Per saggiare a fondo il valore del realismo giu-
ridico, è uopo, anzitutto, indagare, se e fino a che punto esso risolva o dia sicurtà di risolvere quei problemi che ogni ricerca del diritto , la quale aspiri al titolo di filosofica, si propone e che non erano del tutto ignoti alla filosofìa del dritto tra- dizionale. Tre sono i problemi che ricorrono tut- tora nella filosofia o che segnano 1’ intervento del- la scepsi filosofica bene intesa. Il primo concerne Y origine, .la portata, i limiti del conoscere : il se- condo concerne la natura dell’ essere che è Y og- getto del conoscere : il terzo il valore e le leggi dell’ operare. Il primo è il problema gnoseologico e, nella filosofìa del dritto, può formularsi così: quali atti e funzioni mentali si richieggono perchè si for- mi, rigorosamente parlando, una nozione del dritto? quale ne è il criterio, il principium cognoscendi? la ricerca induttiva dei fenomeni del dritto presuppo- ne o no una nozione del dritto, una serie di abiti Petrone — 178 — o (li funzioni mentali, che valgano come premesse e come leggi del processo induttivo ? II secondo è il problema ontologico ed è espresso da queste do- mande : in che si sustauzia il diritto ? quale è il la natura che subest , che sottosta immutabile alle sue evoluzioni fenomeniche? e, nell’ ipotesi che la ricerca dell’ essere e della sostanza sia illegittima, nella ipotesi cioè fenomenistica , quale è e donde il nascimento del fenomeno giuridico? Il terzo è il pro- blema etico e la maniera onde può venir risolto corri- sponde esattamente alla maniera onde si formula e si dibatte il problema ontologico: esso si domanda, qua- li sono le norme della condotta giuridica doverosa; se le disposizioni del potere positivo siano, sem- plicemente perchè tali, dotate di valore etico-impe- rativo; se, invece, non vi sia un criterio normativo, superiore ad esse e giudice di esse , ottenuto al- tronde; se ci si debba limitare alla semplice accet- tazione delle disposizioni autoritative ossia del dritto positivo o se, invece, non sia legittimo e corretto domandare il titolo razionale di esse o il dritto di quel dritto: è insomma, a dir breve, il problema del dritto naturale. Il realismo giuridico non può evidentemente sot- trarsi a questi problemi che ogni uomo, conoscendo, non che filosofando, si propone e che, per quanto egli premediti di sviare o eludere, non si lasciano rintuzzare in verun modo. Ed in un modo o nel- 1’ altro, di dritto o per traverso, se li propone e li agita lo stesso realismo giuridico. Il quesito cono- scitivo non è per esso un problema, in quanto ue presuppone la soluzione che è, come tante volte si è visto, volgarmente empirica. Gli altri due quesiti, — 179 poi, quello ontologico e quello etico, sono (la esso piegati alle esigenze del suo empirismo conoscitivo: il primo di essi è snaturato da problema di essere in problema di origine ed al secondo si oppone un diniego esplicito. Il clie per altro, non toglie che cosi quella forma speciale onde si pone e s’ inter- petra uno dei problemi, come quella esclusione o soluzione a priori che si ritorce all’altro non sieno la conseguenza d' una scepsi critica, sottintesa se non espressa, ed implicita nell’ assunto fondamentale dell’empirismo, quand’ anche non condotta di pro- posito deliberato da questo o quello interpetre del- 1’ assunto stesso. Resta solo a vedere, se il problema vada posto come vuole V empirismo o come vuole la filosofia, o, dove l’uno e 1’ altra lo pongono ad uno stesso modo, se vada risolto nell’ una forma o nell’ altra. E dico a bella posta — la filosofia — senza vermi predicato che la determini in un senso più che in un altro e che la limiti ad una scuola più che ad un’ altra. L’ empirismo si annunzia in antitesi non a questa o quella filosofia, ma alla filosofia in generale, o, se si vuole, è una for- ma di filosofia che si oppone a quella che fin qui era tenuta per tale, alla metafisica, e non a questo ed a quel sistema, ma al criterio comune a tutti i sistemi, al yenus proximum di essi. Termine di contrapposizione all’empirismo sarà, adunque, per noi l’assunto impersonale della filosofia, senza che le varietà individuali di essa ci occupino punto. Il che va inteso in senso relativo e limitato a quel possibile consenso che, traverso le lotte dottrinali, è dato ravvisare, nella tradizione storica della filo- sofia, a chiunque la interpetri con intelletto d’amore . CAP. I. Il criterio della esperienza ed il problema gnoseologico della filosofia del dritto. Adunque 1 ? esperienza, ossia la osservazione e la comparazione dei dati fenomenici, è il criterio cono- scitivo universale del realismo giuridico, di guisa che la critica di esso si traduce iu una critica della e- sperienza. Questa critica non data veramente da oggi : essa è vecchia, nè comincia dal Kant, come si peusa comunemente, ma risale a Platone, che primo rivendicò le ragioni della scienza e della filosofìa contro la doxa e 1’ empirismo dei sofisti. Per quanto vecchia, essa non ha perduto, tuttavia, la freschezza della novità, e va rievocata oggi che il positivismo, nella forma più matura della teoria delfassociazione e di quella dell’ evoluzione, ha risollevato i fasti dell' empirismo. Diremo, adunque, anche a costo di apparire no- iosi ripetitori, che 1’ esperienza non è in grado, da per sè sola, di scovrire il momento universale e ne- ccessario del dritto, nè il nesso causale dei fenomeni .giuridici, più di quello che essa noi sia di scoprire il momento necessario ed il nesso causale di altri ordini di fenomeni. L 7 esperienza ci dice che una cosa è fotta così e non altrimenti, ma non che la cosa non possa essere altrimenti che così. L 7 espe- rienza ci dà la coesistenza e la successione dei fe- nomeni e può darci anche la legge empirica (la cosi detta legge di conformità che impropriamente si chia- ma legge) di tale coesistenza e successione, ma non ci dà nè può darci mai la legge di necessità. Essa ci dà la ripetizione delle coesistenze e delle succes- sioni di dati fenomeni, ma non la legge di tale ripe- tizione: essa ci dice che una cosa si ripete cento, mille, diecimila volte, ma non che si debba ripetere .neces- sariamente. L’ultimo dei termini della serie progres- siva e faticosa delle esperienze non ci dice niente di più e di meglio di quanto ci dica o ci abbia detto il primo, e l 7 ultima ripetizione vale le altre. L’accresci- mento del materiale della esperienza è un processo quantitativo, dal quale nessuna alchimia trarrà una qualità nuova. Noi chiediamo il quia , ed il quid, doveccliè i progressi della esperienza non ci promet- tono che una cognizione sempre più vasta del quale. La teoria dell 7 associazione, che data da Hume, si avvisa di eludere il problema, con l 7 apporre a questa legge di necessità una portata puramente psicologica. La necessità oggettiva, essa dice, è un inganno; la ne- cessità è puramente soggettiva ed è la coazione inte- riore verso un dato nesso o una data serie di nessi logici delle nostre rappresentazioni. La categoria della necessità è una oggettivazione illusoria, una proie- zione al di fuori dell 7 abitudine interna di un dato nesso ideale. Ma, checché si deponga in favore di tale tesi, non si scema l 7 equivoco che la vizia. La 183 — coazione interiore può ben nascere dall’abitudine, ma la necessità logica della ragione è ben’altra dalla coa- zione psicologica del sentimento. Questa ultima, non che necessaria, è accidentale di sua natura, perchè il dominio psicologico è il dominio del variabile, del contingente, del casuale (1). Del pari V esperienza^ non può colpire il momen- to universale delle cose. La universalità alla quale essa può pervenire è, tutt’alpiù, universalità sui generis , universalità relativa e provvisoria, il che è tutt' uno che negazione della universalità scientifica. Il maximum dello sforzo cogi- tativo al quale possa pervenire l’esperienza, secondo un noto principio del Kant, è il seguente « per quello che abbiamo appreso fin qui, non si trova veruna ecce- zione di questa o quella regola data » non già quest’al- tro « questa è regola universale e non ha veruna ecce- zione » (2). E ciò, perchè le conclusioni dell'esperienza sono limitate e condizionate quanto la esperienza, la quale è eminentemente analitica e non assicura e non garentisce che il suo responso immediato. L’esperien- za ci dice che date coesistenze e date successioni di fenomeni si sono ripetute fin qui, ma non ci assicura che si ripeteranno in avvenire. È vero bensì che noi » oggettiviamo ed universaleggiamo ogni giorno le ri- sultanze di quella esigua e ristretta esperienza per- ii) Vedi la bella illustrazione che di questi pensieri della critica kantiana fa il Volkelt. Erfahrung und Denken. Kritische Grundlegung der Erkenntnisstheorie. (Hamburg 1886) pag. 78 e segg. * (2) Volkelt, ibid. S. 79-80. 184 sonale che ne è consentito di fare e le atteggiamo sub specie aeternitatis , ma, con ciò stesso, noi supe- riamo i termini della pura esperienza, noi invochiamo ed applichiamo per la nostra cognizione un altro cri- terio che quello sperimentale. In ogni giudizio che formuliamo v’ò un tacito sottinteso che precede l’e- sperienza e la integra : ed il sottinteso è questo: che quella ripetizione delle coesistenze o delle successio- ni, la qual ripetizione non abbiamo osservato ancora 0 non potremo osservare in avvenire, è conforme alle ripetizioni o alla serie di ripetizioni già osser- vate. Il processo induttivo presuppone 1’ habitus, la funzione mentale che si formula nel principio d ’ iden- tità : dal quale segue che quanto si predica di una cosa o di un rapporto già esperito va predicato, al- tresì, di tutte le cose e di tutti i rapporti esperibili, le quali o i quali sieuo della stessa natura sostan- ziale della prima o del primo (I). ^Ne l’esperienza è più atta a conoscere il perchè delle cose, il cur , di quello che noi sia a conoscerne la universalità. La successione dei fenomeni, sia pure conforme a regola, non è causalità: e dall’esservi fra 1 fenomeni di una serie un rapporto di prima e di poi non segue, per altro, che la mente dell’osserva- tore, la quale nel supposto è tabula rasa , argomenti dal semplice rapporto empirico di antecedente e con- seguente la possibilità di quello ideale di causa e di effetto. L’esperienza ripetuta delle stesse sequele di un dato fenomeno e di un altro non può creare ex nihilo sui quel rapporto di causalità che ai primi (1) Vera A. Melanges philosophiques p. 282-283. ' gradi ed ai primi passi di quella esperienza era in- concepibile. Senza dubbio, il rapporto di causalità è nelle cose (lo scetticismo di Hume non ha chiuso il problema) ma non è una specie impressa sulle cose, visibile e palpabile a nudo, esperibile iusomma. La nozione di quel rapporto è, direi quasi, un’anticipa- zione dell’ intelletto sulla esperienza e sulla stessa natura. Ogni nesso causale che noi formuliamo pre- suppone 1’ habitus , la funzione mentale del nesso causale in quanto tale. Noi diciamo « questa cosa è effetto di quell’ altra » solo perchè sapevamo che, risalendo la serie regressiva dei fenomeni, ciascuno dei termini di questa serie è un effetto, ossia è un prodotto da una causa, finché si perviene al termine primo che non è più effetto, ma causa sui. In vero, senza questa funzione mentale, noi avremmo uu bel discernere delle affinità "e delle conformità logiche tra l’operare di una cosa e la natura di fatto d’una altra cosa che la segue: tra Luna e l’altra cosa noi non vedremmo mai un rapporto causale, se a quel nesso di conformità non si associasse spontaneamente, nel nostro pensiero, quella funzione mentale, che io chiamerei il sottinteso della causalità. Chi analiz- zasse questa serie di sottintesi e questa prescienza e vedesse quanto è facile e seducente, ad un me- tafisico che sia artista ad un tempo, atteggiare quella prescienza a forma di ricordo di una vita psichica oltremondana, vedrebbe forse che la dottrina plato- nica « sapere è ricordare » è più presto una defor- mazione poetica di un sano principio filosofico, che un principio falso di sua natura. La nostra scienza, «e non è prescienza, ha per sottinteso un certo grado — 18 G — di prescienza. A Corate enunciò lo stesso principio in altra forma, quando disse « sapere è prevedere ». La previsione di un fenomeno esperibile ma non esperito è, evidentemente, prescienza intellettiva. Un logico recentissimo della scuola critico-posi- tivista, il Masaryk, ci porge una indiretta conferma, che qui ò opportuno ricordare, di questi supremi principi della critica della conoscenza. I fenomeni particolari sono tuttora (così VA del Saggio fri logica concreta) gli elementi costitutivi del l’universo, come V oggetto proprio della conoscenza umana: ma noi sono immediatamente. Il nostro intellet- to non può cogliere ed intuire di un lampo l’unità delle cose : il suo processo è, per di tetti vità connaturata, eminentemente astrattivo. Epperò esso conosce le cose non per intuito diretto, ma mediante le leggi e le proprietà essenziali che a quelle cose ineriscono. Queste leggi e proprietà sono il prins, non il po- ster ius della conoscenza. Y’ha due generi di scienze: scienze astratte e scienze concrete: le prime cono- scono le leggi delle cose e le seconde V essere di fatto delle cose. Or bene le scienze astratte sono il fondamento, il presupposto delle concrete, appunto perchè le cose non si conoscono che per le loro leggi e proprietà essenziali. La biologia, che è scienza astratta, perchè ha per oggetto le leggi della vita precede ad es. la zoologia, che studia gli animali vi- venti, ed è la confritio sine qua non della sua esistenza. So le scienze concrete presuppongono le scienze astrat- te, è assurdo supporre che le prime forniscano la base delle seconde. Ciò sarebbe una inversione di termini. Precisamente l’opposto è vero. Le cose non- 187 si intuiscono o esperimentano di un tratto solo nel loro essere, ma si conoscono in funzione di una legge e di una proprietà essenziale che precede e rende pos- sibile l’esperienza. Gli è questo che ci spiega come e perchè le scienze astratte abbiano fatto progressi di gran lunga maggiori che le concrete. Gli è che que- ste sono posteriori a quelle, onde la loro maturità segue, in ragion di tempo, il progresso di quelle (1). Questi principi del Masaryk sono fondati sul vero, benché il modo ond’ egli si esprime sia tutt’altro che proprio. La sua terminologia è mutuata dall’em- pirismo per formulare una nozione so vraem pirica. Quello che egli chiama processo astrattivo va chia- mato processo di sintesi spontanea ed originaria, perchè 1’ astrazione presuppone la conoscenza del concreto onde si astrae, il che contraddirebbe al supposto. Prescindendo da ciò, resta, intanto, stabilito che non solo la filosofìa, ma lo stesso positivismo cri- tico ed illuminato insegnano d’ accordo che alla conoscenza analitica delle cose particolari deve pre- cedere la conoscenza della specie universale, che è come una sintesi, una deduzione spontanea ed ori- ginaria, un’ anticipazione mentale dell’ osservazione. L’ esperienza affidata alle sue forze sole è così lun- gi dal fornirci un concetto scientifico delle cose, che anzi essa, senza 1’ ausilio di una virtù intellettiva che è prima e sovra di lei, non potrebbe neanche venire alla luce e legittimarsi come esperienza. (1) Versucli eiiier coucreten Logik (Wien 1887) pgf 10, pa g, 41-46, pgf. 89, 91 e 92. — 188 — Or bene, ripeto quanto lio detto più su, questa difetti vità dell’ esperienza sussiste nell’ ordine delle conoscenze giuridiche, come iu ogni altro ordine di conoscenze. Anche ivi la nozione universale deve pre- cedere 1’ esperienza particolare: la scienza sintetica delle proprietà essenziali del diritto deve precedere la scienza analitica dei fenomeni giuridici particolari e non seguire da essa. Anche ivi una estensione, un im- pinguamento del materiale di fatto può accrescere la notizia delle cose, non la scienza , come bene afferma 1’ Hartmann. 11 materiale dei fatti é il sottosuolo, non T oggetto della scienza (1). La osservazione em- pirica dei fatti giuridici non ci dice nulla sul mo- mento universale e necessario del dritto, nulla sui nessi causali di quei fatti ed è, però, inetta ad adempiere, non che una sintesi filosofica, ma una semplice sintesi scientifica: di guisa che, sulla scorta di essa, neanche la fenomenologia perverrà ad otte- nere quel principio sintetico e quell’ universale lo- gico del dritto che, come tante volte si è visto, rappresenta il suo termine ideale. Per dirla più (lì Die Bereicherung an Blossem Stoff des Wissens vermehrt uur die Kuncle , aber nicht imraittelbar die Wissens.chaft. In- dem aber die Wissenschaft erst da anfiingt, wo in den Bezie- huugen des Stoffs und den allgenieinen in ihm wirkenden Kràften oder Momenten das Gesetzmiissige, Ordnungsmiissige oder Planmàssige, logiseh oder sachlich Nothwendige aufge- suclit wird, zeigt sich eben, dass 'der Stoff als solcher nicht don Gegenstand selbst der Wissenschaft bildet, sondern nur die Unterlage derselben, dass aber der eigentliche Gegenstand der Wissenschaft dasjenige ist, was an den Beziehungen des Stofìes allgcmein und verniinftig ist — Gesammette Studien u. Aufsiitzc S. 425-426. esplicitamente, quella osservazione empirica, ammes- so pure che la si estenda il più che sia possibile, non ci darà, di per se sola, non che una filosofia, neanche una scienza del dritto. Perchè egli è fuori dubbio che la scienza abbia per soggetto V universale ed il necessario delle cose. Platone ed Aristotele hanno del pari messo fuori disamina, che oggetto della scienza é la vóyjaig nepi òoatav (1) e che P esperienza, che apprende il parti- colare, non va confusa con la scienza che apprende l’ universale (2). Gli stessi principi sintetici della fenomenologia che siamo venuti divisando non pro- vengono dall’ esperienza, ma dalla speculazione del pensatore. La storia consegna al v. Ihering il fatto della lotta e del fine interessato , ma, quando egli generalizza P esperienza di quel fatto a momento universale del dritto, eccede i termini della espe- rienza, per soddisfare ad una vocazione speculativa che è anteriore all’ esperienza. La ragione del Dahn ed il giusto del Lasson sono cosi poco creature del- P esperienza, che quella è un ricordo della opinio necessitati della metafisica , ovvero una forni ola logica della razionalità della Volhsbewusstsein (la qua- le, a sua volta, è una ipotesi demo-psicologica che trascende ogni esperienza) e questo è P applicazione al dritto di quel logos Hegeliano, che è P ultimo residuo di una notomia degli atti conoscitivi, la quale ha il suo punto di partenza nell’ esagerazione dell’ a priori. Il principio del rispetto verso la forza (1) Rep. 534.' Vedi pure: Fed. 76 e passim. (2) Mat. XIII; 9; Mag. Mor. I, 4. — 190 — / V - .T$ imperante (Achtung) e quello della pre volizione del- la norma ( Anerlcennung ) sono non fatti di esperienza 0o - o'0£,ti va, ma impostasi intellettive di alcuni fatti acci- dentali di esperienza psicologica. Il realismo giuridico si avvisa di conoscere le proprietà essenziali e le leggi del dritto col mero processo della induzione e della comparazioue. Noi abbiamo visto testò il Post, nell’ analisi compara- tiva dei fotti particolari della vita dei popoli, fer- mare il segreto del substrato universale di quei fotti e di quella vita. Ma, V osservazione e la com- parazione non sono possibili senza una teoria pre- esistente, la quale ci faccia discernere quello die va osservato da quello che non va osservato, e che, nel materiale disordinato dei fotti, ci consenta di sceverare quel momento che concerne e preoccupa la nostra scienza da quegli altri momenti che non ci concernono punto e che le altre scienze differen- ziano dalla nostra. Senza il filo d’ Arianna della speculazione, V osservazione e la comparazione dei dati di fatto diventano un labirinto inestricabile e dal quale non v 7 è più uscita. Se non sappiamo prima, per un’ anticipazione intellettiva, che cosa è dritto, nè possiamo discernere i fenomeni giuridici da quelli che non sono tali, uè negli stessi fenomeni giuridici possiamo sceverare quello che in essi è proprietà essenziale da quello che non lo è. Anche nelF ordine delle conoscenze giuridiche è vero che V intuizione è cieca senza la categoria. Vi debbono essere, nella moltitudine dei materiali storici messi a profitto dall' indagine e e dalla comparazione, delle 'quantità conosciute ehe permettano alP osservatore ' — 191 — di orientarsi nei suo cammino. Il che è riflesso, nel- F ordine del pensiero, di quello che, come vedre- mo, ha luogo nell’ ordine delle cose. Perchè, eviden- temente, nel suo processo evolutivo 1’ umanità de- ve pure avere avuto delle soste, deve pure aver se- gnato delle fermate e dei punti di riposo, nei qua- li momenti si è venuto deponendo, consolidando, sarei per dire cristallizzando, il presunto fluttuare dei fenomeni. La pressura della logica e quella che lo Schopenhauer chiamava die List der Idee domi- na, del resto, gli stessi induttivisti della giurispru- denza e li trae a smentire coi fatti quanto lian professato a parole. Dopo aver respinto 1’ a priori , essi sono ben lungi dal farne a meno: e di presup- posti a priori tolti in prestito alle nostre odierne intuizioni giuridiche o alla nostra speculazione filo- sofica le loro ricerche sono piene. Tanto egli è ar- duo, impossibile anzi, nel rifare a rovescio il pro- cesso della evoluzione giuridica, fare a meno di un contrassegno ideale di quello che è dritto o di un criterio intellettivo che ci aiuti a discernerlo dagli altri fenomeni del cosmo! Il metodo comparativo, adunque, che si avvisa d’inferire dal semplice raffronto dei fatti la nozione del momento giuridico di essi, è una vera petitio prineipii. Un’ anticipazione ideale di quello che si cerca bisogna averla per forza, se no quello che si cerca non si trova. È una cosa molto elemen fa- re codesta: chi non sa quello che vuole non trarrà mai un ragno dal buco. Ottima la ricerca delle for- me storiche della proprietà immobiliare nel mondo orientale, a mo’ d’esempio, o il raffronto tra esse e quelle dei popoli occidentali, ma, se voi non avete prima una nozione quale die sia della proprietà im- mobiliare, quella ricerca e quella comparazione non la farete mai (1). La storia è pur sempre storia di qualche cosa (2). L’ ordinamento seriale dei fenomeni sotto il ge- nere dritto e sotto le specie famiglia , proprietà ec. (scelgo a bella posta V ordinamento seriale più fa- cile ed elementare) e tutta la serie dei principi e delle rubriche e delle classificazioni della giurispru- denza storica e comparativa sono, per necessità di cose, un presupposto e non un risultato della com- parazione e della storia. Nò si opponga che il com cetto del dritto emerge dal fondo stesso della os- servazione e della comparazione ed è ottenibile mettendo a raffronto un gran numero dato di og- getti affini tra loro, astraendo dalle differenze indi- fi) Schuppe. Die Metkoden der liecktspkilosopkie. loc. eit* S. 227-228. ( 2 ) Man kommt nickt von der gesckicktlickèn Betrachtung zu dem Gewordenen, sondern gerade umgekehrt: man suckt, von diesein ausgekend , seine Erfahrung nack ruckwarts in der Zeit zu erweitern Der Versuck, aus der Gesckichte he- rauszusammenfugend zu ersckaffen, kame auf ein Mlsslingen oder eine Selbsttausckung kinaus: es giebt nur Gesckiehte von Etwas . Wenn die sogenannte genetiscke Metkode die vollkomneren Gestaltungen aus den unvollkomneren sick erzeugen, so solite nie iiberseken werden, dass im Nackweise dos Keimes das Wozu er sick entwickeln, Wessen Keiui er sein soli, sehon vor- sckwebt; nur vom vollendeten Erzeugniss fragen wir zuriick nack den keimartigen Anflingen. Stammler . Die Metkoden der geschicktlicken Rechtstheorie S. 52-53. vicinali di ciascuno e ferrnaudo quel genere, quella nota universale e comune, in che convengono tutti ad un tempo. Imperocché, appunto perché abbia luogo quel raffronto, si richiede un’ anticipazione sintetica della natura sostanziale del dritto. Per di- scernere in che gli oggetti sono affini, occorro che vi sia, anzi tempo, un contenuto ideale, in rapporto al quale 1’ affinità o la dissomiglianza è concepibile. La osservazione e la comparazione vi darà il fatto della convenienza, solo quando voi preconoscete di avanzo, sarei per dire presentite, per una cotale anticipazione irriftessa dello spirito , quello in che si conviene e la ragion formale della convenienza. La nota comune è una premessa del processo astrat- tivo. Bisogna degradare il fenomeno della conoscenza alla più volgare materialità per convincersi che gli elementi, i quali in ipotesi sono conformi, si lascino connettere in un rapporto di conformità per una percezione immediata del loro essere di fatto. Per- chè gli elementi b. c. d. lascino vedere un elemento comune con a. e si vadano sussumendo in un rap- porto comune A. occorre almeno che a, ossia il termine di raffronto, abbia colpito il pensatore e gli appaia come un momento di cosiffatta natura, da servire di regolo agli altri, come a dire un equi- valente ideologico preesistente del contenuto che si ottiene poi formulato nel rapporto A. Se l’intelletto dell’osservatore è una tabula rasa , egli non vede nè differenze nè somiglianze nei fenomeni, nè dritto nè torto nella storia: le differenze sono percepibili, solo quando si sa quello da cui si differisce e. del pari, le somiglianze, solo quando si sa quello cui l ‘ì Petrone — 194 — si somiglia: in altri termini i rapporti sono perce- pibili solo in finizione del loro oggetto ò della loro ragione formale. Egli, adunque, V osservatore, non vede che una serie di fotti indifferenti che non sono nè il diritto, nè il suo rovescio : di cui noi, messi al punto, non potremmo nè anche assicurare che cosa sieno: perchè ci difetta la virtù astrattiva che sarebbe necessaria per vedere come andrebbero le cose della nostra intelligenza nella ipotesi di un processo anormale di questa. Alla induzione ed alla comparazione deve, adun- que, precedere un intuito speculativo del dritto. ]Sel campo della giurisprudenza, come in quello delle altre discipline, il processo conoscitivo s’inizia da una sintesi primitiva e spontanea, si svolge e dirama e differenzia per l’esperienza, l’analisi, la ri- flessione e va a metter capo alla sintesi riflessa della deduzione. La storia del processo fenomenico ed inventivo è un compito meramente analitico che si esercita sopra una sintesi scientifica preesistente. Per de- scrivere le fasi evolutive di una cosa bisogna già possedere il concetto dell’ essere della cosa, ossia della sua forma definita ed evoluta e della sua con- figurazione stabile e consolidata (1). (1)... Es ist vor Alleni unumgiinglich, class der Entwiok- luiigahistoriker das genaueste und deutlichste Verstiindniss von der reiteri Gestalt besitze und bekunde, von welcber er die Entwickeluug verfolgt. Die Eutwickelungsgeschichte ist steta und lediglieli eiue analytischo Aufgabe. Scheinbar nai- ves Aufsuchen der Verbindungsstiicke und gliickliches Probi- ren, ob sie passen, ist ein ganz eitles Unterfangen. Di© Ent- — 195 — La filosofìa speculativa del dritto aveva adunque ragione. Di che una preziosa riprova ci forniscono gli stessi empirici della giurisprudenza, la mente dei quali è munita, anzi tempo, non che di un intuito o di un presentimento del dritto, di tutto un corre- do di conoscenze speculati ve, più o meno deformate, tolte in prestito precisamente a quella filosofia. E senza il suo ausilio 1’ esperienza si sarta trovata a mal partito. Ciascun fatto o ciascuna serie di fatti non malleva che se stessa: ed il filosofo dell’ espe- rienza non avrebbe mai visto il lume dell’ idea. L’induzione è sempre limitata ad un dato numero di fatti, il qual numero, lo si moltiplichi a talento, dista pur sempre infinitamente dalla universalità -che si estende a tutto il possibile. Gli stessi prin- cipi generali non vi sarebbero più : 1’ allgemeine Reclitslelire è un generale die, viceversa, è un parti- colare. A causare tali perigli, resta che, in difetto di speculazione propria, si usurpi l’ altrui. Ed ecco, allora, che la premessa maggiore del realismo e della fenomenologia è una premessa metafìsica. Que- sti declamatori dell’ esperienza e dell’induzione sono in fondo dedutti visti. La filosofia ha trovate alcune verità con un procedimento misto d’ intuizione di rapporti ideali e di esperienza psicologica: essi ri- provano queste verità con l’allegazione di fatti spe- "wickelungsgeschichte des Organismus setzt ein hohes Stadium der Anatomie voraus, das sie alsdann erhohen kann. Aber die Entwickelungsgeschichte kann der descriptiven Anatomie ni- cht voraufgeben. Cohen. Kant’ s Theorie der Erfahrung Zw. Aufi. S. 7. rimentali, quando noi facciano con nn tessuto di raziocini. Il loro metodo è analitico e regressivo: onde quando essi rimproverano di deduzione la vec- chia filosofia, questa potrebbe dir loro che essa della deduzione, accanto ai difetti, aveva benanche i pregi, dovechè ad essi non restano che i difet- ti soli. CAP. II. Il criterio storico-evolutivo ed il problema ontologico della filosofia del diritto. Si è detto innanzi come la maniera, onde l’empi- rismo concepisce il problema dell’essere del dritto, equivale esattamente alla maniera ond’ esso conce- pisce il problema del conoscere. Dopo aver detto die criterio unico della scienza è l’esperienza, logica vuole che l’empirismo dica che l’oggetto della scienza è tale, quale bisogna che sia perchè rientri nei li- miti della esperienza, e che, quindi, il dritto non abbia altro essere che l’essere mutabile, contingente e fenomenico, o, per dir breve, non altro essere che il divenire. Come in tanti ordini di cose, così nel dritto, il criterio scientifico si è venuto snaturando nel criterio storico e, conseguentemente, il problema ontologico nel problema genetico. Del dritto, come di altri oggetti, si studia non più la sostanza ma la genesi, non più l’essenza ma l’evoluzione, non più il substratum ma il processo; nè solo si studia l’una cosa e non 1’ altra, ma si afferma come inesistente quella che non si studia, o si presume di non stu- diarla, appunto perchè la si dà per inesistente. È il criterio storico-evolutivo , che riassume il genio scien- — 198 — tifico (lei secolo e che pervade scienza e filosofia. Se ne volete 1’ origine, dovete far capo all’ aspetto* dogmatico del fenomenismo Kantiano e, più lungi ancora, alla critica Lochi aria, alla teoria, cioè, della inconoscibilità della sostanza. Tolta, invero, la ri- cerca della sostanza, non rimane che il fenomeno- soletto al lievi, al divenire, alla storia. Se questo criterio lo si proseguisse nella sua forma logica e coerente, esso non porgerebbe ai suoi settatori un saldo sostegno. Così coni’ è, esso è vi- ziato dalla radice, perchè poggia sopra una inver- sione del problema filosofico e perchè confonde vol- garmente due termini che vanno distinti, scienza e storia. I fenomeni particolari che registra la storia sono non solo inesausti, ma inesauribili nel loro nu- mero: la umanità ha invocato sempre l’ausilio delle idee per dominare l’universalità dei possibili, senza di che non si sarebbe mai svincolata dalle strettoie di una perpetua ignoranza. La storia ha per oggetto il nudo individuale; quello che sta a sè e non può predicarsi degli altri; quello che può essere cono- sciuto solo per un atto di esperienza ex professo e discontinua, e che, per essere singolo, si consuma in un singolo atto mentale e consuma l’atto stesso; quello che non ha nesso con altri e non può nè su- bordinarsi ad essi nè subordinarli a sè, e che è in- comunicabile: quello che dà luogo non ad un con- cetto, ma ad una moltitudine di percezioni saltuarie, sempre esposte alla sorpresa del nuovo, dell’impre- visto, dell’ azzardo. (1) (1) Schopenhauer — Die Welt u. 8 . w. — Ergiinz: z. 3° Buch — Kap: 38. — .199 — L’empirismo moderno, messo allo stremo, li a stu- diato, pertanto, di sfuggire alla logica del suo criterio. Invece di escludere la speculazione, esso fa atto di riconoscerla, ma piegandola alle esigenze del suo criterio; nò nega la sostanza, ma la traduce nel circolo del suo sistema, llesta, per esso, oggetto della scienza l’essere, ma l’essere appunto sta, o si presume che stia, nel divenire. Il suo intento non è, in fondo, negativo, ma dialettico. L’ esse della filosofia morale e giuridica è appunto il fieri della evoluzione del costume e degl’ istituti giuridici. Quella serie di proprietà sostanziali, quella es- senza specifica della natura e della coscienza umana non sono negate o rimosse, adunque; sono sempli- cemente interpetrate in un modo diverso. Esse non sono più un a priori — della' storia, un termine che è fuori del processo storico e che rende possibile lo stesso processo; ma si rappresentano come un a posteriori primitivo, come un prodotto dell’esperienza collettiva e della razza, un prodotto che si solleva, a sua volta, a causa di nuove formazioni, di nuovi fenomeni, ma è ab initio una formazione, un feno- meno esso stesso. Messo da banda il flusso Eracli- teo^ i settatori del criterio storico-evolutivo si cre- dono licenziati ad ammettere delle proprietà speci- fiche della natura etica umana, quando s’ intenda che queste proprietà sieno non un essere, ma un divenire o, per meglio dire, un divenuto; quando si intenda che esse sono forse un a priori a petto alla esperienza individuale dell’ uomo che si trova in uno dei momenti derivati, della evoluzione, ma sono certo un a posteriori della esperienza delle g enei a- — 200 — zioni preesistenti. Nella serie dei momenti evoluti- vi, ciascuno di essi è un posterius delle esperienze sociali trasmesse dal momento anteriore; solo clie queste esperienze diventano generative di altre po- steriori, a petto alle quali esse sono un termine primitivo. L’esperienza collettiva che supera la disper- sione e la difettività dell’esperienza individuale, l’abi- tudine (latamente intesa) e 1’ eredità che la trasmette e la consolida, la tradizione storica che ne raccoglie le risultanze : ecco i supremi presidi, con l’aiuto dei quali 1’ empirismo moderno si avvisa di superare le difficoltà dell’antico, di trascinare l 1 essere della scienza e della filosofia nel flusso del divenire e di evitare, ad un tempo, le ritorsioni di quella logica inesorabile, che lo forza a dibattersi sterilmente nell’ assurda impresa di logizzare la storia o di sto- rizzare la logica, di formulare e dogmatizzare il mutevole, 1’ evanescente, 1’ individuale e di travol- gere, ad un tempo, nella rapida scorrevolezza dei fenomeni transeunti quello che è e che sta, 1’ e- terno, V immutabile, 1’ assoluto. Se. non che, anche in questo contenuto più ric- co di valore ideale che assume il criterio storico- evolutivo, esso è ben lontano dal sottrarsi a quella logica di sistema, . che, volente o nolente, lo rimena all’ assurdo d’ invertire i termini del problema filo- sofico e di scambiare la scienza con la storia, la sostanza col fenomeno, le facoltà e le attitudini connaturate con le esperienze e gli abiti acquisiti. Finché, in omaggio al paradosso, si riconosce l’am- missibilità di un x>rocesso all’ infinito e, rifacendo la serie regressiva delle esperienze, il primo termine — 201 di quella serie si rappresenta come una esperienza a sua volta, il vizio radicale dell'empirismo rimano sostanzialmente lo stesso. Finché la razza è una moltitudine d’individui, la quale moltitudine non può fornire un elemento nuovo ehe non sia orini- nari amente contenuto in ciascuno degl 'individui che la compongono, finche 1’ abitudine e Y eredità sono forze trasmissive e non creative, le quali, quindi, presuppongono un quid che si ripeta o consolidi o trasmetta, la contraddizione implicita nell’ assunto empirico rimane tal quale. L’ empirismo allontana, risospinge indietro il problema nella storia, ma non lo risolve. Nella serie delle fasi evolutive v’ è sem- pre un priuSy un termine primitivo, che, come esso c’ insegna, non è un essere ma un divenire, non è una sostanza ma un fenomeno, non è attitudine all’ esperienza ma esperienza senza attitudine. Ed in questo termine primitivo rinasce il problema elie si credeva composto: il divenire è possibile sen- za 1’ essere ? ed i fenomeni giuridici sono possibili senza l’essere giuridico"? senza una coscienza giu- ridica già data, senza una facoltà connaturata del dritto, sono possibili le esperienze giuridiche? Ogni momento individuale dell’ evoluzione giuridica, lo si derivi pure da una serie inferiore preesistente, non ha forse bisogno d’ un ciliquid che lo determini e lo differenzi come tale dal momento anteriore ? e questo aliquid non è un essere che precede e rende possibile il divenire ? Nella continuità dei fenomeni deve pure esservi, non foss’altro, V infinitamente pic- colo di Leibnitz, che prima non era ed ora è, ed è ■quindi la radice, il substratum di quello che v’ è di nuovo nel rapporto reciproco dei termini suc- cessivi della serie, di quello cioè che differenzia i singoli momenti della continuità. Questo infinita - mente piccolo non può essere prodotto dalla prima esperienza, se questa, per logica di cose, lo presup- pone. Come mai quelle esperienze giuridiche o quella serie di esperienze, che saremmo impotenti a far noi ex novo , se fossimo dello tabulae rasae , e che noi possiamo Aire, secondo il criterio storico-evolu- tivo, solo perchè 1’ eredità e la tradizione storica ha deposto e trasmesso nei nostri poteri psichici tutto un contenuto ideale che tesoreggiamo di con- tinuo, come mai, dico, quelle esperienze sarebbero esse state possibili, senza verini possesso anteriore di una facoltà connaturale, a quegli uomini primi- tivi, i quali, a quanto insegnano gli evoluzionisti,, uscivano a mala pena dalla specie inferiore dell’ani- malità? Perchè, senza dubbio, proseguendo a rove- scio il corso dell’ evoluzione giuridica, vi sarà seni pre un assolutamente prius die non è più specie ma individuo, che non è più esperienza collettiva e sto- rica ma nuda esperienza individuale. Il criterio storico-evolutivo che, per aver rico- nosciuto la legittimità dei processo all’ infinito, ha posto, come termine primitivo delle esperienze, la esperienza stessa e, come causa degli effetti, V ef- fetto o la serie degli effètti stessi, deve raccogliere i frutti del suo inconsulto procedere e deve togliere sopra di sè la contraddizione di un termine derivato che si postula come termine primitivo. La filosofia tradizionale, la teoria nativistica come per dileggio la chiama l’ Jliering, aveva adunque — 203 — ragione quando poneva a sostrato primitivo e cau- sale la natura deir uomo e non il processo della storia, la coscienza giuridica e non le esperienze edonistiche ed utilitarie. Il fenomeno della evolu- zione presuppone il noumeno della creazione, nella filosofia del dritto come nella cosmologia : il dive- nire presuppone l’essere che diviene e che sussiste < lo stesso attraverso e non ostante il divenire. Senza una coscienza giuridica bella e data, V esperienze giuridiche non sarebbero nate, perchè è la facoltà che crea le esperienze e non le esperienze la tà- coltà. Ed invero, senza una coscienza giuridica uni- versale connaturata in ciascun membro della razza o della specie, l’intimo consenso in certe verità giu- ridiche fondamentali, attestato dalla stessa osserva- zione serena dei fatti, non sarebbe mai venuto alla luce. L’esperienza, la quale procede a furia di espe- rimenti, di correzioni, di prove rudimentali, incerte, provvisorie e che è sempre varia da soggetto a sog- getto, da caso a caso, non può aver potuto deter- minare, per la contraddizion che noi consente 1’ uni- versalità e 1’ unità della ragion normativa e della coscienza. Si riduca questa unità e questa univer- salità alle semplici proporzioni di una funzione for- malo e vuota di contenuto, ebbene non sarà mai concepibile come quella unità della forma della co- scienza inorale possa essere uscita dal fondo di esperienze soggettive, senza un fondo comune di attitudini preesistenti, senza un addentellato di sor- ta. 1/ antropologia dell’ evoluzione può aver pro- vato, si conceda per un momento, che il contenuto della morale e della giustizia varia da popolo a po- 204 — polo, da tempo a tempo, ma non può aver provato che ne varii altrettanto la forma. Essa, anzi, ri- prova indirettamente che la materia infinitamente diversa del dritto reca in sè V impronta di una co- stante unità di leggi e di funzioni, le quali sono, « alla coscienza morale dell 7 umanità, quello che al pensiero le leggi e le funzioni a priori della cono- scenza; e che muta il contenuto dell’ atto morale, ma immutabile ne è la ragion formale; ossia le con- dizioni necessarie all’atto morale come tale sono im- mutabilmente concepite e, sarei per dire, plasmate nella forma assoluta d 7 un imperativo incondizionale, d 7 un dovere. Si assuma il più semplice degl 7 istituti giuridici del più semplice dei Natur-Viilker, ebbene l 7 analisi vi scopre sempre questa proprietà ideale : il convincimento di una legge estra- soggettiva, che è fuori e sopra l 7 arbitrio individuale ed alla quale è doveroso prestare obbedienza. La pretensione giu- ridica del selvaggio contiene un elemento spirituale che è condizione comune a tutte le pretensioni giu- ridiche di tutti i popoli più culti. Quella preten- sione è appresa come una legge impersonale, non solo rispetto ai soggetti presenti sui quali si eser- cita, ma altresì rispetto a tutti gli altri soggetti, che sieno per trovarsi nella stessa condizione dei primi, e, quindi, rispetto allo stesso soggetto preten- sore, ove egli in tale condizione venga a trovarsi. Motivo etico della pretensione o del comando, quel motivo, cioè, per cui l 7 una o l 7 altro è appreso come autorevole e fonte di obbligazione doverosa, è sempre la conformità presunta di quella pretensione o di quel comando ad una legge. Che la conformità pre- — 205 — sunta non sia conformità reale importa poco: resta sempre stabilito ohe condizione necessaria dell' atta giuridico, condizione universale e comune a tutti i popoli della terra, è l'intuito dell'atto stesso sotto la ragion formale del giusto. Ohe questa proprietà ideale non si trovi così nettamente distinta e differenziata nella coscienza morale del selvaggio, importa ancor meno. L’analisi è creatura della riflessione scientifica, laddove l’idea del bene e del giusto è un intuito sin- tetico della coscienza: 1’ assenza del l'un a è ben lungi dal provare quella dell’altra. L’analisi rende molte- plice e successivo rispetto a noi quello che è uno e simultaneo rispetto alla natura: confondere questi due aspetti è convertire in ipostasi reale un fenomeno della nostra difettività conoscitiva. Senza dubbio, 1’ unità e la comunanza della sem- plice-ragion formale del bene e del giusto non basta a fondare una morale, nò una filosofìa del dritto. Un’etica senza contenuto è una logica del bene e del giusto, non una nomologia. Quella unità della coscien- za si traduce in piena iudifferenza e la percezione della ragion formale del giusto in un mero momento psicologico. Ma, se questa unità formale della coscien- za morale è poca cosa rispetto alle esigenze ed agli uffici dell’ etica positiva (e però noi non ci ristiamo a lei, ma ammettiamo un contenuto morale, quale quello che ci detta la filosofìa teleologico-cristiana, e sulle orme della scuola di Max Mailer vediamo, nelle tristi condizioni morali dei Natur- Volker il prodotto di un pervertimento derivato) è molto rispetto alla critica della sociogenesi della evoluzione. La quale si chiarisce così contraddire apertamente non solo alla — 206 teleologia inorale, ma benanche alla critica, più ne- gativa e più «pregiudicata, della ragion pratica. Come per avventura, le incerte esperienze dei sog- getti sub-umani abbiano potuto determinare V unità della ragione e dell’intuito formale del giusto, vale a dire quell’ unità che è il residuo non eliminabile di un’analisi corrosiva della moralità umana: ecco un enigma che il criterio storico-evolutivo non riuscirà a decifrare mai. Gli è che la presunzione della tabula rasa non è meno infondata nella sociogenesi, di quello che lo sia nella ideologia : anzi nell’ una è più insoste- nibile che nell’altra, perchè il dritto è una idea cosi complessa che anche delle scuole filosòfiche, le qua- li, nella serie regressiva dei fenomeni della cono- scenza, pongono come termine primo la esperienza, hanno sentito il bisogno di concepirne l’idea e la voca- zione come connaturata nell’ uomo, come un habitus della natura. L’ atto giuridico e 1’ atto morale non nascerebbero mai, ove nella volontà dei soggetti non vi fosse una cotal disposizione naturale al bene e al giusto, la qual vocazione, a sua volta, difetterebbe ove non vi fosse un intuito originario del bene e del giusto. Ignoti (chi noi sa?) nulla cupido. La vo- lontà non è, da per sè, una legge, come volle il Kant, ma nemmeno è indifferente a qualsiasi legge, come vorrebbe il plasticismo degli evoluzionisti. Kon è autonoma di fronte alla Legge Suprema ed al Supremo Legislatore, ma è tale di fronte al resto, à o’ dire che nella volontà umana v’ è una voca- zione primitiva verso quello che è buono e che è giusto, vocazione indipendente dalle condizioni del- 207 T esperienza e della storia. Dicendo ciò, non si ol- trepassano i limiti della lìlosolìa per entrare nell’or- * bita della teologia (benché un rimprovero siffatto, ci affrettiamo a dirlo, sarebbe per noi un titolo di onore). Principio conoscitivo del bene e del giusto rimane, con tutto ciò, l’analisi della coscienza, co- me principio ontologico dell- uno e dell’ altro, la na- tura umana. Noi siamo i veri positivisti, noi, die ci reggiamo sul saldo sostegno della physis , ma del- la pliysis non deformata dalle preoccupazioni mate- rialistiche. Rifacendo la serie regressiva delle cau- . se, la filosofìa pone una causa prima che muove la natura senza esserne mossa: intenta a discoprire V origine prima di tutte le cose che sono nel tempo, la logica la costringe ad uscir fuori del tempo. 1/ e- voluzionismo può deridere questa logica, ma non rintuzzarla. L’ esclusione di un assolutamente prius è impossibile. E ad esso, dico al positivismo, non rimane che o attestare, con tacito assenso, la presen- za del soprannaturale, ovvero rimaneggiare con ostentazione di novità e di maturità quella pove- y ra teoria mitologica della spontaneità creatrice degli uomini primitivi. Quell’ assolutamente prius, quel termine primitivo delle esperienze, se non è una creazione del soprannaturale, deve essere una ge- neratio aequivoca della natura primitiva : una ge- nialità eroica, un salto mortale degli esseri sub- umani. Per. sfuggire alle ritorte della logica, il criterio storico-evolutivo non ha altro spediente che quello di adagiarsi in esse, di accettarle deliberatamente, di sistemarle anzi: quello, cioè, di bandire addirit- — 208 — tura il problema delle origini, facendo sorgere la risoluzione di un problema insolubile dalla dispera- zione professata di risolverlo. Questa esclusione del problema delle origini, come di cosa inconcepibile in sé, è postulata dalla logica del divenire. La conti- nuità evolutiva dei fenomeni dell’ universo esclude, per logica di cose, ogni nozione di principio o di fine (1). Questi due termini estremi rappresentano il discontinuo, il vacuo, il salto per eccellenza, on- de sono fuori della evoluzione. L’ evoluzione è pan- teistica: è 1’ eternità trasferita da Dio al mondo: ora non va dimenticato che 1’ eternità esclude cosi l’o- rigine come la fine. Gli evoluzionisti odierni lian poco compreso la portata del criterio evolutivo, per- chè ad essi ha fatto difetto quella penetrazione, metafisica che la fece comprendere cosi egregiamen- te al Leibnitz: ond’ essi, pur professando la teoria dell’evoluzione, seguono ciò non pertanto a cinci- schiare il problema delle origini ! Ma ciò non to- glie che la loro dottrina si dibatta tra le strette di questo dilemma: o accettare la logica dell’ evoluzio- ne e quindi cessare di essere positivisti e confessar- si per animali metafisici di una specie alquanto di- versa dagli avversari: o deviare da quella logica e fi) b as Priucip dor Continuitlit verbot in der Reihe der Erschein angeli alien Unsprung. Kant. Kr. d. r. Vera. (Ed. di Ilarteustein III S. 201). E lo aveva ben compreso il v. Savigny. < . . . . zwisclien Gesclilechter und Zeitalter nur Entwickluug aber nicht absolutes Ende uud absoluter Anfang gedacht wer- den kann ». Vom Beruf unsero/ Zeit u. s. w. Ili Aufl. S. 113. — 209 — cadere nelle contraddizioni di un primitivo che è derivato o di un a posteriori che è primitivo. La ritorsione del secondo corno del dilemma è sta- ta analizzata parecchio fin Qui. Giova solo aggiungere qualche- cosa su quella del primo. Ed anzitutto, che i positivisti, accettando la logica del criterio evo- lutivo, diventino di punto in hello metafisici non è chi noi vegga. L’ esperienza è limitata alla condizione del tempo; l’evoluzione è, invece, fuori del tempo, è, ripeto, la eternità trasferita dal mondo di là al mon- do di qua e, nello stesso mondo di qua, dalla so- stanza ai fenomeni. Confessi, adunque, il positivismo che il criterio storico-evolutivo è un criterio sovra- em pirico; che esso non abolisce la metafìsica ma ne fa una per suo conto; che non elimina il sopran- naturale ma converte invece ih naturale in sopran- naturale. Confessi altresì, che, quando promette di darci il nascimento ed il processo fenomenico delle cose, esso mentisce sapendo di mentire. Il criterio dell’ esperienza e della storia, strettamente conside- rato, ci dà i termini disparati e sconnessi e non il vincolo di quei termini, i fatti compiuti e non la legge del loro divenire. Il continuo sfugge alla sto- ria: essa non ci dà che una moltitudine di vacui e di discreti, tra i quali la mente umana riconosce un ordine che reca la impronta della metafisica che v’ è in lei, ossia di quella somma di concetti che essa ha di già sulla natura degli esseri soggetti al divenire storico. Ed ecco così che il realismo giu- ridico, la filosofia del dritto genetica e fenomenolo- gica vien meno del tutto al suo programma : non solo V essere dei fenomeni giuridici, ma e il nasci- li Petronk mento e il divenire di questi esseri esso ignora. Re- siduo positivo della critica mossa alla filosofia è la scepsi pura nel campo del dritto; una scepsi dog- matica più cbe quella filosofia e elie non soddisfa nò al criterio filosofico, nè alla esperienza. GAP. III. li positivismo giuridico ed il problema etico della filosofia del dritto — Il dritto naturale. » Il dritto non è soltanto una idea ed una sostanza, ma, altresì e soprattutto, una norma. Esso è idea umana e, quindi, non è idea quiescente, ma forza, nè solo anticipa l’essere, ma detta il dover essere. È una idea imperativa per eccellenza ed, appunto perchè tale, essa, ripeto, è forza: forza ideale e virtù morale, s’intende, e non coercizione fisiologica o psi- cologica. La filosofia che attingeva lume da questi sovrani criteri riconosceva, in correlazione al dritto positivo, un dritto ideale: questo era per lei una legge e quello un fatto; un fatto che desume il suo valore dal rapporto che ha a quella legge, dall’essere esso una forma di attuazione, d’ individuazione di quella legge. Questo fatto poteva adequare, se non in tutto, in buona parte quella legge, ma non l’adequava ne- cessariamente: ed, in tutti i casi, il suo valore era misurato dal limite di approssimazione al dettato di quella legge. Astraendo il dritto positivo da quel parziale contenuto ideale che vi sta dentro, da quello 212 — die fa sì die esso sia non solo positivo ma dritto^ di quel diritto positivo non rimane, per la fìlosoiìa r die il fatto bruto, indifferente, sfornito di significa- zione. Così per la filosofia seguiva un doppio pro- cesso: il dritto naturale conduceva al dritto positivo- pel bisogno della sua effettuazione empirica ed il dritto 'positivo rimenava al dritto naturale pel biso- gno di un titulus jitris e di un sostrato razionale. L’ un termine non era 1’ altro, ma aveva rapporto air altro. Erano due correlata , non due contrari. Perchè non erano tutt’ uno, legittima era la ragion d’ essere dell’ uno e dell’altro ad un tempo, e, per- chè erano tutt’ uno in qualche cosa, in qualche ri- spetto, Fano dei dite non negava, non contraddiceva assolutamente F altro. L’ ideale non era del tutto- inaccessibile al reale e, perciò stesso, intrinseca- mente difettivo ed erroneo : il reale non era del tutto contrario all’ ideale e, quindi, assolutamente ingiusto e condannevole. Questo rapporto che era concepito tra i due termini faceva sì che Puno con- ferisse all’ autorevolezza dell’altro. Il dritto positivo attingeva la sua virtù imperativa dal dritto natu- rale, ossia dall’esserne esso una varietà fenomenica,, ed il dritto naturale desumeva da quello la possibi- lità di trasferirsi, d’ individuarsi nei limiti del rela- tivo e del condizionato, nella storia. Così la filosofìa era tanto più vicina alla dialettica sapiente della vita, quanto più era lontana dalla dialettica fanta- siosa della logica; e come, nell’ ordine delle idee r essa segnava la via di mezzo tra Pottimisino ed il pessimismo, così, nell’ordine dei fatti, tra P umore conservativo e P umore rivoluzionario. — 213 Il positivismo si atteggia anche qui, anzi soprat- tutto qui, ad avversario reciso della filosofia. Come » nell’ ordine teoretico esso predica l’esclusione siste- matica dell’ a priori e V apoteosi dell’ esperienza ut sic, così nell’ ordine pratico esso dogmatizza l’esclii- isione della norma doverosa e 1’ apoteosi del fatto. Ed è giusto. L’ esperienza gl’ insegna l’ essere o l’essere stato, non il dover essere: la storia non gli dà che fatti o, tutt’al più, che leggi empiriche di fatti: T evoluzione gli fornisce una legge di causa- lità naturale che è la negazione recisa della legge morale: nessuno dei criteri, ai quali esso fa ricorso, gli suggerisce la nozione del dovere. Tuttavia, poiché la necessità morale è un rap- porto che è più facile escludere tacitamente, per esigenza di sistema, che negare di professo, e poiché il positivismo moderno é abbastanza raffinato per lu- singarsi di fare a meno dei rapporti ideali della me- tafisica (benché noi sia quanto é necessario per per- suadersi della loro verità), esso si tiene ben lungi dal rassegnarsi al puro fatto del dritto positivo ; bensì non resiste alla tentazione di interpetrare questo fatto in funzione di una legge che gli conferisca a priori valore ideale ed assoluto. È dritto quello che é impo- sto dai poteri coattivi ed é dritto in quanto e per- chè è imposto ; ma, quest’ autorevolezza giuridica, se coincide col fatto stesso del comando, non coincide tuttavia col fatto del comando attuale , ed è conse- guenza o espressione di una virtù presupposta nel fatto del comando abituale , del comando in quanto - comando. Il principio — est jus quia jussum ed è la formula del positivismo e noi f abbiamo veduta 2 U — assentita implicitamente e per ragion di contrasto dal v. Jheriug e dal Daliu, professata espressamen- te dal Lasson e dal v. Kirchmann, idealeggi ata, in omaggio allo psichismo , dal Bierling. Quella forinola, per quanto positiva, implica un sottinteso razionale. Ed il sottinteso è il seguente : il fatto del comando è la sorgente appunto del dritto: o altrimenti: l’essenza del dritto consiste nel comando. Il positivismo lia, pertanto, anch’esso la spa massima: 1’ attitudine che esso assume di fronte al fatto non è puramente passiva, o, se è tale, lo è o si avvisa di esserlo coscientemente e razionalmente. Non v’è bi- sogno di analisi minute per vedere quale e quanta conferma indiretta, (conferma formale, s’intende) re- chi questa massima del positivismo alla metafìsica del dritto naturale. Il compito razionale del dritto naturale non è propriamente escluso, ma applicato ed atteggiato in modo diverso che prima; è una ma- teria, nuova che si contrappone al contenuto antico di quel dritto, non una nuova forma. La filosofìa aveva per criterio conoscitivo del dritto naturale la ragione indagatrice dei tini dell’ universo e della natura morale dell’ uomo : il positivismo ha per suo criterio l’esperienza immediata dei precetti del potere positivo. La filosofìa aveva per principio ontologico del dritto 1’ ordine morale della stessa natura dell’uomo e degli stessi fini delle cose : il positivismo, invece, il fatto stesso della coercizione potestativa, in quanto tale : nell’ una come nell’ altro, le disposizioni posi- tive sono un fatto che in tanto ha valore in quanto gliel conferisce il rapporto vero o presunto di con- formità di detto fatto ad una data legge o ad una data massima. Varia solo il contenuto della massima e della legge, che nella filosofìa è sintetico, dovechè nel positivismo è analitico : perchè nell? una è at- tinto altronde e nell’ altro è spremuto dal fatto stesso delle disposizioni positive o, che è lo stesso, preim- plicato, con dialettica a priori, nel fondo di esso fatto. E che la massima del positivismo si traduca in un’ analisi vuota, in una petizione di principio, non v’ è dubbio alcuno. La forza coattiva del comando è criterio del dritto, solo perchè il dritto si è precon- cepito come forza e forza fisiologica; solo perchè la nozione di una potenza spirituale del dritto in quanto dritto, ossia in quanto norma di ragione, si è anti- cipatamente esclusa, come nozione che trascende l’e- sperienza,* solo perchè si è posto o postulato, anzi tempo, il principio che la forza, che noi intendiamo morale , degl’ imperativi giuridici non si differenzia dall’ attuazione materiale e dal successo di fatto ; solo perchè si è stabilito antecedentemente che la condotta dell’uomo non può essere determinata che dai motivi empirici e psicologici della sanzione po- sitiva ; solo perchè si è presupposto che il dritto non è una idea, ma un fatto e che l’assenza del* 1’ attuazione del dritto è sempre ed in tutti i casi assenza del contenuto e della virtù imperativa del dritto stesso. Ed invero, se la coincidenza della forza, etica con la forza fisica, del dritto col fatto, non fosse un presupposto, onde e come il positivista si farebbe a provarla ? Con T esperienza ? Ma l’espe- rienza gli consegna il fatto semplice e nudo, la nuda e semplice forza fìsica ; se e fino a che punto 1 uno 210 — e l’altra sieno dritto o forza morale, 1’ esperienza non lo dice e non lo può dire, perchè ignora che è dritto e che è forza morale. ]STè lo suffraga la sto- ria, la quale può provare concludentemente la pre- senza o meno dell’attuazione di fatto del dritto, non la presenza o meno deila necessità di tale attuazione. Il positivismo deve, per necessita di cose, far capo alla speculazione, per dimostrare il suo assunto; se non che, è appunto la speculazione che ne denunzia l’ille- gittimità, perchè, se il dritto positivo ed il dritto natu- rale sono termini semplicemente correlativi, il fatto ed il dritto, la forza bruta e la forza morale sono termini addirittura contradditori, tra i quali non vi è presunzione di coincidenza o di accordo che tenga. Portando poi la questione in altro campo, è bene por mente che, per tacciare di sterilità la idea ed il dritto e per predicare come sola forza viva delle cose il potere coattivo e materiale (ed il convinci- mento radicato di quella sterilità è il motivo psico- logico che persuade al positivismo il culto del potere coattivo) occorre aver dimenticato, o non aver co- nosciuto e compreso giammai, quanto la forza spi- rituale di talune idee universali, di alcune esigenze morali, di alcuni canoni giuridici sia stata superiore, nel corso della storia, alla forza materiale dei poteri dominanti e quanti trionfi sulla tenacità di resistenza dei tatti abbia ri portato tuttora la forza ideale del dritto. Le quali conferme di fatto la filosofia le accetta e le oppone sorte di agli avversari, senza, per altro, vincolare alla esse la sua, perchè (è bene ripeterlo) la forza ideale, la virtù imperativa del dritto è, per essa, in- dipendente dal successo di fatto o dall* osservanza 217 <ìgì soggetti. Il (lovorG g dovere, clie lo si adoni pia « no; e la violazione è un mero fatto che opera si elie 1’ idea non divenga un fatto, ma non sì che l’ idea cessi di essere idea. Doveehè il positivismo da questa confusione tra idea e fatto prende le mosse e questa confusione solleva a sistema. Suo assunto è il seguente: 1’ idea non è idea perchè non è un fatto : o altrimenti: l’ idea non esiste in quanto idea, perchè non esiste in quanto fatto. Il qual paradosso non può essere legittimato che da un sottinteso non meno paradossale: l’idea non esiste come idea, se non in quanto non è più idea. Se, adunque, il secreto tentativo di conferire a priori alla nuda forza materiale valore e contenuto ideale cade nell’ insuccesso, vien meno altresì quel- 1’ apparenza di legittimità, onde il positivismo si fa- ceva bello. La logica delle cose rimuove quella pre- tesa dialettica del dritto con la forza, denudando quest’ ultima di quell’ involucro spirituale nel quale si veniva dissimulando. Ed allora ai positivisti si pone un dilemma dal quale non vi è via di uscita: o riconoscere la legittimità della nozione del dovere e, quindi, rientrare nei termini della filosofìa del dritto naturale, o professare apertamente 1’ immora- lismo della forza (1). Perchè tra 1’ una cosa e 1’ altra (1) Ist clas Recht nur Recht, uutorschieden von Willkiihr mici Gewa.lt, wenn and soweit es eine dea Willen vcrjìjlichtcnde Kraft in sich triigt, so Htellt sichjeder; der von Recht spricht nnd Weiss was er sagt, auf dem ethischcn Stand]) nuli, aut doni Boden des Scimollenden. Alle naturalistischen nnd miterialisti- ficlien Doctrinen kdiìnen daher nur durch Iuconsequenz, dureli Urklarheit und Confusion oder durch sophistische Rrsclileichun-, gen vor der Identifìcirung von Recht und Gewalt siedi scliiit- ze n — Vìvici — Naturrecht S. 219. — 218 — non v’è via di mezzo che tenga; il contrapposto tra la physis ed il nomos, tra la necessità fìsica e la necessità morale, è irriducibile: chi non voglia as- sentire alla logica della seconda non può, ov 7 egli abbia mediocremente a cuore la coerenza filosòfica, rinunziare alla logica della prima. E, quando si con- fessi apertamente che il titolo che fonda la legittimi- tà esclusiva del diritto storico e positivo è laforza materiale dei poteri governanti, allora noi non avre- mo più alcunché da opporre e ci terremo paghi di darci per vinti. Il problema, allora, non è più da dibattere, nè da risolvere, perchè difetta quel consenti- mento in un prius della ricerca, che pure è necessario per sostenere una polemica qualsiasi. Il positivismo potrà, a buon dritto, millantare il privilegio che go- dono tutte le forme di scepsi assoluta, tutti i sistemi negativi, tutte le demolizioni dottrinali della verità e della natura: il privilegio di esser fuori della cri- tica, perchè si è fuori della coscienza umana. Se non che, di questa logica di sistema non tutti sono accorti; ne sono, anzi, ignari pressoché tutti. Ed è forse questa ignoranza il motivo della loro te- nacità. Essi usurpano, senza volerlo deliberatamente, le esigenze ed anche un po’ le soluzioni del dritto naturale, lieti che una materia presa d 7 altronde ri- sparmi ad essi la fatica ed il dolore di saggiare a londo la insostenibilità del loro assunto originario. Del resto questa apoteosi del dritto di fatto e del- la forza non è il sèguito di un proposito meditato e rigorosamente positivo, ma di una esigenza tutta/ negativa che domina i nostri positivisti. La esclusi- vità che essi appongono al dritto positivo, è la — 219 conseguenza della esclusione clic essi Inni fatto dian- zi di alcune forme storiche del dritto naturale; for- me storiche che essi hanno scambiato sul serio con la sostanza stessa del dritto naturale, in orna ir- gio a quel vecchio espediente solistico di fare un fascio della scienza e degli scienziati, della idea e delle applicazioni, dell’uso e dell’ abuso, del- la realtà oggettiva e della percezione soggettiva. E di sistemi o di concepimenti individuali o collettivi di dritto naturale ve ne ha parecchi e di diversa natura; onde la impresa d’ insinuare i propri criteri positivisti tra una critica e 1’ altra di questo o quel sistema sbagliato di dritto naturale sembra larga prò metti tri ce di successi. Se non che, alla prima analisi cui si sottoponga (e parlo di un’ analisi ele- mentarissima e superficiale) quel termine polisenso che è il diritto naturale , i successi del positivismo, come di ogni cosa che poggia sovra un equivoco, si dissipano d’ un tratto. V’ ha anzitutto una forma di dritto naturale, la quale, benché prenda le mosse dallo schematismo universale della natura umana e dalla premessa del- lo stato di natura, ha tuttavia carattere e tendenze originariamente empiriche e si presenta non già come una dottrina creativa di dritti o di esigen- ze morali in contrapposto al dritto positivo, ma piuttosto come una semplice astrazione ed ela- borazione concettuale del dritto storico vigente: e questa scuola procede dal secolo decimosettimo alla seconda metà del decimottavo (1). V’ ha, indi, una (1) Ciò è messo discretamente in luce dal Bergòohm risprudenz u Recktspkilosopkie 1 . S. 160-168. Ju- altra forma di dritto naturalo, quella ohe, per abu- sata terminologia si chiama diritto naturale (. Natur - rechi) per antonomasia, ed è il diritto naturale del- V AuJhUirung e della ragione, di cui è conosciuta la storia assai più, forse, che il carattere e V indole vera, che è razionalista nel metodo, subi etti vi sta nei criteri, antistorico nelle esigenze, umanitario nel con- tenuto; che e la scuola in cui il diritto nou è pi 11 astrazione o generalizzazione dell 7 esperienza storica, ma un lofjo della ragione creativa, e nel quale lo stato di natura è (almeno in quanto ha di meglio) meno una premessa di fatto storico, che una ipote- si razionale postulata a legittimare una data serie di obbligazioni giuridiche o la possibilità stessa di una obbligazione giuridica: che ha nel suo attivo e nel suo passivo, ad un tempo, la dottrina (atteg- giata in modo particolare) dei dritti delV uomo e la grande rivoluzione. V 7 ha, poi, il dritto naturale della filosofia perenne; che non è forma ma sostan- za delle forme; che è anteriore, per ordine di tem- po, così al Natur recht empirico come al Naturrecht razionalistico e che non è nè l’uno nè 1’ altro, ben- ché V uno e 1’ altro nella lor parte migliore si ap- prossimino ad esso ; che emerge dalle profondità della coscienza umana iu qualsiasi luogo ed in qualsiasi tempo e che la cultura greca speculò non meno che la cultura moderna; che non è patrimo- nio di questa o quella filosofìa personale, ma della tradizione storica ed impersonale della filosofia ; che non è contrario sistematicamente al criterio sto- rico, ma non lo è nemmeno al criterio speculativo; che rifiuta la ragione, come virtù creativa delle cose, 221 — ma la tieu salda come potenza conoscitiva dei rap- porti ideali e delle norme - imperative; che supera il subietti vismo assoluto dell’ AujMarung , ma non ne trae argomento a rinnegare le esigenze oggetti- ve della coscienza umana come tale ; che è illumi- nato da una concezione teleologica dell’universo e- della vita, ma non profana per questo il suo fina- lismo nelle aberrazioni del panteismo ottimista e del pietismo storico; che si rappresenta i dritti del- V uomo circoscritti dalla funzione correspettiva del dovere, ma non sconosce la sostanza ed il valore im- perativo dei dritti attinenti all’uomo come tale, anzi questi diritti rivendica tuttora e consacra. Ora è questo dritto naturale che, in nome della filosofia, si oppone oggi al positivismo, perchè è esso che segna il sostrato permanente delle forme stori- che particolari; e questo dritto naturale è così lungi dall’ essere posto a mal partito dalla critica che i positivisti oppongono a questa o a quella forma onde questo o quel filosofo, ovvero questa o quella scuola di filosofi lo ha concepito: che anzi taluna di quelle critiche se la potrebbe appropriare esso stesso, senza infirmare per questo il suo contenuto sostanziale. E dico a bella posta: taluna: perchè pa- recchie, la maggior parte, di quelle critiche, sono del tutto infondate. Quelle, in specie, che si dirigo- no al dritto naturale razionalisti co, ossia al dritto naturale , sono sì arbitrarie e, ad un tempo, sì pre- tensiose che si rende urgente il bisogno di rintuz- zarle in nome della sana e serena filosofìa. Di già quel dritto naturale non ha avuto ancora, nella lotta delle dottrine, quella piena giustizia, della quale i torti innegabili, ina pur sempre largamente compen- sati non gli scemano la legittima aspettazione. Da- gli avversari, che lo fraintendono o lo giudicano con criteri unilaterali, agli amici (cito tra questi lo Spencer del The nxan versus thè stette e della Jnstice ) che ne appropriano quello che esso ha di men buo- no, è tutta una gara ad abbuiarlo, a rimpicciolirlo, a deformarlo: alla quale non poca parte confermai suoi tempi, lo Stalli, per aver voluto, in omaggio alla sua dialettica possente, predicare della sostanza del dritto naturale le note e le categorie applicabili al solo panlogismo Hegeliano, che si traduce, a sua volta, in un sistema intrinsecamente realista e po- sitivista (1). È di moda, ad es., tacciarlo di astrazione con- cettuale, abusando del doppio senso della parola astrazione , e non si pensa che esso rappresenta pre- cisamente il contrapposto di ogni astrazione con- cettuale della realtà empirica, differenziandosi, ap- punto per questo , da quel dritto naturale che immediatamente lo precede. L’ astrazione non è punto un procedimento trascendentale e sovraem- pirico, come si crede comunemente: essa è, anzi, una delle tappe del processo induttivo. L’astrazione è, propriamente, un processo di semplificazione logica dei dati empirici, non un criterio conoscitivo che trascenda i dati stessi. Assumere la parola (1) Parrebbe averlo egli stesso confessato, là dove (Geschi- chte der Recbtsphilosopliie S. 161, 162) illustra lo aspetto em- pirico del haturrecht dichiarando apertamente che solo con 1 Hegel può dirsi « der ununterbrochene Faden logischer Forderung durchgefuhrt. » — 223 — « astrazione » nel senso di una « intuizione » sovra- eni pirica è assurdo: bisogna aver dimenticato così l’etimologia del vocabolo (ab -strabere) come fi ana- lisi del processo conoscitivo. L astrazione è la via traverso la quale si per- viene all’ universale logico: il quale universale logico è 1’ unico sforzo cogitativo che si possa consentire l’induttivismo e 1’ empirismo Se, adunque, astrazio- ne non significa che questo, non è arduo vedere quanto arbitraria sia la censura mossa al diritto naturale. La ragione del Naturrecht è così poco ra- gione astratta da una serie di concreti preconosciuti, che anzi essa è una creazione, una conoscenza ex novo ed intuitiva. Il diritto naturale è, nel fondo, ont elogisti co: ond’ esso ha per suo criterio l’intuito creativo della ragione, anziché l’esperienza del reale, fi analisi, la riflessione, 1’ astrazione. Il genus proximum dell’ uomo, ossia del soggetto dei dritti connaturati, è, ivi, meno un residuo dei- fi astrazione dalle differenze specifiche, ossia dalle varietà contiagibili e storiche, che una speculazione a priori e so vraem pirica delfi università reale della natura umana. E dico che è tale nella sua esigenza e nel suo interesse filosofico, senza punto giudicare se quella esigenza o quell’ interesse siano stati sem- pre e coerentemente soddisfatti. Ed è appunto dal- 1’ essere fi intuizione, fi Anschauung, il suo processo ed il suo criterio, che segue la sua virtualità, sarei per dire la sua impulsività etica. L’ astrazione è puramente logica; è negazione esplicita della vita, della forza, delfi attività, delfi ethos. Carattere del dritto naturale è, invece, la sua potenza attiva, la — 224 — sua forza suggestiva di riforme e creativa di rivol- gimenti: suo prodotto immediato è quella obsessione spirituale che investi V u mani ta, tiascinandola in quel salto dal pensiero all’azione, dalFideale al reale, dalla natura alla storia, vero salto nel buio, che fu la rivoluzione. V’ lia bensì l’astrazione concettuale anche nel dritto naturale: ma questa astrazione, an- ziché essere il prodotto d’ una esigenza sovra-empi- rica come si crede dai piu, è più presto la conse- guenza naturale di quella iuiìltrazioue empirica che vi si venne formando, allorché i suoi cultori, non contenti di aver annunziato una serie di principi e di averli speculati a priori , il che, metodicamente parlando, era perfettamente giusto, vollero fare un passo più oltre e costruire, per via di un'analisi concettuale di quei principi, la serie degli atteggia- menti concreti della vita giuridica. Per una simile costruzione logica miglior presidio non si offeriva ad essi che 1’ astrazione, ossia la semplificazione logica dei concreti ottenuti dall’ esperienza. L’intuizione non poteva servire alla bisogna, perche è proprio- deli 7 intuizione cogliere i rapporti ideali e 1’ univer- sale delle cose o, più brevemente, le idee, non i concreti od i fenomeni. Essi, adunque, travagliati da una esigenza empirica, fecero capo all’astrazione; e dal mondo reale e dalle condizioni sociali ed economi- co-politiche del tempo loro astrassero tutto un conte- nuto storico e particolare, il qual contenuto essi hanno predicato dell’ umanità intiera, jiervertendo,. così, in universale logico, l’universale reale e, nella indifferenza dialettica, 1’ unità della natura umana. E qui che la critica dello Stali! e degli altri acerbi rampognatoli coglie, senza dubbio, nel segno, ina non già perchè il dritto naturale sia caduto nelle spe- culazioni a priori della ragione, bensì perchè esso è caduto nel circuito dell 7 analisi e dell 7 empirismo, o, se l’astrazione si voglia assumere, per un momen- to, nel senso che le conferiscono i nostri avversari, non perchè essi abbiano astratto troppo, ma perchè anzi hanno astratto troppo poco. La natura traccia le linee fondamentali : i dettagli dell’ esecuzione li lascia alla stòria ed alla volontà positiva. Il vero dritto naturale ci dà una serie di criteri o di prin- cipi del dritto, i quali sono, bensì, un dritto, ma un dritto ideale e potenziale. Essi, quei criteri o quei principi, sono un prerequisito del dritto feno- menico, ma non sono ancora, propriamente parlando, un dritto fenomenico bello e dato; il qual dritto è la risultante complessa di condizioni empiriche, nel- le quali quei principi e quei criteri s 7 individuano ma non si consumano (1). (1) Questo principio è eflicacemente illustrato, uon senza per altro un po’ di formalismo, da A. Feuerbach « . . . . Das Reclitsgesetz, obgleìch durch sich selbst aUc/emcinf/ultig. kanu dennoch als blosses Vernini ftgesetz nicht allgemeingeltend wer- den. Soli es wirklioh herrsclien. . , . so muss dieses Reehtsge- setz aus dem Reicke dei* Vernunft in das Reich der Erfahrung, aus der intelligiblen Welfc in die Welt der Sinne hiniibergetra- geu. . . . werdeu. In dem Gesetze des Reehts erkenne idi nodi nicht dio Reclite selbst, in ihm habe ich nur das Princip und das Criterium ihrer Erkenntniss; dio Frage ; worin besteht das rechtliche uberhaupt; nicht aber die Frage: was Rechtens sei uuter diesel* oder jener Bedingung, in diesem odor jenem Vor- hiiltnisse. ...» Ueber Philosophie und Empirie in ihrem Ver- liiiltnisse zur positivon Rechtsvnssensckaft=Landshut 1801: p: 16 e segg. Petrone L’ esigenza empirica che deforma il dritto natu- rale sta appunto in questo, nel serbarsi infedele al suo assunto, nel sottoporre quello che dovrebbe es- sere una speculazione del dritto naturale a quella serie di condizioni alle quali è sottoposta la cono- scenza del dritto fenomenico, nel trasferire alla no- zione di quello le note che sono pertinenti alla no- zione di questo; di guisa che essi muovano come da un sottinteso: il presunto dritto naturale va trat- tato alla stregua del dritto fenomenico. Ad essi è mancata quella potenza o, forse meglio, quella tenacità di tensione intellettiva che era neces- saria per comprendere che il dritto naturale deve anzi tutto rimanere dritto naturale, e che il giudizio sulla esistenza di esso non deve essere sottoposto al re- golo o al criterio moderatore dei giudizi sull’ esi- stenza del dritto positivo. Anche qui, adunque, essi sono in colpa non già per aver voluto far troppo di dritto naturale, ma per averne fatto troppo poco; e chi ha meno dritto di rampognarli di ciò è il positi- vista. Ai principi del dritto naturale si potrebbe, a buon dritto, torcere quel rimprovero che fece Ari- stotele alle idee di Platone : essi, quei principi, sono ipostasi intellettive delle realità fenomeniche indivi- duali. Di qui 1’ aspetto malsano del dritto naturale : la realtà della storia contorta in un falso schematis- mo logico: quello che sarebbe dovuto essere storico relativo provvisorio, rifuso in una forma logica uni- versale e rappresentato come eterno, assoluto, im- mutabile: la storia, insomma, negata come storia e riaffermata come speculazione logica. Così, quel su- biettivismo, che era la realtà di fatto del tempo — 227 dell’ AujUiirung > si predica come natura dell’ uomo in tutti i tempi : alla proprietà ed al contratto si conferisce quel contenuto rigidamente individualistico che corrispondeva alle mire secrete del sistema eco- nomico che si veniva affermando in quell’ ambiente storico, del sistema capitalista (1) ; la nozione dei dritti connaturati alterata e deformata dalla miscela inconsulta di elementi positivi e di pretensioni e di attribuzioni acquisite. Gli si appone a colpa, altresì, la nozione dello stato di natura. Ma, se lo assumere uno stato primi- tivo della umanità governato da una legge spontanea di natura e non da una legge o da un sistema di leggi umane positive, se, dico, assumere questo stato di natura a rigore di fatto storico può essere ed è un abuso della mitologia, assumerlo, invece, come una ipotesi lìlosohca, è, fuori dubbio, un processo rigorosamente scientifico e fors’ anco metodicamente necessario. Ogni pensatore che voglia differenziare mediocremente il contenuto della vita sociale, che voglia sceverare quello che è permanente da quello che è transitorio, il substratum dai fenomeni, che voglia discernere nettamente quello che in una data associazione di persone va attribuito alla natura ori- ginaria di ciascuno dei membri da quello che vi si è venuto soprapponendo per la reciprocità d’ influsso dei membri tra* loro e per tutto il tessuto dell’ azione sociale, ogni pensatore, dico, che voglia fare tutto questo, deve porre lo stato di natura e contrapporgli (1) Cfr. il nostro libro « La terra nell’ odierna economia capitalistica (Roma 1893) p. 64-69. lo stato sociale sopra v vegnente, deve distinguere lim- pidamente l’uomo della natura dall’uomo della storia. È superfluo qui ricordare lo Spencer, il quale a questa astrazione dell’ uomo della natura dall’ uomo della storia (che per lui, naturalista reciso, si con- verte in un’ astrazione dell’ unità biologica dall’ unità sociale) ha reso omaggio non solo nelle opere ultime nelle quali egli restaura di professo il dritto naturale, ' ma anche nelle opere anteriori, le quali segnano il climax del suo pensiero filosòfico : il convincimento, anzi, della legittimità di una contrapposizione del- l’unità biologica alla unità storica, o, che per noi è lo stesso, della legittimità di una ipotesi dello stato di natura, è, forse, l’anello di congiunzione del suo novissimo dritto naturale con la sua sociologia ed in genere con tutta la sua filosofia sintetica, 1’ adden- tellato dell’ uno nell’ altra. Ricordo, poi, un illustre positi vista, come il Kirchmann, il quale ha esplicita- mente riconosciuto la necessità che le scienze morali, prive come sono del sussidio dell’esperimento, invo- chino 1’ ausilio di ipotesi scientifiche per sopperire a quel difetto, e, tra queste ipotesi, rivendica, di pro- posito deliberato, quella dello stato di natura (1). Non (1) Es.... ist die Wissenschaft der Sittlichen genothigt, nicht bloss aut die sifctlichen Zustande der rohen und attesten Volker mit besouderer Sorgfalt einzngehen, sondern sie muss noch hinter die àltesten gesehiclitliclien Zustande zuriiekgehen und durcli Hypothesen die einfachsten Zustande zu ermitteln suchen. Diese Hypothesen kdnuen in ein phautastisches und fur die Wissenschaft nutzloses Spiel ausarten : - allein mit Vorsicht geiibt, ersetzen sie das Hulfsmittel der Experimente in der Naturwissenschatt und sind nicht zu entbehren. Daher erklart es 8ich, das8 8chon Aristoteles und spdter die Begriinder des Natur- 1’ uso di questa ipotesi va, adunque, rimproverato al dritto naturale, ma l’ abuso : ossia non la ipotesi come ipotesi, ma la maniera particolare onde la si atteggia. Quanto poi all 7 altra nozione del contratto socia- le , che è quella che più si rimprovera al dritto naturale (e, tenuto conto delle conseguenze logiche di essa, a buon dritto) va notato che nei più gran- di cultori di quel dritto (cito ad es. il Kant) il con- tratto sociale non è già un fatto storico, ma una ipotesi razionale evocata a legittimare l’ordine giu- ridico dei rapporti umani, anziché a scuoterlo e corroderlo. La teoria del contratto sociale è la ri- sultante di due fattori : del sottinteso o presupposto contrattuale, secondo il quale unica fonte legittima di obbligazione autorevole è il consenso dello stes- so obbligato; e della esigenza, che animava i cul- tori del dritto naturale, a legittimare il vincolo o la serie dei vincoli sociali, anche quelli che non lasciavano trapelare o supporre la presenza di un consenso preesistente. Il contratto sociale è quel di là dell’esperienza attuale, quell’ assolutamente prius della storia, che sopperisce al difetto del consenso attuale , con l’allegare una specie di consenso abi- tuale , una Anerkenmmg , direbbe il Bierling, una mas- rechts nùt TJrzmtanden des Memchen beginnen , welche uber die Geschichte hinausreicheii. Der oft dagegen erhobene Tadel trifffc nicht das Verfahren an sich, sondern nur den damit getrie- benen Missbrauch. Es karrn desshalb auch hier dieses Mittel nicht uiibeimtzt bleiben: aber die Vorsieht gebietet, es auf das Nothwendige und Gewissere zu beschriinken. — Grimdbegrifte S. 119. — 230 — sima dell’assenso. Il contratto sociale esprime quindi la dialettica che il pensiero dei cultori del dritto naturale ebbe tentato tra la premessa logica del contrattualismo e le esigenze della conservazione sociale, tra la invincolabilità assoluta della libertà naturale, postulata come principio, ed il complesso- dei vincoli sociali, riconosciuti come fatto. Il che si deve al fatto , riconosciuto dallo stesso Stalli,, che essi, se per la logica, sarei per dire per la consequenziarità, del loro principio erano, o meglio avrebbero dovuto essere, rivoluzionari , nel fondo del loro pensiero e della tendenza loro erano, iu- vece, conservatori: senza dubbio degl’ ingenui con- servatori! (1). Ohe se si voglia porre a carico loro appunto il non aver compreso che il vero stato na- turale dell’ uomo è lo stato sociale, che non v’ ha bisogno di una ipotesi razionale quale che sia per legittimare vincoli sociali i quali si legittimano da sè, che si pensi, almeno, che il torto innegabile (1) Da» Naturrecht .... ist nachgiebig, wo es die Wirklich- keit gegen sich hat, es liisst sich jeden Zustand gefallen und sucht ihu dnrcli IJnterlegung einer stillschweigenden Einwilli- guug zu rechtfertigen, uni sein theoretisches Interesse zu be- friedigcn : die Revolution, dagegen, will die Macht der Wir- klichkeit brechen, sie vernichtet jede Einrichtung , die uicht aus ihreu reineu Vernunftbegriifen folgt. Ienes erdichtet fiir jede Verfassung, die Mensehen liiitten sie gewollt, darait es si© als frei denken kdnne, diese duldet keine Verfassung, die sie niclit gewollt, dainit sie wirklich frei seyen. — Gesch. d. R. phil. S. 290. Quest’ antitesi del dritto naturale alla rivoluzione è licondotta dallo Stalli ad una causa diversa che da noi. Ma ciò non conta: importa che quell’ antitesi sia stata riconosciu- to da quel profondo intelletto. — 231 — del dritto naturale va dovuto, in buona parte, alla difficoltà di discernere i vincoli sociali, che sono davvero conformi alle leggi della natura umana, da quegli altri vincoli clic non sono tali. L 7 errore loro, sarei per dire, è, in parte , un errore delle cose. Niente più naturale all’ uomo dello stato so- ciale e pure niente, ad un tempo, più violento di esso (antitesi questa che deve essere stata colta dal Manzoni, non ricordo più in qual punto delle sue opere): perchè lo stato sociale, accanto ad una serie di obbligazioni perfettamente legittime, perchè perfettamente naturali, reca pure con sè (è il suo lato debole come di ogui cosa di questo mondo) un cumulo di coercizioni arbitrarie, giacobine , irrazio- nali che la natura convellono, incatenano, deforma- no. Che meraviglia, dopo ciò, che il dritto naturale abbia colto questo secondo aspetto delle cose sol- tanto e niun conto abbia tenuto del primo, di gui- sa che si sia reputato in dovere di legittimare quello che non sembrava legittimo a prima giunta e di costruire con la volontà quello che non forni- va la natura °ì Nei fenomeni di questo nostro mondo, che non adempie in sè la perfezione e l 7 ideale, ma della perfezione del di là è soltanto un baleno, v’è tante e così aspre antitesi! ed è così facile invertire un solo dei termini dell 7 antitesi nella realtà tutta intiera ! Il dritto naturale può avere molti torti, ma que- sti sono compensati ad usura dal molto di buono che vi è dentro: da quella nozione di un dritto in- dipendente dalla sanzione positiva e superiore ad essa, che si attiene all’uomo in quanto uomo, che è — 232 patrimonio ind6Ì6bil6 della sna natura, quello ap- punto die costituisce il suo essere di uomo, la sua umanità. E V umanità-, ecco 1’ aspetto sano del di- ritto naturale; che in esso è, fórse un universale logico e formale, una formula del razionalismo del- V Aujklàrung, ma (die si deve ad esso se sia potuto divenire nella mente dei contemporanei e dei poste- ri un universale reale. Prima che esso ravvivasse il culto della personalità individuale, si vedeva questo o quelV uomo, in questo o quel ceto, in questa o quella condizione economica e sociale: grazie ad esso si vide Tuo ino. Esagerò il suo assunto e cadde nello individualismo: ma 1’ umanità gli deve saper grado di questo individualismo, se da esso ha potuto spri- gionarsi, con un processo di auto-correzione, la sana individualità, ossia la dignità umana. In questo il dritto naturale razionalistico si confonde col dritto naturale assoluto della filosofia tradizionale; ed è la espressione di quel dritto che ogni uomo possiede come la parte più sacra di se stesso, che 1’ uomo sente pria di conoscere ed aspira nell’atto stesso di conoscerlo, che non si sa se sia più un sentimento od un intuito, una idea od una volizione. Il dritto naturale rientra, allora, nei termini della dottrina cristiana, perchè il dritto dell’uomo è l’espressione della preziosità inestimabile dell’ umana persona re- denta da Cristo; e, come tale, è inoppugnabile,-e ri- marrà tale senza fallo, finche non declini la coscien- za morale dell’ umanità. ^è io saprei per qual modo il positivismo, il quale si è travagliato e si travaglia nella critica del dritto naturale, possa col labile sostegno dei suoi 233 angusti criteri oppugnarlo davvero. Un sistema die predica V esperienza, come criterio scientifico esclu- sivo, non lia altro argomento da opporci clic Questo: il vostro preteso dritto naturale 1’ esperienza non ce lo attesta; nessuno ci lia fatto toccar con mano la sua esistenza nel passato, o nel presente; si può metter pegno che nessuno ce ne farà toccar con mano V esistenza nel futuro: il vostro dritto natu- rale, adunque, non esiste. — Orbene questo argomento è cosi innocuo che esso non tocca nemmeno il drit- to naturale, nè i suoi cultori. I quali potranno ben rispondervi: sapevamcelo ! ma il nostro dritto natu- rale è quello che è, appunto perchè noìi è feno- menico, ossia oggetto di esperienza. Koi siamo si poco scossi dal vostro raziocinio che lo abbiamo prevenuto: il dritto naturale è, per noi, una idea e non necessariamente un fatto, un dover essere e non un essere, una necessità morale e non una cosa empiricamente esistente. Ohe il dritto naturale sia esistito o meno nelle condizioni dell’ esperienza e della storia, che sia stato attuato o individuato da 'questo o quel dritto positivo, a noi importa, a rigor di termini, poco; perchè il nostro quesito non è se esso esista o sia esistito davvero, ma se debba esistere: onde 1 inesi- stenza di fatto di esso non è argomento contrario alla nostra teoria, come non le sarebbe argomento favorevole la sua esistenza. Quando, in nome del criterio sperimentale, si esclude la nozione del diit- to naturale, si cade in una petizione di principio. Si dà per provato quello che si doveva appunto provare: che unico criterio conoscitivo della esistenza 234 — 0 n delle cose sia l’esperienza, o, meglio ancora, che non vi sia altra forma di esistenza che la esistenza empirica. Ed in questa petizione di principio si risolve tutta la critica esercitata dal positivismo sul dritto naturale. Gli studi di filosofìa del dritto del Wallaschek e più di tutto il libro recentissimo del Bergbolim, nel quale è condotto un esame molto accurato del drit*- to naturale (1), sono piene di argomentazioni sup- pergiù del contenuto e del valore della seguente, tormolata dal primo di quegli scrittori: Ausser dem bestehenden Rechi gìebt es Icein anderes Recht , demi es ist ein Widerspnich , anzunelimen , dass, ausser dem bestehenden Recht, nodi ein Rcclit bestelit , das nicht bestelit (2). É chiaro che un simile modo di ragionare è il portato logico della ideologia positi- vista, come è chiaro che ivi si confondono malac- cortamente duo cose, che vanno divise o distinte, o, almeno, sulla diversità o pluralità delle quali vol- geva appuntò il quesito. L’ esistenza empirica delle cose va distinta dalla esistenza metafìsica delle cose stesse. Ora è appunto a questa esistenza metafisica che fanno accenno i rivendicatori del dritto naturale. Ai quali inopportunamente si fa rimprovero di as- surdo paradossale, con una proposizione sofìstica di- quel genere, dove il verbo essere vien preso in un membro in un senso e nell’altro in un altro. Line andere ivichtige Frage bleibt ja immer , ob das Recht, das bestelit , aneli bestehen solite , aber der Bcgrijj des Rechtes, das sein soli, darf nicht ver- (1) Op. cit. (2) Op. cifc. S. 96. wechselt werden mit dem , das thatsàchlich vorhanden ist, und nur dieses letztere ist Recht , das erstere soli es sein (1). Ma, di grazia, quando mai il dritto na- turale ha preteso di affermare la sua esistenza em- pirica di fatto , ossia la sua esistenza di diritto positivo? Esso ha sempre preteso di essere quello che è, e quando ha detto: io sono: intendeva dire, non già: io esisto davvero: ma: io debbo esistere. L’ essere del dritto naturale è precisamente il dover essere: il dritto naturale' è una norma ed è come norma, cioè a dire come dover essere. Che non sia punto un fatto, il primo ad esserne persuaso è esso stesso. Appunto perchè non esiste necessariamente nelle leggi positive, esso rivendica il suo dritto di esistere. Ed in questo dritto ad esistere, non già nell’ esistere davvero è riposto il suo essere. È ve- ramente deplorabile che questi principi così elemen- tari debbano essere ribaditi quando pareva che nes- suno potesse dubitarne! L’ empirismo è così scarso di prove contro il dritto naturale, ch’esso non può neanche fermare assolutamente che quel dritto non sia possibile nelle stesse condizioni future dell’ esperienza. Vale a dire, esso non solo non ha autorità di asserire che il dritto naturale non sia . ovvero non debba esistere , ma non ne ha nemmeno per assicurare che esso non possa esistere. Perchè il possibile ed il futuro ecce- de il potere dell’ esperienza, la quale è limitata al passato ed al presente; il poter essere o il sarà sono quasi così lungi dal poter essere affermati e negati dal positivismo che aspiri ad essere logico, quanto — 236 — lo è il dover essere (1). Esclusa, così, la possibili- tà di uno di quei richiami al futuro che sono tra i ripieghi prediletti dell’ empirismo, toltogli il modo di dettar legge alla storia, ad esso non resta che contenere le sue negazioni nella sfera del presente. Allora la scepsi che esso esercita sul dritto natu- rale va formolata nella tesi seguente: il dritto na- turale non esiste come dritto naturale, perchè non esiste come dritto positivo : una tesi sbalordi toia che presuppone, in chi la . sostiene, il difetto asso- luto della più elementare analisi ideologica e che segna, mi si lasci dire la parola, la vera bancarotta del positivismo giuridico. (1) Stammler. S. 37.
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