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IL FIORE
DI
RETTORIGA
DI
FRATE GUI DOTTO
DA BOLOGJfA
POSTO NUOVAMENTE IN LUCE
DA
BARTOLOMMEO GAMBA
TESTO DI LINGUA
VENEZIA ^0\l
DALLA TIPOGRAFIA DI ALVISOPOLI
M.DCCC.XXI.
• *
AL NOBILISSIMO UOMO
D. PAOLINO DE GIANFILIPPI
PATRIZIO VERONESE
CAVALIERE MILITE PI GIUSTIZIA
DELLA SANTA RELIGIONE ED ORDINE REALE MILITARE
DE' SS. MAURIZIO E LAZARO
PRESSO S. M. IL RE DI SARDEGNA, ec
BARTOLOMMEO GAMBA
x\. Voi, nobilissimo ed
egregio Cavaliere , che da
lungo tempo mi onorate del-
la vostra grazia e benevolen-
za, io consacro questa Ope- .
retta scritta da uno de piii '
antichi padri della nostra
favella. Piacciavi di aggradire
il tributo e di dargli onora-
to posto nella doviziosa vo-
stra Biblioteca, in quella Bi-
,bliote^a che se non aggiugne
• fregi al vostro Casato, abba-
stanza insignito dalla maestà
s^
del Re di Sardegna di Con-
tee e di Marchionali, aggiu-
gne diritti, forse anche più
cari, a quella estimazione di
cui fifodete nella illustre v.o-
stra Patria.
Io sarò sempre devoto al
vostro Nome e sempre per
Voi compreso di alta stima e
di rispettosa considerazione.
f^enezia primo Maggio 1821.
vn
L' EDITORE
V,
a per le mani di tutti i letterati Y Apolo-
gia dell'amor patrio di Dante che il co. Giulio
Perticari ha con tanto onore del nome suo mandata
a lucCj e chiunque discreto uomo sia, né voglia cer-
carne col ruscellino i difetti, dee ammirare il som-
mo ingegno del valoroso autore ed il diritto suo ra«
gionare. Dopo di aver egli vendicato Dante dell' ol-
traggio fattogli da chi pensa lui avere per odio con-
tra Firenze scritto il suo Trattato della volgare
eloquenza^ e dopo di aver mostrate vere le dottrine
di quel Trattato, ci fa conoscere che nelle leggiadre
corti di Federico e di Manfredi si cominciò a scri-
vere il volgare comune ; che gli altri Italici lo col-
tivarono per innanzi; che la Università di Bolo-
gna molto contribuì a renderlo illustre, e che toc-
cò spezialmente alla Toscana a nutrirlo e per la
copia de' suoi gloriosi uomini a renderlo da per
tutto famoso. E siccome è fuori di dubbio che V e-
loquio gentile, simile ad ogni altra bella discipli-
na, ferma volentieri sua sede dove hanno stanza i
vili
mecenati e 1 sapienti, de' quali erano già ben prov^
vedute nel dugento Palermo e Napoli e Roma, e nel
principio del trecento Bologna, e subito dopo lo fu
la patria dell' Alighieri , così ogni non prevenuto
animo par che abbia a trovare senza riprensione
la sentenza del Perticari.
Ora in questa sua bella opera, dove dei Bolo-
gnesi egli parla, toccando alcuna cosa dei loro'prosa-
tori, non esita a porre tra le più nobili scritture ita-
liane sì per V antichità^ come per la bellezza la
Rettorica di Tullio di Guidotio da Bologna, da lui
intitolata a Manfredi re in mezzo il ducento, cioè
prima che nascesse Dante, e quando il rozzo Guit-
ione era ancor giovinetto, E per darci alcun esem-
pio di questo antichissimo volgare egli ci offre un
brano della Prefazione, tolto da rarissima impres-
sione del quattrocento, che si conserva nella Ca-
sanatense di Roma. Per lo affetto particolare, che
da lunga stagione io porto all' edizioni de' primi
testi della nostra favella, sono io pur possessore
di questo libro, e la sentenza del Perticari gran-
demente m' induce a riconsegnarlo alla luce. Nel
mandare, come ora fo, ad effetto questo proposito
mio, giudico non inutile il preporvi alcuna osser-
vazione, la quale discorra e sull' autore della vec-
chia scrittura, e sul modo con cui parecchi altri
la rendettero già di pubblico diritto, e su quello
con cui io dommi a fare lo stesso oggidì, e sul con-
to al fine in che può aversi tale operetta.
Accorgimento non poco sembrami che oc-
corra anche in questo genere di minuti studii a
fine di condurre clii legge ad essere, per quanto
può farsi, debitamente istrutto. In parlando di ciò
che risguaixla l'Autore debbo intanto osservare che
molto scarse e molto- poco accurate notizie di lui
ci giunsero, quantunque si trovi ricordato con re-
verenza da Lionardo Salviati, dagli Accademici
della Crusca, da Scipione Maffei, dallo Zeno, dal
Tiraboschi, dal Morelli, dal Ginguenè, e poscia da
tanti altri letterati di minor nominanza. E comin-
ciando dal titolo e dal nome proprio, ora lo vedia-
mo rammentato come Padre maestro Guidoito o
Galeotto, ora come messer Fra Galeotto o Già-
dotto, ora come il Cav. Fra Galeotto Guidotti jVo"
bile Bolognese ; e chi lo vuole fiate Domenicano, e
chi lo vuole fì-ate Godente. Gli antichi codici debbo-
no reputarsi la più sicura scorta per non prendere
errore sul vero suo nome, ed in quelli di Firenze,
ricordati dall' Argelati, ed in quelli della R. Biblio-
teca Marciana in Venezia, da me presi in esame,
mancano e i doppii nomi e i doppii titoli, né altro
vi si legge fuorché : Frate Guidotto da Bologna.
V aggiunta di Galeotto io tengo per incontrasta-
bile che derivi da errore d' impressione corso
nella intitolazione fattasi nella sopraccennata stam-
pa del libro, in quella stampa che il cav. Lionardo
Salviati, prima di ogni altro, potè esaminare. Noi
vedremo appresso di quante gofferie essa sia zep-
pa , ed intanto non fìa temerario il giudicare che
chi in una sola faccia scrìsse faccenda per vicen-
da, Francia per lancia, patio per piato, non pos-
sa avere scritto Galeotto per Guidotto. E tanto
più questo avviso si ringagliardisce quanto che
ne' due Proemii che la stampa stessa racchiude, e
dove l'autore ricorda se medesimo^ niun altro ti-
tolo e nome egli si dà fuorichè quello di Fra Gai"
dotto, come appunto ne' Codici si riscontra. Chi
sa poi che non foss' egli un parente di quell' Ansi-
disio Guidotto nipote del tiranno Ezzelino, che fu
crudelissimo Podestà di Verona nell'anno i2 5o, e
di cui parla il Sismondi nella sua Storia delle Repub-
bliche Italiane ? Il P. Sarti nelF accurata sua opera
intorno a' Professori della Felsinea Università scri-
ve che la famiglia Guidotti era indigena di Bologna,
trapiantatasi a Roma, ma che di frate Guidotto nien-
te v' ha di sicuro : certi nihil statui posse arbitror.
Sbattezzato che avrem Guidotto, talché per'
da il nome di Galeotto^ dove il collocheremo noi ?
Nella schiera dei frati Dotnenicani o in quel-
la dei frati Godenti ? Sotto il vessillo dell' Ordine
dei Predicatori lo hanno posto i PP. Quetif ed
XI
Ecliard, perchè un Codice della Rettorica da essi
veduto nella Biblioteca dell' Annunziata in Firen-
ze aveva la prima lettera iniziale con dipintovi un
fraticello vestito di tonaca tutta bianca^ con so-
pr essa un mantello di color cinerizio j e quindi
sospettarono che l' autore del libro essere potesse
un padre maestro Domenicano. Ma anche altro
illustre letterato, 1' ab. Mehus, osservò altro Codi-
ce col fraticello dipinto con veste bianca e di co-
lor cinerizio, e per queste insegne giudicò bene
di allogarlo tra i frati Godenti; e il cav. Tiraboschi
si accomodò all' avviso del Mehus , perchè un Bo-
lognese, il secentista Ovidio Montalbani, onorò
fra Guidotto del titolo di Nobile e di Cavaliere,
Ma la miniatura di un Codice e T asserzione di as-
sai poco critico scrittore mi paiono puntelli troppo
fievoli ; e può forse indebolire il ragionamento del
Tiraboschi anche il sapersi che V opera fu scritta
forse prima dell'anno 1260 e che non avanti que-
st' anno i frati Godenti posero loro sede in Bologna.
In ogni modo poco importerà che Guidotto fosse o
Domenicano o Godente, e basterà essere certi che
non gli vada tolta dagli omeri la cocolla , perchè
Frate si chiama egli stesso nello scrivere il suo pro-
prio nome.
Queir Ovidio Montalbani dee avere condotto
anche il grande Maffei ad annunziare F opera con
XII
inesattezza, così leggendosi nel suo libro dei Tradut-»
tori Italiani : La Rettorica ad Erennio da Galeotto
Guidotii trasportata nel isS^, stampata in Bolo*
gna nel i47^^ ^ nel i658. Non è la Rettorica ad
Erennio ; improprio è il nome di Galeotto Gui^
dotti; non si può asserire che sia stata trasporta-
ta nel 1257; molto meno stampata in Bologna
nel 1478' E basti qui intanto osservare come non
abbia solida base quel determinato anno 1257*
Nella ristampa bolognese dell'anno i658 l'edito-
re Montalbani fa dire allo stampatore Manolessi^
che la &ua edizione è copia di quella lattasi nel
14785 di cui ci dà il titolo come segue: Rettori^
ca nuova traslatata di latino in volgare per lo
eximio maestro de V arti liberali fra Galeotto
Guidotti Nobile Cavaliere da Bologna, V anno
del Signore 1257. Che questa intitolazione non
sia punto così lo si potrà scorgere nella fedele mia
ristampa, dove non è fatto cenno alcuno di mille-
simo. Tuttavia non andò troppo lungi dal vero chi
c(ssegnò il 1257 per F anno in cui fu dettata l' ope-
ra, giacche la Rettorica è fuor di dubbia dall'autor
suo indirizzata al re Manfredi di Sicilia, e il re
Manfredi cominciò a prendere le redini del gover-
no nell'anno 12 54, e per morte le depose nel i2G5,
ovvero nel seguente: quindi in questo mezzo cer-
tamente la operetta si scrisse e si divulgò.
XIII
Le pazienti indagini fatte dal P. Iacopo Ma-
ria Paitoni risparmiano a me i confronti per far
conoscere che questo libro non è propriamente un
volgarizzamento della Rettorica di Marco Tullio.
Ognuno sa che i nostri buoni antichi erano per lo
più grossi ed ignoranti in fatto di traduzioni e che
di loro capriccio le rivestivano. I volgarizzamenti
di Esopo, della Eneide, (degli Amori del Sulmone-
se, quello delle Pistole trasportate da quel ser
Bocca di Lampana tanto scardassato dall' illustre
Cav. Vincenzo Montile tanti altri, sono ombre di un
corpo. Non lo stesso, ma peggio dicasi della Retto-
fica scritta da fra Guidotto, mentr' egli si contentò
di dare un immaginato Compendio o Ristretto dei
Libri non ad Herennium, ma de Inventione, Com-
pendio che neppur segue sempre le vestigia del-
l' Oratore romano. Mal a proposito si è dunque
scritto la Rettorica di Tullio, e la vera denomina-
zione Fha data frate Guidotto medesimo, il quale
nel suo Prologo scrisse : Io ho compilato questo
Fiore di Rettorica nella ornatura di Marco Tul-
lio ; che vale a dire : Io ho unito insieme la parte
più scelta deW arte di ben dire, ed holla rivestita
degli abbellimenti che le dà Cicerone, Se io dun-
que, diversamente dagli Accademici della Crusca,
ho prescelta nel libro la denominazione di Fiore
di Rettorica di frate Guidotto da Bologna, parmi
XIV
avere ciò -fatto con evidente e salda ragione ; né
spiacerà poi^ spero, eh' io abbia lasciato al libro
quel suo naturai distintivo che pur era molto in
voga a' tempi antichi, spesso scrivendosi allora Fio-
re di Virtù, Fiore di Parlare, Fiore di Cavalle-
ria ec.
Ad altra osservazione m' invita la natura del
mio assunto, volendo io alcuna cosa dire su quel
brano di prefazione di quest' antica scrittura da-
toci dal Perticari. È fuori di dubbio che se per ve-
tustà* e leggiadria egli bene la giudicò scrittura no-
bile, resta poi sempre n definirsi quale essa vera-
mente uscisse dalla penoa di frate Guidotto; e la
buona coscienza di sì illuminato scrittore dovea
almeno metterlo in dubbietà intorno alla scelta
deir esemplare eh' egli ci ha porto. Perchè mai, an-
ziché togliere la sua copia o dagli smozzicati fram-
menti che primo pubblicò Iacopo Corbinelli in Lio-
ne nel 1568, o dal testo che sopra due vetusti Co-
dici collazionato ci diede Domenico Maria Manni,
amò egli trarla da una stampa, la quale Y Infari-
nato non ha avuto tutto il torto di giudicare scor-
rettissima di tutte, intanto che in altro linguaggio
si può dire quasi che sia trasfigurata? Questa stam-
pa dee essersi fatta verso il 1478, e 1 Cavaliere eru-
dito dovea ben sapere quanto poco fosse amato il
parlar gentile sul finire del secolo XV, e di quanti
X?
arbitrii solessero allora rendersi colpevoli gli edi-
tori de volgari libri, specialmente non toscani. Ol-
treché , senz' altre argomentazioni , al solo svol-
gere un po' attentamente alcune facce di quel li-
bro poteano saltargli all' occhio assai presto le mol-
te sue scorrezioni, e farnelo diffidente. Ma questa
inavvertenza non sarà poi altro che un peccatuc-
cio che resta a gran dovizia purgato e cancellato
dalle tant' altre sue santissime letterarie virtù.
Ma prima la trasse dell' occhio suOy che la
festuca di quel del prossimo^ dee V uomo trarrey
scriveva quell'allegro vecchio di Franco Sacchet-
ti, ed io avrò bisogno di questa evangelica corre-
zione ora che parlerò dell' opera da me prestata per
far rivivere fra Guidotto. Sappia se non altro il
lettore di quali mezzi mi sono provveduto e come
il mio, qualunque siasi, lavoro è oggidì consegna-
to alla stampa.
Tre differenti Godici di questo libro si serba-
no nella R. Biblioteca Marciana, ma tutti molto di-
versi tra loro ; che già tali opere si trasformavano
ogni giorno e ogni copiatore cercava di farle sue.
Due furono i Godici esaminati in Firenze dal Manni,
scritti nel i4oo e nel i4io, ne' quali però non tro-
vasi nominato mai fra Guidotto, ed il leggersi in uno
di essi questa postilla : Libro recato a certo ordi-
ne per messer Bono di messer Giambone, fece al
XVI
Manni congliietturare che o messer Bono od altro
messer Iacopo Giambono fosse l' autore della ope-
retta. Di altri Codici si trovano notizie nel Paito-
ni, neìV Argelati, nel Fantuzzi. Ora dovendo io te-
ner dietro ad una principal scoria mi sono attenuto
a quello scritto nel XIV secolo col nome delF au-
tore frate Guidotto, Codice incomparabilmente su-
periore in bontà agli altri nella Marciana nostra esi-
stenti. Sta segnato col numero XXI della Classe X
fra gF Italiani, ed era già posseduto dal Farsetti.
Quantunque il carattere sia non poco difficile a dici-
ferarsi, per longevità di tempo, per ordine e copia di
materia, per purità di favella è certamente pregevo-
lissimo. L' accennata prima edizione senza alcuna
nota di luogo, di anno e di stampatore non mi è sta-
ta punto inutile, giacché quantunque spropositata
nella correzione e colla tela delle parole rotta fre-
quentemente dalla scioccheria del copista o da quel-
la dello stampatore, nulladimeno la materia è ine-
rente al Codice XXI e lo supplisce eziandio in qual-
che luogo . Avvertasi che di quest' edizione avvi un
esemplare anche nella Marciana, in fine del quale
sta impresso Tanno MCCCCLXXVIII, ma questo
millesimo, eh' è affatto fuor di linea, si vede esservi
stato senza dubbio aggiunto a mano, sicché non è
da moltiplicarsi il numero dell' edizioni, e l' accen-
nata qui sopra resta sempre la principe» Domenico
XVII
Maria Marini pubblicò F accennato suo testo dopo
r Etica di Aristotile nella stampa fattane ja Fi-
renze nelF anno 1734 in ^io j ma r ordine della
scrittura vi si trova sconvolto, e qua e là sono ora
lacune, ora addizioni, ora le cose medesime in vario
modo espresse ; però la favella, quantunque ripuli-
ta dagli antichi menanti toscani , o caricata di
qualche arcaismo di cui ho tenuto nota^ non ha
grande diversità da quella del Codice XXI della
Marciana.
Ora il Codice Marciano XXI, la prima stam-
pa, il testo Manni furono le sole mie guide nel
collazionare la presente nuova edizione. Seguitan-
do il Codice ho creduto di sostituirvi tal volta la
lezione tolta dagli altri due miei esemplari , non
senza però farne il lettore avvertito colle varianti
segnate a pie di ogni faccia, dove altre varianti an-
cora egli troverà, non meno che que' cenni che pò-
teano meglio importare a qualche utile notamente
nelle cose della lingua.
Nei tre esemplari suddetti si trovano inti-
tolazioni affatto irregolari, e quello che maggio-
re imbarazzo reca si è, che molte volte il copi-
sta o lo stampatore passano di secco in secco
e senz' alcuna pausa da uno in altro ragionare. Ho
creduto non riprovevole arbitrio quello di distri-
buire il libro in quattro Trattati, la quale divisione
XVIII
è additata dalla materia stessa , e di aggiiignere
quel titolo o quella dichiarazione di ogni para-
grafo che con disordine soltanto stanno contras-
segnati nei tre esemplari suddetti. Non ho man*
cato di trascrivere per intero le poche addizioni
che offre il testo Manni, il che importa ad ottenere
che la edizione presente non lascii in desiderio e
in bisogno della Fiorentina. Il Codice^ e peggio an^
Cora r antica stampa, non ha ombra di gramma-
ticale ortografia , ed il testo Manni alF opposto
è inabissato in un mare d'interpunzioni che re-
cano più buio che luce. La interpunzione è for^
se la parte più difficile ad afferrarsi da un editore,,
mentre i segni ortografici sono la guida della men-
te, e quando giacciono mal collocati stravolgono af-
fatto i concetti; sicché il cavalier Monti ben a di-
ritto sentenziò che questi segni non sono punto
pedanterie, ma spie sicure di ciò che si cela sot-
to la cupola del cervello. Io ho adottate quelle
misure che mi parvero meglio opportune alla pron-
ta intelligenza e chiarezza della scrittura e desì^
dero di non essermi ingannato.
Le diligenti edizioni sogliono avere Y orna-
mento di un Indice di tutte quelle stampe che pre-
cedentemente si sono fatte, e nel caso nostro re-
stano meglio arricchite quando offrano anche F In-
dice dei Godici che possono essere conosciuti «
XIX
Siccome però ad ottenere questo intento avrei dovu-
tO; quanto a' Codici, prendermi molta briga per co-
noscere quello che non è stato notato dagli scrit-
tori ; e quanto all' edizioni non avrei die impin-
gualo il libro di notizie di poco o ninno interesse,
cosi confido d'essere scusato dell' avermi evitata sif-
fatta noia, e tanto più clie l' edizione principe e le
stampe fatte colle cure del Corbinelli e del Manni
penso elle sieno le sole buone e valutabili. Avrei be-
ne desiderato di soddisfare la mia curiosità coll'esa-
me della più volte rammentata edizione dataci dal
Montalbani in Bologna nel i658 in 12, ma non es-
sendomi riuscito di averla sott' occhio, per le cose
già osservate mi arrischio di giudicarla affatto in-
fruttuosa. Quel caro signor Ovidio Montalbani non
potea fiutar bene per entro alla tramoggia, egli che
intitolava i soprabbondanti suoi libri la Crono-
prostasì, la Kiposcopia, la Comenscopia, la Bronio-
logia, e eh' era un lettore di matematiche incarica-
to, dice il suo biografo, di formare il tacuino de' gior-
ni propizii o avversi al cavar sangue e al purgarsi.
Mi sono proposto di dire alcuna parola anche
del conto in che può aversi questo Fiore di Ret^
toricuy ed eccomi qui da ultimo a liberar la mia
fede. Altra cosa che i Gravina, i Genovesi, i Soa-
ve del decimoltavo secolo erano i Guidotti, i Guit-
toni, i Brunetti del secolo decìmoterzo; e '1 nostro
XX
Autore che nel primo de' suoi Proemii loda Mar-
co Tullio perchè era grande della persona e ben
fatto di tutte membra e d' arme maraviglioso ca-
valiere^ e il suo menaute che nel Proemio premes-
so al terzo Trattato malmena il frate come briaco
perchè ha ripetuto in due luoghi le stesse lezioni, e
giudica che il lettore non abbia studiato mai libro,
se non come fanno i fanciulli che ricorrono V ab-
biccì e 7 Deus in nomine, sono certamente uomini
colali che non possono oggidì aggiugner lume alla
chiarezza dei nostri intelletti. Ma in ogni tempo si
sono venerate le preziose memorie prime, e '1 con-
tinuare a farlo sarà sempre indizio di civiUà na-
zionale e di patrio attaccamento. In mezzo poi
a' moderni contrasti sulle cose della favella noi ab-
biamo veduto gì' italici nostri combattenti più illu-
stri, Cesarotti e Napìone, Cesari e Monti, Per-
ticar! e Lampredi, trovarsi d' accordo nel dogma,
che senza dare opera allo studio dei buoni vecchi
non si giugnerà mai al pieno conseguimento della
purità di quella lingua che fu da costoro maraviglio-
samente fondata e scritta. Ora Frate Guidotto sarà
valutato tanto più reverendo quanto che, quantun-
que nato fuori del suolo toscano n'è stato uno de'
primi babbi, ed il suo eloquio non si troverà senza
giudizio e sapere, né si vedrà imbastardito di quegli
arcaismi che possono supporsi soltanto propri! di
CXI
un popolare dialetto. Se il rendere questa sua scrit-
tura di più universale conoscenza non sarà, come
confido, tempo perduto, non sarà né meno discaro
eli' io dia termine a questa Prefazione, ricopiando
alcune similitudini, sentenze, frasi e leggiadre im-
magini che trovansi sparse per entro il libro, e che,
quantunque cariche ormai di circa cinquecento e
sessant' anni di età, appaiono ancora fresche e ru-
giadose.
SENTENZE
Tuttoché la regale pecunia sia mantello, lo
quale molti vizii ricopre fra le genti, non fa ri*
coperta di colui che non sa ben dire. Car. 6.
Senza la favella sarebbe la bontà come uno
tesoro riposto sotterra, che, se non è saputo, più
che terra non vale, Car. 7.
// domandare spesse volte delle cose dub*
biose è una delle cinque chiai^i della sapien*
zia» Car. i-j.
Niuna cosa più presta che lagrima si seC'
ca. Car. Si.
Pacifico ti mostra a nimici, aspro agli ami'
ci, Car. 57.
Colui si dee libero chiamare che non è ser-
vo di alcuna bruttura. Car. 61.
XXII
Non solamente è povero colui che ha poco,
ma colui che saziare non si puote. Car. 6 1 .
Malamente errano coloro, che quando sono
in grande stato credono avere fuggita la ventu-
ra ; ma quegli si porta saviamente^ che nelle pros'
perevoli cose pensa dinanzi come la ventura si
può mutare. Car. 62.
La bellezza del corpo o disfassi per male che
abbia ^ o tolsi via per vecchiezza. Car. yS.
Quello che non piovve da cielo rimase suso,
Car. 82. Proverbio da usarsi quando uno, dopo
avere ripreso altri alla libera, mitiga poscia l'acer-
bità con qualclie lode.
Savii debbono essere tenuti coloro che per
fare salva la città loro non ìschifano pericolo né
fatica ninna, Car. 92.
Né 7 puledro non domato, avvegnaché sia
buono, può essere acconcio a quella utilità che
V uomo desidera del cavallo ; ne l' uomo non usa"
to, avvegnaché sia ingegnoso, può essere di molr
ta bontà. Car. yS.
xxin
SIMILITUDINI
La favella di un dissennato è come uno coltello
aguto e taglìe?ite in mano d^ uno furioso. Car. 6.
L^ ordinare della favella è di lauta virtù nel
dire, che dicono i savii, che così dà vittoria nel
suo intendimento, come le schiere de cavalieri ben
composte e ordinate fanno vincere al signore le
battaglie. Car. 26.
Queir oratore che senza proemio viene in-
contanente al fatto elle vuol dire è avuto come co-
lui die vien lotoso a mangiare , e ponsi al desco,
e non si lava le mani. Car. 29.
Com^ è da ripj^endere colui che, quando na-
viga, pili, avaccio la nave che le persone intende
a salvare^ così di colui è da fare beffe e scherno,
che in sul grande pericolo pia provvede al suo
salvamento che a quello del comune, perchè, spez-
zata la nave, molti ne possono campare, ma
quando perisce il comune non ne campa veru-
no. Per la qual cosa possiamo dire che Decio si
portò saviamente, che per campare la citici sua si
mise alla morte ed a ferire i nimici. Per vii cosa
e per piccola grazia ricomperò una grande ; die*
de la vita e fece salvo il paese; partissi l' anima
e accattò gloria e onore ; // quale non menoma,
ma sempre cresce ed inforza, Car. 91.
Questo luogo non è da tutta la quistione, sich
come uno membro sceverato, ma, siccome sangue,
per tutto il corpo della quistione è sparto. Gar. gS.
Come colui che piglia il pennone per correre
nel prato, di colui , die ha corso, corre meglio, così
il podestà nuovo, che piglia la signoria, del vecchio
è migliore, perchè affaticato colui, che ha corso,
rende il pennone a un altro, che corra, ma il pode-
stà già usato rende la signoria al nuovo. Car. 94.
Come il giullare die si leva in piede ec. Leg-
gasi tutta questa bella similitudine. Car. 96.
Questi spesse volte va per mezzo il mercato
ricciuto come un drago, con una guardatura rab-
biosa, con uno animo avvelenoso, di qua e di là
guardandosi d intorno se vedesse alcuno, cui po-
tesse col fiato appuzzare e colla bocca mordejv e
ed' denti squarciare. Car. 99.
Costui quando rizza il mento in parte alcu'
ita, sempre crede da tutta gente essere guardalo,
come se f asse pietru preziosa o bellissimo oro ri-
lucente. Car. loi.
Nel tempo che Roma aveva molti cavalieri
ec. Car. io3. Tutto questo esempio del SermoDa-
re equivale ad una delle più briose Novellette che
si leggano nell'antico libro del Bel Parlar Gentil
le, ed il racconto sembrami fatto con evidenza e
con non comune gagliardia di stile.
XXV
BUONE DEFINIZIONI
Dilì^enzia è una sollecitudine in sapere lo
suo ben guardare, ma avarizia è uno ingiurioso
desiderio dello altrui, Car. 69.
Follia è uno apprendimento di fatiche e di
pericoli^ non considerando che del fatto si può se-
guitare. Car. 69.
Della DivisioTie delle voci, e sopra quante vo-
ci si dee dire. Car. 121. Questo capo, e gli altri tre
seguenti sul modo di pronunziare le parole, di cam-
biare il tuono della voce e di gestire sono di qual-
che importanza, mentre esprimono con chiarezza
alcune cose non facili a dirsi.
Pnidenzia è uno sottile scaltrimento, per lo
quale si muove V uomo per diritta ragione a co-
noscere il bene dal male. Car. i36.
Giustizia è una ferma volontà d^ animo, per
la quale l' uomo si muove a rendere la ragione
sua a ciascuno, secondo l'essere suo. Car. 1 38.
Fortezza è una ferma volontà di animo, per
la quale si muove V uomo a desiderare le cose
grandi e a dispregiare le cose vili e ad essere sof-
ferente delle fatiche e dei pericoli. Car. 140.
IL FIORE
DI
RETTORIGA
Comincia la elegantissima dottkina dello eccel-
lentissimo Marco Tullio Cicerone, chiamata Ret-
TORICA nova, TRASLATATA DILATINO IN VULGARE PER LO
esimio MAESTRO GALEOTTO DA BoLOGNAI OPERA UTILIS-
SIMA E NECESSARIA AGLI UOMINI VULGARI E INDOTTI (l).
N.
el tempo che signoreggiava il
grande e gentile uomo Giulio Cesare^ il
quale fu il primo imperadore di Roma,
di cui Lucano e Sallustio et altri autori
dissono (2) alti e maravigliosi versi, nel
XI 1 1 1 anno dinanzi alla natività del no-
stro Signore: In quel tempo fu un nobi-
le e virtuoso uomo, cittadino di Capoa e
del regno di Puglia, il quale era fatto abi-
tante della nobile città di Roma, et aveva
nome Marco Tullio Cicerone, il quale fu
(i) Questa intitolazione nel Codice dtlla
Marciana è come segue : Qui comincia la rettori-
ca nuoua di tulio traslatata di gramaticha in uol-
gare p frate guidotto da bolongna, e cosi leggesi in
altri Codici ricordati dall' Argellati.
(2) dissero, leggesi neW antica edizione.
maestro e trovatore della grande scienzia
di Rettorica^ cioè, di bene parlare; e trovò
et ordinò per lo suo grande ingegno natu-
rale questa scienzia di Rettorica, la qua-
le avanza tutte le altre scienzie per la bi-
sogna (i) di tutto il giorno parlare nelle
valenti cose, siccome in far leggi e pia-
ti (2) civili e criminali, e nelle cose citta-
dine, siccome in fare battaglie et ordina-
re schiere e confortare cavalieri nelle vi-
cende (3) degl' imperii, regni e principati;
con governare popoli, regni, cittadi, vil-
le, stranie e diverse genti, come si conver-
sa nel gran cerchio del mappamondo del-
la terra. Et a contare brievemente la vita
del detto Marco Tullio, voglio che sappia-
te, che fu uomo intento (4)^) della sua vita
amabile, costante di sua grazia e virtù,
grande della persona e ben fatto di tutte
(1) lo bisogno, leggesi neW antica edizione.
(2) patti, leggesi neW antica edizione.
(5) faccende, leggesi nelV antica edizione.
(4) in tempo, leggesi nelV antica edizione.
memtra, e fu d'arme maraviglioso cava-
liere, franco del coraggio, armato di gran-
de senno, fornito di scienzia e^di grande
discrezione, ritrovatore di tutte cose. Et
io frate Guidotto da Bologna, cercando le
sue magne virtudi, emmi mosso talen-
to (i) di volere alquanti membri del Fiore
di Rettorica vulgarizzare di latino in no-
stra lingua, siccóme appartiene al mestie-
re de' laici, vulgarmente. E, come conta-
remo per lo 'nanzi nel versificato che fe-
ce il grande poeta Vergilio, e nel tempo
che fu Ottaviano imperadore augusto, fi-
gliuolo adottivo di Giulio Cesare, nell' im-
perio della sua dignitade, nacque Cristo,
il glorioso Salvatore del mondo ; il' quale
Vergilio si trasse tutto il costrutto dello
intendimento della Rettorica, e più ne fe-
ce chiara dimostranza, sicché per lui pos-
siamo dire che l'abbiamo, e conoscere la
via della ragione e la'etimologia dell'arte
di Rettorica; imperocché trasse il gran
(i) mi mossi, leggesi nelV antica edizione»
4
fascio in piccolo volume e recollo in ab-
breviamento. Et io considerando te, e la
tua grande bontà, alto Manfredi lancia e
re di Cicilia (i), siccome a diletto e caro
Signore nell' aspetto de' valenti principi
del mondo, essere sopra gli altri re gra-
zioso, lìo compilato questo Fiore di Retto-
rica nella ornatura di Marco Tullio, nel
quale, secondo mio parere, voi potete a-,
vere sufficiente et adorno ammaestra-
mento a dire, per questo libro, in pubbli-
co et in privato.
(i) Così pare che debba leggersi nel Codi-
ce della Marciana, dove però il testo è alquanto
corroso ed il significato non chiaro. NeW anti-
ca edizione si legge : Manfredi di Francia ; altro
errore, e meglio sarebbe Manfredi di Federico.
PROLOGO (*)
A.
cciocchè la i^ita è corta e V ar-
te è lunga e 'l mestiere e 'l bisogno, non
potejno in tutto considerarle (i) piena-
mente il nostr^o i^olere.j ma pigliarne una
partita brievemente ^ siccome il nostro
Signorie ne concederà grazia^ diremo
come V uomo^ per la virtù che gli è data
dalla somma potenzia di Dio nella Un-
giia^ di sapere favellare^ perchè avanzi
tatti ^i altri animali. Siccome noi abbia-
mo detto di sopra^ avanza tutti gli altri
uomini e le bestie: e quanto.) per la detta
cagione^ è pia nobile e migliore che gli
altri animali^ cotanto V uno uomo è m^ag-
giore e migliore che non è T altro^ in
(i) Perchè la vita è breve, e l'arte è lunga
e i mestiere, in tutto non possiamo considerare,
leg^esi nelV antica edizione.
ciò^ che safai^ellare meglio e più sai^ia-
mente; cJiè^ tuttoché la regale (i) pecu-
nia sia mantello^ lo quale molti i^izii ri-
copre Jra le gentil non Ja ricoperta di
colui che non sa hen dire. Et io i^eggen-^
do nella Jcwella tanta viHude et utilità^
sì misi tempo per compilare (2) con i^
studio questa opera. Non certo che f asse
mia credenza che solo la h ella favella
in sé ai^esse tanto di utilitade,) se colui^
che sa ben favellaj^e,) non avesse in sé
senno e giustizia: anzi senza le dette
due cose,) secondo che dicono i savii», è
quella persona una pistolenzia gran-
dissima del suo paese e del suo comu-
ne^ perché la favella sua é come uno
coltello aguto (3) e tagliente in mano
d'uno furioso ; ma se Vuomo ha in sé
senno in saper hene provvederle,) e ha
(1) reinale. Cod. della Marciana.
(2) per trarre a fine, leggesi nelt antica, edi*
zione,
(3) acuto, leggesl nelV antica edizione^
7
in sé giustizia e ferma volontà di sape"-
re le cose bene disponere a drittamente
voler giudicare^ sì gli fa bisogno di sa--
pere ben favellare^ acciocché sappia le
cose mostrare et aprire. Senza la favel-
la sarebbe la bontà sua come uno teso-
ro riposto sotterra^ che se non è saputo
più che terra non vale; e dacché la fa-
vella é accompagnata d' alcuna perso*
na colla giustizia e col senno^ si rende
più perfetto Vuomo^ che non sono gli
aitici. Ho mostrato di sopra quanto sono
gli uomini per la favella meglio che gli
altri animali; perocché molto vale a
se medesimo^ et é molto utile e caro ad
altri^ sì al suo comune , sì a suoi ami-
ci e parenti^ che n hanno conforto né
loro fatti^ e grandissimo consiglio e ri-
fagio , quando é savio dicitore , Adun-
que qualunque persona vuole sapere
ben favellare e piacevolmente^ si pen-
si di avere prima setino^, acciocché co-
nosca e senta quello che dice; poi pren-
da fenna volontà di operare giustizia e
8
misura e ragione , acciocché della sua
■parola non si possa altro che heu se-
guitare : e questo libro legga sicura-
mente^ e senta meco certi ammaestra-
menti^ che sono dati dalli sa\>ii in sulju-
{?ellare^ e da che gli ha letti e ben im-
pressi si usi (i) spesse volte di dire;
perchè il ben palliare si è tutto dato
alla usanza^ che ogni cosa si acquista
per uso et abbassa molto per disusare^
e senza usare non puh essere alcuno
buono parlatore.
(i) Ausi. Testo Manni,
(*) Questo Prologo ed i seguenti quattro. Ca-
pitoli hanno molta diversità nel Testo pubblicato
da Doni. M» Manni in Firenze 1735 in f^to; testo
che qui si ricopia affinchè V Operetta presente of-^
fra le varie lezioni nella loro integrità.
Per manifeste ragioni provano i savj filosofi, che
scrissono dottrina di parlare, che la virtù, che die-
de Iddio all'uomo di sapere favellare, è la cagione
perchè avanzi le bestie, e quanto per la detta cagio-
ne è maggiore, e migliore, che gli altri animali, co-
tanto è r uno uomo migliore, che 1' altro in ciò, che
sa favellare meglio, e più saviamente. Ed io veg-
gendo nella favella cotanta utilitade, si mi venne in
talento a' prieghi di certe persone, della Rettorica
di Tullio, e d'altri detti di savj cogliere certi fiori,
per li quali del modo del favellare dessi alcuna dot-
trina ; e non veggendo, come il potessi ben fare per
molta altra briga, e faccenda, ch'aveva per la cura
del mondo, si mi puosi in cuore, certi tempi, che
sono dati all' uomo per riposo, in istudio di questo
fatto volere consumare, e noi feci perchè fosse mia
credenza, che solo la bella favella per se avesse al-
cuna bontà, se colui, che sa favellare, in se non a-
vesse senno, e giustizia, anzi sanza !e dette due co-
se, secondochè dicono li savj, è quella persona, per
la favella una pistolenzia grandissima del suo pae-
se, perchè la sua favella cosi è in lui pericolosa ,
com' uno coltello aguto, e tagliente in mano d'uno fu-
rioso. Ma se l'uomo ha in se senno in saper bene in
sulle cose vedere, e ha in se giustizia, cioè ferma vo-
lontà di volere le cose ben disporre, e dirittamente
volerle fare, si gli fa bisogno di sapere favellare, ac-
ciocché sappia le cose mostrare, ed aprire, e sanza
la favella sarebbe la bontà sua, come uno tesoro ri-
posto sotterra, che se non è saputo, più che terra non
vale ; e dacché la favella é accompagnata in alcuna
persona colla giustizia, e col senno, rende si perfet-
to r uomo, eh' è tanto meglio, che non sono gli al-
tri, quant'io t' ho mostrato di sopra, che sono gli uo-
mini per la favella meglio, che gli altri animali, per-
ché vale molto a se medesimo, è molto utile, e caro
a suo comune, e agli amici, e parenti è grandissimo
consiglio, e rifugio. Dunque qualunque persona ha
volontà di sapere piacevolmente ben parlare, si si
pensi imprima d'avere senno, acciocché conosca, e
senta quello, che dice, e poi pigli ferma volontà di
aoperare giustizia, e misura, acciocché delle sue pa-
role non si possa altro, che bene seguitare; e que-
sto cotale legga sicuramente in questo libro, e sen-
ta meco certi ammaestramenti, che sono dati da' sa-
vj in sul favellare, e dacché gli ha letti, e bene in-
tesi, si ausi spesse volte di dire, perché il bello par-
lare è tutto dato all'usanza, e sanza usare non puote
essere alcuno bel parlatore.
Il
Per quanti modi j' appara dottrina di parlare»
Coloro, che vogliono perfettamente sapere favel-
lare, possono venire a capo di loro intendimento per
tre vie ; l'una per usanza di molto dire, perchè u-
sando di dire 1' uomo, la natura l'aiuta, sicché da se
medesimo imprende ; V altra per seguitare nel suo
dire alcuno bello dicitore, perchè dilettandosi l'uo-
mo nella favella d' alcuna savia persona, seguita le
parole, e '1 modo suo ; la terza per vedere, e sentire
gli ammaestramenti, e la dottrina, che sul favellare
è data da' savj ; e per li due modi, che sono posti
prima di sopra, cioè o per usanza di molto dire, o
per seguitare nel suo dire alcuno bello dicitore, ap-
parano gli uomini laici a parlare, e non per lo ter-
zo, cioè per sapere la dottrina, che in sul favellare è
data da' savj, perchè non la sanno, né posson sape-
re, perchè è data per lettera da loro. Ma acciocché
per questa via possano i laici alcuna cosa sentire, mi
penso di darne in volgare alcuna dottrina, avvegna-
ché malagevolemente si possa fare, perchè la mate-
ria è molto sottile, e le sottili cose non si possono
bene aprire in volgare, sicché sen' abbia pieno in«-
tendimento ; però colui, che legge in questo libro,
legga prima, e rilegga molte volte, sicché da se me-
desimo intenda bene ogni cosa, e se dubitasse d'al-
♦ cuna cosa, e non la intendesse, non si tema di ricor-
rere ai savj, perchè domandare ispesse volte delle
12
cose dubbiose è una delle cinque chiavi di sapien-
za, per la quale puote 1' uomo savio divenire.
Sopra quante favelle si dà dottrina di parlare.
Della dottrina, e delli ammaestramenti, che 'n
sul favellare son dati da' savj, vogliendo certi utili, e
belli fiori recare in volgare, fa bisogno di sapere in
prima quante sono le favelle, nelle quali si dà dot-
trina di parlare ; e pongono i savj, che sono tre ; iu-
diciale, diliberativa, e dimostrativa. La giudiciale é
favella di contenzione, perchè contiene in se accu-
sa, o domandagione, contradicimento, e difensione ;
ed è detta giudiciale, perchè s' usa di fare dinanzi
agli giudici, e signori, che rendono intra le genti ra-
gione, mostrando per quella catuna parte sua inten-
zione, e la ragione del detto suo. La diliberativa è
favella, per la quale consiglio si piglia, ed è detta
diliberativa, perchè fatta la proposta, sopra la quale
si piglia consiglio, diverse ragioni muovono i consi-
gliatori a pigliare molti partiti, e però quella favella
si dilibera qual partito sia il migliore. Dimostrativa
è favella, per la quale si dice bene o male d' alcuna
persona, ed è detta dimostrativa, perchè si mostra
per quella, che sente la persona, della quale si fa-
vella; e questo ha luogo nel dire ispesse volte, av-
vegnaché per ciò principalmente non si faccia.
i3
Di quante cose dee essere il dicitore ammaestrato,
acciocché sappia favellare perfettamente.
Veduto per quanti modi s' appari di favellare
perfettamente, e quante sono le favelle, nelle quali
di parlare è dato dottrina per li savj, si voglio ora
mostrare di quante cose dee essere il dicitore am-
maestrato, acciocché sappia perfettamente parlare.
Egli dee essere ammaestrato di tre cose ; la prima,
che la sua diceria sappia dire con perfetta favella ;
la seconda, che a memoria la si sappia recare prima,
che parli ; la terza, che la sappia bene, e piacevol-
mente profFerere. E che dottrina è data da' savj so-
pra le dette cose ti voglio per ordine mostrare, ed
aprire ; e prima della dottrina data da' savj, come
il dicitore dee sapere dire la sua diceria con favella
perfetta.
A volere il dicitore con perfetta favella sapere
dire la sua diceria, fa bisogno di sapere in prima,
che cose dee avere in se la favella perfetta. La per-
fetta favella dee quattro cose in se avere ; la prima,
che sia buona, la seconda, che sia composta, la ter-
za, che sia ornata, la quarta, che sia ordinata ; e
quale favella buona, e quale composta ; e quale or-
nata, e quale ordinata sia ti vo' per ordine dimostra-
re, e aprire, e prima quale è buona favella.
t4
Qual è buona favella.
Buona è detta quella favella, eh' ha in se quat-
tro cose ; la pr ima, che tutte le parole, che sono nel
detto di colui, che favella, s'accordino insieme, cioè,
non si pecchi in latino; la seconda, che si proferino
le parole, come si conviene a ragione secondo il vol-
gare, nel quale s i favella, e per discacciare dalla fa-
vella i detti due vizj, fu fatta tutta l'arte della gra-
matica, la quale insegna fare le dette due cose, e divi-
desi nelle dette due parti, che s'appellano silogismo,
e barbarismo, come sanno i gramatici ; la terza, che
ponga il dicitore nel detto suo parole proprie, cioè,
che si facciano bene col fatto, che dice ; la quarta,
che dica il detto suo per parole usate, secondo il
volgare, nel quale egli favella.
\
i5
TRATTATO PRIMO
Qui tratta sopra sapere bene et ordinatamen-
te fa^^ellare, e per quanti modi si appara a bene e
drittamente parlare, e V usanza che fa di bisogno.
G
loloro che vogliano sapere ornatamente e
piacevolmente favellare , bene e profittabilmente
possono venire a capo di loro intendimento per
tre vie. L' mia, per molta usanza di dire, perchè
usando di dire l'uomo, la natura lo aiuta sicché
da sé medesimo imprende. La seconda, per se-
guitare nel suo dire alcuno bello dicitore che ab-
bia già udito, perchè dilettandosi T uomo nel dire
di alcuna savia persona, e del bello dicitore segui-
tando le parole, il modo suo si adorna. La terza,
per vedere e per sentire la dottrina e gli ammae-
stramenti che in sul favellare è data da' savii ; ma
questo interviene per li dui modi che sono posti
di sopra, cioè per usanza di molto dire, o per se-
guitare nel suo dire alcuno bello dicitore. Non ap-
parano gli uomini laici a parlar bene per lo ter-
zo, cioè per sapere o per vedere o per sentire
gli ammaestramenti e la dottrina che in sul favel-
lare è data da' savii, perchè non la sanno e non la
possono sapere, perocché è data per lettera da
loro ; che per niuno dei detti tre modi di sopra ap-
para l'uomo bene a parlare, se prima non usa di
dire ; ma usando di dire e sapendo gli ammaestra-
menti dati, o seguitando nel dire alcuno bello di'
citore, si appara a favellare tosto e piacevolmen-
te.. Per la qual cosa possiamo vedere, che il bel
dire è tutto dato da usanza, e senza usanza non
può essere bel dicitore; e per usanza di molto di-
re, o per seguitare nel suo dire alcuno bello dici-
tore apparano gli uo'mini valenti laici a parlare, e
non per sapere gli ammaestramenti dati da' sa vii
in sul favellare, perocché non gli sanno. Ma per-
ciocché per questa via possano i laici che non so-
no allitterati (i) alcuna cosa vedere, m^ ingegne-
rò di darne alcuno ammaestramento , avvegna-
ché malagevolmente si possa ben fare, perché la
materia é molto sottile a me non ben saputo ; e le
sottili cose non si possono ben aprire in vulga-
re , sicché se n' abbia bene fermo intendimento
da' non litterati, se '1 sponitore non è savio. E pe-
rò quegli che legge in questo libretto, se di alcu-
na cosa dubitasse, legga in prima e rilegga molte
volte, sì che da sé medesimo l'intenda, che io pu-
re dirò sì che intendere si potrà ; e se alcuna volta
(i) litterati, leggesi nelV antica edizione.
^7
dubitasse di cosa che non intendesse, si ricorra
a' savii, perciocché nel faranno inteso (i); perchè
il domandare spesse vohe delle cose dubbiose è
una delle cinque chiavi d^lla sapienzìa, per la qua-
le l'uomo può diventare savio.
Qui comincia di che materia dee trattare il libro,
e mostra /' ordine che debbe tenere.
Della dottrina e degli ammaestramenti, che 'n
sul favellare sono dati da' savii, volendo alcuna
cosa ritrarre in vulgare, ti voglio in prima mo-
strare come il dicitore debba sapere bene e orna-
tamente parlare ; appresso^ come il detto suo deb*
ba sapere ordinare; appresso, come con bel reggi-
mento e piacevole volto debba sapere il detto suo
ben profferire ; appresso, per quante vie e modi si
debbe e può consigliare in su le cose ; appresso,
per quanti modi si può dire bene e male ad al-
cuna persona ; e chi delle dette cose vuole impa*
rare , arrenda tutto l' animo suo al detto mio , e
fermi la memoria e lo 'ntendimento (2), perchè
(i) Io informeranno, leggesi nelV antica edi-'
•zìone.
(2) e sottigli lo ingegno e affermi la memoria;
leggesi nelV antica edizione.
J2
ÌS
la materia è molto sottile e contiene in sé molto
utili cose.
Qui dice dei tre oj^dini delle cose che
bisogna conoscere.
Sappi che tre sono le maniere delle cose, so-
pra le quali tu puoi e dei dire, cioè Dimostrati-
va , Deliberativa e Giudiciale. Dimostrativa è la
la prima catena (i) e maniera di lodare e vitupe-
rare alcuna persona secondo il suo merito. Delibe-
rativa maniera è quella che ammaestra di dire
quello che è giusto e non giusto (2).
Qui dice delle parti di Rettorica.
L' Arte della Rettorica ammaestra di sapere
ben favellare, e fa di se cinque parti. Invenzione,
(i) tema. Cod. della Marciana»
(2) Manca nelV antica edizione la spiegazione del-
la maniera Giudiciale, Nel Cod. della Marciana legge-
si una ripetizione a sproposito cosi: Giudiciale, ammae-
stra di dire quello che è giusto e non giusto. Per sup-
plirvi colla scorta del Testo Manni si aggiunga : Giu-
diciale maniera è quella, che si usa di fare dinanzi agli
giudici e signori; che readooo intra le genti ragione.
*9
Disposizione, Elocuzione, Memoria e Pronunzia-
zione. Siccome di sei parti : Esordio, Narrazione,
Divisione, Confirmazione, Confutazione (i) e Con-
clusione.
Qui dice delle quattro maniere delle cose^ che
fa di bisogno sapere al dicitore.
Innanzi che noi diciamo dell'Esordio debbia-
mo sapere, che quattro sono le maniere delle co-
se, le quali sono materiale e fundamento del dire ;
cioè : Onesta, Laida, Dubbia e Vile. La primiera (2)
è Onesta quando alcuno difende la giustizia dalla
ingiustizia ; Laida è quando alcuno difende la in-
giustizia e condanna la giustizia; Dubbia è quando
la cosa ha parte di onestà e parte di laidezza ; co-
me quando alcuno difende il padre contra la ma-
dre, e la madre contra il padre ; Vile si è parlare
di vili e basse cose ; e vili quando la cosa e la qua-
lità del fatto è piccolo , come se parlasse F uo-
mo di una gallina.
(i) KispoDsione» Cod. della Marciana,
(a) prima, leggesi neW antica edizione.
20
Qui dice deir operamento del cominciare.
Li ammonimenti (i) e la dottrina clie in sul
parlare è dato da' savii volendo, in quanto è pos-
sibile, recare in vulgare, e quanto è bastevole a co-
loro, elle sono laici, di sapere, e' fa bisogno di sa-
pere in prima quaFè la materia della quale si
favella. E dicono i savii, che tutta la materia del
favellare è in tre generazioni : cioè : Giudiciale, Di-
mostrativa e Deliberativa, Giudiciale è quella fa-
vella quando si domanda alcuna cosa, o si accu-
sa alcuna persona, o rispondesi alla dimanda e al-
l'accusa fatta da alcuno; et è detta Giudiciale,
perchè si usa dinanzi a' signori o a' giudici che
rendono la ragione, et è favellare di contenzione.
Deliberativa è detta quella favella quando sopra ai-
cuna cosa si consiglia, et è detta Deliberativa , per-
chè colui, che consiglia, delibera in prima quello
che è da prendere nel consiglio. Dimostrativa è
quella favella quando si dice o bene o male di alcu-
na persona, et è detta Dimostrativa, perchè dimo-
stra la gente e (2) la persona della quale si favella: le
(i) ixàào\xi?iXìdi2Lm.Bnl\jleggesinelV antica edizione.
{2) chente è. Cod. della Marciana^ e nel Testo
Manni leggesi la gente e.
ai
quali favelle come si possano usare, e favellare per-
fettamente, ti voglio per ordine mostrare e aprire
quello elle i savii dicono; cioè, che modi debba u-
sare il dicitore acciocché possa dirittamente par-
lare. I modi che debbe avere sono tre : Grave, Mez-
zano e Minore. Grave è detta quella favella, la cui
materia è di gran fatto et ha in se ornate parole
e belle sentenzie^ siano esse proprie o per simili-
tudine. Mezzana favella è quella, la cui materia
non e così alta, e non ha in sé tanti ornamenti. Mi-
nore é detta quella favella, la cui materia é di vir
le cosa, e dicesi del comune ragionamento che si
fa tra la gente. Ora ti dirò della favella Giudiciale,
che è posta in' prima di sopra, e nella quale si usa
più spesso di parlare.
Qui dice di che cosa debba essere ammaestrato
il dicitore.
Qualunque persona che nella favella giu-
diciale vuole favellare perfettamente, dee essere
ammaestrato da sei cose. La prima, che faccia la
sua favella buona ; la seconda, che la faccia com-
posta ; la terza, che la faccia ordinata ; la quarta,
che la faccia ornata; la quinta, che sappia re-
care (x) le sue parole a memoria innanzi che
(i) ritenere; leggesì nelV antica edizione.
23
parli; la sesta, che le sappia bene e piacevolmente
profferire, quando le dice. E come il dicitore sap-
pia tutte le dette cose ben fare sì ti voglio per or-
dine mostrare et aprire.
Qui dice della buona fustella.
La prima cosa onde il dicitore debbe essere
ammaestrato, acciocché nella favella giudiciale sap-
pia favellare perfettamente, si è, che la sua favella
faccia buona. E quella è detta buona favella che ha
in sé quattro cose. La prima, che tutte le parole
della diceria si accordino insieme ; la seconda, che
le profferisca come si conviene a ragione ; la terza,
che si dica la diceria per proprie parole j la quarta,
che si dica e contenga in sé parole usate. Accor-
dansi le parole della diceria insieme, quando si di-
cano in tale modo che non si pecchi in latino. Prof-
feransi le parole della diceria come si conviene a
ragione, quando si dicano come si conviene secon-
do il vulgare d' onde si favella : e per discacciare
dalla favella i detti due vizii fu fatta tutta F ar-
te della Grammatica, la quale si divide nelle det-
te due parti, che si appellano Barbarismo e Sil-
logismo (i). La parte della Grammatica, che si
(i) Sollecismo, leggasi nelV antica edizione*
$3
appella Sillogismo t'insegna le parti della diceria
sì acconciare che non si pecchi in latino; e quel-
la, che si appella Barbarismo t' insegna le par-
ti della diceria ben profferire, come sanno bene i
Grammatici. E dicesi la diceria per parole proprie,
quando si dice con parole che bene si fanno col
fatto; e dicesi la diceria per parole usate, quando
non si dice per parole straniere, cioè che non sia-
no in usanza di dicitore.
Qui dice della favella composta.
La seconda cosa laonde il dicitore dee esse-
re ammaestrato e ammonito, acciocché nella fa-
vella Giudiciale favelli perfettamente, si è, che fac-
cia la sua parola composta ; e quella è detta com-
posta favella quando la favella e le parole, che so-
no insieme poste, suonano bene e piacevolmen-
te Funa dopo F altra, e possonsi acconciamente
profferire. E questo si puote fare così, che 1 dici-
tore si guardi da sei cose : La prima, che non fac-
cia nella diceria e nel detto suo alcuno iato ; la se-
conda, che non ponga molti nomi (i) insieme nel
detto suo, nelli quali una medesima lettera molte
(i) molte Qomora. Cod, della Marciana^ e Testo
Marini, e così parecchie altre volte per innanzi.
volte si ridica • la terza , clie nella sua dice-
rìa non ridica una medesima parola molte volte ;
la quarta, che non ponga molti nomi insieme
elle siano consonanti, o che si accordino in rima •
la quinta cosa, che nella sua diceria non traspon-
ga parole sozzamente ; la sesta, che non continui
sue parole troppo dalla lunga. La prima cosa, on-
de ti dissi che si dee guardare il dicitore a fare la
sua parola composta, si è, che non faccia alcuno
iato nella sua diceria. Iato s intende, che non di-
ca la parola che finisca in ee, e ricominci in e, e
così si guardi di ciascuna lettera vocale ; il quale
iato si fa quando il dicitore pone dui o più nomi
insieme, che V uno finisca in alcuna di queste cin-
que lettere, che sono appellate vocali, cioè A. E.
I. O. U; e l'altro, che seguitasse, incominci dal-
la lettera simigliante , o da alcun' altra di quel-
le ; e questo è lo esempio (i) : Quando andana cà-
ia Quarantina a Roma^ di marzOy m intoppai in
Martino in Viterbo in andando . La seconda ^
cioè, che il dicitore non ponga molti nomi in-
sieme, colli quali una medesima lettera molte vol-
te si ridica; e questo è lo esempio: Di fino talen*
io ti amava tanto (2) teneramente che posare mi
(i)asempro; e così quasi sempre nel Testo Manni.
(2) li amai tra gli altri taulo. Testo Manni.
parea in Paradiso, pensando che ni eri piacen-
te (i). Della terza^ cioè, che non si ridica una
medesima parola molte volte, questo è lo esempio :
Della ragione, onde ragione non si può dare, non
è da dare Jede a quella ragione. Anche. FMi è
ben buono di molta bontà, ma sconcia la bontà
sua, perchè di bontà vuole essere lodato, e che
abbia bontà fa grande vista, E questo dee osser-
vare il dicitore, se non ridicesse la parola per ca-
gione di fare alcun hello ornamento, come più in-
nanzi ti mostrerò che si può fare. Della quarta, cioè,
che non ponga il dicitore nella sua diceria mol-
ti nomi insieme che siano consonanti, o che si ac-
cordino insieme in rima , questo è lo esempio :
Lacrimando, piangendo, luttando mi disse in an-
dando. Della quinta, cioè, che nella sua diceria
non trasponga parole sozzamente, questo è lo e-
sempio : À te, lo dico, figliuolo di Ioanni Marti-
no. Della sesta, cioè, che '1 dicitore non continui
sue parole molto da lungi (2), si è, quando il di-
citore avendo detto sopra una cosa, e poi molte
altre cose dette innanzi (3), quella cosa vorrà ri-
pigliare ; e di questo non fa di bisogno di dare
(i) sì pareva, che parlassi piacente. Testo Man-
nij e tanto era piacente. Cod. della Marciana.
(2) dalla lunga, leggesi nelV qntica edizione.
(3) in mezzo, leggesi neW antica edizione.
26
esempio, percliè apertamente si vede, che le orec-
chie dell' uditore e lo spirito del dicitore di ciò ri-
ceve grande ofFensione per quella cagione. Tutte
le cose, che in fino a qui sono dette di sopra, dee
osservare il dicitore a ben componere insieme le
parti nella favella perfetta. L'altro, che si dirà per
innanzi, è tutto come si dee ordinare ( i) la favella.
Qui dice della ordinata favella.
La terza cosa onde il dicitore dee essere am-
maestrato, acciocché nella favella giudiciale favelli
perfettamente, si è, che la sua favella faccia ordina-
ta ; e questo ordinare della favella è di tanta virtù
nel dire, che dicono i savii, che così dà vittoria nel
suo intendimento, come le schiere de' cavalieri ben
composte e ordinate fanno vincere al signore le
battaglie. Però alla dottrina di questo Trattato ora
volga il dicitore tutto l'animo suo, e fermi la me-
moria e assottigli lo ingegno , perchè è grande
e molto utilissimo trattato a sapere. Dicono i sa-
vii, che la favella si può in dui modi ordinare; l'u-
no modo secondo la dottrina e la via eh' è trova-
ta e data dall'arte; l'altro secondo che si con-
viene al tempo, che '1 fatto si dice.
(i) ornare. Testo Marini.
27
Qui dice come si ordina la diceria secondo
V ordine dato dalV arte (i).
Ordinasi la favella secondo l'ordine dato dal-
l'arte, quando il dicitore ordina la sua diceria in
sei parti , cioè : Proemio , Narrazione , Divisione ,
Confirmazione, Risponsione e Conclusione. Il Proe-
mio è la prima parte della diceria, perla quale l'a-
nimo dell' uditore si rende benevolo, o attento, o
ammaestrato in sul fatto. Narrazione è quella par-
te per la quale l'animo dell'uditore si rende be-
nevolo, ovvero per là quale il fatto si dice com' è
stato, o quasi. Divisione è la terza parte della di-
ceria, per la quale sopra queste cose si dee dire,
e mostrasi F ordine che dee tenere. Confirmazio-
ne è la quarta parte della diceria, per la quale si
pruova la contenzione di colui che favella per bel-
le ragioni e per forti argumenti. Risponsione è la
quinta parte della diceria, per la quale sì risponde
alla diceria colle ragioni che Y altra parte ha oppo-
ste, o potesse opponere, che al detto suo fosse con-
trario. Conclusione è la sesta parte della dice-
ria, per la quale il dicitore reca a memoria degli
uditori in poche parole ciò che spartamente ha
detto di sopra.
(i) secondo la dottrina, che '1 fatto si dice, leg-
gesì nelV antica edizione.
/
38
Qui dice come si ordina la diceria secondo il
tèmpo, che ^l fatto si dice.
Ordinasi la diceria secondo il tempo, clie il
fatto si dice, quando si serba l'ordine dato dall'ar-
te; e questo ordinare è tutto in arbitrio di co-
lui che favella, perchè partendosi il dicitore dal-
l' ordine dato dall' arte, ripiglia Y ordine che pa-
re a lui che si convegna, secondo il tempo, che '1
fatto si dice. E molte volte non fa proemio, o se
fa proemio non fa narrazione, o se fa narrazione
non fa divisione, e talora mette innanzi la nar-
razione al proemio, e talora lascia tutte tre le det-
te cose, cioè parti della dicerìa, e fa il comincia-
mento suo da alcuna forte allegazione, o da alcuno
detto di savio, o da alcuna similitudinC;, o da al-
cun bell'esempio, onde possa il detto suo abbel-
lire, ovvero attare per innanzi, E tutte le dette
cose non fa il dicitore senza cagione, perchè se
gli animi degli uditori sono molto gravati di udire,
per r abbondanzia di quello eh' è detto dinanzi
da loro, si dee guardare di fare proemio (i) , ma
incontanente dee cominciare il detto suo da alcu-
np bello detto da' savii^ per lo quale possa il detto
suo attare per innanzi. Similemente dee lasciare
(i) narrazione, leggesi neW antica edizione*
^9
il dicitore di dire quella parte della diceria, che si
appella Responsione, se non ha alcuna cosa a ris-
pondere ; e quell'altra parte, che si appella Con-
clusione, se il detto suo è stato brieve e sì aperto
e sì chiaro, che l'uditore al postutto dee compren-
dere agevolmente e tenere a memoria.
Qui dice della dottrina data in sul Proemio,
Veduto di sopra come per l' ordine dato dal-
l' arte si divide in sei parti la diceria,, ti voglio
mostrare la dottrina, eh' è data da' savii, in ciascu-
na delle dette sei parti, e di che cosa il dicitore si
dee guardare. E prima, la dottrina eh' è data nel
Proemio ti voglio dire. La prima parte della dice-
ria è detta Proemio, della quale dicono i savii che 1
dicitore, che vuole drittamente e bene parlare, nel
cominciamento della sua diceria dee fare alcuno
Proemio, per lo quale si acconcia F animo deir udi-
tore a meglio udire ; e se fare Proemio non vuole,
incominci il detto suo da alcuno bello esempio, o
da alcuna piacevole similitudine, o da alcuna au-
torità di savio uomo, o da alcuna ferma allegazio-
ne, per la quale possa per innanzi il detto suo
confirmare e attare. Ma chi nell'uno dei detti dui
modi non fa il cominciamento , ma viene inconti-
nente al fatto, che vuole dire , è avuto come colui
3o
die viene lotoso a mangiare, e ponsi al desco, e
non si lava le mani . E perchè il Proemio o il
cominciamento della diceria porta grande utilità
quando è ben fatto^ sì ci sono dati questi amrau-
nimenti per li savii. In prima, che '1 dicitore fac-
cia il suo Proemio bene e breve e di poche paro-
le y e che '1 faccia chiaro e aperto, sì che ne possa
l'uditore agevolmente trarre lo intendimento; e
che '1 faccia tale, che si accordi bene qol fatto che
vuole dire ; e che '1 faccia di parole usate e non
disusate et oscure ; e guardisi di farlo troppo or-
nato acciocché non paia all' uditore cosa pensa-
ta, perchè non si darebbe cotanta fede alle parole
sue ', e faccialo tale, che adoperi l' una di queste
tre cose ; cioè, che renda l' uditore più atteso al
detto suo, o rendalo più benivolo a sé, o rendalo
più ammaestrato in sul fatto che intende di dire.
E che parole può usare il dicitore per le qua-
li renda V uditore più atteso al detto suo, e per-
chè renda F uditore più ammaestrato in sul fatto,
brievemente e per ordine tei voglio mostrare et
aprire. E prima per che parole si renda V uditore
più atteso (i).
j
(i) parole '1 renda più benivolo a sé, e chenti
perchè '1 renda. Testo Marini.
3i
Qui dice come si rende più atteso V uditore.
e
Più atteso si può colui, che favella, rendere
r uditore per lo Proemio, se proporrà di dire co-
se grandi, o cose nuove^ o cose non usate ; o se
proporrà di dire cose che si appartengano al co-
mune, o che si appartengano a Dio, o che Si ap-
partengano a coloro medesimi che sono udito-
ri. Perchè quando T uditore ode dinanzi dire, che
di cotale materia si dee trattare, si rende (i)
incontanente meglio a udire. Anche si rende atte-
so r uditore, quando è pregato dal dicitore, che be-
nignamente lo intenda ; o quando il dicitore apre
brievemente dinanzi sopra quante cose dee dire,
e r ordine che deve tenere.
Qui dice da quante cose (2) si rende più benivolo
V uditore.
Più beni volo si rende colui, che favella, F u-
ditore da quattro cose 5 cioè dalla persona sua ,
(i) arrende, leggesi nelV antica edizione.
(2) per chenti parole. Testo Mannì. 0 Cliente, che
in antico pronunciavasi chinto o quinto, non viene a
noi dalla lingua d* oc , siccome vuole il CorbinelU, ma è
voce antichissima romana^ e forse della plebe latina v.
Perticar!, dell' Amor patrio di Dante. Mil. 1820 p. ò'Sg,
\
32
dalla persona dello avversario, dalla persona di co-
lui che ode le cose delle quali si favella. Dalla per»
sona sua colui, che favella, si rende benivolo V udi-
tore, se senza arroganza loderà Fofficio suo, o i fat-
ti suoi, e dirà chente egli è stato per lo suo comu-
ne, o per li parenti, o per gli amici, o per coloro
mecfesimi, che l' odono, acciocché quello che dice
sempre si convenga col detto suo; perchè dicen-
do colui che parla cotali cose di sé, si fa volere
bene all' uditore. Anche se dirà il dicitore alcuna
cosa di sue miserie, siccome é povertà, o come sia
stato prigione, o di sue avversità (i), e con esse di-
rà che in neun' (2) altra persona ha mai fidanza,
che noi possa aitare (3) , se non è nell'uditore .
Dalla persona dello avversario suo si fa colui, che
favella, benivolo l'uditore, se per lo detto suo fa-
rà r avversario suo venire in invidia dell' uditore,
o in odio, o in dispregio. In invidia il farà venire,
se dirà, clie sia ricco o potente o gentile, o che
sìa compagno dell' uditore, od oste o parente, op-
pure altre tali cose abbia, onde l'uomo ha baldan-
za di potere torcere (4) la ragione ; e mostrerà
(i) povertade, o che sia istato in prigione, o dirà
di sue avversità. Testo Manni.
(2) verun', teggesi nelV antica edizione,
(3) alare. Testo Manni,
(4) torre, leggesi nelV antica edizione*
33
come l avversario più si fida (i) nelle dette cose, che
in altra ragione che si creda avere. In odio il farà
venire, se dirà, che sia superbo o malizioso o cru-
dele, o abbia in sé altre cotali cose, onde 1' uomo
è dalle genti odiato (2). In dispregio il farà venire,
se dirà eh' è matto o pigro o lento o lussurioso,
o abbia in sé altre cose onde Y uomo è caduto in
dispregio. Dalla persona di colui, che ode, sì farà
colui, che favella, benivolo 1' uditore, se dirà senza
arroganza, che V uditore sia savio o forte o umi-
le o grande, o dirà alcuna cosa la quale egli cre-
derà che l'uditore oda dire volentieri di sé. Dalle
cose delle quali si favella, si farà colui, che parla,
benivolo l' uditore, se dirà il detto suo, mostrando
come quello, che dice, è cosa buona e onesta, e
quello, che dice l'altra parte, è cosa rea e mal-
vagia. '
Qui dice come si fa più ammaestrato l'uditore.
Più ammaestrato in sul fatto può colui, che
favella, rendere l' uditore in due modi. L'uno, quan-
do il rende più atteso al detto suo; e più atteso si
(i) raffida. Testo Mannù
(a) iaodiato. Testo Marini,
5
34
può rendere per le parole che ti ho già dette di so-
pra ; perocché allotta ( i) si ammaestra ben l'udito-
re in sul fatto, quando egli è stato bene atteso al
dicitore. L'altro modo si è, quando il dicitore apre
dinanzi brievemente le cose ch'egli intende di-
re, e mostra V ordine eh' egli deve tenere.
Qui dice della dottrina della Narrazione (2).
Narrazione è la seconda paite della diceria,
per la quale si conta il fatto sopra lo quale si dee
dire 5 della quale dicono li sa vii, che a volere il
fette drittamente narrare, fa bisogno, che si dica
(i) allora, leggesl nelV antica edizione»
(2) Questo Capitolo nel Testo Manni leggasi co»
me segue :
Più atteso si può colui, che favella, rendere Y u-
ditorC; se proporrà di dire cose grandi, o cose nuove,
•0 non usate, o proporrà di dire cose, die s* apparten-
gano al comune, o che s'appartengano a Dio, o che
s'appartengano a coloro medesimi, che sono uditori;
perchè quando l'uditore ode dinanzi dire, che di co-
tale materia si dee trattare, s'arrende incontanente me-
glio a udire. Anche si rende 1* uditore atteso quando
pregalo dal dicitore è, che benignamente lo 'utenda, o
quando il dicitore apre brievemente dinanzi sopra quan-
te cose dee dire.
35
brievemente e chiaro e aperto ; e che si dica in
modo che paia vero ossia verisimile quello, che si
dice, e come le detto. E come le dette cose si pos-
sano ben fare ti voglio per ordine mostrare e apri-
z'e brievemente,
la che modo si puh U fatto brievemente narrare.
Si può il fatto narrare brievemente, se colui,
che favella, non si fa dal cominciamento del fatto,
ma fassi da quello luogo che fa bisogno ] e se non
seguita il fatto iìisino alla fine^ ma insino a quello
luogo, che fa mestieri ; e se dice il fatto sumraa-
riamente, e non per partite, quando si conviene
di dire così ; perchè molte volte basta di dire so-
lo, che il fatto sia fatto, benché non si dica il mo-
do come fatto sia ; e se guarderassi di dire molte
cose che non sono del fatto (i) ma possono na-
scere da quello ; e se non si partirà dal fatto, che
ha cominciato, e metterassi a dire altre cose, e si
tacerà lo incominciamento del fatto, che si puote
intendere dicendo il fine. Onde se dirà il dicito-
re, che sia toriato di Francia, non fa bisogno di
(i) che ha cominciato, e'metter mano adire altre
cose 5 e se tacerà lo 'acomiuciamento del fatto ec. Te-
sto Marini,
36
dire, che andato vi sia o non sia. E colui, che yuo-
le bene il fatto narrare (i), non deve solamente
tacere il fatto che gli fa danno, ma eziandio quello
che non gli fa ne danno né prode (2); e la parola,
che ha detto una volta, non la ridica poscia più,
come in questo modo : NelV ora della cena {^)fu
Martino in Roma ; posciachè neW ora della ce-
na {^\)fu in Roma Maiiino giunto, cenò a gj^an-'
de agio; a grande agio cenato, mise uno guato;
messo il guato (5) la femmina rapio, onde è na^
io molto male. Non solamente del fatto, ma delle
parole, che sono di soperchio, si dee guardare co*
hii che favella.
In che modo si puote dire la cosa chiara
e aperta.
Chiaro e aperto si può il fatto narrare, se co-
lui, che favella, dice veramente il fatto com' è sta-
to, o com' è verisimile che stato sia, servando il
tempo e 1' ordine suo ; e se si guarderà di dire
(i) innarrare. Testo Marini.
(2) utile, leggesi nelV antica edizione,
(5) diceria. Testo Mannù
(4) Come sopra.
(5) aguato, leggesi nelV antica edizione ^
3,
cosa, che torni torta (i) o faccia il fatto dubbioso;
e se si guarderà di dire il fatto per nuovo modo, e
dicalo come è usato di dire; e di non lasciare il
fatto che ha cominciato, e trapassare a dirne al-
tro ; e di non farsi dal cominciamento del fatto ,
ma dica là onde fa bisogno ; e di non lasciare del
fatto insino al fine, ma insino colà dove fa biso-
gno dire ; e se serverà tutte quelle cose che ti ho
detto di sopra, onde il fatto si può brievemente
narrare, perchè quanto più il fatto si può brieve-
mente dire, cotanto è più chiaro e aperto.
In che modo si può dire il fatto chiaro e
aperto, che paia vero o verisimile
cosa quello, che si dice.
Che paia vero o verisimile cosa si può il fat-
to narrare (a) se colui, che favella, dice il fatto in
tale modo, che vi siano tutte quelle cose che so-
gliono essere veramente nelle cose e nei fatti ; on-
de non dica alcuna cosa che sia contra natura o
contra l'usanza o contra la opinione della contra-
da, o che paia che non possa essere contenuto
per lo tempo eh' è brieve, o per la dignità delle
(i) turbi> o tocchi. Testo Marini,
(2) in narrare. Testo Marini,
38
persone, o per lo luogo, clie non è acconcio, o per
le persone, die non l' arebbono sofferto. Onde se è
il fatto vero, sono da considerare le dette cose, per-
chè interviene molte volte che non è la verità cre-
duta (i), perchè non pare agli uditori quello, che
si dice, verisimile cosa ; e se verità non fusse quel-
lo, che si dice, molto maggiormente sono da con-
siderare le dette cose ; è sempre sia scaltrito (2) il
dicitore di fornire il detto suo per carta (3), se fa-
re si puote, o per alcuna buona persona onesta,
che stata vi sia.
Qui dice della Dis^isione nelle dicerie
e allegazioni.
Divisione è la terza parte della diceria, per la
quale il dicitore ordina meglio ciò che intende di-
re, e rende all' uditore il detto suo più chiaro ed
aperto; e fassi nelle dicerie (4) in uno modo e nel-
le allegazioni in un altro. Nelle dicerie (5) si fa
(1) la veritade non è creduta. Testo Manni,
(2) scalterito. Testo Manni.
(3) dì fermare per chiarità il detto suo . l^esto
Manni,
(4) nella ringhiera. Testo Manni.
(5) Come sopra.
39
divisione in questo modo, che aperta il dicitore la
proposta (i) sopra la quale egli intende di dire, si
può fare la divisione in due modi : V uno, per via dì
novero, e in questo modo si fa quando il dicitore
sopra la detta proposta due o tre cose intende di
dire, e non apre le cose dinanzi sopra la detta pro-
posta, le quali egli dirà : V altro modo si è specifi-
cando le cose dinanzi in questo modo : Sopra la
detta proposta dirò, e in prima dico di cotale co-
sa, poscia di cotale altra ; e così apre le cose le
quali dee dire dinanzi, e mostra 1' ordine che deve
tenere. ]\Ia questo tale aprire deve essere brieve,
acciocché non dica cosa, che necessaria non sia ;
e deve essere assoluto, acciocché non dica se non
la somma delle cose ; e dee essere di poche pa-
role, cioè, che non ponga cose che non dica (2)
per innanzi. E di questo sia sempre il dicitore am-
monito, che non faccia alcuna divisione che sia
più che di tre membri ; perchè è di grande rischio
che non erri, e dicane poscia o più o meno che
abbia proposto al cominciamento del dire ; e che
non metta in suspizione V uditore, che non dica
cose pensate ; la quale credenza torrebbe molta
(1) la proposta e'I fatto. TesLo 3Ianni.
{2) che non dica di dire cose^. che poscia non di-
ca. Testo Manni,
4o
fede al detto suo, e non Farebbe Tudìtore per così
approvato.
In che modo nelle Allegazioni si fa divisione.
Nelle Allegazioni fanno coloro, che sono av-
vocati, divisione in questo modo : che narrato l'av-
vocato tutto il fatto, sopra il quale le allegazioni
si debbono fare, si deve prima considerare e ve-
dere quello ond' è egli con lo avversario in con-
cordia, e quello onde si discorda da lui ; e se quel-
lo, ond' è in concordia con l'altra parte, gli fa uti-
le, sì i dee prima mostrare e aprire ; appresso de-
ve mostrare quello, ond' è in disconcordia (i) da
lui, acciocché mostri all' uditore a che cosa deve at-
tendere r animo suo ; ed è questo lo esempio : Che
Aristarco abbia morto Ruffino, di questo siamo
noi ben con V altra parte in concordia ; ma che
a lui fusse lecito di ucciderlo, o potesselo fare di
ragione, no. In ciò, eh! é dice, che^l fece in sua
difensione, o in ciò, eli e' dice, che lo uccise, per-
chè 7 trovò giacere con la moglie, di questo è di-
scordia tra noi (2). E dacché l'avvocato avrà le
(i) onde discorda, leggesi nelV antica edizione,
(2) Tuuo il rimanente di questo articolo manca
nel Testo Manni, e qualche periodo manca nel Cod,
della Marciana,
4x
dette cose mostrate, si ripigli quella parte^ onde
non è con l'altra parte in concordia, e venga il det-
to suo dividendo nelli detti due modi che ti posi
di sopra ; cioè, o per via di novero, non aprendo
le cose dinanzi, o aprendo le cose dinanzi, sopra
le quali intende di dire, e mostrando F ordine che
deve tenere, acciocché il suo aprire sia sempre
brieve e assoluto e di poche parole, come ti ho di
sopra mostrato. E di questo sia V avvocato nelle
sue allegazioni bene ammonito sempre, che fat-
ta la proposta e la divisione, assegni incontanen-
te in ciascuno membro la ragione laonde pruo-
vi la sua intenzione; appresso confermi la ra-
gione per belle ragioni e forti argomenti ; appres-
so adorni il detto suo per belle similitudini ed e-
sempli ; appresso faccia la conclusione, cioè re-
chi il detto suo a memoria dell'uditore, e con-
fermi in poche parole tutto ciò che spartamen-
te ha detto di sopra. E così farà pienissime alle-
gazioni, cioè di tutte sue parti composte, ma quel-
la sarà piena, che avrà meno alcuna di quelle; e
quella sarà brieve, che delle dette parti avrà tre so-
lamente, la proposta e la ragione e la conferma-
zione. Né la ragione mai puote. essere senza le al-
tre, che si possono lasciare, tutte o parte, per lo
avvocato, come a lui parerà che si convegna, con-
siderando il tempo che parla, come ti ho già di
42
sopra mostrato. Anche nelle allegazioni sia l'av-
vocato di questo ammonimento ammonito, che le
più ferme e le migliori sempre metta dinanzi^ e
addrieto le più vili, cioè quelle che non sono utili
a dire, o per loro non si fa certa pruova e piena,
o sono inferme senza le altre, e con le altre sono
ferme e provate. Sì debbono sempre mettere nel
mezzo, perchè se tosto, come la proposta è fatta,
desidera l'animo di colui, che sta ad udire, di ve-
dere la ragione ond' è la intenzione di colui , che
favella, possa confermare poi incontanente alcuna
delle migliori e delle più forti ragioni. Deve il di-
citore sempre mettere innanzi perchè le cose che
si odono da sezzo sono più di presso e si tengono
meglio a memoria, e molto è utile che nella fine
lasci il dicitore nell' animo, di colui che V ode, una
buona e ferma ragione onde si possa il detto suo
confermare o aiutare.
Qui tratta della Confermazione e Risponsione {i).
Confermazione è la quarta parte della dice-
ria, e Risponsione è la quinta, il cui trattato è
(i) Nel Testo Manni leggesi il seguente capitolo
come segue :
Della confermagioiie, eh' e la quarta parte della
43
posto insieme. Et è molto grande e sottile e di
grandissima utilità agli avvocati a trattare delle
due parti, cioè come per la confermazione il dici-
tore conferma e prova il detto della sua intenzio-
ne per belle ragioni e fermi argomenti ; e per la
risponsione, come risponda al detto dell' altra par-
te quello che avesse proposto, o potesse propor-
re, o che al detto suo fusse contrario. Conviene in
prima vedere di quanti modi possano essere qui-
stionijle quali sono fra le genti per lettera chiamate
dicerfa, per la quale colui^ che favella, mostra e pruo-
va il dello, e la 'menzione sua per belle ragioni e for-
ti argomenli; e della risponsione, eh' è la quinla parie
della diceria, per la quale colui, che favella, risponde
alle cose, che sono proposle, o che si potessono propor-
re, che al detto suo fossono contrarie, non dirò alcu-
na cosa, perchè la loro materia è sì grande e dislesa,
e sì sottile e profonda, che non si potrebbe buonamen-
te recare in volgare, e quando in volgare si recasse, fa-
rebbe a colui, che la recò, di grande fatica a intende-
re, e di poca utilitade, che sono cose, che si fanno sola-
mente a coloro^ che sono avvocati j però coloro, che so-
no alletterati, se delle due parti vogliono sapere, legga-
no nella Rettorica di Tullio, laove ne troveranno piena-
mente trattato j e coloro, che sono laici, facciano la lo-
ro conferraagione e risponsione, e pruovino il detto lo-
ro come possano il meglio, secondochè a loro è dato
per natura.
44
constituzionì, e poi quante quistìoni possano na-
scere di ciascuno modo, cioè di ciascuna consti-
tuzione 5 acciò che sappiasi conóscere ogni qui-
stione sopra la quale si può fare alcuna allegazio-
ne. Appresso conviene sapere la ragione che usa
colui, che addimanda in sua difensione, e quella di
colui, che addimanda contra quella ragione. E que-
sto è utilissimo a sapere, acciò che tu sappia a chi
debba tendere l' animo tuo quando tu voglia fare
allegazione ; e dacché l' uomo ha veduto le dette
cose sì ti mostreremo come si possano sapere fare
gli argomenti alle allegazioni in ogni quistione,
per le quali si fa la confermazione e la risponsio-
ne, che sono le due parti della diceria che ti ho
posto di sopra . E perchè poco prò farebbe al di-
citore sapere bene allegare e trovare per la parte
sua buone allegazioni, se non le sapesse ornata-
mente dire e tostamente se ne sapesse isbrigare,
sì ti mostrerò appresso, come il dicitore deve sa-
pere ornatamente dire le sue allegazioni, e come
se ne deve sapere sbrigare. E sì ti mostrerò, per-
chè deve dire ornatamente la allegazione, e deve
sapere fare la proposta, e deve sapere assegnare
la ragione, e deve sapere quella confirmare, e de-
ve sapere il detto suo ornare , e sapere poscia
ciò che ha detto di sopra ridurre a memoria del-
l' uditore; e in poche parole ti mostrerò come
45
le dette cose si possono fare ; e ancora ti mo-
strerò le false allegazioni che in ciascuna delle det-
te cinque parti si possono fare ed usare, acciocché
il dicitore se ne debba guardare, e se dall' altra
parte si fanno, le sappia riprendere. E sapere le
dette cose è tutto ciò che all' avvocato si convie-
ne, perchè quando egli ha per belle ragioni e for-
ti il detto suo confermato, e risposto pienamente
a quello che F altra parte ha proposto, o potesse
proporre, che al detto suo fosse contrario, ha sa-
puto bene acconciare et ornare il detto suo. A co-
loro, che sono laici, non fa bisogno di sapere le det-
te cose, sì non mi fa bisogno di recarle in vùlgare,
ma gli avvocati, che sono litterati, se le dette cose
vorranno meglio sapere, leggano nella Rettorica
di Tullio, dove troveranno, secondo il detto ordi--
ne, piena dottrina; e coloro che sono indotti, fa-
ranno la confermazione e risponsione come posso-
no meglio) secondochè a loro è dato per natura.
Qui dice della Conclusione, eh! è la sesta parte
della diceria.
Conclusione è la sesta ed ultima parte della
diceria, la quale si puote fare in tre modi. Primo
per via di numero; secondo per via dùabomina-
mento ; terzo per via di misericordia. Per via di
46
numero si puote fare conclusione, quando colui,
elle favelk, nella fine della diceria sua ricoglle per
numero (i) ciò clie spartamente ha detto di sopra,
e vienlo dicendo per ordine brievemente e per po-
che parole ; non che un' altra volta ridica ciò che
ha detto di sopra, ma che rinnovi il detto suo, sì
che colui eh' è stato ad udire, s' egli ha posto be-
ne mente, si possa agevolmente ricordare e recare
a memoria quello che ha detto di^sopra. Nella qua-
le conclusione sia il dicitore ammaestrato (2], che
non dica quello che nel proemio o nella narrazio-
ne ha detto di sopra, perchè parrebbe il detto suo
cosa pensata e che dello ingegno e memoria sua
volesse fare vista • ma cominci da quello che ha
detto nella divisione, e venga poi dicendo per or-
dine e brievemente e per poche parole ciò, che
nella confermazione e nella risponsione ha di so-
pra proposto, e non si faccia più dalla lunga.
Come si fa Conclusione per via di
(jLÒominamento.
Per vìa di abominamento si fa Conclusione
quando colui, che parla, nella fine della sua diceria
(i) coglie per novero. Testo Manni.
(2) ammunito. Testo Manni,
■, 47
dice poche parole, nelle quali amplifica ed ag-
grandisce il detto suo, e provoca V animo dell' udi-
tore ad ira, instigandolo (i) e accendendolo contra
r avversario suo ; la quale cosa si può fare in die-
ci modi, i quali sono appellati Luoghi Comuni. Il
primo modo si pigHa dalla autorità (2) e dalla gran-
dezza del fatto, quando il dicitore mostra che l'av-
versario ha peccato in alcuna cosa, e poi mostra
quanta cura e rangola (3) ha avuta, o in odio di
quella cosa hanno i nostri maggiori, ovvero il nostro
comune, ovvero li savii uomini per li tempi passati,
perchè in quella cosa non si pecchi ; e spezialmen-
te dica, se puote, come delle dette cose favellano
le leggi. Il secondo luogo si è , quando colui, che
parla, accresce la materia (4) del fatto, imperocché
mostra contra cui 1' avversario ha peccalo, o sia
contra Dio , o sia contra alli nostri maggiori , o
contra a' nostri pari, o contra a' nostri minori. Il
terzo luogo si è, quando il dicitore dice dubitan-
do: Che ne interverrebbe se a ciascheduno si con-
cedesse il simigliante ? cioè di fare quello che
ha fatto l'avversario; e poi mostra, se questa si
(i) inzigandolo. Testo Mannì.
(2) uiolità. Testo Marini.
(3) fede, leggesi nelV antica edizione»
(4) malizia, leggesi nelV antica edizione.
mettesse in negligenza (i), che pericoli o die sozze
cose ne nascerebbero per innanzi. Il quarto modo
si è^ quando il dicitore mostra, se a colui si perdo-
nasse 5 come molti rei uomini s' inviterebbono a
mal fare , i quali s' indugiano e stanno a vedere
questa cosa che uscita farà. Il quinto luogo si è ,
quando il dicitore mostra, se per una volta fosse
giudicato altrimenti, che per ninno modo si po-
trebbe poi questo male spegnere ; o se per una
volta sarà errato in questa ragione, che non si po-
trà poi trarre addrieto, né medicare (2). E in que-
sto luogo sarà bello che il dicitore ponga qualche
esempio di cosa passata, ove sia stato bene erra-
to, ma poi o per tempo trapassato, o per mutare
consiglio le dette cose non siensi potute menda-
re; ma questo è di tale forma, che se ci si erras-
se, non può così poscia intervenire, perchè ninna
cosa vi può poscia dare aiuto. Il sesto luogo è,
quando il dicitore mostra come questo malefizio è
commesso per l'altra parte pensatamente e di sua
volontà, e come coloro, che così peccano, non han-
no poi scusa veruna (3) ; ma chi disavvedutamen-
te commette peccato a ragione molte volte dee
(i) negrigentia. Testo Marini.
(2) ammeudare, leggesì neW antica edizione,
(3) gnuna. Testo Manni,
49
domandare perdonanza. Il settimo luogo è, quan-
do il dicitore mostra come il peccato è crudele e
di sozza forma in ciò, che dice, che l' avversario
r ha fatto in disdegno del comune, credendosi es-
sere sì grande o per suo avere o per potenza di
amici, che 'l comune non abbia ardimento di pu-
nirlo o di fare alcuno processo contra a lui, laon-
de ne 'ndebolisce il comune e li grandi ne piglia-
no baldanza. L' ottavo è, quando il dicitóre mo-
stra come il malefizio commesso è disusato e cru-
dele, del quale si deve più. tosto fare vendetta o
più aspramente vendicare (i). Il nono luogo è,
quando il dicitore assimiglia lo malefizio commes-
so ad un altro malefizio malvagio, dicendo : Mag"
giore malefizio è di corrompere e di sforzare una
femmina, che di spogliare uno altare ed involare
e portare via le cose sagrate; perchè le dette co-
se si fanno molte volte per grande bisogno, mxi
quello si fa solamente per superbia e per non tem-
perare la volontà. Il decimo luogo è, quando co-
lui, che favella, diligentemente mostra tutto ciò
eh' è fatto, e tutto ciò che ne può seguitare colpe-
volmente, recando agramente tutte le cose contra
il suo avversario, sì che paia sempre che sia in sul
(i) giudicare, leggesi nelV amica edizione*
4
So • '
fare delle cose. E di questo sia sempre savio colui,
che faveljfi, di usare contra il suo avversario le più
aspre parole, che puote, e che si convengano al
fatto, che dice, perchè è di grande utilitade al di-
citore quando reca bene V animo di coloro, che
stanno a udire, contra al suo avversario.
Come si fa Conclusione pei' via di misericordia.
Per via di misericordia si puote fare Conclu-
sione, quando colui, che parla, nella fine della sua
diceria dice di se parole pietose (i), per le quali
commuove V animo dell' uditore a pietà de, e ad a-
vere misericordia di lui ; e questo si puote fare in
dodici modi. Il primo modo è , quando il dicitore
dice come la ventura (2) se gli è diversamente (3)
mutata, mostrando com' egli fu già in grande sta-
to, e come n' è ora caduto e tornato al niente. Il
secondo è, quando il dicitore mostra i mali suoi
passati e presenti, e quelli che aspetta di avere. P
terzo è, quando si rammarica di alcuna servitudi-
ne, o cosa laida o vile, che gli convenga sofTerire,
che non si convenga a lui, o per sua gentilezza o
(i) cose piatose. Testo Marini.
(2) fortuna, leggesi nelV antica edizione»
(3) malamente, leggesi nell'antica edizione.
5.1
per cagione del comune o della terra sua (i). Il
quarto è, quando si duole d'alcuna grande speran-
za che avea di alcuna cosa, e dice che gli è venuta
meno. Il quinto è, quando si duole di certe perso-
ne onde dovrebbe aver bene ed essere consiglia-
to e aiutato (2), ed egli n' ha grandissimo male.
11 sesto è, quando si duole perchè è povero o in-
fermo o cacciato di suo paese. Il settimo è, quan-
do si duole che non fu presente ad alcuna cosa,
che andò male, che sarebbe ita bene (3). L' ottavo
è, quando torna il suo rammaricamento (4) sopra
di alcuna cosa o bestia senza senno o senza favel-
la, dicendo : J^edi questo cane, o questo albergo,
o questo Ietto, vedi, come pare che sieno tristi e
che piangano la morte del loro signore ? Il nono
è, quando si lamenta della morte del figliuolo o
del signore o dell' amico, mostrando il bene che
ne aveva e come V ha tutto perduto. Il decimo è,
quando si rammarica del male o del danno, che
vede air amico, non per sé, ma solamente per lui.
L' undecimo è, quando il dicitore conta le avversità
(1)0 grandezza, o per cagione del tempo di sua
eia. Testo Manni.
(2) alato. Testo Manni,
(3) Le spiegazioni del sesto e settimo modo sono
mancanti nel Cod. della Marciana.
(4) rammarichio. Testo Manni,
52
sue, specificando sì ogni cosa (i), come se in pre-
senzia o dinanzi agli occhi di coloro, che stan-
no a udire, sì il facesse. Il duodecimo è, quando
conta molte avversitadi che ha portate (2), e mo-
stra che le ha portate in gran pazienzia^ e però
non si è mutato, ma sempre è stato con V animo
fermo ; e di questo tale uomo fermo (3) coloro, che
sono grandi e gentili, hanno misericordia e pie-
tà ; e maggiormente per la franchigia (4) che ve-
dono in lui, che per altra miseria (5), che dica. Per
li modi, che ti ho posti di sopra, puote colui,, che
favella, quando fa la fine della sua diceria recare
a misericordia Y animo di colui che sta a udire ; e
di questo stia sempre ammonito (6) colui, che fa-
vella, che quando fa il fine del suo detto per via
di misericordia, che dica il detto suo brievemente
ed in poche parole, perchè niuna cosa più presta
che lagrima si secca («y).
(i) contro air avversario suo ispecifica si ogni co-
sa. Testo Marini.
(2) patite, leggesinelV antica edizione.
(3) e di questo cotale. Testo Manni.
(4) franchezza. Testo Manni,
(5) misericordia di miseria. Testo Manni,
(6) scalterito. Testo Manni.
(7) perchè veruna cosa più avaccio che lagrima si
«echi. Cod, della Marciana.
53
r Della Elocuzione (i).
La quarta cosa laonde il dicitore dee essere
ammaestrato^ acciocché nella favella giudiciale sap-
pia favellare perfettamente, si è, che la sua favel-
la sappia ornare ; e pongono i savii che gli orna-
menti della favella sono in due modi, ovvero gene-
razioni. L' uno è in ornare le parole della diceria ,
Faltro è in poter dire bellissime e gravi sentenzio
onde la favella riceve ornamento. E come le paro-
le della diceria si possano ornare, e quali sieno
belle e giravi sentenzie, onde la favella riceva orna-
mento, ti voglio per ordine mostrare e aprire. ,E
prima, come le parole della diceria si possano or-
nare in molti modi. Ciascuno ornamento ha il suo
modo, e, per meglio tenerlo a memoria, di ciascu-
no darò esemplo acciò che si conosca meglio co-
me si fanno.
(i) U antico testo stampato ^ eh' è simile al Codi-
ce della Marciana^ non serba V ordine medesimo del
Testo Manni, nel quale questo Trattato della Elocuzio-
ne o è mancarne o ne ha alcuna parte posta in di*
verso luogo.
54
DelV ornamento, che si appella Ridicimento,
E un ornamento eli parole, che si appella Ri-
dicimento, il quale si fa quando una medesi-
ma parola molte volte si ridice ; e puossi fare in
tre modi. Il primo modo (i), ponendo la parola,
che si ridice, dinanzi ; il secondo, ponendola di
dietro ; il terzo , ponendola dinanzi e di dietro.
Ponendo la parola, che si ridice, dinanzi, si fa in
questo modo : J^oi sete quegli, a cui è da rendere
onore y voi sete quegli, a cui si conviene questa
cosa; voi sete quegli, a cui è da fare questa gra-
zia, Item : Scipione Numanzia tolse via ; Scipio-
ne Cartagine disfece ; Scipione difese i Romani,
che non furono disfatti; Scipione rendette pace
ai Romani, Item : J m sé quegli che di favellare
hai ardimento? Tu sé quegli che addimandaj^e
puoi sicuramente? Tu sé quegli die puoi dire che
ne sia fatta vendetta? Ponendo la parola, che si ri-
dice, di dietro, si fa in questo modo : Posciachè
tra i cittadini vostri s' incominciò la discordia^
la ragione ne fu tolta^ la liberta ne fu tolta, la
città ne fu tolta. Item : Cornelio, uomo nuovo,
era ingegnoso e gentile (2) e buon uomo, e però
(1) primaio. Testo MannL
(2) e re de' gemili, leggesi nelV antica edizione.
55
nella città nostra il migliore era. Ora ponendo le
parole, che si dicono, di dietro e d' innanzi si fa
in questo modo: CJii sono quelli che i patti spesse
volte hanno rotti ? i Cartaginesi, Chi sono quel'
li che crudeli battaglie hanno jatto ed Romani ?
i Cartaginesi, Chi sono quelli che tutta Italia
hanno trasformata ? [i] i Cartaginesi. Chi sono
quelli che dimandano che sia loro perdonato ? i
Cartaginesi. Vedete, coni è convenevole che sia
loro conceduto ? Item : Cui la potestade (2) ha
dannato j cui il capitano ha dannato, cui li retto^
ri delle arti hanno dannato^ assolveremo noi per
nostra sentenzia?
Qui seguita del Ridicimento.
Ancli'è un altro ornamento, clie si appella Ri-
dicimento, cioè ridicendo la parola in un detto
molte volte j che si può fare in due modi. U uno,
che significhinole parole, che si ridicono, una me-
desima cosa; l'altro, che significhino cose diver-
se. Che significhi la parola, che si ridice, una me-
desima cosa, si fa in questo modo : Chi nella sua
vita non ha migliore cosa che la vita, con virtù
(i) disformata. Testo Marini.
(2) Io podestà, leggesi neW antica edizione.
56
la sua vita non pub usare se non se in cose vir-
tuose, Item : Tu appelli colui uomo, il quale, se
fosse uomo, così crudel morte di nessuno uomo
non arebbe pensata; dunque era nimico, e tal
vendetta del nimico volle pigliare, che paresse
bene cfi eglifusse nimico, Item : Le ricchezze la^
scia essere de ricchi, e tu preponi [i) le virtù al-
le ricchezze, perchè se le virtù con le ricchezze
vorrai agguagliare, appena potranno (2) le ric-
chezze alcuna cosa, perchè sono serve di quelle.
Che significhi la parola, che si ridice, cosa diver-
sa, si può fare in questo modo : Perchè questa co-,
sa cotanto curi (3) che per innanzi ti darà tante
cure? Item. Dilettevole cosa sarebbe amare, se
non avesse in sé cose amare. Ne' modi, che ti ho
posto di sopra, si ridice una medesima parola in
un detto molte volte, non per difetto (4) di paro-
le, ma perchè nella parola, che si ridice, vi ha uno
ornamento dilettevole, il quale tu puoi meglio com-
prendere con r animo che io non ti posso specifi-
care con la lingua.
(i) metti innanzi. Testo Marini,
(2) parranno. Testo Mannì, •
(3) tanto cure. Testo Manni,
(4) diffalta. Testo Manni,
57
Dell* ornamento, che sì appella Contenzione,
Ed è un altro ornamento di parole , che si
chiama Contenzione, che si fa quando si compie
uno detto di due cose contrarie, in questo modo : //
partire ha in sé bello cominciamento, e poi ha a-
marissimo fine. Item : Pacifico ti mostra a nimi-
ci e aspro agli amici. Item : Quando è tempo di
tacere tu gridi, e quando è tempo di gridare tu
taci.
Dell ornamento, che si appella Gridare.
Ed è un altro ornamento, che si appella
Gridare, il quale si fa con voce (i) di dolore, ram-
maricandosi di alcun uomo, ovvero cittade, ovve-
ro luogo, ovvero altra cosa, nominandola nel det-
to suo in questo modo : Di tefavelloj o Africano,
che solamente il nome tuo, essendo te morto, è
grandissimo onore dei Romani. Ituoi (2) gentili e
savii nepoti del sangue loro hanno saziato la cru^
delta de' Loro nimici, Item : O bellissimo Coliseo,
(i) voce, ora e sempre leggesi neW antica edizio-
ne j e boce quasi nel Cod. della Marciana e nel Te*
sto Manni.
(a) E voi. Testo Manni.
58
la cui veduta ornava, ha poco tempo [i), tutta
Roma, ora se' a quello venuto, che appena ap-
paiono li tuoi fondamenti! Item : O malvagio Ne-
rone, nemico de buoni, quanti ne hai morti senza
colpa l tanta è stata la baldanza della tua signo-
ria ! Questo Gridare, se il dicitore lo userà rade
volte e ne' grandissimi fatti, e quando si conver-
rà, renderà V animo dell' uditore indignato sopra
qualunque cosa egli vorrà.
Delt ornamento, che si chiama Addimandare»
Ed è uno altro ornamento, che si appella Ad-
dimandare, che si fa quando il dicitore ha detto di
sopra molte cose che nuocono (2) all'altra parte, e
poscia addimanda di cose, ond'egli afferma il det-
to suo, in questo modo : Conciossiacosaché quello,
che avete inteso di sopra, dicesse o facesse o des-
se opera quanto potesse di fare, attizzava (3) l'a^
nimo della gente contra al comune, o no ? e dob"
biamlo noi avere per nimico, o no ? e ha ragione
di addimandare quello, che addimanda, ono P
(i) poco tempo fa. Testo Marini,
(2) nocciono. 7'esto Marini»
(3) adizzava. Testo Manni.
%
DelV ornamento, che si appella Ragione (i).
Ed è uno altro ornamento, che si appella Ra-
gione, il quale ha (2) luogo quando il dicitore da
se medesimo addimanda la ragione di quello che
dice, e di ciascuno suo detto rende ragione, in que-
sto modo : / nostri maggiori quando vedeano la
femmina rea di alcuno peccato, sì V aveano poscia
per rea di molti peccati. In che modo ? Quando
vedeano la femmina lussuriosa, sì Va\>eano per ve-
lenosa (3) incontanente. Per che cagione ? Per*
che la femmina che corrompe il corpo suo di lus-
suria^ bisogno fa che tema molte persone^ cU ella
conosce che 'l fallo suo viene a vergogna, E qua'
li sono queste ? Lo marito, il padre, i fratelli, la
madre et altre persone . Che ne inters^iene adun^
que ? Di quella cotale paura, che ha, avvelena co-
lui incontanente di cui ella ha paura. Perchè?
Perchè non si tempera mai di nessuna malizia ,
e se sì sente paurosa di sì grave peccato, il calore
della lussuria la fa ardita , e la femmina è di
(i) Ragionamento. Testo Marini,
(a) hane. Testo Marini,
(3) venefica. Testo Marini,
6o
una (i) natura, che non considera mai che del
fatto si può seguitare. Adunque qual femmina è
colpevole, che abbia avvelenato alcuna persona^
bisogno fa che sia lussuriosa? Assegnasene la ca*
gione, perchè ninna cosa muove la femmina in
quel fatto così agevolmente, come il vizio della
lussuria; e quando il suo animo è corrotto, non
credono poscia i savii che il suo corpo sìa casto.
Itera : Interviene (2) degli uomini il simigliante ?
Certo no. Per che cagione 1 Perchè ciascuno de--
siderio muove l'uomo al suo malefiziOy ma lafem^
mina per uno desiderio solamente si muove afa*
re molti peccati. Item : Molto bene giudicarono i
nostri maggiori, che il re che fosse preso in bat-
taglia non dovesse poi essere morto. Per che ca-
gione ? Perchè colui che era eguale in prima con
noi, e la ventura lo mette poscia in nostra pode*
stày non lo dobbiamo uccidere. Potrebbe altri di'
re : come non ci conviene ? (3) che ci verna ad'
dosso con ì oste ? Certo ciò dobbiamo noi dimen-
ticare tostamente. Per che cagione ? Perchè colui
è di grande animo che non ha per nimici coloro
che sono vinti, ma per uomini, acciocché la sua
(i) mala, leggesi nelV antica edizione,
(2) Addiviene. Testo Mannì.
(3) come no? Testo Manni.
nobiltà possa minuire (i) battaglia e la sua umil"
ià generi pace. E s' egli as>esse vinto, arebbe fat'^
to il simigliante a noi? Forse che no, che non «-
rebbe avuto tanto senno. Perchè adunque si per-'
dona a costui ? Perchè tanta mattezza (2) si dee
dispregiare e non seguitare per li sasfii. Questo
ornamento tiene molto atteso F animo dell' udito-
re, sì per le belle parole, sì perchè delle cose^ che
ode, rende ragione.
Delt ornamento, che si appella Sentenzia,
Ed è un altro ornamento, che si appella Sen-
tenzia, il quale tratta della vita e dei costumi del-
le genti secondo che sono, e che debbono essere
di ragione, e puossi fare in due modi ; V uno di-
cendo il detto suo senza rendere ragione 5 1' altro
con rendere ragione di quello che dice, in questo
modo : Malagevole cosa è, che sia virtuoso (3) co-
lui^ a cui è sempre ita ritta la ventura. Item : Co-
lui si dee libero chiamare che non è servo di al-
cuna bruttura (4). Item : Non solamente è povero
(i) menomare. Testo Marini.
(a) matt/a. Testo Marini.
(3) bontadoso. Testo Manni.
(4) sozzura. Testo Manni,
62
colui che ha poco^ ma colui che saziare non si
puote. Item : L' uomo si dee penare (i) di vivere
dirittamente, e questo si può fare senza fatica e in
tutto il mondo e in tutto il tempo (2). Con ren-
dere ragione del detto suo si fa in questo modo :
Tutto il modo di ben vìvere è in usare la vita sua
con virtù, perchè la sola virtù è in sua podestà,
e tutte le altre cose sono sottoposte alla ventura,
Item : Chi si fa amico di alcuna persona, per"
che il vede in buono stato, incontanente parte Va-
micizia sua quando vede la ventura mutata, per-
chè, cessando la cagione della sua amistà, non
rimane poi alcuna cosa che più la faccia durare.
Può essere il detto ornamento di due detti , e con
rendere ragione e con non renderla ; in questo
modo : Malamente errano coloro, che quando so-
no in grande stato credono avere fuggita la ven-
tura; ma quegli si porta 'saviamente, che nelle
prosperevoli cose pensa dinanzi come la ventu-
ra si può mutare, E con rendere ragione, in que-
sto modo : Malamente sono coloro ingannati ,
che dicono : quando il giovane pecca gli si dee
(t) ingegnare, leggesi nelV antica edizione ^ pensa-
re, Testo Manni.
(2) sanza fatica, e con diletto, se l'usa di fare.
Testo Manni,
63
perdonare, perchè V uomo di quella etade si può
emendare (i); ma chi gasiiga il giocane fa saggia-
mente, acciocché quando viene ad essere maggio-
re (2), la sua vita abbia usata a bontade. Questo
ornamento dee usare il dicitore rade volte^ accio
che non paia che vogha essere ammaestrato del-
le genti; ma se lo usa a certe stagioni , ed accon-
cialo (3) bene al fatto, che dice, rende il detto suo
molto piacente.
Deir ornamento, che. si appella Contrario,
Ed è un altro ornamento, che si appella Con-
trario, il quale ha luogo quando si fa uno detto di
due cose contrarie, e V una e 1' altra conferma , in
questo modo : Chi è negligente (4) ne' suoi fatti
come sarà sollecito (5) negli altrui ? Item ; Chi
ti è reo quando ti è amico, come ti sarà buono
quando ti sarà nimico ? Item : Chi né ragiona-
menti tra gli amici è bugiardo come sarà nelV a-
ringare (6) veritiere ? Quest' ornamento dee essere
(i) ammendare. Testo Marini,
(2) matut-o. Testo Marini,
(3) adattalo. Testo Manni,
(4) nighittoso. Testo Manni.
(5) rangoloso. Testo Manni,
(6) nella ringhiera. Testo Manni,
64
brieve, e dee continuare V uno detto F altro, ed è
molto utile al dicitore, perchè concili ude il detto
suo brievemente.
Dell* ornamento, che si appella Membro.
Ed è un altro ornamento, che si appella Mem-
bro, il quale si fa quando una parola cade dalF al-
tra, e può essere di due membri e di tre. Di due
in questo modo: Facesti prò (i) a' nimici e dan^
no agli amici* Di tre, in questo modo : Facesti prò
a' nimici e danno agli amici e te medesimo non
rilevasti, Item : Né agli amici facesti prò, né dan-
no a nimici, né il comune ne fu consigliato.
DeW ornamento, che si appella Articolo.
Ed è un altro ornamento, che si appella Ar-
ticolo, il quale ha luogo quando il dicitore a cia-
scuna parola si riposa, in questo modo : Con ira^
con voluntade (2), con molte grandi grida hai
spaventato i nimici. Item : Con senno, con inge-
gno, con forza sei mojitato in grande stato. Tra
questo ornamento e quello, che io ti posi di sopra,
(i) prode. Testo Manni.
(3) volto. Testo Manni.
65
ha cotale differenza, che si dice quello eh' è di so-
pra più di rado, e questo di sotto più tosto.
Delt ornamento, che si appella Compimento,
Ed è uno altro ornamento^ che si appella Com-
pimento, il quale ha luogo quando noi addiman-
diamo noi medesimi alFavversario nostro, che co-
se per lui, o che contra a noi si possono dire ; e
poscia noi medesimi diciamo quello che noi pos-
siamo dire, o che V altra parte dire non puote ; per
la qual cosa o noi confermiamo il detto nostro,
o '1 detto dell'altra parte disfacciamo, in questo mo-
do : Addimando : onde questi è fatto così ricco ?
è egli venuto della eredità di suo padre ? Certo
no, perchè li suoi creditori tutta la sustanza per
li loro debiti pigliarono. E egli venuto per la ere-
dità (i) d' alcun altro suo parente ? Mai no (2),
perchè /' hanno tutti disr edato (5). Halla avuta
da alcun' altra persona, o mercatanzia o procac-
cio che abbia fatto ? Non si può dire, perchè è
(i) reditade. Testo Mannt
(2) madie nò. Testo Marini,
(3) direditato. Testo Marini, e questa voce è al'
legata nel Vocabolario sulV esempio presente,
5
66
sempre stato ozioso {i) e senza nessuno procac-
cio. Dunque se per le vie, che sono poste di so-
pra, nullo autore nasce da sé, le ricchezze a co-
stui noìi licite sono venute, e non nasce t oro in
casa a costui. Item : Molti sono che hanno alcu-
na coperta, onde non pare che sìa verisimile a
dire male di loro / ma questi non ne ha veruna,
A che ricorrerà egli ? alla bontà del suo padre ?
Certo no, perchè egli fu uno biscazziere e obbria-
co, che sempre volle stare colle puttane (2) in ta-
verna. Potrà egli ricorrere alla sua vita onesta ?
Chen£ ella è stata non mi fa bisogno di dire, per-
chè a voi medesimi è manifesto. Potrà egli dire
che abbia molti parenti, per li quali siamo tenuti
dì fargli piacere ? Certo del suo parentado non
si trova niuno. Degli amici suoi potrà alcuna co-
sa dire ? Certo non è niuno che appellare si vo-
glia suo amico, o che non se lo tenesse a vergo-
gna. Itera : Credo veracemente^ che per nimistà
ti movesti quando in dare sentenza contra a lui,
ti movesti a punirlo» Temesti tu, sapendo che 7
facevi contra ragione ? Certo ne leggi, ne statuti,
uè buone usanze curasti» Movestiti tu per V antica
amicizia che era stata tra voi? Non solamente il
(i) accidioso, leggesi nelV antica edizione.
(2) con meretrici; leggesi nelV antica edizione.
6,
facesti^ ma che fosse punito vieppiù sollecito fo^
sti. Avesti tu misericordia di lui, quando la mO'
glie e i figliuoli ti s inginocchiarono ai piedi ?
Per certo posso dire che allora desti opera che
il loro padre, dopo la giustizia fatta^ non fusse
sotterrato (i). Molto è grave quest'ornamento, perr
che domandando il dicitore di quello eh' era con-
venevole a fare, mostra che non fusse fatto; per la
qual cosa più agevolmente si accende la malizia
del fatto. Di una medesima natura è quel medesi-
mo ornamento quando addimandiamo a noi me-
desimi, in questo modo: Che era da fare quan-
do io era circondato da tanti nimici ? doleva io
combattere con loro ? Vedi com' era convenei^o-
le, che veniva de nimici ben cento per uno! Do-
veva io stare fermo coli oste ? Certo né avevamo
vivanda, né aspettavamo soccorso da alcuna per-
sona. Dovevami mettere alla ventura una notte e
fuggire coir oste? Certo mi fu più securo ['2') fa-
re salve le persone per patto e lasciare i padiglio-
ni e le tende, che mettere cotanta gente a così pe-
ricoloso rischio. Questo seguita di cotale addo-
mandamento, che, cercando tutte le vìe, aperta-
mente ci si mostra che, quello che se ne prese, fu
il migliore. *
(i) soppellito uon fosse. Testo Marini.
(2) vie più sicuro fue. Testo Marini.
68
DelT ornamento, che si appella Salimento.
Ed è uno altro ornamento, clie si appella Sa-
limentOj il quale ha luogo quando non prima si
passa alla parola, che seguita, che quella, eh' è già
detta, un' altra volta si ridice , in questo modo :
Che speranza di libertà possiamo noi avere , se
quello che vogliono è licito loro, e quello eli è
loro licito, possono, e quello die possono, ardi-
scono,- e quello che ardiscono, fanno, e quello
che fanno, non vi dispiace ? Iteni : Non fui io
quegli, che gli assentii, die '1 consigliai e die '1 mi-^
nacciai; e non lo compiei, e non lo pro^eddi d^ in*
nanzi? (i) Item : Affricano per lo senno suo ven^
ne a virtù, venne a vittoria (2), e per la vittoria
venne agli amici, e per gli amici in grande stato*
Item : Lo imperio appo i Greci ebbero in prima
quelli di Atene ,• dopo quelli di Atene li Sparzia-
tij dopo li Sparziati quelli di Tebe ; dopo li Tc'
boni quelli di Macedonia ; e quelli di Macedch
nia in poco tempo tutto il Levante conquistarono,
(i) Non fu' io quegli, che '1 séntio, e no '1 consi-
gliai ; e no '1 consigliai, e no '1 cominciai j e no '1 co*
minciai, e no '1 compiei ; e no '1 compiei, e no *1 pro-
vidi dinanzi? Testo Marini,
(2) venne a bontà; per la bontà a vittoria. Testo
Mannù
69
Il rìdicimento, che sì fa della parola, è la maggio-
re bellezza di questo ornamento.
Deir ornamento, che si appella Diffinimenio (i).
Ed è uno altro ornamento, clie si appella Dif-
finìmento, ed ha luogo quando per poche parole
si dimostra quello che sia alcuna cosa, in questo
modo : Non è questa diligenzia ma avarìzia, per-
chè-diligenzia è una sollecitudine in sapere lo suo
ben guardare, ma avarizia è uno ingiurioso de-
siderio dello altrui, Item : Non è questa pruden*
zia ma follia, perchè prudenzia, è uno dispregio
di pericoli e fatiche j acciocché la cosa bene e util"
mente si faccia ; ma follia è uno apprendimento
di fatiche e di pericoli, non considerando che del
fatto si può seguire. Però è detto bello questo or-
namento, perchè la forza di una parola compren-
desi sì bene e in poche parole, che né per più, uè
per meno mostra che si potesse ben dire.
[Dell' ornamento, che si appella Mostramento.
Ed è uno altro ornamento, che si appella Mo-
stramento, il quale ha luogo, quando quello che è
(i) DifiÌDizione. Testo Manni.
7^
già detto di sopra brievemente si ridice, e quello
che seguita più brievemente si mostra, in questo
modo : Chenfegli è stato al suo comune vi ho mo-
strato brievemente ; cheni egli dee essere a suo
padre, diligentemente considerate. Item : Quanto
bene ho fatto a costui avete inteso; che guiderdo-
ne m abbia renduto, ogni uomo il sa. Questo or-
namento si fa prode ( i ) a due cose, percliè quello
eh' è già detto reca a memoria, e assomiglia a co-
lui, che ode, quello che se ne seguita poi.
Dell' ornamento, che si appella Gastigamento,
Ed è uno altro ornamento, che si appella Ga-
stìgamento, ed ha luogo quando il dicitore quello
che ha detto rimuove, ed un altra cosa, che me'
vi si acconcia, pone in luogo di quella, in questo
modo : Posciachè questi ebbero vinto, anzi furo-
no vinti, perchè come si può vittoria appellare^
onde a colui, che vince, si seguita pia danno che
utile? {2) Item: Invidia nimica de buoni, anzi
stimolo crudele si dee dire. Item : Che sarebbe sta^
to se avesse trovato gli amici, anzi pure fatto lo-
ro a sapere ? Questo ornamento commuove molto
(i) utile, leggesi nelV antica edizione.
(2) prode. Testo Manni.
71
r animo delF uditore, perchè, data la cosa ad inten-
dere per parole comuni, correggendo il detto suo
per più acconce parole, commuove maggiormente
l'animo dell' uditore.
DelV ornamento, che si appella Soprappigliare.
Ed è uno altro ornamento, che si appella So-
prappigliare, il quale ha luogo quando diciamo di
volere passare, o di non volere dire quello che
maggiormente di dire è la nostra intenzione, in
questo modo : Della viiupereK'ole vita che mena-
sii quando fosti giovane direi, se fosse tempo e
stagione. Anche : Mi taccio la codardia che fa-
cesti quando fusti gonfaloniere, e la ingiuria che
ti fu fatta, quando fusti ben bastonato enei volto
fedito [i), perchè non fa a questo fatto niente p
ma ritorno alla materia che ho cominciata, Item :
Non mi metto a dire il furto de' danari che fa»
cesti al comune, perchè non sono ora sopra quel-
la materia ; né come ti fuggisti con danari altrui,
e le baratterie che facesti a mercatanti di Roma,
perchè non fa a questo fatto niente, ma riiorno al
detto mio. Questo ornamento è molto utile ad usa-
re quando a voler infamare F inimico converrebbe
(i) e ferito nelvolto^ legge si nelV antica edizione.
usare troppe parole ; ma se volessimo dire (i)
ogni cosa sarebbe sozzo a udire, e potremmo noi
essere ripresi; sicché viene meglio (2) a mette-
re in suspizione 1' uditore , e dargli le cose ad
intendere tacitamente, che specificare le cose alla
distesa.
Dell' ornamento, che si appella Sceveramento.
Ed è uno altro ornamento, che si appella Sce-
veramento, il quale ha luogo quando avendo certe
cose dette di sopra, quelle, o ciascuna per sé, ov-
vero tutte insieme, conchiudiamo con certe parole,
in questo modo : // popolo di Roma Numanzia
disfece ; Cartagine distrusse ; Corinto abbatteo ;
Fregella tolse via. La forza delle persone (3) a
quelli di Numanzia nìuna cosa giovò ; il sapere
dell' arme coloro di Cartagine difendere non po-
tè ; lo scaltrimento (4) e 7 senno a coloro di Co-
rinto non valse niente; i belli costumi e la lingua
a quelli di Fregella ninna cosa approdò. Nello
esempio detto di sopra, ciascuna cosa si comprende
(i) alla distesa dire. Testo Marini.
(2) viemmeglio è. Testo Manni.
(3) del corpo. Testo Manni,
(4) scaUerimeuto. Testo Manni,
73
per sue proprie parole; e puossi fare die uno
detto si comprenda in molti modi, in questo mo-
do: La bellezza del corpo o disfassi per male che
abbia j o tolsi via per vecchiezza.
Dell' ornamento y che si appella Raddoppiamento.
Ed è uno altro ornamento, che si appella Rad-
doppiamento, ed ha luogo quando volendo aggran-
dire, ovvero adasprire (i) alcuna cosa, ridiciamo
una parola, ovvero molte parole, due volte in que-
sto modo : Tu non ti movesti quando umilemen'
te tua madre ti chiamava mercede, crudele non ti
movesti. Item : Ancora ardisci di venire dinanzi
a costoro j traditore del paese? Traditore del pae-
se, dinanzi a costoro di venire hai ardimento ? Ma-
ravigliosamente commuove F animo delF uditore
questo ridicimento, e fiede al cuore molto mag-
giormente, siccome lo uomo quando è ferito in
due luoghi, cioè in uno luogo due volte (2).
(i) adasprare^ Cod. della Marciana; equiparare^
leggesi ne IV antica edizione.
(2) siccome quando Tuomo è fedito in un luo-
go due volte. Testo Manni,
74
Deir ornamento, che si appella
Richiamamento (i).
Ed è uno altro ornamento^ che si appella Ri-
dila raamento, ovvero che si chiama Interpreta-
mento, ed ha luogo quando una medesima cosa
ridiciamo più volte, non per quelle medesime pa-
ro! e, come quelle di sopra, ma per parole diverse,
in questo modo : La città nostra parte è disfatta ,
il comune nostro parte è distrutto. Anche : Tuo
padre malamente battesti, sozzamente a tuo padre
mettesti le mani addosso. Bisogno fa, che 1' animo
deir uditore si commuova quando la gravezza del
primo detto (2) per altre parole si rimuove.
Deir ornamento, che si appella Rimutamento.
Ed è uno altro ornamento, che si appella Ri-
mutamento, ed ha luogo quando sono due cose ia
uno detto, e V uno e l'altro è contrario, ma proffe-
ransi sì, che Y uno si salva per V altro (3), in que-
sto modo : Mangiare conviene air uomo acciocché
(i) Interpretamento. Teslo Marini.
(2) la grandezza del primaio detto. Testo Manni.
(3) che si salva Tuno detto uscendo dell' altro.
Testo Manni,
75
twa ; e non vivere acciocché mangi (i) . An-
che : Di questo fatto più non mi travaglio^ per--
che quello che voglio non posso, e quello che
posso non voglio. Item : Quello che si dice di co'
stui, non si può dire, e quello che si può dire,
non si dice.
Dell' ornamento, che si appella Concedimento,
Ed è uno altro ornamento, che si appella Con-
cedimento, il quale ha luogo quando nel nostro
detto mostriamo di dare noi alcuna cosa tutta al-
la volontà di altrui, in questo modo : Avendo io
perduto tutte le mie cose, ed essendomi rimasa so-'
lamente t anima e 'l corpo, quello cotanto che
mi è rimaso di molte altre cose, che aveva, tutto
ho messo in vostro potere ^ voi me, in qualun-
que (2) modo volete j usate a fare tutta la vostra
volontà ; voi mi comandate, e dite tutto quello
che vi piace, perocché io adempierò tatto vostro
volere. Questo ornamento ha luogo a certe sta-
gioni, quando il dicitore vuole accattare benevo-
lenzia da altrui.
(1) manuchi. Testo Manni,
(2) cheunque. Testo Manni,
76
DelV ornamento, che si appella SbrigamentOé
Ed è uno altro ornamento, che si appella Sbri-
gamento, il quale ha luogo quando sopra una co-
sa, essendo assegnate molte ragioni perche si
dee fare o no, tutte si tolgono via e una sola ri-
mane che fa utile al dicitore , in questo modo :
Manifesta cosa è, che questa cosa fu mia ; adun-
que fa bisogno che tu mostri che tu V abbia avu-
ta da me, o che tu sia stato mio erede, o che per
uso sia fatta (i) tua. Da me avuta non la hai,
che giammai non la ti diedi ; mio erede essere
non puoi, essendo me vivo; per uso tua fatta non
la hai, perchè è poco tempo che V avesti ; se per
li detti modi non /' hai, rimane che, come non
dee, sia appo te. Questo ornamento vale molto
quando per presunzione si vuole mostrare la ve-
rità della cosa ; però non è in questo come negli
altri ornamenti; che lo possa usare il dicitore quan-
do gli piace,
DelV ornamento, che si appella Disciolto,
Ed è uno altro ornamento, che si appella Di-
sciolto, il quale ha luogo quando ciascuno detto si
(i) stata. Testo Manni,
77
proffera per sé, in questo modo : Ubbidisci tuo pa-
dre; onorai parenti^ provvedi agli amici j osser-
va le leggi» Itera : Difenditi francamente ; sta fer-
mo alla corte y dà i tuoi testimonii; usa le carte ^
fa le tue allegazioni; di niuna cosa temere. Que-
sto ornamento è molto brieve, e fa molto aspro il
detto del dicitore e molto brieve.
DelV ornamento, che si appella Recidimento
o Ridicimento.
Ed è uno altro ornamento, che si appella Re-
cidimento, ovvero Ridicimento, il quale ha luogo
quando dette avendo già certe cose e cominciato
a dire altro, lascia quello eh' è cominciato, e non
va più innanzi, in questo modg : Teco più fac*
cende avere non voglio^ e che tu sii tale non vo'
più dire per non fare manifesta la tua cattivitade.
Itera: Tu sé fatto ora molto rubesto (i), ma non
è gran tempo che tu stavi sì ... Eh non voglio più
scoprire acciocché se io dicessi ogni cosa non
tornasse a vergogna ad altrui,
(i) subito. Testo Marini,
78
DelV ornamento, che si appella Conclusione.
Ed è uno altro ornamento, clie si appella Con-
clusione, il quale ha luogo quando di quello che è
detto, o di quello che è fatto, per brievi argomen-
ti quello che di necessità si seguita, si conchiude,
in questo modo : Se profetato era che Troia vin-
cere non si potea senza le saette di Filottete, e
quelle non adoperarono altro che ad uccidere
Alessandro, chiamato Paris, dunque la morte di
Paris fu la cagione perchè disfatta fu Troia.
79
TRATTATO SECONDO
I
modi e le vie onde si possono ornare le bel-
le parole pienamente abbiamo veduto di sopra;
ora ti voglio mostrare quali sono le gravi e ornate
e belle sentenzie, per le quali la diceria si rende
buona e piacente.
Della Distribuzione.
E una sentenzia, che si chiama Distribuzio-
ne, la quale ha luogo quando il dicitore un certo
fatto in molte cose, ovvero persone, distribuisce ;
in questo modo : Qualunque persona ama il co-
mune dee avere in odio costui^, perchè crudelmen-
te ha sempre il comune inodiato ( i ). Chi intende
a onore di cas^alleria dee volere che costui sia
agramente punito, acciocché per lui sì grande di-
gnità così vituperata non sia. Voi, che as^eté pa-
dri, mostrate per la vendetta che di costui fac-
ciate fare che non vi piacciono uomini rei. Voi,
che avete figliuoli, mostrate per esemplo quante
(i) odiato, leggesì neW antica edizione.
8a
pene debbono portare coloro che sono della rei-
tà (i) di costui. Item: ^' consiglieri del consiglio
si appartieìie di fedelmente consigliare il comune;
alla podestà [i) si appartiene di seguitare la vo-
lontà del consiglio ; al comune si appartiene di
amare ì buoni uomini della sua città, e le loro o-
pere trarre innanzi e lodare. Item : Officio è di
colui, che domanda^ di dare la sua petizione, e di
colui a cui è domandato, di rispondere e negare,
e de' testimonii di dire la veritade così per V una
parte come per V altra, e del giudice d^ inveni-
re (3) la verità e di giudicare. Questo ornamento
è molto copioso, perchè in poche parole compren-
de molte cose, dando a ciascuno F officio suo, e di-
scevera le cose e divide le persone.
Della Licenzia.
Ed è un'altra sentenzia, che si appella Licen»
zia, la quale ha luogo quando dinanzi a coloro, che
dobbiamo (4) riverire e temere, diciamo alcuna co-
sa di nostra ragione, che di soperchio non li offenda j
(i) reta. Testo Marini,
(2) al podestà, legge si nell* antica edizione,
(3) cercare. Testo Marini.
(4) dovemo. Cod, della Marciana»
Si
e fassi in questo modo : Blaravigliatevi voi, mes-
se?' lo Conte (i)y e perchè le nostre petizioni non
sieno intese e le nostre ragioni non sieno udite,
e che niuno di noi si faccia difenditore (2), re-
putatene pure nostra la colpa, e di ciò non vi fa-
te maraviglia, Qual cosa è in voi perchè V uomo
non debba così fare ? (3) Considerate bene chi so-
no stati gli amici vostri, e ricordatevi de servigii
che vi hanno fatti, e vedete i bisogni che hanno
avuto di voi, e come ne sono stati serviti, perchè
allora vedrete e conoscerete coloro essere mala--
mente trattati, che da voi non hanno avuto soc-
corso niuno ; laonde i loro nimici ne sono avanza-
ti (4) e venuti ip. grande stato, Item : Per che ca-
gione temeste voi, messere lo podestà, di fare con-
dannagione di costui ? Già era il malefizio contra
lui legittimamente provato ; già era fama di tutta
la gente, eh' egli aveva il malefizio commesso ; già
aveva egli fatta tal difensione, che ri era fatto
beffe e scherno. Aveste voi paura, se nel primo
consiglio lo aveste (5) condannato, non foste te-
nuto crudele? Volendo schifare quello vituperio,
(i) Locotenente, leggesi nelV antica edizione.
(2) si sa difendere. Testo Manni,
(5) Don vi debba fuggire e schifare. Testo Manni,
(4) assaltati. Cod. della Marciana,
(5) r avessi. Cod. della Marciana,
6
82
che non potea a\>ere luogo in voi, sete caduto in
questo altro, che voi sete tenuto vile e codardo :
grande male al comune e a' cittadini avete fatto.
Sedetevi e riposatevi oggimai a grande agio, e
quando alcuno malefizio vedete, o evvi dinunzia-
to, dite pure : Ben faremo, sicché i malfattori ne
piglino baldanza, e torni questo a grande ahhas-
samento del comune. Se questa cotale licenzia di
riprendere i nostri maggiori paresse al dicitore,
quando lia detto, che fusse troppo aspra, sì la deb-
ba di dietro mitigare, in questo modo : Pero la
potenzia vostra addimandiamo, il senno e la bon-
tà vostra richieggiamo, la vostra usanza (i) del
benfare in questo luogo si paia^ e altre cotali
belle parole da mitigare sì, che venga in voi il pro-
verbio : Quello che non piovve da cielo rimase
suso (2); che '1 farete, e Iddio ve ne dia voglia e
possa, sì che l'ira, che aveva raccolta l'uditore per
la licenza, si temperi per le lodi di dietro ; e che
r uno detto tolga via l' ira, e T altro di quello, che
ha errato, si spaventi.
(i) usata. Testo Marini,
(2) Quello che non piove di cielo rimansì suso. Te-
sto Mmni.
83
Dello Scaltrimento.
Ed è uno altro modo di licenzia, il quale si fa
per via di Scaltrimento, in due modi : V uno, quan-
do riprendiamo i nostri maggiori secondo che noi
sappiamo che vogliano essere ripresi; l'altro,
quando quello, eh' è aperto, ad ogni uomo diciamo,
dubitando come si debba intendere. La prima li-
cenzia si fa in questo modo : Troppo sete semplice
e di benigno animo ; troppo credete a ogni uomo,
e sperate che ciascuno vi faccia quello che v'im-
promette ; errate, e troppo sete menato per beffe,
e per vostra mattia ( i ) quello eh' era in vostra po-
testà voleste anzi credere che V aveste tenuto. Del-
l'altra licenzia sarà questo 1' esemplo : Vero è, che
con costui io avea grande amistà, ma voi sete quel-
lo che me n avete privato e dojnandatomene, aC'
ciocché rimanessi io vostro amico; che posciachè
è divenuto quello vostro nimico, incontanente si
partì r amistà. Qyiesto ornamento si fa in due mo-
di, il primo si dice agramente e per aspre parole^
come hai veduto di sopra , e se diventa troppo a-
spro si tempera con le dette parole da sezzo ; e l' al-
tro, che si fa per iscaltrimento, non fa bisogno di
mitigare.
(i) stoltizia, leggesì neir antica edizione.
H
Del Menomamento.
Ed è una sentenzia, che si* appella di Meno-
mamento, la quale ha luogo quando colui, che favel-
la, loda se o altra persona e menoma le lode sue
acciocché non sia tenuta troppo grande arroganza,
in questo modo : Non dico queste cose perchè io
ne creda mia ragione avanzare, ma solo perchè
egli è così la verità. Sempre mai con molta fatica
e ingegno curai che la cavalleria non fusse in
nessuno luogo sottana, né die la giustizia nonfus^
se in me il luogo sottano (i). In questo luogo se il
dicitore avesse detto, clie la cavalleria fosse in lui
in grande stato, avvegnaché avesse detto vero, sa-
rebbe paruto troppo grande arroganza. Item : ì^eg-
giamo se per povertà o per avarizia avesse questi
commesso questo malejizio. Per avarizia no, per-
chè questo è stato sempre liberale agli amici ; oh' è
grande segno di larghezza, eli è all' avarizia con-
trario. Per povertà no^ perchè il padre, die non
voglio molto dire, gli lasciò patrimonio non pic-
colo (2). Questo cotale Menomamento dee usare
(i) Sempre mai con molta fatica e ingegno curai
che la cavalleria non fosse in me luogo sottano. Testo
Manni.
(2) Piccolino. Testo Manni.
85
il dicitore quando intende di lodare se o altra per-
sona, perchè è avuta per sozza cosa, quando altri
si loda, se le sue lodi non sa temperare e coperta-
mente dire bene; onde secondochè ne' ragiona-
menti, così nelle dicerie se ne debbe guardare il
dicitore, e farle copertamente e temperarle quan-
do si fanno.
Del Designamento,
Ed è un'altra sentenzia, che si appella Desi-
gnamento, la quale ha luogo quando il dicitore di^
segni che gravi cose di alcuno fatto si possono se-
guitare per innanzi, in questo modo : Se questo reo
uomo, cìi è ora caduto alle mani vostre e del cO"
mune, nonfia punito per voi, e delle vostre mani
camperà, incontanente, siccome leone o altra cru^
dele bestia scatenata, andrà per la città e per lo
contado uccidendo e rubando e ardendo, amico e
nimico y forestiero e cittadino, e 7 comune non si
potrà poi di costui atare (i). Però, messere lo po-
destà, liberate i vostri cittadini dalle mani di co-
stui, e a voi medesimo procedete, perchè se co-
stui delle vostre mani si camperà, contra a voi
medesimo si rii^olgerà questa fiera, e sarete in
(i) aitare^ leggasi neW antica edizione.
S6
grande pencolo di campare, Item: Messere lo pò-
destà^ se di costui prendete troppo aspra vendetta,
non solamente costui^ ma molti altri per la vo-
stra sentenzia saranno puniti^ perchè questo gio-
vane è nato di gran sangue, e 7 padre è un vec-
chio e tutta la sua speranza è oggi in costui , e i
suoi figliuoli sono pargoli ( i ) tutti e hanno molti
nimici ; sicché incontanente, privati del loro pa-
dre, verranno loro addosso e terranno loro le ca-
se e le terre e caccerannoli via, e niuno sarà poi
che li difenda (2) o che si levi per loro. Item: Se
non vi difenderete e francamente lascerete vince-
re la nostra città, potete ben essere certi, che in-
contanente, presa la terra, tutti quelli da arme sa-
ranno morti, e spezzati i vecchi^ le femmine e i
pargoli, quale sarà morto dinanzi al suo padre
e quale storpiato, e quelli che rimarranno saran-
no tutti presi e venduti per servi, e sarà isceve7\i-
to (3) // marito dalla moglie, il padre dal figliuo-
lo ^ e V uno fratello dall' altro, i quali aveva con-
giunti la natura; e la vostra città sarà arsa e tutti
li beni vostri verranno alle mani dei nimici. Niu-
no potrebbe con lingua contare le crudeli cose che
(1) piccoli, leggesi nell'antica edizione.
(2) che se gli metta a difendere. Testo Mannì,
(3) separalo, leggesi ne IV antica edizione.
87
ne avverrebbe. Per questo ornamento si aprono le
cose che possono addivenire, e o recasi F animo
deir uditore a misericordia o rendesi indignato.
Della Divisione.
Ed è un'altra sentenzia, che si chiama Divi-
sione, la quale ha luogo quando sono due cose, o
più, che nasce l'una dell' altra, e catuna (i) si sbri-
ga per certa cagione, in questo modo: Due cose
sono per le quali si muove Vuomo a torre Val"
trai : V una per povertà, V altra per avarizia. Che
tu sia avaro, quando dal fratello ti dividesti (2)
assai si manifestò; che tu sia povero, non mi fa
bisogno di dire^ perchè a tutte genti è manifesto.
Item: Perchè ti rammenterei io i molti servigi
che ti ho già fatti ? Se ti stanno a mente, saronne
meritato ; se no, poco mi gioverebbe di rammen-
tarli se gli hai dimenticati (3).
(1) ciascuna, leggesi nelV antica edizione.
(a) dovidesti. Tèsto Marini.
(3) poco mi gioverebbey perchè io li dicessi pa-
role. Testo Manni.
ss
Dello Spessamento»
Ed è un' altra sentenzia, che si appella Spes-
samente, la quale ha luogo quando molte cose, che
sparta mente sono dette in una diceria, si raccol-
gono da sezzo in un luogo, acciocché si renda più
grave quello che si dice, in questo modo : Chefac-
eia aveste voi oggimai ? aveste voi ardire di toc-
car (i) costui, il quale è pieno di cotante malizie,
che secondochè vi ho mostrato, questi è empio al
suo padre e grave a parenti ^ disobbediente d
suoi maggiori e fastidioso a suoi pari e crudele
a minori di sé, ed è ladro e avoltero (2) e mici-
diale e con lui non può niuno conversare ? Que-
sto ornamento ha molto luogo, quando il dicito-
re per cose verisimili vuole provare alcuna cosa,
perchè molte cose, le quali sono deboli ciascuna
per sé, ragunate tutte insieme in un luogo, pare
che facciano piena fede, in questo modo: Non
guardate, messere lo podestà, le cose che ho det-
te di sopra a catuna per sé, ma tutte insieme con-
siderate . Se della morte di colui torna grande u-
tilità a costui, e questi è uomo reo e mendico e
avaro, a neuno altro che a costui poteva questo
(i) difendere, leggesi nell'antica edizione»
(a) adultero, leggesi nelV antica edizione.
89
micidio{i) tornare a utilità^ e a neuno altro cadde
così in acconcio di fare, e in neuno (2) altro mo-
do potrebbe questi avere fatto meglio ; perchè il
luogo fu acconcio e la stagione buona, e agevol-
mente si potè fare ; e questi fu veduto nel luogo
dove il malefizio fu fitto, e colui, che fu morto j
fu udito poco stante gridare, e questi tornò la
sera a casa molto tardi, e V altro dì della morte
di costui non fermamente favellava. Per tutte le
cose dette di sopra, e anche perchè palesemente
si dice per tutta la gente, che questi ha questo ma-
lefizio commesso, la qual voce non è nata senza
cagione, potete fermamente conoscere e vedere,
che per costui è questo malefizio commesso, e giu-
stamente il dovete punire. Maraviglioso ornamen-
to è questo nelle cose che si vogliono mostrare per
presunzione (3), e in ogni cosa che sia verisimile
nelle gravi e ornate sentenzie che si fanno nelle
dicerie.
(i) omicidio, leggesi neir antica edizione.
(2) gnu DO. Testo Manni.
(3) prosunzioni. Testo Manni,
9»
Del Punimento (i).
Ed è un'altra sentenzia^ die si appella Puni-
mento, la quale ha luogo quando soprastiamo in
un luogo a dire sopra una medesima cosa, e pare
che noi diciamo cose diverse ; e puossi fare in due
modi: l'uno, quando diciamo quella medesima co-
sa eh' è già detta di sopra ; l'altro, quando non quel-
la medesima cosa, ma di quella diciamo. Quando
ridiciamo quella medesima cosa, eh' è già detta di
sopra, sì la ti conviene ridire per altre parole, per-
chè se la dicessimo per quelle medesime parole,
non sarebhe ornamento ma sarebbe detto noioso.
Questo è lo esemplo : Ninno pericolo è sì grande
che li savii uomini non vogliano fuggire per fare
salva la città loro, per campare il comune loro,
che non perisca. Coloro, che sono sa^^ii, non ischi'
fano trasfaglio né pericolo niuno. Del secondo mo-
do, cioè quando non ridiciamo quella medesima
cosa^, ma diciamo di quella^ questo è lo esemplo.
Volendo il dicitore dire che per difendere il suo
comune non si dee fuggire pericolo niuno, sì lo
dirà in questo modo : Coloro, che sono savii, per
lo comune non iscJiifàno mai pericolo niuno,
perchè chi per lo suo comune non vuole perire,
(i) Pulimento. Testo Marini,
91
col suo comune spesse volte perisce ; conciossia^
cosachè della sua città, ove V uomo abita, abbia
ogni suo bene, ninno periqolo gli dee parere gran-
de (i) per camparla; dunque chi fugge quel pe-
ricolo che per lo suo comune dee pigliare, mat-
tamente si porta, perchè fuggire da sezzo noi può-
te, e vive tra gli altri cittadini vituperato; ma chi
prepone il pericolo del comune al suo speziale^
fa saviamente, perchè al suo comune rende il de*
bito suo, e vuole per molti pia av accio (2) perire
con onore, che con molti vivere con vergogna ;
perocché molto è grande iniquità la vita che dal'
la natura ha avuta e per lo suo paese ha conser-
vata, quando la natura la richiegga per lo suo
paese j e quando fa bisogno, non darla, e a gran-
de onore potendo (3) morire, volere con disonO'
re vivere, E com è da riprendere colui che,
quando naviga, più avaccio la nave che le perso-
ne intende a salvare, così di colui è da fare beffe
e scherno, che in sul grande pericolo più prov-
vede al suo salvamento che a quello del comune,
perchè, spezzata la nave, molti ne possono cani-
pare, ma quando perisce il comune non ne campa
(i) greve. Testo Marini.
(2) presto, legge si nelV antica edizione» '
(3) posseudo. Testo Manni,
9^
veruno . Per la qual cosa possiamo dire che
Decio si portò saviamente, che per campare la
città sua si mise alla morte ed a ferire i nimici%
Per vii cosa e per piccola grazia ricomperò una
grande ; diede la vita e fece saho il paese; par-
tissi V anima e accattò gloria e onore ; il quale
non menoma, ma sempre cresce ed inforza. Dun-
que se per viva ragione e grandi esempli ti ho mo-
strato, che per lo suo paese si dee mettere V uomo
ad ogni rischio, savii debbono essere tenuti colo-
ro che per fare salva la città loro non ischifano
pericolo ne fatica niuna. Questo è bellissimo or-
namentOj per lo quale una medesima cosa in mol-
ti modi si ridice e sempre pare che si dica altre
cose ; e fassi solamente dal buono dicitore, e clii
r usa di fare appara tostamente a ben parlare (i).
Del Soprastare.
Ed è un' altra sentenzia, che si appella Sopra-
stare, la quale ha luogo quando il dicitore sopra-
stà in uno fermissimo luogo, là ove pende tutta la
forza del fatto, e a quello luogo spesse volte ri-
torna ; e questo è proprio fatto del buono avvo-
cato, perchè non dà podestà air uditore che si
(i) saprà per questo bea parlare. Testo Marini.
93
rimuova da quella cosa che fa bene per lui. Di
questo buonamente non si può dare esemplo, per-
chè questo luogo non è da tutta la quistione, sic-
come uno membro sceverato, ma, siccome sangue,
per tutto il corpo della quistione è sparto (i).
Della Contenzione.
Ed è un' altra sentenzia, che si chiama Con-
tenzione, la quale si fa di due detti contrarii, e
negli ornamenti delle parole si fa, come ti ho det-
to di sopra, in questo modo : A'' nimici ti mostri
umile e agli amici aspro (2). Negli ornamenti del-
ie sentenzie si Fa in questo altro modo : J^oi vi la^
meniate del male del comune e cruccioso ne se^
te] e questi se ne loda efassene lieto. Item : J^oi
vi diffidate della vostra ventura, ma questi della
sua si confida. Tra questi due ornamenti ha co-
tale differenza, che '1 primaio si dice tostamente e
per parole contrarie, ma il secondo si dice più al-
la distesa per due contrarie (3) sentenzici
(i) isparlo. Testo Marini.
(2) Manca il riportato esempio nel Cod. della
Marciana.
(5) contradie. Testo Manni,
94
Della Similitudine.
Ed è un' altra sentenzia^ che si appella Simi-
litudine, la quale ha luogo quando il dicitore mo-
stra alcuna cosa, che vuole dire, per un'altra che a
quella sia simigliante; e questo fa per ornare il
detto suo, o per renderlo più approvato, o per dar-
lo ad intendere meglio, o per farlo sì aper'.o come
se in presenzia e dinanzi agli occhi dell' uditore sì
il facesse. Per ornare il detto suo fa il dicitore in
questo modo: Come colui che piglia il penno-
ne (i) per correre nel prato, di colui, che ha cor-
so, corre meglio, così il podestà nuo^o, che piglia
la signoria, del vecchio è migliora, perchè aj^àti-
cato colui, che ha corso, rende il pennone (2) a
un altro y che corra, ma il podestà già usato rende
la signoria al nuovo. In questo luogo senza alcuna
similitudiife puote il dicitore dare ad intendere il
detto suo chiaramente; e in questo modo il pode-
stà nuovo non è perciò migliore che il vecchio,
perchè ne sia il vecchio rimosso e 1 nuovo entri
in suo luogo, ma fa questa similitudine per da-
re alcuno ornamento al detto suo. Per rendere più
approvato il detto suo, sì fa similitudine il dicitore
(i) la faccellina. Testo MannL
(2) Come sopra.
95
in questo modo : Né 7 puledro non domato, a\^
vegnachè sia buono, può essere acconcio a quella
utilità che V uomo desidera del cavallo; né V uo-
mo non usato, avvegnaché sia ingegnoso, può es*
sere di molta bontà. Questa similitudine rende il
detto del dicitore più approvato, e al detto suo è
data più piena fede, perchè neuno uomo può essere
di gran bontà, se prima non ne usa, né 'l puledro, se
prima non è domato. Per rendere il detto suo più
chiaro e aperto fa similitudine il dicitore in que-
sto modo : Non come coloro, che corrono, deb-
bono fare coloro che sono amici ; perché basta a
colui, che corre, ai correre insino alla fine del
suo corso, ma colui, eli é amico, dee il fine passa*
re e amare i figliuoli posciaché l amico é morto.
Questa similitudine dà meglio ad intendere il det-
to di colui che favella, e fallo più chiaro e aperto,
perchè basta a colui, che corre, di essere di tanla
leggerezza e forza (i) che corra in sino alla fine del
suo corso;.ma l'amico dee avere tanta fede è tan-
to amore allo amico portare, che valichi in fine
la vita dell' amico e passi a' figliuoli. E per fare
la cosa, che si dice, sì chiara e aperta, come se in
presenzia e dinanzi agli ocelli dell' uditore si fa-
cesse, fa il dicitore similitudine in questo modo :
(i) forteziza. Testo Marini,
96
Come il giullare (i) che si leva in piede per gich
carey perchè ha una bella persona, è di sciamilo
e di un bel drappo ad oro vestito, ed ha uno bel
capo biondo e pettinato con bella corona e ghir-
landa in testa, e tiene in mano un maras>iglioso
stormento (2), tutto dipinto e las^orato di avorio,
e per le dette cose corrono molte genti a vedere e
aspettano di vedere uno bellissimo giuoco j e stan-
do ogni uomo cheto e attento comincerà questi a
cantare con una voce fioca e con uno bruttissi-
mo (3) modo, e sconciamente menerà le anche e
i piedi e le mani quando verrà a ballare ; quanto
più sarà stato acconcio e guardato dinanzi, co-
tanto sarà fatto di lui maggiore beffa e scherno,
così quando V uomo sarà più ricco e gentile, e a-
vrallo la ventura messo in grande stato, se in sé
non avrà senno e larghezza e bontà, quanto più
sarà guardato per le cose, che sono in lui, tanto
più sarà schernito e avuto in dispregio e cacciato
dalla usanza de' buoni. Questa similitudine è (4)
così al fatto somigliante^ sì nella bontà come nel-
r altro, e rende la cosa, che si dice, sì chiara e
(1) giocolare; leggesi nelV antica edizione.
(a) stromento, leggesi ne W antica edizione.
(3) turpissimo. Testo Manni.
(4) ene. Testo Manni.
9-;
aperta, come se in presenzia e dinanzi agli occhi
degli uditori si facesse. Nelle similitudini, che si
pongono, dee sempre il dicitore osservare, che a
quello che dice e alla similitudine che pone, ren-
da sempre le sue proprie parole (i). E trovare la
similitudine delle cose non iia malagevole al dicito-
re, se considera la natura di tutte le cose, oche fa-
vellino o che sieno mutole o sìeno dimestiche o
fiere o che si veggano o che non si possano vede-
re, e di quella tragga alcuna similitudine, laon-
de j30ssa al detto suo dare alcun bello ornamen-
to, o lenderlo più approvato e aperto, o ren-
derlo sì manifesto come se in pre.senzia o di-
nanzi agli occhi dell'uditore si facesse (2), come
per esemplo ti ho mostrato di sopra. E non fa bi-
sogno che la similitudine, che si pone, sia per ogni
cosa simigliante alla cosa a che si somiglia, ma so-
la ni ente a certa cosa, cioè a quella che fa prò al
dicitore che la pone.
(i) Quasi tutto il periodo che ora segue manca
nel Codice della Marciana, ed è tolto dalV amica edi-
zione.
(a) fesse. Testo Manni,
g«
Dello Esemplo.
Ed è un' altra sentenzia, clie si appella Esem-
plo, la quale ha luogo quando proponiamo nel det-
to nostro alcuno bel detto o fatto, passato da alcu-
na persona savia e approvata. E fassi questo or-
namento per le dette quattro cagioni che nell' or-
namento delle Similitudini ti posi di sopra ; cioè,
o per rendere il detto del dicitore più ornato, o
più chiaro e aperto, o più approvato, o sì manife-
sto^ come se in presenzia o dinanzi agli occhi del-
r uditore si facesse (i). E per renderlo più orna-
to si fa, quando per niun'altra cosa si pone esem-
plo, se non è perchè il detto del dicitore sia più
piacevole e bello. Per renderlo più chiaro si fa,
quando per niun'altra cosa si pone esemplo, se
non quando il detto del dicitore è dubbioso che
si renda più certo. Per renderlo più approvato si
fa, quando per niun' altra cosa si pone esemplo,
se non è per mostrare che '1 detto del dicitore sia
più verisimile. Per renderlo più manifesto, come
se in presenzia o dinanzi agli occhi degli uditori
si facesse , si fa , quando per niuna cosa si pone
(i) Anche i perìodi seguenti mancano quasi af-
fatto nel Codice della Marciana,
' 99
esemplO; se non perchè tutto ciò, che pone il dici-
tore, si mostri sì chiaramente che paia che si palpi
sempre con mano (i). Di ciascheduno modo ti avrei
dato lo esemplo, se non fusse clic gli puoi pigliare
negli esempli (2) che ti posi nella sentenzia, che
si appella Punimento; per la quale cosa non ti vo-
glio dire poco acciocché hene intendere tu possa,
ne la cosa, eh' è già intesa, ti voglio più mostrare.
Della Immagine,
Ed è un'altra sentenzia, che si appella Immagi-
ne, la quale ha luogo quando il dicitore assomiglia
in alcuna cosa una forma con un' altra ; e questo
fa il dicitore o per biasimare o per lodare alcuna
persona. Per cagione di lodare pone il dicitore im-
magine nel detto suo, in questo modo : Andavamo
nella battaglia forti del corpo come due torri, e
arditi di cuore come due leoni. Per cagione di vi-
tuperare, in questo modo : Questi spesse volte va
per mezzo il mercato ricciuto come un drago ,
con una guardatura rabbiosa, con uno animo av-
K>elenosOy di qua e di là guardandosi d' intorno se
(i) che paia sempre; che ad occhio si veggia. Te-
sto Mannì,
(2) cogliere dagli asempri. Testo Marini,
100
vedesse alcuno (i), cui potesse col fiato appuzzare
e colla bocca mordere e co denti squarciare.
Del Mostramento.
Ed è un' altra sentenzia, che si appella Mo-
stramento, la quale ha luogo quando il dicitore la
Torma di alcuna persona mostra a parole, quan-
to è bastevole perchè intendere si possa, in que-
sto modo : Io dico che questi è rosso e piccolo e
gobbo ed ha una margine nel mento ^ o dice al-
tre parole, laonde il dicitore può la persona me-
morare (2). Questo ornamento ha in sé utilità (3)
quando il dicitore vuole alcuna persona mostrare,
e ha in sé bellezza se brievemente e apertamente
sarà fatto.
Del Disegnare.
Ed è un' altra sentenzia, che si appella Dise-
gnare, la quale ha luogo quando il dicitore dise-
gna a parole i reggimenti della natura di alcuna
persona, o sia vanagloriosa o invidiosa o timida^
(i) nessuno. Testo Marini.
(2) mostrare. Testo Manni,
(3) utolità. Testo Marini-.
101
o avara o desiderosa o di qualunque altra natu-
ra ; i quali reggimenti, siccome certi segni, sono
dati all' uomo dalla natura. E del vanaglorioso se
ne può dare questo esemplo : Questi è tanto pieno
di vanagloria e di vista, che quando guarda al-
trui sempre pare che dica : darestemi luogo se non
faste villano; e quando rizza il mento (i) in parte
alcuna^ sempre crede da tutta gente essere guar-
dato, come sefusse pietra (2) preziosa o bellissi-
mo oro rilucente; e cotali altri reggimenti che fan-
no coloro che di vanagloria sono pieni (3).
(i) capo. Testo Manni,
(2) gemma. Testo Manni,
(3) Nel Testo Manni continua questo Capitolo
come segue ;
,, E quando è colli forestieri, veggendo alcun fan-
te andare per la via, cui bene conosce , sì lo chiama
ora in un modo, e poco stante in un altro, acciocché
paia aiii forestieri, che sia uno dei molti suoi fanti, le
cui nomora non possa tutte tenere a mente, e dice: vie-
ni bellamente, acciocché non facci villania a questi si-
gnori ; e quand'é venuto a lui, sì gli dice alcuna cosa
vile molto pianamente all'orecchie, e poi grida, accioc-
ché coloro, che son con lui, il possano udire, e dice :
guarda, che li forestieri, che sono a casa, sieno ben ser-
viti stasera, e '1 fante, che ben conosce i suoi reggimen-
ti, risponde incontanente : per me non si potrebbe ben
fare, se non mandaste anche meco degli fanti vostri. E
que' dice : e tu mena teco Stefano, e Soffia, e apche ne
102
Del Sermonare,
Ed è un' altra sentenzia, che si appella Sermo-
nare , ed ha luogo quando il dicitore favella in
togli se più te ne fanno bisogno, e fa che sìen bene
fatte tutte le cose. E se andando per la terra s' intop-
perà in forestieri^ i quali nella loro città Faranno mol-
to onorato, e servito, sì si contristerà molto nelf animo
suo, ma non si parte dal vizio suo naturale, e però gli
corre ad abbracciare, e dice, che sienò i ben venuti, e
che hanno ben fatto, che è loro piaciuto di venire in
quella cittade, e che arebbon fatto meglio , se diritta-
mente all'albergo suo ne fossono venuti j e que' dico-
no, che ciò avrebbon fatto, se l'albergo suo avessono
saputo j e que' risponde, che ciò era agevole cosa d'im-
parare, se n' avessono domandato sì è conosciuto. Allo-
ra gli volge, e fa vista di menarglisi a casa, e vegnen-
do con loro dicendo molle parole di suo vaotamento
si gli mena a uno bellissimo albergo d'alcuno suo con-
to, il quale e' sa, che fa convito grande la mattina, e
menagli là entro per contezza, che hae con coloro del-
la casa, e dice: qui abito, quest'è il palagio mio, e vo-
glio, che sia l'albergo vostro, quando capitate in que-
sta terra j e quegli guatano la bellezza della casa, e sì
la lodano, e parne loro bene, e stati un pezzo, e ra-
gionato di molte cose, viene il fante del Signore della
casa, e dicegli pianamente all'orecchie: eh. Messere vor-
rebbe venire oggimai a mangiare, perocché venuti so-
no coloro, che con lui debbono disinare ? Allora si le-
va dritto in pie, e dice a' forestieri: ecco il corriere,
che mi dice, che fralelmo torna di Francia, ed è qui
appresso ad un miglio giunto, e mandami dicendo, che
io3
luogo di altra persona, in questo modo : Nel tempo
che Roma ave^a molti cavalieri forestieri, è ogni
incontanente gli vada incontro, onde perdonatemi, se
con voi ora non posso più dimorare, e priegovi, che
venghiate a cenare meco stasera. Questi vedendo il bi-
sogno, e tenendo la 'nvitata si partono da lui, e que-
gli, da che e' son partiti, se ne va, e rinchiudesi in ca-
sa per non potere essere trovato, e quando è ora di ce-
na, vengono i forestieri per cenare con lui alla casa, on-
de sono da lui la mattina partiti, e noi trovano, ed
essendo loro detto, che la casa non è di colui, sì si tor-
nano a dietro, e tengonsi malamente beffati j e ritro-
vando costui r altro dì i forestieri, sì s'incomincia pri-
ma egli di loro a lamentare come la sera avea fatta gran
cena, e come molto fra notte gli avea aspettati, e che
e' non vennono ebbe grande ira, e fecesene grande ma-
raviglia j e que' dicono la venuta, che feciono ali* al-
bergo, ove la mattina gli avea menati, e come si tor-
narono a dietro con vergogna. Ed e' risponde, che al
detto albergo non vennero, ma errarono per cagione
del porticale andando a un altro albergo per lo suo,
perchè n'ha molti perla città somiglianti, o poi dice:
io vo' per lo fermo, che domattina disiniate meco, e
aspettatemi tanto, eh' io vegna per voi, sicché non pos-
siate più errare. E datogli la parola, sì accatta questi
da alcuno suo amico un bello albergo nelle borgora di
fuori della terra, e accatta belli vaselli d' ariento, e va
per costoro la mattina, e menagli al detto luogo a di-
sinare, e dice loro: alcuni miei carissimi amici voglien-
do fare istamane un convito di molta gente, e non a-
vendo bella casa, dove 'l potesson ben fare, sì mi pre-
garono, eh* io prestassi loro la mia, ed io veggendo il
uomo stava rinchiuso in casa per paura, venne
Saturnino (i), tutto armato aferro, con uno gran-
de tavolaccio e con uno spiedo in mano e con
cinque grandi fanti, tutti armati ; e com' egli subi-
tamente entrò nella casa di Salamene^ a gran vo-
ce cominciò a gridare : Ove questo signore della
bisogno, sì l'ho loro conceduta, e voi ho menato a que-
sto mio albergo, là ove io mi riparo la state, e que-
glino guardando la casa, la corte, e l'orto, piace loro
il luogo, e lodanlo assai j e quando sono in sul disi*
Dare, colui, cui sono i vaselli d'ariento, non confidan-
dosi bene di costui, sì gliele manda per alcuno suo
fante richeggendoj e questi incontanente che vede il
fante, sì '1 chiama da una parte a se, e saputo piana-
mente quello, che domanda, sì dice, acciocché T odano
i forestieri, prestato ho la casa, e molti vaselli d'arien-
to all'amico mio, e anche mi manda pregando per co-
stui, che de' miei vaselli dell' ariento gli debba anche
prestare, e avvegnach'io abbia forestieri, non vo' per-
ciò lasciare, che questi cotanti, che ci sono rimasi, non
gliele mandi, e così gliel farà tutti dare". Somiglian-
te alle cose, ch'hai udite di sopra, farà tanto colui, che
per natura è vanaglorioso, che non si potrebhon con-
tare, perchè tulli gli suoi atti pare, che tornino in co-
tali reggimenti; e così di ciascuno degli altri, che so-
no posti di sopra, cioè o invidioso, o timido, o avaro,
o disideroso, si posson dire certi reggimenti, che sono
loro dati dalla natura, siccome certi segni, come di so-
pra t' ho mostrato.
(i) Saturno. Testo Marmi,
io5
casa^ eli è stato cotale anziano ? o^' è ? insegna-
telmi tosto; o^ e l avete nascoso? E stando che"
to ognuno per paura , venne la moglie di Sa-
lamone con gran pianto, e gitioglisi a' piedi, e dis-
se : Per amore di Dio e per amore di te (i) e per
amore di qualunque cosa die più ami in questo
mondo, abbi misericordia di Jioi, non uccidere
noi, inabissati che semOy distrutti e disfatti ; por-
tati benignamente : quando sé in grande stato ri-
cordati che sé uomo e che noi medesimi già fum-
mo beati. E Saturnino disse: Madonna^ il vostro
piangere non importa a niente; bisogno fa die noi
il troviamo, e delle nostre mani non può scam-
pare. In questo mezzo è detto a Salamene, come
Saturnino è venuto e a gran voce il minaccia di
metterlo a morte ; e intese queste parole (2) Sa-
lamene disse alla balia sua : Sofia mia buona, ab*
hi buona guardia de figliuoli miei; partiti e me-
na teco i fanciulli e fa che possine campare dal-
le mani di costui. Appena ebbe queste parole com-
piute di dire, che venne Saturnino e disse : Ar-
renditi, baccalare, se no, sé morto : di tutto ciò
che m'hai fatto piglielo oggi vendetta, e l'ira mia
(i) e per onore della tua persona.* TV^ro Manni.
{1) novelle. Testo Manni.
io6
sazìerò del tuo sangue. Rispose Salamoile, non
potendo appena riavere V alito (i) per la paura
che as^eva : Uccidere mi puoi tu, ma vi^^o non mi
arrenderò io a te. E Saturnino disse : In sulla
morie ti vedi, e ancora meni rigoglio? Allora ri--
spose la moglie di Salamene e disse: Anzi si ar-
rende e chiamati mercè, che tu gli perdoni, onde
ti prego che tu abbi misericordia di lui, e vinci
la mala volontà e rendigli pace. E Salamone dis-
se: Donna, perchè dì' tu cose (2) che non sono
convenevoli a dire ? taciti, e quello che hai a cu-
rare, cura ; che se questi mi offenderà in persona ^
sicuro è che mai non li sia rimesso (3), e non ara
mai vita sicura. E Salamone scacciò da sé la mo-
glie, che si lamentava per lui, e Saturnino, non
so che dicendo di suo vantamento, venne centra
a lui e miselo a morte.
Dell' Informare.
Ed è un' altra sentenzia, che si appella Infor-
mare, la quale ha luogo quando il dicitore po-
ne una persona, che non è presente, che favelli
(i) il fiato, leggesi ne W antica edizione.
(q) tante parole e cose. Testo Manni»
(3) dimesso non gli fia. Testo Manni,
107
come se fosse presente , o una cosa, che non può
favellare, come fusse se favellasse, in questo mo-
do : Che se questa città vincitore [i) favellasse
ora qui dinanzi da voi, non potrebbe ella in
questo modo parlare ? Io, che sono quella che so-
no ornata di molti ornamenti e gloriata di mol-
ti trionfi (2) e arricchita di molte vittorie, per le
vostre discordie sono, o cittadini, molestata ? E
cui Cartagine maliziosa con inganni, e la poten-
te Numanzia per forza, e la savia Corinto per
senno con'ompere non ebbero forza (3), sofferrC"
te voi che per uomini avveniticci io sia, o cittadi-
ni, soggiogata ? Item : Che sarebbe, se 7 buono
Scipione rinascesse ? e se fosse ora qui dinanzi
da noi non potrebbe usare queste parole : Io fui
quello che vinsi li Re e li discacciai da noi, e voi
sete quelli che ci menate e conducete a tiranni ?
io la libertà, che non avevate, vi diedi, e voi queU
la, die avete, non volete serbare ? io, mettendomi
a ogni rischio, liberai il paese dalle mani de ni-
mici, e voi, liberi e senza perìcolo, non curate di
stare? Questo ornamento, avvegnaché a molte cose,
(i) Osservò ilManniche vincitore, parlandosi di
donna, trovasi in altri scrittori.
(2) onori. Testo Manni.
(3) ebbono potenzia. Testo Manni.
io8
che non favellino, si possa adattare, vale molto
quando il dicitore vuole il detto suo aggrandire o
l' animo dell' uditore a misericordia recare.
•
Del Significare.
Ed è un'altra sentenzia, che si appella Signifr-
care, la quale ha luogo quando il dicitore favella in
tal modo, che più lascia intendimento all'uditore
eh' egli non dice a parole. E questo si fa in quat-
tro modi ; cioè o dicendo più, o dicendo oscuro,
cioè favellando doppio, o dicendo pur quello che
si segue 5 o il detto suo ricidendo, cioè non com-
piendo di dire quello che 'ncomincia . Dicendo
più si fa in questo modo : Di cotanto patrimO'
nio così tosto non rimase un testo dove il fuo-
co potesse portare. Dicendo oscuro si fa, quan-
do il dicitore pone alcuna parola , la quale si
può trarre a due intendimenti , ma il dicitore
la trae là ove vuole. In questo modo, favellan-
do il dicitore di colui a cui sono venuti molti
guadagni di diverse cose, o sono venute molte e-
reditadi , dice : Di ciò guarda tu , che molto ve-
di. Questo membro dee usare il dicitore rare vol-
te, perchè dee dire il detto suo chiaro e aperto,
ma se gli accade in acconcio alcuna volta di usare,
sì ponga mente alle oscure parole che si posso»^©
109
trarre a pm intendimenti ; e potrallo fare agevol-
mente per dire solamente quello clic si seguita; e
si fa, quando il dicitore dice quello ché^ seguita
di alcuna cosa, ma quella cosa si tace e lascia al-
l' uditore che la intenda per se, iti questo modo. Se
a colui, a cui tu vuoi dire che tolga moglie, dici in
questo modo: Quando manucheremo noi [ì) delle
nozze tue ? Perchè le nozze si seguitano del ma-
trimonio, di' tu nozze^ e 'n tendi la moglie. Item:
Se a colui, eh' è grande bevitore, volendogli rim-
proverare il bere, dirai che vada a dormire di forza :
O, vUy dormi, da che tu ti hai gli occhi messi a .
rovescio (2). Ricidendo il detto suo si fa, quando il
dicitore ha detto alcuna cosa e poscia comincia a
dire altro, e detto da sezzo non compie il dire, ma
per le dette parole s' intende quello che si seguita
poi, in questo modo : Molta ingiuria mi hai fatto
poi che ne avesti agio di fare (3), ma se torna a me
la vicenda, non vo' più dire, E ha questo membro
molto luogo nelle cose che si dicono per simihtu-
dine, e la similitudine detta non si va poi più
(i) avremmo. Testo Marini.
(a) e forbiti gli occhi, da che gli t* bòi messi a
rivescio. Od a colui, eh' è crepato dì: Va a racconciali
il brachiere del ferro. Testo Marini,
(3) la forza, in luogo di agio di fare. Testo Manni,
no
innanzi, ma di quella può intendere V uditore quel-
lo che '1 dicitore vuole dire, in questo modo : Non
può fare Saturnino; troppo ha preso per la par-
te baldanza ; guarda quello che Gracco ne fece,
e come da sezzo ne arrivò. Questo ornamento di
sentenzia, che si appella Significare, per lo qua-
le colui, che favella, lascia in sospizione Y uditore,
cioè ad intendere alcuna cosa per sé la quale non
è specificata, è piacevole molto s'egli è ben fatto
e come si conviene.
Della Brevità.
Ed è un'altra sentenzia, che si appella Brevi-
tà, la quale ha luogo quando il dicitore pone sola-
mente parole necessarie di dire, dicendo solamen-
te (i) la somma delle parole, in questo modo : Len-
no in andando pigliò Gaeta, poi Tarso lasciò
guemito, in Catalogna disfece poscia sette citta-
di, quindi cacciato venne a Roma, ed essendo
Tribuno, fu fatto Consolo e divenne il maggiore
della terra; andonne poi in Ispagna, e quivi si
ribellò da Romani e divenne loro nimico, e pò-
scia per li Romani fu fatto signore di quello luo-
go, e un altra volta fu poscia Consolo dì Roma,
(i) pur. Testo Marini.
Ili
Questo ornamento è molto bello, e in poche parole
comprende molta sentenzia.
Del Mostramento,
Ed è un' altra sentenzia, che si appella Mo-
stramento, la quale ha luogo quando il fatto si di-
ce sì a parole, che pare che allotta si faccia di-
nanzi agli occhi di coloro che stanno a udire. E
questo si può fare, se 1 dicitóre dice come il fatto
sia stato, e le cose che sono passate dinanzi , e
quelle che di dietro sono seguitate, e non lascia di
dire quelle cose che vanno d' intorno, e quelle che
si possono seguitare, in questo modo : Poscia che
Gracco vide che il popolo cominciò [i) a bollire,
e che temeva, per la baldanza che avea del Sena-
to, che non si partisse da quello che contr a lui
era stato sentenziato, sì fece bandire il parlamen-
to j et egli in questo mezzo, pieno d' inganni e di
sozzi pensieri, uscì della chiesa (2), e stando con
(i) incominciaro. Testo Mannù
(2) chiesa di s. Piero. Testo Marini, Il Marini os-
servò nella sua Pie/azione ( pag. XV ) che V autore cant'
hiò talora nella chiesa di s. Piero, talora in quella di
s. Giovanni Laterano /'ex tempio lovis di Cicerone^
narrandosi qui rettoricamente il noto avvenimento di
Tiberio Gracco.
113
gli occhi ardenti (\) e col capo rabbuffato, colla
pelle bistorta e con molti atti (2) cominciò pia to-
sto ad andare, e 'l banditore gli andava dinan-
zi, gridando che glifusse data la via, NeU anda-
re, che faceva, venne uno calzolaio addosso a uno
donzello, eli era in sua compagnia, e parogli la
gamba dinanzi^ e dielli delle mani nel petto e fé-
celo cadere^ e cominciò a gridare: Date lorOy da-
te loro. In questo si mossero (3) certi uomini alla
corsa, e assalirgli da lato; e tenendo la gente a ro-
more, uno cominciò a gridare : Fuggite, fuggite,
non vedete voi (4) di qua? A questa voce comin-
ciò il popolazzo a fuggire, chi di qua e chi di là,
e Gracco, non sapendo che sifusse questo rumo-
re, ebbe sì grandissima paura che appena potea
rifiatare : sì fortemente sospirava e gìttava la schiu-
ma (5) per bocca e torceva le braccia e non tro-
vava luogo dove stesse. In questo veggendolo uno
pillicciaio così sbigottito, vennegU di drieto bel"
Lamente e diegli d uno bastone nel capo, Grac-
co, non facendo motto veruno, né ascendo (6)
(1) arzenti. Testo Manni,
(2) alili. Testo Manni,
(">) mossone. Testo Manni,
(4) non venite di qua. Testo Manni,
(5) scialiva. Testo Manni.
(6) abbiendo. Testo Manni,
1
II
alcuno sentimento, cadde in terra morto. Colui,
che diede questa ferita, considerando cliQ aveva
fatto un grande f alio, allegro molto con certi al-
tri, che di questo fatto furono lieti, Mitrarono in
santo Giovanni Laterano, ove molti altri del pò*
polo erano raunati per cagione di questo romore.
Tutt' i modi, onde le parole si possono ornare,
e tutte le belle e gravi (i) sentenzie che sono in
usanza de' dicitori, laonde la diceria si rende buo-
na e piacente; ti ho apertamente mostrato di so-
pra ; e se bene porrai mente a ciò eh' è detto di
sopra in sino a qui, apertamente potrai conoscere e
vedere (2) quaF è buona e qual'è composta e qua-
l'è ornata favella, e in che modo la favella si può
ornare sì di ornate parole, come di gravi senten-
zie. E questo è tutto ciò che fa bisogno al dicito-
re a ben sapere favellare.
(1) grievi. Testo MannL
(2) credere. Testo Marini.
Seguitasi ora nel libro di Frate Gui-
dotto un'altra volta dottrina sopra le sei
parti della Diceria; cioè sopra il Proemio,
Narrazione, Divisione, Confermagione,
Risponsione e Conclusione, ma io, Scrit-
tore, disaminato e veduto chiaramente
che innanzi al Trattato dell' Ornamento
della favella egli quel Trattato scrisse, e
che tra questo Trattato e quello *e neuna
differenzia o di parole o di fatto, si '1 la-
scerò stare, e passerò al terzo Trattato
del Libro ; ma chi pure lo volesse come il
Frate lo scrisse, ciò non biasimo» ne lo-
do. Non vorre' io da maestro mostrar-
mi (i).... Ma tu ti avrai più presto la voce
{i) In questo passo tanto il Codice Marciano
quanto /' antica edizione sono poco intelligibili,
Xel Testo Manni manca affatto tutto il Proendo.
a riprendermi che lo intelletto a conside-
rare se io dissi vero. E che? credi tu che
se io fossi a viso a viso col Frate eh' io
tacessi queste parole? E se tu di', a chi '1
difettò apporrai? al Frate, o forse allo
Scrittore? Rispondo, allo Scrittore, no,
eh' è pure alcuna diversità da quello dinan-
zi a questo, ma non che vaglia nulla. Se io
dico che '1 Frate era allora ehhro, o dico
eh' egli ignorasse quello che facesse, leg-
giermente tu proverai il contrario; pure
dico che questo Trattato non bisogna
due volte ; perchè '1 facesse, non so. Se
tu vorrai ch'io dicesse : Quello fu sopra
l'ordine giudiciale, e questo dunque sa-
rà sopra '1 liherativo e dimostrativo, ri-
spondo e provoti a te, non dire vero per
le Rettoriche di Tullio, che colui non pò-
ne in questo Trattato alcuna differenzia
per quelli ordini. E se tu ancora cinguet-
ti e di' : Or furo tutti gh altri, che l'hanno
letto, ciechi, e tu solo vedi lume? Rispon-
do: Se tu non mi lasci stare, io dirò il
peggio che io potrò, cioè che né tu, né gli
altri non leggeste mai libro se non come
fanno i fanciulli di sei anni che ricorro-
no r a, h^ e, e '1 Deus in nomine. Que-
ste parole furono necessarie, acciocché
non paresse quello Trattato essere rima-
se in penna; ma 1' ordine è trasmutato.
"9
TRATTATO TERZO
Qui comincia il terzo Trattato del libro, in che
modo il dicitore dee il detto suo bene e
piacevolmente profferere.
utla la dottrina del ben favellare ti ho già
apertamente mostrato, e ti ho mostrato gli or-
namenti delle parole e delle belle e gravi senten-
zie che sono in usanza del dicitore, laonde la di-
ceria si rende piacente ; e botti mostrato come .
il dicitore dee sapere il detto suo ordinare, e quali
sono le parti della diceria, e la dottrina che è da-
ta in ciascuna delle dette parti, acciocché in neu-
na si possa errare (i)« E perchè le dette cose che
(i) Nel Testo Marini questo periodo leggesi cO"
me segue ;
Tutta la dottrina del ben favellare è già aperta,
e mostrata di sopra in ciò, eh* è detto quale è la buona,
e quale la composta, e quale è Tornata favella, ed è
mostralo in che modo le parole si possono ornare, e
qua' sono le grevi, e belle sentenze, onde la favella ri-
ceve ornamento, e rendesi bella, e giacente, ed è mo-
strato come colui, che favella, dee il detto suo ordina-
re per certe parti, le quali sono le parti della dicerfa,
I20
fanno bisogno al Jjen sapere favellare, non var-
rebbono niente al dicitore, se non sapesse il det-
to suo benq profferere, sì ti voglio ora mostra-
re, come il dicitore dee sapere bene e acconcia-
mente profferere il detto suo nelle sue dicerie ;
e questa è materia tanto sottile die gli anticlii sa-
vi, cbe diedono allo incominciamento dottrina di
parlare, dissono ne' loro libri, clie di questa mate-
ria non si potea ben dire con la lingua, ma solo
r animo ne poteva giudicare clii profferisse bene
e a ragione ; percbè era potenzia dell' animo sola-
mente e si incarnata con lui die non si poteva
specificare a parole : però colui cbe di queste cose
vorrà sapere, sì gli converrà porre ben mente. E
percbè il bene profferere delle parole è in due co-
se, r una nella voce piacente, 1' altra ne' belli e pia-
cevoli reggimenti (i) del corpo, cioè nelle mani
e ne' piedi e nell' altra persona e nella ciera del vol-
to, sì ti voglio le dette cose per ordine mostrare e
aprire. E prima della voce piacente.
e la dottrina, eh' è data in ciascuna delle dette parti;
acciocché in nenna si possa errare,
(i) movimenti. Zfe^/o Manni,
121
Qui dice della dwisione delle voci, e sopra
quante voci si dee dire.
Tre sono le generazioni delle voci, cioè gran-
de, ferma e molle. La grande voce dà solamente
la natura, ma per medicina si preserva. La ferma
dà simigliantemente la natura, ma preservasi in
due modi, cioè per medicina e per usanza. La mol-
le, cioè r arrendevole a poterla levare e chinare e
volgere e riposare a senno di colui, che favella ,
si ha solamente per usanza . Della voce grande,
che si ha per natura e per medicina si conserva,
non dirò alcuna cosa, perchè non voglio insegnare
medicina, né la natura posso sforzare ; né voglio
dire della voce ferma, in quanto fa per natura e
conservasi per medicina, ma dirò di lei in quanto
si conserva per usanza; e dirò pienamente della
voce molle, la quale si accatta da natura e per u-
sanza si conserva, ed è quella voce che più si con-
viene al dicitore che niun' altra, perchè gli convie-
ne in molti modi di voce favellare. E prima ti vo-
glio dire della voce ferma , in quanto si conserva
per usanza.
122
Qui dice della voce ferma, e in che modo
si mantiene e conserta.
Il dicitore, che vuole la voce sua conservare
ferma quanda favella, dee nel suo favellare quat-
tro cose osservare. La prima, die cominci il det-
to suo pianamente e soave , perchè si percuote
l'organo e guastasi la voce se anziché si ausi con
voce consolata e piana, colui, che favella, comincia
di forza a favellare o a gridare. La seconda, che nella
sua 'ncominciata (i) faccia le sue restate più spesso,
e quando resta un cotale poco si riposi, perchè si
racconcia l'organo in queste restate e lo spirito
del dicitore si ricrea (2). La terza, che soavemente,
quando ha detto un poco, cominci la voce a leva-
re, e vengala variando in molti modi, perchè quel
cotale variare acconcia la voce ad ogni generazio-
ne di favella ; e del favellare aguto si guardi, perchè
molte volte in un' aguta favella si guasta tutta la
voce. La quarta, che nelle restate di alcun detto,
sotto un riavere d' alito dica molte parole, per-
chè così facendo, si racconcia l' organo e riscaldan-
si le gote. Tutte e quattro le dette cose, che sono
poste di sopra, sono utili non solamente a colui,
(i) cominciamento. Testo Marini.
(2) ricria. Testo Mannì.
135
che favella^ a conservargli la voce, ma fanno gran-
dissima utilità a coloro, che stanno a udire, per-
chè secondo che 1 piano favellare dal comincia-
mento conserva la voce, così agli uditori è gran-
dissima utilità ; perdi' è molto rincrescevole cosa
a coloro che stanno a udire, quando odono un di-
citore che con alta voce cominci a palliare o a gri-
dare ; e secondochè le riposate conservano la voce,
così all'uditore fanno grande prode (i), perchè gli
dividono il fatto, e dannogli spazio di recarsi a me-
moria le cose ; e come migliora V organo il varia-
re della voce , così diletta 1' uditoi'e quando varia
la voce, rendendo ora atteso il favellare di cer-
to modo, e facendolo sentire, quando si favella, in
un altro modo. L' aguto favellare sconcia la voce, e
così è air uditore sconcio (2) e noioso, perchè ha in
se una cosa sconcia, e conviensi più a femmina
che a uomo ; e come nella fine di alcuno detto il
ritenere della voce è rimedio della voce, così è
molto utile all' uditore, perchè si accende e ri-
scalda quando ode le belle ragioni ; onde si con-
ferma il detto di colui, che favella, delle cose le
quali si dicono in quelle restate.
(i) gran utile, leggesì nell'antica edizione.
(2) sozzo. Testo Manni,
• 24
/
Qui dice della voce molle, come si dee usare
in ogni generazione di /ascella.
La voce molle^ cioè arrendevole a poterla le-
vare e chinare e volgere e riposare a senno di co-
lui, che favella, è molto utile al dicitore per poter
trarre e acconciare la voce sua ad ogni generazio-
ne di favella, e hassi questa voce solamente per
usanza. Ed a volere pienamente mostrare in che
modo il dicitore dee usare questa voce, quando fa-
vella, conviene in prima sapere quanti sono i modi
di favellare. Pongono i savii sette modi ; cioè : Digni-
toso Parlare, Mostrare, Narrare, Giocare, Conten-
dere, Abbominare e Lamentare; e di ciascuna di
queste favelle si dee sapere la sua voce, in questo
modo. Che se 1 favellare sarà in Parlare Dignitoso,
il quale si appella grave in vulgare, sì proffererà il
dicitore la sua favella con piene guance, cioè la sua
parola con la voce consolata e piana, ma non di
soperchio, sicché esca dell' usanza del parlare, co-
me fanno i poeti, che hanno a recitare tragedia (i).
E se la favella sarà in Mostrare, sì dee fare il dicito-
re la voce sua più bassetta, e fare molle divisioni
e molte restate ; sicché nel suo profferere paia che
incorpori la parola sua nell'animo dell'uditore. E
(i) r elegie. Testo MannL
125
se la favella sarà in jNarrare, sì varierà la voce
sua il dicitore secondocliè il fatto si varia , e
molle volle dirà un poco più tosto, quando vorrà
profferere diritlaniente , ed altre volte più rado,
quando non si curerà di così bene profferere, e
talotta parlerà con voce agra, e talolta con ^voce
benignale molte volte con voce allegra, e poco stan-
te con voce trista; e così varierà la voce sua come
si varieranno le parole del fatto. E se in Narrare il
fatto accadrà di dire dettp o priego o risposta di
alcuna persona o di alcuna cosa da dovere mara-
vigliare, diligentemente considererà il dicitore que-
sto fatto, sicché profferisca con la voce il senno e la
volontà di ciascheduno. E se la favella sarà in Par-
lare di sollazzo o di giuoco, sì parlerà il dicitore
con voce lena e tremante, e con un poco di riso,
che non significhi molto (i); e guarderassi di dire
di soperchio. E se la favella sarà in Contendere,
sì può fare il dicitore la voce sua in dui modi ;
r uno, che cominciando di dire con voce mezza-
na (2), continuando le parole sue crescerà la voce,
e torcendo il suono dirà parole molto tosto, gri-
dando: il secondo modo, che griderà il dicitore
con chiara voce, è quando spazio avrà preso in
(i) ma che non fie moho. Testo Marini,
(2) mezzolana. Testo Manni,
126
ciascheduno grido, cotanto si riposerà innanziclié
l'altro cominci. E se la favella sarà in Abbominare,
cioè, che '1 dicitore voglia dire parole onde innan-
zi (i) accenda l'animo dell'uditore contra alcuna
persona , sì favellerà con voce sottile e con un
poco di grido, o in voce eguale, e muterà (2) in
molti modi la voce, secondochè si muterà la na*
tura del fatto, e parlerà tosto. E se la favella sarà
in Lamentare, o in parole triste, sì favellerà il dici-
tore in voce bassa e 'n suono inchinato, e muterà in
molti modi la voce, secondochè la natura del fatto
si muta, e farà molte riposate con grandi spazii.
Qui dice dei movimenti del corpo e della
ciera del volto*
I piacevoli movimenti del corpo, cioè delle
mani e dei piedi, e della ciera del volto e di tutta
l'altra persona, che fa il dicitore in sul favella-
re , eh' è la seconda parte del ben profPerere ,
se temperatamente si fanno, rendono la dicitura
più approvata e piacente. Volendo in quanto è pos-
sibile ciò mostrare, fa bisogno al dicitore tre cose
di sapere : la prima, che nel volto di colui, che
(i) inzigbi. Testo Marini.
(2) e avale muterà. Testo Manni.
favella, si richiede di avere ardimento e vergogna: la
seconda, die non faccia troppo ticconci reggimen-
ti del corpo, acciocché non paia buffone, né trop-
po rustichi né sconci, acciocché non paia villano;
e che a quelli medesimi modi di favellare a che
si arrende la voce a mutarla in diversi modi,
s'attribuiscano i reggimenti del corpo a fargli di-
versamente, perchè se la parola sarà nella favella
dignitosa, il parlatore dirà il detto suo con me-
nando e con levando un poco la mano diritta; e se
la parola sarà in mostrare, starà più col capo rivol-
to dallo 'mbusto verso coloro che stanno a udire ;
perchè questo è dato da natura, che colui, che mo-
stra, sempre sta col volto più. presso ed atteso ver-
so colui a cui è mostrato, quando vuole ben dare
ad intendere la cosa che dice. E se la parola sarà
in narrare, quel movimento del corpo sarà accon-
cio, come di sopra ti dissi che si conviene fare quan-
do la parola é nella favella dignitosa. E se la paro-
la sarà in giocare, si mostri il dicitore alcuna alle-
grezza nel volto senza muovere il capo(i). E se la
parola sarà in contendere, si può fare in dui mo-
di: il primo con dimenare tosto le braccia e muo-
vere il volto e fare aspra (2) guatatura; il secondo
(i) corpo, 'Cod. della Marciana.
(2) aspera. Testo Mannù
128
che 1 dicitore meni tosto e distenda le braccia e
muovasi un poco col pie' diritto e faccia un agro e
un contuso (i) guardare. E se la parola sarà in abbo-
minare, si servirà il dicitore del primo modo che
di sopra ti posi nel Contendere. E se la parola sarà
in lamentare, sì farà il dicitore un lamentare come
femmina, e percuoterassi il capo con reggimento
pacifico (2) e col volto fermo, e starà con viso tri-
sto e turbato. Non sono sì matto che ben non co-
nosca che cosa io impresi di voler fare, quando le
voci, che diversamente si vogliano dire in sul prof-
ferere, e anco li movimenti del corpo^ che diver-
samente si vogliano fare, mi pensai di dire a paro-
le e ritrarre in volgare ; e avvegnaché io non mi
confidi ch'io l'abbia pienamente fatto, almeno
quello, eh' è detto, è utile (3) a sapere, e però quel-
lo che rimane lascio alla usanza. Ma una cosa vo-
glio che sappiate, che la voce e i movimenti del
corpo e la ciera del volto, che viene dall'animo di
colui che parla, nel tempo del suo favellare, fan-
no il dicitore bene profferere.
(i) teso. Testo Mannì.
(2) piacevole. Testo MannL
(3) non è inutile. Testo Marmi,
139
TRATTATO QUARTO
Qui comincia il quarto Trattato del Li^
bro, nel quale si dà dottrina per quanti modi si
può consigliare in sulle cose, e prima di quelle
cose che fanno bisogno al consigliatore di sapere.
D
acche abbiamo veduto di sopra per quanti
modi il dicitore dee sapere acconciamente e bene
favellare, e come dee ordinare il detto suo e pia-
cevolmente profTerere, sì ti voglio ora mostrare
come dee sapere consigliare in sulle cose, perchè
coloro sono appellati in sulle cose a consigliare, che
sanno ben favellare. E a trattare di questa mate-
ria ti voglio in prima mostrare che cose al consi-
gliare fanno di bisogno di sapere, e appresso ti
mostrerò per quante vie e modi in sulle cose si
può consigliare. Al consigliatore, che vuole in sul-
le cose sapere ben consigliare, bisogno fa di sa-
pere tre cose : la prima , quanti sono i modi di
saper consigliare, cioè di quante generazioni sonò
proposte : la seconda, sapere trovare la cagione
perchè della cosa si piglia consiglio : la terza, sa-
pere conoscere le utilitadi delle cose, alle quali si
puote venire per lo consigliare.
9
i3o
Quanti modi sono da consigliare e quali.
La prima cosa da sapere si è quanti sono i modi
di consigliare. Pongono (i) i savi due modi: l'uno,
eh' è innanzi da fare, l'altro eli' è da fare mag-
giormente. Il modo di consigliare, che si appella
innanzi da fare, è quando nella proposta si possono
solamente due partiti pigliare ; cioè, se alcuna co-
sa sia da fare o non sia da fare, ed è V uno de' par-
titi buono e l' altro reo per innanzi ; e questo è
lo esemplò: I Romani hanno Cartagine presa; pi'
glia consiglio il Senato (2) se Cartagine è da tene^
re o da disfare, L' uno de' detti due partiti è buo-
no da pigliare per li Romani, e l' altro è reo per in-
nanzi. Il modo di consigliare, che si appella eh' è
da fare maggiormente, è quando nella proposta
molti partiti si possono pigliare ; o è ciascuno buo-
no, ma pigliasi consiglio per fare il migliore, o è
reo ciascuno, e conviensi pigliare l' uno, ma pigliasi
consìglio per fare quello, onde meno danno ne puote
seguitare ; e questo è lo esemplo : Scipione andò
per li Romani sopra quegli di Cartagine ; Anni'
baie per quelli di Cartagine sopra li Romani;
Scipione ha sconfitto é Cartaginesi, ed è sopra
(i) Pougonne. Testo Manni.
(2) Sanato. Testo Manni.
torre loro la terra ; Annibale ha sconfitto i Roma"
ni ed ha assediata Boma, e quelli di Cartagine
mandano incontanente per Annibale, che subi"
io ne vegna, se no e' si perdono la terra, Anni-
bale piglia consiglio se ìia a stare fermo in Ita-
lia, tanto che pigli Roma, o hassi a tornare a ca-^
sa per difendere i suoi, o a passare oltramare
per pigliare Alessandria e per difendersi ivi dai
Romani. Catuno (i) de' detti partiti è molto reo a
pigliare per Annibale, ma fa di bisogno di piglia-
re uno, e però piglia consiglio per fare lo meno
reo, cioè quello onde meno danno ne possa se-
guitare.
In che modo si trova la cagione della cosa
di che si cousiglia.
La seconda cosa da sapere si è, trovare la ca-
gione perchè sopra la cosa si piglia consiglio ; e pe-
rò è questo utile cosa a sapere, perchè il buono con-
sigliatore sempre nel suo consigliare va drieto alla
cagione, e di quella fonda tutta la sua diceria j ed
a trovarla ne danno i savi questa dottrina : Che
molte volte la cagione è per quella cosa medesi-
ma sopra la quale si consiglia, e molte volte non
(i) Ciascuno; leggesi nelV antica edizione.
l32
per quella cosa medesima, ma per altre stranie co-
se. E la cagione per quella cosa medesima, so-
pra la quale si piglia consiglio, in questo esemplo :
Annibale ha preso [i) i Romani^ e presi molti di
loro : manda loro a dire per suoi ambasciadori
di rivendere i loro prigioni: se ne li vogliono ri-
comperare, sono a Roma. Il Senato piglia consi-
glio se sono da ricomperare i prigioni, o no. Dun-
que la proposta del ricomperare dei prigioni è per
cagione de' prigioni acciocché sieno fuori di cattivi-
tà. E la cagione non per quella cosa medesima,sopra
la quale si piglia consiglio, ma per altre cose stranie,
in questo esemplo : Contiensi nello Statuto di Ro-
ma, che neuno possa essere Consolo se prima non
è in età di XXXV anni. Annibale è venuto con
grande gente sopra i Romani; Scipione di Roma
è molto savio e di guerra buono capitano^ ma non
ha la etade che lo Statuto dice : piglia consiglio
il Senato se è da concedere a Scipione, non-
ostante lo Statuto, che possa essere Consolo di Ro-
ma, o no. E dunque la proposta del Consolato di
Scipione, ma la cagione non è il Consolato, ma la
guerra d' Italia ; perchè se la guerra non fosse, la
detta proposta non sarebbe. È la cagione parte so-
pra quella cosa sopra la quale si piglia consiglio, ma
(i) hae scoofitti. Testo Manni.
i33
più per altre cose stranie, in questo esemplo : An-
nibale è venuto con grande oste sopra li Roma-
ni; le amistà loro sono venute in Roma per aiu-
tarli ; vorrebbono i Romani andare sopra Anni-
bale con grande is forzo di buona genie, e fi-
dansi più nella battaglia de loro cittadini, che
nelle loro amistadi. Piglia consiglio il Senato, se
la guardia della città è da commettere alle loro
amistadi, o no. E dunque la proposta sopra la
guardia della città di Roma, e parte per la guar-
dia della terra, ma più per altre cose stranie,
cioè, ]a guerra di Annibale, acciò che sforzata-
mente e con buona gente da battaglia possano i
Romani contra Annibale andare.
Come si conosce la utilità della cosa di che
si consiglia.
E la terza cosa, clie fa bisogno al consiglia-
tore, di sapere conoscere le utilità alle quali si
può venire delle cose per lo consigliare ; e però è
questo utile da sapere, perchè sola la utilità è la
cosa perchè sopra alle cose si piglia consiglio; e
dicono i savi, che di tutte le cose laonde si pi-
glia consiglio, si viene a consigliare una di queste
tre utilità, cioè : o che la cosa, sopra la quale si
piglia consiglio, sia più sicura, o che si faccia in
i34
tal modo che stia bene e dirittamente, o in tal
modo si faccia che sia più lodato dalle genti.
Quando la utilità della cosa, sopra alla quale
si piglia consiglio^ è che sia più sicura,
come si può consigliare.
Manifestamente abbiamo veduto di sopra, clie
cose a colui, che vuole ben sapere consigliare, fan-
no bisogno di sapere ; ora ti voglio mostrare la
dottrina per quante vie e modi si può consigliare
in sulle cose; e a questa materia metta (i) il letto-
re tutto '1 suo intendimento, perchè è suttilissima
materia e molto utile a sapere. Fatta la proposta
della cosa sopra la quale si dee consigliare, dee il
consigliatore diligentemente considerare e fra se
medesimo vedere la cagione per la quale sopra
quella cosa pigli consiglio, e di quella cagione dee
tirare la utilità alla quale si puote venire di quel-
la^cosa per lo consigliare; e se vede che nella co-
sa, sopra la quale si piglia consiglio, si puote a-
perta mente sapere o vedere. Che se teme che dan-
no si possa dare in quella presentemente, ovvero
per innanzi, allotta è la utilità della cosa, sopra la
quale si piglia consiglio, che sia più sicura quando
(i) tenda. Testo Manni,
i35
si teme die in quella cosa danno si possa dare ; e
dee il consigliatore considerare tutte le vie per le
quali si può dare danno nelle cose^ che sono in qui-
stione. Dicono i savi clie si possono dare in due
modi; Tuno si è per via di forza; T altro si è per
via d' inganno. Per via di forza, si può danno dare
o per oste o per navilio (i) o per recare gente scac-
ciata di loro paese o per altre cotali cose. Per via
d'inganno, si può danno dare o per bugie o per
dinari o per promessioni o per mostrare di fare
una cosa e fare un'altra o per mutare la cosa che
ha cominciata e farla altrimenti o per altre cotali
cose. E però considera tutte le dette vie, e anche
altre, se da te ne sai più trovare, e vedrai per qual
via danno si potrà dare in quella cosa, e troverai i
rimedi onde quello danno si possa fuggire o schi*
fare, e quegli rimedi darai per consiglio.
Quando la utilità della cosa, sopra la quale si
piglia consiglio, è che stia bene e dirittamente,
per quante vie si può consigliaj^e.
E se il consigliatore, considerata la cagione
della cosa sopra la quale si piglia consiglio, vede
(i) navilio, o per arme, a per tormento. Testo
Manni,
i36
elle la utilità sua è, elie si faccia in tal modo che
stia bene e dirittamente, sì dee sapere colui che
consigha, che per venire alla detta utilità si può
dare consiglio per quattro vie ; cioè, per via di
Prudenzia, per via di Giustizia, per via di Fortezza
e per via di Misura ; e ciascuna delle dette vie ha in
sé molte vie e modi di consigliare per venire alla
detta utilità. E per quanti modi per ciascheduna
delle dette vie si può consigliare, ti voglio per ordi-
ne mostrare e aprire ; e prima per quanti modi si
può consigliare per via di Prudenzia.
Per quanti modi si consiglia per via di
Prudenzia,
A mostrare per quanti modi per via di Pru-
denzia si può consigliare, acciocché la cosa dirit-
tamente si faccia, ti fa bisogno prima di vedere
che è detta Prudenzia. Dicono i savi, che Pruden-
zia è detta in tre modi, e per ciascuno modo è la
sua vìa di consigliare. E detta in uno modo Pru-
denzia uno sottile scaltrimento per lo quale si
muove Fuomo per diritta ragione a conoscere (i) il
bene dal male ; e secondo questo modo di Pru-
denzia si può dare consiglio in questo modo. Che
(i) scernere. Testo Manni.
.37
colui, che con sigila j apra e mostri nel suo dire
quale è il bene e quale è il male di quella cosa
sopra la quale si consiglia, e poscia dia per consiglio
cosa, per la quale si venga al bene che ha mostra-
to. Anche è detta in uno altro modo Prudenzia,
per avere memoria di molte cose passate e di
molti fatti che si sieno incontrati e avvenuti ; e
secondo questo modo di Prudenzia si può dare
consiglio in questo modo : che '1 consigliatore as-
somigli il fatto, sopra il quale si piglia consiglio,
o ad un' altra cosa passata o ad un altro fatto si-
migliante, che gli sia già addivenuto o incontrato ; e
dia per consiglio cosa, per la quale, come in questo
fatto, somigliante via si debba tenere e si tegna.
Anche è detto in uno altro modo Prudenzia esse-
re sottile ingegno di alcuno artifizio o maestria di
utilità, per la quale cosa è l'uomo appellato savio,
o maestro di quella cosa. E secondo questo modo
di Prudenzia si può dare consiglio in questo mo-
do, che colui, che consiglia, trovi una bella mae-
stria di utilità in sul fatto sopra il quale si consi-
glia, e ha nel suo consiglio la via e il modo comje
sì possa fare (i).
(i) V ultima parte dì questo Articolo manca nel
Testo Manni.
i38
Per quanti modi si pub consigliare per via
di Giustizia,
Il secondo modo per lo quale si può dare
consiglio, acciocché la cosa dirittamente si faccia^
ti dissi eli' è per via di Giustizia ; ed è detta Giu-
stizia una ferma volontà d'animo, per la quale l'uo-
mo si muove a rendere la ragione sua a ciascuno
secondo l'essere suo. E consigliasi per via di Giu-
stizia in sei modi, secondochè sei sono le virtù
che nascono di lei ; cioè : Religione. Pietà, Grazia,
Vendetta, Osservanza e Verità. Per via di Religio-
ne si rende a Dio la ragione sua dalle genti, e
consigliasi per questa via, quando il consigliatore
nel consiglio, che pone, dà per consiglio cosa laon-
de osservi la fede di Dio e obbedisca le sue co-
mandamenta, o altre cose si facciano per le qua-
li Iddio sia dalle genti sempre servito e obbedi-
to, secondochè la Scrittura comanda. Per via dì
Pietà si rende la ragione sua al padre o alla ma-
dre dal figliuolo, ovvero alla città dal suo cittadi-
no ; e consigliasi per questa via, quando il consi-
gliatore nel consiglio, che pone, dà per consiglio
cose, laonde il padre o la madre sieno onorali e
obbediti dal suo figliuolo o sovvenuti ne' loro bi-
sogni, o la città o il comune ne sia servito o fe-
delmente consigliato dal suo cittadino. Per via di
i39
Grazia si rende la ragione sua al parente o all' o-
ste o allo amico; e consigliasi per questa via, quan-
do il consigliatore nel consiglio, che pone, dà per
consiglio che V uno parente dall' altro sia servi-
to, e l'amico dall' amico, o l'uno oste dall'altro
fedelmente consigliato ovvero guardato con mol-
ta onestà. Per via di Vendetta si rende la ragio-
ne sua al nimico ; e consigliasi per questa via ,
quando il consigliatore nel consiglio, che pone, dà
per consiglio cosa, laonde il nimico si difenda dal
nimico e non si lasci fare né ingiuria né forza.
Per via di Osservanza si rende la ragione a' signori
o a' maggiori o a coloro, che di bontà passino gli
altri, da' loro minori o suggetti ; e consigliasi per
questa via, quando il consigliatore nel consiglio,
che pone, dà per consiglio cosa laonde i signori
o tìiaggiori o coloro, che di bontà passano gli altri,
sieno da' suggetti (i) o da' loro minori temuti ov-
vero onorati ovvero serviti con molta riverenzia,
perchè sempre è così osservato. Per via di Verità
rende la ragione V uno uomo all' altro ; e consiglia-
si per questa via, quando il consigliatore nel con-
siglio, che pone, dà per consiglio, che non per
odio, né per amore si torca 1' uomo dalla via di-
ritta o si pieghi dalla ragione o che simiglianti
(i) sudditi. Testo Marini,
i4o
ragioni a ciascuno si debba servare o che la fede
altrui data si debba al postutto servare e ferma
tenere, o dia per consiglio altra cosa che si appar-
tenga a dire ad altrui vero e ad osservare lealtade.
Per quanti modi si consiglia per via di Fortezza*
Il terzo modo per lo quale si può dare consi-
glio, acciocché la cosa bene e dirittamente si fac-
cia, ti dissi che è per via di Fortezza. Ed è detta
Fortezza una ferma volontà di animo per la quale
si muove F animo a desiderare le cose grandi e a
dispregiare le cose vili e ad essere sofferente del-
le fatiche e dei pericoli, acciocché la cosa bene e
utilemente si faccia. Consigliasi per via di Fortezza,
acciocché la cosa dirittamente si faccia, per quattro
vie, secondoché sono le quattro virtù che nascono
di lei; cioè: Magnificenzia, Speranza, Pazienzia e Per-
severanzia. Ed è detto l'uomo (i) forte per via di
Magnificenzia quando desidera le cose grandi e dis-
pregia le vili e giudicale non degne alla grandezza
sua. E consigliasi per via di Magnificenzia, quando
il consigliatore nel consiglio, che pone, dà per con-
sìglio che le cose grandi si debbano seguitare e
le cose piccole schifare e fuggire, giudicandole non
(i) auìmo; leggesì nelV antica edizione*
i4i
degne alla grandezza o dignità di coloro cui egli
consiglia. Ed è detto V animo forte per via di Spe-
ranza, quando spera pur fermamente di ben ca-
pitare ;, se le cose, che si sono a fare, si fanno bene
e dirittamente. E consigliasi per via di Sttgranza,
quando il consigliatore nel consiglio, che pone, dà
per consiglio, die le cose che sono da fare si fac-
ciano bene e dirittamente e come si conviene a
fare di ragione, e non considerando quello che del
fatto ne può seguitare, perchè spera fermamente,
così facendo, di capitare pur bene. Ed è detto l'uo-
mo forte per via di Pazienzia, quando è paziente
de' pericoli e delle fatiche, acciocché la cosa si fac-
cia utilemente. E consigliasi per questa via, quan-
do il consigliatore nel consiglio, che pone, dà per
consiglio cosa, onde di quello consiglio si pi-
glia più utilità, non considerando fatica, ne pe-
ricolo neuno che faccia bisogno di sostenere, o do-
lore od odio che ne possa incontrare (i) . Ed è
detto r animo forte per via di Perseveranzia, quan-
do, veduta e conosciuta la utilità della cosa, sem-
pre persevera e tiene quella via. E consigliasi per
via di Perseveranzia, quando il consigliatore nel
consiglio, che pone, dà per consiglio cosa onde
egli ha veduto o provato che sopra quello, onde
(i) contrarre. Testo Marini,
l42
consiglio si piglia, sempre è stato il meglio di co-
sì fare.
Per quanti modi si consiglia per via
^ di Misura.
Il quarto modo per lo quale si può dare con-
siglio, acciocché la cosa bene e dirittamente ordi-
nata si faccia, ti dissi eh' è per via di Misura; ed
è detto Misura uno temperamento di animo dei
desiderii del mondo. E consigliasi per via di Mi-
sura, acciocché dirittamente si faccia la cosa, in tre
modi, secondochè tre sono le virtù che nascono
di lei; cioè: Astinenzia, Pietà e Vergogna. Ed é det-
to l'animo ammisurato per via di Astinenzia, quan-
do dispregia le cose che sono di soperchio. E con-
sigliasi per questa via, quando il consigliatore nel
consiglio, che pone, dà per consiglio cosa per la
quale abbomina il desiderio e dispregia la volontà
di avere troppe ricchezze o di abbracciare troppo
onori^ o dice il termine alla natura della cosa so-
pra la quale si consiglia, e pone quanto è bastevole
a ciascheduna. È detto l'animo ammisurato per via
di Pietà, quando per Pietà T animo si muove a
perdonare a' nimici ed a coloro che l' hanno offe-
so ; e consigliasi per via di Pietà, quando il consi-
gliatore nel consiglio, che pone, dà per consiglio
i43
cosa per la quale si mostra die neuno dee essere
tanto provocato ad ira e non dee ricevere tanta
sopercliianza che non si mova a pietà, e a perdo-
nare a colui che umilemente gli chiama mercede.
Ed è detto lo uomo ammisurato per via di Vergo-
gna, quando si vergogna delle soperchianze e de'
mali che vede ad altrui fare ; e consigliasi per via
di Vergogna, quando il consigliatore nel consiglio,
che pone, dà per consiglio cosa per la quale si mo-
stra, che ciascheduno si dee vergognare (i) di one-
sta vergogna, quando vede ovvero ode dire le so-
perchianze (2) ovvero le cose malfatte.
Quando la utiliià della cosa, sopra alla quale
si piglia consiglio, è che sia lodata dalle
genti, come si può consigliare.
Veduto abbiamo diligentemente per quanti
modi si può consigliare, quando la utilità della co-
sa, sopra la quale si piglia consiglio, è che sia più
sicura, e quando la utilità è che si faccia in tal modo
che stia bene e dirittamente (3). E avvegnaché neu-
na volta si può fare consiglio che la cosa stia bene
(1) turbare. Testo Marini,
(2) su perchiezze. Testo Manni.
(3) che sia lodata dalle genti. Testo Manni,
e dirittamente, ora ti voglio mostrare per quanti
modi si paò consigliare, che la utilità della co-
sa è che sì faccia in tal modo che sia lodata dal-
le genti, avvegnaché neuna volta si può dare con-
siglio che la cosa stia bene e dirittamente che dal-
le genti quella cosa lodata non sia, perchè sono
lodate tutte le cose che bene e dirittamente si fan-
no. Sì interviene molte volte, che di certe cose con-
siglio si piglia, laonde il consigliatore non guarda
di consigliare quello, onde la cosa possa bene stare,
ma solo che dalla gente sia lodata e dettone be-
ne, perchè sono molte cose che, avvegnaché di-
rittamente non sieno state fatte, sì sono lodate e
piacciono ad altrui; e perchè questo interviene
rade volte, sì vi si dà brievemente questo modo di
consigliare ; Che il consigliatore sopra quello fatto
dia per consiglio cosa onde loda, che sia buona,
si possa seguitare ; perchè puote molte volte la co-
sa essere lodata, ma di loda che è rea e da fuggi-
re, siccome chi lodasse alcuna persona che fosse
scaltrito o ladro o vergognoso (i) puttaniere, o lo-
dasselo di alcun altra sozza o vituperevole cosa, la
quale loda non dee volere alcuna (2) persona che
si seguiti della cosa, che dà per consiglio.
(1) ingegnoso; Testo Marini,
(a) veruna. Testo Marini,
i45
Per quante vie e modi si può dire bene e male
di alcuna persona,
per quante vie si può consigliare in sulle cose
già apertamente il ti ho mostrato di sopra; ora ti
voglio mostrare per quanti modi e di quante cose
si può dire bene e male di alcuna persona ; e av-
vegnacliè questa materia e modo di dire non ab-
bia da se molto luogo, percliè rade volte si muove
il dicitore a dire parole solo per lodare o per infa-
mare alcuna persona, sì è molto utile materia a sa-
pere ; perchè parlando il dicitore di altre cose ri-
torna molto a questa materia, e fa spesse volte di
questa la maggior parte della sua diceria. Bene
e male si può dire di alcuna persona da tre cose,
cioè : dalle cose che si appartengono all' animo, e
da quelle che si appartengono al corpo, e da quel-
le che si appartengono di fuora del corpo, cioè da'
beni della ventura. Dàlk cose che si appartengo-
no all'animo, si può dire bene e male di alcu-
na persona da quattro virtù principali, che sono
neir animo dell' uomo solamente ; cioè : Pruden-
zia. Giustizia, Fortezza e Misura. Dalle cose che
si appartengono al corpo, si può dire bene e male
di alcuna persona da quattro cose, che sono bontà
del corpo solamente; cioè: Fortezza, Leggerezza, Sa-
nità e Bellezza . Dalle cose che si appartengono
IO
i46
fuori del corpo, si può dire bene e male di alcuna
persona da sette cose, le quali sono appellate i be-
ni della ventura 5 cioè: Gentilezza, Riccbezza, Si-
gnorie, Onori, Amistadi, Cittadinanze, ed essere be-
ne nutricato. E queste sono cose che non si appar-
tengono a corpo ne ad animo, ma sono certi be-
ni dati all'uomo dalla ventura, laonde n'è molto
lodato e dettone bene.
Di che può essere alcuno lodato di Pi'udenzia,
Dissi di sopra che delle cose che sì appar-
tengono all'animo puote V uomo essere lodato di
quattro virtù principali ; cioè : Prude iizia, Fortez-
za, Giustizia e Misura. Di ciascuna di queste può
r uomo essere lodato per molti modi, e di molte
virtù che nascono di queste, le quali ti voglio
per ordine mostrare e aprire. Di Pnudenzia si
può essere lodato da tre virtù che nascono di lei ;
cioè : da buona Memoria, da buono Conoscimento
Q da buono Provvedimento . Di buona Memoria
puote luomo essere lodato di Prudenzia, in ciò ch^ è
detto savio, quando si ricorda di molte cose (i)
che sono già state e dei molti fatti che gli sono in-
contrati, laonde giudica meglio e più saviamente in
(i)si muove sottilmente in sulle cose. Testo Marini,
•47
sulle cose presenti.. Di buono Conoscimento può
l'uomo essere lodato di Prudenzia, in ciò eh' è detto
savio, quando si muove sottilemente in s^dle cose
per diritta cagione di conoscere il bene dal male.
Di buono Provvedimento puote V uomo essere lo-
dato di Prudenzia^ in ciò eli' è detto savio, quan-
do sa bene prevedere innanzi le cose che posso-
no avvenire.
Pei' quanti modi si può lodare di Giustizia,
Di Giustìzia può 1' uomo essere lodato da sei
virtù, che nascono di lei ; cioè : Religione , Pietà^
Grazia, Vendetta (i). Osservanza e Verità. Per
via di Religione può Y uomo essere lodato di Giu-
stizia , quando religiosamente si muove A rende-
re la ragione sua a Dio, la quale gli si rende
dalle genti quando si osservi la fede e obbedi-
sca le sue comanda menta. Per via di Pietà può
r uomo essere lodato di Giustizia , quando pie-
tosamente si muove il figliuolo a rendere la ra-
gione sua al padre e alla madre e a' suo; ante-
cessori, la quale è in onorarli, servirli e sovve-
nirli quando sono bisognosi ; o quando il cittadi-
no pietosamente si muove a rendere la ragi one
(i) Difesa. Testo Marini, e così sempre.
i4S •
sua al suo comune^ la quale, è in difenderlo e in
consigliarlo fedelmente. Per via di Grazia puote
r uomo essere lodato di Giustizia, quando per gra-
zia e buono amore si muove a rendere le ragioni
loro a' parenti o agli osti o agli amici ; la quale è
in servirli o in consigliarli fedelmente e in guar-
dandoli con molta onestà. Per via di Vendetta pun-
te l'uomo essere lodato di Giustizia, quando per
vendetta sì muove a rendere la ragione sua al ni-
mico o a colui che offendere lo vuole, e la quaF è
quando si difende dal nimico e non si lascia fa-
re ne ingiuria, ne forza. Per via di Osservanza puo-
te r uomo essere lodato di Giustizia, quando rende
la ragione loro a signorie, a maggiori o a coloro
che di bontà passano gli altri ; la quale è in ser-
virli fedelmente e in portare loro riverenzia e o-
nore, considerando che sempre si è così osser-
vato. Per via di Verità puote l' uomo essere lodato
di Giustizia, quando dice altrui il vero e serva leal-
tade e quello che promette.
Per quanti modi si può lodare per via
di Fortezza.
Di Fortezza, che è la terza virtù dell' ani-
mo, puote r uomo essere lodato da quattro virtù
che nascono di lei, cioè: Magnificenza, Speranza,
i49
Pazienzia e PerSeveranzia. Per via di Magnifìcenzia
puote r uomo essere lodato di Fortezza, quando è
detto r animo forte in ciò^ che desidera le gloriose
e grandi cose e dispregia le cose piccole e vili, e
giudicale non degne (i) alla grandezza sua. Per via
di Speranza può l'uomo essere lodato di Fortezza,
in ciò eh' è detto 1' animo forte, quando spera pure
di capitar bene e dirittamente se le cose si fan-
no bene e come si conviene a ragione. Per via di
Pazienzia puote Y animo essere lodato di Fortezza
in ciò, eli' è detto l' animo forte, quando è paziente
de' pericoli e fatiche acciocché le cose si facciano
bene e utilemente. Per via di Perseveranzia pud
l'uomo essere lodato di Fortezza in ciò, che è detto
l'ahimo forte, quando sempre seguita e tiene quel-
la via che ha conosciuto e provato eh' è la miglio-
re, e più utilità sì ne seguita.
Per quanti modi si può essere lodato per via
di Misura.
Della Misura, che la quarta virtù delFanimo^
puote r uomo essere lodato da tre cose ; cioè : Asti-
nenzia, Pietà e Vergogna. Per via di Astinenzia può
r uomo essere lodato di Misura, in ciò eh' è detto
(r) indegne. Testo MannL
i5o
r animo ammisurato, quando tempera e' desiderii
del mondo ed astiensi dalle cose clie sono di soper-
chio, e pone il termine (i) e la misura a ciascuna
cosa, e oltre a quello termine non vuole passare.
Per via di Pietà può V uomo essere lodato di Mi-
sura, quando è detto 1 animo ammisurato in ciò
elle si muove a pietà e perdona a chi l'offende,
quando umilemente gli chiama (2) mercè. Per via
di Vergogna può 1' uomo essere lodato di Misura,
quando è detto l'animo ammisurato in ciò che si
turba di onesta vergogna, quando vede altrui fare
le soperchianze e le ingiurie.
(i) tempo. Testo Mannì,
{^) chiede, leggesi nelV antica edizione*
5i
Oe bene porrai mente alle cose che sono det-
te di sopra, potrai apertamente vedere, che ven-
tisette sono le cose generah , laonde può 1' uo-
mo essere Iodato^ cioè sedici dalle cose che si ap-
partengono air animo , che sono appellate Virtù ;
e quattro dalle cose che si appartengono al cor-
po, che sono date all' uomo dalla natura ; e set-
te dalle cose che sono fuori del corpo, che pro-
cedono dalla ventura , secondochè per ordine ti
ho mostrato di sopra. E secondochò da tutte le
cose dette puote l'uomo essere lodato, così puo-
te r uomo essere biasimato dalle cose che sono
contrarie di quelle , perchè nascono li vituperi
dalle cose che sono contrarie alle lodi ; e a dire
che le lodi e che i vituperi possono altrui essere
dati sopra tutti li membri (i) che sono posti di
sopra, sarebbe lunga fatica e piccola utilità, e però
non me ne voglio travagliare ; ma colui, che è di-
citore, debbe da sé le lode e i vituperi pensare e
vedere, da che sa le cose generali di che puote
l'uomo essere lodato o biasimato. Ma di questo sì^
savio colui, che favella, che nella diceria non di-
ca troppe lode o troppi vituperi di alcuna persona,
(i) v«rbi. Testo Manni,
l52
perchè farebbe gli uditori del detto suo discre-
denti (i) e non darebbono alle parole sue tanta fe-
de ; e che i vituperi o le lode, che pone, sieno nel-
la persona, di cui favella, chiari e aperti, perchè
chi loda alcuna persona ovvero vitupera di co-
se che non sieno in lui, o di cose che non sieno
apertamente a tutte genti manifeste, non è dato
fede al detto suo e non è creduto, ma di coloro
n' è fatto beffe e scherno (2).
(i) miscredenti. Testo Marini,
(2) Nel Testo Marini termina il perìodo come
segue ;
Chi loda alcuna persona, ovvero vitupera di cose,
che sieno in lui, o di cose, che non sieno ben ma-
nifeste alle genti, il detto suo non è creduto^ ma enne
fatto beffe, e scherne.
FINE
i53
INDICE
Prefazione dell' Editore ....
Proemio ...«...•
. car.
V
I
Prologo
pj
5
9>
TRATTATO PRIMQ
Del sapere bene et ordinatamente f ascellare
Di che materia dee trattare il libro, e del-
T ordine che si debbe tenere . . . ,, 17
Dei tre ordini delle catene che bisogna co-
noscere „ i8
Delle parti di Rettorica ?? ivi
Delle quattro maniere delle cose che fa di
bisogno sapere al dicitore . . . ^, 19
DeW operamento del cominciare . . . ^, 20
Di che cosa debbe essere ammaestrato il di-
citore • « . ,, 21
Della buona favella „ ^^
Della favella composta ^^ ^3
Della ordinata favella ,^26
Come si ordina la diceria secondo V ordirle
dato suir aHe » ^1
Come si ordina la diceria secondo il tempo,
che 'l fatto si dice „ 38
i54
Della dottrina data in sul Proemio . car. 29
Come si renda più atteso V liditore . . ,, 3 1
Da quante cose si rende più benevolo V udi-
tore ^, ivi
Come si fa più ammaestrato V uditore . „ 33
Della dottrina della Narrazione . . . ,^34
In che modo si pub il fatto brievemente nar-
rare ^,35
In che modo si può dire la cosa chiara e
aperta ^, 36
In che modo si può dire iljatto chiaro e a-
perto, die paia vero o verisimile . „, 37
Della divisione nelle Dicerie e Allegazioni „ 38
In che modo nelle Allegazioni si fa divi-
sione :» 4^
Della Confermazione e Risponsione . . ,, 4^
Della Conclusione, eli è la sesta parte della
Diceria .,..,, 4^
Come si fa Conclusione per via di Abomi-
namento . .......•.,, 4^
Come si fa Conclusione per via di Miseri-
cordia . » ^o
Della Elocuzione ......,, 53
Dell' ornamento che si appella Ridicimento „ 54
del Ridicimento ^^55
della Contenzione . . . . * „ 5 7
55
Dell* ornamento che si appella del Gridare, car. 57
-! — dellAddimandare ^> 58
della Ragione ,, 5g
della Sentenzia ,, 61
del Contrario ^^63
del Membro ^^ ^4
delV Articolo . .,....;,:, ivi
del Compimento „ • 65
— — del S alimento >5 ^^
del Dif finimento ^3 ^9
« del Mostramento . .,..,, ivi
del Gastigamenio ;»? 7^
del Soprappiglìare » 1^
< dello Sceveramento y^ ']^
del Raddoppiamento , . . . a> 78
— r — del Richiamamento ^, 74
del Rimutamento >^ ivi
del Concedimento ....,, 75
dello Sbrinamento ;,, 76
■ del Disciolto „ ivi
:: del Recidimento y 11
della Conclusione *> 7^'
TRATTATO SECONDO
Della Sentenzia della Distribuzione • • j* 79
— - della Licenzia . . ^ « . ., .,, 80
i56
Della Sentenzia dello Scaltrimenio
,
car. 83
« del Menomamento ..... ,^ 84
del Designamento .
^ ,. S5
della Divisione . .
. . >. Si
-- — dello Spessamento . .
,. 88
del Punimento .
.
>> 9<^
del Soprastare . . .
• » 92
della Contenzione . .
. „ 93
della Similitudine , . .
.
- 94
dello Esemplo
• .. 9S
della Immagine . . .
• >^ 99
del Mostramento
. ,, 100
del Disegnare . . .
. ,, ivi
del Sermonare . .
. ,, 102
dell'Informare , . .
. „ 106
del Signijìcare . . .
. ,, io<S
della Brevità ....
•
.
,, no
del Mostramento . . .
,, III
TRATTATO TERZO
Proemio
1 1
1 1'
In che modo il dicitore dee il detto suo be-
ne e piacevolmente profferere * . ,.
Della divisione delle voci ..,..„ 121
Della voce ferma . ...... ^> .1
22
Della voce molle . . . . . . . car. 124
Dei movimenti del corpo e della deva del
volto ...... ^ ... ^^ I2i6
TRATTATO QUARTO
DI quelle cose che fanno bisogno al consi-
gliatore di sapere ^> 129
Quanti modi sono da consigliare e quali „ i3o
In che modo si trova la cagione della cosa
di che si consiglia . . , . . ,, 1 3 1
Come si conosce la utilità della cosa di che
si consiglia ^, i33
Quando la utilità della cosa, sopra alla qua-
le si piglia consiglio, è che sia più si-
cura, come si può consigliare . , ,,134
Quando la utilità della cosa, sopra la qua-
le si piglia consiglio, è che stia bene e
dirittamente, per quante vie si può con-
sigliare ....;,, 1 35
Per quanti modi si consiglia per via di Pru-
denzia „ i36
Per quanti modi si consiglia per via di Giu-
stizia :,, i38
Per quanti modi si consiglia per via di For*
tezza ,,,,,„ i4o
58
Per quanti modi si consiglia per via di Mi-
sura car. i/fS
Quando la utilità della cosa, sopra alla quale
si piglia consiglio j è che sia lodata dal-
le genti, come si può consigliare . „ i4^
Per quante vie e modi si può dire bene e ma-
le di alcuna persona >, ^A^
Di che può essere alcuno lodato di PrU"
denzia . . . . . . . ... ,., 1 4^
Per quanti modi si può lodare di Giustizia ,, 1 47
Per quanti modi si può lodare per via di
Fortezza » ^%
Per quanti modi si può essere lodato per via
di Misura . . » » }^o
Conclusione . >? i5i
^^---:X
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