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Friday, October 24, 2025

Grice e Gamba

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IL    FIORE 

DI 

RETTORIGA 

DI 

FRATE     GUI DOTTO 

DA  BOLOGJfA 

POSTO  NUOVAMENTE  IN  LUCE 
DA 

BARTOLOMMEO     GAMBA 


TESTO  DI  LINGUA 


VENEZIA  ^0\l 


DALLA  TIPOGRAFIA  DI  ALVISOPOLI 
M.DCCC.XXI. 


•  * 


AL  NOBILISSIMO  UOMO 

D.  PAOLINO  DE  GIANFILIPPI 

PATRIZIO  VERONESE 

CAVALIERE  MILITE  PI  GIUSTIZIA 

DELLA  SANTA  RELIGIONE  ED  ORDINE  REALE  MILITARE 

DE'  SS.  MAURIZIO  E  LAZARO 

PRESSO  S.  M.  IL  RE  DI  SARDEGNA,  ec 


BARTOLOMMEO  GAMBA 

x\.  Voi,  nobilissimo  ed 
egregio  Cavaliere ,  che  da 
lungo  tempo  mi  onorate  del- 
la vostra  grazia  e  benevolen- 
za, io  consacro  questa  Ope- . 
retta  scritta  da  uno  de  piii  ' 
antichi  padri    della    nostra 


favella.  Piacciavi  di  aggradire 
il  tributo  e  di  dargli  onora- 
to posto  nella  doviziosa  vo- 
stra Biblioteca,  in  quella  Bi- 
,bliote^a  che  se  non  aggiugne 
•  fregi  al  vostro  Casato,  abba- 
stanza insignito  dalla  maestà 


s^ 


del  Re  di  Sardegna  di  Con- 
tee e  di  Marchionali,  aggiu- 
gne  diritti,  forse  anche  più 
cari,  a  quella  estimazione  di 
cui  fifodete  nella  illustre  v.o- 
stra  Patria. 

Io  sarò  sempre  devoto  al 


vostro  Nome  e  sempre  per 
Voi  compreso  di  alta  stima  e 
di  rispettosa  considerazione. 

f^enezia  primo  Maggio  1821. 


vn 

L'  EDITORE 


V, 


a  per  le  mani  di  tutti  i  letterati  Y Apolo- 
gia dell'amor  patrio  di  Dante  che  il  co.  Giulio 
Perticari  ha  con  tanto  onore  del  nome  suo  mandata 
a  lucCj  e  chiunque  discreto  uomo  sia,  né  voglia  cer- 
carne col  ruscellino  i  difetti,  dee  ammirare  il  som- 
mo ingegno  del  valoroso  autore  ed  il  diritto  suo  ra« 
gionare.  Dopo  di  aver  egli  vendicato  Dante  dell'  ol- 
traggio fattogli  da  chi  pensa  lui  avere  per  odio  con- 
tra  Firenze  scritto  il  suo  Trattato  della  volgare 
eloquenza^  e  dopo  di  aver  mostrate  vere  le  dottrine 
di  quel  Trattato,  ci  fa  conoscere  che  nelle  leggiadre 
corti  di  Federico  e  di  Manfredi  si  cominciò  a  scri- 
vere il  volgare  comune  ;  che  gli  altri  Italici  lo  col- 
tivarono per  innanzi;  che  la  Università  di  Bolo- 
gna molto  contribuì  a  renderlo  illustre,  e  che  toc- 
cò spezialmente  alla  Toscana  a  nutrirlo  e  per  la 
copia  de'  suoi  gloriosi  uomini  a  renderlo  da  per 
tutto  famoso.  E  siccome  è  fuori  di  dubbio  che  V  e- 
loquio  gentile,  simile  ad  ogni  altra  bella  discipli- 
na, ferma  volentieri  sua  sede  dove  hanno  stanza  i 


vili 


mecenati  e  1  sapienti,  de'  quali  erano  già  ben  prov^ 
vedute  nel  dugento  Palermo  e  Napoli  e  Roma,  e  nel 
principio  del  trecento  Bologna,  e  subito  dopo  lo  fu 
la  patria  dell'  Alighieri ,  così  ogni  non  prevenuto 
animo  par  che  abbia  a  trovare  senza  riprensione 
la  sentenza  del  Perticari. 

Ora  in  questa  sua  bella  opera,  dove  dei  Bolo- 
gnesi egli  parla,  toccando  alcuna  cosa  dei  loro'prosa- 
tori,  non  esita  a  porre  tra  le  più  nobili  scritture  ita- 
liane sì  per  V  antichità^  come  per  la  bellezza  la 
Rettorica  di  Tullio  di  Guidotio  da  Bologna,  da  lui 
intitolata  a  Manfredi  re  in  mezzo  il  ducento,  cioè 
prima  che  nascesse  Dante,  e  quando  il  rozzo  Guit- 
ione  era  ancor  giovinetto,  E  per  darci  alcun  esem- 
pio di  questo  antichissimo  volgare  egli  ci  offre  un 
brano  della  Prefazione,  tolto  da  rarissima  impres- 
sione del  quattrocento,  che  si  conserva  nella  Ca- 
sanatense  di  Roma.  Per  lo  affetto  particolare,  che 
da  lunga  stagione  io  porto  all'  edizioni  de'  primi 
testi  della  nostra  favella,  sono  io  pur  possessore 
di  questo  libro,  e  la  sentenza  del  Perticari  gran- 
demente m' induce  a  riconsegnarlo  alla  luce.  Nel 
mandare,  come  ora  fo,  ad  effetto  questo  proposito 
mio,  giudico  non  inutile  il  preporvi  alcuna  osser- 
vazione, la  quale  discorra  e  sull'  autore  della  vec- 
chia scrittura,  e  sul  modo  con  cui  parecchi  altri 
la  rendettero  già  di  pubblico  diritto,  e  su  quello 


con  cui  io  dommi  a  fare  lo  stesso  oggidì,  e  sul  con- 
to al  fine  in  che  può  aversi  tale  operetta. 

Accorgimento  non  poco  sembrami  che  oc- 
corra anche  in  questo  genere  di  minuti  studii  a 
fine  di  condurre  clii  legge  ad  essere,  per  quanto 
può  farsi,  debitamente  istrutto.  In  parlando  di  ciò 
che  risguaixla  l'Autore  debbo  intanto  osservare  che 
molto  scarse  e  molto-  poco  accurate  notizie  di  lui 
ci  giunsero,  quantunque  si  trovi  ricordato  con  re- 
verenza da  Lionardo  Salviati,  dagli  Accademici 
della  Crusca,  da  Scipione  Maffei,  dallo  Zeno,  dal 
Tiraboschi,  dal  Morelli,  dal  Ginguenè,  e  poscia  da 
tanti  altri  letterati  di  minor  nominanza.  E  comin- 
ciando dal  titolo  e  dal  nome  proprio,  ora  lo  vedia- 
mo rammentato  come  Padre  maestro  Guidoito  o 
Galeotto,  ora  come  messer  Fra  Galeotto  o   Già- 
dotto,  ora  come  il  Cav.  Fra  Galeotto  Guidotti  jVo" 
bile  Bolognese  ;  e  chi  lo  vuole  fiate  Domenicano,  e 
chi  lo  vuole  fì-ate  Godente.  Gli  antichi  codici  debbo- 
no reputarsi  la  più  sicura  scorta  per  non  prendere 
errore  sul  vero  suo  nome,  ed  in  quelli  di  Firenze, 
ricordati  dall'  Argelati,  ed  in  quelli  della  R.  Biblio- 
teca Marciana  in  Venezia,  da  me  presi  in  esame, 
mancano  e  i  doppii  nomi  e  i  doppii  titoli,  né  altro 
vi  si  legge  fuorché  :  Frate  Guidotto  da  Bologna. 
V  aggiunta  di  Galeotto  io  tengo  per  incontrasta- 
bile che  derivi   da  errore    d'  impressione  corso 


nella  intitolazione  fattasi  nella  sopraccennata  stam- 
pa del  libro,  in  quella  stampa  che  il  cav.  Lionardo 
Salviati,  prima  di  ogni  altro,  potè  esaminare.  Noi 
vedremo  appresso  di  quante  gofferie  essa  sia  zep- 
pa ,  ed  intanto  non  fìa  temerario  il  giudicare  che 
chi  in  una  sola  faccia  scrìsse  faccenda  per  vicen- 
da, Francia  per  lancia,  patio  per  piato,  non  pos- 
sa avere  scritto  Galeotto  per  Guidotto.  E  tanto 
più  questo  avviso  si  ringagliardisce  quanto  che 
ne'  due  Proemii  che  la  stampa  stessa  racchiude,  e 
dove  l'autore  ricorda  se  medesimo^  niun  altro  ti- 
tolo e  nome  egli  si  dà  fuorichè  quello  di  Fra  Gai" 
dotto,  come  appunto  ne'  Codici  si  riscontra.  Chi 
sa  poi  che  non  foss'  egli  un  parente  di  quell'  Ansi- 
disio  Guidotto  nipote  del  tiranno  Ezzelino,  che  fu 
crudelissimo  Podestà  di  Verona  nell'anno  i2  5o,  e 
di  cui  parla  il  Sismondi  nella  sua  Storia  delle  Repub- 
bliche Italiane  ?  Il  P.  Sarti  nelF  accurata  sua  opera 
intorno  a'  Professori  della  Felsinea  Università  scri- 
ve che  la  famiglia  Guidotti  era  indigena  di  Bologna, 
trapiantatasi  a  Roma,  ma  che  di  frate  Guidotto  nien- 
te v'  ha  di  sicuro  :  certi  nihil  statui  posse  arbitror. 
Sbattezzato  che  avrem  Guidotto,  talché  per' 
da  il  nome  di  Galeotto^  dove  il  collocheremo  noi  ? 
Nella   schiera   dei  frati  Dotnenicani  o   in    quel- 
la dei  frati  Godenti  ?  Sotto  il  vessillo  dell'  Ordine 
dei  Predicatori  lo  hanno  posto  i  PP.  Quetif  ed 


XI 

Ecliard,  perchè  un  Codice  della  Rettorica  da  essi 
veduto  nella  Biblioteca  dell'  Annunziata  in  Firen- 
ze aveva  la  prima  lettera  iniziale  con  dipintovi  un 
fraticello  vestito  di  tonaca  tutta  bianca^  con  so- 
pr  essa  un  mantello  di  color  cinerizio  j  e  quindi 
sospettarono  che  l' autore  del  libro  essere  potesse 
un  padre  maestro  Domenicano.  Ma  anche  altro 
illustre  letterato,  1'  ab.  Mehus,  osservò  altro  Codi- 
ce col  fraticello  dipinto  con  veste  bianca  e  di  co- 
lor cinerizio,  e  per  queste  insegne  giudicò  bene 
di  allogarlo  tra  i  frati  Godenti;  e  il  cav.  Tiraboschi 
si  accomodò  all'  avviso  del  Mehus ,  perchè  un  Bo- 
lognese, il  secentista  Ovidio  Montalbani,  onorò 
fra  Guidotto  del  titolo  di  Nobile  e  di  Cavaliere, 
Ma  la  miniatura  di  un  Codice  e  T  asserzione  di  as- 
sai poco  critico  scrittore  mi  paiono  puntelli  troppo 
fievoli  ;  e  può  forse  indebolire  il  ragionamento  del 
Tiraboschi  anche  il  sapersi  che  V  opera  fu  scritta 
forse  prima  dell'anno  1260  e  che  non  avanti  que- 
st'  anno  i  frati  Godenti  posero  loro  sede  in  Bologna. 
In  ogni  modo  poco  importerà  che  Guidotto  fosse  o 
Domenicano  o  Godente,  e  basterà  essere  certi  che 
non  gli  vada  tolta  dagli  omeri  la  cocolla ,  perchè 
Frate  si  chiama  egli  stesso  nello  scrivere  il  suo  pro- 
prio nome. 

Queir  Ovidio  Montalbani  dee  avere  condotto 
anche  il  grande  Maffei  ad  annunziare  F  opera  con 


XII 

inesattezza,  così  leggendosi  nel  suo  libro  dei  Tradut-» 
tori  Italiani  :  La  Rettorica  ad  Erennio  da  Galeotto 
Guidotii  trasportata  nel  isS^,  stampata  in  Bolo* 
gna  nel  i47^^  ^  nel  i658.  Non  è  la  Rettorica  ad 
Erennio  ;  improprio  è  il  nome  di  Galeotto  Gui^ 
dotti;  non  si  può  asserire  che  sia  stata  trasporta- 
ta nel  1257;  molto  meno  stampata  in  Bologna 
nel  1478'  E  basti  qui  intanto  osservare  come  non 
abbia  solida  base  quel  determinato  anno  1257* 
Nella  ristampa  bolognese  dell'anno  i658  l'edito- 
re Montalbani  fa  dire  allo  stampatore  Manolessi^ 
che  la  &ua  edizione  è  copia  di  quella  lattasi  nel 
14785  di  cui  ci  dà  il  titolo  come  segue:  Rettori^ 
ca  nuova  traslatata  di  latino  in  volgare  per  lo 
eximio  maestro  de  V  arti  liberali  fra  Galeotto 
Guidotti  Nobile  Cavaliere  da  Bologna,  V  anno 
del  Signore  1257.  Che  questa  intitolazione  non 
sia  punto  così  lo  si  potrà  scorgere  nella  fedele  mia 
ristampa,  dove  non  è  fatto  cenno  alcuno  di  mille- 
simo. Tuttavia  non  andò  troppo  lungi  dal  vero  chi 
c(ssegnò  il  1257  per  F  anno  in  cui  fu  dettata  l' ope- 
ra, giacche  la  Rettorica  è  fuor  di  dubbia  dall'autor 
suo  indirizzata  al  re  Manfredi  di  Sicilia,  e  il  re 
Manfredi  cominciò  a  prendere  le  redini  del  gover- 
no nell'anno  12  54,  e  per  morte  le  depose  nel  i2G5, 
ovvero  nel  seguente:  quindi  in  questo  mezzo  cer- 
tamente la  operetta  si  scrisse  e  si  divulgò. 


XIII 


Le  pazienti  indagini  fatte  dal  P.  Iacopo  Ma- 
ria Paitoni  risparmiano  a  me  i  confronti  per  far 
conoscere  che  questo  libro  non  è  propriamente  un 
volgarizzamento  della  Rettorica  di  Marco  Tullio. 
Ognuno  sa  che  i  nostri  buoni  antichi  erano  per  lo 
più  grossi  ed  ignoranti  in  fatto  di  traduzioni  e  che 
di  loro  capriccio  le  rivestivano.  I  volgarizzamenti 
di  Esopo,  della  Eneide,  (degli  Amori  del  Sulmone- 
se,  quello  delle  Pistole  trasportate  da  quel  ser 
Bocca  di  Lampana  tanto  scardassato  dall'  illustre 
Cav.  Vincenzo  Montile  tanti  altri,  sono  ombre  di  un 
corpo.  Non  lo  stesso,  ma  peggio  dicasi  della  Retto- 
fica  scritta  da  fra  Guidotto,  mentr'  egli  si  contentò 
di  dare  un  immaginato  Compendio  o  Ristretto  dei 
Libri  non  ad  Herennium,  ma  de  Inventione,  Com- 
pendio che  neppur  segue  sempre  le  vestigia  del- 
l' Oratore  romano.  Mal  a  proposito  si  è  dunque 
scritto  la  Rettorica  di  Tullio,  e  la  vera  denomina- 
zione Fha  data  frate  Guidotto  medesimo,  il  quale 
nel  suo  Prologo  scrisse  :  Io  ho  compilato  questo 
Fiore  di  Rettorica  nella  ornatura  di  Marco  Tul- 
lio ;  che  vale  a  dire  :  Io  ho  unito  insieme  la  parte 
più  scelta  deW  arte  di  ben  dire,  ed  holla  rivestita 
degli  abbellimenti  che  le  dà  Cicerone,  Se  io  dun- 
que, diversamente  dagli  Accademici  della  Crusca, 
ho  prescelta  nel  libro  la  denominazione  di  Fiore 
di  Rettorica  di  frate  Guidotto  da  Bologna,  parmi 


XIV 

avere  ciò  -fatto  con  evidente  e  salda  ragione  ;  né 
spiacerà  poi^  spero,  eh'  io  abbia  lasciato  al  libro 
quel  suo  naturai  distintivo  che  pur  era  molto  in 
voga  a'  tempi  antichi,  spesso  scrivendosi  allora  Fio- 
re di  Virtù,  Fiore  di  Parlare,  Fiore  di  Cavalle- 
ria ec. 

Ad  altra  osservazione  m'  invita  la  natura  del 
mio  assunto,  volendo  io  alcuna  cosa  dire  su  quel 
brano  di  prefazione  di  quest'  antica  scrittura  da- 
toci dal  Perticari.  È  fuori  di  dubbio  che  se  per  ve- 
tustà* e  leggiadria  egli  bene  la  giudicò  scrittura  no- 
bile,  resta  poi  sempre  n  definirsi  quale  essa  vera- 
mente uscisse  dalla  penoa  di  frate  Guidotto;  e  la 
buona  coscienza  di  sì  illuminato  scrittore  dovea 
almeno  metterlo  in  dubbietà  intorno  alla  scelta 
deir  esemplare  eh'  egli  ci  ha  porto.  Perchè  mai,  an- 
ziché togliere  la  sua  copia  o  dagli  smozzicati  fram- 
menti che  primo  pubblicò  Iacopo  Corbinelli  in  Lio- 
ne nel  1568,  o  dal  testo  che  sopra  due  vetusti  Co- 
dici collazionato  ci  diede  Domenico  Maria  Manni, 
amò  egli  trarla  da  una  stampa,  la  quale  Y  Infari- 
nato non  ha  avuto  tutto  il  torto  di  giudicare  scor- 
rettissima di  tutte,  intanto  che  in  altro  linguaggio 
si  può  dire  quasi  che  sia  trasfigurata?  Questa  stam- 
pa dee  essersi  fatta  verso  il  1478,  e  1  Cavaliere  eru- 
dito dovea  ben  sapere  quanto  poco  fosse  amato  il 
parlar  gentile  sul  finire  del  secolo  XV,  e  di  quanti 


X? 

arbitrii  solessero  allora  rendersi  colpevoli  gli  edi- 
tori de  volgari  libri,  specialmente  non  toscani.  Ol- 
treché ,  senz'  altre  argomentazioni ,  al  solo  svol- 
gere un  po'  attentamente  alcune  facce  di  quel  li- 
bro poteano  saltargli  all'  occhio  assai  presto  le  mol- 
te sue  scorrezioni,  e  farnelo  diffidente.  Ma  questa 
inavvertenza  non  sarà  poi  altro  che  un  peccatuc- 
cio che  resta  a  gran  dovizia  purgato  e  cancellato 
dalle  tant' altre  sue  santissime  letterarie  virtù. 

Ma  prima  la  trasse  dell'  occhio  suOy  che  la 
festuca  di  quel  del  prossimo^  dee  V  uomo  trarrey 
scriveva  quell'allegro  vecchio  di  Franco  Sacchet- 
ti, ed  io  avrò  bisogno  di  questa  evangelica  corre- 
zione ora  che  parlerò  dell'  opera  da  me  prestata  per 
far  rivivere  fra  Guidotto.  Sappia  se  non  altro  il 
lettore  di  quali  mezzi  mi  sono  provveduto  e  come 
il  mio,  qualunque  siasi,  lavoro  è  oggidì  consegna- 
to alla  stampa. 

Tre  differenti  Godici  di  questo  libro  si  serba- 
no nella  R.  Biblioteca  Marciana,  ma  tutti  molto  di- 
versi tra  loro  ;  che  già  tali  opere  si  trasformavano 
ogni  giorno  e  ogni  copiatore  cercava  di  farle  sue. 
Due  furono  i  Godici  esaminati  in  Firenze  dal  Manni, 
scritti  nel  i4oo  e  nel  i4io,  ne' quali  però  non  tro- 
vasi nominato  mai  fra  Guidotto,  ed  il  leggersi  in  uno 
di  essi  questa  postilla  :  Libro  recato  a  certo  ordi- 
ne per  messer  Bono  di  messer  Giambone,  fece  al 


XVI 

Manni  congliietturare  che  o  messer  Bono  od  altro 
messer  Iacopo  Giambono  fosse  l' autore  della  ope- 
retta. Di  altri  Codici  si  trovano  notizie  nel  Paito- 
ni,  neìV  Argelati,  nel  Fantuzzi.  Ora  dovendo  io  te- 
ner dietro  ad  una  principal  scoria  mi  sono  attenuto 
a  quello  scritto  nel  XIV  secolo  col  nome  delF  au- 
tore frate  Guidotto,  Codice  incomparabilmente  su- 
periore in  bontà  agli  altri  nella  Marciana  nostra  esi- 
stenti. Sta  segnato  col  numero  XXI  della  Classe  X 
fra  gF  Italiani,  ed  era  già  posseduto  dal  Farsetti. 
Quantunque  il  carattere  sia  non  poco  difficile  a  dici- 
ferarsi,  per  longevità  di  tempo,  per  ordine  e  copia  di 
materia,  per  purità  di  favella  è  certamente  pregevo- 
lissimo. L'  accennata  prima  edizione  senza  alcuna 
nota  di  luogo,  di  anno  e  di  stampatore  non  mi  è  sta- 
ta punto  inutile,  giacché  quantunque  spropositata 
nella  correzione  e  colla  tela  delle  parole  rotta  fre- 
quentemente dalla  scioccheria  del  copista  o  da  quel- 
la dello  stampatore,  nulladimeno  la  materia  è  ine- 
rente al  Codice  XXI  e  lo  supplisce  eziandio  in  qual- 
che luogo .  Avvertasi  che  di  quest'  edizione  avvi  un 
esemplare  anche  nella  Marciana,  in  fine  del  quale 
sta  impresso  Tanno  MCCCCLXXVIII,  ma  questo 
millesimo,  eh'  è  affatto  fuor  di  linea,  si  vede  esservi 
stato  senza  dubbio  aggiunto  a  mano,  sicché  non  è 
da  moltiplicarsi  il  numero  dell'  edizioni,  e  l'  accen- 
nata qui  sopra  resta  sempre  la  principe»  Domenico 


XVII 


Maria  Marini  pubblicò  F accennato  suo  testo  dopo 
r  Etica  di  Aristotile  nella  stampa  fattane  ja  Fi- 
renze nelF  anno  1734  in  ^io  j  ma  r  ordine  della 
scrittura  vi  si  trova  sconvolto,  e  qua  e  là  sono  ora 
lacune,  ora  addizioni,  ora  le  cose  medesime  in  vario 
modo  espresse  ;  però  la  favella,  quantunque  ripuli- 
ta dagli  antichi  menanti  toscani ,  o  caricata  di 
qualche  arcaismo  di  cui  ho  tenuto  nota^  non  ha 
grande  diversità  da  quella  del  Codice  XXI  della 
Marciana. 

Ora  il  Codice  Marciano  XXI,  la  prima  stam- 
pa, il  testo  Manni  furono  le  sole  mie  guide  nel 
collazionare  la  presente  nuova  edizione.  Seguitan- 
do il  Codice  ho  creduto  di  sostituirvi  tal  volta  la 
lezione  tolta  dagli  altri  due  miei  esemplari ,  non 
senza  però  farne  il  lettore  avvertito  colle  varianti 
segnate  a  pie  di  ogni  faccia,  dove  altre  varianti  an- 
cora egli  troverà,  non  meno  che  que'  cenni  che  pò- 
teano  meglio  importare  a  qualche  utile  notamente 
nelle  cose  della  lingua. 

Nei  tre  esemplari  suddetti  si  trovano  inti- 
tolazioni affatto  irregolari,  e  quello  che  maggio- 
re imbarazzo  reca  si  è,  che  molte  volte  il  copi- 
sta o  lo  stampatore  passano  di  secco  in  secco 
e  senz'  alcuna  pausa  da  uno  in  altro  ragionare.  Ho 
creduto  non  riprovevole  arbitrio  quello  di  distri- 
buire il  libro  in  quattro  Trattati,  la  quale  divisione 


XVIII 


è  additata  dalla  materia  stessa ,  e  di  aggiiignere 
quel  titolo  o  quella  dichiarazione  di  ogni  para- 
grafo che  con  disordine  soltanto  stanno  contras- 
segnati  nei  tre  esemplari  suddetti.  Non  ho  man* 
cato  di  trascrivere  per  intero  le  poche  addizioni 
che  offre  il  testo  Manni,  il  che  importa  ad  ottenere 
che  la  edizione  presente  non  lascii  in  desiderio  e 
in  bisogno  della  Fiorentina.  Il  Codice^  e  peggio  an^ 
Cora  r  antica  stampa,  non  ha  ombra  di  gramma- 
ticale ortografia ,  ed  il  testo  Manni  alF  opposto 
è  inabissato  in  un  mare  d'interpunzioni  che  re- 
cano più  buio  che  luce.  La  interpunzione  è  for^ 
se  la  parte  più  difficile  ad  afferrarsi  da  un  editore,, 
mentre  i  segni  ortografici  sono  la  guida  della  men- 
te, e  quando  giacciono  mal  collocati  stravolgono  af- 
fatto i  concetti;  sicché  il  cavalier  Monti  ben  a  di- 
ritto sentenziò  che  questi  segni  non  sono  punto 
pedanterie,  ma  spie  sicure  di  ciò  che  si  cela  sot- 
to la  cupola  del  cervello.  Io  ho  adottate  quelle 
misure  che  mi  parvero  meglio  opportune  alla  pron- 
ta intelligenza  e  chiarezza  della  scrittura  e  desì^ 
dero  di  non  essermi  ingannato. 

Le  diligenti  edizioni  sogliono  avere  Y  orna- 
mento di  un  Indice  di  tutte  quelle  stampe  che  pre- 
cedentemente si  sono  fatte,  e  nel  caso  nostro  re- 
stano meglio  arricchite  quando  offrano  anche  F  In- 
dice dei  Godici  che   possono  essere   conosciuti  « 


XIX 

Siccome  però  ad  ottenere  questo  intento  avrei  dovu- 
tO;  quanto  a'  Codici,  prendermi  molta  briga  per  co- 
noscere quello  che  non  è  stato  notato  dagli  scrit- 
tori ;  e  quanto  all'  edizioni  non  avrei  die  impin- 
gualo il  libro  di  notizie  di  poco  o  ninno  interesse, 
cosi  confido  d'essere  scusato  dell'  avermi  evitata  sif- 
fatta noia,  e  tanto  più  clie  l' edizione  principe  e  le 
stampe  fatte  colle  cure  del  Corbinelli  e  del  Manni 
penso  elle  sieno  le  sole  buone  e  valutabili.  Avrei  be- 
ne desiderato  di  soddisfare  la  mia  curiosità  coll'esa- 
me  della  più  volte  rammentata  edizione  dataci  dal 
Montalbani  in  Bologna  nel  i658  in  12,  ma  non  es- 
sendomi riuscito  di  averla  sott'  occhio,  per  le  cose 
già  osservate  mi  arrischio  di  giudicarla  affatto  in- 
fruttuosa. Quel  caro  signor  Ovidio  Montalbani  non 
potea  fiutar  bene  per  entro  alla  tramoggia,  egli  che 
intitolava  i  soprabbondanti  suoi  libri  la  Crono- 
prostasì,  la  Kiposcopia,  la  Comenscopia,  la  Bronio- 
logia,  e  eh'  era  un  lettore  di  matematiche  incarica- 
to, dice  il  suo  biografo,  di  formare  il  tacuino  de'  gior- 
ni propizii  o  avversi  al  cavar  sangue  e  al  purgarsi. 
Mi  sono  proposto  di  dire  alcuna  parola  anche 
del  conto  in  che  può  aversi  questo  Fiore  di  Ret^ 
toricuy  ed  eccomi  qui  da  ultimo  a  liberar  la  mia 
fede.  Altra  cosa  che  i  Gravina,  i  Genovesi,  i  Soa- 
ve del  decimoltavo  secolo  erano  i  Guidotti,  i  Guit- 
toni,  i  Brunetti  del  secolo  decìmoterzo;  e  '1  nostro 


XX 


Autore  che  nel  primo  de'  suoi  Proemii  loda  Mar- 
co Tullio  perchè  era  grande  della  persona  e  ben 
fatto  di  tutte  membra  e  d'  arme  maraviglioso  ca- 
valiere^ e  il  suo  menaute  che  nel  Proemio  premes- 
so al  terzo  Trattato  malmena  il  frate  come  briaco 
perchè  ha  ripetuto  in  due  luoghi  le  stesse  lezioni,  e 
giudica  che  il  lettore  non  abbia  studiato  mai  libro, 
se  non  come  fanno  i  fanciulli  che  ricorrono  V  ab- 
biccì e  7  Deus  in  nomine,  sono  certamente  uomini 
colali  che  non  possono  oggidì  aggiugner  lume  alla 
chiarezza  dei  nostri  intelletti.  Ma  in  ogni  tempo  si 
sono  venerate  le  preziose  memorie  prime,  e  '1  con- 
tinuare a  farlo  sarà  sempre  indizio  di  civiUà  na- 
zionale e  di  patrio  attaccamento.  In  mezzo  poi 
a'  moderni  contrasti  sulle  cose  della  favella  noi  ab- 
biamo veduto  gì'  italici  nostri  combattenti  più  illu- 
stri, Cesarotti  e  Napìone,  Cesari  e  Monti,  Per- 
ticar! e  Lampredi,  trovarsi  d'  accordo  nel  dogma, 
che  senza  dare  opera  allo  studio  dei  buoni  vecchi 
non  si  giugnerà  mai  al  pieno  conseguimento  della 
purità  di  quella  lingua  che  fu  da  costoro  maraviglio- 
samente fondata  e  scritta.  Ora  Frate  Guidotto  sarà 
valutato  tanto  più  reverendo  quanto  che,  quantun- 
que nato  fuori  del  suolo  toscano  n'è  stato  uno  de' 
primi  babbi,  ed  il  suo  eloquio  non  si  troverà  senza 
giudizio  e  sapere,  né  si  vedrà  imbastardito  di  quegli 
arcaismi  che  possono  supporsi  soltanto  propri!  di 


CXI 

un  popolare  dialetto.  Se  il  rendere  questa  sua  scrit- 
tura di  più  universale  conoscenza  non  sarà,  come 
confido,  tempo  perduto,  non  sarà  né  meno  discaro 
eli'  io  dia  termine  a  questa  Prefazione,  ricopiando 
alcune  similitudini,  sentenze,  frasi  e  leggiadre  im- 
magini che  trovansi  sparse  per  entro  il  libro,  e  che, 
quantunque  cariche  ormai  di  circa  cinquecento  e 
sessant'  anni  di  età,  appaiono  ancora  fresche  e  ru- 
giadose. 

SENTENZE 

Tuttoché  la  regale  pecunia  sia  mantello,  lo 
quale  molti  vizii  ricopre  fra  le  genti,  non  fa  ri* 
coperta  di  colui  che  non  sa  ben  dire.  Car.  6. 

Senza  la  favella  sarebbe  la  bontà  come  uno 
tesoro  riposto  sotterra,  che,  se  non  è  saputo,  più 
che  terra  non  vale,  Car.  7. 

//  domandare  spesse  volte  delle  cose  dub* 
biose  è  una  delle  cinque  chiai^i  della  sapien* 
zia»  Car.  i-j. 

Niuna  cosa  più  presta  che  lagrima  si  seC' 
ca.  Car.  Si. 

Pacifico  ti  mostra  a  nimici,  aspro  agli  ami' 
ci,  Car.  57. 

Colui  si  dee  libero  chiamare  che  non  è  ser- 
vo  di  alcuna  bruttura.  Car.  61. 


XXII 

Non  solamente  è  povero  colui  che  ha  poco, 
ma  colui  che  saziare  non  si  puote.  Car.  6 1 . 

Malamente  errano  coloro,  che  quando  sono 
in  grande  stato  credono  avere  fuggita  la  ventu- 
ra ;  ma  quegli  si  porta  saviamente^  che  nelle  pros' 
perevoli  cose  pensa  dinanzi  come  la  ventura  si 
può  mutare.  Car.  62. 

La  bellezza  del  corpo  o  disfassi  per  male  che 
abbia ^  o  tolsi  via  per  vecchiezza.  Car.  yS. 

Quello  che  non  piovve  da  cielo  rimase  suso, 
Car.  82.  Proverbio  da  usarsi  quando  uno,  dopo 
avere  ripreso  altri  alla  libera,  mitiga  poscia  l'acer- 
bità con  qualclie  lode. 

Savii  debbono  essere  tenuti  coloro  che  per 
fare  salva  la  città  loro  non  ìschifano  pericolo  né 
fatica  ninna,  Car.  92. 

Né  7  puledro  non  domato,  avvegnaché  sia 
buono,  può  essere  acconcio  a  quella  utilità  che 
V  uomo  desidera  del  cavallo  ;  ne  l'  uomo  non  usa" 
to,  avvegnaché  sia  ingegnoso,  può  essere  di  molr 
ta  bontà.  Car.  yS. 


xxin 

SIMILITUDINI 

La  favella  di  un  dissennato  è  come  uno  coltello 
aguto  e  taglìe?ite  in  mano  d^  uno  furioso.  Car.  6. 

L^ ordinare  della  favella  è  di  lauta  virtù  nel 
dire,  che  dicono  i  savii,  che  così  dà  vittoria  nel 
suo  intendimento,  come  le  schiere  de  cavalieri  ben 
composte  e  ordinate  fanno  vincere  al  signore  le 
battaglie.  Car.  26. 

Queir  oratore  che  senza  proemio  viene  in- 
contanente al  fatto  elle  vuol  dire  è  avuto  come  co- 
lui die  vien  lotoso  a  mangiare ,  e  ponsi  al  desco, 
e  non  si  lava  le  mani.  Car.  29. 

Com^  è  da  ripj^endere  colui  che,  quando  na- 
viga, pili,  avaccio  la  nave  che  le  persone  intende 
a  salvare^  così  di  colui  è  da  fare  beffe  e  scherno, 
che  in  sul  grande  pericolo  pia  provvede  al  suo 
salvamento  che  a  quello  del  comune,  perchè,  spez- 
zata la  nave,  molti  ne  possono  campare,  ma 
quando  perisce  il  comune  non  ne  campa  veru- 
no.  Per  la  qual  cosa  possiamo  dire  che  Decio  si 
portò  saviamente,  che  per  campare  la  citici  sua  si 
mise  alla  morte  ed  a  ferire  i  nimici.  Per  vii  cosa 
e  per  piccola  grazia  ricomperò  una  grande  ;  die* 
de  la  vita  e  fece  salvo  il  paese;  partissi  l' anima 
e  accattò  gloria  e  onore  ;  //  quale  non  menoma, 
ma  sempre  cresce  ed  inforza,  Car.  91. 


Questo  luogo  non  è  da  tutta  la  quistione,  sich 
come  uno  membro  sceverato,  ma,  siccome  sangue, 
per  tutto  il  corpo  della  quistione  è  sparto.  Gar.  gS. 

Come  colui  che  piglia  il  pennone  per  correre 
nel  prato,  di  colui ,  die  ha  corso,  corre  meglio,  così 
il  podestà  nuovo,  che  piglia  la  signoria,  del  vecchio 
è  migliore,  perchè  affaticato  colui,  che  ha  corso, 
rende  il  pennone  a  un  altro,  che  corra,  ma  il  pode- 
stà già  usato  rende  la  signoria  al  nuovo.  Car.  94. 

Come  il  giullare  die  si  leva  in  piede  ec.  Leg- 
gasi tutta  questa  bella  similitudine.  Car.  96. 

Questi  spesse  volte  va  per  mezzo  il  mercato 
ricciuto  come  un  drago,  con  una  guardatura  rab- 
biosa, con  uno  animo  avvelenoso,  di  qua  e  di  là 
guardandosi  d  intorno  se  vedesse  alcuno,  cui  po- 
tesse col  fiato  appuzzare  e  colla  bocca  mordejv  e 
ed'  denti  squarciare.  Car.  99. 

Costui  quando  rizza  il  mento  in  parte  alcu' 
ita,  sempre  crede  da  tutta  gente  essere  guardalo, 
come  se  f asse  pietru  preziosa  o  bellissimo  oro  ri- 
lucente. Car.  loi. 

Nel  tempo  che  Roma  aveva  molti  cavalieri 
ec.  Car.  io3.  Tutto  questo  esempio  del  SermoDa- 
re  equivale  ad  una  delle  più  briose  Novellette  che 
si  leggano  nell'antico  libro  del  Bel  Parlar  Gentil 
le,  ed  il  racconto  sembrami  fatto  con  evidenza  e 
con  non  comune  gagliardia  di  stile. 


XXV 

BUONE  DEFINIZIONI 

Dilì^enzia  è  una  sollecitudine  in  sapere  lo 
suo  ben  guardare,  ma  avarizia  è  uno  ingiurioso 
desiderio  dello  altrui,  Car.  69. 

Follia  è  uno  apprendimento  di  fatiche  e  di 
pericoli^  non  considerando  che  del  fatto  si  può  se- 
guitare.  Car.  69. 

Della  DivisioTie  delle  voci,  e  sopra  quante  vo- 
ci si  dee  dire.  Car.  121.  Questo  capo,  e  gli  altri  tre 
seguenti  sul  modo  di  pronunziare  le  parole,  di  cam- 
biare il  tuono  della  voce  e  di  gestire  sono  di  qual- 
che importanza,  mentre  esprimono  con  chiarezza 
alcune  cose  non  facili  a  dirsi. 

Pnidenzia  è  uno  sottile  scaltrimento,  per  lo 
quale  si  muove  V  uomo  per  diritta  ragione  a  co- 
noscere il  bene  dal  male.  Car.  i36. 

Giustizia  è  una  ferma  volontà  d^  animo,  per 
la  quale  l'  uomo  si  muove  a  rendere  la  ragione 
sua  a  ciascuno,  secondo  l'essere  suo.  Car.  1 38. 

Fortezza  è  una  ferma  volontà  di  animo,  per 
la  quale  si  muove  V  uomo  a  desiderare  le  cose 
grandi  e  a  dispregiare  le  cose  vili  e  ad  essere  sof- 
ferente delle  fatiche  e  dei  pericoli.  Car.  140. 


IL    FIORE 


DI 


RETTORIGA 


Comincia  la  elegantissima  dottkina  dello  eccel- 
lentissimo Marco  Tullio  Cicerone,  chiamata  Ret- 

TORICA  nova,  TRASLATATA  DILATINO  IN  VULGARE  PER  LO 
esimio  MAESTRO  GALEOTTO  DA  BoLOGNAI  OPERA  UTILIS- 
SIMA  E  NECESSARIA  AGLI  UOMINI  VULGARI  E  INDOTTI  (l). 


N. 


el  tempo  che  signoreggiava  il 
grande  e  gentile  uomo  Giulio  Cesare^  il 
quale  fu  il  primo  imperadore  di  Roma, 
di  cui  Lucano  e  Sallustio  et  altri  autori 
dissono  (2)  alti  e  maravigliosi  versi,  nel 
XI 1 1 1  anno  dinanzi  alla  natività  del  no- 
stro Signore:  In  quel  tempo  fu  un  nobi- 
le e  virtuoso  uomo,  cittadino  di  Capoa  e 
del  regno  di  Puglia,  il  quale  era  fatto  abi- 
tante della  nobile  città  di  Roma,  et  aveva 
nome  Marco  Tullio  Cicerone,  il  quale  fu 


(i)  Questa  intitolazione  nel  Codice  dtlla 
Marciana  è  come  segue  :  Qui  comincia  la  rettori- 
ca  nuoua  di  tulio  traslatata  di  gramaticha  in  uol- 
gare  p  frate  guidotto  da  bolongna,  e  cosi  leggesi  in 
altri  Codici  ricordati  dall' Argellati. 

(2)  dissero,  leggesi  neW  antica  edizione. 


maestro  e  trovatore  della  grande  scienzia 
di  Rettorica^  cioè,  di  bene  parlare;  e  trovò 
et  ordinò  per  lo  suo  grande  ingegno  natu- 
rale questa  scienzia  di  Rettorica,  la  qua- 
le avanza  tutte  le  altre  scienzie  per  la  bi- 
sogna (i)  di  tutto  il  giorno  parlare  nelle 
valenti  cose,  siccome  in  far  leggi  e  pia- 
ti (2)  civili  e  criminali,  e  nelle  cose  citta- 
dine, siccome  in  fare  battaglie  et  ordina- 
re schiere  e  confortare  cavalieri  nelle  vi- 
cende (3)  degl' imperii,  regni  e  principati; 
con  governare  popoli,  regni,  cittadi,  vil- 
le, stranie  e  diverse  genti,  come  si  conver- 
sa nel  gran  cerchio  del  mappamondo  del- 
la terra.  Et  a  contare  brievemente  la  vita 
del  detto  Marco  Tullio,  voglio  che  sappia- 
te, che  fu  uomo  intento  (4)^)  della  sua  vita 
amabile,  costante  di  sua  grazia  e  virtù, 
grande  della  persona  e  ben  fatto  di  tutte 


(1)  lo  bisogno,  leggesi  neW  antica  edizione. 

(2)  patti,  leggesi  neW  antica  edizione. 
(5)  faccende,  leggesi  nelV  antica  edizione. 
(4)  in  tempo,  leggesi  nelV  antica  edizione. 


memtra,  e  fu  d'arme  maraviglioso  cava- 
liere, franco  del  coraggio,  armato  di  gran- 
de senno,  fornito  di  scienzia  e^di  grande 
discrezione,  ritrovatore  di  tutte  cose.  Et 
io  frate  Guidotto  da  Bologna,  cercando  le 
sue  magne  virtudi,  emmi  mosso  talen- 
to (i)  di  volere  alquanti  membri  del  Fiore 
di  Rettorica  vulgarizzare  di  latino  in  no- 
stra lingua,  siccóme  appartiene  al  mestie- 
re de' laici,  vulgarmente.  E,  come  conta- 
remo  per  lo  'nanzi  nel  versificato  che  fe- 
ce il  grande  poeta  Vergilio,  e  nel  tempo 
che  fu  Ottaviano  imperadore  augusto,  fi- 
gliuolo adottivo  di  Giulio  Cesare,  nell'  im- 
perio della  sua  dignitade,  nacque  Cristo, 
il  glorioso  Salvatore  del  mondo  ;  il' quale 
Vergilio  si  trasse  tutto  il  costrutto  dello 
intendimento  della  Rettorica,  e  più  ne  fe- 
ce chiara  dimostranza,  sicché  per  lui  pos- 
siamo dire  che  l'abbiamo,  e  conoscere  la 
via  della  ragione  e  la'etimologia  dell'arte 
di  Rettorica;  imperocché  trasse  il  gran 

(i)  mi  mossi,  leggesi  nelV  antica  edizione» 


4 

fascio  in  piccolo  volume  e  recollo  in  ab- 
breviamento. Et  io  considerando  te,  e  la 
tua  grande  bontà,  alto  Manfredi  lancia  e 
re  di  Cicilia  (i),  siccome  a  diletto  e  caro 
Signore  nell'  aspetto  de'  valenti  principi 
del  mondo,  essere  sopra  gli  altri  re  gra- 
zioso, lìo  compilato  questo  Fiore  di  Retto- 
rica  nella  ornatura  di  Marco  Tullio,  nel 
quale,  secondo  mio  parere,  voi  potete  a-, 
vere  sufficiente  et  adorno  ammaestra- 
mento a  dire,  per  questo  libro,  in  pubbli- 
co et  in  privato. 

(i)  Così  pare  che  debba  leggersi  nel  Codi- 
ce della  Marciana,  dove  però  il  testo  è  alquanto 
corroso  ed  il  significato  non  chiaro.  NeW  anti- 
ca edizione  si  legge  :  Manfredi  di  Francia  ;  altro 
errore,  e  meglio  sarebbe  Manfredi  di  Federico. 


PROLOGO  (*) 


A. 


cciocchè  la  i^ita  è  corta  e  V  ar- 
te è  lunga  e  'l  mestiere  e  'l  bisogno,  non 
potejno  in  tutto  considerarle  (i)  piena- 
mente  il  nostr^o  i^olere.j  ma  pigliarne  una 
partita  brievemente  ^  siccome  il  nostro 
Signorie  ne  concederà  grazia^  diremo 
come  V  uomo^  per  la  virtù  che  gli  è  data 
dalla  somma  potenzia  di  Dio  nella  Un- 
giia^  di  sapere  favellare^  perchè  avanzi 
tatti  ^i  altri  animali.  Siccome  noi  abbia- 
mo detto  di  sopra^  avanza  tutti  gli  altri 
uomini  e  le  bestie:  e  quanto.)  per  la  detta 
cagione^  è  pia  nobile  e  migliore  che  gli 
altri  animali^  cotanto  V  uno  uomo  è  m^ag- 
giore  e  migliore  che  non  è  T  altro^  in 

(i)  Perchè  la  vita  è  breve,  e  l'arte  è  lunga 
e  i  mestiere,  in  tutto  non  possiamo  considerare, 
leg^esi  nelV  antica  edizione. 


ciò^  che  safai^ellare  meglio  e  più  sai^ia- 
mente;  cJiè^  tuttoché  la  regale  (i)  pecu- 
nia sia  mantello^  lo  quale  molti  i^izii  ri- 
copre Jra  le  gentil  non  Ja  ricoperta  di 
colui  che  non  sa  hen  dire.  Et  io  i^eggen-^ 
do  nella  Jcwella  tanta  viHude  et  utilità^ 
sì  misi  tempo  per  compilare  (2)  con  i^ 
studio  questa  opera.  Non  certo  che  f asse 
mia  credenza  che  solo  la  h ella  favella 
in  sé  ai^esse  tanto  di  utilitade,)  se  colui^ 
che  sa  ben  favellaj^e,)  non  avesse  in  sé 
senno  e  giustizia:  anzi  senza  le  dette 
due  cose,)  secondo  che  dicono  i  savii»,  è 
quella  persona  una  pistolenzia  gran- 
dissima del  suo  paese  e  del  suo  comu- 
ne^ perché  la  favella  sua  é  come  uno 
coltello  aguto  (3)  e  tagliente  in  mano 
d'uno  furioso  ;  ma  se  Vuomo  ha  in  sé 
senno  in  saper  hene  provvederle,)  e  ha 


(1)  reinale.  Cod.  della  Marciana. 

(2)  per  trarre  a  fine,  leggesi  nelt  antica,  edi* 
zione, 

(3)  acuto,  leggesl  nelV  antica  edizione^ 


7 
in  sé  giustizia  e  ferma  volontà  di  sape"- 
re  le  cose  bene  disponere  a  drittamente 
voler  giudicare^  sì  gli  fa  bisogno  di  sa-- 
pere  ben  favellare^  acciocché  sappia  le 
cose  mostrare  et  aprire.  Senza  la  favel- 
la sarebbe  la  bontà  sua  come  uno  teso- 
ro  riposto  sotterra^  che  se  non  è  saputo 
più  che  terra  non  vale;  e  dacché  la  fa- 
vella é  accompagnata  d'  alcuna  perso* 
na  colla  giustizia  e  col  senno^  si  rende 
più  perfetto  Vuomo^  che  non  sono  gli 
aitici.  Ho  mostrato  di  sopra  quanto  sono 
gli  uomini  per  la  favella  meglio  che  gli 
altri  animali;  perocché  molto  vale  a 
se  medesimo^  et  é  molto  utile  e  caro  ad 
altri^  sì  al  suo  comune ,  sì  a  suoi  ami- 
ci e  parenti^  che  n  hanno  conforto  né 
loro  fatti^  e  grandissimo  consiglio  e  ri- 
fagio ,  quando  é  savio  dicitore ,  Adun- 
que qualunque  persona  vuole  sapere 
ben  favellare  e  piacevolmente^  si  pen- 
si di  avere  prima  setino^,  acciocché  co- 
nosca e  senta  quello  che  dice;  poi  pren- 
da fenna  volontà  di  operare  giustizia  e 


8 

misura  e  ragione ,  acciocché  della  sua 
■parola  non  si  possa  altro  che  heu  se- 
guitare :  e  questo  libro  legga  sicura- 
mente^ e  senta  meco  certi  ammaestra- 
menti^ che  sono  dati  dalli  sa\>ii  in  sulju- 
{?ellare^  e  da  che  gli  ha  letti  e  ben  im- 
pressi si  usi  (i)  spesse  volte  di  dire; 
perchè  il  ben  palliare  si  è  tutto  dato 
alla  usanza^  che  ogni  cosa  si  acquista 
per  uso  et  abbassa  molto  per  disusare^ 
e  senza  usare  non  puh  essere  alcuno 
buono  parlatore. 

(i)  Ausi.  Testo  Manni, 


(*)  Questo  Prologo  ed  i  seguenti  quattro.  Ca- 
pitoli hanno  molta  diversità  nel  Testo  pubblicato 
da  Doni.  M»  Manni  in  Firenze  1735  in  f^to;  testo 
che  qui  si  ricopia  affinchè  V Operetta  presente  of-^ 
fra  le  varie  lezioni  nella  loro  integrità. 

Per  manifeste  ragioni  provano  i  savj  filosofi,  che 
scrissono  dottrina  di  parlare,  che  la  virtù,  che  die- 
de Iddio  all'uomo  di  sapere  favellare,  è  la  cagione 
perchè  avanzi  le  bestie,  e  quanto  per  la  detta  cagio- 
ne è  maggiore,  e  migliore,  che  gli  altri  animali,  co- 
tanto è  r  uno  uomo  migliore,  che  1'  altro  in  ciò,  che 
sa  favellare  meglio,  e  più  saviamente.  Ed  io  veg- 
gendo  nella  favella  cotanta  utilitade,  si  mi  venne  in 
talento  a'  prieghi  di  certe  persone,  della  Rettorica 
di  Tullio,  e  d'altri  detti  di  savj  cogliere  certi  fiori, 
per  li  quali  del  modo  del  favellare  dessi  alcuna  dot- 
trina ;  e  non  veggendo,  come  il  potessi  ben  fare  per 
molta  altra  briga,  e  faccenda,  ch'aveva  per  la  cura 
del  mondo,  si  mi  puosi  in  cuore,  certi  tempi,  che 
sono  dati  all'  uomo  per  riposo,  in  istudio  di  questo 
fatto  volere  consumare,  e  noi  feci  perchè  fosse  mia 
credenza,  che  solo  la  bella  favella  per  se  avesse  al- 
cuna bontà,  se  colui,  che  sa  favellare,  in  se  non  a- 
vesse  senno,  e  giustizia,  anzi  sanza  !e  dette  due  co- 
se, secondochè  dicono  li  savj,  è  quella  persona,  per 
la  favella  una  pistolenzia  grandissima  del  suo  pae- 
se, perchè  la  sua  favella  cosi  è  in  lui  pericolosa  , 


com'  uno  coltello  aguto,  e  tagliente  in  mano  d'uno  fu- 
rioso. Ma  se  l'uomo  ha  in  se  senno  in  saper  bene  in 
sulle  cose  vedere,  e  ha  in  se  giustizia,  cioè  ferma  vo- 
lontà di  volere  le  cose  ben  disporre,  e  dirittamente 
volerle  fare,  si  gli  fa  bisogno  di  sapere  favellare,  ac- 
ciocché sappia  le  cose  mostrare,  ed  aprire,  e  sanza 
la  favella  sarebbe  la  bontà  sua,  come  uno  tesoro  ri- 
posto sotterra,  che  se  non  è  saputo,  più  che  terra  non 
vale  ;  e  dacché  la  favella  é  accompagnata  in  alcuna 
persona  colla  giustizia,  e  col  senno,  rende  si  perfet- 
to r  uomo,  eh'  è  tanto  meglio,  che  non  sono  gli  al- 
tri, quant'io  t'  ho  mostrato  di  sopra,  che  sono  gli  uo- 
mini per  la  favella  meglio,  che  gli  altri  animali,  per- 
ché vale  molto  a  se  medesimo,  è  molto  utile,  e  caro 
a  suo  comune,  e  agli  amici,  e  parenti  è  grandissimo 
consiglio,  e  rifugio.  Dunque  qualunque  persona  ha 
volontà  di  sapere  piacevolmente  ben  parlare,  si  si 
pensi  imprima  d'avere  senno,  acciocché  conosca,  e 
senta  quello,  che  dice,  e  poi  pigli  ferma  volontà  di 
aoperare  giustizia,  e  misura,  acciocché  delle  sue  pa- 
role non  si  possa  altro,  che  bene  seguitare;  e  que- 
sto cotale  legga  sicuramente  in  questo  libro,  e  sen- 
ta meco  certi  ammaestramenti,  che  sono  dati  da'  sa- 
vj  in  sul  favellare,  e  dacché  gli  ha  letti,  e  bene  in- 
tesi, si  ausi  spesse  volte  di  dire,  perché  il  bello  par- 
lare è  tutto  dato  all'usanza,  e  sanza  usare  non  puote 
essere  alcuno  bel  parlatore. 


Il 


Per  quanti  modi  j' appara  dottrina  di  parlare» 

Coloro,  che  vogliono  perfettamente  sapere  favel- 
lare, possono  venire  a  capo  di  loro  intendimento  per 
tre  vie  ;  l'una  per  usanza  di  molto  dire,  perchè  u- 
sando  di  dire  1'  uomo,  la  natura  l'aiuta,  sicché  da  se 
medesimo  imprende  ;  V  altra  per  seguitare  nel  suo 
dire  alcuno  bello  dicitore,  perchè  dilettandosi  l'uo- 
mo nella  favella  d' alcuna  savia  persona,  seguita  le 
parole,  e  '1  modo  suo  ;  la  terza  per  vedere,  e  sentire 
gli  ammaestramenti,  e  la  dottrina,  che  sul  favellare 
è  data  da'  savj  ;  e  per  li  due  modi,  che  sono  posti 
prima  di  sopra,  cioè  o  per  usanza  di  molto  dire,  o 
per  seguitare  nel  suo  dire  alcuno  bello  dicitore,  ap- 
parano gli  uomini  laici  a  parlare,  e  non  per  lo  ter- 
zo, cioè  per  sapere  la  dottrina,  che  in  sul  favellare  è 
data  da'  savj,  perchè  non  la  sanno,  né  posson  sape- 
re, perchè  è  data  per  lettera  da  loro.  Ma  acciocché 
per  questa  via  possano  i  laici  alcuna  cosa  sentire,  mi 
penso  di  darne  in  volgare  alcuna  dottrina,  avvegna- 
ché malagevolemente  si  possa  fare,  perchè  la  mate- 
ria è  molto  sottile,  e  le  sottili  cose  non  si  possono 
bene  aprire  in  volgare,  sicché  sen'  abbia  pieno  in«- 
tendimento  ;  però  colui,  che  legge  in  questo  libro, 
legga  prima,  e  rilegga  molte  volte,  sicché  da  se  me- 
desimo intenda  bene  ogni  cosa,  e  se  dubitasse  d'al- 
♦  cuna  cosa,  e  non  la  intendesse,  non  si  tema  di  ricor- 
rere ai  savj,  perchè  domandare  ispesse  volte  delle 


12 


cose  dubbiose  è  una  delle  cinque  chiavi  di  sapien- 
za, per  la  quale  puote  1'  uomo  savio  divenire. 

Sopra  quante  favelle  si  dà  dottrina  di  parlare. 

Della  dottrina,  e  delli  ammaestramenti,  che  'n 
sul  favellare  son  dati  da'  savj,  vogliendo  certi  utili,  e 
belli  fiori  recare  in  volgare,  fa  bisogno  di  sapere  in 
prima  quante  sono  le  favelle,  nelle  quali  si  dà  dot- 
trina di  parlare  ;  e  pongono  i  savj,  che  sono  tre  ;  iu- 
diciale,  diliberativa,  e  dimostrativa.  La  giudiciale  é 
favella  di  contenzione,  perchè  contiene  in  se  accu- 
sa, o  domandagione,  contradicimento,  e  difensione  ; 
ed  è  detta  giudiciale,  perchè  s'  usa   di  fare  dinanzi 
agli  giudici,  e  signori,  che  rendono  intra  le  genti  ra- 
gione, mostrando  per  quella  catuna  parte  sua  inten- 
zione, e  la  ragione  del  detto  suo.   La  diliberativa  è 
favella,  per  la  quale  consiglio  si    piglia,  ed   è  detta 
diliberativa,  perchè  fatta  la  proposta,  sopra  la  quale 
si  piglia  consiglio,  diverse  ragioni  muovono  i  consi- 
gliatori a  pigliare  molti  partiti,  e  però  quella  favella 
si  dilibera  qual  partito  sia  il  migliore.  Dimostrativa 
è  favella,  per  la  quale  si  dice  bene  o  male  d' alcuna 
persona,   ed  è  detta  dimostrativa,  perchè  si  mostra 
per  quella,  che  sente  la  persona,    della  quale  si   fa- 
vella; e  questo  ha  luogo  nel  dire  ispesse  volte,  av- 
vegnaché per  ciò  principalmente  non  si  faccia. 


i3 


Di  quante  cose  dee  essere  il  dicitore  ammaestrato, 
acciocché  sappia  favellare  perfettamente. 

Veduto  per  quanti  modi  s'  appari  di  favellare 
perfettamente,  e  quante  sono  le  favelle,  nelle  quali 
di  parlare  è  dato  dottrina  per  li  savj,  si  voglio  ora 
mostrare  di  quante  cose  dee  essere  il  dicitore  am- 
maestrato, acciocché  sappia  perfettamente  parlare. 
Egli  dee  essere  ammaestrato  di  tre  cose  ;  la  prima, 
che  la  sua  diceria  sappia  dire  con  perfetta  favella  ; 
la  seconda,  che  a  memoria  la  si  sappia  recare  prima, 
che  parli  ;  la  terza,  che  la  sappia  bene,  e  piacevol- 
mente profFerere.  E  che  dottrina  è  data  da'  savj  so- 
pra le  dette  cose  ti  voglio  per  ordine  mostrare,  ed 
aprire  ;  e  prima  della  dottrina  data  da'  savj,  come 
il  dicitore  dee  sapere  dire  la  sua  diceria  con  favella 
perfetta. 

A  volere  il  dicitore  con  perfetta  favella  sapere 
dire  la  sua  diceria,  fa  bisogno  di  sapere  in  prima, 
che  cose  dee  avere  in  se  la  favella  perfetta.  La  per- 
fetta favella  dee  quattro  cose  in  se  avere  ;  la  prima, 
che  sia  buona,  la  seconda,  che  sia  composta,  la  ter- 
za, che  sia  ornata,  la  quarta,  che  sia  ordinata  ;  e 
quale  favella  buona,  e  quale  composta  ;  e  quale  or- 
nata, e  quale  ordinata  sia  ti  vo'  per  ordine  dimostra- 
re, e  aprire,  e  prima  quale  è  buona  favella. 


t4 


Qual  è  buona  favella. 

Buona  è  detta  quella  favella,  eh'  ha  in  se  quat- 
tro cose  ;  la  pr  ima,  che  tutte  le  parole,  che  sono  nel 
detto  di  colui,  che  favella,  s'accordino  insieme,  cioè, 
non  si  pecchi  in  latino;  la  seconda,  che  si  proferino 
le  parole,  come  si  conviene  a  ragione  secondo  il  vol- 
gare, nel  quale  s  i  favella,  e  per  discacciare  dalla  fa- 
vella i  detti  due  vizj,  fu  fatta  tutta  l'arte  della  gra- 
matica,  la  quale  insegna  fare  le  dette  due  cose,  e  divi- 
desi  nelle  dette  due  parti,  che  s'appellano  silogismo, 
e  barbarismo,  come  sanno  i  gramatici  ;  la  terza,  che 
ponga  il  dicitore  nel  detto  suo  parole  proprie,  cioè, 
che  si  facciano  bene  col  fatto,  che  dice  ;  la  quarta, 
che  dica  il  detto  suo  per  parole  usate,  secondo  il 
volgare,  nel  quale  egli  favella. 


\ 


i5 
TRATTATO  PRIMO 

Qui  tratta  sopra  sapere  bene  et  ordinatamen- 
te fa^^ellare,  e  per  quanti  modi  si  appara  a  bene  e 
drittamente  parlare,  e  V  usanza  che  fa  di  bisogno. 


G 


loloro  che  vogliano  sapere  ornatamente  e 
piacevolmente  favellare ,  bene  e  profittabilmente 
possono  venire  a  capo  di  loro  intendimento  per 
tre  vie.  L' mia,  per  molta  usanza  di  dire,  perchè 
usando  di  dire  l'uomo,  la  natura  lo  aiuta  sicché 
da  sé  medesimo  imprende.  La  seconda,  per  se- 
guitare nel  suo  dire  alcuno  bello  dicitore  che  ab- 
bia già  udito,  perchè  dilettandosi  T  uomo  nel  dire 
di  alcuna  savia  persona,  e  del  bello  dicitore  segui- 
tando le  parole,  il  modo  suo  si  adorna.  La  terza, 
per  vedere  e  per  sentire  la  dottrina  e  gli  ammae- 
stramenti che  in  sul  favellare  è  data  da'  savii  ;  ma 
questo  interviene  per  li  dui  modi  che  sono  posti 
di  sopra,  cioè  per  usanza  di  molto  dire,  o  per  se- 
guitare nel  suo  dire  alcuno  bello  dicitore.  Non  ap- 
parano gli  uomini  laici  a  parlar  bene  per  lo  ter- 
zo, cioè  per  sapere  o  per  vedere  o  per  sentire 
gli  ammaestramenti  e  la  dottrina  che  in  sul  favel- 
lare è  data  da'  savii,  perchè  non  la  sanno  e  non  la 
possono  sapere,  perocché  è  data  per  lettera  da 


loro  ;  che  per  niuno  dei  detti  tre  modi  di  sopra  ap- 
para l'uomo  bene  a  parlare,  se  prima  non  usa  di 
dire  ;  ma  usando  di  dire  e  sapendo  gli  ammaestra- 
menti dati,  o  seguitando  nel  dire  alcuno  bello  di' 
citore,  si  appara  a  favellare  tosto  e  piacevolmen- 
te.. Per  la  qual  cosa  possiamo  vedere,  che  il  bel 
dire  è  tutto  dato  da  usanza,  e  senza  usanza  non 
può  essere  bel  dicitore;  e  per  usanza  di  molto  di- 
re, o  per  seguitare  nel  suo  dire  alcuno  bello  dici- 
tore apparano  gli  uo'mini  valenti  laici  a  parlare,  e 
non  per  sapere  gli  ammaestramenti  dati  da'  sa  vii 
in  sul  favellare,  perocché  non  gli  sanno.  Ma  per- 
ciocché per  questa  via  possano  i  laici  che  non  so- 
no allitterati  (i)  alcuna  cosa  vedere,  m^  ingegne- 
rò di  darne  alcuno  ammaestramento  ,  avvegna- 
ché malagevolmente  si  possa  ben  fare,  perché  la 
materia  é  molto  sottile  a  me  non  ben  saputo  ;  e  le 
sottili  cose  non  si  possono  ben  aprire  in  vulga- 
re ,  sicché  se  n'  abbia  bene  fermo  intendimento 
da'  non  litterati,  se  '1  sponitore  non  è  savio.  E  pe- 
rò quegli  che  legge  in  questo  libretto,  se  di  alcu- 
na cosa  dubitasse,  legga  in  prima  e  rilegga  molte 
volte,  sì  che  da  sé  medesimo  l'intenda,  che  io  pu- 
re dirò  sì  che  intendere  si  potrà  ;  e  se  alcuna  volta 


(i)  litterati,  leggesi  nelV  antica  edizione. 


^7 

dubitasse  di  cosa  che  non  intendesse,  si  ricorra 
a'  savii,  perciocché  nel  faranno  inteso  (i);  perchè 
il  domandare  spesse  vohe  delle  cose  dubbiose  è 
una  delle  cinque  chiavi  d^lla  sapienzìa,  per  la  qua- 
le l'uomo  può  diventare  savio. 

Qui  comincia  di  che  materia  dee  trattare  il  libro, 
e  mostra  /'  ordine  che  debbe  tenere. 

Della  dottrina  e  degli  ammaestramenti,  che  'n 
sul  favellare  sono  dati  da'  savii,  volendo  alcuna 
cosa  ritrarre  in  vulgare,  ti  voglio  in  prima  mo- 
strare come  il  dicitore  debba  sapere  bene  e  orna- 
tamente parlare  ;  appresso^  come  il  detto  suo  deb* 
ba  sapere  ordinare;  appresso,  come  con  bel  reggi- 
mento e  piacevole  volto  debba  sapere  il  detto  suo 
ben  profferire  ;  appresso,  per  quante  vie  e  modi  si 
debbe  e  può  consigliare  in  su  le  cose  ;  appresso, 
per  quanti  modi  si  può  dire  bene  e  male  ad  al- 
cuna persona  ;  e  chi  delle  dette  cose  vuole  impa* 
rare ,  arrenda  tutto  l' animo  suo  al  detto  mio ,  e 
fermi  la  memoria  e  lo  'ntendimento  (2),  perchè 


(i)  Io  informeranno,  leggesi  nelV  antica  edi-' 
•zìone. 

(2)  e  sottigli  lo  ingegno  e  affermi  la  memoria; 
leggesi  nelV  antica  edizione. 

J2 


ÌS 

la  materia  è  molto  sottile  e  contiene  in  sé  molto 
utili  cose. 

Qui  dice  dei  tre  oj^dini  delle  cose  che 
bisogna  conoscere. 

Sappi  che  tre  sono  le  maniere  delle  cose,  so- 
pra le  quali  tu  puoi  e  dei  dire,  cioè  Dimostrati- 
va ,  Deliberativa  e  Giudiciale.  Dimostrativa  è  la 
la  prima  catena  (i)  e  maniera  di  lodare  e  vitupe- 
rare alcuna  persona  secondo  il  suo  merito.  Delibe- 
rativa maniera  è  quella  che  ammaestra  di  dire 
quello  che  è  giusto  e  non  giusto  (2). 

Qui  dice  delle  parti  di  Rettorica. 

L'  Arte  della  Rettorica  ammaestra  di  sapere 
ben  favellare,  e  fa  di  se  cinque  parti.  Invenzione, 


(i)  tema.  Cod.  della  Marciana» 

(2)  Manca  nelV  antica  edizione  la  spiegazione  del- 
la maniera  Giudiciale,  Nel  Cod.  della  Marciana  legge- 
si  una  ripetizione  a  sproposito  cosi:  Giudiciale,  ammae- 
stra di  dire  quello  che  è  giusto  e  non  giusto.  Per  sup- 
plirvi colla  scorta  del  Testo  Manni  si  aggiunga  :  Giu- 
diciale maniera  è  quella,  che  si  usa  di  fare  dinanzi  agli 
giudici  e  signori;  che  readooo  intra  le  genti  ragione. 


*9 

Disposizione,  Elocuzione,  Memoria  e  Pronunzia- 
zione.  Siccome  di  sei  parti  :  Esordio,  Narrazione, 
Divisione,  Confirmazione,  Confutazione  (i)  e  Con- 
clusione. 

Qui  dice  delle  quattro  maniere  delle  cose^  che 
fa  di  bisogno  sapere  al  dicitore. 

Innanzi  che  noi  diciamo  dell'Esordio  debbia- 
mo sapere,  che  quattro  sono  le  maniere  delle  co- 
se, le  quali  sono  materiale  e  fundamento  del  dire  ; 
cioè  :  Onesta,  Laida,  Dubbia  e  Vile.  La  primiera  (2) 
è  Onesta  quando  alcuno  difende  la  giustizia  dalla 
ingiustizia  ;  Laida  è  quando  alcuno  difende  la  in- 
giustizia e  condanna  la  giustizia;  Dubbia  è  quando 
la  cosa  ha  parte  di  onestà  e  parte  di  laidezza  ;  co- 
me quando  alcuno  difende  il  padre  contra  la  ma- 
dre, e  la  madre  contra  il  padre  ;  Vile  si  è  parlare 
di  vili  e  basse  cose  ;  e  vili  quando  la  cosa  e  la  qua- 
lità del  fatto  è  piccolo ,  come  se  parlasse  F  uo- 
mo di  una  gallina. 


(i)  KispoDsione»  Cod.  della  Marciana, 
(a)  prima,  leggesi  neW  antica  edizione. 


20 


Qui  dice  deir  operamento  del  cominciare. 

Li  ammonimenti  (i)  e  la  dottrina  clie  in  sul 
parlare  è  dato  da'  savii  volendo,  in  quanto  è  pos- 
sibile, recare  in  vulgare,  e  quanto  è  bastevole  a  co- 
loro, elle  sono  laici,  di  sapere,  e'  fa  bisogno  di  sa- 
pere in  prima  quaFè  la  materia  della  quale  si 
favella.  E  dicono  i  savii,  che  tutta  la  materia  del 
favellare  è  in  tre  generazioni  :  cioè  :  Giudiciale,  Di- 
mostrativa e  Deliberativa,  Giudiciale  è  quella  fa- 
vella quando  si  domanda  alcuna  cosa,  o  si  accu- 
sa alcuna  persona,  o  rispondesi  alla  dimanda  e  al- 
l'accusa  fatta  da  alcuno;  et  è  detta  Giudiciale, 
perchè  si  usa  dinanzi  a'  signori  o  a'  giudici  che 
rendono  la  ragione,  et  è  favellare  di  contenzione. 
Deliberativa  è  detta  quella  favella  quando  sopra  ai- 
cuna  cosa  si  consiglia,  et  è  detta  Deliberativa ,  per- 
chè colui,  che  consiglia,  delibera  in  prima  quello 
che  è  da  prendere  nel  consiglio.  Dimostrativa  è 
quella  favella  quando  si  dice  o  bene  o  male  di  alcu- 
na persona,  et  è  detta  Dimostrativa,  perchè  dimo- 
stra la  gente  e  (2)  la  persona  della  quale  si  favella:  le 

(i)  ixàào\xi?iXìdi2Lm.Bnl\jleggesinelV antica  edizione. 
{2)  chente  è.  Cod.  della  Marciana^  e  nel  Testo 
Manni  leggesi  la  gente  e. 


ai 

quali  favelle  come  si  possano  usare,  e  favellare  per- 
fettamente, ti  voglio  per  ordine  mostrare  e  aprire 
quello  elle  i  savii  dicono;  cioè,  che  modi  debba  u- 
sare  il  dicitore  acciocché  possa  dirittamente  par- 
lare. I  modi  che  debbe  avere  sono  tre  :  Grave,  Mez- 
zano e  Minore.  Grave  è  detta  quella  favella,  la  cui 
materia  è  di  gran  fatto  et  ha  in  se  ornate  parole 
e  belle  sentenzie^  siano  esse  proprie  o  per  simili- 
tudine. Mezzana  favella  è  quella,  la  cui  materia 
non  e  così  alta,  e  non  ha  in  sé  tanti  ornamenti.  Mi- 
nore é  detta  quella  favella,  la  cui  materia  é  di  vir 
le  cosa,  e  dicesi  del  comune  ragionamento  che  si 
fa  tra  la  gente.  Ora  ti  dirò  della  favella  Giudiciale, 
che  è  posta  in' prima  di  sopra,  e  nella  quale  si  usa 
più  spesso  di  parlare. 

Qui  dice  di  che  cosa  debba  essere  ammaestrato 
il  dicitore. 

Qualunque  persona  che  nella  favella  giu- 
diciale vuole  favellare  perfettamente,  dee  essere 
ammaestrato  da  sei  cose.  La  prima,  che  faccia  la 
sua  favella  buona  ;  la  seconda,  che  la  faccia  com- 
posta ;  la  terza,  che  la  faccia  ordinata  ;  la  quarta, 
che  la  faccia  ornata;  la  quinta,  che  sappia  re- 
care (x)   le    sue  parole  a  memoria  innanzi  che 

(i)  ritenere;  leggesì  nelV antica  edizione. 


23 


parli;  la  sesta,  che  le  sappia  bene  e  piacevolmente 
profferire,  quando  le  dice.  E  come  il  dicitore  sap- 
pia tutte  le  dette  cose  ben  fare  sì  ti  voglio  per  or- 
dine mostrare  et  aprire. 

Qui  dice  della  buona  fustella. 

La  prima  cosa  onde  il  dicitore  debbe  essere 
ammaestrato,  acciocché  nella  favella  giudiciale  sap- 
pia favellare  perfettamente,  si  è,  che  la  sua  favella 
faccia  buona.  E  quella  è  detta  buona  favella  che  ha 
in  sé  quattro  cose.  La  prima,  che  tutte  le  parole 
della  diceria  si  accordino  insieme  ;  la  seconda,  che 
le  profferisca  come  si  conviene  a  ragione  ;  la  terza, 
che  si  dica  la  diceria  per  proprie  parole  j  la  quarta, 
che  si  dica  e  contenga  in  sé  parole  usate.  Accor- 
dansi  le  parole  della  diceria  insieme,  quando  si  di- 
cano in  tale  modo  che  non  si  pecchi  in  latino.  Prof- 
feransi  le  parole  della  diceria  come  si  conviene  a 
ragione,  quando  si  dicano  come  si  conviene  secon- 
do il  vulgare  d' onde  si  favella  :  e  per  discacciare 
dalla  favella  i  detti  due  vizii  fu  fatta  tutta  F  ar- 
te della  Grammatica,  la  quale  si  divide  nelle  det- 
te due  parti,  che  si  appellano  Barbarismo  e  Sil- 
logismo (i).  La  parte  della  Grammatica,  che    si 

(i)  Sollecismo,  leggasi  nelV antica  edizione* 


$3 

appella  Sillogismo  t'insegna  le  parti  della  diceria 
sì  acconciare  che  non  si  pecchi  in  latino;  e  quel- 
la, che  si  appella  Barbarismo  t' insegna  le  par- 
ti della  diceria  ben  profferire,  come  sanno  bene  i 
Grammatici.  E  dicesi  la  diceria  per  parole  proprie, 
quando  si  dice  con  parole  che  bene  si  fanno  col 
fatto;  e  dicesi  la  diceria  per  parole  usate,  quando 
non  si  dice  per  parole  straniere,  cioè  che  non  sia- 
no in  usanza  di  dicitore. 

Qui  dice  della  favella  composta. 

La  seconda  cosa  laonde  il  dicitore  dee  esse- 
re ammaestrato  e  ammonito,  acciocché  nella  fa- 
vella Giudiciale  favelli  perfettamente,  si  è,  che  fac- 
cia la  sua  parola  composta  ;  e  quella  è  detta  com- 
posta favella  quando  la  favella  e  le  parole,  che  so- 
no insieme  poste,  suonano  bene  e  piacevolmen- 
te Funa  dopo  F  altra,  e  possonsi  acconciamente 
profferire.  E  questo  si  puote  fare  così,  che  1  dici- 
tore si  guardi  da  sei  cose  :  La  prima,  che  non  fac- 
cia nella  diceria  e  nel  detto  suo  alcuno  iato  ;  la  se- 
conda, che  non  ponga  molti  nomi  (i)  insieme  nel 
detto  suo,  nelli  quali  una  medesima  lettera  molte 

(i)  molte  Qomora.  Cod,  della  Marciana^  e  Testo 
Marini,  e  così  parecchie  altre  volte  per  innanzi. 


volte  si  ridica  •  la  terza  ,  clie  nella  sua  dice- 
rìa non  ridica  una  medesima  parola  molte  volte  ; 
la  quarta,  che  non  ponga  molti  nomi  insieme 
elle  siano  consonanti,  o  che  si  accordino  in  rima  • 
la  quinta  cosa,  che  nella  sua  diceria  non  traspon- 
ga parole  sozzamente  ;  la  sesta,  che  non  continui 
sue  parole  troppo  dalla  lunga.  La  prima  cosa,  on- 
de ti  dissi  che  si  dee  guardare  il  dicitore  a  fare  la 
sua  parola  composta,  si  è,  che  non  faccia  alcuno 
iato  nella  sua  diceria.  Iato  s  intende,  che  non  di- 
ca la  parola  che  finisca  in  ee,  e  ricominci  in  e,  e 
così  si  guardi  di  ciascuna  lettera  vocale  ;  il  quale 
iato  si  fa  quando  il  dicitore  pone  dui  o  più  nomi 
insieme,  che  V  uno  finisca  in  alcuna  di  queste  cin- 
que lettere,  che  sono  appellate  vocali,  cioè  A.  E. 
I.  O.  U;  e  l'altro,  che  seguitasse,  incominci  dal- 
la lettera  simigliante ,  o  da  alcun'  altra  di  quel- 
le ;  e  questo  è  lo  esempio  (i)  :  Quando  andana  cà- 
ia Quarantina  a  Roma^  di  marzOy  m  intoppai  in 
Martino  in  Viterbo  in  andando  .  La  seconda  ^ 
cioè,  che  il  dicitore  non  ponga  molti  nomi  in- 
sieme, colli  quali  una  medesima  lettera  molte  vol- 
te si  ridica;  e  questo  è  lo  esempio:  Di  fino  talen* 
io  ti  amava  tanto  (2)  teneramente  che  posare  mi 

(i)asempro;  e  così  quasi  sempre  nel  Testo  Manni. 
(2)  li  amai  tra  gli  altri  taulo.  Testo  Manni. 


parea  in  Paradiso,  pensando  che  ni  eri  piacen- 
te (i).   Della  terza^  cioè,  che  non  si  ridica  una 
medesima  parola  molte  volte,  questo  è  lo  esempio  : 
Della  ragione,  onde  ragione  non  si  può  dare,  non 
è  da  dare  Jede  a  quella  ragione.  Anche.  FMi  è 
ben  buono  di  molta  bontà,  ma  sconcia  la  bontà 
sua,  perchè  di  bontà  vuole  essere  lodato,  e  che 
abbia  bontà  fa  grande  vista,  E  questo  dee  osser- 
vare il  dicitore,  se  non  ridicesse  la  parola  per  ca- 
gione di  fare  alcun  hello  ornamento,  come  più  in- 
nanzi ti  mostrerò  che  si  può  fare.  Della  quarta,  cioè, 
che  non  ponga  il  dicitore  nella  sua  diceria  mol- 
ti nomi  insieme  che  siano  consonanti,  o  che  si  ac- 
cordino insieme  in  rima ,  questo  è  lo  esempio  : 
Lacrimando,  piangendo,  luttando  mi  disse  in  an- 
dando. Della  quinta,  cioè,  che  nella  sua  diceria 
non  trasponga  parole  sozzamente,  questo  è  lo  e- 
sempio  :  À  te,  lo  dico,  figliuolo  di  Ioanni  Marti- 
no. Della  sesta,  cioè,  che  '1  dicitore  non  continui 
sue  parole  molto  da  lungi  (2),  si  è,  quando  il  di- 
citore avendo  detto  sopra  una  cosa,  e  poi  molte 
altre  cose  dette  innanzi  (3),  quella  cosa  vorrà  ri- 
pigliare ;  e  di  questo  non  fa  di  bisogno  di  dare 

(i)  sì  pareva,    che  parlassi  piacente.  Testo  Man- 
nij  e  tanto  era  piacente.  Cod.  della  Marciana. 

(2)  dalla  lunga,  leggesi  nelV qntica  edizione. 

(3)  in  mezzo,  leggesi  neW antica  edizione. 


26 

esempio,  percliè  apertamente  si  vede,  che  le  orec- 
chie dell'  uditore  e  lo  spirito  del  dicitore  di  ciò  ri- 
ceve grande  ofFensione  per  quella  cagione.  Tutte 
le  cose,  che  in  fino  a  qui  sono  dette  di  sopra,  dee 
osservare  il  dicitore  a  ben  componere  insieme  le 
parti  nella  favella  perfetta.  L'altro,  che  si  dirà  per 
innanzi,  è  tutto  come  si  dee  ordinare  (  i)  la  favella. 

Qui  dice  della  ordinata  favella. 

La  terza  cosa  onde  il  dicitore  dee  essere  am- 
maestrato, acciocché  nella  favella  giudiciale  favelli 
perfettamente,  si  è,  che  la  sua  favella  faccia  ordina- 
ta ;  e  questo  ordinare  della  favella  è  di  tanta  virtù 
nel  dire,  che  dicono  i  savii,  che  così  dà  vittoria  nel 
suo  intendimento,  come  le  schiere  de'  cavalieri  ben 
composte  e  ordinate  fanno  vincere   al  signore  le 
battaglie.  Però  alla  dottrina  di  questo  Trattato  ora 
volga  il  dicitore  tutto  l'animo  suo,  e  fermi  la  me- 
moria e    assottigli  lo  ingegno ,  perchè  è  grande 
e  molto  utilissimo  trattato  a  sapere.  Dicono  i  sa- 
vii, che  la  favella  si  può  in  dui  modi  ordinare;  l'u- 
no modo  secondo  la  dottrina  e  la  via  eh' è  trova- 
ta e  data  dall'arte;  l'altro  secondo  che  si  con- 
viene al  tempo,  che  '1  fatto  si  dice. 

(i)  ornare.  Testo  Marini. 


27 

Qui  dice  come  si  ordina  la  diceria  secondo 
V  ordine  dato  dalV  arte  (i). 

Ordinasi  la  favella  secondo  l'ordine  dato  dal- 
l'arte,  quando  il  dicitore  ordina  la  sua  diceria  in 
sei  parti ,  cioè  :  Proemio ,  Narrazione ,  Divisione , 
Confirmazione,  Risponsione  e  Conclusione.  Il  Proe- 
mio è  la  prima  parte  della  diceria,  perla  quale  l'a- 
nimo dell'  uditore  si  rende  benevolo,  o  attento,  o 
ammaestrato  in  sul  fatto.  Narrazione  è  quella  par- 
te per  la  quale  l'animo  dell'uditore  si  rende  be- 
nevolo, ovvero  per  là  quale  il  fatto  si  dice  com'  è 
stato,  o  quasi.  Divisione  è  la  terza  parte  della  di- 
ceria, per  la  quale  sopra  queste  cose  si  dee  dire, 
e  mostrasi  F  ordine  che  dee  tenere.  Confirmazio- 
ne  è  la  quarta  parte  della  diceria,  per  la  quale  si 
pruova  la  contenzione  di  colui  che  favella  per  bel- 
le ragioni  e  per  forti  argumenti.  Risponsione  è  la 
quinta  parte  della  diceria,  per  la  quale  sì  risponde 
alla  diceria  colle  ragioni  che  Y  altra  parte  ha  oppo- 
ste, o  potesse  opponere,  che  al  detto  suo  fosse  con- 
trario.  Conclusione   è   la  sesta  parte  della  dice- 
ria, per  la  quale  il  dicitore  reca   a  memoria  degli 
uditori  in  poche  parole  ciò  che  spartamente  ha 
detto  di  sopra. 

(i)  secondo  la  dottrina,  che  '1  fatto  si  dice,  leg- 
gesì  nelV  antica  edizione. 


/ 


38 

Qui  dice  come  si  ordina  la  diceria  secondo  il 
tèmpo,  che  ^l  fatto  si  dice. 

Ordinasi  la  diceria  secondo  il  tempo,  clie  il 
fatto  si  dice,  quando  si  serba  l'ordine  dato  dall'ar- 
te; e  questo  ordinare  è  tutto  in  arbitrio  di  co- 
lui che  favella,  perchè  partendosi  il  dicitore  dal- 
l' ordine  dato  dall'  arte,  ripiglia  Y  ordine  che  pa- 
re a  lui  che  si  convegna,  secondo  il  tempo,  che  '1 
fatto  si  dice.  E  molte  volte  non  fa  proemio,  o  se 
fa  proemio  non  fa  narrazione,  o  se  fa  narrazione 
non  fa  divisione,  e  talora  mette  innanzi  la  nar- 
razione al  proemio,  e  talora  lascia  tutte  tre  le  det- 
te cose,  cioè  parti  della  dicerìa,  e  fa  il  comincia- 
mento  suo  da  alcuna  forte  allegazione,  o  da  alcuno 
detto  di  savio,  o  da  alcuna  similitudinC;,  o  da  al- 
cun bell'esempio,  onde  possa  il  detto  suo  abbel- 
lire, ovvero  attare  per  innanzi,  E  tutte  le  dette 
cose  non  fa  il   dicitore  senza  cagione,  perchè  se 
gli  animi  degli  uditori  sono  molto  gravati  di  udire, 
per  r  abbondanzia  di  quello  eh'  è  detto  dinanzi 
da  loro,  si  dee  guardare  di  fare  proemio  (i) ,  ma 
incontanente  dee  cominciare  il  detto  suo  da  alcu- 
np  bello  detto  da'  savii^  per  lo  quale  possa  il  detto 
suo  attare  per  innanzi.  Similemente  dee  lasciare 

(i)  narrazione,  leggesi  neW antica  edizione* 


^9 

il  dicitore  di  dire  quella  parte  della  diceria,  che  si 
appella  Responsione,  se  non  ha  alcuna  cosa  a  ris- 
pondere ;  e  quell'altra  parte,  che  si  appella  Con- 
clusione, se  il  detto  suo  è  stato  brieve  e  sì  aperto 
e  sì  chiaro,  che  l'uditore  al  postutto  dee  compren- 
dere agevolmente  e  tenere  a  memoria. 

Qui  dice  della  dottrina  data  in  sul  Proemio, 

Veduto  di  sopra  come  per  l' ordine  dato  dal- 
l' arte  si  divide  in  sei  parti  la  diceria,,  ti  voglio 
mostrare  la  dottrina,  eh'  è  data  da'  savii,  in  ciascu- 
na delle  dette  sei  parti,  e  di  che  cosa  il  dicitore  si 
dee  guardare.  E  prima,  la  dottrina  eh'  è  data  nel 
Proemio  ti  voglio  dire.  La  prima  parte  della  dice- 
ria è  detta  Proemio,  della  quale  dicono  i  savii  che  1 
dicitore,  che  vuole  drittamente  e  bene  parlare,  nel 
cominciamento  della  sua  diceria  dee  fare  alcuno 
Proemio,  per  lo  quale  si  acconcia  F  animo  deir  udi- 
tore a  meglio  udire  ;  e  se  fare  Proemio  non  vuole, 
incominci  il  detto  suo  da  alcuno  bello  esempio,  o 
da  alcuna  piacevole  similitudine,  o  da  alcuna  au- 
torità di  savio  uomo,  o  da  alcuna  ferma  allegazio- 
ne, per  la  quale  possa  per  innanzi  il  detto  suo 
confirmare  e  attare.  Ma  chi  nell'uno  dei  detti  dui 
modi  non  fa  il  cominciamento ,  ma  viene  inconti- 
nente al  fatto,  che  vuole  dire ,  è  avuto  come  colui 


3o 

die  viene  lotoso  a  mangiare,  e  ponsi  al  desco,  e 
non  si  lava  le  mani .  E  perchè  il  Proemio  o  il 
cominciamento  della  diceria  porta  grande  utilità 
quando  è  ben  fatto^  sì  ci  sono  dati  questi  amrau- 
nimenti  per  li  savii.  In  prima,  che  '1  dicitore  fac- 
cia il  suo  Proemio  bene  e  breve  e  di  poche  paro- 
le y  e  che  '1  faccia  chiaro  e  aperto,  sì  che  ne  possa 
l'uditore  agevolmente  trarre  lo  intendimento;  e 
che  '1  faccia  tale,  che  si  accordi  bene  qol  fatto  che 
vuole  dire  ;  e  che  '1  faccia  di  parole  usate  e  non 
disusate  et  oscure  ;  e  guardisi  di  farlo  troppo  or- 
nato acciocché  non  paia  all'  uditore   cosa  pensa- 
ta, perchè  non  si  darebbe  cotanta  fede  alle  parole 
sue  ',  e  faccialo  tale,  che  adoperi  l' una  di  queste 
tre  cose  ;  cioè,  che  renda  l' uditore  più  atteso  al 
detto  suo,  o  rendalo  più  benivolo  a  sé,  o  rendalo 
più  ammaestrato  in  sul  fatto  che  intende  di  dire. 
E  che  parole  può   usare  il  dicitore  per  le  qua- 
li renda  V  uditore  più  atteso  al  detto  suo,  e  per- 
chè renda  F  uditore  più  ammaestrato  in  sul  fatto, 
brievemente  e  per  ordine  tei  voglio  mostrare  et 
aprire.  E  prima  per  che  parole  si  renda  V  uditore 
più  atteso  (i). 

j 
(i)  parole  '1  renda  più  benivolo    a  sé,    e  chenti 

perchè  '1  renda.  Testo  Marini. 


3i 

Qui  dice  come  si  rende  più  atteso  V  uditore. 

e 
Più  atteso  si  può  colui,  che  favella,  rendere 
r  uditore  per  lo  Proemio,  se  proporrà  di  dire  co- 
se grandi,  o  cose  nuove^  o  cose  non  usate  ;  o  se 
proporrà  di  dire  cose  che  si  appartengano  al  co- 
mune, o  che  si  appartengano  a  Dio,  o  che  Si  ap- 
partengano a  coloro  medesimi  che  sono  udito- 
ri. Perchè  quando  T  uditore  ode  dinanzi  dire,  che 
di  cotale  materia  si  dee  trattare,  si  rende  (i) 
incontanente  meglio  a  udire.  Anche  si  rende  atte- 
so r  uditore,  quando  è  pregato  dal  dicitore,  che  be- 
nignamente lo  intenda  ;  o  quando  il  dicitore  apre 
brievemente  dinanzi  sopra  quante  cose  dee  dire, 
e  r  ordine  che  deve  tenere. 

Qui  dice  da  quante  cose  (2)  si  rende  più  benivolo 
V  uditore. 

Più  beni  volo  si  rende  colui,  che  favella,  F  u- 
ditore  da  quattro  cose  5  cioè  dalla  persona  sua , 

(i)  arrende,  leggesi  nelV antica  edizione. 

(2)  per  chenti  parole.  Testo  Mannì.  0  Cliente,  che 
in  antico  pronunciavasi  chinto  o  quinto,  non  viene  a 
noi  dalla  lingua  d*  oc ,  siccome  vuole  il  CorbinelU,  ma  è 
voce  antichissima  romana^  e  forse  della  plebe  latina  v. 
Perticar!,  dell' Amor  patrio  di  Dante.  Mil.  1820  p.  ò'Sg, 


\ 


32 

dalla  persona  dello  avversario,  dalla  persona  di  co- 
lui che  ode  le  cose  delle  quali  si  favella.  Dalla  per» 
sona  sua  colui,  che  favella,  si  rende  benivolo  V  udi- 
tore, se  senza  arroganza  loderà  Fofficio  suo,  o  i  fat- 
ti suoi,  e  dirà  chente  egli  è  stato  per  lo  suo  comu- 
ne, o  per  li  parenti,  o  per  gli  amici,  o  per  coloro 
mecfesimi,  che  l' odono,  acciocché  quello  che  dice 
sempre  si  convenga  col  detto  suo;  perchè  dicen- 
do colui  che  parla  cotali  cose  di  sé,  si  fa  volere 
bene  all'  uditore.  Anche  se  dirà  il  dicitore  alcuna 
cosa  di  sue  miserie,  siccome  é  povertà,  o  come  sia 
stato  prigione,  o  di  sue  avversità  (i),  e  con  esse  di- 
rà che  in  neun'  (2)  altra  persona  ha  mai  fidanza, 
che  noi  possa  aitare  (3)  ,  se  non  è  nell'uditore  . 
Dalla  persona  dello  avversario  suo  si  fa  colui,  che 
favella,  benivolo  l'uditore,  se  per  lo  detto  suo  fa- 
rà r  avversario  suo  venire  in  invidia  dell'  uditore, 
o  in  odio,  o  in  dispregio.  In  invidia  il  farà  venire, 
se  dirà,  clie  sia  ricco  o  potente  o  gentile,  o  che 
sìa  compagno  dell'  uditore,  od  oste  o  parente,  op- 
pure altre  tali  cose  abbia,  onde  l'uomo  ha  baldan- 
za di  potere  torcere   (4)  la  ragione  ;  e  mostrerà 

(i)  povertade,  o  che  sia  istato  in  prigione,  o  dirà 
di  sue  avversità.  Testo  Manni. 

(2)  verun',  teggesi  nelV  antica  edizione, 

(3)  alare.  Testo  Manni, 

(4)  torre,  leggesi  nelV  antica  edizione* 


33 

come  l  avversario  più  si  fida  (i)  nelle  dette  cose,  che 
in  altra  ragione  che  si  creda  avere.  In  odio  il  farà 
venire,  se  dirà,  che  sia  superbo  o  malizioso  o  cru- 
dele, o  abbia  in  sé  altre  cotali  cose,  onde  1'  uomo 
è  dalle  genti  odiato  (2).  In  dispregio  il  farà  venire, 
se  dirà  eh'  è  matto  o  pigro  o  lento  o  lussurioso, 
o  abbia  in  sé  altre  cose  onde  Y  uomo  è  caduto  in 
dispregio.  Dalla  persona  di  colui,  che  ode,  sì  farà 
colui,  che  favella,  benivolo  1'  uditore,  se  dirà  senza 
arroganza,  che  V  uditore  sia  savio  o  forte  o  umi- 
le o  grande,  o  dirà  alcuna  cosa  la  quale  egli  cre- 
derà che  l'uditore  oda  dire  volentieri  di  sé.  Dalle 
cose  delle  quali  si  favella,  si  farà  colui,  che  parla, 
benivolo  l' uditore,  se  dirà  il  detto  suo,  mostrando 
come  quello,  che  dice,  è  cosa  buona  e  onesta,  e 
quello,  che  dice  l'altra  parte,  è  cosa  rea  e  mal- 
vagia. ' 

Qui  dice  come  si  fa  più  ammaestrato  l'uditore. 

Più  ammaestrato  in  sul  fatto  può  colui,  che 
favella,  rendere  l' uditore  in  due  modi.  L'uno,  quan- 
do il  rende  più  atteso  al  detto  suo;  e  più  atteso  si 


(i)  raffida.  Testo  Mannù 
(a)  iaodiato.  Testo  Marini, 
5 


34 

può  rendere  per  le  parole  che  ti  ho  già  dette  di  so- 
pra ;  perocché  allotta  (  i)  si  ammaestra  ben  l'udito- 
re in  sul  fatto,  quando  egli  è  stato  bene  atteso  al 
dicitore.  L'altro  modo  si  è,  quando  il  dicitore  apre 
dinanzi  brievemente  le  cose  ch'egli  intende  di- 
re, e  mostra  V  ordine  eh'  egli  deve  tenere. 

Qui  dice  della  dottrina  della  Narrazione  (2). 

Narrazione  è  la  seconda  paite  della  diceria, 
per  la  quale  si  conta  il  fatto  sopra  lo  quale  si  dee 
dire  5  della  quale  dicono  li  sa  vii,  che  a  volere  il 
fette  drittamente  narrare,  fa  bisogno,  che  si  dica 


(i)  allora,  leggesl  nelV antica  edizione» 
(2)  Questo  Capitolo  nel  Testo  Manni  leggasi  co» 
me  segue  : 

Più  atteso  si  può  colui,  che  favella,  rendere  Y  u- 
ditorC;  se  proporrà  di  dire  cose  grandi,  o  cose  nuove, 
•0  non  usate,  o  proporrà  di  dire  cose,  die  s*  apparten- 
gano al  comune,  o  che  s'appartengano  a  Dio,  o  che 
s'appartengano  a  coloro  medesimi,  che  sono  uditori; 
perchè  quando  l'uditore  ode  dinanzi  dire,  che  di  co- 
tale materia  si  dee  trattare,  s'arrende  incontanente  me- 
glio a  udire.  Anche  si  rende  1*  uditore  atteso  quando 
pregalo  dal  dicitore  è,  che  benignamente  lo  'utenda,  o 
quando  il  dicitore  apre  brievemente  dinanzi  sopra  quan- 
te cose  dee  dire. 


35 

brievemente  e  chiaro  e  aperto  ;  e  che  si  dica  in 
modo  che  paia  vero  ossia  verisimile  quello,  che  si 
dice,  e  come  le  detto.  E  come  le  dette  cose  si  pos- 
sano ben  fare  ti  voglio  per  ordine  mostrare  e  apri- 
z'e  brievemente, 

la  che  modo  si  puh  U  fatto  brievemente  narrare. 

Si  può  il  fatto  narrare  brievemente,  se  colui, 
che  favella,  non  si  fa  dal  cominciamento  del  fatto, 
ma  fassi  da  quello  luogo  che  fa  bisogno  ]  e  se  non 
seguita  il  fatto  iìisino  alla  fine^  ma  insino  a  quello 
luogo,  che  fa  mestieri  ;  e  se  dice  il  fatto  sumraa- 
riamente,  e  non  per  partite,  quando  si  conviene 
di  dire  così  ;  perchè  molte  volte  basta  di  dire  so- 
lo, che  il  fatto  sia  fatto,  benché  non  si  dica  il  mo- 
do come  fatto  sia  ;  e  se  guarderassi  di  dire  molte 
cose  che  non  sono  del  fatto  (i)  ma  possono  na- 
scere da  quello  ;  e  se  non  si  partirà  dal  fatto,  che 
ha  cominciato,  e  metterassi  a  dire  altre  cose,  e  si 
tacerà  lo  incominciamento  del  fatto,  che  si  puote 
intendere  dicendo  il  fine.  Onde  se  dirà  il  dicito- 
re, che  sia  toriato  di  Francia,  non  fa  bisogno  di 


(i)  che  ha  cominciato,  e'metter  mano  adire  altre 
cose  5  e  se  tacerà  lo  'acomiuciamento  del  fatto  ec.  Te- 
sto Marini, 


36 

dire,  che  andato  vi  sia  o  non  sia.  E  colui,  che  yuo- 
le  bene  il  fatto  narrare  (i),  non  deve  solamente 
tacere  il  fatto  che  gli  fa  danno,  ma  eziandio  quello 
che  non  gli  fa  ne  danno  né  prode  (2);  e  la  parola, 
che  ha  detto  una  volta,  non  la  ridica  poscia  più, 
come  in  questo  modo  :  NelV  ora  della  cena  {^)fu 
Martino  in  Roma  ;  posciachè  neW  ora  della  ce- 
na {^\)fu  in  Roma  Maiiino  giunto,  cenò  a  gj^an-' 
de  agio;  a  grande  agio  cenato,  mise  uno  guato; 
messo  il  guato  (5)  la  femmina  rapio,  onde  è  na^ 
io  molto  male.  Non  solamente  del  fatto,  ma  delle 
parole,  che  sono  di  soperchio,  si  dee  guardare  co* 
hii  che  favella. 

In  che  modo  si  puote  dire  la  cosa  chiara 
e  aperta. 

Chiaro  e  aperto  si  può  il  fatto  narrare,  se  co- 
lui, che  favella,  dice  veramente  il  fatto  com'  è  sta- 
to, o  com'  è  verisimile  che  stato  sia,  servando  il 
tempo  e  1'  ordine  suo  ;  e  se  si  guarderà  di  dire 

(i)  innarrare.  Testo  Marini. 

(2)  utile,  leggesi  nelV  antica  edizione, 

(5)  diceria.  Testo  Mannù 

(4)  Come  sopra. 

(5)  aguato,  leggesi  nelV  antica  edizione ^ 


3, 

cosa,  che  torni  torta  (i)  o  faccia  il  fatto  dubbioso; 
e  se  si  guarderà  di  dire  il  fatto  per  nuovo  modo,  e 
dicalo  come  è  usato  di  dire;  e  di  non  lasciare  il 
fatto  che  ha  cominciato,  e  trapassare  a  dirne  al- 
tro ;  e  di  non  farsi  dal  cominciamento  del  fatto , 
ma  dica  là  onde  fa  bisogno  ;  e  di  non  lasciare  del 
fatto  insino  al  fine,  ma  insino  colà  dove  fa  biso- 
gno dire  ;  e  se  serverà  tutte  quelle  cose  che  ti  ho 
detto  di  sopra,  onde  il  fatto  si  può  brievemente 
narrare,  perchè  quanto  più  il  fatto  si  può  brieve- 
mente dire,  cotanto  è  più  chiaro  e  aperto. 

In  che  modo  si  può  dire  il  fatto  chiaro  e 

aperto,  che  paia  vero  o  verisimile 

cosa  quello,  che  si  dice. 

Che  paia  vero  o  verisimile  cosa  si  può  il  fat- 
to narrare  (a)  se  colui,  che  favella,  dice  il  fatto  in 
tale  modo,  che  vi  siano  tutte  quelle  cose  che  so- 
gliono essere  veramente  nelle  cose  e  nei  fatti  ;  on- 
de non  dica  alcuna  cosa  che  sia  contra  natura  o 
contra  l'usanza  o  contra  la  opinione  della  contra- 
da, o  che  paia  che  non  possa  essere  contenuto 
per  lo  tempo  eh'  è  brieve,  o  per  la  dignità  delle 


(i)  turbi>  o  tocchi.  Testo  Marini, 
(2)  in  narrare.  Testo  Marini, 


38 

persone,  o  per  lo  luogo,  clie  non  è  acconcio,  o  per 
le  persone,  die  non  l' arebbono  sofferto.  Onde  se  è 
il  fatto  vero,  sono  da  considerare  le  dette  cose,  per- 
chè interviene  molte  volte  che  non  è  la  verità  cre- 
duta (i),  perchè  non  pare  agli  uditori  quello,  che 
si  dice,  verisimile  cosa  ;  e  se  verità  non  fusse  quel- 
lo, che  si  dice,  molto  maggiormente  sono  da  con- 
siderare le  dette  cose  ;  è  sempre  sia  scaltrito  (2)  il 
dicitore  di  fornire  il  detto  suo  per  carta  (3),  se  fa- 
re si  puote,  o  per  alcuna  buona  persona  onesta, 
che  stata  vi  sia. 

Qui  dice  della  Dis^isione  nelle  dicerie 
e  allegazioni. 

Divisione  è  la  terza  parte  della  diceria,  per  la 
quale  il  dicitore  ordina  meglio  ciò  che  intende  di- 
re, e  rende  all'  uditore  il  detto  suo  più  chiaro  ed 
aperto;  e  fassi  nelle  dicerie  (4)  in  uno  modo  e  nel- 
le allegazioni  in  un  altro.  Nelle  dicerie  (5)  si  fa 

(1)  la  veritade  non  è  creduta.  Testo  Manni, 

(2)  scalterito.  Testo  Manni. 

(3)  dì  fermare  per  chiarità  il  detto  suo  .  l^esto 
Manni, 

(4)  nella  ringhiera.  Testo  Manni. 

(5)  Come  sopra. 


39 

divisione  in  questo  modo,  che  aperta  il  dicitore  la 
proposta  (i)  sopra  la  quale  egli  intende  di  dire,  si 
può  fare  la  divisione  in  due  modi  :  V  uno,  per  via  dì 
novero,  e  in  questo  modo  si  fa  quando  il  dicitore 
sopra  la  detta  proposta  due  o  tre  cose  intende  di 
dire,  e  non  apre  le  cose  dinanzi  sopra  la  detta  pro- 
posta, le  quali  egli  dirà  :  V  altro  modo  si  è  specifi- 
cando le  cose  dinanzi  in  questo  modo  :  Sopra  la 
detta  proposta  dirò,  e  in  prima  dico  di  cotale  co- 
sa, poscia  di  cotale  altra  ;  e  così  apre  le  cose  le 
quali  dee  dire  dinanzi,  e  mostra  1'  ordine  che  deve 
tenere.  ]\Ia  questo  tale  aprire  deve  essere  brieve, 
acciocché  non  dica  cosa,  che  necessaria  non  sia  ; 
e  deve  essere  assoluto,  acciocché  non  dica  se  non 
la  somma  delle  cose  ;  e  dee  essere  di  poche  pa- 
role, cioè,  che  non  ponga  cose  che  non  dica  (2) 
per  innanzi.  E  di  questo  sia  sempre  il  dicitore  am- 
monito, che  non  faccia  alcuna  divisione  che  sia 
più  che  di  tre  membri  ;  perchè  è  di  grande  rischio 
che  non  erri,  e  dicane  poscia  o  più  o  meno  che 
abbia  proposto  al  cominciamento  del  dire  ;  e  che 
non  metta  in  suspizione  V  uditore,  che  non  dica 
cose  pensate  ;  la  quale  credenza   torrebbe  molta 


(1)  la  proposta  e'I  fatto.  TesLo  3Ianni. 
{2)  che  non  dica  di  dire  cose^. che  poscia  non  di- 
ca. Testo  Manni, 


4o 

fede  al  detto  suo,  e  non  Farebbe  Tudìtore  per  così 
approvato. 

In  che  modo  nelle  Allegazioni  si  fa  divisione. 

Nelle  Allegazioni  fanno  coloro,  che  sono  av- 
vocati, divisione  in  questo  modo  :  che  narrato  l'av- 
vocato tutto  il  fatto,  sopra  il  quale  le  allegazioni 
si  debbono  fare,  si  deve  prima  considerare  e  ve- 
dere quello  ond'  è  egli  con  lo  avversario  in  con- 
cordia, e  quello  onde  si  discorda  da  lui  ;  e  se  quel- 
lo, ond'  è  in  concordia  con  l'altra  parte,  gli  fa  uti- 
le, sì  i  dee  prima  mostrare  e  aprire  ;  appresso  de- 
ve mostrare  quello,  ond' è  in  disconcordia  (i)  da 
lui,  acciocché  mostri  all'  uditore  a  che  cosa  deve  at- 
tendere r  animo  suo  ;  ed  è  questo  lo  esempio  :  Che 
Aristarco  abbia  morto  Ruffino,  di  questo  siamo 
noi  ben  con  V  altra  parte  in  concordia  ;  ma  che 
a  lui  fusse  lecito  di  ucciderlo,  o  potesselo  fare  di 
ragione,  no.  In  ciò,  eh!  é  dice,  che^l  fece  in  sua 
difensione,  o  in  ciò,  eli  e'  dice,  che  lo  uccise,  per- 
chè 7  trovò  giacere  con  la  moglie,  di  questo  è  di- 
scordia tra  noi  (2).  E  dacché  l'avvocato  avrà  le 

(i)  onde  discorda,  leggesi  nelV antica  edizione, 
(2)  Tuuo  il  rimanente  di  questo  articolo  manca 

nel  Testo  Manni,  e  qualche  periodo  manca  nel  Cod, 

della  Marciana, 


4x 

dette  cose  mostrate,  si  ripigli  quella  parte^  onde 
non  è  con  l'altra  parte  in  concordia,  e  venga  il  det- 
to suo  dividendo  nelli  detti  due  modi  che  ti  posi 
di  sopra  ;  cioè,  o  per  via  di  novero,  non  aprendo 
le  cose  dinanzi,  o  aprendo  le  cose  dinanzi,  sopra 
le  quali  intende  di  dire,  e  mostrando  F  ordine  che 
deve  tenere,  acciocché  il  suo  aprire  sia  sempre 
brieve  e  assoluto  e  di  poche  parole,  come  ti  ho  di 
sopra  mostrato.  E  di  questo  sia  V  avvocato  nelle 
sue  allegazioni  bene  ammonito  sempre,  che  fat- 
ta la  proposta  e  la  divisione,  assegni  incontanen- 
te in  ciascuno  membro  la  ragione  laonde  pruo- 
vi  la  sua  intenzione;  appresso  confermi  la  ra- 
gione per  belle  ragioni  e  forti  argomenti  ;  appres- 
so adorni  il  detto  suo  per  belle  similitudini  ed  e- 
sempli  ;  appresso  faccia  la  conclusione,  cioè  re- 
chi il  detto  suo  a  memoria  dell'uditore,  e  con- 
fermi in  poche  parole  tutto  ciò  che  spartamen- 
te  ha  detto  di  sopra.  E  così  farà  pienissime  alle- 
gazioni, cioè  di  tutte  sue  parti  composte,  ma  quel- 
la sarà  piena,  che  avrà  meno  alcuna  di  quelle;  e 
quella  sarà  brieve,  che  delle  dette  parti  avrà  tre  so- 
lamente, la  proposta  e  la  ragione  e  la  conferma- 
zione. Né  la  ragione  mai  puote. essere  senza  le  al- 
tre, che  si  possono  lasciare,  tutte  o  parte,  per  lo 
avvocato,  come  a  lui  parerà  che  si  convegna,  con- 
siderando il  tempo  che  parla,  come  ti  ho  già  di 


42 

sopra  mostrato.  Anche  nelle  allegazioni  sia  l'av- 
vocato di  questo  ammonimento  ammonito,  che  le 
più  ferme  e  le  migliori  sempre  metta  dinanzi^  e 
addrieto  le  più  vili,  cioè  quelle  che  non  sono  utili 
a  dire,  o  per  loro  non  si  fa  certa  pruova  e  piena, 
o  sono  inferme  senza  le  altre,  e  con  le  altre  sono 
ferme  e  provate.  Sì  debbono  sempre  mettere  nel 
mezzo,  perchè  se  tosto,  come  la  proposta  è  fatta, 
desidera  l'animo  di  colui,  che  sta  ad  udire,  di  ve- 
dere la  ragione  ond'  è  la  intenzione  di  colui ,  che 
favella,  possa  confermare  poi  incontanente  alcuna 
delle  migliori  e  delle  più  forti  ragioni.  Deve  il  di- 
citore sempre  mettere  innanzi  perchè  le  cose  che 
si  odono  da  sezzo  sono  più  di  presso  e  si  tengono 
meglio  a  memoria,  e  molto  è  utile  che  nella  fine 
lasci  il  dicitore  nell'  animo,  di  colui  che  V  ode,  una 
buona  e  ferma  ragione  onde  si  possa  il  detto  suo 
confermare  o  aiutare. 

Qui  tratta  della  Confermazione  e  Risponsione {i). 

Confermazione  è  la  quarta  parte  della  dice- 
ria, e  Risponsione  è  la  quinta,  il  cui  trattato  è 

(i)  Nel  Testo  Manni  leggesi  il  seguente  capitolo 
come  segue  : 

Della   confermagioiie,   eh'  e  la  quarta   parte  della 


43 

posto  insieme.  Et  è  molto  grande  e  sottile  e  di 
grandissima  utilità  agli  avvocati  a  trattare  delle 
due  parti,  cioè  come  per  la  confermazione  il  dici- 
tore conferma  e  prova  il  detto  della  sua  intenzio- 
ne per  belle  ragioni  e  fermi  argomenti  ;  e  per  la 
risponsione,  come  risponda  al  detto  dell'  altra  par- 
te quello  che  avesse  proposto,  o  potesse  propor- 
re, o  che  al  detto  suo  fusse  contrario.  Conviene  in 
prima  vedere  di  quanti  modi  possano  essere  qui- 
stionijle  quali  sono  fra  le  genti  per  lettera  chiamate 


dicerfa,  per  la  quale  colui^  che  favella,  mostra  e  pruo- 
va  il  dello,  e  la  'menzione  sua  per  belle  ragioni  e  for- 
ti argomenli;  e  della  risponsione,  eh' è  la  quinla  parie 
della  diceria,  per  la  quale  colui,  che  favella,  risponde 
alle  cose,  che  sono  proposle,  o  che  si  potessono  propor- 
re, che  al  detto  suo  fossono  contrarie,    non  dirò  alcu- 
na  cosa,  perchè  la  loro  materia  è  sì   grande  e  dislesa, 
e  sì  sottile  e  profonda,  che  non  si  potrebbe  buonamen- 
te recare  in  volgare,  e  quando  in  volgare  si  recasse,  fa- 
rebbe a  colui,  che  la  recò,  di  grande  fatica  a  intende- 
re, e  di  poca  utilitade,  che  sono  cose,  che  si  fanno  sola- 
mente a  coloro^  che  sono  avvocati  j  però  coloro,  che  so- 
no alletterati,   se  delle  due  parti  vogliono  sapere,  legga- 
no nella  Rettorica  di  Tullio,  laove  ne  troveranno  piena- 
mente trattato  j  e  coloro,  che  sono  laici,  facciano  la  lo- 
ro conferraagione  e  risponsione,  e  pruovino  il  detto  lo- 
ro come  possano  il  meglio,  secondochè  a  loro  è   dato 
per  natura. 


44 

constituzionì,  e  poi  quante  quistìoni  possano  na- 
scere di  ciascuno  modo,  cioè  di  ciascuna  consti- 
tuzione  5  acciò  che  sappiasi  conóscere  ogni  qui- 
stione  sopra  la  quale  si  può  fare  alcuna  allegazio- 
ne. Appresso  conviene  sapere  la  ragione  che  usa 
colui,  che  addimanda  in  sua  difensione,  e  quella  di 
colui,  che  addimanda  contra  quella  ragione.  E  que- 
sto è  utilissimo  a  sapere,  acciò  che  tu  sappia  a  chi 
debba  tendere  l' animo  tuo  quando  tu  voglia  fare 
allegazione  ;  e  dacché  l' uomo  ha  veduto  le  dette 
cose  sì  ti  mostreremo  come  si  possano  sapere  fare 
gli  argomenti  alle  allegazioni  in  ogni  quistione, 
per  le  quali  si  fa  la  confermazione  e  la  risponsio- 
ne,  che  sono  le  due  parti  della  diceria  che  ti  ho 
posto  di  sopra .  E  perchè  poco  prò  farebbe  al  di- 
citore sapere  bene  allegare  e  trovare  per  la  parte 
sua  buone  allegazioni,  se  non  le  sapesse  ornata- 
mente dire  e  tostamente  se  ne  sapesse  isbrigare, 
sì  ti  mostrerò  appresso,  come  il  dicitore  deve  sa- 
pere ornatamente  dire  le  sue  allegazioni,  e  come 
se  ne  deve  sapere  sbrigare.  E  sì  ti  mostrerò,  per- 
chè deve  dire  ornatamente  la  allegazione,  e  deve 
sapere  fare  la  proposta,  e  deve  sapere  assegnare 
la  ragione,  e  deve  sapere  quella  confirmare,  e  de- 
ve sapere  il  detto  suo  ornare  ,  e  sapere  poscia 
ciò  che  ha  detto  di  sopra  ridurre  a  memoria  del- 
l' uditore;  e   in  poche  parole  ti  mostrerò  come 


45 

le  dette  cose  si  possono  fare  ;  e  ancora  ti  mo- 
strerò le  false  allegazioni  che  in  ciascuna  delle  det- 
te cinque  parti  si  possono  fare  ed  usare,  acciocché 
il  dicitore  se  ne  debba  guardare,  e  se  dall'  altra 
parte  si  fanno,  le  sappia  riprendere.  E  sapere  le 
dette  cose  è  tutto  ciò  che  all'  avvocato  si  convie- 
ne, perchè  quando  egli  ha  per  belle  ragioni  e  for- 
ti il  detto  suo  confermato,  e  risposto  pienamente 
a  quello  che  F  altra  parte  ha  proposto,  o  potesse 
proporre,  che  al  detto  suo  fosse  contrario,  ha  sa- 
puto bene  acconciare  et  ornare  il  detto  suo.  A  co- 
loro, che  sono  laici,  non  fa  bisogno  di  sapere  le  det- 
te cose,  sì  non  mi  fa  bisogno  di  recarle  in  vùlgare, 
ma  gli  avvocati,  che  sono  litterati,  se  le  dette  cose 
vorranno  meglio  sapere,  leggano  nella  Rettorica 
di  Tullio,  dove  troveranno,  secondo  il  detto  ordi-- 
ne,  piena  dottrina;  e  coloro  che  sono  indotti,  fa- 
ranno la  confermazione  e  risponsione  come  posso- 
no meglio)  secondochè  a  loro  è  dato  per  natura. 

Qui  dice  della  Conclusione,  eh!  è  la  sesta  parte 
della  diceria. 

Conclusione  è  la  sesta  ed  ultima  parte  della 
diceria,  la  quale  si  puote  fare  in  tre  modi.  Primo 
per  via  di  numero;  secondo  per  via  dùabomina- 
mento  ;  terzo  per  via  di  misericordia.  Per  via  di 


46 

numero  si  puote  fare  conclusione,  quando  colui, 
elle  favelk,  nella  fine  della  diceria  sua  ricoglle  per 
numero  (i)  ciò  clie  spartamente  ha  detto  di  sopra, 
e  vienlo  dicendo  per  ordine  brievemente  e  per  po- 
che parole  ;  non  che  un'  altra  volta  ridica  ciò  che 
ha  detto  di  sopra,  ma  che  rinnovi  il  detto  suo,  sì 
che  colui  eh' è  stato  ad  udire,  s'  egli  ha  posto  be- 
ne mente,  si  possa  agevolmente  ricordare  e  recare 
a  memoria  quello  che  ha  detto  di^sopra.  Nella  qua- 
le conclusione  sia  il  dicitore  ammaestrato  (2],  che 
non  dica  quello  che  nel  proemio  o  nella  narrazio- 
ne ha  detto  di  sopra,  perchè  parrebbe  il  detto  suo 
cosa  pensata  e  che  dello  ingegno  e  memoria  sua 
volesse  fare  vista  •  ma  cominci  da  quello  che  ha 
detto  nella  divisione,  e  venga  poi  dicendo  per  or- 
dine e  brievemente  e  per  poche  parole  ciò,  che 
nella  confermazione  e  nella  risponsione  ha  di  so- 
pra proposto,  e  non  si  faccia  più  dalla  lunga. 

Come  si  fa  Conclusione  per  via  di 
(jLÒominamento. 

Per  vìa  di  abominamento  si  fa  Conclusione 
quando  colui,  che  parla,  nella  fine  della  sua  diceria 

(i)  coglie  per  novero.  Testo  Manni. 
(2)  ammunito.  Testo  Manni, 


■,  47 

dice  poche  parole,  nelle  quali  amplifica  ed  ag- 
grandisce il  detto  suo,  e  provoca  V  animo  dell'  udi- 
tore ad  ira,  instigandolo  (i)  e  accendendolo  contra 
r  avversario  suo  ;  la  quale  cosa  si  può  fare  in  die- 
ci modi,  i  quali  sono  appellati  Luoghi  Comuni.  Il 
primo  modo  si  pigHa  dalla  autorità  (2)  e  dalla  gran- 
dezza del  fatto,  quando  il  dicitore  mostra  che  l'av- 
versario ha  peccato  in  alcuna  cosa,  e  poi  mostra 
quanta  cura  e  rangola  (3)  ha  avuta,  o  in  odio  di 
quella  cosa  hanno  i  nostri  maggiori,  ovvero  il  nostro 
comune,  ovvero  li  savii  uomini  per  li  tempi  passati, 
perchè  in  quella  cosa  non  si  pecchi  ;  e  spezialmen- 
te dica,  se  puote,  come  delle  dette  cose  favellano 
le  leggi.  Il  secondo  luogo  si  è ,  quando  colui,  che 
parla,  accresce  la  materia  (4)  del  fatto,  imperocché 
mostra  contra  cui  1'  avversario  ha  peccalo,  o  sia 
contra  Dio ,  o  sia  contra  alli  nostri  maggiori ,  o 
contra  a'  nostri  pari,  o  contra  a'  nostri  minori.  Il 
terzo  luogo  si  è,  quando  il  dicitore  dice  dubitan- 
do: Che  ne  interverrebbe  se  a  ciascheduno  si  con- 
cedesse il  simigliante  ?  cioè  di  fare  quello  che 
ha  fatto  l'avversario;  e  poi  mostra,  se  questa  si 


(i)  inzigandolo.  Testo  Mannì. 

(2)  uiolità.  Testo  Marini. 

(3)  fede,  leggesi  nelV antica  edizione» 

(4)  malizia,  leggesi  nelV  antica  edizione. 


mettesse  in  negligenza  (i),  che  pericoli  o  die  sozze 
cose  ne  nascerebbero  per  innanzi.  Il  quarto  modo 
si  è^  quando  il  dicitore  mostra,  se  a  colui  si  perdo- 
nasse 5  come  molti  rei  uomini  s' inviterebbono  a 
mal  fare ,  i  quali  s' indugiano  e  stanno  a  vedere 
questa  cosa  che  uscita  farà.  Il  quinto  luogo  si  è  , 
quando  il  dicitore  mostra,  se  per  una  volta  fosse 
giudicato  altrimenti,  che  per  ninno  modo  si  po- 
trebbe poi  questo  male  spegnere  ;  o  se  per  una 
volta  sarà  errato  in  questa  ragione,  che  non  si  po- 
trà poi  trarre  addrieto,  né  medicare  (2).  E  in  que- 
sto luogo  sarà  bello  che  il  dicitore  ponga  qualche 
esempio  di  cosa  passata,  ove  sia  stato  bene  erra- 
to, ma  poi  o  per  tempo  trapassato,  o  per  mutare 
consiglio  le  dette  cose  non  siensi  potute  menda- 
re;  ma  questo  è  di  tale  forma,  che  se  ci  si  erras- 
se, non  può  così  poscia  intervenire,  perchè  ninna 
cosa  vi  può  poscia  dare  aiuto.  Il  sesto  luogo  è, 
quando  il  dicitore  mostra  come  questo  malefizio  è 
commesso  per  l'altra  parte  pensatamente  e  di  sua 
volontà,  e  come  coloro,  che  così  peccano,  non  han- 
no poi  scusa  veruna  (3)  ;  ma  chi  disavvedutamen- 
te commette  peccato  a  ragione  molte   volte  dee 

(i)  negrigentia.  Testo  Marini. 

(2)  ammeudare,  leggesì  neW  antica  edizione, 

(3)  gnuna.  Testo  Manni, 


49 

domandare  perdonanza.  Il  settimo  luogo  è,  quan- 
do il  dicitore  mostra  come  il  peccato  è  crudele  e 
di  sozza  forma  in  ciò,  che  dice,  che  l' avversario 
r  ha  fatto  in  disdegno  del  comune,  credendosi  es- 
sere sì  grande  o  per  suo  avere  o  per  potenza  di 
amici,  che  'l  comune  non  abbia  ardimento  di  pu- 
nirlo o  di  fare  alcuno  processo  contra  a  lui,  laon- 
de ne  'ndebolisce  il  comune  e  li  grandi  ne  piglia- 
no  baldanza.  L'  ottavo  è,  quando  il  dicitóre  mo- 
stra come  il  malefizio  commesso  è  disusato  e  cru- 
dele, del  quale  si  deve  più.  tosto  fare  vendetta  o 
più  aspramente  vendicare  (i).  Il  nono  luogo  è, 
quando  il  dicitore  assimiglia  lo  malefizio  commes- 
so ad  un  altro  malefizio  malvagio,  dicendo  :  Mag" 
giore  malefizio  è  di  corrompere  e  di  sforzare  una 
femmina,  che  di  spogliare  uno  altare  ed  involare 
e  portare  via  le  cose  sagrate;  perchè  le  dette  co- 
se si  fanno  molte  volte  per  grande  bisogno,  mxi 
quello  si  fa  solamente  per  superbia  e  per  non  tem- 
perare la  volontà.  Il  decimo  luogo  è,  quando  co- 
lui, che  favella,  diligentemente  mostra  tutto  ciò 
eh' è  fatto,  e  tutto  ciò  che  ne  può  seguitare  colpe- 
volmente, recando  agramente  tutte  le  cose  contra 
il  suo  avversario,  sì  che  paia  sempre  che  sia  in  sul 


(i)  giudicare,  leggesi  nelV  amica  edizione* 
4 


So  •  ' 

fare  delle  cose.  E  di  questo  sia  sempre  savio  colui, 
che  faveljfi,  di  usare  contra  il  suo  avversario  le  più 
aspre  parole,  che  puote,  e  che  si  convengano  al 
fatto,  che  dice,  perchè  è  di  grande  utilitade  al  di- 
citore quando  reca  bene  V  animo  di  coloro,  che 
stanno  a  udire,  contra  al  suo  avversario. 

Come  si  fa  Conclusione  pei'  via  di  misericordia. 

Per  via  di  misericordia  si  puote  fare  Conclu- 
sione, quando  colui,  che  parla,  nella  fine  della  sua 
diceria  dice  di  se  parole  pietose  (i),  per  le  quali 
commuove  V  animo  dell'  uditore  a  pietà  de,  e  ad  a- 
vere  misericordia  di  lui  ;  e  questo  si  puote  fare  in 
dodici  modi.  Il  primo  modo  è ,  quando  il  dicitore 
dice  come  la  ventura  (2)  se  gli  è  diversamente  (3) 
mutata,  mostrando  com'  egli  fu  già  in  grande  sta- 
to, e  come  n'  è  ora  caduto  e  tornato  al  niente.  Il 
secondo  è,  quando  il  dicitore  mostra  i  mali  suoi 
passati  e  presenti,  e  quelli  che  aspetta  di  avere.  P 
terzo  è,  quando  si  rammarica  di  alcuna  servitudi- 
ne,  o  cosa  laida  o  vile,  che  gli  convenga  sofTerire, 
che  non  si  convenga  a  lui,  o  per  sua  gentilezza  o 


(i)  cose  piatose.  Testo  Marini. 

(2)  fortuna,  leggesi  nelV antica  edizione» 

(3)  malamente,  leggesi  nell'antica  edizione. 


5.1 

per  cagione  del  comune  o  della  terra  sua  (i).  Il 
quarto  è,  quando  si  duole  d'alcuna  grande  speran- 
za che  avea  di  alcuna  cosa,  e  dice  che  gli  è  venuta 
meno.  Il  quinto  è,  quando  si  duole  di  certe  perso- 
ne onde  dovrebbe  aver  bene  ed  essere  consiglia- 
to e  aiutato  (2),  ed  egli  n'  ha  grandissimo  male. 
11  sesto  è,  quando  si  duole  perchè  è  povero  o  in- 
fermo o  cacciato  di  suo  paese.   Il  settimo  è,  quan- 
do si  duole  che  non  fu  presente  ad  alcuna  cosa, 
che  andò  male,  che  sarebbe  ita  bene  (3).  L'  ottavo 
è,  quando  torna  il  suo  rammaricamento  (4)  sopra 
di  alcuna  cosa  o  bestia  senza  senno  o  senza  favel- 
la, dicendo  :  J^edi  questo  cane,  o  questo  albergo, 
o  questo  Ietto,  vedi,  come  pare  che  sieno  tristi  e 
che  piangano  la  morte  del  loro  signore  ?  Il  nono 
è,  quando  si  lamenta  della  morte  del  figliuolo  o 
del  signore  o  dell'  amico,  mostrando  il  bene  che 
ne  aveva  e  come  V  ha  tutto  perduto.   Il  decimo  è, 
quando  si  rammarica  del  male  o  del  danno,  che 
vede  air  amico,  non  per  sé,  ma  solamente  per  lui. 
L' undecimo  è,  quando  il  dicitore  conta  le  avversità 

(1)0  grandezza,  o  per  cagione  del  tempo  di  sua 
eia.  Testo  Manni. 

(2)  alato.  Testo  Manni, 

(3)  Le  spiegazioni  del  sesto  e  settimo  modo  sono 
mancanti  nel  Cod.  della  Marciana. 

(4)  rammarichio.  Testo  Manni, 


52 

sue,  specificando  sì  ogni  cosa  (i),  come  se  in  pre- 
senzia o  dinanzi  agli  occhi  di  coloro,  che  stan- 
no a  udire,  sì  il  facesse.  Il  duodecimo  è,  quando 
conta  molte  avversitadi  che  ha  portate  (2),  e  mo- 
stra che  le  ha  portate  in  gran  pazienzia^  e  però 
non  si  è  mutato,  ma  sempre  è  stato  con  V  animo 
fermo  ;  e  di  questo  tale  uomo  fermo  (3)  coloro,  che 
sono  grandi  e  gentili,  hanno  misericordia  e  pie- 
tà ;  e  maggiormente  per  la  franchigia  (4)  che  ve- 
dono in  lui,  che  per  altra  miseria  (5),  che  dica.  Per 
li  modi,  che  ti  ho  posti  di  sopra,  puote  colui,,  che 
favella,  quando  fa  la  fine  della  sua  diceria  recare 
a  misericordia  Y  animo  di  colui  che  sta  a  udire  ;  e 
di  questo  stia  sempre  ammonito  (6)  colui,  che  fa- 
vella, che  quando  fa  il  fine  del  suo  detto  per  via 
di  misericordia,  che  dica  il  detto  suo  brievemente 
ed  in  poche  parole,  perchè  niuna  cosa  più  presta 
che  lagrima  si  secca  («y). 

(i)  contro  air  avversario  suo  ispecifica  si  ogni  co- 
sa. Testo  Marini. 

(2)  patite,  leggesinelV  antica  edizione. 

(3)  e  di  questo  cotale.  Testo  Manni. 

(4)  franchezza.  Testo  Manni, 

(5)  misericordia  di  miseria.  Testo  Manni, 

(6)  scalterito.  Testo  Manni. 

(7)  perchè  veruna  cosa  più  avaccio  che  lagrima  si 
«echi.  Cod,  della  Marciana. 


53 


r  Della  Elocuzione  (i). 

La  quarta  cosa  laonde  il  dicitore  dee  essere 
ammaestrato^  acciocché  nella  favella  giudiciale  sap- 
pia favellare  perfettamente,  si  è,  che  la  sua  favel- 
la sappia  ornare  ;  e  pongono  i  savii  che  gli  orna- 
menti della  favella  sono  in  due  modi,  ovvero  gene- 
razioni. L' uno  è  in  ornare  le  parole  della  diceria  , 
Faltro  è  in  poter  dire  bellissime  e  gravi  sentenzio 
onde  la  favella  riceve  ornamento.  E  come  le  paro- 
le della  diceria  si  possano  ornare,  e  quali  sieno 
belle  e  giravi  sentenzie,  onde  la  favella  riceva  orna- 
mento, ti  voglio  per  ordine  mostrare  e  aprire.  ,E 
prima,  come  le  parole  della  diceria  si  possano  or- 
nare in  molti  modi.  Ciascuno  ornamento  ha  il  suo 
modo,  e,  per  meglio  tenerlo  a  memoria,  di  ciascu- 
no darò  esemplo  acciò  che  si  conosca  meglio  co- 
me si  fanno. 

(i)  U antico  testo  stampato ^  eh' è  simile  al  Codi- 
ce della  Marciana^  non  serba  V  ordine  medesimo  del 
Testo  Manni,  nel  quale  questo  Trattato  della  Elocuzio- 
ne o  è  mancarne  o  ne  ha  alcuna  parte  posta  in  di* 
verso  luogo. 


54 

DelV  ornamento,  che  si  appella  Ridicimento, 

E  un  ornamento  eli  parole,  che  si  appella  Ri- 
dicimento,  il  quale  si  fa  quando  una  medesi- 
ma parola  molte  volte  si  ridice  ;  e  puossi  fare  in 
tre  modi.  Il  primo  modo  (i),  ponendo  la  parola, 
che  si  ridice,  dinanzi  ;  il  secondo,  ponendola  di 
dietro  ;  il  terzo ,  ponendola  dinanzi  e  di  dietro. 
Ponendo  la  parola,  che  si  ridice,  dinanzi,  si  fa  in 
questo  modo  :  J^oi  sete  quegli,  a  cui  è  da  rendere 
onore  y  voi  sete  quegli,  a  cui  si  conviene  questa 
cosa;  voi  sete  quegli,  a  cui  è  da  fare  questa  gra- 
zia, Item  :  Scipione  Numanzia  tolse  via  ;  Scipio- 
ne Cartagine  disfece  ;  Scipione  difese  i  Romani, 
che  non  furono  disfatti;  Scipione  rendette  pace 
ai  Romani,  Item  :  J  m  sé  quegli  che  di  favellare 
hai  ardimento?  Tu  sé  quegli  che  addimandaj^e 
puoi  sicuramente?  Tu  sé  quegli  die  puoi  dire  che 
ne  sia  fatta  vendetta?  Ponendo  la  parola,  che  si  ri- 
dice, di  dietro,  si  fa  in  questo  modo  :  Posciachè 
tra  i  cittadini  vostri  s' incominciò  la  discordia^ 
la  ragione  ne  fu  tolta^  la  liberta  ne  fu  tolta,  la 
città  ne  fu  tolta.  Item  :  Cornelio,  uomo  nuovo, 
era  ingegnoso  e  gentile  (2)  e  buon  uomo,  e  però 

(1)  primaio.  Testo  MannL 

(2)  e  re  de' gemili,  leggesi  nelV  antica  edizione. 


55 

nella  città  nostra  il  migliore  era.  Ora  ponendo  le 
parole,  che  si  dicono,  di  dietro  e  d' innanzi  si  fa 
in  questo  modo:  CJii  sono  quelli  che  i patti  spesse 
volte  hanno  rotti  ?  i  Cartaginesi,  Chi  sono  quel' 
li  che  crudeli  battaglie  hanno  jatto  ed  Romani  ? 
i  Cartaginesi,  Chi  sono  quelli  che  tutta  Italia 
hanno  trasformata  ?  [i]  i  Cartaginesi.  Chi  sono 
quelli  che  dimandano  che  sia  loro  perdonato  ?  i 
Cartaginesi.  Vedete,  coni  è  convenevole  che  sia 
loro  conceduto  ?  Item  :  Cui  la  potestade  (2)  ha 
dannato j  cui  il  capitano  ha  dannato,  cui  li  retto^ 
ri  delle  arti  hanno  dannato^  assolveremo  noi  per 
nostra  sentenzia? 

Qui  seguita  del  Ridicimento. 

Ancli'è  un  altro  ornamento,  clie  si  appella  Ri- 
dicimento,  cioè  ridicendo  la  parola  in  un  detto 
molte  volte  j  che  si  può  fare  in  due  modi.  U  uno, 
che  significhinole  parole,  che  si  ridicono,  una  me- 
desima cosa;  l'altro,  che  significhino  cose  diver- 
se. Che  significhi  la  parola,  che  si  ridice,  una  me- 
desima cosa,  si  fa  in  questo  modo  :  Chi  nella  sua 
vita  non  ha  migliore  cosa  che  la  vita,  con  virtù 

(i)  disformata.  Testo  Marini. 

(2)  Io  podestà,  leggesi  neW  antica  edizione. 


56 

la  sua  vita  non  pub  usare  se  non  se  in  cose  vir- 
tuose, Item  :  Tu  appelli  colui  uomo,  il  quale,  se 
fosse  uomo,  così  crudel  morte  di  nessuno  uomo 
non  arebbe  pensata;  dunque  era  nimico,  e  tal 
vendetta  del  nimico  volle  pigliare,  che  paresse 
bene  cfi  eglifusse  nimico,  Item  :  Le  ricchezze  la^ 
scia  essere  de  ricchi,  e  tu  preponi  [i)  le  virtù  al- 
le ricchezze,  perchè  se  le  virtù  con  le  ricchezze 
vorrai  agguagliare,  appena  potranno  (2)  le  ric- 
chezze alcuna  cosa,  perchè  sono  serve  di  quelle. 
Che  significhi  la  parola,  che  si  ridice,  cosa  diver- 
sa, si  può  fare  in  questo  modo  :  Perchè  questa  co-, 
sa  cotanto  curi  (3)  che  per  innanzi  ti  darà  tante 
cure?  Item.  Dilettevole  cosa  sarebbe  amare,  se 
non  avesse  in  sé  cose  amare.  Ne'  modi,  che  ti  ho 
posto  di  sopra,  si  ridice  una  medesima  parola  in 
un  detto  molte  volte,  non  per  difetto  (4)  di  paro- 
le, ma  perchè  nella  parola,  che  si  ridice,  vi  ha  uno 
ornamento  dilettevole,  il  quale  tu  puoi  meglio  com- 
prendere con  r  animo  che  io  non  ti  posso  specifi- 
care con  la  lingua. 

(i)  metti  innanzi.  Testo  Marini, 

(2)  parranno.  Testo  Mannì,  • 

(3)  tanto  cure.  Testo  Manni, 

(4)  diffalta.  Testo  Manni, 


57 

Dell*  ornamento,  che  sì  appella  Contenzione, 

Ed  è  un  altro  ornamento  di  parole ,  che  si 
chiama  Contenzione,  che  si  fa  quando  si  compie 
uno  detto  di  due  cose  contrarie,  in  questo  modo  :  // 
partire  ha  in  sé  bello  cominciamento,  e  poi  ha  a- 
marissimo  fine.  Item  :  Pacifico  ti  mostra  a  nimi- 
ci  e  aspro  agli  amici.  Item  :  Quando  è  tempo  di 
tacere  tu  gridi,  e  quando  è  tempo  di  gridare  tu 
taci. 

Dell  ornamento,  che  si  appella  Gridare. 

Ed  è  un  altro  ornamento,  che  si  appella 
Gridare,  il  quale  si  fa  con  voce  (i)  di  dolore,  ram- 
maricandosi di  alcun  uomo,  ovvero  cittade,  ovve- 
ro luogo,  ovvero  altra  cosa,  nominandola  nel  det- 
to suo  in  questo  modo  :  Di  tefavelloj  o  Africano, 
che  solamente  il  nome  tuo,  essendo  te  morto,  è 
grandissimo  onore  dei  Romani.  Ituoi  (2)  gentili  e 
savii  nepoti  del  sangue  loro  hanno  saziato  la  cru^ 
delta  de'  Loro  nimici,  Item  :  O  bellissimo  Coliseo, 


(i)  voce,  ora  e  sempre  leggesi  neW  antica  edizio- 
ne j  e  boce  quasi  nel  Cod.  della  Marciana  e  nel  Te* 
sto  Manni. 

(a)  E  voi.  Testo  Manni. 


58 

la  cui  veduta  ornava,  ha  poco  tempo  [i),  tutta 
Roma,  ora  se'  a  quello  venuto,  che  appena  ap- 
paiono li  tuoi  fondamenti!  Item  :  O  malvagio  Ne- 
rone, nemico  de  buoni,  quanti  ne  hai  morti  senza 
colpa  l  tanta  è  stata  la  baldanza  della  tua  signo- 
ria !  Questo  Gridare,  se  il  dicitore  lo  userà  rade 
volte  e  ne'  grandissimi  fatti,  e  quando  si  conver- 
rà, renderà  V  animo  dell'  uditore  indignato  sopra 
qualunque  cosa  egli  vorrà. 

Delt ornamento,  che  si  chiama  Addimandare» 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Ad- 
dimandare,  che  si  fa  quando  il  dicitore  ha  detto  di 
sopra  molte  cose  che  nuocono  (2)  all'altra  parte,  e 
poscia  addimanda  di  cose,  ond'egli  afferma  il  det- 
to suo,  in  questo  modo  :  Conciossiacosaché  quello, 
che  avete  inteso  di  sopra,  dicesse  o  facesse  o  des- 
se opera  quanto  potesse  di  fare,  attizzava  (3)  l'a^ 
nimo  della  gente  contra  al  comune,  o  no  ?  e  dob" 
biamlo  noi  avere  per  nimico,  o  no  ?  e  ha  ragione 
di  addimandare  quello,  che  addimanda,  ono  P 

(i)  poco  tempo  fa.  Testo  Marini, 

(2)  nocciono.  7'esto  Marini» 

(3)  adizzava.  Testo  Manni. 


% 


DelV  ornamento,  che  si  appella  Ragione  (i). 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Ra- 
gione, il  quale  ha  (2)  luogo  quando  il  dicitore  da 
se  medesimo  addimanda  la  ragione  di  quello  che 
dice,  e  di  ciascuno  suo  detto  rende  ragione,  in  que- 
sto modo  :  /  nostri  maggiori  quando  vedeano  la 
femmina  rea  di  alcuno  peccato,  sì  V  aveano  poscia 
per  rea  di  molti  peccati.  In  che  modo  ?  Quando 
vedeano  la  femmina  lussuriosa,  sì  Va\>eano  per  ve- 
lenosa (3)  incontanente.  Per  che  cagione  ?  Per* 
che  la  femmina  che  corrompe  il  corpo  suo  di  lus- 
suria^ bisogno  fa  che  tema  molte  persone^  cU  ella 
conosce  che  'l  fallo  suo  viene  a  vergogna,  E  qua' 
li  sono  queste  ?  Lo  marito,  il  padre,  i  fratelli,  la 
madre  et  altre  persone .  Che  ne  inters^iene  adun^ 
que  ?  Di  quella  cotale  paura,  che  ha,  avvelena  co- 
lui incontanente  di  cui  ella  ha  paura.  Perchè? 
Perchè  non  si  tempera  mai  di  nessuna  malizia , 
e  se  sì  sente  paurosa  di  sì  grave  peccato,  il  calore 
della  lussuria  la  fa  ardita ,  e  la  femmina  è  di 


(i)  Ragionamento.  Testo  Marini, 
(a)  hane.  Testo  Marini, 
(3)  venefica.  Testo  Marini, 


6o 

una  (i)  natura,  che  non  considera  mai  che  del 
fatto  si  può  seguitare.  Adunque  qual  femmina  è 
colpevole,  che  abbia  avvelenato  alcuna  persona^ 
bisogno  fa  che  sia  lussuriosa?  Assegnasene  la  ca* 
gione,  perchè  ninna  cosa  muove  la  femmina  in 
quel  fatto  così  agevolmente,  come  il  vizio  della 
lussuria;  e  quando  il  suo  animo  è  corrotto,  non 
credono  poscia  i  savii  che  il  suo  corpo  sìa  casto. 
Itera  :  Interviene  (2)  degli  uomini  il  simigliante  ? 
Certo  no.  Per  che  cagione  1  Perchè  ciascuno  de-- 
siderio  muove  l'uomo  al  suo  malefiziOy  ma  lafem^ 
mina  per  uno  desiderio  solamente  si  muove  afa* 
re  molti  peccati.  Item  :  Molto  bene  giudicarono  i 
nostri  maggiori,  che  il  re  che  fosse  preso  in  bat- 
taglia non  dovesse  poi  essere  morto.  Per  che  ca- 
gione  ?  Perchè  colui  che  era  eguale  in  prima  con 
noi,  e  la  ventura  lo  mette  poscia  in  nostra  pode* 
stày  non  lo  dobbiamo  uccidere.  Potrebbe  altri  di' 
re  :  come  non  ci  conviene  ?  (3)  che  ci  verna  ad' 
dosso  con  ì  oste  ?  Certo  ciò  dobbiamo  noi  dimen- 
ticare  tostamente.  Per  che  cagione  ?  Perchè  colui 
è  di  grande  animo  che  non  ha  per  nimici  coloro 
che  sono  vinti,  ma  per  uomini,  acciocché  la  sua 


(i)  mala,  leggesi  nelV antica  edizione, 

(2)  Addiviene.  Testo  Mannì. 

(3)  come  no?  Testo  Manni. 


nobiltà  possa  minuire  (i)  battaglia  e  la  sua  umil" 
ià  generi  pace.  E  s'  egli  as>esse  vinto,  arebbe  fat'^ 
to  il  simigliante  a  noi?  Forse  che  no,  che  non  «- 
rebbe  avuto  tanto  senno.  Perchè  adunque  si  per-' 
dona  a  costui  ?  Perchè  tanta  mattezza  (2)  si  dee 
dispregiare  e  non  seguitare  per  li  sasfii.  Questo 
ornamento  tiene  molto  atteso  F  animo  dell'  udito- 
re, sì  per  le  belle  parole,  sì  perchè  delle  cose^  che 
ode,  rende  ragione. 

Delt  ornamento,  che  si  appella  Sentenzia, 

Ed  è  un  altro  ornamento,  che  si  appella  Sen- 
tenzia, il  quale  tratta  della  vita  e  dei  costumi  del- 
le genti  secondo  che  sono,  e  che  debbono  essere 
di  ragione,  e  puossi  fare  in  due  modi  ;  V  uno  di- 
cendo il  detto  suo  senza  rendere  ragione  5  1'  altro 
con  rendere  ragione  di  quello  che  dice,  in  questo 
modo  :  Malagevole  cosa  è,  che  sia  virtuoso  (3)  co- 
lui^ a  cui  è  sempre  ita  ritta  la  ventura.  Item  :  Co- 
lui si  dee  libero  chiamare  che  non  è  servo  di  al- 
cuna bruttura  (4).  Item  :  Non  solamente  è  povero 

(i)  menomare.  Testo  Marini. 
(a)  matt/a.  Testo  Marini. 

(3)  bontadoso.  Testo  Manni. 

(4)  sozzura.  Testo  Manni, 


62 

colui  che  ha  poco^  ma  colui  che  saziare  non  si 
puote.  Item  :  L' uomo  si  dee  penare  (i)  di  vivere 
dirittamente,  e  questo  si  può  fare  senza  fatica  e  in 
tutto  il  mondo  e  in  tutto  il  tempo  (2).  Con  ren- 
dere ragione  del  detto  suo  si  fa  in  questo  modo  : 
Tutto  il  modo  di  ben  vìvere  è  in  usare  la  vita  sua 
con  virtù,  perchè  la  sola  virtù  è  in  sua  podestà, 
e  tutte  le  altre  cose  sono  sottoposte  alla  ventura, 
Item  :  Chi  si  fa  amico  di  alcuna  persona,  per" 
che  il  vede  in  buono  stato,  incontanente  parte  Va- 
micizia  sua  quando  vede  la  ventura  mutata,  per- 
chè, cessando  la  cagione  della  sua  amistà,  non 
rimane  poi  alcuna  cosa  che  più  la  faccia  durare. 
Può  essere  il  detto  ornamento  di  due  detti ,  e  con 
rendere  ragione  e  con  non  renderla  ;  in  questo 
modo  :  Malamente  errano  coloro,  che  quando  so- 
no in  grande  stato  credono  avere  fuggita  la  ven- 
tura; ma  quegli  si  porta  'saviamente,  che  nelle 
prosperevoli  cose  pensa  dinanzi  come  la  ventu- 
ra si  può  mutare,  E  con  rendere  ragione,  in  que- 
sto modo  :  Malamente  sono  coloro  ingannati , 
che  dicono  :  quando  il  giovane  pecca  gli  si  dee 

(t)  ingegnare,  leggesi  nelV  antica  edizione  ^  pensa- 
re, Testo  Manni. 

(2)  sanza  fatica,  e  con  diletto,  se  l'usa  di  fare. 
Testo  Manni, 


63 

perdonare,  perchè  V  uomo  di  quella  etade  si  può 
emendare  (i);  ma  chi  gasiiga  il  giocane  fa  saggia- 
mente, acciocché  quando  viene  ad  essere  maggio- 
re (2),  la  sua  vita  abbia  usata  a  bontade.  Questo 
ornamento  dee  usare  il  dicitore  rade  volte^  accio 
che  non  paia  che  vogha  essere  ammaestrato  del- 
le genti;  ma  se  lo  usa  a  certe  stagioni ,  ed  accon- 
cialo (3)  bene  al  fatto,  che  dice,  rende  il  detto  suo 
molto  piacente. 

Deir  ornamento,  che. si  appella  Contrario, 

Ed  è  un  altro  ornamento,  che  si  appella  Con- 
trario, il  quale  ha  luogo  quando  si  fa  uno  detto  di 
due  cose  contrarie,  e  V  una  e  1'  altra  conferma ,  in 
questo  modo  :  Chi  è  negligente  (4)  ne'  suoi  fatti 
come  sarà  sollecito  (5)  negli  altrui  ?  Item  ;  Chi 
ti  è  reo  quando  ti  è  amico,  come  ti  sarà  buono 
quando  ti  sarà  nimico  ?  Item  :  Chi  né  ragiona- 
menti tra  gli  amici  è  bugiardo  come  sarà  nelV  a- 
ringare  (6)  veritiere  ?  Quest'  ornamento  dee  essere 

(i)  ammendare.  Testo  Marini, 

(2)  matut-o.  Testo  Marini, 

(3)  adattalo.  Testo  Manni, 

(4)  nighittoso.  Testo  Manni. 

(5)  rangoloso.  Testo  Manni, 

(6)  nella  ringhiera.  Testo  Manni, 


64 

brieve,  e  dee  continuare  V  uno  detto  F  altro,  ed  è 
molto  utile  al  dicitore,  perchè  concili  ude  il  detto 
suo  brievemente. 

Dell*  ornamento,  che  si  appella  Membro. 

Ed  è  un  altro  ornamento,  che  si  appella  Mem- 
bro, il  quale  si  fa  quando  una  parola  cade  dalF  al- 
tra, e  può  essere  di  due  membri  e  di  tre.  Di  due 
in  questo  modo:  Facesti  prò  (i)  a'  nimici  e  dan^ 
no  agli  amici*  Di  tre,  in  questo  modo  :  Facesti  prò 
a'  nimici  e  danno  agli  amici  e  te  medesimo  non 
rilevasti,  Item  :  Né  agli  amici  facesti  prò,  né  dan- 
no a  nimici,  né  il  comune  ne  fu  consigliato. 

DeW  ornamento,  che  si  appella  Articolo. 

Ed  è  un  altro  ornamento,  che  si  appella  Ar- 
ticolo, il  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  a  cia- 
scuna parola  si  riposa,  in  questo  modo  :  Con  ira^ 
con  voluntade  (2),  con  molte  grandi  grida  hai 
spaventato  i  nimici.  Item  :  Con  senno,  con  inge- 
gno, con  forza  sei  mojitato  in  grande  stato.  Tra 
questo  ornamento  e  quello,  che  io  ti  posi  di  sopra, 

(i)  prode.  Testo  Manni. 
(3)  volto.  Testo  Manni. 


65 

ha  cotale  differenza,  che  si  dice  quello  eh'  è  di  so- 
pra più  di  rado,  e  questo  di  sotto  più  tosto. 

Delt ornamento,  che  si  appella  Compimento, 

Ed  è  uno  altro  ornamento^  che  si  appella  Com- 
pimento, il  quale  ha  luogo  quando  noi  addiman- 
diamo  noi  medesimi  alFavversario  nostro,  che  co- 
se per  lui,  o  che  contra  a  noi  si  possono  dire  ;  e 
poscia  noi  medesimi  diciamo  quello  che  noi  pos- 
siamo dire,  o  che  V  altra  parte  dire  non  puote  ;  per 
la  qual  cosa  o  noi  confermiamo  il  detto  nostro, 
o  '1  detto  dell'altra  parte  disfacciamo,  in  questo  mo- 
do :  Addimando  :  onde  questi  è  fatto  così  ricco  ? 
è  egli  venuto  della  eredità  di  suo  padre  ?  Certo 
no,  perchè  li  suoi  creditori  tutta  la  sustanza  per 
li  loro  debiti  pigliarono.  E  egli  venuto  per  la  ere- 
dità (i)  d' alcun  altro  suo  parente  ?  Mai  no  (2), 
perchè  /'  hanno  tutti  disr edato  (5).  Halla  avuta 
da  alcun'  altra  persona,  o  mercatanzia  o  procac- 
cio che  abbia  fatto  ?  Non  si  può  dire,  perchè  è 


(i)  reditade.  Testo  Mannt 

(2)  madie  nò.  Testo  Marini, 

(3)  direditato.  Testo  Marini,  e  questa  voce  è  al' 
legata  nel  Vocabolario  sulV  esempio  presente, 

5 


66 

sempre  stato  ozioso  {i)  e  senza  nessuno  procac- 
cio. Dunque  se  per  le  vie,  che  sono  poste  di  so- 
pra,  nullo  autore  nasce  da  sé,  le  ricchezze  a  co- 
stui noìi  licite  sono  venute,  e  non  nasce  t  oro  in 
casa  a  costui.  Item  :   Molti  sono  che  hanno  alcu- 
na coperta,  onde  non  pare  che  sìa  verisimile  a 
dire  male  di  loro  /  ma  questi  non  ne  ha  veruna, 
A  che  ricorrerà  egli  ?  alla  bontà  del  suo  padre  ? 
Certo  no,  perchè  egli  fu  uno  biscazziere  e  obbria- 
co,  che  sempre  volle  stare  colle  puttane  (2)  in  ta- 
verna. Potrà  egli  ricorrere  alla  sua  vita  onesta  ? 
Chen£  ella  è  stata  non  mi  fa  bisogno  di  dire,  per- 
chè a  voi  medesimi  è  manifesto.  Potrà  egli  dire 
che  abbia  molti  parenti,  per  li  quali  siamo  tenuti 
dì  fargli  piacere  ?  Certo  del  suo  parentado  non 
si  trova  niuno.  Degli  amici  suoi  potrà  alcuna  co- 
sa dire  ?  Certo  non  è  niuno  che  appellare  si  vo- 
glia suo  amico,  o  che  non  se  lo  tenesse  a  vergo- 
gna.  Itera  :  Credo  veracemente^  che  per  nimistà 
ti  movesti  quando    in  dare  sentenza  contra  a  lui, 
ti  movesti  a  punirlo»   Temesti  tu,  sapendo  che  7 
facevi  contra  ragione  ?  Certo  ne  leggi,  ne  statuti, 
uè  buone  usanze  curasti»  Movestiti  tu  per  V antica 
amicizia  che  era  stata  tra  voi?  Non  solamente  il 

(i)  accidioso,  leggesi  nelV antica  edizione. 
(2)  con  meretrici;  leggesi  nelV  antica  edizione. 


6, 

facesti^  ma  che  fosse  punito  vieppiù  sollecito  fo^ 
sti.  Avesti  tu  misericordia  di  lui,  quando  la  mO' 
glie  e  i  figliuoli  ti  s  inginocchiarono  ai  piedi  ? 
Per  certo  posso  dire  che  allora  desti  opera  che 
il  loro  padre,  dopo  la  giustizia  fatta^  non  fusse 
sotterrato  (i).  Molto  è  grave  quest'ornamento,  perr 
che  domandando  il  dicitore  di  quello  eh'  era  con- 
venevole a  fare,  mostra  che  non  fusse  fatto;  per  la 
qual  cosa  più  agevolmente  si  accende  la  malizia 
del  fatto.  Di  una  medesima  natura  è  quel  medesi- 
mo ornamento  quando  addimandiamo  a  noi  me- 
desimi, in  questo  modo:   Che  era  da  fare  quan- 
do io  era  circondato  da  tanti  nimici  ?  doleva  io 
combattere  con  loro  ?  Vedi  com'  era  convenei^o- 
le,  che  veniva  de  nimici  ben  cento  per  uno!  Do- 
veva io  stare  fermo  coli  oste  ?  Certo  né  avevamo 
vivanda,  né  aspettavamo  soccorso  da  alcuna  per- 
sona. Dovevami  mettere  alla  ventura  una  notte  e 
fuggire  coir  oste?  Certo  mi  fu  più  securo  ['2')  fa- 
re salve  le  persone  per  patto  e  lasciare  i  padiglio- 
ni e  le  tende,  che  mettere  cotanta  gente  a  così  pe- 
ricoloso rischio.  Questo  seguita  di  cotale  addo- 
mandamento,  che,  cercando  tutte  le  vìe,  aperta- 
mente ci  si  mostra  che,  quello  che  se  ne  prese,  fu 
il  migliore.  * 

(i)  soppellito  uon  fosse.  Testo  Marini. 
(2)  vie  più  sicuro  fue.  Testo  Marini. 


68 

DelT  ornamento,  che  si  appella  Salimento. 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  clie  si  appella  Sa- 
limentOj  il  quale  ha  luogo  quando  non  prima  si 
passa  alla  parola,  che  seguita,  che  quella,  eh'  è  già 
detta,  un'  altra   volta  si  ridice  ,  in  questo   modo  : 
Che  speranza  di  libertà  possiamo  noi  avere ,  se 
quello  che  vogliono  è  licito  loro,  e  quello  eli  è 
loro  licito,  possono,  e  quello  die  possono,  ardi- 
scono,- e  quello  che  ardiscono,  fanno,   e  quello 
che  fanno,  non  vi  dispiace  ?  Iteni  :   Non  fui  io 
quegli,  che  gli  assentii,  die  '1  consigliai  e  die  '1  mi-^ 
nacciai;  e  non  lo  compiei,  e  non  lo  pro^eddi  d^  in* 
nanzi?  (i)  Item  :  Affricano  per  lo  senno  suo  ven^ 
ne  a  virtù,  venne  a  vittoria  (2),  e  per  la  vittoria 
venne  agli  amici,  e  per  gli  amici  in  grande  stato* 
Item  :  Lo  imperio  appo  i  Greci  ebbero  in  prima 
quelli  di  Atene  ,•  dopo  quelli  di  Atene  li  Sparzia- 
tij  dopo  li  Sparziati  quelli  di  Tebe  ;  dopo  li  Tc' 
boni  quelli  di  Macedonia  ;  e  quelli  di  Macedch 
nia  in  poco  tempo  tutto  il  Levante  conquistarono, 

(i)  Non  fu' io  quegli,  che '1  séntio,  e  no '1  consi- 
gliai ;  e  no  '1  consigliai,  e  no  '1  cominciai  j  e  no  '1  co* 
minciai,  e  no  '1  compiei  ;  e  no  '1  compiei,  e  no  *1  pro- 
vidi dinanzi?  Testo  Marini, 

(2)  venne  a  bontà;  per  la  bontà  a  vittoria.  Testo 
Mannù 


69 

Il  rìdicimento,  che  sì  fa  della  parola,  è  la  maggio- 
re bellezza  di  questo  ornamento. 

Deir  ornamento,  che  si  appella  Diffinimenio  (i). 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  clie  si  appella  Dif- 
finìmento,  ed  ha  luogo  quando  per  poche  parole 
si  dimostra  quello  che  sia  alcuna  cosa,  in  questo 
modo  :  Non  è  questa  diligenzia  ma  avarìzia,  per- 
chè-diligenzia  è  una  sollecitudine  in  sapere  lo  suo 
ben  guardare,  ma  avarizia  è  uno  ingiurioso  de- 
siderio dello  altrui,  Item  :  Non  è  questa  pruden* 
zia  ma  follia,  perchè  prudenzia,  è  uno  dispregio 
di  pericoli  e  fatiche  j  acciocché  la  cosa  bene  e  util" 
mente  si  faccia  ;  ma  follia  è  uno  apprendimento 
di  fatiche  e  di  pericoli,  non  considerando  che  del 
fatto  si  può  seguire.  Però  è  detto  bello  questo  or- 
namento, perchè  la  forza  di  una  parola  compren- 
desi  sì  bene  e  in  poche  parole,  che  né  per  più,  uè 
per  meno  mostra  che  si  potesse  ben  dire. 

[Dell'  ornamento,  che  si  appella  Mostramento. 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Mo- 
stramento, il  quale  ha  luogo,  quando  quello  che  è 

(i)  DifiÌDizione.  Testo  Manni. 


7^ 

già  detto  di  sopra  brievemente  si  ridice,  e  quello 
che  seguita  più  brievemente  si  mostra,  in  questo 
modo  :  Chenfegli  è  stato  al  suo  comune  vi  ho  mo- 
strato brievemente  ;  cheni  egli  dee  essere  a  suo 
padre,  diligentemente  considerate.  Item  :  Quanto 
bene  ho  fatto  a  costui  avete  inteso;  che  guiderdo- 
ne m  abbia  renduto,  ogni  uomo  il  sa.  Questo  or- 
namento si  fa  prode  (  i  )  a  due  cose,  percliè  quello 
eh'  è  già  detto  reca  a  memoria,  e  assomiglia  a  co- 
lui, che  ode,  quello  che  se  ne  seguita  poi. 

Dell'  ornamento,  che  si  appella  Gastigamento, 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Ga- 
stìgamento,  ed  ha  luogo  quando  il  dicitore  quello 
che  ha  detto  rimuove,  ed  un  altra  cosa,  che  me' 
vi  si  acconcia,  pone  in  luogo  di  quella,  in  questo 
modo  :  Posciachè  questi  ebbero  vinto,  anzi  furo- 
no vinti,  perchè  come  si  può  vittoria  appellare^ 
onde  a  colui,  che  vince,  si  seguita  pia  danno  che 
utile?  {2)  Item:  Invidia  nimica  de  buoni,  anzi 
stimolo  crudele  si  dee  dire.  Item  :  Che  sarebbe  sta^ 
to  se  avesse  trovato  gli  amici,  anzi  pure  fatto  lo- 
ro a  sapere  ?  Questo  ornamento  commuove  molto 


(i)  utile,  leggesi  nelV antica  edizione. 
(2)  prode.  Testo  Manni. 


71 

r  animo  delF  uditore,  perchè,  data  la  cosa  ad  inten- 
dere per  parole  comuni,  correggendo  il  detto  suo 
per  più  acconce  parole,  commuove  maggiormente 
l'animo  dell'  uditore. 

DelV  ornamento,  che  si  appella  Soprappigliare. 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  So- 
prappigliare, il  quale  ha  luogo  quando  diciamo  di 
volere  passare,  o  di  non  volere  dire  quello  che 
maggiormente  di  dire  è  la  nostra  intenzione,  in 
questo  modo  :  Della  viiupereK'ole  vita  che  mena- 
sii  quando  fosti  giovane  direi,  se  fosse  tempo  e 
stagione.  Anche  :  Mi  taccio  la  codardia  che  fa- 
cesti quando  fusti  gonfaloniere,  e  la  ingiuria  che 
ti  fu  fatta,  quando  fusti  ben  bastonato  enei  volto 
fedito  [i),  perchè  non  fa  a  questo  fatto  niente  p 
ma  ritorno  alla  materia  che  ho  cominciata,  Item  : 
Non  mi  metto  a  dire  il  furto  de'  danari  che  fa» 
cesti  al  comune,  perchè  non  sono  ora  sopra  quel- 
la materia  ;  né  come  ti  fuggisti  con  danari  altrui, 
e  le  baratterie  che  facesti  a  mercatanti  di  Roma, 
perchè  non  fa  a  questo  fatto  niente,  ma  riiorno  al 
detto  mio.  Questo  ornamento  è  molto  utile  ad  usa- 
re quando  a  voler  infamare  F  inimico  converrebbe 

(i)  e  ferito  nelvolto^  legge  si  nelV  antica  edizione. 


usare  troppe  parole  ;  ma  se  volessimo  dire  (i) 
ogni  cosa  sarebbe  sozzo  a  udire,  e  potremmo  noi 
essere  ripresi;  sicché  viene  meglio  (2)  a  mette- 
re in  suspizione  1'  uditore ,  e  dargli  le  cose  ad 
intendere  tacitamente,  che  specificare  le  cose  alla 
distesa. 

Dell'  ornamento,  che  si  appella  Sceveramento. 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Sce- 
veramento, il  quale  ha  luogo  quando  avendo  certe 
cose  dette  di  sopra,  quelle,  o  ciascuna  per  sé,  ov- 
vero tutte  insieme,  conchiudiamo  con  certe  parole, 
in  questo  modo  :  //  popolo  di  Roma  Numanzia 
disfece  ;  Cartagine  distrusse  ;  Corinto  abbatteo  ; 
Fregella  tolse  via.  La  forza  delle  persone  (3)  a 
quelli  di  Numanzia  nìuna  cosa  giovò  ;  il  sapere 
dell'  arme  coloro  di  Cartagine  difendere  non  po- 
tè ;  lo  scaltrimento  (4)  e  7  senno  a  coloro  di  Co- 
rinto  non  valse  niente;  i  belli  costumi  e  la  lingua 
a  quelli  di  Fregella  ninna  cosa  approdò.  Nello 
esempio  detto  di  sopra,  ciascuna  cosa  si  comprende 


(i)  alla  distesa  dire.  Testo  Marini. 

(2)  viemmeglio  è.  Testo  Manni. 

(3)  del  corpo.  Testo  Manni, 

(4)  scaUerimeuto.  Testo  Manni, 


73 

per  sue  proprie  parole;  e  puossi  fare  die  uno 
detto  si  comprenda  in  molti  modi,  in  questo  mo- 
do: La  bellezza  del  corpo  o  disfassi  per  male  che 
abbia j  o  tolsi  via  per  vecchiezza. 

Dell'  ornamento y  che  si  appella  Raddoppiamento. 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Rad- 
doppiamento, ed  ha  luogo  quando  volendo  aggran- 
dire, ovvero  adasprire  (i)  alcuna  cosa,  ridiciamo 
una  parola,  ovvero  molte  parole,  due  volte  in  que- 
sto modo  :  Tu  non  ti  movesti  quando  umilemen' 
te  tua  madre  ti  chiamava  mercede,  crudele  non  ti 
movesti.  Item  :  Ancora  ardisci  di  venire  dinanzi 
a  costoro  j  traditore  del  paese?  Traditore  del  pae- 
se, dinanzi  a  costoro  di  venire  hai  ardimento  ?  Ma- 
ravigliosamente commuove  F  animo  delF  uditore 
questo  ridicimento,  e  fiede  al  cuore  molto  mag- 
giormente, siccome  lo  uomo  quando  è  ferito  in 
due  luoghi,  cioè  in  uno  luogo  due  volte  (2). 

(i)  adasprare^  Cod.  della  Marciana;  equiparare^ 
leggesi  ne IV  antica  edizione. 

(2)  siccome  quando  Tuomo  è  fedito  in  un  luo- 
go due  volte.  Testo  Manni, 


74 


Deir  ornamento,  che  si  appella 
Richiamamento  (i). 


Ed  è  uno  altro  ornamento^  che  si  appella  Ri- 
dila raamento,  ovvero  che  si  chiama  Interpreta- 
mento,  ed  ha  luogo  quando  una  medesima  cosa 
ridiciamo  più  volte,  non  per  quelle  medesime  pa- 
ro! e,  come  quelle  di  sopra,  ma  per  parole  diverse, 
in  questo  modo  :  La  città  nostra  parte  è  disfatta , 
il  comune  nostro  parte  è  distrutto.  Anche  :  Tuo 
padre  malamente  battesti,  sozzamente  a  tuo  padre 
mettesti  le  mani  addosso.  Bisogno  fa,  che  1'  animo 
deir  uditore  si  commuova  quando  la  gravezza  del 
primo  detto  (2)  per  altre  parole  si  rimuove. 

Deir  ornamento,  che  si  appella  Rimutamento. 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Ri- 
mutamento, ed  ha  luogo  quando  sono  due  cose  ia 
uno  detto,  e  V  uno  e  l'altro  è  contrario,  ma  proffe- 
ransi  sì,  che  Y  uno  si  salva  per  V  altro  (3),  in  que- 
sto modo  :  Mangiare  conviene  air  uomo  acciocché 


(i)  Interpretamento.  Teslo  Marini. 

(2)  la  grandezza  del  primaio  detto.  Testo  Manni. 

(3)  che    si   salva   Tuno  detto   uscendo  dell' altro. 
Testo  Manni, 


75 

twa  ;  e  non  vivere  acciocché  mangi  (i) .  An- 
che :  Di  questo  fatto  più  non  mi  travaglio^  per-- 
che  quello  che  voglio  non  posso,  e  quello  che 
posso  non  voglio.  Item  :  Quello  che  si  dice  di  co' 
stui,  non  si  può  dire,  e  quello  che  si  può  dire, 
non  si  dice. 

Dell'  ornamento,  che  si  appella  Concedimento, 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Con- 
cedimento, il  quale  ha  luogo  quando  nel  nostro 
detto  mostriamo  di  dare  noi  alcuna  cosa  tutta  al- 
la volontà  di  altrui,  in  questo  modo  :  Avendo  io 
perduto  tutte  le  mie  cose,  ed  essendomi  rimasa  so-' 
lamente  t  anima  e  'l  corpo,  quello  cotanto  che 
mi  è  rimaso  di  molte  altre  cose,  che  aveva,  tutto 
ho  messo  in  vostro  potere  ^  voi  me,  in  qualun- 
que (2)  modo  volete j  usate  a  fare  tutta  la  vostra 
volontà  ;  voi  mi  comandate,  e  dite  tutto  quello 
che  vi  piace,  perocché  io  adempierò  tatto  vostro 
volere.  Questo  ornamento  ha  luogo  a  certe  sta- 
gioni, quando  il  dicitore  vuole  accattare  benevo- 
lenzia  da  altrui. 

(1)  manuchi.  Testo  Manni, 

(2)  cheunque.  Testo  Manni, 


76 
DelV  ornamento,  che  si  appella  SbrigamentOé 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Sbri- 
gamento,  il  quale  ha  luogo  quando  sopra  una  co- 
sa,   essendo  assegnate    molte    ragioni  perche  si 
dee  fare  o  no,  tutte  si  tolgono  via  e  una  sola  ri- 
mane che  fa  utile  al  dicitore ,   in  questo  modo  : 
Manifesta  cosa  è,  che  questa  cosa  fu  mia  ;  adun- 
que fa  bisogno  che  tu  mostri  che  tu  V  abbia  avu- 
ta da  me,  o  che  tu  sia  stato  mio  erede,  o  che  per 
uso  sia  fatta  (i)  tua.   Da  me  avuta  non  la   hai, 
che  giammai  non  la  ti  diedi  ;  mio  erede  essere 
non  puoi,  essendo  me  vivo;  per  uso  tua  fatta  non 
la  hai,  perchè  è  poco  tempo  che  V  avesti  ;  se  per 
li  detti  modi  non  /'  hai,  rimane  che,  come  non 
dee,  sia  appo  te.  Questo  ornamento  vale   molto 
quando  per  presunzione  si  vuole  mostrare  la  ve- 
rità della  cosa  ;  però  non  è  in  questo  come  negli 
altri  ornamenti;  che  lo  possa  usare  il  dicitore  quan- 
do gli  piace, 

DelV  ornamento,  che  si  appella  Disciolto, 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Di- 
sciolto, il  quale  ha  luogo  quando  ciascuno  detto  si 

(i)  stata.  Testo  Manni, 


77 

proffera  per  sé,  in  questo  modo  :  Ubbidisci  tuo  pa- 
dre;  onorai  parenti^  provvedi  agli  amici  j  osser- 
va le  leggi»  Itera  :  Difenditi  francamente  ;  sta  fer- 
mo  alla  corte  y  dà  i  tuoi  testimonii;  usa  le  carte  ^ 
fa  le  tue  allegazioni;  di  niuna  cosa  temere.  Que- 
sto ornamento  è  molto  brieve,  e  fa  molto  aspro  il 
detto  del  dicitore  e  molto  brieve. 

DelV  ornamento,  che  si  appella  Recidimento 
o  Ridicimento. 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  che  si  appella  Re- 
cidimento, ovvero  Ridicimento,  il  quale  ha  luogo 
quando  dette  avendo  già  certe  cose  e  cominciato 
a  dire  altro,  lascia  quello  eh'  è  cominciato,  e  non 
va  più  innanzi,  in  questo  modg  :  Teco  più  fac* 
cende  avere  non  voglio^  e  che  tu  sii  tale  non  vo' 
più  dire  per  non  fare  manifesta  la  tua  cattivitade. 
Itera:  Tu  sé  fatto  ora  molto  rubesto  (i),  ma  non 
è  gran  tempo  che  tu  stavi  sì ...  Eh  non  voglio  più 
scoprire  acciocché  se  io  dicessi  ogni  cosa  non 
tornasse  a  vergogna  ad  altrui, 

(i)  subito.  Testo  Marini, 


78 


DelV  ornamento,  che  si  appella  Conclusione. 

Ed  è  uno  altro  ornamento,  clie  si  appella  Con- 
clusione, il  quale  ha  luogo  quando  di  quello  che  è 
detto,  o  di  quello  che  è  fatto,  per  brievi  argomen- 
ti quello  che  di  necessità  si  seguita,  si  conchiude, 
in  questo  modo  :  Se  profetato  era  che  Troia  vin- 
cere non  si  potea  senza  le  saette  di  Filottete,  e 
quelle  non  adoperarono  altro  che  ad  uccidere 
Alessandro,  chiamato  Paris,  dunque  la  morte  di 
Paris  fu  la  cagione  perchè  disfatta  fu  Troia. 


79 
TRATTATO  SECONDO 


I 


modi  e  le  vie  onde  si  possono  ornare  le  bel- 
le parole  pienamente  abbiamo  veduto  di  sopra; 
ora  ti  voglio  mostrare  quali  sono  le  gravi  e  ornate 
e  belle  sentenzie,  per  le  quali  la  diceria  si  rende 
buona  e  piacente. 

Della  Distribuzione. 

E  una  sentenzia,  che  si  chiama  Distribuzio- 
ne, la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  un  certo 
fatto  in  molte  cose,  ovvero  persone,  distribuisce  ; 
in  questo  modo  :  Qualunque  persona  ama  il  co- 
mune  dee  avere  in  odio  costui^,  perchè  crudelmen- 
te ha  sempre  il  comune  inodiato  (  i  ).  Chi  intende 
a  onore  di  cas^alleria  dee  volere  che  costui  sia 
agramente  punito,  acciocché  per  lui  sì  grande  di- 
gnità così  vituperata  non  sia.  Voi,  che  as^eté  pa- 
dri, mostrate  per  la  vendetta  che  di  costui  fac- 
ciate fare  che  non  vi  piacciono  uomini  rei.  Voi, 
che  avete  figliuoli,  mostrate  per  esemplo  quante 

(i)  odiato,  leggesì  neW antica  edizione. 


8a 

pene  debbono  portare  coloro  che  sono  della  rei- 
tà (i)  di  costui.  Item:  ^'  consiglieri  del  consiglio 
si  appartieìie  di  fedelmente  consigliare  il  comune; 
alla  podestà  [i)  si  appartiene  di  seguitare  la  vo- 
lontà del  consiglio  ;  al  comune  si  appartiene  di 
amare  ì  buoni  uomini  della  sua  città,  e  le  loro  o- 
pere  trarre  innanzi  e  lodare.  Item  :  Officio  è  di 
colui,  che  domanda^  di  dare  la  sua  petizione,  e  di 
colui  a  cui  è  domandato,  di  rispondere  e  negare, 
e  de'  testimonii  di  dire  la  veritade  così  per  V  una 
parte  come  per  V  altra,  e  del  giudice  d^  inveni- 
re (3)  la  verità  e  di  giudicare.  Questo  ornamento 
è  molto  copioso,  perchè  in  poche  parole  compren- 
de molte  cose,  dando  a  ciascuno  F  officio  suo,  e  di- 
scevera le  cose  e  divide  le  persone. 

Della  Licenzia. 

Ed  è  un'altra  sentenzia,  che  si  appella  Licen» 
zia,  la  quale  ha  luogo  quando  dinanzi  a  coloro,  che 
dobbiamo  (4)  riverire  e  temere,  diciamo  alcuna  co- 
sa di  nostra  ragione,  che  di  soperchio  non  li  offenda  j 


(i)  reta.  Testo  Marini, 

(2)  al  podestà,  legge  si  nell*  antica  edizione, 

(3)  cercare.  Testo  Marini. 

(4)  dovemo.  Cod,  della  Marciana» 


Si 

e  fassi  in  questo  modo  :  Blaravigliatevi  voi,  mes- 
se?' lo  Conte  (i)y  e  perchè  le  nostre  petizioni  non 
sieno  intese  e  le  nostre  ragioni  non  sieno  udite, 
e  che  niuno  di  noi  si  faccia  difenditore  (2),  re- 
putatene  pure  nostra  la  colpa,  e  di  ciò  non  vi  fa- 
te maraviglia,  Qual  cosa  è  in  voi  perchè  V  uomo 
non  debba  così  fare  ?  (3)  Considerate  bene  chi  so- 
no stati  gli  amici  vostri,  e  ricordatevi  de  servigii 
che  vi  hanno  fatti,  e  vedete  i  bisogni  che  hanno 
avuto  di  voi,  e  come  ne  sono  stati  serviti,  perchè 
allora  vedrete  e  conoscerete  coloro  essere  mala-- 
mente  trattati,  che  da  voi  non  hanno  avuto  soc- 
corso niuno  ;  laonde  i  loro  nimici  ne  sono  avanza- 
ti (4)  e  venuti  ip.  grande  stato,  Item  :  Per  che  ca- 
gione temeste  voi,  messere  lo  podestà,  di  fare  con- 
dannagione  di  costui  ?  Già  era  il  malefizio  contra 
lui  legittimamente  provato  ;  già  era  fama  di  tutta 
la  gente,  eh'  egli  aveva  il  malefizio  commesso  ;  già 
aveva  egli  fatta  tal  difensione,  che  ri  era  fatto 
beffe  e  scherno.  Aveste  voi  paura,  se  nel  primo 
consiglio  lo  aveste  (5)  condannato,  non  foste  te- 
nuto crudele?  Volendo  schifare  quello  vituperio, 

(i)  Locotenente,  leggesi  nelV antica  edizione. 

(2)  si  sa  difendere.  Testo  Manni, 

(5)  Don  vi  debba  fuggire  e  schifare.  Testo  Manni, 

(4)  assaltati.  Cod.  della  Marciana, 

(5)  r  avessi.  Cod.  della  Marciana, 

6 


82 

che  non  potea  a\>ere  luogo  in  voi,  sete  caduto  in 
questo  altro,  che  voi  sete  tenuto  vile  e  codardo  : 
grande  male  al  comune  e  a'  cittadini  avete  fatto. 
Sedetevi  e  riposatevi  oggimai  a  grande  agio,  e 
quando  alcuno  malefizio  vedete,  o  evvi  dinunzia- 
to,  dite  pure  :  Ben  faremo,  sicché  i  malfattori  ne 
piglino  baldanza,  e  torni  questo  a  grande  ahhas- 
samento  del  comune.  Se  questa  cotale  licenzia  di 
riprendere  i  nostri  maggiori  paresse  al  dicitore, 
quando  lia  detto,  che  fusse  troppo  aspra,  sì  la  deb- 
ba di  dietro  mitigare,  in  questo  modo  :  Pero  la 
potenzia  vostra  addimandiamo,  il  senno  e  la  bon- 
tà vostra  richieggiamo,  la  vostra  usanza  (i)  del 
benfare  in  questo  luogo  si  paia^  e  altre  cotali 
belle  parole  da  mitigare  sì,  che  venga  in  voi  il  pro- 
verbio :  Quello  che  non  piovve  da  cielo  rimase 
suso  (2);  che  '1  farete,  e  Iddio  ve  ne  dia  voglia  e 
possa,  sì  che  l'ira,  che  aveva  raccolta  l'uditore  per 
la  licenza,  si  temperi  per  le  lodi  di  dietro  ;  e  che 
r  uno  detto  tolga  via  l' ira,  e  T  altro  di  quello,  che 
ha  errato,  si  spaventi. 

(i)  usata.  Testo  Marini, 

(2)  Quello  che  non  piove  di  cielo  rimansì  suso.  Te- 
sto Mmni. 


83 
Dello  Scaltrimento. 

Ed  è  uno  altro  modo  di  licenzia,  il  quale  si  fa 
per  via  di  Scaltrimento,  in  due  modi  :  V  uno,  quan- 
do riprendiamo  i  nostri  maggiori  secondo  che  noi 
sappiamo  che  vogliano  essere  ripresi;  l'altro, 
quando  quello,  eh' è  aperto,  ad  ogni  uomo  diciamo, 
dubitando  come  si  debba  intendere.  La  prima  li- 
cenzia si  fa  in  questo  modo  :  Troppo  sete  semplice 
e  di  benigno  animo  ;  troppo  credete  a  ogni  uomo, 
e  sperate  che  ciascuno  vi  faccia  quello  che  v'im- 
promette  ;  errate,  e  troppo  sete  menato  per  beffe, 
e  per  vostra  mattia  (  i  )  quello  eh'  era  in  vostra  po- 
testà voleste  anzi  credere  che  V  aveste  tenuto.  Del- 
l'altra licenzia  sarà  questo  1'  esemplo  :  Vero  è,  che 
con  costui  io  avea  grande  amistà,  ma  voi  sete  quel- 
lo che  me  n  avete  privato  e  dojnandatomene,  aC' 
ciocché  rimanessi  io  vostro  amico;  che  posciachè 
è  divenuto  quello  vostro  nimico,  incontanente  si 
partì  r  amistà.  Qyiesto  ornamento  si  fa  in  due  mo- 
di, il  primo  si  dice  agramente  e  per  aspre  parole^ 
come  hai  veduto  di  sopra ,  e  se  diventa  troppo  a- 
spro  si  tempera  con  le  dette  parole  da  sezzo  ;  e  l' al- 
tro, che  si  fa  per  iscaltrimento,  non  fa  bisogno  di 
mitigare. 

(i)  stoltizia,  leggesì  neir antica  edizione. 


H 

Del  Menomamento. 

Ed  è  una  sentenzia,  che  si*  appella  di  Meno- 
mamento, la  quale  ha  luogo  quando  colui,  che  favel- 
la, loda  se  o  altra  persona  e  menoma  le  lode  sue 
acciocché  non  sia  tenuta  troppo  grande  arroganza, 
in  questo  modo  :  Non  dico  queste  cose  perchè  io 
ne  creda  mia  ragione  avanzare,  ma  solo  perchè 
egli  è  così  la  verità.  Sempre  mai  con  molta  fatica 
e  ingegno  curai  che  la  cavalleria  non  fusse  in 
nessuno  luogo  sottana,  né  die  la  giustizia  nonfus^ 
se  in  me  il  luogo  sottano  (i).  In  questo  luogo  se  il 
dicitore  avesse  detto,  clie  la  cavalleria  fosse  in  lui 
in  grande  stato,  avvegnaché  avesse  detto  vero,  sa- 
rebbe paruto  troppo  grande  arroganza.  Item  :  ì^eg- 
giamo  se  per  povertà  o  per  avarizia  avesse  questi 
commesso  questo  malejizio.  Per  avarizia  no,  per- 
chè questo  è  stato  sempre  liberale  agli  amici  ;  oh'  è 
grande  segno  di  larghezza,  eli  è  all'  avarizia  con- 
trario. Per  povertà  no^  perchè  il  padre,  die  non 
voglio  molto  dire,  gli  lasciò  patrimonio  non  pic- 
colo (2).  Questo  cotale  Menomamento  dee  usare 


(i)  Sempre  mai  con  molta  fatica  e  ingegno  curai 
che  la  cavalleria  non  fosse  in  me  luogo  sottano.  Testo 
Manni. 

(2)  Piccolino.  Testo  Manni. 


85 

il  dicitore  quando  intende  di  lodare  se  o  altra  per- 
sona, perchè  è  avuta  per  sozza  cosa,  quando  altri 
si  loda,  se  le  sue  lodi  non  sa  temperare  e  coperta- 
mente dire  bene;  onde  secondochè  ne'  ragiona- 
menti, così  nelle  dicerie  se  ne  debbe  guardare  il 
dicitore,  e  farle  copertamente  e  temperarle  quan- 
do si  fanno. 

Del  Designamento, 

Ed  è  un'altra  sentenzia,  che  si  appella  Desi- 
gnamento,  la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  di^ 
segni  che  gravi  cose  di  alcuno  fatto  si  possono  se- 
guitare per  innanzi,  in  questo  modo  :  Se  questo  reo 
uomo,  cìi  è  ora  caduto  alle  mani  vostre  e  del  cO" 
mune,  nonfia  punito  per  voi,  e  delle  vostre  mani 
camperà,  incontanente,  siccome  leone  o  altra  cru^ 
dele  bestia  scatenata,  andrà  per  la  città  e  per  lo 
contado  uccidendo  e  rubando  e  ardendo,  amico  e 
nimico y  forestiero  e  cittadino,  e  7  comune  non  si 
potrà  poi  di  costui  atare  (i).  Però,  messere  lo  po- 
destà,  liberate  i  vostri  cittadini  dalle  mani  di  co- 
stui,  e  a  voi  medesimo  procedete,  perchè  se  co- 
stui delle  vostre  mani  si  camperà,  contra  a  voi 
medesimo  si  rii^olgerà  questa  fiera,  e  sarete  in 

(i)  aitare^  leggasi  neW antica  edizione. 


S6 

grande  pencolo  di  campare,  Item:  Messere  lo  pò- 
destà^  se  di  costui  prendete  troppo  aspra  vendetta, 
non  solamente  costui^  ma  molti  altri  per  la  vo- 
stra sentenzia  saranno  puniti^  perchè  questo  gio- 
vane  è  nato  di  gran  sangue,  e  7  padre  è  un  vec- 
chio e  tutta  la  sua  speranza  è  oggi  in  costui ,  e  i 
suoi  figliuoli  sono  pargoli  (  i  )  tutti  e  hanno  molti 
nimici  ;  sicché  incontanente,  privati  del  loro  pa- 
dre,  verranno  loro  addosso  e  terranno  loro  le  ca- 
se e  le  terre  e  caccerannoli  via,  e  niuno  sarà  poi 
che  li  difenda  (2)  o  che  si  levi  per  loro.  Item:  Se 
non  vi  difenderete  e  francamente  lascerete  vince- 
re la  nostra  città,  potete  ben  essere  certi,  che  in- 
contanente,  presa  la  terra,  tutti  quelli  da  arme  sa- 
ranno morti,  e  spezzati  i  vecchi^  le  femmine  e  i 
pargoli,  quale  sarà  morto  dinanzi  al  suo  padre 
e  quale  storpiato,  e  quelli  che  rimarranno  saran- 
no tutti  presi  e  venduti  per  servi,  e  sarà  isceve7\i- 
to  (3)  //  marito  dalla  moglie,  il  padre  dal  figliuo- 
lo ^  e  V  uno  fratello  dall'  altro,  i  quali  aveva  con- 
giunti la  natura;  e  la  vostra  città  sarà  arsa  e  tutti 
li  beni  vostri  verranno  alle  mani  dei  nimici.  Niu- 
no potrebbe  con  lingua  contare  le  crudeli  cose  che 

(1)  piccoli,  leggesi  nell'antica  edizione. 

(2)  che  se  gli  metta  a  difendere.  Testo  Mannì, 

(3)  separalo,  leggesi  ne IV  antica  edizione. 


87 

ne  avverrebbe.  Per  questo  ornamento  si  aprono  le 
cose  che  possono  addivenire,  e  o  recasi  F  animo 
deir  uditore  a  misericordia  o  rendesi  indignato. 

Della  Divisione. 

Ed  è  un'altra  sentenzia,  che  si  chiama  Divi- 
sione, la  quale  ha  luogo  quando  sono  due  cose,  o 
più,  che  nasce  l'una  dell'  altra,  e  catuna  (i)  si  sbri- 
ga per  certa  cagione,  in  questo  modo:  Due  cose 
sono  per  le  quali  si  muove  Vuomo  a  torre  Val" 
trai  :  V  una  per  povertà,  V altra  per  avarizia.  Che 
tu  sia  avaro,  quando  dal  fratello  ti  dividesti  (2) 
assai  si  manifestò;  che  tu  sia  povero,  non  mi  fa 
bisogno  di  dire^  perchè  a  tutte  genti  è  manifesto. 
Item:  Perchè  ti  rammenterei  io  i  molti  servigi 
che  ti  ho  già  fatti  ?  Se  ti  stanno  a  mente,  saronne 
meritato  ;  se  no,  poco  mi  gioverebbe  di  rammen- 
tarli se  gli  hai  dimenticati  (3). 

(1)  ciascuna,  leggesi  nelV  antica  edizione. 
(a)  dovidesti.  Tèsto  Marini. 
(3)  poco  mi  gioverebbey   perchè  io  li  dicessi  pa- 
role. Testo  Manni. 


ss 

Dello  Spessamento» 

Ed  è  un'  altra  sentenzia,  che  si  appella  Spes- 
samente, la  quale  ha  luogo  quando  molte  cose,  che 
sparta  mente  sono  dette  in  una  diceria,  si  raccol- 
gono da  sezzo  in  un  luogo,  acciocché  si  renda  più 
grave  quello  che  si  dice,  in  questo  modo  :  Chefac- 
eia  aveste  voi  oggimai  ?  aveste  voi  ardire  di  toc- 
car (i)  costui,  il  quale  è  pieno  di  cotante  malizie, 
che  secondochè  vi  ho  mostrato,  questi  è  empio  al 
suo  padre  e  grave  a  parenti  ^  disobbediente  d 
suoi  maggiori  e  fastidioso  a  suoi  pari  e  crudele 
a  minori  di  sé,  ed  è  ladro  e  avoltero  (2)  e  mici- 
diale e  con  lui  non  può  niuno  conversare  ?  Que- 
sto ornamento  ha  molto  luogo,  quando  il  dicito- 
re per  cose  verisimili  vuole  provare  alcuna  cosa, 
perchè  molte  cose,  le  quali  sono  deboli  ciascuna 
per  sé,  ragunate  tutte  insieme  in  un  luogo,  pare 
che  facciano  piena  fede,  in  questo  modo:  Non 
guardate,  messere  lo  podestà,  le  cose  che  ho  det- 
te di  sopra  a  catuna  per  sé,  ma  tutte  insieme  con- 
siderate .  Se  della  morte  di  colui  torna  grande  u- 
tilità  a  costui,  e  questi  è  uomo  reo  e  mendico  e 
avaro,  a  neuno  altro  che  a  costui  poteva  questo 


(i)  difendere,  leggesi  nell'antica  edizione» 
(a)  adultero,  leggesi  nelV  antica  edizione. 


89 

micidio{i)  tornare  a  utilità^  e  a  neuno  altro  cadde 
così  in  acconcio  di  fare,  e  in  neuno  (2)  altro  mo- 
do potrebbe  questi  avere  fatto  meglio  ;  perchè  il 
luogo  fu  acconcio  e  la  stagione  buona,  e  agevol- 
mente si  potè  fare  ;  e  questi  fu  veduto  nel  luogo 
dove  il  malefizio  fu  fitto,  e  colui,  che  fu  morto j 
fu  udito  poco  stante  gridare,  e  questi  tornò  la 
sera  a  casa  molto  tardi,  e  V  altro  dì  della  morte 
di  costui  non  fermamente  favellava.  Per  tutte  le 
cose  dette  di  sopra,  e  anche  perchè  palesemente 
si  dice  per  tutta  la  gente,  che  questi  ha  questo  ma- 
lefizio  commesso,  la  qual  voce  non  è  nata  senza 
cagione,  potete  fermamente  conoscere  e  vedere, 
che  per  costui  è  questo  malefizio  commesso,  e  giu- 
stamente il  dovete  punire.  Maraviglioso  ornamen- 
to è  questo  nelle  cose  che  si  vogliono  mostrare  per 
presunzione  (3),  e  in  ogni  cosa  che  sia  verisimile 
nelle  gravi  e  ornate  sentenzie  che  si  fanno  nelle 
dicerie. 


(i)  omicidio,  leggesi  neir antica  edizione. 

(2)  gnu  DO.  Testo  Manni. 

(3)  prosunzioni.  Testo  Manni, 


9» 

Del  Punimento  (i). 

Ed  è  un'altra  sentenzia^  die  si  appella  Puni- 
mento,  la  quale  ha  luogo  quando  soprastiamo  in 
un  luogo  a  dire  sopra  una  medesima  cosa,  e  pare 
che  noi  diciamo  cose  diverse  ;  e  puossi  fare  in  due 
modi:  l'uno,  quando  diciamo  quella  medesima  co- 
sa eh' è  già  detta  di  sopra  ;  l'altro,  quando  non  quel- 
la medesima  cosa,  ma  di  quella  diciamo.   Quando 
ridiciamo  quella  medesima  cosa,  eh'  è  già  detta  di 
sopra,  sì  la  ti  conviene  ridire  per  altre  parole,  per- 
chè se  la  dicessimo  per  quelle  medesime  parole, 
non  sarebhe  ornamento  ma  sarebbe  detto  noioso. 
Questo  è  lo  esemplo  :  Ninno  pericolo  è  sì  grande 
che  li  savii  uomini  non  vogliano  fuggire  per  fare 
salva  la  città  loro,  per  campare  il  comune  loro, 
che  non  perisca.  Coloro,  che  sono  sa^^ii,  non  ischi' 
fano  trasfaglio  né  pericolo  niuno.  Del  secondo  mo- 
do, cioè  quando  non  ridiciamo  quella  medesima 
cosa^,  ma  diciamo  di  quella^  questo  è  lo  esemplo. 
Volendo  il  dicitore  dire  che  per  difendere  il  suo 
comune  non  si  dee  fuggire  pericolo  niuno,  sì  lo 
dirà  in  questo  modo  :  Coloro,  che  sono  savii,  per 
lo  comune  non  iscJiifàno  mai  pericolo  niuno, 
perchè  chi  per  lo  suo  comune  non  vuole  perire, 

(i)  Pulimento.  Testo  Marini, 


91 

col  suo  comune  spesse  volte  perisce  ;  conciossia^ 
cosachè  della  sua  città,  ove  V  uomo  abita,  abbia 
ogni  suo  bene,  ninno  periqolo  gli  dee  parere  gran- 
de  (i)  per  camparla;  dunque  chi  fugge  quel  pe- 
ricolo che  per  lo  suo  comune  dee  pigliare,  mat- 
tamente si  porta,  perchè  fuggire  da  sezzo  noi  può- 
te,  e  vive  tra  gli  altri  cittadini  vituperato;  ma  chi 
prepone  il  pericolo  del  comune  al  suo  speziale^ 
fa  saviamente,  perchè  al  suo  comune  rende  il  de* 
bito  suo,  e  vuole  per  molti  pia  av accio  (2)  perire 
con  onore,  che  con  molti  vivere  con  vergogna  ; 
perocché  molto  è  grande  iniquità  la  vita  che  dal' 
la  natura  ha  avuta  e  per  lo  suo  paese  ha  conser- 
vata, quando  la  natura  la  richiegga  per  lo  suo 
paese  j  e  quando  fa  bisogno,  non  darla,  e  a  gran- 
de onore  potendo  (3)  morire,  volere  con  disonO' 
re  vivere,  E  com  è  da  riprendere  colui  che, 
quando  naviga,  più  avaccio  la  nave  che  le  perso- 
ne intende  a  salvare,  così  di  colui  è  da  fare  beffe 
e  scherno,  che  in  sul  grande  pericolo  più  prov- 
vede al  suo  salvamento  che  a  quello  del  comune, 
perchè,  spezzata  la  nave,  molti  ne  possono  cani- 
pare,  ma  quando  perisce  il  comune  non  ne  campa 

(i)  greve.   Testo  Marini. 

(2)  presto,  legge  si  nelV  antica  edizione»  ' 

(3)  posseudo.  Testo  Manni, 


9^ 

veruno .  Per  la  qual  cosa  possiamo  dire  che 
Decio  si  portò  saviamente,  che  per  campare  la 
città  sua  si  mise  alla  morte  ed  a  ferire  i  nimici% 
Per  vii  cosa  e  per  piccola  grazia  ricomperò  una 
grande  ;  diede  la  vita  e  fece  saho  il  paese;  par- 
tissi V  anima  e  accattò  gloria  e  onore  ;  il  quale 
non  menoma,  ma  sempre  cresce  ed  inforza.  Dun- 
que se  per  viva  ragione  e  grandi  esempli  ti  ho  mo- 
strato, che  per  lo  suo  paese  si  dee  mettere  V  uomo 
ad  ogni  rischio,  savii  debbono  essere  tenuti  colo- 
ro che  per  fare  salva  la  città  loro  non  ischifano 
pericolo  ne  fatica  niuna.  Questo  è  bellissimo  or- 
namentOj  per  lo  quale  una  medesima  cosa  in  mol- 
ti modi  si  ridice  e  sempre  pare  che  si  dica  altre 
cose  ;  e  fassi  solamente  dal  buono  dicitore,  e  clii 
r  usa  di  fare  appara  tostamente  a  ben  parlare  (i). 

Del  Soprastare. 

Ed  è  un'  altra  sentenzia,  che  si  appella  Sopra- 
stare, la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  sopra- 
stà  in  uno  fermissimo  luogo,  là  ove  pende  tutta  la 
forza  del  fatto,  e  a  quello  luogo  spesse  volte  ri- 
torna ;  e  questo  è  proprio  fatto  del  buono  avvo- 
cato, perchè  non  dà  podestà  air  uditore  che  si 

(i)  saprà  per  questo  bea  parlare.  Testo  Marini. 


93 

rimuova  da  quella  cosa  che  fa  bene  per  lui.  Di 
questo  buonamente  non  si  può  dare  esemplo,  per- 
chè questo  luogo  non  è  da  tutta  la  quistione,  sic- 
come uno  membro  sceverato,  ma,  siccome  sangue, 
per  tutto  il  corpo  della  quistione  è  sparto  (i). 

Della  Contenzione. 

Ed  è  un'  altra  sentenzia,  che  si  chiama  Con- 
tenzione, la  quale  si  fa  di  due  detti  contrarii,  e 
negli  ornamenti  delle  parole  si  fa,  come  ti  ho  det- 
to di  sopra,  in  questo  modo  :  A''  nimici  ti  mostri 
umile  e  agli  amici  aspro  (2).  Negli  ornamenti  del- 
ie sentenzie  si  Fa  in  questo  altro  modo  :  J^oi  vi  la^ 
meniate  del  male  del  comune  e  cruccioso  ne  se^ 
te]  e  questi  se  ne  loda  efassene  lieto.  Item  :  J^oi 
vi  diffidate  della  vostra  ventura,  ma  questi  della 
sua  si  confida.  Tra  questi  due  ornamenti  ha  co- 
tale differenza,  che  '1  primaio  si  dice  tostamente  e 
per  parole  contrarie,  ma  il  secondo  si  dice  più  al- 
la distesa  per  due  contrarie  (3)  sentenzici 

(i)  isparlo.  Testo  Marini. 

(2)  Manca  il  riportato  esempio  nel  Cod.  della 
Marciana. 

(5)  contradie.  Testo  Manni, 


94 

Della  Similitudine. 

Ed  è  un'  altra  sentenzia^  che  si  appella  Simi- 
litudine, la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  mo- 
stra alcuna  cosa,  che  vuole  dire,  per  un'altra  che  a 
quella  sia  simigliante;  e  questo  fa  per  ornare  il 
detto  suo,  o  per  renderlo  più  approvato,  o  per  dar- 
lo ad  intendere  meglio,  o  per  farlo  sì  aper'.o  come 
se  in  presenzia  e  dinanzi  agli  occhi  dell'  uditore  sì 
il  facesse.  Per  ornare  il  detto  suo  fa  il  dicitore  in 
questo  modo:    Come  colui  che  piglia  il  penno- 
ne (i)  per  correre  nel  prato,  di  colui,  che  ha  cor- 
so, corre  meglio,  così  il  podestà  nuo^o,  che  piglia 
la  signoria,  del  vecchio  è  migliora,  perchè  aj^àti- 
cato  colui,  che  ha  corso,  rende  il  pennone  (2)  a 
un  altro y  che  corra,  ma  il  podestà  già  usato  rende 
la  signoria  al  nuovo.  In  questo  luogo  senza  alcuna 
similitudiife  puote  il  dicitore  dare  ad  intendere  il 
detto  suo  chiaramente;  e  in  questo  modo  il  pode- 
stà nuovo  non  è  perciò  migliore  che  il  vecchio, 
perchè  ne  sia  il  vecchio  rimosso  e  1  nuovo  entri 
in  suo  luogo,  ma  fa  questa  similitudine  per  da- 
re alcuno  ornamento  al  detto  suo.  Per  rendere  più 
approvato  il  detto  suo,  sì  fa  similitudine  il  dicitore 

(i)  la  faccellina.  Testo  MannL 
(2)  Come  sopra. 


95 

in  questo  modo  :  Né  7  puledro  non  domato,  a\^ 
vegnachè  sia  buono,  può  essere  acconcio  a  quella 
utilità  che  V uomo  desidera  del  cavallo;  né  V  uo- 
mo non  usato,  avvegnaché  sia  ingegnoso,  può  es* 
sere  di  molta  bontà.  Questa  similitudine  rende  il 
detto  del  dicitore  più  approvato,  e  al  detto  suo  è 
data  più  piena  fede,  perchè  neuno  uomo  può  essere 
di  gran  bontà,  se  prima  non  ne  usa,  né  'l  puledro,  se 
prima  non  è  domato.  Per  rendere  il  detto  suo  più 
chiaro  e  aperto  fa  similitudine  il  dicitore  in  que- 
sto modo  :  Non  come  coloro,  che  corrono,  deb- 
bono fare  coloro  che  sono  amici  ;  perché  basta  a 
colui,  che  corre,  ai  correre  insino  alla  fine  del 
suo  corso,  ma  colui,  eli  é  amico,  dee  il  fine  passa* 
re  e  amare  i  figliuoli  posciaché  l  amico  é  morto. 
Questa  similitudine  dà  meglio  ad  intendere  il  det- 
to di  colui  che  favella,  e  fallo  più  chiaro  e  aperto, 
perchè  basta  a  colui,  che  corre,  di  essere  di  tanla 
leggerezza  e  forza  (i)  che  corra  in  sino  alla  fine  del 
suo  corso;.ma l'amico  dee  avere  tanta  fede  è  tan- 
to amore  allo  amico  portare,  che  valichi  in  fine 
la  vita  dell'  amico  e  passi  a'  figliuoli.  E  per  fare 
la  cosa,  che  si  dice,  sì  chiara  e  aperta,  come  se  in 
presenzia  e  dinanzi  agli  ocelli  dell'  uditore  si  fa- 
cesse, fa  il  dicitore  similitudine  in  questo  modo  : 

(i)  forteziza.  Testo  Marini, 


96 

Come  il  giullare  (i)  che  si  leva  in  piede  per  gich 
carey  perchè  ha  una  bella  persona,  è  di  sciamilo 
e  di  un  bel  drappo  ad  oro  vestito,  ed  ha  uno  bel 
capo  biondo  e  pettinato  con  bella  corona  e  ghir- 
landa in  testa,  e  tiene  in  mano  un  maras>iglioso 
stormento  (2),  tutto  dipinto  e  las^orato  di  avorio, 
e  per  le  dette  cose  corrono  molte  genti  a  vedere  e 
aspettano  di  vedere  uno  bellissimo  giuoco j  e  stan- 
do ogni  uomo  cheto  e  attento  comincerà  questi  a 
cantare  con  una  voce  fioca  e  con  uno  bruttissi- 
mo (3)  modo,  e  sconciamente  menerà  le  anche  e 
i  piedi  e  le  mani  quando  verrà  a  ballare  ;  quanto 
più  sarà  stato  acconcio  e  guardato  dinanzi,  co- 
tanto sarà  fatto  di  lui  maggiore  beffa  e  scherno, 
così  quando  V  uomo  sarà  più  ricco  e  gentile,  e  a- 
vrallo  la  ventura  messo  in  grande  stato,  se  in  sé 
non  avrà  senno  e  larghezza  e  bontà,  quanto  più 
sarà  guardato  per  le  cose,  che  sono  in  lui,  tanto 
più  sarà  schernito  e  avuto  in  dispregio  e  cacciato 
dalla  usanza  de'  buoni.  Questa  similitudine  è  (4) 
così  al  fatto  somigliante^  sì  nella  bontà  come  nel- 
r  altro,  e  rende  la  cosa,  che  si  dice,   sì  chiara   e 

(1)  giocolare;  leggesi  nelV antica  edizione. 
(a)  stromento,  leggesi  ne W  antica  edizione. 

(3)  turpissimo.  Testo  Manni. 

(4)  ene.  Testo  Manni. 


9-; 

aperta,  come  se  in  presenzia  e  dinanzi  agli  occhi 
degli  uditori  si  facesse.  Nelle  similitudini,  che  si 
pongono,  dee  sempre  il  dicitore  osservare,  che  a 
quello  che  dice  e  alla  similitudine  che  pone,  ren- 
da sempre  le  sue  proprie  parole  (i).  E  trovare  la 
similitudine  delle  cose  non  iia  malagevole  al  dicito- 
re, se  considera  la  natura  di  tutte  le  cose,  oche  fa- 
vellino o  che  sieno  mutole  o  sìeno  dimestiche  o 
fiere  o  che  si  veggano  o  che  non  si  possano  vede- 
re, e  di  quella  tragga  alcuna  similitudine,  laon- 
de j30ssa  al  detto  suo  dare  alcun  bello  ornamen- 
to, o  lenderlo  più  approvato  e  aperto,  o  ren- 
derlo sì  manifesto  come  se  in  pre.senzia  o  di- 
nanzi agli  occhi  dell'uditore  si  facesse  (2),  come 
per  esemplo  ti  ho  mostrato  di  sopra.  E  non  fa  bi- 
sogno che  la  similitudine,  che  si  pone,  sia  per  ogni 
cosa  simigliante  alla  cosa  a  che  si  somiglia,  ma  so- 
la ni  ente  a  certa  cosa,  cioè  a  quella  che  fa  prò  al 
dicitore  che  la  pone. 

(i)  Quasi  tutto  il  periodo  che  ora  segue  manca 
nel  Codice  della  Marciana,  ed  è  tolto  dalV  amica  edi- 
zione. 

(a)  fesse.   Testo  Manni, 


g« 


Dello  Esemplo. 


Ed  è  un'  altra  sentenzia,  clie  si  appella  Esem- 
plo, la  quale  ha  luogo  quando  proponiamo  nel  det- 
to nostro  alcuno  bel  detto  o  fatto,  passato  da  alcu- 
na persona  savia  e  approvata.  E  fassi  questo  or- 
namento per  le  dette  quattro  cagioni  che  nell'  or- 
namento delle  Similitudini  ti  posi  di  sopra  ;  cioè, 
o  per  rendere  il  detto  del  dicitore  più  ornato,  o 
più  chiaro  e  aperto,  o  più  approvato,  o  sì  manife- 
sto^ come  se  in  presenzia  o  dinanzi  agli  occhi  del- 
r  uditore  si  facesse  (i).  E  per  renderlo  più  orna- 
to si  fa,  quando  per  niun'altra  cosa  si  pone  esem- 
plo, se  non  è  perchè  il  detto  del  dicitore  sia  più 
piacevole  e  bello.  Per  renderlo  più  chiaro  si  fa, 
quando  per  niun'altra  cosa  si  pone  esemplo,  se 
non  quando  il  detto  del  dicitore  è  dubbioso  che 
si  renda  più  certo.  Per  renderlo  più  approvato  si 
fa,  quando  per  niun'  altra  cosa  si  pone  esemplo, 
se  non  è  per  mostrare  che  '1  detto  del  dicitore  sia 
più  verisimile.  Per  renderlo  più  manifesto,  come 
se  in  presenzia  o  dinanzi  agli  occhi  degli  uditori 
si  facesse ,  si  fa ,  quando  per  niuna  cosa  si  pone 

(i)  Anche  i  perìodi  seguenti  mancano  quasi  af- 
fatto nel  Codice  della  Marciana, 


'  99 

esemplO;  se  non  perchè  tutto  ciò,  che  pone  il  dici- 
tore, si  mostri  sì  chiaramente  che  paia  che  si  palpi 
sempre  con  mano  (i).  Di  ciascheduno  modo  ti  avrei 
dato  lo  esemplo,  se  non  fusse  clic  gli  puoi  pigliare 
negli  esempli  (2)  che  ti  posi  nella  sentenzia,  che 
si  appella  Punimento;  per  la  quale  cosa  non  ti  vo- 
glio dire  poco  acciocché  hene  intendere  tu  possa, 
ne  la  cosa,  eh'  è  già  intesa,  ti  voglio  più  mostrare. 


Della  Immagine, 


Ed  è  un'altra  sentenzia,  che  si  appella  Immagi- 
ne, la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  assomiglia 
in  alcuna  cosa  una  forma  con  un'  altra  ;  e  questo 
fa  il  dicitore  o  per  biasimare  o  per  lodare  alcuna 
persona.  Per  cagione  di  lodare  pone  il  dicitore  im- 
magine nel  detto  suo,  in  questo  modo  :  Andavamo 
nella  battaglia  forti  del  corpo  come  due  torri,  e 
arditi  di  cuore  come  due  leoni.  Per  cagione  di  vi- 
tuperare, in  questo  modo  :  Questi  spesse  volte  va 
per  mezzo  il  mercato  ricciuto  come  un  drago  , 
con  una  guardatura  rabbiosa,  con  uno  animo  av- 
K>elenosOy  di  qua  e  di  là  guardandosi  d' intorno  se 

(i)  che  paia  sempre;  che  ad  occhio  si  veggia.  Te- 
sto Mannì, 

(2)  cogliere  dagli  asempri.  Testo  Marini, 


100 

vedesse  alcuno  (i),  cui  potesse  col  fiato  appuzzare 
e  colla  bocca  mordere  e  co  denti  squarciare. 

Del  Mostramento. 

Ed  è  un'  altra  sentenzia,  che  si  appella  Mo- 
stramento, la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  la 
Torma  di  alcuna  persona  mostra  a  parole,  quan- 
to è  bastevole  perchè  intendere  si  possa,  in  que- 
sto modo  :  Io  dico  che  questi  è  rosso  e  piccolo  e 
gobbo  ed  ha  una  margine  nel  mento  ^  o  dice  al- 
tre parole,  laonde  il  dicitore  può  la  persona  me- 
morare (2).  Questo  ornamento  ha  in  sé  utilità  (3) 
quando  il  dicitore  vuole  alcuna  persona  mostrare, 
e  ha  in  sé  bellezza  se  brievemente  e  apertamente 
sarà  fatto. 

Del  Disegnare. 

Ed  è  un'  altra  sentenzia,  che  si  appella  Dise- 
gnare, la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  dise- 
gna a  parole  i  reggimenti  della  natura  di  alcuna 
persona,  o  sia  vanagloriosa  o  invidiosa  o  timida^ 

(i)  nessuno.  Testo  Marini. 

(2)  mostrare.  Testo  Manni, 

(3)  utolità.  Testo  Marini-. 


101 

o  avara  o  desiderosa  o  di  qualunque  altra  natu- 
ra ;  i  quali  reggimenti,  siccome  certi  segni,  sono 
dati  all'  uomo  dalla  natura.  E  del  vanaglorioso  se 
ne  può  dare  questo  esemplo  :  Questi  è  tanto  pieno 
di  vanagloria  e  di  vista,  che  quando  guarda  al- 
trui sempre  pare  che  dica  :  darestemi  luogo  se  non 
faste  villano;  e  quando  rizza  il  mento  (i)  in  parte 
alcuna^  sempre  crede  da  tutta  gente  essere  guar- 
dato, come  sefusse  pietra  (2)  preziosa  o  bellissi- 
mo oro  rilucente;  e  cotali  altri  reggimenti  che  fan- 
no coloro  che  di  vanagloria  sono  pieni  (3). 


(i)  capo.  Testo  Manni, 

(2)  gemma.  Testo  Manni, 

(3)  Nel  Testo  Manni   continua  questo    Capitolo 
come  segue  ; 

,,  E  quando  è  colli  forestieri,  veggendo  alcun  fan- 
te andare  per  la  via,  cui  bene  conosce  ,    sì  lo  chiama 
ora  in   un  modo,  e  poco  stante  in  un  altro,  acciocché 
paia  aiii  forestieri,  che  sia  uno  dei  molti  suoi  fanti,  le 
cui  nomora  non  possa  tutte  tenere  a  mente,  e  dice:  vie- 
ni bellamente,  acciocché  non  facci  villania  a  questi  si- 
gnori ;  e  quand'é  venuto  a  lui,  sì  gli  dice  alcuna  cosa 
vile  molto  pianamente  all'orecchie,  e  poi  grida,  accioc- 
ché coloro,  che  son  con  lui,  il  possano  udire,  e  dice  : 
guarda,  che  li  forestieri,  che  sono  a  casa,  sieno  ben  ser- 
viti stasera,  e  '1  fante,  che  ben  conosce  i  suoi  reggimen- 
ti, risponde  incontanente  :   per  me  non  si  potrebbe  ben 
fare,  se  non  mandaste  anche  meco  degli  fanti  vostri.  E 
que'  dice  :  e  tu  mena  teco  Stefano,  e  Soffia,  e  apche  ne 


102 

Del  Sermonare, 


Ed  è  un'  altra  sentenzia,  che  si  appella  Sermo- 
nare ,  ed  ha  luogo  quando  il  dicitore  favella  in 


togli  se  più  te  ne  fanno  bisogno,  e  fa  che  sìen  bene 
fatte  tutte  le  cose.  E  se  andando  per  la  terra  s' intop- 
perà in  forestieri^  i  quali  nella  loro  città  Faranno  mol- 
to onorato,  e  servito,  sì  si  contristerà  molto  nelf  animo 
suo,  ma  non  si  parte  dal  vizio  suo  naturale,  e  però  gli 
corre  ad  abbracciare,  e  dice,  che  sienò  i  ben  venuti,  e 
che  hanno  ben  fatto,  che  è  loro  piaciuto  di  venire  in 
quella  cittade,  e  che  arebbon  fatto  meglio ,  se  diritta- 
mente all'albergo  suo  ne  fossono  venuti  j  e  que' dico- 
no, che  ciò  avrebbon  fatto,  se  l'albergo  suo  avessono 
saputo  j  e  que' risponde,  che  ciò  era  agevole  cosa  d'im- 
parare, se  n' avessono  domandato  sì  è  conosciuto.  Allo- 
ra gli  volge,  e  fa  vista  di  menarglisi  a  casa,  e  vegnen- 
do  con  loro  dicendo  molle  parole  di  suo  vaotamento 
si  gli  mena  a  uno  bellissimo  albergo  d'alcuno  suo  con- 
to, il  quale  e'  sa,  che  fa  convito  grande  la  mattina,  e 
menagli  là  entro  per  contezza,  che  hae  con  coloro  del- 
la casa,  e  dice:  qui  abito,  quest'è  il  palagio  mio,  e  vo- 
glio, che  sia  l'albergo  vostro,  quando  capitate  in  que- 
sta terra  j  e  quegli  guatano  la  bellezza  della  casa,  e  sì 
la  lodano,  e  parne  loro  bene,  e  stati  un  pezzo,  e  ra- 
gionato di  molte  cose,  viene  il  fante  del  Signore  della 
casa,  e  dicegli  pianamente  all'orecchie:  eh.  Messere  vor- 
rebbe venire  oggimai  a  mangiare,  perocché  venuti  so- 
no coloro,  che  con  lui  debbono  disinare  ?  Allora  si  le- 
va dritto  in  pie,  e  dice  a'  forestieri:  ecco  il  corriere, 
che  mi  dice,  che  fralelmo  torna  di  Francia,  ed  è  qui 
appresso  ad  un  miglio  giunto,  e  mandami  dicendo,  che 


io3 


luogo  di  altra  persona,  in  questo  modo  :  Nel  tempo 
che  Roma  ave^a  molti  cavalieri  forestieri,  è  ogni 


incontanente  gli  vada  incontro,    onde  perdonatemi,    se 
con  voi   ora  non  posso  più  dimorare,   e  priegovi,    che 
venghiate  a  cenare  meco   stasera.  Questi  vedendo  il  bi- 
sogno, e  tenendo  la  'nvitata  si  partono  da  lui,    e  que- 
gli, da  che  e'  son  partiti,  se  ne  va,  e  rinchiudesi  in  ca- 
sa per  non  potere  essere  trovato,  e  quando  è  ora  di  ce- 
na, vengono  i  forestieri  per  cenare  con  lui  alla  casa,  on- 
de sono  da  lui  la  mattina    partiti,    e    noi  trovano,    ed 
essendo  loro  detto,  che  la  casa  non  è  di  colui,  sì  si  tor- 
nano a  dietro,  e  tengonsi  malamente  beffati  j    e    ritro- 
vando costui  r  altro  dì  i  forestieri,  sì  s'incomincia  pri- 
ma egli  di  loro  a  lamentare  come  la  sera  avea  fatta  gran 
cena,  e  come  molto  fra  notte  gli  avea  aspettati,  e  che 
e'  non  vennono  ebbe  grande  ira,  e  fecesene  grande  ma- 
raviglia j    e  que'  dicono  la  venuta,    che  feciono  ali*  al- 
bergo, ove  la  mattina  gli  avea  menati,   e  come  si  tor- 
narono a  dietro  con  vergogna.  Ed  e'  risponde,  che    al 
detto  albergo  non  vennero,    ma    errarono  per    cagione 
del  porticale    andando  a  un  altro  albergo  per  lo  suo, 
perchè  n'ha  molti  perla  città  somiglianti,  o  poi  dice: 
io  vo'  per  lo  fermo,  che  domattina  disiniate  meco,    e 
aspettatemi  tanto,  eh'  io  vegna  per  voi,  sicché  non  pos- 
siate più  errare.  E  datogli  la  parola,    sì    accatta  questi 
da  alcuno  suo  amico  un  bello  albergo  nelle  borgora  di 
fuori  della  terra,  e  accatta  belli  vaselli  d'  ariento,  e  va 
per  costoro  la  mattina,  e  menagli  al  detto  luogo  a  di- 
sinare,  e  dice  loro:  alcuni  miei  carissimi  amici  voglien- 
do  fare  istamane  un  convito  di  molta  gente,  e   non  a- 
vendo  bella  casa,  dove  'l  potesson  ben  fare,  sì  mi  pre- 
garono, eh*  io  prestassi  loro  la  mia,  ed  io  veggendo  il 


uomo  stava  rinchiuso  in  casa  per  paura,  venne 
Saturnino  (i),  tutto  armato  aferro,  con  uno  gran- 
de tavolaccio  e  con  uno  spiedo  in  mano  e  con 
cinque  grandi  fanti,  tutti  armati  ;  e  com'  egli  subi- 
tamente entrò  nella  casa  di  Salamene^  a  gran  vo- 
ce cominciò  a  gridare  :  Ove  questo  signore  della 


bisogno,  sì  l'ho  loro  conceduta,  e  voi  ho  menato  a  que- 
sto mio  albergo,  là  ove  io  mi  riparo  la  state,  e  que- 
glino  guardando  la  casa,  la  corte,  e  l'orto,  piace  loro 
il  luogo,  e  lodanlo  assai  j  e  quando  sono  in  sul  disi* 
Dare,  colui,  cui  sono  i  vaselli  d'ariento,  non  confidan- 
dosi bene  di  costui,  sì  gliele  manda  per  alcuno  suo 
fante  richeggendoj  e  questi  incontanente  che  vede  il 
fante,  sì  '1  chiama  da  una  parte  a  se,  e  saputo  piana- 
mente quello,  che  domanda,  sì  dice,  acciocché  T  odano 
i  forestieri,  prestato  ho  la  casa,  e  molti  vaselli  d'arien- 
to all'amico  mio,  e  anche  mi  manda  pregando  per  co- 
stui, che  de'  miei  vaselli  dell' ariento  gli  debba  anche 
prestare,  e  avvegnach'io  abbia  forestieri,  non  vo'  per- 
ciò lasciare,  che  questi  cotanti,  che  ci  sono  rimasi,  non 
gliele  mandi,  e  così  gliel  farà  tutti  dare".  Somiglian- 
te alle  cose,  ch'hai  udite  di  sopra,  farà  tanto  colui,  che 
per  natura  è  vanaglorioso,  che  non  si  potrebhon  con- 
tare, perchè  tulli  gli  suoi  atti  pare,  che  tornino  in  co- 
tali  reggimenti;  e  così  di  ciascuno  degli  altri,  che  so- 
no posti  di  sopra,  cioè  o  invidioso,  o  timido,  o  avaro, 
o  disideroso,  si  posson  dire  certi  reggimenti,  che  sono 
loro  dati  dalla  natura,  siccome  certi  segni,  come  di  so- 
pra t'  ho  mostrato. 

(i)  Saturno.  Testo  Marmi, 


io5 

casa^  eli  è  stato  cotale  anziano  ?  o^'  è  ?  insegna- 
telmi  tosto;  o^ e  l avete  nascoso?  E  stando  che" 
to  ognuno  per  paura ,  venne  la  moglie  di  Sa- 
lamone  con  gran  pianto,  e  gitioglisi  a'  piedi,  e  dis- 
se :  Per  amore  di  Dio  e  per  amore  di  te  (i)  e  per 
amore  di  qualunque  cosa  die  più  ami  in  questo 
mondo,  abbi  misericordia  di  Jioi,  non  uccidere 
noi,  inabissati  che  semOy  distrutti  e  disfatti  ;  por- 
tati benignamente  :  quando  sé  in  grande  stato  ri- 
cordati che  sé  uomo  e  che  noi  medesimi  già  fum- 
mo  beati.  E  Saturnino  disse:  Madonna^  il  vostro 
piangere  non  importa  a  niente;  bisogno  fa  die  noi 
il  troviamo,  e  delle  nostre  mani  non  può  scam- 
pare. In  questo  mezzo  è  detto  a  Salamene,  come 
Saturnino  è  venuto  e  a  gran  voce  il  minaccia  di 
metterlo  a  morte  ;  e  intese  queste  parole  (2)  Sa- 
lamene disse  alla  balia  sua  :  Sofia  mia  buona,  ab* 
hi  buona  guardia  de  figliuoli  miei;  partiti  e  me- 
na teco  i  fanciulli  e  fa  che  possine  campare  dal- 
le mani  di  costui.  Appena  ebbe  queste  parole  com- 
piute di  dire,  che  venne  Saturnino  e  disse  :  Ar- 
renditi, baccalare,  se  no,  sé  morto  :  di  tutto  ciò 
che  m'hai  fatto  piglielo  oggi  vendetta,  e  l'ira  mia 


(i)  e  per  onore  della  tua  persona.*  TV^ro  Manni. 
{1)  novelle.  Testo  Manni. 


io6 

sazìerò  del  tuo  sangue.  Rispose  Salamoile,  non 
potendo  appena  riavere  V  alito  (i)  per  la  paura 
che  as^eva  :  Uccidere  mi  puoi  tu,  ma  vi^^o  non  mi 
arrenderò  io  a  te.  E  Saturnino  disse  :  In  sulla 
morie  ti  vedi,  e  ancora  meni  rigoglio?  Allora  ri-- 
spose  la  moglie  di  Salamene  e  disse:  Anzi  si  ar- 
rende e  chiamati  mercè,  che  tu  gli  perdoni,  onde 
ti  prego  che  tu  abbi  misericordia  di  lui,  e  vinci 
la  mala  volontà  e  rendigli  pace.  E  Salamone  dis- 
se: Donna,  perchè  dì'  tu  cose  (2)  che  non  sono 
convenevoli  a  dire  ?  taciti,  e  quello  che  hai  a  cu- 
rare, cura  ;  che  se  questi  mi  offenderà  in  persona ^ 
sicuro  è  che  mai  non  li  sia  rimesso  (3),  e  non  ara 
mai  vita  sicura.  E  Salamone  scacciò  da  sé  la  mo- 
glie, che  si  lamentava  per  lui,  e  Saturnino,  non 
so  che  dicendo  di  suo  vantamento,  venne  centra 
a  lui  e  miselo  a  morte. 

Dell'  Informare. 

Ed  è  un'  altra  sentenzia,  che  si  appella  Infor- 
mare, la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  po- 
ne una  persona,  che  non  è  presente,  che  favelli 


(i)  il  fiato,  leggesi  ne W antica  edizione. 
(q)  tante  parole  e  cose.  Testo  Manni» 
(3)  dimesso  non  gli  fia.  Testo  Manni, 


107 

come  se  fosse  presente ,  o  una  cosa,  che  non  può 
favellare,  come  fusse  se  favellasse,  in  questo  mo- 
do :  Che  se  questa  città  vincitore  [i)  favellasse 
ora  qui  dinanzi  da  voi,  non  potrebbe  ella  in 
questo  modo  parlare  ?  Io,  che  sono  quella  che  so- 
no ornata  di  molti  ornamenti  e  gloriata  di  mol- 
ti trionfi  (2)  e  arricchita  di  molte  vittorie,  per  le 
vostre  discordie  sono,  o  cittadini,  molestata  ?  E 
cui  Cartagine  maliziosa  con  inganni,  e  la  poten- 
te Numanzia  per  forza,  e  la  savia  Corinto  per 
senno  con'ompere  non  ebbero  forza  (3),  sofferrC" 
te  voi  che  per  uomini  avveniticci  io  sia,  o  cittadi- 
ni, soggiogata  ?  Item  :  Che  sarebbe,  se  7  buono 
Scipione  rinascesse  ?  e  se  fosse  ora  qui  dinanzi 
da  noi  non  potrebbe  usare  queste  parole  :  Io  fui 
quello  che  vinsi  li  Re  e  li  discacciai  da  noi,  e  voi 
sete  quelli  che  ci  menate  e  conducete  a  tiranni  ? 
io  la  libertà,  che  non  avevate,  vi  diedi,  e  voi  queU 
la,  die  avete,  non  volete  serbare  ?  io,  mettendomi 
a  ogni  rischio,  liberai  il  paese  dalle  mani  de  ni- 
mici,  e  voi,  liberi  e  senza  perìcolo,  non  curate  di 
stare?  Questo  ornamento,  avvegnaché  a  molte  cose, 

(i)  Osservò  ilManniche  vincitore,  parlandosi  di 
donna,  trovasi  in  altri  scrittori. 

(2)  onori.  Testo  Manni. 

(3)  ebbono  potenzia.  Testo  Manni. 


io8 

che  non  favellino,  si  possa  adattare,  vale  molto 
quando  il  dicitore  vuole  il  detto  suo  aggrandire  o 
l' animo  dell'  uditore  a  misericordia  recare. 

• 
Del  Significare. 

Ed  è  un'altra  sentenzia,  che  si  appella  Signifr- 
care,  la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  favella  in 
tal  modo,  che  più  lascia  intendimento  all'uditore 
eh'  egli  non  dice  a  parole.  E  questo  si  fa  in  quat- 
tro modi  ;  cioè  o  dicendo  più,  o  dicendo  oscuro, 
cioè  favellando  doppio,  o  dicendo  pur  quello  che 
si  segue  5  o  il  detto  suo  ricidendo,  cioè  non  com- 
piendo di  dire  quello  che  'ncomincia .  Dicendo 
più  si  fa  in  questo  modo  :  Di  cotanto  patrimO' 
nio  così  tosto  non  rimase  un  testo  dove  il  fuo- 
co potesse  portare.  Dicendo  oscuro  si  fa,  quan- 
do il  dicitore  pone  alcuna  parola ,  la  quale  si 
può  trarre  a  due  intendimenti ,  ma  il  dicitore 
la  trae  là  ove  vuole.  In  questo  modo,  favellan- 
do il  dicitore  di  colui  a  cui  sono  venuti  molti 
guadagni  di  diverse  cose,  o  sono  venute  molte  e- 
reditadi ,  dice  :  Di  ciò  guarda  tu ,  che  molto  ve- 
di. Questo  membro  dee  usare  il  dicitore  rare  vol- 
te, perchè  dee  dire  il  detto  suo  chiaro  e  aperto, 
ma  se  gli  accade  in  acconcio  alcuna  volta  di  usare, 
sì  ponga  mente  alle  oscure  parole  che  si  posso»^© 


109 

trarre  a  pm  intendimenti  ;  e  potrallo  fare  agevol- 
mente per  dire  solamente  quello  clic  si  seguita;  e 
si  fa,  quando  il  dicitore  dice  quello  ché^  seguita 
di  alcuna  cosa,  ma  quella  cosa  si  tace  e  lascia  al- 
l' uditore  che  la  intenda  per  se,  iti  questo  modo.  Se 
a  colui,  a  cui  tu  vuoi  dire  che  tolga  moglie,  dici  in 
questo  modo:  Quando  manucheremo  noi  [ì)  delle 
nozze  tue  ?  Perchè  le  nozze  si  seguitano  del  ma- 
trimonio, di'  tu  nozze^  e  'n tendi  la  moglie.  Item: 
Se  a  colui,  eh'  è  grande  bevitore,  volendogli  rim- 
proverare il  bere,  dirai  che  vada  a  dormire  di  forza  : 
O,  vUy  dormi,  da  che  tu  ti  hai  gli  occhi  messi  a . 
rovescio  (2).  Ricidendo  il  detto  suo  si  fa,  quando  il 
dicitore  ha  detto  alcuna  cosa  e  poscia  comincia  a 
dire  altro,  e  detto  da  sezzo  non  compie  il  dire,  ma 
per  le  dette  parole  s' intende  quello  che  si  seguita 
poi,  in  questo  modo  :  Molta  ingiuria  mi  hai  fatto 
poi  che  ne  avesti  agio  di  fare  (3),  ma  se  torna  a  me 
la  vicenda,  non  vo' più  dire,  E  ha  questo  membro 
molto  luogo  nelle  cose  che  si  dicono  per  simihtu- 
dine,  e  la  similitudine  detta  non  si  va  poi  più 


(i)  avremmo.  Testo  Marini. 

(a)  e  forbiti  gli  occhi,  da  che  gli  t*  bòi  messi  a 
rivescio.  Od  a  colui,  eh' è  crepato  dì:  Va  a  racconciali 
il  brachiere  del  ferro.  Testo  Marini, 

(3)  la  forza,  in  luogo  di  agio  di  fare.  Testo  Manni, 


no 

innanzi,  ma  di  quella  può  intendere  V  uditore  quel- 
lo che  '1  dicitore  vuole  dire,  in  questo  modo  :  Non 
può  fare  Saturnino;  troppo  ha  preso  per  la  par- 
te baldanza  ;  guarda  quello  che  Gracco  ne  fece, 
e  come  da  sezzo  ne  arrivò.  Questo  ornamento  di 
sentenzia,  che  si  appella  Significare,  per  lo  qua- 
le colui,  che  favella,  lascia  in  sospizione  Y  uditore, 
cioè  ad  intendere  alcuna  cosa  per  sé  la  quale  non 
è  specificata,  è  piacevole  molto  s'egli  è  ben  fatto 
e  come  si  conviene. 

Della  Brevità. 

Ed  è  un'altra  sentenzia,  che  si  appella  Brevi- 
tà, la  quale  ha  luogo  quando  il  dicitore  pone  sola- 
mente parole  necessarie  di  dire,  dicendo  solamen- 
te (i)  la  somma  delle  parole,  in  questo  modo  :  Len- 
no  in  andando  pigliò  Gaeta,  poi  Tarso  lasciò 
guemito,  in  Catalogna  disfece  poscia  sette  citta- 
di,  quindi  cacciato  venne  a  Roma,  ed  essendo 
Tribuno,  fu  fatto  Consolo  e  divenne  il  maggiore 
della  terra;  andonne  poi  in  Ispagna,  e  quivi  si 
ribellò  da  Romani  e  divenne  loro  nimico,  e  pò- 
scia  per  li  Romani  fu  fatto  signore  di  quello  luo- 
go, e  un  altra  volta  fu  poscia  Consolo  dì  Roma, 

(i)  pur.  Testo  Marini. 


Ili 

Questo  ornamento  è  molto  bello,  e  in  poche  parole 
comprende  molta  sentenzia. 

Del  Mostramento, 

Ed  è  un'  altra  sentenzia,  che  si  appella  Mo- 
stramento, la  quale  ha  luogo  quando  il  fatto  si  di- 
ce sì  a  parole,  che  pare  che  allotta  si  faccia  di- 
nanzi agli  occhi  di  coloro  che  stanno  a  udire.  E 
questo  si  può  fare,  se  1  dicitóre  dice  come  il  fatto 
sia  stato,  e  le  cose  che  sono  passate  dinanzi ,  e 
quelle  che  di  dietro  sono  seguitate,  e  non  lascia  di 
dire  quelle  cose  che  vanno  d' intorno,  e  quelle  che 
si  possono  seguitare,  in  questo  modo  :  Poscia  che 
Gracco  vide  che  il  popolo  cominciò  [i)  a  bollire, 
e  che  temeva,  per  la  baldanza  che  avea  del  Sena- 
to, che  non  si  partisse  da  quello  che  contr  a  lui 
era  stato  sentenziato,  sì  fece  bandire  il  parlamen- 
to j  et  egli  in  questo  mezzo,  pieno  d' inganni  e  di 
sozzi  pensieri,  uscì  della  chiesa  (2),  e  stando  con 

(i)  incominciaro.  Testo  Mannù 

(2)  chiesa  di  s.  Piero.  Testo  Marini,  Il  Marini  os- 
servò nella  sua  Pie/azione  (  pag.  XV  )  che  V  autore  cant' 
hiò  talora  nella  chiesa  di  s.  Piero,  talora  in  quella  di 
s.  Giovanni  Laterano  /'ex  tempio  lovis  di  Cicerone^ 
narrandosi  qui  rettoricamente  il  noto  avvenimento  di 
Tiberio  Gracco. 


113 


gli  occhi  ardenti  (\)  e  col  capo  rabbuffato,  colla 
pelle  bistorta  e  con  molti  atti  (2)  cominciò  pia  to- 
sto ad  andare,  e  'l  banditore  gli  andava  dinan- 
zi, gridando  che  glifusse  data  la  via,  NeU  anda- 
re, che  faceva,  venne  uno  calzolaio  addosso  a  uno 
donzello,  eli  era  in  sua  compagnia,  e  parogli  la 
gamba  dinanzi^  e  dielli  delle  mani  nel  petto  e  fé- 
celo  cadere^  e  cominciò  a  gridare:  Date  lorOy  da- 
te loro.  In  questo  si  mossero  (3)  certi  uomini  alla 
corsa,  e  assalirgli  da  lato;  e  tenendo  la  gente  a  ro- 
more,  uno  cominciò  a  gridare  :  Fuggite,  fuggite, 
non  vedete  voi  (4)  di  qua?  A  questa  voce  comin- 
ciò il  popolazzo  a  fuggire,  chi  di  qua  e  chi  di  là, 
e  Gracco,  non  sapendo  che  sifusse  questo  rumo- 
re, ebbe  sì  grandissima  paura  che  appena  potea 
rifiatare  :  sì  fortemente  sospirava  e  gìttava  la  schiu- 
ma (5)  per  bocca  e  torceva  le  braccia  e  non  tro- 
vava luogo  dove  stesse.  In  questo  veggendolo  uno 
pillicciaio  così  sbigottito,  vennegU  di  drieto  bel" 
Lamente  e  diegli  d  uno  bastone  nel  capo,  Grac- 
co, non  facendo  motto  veruno,  né  ascendo  (6) 

(1)  arzenti.  Testo  Manni, 

(2)  alili.  Testo  Manni, 
(">)  mossone.  Testo  Manni, 

(4)  non  venite  di  qua.  Testo  Manni, 

(5)  scialiva.  Testo  Manni. 

(6)  abbiendo.  Testo  Manni, 


1 


II 


alcuno  sentimento,  cadde  in  terra  morto.  Colui, 
che  diede  questa  ferita,  considerando  cliQ  aveva 
fatto  un  grande  f alio,  allegro  molto  con  certi  al- 
tri, che  di  questo  fatto  furono  lieti,  Mitrarono  in 
santo  Giovanni  Laterano,  ove  molti  altri  del  pò* 
polo  erano  raunati  per  cagione  di  questo  romore. 

Tutt'  i  modi,  onde  le  parole  si  possono  ornare, 
e  tutte  le  belle  e  gravi  (i)  sentenzie  che  sono  in 
usanza  de'  dicitori,  laonde  la  diceria  si  rende  buo- 
na e  piacente;  ti  ho  apertamente  mostrato  di  so- 
pra ;  e  se  bene  porrai  mente  a  ciò  eh'  è  detto  di 
sopra  in  sino  a  qui,  apertamente  potrai  conoscere  e 
vedere  (2)  quaF  è  buona  e  qual'è  composta  e  qua- 
l'è  ornata  favella,  e  in  che  modo  la  favella  si  può 
ornare  sì  di  ornate  parole,  come  di  gravi  senten- 
zie.  E  questo  è  tutto  ciò  che  fa  bisogno  al  dicito- 
re a  ben  sapere  favellare. 


(1)  grievi.  Testo  MannL 

(2)  credere.  Testo   Marini. 


Seguitasi  ora  nel  libro  di  Frate  Gui- 
dotto  un'altra  volta  dottrina  sopra  le  sei 
parti  della  Diceria;  cioè  sopra  il  Proemio, 
Narrazione,  Divisione,  Confermagione, 
Risponsione  e  Conclusione,  ma  io,  Scrit- 
tore, disaminato  e  veduto  chiaramente 
che  innanzi  al  Trattato  dell'  Ornamento 
della  favella  egli  quel  Trattato  scrisse,  e 
che  tra  questo  Trattato  e  quello  *e  neuna 
differenzia  o  di  parole  o  di  fatto,  si  '1  la- 
scerò stare,  e  passerò  al  terzo  Trattato 
del  Libro  ;  ma  chi  pure  lo  volesse  come  il 
Frate  lo  scrisse,  ciò  non  biasimo»  ne  lo- 
do. Non  vorre'  io  da  maestro  mostrar- 
mi (i)....  Ma  tu  ti  avrai  più  presto  la  voce 

{i)  In  questo  passo  tanto  il  Codice  Marciano 
quanto  /'  antica  edizione  sono  poco  intelligibili, 
Xel  Testo  Manni  manca  affatto  tutto  il  Proendo. 


a  riprendermi  che  lo  intelletto  a  conside- 
rare se  io  dissi  vero.  E  che?  credi  tu  che 
se  io  fossi  a  viso  a  viso  col  Frate  eh'  io 
tacessi  queste  parole?  E  se  tu  di',  a  chi '1 
difettò  apporrai?  al  Frate,  o  forse  allo 
Scrittore?  Rispondo,  allo  Scrittore,  no, 
eh' è  pure  alcuna  diversità  da  quello  dinan- 
zi a  questo,  ma  non  che  vaglia  nulla.  Se  io 
dico  che  '1  Frate  era  allora  ehhro,  o  dico 
eh'  egli  ignorasse  quello  che  facesse,  leg- 
giermente tu  proverai  il  contrario;  pure 
dico  che  questo  Trattato  non  bisogna 
due  volte  ;  perchè  '1  facesse,  non  so.  Se 
tu  vorrai  ch'io  dicesse  :  Quello  fu  sopra 
l'ordine  giudiciale,  e  questo  dunque  sa- 
rà sopra  '1  liherativo  e  dimostrativo,  ri- 
spondo e  provoti  a  te,  non  dire  vero  per 
le  Rettoriche  di  Tullio,  che  colui  non  pò- 
ne  in  questo  Trattato  alcuna  differenzia 
per  quelli  ordini.  E  se  tu  ancora  cinguet- 
ti e  di'  :  Or  furo  tutti  gh  altri,  che  l'hanno 
letto,  ciechi,  e  tu  solo  vedi  lume?  Rispon- 
do: Se  tu  non  mi  lasci  stare,  io  dirò  il 
peggio  che  io  potrò,  cioè  che  né  tu,  né  gli 


altri  non  leggeste  mai  libro  se  non  come 
fanno  i  fanciulli  di  sei  anni  che  ricorro- 
no r  a,  h^  e,  e  '1  Deus  in  nomine.  Que- 
ste parole  furono  necessarie,  acciocché 
non  paresse  quello  Trattato  essere  rima- 
se in  penna;  ma  1'  ordine  è  trasmutato. 


"9 
TRATTATO  TERZO 

Qui  comincia  il  terzo  Trattato  del  libro,  in  che 

modo  il  dicitore  dee  il  detto  suo  bene  e 

piacevolmente  profferere. 


utla  la  dottrina  del  ben  favellare  ti  ho  già 
apertamente  mostrato,  e  ti  ho  mostrato  gli  or- 
namenti delle  parole  e  delle  belle  e  gravi  senten- 
zie  che  sono  in  usanza  del  dicitore,  laonde  la  di- 
ceria si  rende  piacente  ;  e  botti  mostrato  come . 
il  dicitore  dee  sapere  il  detto  suo  ordinare,  e  quali 
sono  le  parti  della  diceria,  e  la  dottrina  che  è  da- 
ta in  ciascuna  delle  dette  parti,  acciocché  in  neu- 
na  si  possa  errare  (i)«  E  perchè  le  dette  cose  che 

(i)  Nel  Testo  Marini  questo  periodo  leggesi  cO" 
me  segue  ; 

Tutta  la  dottrina  del  ben  favellare  è  già  aperta, 
e  mostrata  di  sopra  in  ciò,  eh*  è  detto  quale  è  la  buona, 
e  quale  la  composta,  e  quale  è  Tornata  favella,  ed  è 
mostralo  in  che  modo  le  parole  si  possono  ornare,  e 
qua'  sono  le  grevi,  e  belle  sentenze,  onde  la  favella  ri- 
ceve ornamento,  e  rendesi  bella,  e  giacente,  ed  è  mo- 
strato come  colui,  che  favella,  dee  il  detto  suo  ordina- 
re per  certe  parti,  le  quali  sono   le  parti  della   dicerfa, 


I20 


fanno  bisogno  al  Jjen  sapere  favellare,  non  var- 
rebbono  niente  al  dicitore,  se  non  sapesse  il  det- 
to suo  benq  profferere,  sì  ti  voglio  ora  mostra- 
re, come  il  dicitore  dee  sapere  bene  e  acconcia- 
mente profferere  il  detto  suo  nelle  sue  dicerie  ; 
e  questa  è  materia  tanto  sottile  die  gli  anticlii  sa- 
vi, cbe  diedono  allo  incominciamento  dottrina  di 
parlare,  dissono  ne'  loro  libri,  clie  di  questa  mate- 
ria non  si  potea  ben  dire  con  la  lingua,  ma  solo 
r  animo  ne  poteva  giudicare  clii  profferisse  bene 
e  a  ragione  ;  percbè  era  potenzia  dell'  animo  sola- 
mente e  si  incarnata  con  lui  die  non  si  poteva 
specificare  a  parole  :  però  colui  cbe  di  queste  cose 
vorrà  sapere,  sì  gli  converrà  porre  ben  mente.  E 
percbè  il  bene  profferere  delle  parole  è  in  due  co- 
se, r  una  nella  voce  piacente,  1'  altra  ne'  belli  e  pia- 
cevoli reggimenti  (i)  del  corpo,  cioè  nelle  mani 
e  ne'  piedi  e  nell'  altra  persona  e  nella  ciera  del  vol- 
to, sì  ti  voglio  le  dette  cose  per  ordine  mostrare  e 
aprire.  E  prima  della  voce  piacente. 

e  la  dottrina,   eh' è  data  in  ciascuna  delle  dette  parti; 
acciocché  in  nenna  si  possa  errare, 
(i)  movimenti.  Zfe^/o  Manni, 


121 


Qui  dice  della  dwisione  delle  voci,  e  sopra 
quante  voci  si  dee  dire. 

Tre  sono  le  generazioni  delle  voci,  cioè  gran- 
de, ferma  e  molle.  La  grande  voce  dà  solamente 
la  natura,  ma  per  medicina  si  preserva.  La  ferma 
dà  simigliantemente  la  natura,  ma  preservasi  in 
due  modi,  cioè  per  medicina  e  per  usanza.  La  mol- 
le, cioè  r  arrendevole  a  poterla  levare  e  chinare  e 
volgere  e  riposare  a  senno  di  colui,  che  favella , 
si  ha  solamente  per  usanza .  Della  voce  grande, 
che  si  ha  per  natura  e  per  medicina  si  conserva, 
non  dirò  alcuna  cosa,  perchè  non  voglio  insegnare 
medicina,  né  la  natura  posso  sforzare  ;  né  voglio 
dire  della  voce  ferma,  in  quanto  fa  per  natura  e 
conservasi  per  medicina,  ma  dirò  di  lei  in  quanto 
si  conserva  per  usanza;  e  dirò  pienamente  della 
voce  molle,  la  quale  si  accatta  da  natura  e  per  u- 
sanza  si  conserva,  ed  è  quella  voce  che  più  si  con- 
viene al  dicitore  che  niun' altra,  perchè  gli  convie- 
ne in  molti  modi  di  voce  favellare.  E  prima  ti  vo- 
glio dire  della  voce  ferma  ,  in  quanto  si  conserva 
per  usanza. 


122 

Qui  dice  della  voce  ferma,  e  in  che  modo 
si  mantiene  e  conserta. 

Il  dicitore,  che  vuole  la  voce  sua  conservare 
ferma  quanda  favella,  dee  nel  suo  favellare  quat- 
tro cose  osservare.  La  prima,  die  cominci  il  det- 
to suo  pianamente  e  soave ,  perchè  si  percuote 
l'organo  e  guastasi  la  voce  se  anziché  si  ausi  con 
voce  consolata  e  piana,  colui,  che  favella,  comincia 
di  forza  a  favellare  o  a  gridare.  La  seconda,  che  nella 
sua  'ncominciata  (i)  faccia  le  sue  restate  più  spesso, 
e  quando  resta  un  cotale  poco  si  riposi,  perchè  si 
racconcia  l'organo  in  queste  restate  e  lo  spirito 
del  dicitore  si  ricrea  (2).  La  terza,  che  soavemente, 
quando  ha  detto  un  poco,  cominci  la  voce  a  leva- 
re, e  vengala  variando  in  molti  modi,  perchè  quel 
cotale  variare  acconcia  la  voce  ad  ogni  generazio- 
ne di  favella  ;  e  del  favellare  aguto  si  guardi,  perchè 
molte  volte  in  un'  aguta  favella  si  guasta  tutta  la 
voce.  La  quarta,  che  nelle  restate  di  alcun  detto, 
sotto  un  riavere  d'  alito  dica  molte  parole,  per- 
chè così  facendo,  si  racconcia  l' organo  e  riscaldan- 
si  le  gote.  Tutte  e  quattro  le  dette  cose,  che  sono 
poste  di  sopra,  sono  utili  non  solamente  a  colui, 

(i)  cominciamento.  Testo  Marini. 
(2)  ricria.  Testo  Mannì. 


135 

che  favella^  a  conservargli  la  voce,  ma  fanno  gran- 
dissima utilità  a  coloro,  che  stanno  a  udire,  per- 
chè secondo  che  1  piano  favellare  dal  comincia- 
mento  conserva  la  voce,  così  agli  uditori  è  gran- 
dissima utilità  ;  perdi'  è  molto  rincrescevole  cosa 
a  coloro  che  stanno  a  udire,  quando  odono  un  di- 
citore che  con  alta  voce  cominci  a  palliare  o  a  gri- 
dare ;  e  secondochè  le  riposate  conservano  la  voce, 
così  all'uditore  fanno  grande  prode  (i),  perchè  gli 
dividono  il  fatto,  e  dannogli  spazio  di  recarsi  a  me- 
moria le  cose  ;  e  come  migliora  V  organo  il  varia- 
re della  voce ,  così  diletta  1'  uditoi'e  quando  varia 
la  voce,  rendendo  ora  atteso  il  favellare  di  cer- 
to modo,  e  facendolo  sentire,  quando  si  favella,  in 
un  altro  modo.  L' aguto  favellare  sconcia  la  voce,  e 
così  è  air  uditore  sconcio  (2)  e  noioso,  perchè  ha  in 
se  una  cosa  sconcia,  e  conviensi  più  a  femmina 
che  a  uomo  ;  e  come  nella  fine  di  alcuno  detto  il 
ritenere  della  voce  è  rimedio  della  voce,  così  è 
molto  utile  all'  uditore,  perchè  si  accende  e  ri- 
scalda quando  ode  le  belle  ragioni  ;  onde  si  con- 
ferma il  detto  di  colui,  che  favella,  delle  cose  le 
quali  si  dicono  in  quelle  restate. 

(i)  gran  utile,  leggesì  nell'antica  edizione. 
(2)  sozzo.  Testo  Manni, 


•  24 

/ 

Qui  dice  della  voce  molle,  come  si  dee  usare 
in  ogni  generazione  di /ascella. 

La  voce  molle^  cioè  arrendevole  a  poterla  le- 
vare e  chinare  e  volgere  e  riposare  a  senno  di  co- 
lui, che  favella,  è  molto  utile  al  dicitore  per  poter 
trarre  e  acconciare  la  voce  sua  ad  ogni  generazio- 
ne di  favella,  e  hassi  questa  voce  solamente  per 
usanza.  Ed  a  volere  pienamente  mostrare  in  che 
modo  il  dicitore  dee  usare  questa  voce,  quando  fa- 
vella, conviene  in  prima  sapere  quanti  sono  i  modi 
di  favellare.  Pongono  i  savii  sette  modi  ;  cioè  :  Digni- 
toso Parlare,  Mostrare,  Narrare,  Giocare,  Conten- 
dere, Abbominare  e  Lamentare;  e  di  ciascuna  di 
queste  favelle  si  dee  sapere  la  sua  voce,  in  questo 
modo.  Che  se  1  favellare  sarà  in  Parlare  Dignitoso, 
il  quale  si  appella  grave  in  vulgare,  sì  proffererà  il 
dicitore  la  sua  favella  con  piene  guance,  cioè  la  sua 
parola  con  la  voce  consolata  e  piana,  ma  non  di 
soperchio,  sicché  esca  dell'  usanza  del  parlare,  co- 
me fanno  i  poeti,  che  hanno  a  recitare  tragedia  (i). 
E  se  la  favella  sarà  in  Mostrare,  sì  dee  fare  il  dicito- 
re la  voce  sua  più  bassetta,  e  fare  molle  divisioni 
e  molte  restate  ;  sicché  nel  suo  profferere  paia  che 
incorpori  la  parola  sua  nell'animo  dell'uditore.  E 

(i)  r  elegie.  Testo  MannL 


125 

se  la  favella  sarà  in  jNarrare,  sì  varierà  la  voce 
sua  il  dicitore  secondocliè  il  fatto  si  varia  ,  e 
molle  volle  dirà  un  poco  più  tosto,  quando  vorrà 
profferere  diritlaniente  ,  ed  altre  volte  più  rado, 
quando  non  si  curerà  di  così  bene  profferere,  e 
talotta  parlerà  con  voce  agra,  e  talolta  con  ^voce 
benignale  molte  volte  con  voce  allegra,  e  poco  stan- 
te con  voce  trista;  e  così  varierà  la  voce  sua  come 
si  varieranno  le  parole  del  fatto.  E  se  in  Narrare  il 
fatto  accadrà  di  dire  dettp  o  priego  o  risposta  di 
alcuna  persona  o  di  alcuna  cosa  da  dovere  mara- 
vigliare, diligentemente  considererà  il  dicitore  que- 
sto fatto,  sicché  profferisca  con  la  voce  il  senno  e  la 
volontà  di  ciascheduno.  E  se  la  favella  sarà  in  Par- 
lare di  sollazzo  o  di  giuoco,  sì  parlerà  il  dicitore 
con  voce  lena  e  tremante,  e  con  un  poco  di  riso, 
che  non  significhi  molto  (i);  e  guarderassi  di  dire 
di  soperchio.  E  se  la  favella  sarà  in  Contendere, 
sì  può  fare  il  dicitore  la  voce  sua  in  dui  modi  ; 
r  uno,  che  cominciando  di  dire  con  voce  mezza- 
na (2),  continuando  le  parole  sue  crescerà  la  voce, 
e  torcendo  il  suono  dirà  parole  molto  tosto,  gri- 
dando: il  secondo  modo,  che  griderà  il  dicitore 
con  chiara  voce,  è  quando  spazio  avrà  preso  in 

(i)  ma  che  non  fie  moho.  Testo  Marini, 
(2)  mezzolana.  Testo  Manni, 


126 

ciascheduno  grido,  cotanto  si  riposerà  innanziclié 
l'altro  cominci.  E  se  la  favella  sarà  in  Abbominare, 
cioè,  che  '1  dicitore  voglia  dire  parole  onde  innan- 
zi (i)  accenda  l'animo  dell'uditore  contra  alcuna 
persona  ,  sì  favellerà  con  voce  sottile  e  con  un 
poco  di  grido,  o  in  voce  eguale,  e  muterà  (2)  in 
molti  modi  la  voce,  secondochè  si  muterà  la  na* 
tura  del  fatto,  e  parlerà  tosto.  E  se  la  favella  sarà 
in  Lamentare,  o  in  parole  triste,  sì  favellerà  il  dici- 
tore in  voce  bassa  e  'n  suono  inchinato,  e  muterà  in 
molti  modi  la  voce,  secondochè  la  natura  del  fatto 
si  muta,  e  farà  molte  riposate  con  grandi  spazii. 

Qui  dice  dei  movimenti  del  corpo  e  della 
ciera  del  volto* 

I  piacevoli  movimenti  del  corpo,  cioè  delle 
mani  e  dei  piedi,  e  della  ciera  del  volto  e  di  tutta 
l'altra  persona,  che  fa  il  dicitore  in  sul  favella- 
re ,  eh'  è  la  seconda  parte  del  ben  profPerere  , 
se  temperatamente  si  fanno,  rendono  la  dicitura 
più  approvata  e  piacente.  Volendo  in  quanto  è  pos- 
sibile ciò  mostrare,  fa  bisogno  al  dicitore  tre  cose 
di  sapere  :  la  prima,  che  nel  volto  di  colui,  che 

(i)  inzigbi.  Testo  Marini. 

(2)  e  avale  muterà.  Testo  Manni. 


favella,  si  richiede  di  avere  ardimento  e  vergogna:  la 
seconda,  die  non  faccia  troppo  ticconci  reggimen- 
ti del  corpo,  acciocché  non  paia  buffone,  né  trop- 
po rustichi  né  sconci,  acciocché  non  paia  villano; 
e  che  a  quelli  medesimi  modi  di  favellare  a  che 
si  arrende  la  voce  a  mutarla    in   diversi   modi, 
s'attribuiscano  i  reggimenti  del  corpo  a  fargli  di- 
versamente, perchè  se  la  parola  sarà  nella  favella 
dignitosa,  il  parlatore  dirà  il  detto  suo  con  me- 
nando e  con  levando  un  poco  la  mano  diritta;  e  se 
la  parola  sarà  in  mostrare,  starà  più  col  capo  rivol- 
to dallo  'mbusto  verso  coloro  che  stanno  a  udire  ; 
perchè  questo  è  dato  da  natura,  che  colui,  che  mo- 
stra, sempre  sta  col  volto  più.  presso  ed  atteso  ver- 
so colui  a  cui  è  mostrato,  quando  vuole  ben  dare 
ad  intendere  la  cosa  che  dice.  E  se  la  parola  sarà 
in  narrare,  quel  movimento  del  corpo  sarà  accon- 
cio, come  di  sopra  ti  dissi  che  si  conviene  fare  quan- 
do la  parola  é  nella  favella  dignitosa.  E  se  la  paro- 
la sarà  in  giocare,  si  mostri  il  dicitore  alcuna  alle- 
grezza nel  volto  senza  muovere  il  capo(i).  E  se  la 
parola  sarà  in  contendere,  si  può  fare  in  dui  mo- 
di: il  primo  con  dimenare  tosto  le  braccia  e  muo- 
vere il  volto  e  fare  aspra  (2)  guatatura;  il  secondo 

(i)  corpo,  'Cod.  della  Marciana. 
(2)  aspera.  Testo  Mannù 


128 

che  1  dicitore  meni  tosto  e  distenda  le  braccia  e 
muovasi  un  poco  col  pie'  diritto  e  faccia  un  agro  e 
un  contuso (i)  guardare.  E  se  la  parola  sarà  in  abbo- 
minare,  si  servirà  il  dicitore  del  primo  modo  che 
di  sopra  ti  posi  nel  Contendere.  E  se  la  parola  sarà 
in  lamentare,  sì  farà  il  dicitore  un  lamentare  come 
femmina,  e  percuoterassi  il  capo  con  reggimento 
pacifico  (2)  e  col  volto  fermo,  e  starà  con  viso  tri- 
sto e  turbato.  Non  sono  sì  matto  che  ben  non  co- 
nosca che  cosa  io  impresi  di  voler  fare,  quando  le 
voci,  che  diversamente  si  vogliano  dire  in  sul  prof- 
ferere,  e  anco  li  movimenti  del  corpo^  che  diver- 
samente si  vogliano  fare,  mi  pensai  di  dire  a  paro- 
le e  ritrarre  in  volgare  ;  e  avvegnaché  io  non  mi 
confidi  ch'io  l'abbia  pienamente  fatto,  almeno 
quello,  eh'  è  detto,  è  utile  (3)  a  sapere,  e  però  quel- 
lo che  rimane  lascio  alla  usanza.  Ma  una  cosa  vo- 
glio che  sappiate,  che  la  voce  e  i  movimenti  del 
corpo  e  la  ciera  del  volto,  che  viene  dall'animo  di 
colui  che  parla,  nel  tempo  del  suo  favellare,  fan- 
no il  dicitore  bene  profferere. 


(i)  teso.  Testo  Mannì. 

(2)  piacevole.  Testo  MannL 

(3)  non  è  inutile.  Testo  Marmi, 


139 

TRATTATO  QUARTO 

Qui  comincia  il  quarto  Trattato  del  Li^ 
bro,  nel  quale  si  dà  dottrina  per  quanti  modi  si 
può  consigliare  in  sulle  cose,  e  prima  di  quelle 
cose  che  fanno  bisogno  al  consigliatore  di  sapere. 


D 


acche  abbiamo  veduto  di  sopra  per  quanti 
modi  il  dicitore  dee  sapere  acconciamente  e  bene 
favellare,  e  come  dee  ordinare  il  detto  suo  e  pia- 
cevolmente profTerere,  sì  ti  voglio  ora  mostrare 
come  dee  sapere  consigliare  in  sulle  cose,  perchè 
coloro  sono  appellati  in  sulle  cose  a  consigliare,  che 
sanno  ben  favellare.  E  a  trattare  di  questa  mate- 
ria ti  voglio  in  prima  mostrare  che  cose  al  consi- 
gliare fanno  di  bisogno  di  sapere,  e  appresso  ti 
mostrerò  per  quante  vie  e  modi  in  sulle  cose  si 
può  consigliare.  Al  consigliatore,  che  vuole  in  sul- 
le cose  sapere  ben  consigliare,  bisogno  fa  di  sa- 
pere tre  cose  :  la  prima ,  quanti  sono  i  modi  di 
saper  consigliare,  cioè  di  quante  generazioni  sonò 
proposte  :  la  seconda,  sapere  trovare  la  cagione 
perchè  della  cosa  si  piglia  consiglio  :  la  terza,  sa- 
pere conoscere  le  utilitadi  delle  cose,  alle  quali  si 
puote  venire  per  lo  consigliare. 
9 


i3o 

Quanti  modi  sono  da  consigliare  e  quali. 

La  prima  cosa  da  sapere  si  è  quanti  sono  i  modi 
di  consigliare.  Pongono (i)  i  savi  due  modi:  l'uno, 
eh'  è  innanzi  da  fare,  l'altro  eli' è  da  fare  mag- 
giormente. Il  modo  di  consigliare,  che  si  appella 
innanzi  da  fare,  è  quando  nella  proposta  si  possono 
solamente  due  partiti  pigliare  ;  cioè,  se  alcuna  co- 
sa sia  da  fare  o  non  sia  da  fare,  ed  è  V  uno  de'  par- 
titi buono  e  l' altro  reo  per  innanzi  ;  e  questo  è 
lo  esemplò:  I Romani  hanno  Cartagine  presa;  pi' 
glia  consiglio  il  Senato  (2)  se  Cartagine  è  da  tene^ 
re  o  da  disfare,  L'  uno  de'  detti  due  partiti  è  buo- 
no da  pigliare  per  li  Romani,  e  l' altro  è  reo  per  in- 
nanzi. Il  modo  di  consigliare,  che  si  appella  eh' è 
da  fare  maggiormente,  è  quando  nella  proposta 
molti  partiti  si  possono  pigliare  ;  o  è  ciascuno  buo- 
no, ma  pigliasi  consiglio  per  fare  il  migliore,  o  è 
reo  ciascuno,  e  conviensi  pigliare  l' uno,  ma  pigliasi 
consìglio  per  fare  quello,  onde  meno  danno  ne  puote 
seguitare  ;  e  questo  è  lo  esemplo  :  Scipione  andò 
per  li  Romani  sopra  quegli  di  Cartagine  ;  Anni' 
baie  per  quelli  di  Cartagine  sopra  li  Romani; 
Scipione  ha  sconfitto  é  Cartaginesi,  ed  è  sopra 

(i)  Pougonne.  Testo  Manni. 
(2)  Sanato.  Testo  Manni. 


torre  loro  la  terra  ;  Annibale  ha  sconfitto  i  Roma" 
ni  ed  ha  assediata  Boma,  e  quelli  di  Cartagine 
mandano  incontanente  per  Annibale,  che  subi" 
io  ne  vegna,  se  no  e'  si  perdono  la  terra,  Anni- 
bale piglia  consiglio  se  ìia  a  stare  fermo  in  Ita- 
lia, tanto  che  pigli  Roma,  o  hassi  a  tornare  a  ca-^ 
sa  per  difendere  i  suoi,  o  a  passare  oltramare 
per  pigliare  Alessandria  e  per  difendersi  ivi  dai 
Romani.  Catuno  (i)  de' detti  partiti  è  molto  reo  a 
pigliare  per  Annibale,  ma  fa  di  bisogno  di  piglia- 
re uno,  e  però  piglia  consiglio  per  fare  lo  meno 
reo,  cioè  quello  onde  meno  danno  ne  possa  se- 
guitare. 

In  che  modo  si  trova  la  cagione  della  cosa 
di  che  si  cousiglia. 

La  seconda  cosa  da  sapere  si  è,  trovare  la  ca- 
gione perchè  sopra  la  cosa  si  piglia  consiglio  ;  e  pe- 
rò è  questo  utile  cosa  a  sapere,  perchè  il  buono  con- 
sigliatore sempre  nel  suo  consigliare  va  drieto  alla 
cagione,  e  di  quella  fonda  tutta  la  sua  diceria  j  ed 
a  trovarla  ne  danno  i  savi  questa  dottrina  :  Che 
molte  volte  la  cagione  è  per  quella  cosa  medesi- 
ma sopra  la  quale  si  consiglia,  e  molte  volte  non 

(i)  Ciascuno;  leggesi  nelV antica  edizione. 


l32 

per  quella  cosa  medesima,  ma  per  altre  stranie  co- 
se. E  la  cagione  per  quella  cosa  medesima,  so- 
pra la  quale  si  piglia  consiglio,  in  questo  esemplo  : 
Annibale  ha  preso  [i)  i  Romani^  e  presi  molti  di 
loro  :  manda  loro  a  dire  per  suoi  ambasciadori 
di  rivendere  i  loro  prigioni:  se  ne  li  vogliono  ri- 
comperare, sono  a  Roma.  Il  Senato  piglia  consi- 
glio se  sono  da  ricomperare  i  prigioni,  o  no.  Dun- 
que la  proposta  del  ricomperare  dei  prigioni  è  per 
cagione  de'  prigioni  acciocché  sieno  fuori  di  cattivi- 
tà. E  la  cagione  non  per  quella  cosa  medesima,sopra 
la  quale  si  piglia  consiglio,  ma  per  altre  cose  stranie, 
in  questo  esemplo  :  Contiensi  nello  Statuto  di  Ro- 
ma, che  neuno  possa  essere  Consolo  se  prima  non 
è  in  età  di  XXXV  anni.  Annibale  è  venuto  con 
grande  gente  sopra  i  Romani;  Scipione  di  Roma 
è  molto  savio  e  di  guerra  buono  capitano^  ma  non 
ha  la  etade  che  lo  Statuto  dice  :  piglia  consiglio 
il  Senato  se  è  da  concedere  a  Scipione,  non- 
ostante lo  Statuto,  che  possa  essere  Consolo  di  Ro- 
ma, o  no.  E  dunque  la  proposta  del  Consolato  di 
Scipione,  ma  la  cagione  non  è  il  Consolato,  ma  la 
guerra  d' Italia  ;  perchè  se  la  guerra  non  fosse,  la 
detta  proposta  non  sarebbe.  È  la  cagione  parte  so- 
pra quella  cosa  sopra  la  quale  si  piglia  consiglio,  ma 

(i)  hae  scoofitti.  Testo  Manni. 


i33 

più  per  altre  cose  stranie,  in  questo  esemplo  :  An- 
nibale è  venuto  con  grande  oste  sopra  li  Roma- 
ni; le  amistà  loro  sono  venute  in  Roma  per  aiu- 
tarli ;  vorrebbono  i  Romani  andare  sopra  Anni- 
bale con  grande  is forzo  di  buona  genie,  e  fi- 
dansi  più  nella  battaglia  de  loro  cittadini,  che 
nelle  loro  amistadi.  Piglia  consiglio  il  Senato,  se 
la  guardia  della  città  è  da  commettere  alle  loro 
amistadi,  o  no.  E  dunque  la  proposta  sopra  la 
guardia  della  città  di  Roma,  e  parte  per  la  guar- 
dia della  terra,  ma  più  per  altre  cose  stranie, 
cioè,  ]a  guerra  di  Annibale,  acciò  che  sforzata- 
mente  e  con  buona  gente  da  battaglia  possano  i 
Romani  contra  Annibale  andare. 

Come  si  conosce  la  utilità  della  cosa  di  che 
si  consiglia. 

E  la  terza  cosa,  clie  fa  bisogno  al  consiglia- 
tore, di  sapere  conoscere  le  utilità  alle  quali  si 
può  venire  delle  cose  per  lo  consigliare  ;  e  però  è 
questo  utile  da  sapere,  perchè  sola  la  utilità  è  la 
cosa  perchè  sopra  alle  cose  si  piglia  consiglio;  e 
dicono  i  savi,  che  di  tutte  le  cose  laonde  si  pi- 
glia consiglio,  si  viene  a  consigliare  una  di  queste 
tre  utilità,  cioè  :  o  che  la  cosa,  sopra  la  quale  si 
piglia  consiglio,  sia  più  sicura,  o  che  si  faccia  in 


i34 

tal  modo  che  stia   bene  e  dirittamente,  o  in  tal 
modo  si  faccia  che  sia  più  lodato  dalle  genti. 

Quando  la  utilità  della  cosa,  sopra  alla  quale 
si  piglia  consiglio^  è  che  sia  più  sicura, 
come  si  può  consigliare. 

Manifestamente  abbiamo  veduto  di  sopra,  clie 
cose  a  colui,  che  vuole  ben  sapere  consigliare,  fan- 
no bisogno  di  sapere  ;  ora  ti  voglio  mostrare  la 
dottrina  per  quante  vie  e  modi  si  può  consigliare 
in  sulle  cose;  e  a  questa  materia  metta  (i)  il  letto- 
re tutto  '1  suo  intendimento,  perchè  è  suttilissima 
materia  e  molto  utile  a  sapere.  Fatta  la  proposta 
della  cosa  sopra  la  quale  si  dee  consigliare,  dee  il 
consigliatore  diligentemente  considerare  e  fra  se 
medesimo  vedere  la  cagione  per  la  quale  sopra 
quella  cosa  pigli  consiglio,  e  di  quella  cagione  dee 
tirare  la  utilità  alla  quale  si  puote  venire  di  quel- 
la^cosa  per  lo  consigliare;  e  se  vede  che  nella  co- 
sa, sopra  la  quale  si  piglia  consiglio,  si  puote  a- 
perta mente  sapere  o  vedere.  Che  se  teme  che  dan- 
no si  possa  dare  in  quella  presentemente,  ovvero 
per  innanzi,  allotta  è  la  utilità  della  cosa,  sopra  la 
quale  si  piglia  consiglio,  che  sia  più  sicura  quando 

(i)  tenda.  Testo  Manni, 


i35 

si  teme  die  in  quella  cosa  danno  si  possa  dare  ;  e 
dee  il  consigliatore  considerare  tutte  le  vie  per  le 
quali  si  può  dare  danno  nelle  cose^  che  sono  in  qui- 
stione.  Dicono  i  savi  clie  si  possono  dare  in  due 
modi;  Tuno  si  è  per  via  di  forza;  T  altro  si  è  per 
via  d' inganno.  Per  via  di  forza,  si  può  danno  dare 
o  per  oste  o  per  navilio  (i)  o  per  recare  gente  scac- 
ciata di  loro  paese  o  per  altre  cotali  cose.  Per  via 
d'inganno,  si  può  danno  dare  o  per  bugie  o  per 
dinari  o  per  promessioni  o  per  mostrare  di  fare 
una  cosa  e  fare  un'altra  o  per  mutare  la  cosa  che 
ha  cominciata  e  farla  altrimenti  o  per  altre  cotali 
cose.  E  però  considera  tutte  le  dette  vie,  e  anche 
altre,  se  da  te  ne  sai  più  trovare,  e  vedrai  per  qual 
via  danno  si  potrà  dare  in  quella  cosa,  e  troverai  i 
rimedi  onde  quello  danno  si  possa  fuggire  o  schi* 
fare,  e  quegli  rimedi  darai  per  consiglio. 

Quando  la  utilità  della  cosa,  sopra  la  quale  si 

piglia  consiglio,  è  che  stia  bene  e  dirittamente, 

per  quante  vie  si  può  consigliaj^e. 

E  se  il  consigliatore,  considerata  la  cagione 
della  cosa  sopra  la  quale  si  piglia  consiglio,  vede 


(i)  navilio,  o  per  arme,   a  per   tormento.  Testo 
Manni, 


i36 

elle  la  utilità  sua  è,  elie  si  faccia  in  tal  modo  che 
stia  bene  e  dirittamente,  sì  dee  sapere  colui  che 
consigha,  che  per  venire  alla  detta  utilità  si  può 
dare  consiglio  per  quattro  vie  ;  cioè,  per  via  di 
Prudenzia,  per  via  di  Giustizia,  per  via  di  Fortezza 
e  per  via  di  Misura  ;  e  ciascuna  delle  dette  vie  ha  in 
sé  molte  vie  e  modi  di  consigliare  per  venire  alla 
detta  utilità.  E  per  quanti  modi  per  ciascheduna 
delle  dette  vie  si  può  consigliare,  ti  voglio  per  ordi- 
ne mostrare  e  aprire  ;  e  prima  per  quanti  modi  si 
può  consigliare  per  via  di  Prudenzia. 

Per  quanti  modi  si  consiglia  per  via  di 
Prudenzia, 

A  mostrare  per  quanti  modi  per  via  di  Pru- 
denzia si  può  consigliare,  acciocché  la  cosa  dirit- 
tamente si  faccia,  ti  fa  bisogno  prima  di  vedere 
che  è  detta  Prudenzia.  Dicono  i  savi,  che  Pruden- 
zia è  detta  in  tre  modi,  e  per  ciascuno  modo  è  la 
sua  vìa  di  consigliare.  E  detta  in  uno  modo  Pru- 
denzia uno  sottile  scaltrimento  per  lo  quale  si 
muove  Fuomo  per  diritta  ragione  a  conoscere  (i)  il 
bene  dal  male  ;  e  secondo  questo  modo  di  Pru- 
denzia si  può  dare  consiglio  in  questo  modo.  Che 

(i)  scernere.  Testo  Manni. 


.37 

colui,  che  con  sigila  j  apra  e  mostri  nel  suo  dire 
quale  è  il  bene  e  quale  è  il  male  di  quella  cosa 
sopra  la  quale  si  consiglia,  e  poscia  dia  per  consiglio 
cosa,  per  la  quale  si  venga  al  bene  che  ha  mostra- 
to. Anche  è  detta  in  uno  altro  modo  Prudenzia, 
per  avere  memoria  di  molte  cose  passate  e  di 
molti  fatti  che  si  sieno  incontrati  e  avvenuti  ;  e 
secondo  questo  modo  di  Prudenzia  si  può  dare 
consiglio  in  questo  modo  :  che  '1  consigliatore  as- 
somigli il  fatto,  sopra  il  quale  si  piglia  consiglio, 
o  ad  un'  altra  cosa  passata  o  ad  un  altro  fatto  si- 
migliante,  che  gli  sia  già  addivenuto  o  incontrato  ;  e 
dia  per  consiglio  cosa,  per  la  quale,  come  in  questo 
fatto,  somigliante  via  si  debba  tenere  e  si  tegna. 
Anche  è  detto  in  uno  altro  modo  Prudenzia  esse- 
re sottile  ingegno  di  alcuno  artifizio  o  maestria  di 
utilità,  per  la  quale  cosa  è  l'uomo  appellato  savio, 
o  maestro  di  quella  cosa.  E  secondo  questo  modo 
di  Prudenzia  si  può  dare  consiglio  in  questo  mo- 
do, che  colui,  che  consiglia,  trovi  una  bella  mae- 
stria di  utilità  in  sul  fatto  sopra  il  quale  si  consi- 
glia, e  ha  nel  suo  consiglio  la  via  e  il  modo  comje 
sì  possa  fare  (i). 


(i)  V  ultima  parte  dì  questo  Articolo  manca  nel 
Testo  Manni. 


i38 

Per  quanti  modi  si  pub  consigliare  per  via 
di  Giustizia, 

Il  secondo  modo  per  lo  quale  si  può  dare 
consiglio,  acciocché  la  cosa  dirittamente  si  faccia^ 
ti  dissi  eli'  è  per  via  di  Giustizia  ;  ed  è  detta  Giu- 
stizia una  ferma  volontà  d'animo,  per  la  quale  l'uo- 
mo si  muove  a  rendere  la  ragione  sua  a  ciascuno 
secondo  l'essere  suo.  E  consigliasi  per  via  di  Giu- 
stizia in  sei  modi,  secondochè  sei  sono  le  virtù 
che  nascono  di  lei  ;  cioè  :  Religione.  Pietà,  Grazia, 
Vendetta,  Osservanza  e  Verità.  Per  via  di  Religio- 
ne si  rende  a  Dio  la  ragione  sua  dalle  genti,  e 
consigliasi  per  questa  via,  quando  il  consigliatore 
nel  consiglio,  che  pone,  dà  per  consiglio  cosa  laon- 
de osservi  la  fede  di  Dio  e  obbedisca  le  sue  co- 
mandamenta,  o  altre  cose  si  facciano  per  le  qua- 
li Iddio  sia  dalle  genti  sempre  servito  e  obbedi- 
to, secondochè  la  Scrittura  comanda.  Per  via  dì 
Pietà  si  rende  la  ragione  sua  al  padre  o  alla  ma- 
dre dal  figliuolo,  ovvero  alla  città  dal  suo  cittadi- 
no ;  e  consigliasi  per  questa  via,  quando  il  consi- 
gliatore nel  consiglio,  che  pone,  dà  per  consiglio 
cose,  laonde  il  padre  o  la  madre  sieno  onorali  e 
obbediti  dal  suo  figliuolo  o  sovvenuti  ne'  loro  bi- 
sogni, o  la  città  o  il  comune  ne  sia  servito  o  fe- 
delmente consigliato  dal  suo  cittadino.  Per  via  di 


i39 

Grazia  si  rende  la  ragione  sua  al  parente  o  all'  o- 
ste  o  allo  amico;  e  consigliasi  per  questa  via,  quan- 
do il  consigliatore  nel  consiglio,  che  pone,  dà  per 
consiglio  che  V  uno  parente  dall'  altro  sia  servi- 
to, e  l'amico  dall'  amico,  o  l'uno  oste  dall'altro 
fedelmente  consigliato  ovvero  guardato  con  mol- 
ta onestà.  Per  via  di  Vendetta  si  rende  la  ragio- 
ne sua  al  nimico  ;  e  consigliasi  per  questa  via , 
quando  il  consigliatore  nel  consiglio,  che  pone,  dà 
per  consiglio  cosa,  laonde  il  nimico  si  difenda  dal 
nimico  e  non  si  lasci  fare  né  ingiuria  né  forza. 
Per  via  di  Osservanza  si  rende  la  ragione  a'  signori 
o  a'  maggiori  o  a  coloro,  che  di  bontà  passino  gli 
altri,  da'  loro  minori  o  suggetti  ;  e  consigliasi  per 
questa  via,  quando  il  consigliatore  nel  consiglio, 
che  pone,  dà  per  consiglio  cosa  laonde  i  signori 
o  tìiaggiori  o  coloro,  che  di  bontà  passano  gli  altri, 
sieno  da' suggetti  (i)  o  da'  loro  minori  temuti  ov- 
vero onorati  ovvero  serviti  con  molta  riverenzia, 
perchè  sempre  è  così  osservato.  Per  via  di  Verità 
rende  la  ragione  V  uno  uomo  all'  altro  ;  e  consiglia- 
si per  questa  via,  quando  il  consigliatore  nel  con- 
siglio, che  pone,  dà  per  consiglio,  che  non  per 
odio,  né  per  amore  si  torca  1'  uomo  dalla  via  di- 
ritta o  si  pieghi  dalla  ragione  o  che  simiglianti 

(i)  sudditi.  Testo  Marini, 


i4o 

ragioni  a  ciascuno  si  debba  servare  o  che  la  fede 
altrui  data  si  debba  al  postutto  servare  e  ferma 
tenere,  o  dia  per  consiglio  altra  cosa  che  si  appar- 
tenga a  dire  ad  altrui  vero  e  ad  osservare  lealtade. 

Per  quanti  modi  si  consiglia  per  via  di  Fortezza* 

Il  terzo  modo  per  lo  quale  si  può  dare  consi- 
glio, acciocché  la  cosa  bene  e  dirittamente  si  fac- 
cia, ti  dissi  che  è  per  via  di  Fortezza.  Ed  è  detta 
Fortezza  una  ferma  volontà  di  animo  per  la  quale 
si  muove  F  animo  a  desiderare  le  cose  grandi  e  a 
dispregiare  le  cose  vili  e  ad  essere  sofferente  del- 
le fatiche  e  dei  pericoli,  acciocché  la  cosa  bene  e 
utilemente  si  faccia.  Consigliasi  per  via  di  Fortezza, 
acciocché  la  cosa  dirittamente  si  faccia,  per  quattro 
vie,  secondoché  sono  le  quattro  virtù  che  nascono 
di  lei;  cioè:  Magnificenzia,  Speranza,  Pazienzia  e  Per- 
severanzia.  Ed  è  detto  l'uomo  (i)  forte  per  via  di 
Magnificenzia  quando  desidera  le  cose  grandi  e  dis- 
pregia le  vili  e  giudicale  non  degne  alla  grandezza 
sua.  E  consigliasi  per  via  di  Magnificenzia,  quando 
il  consigliatore  nel  consiglio,  che  pone,  dà  per  con- 
sìglio che  le  cose  grandi  si  debbano  seguitare    e 
le  cose  piccole  schifare  e  fuggire,  giudicandole  non 

(i)  auìmo;  leggesì  nelV antica  edizione* 


i4i 

degne  alla  grandezza  o  dignità  di  coloro  cui  egli 
consiglia.  Ed  è  detto  V  animo  forte  per  via  di  Spe- 
ranza, quando  spera  pur  fermamente  di  ben  ca- 
pitare ;,  se  le  cose,  che  si  sono  a  fare,  si  fanno  bene 
e  dirittamente.  E  consigliasi  per  via  di  Sttgranza, 
quando  il  consigliatore  nel  consiglio,  che  pone,  dà 
per  consiglio,  die  le  cose  che  sono  da  fare  si  fac- 
ciano bene  e  dirittamente  e  come  si  conviene  a 
fare  di  ragione,  e  non  considerando  quello  che  del 
fatto  ne  può  seguitare,  perchè  spera  fermamente, 
così  facendo,  di  capitare  pur  bene.  Ed  è  detto  l'uo- 
mo forte  per  via  di  Pazienzia,  quando  è  paziente 
de'  pericoli  e  delle  fatiche,  acciocché  la  cosa  si  fac- 
cia utilemente.  E  consigliasi  per  questa  via,  quan- 
do il  consigliatore  nel  consiglio,  che  pone,  dà  per 
consiglio  cosa,  onde  di  quello  consiglio  si  pi- 
glia più  utilità,  non  considerando  fatica,  ne  pe- 
ricolo neuno  che  faccia  bisogno  di  sostenere,  o  do- 
lore od  odio  che  ne  possa  incontrare  (i)  .  Ed  è 
detto  r  animo  forte  per  via  di  Perseveranzia,  quan- 
do, veduta  e  conosciuta  la  utilità  della  cosa,  sem- 
pre persevera  e  tiene  quella  via.  E  consigliasi  per 
via  di  Perseveranzia,  quando  il  consigliatore  nel 
consiglio,  che  pone,  dà  per  consiglio  cosa  onde 
egli  ha  veduto  o  provato  che  sopra  quello,  onde 

(i)  contrarre.  Testo  Marini, 


l42 

consiglio  si  piglia,  sempre  è  stato  il  meglio  di  co- 
sì fare. 

Per  quanti  modi  si  consiglia  per  via 
^  di  Misura. 

Il  quarto  modo  per  lo  quale  si  può  dare  con- 
siglio,  acciocché  la  cosa  bene  e  dirittamente  ordi- 
nata si  faccia,  ti  dissi  eh' è  per  via  di  Misura;  ed 
è  detto  Misura  uno  temperamento  di  animo  dei 
desiderii  del  mondo.  E  consigliasi  per  via  di  Mi- 
sura, acciocché  dirittamente  si  faccia  la  cosa,  in  tre 
modi,  secondochè  tre  sono  le  virtù  che  nascono 
di  lei;  cioè:  Astinenzia,  Pietà  e  Vergogna.  Ed  é  det- 
to l'animo  ammisurato  per  via  di  Astinenzia,  quan- 
do dispregia  le  cose  che  sono  di  soperchio.  E  con- 
sigliasi per  questa  via,  quando  il  consigliatore  nel 
consiglio,  che  pone,  dà  per  consiglio  cosa  per  la 
quale  abbomina  il  desiderio  e  dispregia  la  volontà 
di  avere  troppe  ricchezze  o  di  abbracciare  troppo 
onori^  o  dice  il  termine  alla  natura  della  cosa  so- 
pra la  quale  si  consiglia,  e  pone  quanto  è  bastevole 
a  ciascheduna.  È  detto  l'animo  ammisurato  per  via 
di  Pietà,  quando  per  Pietà  T  animo  si  muove   a 
perdonare  a'  nimici  ed  a  coloro  che  l' hanno  offe- 
so ;  e  consigliasi  per  via  di  Pietà,  quando  il  consi- 
gliatore nel  consiglio,  che  pone,  dà  per  consiglio 


i43 

cosa  per  la  quale  si  mostra  die  neuno  dee  essere 
tanto  provocato  ad  ira  e  non  dee  ricevere  tanta 
sopercliianza  che  non  si  mova  a  pietà,  e  a  perdo- 
nare a  colui  che  umilemente  gli  chiama  mercede. 
Ed  è  detto  lo  uomo  ammisurato  per  via  di  Vergo- 
gna, quando  si  vergogna  delle  soperchianze  e  de' 
mali  che  vede  ad  altrui  fare  ;  e  consigliasi  per  via 
di  Vergogna,  quando  il  consigliatore  nel  consiglio, 
che  pone,  dà  per  consiglio  cosa  per  la  quale  si  mo- 
stra, che  ciascheduno  si  dee  vergognare  (i) di  one- 
sta vergogna,  quando  vede  ovvero  ode  dire  le  so- 
perchianze (2)  ovvero  le  cose  malfatte. 

Quando  la  utiliià  della  cosa,  sopra  alla  quale 

si  piglia  consiglio,  è  che  sia  lodata  dalle 

genti,  come  si  può  consigliare. 

Veduto  abbiamo  diligentemente  per  quanti 
modi  si  può  consigliare,  quando  la  utilità  della  co- 
sa, sopra  la  quale  si  piglia  consiglio,  è  che  sia  più 
sicura,  e  quando  la  utilità  è  che  si  faccia  in  tal  modo 
che  stia  bene  e  dirittamente  (3).  E  avvegnaché  neu- 
na  volta  si  può  fare  consiglio  che  la  cosa  stia  bene 

(1)  turbare.  Testo  Marini, 

(2)  su perchiezze.  Testo  Manni. 

(3)  che  sia  lodata  dalle  genti.  Testo  Manni, 


e  dirittamente,  ora  ti  voglio  mostrare  per  quanti 
modi  si  paò  consigliare,  che  la  utilità  della  co- 
sa è  che  sì  faccia  in  tal  modo  che  sia  lodata  dal- 
le genti,  avvegnaché  neuna  volta  si  può  dare  con- 
siglio che  la  cosa  stia  bene  e  dirittamente  che  dal- 
le genti  quella  cosa  lodata  non  sia,  perchè  sono 
lodate  tutte  le  cose  che  bene  e  dirittamente  si  fan- 
no. Sì  interviene  molte  volte,  che  di  certe  cose  con- 
siglio si  piglia,  laonde  il  consigliatore  non  guarda 
di  consigliare  quello,  onde  la  cosa  possa  bene  stare, 
ma  solo  che  dalla  gente  sia  lodata  e  dettone  be- 
ne, perchè  sono  molte  cose  che,  avvegnaché  di- 
rittamente non  sieno  state  fatte,  sì  sono  lodate  e 
piacciono  ad  altrui;  e  perchè  questo  interviene 
rade  volte,  sì  vi  si  dà  brievemente  questo  modo  di 
consigliare  ;  Che  il  consigliatore  sopra  quello  fatto 
dia  per  consiglio  cosa  onde  loda,  che  sia  buona, 
si  possa  seguitare  ;  perchè  puote  molte  volte  la  co- 
sa essere  lodata,  ma  di  loda  che  è  rea  e  da  fuggi- 
re, siccome  chi  lodasse  alcuna  persona  che  fosse 
scaltrito  o  ladro  o  vergognoso  (i)  puttaniere,  o  lo- 
dasselo  di  alcun  altra  sozza  o  vituperevole  cosa,  la 
quale  loda  non  dee  volere  alcuna  (2)  persona  che 
si  seguiti  della  cosa,  che  dà  per  consiglio. 

(1)  ingegnoso;  Testo  Marini, 
(a)  veruna.  Testo  Marini, 


i45 

Per  quante  vie  e  modi  si  può  dire  bene  e  male 
di  alcuna  persona, 

per  quante  vie  si  può  consigliare  in  sulle  cose 
già  apertamente  il  ti  ho  mostrato  di  sopra;  ora  ti 
voglio  mostrare  per  quanti  modi  e  di  quante  cose 
si  può  dire  bene  e  male  di  alcuna  persona  ;  e  av- 
vegnacliè  questa   materia  e  modo  di  dire  non  ab- 
bia da  se  molto  luogo,  percliè  rade  volte  si  muove 
il  dicitore  a  dire  parole  solo  per  lodare  o  per  infa- 
mare alcuna  persona,  sì  è  molto  utile  materia  a  sa- 
pere ;  perchè  parlando  il  dicitore  di  altre  cose  ri- 
torna molto  a  questa  materia,  e  fa  spesse  volte  di 
questa  la  maggior  parte   della  sua  diceria.  Bene 
e  male  si  può  dire  di  alcuna  persona  da  tre  cose, 
cioè  :  dalle  cose  che  si  appartengono  all'  animo,  e 
da  quelle  che  si  appartengono  al  corpo,  e  da  quel- 
le che  si  appartengono  di  fuora  del  corpo,  cioè  da' 
beni  della  ventura.  Dàlk  cose  che  si  appartengo- 
no all'animo,  si  può  dire  bene  e  male  di  alcu- 
na persona  da  quattro  virtù  principali,  che  sono 
neir  animo  dell'  uomo  solamente  ;  cioè  :  Pruden- 
zia.  Giustizia,  Fortezza  e  Misura.  Dalle  cose  che 
si  appartengono  al  corpo,  si  può  dire  bene  e  male 
di  alcuna  persona  da  quattro  cose,  che  sono  bontà 
del  corpo  solamente;  cioè:  Fortezza,  Leggerezza,  Sa- 
nità e  Bellezza .  Dalle  cose  che  si  appartengono 

IO 


i46 

fuori  del  corpo,  si  può  dire  bene  e  male  di  alcuna 
persona  da  sette  cose,  le  quali  sono  appellate  i  be- 
ni della  ventura  5  cioè:  Gentilezza,  Riccbezza,  Si- 
gnorie, Onori,  Amistadi,  Cittadinanze,  ed  essere  be- 
ne nutricato.  E  queste  sono  cose  che  non  si  appar- 
tengono a  corpo  ne  ad  animo,  ma  sono  certi  be- 
ni dati  all'uomo  dalla  ventura,  laonde  n'è  molto 
lodato  e  dettone  bene. 

Di  che  può  essere  alcuno  lodato  di  Pi'udenzia, 

Dissi  di  sopra  che  delle  cose  che  sì  appar- 
tengono all'animo  puote  V  uomo  essere  lodato  di 
quattro  virtù  principali  ;  cioè  :  Prude iizia,  Fortez- 
za, Giustizia  e  Misura.  Di  ciascuna  di  queste  può 
r  uomo  essere  lodato  per  molti  modi,  e  di  molte 
virtù  che  nascono  di  queste,  le  quali  ti  voglio 
per  ordine  mostrare  e  aprire.  Di  Pnudenzia  si 
può  essere  lodato  da  tre  virtù  che  nascono  di  lei  ; 
cioè  :  da  buona  Memoria,  da  buono  Conoscimento 
Q  da  buono  Provvedimento .  Di  buona  Memoria 
puote  luomo  essere  lodato  di  Prudenzia,  in  ciò  ch^  è 
detto  savio,  quando  si  ricorda  di  molte  cose  (i) 
che  sono  già  state  e  dei  molti  fatti  che  gli  sono  in- 
contrati, laonde  giudica  meglio  e  più  saviamente  in 

(i)si  muove  sottilmente  in  sulle  cose.  Testo  Marini, 


•47 

sulle  cose  presenti.. Di  buono  Conoscimento  può 
l'uomo  essere  lodato  di  Prudenzia,  in  ciò  eh'  è  detto 
savio,  quando  si  muove  sottilemente  in  s^dle  cose 
per  diritta  cagione  di  conoscere  il  bene  dal  male. 
Di  buono  Provvedimento  puote  V  uomo  essere  lo- 
dato di  Prudenzia^  in  ciò  eli'  è  detto  savio,  quan- 
do sa  bene  prevedere  innanzi  le  cose  che  posso- 
no avvenire. 

Pei'  quanti  modi  si  può  lodare  di  Giustizia, 

Di  Giustìzia  può  1'  uomo  essere  lodato  da  sei 
virtù,  che  nascono  di  lei  ;  cioè  :  Religione  ,  Pietà^ 
Grazia,  Vendetta  (i).  Osservanza  e  Verità.  Per 
via  di  Religione  può  Y  uomo  essere  lodato  di  Giu- 
stizia ,  quando  religiosamente  si  muove  A  rende- 
re la  ragione  sua  a  Dio,  la  quale  gli  si  rende 
dalle  genti  quando  si  osservi  la  fede  e  obbedi- 
sca le  sue  comanda  menta.  Per  via  di  Pietà  può 
r  uomo  essere  lodato  di  Giustizia ,  quando  pie- 
tosamente si  muove  il  figliuolo  a  rendere  la  ra- 
gione sua  al  padre  e  alla  madre  e  a'  suo;  ante- 
cessori, la  quale  è  in  onorarli,  servirli  e  sovve- 
nirli quando  sono  bisognosi  ;  o  quando  il  cittadi- 
no pietosamente  si  muove  a  rendere  la  ragi  one 

(i)  Difesa.  Testo  Marini,  e  così  sempre. 


i4S  • 

sua  al  suo  comune^  la  quale,  è  in  difenderlo  e  in 
consigliarlo  fedelmente.  Per  via  di  Grazia  puote 
r  uomo  essere  lodato  di  Giustizia,  quando  per  gra- 
zia e  buono  amore  si  muove  a  rendere  le  ragioni 
loro  a'  parenti  o  agli  osti  o  agli  amici  ;  la  quale  è 
in  servirli  o  in  consigliarli  fedelmente  e  in  guar- 
dandoli con  molta  onestà.  Per  via  di  Vendetta  pun- 
te l'uomo  essere  lodato  di  Giustizia,  quando  per 
vendetta  sì  muove  a  rendere  la  ragione  sua  al  ni- 
mico o  a  colui  che  offendere  lo  vuole,  e  la  quaF  è 
quando  si  difende  dal  nimico  e  non  si  lascia  fa- 
re ne  ingiuria,  ne  forza.  Per  via  di  Osservanza  puo- 
te r  uomo  essere  lodato  di  Giustizia,  quando  rende 
la  ragione  loro  a  signorie,  a  maggiori  o  a  coloro 
che  di  bontà  passano  gli  altri  ;  la  quale  è  in  ser- 
virli fedelmente  e  in  portare  loro  riverenzia  e  o- 
nore,  considerando  che  sempre  si  è  così  osser- 
vato. Per  via  di  Verità  puote  l' uomo  essere  lodato 
di  Giustizia,  quando  dice  altrui  il  vero  e  serva  leal- 
tade  e  quello  che  promette. 

Per  quanti  modi  si  può  lodare  per  via 
di  Fortezza. 

Di  Fortezza,  che  è  la  terza  virtù  dell'  ani- 
mo, puote  r  uomo  essere  lodato  da  quattro  virtù 
che  nascono  di  lei,  cioè:  Magnificenza,   Speranza, 


i49 

Pazienzia  e  PerSeveranzia.  Per  via  di  Magnifìcenzia 
puote  r  uomo  essere  lodato  di  Fortezza,  quando  è 
detto  r  animo  forte  in  ciò^  che  desidera  le  gloriose 
e  grandi  cose  e  dispregia  le  cose  piccole  e  vili,  e 
giudicale  non  degne  (i)  alla  grandezza  sua.  Per  via 
di  Speranza  può  l'uomo  essere  lodato  di  Fortezza, 
in  ciò  eh'  è  detto  1'  animo  forte,  quando  spera  pure 
di  capitar  bene  e  dirittamente  se  le  cose  si  fan- 
no bene  e  come  si  conviene  a  ragione.  Per  via  di 
Pazienzia  puote  Y  animo  essere  lodato  di  Fortezza 
in  ciò,  eli'  è  detto  l' animo  forte,  quando  è  paziente 
de'  pericoli  e  fatiche  acciocché  le  cose  si  facciano 
bene  e  utilemente.  Per  via  di  Perseveranzia  pud 
l'uomo  essere  lodato  di  Fortezza  in  ciò,  che  è  detto 
l'ahimo  forte,  quando  sempre  seguita  e  tiene  quel- 
la via  che  ha  conosciuto  e  provato  eh'  è  la  miglio- 
re, e  più  utilità  sì  ne  seguita. 

Per  quanti  modi  si  può  essere  lodato  per  via 
di  Misura. 

Della  Misura,  che  la  quarta  virtù  delFanimo^ 
puote  r  uomo  essere  lodato  da  tre  cose  ;  cioè  :  Asti- 
nenzia,  Pietà  e  Vergogna.  Per  via  di  Astinenzia  può 
r  uomo  essere  lodato  di  Misura,  in  ciò  eh'  è  detto 

(r)  indegne.  Testo  MannL 


i5o 

r  animo  ammisurato,  quando  tempera  e'  desiderii 
del  mondo  ed  astiensi  dalle  cose  clie  sono  di  soper- 
chio, e  pone  il  termine  (i)  e  la  misura  a  ciascuna 
cosa,  e  oltre  a  quello  termine  non  vuole  passare. 
Per  via  di  Pietà  può  V  uomo  essere  lodato  di  Mi- 
sura, quando  è  detto  1  animo  ammisurato  in  ciò 
elle  si  muove  a  pietà  e  perdona  a  chi  l'offende, 
quando  umilemente  gli  chiama  (2)  mercè.  Per  via 
di  Vergogna  può  1'  uomo  essere  lodato  di  Misura, 
quando  è  detto  l'animo  ammisurato  in  ciò  che  si 
turba  di  onesta  vergogna,  quando  vede  altrui  fare 
le  soperchianze  e  le  ingiurie. 


(i)  tempo.  Testo  Mannì, 

{^)  chiede,  leggesi  nelV  antica  edizione* 


5i 


Oe  bene  porrai  mente  alle  cose  che  sono  det- 
te di  sopra,  potrai  apertamente  vedere,  che  ven- 
tisette sono  le  cose  generah ,  laonde  può  1'  uo- 
mo essere  Iodato^  cioè  sedici  dalle  cose  che  si  ap- 
partengono air  animo ,  che  sono  appellate  Virtù  ; 
e  quattro  dalle  cose  che  si  appartengono  al  cor- 
po, che  sono  date  all'  uomo  dalla  natura  ;  e  set- 
te dalle  cose  che  sono  fuori  del  corpo,  che  pro- 
cedono dalla  ventura ,  secondochè  per  ordine  ti 
ho  mostrato  di  sopra.  E  secondochò  da  tutte  le 
cose  dette  puote  l'uomo  essere  lodato,  così  puo- 
te  r  uomo  essere  biasimato  dalle  cose  che  sono 
contrarie  di  quelle  ,  perchè  nascono  li  vituperi 
dalle  cose  che  sono  contrarie  alle  lodi  ;  e  a  dire 
che  le  lodi  e  che  i  vituperi  possono  altrui  essere 
dati  sopra  tutti  li  membri  (i)  che  sono  posti  di 
sopra,  sarebbe  lunga  fatica  e  piccola  utilità,  e  però 
non  me  ne  voglio  travagliare  ;  ma  colui,  che  è  di- 
citore, debbe  da  sé  le  lode  e  i  vituperi  pensare  e 
vedere,  da  che  sa  le  cose  generali  di  che  puote 
l'uomo  essere  lodato  o  biasimato.  Ma  di  questo  sì^ 
savio  colui,  che  favella,  che  nella  diceria  non  di- 
ca troppe  lode  o  troppi  vituperi  di  alcuna  persona, 

(i)  v«rbi.  Testo  Manni, 


l52 

perchè  farebbe  gli  uditori  del  detto  suo  discre- 
denti (i)  e  non  darebbono  alle  parole  sue  tanta  fe- 
de ;  e  che  i  vituperi  o  le  lode,  che  pone,  sieno  nel- 
la persona,  di  cui  favella,  chiari  e  aperti,  perchè 
chi  loda  alcuna  persona  ovvero  vitupera  di  co- 
se che  non  sieno  in  lui,  o  di  cose  che  non  sieno 
apertamente  a  tutte  genti  manifeste,  non  è  dato 
fede  al  detto  suo  e  non  è  creduto,  ma  di  coloro 
n'  è  fatto  beffe  e  scherno  (2). 


(i)  miscredenti.  Testo  Marini, 

(2)  Nel  Testo  Marini  termina  il  perìodo  come 
segue  ; 

Chi  loda  alcuna  persona,  ovvero  vitupera  di  cose, 
che  sieno  in  lui,  o  di  cose,  che  non  sieno  ben  ma- 
nifeste alle  genti,  il  detto  suo  non  è  creduto^  ma  enne 
fatto  beffe,  e  scherne. 


FINE 


i53 


INDICE 

Prefazione  dell'  Editore    .... 
Proemio     ...«...• 

.     car. 

V 
I 

Prologo 

pj 

5 

9> 


TRATTATO  PRIMQ 

Del  sapere  bene  et  ordinatamente  f ascellare 
Di  che  materia  dee  trattare  il  libro,  e  del- 

T  ordine  che  si  debbe  tenere  .     .     .     ,,     17 
Dei  tre  ordini  delle  catene  che  bisogna  co- 
noscere     „     i8 

Delle  parti  di  Rettorica ??     ivi 

Delle  quattro  maniere  delle  cose  che  fa  di 

bisogno  sapere  al  dicitore      .     .     .     ^,     19 
DeW  operamento  del  cominciare  .     .     .     ^,     20 
Di  che  cosa  debbe  essere  ammaestrato  il  di- 
citore      •     «     .     ,,     21 

Della  buona  favella „     ^^ 

Della  favella  composta ^^     ^3 

Della  ordinata  favella ,^26 

Come  si  ordina  la  diceria  secondo  V  ordirle 

dato  suir  aHe »     ^1 

Come  si  ordina  la  diceria  secondo  il  tempo, 

che  'l  fatto  si  dice „     38 


i54 

Della  dottrina  data  in  sul  Proemio     .     car.  29 

Come  si  renda  più  atteso  V  liditore    .     .     ,,  3 1 
Da  quante  cose  si  rende  più  benevolo  V  udi- 

tore ^,  ivi 

Come  si  fa  più  ammaestrato  V  uditore     .     „  33 
Della  dottrina  della  Narrazione  .     .     .     ,^34 
In  che  modo  si  pub  il  fatto  brievemente  nar- 
rare      ^,35 

In  che  modo  si  può  dire  la  cosa  chiara  e 

aperta ^,  36 

In  che  modo  si  può  dire  iljatto  chiaro  e  a- 

perto,  die  paia  vero  o  verisimile     .     „,  37 

Della  divisione  nelle  Dicerie  e  Allegazioni  „  38 
In  che  modo  nelle  Allegazioni  si  fa  divi- 

sione :»  4^ 

Della  Confermazione  e  Risponsione  .     .     ,,  4^ 
Della  Conclusione,  eli  è  la  sesta  parte  della 

Diceria .,..,,  4^ 

Come  si  fa  Conclusione  per  via  di  Abomi- 

namento  .     .......•.,,  4^ 

Come  si  fa  Conclusione  per  via  di  Miseri- 
cordia     . »  ^o 

Della  Elocuzione      ......,,  53 

Dell'  ornamento  che  si  appella  Ridicimento  „  54 

del  Ridicimento ^^55 

della  Contenzione    .     .     .     .     *     „  5 7 


55 


Dell* ornamento  che  si  appella  del  Gridare,  car.    57 
-! —     dellAddimandare ^>     58 

della  Ragione ,,     5g 

della  Sentenzia ,,     61 

del  Contrario ^^63 

del  Membro ^^     ^4 

delV  Articolo .     .,....;,:,     ivi 

del  Compimento „    •  65 

— —     del  S alimento >5     ^^ 

del  Dif finimento ^3     ^9 

« del  Mostramento     .      .,..,,     ivi 

del  Gastigamenio ;»?     7^ 


del  Soprappiglìare »  1^ 

< dello  Sceveramento y^  ']^ 

del  Raddoppiamento     ,     .     .     .  a>  78 

— r —  del  Richiamamento ^,  74 

del  Rimutamento >^  ivi 

del  Concedimento   ....,,  75 

dello  Sbrinamento ;,,  76 

■  del  Disciolto „  ivi 

:: del  Recidimento y  11 

della  Conclusione *>  7^' 

TRATTATO  SECONDO 

Della  Sentenzia  della  Distribuzione  •      •  j*  79 

— -  della  Licenzia     .     .     ^     «     .     .,  .,,  80 


i56 


Della  Sentenzia  dello  Scaltrimenio 

, 

car.     83 

« del  Menomamento   .....     ,^      84 

del  Designamento     . 

^     ,.     S5 

della  Divisione    .     . 

.     .     >.     Si 

-- —     dello  Spessamento    .     . 

,.     88 

del  Punimento     . 

. 

>>     9<^ 

del  Soprastare     .     .     . 

•     »     92 

della  Contenzione    .     . 

.     „     93 

della  Similitudine    ,     .     . 

. 

-     94 

dello  Esemplo 

•     ..     9S 

della  Immagine   .     .     . 

•    >^     99 

del  Mostramento 

.     ,,   100 

del  Disegnare     .      .     . 

.     ,,     ivi 

del  Sermonare     .     . 

.     ,,   102 

dell'Informare    ,     .     . 

.     „   106 

del  Signijìcare     .     .     . 

.     ,,   io<S 

della  Brevità     .... 

• 

. 

,,   no 

del  Mostramento      .     .     . 

,,  III 

TRATTATO  TERZO 


Proemio 


1 1 


1 1' 


In  che  modo  il  dicitore  dee  il  detto  suo  be- 
ne e  piacevolmente  profferere     *     .     ,. 
Della  divisione  delle  voci   ..,..„   121 
Della  voce  ferma      .      ......     ^>  .1 


22 


Della  voce  molle .     .      .     .     .     .     .     car.   124 

Dei  movimenti  del  corpo  e  della  deva  del 

volto   ......       ^      ...       ^^    I2i6 

TRATTATO  QUARTO 

DI  quelle  cose  che  fanno  bisogno  al  consi- 
gliatore di  sapere   ^>   129 

Quanti  modi  sono  da  consigliare  e  quali     „   i3o 

In  che  modo  si  trova  la  cagione  della  cosa 

di  che  si  consiglia      .      .      ,     .     .     ,,   1 3 1 

Come  si  conosce  la  utilità  della  cosa  di  che 

si  consiglia ^,    i33 

Quando  la  utilità  della  cosa,  sopra  alla  qua- 
le si  piglia  consiglio,  è  che  sia  più  si- 
cura, come  si  può  consigliare    .     ,     ,,134 

Quando  la  utilità  della  cosa,  sopra  la  qua- 
le si  piglia  consiglio,  è  che  stia  bene  e 
dirittamente,  per  quante  vie  si  può  con- 
sigliare      ....;,,   1 35 

Per  quanti  modi  si  consiglia  per  via  di  Pru- 

denzia „   i36 

Per  quanti  modi  si  consiglia  per  via  di  Giu- 
stizia     :,,    i38 

Per  quanti  modi  si  consiglia  per  via  di  For* 

tezza ,,,,,„    i4o 


58 


Per  quanti  modi  si  consiglia  per  via  di  Mi- 
sura        car.    i/fS 

Quando  la  utilità  della  cosa,  sopra  alla  quale 
si  piglia  consiglio j  è  che  sia  lodata  dal- 
le genti,  come  si  può  consigliare     .     „   i4^ 

Per  quante  vie  e  modi  si  può  dire  bene  e  ma- 
le di  alcuna  persona >,   ^A^ 

Di  che  può  essere  alcuno  lodato  di  PrU" 

denzia      .     .     .     .     .     .     .     ...     ,.,   1 4^ 

Per  quanti  modi  si  può  lodare  di  Giustizia  ,,   1 47 

Per  quanti  modi  si  può  lodare  per  via  di 

Fortezza »   ^% 

Per  quanti  modi  si  può  essere  lodato  per  via 

di  Misura     .     .     » »  }^o 

Conclusione     . >?   i5i 


^^---:X 


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