LINGUA E RAZZA
Nel 1781 lo storico tedesco Schlòzer diede per primo il nome di «semitico » al vasto dominio linguistico che ha il suo centro origi- nario fra la Mesopotamia e il Mediterraneo, le montagne dell’Arme- nia e le coste meridionali dell'Arabia, e che per successive migrazioni e conquiste si è allargato su una notevole parte del continente afri- cano. Tale denominazione si richiama alla «tavola dei popoli » tra- mandata nella Bibbia (Genesi, X), nella quale si distinguono i popoli discendenti da Sem, primogenito di Noè, dai popoli discendenti dagli altri due fratelli, Cam ed Iafet. La parentela linguistica fra l'arabo c l'ebraico, le due lingue più vitali del gruppo, era già stata notata nei secoli X e XI dai grammatici ebrei di Spagna, ma la precisa no- zione di unità semitica, concordante con quella che se ne ebbe nel mondo ebraico all’epoca in cui fu redatta la Genesi (verso la fine del 2° millennio a. Cr. all'incirca), è ben più recente e, nella sua formu- lazione scientifica, è un riflesso della precisa nozione di unità ario- europea costituitasi nel nostro tempo. Oggi il gruppo semitico si suole distinguere in semitico orientale che comprende il babilonese e l’assiro, e in semitico occidentale. Quest'ultimo si distingue a sua volta in semitico nord-occidentale (che comprende il gruppo aramaico, di cui la più importante manifestazione è il siriaco, e il gruppo ca- 593 nanco, a cui appartiene l'ebraico), e in semitico sud-occidentale, di cui fanno parte l'arabo settentrionale e meridionale e l’etiopico. Ad indicare la vasta unità linguistica comprendente quasi tutta l'Europa e buona parte del continente asiatico, scientificamente accer- tata per primo da Franz Bopp in uno studio comparativo sulla co- niugazione (1816), appare per la prima volta nel 1823 nell'Asia poly- glotta di F. von Klaproth il termine «indogermanisch ». Tale ter- mine, divenuto usuale nella scienza germanica, intendeva riunire i due punti estremi del dominio linguistico considerato e si è affer- mato in tedesco, nonostante che le più vaste conoscenze posteriori pongano come estrema zona ad Occidente quella del celtico e ad Oriente il tocario. Fra tutte le denominazioni altrove usate, e cioè indocuropeo, ariocuropeo, ario, questa ultima è forse la più propria, poichè, se non nome unitario di popolo, è certo una denominazione che parecchi popoli del gruppo usavano darsi nei confronti degli altri popoli. Purtroppo, in linguistica l'uso di «ario» in senso così vasto può ingenerare confusione, essendo esso abitualmente riservato al gruppo indoiranico. Noi tuttavia l’accogliamo come il meno impro- prio e anche per avere una terminologia uniforme con altre discipline, ' come la paletnologia e l'antropologia che l’usano già stabilmente nell'accezione più vasta. L'unità linguistica aria comprende oggi i seguenti gruppi storicamente accertati: in Asia l’indiano, l’iranico, il tocarico, l’hittito, l’armeno, il traco-frigio; in Europa l'illirico, il greco, lo slavo, l’italico, il baltico, il germanico e il celtico. In Asia delle lingue arie sopravvivono soltanto l’indiano, l’iranico e l’armeno; in Europa tutte le lingue oggi parlate sono di derivazione aria, fatta eccezione dell’ungherese, del finnico, dell’estone e del basco. Nessuna scienza storica opera con metodo così sicuro come la linguistica, la quale dispone di un materiale di osservazione vastis- simo, sia attuale sia documentato nel tempo. L'unità linguistica aria e quella semitica sono verità acquisite, assolutamente incontroverti- bili, anche se le lingue che ad esse partecipano siano ormai profon- 594 damente differenziate. Compito della linguistica storica è per l’ap- punto, una volta riconosciuta l’unità genetica originaria, di seguire nel quadro di essa le modalità e, vorremmo dire, le leggi degli svi- luppi e delle differenziazioni, che hanno determinato la fisionomia delle singole lingue come noi oggi le conosciamo; compito a volte arduo, specie quando dalla ricognizione dei fatti si voglia risalire alle loro cause, cioè ai momenti umani che danno origine all'innovazione; ma tuttavia ricco di risultati grandissimi, i quali dal campo della glottologia si estendono a tutte le altre discipline, che studiano l’u- manità nelle manifestazioni concrete della sua storia. Il linguaggio è una delle forme più importanti, anzi la più importante, in cui l'u- manità realizza se stessa come realtà spirituale, e perciò le lingue costituiscono gli archivi, in cui si traducono con incomparabile ric- chezza e fedeltà gli eventi, le esperienze, le creazioni dei popoli at- traverso i secoli ed i millenni. Le nozioni di razza aria e di razza semitica, come nozioni scien- tifiche, sono certamente posteriori alle nozioni dell'unità linguistica rispettiva. Per quanto si riferisce agli Ari, prima della scoperta della loro unità linguistica non si ebbe nemmeno la nozione empirica di una parentela etnica fra i popoli che la compongono. L'affinità etnica è grossolanamente intuita presso i Greci, soltanto in base alla comu- nione linguistica per cui «barbari», probabilmente « balbuzienti », sono coloro che parlano un’altra lingua. I Romani, che pure ebbero così vivo il senso della loro stirpe, non ebbero mai la percezione che quei Galli, Germani e Parti, contro i quali strenuamente combatte- rono, discendevano dallo stesso loro ceppo. L'autorità della tradizione biblica con la babelica confusione delle lingue tolse poi del tutto la possibilità di pensare ad un legame linguistico fra popoli diversi e ad un legame etnico che non fosse quello indicato nella Genesi. 595 Tanta fu l'autorità delle Sacre Scritture, anche nel campo degli inte- ressi linguistici, che, se tentativi si ebbero per ricercare la derivazione di questa o quella lingua, furono sempre diretti a stabilire la priorità e la paternità dell’ebraico, come avvenne nel corso del Seicento e del Settecento; tentativi di nessun valore, al pari degli altri diretti alla creazione di una « grammatica razionale », che valesse per le lingue di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Anche presso i popoli semitici, se se ne toglie il peso che la tradi- zione religiosa contenuta nella Bibbia potè avere nel mondo giudaico, mancò il senso di una propria reciproca parentela, mentre fu quanto mai vigoroso proprio presso gli Ebrei il senso della propria indivi- duazione come popolo, legato alla coscienza di popolo eletto. La scoperta e la fissazione in termini scientifici di unità lingui- stiche originarie come quella aria e quella semitica, a cui seguirono scoperte abbastanza numerose di altri gruppi linguistici, aprirono la via al problema se a tali unità linguistiche rispondessero unità etniche più o meno nettamente definite. In un primo tempo, com'è noto, ad opera del De Gobineau, del Chamberlain e di altri, si assunse senza discussione l'identità fra unità linguistica ed unità etnica, fra lingua e razza, e si procedette alla ricerca delle caratteristiche differenziali fisi- che e psicologiche, che potessero ancor meglio individuare sul piano razziale i diversi gruppi linguistici. Tale procedimento, ispirato in genere a criterio polemico, è stato condannato come dilettantesco e prescientifico tanto dai linguisti, quanto dagli antropologi, asse- rendo gli uni e gli altri che la lingua è patrimonio facilmente tra- smissibile da individuo ad individuo, da gruppo a gruppo e non può essere quindi assunta a caratteristica etnica preminente ed esclusiva. A rinsaldare questa convinzione, contribuirono tentativi, come quello fatto da Federico Miiller, di far coincidere una classificazione delle lingue con una classificazione antropologica, destinati all’insuccesso, anzitutto per l'incertezza delle classificazioni antropologiche, poi per l'intervento del fattore storico che fa talvolta assumere da individui 596 e da gruppi lingue di popoli etnicamente diversi. A questo riguardo, si suole richiamare il classico esempio dei Bulgari, che dal punto di vista etnico sono genti turaniche e dal punto di vista linguistico sono slavi, cioè ari. D'altra parte, questo negare l’esistenza di ogni rapporto fra razza e lingua con l’attribuire valore discriminante nella classificazione delle razze ai soli caratteri strettamente biologici, non soltanto è contrario alle nostre reali esperienze, ma verrebbe a togliere ogni valore a quelle distinzioni ormai acquisite come fra razza aria e razza semi- tica, le quali, come si è visto sopra, hanno come precedente storico e come fondamento il riconoscimento della rispettiva individualità lin- guistica. Dato ciò, sembra qui opportuno chiarire in quale misura sia possibile fare valere il criterio linguistico nella discriminazione delle razze. Esiste certamente una differenza sostanziale e profonda fra la linguistica e l'antropologia, sia nell'oggetto sia nel metodo, che ne rende difficile e poco proficua la collaborazione. La linguistica è di- sciplina essenzialmente storica, tanto che le sue classificazioni hanno vero valore solo se abbiano fondamento genetico. Ciò si vede soprat- tutto nel campo della linguistica aria, che fra tutte le discipline lin- guistiche è certamente la più progredita. Qui dalla comparazione fra le lingue storiche si riesce a postulare con sufficiente sicurezza la struttura originaria della lingua comune da cui esse discendono; si riesce a fissarne i caratteri propriamente genetici, liberandoli dalle modificazioni successive determinate--da molteplici cause, fra cui principalissimi j contatti e le mistioni con popoli di altra lingua. Così noi sappiamo con relativa sicurezza qual’erano la struttura fonetica e morfologica e il patrimonio lessicale dell’ario dell’epoca comune, al- l’incirca come potremmo ricostruire dalle lingue romanze la lingua 597 latina, se non l’avessimo documentata. E’ una ricostruzione che ha quasi una realtà matematica, fondata com'è su norme di sviluppo fonetico che, se non sono leggi ineccepibili, come si credeva alcuni decenni or sono, hanno tuttavia una vastità e regolarità di applica- zione che non ha riscontri in altri campi delle creazioni umane. L'antropologia, invece, per insufficienza e discontinuità del ma- teriale d'osservazione, è costretta a gravitare sul presente cercando di classificare le razze umane in base ai caratteri morfologici attuali, e solo eccezionalmente qualche importante trovamento apre ad essa la possibilità di rintracciare precedenti sporadici, generalmente assai di- stanti, di questo o quel tipo umano. Il materiale antico rinvenuto è così scarso e frammentario che le conclusioni che se ne possono trarre sono molto tenui e malsicure. Così avviene che, mentre del- l’unità aria dal punto di vista linguistico noi abbiamo una sicura no- zione, poichè la comparazione ci consente di risalire oltre i confini della storia, della struttura somatica degli Ari nulla di sicuro sap- piamo, poichè nell’osservazione delle caratteristiche somatiche degli Ari attuali l'antropologia non è ancora in grado di distinguere i caratteri geneticamente originari da quelli acquisiti in seguito a me- scolanza. Oggi non si è davvero:in grado di dire se gli Ari fossero, ad esempio, dolicocefali e biondi o mesocefali e castani, a capelli lisci o a capelli ondulati. La ragione di ciò è dovuta al fatto che non esiste un’antropologia genetica, la quale consenta di chiarire, dato un tipo capostipite, quali siano i caratteri, permanenti nel corso delle ge- nerazioni e quali quelli che si mutano o si acquisiscono. Teorica- mente, nel confronto fra i vari tipi di probabile discendenza aria dovrebbero potere risultare i caratteri specifici da attribuire ad un Ario astratto della preistoria; praticamente ciò non è possibile per la insufficiente conoscenza che si ba, delle modalità con cui si traman- dano i caratteri biologici, sia ifisici, sia psichici. Avviene così, ad esempio, ghe: l'Europa, mentre è fondamental- mente unitaria dal punto di vista linguistico, da quello antropologico 598 annovera numerose razze, la mediterranea, l’alpina, la dinarica, la nordica, nè le differenze, che caratterizzano tali razze, combaciano con le differenze che caratterizzano i vari gruppi linguistici determi- natisi in seno all’originaria unità. Nonostante questa mancata concordanza di dati fra la linguistica e l'antropologia, le due discipline maggiormente impegnate nella definizione delle razze umane, è certo che razze esistono con carat- teri ben precisi e differenziati e che, nella pratica, anche al più mo- desto osservatore non sfugge l’esistenza di tipi umani diversi, i quali assommano i caratteri di unità razziali diverse. Nell'ambito stesso dell'unità aria, a nessuno sfuggirà l’esistenza di una unità aria medi terranea e di un'unità aria nordica, c, a un più attento esame, nel- l'ambito di queste unità, sarà possibile rintracciare altri tipi umani i quali danno fisionomia ai diversi popoli che le compongono. Fuori di ogni dubbio è poi, nell’ambito della razza bianca, la distinzione fra razza aria e razza semitica, anche se, per la prima più che per la seconda, non si riesca a individuare i caratteri biologici originari. Questo fatto è prova che non il solo dato antropologico ha va- lore nella determinazione della nozione di razza. Poichè, come sopra si è detto, la nozione di razza aria e razza semitica ha avuto come suo precedente la nozione di unità lingui- stica aria ed unità linguistica semitica, è indubbio che il fattore lingua deve avere un valore determinante nella costituzione dell’unità raz- ziale. Qual'è dunque il fondamento dell’obiezione in contrario, alla quale si è sopra accennato, che la lingua, essendo facilmente domi- nata da fattori storici e culturali, non sia elemento stabile nella conti- nuità delle generazioni, per il fatto che può essere sostituita con quella di altri popoli, e perciò sia inadeguata a fornire criterio nella discriminazione delle razze? 599 Bisogna, anzitutto, tenere presente che dalla nozione di razza come dalla nozione di lingua esula ogni idea di purezza in senso as- soluto, specie quando si tratti di popoli di cultura che hanno dietro a sè una storia lunga e complessa. Gli stessi Ebrei possono conside- rarsi razza pura, e relativamente pura, solo dal momento in cui hanno cominciato a volerlo essere deliberatamente, a tradurre il loro istinto dell'isolamento come popolo in norma di carattere religioso. Tutti i popoli ari dell'Europa e dell'Asia sono, senza eccezione, risultati dalla mistione fra la minoranza dei conquistatori ari e la vasta massa delle popolazioni preesistenti nelle zone occupate. Non è certo pre- sumibile che gli Ari al loro arrivo nelle loro sedi storiche abbiano distrutto le popolazioni preesistenti, le quali, ad esempio in Grecia, in Italia e sull’altipiano iranico, erano in possesso di civiltà notevol- mente progredite. D'altra parte, di tali mescolanze ci danno sicura testimonianza, oltre che i dati dell'archeologia preistorica, lo inte- grarsi della lingua aria comune in nuove unità, che sono quelle a noi storicamente note. 1 profondi rivolgimenti che alcune lingue hanno subìto anche nella struttura fonetica, ad esempio le rotazioni delle consonanti in germanico, non si possono altrimenti spiegare se non riferendole all'influenza di un sostrato alloglotto. E' noto che una parte non trascurabile del lessico del latino e dei volgari romanzi non si spiega nell’ambito dell’ario e deve essere riportato al fondo linguistico non ario su cui il latino venne a distendersi. Orbene, che un popolo, come è il caso di quello bulgaro, abbia assunto una lingua diversa non è altro se non un fatto di sincretismo in cui prevale la civiltà di maggiore prestigio. Quello che importa te- nere fermo è per l'appunto che il sincretismo, cioè la creazione di un risultato nuovo non inferiore agli elementi che vi hanno concorso, si ha solo quando la mescolanza sia guidata da un senso più o meno vivo di affinità elettiva. 600 Ciò si può osservare con sufficiente sicurezza sia nel senso posi- tivo sia in quello negativo. Nella penisola greca la civiltà minoica si è confusa con quella degli Ari sopravvenuti ed ha dato origine alla meravigliosa civiltà ellenica. In Italia il senso di conquista degli Ari nomadi e guerrieri si è trasfuso nell'ordine civile delle popolazioni stanziali ed ha dato origine alla mirabile e grandiosa civiltà romana che è poi la civiltà dell'Occidente. Evidentemente, fra le genti arie sopravvenute e le popolazioni mediterranee si determinò una facile intesa, dovuta al fatto che non vi dovettero essere fra esse sostanziali differenze di ordine fisico e spirituale e tali da produrre una corru- zione anzichè un miglioramento, dal punto di vista etnico e cultu- rale. In Italia, in Grecia, e dovunque si affermò la lingua aria, i ca- ratteri dominanti furono indubbiamente dati dalla stirpe aria e per questo, nonostante le differenze che si osservano fra i diversi popoli di questo gruppo, è facile cogliere in numerosi e cospicui tratti gli in- dizi della comune origine. Vi sono invece casi in cui questa affinità elettiva che dà la premi- nenza ai caratteri del tipo superiore non ha luogo, per motivi che non è sempre facile individuare. La storia di alcuni millenni di- mostra, per esempio, come fra gli Ari e i Semiti essa sia comple- tamente mancata e che le due stirpi si sono sempre tenute in reciproca difesa, quasi istintivamente conscie che da una fusione si dovesse avere la perdita da una parte e dall'altra dei rispettivi caratteri dif- ferenziali. Dovunque Semiti ed Ari si sono trovati in contatto si sono sempre scontrati in lotta senza quartiere: gli Irani contro l'impero di Assiria, Roma contro Cartagine, il mondo cristiano con- tro l'Islam. Sia che vincessero gli uni, sia che vincessero gli altri la barriera fra i due mondi non fu mai superata. Da una parte e dall’altra, tranne sporadiche infiltrazioni, due mondi diversi hanno conservato tenacemente la loro autonomia, e gli stessi apporti cultu- 601 rali che l'uno ha dato all'altro sono stati da ciascuno svolti, interpre- tati ed elaborati secondo la propria natura. Il Cristianesimo è diven- tato universale nell’interpretazione romana. Il senso ario della con- quista e dell'espansione assume nella coscienza e nella prassi giu- daica aspetti e modalità, per cui non è quasi più riconoscibile. Ed è certo bene che sia così, che cioè la barriera sussista, poichè il suo abbattimento non è, come la storia categoricamente dimostra, nella natura delle cose. Ciò si potrà rilevare in molti campi, ma a noi preme rilevarlo proprio nel campo della lingua, che oggi è senza dubbio uno dei più importanti fattori differenziali degli aggruppa- menti razziali. Difatti, quando noi attribuiamo questo o quel popolo al gruppo ario o al gruppo semitico lo facciamo soprattutto in base al criterio linguistico che è alla base di tali gruppi, e dove tale cri- terio sia reso fallace, com'è il caso dell'elemento giudaico che ha assunto a propria lingua la lingua nazionale dei popoli presso i quali vive, vi si sostituisce un criterio pure di ordine storico, quello religioso. Per l'appunto, nel campo linguistico la differenza costituzionale fra il semitico e l’ario, sia dal punto di vista fonetico per il prevalere in quello di suoni laringali ignoti all’ario, sia dal punto di vista mor- fologico per la diversità sostanziale della rispettiva flessione, si rivela così profonda da non consentire un sincretismo produttivo. L'elemento arabo, penetrato nel persiano in larga misura in seguito alla conver- sione della Persia zoroastriana all’islamismo, si è limitato al lessico e non ha intaccato la struttura fonetica e morfologica squisitamente aria di quella lingua; vi è rimasto così estrinseco, che, a seguito della ri- presa nazionale avutasi con la nuova dinastia, l'elemento arabo viene progressivamente sostituito con elemento propriamente iranico. Quan- do poi una lingua semitica è stata assunta da popoli di stirpe aria i ri- sultati che se ne sono avuti sono, nel loro aspetto negativo, profonda- mente significativi. Questo è, come è noto, il caso di Malta in cui il primitivo idioma romanzo venne per effetto della lunga occupa- zione musulmana sostituito con un dialetto arabo magrebino: l'arabo, 602 forzato in una impostazione vocale completamente estranea, ne è uscito così malconcio e così, come si suol dire, corrotto, da giustifi- care quasi le interessate fantasie della pseudo-scienza linguistica bri- tannica, che nel dialetto maltese voleva riconoscere, anzichè un dia- letto arabo storpiato da bocca romanza e sempre ricco di elementi italiani, nientemeno che la sopravvivenza di un antico idioma fenicio. Se ora ci poniamo il problema concreto della formazione del- l’unità etnica, ci appare chiaro che il processo non è diverso da quello della formazione dell'unità linguistica. Per l'una e l’altra unità è er- rore gravissimo partire dall'immagine dell’albero genealogico dal cui ceppo, quasi per virtù interiore di linfa, si siano venuti staccando tanti rami, integralmente fedeli alla natura e alla struttura di quello. Niente di più falso, poichè se ciò fosse si dovrebbe avere, tanto nel caso delle lingue quanto in quello delle razze, propagazione uniforme e non formazione di nuove unità più o meno nettamente differen- ziate. L'albero genealogico sarebbe giustificato solo se in esso potesse risultare il complesso degli apporti e delle cause che hanno determi. nato la figura particolare di ciascuna unità. % Prendiamo il caso della lingua. Non esistono lingue, specialmente a larga diffusione, che non siano costituite da una più o meno grande varietà di dialetti. L'unità neolatina, ad esempio, è divisa in tante lingue, italiano, francese, spagnuolo, provenzale, rumeno, per dire le maggiori, e queste sono alla loro volta distinte in varietà dialettali più o meno nettamente individuabili. Qual'è il motivo di tanta dif- ferenziazione, quando è noto che alla base di tante e così varie lingue e dialetti vi è l’unità latina, cioè una lingua di cultura, affermatasi per forza d’armi e prestigio di civiltà? Anzitutto, come causa di trasfor- mazione appare la reazione del sostrato etnico-linguistico su cui il latino si è venuto a sovrapporre, sicchè non di latino volgare bisogna 603 parlare, bensì di tanti volgari, per quante sono le zone linguistica- mente individuate in precedenza, di cui il latino s'impossessa. Inter- vengono poi i contatti che ciascun gruppo già delineato ha con popoli di altra lingua, germani, slavi, ecc., e gli sviluppi particolari di cia- scuna cultura che necessariamente si riflettono in ciascuna lingua, so- prattutto attraverso il convergere delle varietà dialettali verso la lin- gua comune, cioè verso una più piena e precisa unità. In altre parole, il processo per cui le lingue sì determinano non deve essere guardato nel suo aspetto di disintegrazione di un’unità, bensì piuttosto in quello integrativo che la nuova unità veramente determina. Ciò ha ancor maggiore valore, quando non si tratti, come è il caso del latino, di una lingua di cultura, quindi chiaramente unitaria, che si sovrappone con il peso della civiltà di cui è espressione su lingue di minore pre- stigio, bensì di unità linguistica naturale, in cui il processo integra- tivo, lento e faticoso, costituisce la modalità stessa di essere della lin- gua. Le unità linguistiche, come si è detto, non esistono mai interna- mente indifferenziate e ciò deve essere inteso come il risultato di quella necessità naturale per cui il comprendere, e perciò l’esprimersi, avviene prima fra i membri di una famiglia, poi fra i membri di una gente, di una tribù, di un popolo, di diversi popoli, ed è questa necessità sempre più vasta di esprimersi e di intendersi che costituisce quelle vaste unità alle quali noi diamo il nome di unità aria e di unità semitica. Da queste considerazioni deriva che nessuna teoria è tanto assurda quanto quella della monogenesi del linguaggio, non meno assurda, o almeno altrettanto poco giustificata, quanto quella che volesse scientificamente riportare tutti i caratteri delle attuali razze umane nella loro infinita varietà ai caratteri di una coppia capostipite. Come per questa altra realtà non si può postulare se non quella dell'essere uomini, così per la lingua originaria altra qualità non è possibile postulare se non quella di essere mezzo espressivo di uomini. Ora, identico processo integrativo è quello che dà origine alle 604 diverse unità razziali. Anche qui si ha uno slargarsi per accrescimento e mistioni: dalla singola gente si arriva alla tribù, al popolo, alla na- zione. E’ chiaro che l’accrescersi naturale delle generazioni amplifica al tempo stesso la natura del processo e fa che i caratteri dominanti del nucleo più vitale guadagnino sempre più vasto spazio. Vi è certo qualche cosa di misterioso in questo propagarsi di caratteri superiori per cui l'umanità ci appare in una continua ascesa, e ancor più grande mistero è quello che avvolge l’occulta forza da cui ogni unità razziale è guidata nella sua istintiva difesa da quei contatti e da quelle mi- stioni che ne altererebbero la genuina struttura. Poichè l’uomo è essere spirituale, tale modalità del suo divenire anche dal lato fisico ha forse la sua ragione nell’esigenza di una maggiore spiritualità che si rifletta anche nella struttura fisica, e in ciò è appunto il grande mistero dell’uomo, nell’indissolubile legame che in lui si realizza fra vita biologica e spirito. Da quanto si è detto appare chiaro che il fattore lingua concorre in maniera dominante, almeno sino a quando le conoscenze antropo- logiche non forniranno dati biologici più sicuri, a determinare la nozione di razza; anzi essa costituisce il mezzo principalissimo di coesione per cui una comunità più o meno vasta di individui sente di essere popolo e nazione. « Le caratteristiche spirituali e la struttura della lingua di un popolo -— ha scritto Guglielmo v. Humboldt — sono l’una con le altre in tale intreccio che posto l’un dato, l’altro si dovrebbe poter derivare completamente da quello ». La lingua, in- fatti, riflette anzitutto l'ambiente fisico e una maniera nativa, natu- rale di sentire il reale e di esprimerlo. Essa è fatto fisiologico e psi- cologico al tempo stesso e, come tale, è legata intimamente con la struttura psicofisica del popolo che la parla, è anzi la modalità più essenziale con cui tale struttura si manifesta. Il complesso dei costumi, delle tradizioni che si tramandano di generazione in generazione, 605 tutto ciò insomma che concorre a dare a ciascun popolo la sua pro- pria fisionomia, trova espressione fedele e categorica nel linguaggio. Poichè la nozione di razza non è in sostanza altro se non la nozione di un'appartenenza ad una determinata comunità genetica, la co- scienza della razza trova nel linguaggio uno dei suoi più forti so- stegni. Non è senza significato il fatto che l'esigenza alla purezza, quanto all’e4ros e quanto alla lingua, si manifesta presso i popoli nei momenti della loro maggiore vitalità. Un popolo che ad un de- terminato momento della sua storia voglia riconoscere i suoi carat- teri differenziali e voglia segnare una netta linea di demarcazione fra sè ed altre unità etniche, portatrici di caratteri spirituali ed etnici non congeniali ai suoi, altro non fa se non riportarsi coscientemente alle sorgenti più genuine della sua vita. Un aspetto di tale esigenza è il desiderio di tenere immune la propria lingua da influenze stra- niere e di eliminare le infiltrazioni che si sono verificate in momenti di indebolita o distratta coscienza.
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