Grice e Nannini: l’implicature conversazionali dei corpi
animati – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo italiano. Grice: “Nannini has intuitions in Italian.” Grice: “I agree with Nannini about the naturalism: the ‘anima’ is
there to ‘explain’ ‘spiegare’ the action, ‘l’azione’ – He is the Italian
Muybridge!” – Grice: “The Nannini series is the equivalent of the Muybridge
series” Studia a Firenze con Luporini e Landucci e, inizialmente, con Cesare Luporini.
Ha accompagnato la sua attività di ricerca in campo filosofico ed i suoi
impegni accademici con una intensa attività politica a Siena come militante del
Partito Comunista Italiano. È stato Professore di Filosofia Morale all'Urbino e
di Filosofia Teoretica all’Università Siena, dove ha insegnato per alcuni anni
anche filosofia della mente ed è stato principale cofondatore e direttore di
una scuola di dottorato interdisciplinare in Scienze Cognitive. È stato inoltre
più volte, visiting professor presso le Osnabrück, North London, Bremen e
Oldenburg. Attualmente in pensione, è ancora pro tempore Docente Senior presso
l’Siena e dal è direttore di Rivista
Internazionale di Filosofia e Psicologia. I suoi studi giovanili si sono
incentrati sulla filosofia delle scienze sociali, lo strutturalismo francese e
la storia del pensiero antropologico. Successivamente, rivoltosi alla filosofia
analitica ed in particolare alla teoria dell’azione, ha cercato di sviluppare
il “naturalismo metodologico” criticando il ritorno di neo-wittgesteiniani come
Wright alla distinzione storicistica tra scienze della natura e scienze dello
spirito. Sempre muovendosi entro la filosofia analitica, ma rivolgendo il
proprio interesse alla filosofia pratica, ha difeso il non cognitivismo in
meta-etica. A partire dagli anni Novanta Professoresi è infine spostato dalla
teoria dell’azione alla filosofia della mente. In una prima fase si è occupato soprattutto
della storia del concetto di mente, per approdare ad una forma di naturalismo
cognitivo basata su una soluzione fisicalistico-eliminativistica del problema
mente-corpo. Saggi: “Il pensiero simbolico” (Bologna, Il Mulino); “Cause
e ragioni” -- Modelli di spiegazione delle azioni” umane nella filosofia
analitica” (Roma, Riuniti); “Il Fanatico e l'Arcangelo” -- Saggi di filosofia
analitica pratica, Siena, Protagon. “L'anima e il corpo” -- Una introduzione storica alla filosofia dell’animo,
Roma, Laterza; “Naturalismo” cognitivo: Per una “teoria materialistica” dell’animo,
Macerata, Quodlibet, “La Nottola di Minerva” -- Storie e dialoghi fantastici
sulla filosofia dell’animo” (Milano, Mimesis);“Educazione, individuo e società”
Torino, Loescher ), L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena),
SeB Editori. Saggi, Freud e l'antropologia, in La Cultura. Rivista di
Filosofia, Letteratura e Storia, “ Il materialismo “primario”, in, Il pensiero
di Luporini” ( Milano, Feltrinelli); “L'anomalia dell’animo «Rivista di filosofia»,
Corpi animati, nel dibattito contemporaneo, in
L’animo, Milano, Mondadori, I corpi animati e e società nel naturalismo
forte, nella Civiltà delle Macchine», Realismo scientifico e ontologia materialistica,
in «Giornale di metafisica», Nicolaci
G., Perone U., Ontologia e metafisica, Il concetto di verità in una prospettiva
naturalistica, in Amoretti, Marsonet, Conoscenza e verità” (Milano, Giuffré); “L’Io
come Direttore Assente” (in Cardella V., Bruni D., Cervello, linguaggio,
società: Atti del Convegno di Scienze Cognitive, Roma, CORISCO, Orologi, animo e
cervello: Riflessioni preliminari su tempo reale e tempo fenomenico tra fisica
teorica e filosofia dell’animo, in Amoretti, Natura umana, natura artificiale”
(Milano, Angeli); Rappresentazioni naturalizzate, in «Sistemi intelligenti», Kant
e le scienze cognitive sulla natura dell’Io, in Amoroso L., Ferrarin A., La
Rocca C., Critica della ragione e forme dell'esperienza’ (Pisa, Edizioni ETS); Realismo
scientifico e naturalismo cognitivo, La coscienza può essere naturalizzata?, in
Nannini S., Zeppi A., L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena),
SeB Editori, In-conscio, co-scienza e
intenzioni nel naturalismo cognitivo, in «Sistemi intelligenti», La svolta
cognitiva in filosofia, in «Reti, saperi, linguaggi: Naturalismo cognitivo: Per
una teoria materialistica dell’animo, Quodlibet, Sandro Nannini, La Nottola di Minerva: Storie
e dialoghi fantastici sulla filosofia dell’animo, Mimesis. Nannini. Keywords:
corpi animati, l’interazione dei corpi animati, l’ego come direttore assente,
freud e il nos come dirretori assenti --. Luigi Speranza: “Grice e Nannini: il
santo, l’eroe, il fanatico, l’arcangelo” – The Swimming-Pool Library. Nannini.
Grice e Nardi: l’implicatura conversazionale d’Alighieri
-- dantesco – Alighieri -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Spianate). Filosofo italiano. Grice: “The Italians
are fortunate: with Alighieri they can philosophise about him!” Primogenito di una famiglia
benestante, composta di nove figli, viene avviato sin dalla tenera età alla
carriera ecclesiastica. Entra nel collegio dei frati francescani a Buggiano e diventa
chierico, assumendo il nome di frate Angelo. Usce dal convento di Buggiano
perché non aveva intenzione di continuare nella vita religiosa, avendone
perduta la vocazione. Proseguì gli studi di filosofia e teologia frequentando
il convento di Sant'Agostino di Nicosia in provincia di Pisa. Volendo proseguire
gli studi, i genitori gli indicarono un'unica strada, quella di entrare in
seminario e diventare prete. Venne ammesso al seminario di Pescia e diventò
sacerdote. Qui si avvicinò fugacemente al movimento Modernista, condannato da
papa Pio X con l'Enciclica Pascendi. Nel 1908 Nardi sostenne l'esame di
concorso per una borsa di studio triennale conferita dall'opera Pia Galeotti di
Pescia al fine di frequentare un corso di perfezionamento filosofico presso
l'Università Cattolica di Lovanio (Belgio). Nel 1909 Nardi aveva da poco
iniziato a frequentare l'Università Cattolica di Lovanio che già decise
l'argomento della sua tesi di laurea Sigieri di Brabante nella Divina Commedia
e le fonti della filosofia di Dante, che venne discussa con Wulf. La lettura
dell'opera di Pierre Mandonnet, nella parte dedicata a Sigieri, non persuadeva
N. sulla soluzione data al problema della presenza di questo averroista nel
Paradiso dantesco. Due pregiudizi la inficiavano: il primo “consisteva in
un'inesatta visione storica di quello che nel Medio Evo e nel Rinascimento era
stato l'averroismo. Il secondo pregiudizio del Mandonnet era quello di ritenere
il pensiero filosofico di Dante conforme in tutto e per tutto a quello d’AQUINO."
Nel momento in cui N. Entra a Lovanio abbandonò il modernismo teologico, ma non
abbracciò la filosofia neo-scolastica che quella Università belga stava
elaborando. Non aveva senso per lui ripetere, sul finire dell'Ottocento,
nell'epoca del positivismo, l'operazione culturale d’AQUINO che prevedeva
l'unificazione di fede e ragione. Il metodo di lavoro che Nardi seguì nel
corso della sua vicenda di studioso e ricercatore, rimase sempre improntato al
massimo rigore filosofico, risentendo come una traccia indelebile
dell'esperienza di Lovanio, dove dovette affrontare studi scientifici. Per
Nardi l'interpretazione del testo coincide con la libertà, ma tale atto libero
non può attivarsi senza uno scrupoloso lavoro di scavo e ricerca del materiale
documentario, l'esatta interpretazione filosofica dei testi. Ottenuta
un'ulteriore borsa di studio dall'Opera Pia di Pescia frequenta corsi di
filosofia a Vienna, Berlino, Bonn. Oltre alla pubblicazione della propria tesi
su Sigieri nella “Rivista di filosofia neo-scolastica”, N. vi pubblica altri
interventi spesso critici con la linea editoriale del periodico. scritto ai
corsi dell'Istituto di Studi Superiori di Firenze perché voleva riconoscere in
Italia la sua laurea in filosofia conseguita a Lovanio. A Firenze discuterà la
tesi di laurea in filosofia dedicata alla figura del medico e filosofo padovano
Abano. Collabora alla “Voce”, rivista fondata da Prezzolini con il quale
mantenne per lunghi anni una fitta corrispondenza. N. volle abbandonare il
sacerdozio. In una successiva lettera
indirizzata al vescovo Angelo Simonetti, spiegava che era stato
l'ambiente familiare a spingerlo a chiedere la sacra ordinazione, con preghiere
e minacce. Di trasferì a Mantova per insegnare filosofia presso il liceo
classico Virgilio, dove vi restò fino al quando si trasferì a Milano. Ha da
Giovanni Gentile un incarico per l'insegnamento della filosofia medievale
presso la facoltà di lettere dell'Roma. Tuttavia non ottenne la cattedra
universitaria (se non dopo molti anni), a causa dell'art. 5 del Concordato in
base al quale la curia romana escludeva i sacerdoti secolarizzati
dall’insegnamento. Gli fu assegnata la “Penna D’Oro” dal presidente del
Consiglio Tambroni. Gli fu conferita la laurea honoris causa da parte
dell’Padova e da parte di quella di Oxford. Le opere e gli studi su
Alighieri si è dedicato instancabilmente per di più in mezzo secolo allo studio
del pensiero di Dante, anche quando si occupava di Virgilio, di Sigieri di
Brabante, di Pomponazzi. Nardi ha saputo mettere in discussione schemi
consolidati, ha aperto strade nuove, ha formulato proposte inedite che ci
permettono di avere una più esatta comprensione dei testi danteschi. Una
costante di Nardi è di aver conservato sempre una propria autonomia, se non un
vero e proprio distacco, rispetto agli ambienti culturali in cui si era
trovato ad agire, fossero Lovanio, Firenze o Roma. Il coraggio con cui seppe
polemicamente ribaltare tesi consolidate negli ambienti accademici, gli
fruttarono ingiustamente isolamento e non adeguata considerazione rispetto alle
sue acquisizioni veramente anticipatrici. Basti pensare alle sue tesi sull'averroismo
latino, all'importanza data alla figura di Avicenna, di Alberto Magno, al
rifiuto del preteso tomismo di Dante. E se di Gentile parlava come di un
"vero e grande maestro", dandogli ragione nella sua polemica con il
De Wulf (relatore della sua tesi a Lovanio), Nardi pur tuttavia non aderirà al
Neoidealismo, ma vi trarrà soltanto spunti e stimoli per le sue ricerche.
L'incontro con Dante costituisce per N. l'episodio decisivo della sua vita
intellettuale e morale. Scriverà nel 1956: "in Dante trovai il vero e
primo maestro, quello a cui debbo la maggior gratitudine". Il senso della
sua ricerca è stato interrogare il "miracolo" della Divina Commedia,
questo "singolare poema sbocciato all'improvviso contro tutte le buone
regole dell'arte e del dittare". Secondo N. nella commedia è custodita la
Verità, che si è manifestata ad un poeta ispirato da una profetica visione. La
lunga fatica del Nardi è giunta a concludere che la filosofia di Dante non si
riduce a nessun sistema codificato; è una sintesi complessa tendente a superare
le antinomie e che mantiene intera la sua spiccata originalità, il suo
personalissimo pensiero. Per arrivare a coglierlo occorre da una parte
ristabilire il preciso significato delle parole in rapporto alla terminologia
filosofica e scientifica del Medioevo, e ricostruire dall'altra l'ambiente
culturale e l'atmosfera spirituale nelle quali Dante si muoveva per arrivare a
determinare la fonte, il libro letto da Dante. N. ha gettato luce su
molti elementi e suggestioni che Dante derivava dalla filosofia araba e
neoplatonica. Essenziali per comprendere Dante sono Alberto Magno e Sigieri più
di Tommaso; così come il neoplatonismo e la cultura araba più dello
scolasticismo aristotelico. A N. interessava particolarmente affrontare il tema
della "visione dantesca", esperienza profetica che seppe tradurre
come nessun altro nel linguaggio della Divina Commedia. La visione di Dante non
è finzione letteraria, è rivelazione reale dell'aldilà, concessa da Dio in
virtù di un supremo privilegio. Dante visse il rapimento mistico ed estatico al
terzo cielo come esperienza reale. Dante credette di essere sceso veramente
nell'Inferno, salito veramente al Purgatorio e al Paradiso. Per N. la Commedia
si distacca dagli altri scritti di Dante, perché ne è il loro compimento. Tale
culmine si realizza attraverso un'esperienza eccezionale, di origine
mistico-religiosa a lui soltanto riservata, una rivelazione che ha il potere di
trasformare e rendere nuove tutte le altre opere precedenti. L'opera dantesca,
secondo Nardi, si deve suddividere in tre fasi: la prima fase, che termina a
venticinque anni, è sotto l'influsso di Guinizzelli, assente del tutto la
filosofia. La seconda fase, quella filosofico-politico, coincide con le rime
allegoriche, il Convivio, il De vulgari eloquentia e la Monarchia. La terza
fase, quella della poesia profetica, coincide con la Divina Commedia, poema che
segna il ritorno all'unità della filosofia cristiana. Dante vi compare come
profeta che deve annunciare al mondo l'avvento di un inviato di Dio per la
redenzione umana. La Commedia è "poema sacro", la sua è poesia
religiosa. Nardi vede in questa terza fase finalmente riconciliarsi la speranza
cristiana spezzatasi con l'aristotelismo e l'avverroismo. Per Nardi l'aristotelismo
è inconciliabile con il cristianesimo, e il tomismo pertanto è "il più
strano paradosso del pensiero umano". La Commedia testimonia della
riunificazione della filosofia con la rivelazione di Dio. Dante visse una
visione profetica, esperienza che mancò ad Aristotele. L’'Accademia dei
Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per la Filosofia. Saggi: “Flosofia dantesca” (Bari, Laterza) – ALIGHERI
-- ; “Critica dantesca” (Milano, Ricciardi); “Filosofia dantesca” (di
Alighieri) (Firenze, Nuova Italia); “La filosofia medievale” (Roma, Ed. di storia
e letteratura); “Alighieri” (Roma, Laterza). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,."Giornale
Critico della Filosofia Italiana",
Premi Feltrinelli, su lincei, Medioevo e Rinascimento,” Firenze, Sansoni, Alberto
Asor Rosa, Dizionario della letteratura italiana del Novecento, ad vocem
Sigieri di Brabante e Alessandro Achillini, Di un nuovo commento alla canzone
del Cavalcanti sull'amore, “Cultura neo-latina”, Noterella poetica
sull'averroismo di Cavalcanti, Rassegna filosofica, Sigieri di Brabante e le
fonti della filosofia di Alighieri, in “Rivista di filosofia neoclassica” Sigieri
di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Alighieri,
Spianate, La teoria dell'anima o animo e la generazione delle forme secondo
Pietro d'Abano, “Rivista di filosofia neoscolastica”, Vittorino da Feltre al
paese natale di Virgilio, in “Atti del IV Congresso nazionale di Studi Romani”,
Roma, Lyhomo (note al “Baldus” di T. Folengo), “Giornale critico della
filosofia italiana”, “Nel mondo di Alighieri” (Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma); “Sigieri di Brabante nel pensiero del rinascimento
italiano” (Edizioni italiane, Roma); “Alighieri profeta, in Dante e la cultura
medioevale; “Saggi di filosofia dantesca” (Bari, Laterza); “La mistica averroistica
e Pico”; “L' aristotelismo padovano (Firenze, Sansoni) – i lizii -- già edita
in “Archivio di filosofia, Umanesimo e Machiavellismo”, Padova); “Il
naturalismo del Rinascimento, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, Roma, Universitarie; “L'alessandrinismo nel
Rinascimento, Corso di Storia della filosofia. Anno accademico, I. Borzi e C. R. Crotti, Roma, “La Goliardica”
La fine dell'averroismo, Gli scritti di Pomponazzi. “Giornale critico della
filosofia italiana”, Le opere inedite di Pomponazzi. Il fragmento marciano del
commento al “De Anima” e il maestro di Pomponazzi, Trapolino, Il problema della
verità, soggetto e oggetto dell'conoscere nella filosofia antica e medioevale”
(Universale di Roma, Roma); “La crisi del Rinascimento e il dubbio cartesiano,
Corso di storia della filosofia T. Gregory, “La Goliardica” Il commento di
Simplicio al “De Anima” Archivio di filosofia”, Padova, La miscredenza e il
carattere morale di Vernia, Giornale critico della filosofia italiana, Le opere
inedite di Pomponazzi, “Giornale critico della filosofia italiana” Le
meditazioni di Cartesio, Lezioni di storia della filosofia. “La Goliardica”,
Roma, Pomponazzi e la cicogna dell'intelletto, “Giornale critico della
filosofia italiana” Il dualismo cartesiano, Corso di storia della filosofia. T.
Gregory, “La Goliardica”, Roma, Il dualismo cartesiano degl’occasionalisti a
Leibniz, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, “La Goliardica”, Roma, Ancora
qualche notizia e aneddoto su Vernia, Giornale critico della filosofia
italiana, Marcantonio e Zimara: due filosofi galatinesi, “Archivio storico Pugliese” Un'importante
notizia su scritti di Sigieri a Bologna e a Padova alla fine del sec. XV,
“Giornale critico della filosofia italiana”, Contributo alla biografia di
Feltre, “Bollettino del Museo civico di Padova”, Letteratura e cultura del
Quattrocento, in “La civiltà veneziana del Quattrocento” (Firenze, Sansoni); “Appunti
intorno a Trapolin, In Miscellanea” (Edizioni di Storia e letteratura, Roma);
“Copernico studente a Padova”; “Studi e problemi di critica testuale. Convegno
di studi di filologia italiana nel centenario della Commissione per i Testi di
Lingua, Bologna, L'aristotelismo della Scolastica e i Francescani, in Studi di
Filosofia Medioevale” (Storia e letteratura, Roma); “Pomponazzi e la teoria di
Avicenna intorno alla generazione spontanea dell'uomo” (Mantuanitas vergilana –
(Ateneo, Roma); La scuola di Rialto e l'Umanesimo veneziano, in Umanesimo
Europeo e Umanesimo veneziano” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pomponazzi” (Monnier,
Firenze); “I lizii di Padova” (Monnier, Firenze); “Corsi manoscritti di lezioni
e ritratto di Pomponazzi, in Atti del VI Convegno internazionale di studi sul
Rinascimento” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pietro Pomponazzi” (Monnier,
Firenze); “Saggi e note di critica dantesca, Ricciardi, Filosofia e teologia ai
tempi di Alighieri in rapporto al pensiero del poeta, in Saggi e note di
critica dantesca” (Ricciardi, Milano); “Saggi e note sulla cultura veneta del
Quattro e Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova); “Saggi sulla cultura
veneta del Quattro e del Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova, Divina
Commedia, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia dantesca,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un profilo biografico, Consulenza
scientifica Società Dantesca Italiana. Bruno Nardi. Nardi. Keywords: dantesco,
Alighieri, animo, Pomponazzi, Virgilio, Enea, inferno, il concetto d’animo, la
filosofia romana nel secolo d’augusto – il secolo d’oro della filosofia romana
– il secolo augusteo, pico, abano. Refs.: H. P. Grice, “Lasciate ogni speranza
voi ch’entrate,” The Swimming-Pool Library. – Luigi Speranza, “Grice e Nardi:
il paradiso filosofico” --.
Grice e Nasta: la setta di Caulonia -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Caulonia). Filosofo
italiano. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide, “Vita di Pitagora.”
Grice: “Cicerone argues: Nasta spoke Greek; therefore, he was no Roman!” – Nasta.
Grice e Natoli: l’implicatura conversazionale
dell’uomo tragico – origini dell’antropologia romana -- filosofia siciliana – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Patti).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Natoli. He philosophises on the ‘uomo tragico’ at the source of western
civilisation, and also the experience of ‘pain’ at the source of it.” Si laurea a Milano, dove ha trascorso gli anni nel Collegio
Augustinianum. Insegna a Venezia e Filosofia della politica alla Facoltà di
Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano. Attualmente è Professore
di Filosofia teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione
dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Attività accademica In
particolare, Salvatore Natoli è il propugnatore di un'etica neopagana che,
riprendendo elementi del pensiero greco (in particolare, il senso del tragico),
riesca a fondare una felicità terrena, nella consapevolezza dei limiti
dell'uomo e del suo essere necessariamente un ente finito, in contrapposizione
con la tradizione cristiana. Filosofia del dolore Una particolare e
approfondita analisi sul tema del dolore è stata condotta da Natoli in diverse
sue opere. Il dolore è parte essenziale della vita e per gli antichi
filosofi greci era l'altra faccia della felicità: «I greci si sentono
parte e momento della più grande e generale natura, crudele e insieme divina,
si sentono momento di quest'eterno e irrefrenabile fluire, ove non vi è
differenza tra bene e male allo stesso modo in cui il dolore si volge nella
gioia e la gioia nel dolore» La natura infatti dava la vita e nello
stesso tempo crudelmente la toglieva. Il dolore in realtà fa parte della vita
ma non la nega: il dolore può essere vissuto e reso sopportabile se chi soffre
percepisce non la pietà dell'altro ma che la sua sofferenza è importante per
chi entra in rapporto con lui e con la sua sofferenza. Se chi soffre si sente
importante per qualcuno, anche se soffre ha motivo di vivere. Se non è importante
per nessuno può lasciarsi prendere dalla morte. Secondo Natoli
l'esperienza del dolore ha due aspetti: uno oggettivo, il danno («Nel momento
in cui la sofferenza è motivata attraverso la colpa, colui che soffre non solo
patisce il danno, ma ne diviene anche il responsabile»); e uno soggettivo, cioè
come viene vissuta e motivata la sofferenza. La stessa sofferenza è
interpretata in modo differente da diverse culture: per alcune il dolore fa
parte della contingenza del mondo fenomenico, dell'apparenza per altre invece,
è vissuto intensamente come ad esempio nel cristianesimo dove al dolore viene
associata la redenzione. Vi è una circolarità tra il dolore e il senso che fa
sì che, pur essendo il dolore universale, ad ognuno appartenga un dolore diverso.
Vi è dunque un senso del dolore e un non senso che il dolore causa. Il dolore
infatti contraddice la ragione che non sa darsi spiegazione del perché il
dolore abbia colpito proprio quell'individuo e per quali colpe quello abbia
commesso e, infine, perché il dolore travagli il mondo. Il tentativo di
rispondere a queste fondamentali domande fa sì che l'individuo scopra nuove
forze in lui che generino un vittorioso uomo nuovo che, partendo
dall'esperienza del dolore, s'interroghi sul senso dell'esistere, tenendo
sempre presente però, che il dolore può segnare anche una definitiva
sconfitta. Nel dolore l'uomo può scoprire le sue possibilità di crescita
ma questo non vuol dire disprezzare il piacere, sostenendo che questo, invece,
ottunde gli animi. Il piacere invece affina la sensibilità come accade per chi
ascolta frequentemente una buona musica. Il piacere invece è negativo quando
diventa «monomaniaco, eccessivo, quando, anziché sviluppare la sensibilità, la
fossilizza in un punto di eccessiva stimolazione. E l'eccessivo stimolo
distrugge l'organo.» A differenza del piacere, dell'amore che è dialogo tra
due, che è espansivo e affabulatorio anche quando è silenzioso, l'esperienza
del dolore chiude il singolo nella sua individualità e incomunicabilità, poiché
«il corpo sano sente il mondo, il corpo malato sente il corpo. E quindi il
corpo diventa una barriera tra il proprio desiderio, l'universo delle
possibilità, e la realizzabilità delle medesime possibilità.» Sebbene il
dolore sia "insensato" si cerca di spiegarlo con le parole spesso
inutili ed allora si cerca dapprima la parola "efficace" che offre la
tecnica o la parola "efficace" della preghiera, della fede, che non
annulla il dolore, ma dà una speranza nel miracolo. L'efficace uso della parola
per spiegare il dolore fa sì che gli uomini trovino conforto nella comune
sofferenza, in quella universalità del dolore dove però ognuno rimane nella sua
singolarità di senso. La parola efficace della tecnica per un verso ha
alleviato il dolore ma per un altro può creare delle condizioni di vita
tali per cui la stessa tecnica controlla il dolore senza togliere la malattia,
creando così un'esistenza prolungata senza futuro sotto la continua incombenza
della morte: «A partire dal Settecento, ma ancor più nel corso
dell’Ottocento, la tecnica è stata sempre di più associata alle filosofie del
progresso: infatti ha emancipato gli uomini dai vincoli naturali, ha ridotto il
peso della fatica, ha attenuato il dolore, ha accresciuto il benessere, ha
conteso lo spazio alla morte differendola sempre di più… ma la tecnica, oggi, è
nelle condizioni di interferire in modo profondo nei processi naturali
modificandone i cicli…» Una soluzione all'inevitabilità del dolore può
essere l'adesione a un nuovo paganesimo secondo l'antica visione greca
dell'accettazione dell'esistenza del finito e della morte dell'uomo. «Il
cristianesimo ha alterato l'anima pagana. Nel momento in cui il sogno di un
mondo senza dolore è apparso, non ci si adatta più a questo dolore anche se si
crede che un mondo senza dolore non esisterà mai. La coscienza è stata visitata
da un sogno che non si cancella più, e anche se lo crede inverosimile tuttavia
vuole che ci sia.» Anche il cristianesimo infatti teorizza l'uomo finito,
ma non essere naturale destinato alla morte, ma come creatura di Dio. Per il
cristiano la vita finita condotta secondo il dovere porta all'accettazione
della morte come passaggio a Dio. Per il neopaganesimo la vita finita è degna
di essere vissuta senza speranza di infinitezza ma vivendola secondo un ethos,
che non è dovere di obbedire a un comando morale con la speranza di un premio
eterno, ma buona e spontanea abitudine di una condotta consapevole
dell'universale fragilità umana. Saggi: “Soggetto e fondamento” -- studi
su Aristotele e Cartesio (Padova, Antenore); “La critica del linguaggio”
(Venezia, Marsilio); “Ermeneutica e genealogia -- filosofia e metodo” (Milano,
Feltrinelli); “L'esperienza del dolore -- le forme del patire” (Milano, Feltrinelli);
“Gentile” (Torino, Boringhieri); “Vita buona vita felice -- scritti di etica e
politica” (Milano, Feltrinelli); “Teatro filosofico -- gli scenari del sapere
tra linguaggio e storia” (Milano, Feltrinelli); “L'incessante meraviglia -- filosofia,
espressione, verità” (Milano, Lanfranchi); “La felicità -- saggio di teoria
degli affetti” (Milano, Feltrinelli); “I nuovi pagani” (Milano, Saggiatore); “Dizionario
dei vizi e delle virtù” (Milano, Feltrinelli); “La politica e il dolore” (Roma,
EL); “Soggetto e fondamento. Il sapere dell'origine e la scientificità della
filosofia” (Milano, Mondadori); “Delle cose ultime e penultime” (Milano, Mondadori);
“Natura, poesia, filosofia” (Milano, Mondadori); “Progresso e catastrophe -- dinamiche
della modernità” (Milano, Marinotti); “Dio e il divino” (Brescia, Morcelliana);
“La politica e la virtù” (Roma, Lavoro); “La felicità di questa vita -- esperienza
del mondo e stagioni dell'esistenza” (Milano, Mondadori); “L'attimo fuggente o
della felicità” (Roma, Edup); “Stare al mondo -- escursioni nel tempo presente”
(Milano, Feltrinelli); “Il cristianesimo di un non credente” (Magnano,
Qiqajon); “Libertà e destino nella tragedia” (Brescia, Morcelliana); “Stare al
mondo -- escursioni nel tempo presente” (Milano, Feltrinelli); “Parole della
filosofia o dell’arte di meditare” (Milano, Feltrinelli); “La verità in gioco”
(Milano, Feltrinelli); “Guida alla formazione del carattere” (Brescia, Morcelliana);
“Sul male assoluto -- nichilismo e idoli nel Novecento” (Brescia, Morcelliana);
“I dilemmi della speranza” (Molfetta, La Meridiana); “La salvezza senza fede” (Milano,
Feltrinelli); “La mia filosofia -- forme del mondo e saggezza del vivere” (Pisa,
Ets); “L'attimo fuggente e la stabilità del bene – la Lettera a Meneceo sulla
felicità di Epicuro (Roma, Edup); “Edipo e Giobbe -- contraddizione e paradosso”
(Brescia, Morcelliana); “Dialogo sui novissimi” (Troina, Città Aperta); “Il
crollo del mondo -- apocalisse ed escatologia” (Brescia, Morcelliana); “L'edificazione
di sé -- istruzioni sulla vita interiore” (Roma-Bari, Laterza); “Il buon uso
del mondo -- agire nell'età del rischio” (Milano, Mondadori); “Figure
d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger (Milano, AlboVersorio); “Eros e philia”
(Milano, AlboVersorio); “Nietzsche e il teatro della filosofia” (Milano, Feltrinelli);
“Le parole ultime -- dialogo sui problemi del fine vita” (Bari, Dedalo); “I
comandamenti: non ti farai idolo né imagine” (Bologna, Mulino); “Le verità del
corpo” (Milano, AlboVersorio) – IL CORPO -- Sperare oggi (Trento, Margine); “Le
virtù dei Giusti e l'identità dell'Europa -- la salvezza senza fede” (Feltrinelli);
“Enciclopedia multimediale delle Scienze Filosofiche. Il senso del dolore. In L'esperienza del dolore. L'esperienza del dolore nell'età della
tecnica. Siamo finiti. E anche la tecnica lo è, da Europa, I Nuovi pagani, Saggiatore, Milano, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Intervista per Il Rasoio di Occam, Video
intervista su Asia, su asia. Dov'è la vittoria? “l'Italia civile che resta
minoranza” intervista di, Il Fatto Quotidiano. Salvatore Natoli. Natoli.
Keywords: uomo tragico, origini dell’antropologia romana, Gentile, corpo. Chora
di Platone, antropologia degl’italiani, filosofia siciliana, Gentile filosofo italiano
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Natoli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nausito: la scuola di Firenze, pre-romana -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. A Pythagorean – cited by
Giamblico, “Vita di Pitagora.” He rescues Eubulo di Messina, another
Pythagorean, from pirates. Grice: “Cicerone argues: Nausito speaks Greek; he
is, therefore, no Roman!” – Nausito.
Grice e Nearco: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean, he plays host to CATONE
(si veda) Maggiore when Catone recaptures Taranto from the Carthaginians. Grice:
“When in Athens, and although he knew some basic Greek, Catone refused to speak
it – and demanded an interpreter. I assume he demanded an interpreter when he
was asking for his breakfast at Nearco’s!” --. Nearco.
Grice e Nicoletti: quadratura ed implicatura conversazionale
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Udine). Filosofo italiano – Grice: “His diagramme for
‘arbor porphyriana’ is also brilliant – ending with “Plato,” “Socrates.”” --
Grice: “I especially like his squaring the square of opposition!” -- Grice: “A
veritable genius, this Nicoletti.” -- Not under ‘Venezia’! -- paolo di venezia:
philosopher, the son of Andrea Nicola, of Venice He was born in Fliuli Venezia
Giulia, a hermit of Saint Augustine O.E.S.A., he spent three years as a student
at St. John’s, where the order of St. Augustine had a ‘studium generale,’ at
Oxford and taught at Padova, where he became a doctor of arts. Paolo also held
appointments at the universities of Parma, Siena, and Bologna. Paolo is active
in the administration of his order, holding various high offices. He composed
ommentaries on several logical, ethical, and physical works of Aristotle. His
name is connected especially with his best-selling “Logica parva.” Over 150
manuscripts survive, and more than forty printed editions of it were
made, His huge sequel, “Logica magna,” was a flop. These
Oxford-influenced tracts contributed to the favorable climate enjoyed by
Oxonian semantics in northern Italian universities. Grice: “My favourite of
Paul’s tracts is his “Sophismata aurea”how peaceful for a philosopher to die
while commentingon Aristotle’s “De anima.”!” His nom de plum is “Paulus
Venetus.”— Paolo da Venezia Nota disambigua.svg
Disambiguazione"Paolo Veneto" rimanda qui. Se stai cercando lo
scrittore e vescovo nato a Venezia, vedi Paolino Minorita. Paolo da
Venezia in una stampa ProfessorePaolo da Venezia, o Paolo Veneto, vero nome N.
(Udine), filosofo. Eremitano, studente all'Oxford e docente a Padova ove ebbe
tra gli allievi Paolo Della Pergola. Divenne ambasciatore veneto presso la
corte polacca. Per le sue idee teologiche e esiliato a Ravenna ma, due anni
dopo, gli fu consentito di tornare a Padova. Fu seguace di Guglielmo di
Ockham e Sigieri di Brabante e autore di vari trattati, tra cui alcuni commenti
ad Aristotele. Il suo trattato Logica magna fu utilizzato come testo di
insegnamento della logica a Padova e può essere considerato la maggiore opera
di logica formale prodotta dal Medioevo. Opere: “Logica,” “Commenti alle
opere di Aristotele” “Expositio in libros Posteriorum Aristotelis,” “Expositio
super VIII libros Physicorum necnon super Commento Averrois,” “Expositio super
libros De generatione et corruptione” “Lectura super librum De Anima”
“Conclusiones Ethicorum” “Conclusiones Politicorum” “Expositio super
Praedicabilia et Praedicamenta.” “Scritti sulla logica: Logica Parva or
Tractatus Summularum, “Logica Magna”; “Quadratura”; “Sophismata Aurea. Altre
opere: “Super Primum Sententiarum Johannis de Ripa Lecturae Abbreviatio,”
“Summa philosophiae naturalis,” “De compositione mundi. Quaestiones adversus
Judaeos. Sermones. N Dizionario di Filosofia Treccani, riferimenti in.
Vedi «Paolo Della Pergola» in Dizionario di Filosofia Treccani. Eugenio
Garin, Storia della filosofia italiana, terza ed., Edizione CDE su licenza
della Giulio Einaudi editore, Milano, «Paolo Veneto», in Enciclopedia Dantesca,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, «Paolo Veneto», in Dizionario di
Filosofia Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Alessandro D.
Conti, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Alessandro D. Conti: Esistenza e verità: forme e strutture del reale
in Paolo Veneto e nel pensiero filosofico del tardo medioevo. Istituto Storico
Italiano per il Medio Evo, Roma, Nuovi studi storici, A. R. Perreiah: "A
Biographical Introduction to Paul of Venice". In: Augustiniana.
Paolo Veneto, Logica, Venetiis, Bartolomeo Imperatore, Francesco
Imperatore, Enrico Gori, dal sito Filosofico.net (Alessandro Conti, Paul
of Venice, in E. Zalta, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the
Study of Language and Information, Stanford.Filosofia. LOGICA PAVLI
rectam atgemendatam. Additis quotationibus Postilis ad textus declaratione.
Necnon Tabulao figuris. VENETI HABES INHOC ENCHIRIDIO summam totius Dialecticæ,
mira quad a brevitatem atos facilitate ad utilitatem stude tium conscriptam ab
eximioætatis suæ magistro Paulo Veneto Nupero diligenti studio cor Venetes
EMANUELE ITECA NAZ GOMA ME YOLL .pkrior dla Lohan Somerilatarei long
COMO0Io (ICO? CO ? ri 1 1 ROMA ni logica OLUTELY A parva. A Pauli Veneti
Heremita Onspiciens librorum quorundam magnitudinem redium constituentem in
animo studerium nec non et aliorum nimiam brevitatem quibus nulla se ethica re
est annexa doctrina. Ideo volens cap.s. et medium retinere utriusg sapiensnam
5.ethic, turam extremt, compendium utile construxi iuveni t.co.6. ВB bus
pluribus diui sum tractatibus, Quorum primus summularum tradit notitiam.
Septimus contra primum obiicit, solutionem ad dens responfiuam. Quia ergo
doctrina quecuncka communiori ut ait t-C.4 . PHILOSOPHUS in prohemio phylic.
sumic exordsum , ideo Dislot tractatus primus terminum sic diffinies
incipitapriori. miningp De definitione termini et eius divisione quide.
i. II suppositionum declarat mareriam. III consequentiarum ostendit
doctrinam. IV terminorum vim instruir probativam. V ligandi regulam docet
obligatiuam. VI insolubilia solvendi dar artem et viam. VIII tertium fortificat
prationem argumentativa. cap. 1. prio. c. TERMINUS EST SIGNUM ORATIONIS
CONSTITUTIVUM. Et BOEZIO ut pars propinquae iusdem , ut: “homo” ,lyani in. 1,
de mal. Et notanter dicitur propinqua quia oratione vocatur “dictio”, remota
vocatur litera vel syllaba, di 2. ecin. i Dstio igitur et non litera uel
syllaba, est terminus. defyllo. Terminum quidam est per cate. T differē. Tio
habet partes propinquas et remotas, propinquatop.c. 2 cius vide
SIGNIFICATIVUS est ile qui per se sumptus nihil representat --: ut s. “me,”
“te,” “omnis”, “nullus,” “quilibet”, “quicunque”, “alter”, et consimiles.
Terminorum quidam si secunda significant naturaliter et quidam AD
PLACITUM.Termi divisio p nus naturaliter si significans est ille qui apud omnes
eius qua vide de m efd RE-PRAESENTATIVUS, sicut ly “homo“animal", in
primor mente. Terminus AD PLACITUM significans est ille qui ye.c.i.et NON apud
OMNES eiusdem est re-praesentativus sicut ille ipsum. Terminus “homo” in voce
vel in scripto, qui apud nosft. B Paul. sin significat ‘hominem’, sed apud
alias nationes nihil significant, ut sunt greci (“anthropos,” “aner”).
Reefo.Terminorum quidam est categorematicus, et quida3 S.colū.
SYNcategorematicus.Terminus categorematicus est pri. diui. ticularia
particulariter. Præpositiones determinatsub certocafu. Aduerbiauerbum, et
coniunctiones ha minum.i.rem quæ non est terminus datoque effet,ficut TRACTATVS
Secunduz se significativus, quidamnon.Terminus perle signi Voety fancarious est
ile qui per se sumptus aliquid re-praesen mologiã tasuely “homo,” ly “animal”.
Terminus non per se signi ille quitam perle quam cum alio habet proprium fie
Tertia significatum – ut: “homo”: siueen imponatur in oratio divisione, lieu
extra, semper significar ‘hominem’. Terminus Dehac SYNcategorematicus est
terminus habens officium qui vide la perfesumptus nullius est significativus.
ut signa distric tiusilo.butiva – ut: “omnis”, “nullus”, et signa particularia
– ut: ali mafo. 2. “aliquis”, “alter”, et præpositiones (“to”), et adverbial et
coniuctiones. Signa namqz distributiua habent officium, fal.3.quia determinant
distributive, universalia yłr, et par bent coniungere terminus vel orationes.
Terminorum quidam est prime intentio Pau.lo.nis, et quidam secundæ intentionis.
Terminus primæ ma, sol. intentionis est terminus mentalis significans non ter
D“homo, significat sor. & pla. quorum nullus potest esse terminus. Terminus
autem secunde intentionis est terminus mentalis significans solum modo terminum
A vel propositionem, ut ili termini mentales, nomen, verbum, participium,
propositio, oratio et huius modi. Nis est terminus vocalis vel scriptus
significans solum B modo terminum vel propositionem utili termini vocales vel
scripti, nomen, verbum participium, athuius modi. Terminorum quidam funcin
complexi, et quidam complexi. Terminus in 6.diui complexus vocatur dictio – ut:
lylapis,ly lignum. Sed fioVide terminus complexus est oratio – ut: “homo [est]
albus”, lor. et Paul.in placo, deum effe. et huiusmodi. De nomine. liter
considerat: ideo de his restat deffnitiones assignare. NOMEN est terminus
significativus lo.ma.f. SINE TEMPORE cuius nulla pars aliquid significat separa
dissintta – ut: “homo”. In ifta definitione ponitur terminus lotionoie
cogeneris, quia omne nomem est terminus. et non econ proqua verso: dicitur
significatiuus, quia termini non significativi depri non funt nomina apud
logicum, licet bene apud grammaticum – ut: “omnis”, “nullus”, et similia.
Dicitur ‘sine tempore’, ad differentiam verbi et participia, quæ significant
*cum* tempore. Ponitur: ‘cuius D nula pars aliquid significant separata’ -- ad
diferentiam orationis, cuius partes significant separate mo pyo er.c.c2
Terminorum quidam eat s.diuifio prime impositionis, quidam secundæ.Terminus
prime impositionis est terminus vocalis vel sriptus signi Boe.in ficans non
terminum -- ut “homo”, et “animal” in voce vel in scripto.Terminus autem
secundam impositio. In princ. L3 Via de nominee et uerbo ex quibus oratio с
componitur et propositio, logicus principa . Defini. V uuset extremorum
unitiuus, cuius nulla pars aliquid significar separata, ut “curre” c vel dispur
i io b i. tar. Ec dicitur primo, temporaliter significativus, ad eric. i. tiw
oro pin . p i disnes positum cum apposito sicut verbum. ceterg autem par trcuiæ
ponuntur. Sicut in deffinitione nominis. Ratio est terminus significativus,
cuius ali- B garlicant separatę. Orationum alia perfecta, alia hewide
Dcoratione. qua pars aliquid significant separata, ut “homo [est] albus”
deữeffe. Vltima particular ponitur ad Piroca Jüfferentiam nominis et
verbiquorum partes non fi cite suz etc . cogeneris, quia omnis propositio est
oratio et col.1. cipit quæ non sunt propositiones non obstante quod ilum
generat IN ANIMO AUDITORI si – ut: “Homo currit.” Or a boviti imperfecta.
Oratio perfecta est ila quæ perfectum len no Ide uim uce cio imperfecta est ila
quæ imperfectum sensum gene. ferinõis rat, Notandum quò d tres sunt species
orationis perfectæ quia orationum perfectarum. Alia INDICATIVA – ut: “Homo
currit” . Alia est oratio imperativa – ut: “doceioannem.” Alia ed incelreligie
ineis oratio optative – ut: “Utinam essem bonus logicus”. fint ap te nate.
VERBUM est terminus temporaliter significati differentiam nominis quod
significat sine tempore. Secundo dicitur, et extremorum uniciuus: ad
differentia participium quod significar cum tempore, sed non unitfup 0 -3 gñare
fectū sen bus vide ilo, ma. fol. Propositio eit oratio indicatiua verum vel
falsum significans – ut: “Homo currit” -- ponitur oratio lo non e converso.
Secundo dicitur indicativa. quia Cola indicari va est propositio, non autem
imperativa nec optativa.Vicimoannectitur: verum vel falsum significans: propcer
tales orationes. Cortes potest , plato in PS pro qui alia
categorica alia hypothetica. Propositio ca divisio. Categorica est ila quæ
habet subiectum prædicatum et Vide in copulam tanquam principales partes fui –
ut: “Homo est animal.” l o ,m a . f o animal. Subiectum est ly “homo”,
prædicatum uero,101.col, ly “animal”. Copula illud verbum “est”: quia coniungit
tum. Dicitur quod habet IMPLICATUM prædicatum. vide licet,ły “currens” quod
patet in resolvendo illud uerbum “currit.” -- in: sum currens, es currens, est
currens, et suum participium. Subiectum est de quo aliquid dicitur – ut:
“homo”. Prædicatum vero quod dicitur de altero – ut: “animal.” Sed copula Quid
(u bicctuz semper est verbum substantivum: “sum currens”, “es currens vel hom”,
“est homo et currens.” De quidp. propositione hypothetica posterius dicetur ad
cuius tum & C differentiam point urilla particula: principales partes quid
co . D sint indicatiue. Quia non significant verum nec falsum. Diffini cum sint
orations imperfectæ. Ca. 6. luifiones sub propositione contentas sequitur D
numerare. Propositionum Prima subiectum cum predicato. B rir est propositio
categorica et non habet prædica. Solutio Et si dicatur “homo cur . Dubo .
fui.quia principales partes hypotheticæ non sunt pula, subiectum et prædicatum:
sed plures categoricęut. Propoli diuifiotionum categoricarum alia affirmativa,
alia negativa. Propositio categorica affirmatiua est ila in ligiex.i. qua
verbum principale affirmatur, ut “Homo currit.” Propositio categorica negativa
est illa in qua er: Tertia bum principale negatur – ut: “Homo NON currit”
S. Propositionum categori:Diffusi carumalia vera, alia falsa. Propositio
categorica ue us&hac ra est ila cuius primarium et adequatum
signifi-materia carð est verum – ut: “Tu es homo.” Hæc enim est uera. “Tu es
vide in homo.” quiate esse hominem est verum.Voco filoma. divisio A tio. i. gi
her. C. 5. . a4 1 mo. Cetera autem significate, utte esse animal, teelic
substantiam, et huius modi, sunt significate secundaria, et pones illa non
dicitur propositio vera nec falsa. Propositio categorica falsa est illa cuius
primariam et adequatum significatum est falsum – ut: “Tu es asinus.” ria, alia
contingens. Propositio necessaria est ila, cuius primarium et adequatum
significatum est necessarium – ut: “Deus est.” Propositio contingens est illa
cuius significatum primarium et adequatum est contigens – ut: “Tu es homo”. Et
voco significatum contingens ilud C quod in differenter potesse se verum vel
falsum. Propositionum categoricarum alia alicuius uide.i. quantitatis, alia
nullius. Propofitio categorica alicu prior.n.ius quantitates est illa quæ est
universalis, particularis, 2.in pri, indefinita, vel singularis. Propositio
universalis est illa in qua subởcitur terminus communis signo universali
determinatus – ut: “Omnis homo currit”. Terminum communem voco in presenti
nomen appellativum et pronome pluralis numeri. Signa universalia sunt ista:
“omnis,” “nullus,” “quilibet,” unus gfavteros, ncuter, quails D. :.libet,
quantusliber, et huius modi. Propositio particularis est illa in qua subiicitur
terminus comunis igno 4. diui afol.158 significatum primarium et
adequatum propositionis, u r e a a d f. quod est simile orationi infinitive vel
coniunctiue il 267.secundlius. undete esse hominem, vel q “Tu es homo.” ,
diciturfiA dępris. Significatum primarium et adequatum illius, “Tu es homo.”
Propositionum categoricarum alia fio vide possibilis, alia impossibilis. Propofitio
categorica por ilo.ma.fibilis eft illa cuius primarium et adequatum
significatum est possible – ut: “Tu curris.” Propositio categorica et
adequatūfi. usa ad impossibilis est illa cuius PRIMARIUM SIGNIFICATUM est
impossibile – ut: “Homo est asinus.” Propositionum categoricarum alia ne
cella larem, nomen proprium aut pronomen demonstravi Suum
singularis numeri, ut: “iste”, “ista”, “istud”. Ex quibus fe B quitur iam quæ
est caregorica nullius quantitatis. Et dicitur quod illa quæ non est universalis,
nec particularis, nec indefinita, nec singularis -- ut exclusive et exceptivæ
et re-duplicative, videlicet, “Tantum homo currit, omnis homo preterfor.
mouetur, “Omnis homo in quantum homo est animal”. Luxta primam secunda Qualis,
ne, ue laf, u. Quanta, par, in, fin, Prima pars sic intelligitur, quod ad
interrogationem de propositionc factam r Quæ respondetur categorica, vel
hypothetica. Secunda autem asserit quod ad interrogatione factam per Qualis?
Respondetur affirmatiua vel negatiua. Sed in tertia denotata a quod ad
interrogationem factam g Quan tarmñdcatur, universalis, particularis
indefinita, ucl singularis, et hoc fm exigentiam propositionis propositę. De
duabus alijs pposition am divisionibus. Ræterfu pradictas diuisiones dugalią
declaran- Prima cur. Propositionum categorica divisio – ut: “Homo currit.”
Propositio categorica modalis est illa in qua ponitur aliquis modus -- ut
possibile est sor, cur particulari determinatus – ut: “Aliquis homo disputant.”
Si Idem in gna particularia sunt ista: “aliquis,” “quidam”, “alter”, reli7.
tract. A quus, et huiusmodi. Propositio indefinita est illa in huius in qua
subijcicur terminus communis SINE aliquo signo – ut: c.i.& in “Homo est
animal.” Propositio singularis est ila inqua lo.ma. . fubijcitur terminus
discretus, vel terminus comiscum 107. col. pronomine demonstratiuo singularis
numeri. Exem :4. plumprimi. sor.currit. Exemplum fecundi: “Ille homo disputat.”
Voco autem terminum discretum vel singu. с P. ultimam divifiones ponitur iste
versus. Querca, uel ră alia dein efle, alia modalis. Propositio catego
Dricadein efic est illa in qua non ponitur aliquis modus 1:
Figura de in effe. r e r e .Modi autem sunt sex . c possibile,
impossibile ne Seconda. necessarium, contingens verum et falsum. Propositionum
modalium: quædam est in sensu diviso et quædam in sensu composito. Propositio
modalis in sensu diviso est ila in qua modus mediat inter accusativum casum et
verbum infinitivi modi – ut: “Fortem possibile est currere.” Propofitio modalis
in sensu composito est illa in qua modus totaliter præcedit, vel finaliter sub
sequitur – ut: “Deum esse est necessarium.” Impossibile est hominem esse
asinum. Ex his divisionibus originantur tres figuræ. Quarum prima dicitur de in
effe. Secunda modalis de sensu diviso fchabés admodum primæ. Tertia modalis de
sensu composito: leda cæteris disperata. Quartum declarationes ha besin exemplo
hic posito. A G libet ho currit. adaz hó ñ currit, Nurbo de currit. Lontraric.
Contadictorie dictorie subalterne, subalterne Figura: demesse Gulltra gda3 ha
cuifit, subcontrarie reasu diuisio Contrarie Nullum
hoie3 possibile est! curtcit . Contradictorie Sub-alterne Sub-alterne de sensu
dictorie Lörra mine polee curitie . Modalis de sensu diviso. 6 sub-contraric
Modalis de sensu composito. Nec currere est los. Impose est currere for
sub-alterne Contra sub-alterne dictorie Aliquem, ho Contrarie de sensu
composito 3 : Fig. Loncra . dictonic Contingens et por, non currere 2. Figura
Que libet ho minepole? currere . Pole for currtre , A liquê home minē ñ pole
est currere, sub-contraric Secunda præcise proeodemuelpro eisdem,
sunt contrariæ in figura – ut: “Quilibet homo currit,” “Nullus homo currit.”
Particularis affirmatiua et particularis negativa de consimilibus
subiectis prædicatis et copulis, supponentibus precise proeodemuel pro eisdem
sunt sub-contrariæ in figura – ut: “Quidam homo B Tertia currir, etquidā homo
non currit. Universalis affirmativa et particularis negativa, ucl
universalis negativa et particularis affirmativa. de consimilibus subiectis
predicatis et copulis, supponentibus. precisepro eodem vel pro cisdem , fu
Tabula omnium capitulorum huius logicæ primus est de mentis summulis quiconti
De syllogismo: Tractatus secundus est determis. Car.Ź Cap. primă de definitioc
De verbo 3 6 De diuifione propofi 8. De figuris propositio pothetica po. copu.
ne ciusdem. cn ūt materialiter etqñ PERSONALITER De propositione hy. 8 De
ampliatiõibus 28 po. disiuncti. 15 De praedicabilibus Tractatus tertius. de
eiusdem di relativorum net De oratione De propositione norum quando fuppo num
deuppolitionibus có De cognitione termi De appellationib De converfionetibus
supponis et de diuisio De suppositione per de natur appõnuz sonali
tractatus divisa De nomine tionum De duabus alös diui De supposition ma.
de equipollentős de signis confunden de propositione hy de relativis proqui
bussupponunc De propositione hy. De modo supponen cinens C fionibus
propõnuzs teriali et de diuisione DE DECEM PRAEDICAMENTA de decem prædica,
consequentősconti. de resolubi de propositionibus Tractatus quintus est tionc
obligationis et De obiectionibus co tradictasreg. TABVLA uo tionc consequentiæ
et De hypo. descriptibio eorum divisionibus De regulis generalibus consequentiæ
for De gradu pofitiuocô malis De regulis con. for. q De gradu
comparati De regulis poenespropositiones quáras Delydiffert positions non
quan De exceptivis De ly necessario et contingenter parabiliter sõpto poncs
superius, atq De gradu superlati -minos pertinentes et De ly incipit et
defi : impertinentes nir nens. De officialibus pro De defini libus.
po. de reg. eius. inferius De regulis poncs pro De exclusiuis
universalibus De convertibilitate uo. tas Dedecem lis alñsregu De ly totus
positioncs hypotheticas De ab æterno De infinitum de probationibus ter obligatory
artis: De reduplicativis De regulis poencster De immediate De semper De
regu.pancs pro tinens minorum continens. De deffic go cioc insolubilib? et di s
Obiectiones cöcrare tra insolubilia Obiectiones contradi milibus
propositioni bus regulas huius de defin De obiectionibus có finitioncs
.hui? De exclusivis insolu De insolubili difiun- ulti. ca.contra modos
mi. De insolubili particu huiuspri De insolubilibus no é de obic
Obiectiones contra Obiectiones addicta est de obiectionibus contra De obiectionibus
factis contra re propositionum huiusprimitrac. De Amilibus et diffig
Obiectiones contra pr De deposition ibuster Obiectiones contra re minorum
Tractatus Sextus De insolubili uniuer Cali bus bilibus riuo ctivo figurarum
apparentibus Obiectio. Gulasprimo et gulas huiuspri de insolubilibus
Obiectiones contra dif habens. .huius uifioncciusdem. Gulas huiuspri lari
vel indefinito mitra. de predicabili. De insolubili copula. trac.in
maceria syllogismorum n a contra dicta huiuscertñ.tra, inm a Štionibus factis
con car . las.huius terti las. huius terti tracta. Venetijs
ExpensisheredumLucæ TABVLA teria consequentiară, tracta. tëtracta.
Obiectacontraregu Obiectacontraregu tracta. las, huiustertij las. huiusterto
tracta Antonñ Iunte Florentini Registrum illaiquaiferi predicaturde
terrogatoez factapqualise fuosuperiozi.vtaialeftbo. sozesvť platopueniéterrñ
Predicatio eéntialiséillai deturq rifibiť totaratio quafuperi’pzedicaturdein
quareficpdicaturdeilliseq? feriozivelecóuersofzquod éppziapafsioilliustermini
dictiévľoriadealiquod illon bomo cum quo conucrtitur. Si predicatio accítaliséila
Acchrétēmin’vniuoc'pze iquappuúvelaccñspzedir. Dicabilisdeplib ieoquod caturde genere
fpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi bľfuoidiuiduoautepuerfo
Eréplüpzimi:vtbóèrifibil dirurindecepdicasca. Quo Paialéalbu. exéplusivrrifi
rupzimueltpredicarsitu lub bileéhoalbueaial.Etpfiľr státiecul’generaliffimúébic
dedriazidiuiduodicafl'me teri’lb alubàpoiturhicter li’oicaturg pdicatioefriaťė
mi? coup”.subcocpozecosp? praedicatio terminoz eiusdez saiatu sub cozpoze aiato
a dicamentivtbóestaial.pze, aialifpes specialis simahoľ dicat ioautaccica est
piedi afinuszlbiftisfuaidiuidua carioterminoxdiuerfozpze foztesz plato.bzunellus
fa dicamentorumvthomoéale uellus. Secundum predicame bus.Termin superioradre tu
est pdicamentu quátitutis liquúdicitureffeillequicon Lui'generalisfimúeftquäti.
tinerillúznecóuerfoficutli tasfubý sunt duo genera aialrespectuisti'terminihó alternaärnulluestsuperius
qz fignificat quicgdile?cuz adreliquúvz continuuz?di bocaliquidvltra. Lermin’in
scretu primi generisiftefür feriozad reliquú dicitur effe fpetieslinea superficiescoz
illequi continent urabeo. nnó pustempus locus.qR:bec ecouerfovtliforesrespectu
funtindiuiduabiliuea fupfi iftiustermini bomo. hiclocus. Secundigeneris
Lozpozea Jnco:pozea infinitesuntfdeties. f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius
et cetera. Redicamentu zestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinario pluriuztermi,
qualitas. Quartuzestforma nozuFmsubzlupza. Etdiui,
vetcircaaliquidpitasfigura us trinarius quaterna rizë Animatum Jnanimatuz
indiuiduaverofunthicbina Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicament z
qualitatiscu iusgeneraliffimum est quali Lozpus insensibile Rationale
irrationale. Tas fubquofuntquattuo: ge Animal rationale nera subalterna: non
sebabe Socrates Plato rio. Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia. Ier
Substantia tia secundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis
mumesthabitusveldispofi, Domo cies.boc cozpusboc rempus Primi generis speties
fune Quintum predicament em grāmaticalogicazrhetorica dicamétuació iscuiusgener
quaq individua sunt becgrå rasubalteznafuntfer quozu matica logicab rbetorica.
Nullu ėsuperiusad reliquum Lertijgenerisfpessunto risspéssunt. generarehoiez
redoamaritudo.albunigruz cozrupere equáquayindir calidúz frigidubuidum zfic
uidua funtficgenerareboiez cum.quarúidiuiduasuntheç ficcorruperee quum Iertijz
dulcedobiamaritudohocal quartigeneris spessuntau. bumhocnigp buius modi. Gere in
longudi minuereila Quarti generis species sut tum. quozumindiuiduafffic
circulustriangulusquadra auger eilögumficdiminuer gulus2 huiufmodiquarúidi
inlatu. Quiti generisspés uidua funt. biccirculus.bicfunt cale facerez
frigefacere triangulushicquadrágulus. quaridiuiduafuntficcalefa
Quartiipredicamétü Ċpdi cerefic frigefacer. Sertigo, camerurelatóis. Lui'gene.
Neris speciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada. Súmo ueredeorsumquaruin
liquidfbåfunttriagenera( diuiduafuntficmouerefurfu alterailebita,zsup2
ficmoueredeorfum. Sertus Primum est caparatio.Se predicamétaé predicaméruz
cuduzéfuppofitio. Lertiuzė paffioniscu generatiffimu supposition
primigenerisfpe estp dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue
modus mediatiteractumca tur. Jurtaprimamfamzvi, sumzverbúinfinitiuimodi timam diuifionesponitifte
vtfoztempoffibileé currere versus. Quecavelip.qualif propositio modatisisenfu
nevelaf. vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama psficitelligitpad i
taliter pcedirveifinaliter16 terrogationedepłopolinóe fegturvtdeumef Teénecessa
facta gquerespondeturcar rium.Impoflibileébominė tbegozicavelipothetica. Se
effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer nibus origináturtresfigure
rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe. Seci, fpondetur affirmatiuavľne
damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat habens admoduprime.ter, qad interrogatione
factaze tiaveroormodąlisofenfu2 quantare spodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata
qua particularis indefinita velfin ruideclaratóesbes ierobic gularis.
hocfecundum eri inferiuspofito.: gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. Uifiones
duealie decla Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere
Weceffe eft roz currere Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie
currer. -- Lontradictorie Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo. non
currit Lörigesest foz.ñ Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile
eftcurrere poffibile eft soz. currer Subcontrarie Mullus bomocurrit.
Impoffibilee Tozcurrere Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria
Snbalterne Subalterne Subalterne Hullu boiez poffibileeft. currere currere
ditozie Lontra Lontraditozie Subalterne Intigiturtåpueq
funtcontrarieoisbocurrit fecunde figurebere ptnll? bócurrit. necieptra
gulegeneralespriaé dictorie.Disbócurrit2gda tita. Uniuerfalisaffirmatiua
bononcurrit. neciftefubala zvniuerfalıf negatiadepfitt terne.Disbó currit7 quida
b?fubiectis7predicatisfup bomocurrit. qztermininifup ponétib”precisepeodévét
ponunt precisepzoeodevĽp proeisdéfuntatrarieifigu, eisdez. Znona. n.fbinfuppóit
ra. vtglibzbó currit. 2nllur provtroq; reru.Jnaliavero'
bocurrit.Secidaregťaeft particularis affirmaria et pro masculino tantum Scutqua
tuozfgula particularisnegatia de pfimi lib ?fubiectis 7 pdicatis fup. fituantur
propofitoea infiguraitaquattuoz ponétib?pcirepeodévelp
alijsregulisipfarumcogno, cirdez suntcontrarieifigu fciturlerseu natura. quarum
ra.vtgdabócurrit?qdåbo prima eftianonestpossibile nócurrit. Lertiaregľaviuě duo
ztraria effefimulvera falis affirmatiuaapricularis benefimulfalsa.Primapars
negatiavelvlisnegatiazp patzinductiei nomnibus. Et ticularisaffirmatiaopfilibö
fecundaprobatuz.quoniazia fiectisz pdicatisfupponen funt fimulfalfa.Quilibzboè
tib?pcirepeodezvelpejsó albus znullusboestalb”.Et sunt tradictoneifigura,vt
iafimiliter Dmne animaleft quilibzbócurriteqdábóñ bomocnulluzaialefthomo
curritP.ull'bócurrit?qui Secunda regula eftiftanon dåbócurrit.Quartaregla
eftpoffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti effefimulfalsa. fedbenefim
culari saffirmatia. Etviuer, vera.Patetparsprima ifin salisnegatiuaa particularis
gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis probaturquoniamistafuntfi
2predicatis fupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal se peodez velpeisdezftit16
bus. Aliquis bononeftalby alterneinfigura.vtglibzbó Aliquod animal eft homo. Et
currit gdambó currit. Dar aliquod animal non eft homo lus homo currit. gdazbol
Tertia regulaeftifta. Honė mononcurrit Expdictis fegturgilenó
effefimulveravelfimulfalf. L madiuifio eftiftaterminori
vocaturlravelfyllaba.Pzie distributi abiitofficiuq2dtē 25boral definitio,sebutcomienicu
damagnitudiez caritus eftilequipermitesperjeigranasoatione. Tedium cóftitué
aligdrepritatveuboliaial. kupindistan'tbeineciligaya tezinajoftudentiuznecno
terminiple fignificatius Pericarioneperforsales aliornimia; breuitatez.gbɔ
eftilequiperfefumptusni,beit perqúemymim nulla fereeftaneradoctrina. Bil representatproisnulluseftpermainang
Ideo volensmediuftinere 7files.Secundadiuifioeft, vtriusq zsapiésnäzertremi.
iftatermiogquidazsignifi, ppendium vtilecostruriiuue cantnaturalrzquidãadpla
nibɔplurib, diuisuztractati, citum. Lerminusnatural'rfi bus.quorprimusfuimularu
gnificansestile quiapooés traditnotitia. Secud fuppo . eiusdeestrepsentatiuusficut
firionú declaratmateriá.ter ti-pregntia non dit doctrina. Po ad placitu
fignificanséil Quartusterminoqviistruit lequinóapudoéseiusdez é pbatiua. Quint’ligidiregu,
representatiu'ficurilletermi lazdocetobligatiuaz.Sert? nusbó in voce vel in scripto
isolubiliafoluendidarartem apud nos fignificatboiem.via. Septimusatraprimú
apoaliquascertasnatoer obijcitfolutione zaddensre, nibilfignificatvtf untgreci:
fpófiuaz. Dct aubotertium bebrei. Zertiadiffinitoéifta fodificarpróem
argunitati, Qterminokquidaeftcatbe uá. Quiag doctrinaque cun,
gozematiczgdáfincathego acoiozivtaitphusinpzo rematic termi’cathegoze, bemio physicozum
füiteros, maticuseftillegtampiezz duuideotractatuspzim’ter/ cialiob3 ppziùfignificatum
mũiico funitsicipapioi otlibófue.v. ponarinó eft tibölianimalinte. Lermi?
Gential uitdiferenmis.ut box Florin simp prout firepmimusi Cedex gramaticaj.
Lorical minátdistributiverparticu! complerus eftozó vthomo
lariaparticulariter Õpofitio alborozes platodeuzeffe nesdeterminatfbcertocâu
2buiusmodiic. Aduerbia verbúzcõiúctóes Uia noier verbo er biitcõiungere
terminosvel quibus ozatio compoi ozóes quarta diuifio est ia tur
ppofitiologicus pzici. g terminoxquidaz eftpziei paliter cófiderar. Jdeo'dbil
tentiois.7quidábeitencois reftat diffinitionesaffignare Terminuspeintentóniseft
Homéest terminus fignift terminusmentalis fignificaf catiu? Fineté pozecuiusnulla
nonterminu. i. réānonéter parsaliquidfignificatseper minusdatoq effetficutlibó
ratavthomo.In iadiffinite fignificatsoztem zplatoné.å poifterminuslocogencris.
ruinulluspoteffeterminus. q2ocnomen estterminus.e Lerminusaütbe itentóisé
nóego. diciturfignificatinis terminusmentalisfignificát quia termininó fignificatui
solimoterminilppofitone nófuntnoia apudlogicilicz ptiliterminimentalesnon bi apud
grāmaticivtomis verbti participiúppofio nullus similia. Tertio di,
zbuiusmodi.Qüitadiuifio citurfietemporeaddiffere, est istag terminozquidãcst
tiñverbiaparticipüafignis peimpofitionisquidife.ter ficantcumtempore. Duar
minuspeimpositois estteri toponit cuiusnullaparsali nusvocaťvèlscriptusfigni
quidfignificata ddifferentia ficansnoterminu.vtlibóz orationis cuiuspartesfigni,
liaialivoceveliscripto.ter ficät.(Uerbúeftterminato min’autéfe impofitioniseft
požaliter figificatiu?zertre terminusvocalisvelfcript? monvnitiuuscuiusnullap8
fignificas solúīmodoterminu aliquid fignificat separatave
velpropositionevtilitermi currit vel disputato icifpria
nirocalesvelfcriptinomen mo temporaliter fignificati, verbtiparticipitizhuiumói
uusad differentiam nominis Sertadiuifioeftifta.Termi quodfignificat finetempore
nonquidifuntincópleri29 Secundodicitur ertremo damcompleri.Terminusin
rumvnitiuusaddifferentia complerus vocaturdictiovt participü quodfignificatcií
lilapislilignum.Izterminus tempože. sednonvnitfuppo fituscum appofitoficurvero
quenonfuntppofitionesno · bum.cetereatparticťepo obftáteqa fintindicatie q?i
nuiturficur toenois. fignificantverumnecfalsuz . P Ropofitioeftoratioi
dicitur.vtbomo predicatuz, puma,plicare Progofito
catbegozicaet"prodicaria,madevenirate Alia iperfecta . Diario pfec bignier
parte dignins e.me,ose ista quebetßbiectuzzpiedichuo ublitt taeftila queperfectu
fenfi catucopula generat animo auditous. partes
tanöspzincipaler,peplicireutimplicie. vtbomocurrit. sui.vthomo eltaial. i),
Etfidicarurbomo currite Horá dumotresfuntspe propofitiocatbegozicaznon
Dratioefttérmin'lignifi cumfintozationesiperfecte catiu? Cuius aliqua pars ali
quidfignificat.vtboalb?de uz effe. Ulria particula poni
turaddifferentianominis? Propofitionu zaliacaibego verbi.grumpartesnonfigni
rica:Aliaypothetica. ficant. Dzationuzaliapfecta ibiectumes tubomo predica
Diarioimperfectaestilla tum verolianimal.7copula aiperfectuzfenly;generari
illud verbumestq:coniungit animo audito us vt bomoal fbiectum cumpzedicato.
busdeumeffe d Juisiones1 opposito ne contentas segtur nuerare Pria eft ifta 5
cies orationis perfecte Drationuzperfectar.alia indicatiuavthomo currit babz
predicatum dicitur qa babz implicicumpredicatuz v z li currens quod patzinreroí
alia imperatiua. ptooce joannem . Aliaoptatiua. Desum eseltasuum participiu
uendo illud verbum curritin vtinameffembonus logicus Subiectuz estoe& aliquidad
fubiecit”alori fal veroqd fümfignificás.vtbô animal. Sed copulafempererspularerreigitpilianca.
currit. poniturozatolocoge verbuzfbftátiuü. l.luzeseltveteteaiomm
neris.q:oisppofitioestoza De propofitione yporbeti-inwirtelde eius.
tioetnoneguerro. Secundo capofteriusdiceruraddif, dicitur indicativa quod sola
diferentiam cuius ponitur il la catiuaeitppofitio.nonátim
particulaprincipalespartes peratianecoptatiua.Ulrimo fui. annectitur verumvelfalsuz
Secundaoiuifioeftifta. fignificansproptertalesoza Propofirionuzcabegozi, tiones
foztespór. platoicipit car.Aliaaffirmatiuaaliane facit,
egineris,matiuaeftilaiquaibupäin num cathegozicarum aliane
kleinesitimplicies apaleaffirmat öcbócurrit. ceffariaaliacontingens,ppo
diferencia Presidurijgezo pzopo çatbegozica negatifitionecefariaeftilacuius
artean = uaeftillai qobiipricipalene primariumzadequarumfigi gáf.vtbónocurrit.
Tertia ficatumeft neceffariumvtoe diuifio eft iappofitouzcatheus
est.popofitiocontingens goricaralia veraaliafalsa. Eftilacuiu sfignificatumpzi,
Propocatbegozicaveraéila mariumza dequatumeftcó tui? pzimariuzadeqtuligni
tingensvttues bomo. Etvo ficaruié verúztuesbobecco fignificatumcontingensil n.
Eltperatues hóq2reeffe lud quodindifferenterpotest boiezcftveru.Uocosignifi
esseverumvelfalsum.Sex catu primaritiza deq tuppo tadiuifiopropofitionumca!
fitionisqó eftfimileorationi thegozicaruzaliaalicui'quă ifinitiuevel piúctie
illius. vn ' titatis alia nullius.P2opo ca deteeffeboiem velqotues
'thegozicaalicuiusquantitati bódicitfignificatu;primari estillaque évniuersalispar
uza de quatúilliustuesbó ticularisindefinitavelfingu
ceteraåtsignificatavtteeffe laris. Flop. vniuersalise aialteefe Tbstantia7huiul,
ilainquafubijciturerminosnasdistri mõisuntfignificatasecuidaria comunis figno vniuersalides
gacia.Prop cathegõicaaffer Quintàdiuifio.propofitior burinemobil 7penesillai diciep
povera terminatusvtomnisbócursliepy. necfalla.Propocathegorica rit.
Terminuzcómunemvoco falfa eft illacui? pzimarius7 inprentinomenappellatiuuz
adequatü fignificatum estfal fumvttuesarinus pionomen pluralis numeri Signa
vnüerfaliafuntiaoil Quarta diuisioppónuzca nullus quilibet vnus quis qz thegou caşialiapoffibilisali
vterq; neuter qualislibzquá aipossibilir.ppocathegorica tufliberzhuiuf modi. pzopofi
poffibiliseftilacui'paimari tioparticularis eftillainqua
uz?adeqrufignificatúépor iubijcitur terminuscóisfigno fibile vt tu curris
particulari determinatus vt Propofitio cathegoricai, aliquisbo difputat.
Signap, poffibiliscst¡la cuiuspama ticularia funeiaaligs gdå al rium7 ad equariifignificatus
terreliqu’rbui?mór.pzopo eftiposibilevebóěafinus indcfinitacfiillaiqualbijcie
feprobatio: ctfromloco Fifolo terminuscómunisfinealiafip Reterfupiadictasdi
gno:ytbomo estanimal. Propofitio fingulariséil, rantur.Primaeiftappofiti
lainquafubijciturterminus onucatbegozicap.altadeief discret? Vel termino coniunif
realiamodalis. Propofitio cumpnomine demostratiuo cathegozica deielleèillaiä
fingularis numeri. Ermprimi non ponituraliquis modus. ut Toutescurrit. ermfiillebo
vtbỏcurrit. Diopofitioca disputar.Uocoautemtermi, thegorcamodali scillaina num discretumpelfingularé
ponituraliquismod?vtpof nompoziùautp nomenomo fibileefoxtemcurrer. Modiy
Scromodi ftratiuúfingularisnumerivt autem funtferscilicet porsi, ifteiftaistud.
Erquib? fequi biler impossibileneceflariu turiamqueécatbegozicanĽ
contingensverum falsum liusquantitaris 7diciturgil Secundadiuifio p:opositi
laanoévniuersalisnecpar onum modaliumquedamcst ticularisnecidefinitanecfin
infenfudiuiso quedazifer gularisvterclu fiue ercep sucomposito Propositio motiue
vztantumbocurrit.om dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue modus mediatiter
actumca tur.Jurtaprimamfamzvi, sumz verbúinfinitiuimodi timam diuifionesponitifte
vtfoztempo ffibileécurrere versus. Quecavelip.qualif Propofitio modatisisenfu*
nevelaf. vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama psficitelligitpad i
taliterpcedirveifinaliter16 terrogatione depłopolinóe fegturvtdeumefTeénecessa
facta gquerespondeturcar rium. Impoflibileébominė tbegozicavelipothetica.Se
effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer nibusorigináturtresfigure
rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe.Seci, fpondetur affirmatiuavľne
damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat habensadmoduprime.ter, qad interrogatione
factaze tiaveroormodąlisofenfu2 quantarespodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata
qua particularis indefinitavelfin ruideclaratóesbes ierobic gularis.
hocfecundum eri inferiuspofito.: gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure.
uifionesduealie decla Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft
currere Weceffe eft roz currere Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie
currer C Lontradictorie Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo. non currit
Lörigesest foz.ñ Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile
eftcurrere poffibileeft soz. currer Subcontrarie Mullus bomocurrit.
Impoffibilee Tozcurrere Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria
Snbalterne Subalterne Subalterne Hullu boiez poffibileeft. currere currere
ditozie Lontra Lontraditozie Subalterne Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit
fecundefigurebere ptnll? bócurrit. necieptra gulegeneralespriaé dictorie.
Disbócurrit2gda tita.Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit. neciftefubala
zvniuerfalıf negatiadepfitt terne. Disbó currit7quida b?fubiectis7 predicatisfup
bomocurrit.qztermininifup ponétib” precisepeodévét ponuntprecisepzoeodevĽp
proeisdé funtatrarieifigu, eisdez. Znona.n.fbinfuppóit ra. vtglibzbó currit. 2nllur
provtroq; reru. Jnaliavero' bocurrit.Secidaregťaeft particularis affirmaria et
pro masculino tantum Scutqua tuozfgula particularis negatia de pfimi lib
?fubiectis 7 pdicatis fup. fituanturpropofitoea in figura ita quattuoz ponétib?
pcirepeodévelp alijsregulisipfarumcogno, cirdezsuntcontrarieifigu fciturlerseu natura.quarum
ra.vtgdabócurrit?qdåbo primaeftianonestpossibile nócurrit. Lertia regľaviuě
duoztraria effefimulvera falisaffirmatiuaa pricularis benefimulfalsa. Primapars
negatia velvlis negatiazp patzinductiei nomnibus. Et
ticularisaffirmatiaopfilibö fecundaprobatuz.quoniazia fiectisz pdicatis
fupponen funtfimulfalfa. Quilibzboè tib pcirepeodezvelpejsó
albusznullusboestalb”. Et sunt tradictonei figura,vt iafimiliter Dmneanimaleft
quilibzbó curriteqdábóñ bomocnulluzaialeft homo curritP. ull'bócurrit?qui
Secundaregulaeftiftanon dåbócurrit. Quartaregla
eft poffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti effefimulfalsa.fedbenefim
cularis affirmatia. Etviuer, vera. Patetparsprima ifin salisnegatiuaaparticularis
gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis probatur quoniamistafuntfi
2predicatis fupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal sepeodezvelpeisdezftit16 bus.
Aliquis bononeftalby alterneinfigura. vt glibzbó Aliquodanimalefthomo.Et
currit2gdambócurrit. Dar aliquod animalnonefthomo lusbomocurrit. 2gdazbol
Tertiaregulaeftifta. Honė mononcurrit Expdictis fegturgilenó effefimul veravelfimulfalfa
poffibileouo contradictoria patetifta reguladifcurrédo alter.
Hecranonfoludefuit Pfingťaptradironia. Quar primevelfecüdefigureimo
taregulaeft14. Sivniuerfaľ tertie.Etvocoibinegatio eft vera fuapticularis velin
ne prepofitaquandocolligit definitafibifubalternaeftde modofuemod?pzecedarfi
ralnego. Unfib effetvera uesequatur.7 postpofitaqui gizboestalb?6fikreffzver
coniungiturverboinfinitiui raaligshoestalbosznóez modi. eréplüpzimi.nópofsi.
q:iadefactobeveraaliquis bileésoz.curreredelsoz.cur hoéalbɔ.znóiaquilzboeft
rerenóépoffibileereplúfi albɔ.Eteodémódicodenei possibileésoz. nócurrerevel
funtregule. quorpria reequiuale tiftiptingenscft eftia. Hegpäepofitafacitz foz.
nócurrergpumă regula quipollerefuocótradictozio EthneceffeeTo2. Non currer
viinoquil; bocurritequalet equiualetiftiimpossibileest
isti.Aligshónócurrit.Etnó soz. Currerr recundam regur nullus homo currit
equiualz isti lam zifta non nece f l e e soz . ni aliquishomo currit. Eurrer cquiual;
huic possibi Secundaraeftistanegató leésoz.currergtertiamrei
poftpofitafacitegpoller fuo gulamzita dicaturdecete contrariopbaf. näiftaquils
risquibuscunq3quare7c. bomo noncurritequipollet SDnuerfioeitcranspofi
uftinullusbomo currit. 2nul tiosubiectiinpzedicar lushomononcurritequipol rum7 econuerfo:vtbomoé
ictifti quilibethomocurrit. animalanimalébomo.Etlý Lertiaregulaeftistanega
diuiditurinconuersionefimi rio prepofitazpostpositatai plicemperacciisopercorra
cit equipollere suofubalter, pofitionem. Lonuerfiofim no. Vnde bnon quilibethoñ
pleresttranspositiosubieci curritequipolletistialiquis in predicatú 7e2°manentee
bomocurrit. Etifta nonnul: Adem qualitateaquantitate lusbomononcurritequipol
vtnulluanimalcurritnulluz letifti aliquis homo non cur curr ése animal.
Lonuerfiog rit.Undeversus. Precótra, acadésetranspofitiosubiec dic. Post contraprepostaz.sb
tiipredicatu epomanteca gatiuisquare 7c. roz. nó currere èpossibile .6
Quipollentia rumtres ergo non neceffeesoz. curre demqlitarefzmutataquanti
uerfavera?Querfensfalfa. tate. vtoishó estaialaliqd Håbé per aaliqrolanoné
aialébo. Lóuerfiopptrapo fbftárianullarojaernte7ti fitioneeträf posiectiipdica
befalsaaliqui fubstätianon tiirecóuerfomanéteeadem énonrosaq2 suutradictori
qualitaterquitirate. kmura uzé vertivžoisnonfubftan tistermisfinitisiterminosi
tia ;estrora. finitosvtquoddaaialficurs Lotradictiopuerfiõefim ritqodano currensnóénon
pliciarguiťpaiofic'becéve aialUtatfciafáfponóhis ranullusbõémuliē.zbecē
puerhonib? puertatponun falfanullamulierébóigif, furistiosus, Fecifimpliciter
Secuidobecéveranull?ce puertifeuapacci. Altopcon cusvid; ens:7becefalfanul
traficfitpuerfiotota.Jng? lumensvidetcecúergorc. ponúťquattuorlrevocales Lertio
ßéveranuloom ? S.a.e.1.0.2fignificatplezar éibbiezljéfatfanullusbó firmatiaz. 2vlemnegatiuaz
éidomogac. Adpzim DICIE i.pticularezvelidefinităaf, giftanó suapuertens.fzia
firmatiua.o.veropticulare; nulla mulieré aligfbó.qioz velidefinitanegatiua. Luš
effephilis limitatioipuerté dicitfecifimplr.i.plisnega teripuersa.Ad63picogi
tiua7 pticularisaffirmatiua fitdesbiectopdicatu.qziicft
puertütfimplr.puertiťeua p:edicatúlyens13lyvidens pacci.i, vlis negariazplis
ens.ióficpuertiéšnullüvi affirmatiuapuertufp accñs densensécecii.Ad tertium
Artopara. i.vlis affirmatia difimiliterquiaiépuertens zpticularisvelidefinitane
ei?Izianullüensiboiecdo gatiuacouertuntpoponem. m?. vľiainullobõieédom?
Harzuerfionúsimplerévti quianon debétterminimuta lioz.q2vniuerfaliterfipuerfa
recafumquarerc. é vera puertens é vera 7 eco plures cathcgoricar ipuerfióepaccñsestpuerfa
coniunctaspnotam conditio falla. vtbeaialchó.2pueri nis copulationis difiunctiois
tensveraboéaisl. Jnquer velalicuiistarumequiualen fioneveropatrapènemécó
tez.Vttuesbóituefanimal uerfo.lzñéita i puersione p accideiis
velpatraponez:ná р Ropofitioypothe, ticaeftillaģb abet
Iresigitfuntfpesypotheti Deimpoffibilitatepossibly CARnoequälente sifigifica,
litate neceffitatezcoringen, do'ozaditionaťcopulatia tiaeiusdemnonopzdicerea difitictia. Alievero
vt localiterqzoiscóditionilisvera cális ztörať nó
funtypotheeftneceffariazoisfalraéim tice. fzcathegorice.Propofi
poffibilis.Hulla atitestque tioaditionalisèillaiäjiun
fitcótigens.iftereguledicte gun&plurescatbegoziceper
suntdecóditionalidenomia noriaditionisvtfituesbó taalyfiquarezi. tuesaial.
Propofitionü con ditionalium alia affirmati uaalianegatia.Propoaditic Dpulatiua
eftillaque onalis affirmatiua éillaiqua babetplures cathego 5nórepared
afirmaturnotaəditoiserel ricas gnota copulationisiui plüpofitúest. Londitionalis
cemcõitictas.vttuesboiz negatiuaestillaiquanotacó ditionisnegatur vtnonfitu
eshotuesafinus 7brempp batperaffirmatiua.Adveri ratezcóditional affirmatiue
requiriťzfufficitg oppofitú tusedes. Dzopofitionúcopu latiuarumaliaaffirmatiuaa
lianegatiua. Affirmatiuae illainquanotacopulationis affirmatur eremplumpofitu
eft. Hegatiua per oeltillai quanotacopulationisnegaE pritisrepugnetåtecedentivt
fitues bótuesanimal.bec vt non tues bomoztuesasi veraeftquistarepugnanttu nus.
csbomo tunoessial. An Et semper negariua proba tecedés vocatillappoqim
turperaffirmatiuam. mediate sequiturnotãcóditi Åd veritatem copulatiue onis:
cófeques veroeftalta. afirmatiuerequiriturquam f'meibad itaotuesboeftafcedens? Libet
partemerreveramvtcu tuesaialest consequens.Ad eshomoatuesanimal.
falfitatezconditionalis affir, Et adf alfitatem copulati, matiuer equirit. 2fufficitque
affirmatiue fufficitvnam "sistemahor oppofitum cófequentis ftét
partemeffefalsa; vttues behurinefrom cumancedentevifituesbó atucurris. tu
sedes. Hec aut ftant fimul Bd possibilitatem copula tuesbomoztunofedes.ió
tiuerequiriturqualibetpar itaconditionaliseftfalfa. técepossibiléznll'äaltériiz
tatomagis welalijs Jhiunctiuaeftillaique Deus évelfoztesmouef. Ere
coñitigüturplescathe pltiftvttues P'tunones.Et itbegorica.
gozicepnotazdifunctionis; adcótingentiaeiusdemrege Detuesbomoveltuesafin? Ritur
qualibet partemeffeco Propositionúdifuciuarú tingentezznullaalterirepu alia
affirmatiuaalia negatia gnarenecét cótradictoriail; Difiuctiuaaffirmatiuaéil,
laqvtantirpseftalbɔl'ipfe a inquaaffirmaturnotadi currit. Ponitur tertiapartir
litctóisvtpatuit. negatiade culaqebecdifiunctiuaeftne roeftillai quanota difiuctó
ceffariatunoesbóveltues aditsiplānis negaturprñtuesboľ
aial.ztinullapsalterirepu notá quodtuescapza. zbecsemppbat gnatzõlibyéatigés. lzboc
firdresinsme affirmatiuagneceffetnega ióqzcötradictoriaptiuzre, Lisantca
tiuanifipponeretnegatóvt pugnátvzt uesbó7tunes Forrit pattunonesafinusveltunoes
aial. veldicatomeliusqad foipropofitioneapza. Affirmatiua estq2nul neceffitates
difilactiverequi laillannegationumtranfitin rifzfufficitcoplatiuafacta notam
difiunctionis. tropugnante poribilem.eremplüpzimivt tuesafinus.
Etadfalfitatem tuesbo ztucurris. Szadi, eilisre quiritur qualspartem
possibilitatemei?fufficitvna effefalfamvttucurrisl'nul
partezeffeipossibiléautvná lusbaculusstatinangulo. alteriicopoisibilez.eremplu
Mdposibilitatemdifüctie-figutcomkepartesplenepost primivttu curris. 7tuésafi,
affirmatiuefufficitvnaj par tilesramom nus.erempluzkivttuésztu
temeffepossibilem. Vt homo ferposibilisetideopom nes.Adneceffitatez.copla
eftafinusvelantichristuseftfuficitermedpogriner tiueregrit quamlib; premer Sed
adimpoffibilitateeius ludvorbi uficiompor seneceffaria; vtboestaialz requirif qualibet
partéeffe tot dimimurront14éria de’eit. Etadarigentiazip impoffibilem vt homoeftafialiudfornogri.
husregriť zfufficitynapzar nusvelnullusdeuseft. tezelleptingentez.alteraatt
Adneceffitatemdifiunctie ni pofsibilez neceidéicópofi
affirmatiuefufficitvnazpar bilemvttucurris7tuesbó temeffeneceffaria;veliuicé
pel deus eftz tucurris. cótradici. Eréplum pzimivt de partibɔcontradictozijser}
Ad veritatezoifiuctiueaf, feimpoffibilez. Etadcontin Röme ftiguduozycótrario
afirmatiuefuficitvnazparte gentiamcopulatiuafacta siune imposfibilealiud
effeveram. pttu.cshomop gtib oppofitisfitcótiges, metafarim #coco scadcon
coinout:fed quo hoc eftueru, cuno filin ilascopilgrimur, fatke
porousopofiris,codicarilkidekie Erionisdifnightutplan qnoradiinch omnis,Admiños
vilpropofiriones, congle:fed l Frelsabond murgiipropa Mit Saint Erine & filace
prolaindao importinisdefinitiva entrare difusique fignificatia'sseéincóueniensa
Popu-rarios gudwors contrario zeliuniecorigens unum idiom
conigat&difiurgatriper Sadcuila copulatiua falton Iparibusopofieasofusdeles
in diversors Et iceforcimoodradilosiaoliikaepoksidaéestimat arhdheof magister bisin
coligititommdig ogdifinitivaerit Drinsers. viétime quod propria fueimpropriauide
itq,amibe“pareddfentnene ožnnimado props liéefetwimmign ruenhomo
neltuesani bec.n.éneceffariatunocur iusmodi, ris. vel tu moueris .
q becco Lermin e quoc e termin ? pulatia éipoffibiťtucurrif fimplerplura
fignificarFzdi tunomoueris.Etbecéptin uerfasrationes ficutlicanis
géstucurrisvľtunomoue ghignificatcanelatrabilefi ris.q2 beccopulatiuaéptin,
duscelestez piscémarinuz. Genstunócurris tumoue zbocdiuerfisrationibus.
risfecúduregulasdatasde Paedicabile fecúdomó fti copulatiuis.
mifvideliczcóiterzp ergoétermin?vnwoc?pze. priePredicabilecóiterfup
túiterminoaptus. natusde aliquopdicari. zfictātermi nuscõis finglaristacói
dicabilisingddeplerib?ori tibus(pe. ptaialpredicatur deboiezdeafinogorritfpe
ineoqdquidqzaditerroga plerusqizplerusdiciepze tionezfacta; perquideftbo
dicabile. Sippziesicfumen velafin? rndeturqeltaial. do difinit. Paedicabilee
ter Ben'oiuiditur. naquodda minouiuoc'apt nat deplu estgenus gnälifsimu. zquod
rib?pzedicari.ficnull?ieri damgenussbalternum nusfingularisnec tráfcedes Benus generaliffimúéter
autpofit?diciturpzedicabiming ficégen?qd nopot lefeuvniuersaleqóidéė.q2
essespecies. ytfubftátia. Be null’ralisestterin vniuoclis nus subalternúeftterminus
Undetermin’vniuoc'est quificeft genusqdpóteffe termin? fimpler plura signifi
species vtaial.eeniz genus cásfm vnicáraionezficutli respectuhominis speciesde
boqo significatfoztezplato rorespectucorporis té oiađuagiftcataF5bác
Spesestterminusvniuo/ rationeať raroale. Perboccus nó fupremuspzedicabil
qodiciturterminusfimpler ercluduttermini3pofiti.fed fignificanspla ercluditter
minumfingularezzvnicara tione ercludit terminu trásce détez. videlzensaligdzbu
iad plib?vtlibópdicatur aloztez placóeieoqd aditērogatöezfactapgdest foz telvpťlatorideurgébő
Spéfoiuiditur q2qdazeft specialissimazadå Malterna
Segfcapituluopdicabilib? Faria videlzgen? speciediffe"Redicabiledupťrfu
rentiáppriazaccides. Sen? ptú diuidit iquinqz vniuer Spēs Balternaetermina
cutlialbuqapredicatur. de cu'filspeciespóreffegen? Boieieoqd qualeaccicale
vtanimal. qzaditëroğröezfactaequa Spésspecialiffimaéteri
lisehódlafin?pótpuenien nusqcum fitfpesnópóteê terrñderiqdalb?.2bocno genus. vt
bóvel aliter conuertibiliter. Quia nó con Spės spalissimaétermin?
uertiturlialbuaialiq°illoz, vniuocuspdicabilisigdde Suffitientiapdicabiliūbe
plurib'orñtıb nuerofolum turistomó quoë vleautest znotáterdiciturfoluiq2liai
piedicabile effentialiteraut alnéspéss pálissima.ztúert accíítaliter
termin?vniuoc?predicabilir Si effentialrautigdauti igddeplib’orntib?núero
quale. Siiqualeilludéoria 22defostez placóeiznofoi Siigd autdeplurib'orīti,
làdeorñtib?nuero.qzitd e b?sperilludeitgen?.autde orñtib’spé. vtdeboierlebe
přib?orritib?nuero Toluet: Differentiaéterin’viuoc? illudéspés. Siveroepdica
paedicabiťde plib”iquale bileaccnraťrautgiqualeac cénale.vtroaleqapdicatur
cntalepuerribľrz. illudėp ocfoztez platoneieoqaqle pri.veliqualeacclitaleno
qzaditërogatóemfactaper puertibiťr.2illudéaccñs.er qualisest fortesrespódetur
predictispotpuiciafitper quod eft rationalis. dicato directavľ idirecta er
Peopriú eftterinviuoc fentiaľbľaccñcať. Predica Þdicabilisdeplib’ieoquod
tiodirectaeiaiqafupipze quale accñtalepuertiběrut dicaturdefuoiferiozi. Debo
rifibileqapdicatdesozteet éaial. Paedicatioidirectaé platbeieoqdqualeqzadin
illai quaiferi’predicaturde terrogatoezfactapqualise fuosuperiozi.vtaialeftbo.
sozesvť platopueniéterrñ Predicatio eéntialiséillai deturq rifibiť.7totaratio
quafuperi’pzedicaturdein quarefic pdicaturdeilliseq? Feriozi velecóuersofzquod
éppziapafsioilliustermini dictiév ľoriadeali q°illon bomo cum quo conucrtitur.
Si predicatio accítaliséila Acchrétēmin’vniuoc'pze iqua ppuúvelaccñspzedir. dicabilisdeplib”ieoquod
caturde generefpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi bľfuo idiuiduo autepuerfo
Eréplüpzimi: vtbóèrifibil dirurin decepdicasca. Quo Paialéalbu. exéplusivrrifi
rupzimueltpredicarsitu lub bileéhoalbueaial. Etpfiľr státiecul generaliffimúébic
dedriazidiuiduodicafl'me teri’lbalubàpoiturhicter li’oicaturg pdicatioefriaťė
mi? coup”.subcocpozecosp pdicatio terminoz eiusdez saiatu sub cozpoze aiato ať
dicamenti vtbóestaial. pze, aiali fpesspecialissimahoľ
dicatioautaccicaťeftpiedi afinuszlbiftisfuaidiuidua cario terminoxdiuerfozpze
foztesz plato. bzunellusfa dicamentorumvthomoéale uellus.Secúdupredicame bus. Termin
superioradre túeftpdicamentu quátitutis liquúdicitur effeillequicon Lui' generalisfimúeftquäti.
tinerillúznecóuerfoficutli tasfubýfuntduogenera aialrespectuisti'terminihó
alternaär nulluestsuperius qzfignificat quicgdile?cuz adreliquúvzcontinuuz?di
bocaliquid vltra. Lermin’in scretu.primigenerisiftefür
feriozadreliquúdicitureffe fpetieslineasuperficiescoz illequi cótineturabeo. nnó
pustempus?locus.qR:bec ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi
iftiustermini bomo. hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea
infinitesuntfdeties.f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius et cetera.
Redicamentu zestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinariopluriuztermi,
qualitas.Quartuzestforma nozu Fmsubzlupza. Etdiui, vetcirca aliquid pitasfigura
us trinarius quaternarizë Animatum Jnanimatuz indiuidua vero funt hicbina
Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicamentuz qualitatiscu
iusgeneraliffimum estquali Lozpus Jnsensibile Rarionale Jrrationale.
tasfubquofuntquattuo:ge Animal rationale nera subalterna non sebabe Socrates
Plato rio. Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia.Ier Substantia tia
fecundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis mumesthabitusveldispofi, Domo
cies. boc cozpusboc rempus Primi generis spetiesfune Quintumpredicamétoem
grāmatica logicaz rhetorica dica métuacióis cuius gener quaqindividuasuntbecgrå
rasubaltez nafuntfer. quozu matica logicab rbetorica. nulluėsuperiusadreliquum
Lertijgenerisfpessunto risspéssunt. generarehoiez redoamaritudo. albunigruz
?cozrupereequáquayindir calidúz frigidubuidum zfic uiduafuntfic generare boiez
cum.quarúidiuiduasuntheç ficcorrupereequum.Iertijz dulcedo biamaritudohocal
quarti generis(pessuntau. bumhocnigpbuiusmodi. gereinlongudiminuereila
Quartigeneris fpeciessut tum. Quozum indiuiduafffic circulustriangulusquadra
augereilögumficdiminuer gulushuiufmodiquarúidi inlatu. Quiti generis spés uidua
funt.biccirculusbicfunt calefacerez frigefacere triangulushicquadrágulus. Quar idiuiduafuntficcalefa
Quartiipredicamétü Ċpdi cereficfrigefacer. Sertigo, camerurelatóis. Lui'gene. Neris
fpeciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada. súmoueredeorsumquaruin
liquidfbåfunttriagenera( diuidua funtficmo uerefurfu alterailebita, 16zsupa
ficmoueredeorfum. Sertus Primum estcaparatio. Se predicaméta é predicaméruz
cuduzéfuppofitio. Lertiuzė paffioniscu’generatiffimu fuppofitio.primigenerisfpe
estpassio. Etb fi Ľrfergene tiessuntvicinusequale?li, rafbalternarisebūtia ;sub
milequarumindiuidua sunt. zsupaav; generari corrupia hicvicinusbocequalezboc
ugeridiminuialterari7fzlo fimile dñszmagister. qxidiuidua quúconīpiäri diduasütir,
süthicprbiconszbicmagi tuboiezgenerariftueqmco Tertijgeneris (péssútfili? rūpi.
Iertüzquarti generis fuus discipľ? quaruiidiui; spetiessuntaugeriinlon
duasuntbicfili? bicferubic gúdiminuiilatu quani diui. piscipulus. dua
funtficaugeriilogu fic cumouči. primi7figeneris, Secridi generis spēsfuitpr
fpessúthominez generarie Secundi generisspėssunt v3generarecourtīge augere OU
Rzmolle. quarüindiuidua diminuerealterare. cfmlo, funt hoc durumboc molle. Cu
mouere.Primiz figener -- b Nicoletti. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Paolo
da Harborne, and Paolo da Venezia,” lecture for the Club Griceiano
Anglo-Italiano, Bordighera. Luigi Speranza, “Grice e Nicoletti: quadratura ed
implicatura” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Negri: l’implicatura
conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mercato). Filosofo italiano. Allievo di ALIOTTA (si
veda), con il quale si è laureato a Napoli prima in Lettere e poi in Filosofia,
ha sempre considerato come suo maestro Gentile, di cui tuttavia non è stato
direttamente un discepolo. L'intensità con cui Negri ha
approfondito il pensiero gentiliano si è concretizzato dapprima nello studio
dell'allontanamento di SCIACCA (si veda) dall'attualismo poi in testi quali:
“Giovanni Gentile,” “L'estetica di Gentile,” e “Gentile educatore.”
Innumerevoli sono gli scritti dedicati all'idealismo hegeliano, tra cui i saggi
“La presenza di Hegel,” “Ricerche e meditazioni hegeliane,” e “Hegel nel
Novecento,” e le traduzioni di opere hegeliane come “La vita di Gesù” e “Le
orbite dei pianeti.” A queste traduzioni si aggiungono anche quelle di
grandi classici del pensiero filosofico, economico e sociologico.
Ha ricevuto il Premio San Gerolamo. A N. si deve anche la
valorizzazione di alcune grandi personalità della cultura italiana, come quelle
di Emo, Michelstaedter ed Evola. La sua carriera lo ha visto
professore di Storia della filosofia in alcune delle più importanti università
italiane: Bari, Perugia e Roma, dove ha lavorato presso l'Università degli
studi di Roma Tor Vergata fino alla fine del suo incarico universitario.
Nel corso della sua esperienza intellettuale è stato impegnato in un'intensa
attività saggistica e pubblicistica, scrivendo sulle più importanti riviste
culturali italiane e straniere, tra le quali: il «Giornale Critico della
Filosofia Italiana», il «Giornale di Metafisica», «I Problemi della Pedagogia»,
«Rinascita della Scuola», «Dix-Huitième Siècle», «L'Enseignement Philosophique»,
«Studia Estetyczne», «Idealistic Studies». Collaborato con molti dei
maggiori quotidiani nazionali: «Il giornale d'Italia», l'«Avanti», «Il
Messaggero», «Il Sole 24 Ore», «Il Tempo» e «il Giornale». Inoltre, ha
diretto varie collane di testi filosofici per la Marzorati («Ricerche
filosofiche», «Testi e interpretazioni»), la Seam («Filosofi italiani del
'900», «Sentieri del giorno e della notte») e la Pellicani («La storia e le
Idee») e riviste come gli «Studi di storia dell'Educazione» della Armando
Editore. Gli è stato assegnato, a Palermo, dall'Associazione
internazionale di studi e ricerche Nietzsche fondata da Fallica, il «Premio
Nietzsche». Saggista sempre molto prolifico, ha continuato a pubblicare
opere originali non solo nella scelta degli argomenti ma anche dei contenuti:
il Discorso sopra lo stato presente degli italiani, il De persona.
L'indomabilità dell'individuo e Problema Europa: Unità politiche e molteplicità
culturali. N. Sciacca: dall'attualismo alla filosofia dell'integralità,
Edizioni di Ethica, Forlì. Collegamenti esterni «Négri, Antimo», la
voce in Enciclopedie, Treccani L'Enciclopedia italiana. Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Ultima modifica 1 anno fa di un utente
anonimo Bertrando Spaventa filosofo italiano Michele Federico Sciacca filosofo
italiano Idealismo italiano Corrente filosofica predominante in Italia nella
prima metà del XX secolo Antimo Negri.
Grice e Negri: l’implicatura
conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Grice: “Only in Italy a
philosopher philosophises on Pinocchio!” -- Grice: “I like his idea of a new
‘grammar of politics,’ even if he uses the extravagant metaphor, delightful
though, ‘fabbrica di porcellana’. He has a gift for metaphor, sure!” – Grice:
“’la lenta ginestra’ to qualify Leopardi’s ontology is genial!” -- Grice:
“Negri reminds me of ‘pinko Oxford’!” Tra gli anni sessanta e
gli anni settanta, fu uno dei maggiori teorici del marxismo operaista. Dagli
anni ottanta in poi, si dedicò invece allo studio del pensiero politico di
Baruch Spinoza, contribuendo, insieme a Louis Althusser e Gilles Deleuze, alla
sua riscoperta teorica. In collaborazione poi con Michael Hardt, ha scritto
libri molto influenti nella Teoria politica contemporanea. Accanto alla
sua attività teorica, ha svolto una intensa attività di militanza politica,
come co-fondatore e teorico militante delle organizzazioni della sinistra
extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia. A causa della sua
attività politica è stato incarcerato e processato, all'interno del processo 7
aprile, con l'accusa di aver partecipato ad atti terroristici e d'insurrezione
armata. Venne, tuttavia, assolto da queste imputazioni, per poi venire
condannato a XII anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale
nella rapina di Argelato. Saggi: “Stato e diritto -- la genesi illuministica
della filosofia giuridica e politica” (Padova, Milani); “Lo storicismo” (Milano,
Feltrinelli); “Forma giuridica” (Padova, Milani); “Flosofia del diritto” (Bari,
Laterza); “Il concetto di partito politico” (Padova, Moderna); “Lo stato piano
e il comune” (Milano, Feltrinelli); “Il concetto d’integrazione nella storia di
Italia” (Milano, Giuffrè); “Il concetto di stato” (Milano); “Il capitale e lo stato”, “Della ragionevole
ideologia” (Milano, Feltrinelli); “Incidenza di Hegel. Napoli, Morano, Enciclopedia
Feltrinelli Fischer); Scienze politiche, (Stato e politica), Milano,
Feltrinelli); L’organizzazione operaia” (Milano, Feltrinelli); Partito operaio
contro il lavoro, in S. Bologna, P. Carpignano, N., “Crisi e organizzazione
operaia” (Milano, Feltrinelli); “I proletariato” Proletari e Stato. L’autonomia
operaia e compromesso storico, Milano, Feltrinelli); “La fabbrica della
strategia” Padova, “Cooperativa libraria editrice degli studenti di Padova, Collettivo
editoriale librirossi, La forma Stato, per la critica dell'economia politica
della Costituzione italiana” (Milano, Feltrinelli); “Il problema dello stato e
sul rapporto fra demo-crazia e sociali-smo” Milano, Unicopli-Cuem, “Il dominio
e il sabotaggio: sul metodo marxista della trasformazione sociale,” Milano,
Feltrinelli, “Manifattura, società
borghese, ideologia: Una polemica sulla struttura e la sovra-struttura,” Roma,
Savelli, Marx oltre Marx [Grice, “Grice oltre Grice”]. Quaderno di lavoro sui
Grundrisse, Milano, Feltrinelli, “ Dall'operaio massa all'operaio sociale. sull'operaismo,
Milano, Multhipla, “Comunismo e guerra,” Milano, Feltrinelli, Politica di
classe: il motore e la forma. Le cinque campagne oggi. Milano, Machina Libri,
“Otto Dix,” Milano, Studio d'arte Grafica, “L'anomalia selvaggia: potere e
potenza in Spinoza” (Milano, Feltrinelli);“Macchina tempo. Rompicapi,
liberazione, costituzione,” Milano, Feltrinelli, Pipe-line. Lettere da
Rebibbia, Torino, Einaudi, Boutang, Diario
di un'evasione, Cremona, Pizzoni, Le verità nomadi: lo spazio di libertà” (Roma,
Pellicani); “Fabbriche del soggetto: profili, protesi, transiti, macchine,
paradossi, passaggi, sovversione, sistemi, potenze: appunti per un dispositivo
ontologico, in "XXI secolo. Bimestrale di politica e cultura", “Lenta
ginestra: l'ontologia di Leopardi, Milano, Sugar, “Fine secolo. Un manifesto
per l'operaio sociale. Milano, Sugar,” “Arte e multitude” (Milano, Politi, “Il
lavoro di Giobbe. Il famoso testo biblico come parabola del lavoro umano,
Milano, Sugar); “Il potere costituente. Ssulle alternative del moderno,
Carnago, Sugar, Spinoza sovversivo. Variazioni (in)attuali” (Roma, Pellicani, “Dioniso,
o lo stato postmoderno” (Roma, Manifestolibri); L'inverno è finito. Scritti sulla trasformazione
negata” (Roma, Castelvecchi); “I libri del rogo, Roma, Castelvecchi); Partito
operaio contro il lavoro; Proletari e Stato; Per la critica della costituzione
materiale; La costituzione del tempo. Prolegomeni. Orologi del capitale e liberazione
comunista” (Roma, Manifestolibri); Spinoza (Roma, DeriveApprodi, Contiene: S
Democrazia ed eternità in Spinoza); “Sogni Incubi”, L’incubo, Visioni. Politica
e conflitti nella crisi della società del lavoro” (Milano, Lineacoop, La
sovversione” (Roma, Liberal, Kairòs, alma venus, multitudo. Nove lezioni
impartite a me stesso” (Roma, Manifestolibri, Desiderio del mostro. Dal circo
al laboratorio alla politica, a cura di e con Fadini e Wolfe, Roma, Il manifesto,
Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, con Hardt, Milano, Rizzoli, Europa politica. [Ragioni di una necessità],
a cura di e con Friese e Wagner, Roma, Manifestolibri, Luciano Ferrari); “Bravo
ritratto di un cattivo maestro. Con alcuni cenni sulla sua epoca” (Roma,
Manifestolibri); “L'Europa e l'impero. Riflessioni su un processo costituente,
Roma, Manifestolibri); “Moltitudine e impero, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il
ritorno. Quasi un'autobiografia” (Milano, Rizzoli, Guide); “Impero e dintorni”
(Milano, Cortina); “Moltitudine. Guerra e democrazia nell’ordine imperiale” (Milano,
Rizzoli); “La differenza italiana” (Roma, Nottetempo); Movimenti nell'impero.
Passaggi e paesaggi, Milano, Cortina, Global. Biopotere e lotte” Roma,
Manifestolibri, Goodbye Mr Socialism, Milano, Feltrinelli, Settanta (Roma,
Derive); Approdi, Fabbrica di porcellana. Per una nuova grammatica politica,
Milano, Feltrinelli, Dalla fabbrica alla metropoli” (Roma, Datanews, Il lavoro nella Costituzione” (Verona, Ombre
Corte, Dentro/contro il diritto sovrano. Dallo Stato dei partiti ai movimenti
della governance” (Verona, Ombre Corte, Comune. Oltre il privato ed il pubblico, (Grice:
“Cf. Grice on ‘common language’ and ‘private language’”) Milano, Rizzoli, Inventare il comune, Roma, Derive Approdi, Il
comune in rivolta. Sul potere costituente delle lotte (Verona, Ombre Corte); “Questo
non è un Manifesto” (Milano, Feltrinelli); “Spinoza e noi, Milano-Udine,
Mimesis); “Fabbriche del soggetto. Archivio (Verona, Ombre corte); Arte e
multitudo (Roma, DeriveApprodi); “Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle
Grazie, Galera ed esilio. Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle Grazie, Assemblea,
Milano, Ponte alle Grazie, Da Genova a domani. Storia di un comunista, Milano,
Ponte alle Grazie. Antonio Negri. Keywords: implicature,
potere-potenza, l’incubo, la differenza italiana, grammatica politica,
assemblea, Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Negri," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e
Neri: l’implicatura conversazionale dell’aporia della realizazione – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “Neri is an interesting
philosopher – he speaks of the aporia of the realization, which is intriguing,
and considers that ‘objectivism’ started with Galileo, which is realistic!” Professore
a Verona. Allievo di Banfi e Paci, rappresenta una delle ultime sintesi della
Scuola di Milano, di cui riprende alcuni dei temi portanti: ricerca
fenomenologica, analisi storico-politica, studi estetici. Rispetto ai suoi
maestri, del cui pensiero è stato uno dei maggiori interpreti, sviluppa un
percorso di ricerca originale, caratterizzato da una critica delle ideologie
del Novecento e dei loro fallimenti, e da una lettura non dogmatica della
storia contemporanea, volta a metterne in luce discontinuità e aporie. Forte di
un'indole scettica e fedele al principio dell'epoché fenomenologica, Neri ha
ripercorso le vicende della dialettica marxista, focalizzando in particolare la
sua attenzione sull'Europa centro-orientale, e sulle varie forme di
controcondotta e dissenso che, a partire dagli anni sessanta, sono andati
germinando in quel contesto storico. I suoi autori di riferimento Husserl e
Merleau-Ponty, Bloch e Lukács, Kosík e Kołakowskirivelano la tensione
intellettuale tra ricerca teoretica e storica che ha caratterizzato il lavoro
di Neri, dalle principali monografie, ai saggi su aut aut e Il filo rosso, fino
al materiale inedito conservato presso l'Archivio N., da pochi anni istituito
presso l'Università degli Studi di Milano. Durante gli anni universitari,
trascorsi tra Pavia e Milano, Neri ha l'occasione di frequentare gli ultimi
corsi di Banfi, ormai lontano dalla fenomenologia e intento a perfezionare (e
radicalizzare) il suo umanesimo di stampo marxista, e dell'ancor giovane Enzo
Paci che, in quegli stessi anni di dopoguerra, intraprende un confronto
innovativo con gli esiti della ricerca husserliana, e in particolare con i
contenuti della Crisi delle scienze europee, oggetto di numerosi corsi. Proprio
questo "apprendistato fenomenologico", secondo l'espressione di
Fausti, ha consentito a N. di acquisire un metodo di ricerca che lo ha accompagnato,
non solo nei suoi studi delle opere di Husserl, Merleau-Ponty, Patočka (dei
quali traduce e cura varie pubblicazioni), ma, più in generale, nell'analisi
del pensiero storico e politico novecentesco. A questi interessi va ad
aggiungersi quello per l'arte e l'estetica, decisivo in questi primi anni, e
dovuto in particolare agli insegnamenti di Formaggio, con cui N. si laureò. Neri
continuerà a interessarsi a questi temi anche negli anni successivi, dedicando
diversi scritti a Panofsky (della cui Prospettiva come forma simbolica cura nell'edizione)
e a Caravaggio, e interrogandosi sul rapporto tra fenomenologia ed
estetica. Agli anni di studio, segue una fase di ricerca che lo porterà
nei primi anni sessanta a Praga, ospite dell'Accademia delle Scienze della
Cecoslovacchia e, in seguito, negli Stati Uniti d'America, dove è visiting
scholar a Pennsylvania. A Praga, Neri entra in contatto con la giovane
generazione di intellettuali cechi che, in questi anni cruciali, portano avanti
l'idea di riformare il socialismo dal suo interno, a partire da una profonda
reinterpretazione del materialismo e della prassi marxiana. È grazie a N. che
in Italia si diffondono le opere di Kosík e di Patočka che, pur così
profondamente diversi, condividono con Neri l'interesse per la fenomenologia e
la politica. Durante la sua esperienza americana, N. dedica a Marx una serie di
lezioni e conferenze, i cui testi inediti, facenti parte del Fondo N., sono
conservati presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di
Milano. Analizzando il pensiero di Marx, N. si rifà in particolar modo, oltre
che all'insegnamento di Kosík, agli scritti di Petrović e alla scuola jugoslava
legata alla rivista Praxis. Tornato in Italia, inizia un lungo periodo di
insegnamento a Verona, durante il quale incentra i suoi corsi sulla
fenomenologia post-husserliana, su Bloch, sull'idea filosofica di Europa e la
sua eredità, a seguito del fallimento dei principali progetti politici
novecenteschi. Escono in questi anni le sue opere più note: “Aporie della
realizzazione”, sulla filosofia e l'ideologia dei paesi del socialismo
realizzato, e “Crisi e costruzione della storia”, dedicato, ancora una volta,
al maestro Banfi. In più occasioni, manifesta il suo debito nei confronti
dei suoi maestri milanesi, per averlo iniziato allo studio della fenomenologia.
In tal senso, il passaggio dall'insegnamento di Banfi a quello di Paci è
decisivo. «Al centro non era piùscrive Neri poco prima di morire, ricordando
quegli anniil "disperato razionalismo" del fondatore della
fenomenologia: il fuoco della rilettura era diventato il "mondo della
vita" e la critica dell'obbiettivismo moderno». Un pensiero che ben si
presta a una generazione di giovani studiosi che, durante gli anni sessanta, si
raccolgono intorno a Paci, desiderosi di affinare un pensiero che consenta di
riguadagnare un sguardo disincantato, ma non indifferente, sulla realtà sociale
e culturale circostante, contro «l'asfissiante razionalismo» di Banfi e, più in
generale, contro l'impronta culturale del PCI. Neri rientra in questa
nuova leva di studiosi e in questi termini si possono interpretare anche i suoi
studi fenomenologici. «Con il tema del mondo della vitaribadisce N., in un
altro tra i suoi scritti più tardila fenomenologia mostrava di saper affrontare
i problemi posti dalle scienze storiche e sociali, dall'antropologia culturale
e infine anche dal pensiero marxista». L'esempio di Paci, tuttavia, che cercò a
tutti gli effetti di coniugare metodo fenomenologico e dialettica marxista, è
seguito dall'allievo solo parzialmente, lasciando la sua impronta più visibile
nel volume Prassi e conoscenza, una cui parte è dedicata ai critici marxisti
della fenomenologia. Col passare del tempo, tuttavia, Neri adotta una posizione
di sempre più evidente rottura, prediligendo a qualsiasi tentativo
conciliatorio una critica fenomenologica del socialismo realizzato e delle sue
distorsioni. A tal proposito, il confronto con Kosík e il dissenso, all'interno
del socialismo reale, giocano un ruolo di primo piano. Come si evince
dalla sua “Aporie della realizzazione,” distingue due fasi e due generazioni di
filosofi, all'interno della complessa crisi del socialismo in costruzione. Da
una parte, la prima generazione è rappresentata da Lukács e da Ernst Bloch.
Proprio al pensiero di quest'ultimo, alle sue concezioni di storia e di utopia
e ai suoi numerosi ripensamenti, Neri dedica una lunga analisi, che tornerà
periodicamente anche negli anni successivi, come testimoniano i programmi
dei suoi corsi universitari. A Bloch è ispirato, d'altronde, il titolo del
libro, che N. ricava da una pagina di Principio speranza. È all'interno della
dialettica tra realtà e realizzazione, tra condizione presente e speranza
futura, che N. individua l'andatura del socialismo reale, della sua filosofia e
della sua ideologia. Solo con la seconda generazione di filosofi, tuttavia, le
aporie della realizzazione socialista vengono veramente al pettine; la
malinconia di Bloch cede infatti il passo allo sguardo scettico di Kołakowski e
al tentativo di Kosík di rileggere la dialettica marxista in termini concreti, al
di là di ogni deriva ideologica. Dello stesso tenore è anche il libro su Banfi,
Crisi e costruzione della storia, di pochi anni successivo, in cui N. si
confronta con lo stesso tema della realizzazione, inteso stavolta nei termini
del tentativo banfiano di costruire un percorso storico su basi razionali,
oltre la crisi della civiltà moderna, verso una nuova prospettiva umanistica.
Alla luce del ritratto offertoci da Neri, che si concentra in particolare sugli
anni trenta, intesi come momento cruciale per lo sviluppo della teoria
banfiana, emerge un'immagine di Banfi particolarmente complessa, nella quale la
svolta ideologica e l'adesione al comunismo non offuscano il perdurare di uno
spirito critico e di una prospettiva europea, che si sviluppa al di là dei
particolarismi delle filosofie nazionali. L'Archivio N. -- è stato creato
presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano
l'Archivio N. In tale archivio è raccolta un'imponente quantità di materiali
inediti, che comprendono riflessioni, appunti per corsi e seminari, annotazioni
di viaggio, corrispondenze. Sono considerati di particolare rilievo, in vista
di futuri studi sul pensiero filosofico di N., i 149 quaderni, contenenti le
riflessioni del filosofo, dalla metà degli anni cinquanta, fino alla sua morte.
Attraverso la lettura di questi scritti, ora completamente consultabili e in
corso di digitalizzazione, è possibile chiarire il rapporto e gli scambi di
Neri con altri rappresentanti della filosofia milanese: da Banfi a Paci, da Dal
Pra a Preti. Grande importanza rivestono anche i commenti in presa diretta su
alcuni tra i più rilevanti avvenimenti storici del Novecento: dall'invasione
sovietica dell'Ungheria, alla Primavera di Praga, fino al crollo del socialismo
reale. A ciò si aggiungono le riflessioni sul ruolo della filosofia nella
società, sul modo e l'opportunità di insegnarla, e sulla sua tenuta, di fronte
alle scosse della storia. Saggi: : “La fenomenologia della prassi (Milano, Feltrinelli); “Il partito socialista
italiano” (Milano, Feltrinelli); “Crisi e costruzione della storia” (Napoli,
Bibliopolis); “Il sensibile, la storia, l'arte” (Verona, Ombre Corte, F. Tava, su
Open Commons of Phenomenology. G. Scaramuzza, Presentazione, in Atti della
Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la Fondazione Corrente,
Milano, Materiali di Estetica, Archivi. su sba.unimi. degli scritti di in aut
aut, n. Atti della Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la
Fondazione Corrente, Milano, in Materiali di Estetica, Quando tra noi Ricordo, amici, colleghi e studenti, Pizzighettone,
Viciguerra, L. Fausti, Tra scepsi e storia. Un percorso filosofico, Milano,
UNICOPLI,. L.Frigerio e E. Mazzolani,
Iin Sistema Università, A. Vigorelli,
Fenomenologia e storia. A partire da Patocka: itinerario filosofico, in Leussein, F. Tava, Open Commons of Phenomenology. sba.unimi.
Fondo librario. Grice: Mussolini used to say that Garibadi spoke of the
‘popolo’ while he speaks of the ‘nazione’ – and a nazione has a plusvalue over
popolo. Il popolo e l’asino, l’asino e il popolo utile paziente e bastonato. Grice:
“Neri made a great contribution or the spreading of Husserl’s interpretation of
their own Galileo n Italy. Who is this Jew to tell us anything about our
glorious Pisan? Husserl saw Gailei as a Platonist. Neri made a translation of
Husserl’s essay on Galileo and included in a saggio with the title GALILEO in
it – in this way, he gathered the attention of every Italian philosophical
Galileian!” Grice: “Perhaps the best introduction to Italian socialist politics
are the commentaries Neri made to the cartoons in the asino, which he entitled,
bitingly, the bite of the ass!” Grice: “Oddly, bite is an attribute of ass –
when a retrospective of the cartoons was held, the cliché journalese when
‘satira morente’ -- -- estetica di Diderot, senso e sensibile, il sensibile, la
sensazione, il Galileo di Husserl. –Guido Davide Neri, su sba.unimi. Neri.
Keywords: aporia della realizzazione, il mordo dell’asino, -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Neri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nerone: il melodramma di Boito -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo epicureo
e imperatore romano. Demetrio Lacon dedicated a philosophical essay to Nerone,
making it extremely like that Nerone was himself a follower of the doctrines of
The Garden. ao ss TN Bo ZA SI gia
SE er ES 7 VIS \ Rai COSI Sega pr e da
ansa Mi, pe sud o, e G. RICORDI € C. EDITORI-MILANO 1( Printed in Italy )
@ISERI (mpradigeile) POS \ DI Li ‘A DG DI 8 li 7 LALA Ss INI
(EL fn ra SI ; CS ‘ pi” x "n ': lr” t DS Ù Ì
N ? Ò FINE Nine {UMBERTO PIZZI BULOGNA - Via Zamboni, 1
Proprietà per tutti i paesi. Deposto a norma di legge e dei
trattati internazionali. Tutti i diritti di esecuzione,
rappresentazione, riproduzione, traduzione e trascrizione sono riservati.
Aiîl rights of execution, representation, reproduction, translation and
transcription are strictly reserved. (Copyright by G. Ricordi & Co.) (Printed
in Italy) (Imprimé en Italie ) BOITO TRAGEDIA IN IV ATTI .— AUMENTO
COMPRESO G. RICORDI & C. EDITORI MILANO - ROMA - NAPOLI
- PALERMO - LONDRA LIPSIA - BUENOS AIRES PARIS - SOC. ANON. DES EÉDITIONS
RICORDI NEW-YORK - G. RICORDI & C., INC.LE PERSONE DELLA TRAGEDIA: NERONE
SIMON MAGO FANUÈL ASTERIA RUBRIA TIGELLINO
GOBRIAS DOSITÈO PERSIDE CERINTO IL
TEMPIERE TERPNOS PRIMO VIANDANTE SECONDO VIANDANTE LO SCHIAVO
AMMONITORE I VARII AGGRUPPAMENTI DEL CORO: Ambubaje -
Fanciulle Gaditane - Acclamatori - Cavalieri Augustani - Liberti - Fautori
di parte frasina - Fautori di parte azzurra - Popolo - Schiavi - Plebe -
Senatori - Una compagnia di Artisti Dionisiaci, Tre decurie di Guardie
Germane - Eneatori - Sacerdoti del Tempio di Simon Mago - Matrone -
Classarii - Pretoriani - Cristiani - Aurighi della fazione verde -
Aurighi della fazione azzurra. PANTOMIMI, DANZATRICI, APPARITORI:
Una puella Gaditana - L’ Arcigallo - Un venditore d’idoli - Un venditore
di tavole votive - Un mercante orientale - Un flamine - L’auriga
vincitore - L’ auriga vinto - Un lanista - Due Mercurii - Due Caronti -
Alcuni Etiopi - Viandanti - Lettigarii - Clienti - Servi - Danzatrici
Gaditane - Corrieri Mauritani - I due Consoli - Littori - Preconi - Due
Tribuni della plebe - Legionarii - Galli - Greci - Rheti – Indiani, Armeni, Egiziani,
Fanciulli patrizii, Fanciulli cristiani, Fanciulli Asiatici, Cavalieri, Phaiangarii,
Matrone, Marinai, Citaredi, Sistrati, Auledi, Ieroduli, Flabelliferi, Tre
Tempieri, Alcuni Decurioni, Alcuni Centurioni, Guardie Germane, Gladiatori,
Alcuni bestiarii, Istrioni, Sagittarii. Tai % VA Il bh
NI E fighe: Ri di ST Mr Acenta) MAN CI 1a SOR MN LIERE
T #1"Ri NERONE TIRA GGEDRARENCF OUATTPEROSTASITI PAROLE
E MUSICA DI BOITO(Proprietà G, RicoRDI & C.) PRIMA ESECUZIONE: MILANO, TEATRO
ALLA SCALA (ENTE AUTONOMO). PERSONAGGI NERONE. Sig. Aureliano
Pertile; SIMON MAGO, Journet E e, » Carlo Galeffi MORERTA SC del 5
Se RosasRaisa MERA e, » Luisa Bertana ME UCINO n e e Sig, Ezio
Pinza BIRBRIAST: i ii, » Giuseppe Nessi O i a Carlo)Walter
BERSIDE N. 000.0. Sig Mita Vasari MINT ne, » Maria Doria
BERLEMPIERENS e, i Sig, Emilio Venturini PRIMO VIANDANTE. . . . »
Alfredo Tedeschi SECONDO VIANDANTE . . » Giuseppe Menni LO SCHIAVO
AMMONITORE .Baracchi MIS SOL INLLÎNI MAESTRO DIRETTORE E
CONCERTATORE TOSCANINI Maestri
sostituti: CALUSIO - CLAUSETTI -FORNARINI FRIGERIO - RAGNI - ROSSI -
VITTORIO RUFFO - ANTONINO VOTTO Maestro del Coro: VITTORE VENEZIANI -
Maestro della Banda: MORRONE Maestri suggeritori: PETRUCCI e DELEIDE
Coreografo : PRATESI - Prima ballerina: CIA FORNAROLI
Direttore della messa in scena: FORZANO Direttore dell’allestimento
scenico: CARAMBA Scene, costumi ed attrezzi su bozzetti di POGLIAGHI
Scenografo: MARCHIORO colla collaborazione di MAGNONI Primo
Violino di spalla: Giro MNastrucci Primo dei secondi Violini: Odoardo
Peretti - Prima Viola: Guglielmo Koch Primo Violoncello: Arfozio Valisi -
Primo Contrabbasso: Zfalo Caimi Primo Flauto; Arrigo Tassinari - Ottavino:
Alberto Trevisan Primo Oboe: Gusmano Trapani Corno Inglese: At/ippo
Ghignatti - Primo Clarinetto: Luigi Cancellieri Clarone: Arturo Capredoni
- Primo Fagotto: Mazzini Paltrinieri Sarrussofono: Giuseppe Regarbagnati
- Primo Corno: Michele Allegri Prima Tromba: Edriondo Botti Primo
Trombone; UVsberto Montanari Basso Tuba: Saverio Scorza - Prima Arpa:
Giuseppina Sormani Organo e Pianoforte: Antonino Votto - Celesta: Eduardo
Fornarini Xilofono, Sistro e Batteria: Augusto Bergami Gran Cassa
e Piatti: Arancesco Veronesi - Timpani: Luigi Barilli ispettori
del Palcoscenico: Domenico Duma e Enzio Cellini Vice ispettore: EmziZio
Rocchi Direttori del macchinario: Giovanni e Pericle Ansaldo
Costumi della Sartoria Teatrale Chiappa Attrezzi della Ditta
Aancazi & C. di Sormani Tragella & C. Gioielleria della Ditta
Angelo Corbella Parrucchieri: Rodolfo Biffi e Rocco Sartorio Piume
e Fiori della Ditta Virginia Ranzini Istrumenti musicali della
Ditta Strumenti Musicali Bottali La è fa 9.41 TNT Hi PI n
RARI T IR d wa È Lal AVALETCAUIT ATE PAIA RO (0)
i. È un campo situato (per chi va da Roma ad Albano) lungo il lato destro
dell'Appia, alla sesta pietra milliaria. La via segue una linea obliqua
fra questo e gli altri campi che si estendono dall’altro lato. La notte è
nuvolosa. La luna pènetra a stento le dense nubi che la nascondono.
Sull’Appia e sulle sue tombe l’oscurità è appena diradata da un barlume
cinereo che non projetta ombre ; il campo nereggia più cupo. Sul
lato destro della via, dalla parte di Roma, s’innalza un grande sepolcro che si
prolunga nell’erba; gli si allinea d’accanto, progredendo verso Albano,
una tomba recente su cui sta per estinguersi una lampa funeraria. Tra
questa tomba e il milliario lo spazio è libero; poi segue una pietra sepolcrale
quadrata e, poco discosto da questa, un vasto tumulo erboso che porta sul
suo vertice le vestigia d’un’ara. Altre tombe si schierano sulla fronte
sinistra della via. Molti rottami d’antichi mo- numenti sono sparsi
intorno al grande sepolcro ed ingombrano anche il breve spa- zio che lo
divide dalla tomba recente. Fra questi ruderi un uomo, nelle tenebre,
sta scavando una fossa. È Simon Mago. Sul margine della via un altro uomo
guarda, immobile come in vedetta, nella direzione d’Albano ; egli porta il
cappuccio della lacerna sul capo. È Tigellino. La notte è piena di canti che
giungono dalla vasta campagna, dalle lontananze dell'Appia; frammenti di
canzoni portati dal vento, dispersi dal vento.VOCI LONTANE E SULLA VIA Canto
d’amore Vola col vento, a SIMON MAGO Torna col vento...
i? E lui: Passa un viandante che va verso Roma TIGELLINO con
una bisaccia a spalle ed un bastone. No. LA GUARDIA DEGLI ACQUEDOTTI
SIMON MAGO lontanissima Forse lo atterrì quel grido. Terza
vigilia...TIGELLINO Odilo ancor, là... verso via Latina.
SIMON MAGO Pur ch’ei non l’oda! TIGELLINO
È profonda la fossa? | SIMON MAGO Profonda.
Ma dalla parte d’Albano s'è udito un urlo di spavento:
Tigellino sbalza sul- la via e incontra Nerone fuggente,rav-
volto in una toga funebre e che porta un'urna cineraria fra
le braccia. TIGELLINO ‘ accorrendo al grido Mio Signor!...
N. ansando di terrore ed accennando die- tro di sè: L'Enanidzlatt.
TIGELLINO dopo aver osservato È il tuo delirio.
N. No. La vidi...surse... Cinta di serpi...
squassava una face... Poi la ingojò la terra. TIGELLINO
lo sorregge, lo fa sedere sulla pietra sepolcrale che sta
fra il milliario ed il tumulo. Qui ti posa. TIGELLINO
Dove lasciasti il corteggio ? N. A Boville.
VOCE FERALE NEL LONTANO Nerone-Oreste ! ll Matricida!
Ancor più nel lontano risuona il canto di "prima : Canto
d’amore Vola col vento, Torna col vento... Ricominciano
le canzoni della notte. Volano per l’aria le parole d’una stro- fa
amatoria di Petronio : Dolce ridente Lalage. Giunge sull’Appia da
Roma un’alle- gra comitiva al lume d’una torcia. Vanno a passo vivo
verso Albano. Risuona una voce con questo epigramma : ;
Citarizzando scorda l'Impero... TIGELLINO sottovoce,
come parlando : Balza il vento e ne porta le canzoni Or dai
monti, or dall’Urbe. N. trasalendo ed alzandosi Ancor
quel grido! TIGELLINO È la canzon d’un ebbro; porgi.
Fa per prendere l’urna che Nerone stringe fra le braccia.
N. No. lo l’urna porterò sino alla méta.
Nerone entra nel campo coll’urna fra le braccia. Tigellino al suo
fianco lo guiderà fra le tenebre, lentamente. Giunti alla fossa si
arrestano. N. Simon. Mago dov'è? Nerone
depone l’urna sul suolo, presso la fossa. SIMON MAGO
che non s’è mosso dal campo Qui supplicante I Mani
d’Agrippina. VOCI LONTANE ...trasfondeva col bacio il iabro al
[labro... l’anima errante.... . progenie nova dal ciel...
. ave, anima... Una voce lugubre si sparge nella not-
te; s'odono queste parole: Voce dall'Oriente! Voce
dall’Occidente! seguite dal popolarissimo verso d’una
atellana: Torna Onesimo dai campi... e dal grido
ferale: Nerone-Oreste ! Il Matricida! N. subitamente,
atterrito AN! tu mi salva! Lava il mio matricidio! Orrenda vita
Vivo, pe’ gioghi di Campania in fuga, Meco traendo il delirio, le
Eumenidi Flagellatrici e lo spettro materno! SIMON MAGO
Dagli insepolti corpi emanan larve. Pronta è l’inferie.
TIGELLINO Finchè il rito dura, Vigilerò. i Poi
s’avvicina a Simon Mago e con accento concitato, staccandolo da Nerone,
sommessamente gli dice : Spingilo a Roma, incìta L’audacia in lui;
s’ei teme siam perduti. Ritorna sulla via Appia e s’apposta presso la
colonna milliaria. N. prono sulla fossa ed immobile,
incomincia come chi proferisce parole preparate con arte:
Queste ad un lido fatal insepolte ceneri tolsi, Qui le trassi dove
stende Roma sue tombe ; Sacro sempre fu ridonare agli estinti la patria.
S’inginocchia. Ecco, mi prostro, m’atterro, m’accuso.
Se dei defunti lo spirto penètri Nell’alme nostre, il mio
contempla, madre, Interno orror. quasi senza suono,
inorridito e coprendosi il volto colle mani lo son l’ultimo vivo
Di tua tragica stirpe, in me il Destino Tutte aduna sue forze e le
consuma. M’invade il Nume antico! È l’opra mia L’opra del Fato!
ergendosi fieramente E ben dicea quel grido :
Io sono Oreste! PSA 0) Ho. d, PRI SIMON MAGO E
tua Tauride... N. intuendo con gioja il pensiero di
Simon Mago ..è Roma! Passa una famiglia di gladiatori; la
precede il lanista, riconoscibile alla lunga ferula che impugna;
gli sta a fianco uno schiavo con una lanterna. TIGELLINO Vanno
silenziosi verso Roma. dall’Appia, sommessamente ma energico
Zitti! Vien gente. | sottovoce, ma concitato Presto.
N. a Simon Mago, con ansia T'affretta. Si
sotterri l’urna. SIMON MAGO A te. Nerone esita ad
afferrare l’urna. Paventi ? NERONE No.
SIMON MAGO Presto. N. angoscioso
M’ajuta. | Simon Mago lo ajuta a calar l’ urna nella
fossa. grescreazbiapiz indenni DO SIMON MAGO
N. Più profondo. Più profondo ancora.
Simon Mago comprime l’urna nella buca; poi, con la vanga la copre
di terra finchè la fossa è ricolma. N. a Simon Mago È
fatto? SIMON MAGO È fatto. N.
Nascondi la vanga. Simon Mago va a nascondere la vanga
fra i ruderi, poi ritorna, prende dal- l’acerra alcuni grani
d’incenso, li spar- ge sull’ara thuraria, immerge l’asper-
sorio nell’idria, raccoglie da terra il velo nero, lo distende.
SIMON MAGO copre la testa e il viso di Nerone col
velo, insino al petto. Ti copra l’atro vel. N.
Ajuta! Ajuta L’anima mia! SIMON MAGO
tracciando con l’aspersorio dei segni arcani nell’aria
Redimo te! Ti prostra. Amen rispondi. N.
tutto prosteso, toccando con la fronte la terra, ripete:
Amen. | Dalla via Latina giungono col vento gli antichi
anapesti d’Ibycos: Eros vibra da l’umide ciglia lo stral che riapre
l’antica ferita d’amor... Passano sull’Appia due giovani vian-
danti; quello che canta poggia il brac- cio sulle spalle
dell’aliro. Vanno ver- so Roma. Ancora dalla via Latina
s’odono gli anapesti: ...ed io fremo siccome l’ardente
corsier che ritorna alle gare del Circo...| ì H ì
s dI | ì i | i fl È
I ANI IOTTZION LE SIMON MAGO Ti rialza.
Lo ajuta a sollevare il capo e îl petto, malo mantiene ancora genuflesso.
Spargi i libami. La luna si fa più torbîda. Simon Mago s’affretta a
porgere a Nerone la tazza libatoria. NERONE h I
E sangue? SIMON MAGO È sangue; innaffiane la
fossa, E nel versar torci il volto. N. Ho paura.
La luna s’è rannuvolata. Nerone piglia la tazza, ma esita a versare
il sangue sulla fossa. SIMON MAGO Versa. Coraggio !
N. inclina la tazza, gira il capo e, attraverso il velo che
lo copre, scorge dietro di sè, fra il gran sepolcro e la tomba, una
figura spettrale sorta da sotterra, che innalza una face ardente ed ha il
collo avviluppato — da serpi come un’Erinni. A quella vista egli
balza în piedi inorridito e corre a ripararsi dietro il tumulo,
gettando un grido: Orror! SIMON MAGO (NANO Dopo un attimo di
sorpresa va a prosternarsi ai piedi dell'apparizione. TIGELLINO che
ha udito le grida, vede quella sembianza d’Erinni ed esclama:
D’onde uscì ? UN VIANDANTE Qual grido ? | UN ALTRO
VIANDANTE Olà! chi grida? TIG ELLINO Via di qua!
IL PRIMO VIANDANTE Chi è costui ? IL SECONDO VIANDANTE
Chi è costui? IL PRIMO VIANDANTE È Tigellino.
N. come attratto da un fascino verso quella figura ferale che lo
guarda: A sè m'attira. TIGELLINO afferra Nerone al
braccio sinistro e lo sforza a seguirlo al di là del tumulo.
Vieni ! Il velo, che copre il capo di Nerone, cade. Appena
il volto di Nerone. si scopre, L’ ERINNI drizza il
braccio verso di lui e con un grido irruente lo nomina: Neron !
N. fugge con Tigellino dalla parte di Albano. L’Erinni fa un passo
per inseguirlo, ma il corpo di Simon Mago, prosternatole davanti fra le
tombe e î ruderi, le preclude ogni via ed essa rimane come im- pietrita,
col braccio teso, atrocemente pallida e cogli occhi sbarrati e fissi sul
tuinulo da dove è scomparso Nerone. La campagna è ancora immersa
nelle tenebre; solo la face dell’Erinni sparge un circuito di luce.
SIMON MAGO sempre genuflesso, a capo chino, osserva
celatamente, girando in basso gli sguardi, se il campo e la via sono
rimasti deserti; accerta- tosene, si rialza, afferra ai braccio quella
figura atteggiata a stupore catalettico e le dice, calmo: Sei colta.
ARA fo L’ ERINNI (ASTERIA) senza scuotersi, con voce incolore, come
irasognata Chi ama la morte Toccar mi può. SIMON MAGO abbandonando
il braccio d’Asteria, ma badando sempre ad impedirle la via Non
sperar ch’io paventi. L’idre al tuo collo attorte O son morte o
morenti. ASTERIA appoggia la face al sepolcro, appressa le mani al suo collare
di serpi e con gesto lento di minaccia risponde: Sperder potrei la
malìa che le assonna E avventartele. Simon Mago prende la face e la
solleva per rischiarare la persona d’Asteria. Asteria veste una
specie di kalasiris egizia, a tinte fosche; ha le braccia nude, i capelli
nerissimi sparsi in molte trecce sottiti SIMON MAGO
Donna Strana ed audace, avernalmente bella, Tu sembri al
raggio di questa facella Medusa, Ecate, Sfinge, Fumenide o dimòne.
Chi sei? Chi cerchi? Qual forza ti spinge ? Perchè insegui Nerone ?
ASTERIA È il mio Nume e lo adoro! A notte cupa,
Quando negli antri del funereo suolo Vagolo al pari di piagata lupa
Ululando il mio duolo, lo lo invoco! Egli è l'Angelo crudel
Che popola di spettri le tenèbre, Che scuote sulle plebi infami ed
ebre Il sublime flagel. il mio Nume e lo adoro. Sotto un vel
ora apparve a me davante.... Poi..... sparve là..... Con un
impulso subitaneo si slancia sulle tracce di Nerone, ma SIMON MAGO
trattenendola a forza, l’arresta di colpo. Ferma! o il tuo Dio ti
sfugge. ASTERIA dibattendosi dolorosamente fra le mani di
Simon Mago Vo’ seguirlo.... pietà! L’orror m’attira Come un
amante.... e nell’estasi vivo De’ violenti sogni.... ebbra di pianto.
E son dell’idre incanto E il colùbro m’allaccia e il sen mi cinge
E il petto mi rinserra E stringe.... e lambe.... bduerra.ra
E nell’amplesso della viva spira Sento ancora quel Dio che mi
martira ! SIMON MAGO Dove ancor lo scontrasti? ASTERIA
Sulle rive D’Anxur, tre notti son. SIMON MAGO
Ed ei nel viso [ha&scorta”? ASTERIA Oh! come mi
guardava fiso ! Ma il suo corsier impaurito il trasse Lontan,
fuggendo, al lume della luna. Rimane ancora un poco assorta in ciò che
descrisse. Ma tu chi sei che dell’anime lasse Tenti il facil
segreto e il facil pianto ? SIMON MAGO Son tal che
rialzar può il volo infranto Del sogno tuo. ASTERIA
Tu?! SIMON MAGO Sì. Nessun mai sappia Chi sei, nè ciò
ch'io dissi. ASTERIA Mai. SIMON MAGO
raccoglie l’acerra. S’ asconda Quest’ acerra.
ASTERIA indica a Simon Mago il posto da dov’essa è apparsa: Qui.
SIMON MAGO Dove? Asteria prende la face e conduce
Simon Mago fra le due tombe ove i rottami nascondono un forame del suolo
da cui si discende in una cripta. ASTERIA €
Qui, sotterra, E un antro oscuro d’ avelli cristiani Che si
riapre dietro a quei delùbri. Dicendo queste ultime parole accenna ad una
località oltre il tumulo, verso Albano. Simon Mago depone l’acerra presso
l'apertura della cripta, poi va a raccogliere l’ara thuraria, il velo
nero e l’idria in cui pone la tazza c l’aspersorio e ritorna là ove
discende; lascia cadere gli oggetti nel forame della cripta, salvo
l’acerra e il velo. SIMON MAGO Dammi la face.
Asteria porge la face a Simon Mago che sta per discendere nel sot- terraneo.
SIMON MAGO Qui sarai domani Col sol morente.
Scende due gradini e s’arresta. Ascondi quei colùbri.
Così dicendo porge il velo nero ad Asteria che lo prende e lo bacia
e se ne avvolge il collo e il petto. Simon Mago, coll'acerra e la face,
è sceso nella cripta fino alla cintola. S’arresta ancora una volta per
dire ad Asteria: Ma pensa al fato che invochi su te.
Bada! il tuo Nume ha carezze omicide. ASTERIA. Amor che non uccide
Amor non è! E s’abbandona sulla tomba che le sta dietro;
quivi, giacente, rimane. Simon Mago scende tre gradini della ‘cripta con
la face in pugno e scompare sotterra. Incominciano a diffondersi
le prime trasparenze dell’alba. Il cielo si rasserena. La profonda quiete
dell’ora s’estende su tutta la campagna romana. Una donna in
bianca stola, Rubria, viene dalla parte di Roma, s’arre- sta davanti
alla tomba recente, estrae un’ampolla e la vuota nella lampa funeraria;
il lumignolo si ravviva e riarde. La donna s’ingi- nocchia, inclina il
capo sulla tomba, congiunge le mani e, nell’alto \ silenzio che la
circonda, prega così: RUBRIA Padre nostro che sei ne’ cieli,
sia Benedetto il tuo nome. Venga il tuo Regno alla tua gente pia,
Sia fatto il tuo voler in terra, come Nell’ Empiro immortale.
li nostro pane cotidian ne dona, Come noi perdoniam tu ne perdona. Fa
ch'io riveda quel che m’abbandona. Liberaci dal male. ASTERIA
che giace sulla stessa tomba dove l’altra ha pregato, con voce
fievole come un sospiro O soave preghiera!
RUBRIA si alza, guarda dalla parte d’onde viene il sospiro e dice:
Anima che sospiri, sorgi e spera. ASTERIA
lentamente sorgendo O divine parole! RUBRIA
appressandosi ad Asteria colle mani sporte e offrendole fiori
Spargiam insiem le rose e le viole Sulla terra dei Santi.
mani ZO SIT ASTERIA Il dono pio Porgi....
E prende, con movenze estatiche da sogno, i fiori e ne cosparge la
tontba, insieme a Rubria, e le zolle d’intorno; ma, giunta all’ultimo
fiore, esita, s’arresta, lotta un istante contro un impulso interno,
poi dice: No.... no.... stuggir devo gl'incanti Del tuo
pregar. Io cerco un altro Iddio ! E fugge impetuosamente verso Albano.
Rubria ritorna davanti alla tomba a pregare. Un viandante,
Fanuèl, passa sull’Appia, d’accosto a Rubria, la vede, s’arresta, la
guarda assorta nella sua preghiera. RUBRIA solleva il capo, volge il
viso, lo vede e lo nomina: ‘ Fanuél! FANUÈEL Non
t’alzar. Il nostro addio Sia questa prece che sale al Signore Fra i
bagliori dell’alba. Rubria ricomincia a pregare con intenso fervore. Fanuèl
continua a guardarla fissamente. RUBRIA levando gli
occhi pieni di lagrime al cielo In te sperai! FANUEL
con voce commossa Piangi ? Perchè ? RUBRIA Ho un
peccato nel core. FANUEL Lust? RUBRIA Fanuèl. Non ti
vedrem, più? mai? FANUÈL Seguo mia stella verso ignoti porti.
guardandola fiso negli occhi Confessa il tuo peccato.
RUBRIA Perdonar mi saprai se tutta dico La mia colpa?
Mentre Funuèl sta per rispondere, s’avvede che l'apertura del sot-
terraneo si rischiara e che un uomo, con una face in mano, viene
salendo lentamente dalla cripta. FANUÈL sottovoce, a
Rubria, indicando il posto Un agguato ! V’è un uom fra i
nostri morti. . Fa qualche passo nel campo per ravvisario.
(E Simon di Sebàste. RUBRIA tutta sgomenta e a bassa voce
Il gran Nemico! FANUÈL Corri dai nostri, va,
narra gli avelli Spiati. x RUBRIA guardandolo con ansia
btu ‘ FANUEL Poichè un periglio incombe lo resto
coi fratelli.) Rubria si vela il viso e s’avvia rapidamente dalla
parte di Roma. La luce, mite ancora e senza raggi, a grado a grado
discopre le cose remote, gli edifici sparsi qua e là nel fondo della
campagna, gli archi del doppio acquedotto dell’aqua tepula e Marcia,
qualche fastigio dei monumenti sepolcrali della via Latina. Molto
lontano, forse dall’ottavo milliario, s’odono squillare, nel puro silenzio
dell’alba, alcuni appelli di trombe. Simon Mago, senza accorgersi
d’essere osservato, s'è messo in ascolto, si dirige verso il tumulo, lo
sale insino alla cima e guarda attenta- mente dal lato donde giungono gli
squilli. FANUÈL che ha seguîto collo sguardo ogni passo di Simon
Mago, s’inoltra nel campo e lo chiama: Simon. SIMON
MAGO dal tumulo, volgendosi Tu! Qui?! Gloria al tuo Dio
dall’ alto Di queste tombe! Vieni e vedi. | Fanuèl. esita
sorpreso, poi sale anch’ esso sul tumulo ov’ è Simon Mago. Le trombe
continuano a squillare. SIMON MAGO S' avanza una gran
nube Di turbe. Echeggian trionfali tube. È il matricida, ei vien
col suo corteo D' istrioni e d’ Eumenidi all’ assalto Del mondo
reo, Poi, con un gesto largo che abbraccia tutto l’orizzonte :
Pensa: i Reami, i popoli, le. Glorie, Le corone, gli scettri, le
Vittorie, Tutti i raggi di Roma e di Nerone Non son che luci
moribonde e torbe D’ innanzi al sogno mio, d’innanzi a te: Sui
sette colli un Tempio (o Visione !), Un Tempio eterno che soggioghi l
Orbe, MinESSO l’altare ‘tu, Profeta. e’ Re. . Tutto l'incenso che
1’ etere assorbe Vapora, immensa nuvola, al tuo piè! Guarda
quaggiù. Pel sangue che l’inonda L’arca d’oro di Cesare sprofonda,
Furibonda ruìna e precipizio. Plebi nefande confuse nel vizio
Plaudono a Roma che canta e che crolla. Tremano tutti: Cesare, la
folla, Le coorti. Fischiò dagli angiporti Già il greculo rubel.
Cadono i morti Nel Circo e cadon nel triclinio i vivi E i Numi in
ciel! Ma tu su quei captivi Del fango e della porpora distendi Le
tue mani, la tua virtù mi vendi; Due Sovraumani vedrà il mondo allor!
Vendi il miracolo, t’ offro dell’ or. FANUÈL scende
dal tumulo e terribilmente esclama: Anàtema .su te! Maledizione! L’oro
tuo piombi teco in perdizione! saran to” di è ide
SIMON MAGO L’ira tua scagli invan contro il mio scherno,
Povero nunziator d’ un Regno eterno Senz’ oro e senza eserciti. FANUÈL
La condanna orrenda e forte Or su te confermi il ciel: colla
massima veemenza lo t'estirpo da Israel! SIMON MAGO
Fra noi due c’è guerra a morte! Si sfidano collo sguardo
come due fieri nemici prendendo due vie opposte. Fanuèl ritorna
sull’Appia e se ne va verso Roma. Simon Mago scende dal tumulo e
s’allontana dalla parte di Albano. Nerone e Tigellino ritornano
‘da un sentiero dei campi e s’arrestano al tumulo. La toga di Nerone,
tutta scomposta, lascia vedere una mi- rabile tunica oloserica tinta di
porpora jacintina e sparsa di palme d’oro. Nerone porta al braccio
sinistro un’armilla di pelle di serpe chiusa da una borchia di gemme. Ha,
come Tigellino, un focale di seta annodato intorno al collo, sul petto
una collana d’ambra mista a molti amuleti: dalla cintola gli pende un
largo smeraldo ovale attac- i cato ad una catenella di perle. N.
Nessun ci segue? TIGELLINO osserva il sentiero donde
sono venuti. No. Sosta il corteo Lungo i campi di Persio.
N. guarda paurosamente il sepolcro dove sorgeva Asteria.
TIGELLINO Ebbene ? Sparve. N. sempre cogli occhi
rivolti al sepolcro, cupamente S’ergea fra Roma e me!
TIGELLINO Andiam. Che guardi ? -— A. Oli ren N. volge
gli sguardi inquieti sul posto dove ha sotterrato l’urna ed È esclama
atterrito: Si scorge il labbro della fossa! Tigellino va a
calpestare quelle zolle per disperdere le tracce del
seppellimento. Nerone lo ha seguìto. S'odono dalla parte di Roma dei
clamori lontani. TIGELLINO prendendo per mano Nerone Andiamo.
N. staccandosi da Tigellino e con grande agitazione TIGELLINO
Fuggir? Dove? N. Non so. Dove migra il cantor trova
una patria E sola gloria è 1° Arte! TIGELLINO E di che temi?
Crede il Senato al tuo messaggio, crede Colta Agrippina ordendo la
tua morte, Poi da sè stessa uccisa. NERONE Alla
menzogna Fingon dar fede. TIGELLINO E lor viltà ti giova.
NERONE Se rivarco le mura a chi mi volgo? Al
Senato?.... alla plebe? TIGELLINO che da qualche
istante porge l'orec- chio alle grida che s’avvicinano, corre sul
tumulo, guarda verso Roma e risponde : E luna e l’altro
Per te dall’ Urbe accorrono. NERONE atterrito e con
sùbita ira Qual folgore Sparse a Roma il clamor del mio [ritorno ?
TIGELLINO arditamente dal tumulo lo. N.
con maggior ira e minaccia Tu, ribaldo? Violenza porti Sui
dubbii miei? TIGELLINO Si. Per salvarti. Mira! Si slega dal collo
îl focale di seta rossa e, mentre l’agita nell’aria, soggiunge :
A questo cenno il corteo s’ incammina. Mentre Tigellino sventola
ancora îl fo- cale, s’ode squillare non lontano una chiamata di
bùccine come per un esercito in marcia. Dalla via di Roma i clamori
aumentano. TIGELLINO scendendo dal tumulo Ecco
i corrieri Mauritani. Mira! N. Da ogni parte m’assalgono !
TIGELLINO T'appressa. VOCI INDISTINTE che
si appressano da sinistra Ei s’appressa, esso è là, s'ode il
[clamor, ALTRE VOCI Ecco i Numidici corsieri.. Gioja!
Il Popolo irrompe in scena, restando pur sempre sull’Appia e
correndo ver- so Albano. ALTRE ANCORA Ei viene! ei
viene! egli è là! egli [è salvo! Corri! s'ode il clamor! ei viene!
è là! Tre Precursori Mori, a cavallo, passa- no di galoppo
sull’ Appia, risplendenti . d’armille e di falère. Ser IOGE
N. invaso da terrore si rannicchia fra il gran sepolcro e i
ruderi. Chi mi scorge m’uccide. TIGELLINO avvicinandosi a N
erone Ecco le schiere. con grande concitazione Se
indugi sei perduto. N. rimanendo nascosto fra le tombe
Ah! dove fuggirò? Chi mi nasconde? Tigellino abbassa il
cappuccio della lacerna sugli occhi e s’avvicina alla via,
ripartendo la sua vigilanza ora sul corteo, ora su Nerone. POPOLO È
salvo! Gioja!mALTRE VOCI Corri! Corri! Ei vien! PRETORIANI
Largo, la via sgombrate ! POPOLO Avanti, olà!
ALTRI Corri! là! Corri! là! Vengono gli Eneatori colle
loro squil- lanti bùccine di bronzo. AUGUSTANI Udite!
Udite! Segue un vasto carro tratto da cavalli, pomposamente
ornato, dove stanno ag- gruppate, gittando fiori e cantando, le
Ambubaje cinte il capo di mitre siria- che. Le fanciulle Gaditane
seguono la teoria del corteo danzando e gettando fiori. Portano
incensieri, cetre e lire. AMBUBAJE Apollo torna. Nubi
di fior volino ai zeffiri, |’ lri [baleni nell’ etere. Apollo
torna, e con esso Tutto un esercito in danza. Il corteo s’arresta
fra fluttuazioni cou- trarie. POPOLO Avanti!
Avanti, olà! Apollo torna. Avanti! GOBRIAS Torna
Onesimo dai campi. POPOLO Largo alle schiere, largo!
Gioja! Gioja! TIGELLINO L’exaforo s’appressa, ivi ti crede
Il popolo clamante. Odi le grida, scuotiti. PRETORIANI Largo!
Largo! Sgombrate ! Si ristabilisce l’ordine di marcia del
corteo. AMBUBAJE AI colle! al collel AI colle!
La marcia nuovamente impedita s’arresta. POPOLO Fermi, olà! ALTRI
Avanti! Avanti! VOCI DIVERSE Largo ! Largo al
corteo ! Olà! L’amazzone Greca s'avanza. Largo agli Augu-
[stani ! Giunge l’exaforo. La via sgombrate! ll corteo si
rimette în marcia. Prece- duto dalle fanciulle Gaditane, passa un
gruppo di Phalangarii. Poriano sulle spalle un fèrcolo su cui si
innalza una statua di rame, rappresentante una Amazzone.
TUTTI Apollo ! GOBRIAS L’orco già da’ piè
mi tira. Le fila del corteo si spezzano ancora. PLEBE
Eilwieny® E giunto là! Avanti! Gioja! nia e
NERONE Mi lascia. TIGELLINO L’eneator
t'annuncia. NERONE Ecco, rinasco Libero e
forte. Andiam! DOSITÈO É là! B là! S’appressa!
Fendiam la calca! Ei vien! GOBRIAS Fi torna, è salvo
il Dio del Circo! PLEBE ‘ È 1a! È salvo il Dio
dell’Odeo! Qui si ristabilisce ancora una volta l’ordine di
marcia del corieo. Passa una turba confusa d’ Armeni, d’Etiodi,
d’Indiani, di Greci, d’Egiziani. Passa- no alcune schiere di soldati
ausiliarii coi braconi alla barbara e passano dei Rheti e dei
Galli. GOBRIAS Roscio risorto ! Novello Turpione!
DOSITÈO Tu snidi il Nilo, fendi l’Istmo, instauri La terra e
il mar. î GOBRIAS Trionfator d’ Armenia! POPOLO
Trionfator ! Eccelso ! Bello ! Forte ! Silenzio!
È sacro il coro. Passano Ambubaje e Augustani. AMBUBAJE E
AUGUSTANI Ave, Nerone, voce di Ciel, Beata Roma che t’ode!
Canta, Apollo, Canta l’ode d’amor non prima udita [dal
mondo! TUTTI Ave, Neron! Canta lode d’amor! TIGELLINO
Corri al trionfo! Affàcciati alla plebe! N. Ascolta.
TIGELLINO Or su. N. fa per avviarsi ardito verso
l’Appia, s’accorge di passare sulle zolle dov'è sepolta l’urna e
indietreggia. Ah! dove passo! TIGELLINO
Corri dritto alla mèta. N. Cantano i versi miei. Passano tre
decurie di Guardie Ger- maniche.Fra le file dei soldati circola- no
parecchie Ambubaje 0 camminano appajate ai soldati giojosamente. Frat-
tanto si avanza un carro, tirato a ma- | no da quattro
schiavi, dove sono ac- catastati degli attrezzi teatrali. Dietro
al carro e d’intorno camminano gli i Artisti Dionisiaci che
indossano le lo- ro vesti teatrali. DIONISIACI
L’ebra Mimàllone già diè fiato alla [Bacchica tromba,
Doma un giogo di fior la lince, le [Mènadi ardenti
«Evion!» gridano ed «Evion!» Peco [remota ripete. TUTH Evion!
Evion! Evion! Evion! Entra l’exaforo che s’avanza lentamente. I
littori che lo precedono, coi fasci laureati, respingono la folla.
L’exaforo è portato da sei schia- vi Etiopi, una corona di giovinetti
Asiatici lo circonda e una torma di Pretoriani a cavallo lo segue. AUGUSTANI
E DIONISIACI Ave, Neron, tua lieta stella splende.
TIGELLINO spinge Nerone verso la folla plaudente, poi corre
sull’Appia e coman- da ai littori: V’arrestate.
VOCI Chi è là? CATE BELEN e) ANTI GOBRIAS
Apri il velario. ALCUNE VOCI Chi è là?
ALTRE VOCI Apri il velario. ALTRE ANCORA
È Tigellino. LO SCHIAVO AMMONITORE Fortuna a tergo!
NERONE în tunica di jacinto e d’oro irradiato dai primi raggi del
sole No! Fortuna in fronte ! Un grido di gioja irrompe dalla
folla. TUTTI Evion! Evion! Ah! Gioja! Gioja!
Almo Sol! Alma Roma! Ave, Nerone ! i giovinetti Asiatici schiudono
le cortine della lettiga, mentre d’in- torno a Nerone piovono
fiori e nastri e fronde di palma e ghirlande, fra le grida e gli squilli
del trionfo. Tutta la scena è irradiata dal sole. REA
REATO VIRA IRIDATA PEIZI TI DIE III DI IAT VET DOTI III IDA LT ANIRI DRE IRR
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PEN ERI IENA EIBTATE DATRONEI ILVTI SVSTE GITE DELITTI RITI: sviene ETTER
SPINTE AREACIRI EL BIEIIVTICA VARI vi " | È
nica = È un tempio sotterraneo; visto
nel senso longitudinale appare diviso in due parti. Un'ampia cortina,
tesa fra due pilastri addossati alle spalle d’un arco trasversale, separa
il sacrario, riservato ai sacerdoti ed ai loro misteri, dalla ce//a ove pregano
i fedeli. La cella è affollata da gente d’ogni classe e d’ogni paese: Matrone
adorne di ric- chissime vesti, portanti in capo una preziosa ?24%24/ od
altre acconciature sfarzose; schiavi in rozza tunica, e, fra questi,
alcuni colla fronte segnata dallo stigma dei fuggitivarii; qualche
liberto in pomposa lacerna dissimula, sotto dei nèi artificiali, gli
sfregi del volto; eleganti cavalieri ed aurighi d’ogni fazione. Di fianco all’
ingresso un mercante d’idoli ed un venditore di tavole votive spacciano
la loro merce. Un tempiere sta presso al vassojo delle offerte.
DITE DNTAZI EVA MIR TE DONIZETTI EA TOI IA ano
D’un tratto la cortina si spalanca e si scopre agli occhi dei fedeli il
sacrario. Tutti coloro che stanno nella cella s'inginocchiano. Simon
Mago, in manto e tiara d’argento, col petto scintillante di gemme, sta
sulla gradinata dell’altare e fra le mani, coperte d’un drappo prezioso,
tiene alto levato un calice d’oro. Un raggio fulgidissimo scende dalla
volta del tempio e illumina tutta la persona del Taumaturgo. Due
sacerdoti situati più basso sostengono, sotto il calice, un bacino d’oro.
Altri otto sacerdoti sono scaglionati sugli altri gradini fra le statue
policrome, e la loro immobilità è tale che si confondono con queste. Quattro
fiabelliferi ergono dietro il Mago i loro flabelli di piume bianche; due
4ierodulîi reggono, colle braccia alzate al disopra del capo, due urne
d’oro da cui vaporano degli aromati fumanti. Un altro innalza un vaso di
bronzo su cui arde una fiammella turchina, un altro tiene aperto davanti
al petto un dittico dove sono tracciati dei simboli. Ai piedi della
gradinata stanno schierati alcuni giovanetti con delle grandi arpe e
delle cetre e dei sistri. Presso i pilastri dell'arco sono appostati due
tempieri, e nel centro dell’arcata Gobrias. (giovane discepolo di Simon
Mago) e Dositèo, vecchio sacerdote, stanno rivolti verso la folla.
Nella cella i devoti guardano, in atto d’ansiosa aspettazione, il calice
raggiante. D’un tratto un largo fiotto di sangue trabocca spumeggiando
dal calice e cade nel bacino sottoposto. Nello stesso momento sorge dal
braciere ardente una densa colonna di fumo che invade il sacrario e
nasconde Simon Mago alla vista dei credenti. La cortina si chiude;
Dositèo e Gobrias sono rimasti al di là della cortina, sul limitare della
cella. SIINO ZARA SENTE DITTE AI SPIRI
TREIA FIIOZIIUSAI DIRPTI SAOIITT RI ERENIITIA È
ielialieo e en i PARTA IATA FINTA AADHRED ERO GMAT IMITA
TOMICA VENTI LITI ZIZAIE DAL LEDA NI LATERIZI PE TARGA ZE RAISI ALITO ANA A
TMNTRS IA A PIVA CELIO DRITTO TETI PIT AA ID LS ae 17 PrO {EDILI IDRICA IEEE I
SORIA II TIA DITA terreni: 0 IRR DIGO IE
III NILE DD DS TRE T TTI IRPI MATRICE NCAA LA! SIATE
ITS AA TRLAEE EMILIA (NEL SACRARIO) SIMON MAGO
a Gobrias, mentre î fedeli continuano a cantare il loro salmo.
Odi il fedel gregge mugghiar L’incomprensibil càbbala al
ciel. GOBRIAS colla tazza în mano e con piglio ilare
appressandosi a Sîimon Mago Vedi il festin sacro brillar!
Sul lettisternio profuso è il vin! Tempra il falernio succo la neve;
Voglio al divin scifo libar. Corre al desco ove coglie una
tazza già piena e poi ritorna nel gruppo. Dositèo lo segue e lo
imita. PFA AA ARTCRI PRITAL A, DI IALIA IICIAICI MI TA I ALZO LI I
MIINTPE CLIMA ORATORI FU FRI TI ALI ALTI EMPATIA TT R IRE VAT
PITRITTN AAT ZIALE LOSZAE PON TTT PAL RI SEA RA EDI TINTA I IZ IEZE DINI DI
IONIO AITIIIIII VCO TATO ORICA TMT RITA TA MATTI (NELLA CELLA) | I FEDELI
| inginocchiati | \Stupor! Portento! 3 |
GOBRIAS e DOSITÈO | È compiuto il Mister. I FEDELI !
alzandosi disordinatamente ‘| Miracolo ! Simon al ciel volò!
| GOBRIAS i Preci ed offerte. Iltempiere
girafra i fedeli con un piat- ! to per raccogliere le offerte.
ALCUNI FEDELI Proùrche, Bythos, Sigeh, Logos, [
Anthropos, | Zoè, Noùs, Ecclesia, Eccelsa Og- | [doade; |
Gobrias entra nel sacrario seguito da Dositèo. TUTTI
Noi t’adoriamo. ALCUNI FEDELI | Profondo
Abisso, imperscrutata [origine i Degli Enti primi e immenso
mar [degli Esseri; | TUTTII Noi
t'adoriamo. 2a reo anti lar — 36 — FIORIRE
TAN LETI IONI TP INTO MATTI PATO: E DMN AT SCA TETI i FIOPETEERA
SP RARI ZENO SII IERI LIDIA STASI INDIZI IE ETA TMTIRET RSI Ma
pria dal vergine labro si deve | un Dio propizio la prima asper-
[gine.... con comica ipocrisia (Pio sacrifizio che il
suolo irrora) | Inclina leggermente il labro della taz- za
verso terra în atto di burlesca devo. | zione e sparge qualche poi
ripiglia con Dositèo e Cerinto: occia di vino, | |
| | ! | Ma poi ch'è greve il nappo
ancora, L’àugure beve dietro l’altar. Tracanna tutto il vino
d’un fiato. SIMON MAGO Zitto! GOBRIAS Siam ilari, si.
beva! Ribeve, DOSITÈO e CERINTO Zitto |
SIMON MAGO Zitto ! GOBRIAS S'esilari
l’alma! Si beva! SIMON MAGO S'ode ancor l’inno.
cortina. Gobrias è corso a spiare aitraverso la |
SIMON MAGO a Gobrias Che tenti? GOBRIAS
RATORI MOIS NET ZITTA TEA O Esploro, II ALTI GADGET
TILT ELLA IVI su se ALCUNI FEDELI Per te preghiam,
per te che gemi [e sanguini Nell’ombra eterna, agitabonda
[Prunikos ! ALCUNI FEDELI In te speriam, in te, Divin
Paràklito, Disceso in terra col celeste Pneuma. TUTTI In te
speriamo. ALCUNI FEDELI In te crediam, nel tuo
Mister, nel [calice Cruento che in tua man fervendo
[imporpora. TUTTI In te crediamo.
FAI ISIONA TA LITRI MOTI DI IEEE TI ISLA NI NITTI RIA III ER i LATI
ATINTATZ TA DEDICATI VA DIL TRITATI RATES ATI APREA TIVA DCI IPER LIDIA TAL
ITOT DATATI ELI ORI DIARI STORIE NETTI rrà GOBRIAS | Alcuni
fedeli, nella cella, appendono ; degli ex-voto alle ginocchia
dell’idolo, SME FRANE altri depongono delle monete nel piat- to
delle offerte che sarà portato in giro dal tempiere. Un vecchio col capo
co- perto da un palliolum che gli ripara anche le spalle, e
sorretto dauno schia- vo, sale sul basamento dell’idolo. Guarda! Essi
appendono votive [tavole. S’ode un tintinno d’argento e d’oro.
SIMON MAGO Favole attendono, vendiam lor favole.
GOBRIAS Presso la statua, sul plinto sacro Del
Nume un vecchio parla. I I | RIZZI
METTI TIE IENA ATRIA TITLES NADIA PMT A SNO GILLIAM LISTINI MESIA TI SIMON
MAGO IL TEMPIERE Che chiede ? | Date le offerte. rase nes
Miane i SRD GOBRIAS Parla
all'orecchio del simulacro. SIMON MAGO | ALCUNI FEDELI Oh!
quant'è fatua dell’uom la fede! Dell’effigiato Nume il bronzo o l’è-
Paura e speme e il Tempio impera. | [bure | Per te cammina,
profetizza e palpita. GOBRIAS e CERINTO Cingiam la
chioma coll’eliocriso. SIMON MAGO Nostro è chi teme,
nostro è chi spera. | DEI i Tutti al miracolo che li conquide | Noi
t'adoriamo! i. Drizzano i volti, l’animo e il canto. | Pregate,
stolti! Pregate! Intanto L’àugure ride dietro l’altar. SIR
TRN SEG ME ASI LZ BEL DITE MAS IERER IT MERITI PMI DEI ELIAA
Gobrias beve presso il lettisternio. | GOBRIAS e DOSITÈO
alternatamente No, senza riso non posson gli àuguri
Guardarsi in viso. Gobrias tracanna, poi corre al desco e
s’incorona comicamente brillo con una ghirlanda di fiori gialli.
CERINTO a Gobrias Ah! Ah! AN! Bevi!
|! i SIMON MAGO | ALCUNI FEDELI No, no, non ber!
Pazzo cervel i Noi t’adoriamo! Pronto a celiar. ! GOBRIAS Vo’ ber!
Mio dritto quest'è ! Vo’ ber! interrompendosi | CERINTO
No, non déi ber! I SACERDOTI Zitto laggiù!
Zitto! Lo scempio cessiam! GOBRIAS Mio dritto
Quest’ è. ALCUNI FEDELI Mo MAGO i Proàrche, Bythos, Sigeh,
Logos, Nel tempio ci ascoltan. I [ Anthropos, Zoè, Noùs,
Ecclesia, eccelsa Og- [doade : SIMON MAGO |
I SACERDOTI Zitto! | | Un gruppo di sacerdoti circonda Go- |
TUTTI i brias, tentando strappargli la tazza di mano; egli colle
braccia alteladifende.| Noi t'adoriamo ! Cerinto, Simon Mago e Dositèo
non | È | fanno parte del gruppo che assedia\ Il salmo nella cella è
cessato; ritorna i | i Gobrias. la calma anche nel
sacrario. | AUF IESE CARS MSA IMI DS LNLOIAABRI0R SO ER (000 INTO
RAZOR RIO IAS PINZA F AVA RAO E PINI A ITA TINTE TT SSN ZLATE ITA
CRI To ce een eee Li e ee ene ai arri)
VIII SALZA È PO i LITTA NI ALTEA
SIENA! I) OZZANO INTATTI ZIA AIIEIIZZ IA LEDA TIA EEA ADONE ZIE REALTA TOA N
AOL AE eg SIMON MAGO a Gobrias Non cantan più. Tu
scaccia quelle genti Pria che giunga Nerone. Gobrias corre
allegramente verso la cortina che divide la cella. A Dosîtèo
Spegni le faci. Arda il sulfureo cero. A Cerinto, indicando il manto e
la tiara Riponi quella spoglia. GOBRIAS sul
limitare della cella, rivolto alla folla Ite, credenti, e nel
varcar la soglia Inchinatevi al Genio dell’Impero. I fedeli si
alzano, s’inchinano davanti la statua di Nerone, alcuni van- no a baciare
i piedi dell’idolo, altri abbassano il capo davanti la co- lonna del
serpente di bronzo e tutti escono dalla porta a sinistra. Intanto Dositèo
eseguisce gli ordini di Simon Mago: spegne i lumi, accende un cero che
sparge una luce verdastra e lo colloca ai piedi della gradinata.
SIMON MAGO a Dositèo Dositèo, | Precedimi
nell’antro ond’io riempio D’oracoli la cella. Sovra l’altare,
iridescente stella, Scintilli il prisma. Gobrias, rimasto immobile
sul plinto, corre a spiare dalla porta del fondo. Ai citaredi ed ai
sistrati E voi dall’ipogeo Suscitate gli arcani echi del Tempio.
Dositèo e tutti costoro escono dalla porta bassa dell’antrum.
GOBRIAS accorrendo nel sacrario Giunge Nerone.
Simon Mago sale l’altare mentre Gobrias vuota un simpulum di vino.
Gobrias ripone il simpulum nel recipiente del vino e sale a salti la
gradinata. RI INERTI LI III TOI E RIOT DTD E TRIED DTA LINZ
MIE € RATE, SID RITI SIMON MAGO Tu qua ti nascondi.
Apre l’uscio segreto e indica a Gobrias il nascondiglio dietro
l’altare. Se il tuon del bronzo romba Smuovi quel fulcro e
tutto si sprofondi L’altar nella sua tomba. Gobrias penetra
nel nascondiglio. Simon Mago chiude l’uscio segreto su Gobrias, poi
ridiscende ed esce dalla porta dell’antrum. Ritorna subito dopo tenendo
Asteria per mano. La porta laterale della cella si spalanca e discopre
un'ala sontuosa ove si scorgono Nerone, Tigellino, Terpnos, e dietro
d’essi alcuni Pretoriani e una decuria di Guardie Germane. Nerone e
Terpnos entrano nella cella, la cui porta subito si richiude.
SIMON MAGO ad Asteria Su quell’altar tu déi salir.
ASTERIA Travolta Son ne’ misteri tuoi, ti seguo e
tremo. SIMON MAGO Nerone qui t'adorerà. Lo ascolta.
ASTERIA Oh, sogno mio supremo! Oh, so- NERONE [gno
mio! accompagnato sulla cetra da Terpnos, i canta: Un supplicante
attende e prega SIMON MAGO Che il sacro vel per lui si schiuda.
Lo ascolta! Ei già t'implora. ASTERIA Ma
sull’altar perchè Tu aderger vuoi queste membra [mortali ?
SIMON MAGO salendo la gradinata e conducendo a forza
Asteria riluttante insino all’al- tare Non indagar. Sali al
tuo sogno! Sali! ASTERIA Pietà ! SIMON MAGO
Sali con me! Sali con me! ASTERIA Fi m’ha
nomata! SIMON MAGO sottovoce Egli la Dea ti
crede Che sulla notte e sui terrori ha [ regno. Bada a te! Se
ti sfugge solo un [segno Di tua mortalità, se scosti il piede
Da quest’ara e dal raggio che t’indìa, Tutto crolla.
PRAIA II ATEI RTRT NATIA LIE TODI LONTANE TEA III BISTLIO LEI ZZATINA
TIMO TITANIO MITI NERONE | Placata alfin Ramnusia, in
terra, i Indulga; arrida Asteria in ciel. | Nerone, con un
gesto appena accen- i nato, congeda Terpnos che esce tosto ‘dalla
porta d’onde è entrato. Nerone ‘rimane ginocchioni ad aspettare a ca-
po chino, toccando amuleti appesi al petto e applicandoli
alla fronte. ASTERIA Mi danni alla tortura !
SIMON MAGO dopo aver cercato con un gesto di far tacere
Asteria, le chiude colla palma la bocca. Nell’antro ov’ io
m’ascondo Tutto vedrò ed udrò. Tu, schiava mia, Ravviva in lui la
speme o la paura E tuo schiavo sarà chi ha schiavo il mondo.
Simon Mago scende. Asteria è rimasta sull’altare, soggiogata dalle
parole di Simon Mago, appoggiata all’ara, immobile. ! | I
} | î ge frenate rs È DIPANA N
DIZIA IE INIT ATA R TIRI I SILE NI LIDI MEDE RATE PERITI NETTI SITAFINIDI DI
UTO RATIO ATER II TO LIMO TNTIZI ATER IRITRN IR DI LITI DIRI LATITANTE TL 2
Simon Mago schiude un poco la cortina e passa nella cella. Non ri-
mane altra luce che quella del cero e del braciere ardente; anche la
fiamma dell’ara è spenta. SIMON MAGO a Nerone, dopo
socchiusa la cortina T'è concesso varcar l’occulta soglia.
Nerone s’incammina, arriva sino al limite del sacrario e fa per entra-
re, ma Simon Mago lo arresta. SIMON MAGO
affrettatamente Erri. Col destro pie’ Nerone
s’arresta sgomento e corregge il passo, ma non varca ancora la soglia.
T'inchina. Nerone s’inchina. Passa.
Nerone varca la soglia. SIMON MAGO Gli sguardi
abbassa. Il tetro ammanto spoglia. N., a capo chino,
eseguisce tutti i comandi di Simon Mago. Simon Mago lo conduce, tenendolo
per mano, davanti allo specchio magîco. La fioca luce del sacrario non
arriva a illuminare Asteria. SIMON MAGO Ecco il magico specchio in
cui rifrange Sua luce astrale l’infinito Abisso. Solo uno sguardo
intensamente fisso Giunge a discerner la spirtal falange. Qui la
vedrai, se tieni gli occhi intenti, In quel baglior di porpora e d’elettro.
Poscia, indicando lo scudo appeso accanto allo specchio e la mazza
di ferro, soggiunge: E se uno spettro appar che ti spaventi,
Batti quel bronzo e sparirà lo spettro. Abbandona Nerone,
solo, davanti allo specchio magico ed esce dalla porta dell’antrum.
ZEN } Un raggio iridescente scende dalla volta
del Tempio e illumina Aste- ria la cui immagine si riflette nello
specchio. A N. Ah! sparisci! Atterrito impugna il
maglio di ferro e sta già per colpire lo scudo, ma subito s’arresta.
No.... No. Sei del miraglio L’illusion. i Avvicina lo
smeraldo all'occhio. Ma ben ti raffiguro. Strano mister. Par
specchiato sembiante. | S’avvicina, con intensa curiosità, allo specchio
e lo tocca; abbandona i lo smeraldo. Ah! qual pallor sul suo
volto.... e sul mio! Vediam. Si volge e vede Asteria sull’altare.
Ahimè ! Inorridito fugge verso l'angolo opposto a quello dello specchio e
si copre gli occhi colle mani. Non m’accecar! Porta la mano
destra alle labbra in segno d’adorazione e, senza osare d’alzare gli
sguardi, si avvicina ai piedi della scalea e bacia il primo gradino. Tremenda
Protettrice dei morti! Un giorno in Tauri Tu promettesti pace a un
matricida. La stessa grazia imploro; | inginocchiato su d’un
ginocchio solo al par d’Oreste Io non senza cagion la madre uccisi.
Dal suo spettro mi salva ! Ripiomba col volto sulla gradinata
dell’altare.ASTERIA sempre immota, fissandolo, con un accento languido di
sogno Sorgi e spera. N. sollevando la testa e
gli occhi a poco a poco insino ad Asteria Oh! come viene a errar
presso il mio core La voce tua! Al par d’un bronzo echèo Risponde
il core. Sorge lentamente e, guardando Asteria, si toglie dal collo il
monile di smeraldi; mentr'egli compie quest’atto, Asteria con eguale
lentezza: e cogli occhi fissi su Nerone si toglie dal collo le serpi
avvolte e le lascia cadere nella cista mystica che le sta d’accanto.
PON ET NETTA MOVE IPO A REI RL! REATI PILATO E BILI VITTI RO ESITA
EZIA NITTI TTI DAD e IN I TANARRE DETTATI ATTI AES INIT ALII STI
DIRITTI TIA PALI AIRIS PIL REA ISIS I TIRA IN DIETE USE NTI DET MA NTATZI MASO
METZ LETTA EI MNT REIT PATRIA NERONE Tu dal sen
disnodi La vivente lorica, io surgo e getto L’offerta ai piedi
tuoi. Getta la collana di smeraldi sul tripode dell’altare, alla
portato deîla iano d’Asteria. Poi, seguendo con lo sguardo le movenze
d’Asteria. prosegue: Ecco; la Dea si china. Coglie il
monil e il sen s'’ingemma. Bella Fra i lividi smeraldi ! ! Scendi
! Scendi! Sul sognator de’ prodigiosi imeni ! Come sciolta dal ciel
cade una stella Scendi vèér me, Selène! Ecate! Asteria |! Vago Eòne
lunar! Magica Iddia Dai mille nomi, scendi! Ognun di quelli Sarà un
nome d’amor ! Ma immota resti, Dea degli alti silenzi, al par
dell’astro D’onde tu migri nell’ore incantate. No... nel tuo cor...
sangue umano non pulsa Ma il freddo icore de’ Celesti. Guarda !
lo... rapito dal senso, amor spirante, T'imploro....
S'è gettato sui gradini dell’altare sempre cogli occhi fissi in Asteria
e colle braccia tese verso di lei. Essa rimane immobile presso all’ara,
colla testa arrovesciata; come irrigidita dall’estasi. Oh!
duolo! Una Immortal tu sei ! Donna ti voglio e anelante nei fremiti
Fieri del bacio! Ah! ch’io. non maledica La tua Divinità! Già il
sacrilegio Portai su Vesta, allor che a forza avvinsi Rubria,
vergine sacra, a pie’ dell’ara..... Asteria si lascia sfuggire un
breve grido. Nerone s'è rialzato € prosegue: Ma delitto più
nuovo e assai più forte Consumerò ! Si slancia, salendo tre
0 quattro gradini, per afferrare Asteria. Scoppia un fragore spaventoso
come di bronzo terribilmente percosso e s'ode dalla bocca spalancata del
mostro che sorge dalla pareie dell’antru, FISICI: LA VOCE
DELL’ORACOLO Nerone-Oreste ! N. Asteria !
È Nello stesso tempo s'è spento il raggio che illuminava Asteria.
Il sa; crario ripiomba nell'oscurità. Nerone ricade come fulminato
sulla gradinata. Asteria, lentament$ scende qualche gradino, s’avvicina a
Nerone, chinandosi a poco a poco, gli si rannicchia d’accosto, mezzo
prostrata, mezzo seduta; î due corpi si toccano. I loro volti
riverberano, fra le tenebre, la livida luce del cero e il riflesso della
bragia. ASTERIA | N.. — i come sognando | lentamente fra le
parole di Asteria i Passa una bieca ora di febbre... un
Cieca la salma nell’orror ripiomba... | [sogno... 6) ? 19
L’alma sull'alta vetta erra Tek Lo) | Sento..nell’aura cieca..in fondo
i i SI [all’ebbre a le larve SA non | Parvenze il lento incubo
nero. orbe....m’invade il ciel... | [Oscilla : Al par delle
spiranti anime il cero. i Lungo l’altar bagliori erranti volano. LA VOCE
DELL’ORACOLO Nerone, fuggi ! N. Mugola un tetro suono entro il sacrario.
L’aura s'annugola ed ulula il tuono. Ma tu il nefario orror
distruggi, Asteria ; Fida guardia tu se’. LA VOCE DELL’ORACOLO
Nerone, fuggi ! N. senza sgomento, ad Asteria, con lentezza estatica
L’oracol grida invan su me, non temo. sorridendo sicuro
Vedi, riverso giacio agonizzando Sotto i tuoi piedi... Ah! dammi
il bacio... il bacio Blando... lento... che muor col sogno e bea
L’alma... e dissonna il senso...‘ Oh! Amore... BEI BRASIOA
ZI FILI RINO RITA DIANE AZIO VOLI TRI TRE TITTI DUI RARI PARTI IM I RATEALE
DORIA TORI TSEI SC ATRCIOZIA IT FATICA EACIAITIOC ANIA IGO INCI
MELI TN VLAN TTT VIALI AI TEGIOIGI DI UTI AAICLIIICT I NETTO TI DIS TRTT VSLTAE
TATTO ETICI CINZIA TN TITTI LATINO ENI ASTERIA Oh! Amor! Si
baciano. LA VOCE DELL’ ORACOLO sempre più tuonante
TIP EISUTENTO iP PR ESSERE Fuggi, Neron! N.
balzando in piedi, ad Asteria, terribilmente Sciagura a te!
Sei Donna!! Asteria sviene sui gradini dell’altare. POF DI DITTA LA VOCE DELL’
ORACOLO ENTETANZA ASIA TATA Fuggi, Neron! N., in agguato,
guarda attentamente dalla parte dell’antrum ONORI ITA Prcietruee N. sottovoce,
origliando Spiato son, là. LA VOCE DELL’ ORACOLO Fuggi, Neron! N.
scendendo dalla gradinata, rivolto verso l’antrum Ruggi, Simon |! Afferra
il cero e corre a cacciarlo violentemente, dalla parte della fiamma,
nella bocca dell’Oracolo. DOSITEO Aìta! i: N. ridendo
È colto! Dietro la parete, attraverso una grande lastra di
fengite, che si con- fondeva cogli altri marmi, traspare un grande
chiarore. PIMOPI LAICO YIIEV A NSTIE IE DIA ATEI NATZIONE II
LPPMLIVI LITIO III TP TITO TI OLA ERETTA SOZITINZAP RN SIDENTE STIPI. \SVISTIA
TESA ZIE DATO PEDARA GRIP RARE GRATTTRT EP TETI TOA ATTI TI MALR SFENLI
RIVILTDEL NERONE Traspar la vampa! Il chiostro
insidioso Crolli! Impugna la mazza di ferro e con un colpo
violento spezza la lastra di fengite che cade in frantumi. Attraverso lo
squarcio della parete si scorge Dositèo, svenuto sul pavimento
dell’antrum, colla barba e le / i vesti în fiamme. Ah! An!
An! È Dositèo che arde! Accorrono sacerdoti a spegnere le fiamme
sul corpo di Dositèo e con grande agitazione lo trasportano in parte non
vista del sacrario, a destra. NERONE corre mella
cella, ne spalanca la porta centrale, chiamando : Pretoriani!
Entrano tosto Tigellino, i Pretoriani, la decuria della Guardia
Ger- mana, Terpnos e i servi colle faci. N. strappando
le cortine del sacrario e gridando, invaso da un gajo furore; Accorrete!
Ecco! Mirate! Squarcia il velo del sacrario. Squarciato è il vel
del Tempio! Ah! AN! si rida! Non vi sfugga Simon, ei là s’asconde. Indica
l’antrum. Tutti vi si precipitano, chi dall’uscio e chì dallo squarcio
del muro. Terpnos ha deposta una face accanto allo specchio. Nerone
resta solo nel sacrario e colla mazza che gli è rimasta in mano continua
allegramente l’opera di distruzione. Si scaglia per primo contro
l’idolo-automa. N. Guerra agli Dei! S'allegra il gioco! Vediam
che n’esce! Vediam, vediam! E con un colpo di maglio io decapita e lo
atterra. L’idolo cadendo agita le braccia dinoccolate, si rompe e
n’escono i congegni interni. Nodi, rotelle! Macchine da scena!
Intanto Gobrias è uscito dal suo nascondiglio e, mezzo assonnato e
barcollante, contempla con grande stupefazione, dall’alto della gradinata
d’ond’è sbucato, la ruina del sacrario, mentre Nerone atterra un’altra
statua. GOBRIAS Eh! son briachi.... (incespica) i Numi!
NERONE D’onde sbuca costui? d ; sa wcmerra sana
ce iran» — rst Le o RPBNISIBBIOERAT PODERE GA INVSSIO ERESSE I VELI SC
LIE SEIERISPOBERI ODIO IOPPI ARR CIRONDAPO) RENI I MARI CES ESSO RE RIESI __n
fl s / SIIT TTI ILI IIE O MTERI VITE TL FI rare
FIA DERE MA RE BIDET SR: SAT £ /
RICE TIT I RR ZI LIME TOA IA At ARTI ee | TIRA ZIO ICRTEE IO
GIÙ TAIL LARIO TI GOBRIAS Da quest’altare, Come il
sorcio ridicolo del monte. NERONE Ebbrioso compar, tu assai mi
piaci; T'ascrivo al mio Teatro. Gobrias s’inchina e scende
incespicando. GRIDA DALL’ANTRUM AI
fiume! Al fiume! Rientrano tumultuosamente Tigellino, i
Pretoriani, Terpnos, le Guar- die Germane col loro Decurione, conducendo
Simon Mago colle braccia legate. NERONE | a Simon Mago,
deridendolo O Gran Verbo di Dio! al Decurione Libero ei sia;
Costor dai ceppi han gloria. a Simon Mago O Paracleto!
Già udii narrar di te che t'ergi a volo Nell’aria. (ride) Ebben,
ah! ah! tu volerai Nel Circo il dì delle Lucarie. SIMON MAGO
sciolto dai ceppi SÌ. | Purchè il sangue
Cristian scorra in quel giorno. N. Tutto, purchè tu voli. al
Decurione, indicando Asteria che s’è riavuta: Decurione ! Questa,
degli angui amor, falsarda Erinni, Incubo dei sepolcri, a morte! A morte Nel
vivario dei serpi! Il Decurione e due Guardie afferrano Asteria.ASTERIA
dibattendosi angosciosamente Invan mi danni ! E mentre
la trascinano fuori dal Tempio ripete con accento disperato : Non
morirò. Ma deh! per grazia, uccidimi! lo non son che una povera errabonda
Sposa di serpi; alla mia razza il tosco Non è letal, mi cerca
un’altra morte. Liberati da me, perchè, se vivo, Ti seguirò così,
sempre, rapita Dal volo del tuo turbine, travolta Dal gurge tuo,
perchè il mio Dio tu sei, Perchè t’adoro ! NERONE
Vedremo! Al vivario! Asteria è trascinata dai Pretoriani e dalle Guardie
Germane fuori dal Tempio. Il coro la insegue minaccioso.
CORO AI vivario! al vivario! a morte! a morte! N.
piglia la cetra dalle mani di Terpnos, sale sull’altare ed esclama:
Or che 1 Numi son vinti, a me la cetra, A me laltar!
Gobrias prende dalla mensa una corona d’alloro e gliela porge. Ne-
rone s’incorona. Gobrias, Tigellino, Terpnos, i Pretoriani si schierano
davanti all’altare. lo canto. S'atteggia come l Apollo
Musagete e incomincia a preludiare. — 50 — PEA RA TTT
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L’orto dove s’adunano i Cristiani, nel suburbio di Roma, è illuminato
dagli ultimi riflessi del tramonto. A sinistra v'è un casolare con un
vasto pergolato sostenuto da quattro colonne. A destra v’è una fonte
rustica sul cui margine di pietra è deposta una ciotola e un’idria. Poco
discosto v’è un sedile di rozzo legno. Dietro alla fonte, e d’intorno, le
zolle fiorite formano una leggera prominenza. Nel fondo s'estende un
uliveto. Sotto la pergola vi sono due tavole; una di queste ha la forma
d’un sigma lunare e porta i resti d’una cena frugale, l’altra è di quelle che
servono ai coronari per intessere ghirlande ed è piena di fiori e di
fronde. Intorno I a questa tavola stanno sedute parecchie donne ed alcuni
fanciulli. Dall'altro lato alcuni Cristiani circondano Fanuèl il quale è
appoggiato al margine del fonte. Un’aura di soave pace è diffusa su
questa umile gente e sull’ orto. Un’immensa attesa riempie le anime.
FANUÈL în atto di chi continua una narrazione
udir pronte E vedendo le turbe ad Salì sul monte,
Le benedisse E disse: Beati i mansueti, Perchè saranno
della terra i Re. LE DONNE CRISTIANE ripetono sommessamente:
Beati i mansueti. FANUÈL Beati quei che
piangono, perchè Saranno lieti. | LE DONNE Beati quei
che piangono. FANUÈL Beati quei che vivono in desìo,
Perchè li udrà il Signore. GLI UOMINI Beati |
FANUÈL Beati quelli che hanno puro il cuore, Perchè
vedran la gloria del Signore. PWOASCI Beati !
FANUÈEL E beati, fra Vanime fedeli, Tutti gli
afflitti, 1 poveri, gli oppressi, Perchè per essi È il Reame de’
Cieli. TUTE Beati! Rubriîa esce dal casolare con una lampa
in mano; è seguita da Perside e da fanciulle che portano in grembo dei
fiori sciolti e lì depongono sulla tavola insieme agli altri. Tutte le
donne si radunano intorno ai fiori. Alcuni uomini vanno accanto alle
donne, altri entrano nel caso- lare, altri si disperdono nell'orto.
Fanuèl, appoggiato ad una colonna della vite, guarda Rubria. Incominciano
a spargersi le prime ombre . della notte. RUBRIA
Vigiliamo. È la sera. Arde la face. D’intorno ad essa ci
aduniamo in pace. Viene il Signore ma nessun sa quando; Beati quei
che troverà vegliando. Si mette fra le donne ed i fanciulli ad intrecciare ghirlande ed a can- tare con
essi una canzone. RUBRIA, PERSIDE, LE DONNE
alternatamente — A me i ligustri, A te l’allor.
— Tuffiam le industri Mani nei fior. A me il ciclame E
l’asfodel, — L'’aulente stame E il tenue stel. — Avrem
corimbi D’edera inserti, Corone e nimbi, Ghirlande e serti. A me il
viburno E l’amaranto. Rigira il canto Mutando turno. Sua gioja
espanda La cantilena Viva e serena Come ghirlanda. —
OR! date a piene Mani le rose |! — Vigili spose, Lo sposo
viene. — Spogliate i clivi, Le valli e gli orti! Fiori sui
vivi ! Fiori sui morti | — Fiori silvani Gialli e vermigli !
OR! date gigli A piene mani! Casto segreto D’amor ci
leghi. — Canti chi è lieto, Chi è triste preghi — Lieto è chi
muore Nel Dio verace. Amore! CISA Fede ! — Amore! Amore! i
— Speranza! i | i i . | i
i ci pritaza erica nr srendiina VIRNA STELLARI
IRINA AZ IALIA TIZIA TRE LIV NE PISA POR TINI ESTATI NOIA negro —
ETRE LIETI) POS FRITTI ETTI LETT IIS CLI IE AMET Li VITI en = PN LATITTE
FRS, IAC IONI CREA PIATTO TODARO LAZ) IT AETE TA ADEN IMEBIIREI LIE Ra
STAI TANTI NLITTE PORA ONT Te ppie LL SIIT FIIEAIOI MIEI OASI METZIZIO EIA
DNASIORISI E STIRIA TIZIO EE DO DIE I ITA MISSILI RITA PICCHI TE LISI IIZ SISSI
RIENZO IAT IIIZORTTII DIE RIE PL ASTERIA] ! } | fievole, dal
fondo Pace. ALCUNI CRISTIANI sommessamente cTsrEATI e
en Risponde il ciel ! (IbEEINDI chinandosi e
giungendo le mani Adoriamo! Fra gli alberi dell’uliveto si scorge una figura
nera che s’avvicina lentamente. È Asteria. ALCUNE DONNE Un
fantasima ! E fuggono tutti, tranne Fanuèl e Rubria.
Asteria s’avanza come persona esausta e dolorosa. Giunta sul limite
dell’uliveto s’appoggia al tronco d’un albero, guardando il casolare. Le
sue vesti sono lacere, non porta più le serbi intorno al collo; mor-
mora, gemendo, parole interrotte. ASTERIA Di
pace.... una dolente.... a lor favella.... Crudeli.... ed essi fuggono.
RUBRIA ode i fievoli lamenti, accorre ad Asteria, la
sorregge pietosamente e la conduce a sedere presso la fonte dicendo:
Sorella, Che hai? tu gemil. Dimmi la tua pena. Oh!
come tremi! ASTERIA vede il volto di Rubria rischiarato
dalla lampa. Dolce Nazzarena! SÌ.... tu se’ quella che il
mio duol lenivi Sull’Appia, orando, un dì, nella quiete Dell’alba....T'ho
cercata tanto!....Ho sete. Rubria fa cenno a Fanubl, il quale s’affretta a
riempire la ciotola col- l’acqua del fonte e gliela porge. A
ORTO Co ee vee te en e ee e ea ASTERIA sorridendo a Rubria ed
estraendo un fiore dal seno Quest'è un tuo fiore. RUBRIA
Bevi. Avvicina la tazza
alle labbra dell’assetata. Asteria beve avidamente. Arsa languivi. Mentre
Asteria alza le mani per sorreggere la tazza, si vedono le sue braccia
ferite e sanguinanti. Tu spargi sangue !! ASTERIA dopo
un lungo sorso, senza por mente all’osservazione di Rubria Oh, il fresco
umor dei rivi! sorridendo languidamente a Rubria e poi a Fanuèl;
a Rubria: Ma tu non seai. Vengo da dove non s’esce mai
vivi... Per salvarti. Per te mi svincolai Dall’amplesso dell’idre.
mostrando le cicatrici Ecco i lor baci. Rubria
fa per bendare la ferita di Asteria. Non m’ajutar. con
parola sempre più concitata e ravvivandosi rapidamente Questi
attimi fugaci Serba per te, te stessa ajuta, fuggi! alzandosi
Fuggite tutti! sulla vostra traccia Vien Simon Mago.
RUBRIA' Spavento |! cari ARR SA SMR a ZII
PETIZIONI ATI ETENT ATTI MALIGNA VAIO NT IISIRTARI PIGRI FICA EI TIGRI MM TOTI
TITANI MILANI ABITI TA ITA! III TA LA PVASVDAT: OSCENI sN TT DA TTT TL
LT e rene toe O EIA . x a
serest PR LATTA x nti creni SIOE ZIONI DANTE RITA AZ TI DI TATTICA OZ
TTEELATIAA CEI ITA IZ RISO PIATTA IRAN NETTE AITINA IDATA EVO TOCI IL AE RR
TANINTIZAZ CPTATZI CIOTTI IZZO TIZIA INIZIATI SEP AIA I Ù s
| | ASTERIA i I I var tenanionIE
Distruggi Ogni altra speme che non sia la fuga. Tremendo egli
è ! Bene udii la minaccia: Ei vuol sangue Cristiano. RUBRIA
a Fanubl, atterrita Il tuo! Asteria si è già allontanata
dalla parte dell’uliveto. RUBRIA ad Asteria
T'arresta ! ASTERIA con subita veemenza e come spinta
da un impeto invincibile Il riacceso mio dimon mi fuga !
Scompare tra gli alberi del fondo. RUBRIA
s’avvicina a Fanuèl che è rimasto presso al fonte e la guarda, immo-
bile; dopo un momento d’ansioso silenzio : 4 t ;
| | |) Î Fanuèl!.... Fanuèl!... Parla.... ti desta. ”
Salvati, per pietà! Tu indugi ancora? | Vien! Fuggiam ! Fenda il
mar l’agile prora | E dia le vele al vento! L’infinita Via del vol
s'apre a noi, corri alla vita! | Vieni! mi suscita un Dio quest’alato
FANUÈL fissandola, immoto Confessa il tuo
peccato. dopo un silenzio Non parli più? L’alato impeto
muore AI solo rammentarne ? Un dì m°hai detto: Ho un peccato nel
cuore. SIRIO IEZZO IRIS IIRAIAIII REISER LTT. RUBRIA
interrompendolo Ed or te ne rammenti ? FANUÈEL
A tutte l’ore M’è quel tribolo fitto entro la carne !
Confessa. RUBRIA No. Pria fuggiam.... poi
dirò.... Come potresti or tu quest’affannata Anima
interrogar sì che risponda ? Sàtana è là.... Nel tenebrore,
Vuol la tua morte.... FANUÈL Tutto ignoro di te, tutto,
anche il nome. Quando t’accolsi nella fe’ novella Non te lo chiesi,
ti chiamai : Sorella. M’odi ; ogni sera, mentre oriam, furtiva
Tu ne abbandoni; l’orma fuggitiva Ove ten porti? ove? e perchè celarla
? Forse allor corri al tuo peccato ? Parla ! Parla! Consenti alfin
(ti pregai tanto) L’alto abbandon del lagrimato errore ! E
un’estasi soave in fondo al pianto ! GOBRIAS con voce
artefatta, nasale, dal timbro bieco (dal folto dell’uliveto)
Pietà d’un cieco che la Grazia implora Del charisma Cristian !
RUBRIA inorridita Sàtana è qui! Corre
disperatamente alla tavola dove arde il lume. S'’arresta, guarda intorno,
spegne il lume. Poi fra le tenebre ritorna verso Fanubl. L'orto è
immerso in una densa penombra. S’intravvedono nel fondo Simon Mago e
Gobrias poveramentie vestiti. Simon Mago ha il capo coperto da una
calàutica î cui lembi sciolti gli mascherano tutto il viso. S'arrestano
là dove finiscono gli alberi. SIMON MAGO sottovoce a Gobrias
(Va guardingo, attento esplora; guidami per mano. GOBRIAS
prende la mano di Sìmon Mago e risponde sottovoce :
Nessun m’ode, è tarda l’ora. Qui s’attende invano. SIMON
MAGO Ricomincia il tuo lamento.) GOBRIAS Ah! Pietà d’un
cieco! RUBRIA SIMON MAGO sommessamente e con grande
ansia a sempre sottovoce Fanuèl che non si scuote
(Non l’ascoltar; quel cieco vaga- (Or t’inoltra lento, lento, cammi-
[bondo Mi fa rabbrividir. Non l’ascoltar ! 1 DI
st avvicina [nando meco. GOBRIAS con
Simon Mago al casola- re e gira intorno gli sguardi.
Dilaniata strappo dal profondo Scerno due figure umane chiuse
Cuore il mio grido e non ti vuoi Odo un suon di voci arcane, di
sin- [salvar !) SIMON MAGO {in bruno ammanto.
SIMON MAGO [gulti e pianto.) rapidamente a Gobrias e
sottovoce (Sigi mi raffigura, S'ei mi
s'oppone, ad un mio cenno è colto. Tu corri allor nel Tempio a dar
novella Ed agitar, coi nostri, la congiura Dell’incendio. Se
ajuto qui m'è tolto, L’ultima audacia disperata è quella.)
ETZZZZ TANA RIA ME PSI RITA TETI FOTI TO RL TAN RNA RIO + OR
PREDICA ETA RIPARI NEI COPI DIO ZII TITO RATA LD AT VE UE
EIUS LAI RI MD RUBRIA | disperatamente, ma
convocesommessa | (Mi guardi e taci? Che pensi? |
FANUÈL I amaramente > | SIMON MAGO Che penso ? | (Va
quando vedi ch’io mi scopro È peccato d’amor ? | [il volto.) RUBRIA
D’amore immenso ! | FANUÈL Questa fu
l’ora della grande ango- | [scia !) | S’avvicina, calmo, a
Simon Mago, Ru- | bria rimane presso la fonte. | FANUÉL
ad alta voce Che vuole il cieco ? SIMON MAGO a
Gobrias (Parla tu.) GOBRIAS | a Fanuèl | La luce I Del
charisma Cristian. FANUÈL terribilmente Così non sia!
Mago Simon, cieco e de’ ciechi Duce! dj È Ù
\ONTSZE TIIPO LI OPZIONI IONA MUTI ET ATTIMI EDIZ) MSN LINA PIA III NI DTT Me
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AITINA NEI AR NZIMECII AI ATI E PETTO BIO I ZI UT AMI SIDE BIZ SEDI
VITE da TTI O SOG a 3 ITA LIETALITETE CESTRIIITI ME
TECA IENA RETTA EPOCA LA Ende SERA ILE STATUE AL | . SIMON MAGO
atterrito si scopre il volto e si getta ai piedi di Fanuèl.
Attèrrati a’ suoi pie’, anima mia. Gobrias s’è allontanato
dall’orto. Rubria entra nel casolare e poco dopo n’esce con alcuni
Cristiani. Fra gli alberi del fondo si vede un Centurione. SIMON
MAGO sempre ai piedi di Fanuèl continua: Furar tentai ciò
che negasti, or prego. La colpa mia rinnego, Tu sol mi puoi
salvar, morte m’attende. Un’opra ch’ogni uman segno trascende Neron
m’impone, Non si sfugge a Nerone! Dove ch’io mova un Centurion mi
spia. Ma tu, Profeta del novello Eòne, Tu, coi portenti della tua
magìa, Tu sol mi puoi salvar. FANUÈL Così non sia!
Si vedono comparire dall’uliveto due decurie di Guardie Germane col
loro Decurione ed alcuni Pretoriani accompagnati da portatori di
fiaccole. SIMON MAGO rialzandosi di colpo e indicando Fanuèl ai
Pretoriani A voi l’uom. I CRISTIANI si slanciano contro Simon
Mago, gridando :. Morte ! SIMON MAGO chiedendo ajuto alle
guardie Olà! I CRISTIANI mentre lo afferrano Morte a Simone !
PERE e De FANUÈL interponendosi, con un gesto pacato,
libera Simon Mago dall’assalto; poi dice ai Cristiani: Non
resistete al malvagio. L’esempio Ne diè il Signore. Il Signor sia con
voi. Nessun chieda ragione Se piace a Dio di far possente un empio
Per infrangerlo poi. Simon Mago s’allontana. Fanuèl ripiglia
dolcemente : Vivete in pace, e in concento soave D'amore, mani
aperte alla carezza. Sia sulle vostre labbra il bacio e l’Ave E
l’allegrezza. La giornata è compìta Pel fratel vostro e il suo
carco depone. Voi camminate in novità di vita Ed in pienezza di
Benedizione. oscurandosi Quando torna la sera, Col mesto
incanto delle rimembranze, Unite anche il mio nome alla preghiera,
Unite anche il mio nome alle speranze. trattenendo la commozione
V’amai dal dì che il cuor vostro ho raccolto, Non so quale
m’attenda ora crudel.... Ma so che più non vedrete il mio volto. I
CRISTIANI donne e uomini, gemendo Fanuèl! Fanuè! !
FANUÈL s’appressa al margine del fonte, poi soggiunge: Ed or,
fratelli, io tocco questa pietra Come un altar, benedicendo a voi.
I CRISTIANI inginocchiandosi sotto îl gesto di Fanuèl
Amen! RETTA IAN TENZA I TAMA LETI PILA DITO TINA E SRI IATA
ITA TATA ATO AZZ DETRITI ATI ZZZ AAA III STRA ZZZ I I FANUÈL
entra în mezzo alla schiera dei Cristiani. V’abbraccio con
un bacio santo. Bacia alcuni uomini ed alcune donne. Seguitemi
cantando un lieto canto. Si avvia lentamente verso il fondo per
darsi in mano alle guardie. RUBRIA mettendosi davanti a,
Fanuèl, mansueta e piangente Così tu lasci sulla mia pupilla
La lagrima cocente dell’addio ? FANUÈL Donna, ho le
labbra di mortale argilla. Passa senza baciarla. Poi, vedendo che
Rubria rimane in disparte, lungi dalla schiera che lo segue, soggiunge:
Qui sola resti? RUBRIA subito, con voce appena sensibile
SÌ. FANUÈL rivolto ai Cristiani che lo accompagnano
Cantate a Dio! Le donne hanno raccolti tutti i fiori e li spargono
davanti i passi di Fanuèl, cantando e allontanandosi fra gli alberi
dell’uliveto. RUBRIA con impeto e con tutto il fervore dell'anima,
spargendo fiori davanti i passi di Fanuèl Oh! date a piene
Mani le rose! interrompendosi con un singulto di dolore
I CRISTIANI Vigili spose! ANSA DITTA IRE FUSTI
ZIBIDO LIT n RIOT DEE IE OELIERLI E SITI POTTE DEI SLERSSORIIA ANIA I6
SDONSSIOIZG N ISIEZO III ì cinrii ALTARE
ERI AZIONA IATA nr SIONI ASTANTI TIA II TIZIA AMI NL TERA IV ZII
II DO RATTAZZI TLT RA RDATAI IZATFNTAI I VORII DTEIA TT AAF
Ln ara e ST GPTDT ELICA VOTATI LN DDT RIT ATI TSI ITINERE o
e A È CREARTI IE IEIRRIA MALARRIIRO E ARTT PONE A MRO II SOI
EI CREO ERIC AREE ITA TELIT AIR TIAGO ASTE IE E RETE I RT MENA
TITO EU RIETI TTI DIREI Ln TT TAM ma ter ie a. PERSIDE Spogliate i clivi,
Le valli e gli orti! Fiori sui vivi! I CRISTIANI
allontanandosi Fiori sui morti! Fiori silvani A
piene mani! Casto segreto D’amor ci leghi. Canti chi è lieto,
Chi è triste preghi. Lieto è chi muore Nel Dio verace. Amore
! Fede! Amore !... LA CANZONE LONTANA Rubria è
rimasta sola nell'orto. Il can- to s’affievolisce allontanandosi.
RUBRIA dopo aver seguito collo sguardo il i cammino dì Fanuèl
Sì, per salvarti. Ma il mio sogno [è infranto. S’accosta al
margine del fonte e bacia il posto della pietra toccato da lui. Si |
rialza. Tende l’orecchio verso la can- zone cristiana che si sperde
sempre più nella lontananza. Un sogno santo! un dolce
sogno fu! Laggiù, lontan, nella canzon che [muore,
L’odo ancor. RUBRIA L’odo ancor e canta: [amore ! Amore. sforzandosi
d’afferrare gli ultimisuoni L’odo ancor.| dopo un lungo silenzio,
angosciosa- mente Non l’odo più !!! E cade
ginocchioni. Ma RIM AA 7 NI
VAIO QAVTI MALLINMA VO:
IT 4 RICA OS NT e tane carl ieri ian
] a MITA LIETI } Ì i 18 tino.
19 a 0; dI iaia DS x LESLIE TENTA NA LIZ È
STATO LANE SAI LZ ATI Si vede l'interno dell’Offidum fra i
suoi grand’archi centrali, quello di destra che sbocca nell’arena e quello
della f0r/a dompae, a sinistra, che s’apre verso il Foro Boario.
In questo grande atrio ha sua foce un criptoportico che si prolunga nel fondo
se- guendo la lieve curva della fronte del circo; è chiuso, alla diritta
di chi guarda, dal muro delle carceri, e la sua parete a mano manca è
popolata di botteghe e di taverne. Nella stessa parete, leggermente
concava, si scorgono i primi gradini d’una scala interna che ascende
alle precinzioni più alte. Presso all’arco che sbocca nel Circo si vede
internarsi nel muro, di prospetto, il primo ramo d’una scala che sale al
podin. Un’ ampia nicchia, fiantheggiante la forfa pompae, accoglie la famosa
scultura Rodiana che rappresenta Zeto ed Anfione in atto d’avvincere
Dirce alle corna d’un . toro inferocito. La viva luce diurna entra
dall’arco esterno nell’Oppidurm. Ai pilastri degli archi è affisso l’editto dei
giuochi. Vortici di folla irrompono da ogni lato. La maggior calca ferve
intorno ad una quadriga; quivi le fazioni del Circo si affrontano levando
grida di trionfo e d’ira, i agitando toghe e cappelli e pezzuole verdi ed
azzurre. Parecchi brandiscono degli stili, altri minacciano colle pugna
gli avversarii. L’ Auriga, che ritorna vittorioso dalla gara, porta i
colori di parte prasiza, ha le redini attorte dietro la schiena e i
cavalli rivolti nella direzione del criptoportico, impugna un coltello
per difendersi | de CARE I AZZ RP LIRE DI TI O MAIOTZI
DEDITI RZ DI n I prerreni FELICIA vano cavia nta PO TAZTI ARE TATE
dagli assalitori. I VERDI Gloria! Vittoria!
GLI AZZURRI Morte! Morte! Infamia! I VERDI
. Scorpus! Gloria del Circo! A te la palma! GLI AZZURRI
Furasti con perfida frode, Furasti con perfida gara La palma
cruenta! I VERDI Vittoria! Vittoria! La folla
vociferando segue la quadriga e s’interna nel criptoportico. Simon Mago,
seguìto a distanza dal suo Centurione, incontra Gobrias che viene
dall’arena. GOBRIAS a Simon Mago, scherzosamente,
coll’inflessione particolare di chi parla ridendo I Verdi
han vinto, è salva Roma. SIMON MAGO sottovoce a Gobrias
Ebben?? GOBRIAS sottovoce, dopo essersi
appressato a Simon Mago, e rapidamente Siam pronti. La fune incendiaria
Scoppierà verso il Celio. SIMON MAGO sottovoce
E chi la scaglia? GOBRIAS Asteria,
SIMON MAGO con accento di grandz sorpresa Asteria ?
GOBRIAS Sì. Viva la trassi Dal baratro de’
serpi ed or ti giova. SIMON MAGO . M’odia, mi tradirà.
TT RICIPIIA SLEALE TESTI TI A e e tnt ri I i nevi ia
ceca mann ast romiiomito nea ra re ORTO
PATIRE RR RI II LIONE DINI ONTE IIN ; ; i
$ i GOBRIAS con accento di chi rassicura
Ama i Cristiani, Vorrà salvarli e te salva con essi. SIMON
MAGO dopo un momento di riflessione Sai l’ordine de’ giuochi?
GOBRIAS indicando l’editto affisso ai pilastri della
porta pompae ed avviandosi a leggerlo È là, si legge.
Dal fondo del portico sopraggiungono alcuni gladiatori armati per
combattere e disposti în ordine di parata; divisi per coppie, preceduti
da quattro Eneatori con trombe, da un porta-insegne, dal Lanista
e da un servo, entrano nel Circo. GOBRIAS «1
gladiatori di Preneste » - Passano. «Il supplizio di Dirce, pantomima Coi
tori e i veitri e colla morte vera Di femmine Chrestiane. SIMON MAGO
interrompendo A mesi deve. GOBRIAS continuando la
lettura Laurèolo in croce sbranato dagli orsi. » SIMON MAGO
È Fanuèl. Continua. GOBRIAS ferminando la lettura
« Il volo d’Icaro. » con un gesto d’addio canzonatorio a Simon Mago
Buon ti sia! Se ne va correndo e scompare nella curva del
criptoportico. Dal Circo giungono grida di « Euoè! Euoè! Euge!
Euge! Macte! Macte!» mentre un’ondata di folla entra correndo
dall’esterno nel- l’Oppidum. Entra dalla porta d’ingresso una lettiga
pomposissima portata da quattro lettigarii. Una puella Gaditana esce dalla
taverna con alcuni suoi corteggiatori e si mette a danzare in mezzo al
croc- chio, sotto il criptoportico, una sua danzetta mite e lieve, al
suono di un corno, del tîmpano e di crotali, mentre un giovanetto, colla
doppia tibia alle labbra, l’accompagna. Nerone e Tigellino
scendono la scala del podio e s’arrestano presso all’arco del Circo. N.
Che vuoi dir? TIGELLINO sommessamente
Una congiura... N. Contro me?
TIGELLINO Contro Roma. I Sacerdoti Di Simon Mago, per
sottrarlo a morte, Pria che la torre ei salga ond’ei dovrìa
Slanciarsi a volo, incendieranno l’Urbe... La puella Gaditana
col tibicino e coi liberti, continuando la danza, si eclissano
nella curva del criptoportico. LS % N. attento ai clamori del Circo ed
interrompendo Tigellino Taci. Le grida del Circo
giungono nell’Oppidum da varie altezze e distanze, seguite da risate e da
urli, frammiste a squilli di buccine. GRIDA DAL CIRCO
Non vuol morir! Pollice verso! — 72 — Ot,
So E ibiza ea resin det ——mmm&m& VNDERITE
ATTI TERZA RIAITZI SLI MET III NNT PRIA UNE RATE EEN ALTRE VOCI
Basta! Vogliam le Dirci! MOLTE GRIDA Uccidi! A morte!
Segue un momento di tregua; Tigellino se ne vale per ripigliare il
racconto. TIGELLINO Seguo lor traccia. N. imperiosamente,
interrompendo Tigellino Taci. Ricomincia il tumulto del
Circo; s’odono a diverse distanze le griì- da: « Age jam! - Evax! - Ahè!
- Ahè! - Euge! - Eho! - Eho! -Vogliam le Dirci! ». TIGELLINO
I Pretoriani Chiedono un cenno mio per afferrarli. NERONE
ascoltando le grida del Circo ACK VOCI DEL
CIRCO No! no! no! Basta! TIGELLINO
risolutamente a Nerone, mentre continuano le grida lo salvo
Roma. Da ogni parte del Circo si odono le grida di « Basta! Le
Dirci! La Tragedia! Basta! » N. în uno scoppio di
collera Taci! Non odi la plebe che rugge? Voglion le Dirci!
S’aggira concitato verso il criptoportico. Sono entrati dalla taverna
Gobrias, Terpnos e Alitùro. Scorgendo Alitùro esclama: Olà!
Presto! Alitùro! S'affretti la tragedia, Alitùro esce correndo.
A Ì “ c s; i er 5 mero az sn OR E = REIT
FE DIET TREIA EDITO ISCRITTE DARI SA TRTE CETAA COEN EMILIA BOI DST AT
ONTO ET CR ITA AE PIEVE LEI OPA LI RITZ NE TIA STRA TIZI NANI enna
Dal fondo del criptoportico accorrono moltissimi pantomimi colle
maschere sul viso, portando grosse funi. Ad alcune guardie che
sopraggiungono: E voi scacciate Quei gladiatori. Allo
spoliario i morti! Date le Dirci al popolo! Affaccendato
come un ordinatore di spettacoli, chiede a Gobrias ed a Terpnos con
grande concitazione: Son pronti i tori? e le funi? e le rocce Del
Citerone? e i veltri? e i sagittarii? chiamando com forte voce
I personaggi d’Anfione e Zeto! I due personaggi si
presentano: Zeto porta una clava e delle funi, Anfione una cetra.
Ecco l’effige del supplizio. Guarda! Tebe una Dirce ed io ne uccido
cento. Cento aspetti ha la scena! In scena! ISTRIONI
In scena! Tutti s'ingolfano nel criptoportico e scompajono. N.
conduce da parte Tigellino e gli dice sommessamente, con calma ironica: Astuto
Agrigentino, e non t’avvedi Ch’'io già tutto sapea? Guai se all’incendio
Che m’offre il ciel t'opponi. Ciò ch’io struggo Risorge. Il mondo è
mio! Pria di Nerone Nessun sapea quant’'osar può chi regna.
Dal fondo del portico s’avvicina lentamente un corteo strano ed atro-
ce. Le donne Cristiane, precedute da Fanuèl, vestite come la Dirce
del marmo Rodiano, inghirlandate di verbene, colle mani legate e fra
le mani un tirso od altri emblemi bacchici, camminano fra due file di
truci bestiarii che le percuotono a colpi di flagelli se quelle
s’arresta- no. Seguono alcuni Sagittarii in completo assetto di caccia
con archi, faretre e saette. Una frotta di pantomimi colia maschera muta
sul viso chiude il corteo. Simon Mago ed ‘è suoi sacerdoti
s’accaniscono contro Fanuèl e lo in- sultano mentre egli passa.
Frattanto la più sordida plebe del Circo s'è riversata nell’Oppidum.
Nerone, presso la. porta pompae, attende cupidamente il passaggio
delle vittime. i 2) TIRI ADATTA MISTI TI ICI FITUIZO TE LOVE
TIRI I DT II PIE BROZZI BILIA RSI NA IRINA PREIS ZII SZ VI SIONI TIE ISORIZ
VINILE DIZION SRIZZIA GIONE LEE: n: IAA III NANI MPIN
ID RS ZI ZITTA LIE CIZ ANTI MOMAL TIIA PIACE ELP DZ MERZIA LA DIRTI TRADITA N
TDI II ZI EN DEISAIIOP TRI E SEIT III TAG TOTI I SIIT AEATAS RISTAIC II AE SAMI
SE SAT IZII LAT PM MELI DATI AREA) E DE Li LA PLEBE Morte!
Morte! SIMON MAGO mostrando Fanuèl alla Plebe
Ecco il capo delia torma! Le Dirci hanno varcato il portico
e sono spinte dai bestiarii verso l’arena. SIMONIACI
Latra i tuoi salmi! Abbaja! Abbaja! LA PLEBE $
| i ! TOGATI Raca! SIMON MAGO
Raca! Il suo vino è sangue. LA PLEBE
Abbaja! A morte! FANUÈL con voce alta e serena
Credo in un Dio solo ed eterno. I cristiani e le cristiane ripetono
fervorosamentie le parole di Fanuèl. SIMONIACI E- PLEBE Abbaja!
Abbaja! Latra! Latra! Sulla scala del podio è comparsa una Vestale. Ha il
capo coperto dal- l’infula e il viso nascosto da un velo; ogni suo
vestimento è bianco. Un littore co’ fasci abbassati la precede, un
Flàmine la segue. Giunta all’ultimo gradino della discesa s’arresta,
tende il braccio e la mano verso Fanuèl. La folla, sorpresa,
indietreggia. LA PLEBE Una Vestale!
ALCUNE VOCI FRA LA FOLLA Sien salvi! Sien salvi!
SENI EE Mat de te I Lerma TT 1—IhÈ*È*ÉÈI*O*èZIè@-@èEQIà Nei ste
Lean e MST ALP TAI RO TI SEZ ATTRATTI PIREO REMI II NEO LE
ice APRITE RL EZIO TLOZ E ZU ML ARTI RANA TIPI TANA SORIA TTD
MADAME DE I LI PETER AT SIETE PAD IOE SIT IO APZIOT
NTTSIT IA DAR TASTI AE ACE ONT NET SERENA RE NR DLE MAT TT DATA TERE CE e
terribile e nelle prime parole un po’ ansimante per ira Chi
là dov’'io mi son osò parlar di clemenza? LA VESTALE sempre colla
mano tesa verso Fanuèl e immobile Stende Vesta con me la man che riscatta
le vite. N. lentamente, studiando ogni parola, mentre guarda
a Vestale velata collo smeraldo Ave, 0 Vergine sacra, scopri
il volto, poi giura (Legge è di Numa) che in questi rei non qui ad arte
[t'imbatti. LA VESTALE con voce di persona atterrita
Una Vestale a giurar non s’astringe. N. comuno scoppio di
collera Per Giove! Chi le strappa quel vel?
SIMON MAGO Io. Il littore tenta d’interporsi
co’ fasci,ma Simon Mago s’è già slanciato sulla Vestale e le strappa il
velo. ALCUNI Sacrilegio ! FANUÈL la riconosce,
accorre ad essa, discaccia Simon Mago ed esclama: Sorella!
RUBRIA Fanuè!! Sviene fra le braccia di Fanuèl.
SIMON MAGO È una cristiana. Re I ATI
OA PRIA RI, de Pa LA PLEBE È una cristiana, N.
ravvisandola, la nomina Rubria! irridendo Ben tu
svieni. SIMON MAGO Morte! LA PLEBE A
Porta Collina! Muoja! N. freneticamente Muoja
Nel branco delle Dirci! LA PLEBE Sì. NERONE
con un rapido cenno impone silenzio. Dopo una brevissima
sospensio- ne riprende solenne e tranquillo Dal capo
L’infula sacra il Flàmine le svelga! Il Flàmine strappa dal
capo di Rubria l’infula e la gitta. Cadan le vesti a brani.
FANUÈL Io la difendo. I bestiarii si avventano
su Rubria svenuta, le lacerano le vesti. Fanuèl è circondato daî
sagittarii. La plebe s’accalca intorno, mentre due bdbe- stiarii sollevano
Rubria sulle teste della folla ruggente e la traspor- tano nell’arena
dove è spinto anche Fanuèl insieme alle Dirci e ai Cristiani che cantano
con voce alta e serena. CRISTIANI e CRISTIANE Credo
in un Dio solo ed eterno. SE = PRA DE RR ATTRA DI RI PEN TL ILAGIA
SITA I TIPO EP ART è ATI DET AT SEA, ILS IN I VIIITUE RI TANTE SIRREIO
BAITA LINEA MODI IT de TIVA DE STLTIIIAI ER | | LA PLEBE |
| A morte! | Abbaja! abbaja! Raca! Raca! Morte! N. con
esaltazione Mano alle funi, alle belve, alle donne! Tutte un
Eroe denudator le abbranchi, | Le avvinca nude in groppa al furiale |
Nembo de tauri, ebbre d’orror, fugate Dai veltri in caccia, irte di
dardi, esangui, Belle, riverse, i grembi al sol, nel raggio Del
concavo smeraldo agonizzanti. Nerone si avvia al podio. Tutti i
pantomimi sono entrati nel Circo. Scorgendo Simon Mago o E
tu non voli? Ah! AN! La plebe sghignazza. | N. indicando
Simon Mago a Tigellino e ridendo Dalla torre dell’Oppido sia tosto
Slanciato in ciel. Non voli? Ascendi all’etere, Agli astri, al
sole! Icaro, vola! sino alla scaia di legname che sta a sinistra
del criptoportico. GOBRIAS, TIGELLINO, LA PLEBE I ridendo, a Simon
Mago, e beffandolo Vola, La guardia Germana,
afferrato Simon Mago, lo trascina rapidamente ! I Se sai
volar! Icaro, vola! i SIMON MAGO si difende con tutte
le sue forze; vede Gobrias e lo chiama in soccorso: Gobrias!
GOBRIAS | Va! non temer! prolunga la difesa. mo Correndo e
ridendo s’allontana e scompare nel fondo del portico. | DELIO NEVA
PETRI SEEM ONE O LIMONI ENELA VD PIET A IOIZIETTIIA STET ZA DIE IMI TRITATA
SLIDE SVITARE PILOT RIE DINI INIZIA DEVIATO TIENITI SIMON MAGO
implorando ajuto da Tigellino Mi salva!
TIGELLINO rigidamente, ai Pretoriani Sguainate l’armi!
SIMON MAGO alcolmo dello spavento Tregua! La guardia
Germanica colle armi in pugno caccia Simon Mago, pun- gendolo e
minacciandolo, sui gradini della torre dell’Oppidum. N. Icaro, vola! Vola!
Vola al sol! Nerone ridendo sempre più eccitato, entra nel Circo. Nel
Circo non cessano i clamori: si odono le grida feroci « A morte le Dirci!
Vogliamo la Tragedia! Non vuol morir! Pollice verso! ». Ad un
tratto s’odono degli urli di spavento che vengono dal fondo del
criptoportico e dalle parti più alte dell’edificio dove s’incomincia a
scorgere qualche cirro di fumo. Le grida di terrore aumentano e
s’avvicinano. Il fumo penetra nel- l’Oppidum e s’ode Gobrias che grida: L’incendio
è nelle fornici! Altre voci gridano: « Soccorso! Il circo divampa! - Salvate le
donne! Fuggi! fuggi! - Di qua! - No! Fermi! Ajuto! Attraverso le nubi
dell’incendio si scorge la gente che fugge, che s’urta, che cade. - Una
fiumana di popolo irruente invade il cripto- portico, spinta verso lo
sbocco della porta pompae. L’Oppidum non è più che una voragine di fumo.
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POTRÀ 10974 | TA] Di] i î Li TINTO gf”
SIORIT MISOLI E GPIZIEIE BITTE PEZZO DL LO ITA EAT NL A CETONA TOT
UIL LT petedimenasa stai nn IZ: III È un sotterraneo del Circo
dove si depongono i morti. La luce riflessa d’una torcia che s’avvicina
dirada a poco a poco le tenebre, rischiarando a destra il vano d’una
porta e la rampa d’una scala erta ed angusta. Un rombo lugùbre
giunge dall’alto e ad intervalli uno scroscio come di cataste o di mura
che ruinino. Asteria, con una fiaccola in mano, discende la scala;
giunta alla soglia del sotter- raneo s’arresta per illuminare chi la
segue, ASTERIA Scendi. Fanuèl la raggiunge. Entrano
insieme. Cerchiam fra i morti. FANUÈL Orror di tomba
Emana lo spoliario. S'ode ancor da quest’antro funerario La
gran vampa che romba. ASTERIA Cerchiam. Incomincia ad
aggirarsi lentamente guardando a terra lungo la parete centrale. Al lume
della torcia che tiene in mano s’intravvede, là dove passa, la struttura
irregolare del sotterraneo. Fanuèl va frugando a sua volta
nell'ombra lungo la parete di destra. Si parlano a distanza.
DCO LI RESI SII PTTASTINTENITI IC AREE SITA SOLITA ‘i pe
FANUÈL Cadde la prima, ASTERIA vivamente
Allor qui giace. Tardi per lei scoppiò da questa face
Il folgore incendiario! Fanuèl s'imbatte in un corpo, si
china, lo tocca, riconosce al tatto le fasce crurali d’un auriga. Va
oltre. Ecco là dei cadaveri. Indica un gruppo di morti stesi
a terra nell’angolo della parete sini- stra. Fanuèl accorre e li guarda.
FANUÈL Un reziario, due sanniti, un trace.
ASTERIA atterrita Simon Mago! FANUÈL
Ove? ASTERIA indicando con ribrezzo, senza
accostarsi, iv cadavere di Simon Mago gittato un po’ più lontano, in
un’insenatura del muro 5 Là. FANUÈL dopo averlo
guardato fissamente Da Dio fu infranto. Abbominato sia.
S'avvia verso il centro del sotterraneo. Il suolo è ingombro d'armi
gladiatorie. ASTERIA Cerchiam.
Fanuèl scorge, sopra un letto funebre, giacente come una morta, una
donna în veste bianca. FANUÈL chiamando con voce
agitata :. Accorri. i BZ — —IiMRANZIAR TINA TIE I A
d ASTERIA accorre colia face. È lei?
FANUÈL cade în ginocchio, posando la testa e le braccia sul corpo
di Rubria. Martire mia! Gieltz, Respira!..... Vivrà!
Asteria appoggia la face ad una pietra vicina, poi corre dal lato sini-
stro del corpo di Rubria per ajutarila. Squarciale i
panni..... Salvala ! Asteria, mentre Fanuèl parla, lacera la veste di
Rubria sul fianco. È svenuta. Cerca le sue ferite, Io l’ho
veduta Sanguinar nuda nel nembo infernale! Salvala! Cerca.... cerca
sotto il core.... Là.... sotto il core la ferì lo strale
D'un sagittario. aspettando ansiosamente Ebben? ASTERIA
guardando la ferita di Rubria attraverso lo squarcio delle vesti
Spavento!! Muore. FANUÈL Muore!.... Non
muoja qui.... non nell’orrore Di quest’antro. Fa per
sollevarla e portarla altrove. ASTERIA opponendosi con impeto
La getti nella strage! Divampa il Celio, arde il Velabro, è
l’odio D’un Dio su Roma. Il Circo è un mar di brage. Se la tocchi
l’uccidi! Scoppia un fragore terribile sulla volta del
sotterraneo. Crolla il podio! Asteria ha visto qualche
riflesso dell'incendio sulla scala d’onde scese e la risale correndo e
scompare mentre Rubria apre gli occhi. ALI RUBRIA Ah!
FANUÈL tutto chino ‘presso di lei Non temer, son con
te. RUBRIA trasognata Fanuèl. Dove
son?.... dove fui?.... Tu.... salvo!.... Io.... viva! L’anima mia
fuggiva...... M’offusca un vel..... Colta da una
reminiscenza d’orrore, getta un grido, si sforza di solle- vare il capo.
FANUÈL ‘ con grande dolcezza No. Una mano pia
Ti ricoperse con la bianca stola. Riposa. Oblia.
RUBRIA Chinar.... dovrei.... le mie ginocchia.... a terra
D’innanzi a te..... Tenta di sollevarsi, ricade.
Son ferita..... non posso. FANUÈL Rubria! RUBRIA
Pietà! l’orror mi riafferra! Il Mostro..... il turbin rosso. Viscere
e carni!! Ascondimi! M’ajuta! FANUÈL inorridito Fu il
mio grido d’amor che t'ha perduta! (o [4 sd RL
STT IRENE RIME ID TI III DI LTTE INT I RIINA TOR ILE TI
i i Ì ! | i | | Ki
| Ì i | | 4 i i |
RUBRIA D’amor? lo t'amo tanto. dopo una breve pausa
Fanuèl.... morirò? FANUÈL seduto accosto a lei sullo stesso
letto e posandote dolcemente la mano sulla testa e accarezzandole i
capelli e la fronte PISTE STE SIT ATI RIETI PATITI LIO III O I TAI
sc Vivrai. RUBRIA dolcemente
SISI Oh! com'è buona e calda la carezza Della tua man....
Bacia la mano di Fanuètl. PRANZI LETI TIT LIA
pu PSI IL Più accanto a me.... più accanto. Così.....
COSÌ. Tu m’insegnasti questa gran dolcezza Di sorrider nel pianto.
M’odi.... la morte A ogni attimo mi strugge.... Non pianger,
Fanuèl, stringimi forte, Finchè mi stringi, l’anima non sfugge.
$r O ALLE TA I Dopo un lungo riposo ed un silenzio di
raccoglimento, soggiunge: Servivo un falso altar. Tutte le sere Venìa'
coll’ idria del mio tempio... al fonte Dell’orto santo e dopo le
preghiere Tornavo all’atrio antico, a piè del monte. Tentai
confonder nella stessa vampa L’ara ardente di Vesta e la pia lampa
Della vergine saggia. Ecco il peccata. Or tutto è confessato,
Attendo il tuo perdono. Tutta or mi sai, sorridimi.... Monda
e beata or sono. ERMETICA A FANUÈL alzandosi e
ponendole le mani sulla fronte e baciandola, con soavis- simo fervore
, .. Benedizion d’ immenso amore accensa Sul capo tuo col
mio bacio si posa. i iituitiolititiiceste netti rie ss n ur si n
PRETI LTL DATI IE VIII RUBRIA sottovoce
Fanuèl! Fanuèl! Estasi immensa! Fanuèl torna a sederlesi a lato. Rubria
posa la testa sul petto di Fanubl. FANUÈL Tu sei la sposa,
L’egra mia sposa che sul cor mi giace. RUBRIA
Dimmi.... ove siamo? FANUÈL In un asil di pace.
Dormi quieta. RUBRIA con voce sempre più fievole
Sento Che ascende l’ombra d’un vespero strano. Dammi...
Fa degli sforzi per continuare a parlare; non può.
FANUÈL Che vuoi? RUBRIA con istento La
mano. Fanuèl s’affretta a darle la mano. Narrami ancora, mentre
m’addormento, Del mar di Tiberiade, tranquilla Onda che varca in Galilea.
FANUÈL quasi cullandola Laggiù, Fra i giunchi di Genèsareth,
oscilla Ancor la barca ove pregò Gesù. Raccoglie Rubria sul suo
petto. Quella cadenza languida di cuna Invita a stormi i bimbi
sulla prora. Dormi tranquilla, dormi. Meo: AIUTO SRL
ZE MEIER DAI RUBRIA con un fil di voce
Ancòra.... ancòra.. FANUÈL. Lenta salìia dal Libano la luna, Era
quell’ora in cui sorgon gl’ incanti. RUBRIA come un soffio, spegnendosi
Ancòra.... ancòra.... FANUÈL colle mani giunte
e gli occhi rivolti al cielo Escian le turbe oranti Per la
lunare aurora.... Sente Rubria inerte fra le sue braccia, la
chiama: Rubria. Asteria ritorna scendendo velocemente la
ripida scala. Fanuèl conti- nua a ricercare la vita sul cadavere di
Rubria. ASTERIA L’ incendio ne avvolge! Ogni scampo Di là
n'è tolto. Divampan le torri, Crollano gli archi. Vede un
uscio sprangato nella parete sinistra. Un lampo Di speranza!
‘ Si slancia affannosa attraverso gli ingombri del suolo verso la
porta d’uscita, leva la spranga, apre. Sei salvo! Ecco una
porta. Esce un istante per esplorare; rientra. Libero è il passo.
sulla soglia d’onde è entrata Accorri! Accorri! FANUÈL sul
cadavere di Rubria Morta! Asteria scuote Fanuèl e lo
trascina insino all'uscita. VELA EDARISCAI RED RR MR ARIE
rat tn IRSISILI E I FTT ITANI EN AZZIONDANT TI FIATI DE e AR TANI PINNA DIR RE
ENIT NIE ST Va CNMI TE — 87 — - FANUÈL dalla
soglia, con un ultimo sguardo Rubria! - Addio! Scompare
dalla porta d’onde entrò Asteria. Asteria udendo quel nome ritorna vicino
alla morta. ASTERIA con esirema violenza
Rubria? Tu? Quella che il mio truce Iddio Ghermì sull’ara? - Tu? Rispondi!
- Tace. Lo spoliarium incomincia ad essere invaso dal fumo.
Dimmi Pardor del suo bacio vorace Verso cui tende spasimando il
mio! Poi, d’un tratto, con immensa pietà Martire santa |
S'inginocchia, estrae dol seno il fiore della via Appia e lo
lascia cadere sulla morta dicendo : Pace! Pace! Pace!
Si sprofonda una parte della volta. Asteria si salva fuggendo da
dove è uscito Fanubl. DEAR er a i Ù
detiia Told e ID i DITER) II RIETI EA ia AI PA a I HU LA n
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“NERONE” IL MELODRAMMA.
Grice e Nesi: l’implicatura conversazionale –
adulescentuli oratiuncula – Sono dalle celeste sphere Venere: perche
amore inspiro: dagl’elementi fuoco: perché d’amore accendo da uoi con
vocabul greco CHARITÀ chiamata: perché col mio ardore della GRAZIA della salute
viso degni -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “I once had a
fight with Nowell-Smith; he was saying that a philosopher should not be a
moralist; I told him that by that token Nesi wasn’t one!” – “De moribus” Figlio
di Francesco di Giovanni e di Nera di Giovanni Spinelli, si dedica interamente
agli studi filosofici. Strinsge stretti rapporti con i principali umanisti
fiorentini dell'epoca, tra cui ACCIAIUOLI e FICINO (si veda). Influenzato
dall'operato di Savonarola, ricopre anche diverse cariche politiche. Altri
saggi: “Adulescentuli oratiuncula”; “Orazione del corpo di Cristo”; “Orazione
de Eucharestia” “ Orazione sull'umiltà” “Sulla carità”; “De moribus”; “De charitate”;
“Oraculum de novo saeculo, Canzoniere, Poema. Treccan Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Obviously, Nesi is not having Davidson in mind. But
Nesi is wrong in identifying GRAZIA with CHARITA, ‘greco vocabull” – this is an
etymological blunder. The charities were indeed three – Eglea, Eufrosina, e
Talia – and they danced mainly to eroticse Mars, or more frequently Giove and
Mars together --. Of course the expression ‘gratia’ is not cognate! – For Davidson,
charity is what the Italians refer to ‘carità’, formed out of ‘carus’ – the
spelling with ‘ch’ is a French corruption! So to be charitable, in Davidson’s
interpretation, is to be kind, caro. Not graceful! --. Grice: “If Davidson
doesn’t know his Greek mythology, that’s not my fault --. Instead of his
singular principle of charities, I will take the liberty to sub-divide it into
three maxims – The first maxim refers to the first charity, Aglae: splendour;
thes second maxim refers to the second charity, Eufrosina, mirth; the third
maxim refers to the third charity, Talia, cheer. In Kantian format, these
counsels of prudence become: be splendorous – or try to make your
conversational move one that is splendorous; be merry – or try to make your
conversational move one that will carry mirth to your co-conversationalist; and
‘be cheerful’, try to make your conversational move one as if it was spawned by
Thalia!” -- Giovanni Nesi. Nesi. Keywords: adulescentuli oratiuncula, principle
of charity, Davidson on charity on Grice. Who was the first Englishman to use
‘charity’ as a hermeneutic principle? Butler. Grice speaks of self-love and
benevolence. Benevolence – and charity? Grice is not so much concerned with
Beneficenza or Malificenza, but with Benevolenza, and Malevolenza – where does
charity fit? What was Ciceronian for charity. What is pre-Christian about
charity? Charisma, charitas, folk etymological confusion here – caritativo –
carita – caro, “le tre carità in armónico conubio” “tre carità”. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Nesi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nicolao:
l’implicatura conversazionale -- Roma –filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Among his pupils are the
two sons that Marc’Antonio has with Cleopatra. He writes a biography of
Ottaviano, and the two became friends.
Grice e Nifo: l’implicatura conversazionale ludicra –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Sessa).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Nifo; first, because he wrote a treatise he called ‘ludicrous rhetoric;’
second, because he tried to refute Pomponazzi against the mortality of the soul
– surely the soul is ‘mortal’ is a category mistake --.” Alla corte di Carlo V
(L. Toro, Sessa Aurunca). Studia Padova sotto Vernia. Insegna a Padova, Napoli,
Roma e Pisa, guadagnando una fama tale da essere incaricato e pagato da Leone X
di difendere l’immortalità dell’animo di Leone X contro gl’attacchi di Pomponazzi
e degli alessandristi. Ricompensato con la nomina a conte palatino con il
diritto di assumere il cognome del Papa, Medici. La sua prima filosofia si
ispira ad Averroè, modifica poi la propria visione giungendo a posizioni più
vicine al domma romano. Pubblica un'edizione delle opere di Averroè corredate
di un commento compatibile con la sua nuova posizione. Nella grande
controversia con gli alessandristi si oppose alla tesi di Pomponazzi per il
quale l'animo razionale non e separabile dal corpo materiale e, dunque, la
morte di questo porta con sé anche la scomparsa dell'anima. Sostenne, invece,
che l'animo di Leone X, quale parte dell'intelletto assoluto, non e distruttibile
e alla morte del corpo di Leone X si fonde in un'unità eterna. Tra i suoi
allievi, presso Salerno, tra gli altri, ricordiamo, Rosselli, filosofo
calabrese autore di un testo molto controverso, Apologeticus adversos
cucullatos (Parma), in cui cerca di affermare le sue dottrine che tendono a
discostarsi da quello del suo maestro. Lo si ritiene protagonista di un curioso
episodio. Pubblica il trattato “De regnandi peritia” (la perizia di regnare), che
alcuni ritengono essere un plagio del più noto “Il Principe” di Machiavelli del
cui manoscritto e venuto in possesso. Gli e conferita la cittadinanza onoraria di
Napoli ed iessa e estesa ai figli ed agli eredi in perpetuo.A lui è dedicato il
Convitto Nazionale di Sessa Aurunca, della quale e anche sindaco. Saggi:“Liber
de intellectu”; “De immortalitate animi”; “De infinitate primi motoris quaestio”
[cf. Bruno, Galilei, Novaro, infinito]; “Opuscula moralia et politica”; “Dialectica
ludicra,” “De regnandi peritia.” Furono
poi più volte ripubblicati, in quanto ampiamente diffusi, i suoi numerosi
commentari su Aristotele, di cui i più importanti sono “Aristotelis de
generatione et corruptione liber N. philosopho Suessano interprete &
expositore”; “Expositiones in libros de sophisticos elenchis Aristotelis”; “Expositiones
in omnes libros de Historia animalim, de partibus animalium et earum causis ac de
Generatione animalium, In libris Aristotelis meteorologicis commentaria” (Venezia,
Ottaviano Scoto); Physicorum auscultationum Aristotelis libri octo”; “Super Libros
Priorum Aristotelis”; “Commentarium in III libros Aristotelis De anima”; “Dilucidarium
metaphysicarum disputationum in Aristotelis Deum et quatuor libros
metaphysicarum”. “Dialectica ludicra”. Biblioteca del Convitto, Dialectica; “Dialectica
ludicra”; “In libris Aristotelis meteorologicis commentaria”; “In libros
Aristotelis De generatione et corruptione interpretationes et commentaria, Biblioteca
del Convitto Nifo di Sessa Aurunca; “In libros Aristotelis de generatione et
corruptione interpretationes et commentaria.
G. Gabrieli, "Raccolta Storica dei Comuni", Istituto di Studi
Atellani, Sant'Arpino, C. De Lellis,
Discorsi delle Famiglie Nobili del Regno di Napoli, Napoli, G. Paci, G. Marco,
I sindaci della città di Sessa, Sessa Aurunca, Zano. La filosofia nella corte (Milano,
Bompiani). Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G.
Marco, G. Parolino, Incunaboli e cinquecentine nelle biblioteche di Sessa, Minturno,
Caramanica, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, E. De Bellis, Il pensiero logico, Galatina, Congedo, Ennio De Bellis,
Aspetti storiografici e metodologici, Galatina, Congedo, E. ellis, Collana Quaderni di “Rinascimento”. Istituto
Nazionale di Studi sul Rinascimento (Firenze, Olschki); A. Poppi, I liceii di
Padova, Dizionario biografico degli italiani, Ratisbona. Grice: “I enjoyed
Nifo’s rambling on dreaming – quite an complement for Descartes on clear and
distinct perception!” Grice: “Part of my cooperative principle is based on Nifo
– echoing Aristotle rather than Kant. Or rather echoing Kantotle. In this case,
it’s Aristotle’s key concept of a ‘virtue’ – a collective virtue, like
solidarity, lies at the bottom of my conversational principle of cooperation.
The virtue is ONE of course, which is good. Each maxim then attends to some
virtue. Nifo is better than Castiglione in that his Italian is better. He
relies on Cicero, rather than on this or that court poet! So there’s VERITAS,
HONESTAS, CARITAS, and the rest. Each is seen as a virtue, and the point is to
find the ‘middle point’ or mesotes. A bore is a bore but if you include this or
that ‘implicatura ludicra’, two gentlemen can enjoy a nice conversation. Nifo
is having the Northern Italian courts in mind, away from that nefarious
influence of the Pope, who had paid him to demonstrate the immortality of his
soul! The virtue model of conversation is an interestin gone – “De re aulica”
is the way Nifo considers this, and he makes interesting observations on how to
attain a middle way, i.e .how to win frineds and lose enemies!” –Of course
there are overlaps. My model is Kantian, but what is a counsel of prudence if
not a nod to Aristotle’s virtue of prudentia – the principle is thus a
principle of conversationl conviviality, urbanity --. There are conceptual
problems with a purely Aristotelian model, rather than Ariskantian one. One is
not after VIRTUE, but the MESOTES – So the ideal is not to be searched for.
It’s not pure HONESTAS, but that which fits civil conversation. Oddly, Italians
were more concerned with ‘vitii’, which due to their Roman dogmatic
assumptions, they correlate with ‘vice’. For each vice, we should not look for
the VIRTUE, but to the MESOTES --. Kant could not make head or tail of this! Agostino
Nifo. Nifo. Keywords: ludica, ludicra, intellectus, animo intelligere, nous,
intellectus passivus, intellectus activus, intellectus agens, intellectus
possibilis, intellectus passibilis, what is so ludicrious about dialectis?–
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nifo: la dialettica ludrica”, Grice, “Dreaming”
– Malcolm, “Dreaming” --. – The Swimming-Pool Library.
Grice e Nigidio:
l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Cicerone. He
enjoys a great reputation for learning. However, he is on the wrong side of the
civil war between Pompeo and GIULIO (si veda) Cesare, and Cesare sends him into
exile. He is particularly interested in Pythagoreanism and is a leading figure
in its revival in Rome. He specialises in the mystical side of Pythagoreanism
and is credited with occult powers. Publio Nigidio Figulo. Grice e Figulo –
Roma – Filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Publio
Nigidio Figulo e una personalità assai notevole. Senatore, pretore e
ascoltatissimo consigliere di Cicerone nel momento critico della congiura di
Catilina. Nella guerra civile, si schiera col partito di Pompeo e dopo la
sconfitta di questo vive in esilio. Nella vita politica Occupa sempre posizioni
secondarie. Ha fama notevole per l'ampiezza del suo sapere che lo fa ritenere
il più dotto dei romani al pari di Varrone, che però lo superava per ampiezza
di cultura. Cicerone afferma che fa risorgere le credenze della setta di
Crotona come dottrina filosofica. Ma effettivamente era riapparso come
Neo-Pitagorismo in Alessandria, tanto è vero che ad esso appartenne Bolos di Mendes,
o Bolos Democrito. Quindi l’affermazione di Cicerone su lui si limita al mondo
romano. Raccogge intorno à sè un circolo di 'croonesi' che permise ai suol
nemici personali di parlare di una factio. Il suo sforzo di fondere
l'insegnamento della setta di Crotona (nel quale vede la verità su filosofia,
astronomia e scienze occulte -- con credenze, oltrechè romane, etrusche.
Suscita l'accusa di infedeltà alla 'religione' o culto ufficiale dello stato
romano. Sembra che coltiva l'astrologia e la magia e che predice al padre di
Ottaviano che il figlio che allora gli era nato avrebbe dominato il
mondo. Di lui si ricordano i seguenti scritti: "Commentarii
grammatici," di almeno 29 libri; "De gestu" -- una
monografia retorica."De dis" -- di cui è citato il 1. 199, è un
tentativo di rappresentare tutto il pantheon romano. Precede un’opera
simile di Varrone, che ne offusca il ricordoi si. Vi notano intuizioni stoiche.
E dubbio l'influsso di Posidonio. Chiari invece e l'influsso etrusco e
astrologici; "De extis," si diffonde sull'arte augurale
etrusca."Augurium privatum" in almeno 2 libri. È dubbia
l'attribuzione a lui di un libro Sulla interpretazione dei sogni. Uno
scritto "De ventis" comprendeva almeno 4 libri. Si cita di lui
il 4° libro di un'opera "De animalibus" e il 4° di un "De
hominum natura". È probabile abbia composto un "De terris" che
sembra fosse un’opera di geografia astrologica. La "Sphaera" di
lui e un saggio di astronomia e di astrologia che includede una Sphaera
graecanica (descriziene delle costellazioni greco-romana) e anche una
"sphaera barbarica," colla descrizione delle costellazione di altri
popoli. Probabilmente conteneva predizioni astrologiche. Le tendenze
mistiche, religiose e superstiziose che dominano in lui dovevano conservarsi in
tutto il Neo-Pitagorismo posteriore. Publio Nigidio Figulo. Figulo.
Nigidio
Grice e Ninone:
la diaspora di Crotona e la sua causa -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. One of the
leaders of the anti-Pythagorean movement in Crotone. He claims that the
Pythagoreans are elitist and anti-democratic. He also claims to have a
knowledge of their secret teachings and published it in an essay. However,
according to Giamblico, N. Knows nothing of what the sect teaches and his essay
is ‘a work of pure invention.’
Grice e Nisio: il
portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Samnium). Filosofo italiano. A pupil of Panezio. Nisio.
Grice e Nizolio: l’implicatura conversazionale
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescello). Filosofo
italiano. Grice: “I read Nizolio and it’s like reading myself!” – Insegna a
Brescia e Parma. Pubblica il lessico “Observationes in M. Tullium Ciceronem”
(Brescia), il Thesaurus Ciceronianus” (Venezia, Facciolati) e il “Lexicon ciceronianum”
(Venezia, Facciolati). Ha una lunga polemica con Maioragio per una critica
portata da quest'ultimo a CICERONE che, iniziata con la Epistola ad M. A.
Majoragium, prosegue con l'Antapologia e si conclude con i “De veris principiis
et vera ratione philosophandi contra pseudo-philosophos” (Parma), scritto
contro gli scholastici, che interessarono Leibniz al punto che questi li fa
ristampare premettendogli il titolo “Anti-barbarus Philosophicus, sive philosophia
scholasticorum impugnata” con una prefazione ed una lettera a Thomasius sulla
dottrina di Aristotele, Francofurti (Roma, Bocca). E chiamato da Gonzaga a
Sabbioneta. Contemporaneamente alle critiche di Ramo alla logica dei lizii,
anche per lui occorre sostituire all'astrattezza di quella logica un pensiero
che sia concretamente legato al reale, e a questo scopo la strada maestra sta
nel ritrovare i processi del pensiero direttamente nella struttura grammaticale
dell’italiano. Individua cinque principi per fare della buona filosofia. Il
primo principio generale della verità e della buona filosofia consiste nella
conoscenza della lingua romana, in cui sono espressi quei saggi filosofici. Il
secondo principio è la conoscenza di quei precetti che si trovano nella
grammatica e nella retorica di CICERONE, sostituendo la grammatica e la
retorica alla metafisica, ontologia, o filosofia speculativa, dal momento che
il metafisico si e preoccupato solo di ricercare il vero, senza occuparsi
dell’utile, il necessario, o il pertinente delle cose trattate. Il terzo
principio consiste nell’interpretare il filosofo antico come CATONE IL CENSORE,
o Cicerone, o Antonino, e nello sforzarsi di comprendere il modo con il quale
il popolo romano si esprime, essendoci verità in quella schiettezza – Grice:
‘slightness” -- di linguaggio. Il quarto principio generale del vero è il
libero, e la vera licenza delle opinioni e del giudizio su qualunque argomento,
in contro ogni domma, come richiede il vero e il naturale. Non devono essere
dunque CICERONE o ANTONINO nostril maestri, ma i cinque sensi,
l'intelligenza, il pensiero, la memoria, l'uso e l'esperienza delle cose.
Il quinto principio afferma che, oltre a esporre ogni tesi con la chiarezza
della lingua comune – l’italiano volgare, senza introdurre nel discorso
oscurità (avoid obscurity of expression, be perspicuous [sic], avoid
unnecessary prolixity [sic] o sottigliezze, occorre non trattare problemi che
non hanno realtà. Esempi di invenzioni filosofichi prive di oggettività sono la
idea platonica e la tesi del reale dell’universalie. Infatti, il reale è
costituito soltanto da singoli individui e questi devono essere indagati non
attraverso la loro natura propria e privata, ma attraverso la loro comune e
continua successione. Si fa filosofia non astraendo, ossia togliendo da una
singola realtà quel quid che viene poi analizzato come se esso fosse reale, ma
comprendendo, ossia considerando insieme il singolo reale. L'universale è una
vana e finta astrazione che deriva invece dalla comprensione di ogni singolare
di ogni genere, accolto insieme con un atto solo, senza astrazione
intellettiva, ma con il solo ausilio di un'intelligenza che comprende il
singolare. In sostanza, noi non possiamo distaccare, con un'operazione
dell'intelletto, un universale da ogni singolare, ma semmai passare
dall'individuale al collettivo. L'operazione consiste nel sostituire alla
dialettica la retorica e alla logica la grammatica ma, pur mettendo in rilievo
i difetti della logica classica, non riesce a fondare una nuova logica efficace
e persuasiva. Saggi: Garin, Rossi, Vasoli, “Testi umanistici su la retorica”;
“Testi editi e inediti su retorica e dialettica di N., e Ramo, Milano,
Bocca N. in M.T. Ciceronem observationes Caelii Secundi Curionis labore
et industria secundo atque iterum locupletatae, perpolitae et restitutae.
Ejusdem libellus, in quo vulgaria quaedam verba et parum Latina, ad purissimam
Ciceronis consuetudinem emendantur, ab eodem Caelio, s.c. limatus &
auctus”. Dizionario Biografico degli Italiani. Ballestri, Massimiliano. Milano,
Cosmo, Battistella, umanista e filosofo, Treviso, Zoppelli, Il rinnovamento
scientifico moderno, Como, Meroni, Rossi, “La celebrazione della
rettorica e la polemica anti-metafisica del "De Principiis" in La
crisi dell'uso dogmatico della ragione, A. Banfi, Milano, Bocca); Fink, Logica
aristotelica Universale Idea. Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. Calogero, Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Grice: “I was slightly disappointed when I got hold of
Nizolio’s overadvertised masterpiece, the “Lexicon Ciceronianum;” while Urmson
liked it, I found it more to be a common-or-garden dictionary. I did not care
for philosophical concepts, seeing that he starts wih “A”, ‘the first letter of
the alphabet,’ as N. defines it. So, I went straight to the third tome – heavy
as they are, and reprinted in London for use at public schools –‘adolescens’ –
to ROMA, ROMANVS, ROMVLVS. As for his advice as to deal with the longitudinal
unity of philosophy and his rhetorical, ‘Plato is my friend but a better friend
is truth,’ I can’t believe it coming from one who dedicated his life to TRACE
every little ‘diom’ (slogans as the London edition has it) uttered by Cicero!
WhileI would expect praise against the barbarian scholastic from Roger Bacon,
it sounds hypocritical coming from Leibniz. By N.’s standard, Leibniz was a
barbarian his self. The scholastics actually saved the books from the flames of
the Longobards and the Eastern Goths (earlier on) Roma, Contr. RuJ. Romain montibus posita, et convalUbus,
ccenacolis sublata atque suspensa.1. de Div.. Certahant, Urbem
Romam Uemamne vocdrent, Post led. in Sen. Roma arx omnium terrarum.
De Pet Cons. Roma civitas CK nationnm conventu constituta. 1. de Onu. Roma
domus virtutis, imperii et dgnitatis. Roma domid Uum imperii et gloris. Roma
luxorbisterraruhi, et arx onuuum gentium. Div. Bmoul sexennioj post
Veios captos a GaUis capta.
Rome et reges augnres, et postea privati eodem sacerdotio prsediti, lem
pub. regionum autoritate rexemnt. Qu. Fr. Roma, ubi tanta arrogantia est, tam immoderate
libertas, tam infinita hominum centia. Redu Romam Fonteu cansa
.Idns Qu. de Nat. Roma in terries nihU meUns. Inoer. Romam conditam 01 vmpiadis sestss anno tertio. Romani.
Pro Leg.Man. Romani pn»ter ctiteras gentes laudis et glori» avidi. Romani cives facti Siculi lege Antoni
L9. Fara. Romani veteres atque urbau sales. Tus. Romani
serius quam GffKci poeticam acceperant 1. Di.
Romaia nihU in bello sineextis agebant nihU d<»B& sine auspiciis.
Off. Romani Toscoianos, Equos, Volscos, Sabinos, Hemicos, victoria parta non
modo conservarunt, sed etiaro in ciritatem acceperant Pro Mur. Romani tempora
voluptatis laborisque dispelrtiunt, etc. Tus. Romani omnia aut invenerant per
se sapientius, quam Greciaut accepta ab illis fcicerant meUora. Div. Romani
omnibut rebus agendis, quod bonnm, faustum, felix, fortunatnmque esset prefabantur.
Pro Cnc . Romani eos vendere solebant, qui mUites facti non essent 3. de Ora.
Romani minos qoam liitm Utteris stndebant Pro Leg. Man. Romani omnibus
navalibus puffuis Carthagienses vicerant Aoad. Romanorum antiqua juris jurandi
formulaet consuetudo. de Or. Romanoram ingenia raultnm csBteris liomiaibos omnium
gentium prsstiterunt Snavitassemkonis Atticoram et Romanomm
propiia. Tosc. Apod priscos
Romanos morem honc epolaram fiijsseantor
est Cato in Originibos, ut
deincepi, qui aocobaient, canerent ad
tibiam virorom daroram Uodes atqoe virtutes Romanos, a, uro. 1. de
Nat Romana RO
JaiioteIbBoa«t,<f«aUs8oif2li« $.S.Fo^ paU RoaiaBi ovnk religio in ftcrt etin
anspida diyia. Popalnm Boaunun nan DJ saasnon Sn defendenda ropnb.sed Sn
pUndendo cooso Bieie. Bum non nodo Romano bomini, sed ne Perse qwden coiqaam
tolerabile. Fam. Bomaoo nsoae oommendare. Romano more feqni.1. de Orat et Ver. Romani
ladL Att. Nu Bc Romanas res aedpe. Romilla, iribus. t. cont Ral. Respondit,
Romilla tribo se initiam esse £se-tnram. I^,Tribos. Romalos, li, Qutnntti. Romalam qu banc aibem condidit, ad deos immortales benerolentia famaqae sastulimas.de
L.
Roawhis post exoessum suum dixit Proculo Jolio, se
deom esse, et Qaoinum vocartem plumaae sibi dedicari ia eo
loco jussit Romuhis quem iaauratum m Capitolio pamun ac lacttntem, uberibos lopiais inhiantem fuisse meministis.
OfF. Peccavit igitar, paoe vel Qoirini toI Bomali
du Eerim.1. de D. Romuhis puldier. Ih, Romulus urbm auspicato
oodidit Roamlus non solom aospieato Romam condidit, sed etiam optimos augur feit
de N. Romnlos auspicBs, Numa sacris
constitatb, fandamenta jeeit ostiSB dTitatii. Off.
Romjlus, cum ci visom csset utilios solum, quam cum altero regnarefiratrem
interemit De Or. Roma Jns consitto magis et sapientfaqaam doqueotia usns est S.
Div. Romolas et Remus com altrice bdhui vi folminis idi oooddeiant Romulis et
Remus ambo augures fberant Roorali stataa decoelo taeta. Som.
Ronmlo moriente deficere sd bommibas eatingaiqao visus est.
Summatim quanam fine principia generalia veritatis investigande, recteque
philosophandi. Item in summa quanasmint princigpeianeralia pseudo-philosophorum
et perverse philosophandi. De generali omnium nominum divisione in substantiva,
adjectiva propria appellativa, deq; eorum proprietatibus et differentia,
nginguam facisusque inbuncdicmab ullo traditisaut cognitis, contra
pseudophilosophos. De nominibus propriis et appellativis, tam cole&li vis
quam simplicibus non cola Letivis, ac decorum proprietatibus et diferentis,
contra philosophastros. s.De us)0(sem (falsis. De denominativis reliquis
capitibus Ante predicamentora, vel supervalaneis vel. Universalia realia etiam
five raese concedantur, tamen non fuisse facienda quin. Que numeross ed
velunumtantum, hoc est, GENUS, vel plura quam quinque hoc est, septem veloflo,
adiecto communi, simils, contrario, arque substantia. De nominibus substantivis
et adiectivis. De eorum proprietatibus ac diferentis, contra pseudo-philosopos.
De generaliomnium rerum divifione oratoria pera & deila
pseudo-philosophorum falsa, simul quede voce universi anni versalis et in summa
de falsirate universaslium realium ut vocant. Universalia realia nec propter
scientias artes quetradendas, nec propter syllogismos eocateras argumentations
formandas, nec propler predications superiorum de inferioribus faciendas
necessario ese ponenda contra pseudo-philosophos. Universalia realta vere in
rerum naturaese non posse. Co propter canone c, uirea Etiffime dicunt
nominales. Cintra sultam illam realium opinionem de universalibus realibus,
quorum rationes omnes plusquam in aneslabefaltaneur. um suffi.ientia
,quamvocant. De toris,& corum divisionibus, compositionibus quepere, contra
falsissimam dialecticorum de his omnibus doctrinam. De vere philosophico e
oratorio genere et de vera eius definitione. Contra falsum genus dialecticum et
falsam cius definitionem. De vera specie oratoria et vera ejus definitione,
contra falsam speciem dialecticam & falfam illius definitionem. De vera
diferentia et vero proprio philosophicis oratoriis do simulde eisdem
adversariorum vel falfsis vel inutilibus. De accidente vero quid esmedin
constanter definite et simul pauca quadam de falsis universalibus, eorum vanis
questionibus in universum. De preceptis dividendi et definiendi oratoriis veris
et dialecticis falis. De homonymis et synonymis grammaticorum veris quid vere
sint et quis verus eoru mufus, contra ftultaila aquivocado analoga
dialecticorum. Ele tantum modo unum et summum et verum á generalisimum genus oralo
rium, quod est, genus rerum sex autem s a transcendentia Dialecticorum, decem
pre dilamenia Aristotelis et tria Laurentii Vallaele falsa. Quam ob levem
causam Aristoteles CATEGORIAS fore predicamenta decemponenda ex iftima verii et
quam non re et tetriatantum Vallusta rucrit, fimul quopactonosar borem generica
ma Porphyri analonge diversam, faciendam arbitramur. GENUS rerum vere in duasrantum
species divide in s ubstantias et qualitates, omnia alia accidentium
dialecticorum pradicamenta sub qualitate generalitan quamo verascius specie
sper econtineri. Simul de falsa universali. De o sem. De qualitale generali et
omnibus e iustam comparata quam absoluta speciebus, praferrimquede qualitate
speciali, quantum different a speciebus accidentium dialectic corum ,&
fingillarim quærario de causa diversitatis. De nominibusscientia“ arris quid
APUD LATINOS communite rad proprie significe ne, u quormo dis virum que corum
accipiatur et deniq; quibus differentis attes elit entia mnter sediftinguantur,
contra falas scientias et artes pseudo-philosophorum, (falla. De generalı
scientiarum do atrium divisionenoftrarera, et pseudo-philosophorum. De errales
Peripateticorum in generalı philosophia divisione admflis. Dialectica minter
scientias ariesnecut universalem nec ut particularem ul lumomninolo cum habere
pose sed tanquam non modo falsams ed etiaminutslem de sua pervacuam ex omni
artinm do scientiarum numero ejiciendam. Metaphysicam inter scientias
Cartesnecut universalem nec ut parricularem ul lumomninolo, um habere pofe, sed
tanquam partim falsam, parliminutlım, partim super vacnam ab omni artium
scientiarum numero removendam. De comprehensione universo rufmingularium vere
philosophica de oratoria et simul de abstractınoe universalium
pseudo-philodophia et BARBARA contrafallam Ardostotelis doctrinam falsode
ceniis, abstrahentiam non efemendacsum. Oratoriam esse facultatem vere
generalem, grammaticam sub se primo, deinde reliqua somnesarl es fcrentias vere
continentem, iumpartese jusmajores breviter ex ponuntur omnes, ở cidem, quaà Pseudophilosophis
unique fuerunt ablatare stituuntur. De sophisticis Elenchis ab Anstoelein
Rhetoricam non recte introductis et delio brofophifticorum elenchorum quid
senciendum, Que et quot fintea, quarequiruntur cascientise artibus, ex quibu
spendetac fitomnis eorum dividio definition o distinclıo, contra falfam de
eisdem rebus Pjendophialosophorum doctrinam. De utilibus & veris argumentis
de que utılı vero eorum iam tradendorum, quam usurpandorum modo, conira partım
fulumpurtom inutilem ipsorum doctrinam ab Aristotele traduam in libro
Topicorum. De definitionibus nominis et verbido orarionis grammaticorum veris.
Pseudo-philosophorum falfis, códealis, queab Aristorele falso vel inutiliter in
libro Sepiépenveids traduntur. Dentılıbus et veris argumeniationibus, de
queutilido verocarumufu, contrainu tolemdo vanā Aristotelis decudem rebus
doctrmam traditam in libris Analyticorum. De falfa demonftratione &
falfafcientia & falsa sapientia pseudo-philosophorum simul de inutili
falsoque posteriorum analyticorum libro. De vanitate eorum, quaà recentioribus
dialedicis appellantur parva logicalia. Libros qushodiefub Arif. Nomine
leguntur plerosque non vere eflesri Roselicos, sed subdititioscon adulterinos,
contra communem pseudo-philosophorum opinionem. De Platone, Aristotele, Galeno,
Porphyrio. Deomnibus Arifterelis interpretibus Grucis, LATINIS e Arabibus:
reviter quid fentiendum re&te philosophaturis. De ratione philosophandi o
de corrigendis instaurandisq; Philosophia studis, qua nunc maxima exparte
perveriae corruptfaunt. Nizzoli. Mario Alberto Nizolio. Nizolio. Keywords:
Cicerone, lexicon ciceronianus, Antonino, Leibniz’s ‘anti-barbaro’. – Refs.:
Luigi Speranza: Grice e Nizolio: il thesaurus ciceronianus” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Noce: l’implicatura conversazionale
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo italino. Grice: “Only in Italy, philosophy and
history are so connected; it would be as if we at Oxford after the war would be
only concerned with understanding Churchill!” Grice: “For us, to do linguistic
philosophy was to get away from post-tramautic stress disorder acquired during
what Winthrop stupidly called the ‘phoney’ war!” – Grice: “It’s not difficult
to understand why Noce’s notes on Gentile were only published posthumously!” --
essential Italian philosopher. «Certo i cattolici hanno un
vizio maledetto: pensare alla forza della modernità e ignorare come questa
modernità, nei limiti in cui pensa di voler negare la trascendenza religiosa,
attraversi oggi la sua massima crisi, riconosciuta anche da certi scrittori
laici.» (Risposte alla scristianità, da Il Sabato). Ttitolare della
cattedra di "Storia delle dottrine politiche" all'Università La
Sapienza di Roma. Studioso del razionalismo cartesiano e del pensiero
moderno (Hegel, Marx), analizzò le radici filosofiche e teologiche della
crisi della modernità, ricostruendo con cura le contraddizioni interne
dell'immanentismo. Argomentò l'incompatibilità tra marxismo, umanesimo,
ed altri sistemi di pensiero che propugnavano la liberazione secolare dell'uomo
e la dottrina cristiana (affermò: "solo il Redentore può
emancipare"). Sostenne tenacemente, per tali motivi, l'impossibilità del
dialogo tra cattolici e comunisti e previde il "suicidio della
rivoluzione". Studioso del fascismo, sostenne che tale ideologia fosse
peraltro in continuità con il comunismo e fosse anch'esso un momento della
secolarizzazione della modernità. Sostenne, inoltre, l'esistenza di molti punti
di contatto tra il fascismo e il pensiero dei sessantottini. Filosofo
della politica, preconizzò la crisi del socialismo reale, mentre esso viveva la
sua massima espansione a livello mondiale. Argomentò che tale sistema, da una
parte applicava coerentemente la filosofia di Marx, ma dall'altra negava le
premesse del marxismo: ciò in quantomostrava N. lo stesso sistema di Marx si
basava sulla contraddizione tra dialettica e materialismo storico. Ribadiva
infine la necessità dei valori di verità e di moralità. Figlio di un
ufficiale dell'esercito e di Rosalia Pratis, savonese discendente di una
famiglia nobile savoiarda. L'anno dopo la madre si trasferisce con il figlio a
Savona e, allo scoppio della guerra mondiale, a Torino, presso una zia materna.
A Torino, Augusto svolge tutta la sua carriera di studi: dapprima al noto liceo
D'Azeglio, frequentato da alcuni dei futuri protagonisti della vita politica e
culturale della città e della nazione (Bobbio, Mila, Pajetta, Pavese, Balbo e
altri), poi all'Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e
Filosofia, allievo di Faggi, Juvalta e Mazzantini con il quale si laurea con
una tesi su Malebranche. Inizia quindi a insegnare presso istituti superiori
(Novi Ligure, Assisi, Mondovì), mentre sviluppa la sua attività di studio anche
con soggiorni all'estero. Legge con entusiasmo Umanesimo integrale di
Jacques Maritain, che rafforza in lui, tra l'altro, una sempre più convinta
opposizione al fascismo. Cerca invano di farsi trasferire a Torino e di
accedere qui alla carriera universitaria. Si trasferisce a Roma per un distacco
propostogli dall'amico Castelli. A Roma frequenta Franco Rodano che, con Felice
Balbo e altri, anima l'esperienza di «Sinistra Cristiana», un tentativo di
conciliazione di comunismo e Cristianesimo da quale Del Noce resta per breve
tempo affascinato. Viene accolta la sua richiesta di trasferimento presso un
istituto superiore di Torino, dove torna a risiedere. Accompagna
all'insegnamento un'intensa attività di studio e di collaborazione a diversi
periodici, tra cui Cronache Sociali che gli dà occasione di incontrare Giuseppe
Dossetti. Scrive e pubblica il saggio La non filosofia di Marx, che
ripubblicherà vent'anni dopo nella sua opera maggiore (Il problema
dell'ateismo) e nel quale fissa i termini complessivi della sua interpretazione
del marxismo. Nello stesso anno cura l'edizione italiana di Concupiscentia
irresistibilis di Šestov. Inizia la collaborazione alla Enciclopedia filosofica
del Centro Studi Filosofici di Gallarate, diretta da Luigi Pareyson. Distaccato
a Bologna presso il centro di documentazione diretto da Giuseppe Dossetti. Nel
capoluogo emiliano frequenta Matteucci e collabora stabilmente al neonato
periodico «Il Mulino». Scrive su Ordine Civile, rivista animata da Bozzo, e
altri alcuni saggi, uno dei quali, «Idee per l'interpretazione del fascismo»,
sarà all'origine delle future revisioni storiografiche di Felice e Nolte. Partecipa
al convegno organizzato dalla Democrazia Cristiana a Santa Margherita Ligure
con una relazione intitolata L'incidenza della cultura sulla politica nella
presente situazione italiana: sugli stessi temi N. intratterrà per anni un
rapporto difficile con il partito cattolico (altri interventi nei convegni di
San Pellegrino e di Lucca. Partecipa a un concorso a cattedra a Trieste, ma non
ottiene il posto. Pubblica Il problema dell'ateismo e l'anno successivo Riforma
cattolica e filosofia moderna, Cartesio. Partecipa alla «Giornata rensiana» con
una relazione intitolata Giuseppe Rensi fra Leopardi e Pascal. Ovvero
l'autocritica dell'ateismo negativo in Rensi, nella quale espone la sua
fondamentale fenomenologia del pessimismo come pensiero religioso. Nello stesso
anno vince il concorso per una cattedra di Storia della filosofia moderna e
contemporanea a Trieste, dove divenne Professore. In quell'anno esce L'epoca
della secolarizzazione, che raccoglie molti dei saggi e degli interventi degli anni
sessanta. Si realizza il tanto atteso trasferimento a Roma, dove,
all'Università "La Sapienza", insegna prima Storia delle dottrine
politiche e poi dal Filosofia della politica. Si infittisce la sua
collaborazione a riviste e periodici, sui quali interviene anche riguardo
all'attualità politica e culturale. Diresse la collana «Documenti di cultura
moderna», dell'editore torinese Borla (poi passata alla Rusconi) proponendo al
pubblico italiano autori come Corte, Burkhardt, Pelayo, Sedlmayr e Voegelin.
Partecipa vivacemente al dibattito sul divorzio. Dopo la metà degli anni
settanta inizia il rapporto con gli universitari di Comunione e Liberazione
partecipando a convegni e incontri promossi dal Movimento Popolare. Pubblica il
saggio Il suicidio della rivoluzione, dedicato al compimento e alla dissoluzione
del marxismo. Con Il cattolico comunista chiude i conti con l'esperienza di
Rodano (che nel frattempo ha lasciato la DC per il PCI) e dei teorici della
conciliazione tra Cattolicesimo e marxismo. Inizia anche la collaborazione
continuativa con il settimanale «Il Sabato» e contribuisce alla creazione della
rivista 30 giorni, di cui rimarrà stabile collaboratore. Nello stesso anno
viene candidato come indipendente nelle liste della Democrazia Cristiana per il
Senato: primo dei non eletti, entrerà in Senato l'anno successivo a seguito
della morte di un collega. Viene insignito del «Premio Internazionale
Medaglia d'Oro al merito della Cultura Cattolica. Riceve il premio Nazionale di
Cultura nel Giornalismo: la penna d'oro. Viene premiato dal Meeting di Rimini.
Muore a Roma. È tumulato nel Famedio del cimitero di Savigliano. Esce
“Gentile”, che raccoglie diversi saggi sul padre dell'attualismo, sul fascismo
e sul suo significato nella storia, frutto di decenni di studi e
rielaborazioni. L'archivio del filosofo e la sua biblioteca sono custoditi a
Savigliano dalla fondazione Centro Studi N., sorta nei primi anni novanta,
diretta prima da G. Ramacciotti, poi da Mercadante, da Riconda, e Randone. In
“Il problema dell'ateismo” N. inizia l'analisi della storia della filosofia
moderna invertendo il paradigma storicistico e positivistico che nel
progressismo aveva la sua cifra comune. Il filosofo afferma infatti che tale
paradigma di illuministica origine ha come prima condizione d'esistenza la
postulazione dell'ateismo come necessità del progredire dei sistemi filosofici
e delle scienze a prescindere dalla teologia cristiana, cioè a prescindere
dalla Scolastica, anzi in più o meno esplicita opposizione alla
Scolastica. La tesi che Del Noce intende dimostrare in questa sua opera è
-come evidenzia appunto il titolo- la considerazione dell'ateismo non più come
«necessità» bensì come «problema» della modernità, il cui ultimo, coerente e
necessario sbocco è appunto il nichilismo post-nietzscheano distaccato ormai da
qualsiasi riflessione filosofica e sfociato in una pura forma di vita, in puro
way of life di distruzione e auto-distruzione dell'uomo. Del Noce pone quindi
innanzitutto una distinzione fra tre diverse forme di ateismo, ovvero fra l'ateismo
positivo o politico diurno, i cui esempi perfetti sono stati l'illuminismo di
un Diderot o l'umanesimo di un Feuerbach, l'ateismo negativo o nichilistico
(«notturno»), esemplificato invece dalla filosofia di Schopenhauer, e infine
l'ateismo tragico, detto anche «follia filosofica», cioè la forma più rara e
particolare di ateismo che N. trova solo in due casi in tutta la storia della
filosofia, ovvero in Nietzsche e in Jules Lequier. Posta questa
propedeutica distinzione, Del Noce inizia l'anamnesi del pensiero filosofico
moderno per rintracciare la genesi di ogni forma di ateismo, impossibile da
pensarsi per la filosofia antica come dimostra il fatto che anche la filosofia
epicurea -considerata comunemente come ateistica- ammetteva in realtà
l'esistenza degli dèi. Per N. appare evidente che la crisi della Scolastica
medievale non ha costituito un processo necessario per il semplice fatto che
proprio colui che aveva intenzione di riformarla -cioè Cartesio- fu invece
colui che in realtà la tradì e se ne allontanò: è nelle celeberrime Meditazioni
metafisiche che il filosofo francese -allievo dei Gesuiti- tentò di riproporre
una nuova prova dell'esistenza di Dio da opporre al naturalismo libertinista
del Seicento, che predicava relativismo etico e che sostituiva il dio-logos con
la Natura impersonale e senza ordine. In realtà però Cartesio, nel suo
sforzo apologetico, compì il definitivo tradimento della filosofia cristiana
riattingendo ad un agostinismo privato di platonismo e considerando così le
idee dei semplici «contenuti della mente». In altre parole se l'idea di Dio,
quantunque logicamente necessaria, non è il riflesso intellettivo di una realtà
ontologica esterna al soggetto ma è una semplice struttura logica, allora vale
realmente la critica kantiana della prova ontologica di Sant'Anselmo secondo la
quale non è lecito aggiungere il predicato dell'esistenza alla perfezione
dell'idea se non per un paralogismo. N. in sintesi ha mostrato come il
tradimento e la perdita della Scolastica, attuata innanzitutto da Cartesio, ha
come punto centrale l'idea di Idea, che è passata ad essere da struttura del
reale a struttura del razionale, passando quindi dal dominio dell'ontologia a
quello della psicologia. Per questo non vi è alcuna spiegazione se non il
rifiuto pregiudiziale di riconoscere uno statuto ontologico
all'idea, cosicché non vi sarebbe appunto alcuna necessità di trapasso
della Scolastica né tantomeno alcuna necessità di genesi del razionalismo; in
tal senso la famosa critica di Kant varrebbe quindi solo contro Cartesio e non
contro Sant'Anselmo, il cui platonismo gli permetteva ancora di inferire
necessariamente la «perfezione» dell'esistenza dall'idea dell'Essere con ogni
perfezione, cioè dall'idea di Dio. Prosegue la sua analisi mostrando quindi
come in Cartesio, che pur nelle sue intenzioni voleva essere un defensor Fidei,
già sussisteva in nuce ogni forma di illuminismo che avrebbe poi dominato nel
Settecento, per questo egli parla di un pre-illuminismo cartesiano e aggiunge
inoltre che proprio Cartesio, fiero avversario del libertinismo dilagante nel
suo tempo, fu colui che tradusse l'ateismo libertinistico e irrazionalistico
nella sua forma razionalizzata, cioè nell'illuminismo, che sarebbe stato appunto
un libertinismo razionalistico. Si noti che Del Noce non pone giudizi sulla
persona di Cartesio, e anzi sottolinea come al suo tempo egli si poteva davvero
credere il grande condottiero vincitore della battaglia culturale del
Cristianesimo contro il libertinismo, ma ciò perché non era riuscito a
prevedere una forma di ateismo non-irrazionalistico e non-relativistico quale
fu appunto l'illuminismo settecentesco, che non si limitò più ad opporsi alla
Scolastica ma che formò una propria dogmatica visione della storia in cui il
Cristianesimo, rappresentato dalle leggende nere del Medioevo, era stato solo
un ostacolo per lo «sviluppo» e l'«emancipazione» dell'umanità (si tenga
presenta la definizione kantiana di illuminismo). Da Cartesio in poi sono
comunque due i percorsi filosofici che partono e che sviluppano i due aspetti
compresenti in Cartesio, ovvero l'illuminismo e lo spiritualismo: da una parte
infatti Condillac, Kant, Condorcet, fino a Hegel e Marx riceveranno il lascito
propriamente razionalistico e sensu lato materialistico di Cartesio, dall'altra
invece Pascal, Malebranche, VICO (si veda) e infine SERBATI saranno gli eredi
del suo patrimonio spiritualistico, inteso questo come filosofia di accordo fra
ragione naturale e fede cristiana, posta la distanza epistemologica dalla
Scolastica; famosa ed illuminante è a questo proposito la teoria della «visione
in Dio» di Malebranche, nonché la distinzione pascaliana fra il divino dei
filosofi e Dio padre (IVPITER) dei romani. Andando comunque alla radice del
problema del tradimento della metafisica cristiana (Tomismo) da parte di
Cartesio e del conseguente illuminismo, N. individua come unica possibile
condizione per tale tradimento il rifiuto del peccato originale come male
metafisico e quindi il rifiuto dello «status naturae lapsae» di cui proprio il
Cristo sarebbe il redentore: senza alcuna natura umana da redimere, cioè
senzanecessità di alcun redentore, il razionalismo ha sostituito il peccato con
l'ignoranza e Dio con la ragion critica, rifacendosi così ad un pelagianesimo
laicizzato che da solo rende possibile una qualsiasi forma di ateismo. Egli
nota, infine, che avendo rifiutato la radice metafisica del male se ne è dovuta
cercare quella fisica o psicofisica, secondo gli schemi ideologici che nel
Novecento avrebbero reso la psicanalisi e la psicologia gli elementi
complementari allo scientismo per una completa e non riduttiva visione del
mondo senza Dio, e per una definitiva «ateologizzazione» della ragione.
Compimento e dissoluzione del marxismo Riguardo al marxismo e alla sua
interpretazione Del Noce scrisse due opere, ovvero Il cattolico comunista e Il
suicidio della rivoluzione, che costituiscono la continuazione de Il problema
dell'ateismo in quanto in esse il filosofo analizza più dettagliatamente solo
una delle linee filosofiche originate da Cartesio, quella razionalistica, cioè
quella che nella storia moderna fu vincente nella sua estensione politica, nel
tentativo di trovare e di dimostrare la continuità necessaria fra razionalismo,
materialismo, marxismo e infine nichilismo, quest'ultimo inteso come cifra
problematica della civiltà postmoderna. La giustificazione epistemologica
di questa analisi è data dal fatto incontestabile che la storia del Novecento
inizia da un fatto filosofico, ovvero dal passaggio della filosofia marxiana in
azione politica, ovvero dalla coerentizzazione di quella che N. definisce la
«non-filosofia di Marx»: da ciò appare non solo giustificato ma anche
necessario portarsi sul piano storico della filosofia per comprenderne il suo
portato teoretico, e così disinnescarne il suo sostrato ideologico. Si affianca
a diversi filosofi, quali ad esempio Voegelin, per rintracciare l'inizio della
cosiddetta secolarizzazione, il cui compimento sarebbe stato appunto il
marxismo e poi il nichilismo, nel sequestro della nozione di «progresso» da
parte di filosofie laiche dalla teologia di Gioacchino da Fiore, o meglio
dall'interpretazione di tale teologia: ben nota è infatti la distinzione
gioachimita nelle tre età della storia, l'Età di Dio-Padre (Ebraismo), l'Età di
Dio-Figlio (Cristianesimo) e infine l'Età di Dio-Spirito che avrebbe dovuto
superare i «limiti» del Cristianesimo ed estendere l'elezione e la salvezza in
modo universale. Di tale teologia mistica e profetica si appropriò lo
gnosticismo sviluppatosi in seno al Cristianesimo stesso ed estesosi pian piano
oltre i confini delle filosofie razionalistiche del Settecento e soprattutto
dell'Ottocento. N. nota infatti una sorta di dialettica nata all'interno
dell'illuminismo settecentesco non tanto fra atei e deisti bensì fra
rivoluzionari e conservatori, ovvero fra il puro giacobinismo ghigliottinatore
dell'«ancien Régime» e il progressismo che caratterizzò invece la fase
dell'illuminismo dopo la degenerazione della rivoluzione francese in Terrore,
ovvero la fase dei cosiddetti ideologues, fra i quali Cabanis e Condorcet. Il
punto attorno a cui si sviluppava tale dialettica fu appunto la differente
filosofia della storia che aveva caratterizzato l'illuminismo
pre-rivoluzionario e l'illuminismo post-rivoluzionario, in quanto il primo
aveva escluso una qualsiasi evoluzione storica e necessaria dell'umanità e
aveva anzi condannato il Medioevo con la storiografia della leggenda nera,
mentre il secondo aveva invece rivalutato l'intera storia pre-illuministica
(sia pagana che cristiana) considerandola come momento dialettico necessario pur
se negativo della storia universale. In questo senso N. ha potuto mettere
in parallelo l'opposizione fra illuminismo giacobino e spiritualismo in Francia
e quella fra kantismo e hegelismo in Germania, ove spiritualismo e hegelismo
sono state filosofie vincenti in quanto hanno assorbito in sé il momento rivoluzionario
e negativo dell'illuminismo per poi superarlo nella formazione di quella
filosofia della storia che ebbe certo in Hegel il suo culmine. Riguardo al
binomio illuminismo-spiritualismo la critica vincente del secondo sul primo è
stata quella di un estremo e insostenibile riduzionismo rappresentato dal
sensismo di Condillac, in altre parole è stata la critica di ridurre la
comprensione del mondo al pari di ciò che lo stesso illuminismo aveva accusato
la religione di aver fatto. In questo contesto è la nascita della visione
sociologica del mondo a rappresentare il tentativo di superare questa aporia
illuministica senza tuttavia dover ritornare alla metafisica tradizionale: N.
insomma sostiene il trapasso dell'illuminismo in socialismo, non a caso nato in
Francia, intesa questa come dottrina che dell'illuminismo mantiene il carattere
utopistico (socialismo utopistico) e quindi anti-tradizionalistico, ma ne
sconfessa invece il deprecabile riduzionismo che ancora non permetteva
un'adeguata analisi della società ai fini della rivoluzione politica. In
Germania invece la dialettica fra kantismo e hegelismo, con netta vittoria
dell'hegelismo, ha come punto di svolta la riconsiderazione hegeliana della
storia come storia dell'Assoluto -- storia di Dio --, secondo il ben noto
schema gioachimita che vedeva in ogni momento storico un grado dimanifestazione
dell'Assoluto, e quindi «necessario» pur nella sua negatività. In questo senso
Hegel è colui che diede forma alla corrente tradizionalistica dell'illuminismo,
ove la tradizione non è più peròcome per Tommaso d'Aquinol'insieme delle verità
eterne e immutabili che solcano trasversalmente la dimensione temporale
mediante il passaggio delle generazioni, ma è bensì la struttura dialettica
eterna che necessita l'evoluzione delle verità, e quindi la sua
temporalizzazione. Per questo N. afferma che l'idealismo hegeliano ebbe
nei confronti del kantismo la medesima funzione che in Francia ebbe il
positivismo comtiano nei confronti del socialismo utopistico: egli ricorda la
critica di Comte nei confronti dell'illuminismo settecentesco, la sua
rivalutazione della tradizione (in senso dialettico), nonché la celeberrima
teoria degli stadi che costituisceancora una voltauna forma secolarizzata della
teologia gioachimita. È dopo questa dettagliata analisi che Del Noce innesta il
discorso sul marxismo, il quale appunto si configuròper stessa ammissione di
Marxcome ripresa critica di Hegel attraverso la filtrazione di Feuerbach e della
sinistra hegeliana (celebri sono le marxiane Tesi su Feuerbach) e come fusione
fra la dialettica hegeliana e la politica del socialismo utopistico: alla base
del cosiddetto socialismo scientifico rimane ancora il desiderio di palingenesi
politica propria di Saint-Simon o di Fourier, ma onde evitare il risibile
utopismo di questi ultimi ad esso Marx applicò la dialettica hegeliana con cui
solamente si sarebbe potuto analizzare il capitalismo e prevederne così il
necessario fallimento. A tal punto però l'analisi marxiana di come potrà
nascere la società comunista introduce l'elemento di distacco non solo
dall'idealismo hegeliano ma anche dalla filosofia stessa, ovvero la necessità
di tradurre il pensiero analitico in azione politica e di affidare alla storia
invece che alla ragione il compito di dimostrare la verità delle tesi marxiane.
In questo N. si riallaccia a una lunga storiografia socialista, uno dei cui
esponenti più noti è per esempio Lukács, che afferma la stretta e necessaria
continuità fra filosofia di Marx e di Engels, politica di Lenin e politica di
Stalin, senza concedere alcuna differenza né alcuna opposizione fra socialismo
reale e socialismo ideale (quasi a guisa di giustificazione storica). Il
fattore fondamentale di continuità fra Marx e Lenin è infatti quella struttura
tipicamente gnostica che equalizza il male all'ignoranza e il bene alla
conoscenza e quindi divide il genere umano fra la massa degli ignoranti e la
ristretta cerchia degl’lluminati, che nella riflessione leniniana erano gli
intellettuali borghesi che per una non spiegata differenza dal resto della
borghesia avrebbero potuto e dovuto guidare la rivoluzione; in questo senso la
politica leniniana, poi proseguita coerentemente nella politica staliniana,
sarebbe stata l'incarnazione perfetta nonché l'unica incarnazione possibile
della filosofia marxiana, e non invece -come è tesi di una certa apologetica
socialista- un tradimento di Marx. Ancora una volta si rifà a una lunga
storiografia critica nel considerare il marxismo non come una filosofia ma come
una religione, ma a ciò egli aggiunge la dimostrazione non del suo carattere di
religione civile bensì di religione gnostica: in tal modo il marxismo leninista
sarebbe davvero il compimento del razionalismo ove quest'ultimo è inteso come
gnosticismo laico, religione non di Dio ma dell'Idea/ideale che non ha bisogno
dell'Incarnazione di un Dio-Uomo in quanto l'uomo stesso avrebbe potuto e
dovuto far incarnare tale Idea nel mondo attraverso la sua azione. Questo
è il senso dell'appellativo delnociano di «non-filosofia» per il
marxismo, giacché la contemplazione metafisica in esso viene interamente
assorbita dall'azione politica, in quanto per Marx la politica è la vera
metafisica al pari di come per Nietzsche lo è la morale. Eppure è proprio
questo punto a costituire secondo N. la contraddizione fondamentale interna al
marxismo e quindi la causa prima del suo fallimento storico: se infatti la
«riconciliazione con la realtà» iniziata da Hegel, proseguita da Feurbach a
portata a compimento da Marx deve rivoltare l'intera comprensione del mondo in
trasformazione del mondo, cioè in rivoluzione, allora in ciò non rimane
giustificato il riferimento ideologico all'avvenire come sede immaginifica
della società comunista, ovvero non rimane giustificato il carattere ancora
religioso del marxismo per cui esso ha sostituito il futuro all'eternità e il
lavoro dell'uomo alla redenzione del dio-uomo. Il fallimento storico del
comunismo, quindi, sarebbe stato non solo la dimostrazione sperimentale della
falsità delle teorie marxiane ma anche il coerente compimento del marxismo come
auto-distruggersi nella sua forma di religione. Con ciò si spiegherebbe per N.
l'attivismo comunista nonché la graduale decadenza del socialismo nel mondo
fino alla sua profetizzata fine, simboleggiata dalla caduta del Muro di
Berlino. È propria di lui infatti la teoria secondo cui il compimento e la
dissoluzione del marxismo non siano due momenti separati o addirittura opposti,
ma siano bensì il medesimo momento dispiegato coerentemente nel tempo.
L'interpretazione del fascismo Sul fascismo e sulla sua interpretazione in
stretta relazione al marxismo dedicato gran parte dei suoi studi e delle sue
opere, partendo appunto dalle opinioni comuni e molte volte ideologiche degli
storici nei confronti del fascismo e delineando una struttura paradigmatica
tanto controversa quanto precisa e fondata. È a partire dalla definizione data
dallo storico tedesco Nolte di ogni movimento fascista come «resistenza contro
la trascendenza», intesa come trascendenza storica e non metafisica, che N.
sottolinea la continuità fra questo serio giudizio e la communis opinio del
fascismo come movimento reazionario, per questo tradizionalista e nazionalista,
e per converso di ogni forma di tradizionalismo e di nazionalismo come rimando
implicito e forse inconscio al fascismo. Di questo fa una critica
serrata, facendo notare innanzitutto le origini culturali dei due fondatori del
fascismo, cioè Gentile e MUSSOLINI, come antitetiche rispetto a ogni forma di
politica reazionaria, tradizionalista e nazionalista e come invece affini
rispetto al socialismo, del quale Mussolini in particolare fu un esponente. Si
noti che l'obiettivo che N. intende colpire e abbattere è quella generale
concezione del fascismo come momento singolare e controcorrente rispetto
all'intera storia moderna, dalla rivoluzione francese in poi, mentre ciò che
intende mostrare è la continuità quasi necessaria che è posta fra l'hegelismo,
il marxismo e il fascismo come tre momenti dell'unico processo di
secolarizzazione. Il filosofo inizia quindi dall'analisi della figura storica
di Mussolini e della sua formazione culturale, notando il suo giovanile
anticlericalismo, il suo spontaneo confluire nel socialismo, e il seguente
superamento di quest'ultimo per l'evoluzione fascista del suo pensiero. È in
particolare sul concetto di «rivoluzione» che pone l'accento, essendo
questo un concetto base del marxismo che però, attraverso l'incontro
mussoliniano con la tedesca «filosofia dello Spirito» risorgente in Italia,
dovette radicalmente trasformarsi e portarsi dal livello sociale della «classe»
a quello personale del «soggetto». È insomma l'incontro intellettuale di
Mussolini con la filosofia di Gentile ad aver reso necessaria la trasformazione
della rivoluzione in un senso non più finalistico o escatologico (come era nel
marxismo puro, il cui fine è appunto la società comunista) ma in un senso
propriamente attivistico e lato sensu solipsistico, in termini gentiliani cioè
attualistico. Con ciò N. può connettere la psicologia di Mussolini con il vero
e proprio formalismo pratico del fascismo, il quale non aveva in realtà alcun
contenuto definito, ma proclamava bensì una forma di azione tanto vaga e
generale da poter attrarre a sé ogni sorta di ceto sociale (anche il
proletariato) e di frangia ideologica, in alcuni momenti persino quella
marxistica. Il concetto di «rivoluzione» infatti contiene in sé già un
termine finale ben preciso verso cui lo stato attuale del mondo andrebbe
rivoluzionato, mentre nella politica fascista il termine rivoluzione deve
necessariamente essere sostituito dal termine «riforma» (si pensi appunto alla
riforma Gentile) in senso non più tradizionale, cioè come ri-formare ciò che è
stato de-formato, bensì in senso creazionale, cioè come dare una nuova forma
(indefinita) alle antiche cose, perciò rimane un concetto molto affine a quello
di marxistico di rivoluzione, e permette l'affiancamento ideale dell'attualismo
gentiliano al modernismo teologico fiorente a quel tempo e condannato come
eresia dalla Chiesa. Saggi: “Teologia della storia” (Torino, Filosofia);
“La solitudine di Faggi” (Torino, Filosofia); “L'incidenza della cultura sulla
politica italiana, Cultura e libertà” (Roma, 5 lune); “A-teismo” (Bologna,
Mulino); “Riforma e filosofia” (Bologna, Mulino, Brescia); “In contra del domma
cattolico-romano” (Torino, Erasmo); “Contra il domma cattolico-romano” (Milano,
UIPC); “L'amore di Dio” (Torino, Borla); “Il secolare” (Milano, Giuffrè); “Il
partito comunista italiano” (Roma, Europea); “Il suicidio di un rivoluzionario”
(Milano, Rusconi); “I comunisti” (Milano, Rusconi); “L'interpretazione trans-politica
della storia contemporanea,” Napoli, Guida, “Secolarizzazione e crisi della modernità”
(Napoli, Benincasa); “Gentile: per una interpretazione FILOSOFICA del fascismo”
(Bologna, Mulino); “Da Cartesio a Serbati” -- Scritti vari di filosofia,” Milano, Giuffrè);
“Esistenza e libertà.” Spir, Chestov, Lequier, Renouvier, Benda, Weil, Vidari, italiano
Faggi, Martinetti, italiano Rensi, italiano Juvalta, italiao Mazzantini, italiano
Castelli, italiano Capograssi” (Milano, Giuffrè); “Rivoluzione, Risorgimento,
Tradizione”; Scritti su l'Europa e altri, Milano, Giuffrè); “I cattolici e il
progressismo,” Milano, Leonardo, “Fascismo
e anti-fascismo: errori della cultura” (Milano, Leonardo); “Il laico”; Scritti
su Il sabato (e vari, anche inediti), Milano, Giuffrè); Pensiero della Chiesa e
filosofia contemporanea. Leone XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II” (Roma, Studium);
“Verità e ragione nella storia. Antologia di scritti, “ I. Mina, Milano,
Biblioteca Universale Rizzoli); “Modernità. Interpretazione transpolitica della
storia contemporanea” (Morcelliana, Brescia.). N. insegna nel capoluogo
piemontese. Bozzo. N., il filosofo della libertà politica). N., «Idee per
l'interpretazione del fascismo», Ordine Civile. E tra i componenti del comitato
promotore del referendum abrogativo antidivorzista) e più tardi
sull'aborto. premio Rhegium Julii, su
circolorhegiumjulii. wordpress. Armellini, Razionalità e storia, in Il pensiero
politico, Roma, Aracne editrice, Borghesi, N.. La legittimazione critica del
moderno. Marietti, Genova-Milano.[collegamento interrotto] Luca Del Pozzo,
Filosofia cristiana e politica, Pagine, I libri del Borghese, Roma, Fumagalli,
Gnosi moderna e secolarizzazione nell'analisi di Samek Lodovici ed N., PUSC,
(scaricabile in PDF dal sito sergiofumagalli) Gian Franco Lami, La tradizione, Angeli,
Milano, Marietti, Genova-Milano. Enciclopedia ItalianaV Appendice, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ratto, Ipotesi sul fondamento dell'essenza
dissolutiva del marxismo e del fascismo, in Boscoceduo. La rivoluzione comincia
dal principio, Sanremo, EBK Edizioni Leudoteca, Riili, N. interprete del Marxismo.
L'ateismo, la gnosi, il dialogo con Volpe e Goldmann, in Centotalleri, Saonara,
il prato, Tibursi, Il pensiero di N. come Teoria sociale, in Andrea
Millefiorini, Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella
riflessione sociologica italiana, Societas, Roma, Nuova Cultura, Xavier
Tilliette, Omaggi. Filosofi italiani del nostro tempo, traduzione di
Sansonetti, Brescia, Morcelliana, Natascia Villani, Marxismo ateismo
secolarizzazione. Dialogo aperto con N., in Pensiero giurdico. Saggi, Napoli,
Editoriale Scientifica, Augusto Del
Noce, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Repertori Bibliografici, su centenariodelnoce).
La metafisica civile: ontologismo e liberalismo dalla rivista telematica di filosofia
Dialeghesthai. P. Ratto, Laicità e Democrazia: da N. a Giotto, su Bosco Ceduo, Democrazia e modernità in N., articolo dal
mensile 30Giorni. L'inseparabilità dei Tre. La modernità, di Andrea Fiamma Centro
Culturale,//centrodelnoce. Fondazione //fondazione augustodelnoce.net. centenariodelnoce.
Articoli di N. «Il dialogo tra la Chiesa e la cultura moderna» da Studi
Cattolici. «L'errore di Mounier» da Il Tempo. «Risposte alla scristianità» da
Il Sabato. «La sconfitta del modernismo» da Il Tempo. «La morale comune
dell'Ottocento e la morale di oggi», tratto da Il problema della morale oggi.
«Rivoluzione gramsciana», tratto da Il suicidio della rivoluzione. «Origini
dell'indifferenza morale» da Il Tempo. «Le origini dell'indifferenza religiosa»
da Il Tempo. «Religione civile e secolarizzazione» da Il Tempo. «Un dramma
europeo: il dissenso cattolico» da Corriere della Sera. «Questi poveri
cattolici minacciati dal suicidio» da Il Sabato «In stato di
porno-assedio»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «La più grande vergogna
del nostro secolo» da Il Sabato. «Fu vera gloria? La resistenza 40 anni
dopo»[collegamento interrotto], tratto da Litterae Communionis. «Una colomba, non
un santo (caso Bukarin)» da Il Sabato. «Intensità d'una gran illusione
(Dossetti e dossettismo)»[collegamento interrotto] da Il Sabato.
«L'antifascismo di comodo» da Corriere della Sera. «Togliatti? Un perfetto
gramsciano. Polemica su Gramsci»[collegamento interrotto] da Il Sabato.
«Il nazi contagio» da Il Sabato. «La morale catto-comunista» da Il Sabato.
«Abbasso Mazzini» da Il Sabato. «I lumi sull'Italia»[collegamento interrotto]
da Il Sabato. «Recensione del romanzo di Benson "Il Padrone del mondo"»
dal mensile 30Giorni. «Filo rosso da Mosca a Berlino (Hitler-Stalin)» da Il
Sabato. «Le connessioni tra filosofia e politica»[collegamento interrotto] da
Il Tempo. «Pci, l'impossibile conversione» tratto da Prospettive nel mondo. Grice: “Unfortunately, Noce is a philosopher, like
me. We cannot lay word on history. Had Hitler won, I wouldn’t have joined
Austin’s Play Group. Being Italian, Noce thinks different. He thinks history is
guided by philosophical principes. It wasn’t Mussolini’s charisma that led the
populace, but Gentile’s attualismo puro. He makes a good point about the
distinction between Hitler and Mussolini. Hitler is a Protestant, Mussolini
ain’t! Most in Mussolini’s circle were just as heathen as those in Hitler’s
circle – different heathenism, though. No Odin, but Giove. Not Siegrfied, but
Enea! Noce does not know the first thing about this. He never socialized with
any of the people he is philosophizing about. In any case, there’s Garibaldi,
which is a stain to Italian history. Italians, and a Ligurian friend of mine
can testify to this, never wanted the UNITY. It was forced ON them. So it’s only
natural that Gentile and Noce regard the UNITY brought by Risorgimento (alla
Fichte Hegel, and the idea of the NATION) that was furthered by Mussolini.
Mussolini did use Garibaldi imagery – saying that his movement was ‘garibalismo
puro’ – but although he (Mussolini) did write a little thing about Nietzsche,
you won’t find his name in ‘dizionari di flosofia’!” Augusto Del Noce. Noce. Keywords:
saggio su Gentile e il fascismo, Faggi, Serbati, Spir, Vidari, Rensi,
Martinetti, Juvalta, Massantini, Catelli, Capograssi. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e del Noce," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Noferi: l’implicatura conversazionale della
setta di Firenze – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Important Italian
philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e.
Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would
consider him both a Grecian and Griceian in spirit.” alla Strozzi Palla e Lorenzo Strozzi. Dettaglio
dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Grazie alla ricchezza
accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia, il padre puo far
istruire il figlio da filosofi, e grazie all'interesse e all'intelligenza, divenne
di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini. Ricco e colto,
commissiona numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella N. nella Basilica
di Santa Trinita, opera di Brunelleschi e Ghiberti. La cappella, progetto
irrealizzato da N., venne fatta erigere in la sua memoria e ne ospita la
sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissiona l'Adorazione dei Magi a
Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a L. Monaco, terminata poi da
Beato Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori. Collezionista di libri rari
e conoscitore del greco e del latino, si trova nvischiato nell'opposizione
strenua contro Cosimo de' Medici. Cosimo e l'uomo che per la prima volta si e di
fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con
uomini chiave alla guida degli uffici della repubblica di Firenze. Davanti a
lui solo due strade sono possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato
o lo scontro frontale. Forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura,
e a capo della fazione anti-medicea assieme ad un altro oligarca indomabile,
Albizi. La fortuna arriva alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima
l'incarcerazione di de’ Medici, poi la dichiarazione del medesimo come magnate,
cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio da Firenze. Il suo obiettivo
comunque non e tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della
“liberta”. In questo e diverso d’Albizi.
Intanto de’ Medici manda già segni di prepararsi a un ri-entro, che
avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei
gonfalonieri. Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli
avversari, con l’esilio del filosofo e d’Albizi. In questo de’ Medici e favorito
anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si sono saputi
conquistare. Quindi parte per Padova. Il suo palazzo a Padova e un ritrovo di
filosofi, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri culturali
più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più
importante della stessa Firenze. Si pensi ai capolavori lasciati proprio da due
fiorentini come Giotto o Donatello. Lascia la sua raccolta di libri rari,
arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di
Santa Giustina. Muore a Padova nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Sepolto
nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme. Cavaliere dello Speron d'oro nastrino
per uniforme ordinaria cavaliere dello speron d'oro Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di
Firenze, Roma, Newton Compton, Palmarocchi, La famiglia Strozzi, in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “His
main claim to philosophical fame is in his character- unlike Alibizi’s and
indeed Medici. He loved freedom, and chose to settle in Padova, although his
roots were well in Firenze. He built hiw palace in Padova in Prato del Vallo to
gather philosophers, since what’s the good of knowing the classics if you
cannot converse? He never touched a university! His ‘bibliotheca’ is legendary!
Strozzi-Noferi. Noferi. Keywords: “Beautiful painting (by Gentile da Fabriano) of
Noferi. Very Italian in an exotic sort of way!” – Grice. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi-Noferi --
Grecian, Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Nola: l’implicatura
conversazionale dell’urina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Gice: “At Oxford, we are proud of our
philosophy, at Bologna, and in Italy in general, they are proud of their
physicians, as they call them – students of nature!”. Di origini napoletane e
zio di Molisi, insegna per lungo tempo a Napoli. Discepolo di Altomare, divenne
noto per suo saggio, “Quod sedimentum sanorum, aegrorumque corporum non sit
eiusdem speciei adversus Ferdinandum Cassanum et alios contrarium sentientes.” Cf.
Marruncelli, Elementi dell'arte di ragionare in medicina” (Napoli, Gabinetto);
S. Renzi, “Storia della medicina” (Napoli,
Filiatre-Sebezio); Adalberto Pazzini, La Calabria nella storia della medicina,
Roma); Lavoro critico (Bari, Dedalo). La Famiglia dei N.. Molise, Archivio
storico di Crotone. 1, quem ad modum Ciuitates tunc
optime gubernātur, (vt inquit Platoin lib. de Philo. cùm iniustidant pænas: perin
so& impudenter, impugnant, accontra dicunt, optimèquoquereor, &
scientiæ, et artesse haberent. Nam veras CLARISS. ALTIMARI discipulo, Auctore.
Med. Doctore scientias ac artes perfetè, et breui cuns et isaffequiliceret: at queitaetia
muerè scientes, acoptimos artifices fieri. Nuncueròcumlex falso
contradicentibus statuta nullafit, no immeritòe inoptimosuiros, arbitror,
impurissimum quen queac in eruditum iuuenem inuehiandere et admodum paucos vere
scientes, artifices quereperiri, cum& passim scribere omnibus liceat, &
unicuique sententiam ferre apud vulgus. Adde, quòdnefcio quo fato datum etiam
fit quibusdam, easdem docere artes, ac publicè profiter i , qui uel omnino inertes
fint, aut parumeas intelligant: cùm ueròne sciant, scire autem seputant, mirum non
est fidgeipfierrent, & alios aberrarecogant. Quandoquidem oporteret
(utinquitidem Plato in Alcib.) eos qui aliquid doftursiunt, priufquam doceant, intelligere,
fix OVOD SANORVM AEGRORVMQVE SEDIMENTVM IOANNE Andrea Nola Crotoniata Artium et
bique fuoq; martese dimenti ueritate mueftigauitad Hippo. es Gal. sententiam
quemadmodumo non nulla alia nonminu sad artem medicam utilia quàm necessaria,
ut in reliqus fuis scriptis palàmestuidere:) Sedcum hacfole clariorafint,
pateant quecun&tis artis medicæ candidatis, quirenera medicisunt, nedum in uniuersa
Italia, uerum etiam into tafere Europa in colentibus; mea approbationenon indigent.
Attem puseft ut adiftorum ignorantiam castigandam, ac in numeros errores
patefaciendos, accedamus. Nos uero eo, quo scriptifunt, ordine, eos
animaduertemus, etiam fiad sedimentorum naturam manifestandam non conferant; ut
discant studiosiquam maxime', nedum Artis medis ca, sed philosophia, et dialeticæ
fe imperitosese oftendant; quanto veliuore impulsitali ascribere conatifuerint.
Cum vero futurun fitut hominem reprehendamin doctum, ftolidum, opinione sua sapientem,
nugis interin erudite siuuenes uersatum in uniuersauita, queso, candidiß. lector,
liceat mihi uerbis huius ignorantiam castigare asperio nibus, quibus ego ut ialioquinon
foleo. Cum primimin prima pagellahicuirdă nassettum Plusquam commentatoris, tum
etiam Neotericorum opinionem de sedimento quiz whipseait, quamuis. Iaftenturf copumattigile,
longèalijs falluntur Sedimentum SANORUM ægrorumý; corp. biqueconsentire, e
nondissidere: hæcetenim bonos decet præcepto ses utipfeait. quod sita fieretnequehic
incognitus nescio quis Cassanus, tam fuisse taudaxs atque impudens, ut feuerisoppo
neret, nifiexilis esset, quiomnem funditus pudorem exuerunt, neque afuis præceptoribus
male eruditusac impulsus, eorumtamen opinio ne sapientibus totausus fuissetscriberenugas.
Quas omnes passimin minibus artis medicecandidatis, seclusoliuore, manifestare conabor,
quod huiu suiri ignorantia, simul quete meritas castigetur. difcantque
reliquiin posterum quàmmalum sitoptimis, aceruditiß. uirisindies utilia,
Artisg; medicæ apprimè necessaria, et verissima scribentibus; O ut summatim
dicam, universam pene medicinam illustrantibus, falso contradicere. Non autem,
uteaquæa doctissimoac Clariss. Alti maro præceptore meo de sedimenti in urinis scripta
sunttuear, sunt et enim ad eòscitèacdo Et é conscripta, ég hæc, et
reliquaomniaque hactenus in luce medidit, acualidiß. auctoritatibus et
rationibus comprobata, ut nedumiftorum uirorumnugas non curent, sed quorumuis
etiam aliorum do tiffimorum, fi quæ essent contradictiones paruifaciant, ipsea;
primus omnium quosuiderim, propria inuentione cumque 1 cumque neutri, fuo optimo
iudicio, ueritate mattigerint, et fimulli. Uore percitus eosdem recentiores scriptores
calumniasset, quorumnca quidem calciamentasoluere dignus esset, eisque falso tribueret
cunéta quaibitemerenarrat cõfestim, utipfeait. In fecüda ueritatë protulit quam
desedimentosentit, quæquantiss catea terroribus, quantumus averitatealienafit, et
Gal. sententia demonstrabimus, ubialios prius ciuserroresin eadem secunda pag.
conscriptos, manifeftauerimus: Aitetenim {senolle tempus conterere circa urine generationis
modă. Giovanni Andrea de Nola. Nola. Keywords:
Crotone, Plato, Nola-Molise, corpus sanum, focal unification, Owen, Pantzig,
brennpunktbedeutung, Grice, Aristotle, Metafisica, ‘unificazione focale’ –
universale: ‘sanitas’ instantiazione: corpus sanum, corpi sani. Refs.: “Grice e
Nola” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Noto: l’implicatura conversazionale di IVPITER
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Pollina). Filosofo italiano. Grice: “Italian philosophers, must be for St. Peter, who DIED
there – are obsessed with God – Noto wrote his thesis on that, evidence and
lack thereof for God – the part concerining the refutation for those who deny
evidence is fascinating! And typically of an Italian philosopher, he narrows
down his research to ‘secolo XIII,’ where we at England and Oxford hardly
existed!”Fa gli studi ginnasiali al Convento di Giaccherino e al Convento del
Bosco ai Frati. Vestì il saio francescano a Fucecchio e professò. Studia filosofia
a Lucca, Bosco ai Frati, il Convento di San Vivaldo, Fiesole, Siena e il Convento
di Sargiano. Emise i voti a Fiesole e fu ordinato sacerdote a Siena. Andò a
Parigi e frequentò l’Istituto Cattolico, la Sorbona e il Collège de France. Conseguì
il Dottorato in filosofia e il Diploma di studi superiori alla Sorbona. Essendo
andato a Londra per alcuni mesi ebbe il Diploma di lingua inglese che in
seguito perfezionò tornando ogni anno a Londra nel periodo estivo. Pubblicò la
tesi di laurea “L’evidenza di Dio nella filosofia" (Ed. MILANI, Padova). Si
imbarca per l’Egitto e si stabilì a Ghiza dove insegnò. Lì ricoprì gli
incarichi di Guardiano e Maestro dei Chierici. Torna in Italia e fu per un anno
direttore di un grande hotel di Montecatini Terme. Si trasfere a Figline
Valdarno per l’insegnamento all’Istituto Ficino. Si iscrisse alla Università
Cattolica dove conseguì il Dottorato in filosofia valido in Italia. Aveva
iniziato l’insegnamento della lingua inglese alla scuola per infermieri
dell’ospedale di Figline e un corso serale per adulti. Crea un laboratorio
linguistico per facilitare e perfezionare l’apprendimento delle lingue. Deceduto
nell’Ospedale di Figline Valdarno per edemapolmonare acuto da miocardite in
diabetico. Affetto da grave forma di diabete, si era sentito male nella notte
dell’11 novembre, ma dopo aver prolungato il riposo mattutino aveva tenuto
lezione fino a mezzogiorno. Prese allora poco cibo e tornò a riposarsi. Alle 18
andò alla preghiera comune e alle 18.30 tenne il corso di lingua inglese per
adulti. Alle 20 mentre era a tavola fu chiamato il medico cardiologo che ordinò
il ricovero urgente in ospedale. Qui la sua vita è stata stroncata da un
complesso attacco cardiaco polmonare. Ai
funerali, presieduti dal Padre Provinciale nella Chiesa di San Francesco in
Figline erano presenti tanti religiosi e sacerdoti, i parenti, molte suore
oltre che un grande pubblico di studenti e popolo che riempiva la chiesa. È
stato sepolto nel cimitero di Montemurlo. Convento di Giaccherino Convento del
Bosco ai Frati Convento di San Vivaldo Convento di Sargiano Montemurlo L'evidenza di Dio nella filosofia del secolo
XIII. Grice: “Noto is playing with his surname. There’s no ‘significare’ in
Italian. They use ‘notare’ – Now, how is God signified? When Cicero said ‘god’
he meant Jupiter. Ask Ganymede: The literal truth is Ganymede was killed in
self-inflicted accidental with a boomerang. Her mother said: “His corpse is
here, but he was raped by Giove --. Taking this narrative literally – Ganymede
was RAPED, so the rape is the way the god gets ‘noted’. Noto. Keywords: IVPITER
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Noto” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Novaro: implicatura conversazionale ligure --
l’infinito del ponente – filosofia italiana – Luigi Speranza (Diano Maria). Filosofo italiano. Grice: “Novaro
comes from my favourite area in Italy, “La riviera ligure”!” Grice: “Novaro
wrote a nice little treatise on the nature of the infinite – a concept which
fascinates me!” --Fratello di Novaro, nacque da famiglia economicamente agiata
e dopo aver condotto brillantemente gli studi liceali, ottenendo la laurea a Torino.
Si stabilì a Oneglia dove fu assessore comunale per il partito socialista. Dopo
avere per breve tempo insegnato nel locale liceo, con i fratelli si occupò
dell'industria olearia intestata alla madre Paolina Sasso. Pur dedito all'attività imprenditoriale fece
parte attiva della vita letteraria dei primo anni del Novecento e fondò la
rivista “La Riviera Ligure,” da lui diretta fino alla sua cessazione. Ospitò
nel suo giornale filosofi come Pascoli, Roccatagliata, Jahier, Boine e
Sbarbaro. Scrisse saggi di carattere
filosofico e raccolse tutte le sue poesie, che hanno come tema principale il
bellissimo paesaggio ligure, in un volume intitolato Murmuri ed echi che vide
le stampe. Fu anche il curatore dell'edizione delle opere di Boine che sentiva
affine negli interessi soprattutto di carattere etico. Saggi: “Finito ed iinfinito” (Roma, Balbi), “Murmuro
ed echo” (Napoli, Ricciardi) – cf. Grice, “Implicatura ecoica” --; “All'insegna
del pesce d'oro” (Genova, Devoto). Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La Riviera Ligure Nicolas Malebranche. Tra
Diano Marina e Oneglia: i luoghi dei fratelli Novaro, su parchiculturali.
Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro. Scheda biografica nel
sito della Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro. Se il
concetto di “infinito” è stato dal sorgere della filosofia italiana, uno
degl’oggetti più costanti degl’uomini, il progresso verso una definitiva
soluzione delle difficoltà che esso presenta non e tuttavia che
straordinariamente lento. A ciò à sopratutto contribuito il rilegare, come a
priori, l’infinito fuori del campo appunto della filosofia e si considera il
regresso all’infinito una fallacia. Poiché quando si ammette senz’altro
che, essendo l’uomo finite, non si può pretendere eh' esso arrivi a comprendere
l’infinito. Hobbes, De corpore; Descartes, Principien, ediz. Kirclimann,
GALILEI, Opere (Milano); Locke, Essay on humane Underslaning, ediz. Ward, World
Library, Hume, Treatise, ediz. Selby-Bigge, cfr. anche Jevons,
Principia of Science. S’è già troncata la questione senza neanche avei’la
posta. S’è lasciato intatto il mistero che sembra involgerla. Già tutti i
concetti che in qualche modo ha una stretta attinenza con altri concetti
ontologici dovettero per questo attendere a lungo prima di venir trattati
in corretto modo analitico. La oscurità misteriosa del concetto di “infinito” si
ripercorse naturalmente negli oggetti nei quali esso poteva trovare
applicazione, come il tempo, lo spazio, la materia, l’universo,
l’essere. Anzi si comincia dapprima ad accorgersi delle
difficoltà del concetto di “infinito” non cosi in astratto, ma nell’esame
degli oggetti ai quali la infinitezza pare doversi attribuire. Tanti
secoli prima della ripresa della questione per Locke, trattarono il
problema con sommo acume dialettico i veliani de Velia. Sugli veliani e la
loro importanza, vedi specialmente la “Kritische Geschichte der Philosophie” di
Dùhring. Le difficoltà che conduceno al veliano a negare la realtà dello
spazio non sono punto illusori. Cantor, “Geschichte der Matematik”. Bei ihnen [i
tropi dei veliani] handelt es sich um Schwierigkeiten, denen in der
That-wcder der Philosoph noch der Mathematiker in aller Strenge gerecht
werden Kann Zwei Jakrtausend und mehr haben an dieser zàhen Speise gekaut,
und es ware unbillig von den Veliani des funften vorcbristlichen
Iabrhunderts zu verlangen, dass sie in Klarbeit gewesen seien iiber Dinge,
welche freilich anders ausgesprocben noch Streitigkeiten unserer Gegenwart
bilden. Nò altre furono quelle che spinsero poi Kant ai risultati della
estetica trascendentale. Sebbene più d’uno storico della filosofia davanti
ai tropi di quell’ acutissimo filosofo sentendo l’imbarazzo suo a
confutarli, stima poterli chiamare sofismi o false sottigliezze che chi le
esaminasse da vicino e colla necessaria acutezza non dovrebbe tardare a
riconoscere evidentemente per tali. E più d’uno nel confutarli à seguito,
come Zeller, Aristotele che in questo se in altro mai fu
infelicissimo. Aristotele crede di confutare il veliano (V. anche
Apelt, Beitrdge sur Geschichte der Grieschischen Philosophie, Leipzig) col dire
che la dimostrazione data dal veliano riposa sulla falsa & i
matematici, i quali spaventati dalle contraddizioni svelate dai veliani
avevano dovuto per forza rinunciare a far uso del concetto di “infinito” e
lasciar tanto tempo infruttuoso l’ardimento di Antifontem continuarono
a lungo ad aiutarsi altrimenti per non derogare alla rigorosa esattezza
delle loro dimostrazioni, Cosi il concetto d’”infinito” non compare mai
esplicitamente nella geometria degl’antichi. E Archimede ha seguaci anche dopo
che il calcolo infinitesimale ha chiaramente mostrati i suoi cosi
fecondi vantaggi. Ragione principale di ciò e il non avere l’autore
stesso del concetto di “infinitesimo”, saputo mai nè pienamente giustificarlo,
nè dargli un denotato preciso, si che egli molte volte ha a espri supposizione
che il tempo consti di singoli momenti (ex -J 5 v aio Èrtovi come se la
critica del velino non valesse indifferentemente tanto per il continuo
dello spazio che per quello del tempo stesso. Cfr. Cantor. Er (Aristotele) lòst
das Paradoxon der Duschlaufung dieser unendlich vielen Raum-punkte in
endlicher Zeit, durch das neue Paradoxon, dass innerhalb der endlichen Zeit
unendlich viele Zeittheile von unendlich Kleiner Dauer anzunehmen seien. Sul
concetto di “infinito” in Aristotele vedi specialmente “Phys.”, De Coelo, I, 5.
Aristotele dà una divisione dei vari generi di infinito, che come sempre
0 spessissimo presso lui è più una spiegazione di parole che di concetti.
Inoltre è la sua trattazione oscura e affatto manchevole. Aristotele non
accetta che l’infinito *potenziale*, il quale nasce dal non trovar la
nostra immaginazione alcun limite così nel togliere come nell’aggiungere. Rifiuta
l’infinito attuale. L’infinito, dice Aristotele, non è grandezza nè à
parti così, come il suono è per sò invisibile (Phya., Ili, 4 ). Non
esiste dunque in realtà, perchè non v’ è grandezza cui possa attribuirsi. Ma la
contraddizione che Aristotele crede dover evitare rigettando il concetto
dell’infinito attuale è appunto nascosta invece in quello del continuo.
Altrimenti Aristotele non avrebbe così leggermente creduto di aver
superate le difficoltà dei veliani. li Montucla, Histoire cles recherches sur
la quadrature du eercìe. Paris, Hankel, Zur Geschickte der Matliematik ivi
Alterthum und Mitelaltcr. juersi sulla sua nozione in modo affatto
contradittorio. E se i filosofi non riuscirono a chiarire i loro concetti
riguardanti l’infinito trascurando la maggior parte di aiutarsi con un
esame accurato dalle difficoltà che incontrano anche i matematici, questi dal
canto loro si sono del pari in grau parte appagati dei risultati, senza
sentire troppo acuto il bisogno di rendersi conto esatto dei concetti dei quali
hanno a fare un continuo uso. Che anzi per le difficoltà, oscurità
o contraddizioni dell infinito tranquillamente si
rimettevano Leibniz, anche quando si esprime più razionalmente intorno
ai concetti infinitesimali, conserva pur sempre in fondo una evidente
ambiguità sulla natura generale del concetto di “infinito”. Lascia
infatti alla ontologia, senza risolverla Leibniz stesso, la questione se
si diano propriamente degl’infinitamente piccoli rigorosi. E cosi tiene
pure per indifferente considerare per tali gl’infinitesimi o soltanto per
arbitrariamente piccoli. Leibniz inclina però più a tenere l’infinito
rigoroso per una finzione. Leibniz, Opera omnia, ed. Dutens e Leibniz; il/af/iema</se/»e
Schriften, Gerhardt I' , dove Leibniz pare considerare gli infinitesimi
come quantità finite variabili e cfr. Gerhardt, Erdmann, dove egli
parrebbe ammettere l’infinitesimo *attuale*. In altri luoghi, Leibniz è affatto
incerto; ed. Dutens, Gerhardt, III, e vedi specialmente un passo ivi. Infatti
dopo l’adottamento del calcolo, una delle prime accademie d Europa, quella di
Berlino, presieduta da uno dei più grandi matematici, da Lagrange, apriva
un concorso sul concetto dell’infinito. Dice tra altro ai concorrenti. On
demande […] une thdorie clairc et precise de ce qu’ on appelle ‘influì en
mathcmati jue. On sait que la haute geometrie fait un usage continuel des
infiniment grands et des infiniinent petits. Cependant les geomètres et
meme les analystes anciens, ont eviti* soicneusement tòut ce qui approche
de l’infini, et des grands analystes modernes avouent que les termes
grawleur infmie sont contradictoires. L’Acad^mie sou- haitc donc qu’ on
explique comment on a déduit tant de theorèmes vrais d une supposition
contradictoire. Nouveaux Mémoires de l’Acad. des Sciences.
Berlin. come molti si rimettono tuttora, all’ongologia. L’unico filosofo
dal quale si sarebbe potuto aspettare qualche dilucidazione definitiva,
Corate, il quale era tanto versato nelle matematiche e che di esse à dato una
cosi bella e tuttora insuperata sistematica trattazion generale,
non solo non fa fare un passo alla questione, ma neppure seppe
bastantemente apprezzare i grandi meriti del lavoro di Carnot, il quale
prepara la soluzione definitiva. Solo Locke e Kant sono cosi i filosofi
che fecero verso di essa un passo decisive. Kant però si direbbè che lo
fece in senso reazionario, chè se Locke avesse decisamente cangiato li
suo metodo empirico e psicologico con un metodo critico, come egli in realtà è
qualche volta inconsapevolmente vicino a fare, avrebbe egli stesso còlto 1’ultimo futto
della sua fine analisi. Ad ogni modo è merito di Locke, oltre aver
risolto l’infinitamente piccolo e grande nel processo formale dell’animo,
l’aver dimostrato come un tale concetto sia solo propriamente applicabile
a grandezze, al numero, al tempo ed allo spazio. Con ciò ogni nebuloso
abuso scolastico e metafisico di esso, era reso impossibile, e ogni sua
applicazione ad altro che a concetti di grandezze diventava una pura metafora. Rilacendosi
da Locke e approfittando della luce che Carnot getta sulla natura
dell’infinitesimo, il Duhnng à finalmente completata la razionalizzazione
di [ Leibniz, passo citato, Gerhardt e Montucla, Histoire des
mathématiques. Quanto alle questioni che la ontologia può sollevare sul
concetto dell’infinito, il matematico “a droit de ne s en pas plus
embarasser que des disputes des physiciens sur la naure de 1 etendue et du movement.” Locke,
On human Umlerst., questo concetto. L’infinito assoluto ha però Diihring
costantemente rifiutato come la più assurda contraddizione in tutti i suoi saggi
filosofici. Soltanto- nell’ultima suo saggio filosofico arriva egli ad
una luminosa distinzione dell’infinito *assoluto* dal infinito relativo.
La sua dimostrazione è però geometrica, e non insieme algebraica. Manca
quindi di generalità. Cosi si spiega come Diihring ritenga ancor ora
inammissibile l’applicazione dell infinito al tempo, che egli à
assurdamente e colla più gran forza di convinzione fatto finito nel
passato (2). Diihring vide che ove il concetto di infinito non viene
dapprima reso chiaro e incontradittorio nella matematica, la rocca in
apparenza più forte rimarrebbe in piedi a difesa del mistificante
concetto. La nozione di infinito non è però specificamente formale. Il
concetto d’infinito appartiene a quel campo della filosofia ‘speziale’, in cui
anno comuni le radici o i principi e la matematica e la logica.
La. soluzione di un problema cosi universale non può esser diversa,
ove esso venga formulato con la dovuta astrazione ed esattezza, sia che la si
cerchi nel campo piu astratto dell’ontologia della concezione universale dell’*essere*,
sia che la si cerchi nel campo dell’algebra. Non [Nat Uri
iche Dialéktik -- questo libro d’oro di puro criticismo, la cui prima edizione
è esaurita da molti anni senza che Diihring si decida a ri-pubblicarlo,
malgrado il viro desiderio di molti suoi ammiratori, quali per un esempio
v. Gizicky e Riebl. Vedi specialmente dello stesso, nei “ Xeue
Grundmitteln u. Erfindungen zur Analysis, ecc. „ il capitolo terzo.
L’analisi critica dell’infinitesimo ivi data riassumiamo noi brevemente
nel numero seguente, modificandola però nel senso della corretta legge
del numero determinato. V. sotto. Cursus der Philosophie; Logik und
KVssenschaftstheorie, è un differente problema quello di Senone di Velia,
da quello che occupa a cosi grande distanza di tempo i matematici dal
seicento in poi. 2. In tutti i problemi riguardanti il concetto di “infinito”,
le difficoltà ànno la loro comune radice nella contraddizione fondamentale
nascente dalla posizione di un infinito numericamente dato e compiuto nel *finite*
stesso. Cosi l’infinitesimo, e già prima l’indisivibile di CAVALIERI, e
pensato assurdamente quale risultato di una infinita divisione, o come l’elemento
più piccolo d’ogni grandezza assegnabile, di cui si integra ogni
grandezza finita. Più piccolo di qualunque quantità data e pensato
l’infinitamente piccolo, e maggior d’ogni data grandezza l’infinitamente
grande, arrivando anche qui ad una infinità compiuta, come raggiungibile
per via di una sintesi successiva. Tra lo zero e una comunque
piccola grandezza dovrebbe dunque esistere qualcosa di intermedio. Questa
ibrida quantità non dovrebbe esser zero ma neppure perù una determinata
quantità per quanto arbitrariamente piccola. Essa dovrebbe esser minore
d’ogni quantità assegnabile o qualcosa che esprima l’ultimo
irraggiungibile grado di piccolezza immaginabile e prima dello zero (1).
Minore d’ogni quantità assegna- (1) Modificando la nozione di GALILEI di
“momento”, già Ilobbes define il conatus (concetto che doveva poi diventare il
fondamento della teoria newtoniana), il moto lungo uno spazio minore di
qualsiasi assegnato. Hobbes conserva, però, malgrado l’equivoca
definizione, come dell infinitamente grande (De Corpore) cosi dell’infinitesimo
un giusto concetto. Di quest’ultimo haa intesa infatti a essenziale
relatività. V. De Corpore. Delimemus CONATUM
esse motum per spatium et tempus minus q’uam quarn bile è però soltanto
lo zero (1); una quantità non può venir immaginata oltre ogni assegnabile
grandezza. Tra la quantità e lo zero non vi è cotesta assurda
finzione. A meno che il dire “minor d’ogni data quantità” abbia quod
datar, id est determinatur, sine expositione vel numero assignatur ìaest
per punctum. Ad eius definitiouis explicationem meminisse oportet per
punctum non intelligi id quod quantitatcm nullam habet, sive quod nulla
ratione potest dividi (niliil enim est eiusmodi in rerum natura) sed id
cuius quantità non consideratili-, hoc est cuius neque quantitas neque
pars ulta inter demonstrandum computatur. Ita ut punctum non habeatur prò
IN-DIVISIBILI. Sed prò IN-DIVISO. Sicut edam instans sumendum est prò tempore IN-DIVISO
non prò IN-DIVIS-IBILE. Similiter Conatus ita mtelhgendus est, ut sit
quidem motus sed ita ut neque tempori in quo fìt neque lineai per quam
fit quantitas, ullam comparationem habeat in demonstratione cum quantitate
temporis vel line cuius ipsa est pars. Quanquam sicut punctum cura
puncto, ita conatus cum Canata comparaci potest et unus altero maior vel
minor reperiri.Poisson ammette invece nel modo più esplicito
l’assurdo concetto dell infinitesimo di cui sopra è parola. Un infiniment
petit est une grandeur moindre que toute grandcur donnée de la meme
nature. On est conduit naturellement a ridde des infiniment petits,
lorsqu’on considère les variations successives d’une grandeur soumise à
la loi de continuiti. Ainsi, le temps croit par des degrés mo.ndres qu’
aucun intervalle qu’on puisse assigner, quelque petit quii soit. Les
espaces parcourus par le différents points d’un corps croissent aussi par
des infiniment petits, car chaque point ne peut fi er d une posdion à une
autre, sans traverser touts les positions intermédiaires, et l’on ne
saurait assigner aucune distance, aussi petite qu on voudrn, entre deux
positions successives. Les infiniment petits ont donc une existence
rielle, et ne sont pus seulement un mo.ven d’investigation imagini par les
giometres. Traile de mécanique, Bruxelles) l’er questa ragione non pochi
matematici, quali Bernouille “oto^amente
Eulero, pensarono l’infinitesimo come assolutamente nullo. Anche GALILEI,
sebbene con altro linguaggio, scompone il continuo esteso in infiniti
punti inestesi o nulli senza però trovar poi il modo di farlo generare da
quelli. V. GALILEI Opere. Sopra gli atomi non quanti di lui vedi Lasswitz,
Galileis Thieorie der Materie, 1 lerteljahrsschrift f wiss. Philosph.
XIII, a riferirsi non a qualcosa di
effettivo o di dato, ma al nostro animo -- il nostro volere -- come ragione
della infinita divisibilità, potendo noi sempre supporre una quantità più
piccola di ogni qualunque piccola quantità data. Come nella serie dei
numeri noi possiamo (prova Peano) farci un concetto dell’infinito aggiungimento
di unità a unità, cosi possiamo farcene uno della possibile divisione
dell'unità all’infinito. Un tal concetto non rimane tuttavia che
il campo d’una operazione che non può per la sua natura venir mai
compiuta. La infinita divisione come la infinita addizione non possono mai
senza contraddizione considerarsi come eseguite. Non si può con un salto
oltrepassare un’infinità di operazioni, ponendo l’ultima come già
compiuta, che invece non può mai essere. Ciò che esiste o è dato numericamente
quale totalità non può esser che in numero determinato. Un numero infinito
come qualcosa di dato o compiuto nel finito medesimo è un CONCEPTO
IMPOSSIBILE perchè vorrebbe porre ciò che insieme viene a negare. Ammesso
dunque che abbia a dirsi di una quantità che essa è minore d’ogni
possibile quantità data, ciò potrà solo razionalmente indicare che è pur
sempre possibile suppor quella come ancor più pioti) È questa la legge
formulata da Diihring sotto il nome di legge del numero determinato (Gesetz der
bestimmten Anzahl). Cfr. Kant: Kritikd. reinen Vcrn. edizione Kirchmann. Sohald
etwas als quantum discretum angenommen wird, so ist die Menge der
Einheiten darin bestimmt, daher auch jederzeit einer Zahl gleich. Diihring
però, e qui sta il grave errore della sua teoria dell’infinito, à
tralasciato come iKant di aggiungere che tale legge à valore appunto, come
diciamo noi, solo in riguardo a grandezze che si lasciano concepire come
totalità, ossia in riguardo a grandezze comprese tra limiti. cola di una
qualunque data comunque già piccola per sè. La illimitatezza riposa sul
concetto della infinita possibilità della ripetizione, non è dunque un
concetto di effettività, ma di mera possibilità. Il moto nevi realizza
come si crederebbe l’assurdità di una infinita divisione o di una infinità
di parti nel finito. Moto non è che il concetto di ciò che la
stessa cosa si trova seguentemente prima in un luogo e poi in un
altro. Nostro APPARATO SENSORIALE non fa che abbracciare un dato numero di
posizioni diverse, e l’animo non trova altro che il fatto ossia la
cangiata posizione. Noi non possiamo formarci nè pretendere altro chiaro
concetto che quello del passaggio da un punto all’altro. Possiamo solo,
ove ce ne sia l’animo, INTER-POLARE delle posizioni intermedie a piacere
senza limite alcuno. Ma effettivamente nè la natura nè noi possiamo
fis:arne altro che un numero determinato. È una illusione il credere che un
punto, ad esempio, nel muoversi in linea retta vei’so un altro punto
fisso, e trascorrendo secondo il concetto comune di un movimento
assolutamente continuo, per ogni posizione, trascorra con ciò effettivamente,
se posso dir cosi, per ogni grado di piccolezza. La posizione di
infiniti punti distinti in una determinata estensione è sempre e solo
una possibilità ma non mai un fatto compiuto. Di due punti immediatamente
aderenti NOI ABBIAMO ASSOLUTAMENTE CONCETTO ALCUNO. Punti inestesi o
coincidono, o hanno una posizione diversa, e allora anche una determinata
distanza. 11 punte non può che passare da uno ad un altro punto, comunque
noi idealmente possiamo astrarre da cotesti trapassi e considerare
unicamente la infinita possibilità (li posizioni diverse. La stessa
illusione è nel dire che una quantità cresce per gradi minori
di ogni comunque piccola grandezza data. E vero che m matematica le
quantità continue crescono per gradi e che ogni nuovo incremento
elementare possiamo immarginarcelo già per sè stesso composto di ancor più
piccoli incrementi elementari all’infinito. Ma oltre che nella realtà
bisogni. Che esistano dei limiti a questa illimitatezza che è solo della
facoltà del nostro ANIMO, è anche vero che le quantità non constano di
elementi per sè esistenti, e che invece noi solo distinguiamo in esse
delle divisioni e stabiliamo dei limiti che per sè non sono dati. Il
concetto di continuità ne involge uno infinitesimale che però inchiude
solo la possibilità di un infinito porre di limiti, ma non una infinità
di limiti posti. Esso è quindi come quello dell’infiuitamente piccolo un
concetto di pura posibilità. La illimitatezza nella scomponibilità
in parti che possono in ogni caso venir fatte ancora più piccole che una
qualunque piccola grandezza data, e dunque ciò che di razionale s’ à a
sostituire al concetto nebuloso dell’ infinitamente piccolo. Con ciò viene
evitata quella ipostasi o per cosi dire insostanziazione di un modo di
azione del nostro animo, o di una mera possibilità, la quale è
inchiusa nel falso concetto della grandezza minore di ogni altra
assegnabile, come di qualcosa realmente esistente quasi mèta irraggiungibile ma
pur reale di una infinità di operazioni. Non esiste un ultimo piccolo
o infinitesimo, ma solo una infinita possibilità di
rimpicciolimento. 1 Si deve dunque pensare che il differenziale è nel
calcolo una grandezza finita relativamente piccola, la quale- nel
complesso delle operazioni può e deve rappresentare ad arbitrio ogni
grado di piccolezza. Si tratta per eempio, dice Diihring, di una lunghezza. Può
questa, come infinitamente piccolo, essere secondo le circostanze
un milionesimo di millimetro ovvero una distanza solare. L’essenziale
non istà in queste eventuali determinazioni, ma nel pensiero che in luogo
di quella grandezza, scelta in relazione a un tutto come parte
insignificante, possano nelle operazioni sostituirsi altre ed altre senza
limite alcuno sempre più piccole verso lo zero. L’ infinito o la
illimitatezza non è dunque ipostasiata nel differenziale, si bene sta nel
nostro animo che questa grandezza rappresenta qualunque grado di piccolezza
oltre il suo. Razionalizzato cosi il concetto fondamentale del calcolo,
non à più ragione quella ripugnanza che i migliori matematici anno sempre
sentito per quella oscura ipotesi o idea falsa, come la chiama Lagrange, dell’infinitamente
piccolo. L’analisi è dunque, dice Diihring, un calcolo d’ approssimazione, ma
si noti bene- non di semplice approssimazione, bensì di approssimazione
infinita. I sensi trascurano nel piccolo le quantità insignificanti che
loro NON SONO più PERCETTIBILI, e se fatti più acuti procederebbero del
pari in analoghe proporzioni; cosi fa il calcolo nel trascurare quantità che
nelle [l'reyeinet: Étude sur la métaphysique du haul calcul. Cfr.
Carnot : Reflexions sur la métaphysique du calcili infinitesima!, Comte:
Cours de philosophie positive , I, 263. loro funzioni darebbero in ultimo per
risultato una grandezza che per la sua ultima piccolezza non à importanza
alcuna. Accanto a quantità finite si trascura nel risultato e con
ragione, un infinitamente piccolo, poiché è nella sna natura di poter
venire senza fine rimpicciolito verso lo zero. Idealmente c’ è dunque un
abisso tra l’infinitesimo e lo zero. Non quello ma questo è il limite
dell’ infinito rimpiccoliinento, e prima dello zero non vi sono
che quantità in realtà sempre finite, comunque possano secondo il bisogno
venir supposte sempre più piccole verso di esso. D’altra parte nella direzione
opposta dell’ infiniitamente grande si à analogamente a distinguere tra
[Non altro significava il luminoso concetto di Carnot delle equazioni
imperfette. Tuttavia Carnot non arriva a dar l’ultima chiarezza alla
nozione dell’infinitesimo. Infatti non avrebbe altrimenti creduto vi
fosse bisogno (per dimostrare come i risultati del calcolo in apparenza
soltanto approssimativi, siano in realtà esatti) oltre che della considerazione
dell’arbitrarietà del differenziale, anche di una dimostrazione della
compensazione degli errori. Comte poi frantese affatto ciò che di
veramente importante e duraturo conteneva lo scritto di Carnot, e ravvisa
così il merito di lui appunto nella dimostrazione della compensazione degli
errori (V. Cours de philosophie positive), la teoria invece
dell’arbitrarietà del’infinitesimo la trova più sottile che solida (id.
2(57). l concetto della rigida uguaglianza degl’antichi venne
definitivamente superato con Leibnitz e Newton. Ciò che però non venne
schiarito e rimase oggetto di tutte le lunghe innumerevoli dispute a cui
diede luogo il calcolo differenziale, e un giusto concetto di ciò che
avesse a indicare la trascuranza, nelle equazioni, dell’infinitamente piccolo.
Dopo Carnot la relatività del concetto del differenziale s’è sempre più fatta
strada nelle menti dei matematici. Ma non basta questo a razionalizzare
l’infinitesimo. Dove colla relatività di esso si ammette però ancora (v.
ad es. Montucla : Histoire des maih.) che questo possa divenir minore d’ogni
quantità assegnabile, s’è pur sempre lontani da una esatta concezione.
questo e 1’ infinito assoluto o transfinito (1). Qui come¬ ta si à una
differenza qualitativa: nell’ un caso si à ancora a fare con delle grandezze,
nell’ altro il concetto proprio di grandezza è scomparso. Il non
aver distinto questi due concetti non à forse meno contribuito della
contraddizione di un infinito compiuto nel finito stesso, implicato nel falso
concetto del differenziale e del continuo, a rendere cosi pieno di
supposte insolubili difficoltà il problema di cui ci occupiamo. All’infinitamente
piccolo risponde perfettamente l’infinitamente grande. Abbiamo qui un
accrescimento senza fine come là un illimitato rimpicciolimento. In
entrambi i casi ci è data la norma di un’operazione che non
deve poter mai venir considerata come compiuta, poiché essa deve
rispondere alla illimitata possibilità di ripetizione- del nostro animo,
con la quale dunque non c’è grandezza per quanto piccola o grande di cui non si
possa sempre raggiungere un’altra ancora più piccola o
grande. Attribuito ad una data grandezza il concetto di infinitamente
grande non indica quindi altro che essa, comunque già grande, può senza
fine venir considerata ancor sempre più grande secondo il bisogno. In
ogni aso non sarà però ella mai altro che finite. Come la nostra
sintesi benché non abbia limite, pure in fatti non può -- Chiamo infinito
assoluto o trans-finito – tras-finito, a distinzione dell't/t/unVo
relativo (infinitamente piccolo o grande), ciò che Diihring dice illimitato
(Unbegrcnzt) [LIMITATO/NON-LIMITATO] e Cantor, e dietro lui Wundt e
Lasswitz chiamano appunto transfinito o tras-finito (<o ). Del resto
una volta riconosciute queste differenze essenziali, nulla impedisce di
adoperare anche solo e indifferentemente l’espressione “infinito”,
lasciando al contesto conversazionale l’ulteriore
specificazione. mai esercitarsi che nel finito. Anche l’infinitamente
grande è un concetto di mera possibilità e non mai di effettività. Non è
quindi propriamente applicabile ad alcuna grandezza determinata. La serie
progressiva dei numeri nella sua illimitata addibilità è il più chiaro
esempio dell’infinitamente grande. Noi non possiamo mai arrivare ad un
ultimo membro delle serie, perchè la possibilità di aggiungerne altri
riman sempre la medesima. E nella natura dell’infinitamente grande di non
poter venir mai compiuto. La illimitatezza non è neppur qui data
oggettivamente, ma sta invece in questo che la grandezza infinitamente grande
può rappresentare ad arbitrio una grandezza sempre maggiore oltre la
sua. Inteso cosi è senz’altro chiaro che rinfinitamente grande non è
un infinito in atto e non può senza contraddizione venir scambiato con questo.
L’aver confuse l’infinito assoluto o transfinito o trasfinito o illimitato coll’infinitamente
grande è appunto la cagione che condusse chi mirava a un esatto
(1) Locke, On bum. Underst, pag. 148. [O]ur idea of infinity being,
as I tbink, an endless growing idea, biit the idea of any quantity our soul kas
being at that tirae terminated in tbat idea (l'or be it as great as it
will, it can be no greater than it is), to join infinity to it, is to adjust a
standing measure to a growing bulk. We can bave no more the positive idea of a
body infinitely little than we have thè idea of a body infinitelv great. Our conception
of infinity being, as I may so say, a growing and “fugitive” concept, stili
in a boundless progression that can stop nowhere. Our conception of the infinity
[...] return at least to that of number always to be added. But thereby
never amounts to any distinct idea of actual infinite parts. We bave, it
is true, a clear idea of division, as often as we will think of it. But
thereby we have no more a clear idea of infinite parts in matter than we
have a clear idea of an infinite number, by being able still to add
numbers to any assigned nember we have. E chiaro concetto di quest’ultimo a
rifiutare risolutamente il primo, dopo averlo trovato incompatibile colla
nozione di quello. Mentre l’infinitamente grande esprime una illimitata
possibilità, il transfinito o trasfinito esprime invece una effettività
compiuta cui l’infinitamente grande non arriva mai. Nel transfinito o
trasfinito ogni grado di ingrandimento è già anticipatamente dato. Esso è
realmente maggiore di ogni assegnabile grandezza, e dal finito non c’è
modo di farlo originare, sebbene ogni finito sia in esso. La facile
obbiezione che nessuna grandezza è la più grande perchè le possono sempre
venir aggiunte altre unità, non tocca. L’infinito assoluto, ma solo una NOZIONE
IRRAZIONALE dell’infinitamente grande,
partendo ella da un falso concetto del transfinito o tras-finito, secondo
il quale si avrebbe questo a lasciar pensare come un tutto, ossia,
contrariamente all’assunto, come finito. Il concetto di totalità applicato
al transfinito o tras-finito è trascendente, benché tale non sia il
transfinito o tras-finito per sé. Se l’infinito assoluto non può venir
esaurito dalla sintesi empirica di nostro animo, non è questa una ragione
per rifiutarne il concetto : la sua natura consiste infatti appunto in
ciò di NON POTER VENIR RAPPRESENTATO come una totalità ossia esaurito
per mezzo di una sintesi empirica di nostro animo -- successiva delle sue
parti. – Cf. Speranza, ‘mise-en-abime’ – come violazione del prinzipio
conversazionale – be brief. Rifiutarlo perchè non si lascia trascorrere da
un capo all altro, è rifiutare il transfinito perchè appunto tale,
ossia perchè non è finito, o perchè non si trovano endless divisibility
giving us no more a clear and distinct idea of actuallv infinite parts
than endless addibility, if I may so speak, gives us a clear and distinct idea
of an actually infinite number, both being only in a power stili of
increasing thè nuinber, be it already as great as it will” ia esso le
proprietà che dal suo concetto sono precisanente escluse. Mentre
nell’infinitamente grande la sintesi empirica di nostro animo è quella
che aggiunge membro a membro. Nell’infinito assoluto troviamo noi sempre ogni
ulteriore membro come già innanzi esistente prima che la nostra sintesi lo
abbia raggiunto, indipendentemente da essa. È dato quindi così il
numero infinito, se “numero” può questo ancora chiamarsi – “As far as I
know there are infinitely many stars” --, che è in realtà la negazione di esso
e con ciò di ogni determinazione nel grande. Il “numero” infinito
non è più nè ‘pari’ nè ‘dispari’, e neppur quindi aumentabile più, nè
diminuibile. Esso è dunque qualcosa di affatto compiuto, al contrario
dell’infinitamente grande che è in un continuo'flusso; e sta a questo come
all’infinitamente piccolo sta lo zero. Come nello zero non c’è più
possibilità di rimpicciolimento, cosi non ce n’è più di ingrandimento nel
transfinito o tras-finito. Questo è la negazione della grandezza misurata
nel grande, e lo zero la negazione della grandezza in generale e con ciò
della grandezza nella direzione deH’infinitamente piccolo. Lo
zero come l’infinito assoluto sono non tanto quantitativamente quanto
per qualità diversi da ogni altra grandezza. L’infinitamente piccolo e grande
sono in un continuo flusso, lo zero e il transfinito sono invece forme
fisse ; il prin¬ cipio generativo dei primi non è applicabile ai
secondi. DaH’infìnitamente piccolo allo zero e dall’infinitamente
grande all’infinito assoluto c’è, a dir proprio, un salto. Duhring: Neue
Grundmlttel, ecc. Lo zero e l’infinito assoluto o trasfinito si fanno dunque
riscontro. Ed erra «quindi Lasswitz che nega esserci qualcosa di
corrispondente a que- Nel primo
caso il passaggio sta non nel rimpiccilire all’infinito per successive
divisioni la quantità piccola in modo che avanzi pur sempre un resto, ma
nell’ultimo atto risolutivo col quale si sottrae interamente il resto
stesso. Nell’un caso si riman sempre nel campo dell’infinitamente piccolo,
nell’altro si salta propriamente dalla quantità al nulla di essa. Una
quantità non viene mai esaurita col sottrarre ripetutamente anche
all’infinito una nuova parte del sempre nuovo resto. Bsogna togliere in
ima volta l’intero resto altrimenti si avrà una convergenza continua
verso l’irraggiungibile zero, ma non mai propriamente lo zero. E solo in
quest’ultimo caso sarebbe veramente esaurita la grandezza. Non bisogna prender
per esaustione reale una infinita approssimazione. Ciò che e l’ESAUSTIONE è
solo tale fino ad un infinitamente piccolo. Ma questo vien da essa
lasciato inesaurito. L’saustione non à luogo che con un salto alla Peano, ossia
con un vero passaggio. La inter-polabilità infinita di posizioni
tra punto e punto non toglie che da posizione a posizione il
passaggio debba rimanere E come v’è un salto da un punto a un altro in
una linea, cosi v’è da un punto al punto ultimo col quale la grandezza
finisce. Solo col st’ultimo. (Lasswitz: Zum Problem der Continuitdt,
Philosoph. Monats - hcfte); come pure e più erra Wundt che crede cadere
nel differenziale ogni differenza essenziale tra l’infinito e il transfinito o
trasfinito. Wundt: Kants Kosmologische Antinomien u. das Problem der
Unendlichke.it Philos. Studien II, 527: (che) das
Intinitesimalsy.nhol ebenso gut in Siane einer unendlich zudenkenden
Abnahme einer gegebener Grosse, wie im Sinne des bereits vollzogenen Processes-
dieser Abnahme gedacht werden kann. Hier fàllt niimlich ein wesen-
tlichcr Unterscbied des Infiniten und Transfiniten vollig hinweg. -- passaggio
allo zero si à però un risultato differente non tanto per quantità quanto
per qualità dagli altri. D’altra parte lo stesso risultato
qualitativamente differente si à nel secondo caso del passaggio dall’infinitamente
grande al transfinito o tras-finito. Praticamente si può concliiudere è vero
dal caso dell’incoutro di due rette a distanza infinitamente grande al caso
delle parallele, in quanto si astrae dallo sbaglio infinitamente piccolo,
e si pone come identico il risultato solo infinitamente approssimativo.
In realtà però mentre il punto d'incontro si allontana infinitamente all’vvicinarsi
delle due rette al parallelismo senza raggiungerlo, raggiunto che
questo sia, esso è scomparso, essendo per sè la infinita estensione della
linea LA NEGAZIONE DELLA POSSIBILITa d'uu punto d’incontro, poiché questo
le farebbe finite. Ed à luogo allora quella illimitatezza od infinità
assoluta della retta, la quale è la negazione della grandezza misurata
nel grande, come lo zero è la negazione della grandezza in
generale. Un indubitabile significato si lascia dare al transfinito
o trasfinito, come vedremo in séguito soltanto nella serie infinita dei
processi del tempo passato. Il nostro regresso che assume qui la forma
dell’infinitamente grande, procede in base al transfinito o trasfinito della
realtà, poiché esso trova e suppone necessariamente come dati sempre piu
membri della serie di quelli che esso raggiunge. Se si fosse co¬stretti a
pensare l’universo infinito in estensione si avrebbe una seconda applicazione
reale del nostro conti) Diihring , luogo citato. «etto ; ma rimanendo insolubile la
questione se la natura o L’UNIVERSO o il numero dei stelle sia o no
infinita, non si à che l’applicazione di esso allo spazio puro. Ed ecco
la dimostrazione che dà di questa Dtihring, colla quale egli stabilisce appunto
la distinzione dell’infinito relativo dall’infinito assoluto. La tangente di un
angolo che differisce da 90° di una infinitamente piccola differenza, è
come la rispettiva secante infinitamente grande. Ad ogni grado di
riin-piccioliinento della differenza risponde un grado di ingrandimento della
tangente e della secante dell’angolo. Cosi il punto in cui le linee si
tagliano si fa sempre più lontano. Rimane però sempre dato un incontro
reale delle linee fin che sia data una per quanto piccola
divergenza da 90°. Se si à invece una differenza uguale a zero ossia
se non se ne à alcuna, non si à nemmanco più propriamente una SECANTE nè
una propria TANGENTE. Entrambe le linee loro corrispondenti non si tagliano
più. Nel caso dello zero o, ciò che sarebbe lo stesso, per la CO-SECANTE
e la CO-TANGENTE di 0 non esiste più alcuna grandezza, allo stesso modo
che nello zero medesimo. Intatti la illimitatezza di una linea non è già
una quantità della stessa j ella è invece l’assenza d’ogni determinazione
quantitativa. In tal modo allo zero dall’una parte corrisponde dall'altra
l’illimitato non quanto (das grossenlose Unbegrenzte). Il caso
dell’infinitamente grande si distingue da quello dell’infinito assoluto
per questo, che la possibilità (della illimitata estensibilità) non
figura come per sè data, ma vien 'riferita alla nostra
attività. Vedi sotto n. 5. Di pio quest’ultima possibilità vien
sempre rappresentata coinè dipendente di un’altra, in modo che
dall’infinito rimpicciolimento e dal grado di questo dipende
l’infinito ingrandimento e rispettivo grado costantemente corrispondente
Una distinzione simile a quella di Diihring à fatto in riguardo
all’infinito Cantor, seguito in ciò da Wundt e seguito pure, sebbene con
qualche riserva, da Lasswitz. Ad essa fa però assolutamente difetto
quella spiccata razionalità che è la caratteristica della filosofia di
Diihring. Crede Cantor che la serie dei numeri si lasci pensare non solo
come compiutamente- infinita, ma come compiuta totalità. Cantor stima che
si lasci pensar radunato in un tutto ogni numero intero positivo
(3). L’aver sconosciuto l’inapplicabilità del concetto di totalità al
transfinito o tras-finito è la cagione dell’assurda nozione che s’è fatto
Cantor di questo. Infatti perciò à e Cantor potuto credere che il
transfinito o trasfinito pnssa trovarsi nel finito stesso quasi come suo
sostrato, e servire cosi alla spiegazione del continuo e del NUMERO
IRRAZIONALE. Ma qui non si ferma Cantor : chè anzi la vera originalità della
sua dottrina vede egli nelle differenze essenziali da lui trovate nel campo
stesso dell’infinito assoluto. Si tratta infatti per lui sopratutto
dell’ampliazione o proseguimento della reale serie dei numeri intieri
Duhrinq. Logik. Cantor: Grundlagen einer
Mannichfaltigkeitslehre; Zur Lehre vom Transfinite.] oltre l’infinito
medesimo. Egli non ottiene solo un unico numero intiero infinito, si bene
una infinita serie di tali numeri come benissimo tra loro distinti. Vi
sarebbero cosi infinite classi di numeri ; la l a classe sarebbe la
serie dei numeri finiti 1. 2. 3... v..., ad essa terrebbe die¬ tro la 2 a
classe composta di successivi numeri intieri infiniti in ordine determinato. Dopo
la 2 a si verrebbe alla 3 a e alla 4 a classe e cosi all’infinito. In tal
modo naturalmente l'infinito propriamente detto (“das eigentlicbe Unendliche”)
non sarebbe ancora il vero infinito (“das walire Unendliche”) o
l’assoluto. Chè anzi Cantor espressamente fa notare che in tal guisa non si
arriverà mai a un limite ultimo, e neppure a una sia pur
soltanto approssimativa comprensione dell’assoluto, il quale solo è
un infinito non più oltre aumentabile. Con ciò il transfinito o trasfinito,
quantunque determinato e maggiore d'ogni finito, avrebbe assurdamente
comune col finito il carattere della illimitata aumentabilità. Cantor dà
per esempio del transfinito o trasfinito la totalità dei numeri finiti,
confessa però non darsi, o almeno pel nostro animo, una totalità dei
numeri transfiniti, ossia l’assoluto o il vero infinito non poter venir
concepito, quantunque necessariamente postulato. Qui dunque ritorna la
difficoltà del problema, e questa volta Cantor confessa di non saperla
sciogliere. Con ciò dà Cantor stesso involontariamente la miglior critica della
sua teoria dell'infinito. Il suo transfinito o trasfinito del resto non è in
fondo altro che l’infinito dell’animo di Spinoza e BRUNO [ Grundlagen. Zur
Lehre. Illusorie come la infinita totalità sono le altre proprietà clie
Cantor crede dover attribuire ai suoi immaginari numeri della nuova serie
al DI là DELL INFINITO. Cosi il
non esser questi più soggetti alla LEGGE DI COMMUTAZIONE (p e q = q e p) (1)
è una evidente ASSURDITà che rivela una inesatta concezione dell'infinito
assoluto. Questo infatti è indifferente in riguardo al più e al meno. Ad
esso non si può nè aggiungere nè togliere, come quello che non si lascia
originare per via di operazioni. Per poter ad esso aggiungere qualche cosa
converrebbe pensarlo dato quale compiuta totalità. Dia è falso che l'infinito
si lasci concepire in tal guise. Cosicché invece di operare con esso si
opera inavvedutamente con una quantità pur essa finita (2). Il
concetto formulato da Diihriug dell’infinito assoluto non è nella storia
dell’ONTOLOGIA del tutto senza precedenti, per quanto la critica da lui
fatta dell’infinitesimo possa assai più facilmente rannodarsi a
quella del Locke e di Ivant da una parte, e dall’altra a quella di
Carnot, che non si lasci questa sua nuova distinzione rannodare a’ suoi
precedenti storici (3). Vera¬ ci) Cantor: Grundlagen. Bradwardinus
distingue nel suo trattato “De Continuo”, come espone Cantor (Geschichte d.
Mathematik), “ zwei Unendlichkeiten, die “kathetische” und die “synkathetische”.
“Katlietisch” oder einfach unendlich ist eine Grosse die kein Ende hat.”
Syn-kathetisch” unendlich ist eine Griisse der gegenùber es eine endliche
Gròsse giebt und ein andsres gròsseres Endliche, und wieder Eines gròsser
als jenes Gròssere, und so oline dass ein Letzes sicb fiinde, welckes
den Abschluss bildete; aucli dieses ist immer eine Gròsse, aber nickt
wenn es mit Gròsserem verglicken wird. Man erkennt leicht dass das
kathe- tisck Unendliclie Bradwardinus das Ueberendliche oder
Transfinite ‘mente l’INFINITO
POSITIVO di Descartes, di GIORDANO BRUNO e di Spinoza è un concetto che
tradisce un’origine quasi del tutto- ancora scolastica. L’infinito inteso
coinè attributi necessario dell’essere è una concezione comune a BRUNO, e
mostra chiara la sua derivazione da un altro concetto. Quantunque esso
non ha in BRUNO questa sola origine ‘divino’ (1). unserer
neuerer Philosophen ist, dem von Anfang an das Merkmal der Begrenztheit,
welches deu endlichen Gròssen zukommt fehlt, wàhrcnd das “synkathetisch”
Unendliche mit den Endlosen oder Infinitcn ùbercin stimmt, welches aus der
endlichen Grosse durcli unbegrenztes Wa- chsen hervorgelit. BRUNO capovolge la dottrina di
Aristotele. Risolve arditamente e con grande acume il continuo ne’ minimi onde
liberarsi dalle contraddizioni svelate da SENONE DI VELIA, come farà poi
anche ma meno felicemente Hume, e accetta l’infinito nel grande: gli atomi e la
infinità del mondo. (V. Acrotismus, art. XLII, citato dal TOCCO, Le opere
di BRUNO, p. liti: De Minimo). Devcsi
però avvertire che il minimo è per BRUNO ancora una grandezza che ei pensa
giustamente, come fa anche Hobbes, relativamente trascurabile nel calcolo. Il
progresso infinito nelle divisioni è solo una continua possibilità dell’animo,
mai un’effettività. BRUNO non nega all’animo, all’immaginazione o alla ratio, a
distinzione della mensì di poter ulteriormente suddividere il minimo all’infìnito,
-- dum non promere subiectae credat con- formia rei. — Intìnitae
progressioni IMAGINATIONIS seu mathesis NATURA non respondet neque ullus
usus ARTI-FICIALIS obsecundat. De Min. I, 6, 7, 8. Tuttavia anche alla
matematica vorrebbe BRUNO dare una base atomistica, facendo valere pel concetto
del corpo matematico ciò che vale per quello del corpo fisico. In questo
anzi non sa BRUNO liberarsi dalla influenza dell’aristotelismo, pel quale
ciò che vale della materia doveva naturalmente valere dello spazio. Il suo
strano tentativo ricorda l’antica dottrina delle linee indivisibili o
atomiche di Senocrate, anch’essa stabilita per evitare le stesse contraddizioni
del continuo messe in chiaro dalla critica dei veliani (V. nello scritto -epì
à-riuiov ypaujLùv Apelt, Beitrcige z. Geschichte d. Griech. Philosoph.
dove ne è anche data la traduzione, p. 271 e seg.) Della dottrina
atomistica di BRUNO riconosce giustamente il merito Lasswitz (“ Bruno und die
Atomistik”, Viertelsjahrsschift f. icissensch. Tuttavia alcune importanti
considerazioni sono comuni al Cusano (1) e a quest’ultimo sulla natura
dell’infinito ossia sull’esistenza di un unico infinito in riguardo al
quale non possa esservi divisione possibile uè disuguaglianza se misurato immaginariamente
da misure differenti (2). L’infinito assoluto considera poi Spinoza
come dato nei noti due cerchi l’uno dei quali è dentro all’altro e che non
si toccano nè sono concentrici, esempio ricavato da Cartesio (Principii)
e da Spinoza medesimo già illustrato nella esposizione dei principii cartesiani
della filosofia. Ma come è impossibile che la materia mossa tra due
cerchi possa realmente dividersi all’infinito, cosi è impossibile farsi un
concetto di una infinità assoluta di disuguaglianze come effettuata
dalla relazione di quelli. Poiché data questa infinità non è nè può
essere. Altrimenti la potremmo anche pensare effettuata in un qualunque
segmento di linea da’suoi punti infiniti. Una tale infinità non può cosi
che venir riferita alla facoltà della nostra mente quale suo fondamento ;
non può esser che un caso di infinita possibilità come lo è quello
dell'infinitamente grande. Philos. Vili, 33): “BRUNO hat darci» (lcn
erkenntnisstheoretiscben Ausgangspunkt seiner Monadologie sicli das bleibendc
Verdienst erworben, den Atombegriff klar und wiederpruchslos dargestellt
zu haben. So lange das Atom nur als Letzes der Theilung gilt, blcibt es
immer fraglich, ob man auf ein solches Kommen masse. Erst die Einsicht,
dass es ein Krfordcrniss dcs Erkennens istein Erstes der
Znsammcnsetzung zn liaben, macht den Atombegriff za einem
nothwendigen. Cusano, Dada ignoranza. Già Aristotele tiene per
inapplicabile ad ogni grandezza l’intìnito attuale, ma perciò appunto ne
aveva rifiutato il concetto. Il caso (lei due cerchi si lascia
ricondurre a quello d’ogni grandezza continua. Ora l’esame del continuo
non può per sè mai darci l’infinito assoluto ; il continuo riceve i
termini che noi segniamo in esso senza lasciarsi però mai esaurire da
successive suddivisioni. Con ciò esso non ci dà che il campo di una regola
d’operazioni infinite, rimanendo pur sempre finiti i risultati di
queste. Che le parti del continuo non si lascino esprimere con alcun
numero (nullo numero explicari possunt) indica solo che sarebbe, contradittorio
pensare come raggiunto il risultato d’una operazione infinita ossia da
ripetersi senza fine. Il continuo non ci dà insomma che l’infinito
relativo. E così ciò che Spinoza distingue dall’infinitamente grande non è in
realtà l’infinito assoluto. Esso è soltanto lo stesso infinito relativo
nella direzione opposta del primo, ossia nella direzione del piccolo.
Ammette inoltre Spinoza che l’infinito propriamente detto può esser
suscettibile di più e di meno. Ma non è esso allora cangiato nel finito?
(2) e non dice egli altrove che SPAVENTA, Saggi critici, seguendo Hegel
trova la distinzione dello Spinoza dell'infinito della immaginazione da
quello dell’ANIMO veramente profonda, e ravvisava in questo ultimo
fissato il concetto dell’infinito assoluto che trascende ogni
determinazione. Infatti però esso non può rappresentare che lo
stesso infinito della immaginazione. (2) Vedi lettera XXIX. In
complesso questa importante lettera parmi mostrare molta incertezza
malgrado il tono suo dommatico e tanto sicuro. I due unici esempi che Spinoza
porta dei molti che ei dice avrebbe potuto addurre dell’infinito dell’ANIMO,
non sono omo-genei. La infinità dei moti che furono, e la infinità delle
disuguaglianze dei due cerchi non cadono sotto uno stesso concetto. Lo stesso
abbiamo notato del transfinito o trasfinito di Cantor, il quale dovrebbe
del pari esprimere appunto e l’intervallo ( 0.1) come totalità infinita, e
il complesso della serie dei numeri intieri positivi. (3) Etica, I,
prop. XV. è un assurdo che un infinito possa essere il doppio
di un altro? A questo assurdo risultato arrivano tutti quelli che
pensano potersi DARE L’INFINITO NEL FINITO medesimo. Di Locke s’è visto
qual razionale concetto egli ha dell’infinitamente piccolo e grande. Locke non
sa tuttavia considerare l’infinito altro che nella illimitata addibilità e
divisibilità, per cui non intese l’infinito assoluto. Locke analizza con una
grande acutezza soltanto le funzioni dell’ANIMO in riguardo all’infinito,
non però il riscontro loro oggettivo. Infatti e questo per Locke
ancora Dio, il quale oltre i confini raggiungibili dal nostro ANIMO
coll’illimitato progresso, riempiva tanto l’infinito del tempo che quello
dello spazio (1). Ed è cosi che Locke puo pensare esser l’idea positiva
di infinito troppo ampia per una capacità finita e angusta come la nostra
(2). Kant scioglie trionfalmente tutte le difficoltà che incontra Locke
nell’esame dello spazio (3), e fissa l’idealità di questo. Una idealità
che se è conseguenza delle stesse ragioni che l’avevano fatta necessaria
ai veliani, à però, un significato e una giustificazione scientifica di gran
lunga superiore. Ma quanto al concetto proprio di infinito Kant non fa un
passo oltre Locke. E neppure Hume e andato più oltre sulle tracce di
quest’ultimo. E’ non sa anzi per il metodo suo empirico apprezzare la bella
trattazione lockiana dell’infinito, in cui la funzione SINTETICA dell’animo
trovava una cosi Locke : Essay on Human Under ai. giusta e
importante bencliè non del tutto consapevole applicazione. Hume, senza
esaminare particolarmente l’infinitamente grande, si volge in special modo a
considerare l’infinito nel piccolo. Ciò che più, come già GIORDANO BRUNO, imbarazza
il grande scozzese è la considerazione della infinità nel continuo, ossia della
infinita divisibilità, la quale egli non distingue dall’infinito esser
diviso, ossia dalla infinita divisione effettuata. Il suo empirismo,
confondendo il reale colla forma, lo porta a stabilire lo spazio come
composto di punti visibili e sensibili (meno risolutamente però nella “Inquiry”)
; e il tempo della somma dei minimi delle sensazioni. Come può, si
domanda egli, un infinito numero di infinitamente piccoli non dare una
grandezza infinitamente grande? o, come può un tal numero esser compreso
allo stesso modo in una data grandezza che in una doppia di quella?
Come può passare il tempo da un punto all’altro per un numero infinito di
parti reali successivamente esaurientisi ? Sono in conclusione le stesse
contraddizioni svelate dapprima da Senone di Velia, l’amato di Parmende. Senone
conclude col negare lo spazio e il moto. Hume invece accusa L’ANIMO STESSO
senza dare soluzione alcuna definitiva. L’aver confuso la forma col reale, e il
non aver più acutamente esaminate le funzioni sintetiche dell’ANIMO sono
la ragione della infruttuosità delle sue ricerche sull’infinito. Locke è
insomma l’unico tra’ filosofi moderni, o alti) Treaiise; Essays, edizione World
Library. Exsai/s (4; Hume: Essai/s. meno sino a Diiliring, che
segna un notevolissimo progresso nella razionalizzazione del concetto di
infinito. D’altra parte tra’ matematici, dopo le lunghe discussioni sulla
natura dell’infinitesimo, si fa strada, è vero, con Carnot, e con Cauchy,
in séguito, l’opinione della arbitrarietà del differenziale, ma riman pur
sempre come sfondo oscuro l’infinito esatto, una sfinge che i matematici
dichiarano spettare AL ONTOLOGO di interrogare. E con ciò la mente è
ben lontana ancora dal trovarsi appagata. Con Gauss poi, e dietro a lui
con Riemann e con Steiner e con tutti i geometri anti-euclidèi, la nebbia
che avvolgeva l’infinito s’è fatta ancora più fitta, e rimarrà cosi
quale indizio dello spirito mistico dell'epoca nostra, la quale non
sente quel bisogno vivo e quell’amore della chiarezza che cosi grande
aveva il secolo decimottavo Nfe i filosofi del nostro secolo sono certo fatti
per confortarci della mistica incertezza dei matematici e sbugiardare così il
notato carattere generale dello spirito del decimonono dicontro al
secolo precedente. (V. più sotto di Hamilton e Spencer n. 8). Dove
l’universo, come presso Democrito e gl’epicurei, o presso GIORDANO BRUNO e
Spinoza si stabilisce dommaticamente infinito, l’ONTOLOGIA non s’è ancor
spogliata di tutti gli elementi puramente poetici. Col criticismo
mo¬ derno la questione della reale estensione dell’universo si è
fatta essenzialmente empirica. La illimitatezza della nostra concezione dello
spazio non ci garantisce una infinità oggettiva materiale. Empiricamente non si
lascia dimostrare nè la finitezza nè la infinità dell'universo; È
chiaro che chi volesse supporre un riscontro materiale assolutamente completo
della nostra concezione infinita dello spazio correrebbe dietro una chimera. La
nostra rappresentazione dello spazio il la sua spiegazione nella costante
unità della coscienza e nella sua libertà del porre e dell’oltrepassare
continuamente il posto. Ora a questa funzione de nostro ANIMO non si deve
attribuire senz’altro un carattere oggettivo. Al contrario fa il Urtino
infinito il mondo appunto perchè è infinito lo spazio, ritenendo che la
materia stia allo spazio come questo a quella: “ e se non v’ha differenza
tra spazio e spazio, non c’è nessuna ragione che solo quel breve tratto
occupato dal nostro sistema planetario sia pieno e tutto il resto
dell’immenso spazio vuoto. „ Cfr. Schopenhauer (Die Welt als Wille ecc.).
il quale commenta gli argomenti affatto ineritici di BRUNO e vorrebbe
farli servire a dimostrare anche la infinità del tempo. altro che il
finito noi non possiamo raggiungere e non possiamo mai giudicare se altro
non vi sia più oltre da raggiungere nella realtà. Se essa stessa abbia o
no dei limiti come gli à costantemente la nostra RAPPRESENTAZIONE. L’infinito
COME TALE non può diventar oggetto DELLA NOSTRA ESPERIENZA. Ma se questa è per
la sua natura limitata, non perciò dobbiamo pensar limitata la realta
inconscia. Il concetto nostro dell’universo sarebbe dunque sempre solo
comparativo. Certo è però che praticamente l'universo sarà per noi
costantemente finito, poiché altro che in limiti finiti non può venir da
noi conosciuto. Il principio della costanza della materia e della
forza non basta, come crede Rielil (1), a dimostrare la finitezza della
massa dell'universo. Seia massa si fa infinita, dice Riehl, verrebbe a
mancarle con ciò ogni determinazione quantitativa, il che è incompatibile col
concetto stesso di massa. Ogni determinazione le mancherebbe
però naturalmente se considerata solo nella sua
trascendente totalità, non mai invece nel finite. Nè d’altro che di
masse finite può aver ad occuparsi l’uomo. Il grande principio della
costanza della materia e della forza, nota ancora Riehl, diventerebbe una mera
e inutile TAUTOLOGIA, data la infinità loro. Non potendo evidentemente
l’infinito venir nè aumentato nè sminuito. Neppur questo è giusto. Il
principio in discorso sarebbe tautologico se stabilisse appunto la costanza
della materia infinita come tale. Non se, come esso fa, stabilisce quella
del finito in essa datoci. Infatti la conservazione costante del
finito [Riehl, Ber pMosoph. Kriticismus. non è (lata analiticamente
colla inalterabilità quantitativa dell’infinito, poiché come l’infinito non è
toccato da addizione o sottrazione, cosi potrebbe, posta infinita
la materia, il finito in essa assolutamente crearsi o annichilarsi senza
contraddizione alcuna. G. Mentre la estensione e la massa dell’universo
sono presumibilmente finite, ma nessuna necessità apriorica od
empirica ci sforza a pensarle piuttosto finite che infinite. In riguardo al
tempo concorrono invece necessità dell’esperienza e dell’ANIMO a farlo
nel REGRESSO assolutamente infinito. Il problema cosmologico del tempo non à
tuttavia avuto sinora una soluzione definitiva. A il tempo reale mai avuto
principio? Vi fu nell'universo o nell’essere un primo cangiamento? E se il
tempo non à avuto principio, ed è nel passato infinito, come può
senza contraddizione venir pensata cotesta sua infinità? Che il
cangiamento abbia una volta cominciato è, per il principio di causalità,
impossibile ammettere. La ausa di un cangiamento deve cercarsi a priori
in un cangiamento anteriore e cosi via all’infinito. Un cangiamento
assoluto è empiricamente impossibile e a priori inconcepibile. Vi sono
nell’essere ultime ragioni dei processi, ma non ultime cause. In ogni
punto del tempo è esistita la serie delle variazioni. Non che nel
concetto di sostanza si trovi unita necessariamente coll’esistenza
l’azione, come crede il Rielil, e che non lasciandosi quindi
disgiungere il fare dell’essere dalla sua esistenza, venga ad esser
perciò inconcepibile la sostanza scompagnata dal cangiaménto.
Inconcepibile sarebbe solo una esistenza vuota, ossia scompagnata dalla
essenza. La forza potrebbe però concepirsi ovunque come in equilibrio
stabile, e con ciò l’universo come privo di ogni mutamento. Vi è una
condizione del divenire cbe non entra mai come membro nella serie causale
-- è questa il fondamento ultimo d’ogni fenomeno, la ragione della loro
possibilità. Un tal fondamento riman quindi come fuori del
tempo ossia veramente ETERNO, senza origine nè fine. Non è cosi dei
cangiamenti o degli stati momentanei dell’essere. Lo stato precedente a un
DATO momento nella serie molteplice dei cangiamenti, se fosse sempre esistito,
non avrebbe mai prodotto un effetto cbe si origina solo nel tempo;
auche quello deve dunque aver avuto una causa, e cosi all’infinito. Delle
cause non ve ne può essere una cbe da sè inizi assolutamente una serie;
ogni causa di cangia¬ mento è essa stessa un cangiamento, e suppone con
ciò un’altra causa, un altro stato cbe la spieghi. Tutto è seguenza nella
serie, e un principio assoluto è un assurdo. Una prima causa del
cangiamento per cui avvenga qualcosa cbe anteriormente non era, non è in alcun
modo a connettersi coll’esperienza. La fine della primitiva
quiete nell’ essere senza una causa che la faccia cessare è un
pensiero irrealizzabile. Esprimerebbe una spontaneità incomprensibile, anche
formalmente, cbe noi non possiamo accettare sensa derogare alle leggi
della conoscenza e della natura. Come la legge della causalità non conduce
fuori della causalità empirica (all’Assoluto), cosi non conduce fuori del
cangiamento. Esenti da mutazione rimangono soltanto la sostanza e le
sue qualità originarie, ossia in generale gli elementi, per cui solo sou
possibili le variazioni. La causalità è applicabile unicamente ai
cangiamenti, di modo che causa di un cangiamento non può mai esser che un
altro can¬ giamento, non una cosa come tale. E quindi unicamente
l’ideniico che sta a base del vario FENOMENICO che non à nè causa nè
ragione, se non quella almeno che con Schopenhauer potremmo chiamare la
ragione dell’essere, o di identita. La medesimezza con sè stesso è
infatti la ragione della sua eterna esistenza. Dove non c’è variazione
non c’è causa da ricercare. Poiché causa non è che la ragion reale del
cangiamento. Una variazione che non procedesse in base a qualcosa di
stabile è un assurdo. Degli elementi non si dà quindi nè generazione nè
corruzione alcuna. L’essere non è mai causa; le cause che la scienza
rintraccia sono cangiamenti, e le leggi sono la uniformità e costanza del
loro succedersi. Tanto l’essere universale quanto la materia e la forza
sono fuori della catena causale. Nn sono per sè causa, si bene la
ragione della connessione stessa causale. E cosi l’essere non si
può porre quale ultimo anello della causalità. Tanto il più remoto
fenomeno immaginabile quanto il presente presupponendo l’essere, il fare
dell’essere. Un sistema dinamico non può mai per sè stesso originarsi da
un sistema STATICO, come neminanco può a questo passare. Sempre le forze
si son misurate a vicenda, ed elementi di esse si son fatti equilibrio ed
altri ànno prodotto dei cangiamenti col lavoro meccanico; ed equilibrio e
lavoro sono sempre stati necessari da una parte per conservare i
cangiamenti lenti concretatisi, ossia in generale le forme durevoli, e
d’altra parte per alimentare la vicissitudine o la vita nell’essere. Il
voler dunque tro¬ vare un principio della mutazione sarebbe lo stesso
che credere che la materia una volta non sia esistita. Il sor¬ gere
della coscienza a un dato momento nell'universo, che il momento innanzi
noi possiamo immaginare come affatto privo di vita conscia, non è uua
creazione assoluta, nè rappresenta una infrazione alle nostre leggi
della conoscenza dell’animo. Perchè quell’apparizione della vita conscia
noi non l’abbiamo a pensare che come una combinazione di elementi,
nè di elementi v'è creazione, poiché essi esistono eterni. Pensare la
combinazione come occasionata dallo svolgersi delle variazioni non à
nulla di sovrannaturale. Certo la coscienza nella sua natura generale non
à causa; ad essa come agli elementi ultimi d’ogni realtà è applicabile soltanto
ciò che s’è detta la ragione dell’essere. Altra è però la questione della
sua fenome¬ nologia- In questa come nella fenomenologia generale la
causalità à il suo regno. Se la coscienza al pensiero si presenta come
originata dal NULLA, gli è perchè le sue cause, nella loro natura
oggettiva materiale, non possono in essa evidentemente comparire. Gli
elementi di coscienza, o meglio le disposizioni alla coscienza nella
realtà inconscia sono ora come latenti o neutralizzate: una data
combinazione materiale ecco ne suscita la luce subitanea. Il sorgere del
cangiamento in generale implicherebbe invece una derogazione alla legge
fondamentale dell’ANIMO; noi non lo possiamo in modo alcuno concepire,
e la realtà empirica ci costringe ad ammettere il contrario. Il variabile
non è per sè stesso intelligibile senza un identico a sostrato. La
identità dell’io come dà origine alla ragione logica cosi la dà a quella del
cangiamento reale. Le diiferenze come tali non possono farsi contenuto
della coscienza. Per esserlo anno a venir riferite a una totalità identica.
Ammesso che cangiamenti potessero avvenire senza conseguire ad altri,
verrebbe a mancare la connessione dei fenomeni secondo leggi costanti. Il concetto
di natura perderebbe la sua unità e l’ONTOLOGIA con ciò ogni fondamento.
Le leggi dell’animo si incontrano invece con quelle della realtà. È chiaro
che come l’animo è la condizione inevitabile della esperienza, e con ciò
del nostro mondo fenomenico, cosi le sue leggi o funzioni generali devono
anche di quello esser leggi a priori, o assolutamente valide
indipendentemente da ogni esperienza. Ciò non toglie tuttavia che coteste leggi
possano venir trovate, come vengono in realtà, consone alla natura propria
delle cose, ossia non imposte loro direi quasi arbitrariamente, perchè
nelle cose sono le stesse leggi quantunque impensate. Che anzi in
riguardo al fatto dell'esperienza, in riguardo alla unità sistematica
dell’essere e dell’ontologia, potrà trovarsi necessario di veder nelle
leggi che la coscienza applica a priori alle cose nuli’altro che un
riverbero o meglio null’altro che l’espressione soggettiva delle
determinazioni autonome della stessa realtà inconscia. Ponendo un
principio del tempo reale e con ciò un cominciamento delle causalità non
si sfugge d’ altronde alla domanda. E perchè non prima? Se il primo
cangiamento non ebbe causa, o perchè è esso avvenuto
solo, mettiamo,parecchi quadrilioni di secoli fa? È vero che non
si ammette una causa che l’abbia chiamato all’esistenza, ma nemruanco
si dice che qualche cosa l’abhia impedito di nascere prima. Per questo,
per quanto lo si allontani dal presente, esso riesce sempre troppo
vicino. Richiamarsi alla originarietà dell'essere come fa Duliring,
alla sua effettività indipendente da ogni pensiero e da ogni
ragione, richiamarsi alla natura della realtà inconscia, cui il pensiero
non può mai ricevere completamente in sè stesso, mai fondare in senso
assoluto, ma soltanto ammettere come fatto, non è permesso quando intanto
alla stessa effettività della natura impensata dell’essere evidentemente
si contraddice. Si contraddice, dico, poiché, lasciando da parte
l'analogia del pensiero che ammesso il cangiamento non sa vedere come
esso possa originarsi in modo assoluto, noi non abbiamo in realtà
conoscenza alcuna di un cangiamento cui un altro non preceda, ogni
cangiamento che apparentemente si presenta come tale — il nuovo
nell’evoluzione — noi lo riduciamo è vero alle forze o forme, agli
elementi costanti dell’essere de’ quali non c’è ragione a domandare. Ma il
perchè della loro manifestazione appunto in un tale momento e non
in altro, è nell’ininterrotto cangiamento collaterale, occasionai e in rapporto
a quello. Ben possiamo invece richiamarci noi alla assoluta autonomia della
realtà, che nulla ammettiamo contro il suo reale manifestarsi,
quando diciamo che in senso assoluto non c’è una ragione del perchè
quest’oggi, poniamo, sia proprio ora e non sia già stato in passato o non
abbia piuttosto a venire in futuro, che v’è tanto poco ragione di questo
suo essere Logik. il, Wiscnschaftsftheorsie, presente che della esistenza
stessa universale : dacché come questa non à inai avuta fuori di sè la
ragione del suo essere, così nemmanco il suo fare, il suo divenire interno.
In qualunque punto del tempo noi fissiamo l’essere, non lo troviamo
mai privo di determinazioni, perchè queste sono autonome; e dal suo stato in
dato momento dipende ogni sua ulteriore evoluzione ; come però non c’ è
un momento in cui l’essere non sia, nemmanco ve n’è uno in cui esso non
abbia un suo stato determinato. E cosi che del divenire v’ è sempre la
ragione in un divenire anteriore, ma del divenire in senso assoluto, v’è
tanto poco un perchè quanto dei suoi durevoli elementi. In ciò che
esiste è la ragione di ciò che esisterà ; in ciò che à esistito la
ragione di ciò che esiste. Nella origina¬ ria nebulosa è la ragione
dell’attuale disposizione del sistema nostro solare, ed in altri processi
cosmici ebbe essa stessa la sua origine, i quali se la scienza non
può oggi rintracciare, non è però assolutamente impossibile che un
giorno ella trovi, e che ad ogni modo sono necessariamente avvenuti. Il
cangiamento non à dunque avuto principio. Ed ecco appunto dove sorgono
specialmente gravi, e a molti filosofi son parse insormontabili, le
difficoltà del problema cosmologico del tempo. Si è sempre trovato,
e Cusanus, Opera, Complementura theologicum, Si enim numerare
possumus decem revolutiones praeteritas, et centum, et mille, et omnes. Si
quis dixerit non omnes esse numcrabiles, sed practeriisse infinitas, et
dixerit imam futuram revolutionem in futuro anno, essent igitur tunc
infinitae et una, quod est impossibile. Bacone, Novum Organimi , odi/.. Fcllow, Ne- Kant
è il filosofo che più vi à attira’ o l'attenzione, che ponendo la
mancanza d’ogni principio nella serie regressiva delle cause, si viene
conseguentemente ad ammettere che un’infinità di cause si sia esaurita, una
infinità di cangiamenti sia realmente tutta trascorsaci che contraddice
al concetto di infinito, ed è quindi assurdo accettare. Non solo Kant, ma
anche, tra gli altri, il più acuto forse dei filosofi post-kantiani,
Duliring (1) trova qui una insuperabile contraddizione, ed è stato da essa spinto
a stabilire che il cangiamento nel mondo abbia ad un dato punto cosi
casualmente senza ragione alcuna avuto un assoluto principio nell’essere,
cosa evi- quc.cogitari potest quomodo seternitas dofluxerit
ad lume diem; cum distinctio illa, quae recipi consuerit. quod sit
infinitum a parte ante et a parte post, nullo modo constarò possit; quia
inde sequeretur quod sit unum infinitum alio infinito maius, atque ut
consumetur infinitum et vergat ad finitum. Hobbes, il quale dichiara
insolubile la questione dell’ infinito in riguardo al problema
cosmologico, ammette tuttavia cautamente la infinità del tempo nel
passato e non si lascia ritenere dalla contraddizione di un infinito maggiore
di un altro che sarebbe data dalla relazione dell’infinito passato a
momenti diversi della serie temporale. Non sa però pensar
l’infinito assoluto in modo razionale poiché crede di vincere quella
supposta contraddizione obbiettando: « similis demonstratio est siquis ex
co quod numerorum parinm numerus sit infinitus, totidem esse
conclu- deretur numeros pares quod sunt simpliciter numeri, id est
pares et impares simul sumpti ». De corpore La impossiblità del “regressus
in infinitum in causis efficienticibus” REGRESSUS IN INFINITUM -- e un
principio riconosciuto della scolastica. È vero però che gli scolastici lo
facevano ancor più che a dimostrare un principio del tempo, o,
secondo loro, del mondo, servire a dimostrare (seguendo Aristotele nella
sua dimostrazione del PRIMO MOTORE) la necessità di una prima causa
assoluta. ossia ontologica. Cfr. il libro apocrifo Idella “Metafisica” di
Aristotele, secondo il quale non solo la serie delle cause nel passato, ma
anche quella del futuro sarebbe contraddittoria. Cursus der Philosophie,
Logik. luoghi citati. dentemente assurda, e tanto più per chi come lui è
sur un terreno affatto critico e scientifico. Io trovo al contrario che
la illimitatezza della serie regressiva dei cangiamenti si lascia senza
contraddizione alcuna concepire infinita o, più propriamente,
assolutamente infinita. Dtlliring, non à compreso come l’infinito assoluto
possa attribuirsi anche a ciò che è per sé numerabile. E cosi alla
infinità dei cangiamenti nel tempo ritroso, che è l’unico caso dove una tale
applicazione sia necessaria, egli à fatto invece quella ingiustificata
della sua manchevole legge del numero determinato. La difficoltà da me
superata sta in questo, cui nessuno, per quanto io mi sappia, à mai badato
sin’ora (I). I cangiamenti infiniti di cui si discorre non
involgono contraddizione perchè essi non sono nè furono mai dati come
totalità, ossia come complesso di una serie infinita. Acciò la
contraddizione esistesse, bisognerebbe che s’ammettesse tacitamente un
principio del cangiamento. Di fatti altrimenti nell’assenza d’ ogni
principio come si può dire. Ora, in questo momento si è esaurita uua serie
infinita di cangiamenti ? Ma da quando dunque? Si pensa con un tratto
indefinito di tempo di avvicinarsi di più all’ infinito del passato, mentre
in- -- Questa soluzione è gù brevemente enunciata nella mia “Lettera
filosofica” a I Simirenko” (Torino, Roux). Schopenhauer, Parcrga u.
Paralipomena: Wenn cin erster Anfang nicht gewesen wure, so tornite die
jetzige reale Gegenwart nicht erst, jetzt seyn, sondern wiire schou
liingst gewesen, dcnn zwischen ihr und dem ersten Anfange miisscn mir
irgend einen. jedoch bestimmten und begriinzten Zeitraum annehmen, der
min aber, wenn wir den Anfung liiugnen, d. h. ihn ins Unendliclic
hinaufruckén, mit hinaufriickt, ecc. ecc. E vece noi ne rimangbiaino
sempre alla medesima distanza. Qualunque punto del tempo si scelga, anche
milioni di milioni di secoli addietro nel passato, noi siamo sempre tanto
vicini lo stesso all’infinito di prima. Come noi per quanto risalghiatno
addietro non possiamo esaurire l’infinito che fu, cosi non dobbiamo
inavvertentemente ammettere che l'essere sia ne’ suoi cangiamenti
partito da un punto per quanto distante da noi. Poiché in realtà
ogni e qualunque suo cangiamento ne à sempre avuti dietro a sè una stessa
infinità di altri. Non è che l’essere avendo dovuto compiere i cangiamenti in
senso inverso di quello che noi tenghiamo nell’abbracciarli venga con ciò
ad aver esaurito una infinità di variazioni. Il tempo nella sua durata
bisogna considerarlo analogamente a una retta che in una direzione è
assolutamente infinita e nell’altra in ogni momento terminata, ma
prolungabile a piacere all’infinito. Come non implica contraddizione far
terminare a un punto una linea assolutamente infinita, cosi non la implica il
passato assolutamente infinito che si termina nel presente e può prolungarsi
senza limite nel futuro. L’errore di Kant e di Diiliring e di tanti altri
sta nel credere che posta la serie regressiva infinita si abbia con ciò
una totalità infinita. L’infinito passato invece non è nè può essere un tutto,
e non ammette quindi alcuna determinazione numerica, pur contenendo in sè
ogni numero. Tale infinità non involge, come crede Diihring,
l'assurdo di una contata (o percorsa , come direbbe Kant) serie infinita (“den
Widerspruch einer abgezàblten unendlicher Zalilenreihe”). In qual modo potrebbe
una tal serie esser contata? Non s’accorge Diihring che con ciò egli
ammette già quello che ei vorrebbe dimostrare, ossia un principio del tempo
reale? In verità è quella serie non contata, ma innumerata e innumcrabile,
ciò che detto di un infinito non inchiude punto contraddizione. Il moto
non à principio nel tempo, e: sino a un punto qualunque del tempo è
trascorsa una infinita serie di cangiamenti — non si equivalgono esattamente.
Con è trascorsa si vorrebbe tacitamente porre come dato ciò che è
impossibile a darsi. Di fatti la contraddizione scompare subito che si
dice: la serie dei cangiamenti nel passato è infinita. É trascorsa sembra
rinchiudere l’idea di un punto iniziale della serie, dove (die i
cangiamenti non si possono considerare un tutto o come serie completa
senza contraddire al concetto di ogni assenza di principio. Una infinità
di cangiamenti, una infinità di momenti del tempo non è trascorsa,
sibbene l’infinito trascorre sempre, e in ogni momento è esistita la
serie dei processi. La successione perpetua è appunto la forma
della infinità del tempo. Se si dice che l’infinito è trascorso si
scambia, a jiarlar esattamente, il suo concetto, ponendo in vece sua
quello del finito, o almeno si combinano insieme due concetti incongruenti.
Poiché ammettendo che una infinità di movimenti è trascorsa o s’è esaurita
nel passato, noi raduniamo in un tutto ciò che per sua natura non
può mai venir radunato. Il concetto di infinito e quello di totalità sono
incommensurabili.Una totalità è sempre raggiungibile con una sintesi successiva
delle sue parti, non cosi l’infinito. Diciamo invece. Le serie dei cangiamenti
del passato è infinita — quale contraddizione nel pensare che ogni
cangiamento avvenuto è stato preceduto da un altro? Dov’è qui l’assurdo
di un tatto infinito che avrebbe dietro a sè ogni momento del tempo? I fenomeni
per sè non suppongono se non i fenomeni che immediatamente li precedono ;
e come non c’è qui contraddizione, cosi per quanto noi ci trasportiamo addietro
nel tempo, mai la troveremo. Come à fatto il tempo reale a giungere
all’ora presente dall’infinito? È potuto giungere dall’ infinito
perchè non è mai partito. Se fosse a un dato punto partito non sarebbe potuto
giungere. E tanto concepibile l’infinito verso il quale tende la serie che
quello dal quale essa procede. Nell’un caso e nell’altro si deve
solo avvertire di non fare un insieme o un complesso di ciò che non
è mai dato come tale, ossia un insieme in cui ogni momento dell’ infinito
fosse anticipatamente compreso. Kant nella prima ANTINOMIA spiega dapprima egli
stesso che l’infinità di una serie consiste nel non poter
questa venir mai compiuta per mezzo di una sintesi successiva e che
il CONCETTO di fatalità non è altro che la rappresi) Schopenhauer crede di
sciogliere il sofisma Kantiano con un altro sofisma, distinguendo tra
assenza di principio e infinità del tempo. Schopenhauer cosi infatti obbietta
alla tesi della prima ANTINOMIA. Uebrigens besteht das Sophisma darin, dass
statt der Anfangslosigkeit der Reihe der Zustànde, ivovon zuerst die
Rede, plutzlich die Endlosigkeit (Unendliclikeit) derselben
untergeschoben und nun bewiesen wird, was Xiemand bezweifelt, dass dieser
das Vollendetsein logisch widerspreclie und dennocb jede Gegenwart das
Ende de Vergangenheit sei. Das Ende einer anfangslosen Reilic làsst sich
aber immer denken, oline ihrer Anfangslosigkeit Abbruok zu tbun : wic sich
aneli umgekehrt der Anfang einer endlosen Reihe denken làsst. “Die Welt als
Wille” ecc. “Kritik der reinen Venunft”, ed. Kirchmann p. 3G4, 3GG, 3G0. 4G
sentanone della sintesi completa delle sue parti. Dunque anche secondo lui
dovrebbe il concetto di totalità non esser applicabile ad una serie
infinita. Tuttavia per dimostrare che le cose coesistenti non possono
essere infinite, alla loro infinita sostituisce egli appunto il concetto
contradittorio di un tutto infinito. Ed à bel giuoco nel rigettare quindi
un tale assurdo. Ecco la sua dimostrazione . un tutto infinito per venir
pensato tale dovrebbe lasciarsi esaurire per mezzo di una sintesi successive.
Ma l ’infinito non può mai venir cosi esaurito, dunque una totalità
infinita di cose coesistenti non può considerarsi come data. Insomma dice Kant
: una infinità non potrebbe venir numerata ossia non potrebbe esser
finita, dunque non può esser data; vien rigettato l’infinito
semplicemente perchè è altra cosa che il finito. Non l’nfinito per sè, solo l’infinito
nel finito è realmente un assurdo, poiché come tale dovrebbe esser
necessaria¬ mente dato tutto. Ogni insieme di cose deve perciò con¬
tenere soltanto un numero finito di elementi numerabili. Ma quanto al
temilo non c’è ragione di negarne la infinità ; numerabili sono i
processi da un punto a un altro della serie, non la serie stessa in senso
assoluto, perchè ella non è mai data come un tutto, Is eli
infinito assoluto o transfinito che è proprio del tempo, non abbiamo più
veramente una grandezza ma 1 assenza di essa, poiché è data la necessità
della man¬ canza di un limite nel regrèsso, ed una tale mancanza è
oggettivamente mallevata come nello schema spaziale della mente essa lo è
soggettivamente. La ragione della infinità dello schema spaziale, come di
quella della serie dei numeri sta nel soggetto ; la infinità invece della
serie causale à la sua ragione nell’ oggetto o nella realtà estramentale.
E appunto solo nell’infinito del tempo passato che si lascia necessariamente
attuare un significato reale del transfinito. Poiché una simile
illimitatezza assoluta è bensi anche dello spazio, ma soltanto dello spazio
ideale o matematico, in quanto questo viene ogget- tivato e lo
possibilità che realmente è solo nella funzione mentale vien naturalmente
considerata come oggettiva e per sé esistente indipendentemente da noi.
L’infinità del passato non à, come tale, determinazione alcuna
quantitativa, non si lascia esprimere col numero ; in essa è invece ogni
numero e può porsi ogni determinazione rimanendo ella assolutamente
indeterminata. Cosi la distanza di due punti nel tempo, per quanto grande la
si immagini, se si à riguardo alla sua relazione all’infinito del
tempo anteriore, non significa nulla per questo appunto che l’infinito assoluto
essendo propriamente la negazione di ogni grandezza nel grande non può
venir posto in relazione con altre grandezze. La nostra fan¬ tasia
non può correre che all’ infinitamente grande del passato. SOLO L’ANIMO ne
intende la infinità assoluta. Della seriedel tempo non possiamo ottenere
una assurda totalità ; per padroneggiare quella bisogna uscire dal
cangiamento e volgersi al fondamento della infinità temporale, ossia
all’essere come presente in ogni momento e come fonte d’ogni possibile.
Meravigliarsi che la più grande grandezza immaginabile non sia più vicina
all’infinito assoluto che la più piccola, è analogo al meravigliarsi che
la più ampia conoscenza dei fenomeni non arrivi più vicino alla cosa in
sè che la conoscenza più limitata. Qui come là si tratta di una
differenza qualitativa che nou si lascia esaurire pei aiiazioni di
quantità. L’apparente paradosso che con una comunque grande grandezza non
s’è mai più vicini che con altra infinitamente minore al
transfinito, riposa in questo, che le due grandezze vengono riferite
a quello senza mantenere di esso il giusto concetto, ma consideiandolo
invece come una quantità determinata; nel qual caso sarebbe veramente un
assurdo dire che da esso disti ugualmente un dato punto e un altro che
fosse prima o dopo di questo. Come nel transfinito del passato non
c è assolutamente un termine, cosi esso non è raggiungibile in alcun modo;
dunque tutte le grandezze sono per riguardo ad esso insignificanti.
Parimenti è un assurdo credere di poter addizionare una unità al
transfinito o trasfinito. Si può solo addizionarla al finito. L’accrescimento
esisterà pertanto in riguai do ad un segmento finito di retta, ma non in
riguardo alla retta stessa nella sua infinità. In una retta infinita
nelle due direzioni è indifferente il far la divisione più in un punto
che in un altro da quello lontanissimo ; le due rette risultanti
sono sempre lo stesso transfinito e con ciò sempre uguali. Nella
retta co’_a _b _m rx - A — Aoo e oo’B ossia ( co’A-H AB ) — B oo
uguale cioè (A oo — AB). Si vede cosi contrariamente alla dottrina di
Cantor. Dice Cantor. Zu einer unendlichen Zalil, wenn sie als bestimmt
und vollendet gedacht wird, selir «ohi cine endliche hinzu- gelugt und
mit ihr vereinigt werden kann, oline dass kierdurch eine Aufhebung der
letzeren bewirkt wird ; nur der umgekerte Vorgang, die llinzufugung einer
unendlicker Zahl zu einer en dlicbcn, wenn diese che oo-t-1 ( <> —J—
1 secondo la sua notazione) non è maggiore di <», nè 1-f-o è differente da
essendo co’A + A B = A B + oo. Non v’è infinito maggiore d'altro
infinito: tanto sarebbe infinito il tempo ritroso se la serie dei
cangiamenti fosse terminata migliaia di secoli fa, quanto se esso
continui all’infinito a trascorrere an¬ cora. Il passato si può misurare
tanto a minuti che a secoli, e dirlo eguale, se fosse lecito così
esprimersi, a numero infinito di minuti o a uno infinito di secoli;
non pertanto sarebbe sempre lo stesso infinito nè più nè meno. E la
ragione di ciò è che la quantità transfinita non è misurabile. La
immensità supera ogni numero, come direbbe Spinoza. Nella
infinita serie delle cause è da pensarsi un numero di esse (se tale può
chiamarsi), maggiore di ogni numero assegnabile ; oltre ogni
raggiungibile anello la natura ne offre costantemente altri ulteriori.
Nella na¬ tura la contraddizione non può esistere ella non ef¬
fettua il passaggio che da un momento a un altro ; e questo passaggio non
può farsi attraverso l’infinito. Per quanto noi risalghiamo all’indietro
nella serie causale, come non troviamo contraddizione pel pensiero, cosi
non la troviamo nella realtà. Essa ci offre sempre e solo un
ziierst, gesetzt wird, bewickt die Anfhebung der letzeren, ohne dass
eine Modification der ersteren eintritt. (Grundlagen ecc.); e più oltre:
“Ist co die erste Zalil der zweiten Zalilenelasse, so iiat man: 1+01=10,
dagegen u> 4 .i-=(coq-l), wo (co- 1 - 1 ) eine von co durchaus verschiedene
Zahl ist. Aiif die Stellung des Endliclien konmtes also alles an. Una tale
inapplicabilità della LEGGE DI COMMUTAZIONE ai numeri transfiniti o trasfiniti dovrebbe
per Cantor servire inoltre a dimostrare come tali numeri debbano poter essere e
pari e dispari insieme o anche nè pari nè dispari. . 5dato
cangiamento e la sua causa. II fenomeno non richiede per la sua spiegazione la
totalità della serie delle cause anteriori, si bene soltanto la causa
immediata¬ mente antecedente; e il principio di ragione domanda
uni¬ camente la immediata condizione e non una totalità di
condizioni. In quanto la stessa richiesta si rivolge suc¬ cessivamente
alla causa della causa e cosi via all’infi. nito, si viene a domandare
costantemente una nuova con¬ dizione e questa è un nuovo membro della
serie e niente di più. Al tempo è essenziale la posizione in atto di
un solo momento. Fatta astrazione dai cangiamenti, e supposto
l’essere affatto immoto in una rigida stabilità assoluta, noi lo
poniamo però sempre in qualunque punto del tempo ideale che noi fissiamo
; la sua esistenza la poniamo cosi necessariamente infinita nel passato. Or
come può nascere la contraddizione se noi in uno qualunque di questi
punti pensiamo invece l’essere universale nel flusso del cangiamento?
Assurda è la posizione di un tutto infinito, quale non può qui esser
dato, poiché la successione perpetua è la forma dell’infinito del tempo; noi
abbiamo qui una serie che in riguardo al nostro procedere a ritroso nel
tempo da fenomeno a fenomeno è infinitamente grande, e per sé è
transfinita come la tangente dell’angolo di 90° -- Wundt è condotto a credere
(Philos., Stadie. Kant’s kosmologichen Antinonien n. das Problem des Unendl.)
che l’applicazione de concetto di transfinito non sia possibile nel
problema cosmologico del tempo. Egli crede un tal concetto trascendente,
che invece non è e cosi gli viene a mancare un concetto che esprima la
infinità oggettiva ossìa 1 eternità del processo della natura. Il concetto
limite del in. Kant crede che la sua dottrina della
idealità del tempo e dello spazio o della transcendentalità in
generale, spiegasse la supposta antinomia del problema cosmologico, e
rendesse con ciò inutile e vana la ricerca di una soluzione. Ma
appartenga o no il tempo e lo spazio al reale in sè, riman sempre tuttavia
la questione se questo, che Kant non può a meno di accettare, si
abbia a pensai’e come fondamento di un mondo fenomenico finito ovvero di uno
infinito. Non vale rispondere che la serie regressiva delle percezioni
nostre non può essere realmente infinita perchè come tale impossibile,
e neppure finita perchè nessun limite dei fenomeni può venir
concepito come assoluto, e dichiarare con ciò insolubile la questione.
Dacché l’oggetto trascendentale condiziona realmente, come egli ammette
un determinato regresso empirico, per un esempio nell’ordine dei corpi
celesti ; doveva Kant pur ammettere che rimaneva sempre a ve-
regresso infinito (o a dir proprio infinitamente grande) non è già un
concetto trascendente della creazione quale dovrebbe, secondo il Wundt,
accettare ogni spiegazione filosofica della natura (v. Wundt, “Ueber das Kosmolog.
Problm, Yiertelsjahrszeitscb.); quel suo concetto limite nuli’ altro è
invece appunto die l’infinito assoluto del tempo oggettivo, in base al
quale è possibile il nostro infinito (infinitamente grande) regresso. Il
non aver considerato l’eternità del fare della natura, e specialmente il
non aver badato die l’infinito regresso è in realtà per la natura un perpetuo
progresso, il cui concetto non può venir altrimenti pensato che per via
del transfinito,stata la causa per cui Wundt concepì il tempo passato
sotto il concetto deH’intinitamente grande concordando in fondo col Kant,
come il Lasswitz si trova in questo d’accordo con lui. (Ein Beitrag zum
Kosmol. Proli. Viertels. Kritik der reinen Vermnft. dere se l’oggetto
trascendentale determinasse un possibile regresso finito od infinito (11.
Perchè se per lui tuttii processi compiutisi da tempo remotissimo ad ora
non significano altro che la possibilità deirallungamento della catena
dell’esperienza dalla percezione attuale indietro alle condizioni che la
determinano nel tempo; pure egli, per ciò che s’è sopra citato, non può
negare che il possibile regresso delle nostre percezioni secondo le
sogget¬ tive leggi della mente, non supponga un regresso ogget¬
tivo determinato dalla realtà inconscia indipendente¬ mente da ogni
esperienza. Trasportati a indefinita distanza dal nostro sistema solare,
avremmo noi sempre ancora nuove percezioni? E cosi, trasportati
indefinitamente addietro nel tempo vedremmo noi necessariamente sempre
nuovi cangiamenti? Poiché la nostra necessaria produzione dello schema
dello spazio e del tempo, non potrebbe per sè far si che noi avessimo
nuove percezioni dove l’oggetto trascendentale non le condizionasse e
si mostrasse con ciò finito. Lo spazio e il tempo ideali non sono
per sè garanti di una corrispondente possibile PERCEZIONE. Non una necessità
del nostro concetto a priori del tempo, ma il principio di causalità
richiede la infinità della serie regressiva dei cangiamenti. Poiché non
si può conchiudere la mancanza di un principio del tempo -- Cfr.
Schopenhauer, Parerga. Die wicklichen Dinge der vergangenen Zeit si nel in dm
transcendentaien Gegenstand der Erfahnmg gegeben ; sie sind aber ftir
mieli nur Gegenstànde und in der vergangenen Zeit wicklich, sofern
als ich ecc.). Saranno però dunque sempre non null’altro, come dice
Kant poco sotto, ma qualcosa di più della possibilità dell’allungamento
della catena dell’esperienza dalla presente percezione indietro alle
condizioni che la determinano nel tempo. ]da questo, che ogni limite è
necessariamente da noi pensato come relativo. La relazione di termine e
terminante è infinita come quella di soggetto e oggetto ; perciò appunto vuota
; essa nulla può aggiungere al contenuto reale cui viene applicata. Come il
pensiero dell’es¬ sere impensato, che è la forma in cui comprendiamo
il reale, nulla toglie alla realtà estraraentale od in sè della
cosa, allo stesso modo la relazione mentale di limite e limitante non può
evidentemente mettere nella realtà il suo secondo termine se nella realtà
non è dato. Questo secondo termine, il limitante, rimane, se si astrae
da ogni altra considerazione, un puro complemento ideale. Riehl non seppe
neppur egli superare o scio¬ gliere la falsa contraddizione che Kant e
Dtihring, per non dir che di loro, credettero inchiusa nella
concezione di una serie regressiva infinita di cangiamenti. Visto
che la contraddizione stava nel concetto di una infinità la quale quei
filosofi avevano pensato necessariamente [Hamilton il quale (“Lectures
un Metaphysics”, lettura; On logic) segue Kant nelle antinomie, non giunge che
a questo risultato, di pensare in riguardo all’infinito del tempo e dello
spazio, che se la ragione non ci fa piegare necessariamente nè da una
parte nè dall’altra, pure in realtà il tempo e lo spazio dehban essere
o finiti o infiniti. (Cfr. del resto l’acume del Mill nella sua
confutazione di Hamilton, La philosnphie de IL). Ho Spencer poi, che à
fatto la sua più alta educazione filosofica presso di Hamilton appunto e
del suo scolare Mansel, professore di metafisica a OXFORD, seguendo il maestro
dichiara questioni insolubili tanto quella riguardanti l’infinità del tempo e
dello spazio che quella della divisibilità della materia e altre ancora.
Egli pensa, cerne è noto, che i concetti di spazio, di tempo, di moto,
di materia e di forza si mostrino in ultima analisi inconcepibili e ci
lascino sempre del pari nell’alternativa tra due opposte assurdità, “First
Principles”, la quale io stimo certo l’opera più infelice del filosofo
inglese. 54data come totalità, egli pensò di sfuggirla col negare la
numerabilità o la reale distinzione e indipendenza numerica nella catena delle
cause e delle variazioni. Numerabili, dice egli, sono le cose, non i
processi. In quanto le cose sono od appaiono spazialmente divise,
deve è vero valere ciò die il Duhring à formulato come legge del numero
determinato; ma altrettanto, séguita Kiehl, è certo che quella presupposizione
non vale per i processi temporali. Questi non sono, secondo lui, per
sé stessi distinti numericamente : è solo per la nostra distinzione
mentale che essi ottengono una tale determina¬ tezza. Un argomento dunque
che vale per il numero non può senz’altro venir applicato al tempo,
poiché mancano in questo per sé considerato e non riferito allo
spazio, degli effettivi processi indipendenti, separati l’uno dal¬
l’altro, o posti insomma come numerabili. Noi possiamo distinguere dei
processi nel tempo soltanto in determi¬ nato numero finito, nessun
processo è però indipendente [Il Itielil (Ber phUosopliischc Kriticismus)
inclinava dapprima decisamente a porre con Duhring un principio del
cangiamento. Soltanto nella seconda parte del secondo tomo, tormentato
dalla necessità del principio di causalità cangiò opinione (quantunque non lo
abbia fatto notare egli stesso esplicitamente); ma per uscire dalla
presunta contraddizione dell’ infinito regresso, pensò, al contrario di
prima, i processi come assolutamente, e con ciò assurdamente continui. Si
vede del resto evidentemente clic il Riehl oltre aver cangiato di parere,
non ò nemmanco ancor ora troppo certo della sua nuova teo¬ ria; poiché la
tratta troppo brevemente e troppo alla larga, come se gli scottasse di
dover render più minuto conto di ragioni che a lui stesso non possono
parere troppo convincenti Ciononostante l'opera sua e specialmente la
seconda parte del secondo tomo è un lavoro filosofico non solo di grande
valore, ma anche molto attraente, il che è una cosa assai rara.
1C e distinto da quello che
immediatamente lo precede o segue. Rielil, non sapendo come uscire dalla
supposta contraddizione à dunque rinunciato a concetti di cui l’esatto
pensiero scientifico non sa nè può lare a meno, senza che ciò del resto
gli abbia giovato per la elimi¬ nazione della temuta assurdità come più
innanzi vedremo. La questione dell’infinito riguarda tanto il tempo
che lo spazio. Solo si à sempre a distinguere tra l’esistenza loro
ideale ; cioè il loro schema mentale, e la loro esi¬ stenza reale. Non
numerabile possiamo noi solo pensare lo spazio ideale, lo spazio o
l’estensione materiale dobbiamo invece necessariamente porla numerabile. Poiché
estensione reale è coesistenza, e la continuità assoluta non può essere
reale ma soltanto ideale ; altrimenti essa inchioderebbe la
contraddizione dell’infinito compiuto nel finito, chè senza parti è solo
il continuo della rappresentazione. Porre la continuità assoluta come effettiva
è non spiegar nulla e mettere il mistero nella realtà, rinunciando a
comprenderla. L’irriducibile noi lo dobbiamo soltanto rilegare negli
atomi sia dello spazio che del tempo reali. I tropi degli Eleati non
valgono meno contro il continuo del tempo che contro quello dello spazio;
non meno contro lo spazio percorso da un pendolo in una oscillazione, che
contro il tempo in questa impiegato. In parti ultime non si può dividere il
tempo nè lo spazio ideale, perchè essi nè sono composti nè si originano
da una sintesi di parti, come in fatti non possono venire analiticamente
scomposti in ultimi elementi semplici, e sono conseguentemente l’uno e
l’altro divisibili all’infinito ; ma non è cosi del tempo e dello spazio
leali, dove la natura viene necessariamente aH'atto. Dice Diehl che solo
il nostro intelletto scompone l’accadere temporale in singoli processi, e
che questi solo per ciò ci appaiono indipendenti, che partono da
cose spaziali e si trasmettono ad altre cose nello spazio. Un processo
secondo lui può aver indipendenza solo perchè vien riferito alle
cose nello spazio e non al tempo unicamente. Ma è naturale che tutti
i processi siano nel mondo materiale (e non vengano soltanto da noi)
schematizzati per dir cosi nello spazio, poiché essi non sono altro che
cangiamenti della realtà spaziale, e unicamente i processi della
coscienza in sè considerati possono venir riferiti al tempo
come tale senza riguardo allo spazio. Difatti non pensa ora Rielil
che sia concepibile una materia assolutamente continua come lo spazio
mentale, ossia non costituita da atomi ? Anche della materia allora
si dovrebbe dire che gli elementi distinti solo la nostra mente li pone.
Come può egli dunque affermare ripetutamente che soltanto la riferenza
dei processi temporali allo spazio ci faccia considerar questi come
distinti e per sè numerabili? Voler negare la numerabilità nel tempo reale o
ne’ suoi processi dovrebbe al contrario anche secondo il Riehl esser lo
stesso che negare nello spazio gli atomi o le cose ossia gli
aggruppamenti durevoli degli atomi. Ogni grandezza nella realtà à
parti elementari, non esclusi i cangiamenti; un certo gi’ado di
cangiamento è una somma di successivi cangiamenti minimali. Ma il
pensiero come per istinto sembra rifuggire dalla concezione dell’atomo o minimo
temporale, perchè colla determinatezza scompare quel che di vago e di
nebuloso E ir, rdie altrimenti conserva la concezione (lei tempo, e
per cui la mente non avverte o avverte assai meno la inin¬ telligibilità
di quello. Colla posizione dell'atomo o minimo, la natura non più oltre
scrutabile del tempo si affaccia bruscamente all’intelletto. Il tempo
come rappresentazione rimane naturalmente strettamente continuo pur essendo
discreti i processi reali, cliè la sua continuità assoluta ideale è una
proprietà necessaria dipendente dalla natura della coscienza, la quale
tra due processi per quanto infinitamente vicini interpola pur sempre la
sua unità. Non c’è un minimo concettuale del tempo come c’è invece
e si richiede il minimo reale. I n minimo nella rappresentazione del
tempo sarebbe un punto inesteso, e considerarlo come elemento della
durata tanto varrebbe quanto rendere impossibile il concetto di
questa. Non deve più urtarci l’accettar gli atomi, o meglio
la concessione atomistica, per la materia, che accettarla in riguardo
alla forza e al cangiamento. Non crediamo siano più intelligibili gli
elementi materiali che quelli del divenire. La facoltà nostra mentale di
pensare gli Lo Schopenhauer trattando nella quadruplice radice del
principio di ragione del tempo del cangiamento, mette in piena e con ciò
stridentissima luce il concetto ch’egli à della continuità assoluta del
tempo, quale egli trova acutamente espresso presso Aristotele. “ Come tra due
punti v’ è ancor sempre una linea, dice egli, così tra due ora vi è ancor
sempre del tempo. È questo il tempo del cangiamento ; esso è come ogni
tempo divisibile all’ infinito e per conseguenza il cangiamento percorre in
esso un numero infinito di gradi per i quali dal primo stato nasce a poco
a poco il secondo. Egli conchiude con Aristotele dalla infinita
divisibilità del tempo, che ogni contenuto di esso e con ciò ogni
cangiamento, o il passaggio da uno stato all’altro deve essere
infinitamente divisibile, e che dunque tutto- ciò che diviene s’origina
in fatti da punti infiniti. atomi come ulteriormente divisibili vale per
tutti e due gli ordini senza diminuire perciò la necessità che à la
mente di ammetterli. Quel sentimento direi quasi di disagio clic par
darci questa necessità, non è in fondo che ca¬ gionato da quella nostra
come ripugnanza a riconoscere che l’analisi mentale della realtà deve a
un dato punto arrestarsi. La mente deve arrivare ed arriva, ad
elementi i quali non sono più oltre scomponibili, altrimenti il
reale potrebbe sciogliersi nel pensiero.La divisibilità ideale non porta
con sè una reale divisione. Solo il tempo ideale può venir diviso a
piacere all' infinito, e non à quindi elementi numerabili, ma il tempo
reale col suo vario contenuto fenomenico è di sua natura numerabile; quantunque
noi, come ci accade per gli atomi della materia, non arriviamo
direttamente a’ suoi elementi. Non meno delle cose o degli elementi delle
cose sono anche i processi numericamente distinti. E se in astratto la
grandezza non à divisione, essa non può tuttavia nella realtà venir
esattamente concepita che come risultante di una immediata ripetizione numerica
d’uno stesso identico. L’assenza di elementi reali è solo nel nostro
pensiero che può a- strarre da ogni divisione nel considerare una
grandezza, ed è pienamente libero di dividerla o accrescerla all’
infinito, allo stesso modo che esso procede co’ numeri. Tanto la natura
che il pensiero ànno del resto la possibilità dell’infinito accrescere e
interpolare ; ma ne’ loro prodotti non possono dare che il determinato :
l’infinito si riferisce solo al loro operare, non al loro
operato. Il concetto del continuo assoluto applicato al tempo reale
sarebbe del resto affatto inutile anche quando fosse giustificato. Poiché
empiricamente un tal continuo noi non lo incontreremmo mai. Il fatto che
noi della sintesi della natura (come dice Diihring in qualche luogo
della “Dialettica”), non abbiamo altro che rappresentazioni di
effettività, non ci dà il diritto di fare delle possibilità del nostro
pensiero la misura della realtà. Come in sé sia fatto il passaggio da un
punto del tempo all’ altro, non può venir inteso. Tanto varrebbe
domandare perché esiste il tempo o magari l’essere stesso nella sua
-effettiva natura Voler ancora spiegare gli elementi del tempo è uno sconoscere
la natura del pensiero ; noi non li possiamo ridurre ad altro perchè il
tempo non è un prodotto della mente, è condizione anzi dell’esperienza, e
non à una natura puramente logica. Il passaggio è una determinazione
della realtà che noi non possiamo che riflettere. Sarebbe lo stesso voler
spiegare gli atomi della materia; noi non possiamo che ammetterli o
riconoscerli; una pretesa spiegazione di essi è assurda poiché il
pensiero non è tutta la realtà, ma vien confinato da qualcosa che se pò
dare ad esso un contenuto formale, non può però dare il suo essere. Da un
grado a un alti’O del cangiamento si fa il passaggio in quanto il cangia¬
mento stesso ci si mostra come fatto compiuto. Noi non dobbiamo quindi
illuderci col concetto misterioso del continuo assoluto di penetrare più
addentro nel fare della natura, nel divenire dei fenomeni. Noi non
possiamo mai altro che constatare gli avvenuti cangiamenti,
nuH’altro possiamo. E cosi in realtà non conosciamo come il cangiamento,
ma che il cangiamento s’è fatto. Tornando ora alla soluzione di Riehl,
nemmanco col fare la serie dei cangiamenti assolutamente continua
sfugge egli, secondo crede, alla temuta e presunta contraddizione dell’infinito
compiuto od esaurito. E 1' errore suo si fa più stridente e palese quando egli
sostiene che la infinità del tempo si mostrerebbe esaurita se si dovesse
pensare ad un suo fine nel futuro. Ei crede che solo in tal caso, per
evitare la contraddizione, si dovrebbe ammettere un principio assoluto
del tempo. E così fa dipendere, cosa enorme, la infinità del
regresso dalla infinità del progresso nel futuro. Ma la fine del tempo
non è invece punto contradditoria. É questa una questione di natura
empirica; e cosi secondo lui non dovrebbe esser allora inconcepibile e
contraddittorio neppure un principio del tempo. Il tempo reale, ove
fossero date le condizioni di un equilibrio universale, potrebbe
finire ad ogni momento senza assurdità alcuna. Poiché ad ogni modo nella
natura ogni fine non è della serie infinita ma dell’ultimo cangiamento.
Del resto, sia pure, ammettiamo che i processi non siano per sé distinti
e numerabili, ma siano invece assolutamente continui. Dice Riehl che
le oscillazioni di un pendolo sono senza dubbio determinate numericamente
(id. Ili, 309). Ora come risponderebbe egli alla domanda — nè vi può
in modo alcuno sfuggire — se si debba pensare che insieme sommate le
oscillazioni dei pendoli che possono dall’eternità esser mai esistiti in
infiniti mondi, possano venir compresi da un numero finito ? E se no
sotto quale concetto una tale somma o regola di somma dovrà venir
pensata? A ciò non à egli risposta. E più ancora come risponde Riehl a
quest’altra, la domanda. Il numero delle terre dall'eternità ad ora nate e
morte è egli infinito o finito ? Poiché qui manifestamente abbiamo delle
esistenze separate, indipendenti, numerabili anche secondo lui. L’unica
giusta risposta è che un tal numero è necessarianente infinito, o,
propriamente, transfinito. Nel corso perpetuo del tempo non solo non è
contraddittorio, sibbene è necessario che un infinito numero di corpi celesti
(dato che le moderne teorie cosmiche siano, come pare, inevitabili) abbia
gradatamente avuto nascita e morte. Con ciò come non vi fu un primo
cangiamento, nemmanco vi fu una prima terra. Il concetto dell’infinito
assoluto o transfinito è applicabile solo alla serie regressiva dei
cangiamenti, non alla progressiva. La natura di questa consistendo
appunto nel crescere suo continuo verso il futuro non può cadere, se
infinita, che sotto il concetto dell’infinitamenfe grande. Poiché in
nessun punto iminaginabi'e del futuro non si sarà compiuta, a partire da
un punto qualunque del tempo precedente, una infinità assoluta di
cangiamenti. E ciò che si avrà sarà solo la continua possibilità di
sempre nuove mutazioni. La questione però se realmente nella natura dell’essere
sia la disposizione a qnes'.o infinito futuro è affatto empirica, non
essendoci, come s’è visto sopra, alcuna difficoltà che a priori ci impedisca di
pensare possibile un termine d’ogni cangiamento in un qualunque momento
avvenire. Il concetto del tempo per sé non ci dà alcuna soluzione; la
questione è puramente di fatto. La soggettiva possibile anzi necessaria
illimatezza dello schema spaziale non porta seco necessariamente un
infinito riscontro nella esistenza materiale oggettiva. Allo stesso modo
neppure la illimitatezza del tempo ideale porta con sè quella del tempo
reale ossia una serie infinita di reali cangiamenti. Essa non ci
impedisce in modo alcuno di considerare come possibile un limite del mondo nel
tempo. Se noi siamo sforzati di pensare ad un tempo vuoto non è però il
pensiero di esso che gli dà un contenuto reale in ogni suo momento.
Essendo che per sè stesso la vuota durata tanto è del reale come del
nulla ; sebbene la durata non rimane mai nel nostro pensiero priva adatto
di contenuto, in quanto la permanenza dell’essere, indipendentemente dallo
svolgersi o no esso in fenomeni, non può mai mancare di farle riscontro.
Ed è in questo una grandissima differenza tra la rappresentazione dello spazio
e quella del tempo. Mentre a niun punto arbitrario del tempo viene
a mancare il contenuto materiale, non così necessaria¬ mente ad ogni
punto dello spazio. A parte i cangiamenti in cui l’universo si svolge è
evidente che non può ad. esso venir applicato il concetto di una
determinata durata. Come esso è sempre quello che è, cosi il tempo non à
a suo riguardo significato alcuno. In un qualunque momento inesteso del
tempo 1’ essere è completo, è tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà.
Se dunque nel futuro venisse realmente a mancare ogni mutazione nell’essere,
questo potrebbe solo impropriamente venir considerato come nel tempo; la
durata dal punto in cui il cangiamento sarebbe cessato à soltanto
senso perchè noi la immaginiamo misurata da quella piena di
cangiamenti della nostra coscienza. Intanto la meccanica non ammette
assolutamente la possibilità del passaggio di un sistema da uno stato dinamico
ad uno statico. E cosi il tempo futuro è indubbiamente infinito nel senso di
una progressione senza fine – V. anche le considerazioni di Sleyer,
“Mechanick iter l Verme”. Tra le due infinità del passato e del futuro sta il
momento presente, il quale inchiude la realtà eterna, la realtà che fu e
che sarà. La pienezza dell’essere non ci sfugge come parrebbe a
considerarlo nella infinita sua fenomenologia. L’essere è sempre tutto
presente, non c’ è elemento di cui possa dirsi che sia stato o che abbia
a originarsi. Certamente l’interesse nostro va al suo svolgersi ne’
cangiamenti per cui solo ci si svela la sua na¬ tura e per cui solo noi
ci commoviamo e viviamo. Che per la coscienza l’essere immoto in una
rigida inerzia non avrebbe valore alcuno. Tuttavia la infinita
possibilità del cangiamento è tutta nell’essere in un qualunque punto
matematico del tempo. E cosi T importanza del tempo finito non si perde
di contro alla infinità passata e futura del processso: ogni momento del
tempo ci dà l’essere sub specie aeternitacis, nè altra mai è stata
la esistenza della realtà che quella del momento. Solo in questa
considerazione della permanenza eterna del reale possiamo noi
comprenderne la infondata e infondabile natura sistematica. Lo sguardo
alla incessante evoluzione può troppo facilmente far considerare le interne
determinazioni dell’ essere come transitorie. Che l’evoluzione sia tale quale
noi l’andiamo scoprendo non è altrimenti a intendersi. Giova quindi, per
la concezione universale dell’esistenza, oltre che aver riguardo allo
svolgimento di un sistema parziale nel tempo considerare gli altri
sistemi parziali del cosmo nel loro coesistente diverso grado di svolgimento,
per cui si lascia forse quasi pensare come in ogni momento attuata
nello spazio la evoluzione temporale dei singoli mondi. Nello spazio
e nel tempo, da cosa a cosa, da processo a processo, per il filo della
causalità materiale spiega l’essere la sua unità. Alla necessaria
necessità logica rispondi la effettiva unità materiale della esistenza. L’unità
dello spazio e del tempo nella rappresentazione non basterebbero per sè a
escludere una radicale disparità nel reale. Se lo spazio e il tempo
fossero puramente forme ideali nascerebbe il problema del come la
realtà non possa dare origine a duplicità di sorta. E la questione si
scioglie solo in quanto si riconosce che l’unità stessa del reale è che
crea quella dello spazio e del tempo. Le proprietà dello spazio sono esse
stesse di na¬ tura meccanica, nè altrimenti potrebbero le leggi
della natura esprimersi in relazioni di spazio ; nelle necessità
spaziali è la logica immanente delle forze della natura. Due spazi differenti
sono un assurdo non solo avuto riguardo al pensiero, ma anche in riguardo
alla oggettiva realtà materiale. Il pensiero per sè non trova alcun
impedimento a riunire ogni spazio in uno spazio unico nel vuoto schema
spaziale e non può trovar quindi ragione di considerarlo come disuniforme. Nella
realtà poi la pluralità degli spazi vorrebbe dire pluralità di
esseri. Ora una tale pluralità non solo non può mai venir oggetto del
nostro pensiero e per noi non può quindi assolutamente esistere, ma
è dalla realtà smentita, perchè anche l’esperienza colla omogeneità universale
della materia mostra esser l’essere uno. Le posizioni delle
distanze nello spazio reale non sono che rapporti di forza. Ogni elemento
dell’ esistenza materiale è quindi nello stesso unico spazio. Non
esistendo cosi elemento alcuno fuori d’ogni relazione cogli altri. Analogamente
è del tempo reale ; la sua unità suppone quella dello spazio materiale e
dipende insieme dalla universalità del cangiamento. Per la natura radicalmente
omogenea delle cose e per la temporalità d’ogni cangiamento è uno anche
il tempo oggettivo. E cosi che i principii meccanici si estendono
presumibilmente e con sempre maggior certezza ad ogni massa
dell’universo, a ogni sistema di stelle fisse e gruppo di sistemi. Poiché
la base dell’esistenza è di natura meccanica. Solo la sensazione come tale o il
campo della coscienza ne resta fuori e riceve dalla spiegazione meccanica una
eterogenea sebbene costante e parallela illustrazione. L’unità dell’essere non
à riscontro in una fantasticata e contraddittoria unità cosciente universale;
rifrange invece per dir cosi la sua unità in quella di molteplici
coscienze individuali. L’unità oggettiva estramentale e la unità della
coscienza: due abissi del pari inscrutabili ma rispondentisi. Albana e
all’altra sta a base e direi quasi a tergo quella che noi non possiamo
concepire che col concetto formale di ragione o di fondamento unitivo
e subfenomenico dei due fatti. Non è meno inscrutabile l’una unità
dell’altra, sebbene quella della coscienza implica per sé quella materiale
oggettiva. Infatti che cosà di meno oltre analizzabile dell’unità
radicale che con la mutazione si appalesa esistere negli elementi
dell’essere? Come spiegare la effettiva comunione delle sostanze, il
fatto che lo stalo di un atomo porti seco un dato altro stato di un
altro? Queste riflessioni ci richiamano alla infondata originarietà delle
cose, e alla natura per così dire superficiale della conoscenza e del
pensiero. Quelli sono resti refrattari ad ogni ulteriore analisi; nè già
per difetto del nostro istrumento, ma per la necessaria natura stessa del
conoscere, chè altrimenti la realtà dovrebbe cessare di esistere come distinta
dal pensiero. La analisi à necessariamente de’ limiti, i quali non
anno però bisogno d’esser limiti della conoscenza nel modo in cui
falsamente per lo più vengono intesi, quasi indizi di limitatezza di
contro a una sia pur solo logicamente possibile conoscenza superiore. Come non
è incondizionatamente applicabile al reale il principio di ragione, tanto
meno lo sono altri concetti essenzialmente relativi quali quelli di
grandezza e di scopo. Se l’universo è infinito, non à evidentemente
per ciò stesso determinazione alcuna quantitativa; se finito è vero
però che in relazione ad una sua parte esso à una grandezza determinata,
sebbene nell’estenzione variabile da un momento all’altro. E che possiamo
quindi dirlo più piccolo di una grandezza posta mentalmente
superiore alla sua ; che anzi possiamo anche considerarlo infinitamente
piccolo in relazione all’infinito assoluto dello spazio ideale. Ma in sè
non si potrebbe dirlo propriamente nè grande nè piccolo, perchè fuori di esso
non vi è nulla che possa darci una unità di misura. E del pari è
affatto relativo il concetto di durata e inapplicabile perciò in modo
incondizionato all’essere. Questo non dura nè tanto nè poco; e la ragione
di ciò è che esso non è nel tempo. Considerando però la serie dei
cangiamenti, al contrario di quanto ci accade per lo spazio, lo schema ideale
del tempo riceve necessariamente un contenuto reale perfettamente
corrispondente. E sciogliendo la difficoltà che più che tale a molti filosofi
è parsa sinora una stridente contraddizione, abbiamo visto che come
per mezzo del tempo si fa possibile il cangia¬ mento, il quale altrimenti
sarebbe contraddittorio, cosi per il cangiamento trova una necessaria
applicazione alla realtà oggettiva l’infinito assoluto o trans-finito. Mario
Novaro. Novaro. Keywords: implicatura ligure, ‘la riviera ligure’, Grice
echoing Kant, echo, implicature ecoica, Strawson’s ditto-theory of truth,
Strawson’s echoic theory of truth, Skinner on echo – ecoico, eco, implicature
ecoica, infinito, Lucrezio – Luigi Speranza, “Grice e Novaro” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Riviera Ligure.
Grice e Novato:
il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Seneca’s brother. Adopted
by Lucio Giunio Gallio. Seneca dedicates two of his philosophical dialogues to
him. Seneca’s exhortations suggest that if Novato was not a follower of the
Porch, he was a the very least a sympathiser. Lucio Anneo Novato. Novato.
Grice e Numa:
l’implicatura conversazionale e la logica del regno – Roma -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Etruria) The second king of Rome. A book was
discovered. It wasn’t written by Numa, but the Romans said it was. It was very philosophical.
The Roman senate ordered that it should be burned. It was! But most Italians
can recite by heart all the indiscriminate teachings it contained. The big
polemic came from Cicero. He didn’t want Roman philosophy to have a start other
than in Rome, so he denied the school of Crotone and much more any Etrurian
influence via Numa. Still… Numa Pompilio
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.Pompilio Numa Pompilio dal Promptuarii
Iconum Insigniorum di Guillaume Rouillé 2º Re di Roma PredecessoreRomolo SuccessoreTullo
Ostilio NascitaCures DinastiaRe latino-sabini ConiugeTazia Figli Pompilia Numa
Pompilio, Cures Sabini, -- è stato il secondo re di Roma, e il suo regno durò
42 anni. Numa Pompilio, di origine sabina, per la tradizione e la mitologia
romana, tramandataci grazie soprattutto a Tito Livio e a Plutarco, che ne scrive
anche una biografia, era noto per la sua pietà religiosa e regna dal 715 a.C. fino alla sua morte, ottantenne,
dopo quarantatré anni di regno, succedendo, come re di Roma, a Romolo. Numa e un
re pio, e in tutto il suo regno non combatté nemmeno una guerra. L'incoronazione
di Numa non avvenne immediatamente dopo la scomparsa di Romolo. Per un certo periodo,
i senatori governarono Roma a rotazione, alternandosi ogni dieci giorni, in un
tentativo di sostituire la monarchia con una oligarchia. Però, incalzati dal
sempre maggiore malcontento popolare causato dalla disorganizzazione e scarsa
efficienza di questa modalità di governo, dopo un anno, i senatori furono
costretti ad eleggere un nuovo re. La scelta apparve subito difficile a causa
delle tensioni fra i senatori romani che proponevano il senatore Proculo ed i
senatori sabini che proponevano il senatore Velesio. Per trovare un
accordo si decise che i senatori romani avrebbero proposto un nome scelto fra i
Sabini e lo stesso avrebbero fatto i senatori sabini scegliendo un romano. I
Romani proposero Numa Pompilio, appartenente alla Gens Pompilia, che abita nella
a Cures ed era sposato con Tazia, figlia di Tito Tazio. Sembra che Numa fosse
nato nello stesso giorno in cui Romolo fondò Roma. Numa, concittadino di Tazio,
e noto a Roma come uomo di provata rettitudine oltreché esperto conoscitore di
leggi divine, tanto da meritare l'appellativo di ‘pio.’ I Sabini accettarono la proposta rinunciando
a proporre un altro nome. Furono dunque inviati a Cures Proculo e Velesio, i
due senatori più influenti rispettivamente fra i Romani ed i Sabini, per
offrirgli il regno. Inizialmente contrario ad accettare la proposta dei
senatori, per la fama violenta dei costumi di Roma, Numa vi acconsente solo
dopo aver preso gl’auspici degli dei, che gli si dimostrarono favorevoli. Numa
fu quindi eletto re per acclamazione da parte del popolo. La leggenda afferma
che il progetto di riforma politica e religiosa di Roma attuato da Numa fu a
lui dettato dalla ninfa Egeria con la quale, ormai vedovo, soleva passeggiare
nei boschi e che si innamorò di lui al punto da renderlo suo sposo. A Numa
viene attribuito il merito di aver creato una serie di riforme tese a
consolidare le istituzioni di Roma, prime tra tutti e quelle religiose,
raccolte per iscritto nei commentarii Numae o libri Numae, che andarono perduti
nel sacco gallico di Roma. Sulla base di queste norme di carattere religioso, i
culti cittadini erano amministrati da otto ordini religiosi: i Curiati, i
Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i Feziali e i Pontefici. Numa
stabilì di unificare ed armonizzare tutti i culti e le tradizioni dei Romani
per eliminare le divisioni e le tensioni, riducendo l'importanza delle tribù e
creando nuove associazioni basate sui mestieri. Appena divenuto re nomina, a
fianco del sacerdote dedito al culto di Giove ed a quello dedicato al culto di
Marte, un terzo sacerdote dedicato al culto del dio Quirino, gli dei più
importanti dell'epoca arcaica. Riunì poi questi tre sacerdoti in un unico
collegio sacerdotale che fu detto dei flamini, a cui diede precise regole ed
istruzioni. Numa proibe ai Romani di venerare immagini divine a forma umana e
animale perché riteneva sacrilego paragonare un dio con tali immagini. Durante
il regno di Numa non furono costruite statue raffiguranti gli dei. Istituì il
collegio sacerdotale dei Pontefici, presieduti dal Pontefice Massimo, carica
che Numa ricoprì per primo e che aveva il compito di vigilare sulle vestal, sulla
moralità pubblica e privata e sull'applicazione di tutte le prescrizioni di
carattere sacro. Istituì poi il collegio delle vergini Vestali assegnando a
queste uno stipendio e la cura del tempio in cui era custodito il fuoco sacro
della città. Le prime furono Gegania, Verenia, Canuleia e Tarpeia. Anco Marzio
ne aggiunse altre due. Istituì anche il collegio dei Feziali, i guardiani della
pace, che erano magistrati-sacerdoti con il compito di tentare di appianare i
conflitti e di proporre la guerra una volta esauriti tutti gli sforzi
diplomatici. Nell'ottavo anno del suo regno istituì il collegio dei salii,
sacerdoti che avevano il compito di separare il tempo di pace e di guerra -- per
i romani il periodo per le guerre anda da marzo ad ottobre. Era, questa
funzione, molto importante per gli abitanti di Roma, perché sanciva, nel corso
dell'anno, il passaggio dallo stato di cives -- cittadini soggetti
all'amministrazione civile e dediti alle attività produttive -- a milites -- militari
soggetti alle leggi ed all'amministrazione militare e dediti alle esercitazioni
militari -- e viceversa per tutti gli uomini in grado di combattere. Numa migliora
anche le condizioni di vita degli schiavi, per esempio permettendo loro di
partecipare alle feste in onore di Saturno, i Saturnalia assieme ai loro
padroni. La tradizione romana rimanda a Numa Pompilio la definizione dei
confini tra le proprietà dei privati, e tra queste e la proprietà pubblica
indivisa, statuizione che fu sacralizzata con la dedica dei confini a Jupiter
Terminalis, e l'istituzione della festività dei Terminalia. Nel Foro, fa
costruire il tempio di Vesta, e dietro di questo fece costruire la Regia e
lungo la Via Sacra fece edificare il Tempio di Giano, le cui porte potevano
essere chiuse solo in tempo di pace -- e rimasero chiuse per tutti i
quarantatré anni del suo regno -- Secondo Marco Verrio Flacco, riportato da Sesto
Pompeo Festo, il re Numa, ordinando la costruzione del tempio di Vesta, volle
che fosse di forma rotonda (ad pilæ similitudinem), cioè della stessa forma del
mondo, in quanto Numa e un convinto sostenitore della sfericità della terra,
tesi dunque evidentemente già in voga in quei lontani tempi. Secondo Dionigi di
Alicarnasso, il re Numa poi incluse a Roma il Quirinale, anche se questo a
quell'epoca non era ancora cinto da mura. A Numa e ascritta anche una riforma
del calendario, basato sui cicli lunari, che passò da 10 a 12 mesi di 355
giorni -- secondo Livio invece lo divise in 10 mesi, mentre in precedenza non
esisteva alcun calcolo -- con l'aggiunta di gennaio, dedicato a Giano, e
febbraio che furono posti alla fine dell'anno, dopo dicembre. L'anno iniziava
con il mese di marzo. Da notare la persistenza dei nomi degli ultimi mesi
dell'anno con i numeri: settembre, ottobre, novembre, dicembre. Il calendario
conteneva anche l'indicazione dei giorni fasti e ne-fasti, durante i quali non
era lecito prendere alcuna decisione pubblica. Anche in questo caso, come per
tutte le riforme più difficili, la tradizione racconta che il re N. segue i
consigli della ninfa Egeria, sottolineando così il carattere sacrale di queste
decisioni. Atque omnium primum ad cursus lunae in duodecim menses discribit
annum; quem quia tricenos dies singulis mensibus luna non explet, desuntque sex
dies solido anno qui solstitiali circumagitur orbe, intercalariis mensibus
interponendis ita dispensavit, ut vicesimo anno ad metam eandem solis unde orsi
essent, plenis omnium annorum spatiis, dies congruerent. Idem nefastos dies
fastosque fecit, quia aliquando nihil cum populo agi utile futurum erat. Anzitutto
divise l'anno in dodici mesi secondo il corso della luna, ma poiché i mesi
lunari non arrivano a trenta giorni, e complessivamente mancano alcuni giorni
per fare l'anno intero, che corrisponde al giro del sole, inserì nel calendario
dei mesi intercalari, ordinandoli in modo che ogni venti anni i giorni
concordavano, tornando allo stesso punto dell'orbita solare donde era partito
il ciclo ventennale del calendario. Egli fissò pure i giorni fasti e nefasti, ritenendo
cosa utile che in qualche giorno non si potessero discutere le questioni
politiche davanti al popolo. (Livio, Ab Urbe condita) L'anno così
suddiviso da N., non coincideva però con il ciclo lunare, per cui ad anni
alterni veniva aggiunto come ultimo mese il mercedonio, composto da 27 giorni,
togliendo a febbraio 4 o 5 giorni; era il collegio dei pontefici a decidere
queste compensazioni, alle volte anche sulla base di convenienze politiche. Floro
racconta che Numa insegna i sacrifici, le cerimonie ed il culto del sacro ai
Romani. Crea anche i pontefici, gli auguri ed i salii. La tradizione vuole che
Numa abbia istituito, tra l'altro, anche la festa di Quirino e la festa di
Marte. La festa di Quirino si celebra a febbraio. La festa dedicata a Marte si
celebra a marzo, e venne officiata dai salii. Numa partecipa di persona a tutte
le feste religiose, durante le quali e proibito lavorare. A queste
riforme di carattere religioso corrispose anche un periodo di prosperità e di
pace che permitte a Roma di crescere e rafforzarsi, tanto che durante tutto il
regno di Numa le porte del tempio di Giano non furono mai aperte. Numa muore ottantenne
e non di morte improvvisa, ma consunto dagl’anni (per malattia secondo Livio),
quando suo nipote, il futuro re Anco Marzio, ha solo cinque anni, circondato
dall'affetto dei romani, grati anche per il lungo periodo di prosperità e pace
di cui avevano goduto. Alla processione funebre parteciparono anche molti
rappresentanti dei popoli vicini ed il suo corpo non fu bruciato, ma seppellito
insieme ai suoi libri in un mausoleo sul Gianicolo. Dopo la bellicosa
esperienza del regno di Romolo, Numa Pompilio seppe con la sua saggezza fornire
un saldo equilibrio alla nascente città. Durante il consolato di Marco
Bebio Tamfilo e Publio Cornelio Cetego, due contadini ritrovarono il luogo
della sua sepoltura, contenente sette libri in latino di diritto pontificale,
ed altrettanti di filosofia. Per decreto del senato, i primi furono conservati
con cura. I secondi furono pubblicamente bruciati. Il senatore sabino Marcio,
che aveva sposato la figlia Pompilia, si candida alla successione ma fu
superato da Tullo Ostilio e si lascia morire di fame per la delusione. Dal
matrimonio fra Pompilia e Marcio e nato Anco Marzio che diverrà re dopo Tullo
Ostilio. Alcune fonti raccontano di un secondo matrimonio di N. Pompilio con
una certa Lucrezia da cui sarebbero nati quattro figli: Pompone, Pino, Calpo e
Memerco dai quali avrebbero avuto origine le casate romane dei Pomponi, dei
Pinari, dei Calpurni e dei Marci. L’esistenza di Numa Pompilio, come accade per
quella di Romolo, è discussa. Per alcuni studiosi la sua figura sarebbe
principalmente simbolica; un re per metà filosofo e per metà santo, teso a
creare le norme e il comportamento religioso di Roma, avverso alla guerra e ai
disordini, diametralmente opposto al suo predecessore, il re guerriero Romolo.
L'origine stessa del nome (secondo alcuni Numa viene da Nómos =
"legge" e Pompilio da pompé = "abito sacerdotale")
indicherebbe l'idealizzazione della sua figura. Strabone, Geografia, Eutropio,
Breviarium ab Urbe condita, Livio: Ab Urbe condita. Qui cum descendere ad
animos sine aliquo commento miraculi non posset, simulat sibi cum dea Egeria
congressus nocturnos esse; eius se monitu quae acceptissima dis essent sacra
instituere, sacerdotes suos cuique deorum praeficere. Floro, Epitoma de Tito
Livio bellorum omnium annorum, Tacito, Annali, Livio, Periochae ab Urbe condita
libri, Sesto Pompeo Festo, De verborum significatione. Budapest, Dionigi di
Alicarnasso, Antichità romane, Livio, Periochae ab Urbe condita libri, Plutarco,
Vite Parallele: Licurgo e N.; Valerio Massimo, Factorum et dictorum
memorabilium Plutarco, Vita di Numa Antonio Brancati, Civiltà a confronto, Vol.
I, Firenze, La Nuova Italia, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane.
Eutropio, Breviarium historiae romanae (testo latino), I . Livio, Ab Urbe
condita libri (testo latino) ; Periochae (testo latino) . Plutarco, Vita di
Numa. Fonti storiografiche moderne A.A. V.V., Storia Einaudi dei Greci e dei
Romani, Roma in Italia, vol.13, Milano, Einaudi, 2008. Giovanni Brizzi, Storia
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il primo giorno, Roma-Bari, Laterza, 2007. Emilio Gabba, Dionigi e la storia di
Roma arcaica, Bari, Edipuglia, 1996. (EN) Philip Matyszak, Chronicle of the
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Pompilia Gentes originarie Età regia di Roma Rex (storia romana) Lex regia
Flamini Salii Pontefice (storia romana) Altri progetti Collabora a Wikimedia
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Collegamenti esterni Numa Pompìlio, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Gaetano De Sanctis.,
NUMA POMPILIO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1935. Modifica su Wikidata Numa Pompilio, in Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Numa Pompìlio, su
sapere.it, De Agostini. Numa Pompilius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Numa Pompilio, su Goodreads. PredecessoreRe di
RomaSuccessoreRomolo a.C.Tullo Ostilio V · D · M Storia romana V · D · M
Plutarco Portale Antica Roma Portale Biografie
Portale Mitologia Categorie: Sovrani dell'VIII secolo a.C.Sovrani del VII
secolo a.C.Romani Nati a Cures SabiniPersonaggi della mitologia romanaRe di
RomaOracoli classici[altre] Cassius Hemina, vetustus auctor annalium, in quarto
libro tradit Cneum Terentium scribam in Ianiculo effodisse arcam, in qua Numa,
qui Romae regnaverat, sepultus erat. Addit etiam in arca repertos esse libros a
rege Numa scriptos quingentis et triginta annis ante. Fuisse e charta Numae
libros Cassius etiam scribit, refertos multis rebus obscuris. Cassius etiam
tradit libros in arca integros repertos esse magno cum stupore omnium et a
scriba senatui portatos esse. Quoniam omnes notabant libros, in terra infossos,
permansisse integros, Cassius Hemina ipse suam rationem praebebat: dicebat enim
eos libros in arca sub lapide quadrato positos esse et propter hoc integros
mansisse; praeterea, quod libri citrati fuerant magna cum cura, tineae illos
non tetigerant. Tamen, lectis libris, multa scripta inventa sunt de Pythagorica
philosophia et propter hoc a praetore ussi sunt. Hoc idem tradit Piso quoque in
libro primo commentariorum suorum, sed libros VII iuris pontificii, totidem
Pythagoricos fuisse narrat. Valerius Antias autem in opera sua etiam senatus
consultum tradit quo eos uri iussum est. Cassio Emina, antico autore di annali,
nel quarto libro tramanda che lo scrivano Gneo Terenzio avesse disseppellito
nel Gianicolo il sarcofago, nel quale Numa, che aveva regnato a Roma, era stato
sepolto. Aggiunge inoltre che nel
sarcofago erano stati trovati i libri scritti dal re Numa cinquecentotrenta
anni prima. Cassio scrive anche che i
libri di Numa erano di carta, pieni di molte cose misteriose. Cassio tramanda anche che i libri nel
sarcofago fossero stati trovati integri con grande stupore di tutti e che
fossero stati portati dallo scrivano al senato.
Poiché tutti notavano che i libri, sepolti sotto terra, erano rimasti
integri, Cassio Emina stesso fornisce la sua spiegazione. Dice, in effetti, che questi libri erano
stati posti nel sarcofago sotto una pietra quadrata e per questo erano rimasti
integri. Inoltre, poiché i libri erano
stati cosparsi con grande cura di olio di cedro, i tarli non li avevano
toccati. Tuttavia, letti i libri, furono
trovati molti scritti sulla filosofia pitagorica e per questo furono bruciati
dal pretore. Questa stessa notizia la
tramanda anche Pisone nel primo libro dei suoi commentari ma narra che i sette
libri del diritto pontificio fossero stati altrettanto pitagorici. Valerio di Anzio inoltre nella sua opera
tramanda anche la consultazione del senato nella quale fu ordinato che essi
fossero bruciati. The “original Romans” were the ones who did the choosing
part. They didn’t select anyone from the Sabine senators but found a man in the
Sabine city of Cures, the birthplace of the former king Titus Tatius, famous
for his justice, wisdom, and piety. His name was Numa Pompilius. The people,
happy with this choice, accepted their new king quickly. Only one small problem
now occurred – the man who was chosen to rule after so much effort and such a
lengthy and difficult process was not really keen on reigning at all. When a
delegation from Rome approached him, he humbly refused. It required much much
persuasion from his father and brothers with arguments about honour too great
to refuse, but in the end, Numa finally agreed and became the king of Rome.
Numa.
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