Speranza
· 1813
·
Rossini
·
·
L’IMPERATORE
AURELIANO NEL REGNO DI PALMIRA
·
·
Libretto
di Felice Romani – La Scala, 1813.
·
·
·
PERSONAGGI
o
Publia, figlia di Valeriano, amante segreta di Arsace (mezzosoprano)
o
Oraspe, generale de' Palmireni, (tenore)
o
Licinio, tribuno (basso)
o
Gran
Sacerdote d'Iside (basso)
o
Sacerdoti,
Donzelle palmirene
o
Coro di Guerrieri (palmireni, persiani, romani),
Pastori, Pastorelle, Soldati (romani, palmireni, persiani)
·
ATTO I – Gran tempio d’Iside con simulacro a destra. Palmira, 230 d. C.
Scena I: Sacerdoti che fanno i sacrifici, donzelle, guerrieri e popolo
prostrati alla statua del nume. Gran Sacerdote. TUTTI: Sposa
del grande Osiride, madre d’Egitto e diva, o che ti piaccia scendere sovra
l’Inachia riva,o in mezzo al Nil settemplice ti giovi il crin lavar, mira
pietosa il popolo steso al tuo santo altar.
SACERDOTI: A te devoti svenano vittime i sacerdoti.
VERGINI: Le palpitanti vergini t’appendon fiori e voti.
GUERRIERI
PALMERIANI: Invoca te la supplice guerriera
gioventù.
TUTTI: Salvi il tremante popolo l’eterna tua virtù, madre di
questo regno, accorda a noi sostegno, il tuo tremante popolo salva da tanto
orror.
GRAN SACERDOTE (spaventato) Ahi, l’ara si scuote, il tempio
s’oscura, la dea Osiride ci percuote con nuova sciagura; che stragi e ritorte,
che morte, che orror.
TUTTI: Oh diva Ossiride tremenda, pietade ti prenda del nostro
dolor.
Appena
escono, tutti li circondano spaventati. PRINCIPE ARSACE e REGINA ZENOBIA li rassicurano
REGINA ZENOBIA e PRINCIPE
ARSACE (con seguitor da una parte) Coraggio
o figli, ahi quale, qual debolezza è questa.
PRINCIPE ARSACE (con seguito
dall’altra parte): REGINA ZENOBIA ancor vi resta.
REGINA ZENOBIA: Vi resta PRINCIPE ARSACE ancor.
TUTTI: Ah, se per noi pugnate vinti non siamo ancor.
******** DUETTO – found sublime by
Stendhal ********
PRINCIPE ARSACE: Se tu m’ami, o mi regina, tornerò da te più degno: sola in
Asia avrai tu regno, come regni sul mio cor.
REGINA ZENOBIA: Ah! soltanto il ciel, che invoco, te conservi, o mio
guerriero, perderò corona e impero, purché a me tu resti ognor.
REGINA ZENOBIA e
PRINCIPE ARSACE Deh! pietosa, o dea, rimira così pura e bella
face:
placa il fato di Palmira, rendi a noi la prima pace, e sorridi al nostro amor.
REGINA ZENOBIA: Senti, ahimè.
Donzelle: Qual suon lontano.
PRINCIPE ARSACE: Suon di guerra.
GUERRIERI: Oraspe arriva.
REGINA ZENOBIA: Che fia mai.
Sacerdoti: Ci assisti, o diva.
PRINCIPE ARSACE (con Oraspe
frettoloso con soldato e detti): Ah
favella.
Coro: Che dirà.
Oraspe: Già l’insegne dell’imperatore AURELIANO dell’Eufrate sono
in riva e l’esercito romano già minaccia la città del regno di PALMIRA.
PRINCIPE ARSACE: Voliamo al campo, addio.
REGINA ZENOBIA: Ti segue, o caro, anch’io.
Donzelle: Chi salverà Palmira?
GRAN SACERDOTE: Resta: la dea m’inspira.
TUTTI: Difendi la città.
PRINCIPE ARSACE: Resta e mi sia partendo stringerti al sen concesso, maggiore
a questo amplesso il mio valor si fa.
REGINA ZENOBIA: Resto, ah mi sia restando stringerti al sen concesso,
maggiore a questo amplesso il mio timor si fa.
GUERRIERI PALMIRENI E PERSIANI: Compagni, all’armi, all’armi, guerrieri, al campo, al campo;
de’ nostri acciari al lampo Roma tremar dovrà.
GRAN SACERDOTE: Secondino gli dei, principe generoso,
il tuo valore, e se scritto è nel cielo che alla sorte di Roma debba Palmira
soggiacer tua fama sarà eterna fra noi; dolce pensiero sempre sarai
dell’Oriente intero. Stava dirà la terra contro Palmira il fato in sua difesa
armato PRINCIPE ARSACE sol pugnò, se
nella sua rovina restò l’eroe sommerso fu che col fato avverso pugnar l’eroe
non può.
SOLDATI ROMANI (nel vasto campo, tutto in disordine, dopo sanguinosa battaglia nella
quale i persiani sono rimasti sconfitti. Al fondo della scena si scorge
l’Eufrate, e di la dal fiume la citta di Palmira. Guerrieri vinti e postrati.
Licinio e Soldati romani) Vivi eterno, o grande L’IMPERATORE
AURELIANO, all’impero, al mondo, a noi; e rispetti i lauri tuoi ogni gente ed ogni età. Al tuo crine il vinto
Eufrate nuove palme aggiungerà.
L’IMPERATORE AURELIANO (sopra una
biga trionfale) sostenuto dai suoi scende dal carro.
IMPERATORE AURELIANO (TENORE): RECITATIVO:
Romani, a voi soltanto debbo i
trionfi miei, spetta a voi tutto di cotanta vittoria il pregio e il frutto.
Come in battaglia prodi, pronti
l’ire a depor, se cessan l’armi, il vinto si risparmi
Aureliano fa alzare i prigionieri.
e si faccia per voi noto alla terra
che Roma è grande in pace e grande i
guerra.
Cara patria il mondo trema se
coll’armi abbatti i troni
---
CANTABILE:
ma
t’adora allor che doni pace ai vinti e libertà.
ma
t’adora allor che doni
pace
ai vinti e libertà
ma
t’adore allor che doni
pace
ai vinti e libertà!
SOLDATI ROMANI: Sì, la terra, in pace e in guerra, sempre Roma vincerà.
L’IMPERATORE AURELIANO:
CABALETTA:
a pugnar m’accinsi o Roma
col tuo nome impresso in cor
porgi i lauri alla mia chioma
io ritorno vincitor.
SOLDATI ROMANI (repeating)
porgi i lauri alla sua chioma
ei ritorna vincitor.
L’ IMPERATORE AURELIANO: Olà, venga e si ascolti il prence prigioniero,
stretto in catene, eccoti, Arsace: invan la Persia intera armasti contro me:
fur le tue schiere dal romano valor vinte e fugate, in riva dell’Oronte e
dell’Eufrate.
ARSACE, PRINCIPE DI PERSIA: Della fortuna avversa non rammentarmi in van lo sdegno
estremo, io son tuo prigionier lo veggo e fremo che se giustizia sola
assistesse al pugnar in lacci avvinto oggi Aurelian vedrei al piede di REGINA
ZENOBIA e ai piedi miei.
IMPERATORE AURELIANO: Principe Arsace, un folle amore oh come ti cambiò, nemico a
Roma per REGINA ZENOBIA ti festi. Dovrei punirti ma pietà mi desti.
PRINCIPE ARSACE: La tua pieta conosce il mondo appieno il Tebro e
L’IMPERATORE AURELIANO, non alberga pietade in cor romano.
L’IMPERATORE AURELIANO: Fiero sei tanto e che saria se vinto da te foss’io.
PRINCIPE ARSACE: L’Asia dolente ascolta, l’Asia il dirà.
L’IMPERATORE AURELIANO: Custodi al mio cospetto si tolga, io t’abbandono alla tua
sorte.
PRINCIPE ARSACE: Da forte io vissi e morirò da forte.
L’IMPERATORE AURELIANO entra nelle
tende. IL PRINCIPE ARSACE è condotto via
tra le guardie.
LICINIO : Giorno di gloria è questo, Roma, per te, fu vendicato
assai tanto sangue latino onde l’Asia rubella ancor rosseggia, nell’infedele
reggia tremi Zenobia e nel destin d’Arsace miri qual sorte acerba fra poco il
Tebro punitor le serba.
L’IMPERATORE AURELIANO: (Nell’interno d’un magnifico
padiglione che s’apre a destra e a sinitra): Vincemmo o Publia ma ci resta
ancora Palmira a soggiogar finché Zenobia nella forte città chiusa rimane sfida
impunita l’aquile romane.
PUBLIA (con premura) E il prince prigionier.
L’IMPERATORE AURELIANO: Purché nemico di REGINA ZENOBIA ritorni, io gli perdono
sciolgo i suoi lacci e lo ripongo in trono.
LICINIO: De’ palmireni il duce L’IMPERATORE AURELIANO chiede di
presentari a te.
L’IMPERATORE AURELIANO: Venga.
Publia: Che fia?
ORASPE: REGINA ZENOBIA ad
Aurelian salute invia. Di favellarti brama, ove ti piaccia che venir possa
illesa dalle guardate mura al tuo campo, e partir.
L’IMPERATORE AURELIANO: Venga, è sicura. De’ Persi prigionieri al manco lato della
tenda si tragga il numeroso stuolo e qui si schieri il drappel de’ tribuni e
de’ guerrieri.
PUBLIA: Sul proprio fato incerta forse pace sospira.
L’IMPERATORE AURELIANO: E’ troppo altera, onde s’esponga all’onta della ripulsa mia,
pensar conviene che alta cagion la mova.
Publia: Ella già viene.
SOLDATI ROMANI: (V(S’apre il padiglione a sinistra, ove si scorge ZENOBIA
sopra un magnifico carro contutto il suo seguito, parte del quale porta ricchi
donni. Aureliano si pone sopra una sedia elevate. CoroVenga Zenobia, o
AURELIANO, e da te pace implori. Venga e in AURELIANO onori dell’Asia il
domator.
DONZELLE PALMIERENE: Possan REGINA ZENOBIA e AURELIANO depor lo sdegno antico,
si stringa in nodo amico belleza col valor.Durante il canto del coro, LA
REGINA ZENOBIA scende dal carro ed entra nel padiglione con Oraspe.
REGINA ZENOBIA: Cesare, a te mi guida gratitudine e amor, de’ Persi il
prence per me pugnò, vinto rimase e dura nel roman campo servitù sostiene;
vengo a scioglier, signor le sue catene.
Publia: Ah, lo previdi.
L’IMPERATORE AURELIANO: Invan chiedi, regina, la libertà d’Arsace, egli di Roma si è
fatto traditor, né invendicato Roma lasciar può mai cotanto oltraggio, che
sembianza gentil.
REGINA ZENOBIA: Alma coraggio (mostra i doni che ha recato), prezzo
d’PRINCIPE ARSACE io t’offro quanto
l’Asia produce di più raro per noi, se quel tesoro che in dono a te recai poco
ti sembra, altro maggior n’avrai.
ORASPE: Che risponder potrà.
L’IMPERATORE AURELIANO: Poco, o Regina Zenobia, Roma conosci e me: dove accordassi
la libertà d’Arsace, mi recheresti invano i doni tuoi. Dona Aurelian, non
vende, i servi suoi.
REGINA ZENOBIA: Forse avverrà che il ferro più che i tesori miei porga a lui
scampo.
L’IMPERATORE AURELIANO: Dunque guerra tu vuoi.
REGINA ZENOBIA: T’invito in campo. S’apre la tenda dalla parte destra, e
si vedono prostrati tutti i prigionieri.
IMPERATORE AURELIANO: Pria di partir, mira e contempla in loro il tuo destin,
cedi, Zenobia, e tutti a te li dono, ed a te rendo Arsace.
REGINA ZENOBIA: No, di viltà non è il mio cor capace.
PRIGIONERI (stendendo le braccia a Zenobia): Cedi, cedi, a lui
t’arrendi, senti, o Dio, di noi pieta, ah, regina, a noi tu rendi, pace, patria
e libertà.
DONZELLLE PAMIERENE: Deh cedi.
REGINA ZENOBIA (interrompendo con sdegno).
Ah no, voi lo sperate invano, giacché tanto AURELIANO seppe negar, che il
prigioniero io veda permetta almen; per pochi istanti il chiedo.
Publia: Che pretende.
Licinio: Che vuole.
L’IMPERATORE AURELIANO: Io lo concedo, i fia scorta Licinio, ah pensa in pria, che ti
prepari la rovina estrema, mira il perglio a cui sei presso, e trema.
REGINA ZENOBIA: Tremar Zenobia, ah, finché resta un brando, tremar degg’io,
non è, non è fecondo
il Tebro sol d’eroi, si sa morir da forti anche fra noi, là pugnai; la sorte
arise a Palmira e al braccio mio, quel gran giorno non oblio, quel gran giorno
ancor verrà.
SOLDATI ROMANI: Se non vuoi da Roma pace ceppi e morte a te darà.
DONZELLE E PRIGIONERI: Senti oh dio, pietà d’Arsace, senti oh dio, di noi pietà.
REGINA ZENOBIA: Non piangete, o sventurati, in catene, è ver, gemete ma
fratelli e figli avrete per donarvi libertà.
SOLDANTI ROMANI, DONZELLE,
PRIGIONERI: Cedi, cedi; il fato istesso tutti,
tutti opprimerà.
REGINA ZENOBIA: Palpito insieme, o dio, e di furore avvampo. (ai
prigionieri) Voi rimanete, addio
(ai Romani) voi m’attendete in
campo, un Dio mi sprona all’armi, un Dio mi reggerà.
PRIGIONERI: Vanne, fra il sangue e l’armi il cor ti seguirà.
SOLDATI ROMANI: Vanne, fra il sangue e l’armi, l’orgoglio tuo cadrà.REGINA
ZENOBIA parte scortata da Licinio, indi Oraspe e seguaci.
L’IMPERATORE AURELIANO: Chi mai creduto avria tanta costanza in lei e sì rara beltà,
quasi io cedea e s’ella in atto umile chiesto pietà m’avesse, in quell’istante,
forse io poteva.
PUBLIA: Ah, fosse Augusto amante, troppo REGINA ZENOBIA è altera,
onde possa al tuo piè giammai prostrate chieder pietade e pace.
L’IMPERATORE AURELIANO: La sventura d’Arsace e il suo stesso periglio a questo passo
forse la ridurrà, potrebbe il prence in lei temprare quell’orgolio insano.
PUBLIA: Voglian gli dei che tu non speri invano.
IMPERATORE AURELIANO: Ma se non cede e sfida il mio rigor per sé per lui paventi,
non tradirò di Roma la gloria mai, né tradirò la mia m’avrà qual più desia,
generoso o crudele; o in questo giorno
chiede la mia pietade, o coll’amante suo REGINA ZENOBIA cade.
PUBLIA: Se REGINA ZENOBIA s’arrende, amante
AURELIANO potrebbe divenir: potrebbe Arsace
amarmi forse un dì, da voi mi viene così dolce conforto, mumi, da voi; ma per
pietà non sia poscia tradita la speranza mia.
PRINCIPE ARSACE: (all’inerno d’un antico castello
che serve di prigione, mestamente seduto sopra un sasso). Eccomi, ingiusti
numi, oppresso e prigionier, come un sol giorno la sorte mia cangiò, soffrir
costante potrei tutto l’orror de’ mali miei, ma Zenobia, ah, Zenobia, io ti
perdei, chi sa dirmi, o mia speranza, se mai più ti rivedrò, ah la vita che
m’avanza te chiamando i perderò.
REGINA ZENOBIA (di dentro): Arsace, PRINCIPE ARSACE mio.
Arsace: Qual voce.
REGINA ZENOBIA: (scortata da Licinio)Arsace, vieni, caro al mio sen.
Arsace: Zenobia, o dio, sei pur tu, ti riveggo, ah qual mi trovi,
qual m’è forza lasciarti.
REGINA ZENOBIA: Ah, tutto io sento in sì fiero momento l’orror del mio
destin.
Arsace: Cara, io formai quest’unico desire, rivederti una volta e
poi morire.
REGINA ZENOBIA: No, non morrai, tutto a versar son pronta il sangue mio pur
che tu viva, ah, spera, per te combatto, avrò vittoria intera.
PRINCIPE ARSACE: Ah, non voler, mia speme, avventurar tuoi giorni: io ti
scongiuro, salvati per pietà: l’empio nemico di tua sconfitta aver non possa il
vanto.
REGINA ZENOBIA: Deh taci, ahimè, parlar mi vieta il pianto.
PRINCIPE ARSACE: Va’, m’abbandona, e serba i tuoi bei giorni, o cara, deh,
vivi, e meno amara sarà la morte a me.
REGINA ZENOBIA: No, non ti lascio: io moro se a te non vivo unita, dipende
la mia vita idolo mio da te.
PRINCIPE ARSACE: Solo rammenta almeno dell’amor nostro i dì.
REGINA ZENOBIA: Mi strappi il cor dal seno nel favellar così.
REGINA ZENOBIA e
PRINCIPE ARSACE: Che barbara stella mirò la mia cuna! Se coppia sì bella
divide fortuna! Ah! solo al dolore amore ci unì.
IMPERATORE AURELIANO (con seguito, alle guardie che tolgono le catene ad Arsace) Eseguite. Arsace, ascolta,
sento ancor di te pieta, ad offrirti un’altra volta vita io vengo e libertà.
REGINA ZENOBIA: O gioia.
Arsace (a Zenobia)
Ah, mia tu sei.
IMPERATORE AURELIANO: Ma la regina.
PRINCIPE ARSACE: Parla.
IMPERATORE AURELIANO: Abbandonar la dei.
Zenobia: Che sento?
PRINCIPE ARSACE: Abbandonarla!
IMPERATORE AURELIANO: Il voglio.
PRINCIPE ARSACE: A questo prezzo la libertà disprezzo, morte terror non ha.
IMPERATORE AURELIANO: E il beneficio mio.
PRINCIPE ARSACE: Io lo ricuso.
AURELIANO: Indegno.
REGINA ZENOBIA (accorrendo ora all’uno ora all’altro) Arsace, Augusto, oh Dio.
IMPERATORE AURELIANO: Piombi su te lo sdegno.
REGINA ZENOBIA: Io lo difendo.
AURELIANO (rivolgendosi a Zenobia)
Trema. S’appresta l’ora estrema. L’audace...
Zenobia: Ahimè!
IMPERATORE AURELIANO: Morrà. Pausa. L’IMPERATORE AURELIANO li contempla con
furore. PRINCIPE ARSACE e REGINA
ZENOBIA restano addolorati, indi
corrono ad abbraciarsi.
IMPERATORE AURELIANO: Ah! sento che assai lo sdegno frenai. In ambi l’offesa punita sarà. Ma calma il rigore amore e pietà.
REGINA ZENOBIA e
PRINCIPE ARSACE: Serena i bei rai, morire mi fai. In nostra difesa amor
pugnerà. Quel barbaro core orrore mi fa. Licinio e
coro di Romani; Oraspe e coro di Palmireni con tutto il seguito di Zenobia; gli
uni rivolgendosi a Zenobia, gli altri ad AURELIANO .
SOLDATI ROMANI: Vieni all’armi: i tuoi guerrieri di novello ardor son
pieni. Vieni all’armi; al campo vieni a pugnar e a trionfar.
Zenobia (ad Arsace) Vado: addio; (ad AURELIANO ) Colà
t’aspetto.
IMPERATORE AURELIANO: Si dividano.
Arsace: O tormento! Mia Regina!
Zenobia: Mio diletto!
SOLDATI ROMANI: Vieni; corrasi: al
cimento.Le donzelle di REGINA ZENOBIA
la circondano supplichevoli.
Donzelle PALMERIENE: Va’: tu sola, PRINCIPE ARSACE e il regno puoi difendere e salvar.
REGINA ZENOBIA e
PRINCIPE ARSACE: Caro/cara amante, nel lasciarti io mi sento il cor
gelar.
IMPERATORE AURELIANO: O mio cor, per vendicarti devi l’ira soffocar!
REGINA ZENOBIA e
PRINCIPE ARSACE: Ancora un addio, mancare mi sento, coraggio cor mio,
all’armi, al cimento tu vinto sarai, tu spera: vivrai, saprò di quel perfido
l’orgoglio domar.
IMPERATORE AURELIANO: Quest’ultimo addio vi accresca tormento.Vendetta desio.
All’armi... al cimento. Tu trema, morrai. Tu vinta sarai. Saprò di quei perfidy
l’orgoglio domar.
Licinio, Oraspe e Coro: Di nostra vendetta è giunto
il momento. Deh vieni, t’affretta. All’armi... al cimento.
Licinio e Romani (a Zenobia) Tu vinta sarai.
Oraspe e Palmireni (ad AURELIANO) Tu vinto sarai.
Licinio, Oraspe e Coro: Con noi vincerai saprem della
perfidea/di quel perfido l’orgoglio domar.
·
GRANDI DEL
REGNO (Atto II, Scena I: Vaste stanze sotterranee, dove LA REGINA ZENOBIA avrà
riposto i suoi tesori; scala tortuosa che vi dà l’accesso, e diverse altre
entrate. Donzelle e Grandi del regno in attitudine di spavento
e di estrema agitazione): Cielo, ahi miseri! piombata è l’ira.
Donzelle PALMERIENE: Vinta è Zenobia. Cadde Palmira.
Tutti: Ceppi e ritorte, rovina e morte, il fato barbaro ci
preparò.
Grandi: O Dei! Ricovero più non rimane.
Donzelle: Per tutto innondano l’armi romane.
Tutti: Ed il furore del vincitore forse in Zenobia si consumò.
Grandi: Dolente popolo, chi ti mantiene!
Donzelle: Cadente patria, chi ti sostiene!
Tutti: Ceppi e ritorte, rovina e morte, il fato barbaro ci preparò.
REGINA ZENOBIA: (senz’elmo, tutta
dimessa, comparisce sulla sommita delle scale e discende): Tutto è perduto. Per AURELIANO e Roma il ciel si dichiarò.
Cadde Palmira ed alla sua caduta invan sostegno l’Asia intera si fece, in un
sol giorno l’Asia intera fu vinta, oh pena, oh scorno,
(rivolgendosi ai Grandi e alle donzelle che la circondano) Miseri,
ahimè, non resta patria per voi, la patria è serva, e servi i figli vostri,
unica speme è morte, nulla d’amaro ha questa, quando toglie all’infamia... ed io...
ma parmi udir d’armati e d’armi lo strepito appressar... giunge AURELIANO ...
Ove fuggo?.. ogni vi chiusa al mio scampo io miro... Lassa! dove mi celo? ove
m’aggiro?Esce AURELIANO : tutti affollano supplichevoli innanzi a lui.
L’IMPERATORE AURELIANO: (fa cenno a loro d’alzarzi e di partire indi
si volge a Zenobia, la quale sara in disparate e disdegonsa). Invan, Zenobia,
in queste remote stanze il tuo rossor nascondi: ti segue in ogni lato l’ira di
Roma, e in pochi istanti fia pubblico il tuo rossore e l’ira mia.
REGINA ZENOBIA: Vincesti, Augusto; è giunta Palmira in tuo poter: l’Asia
sconfitta piega la fronte incatenata e doma; ma per Augusto e Roma il maggior a
domar nemico avanza...
IMPERATORE AURELIANO: Un nemico? e qual è...
Zenobia: La mia costanza.
IMPERATORE AURELIANO: Audace! e che pretendi! esci, e d’intorno mira in un breve
giorno
quanta strage de’ tuoi fece il mio brando: quando in catene, e quando
strascinata sarai sul Campidoglio,
allor, superba, deporrai l’orgoglio.
REGINA ZENOBIA: Lieve impresa non è: poche finora di Asia Regine de’ romani
duci il trionfo adornar; l’odio nel mondo contro il Tebro oppressor vive
tutt’ora; vi son Cleopatre e Sofonisbe ancora.
IMPERATORE AURELIANO: Se udir volessi, ingrata, la maestà di Roma, in pochi istanti
dovrei punirti; ma per te mi parla un’altra voce più soave al core: puoi
disarmar, Regina, il mio furore. Se libertà t’è cara, se brami regno e pace
cedi, abbandona Arsace: io ti offro gloria e amor.
REGINA ZENOBIA Taci:
è mia gloria sola d’PRINCIPE ARSACE il
puro affetto: se vivo in quel bel petto sono Regina ancor.
IMPERATORE AURELIANO: Lo fosti.
Zenobia: Ancor lo sono.
IMPERATORE AURELIANO: Tutto perdesti.
Zenobia: Il trono.
IMPERATORE AURELIANO: Insana! e che t’avanza?
REGINA ZENOBIA: Fama, virtute e onor.
IMPERATORE AURELIANO: Prima costanza mia, invan ti chiamo al cor: benché crudel mi
sia mi piace il suo rigor.)
REGINA ZENOBIA: Prima costanza mia, non ti partir dal cor: benché fatal mia
sia non curo il suo rigor.)
Publia e Licinio (frettolosi): Corri Augusto, PRINCIPE
ARSACE è sciolto.
REGINA ZENOBIA e IMPERATORE AURELIANO: Per qual mano?.. oh Ciel!..
che ascolto?
Publia e Licinio: Improvviso Oraspe armato di gran turba
secondato il suo carcere assalì.
IMPERATORE AURELIANO: Ed il prece?
REGINA ZENOBIA: Oh Dei!
Publia e Licinio: Fuggì!
IMPERATORE AURELIANO: Accorrete, la fuga impedite. Non perdete, guerrieri, un
istante.
REGINA ZENOBIA: Santi Dei, l’opra vostra compite, ed in salvo guidate
l’amante.
IMPERATORE AURELIANO: Non sperarlo, fra pochi momenti a’ suoi lacci ritorno farà.
REGINA ZENOBIA: Il favore degli astri clementi al tuo sdegno sottrarlo
saprà. Licinio parte con guerrieri.
IMPERATORE AURELIANO: Non sperar che si cangi tua sorte; sarà breve il tuo folle
contento: quanto scende il castigo più lento, trema ingrata, più crudo sarà.
REGINA ZENOBIA: Ah! compensa l’acerba mia sorte questo nuovo improvviso
contento: venga pure l’estremo momento, men crudele la morte sarà.
PASTORI (in una amena collina alle sponde dell’Eufrante – al fondo varie
montagne scoscece con cadute d’acqua che si perdono nel fiume. Varie capanne di
pastori sparse qua e la. Pastori e pastorelle a gruppi sparsi per la scena in
festa e in gioia): L’Asia in faville è volta, combattono i possenti, sol tra
pastori e armenti discordia entrar non sa.
Tutti: O care selve, o care stanze di libertà!
Pastorelle: Non fia che ferro ostile brillar fra noi si veda, ché non
alletta a preda la nostra povertà.
Tutti: O care selve, o care stanze di libertà!
Pastori: Tranquilli il sol ci lascia allor che si ritira.
Pastorelle: Tranquilli il sol ci mira quando ritorno fa.
Tutti: O care selve, o care stanze di libertà. Si allontanano
tutti, e si vedono di tempo in tempo in distanza come occupati a qualche
campestre lavoro)
PRINCIPE ARSACE: (discendendo da una
strada montuosa, avviandosi all’amena collina). Dolci silvestri orrori, amiche sponde! Come è soave dopo
tanti affanni l’aura che da voi spira! ahimè! Lontano dalle umane grandezze in
seno a voi volentieri vivrei i pochi giorni miei; ma più possente, amor mi
sprona all’armi, e a voi m’invola colei che nel mio seno imperio ha sola.
Perché mai le luci aprimmo, caro bene, in regia cuna, se ci toglie la fortuna
quanto a noi promise amor? Più felice in mezzo ai boschi al tuo fianco, oh Dio!
vivrei: nel tuo core io regno avrei, tu l’avresti nel mio cor. Qual lieto
suono!
PRINCIPE ARSACE (ai pastori che si
erano disperi entrando di nuovo in scena) Ah!
son pastori... Oh! Voi fortunate famiglie! almen son puri fra questi ameni
chiostri come l’onda tranquilla i giorni vostri.Al vedere un guerriero i
pastori restano sbigottiti; PRINCIPE ARSACE
di un cenno li rassicura.
PASTORE: Ah che vedo? Un guerriero! O tu che in questo solingo
albergo arrivi, e mostri in volto sembianze di pietà, quali novella rechi a noi
di Palmira?
PRINCIPE ARSACE: Infauste nove. Tutto è perduto...
PASTORE: E Arsace?
Arsace: O buon pastore. Non chiedermi di lui...
Un pastore: Tu gemi... Oh! parla. (avvicinandosi ad Arsace, e ravvisandolo)
Dimmi... che miro?.. qual aspetto... Dio! Di quella voce il suono... Ah!
prence...
Arsace: Non t’inganni. PRINCIPE ARSACE io sono, sì, vinto e fuggitivo vedi di Persia
il prence...
Pastore: A piedi tuoi ci prostriamo, signor.
Pastori: Resta fra noi.
PRINCIPE ARSACE: No! non posso al mio tesoro sacri sono i giorni miei, e
ch’io spiri appresso a lei vuole amore, il vuole onor.
Oraspe con gran numero di Guerrieri palmiereni e persiani): Vieni,
o prence: è già compita di Palmira la rovina: cadde, oh Dio! la tua Regina in
poter del vincitor.
PRINCIPE ARSACE: Ah! che sento... ahimè, che pena! Ah! si corra... o cor,
costanza! Perché darmi, o ciel, speranza, e piombarmi in nuovo orror!
Pastori: Resta, o prence: ah contro il fato non ha forza uman
valor.
Oraspe e Guerrieri: Vinceremo e Roma e il fato se ci guida
il tuo valor.
PRINCIPE ARSACE: Non lasciarmi in tal momento, bel pensier di gloria e amor.
Se mi segui nel cimento
lieta è l’alma e balza il cor. (volgendosi ai guerrieri) A seguitarmi in
campo ognun di voi si appresti: abbia Palmira scampo, salva REGINA ZENOBIA resti, e forse l’Asia intera si tolga a Roma
ancor.
Pastori: Ah! se ritorni in campo forse non hai più scampo, e con
REGINA ZENOBIA perdi i tuoi bei giorni
ancor.
PRINCIPE ARSACE e
Guerrieri: Ah! sì, ci guida in campo, trovi REGINA ZENOBIA scampo, e colla patria resti libera l’Asia
ancor.
Publia (nell’atrio della reggia
abitata dal vincitore AURELIANO). La sicurezza tua, perdona Augusto, esser potria fatale. E’
manifesto al popol tutto omai, che PRINCIPE ARSACE i vinti aduna, e tu nol sai!
IMPERATORE AURELIANO: Gl’aduni pur; che fia perciò? qual ponno forza opporre al
destin le genti dome?
Publia: Molta, o signore: il lor coraggio.
IMPERATORE AURELIANO: E come? Non fugge Arsace! oh fugga pur: mi basta, che a me
resti Zenobia. Io l’amo, o Publia, e se consente amarmi, il braccio punitor fia
che disarmi.
Publia: Ma non vedesti? ella t’abborre, e solo, benché misero,
adora di Persia il prence. Ah, sai che in nobil petto la fiamma che l’accende
eterna dura, anzi s’accresce amor colla sventura. Ecco Zenobia...
AURELIANO: Su quel cor si tenti l’ultimo sforzo. E’ tuo, Zenobia,
ancora questo trono, se vuoi; placati, e meco a regnar sulla terra.
Licinio: Piomba Arsace, signor, a nuova guerra.
Publia: Non tel dicea.
IMPERATORE AURELIANO: Che sento.
Zenobia: Io spero ancora.
IMPERATORE AURELIANO: Senza frappor dimora va’, Licinio, a punir la nuova offesa.
Licinio: Ardua è, signor, l’impresa: de’ fuggitivi Persi adunò le
falangi, e forti schiere s’accompagnar per via. Come torrente che soverchia la
sponda, urta i Romani e la cittade inonda.
Publia: Oh periglio.
IMPERATORE AURELIANO: Oh furor.
Zenobia: Oh gioia.
Licinio: Avanti il popolo gli corre, e freme, e seco armato entra
in Palmira; all’improvviso colte le tue legioni, oppor difesa tentaro invan,
volte ne andaro in fuga. Estremo è il danno, e il braccio tuo richiede.
IMPERATORE AURELIANO: Corrasi... Io fremo... A me rapirti ei crede? Fuggia quel
vile! bramerà ben tosto che al mio furor nascosto l’avessero per sempre i
libici deserti... Oh! qual gli appresto supplizio atroce!... Ultimo oltraggio è
questo. Più non vedrà quel perfido del nuovo giorno i rai: altro che il freddo
cenere, barbara, non avrai il tuo dolor da pascere, il tuo fatale amor. (REGINA
ZENOBIA rimane spaventata; IMPERATORE
AURELIANO la guarda, e comincia ad intenerirsi.) Ma tu piangi! Ah! sì, lo
vedo, di placarmi hai tempo ancor. I suoi giorni a te concede se mi doni il tuo
bel cor. Odesi gran tumulto di dentro e voci che confusamente gridano.
TUTTI: Arrestate... olà... vendetta. Che spavento!.. che timor!
Publia e Licinio: Senti... Augusto... va’... ti affretta;
forse PRINCIPE ARSACE è vincitor.
IMPERATORE AURELIANO: Sì, vendetta! assai d’inciampo fu l’indegna al mio valor. Trema...
attendi... smanio, avvampo, mille furie sento in cor. Parte minaccioso con Licinio
Publia: Vedesti! oh come irato parte IMPERATORE AURELIANO da noi;
per te pavento, e tremo per Arsace.
Zenobia: Avvi nel cielo un Nume che combatte degl’oppressi a favor
contro AURELIANO .
Publia: Nume non v’ha contro il destin romano. Ma!.. s’appressa
alla reggia d’armi fragor!..
Zenobia: Suono guerrier s’ascolta... Non tradirmi una volta oh
speranza fallace!
Publia: Corrasi; ah! forse è già vicino Arsace.
REGINA ZENOBIA: Già manca il dì: Numi, che imploro, ah! Fate che
quest’orribil notte l’ultima sia de’ mali miei... più presso il tumulto si
fa... che stato è il mio! Che orror!.. ma... veggo, oh Dio! Sbigottiti fuggir
veggo i custodi... Un guerrier s’avvicina... Oraspe.
Oraspe: Ah! ti ritrovo, o mia regina! Fuggi, vien via con me.
REGINA ZENOBIA: Dimmi... d’Arsace che fu?
Oraspe: Combatte ancor, ma la vittoria cerca invano afferrar; io
disperato infino a te la via m’apersi; ah vieni, pria che tutto si perda, i
giorni tuoi salva, e ti serba a miglior fato.
Zenobia: Oh pena!
Oraspe: T’affretta...
Zenobia: Ove fuggir!.. mi reggo appena.
PRINCIPE ARSACE: (in un luogo remote
presso la reggia – notte con luna) Inutil
ferro!.. che fai meco?.. Io sono un’altra volta fuggitivo e vinto. Oh Zenobia,
per te! - Notte funesta, addensa i veli tuoi: lume di giorno mai più risplenda
alla mia trista vita, se REGINA ZENOBIA
è per sempre a me rapita. Alcun si appressa... Ah! fui scoperto... (si
ritira in disparte) (Esce REGINA ZENOBIA con Oraspe.)
Oraspe: Al mio braccio ti reggi.
Zenobia: Ove mi guidi?
Oraspe: In salvo, se lo concede il Ciel.
Zenobia: Tremante e incerta fra quest’ombre m’aggiro.
PRINCIPE ARSACE: Qual voce il cor mi scosse!
REGINA ZENOBIA (appresandosi) Ah! qual sospiro!
PRINCIPE ARSACE: Zenobia!
Zenobia: Arsace.
Arsace: E’ dessa. (correndo a lei con gioia)
Zenobia: Oh gioia. Intanto Oraspe si aggira in fondo alla scena
come per esplorare e si perde.
Arsace: Alfine ti stringo a questo petto.
REGINA ZENOBIA: Pur ti abbraccio una volta, o mio diletto. Mille sospiri e
lagrime conforta un sol contento. Per così bel momento si può soffrire ancor.
PRINCIPE ARSACE: Cari mi sono i gemiti sparti da te, lontano. Ah che non
piansi invano, se a te mi rende amor.
REGINA ZENOBIA: Dolce notte.
PRINCIPE ARSACE: Amiche tenebre!
REGINA ZENOBIA: Sempre insieme!
Arsace: Uniti ognor! Se la tua bella imagine sfidar mi fe’ la
sorte, io sfiderò la morte or che ti stringo al cor.Si sente strepito
d’armi. I due amanti corrono ansiosi a vedere e ritornano.
REGINA ZENOBIA: Giunge Augusto...
PRINCIPE ARSACE: Un’altra via... (per avviarsi alla sinistra)
REGINA ZENOBIA: Vien Licinio...
Arsace (disperato)
Il brando ho ancora... (raccogliendo la spada)
REGINA ZENOBIA: Ah! che fai?
Arsace: Morire in pria.
REGINA ZENOBIA: Teco io moro...
Arsace (per ferirla) Ebben, si mora... Ah! che tento!.. ora
funesta! (allontanandosi precipitoso)
REGINA ZENOBIA: Vibra il colpo.
Arsace (per ferirsi)
Io solo...
L’IMPERATORE AURELIANO e Licinio
sopravvengono seguiti da numeroso drappello con faci. PRINCIPE ARSACE è trattenuto.
L’IMPERATORE AURELIANO: Arresta. Si disarmi il traditor. (PRINCIPE ARSACE è disarmato.) Poca pena, indegni, è
morte: voi vivrete in pianto amaro: del rossor che vi prepare sarà Tebro
spettator.
REGINA ZENOBIA: Per pietà...
IMPERATORE AURELIANO: Pietà non sento.
PRINCIPE ARSACE: Morte io voglio...
IMPERATORE AURELIANO: No: vivrai.
PRINCIPE ARSACE: L’onta mia tu non vedrai.
REGINA ZENOBIA: Non godrai del mio rossor.
IMPERATORE AURELIANO: Ah! perché mai quell’anime nate non sono in Roma! Cori sì
grandi e intrepidi invidio all’Asia doma, e mille ignoti palpiti calmano il mio
rigor.
REGINA ZENOBIA e
PRINCIPE ARSACE: Vivi: saran nostr’anime esempio al mondo e a Roma;
tutto non resta al barbaro l’onor dell’Asia doma, quando il mio cor non
palpita, quando non hai timor.
IMPERATORE AURELIANO: Entro carcere distinto li traete, o fidi miei.
PRINCIPE ARSACE: Infierir tu sai nel vinto, sei Romano...
Zenobia: E Augusto sei.
IMPERATORE AURELIANO: Alme audaci! Parti. Va’.
REGINA ZENOBIA e
PRINCIPE ARSACE: Io parto... (oh dolore!) M’abbraccia, mio bene. Deh
scemi l’orrore di nostre catene, l’amor, che seguace d’entrambi sarà. Il pianto
s’asconda, che il seno m’innonda, che freno non ha.
IMPERATORE AURELIANO: Cotanto valore sorpreso mi tiene. Aggravi l’orrore di vostre
cattene l’idea che la pace giammai vi unirà. La nova s’asconda che il seno
m’innonda ingiusta pietà.(Partono.)
Publia (nell’atrio come sopra) E’ deciso il destino di REGINA
ZENOBIA e dell’Asia. Oh Arsace! o caro
e sventurato Arsace!
Quanto ti costa il tuo funesto amore! REGINA ZENOBIA il tuo bel core a me rapisce, a te la vita
invola...
Posso salvarti io sola, e salvarti vogl’io col sacrificio d’ogni affetto mio.
Non mi lagno che il mio bene
doni ad altra Amor tiranno; ma soffrir non so l’affanno di vederlo, oh Dio!
spirar. Goda pur di quella pace
che godere a me non lice; pur che viva e sia felice saprò tutto sopportar.
IMPERATORE AURELIANO ( con gran
seguito) Scacciar mi è forza alfine questo
malnato amor... Soli si ascolti
l’offesa maestà: della superba si
abbassi omai l’orgoglio, mi segua con PRINCIPE ARSACE al Campidoglio.)
Publia: Coraggio, o cor; è necessario il passo, se lo comanda
amor.) A’ piedi tuoi vedi Augusto...
(per inginocchiarsi)
AURELIANO (trattenendola)
Che fai? Publia! che vuoi?
Publia: La tua clemenza imploro; di Persia il prence adoro senza
speranza io pur; ma non poss’io soffrir che il tuo rigore morte o infamia gli
appresti. Al mondo e a lui sommo di tua virtute esempio dona, ogni oltraggio ti
scorda, e gli perdona.
Licinio: Tutti, o signore, di Palmira i Grandi sul destino tremanti
della vinta città, vengon pietade ad implorar da te.
Publia: Placati, Augusto. Tu non rispondi!.. e che ti costa mai un
atto di virtù, perché i miei voti e d’un popolo intiero il pianto sdegni?
IMPERATORE AURELIANO: Son quegli audaci di perdono indegni. Escono
i Grandi del regno: addolorati e supplichevoli si prostrano ad AURELIANO, indi
Arsace, REGINA ZENOBIA ed Oraspe fra le
guardie
Grandi: Nel tuo core unita sia la clemenza col valor! Siam tuoi figli.
Augusto, oblia che sei nostro vincitor.
AURELIANO (alle guardie, che partono) I prigionieri a me.
Grandi: Che mai resolvi.
Publia: Che mi lice sperar.
AURELIANO (Onta non facciaun estremo rigore al nome mio.Degna vendetta
è un generoso oblio.)(Escono Arsace, REGINA ZENOBIA ed Oraspe.)Mirate; ognun per voi perdono
implora:ed d’ottenerlo ancora speme vi resta. Eterna fede a Roma in faccia al
vinto e al vincitor giurate; liberi siete, ed a regnar tornate.
REGINA ZENOBIA: Oh generoso.
Arsace: Oh grande.
Publia: Oh magnanimo eroe.
REGINA ZENOBIA: Vincesti. A Roma giuro salda amistà.
PRINCIPE ARSACE: Giuro in tua mano pace al Tebro e tributo ad AURELIANO .
IMPERATORE AURELIANO: Copra un eterno obblio ogni passato errore: vi stringa a noi
l’amore, che le vostr’alme unì.
Tutti i cori, Publia, Licinio e Oraspe:
Torni sereno a splendere all’Asia
afflitta il dì.
REGINA ZENOBIA: Il giuramento mio porterò sempre in core; lo custodisca
amore, che le nostr’alme unì.
Tutti: Torni sereno a splendere all’Asia afflitta il dì.
PRINCIPE ARSACE: Amico a te son io, sarò Romano in core: serbi il gran voto
amore, che le nostr’alme unì.
Tutti: Torni sereno a splendere all’Asia afflitta il dì.
·
FINE