxftantisfimos.  Differen- tia vero  harum  duarum  inftrumentaliiim  di fciplinarum, quemadmodum, & aliorum  om niu  inftrumctoru,afcopo , &ab  vfu  vtriufi- que  defumitur;Gramatic{  enim  fcopus  eft, reda  atque  concinna  locutio , qua  iuuemur ad  omnium  difciplinarum  intelligentiam, & au- Dc  Natura  Logica:,  Lib.  L i 5 & audiendo , & legendo  . Logicz  vero  fco-  i puscfl,  viam  ac  methodum  tradere,  qua ad  rcrumnotitiam  adipifcentiam  vri  debea mus : ignotum  enim  noncognofcitur,  nili ex  alicuius  noti  cognitione  , & ad  cuiuf- que  ignota  rei  notitiam  aifequendam  a fla- turis qinbufdam  principiis, & per  certa  que- dam  media  progredi  nccelfc  clt,  line  quibus eius  rei  cognitione  numqtiam  potiremur. Tales  igitur  methodos  Logica  ducet,  ouas coguofeere  vanum  prorfus  eiret.fi  ad  rerum notiam  adipifcendam  nihil  nobis  vellicaris przbcrcnr ; quamobrem  ea cli  Logicz  natu ra , vt  fcien riarum  iufirumentumfic.ik  do- cear quomodo  conceptus  rerum  difponen- di  luit , vt  cx  notis  cognitionem  ignotorum adipifcamur.Scd  de  Logicz  fine  diligentius ac  fufius in  fcqucntibus  loqucmur. Cap.  XI . an  Logica  fttb  aliquo  quinque  habU tuum  intcllcduatium  contineatur. Declarat vm  efthaaenus, qua- lis habitus  Logica  fit:  efl  enim  habi- tus intclledtualis  inllrumentalis.quo  iuiia-  ( tur  intelledlas  ad  aliorum  habituum  ade- as ptionem.  Nunc  videndum  cll,  ani.i  illis •»*  quinque  ab  Ariflotelc  numeratis  continca- ' tur.  Dicunt  nonnulli  Ariflocelem  in  illo  fe- v xto  libro  de  Moribus  folos  nominare  vn- , luifie  habitus  principales  , i taque  fu ffi cien- tem cifeeam  numerationem  ,•  tanquam  ha- bituum principalium;  aft  habitus  Logicz non  eft  principalis , quum  fit  inllrumenta- • rius:  nullum  enim  inflrumentum  dicitur principale,  quatenus inrtru metum  cll:  quia cll  propter  aliud  tanquam  propter  finem  : finis  autem  prellantior  efl  ijs,  quz  ipfius  1 Y gratia  funt,  vel  fiunt;  habitus  igitur  Lo- gicz illa  enumeratione  noh  fuit  compre- hendendus . Hancrcfponfrnncm  haud  equi- dem fpernenda.aut  refutandam  eife  ccnlco, fed  potius  magis  declarandam  , vt  omnis hac  in  rc  difficulcas  tollatur . Videtur  enim dicendum  ellc  Logicam  ea  habituum  nurnc ratione, & comprehenfam  tui(fc,&  non  coni prehenfam:  no  fuit  coprehcnfatquia  no  fuit exprclfajfi  quidem  Arillotel. folos  exprimt- re  voluit  habitus  principales;  fuit  tamen etiam  modo  quodam  implicite, & fecunda-  ] rio  comprehenfa : qu ia  prxeipuorum  habi- tu uni  nominatione  illi  quoque  comprehen- duntur, qui  eorum  gratia  funt;  quemad- modum fi  quis  ad  percontantem  quo  iueric 'rcfpondeatRomam,  hac  rcfponfionc  alias quoque  medias  vrbes,  per  quas  tranfeun- dtim  fuit,  implicite  fignificat.vt  Bononiam re!  Florentiam,  quz  exprimende  non  funt: propterta  quod  prxeipuus  illius  itineris fcopus,  ac  finis  non  fuere , fcdfola  Koma. Similiter  ratione  folemus  dicere  , Jmpera- i tor  Romam  venit,  fine  expreffione aliorum quam  plurimorum  Ducum,  & militum,  qui vna  venerunt,  hi  namque  eius  gratia  vene- runt: ideo  ei  nsvnius  nominatione  totum eius  comitatum  fubintelligimuGiacomo Zabarella. Zabarella. Keywords: metodo compositivo, metodo resolutivo, ordine compositivo, ordine resolutivo, logica ed estetica, Baumgarten, il liceo, il lizio. Refs.: Luigi Speranza, Notes on I Tatti’s edition of Zabarella, “On methods,” -- H. P. Grice, “Zabarella,” Speranza, “Grice and Zabarella.” “Grice e Zabarella: la risoluzione buletica,” Villa Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Zaleuco: la ragione conversazionale -- dura lex sed lex -- Roma – filosofia italiana – la sapienza di Locri -- Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. He achieves great respute and respect as a law-giver in Locri, and has a reputation for being both humane and severe. He establishes fixed penalties for each offence, and two stories are told about the consequences of this. According to one, the punishment for adultery is the loss of both eyes. When his own son is found guilty of it, he orders that the punishment should be divided between them, so that they lose one eye each. The second story tells how the penalty for entering a particular public building carrying an arm is death. When he inadvertently violates the law, he executes himself. Both Diogene Laerzio and Giamblico call him a direct pupil of Pythagora – but his laws are usually dated to a much later period, making that impossible. In any case, Z., whose name improperly starts with a “Z” making him very UN-ROMAN (CATONE infamously banned the letter Z from the Roma alphabet, describing it as the ‘sound corpses make as they become’ – is a good proof that Cuoco is right, and that there is an Italic wisdom that pre-dates Pythagoras -- who had been born in Florence, anyway! There is no way to defend the view that Z. owes everything to the Hellenistic philosophy, even if those where the letters Pythagoras never wrote down! Locri is a fascinating philosophical city – or ‘village,’ as the Romans prefer. Cicero would say: “It is much easier to give good laws to Locri than it is to give bad laws to Rome!” – For Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library.

Grice e Zamboni: la ragione conversazionale e IL LIZIO – la dialettica -- filosofia italiana --Luigi Speranza (Cento). Filosofo italiano. “Famous for his dialettica e cosmologia and implicature!” – Grice.  Figlio di Matteo Zamboni, un  pittore originario di Cremona, di cui si conservano affreschi negl’oratori delle chiese della Pietà e di San Rocco. “Unlike his father” (Grice), Z. prende la strada degli studi filosofici. Studia a Ferrara sotto PENDASIO (si veda). Insegna a Ferrara. Tenne rapporti con la corte estense. Di fronte al duca d'Este recita il suo poemetto, “Le pompe funebri” – “which the duke didn’t like” (Grice) -- e quando si trova a essere oggetto di non chiarite gelosie e maldicenze da parte dei suoi colleghi a Ferrara, scrive al duca per richiedere un suo intervento. Non risulta il duca risolve i conflitti denunciati da Z., che, perciò, decide di trasferirsi altrove. Chiamato a Padova per insegnare in sostituzione di Zabarella – “whose surname also started with a Z” – Grice. Z. inizia il suo corso leggendo la prolusione Exordium habitum Patavii. Contro il tentativo di fondare a Padova uno studio rivale dell'università, Z. si espressa con l’oratione contro i gesuiti a favore di Padova, tenuta di fronte alla signoria di Venezia, nella quale sostenne che Padova, per insegnare, non ha bisogno dell'aiuto dei giesuiti e paventa i rischi di dividere gli studenti in fazioni come i guelfi e gibellini. L'autorizzazione all'apertura dello studio non a rilasciata e i gesuiti sono espulsi dalla repubblica veneziana a causa dell'interdetto scagliato da Paolo V, cui segue la cosiddetta guerra dell'interdetto. Ha una famosa controversia con RAGUSEO R sul numero essatto dei quattro elementi, ma anche sul valore della storia delle interpretazioni della filosofia del liceo, e su questioni didattiche in torno dei pupili con calligrafia bella. Sostenitore dell’esistenza della sua anima – “ma mortale” -- legata indissolubilmente a suo corpo, e sospettato d’eresia e e denunciato all'inquisizione. Con l'amico GALILEI (si veda), Z., ad opera di Belloni, condivideno accuse diverse, una denuncia al tribunale dell'inquisizione che non ha conseguenza. GALILEI e accusato di praticare l'astrologia giudiziaria e Z. di sostenere (i) che la sua anima e mortale e (ii) che Aristotele separa la filosofia del papato. Z. affronta altri due processi dai quali usce indenne grazie alla protezione della repubblica di San Marco. Molte fonti riportano che muore durante l'epidemia di peste che colpe l'Italia. Risulta che muore, invece, a causa di catarro accompagnato da febbre. Secondo alcuni, GALILEI si ispira a Z. nella scelta di un “Simplicio” come rappresentante dell'avversario liceale dell’elio-centrismo. Z. pubblica pochi saggi della sua dottrina, mentre sono a noi giunte numerose trascrizioni delle sue lezioni che prefere tenere solo oralmente. Le trascrizioni delle lezioni tenute a Padova presentano gravi problemi interpretativi che hanno impedito alla storiografia di poter avanzare una sintesi sicura di sua filosofia. Unica eccezione a questa difficoltà interpretativa sono le Lecturae exordium. Nella prima parte della lezione, si rammarica che il continuo rinascere della natura, come la successione delle quattro stagioni, dalle sue forme ormai trascorse, non susciti la meraviglia dell'uomo e lo sgomento per il continuo morire del mondo. Il mondo non è mai. Il mondo nasce e muore continuamente. La lezione si conclude con l’affermazione del dovere dell’uomo di conoscere se stesso. L’uomo, filosofa Z., si scopre in mezzo alle tribolazioni dell’incostanza. Ebbene, la conoscenza di sé è, per Z., l’unico strumento capace di dare a Z. serenità. La strada per conoscere se stessi e raggiungere la serenità è data dalla filosofia su cui si basa la morale e la scienza. L'uomo – “o al meno, io” -- ha un intelletto onnipotente che dalla conoscenza di se stesso e della natura giunge a congiungersi con la beatitudine del divino. Secondo una diffusa narrazione Z. e uno di quei filosofi del LIZIO che non solo rifiutano pervicacemente la scoperta eliocentrica di GALILEI in nome della filosofia del Liceo ma si rifiutano, invitati da Galilei di osservare direttamente nel telescopio l'esistenza delle montagne della luna, delle fasi di Venere, dei satelliti di Giove. Questo avvenimento, tramandato come simbolo della miopia di coloro che si ritengono custodi del vero sapere, è ritenuto falso. Nella lettera Galilei racconta a Keplero il comportamento dei filosofi di Padova ma non fa nomi. Che dire dei più celebri filosofi di Padova, i quali, colmi dell’ostinazione dell’aspide, nonostante più di mille volte io offro loro la mia disponibilità, non hanno voluto vedere né i pianeti, né la luna, né il cannocchiale? Questo genere di uomini ritiene infatti che la filosofia naturale e un libro come l’ENEIDE e che le verità e da ricercare non nel mondo o nella natura, bensì, per usare le loro parole, nel confronto dei testi. Ad un esame superficiale una lettera a Galilei, Gualdo conferma che tra coloro che rifiutarono l'osservazione con il telescopio vi e anche Z.. Abbiamo qui Morosini, il quale non può patire che Z. mentre V.S. è stata qui, non procura né voluto vedere queste sue osservationi, avendole io detto ch’ella se gli e offerta di andare sino alla sua propria casa per fargliele vedere; onde le pare che ha torto contrariarle senza averne fatto qualche ESPERIENZA. Nella successiva lettera di GUALDO a Galilei si riferisce di un colloquio con Z. che al rimprovero di essersi rifiutato dell'ESPERIENZA col telescopio risponde che lo fa perché, non volendo approvare cose di che io non ho cognizione alcuna né l’ho vedute. Questo è quello, dico, ch’ha dispiacciuto a GALILEI ch’ella non ha voluto vederle. Rispose: Credo che altri che lui non l’ha veduto. E poi quel MIRARE PER QUEGL’OCCHIALI M’IMBALORDISCON LA TESTA. Basta, non ne voglio sapere altro. Z. afferma in questo testo che gli causa DISAGIO mirare nel telescopio e che dunque non si rifiuta di guardare ma non accetta di vedere cioè di accogliere l'interpretazione di GALILEI di quella OSSERVAZIONE. Più in generale, Forlivesi sostiene che la posizione di Z. e sempre coerente nel ritenere che l'interpretazione dei dati osservativi non puo andare disgiunta dall'esistenza di una dottrina filosofico-naturale complessiva. Forlivesi rileva altresì che lo stesso Galilei, a volte, propone un’ipotesi circa la natura del cielo non meno problematica di quelle proposte dal Lizio. D'altra parte, come conferma Bellone il cannocchiale e uno strumento di fattura artigianale. Non c’e una teoria dell'ottica - si deve attendere Newton e la immagine e alquanto deformata. Saggi: “Le pompe funebri; ovvero, Aminta e Clori” Ferrara; Lecturae exordium habitum Patavii, Ferrara, Mammarelli; Explanatio proœmii librorum LIZIO de physico auditu cum introductione ad naturalem philosophiam, continente tractatum de pædia, descriptionemque universæ naturalis philosophiæ quibus adjuncta est præfatio in libros De physico auditu, Padova, Novellum; Oratio habita Ferrariae ad Clementem VIII pro S. Q. Centensi, Ferrariae; Disputatio de formis IV corporum simplicium quæ vocantur elementa, Venezia, Oratio habita in creatione serenissimi venetiarum principis DONATI, Venezia, Disputatio de cœlo -- de natura cœli, de motu cœli, de motoribus cœli abstractis; Adjecta est Apologia dictorum del LIZIO, de via lactea, et de facie in orbe lunæ, Venezia, Balionum, Oratione al serenissimo principe BEMPO nella sua essaltatione al principato; Apologia dictorum LIZIO de V cœli substantia adversus Xenarcum, Venezia, Meiettum; Il nascimento di Venezia, Venezia; Oratione al serenissimo principe Priuli nella sua essaltatione al principato; Il ritorno di Damone, Venezia, Oratione in nome di Padova, Chiorindo, Venezia; Apologia dictorum LIZIO de calido innato adversus Galenum, Venezia, Deuchiniana; Apologia dictorum LIZIO de origine et principatu membrorum adversus Galenum, Venezia, Piutum; Expositio in digressionem Averrhois de semine contra Galenum pro LIZIO; Tractatus de sensibus externis, de sensibus internis et de facultate appetitive, Venezia, DIALETTICA Venezia, Le nubi, Venezia, Biblioteca Marciana; Z. Testamento. Fonte: G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana. Favaro, Lo Studio di Padova; Preti, Ragusa, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Z. in occasione del trasferimento di Galilei da Padova a Firenze si rammaricava scrivendo. O quanto harrebbe fatto bene anco GALILEI, non entrare in queste girandole, e non lasciar la libertà patavine. Portale Galilei. Forlivesi, Z. Il contributo italiano alla storia del pensiero – Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Per esempio, Pinotti, autore dell'introduzione al “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Milano. Z. Lecturae exordium; Forlivesi, Il contributo italiano alla storia del pensiero, filosofia; Enciclopedia Italiana Treccani, Galilei, Epistola ad Keplerum, Padova, Le opere, A. FAVARO, lettera, GUALDO, Lettera a GALILEI, Padova,, in Galilei, Opere; Gualdo, lettera a Galilei, Padova; in Galilei, Le opere; Forlivesi. Galilei, Opere, ediz. naz.; Tassoni, Lettere, Puliatti, Bari; Imperiale, Musaeum historicum et physicum, Venezia; Arisi, Cremona literata, Parma-Cremona; Naudaeana et Patiniana, Amstelodami; Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, Venezia; Borsetti, Historia alini Ferrariae gymnasii, Ferrara, Guarino, Ad Ferrariensis gymnasii historiam supplementum et animadversiones, Bologna; Borsetti, Adversus supplementum et animadversiones, Venezia; Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Padova; Erri, Dell'origine di Cento, Bologna, Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Venezia);  Fiorentino, Pomponazzi, Firenze, Favaro, Lo Studio di Padova, Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti; Berti, Di Z. e della sua controversia con l'Inquisizione di Padova e di Roma, Memorie della Reale Accademia dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche; Mabilleau, Étude historique sur la philosophie de la renaissance en Italie: Z., Paris; Favaro, Galilei e lo studio di Padova, Firenze; ad Indicem; Favaro, in Archivio Veneto, rec. di Mabilleau); Sighinolfi, Il posseso di Cento e della pieve e la legazione di Z. a Clemente VIII in Ferrara, Atti e memorie della Regia Deputazione di storia patria per le province di Romagna; Atti della nazione germanica artista nello Studio di Padova; Favaro, Venezia; ad Indicem; Atti della nazione germanica dei legisti nello Studio di Padova, cur. Brugi, Venezia; Charbonnel, La pensée italienne et le courant libertin, Paris; Spampanato, Documenti intorno a negozi e processi dell'Inquisizione, in Giornale critico della filosofia italiana; Spini, Ricerca dei libertini, Roma; Firpo, Filosofia  e contro-riforma, Torino; Savio, Il nunzio a Venezia dopo l'Interdetto, in Archivio Veneto; SAITTA, Il pensiero italiano, Firenze; Torre, Un processo: l'inquisizione contro Z., Verità e libertà, Congresso della Società filosofica italiana, Palermo; Rotondò, Documenti per la storia dell'Indice dei libri prohibiti; Garin, Storia della filosofia italiana, Torino; Pupi, Una riflessione a proposito delle critiche di Galilei al LIZIO, in Nel centenario della nascita di Galilei, Milano; Acta nationis Germanicae artistarum a cura di L. Rossetti, Padova; ad Indicem; Schiavone, ENCICLOPEDIA FILOSOFICA, Firenze; Torre, Studi su Z., Padova; Favaro, Galilei a Padova (Padova); Franceschini, Nuovi documenti relativi ai docenti dello Studio di Ferrara, Ferrara; ad Indicem; Puliatti, Tassoni, Firenze, ad Indicem; Rossetti, Manoscritti di Z., Cambridge, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova; Schmitt, Z., un aristotelico al tempo di Galilei, Venezia; Corazzol, Portenari maestro di grammatica a Feltre ed una lettera di Z., in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, Torre, Logica ed ESPERIENZA nel De Paedia di Z. in Aristotelismo veneto e scienza moderna, Olivieri, Padova; A. Favaro, Lo Studio di Padova e la Compagnia di Gesù sul finire del secolo decimosesto, in «Atti del regio Istituto veneto di scienze, lettere e arti, Forlivesi, Z., Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani, Carlini, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Schmitt, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “There’s something primitive about the way Italians speak. We would never call Austin the Lancastrian, as the Greeks called Aristotle the Stagirite, or the Italians call Zamboni ‘Cremonini’ just because he had a connection with Cremona. As Wellington said when he was referred to as an Irishman: ‘being born in a stable does make you not a horse’!” Grice: “Cremonini is of course underrated in Italy because Galilei is OVER-rated. But Galilei was HARDLY a philosopher – what’s philosophical about sticking your eyes on a muddy micro or macroscope? Instead, Zamboni could lecture on Aristotle to no end!” He was a lizio! Voniam autem omnia oportet de TERMINI – NOMINE et verbo dicere, vt fuit PROPOSITVM, nomen autem,et verbum sunt VOX SIGNIFICATIVA et propter hoc diftinguuntur à quibusliber VOCIBVS SIGNIFICATIONE carentibus, ideo oportet declarare modum omnis SIGNIFICATIONIS, vt habeamus quenam proximè ab ipsis vocibus, que sunt nomen, et verbum SIGNIFICENTVR, d preterea, vt habeamus quot modis ipsa, que a vocibus significantur, le habeant, inde enim habebimus originem ENVNCIATIVE orationis; quatuor igitur in ordine ad SIGNIFICATIONEM se habeät: Vnum fignificatur et lunt ipse RES, aliud signiticat, et sunt que scribuntur, ideft litters ipfei duo alia significant, et SIGNIFICANTVR CONCEPTVS SIGNIFICANT IPSAM REM, et signitcantur per voces,et per litteras; similiter VOX SIGNIFICAT CONCEPTVS  ET MEDIANTIBVS CONCEPTIVS IPSAM REM, significantur aut per litteras, unde VOX IMMEDIATE SIGNIFICAT CONCEPTVS, quocirca qualis erit conditio conceptuum, ralis etiam erit conditio vocum, et ita paret, quod primò res elt, vt “homo”, deinde guid aliquis intelligit hominem, formatur conceptus euldem hommis; tercio ilte conceptus homo exprimitur, quarto litteris defignatur: aduertendum autem etts quod inter licteras, et voces noo eft neceffarius ordo, potell refcribi id, quod non eft voce perlatum, & fic etiam littere poflunt immediatè conceptum explicare, verumtamen ordo naturalis est, vt conceptus per vocem explicetur, iita vero quatuor ita te habent, vi duo ex illis tint ea-dem apud omnes, duo vero ad placitumlint; cadem apud omnes funt prima duo, conceptus icilicet, o res, “HOMO” enim vorque idem elt, & 11 militer conceptus, qui tt de homine: Dicetis, ti conceptus funt idem apud omnes, quomodo vnus haber diueríam opinionem ab alio? veluti de Deo vari) varia opinantur; Respondetur, quod conceptus dupliciter poteft confiderari, vel simpliciter vt elt PASSIO IPSIUS ANIMI, & fic idem elt APVD OMNES, vel vi elt paffio talis in ordine ad objectum, de quo fic conceptus, & hic poteft elle varietas apud varios; alia verò duo, voces Icilicer & littere funt AD BENEPLACITVM – ET NON AD NATURAM -- & apud varios variè le habent, apud Grecos enim alia voce homo fignificatur rideft, antropos e & alia feribitur, & SIGNIFICATVR APVD LATINOS. Dicetis etiam SONVS BRUTORVM, est vox, tamen NON EST AD PLACITVM illorum, sed eodem modo voi que fe habent; Relpondetur, quod voces funt duplices, alig que SIGNIFICAT AFFECTVS, alie que SIGNIFICAT CONCEPTVS, fi loquamur de vocibus, que fignificant conceptus, tales autem funt voces, que lequuntur intellectum, dideo VOX ARTICVLATA proprie lunt ipiorum HOMINVM, cum itaque dictum fit voces imediaté fignificare conceptus, veluti fe habe--- Cesare Zamboni di Cremona (Cremonini). Zamboni. Keywords: i galileiani, la dialettica di Zamboni, de interpretatione, nomen, significatio, ad placitum. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Cremonini," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Zamboni.

Grice e Zamboni: la ragione conversazionale e il volere -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Verona). Grice: “Not everybody knows his zamboni.” There’s Giorgio Zamboni, but this entry is about Giovanni Zamboni. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Saggi: Spencer:  commemorazione e polemica, Garagnani, Bologna; La filosofia scolastica secondo un positivista, Marchiori,Verona; Il valore scientifico del positivismo d’ARDIGO (si veda) e della sua conversion, Verona; La dottrina morale e la psicologia del VOLERE in un saggio di etica di un discepolo d’ARDIGO, Società Veronese, Verona; La gnoseologia dell’atto come fondamento della filosofia dell’essere: saggio d'interpretazione sistematica della dottrina gnoseologica d’AQUINO, Milano; Gnoseologia, Vita e Pensiero, Giuseppe, Milano; L’origine delle idee: saggio analitico INTROSPETTIVO, proposto alla riflessione personale, Società Veronese, Verona; Sistema di gnoseologia e di morale: base teoretica per esegesi e critica della filosofia, Studium, Roma; Studi esegetici, critici, comparativi sulla CRITICA DELLA RAGIONE PURA, Veronese, Verona; Metafisica e gnoseologia, Veronese, Verona; Il realismo critico della gnoseologia pura: risposta al caso Zamboni, Gemelli, Olgiati e Rossi, Verona; Realismo, metafisica, personalità: rilievi, note, discussioni, Veronese, Verona; La persona umana: soggetto auto-cosciente nell’esperienza integrale: termine della gnoseologia, base della metafisica, Verona, Giulietti., Vita e pensiero, Milano; Precisazioni e complementi ai testi scolastici: religione naturale e l’essenza della religione cristiana, Veronese, Verona; La filosofia dell’ESPERIENZA IMMEDIATA, elementare, ed integrale: per la completa auto-consapevolezza dello spirito umano, Veronese, Verona; Itinerario filosofico dalla propria coscienza all’esistenza di Dio, Veronese, Verona; Teodicea, Rodella, Vita veronese, Verona; La dottrina della COSCIENZA immediata: struttura funzionale della psiche umana è la scienza positiva fondamentale, Veronese, Verona; Dizionario filosofico, Vita e Pensiero, Milano; Idee e giudizi, Marcolungo F.L., IPL, Milano; L’IO e le nozioni sopra-sensibili, (IPL, Milano; Corso di gnoseologia pura elementare: spazio, tempo, percezione intellettiva, IPL, Milano; Corso di gnoseologia pura elementare: idee e giudizi, IPL, Milano; Corso di gnoseologia pura elementare; Autobiografia di una personalità integrale, Guidi). Archivio storico, Curia diocesana, Verona, Studi sulla Critica della ragione pura; Qui Edit,Verona, Sistema di gnoseologia e di morale; Qui Edit, Verona. Volontà. La Volontà, statua di Janson per l'Opéra di Parigi. La volontà è la determinazione fattiva e intenzionale di una persona ad intraprendere una o più azioni volte al raggiungimento di uno scopo preciso.  La volontà consiste quindi nella forza di spirito diretta dall'essere umano verso il fine, o i fini, che egli si propone di realizzare nella sua vita, o anche solamente nel potere impiegato nelle sue azioni semplici e quotidiane. Esempi di volontà possono essere il desiderio di lasciare un'eredità ai figli e/o ai parenti, o il proposito di comprare una casa. Generalmente la volontà rappresenta la facoltà di una persona di scegliere e raggiungere con sufficiente convinzione un dato obiettivo. Da un punto di vista esclusivo, la volontà di una persona è la sua capacità di non farsi condizionare dalle altre persone. In questo senso, la volontà si può accomunare alla parola assertività. Quello di volontà è un concetto fondamentale e a lungo dibattuto nell'ambito della filosofia, in quanto inestricabilmente legato all'interpretazione dei concetti di libertà e virtù. Particolarmente problematico è poi il suo rapporto con le interpretazioni meccanicistiche del mondo. Se l'uomo sia capace di atti volitivi – H. P. GRICE: WILLING AND VOLITING -- che, in quanto tali, rompono il meccanicismo della realtà, o se invece la sua volontà sia determinata da una legge che regola l'universo, e sia quindi snaturata e priva di ogni valore morale. Sono qui evidenti i rapporti col concetto di libertà.  La concezione intellettualistica dei Greci  Socrate, testa in marmo al Museo del Louvre – Parigi. Una visione intellettualistica della volontà, condizionata dal sapere, era nelle tesi di Socrate basate sul principio della naturale attrazione verso il bene e dell'involontarietà del male. L’uomo per sua natura è orientato a scegliere ciò che è bene per lui. La virtù è scienza, e consiste nel dominio di sé e nella capacità di dare ascolto alle esigenze dell'anima. Se non si fa il bene, è perché non lo si conosce. Il male quindi non dipende da una libera volontà, ma è la conseguenza dell'ignoranza umana che scambia il male per bene, proiettando quest'ultimo sui piaceri o su qualità esteriori.  L’accademia approfondì quest'aspetto dell'etica socratica, in particolare nel Gorgia e nel Filebo.  Anche per il Lizio un'azione volontaria e libera è quella che nasce dall'individuo e non da condizionanti fattori esterni, purché sia predisposta dal soggetto con un'adeguata conoscenza di tutte le circostanze particolari che contornano la scelta. Tanto più accurata sarà questa indagine tanto più libera sarà la scelta corrispondente. Nel PORTICO è centrale il tema della volontà di che aderisce perfettamente al suo dovere – kathèkon --, obbedendo a una forza che non agisce esteriormente su di lui, bensì dall'interno. Siccome tutto avviene secondo necessità, la volontà consiste nell'accettare con favore il destino, qualunque esso sia, altrimenti si è comunque destinati a farsi trascinare da esso contro voglia. Il dovere del PORTICO non è quindi da intendersi come un esercizio forzato di vita, ma sempre come il risultato di una libera scelta, effettuata in conformità con la legge del lògos. E poiché il bene consiste appunto nel vivere secondo RAGIONE, il male è solo ciò che in apparenza vi si oppone.  Plotino, rifacendosi all’accademia, sostenne analogamente che il male non ha consistenza, essendo soltanto una privazione del bene che è l'uno assoluto. La volontà consiste quindi nella capacità di ritornare all'origine indifferenziata del tutto attraverso l'estasi, la quale però non può essere mai il risultato di un'azione pianificata o deliberata. Si ha infatti in Plotino la rivalutazione del procedere inconscio, dato che il pensiero cosciente e puramente logico non è sufficiente. Lo stesso uno genera da sé i livelli spirituali a lui inferiori non in vista di uno scopo finale, ma in una maniera non razionalizzabile, poiché l'attività giustificatrice della ragione prende ad agire solo ad un certo punto della discesa in poi. Il concetto di volontà divenne centrale nella filosofia per la sua stretta relazione con i concetti di peccato e virtù. Si pensi alla difficoltà di definire o concepire una colpa in assenza della possibilità di determinare le proprie azioni. La filosofia accentua l'aspetto volontaristico del neoplatonismo, a scapito di quello intellettualistico, riprendendo ad esempio da Plotino il concetto dell'origine imperscrutabile della volontà divina, ma attribuendovi decisamente il connotato di persona, come soggetto che agisce intenzionalmente in vista di un fine.  La BUONA VOLONTA [cf. H. P. GRICE, “Ill-WILL”], e e non più LA RAZIONALITA, è quella che consente di volgersi alla realizzazione del bene. Ma non è possibile raggiungere quest'ultimo senza l'intervento divino elargitore della grazia – ‘Grice’s grace’ --, mezzo essenziale di liberazione dell'uomo. La volontà non potrebbe indirizzarsi al bene, corrotta com'è dalla schiavitù delle passioni corporee, se non ci fosse la rinascita dell'uomo operata da Cristo. Agostino, dipinto di Antonello da Messina- Palazzo Abatellis – Palermo. Permase tuttavia l'aspetto conoscitivo della volontà, che si verifica attraverso un'illuminazione dell'intelletto per opera dello Spirito Santo. Volontà e conoscenza rimasero così per Agostino indissolubilmente legati. Non si può credere senza capire, e non si può capire senza credere. La virtù che ne scaturisce divenne così la volontà di aderire al disegno divino. In polemica contro Pelagio, Agostino aggiunse che la volontà umana è stata irrimediabilmente corrotta dal peccato originale, che ha inficiato la nostra capacità di compiere delle scelte, e quindi la nostra stessa libertà. A causa del peccato originale nessun uomo sarebbe degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare, illuminandolo su cosa è bene, e infondendogli anche la volontà effettiva di perseguirlo, volontà che altrimenti sarebbe facile preda delle tentazioni malvagie Ciò non toglie che l'uomo possegga un libero arbitrio, ossia la capacità razionale di scegliere tra il bene e il male, ma senza l'intervento divino una tale scelta non avrebbe alcuna efficacia realizzativa, sarebbe cioè preda di inerzia o arrendevolezza.  Il conflitto tra la scelta operata dal libero arbitrio e l'impossibilità di attuarla secondo libertà denota una condizione di duplicità della volontà: non si tratta di un disaccordo tra la volontà e l'intelletto, né tra due principi contrapposti in forma manichea, bensì di un conflitto tutto interno alla volontà, che è come dilaniata: sente di volere, ma non completamente, e quindi in un certo senso vorrebbe volere. Il comando della volontà riguarda se stessa, non altro da sé. Quindi non è tutta la volontà che comanda; per questo il suo comando non si realizza. Se fosse tutta, infatti, non comanderebbe di essere, poiché già sarebbe. Allora le volontà sono due, poiché nessuna è intera e nell'una è presente ciò che è assente nell'altra. Agostino, Confessioni; Opera Omnia d’Agostino, cur. della Nuova Biblioteca Agostiniana Roma, Città Nuova. Intelletto e volontà nella Scolastica  Tommaso d'Aquino, dipinto di Fra Angelico - Museo Nazionale di San Marco - Firenze Il connubio tra intelletto e volontà permase nelle opere di Scoto Eriugena, e soprattutto d’Aquino, secondo cui il libero arbitrio non è in contraddizione con la predestinazione alla salvezza, poiché la libertà umana e l'azione divina della grazia tendono ad unico fine, ed hanno una medesima causa, cioè Dio. AQUINO, come FIDANZA (si veda), sostenne inoltre che l'uomo ha sinderesi, ovvero la naturale disposizione e tendenza al bene e alla conoscenza di tale bene. Per Bonaventura tuttavia la volontà ha il primato sull'intelletto.  All'interno della scuola francescana di cui Bonaventura era stato il capostipite, Duns Scoto si spinse più in là, diventando assertore della dottrina del volontarismo, secondo cui Dio sarebbe animato da una volontà incomprensibile e arbitraria, in gran parte slegata da criteri razionali che altrimenti ne limiterebbero la libertà d'azione. Questa posizione ebbe come conseguenza un crescente fideismo, ossia una fiducia cieca in Dio, non motivata da argomenti. Al fideismo adere OCCAM, esponente della corrente nominalista, il quale radicalizzò la teologia di Scoto, affermando che Dio non ha creato il mondo per «intelletto e volontà» come sostene Aquino, ma per sola volontà, e dunque in modo arbitrario, senza né regole né leggi. Come Dio, anche l'essere umano è del tutto libero, e solo questa libertà può fondare la moralità dell'uomo, la cui salvezza però non è frutto della predestinazione, né delle sue opere. È soltanto la volontà di Dio che determina, in modo del tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano.  Le dispute tra Lutero, Erasmo, Calvino  Martin Lutero - dipinto di Lucas Cranach il Vecchio - chiesa di Sant'Anna, Augusta (Germania) Con l'avvento della Riforma, Lutero fa propria la teoria della predestinazione negando alla radice l'esistenza del libero arbitrio. Non è LA BUONA VOLONTA [cf. H. P. GRICE, “ILL-WILL”] che consente all'uomo di salvarsi, ma solo la fede, infusa dalla grazia divina. È solo Dio, quello absconditus della tradizione occamista, a spingerlo in direzione della dannazione o della salvezza. La volontà umana è posta tra i due, Dio e Satana, come un giumento, il quale, se sul dorso abbia Dio, vuole andare e va dove vuole Dio,se invece sul suo dorso si sia assiso Satana, allora vuole andare e va dove vuole Satana, e non è sua facoltà di correre e cercare l'uno o l'altro cavalcatore, ma i due cavalcatori contendono fra loro per averlo e possederlo -- Lutero, De servo arbitrio. Alla dottrina del servo arbitrio invano Erasmo replica che il libero arbitrio è stato sì viziato ma non distrutto completamente dal peccato originale, e che senza un minimo di libertà da parte dell'uomo la giustizia e la misericordia divina diventano prive di significato. Alla concezione volontaristica di Dio aderì tra gli altri Calvino, che radicalizzò il concetto di predestinazione fino a interpretarlo in un senso rigorosamente determinista. È la Provvidenza a guidare gli uomini, indipendentemente dai loro meriti, sulla base della prescienza e onnipotenza divina. L'uomo tuttavia può ricevere alcuni "segni" del proprio destino ultraterreno in base al successo o meno ottenuto nella propria vita politica ed economica.  La dottrina molinista e giansenista  Giansenio - Incisione di Jean Morin Anche all'interno della chiesa cattolica, che pure si era schierata contro le tesi di Lutero e Calvino, iniziarono una serie di dispute sul concetto di volontà. Secondo Molina la salvezza era sempre possibile per l'uomo dotato di buona volontà. Egli sostenne che:  la prescienza di Dio e la libera volontà umana sono compatibili, poiché Dio può ben prevedere nella sua onnipotenza la futura adesione dell'uomo alla grazia da lui elargita; questo piano di salvezza si attua per una valenza positiva attribuita alla volontà umana, in quanto neppure il peccato originale ha spento l'aspirazione dell'uomo alla salvezza. A lui si contrappose Giansenio, fautore di un ritorno ad Agostino: secondo Giansenio l'uomo è corrotto dalla concupiscenza, per cui senza la grazia è destinato a peccare e compiere il male; questa corruzione viene trasmessa ereditariamente. Il punto centrale del sistema di Agostino risiedeva per i giansenisti nella differenza essenziale tra il governo divino della grazia prima e dopo la caduta di Adamo. All'atto della creazione Dio avrebbe dotato l'uomo di piena libertà e della «grazia sufficiente», ma questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio avrebbe deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una «grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti dalla fede e dalle opere.  Le divergenze tra le due posizioni, che diedero vita a una disputa tra i religiosi di Port-Royal e i gesuiti molinisti, saranno risolte con il formulario Regiminis apostolicis del 1665.  La concezione del pensiero moderno Nell'ambito della concezione religiosa della libertà il pensiero moderno ha assunto una visione razionalista con Cartesio che, identificando la volontà con la libertà, concepiva quest'ultima in senso intellettuale come scelta impegnativa di cercare la verità tramite il dubbio. Una cattiva volontà è ciò che può essere di ostacolo in questa ricerca e causa l'insorgere degli errori.  Mentre però Cartesio si arenò nella duplice accezione di res cogitans e res extensa, attribuendo assoluta volontà alla prima e passività meccanica alla seconda, Spinoza si propose di conciliarle in un'unica sostanza, riprendendo il tema stoico di un Dio immanente alla Natura, dove tutto avviene secondo necessità. La libera volontà dell'uomo dunque non è altro che la capacità di accettare la legge universale ineluttabile che domina l'universo. Leibniz - dipinto di Christoph Bernhard Francke - Herzog Anton Ulrich-Museum - Braunschweig Leibniz Leibniz accetta l'idea della volontà come semplice autonomia dell'uomo, ossia accettazione di una legge che egli stesso riconosce come tale, ma cercando di conciliarla con la concezione cristiana della libertà individuale e della conseguente responsabilità. Egli ricorse pertanto al concetto di monade, ossia "centro di forza" dotato di una propria volontà, che sussiste insieme ad altre infinite monadi, tutte inserite in un quadro di armonia prestabilita, la quale però non è dominata da una razionalità rigidamente meccanica. Si tratta di una razionalità superiore, voluta da Dio per un'esigenza di moralità, da comprendere in un'ottica finalistica, nella quale anche il male trova la sua giustificazione: come elemento che nonostante tutto concorre al bene e che all'infinito si risolve in quest'ultimo.  Da Kant a Hegel  Kant - Herzog Anton Ulrich-Museum. Per Kant la volontà è lo strumento che ci permette di agire, obbedendo sia agli imperativi ipotetici (in vista di un obiettivo), sia a quelli categorici, dettati unicamente dalla legge morale. Solo nel caso dell’IMPERATIVO CATEGORICO la volontà è pura, perché in tal caso non comanda alcunché di particolare: essa è formale, cioè prescrive solo come la volontà debba atteggiarsi, non quali singoli atti deve compiere.  In un mondo dominato dalle leggi deterministiche della natura (fenomeni), la volontà morale è ciò che rende possibile la libertà, perché obbedisce ad un comando che essa stessa si è liberamente dato, non certo in maniera arbitraria, bensì conformemente alla sua natura razionale (noumeno). Essa però non comanda il bene. Per Kant l'unica cosa buona è la volontà intrinsecamente buona.  Riprendendo il Kant della Critica del Giudizio, Fichte e Schelling esaltano la volontà come assoluta attività dell'Io, o dello Spirito, in contrapposizione alla passività del non-io, o della Natura, nell'ottica però di un rapporto dialettico che si risolve nella supremazia dell'etica per il primo, o dell'arte per il secondo. Per Hegel invece un tale rapporto si risolve nella supremazia della Ragione dialettica stessa, dando adito alle critiche di chi, come Schelling, sostenne l'impossibilità di ricondurre un libero atto di volontà entro il rigido schema razionale della dialettica. Schopenhauer e Nietzsche  Schopenhauer - dipinto di Jules Lunteschütz  Lo stesso argomento in dettaglio: Pensiero di Schopenhauer § Il mondo come volontà e Volontà di potenza. Il tema della volontà è centrale nel pensiero di Schopenhauer, il quale, riprendendo Kant, sostenne che l'essenza del noumeno è proprio la volontà. In polemica contro Hegel, secondo Schopenhauer la natura e il mondo non hanno un'origine razionale, ma nascono da un istinto irrazionale di vita, da una pulsione informe e incontrollata che è appunto volontà. Non c'è dunque spazio per l'ottimismo della ragione, dal momento che questa volontà di vivere sfrenata e arbitraria è causa di sofferenza. Da questa se ne esce attraverso la sublimazione e la presa di coscienza che il mondo è l'oggettivazione della volontà, cioè è una mia stessa rappresentazione, fenomenica e illusoria (velo di Maya): concetto di origine orientale e in parte neoplatonica, che si traduce nel desiderio della vita stessa (eros) di diventare finalmente consapevole di sé; questa consapevolezza coincide con l'auto-negazione della volontà e permette così di uscire dal ciclo insensato dei desideri, morti e rinascite.  A differenza di Schopenhauer, Nietzsche esaltava questa volontà di vivere sfrenata e irrazionale, ponendo in primo piano il valore dell'aspetto vitale e "dionisiaco" dell'essere umano, in contrapposizione a quello riflessivo e "apollineo". Solo dalla volontà di potenza, cioè dalla volontà che vuole se stessa e il proprio accrescimento senza sosta, nasce la possibilità infinita del rinnovamento e della vita. La rigidità della ragione, viceversa, che costringe la realtà dentro uno schema, è una non-volontà, alleata della morte perché nega la possibilità del cambiamento che è l'essenza del vivere. La volontà di potenza pertanto non si afferma come desiderio concreto di uno o più oggetti specifici, ma come il meccanismo stesso del desiderio nel suo funzionamento incessante: soffermarsi sulle forme che essa produce sarebbe morire, e quindi deve ogni volta paradossalmente negarle per potersi riaffermare di nuovo, in una continua oscillazione.  Questioni sociologiche Nel campo della sociologia, Tönnies ha proposto una «teoria della volontà» che distingue due diverse forme di volontà: una basata sulla natura, cioè sul sentimento di appartenenza e sulla partecipazione spontanea alla comunità -- Wesenwillen; l'altra costruita artificialmente, fondata essenzialmente sulla convenienza e sullo scambio economico, da cui deriva la moderna società post-industriale – Kürwillen. Questa concezione sociologica influenzò anche i filosofi Barth, Gusti e  Jacoby.  Lessico e modi di dire Frasi fatte e combinazioni di parole di uso frequente della parola volontà sono: «le ultime volontà», riferita in genere alle decisioni prese in punto di morte; «volontà di ferro», a indicarne l'energica fermezza e costanza. Tipica di Vittorio ALFIERI (si veda) è il motto «volli, sempre volli, fortissimamente volli», con la quale il drammaturgo settecentesco spronava se stesso a studiare ininterrottamente facendosi legare alla sedia per poter acquisire una valida cultura classica a partire dai ventisette anni. Socrate ha espressamente identificato la libertà con l'enkràteia. Prima di lui la libertà aveva un significato quasi esclusivamente giuridico e politico; con lui assume il significato morale di dominio della razionalità sull'animalità. Reale, Il pensiero antico, Vita e Pensiero, Milano. Tutta la mia attività, lo sapete, è questa: vado in giro cercando di persuadere giovani e vecchi a non pensare al fisico, al denaro con tanto appassionato interesse. Oh! pensate piuttosto all'anima: cercate che l'anima possa divenir buona, perfetta» (cit. da Apologia di Socrate, trad. di  Turolla, Milano-Roma. Aristotele, Etica Nicomachea. IL PORTICO in proposito paragona la relazione uomo-Universo a quella di un cane legato ad un carro. Il cane ha due possibilità: seguire armoniosamente la marcia del carro o resisterle. La strada da percorrere sarà la stessa in entrambi i casi. L'idea centrale di questa metafora è espressa in modo sintetico e preciso da Seneca, quando sostiene: «Il destino guida chi lo accetta, e trascina chi è riluttante -- Seneca, Epist. Mathieu, Come leggere Plotino, Bompiani, Milano. Questo è il senso della celebre affermazione agostiniana credo ut intelligam, e intelligo ut credam. Agostino si rifaceva in proposito alle parole di Paolo di Tarso. C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; io infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Lettera ai Romani, su laparola. Perone, Ferretti, Ciancio, Storia del pensiero filosofico, Torino, SEI. Trad. in Donatella Pagliacci, Volere e amare: Agostino e la conversione del desiderio.  Città Nuova. Lutero, De servo arbitrio -- cit. in Memorie di religione, di morale e di letteratura, Modena. Erasmo da Rotterdam, De libero arbitrio. In esso, particolarmente incisivo è l'esempio che Erasmo presenta per supportare la sua soluzione, di un padre e il suo figliolo che vuole cogliere un frutto. Il padre alza nelle sue braccia il figlio che ancora non sa camminare, che cade e che fa degli sforzi disordinati; gli mostra un frutto posato davanti a lui; il bambino vuole correre a prenderlo, ma la sua debolezza è tale che cadrebbe se il padre non lo sostenesse e guidasse. È quindi solo grazie alla conduzione del padre (la Grazia di Dio) che il bambino arriva al frutto che sempre suo padre gli offre; ma il bambino non sarebbe riuscito ad alzarsi se il padre non l'avesse sostenuto, non avrebbe visto il frutto se il padre non glielo avesse mostrato, non sarebbe potuto avanzare senza la guida del padre, non avrebbe potuto prendere il frutto se il padre non glielo avesse concesso. Cosa potrà arrogarsi il bambino come sua autonoma azione? Malgrado nulla avrebbe potuto compiere con le sue forze senza la Grazia, ciò nonostante ha pur fatto qualcosa. Cartesio, Principia. Spinoza, Ethica. Egli sostenne infatti che «quando si discute intorno alla libertà del volere o del libero arbitrio, non si domanda se l'uomo possa far ciò che vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente indipendenza -- Leibniz, Nuovi saggi.  Schelling, Filosofia della rivelazione. Tönnies, Gemeinschaft und Gesellschaft. Abhandlung des Communismus und des Socialismus als empirischer Culturformen; Gemeinschaft und Gesellschaft. Grundbegriffe der reinen Soziologie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, Dizionario dei modi di dire, Hoepli editore.Espressione tratta dalla Lettera responsiva a Ranieri de' Calsabigi, scritta da Alfieri. Alfieri, cur. Bartolucci. Brianese, La volontà di potenza di Nietzsche e il problema filosofico del superuomo, Paravia, Costa, La paideia della volontà. Una lettura della dottrina filosofica di Epitteto, Anicia, Dorschel, The Authority of Will, in "The Philosophical Forum", Horn, L'arte della vita nell'antichità. Felicità e morale da Socrate ai neoplatonici, a cura di E. Spinelli, Carocci, Manca, Il primato della volontà in Agostino e Massimo il Confessore, Armando, Müller, Volontà di potenza e nichilismo. Nietzsche e Heidegger, a cura di C. La Rocca, Parnaso; Nietzsche, La volontà di potenza. Scritti postumi per un progetto, a cura di G. Raio, Newton & Compton, Pagliacci, Volere e amare: Agostino e la conversione del desiderio, Città Nuova; Ricoeur, Filosofia della volontà, a cura di M. Bonato, Marietti; Schopenhauer, Il primato della volontà, a cura di G. Gurisatti, Adelphi; Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di A. Vigliani, Mondadori; Schopenhauer, Sulla volontà nella natura, BUR Rizzoli; SEVERINO (si veda), Verità, volontà, destino, Mimesis; Severino, La buona fede. Sui fondamenti della morale, BUR Rizzoli; Vecchio, Volontà e essere. Saggio di filosofia prima, Gangemi, Voci correlate Desiderio (filosofia) Elicito Etica Libero arbitrio Volontà di potenza -- lemma di dizionario «volontà» -- volontà, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, will, su Enciclopedia Britannica. Filosofia Psicologia Sociologia Categorie: Etica Concetti e principi filosofici. Giuseppe Zamboni. Zamboni. Keywords: psicologia del volere, volere, l’io, sopra-sensibile, volere, volizione, volitum – the will -- Refs.: H. P. Grice, “Gnoseologia,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, Bancroft, University of California, Berkeley. Luigi Speranza, “Grice e Zamboni, L’io,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Zanini: ragione conversazionale e simpatia conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Legnano) Essential Italian philosopher. Grice: “If Zanini likes Smith for his ‘etica della simpatia,’ I happen to prefer Englishman Butler, for his sermons on self-love and benevolence!” -- Grice: “There are some resemblances between what Zanini intelligently calls “the rhetorics, sic in plural, of truth, and my idea of theoretical argument as a sort of deep-down practical argument.” Filosofo italiano. Si laurea in filosofia a Padova con CURI -- si veda: Luigi Speranza, “GRICE E CURI”.  Borsista presso la Fondazione Einaudi di Torino, ove studia con LOMBARDINI. Insegna filosofia a Le Marche. I suoi saggi sono indirizzati, in particolare, al rapporto tra filosofia politica e filosofia dell’economia. È tra i principali interpreti di Smith e di Schumpeter. Saggi principali: Filosofie del soggetto: soggettività e costituzione, Palma, Palermo; Keynes: una provocazione metodologica, Bertani, Verona; Schumpeter impolitico, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma; Il moderno come residuo: lemmi, Pellicani, Roma; Genesi imperfetta: il governo delle passioni in Smith, Giappichelli, Torino; Modernità e nomadismo, Calusca, Padova; Smith: economia, morale, diritto, Mondadori, Milano; Liberilibri, Macerata; Macchine di pensiero: Schumpeter, Keynes, Marx, Ombre corte, Verona; Schumpeter, Mondadori, Milano; Lessico postfordista, Feltrinelli, Milano; Retoriche della verità. Stupore ed evento, Mimesis, Milano; Filosofia economica. Fondamenti economici e categorie politiche, Bollati, Torino; L'ordine del DISCORSO economico. LINGUAGGIO delle ricchezze e pratiche di governo, Ombre corte, Verona; Schumpeter: principi e forme delle scienze sociali, Mulino, Bologna; Negri, Una traccia; Belfagor”, Garin, L'etica della simpatia; L'indice; Salanti, L'economia politica come critica della società, note sparse; Filosofia economia. Fondamenti economici e categorie politiche, Quaderni del Dipartimento di Ingegneria gestionale, Bergamo. Caruso, Alla ricerca della filosofia economica, Storia del pensiero economico, Fumagalli, Sfera politica e sfera economica: un difficile rapporto. A proposito di "Filosofia economica"  “Economia politica.” MLOL, Horizons Radio Radicale, univpm. Sito italiano per la filosofia, su swif.  Intervista su Schumpeter. Video Mediaset, Legnago. Sympathy, di Brown. La simpatia, nell’uso comune, indica un'inclinazione positiva verso un'ALTRA PERSONA, o più in generale rispetto a un concetto o un'idea -- συν-πάσχω, letteralmente, patire insieme, provare emozioni con.. -- Nel suo significato etimologico il termine indica quindi un sentimento di partecipazione alle emozioni altrui, siano esse positive o negative. Lo stato psicologico della simpatia ha tratti in comune con quello dell'empatia, ma anche divergenti. Empatia e l’abilità di percepire e sentire direttamente ed in modo esperienziale le emozioni di un'altra persona così come lei le sente, indipendentemente dalla condivisione della sua visione della realtà. Simpatia e la percezione di situazioni in maniera simile ad un'altra persona. Questo quindi implica preoccupazione, partecipazione, o desiderio di alleviare i sentimenti negativi che l'altro sta provando. Per questo è possibile provare SIMPATIA, MA NON EMPATIA, quando si sente internamente la voglia di AIUTARLO, ma non proviamo in modo diretto ed interiore il suo sentimento di dolore (empatia). C’e empatia e simpatia quando si percepiscono i sentimenti dell'altra persona (empatia) e si sente la voglia di AIUTARLA.  Costellazioni dell'emisfero celeste settentrionale raffigurate come esseri senzienti in un gigantesco zodiaco, ovvero giro degli animali (da Harmonia Macrocosmica di Cellarius. Magia simpatica. Nella filosofia antica, la simpatia, «sentire assieme», venne intesa non solo come un sentimento umano di natura psichica o emotiva, ma come una forza cosmica, capace di pervadere ogni creatura e persino gl’elementi fisici. Alla base di questa forza vi era secondo IL PORTICO una concordanza occulta fra i vari aspetti della realtà, dovuta alla penetrazione universale dello stesso Logos-Fuoco, principio di coesione, di movimento, e di vita. Come in un gigantesco organismo vivente, abitato da una sola grande anima, le varie parti dell'universo comunicavano tra loro vibrando all'unisono, attraversati dal medesimo respiro o soffio spirituale, pneuma, che crea quella interdipendenza in virtù della quale ogni singolo accadimento si ripercuoteva su ogni altra regione del mondo.  Simpatia e quindi il riverbero o l'influenza che un punto colpito da un evento esercita su un altro situato anche a distanza.  L'uomo zodiacale in un manoscritto medico che illustra le relazioni di simpatia dei vari organi con le corrispondenti entità del macrocosmo. Supponendo che la natura formi un tutto ben collegato e coerente che l'intero universo sia uno IL PORTICO ha raccolto più di un esempio a sostegno di questa tesi. Se si toccano le corde di una lira, le altre corde risuonano. Le ostriche e tutte le conchiglie crescono e si restringono di volume insieme alle fasi della Luna. Il flusso e il riflusso delle maree sono controllati dai moti lunari-- CICERONE, De divinatione. Secondo Plotino la simpatia è come una singola corda tesa che, toccata a un'estremità, trasmette il movimento all'altra estremità. Il termine puo estendersi all'animismo come nell'occultista Bolo di Mende, il quale parla di consonanze astrologiche, misteriosofiche e alchimistiche tra oggetti inanimati ed esseri viventi.  Nel Rinascimento l'argomento e affrontato da diversi filosofi, tra cui FICINO (si veda), Paracelso, CARDANO (si veda), CAMPANELLA (si veda), e PORTA (si veda), che concepivano un universo animato da reciproche simpatie e antipatie. Essi traduceno operativamente questa teoria nella pratica della magia naturale, basata in gran parte sui fenomeni simpatetici. I  maggiori teorici del fenomeno della simpatia, sebbene limitata all'ambito sentimentale dell'essere umano, sono Hume, Smith, e Scheler. Un ritorno alla concezione cosmica della simpatia si è avuto in seguito in Schopenhauer, che parla di Mitleid ossia di compassione morale per la sofferenza altrui, e nella filosofia antroposofica, per la quale la simpatia compenetra la vita soggettiva dell'anima con sentimenti di attrazione, anti-tetici a quelli di repulsione che invece rendono possibile il distacco proprio della conoscenza oggettiva. Simpatia, su treccani; Zapelli, Simpatia, antipatia, empatia: la regia del pathos, su else-where.it. Empatia, simpatia, contagio emotivo: le differenze, su tesionline. Festugière, La Révélation d'Hermès Trismégiste. Plotino, Enneadi; Compagni, La magia naturale: il contributo italiano alla storia del Pensiero, treccani; Ernst, Il Rinascimento: magia e astrologia, su treccani, Enciclopedia Treccani - Storia della Scienza; Calogero, Simpatia, su treccani,  Enciclopedia Italiana. Le forze della simpatia sono poste così in relazione con quelle del volere, e dell'antipatia con quelle del pensare, cfr. Simpatia-volere; antipatia-pensare, su anthropos conosci te stesso. Hume, Trattato sulla natura umana, Bompiani, Milano; Scheler, Essenza e forme della simpatia, Angeli, Milano. Antipatia Compassione (filosofia) Empatia Intelligenza emotiva Magia simpatica Polvere di simpatia Similia similibus curantur Sincronicità Sistema simpatico -- il lemma di dizionario «simpatia» Antropologia Filosofia Psicologia Categorie: Concetti e principi filosofici Emozioni e sentimenti Magia. Adelino Zanini. Adelfino Zanini.  Zanini. Keyword: etica della simpatia, simpatia, empatia, impassibile, non passibile, impatetico, impassionato, compassione --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice and Zanini: the rhetorics of truth,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia; H. P. Grice, “Zanini,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, University of California, Berkeley.

Grice e Zanotti: ragione conversazionale e forza viva – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo italiano. Saggi: Della forza dei corpi che chiamiamo la forza viva, Filosofia morale; De viribus centralibus, Bononiae, Lelio dalla Volpe; Ragionamento sopra la filosofia, Paradossi, Epistolario. Grice: “Zanotti’s point is conceptual. We call a body animated. Suppose the king dies – his corpse is that of a dead animal. But is a dead animal an animal? The whole point of calling an animal ‘animal’ is that his body is self-animated – i. e. self-moves, as a plant does. Plants, remember, are alive and animal at heart! Now Zanotti goes one step further. Instead of sticking with verbs (‘she walks in beauty like the night’) he goes to render the thing abstract into what he calls ‘forza’ – so we had to get rid of the spirit or animus or inspiration. Now we have the élan or ‘vital force’. ‘Forza’ rings the wrong bells, since there is nothing forceful about it. William James famously said to a chair, ‘Move towards me’. ‘I fail.’ While one can animate one’s own body when one is alive, one cannot animate any other body – Mary Shelley notwithstanding!” Slancio vitale è un'espressione nota soprattutto nell'ambito della filosofia francese l’élan vital, di solito usata nella parapsicologia, nella new Age, nella scienze spirituali e filosofiche e nella correnti artistiche del dadaismo e del fauvismo. Nella filosofia antica di Posidonio si ipotizza il concetto di una sorta di forza vitale, ritenuta come emanata dal sole verso tutte le creature viventi sulla superficie terrestre. Nelle filosofie orientali si teorizza il ki -- un concetto delle energie fondamentali dell'universo, di cui fanno parte la natura e le funzioni della mente umana -- e la kundalini -- un'energia residuale della creazione, meglio nota come ‘shakti’ che si trova in ogni essere umano. In particolare ‘kundalini’ corrisponde alla forza generativa in contrapposizione alle altre due forme di energia tradizionali cioè ‘prana’ o energia vitale, e ‘fohat,’ o energia di movimento.  In Occidente la teoria dello slancio vitale appartiene propriamente alle filosofie vitalistiche sviluppatesi in opposizione al positivismo e all'idealismo ai quali si rimprovera di aver ridotto la filosofia ad una riflessione astratta sulla realtà della vita che dove invece essere definita tornando alla concretezza.  Schopenhauer accentra la sua filosofia sulla volontà di VIVERE, concetto alla base di fenomeni biologici e spirituali che hanno come loro essenza una forza IRRAZIONALE e cieca che rende vano ogni tentativo degl’uomini di dare senso e direzione alla loro stessa esistenza. Contrariamente alla visione pessimista di Schopenhauer, Nietzsche, pur riconoscendo L’IMPOSSIBILITA DI RAZIONALIZZARE l'esistenza, come e avvenuto da Socrate in poi, con il risultato di far cadere l'uomo in un rinunciatario nichilismo, tuttavia profetizza l'avvento di un oltre-uomo capace di accettare e superare il dolore dell'esistenza ricorrendo alle sue terrestri forze vitali. L'espressione "slancio vitale" è stata usata specificatamente da Bergson nel suo  Evoluzione creatrice, in cui affronta la questione della auto-organizzazione e della morfogenesi spontanea di tutte le cose della natura. Secondo Bergson vi è una continua differenziazione nello sviluppo della VITA in varie direttrici evolutive, per esempio lungo la linea organico-inorganico, che spiega l'evoluzione delle forme viventi. Quando siamo bambini, spiega Bergson, il nostro futuro sviluppo è caratterizzato da un numero imprecisato di tendenze. Pensiamo di volta in volta, mentre cresciamo, che faremo il pompiere, il giornalista, l'esploratore..ecc, ma poi alla fine una sola di queste strade diverrà reale. Nella natura avviene altrettanto. All'inizio si dipanano molte vie evolutive, alcune di queste si bloccano, e altre invece proseguono, e la forza vitale, la spinta creatrice che e nella linea di sviluppo che si è fermata, prosegue, confluisce e dà forza alle linee che continuano ad evolversi con uno slancio vitale. È come dire che, dalle scimmie antropomorfe, lo SCIMPANZE [H. P. GRICE, “READ ‘CHIMP’ LIT.”] rappresenta una linea evolutiva che, all'inizio, continua la sua evoluzione, che poi si è fermata, mentre lo slancio vitale prosegue in un'altra direzione che porta all'Homo sapiens. Inizialmente, nell'ambiente letterario e para-scientifico dei salotti francesi e ipotizzato che l'energia vitale degl’esseri viventi, vegetali e animali, potesse essere tradotta e misurata come fosse energia elettrica, orgonica, prendendo spunto dal concetto bergsoniano di corrente di vita  Pur confermando scientificamente una minima attività bio-elettrica di tutti gl’organismi viventi, Huxley successivamente ne smente l'analogia con l'élan vital, usando quest'ultimo termine, energia vitale, in un uso più metaforico.  L'effetto più clamoroso della teoria dello slancio vitale si ha nel campo artistico dove venne ripresa l'idea bergsoniana che l'uomo dove fare della propria vita una creazione estetica. Le avanguardie moderne come il dadaismo fanno proprio questo progetto tentando di superare la distinzione tra l'opera artistica e il suo creatore esprimendo così nell'arte la loro naturale gioia di vivere (bonheur de vivre). Anche l'espressionismo risentì di questo aspetto del pensiero di Bergson. Nicola, Atlante illustrato di Filosofia, Giunti. Un'espressione simile, ‘vital force,’ si ritrova in Emerson. Fornero, Salvatore Tassinari, Le filosofie, Pearson Italia. Voci correlate: aura (paranormale) Bergson Ki (filosofia) Kundalini Orgone Vitalismo, élan vital, su Enciclopedia Britannica. Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Filosofia Categoria: Concetti e principi filosofici. Keywords: forza viva. Refs.: H. P. Grice, “Zanotti and me,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Luigi Speranza, “Grice e Zanotti: la forza viva,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Zimara: la questione del primo cognito o la ragione conversazionale dei parepatetici del liceo o lizio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina). Essential Italian philosopher. Grice: “Zimara is a testimony that Aristotle is popular without Oxford!” Filosofo italiano. Si  laurea a Padova e vi insegna. Sindaco di Galatina. Si reca a Napoli per difendere la città dai soprusi dei Duchi Castriota. Insegna filosofia a Salerno con la stesura di una guida alle opere di Aristotele o del liceo o lizio. Cura la pubblicazione di alcune opere di Alberto Magno e  di Giovanni di Jandun. Dizionario di filosofia. Cantimori, Enciclopedia Italiana. Saggi: Quæstio de primo cognito, Papie, Iacob de Burgofranco impresse, Studi  galatinesi illustri, Guida Biografica, Tor Graf Galatina, Galatina. Treccani, Enciclopedia italiana. Grice: “It is amazing how much Zimara loved Aristotle, at least for those who don’t love him that much!” Grice: “Zimara liked to retell the story of why he preferred to refer to Aristotle’s philosophy as that of the ‘lizio’ – the ‘lizio’ is the antiquated Italian way and spelling for Hellenic ‘lykaeon.’ This represents Apollo – in the statue at the gymn -- ginnasio,’ since they were naked --  where Aristotle walked around. ‘Peripato’ is obscene; lizio rings the right bell, and, also avoids to refer to the thing as ‘Aristotelian,’ avoiding what Frege calls a proper name!” Marco Antonio (Marcantonio) Zimara o Zimarra o Zima.  Zimara. Keywords: Aristotle, il liceo, la filosofia del liceo, filosofia liceale. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c -- Luigi Speranza, “Grice e Zimara: Aristotle within and without Oxford,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Zini: la ragione conversazionale del ivstvm quia -- ⸠ -- ivssvm -- filosofia italiana – Luigi Speranza  (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “Like me, Zini has been interested in the Graeco-Roman concept of ‘ius.’” -- Saggi: Proprietà individuale e proprietà collettiva, Torino, Bocca, Il pentimento e la morale ascetica, Torino, Bocca; Giustizia: storia d’una idea – cfr. Grice on ‘justice’ in Thrasymachus – Torino, Bocca, -- cf. Grice, “Justice in Plato’s Republic,” “Social justice,” The Grice Papers --; La morale al bivio, Torino, Bocca, La doppia maschera dell'universo: filosofia del tempo e dello spazio, Torino, Bocca, Il congresso dei morti, Roma, Partito comunista d'Italia, ed. con introduzione di Bergami e prefazione di Nesi, Calabritto, Mattia e Fortunato; Poesia e verità, Milano, Corbaccio, I fratelli nemici: dialoghi e miti, Torino, Einaudi, La tragedia del proletariato in Italia: diario, prefazione di Bergami, Milano, Feltrinelli, Appunti di vita torinese, Firenze, Olschki, Pagine di vita torinese: note del diario, Torino, Centro studi piemontesi. Grice enjoyed Zini’s approach. “Zini’s philosophy on justice is divided in six parts. The first is on the real and the ideal -- il reale e l’ideale --; the second is “la giustizia come idea ed emozione” -- fairness as idea and as emotion --; the third, “i frutti del lavoro e la loro distribuzione scondo giustizia,” The fruits of labour and their distribution according to fairness; the fourth is “Libertà od egualiglianza” -- Grice: “Note the ‘od,’ which need not be exclusive” --; the fifth is “Analissi del merito,” an analysis of merit, and the last is “La pena riparatrice,” literally the pain that repairs, the punishment that teaches, or atones.” Grice: “In liberty or freedom versus equality, Zini approaches the ROMAN attitude, rather brusque to those who rather strike an Anglo-Saxon attitude!” – Grice: “An apt way to describe the underlying conceptual difference between "malum in se" and "malum prohibitum" is "iussum quia iustum" and "iustum quia iussum", namely something that is commanded (iussum) because it is just (iustum) and something that is just (iustum) because it is commanded (iussum). In symbols: ivstvm ⸠ ivssvm. Zini. Keywords: ius, iustum quia iussum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Zini”; H. P. Grice, “Justice from Plato to Zini: the history of an idea, alla Berlin,” Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley.

Grice e Zolla: la ragione conversazionale e la discesa d’Enea all’Ade – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Saggi: Etica e estetica, Spaziani, Torino, L’eclissi dell'intellettuale, Bompiani, Milano, Volgarità e dolore, Bompiani, Milano, Le origini del trascendentalismo, Storia e Letteratura, Roma, Storia del fantasticare, Bompiani, Milano, Le potenze dell'anima: morfologia dello spirito nella storia della cultura, anatomia dell'uomo spirituale-- cf. Grice, “the power structure of the soul” -- Bompiani, Milano; Il letterato e lo sciamano, Bompiani, Milano, Che cos'è la tradizione romana? Bompiani, Milano, Le meraviglie della natura: introduzione all'alchimia, Bompiani, Milano, Archetipi, Marsilio, Venezia; L'androg-gino: l'umana nostalgia dell'interezza, Red, Como – GIOVE ANDROGINO;  Incontro con l'andro-gino: l'esperienza della completezza sessuale, GIOVE ANDROGINO, Como Aure: i luoghi e i riti, Marsilio, Venezia, L'amante invisibile: l'erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura e nella legittimazione politica, Marsilio, Venezia, Sincretismo, Guida, Napoli; Verità segrete esposte in evidenza: sincretismo e fantasia, contemplazione e l’esoterico, Marsilio, Venezia; Discorsi metafisici, Guida, Napoli; Uscite dal mondo, Adelphi, Milano; La luce; La ricerca del sacro, Tallone, Alpignano Ioan Petru Culianu, Tallone, Alpignano, Lo stupore infantile, Adelphi, Milano; Le tre vie, Adelphi, Milan; Un destino itinerante: conversazioni tra oriente ed occidente, Marsilio, Venezia; La nube del telaio: RAZIONALITA e irrazionalità tra oriente ed occidente, Mondadori, Milano; La filosofia perenne: incontro fra oriente ed occidente, Mondadori, Milano; Catabasi e anastasi, Tallone, Alpignano; La discesa d’ENEA all'Ade – VIDE VIRGILIO -- Adelphi, Milano; La ri-surrezione di BACCO; Minuetto all'inferno, Einaudi, Torino; Cecilia o la disattenzione, Garzanti, Milano; Il moralista, Garzanti, Milano; Saggi Bompiani, Milano; La psicanalisi, Garzanti, Milano; Dickinson: selected poems and letters, Mursia, Milano; Il marchese de Sade, Longanesi, Milano; Il mistico Vitters, Garzanti, Milano; Melville, Clarel, Einaudi, Torino; Adelphi, Milano; Hawthorne, Felton o l'elisir della vita, Neri Pozza, Vicenza; Garzanti, Milano; Il super-uomo e i suoi simboli, Nuova Italia, Firenze; Florenskij, Le porte regali; Saggio sull'icona, Adelphi, Milano; “Novecento” Lucarini, Roma; L'esotismo nella letteratura, Nuova Italia, Liguori, Napoli; Il dio dell'ebbrezza: antologia dei dionisiaci, Einaudi, Torino; Conoscenza religiosa, Storia e Letteratura, Roma; Gl’arcani del potere: elzeviri, Rizzoli, Milano; Gli usi dell'immaginazione e il declino dell’occidente, A.I.R.E.Z., Montepulciano; Filosofia perenne e mente naturale, Venezia; Il serpente di bronzo: scritti ante-signani di critica sociale, Venezia, Civiltà indigene dell’Italia, Storia e Letteratura, Roma; Archetipi. Aure. Verità segrete. Dioniso errante. Tutto ciò che conosciamo ignorandolo, Marsilio, Venezia. Contiene Archetipi, aure e verità segrete esposte in evidenza e l'introduzione all'antologia Il dio dell'ebbrezza, Le tre vie. Soluzioni sovrumane, Marchianò, Marsilio, Venezia, La catabasis d’ENEA – VIRGILIO (si veda). Arrivo a Cuma. Enea cerca la Sibilla. Racconto sulla fondazione del tempio da parte di Dedalo e descrizione di esso. Acate conduce la Sibilla Deifobe d’Enea. La Sibilla prescrive sacrifici. L’antro della Sibilla. La sibilla invoca Apollo. Apollo esorta Enea a non indugiare. Responsi della Sibilla sui futuri contingenti. Enea chiede alla Sibilla di fargli da guida per l’oltretomba. Deifobe allora gli dice di trovare un ramo d’oro nel bosco come offerta a Proserpina e di trovare e seppellire un compagno. Acate ed Enea ritornano dall’antro e trovano Miseno morto. Enea e i suoi compagni vanno nel bosco per preparare la pira. Appaiono alcune colombe ad Enea e lo guidano al ramo d’oro. Esequie per Miseno. Sacrifici di fronte all’antro dell'Ade. Al sorgere del sole Enea e la sibilla s’introducono nella grotta. Invocazione di VIRGILIO agli dei inferi. Inizia il viaggio agl’inferi. Descrizione del vestibolo, dove sono raggruppate le personificazioni dei mali e tanti mostri bivaccano: la chimera, l'idra, i centauri, le scille, le arpie, il centimano Briareo, le gorgoni e Gerione. Arrivo fino a Caronte. La sibilla dà spiegazioni sulla sorte degli’insepolti. Enea tra questi scorge Leucaspi e Oronte, i lici periti nella tempesta marina. Enea scorge Palinuro e chiede della sua fine. Palinuro chiede di essere sepolto. La Sibilla gli dice che ci penseranno gl’abitanti di quei luoghi sollecitati da prodigi celesti. I due proseguono. Caronte li rampogna e attacca Enea perché ANIMA VIVA. La Sibilla lo fa tacere e gli mostra il ramo d’oro. Appare Cerbero, ma la Sibilla la addormenta con una focaccia. Appaiono i primi morti nell'Ade vero e proprio, ovvero i bambini e i condannati a morte ingiustamente. Poi i suicidi, i morti per amore, tra cui Didone. Enea le parla, ma questa se ne va senza rispondere. Incontro coi morti in guerra, tra cui i compagni d’Enea. Dialogo con Deifobo, il quale racconta la sua fine, causata dall’inganno di Elena. La Sibilla tronca la conversazione esortando Enea a raggiungere in fretta i campi elisi. I due proseguono e vedono il Tartaro, dove sono i giganti, i titani, l’idra, e gli spiriti di coloro che furono malvagi in vita, tra cui Issione, Piritoo, Teseo, Flegias, tutti puniti per le loro nefandezze. Ingresso nei campi elisi dove sono i beati. Museo accompagna Enea da Anchise. Anchise spiega al figlio la sorte delle anime. Anchise illustra la progenie ROMANA. SILVIO, successore di ASCANIO, figlio di Enea e Lavinia, Proca, Capys, Numitore, Silvio Enea, ROMOLO, OTTAVIANO, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio il Superbo, Bruto, i Deci, i Drusi, Manlio Torquato, Furio Camillo, GIULIO CESARE, Pompeo, Lucio Mummio, Lucio Emilio Paolo, Catone -- Censore o Uticense -- Aulo Cornelio Cosso, i Gracchi, gli Scipioni, Caio Fabrizio Luscino, Serrano, i Fabi, Quinto Fabio Massimo Verrucoso. Cenni di Anchise su Marco Claudio Marcello, figlio adottivo e genero d’OTTAVIANO. Anchise profetizza ad Enea le guerre che duove sostenere e lo accompagna all'uscita dell'Ade. Enea torna dai compagni, coi quali si imbarca verso Gaeta La guerra latina. Enea alla corte del re Latino, olio su tela di Bol, Amsterdam, Rijksmuseum. ENEA e i suoi compagni salpano da Cuma e giungono in un porto della Campania situato a Nord. Qui muore Caieta, la nutrice di Enea, nell'Esperia. Stanchissimi e affamati -- tanto da mangiare le mense, piatti di focaccia dura, proprio come avevano previsto le arpie -- sbarcano alla foce del Tevere. Enea decide quindi di inviare Ilioneo come ambasciatore al re del luogo, Latino. Questi accoglie con favore l'emissario di Enea, e gli dice di essere a conoscenza che Dardano, il capostipite del gruppo d’Enea, e nato nella città etrusca di Corito, ab sede Tyrrena Corythi. Ilioneo risponde: Da qui ebbe origine Dardano. Qui Apollo ci spinge con ordini continui. In ogni caso Latino si mostra favorevole ad accogliere Enea e i suoi compagni perché suo padre, il dio italico Fauno, gli ha pre-annunciato che l'unione di uno straniero con sua figlia Lavinia genera una stirpe eroica e gloriosa. Per questo motivo, il re ha in precedenza rifiutato di concedere Lavinia in moglie al re dei Rutuli, Turno, anche lui semidio in quanto figlio della ninfa Venilia. La volontà degli dei si manifesta anche attraverso prodigi. La piega che gl’eventi stanno prendendo non piace a Giunone che con l'aiuto di Aletto, una delle furie, rende geloso Turno e spinge la moglie del re, Amata, a fuggire nei boschi con la figlia e a fomentare l'odio verso gli stranieri nella popolazione locale. L'uccisione d’Almone, colpito alla gola da una freccia durante una rissa fra gl’italici e Enea e i suoi compagni, provocata dalla furia, scatena la guerra. Turno, nonostante il parere contrario di Latino, raduna un esercito da inviare contro Enea i suoi compagni. Il suo alleato principale è Mezenzio, il re etrusco di Cere, cacciato dai sudditi per la sua crudeltà. Vi sono poi, tra gl’altri, Clauso, principe dei Sabini, alla testa di un corpo militare particolarmente imponente. I due semi-dei italici Ceculo e Messapo, figli rispettivamente di Vulcano e Nettuno, Ufente, capo deg’equi, Umbrone, condottiero dei marsi e noto serparo, Virbio, re di Aricia e nipote di Teseo, la vergine guerriera Camilla, regina dei volsci. Sepoltura di Caieta. Enea riparte. Enea e i suoi compagni passano vicino all’isola di Circe. Enea e i suoi compagni avvistano la foce del Tevere all’alba, e si fermano. Invocazione di Virgilio a Erato. Racconto sulle origini del re Latino. Turno vuole in sposa Lavinia, ma i presagi divini fanno esitare Latino. Qquest’ultimo chiede auspici all’oracolo di Fauno, il quale gli dice di dare in sposa la figlia a un genero straniero che sta per arrivare. Magro banchetto di Enea e i suoi compagni, e quindi avverarsi della profezia di Celeno. Preghiere di Enea cui rispondono tre lampi di Giove. Ambasciata per la pace inviata a Latino mentre Enea costruisce una cittadella fortificata. Latino accoglie Enea e i suoi compagni e chiede cosa lo spinga a lui. Ilioneo risponde che il volere degli dei li ha condotti in quei luoghi. Latino pensa agl’oracoli di Fauno, li accoglie benevolmente e chiede di far venire Enea esponendo a loro il vaticinio. Il re ricambia i doni. Giunone scorge le sorgenti case di Enea e i suoi compagni, se ne duole e promette come dote a Lavinia una guerra; poi si dirige d’Aletto e la esorta a portare discordia. La Furia si dirige nel LAZIO e corrompe Amata, moglie di Latino, la quale si lamenta col marito per aver privato Turno della mano di Lavinia, ma il re non si fa convincere. Amata impazzisce per la città e porta sua figlia nella foresta. Le altre donne sono colpite dalla medesima furia e la raggiungono in una specie di baccanale. Aletto va da Turno prendendo le sembianze della sacerdotessa di Giunone, esortandolo a guerreggiare con Enea e i suoi compagni, ma Turno la deride. Aletto s’infuria e lo corrompe, facendo sì che dichiari guerra. Aletto si dirige su Enea e i suoi compagni. Ascanio sta cacciando, e la furia fa in modo che egli ferisca a morte UN CERVO SACRO. I contadini allora si armano ed Enea e i suoi compagni accorrono d’Ascanio. Combattimento tra le due parti. Aletto va trionfante da Giunone e torna agl’inferi su suo ordine. Giunone fa scoppiare definitivamente la guerra, mentre Latino si dispera e scaglia una maledizione su Turno. Apertura delle porte del tempio di Giano da parte di Giunone, poiché Latino non vuole farlo. Preparativi della guerra. Invocazione alle Muse. Presentazione dei condottieri italici: Mezenzio col figlio Lauso, Aventino, Catillo, Cora, Ceculo, Messapo, Clauso, Aleso, Ebalo, Ufente, Umbrone, Virbio, Turno, Camilla. Zolla. Keywords: fantasticare, Bacco, la discesa d’Enea all’Ade. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley.

Grice e Zopiro: arma virvmque cano -- la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – l’arma del filosofo a Cumae -- Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico. He appears to specialise in mechanical matters, and in particular the design and construction of weapons. His skills are evidently in demand and there are reports of him working in places as far apart as Miletus and Cumae. Grice: “That he is of ‘Hellenic’ – so-called, and thus not properly Roman -- origin is evident by the fact that his name starts with a ‘Z,’ a letter which Catone managed to expel from the Latin alphabet. Catone would say: ‘z’ is the sound a corpse makes just before it becomes one’ – rudely. He probably knew. Giamblico, of Calcide, seems to have been very familiar with Italian geography, since he lists all these ‘Pythagoreans,’ who managed to settle (while the sect was banned in Crotone) all over the place. Taranto is close enough, but it seems indeed that Zopiro’s skills led him as far as Cumae. Recall taxis or ubers were unknown then!’. The concept of a weapon was well known to Aeneas and Hemingway --. In Anglo-Saxon, a weaponed man meant a man, i. e. a man (gender-neutral) with a penis. For Grice’s Play-Group. The Swimming-Pool Library.

Grice e Zorzi: la ragione conversazionale e l’armonia del mondo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Essential Italian philosopher. Grice: “For some reason, in the Veneto area, they cannot pronounce the /dg/, which becomes /z/ as everyone who is familiar with Giorgone – as in Quine’s infamous example -- would know!”. Filosofo italiano. Saggi: L'armonia del mondo, Campanini, Pensiero occidentale, Bompiani, Milano; De harmonia mundi, Firenze, Finestra; L'Elegante, poema e commento, Maillard, Arché, Milano Paris. Onda, Le vicende costruttive della chiesa e del convento, Il progetto di Sansovino e il memoriale di Z.; La teoria ermetica di Z., La chiesa di San Francesco della Vigna e il suo convento, Venezia, San Francesco della Vigna; Campanini, Le fonti dell’armonia del mondo di Z., Ca' Foscari”; Campanini, La struttura simbolica dell’armonia del mondo di Z., Materia Giudaica; Argento, Il cardinale e l'architetto: Aleandro e il rinascimento adriatico, Apostrofo, Cremona. Grice: “Zorzi is an interesting one, as a proof that, in Italy, they take the Hebrew language seriously! They call it a classic, even! I wish I had learned some all those years I boarded at Clifton – especially since I will later make use of ‘Fiat lux’!” – Grice: “While the concept of ‘harmonia mundi’ may claim a Judaeo-Christian heritage, as the Italians put it – a heritage they lack! --, it is SO EASY to reconstruct the ‘harmonia mundi’ in purely Aryan, that is, Pythagorean terms! The root of ‘mundo’ are complex enough, and the English language lacks the concept, preferring vir-hood, ‘world,’ instead. ‘Harmonia’ is possibly so hellenic that CICERONE never cared to find the proper Roman indigenous cognate! Zorzi. Keywords: armonia conversazionale. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley, Luigi Speranza, “Grice e Zorzi: l’armonia del mondo,” pel gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Zucca: la ragione conversazionale e il filosofo di filosofi -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Villaurbana). Filosofo italiano. Grice: “I like his surname. Mine means ‘pig;’ his means ‘pumpkin’!” -- zúcca prov. zucs, sucs; a. fr. suc/cosse/; vuolsi derivi dalla voce popolare cu-cuzza, v. q. voce, soppressa la prima sillaba e trasposte le lettere del rimanente. Altri dal gr. sikya,  zucca, Diez. Pianta annuale della famiglia delle curbitacee con lo stello rampicante, le foglie grandi, cuoriformi, rotonde, e i frutti buoni a mangiare, grossi e di varia rotondità -- rum. cucurbitu; mod. prov. cougourdo; mod. fr. courge; per similit. La testa umana; deriv.: zuccata; zucchétta-étto -- quella berretta rossa che portano i cardinalli -otto-íno-one. Grice: “The metaphor is an interesting one. I’m not called ‘Grice’ because I look like a pig, but Zucca _is_ called ‘Zucca’ because, as the dizionario etimologico puts it – ‘per similit. la testa umana’!" Saggi: L'uomo e l'infinito, Imola, Sociale; Il lamento del genio: parodia, Sassari, Gallizzi; Dopo il dolore: canto, Chiari, Rivetti; Il grande enigma, Modena, Formiggini; Le lotte dell'individuo, Rivista di filosofia”, Modena, Formiggini; Essere e non essere, Rivista di Filosofia; Roma, Formiggini; Pensieri, Rivista sarda, Leggenda e realtà, Rivista sarda, Ardigò [si veda] e il vescovo di Mantova: un'intervista nel sogno, Rivista sarda, Roma, Ferri; Un filosofo di un filosofo, Mediterranea; I rapporti fra l'individuo e l'universo, Padova, Milani. Antioco Zucca. Zucca. Keywords: un filosofo di un filosofo. Refs.: Luigi Speranza, “Un filosofo di un filosofo: Grice e Zucca,” -- H. P. Grice, The Grice Papers, BANC, MSS The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, for the Anglo-Italian Club, Villa Speranza, Liguria.

Grice e Zubiena: l’implicatura demoniaca e la ragione conversazionale -- corpi e corpi -- filosofia fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Grice: “Perhaps without knowing, Zubiena has explored a crucial concept in Greco-Roman philosophy, that of ‘daimone,’ – ‘il demoniaco,’ as Zubiena calls it, focusing on its iconography.” Grice: “I would call Zubiena the Italian G. W. H. Parkinson. Like G. W. H. Parkinson, Zubiena edits a volume on ‘semantics.’ And I would also call him the Italian A. G. N. Flew. Like A. G. N. Flew, Zubiena edits a volume on “Language and philosophy.”” Filosofo italiano. Zubiena bears what Italians, and everybody else, for that matter, call a ‘topographical’ cognomen. ‘Zubiena,’ or ‘Zubien-a’ “in piemontese” -- comune italiano della provincia di Biella in Piemonte. Insegna a Roma. Fonda l'archivio di filosofia e organizza i colloqui Castelli -- Grice: “Zubiena should have called these colloquia the Zubiena colloquia” --, incontri che riuniscono filosofi per discutere temi diversi. Vicino all'esistenzialismo, Z. parte da una posizione spiritualista. Si caratterizza per uno stile filosofico dal tratto auto-biografico. Si interessa di temi legati al rapporto tra RAGIONE, arte, e religione. Introduce il dibattito sulla de-mitizzazione. Grice: “In general, since Evola, Italian philosophers should know better, and avoid the Greek or Hellenic mystic concept of the ‘mythos’ and replace it for the very relatable one of ‘legend.’ In Z. convergono suggestioni tratte da Agostino, Kierkegaard, Šestov, e Heidegger, in una ricerca volta a delineare una filosofia della storia italiana sulla base della considerazione del concetto di peccato – ‘that Cicerone lacked’ -- Grice.  Nei colloqui ‘Z.’ convenneno filosofi di rilievo della scena fenomenologica ed ermeneutica. Vi fanno la loro comparsa Gouhier, Breton, Brun, Bruaire, Tilliette, Lacan, Ricœur, Lévinas, Ellul, Argan, Starobinski, Benveniste, ECO [vide], Scholem, Vahanian, e GIANNINI [vide]. Z. prende il suo posto, come organizzatore dei colloqui e direttore dell'archivio di filosofia, Olivetti. Panikkar e suo grande amico e collaboratore. Saggi: Il tempo esaurito, Bussola, Roma; Presupposti di una filosofia della storia, Milani, Padova; Il demone, Electa, Milano – cf. H. P. GRICE on J. L. ACKRILL on eudaemon and kakodaemon --, Pensieri e giornate, Milani, Padova; Simbolo e immagine, Rinascimento, Roma; Il tempo invertebrato, Milani, Padova; Paradossi del senso commune, Milani, Padova – cf. H. P. GRICE, “THE PHILOSOPHER’S PARADOXES AND COMMON SENSE”; La de-mitizzazione, Milani, Padova, Il tempo inqualificabile, Milani, Padova; Diari, Milano, archivio di filosofia, Padova, Olivetti, La filosofia cristiana, Città Nuova, Roma; Prini, L'esistenzialismo teologico, Filosofia cattolica, Laterza, Roma. Enciclopedia Treccani, Sapienza Roma, Filosofia della religione, esistenzialismo teologia RAZIONALE. Archivio di filosofia. Sichirollo, Enciclopedia italiana, appendice, Roma, istituto dell'Enciclopedia Italiana, Episcopale Italiana. Enrico Castelli Gattinara di Zubiena. Keywords: simbolo; parabola; diavolo; l’individuo e lo stato, la corporazione, demonio, vita beata. Refs.: Luigi Speranza: “Grice, Flew, Parkinson, and Zubiena,” Luigi Speranza, “Grice e Zubiena: implicature demoniache,” pel gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

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